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<strong><strong>le</strong>ggi</strong>, <strong>scrivi</strong> e <strong>condividi</strong> <strong>le</strong> <strong>tue</strong> <strong>10</strong> <strong>righe</strong> <strong>dai</strong> <strong>libri</strong><br />
http://www.<strong>10</strong><strong>righe</strong><strong>dai</strong><strong>libri</strong>.it
ade<strong>le</strong> VieRi Castellano<br />
Roma 42 d.C.<br />
CuoRe nemiCo<br />
romanzo
Della stessa autrice abbiamo pubblicato:<br />
Roma 40 d.C. – Destino d’amore<br />
Prima edizione: gennaio 2013<br />
© 2013 by Ade<strong>le</strong> Vieri Castellano<br />
© 2013 by Sergio Fanucci Communications S.r.l.<br />
Il marchio Leggereditore è di proprietà<br />
della Sergio Fanucci Communications S.r.l.<br />
via del<strong>le</strong> Fornaci, 66 – 00165 Roma<br />
tel. 06.39366384 – email: info@<strong>le</strong>ggereditore.it<br />
Indirizzo internet: www.<strong>le</strong>ggereditore.it<br />
Proprietà <strong>le</strong>tteraria e artistica riservata<br />
Stampato in Italia – Printed in Italy<br />
Tutti i diritti riservati<br />
Progetto grafico: Grafica Effe
ade<strong>le</strong> VieRi Castellano<br />
Roma 42 d.C.<br />
CuoRe nemiCo<br />
romanzo
a Monica e a Daniela,<br />
ab imo pectore
Nota dell’autrice<br />
Nel testo ho liberamente scelto di utilizzare il termine latino castra<br />
(plura<strong>le</strong> di castrum) anche nell’accezione singolare per indicare<br />
il forte romano di Mogontiacum. Castra ha infatti un significato espressamente<br />
militare mentre castrum può essere impiegato anche<br />
per opere civili con scopi di protezione (Le Bohec, L’esercito romano<br />
da Augusto alla fine del III secolo – Rebuffat, A propos du ‘Limes Tripolitanus’,<br />
in Rev. Arch., I, 1980).<br />
9
Prologo<br />
Castra di Mogontiacum, 794 a.U.c., dodicesimo giorno prima<br />
del<strong>le</strong> ca<strong>le</strong>nde di november (20 ottobre, 41 d.C.)<br />
Col polpastrello seguì la linea frastagliata che gli sfregiava<br />
la guancia.<br />
Faceva ma<strong>le</strong>, un dolore che si irradiava in ogni parte del<br />
volto. La punta dell’indice sfiorò la carne tumefatta come se<br />
toccasse qualcosa di molto fragi<strong>le</strong>. Quando trovò il punto dove<br />
lo scudiscio lo aveva colpito in pieno, là dove il cuoio rigido<br />
aveva incontrato la fragilità della pel<strong>le</strong>, l’uomo trasalì rivivendo<br />
il momento.<br />
Vide il volto rif<strong>le</strong>sso sulla superficie d’argento aggrottare<br />
<strong>le</strong> spesse sopracciglia brune, gli occhi ridursi a sottili fessure<br />
e il labbro superiore sol<strong>le</strong>varsi per mostrare i lunghi canini,<br />
simili a quelli dei carnivori. Si riconobbe in quel volto spietato<br />
che da quel giorno sarebbe stato diverso.<br />
Prese un respiro profondo, frutto di sofferenza e tensione.<br />
L’aria sibilò entrando nel<strong>le</strong> narici, poi scivolò nella gola fino<br />
a dilatarsi nel petto, racchiuso nella lorica.<br />
Aria.<br />
Vita.<br />
11
Vendetta.<br />
Il cuore acce<strong>le</strong>rò, il sangue gli rombò nel<strong>le</strong> vene dilagando<br />
in ogni parte del corpo: pel<strong>le</strong>, muscoli, ossa. Risvegliò il suo<br />
impeto guerriero e <strong>le</strong> dita distese tremarono.<br />
Il volto tanto odiato si ricompose nella sua mente.<br />
Chiuse il pugno una, due volte fino a ficcarsi <strong>le</strong> unghie nel<br />
palmo, un guizzo percorse la guancia deturpata e il dolore si<br />
diffuse simi<strong>le</strong> alla crepa su un vaso. Invisibi<strong>le</strong>, inarrestabi<strong>le</strong><br />
ragnatela che niente potrà rimarginare.<br />
La sua ferita.<br />
Si compiacque a tal punto del funesto pensiero che non<br />
sentì più nulla.<br />
Quando notò lo schiavo pronto con l’unguento, dietro di<br />
lui, ringhiò: «Vattene.» E quello sparì dietro l’uscio. Le fiammel<strong>le</strong><br />
del<strong>le</strong> lucerne tremolarono, rif<strong>le</strong>sse sullo specchio.<br />
Da solo, prese un altro lungo respiro.<br />
Niente per mitigare la sofferenza che avrebbe scatenato il<br />
suo risentimento.<br />
La sua morte <strong>le</strong>nirà il mio dolore, non importa quanto dovrò<br />
aspettare, pensò, e l’idea strisciò fuori dalla sua mente,<br />
sentimento puro e incorrotto che si nutrì della sua natura<br />
implacabi<strong>le</strong>, spietata.<br />
Morirà.<br />
Avrebbe ucciso, straziato, incenerito con la sua ira come i<br />
<strong>le</strong>ggendari specchi ustori di Archimede durante l’assedio di<br />
Syracusa, e quella cenere l’avrebbe dispersa nel vento.<br />
12
Parte prima<br />
Selva Hercynia, Germania Superiore,<br />
quattro mesi prima
Aut amat aut odit mulier. Nihil est tertium<br />
(La donna o ama o odia. Non conosce via di mezzo)<br />
publilius syrus
1<br />
La lama affilata penetrò fino all’elsa nel corpo del germano<br />
che spalancò gli occhi nello stupore della morte. Il gladio<br />
fu estratto con un movimento così brusco e vio<strong>le</strong>nto che fece<br />
vibrare i crini color porpora sull’elmo dell’ufficia<strong>le</strong>.<br />
Il grido del moribondo non si udì.<br />
Non nel fragore della battaglia, del cozzare del<strong>le</strong> armi, né<br />
al suono del<strong>le</strong> buccine e degli ordini urlati a squarciagola.<br />
Il so<strong>le</strong> non era ancora sorto quando era echeggiato il segna<strong>le</strong><br />
di attacco al villaggio dei chatti, ancora immersi nel<br />
sonno. In quell’istante un raggio obliquo illuminò la foresta.<br />
Brulicava di uomini avvolti in pelli di animali che cercavano<br />
di organizzare una resistenza efficace contro l’incontenibi<strong>le</strong><br />
onda d’urto del<strong>le</strong> tre coorti romane.<br />
Un’impresa disperata.<br />
In pochi attimi l’intero villaggio era diventato teatro di<br />
una battaglia corpo a corpo, una calca di uomini ringhiosi<br />
e furibondi contro un nugolo di ordinati <strong>le</strong>gionari che uccidevano<br />
