Relazione Prof. Claudio Cacciamani - Centro Studi Marangoni
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PREMESSA<br />
I RISCHI CATASTROFALI<br />
Dopo l’11 settembre 2001, si è assistito a un profondo cambiamento dello scenario<br />
assicurativo internazionale.<br />
Il presente lavoro ha come obiettivo quello di analizzare le forme innovative di<br />
copertura dei rischi catastrofali, cercando di capire i meccanismi di<br />
funzionamento di tali strumenti nonché i vantaggi e gli svantaggi che essi<br />
presentano e procurano alle imprese che decidono di ricorrere al loro utilizzo.<br />
Lo sviluppo della gestione alternativa dei rischi, intesa come sistematica<br />
identificazione, valutazione e gestione integrata dei rischi attuariali e finanziari da<br />
parte del mondo dell’impresa ha fortemente influenzato e sta influenzando “il<br />
modo di fare” assicurazione e riassicurazione. In particolare, la prima parte del<br />
lavoro è dedicata alla individuazione e descrizione delle principali tipologie di<br />
rischi catastrofali e climatici che da sempre mettono a repentaglio la stabilità e la<br />
sopravvivenza stessa delle imprese ma anche delle persone. Ci si soffermerà<br />
anche sulle problematiche che interessano la gestione di tali rischi e sulla<br />
necessità di ricorrere ad una loro adeguata copertura. Le tecniche tradizionali di<br />
finanziamento e di trasferimento dei rischi, infatti, non sono sembrate idonee per<br />
il soddisfacimento di alcune delle attuali esigenze aziendali di copertura.<br />
La seconda parte vuole, invece, mettere in evidenza le modalità con cui il<br />
comparto assicurativo e quello della riassicurazione cercano di gestire tali rischi,<br />
focalizzando poi l’attenzione sulla descrizione delle caratteristiche e delle modalità<br />
di funzionamento delle principali soluzioni Alternative Risk Transfer (ART). Tale<br />
termine è utilizzato per definire sinteticamente la gestione alternativa dei rischi,<br />
in riferimento ai metodi di finanziamento del rischio (con esclusione del mercato<br />
convenzionale di assicurazione) e alle soluzioni che mirano a potenziare l’efficacia<br />
del trasferimento del rischio.<br />
Tra le soluzioni ART, quelle che più di frequente hanno fatto registrare una<br />
crescita nel mercato sono state le soluzioni del tipo finite risk, costituzione di<br />
società captive e operazioni di securitization, cioè cartolarizzazione dei rischi<br />
assicurativi. Tutte queste operazioni si sono presentate con diverse varianti, a<br />
seconda delle esigenze alle quali dovevano rispondere, e sono state presentate da<br />
molteplici operatori con lo scopo anche di differenziarsi dalla concorrenza; si<br />
tratta generalmente di soluzioni non standardizzate.<br />
Lo strumento che sembra avere le maggiori prospettive di sviluppo nei prossimi<br />
anni è rappresentato dai cat bonds. Ciò in quanto il bisogno di assicurazione<br />
catastrofale continua a crescere. L’aumento della densità della popolazione, la<br />
crescente ricchezza e la maggiore concentrazione di valori nelle zone a rischio<br />
hanno creato, infatti, un trend a lungo termine verso sinistri da catastrofi naturali<br />
sempre più gravi. Inoltre il numero delle catastrofi naturali che hanno provocato<br />
danni per almeno un miliardo di dollari è passato da sette negli anni ’70 a nove<br />
1
negli anni ’80 ed ai trentadue negli anni ’90. Oltre tutto, il settore riassicurativo<br />
si trova regolarmente a dover far fronte a limiti di capacità per determinate<br />
esposizioni catastrofali.<br />
Il lavoro poi procede con un confronto tra le legislazioni dei vari paesi in tema di<br />
copertura dei rischi catastrofali cercando di proporre delle soluzioni che<br />
permettano anche all’Italia di colmare la distanza che la separa dagli altri paesi su<br />
questo tema di sempre maggiore attualità.<br />
Il problema principale è che in Italia non esiste una legislazione completa ed<br />
efficace in tema di catastrofi naturali e che lo Stato si è sempre mobilitato con<br />
interventi di emergenza sempre successivi all’evento, senza predisporre alcuna<br />
misura di prevenzione e protezione, con un enorme spreco di risorse finanziarie<br />
e umane. Una corretta gestione dei rischi catastrofali, infatti, può portare a un<br />
risparmio notevole di tali risorse da parte dello Stato.<br />
L’Italia ha bisogno di un sistema ben articolato in tema di rischi catastrofali che<br />
risponda alle sue caratteristiche territoriali e che sia in grado di difendere i<br />
cittadini. La soluzione migliore sarebbe una collaborazione tra pubblico e privato,<br />
un accordo tra Stato e Compagnie di Assicurazione al fine di predisporre un<br />
sistema ad assicurazione obbligatoria che fornisca le risorse finanziarie al<br />
Governo per predisporre adeguati sistemi di prevenzione.<br />
Le conseguenze degli eventi catastrofali sono subite principalmente dai cittadini e<br />
dalle aziende. I primi non godono di coperture assicurative adeguate e sono<br />
costretti ad attendere i risarcimenti da parte del Governo, le seconde, spesso, non<br />
adottano sistemi di risk management efficienti o addirittura non si occupano di<br />
studiare i rischi potenziali mettendo in grave pericolo la loro stessa<br />
sopravvivenza.<br />
In prima battuta, dovrebbero essere le Compagnie di Assicurazione a risolvere<br />
tali inefficienze avviando delle trattative con gli organi statali al fine di costituire<br />
un sistema misto di assicurazione tra pubblico e privato. Occorre,<br />
successivamente, preparare i cittadini sull’argomento, rendendoli partecipi al<br />
mondo assicurativo, ampliando la loro cultura sul tema e assegnare loro un ruolo<br />
proattivo.<br />
Infine, le compagnie devono impegnarsi per ampliare l’offerta di prodotti<br />
assicurativi alle imprese e concentrarsi maggiormente sulla consulenza, con lo<br />
scopo di soddisfare le esigenze delle imprese e instaurare rapporti duraturi con<br />
esse.<br />
1. I RISCHI CATASTROFALI: TIPOLOGIE E CARATTERISTICHE<br />
1.1 Introduzione<br />
I rischi definiti catastrofali sono riconducibili agli eventi che hanno come<br />
conseguenza quella di colpire contemporaneamente più enti o più persone.<br />
Nel valutare i rischi Property è fondamentale analizzare a fondo l’ubicazione ed il<br />
valore delle location (immobili, siti produttivi, magazzini) per poter valutare la<br />
2
concentrazione di rischio in determinate aree, con particolare attenzione<br />
all’esposizione nei confronti dei seguenti:<br />
- terremoto;<br />
- alluvione e inondazione;<br />
- terrorismo.<br />
Accanto a tali tipologie di rischio, occorre fare riferimento anche ad altri eventi,<br />
quali gli attentati di New York, che sono e rimarranno uno dei maggiori crimini<br />
contro l’umanità; l’attacco terroristico rappresenta anche la più grande sciagura<br />
che il sistema assicurativo nel suo complesso sia mai stato chiamato ad<br />
affrontare.<br />
Ha travolto equilibri e ha aperto nuovi scenari, con la rapidità e la violenza insite<br />
in un evento di tale portata. A partire dall’11 settembre, il mondo ha visto un<br />
susseguirsi di attacchi terroristici sempre più frequenti e vari, che ha portato ad<br />
una conseguente diffusione del timore in relazione alla crescita evidente delle<br />
capacità organizzative dei gruppi di terroristi. Superato lo shock, tuttavia, occorre<br />
guardare avanti e fronteggiare l’insicurezza con un atteggiamento positivo.<br />
Gli attentati hanno polverizzato tutti i record negativi: quello dell’11 settembre è<br />
stato il sinistro più disastroso di tutti i tempi.<br />
La necessità di assicurarsi, spesso scarsamente avvertita da imprese e privati, oggi<br />
è diventata particolarmente acuta e ad essa occorre rispondere in modo<br />
adeguato.<br />
L’industria assicurativa sta vivendo un periodo di forte consolidamento<br />
internazionale, favorito dalla crisi che sta attraversando, dal quale probabilmente<br />
uscirà rafforzata, forse con un numero di compagnie inferiore rispetto al passato<br />
ma sicuramente più solide e quindi maggiormente in grado di rispondere alle<br />
crescenti incertezze ed insicurezze del mondo assicurativo. Un’industria, quindi,<br />
maggiormente integrata nel sistema del Paese.<br />
1.2 Le caratteristiche dei rischi catastrofali<br />
Quando si parla di rischi catastrofali ci si riferisce a quei particolari eventi<br />
aleatori che prendono il nome di catastrofi e le cui caratteristiche base possono<br />
essere sintetizzate nelle seguenti:<br />
- una bassa frequenza<br />
- coinvolgimento di un elevato numero di persone e cose;<br />
- produzione di danni di notevole entità.<br />
Affinché il meccanismo assicurativo funzioni è fondamentale che si verifichino<br />
alcune condizioni.<br />
E’ necessario che la massa di rischi assunti e gestiti dall’impresa di assicurazione<br />
sia composta da rischi omogenei, sufficientemente numerosi e valutabili in<br />
termini di probabilità e quantificazione del danno atteso.<br />
3
Altra caratteristica importante ai fini dell’assicurabilità del rischio è la casualità: il<br />
rischio deve essere rappresentato da un evento incerto e casuale cioè non<br />
dipendente dalla volontà dell’assicurato.<br />
I rischi devono essere tra loro indipendenti: la mancanza di una correlazione<br />
positiva è infatti essenziale per evitare l’eventuale accumulazione degli stessi e<br />
garantire il meccanismo di compensazione delle perdite tra i diversi soggetti<br />
assicurati 1 .<br />
L’esempio tipico di evento che comporta un effetto di cumulo è rappresentato<br />
proprio dai rischi catastrofali e ciò perché essi coinvolgono un numero elevato di<br />
assicurati. Uno dei principi base della gestione dei rischi è infatti la<br />
diversificazione, mentre tali tipologie di rischio presentano una componente<br />
sistematica, non diversificabile. Ciò chiarisce perché in molti casi le polizze<br />
assicurative prevedono l’esclusione o comunque la limitazione della copertura per<br />
tali rischi.<br />
In campo assicurativo, i rischi catastrofali vengono divisi in due categorie: quelli<br />
provocati da forze della natura (calamità naturali quali alluvioni, tempeste,<br />
terremoti, maremoti, ecc.) e quelli che dipendono dall’uomo (catastrofi di tipo<br />
tecnico).<br />
Le dimensioni degli eventi dannosi provocati dalla prima categoria di rischi<br />
dipendono da molteplici fattori, tra i quali assumono particolare rilevanza: la<br />
furia degli elementi naturali che generano l’evento, le tecniche di costruzione<br />
degli edifici, le misure di prevenzione adottate e i fattori causali. Nel caso dei<br />
terremoti, ad esempio, l’ora in cui si verifica l’evento è di notevole importanza, in<br />
quanto incide sul numero delle vittime.<br />
Le catastrofi tecniche o man made, invece, riguardano eventi ricollegabili<br />
direttamente all’attività dell’uomo. Sulla base dell’evento che le genera, esse<br />
possono essere classificate in:<br />
- grandi incendi;<br />
- danni alla navigazione;<br />
- incendio in miniere e pozzi;<br />
- crolli<br />
- sommosse e attacchi terroristici.<br />
Le caratteristiche dei rischi catastrofali dovrebbero di fatto scoraggiare le<br />
compagnie di assicurazione dall’assumerli. Nella pratica, invece, questi rischi sono<br />
accettati dalle compagnie di maggiore dimensione, ma vengono gestiti con una<br />
logica di ripartizione che tende ad interessare tutto il mercato riassicurativo e, in<br />
modo crescente, anche il mercato dei capitali. In passato l’assicurazione di eventi<br />
catastrofali era impraticabile, vista l’estrema aleatorietà, la dimensione del danno<br />
e la stretta interdipendenza tra i sinistri: infatti, un evento catastrofale colpisce<br />
un’intera area geografica, danneggia ogni cosa e avviene così casualmente che la<br />
previsione è spesso impossibile.<br />
1 Fausto Marchionni, L’impresa assicurativa: fabbrica, finanza e ruolo sociale; Il sole-24 ore, 2006, p. 38.<br />
4
E’ opportuno mettere in evidenza la presenza di determinate differenze esistenti<br />
tra catastrofi man made e catastrofi naturali: mentre queste ultime interessano<br />
contemporaneamente più rami e più contratti, quelle causate dall’uomo<br />
colpiscono un unico oggetto assicurato di grande entità, che si trova in un luogo<br />
circoscritto e coinvolgono, di norma, un numero limitato di contratti 2 .<br />
I rischi catastrofali di origine naturale si differenziano notevolmente anche dai<br />
rischi convenzionali, sia in relazione all’importanza, sia alla frequenza del rischio.<br />
Sulla base dell’importanza va rilevato che, mentre il verificarsi di un rischio<br />
convenzionale può colpire una o più unità assicurate, le catastrofi causate dalla<br />
forza della natura possono colpire in modo più o meno rilevante numerosissimi<br />
rischi individuali e, al limite, la totalità del portafoglio di assicurazione.<br />
Per quanto riguarda, invece, la frequenza, va rilevato che, risulta molto bassa nei<br />
rischi convenzionali per la singola unità assicurata e raggiunge livelli più alti e<br />
adeguatamente equilibrati a livello dell’intero portafoglio di un’impresa<br />
assicurativa, mentre, per i rischi naturali, è solitamente più bassa sia in<br />
riferimento al singolo rischio, sia con riferimento all’intero portafoglio 3 .<br />
Le caratteristiche sopraelencate mostrano notevoli implicazioni sia nella<br />
valutazione dei rischi, sia nella determinazione dei premi. Mentre la valutazione<br />
dei premi sui rischi convenzionali si basa sulle statistiche dei sinistri, nel caso dei<br />
rischi catastrofali causati da fenomeni naturali i dati statistici non sono ancora<br />
attendibili. Per queste tipologie di rischi, infatti non vale la legge dei grandi<br />
numeri, secondo la quale all’aumentare del numero di unità assicurate migliora<br />
l’equilibrio del portafoglio, e questo perché, sovente, nell’area colpita dallo stesso<br />
evento catastrofale, la dimensione dei sinistri tende ad aumentare<br />
progressivamente al crescere del numero di rischi assicurati.<br />
I rischi catastrofali, sia naturali che causati dall’uomo, oltre a presentare notevoli<br />
difficoltà nella loro stima preventiva, presentano problematiche piuttosto marcate<br />
nella loro quantificazione monetaria dopo il verificarsi dell’evento: il calcolo delle<br />
perdite economiche risulta frequentemente distorto in quanto alcuni fattori<br />
vengono ripetutamente considerati nel calcolo ed è proprio per questo che spesso<br />
le quantificazioni risultano lunghe e controverse.<br />
Nel momento in cui si considerano gli effetti, inoltre, si deve tener conto<br />
dell’impatto che l’evento catastrofale può produrre non solo nell’immediato, come<br />
il danneggiamento delle infrastrutture sia civili che industriali, ma anche nel<br />
lungo periodo, a livello di produzione potenziale, sull’economia del paese, sul<br />
mercato dei capitali interno ed esterno, sul commercio estero e sul rischio paese.<br />
L’impatto più marcato si registra soprattutto a livello di economia domestica: le<br />
catastrofi producono, infatti, una deviazione delle risorse finanziarie da<br />
destinazioni specifiche a processi di ricostruzione comportando quindi la<br />
riduzione delle risorse finanziarie volte alla realizzazione di progetti che<br />
avrebbero potuto favorire lo sviluppo territoriale di un determinato contesto<br />
ambientale.<br />
2 Stefano Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 2.<br />
3 Stefano Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 3.<br />
5
L’impatto dell’evento catastrofale sul mercato dei capitali può essere molto forte,<br />
in modo particolare per quelle economie aperte ma comunque non abbastanza<br />
grandi da riuscire ad assorbire le grosse perdite generate da tali eventi.<br />
Gli eventi catastrofali hanno impatti anche sulla bilancia commerciale, infatti, il<br />
danneggiamento delle strutture produttive interne fa crescere la domanda di<br />
importazione.<br />
Non bisogna scordare, infine, che essi hanno un impatto caratteristico che si<br />
presenta nel lungo periodo: in seguito alle ricostruzioni, l’economia cresce<br />
rapidamente, ma successivamente si arresta per scontare gli effetti di una crescita<br />
definibile comunque “forzata”, con tutte le conseguenze che ne derivano 4 .<br />
1.3 La previsione e la valutazione dei principali rischi catastrofali: i modelli<br />
utilizzati dalle compagnie di assicurazione<br />
Le informazioni necessarie per gestire un portafoglio di rischi catastrofali sono<br />
molto più ampie di quelle richieste per gestire un portafoglio di rischi<br />
convenzionali.<br />
Per determinare, con riferimento ad uno specifico scenario, il sinistro<br />
ragionevolmente prevedibile (SPR) o il sinistro massimo probabile (SMP) di un<br />
rischio catastrofale causato da forze naturali, oltre al numero di sinistri e al<br />
danno medio, occorre conoscere altri elementi, quali i valori esposti al rischio, la<br />
natura del rischio, la particolare esposizione al rischio e l’importo totale dei valori<br />
assicurati.<br />
Nel caso di rischi convenzionali è possibile stimare, in maniera quasi precisa, lo<br />
SRP e lo SMP. Nel caso di rischi catastrofali, invece, le stime si presentano<br />
problematiche perché non si dispone di scenari di sinistri accuratamente<br />
strutturati 5 .<br />
Si passano ora in rassegna le modalità di gestione e le peculiarità di alcune<br />
tipologie di rischi catastrofali.<br />
Il rischio tempeste<br />
La classificazione degli eventi viene effettuata sulla base di parametri sia<br />
qualitativi sia quantitativi come, ad esempio, la potenza del vento, l’ampiezza<br />
dell’occhio del ciclone, la quantità di danni stabiliti, ecc., che vengono determinati<br />
dalle varie compagnie d’assicurazione.<br />
I cicloni tropicali, in modo particolare gli uragani, presentano caratteristiche<br />
relativamente uniformi: nascono generalmente in acque tropicali e, per effetto di<br />
specifiche combinazioni atmosferiche, crescono e si muovono con sempre<br />
maggiore potenza. Le misure della pressione atmosferica e della velocità del vento<br />
permettono di definire in modo abbastanza preciso l’entità dell’evento.<br />
4 Stefano Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 4.<br />
5 Luigi Selleri, I rischi catastrofali e ambientali: principi di valutazione e strumenti di gestione; Guerini e<br />
Associati, 1996, p. 39.<br />
6
Un altro fenomeno da considerare è rappresentato dalle tempeste invernali, che<br />
colpiscono soprattutto il continente europeo, con la stessa intensità dei cicloni:<br />
quando questi vortici raggiungono una certa forza si creano le tempeste 6 .<br />
Tra le maggiori tempeste si ricordano sicuramente Lothar e Martin che si sono<br />
susseguite nel dicembre del 1999, provocando notevoli perdite e in termini di vite<br />
umane e in termini di danni alle proprietà.<br />
I tornado si verificano in molte parti del mondo, incluse Australia, Europa, Africa,<br />
Asia e Sud America, ma sono molto più frequenti nella parte centrale del Nord<br />
America: sono frequenti in questa zona in quanto le montagne ad ovest e il Golfo<br />
del Messico a sud producono correnti di aria secca e calda che determinano il<br />
fenomeno in questione 7 .<br />
Le dimensioni dei danni provocati da un tornado sono solitamente più moderate<br />
rispetto a quelli provocati da un terremoto o da un uragano ma, come questi due<br />
fenomeni, racchiudono un forte potenziale di perdita ed è questo il motivo per<br />
cui le compagnie assicurative, nello stipulare le polizze, devono considerare alcuni<br />
elementi come la frequenza, la gravità del fenomeno e l’effetto climatico<br />
sull’attività del tornado.<br />
Va tenuto conto, inoltre, che spesso la concentrazione di oggetti e di persone in<br />
un luogo colpito da un tornado provoca perdite superiori rispetto a quelle<br />
provocate da un terremoto.<br />
La quantificazione dei danni per tutte queste tipologie di catastrofi naturali<br />
risulta, quindi, molto complessa in quanto non possono essere rilevati nella loro<br />
totalità. Mancano, inoltre, elementi di valutazione quali la magnitudo e l’intensità,<br />
mentre la stessa velocità del vento è un elemento impreciso perché l’ammontare<br />
dei danni dipende da molteplici fattori: si pensi ad esempio all’intensità delle<br />
raffiche, alla direzione del vento, alla temperatura dell’aria, all’estensione<br />
geografica e alla topografia.<br />
Alla luce di queste considerazioni, la determinazione del SRP per i rischi<br />
catastrofali derivanti da tempesta e da tutte le altre tipologie di eventi negativi ad<br />
essa connessi risulta particolarmente complicata. Le imprese, di conseguenza, si<br />
limitano a creare scenari virtuali che presentano discreti successi nella<br />
determinazione dei sinistri 8 .<br />
Il rischio terremoto<br />
Gli elementi incerti relativi a un terremoto sono principalmente tre: il tempo<br />
esatto, la localizzazione e l’intensità del sisma 9 . Anche se oggi la capacità di<br />
prevedere nel breve termine un evento sismico è migliorata notevolmente grazie<br />
allo sviluppo di modelli, come quello della tettonica a zolle, alle migliori<br />
conoscenze delle condizioni geografiche locali e a metodi statistici dettagliati che<br />
6<br />
Luigi Selleri, I rischi catastrofali e ambientali: principi di valutazione e strumenti di gestione; Guerini e<br />
Associati, 1996, p. 51.<br />
7<br />
Stefano Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 18.<br />
8<br />
Stefano Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 19.<br />
9<br />
Stefano Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 15.<br />
7
endono possibile la determinazione di particolari effetti sismici su ogni zona del<br />
pianeta, gli eventi sismici restano ancora difficilmente prevedibili.<br />
La misurazione dell’esposizione al rischio avviene attraverso due metodi:<br />
- nel primo caso, si procede con la determinazione del numero di sismi<br />
osservati, ordinati per gradi d’intensità, durante un dato periodo<br />
considerato. Successivamente, si procede alla divisione della durata del<br />
periodo per il numero di eventi osservati e si determina il periodo di<br />
ricorrenza dell’intensità corrispondente;<br />
- nel secondo caso, all’interno di una certa zona, o di una certa area, si<br />
determina il numero d’eventi per classi di magnitudo 10 .<br />
Entrambi i metodi presentano vantaggi e limiti: i dati delle intensità, ottenuti con<br />
il primo metodo, spesso sono imprecisi perché si fondano unicamente su<br />
osservazioni o stime e registrazioni che spesso sono incomplete. Per contro, le<br />
misure delle magnitudo, ottenute con il secondo metodo, sono riferite a un<br />
periodo di tempo breve.<br />
Le condizioni geo-fisiche, come le irregolarità di superficie tra le rocce e le<br />
differenti composizioni chimiche delle stesse, nella realtà, rendono difficile e<br />
problematica l’effettiva capacità di prevedere l’accadimento di un evento sismico.<br />
Questo è il motivo per cui il tradizionale approccio in sismologia è un modello di<br />
ricorrenza degli eventi sismici visto come un processo causale, nel quale la<br />
probabilità di un evento futuro non è influenzata né dalla localizzazione né dal<br />
