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(Giovanni del Virgilio, Pietro da Moglio, Coluccio Salutati).1

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Ponti 2010<br />

Piliscsaba-Esztergom<br />

ARMANDO NUZZO<br />

Cursus e ars punctandi (<strong>Giovanni</strong> <strong>del</strong> <strong>Virgilio</strong>, <strong>Pietro</strong> <strong>da</strong> <strong>Moglio</strong>, <strong>Coluccio</strong> <strong>Salutati</strong>). 1<br />

In Bologna, terminati gli studi di grammatica a <strong>Coluccio</strong> toccò come maestro di retorica, di poesia e di scrittura <strong>Pietro</strong><br />

<strong>da</strong> <strong>Moglio</strong>, che fu detto Petrus de Rethorica, il quale era stato allievo di <strong>Giovanni</strong> <strong>del</strong> <strong>Virgilio</strong> ed intimo <strong>del</strong> Petrarca<br />

durante il periodo padovano. All’epoca <strong>del</strong>lo studio bolognese di <strong>Coluccio</strong> (1341-1350) l’insegnamento <strong>del</strong>l’ars<br />

dictaminis non si discostava molto <strong>da</strong> quello canonico e traman<strong>da</strong>va ancora gli esercizi dei grandi dettatori che circa un<br />

secolo prima lo avevano portato al massimo splendore: su tutti Boncompagno <strong>da</strong> Signa, Guido Fava e Bene di Firenze.<br />

Testimone indiretto <strong>del</strong>la “modernità” di quell’insegnamento è il trattato di <strong>Giovanni</strong> <strong>del</strong> <strong>Virgilio</strong>. Espressione, solo in<br />

parte innovativa, di quella scuola fu anche il manuale Brevis introductio ad dictamen di <strong>Giovanni</strong> di Bonandrea, il quale<br />

insegnò retorica a Bologna fino al 1321. Insieme alla Rhetorica ad Herennium, quello di <strong>Giovanni</strong> fu il testo più usato<br />

nell’università bolognese per tutto il Trecento. Le sorti umanistiche <strong>del</strong>l’ars dictandi non si giocavano invero a Bologna,<br />

che pur primeggiando nella tradizione <strong>del</strong>l’arte notarile e cancelleresca era stata già superata <strong>da</strong>i nuovi mo<strong>del</strong>li <strong>del</strong>la<br />

cultura curiale espressi <strong>da</strong> Lovato Lovati e Geri d’Arezzo, sebbene non infecon<strong>da</strong> e senza significato fosse la presenza<br />

<strong>del</strong>lo stesso Geri quale segretario <strong>del</strong> podestà a Bologna intorno al 1315 2 . Quale che fosse l’istruzione ricevuta e<br />

l’influsso <strong>del</strong>la scuola bolognese, <strong>Coluccio</strong>, per il tramite di <strong>Pietro</strong> <strong>da</strong> <strong>Moglio</strong>, entrerà più tardi nel gruppo dei seguaci di<br />

Petrarca e al pari <strong>del</strong> Boccaccio andrà componendo, verso il 1371, un Bucolicum Carmen di ispirazione petrarchesca 3 .<br />

La scuola di grammatica e di retorica conduceva agli studi giuridici o notarili e la connessione tra l’arte retorica <strong>del</strong><br />

dettare epistole e quella notarile era strettissima 4 . Nato come semplice raccolte di formulari, l’insegnamento <strong>del</strong>l’arte<br />

notarile andò ampliandosi con nozioni di grammatica, di diritto e, soprattutto, di retorica (che voleva poi dire saper<br />

scrivere epistole) e professori di formazione notarile giunsero presto sulle cattedre di retorica nelle università. Non<br />

conosciamo tuttavia i maestri di <strong>Coluccio</strong> in quest’arte 5 che divenne presto la sua professione.<br />

Circa dieci anni dopo la sua partenza <strong>da</strong> Bologna, verso il 1360, <strong>Salutati</strong> invia al “magistro” <strong>Pietro</strong> <strong>da</strong> <strong>Moglio</strong><br />

un’epistola 6 con la quale sollecita una risposta dopo un silenzio troppo lungo e si sottopone al severo giudizio <strong>del</strong><br />

maestro di cui attende le critiche. La fiducia in <strong>Pietro</strong> e la riconoscenza <strong>del</strong> magistero sono espresse in un epigramma<br />

allegato alla lettera, che è anche una <strong>del</strong>le pochissime testimonianze sulla formazione e la scuola di <strong>Coluccio</strong> a<br />

