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mafia (Commissione Parlamentare Antimafia) - Simpatia

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Cosa Nostra: le regole della <strong>mafia</strong><br />

siciliana<br />

Ordinanza-Sentenza nel procedimento penale contro Abbate Giovanni +706<br />

(Antonino Caponnetto consigliere istruttore, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello,<br />

Giovanni Falcone, Leonardo Guarnotta giudici istruttori delegati), Palermo, 8<br />

novembre 1985, vol. n.5, pp. 808-829.<br />

Nella sentenza si descrive l'organizzazione di Cosa Nostra, secondo le<br />

testimonianze di Buscetta. Tra le molte leggi non scritte che regolano il comportamento<br />

mafioso, vi è anche l'obbligo di dire sempre la verità allorché si parla fra “uomini d'onore” di<br />

questioni comuni.<br />

La vita di Cosa Nostra (la parola <strong>mafia</strong> è un termine letterario che non viene mai usato<br />

dagli aderenti a questa organizzazione criminale) è disciplinata da regole rigide non scritte<br />

ma tramandate oralmente, che ne regolamentano l'organizzazione e il funzionamento<br />

("nessuno troverà mai elenchi di appartenenza a Cosa Nostra, né attestati di alcun tipo, né<br />

ricevute di pagamento di quote sociali"), e così riassumibili, sulla base di quanto emerge dal<br />

lungo interrogatorio del Buscetta.<br />

- La cellula primaria è costituita dalla "famiglia", una struttura a base territoriale, che<br />

controlla una zona della città o un intero centro abitato da cui prende il nome (famiglia di<br />

Porta Nuova, famiglia di Villabate e così via).<br />

- La famiglia è composta da "uomini d'onore" o "soldati" coordinati, per ogni gruppo di<br />

dieci, da un "capodecina" ed è governata da un capo di nomina elettiva, chiamato anche<br />

"rappresentante", il quale è assistito da un "vice capo" e da uno o più "consiglieri".<br />

Qualora eventi contingenti impediscano o rendano poco opportuna la normale elezione del<br />

capo da parte dei membri della famiglia, la "commissione" provvede alla nomina di<br />

"reggenti" che gestiranno pro tempore la famiglia fino allo svolgimento delle normali<br />

elezioni. Ad esempio, ha ricordato Buscetta, la turbolenta "famiglia" di Corso dei Mille è<br />

stata diretta a lungo dal reggente Francesco Di Noto fino alla sua uccisione (avvenuta il<br />

9.6.1981); alla sua morte è divenuto rappresentante della famiglia Filippo Marchese.<br />

Analogamente, a seguito dell'uccisione di Stefano Bontate, rappresentante della famiglia di<br />

S. Maria di Gesù, la commissione nominava reggenti Pietro Lo Iacono e Giovanbattista<br />

Pullarà, mentre a seguito dell'uccisione di Salvatore Inzerillo, capo della famiglia di Passo<br />

di Rigano, veniva nominato reggente Salvatore Buscemi; così, dopo la scomparsa di<br />

Giuseppe Inzerillo, padre di Salvatore e capo della famiglia di Uditore, veniva nominato<br />

reggente Bonura Francesco ed analogamente, dopo l'espulsione da Cosa Nostra di Gaetano<br />

Badalamenti, capo della famiglia di Cinisi, veniva nominato reggente Antonino<br />

Badalamenti, cugino del vecchio capo.<br />

- L'attività delle famiglie è coordinata da un organismo collegiale, denominato<br />

"commissione" o "cupola", di cui fanno parte i "capi-mandamento" e, cioè, i<br />

rappresentanti di tre o più famiglie territorialmente contigue. Generalmente, il "capo<br />

mandamento" è anche il capo di una delle famiglie, ma, per garantire obiettività nella<br />

rappresentanza degli interessi del "mandamento" ed evitare un pericoloso accentramento<br />

di poteri nella stessa persona, talora è accaduto che la carica di "capo mandamento" fosse<br />

distinta da quella di "rappresentante" di una famiglia.<br />

- La commissione è presieduta da uno dei capi-mandamento: in origine, forse per<br />

accentuarne la sua qualità di primus inter pares, lo stesso veniva chiamato "segretario"<br />

mentre, adesso, è denominato "capo". La commissione ha una sfera d'azione, grosso<br />

modo, provinciale ed ha il compito di assicurare il rispetto delle regole di Cosa Nostra<br />

all'interno di ciascuna famiglia e, soprattutto, di comporre le vertenze fra le famiglie.<br />

- Da tempo (le cognizioni del Buscetta datano dagli inizi degli anni '50) le strutture<br />

mafiose sono insediate in ogni provincia della Sicilia, ad eccezione (almeno fino ad un<br />

certo periodo) di quelle di Messina e di Siracusa.<br />

- La <strong>mafia</strong> palermitana ha esercitato, pur in mancanza di un organismo di


coordinamento, una sorta di supremazia su quella delle altre province, nel senso che<br />

queste ultime si adeguavano alle linee di tendenza della prima.<br />

- In tempi più recenti, ed anche in conseguenza del disegno egemonico prefissosi dai<br />

Corleonesi, è sorto un organismo segretissimo, denominato "interprovinciale", che ha il<br />

compito di regolare gli affari riguardanti gli interessi di più province.<br />

- Non meno minuziose sono le regole che disciplinano l' "arruolamento" degli<br />

"uomini d'onore" ed i loro doveri di comportamento.<br />

I requisiti richiesti per l'arruolamento sono: salde doti di coraggio e di spietatezza (si<br />

ricordi che Leonardo Vitale divenne "uomo d'onore" dopo avere ucciso un uomo); una<br />

situazione familiare trasparente (secondo quel concetto di "onore" tipicamente siciliano, su<br />

cui tanto si è scritto e detto) e, soprattutto, assoluta mancanza di vincoli di parentela con<br />

"sbirri".<br />

La prova di coraggio ovviamente non è richiesta per quei personaggi che<br />

rappresentano, secondo un'efficace espressione di Salvatore Contorno, la "faccia<br />

pulita" della <strong>mafia</strong> e cioè professionisti, pubblici amministratori, imprenditori che<br />

non vengono impiegati generalmente in azioni criminali ma prestano utilissima<br />

opera di fiancheggiamento e di copertura in attività apparentemente lecite.<br />

Il soggetto in possesso di questi requisiti viene cautamente avvicinato per sondare la sua<br />

disponibilità a far parte di un'associazione avente lo scopo di "proteggere i deboli ed<br />

eliminare le soverchierie". Ottenutone l'assenso, il neofita viene condotto in un luogo<br />

defilato dove, alla presenza di almeno tre uomini della famiglia di cui andrà a far parte, si<br />

svolge la cerimonia del giuramento di fedeltà a Cosa Nostra. Egli prende fra le mani<br />

un'immagine sacra, la imbratta con il sangue sgorgato da un dito che gli viene punto,<br />

quindi le dà fuoco e la palleggia fra le mani fino al totale spegnimento della stessa,<br />

ripetendo la formula del giuramento che si conclude con la frase: "Le mie carni debbono<br />

bruciare come questa santina se non manterrò fede al giuramento".<br />

Lo status di "uomo d'onore", una volta acquisito, cessa soltanto con la morte; il<br />

mafioso, quali che possano essere le vicende della sua vita, e dovunque risieda in Italia o<br />

all'estero, rimane sempre tale.<br />

Proprio a causa di queste rigide regole Antonino Rotolo era inviso a Stefano Bontate (oltre<br />

che per la sua stretta amicizia con Giuseppe Calò), essendo cognato di un vigile urbano; e<br />

lo stesso Buscetta veniva espulso dalla <strong>mafia</strong> per avere avuto una vita familiare troppo<br />

disordinata e, soprattutto, per avere divorziato dalla moglie.<br />

Pare, comunque, che adesso, a detta del Buscetta, a causa della degenerazione di Cosa<br />