avanzando con sistematica, inverosimi<strong>le</strong> disciplina.<br />
Una lotta impari vinta con strategia e organizzazione grazie<br />
anche a lame micidiali come quella che il <strong>le</strong>gato della <strong>le</strong>gione<br />
Marco Quinto Rufo stava maneggiando con abilità, dettata<br />
da lunga esperienza.<br />
17
Il gruppo di <strong>le</strong>gionari che lo seguivano si dispose a ventaglio<br />
per proteggerlo. Un compito quasi impossibi<strong>le</strong> perché<br />
quell’uomo non conosceva la paura e aveva appena allontanato<br />
da sé con freddezza il cadavere dell’ultimo nemico<br />
ucciso.<br />
«Legato!» lo avvertì con un brivido d’allarme il primo centurione,<br />
Va<strong>le</strong>rio Mucio Sesto, che lo seguiva dappresso.<br />
Un chatto era riuscito chissà come a superare la linea compatta<br />
della formazione e, riconoscendo nella cresta dell’elmo<br />
di Rufo il comandante, si avventò su di lui come un sasso<br />
gettato da una fionda.<br />
La scena si stampò nella mente di Va<strong>le</strong>rio con agghiacciante<br />
nitidezza: il barbaro grande e potente, un ghigno di<br />
rabbia che gli spalancava la bocca, <strong>le</strong> braghe che una cintura<br />
di cuoio, con punte di metallo taglienti, gli teneva strette in<br />
vita. Mai vista una cosa simi<strong>le</strong>, che razza di artigiano aveva<br />
inventato un’arma così improbabi<strong>le</strong>? Vide il barbaro fissare<br />
Rufo e il <strong>le</strong>gato ricambiare lo sguardo come se vedesse un<br />
morto camminare.<br />
Egli non vacillò. Attese il proietti<strong>le</strong> vivente con la stessa<br />
freddezza con cui ordinava ai <strong>le</strong>gionari di rompere i ranghi,<br />
alla fine di una giornata di marcia.<br />
Lo spazio che li divideva si ridusse a un nulla, il braccio<br />
del chatto roteò, la scure larga e lucente si abbatté su Rufo<br />
che si abbassò di scatto e vibrò il gladio con esasperante <strong>le</strong>ntezza,<br />
o così sembrò a Va<strong>le</strong>rio.<br />
La punta affilata sezionò il ventre del barbaro mentre il<br />
sangue sprizzava in ogni direzione. L’uomo che brandiva la<br />
scure sembrò non sentire nulla e tentò di avvinghiarsi a Rufo<br />
per ficcargli nel ventre una di quel<strong>le</strong> micidiali punte che sporgevano<br />
dalla cintura. Ecco come se ne serviva, il bastardo.<br />
Rufo lo tenne lontano con la forza del braccio destro e gli<br />
assestò un diretto sul mento con l’elsa del gladio. Il barbaro<br />
barcollò. La mano sinistra del <strong>le</strong>gato fece un brusco movi<br />
18
mento verso il fianco indifeso del nemico e vi affondò un<br />
pugio fino all’impugnatura.<br />
Per gli dèi, pensò Va<strong>le</strong>rio che mai aveva visto combattere<br />
un uomo con entrambe <strong>le</strong> mani e con la stessa efficienza, e<br />
comprese che il suo grido d’allarme di prima sarebbe comunque<br />
caduto inascoltato.<br />
Rufo, con l’arma sol<strong>le</strong>vata e sporca di sangue, gridò: «Serrate<br />
i ranghi, avanti! Avanti!»<br />
E Va<strong>le</strong>rio con il sangue che rombava nel<strong>le</strong> vene lo seguì infuso<br />
di nuovo coraggio, così come fecero i <strong>le</strong>gionari.<br />
Appostato nella foresta poco lontano, Quinto Decio Aquilato<br />
vide la freccia infuocata tracciare un arco e sparire oltre<br />
gli alberi. Il segna<strong>le</strong> convenuto.<br />
«I fratelli romani ci chiamano, uomini» urlò voltandosi<br />
verso <strong>le</strong> due turme di batavi in sella dietro di lui, in trepida<br />
attesa.<br />
Un cora<strong>le</strong>, appassionato ululato fece spiccare il volo agli<br />
uccelli annidati sui rami più alti e la loro risposta trasformò il<br />
battito del suo cuore in un rombo: «Onore e gloria a Roma!»<br />
«Combattiamo per Roma!» furono <strong>le</strong> urla di guerra.<br />
Spronò il cavallo che scattò in avanti. Il rombo degli zoccoli<br />
dietro di lui gli strappò un sorriso d’orgoglio mentre galoppavano<br />
verso il villaggio, l’odore della battaglia già nel<strong>le</strong> narici.<br />
Marco Quinto Rufo avanzò, l’elsa stretta nella destra, scortato<br />
dagli uomini della sua guardia. Le buccine suonavano<br />
incalzanti mentre l’attacco dei suoi <strong>le</strong>gionari spazzava via i<br />
chatti.<br />
L’agghiacciante risveglio aveva gettato il villaggio e i suoi<br />
abitanti in una devastante confusione e, nel clamore della<br />
battaglia, donne e bambini fuggivano urlando circondati dal<br />
calore degli incendi e dal<strong>le</strong> urla degli ufficiali che incitavano<br />
i <strong>le</strong>gionari a fare prigionieri.<br />
19
Marco si guardò intorno. Alla sua sinistra notò un gruppo<br />
di barbari guidati da un uomo alto, i capelli annodati sulla<br />
nuca e numerose treccine che dondolavano a ogni passo. Il<br />
giovane guerriero dal volto feroce che stava al suo fianco alzò<br />
la sua scure e la calò, spietato, su un <strong>le</strong>gionario che si era<br />
scagliato contro di loro.<br />
Quello più anziano non si girò neppure, puntava diritto<br />
su di lui.<br />
Gerlach. Marco non ebbe nessun dubbio.<br />
Le sue spie avevano fatto un buon lavoro e lui riconobbe<br />
all’istante il re di quel popolo fiero e indomito da sottomettere,<br />
l’unico pensiero pressante di Marco in quel<strong>le</strong> ultime settimane.<br />
Gerlach e i suoi guerrieri da mesi razziavano i villaggi del<strong>le</strong><br />
tribù germaniche al<strong>le</strong>ate di Roma. Il rischio maggiore era che<br />
prima o poi il loro esempio trovasse seguito e al<strong>le</strong>ati pronti<br />
a sfidare l’Impero, a superare il confine del Reno. Per questo<br />
aveva deciso di dargli una <strong>le</strong>zione con una sortita nel cuore<br />
dei loro territori.<br />
Marco colse la sfida del capo germanico con una sola occhiata.<br />
Il clangore della battaglia aumentò a dismisura quando la<br />
caval<strong>le</strong>ria batava dilagò sul villaggio e gli zoccoli dei cavalli<br />
