Senza titolo-6 - CAI Sezione di Reggio Emilia

Fondato nel 1951
Trimestrale della Sezione di Reggio Emilia del Club Alpino Italiano - Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004) n. 46 art. 1, comma 1, DCB
www.caireggioemilia.it – e-mail: caireggio@tiscali.it – Contiene I.P.
Quattro soldi di ferro vecchio
di Gino Montipò
Non apprezzavo e non denigravo
le vie ferrate; le consideravo,
in genere, utili ad avvicinarsi alle
pareti o a scendere dalle cime,
facilitando percorsi naturali già
privi di alte difficoltà alpinistiche:
un primo gradino per imparare
a salire i monti godendo delle
emozioni dell’alpinismo. Non ricordo
ci fosse un particolare dibattito
su tali percorsi; erano po-
Quarant’anni fa “nasceva” la ferrata degli alpini sulla
Pietra di Bismantova
Il tratto terminale della ferrata “appesa”.
Una ferrata
con il cuore
di
Carlo Possa
– Pag. 4 –
Trekking
in
Valmalenco
di
Giuseppina Metallo
– Pag. 4 –
La salsa
di
Querzola
di
Giacomo Borgatti
– Pag. 7 –
chi e ben inseriti. A dir il vero, il
Consiglio Centrale del CAI, sotto
la presidenza di Chabod, aveva
espresso la “sua decisa opposizione
alla ulteriore realizzazione di
qualsiasi via ferrata od attrezzata”
proprio nel luglio del 1969,
ma l’eco di tale impegnativo (e
disatteso) indirizzo non giunse in
tempo a Bismantova, dove stava
prendendo forma, del resto, una
concezione meno eroica dell’alpinismo,
promossa da una nuova
generazione di praticanti.
Interventi dedicati
alla ferrata
pubblicati nel 1971
su “L’Orsaro”
(il giornale del
Cai di Parma)
– Pag. 3 –
A caccia
di orchidee
di
Rita Capelli
– Pag. 4 –
La montagna
per
Davide Nitrosi
Intervista
a cura di
Carlo Possa
– Pag. 7 –
La successiva rincorsa alla “ferrata
più difficile delle Alpi”, equivoco
surrogato dell’arrampicata e
delle sue regole, avventura si-faper-dire
per muscoli da palestra
tra ponti tibetani (ma che
c’azzeccano?) e pareti aggettanti,
occasione di lavoro per rifugi e
guide alpine, argomento di riflessioni
ormai impotenti, dovrebbe
indurci, oggi, ad una rivisitazione
di quelle lontane posizioni che
furono spavaldamente snobbate
da tutti. Prendo atto, con manifesta
rassegnazione, che la domanda
di surrogati è cresciuta in tutti
i settori, è diventata mercato, e il
cavo d’acciaio, come il “cavallo
d’acciaio” dei film western scoperti
in chiassose sale parrocchiali, è
invincibile, perché metafora del
progresso e della conquista. E
così, da indiano che ero, ora “faccio
l’indiano” e mi attacco al cavo
(…e al tram). In ogni caso, per
non prenderla troppo alla larga,
dico che per me, allora, era impensabile
dedicare una trasferta
sulle Dolomiti ad una ferrata,
mentre era avvincente percorrere
una via normale, pur tecnicamente
facilissima, da trovare inseguendo
i camosci e le loro tracce. Ma
il Gruppo Amici di Bismantova era
un’altra cosa: c’era Alfredo Sentieri
che, avendo spessore politico
e capacità amministrative, intuiva
l’importanza, per Castelnovo
e l’Appennino, di accrescere l’offerta
turistico - escursionistica.
C’era Giorgio Agostini che, avendo
senso pratico e grande amore
per la Pietra, pur di farla apprezzare
e condividerla con mezzo
mondo, l’avrebbe anche distribuita
in scatola. Poi c’erano gli
“influenzatori”, Pietro Menozzi ed
Antonio Bernard, che ritenevano
utile un percorso attrezzato per i
corsi di alpinismo e per rendere
“completa” la Pietra.
Condivisa l’idea, si discusse del
tracciato. Giorgio (in largo anticipo
sui tempi) fece una proposta
spettacolare e assai ardita, con una
Sabato 18 giugno 2011
Festa 40° anniversario
Ferrata degli Alpini
Pietra di Bismantova
Le sezioni Cai di Castelnono Monti,
Reggio Emilia, Parma e L’A.N.A.
sezione Alpini di Reggio Emilia
organizzano i Festeggiamenti per
il 40° anniversario della costruzione
della Ferrata degli Alpini alla
Pietra di Bismantova.
Il programma sarà reperibile presso
le sedi Cai.
Vi aspettiamo numerosi!!!
Val Savarence
di
Sandra Boni
– Pag. 8 –
L’alta maremma
di
Patrizio Prampolini
– Pag. 5 –
motivazione tutt’altro che peregrina:
riteneva che il percorso dovesse
essere ben in vista dal Piazzale
Dante, sia per soddisfare la
richiesta di spettacolo di chi vi
giungeva (vedere gente sulle pareti
era ancora motivo di visita
alla Pietra), sia per rendere protagonisti
dello spettacolo i
salitori, coltivandone la vanagloria
e, dunque, il ritorno. Il tracciato
aveva anche una sua logica:
inizio a sinistra dell’attacco
degli Svizzeri, rampa d’accesso
alla forcella della Madonnina,
rampa obliqua fino alla sommità
del grande pilastro triangolare in
seguito denominato “Il Giorgione”,
proprio in onore di Giorgio
Agostini, pianoro sommitale
attraverso una vertiginosa scala.
Erano evidenti a tutti le difficoltà
tecniche da superare nell’ultimo
balzo ed anche lo stupro
della bella ed impegnativa variante
dei “Milanesi” alla via degli
Svizzeri (la si chiamava così,
allora, forse evocando la salita
dell’accademico Bordone quando
ritenne, negli anni trenta, di
aver salito la via di Carlo
Voltolini). La scelta definitiva,
però, fu maggiormente influenzata
dal racconto che fecero Antonio
e Pietro dopo la salita della
via Pincelli – Cadoppi – Brianti,
nella zona dell’Orto del Mandorlo.
Loro erano del parere che una
via così brutta, perché invasa
dalla terra e dalla vegetazione, a
parte il diedro finale, potesse essere
tranquillamente sacrificata
per costruirvi una ferrata. Inoltre,
nel gruppo prevalse l’idea di
realizzare un percorso meno
spettacolare ma più “esplorativo”,
in grado di far conoscere
zone nuove, perché, allora, raramente
ci si spingeva oltre la
via Oppio. L’Orto del Mandorlo
era frequentato solamente da
pochi cacciatori di volpi e la
Sassaia solo nella zona della pa-
Bletterbach
di
Sandra Boni
– Pag. 5 –
Ricordo di
Kurt Abert
di
Bruno Colla
– Pag. 6 –
☞ segue a pag. 2
CAMMINARE
CON LA TESTA
Meditazioni
a Bismantova
di
Carlo Possa
– Pag. 3 –
N. 1
PRIMAVERA 2011
Roberto Bagnoli lascia dopo
20 anni di gestione il “Battisti”
Intervista a cura di Alberto Montanari
Gestire un rifugio, si sa, non è facile. I rifugi sono parte integrante
della passione per i monti tanto che spesso li consideriamo al pari di
un pezzo di montagna. E proprio perché gestirli non è facile, capita
spesso che i loro gestori diventino, nel nostro immaginario, una
parte integrante del rifugio e quindi della montagna. La storia dei
monti è ricca di esempi di gestori che sono diventati un simbolo
della loro zona. Questa precisa sorte è capitata a Roberto Bagnoli: il
Rifugio Battisti ha 40 anni, ed è gestito da Roberto da ben 20 anni.
Roberto è il gestore con l’esperienza di gestione più lunga alle spalle.
Ha iniziato a gestire nella primavera del 1990, quando l’andar per
Roberto “in cammino” verso il Battisti.
monti era ben diverso rispetto ad ora. Da allora la frequentazione è
aumentata e da allora il Battisti si è definitivamente configurato quale
punto di riferimento principale per gli escursionisti, ed anche per
gli amanti delle passeggiate domenicali e della buona cucina. Roberto
Bagnoli è stato il protagonista di questa evoluzione, ha visto il
rifugio ammodernarsi ed ampliarsi ed ha costruito personalmente la
fama ed il prestigio dei quali oggi il Battisti meritatamente gode. Ed
ha personalmente e sostanzialmente contribuito a migliorarlo. Se il
Battisti è oggi un orgoglio per il nostro CAI è soprattutto merito di
Roberto, assieme ai tanti Caini e appassionati che lo hanno assistito
e che hanno aiutato il CAI a seguire le sorti del rifugio.
Sappiamo bene che ogni esperienza ha presto o tardi una fine. Roberto
Bagnoli sta ora apprestandosi a vivere una nuova avventura
professionale, intraprendendo la gestione dell’agriturismo “Terre di
Casalia” nei pressi di Paullo di Casina (www.terredicasalia.it). E, a
malincuore come lui stesso ci ha confessato, si appresta a lasciare la
gestione del Rifugio Battisti, a far data dal 1 aprile 2011 (e non è un
☞ segue a pag. 6
...I RISCHI DI UNO SPORT AFFASCINANTE
Per gli appassionati della montagna particolari ed interessanti coperture
assicurative, estese all’alpinismo con scalata di qualsiasi grado
di difficoltà, accesso ai ghiacciai, sci, sci-alpino e speleologia.
REGGIO ASSICURA s.n.c.
di Morani W., Prampolini G. e Salsi G.
Via Emilia Ospizio, 118 - R.E. - Tel. 0522.267011 - Fax 0522.267026
internet Web: www.reggioassicura.it – E.mail: info@reggioassicura.it
Sub Agenzia di Montecchio Emilia
Via Garibaldi, 31 - Montecchio - Tel. e Fax 0522.866389
Sub Agenzia di S. Ilario d’Enza
Donelli G. e Donelli M.
Via Libertà, 59 - S. Ilario d’Enza - Tel. 0522.672142 - Fax 0522.472321
Sub Agenzia di S. Polo d’Enza
Conti Alessandra
Via G. Bonetti, 10 - S. Polo d’Enza - Tel. e Fax 0522.241129
PER I TUOI WEEKEND E LE TUE VACANZE IN MONTAGNA

2
Ferro vecchio / dalla prima
lestra del CAI. La via delle rose,
aperta da Paolo Baroni e Andrea
Spaggiari proprio nel diedro di
fondo dell’Orto del Mandorlo, non
ebbe molta fortuna, per via dei
roveti che si dovevano affrontare.
Giorgio, comunque, esercitò
la propria leadership quando si
trattò di dedicare la ferrata agli
Alpini. Lui e Remo lo erano stati,
io lo sarei diventato dopo poco e
Alfredo, cerretano e partigiano,
non obiettò. Si optò, dunque, per
la Pincelli-Cadoppi-Brianti, da raggiungersi
attraverso tracce di sentiero
nel bosco alla base della lunga
parete est. Ero spesso (sempre)
alla Pietra e mi piaceva frugare
in ogni suo anfratto, così trovai
un accesso più interessante e
più a ridosso della parete, l’attuale,
che permette di scoprire alcuni
punti caratteristici con piacevole
ginnastica e con qualche
cavo metallico “introduttivo”.
Fedele scudiero di Giorgio, condivisi
con lui e con Remo Brigati
il tracciato; ed anche con qualche
amico di Castelnovo, improvvisato
scalatore, che incitavo a
salire, scendere e traversare per
quei passi che, slegati, senza cavo
e spesso con scarpe normali, non
erano affatto banali (provate…e
tenete presente che non c’erano
ancora gli appoggi scavati che ci
sono ora). Fu piacevole, in particolare,
la scoperta di quello che
chiamammo “il buco del sambuco”,
per via della pianta che vi
nasceva; pianta che mi par di ricordare
più rigogliosa allora di
adesso.
Dedico volentieri qualche riga a
questa parte di accesso alla salita
vera e propria perché, a differenza
di quest’ultima, fu veramente
emozionante la sua scoperta. Oltre
a trovare il modo di allungare
la ferrata, mi/ci piaceva l’idea di
rivelare e condividere angoli suggestivi
che, pur nella loro modestia
tecnica, speravamo potessero
testimoniare al visitatore l’ambiente
particolare della Pietra. Eravamo
contenti di aver trovato un
approccio non impegnativo, ma
ugualmente emozionante, soprattutto
per coloro che, dotati di cuore
e di passione, lo erano meno
di muscoli e coraggio. Non dimentichiamo
che, oltre quarant’anni
fa, le motivazioni e le emozioni
godevano ancora di una certa
considerazione, e non erano ancora
state sopraffatte dalle prestazioni….
Il Comune di Castelnovo, su richiesta
del GAB, erogò un contributo
di duecentomila lire nel marzo
del 1970, ed altri piccoli contributi
giunsero da altri Enti, ma il
lavoro era già stato avviato da
qualche mese, senza dare risalto
alla cosa. Lavoravamo con pudore
perché non avevamo un’idea
precisa del risultato, dei tempi di
realizzazione e, forse, anche se
non volevamo ammetterlo, temevamo
un po’ il “voto” che ci avrebbero
dato. Alfredo si procurò i
Il CUSNA
Direttore Responsabile
Iglis Baldi
Segretaria di Redazione
Sandra Boni
Redazione
Giulio Bottone
Rita Capelli
Emilia Magnani
Alberto Montanari
Gianni Riccò Panciroli
Patrizio Prampolini
Carlo Possa
Redazione
V.le dei Mille 32,
42100 Reggio Emilia
Tel. 0522 436685-435767
Proprietario
Club Alpino Italiano
Sezione di Reggio Emilia
Autorizzazione del Tribunale
di Reggio Emilia n.157
del Reg. Stampa in data 15-3-1963
L’abbonamento di 3 euro è stato
riscosso con la quota sociale.