momento in cui si verifica l’evento; tale modello, definito modello Poisson, è<br />
facilmente applicabile per valutare l’attività sismica, in modo particolare per<br />
fenomeni di piccola magnitudo. Per eventi più complessi, esso si è dimostrato<br />
tuttavia inadeguato, in quanto gli eventi sismici sono collegati l’uno all’altro e per<br />
il loro studio, si rende necessario un modello time-dependent che, al contrario del<br />
modello precedente, tiene conto delle caratteristiche geo-fisiche di una data faglia<br />
e dell’intervallo di tempo trascorso dall’ultimo evento registrato su uno specifico<br />
segmento della stessa. La probabilità dell’evento cresce con l’intervallo fino al<br />
verificarsi dell’evento successivo: questo modello, quindi, consente di determinare<br />
con maggiore precisione la probabilità dell’evento perché associa ai dati relativi<br />
alla storia sismica quelli riferiti alle proprietà geo-fisiche di una determinata<br />
faglia, permettendo così anche di risalire all’individuazione delle zone delle faglie<br />
in cui è più probabile che si verifichino eventi sismici.<br />
Lo strumento più adeguato per valutare, invece, la vulnerabilità rispetto ai sinistri<br />
è il grado medio di danno, che rappresenta l’ammontare dei danni espresso in<br />
percentuale del valore dell’oggetto colpito quale, ad esempio, un immobile. Ogni<br />
costruzione, inizialmente classificata sulla base della categoria, viene nuovamente<br />
catalogata sulla base dei danni medi e dell’intensità del sisma 11 .<br />
10 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 16.<br />
11 Luigi Selleri, I rischi catastrofali e ambientali: principi di valutazione e strumenti di gestione; Guerini e<br />
Associati, 1996, p. 47.<br />
8
Uno degli elementi da tenere in considerazione nella gestione del rischio<br />
terremoto è la conoscenza precisa dei valori assicurati e la loro distribuzione<br />
geografica: il tasso espressivo dello SRP, anche se correttamente stimato, non ha<br />
alcuna utilità se l’importo del valore assicurato al quale va riferito non è<br />
correttamente determinato. La distribuzione geografica dei valori incide, invece,<br />
sul livello del sinistro massimo probabile (SMP). Se il portafoglio totale di<br />
un’impresa di assicurazioni è concentrato su un’area limitata, teoricamente può<br />
essere interessato nel corso dello stesso evento dalla medesima intensità sismica.<br />
Infine, è opportuno evidenziare quali sono i fattori che incidono sull’ampiezza del<br />
danno. Essi sono, ovviamente, legati all’estensione e alla tipologia di copertura<br />
fornita e possono essere riconducibili a:<br />
- il rischio assicurato, in quanto il caso della polizza che copre solo i danni<br />
provocati dalle scosse è diverso dal caso di inclusione del rischio incendio<br />
a seguito del terremoto;<br />
- la franchigia, che trasferisce parte del rischio all’assicurato e consente<br />
all’assicuratore di ridurre in maniera efficace i costi di gestione;<br />
- la coassicurazione, che consiste nella ripartizione di un medesimo rischio<br />
tra più compagnie;<br />
- il limite per evento, che è un mezzo efficace per evitare le insicurezze<br />
riguardanti la valutazione del SRP o SMP;<br />
- il limite della garanzia, quando solleva l’assicuratore dal pagamento di<br />
grandi sinistri 12 .<br />
Il rischio inondazioni<br />
Il rischio inondazioni può essere valutato facendo riferimento allo stesso modello<br />
utilizzato per la determinazione del rischio terremoto. Ci sono però alcuni<br />
ostacoli che possono essere sintetizzati nei seguenti punti:<br />
- con riferimento all’esposizione al rischio, si deve sottolineare che le cause<br />
delle inondazioni possono essere molto diverse. Inoltre, negli ultimi anni il clima<br />
è cambiato anche per effetto dell’intervento dell’uomo;<br />
- dal punto di vista della determinazione della vulnerabilità dei danni, questa<br />
comporta notevoli sforzi sia in termini di costi sia in termini di lavoro. Ogni<br />
fabbricato dovrebbe essere classificato sulla base della costruzione e della<br />
destinazione, del suo contenuto, della sua localizzazione, ecc.;<br />
- essendo solitamente una tipologia assicurativa non obbligatoria, può<br />
sorgere facilmente il problema dell’antiselezione, con pesanti ripercussioni sia a<br />
livello di premi che sul potenziale di sinistri catastrofici;<br />
- per poter conoscere la distribuzione dei valori, sorge la necessità di una<br />
raccolta analitica delle informazioni riguardanti il portafoglio assicurato 13 .<br />
12 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 17.<br />
13 Luigi Selleri, I rischi catastrofali e ambientali: principi di valutazione e strumenti di gestione; Guerini e<br />
Associati, 1996, p. 58.<br />
9
Il rischio Tsunami<br />
Lo tsunami è una grande onda creata da terremoti sottomarini, eruzioni<br />
vulcaniche, movimenti terrestri e dei fondali e meteoriti cadute nell’oceano. In<br />
regioni caratterizzate da una forte attività sismica, quali Giappone, Asia del Sud e<br />
America Latina, questi fenomeni sono molto frequenti.<br />
Finora, Tsunami causati dall’impatto di una meteorite sulla terra non sono stati<br />
rilevati ma i modelli di studio predicono che una meteorite dal diametro di soli<br />
200-500 metri, che cade sulla terra in media ogni 100.000 anni, può essere in<br />
grado di creare un’onda oceanica di potenza disastrosa 14 .<br />
I rischi catastrofali prodotti dall’uomo e il terrorismo<br />
Una delle principali attività maggiormente esposte ai sinistri di portata<br />
catastrofica sono le produzioni petrolchimiche. L’utilizzo degli idrocarburi e del<br />
petrolio comporta la realizzazione di processi a struttura complessa, come il<br />
cracking, che sono ad alto rischio non solo per il fatto che riguardano sostanze<br />
chimiche ad alto grado di infiammabilità ma anche perché consistono in reazioni<br />
chimiche che, una volta innescate, terminano solo quando si sono esauriti gli<br />
elementi immessi.<br />
I sinistri catastrofali generati da tali processi sono sempre il risultato di una<br />
concatenazione di eventi sui quali incidono contemporaneamente più fattori tra<br />
loro correlati e la valutazione di tutti questi elementi si presenta piuttosto<br />
complessa per una singola impresa assicurativa. Un’analisi dei singoli impianti<br />
industriali, spesso, risulta insufficiente per l’individuazione della copertura<br />
adeguata 15 .<br />
Nell’ambito dei rischi catastrofali generati dall’azione dell’uomo non si può<br />
prescindere dal problema del terrorismo. Si tratta di un fenomeno difficile da<br />
delineare in termini poco ambigui in quanto difficilmente distinguibile da altre<br />
forme di violenza come guerra civile, vandalismo, ecc. Il Gruppo riassicurativo<br />
Swiss Re, nei suoi contratti di riassicurazione, lo definisce come: “un atto,<br />
un’azione di violenza o un atto dannoso per la vita umana, la proprietà tangibile<br />
e intangibile o contro un’infrastruttura con l’intenzione o l’effetto di influenzare<br />
l’attività governativa o seminare il terrore tra il pubblico o in un particolare<br />
settore dell’attività pubblica”.<br />
Prima dell’11 settembre, almeno sui mercati dei paesi considerati politicamente<br />
stabili, il rischio di danni conseguenti ad atti terroristici trovava in genere<br />
copertura nel mercato assicurativo privato.<br />
Nonostante si fossero già verificati gravi attentati (ad esempio, quello di<br />
Oklahoma City negli Stati Uniti, nel 1995), si riteneva che il potenziale distruttivo<br />
delle azioni terroristiche potesse essere in linea di massima contenuto entro limiti<br />
predefinibili.<br />
14 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 20.<br />
15 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 20.<br />
10
Le tariffe per la garanzia terrorismo non erano di norma calcolate<br />
autonomamente, in quanto si presupponeva che i danni potenziali fossero<br />
comparabili a quelli dei rischi convenzionali, ad esempio, incendio o esplosione.<br />
Una situazione differente si poteva riscontrare solo nei paesi che avevano avuto<br />
esperienze particolarmente gravi: in Israele, in Sud Africa, nel Regno Unito e in<br />
Spagna, il terrorismo era escluso dalle polizze property o gestito mediante<br />
l’adozione di soluzioni di “mercato”, con intervento, diretto o indiretto, dello<br />
stato 16 .<br />
Oggi, il quadro generale appena delineato è completamente mutato. Il rischio<br />
terroristico già in passato è stato oggetto di attenzione da parte del mondo<br />
assicurativo ma gli eventi noti dell’11 settembre lo hanno sicuramente posto sotto<br />
una nuova luce e hanno portato allo studio di situazioni completamente nuove<br />
che si potrebbero presentare.<br />
Riguardo alle nuove specificità assunte dal rischio terrorismo e ai riflessi che ciò<br />
ha comportato per l’attività assicurativa, si sottolineano i seguenti aspetti 17 :<br />
- obiettivi e modalità del nuovo terrorismo hanno evidenziato come la<br />
dimensione potenziale del danno fosse, in precedenza, ampiamente<br />
sottostimata;<br />
- a differenza delle esperienze del passato, i recenti episodi hanno<br />
determinato conseguenze di notevole entità su una molteplicità di rami<br />
dell’attività assicurativa (property, responsabilità civile, vita, infortuni,<br />
danni indiretti), che si ritenevano tradizionalmente non correlati;<br />
- mentre i fenomeni terroristici degli anni precedenti hanno sempre avuto<br />
una connotazione prevalentemente nazionale, dopo l’attacco alle Torri<br />
Gemelle essi hanno acquisito una valenza innegabilmente internazionale;<br />
- infine, l’impatto degli eventi è stato tale da determinare uno shock non<br />
solo sul passivo delle imprese di assicurazione, chiamate a risarcire i danni<br />
assicurati, ma anche sull’attivo, in conseguenza degli effetti indotti sui<br />
mercati finanziari.<br />
In passato, le perdite potenziali sembravano essere gestibili direttamente<br />
dall’industria assicurativa privata, con l’eccezione di alcuni paesi in cui lo Stato è<br />
intervenuto attraverso accordi con specifiche compagnie per il contenimento del<br />
rischio. Dall’11 settembre, invece, il terrorismo ha assunto una nuova dimensione,<br />
portando, da un lato, a un aumento della domanda di copertura di questo rischio<br />
da parte dei clienti e, dall’altro, a una limitazione delle coperture offerte dalle<br />
compagnie assicurative per evitare situazioni che possono diventare ingestibili.<br />
Un rischio è assicurabile se presenta determinate caratteristiche in termini di<br />
valutabilità, mutualità e casualità 18 .<br />
In particolare, per quanto riguarda il primo aspetto, la probabilità e l’entità delle<br />
perdite dovrebbero essere quantificabili in modo da facilitare il calcolo del premio<br />
16 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 21.<br />
17 <strong>Studi</strong>o ANIA: rischio terrorismo in Italia e nel Mondo, 2005, p.2; www.ania.it.<br />
18 F. Marchionni, L’impresa assicurativa: fabbrica, finanza e ruolo sociale; Il sole-24 ore, 2006, p. 35.<br />
11
da richiedere e la possibile estensione delle perdite; dal punto di vista della<br />
mutualità, le persone esposte al medesimo rischio sono numerose, quindi il<br />
rischio, solitamente, si presenta sufficientemente diversificato; in base al requisito<br />
della casualità, infine, il momento di accadimento di un sinistro dovrebbe essere<br />
totalmente imprevedibile e, soprattutto, indipendente dalla volontà dell’assicurato.<br />
Occorre, inoltre, considerare che gli assicuratori dovrebbero essere in grado di<br />
determinare i premi in maniera tale da poter ottenere un profitto nel lungo<br />
termine.<br />
E’ facile dedurne che il rischio terroristico presenta notevoli problematiche sotto<br />
tutti gli aspetti appena esaminati. I dati e le statistiche, infatti, non rilevano nulla<br />
sui possibili risvolti futuri e la mutualità è difficile da raggiungere, data la<br />
differenza di esposizione nei vari paesi. Non bisogna sottovalutare nemmeno<br />
l’enorme potenzialità di perdita che tali rischi presentano, vista la possibilità di<br />
attacchi contemporanei in diverse zone e il fatto che è, per tutti questi motivi,<br />
difficile garantire all’impresa assicurativa l’ottenimento di un rendimento<br />
economico positivo.<br />
Il rischio terroristico può essere posto sullo stesso piano di quello relativo alle<br />
catastrofi naturali, in quanto le perdite potenziali relative a questi due fenomeni<br />
sono difficilmente stimabili. Esiste, però una fondamentale differenza tra attentati<br />
terroristici e catastrofi naturali: infatti, queste ultime avvengono casualmente e<br />
senza intento e le loro probabilità e conseguenze possono essere modellate e<br />
quantificate attraverso informazioni e metodi scientifici. Per quanto riguarda,<br />
invece, il rischio terroristico sia il grado di impatto sia il momento di<br />
accadimento dell’evento sono elementi assolutamente incerti.<br />
La gravità degli effetti prodotti da un attacco terroristico è legata a numerosi<br />
fattori tra cui: la disponibilità di sostanze chimiche letali da parte dei terroristi, lo<br />
spirito di sacrificio degli attentatori che sono anche disposti a sacrificare la loro<br />
vita in nome della causa, la vulnerabilità e la grandezza di certi obiettivi, come i<br />
centri economici, che presentano un’alta percentuale di concentrazione sia di<br />
persone che di affari nello stesso luogo.<br />
In definitiva, si può affermare che l’aumento dei danni economici provocati dagli<br />
eventi catastrofali è legato principalmente al fenomeno dell’urbanizzazione,<br />
sempre crescente, che ha portato all’aumento degli abitanti nelle città e ad una<br />
maggiore concentrazione del valore economico in un’area sempre più piccola.<br />
Attualmente le 20 più grandi metropoli mondiali concentrano al loro interno il<br />
27% dell’intero valore economico mondiale e, quindi, è normale che il verificarsi<br />
di un evento all’interno di una di esse, possa provocare enormi danni 19 . Le<br />
compagnie assicurative considerano, pertanto, il grado di concentrazione<br />
economica nell’ambito dell’analisi del loro grado esposizione.<br />
Per ogni evento assicurato, la compagnia deve, sulla base dei dati storici, valutare<br />
il grado di rischio, aggiungendo alle proprie valutazioni una componente casuale,<br />
che rappresenta un elemento correttivo delle ipotesi effettuate. La prima<br />
valutazione per ogni tipologia di rischio analizzato si fonda sullo studio delle<br />
19 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 22.<br />
12
perdite medie annuali e degli archivi storici che presentano le caratteristiche degli<br />
eventi che si sono verificati nel passato. Solo dopo una correzione delle ipotesi,<br />
ottenuta sulla base delle variazioni intercorse sul territorio nel corso di un<br />
determinato periodo e che possono avere dei riflessi sulla dinamica degli eventi<br />
assicurati, si potrà ottenere un valore che rappresenta in modo ipotetico<br />
l’esposizione a quella particolare tipologia di rischio.<br />
Per un’analisi ancora più approfondita le compagnie assicurative dovrebbero<br />
prendere in considerazione anche le caratteristiche strutturali delle città, sia<br />
intese come tecniche costruttive sia come grado di densità abitativa.<br />
Tali caratteristiche, tra l’altro, sono strettamente connesse con un’ ulteriore<br />
componente che le compagnie devono tener presente nella valutazione e cioè i<br />
valori esposti. Per la determinazione di questi ultimi non basta considerare<br />
solamente i danni subiti dalle infrastrutture e dalle abitazioni ma anche le perdite<br />
di produttività e di produzione lorda interna in seguito al verificarsi dell’evento<br />
catastrofale.<br />
1.4 Il rischio climatico<br />
Nell’ambito dei rischi catastrofali naturali, merita un ulteriore approfondimento il<br />
tema del rischio climatico.<br />
Il clima è soggetto a rilevanti variazioni nel breve periodo, sia per effetto di<br />
eventi naturali sia per effetto dell’azione umana, con conseguenze imprevedibili.<br />
Negli ultimi secoli, sul nostro pianeta, si è assistito ad una variazione climatica di<br />
tipo naturale che non consente la definizione dei valori massimi della<br />
temperatura che si possono manifestare in un determinato luogo. E questo è solo<br />
un esempio di come si sia registrato un considerevole incremento delle incertezze<br />
che gravano, a livello di gestione aziendale, sugli effetti climatici.<br />
La variazione della quantità di energia solare che arriva sull’atmosfera terrestre è<br />
considerata una delle maggiori cause della variabilità climatica e, in particolare,<br />
l’intensa attività solare del ventesimo secolo ha provocato un riscaldamento del<br />
pianeta. Prove indiscusse della stretta dipendenza tra ciclo solare e temperatura<br />
terrestre, però, non sono state ancora trovate 20 .<br />
Sicuramente uno dei fenomeni che hanno contribuito alle variazioni climatiche<br />
degli ultimi decenni è rappresentato dall’effetto serra. Durante il giorno il calore<br />
che raggiunge la superficie terrestre viene assorbito, provocando il riscaldamento<br />
della terra e degli oceani, i quali, a loro volta, rilasciano calore durante la notte.<br />
Affinché la temperatura terrestre rimanga costante è necessario che la quantità di<br />
calore assorbita sia uguale a quella riflessa. Purtroppo questo bilanciamento non<br />
esiste perché i gas atmosferici intrappolano il calore terrestre vicino alla<br />
superficie impedendogli, in tal modo, di disperdersi: si crea così il cosiddetto<br />
fenomeno serra 21 . Il problema è che l’uomo, mediante la produzione di energia, il<br />
cambiamento nell’utilizzo della terra e altri processi, ha prodotto un<br />
20 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 30.<br />
21 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 31.<br />
13
considerevole incremento dell’effetto serra e questo, appunto, rappresenta, come<br />
provato, uno dei principali fattori del cambiamento climatico. Inoltre, con<br />
l’aumento della temperatura e del livello di anidride carbonica presente<br />
nell’atmosfera terrestre, anche il consumo energetico dovrebbe aumentare,<br />
andando a peggiorare ulteriormente gli effetti climatici che si sono registrati negli<br />
ultimi decenni.<br />
Va comunque rilevato il fatto che il progresso economico dipende dalla quantità<br />
di energia e quindi il processo di riduzione dell’emissione di anidride carbonica<br />
dovrà essere accompagnato da una maggiore efficienza nell’utilizzo delle risorse<br />
energetiche e da un maggiore ricorso alle fonti alternative.<br />
Le compagnie assicurative e riassicurative sono i soggetti migliori per fornire una<br />
copertura del rischio climatico. La loro competenza centrale è la gestione del<br />
rischio di eventi aleatori, fornendo il capitale sulla base delle richieste dei clienti,<br />
rendendoli così in grado di coprire i rischi a cui sono soggetti. L’industria<br />
assicurativa vede il rischio climatico come una naturale estensione del suo<br />
business tradizionale.<br />
La gestione del rischio climatico costituisce una delle attività più nuove e<br />
dinamiche nel campo del trasferimento del rischio al mercato finanziario e vede<br />
come potenziali protagonisti quasi l’ottanta per cento delle imprese operanti sul<br />
mercato, incluse banche, assicurazioni, imprese energetiche, aziende agricole e<br />
così via 22 .<br />
Pur esistendo sul mercato assicurativo polizze che prevedono la copertura del<br />
rischio climatico e futures su merci, in grado di porre un limite ai danni<br />
provocati da condizioni meteorologiche avverse, l’intensificarsi di eventi inusuali<br />
ha spinto le imprese alla ricerca di strumenti più efficaci, che permettessero<br />
anche la copertura degli eventi che risultano dannosi per il loro impatto in<br />
termini economici.<br />
Sebbene più dell’ottanta per cento delle attività economiche sia influenzato dal<br />
tempo, non tutti i rischi derivanti dalle condizioni climatiche avverse possono<br />
essere parzialmente o totalmente coperti o assicurati. Per citare un esempio, basti<br />
pensare alle perdite economiche derivanti da eventi estremi, come le tempeste<br />
tropicali che danneggiano determinate produzioni: per questa tipologia di danni,<br />
infatti, sono disponibili forme assicurative, del tipo business interruption, che<br />
spesso presentano anche vantaggi dal punto di vista della deducibilità fiscale.<br />
Va sottolineato il fatto che l’assicurabilità è funzione della misurabilità del<br />
fenomeno contro il quale ci si vuole proteggere. L’esistenza di una forma di<br />
copertura e protezione, quindi, non può essere sempre garantita: risulta<br />
necessaria la possibilità di poter misurare il grado di relazione esistente tra<br />
l’evento climatico e l’attività economica da assicurare.<br />
E’ conosciuto il fatto che l’alta temperatura produce degli effetti sul flusso di<br />
cassa delle imprese, ma ancora non si è stabilita una relazione tra le temperature<br />
e i flussi di costo e di ricavo e, per alcune attività economiche, sviluppare una<br />
relazione tra eventi climatici e flussi economici risulta molto difficile e<br />
problematico.<br />
22 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 28.<br />
14
Inoltre, esistono altri due fattori che incidono sulla disponibilità di protezione<br />
contro il rischio climatico: il primo riguarda il fatto che chi offre questo tipo di<br />
protezione deve essere in grado di avere sufficienti risorse e un portafoglio<br />
assicurativo fortemente diversificato che assicuri sufficienti entrate per coprire il<br />
rischio assunto; il secondo fattore è che gli eventi climatici devono poter essere<br />
facilmente misurabili, indipendenti e verificabili al fine di permettere la<br />
costruzione di uno strumento derivato. Questo è certo per eventi climatici quali<br />
le precipitazioni o le registrazioni delle temperature, per cui esistono linee<br />
finanziarie di opzioni o contratti di tipo swap per aree geografiche specifiche. In<br />
questa area, le attività di trading di tipo climatico stanno crescendo notevolmente<br />
e attirando l’attenzione di molti altri soggetti.<br />
Nei luoghi in cui le variabili sono facilmente misurabili, l’applicazione degli<br />
strumenti climatici non presenta alcun elemento di difficoltà, che invece potrebbe<br />
presentarsi nell’ambito di quegli strumenti il cui termine di misurazione è l’indice<br />
di ventosità o i millimetri di pioggia caduti. Vento e pioggia, infatti, sono<br />
elementi localizzati e se non sussiste nella zona che deve essere coperta una<br />
stazione climatica in grado di effettuare le misurazioni, sviluppare uno strumento<br />
efficace risulta essere impossibile 23 .<br />
Sul mercato, si nota la preferenza per gli strumenti assicurativi alternativi che<br />
offrono una copertura di breve periodo, in quanto questa può essere effettuata in<br />
modo meno costoso. Nel lungo periodo, invece, le società tendono ancora a<br />
preferire le polizze assicurative, anche se non sono molte quelle che vengono<br />
sottoscritte.<br />
1.4.1 I soggetti esposti al rischio climatico<br />