Nostra, i criteri di arruolamento siano più larghi e che non si vada più tanto per il sottile<br />

nella scelta dei nuovi adepti.<br />

L' "uomo d'onore", dopo avere prestato giuramento, comincia a conoscere i segreti di Cosa<br />

Nostra e ad entrare in contatto con gli altri associati.<br />

Soltanto i Corleonesi e la famiglia di Resuttana non hanno mai fatto conoscere<br />

ufficialmente i nomi dei propri membri ai capi delle altre famiglie, mentre era prassi che,<br />

prima che un nuovo adepto prestasse giuramento, se ne informassero i capi<br />

famiglia, anche per accertare eventuali motivi ostativi al suo ingresso in Cosa<br />

Nostra.<br />

In ogni caso, le conoscenze del singolo "uomo d'onore" sui fatti di Cosa Nostra<br />

dipendono essenzialmente dal grado che lo stesso riveste nell'organizzazione, nel<br />

senso che più elevata è la carica rivestita maggiori sono le probabilità di venire a<br />

conoscenza di fatti di rilievo e di entrare in contatto con "uomini d'onore" di altre famiglie.<br />

Ogni "uomo d'onore" è tenuto a rispettare la "consegna del silenzio": non può<br />

svelare ad estranei la sua appartenenza alla <strong>mafia</strong>, né, tanto meno, i segreti di Cosa<br />

Nostra; è, forse, questa la regola più ferrea di Cosa Nostra, quella che ha permesso<br />

all'organizzazione di restare impermeabile alle indagini giudiziarie e la cui violazione è<br />

punita quasi sempre con la morte.<br />

All'interno dell'organizzazione, poi, la loquacità non è apprezzata: la circolazione delle<br />

notizie è ridotta al minimo indispensabile e l' "uomo d'onore" deve astenersi dal fare<br />

troppe domande, perché ciò è segno di disdicevole curiosità ed induce in sospetto<br />

l'interlocutore.<br />

Quando gli "uomini d'onore" parlano tra loro, però, di fatti attinenti a Cosa<br />

Nostra hanno l'obbligo assoluto di dire la verità e, per tale motivo, è buona regola,<br />

quando si tratta con "uomini d'onore" di diverse famiglie, farsi assistere da un terzo


consociato che possa confermare il contenuto della conversazione. Chi non dice la verità<br />

viene chiamato "tragediaturi" e subisce severe sanzioni che vanno dalla espulsione (in<br />

tal caso si dice che l' "uomo d'onore è posato") alla morte.<br />

Così, attraverso le regole del silenzio e dell'obbligo di dire la verità, vi è la certezza che la<br />

circolazione delle notizie sia limitata all'essenziale e, allo stesso tempo, che le notizie<br />

riferite siano vere.<br />

Questi concetti sono di importanza fondamentale per valutare le dichiarazioni rese da<br />

"uomini d'onore" e, cioè, da membri di Cosa Nostra e per interpretarne atteggiamenti e<br />

discorsi. Se non si prende atto della esistenza di questo vero e proprio "codice" che regola<br />

la circolazione delle notizie all'interno di "Cosa Nostra" non si riuscirà mai a comprendere<br />

come mai bastino pochissime parole e perfino un gesto, perché uomini d'onore si<br />

intendano perfettamente tra di loro.<br />

Così, ad esempio, se due uomini d'onore sono fermati dalla polizia a bordo di<br />

un'autovettura nella quale viene rinvenuta un'arma, basterà un impercettibile cenno<br />

d'intesa fra i due, perché uno di essi si accolli la paternità dell'arma e le conseguenti<br />

responsabilità, salvando l'altro.<br />

E così, se si apprende da un altro uomo d'onore che in una determinata località Tizio è<br />

"combinato" (e, cioè, fa parte di Cosa Nostra), questo è più che sufficiente perché si<br />

abbia la certezza assoluta che, in qualsiasi evenienza ed in qualsiasi momento di<br />

emergenza, ci si potrà rivolgere a Tizio, il quale presterà tutta l'assistenza necessaria. [...]<br />

Proprio in ossequio a queste regole di comportamento sia Buscetta sia Contorno, come<br />

si vedrà, hanno posto una cura esasperata nell'indicare come "uomini d'onore" soltanto i<br />

personaggi dei quali conoscevano con certezza l'appartenenza a Cosa Nostra, e cioè<br />

soltanto coloro che avevano avuto presentati come "uomini d'onore" e coloro che<br />

avevano avuto indicati come tali da altri uomini d'onore, anche se personalmente essi non<br />

li avevano mai incontrati.<br />

Anche la "presentazione" di un uomo d'onore è puntualmente regolamentata dal<br />

codice di Cosa Nostra allo scopo di evitare che nei contatti fra i membri<br />

dell'organizzazione si possano inserire estranei.<br />

E' escluso, infatti, che un "uomo d'onore" si possa presentare da solo, come tale, ad un<br />

altro membro di Cosa Nostra, poiché, in tal modo, nessuno dei due avrebbe la<br />

sicurezza di parlare effettivamente con un "uomo d'onore". Occorre, invece, l'intervento<br />

di un terzo membro dell'organizzazione che li conosca entrambi come "uomini d'onore" e<br />

che li presenti tra loro in termini che diano l'assoluta certezza ad entrambi<br />

dell'appartenenza a Cosa Nostra dell'interlocutore. E, così, come ha spiegato Contorno, è<br />

sufficiente che l'uno venga presentato all'altro, con la frase "Chistu è a stissa cosa",<br />

(questo è la stessa cosa), perché si abbia la certezza che l'altro sia appartenente a<br />

Cosa Nostra.<br />

Altra regola fondamentale di Cosa Nostra è quella che sancisce il divieto per l'uomo di<br />

trasmigrare da una famiglia all'altra.<br />

Questa regola, però, riferisce Buscetta, non è stata più rigidamente osservata dopo le<br />

vicende della "guerra di <strong>mafia</strong>" che hanno segnato l'inizio dell'imbastardimento di Cosa<br />