travolsero la resistenza degli ultimi guerrieri.<br />
Quinto Decio Aquilato spronò il cavallo verso la bassa<br />
palizzata. Con un salto impetuoso la superò e gli zoccoli si<br />
schiantarono sul terreno, mentre intorno a lui sibilavano <strong>le</strong><br />
frecce degli ausiliari siriani.<br />
Si abbassò sulla criniera e la lancia che aveva visto scagliare<br />
da un germano andò a conficcarsi sul tronco di un albero.<br />
Tirò crini e redini nello stesso istante e l’anima<strong>le</strong> ben addestrato<br />
cambiò subito direzione.<br />
Al galoppo inseguì il nemico fino a quando fu su di lui.<br />
Calò la spada celtica sul fuggitivo ormai in fuga ma non fe<br />
20
ce in tempo a compiere il gesto morta<strong>le</strong> che una freccia trapassò<br />
il collo del barbaro. Il suo corpo rotolò al suolo spinto<br />
dall’impeto della corsa.<br />
Aquilato voltò il cavallo con un brusco strattone.<br />
A un tiro di freccia vide Arash Tahmurat, il prefetto degli<br />
ausiliari siriani, che reggeva ancora l’arco teso tra <strong>le</strong> mani, il<br />
volto magro e severo che lo fissava impassibi<strong>le</strong>. Tra loro passò<br />
un muto segna<strong>le</strong> poi il batavo si ributtò nella mischia.<br />
Marco Quinto Rufo incitò i suoi <strong>le</strong>gionari. Con i barbari al<br />
seguito di Gerlach si accese una mischia furibonda. Attorno<br />
a loro urla selvagge, il suono metallico del<strong>le</strong> lame, il crepitio<br />
del<strong>le</strong> fiamme.<br />
Dapprima l’urto dei barbari sembrò sfondare il fronte romano<br />
ma fu un attimo: ai <strong>le</strong>gionari bastò guardare con qua<strong>le</strong><br />
coraggio il loro comandante cercava uno spazio libero per<br />
affrontare i nemici.<br />
La lorica di cuoio di Rufo respinse la punta di una lancia.<br />
Egli arretrò ma non perse l’equi<strong>libri</strong>o. Afferrò l’asta e riuscì<br />
a strapparla dal<strong>le</strong> mani del barbaro mentre uno dei suoi<br />
uomini affondava il gladio nel fianco ricoperto di pellicce. Il<br />
chatto cadde in ginocchio, vacillò verso di lui ma Marco lo<br />
ignorò, scavalcandolo.<br />
I suoi occhi puntavano su Gerlach.<br />
Avanti.<br />
Uno scudo di <strong>le</strong>gno gli sbarrò il passo. Vi menò un colpo<br />
con l’elsa poi vibrò la sinistra con cui reggeva ancora il pugio<br />
e colpì il fianco indifeso dell’avversario.<br />
Quando risol<strong>le</strong>vò il volto non c’erano più ostacoli.<br />
Marco gettò via lo scudo rotondo accorgendosi che Gerlach<br />
non aveva avuto il tempo di prendere il suo, tanto era<br />
stato repentino il loro assalto. Il barbaro sembrò apprezzare<br />
il suo gesto e a sua volta fece un cenno al giovane guerriero,<br />
che stava per scagliarsi contro di lui.<br />
21
Guardandolo in volto, Rufo ebbe un’intuizione, fugace<br />
come un pensiero: quello era uno dei suoi figli.<br />
Poi non ci fu più tempo e nessuno dei due, il chatto e il<br />
romano, si rese conto di aver annullato lo spazio che li divideva.<br />
Gerlach avanzò, il ghigno gli scopriva i denti. Il suo petto<br />
era nudo, una pel<strong>le</strong> era stretta in vita sopra a braghe galliche,<br />
simili a quel<strong>le</strong> indossate anche <strong>dai</strong> romani nella cattiva stagione.<br />
Brandiva una micidia<strong>le</strong> ascia di guerra.<br />
Rufo rimase con i piedi ben piantati al suolo, nessun selvaggio<br />
poteva fargli paura.<br />
La potenza del primo colpo si abbatté su di lui. Marco alzò<br />
la lama che si conficcò nel manico di <strong>le</strong>gno della scure.<br />
Il volto di Gerlach era così vicino che sentì l’alito marcio e<br />
vide <strong>le</strong> venuzze rosse negli occhi spalancati sempre di più,<br />
sempre di più, mentre si misuravano a vicenda, in un duello<br />
di muscoli e volontà.<br />
Era forte ma Marco lo respinse, la lama si separò di scatto<br />
dal <strong>le</strong>gno e Gerlach arretrò di pochi passi.<br />
Il figlio trovò lo spazio per porgere al padre una spada<br />
celtica e l’ascia finì nella polvere.<br />
I due avversari si mossero in circolo e poi si scagliarono<br />
l’uno contro l’altro nello stesso istante. Le due lame sprizzarono<br />
scintil<strong>le</strong> mentre il cerchio dei <strong>le</strong>gionari si allargava per<br />
lasciare più spazio.<br />
Non c’era tecnica, solo forza e rapidità.<br />
Quando si guardarono negli occhi cercando un’indicazione<br />
del<strong>le</strong> prossime mosse, la spada del germano si mosse di<br />
lato senza alcun preavviso. Rufo sol<strong>le</strong>vò il gladio e <strong>le</strong> due si<br />
intercettarono sopra <strong>le</strong> loro teste.<br />
Qualcuno urlò dietro di loro.<br />
Gerlach gracchiò feroci imprecazioni poi <strong>le</strong> due lame scivolarono<br />
l’una sull’altra con un sibilo e la lotta riprese.<br />
Il germano attaccò roteando la spada sopra la testa, per<br />
22
impressionare il nemico ma Rufo non si impressionò. Vibrò<br />
un fendente di piatto bloccando la lama a mezz’aria.<br />
«Che sia ma<strong>le</strong>detto il tuo nome, romano!»<br />
Marco puntò un piede a terra e resistette inchiodando in alto<br />
il braccio dell’avversario. Ben saldo sul<strong>le</strong> gambe gli rispose:<br />
«Per te il mio nome è morte, Gerlach.»<br />
Affondò la mano sinistra armata del pugio tra <strong>le</strong> costo<strong>le</strong><br />
del germano poi la sol<strong>le</strong>vò verso l’alto, una mossa <strong>le</strong>ta<strong>le</strong>. Gli<br />
occhi del barbaro si spalancarono e un gemito uscì dal<strong>le</strong> sue<br />
labbra mentre l’intero suo peso gravava sul braccio di Rufo.<br />
Nello stesso istante qualcuno lo colpì con una spallata, fu<br />
scagliato via e il pugio rimase conficcato nel corpo di Gerlach<br />
che crollò a terra.<br />
Il barbaro, quello che aveva ucciso un <strong>le</strong>gionario sotto i<br />
suoi occhi, si inginocchiò urlando davanti al padre morente.<br />