In linea teorica, ogni industria è soggetta al rischio climatico, ma sono<br />
soprattutto le imprese energetiche e quelle che appartengono al settore terziario<br />
che presentano le esposizioni maggiori. Estati o inverni più caldi o freddi<br />
possono, infatti, causare brusche variazioni a livello di ricavi. Nel corso degli anni,<br />
la gamma di strumenti offerti sul mercato si è notevolmente ampliata, offrendo<br />
così anche la possibilità di copertura non solo a queste particolari forme di<br />
imprese, ma ad un numero sempre più ampio di soggetti il cui core business è<br />
direttamente intaccato dalle condizioni climatiche.<br />
Una categoria di soggetti particolarmente esposta al rischio climatico è<br />
rappresentata dagli estrattori di petrolio e gas, cioè dai produttori primari di<br />
energia: generalmente, essi sono coperti dal rischio di business interruption<br />
provocati da eventi climatici di tipo estremo. Sono però anche soggetti al rischio<br />
che variazioni climatiche nelle regioni di consumo possano influenzare la quantità<br />
di materia prima richiesta e quindi il volume del loro output 24 . Ma anche i<br />
trasportatori di risorse energetiche sono sottoposti al medesimo rischio di quello<br />
dei produttori. La domanda di materia prima, infatti, influenza anche loro: un<br />
23 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 29.<br />
24 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 35.<br />
15
inverno più mite riduce l’ammontare del flusso di gas lungo le condutture con<br />
conseguente riduzione dei ricavi.<br />
I produttori secondari di energia, che trasformano gli idrocarburi in elettricità,<br />
sono soggetti al rischio climatico sotto diversi profili.<br />
Il primo è quello che incide sulla disponibilità energetica e trova origine negli<br />
eventi climatici che colpiscono la catena di fornitura; un altro rischio è quello<br />
climatico che grava sull’operatività degli impianti. Quest’ultimo spazia da eventi<br />
più gravi come i tornado a quelli meno estremi, rappresentati dalle temperature<br />
al di sopra della norma, che incidono sull’efficienza degli impianti. Dal lato della<br />
domanda, invece, c’è una variabilità che deriva dalle condizioni climatiche<br />
anormali. Una temperatura al di sotto della media, in estate, può ridurre i<br />
quantitativi di produzione di elettricità e di conseguenza i ricavi.<br />
Ma il clima rappresenta uno dei maggiori rischi anche nel settore agricolo: dalla<br />
semina alla raccolta, la temperatura, le precipitazioni e il vento possono<br />
influenzare la quantità e la qualità dei raccolti. Lo stesso vale per l’industria<br />
vinicola, che è estremamente sensibile al tempo. Il grado di esposizione solare e le<br />
temperature fresche durante i periodi che precedono la vendemmia e il periodo<br />
della maturazione influiscono sulla qualità dell’uva quindi anche su quella del<br />
vino.<br />
Vi è poi da considerare l’influenza delle condizioni climatiche nel settore del<br />
vestiario. La moda può determinare che cosa i negozianti di abiti decidono di<br />
immagazzinare, ma il tempo influenza notevolmente che cosa i consumatori<br />
vogliono acquistare. Se un negozio è colmo di abbigliamento da spiaggia,<br />
un’estate fresca o addirittura piovosa, può ridurre notevolmente i profitti 25 .<br />
Non ci sono soluzioni per migliorare il tempo, ma uno strumento di tipo<br />
climatico potrebbe essere costruito per annullare il rischio.<br />
Merita un accenno anche il settore delle imprese edili: in tale ambito, i ritardi<br />
nelle consegne sono soggette ad elevate penalità ma le imprese hanno bisogno di<br />
godere di determinate temperature per ottenere i risultati sperati. Se c’è<br />
eccessivamente caldo o freddo, le costruzioni vengono realizzate in tempi troppo<br />
brevi, per essere resistenti, o troppo lunghi e i forti venti, sovente, impediscono ai<br />
muratori di lavorare oltre certe altezze e l’utilizzo della gru è spesso sospeso per<br />
motivi di sicurezza. Ma il grande problema dell’industria edilizia è la pioggia<br />
seguita da basse temperature: se l’acqua rimane intrappolata nella costruzione e<br />
gela rischia di provocare rotture e la qualità della struttura nel suo complesso<br />
risulta compromessa.<br />
Tra i soggetti esposti al rischio climatico bisogna, infine, considerare l’industria<br />
dei prodotti alimentari. Oggigiorno, sempre più cibi e bevande sono sensibili alle<br />
condizioni climatiche e l’esempio più immediato è rappresentato dalle industrie<br />
di gelato e quelle che producono bibite. La peculiarità di tali industrie è data dal<br />
fatto che circa il 50 per cento dei profitti annui sono realizzati durante i mesi<br />
estivi. Estati fredde e piovose comportano una riduzione dei profitti e questo<br />
rappresenta uno dei principali motivi per cui le compagnie hanno deciso di<br />
correre ai ripari. Lo stesso problema grava sulle industrie delle bibite: alcune<br />
25 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 37.<br />
16
evande, come ad esempio il tè freddo, sono legate alle condizioni climatiche che<br />
hanno la capacità di far aumentare o diminuire le vendite.<br />
Tutti gli esempi sottolineati mettono in evidenza come siano diverse le realtà che<br />
necessitano di ricorrere all’utilizzo di adeguati strumenti di copertura, in grado di<br />
far fronte al rischio di eventi climatici sfavorevoli che possano, in qualche modo,<br />
compromettere il raggiungimento degli obiettivi aziendali.<br />
1.5 L’incidenza del rischio catastrofale negli ultimi anni<br />
Negli ultimi anni, gli eventi catastrofali hanno mostrato un andamento<br />
progressivamente crescente sia nel loro numero sia nei valori dei danni prodotti.<br />
Dagli anni Settanta in poi, si è avuto un aumento piuttosto accelerato del<br />
numero di eventi catastrofali sia naturali che prodotti dall’uomo.<br />
Le principali cause di questo trend vengono individuate, dalle compagnie<br />
assicurative e riassicurative, nell’aumento della concentrazione di popolazione e di<br />
valore nelle città, le quali stanno costantemente crescendo in dimensioni e<br />
numero e, spesso, sono allocate in zone ad alto rischio. La migrazione dalle<br />
campagne e la concentrazione di un numero sempre maggiore di persone nelle<br />
grandi città crea un rischio potenziale enorme.<br />
L’urbanizzazione ha impatti notevoli sull’industria assicurativa: da un lato, si<br />
hanno livelli di crescita delle vendite notevoli nelle aree urbane, grazie alla grande<br />
domanda e alla distribuzione facilitata, dall’altro, il potenziale di perdita<br />
accumulato nelle metropoli è enorme e comprende tutte le classi assicurative.<br />
Esempi di catastrofi naturali che, nel recente passato, hanno avuto un impatto<br />
sulle regioni urbane sono i seguenti:<br />
- il terremoto di Kobe del 1995, con una durata di pochi secondi, ha causato<br />
perdite superiori a 100 miliardi di dollari;<br />
- la grandinata che ha colpito Monaco nel 1984, come quelle che hanno<br />
colpito l’Australia nel 1996, costituiscono un esempio emblematico<br />
dell’enorme valore esposto, non solo nell’ambito della proprietà ma anche<br />
nel settore aeronautico 26 .<br />
Va inoltre considerato che anche i rischi provocati dall’uomo contribuiscono, in<br />
modo non secondario, ad aumentare l’esposizione delle grandi città urbane, le cui<br />
infrastrutture costituiscono particolari obiettivi per i fanatici.<br />
I terroristi si concentrano sulle grandi città per aumentare l’impatto, sia<br />
economico che sociale dei loro attacchi. A causa di ciò, le grandi metropoli sono<br />
definite “ingovernabili” dalle compagnie assicurative che, per correre ai ripari ed<br />
evitare ingenti perdite, spesso, non offrono la copertura di particolari rischi<br />
politici.<br />
Gli eventi catastrofali non producono solo danni economici alle proprietà e alle<br />
infrastrutture ma, spesso, anche un notevole numero di vittime: negli ultimi anni,<br />
infatti, si è notato un aumento di terroristi il cui obiettivo non è distruggere la<br />
26 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 6.<br />
17
proprietà ma ferire e uccidere persone. L’esempio più evidente è stato l’attentato<br />
con gas velenoso nella metropolitana di Tokio.<br />
Negli ultimi tempi, il trend delle vittime sta lentamente calando e questo per<br />
effetto del miglioramento delle misure di prevenzione e di sicurezza che i paesi<br />
maggiormente esposti hanno cominciato ad adottare.<br />
Il numero di vittime catastrofali varia considerevolmente da anno ad anno e<br />
dipende dalla tipologia di evento e dalle caratteristiche del paese colpito: gli anni<br />
in cui il numero di vittime è stato particolarmente elevato sono il 1970, il 1976 e<br />
il 1991 e cioè gli anni interessati dai due cicloni tropicali che hanno colpito il<br />
Bangladesh e dal terremoto in Cina 27 .<br />
Volendo dare una dimensione economica degli eventi catastrofali, si deve<br />
considerare che, nell’analisi dei sinistri assicurati, bisogna tener conto di due<br />
elementi: la frequenza dei sinistri e il valore medio dei danni. La frequenza<br />
dipende dalla densità e dall’ampiezza dell’assicurazione, nonché da eventuali<br />
andamenti ciclici del numero e dell’intensità degli eventi naturali, il valore medio<br />
dei sinistri, invece, dipende dagli eventi più catastrofici ed è influenzato dai valori<br />
assicurati. L’uragano Alicia è stato il primo evento ad aver superato il miliardo di<br />
dollari di perdite assicurate. Tra il 1987 e il 1992, ogni anno, sono state registrate<br />
nuove perdite e un nuovo record è stato raggiunto nel 1999 con sette eventi di<br />
notevole entità 28 . I continenti maggiormente colpiti sono soprattutto America e<br />
Europa, dove è molto elevata la concentrazione dell’attività assicurativa.<br />
Volendo correlare l’intensità del sinistro con la natura di quest’ultimo, si vede<br />
subito che i maggiori eventi sono tutti di natura meteorologica: dal 1983, le<br />
catastrofi naturali con perdite superiori al miliardo di dollari sono state 34, di cui<br />
32 sono tutte di origine atmosferica. I danni da alluvioni non sono<br />
particolarmente rilevanti mentre, tra gli altri eventi, sono gli incendi boschivi che<br />
hanno un peso rilevante. Infatti, sebbene gli incendi avvengano ogni anno,<br />
l’ammontare delle perdite monetarie dipende dalle zone colpite. L’incendio di<br />
Oakland in California è stato l’evento di maggior perdita perché ha colpito una<br />
regione in cui erano state costruite numerose ville lussuose.<br />
Il 2001 ha rilevato un elemento nuovo e preoccupante per il mondo assicurativo:<br />
le catastrofi causate dagli uomini hanno fatto molti più danni di quelli prodotti<br />
dalla furia della natura. Assicuratori e riassicuratori, hanno dovuto pagare in<br />
tutto più di 32 miliardi di dollari per risarcire i danni provocati da catastrofi<br />
naturali, industriali e da terrorismo e, contrariamente a quanto avveniva nel<br />
passato, solo il 28 per cento del conto finale va attribuito a fenomeni naturali<br />
estremi.<br />
La situazione è stata in gran parte causata dagli attentati terroristici dell’11<br />
settembre: i danni ai beni che il settore assicurativo è stato chiamato a risarcire<br />
per gli attacchi agli Usa ammontano a 19 miliardi di dollari. Il 2001 sarà ricordato<br />
dal mondo assicurativo come l’annus horribilis 29 , non solo per l’attentato alle<br />
Torri Gemelle ma anche per quanto successo nelle altre aree mondiali, il cui<br />
27 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 7.<br />
28 Munich Re; www.munichre.com, 2002.<br />
29 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 10.<br />
18
ilancio non è stato confortante. In Medio Oriente, le azioni suicide di palestinesi<br />
contro i civili israeliani hanno subito un forte incremento, ma anche in Asia e in<br />
Africa la rilevanza per numero e gravità delle azioni terroristiche è stata notevole<br />
e neppure l’Europa è rimasta immune dagli attentati terroristici.<br />
Oltre agli attentati islamici, ci sono stati, però, altri eventi che hanno contribuito<br />
ad aumentare l’ammontare dei danni. Tra questi, vanno ricordati, l’esplosione<br />
dello stabilimento petrolchimico di Tolosa e la distruzione di una piattaforma<br />
petrolifera al largo del Brasile.<br />
Non sono mancate le catastrofi naturali come la tempesta di Allison e i terremoti<br />
in India, a El Salvador e negli Stati Uniti che hanno provocato danni per un<br />
ammontare pari a 10 miliardi di dollari 30 .<br />
Il 2002 è, invece, l’anno che verrà ricordato per il numero di tempeste e alluvioni<br />
che hanno provocato 11.000 vittime e 55 milioni di dollari di danni di cui solo 13<br />
assicurati 31 . Nel corso dell’anno sono stati registrati oltre 300 eventi di cui 130 di<br />
origine naturale. La maggior parte di questi ultimi sono rappresentati da alluvioni<br />
e tempeste, che non fanno altro che testimoniare il continuo cambiamento<br />
climatico che si sta registrando nel corso degli ultimi anni. Un esempio è<br />
costituito dal tifone Rusa che ha provocato, colpendo sia il nord sia il sud della<br />
Corea, perdite economiche di circa 4,5 miliardi di dollari.<br />
Osservando la distribuzione mondiale delle perdite si nota che il 39 per cento<br />
delle perdite assicurate si è registrato in Europa, un altro 39 per cento è stato<br />
registrato negli Usa, circa il 4 per cento delle perdite è stato registrato in Asia e<br />
il restante 18 per cento fa riferimento a vari paesi interessati da fenomeni di<br />
minore rilevanza.<br />
Il 2002 sarà ricordato anche per le frequenti eruzioni vulcaniche tra cui l’Etna in<br />
Sicilia, che economicamente non ha provocato ingenti danni, e vari vulcani in<br />
Ruanda e nella Repubblica del Congo.<br />
Il trend crescente del numero di catastrofi viene confermato nell’anno 2003, che<br />
registra ben 142 catastrofi di tipo naturale e 238 di tipo man made 32 .<br />
L’ammontare dei danni complessivi attribuibili a catastrofi è di circa 70 miliardi<br />
di dollari, di cui solo 18,5 coperti mediante assicurazione.<br />
Come negli anni precedenti, la maggior parte dei danni si registra negli Stati<br />
Uniti, dove si sono verificati due terzi dei danni assicurati. Le forti tempeste<br />
invernali e le gradinate che hanno colpito il paese hanno provocato danni per<br />
circa 5 miliardi di dollari.<br />
Per quanto riguarda l’Asia, si registra come peggior evento dell’anno, sia in<br />
termini di vittime che di danni economici il tifone Maemi, che ha colpito la Sud<br />
Corea provocando danni per 6 miliardi di dollari.<br />
L’Europa colpita duramente dalla siccità, dagli incendi boschivi durante la<br />
stagione estiva e dalle alluvioni che hanno colpito in modo marcato il sud della<br />
Francia, registra danni per circa 12 miliardi di dollari.<br />
30 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 11.<br />
31 Swiss Re, Natural Catastrophes and man made disasters in 2002; Rapporto Sigma, n. 2, 2003, p. 13.<br />
32 Swiss Re, Calamità naturali e catastrofi man-made nel 2003; Rapporto Sigma, n. 1/ 2004, p. 5.<br />
19
Per quanto riguarda gli eventi che hanno provocato il maggior numero di vittime,<br />
l’anno 2003 verrà ricordato per i due terremoti avvenuti in Algeria e in Iran che<br />
complessivamente hanno provocato 43.000 vittime.<br />
Il 2004 è stato l’anno dei disastri. Quattro uragani hanno colpito la Florida in<br />
successione ravvicinata. Il costo dei danni è stato superiore a 100 miliardi di<br />
dollari e il numero di catastrofi, sia di origine naturale che provocate dall’uomo,<br />
ha raggiunto quota 300 33 . In quell’anno, oltre 21 mila persone sono morte come<br />
conseguenza di catastrofi ed è un conto senza precedenti, molto peggiore di<br />
quello del 2001, quando gli attentati alle Torri fecero lievitare il totale. Delle 21<br />
mila vittime di disastri naturali registrate dagli analisti di Swiss Re, almeno la<br />
metà abitava tra Africa e Asia.<br />
Il 2005 è un anno in cui si sono registrate più catastrofi ma meno decessi<br />
rispetto all’anno precedente. L’aumento del numero di catastrofi, che ha<br />
raggiunto quota 360 contro le 305 del 2004, è stato dovuto, in primo luogo al<br />
rialzo del numero di inondazioni e delle situazioni di siccità 34 . Anche il numero di<br />
persone colpite dai disastri è salito ma, nonostante ciò, la perdita di vite umane è<br />
stata significativamente più bassa nel 2005 rispetto al 2004. Nel 2005, infine, il<br />
costo totale dei disastri naturali è stato pari a circa 159 miliardi di dollari, di cui<br />
ben 125 miliardi riguardano le perdite causate dall’uragano Katrina.<br />
Il suddetto uragano è stato uno dei cinque uragani più gravi della storia degli<br />
Stati Uniti, il più grave in termini di danni economici e uno dei più gravi dal<br />
punto di vista del numero di morti. Le maggiori perdite di vite e di danni alle<br />
infrastrutture sono avvenuti a New Orleans, in Louisiana, che è stata<br />
letteralmente inondata.<br />
Katrina si è formato sopra le Bahamas il 23 agosto 2005 ed ha attraversato il sud<br />
della Florida come moderato uragano di categoria 1, causando alcuni morti ed<br />
allagamenti in quei luoghi prima di rafforzarsi rapidamente nel Golfo del Messico<br />
e diventando uno dei più forti uragani mai registrati in mare. L’aumento del<br />
livello delle acque causato dall’onda di tempesta ha provocato ingenti danni lungo<br />
la costa del Golfo degli Stati Uniti, devastando numerose città.<br />
In Louisiana, il sistema di prevenzione delle inondazioni non ha funzionato in più<br />
di 50 punti differenti e, conseguentemente, l’80 per cento dell’area metropolitana<br />
è stata letteralmente inondata causando la morte di almeno 1836 persone. Il<br />
catastrofico fallimento della protezione contro le inondazioni a New Orleans ha<br />
portato a rivedere l’organigramma del corpo degli ingegneri dell’esercito, poiché<br />
questa agenzia era l’unica, per mandato del Congresso, ad avere la responsabilità<br />
della progettazione e della realizzazione del sistema di protezione.<br />
Gli effetti sull’economia della tempesta sono stati di vasta portata. Nel mese di<br />
aprile del 2006, l’amministrazione Bush ha chiesto 105 milioni di dollari per le<br />
riparazioni e la ricostruzione della regione coinvolta, senza contare i danni<br />
all’economia causati dall’interruzione delle forniture di Petrolio, dalla distruzione<br />
delle infrastrutture autostradali della costa del Golfo e dalla riduzione delle<br />
esportazioni di prodotti come il grano. Katrina ha distrutto o danneggiato 30<br />
33 Swiss Re, Calamità naturali e catastrofi man-made nel 2004; Rapporto Sigma, n. 1/2005, p. 4.<br />
34 Swiss Re, Calamità naturali e catastrofi man-made nel 2005; Rapporto Sigma n.2/2006, pagine varie.<br />
20
piattaforme petrolifere e causato la chiusura di 9 raffinerie: la riduzione totale<br />
della produzione di petrolio del Golfo del Messico in sei mesi è stata<br />
approssimativamente del 24 per cento sulla produzione annua e la riduzione<br />
della produzione di gas naturale per lo stesso periodo è stata del 18 per cento.<br />
Anche l’industria del taglio e trasporto del legname nel Mississippi è stata colpita<br />
con una vasta superficie di terreni boschivi andati distrutti e un ammontare di<br />
perdite totali calcolato in circa 5 miliardi di dollari. Inoltre, centinaia di migliaia<br />
di residenti locali sono rimasti senza lavoro, cosa che ha avuto un effetto negativo<br />
sul pagamento delle tasse ai governi locali.<br />
Katrina ha ridistribuito più di un milione di persone dalla costa del Golfo centrale<br />
ad altre parti degli Stati Uniti: a gennaio 2006, circa 200.000 persone vivevano<br />
ancora a New Orleans, meno della metà della popolazione esistente prima della<br />
tempesta.<br />
L’uragano ha influito anche sul comportamento delle compagnie di assicurazione,<br />
alcune delle quali hanno smesso di assicurare i proprietari delle case nell’area<br />
colpita, a causa dell’alto rischio di perdite dovute alla tempesta, o hanno alzato i<br />
premi assicurativi per coprire i propri rischi.<br />
Katrina inoltre, ha avuto un profondo impatto sull’ambiente. L’onda di tempesta<br />
ha causato una sostanziale erosione delle spiagge, in alcuni casi devastando<br />
completamente le aree costiere. Le onde hanno anche cancellato le Chandeleur<br />
Islands, già colpite dall’uragano Ivan l’anno precedente. In tutto, circa il 20 per<br />
cento delle paludi locali sono state permanentemente sommerse dall’acqua come<br />
risultato della tempesta che ha anche forzato la chiusura di 16 aree protette.<br />
Infine, come parte delle operazioni di pulizia, le acque dell’inondazione che<br />
ricoprivano New Orleans sono state pompate nel lago Pontchartrain, un processo<br />
che ha richiesto 43 giorni per essere completato. Queste acque residue<br />
contenevano un mix di acque di scarico, batteri, pesticidi, composti chimici<br />
tossici e circa 24,6 milioni di litri di petrolio, che ha causato preoccupazioni nella<br />
comunità scientifica in seguito all’elevato numero di pesci morti.<br />
Dopo due anni caratterizzati da forti perdite causate da catastrofi naturali o<br />
legate all’attività umana, il 2006 è stato per le compagnie di assicurazione uno<br />
dei meno costosi degli ultimi venti anni. Secondo le stime, nel 2006 le catastrofi<br />
hanno provocato circa 30 mila morti e danni per 40 miliardi di dollari (di cui<br />
circa 15 miliardi erano coperti da assicurazione) 35 . La maggioranza dei danni<br />
assicurati è stata provocata da catastrofi naturali. Le perdite per gli assicuratori<br />
sono stimate da Munich Re, la seconda compagnia assicuratrice a livello<br />
mondiale, in 250 milioni di dollari, contro gli 87 miliardi dell’anno precedente.<br />
Secondo la compagnia tedesca, questa differenza è da attribuirsi soprattutto a<br />
fattori meteorologici eccezionali: masse di particelle di polvere provenienti dal<br />
Sahara si sono ammassate nell’area di formazione degli uragani, riscaldando e<br />
deumidificando l’aria ad altitudini medie e impedendo la formazione dei cicloni.<br />
Secondo le stime dell’Associazione Mondiale di Meteorologia il 2006 è stato il<br />
sesto anno più caldo dal 1861, da quando cioè viene rilevata la temperatura media<br />
globale.<br />
35 ANIA: L’assicurazione italiana 2006/2007, p. 96.<br />
21
In Europa, le intense nevicate dell’inizio del 2006 hanno provocato in alcuni casi<br />
danni ingenti. Si sono registrati sul nostro continente tempeste con vento a oltre<br />
250 chilometri orari, che hanno un forte potenziale distruttivo. Il cambiamento<br />
climatico e l’aumentare della concentrazione geografica delle abitazioni e degli<br />
impianti produttivi sta facendo crescere le perdite potenziali da disastri naturali.<br />
Di conseguenza, l’aumento dei prezzi della riassicurazione seguito alle catastrofi<br />
del 2005 potrebbe rivelarsi persistente, dal momento che le previsioni ottenute<br />
utilizzando i nuovi modelli basati sull’evidenza degli ultimi anni, sono destinate a<br />
modificare sensibilmente i prezzi delle coperture per molte aree geografiche.<br />
I terremoti, che in alcuni casi sono stati intensi e hanno provocato migliaia di<br />
vittime, non hanno però interessato aree con forte copertura assicurativa.<br />