Bologna 7 . Ne ripropongo la parte che attiene al nostro discorso:<br />

[ ] Credisne meo de pectore lapsa<br />

Tempora rethorice quis, te monitore magistro<br />

Dogma ministrabas sacrum, quid epistola posset,<br />

Quo modo <strong>da</strong>n<strong>da</strong> salus, quo sint exordia iure<br />

Instituen<strong>da</strong> modo, qui fit narratio recta,


Poscere quid licitum, et que sit conclusio digna,<br />

Denique quid faceret pulcrum et sine sorde politum<br />

Dictamen, que detque sonoros regula cursus,<br />

Et que signari debeat distinctio puncto?<br />

Hec memini quon<strong>da</strong>m te conscendente cathedras<br />

Me monuisse. Michi semper, reverende magister,<br />

Hinc innatus amor quem nil <strong>del</strong>ere profecto<br />

Iam poterit, et numquam de pectore cedet 1 .<br />

[...]<br />

In questi versi sono sintetizzati i fon<strong>da</strong>menti <strong>del</strong>l’ars dictaminis: la partizione <strong>del</strong>l’epistola, gli abbellimenti retorici, il<br />

cursus e la punteggiatura.<br />

Nelle lettere pubbliche <strong>Salutati</strong> sembra riproporre la partizione tradizionale <strong>del</strong>l’epistola medievale, seguendo gli<br />

insegnamenti di <strong>Pietro</strong> <strong>da</strong> <strong>Moglio</strong>, senza farsene però mai schiavo 2 . Egli espande molto la parte centrale <strong>del</strong>la lettera, la<br />

narratio, che spesso fagocita l’exordium e la petitio. Nel caso <strong>del</strong>la famosa epistola sulla strage di Cesena, ma si<br />

potrebbero citare altre epistole simili, tra l’exordium e la narratio si inserisce la spiegazione degli antefatti: dove la<br />

posizione di Firenze si colora retoricamente di innocenza e allo stesso tempo si prepara anche il terreno al racconto vero<br />

e proprio <strong>del</strong>le atrocità altrui. La salutatio in molte epistole è ristretta al puro uso formulare (usa il vocativo), in altre<br />

invece <strong>Coluccio</strong> sembra sperimentare lunghe formule virtuosistiche e introduce anche novità, quale è “Spes Guelforum”<br />

nelle lettere indirizzate agli angioini. L’exordium può scomparire <strong>del</strong> tutto nel caso di comunicazioni laconiche, ma<br />

quando <strong>Coluccio</strong> vi esercita le sue capacità retoriche essa diventa una vera e propria captatio benevolentiae ove si<br />

prepara l’“animum auditoris”, talvolta anche in forma di proverbi, per le argomentazioni che si svilupperanno nella<br />

narratio. Anche la conclusio, che per lo più è una preghiera di mettere in atto quanto richiesto, subisce espansioni e<br />

restringimenti secondo l’argomento e il destinatario: è la parte che dà colore all’epistola, che può tingersi di toni<br />

cordiali, diplomatici o minacciosi.<br />

Quando, nel 1374, <strong>Coluccio</strong> si stabilì a Firenze, erano passati più di vent’anni <strong>da</strong>gli studi bolognesi e certo in<br />

quell’arco di tempo egli aveva fatto esperienza <strong>del</strong>l’arte notarile negli uffici tenuti a Pescia, Todi, Roma, Lucca e<br />

Buggiano. Ma fu soprattutto l’avvicinamento all’ambiente <strong>del</strong> Petrarca e lo sforzo autodi<strong>da</strong>tta verso una nuova<br />

sensibilità intellettuale, “una rieducazione grammaticale ed ortografica al latino classico”, che ne avevano affinato le<br />

conoscenze linguistiche e stilistiche. Mo<strong>del</strong>lo sommo di epistolografia è Cicerone, mentre fra i “doctores...extra gregem<br />

inter iuris consultissimos numerande, qui stilo et eloquentia hoc quartodecimo seculo claruerunt” egli ricor<strong>da</strong> Albertino<br />