Nostra: infatti, Salvatore Montalto, che era il vice di Salvatore Inzerillo (ucciso nella guerra<br />

di <strong>mafia</strong>) nella "famiglia" di Passo di Rigano, è stato nominato, proprio come premio per il<br />

suo tradimento, rappresentante della "famiglia" di Villabate.<br />

Il mafioso, come si è accennato, non cessa mai di esserlo quali che siano le<br />

vicende della sua vita.<br />

L'arresto e la detenzione non solo non spezzano i vincoli con Cosa Nostra ma,<br />

anzi, attivano quell'indiscussa solidarietà che lega gli appartenenti alla <strong>mafia</strong>:<br />

infatti gli "uomini d'onore" in condizioni finanziarie disagiate ed i loro familiari vengono<br />

aiutati e sostenuti, durante la detenzione, dalla "famiglia" di appartenenza; e spesso non<br />

si tratta di aiuto finanziario di poco conto, se si considera che, come è notorio, "l'uomo<br />

d'onore rifiuta il vitto del Governo" e, cioè, il cibo fornito dall'amministrazione carceraria,<br />

per quel senso di distacco e di disprezzo generalizzato che la <strong>mafia</strong> nutre verso lo Stato.<br />

Unica conseguenza della detenzione, qualora a patirla sia un capo famiglia, è che questi,<br />

per tutta la durata della carcerazione, viene sostituito dal suo vice in tutte le decisioni,<br />

dato che, per la sua situazione contingente, non può essere in possesso di tutti gli<br />

elementi necessari per valutare adeguatamente una determinata situazione e prendere,<br />

quindi, una decisione ponderata. Il capo, comunque, continuando a mantenere i suoi


collegamenti col mondo esterno, è sempre in grado di far sapere al suo vice il proprio<br />

punto di vista, che però non è vincolante, e, cessata la detenzione, ha il diritto di<br />

pretendere che il suo vice gli renda conto delle decisioni adottate.<br />

Durante la detenzione è buona norma, anche se non assoluta, che l'uomo d'onore<br />

raggiunto da gravi elementi di reità non simuli la pazzia nel tentativo di sfuggire ad una<br />

condanna: un siffatto atteggiamento è indicativo della incapacità di assumersi le proprie<br />

responsabilità.<br />

Adesso, però, sembra che questa regola non sia più seguita, e, comunque, che non venga<br />

in qualche modo sanzionata, ove si consideri che sono numerosi gli esempi di detenuti<br />

sicuramente uomini d'onore, che hanno simulato la pazzia (vedi in questo procedimento gli<br />

esempi di Giorgio Aglieri, Gerlando Alberti, Tommaso Spadaro, Antonino Marchese,<br />

Gaspare Mutolo, Vincenzo Sinagra "Tempesta").<br />

Tutto ciò, a parere di Buscetta, è un ulteriore sintomo della degenerazione degli antichi<br />

princìpi di Cosa Nostra.<br />

Anche il modello di comportamento in carcere dell'uomo d'onore, descritto da<br />

Buscetta, è radicalmente mutato negli ultimi tempi.<br />

Ricorda infatti Tommaso Buscetta che in carcere gli "uomini d'onore" dovevano<br />

accantonare ogni contrasto ed evitare atteggiamenti di aperta rivolta nei confronti<br />

dell'autorità carceraria. Al riguardo, cita il suo stesso esempio: si era trovato a convivere<br />

all'Ucciardone, per tre anni, con Giuseppe Sirchia, vice di Cavataio ed autore materiale<br />

dell'omicidio di Bernardo Diana, il quale era vice del suo grande amico, Stefano Bontate;<br />

ma, benché non nutrisse sentimenti di simpatia nei confronti del suo compagno di<br />

detenzione, lo aveva trattato senza animosità, invitandolo perfino al pranzo natalizio.<br />

Questa norma, però, non è più rispettata, come si evince dal fatto che Pietro Marchese,<br />

uomo d'onore della famiglia di Ciaculli, è stato ucciso il 25.2.1982 proprio all'interno<br />

dell'Ucciardone, su mandato della "commissione", da altri detenuti.<br />

Unica deroga al principio della indissolubilità del legame con Cosa Nostra è la espulsione<br />

dell'uomo d'onore, decretata dal "capo famiglia" o, nei casi più gravi, dalla<br />

"commissione" a seguito di gravi violazioni del codice di Cosa Nostra, e che non di rado<br />

prelude all'uccisione del reo. L'uomo d'onore espulso, nel lessico mafioso, è "posato".<br />

Ma neanche l'espulsione fa cessare del tutto il vincolo di appartenenza all'organizzazione,<br />

in quanto produce soltanto un effetto sospensivo che può risolversi anche con la<br />

reintegrazione dell'uomo d'onore.<br />

Pertanto l'espulso continua ad essere obbligato all'osservanza delle regole di Cosa Nostra.<br />

Lo stesso Buscetta, a causa delle sue movimentate vicende familiari, era stato "posato"<br />

dal suo capo famiglia Giuseppe Calò, il quale poi gli aveva detto di non tenere conto di<br />

quella sanzione ed anzi gli aveva proposto di passare alle sue dirette dipendenze. Anche<br />

Gaetano Badalamenti, nel 1978, benché fosse capo di Cosa Nostra, era stato espulso<br />

dalla "commissione", per motivi definiti gravissimi, su cui però Buscetta non ha saputo<br />

(o voluto) dire nulla.<br />

L'uomo d'onore posato non può trattenere rapporti con altri membri di Cosa Nostra, i quali<br />

sono tenuti addirittura a non rivolgergli la parola. E proprio basandosi su questa regola,<br />

Buscetta si era mostrato piuttosto scettico sulla possibilità che il Badalamenti, benché<br />

"posato", fosse coinvolto nel traffico di stupefacenti con altri uomini d'onore; sennonché,<br />

venuto a conoscenza delle prove obiettive acquisite dall'ufficio, si è dovuto ricredere ed ha<br />

commentato che "veramente il danaro ha corrotto tutto e tutti".<br />

Anche la vicenda della espulsione di Buscetta da parte di Calò appare nebulosa.<br />

Il Buscetta, infatti, aveva avuto comunicata la sua espulsione addirittura da Gaetano<br />

Badalamenti e durante la detenzione non aveva ricevuto, come d'uso per i "posati", alcun<br />

aiuto finanziario da parte della sua "famiglia"; per contro il suo capo famiglia Pippo Calò lo<br />

aveva esortato a non tenere conto di quanto andava dicendo quel "tragediaturi" di<br />

Badalamenti e si era scusato per la mancanza di aiuto finanziario, assumendo che non era<br />

stato informato; aveva notato inoltre che in carcere gli altri uomini d'onore intrattenevano<br />

con lui normali rapporti, come se nulla fosse accaduto.<br />

Altra regola fondamentale di Cosa Nostra è l'assoluto divieto per l'"uomo<br />

d'onore" di fare ricorso alla giustizia statuale. Unica eccezione, secondo il<br />