Il 2007 si è, invece, aperto con cattive notizie sul fronte delle catastrofi naturali<br />
in Europa. A metà gennaio l’uragano Kyrill ha colpito il Regno Unito, la Germania<br />
e diversi paesi dell’Europa centrale, con venti che hanno soffiato a oltre 100<br />
chilometri all’ora per oltre 24 ore, una durata molto più lunga rispetto a quella<br />
di eventi simili.<br />
La Munich Re, ha calcolato che, nel 2007, le catastrofi naturali sono costate 51<br />
miliardi di euro, il 50 per cento in più rispetto ai 34 miliardi del 2006. Si tratta,<br />
è vero, di un costo notevolmente inferiore a quello del 2005 (150 miliardi), ma<br />
quello fu l’anno in cui presentò il conto lo Tsunami asiatico del 26 dicembre<br />
2004.<br />
Secondo lo studio della Munich Re, l’evoluzione nel corso degli anni dei disastri<br />
naturali evidenzia che non sono tanto le catastrofi eccezionali ad incidere, quanto<br />
la maggiore frequenza di quelle di media entità. Nel 2007 se ne sono contate<br />
950: è la cifra più alta dal 1974, anno in cui la società tedesca ha cominciato ad<br />
analizzare il fenomeno. Secondo il riassicuratore tedesco, la probabilità che eventi<br />
del genere colpiscano l’Europa è in forte crescita, a causa del cambiamento<br />
climatico che rende gli inverni più tiepidi.<br />
Tra i danni maggiori del 2007, oltre alla tempesta Kyrill in gennaio (perdite per<br />
6,7 miliardi di euro), vanno ricordati gli incendi californiani di ottobre (1,3<br />
miliardi), le alluvioni di luglio in Gran Bretagna (2,7 miliardi) e l’uragano Dean<br />
(670 milioni) 36 .<br />
1.6 Rischi naturali, tendenze e situazione in Italia<br />
I principali rischi naturali da considerare per l’Italia sono certamente terremoti,<br />
fenomeni vulcanici, frane e alluvioni. In Italia si stima che quasi la metà dei<br />
comuni, ossia 3.500, siano sottoposti al rischio di inondazioni e almeno i due<br />
terzi, vale a dire, 5.500, vivano sotto l’incubo delle frane: su 57 milioni di italiani,<br />
oltre la metà vivrebbe in zone a rischio 37 .<br />
A partire dal 1998, smottamenti, alluvioni e terremoti si sono susseguiti ad un<br />
ritmo tale da considerare l’Italia, nel panorama generale europeo, come uno dei<br />
paesi a più alto rischio di catastrofi.<br />
36 Swiss Re, Calamità naturali e catastrofi man-made nel 2007; Rapporto Sigma n.1/2008, pagine varie.<br />
37 Ricerca CINEAS sui rischi ambientali in Italia, White Paper, 2007, pagine varie; www.cineas.it.<br />
22
Secondo uno studio dell’Agenzia europea per l’ambiente, negli ultimi anni si è<br />
assistito ad un brusco aumento di catastrofi naturali che rischia di confermarsi<br />
nei prossimi anni, in modo particolare nel centro nord (Toscana/Emilia Romagna)<br />
e nel sud, dalla Campania in giù.<br />
E’ stato calcolato che il 38% delle vittime delle inondazioni e delle alluvioni in<br />
tutta Europa sono italiane.<br />
Per il nostro paese, la calamità naturale legata alle alluvioni rappresenta un grave<br />
problema che, secondo le stime, comporta costi annui pari allo 0,2% del Pil. Negli<br />
ultimi anni la frequenza del fenomeno è addirittura aumentata del 50%.<br />
Le zone che in passato erano adibite alle piene dei fiumi, ora sono cementificate;<br />
l’impermeabilizzazione dei suoli fa sì che vi sia un forte aggravamento del rischio<br />
non solo nell’area esposta ad alluvioni, ma nell’insieme del territorio di pianura,<br />
da monte a valle. Zone che, quindi, una volta non erano interessate dal rischio<br />
alluvione, oggi lo sono fortemente 38 .<br />
Anche dal rapporto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e<br />
dell’Unione delle Province d’Italia viene riportato che le aree a rischio elevato e<br />
molto elevato di alluvione coprono una superficie di 7.774 chilometri quadrati.<br />
La fragilità idrogeologica italiana non è solo dovuta a fattori tipicamente naturali,<br />
ma è anche la conseguenza della dissennata gestione del territorio: la deviazione<br />
del corso dei fiumi, la costruzione di dighe, la cementificazione degli argini, la<br />
deforestazione, l’estendersi delle aree soggette a una coltivazione intensiva creano<br />
le condizioni di aumento dei rischi connessi al verificarsi di alluvioni.<br />
Il numero di comuni italiani a rischio idrogeologico risulta particolarmente<br />
elevato: per fare alcuni esempi basta ricordare che in Molise, Umbria e Basilicata,<br />
quasi il 90% dei comuni è esposto alla tipologia di rischio in questione.<br />
A partire dalla seconda metà del ventesimo secolo, nel nostro Paese, è aumentata<br />
anche la frequenza di altri due fenomeni naturali: si tratta di frane e<br />
smottamenti. Tra i motivi che hanno determinato l’incremento di tali fenomeni vi<br />
sono l’urbanizzazione e l’abbandono delle terre agricole.<br />
L’impatto socio-economico che ne consegue è molto rilevante e fa sì che il nostro<br />
paese sia tra i primi al mondo nella classifica dei danni da frane e smottamenti in<br />
termini economici e in termini di perdita di vite umane. Il rapporto del Ministero<br />
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio indica come le aree a rischio elevato e<br />
molto elevato di frana siano diverse migliaia e coprano una superficie di 13.760<br />
chilometri quadrati, pari a ben il 4,5% del territorio italiano.<br />
Le statistiche basate sulle ricerche realizzate dal Gruppo Nazionale Difesa dalle<br />
Catastrofi idrogeologiche del CNR descrivono la gravità del rischio fino a qualche<br />
anno fa. In particolare, nel periodo che va dal 1918 al 1994, il numero di frane<br />
censite è stato pari a 32.000: esse hanno interessato 21.000 località, hanno<br />
provocato circa 6000 vittime e danni medi annui compresi tra 1 e 2 miliardi di<br />
euro.<br />
Gli eventi di frana che hanno provocato vittime o dispersi sono più frequenti<br />
nelle regioni settentrionali e in Campania; la stagione più a rischio è l’autunno<br />
ma la più recente ha avuto luogo in marzo dello scorso anno, quando una frana<br />
38 Ricerca CINEAS sui rischi ambientali in Italia, White Paper, 2007, pagine varie; www.cineas.it.<br />
23
ha spazzato via un’intera frazione nel comune di Cavallerizzo di Cerreto, in<br />
provincia di Cosenza, e 400 persone sono rimaste senza casa. Il movimento<br />
franoso era stato accelerato dalle piogge intense di quei giorni.<br />
Dal punto di vista dei terremoti, l’Italia è situata nella zona di collisione tra le<br />
placche africana ed eurasiatica e ciò ovviamente comporta un elevato rischio<br />
sismico. Le zone italiane più soggette a terremoti sono l’Appennino centromeridionale,<br />
alcune aree settentrionali e l’area orientale della Sicilia.<br />
L’Italia è nella lista dei paesi che hanno più sofferto di questo fenomeno e conta<br />
uno degli eventi più drammatici degli ultimi decenni: il terremoto del 1980 in<br />
Irpinia che fece 4.500 vittime e oltre 250.000 senza tetto. E ancora, senza andare<br />
troppo lontano nel tempo, il terremoto di San Giuliano di Puglia dell’ottobre<br />
2002 che causò il crollo di una scuola intera e 29 vittime.<br />
Ma l’Italia è anche esposta ai rischi connessi all’attività dei vulcani. L’uso del<br />
territorio vicino ad essi non ha tenuto conto della loro pericolosità, permettendo<br />
il verificarsi di situazioni di alto rischio.<br />
Non tutti i vulcani italiani, come è facile immaginare, presentano lo stesso livello<br />
di rischio: nell’Italia meridionale, le aree di maggiore rischio sono il Napoletano, la<br />
fascia costiera dell’Etna e l’area stromboliana. In queste aree, si stima che eventi<br />
avversi potrebbero interessare una popolazione di quasi 5 milioni e mezzo di<br />
abitanti. Queste zone sono quindi, ovviamente, tenute sotto stretto controllo,<br />
registrandone l’attività sismica e osservandone le deformazioni del suolo.<br />
Nell’Italia centrale e nel Lazio c’è una significativa presenza di aree vulcaniche,<br />
interessate anche da attività sismica. I laghi di Bolsena, Vico, Albano e Bracciano<br />
si sono formati in aree caratterizzate da una forte attività vulcanica avvenuta<br />
milioni di anni fa.<br />
La situazione di maggior rischio rimane quella rappresentata dal Vesuvio, le cui<br />
eruzioni sono sempre state a carattere esplosivo; a questa caratteristica va<br />
aggiunta la condizione di forte urbanizzazione delle pendici del vulcano, dove<br />
vive attualmente un milione di persone 39 .<br />
La carta della sismicità italiana, elaborata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e<br />
Vulcanologia, mette in evidenza quali siano le regioni più esposte al rischio<br />
terremoti: nel centro nord i terremoti sono sempre meno violenti e frequenti che<br />
nel sud, dove non di rado sono arrivati all’undicesimo grado della scala Mercalli;<br />
sono proprio le regioni meridionali a generare le maggiori preoccupazioni per il<br />
futuro.<br />
E’ opportuno, infine, anche fare un riferimento al rischio di attentati terroristici.<br />
Secondo uno studio condotto dalla società assicuratrice americana Aon, in<br />
collaborazione con la Janusian Security Risk, agenzia di consulenza specializzata<br />
nelle politiche di sicurezza, l’Italia si posiziona in una fascia ad alto rischio di<br />
attacchi terroristici.<br />
Nella zona rossa ci sono Paesi come l’Iraq, l’Afghanistan, la Somalia, il Pakistan,<br />
l’India e il Marocco, tra le zone a rischio elevato ci sono gli Stati Uniti, il Canada,<br />
la Germania, l’Australia e l’Italia appunto, superati di poco da Regno Unito,<br />
Spagna e Francia.<br />
39 Ricerca CINEAS sui rischi ambientali in Italia, White Paper, 2007, pagine varie; www.cineas.it.<br />
24
A destare preoccupazione sarebbe in particolare la presenza sul territorio<br />
nazionale di gruppi nazionalisti e di estremisti islamici.<br />
Dopo l’attacco dell’11 settembre il mercato delle polizze antiterrorismo ha<br />
registrato un continuo aumento, ma una diminuzione dei prezzi. Il business della<br />
sola Aon ammonta a 7 miliardi di euro.<br />
Le imprese italiane hanno cominciato ad assicurarsi contro eventuali attacchi solo<br />
recentemente, in seguito a quanto avvenuto alle attività dell’Eni in Nigeria.<br />
Si sono assicurati i gruppi: Saras, Api, Enel, Finmeccanica e telecom. Energia e<br />
telecomunicazioni sono infatti nel mirino degli attentatori.<br />
1.7 Conclusioni<br />
In questa prima parte del lavoro, si è cercato di mettere in evidenza quelle che<br />
sono le principali caratteristiche dei rischi catastrofali, cercando di mettere in<br />
risalto le difficoltà che le imprese sono costrette ad affrontare nel momento in<br />
cui si trovano nella situazione di dover gestire le conseguenze di eventi<br />
particolarmente dannosi.<br />
Le stesse imprese di assicurazione, nel corso di questi anni, hanno cercato di<br />
sviluppare dei modelli per la misurazione e la valutazione di eventi di questo tipo<br />
ma la grande difficoltà consiste nel fatto che, a differenza di altre tipologie di<br />
rischi, le catastrofi naturali e gli attentati terroristici presentano delle peculiarità<br />
che non ne permettono un’adeguata previsione e quantificazione.<br />
E’ stato anche sottolineato il fatto che l’Italia è un paese particolarmente esposto<br />
alla minaccia di eventi climatici particolarmente dannosi, quali alluvioni e<br />
fenomeni sismici, eventi che in base alle previsioni disponibili sono destinati ad<br />
aumentare in futuro.<br />
Poiché il mercato assicurativo tradizionale, da solo, non è in grado di offrire<br />
soluzioni adeguate per il trattamento dei rischi in questione, si rende necessario il<br />
ricorso a soluzioni alternative che possano permettere un maggior livello di<br />
copertura e di protezione.<br />
Si tratta di soluzioni innovative che consentono anche il trasferimento del rischio<br />
presso il pubblico dei risparmiatori mediante l’utilizzo di particolari strumenti<br />
che vengono collocati e negoziati nei mercati finanziari. Tali soluzioni, a<br />
cominciare dalla riassicurazione, saranno oggetto di approfondimento nel<br />
prossimo capitolo.<br />
CAPITOLO 2 DALLA RIASSICURAZIONE AGLI STRUMENTI<br />
INNOVATIVI DI COPERTURA<br />
2.1 La gestione dei rischi catastrofali nelle imprese di assicurazione<br />
Le imprese assicurative, come tutte le imprese operanti nella realtà economica,<br />
hanno come obiettivo principale la soddisfazione degli interessi che fanno capo al<br />
management, agli azionisti e a tutti gli altri stakeholder.<br />
25
Al contrario delle imprese “tradizionali”, tuttavia, le imprese assicurative<br />
presentano un flusso economico anomalo, in quanto i ricavi, costituiti dai premi,<br />
precedono i costi, rappresentati per la maggior parte dagli indennizzi che devono<br />
essere corrisposti agli assicurati 40 .<br />
La maggiore difficoltà di questo tipo di imprese è sicuramente quella della<br />
determinazione delle tariffe, stabilendo il livello dei premi sulla base della stima<br />
della frequenza media dei sinistri riportati nelle serie storiche di dati che le<br />
imprese hanno a disposizione.<br />
I premi dovranno essere determinati in misura tale che, ammettendo il perdurare<br />
nel futuro delle condizioni che hanno contraddistinto il prodursi della frequenza<br />
dei rischi e dell’intensità dei sinistri osservata in passato, possano assicurare la<br />
copertura dei sinistri e degli altri costi e produrre risultati tecnici positivi.<br />
Alla luce di ciò si comprende perché le compagnie assicurative siano obbligate a<br />
costituire una riserva obbligatoria, chiamata riserva di perequazione. Lo scopo di<br />
questa è duplice:<br />
- tener conto del particolare grado di rischio di determinati rami di attività;<br />
- consentire la realizzazione di una politica di stabilizzazione degli utili.<br />
Le riserve di perequazione, quindi, comprendono tutte le somme accantonate,<br />
conformemente alle disposizioni di legge allo scopo di perequare le fluttuazioni<br />
del tasso dei sinistri negli anni futuri o di coprire rischi particolari.<br />
La presenza di tale riserva è pertanto obbligatoria per le imprese che operano nel<br />
ramo danni, assumendo rischi estremamente variabili nel tempo come quelli<br />
catastrofali e climatici, per i quali, da un lato, la probabilità di accadimento nel<br />
corso dell’esercizio è relativamente bassa, se confrontata con quella dei rischi<br />
ordinari, e, dall’altro, al loro prodursi generano danni estremamente rilevanti, se<br />
rapportati alle dimensioni delle risorse economiche di una singola impresa di<br />
assicurazione.<br />
Le condizioni e le modalità per la costituzione della riserva di perequazione per<br />
rischi di calamità naturale sono fissate con decreto del Ministro delle attività<br />
produttive, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito<br />
l’ISVAP 41 .<br />
I premi, inoltre, sono fissati su una base prudenziale e le imprese devono fare un<br />
ampio ricorso alla riassicurazione e alla coassicurazione: queste decisioni si<br />
dimostrano però insufficienti a limitare gli squilibri che le conseguenze degli<br />
eventi catastrofici possono produrre sulla gestione economica dell’impresa.<br />
Quest’ultima, quindi, è tenuta anche a costituire e ad incrementare nel tempo<br />
una consistente riserva per catastrofi, utilizzando una buona parte degli utili<br />
rilevati negli esercizi in cui non si sono verificati i rischi in oggetto.<br />
Dal 1996, inoltre, alle compagnie assicurative operanti nel ramo danni è stata<br />
imposta la creazione di una riserva di equilibrio attraverso l’accantonamento delle<br />
quote dei risultati tecnici prodotti dalla gestione di questi rischi negli esercizi<br />
40 F. Marchionni, L’impresa assicurativa: fabbrica, finanza e ruolo sociale; Il sole-24 ore, 2006, p. 55.<br />
41 Codice delle assicurazioni private, art.7.<br />
26
chiusi in utile e al suo utilizzo negli esercizi con perdite rilevanti. La natura di<br />
questa riserva è quella di fondo rischi: il 2 per cento dei contratti di assicurazione<br />
per i rischi di calamità naturali deve essere accantonato a questa riserva 42 .<br />
Un elemento fondamentale nell’assicurazione è, inoltre, la determinazione della<br />
quantità di rischio che la compagnia desidera ritenere. Questa quantità, che<br />
normalmente è espressa da una somma monetaria, è il limite di passività che la<br />
compagnia trattiene per se stessa dopo aver effettuato la cessione in<br />
riassicurazione.<br />
La decisione di quanto trattenere assume un’importanza fondamentale<br />
nell’ambito di tutte le compagnie di assicurazione, in particolar modo in quelle<br />
che operano con rischi di natura catastrofale. Una ritenzione troppo elevata di<br />
rischio, infatti potrebbe portare a un indebolimento della struttura patrimoniale e<br />
finanziaria della compagnia stessa mentre una scarsa ritenzione potrebbe portare<br />
a una cessione inutile dei premi e, di conseguenza, a una perdita dei profitti<br />
realizzabili attraverso il loro investimento.<br />
La scelta relativa a quanto rischio trattenere è una decisione complessa poiché<br />
dipende da numerosi fattori e segue poche regole tecniche; ogni assicuratore<br />
attribuisce un peso diverso ai vari fattori per cui ognuno giungerà a delle<br />
conclusioni molto diverse. Un ruolo fondamentale è sicuramente giocato<br />
dall’esperienza e dalla conoscenza del mercato, ma ci sono alcuni elementi<br />
comuni a tutte le imprese di assicurazione che devono essere sempre considerati<br />
nella determinazione del livello ottimale di ritenzione e cioè la struttura<br />
patrimoniale e il grado di solvibilità, da un lato, e la struttura del portafoglio e la<br />
profittabilità dall’altro.<br />
La struttura patrimoniale e il valore della compagnia potrebbero essere<br />
severamente danneggiati se le richieste di risarcimento fossero maggiori e più<br />
frequenti di quanto previsto. Di conseguenza, il management dovrà stabilire un<br />
programma di trasferimento del rischio e un grado di ritenzione che si<br />
dimostrino adeguati a fornire la giusta protezione agli interessi dei propri<br />
azionisti.<br />
Un elemento che deve essere tenuto in forte considerazione è, poi, il margine di<br />
solvibilità della compagnia e cioè la quota di mezzi propri da accantonare a<br />
fronte degli investimenti e quindi dei rischi presenti in portafoglio 43 . Il fallimento<br />
nella determinazione di un adeguato margine di solvibilità può bloccare lo<br />
sviluppo dell’impresa assicurativa.<br />
E’ stato detto che la decisione di quanto trattenere è anche influenzata dalla<br />
grandezza e dalla tipologia di affari che costituiscono il portafoglio della<br />
compagnia, la quale ha l’obbligo di determinare il livello di ritenzione per ogni<br />
tipologia di rischio considerato.<br />
Una variabile cruciale che nell’ambito di tutto il processo decisionale la<br />
compagnia deve costantemente monitorare è, infine, rappresentata dalla volatilità,<br />
poiché questa è sinonimo di rischiosità. La grandezza del portafoglio, in<br />
42 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 41.<br />
43 F. Marchionni, L’impresa assicurativa: fabbrica, finanza e ruolo sociale; Il sole-24 ore, 2006, p. 113.<br />
27
definitiva, influenzando il livello di volatilità, fornisce indicazioni anche in merito<br />
al livello adeguato di ritenzione da realizzare.<br />
Traendo le opportune conclusioni si può affermare che il grado di ritenzione<br />
deve intrecciare una forte relazione con la profittabilità del portafoglio e le<br />
previsioni di sviluppo, ponderate attraverso l’uso di indici di perdita e di notizie<br />
che giungono dal mercato. Generalmente, nel momento in cui un portafoglio<br />
diventa più profittevole, l’assicuratore ha l’opportunità di scegliere se aumentare<br />
o meno il grado di ritenzione. Viceversa, se il portafoglio mostra di essere meno<br />
redditizio, la compagnia deve modificare tutta la sua strategia con conseguente<br />
rielaborazione anche dei piani riassicurativi e delle sue decisioni di ritenzione.<br />
2.1.1 La coassicurazione e i pool assicurativi<br />
La coassicurazione e i pool assicurativi non sono sicuramente configurabili tra gli<br />
strumenti alternativi di trasferimento del rischio, ma lo scopo che è alla base<br />
della loro creazione li fa rientrare in questa categoria.<br />
Davanti al singolo rischio di grandi dimensioni, l’impresa di assicurazione si<br />
associa di regola a una o più altre imprese per dar luogo ad un rapporto di<br />
coassicurazione, col quale le incertezze legate a tale rischio vengono condivise, in<br />
base a quote determinate, tra una pluralità di assicuratori.<br />
Comunemente, la coassicurazione, molto utilizzata nell’assicurazione marittima e<br />
aerea, è considerata uno strumento di ripartizione del rischio. Con un contratto<br />
di coassicurazione un rischio, anziché essere assicurato per intero da un solo<br />
assicuratore, è assicurato da più assicuratori, ciascuno dei quali ne assume una<br />
parte, sulla base di termini contrattuali che definiscono la quota di assunzione<br />
per ogni membro partecipante. Questo tipo di accordo, però, non è ben visto<br />
dagli assicuratori per due ordini di motivi:<br />
1. tende a provocare la dispersione della clientela;<br />
2. spesso è utilizzato non tanto per sostituire il ricorso alla riassicurazione in<br />
caso di assunzione di rischi di eccezionale entità, ma per attenuare le<br />
conseguenze di un’eccessiva concorrenza fra assicuratori.<br />
I pool riassicurativi rappresentano strumenti alternativi alla coassicurazione, che<br />
vengono costituiti per la disciplina di determinati rami di attività.<br />
Di fronte ad un complesso di rischi aventi speciali caratteristiche di dimensione<br />
(es. aeronautici o atomici) o di tecnicità (es. incendi industriali o guasti a<br />
macchine), le imprese assicuratrici possono associarsi in consorzi o in pool per<br />
dare vita a strutture che possono far fronte, grazie all’unione delle potenzialità<br />
delle imprese associate, alle esigenze di copertura di tali rischi.<br />
Le imprese partecipanti instaurano un meccanismo di ripartizione automatica che<br />
solitamente consiste nella cessione al pool, che svolge il ruolo di stanza di<br />
compensazione, di tutti i rischi assicurati appartenenti ad una determinata specie.<br />
Il pool raccoglie in un’unica massa tutti i rischi ricevuti e li retrocede poi, senza<br />
alcuna conservazione in proprio, alle imprese originarie cedenti o parzialmente<br />
28
anche ad imprese terze, secondo una regola di ripartizione precedentemente<br />
convenuta 44 . Si realizza così la distribuzione di una massa di rischi assunti a<br />
condizioni omogenee ma diversi dal punto di vista della quantità, della qualità e<br />
dell’origine geografica. All’interno di tale massa di rischi si producono<br />
meccanismi tecnici di compensazione, tali per cui i rischi che ritornano alle<br />
imprese per via di retrocessione sono qualitativamente diversi da quelli che le<br />
stesse avevano ceduto al pool. Questi pool, in altri termini, determinano la<br />
creazione di un’organizzazione comune e hanno un duplice scopo: il<br />
coordinamento dell’attività riassicurativa in un determinato settore e la<br />
determinazione di una politica d’impresa comune ai partecipanti. Si deve ritenere,<br />