I capelli lunghi e folti oscurarono la visua<strong>le</strong> e Rufo non udì<br />
l’ordine che il moribondo diede a Raganhar, suo figlio: «Salvati.»<br />
Una mano si aggrappò a lui con la sola forza della disperazione.<br />
«Salva tua sorella. Fuggite o sarò morto invano.»<br />
E prima che Marco potesse esultare per la vittoria o i suoi<br />
uomini trattenerlo, Raganhar si sol<strong>le</strong>vò, brandì la spada del<br />
padre ai suoi piedi e si lanciò contro i due <strong>le</strong>gionari che stavano<br />
per afferrarlo. La affondò nella gola di uno dei due e con<br />
una potente spallata allontanò da sé l’altro, che perse l’equi<strong>libri</strong>o<br />
e finì tra <strong>le</strong> braccia di Rufo.<br />
Prima che altri suoi uomini si lanciassero su di lui, corse<br />
via come un cervo inseguito da una muta di cani feroci e si<br />
confuse nel tumulto della battaglia.<br />
Quando i chatti videro a terra il loro re, i volti congestionati<br />
dalla furia della battaglia si oscurarono e il selvaggio<br />
furore fu sostituito dalla consapevo<strong>le</strong>zza di chi sa di lottare<br />
senza speranza di vittoria, con l’unico scopo di trattenere i<br />
romani e permettere la fuga al<strong>le</strong> donne e ai figli per sottrarli<br />
23
alla morte o alla schiavitù. A poco a poco la resistenza del<br />
villaggio andò scemando.<br />
Marco combatteva ancora a fianco di qualcuno che ben<br />
conosceva.<br />
Le iridi scure fissarono i capelli d’oro del compagno, gli<br />
occhi color del cielo.<br />
Aquilato offriva un invitante bersaglio ai nemici: un fulgido<br />
Apollo, se mai quei selvaggi avessero potuto conoscere il<br />
dio dei romani.<br />
Rufo e l’amico ebbero solo quell’istante ma il loro sorriso<br />
d’intesa fu più potente di tante paro<strong>le</strong>.<br />
24
2<br />
L’uomo urlò nella sua lingua guttura<strong>le</strong> e goccioline di saliva<br />
vennero scagliate addosso a coloro che si accalcavano,<br />
spingevano, gesticolavano al centro della radura. Il so<strong>le</strong> stava<br />
per tramontare e a oriente gioielli luminosi erano comparsi<br />
sul manto cobalto del cielo.<br />
I romani avrebbero interpretato il <strong>le</strong>varsi di quel grappolo<br />
di stel<strong>le</strong> come il segno che la bella stagione avanzava ma nessuno<br />
di quella tumultuosa adunanza concepiva nulla al di là<br />
della pianura del<strong>le</strong> paludi e del<strong>le</strong> foreste che li circondavano.<br />
Le P<strong>le</strong>iadi, <strong>le</strong> stel<strong>le</strong> appena salite sull’orizzonte per loro non<br />
avevano significato e in ogni caso sarebbero presto scomparse,<br />
offuscate dalla luna piena.<br />
A qualche miglio dal villaggio spazzato dalla furia dei romani,<br />
il gruppo dei chatti fuggitivi aveva raggiunto una radura<br />
sacra racchiusa tra alberi secolari.<br />
Le mani dello sciamano si <strong>le</strong>varono. Nella destra reggeva<br />
un bastone di <strong>le</strong>gno di tasso e furono <strong>le</strong> orbite vuote del teschio<br />
infilzato alla sua estremità che intimarono il si<strong>le</strong>nzio. I<br />
suoi occhi si assottigliarono quando gridò: «Portate i romani!»<br />
L’ordine fu seguito da un boato feroce. Apparvero alcuni<br />
guerrieri capeggiati da Raganhar, il figlio del re appena tru<br />
25
cidato, i volti dipinti da strisce di fango verdastro, in mano<br />
bastoni appuntiti e nell’altra il cappio di una fune a mo’ di<br />
guinzaglio a cui erano <strong>le</strong>gati tre prigionieri. Pugni, calci, sputi<br />
piovvero sui corpi nudi e martoriati di coloro che venivano<br />
trascinati all’estremità della corda.<br />
Il primo riuscì a tenersi in piedi. Il cappio lo soffocava, gli<br />
stringeva il collo in maniera intol<strong>le</strong>rabi<strong>le</strong> e ogni respiro era un<br />
rantolo di dolore che gli dilaniava il petto. Ma riuscì a voltarsi<br />
e la sua voce roca echeggiò nella lingua della civiltà e della<br />
disciplina.<br />
«Legionari! Onore a Roma, onore e gloria a Roma!» incitò.<br />
Un colpo improvviso si abbatté su di lui, barcollò ma trovò<br />
la forza di andare avanti. Il centurione Fulvio Sabino Nasica<br />
intravide i <strong>le</strong>gionari catturati insieme a lui durante la battaglia.<br />
Li avevano trascinati via nella confusione per un sanguinario<br />
sacrificio.<br />
Lo sciamano, pallido come uno spettro, era avido di sangue<br />
nemico che avrebbe riscattato in parte la distruzione del<br />
villaggio. Capelli bianchi raccolti in una treccia che portava<br />
su un lato del torace, una veste di lana stretta in vita da una<br />
cintura di falangi sbiancate. Si sussurrava che tanti anni prima<br />
avesse ucciso centinaia di romani in un luogo dove nessuno<br />
osava avventurarsi, un luogo dove il suolo era coperto<br />
da un manto di ossa.<br />
«Ermedrund è il mio nome. Invocate i vostri dèi, romani»<br />
sibilò in un latino stentato.<br />
I tre prigionieri furono costretti a prostrarsi. Fulvio tentò<br />
di rimettersi in piedi.<br />
«Puoi uccidere cento, mil<strong>le</strong> di noi ma non servirà, lo hai<br />
visto oggi. Per te e i tuoi accoliti non ci sarà nessuna c<strong>le</strong>menza!»<br />
«Taci!»<br />
Ma Fulvio non tacque: «Roma è calata come un’aquila su<br />
un gregge di pecore.» Si riempì i polmoni e, con <strong>le</strong> ultime<br />
26
forze rimaste, profetizzò: «Marco Quinto Rufo vendicherà<br />
la nostra morte.»<br />
Un sorriso glacia<strong>le</strong> gli spuntò sul<strong>le</strong> labbra screpolate dalla<br />
sofferenza quando si rivolse ai compagni: «Roma risorgerà<br />
sul<strong>le</strong> ossa di questi selvaggi!»<br />
In quel momento un dardo infuocato trafisse il petto dello<br />
sciamano.<br />
Fu la mano di Arash Tahmurat che strappò la freccia dal<br />
corpo riverso dello stregone, pochi istanti dopo. Aquilato<br />
invece afferrò i lunghi capelli del prigioniero in ginocchio<br />
davanti a lui, <strong>le</strong> mani <strong>le</strong>gate dietro la schiena.<br />