Buscetta, riguarda i furti di veicoli, che possono essere denunziati alla polizia<br />

giudiziaria per evitare che l'uomo d'onore, titolare del veicolo rubato, possa venire<br />

coinvolto in eventuali fatti illeciti commessi con l'uso dello stesso; naturalmente, può


essere denunciato soltanto il fatto obiettivo del furto, ma non l'autore.<br />

Del divieto di denunciare i furti, vi è in atti un riscontro persino umoristico<br />

riguardante il capo della "commissione", Michele Greco. Carla De Marie, titolare di una<br />

boutique a Saint Vincent, era solita fornire alla moglie di Michele Greco capi di<br />

abbigliamento che spediva a Palermo, tramite servizio ferroviario, regolarmente assicurati<br />

contro il furto. Una volta, il pacco era stato sottratto ad opera di ignoti durante il trasporto,<br />

e la De Maria aveva più volte richiesto telefonicamente alla signora Greco di denunciare il<br />

furto, essendo ciò indispensabile perché la compagnia assicuratrice rifondesse il danno.<br />

Ebbene, la moglie di Michele Greco, dopo di avere reiteratamente fatto presente alla De<br />

Marie che il marito non aveva tempo per recarsi alla polizia per presentare la denunzia,<br />

aveva preferito pagare i capi di abbigliamento, nonostante che non li avesse mai ricevuti.<br />

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MATERIALE REPERITO SU SPORTELLO SCUOLA E UNIVERSITA'<br />

DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA<br />

http://www.camera.it/_bicamerali/leg15/commbicanti<strong>mafia</strong>/documentazionetematica/30/schedabase<br />

.asp<br />

Mafie italiane<br />

Descrizione del fenomeno<br />

Diverse sono le ipotesi etimologiche del termine <strong>mafia</strong>. La più accreditata ritiene che il termine sia<br />

di origine araba e derivi dai seguenti termini: mafi, che significa "non c'è"; mahias, inteso come<br />

spacconeria; màhfal, inteso come adunanza, riunione di persone; maha, inteso come cava di pietra,<br />

in riferimento alle cave di pietra di Marsala e Trapani dove trovarono rifugio i fuggiaschi sin dai<br />

tempi dei saraceni; mu inteso come salvezza e afah inteso come proteggere e tutelare.<br />

Il termine <strong>mafia</strong>, nel linguaggio corrente, viene utilizzato per descrivere organizzazioni criminali<br />

segrete formate da uomini (e donne), dotate di eserciti privati, armi e capitali, il cui fine è<br />

quello di commettere reati per arricchirsi rapidamente ed impunemente controllando,<br />

attraverso l'esercizio della violenza e dell'intimidazione, il territorio nel quale agiscono.<br />

Maggiore è la ricchezza di cui le mafie dispongono maggiore è il loro potere. Il Presidente della<br />

<strong>Commissione</strong> parlamentare anti<strong>mafia</strong> ha affermato che il fatturato criminale attuale delle mafie<br />

italiane ammonterebbe a cento mila milioni di euro 1 . Una parte di questo denaro viene investita<br />

nelle attività illecite - narcotraffico, di armi, di rifiuti, di esseri umani, estorsioni e usura - un'altra<br />

parte viene riciclata e investita in attività lecite, come ad esempio acquisto di immobili, di quote di<br />

aziende, di titoli azionari e di Stato. Il riciclaggio del denaro sporco viene generalmente effettuato in<br />

aree a non tradizionale presenza mafiosa, come ad esempio l'Italia centrale e settentrionale nonché<br />

in alcuni paesi esteri, europei ed extraeuropei. La prova dell'esistenza di questi investimenti nonché<br />

del fatto che le mafie non sono soltanto un problema che riguarda alcune regioni meridionali<br />

italiane è dimostrato dai dati delle confische dei beni oltre che dalle inchieste giudiziarie avviate in<br />

diversi tribunali italiani.<br />

Data la loro natura e considerate le loro finalità le mafie possono definirsi una particolare forma di<br />

crimine organizzato. Infatti, a differenza di altre forme delinquenziali, per raggiungere i loro<br />

obiettivi - arricchimento, potere e impunità - le mafie necessitano di avere rapporti con<br />

esponenti del mondo politico, imprenditoriale, economico-finanziario, investigativogiudiziario,<br />

ossia con tutti quei soggetti rientranti nella categoria della cosiddetta "borghesia<br />

Commento [1]: HTML:


mafiosa", formata da soggetti insospettabili in grado di assicurare ai mafiosi specifici servizi e<br />

relazioni. Ai mafiosi, infatti, interessa fare affari, riciclare capitali illeciti, esercitare il potere e<br />

arricchirsi riducendo non solo i costi economici ma altresì quelli di carattere penale (carcere e<br />

confisca dei beni). Il massimo guadagno va ottenuto con il minor costo, compresa l'impunità.<br />

I mafiosi agiscono secondo una logica utilitaristica: tutto quello che conviene<br />

all'organizzazione va fatto, tutto quello che nuoce o può nuocere alla stessa va evitato. Un<br />

esempio in tal senso è rappresentato dall'uso della violenza. Contrariamente a quello che si è portati<br />

a pensare, i mafiosi utilizzano con molta attenzione la violenza. Infatti, se usata in forme tali da<br />

creare un elevato allarme sociale, come accadde con le stragi in Sicilia del 1992 e con le bombe<br />

scoppiate a Firenze, Milano e Roma nel 1993, la violenza crea allarme sociale ed attira l'attenzione<br />

dei mass media, delle forze dell'ordine, della magistratura. In questo modo i rischi legati alla<br />

possibilità di essere arrestati e di vedersi confiscare le ricchezze accumulate aumentano<br />

sensibilmente. I mafiosi, dunque, utilizzano le armi soltanto quando con altri strumenti - la<br />

corruzione, l'intimidazione e la minaccia - non riescono a raggiungere i fini prestabiliti. Tenere<br />

conto di questa situazione permette di evitare di cadere nell'errore in base al quale si crede che le<br />

mafie esistano esclusivamente quando sparano. Al contrario, quando le armi tacciono, anche se ai<br />

più può apparire un paradosso, è segno che tra i mafiosi e le persone che con loro sono in rapporto,<br />

si è trovato un punto di equilibrio che soddisfa tutte le parti in gioco. Gli affari illeciti e "leciti" si<br />

possono svolgere senza ricorrere all'omicidio.<br />

Il potere delle mafie si fonda principalmente sulla segretezza, sull'omertà, sul silenzio. È per<br />

questo motivo che in anni recenti coloro che hanno tradito le mafie collaborando con lo Stato - i<br />

collaboratori di giustizia - sono divenuti oggetto di vendette trasversali molto cruente che si sono<br />

risolte spesso con l'uccisione dei loro famigliari e dei loro parenti più stretti.<br />

Le mafie non possono essere considerate come "piovre" o "cancri". L'utilizzo di queste<br />

metafore non può ritenersi corretto in quanto induce erroneamente a pensare che le mafie siano<br />

invisibili, imprendibili e, conseguentemente, invincibili. Così non è e a testimoniarlo è il fatto che in<br />

Italia nel corso del tempo sono state svolte inchieste giudiziarie, parlamentari e giornalistiche molto<br />

complesse ed importanti, sono stati arrestati capi e latitanti di prim'ordine (es. Bernardo<br />