tuttavia, che essi non svolgono un’attività di tipo riassicurativo perché le<br />
compagnie consorziate cedono al pool i rischi previsti contrattualmente e il pool<br />
li ripartisce proporzionalmente alla partecipazione di ognuna.<br />
Il contratto, inoltre, definisce un massimale di perdita che il pool copre per<br />
ognuno dei singoli assicuratori su ogni singola perdita. Nel caso in cui, un<br />
membro del gruppo subisca una perdita superiore al limite stabilito, gli altri<br />
membri del gruppo risponderanno proporzionalmente per la perdita rimanente.<br />
I pool possono essere costituiti tra:<br />
- gruppi di compagnie associate che si ripartiscono particolari rischi tra loro<br />
prima di rivolgersi alla riassicurazione esterna;<br />
- assicuratori operanti nell’area degli alti rischi: in modo particolare quando<br />
non ci sono troppi casi di rischio, ci si potrebbe accordare di unire le<br />
risorse come unico modo per ottenere un’attenuazione del rischio stesso;<br />
- assicuratori regionali dove gli assicuratori di una località, paese o regione<br />
cercano di trattenere l’assicurazione entro l’area e conservano le risorse<br />
finanziarie locali attraverso la suddivisione del rischio tra loro, piuttosto<br />
che ricorrere a risorse esterne. Molti di questi pool regionali si trovano<br />
all’Est e in determinate zone dell’Africa e dell’Asia 45 .<br />
Esempi pratici di questi accordi si trovano nella gestione dei rischi terroristici. Gli<br />
esempi più noti sono il Pool Reinsurance Company Ltd e lo Special Risk<br />
Insurance and Reinsurance.<br />
2.1.2 Il ricorso al mercato riassicurativo<br />
Le caratteristiche dei rischi oggetto di questo lavoro e gli equilibri di bilancio<br />
evidenziano l’esigenza, per le compagnie assicurative, di trasferire il proprio<br />
rischio all’esterno, mediante il mercato riassicurativo, in modo da non farlo<br />
gravare totalmente sulla propria struttura patrimoniale.<br />
La riassicurazione è un contratto mediante il quale un assicuratore trasferisce, in<br />
tutto o in parte, un rischio precedentemente assunto ad uno o più soggetti terzi.<br />
L’operazione, che ha natura assicurativa, vede l’assicuratore in veste di cedente,<br />
mentre i soggetti cui il rischio viene ceduto prendono il nome di riassicuratori.<br />
44 S.Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 50.<br />
45 S.Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 51.<br />
29
Mediante la riassicurazione il cedente ha la possibilità di eliminare dal proprio<br />
portafoglio dei rischi, che per la loro entità, rappresentano un pericolo per la<br />
stabilità e l’equilibrio di bilancio quindi, l’esigenza di ricorrere alla riassicurazione<br />
si manifesta quando l’assicuratore si trovi a fronteggiare la copertura di<br />
determinati rischi che vanno al di là delle sue capacità d’assunzione come,<br />
appunto, i rischi climatici e catastrofali.<br />
L’assicuratore presenta, inoltre, un ulteriore beneficio rappresentato dal fatto di<br />
poter allargare il proprio giro d’affari, concedendo copertura per rischi che<br />
altrimenti non potrebbe sopportare con le sole proprie forze.<br />
A fronte di questi benefici, ovviamente, il cedente deve corrispondere al<br />
riassicuratore un premio che viene commisurato alla quota di rischio trasferita e<br />
al premio percepito originariamente.<br />
La particolarità di questo tipo di operazione è rappresentata dall’estraneità del<br />
primo assicurato rispetto al rapporto che si instaura fra assicuratore e<br />
riassicuratore. In caso di sinistro, infatti, l’assicurato può rivolgersi esclusivamente<br />
all’assicuratore-cedente, che è tenuto per l’intero al pagamento della somma<br />
dovuta. Il cedente potrà poi a sua volta chiedere al riassicuratore il versamento<br />
della parte di indennizzo a suo carico.<br />
Il mercato della riassicurazione viene normalmente definito indiretto, perché in<br />
esso i rischi vengono assunti presso gli assicuratori e non presso i soggetti<br />
individuali o le aziende che domandano copertura. Il mercato assicurativo, al<br />
contrario, viene definito mercato diretto perché appunto l’assicuratore instaura<br />
direttamente un rapporto con i singoli assicurati.<br />
Occorre anche sottolineare che il discorso svolto fino ad ora può essere applicato<br />
anche al riassicuratore che, per le medesime ragioni del primo cedente, può<br />
decidere di trasferire ad altri il rischio assunto, con un normale contratto<br />
riassicurativo, detto però in questo caso, contratto di retrocessione.<br />
Esistono essenzialmente due forme di riassicurazione: la forma obbligatoria e la<br />
forma facoltativa 46 . La prima è una forma contrattuale automatica che opera sulla<br />
base di un trattato e permette di riassicurare i rischi a priori, infatti, la<br />
compagnia assicurativa è obbligata a cedere la percentuale di rischio definita<br />
preventivamente con la compagnia riassicurativa e quest’ultima è obbligata ad<br />
accettarla.<br />
La riassicurazione facoltativa, invece, opera su richiesta dell’assicuratore-cedente<br />
ed è specifica per singoli rischi. In questo caso la compagnia assicurativa sceglie<br />
liberamente quale danno specifico cedere alla società di riassicurazione la quale, a<br />
sua volta, può decidere di accettare o rifiutare il rischio che le viene ceduto.<br />
Un’altra classificazione importante distingue fra operazioni riassicurative<br />
proporzionali e non proporzionali. La riassicurazione è proporzionale quando al<br />
riassicuratore viene trasferita, in una stessa percentuale, una data proporzione<br />
dell’obbligo di risarcimento e del premio netto pagato dall’assicurato. La<br />
riassicurazione è non proporzionale quando non esiste questa proporzionalità fra<br />
quota di rischio e quota di premio trasferiti. In questo caso la copertura<br />
riassicurativa opera in maniera simile al meccanismo della franchigia, infatti, il<br />
46 Peppino Pignolo, La gestione e la ritenzione del rischio d’impresa; Franco Angeli, 2002, p. 96.<br />
30
iassicuratore sarà tenuto a rimborsare soltanto le perdite superiori ad una certa<br />
soglia.<br />
La riassicurazione proporzionale si può presentare sottoforma di diverse tipologie<br />
contrattuali quali, ad esempio, il trattato quota e il trattato eccedente.<br />
Con il primo, l’assicuratore si obbliga a cedere al riassicuratore una data quota di<br />
tutti i rischi rispondenti alle clausole del trattato, con un tetto quantitativo<br />
superiore operante su ogni singola polizza. La quota ceduta individua il grado di<br />
distribuzione degli obblighi, dei premi e delle perdite tra riassicuratore e<br />
riassicurato.<br />
Questa tipologia contrattuale, però, non limita l’esposizione verso grandi rischi<br />
come quelli catastrofali e climatici e quindi, a livello di impatto economico sul<br />
bilancio delle imprese assicurative, non favorisce il bilanciamento del portafoglio.<br />
Il trattato eccedente, invece, è il contratto riassicurativo tipico: in base a tale<br />
fattispecie l’assicuratore è tenuto a trasferire la quota di valore assicurato<br />
eccedente un certo limite inferiore. La quota di rischio trattenuta dall’impresa di<br />
assicurazione prende il nome di “Pieno di Conservazione” e rappresenta l’importo<br />
massimo che la cedente vuole conservare su ogni singolo rischio. Le modalità di<br />
ripartizione degli obblighi e dei premi tra riassicuratore e riassicurato è definito,<br />
per ogni singolo rischio, dal rapporto tra quantità di rischio trattenuto e quantità<br />
di rischio ceduto.<br />
Al contrario del trattato quota precedentemente esaminato, a livello economico, il<br />
trattato eccedente rappresenta una fonte importante di bilanciamento del<br />
portafoglio, sia perché lo rende più omogeneo, sia perché limita le esposizioni più<br />
rischiose.<br />
Nell’ambito della riassicurazione proporzionale merita una certa attenzione anche<br />
il trattato facoltativo-obbligatorio. Si tratta di un accordo in cui l’assicuratore<br />
cedente ha la facoltà di cedere i rischi mentre il riassicuratore ha l’obbligo di<br />
accettare una quota dei rischi specifici sottoscritti dalla cedente. Normalmente<br />
questa forma di riassicurazione viene usata dopo il trattato eccedente e concede<br />
capacità riassicurativa automatica alla cedente quando la capacità dell’eccedente è<br />
stata saturata 47 . Al raggiungimento del limite dei trattati base, questa forma<br />
riassicurativa si attiva automaticamente e quindi costituisce un ottimo strumento<br />
di copertura per rischi di natura specifica e particolare come i rischi catastrofali.<br />
Anche la riassicurazione non proporzionale può assumere diverse configurazioni<br />
contrattuali.<br />
I trattati non proporzionali sono definibili come accordi tra riassicurato e<br />
riassicuratore, che prevedono l’intervento di quest’ultimo nel momento in cui il<br />
livello dei sinistri supera un certo limite specifico prestabilito denominato<br />
priorità. Le principali tipologie contrattuali sono rappresentate dall’Excess of loss<br />
e dalla Stop loss.<br />
Con la prima il cedente trasferisce il rischio che l’indennizzo da corrispondere in<br />
caso di sinistro sia superiore a un certo importo. I danni inferiori a tale soglia<br />
sono a carico del cedente, mentre quelli eccedenti sono a carico del<br />
riassicuratore, il cui obbligo di indennizzo è però limitato mediante la presenza di<br />
47 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 60.<br />
31
un certo massimale. A differenza del trattato per eccedente, con l’excess of loss, il<br />
premio pagato dal cedente non è commisurato al premio percepito inizialmente,<br />
ma viene calcolato in via autonoma.<br />
Con la stop loss, invece, l’assicuratore trasferisce il rischio che in un certo<br />
periodo, in una determinata classe di rischi, il rapporto sinistri/premi superi una<br />
determinata soglia prefissata, quindi il riassicuratore è chiamato a pagare i<br />
sinistri solo se i sinistri globali del periodo considerato superano una certa<br />
percentuale dei premi.<br />
Esiste poi un’altra tipologia di riassicurazione non proporzionale, denominata cat<br />
loss o per eccesso sinistri. Lo scopo di tale forma riassicurativa, che opera a<br />
livello di portafoglio e che può tornare utile nella copertura dei rischi climatici e<br />
catastrofali, è quello di coprire il rischio che un unico evento (“catastrofe”)<br />
produca più sinistri nel portafoglio oggetto di riassicurazione 48 . La definizione di<br />
“catastrofe” in questa forma contrattuale, viene solitamente data in termini di<br />
numero minimo di sinistri che accadono entro un dato tempo. Il riassicuratore<br />
interviene solo se il numero di sinistri supera il livello minimo precedentemente<br />
stabilito.<br />
La riassicurazione, anche se in via indiretta, garantisce dei vantaggi anche<br />
all’assicurato. Essa infatti:<br />
1. costituisce una garanzia della solvibilità dell’assicuratore, rendendo meno<br />
incerto il diritto all’indennizzo e quindi più sicuro per le aziende il<br />
trasferimento del rischio;<br />
2. aumenta la capacità dell’intero sistema assicurativo di assorbire rischi<br />
rilevanti, aumentando la tipologia dei rischi assicurabili a condizioni<br />
convenienti;<br />
3. attua una ripartizione del rischio fra diversi soggetti, così come avviene<br />
per la coassicurazione ma, rispetto a quest’ultima presenta il vantaggio che<br />
esiste un unico rapporto tra assicuratore e assicurato, con conseguente<br />
riduzione di costi amministrativi;<br />
4. permette alle imprese assicurative di piccole dimensioni di sopravvivere<br />
sul mercato in quanto consente loro di acquisire un’adeguata<br />
competitività. Ciò porta al mantenimento di condizioni di concorrenza che<br />
si traducono in numerosi benefici per gli acquirenti di prodotti<br />
assicurativi.<br />
Un ultimo problema da affrontare è quello della scelta tra ritenzione e<br />
riassicurazione.<br />
Nella decisione del profilo ottimale di ritenzione, il costo della riassicurazione è<br />
sicuramente un elemento che ha una notevole importanza e che il riassicurato<br />
deve tenere in forte considerazione. Vi sono, infatti, alcune componenti di costo<br />
che incidono sulla decisione del management.<br />
Una di queste è la competitività tra i riassicuratori. Maggiore è la presenza di<br />
riassicuratori sul mercato e minore sarà il loro margine di profitto e quindi il<br />
48 E. Pitacco, Elementi di matematica delle assicurazioni; LintEditoriale, Trieste, 2002.<br />
32
costo della riassicurazione; un secondo elemento da cui non si deve prescindere<br />
sono i risultati economici dell’impresa assicurativa negli anni precedenti alla<br />
richiesta di riassicurazione. Ovviamente, migliori sono i risultati e più convenienti<br />
saranno le condizioni poste dalla controparte.<br />
Il costo della riassicurazione, infine, varia anche con riferimento alla situazione<br />
sui mercati riassicurativi. In momenti di piena capacità o di forte attività<br />
d’investimento, il mercato riassicurativo potrebbe essere definito “soft” e, quindi, i<br />
costi di riassicurazione sono bassi. Nel momento in cui circostanze economiche e<br />
commerciali volgono a situazioni peggiori, i costi tenderanno a crescere 49 .<br />
Concludendo il discorso, si può affermare che la riassicurazione, abbinata a un<br />
adeguato livello di ritenzione, è sicuramente un valido strumento di riduzione<br />
della probabilità di dissesto.<br />
2.2 Il trasferimento alternativo dei rischi: i nuovi strumenti di gestione<br />
La riduzione di capacità assuntiva e l’esperienza di insolvenze da parte di alcune<br />
compagnie riassicurative negli ultimi vent’anni, hanno portato alla revisione dei<br />
rating dei riassicuratori e alla realizzazione di numerose operazioni di fusione e<br />
acquisizione tra le compagnie riassicurative.<br />
Questo processo ha portato alla ripartizione del mercato tra un numero ristretto<br />
di operatori e alla nascita di gruppi riassicurativi più solidi dal punto di vista<br />
finanziario.<br />
Il processo di integrazione e consolidamento così avviato, non è riuscito, però, a<br />
fornire una copertura più completa per i rischi più gravosi, in modo particolare<br />
quelli catastrofali e, più recentemente, quelli terroristici.<br />
Se a ciò si aggiunge che i prezzi per la riassicurazione dei rischi catastrofali, negli<br />
ultimi anni, sono aumentati notevolmente, si comprende il motivo per cui molti<br />
operatori abbiano deciso di cercare forme alternative o supplementari di<br />
copertura, alla ricerca di possibili risparmi.<br />
Ecco, quindi, chiarita la causa principale dello sviluppo continuo di nuovi<br />
strumenti di trasferimento del rischio, meglio noti come Alternative Risk Transfer<br />
(ART), alternativi alla riassicurazione e contraddistinti da determinate<br />
caratteristiche, che possono essere così sintetizzate:<br />
- sono costruiti su misura per specifici problemi del cliente;<br />
- offrono una copertura pluriennale ed estesa a più rami;<br />
- offrono l’assunzione del rischio da parte dei soggetti non assicuratori.<br />
L’espressione ART è un concetto dai contorni piuttosto vaghi e risulta difficile<br />
darne una definizione che abbia validità generica.<br />
Le soluzioni ART hanno come obiettivo quello di migliorare l’efficacia del<br />
trasferimento del rischio, di allargare i confini dell’assicurabilità e di mettere a<br />
49 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 67.<br />
33
disposizione ulteriore capacità sottoscrittiva mediante il ricorso al mercato dei<br />
capitali.<br />
In tal modo, un’impresa può gestire in modo più efficiente i propri rischi,<br />
liberando risorse da poter destinare allo sviluppo dell’attività principale e<br />
ottenendo così un rendimento più elevato dai propri investimenti.<br />
Già da decenni le imprese fanno ricorso a forme non tradizionali di gestione del<br />
rischio. Il concetto di trasferimento alternativo dei rischi, inizialmente, è stato<br />
usato negli Stati Uniti per indicare meccanismi volti a favorire le imprese che<br />
intendevano assicurare internamente i propri rischi. Più di recente, il concetto è<br />
stato esteso fino a comprendere al proprio interno tutta una serie di soluzioni<br />
che vanno dalla costituzione di società captive alla riassicurazione di tipo<br />
finanziario fino allo sviluppo di nuovi strumenti che consentono il trasferimento<br />
del rischio direttamente agli investitori del mercato finanziario, attraverso il<br />
meccanismo della cartolarizzazione dei rischi in forma di prestiti assicurativi o<br />
attraverso transazioni di strumenti derivati.<br />
Il mercato di questi prodotti ancora oggi, però, si dimostra piuttosto sottile,<br />
attorno all’8 per cento del mercato complessivo delle assicurazioni commerciali, e<br />
con clienti potenziali ancora poco informati rispetto alla complessità e alla varietà<br />
dei prodotti presenti sul mercato 50 .<br />
Lo sviluppo di prodotti alternativi, negli ultimi anni, si è accompagnato anche ad<br />
un fenomeno di convergenza tra i mercati assicurativi e quelli dei capitali,<br />
considerati da molti operatori del settore assicurativo particolarmente dotati del<br />
potenziale necessario per sopportare quei rischi la cui gestione risulta<br />
particolarmente gravosa per le imprese assicurative.<br />
Il semplice ricorso alla riassicurazione, infatti, spesso risulta del tutto<br />
insoddisfacente rispetto alle esigenze delle compagnie assicurative.<br />
Queste ultime, infatti, nel momento in cui si rivolgono ad una compagnia di<br />
riassicurazione, spesso, non trovano la copertura di cui necessitano e, se la<br />
trovano, questa presenta dei costi particolarmente proibitivi. Questo è dovuto al<br />
fatto che le compagnie di riassicurazione, per ogni polizza, limitano la propria<br />
esposizione al verificarsi di un determinato evento. Quindi, in molti casi, la<br />
cartolarizzazione può essere più conveniente della riassicurazione tradizionale<br />
oppure può offrire capacità non disponibile sul tipico mercato riassicurativo. La<br />
cartolarizzazione, inoltre, offre una copertura pluriennale a un prezzo<br />
prestabilito, proteggendo la struttura dei costi da fluttuazione dei prezzi delle<br />
coperture riassicurative.<br />
Il ricorso agli strumenti alternativi di gestione del rischio, infine, presenta dei<br />
vantaggi anche per le compagnie di riassicurazione che possono migliorare la<br />
propria solidità finanziaria e il proprio merito creditizio mediante l’emissione di<br />
prodotti alternativi che permettano di far fronte ai propri impegni senza<br />
intaccare la struttura patrimoniale.<br />
50 The Economist, Alternative risk transfer cannot replace traditional insurance; articolo tratto<br />
dall’Economist del 9 marzo 2002, p. 70.<br />
34
2.2.1 La riassicurazione finanziaria e la finite-risk<br />
La riassicurazione finanziaria può essere definita come una tipologia riassicurativa<br />
il cui obiettivo fondamentale è finanziario. E’ una forma che combina tra loro<br />
l’aspetto assicurativo, delineato dal rischio, e l’aspetto finanziario, rappresentato<br />
dall’investimento e dal conseguente ottenimento di un rendimento. L’elemento<br />
essenziale, nel momento della sottoscrizione di tale forma di copertura, è il valore<br />
del denaro nel tempo 51 .<br />
Facendo riferimento agli elementi da considerare nella fase di scelta tra<br />
riassicurazione tradizionale e finanziaria, si può affermare che mentre la<br />
riassicurazione tradizionale si fonda sull’analisi dei rischi e della relativa<br />
esposizione, quella finanziaria si basa sulla situazione finanziaria della compagnia<br />
e sui suoi obiettivi.<br />
Gli obiettivi che possono essere perseguiti con la riassicurazione finanziaria sono<br />
molteplici. Innanzitutto, si tratta di una forma che permette la copertura di<br />
eventi che sono esclusi dai trattati tradizionali come, ad esempio, i sinistri legati<br />
all’inquinamento o alla RC prodotti. In secondo luogo, e forse questo è l’aspetto<br />
più importante, permette una stabilizzazione dei risultati economico-finanziari<br />
della cedente, che consegue così il livellamento delle fluttuazioni di bilancio<br />
derivanti da un aumento della frequenza o dell’importo medio dei sinistri.<br />
Attraverso questa forma di copertura , quindi, è possibile ottenere un<br />
miglioramento dei risultati di bilancio e dei relativi indici, che ha come effetto<br />
diretto un miglioramento anche del margine di solvibilità e un aumento della<br />
possibilità di espansione.<br />
I prodotti di riassicurazione finanziaria, presenti sul mercato, si dividono in<br />
prospettici e retrospettivi 52 . I primi si caratterizzano per il fatto che considerano<br />
l’attività futura della compagnia sia a livello di premi sia di sinistri. I secondi,<br />
invece, si caratterizzano per il fatto che l’attività assicurativa è già stata acquisita<br />
e i sinistri sono già accaduti.<br />
Un esempio di contratto appartenente alla prima categoria è rappresentato<br />
dall’Aggregate Excess of Loss. Esso fornisce la copertura di pagamenti futuri di<br />
sinistri, derivanti dall’anno di sottoscrizione corrente e i premi sono calcolati in<br />
relazione al valore attuale dei sinistri futuri.<br />
Generalmente, si presenta sotto forma di contratto pluriennale e il reddito, che<br />
deriva dai premi investiti, è utilizzato per il pagamento dei sinistri. Se questi non<br />
si verificano, una parte del premio e degli interessi generati vengono restituiti alla<br />
cedente. La funzione di questo tipo di contratto è principalmente quella di<br />
mitigare l’effetto di un incremento inatteso nella frequenza di sinistri di non<br />
particolare gravosità.<br />
Un’altra tipologia di contratto, rientrante però nella categoria dei prodotti<br />
retrospettivi, è quella definita Loss Portfolio Transfer.<br />
Con questo tipo di contratto si attua la cessione alla compagnia riassicurativa<br />
delle riserve sinistri relative agli anni di sottoscrizione passati. Questa forma<br />
contrattuale permette di chiudere gli anni di sottoscrizione ancora aperti<br />
51 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 78.<br />
52 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 79.<br />
35
contabilmente e, quindi, di contenere la responsabilità per i sinistri verificatesi<br />
negli anni passati. Il premio pagato, anche in questo caso, coincide con il valore<br />
attuale dei pagamenti futuri dei sinistri.<br />
Nella pratica, generalmente, questa tipologia di contratto consente una<br />
limitazione della responsabilità del riassicuratore con la presenza di clausole che<br />
prevedono la fissazione dell’importo massimo di risarcimento oppure il<br />
pagamento di un premio aggiuntivo se i sinistri superano un certo limite di<br />
importo.<br />
Tramite la riassicurazione finanziaria è possibile trasferire, quindi, il rischio di<br />
sottoscrizione, in quanto il riassicuratore, ricevendo un premio, è comunque<br />
responsabile di una parte dei sinistri che colpiscono la cedente. Esistono tuttavia<br />
alcuni rischi che, pur trasferendosi, non trovano totale copertura, quali ad<br />
esempio:<br />
- investment return risk: il tasso di rendimento ottenibile dall’investimento<br />