1 numero € 0,75 (IVA compresa)
Stampa: Nuova Futurgraf
Via Soglia, 1 – Reggio Emilia
tel. 0522 301861
pioli metallici di progressione e
di ancoraggio del cavo, sfruttando
la sua frequentazione professionale
dei cantieri edili. Si fece
offrire, tagliare e piegare, i grossi
fittoni di diametro 18 centimetri;
parte dei quali ancora visibili e
utilizzati dopo la ricostruzione
della ferrata avvenuta nel 1983. Si
procurò anche la scaletta degli
ultimi metri, opportunamente
adattata per essere inserita nei due
fittoni che ancora oggi la reggono.
Quella della scaletta fu una
civetteria o, se volete, un eccesso
di provincialismo. Quei tre metri
di scala a pioli non sono certo indispensabili,
anzi, sono un’anomalia
rispetto al restante tracciato.
Però…come si fa a fare una ferrata
senza un pezzetto di scala! Pensavamo
che se le scale avevano
reso famoso il percorso delle
Bocchette, in Brenta, anche alla
Pietra dovevamo metterne almeno
una: e così abbiamo fatto, mi
pare con un buon risultato. Prima
del rifacimento la scaletta era legata
con un cavo alla quercia prospiciente
l’uscita, con il recondito
obiettivo di preservarla, assieme
al malcapitato di turno, da un
eventuale cedimento del pilastro
che la regge.
Il lavoro più sgradevole fu liberare
gran parte del tracciato dalla
terra e dagli arbusti. Il secondo
diedro verticale, quello che inizia
a 30 metri circa dalla base e che
si sale grazie ad una successione
di infissi metallici, è stato letteralmente
“scoperto” dopo aver rimosso
il canale terroso che lo celava
e un consistente strapiombo
di terra e alberelli che lo chiudeva
in alto. Si lavorò parecchio di
piccone e non fu semplice ripulire
il tratto sottostante. Cominciammo
ad inserire i primi fittoni.
Escludemmo subito l’utilizzo del
martello pneumatico a motore, già
utilizzato per piantare i grossi ancoraggi
in corrispondenza dell’uscita
delle vie più importanti e
per attrezzare le calate in doppia
dall’anfiteatro. Pesava maledettamente
e, soprattutto, non ne potevamo
disporre a piacimento.
Nessuno di noi aveva un’esperienza
specifica di ancoraggi, ne’ci
demmo il tempo di andare a chiedere
spiegazioni a coloro che avevano
già costruito vie ferrate;
usammo il principio del chiodo a
pressione. In un foro del diametro
di 18 centimetri inserivamo un
filo di ferro tenero del diametro
di ca. 3 millimetri e facevamo entrare
il fittone a colpi di mazzetta.
Se il fittone “ballava” si mettevano
due pezzi di filo di ferro.
Tutti i fori, tranne uno del quale
dirò in seguito, furono fatti a
mano, con punta da muratore e
mazzetta; ovvio, dunque, che cercassimo
di farne il minor numero
possibile. Per fare un foro occorreva
battere di buona lena da un
paio d’ore, a mezza giornata, a
seconda della durezza della roccia,
spesso seduti su di una tavoletta
di legno appesa alla corda
con un nodo bloccante. Non disponevamo
ancora delle attuali
cinture da arrampicata e così le
soste “appesi”, anche in occasione
dell’apertura di vie in artificiale,
si facevano sulla tavoletta, evitando,
per quanto possibile, di
scorticarsi le ginocchia. Diventammo
capaci e muscolosi. A testimoni
porto le tre staffe a U dell’ultimo
diedro prima della scaletta:
ancora oggi “cantano” che è
un piacere tanto bene furono infisse,
senza trapano ne’resina.
Poteva anche succedere che buona
parte del tempo fosse dedicato
a disincastrare una punta che
si era bloccata nel foro o a realizzare
appoggi che oggi, a quarant’anni
di distanza, sembrano
naturali. E’ successo che una punta
non ha più voluto saperne di
uscire dal suo foro: è ancora li,
dopo il primo cavo del tratto di
avvicinamento. Ha assolto
egregiamente il suo compito fino
a quanto, nel rifacimento della
ferrata, in quel tratto si è deciso
di stendere un pezzetto di cavo,
che in origine non c’era.
Giorgio, per alleviare le fatiche ed
accelerare i tempi di realizzazione,
decise di chiedere in prestito
un generatore d’emergenza dell’Ospedale
Sant’Anna di
Castelnovo e utilizzare il suo trapano
da elettricista per forare la
roccia. Si provvide al trasporto del
generatore, si impiantò una provvisoria
linea elettrica e, convinti
di aver trovato la soluzione a tutti
i problemi, iniziammo a forare. Lo
sgomento fu notevole quando
costatammo che il foro non procedeva
per niente, e la fatica e il
tempo impiegati erano quasi superiori
a quelli del lavoro manuale.
Capimmo anni dopo che occorreva
avere un trapano a percussione,
ma allora non ne disponevamo.
Facemmo un solo foro
con questo sistema e credo impiegammo
una mezza giornata,
l’altra mezza la impiegammo a riconsegnare
il generatore.
Costruimmo, gradualmente e senza
un gran dispiegamento di uomini
e di mezzi, la “nostra” ferrata:
un fai-da-te un po’ raffazzonato,
ma ispirato al concetto che chi
decideva di salire doveva essere
disponibile ad adattarsi alle caratteristiche
del percorso, non viceversa.
Certo eravamo facilitati dal
fatto che non c’erano regole, leg-
Costruzione della ferrata.
Intermezzo.
gi, ordinanze, licenze, pretese,
denunce, avvocati, patenti,
certificazioni, internet, facebook
ecc. ecc. Chi saliva per i monti
accettava i loro rischi e, a parte lanciare
alcune legittime imprecazioni,
non sovveniva a nessuno di
intentare cause o processi se cadeva
un sasso o si staccava un piolo.
Il percorso era facilitato, ma non
esente da quelle incognite che trasformano
la salita in una piccola
avventura; anche per questo il cavo
non era stato steso in alcuni tratti
del percorso d’avvicinamento e nei
primi metri della ferrata vera e propria.
A proposito del cavo, se notate, al
termine della rampetta iniziale del
percorso d’avvicinamento, fa ancora
bella mostra di se un mio
chiodo da roccia del tipo universale
nel quale passava, appunto, il
cavo: un Charlet Moser che a quei
tempi aveva un certo valore e che,
a quanto pare, non si è fatto “sfrattare”.
Ogni volta che vado lo tocco
(lo accarezzo) e mi sale, peccaminoso,
l’orgoglio dell’appartenenza
e del possesso.
Spero non sia grave.
La ferrata è stata inaugurata
nel giugno del 1971 in
occasione della festa provinciale
degli Alpini.
«IL CUSNA»
Una ferrata con il cuore
di Carlo Possa
Ammetto subito che le ferrate non
mi sono mai piaciute molto. Se ci
penso, forse ne ho fatta una sul
Catinaccio, almeno credo. Mi piaceva
fare le salite su ghiaccio,
oppure su roccia, meglio facili e
corte. La Ferrata degli Alpini sulla
Pietra di Bismantova, invece, mi
piaceva molto. L’ho fatta tante
volte, mi sembra anche da solo
(nel senso che tanti anni fa non
tutti stavano a usare cordini e moschettoni:
si andava su così, a ruota
libera).
Mi piaceva molto il posto. Isolato,
pieno di silenzio: un luogo
fuori mano, un po’ selvaggio, un
anfiteatro a forma di angolo, chiuso
dalla parte opposta dallo Spigolo
di Fontana Corna, dove c’era
(e forse ci sarà tuttora) la via Paolo
e Paolo. Una volta siamo andati
per farla, sicuramente c’era
Gian Paolo Montermini, siamo
saliti per un po’, poi ci siamo chiesti
se valeva la pena di arrampicare
su una roccia così friabile.
Però il posto era bello e selvatico.
Mi sono seduto ai piedi della
via e per poco non schiacciavo
una vipera.
Ma il lato opposto era proprio
bello, e la Ferrata permetteva di
salire con sicurezza un angolo
della Pietra tanto affascinante. Era
già divertente arrivarci, con il Sentiero
attrezzato che partiva dopo
il convento dei Benedettini: sembrava
un percorso di guerra, con
trincee, pertugi e specialmente
con una visuale sopra la testa che
impressionava sempre. Le pareti
di Bismantova sono belle da dovunque
le guardi, ma da sotto non
te le scordi.
Poi quatti quatti si arrivava all’Orto
dei Mandorli (che io non ho
mai visto – i mandorli – ma ci saranno
pure stati). Da qui su dritti,
tranquilli e affascinati dal vuoto e
dal paesaggio. In cima, superata
la scaletta, ti potevi sdraiare su un
prato che era una meraviglia. Lo
è tutt’ora, è un posto dove vado
sempre volentieri. Un anno su
quel prato il Cai di Castelnovo e
di Reggio avevano organizzato
una gita intersezionale. Per strafare
(giustamente) gli amici di
Castelnovo avevano portato su
anche la cucina da campo
dell’Ana. E così quelli che salivano
dalla Ferrata si trovavano in
Il Presidente degli Alpini di Reggio, Pesenti, “taglia il nastro”. (Giugno 1971).
Altimetro
Barometro grafico
Bussola
Angolo di discesa
Numero discese
Registro dati
scaricabili su pc
Orologeria Gioielleria
Moschin
Piazza Zanti, 10/a, 11/a,
42025 Cavriago (RE)
Tel. e Fax 0522 577460
mano una salsiccia calda. Fu una
gran bella festa, e tutti si divertirono.
La Ferrata degli Alpini ha anche
una storia particolare, che racconterà
Ginetto Montipò. Quando
parlo della Pietra di Bismantova
ci tengo a dire non solo che una
montagna così è unica, ma anche
che il rapporto tra pareti e alpinisti
è tutto particolare. Per fare una
ferrata, sulle altre montagne, ci
vuole una buona organizzazione,
un tot di persone che si impegnano,
casomai con l’utilizzo di alpini
o di guide alpine, e poi ci sono
gli enti locali, l’Azienda di Promozione
Turistica, il Consorzio dei
Rifugi, e perché no un piano di
marketing. La Ferrata degli Alpini
è nata alla buona, tra una mangiata
al bar di Polo e l’altra. Specialmente
è nata dai montanari,
che evidentemente e giustamente
volevano dire la loro a
Bismantova. La considero, in senso
positivo, come una marcatura
del territorio.
Perché in quegli anni (la Ferrata
è del 1971) l’alpinismo a Bismantova
sembrava più una cosa dei
Parmensi e dei Reggiani per numero
di frequentazioni, e dei Bolognesi
per vie aperte. È vero che
il “padrone” della Pietra era Giorgio
Agostini, che ne aveva affidato
la “gestione” al giovane Ginetto
Montipò, ma alla domenica a
Bismantova si sentiva poco il dialetto
montanaro. D’altra parte le
Scuole di alpinismo venivano da
Reggio e da Parma. E infatti alcuni
giovani studenti di Castelnovo
bazzicavano il Cai di Parma.
Allora, diciamolo chiaramente,
la realizzazione della Ferrata
non suscitò un grandissimo interesse
negli ambienti reggiani,
mentre L’Orsaro, il giornale del
Cai di Parma, dedicò alla Ferrata
praticamente un numero, che
ancora rimane negli annali dell’alpinismo
di Bismantova. Poi
è chiaro che anche tutti i frequentatori
reggiani di Bismantova
cominciarono ad apprezzare
la Ferrata, e in seguito diedero
una mano alla manutenzione.
Ma è indubbio che la Ferrata
nasce dalla volontà e dalla
tenacia di pochi ma tosti montanari,
con poche balle, tanta forza
nelle mani e molto intuito. E
quindi, onore al merito!

«IL CUSNA» 3
Pubblichiamo due articoli dedicati alla Ferrata degli Alpini apparsi
nel 1971 su “L’Orsaro”, il bel giornale realizzato dal Cai Parma
Grazie GAB! La battaglia di Bismantova
La gente di montagna non è mai
andata molto d’accordo con i ringraziamenti.
Non per mancanza
di senso di riconoscenza, tutt’altro:
piuttosto perché, abituata com’è
ad una semplice franchezza
maturata fra i disagi di un vivere
duro, di istinto sa cogliere immediatamente
ciò che nelle
cerimoniosità vi è di inutilmente
formale, di circonstanziale, di
predisposto dal cervello e pronunciato
con la bocca, di falsato
dalla mediazione di una testa
che pretenderebbe di organizzare
in parolone ed in frasette quello
che appartiene solo al cuore.
È una specie di fastidio per l’esteriore,
per lo studiato, per il conformistico.
Accennate un elogio od un ringraziamento
ad uno di montagna
e vi sentirete subito rispondere:
“Eeeh! come la fai lunga!”;
insistete, prolungatevi in belle
parole trascelte e gli farete il dispetto
di metterlo a disagio,
come se, circondandolo con tutte
le vostre cerimonie salottiere,
lo costringeste ad indossare un
imbarazzante completo scuro da
grande soirèe.
I ringraziamenti e gli elogi, insomma,
prima li inducono a tagliare
corto, poi li imbarazzano,
infine li indispongono.
Allora noi che cosa dobbiamo
fare? Possiamo dirlo oppure no
questo “grazie!” e questo “bravi!”
a quei castelnovesi che hanno
impegnato spontaneamente
le loro giornate di festa, dedicandole
ad un lavoro tanto faticoso
quanto poco divertente?
Sentite: sapete chi è che di solito
costruisce le ferrate? Sono in-
teri plotoni di alpini, ben equipaggiati,
ben attrezzati che si
scambiano al lavoro in turni
metodici: file di uomini-formica
che si incrociano su e giù per le
rocce, per trasportare i loro pesi
nei sacchi, per battere sui ferri,
per tendere funi, per ripulire, ed
anche per riposare: quasi un
esercito di persone che si suddividono
in piccole parti una
grande fatica, insomma.
Ma qui, alla Pietra, non è stato
affatto così: chi fosse passato per
l’Orto del Mandorlo ed avesse
alzato gli occhi verso la parete
per spiegarsi da dove e perché
provenissero quei rumori di opere
in atto, non avrebbe scorto
più di due o tre persone al lavoro,
anzi, spesso una sola. Una
sola persona appesa come un salame
ad una fune calata dall’alto,
a manovrare un perforatore
meccanico, per ore ed ore.
Contiamo i ferri infitti; per ogni
ferro un’ora e mezzo; un’ora e
mezzo con un perforatore da
Il giorno dell’inaugurazione.