Mussato e Geri d’Arezzo 3 . Petrarca era pure un mo<strong>del</strong>lo (anche per la consonanza di toni antifrancesi) e le sue epistole<br />

gli erano ben note, così come dovettero esserlo quelle di Cola di Rienzo 4 . È vero che egli si pone al mezzo <strong>del</strong> cammino<br />

che <strong>da</strong>ll’Italia gotica porta a quella umanistica: se a Guarino, nel 1415, un’epistola di <strong>Pietro</strong> <strong>da</strong> <strong>Moglio</strong> non sembrò<br />

degna nemmeno di esser chiamata tale, per gli umanisti di cento anni dopo <strong>Salutati</strong> è comunque un “rozzo”. L’arte<br />

oratoria di <strong>Coluccio</strong> conobbe comunque una discreta fortuna grazie anche ad alcune sue orazioni, o “sermoni”, come li


chiama Novati, “<strong>da</strong> pronunziare veramente alla ringhiera” ed altre “<strong>del</strong> tipo classico” circolate individualmente in<br />

diversi manoscritti. Tale fama è dovuta soprattutto alla sua attività di dettatore e di oratore: nel 1388 i Priori lo<br />

riconfermano nella carica di cancelliere perché “alunno” di Cicerone e nel 1396 Filippo Villani nell’esaltare le sue doti<br />

di oratore, “Ciceronis symia”, quasi ne fon<strong>da</strong> il mito 5 . Alla maniera sua, profon<strong>da</strong>mente cristiana, <strong>Coluccio</strong> però si<br />

schermisce e rifiuta tutte queste lodi. In un’epistola metrica <strong>del</strong> 1392 indirizzata a Bartolomeo <strong>del</strong> Regno scrive: “Quid<br />

michi cum Phebo? quid cum Cicerone? quid, inquam, / In me lau<strong>da</strong>ndum, vir facundissime, cernis?”. Se è famoso lo<br />

deve alla materies, così nobile, di cui si trova a scrivere e lo stilus viene <strong>da</strong> quella, quasi per natura e lui perciò non<br />

merita alcuna lode 1 . Dello stesso tono la risposta <strong>del</strong> 1395 ad altro elogio proveniente <strong>da</strong>l cardinale Uliari di Padova che<br />

lo aveva blandito ponendolo fra i più grandi epistolografi di tutti i tempi e anteponendolo anzi anche a Cassiodoro.<br />

Davvero troppo per <strong>Coluccio</strong> che, con le parole di Cicerone, spiega quanta dottrina richie<strong>da</strong> la professio bene dicendi<br />

(<strong>del</strong>l’oratio, quindi e <strong>del</strong> dictare) e conclude: “cum, inquam, dictandi professio tot polliceatur, totque et tanta requiram,<br />

cur me non solum dictatoribus adnumeras, sed etiam anteponis?” 2 .<br />

* * *<br />

La “scolastica disciplina” 3 , l’amore per la grammatica e la necessità di fare chiarezza in un magistero complesso e<br />

regolato, quasi un promemoria per i collaboratori <strong>del</strong>la cancelleria, suggerivano forse a <strong>Coluccio</strong> di spiegare il sistema<br />

di punteggiatura adottato nella stesura <strong>del</strong>le epistole, a cui era strettamente legato il cursus: dunque l’arte di dettare e di<br />

declamare pubblicamente.<br />

Ratio punctandi licet ad placitum dici possit inventa, non est tamen omnino rationis expers: et tota quidem est, ad pronuntiationis<br />

commodum ordinata. Et antiquorum aliqui per periodos, id est perfectas clausulas, totam orationem distinxerunt. Modernitas autem,<br />

periodum ponit in fine conclusionis, quam aliqui perorationem vocant: Sunt vero puncti, quibus utimur, suspensivus, coma, colum,<br />

periodus et interrogativus. Suspensivus est simplex virgula, que solet quietis gratia poni ante quam sensus clausule sit completus.<br />

Colum est puncuts planus, qui ponitur in fine clausule, quando totus sensus completus est. Coma vero componitur ex his duobus: est<br />

enim punctus planus, supra quem ducitur virgula, in modum puntuli suspensivi: et utimur, in loco ubi potest clausula fore completa,<br />

sed ex scribentis intentione aliquid est addendum. Periodus est punctus multiplex, quem in fine capituli vel totius orationis, solemus<br />

apponere, cum nichil ulterius est dicendum. Interrogativus est quem post orationem postulativam solemus comuniter annotare.<br />

punctus scilicet planus, et super ipsum punctus longus, in formam cornu. Sunt propterea gemipunctus, qui describitur per duos<br />

punctos planos, quo solemus uti, in epigrammatibus epistularum, loco propriorum nominum, vel brevitatis gratia, vel nominis, quod<br />

ignoraverimus supplementum. Est et semipunctus, quem in fine linee, quando contigit, quod ibidem dictio completa non sit sed in<br />

