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Sez. 7 Arg. 1 Pag. 1 di 18<br />

FEDERAZIONE MAESTRI DEL LAVORO D’ITALIA<br />

Ente Morale D.P. n. 1956 del 14.04.1956<br />

CONSOLATO PROVINCIALE DI AREZZO<br />

Viale Giotto, 4 - 52100 AREZZO<br />

Relatore: MdL Giancarlo Bianconi e Barbara Bianconi<br />

IL PANNO CASENTINO E IL LANIFICIO DI STIA<br />

PASSATO E PRESENTE DI UNA TRADIZIONE STORICA<br />

E DI UN PRODOTTO ESCLUSIVO<br />

1875: Il Lanificio di Stia ai tempi di Adamo Ricci.<br />

Foto Archivio Tessilnova-Museo della Lana. Tutti i dir<strong>it</strong>ti riservati.


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FEDERAZIONE MAESTRI DEL LAVORO D’ITALIA<br />

Ente Morale D.P. n. 1956 del 14.04.1956<br />

CONSOLATO PROVINCIALE DI AREZZO<br />

Viale Giotto, 4 - 52100 AREZZO<br />

Relatore: MdL Giancarlo Bianconi e Barbara Bianconi<br />

IL LANIFICIO DI STIA NELLA TRADIZIONE TESSILE DEL<br />

CASENTINO: STORIA DI UN’ATTIVITÀ PROSPERA E<br />

ILLUMINATA<br />

Due soli centri in tutta la Toscana, Prato e Stia in Casentino, scamparono<br />

all’annientamento della loro attiv<strong>it</strong>à tessile, voluta nei secoli, con costante<br />

sistematic<strong>it</strong>à, dai Consoli Mercanti dell’Arte della Lana Fiorentina.<br />

Stia è l’unico centro nella Regione che abbia autenticata la fama di antico<br />

paese lanaiolo (la tradizione della lavorazione della lana nel Casentino è<br />

testimoniata sin dalle epoche etrusca e romana), mai interrotta nel tempo,<br />

tanto da avere inser<strong>it</strong>o nel suo gonfalone il simbolo dell’Arte della Lana.<br />

I Cap<strong>it</strong>oli imposti nel 1402 da Firenze a questo Comune, allora detto Palagio<br />

Fiorentino, attestano che i tess<strong>it</strong>ori e le tess<strong>it</strong>rici erano già assai numerosi nella<br />

contrada, tanto da essere c<strong>it</strong>ati separatamente dagli altri artigiani per quanto<br />

concerne il patteggiamento dei dir<strong>it</strong>ti e dei doveri a loro imposti dalla<br />

“dominante”.<br />

Ma già nel Trecento venivano pagate le “gabelle” ai Medici con panni di lana<br />

orbace 1 , tessuta per i padri del vicino Eremo di Camaldoli, e lana del<br />

Casentino. Dal secolo successivo con la stessa lana furono rivest<strong>it</strong>i anche i<br />

frati della Verna ed i primi ab<strong>it</strong>i realizzati non a caso erano piuttosto simili,<br />

per forma e per colori ("fratino", "bigio" e "topo"), al saio dei Francescani.<br />

I lanaioli stiani avevano le loro botteghe sotto i portici di Borgo Maestro (oggi<br />

Piazza Tanucci). Qui eseguivano la preparazione della lana alla filatura e da<br />

qui distribuivano il lavoro di filatura e tess<strong>it</strong>ura agli artigiani del borgo e della<br />

prossima periferia. In queste botteghe rientravano i panni tessuti che, dopo la<br />

1 L'orbace è un tessuto di lana ottenuto mediante una lavorazione particolare che risale ad<br />

epoche molto antiche (probabilmente questo tessuto era già usato per il vestiario dei<br />

soldati dell'antica Roma). L'armatura è a tela e il colore, tipicamente scuro, è dato con la<br />

tintura. La particolar<strong>it</strong>à dell'orbace, ottenuto selezionando i peli più lunghi durante la fase<br />

della cardatura, era quella di aver sub<strong>it</strong>o, dopo la tess<strong>it</strong>ura, un processo di follatura che ne<br />

provoca l'infeltrimento, in modo da ottenere un panno robusto ed impermeabile.<br />

Normalmente l'orbace viene prodotto in colori scuri, per lo più nero o grigio.