Provengano, Totò Riina), sono state confiscate ricchezze illecitamente accumulate per più di 400<br />

milioni di euro.<br />

Un altro elemento importante da considerare è costituito dalla capacità delle organizzazioni<br />

mafiose di coniugare la tradizione alla modernità. In questo senso è bene tenere conto di due<br />

aspetti: il primo è che si entra in una organizzazione mafiosa sottoponendosi ad un rito di<br />

affiliazione 2 , pronunciando un giuramento solenne nell'ambito di una cornice altamente simbolica<br />

e codificata, in cui si fa ricorso ad immagini e formule sacre; il secondo è che le mafie si<br />

comportano come delle vere e proprie imprese, anzi come holding economico-finanziarie che<br />

agiscono a livello nazionale e internazionale, unendo alle classiche attività illecite anche la capacità<br />

di inserirsi nel sistema economico e politico di un determinato territorio. Costituisce dunque un<br />

errore il considerare le mafie come fattori di arretratezza di un territorio. Al contrario esse<br />

rappresentano i soggetti più dinamici di una modernizzazione distorta che ha investito in particolare<br />

il Mezzogiorno.<br />

Secondo la maggioranza degli storici le mafie sarebbero nate nel Mezzogiorno d'Italia nel<br />

periodo dell'unità nazionale (1860). Esse dunque non costituiscono un'emergenza dei nostri<br />

giorni, ma un elemento da allora sempre presente nella storia d'Italia. Per lungo tempo nel nostro<br />

Paese la presenza delle mafie è stata negata, anche a livello istituzionale. Si pensi che il primo<br />

utilizzo del termine "<strong>mafia</strong>" nell'accezione di "gruppo di delinquenti" fu compiuto non in un'aula di<br />

tribunale ma nella rappresentazione della commedia teatrale di Giuseppe Rizzotto, intitolata I


mafiusi di la Vicaria, nel 1862. Storicamente siamo passati da una <strong>mafia</strong> di tipo agrario (1861- anni<br />

'50 del XX secolo), ad una di tipo urbano-imprenditoriale (anni '60 del XX secolo) ad una di tipo<br />

finanziario (dagli anni '70 del XX secolo in poi) che si è sempre più internazionalizzata sino a<br />

globalizzarsi tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni novanta.<br />

Diverse sono le cause che hanno permesso la globalizzazione delle mafie. In primo luogo i beni<br />

trattati: i sodalizi mafiosi commerciano in prodotti che vengono realizzati in un luogo e utilizzati in<br />

un altro. È questo il caso dei tabacchi lavorati esteri, delle sostanze stupefacenti e delle armi. Il<br />

passaggio di queste merci da uno Stato all'altro avviene eludendo controlli, corrompendo chi deve<br />

vigilare sui transiti e sui pagamenti. Tutto ciò rafforza i vincoli fra le organizzazioni criminali i cui<br />

vertici hanno stabilito dei veri e propri accordi. Un secondo fattore che ha favorito<br />

l'internazionalizzazione del mondo criminale è da rintracciarsi nella globalizzazione dell'economia.<br />

Quest'ultima ha comportato il progressivo abbattimento delle frontiere nazionali la sempre più<br />

libera e non controllata circolazione di beni e capitali, oltre che di persone. A fronte di questa<br />

situazione, procede lentamente l'elaborazione di regole comuni da parte degli Stati per contrastare il<br />

crimine organizzato e i suoi traffici sul piano internazionale, anche se dei passi significativi in<br />

questa direzione sono stati compiuti con la costituzione di organi come Europol e Eurojust e<br />

l'entrata in vigore della Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale delle Nazioni<br />

Unite. Il terzo ed il quarto fattore di internazionalizzane delle mafie sono rappresentati<br />

rispettivamente dall'inserimento dei gruppi mafiosi nella gestione dei flussi migratori e dalla loro<br />

necessità e capacità di investire e riciclare i proventi illecitamente accumulati nelle economie legali<br />

di paesi stranieri.<br />

A livello giuridico le organizzazioni mafiose sono definite e sanzionate dall'articolo 416-bis del<br />

codice penale, introdotto con la legge 13 settembre 1982, n. 646, meglio conosciuta come "Legge<br />

Rognoni-La Torre", dal nome dei proponenti del provvedimento, l'onorevole Pio La Torre,<br />

segretario regionale del Partito Comunista Italiano, ucciso a Palermo il 30 aprile 1982, e il Ministro<br />

dell'Interno Virginio Rognoni. La legge fu rapidamente approvata dopo l'omicidio del generale<br />

Carlo Alberto Dalla Chiesa (Prefetto di Palermo), della moglie Emanuela Setti Carraro e dell'agente<br />

di scorta Domenico Russo, avvenuto a Palermo il 3 settembre 1982.<br />

Cosa Nostra<br />

Fu nel 1984 che il collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta rivelò al giudice Giovanni Falcone<br />

che i mafiosi siciliani, gli "uomini d'onore", definivano l'organizzazione criminale a cui<br />

appartenevano "Cosa Nostra".<br />

La <strong>mafia</strong> siciliana è nata nella Sicilia Occidentale nei primi dell'800. Ha una struttura piramidale e<br />

verticistica. La famiglia è il suo organo di base. Contrariamente a quanto avviene per la 'Ndrangheta<br />

calabrese, con tale termine non si deve intendere un insieme di persone legate tra di loro da legami<br />

di sangue. La famiglia della <strong>mafia</strong> siciliana è retta da un rappresentante, di nomina elettiva, e<br />

controlla un determinato territorio (es. borgata o un quartiere di una città). Palermo, storicamente, è<br />

il centro delle attività e delle decisioni di Cosa Nostra.<br />

A partire dalla seconda metà degli anni '50, su indicazione di Cosa Nostra americana, anche in<br />

Sicilia la <strong>mafia</strong> si è dotata di una struttura gerarchica superiore denominata "<strong>Commissione</strong>" o<br />

"Cupola", di cui fanno parte i capi dell'organizzazione dislocati nelle diverse province dell'isola.<br />

Alla base della piramide mafiosa vi sono i "picciotti" o "soldati", che costituiscono l'esercito di<br />

Cosa Nostra; salendo si trova la figura del "capodecina" che controlla l'operato di dieci uomini;<br />

ancora più in alto la figura del "capo mandamento" (il mandamento è un insieme di tre famiglie<br />

territorialmente contigue). I capi mandamento fanno parte della "commissione provinciale". Quando


un capo mandamento o un capo famiglia viene arrestato, il suo posto è occupato da un "reggente"<br />

provvisorio.<br />

In Cosa Nostra vigono rigide norme di comportamento e l'entrata nell'organizzazione avviene per<br />

"chiamata". Un soggetto, dopo essere stato sottoposto ad un periodo di osservazione per valutarne le<br />

capacità criminali, viene avvicinato e invitato, con l'autorizzazione del capo della famiglia, a<br />

partecipare al compimento di alcune azioni delittuose insieme a persone già membre di Cosa<br />