sequentem transeat adhibemus: qui quidem solet, per iacentem virgulam designari, ad notandum quod ibi non sit completa dictio, sed<br />

in sequentem oporteat transiliri lineam. Ego vero videns, quod exclamativa vel admirativa clausula, aliter quam continuus, vel<br />

interrogativus sermo soleat enuntiari, consui tales clausulas in fine notare per punctum planum, et comam eidem puncto lateraliter<br />

suppositam. Sunt autem horum punctorum forme tales. [...] 4<br />

La Ratio punctandi, al pari <strong>del</strong>l’epigramma a <strong>Pietro</strong> <strong>da</strong> <strong>Moglio</strong>, ci mostra la stretta relazione fra la struttura dei periodi<br />

<strong>del</strong>l’epistola, ritmati <strong>da</strong>ll’uso <strong>del</strong> cursus (primo fra i “colores orationis”) nelle clausole (“compositiones”) e la


punteggiatura che armonizza l’insieme e segna le pause. Così come nella punteggiatura, anche nel cursus <strong>Coluccio</strong>,<br />

potremmo dire con le parole <strong>del</strong> Novati, “si dimostra seguace de’ precetti <strong>del</strong>la scuola italiana” 5 . All’interno di un più<br />

grande saggio sulle forme <strong>del</strong> cursus nell’epistolografia medievale, Gudrun Lindholm ha dedicato uno studio<br />

significativo, anche se fon<strong>da</strong>to su <strong>da</strong>ti limitati, alle tipologie <strong>del</strong> cursus usate <strong>da</strong>l <strong>Salutati</strong>. La Lindholm ha eletto a<br />

campione una parte <strong>del</strong>le epistole private e, in particolare, quelle fino al 1375, anno in cui <strong>Coluccio</strong> inizia la carriera a<br />

Firenze 1 .<br />

È importante registrare l’uso <strong>del</strong> cursus nelle epistole pubbliche mettendolo in relazione all’uso <strong>del</strong>la punteggiatura.<br />

Molto spesso infatti la clausola ritmica precede uno dei segni di punteggiatura menzionati <strong>da</strong>l <strong>Salutati</strong> nella sua Ratio.<br />

Si rivelano le associazioni logiche che collegano la frase al cursus, ma ci si rivela anche qualche elemento in più<br />

sull’arte retorica nella prosa di <strong>Coluccio</strong> 2 . Le scelte sintattiche e lessicali, l’armonia più o meno riuscita <strong>del</strong> periodo,<br />

l’accentuazione stessa <strong>del</strong>le parole sono indizi di un processo creativo dove la maestria passa per regole, flessibili, ma<br />

necessarie 3 .<br />

I registri <strong>del</strong>l’Archivio di Stato di Firenze, <strong>da</strong>to il carattere provvisorio connaturato agli strumenti ivi raccolti, siano<br />

essi copie pulite o, più spesso, vere e proprie minute, rappresentano un materiale importante per questa in<strong>da</strong>gine. In<br />

molte di queste epistole parole o intere frasi sono cancellate, l’ordine <strong>del</strong> discorso è ripensato e riscritto, inserimenti in<br />

un secondo momento di frasi o interi periodi nel margine si intersecano col testo al centro <strong>del</strong> foglio. Siamo di fronte a<br />

una scrittura tormentata e in corso di elaborazione in cui accade che alcune clausole, divenute non più tali a causa dei<br />

molti interventi, siano sopravvissute pur avendo perso la loro funzione originale o non corrispondendo alla<br />

punteggiatura e che altre, preventivamente pensate, siano state eliminate. In alcuni casi la conoscenza di questo uso<br />

aiuta nella congettura. Nelle cinquanta lettere qui presentate la clausola più usata è il cursus velox, seguita <strong>da</strong>l tardus,<br />

<strong>da</strong>l planus (che si alternano in una misura approssimativamente simile) e <strong>da</strong>l trispon<strong>da</strong>icus (più raro). Il velox occorre<br />

ovunque e indipendentemente <strong>da</strong>lla punteggiatura che lo segue, mentre il tardus e il planus non vengono mai prima <strong>del</strong><br />

colum, ma solo prima <strong>del</strong> suspensivus. L’epistola si conclude sempre con il velox e frequente è la combinazione tardus<br />

+ velox (dicuntur concordiam inivisse, mentis affectibus exhortamur, mendicando suffragia descendisse) prima di un<br />

colum o di una periodus 4 . Difficile dire, con un campione così ridotto, se l’affermazione <strong>del</strong>la Gudrun su una grande<br />

affinità <strong>del</strong>l’uso <strong>del</strong> cursus tra Dante e <strong>Salutati</strong> sia condivisibile, posto che la scuola bolognese, nel mezzo secolo che<br />

separa l’epoca <strong>del</strong> periodo degli studi dei due, le sue timide innovazioni le aveva pur avute e di esse <strong>Coluccio</strong> aveva<br />

certo potuto beneficiare 5 .