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rammendatura, venivano portati alle lavorazioni pesanti negli opifici che<br />

eserc<strong>it</strong>avano il mestiere per conto terzi. Gli opifici, gualchiere, purgatoi, tinte,<br />

tiratoi, erano ubicati lungo il torrente Staggia, che aveva una portata d’acqua<br />

sempre superiore a quella dell’Arno, nel quale il torrente confluisce ai piedi<br />

del paese.<br />

È a partire dalla seconda metà del Settecento che la lavorazione della lana<br />

conobbe uno sviluppo particolare, per proseguire poi, pur tra crisi e travagli,<br />

per quasi due secoli fino intorno al 1950. I primi che superarono la<br />

lavorazione artigianale per imprimere alla stessa un carattere spiccato di<br />

imprend<strong>it</strong>orial<strong>it</strong>à furono i Ricci che alla fine del Settecento, rilevate anche<br />

attiv<strong>it</strong>à altrui, cost<strong>it</strong>uirono una vera e propria fabbrica in senso moderno,<br />

segu<strong>it</strong>i poi dai fratelli Beni che si impiantarono nei locali della vecchia<br />

cartiera della famiglia Piccioli.<br />

Il primo stabilimento. Foto Archivio Tessilnova -Museo della Lana. Tutti i dir<strong>it</strong>ti riservati.


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L'attiv<strong>it</strong>à dei Ricci, cessata per vari motivi nel 1848, fu ripresa nel 1852<br />

dalla “Società di Lanificio di Stia” che ebbe per direttore Marco Ricci il quale,<br />

nel 1858, allargò la base societaria e finanziaria passando da un cap<strong>it</strong>ale di lire<br />

50.000 a lire 150.000 ed occupando una media di 140 operai con una<br />

produzione di circa 40.000 metri di tessuto. Questa società si sciolse nel 1862<br />

ed ad essa subentrò Adamo Ricci insieme al cugino Ottavio. Dotato di<br />

esperienza nel settore e di capac<strong>it</strong>à imprend<strong>it</strong>oriale, Adamo seppe imprimere<br />

alla sua attiv<strong>it</strong>à un r<strong>it</strong>mo moderno, sia sotto l'aspetto produttivo che<br />

commerciale, pervenendo ad una posizione di primaria importanza in Italia<br />

con l'impiego di circa 450 dipendenti.<br />

Purghi e folle. Foto Archivio<br />

Tessilnova-Museo della Lana. Tutti i<br />

dir<strong>it</strong>ti riservati.<br />

Il magazzino delle lane. Foto Archivio<br />

Tessilnova - Museo della Lana. Tutti i dir<strong>it</strong>ti<br />

riservati.


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Lo stabilimento era forn<strong>it</strong>o infatti di dispos<strong>it</strong>ivi che muovevano i macchinari<br />

per la cardatura e la filatura, gli ord<strong>it</strong>oi, i purghi e le folle, che sost<strong>it</strong>uirono le<br />

antiche gualchiere: disponeva di tutte le macchine per rifinire il tessuto<br />

(asciugatrici, cimatrici, pressa per la stiratura), oltre a due caldaie per il vapore<br />

e alle nuove vasche per tingere in sost<strong>it</strong>uzione degli antichi vagelli dove il<br />

tessuto si girava ancora con lunghe pertiche.<br />

Lavaggio e tintoria. Foto<br />

Archivio Tessilnova-Museo<br />

della Lana. Tutti i dir<strong>it</strong>ti<br />

riservati.<br />

Questa meccanizzazione portò ben presto alla diminuzione dei costi di<br />

produzione e a un notevole aumento della manodopera impiegata, che<br />

oscillava tra le 350 e le 400 un<strong>it</strong>à tra uomini, donne e ragazzi.<br />