Camminare
con
la testa
di
Carlo Possa
Meditazioni a Bismantova
con un grande filosofo
Tra severità monastica peregrinante e dissolutezza goliardica,
tacciata di epicureismo, una terza storia va ritrovata tra tutti coloro
che videro nel cammino un’esperienza di maturazione, un itinerario
verso l’età adulta. A essa, fra l’altro, ci ispiriamo e fu rappresentata
da color che non per fede, ne’ per spensieratezza cercavano
nelle strade quel che non si poteva dire: un più libero pensiero. La
natura, le sue meraviglie, i suoi tanti enigmi e la vita della mente
individuale costituivano i temi di una ricerca laica altrettanto severa
quanto quella monastica.
Duccio Demetrio
Qualche volta il lavoro ti da grandi soddisfazioni, o ti permette di
organizzare cose che risultano entusiasmanti.
Dovevo organizzare per un gruppo di dirigenti e operatori di cooperative
un seminario sul tema della narrazione. Chi si interessa di comunicazione,
ma non solo, sa che oggi si parla molto di “narrazione”: nella
politica, nell’associazionismo, nel mondo delle imprese, nella pubblicità
specialmente. E anche per alcune delle cooperative di cui mi occupo,
quelle che operano nel campo sociale, il tema della narrazione
è fondamentale. Per il seminario avevo un vincolo: doveva essere organizzato
all’aria aperta.
Parlare di narrazione all’aria aperta, casomai camminando, e casomai
in un bel posto dove opera una cooperativa sociale. Scegliere
l’agriturismo della cooperativa Il Ginepro, sotto la Pietra di Bismantova,
è venuto naturale. Mancava il relatore. Per chi cammina con la testa un
libro “culto” è “Filosofia del camminare” di Duccio Demetrio, filosofo,
docente di pedagogia all’Università Bicocca di Milano, autore di im-
venti chili in mano; un centinaio
di fori da fare; un centinaio di
metri di cavo d’acciaio da fissare;
decine di metri di roccia da
pulire dagli arbusti e dall’erba;
dozzine di scalini da scolpire
nella roccia; qualche quintale di
cemento da gettare; qualche
quintale di ferri da trasportare;
pochissime persone: la fatica la
si può anche misurare con le cifre.
Ed anche la passione e l’altruismo
li si possono misurare
in cifre.
Ringraziamo, quindi, gli amici
del GAB. Ringraziamoli, ma a
modo loro, che è anche il modo
di noi alpinisti.
Molto semplicemente saliamo
alla Pietra di Bismantova, sediamoci
con loro attorno ad un tavolo,
ordiniamo da bere e beviamo
in loro compagnia. Se,
poi, qualche volta, così, tanto per
stare più allegri, il fiasco in più
saremo stati noi ad offrirlo, beh,
di sicuro non ci saremo procurati
dei nemici.
20 giugno: i veci ed i bocia si
sono adunati. La parola d’ordine?
Pietra di Bismantova. Pronti
al segnale di raccolta, sono convenuti’
senza esitare ai posti di
combattimento.
C’era il colonnello, con la voce
ormai un pò tremolante, c’era il
caporale, che era quello dalla
piuma più lunga, c’era il capitano,
sempre allegro, e c’erano
molti soldati semplici.
Non è stato come sulle pietraie
del Carso o sulle nevi dell’Adamello
o nei camminamenti del
Paterno; questo no. È stato qualche
cosa di meno eroico, ma,
torse, di ugualmente epico.
Gli scoppi che si udivano non
erano quelli dei fucili, ma quelli
delle bottiglie di lambrusco, le
bombe a mano avevano lasciato
il posto ai salami, mentre il
cavatappi stava alla lampeggiante
baionetta come Sancio Panza
sta a Don Chisciotte. Eppure, an-
“Appeso”.
portanti libri, e fondatore della “Libera Università dell’autobiografia”
ad Anghiari. Un esperto di narrazione, insomma.
“Carissimo prof. Demetrio, le interessa parlare di narrazione ad un
gruppo di dirigenti cooperativi, salendo a piedi sulla Pietra di
Bismantova?” Questo era il mio messaggio e-mail. Dopo pochi istanti
arriva la risposta: “Sì, vengo, la proposta è intrigante, e Bismantova mi
attira.”
E così nel novembre scorso, con una giornata splendida nonostante le
previsioni, ci siamo trovati al Ginepro con Duccio Demetrio. Eravamo
circa una quarantina, da tutta l’Emilia-Romagna, ma anche dalla Basilicata
e dal Friuli. Più del previsto: l’idea di salire sulla Pietra di Bismantova
con Duccio Demetrio, notissimo anche nel mondo degli operatori sociali,
aveva fatto breccia anche nei più restii. Dei partecipanti al seminario
solo pochi avevano nozioni sul camminare e sulla Pietra di
Bismantova, ma erano lì già soddisfatti del paesaggio e dell’aria tonificante.
Duccio Demetrio ci parla della sua filosofia del camminare, dell’importanza
del sapersi e volersi raccontare, e della sua invenzione, l’Università
dell’autobiografia. Poi ci spiega come si svolgerà il seminario: 1) spegnete
subito i cellulari; 2) se possibile non fate fotografie; 3) saliremo
sulla Pietra di Bismantova in fila indiana e in silenzio; 4) prendete questo
taccuino e fermatevi quando volete a scrivere quello che state provando;
5) al ritorno leggeremo insieme quello che ognuno ha scritto.
Chi erano i partecipanti al seminario? Gente che guida anche imprese
di grandi dimensioni, che ha a che fare quotidianamente con relazioni,
bilanci, budget, gestione di strutture, accordi con enti pubblici, e specialmente
che vive costantemente o parlando o con l’orecchio incollato
al cellulare. Lo prenderanno sul serio questo filosofo?
Incredibilmente tutti hanno fatto quello che ha chiesto il prof. Demetrio.
Io il sentiero della Pietra l’ho salito non so quante centinaia di volte,
ma un silenzio e una atmosfera così è stata per me una sensazione mai
provata. So chi erano quei personaggi che con me passavano sotto il
Torrione Sirotti e la via Anna, e vagavano sul pianoro sommitale come
se fossero dei monaci: gente che non sta zitta neanche con le martellate,
che ha sempre un affare di cui parlare, o una circolare da contestare.
Tutti in silenzio, a riflettere e a scrivere. Qualche foto di nascosto l’ho
fatta: si vedono i miei colleghi sparsi sul bordo della Pietra, tra il Pilone
Giallo e l’uscita della Pincelli-Brianti a guardare estasiati il paesaggio, a
riflettere, a scrivere in religioso silenzio. Incredibile.
La calda atmosfera del Ginepro ci accoglie al ritorno, e leggo nei volti
dei miei colleghi molto entusiasmo e anche incredulità. Qualcuno dice
che non avrebbe mai pensato quanto importante fosse il silenzio, quanto
utile fosse pensare e riflettere con calma. Altri ripensano allo spettacolo
della Pietra. Poi l’entusiasmo aumenta davanti ad un piatto di tortelli
che al termine della battaglia di
Bismantova qualche alpino rimase
sul terreno, trafitto nelle gambe
da una bicchierata in più. E
gli sia onore: giusto onore vada
a chi si è sacrificato per la gloria
della “Ferrata degli Alpini”, accettando
la sfida all’ultimo fiasco.
Onore e gloria a chi più degli
altri si è sacrificato. Onore e gloria
vada, ad esempio, a quel battaglione
di alpini che, “impavido,
marciò risoluto verso la prima
corda fissa della ferrata, armato
di tutto punto, con le bottiglie
imbracciate e con il cavatappi
innestato e pronto all’assalto.
Caddero tutti: rimasero là,
alla base della prima rampa, uno
di -fianco all’altro, uniti nella
battaglia e affratellati nella sconfitta;
ma caddero da eroi, da valorosi
alpini, con il bicchiere in
mano, con le lunghe piume sul
cappello, con i volti di certo non
pallidi di paura, anzi rossi’ di
fervore patrio.
Ma, come è noto, si preparò la
riscossa e la vendetta. Onore e
gloria vada a chi la mise in atto
con tanto valore.
Ci si rese conto che era necessario
proteggere gli alpini dall’alto,
per poter proseguire.
A mezzogiorno il sole batteva
forte sui cervelli. Si cercavano
due volontari per l’azione speciale:
si doveva conquistare e
munire un’importante posizione:
essa era là sguarnita, sul ciglio
del burrone. Due ore dopo, il
capitano x ed il soldato y sono
già lassù, sopra la pietraia dell’Orto
del Mandorlo, che si librano
come due aquilotti in vedet-
di castagne e allo scarpazzone (che qui al Ginepro è da favola). Ognuno
legge quello che ha scritto, con i commenti di Duccio Demetrio:
non ci sono relazioni di bilancio, lettere a qualche sindaco, rapporti
per l’Ausl. Ci sono riflessioni intime, pensieri delicati, raffinatezze
stilistiche, frasi che rasentano la poesia. Anche questo stupisce: chi lo
immaginava che tra noi ci fossero colleghi che scrivono così bene, che
sanno descrivere la tenerezza o la profondità dell’ambiente, che si
raccontano agli altri senza problemi. Pare che molti vogliano ripetere
l’esperienza.
Cosa vuol dire saper camminare in silenzio e riflettere!
A due colleghi ho chiesto per Il Cusna i loro brevi scritti. Eccoli di
seguito.
Duccio Demetrio sulla Pietra. (foto Carlo Possa)
Via Emilia S. Stefano 3d
42100 Reggio Emilia
ta. Onore a loro. Onore a loro
che hanno saputa difendere i
vettovagliamenti e le armi, su su,
fino al vertice della ferrata, lungo
il sentiero riarso ed infestato
da nemici assetati di conquista.
Grazie al forte possesso di questo
importante punto strategico,
le lunghe file di alpini, provenienti
dal basso della Ferrata,
sentendosi protette dall’alto e
sapendosi confortate dalla promessa
di un sicuro bivacco ristoratore,
raddoppiano l’impeto
degli assalti e riescono, infine, a
raggiungere la vetta e, con ciò,
a completare dal basso la conquista
di tutta la Pietra.
Ecco, dunque, perchè la ferrata
si chiama “Ferra!a degli Alpini”.
Il giorno. 20 giugno 1971 gli alpini
combatterono là una dura
battaglia. Una battaglia vivace,
quasi frizzante, dura da digerire,
che lasciò i più valorosi distesi
sui prati assolati di
Bismantova e sulle pietre aride
dell’Orto del Mandorlo; una battaglia
che terminò con la conquista
della quota 1047.
Onore e gloria a chi fu presente.
IL CUSNA
È
ON-LINE
www.caireggioemilia.it
Telefono 0522 440065
Fax 0522 453997
• • •
“Finalmente a Reggio Emilia potrai trovare
le pubblicazioni dell’editoria dedicate alle montagna”

4
Inauguriamo con questo numero del Cusna un nuovo spazio
che la redazione ha aperto per articoli sul nostro ambiente
A caccia di orchidee,
ma solo con l’obiettivo
di Rita Capelli non appena un insetto si posa sul
La primavera è alle porte e non
è difficile incontrare distese fiorite
che ammantano di viola e
giallo i prati collinari e montuosi:
sono le stupende fioriture di
orchidee, che appaiono già dal
mese di marzo con una stravagante
bellezza e varietà di colori.
La loro presenza ha fatto rientrare
nella lista degli habitat di
interesse comunitario (Dir.92/43/
CEE) anche le “Formazioni erbose
secche seminaturali e facies
coperte da cespugli su substrato
calcareo (Festuco-Brometalia)”:
insomma, quei prati dove apparentemente
non c’è niente di interessante
sono diventati ambienti
protetti nell’ambito di Rete
Natura 2000 proprio grazie alle
orchidee.
In Emilia-Romagna le orchidee
sarebbero protettissime già dalla
legge regionale n. 2/77 “Provvedimenti
per la salvaguardia
della flora regionale” e successive
modifiche, quindi la loro raccolta
è vietata, senza distinzione
di specie.
Pur avendo fiori molto più piccoli
rispetto a quelli delle loro
parenti tropicali, molte crescono
in particolari spighe colorate,
quindi sono vittima dei maniaci
del mazzo di fiori rubato. Ma che
gusto c’è a portarsi a casa fiori
da guardare per pochi giorni
perché poi appassiscono? Molto
meglio un ingrandimento fotografico
che ci dona immediatamente
e per sempre tutto il mistero
di queste piante straordinarie
che racchiudono in un fiorellino
di pochi millimetri milioni
di anni di sapiente evoluzione.
Evoluzione che spesso riesce
a complicare la vita, infatti
già per nascere le orchidee hanno
bisogno di un fungo
simbionte senza il cui aiuto nessun
seme di orchidea spontanea,
privo di riserve alimentari, può
sopravvivere e germinare.
Per essere impollinate certe specie
(tutte le Ophris) devono imitare,
perfettamente, nell’odore e
nell’aspetto, la femmina di ben
precise varietà di insetti, affinché
i maschi si precipitino illusi (e
ripetutamente delusi) sui loro fiori:
in ognuno di questi frustranti
tentativi l’insetto si impiastriccia
di polline che lascerà sul fiore
successivamente visitato,
impollinandolo. Ci sono però le
eccezioni: quelle specie che, stufe
di attendere maschi di insetti
scomparsi a causa del nostro inquinamento,
hanno imparato a
impollinarsi da sole o altre che,
La nuova Commissione Tutela Ambiente Montano
È nata, finalmente, alla fine del 2010, una rinnovata
Commissione Tam all’interno della Sezione Cai
di Reggio Emilia.
Rappresentata negli ultimi anni soltanto dalla nostra
socia Rita Capelli, titolata Operatore Regionale
Tam dal 2005, ora si è allargata e comprende una
decina di importanti soci, tra cui anche il nuovo
Operatore Naturalistico-Culturale Paolo Strozzi.
Cosa fa la Commissione Tam? Semplice, si occupa
di quei problemi ambientali che minacciano
le nostre montagne, ma non solo. Ultimamente
si parla tanto del ricorso a energie rinnovabili
per limitare le emissioni di CO2 in atmosfera e
per affrancarci dal petrolio: tutti d’accordo, credo.
