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loro realtà fisica, ma hanno solo un valore <strong>di</strong> riferimento o <strong>di</strong> notazione<br />
simbolica nei riguar<strong>di</strong> dell’in<strong>di</strong>viduo. Esso esprime un linguaggio secondo<br />
cui il cielo è il “significante” e l’in<strong>di</strong>viduo il “significato”.<br />
“La primeva astrologia”, ha rilevato Armando Profita nel suo libro<br />
L’astrologia <strong>per</strong>duta, “infatti, a <strong>di</strong>fferenza delle recenti scienze s<strong>per</strong>imentali<br />
che pongono le cause dei fenomeni stu<strong>di</strong>ati sul piano della realtà sensibile,<br />
presuppone l’azione <strong>di</strong> cause metafisiche sul mondo fenomenico e, in tal<br />
guisa, investe il piano della trascendenza, le realtà prime, i modelli<br />
essenziali, ‘quod ubique, quod ab omnibus, quod sem<strong>per</strong>’ “.<br />
Nei trattati ermetici, ad esempio il Pimandro, la Korè Kosmou, il<br />
Cratere, l’Asclepio, la trattazione è preminentemente <strong>di</strong> carattere teologicofilosofico,<br />
e il linguaggio adottato è quello tipico della “rivelazione”: ogni<br />
trattato viene concepito come un <strong>di</strong>alogo <strong>di</strong>chiarato o sottinteso tra un<br />
“illuminato” e un “iniziato”, <strong>per</strong> cui si forma <strong>una</strong> specie <strong>di</strong> concatenazione<br />
<strong>di</strong> adepti (Pimandro, Ermete, Asclepio, ecc.) che si tramandano segreti<br />
esoterici <strong>di</strong> origine <strong>di</strong>vina, appresi attraverso sogni premonitori o in visioni<br />
ispirate <strong>di</strong>rettamente dal Noûs, Supremo intelletto, ipostasi della <strong>di</strong>vinità<br />
ineffabile.<br />
In queste trattazioni, che sono ricche <strong>di</strong> riferimenti astrologici,<br />
cosmologici, alchemici, l’anelito principale è rivolto alla comprensione<br />
esistenziale dell’universo, cui l’adepto ermetico partecipa come <strong>una</strong> creatura<br />
<strong>di</strong>vina, con lo sguardo rivolto al <strong>di</strong>vino.<br />
Si legge nel Korè Kosmou: “Ermete vide l’insieme delle cose; avendo<br />
visto, comprese; avendo compreso, ebbe il potere <strong>di</strong> rivelare e <strong>di</strong> mostrare.<br />
E infatti ciò che conobbe lo scrisse; ciò che scrisse in massima parte lo<br />
celò, mantenendo saldamente il silenzio piuttosto che parlare affinché nel<br />
mondo ogni generazione futura dovesse cercare queste cose”.<br />
Il carattere <strong>di</strong> rivelazione della verità impone un’altra con<strong>di</strong>zione. Non<br />
soltanto la <strong>di</strong>vinità rivelatrice non la confiderà che consapevolmente, ma,<br />
se la trasmissione comporta più interme<strong>di</strong>ari, ognuno <strong>di</strong> essi deve essere<br />
un testimone qualificato. L’ultimo rivelatore <strong>di</strong> questa serie <strong>di</strong> profeti ha<br />
anche cura <strong>di</strong> far conoscere coloro che lo hanno preceduto, certificando<br />
così che la dottrina trasmessa proviene autenticamente dalla <strong>di</strong>vinità tramite<br />
<strong>una</strong> stirpe <strong>di</strong> garanti impeccabili. Il problema dell’acquisizione del sa<strong>per</strong>e<br />
umano, negli scritti ermetici, non si pone più in termini <strong>di</strong> ragione, ma <strong>di</strong><br />
fede. Nell’ermetismo emerge che la verità possa scaturire unicamente da<br />
<strong>una</strong> rivelazione <strong>di</strong>retta della <strong>di</strong>vinità, cosa che rende assolutamente<br />
in<strong>di</strong>spensabile la comunicazione con un <strong>di</strong>o.<br />
Se la verità è conosciuta unicamente <strong>per</strong> rivelazione, <strong>di</strong>viene,<br />
naturalmente, un “mystèrion”, un segreto. Se un <strong>di</strong>o si degna <strong>di</strong> comunicarla