L’unificazione dei luoghi di lavoro in un unico stabilimento fu realizzata tra il<br />

1870 e il 1875 (il Lanificio rimaneva composto da cinque complessi con una<br />

superficie complessiva di 23.000 metri quadrati). In quegli anni Adamo Ricci<br />

introdusse i primi telai meccanici tanto che nel 1873, su oltre 100 telai<br />

esistenti, molti erano già automatizzati. La forza motrice era generata da una<br />

grande ruota idraulica installata alla tintoria dove era stata ripristinata<br />

l’adduzione delle acque. Questa ruota idraulica, per mezzo di trasmissioni a<br />

corda, riusciva a dare movimento ai telai e ad altre macchine distanti centinaia<br />

di metri dal punto di caduta dell’acqua.


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Relatore: MdL Giancarlo Bianconi e Barbara Bianconi<br />

Panoramica dei macchinari. In evidenza, il movimento trasmesso ai telai<br />

attraverso cinghie collegate ad un unico albero che percorre tutta la lunghezza<br />

del capannone. Foto Archivio Tessilnova- Museo della Lana. Tutti i dir<strong>it</strong>ti<br />

riservati.<br />

Panoramica dei macchinari. In evidenza, il movimento trasmesso ai telai<br />

attraverso cinghie collegate ad un unico albero che percorre tutta la lunghezza<br />

del capannone. Foto: Archivio Tessilnova-Museo della Lana. Tutti i dir<strong>it</strong>ti<br />

riservati.


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Panoramica dei macchinari. In evidenza, il movimento trasmesso ai telai<br />

attraverso cinghie collegate ad un unico albero che percorre tutta la lunghezza del<br />

capannone. Foto: Archivio Tessilnova-Museo della Lana. Tutti i dir<strong>it</strong>ti riservati.<br />

Ancora un’immagine di un reparto di lavorazione.<br />

Foto: Archivio Tessilnova-Museo della Lana. Tutti i dir<strong>it</strong>ti riservati.


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Il lavoro al telaio.<br />

Foto: Archivio Tessilnova-Museo della Lana. Tutti i dir<strong>it</strong>ti riservati.<br />

In totale, venivano sviluppati 350 cavalli di forza idraulica e 100 cavalli<br />

vapore. La corrente per l’illuminazione del Lanificio (400 lampade a<br />

incandescenza) era prodotta da una turbina elettrica all’interno dello<br />

stabilimento, che pochi anni più tardi (1883) avrebbe alimentato anche<br />

l’illuminazione pubblica di Stia.<br />

Si producevano circa 220.000 metri l’anno di panni cardati-follati, tessuti per<br />

divise mil<strong>it</strong>ari (il Lanificio sarebbe diventato tra l'altro forn<strong>it</strong>ore ufficiale di<br />

Casa Savoia e dell'Eserc<strong>it</strong>o Italiano), drapperia per uomo e stoffe di vario<br />

genere per signora. Si lavoravano oltre 150.000 chilogrammi di materia prima,<br />

quasi tutta lana di provenienza pugliese e romana, oltre alle migliori lane<br />

prodotte dalle greggi locali.


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Nella foto, il mantello della<br />

divisa mil<strong>it</strong>are dei Carabinieri,<br />

realizzata presso il Lanificio di<br />

Stia.<br />

Foto Archivio Tessilnova-<br />

Museo della Lana. Tutti i dir<strong>it</strong>ti<br />

riservati.<br />

All’interno del Lanificio era attiva la scuola elementare obbligatoria per tutti i<br />

figli degli operai, almeno fino a quando non imparavano a leggere e scrivere<br />

correntemente. Si riorganizzò con nuovi cr<strong>it</strong>eri la Società di Mutuo Soccorso<br />

tra gli Operai del Lanificio (420 associati) che distribuiva sussidi alle famiglie<br />

degli operai più bisognosi, ai pensionati, agli ammalati.<br />

Oltre ai regolari contributi elarg<strong>it</strong>i dalla proprietà, gli operai versavano ogni<br />

quindici giorni (il giorno della paga), un canone per la loro Cassa Malattia e<br />