del premio è incerto;<br />
- credit risk: i premi ancora da incassare sono incerti;<br />
- expense risk: i caricamenti per spese inclusi nel premio possono risultare<br />
insufficienti per coprire i costi derivanti dalla gestione del contratto 53 .<br />
Uno strumento simile alla riassicurazione finanziaria, che si colloca in una<br />
posizione intermedia tra quest’ultima e la riassicurazione tradizionale, è la<br />
riassicurazione finite-risk (FR). Nella sua combinazione, sono presenti sia<br />
l’elemento rischio sia l’elemento finanziario, in quanto il premio è anticipato in<br />
funzione di un importo stimato di sinistri.<br />
La domanda di questa tipologia di prodotti, come del resto per tutti quelli<br />
appartenenti alla categoria ART, nasce dalle esigenze molto diverse presentate<br />
dalla clientela. Le caratteristiche del prodotto, infatti, lo rendono adatto a<br />
soddisfare il crescente bisogno, da parte del cedente, di capacità disponibili nel<br />
lungo termine e a un prezzo calcolabile. Ogni anno, inoltre, non devono essere<br />
rinegoziate le condizioni in base all’andamento della sinistralità registrato dalla<br />
cedente, ma seguono un meccanismo predeterminato in sede contrattuale.<br />
Questi prodotti consentono, poi, un miglioramento degli indici più significativi e,<br />
in modo particolare, dei rapporti tra premi netti o riserva sinistri e mezzi propri.<br />
Inoltre, contribuiscono a migliorare la solvibilità dell’assicuratore diretto e ad<br />
incrementare così la sua capacità di sottoscrizione 54 .<br />
In particolare, i programmi “finite” comportano la ripartizione dei rischi<br />
individuali nel tempo. Le coperture assicurative tradizionali si basano sulla legge<br />
dei grandi numeri: il trasferimento dei rischi si realizza mediante il meccanismo<br />
della mutualità e quindi attraverso la ripartizione dei sinistri che rientrano in un<br />
unico insieme di rischi simili, per cui solo una parte di questi rischi è associata a<br />
53 Ital Re Group, Forme riassicurative tradizionali e non tradizionali; www. Italre.it.<br />
54 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p.83.<br />
36
danni effettivi. Le soluzioni FR attuano, al contrario, una ripartizione dei rischi<br />
operata per un singolo contraente nel corso del tempo 55 .<br />
La riassicurazione finite risk presenta alcune caratteristiche che possono essere<br />
così sintetizzate:<br />
- limitata assunzione del rischio da parte del riassicuratore;<br />
- durata pluriennale del contratto;<br />
- compartecipazione di cedente e riassicuratore agli utili realizzati;<br />
- esplicita considerazione dei proventi da investimento.<br />
Il trasferimento del rischio dal contraente all’assicuratore è limitato.<br />
L’assicuratore diretto trasferisce il rischio di una liquidazione dei sinistri<br />
imprevedibilmente rapida, mentre il riassicuratore assume un consistente rischio<br />
di sottoscrizione, cioè il rischio che durante la durata del trattato i danni effettivi<br />
da risarcire risultino superiori a quelli preventivati. Oltre ai rischi assicurativi,<br />
l’assicuratore che propone prodotti FR assume anche rischi estranei al mondo<br />
assicurativo in senso stretto, quali, per esempio, i rischi associati alla variazione<br />
dei tassi (mancato raggiungimento del rendimento alla base del contratto FR), il<br />
rischio di credito (insolvenza dell’assicurato) e il rischio di cambio (rincaro dei<br />
pagamenti per i danni da corrispondere in valuta estera).<br />
I prodotti FR sono contraddistinti da una durata contrattuale pluriennale: ciò<br />
consente alla cedente di ottenere una copertura di lungo periodo a condizioni<br />
determinate in precedenza e al riassicuratore di ricevere l’afflusso costante dei<br />
premi relativi. Entrambe le parti dispongono, poi, di un ampio margine di<br />
manovra nella determinazione dei prezzi e della possibilità di intraprendere<br />
durevoli relazioni di affari.<br />
Infine, dalla prospettiva del contraente, i costi effettivi di una polizza FR sono<br />
legati all’andamento della sinistrosità individuale: gli utili realizzati nell’arco di più<br />
anni, così come i premi non utilizzati per il pagamento dei sinistri, vengono<br />
riaccreditati in ampia misura alla cedente, alla fine del periodo contrattuale. Si<br />
stabilisce, così, uno stretto rapporto fra andamento individuale della sinistrosità e<br />
costo effettivo della riassicurazione.<br />
Ulteriore caratteristica di questo prodotto è che nel calcolo del premio rientrano i<br />
redditi attesi dagli investimenti. Il fattore temporale diventa perciò rilevante, in<br />
modo particolare per quei settori dove la liquidazione dei sinistri può estendersi<br />
sull’arco di decenni.<br />
In modo analogo alla riassicurazione finanziaria, i prodotti finite possono essere<br />
classificati, sulla base della dimensione temporale, in prodotti retrospettivi e<br />
prospettici. La prima tipologia di contratti concerne i sinistri già verificatesi ma<br />
non ancora liquidati. I contratti prospettici, per contro, prevedono l’assunzione,<br />
da parte del proponente il prodotto FR, di sinistri non ancora accaduti ma attesi<br />
per il futuro. Le forme prospettiche vengono solitamente usate come forma di<br />
55 Swiss Re, Trasferimento alternativo dei rischi (ART) per aziende: fenomeno di moda o strumento di<br />
gestione del rischio per il 21° secolo?; Rapporto Sigma, n. 2, 1999, p. 18.<br />
37
tutela contro il rischio di natura catastrofale e per ammortizzare forti sbalzi nei<br />
futuri risultati annuali.<br />
Una prima forma contrattuale retrospettiva è rappresentata dalla loss portfolio<br />
transfer (LPT). Nell’ambito delle soluzioni LPT, il contraente trasferisce<br />
all’assicuratore le riserve sinistri; generalmente il premio assicurativo corrisponde<br />
al valore in contanti delle riserve cedute più un sovrappremio di rischio, una<br />
maggiorazione per spese e un margine di guadagno.<br />
Punto nodale delle soluzioni LPT è il rischio di timing: l’assicuratore infatti<br />
assume non solo le riserve per sinistri, ma anche il rischio di liquidazione<br />
inaspettata e improvvisa di un danno. In tal modo, emerge anche un vantaggio<br />
per l’assicurato in termini di maggiore semplificazione delle operazioni di fusione<br />
e acquisizione, poiché almeno il rischio di timing correlato ai danni già<br />
intervenuti non costituisce più alcun ostacolo.<br />
Un’altra tipologia contrattuale di natura retrospettiva è la copertura in eccesso<br />
sinistri. Questa soluzione abbraccia una gamma più ampia di coperture rispetto<br />
alle LPT, comprendendo in linea generale anche i sinistri IBNR (incurred but not<br />
reported). A differenza delle soluzioni LPT, in questo caso non vi è alcun<br />
trasferimento delle riserve per sinistri in sospeso ma l’assicurato paga<br />
all’assicuratore un premio per l’assunzione parziale dei danni che eccedono le<br />
riserve già costituite. Simili coperture possono essere costruite sia su una base<br />
“stop loss” che in forma di eccesso sinistri per evento (Cat XL).<br />
Questa tipologia di contratto presenta alcuni vantaggi per i soggetti non<br />
assicuratori. Le fusioni e le acquisizioni, ad esempio, risultano ulteriormente<br />
semplificate rispetto a quanto avviene con i prodotti LPT, poiché l’assicuratore<br />
non assume solo il rischio di timing, bensì anche i rischi relativi alla riserva per<br />
sinistri in sospeso.<br />
Inoltre la copertura in eccesso sinistri può avere dei riflessi positivi anche sul<br />
valore aziendale del compratore: sulla scorta di queste coperture, infatti, gli<br />
azionisti e le agenzie di rating possono contare su una maggiore chiarezza<br />
relativamente alla posizione di rischio dell’impresa. Questi soggetti possono<br />
quindi meglio stimare l’effetto del risultato economico dei sinistri cosiddetti di<br />
“coda” per cui la volatilità prevista degli utili aziendali diminuisce. A parità di<br />
condizioni, questa situazione porta a una maggiore capitalizzazione di borsa e a<br />
un miglior rating del credito dell’assicurato.<br />
Tra le soluzioni che hanno natura prospettica, vale la pena ricordare la copertura<br />
in eccesso sinistri prospettiva: questa particolare soluzione assicurativa si basa<br />
sulla tecnica della riassicurazione non proporzionale. Diffuso è il cosiddetto<br />
trattato spread loss (SLT), in cui il contraente corrisponde all’assicuratore una<br />
serie di pagamenti che possono essere annuali oppure in soluzioni uniche. Questi<br />
mezzi vengono depositati, al netto del margine spettante al proponente, su un<br />
conto cosiddetto empirico che frutterà interessi in base a una percentuale<br />
stabilita contrattualmente.<br />
In genere, colui che propone il prodotto si impegna a corrispondere al contraente<br />
i pagamenti dei danni che eccedono il saldo corrente sul conto empirico. Per<br />
limitare la propria esposizione, l’assicuratore fissa un limite massimo per i<br />
38
pagamenti da corrispondere durante la durata del contratto. In funzione del<br />
grado di rischio tecnico assicurativo insito nel contratto, il contraente deve<br />
estinguere in tutto o in parte, entro la scadenza del contratto, l’eventuale saldo<br />
negativo accumulatosi sul conto empirico in seguito ai pagamenti dei danni.<br />
Sull’assicuratore, in questo caso, grava il rischio di credito che ne deriva.<br />
Anche il trattato SLT è un prodotto che fornisce dei vantaggi all’impresa cliente<br />
che vi ricorre. Il primo vantaggio è costituito dal livellamento degli oneri di<br />
sinistro annuale, con conseguente garanzia di continuità per la politica di<br />
bilancio. In secondo luogo, i prodotti SLT consentono la costituzione di un fondo,<br />
efficiente dal punto di vista fiscale, per la gestione a medio termine dei rischi non<br />
assicurabili. Infine, grazie alla riduzione di volatilità che questi prodotti<br />
determinano, è possibile ridurre il costo del capitale di un assicuratore captive<br />
proprio dell’impresa 56 .<br />
La diffusione in termini geografici delle soluzioni finite si presenta molto<br />
disomogenea e fortemente influenzata dai regimi fiscali e dalle normative di<br />
vigilanza. Nella maggior parte dei paesi, il trattamento fiscale e di bilancio<br />
relativo a queste soluzioni non è stato ancora chiaramente specificato. Questa<br />
situazione sfavorevole ritarda l’affermazione di tale tipologia di prodotti,<br />
nonostante i vantaggi di carattere economico offerti da queste soluzioni. Gli Stati<br />
Uniti sono uno dei pochi paesi al mondo in cui sono stati stabiliti dei principi<br />
contabili generali relativamente alle soluzioni “finite”.<br />
2.2.2 I prodotti multiline/multiyear e i prodotti multi trigger<br />
I prodotti multiline/multiyear (MMP) nascono dall’idea di creare prodotti<br />
integranti diverse categorie di rischio e rappresentano un’altra importante<br />
innovazione nell’ambito delle soluzioni di trasferimento alternativo del rischio.<br />
All’interno di un programma assicurativo vengono raccolti diversi rami, dando<br />
vita a combinazioni di rischi assicurativi tradizionali come incendio, business<br />
interruption e responsabilità civile. La caratteristica dei prodotti MMP è quella di<br />
tariffare queste classi di rischio non singolarmente ma in modo integrato,<br />
includendo, spesso, anche rischi speciali come i rischi di cambio e i rischi legati<br />
alle oscillazioni dei prezzi delle materie prime, oppure rischi ritenuti fino ad oggi<br />
non assicurabili quali i rischi politici.<br />
In opposizione alle soluzioni finite-risk, i prodotti MMP consentono di operare<br />
trasferimenti consistenti di rischi sostanziali. L’elevato livello del limite di<br />
responsabilità e l’incorporazione di rischi non assicurabili mettono, ovviamente, a<br />
dura prova la capitalizzazione di colui che propone il prodotto.<br />
Altra caratteristica dei prodotti in esame è rappresentata dal fatto che, sia il<br />
limite di responsabilità del proponente sia il livello della franchigia del contraente<br />
vengano aggregati prescindendo dalle categorie e dalla durata dei contratti, come,<br />
invece, accade nei prodotti tradizionali dove i due elementi appena indicati<br />
vengono determinati singolarmente, per ciascuna classe di rischio e su base<br />
56 Swiss Re, Trasferimento alternativo dei rischi (ART) per aziende: fenomeno di moda o strumento di<br />
gestione del rischio per il 21° secolo?; Rapporto Sigma, n. 2, 1999, p. 22.<br />
39
annua. Oltre a proporre una ripartizione dei rischi all’interno del portafoglio<br />
aziendale, i prodotti MMP si basano sulla ripartizione dei rischi in termini<br />
temporali. In genere, infatti, i limiti e le franchigie su base annua e per l’intera<br />
durata del contratto, vengono stabiliti all’inizio del contratto stesso.<br />
I prodotti multiline/multiyear presentano sicuramente dei vantaggi per il<br />
contraente in termini di migliore efficienza, stabilizzazione dei costi e maggiore<br />
flessibilità. Per evidenziare i vantaggi offerti in termini di costi, occorre, in primo<br />
luogo, sottolineare che la volatilità della sinistrosità, relativamente ad un<br />
portafoglio rischi integrato, in genere, è inferiore alla somma delle volatilità delle<br />
singole classi di rischio. In secondo luogo, il fatto di fissare il pagamento dei<br />
premi nell’arco di più anni permette al contraente di trarre profitto da una<br />
situazione di stabilità dei costi del rischio, i quali non includono più solo i premi<br />
assicurativi, bensì anche i sinistri che rientrano nella franchigia e i danni non<br />
assicurati.<br />
Per quanto, almeno in linea generale, i prodotti MMP risultino decisamente più<br />
complessi dei prodotti tradizionali, il contraente può concretamente ottenere dei<br />
vantaggi considerevoli anche in termini di efficienza amministrativa. Con questi<br />
prodotti, infatti, vengono ridotti i costi di negoziazione e di coordinamento in<br />
funzione di un numero decrescente di assicuratori e broker coinvolti. Lo stesso<br />
dicasi relativamente alla durata pluriennale che rende superfluo il consueto<br />
rinnovo del contratto alla fine dei singoli anni contrattuali 57 .<br />
Nonostante la presenza dei vantaggi appena individuati, questi prodotti sono<br />
ancora poco diffusi nel mondo aziendale. I principali motivi possono essere<br />
sintetizzati nei seguenti punti:<br />
- costi di transazione elevati, in modo particolare nella fase preparatoria. I<br />
prodotti MMP possono essere strutturati in modo specifico solo se il<br />
proponente ha un quadro generale della posizione di rischio del cliente e<br />
ciò comporta inevitabili costi di transazione per entrambe le parti che<br />
possono essere compensati solo a medio termine;<br />
- offerta limitata dei prodotti, che può rendere le soluzioni in questione non<br />
in grado di coprire il valore totale dei rischi;<br />
- l’organizzazione tradizionale del risk management, che considera la<br />
suddivisione delle competenze all’interno delle varie aziende e rende<br />
improponibile l’attuazione di una gestione di approccio globale e lo<br />
sviluppo di un prodotto integrato;<br />
- il rischio di credito, che può risultare notevole quando la solidità<br />
finanziaria dell’assicuratore non può essere accertata con assoluta<br />
certezza 58 .<br />
Nell’insieme dei prodotti di rischio integrato rientrano anche i prodotti multi<br />
trigger (MTP), i quali fanno riferimento al verificarsi di più eventi. Anche i<br />
57 Swiss Re, Trasferimento alternativo dei rischi (ART) per aziende: fenomeno di moda o strumento di<br />
gestione del rischio per il 21° secolo?; Rapporto Sigma, n. 2, 1999, p. 24.<br />
58 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 92.<br />
40
prodotti MTP, quindi, si basano su una considerazione globale del rischio. Per<br />
l’azionista è, infatti, irrilevante che l’utile per azione risulti ridotto a causa di<br />
danni assicurati o meno. L’elemento di scelta decisivo è costituito dalla possibilità<br />
di limitare la volatilità del risultato globale.<br />
La principale caratteristica di questo tipo di coperture si esplicita nel fatto che i<br />
pagamenti di sinistro vengono corrisposti solo se durante il periodo contrattuale<br />
oltre a un sinistro assicurato, denominato first trigger, interviene anche un<br />
evento non assicurato, detto second trigger. Dal punto di vista dell’assicuratore,<br />
questa soluzione consente di abbassare la probabilità di pagamento dei sinistri,<br />
permettendo quindi l’offerta di copertura a condizioni più favorevoli.<br />
La concatenazione dei due eventi può realizzarsi in diversi modi. Per esempio, si<br />
può pensare a un abbassamento della franchigia nell’ambito di una polizza contro<br />
i danni a cose se si verifica una determinata perdita, ad esempio in seguito a un<br />
aumento dei prezzi delle materie prime.<br />
I prodotti MTP garantiscono protezione anche nel caso di eventi molto gravi<br />
quali terremoti devastanti o perdite su cambi nei mercati azionari e<br />
obbligazionari nell’arco di uno stesso esercizio.<br />
Questi prodotti offrono notevoli vantaggi in termini di prezzo; questa<br />
considerazione, tuttavia, vale solo per le aziende che dispongono di un livello di<br />
capitalizzazione tale da consentire di gestire in modo separato i sinistri assicurati<br />
e i sinistri non assicurati. Mediante l’impiego di prodotti MTP, si elimina il<br />
rischio di soprassicurazioni e vengono limitate le coperture assicurative ai casi di<br />
intervento concomitante di un danno assicurato e di un danno non assicurato. Le<br />
aziende che introducono il second trigger al solo scopo di risparmiare sul premio<br />
e contemporaneamente hanno una base finanziaria debole, scegliendo un<br />
prodotto di questo tipo corrono un rischio molto alto.<br />
I prodotti MTP, nella prassi, devono scontrarsi con gli stessi ostacoli dei prodotti<br />
MMP: costi di transazione alti, strutture organizzative tradizionali di gestione del<br />
rischio all’interno dell’azienda nonché incertezze di natura fiscale e relative alla<br />
redazione del bilancio. Tutti questi fattori hanno contribuito a frenare<br />
l’affermazione e la diffusione di questi strumenti.<br />
2.2.3 Il capitale contingente<br />
Una alternativa all’assicurazione consiste nel finanziamento di un sinistro<br />
assicurato dopo il verificarsi dello stesso. In questo caso, però, il problema che si<br />
presenta è legato al fatto che il verificarsi di un sinistro grave rischia di influire<br />
pesantemente sulle condizioni di finanziamento e la raccolta di capitale diventa<br />
più costosa o addirittura impossibile. Gli strumenti di autofinanziamento, inoltre,<br />
risultano poco utili in presenza di sinistri che presentano bassa frequenza ma<br />
alto livello di gravità.<br />
In questi casi, è possibile ricorrere a delle soluzioni che, da alcuni anni, il mercato<br />
dei capitali offre alle imprese e alle compagnie assicurative per far fronte a<br />
catastrofi naturali o perdite di capitale finanziario.<br />
Si tratta, in particolare, dei programmi di contingent capital (CC), che prevedono<br />
il finanziamento di un sinistro assicurato dopo il verificarsi dello stesso.<br />
41
Nell’accezione più semplice, queste soluzioni presentano molte analogie con i<br />
contratti di credito stipulati con le banche. Esiste però una differenza da<br />
ricercare primariamente nel fatto che nei contratti di credito le condizioni di<br />
finanziamento sono determinate da particolari indici di bilancio e del conto<br />
economico. Queste soluzioni alternative, al contrario, garantiscono al contraente,<br />
successivamente all’accadimento di eventi assicurati concordati contrattualmente,<br />
la disponibilità di un capitale, proprio o di credito, in base a condizioni stabilite<br />
prima del maturare dell’evento.<br />
Una forma più complessa di questo prodotto consiste nell’acquisto di opzioni put<br />
il cui valore è correlato, non solo al corso azionario, ma anche al verificarsi di un<br />
evento assicurato. Un’azienda acquista un pacchetto di opzioni put al relativo<br />
corso azionario; nel caso si verifichi un sinistro assicurato, le cui caratteristiche<br />
siano già stabilite a priori, che fa crollare le quotazioni al di sotto di un livello<br />
predeterminato, l’azienda può esercitare l’opzione e assumere capitale aggiuntivo<br />
al prezzo di esercizio concordato.<br />
In particolare, l’acquirente dell’opzione put paga un premio per acquistare il<br />
diritto di vendere i diritti di partecipazione ai profitti o di privilegio azionario a<br />
un investitore, nel caso si verifichi una catastrofe naturale predeterminata o la<br />
perdita del capitale azionario. L’esercizio dell’opzione, che può avvenire solamente<br />
dopo il verificarsi dell’evento, comporta l’acquisto dell’azione o dei diritti di<br />
partecipazione ai profitti da parte dell’investitore. Tale acquisto avviene mediante<br />
il pagamento di un capitale e, nella maggior parte dei casi, è una compagnia di<br />
riassicurazione ad esercitare il ruolo dell’investitore 59 .<br />
Da quanto detto, emerge che la raccolta di capitale è condizionata, nel senso che<br />
è vincolata al verificarsi di un evento assicurato. Se questo evento è<br />
esplicitamente riferito ad una specifica azienda, può sorgere un problema<br />
rilevante di rischio morale, perché l’azienda in questione potrebbe influenzare la<br />
dimensione e la gravità del sinistro. Al contrario, se l’evento scatenante è legato a<br />
un indice indipendente, la soluzione concordata potrebbe non risultare<br />
soddisfacente per il cliente.<br />
Come avviene nelle soluzioni assicurative tradizionali, anche nel caso dei<br />
programmi di contingent capital il contraente è esposto ad un rischio di credito,<br />
ovvero il rischio che il finanziatore risulti in stato di insolvenza al momento di<br />
mettere a disposizione il capitale promesso.<br />
A fronte di tale rischio, però, la raccolta condizionata di capitale presenta diverse<br />
utilità per il contraente. Questa particolare categoria di soluzioni è adatta<br />
soprattutto per l’assicurazione di eventi estremamente rari, ma nel contempo<br />
molto gravi. A differenza di quanto avviene con altre soluzioni alternative, le<br />
transazioni di capitale contingente consentono di incrementare la liquidità ma<br />
non permettono nessuna stabilizzazione dei risultati di bilancio. Il sinistro, infatti,<br />
viene registrato per intero nel conto economico. La raccolta condizionata di<br />
capitale è molto più utile per garantire una gestione ordinaria delle attività<br />
successivamente al verificarsi di un sinistro grave. L’obiettivo perseguito mediante<br />
l’adozione di queste soluzioni consiste, infatti, nell’eliminare l’eventualità di una<br />
59 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 93.<br />
42
situazione di insolvenza o comunque evitare la rinuncia a piani di investimento<br />
già predisposti a causa della mancanza di mezzi.<br />
Le soluzioni di capitale contingente, inoltre, consentono di ottimizzare l’impiego<br />
del capitale influendo positivamente sui costi. La struttura del capitale rimane<br />
coerente con quanto pianificato in sede strategica e il capitale aggiuntivo viene<br />
