Espressionismo, olismo, deflazionismo in Simon ... - OpenstarTs
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PIERPAOLO MARRONE<br />
proprietà non naturali assolvono secondo Wigg<strong>in</strong>s a un duplice scopo 35 . Il<br />
primo è raff<strong>in</strong>are la consapevolezza dei parlanti su ciò che è oggetto della nostra<br />
attenzione. Ciò che è spiritoso può, qu<strong>in</strong>di, solo <strong>in</strong> virtù di una discrim<strong>in</strong>azione<br />
complessa, essere dist<strong>in</strong>to da ciò che è, poniamo, grottesco o caustico.<br />
Ma una volta che questa consapevolezza sia aff<strong>in</strong>ata, è anche possibile utilizzarla<br />
come criterio di riconoscimento di altri eventi. Insomma, il propriety<br />
talk <strong>in</strong>teso <strong>in</strong> senso raff<strong>in</strong>ato è l’<strong>in</strong>dividuazione di una struttura. Individuare<br />
la struttura permette il riconoscimento della proprietà. In questo<br />
senso, anche per il cognitivista riconoscere la dist<strong>in</strong>zione tra rappresentazioni<br />
mentali e attitud<strong>in</strong>i comportamentali è rilevante per la moralità. Altrettanto<br />
rilevante è però riconoscere l’<strong>in</strong>treccio tra descrittivo e valutativo.<br />
Quando Blackburn parla di rappresentazioni mentali come <strong>in</strong>put, <strong>in</strong>tende<br />
l’immag<strong>in</strong>e di un’azione, di un carattere, di una situazione che ha determ<strong>in</strong>ate<br />
caratteristiche 36 . Questo significa che non tutte le rappresentazioni di azioni,<br />
di situazioni, di caratteri hanno le caratteristiche appropriate per essere<br />
considerate del tipo giusto per suscitare o il giudizio morale o per attivare<br />
la corrispondente attitud<strong>in</strong>e all’azione. Tuttavia, non sembra esserci nulla di<br />
sbagliato se noi descriviamo il nostro stato mentale a un <strong>in</strong>terlocutore adoperando<br />
term<strong>in</strong>i che sono eticamente qualificati. Perché adottiamo un l<strong>in</strong>guaggio<br />
che non utilizza questa divisione? Io credo perché ci sembra del tutto naturale<br />
usarlo per conv<strong>in</strong>cere il nostro <strong>in</strong>terlocutore (e l'<strong>in</strong>terlocutore possiamo<br />
essere anche noi stessi). Se adoperassimo la dist<strong>in</strong>zione di Blackburn tra <strong>in</strong>put<br />
e output e la proponessimo a chi vogliamo conv<strong>in</strong>cere a rivedere le proprie<br />
credenze morali, potremmo ragionevolmente sperare di ottenere un qualche<br />
risultato? A ciò si aggiunga che l'idea della divisione tra rappresentazioni e<br />
attitud<strong>in</strong>i non rende giustizia al fatto che noi vediamo il mondo anche ‘dal di<br />
dentro’, ossia <strong>in</strong> conformità a visioni che sono anche localmente coerenti con<br />
la narratività etica mediante la quale diamo un senso alla nostra esperienza.<br />
Non possiamo non tenerne conto, proprio se vogliamo riformare quanto le<br />
nostre visioni contengono di pregiudizio <strong>in</strong>giustificato. Il titolo del volume di<br />
Blackburn è perciò non tanto l'<strong>in</strong>dice di un programma filosofico compiuto<br />
quanto l'<strong>in</strong>dicazione di una promessa mancata. Il m<strong>in</strong>imalismo veritativo di<br />
Blackburn è orientato sulla giusta strada, nella direzione di ciò al quale chi<br />
ragiona di etica deve essere sempre <strong>in</strong>teressato, ossia la revisione delle credenze,<br />
dei pregiudizi, del conformismo. Ma che per perseguire questo obiettivo<br />
ci sia bisogno di abbandonare una qualche forma di realismo e di cognitivismo<br />
etico rimane <strong>in</strong>dimostrato.<br />
35 J. McDowell, M<strong>in</strong>d, Value, and Reality, cit., pp. 131-150.<br />
36 RP, p. 5.<br />
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