Pensione.<br />

Nel 1894 lo stabilimento Ricci, a segu<strong>it</strong>o di un concordato extragiudiziale, fu<br />

rilevato da una società per azioni di cui facevano parte possidenti,<br />

commercianti e industriali di mezza Italia. Ma la maggiore proprietaria<br />

divenne in breve tempo la Famiglia Lombard (Giulio, Luigi e Simonetta), la


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quale avrebbe segnato con la propria guida per molti decenni a venire il neodenominato<br />

“Lanificio di Stia”.<br />

Arrivarono ancora tecnici e progettisti dal nord e nel volgere di pochi anni<br />

tutto il complesso fu nuovamente ampliato ed ammodernato<br />

tecnologicamente. Ma non solo: anche per le maestranze l’avvento dei<br />

Lombard significò il proseguimento di una pol<strong>it</strong>ica di tutela dei dir<strong>it</strong>ti. Tra i<br />

primi in Italia, infatti, gli operai di questo lanificio furono iscr<strong>it</strong>ti all’appena<br />

cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a Cassa Nazionale Pensioni. La normativa però non accettava<br />

l’iscrizione degli operai più anziani perché sarebbe mancato loro il tempo per<br />

versare i contributi sufficienti alla pensione. I Lombard assegnarono allora<br />

cospicui fondi alla Società di Mutuo Soccorso perché potesse ist<strong>it</strong>uire questa<br />

un mensile di vecchiaia per gli esclusi.<br />

I dipendenti superavano le 500 un<strong>it</strong>à, i telai meccanici per tessuti di lana erano<br />

136, con una produzione di oltre 700.000 metri di stoffa l’anno.<br />

Il Lanificio in un’antica immagine panoramica di Stia.<br />

Foto Archivio Tessilnova-Museo della Lana. Tutti i dir<strong>it</strong>ti riservati.


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Al centro, tra i personaggi allineati a sinistra della foto, Luigi Lombard.<br />

Indossa un cappotto di panno Casentino.<br />

Foto Archivio Tessilnova-Museo della Lana. Tutti i dir<strong>it</strong>ti riservati.


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Per volontà dei Lombard, il Lanificio progredì fino al periodo della Seconda<br />

Guerra Mondiale. I tedeschi in r<strong>it</strong>irata lo devastarono. Da allora, con Luigi<br />

Lombard sempre in prima fila come munifico finanziatore, l’azienda<br />

sopravvisse con alterne vicende fino al 1959. In quell’epoca, una gravissima<br />

questione interna provocata da atti di disonestà compiuti dalla dirigenza del<br />

Lanificio a danno della Famiglia Lombard, determina la vend<strong>it</strong>a della<br />

fabbrica. La crisi generale del mondo tessile e l’avvento di operatori pratesi<br />

stravolsero la tipizzazione del prodotto (50% panno per forn<strong>it</strong>ure mil<strong>it</strong>ari, 40%<br />

tessuto moda, 10% panno Casentino) e causarono lo smantellamento dei<br />

reparti per la produzione dei tessuti pettinati più pregiati.<br />

Nel 1961 anche i telai furono ceduti agli operai e perfino il reparto di<br />

rifinizione nel 1978 vene trasfer<strong>it</strong>o a Prato: la defin<strong>it</strong>iva chiusura del Lanificio<br />

di Stia avvenne nel 1985.<br />

IL PANNO CASENTINO<br />

L’odierno tessuto con la superficie riccioluta con il nome di Casentino,<br />

periodicamente rilanciato alla ribalta dei defilé d’alta moda, non è altro che il<br />

discendente ingentil<strong>it</strong>o di quell’antichissimo panno ruvido contraddistinto dai<br />

mercanti fiorentini del Trecento con il termine di “panno grosso di<br />

Casentino”.<br />

Conosciuto, dal Medioevo fino a tutto l’Ottocento, come un panno rustico e<br />

sodo, ottenuto con le lane prodotte dalle pecore delle montagne casentinesi<br />