Ma il problema è che, dopo aver sfruttato
tutto quello che si poteva (gas, acqua, aree agricole)
in pianura, ora queste nuove energie vengono
cercate in montagna, là dove tira il vento,
ed ecco spuntare decine di progetti di impianti
eolici, o dove ci sono torrenti in grado di generare
energia idroelettrica, o dove c’è legname per
costruire impianti a biomasse, e altro ancora
loro fiore, gli sparano direttamente
in fronte una scarica di polline
(Listera ovata).
Spesso poi le orchidee si accoppiano
anche con esemplari di generi
diversi, producendo così ibridi
di ogni tipo, non sempre facili
da classificare.
Durante le nostre escursioni proviamo
a guardare bene intorno a
noi e scopriremo che le orchidee
sono più diffuse di quanto non
sembri…ma ricordiamoci che per
fiorire possono metterci anche
alcuni anni e una volta scomparse
non ritorneranno più. Accontentiamoci
dunque della loro bellezza:
fotografiamole quanto vogliamo,
ma lasciamole dove sono,
in modo che tutti le possano conoscere
e apprezzare!
(apertura di nuove cave, stoccaggio eventuale di
rifiuti radioattivi..).
Insomma cerchiamo di monitorare il territorio e
controllare le iniziative delle varie Amministrazioni
pubbliche ad ogni livello. Ci stiamo occupando poi
di altre problematiche, quali la circolazione dei
mezzi motorizzati sui sentieri, la valorizzazione delle
nostre aree protette, la tutela della flora e della fauna
montana.
La Commissione è disponibile a promuovere iniziative
di divulgazione anche nei corsi sezionali e
nei vari eventi culturali. Già giovedì 7 aprile abbiamo
invitato l’esperto botanico Villiam Morelli a
parlarci della flora del nostro appennino, cui seguirà
una uscita prevista per il 12 giugno.
Chi fosse interessato a collaborare in questa nuova
commissione o a segnalare eventuali abusi sul territorio
è pregato di informare la segreteria del Cai;
la collaborazione di tutti in questo senso è molto
importante!
Capelli Rita
(Responsabile Commissione TAM)
Trekking in Valmalenco
di Giuseppina Metallo
Lunedì 16 agosto, 16 audaci di
cui 7 uomini e 9 donne, partono
all’alba per intraprendere l’ormai
consueto trekking, diretti quest’anno
in Valmalenco, valle situata
a nord della città di Sondrio.
Sergio, l’ideatore del percorso,
guiderà ancora una volta il gruppo
curioso di scoprirne le bellezze
nelle sue caratteristiche più
varie, visto che il cammino in
quattro giorni li porterà a toccare
diverse altitudini e di conseguenza
a trovarsi immersi in ambienti
assai differenti tra loro.
Confinante con la ben nota
Valtellina, di cui ne rispecchia
cultura e tradizioni, la Valmalenco
è avamposto di confine con la
regione svizzera dell’Engadina.
Un’articolata rete di sentieri e di
rifugi, ben 27, permette di raggiungere
le baite degli alpeggi e
da qui godere di appaganti panorami
verdissimi. Per i più allenati
esiste poi l’Alta Via.
Centodieci km da percorrere in
più tappe toccando, da Torre
S.Maria, le pendici del Monte Disgrazia,
del Pizzo Bernina e del
Pizzo Scalino con la vista su grandiosi
scenari di vette perennemente
innevate che raggiungono
anche i 4000 mt., al cospetto
delle colate dei ghiacciai del Ventina,
di Scerscen e di Fellaria. Si
ha la possibilità di ammirare
laghetti glaciali come il
Lagazzuolo, il lago d’Entova, il
Palù, o i bacini artificiali delle
dighe idroelettriche di Campo
Moro e Alpe Gera. Anche per gli
alpinisti e scalatori non mancano
belle ascensioni su roccia, su
misto e su ghiaccio con i Corni
Bruciati, la parete nord del Disgrazia
e i Pizzi Roseg, Argent,
Zupò, oltre ai pizzi e ghiacciai
già citati in precedenza.
Dopo un viaggio di circa quattro
ore, raggiunto il paese di
Chiesa in Valmalenco, il pulman
inizia a salire verso l’abitato di
Chiareggio, posto a mt. 1612 e
il panorama sottostante ci mostra
da prima molteplici
terrazzamenti coltivati a vigneto.
Da queste terre vengono prodotti
alcuni importanti vini rossi
di Valtellina. La strada attraversa
gruppi di case in sasso dal
caratteristico colore grigio con
il tetto in serpentino, la pietra
che qui viene estratta in abbondanza
dalle cave che incontriamo
lungo il percorso. Il nostro
cammino ha inizio su una
forestale prima e un sentiero poi,
che senza troppa fatica, attraverso
boschi molto verdi per le
piogge frequenti, ci porta verso
la meta prevista per l’ora di pranzo:
il rifugio Porro-Gerli posto a
mt. 1960. Anche oggi, puntuale,
la pioggia arriva e ci costringe a
indossare le mantelle o aprire gli
ombrelli e continua obbligandoci
a prolungare la sosta e ad annullare
la salita e il giro intorno
al lago Pirola posto a mt. 2284.
Scendiamo, mentre il tempo migliora,
fino ad un torrente che
rumoreggia gonfio d’acqua. Siamo
qui costretti, per l’erosione del
terreno, a compiere un salto aiutandoci
a vicenda per terminare
l’attraversamento di un ponte in
legno, il primo di tanti che troveremo
e che costituiranno emozionanti
momenti per l’energia che
trasmette lo scorrere impetuoso
dell’acqua con il suo fragore, formando
gorghi, cascate esalti
spumosi. Risaliamo poi verso la
meta del nostro primo giorno, il
rifugio Tartaglione-Crispo a mt.
1800. Con piacere constatiamo
che è di nuovissima costruzione
e offre un’ottima sistemazione con
camere accoglienti e comode doc-
«IL CUSNA»
Valmalenco. Prima del Rifugio Marinelli (foto Stefano Corradi)
ce. Anche il momento della cena
si rivela una piacevole sorpresa.
Gustiamo in allegria l’ottimo cibo
e vino che ci vengono serviti,
mentre l’efficiente Burani ci impartisce
una lezione sulla migliore
tecnica di preparazione dello
zaino da trekking, mostrando tanto
di piantina dettagliata del contenuto
di ogni tasca e angolo del
suo, scatenando così le risate del
gruppo che, pur preparando il
proprio con cura, non arriva certo
a tanto! La giornata si conclude
con qualche gioco di società o
guardando le cartine del percorso
che ci attende l’indomani e che
ci porterà a quota 2450 mt. Dalla
balconata del rifugio, sotto il cielo
che si è schiarito e promette
bel tempo, in lontananza, è possibile
scorgere la minuscola sagoma
illuminata del Longoni.
Il secondo giorno ci impegna nella
tappa di avvicinamento, dal gruppo
del Monte Disgrazia a quello
del Pizzo Bernina. La visuale sullo
splendido ghiacciaio del Disgrazia,
bianchissimo e che sembra
gelato morbido in procinto di scivolare
a valle, ci accompagnerà
per tutto il tragitto offrendoci via
via una prospettiva sempre diversa.
Attraversiamo in salita boschi
il cui sottobosco è ricco di mirtilli
gustosi. Giungiamo poi ad un piccolo
borgo abbandonato di case
in pietra circondato da una moltitudine
di fiori color fuxia che fotografiamo
ammirati in ogni particolare.
In seguito all’Alpe dell’Oro,
stupendo pianoro molto
verde e panoramico, sostiamo per
il pranzo. Entriamo qui incuriositi
nell’abitazione di una signora che
accoglie i turisti di passaggio nel-
la propria casa offrendo loro il
caffè, accettando una modica offerta.
L’ambiente è caratteristico:
mobili, suppellettili, vecchi attrezzi
da lavoro e foto d’epoca
fanno bella mostra della tradizione
locale contadina. Ripartiamo,
ringraziando della cordialità, affrontando
ora un sentiero piuttosto
stretto che ci costringe a
stare in fila indiana attenti al dirupo
sottostante. Assistiamo qui
al salvataggio in elicottero di un
malcapitato escursionista con
una gamba fratturata che guardiamo
trasportare imbragato, salendo
ad un’altezza vertiginosa!!
La moglie, che non ha voluto
seguirlo, proseguirà con noi fino
ad un alpeggio chiedendo qui un
passaggio per scendere al pae-
se. Soccorriamo poi poco più
avanti, praticando una fasciatura
professionale, (uscita magicamente
dallo zaino di Burani!) un
ragazzo solo, con una caviglia
slogata visibilmente gonfia e
dolorante, che affidiamo alla
compagnia di una famiglia che
sta scendendo a valle. I due casi
ci fanno riflettere sul rischio che
può essere in agguato in ogni
momento e ci auguriamo di arrivare
tutti incolumi.
L’ultimo tratto che ci divide dal
rifugio Longoni diventa una
sassaia che ci impegnerà abbastanza.
È situato in una posizione
altamente panoramica: sulla
destra ancora il gruppo Disgrazia
e sotto di noi le due vallate
dove scorre un torrente e con i
paesi di Chiareggio e S. Giuseppe.
L’ambiente è più spartano
rispetto al precedente, solo una
teleferica lo può raggiungere per
i rifornimenti. Siamo accolti dal
gestore Elia Negrini che è anche
guida alpina. La serata abbastanza
fresca ci vede ancora riuniti a
tavola cercando il tepore della
stufa, facendo giusto qualche
capatina all’esterno. Cerchiamo
di concentrarci sulla tappa dell’indomani.
Da programma risulta
essere la più lunga e impegnativa.
Non è stata provata in
precedenza in quanto è una variante
al percorso pensato da Sergio
causa la chiusura del rifugio
Palù. Ci porteremo nel cuore del
pizzo Bernina, la vetta più alta
delle Alpi Retiche con i suoi 4049
mt., al cospetto dei circhi glaciali,
raggiungendo la Forca
☞ segue a pag. 5

«IL CUSNA» 5
Valmalenco / dal pagina 4
d’Entova (2831 mt.) e proseguendo in un percorso a saliscendi fino
al rifugio Marinelli-Bombardieri. Svegliandoci all’alba ci troviamo
come sospesi sulle nuvole che nascondono le vallate. E’ questo uno
di quei spettacoli che ti fanno sentire orgoglioso di potervi assistere.
Dopo l’ormai consueto rito delle foto di gruppo, seguendo le indicazioni
del gestore ci mettiamo in cammino. Il percorso ci riserverà
ogni tipo di terreno accidentato. Franoso in discesa; sassaie su cui
muovere passi misurati stando molto concentrati; tratti dove attaccarsi
alle rocce anche con l’aiuto di catene; nevai su varie pendenze;
l’attraversamento interminabile del Vallone di Scerscen, definito
Canyon della Valmalenco, dove si avverte l’acuta sensazione della
propria piccolezza di fronte alla vastità degli spazi che gradualmente
si aprono alla verticalità delle vette circostanti, prima dell’aspra
ascesa finale all’imponente sperone roccioso che ospita sulla sua
sommità il rifugio; incontrando solo tre escursionisti solitari in tutta
la giornata! In prossimità del lago alla Forcella d’Entova chiediamo
conferma del percorso segnato con il simbolo dell’Alta Via ad una
persona che sembra essere un locale pratico dei luoghi, il quale
sentendo la nostra destinazione, conoscendo la distanza dalla meta
e le asperità del percorso, deve aver trovato alquanto strano incontrare
un gruppo così numeroso di escursionisti, addirittura composto
in maggioranza da donne!! Le ore di cammino, dalle 5 previste,
sono diventate 10. Alcuni di noi meno allenati sono arrivati molto
provati, tutti comunque enormemente soddisfatti di trovarsi dinanzi
allo spettacolo della vista perfetta sull’intera parte italiana del gruppo
Bernina.
Lo storico rifugio Marinelli-Bombardieri è uno dei più belli per grandezza
e posizione. Ha una notevole capacità di posti (ben 210). Qui
sostano, oltre ai turisti giornalieri che salgono per ammirare da vicino
i ghiacciai, gli alpinisti che intraprendono le ascensioni guidate a
tutti i Pizzi. Nasce nel 1880 come il primo rifugio CAI sulle Alpi
Lombarde con il nome di rif. Scerscen. Lo scalatore Damiano Marinelli,
membro CAI di Firenze, fu il promotore della sua costrizione per
aprire nuove vie di scalata che fino a quel momento avvenivano
solo dal lato svizzero per mancanza di rifugi di appoggio. Nel 1881
si cimentò nella prima ascensione al Pizzo Roseg inaugurando il
canalone Marinelli. Pochi giorni dopo, il 13 agosto, morì insieme ai
compagni di cordata, lungo il canalone Dafour sul Monte Rosa. Il
suo nome venne associato, nel 1957, a quello di Luigi Bombardieri,
presidente CAI di Sondrio, che morì tragicamente cadendo con un
elicottero sul ghiacciaio di Caspoggio. Lungo il sentiero che dal rif.
Carate porta al Marinelli, presso la Bocchetta di Caspoggio, si possono
ancora vedere i rottami, lasciati sul luogo a ricordo. Dopo
un’altra notte di meritato riposo, affrontiamo la quarta e ultima giornata
del nostro trekking che ci riporterà a valle al paese di Franscia,
scendendo un dislivello di 1200 mt. La mattinata è splendida ed
iniziamo costeggiando per un breve tratto la Vedretta di Caspoggio
percorrendo ancora qualche nevaio. La discesa non sarà particolarmente
impegnativa, faremo tappa al rifugio Carate-Brianza, dove
sulla nostra destra potremo ammirare il Monte delle Forbici e per
l’ora di pranzo avremo raggiunto i rif. Mitta e Musella a mt. 2020. Da
qui il sentiero si addentrerà tra boschi e verdi vallate percorse da
limpidi ruscelli, formando un contesto molto rilassante, ma ormai si
avvicina l’ora dell’appuntamento con il pulman e non ci resta che
impegnarci sulle ultime pendenze rese oggi più insidiose anche dal
caldo afoso. All’arrivo andremo tutti a rinfrescarci nelle acque di un
torrente prima di salutare la splendida Valmalenco che ci ha regalato
questa vacanza emozionante e in buona compagnia fare rientro
nella nostra quotidianità.