Nostra. In questo caso la persona è da considerarsi un "affiliato". Per diventare "picciotto" deve<br />

sottoporsi ad un rito di affiliazione, al quale partecipano altri mafiosi. Il prescelto recita un<br />

giuramento solenne con il quale giura fedeltà eterna all'organizzazione, passandosi tra le mani<br />

un'immagine sacra sulla quale, in precedenza, sono state fatte cadere alcune gocce di sangue di un<br />

dito che gli è stato punto (punciutu). Una regola fondamentale per Cosa Nostra è quella per cui non<br />

possono far parte dell'organizzazione persone imparentate con magistrati e membri delle forze<br />

dell'ordine.<br />

Nel corso degli anni '90 del XX secolo, al fine di ridurre i danni provocati dai collaboratori di<br />

giustizia (arresti e confische di beni), Cosa Nostra ha in parte modificato la sua struttura seguendo<br />

una logica di compartimentazione mutuata dalla 'Ndrangheta. I membri di un gruppo conoscono<br />

soltanto il loro capo e gli altri partecipanti al consesso. Essi, dunque, conoscono una parte<br />

dell'organizzazione, non tutto il suo insieme. La compartimentazione, in tal modo, riduce il grado di<br />

conoscenza di Cosa Nostra che un affiliato, una volta arrestato, può eventualmente confessare agli<br />

inquirenti. Va ricordato che Cosa Nostra ha assassinato i parenti più stretti di alcuni membri<br />

dell'organizzazione mafiosa che hanno deciso di collaborare con lo Stato. Uno dei casi recenti più<br />

efferati è stato certamente il rapimento, la successiva carcerazione durata due anni, lo<br />

strangolamento e lo scioglimento del corpo nell'acido di Giuseppe Di Matteo, undici anni, figlio di<br />

Santino Di Matteo, membro di Cosa Nostra divenuto collaboratore di giustizia.<br />

Cosa Nostra ha sempre cercato legami con il potere politico, in particolar modo con chi deteneva e<br />

detiene il potere, sia per fare affari sia per garantirsi l'impunità. Una delle prime figure di mafioso ai<br />

tempi del latifondismo è rappresentata dai gabelloti, persone che prendevano in affitto il terreno del<br />

feudatario, pagando a quest'ultimo una gabella. Molti gabelloti per controllare il lavoro nei campi e<br />

scoraggiare i furti, si avvalevano dei cosiddetti "campieri", una sorta di polizia privata del feudo. I<br />

gabelloti affittavano a loro volta i terreni ai contadini per un prezzo nettamente superiore alla<br />

gabella. Inoltre, con la collaborazione dei "campieri" e di loro uomini di fiducia denominati<br />

"soprastanti", i gabelloti sedavano con la violenza le richieste dei lavoratori.<br />

La <strong>mafia</strong> siciliana, come ricordato nella Relazione sui rapporti tra Mafia e politica della<br />

<strong>Commissione</strong> parlamentare anti<strong>mafia</strong> della XI legislatura 1 , è stata utilizzata anche per sedare in<br />

modo repressivo e violento le rivolte dei contadini siciliani, riuniti nei fasci, che chiedevano<br />

l'abolizione del latifondo e la distribuzione delle terre. Cosa Nostra ha ucciso diversi sindacalisti e<br />

devastato alcune camere del lavoro. La <strong>mafia</strong> siciliana, infine, ha compiuto efferati omicidi di<br />

carattere sia punitivo (non rispetto degli accordi) sia preventivo (evitare l'approvazione di certi<br />

provvedimenti) nei confronti di uomini politici e di rappresentanti delle istituzioni.<br />

Dopo essere nata nelle campagne controllando i mercati ortofrutticoli, essersi trasferita in città per<br />

controllare gli appalti, tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 del XX secolo, Cosa Nostra<br />

ha visto incrementare la propria ricchezza in modo esponenziale entrando nel mercato<br />

internazionale degli stupefacenti. La decisione di entrare in questo lucroso affare, nettamente più<br />

redditizio del contrabbando di sigarette, scatenò una guerra di <strong>mafia</strong> che causò la morte di centinaia<br />

di persone e che portò al potere i Corleonesi.<br />

I corleonesi, a differenza di altri gruppi, hanno sempre esercitato con particolare ferocia la violenza.


Nel 1992, rispettivamente il 23 maggio a Capaci (Pa) e il 19 luglio in via Mariano D'Amelio a<br />

Palermo, Cosa Nostra, capeggiata dal corleonese Salvatore Riina, assassinò con due grandi stragi<br />

che colpirono e allarmarono l'opinione pubblica i suoi nemici principali: i giudici Giovanni Falcone<br />

- di cui fu assassinata anche la moglie Francesca Morvillo - e Paolo Borsellino, nonché gli agenti<br />

che componevano le loro scorte. Nel 1993 Cosa Nostra fece scoppiare delle autobomba nelle città di<br />

Milano, Firenze e Roma, causando la morte di alcuni cittadini inermi e danneggiando pesantemente<br />

il patrimonio artistico di quelle città. Il fine di queste bombe era richiedere alle istituzioni dello<br />

Stato repubblicano di scendere a patti, modificando alcune leggi di contrasto alle mafie. Di fronte a<br />

questa violenza lo Stato italiano reagì prontamente arrestando non solo Salvatore Riina, latitante da<br />

più di vent'anni, ma anche altri importanti esponenti di spicco di Cosa Nostra siciliana. Il comando<br />

dell'organizzazione è passato in seguito nella mani di Bernardo Provenzano.<br />

Quest'ultimo, comunicando con altri esponenti di Cosa Nostra mediante l'utilizzo di fogliettini di<br />

carta redatti con una vecchia macchina da scrivere e denominati "pizzini", ha optato per una<br />

strategia di "inabissamento" della <strong>mafia</strong> siciliana, ha impartito l'ordine di evitare l'uso eccessivo ed<br />

eclatante della violenza, ha fatto in modo che la <strong>mafia</strong> ritornasse a fare i suoi affari senza suscitare<br />

allarme sociale. Alla violenza si è preferito la corruzione, il controllo del territorio è stato garantito<br />

dall'esercizio delle estorsioni, gli ingenti capitali sono stati realizzati trafficando in sostanze<br />

stupefacenti, instaurando rapporti con le altre mafie italiane e con mafiosi albanesi, dell'Est Europa<br />

e della Colombia, infiltrandosi nel sistema degli appalti pubblici, accaparrandosi, mediante un<br />

sofisticato sistema di truffe, di quote ingenti dei cosiddetti fondi strutturali europei. Il denaro<br />

illecitamente accumulato è stato riciclato grazie al concorso di professionisti insospettabili. Gli<br />

investimenti sono stati fatti in attività economiche lecite, non solo in Sicilia, ma soprattutto in altre<br />

regioni italiane e in alcuni paesi stranieri.<br />

Bernardo Provenzano, dopo quarantatrè anni di latitanza, è stato arrestato l'11 aprile 2006, a<br />

Corleone, in località Montagna dei Cavalli. Tra i papabili alla sua successione figurano il boss<br />

latitante Matteo Messina Denaro (capo di Cosa Nostra nella provincia di Trapani) e il boss<br />

Salvatore Lo Piccolo (Capo del mandamento di San Lorenzo, che tuttavia ha esteso la propria<br />

influenza alla parte occidentale del territorio della provincia di Palermo). Quest'ultimo è stato<br />

arrestato a Giardinello, località in prossimità di Carini (Pa) il 5 novembre 2007, insieme al figlio<br />