(lane particolarmente resistenti e calde) e che rispondeva alle necess<strong>it</strong>à di chi<br />

era costretto a vivere all’aperto o continuamente in viaggio, questa stoffa fu il<br />

vest<strong>it</strong>o r<strong>it</strong>uale dei barrocciai, dei fattori e dei villani e non di meno, fin dai<br />

tempi più antichi si commerciava nel fiorentino e nel pratese.<br />

Il Casentino, che fu un panno ispido, peloso e ruvido a causa delle<br />

impostazioni dettate dai governanti toscani, aveva un aspetto esteriore molto<br />

simile al tessuto del vecchio saio francescano e anche il colore non se ne<br />

discostava eccessivamente: anzi risulta che i primi colori che lo<br />

contraddistinsero furono proprio il fratino, il bigio e il topo. La sua rifinizione<br />

era piuttosto sommaria, con pelo irregolare e senza una direzione ben defin<strong>it</strong>a.<br />

Il panno Casentino dell’antich<strong>it</strong>à era insomma un panno rozzo, apprezzato<br />

esclusivamente per la sua alta resistenza all’usura e alle intemperie.


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Relatore: MdL Giancarlo Bianconi e Barbara Bianconi<br />

La vivac<strong>it</strong>à dei colori del panno Casentino<br />

Foto di Giancarlo Bianconi. Archivio privato. Tutti i dir<strong>it</strong>ti riservati


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Ancora pezze di stoffa<br />

che mostrano la<br />

vivac<strong>it</strong>à dei colori del<br />

panno Casentino.<br />

Foto di Giancarlo<br />

Bianconi. Archivio<br />

privato. Tutti i dir<strong>it</strong>ti<br />

riservati<br />

Su questa falsariga nella seconda metà dell’Ottocento il tessuto fu appesant<strong>it</strong>o<br />

ancora, per ricavarne delle coperture per gli animali da traino, a cui fu dato il<br />

nome di mantelline per cavalcature; questo tipo di tessuto lo troviamo<br />

prodotto proprio nel Lanificio di Stia e commerciato a Firenze tra il 1890 e il<br />

1915. Queste mantelline erano fabbricate con le stesse lane indigene del panno<br />

Casentino ed erano talmente sodate grazie al processo di follatura 2 , da essere<br />

2 La follatura è un'operazione che fa parte del processo di finissaggio dei tessuti di lana, e che<br />

consiste nel compattare il tessuto attraverso l'infeltrimento, per renderlo impermeabile.<br />

I fili che compongono il tessuto, bagnato con acqua calda, intriso di sapone e manipolato (battuto,<br />

sfregato, pressato: questa operazione veniva tradizionalmente effettuata vuoi calpestando a piedi<br />

nudi i tessuti vuoi utilizzando magli appos<strong>it</strong>i, le gualchiere, che erano messi in movimento da ruote<br />

che sfruttavano la corrente dei fiumi o di altri corsi d'acqua). La manipolazione avviene oggi con<br />

processi meccanici e chimici che infeltriscono i fili. Le piccole intercapedini presenti nei punti di<br />

intersezione tra i fili di trama e quelli di ord<strong>it</strong>o si chiudono, la loro legatura è data dalla<br />

compenetrazione delle microscopiche squame corticali che rivestono la superficie dei peli. Il<br />

processo è progressivo e irreversibile.


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ridotte simili al feltro; già questa era una caratteristica che le rendeva<br />

impermeabili, ma per renderle maggiormente garant<strong>it</strong>e contro le intemperie, i<br />

fabbricanti pensarono bene di impermeabilizzarle anche chimicamente con<br />

l’allume di rocca. Sost<strong>it</strong>uendo poi una delle più antiche materie coloranti, la<br />

robbia, con prodotti ottenuti per sintesi (un tipo delle alizarine solfoconiugate<br />

solubili in acqua) il colore che ne venne fuori non fu proprio un rosso vivace<br />

come forse desiderato, ma un rosso aranciato più tendente all’arancio che al<br />