assunto solo dopo il verificarsi del sinistro, cioè nel momento in cui si rende<br />
effettivamente necessario. Se confrontata con le forme tradizionali dei contratti di<br />
credito, la soluzione della raccolta condizionata di capitale offre un ulteriore<br />
vantaggio, in quanto essa, prima dell’esercizio dell’opzione, non ha effetti sul<br />
bilancio 60 .<br />
2.2.4 Le società captive<br />
Uno strumento classico, appartenente alla categoria degli ART, è la società<br />
captive. L’espressione captive designa una compagnia di assicurazione o di<br />
riassicurazione appartenente a un’unica impresa o gruppo di imprese che opera<br />
in un campo diverso da quello assicurativo e si occupa principalmente<br />
dell’assicurazione dei rischi della casa madre.<br />
Le captive rispondono a diverse esigenze: da un lato, rappresentano un metodo<br />
sistematico di autoassicurazione per i sinistri ricorrenti che possono essere<br />
assunti autonomamente in modo efficiente; dall’altro lato vengono sfruttate come<br />
strumento di finanziamento per rischi che presentano bassa frequenza e alta<br />
gravità, molto specifici, che non trovano altra copertura sul mercato tradizionale.<br />
Le grandi compagnie, spesso multinazionali, sono esposte ad un numero<br />
sufficientemente elevato di rischi che giustifica la costituzione di proprie società<br />
assicurative. L’utilizzo di tale pratica permette loro di ottenere vantaggi diversi, in<br />
modo particolare:<br />
- tutti i profitti rimangono all’interno dell’organizzazione;<br />
- i premi assicurativi non sono suddivisi per il pagamento delle perdite<br />
subite da altre organizzazioni;<br />
- non ci sono dispute con assicuratori esterni;<br />
- si possono ottenere benefici fiscali, in quanto, nella maggior parte dei casi,<br />
queste società sono collocate e gestite nei cosiddetti “paradisi fiscali”, dove<br />
possono godere di un trattamento agevolato;<br />
- si ha un accesso facilitato al mercato riassicurativo.<br />
Prendendo in considerazione le specifiche esigenze di copertura che una società<br />
manifesta in relazione all’attività che istituzionalmente svolge, è possibile che il<br />
mercato assicurativo non sia in grado di rispondere in modo adeguato,<br />
presentando delle inefficienze che vanno dalla completa assenza di offerta, in<br />
relazione a specifiche categorie di rischio, alla proposta di soluzioni rigide e non<br />
sufficientemente personalizzate nel contenuto e quindi nei costi.<br />
60 Swiss Re, Trasferimento alternativo dei rischi (ART) per aziende: fenomeno di moda o strumento di<br />
gestione del rischio per il 21° secolo?; Rapporto Sigma, n. 2, 1999, p. 28.<br />
43
Rischi connessi ad attività estremamente pericolose o innovative e, come tali,<br />
poco conosciute anche dagli operatori del settore assicurativo, possono non<br />
trovare copertura sul mercato e, quindi, in mancanza di soluzioni alternative,<br />
gravare interamente in capo all’azienda. In questi casi, la captive è in grado di<br />
creare le condizioni per salvaguardare l’equilibrio finanziario interno da perdite<br />
che potrebbero manifestarsi con un alto potere destabilizzante, offrendo di fatto<br />
garanzie assicurative.<br />
Le società di questo tipo possono, ad esempio, essere utilizzate quale strumento<br />
per la copertura dei danni ambientali: un esempio è rappresentato dalla Oil<br />
Insurance Limited, creata da più di 20 compagnie petrolifere per gestire<br />
coperture di responsabilità civile da inquinamento.<br />
Captive quali la American Casualty Excess (ACE) e Excess Loss (XL) furono<br />
costituite alla metà degli anni ’80 da un gran numero di imprese statunitensi,<br />
quando una grave crisi, a livello mondiale sul mercato per l’assicurazione di<br />
responsabilità civile costrinse molti utenti a fronteggiare restrizioni nelle<br />
coperture ed aumenti di costi spesso insostenibili. In tale situazione assicuratori e<br />
società di brokeraggio assicurativo cercarono di creare uno strumento per fornire<br />
copertura soprattutto negli alti livelli delle esposizioni catastrofali. Sia ACE che<br />
XL furono costituite proprio con lo scopo di fornire coperture a sinistri<br />
catastrofali, là dove finivano le coperture base di ciascun assicurato. Si tratta di<br />
compagnie in cui gli assicurati sono anche azionisti, ed attuando un vero<br />
principio di mutualità dei rischi garantiscono coperture per importi molto<br />
rilevanti, in eccesso alle polizze base che ciascun assicurato ha in corso 61 .<br />
Oltre che da casi in cui la soluzione assicurativa non è possibile, in quanto<br />
inesistente, limitata o eccessivamente costosa, la scelta della captive può essere<br />
motivata anche da proposte assicurative che risultano inefficienti se valutate in<br />
relazione ai reali bisogni di copertura aziendale. Può, infatti, accadere che alcuni<br />
soggetti si trovino a pagare premi per un ammontare superiore rispetto a quanto<br />
risulterebbe, a parità di garanzie offerte, da un calcolo basato sulla propria<br />
sinistralità pregressa e sul proprio personale profilo di rischio. La realizzazione di<br />
una compagnia assicurativa di proprietà aziendale permette di superare tale<br />
inefficienza attraverso la formulazione di premi calcolati esclusivamente sulla<br />
base della specifica esposizione. Ad esempio, in relazione ad un determinato<br />
rischio, si potrebbe optare per una maggiore franchigia e quindi ritenzione in<br />
proprio e assicurare l’eccedenza presso la propria compagnia, ottenendo un<br />
adeguamento del premio che difficilmente verrebbe accordato qualora ci si<br />
rivolgesse al mercato assicurativo tradizionale. In una prospettiva di risk<br />
management, la captive è dunque da considerarsi strumento indispensabile per la<br />
realizzazione di progetti ottimali di gestione dei rischi.<br />
Ma la costituzione di una società captive può anche rispondere ad obiettivi di<br />
natura tipicamente strategica: una simile eventualità ricorre quando i servizi o i<br />
prodotti offerti da una società si prestano ad essere affiancati da opportune<br />
garanzie di tipo assicurativo a beneficio del cliente, al fine di creare una proposta<br />
completa e differenziata avente lo scopo di creare fidelizzazione. Inoltre, come già<br />
61 P. Pignolo, La gestione e la ritenzione del rischio d’impresa; Franco Angeli, 2002, p. 124.<br />
44
accennato prima, la realizzazione da parte di una società di una propria<br />
compagnia d’assicurazione o di riassicurazione in forma di captive, consente di<br />
accedere direttamente al mercato riassicurativo. Ciò produce indubbiamente dei<br />
vantaggi:<br />
- in primo luogo, è possibile ottenere premi di riassicurazione inferiori<br />
rispetto ai mercati tradizionali, in quanto non gravati dai pesanti costi di<br />
amministrazione legati all’acquisizione diretta dei rischi presso la clientela;<br />
- in secondo luogo, l’accesso facilitato al mercato della riassicurazione,<br />
permette di acquisire una maggiore capacità di copertura e maggiore<br />
disponibilità dei riassicuratori nei confronti dei rischi catastrofali e ciò,<br />
grazie alla maggiore dimensione dei portafogli.<br />
Si distinguono le captive pure dalle captive a mercato aperto. In genere, la<br />
captive nasce pura, ovvero con lo scopo d’assicurare i soli rischi della casa madre<br />
(parent company), per poi aprirsi in fase di crescita al mercato esterno,<br />
sottoscrivendo quindi anche coperture di terzi. I vantaggi derivanti da<br />
un’apertura all’esterno consistono essenzialmente nell’ampliamento del<br />
portafoglio, e quindi nella stabilizzazione delle perdite, oltre che nell’acquisizione<br />
di profitti di sottoscrizione.<br />
Tali risultati vanno tuttavia controbilanciati con l’altrettanto possibile eventualità<br />
di un peggioramento del portafoglio esistente a fronte di politiche di assunzione<br />
dei rischi valutate in modo non adeguato.<br />
Essendo evidente la differenza fra una captive costituita da un’unica società ed<br />
una captive con una compagine societaria composta da più soggetti è opportuno<br />
chiarire i pro ed i contro delle due soluzioni alternative. A favore della captive<br />
con un unico proprietario è da ricordare la possibilità d’assoggettare<br />
completamente la strategia assicurativa alle proprie esigenze. E’ possibile, invece,<br />
affermare il contrario per le captive con più proprietari, dove la riduzione dei<br />
costi è controbilanciata dalla possibilità dell’insorgere di disaccordi fra i vari<br />
esponenti della società in merito alla programmazione e gestione della captive<br />
stessa.<br />
Le captive concepite come compagnie riassicurative sono molto più diffuse<br />
rispetto alle captive di assicurazione diretta. Nell’attività delle prime, i rischi della<br />
casa madre vengono inizialmente sottoscritti da una compagnia di assicurazione<br />
diretta locale, definita fronter, e poi ceduti alla captive mediante un contratto di<br />
riassicurazione. I rischi vengono poi retrocessi, in parte, a compagnie di<br />
riassicurazione professionali. La procedura è giustificata dal fatto che, mentre le<br />
compagnie di assicurazione necessitano della licenza per operare in ogni paese e<br />
vengono controllate dalle autorità locali, il riassicuratore, invece, opera<br />
generalmente a livello internazionale ed è soggetto a controllo delle autorità solo<br />
del paese in cui ha sede.<br />
Le captive sono nate inizialmente come alternativa alle tradizionali soluzioni di<br />
assicurazione per rischi singoli nell’ambito del settore property e di responsabilità<br />
civile, oggi, invece, i rischi ceduti sono vari. A livello mondiale la captive viene<br />
45
impiegata sempre più quale bacino di raccolta dei più disparati rischi e punto di<br />
partenza per lo sviluppo di soluzioni alternative di riassicurazione.<br />
La realizzazione di una compagnia captive non può prescindere da un<br />
preliminare studio di fattibilità del progetto, richiedente un sofisticato know-how<br />
assicurativo e finanziario. Lo studio di fattibilità si divide in due fasi<br />
consequenziali, sintetizzabili nel seguente modo:<br />
1. verifica dell’esistenza di alcuni prerequisiti essenziali;<br />
2. valutazione della convenienza in termini di analisi costi/benefici.<br />
Un fattore di grande importanza dal quale dipende la sopravvivenza di una<br />
captive è sicuramente la capacità della società madre di gestire i suoi rischi in<br />
modo da evitare che l’andamento dei sinistri deteriori al punto d’intaccare la<br />
redditività e la solidità finanziaria della captive stessa.<br />
La convinzione e l’impegno del management rappresenta un’altra componente<br />
cruciale sia nel comprendere i vantaggi e le implicazioni di una captive che le sue<br />
possibilità di successo. Le società realizzate con un inadeguato coinvolgimento ed<br />
uno scarso impegno del top management hanno poche probabilità di successo o<br />
comunque scarse possibilità di ottimizzare i benefici finanziari che possono<br />
derivare dal loro sviluppo.<br />
Al fine di costituire e rendere operativa la captive occorre disporre di capacità<br />
manageriali specifiche che, nel caso non fossero reperibili all’interno dell’azienda<br />
madre, devono essere necessariamente acquistate da organizzazioni esterne<br />
specializzate.<br />
La captive deve essere dotata di una congrua garanzia patrimoniale che si adegui<br />
in modo costante al volume d’affari, per l’eventualità che il monte premi raccolto<br />
si manifesti insufficiente al pagamento dei sinistri. I mezzi propri devono essere<br />
sempre in grado di far fronte ad andamenti non favorevoli della sinistrosità<br />
prevista per fornire la massima garanzia degli assicurati, tuttavia il loro<br />
ammontare non risulta determinabile univocamente in quanto correlato alle<br />
decisioni sul margine di solvibilità al quale la società dovrebbe tendere. Vista la<br />
funzione di copertura della massima perdita probabile per sinistro fronteggiata<br />
dalla captive, ovvero della peggiore perdita che abbia la possibilità di accadere, la<br />
capitalizzazione della società dovrà essere effettuata tramite conferimenti in tutto<br />
o in gran parte caratterizzati dalla massima liquidità 62 .<br />
Fra gli aspetti che rendono allettante il ricorso ad una captive, sicuramente uno<br />
dei più interessanti risulta essere la possibilità di sviluppare un sostanziale<br />
reddito da investimento dei premi pagati alla propria compagnia d’assicurazione.<br />
Tale opportunità si presenta in misura diversa a seconda della classe di rischio<br />
presa in considerazione: risulta maggiormente consistente nel caso dei long tail<br />
business, ovvero in relazione a quei rischi che danno luogo a richieste di<br />
risarcimento dal lunghissimo esito, più modesta nel caso dei rischi definiti short<br />
tail ed aventi caratteristiche opposte rispetto ai precedenti.<br />
62 P. Pignolo, La gestione e la ritenzione del rischio d’impresa; Franco Angeli, 2002, p. 132.<br />
46
L’analisi dei cash flow deve tenere conto, oltre che dei tempi di pagamento dei<br />
sinistri, anche dei costi di riassicurazione e della possibilità di valori negativi nel<br />
caso in cui i sinistri superino il volume di premi ritenuto dalla captive. Particolare<br />
attenzione deve, inoltre, essere dedicata ai tempi di riscossione dei premi, che<br />
devono opportunamente essere programmati al fine d’ottimizzare la gestione<br />
della tesoreria e degli investimenti.<br />
La gestione patrimoniale e finanziaria all’interno di una captive rappresenta<br />
l’occasione per realizzare uno degli obiettivi più tradizionalmente correlati alla<br />
sua costituzione: il conseguimento di un cash flow utilizzabile per operazioni di<br />
finanziamento della casa madre e delle sue affiliate. Infatti, l’impresa che possiede<br />
una captive, ritiene o recupera in gran parte i premi versati e, inoltre, potendo<br />
costituire riserve tecniche o di equilibrio libere da imposte, crea al suo interno un<br />
serbatoio di disponibilità finanziarie utilizzabili per altri progetti. Vista la scarsa<br />
prevedibilità della manifestazione dei vari eventi e quindi delle esigenze di<br />
liquidazione, i premi devono essere accantonati sotto forma di strumenti<br />
finanziari di breve periodo, caratterizzati da una elevata liquidità.<br />
Occorre osservare che alcuni sinistri sono liquidati nell’anno di accadimento, ma<br />
molti grossi danni, per esigenze di perizia, richiedono per la loro soluzione<br />
definitiva un lungo periodo di tempo, anche di cinque anni o più. Durante tutto<br />
questo periodo la riserva è trattenuta dalla captive ed investita. I benefici<br />
derivanti dai proventi degli investimenti e dal differito esborso si ripercuotono sul<br />
gruppo, in misura tanto maggiore quanto più numerosi sono i rischi assunti.<br />
Oltre ai fondi provenienti dall’attività assicurativa, la captive ha altri mezzi<br />
monetari a sua disposizione e cioè i cosiddetti fondi liberi, ossia il patrimonio<br />
netto: quest’ultimo rappresenta una dotazione iniziale dell’azienda, destinata<br />
successivamente ad incrementarsi o ridursi, in conseguenza degli utili o delle<br />
perdite prodotti dalla gestione d’impresa.<br />
Le normative legislative dei vari paesi vincolano tuttavia in vario modo<br />
specificamente l’attività assicurativa, introducendo l’obbligo del margine di<br />
solvibilità, con la finalità di fornire la massima garanzia agli assicurati. Dunque,<br />
solo la parte di patrimonio netto che eccede il margine di solvibilità può essere<br />
impiegata in altre attività, diverse nella prassi e nelle finalità da quella<br />
propriamente assicurativa.<br />
Occorre precisare, infine, che l’attività finanziaria e patrimoniale dell’impresa<br />
d’assicurazione o di riassicurazione captive non può essere separata da quella<br />
assicurativa vera e propria. Un’attività finanziario-patrimoniale dissociata da<br />
quella prettamente assicurativa potrebbe generare l’illusione di poter<br />
neutralizzare le perdite tecniche di gestione, esponendo progressivamente nel<br />
tempo la casa madre e le affiliate ad una situazione di vera e propria insicurezza.<br />
Le captive presenti sul mercato sono circa 4.000 e raccolgono premi per circa 21<br />
miliardi di dollari, per un ammontare pari al 6 per cento del totale delle<br />
assicurazioni per aziende. Quasi 3.000 delle 4.000 captive esistenti a livello<br />
mondiale sono affiliate ad una sola casa madre; esistono, però, anche captive di<br />
gruppo, che nascono quando diverse società si uniscono per creare una captive<br />
comune. In tempi più recenti, hanno acquistato maggiore importanza le<br />
47
cosiddette rent-a-captive: optando per questa particolare soluzione, la società non<br />
costituisce la captive ex novo, ma ne affitta una già esistente. A fronte di una<br />
commissione di gestione, la società può disporre di un conto fornito dal<br />
riassicuratore, mediante il quale può gestire premi, danni e proventi degli<br />
investimenti. Il vantaggio offerto da questa soluzione rispetto alle captive<br />
indipendenti consiste essenzialmente nel fatto che la società non deve mettere a<br />
disposizione capitale; questa soluzione, quindi, risulta particolarmente<br />
interessante per le imprese medio-grandi.<br />
All’inizio del periodo di boom delle captive, quindi a cavallo tra gli anni ‘60 e gli<br />
anni ’70, le ragioni di natura fiscale e finanziaria hanno avuto un ruolo<br />
determinante nell’affermazione di queste soluzioni. Confrontando le captive con il<br />
puro autofinanziamento del rischio, si osserva che le prime presentano in più il<br />
vantaggio della deducibilità fiscale dei premi e del trattamento fiscale favorevole<br />
delle riserve tecniche. Oggigiorno i vantaggi di natura fiscale sono passati in<br />
secondo piano: negli USA la deducibilità fiscale entra in gioco solo se una quota<br />
sostanziale delle attività della captive risulta all’estero; per quanto riguarda la<br />
maggior parte dei paesi europei, bisogna dimostrare di ricorrere in misura<br />
massiccia al trasferimento del rischio, e che quindi i premi pagati sono fondati da<br />
un punto di vista attuariale. In conformità con la legislazione di alcuni paesi<br />
europei, inoltre, l’utile delle captive viene tassato nel paese in cui ha sede la casa<br />
madre. Tra i vantaggi finanziari, infine, vale la pena sottolineare la considerazione<br />
esplicita dei proventi da investimento ai fini della liquidazione dei danni.<br />
Più della metà delle captive esistenti appartiene a imprese industriali e terziarie<br />
statunitensi. La presenza negli Stati Uniti è sicuramente alta ma altri paesi quali,<br />
Gran Bretagna, Svezia e Norvegia vedono una presenza di captive ancora<br />
maggiore se commisurata alle dimensioni dei rispettivi mercati assicurativi 63 .<br />
A livello mondiale, le isole Bermuda sono il paese in cui ha sede il maggior<br />
numero di captive (circa un terzo di tutte le captive sono domiciliate qui): per le<br />
case madri statunitensi le isole Bermuda e Cayman rappresentano l’insediamento<br />
preferito. Per quanto concerne, invece, le aziende europee l’attenzione va posta<br />
sul Lussemburgo, anche se si sta assistendo ad una crescita di tali società in<br />
Irlanda. Ogni anno nel panorama si inseriscono nuove località che favoriscono la<br />
nascita e la costituzione di nuove captive, anche se negli ultimi tempi l’Ocse ha<br />
esercitato una certa pressione per fare in modo che anche questi paradisi fiscali<br />
si adeguino ai sistemi fiscali e di trasparenza internazionali 64 .<br />
Le captive si stanno affermando in misura crescente come strumento di gestione<br />
integrata dei rischi, permettendo all’impresa di trarre profitto dagli effetti<br />
“naturali” di compensazione e diversificazione dei vari rischi.<br />
Molti dei vantaggi ottenibili attraverso le società captive oggi possono essere<br />
ottenuti anche con l’impiego di altre soluzioni alternative, per esempio le<br />
soluzioni finite o multiline/multiyear viste in precedenza. Per molte imprese,<br />
tuttavia, la soluzione in esame continua a rappresentare il primo passo verso il<br />
63 Swiss Re, Trasferimento alternativo dei rischi (ART) per aziende: fenomeno di moda o strumento di<br />
gestione del rischio per il 21° secolo?; Rapporto Sigma, n. 2, 1999, p. 17.<br />
64 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 90.<br />
48
mercato delle soluzioni alternative di trasferimento del rischio o, comunque, si<br />
dimostra come lo strumento migliore verso l’elaborazione di programmi globali<br />
di gestione del rischio.<br />
2.3 La cartolarizzazione dei rischi assicurativi (securitisation)<br />
Il mercato assicurativo, non essendo in grado di coprire che solo una piccola<br />
parte dei danni derivanti da catastrofi naturali, spinge continuamente alla ricerca<br />
di nuove soluzioni. Nella corsa alla ricerca di ulteriore capacità, le compagnie di<br />
assicurazione diretta e di riassicurazione, nonché le banche d’investimento, hanno<br />
iniziato a cartolarizzare i portafogli di rischi catastrofali per poterli collocare<br />
direttamente sul mercato sotto forma di titoli. L’interesse degli investitori ad<br />
investire in rischi catastrofali trova ragion d’essere nel fatto che essi possono in<br />
questo modo diversificare ulteriormente il proprio portafoglio, dato che gli<br />
avvenimenti naturali catastrofali non sono quasi mai correlati agli avvenimenti<br />
che riguardano i mercati finanziari.<br />
Questi prestiti offrono agli investitori un rendimento variabile in funzione del<br />
verificarsi di un evento assicurato. In base alla struttura del prestito, in caso di<br />
sinistro, gli investitori possono perdere in tutto o in parte il proprio diritto agli<br />
interessi per la durata residua del prestito oppure, in caso estremo, addirittura<br />
una parte del capitale che hanno messo a disposizione, denominato principal.<br />
Solitamente, il capitale così raccolto viene impiegato per costituire una<br />
compagnia di riassicurazione specializzata, nota con il nome di special purpose<br />
vehicle (SPV), assimilabile a una captive, che propone al contraente una polizza<br />
convenzionale di riassicurazione. In questo modo, si garantisce che la transazione<br />
venga riconosciuta sia dagli organi di vigilanza che dal punto di vista fiscale come<br />
intervento di riassicurazione.<br />
La SPV fornisce la copertura necessaria, derivante dall’accordo, mediante<br />
l’emissione di titoli. Le risorse raccolte attraverso la suddetta emissione vengono<br />
investite in titoli ad alta liquidità attraverso una società collaterale gestita da un<br />
management separato, che garantisce l’adeguata amministrazione e il corretto<br />
utilizzo delle attività della società. Queste ultime, a loro volta, servono a garantire<br />
i pagamenti della SPV, dando così garanzia di una sicurezza totale della copertura<br />
della compagnia assicurativa (rating pari a AAA).<br />
Il ricavo dell’investimento effettuato dalla società collaterale dovrebbe essere<br />
basato sul tasso di interesse di riferimento, come ad esempio il Libor. Questo è<br />
reso possibile attraverso un interest swap tra la società collaterale e una<br />
controparte disposta a scambiare il ricavo derivante dall’investimento con il tasso<br />