1 Estratto <strong>da</strong> <strong>Coluccio</strong> <strong>Salutati</strong>, Epistolae Publicae. Archivio di Stato di Firenze, Signori, Missive I Cancelleria,<br />

16, ff. 1r-12v, 22.VII<strong>.1</strong>375 - 25.VIII<strong>.1</strong>375 (Tesi di Laurea discussa nell'anno accademico 1998-1999 presso l'Università<br />

degli Studi di Firenze).<br />

2 Per <strong>Giovanni</strong> <strong>del</strong> <strong>Virgilio</strong> il “modernus modus” è rappresentato <strong>da</strong> Pier <strong>del</strong>le Vigne, mostrando un certo ritardo<br />

rispetto alle scuole veneta e toscana (KRISTELLER, Un’“Ars dictaminis”, p. 194; PETRUCCI, <strong>Coluccio</strong>, p. 11). Sulla presenza<br />

di Geri a Bologna si ve<strong>da</strong> M. GIANSANTE - G. MARCON, Giudici e poeti toscani a Bologna. Tracce archivistiche fra tardo<br />

stilnovismo e preumanesimo, Bologna 1994.<br />

3 Ne spedisce un primo saggio al Boccaccio stesso (Epist., I, p. 157).<br />

4 Lo studio <strong>del</strong>l’ars notaria, che durava due anni, era stato fon<strong>da</strong>to <strong>da</strong> Rainerio di Perugia, il quale separando<br />

l’arte stessa “prima <strong>da</strong>lla rettorica e poi <strong>da</strong>l diritto”, aveva operato quella distinzione che Guido Faba avrebbe attuato per<br />

l’ars dictandi (A. GAUDENZI, Sulla cronologia, p. 139). Suo successore fu Rolandino de’ Passeggeri col quale<br />

“incomincia veramente la letteratura <strong>del</strong> notariato” (NOVATI, La giovinezza, p. 50): la sua Summa artis notariae, la<br />

‘Rolandina’, oggetto di commenti fino ai primi decenni <strong>del</strong> Trecento, rimase incontrastata fra i manuali e su di essa si<br />

formò probabilmente anche il <strong>Salutati</strong> (p. 52). Sullo stretto rapporto tra ars dictandi e ars notaria A. SCHIAFFINI,<br />

Tradizione e poesia nella prosa d’arte italiana <strong>da</strong>lla latinità medievale a G. Boccaccio, Roma, 1943. Lo stesso<br />

<strong>Giovanni</strong> di Bonandrea, dettatore e maestro di retorica, era iscritto all’arte dei notai <strong>da</strong>l 1265 e aveva esercitato l’arte<br />

notaria (BANKER, The Ars dictaminis, p. 154).<br />

5 Forse uno di questi fu Francesco di Gior<strong>da</strong>no Benintendi, lettore nello Studio bolognese in quegli anni (NOVATI,<br />

La giovinezza, p. 55).<br />

6 L’ultima e l’unica a noi rimasta di un nucleo di prime lettere indirizzate a <strong>Pietro</strong>: Epist., I, pp. 3-5.<br />

7 In nessuno dei tre codici noti al Novati seguivano i versi annunciati nelle ultime parole <strong>del</strong>l’epistola; essi<br />

furono scoperti e pubblicati <strong>da</strong>llo ULLMAN, Studies, <strong>da</strong> un manoscritto torinese (pp. 296-297).<br />

1 ULLMAN, Studies, p. 297.<br />

2 Di <strong>Pietro</strong> conosciamo sopravvissute due sole epistole pubblicate <strong>da</strong> BILLANOVICH, <strong>Giovanni</strong> <strong>del</strong> <strong>Virgilio</strong>, pp.283-<br />