rosso. Questo perché durante il trattamento di mordenzatura non si curò,<br />

probabilmente per inesperienza, la scelta più idonea del tipo di sostanza usata<br />

come mordente. Il panno da mantelline, resistente a ogni inclemenza della<br />

stagione persuase i barrocciai che gli animali erano più protetti dalle<br />

intemperie di loro, che pure indossavano indumenti già notevolmente pesanti,<br />

per cui, qualcuno per primo, incominciò a cucirsi il pastrano o la mantella,<br />

usando la stoffa arancio sottratta al suo cavallo o mulo che fosse.<br />

Fu così che si cominciarono a vedere i primi cappotti arancio fatti col panno<br />

Casentino. Questo colore piacque, e particolarmente piacque alle signore di<br />

Firenze. Si pensò bene allora di soddisfare le richieste del mercato, tingendo<br />

in questo sgargiante colore, assai richiesto, quel panno Casentino di tipo<br />

fratesco di cui mai si era interrotta la produzione.


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Sopra, due modelli in panno Casentino.<br />

Foto Archivio Tessilnova. Tutti i dir<strong>it</strong>ti riservati.<br />

E così un pò alla volta divenne l’immagine di questa valle. Il panno verde,<br />

invece, inizialmente fu accostato a quello arancio come fodera. Fu insomma<br />

un’espressione di buon gusto a generarlo visto che i due colori si<br />

completavano così bene; successivamente il verde s’impose come l’altro<br />

colore base nelle tavolozza del panno Casentino, andando a formare<br />

un’accoppiata policroma simbolo dell’industria laniera casentinese. Fu proprio<br />

nell'antico lanificio di Stia che ebbe origine il primo panno "ratinato" ovvero il<br />

panno Casentino con i riccioli. Questa stoffa calda, leggera, di pura lana,<br />

soffice e vaporosa deve i suoi famosi riccioli a un processo che si chiama<br />

rattinatura e che è uno dei tanti durante le 13 fasi di lavorazione. La rattinatura<br />

è la spazzolatura esegu<strong>it</strong>a un tempo con le pietre, ora con denti d'acciaio, che<br />

crea il tradizionale ricciolo. È proprio grazie a questo ricciolo che si ottiene un<br />

doppio strato funzionale antifreddo e antipioggia. Le proprietà del tessuto<br />

garantisce anche la traspirazione dei vapori propri del corpo umano.<br />

Apprezzato da personaggi illustri come il barone Bettino Ricasoli, Giuseppe<br />

Verdi e Giacomo Puccini, l'ab<strong>it</strong>o in panno <strong>casentino</strong> veniva confezionato a<br />

doppio petto, con martingala e collo di volpe, simbolo di eleganza e<br />

raffinatezza, perfetto per andare a caccia o montare a cavallo.


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Il panno Casentino deve la sua fama alla purezza delle acque del terr<strong>it</strong>orio,<br />

alla presenza di greggi, di legna, di argilla e alla tanta mano d'opera di questi<br />

posti. Le buone acque assicurano la brillantezza nei colori che sono<br />

caratteristici e assolutamente unici.<br />

LA TESSILNOVA DI STIA, MEMORIA STORICA, PRESENTE E<br />

FUTURO DEL PANNO CASENTINO<br />

Le alterne vicende legate alla crisi del settore tessile, che avrebbero portato<br />

alla chiusura dello storico Lanificio di Stia (nonché di tutti i lanifici a ciclo<br />

completo operanti nel Paese) non hanno però significato la fine né della<br />

tradizione laniera della zona né del panno Casentino. Il presente e il futuro di<br />

entrambi portano oggi un marchio che è quello della Tessilnova di Stia legato<br />

al nome del suo fondatore, Gabriele Grisolini, recentemente scomparso. Una<br />

realtà piccola e di nicchia nella complessa e varia realtà produttiva della<br />

Provincia di Arezzo, ma che conserva e tramanda un passato caratterizzato da<br />

una storia importante, ricca di tradizioni uniche ed esclusive di questa vallata.<br />