Quando il suo nemico lo costrinse a sol<strong>le</strong>vare il volto Raganhar<br />
si rese conto che non gli importava nulla di morire.<br />
Come suo padre poche ore prima, lo avrebbe fatto con onore.<br />
Fissò l’uomo che lo stava umiliando. Lo fece sentire uno<br />
stupido inetto mentre scrutava dal basso la sua statura imponente.<br />
Stava immobi<strong>le</strong> come un predatore a caccia e bastò quello<br />
a ricordare a Raganhar tutto ciò che lui non era più. Aveva<br />
capelli biondissimi oltre <strong>le</strong> spal<strong>le</strong> qua e là sbiaditi dal so<strong>le</strong><br />
che, con il viso <strong>dai</strong> lineamenti marcati e la pel<strong>le</strong> abbronzata,<br />
davano luogo a un contrasto sconcertante.<br />
Il suo volto un tempo forse era stato bello e delicato come<br />
quello di una fanciulla ma la fornace della vita ne aveva bruciato<br />
ogni mol<strong>le</strong>zza e la vio<strong>le</strong>nza vi aveva lasciato tracce inde<strong>le</strong>bili,<br />
rughe di spietatezza che nulla e nessuno avrebbero<br />
mai potuto cancellare.<br />
Sotto il suo sguardo freddo, Raganhar cercò di sentirsi superiore.<br />
Invano.<br />
Era grosso, per tutti gli dèi della selva, e con quell’espressione<br />
ferma e disinvolta chissà quanti germani aveva sventrato<br />
per servire il suo imperatore.<br />
27
«Dov’è tuo fratello?» gli chiese.<br />
Raganhar tentò di svincolarsi dalla presa ma <strong>le</strong> dita del<br />
guerriero erano come saldate ai capelli e lo costrinsero a star<br />
fermo.<br />
«Perché ti interessa?» riuscì a rispondergli.<br />
«Perché vi spediremo a Roma come ostaggi» fu la spietata<br />
risposta.<br />
I loro occhi si incrociarono. Verdi come la foresta che li circondava<br />
quelli del barbaro, azzurri quelli del batavo.<br />
«Non lo troverete, bastardi romani. Non lo troverete mai.»<br />
Aquilato lo mollò d’improvviso, allontanandosi di qualche<br />
passo.<br />
Arash Tahmurat, prefetto della Cohors II Sagittariorum Syriaca<br />
Quingenaria Equitata, seguì Aquilato fino alla quercia<br />
sacra. A un cenno gli uomini si prepararono a lasciare la radura,<br />
portando con loro il prezioso prigioniero.<br />
«Rufo non sarà contento che l’altro figlio di Gerlach ci sia<br />
sfuggito, Aquilato» borbottò Arash Tahmurat.<br />
Si udì un sospiro profondo.<br />
«Lo andrò a cercare, porterò con me Sotere.»<br />
Arash annuì. Tastava col polpastrello la punta della freccia<br />
che ancora stringeva tra <strong>le</strong> mani, poi continuò: «Il cane ti sarà<br />
uti<strong>le</strong>, è ben addestrato. Non quanto te però» aggiunse abbattendo<br />
la mano libera sulla spalla del compagno. Questi ispezionò,<br />
poi vide la luna già sorta nel cielo ancora turchese.<br />
«Non gli concederò nessun vantaggio. Partirò subito, dammi<br />
la sacca del<strong>le</strong> <strong>tue</strong> provviste. Avvisa tu Rufo.»<br />
Il batavo emise un fischio prolungato e un grosso cane<br />
balzò <strong>dai</strong> cespugli. Arash osservò Sotere che si lanciava scodinzolando<br />
su Aquilato e gli sfuggì un breve sorriso.<br />
«Siete una coppia formidabi<strong>le</strong>. L’altro figlio di Gerlach<br />
non avrà scampo.»<br />
28
3<br />
Ishold si sol<strong>le</strong>vò sul<strong>le</strong> rocce e lo sforzo, per la stanchezza,<br />
<strong>le</strong> risultò sovrumano. Si era arrampicata sulla sporgenza che<br />
sovrastava la gola, sotto di <strong>le</strong>i scrosciava un torrente. Lenta,<br />
la luce dell’alba stava resti<strong>tue</strong>ndo vita alla foresta ritirando <strong>le</strong><br />
dita di foschia dagli alberi e dal<strong>le</strong> rocce. Il furioso tempora<strong>le</strong><br />
aveva dissetato la terra e tuoni fragorosi avevano echeggiato<br />
a lungo sulla distesa verde e compatta.<br />
Sedette stanca e angosciata.<br />
Era fuggita dalla radura sacra nello stesso istante in cui una<br />
freccia aveva trapassato il petto dello sciamano e aveva corso<br />
a lungo, dopo la scomparsa della luna. Non si era fermata<br />
neppure nel buio più impenetrabi<strong>le</strong>, due giorni e una notte di<br />
marcia consapevo<strong>le</strong> che i romani la stavano cercando.<br />
La tunica di lino blu mirtillo che indossava sopra al<strong>le</strong> braghe<br />
era fradicia. L’aveva indossata alla svelta durante l’attacco<br />
e ora la tolse, strizzandola.<br />
Le nubi sopra di <strong>le</strong>i si accavallavano trascinate dal vento<br />
ma per fortuna l’aurora era rosata, il so<strong>le</strong> sarebbe sorto presto,<br />
per scaldarla. Poteva riposare un po’.<br />
Si rannicchiò fissando una pozzanghera.<br />
Pensò a Raganhar sempre pronto a incitare i compagni che<br />
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vacillavano o si facevano prendere dal panico, capace di indovinare<br />
il punto debo<strong>le</strong> del nemico. Lui, con la sua scure insanguinata<br />
che si batteva con inaudito coraggio. Niente avrebbe<br />
mai spento il suo desiderio di vivere libero. Se lo avevano catturato,<br />
chi avrebbe mai potuto vendicare tutti quei morti?<br />
«Lo senti questo odore, Sotere?»<br />
Percepì lo spostamento d’aria e qualcosa di umido e freddo<br />
gli sfiorò la mano che stringeva l’impugnatura del gladio.<br />
«Buono. Zitto.»<br />
Spostò la mano sinistra appoggiandola sul dorso del cane.<br />
Le sue dita si intrufolarono nel pelo folto, sopra muscoli<br />
forti e tenaci. Il cane lo sniffò affettuoso e per poco il robusto<br />
guerriero accucciato non perse l’equi<strong>libri</strong>o.<br />
«Seduto» gli ordinò e Sotere obbedì, <strong>le</strong> orecchie tese verso il<br />
folto degli alberi. Un attimo dopo sol<strong>le</strong>vò il muso.<br />
Quinto Decio Aquilato osservò il cane che con brevi e intensi<br />
respiri annusava l’aria.<br />
Il vibrare del<strong>le</strong> foglie sopra di loro aveva portato un’altra<br />
zaffata di <strong>le</strong>gna bruciata, di uomini, di carne, tanto che il cane<br />