284, 287-288. Certa formularietà stava stretta a <strong>Coluccio</strong>, se nel 1392 così scrive a Pasquino Capelli: “sufficiat inter te<br />

et me, quoniam publicis arduis atque multis, imo infinits, impliciti sumus, litteratoria salutatio. sit satis mutuo scribere:<br />

valeo, vale”, Epist., II, p. 342.<br />

3 Epist., III, pp.408-409; la lettera, <strong>del</strong> 1400, è indirizzata a Francesco Zabarella. Gli stessi sono ricor<strong>da</strong>ti<br />

nell’epistola <strong>del</strong> 1395 al Cardinale padovano Uliari (Epist., III, p. 84).<br />

4 PETRUCCI, <strong>Coluccio</strong>, p. 43, DE ROSA, p. 19 (ma <strong>Coluccio</strong> non nomina mai Cola). Nella lettera al cardinale<br />

padovano sopra menzionata <strong>Coluccio</strong> ricor<strong>da</strong> Petrarca e Geri d’Arezzo fra coloro che hanno raccolto e pubblicato le<br />

proprie lettere quando erano ancora in vita (Epist., III, p. 88).<br />

5 “...iam laudem precipuam promeruisse singularis eloquentie constat, in quapreter verborum nitorem,<br />

elegantiam et ornatum, tanta est perorandi vehementia in persuasionem preditus presertim, ut non impetrare videatur,<br />

sed extorquere que velit; manifesta probatione non indigent: ostendunt e p i s t o l e, quas emisit pene innumerabiles,<br />

tam publice quam private, plana esse que loquor; in textu insuper prosayco tanta iam prevaluit dignitate, ut Ciceronis<br />

symia merito dici possit”, Epist., IV, pp. 491-492. Simia non ha qui il valore negativo che avrà più tardi per gli umanisti<br />

(cfr. D. COPPINI, Gli umanisti e i classici: imitazione coatta e rifiuto <strong>del</strong>l’imitazione, “Annali <strong>del</strong>la Scuola Normale<br />

Superiore di Pisa”, classe di Lettere e Filosofia, s. III, XIX, 1989, pp. 269-285).<br />

1 Epist., II, pp. 343-354, la <strong>da</strong>tazione è però incerta.<br />

2 Epist., III, p.85.<br />

3 Epist., I, p. 77.<br />

4 Pubblicata <strong>da</strong> L. GAI, Frammenti di un codice sconosciuto di <strong>Coluccio</strong> <strong>Salutati</strong>, “Memorie domenicane”,<br />

n.s. III (1972), p. 306; riprodotto senza variazioni <strong>da</strong> Hans Münstermann in ZINTZEN, Index, pp. 227-228. Almeno altri<br />

due codici attribuiscono a <strong>Coluccio</strong> una Ratio punctandi, mentre un terzo è adespoto (ULLMAN, The Humanism, p. 35);<br />

parte <strong>del</strong> testo <strong>del</strong> cod. Marciano (Marciano Lat. XI, 101, c.64v) è riportata <strong>da</strong>l Novati (Epist., III, p. 176), e sembra<br />

presentare lezioni diverse rispetto a quello pistoiese.<br />

5 Epist., III, p. 176 n. 2.<br />

1 La LINDHOLM, Studien zum mittelateinischen Prosarythmus. Seine Entwicklung und sein Abklingen in der Briefliteratur<br />

Italiens, Stockholm 1963, lascia peraltro intendere di aver passato in visione le epistole ufficiali riscontrando<br />

in esse lo stesso uso evidenziato in quelle analizzate nel saggio (p. 128 sgg ).


2 La necessità di questa rilevazione si può ben riassumere con le parole di M. FEO, Lettere <strong>da</strong>l Medioevo fantastico,<br />

in Kontinuität und Wan<strong>del</strong>, lateinische Poesie von Naevius bis Bau<strong>del</strong>aire, Franco Munari zum 65 Geburstag,<br />

Hildesheim, 1986: “...la verifica <strong>del</strong> cursus...è in ultima istanza un dovere elementare e uno strumento <strong>del</strong>l’operazione<br />

filologica” (p. 538).<br />

3 Si ve<strong>da</strong> ad esempio l’Ep. XLV dove il verbo ordinare è aggiunto solo per ottenere la causola con il cursus<br />

velox anziché con il tardus: “Eapropter Amiciciam Vestram affectuosissime deprecamur quatenus ne ulterius in suis<br />

vexetur domibus amore nostri placeat providere; et quod iidem stipendiarii ablata restituant, consumpta emendent, et<br />

<strong>da</strong>mnificata reficiant ordinare”.<br />

4 Ma si riscontrano altre combinazioni quale, ad es., trispon<strong>da</strong>icus + tardus (possitis oportuno decernere).<br />

5 LINDHOLM, Studien, pp. 140-141.

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