Gabriele Grisolini iniziò a lavorare al Lanificio nel 1959 e alla sua<br />

occupazione si dedicò con notevole impegno e grande volontà, ampliando<br />

giorno dopo giorno le sue conoscenze e appassionandosi a quest'arte antica.<br />

Dopo aver lavorato per alcuni anni come dipendente, Grisolini, rispondendo<br />

alla pol<strong>it</strong>ica di ripartizione dei reparti messa in atto dallo stabilimento, nel<br />

1961 si mise in proprio subentrando nella tess<strong>it</strong>ura.<br />

Acquistò i macchinari direttamente dalla famiglia Lombard proprietaria del<br />

Lanificio e cost<strong>it</strong>uì la Tessilnova, un'azienda nota oggi sul mercato nazionale<br />

e internazionale per i numerosi manufatti tessili in lana, ma soprattutto per il<br />

panno Casentino, del quale ha conservato e rilanciato la lavorazione a partire<br />

dagli anni ’70 dopo circa un decennio di oblìo.<br />

Il “Casentino” viene oggi prodotto in tutta la gamma di colori, dai brillanti<br />

arancio, verde, blu, rosso, al color bianco lana, alle nuovissime tonal<strong>it</strong>à di lilla,<br />

verde mela, viola, azzurro. Con esso vengono realizzati capi di alta moda: dai<br />

classici cappotti, con o senza il tipico colletto di volpe, alle giacche, alle<br />

mantelle, ad accessori di moda come cappellini, borsette, sciarpe, scarpe e<br />

completi per gli sport di montagna. La tess<strong>it</strong>ura delle lane e i disegni dei capi<br />

d'abbigliamento vengono fatti dalla Tessilnova, che si appoggia per la<br />

confezione dei medesimi a sartorie locali.


Sez. 7 Arg. 1 Pag. 18 di 18<br />

FEDERAZIONE MAESTRI DEL LAVORO D’ITALIA<br />

Ente Morale D.P. n. 1956 del 14.04.1956<br />

CONSOLATO PROVINCIALE DI AREZZO<br />

Viale Giotto, 4 - 52100 AREZZO<br />

Relatore: MdL Giancarlo Bianconi e Barbara Bianconi<br />

In continua evoluzione per adeguarsi alla moda, alle richieste del mercato del<br />

tessile e anche per dare corpo alle idee che il team di Tessilnova elabora,<br />

l'azienda ha costantemente rinnovato il proprio repertorio, inserendo nel<br />

tempo anche la produzione di maglieria in cashmere. Un settore interessante è<br />

quello rivolto all'arredo con la realizzazione di coperte, in bouclé e mohair, e<br />

plaid in panno "Casentino" che hanno incontrato il più ampio consenso sia in<br />

Italia che all'estero, specie in America.<br />

È alla capac<strong>it</strong>à creativa e produttiva di questa manifattura, che conserva<br />

ancora alcuni macchinari dell'antico Lanificio, che si deve la qual<strong>it</strong>à e il<br />

livello artistico della produzione tessile, e in particolare proprio di quel<br />

glorioso panno "Casentino" che nato "povero" per coprire dal freddo le bestie<br />

e poi gli stessi "barrocciai" e ab<strong>it</strong>anti di quelle zone, è diventato un tessuto e<br />

un capo di moda tra i più originali e raffinati. Stilisti di fama lo ripropongono<br />

ormai da tempo nelle loro collezioni.<br />

A Gabriele Grisolini si deve anche riconoscere il mer<strong>it</strong>o di avere con<br />

intelligenza e costanza salvaguardato un patrimonio di lavoro, di tecniche, di<br />

esperienza che rischiava come molte altre attiv<strong>it</strong>à nel nostro Paese di venire<br />

disperso o irrimediabilmente perduto.<br />

RINGRAZIAMENTI<br />

Si ringrazia la Tessilnova di Stia per la gentile concessione del materiale<br />

fotografico d’archivio conservato presso il Museo della Lana<br />

© Copyright Giancarlo Bianconi & Barbara Bianconi. Dir<strong>it</strong>ti riservati

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