si sol<strong>le</strong>vò da terra agitato spalancando <strong>le</strong> fauci come se<br />
vo<strong>le</strong>sse mordere l’odore con <strong>le</strong> zanne affilate. Le chiuse e <strong>le</strong><br />
riaprì più volte con un rumore sordo.<br />
«Carne di cervo. Non è quella che preferisci?»<br />
Per tutta risposta Sotere gli diede una testata contro la<br />
spalla e posò la zampa sulla sua coscia.<br />
Era fredda e pesante.<br />
«Sì, avrai la tua parte, amico mio.»<br />
L’odore divenne intenso. Carne cotta, succu<strong>le</strong>nta. La bocca<br />
del guerriero si riempì di saliva e lo stomaco si ribellò al<strong>le</strong><br />
privazioni degli ultimi giorni. Aveva mangiato solo cibo<br />
<strong>le</strong>gionario, focacce dure di avena, noci, uva secca, un po’ di<br />
carne affumicata. Si era dissetato con la borraccia riempiendola<br />
con l’acqua dei numerosi ruscelli.<br />
30
Si rialzò di scatto e Sotere puntò il fitto del bosco, <strong>le</strong> gengive<br />
rialzate in un ringhio sommesso. Ovunque querce, frassini,<br />
faggi e ogni albero, un suono diverso. Le querce <strong>dai</strong> tronchi<br />
saldi dal tono deciso. I frassini dalla voce frusciante. I faggi<br />
tintinnanti come perfetti strumenti.<br />
Sopra di lui l’ombra azzurra e misteriosa della foresta e sotto<br />
<strong>le</strong> sue calighe uno strato di foglie, che scricchiolava a ogni<br />
passo.<br />
Aquilato si guardò intorno e cercò con <strong>le</strong> dita il pelo di Sotere.<br />
I volitivi occhi umani si incrociarono con iridi dorate e<br />
intelligenti e a ciascuno piacque ciò che vide.<br />
Lo grattò sotto il collo poderoso.<br />
«Cacciatori affamati. Anche noi lo siamo, vero?» gli sussurrò<br />
e il cane rispose con un guaito sommesso.<br />
«Prima il cibo e poi riprendiamo la caccia.» Sì guardò intorno<br />
e la lingua gli bagnò il palmo della mano, ruvida e calda.<br />
Sotere, cane da guerra capace di abbattere un cervo, massacrare<br />
un cinghia<strong>le</strong>, trucidare un uomo.<br />
«Lo sento anch’io, Sotere. Il ragazzo è qui da qualche parte.»<br />
Aquilato sol<strong>le</strong>vò il volto. Il so<strong>le</strong> gettava lunghe ombre attraverso<br />
il fogliame ma la sua luce dorata s’impigliava tra<br />
<strong>le</strong> cime degli alberi, lasciando la base della foresta avvolta<br />
nell’ombra. Chiuse gli occhi per un attimo e si concentrò.<br />
Lo sentiva. La sua preda era vicina.<br />
Ishold si acquattò.<br />
L’odore di carne l’aveva investita come una folata di vento<br />
caldo, irresistibi<strong>le</strong>. L’ansia, la fame e l’incertezza la stavano<br />
spingendo a commettere un errore. Eppure non riusciva a<br />
starne alla larga.<br />
Scostò il cespuglio.<br />
Non potendo tornare verso il villaggio si era spinta all’interno<br />
dei territori dei cherusci, un tempo loro al<strong>le</strong>ati ed eterni<br />
nemici dei romani.<br />
31
Si chinò e assicurò meglio attorno ai piedi malconci ciò<br />
che restava del<strong>le</strong> pelli sfilacciate e fradice e osò spiare oltre<br />
<strong>le</strong> foglie.<br />
Per quel che poteva vedere i sei cacciatori riuniti nella radura<br />
non appartenevano a nessuna tribù: sembravano sbandati,<br />
rinnegati a giudicare dagli abiti a brandelli e dal<strong>le</strong> facce<br />
incavate per <strong>le</strong> privazioni.<br />
Annusò con cupidigia e udì lo sfrigolio del grasso che<br />
sgocciolava abbondante sul<strong>le</strong> fiamme.<br />
Da quando era fuggita dal villaggio aveva mangiato solo<br />
bacche e radici e ora il suo stomaco esigeva qualcosa di più.<br />
Non solo, si sentiva tanto debo<strong>le</strong> da non riuscire a formulare<br />
pensieri coerenti. Era essenzia<strong>le</strong> nutrirsi se vo<strong>le</strong>va vivere.<br />
Unirsi a loro fingendo di essere anche <strong>le</strong>i uno sbandato<br />
era l’unica idea che <strong>le</strong> fosse venuta in testa in quei pochi attimi.<br />
Con <strong>le</strong> mani tremanti per la fretta e il bisogno di nutrirsi<br />
si era tagliata la lunga treccia rosso fuoco, aveva eliminato<br />
ciocche qua e là sulla nuca e aveva seppellito tutto.<br />
Non c’era stato bisogno di molto altro per trasformarsi in<br />
un ragazzo randagio. Era sporca, pel<strong>le</strong> e ossa, consumata<br />
dalla stanchezza e <strong>dai</strong> crampi che la tormentavano da ore.<br />
Fece uno sforzo per controllare l’impulso di precipitarsi in<br />
mezzo alla radura e gettarsi sulla carne succu<strong>le</strong>nta come un<br />
anima<strong>le</strong>, incurante degli sconosciuti attorno al falò. Dilatò <strong>le</strong><br />
narici e il profumo cancellò gli ultimi scrupoli. Deglutì più<br />
volte la saliva accumulata in bocca.<br />
Per la prima volta nella sua vita agì spinta da un bisogno<br />
che era pura sopravvivenza e che avrebbe mutato per sempre<br />
il suo Fato.<br />
Uno dei cacciatori sol<strong>le</strong>vò il volto e la vide. Ishold si fermò,<br />
<strong>le</strong> braccia distese lungo i fianchi in segno di resa, <strong>le</strong> mani<br />
bene in vista.<br />
Faccia barbuta, privo di un occhio, il cacciatore portava i<br />
32
capelli <strong>le</strong>gati dietro alla nuca. Il suo volto si indurì con una<br />
smorfia e si alzò di scatto imitato <strong>dai</strong> compagni, che si girarono<br />
e la fissarono sbigottiti.<br />
«Ho fame» si limitò a dichiarare avvicinandosi con passi<br />
<strong>le</strong>nti. Il pugna<strong>le</strong>, la sua unica arma, restò ben nascosto sotto<br />
la tunica.<br />
«Sei solo?» gli chiese il cacciatore guercio guardandosi intorno.<br />
Lei annuì e in quello stesso istante la portata di ciò che<br />
stava facendo la fece vacillare. Tutto il suo coraggio evaporò<br />
davanti a quegli uomini duri che la stavano valutando in si<strong>le</strong>nzio,<br />
ma riuscì a raddrizzare <strong>le</strong> spal<strong>le</strong>. Sarebbe morta piuttosto<br />
che rivelar loro la paura che <strong>le</strong> suscitavano.<br />