Valmalenco. Rifugio Longoni. (foto Stefano Corradi)
LO SPIGOLINO
di Svasso Zigrino
• La Sottosezione “Cani Sciolti” di Cavriago organizza alcune escursioni
in collaborazione con il Gruppo “Gatti Randagi”. In caso di incidente
non chiamare il Soccorso Alpino, ma la Protezione Animale.
• Annunciato l’arrivo al Rifugio Cesare Battisti dell’ex presidente brasiliano
Lula.
• Si è costituita recentemente presso la Sede Centrale del Cai a Milano
la CO.CE.P.I.D.S.E.A.D.O.C.E.P (Commissione Centrale per l’interpretazione
delle sigle e degli acronimi degli organismi centrali e
periferici).
• Dopo la presentazione del nuovo Programma delle escursioni del
Cai grandi brindisi al Centro Sociale Buco Magico. È dovuto intervenire
il Soccorso Alvino.
• All’annuncio della ventesima escursione sulle splendide colline
albinetane il socio Fantozzi ha urlato: “Ma sono una cagata pazzesca!”
È stato sepolto vivo nella Tana della Mussina!
SCONTO 18%
SULL’EDITORIA
Touring Club Italiano
Natouralmente Srl - Via Guido da Castello, 9/b
Reggio Emilia - tel. 0522 435046 - fax 0522 441221
e-mail: info@natouralmente.it - www.natouralmente.it
L’alta Maremma toscana
di Patrizio Prampolini
Ci sono luoghi che riuniscono la bellezza di una natura selvaggia a
rilevanze storiche e archeologiche. Territori “magici” dove il camminare
presenta ad ogni angolo visioni mozzafiato, ricchezze di
documentazioni storiche e curiosità naturali. Una di queste zone èper
me- quel triangolo di terra dell’alta Maremma, che raggruppa i
centri di Pitigliano, Sorano e Sovana. Il primo paese è quello che
contiene i monumenti più rilevanti, Sorano racchiude i maggiori
spazi di natura intatta mentre Sovana, il borgo più piccolo, presenta
un centro storico tipicamente medievale (un “gioiello”) ed ha famose
necropoli etrusche.
La storia antica, con la esse maiuscola, è infatti passata da questi
luoghi e il periodo etrusco ha lasciato visibili resti; è stato comunque
l’alto medioevo a dare il maggior lustro a questi paesi, prima
con la famiglia degli Aldobrandeschi, poi col potente casato degli
Orsini (il personaggio più rilevante fu Nicolò III, valente condottiero,
al comando delle truppe dei Medici e del Re di Napoli).
A tutto ciò bisogna aggiungere che l’area, dal punto di vista geologico,
è formata da banchi di tufo e sovente troviamo profondi valloni
e orridi. L’uomo nei secoli è convissuto ed ha anche utilizzato queste
caratteristiche morfologiche: penso alle possenti mura difensive
di Pitigliano, in tufo giallo, ma anche alle “vie cave”, antiche strade
di collegamento in parte formatesi con l’ausilio dell’acqua e agenti
atmosferici, poi completate dall’uomo. In queste “vie” che hanno un
microclima umido, troviamo particolari specie vegetali, come i licheni
e le felci.
Tanti i percorsi escursionistici fattibili, anche con l’aiuto di carte
Il borgo di Pitigliano. (foto Patrizio Prampolini)
reperibili all’Ufficio Informazioni Turistiche. Ne propongo uno di
breve durata, ma interessante, che potrebbe essere preceduto dalla
visita del centro storico di Pitigliano, posto su un pianoro delimitato
da profondi burroni, che lo rendevano sicuro dagli attacchi esterni.
La passeggiata del paese dura circa un’ora e mezza e la restante
escursione meno di due ore.
Eccone l’itinerario: si parte da Piazza Becherini scendendo per la
larga scalinata che oltrepassa la porta delle mura e si prende per la
Via cava di Poggio Cane (vedi cartello), lunga 360 metri circa.
Uscitone e superato un ponte si entra nella Via cava dell’Annunziata
(quasi 400 m.), stretta e ripida, con pareti alte fino a 8 metri. In un
varco della roccia, dopo due croci incise nel tufo, troviamo un altare
cinquecentesco, ultimi resti della chiesa dell’Annunziata, che risaliva
all’ XI° secolo. Terminata la Via cava, si arriva alla contrada Valle
Morta, ricca di coltivi, che si percorre per circa un chilometro per
poi svoltare in un viottolo sulla sinistra che, in un altro km., porta
alla fontana del Mascherone. È un fontanile d’acqua potabile che ha
al centro una maschera di tufo. Proseguendo si giunge poi al burrone
del Lente, con vista spettacolare, e si entra nuovamente in una
Via cava, quella di San Giuseppe, che attraversiamo per quasi un
chilometro, tra pareti altissime e stretti passaggi. Intravediamo anche
una edicola con l’immagine di san Giuseppe, ancor oggi oggetto
di devozione. A metà di questo tratto troviamo pure, uscendo
sulla destra, una vasta necropoli etrusca e, lungo le pareti, altre
croci, incise a protezione dei viandanti. Al termine della Via si nota
sulla destra l’ultima vestigia dell’antica chiesa di Santa Croce. Poi, in
breve, si ritorna al ponte iniziale e quindi a Pitigliano.
Un itinerario ricco di continue sorprese che non deluderà. Fattibile
dalla primavera all’autunno con una normale attrezzatura da
escursionismo.
Via Cava a Pitigliano. (foto Patrizio Prampolini)
Geoparc del Bletterbach
di Sandra Boni
Il Corno Bianco, bella cima di bianco calcare che si intravede salendo
nel comprensorio Aldino-Redagno (Bz) e verso la Val di Fassa,
nasconde alla sua base un tesoro naturalistico geologico: il Geoparc
del Bletterbach.
Si tratta di un profondo ed ampio canyon scavato dal torrente
Bletterbach nel corso dei millenni che ha messo in luce i vari strati
geologici che compongono questa montagna e, come penso, le altre
del comprensorio. Non è molto noto e sinceramente non molto
pubblicizzato, percorrendo la statale si notano appena i cartelli
segnaletici che indicano semplicemente il nome senza specificare la
particolarità del luogo.
Arriviamo a Redagno con il suo classico e ordinatissimo paesaggio
atesino, la chiesetta bianca, i prati verdissimi resi ancora più luminosi
dagli alberi con i primi colori autunnali, le mucche al pascolo, le
case con i balconi pieni di fiori. Ci addentriamo nel bosco e purtroppo
le nuvole iniziano a ingrigire il cielo e il panorama è ancora
costituito da alberi ad alto fusto dai colori dorati che coprono il
fianco della montagna lasciando intravedere ogni tanto la cima del
Corno Bianco che capta e riflette la poca luce, poi il sentiero termina
e la natura mette in scena un vero e proprio spettacolo: siamo a
picco sul dirupo con il torrente che si getta nel vuoto in una cascata
di diversi metri e sotto si apre un sinuoso canyon affiancato da alte
pareti di roccia multicolore. Il letto del torrente che scorre nel canyon
è percorso da molte persone che da quassù sembrano piccole formiche.
Non c’è bisogno di parole o spiegazioni scientifiche per assorbire
il fascino e la forza di un luogo del genere.
Anche chi non è un geologo può vedere con i propri occhi le
stratificazioni formatesi in millenni di depositi marini e proiettate
verso l’alto da forze inimmaginabili che hanno compresso, corrugato
e plasmato tutto ciò che noi oggi ammiriamo. Il paziente lavoro di
un piccolo corso d’acqua, del vento e del ghiaccio hanno inciso
come una lama le pareti e ci permettono oggi di leggere la storia del
nostro passato. I colori sono tra gli interpreti principali presentando
una tavolozza che passa dal rosso al grigio in tante tonalità diverse,
per salire ed impallidire gradualmente fino a tornare il neutro bianco
del calcare e se il sole ci avesse graziato, le striature di giallo avrebbero
reso brillanti le pareti.
Percorriamo un altro pezzo di sentiero nel bosco per arrivare al
Centro Visite dove è stato allestita una piccola sala museale che
descrive le principali emergenze geologiche del luogo e le tracce di
vari reperti di piante e legni carbonizzati, i microrganismi fossilizzati,
i crostacei e cefalopodi ed anche le tracce dei diversi tipi di sauri che
nei secoli hanno abitato questi luoghi e che un occhio esperto può
rilevare sulle rocce. Dopo una breve sosta riprendiamo il cammino
in discesa fino ad arrivare alla base del canyon e a nostra volta
percorrere tutto il tratto di torrente che conduce fino ai piedi della
cascata. Se visto dall’alto è impressionante, non lo è meno visto dal
basso, si passa sui ciottoli lisciati dall’acqua che continua il suo lavoro
di erosione e si ha la possibilità di toccare con mano i vari strati
geologici vecchi di millenni e inevitabilmente la forza e il magnetismo
di questo luogo ci prende e ci fa sentire degli inutili, piccoli e
fastidiosi ospiti di un luogo davanti al quale dovremmo solo tacere e
rendere omaggio alla forza degli elementi.
Una scala ci riporta in quota e ritorniamo nel bosco per chiudere il
cerchio e tornare al paesaggio che ci è più familiare.
Cascata Torrente Bletterbach. (foto Sandra Boni)
Il Canyon. (foto Sandra Boni)
Purtroppo il sole non ci ha concesso di vedere i colori nelle loro
tonalità più intense, ma quello che abbiamo visto oggi senz’altro
rimarrà nelle nostre menti e la scatola dei ricordi si è ulteriormente
arricchita di un panorama non consueto e un po’ al di fuori dei
normali standard escursionistici. Ma sole o non sole cerchiamo di
non perdere le buone abitudini e d’incanto compare un tavolo colmo
di torte, pasticcini e vino in abbondanza (anche un po’ di acqua)
ed una rossa candela di Buon Compleanno festeggia a sorpresa uno
dei partecipanti.

6
Ricordo di Kurt Albert Settimana bianca a Dobbiaco
di Bruno Colla menti della caviglia, gli altri due
Kurt Albert è morto il 28 settembre
2010 precipitando da un altezza
di 18 metri sulla ferrata
Hohenglucksteing, che si trova vicino
a Hirschbach in territorio di
confine tra l’Austria e la Baviera.
L’alpinista tedesco non è immediatamente
deceduto al momento
della caduta, ma è sopravvissuto
due giorni per poi morire in conseguenza
delle gravissime ferite in
varie parti del corpo. Per fare la
conoscenza di Kurt Albert è necessario
sfogliare il diario della sua
attività alpinistica, solo così si ha
modo di rendersi conto delle sue
insuperate capacità. Egli esordì nel
mondo dell’alpinismo salendo la
parete Nord dell’Eiger a solo 17
anni, mostrando così un innato
talento per l’alpinismo. Negli anni
70 era solito contrassegnare la base
delle vie da lui salite completamente
in libera con la vernice rossa; in
quel tempo era ancora in voga l’arrampicata
artificiale, lui fu l’inventore
del “rotpunkt” una filosofia di
arrampicata che tendeva ad utilizzare
meno strumenti artificiali possibili,
liberando lo scalatore dagli
ausili tecnologici, questo non solo
per la progressione ma in certi casi
anche per l’assicurazione. Nel mito
Kurt Albert vi entrò nel 1989 quando
con il suo compagno di cordata
Wolfgang Gullich (oggi anche lui
scomparso), e poi Christof Stiegler
e Milan Sykora aprirono in libera
la leggendaria “Eternal Flame” sulla
Torre senza Nome di Trango
(Nameless Tower) Pilastro sud, in
Karakorum. Questa formazione
rocciosa è la più grande guglia
rocciosa del mondo, ed è alta 6251
metri. La via Eternal Flame ha uno
sviluppo totale di circa 1000 metri
pari a 22 tiri di corda di cui 8 di
VIII e uno di IX. Nella relazione si
legge che durante l’ascensione
Gullich cadde sul pendio procurandosi
una distorsione dei lega-
pesce d’aprile!). Chi ama e frequenta
abitualmente il Battisti sa
quanto significato questo cambio
della guardia assuma. Non si tratta
semplicemente di abituarsi all’assenza
di Roberto, che continuerà
a ospitare e rifocillare gli
appassionati a Paullo. Si tratta di
una vera e propria svolta storica.
Siamo andati a trovare Roberto al
Battisti per raccogliere le sue impressioni
nell’imminenza di questo
cambio epocale. Lo abbiamo
fatto volentieri e con interesse,
perché Roberto stesso ammette la
forte emozionalità di questo momento.
Non è stato facile strappargli
due minuti, perché Roberto
è intenzionato a dedicarsi assiduamente
al Battisti fino all’ultimo
giorno.
Roberto, in due parole, cosa
provi di fronte alla prospettiva
di lasciare il Battisti dopo
così tanti anni?
Lo ritengo un momento che presto
o tardi doveva arrivare, era fisiologico.
La gestione di un rifugio
come il Battisti ti richiede un
impegno molto importante e questo
te lo toglie alla tua vita privata
di tutti i giorni. Ed è per questo
che dopo tanti anni, magari dando
retta a qualche avvisaglia di
stanchezza dovuta alla non più
giovane età, credo sia giusto pas-
alpinisti (Stiegler e Sykora) si erano
già ritirati ai primi tiri, pertanto
Kurt Albert condusse da primo tutta
la scalata, completando i tiri più
ardui, ebbe la meglio sull’incontaminata
fessura del pendio cruciale
Say my name (IX-) solo dopo sei
giorni di arrampicata ininterrotta ad
una quota di oltre 5000 metri, i due
alpinisti raggiunsero la cima a 6251
metri. Gli unici ripetitori di questo
itinerario sono stati i fratelli Huber,
Thomas e Alexander, bavaresi, fortissimi.
Alexander ha scalato la
direttissima della Cima Grande di
Lavaredo, cinquecento metri di
parete assolutamente esposta da
solo, senza nessuna assicurazione,
senza corda, senza imbraco, quindi
in stile free solo. Di Albert Kurt
sono anche la via “Royal Flus” sul
Fitz Roy in Patagonia. Sull’Acopan
Tepuis in Venezuela la famosa “El
Purgatorio”. Albert ha salito vie su
pareti remote in tutto il mondo dal
Madagascar al Canada, dall’Antartide
all’Africa, fissando dei termini
di misura per gli arrampicatori più
forti del mondo.