Sandro e ai boss mafiosi Andrea Adamo, reggente del quartiere di Brancaccio, e Gaspare Pulizzi,<br />

capo della <strong>mafia</strong> a Carini.<br />

Secondo le più recenti analisi sul fenomeno effettuate dalla Direzione Nazionale Anti<strong>mafia</strong>,<br />

l'aspetto probabilmente più caratterizzante della criminalità organizzata siciliana è la presenza di<br />

un'area "grigia" della società costituita da elementi o gruppi, che, pur non facendo parte integrante<br />

dell'organizzazione, stabiliscono con essa contatti, collaborazioni, forme di contiguità più o meno<br />

strette. Nel rapporto tra <strong>mafia</strong> e società è dunque rinvenibile un blocco sociale mafioso che è di<br />

volta in volta complice, connivente, o caratterizzato da una neutralità indifferente. Tale blocco<br />

comprende una "borghesia mafiosa" fatta di tecnici, di esponenti della burocrazia, di professionisti,<br />

imprenditori e politici, che o sono strumentali o interagiscono con la <strong>mafia</strong> in una forma di scambio<br />

permanente fondato sulla difesa di sempre nuovi interessi comuni. La cosiddetta "zona grigia"<br />

rappresenta a ben vedere la vera forza della <strong>mafia</strong>: essa è costituita da individui e/o gruppi che<br />

vivono nella legalità e forniscono un fondamentale supporto di consulenza per le questioni legali,<br />

gli investimenti, l'occultamento di fondi, la capacità di manovrare l'immenso potenziale economico<br />

dell'organizzazione criminale. Presenze di Cosa Nostra al di fuori della Sicilia si riscontrano nelle<br />

seguenti regioni: Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Toscana, Lazio.<br />

(1) <strong>Commissione</strong> parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della <strong>mafia</strong> e sulle altre associazioni<br />

criminali similari, Relazione sui rapporti tra <strong>mafia</strong> e politica, Atti parlamentari, XI legislatura, Doc.


XXIII, n. 2, Relatore Luciano Violante.<br />

MINORI E MAFIA<br />

Descrizione del fenomeno<br />

È un fatto ormai riconosciuto, anche processualmente, che le organizzazioni mafiose reclutano tra le<br />

loro fila molti giovani poco più che adolescenti e che esse si avvalgono per lo svolgimento di<br />

specifiche attività illecite, come lo spaccio di droga, di ragazzi minorenni.<br />

Molti di questi giovani, in particolare nel Mezzogiorno, vengono reclutati in quartieri ad alta<br />

disoccupazione, in cui vige da sempre la regola del più forte, della violenza, provengono da<br />

famiglie disagiate, spesso hanno abbandonato la scuola. I giovani sono affascinati dal carisma dei<br />

leader mafiosi, in particolare di quelli latitanti, i quali ai loro occhi sono ritenuti più forti dello Stato<br />

che è incapace di catturarli. Il boss mafioso, per questi giovani, diventa un modello di riferimento,<br />

una persona di cui fidarsi.<br />

La <strong>mafia</strong> per questi ragazzi rappresenta la risposta al loro bisogno di ricerca di un senso di identità,<br />

di appartenenza, di rispetto, di ricchezza. Questi ragazzi sono attratti dal mondo mafioso in quanto<br />

in esso vedono la possibilità di arricchimento rapido, pensano al fatto che una volta divenuti<br />

"uomini d'onore", essi saranno temuti e rispettati dagli altri. La <strong>mafia</strong>, inoltre, offre protezione e<br />

sostegno quando necessario, ma non ammette alcuna disobbedienza. Chi viola la regola dell'omertà<br />

o commette un reato senza esserne stato autorizzato dal responsabile di quel territorio, muore.<br />

I minorenni vengono impiegati in diverse attività: dallo spaccio della droga al compimento di atti<br />

estortivi. In quest'ultimo caso è da rimarcare il fatto che le estorsioni sono una delle modalità<br />

mediante la quale le organizzazioni mafiose mettono alla prova i giovani, chiedendo loro di<br />

dimostrare coraggio, capacità di utilizzare la violenza e di intimidire. I minorenni, come è già<br />

accaduto, sono purtroppo impiegati anche per la commissione di omicidi e per questo sono stati<br />

definiti "baby killer". Il carcere è una situazione che molti ragazzi mettono in conto di dover<br />

affrontare. La reclusione è considerata un attestato di professionalità criminale da esibire ai propri<br />

coetanei in libertà e, soprattutto, ai capi delle organizzazioni malavitose.<br />

Parlando di minori e <strong>mafia</strong> non si possono dimenticare i ragazzi che vivono in famiglie mafiose, i<br />

quali non solo hanno da sempre respirato aria di violenza e di prevaricazione ma, magari, hanno<br />

visto uccidere i loro padri, fratelli, parenti. In questi casi, secondo il codice d'onore mafioso, deve<br />

scattare la vendetta, per cui violenza richiama violenza. Si pensi, inoltre, ai minori figli di mafiosi<br />

che hanno deciso di collaborare con la giustizia o ai minorenni diventati essi stessi testimoni di<br />

giustizia avendo fornito informazioni importanti per la scoperta di alcuni reati, come ad esempio la<br />

giovane Rita Atria. Questi bambini o ragazzi hanno visto cambiare radicalmente la loro vita<br />

nell'arco di un tempo brevissimo, sono stati sradicati dal loro ambiente e sono stati sottoposti ad uno<br />

specifico programma di protezione.<br />

A partire dagli anni novanta del XX secolo, come riportano i dati statistici, è stata riscontrata<br />

l'utilizzazione di minorenni per lo svolgimento di attività illecite anche da parte di gruppi<br />

delinquenziali di tipo mafioso provenienti da paesi stranieri, in particolare dell'Est Europa.<br />

Giovani ragazze sono costrette all'esercizio della prostituzione e piccoli bambini sono impiegati in<br />

attività quali l'accattonaggio, i furti, gli scippi. Sia le une che gli altri sono le principali vittime del<br />

traffico di esseri umani.<br />

E' bene ricordare che le organizzazioni mafiose non temono soltanto l'operato delle forze dell'ordine<br />

e della magistratura, ma anche quello delle scuole, delle associazioni di volontariato, delle<br />

parrocchie, dei servizi sociali che si propongono di offrire a questi ragazzi che potenzialmente


possono essere reclutati dai mafiosi o che lo sono già stati, non solo delle opportunità di vita e di<br />

lavoro alternative a quelle criminali, ma soprattutto propongono una cultura della legalità e della<br />

solidarietà radicalmente alternativa a quella mafiosa. Per questo, ad esempio, in Sicilia è stato<br />

assassinato don Pino Puglisi, ed è per la medesima ragione che molte scuole del sud Italia sono<br />

oggetto di atti vandalici e le persone che in esse vi operano sono oggetto di pesanti atti intimidatori.<br />