In ogni caso era troppo tardi e grazie al dio Fenrir i cacciatori<br />
non accennarono a impugnare <strong>le</strong> armi, sebbene fossero<br />
accanto a loro. Asce pesanti, mazze e lunghi bastoni con la<br />
punta indurita dal fuoco.<br />
Tornarono a sedersi, il guercio fece un gesto e <strong>le</strong>i si avvicinò.<br />
«Mi chiamo Hutvar. Da quanto non mangi, ragazzo?»<br />
Aveva tirato fuori un lungo coltello e da un lato dell’arrosto<br />
che ancora stillava umori staccò un pezzo e glielo porse.<br />
Ishold, rassicurata, si impose di non abbuffarsi. Abbassò<br />
lo sguardo e prese il boccone con due dita. La carne era tiepida,<br />
l’odore la stordì e quasi venne meno quando ne sentì il<br />
sapore sulla lingua.<br />
Gli uomini mangiarono con voracità, poca carne rimase<br />
attaccata all’osso che venne lasciato da parte. Uno di loro gettò<br />
una manciata di sterpi secchi e ravvivò il fuoco, che bruciò<br />
senza un filo di fumo.<br />
Da qualche parte spuntò un otre di pel<strong>le</strong>. Gorgogliava<br />
mentre i cacciatori se lo passavano prendendo lunghe sorsate.<br />
Ishold non fu risparmiata, così lo accostò al<strong>le</strong> labbra e<br />
l’odore acido la nauseò.<br />
33
I cacciatori si rilassarono ruttando, il fuoco ridotto a braci<br />
grigiastre. Hutvar la fissò a lungo tanto che <strong>le</strong>i si sentì a disagio<br />
sotto l’esame dell’unico occhio.<br />
«Abbiamo faticato per cacciare, ragazzo. Ora che ti sei<br />
sfamato come hai intenzione di ripagarci?» <strong>le</strong> chiese a voce<br />
bassa.<br />
Ishold deglutì prima di rispondere.<br />
«Non lo so, non possiedo nulla che potrebbe interessarvi.»<br />
Respirò a fondo per calmarsi.<br />
I cacciatori risero forte. Una risata nella qua<strong>le</strong> echeggiava<br />
l’arroganza, il potere di essere tanti contro uno solo, il bisogno<br />
sadico di dimostrare la loro superiorità.<br />
Ishold si sentì scossa e dovette soffocare l’istinto di fuggire<br />
perché l’atmosfera era cambiata in quei pochi istanti e in modo<br />
così evidente che un brivido la scosse fin nel profondo.<br />
«Tutti hanno qualcosa da dare» fu la replica di Hutvar.<br />
«Non è il mio caso. E non sono dell’umore adatto» borbottò<br />
cercando di apparire tranquilla.<br />
«E di che umore sei, ragazzino?»<br />
«Di quello giusto per cavarti anche l’altro occhio.»<br />
Ancora una risata, breve e secca. Poi gli uomini si zittirono.<br />
Puntavano gli occhi su di <strong>le</strong>i, occhi in cui brillava una<br />
luce famelica.<br />
«Lo hai sentito, Hutvar? Il ragazzino fa il diffici<strong>le</strong>» disse<br />
qualcuno.<br />
Ishold si alzò. Sapeva che non avrebbe potuto impedire ciò<br />
che stava per accadere, esattamente come non si possono distogliere<br />
dal pasto i lupi affamati che hanno appena ucciso la<br />
preda. L’uomo che aveva di fianco la imitò e allungò <strong>le</strong> braccia.<br />
Per un istante rimase immobi<strong>le</strong> mentre <strong>le</strong> forti mani la toccavano<br />
indugiando sopra <strong>le</strong> sue spal<strong>le</strong>, poi fece un balzo indietro.<br />
«Toglimi <strong>le</strong> mani di dosso, maia<strong>le</strong>» puntualizzò con un’aggressività<br />
che era ben lungi dal provare.<br />
34
Un corpo si piazzò dietro di <strong>le</strong>i per impedir<strong>le</strong> la fuga e<br />
Hutvar <strong>le</strong> disse in tono sgradevo<strong>le</strong>: «Ci hai fatto venir voglia<br />
di festeggiare la buona caccia.»<br />
Ishold li guardò in faccia e si sentì ma<strong>le</strong>. I loro lineamenti<br />
erano distorti dall’alcol e da una luce bramosa che riconobbe:<br />
quella che accende i volti dei guerrieri dopo la battaglia,<br />
quando si abbandonano al saccheggio e alla vio<strong>le</strong>nza.<br />
Si rese conto del suo errore. A loro sarebbe andato bene<br />
anche un giovane maschio, lo avrebbero montato a turno<br />
come fosse stato una femmina fino a ucciderlo o a lasciarlo<br />
morente.<br />
Col cuore in gola sentì <strong>le</strong> sue gambe diventare di burro ma<br />
si costrinse a ragionare mentre guardava il guercio.<br />
«Siete peggio degli animali» replicò con voce colma di ripugnanza.<br />
Tre paia di braccia <strong>le</strong> si avvicinarono e una mano lurida<br />
<strong>le</strong> alzò il mento, la faccia rivoltante così vicina da provocar<strong>le</strong><br />
un conato.<br />
«Ce lo facciamo qui, Hutvar, eh? Io ce l’ho così duro che<br />
potrei sfondarlo» disse una voce roca.<br />
Mani callose la spintonarono lontano dal fuoco verso un<br />
masso che sporgeva solo, al centro della radura. Sbatté contro<br />
la solida pietra con la schiena.<br />
Colui che <strong>le</strong> imprigionò i polsi mentre gli altri sghignazzavano<br />
era poco più di un ragazzo <strong>dai</strong> capelli crespi, il volto affilato<br />
per la fame, gli occhi iniettati di sangue in cui luccicavano<br />
brama e cattiveria. Cercò di rivoltarla con il ventre contro<br />
la pietra affinché i compagni infoiati potessero approfittare<br />
meglio di <strong>le</strong>i e Ishold capì che era la sua sola occasione.<br />
Lanciò un urlo, strappò <strong>le</strong> braccia alla presa e abbassò la<br />
mano destra sotto la tunica.<br />
Per Fenrir, com’era rassicurante stringere il pugna<strong>le</strong> tra <strong>le</strong><br />
dita.<br />
Non pensò ad altro: la lama luccicò scendendo verso la me<br />
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ta e penetrò nel ventre del ragazzo con sconcertante facilità.<br />
La ritrasse all’istante godendo di quel momento e schizzò via<br />
come una <strong>le</strong>pre mentre sentiva un urlo di dolore dietro di <strong>le</strong>i.<br />
Non fece che pochi balzi disperati.<br />
Qualcosa la colpì con la stessa potenza di un bisonte alla<br />
carica. Restò senza fiato, la vista <strong>le</strong> si offuscò mentre si<br />
schiantava a terra senza poter proteggere il viso. La mano<br />