Kurt nella vita è stato un tipo stravagante,
aveva conseguito il titolo
di insegnante di matematica e
fisica, ma la sua vocazione era l’alpinismo
vissuto fuori da ogni
schema precedente, dove alle sue
grandi capacità di arrampicatore
univa una notevole assunzione di
rischio ritenendo quest’ultimo una
componente necessaria al gioco;
Albert era solito affrontare salite
su roccia non utilizzando nessuna
protezione è celebre la sua foto
su Fight Gravity dove non assicurato
a nessuna corda è appeso ad
una sola mano.
Con la morte di Kurt Albert avvenuta
a 56 anni, il mondo dell’alpinismo
perde un pioniere, un indimenticabile
dell’arrampicata libera,
uno dei climber più forti
degli ultimi decenni.
Roberto Bagnoli / dalla prima
sare il testimone a ragazzi più giovani
e pieni di tante idee nuove.
L’andar per monti è cambiato
molto in questi 20 anni. In poche
parole, quali sono i cambiamenti
più evidenti?
Rispondendo a questa domanda
si corre il rischio di cadere nel retorico.
I cambiamenti ci sono stati
ed è evidente, ma è anche normale
e giusto che sia così. Mi sembra
di aver notato che la gente si
concentri sempre più in determinati
periodi, sia in inverno che
in estate. Mi sentirei di dire che è
cambiata leggermente la filosofia;
la gente cerca meno l’avventura
impegnativa, estrema, ma
cerca di vivere il momento di andare
in montagna come relax,
momento di piacere e di aggregazione.
Cosa ti ha dato il Battisti dal
punto di vista umano?
L’opportunità di conoscere tanta
bella gente, da persone giovanissime
a persone anziane, e questo
è stato un notevole arricchimento
dal punto di vista umano.
Quali sono le difficoltà maggiori
che hai incontrato in 20
anni?
Guarda non saprei rispondere. Se
una cosa la fai con forte passione
di Francesca Magnanini
A Dobbiaco, così come in Alta
Pusteria si racconta che le notti
che seguono il Natale sono
magiche.
Sono le “12 notti magiche” tra il
Natale e l’Epifania, sospese tra due
mondi.
Il mondo delle tenebre con le
streghe e i demoni e quello della
luce. L’oscurità domina ancora
molto sulla luce, perciò non si può
uscire la sera per non incontrare
gli spiriti della tradizione alpina.
Ma la “dea della terra” torna
sempre a incantare la natura con
una coltre di bianco silenzio. È
questo un periodo in cui la voce
interiore si lascia meglio
percepire. In particolare bisognerebbe
fare attenzione ai sogni.
Così recita la tradizione alpina. Le
12 notti sono il culmine dell’anno.
Qui l’usanza più importante è
quella delle fumigazioni. Con un
apposito braciere per l’incenso si
attraversano la casa e la stalla per
proteggere abitanti e animali da
gli spiriti cattivi. In questi giorni
si possono fare le fumigazioni che
proteggono e purificano con
incenso e mirra. È in questo
periodo, è tra queste tenebre,
questa luce, questa coltre bianca
che noi abbiamo vissuto la nostra
vacanza sciistica.
Il campanile di Dobbiaco, a
cipolla, verde pistacchio svetta nel
cielo perfettamente azzurro e,
davanti alla chiesa, presepio, corona
dell’Avvento e lampadine
natalizie ci fanno immergere
nell’atmosfera magica. Aldino e
Tiziano ci hanno organizzato,
come al solito, pur lasciandoci
liberi, giri vecchi e nuovi sulle
piste sia da fondo, che da discesa,
che da escursionismo. La neve
fresca scintilla al sole, mentre l’aria
gelida sferza il viso.
Chi fa discesa può godere del
paesaggio invernale dai punti più
non esistono difficoltà maggiori o
minori, le affronti tutte allo stesso
modo e ti assicuro che le superi
tutte.
Dopo 20 anni di gestione puoi
dire se quest’esperienza è stata
tale e quale te la eri immaginata?
Quando sono partito non immaginavo
che questa esperienza sarebbe
durata cosi tanto, anzi ti
confesso che l’idea era quella di
gestire il Battisti solo qualche
anno, due o tre. Poi invece più ci
stavo dentro e più mi piaceva e
mi appassionava e ti assicuro che
ancora oggi mi piace molto vivere
e lavorare al Battisti.
Quale consiglio daresti a chi
verrà dopo di te?
Non saprei. Dare consigli non è il
mio forte, preferisco riceverli.
Se tu potessi ringraziare solo
1 persona, chi balzerebbe alla
tua mente?
Non si fanno queste domande, sei
un criminale.... ma se proprio
devo rispondere.... dico Enrico
Sciaboni. Lui mi ha sgridato,
cicchettato e dato consigli come se
fosse un padre ed è per questo che
lo ringrazio con tutto il cuore.
In due parole, perché una persona
dovrebbe provare a gestire
il Battisti?
Nel mio caso gestire il Battisti mi
alti,sulle dolomiti di Sesto. Chi fa
fondo può entrare nel regno da
sogno dei boschi e dei laghi: verso
Cortina, in Austria, in val Fiscalina,
in val Casies, in valle Anterselva,
con velocità o con calma, con
sicurezza o con qualche caduta
nella neve soffice. Il paesaggio
invernale si distende in tutta la sua
autentica bellezza, tranquillo e
stimolante allo stesso tempo.
Lo sci di fondo ha effetti benefici
sulla salute. È uno sport di
resistenza che influisce molto
positivamente sul sistema cardiovascolare.
Ma addirittura è uno
sport di resistenza che coinvolge
tutto il corpo. Grazie al movimento
all’aria aperta, il corpo e il
suo sistema immunitario si
rafforzano. Stare nella natura,
sentirsi in forma e attivare la
capacità di resistenza dà una vera
e propria sensazione di felicità!
Ma quanti altri “massaggini del
corpo e dello spirito” nella nostra
settimana bianca...: centro benessere,
piscina, concerti, presepio
vivente, gare di pinnacolo, ottima
cucina, compere...
Il cenone di San Silvestro, una
sinfonia di raffinatezza altoatesina
con l’immancabile zampone, mi
ha fatto ricordare quanto avevo
letto precedentemente in
proposito. Da noi un tempo si
pasteggiava a polenta e “cazagay”,
ha formato e mi ha temprato le
ossa. Devo dire che quando sono
partito ero abbastanza giovane e
forse è per questo che dico queste
parole. Forse se avessi avuto qualche
anno in più sarebbe stato diverso.
Penso che sia per questo
motivo che uno dovrebbe provare
a gestire il Battisti.
Il futuro del Battisti come lo
vedi?
Direi molto bene, ci sono tutti i
presupposti affinché il Battisti possa
in futuro godere di ottima salute
e notorietà.
Il giorno più bello di gestione?
Il primo, rimane un giorno indelebile
nella mia mente. Era il 5
maggio del 1990, ero molto agitato
e forse non mi rendevo bene
conto di quello che stavo per intraprendere,
e poi di quello che
sarebbe stato effettivamente il futuro
di questi 20 anni.
E il giorno meno piacevole?
Il 31 luglio del 2007, quando alle
6.45 mi ha telefonato Becca in
rifugio per comunicarmi una
cosa drammatica, ovvero che
Cristian era scivolato giù dallo
Sperone della Brenva e non sarebbe
più stato con noi fisicamente
ma solo nel nostro cuore.
Continuerai ad andare in montagna?
Beh direi che incomincio ora ad
andare in montagna, fino ad ora
ho lavorato in montagna.
Grazie Roberto! La nostra personale
gratitudine è la stessa di tantissimi
appassionati che conserveranno
le giornate passate con te
al Battisti quali ricordi preziosi. E
a questa gratitudine si associa
quella di tutto il CAI reggiano che
grazie a te può ora contare su quel
gioiello che è il Rifugio Battisti.
Arrivederci a Casalia e… ovviamente
arrivederci anche al Battisti,
dove speriamo di rivederti
spesso… dall’altra parte della tavola
ben imbandita!
a tortellini di castagne e “torta ed
sanghev” di maiale. Il maiale
c’entra sempre. Ciliegina sulla
torta dell’ultimo giorno: a piedi dal
lago di Misurina al monte Piano,
guidati da Elio Pelli. Una distesa
di panna con vista a trecentosessanta
gradi sulle tre Cime di
Lavaredo, la Croda Rossa, il
Cristallo e tutta una serie di cime
affascinanti, solitarie, senza tempo
nella pace assoluta. Paesaggio nel
grande freddo, nell’immenso
splendore, addormentato nell’azzurro
e nello scintillio della neve.
Lo psicologo Bollea, scomparso
recentemente, affermava che era
utile portare i bambini nel bosco
ad ascoltare la natura per il loro
equilibrio psichico, perché così
diventano più buoni. Noi che
sentiamo il bisogno di uscire
all’aperto, per vivere ed
approfondire il legame con la
natura, sforziamoci di trasmettere
questo sentimento alle
generazioni future e anche di
lasciare loro...la Natura!
Guardiamo la nostra periferia, la
nostra Reggio... come ce la stanno
riducendo? Con strade, muretti,
ciclabili lungo le strade di grande
traffico; parchi e campi devastati
dalle case, c’erano prati e alberi...
Ecco un grazie affettuoso agli
organizzatori di questa bella
settimana bianca con tutti i valori
positivi che trasmette, non ultimi
quello dell’amicizia e della
condivisione.
Sulla Cima Piana. (foto Lidia Manfredini)
Roberto Bagnoli al Battisti.
«IL CUSNA»
Il Soccorso Alpino e
Coopservice
siglano un protocollo
di intesa
per la sicurezza
dell’escursionismo
in Appennino
Il Soccorso Alpino Emilia-
Romagna (Saer) e Coopservice,
uno dei principali operatori attivi
nel settore dei servizi integrati,
hanno siglato un protocollo di
intesa a salvaguardia della sicurezza
dell’escursionismo nell’Appennino
emiliano-romagnolo.
Frutto di questa collaborazione è
“Sky Walking Coopservice”,
localizzatore portatile di nuova
generazione. Il dispositivo proposto
da Coopservice, è infatti un
localizzatore portatile con GPS
dotato di accelerometro e pulsante
di emergenza, che consente il
monitoraggio e la memorizzazione
via web del percorso effettuato,
nonché l’individuazione
dell’utilizzatore in caso di necessità
dalle centrali operative
Coopservice. Il Soccorso Alpino
Emilia Romagna ha collaborato
con Coopservice nelle fasi di
sperimentazione e collaudo del
localizzatore portatile, offrendo
suggerimenti e proposte, nonché
validandone definitivamente la
piena funzionalità anche in contesti
montani “limite” (alta quota,
temperature fino a -20c°, località
fuori dai confini nazionali, ecc.).
Il protocollo di intesa sulla sicurezza
in Appennino prevede inoltre
la stretta collaborazione logistica
nelle procedure di soccorso fra le
centrali operative della Cooperativa
e le squadre del Soccorso Alpino
Emilia Romagna, a massima
garanzia delle sicurezza degli
☞ segue a pag. 7
Cambio di gestione al Battisti!
Cambio della guardia al Rifugio Battisti di Lama Lite: Roberto bagnoli
dopo oltre vent’anni di gestione dal 1° aprile ha passato il testimone
a Mascia Prodi, una ragazza di 35 anni di Viano.
A nome del Consiglio del Cai reggiano desidero ringraziare Roberto
Bagnoli per il lavoro svolto con competenza e passione, il Battisti è il
nostro “fiore all’occhiello” e se oggi gode di ottima salute il merito è
da ascrivere in buona parte a colui che l’ha gestito in tutti questi anni.
Un “vento nuovo” è arrivato sul crinale, ma crediamo che questo
vento saprà far “gonfiare” ugualmente la bandiera del Cai e dell’Italia
sul pianoro di lama Lite. Un “in bocca al lupo” a Mascia per
questo lavoro impegnativo che l’attende: la passione, il carattere e
la determinazione per fare bene non le mancano certo.
Il presidente
Iglis Baldi

«IL CUSNA» 7
La montagna per Davide Nitrosi
Intervista al caporedattore del Resto del Carlino
A cura di Carlo Possa
Davide Nitrosi è il caporedattore
del Resto del Carlino di Reggio
Emilia. È specialmente grazie a
lui che dal febbraio 2008 il suo
giornale pubblica ogni 15 giorni
una intera pagina dedicata alla
Sezione reggiana del Cai. Sia
Nitrosi che il suo giornale sono
attenti ai fatti e ai personaggi
della nostra montagna, e forse da
qui nasce questo interessamento
all’attività del Cai. Oggi siamo
noi che intervistiamo un giornalista.
Innanzitutto, come ti è nata
l’idea di realizzare una pagina
dedicata al Cai?
“È nata vedendo la mole di iniziative
che macina ogni settimana il
Club alpino. Ho pensato di dare
visibilità ad un’attività importante,
che coinvolge tantissimi reggiani,
e che ha anche bisogno di essere
sostenuta a livello di visibilità. Ma
oltre a dare spazio all’attività, con
questa pagina diamo spazio ad un
modo pulito di vivere la natura e
di valorizzare il nostro Appennino.
Il messaggio sottinteso alle iniziative
del Cai non è solo rivolto a
chi fa già parte del Cai o ne condivide
gli interessi, ma è un messaggio
che può rivolgersi a tutta la
comunità reggiana. Oltre a informare,
semina interesse per il territorio
montano”.
Rispetto ai temi della montagna,
c’è da parte tua un interesse
puramente giornalistico,
o c’è anche qualcosa di personale?
“In effetti la pagina dedicata al Cai
sopperisce ad un senso di colpa
personale: il lavoro mi tiene lontano
dalla montagna, che ho sempre
amato, e dalle escursioni. Mi
limito a leggere e titolare le iniziative
del Club alpino, riproponendo
ogni volta di partecipare a quelle
che mi attirano...”.
Conosci bene la montagna
reggiana? C’è qualche località
che ti attrae particolarmente?