Il Ministero dell'interno ha attivato un apposito numero telefonico il 114 dedicato a tutti i minori<br />

che si trovano in una situazione di emergenza e di disagio.<br />

La Polizia di Stato ha attivato un sito dedicato ai bambini scomparsi.<br />

Minori e <strong>mafia</strong> Dati statistici<br />

Minori di anni 18 italiani e stranieri (distinti per nazionalità) denunciati e arrestati per associazione di tipo<br />

mafioso. Anni 2004-2006<br />

2004 2005 2006<br />

Totale per<br />

nazionalità<br />

Nazione Denunciati Arrestati Denunciati Arrestati Denunciati Arrestati Denunciati Arrestati<br />

Italia 48 23 29 12 40 31 117 66<br />

Germania 0 0 1 0 0 1 1 1<br />

Serbia-<br />

0<br />

Montenegro<br />

0 1 0 0 0 1 0<br />

Iraq 0 0 1 0 0 0 1 0<br />

Romania 1 0 0 0 0 0 1 0<br />

Ucraina 1 0 0 0 1 0 2 0<br />

Luogo<br />

ignoto<br />

5 0 1 0 1 0 7 0<br />

Totale 55 23 33 12 42 32 130 67<br />

Fonte: Ministero dell'Interno - Direzione centrale polizia criminale<br />

Minori di anni 18 denunciati per estorsione. Anni 1984-2007 (al 31 agosto)<br />

Anno N° denunciati<br />

1984 144<br />

1985 108<br />

1986 108<br />

1987 121<br />

1988 96<br />

1989 117<br />

1990 110<br />

1991 121<br />

1992 143<br />

1993 131<br />

1994 152<br />

1995 132<br />

1996 129<br />

1997 135


1998 139<br />

1999 166<br />

2000 132<br />

2001 137<br />

2002 205<br />

2003 140<br />

2004 306<br />

2005 265<br />

2006 239<br />

2007 243<br />

Totale 3.719<br />

Fonte: Ministero dell'Interno<br />

Vittime : BIBLIOGRAFIA (citati anche testi su don Puglisi)<br />

AA. VV.<br />

Vite ribelli. Dieci destini controcorrente<br />

Sperling & Kupfer, Milano, 2007<br />

G. Monticciolo, V. Vasile<br />

Era il figlio di un pentito<br />

Bompiani, Milano, 2007<br />

G. Siani<br />

Le parole di una vita. Gli scritti giornalistici<br />

Phoebusedizioni, Casalnuovo di Napoli, 2007<br />

R. Giuè<br />

Il costo della memoria. Don Peppe Diana. Il prete ucciso dalla camorra<br />

Paoline Editoriale Libri, Milano, 2007<br />

S. Rizza, G. Lo Bianco<br />

L' agenda rossa di Paolo Borsellino<br />

Chiarelettere, Milano, 2007<br />

AA VV<br />

Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio. La relazione della <strong>Commissione</strong><br />

parlamentare anti<strong>mafia</strong><br />

Editori Riuniti, Roma, 2006<br />

AA VV<br />

Vivi<br />

21.03.1996-2006 giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie<br />

Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2006<br />

F. Deliziosi<br />

Don Puglisi. Vita del prete palermitano ucciso dalla <strong>mafia</strong><br />

Mondadori, Milano, 2006<br />

G. Monti<br />

Falcone e Borsellino. La calunnia, il tradimento, la tragedia<br />

Editori Riuniti, Roma, 2006<br />

L. Zingales<br />

Rocco Chinnici L'inventore del "pool" anti<strong>mafia</strong><br />

Limina, Arezzo, 2006<br />

M. Andolfo


Il diario di Annalisa<br />

Pironti, Napoli, 2005<br />

R. Agasso<br />

Il caso Ambrosoli. Mafia, affari, politica<br />

San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo, 2005<br />

B. Monroy<br />

Portella della Ginestra. Indice dei nomi<br />

Ediesse, Roma, 2005<br />

C. Stajano<br />

Un eroe borghese<br />

Einaudi, Torino, 2005<br />

L. Zingales<br />

Paolo Borsellino. Una vita contro la <strong>mafia</strong><br />

Limina, Arezzo, 2005<br />

L. Garlando<br />

Per questo mi chiamo Giovanni<br />

Fabbri editori, Milano, 2004<br />

N. Dalla Chiesa<br />

Delitto imperfetto. Il generale, la <strong>mafia</strong>, la società italiana<br />

Editori Riuniti, Roma, 2003<br />

F. La Licata<br />

Storia di Giovanni Falcone<br />

Feltrinelli, Milano, 2003<br />

U. Lucentini<br />

Paolo Borsellino<br />

San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo, 2003<br />

B. Stancanelli<br />

A testa alta. Don Giuseppe Puglisi: storia di un eroe solitario<br />

Einaudi, Torino, 2003<br />

E. Bellavia Enrico, S. Palazzolo<br />

Falcone Borsellino. Mistero di Stato<br />

Edizioni della Battaglia, Palermo, 2002<br />

A. Franchini<br />

L'abusivo<br />

Marsilio, Venezia, 2001<br />

R. Scifo<br />

Vittime assolute: storie di bambini nell'ambiente mafioso<br />

Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1997<br />

AA. VV.<br />

Il sogno di Paolo Borsellino: organizzare la Speranza<br />

Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1996<br />

A. Prestifilippo<br />

Scopelliti, Morte di un giudice solo<br />

Periferia, Cosenza 1995<br />

C. Fava<br />

Nel nome del padre<br />

Baldini & Castoldi, Milano, 1996<br />

S. Vitale<br />

Nel cuore dei coralli. Peppino Impastato, una vita contro la <strong>mafia</strong><br />

Rubbettino, Soveria Mannelli, 1995<br />

G. Falcone<br />

Interventi e proposte (1982-1992)


Sansoni, Milano, 1994<br />

S. Rizza<br />

Una ragazza contro la <strong>mafia</strong> : Rita Atria, morte per solitudine<br />

La Luna, Palermo, 1993<br />

S. Vassalli<br />

Il cigno<br />

Einaudi, Torino, 1993<br />

N. Dalla Chiesa<br />

Il giudice ragazzino<br />

Einaudi, Torino, 1992<br />

Minori e <strong>mafia</strong> : BIBLIOGRAFIA<br />

R. Priore, G. Lavanco (a cura di)<br />

Minori e organizzazioni mafiose: analisi del fenomeno e ipotesi di intervento<br />

Franco Angeli, Milano, 2007<br />

M. Cavallo<br />

Le nuove criminalità . Ragazzi vittime e protagonisti<br />

Franco Angeli, Milano, 1995<br />

F. Occhogrosso<br />

Ragazzi della <strong>mafia</strong>. Storie di criminalità e contesti minorili, voci dal carcere, le reazioni ed<br />

i sentimenti, i ruoli e le proposte<br />

Franco Angeli, Milano, 1993<br />

M. Calvi<br />

C'era una volta l'infanzia. Uno sguardo sulla criminalità minorile<br />

Dedalo, Bari, 1991<br />

AA. VV.<br />

Il sentire mafioso: percezione e valutazione di eventi criminosi nella preadolescenza<br />

Milano, Giuffrè , 1989<br />

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