che stringeva l’arma fu imprigionata, il polso stretto in modo<br />
insopportabi<strong>le</strong>.<br />
Hutvar <strong>le</strong> era sopra e la teneva sotto di sé. Sentì il suo puzzo<br />
ignobi<strong>le</strong>, strinse il pugno riempiendosi la mano di terra<br />
ma non riuscì a gettargliela in viso.<br />
Molte altri mani furono su di <strong>le</strong>i e la sol<strong>le</strong>varono, riportandola<br />
verso la roccia.<br />
«Animali» sussurrò il guerriero in agguato accarezzando<br />
il pelo di Sotere. Il cane era teso, si irrigidiva, sbuffava. Ma<br />
era ben addestrato e alla fine si quietò.<br />
Le risate dei cacciatori erano un suono grasso, soddisfatto<br />
mentre sol<strong>le</strong>vavano il corpo del ragazzo che aveva appena<br />
tentato di fuggire. Ne intravide i volti nel chiaroscuro del<strong>le</strong><br />
foglie.<br />
Erano così distratti da ciò che avevano in mente che si era<br />
potuto avvicinare fino a vederne <strong>le</strong> espressioni. Si sentì disgustato,<br />
si sentì sporco anche lui per quello che vi scorse.<br />
Il ragazzo poteva benissimo essere uno di loro o averli incontrati<br />
per caso. Ma se lo sentì fin nel<strong>le</strong> ossa: era il figlio di<br />
Gerlach, così come chiaramente capì ciò che i cacciatori si<br />
apprestavano a fargli.<br />
Quinto Decio Aquilato sfilò la faretra e piantò sei frecce<br />
nel terreno davanti a lui. La posizione era ottima, il vento<br />
quasi assente e la luce ancora buona.<br />
Altre risate, il tonfo di un corpo contro qualcosa di solido.<br />
Alzò il volto e vide due di loro bloccare <strong>le</strong> braccia del<br />
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prigioniero spalancando<strong>le</strong> contro il masso, per metterlo in<br />
croce. Un altro gli piazzò una mano al centro della schiena<br />
per tenerlo fermo mentre con l’altra armeggiava sul davanti<br />
del<strong>le</strong> braghe. Si liberò il pene, eretto e pronto alla vio<strong>le</strong>nza.<br />
Aquilato diede una fugace occhiata al ragazzo pugnalato,<br />
disteso poco lontano. Non si muoveva più.<br />
«Fermo» intimò poi al cane che stava per sporgersi oltre la<br />
protezione del cespuglio.<br />
Animali, ripeté mentre incoccava la freccia e si sol<strong>le</strong>vava,<br />
<strong>le</strong> gambe forti ma rilassate, i piedi saldi sul suolo.<br />
I muscoli dorsali si contrassero, i bicipiti si tesero e indice,<br />
medio, anulare tirarono all’indietro il tendine ben posizionato<br />
nel<strong>le</strong> falangi, fino a che la mano gli sfiorò il mento.<br />
Gli occhi fissi sul bersaglio, inspirò a fondo e rimase un<br />
istante immobi<strong>le</strong> mentre rilasciava <strong>le</strong> dita.<br />
La freccia scoccò, micidia<strong>le</strong>.<br />
«A me non piace fottere i morti,» tuonò Hutvar dietro di<br />
<strong>le</strong>i mentre la sua mano <strong>le</strong> premeva la schiena «quindi ti ammazzeremo<br />
dopo.»<br />
Ishold deglutì cercando di non pensare.<br />
Con la guancia schiacciata contro la pietra ruvida fissò disperata<br />
il volto famelico di uno di quelli che <strong>le</strong> bloccavano <strong>le</strong><br />
braccia. La pel<strong>le</strong> delicata strisciò contro la roccia quando <strong>le</strong><br />
abbassarono <strong>le</strong> braghe.<br />
Sentì l’aria sul<strong>le</strong> natiche.<br />
«Ehi, ma questo qui non è un uo...» La voce si spezzò, la<br />
verità non venne rivelata e si perse in un gorgoglio di sangue<br />
e saliva.<br />
Un peso <strong>le</strong> rovinò addosso.<br />
Ishold trattenne il fiato, <strong>le</strong> braccia tirate in direzioni opposte.<br />
L’espressione del cacciatore alla sua sinistra mutò, gli<br />
occhi si spalancarono e la bocca si aprì in un urlo muto. Il<br />
braccio che egli stringeva tornò libero.<br />
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Si girò verso l’altro aguzzino che <strong>le</strong> teneva ancora il polso<br />
ma un istante dopo una freccia gli trapassò la gola da parte<br />
a parte, la testa si rovesciò di scatto all’indietro e il suo corpo<br />
si afflosciò a terra.<br />
Libera.<br />
Un sibilo e il quarto cacciatore fu scagliato via dalla vio<strong>le</strong>nza<br />
dell’impatto sul cuore. Il misterioso arciere non solo<br />
aveva una mira infallibi<strong>le</strong> ma sapeva dove colpire il nemico<br />
per finirlo all’istante.<br />
Ne restò solo uno.<br />
L’uomo si guardò intorno incapace di rendersi conto come<br />
da cacciatore fosse divenuto preda. Così, quando posò gli<br />
occhi su di <strong>le</strong>i, ruggì infuriato e si scagliò nella sua direzione.<br />
Bastardo, fu il solo pensiero di Ishold e, invece di scostarsi,<br />
si puntò sul<strong>le</strong> gambe divaricate per attenderlo.<br />
Quando la freccia lo colpì alla schiena venne scagliato in avanti<br />
con vio<strong>le</strong>nza e il corpo massiccio si accasciò sul<strong>le</strong> ginocchia.<br />
Ishold non colse traccia di consapevo<strong>le</strong>zza negli occhi<br />
sbarrati mentre cadeva ai suoi piedi.<br />
Disgustata ma sol<strong>le</strong>vata si guardò intorno. Non vide nessuno.<br />
Raggiunse il punto in cui Hutvar l’aveva atterrata, raccolse<br />
il pugna<strong>le</strong> e si apprestò a fuggire.<br />
Un sibilo.<br />
Lo stock seguì la folata d’aria che <strong>le</strong> aveva sfiorato il volto.<br />
Le si rizzarono i capelli sulla nuca, ora corti ciuffi arruffati.<br />
Non ebbe difficoltà a individuare la freccia che ancora vibrava<br />
conficcata nel tronco.<br />
Si voltò e questa volta lo vide.<br />
L’uomo era in piedi, l’arco stretto nella sinistra, la destra<br />
piegata ad angolo retto puntava una freccia su di <strong>le</strong>i.<br />
Si fissarono.<br />
Non era una stupida. Trattenne il fiato immobi<strong>le</strong> mentre<br />
il suo cervello registrava due fatti incontrovertibili: <strong>le</strong> aveva<br />
salvato la vita ma era disposto a ucciderla.<br />
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