“Mi affascina la fascia dell’alta
collina, in particolare la val
Tassobio, che ha mantenuto luoghi
di grande fascino, quasi selvaggio,
con boschi che si trovano
solo in alta montagna. Amo tutta
la valle dell’Enza, sia per il paesaggio,
sia per la sua storia di terra
di confine; mi piace il fascino
del crinale, dove assapori
escursionisti. Il SAER, infatti, potrà
prendere in carico le richieste di
soccorso in Appennino generate
dalla nuova tecnologia grazie a una
attività di validazione e controllo
preliminare degli allarmi effettuata
dalle centrali operative
Coopservice, di cui sono state
ottimizzate le procedure in rapporto
alle tipologie di eventi e alla relativa
collaborazione preventiva.
Sky Walking Coopservice rivoluziona
le operazioni di soccorso in
montagna. Piccolo, leggero, robusto,
consente infatti di lanciare,
attraverso un pulsante, una richiesta
immediata di soccorso alle 10
centrali operative di Coopservice
dislocate sul territorio nazionale
o di aprire un collegamento telefonico
in ricezione da qualsiasi
telefono o in uscita verso due
numeri programmati. L’allarme
può essere altresì lanciato automaticamente
grazie a un accelerometro,
qualora registri la posizione
di “uomo a terra”, “uomo
immobile” o cadute improvvise.
Sky Walking Coopservice non ha
barriere geografiche e consente di
ottenere l’esatta posizione in tempo
reale in tutto il mondo, a condizione
che l’area abbia una co-
l’Appennino più maestoso. Trovo
impareggiabile per bellezza in
primavera i Prati di Sara. E poi,
permettemi di valicare il confine,
ma è assolutamente suggestivo il
paesaggio che si ammira dalla
cima del Monte Marmagna,
nell’appennino parmense: mi è
capitato di scorgere da lassù il
mare e la sagoma di un’isola lontana.
Capraia? La Corsica?”
Due anni fa il Cai ha organizzato
un dibattito sul rapporto
tra mondo della comunicazione
e alpinismo, a fronte anche
delle paginate che spesso pubblicano
i giornali sulle disgrazie
in montagna. I pareri degli
alpinisti intervenuti non sono
stati proprio lusinghieri per i
mass media. Da giornalista,
come vedi questo rapporto?
Non pensi ci sia un eccesso di
attenzione morbosa verso gli
sport della montagna?
“Credo che per la montagna valgano
le regole della comunicazione.
Non c’è un preconcetto. Se
accade un fatto di cronaca nera
in montagna o nelle profondità
marine, è lo stesso. Diciamo che
in entrambi i casi emerge sempre
la paura dell’uomo verso la natura.
A volte si racconta il rapporto
con la natura in maniera stereotipata,
questo sì. Mi ha colpito ad
esempio dopo l’aggressione di
uno squalo nel Mar Rosso ad una
turista tedesca, leggere un’intervista
su un giornale nazionale ad
un biologo marino che spiegava
come gli squali non sono cattivi,
semplicemente fanno gli squali.
Ecco, questa relazione infantile
con la natura, questa tendenza a
spiegare e raccontare le forze naturali
con sfumature da romanzo,
se non da fiaba, è un’abitudine
del mondo della comunicazione.
Nasce anche dall’esigenza di parlare
ad un pubblico che non è
formato da specialisti, ma che
spesso cerca risposte anche per
quesiti semplici. L’attenzione sugli
sport estremi è semplicemente
legata poi al fatto che sono diventati
un fenomeno di massa,
colpiscono l’immaginario, sono
spettacolari anche per la tv. Viviamo
in un’epoca neobarocca,
dove abbiamo bisogno costantemente
di iperboli per tenere viva
l’attenzione: i mass media sono in
parte vittime e in parte strumento
di questo sentimento di massa.
Soccorso alpino / dal pagina 6
pertura gsm per la trasmissione
dei dati alla centrale operativa
(come un normale telefonino) e
copertura satellitare (cioè all’aperto).
Il protocollo è stato presentato
ufficialmente il 10 marzo nella
sede della Provincia di Reggio
Emilia. Erano presenti il vicepresidente
della Provincia Pierluigi
Saccardi, il presidente del SAER
Nicola Campani, il presidente di
Coopservice con diversi dirigenti
della cooperativa, il presidente del
Cai Reggio Emilia Iglis Baldi.
Nicola Campani ha spiegato che
“la montagna attira in ogni stagione
un numero crescente di
appassionati di escursionismo ed
alpinismo. È necessario innanzitutto
che gli appassionati, più o
meno esperti, osservino scrupolosamente
tutte le norme di cautela
e sicurezza, siano sempre informati
sugli itinerari e le difficoltà,
sulle condizioni meteo, sui rischi
valanghe e non sopravvalutino
mai le proprie forze e capacità.
Anche l’Appennino è montagna e
come tale va rispettata e non sottovalutata.
Gli strumenti per
l’emergenza sono di grande utilità
e come SAER stiamo utilizzan-
La salsa di Querzola
di Giacomo Borgatti
Presso la biblioteca “A. Panizzi”
della nostra città si conserva una
puntuale relazione riguardante la
“Salsa di Querzola” (situata nel
Comune di Viano) dell’anno 1881.
Precisamente si tratta di un “Estratto
da Rendiconti del Regio Istituto
Lombardo, Serie II, vol. XIV, fasc.
XIV, Milano, 1881”. Ne è autore lo
studioso e geologo E.T. Taramelli
il quale ci informa che, quando si
trovava a Bologna, venne a
conoscenza,dalla lettura dei giornali,
del fatto che il “vulcanetto di
fango di Regnano o di Querzola”
aveva manifestato segni di insolita
attività. Il Taramelli non aveva una
esperienza personale di questi fenomeni;
aveva soltanto letto le
descrizioni di alcuni autori concernenti
questo argomento. Egli volle,
perciò, recarsi, nella prima giornata
in cui era libero da impegni,
insieme all’amico e collega comm.
Bombicci e con il dottor Alfredo
Jona, da qualche anno professore
a Reggio, in quella località per accertarsi
personalmente della entità
del fenomeno. Era la domenica
del 17 luglio 1881.
Ho ritenuto opportuno scegliere
i passi più significativi della relazione
che ci ragguagliano adeguatamente
su quanto lo scienziato è
riuscito ad osservare.
La comunicazione fu letta al Regio
Istituto Lombardo nell’ adunanza
del 21 luglio 1881.
Queste sono le parole del relatore:
“[...] La salsa trovasi a diciotto chilometri
a sud di Reggio, presso
Scandiano verso sud-ovest, a circa
250 sul livello marino, quasi sulla
costa di un cordone di collina, che
decorre da Regnano verso
Querzola. È posta in una conca ove
ha il suo vertice una assai vasta e
poco regolare conoide argillosa,
che io penso per la massima parte
costituita dalle antiche eruzioni del
vulcanetto. Presso alla regione attiva
di questo evvi un pozzo artificiale
di acqua salata, profondo otto
metri e col diametro di 1.40.
Il terreno circostante è di argille
scagliose, dell’eocene, con taluni
strati arenacei e con quei notissi-
La redazione
de
“il Cusna”
vi augura
Buona Pasqua
do le migliori tecnologie e sperimentandone
altre. Tra queste Sky
Walking di Coopservice, un nuovo
strumento che permette di rilevare
in tempo reale a distanza la
posizione di persone in difficoltà
tracciandone il percorso e, con
l’ausilio della centrale operativa,
avere la pronta segnalazione dell’emergenza”.
Campani ha anche
illustrato l’intensa attività di soccorso
svolta dal SAER, e i costi
relativi, spiegando che l’utilizzo
diffuso di uno stru-mento di localizzazione
come Sky Walking potrà
incidere sensibilmente sui costi
sociali ed economici, dando la
possibilità di intervenire tempestivamente
e con precisione e riducendo
l’utilizzo di personale umano
e di mezzi di soccorso.
mi frammenti di interstrati
calcareo-marnosi a lustro cloritico,
i quali quando sono molto abbondanti
rendono la superficie del terreno
oltremodo caotica; come sempre,
la vegetazione è assai scarsa.
A qualche distanza fanno corona
all’ affioramento di tali argille, dei
colli più fiorenti, costituiti da molasse
e da marne del tortoniano.
Presso al piano striscia una non
larga zona di pliocene recente.
Noi trovammo il vulcanetto ancora
inquieto, ma incomparabilmente
più tranquillo in confronto alla
crisi, che esso aveva attraversato
e che ci veniva con vivaci colori
descritta dagli abitanti, nonchè
attestata dai fenomeni che ci stavano
sott’occhio. Ci assicuravano
quei del sito che allo scorcio dello
scorso mese si udirono rombi
e boati e si avvertirono scosse nel
terreno circostante alle salse, e che
nel giorno 24 giugno alla mattina,
dalla bocca principale del
vulcanetto furono scagliate tutto
all’ingiro pietre ed argilla con un
getto verticale di fango alto circa
dieci metri. Poi incominciò la
dejezione della corrente fangosa,
la quale in poche ore si spinse
alla distanza di 400 metri dalla
bocca del vulcanetto”.
L’autore aggiunge, successivamente,
altri interessanti particolari proseguendo
nella sua dettagliata
descrizione:
“Noi trovammo quella corrente
fangosa quasi completamente
essiccata, almeno alla superficie.
Al punto di partenza della accennata
corrente esistevano forse più
coni. Uno di questi, ancora superstite,
serbava appena traccie del
suo condotto ed era stato veduto
dal signor prof. Jona, nell’ anno
precedente quasi nelle stesse proporzioni.
Dalla bocca di un altro
conetto, tutto deformato ed a strapiombo,
uscivano due microscopiche
correnti di fango ai due lati,
come la bava dalla bocca sdentata
di un vecchio mastino. Però nell’area
in cui il fango era più pastoso
e più abbondantemente veniva
emesso il gas, non eravi alcuna
apparenza di cono; appunto
perchè la massa era troppo liqui-
Offerte
per il Cusna
Sono giunte in segreteria due offerte
per “Il Cusna”. Desidero ringraziare
Renzo Quagliotto residente
a Milano, una “vecchia” conoscenza
del Cai reggiano che ha
imparato i primi rudimenti
alpinistici proprio partecipando ad
uno dei primi corsi di alpinismo
organizzati da Pincelli. Da allora
ha scalato centinaia di montagne,
aprendo nuove vie e scrivendo libri.
Il suo amore per il Cusna e
per la sezione di Reggio non è
mai venuta meno.
L’altro ringraziamento è per la famiglia
di Cristian Artioli, il non
dimenticato e caro amico che ci
ha lasciati alla fine di luglio del
2007 scivolando dallo sperone
della Brenva sul Bianco. Riportiamo
una foto del 1963 che ritrae il
padre Lidio (primo a sinistra) con
alcuni amici sotto il Cervino, a dimostrazione
della grande passione
che ha, anche lui, per la montagna.
Il direttore
Iglis Baldi
IL CUSNA
È
ON-LINE
www.caireggioemilia.it
da. Era una pozzanghera ellittica,
del diametro massimo di circa due
metri, ove il fango di una finezza
impalpabile si rimoveva con mosse
assai goffe [...]. Il fango assai
plastico, dalla pozzanghera che è
svasata verso la china lentissimamente
si deversava in due piccole
correnti, che più sotto si riunivano
in un ancor molle allagamento,
dove per più bocche avveniva
una continua emissione di
gas infiammabile. Questa emissione
aveva luogo in modo assai
diverso nella pozzanghera in alto,
ove il fango era più scorrevole, e
nella porzione più bassa delle
correnti, ove il fango già cominciava
ad asciugare. Nella prima
forma vasi una tumescenza che
interessava dapprima tutta la massa,
poi riducevasi ad una callotta;
questa scoppiava e formavasi un
gocciolone che ricadeva nella formatasi
cavità e gli orli di questa
contornavano la focaccia in cui
tosto quel gocciolone si convertiva.
La superficie rapidamente si
appianava e rimaneva tranquilla
un pajo di minuti; poi ripigliava
da capo. Qua e là alcune altre
bolle o sfoghi alquanto prolungati,
che poi si chiudevano”.
Nel passo che segue lo studioso
ci informa, con dovizia di particolari,
sulla temperatura del fango,
sui getti di gas infiammabili,
sulle modalità di movimento della
corrente di fango e sulla sua
larghezza. Questo è il testo:
“La temperatura di quel fango era
di 15° centigradi, quando l’aria era
già a 30° alle nove ore del mattino.
Abbasso, nell’allagamento delle
correnti, si rimarcavano molti
conetti lilliputiani; taluni in perpetuo
brontolio pel fango che
continuamente loro ricadeva nella
strozza; altri, di fango più asciutto,
continuamente sbuffanti un
getto di gas infiammabile, che da
noi acceso ardeva con luce assai
luminosa, rossastra, visibilissima
a pieno sole. Tutto attorno al centro
della attuale attività della salsa,
era no sparsi i massi calcareo-marnosi
da essa eruttati e larghi
goccioloni appiattiti di fango.
La corrente, allontanandosi dalla
sua origine, scendeva con varia
pendenza; presentando una forte
analogia con la superficie di una
piccola corrente di lava; colle
spaccature sempre più avvicinantesi
alla direzione dell’asse, con
cavalloni sfogliantesi a guisa di
cavoli, addossati agli ostacoli, coi
lati tutti infranti e quasi scoriacei.
Un’assai minuta polvere di cloruro
di sodio ricopriva quella screpolata
superficie dove essa era completamente
asciugata. La larghezza
della corrente varia da venti a
trenta metri; lo spessore ci parve
ad occhio di dover essere in media
di un metro e mezzo.
Ignoro al presente i rapporti che
ponno esistere tra questo quasi
improvviso ridestarsi dell’attività di
questo vulcanetto e gli altri fenomeni
endogeni della penisola; altri
li potrà conoscere assai meglio
di me. Io volli soltanto che il fenomeno
fosse noto ai miei colleghi,
ricordando che per molti geologi
è tuttora aperta la questione
dell’origine degli idrocarburi; alla
emissione dei quali, ove avvenga
in terreno argilloso ed insieme ad
acqua sorgente, sono legate la esistenza
e la crisi delle salse”.
Riporto, ora, un passo in cui vengono
succintamente riferite le informazioni
attinte dal professor
Jona in occasione della visita. Cito:
Il signor prof. Jona, attinse più sicure
informazioni in seguito alla
nostra visita e mi scrisse gentilmente
una lunga lettera,della quale
qui espongo un sunto. Dal 20
al 24 giugno qualche breve scossa
di terremoto e frequenti boati
preannunciavano una crisi nell’attività
della salsa; il giorno 24 principiò
la vera eruzione da tre crateri
più bassi del principale, il
quale rimase muto. Il fango veniva
scagliato all’altezza di 8 a 10
metri, con abbondanti emissioni
di gas idrocarburi; mentre nella
regione più bassa della salsa andavano
formandosi e sformandosi
piccoli coni avventizj.
Da quel giorno fino al dì della
nostra visita, le eruzioni si replicarono
con lunghi intervalli e sempre
con minore energia. Trent’anni
sono la salsa ebbe altro periodo
di attività, e per parecchi anni gli
abitanti dei vicini paeselli la ebbero
come un barometro. Si hanno
descrizioni del Vallisnieri e
dello Spallanzani sopra eruzioni
del 1754 e 1772”.

8 «IL CUSNA»
Val Savarence
di Sandra Boni
La Vallèe seconda tappa. Quest’anno
ci spostiamo in Val
Savarenche ai piedi del Gran Paradiso,
la sola cima oltre i 4.000
interamente italiana. Siamo nella
zona di caccia privilegiata dei Signori
di Savoia e Re d’Italia ricca
di stambecchi (simbolo del parco),
camosci, marmotte e con la
presenza dell’aquila reale. Anche
quest’anno passiamo la zona di
Cogne e dei suoi tanti castelli, per
arrivare al nostro punto di partenza
per l’escursione di oggi e
cioè la salita al rifugio Chabod
(mt. 2.750).
Siamo all’Alpeggio Previeux
(1.834 m) poco prima di Pont
Valsavarenche, alla fine della valle
e da qui imbocchiamo non il
solito sentiero di montagna, ma
una strada lastricata in costante
salita con ogni pietra collocata
al posto giusto per dare l’inclinazione
più agevole e non affaticare
il passo di uomini ed animali.
I Signori Savoia non si facevano
mancare proprio nulla.
Passiamo un vecchio nucleo di
costruzioni in parte diroccate e
in parte in fase di restauro, una
costruzione ha uno strano tetto
che la fa assomigliare ad un capannone
industriale. La strada lastricata
lascia gradualmente il
posto al classico sentiero e a
poco a poco abbandoniamo le conifere
per entrare nel paesaggio
di alta quota composto di rododendri
e di un’ampia varietà di
fiori multicolori che punteggiano
gradevolmente il verde ed addolciscono
il grigio delle pietre che
sempre più invadono il paesaggio,
ovunque ci sono ruscelli e
ruscelletti che raccolgono le acque
delle innumerevoli cascate
che precipitano dai fianchi delle
montagne. Poi sarà solo roccia.
Ecco il rifugio: è situato in un anfiteatro
naturale al cospetto della imponente
parete nord-ovest del
Gran Paradiso. Spettacolo grandioso
che, come sempre, incute rispetto
ed ammirazione. Le alte cime
sono naturalmente coperte di neve
e i ghiacciai allungano le loro dita
e sembra che siano lì a portata di
mano.
Sistemate le nostre cose nella
dependance del Rifugio (come
sempre pieno di gente perché punto
privilegiato per l’ascensione sia
alla parete nord ma anche per la
via normale e per numerosi percorsi
di sci alpinismo), lentamente
imbocchiamo un sentiero alle spalle
del rifugio per salire verso la
base del ghiacciaio. Lungo il percorso
ci fermiamo mille volte per
osservare lo sempre straordinario
spettacolo dei tanti fiori ed erbe
che nonostante ci sia solo roccia,
riescono a far mostra di sé aiutati
dalla abbondanza di acqua.
Lo scenario è molto severo, composto
dalla grigia roccia della
Il Gran Paradiso. (foto Sandra Boni)
INSERTO CASACARD 2011
Per gli associati CAI di Reggio Emilia
CASACARD, edizione 2011:
NUOVE CONVENZIONI E SCONTI TUTTO L’ANNO.
UNO STRUMENTO UNICO
Casacard è la tessera sconti gratuita e personale per il mondo della
casa. Una rete selezionata e conveniente di negozi e artigiani offre
vantaggi esclusivi ai titolari.
COME UTILIZZARLA
È sufficiente mostrare la tessera (offertavi con questo numero de “Il
Cusna”) presso il punto convenzionato al momento dell’acquisto o
del preventivo di spesa.
NOTIZIE UTILI
- L’uso di Casacard è libero, non ha vincoli e si può utilizzarla illimitate
volte.
- Nel pieghevole annesso alla card trovi tutti i punti convenzionati,
divisi per categorie con i riferimenti utili e lo sconto riservato.
- I negozi, gli artigiani e le imprese sono stati selezionati per il buon
rapporto qualità-prezzo. In questa edizione inoltre, troverai nuove ed
interessanti categorie, per la vita di tutti i giorni e per il tempo libero.
- Infine da quest’anno, al raggiungimento di 10 utilizzi di Casacard,
si ha diritto ad un buono omaggio per una vacanza con pensione
completa per due persone, in una località turistica d’eccellenza.
Siamo lieti di offrire Casacard 2011 a tutti i soci del CAI di Reggio
Emilia e destinatari del periodico “Il Cusna”.
Naytes Società Cooperativa - Via Piccard, 18/w 42124 Reggio Emilia
- tel 0522/308342 - info@naytes.it
morena del ghiacciaio, ma dove
la pietra inizia a sbriciolarsi o la
roccia presenta delle fessura, il
vento ha portato i semi di tanti piccoli
fiori che stanno gradualmente
prendendo possesso di ogni anfratto
con colori delicati, ma che si
accendono sull’uniforme grigio.
L’altitudine si fa sentire, complice
anche l’alzataccia del mattino,
quindi un gruppo ritorna gradualmente
verso il Rifugio. Dopo una
buona e rinvigorente cena, imbacuccati
per il freddo che inizia a
farsi sentire, ci raggruppiamo nello
spiazzo antistante il rifugio per
godere del tramonto e dei colori
straordinari che ci regala. La cima
del Gran Paradiso si tinge di arancio,
mentre il resto del monte è
già ricoperto dalle ombre della
sera, sembra un grande faro che
voglia protrarre la luce solare oltre
il tramonto. Tutto intorno è silenzio
e pace e sarebbe un invito
alla meditazione se non fosse per
un gruppo di disgraziati (noi) che
rompe l’incanto con le proprie risate
e chiacchiericci.
La mattina ci accoglie con un magnifico
sole e una luce intensa che
rende l’anfiteatro morenico, se possibile,
ancora più bello. Una strana
riga nera segna il fianco del
Gran Paradiso, sono le tante persone
che a gruppi salgono la parete
e che da lontano sembrano
un’ordinata fila di formiche. In
parte li ritroveremo alla nostra
prossima meta e cioè il Rifugio
Vittorio Emanuele.
CLUB ALPINO
ITALIANO
DI
REGGIO EMILIA
Nel ringraziare
anticipatamente tutti i Soci
che vorranno devolvere il
5x1.000
dalla dichiarazione dei redditi
alla nostra Sezione,
indichiamo
il Codice Fiscale
da inserire che è:
800 22 910 352
Questa mattina, attraverso il sentiero
balcone sulla Valsavarenche,
effettueremo la traversata su un
percorso cosparso di parecchie
pietraie con saliscendi di circa 250
mt. sia in salita che in discesa. I
panorami sono ad ampio respiro
e ovunque ci si giri si resta incantati
da tanta maestosità. Siamo sempre
in quota a circa 2700 mt. avvolti
da una pace assoluta, fuori
dal tempo e le valli sono piccole
strisce verdi là, lontano e anche le
nostre vite private con relative gioie
e dolori sembrano distanti.
Dopo tanto camminare si arriva
finalmente al Rifugio Vittorio Emanuele
di fronte al quale si staglia il
Ciarforon (panettone ghiacciato) e
la becca di Monciair. Proprio sotto
il rifugio c’è il gelido laghetto di
Moncorvè che presenta ancora una
leggera velatura ghiacciata sulla sua
superficie, ma è un invito troppo
allettante e, uno dopo l’altro, tutti
cediamo alla tentazione di bagnare
i nostri accaldati piedi e c’è perfino
chi coraggiosamente si tuffa
per una, anche se pur breve, nuotata
nelle freddissime acque. Per
poter vedere la cima del Gran Paradiso
è necessario salire sul colle
posto sopra il rifugio e un
gruppetto parte per non perdere
questo spettacolo. Approfittando
della lunga sosta Ave mi fa scuola
di sassi, cioè mi porta su una vastissima
pietraia, che attraversiamo
in tutta la sua lunghezza, ben conoscendo
la mia avversione per
questo tipo di terreno. Qui noto
Grande successo del Concerto
di Natale con il Coro “La Baita”
Lunedì 13 dicembre presso il cinema Verdi in via Emilia Ospizio a
Reggio Emilia la nostra sezione ha organizzato il Concerto di Natale.
Ospite della serata è stato il notissimo Coro “La Baita” di Scandiano.
Numerosi i presenti che hanno ascoltato con attenzione il repertorio
del Coro; il direttore Prof. Fedele Fantuzzi ha avuto parole di elogio
e di soddisfazione per la serata, apprezzando in particolar modo la
competenza del pubblico presente. Non sono mancate le richieste
di bis e nonostante le fatiche “vocali” i componenti del Coro non
hanno voluto rinunciare alle chiamate sul palco.
Nel corso della serata sono stati anche premiati i soci Cai che hanno
raggiunto i 25 e 50 anni di anzianità. Il presidente Iglis Baldi, con
l’aiuto del vice Aldino Marmiroli e di Maria Grazia Bedogni hanno
consegnato gli ambiti riconoscimenti ai soci benemeriti. Lo stesso
presidente Baldi ha ricevuto la famosa spilla, spettante ai soci che
hanno maturato i 25 anni di iscrizione al nostro sodalizio, direttamente
da Aldino Marmiroli.
Infine Carlo Possa e la propria mamma hanno raggiunto la ragguardevole
e importante soglia dei 50 anni di iscrizione al Cai.
Arrivederci a tutti al prossimo Concerto di Natale.
Il Vice Presidente Aldino Marmiroli premia il Presidente Iglis Baldi.
che il colore della roccia è diverso,
come se minerali di ferro e
altro avessero avuto la possibilità
di tingerle di bruno, ma quello
che più mi attira sono gli improvvisi
bouquet di fiori che hanno
colonizzato queste rocce: una cascata
di rododendri sbuca da una
fessura tra due massi, un piccolo
cespuglio di fiori viola ha sfruttato
una minuscola porzione di terra
protetta dal vento, un cuscino di
fiori bianchi rende morbida la
dura pietra. Torniamo al Rifugio
per iniziare la lunga discesa fino
a valle, ora ci aspettano 1.050 mt.
di dislivello, ma è un sentiero che
scende lentamente e con il sole
caldo e la fresca brezza di montagna,
si percorrono tranquillamente
e senza problemi. La cosa
più difficile è non fermarsi continuamente
a contemplare il panorama.
Siamo di nuovo a Pont
dove ci aspetta il pullman per il
necessario rientro, ma i nostri
occhi e la nostra mente sono ancora
là sull’alta via, tra quei vasti
orizzonti e quelle cime ricoperte
di ghiaccio che ci ridimensionano,
accarezzati dall’aria fina che
rende ancora più azzurri gli alti
cieli. Sono ambienti severi, ma
imbevuti di un magnetismo che
ci costringe, ad ogni fine escursione,
a programmare e preparare
subito altri percorsi, perché non
ne siamo mai sazi e vogliamo
continuare a godere della loro
ospitalità e della loro straordinaria
bellezza.
Il Ciarforon. (foto Sandra Boni)
Lettere al direttore
Egregio direttore,
solo da poco tempo sono riuscito
ad avere fra le mani, o per
meglio dire sotto i piedi il vostro
giornale e salirvi sopra per
leggerlo; qualche umano deve
averlo portato in vetta e come
spesso accade l’ha abbandonato
con altre cianfrusaglie varie.
Intanto mi permetta di presentarmi:
mi chiamo Hypù Trallallà
e sono il capo degli gnomi
dell’Appennino Tosco-Emiliano.
Vorrei porre alla sua attenzione
alcuni problemi che ho rilevato
nello sfogliare il Cusna e più in
particolare le dimensioni dello
stesso: a noi risulta estremamente
difficoltoso, aprirlo e leggerlo,
nonché il trasporto all’interno
delle nostre dimore. In secondo
luogo non si capisce il
perché ci devono essere delle
pagine a colori e delle pagine
in bianco e nero. Comunque a
parte questi dettagli tecnici vorrei
chiederle, anche a nome del
mio popolo, di avere la possibilità
di poter usufruire di un piccolo
spazio per poter esprimere
il nostro punto di vista su alcuni
temi che ci interessano molto,
quali la montagna e l’ambiente
che la circonda. Non abbiamo
molte possibilità di avere testate
disposte a concederci spazi per
poter esternare il nostro pensiero
e proporre le nostre idee, siamo
sempre vissuti nell’ombra dei
boschi e degli anfratti rocciosi;
la timidezza e la diffidenza nei
confronti degli uomini è ancora
ben presente, crediamo però che
passo dopo passo si trovi un
modo per incontrarci e percorrere
“sentieri comuni”.
Hypù Trallallà
Gentile Signor Trallallà, la ringrazio
per averci onorato della
sua attenzione e della scelta del
nostro giornale. Lo spazio che Lei
ci chiede non costituisce un problema,
anzi è un privilegio concederglielo.
Per quanto attiene le
dimensioni del giornale faremo
del nostro meglio per accontentarLa,
avremmo però la necessità
di conoscere il suo recapito.
Il direttore
Iglis Baldi
“Tanti Saluti da...”
Potete mandare le vostre vecchie cartoline di “Saluti” a:
iglisbaldi@libero.it
Castello di ROSSENA (Reggio Emilia) alt. m. 500 s.m.