di riferimento, riuscendo così ad assicurare un tasso di interesse fisso agli<br />
investitori 65 .<br />
Il principale vantaggio offerto da queste soluzioni, se paragonate alle forme di<br />
riassicurazione tradizionali, consiste nella possibilità di disporre di una capacità<br />
d’investimento superiore sui mercati dei capitali. In passato, infatti, gli investitori<br />
65 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 95.<br />
49
potevano investire in rischi assicurativi solo in modo indiretto, ovvero attraverso<br />
la partecipazione in una compagnia di assicurazione diretta o di riassicurazione.<br />
Dal punto di vista del contraente, le soluzioni di securitisation offrono anche un<br />
ulteriore vantaggio che non è possibile ottenere optando per le soluzioni di<br />
riassicurazione tradizionale: la cartolarizzazione elimina, infatti, il rischio di<br />
credito, poiché il capitale viene messo a disposizione prima del verificarsi del<br />
danno e investito in titoli sicuri a breve termine.<br />
Pur presentando costi di transazione inferiori rispetto alle forme di<br />
riassicurazione tradizionali, queste soluzioni non hanno ancora avuto il successo<br />
sperato in quanto le transazioni finora avvenute sono a un livello molto limitato<br />
rispetto alla riassicurazione e spesso più che come un’alternativa sono viste come<br />
un’integrazione alle forme di riassicurazione tradizionali. In linea di principio,<br />
tuttavia, non c’è motivo perché le imprese industriali e le relative captive non<br />
debbano collocare alcuni particolari rischi direttamente sul mercato dei capitali.<br />
2.3.1 I bond catastrofali<br />
I bond catastrofali o cat-bonds rappresentano uno dei principali strumenti per la<br />
cartolarizzazione del rischio assicurativo, il cui elemento caratteristico consiste<br />
nel fatto che, al verificarsi di dati eventi dannosi e nei limiti stabiliti dal contratto,<br />
i sottoscrittori subiscono una riduzione delle proprie entrate in proporzione alle<br />
perdite. In altri termini, l’andamento di questi titoli e quindi il rimborso del<br />
capitale e il pagamento dell’interesse, dipende dal verificarsi o meno di una<br />
catastrofe naturale (tempeste, terremoti, alluvioni etc.). Si tratta, in particolare, di<br />
obbligazioni che offrono un rendimento più elevato rispetto a quello<br />
normalmente praticato. L’extra rendimento viene associato al rischio: qualora si<br />
verificasse quest’ultimo, i sottoscrittori del titolo potrebbero addirittura perdere,<br />
in tutto o in parte, il capitale investito. I catastrophe bonds sono, quindi, un<br />
esempio di come il mercato dei capitali possa anche gestire la copertura dei<br />
rischi puri, mediante l’offerta di strumenti che fanno gravare completamente il<br />
rischio legato all’evento sui mercati finanziari. L’assicuratore, infatti, altro non è<br />
che il veicolo col quale si realizza la raccolta dei premi ed il trasferimento del<br />
rischio 66 .<br />
L’andamento del titolo dipende dal verificarsi o meno di un determinato evento e<br />
la definizione di quest’ultimo può essere di tre tipologie:<br />
- diretta: il pagamento del capitale e dell’interesse è subordinato al<br />
verificarsi di sinistri superiori ad un determinato ammontare, in seguito ad<br />
esempio ad un’alluvione;<br />
- tramite un indice di mercato: l’andamento del bond è legato a un indice<br />
parametrico, per esempio l’andamento della piovosità in un determinato<br />
anno attestata da un istituto meteorologico accreditato;<br />
66 Antonio Di Martino, Gli strumenti a copertura dei rischi ambientali: financial instruments covering<br />
environmental risks; www.ambientediritto.it.<br />
50
- sulla base di un evento: ad esempio il verificarsi in una determinata area<br />
di un terremoto di intensità superiore ad un certo grado della scala<br />
Richter 67 .<br />
I bond catastrofali sono collocati tra gli investitori finanziari, secondo le normali<br />
procedure per qualsiasi emissione obbligazionaria. Normalmente vengono emessi<br />
da società SPV create seguendo la procedura illustrata nel paragrafo precedente.<br />
Le SPV, in questo caso, agiscono da intermediari tra la compagnia di<br />
assicurazione e il mercato dei capitali e sono entità costituite per detenere il<br />
capitale raccolto dagli investitori, che serve o per ripagarli, quando l’obbligazione<br />
arriva a scadenza, o per pagare i sinistri dell’assicurato nel caso si verifichi<br />
l’evento catastrofale. La SPV pone in essere diverse operazioni.<br />
In primo luogo, provvede ad emettere un prestito obbligazionario, nelle cui<br />
condizioni è stabilito che il pagamento dell’interesse, la restituzione del capitale o<br />
entrambe le operazioni siano legate inversamente al valore che assumerà in<br />
futuro una grandezza rappresentativa di un determinato rischio. Tale grandezza è<br />
un indice di settore per una certa zona geografica, tipo di esposizione e periodo<br />
di tempo, se si sceglie una formula index linked, o la somma delle perdite del<br />
soggetto che trasferisce il rischio alla SPV (sponsoring firm) per un certo<br />
portafoglio di esposizioni, nel caso di soluzioni firm specific. I capitali raccolti<br />
dallo SPV si intendono a disposizione per il finanziamento di un determinato<br />
rischio e, in caso di evento dannoso, le somme vengono utilizzate per la<br />
copertura delle perdite.<br />
I sottoscrittori di un bond catastrofale assumono di fatto la posizione di<br />
assicuratore dell’evento stabilito dal contratto. Il prestito viene generalmente<br />
collocato sul mercato attraverso l’aiuto di banche d’investimento o altri soggetti<br />
specializzati.<br />
In secondo luogo, contemporaneamente all’emissione dei bonds, lo SPV conclude<br />
con la sponsoring firm un contratto di riassicurazione, presentante condizioni<br />
coerenti con le caratteristiche del prestito, in particolare: l’ammontare della<br />
copertura solitamente coincide con il valore nominale del prestito; la durata del<br />
contratto di riassicurazione non supera quella del prestito; il rischio coperto è lo<br />
stesso dei bond catastrofali e le perdite sono calcolate sulla base delle stesse<br />
grandezze.<br />
Lo SPV, infine, investe i capitali raccolti in attività finanziarie liquide, che<br />
svolgono la funzione di collaterale per il prestito e, allo stesso tempo, di fondo<br />
per il finanziamento delle perdite della sponsoring firm.<br />
I cat-bonds sono generalmente emessi in diverse tranche, alle quali società<br />
specializzate assegnano un rating sulla base della perdita attesa degli investitori.<br />
E’ analizzata la probabilità che un particolare evento catastrofico si verifichi, il<br />
costo atteso derivante dal verificarsi di tale evento, la solidità finanziaria di tutte<br />
le parti coinvolte, la qualità e la completezza delle informazioni che descrivono il<br />
rischio sottostante.<br />
67 Alessandro Santoni, Come trasferire il rischio catastrofi, articolo del 23/02/2005; www.edipi.com.<br />
51
Negli ultimi anni, le emissioni sono state spesso caratterizzate da una tranche in<br />
cui sia il capitale sia l’interesse sono a rischio e il ritorno sull’investimento riflette<br />
l’elevato ammontare del rischio e da una ulteriore tranche in cui, invece, tutto o<br />
parte del capitale è protetto. In quest’ultimo caso, al momento dell’emissione del<br />
bond, parte dei fondi vengono accantonati a garanzia del rimborso del capitale,<br />
che spesso avviene nell’arco di un orizzonte temporale definito. Numerose recenti<br />
emissioni non hanno previsto una tranche a capitale garantito, segno che il<br />
mercato ha probabilmente guadagnato una maggiore familiarità con questi<br />
strumenti.<br />
In media, i cat-bonds pagano un premio su un tasso di mercato (per esempio<br />
LIBOR) variabile tra i 4.5% e il 6% per un rischio di default dello 0.8%. Esiste<br />
comunque una grande variabilità tra probabilità di default, e quindi rating<br />
associato all’emissione, e spread sul LIBOR che hanno variato nel recente passato<br />
tra l’1.5% ed il 15.5%.<br />
I bond catastrofali rappresentano un valido strumento di diversificazione del<br />
portafoglio. Sulla base della correlazione rischio-rendimento, infatti, questi titoli si<br />
caratterizzano per il fatto di presentare un grande rischio in termini assoluti, in<br />
quanto espongono gli investitori al rischio aggiuntivo di perdere il capitale e/o gli<br />
interessi in caso di sinistri. Essi presentano, però, una bassa correlazione con le<br />
attività finanziarie che compongono usualmente un portafoglio finanziario.<br />
La correlazione dei catastrophe bonds con le normali obbligazioni o con le azioni<br />
è praticamente nulla, tanto che essi vengono in genere fatti rientrare nella<br />
categoria dei zero-beta asset che include le attività finanziarie che non<br />
presentano alcuna correlazione con il rendimento del mercato azionario. Il<br />
verificarsi di sinistri, infatti, non ha alcun legame significativo con i fenomeni che<br />
influenzano il rendimento delle azioni o delle obbligazioni tradizionali.<br />
In passato, si attendeva una forte crescita del mercato dei cat-bonds, soprattutto<br />
dopo l’incremento dei costi riassicurativi in seguito all’11 settembre. In realtà, la<br />
crescita degli ultimi anni è stata inferiore alle aspettative, soprattutto perché<br />
queste operazioni possono richiedere un tempo superiore a quello necessario per<br />
definire un tradizionale contratto di riassicurazione, per la complessità necessaria<br />
a prezzare questi strumenti o per problemi di carattere legale e contabile.<br />
Le principali critiche a questi strumenti riguardano i tempi di emissione e i costi:<br />
infatti, secondo alcuni operatori, il prezzo dei cat-bonds non necessariamente<br />
risulta più vantaggioso rispetto alla riassicurazione tradizionale. Si possono,<br />
tuttavia, sottolineare alcuni vantaggi che, al di là della possibile convenienza in<br />
termini di costi, possono derivare da una emissione di tale tipologia di titoli, tra<br />
cui, innanzitutto, una maggiore stabilità e prevedibilità del costo della copertura.<br />
Questi strumenti hanno una durata media di circa tre anni e inoltre il mercato<br />
dei capitali ha una maggiore disponibilità finanziaria del mercato assicurativo e<br />
una maggiore necessità di diversificazione; questi ultimi due aspetti dovrebbero<br />
contribuire a ridurre la volatilità dei prezzi dei cat-bonds.<br />
Un altro vantaggio consiste, come già evidenziato, nella possibilità di trovare<br />
copertura assicurativa e riassicurativa per rischi che potrebbero non essere<br />
assicurabili tramite il mercato tradizionale.<br />
52
In terzo luogo, è opportuno sottolineare la dimostrazione di una maggiore<br />
capacità di risk management, che deriva proprio dalla creazione di strumenti<br />
alternativi di diversificazione del rischio. La grande maggioranza dei principali<br />
riassicuratori e assicuratori europei hanno già realizzato emissioni di bond<br />
catastrofali. I rischi tipicamente cartolarizzati sono geograficamente relativi all’<br />
Europa, agli Stati Uniti e al Giappone e fanno riferimento a tempeste, grandine e<br />
terremoti. Il 2003 ha visto poi nascere il primo cat-bond legato al solo rischio di<br />
mortalità in ambito delle assicurazioni vita e il primo cat-bond denominato in<br />
euro e sponsorizzato non da una società di assicurazione, ma dalla “Electricité de<br />
France” 68 .<br />
Nel corso del 2003, l’ammontare delle nuove emissioni è raddoppiato rispetto al<br />
2002, portando il volume totale del mercato a 4,3 miliardi di dollari contro i 2,8<br />
miliardi dell’anno precedente. Ma è stato il 2005 l’anno contraddistinto da<br />
un’intensa attività di cartolarizzazione dei rischi catastrofali: nel corso dell’anno si<br />
sono registrate ben dieci emissioni di cat-bond, che hanno canalizzato flussi di<br />
capitale a copertura di rischi estremi, in maggioranza legati a catastrofi naturali,<br />
per oltre 1,9 miliardi di dollari. Il dato rappresenta una crescita sia in termini di<br />
numero di emissioni sia in termini di flussi di capitale rispetto ai tre anni<br />
precedenti.<br />
La dimensione delle conseguenze dell’uragano Katrina nella costa meridionale<br />
degli Stati Uniti ha generato interessanti dinamiche nel mercato dei cat-bonds. Le<br />
forti perdite sofferte dal comparto riassicurativo hanno creato problemi di<br />
capacità nell’assorbire la crescita della domanda di coperture danni. E’ aumentata<br />
di conseguenza l’attenzione per le strategie di cartolarizzazione; in effetti, nei<br />
mesi che hanno seguito l’uragano si è verificato un aumento delle emissioni di<br />
cat-bond attraverso la creazione di veicoli speciali.<br />
Nel 2005, il settore ha registrato importanti novità per quanto riguarda il tipo di<br />
rischi coperti: e’ stata, infatti, realizzata l’emissione di un cat-bond a copertura di<br />
un portafoglio di rischi legati alla responsabilità civile generale nel settore<br />
petrolchimico. Inoltre la FIFA ha emesso un’obbligazione di questo tipo a<br />
copertura del rischio della mancata disputa della finale della coppa del mondo di<br />
calcio. Anche il governo messicano ha emesso un cat-bond a copertura di danni<br />
alle cose nell’eventualità che un terremoto di intensità superiore ai 7,5 gradi della<br />
scala Richter colpisca l’area di Città del Messico o che un sisma di intensità<br />
superiore agli 8 gradi investa le regioni della costa pacifica. Emissioni a copertura<br />
di questo tipo di rischio sono state effettuate in Giappone, California e Taiwan, e<br />
in generale hanno spread di circa il 4 per cento rispetto al LIBOR 69 .<br />
Ma è nel 2006 che il mercato dei cat-bonds ha segnato la crescita più alta mai<br />
registrata, sia in termini di numero di emissioni sia in termini di valore.<br />
Nel periodo di riferimento vi sono state 20 emissioni, il doppio rispetto al 2005,<br />
per un totale di 4,7 miliardi di dollari. Negli ultimi due anni il mercato<br />
complessivo dei cat-bonds è più che triplicato. Dal 1997, sono stati emessi 89 di<br />
68 Alessandro Santoni, Come trasferire il rischio catastrofi, articolo del 23/02/2005; www.edipi.com.<br />
69 ANIA: L’Assicurazione Italiana nel 2005/2006: la cartolarizzazione del rischio catastrofale;<br />
www.ania.it.<br />
53
questi strumenti, mentre il capitale assicurato alla fine del 2006 ammontava a 8,5<br />
miliardi di dollari, il 75 per cento in più rispetto all’anno passato e oltre il doppio<br />
del valore del 2004.<br />
Si rileva, inoltre, che la quota di mercato più grande è stata conseguita dalle<br />
compagnie di assicurazione (60%) con 12 emissioni, seguite dalle compagnie di<br />
riassicurazione (30%) con 6 emissioni e altri emittenti (10%) con 2 emissioni,<br />
evidenziando una tendenza registrata negli anni precedenti in cui la quota di<br />
mercato principale era quella delle compagnie di riassicurazione.<br />
La forte crescita di questo tipo di prodotti è da attribuirsi non solo alla riduzione<br />
della disponibilità di coperture riassicurative, a causa delle ingenti perdite causate<br />
dagli uragani del 2004 e 2005, ma anche all’aumento della domanda da parte<br />
degli investitori istituzionali, in cerca di diversificazione e di rendimenti più<br />
elevati. Il 2006 è risultato anche l’anno della combinazione tra diverse modalità di<br />
copertura del rischio catastrofale. I cat-bonds non sono stati considerati<br />
semplicemente come un’alternativa per limitare l’esposizione al rischio<br />
catastrofale ma sono spesso stati associati ad altre tipologie di coperture.<br />
La misura della perdita attesa annua di una emissione di cat-bonds costituisce<br />
una buona approssimazione del livello di rischio coperto. Tra tutte le emissioni<br />
effettuate prima del 2006 la massima perdita attesa annua è stata del 4,9 per<br />
cento. Solo nel 2006, la perdita attesa annua di ben dieci emissioni di cat-bonds è<br />
stata superiore al 6 per cento 70 .<br />
Negli ultimi tempi, alcuni operatori hanno conseguito una diminuzione dei tempi<br />
di emissione che, come già detto, rappresenta una delle critiche principali alla<br />
realizzazione di questi strumenti.<br />
Anche se le dimensioni del mercato rimangono contenute, molti operatori del<br />
mercato rimangono ottimisti sul superamento di un periodo iniziale di studio. Il<br />
mercato è limitato agli investitori istituzionali e al momento rimane poco liquido<br />
e questi strumenti sono generalmente detenuti fino a scadenza con una limitata<br />
attività di trading.<br />
2.4 I derivati assicurativi: tipologie e caratteristiche<br />
Gli strumenti assicurativi derivati sono essenzialmente strumenti finanziari il cui<br />
valore viene determinato in base all’andamento di un indice specifico per il<br />
settore assicurativo (sottostante). L’indice può rappresentare, per esempio, la<br />
sinistrosità relativa ad alcuni particolari rischi. Acquistando uno strumento<br />
assicurativo derivato, una eventuale perdita dovuta a uno sviluppo negativo<br />
dell’indice viene compensata dall’aumento di valore dello stesso strumento<br />
derivato: in questo modo è possibile stabilizzare i costi dei rischi e gli utili attesi.<br />
La definizione del sottostante, in particolare, riveste un ruolo fondamentale:<br />
l’indice rilevante ai fini assicurativi può riferirsi sia a grandezze monetarie, come<br />
ad esempio il danno totale relativo ad un evento o gli indici di sinistralità<br />
aggregati di un determinato rischio, sia a eventi fisici, quali le oscillazioni della<br />
temperatura, i giorni di pioggia, ecc. Poiché in genere il valore degli strumenti<br />
70 ANIA: L’assicurazione Italiana 2006/2007: il mercato internazionale dei cat-bonds nel 2006;<br />
www.ania.it.<br />
54
derivati non fa riferimento ai danni effettivi del contraente, la copertura che è<br />
possibile ottenere in questo modo non risulta affatto perfetta: rimane aperto<br />
infatti un rischio di base.<br />
L’assicurazione catastrofale può essere vista essenzialmente come una opzione<br />
put protettiva acquistata da un soggetto per assicurare il valore di un sottostante<br />
che può essere rappresentato da un fabbricato, un’auto o la salute stessa.<br />
L’acquirente paga all’assicuratore un premio per acquistare la polizza. Al<br />
verificarsi dell’evento che provoca danni al sottostante, l’assicuratore rimborsa<br />
secondo quanto stabilito dal contratto.<br />
I derivati assicurativi, utilizzati per fini di copertura, hanno quindi molte<br />
caratteristiche in comune con i contratti di assicurazione: entrambi i tipi di<br />
contratto sono disegnati in modo da offrire protezione contro eventi avversi.<br />
La necessità delle compagnie di assicurazione e di riassicurazione di reperire le<br />
risorse necessarie per fornire un valido supporto in caso di eventi catastrofali<br />
hanno portato all’esigenza di trasformare questi rischi assicurativi in titoli e<br />
derivati che un investitore sia in grado di comprendere e perciò includere nel<br />
proprio portafoglio.<br />
Questi strumenti finanziari, infatti, possono essere strumenti effettivi di<br />
copertura e gestione del rischio. I bond catastrofali e le opzioni sono innovazioni<br />
finanziarie che hanno il potenziale di soddisfare pienamente le esigenze delle<br />
compagnie assicurative, ponendosi tra il mercato assicurativo e quello dei capitali.<br />
L’acquisto di questi prodotti viene visto dalle imprese assicurative come<br />
alternativo alla riassicurazione tradizionale. Strategia simile può essere anche<br />
quella seguita da una compagnia riassicurativa che li acquista per coprire le<br />
lacune dei propri programmi riassicurativi o per alterare sinteticamente la<br />
composizione del proprio rischio.<br />
Gli strumenti derivati sono quindi un’innovazione che è di grande aiuto per<br />
entrambi i soggetti, ma presentano alcune difficoltà: l’industria assicurativa,<br />
infatti, deve acquistare familiarità con questi prodotti, con il loro linguaggio, con<br />
le modalità di funzionamento dei mercati dei derivati, ma soprattutto deve<br />
imparare a gestire il basis risk in essi incorporato.<br />
Il primo tentativo di sfruttare gli strumenti finanziari per coprire i rischi<br />
assicurativi va ricondotto allo sviluppo, da parte della borsa di Chicago (Chicago<br />
Board of Trade - CBOT), di strumenti derivati assicurativi quali futures e opzioni<br />
per rischi da catastrofi naturali. Questi speciali strumenti vengono trattati sia sul<br />
mercato borsistico che sul mercato non regolamentato (over the counter).<br />
Nel 1992 appaiono per la prima volta al Chicago Board of Trade i primi futures<br />
catastrofali con la funzione di copertura di alcuni sinistri catastrofali relativi ai<br />
specifici rami assicurativi quali: multirischi proprietà-abitazioni, multirischio<br />
commerciale, terremoti incendio garanzie accessorie, RCA privata e commerciale,<br />
trasporti terrestri commerciali, ecc.<br />
Prima di esaminare i futures catastofali, è opportuno ricordare brevemente quali<br />
sono le principali caratteristiche di un generico contratto future.<br />
Si tratta, in particolare, di un contratto di compravendita a termine negoziato in<br />
un mercato di borsa organizzato. I futures si caratterizzano per l’elevato grado di<br />
55
standardizzazione di tutti gli elementi contrattuali. Oggetto del contratto,<br />
importo unitario, scadenza e modalità di liquidazione delle transazioni sono<br />
prefissati e validi per tutti i partecipanti. Le controparti negoziano solo il prezzo.<br />
Un elemento fondamentale che distingue un contratto future dagli altri contratti<br />
a termine over the counter è costituito dalla presenza della Clearing House, o<br />
Cassa di Compensazione e Garanzia. Quest’ultima è solitamente una società per<br />
azioni, avente quale oggetto sociale esclusivo quello di assicurare la<br />
compensazione e il buon fine dei contratti e di emanare regolamenti che<br />
disciplinano l’operatività del mercato future.<br />
La Cassa si interpone giuridicamente in tutte le transazioni concluse sul mercato<br />
in esame: in altri termini, quando due operatori concludono una compravendita,<br />
comunicano immediatamente l’avvenuta transazione alla Cassa, la quale compra<br />
da chi ha venduto e vende a chi ha comprato. In questo modo ogni operatore ha,<br />
quale controparte per la transazione a termine, la Cassa di Compensazione, la<br />
quale si rende garante del buon fine della transazione, riducendo così al minimo<br />
il rischio di mancato adempimento della controparte. L’interposizione giuridica<br />
della Clearing House determina, inoltre, un’ulteriore conseguenza e cioè la<br />
possibilità di liquidare una transazione prima della scadenza del termine pattuito.<br />
Un operatore, infatti, può chiudere la propria posizione in qualsiasi momento<br />
compreso tra l’apertura della posizione stessa e la scadenza del contratto future,<br />
semplicemente negoziando una transazione opposta all’originaria: una posizione<br />
lunga è chiusa con una vendita, una posizione corta con un acquisto 71 .<br />
Con la stessa struttura dei futures finanziari appena descritti, i futures<br />
catastrofali consentono, nello specifico, di prefissare un dato rapporto<br />
sinistri/premi con riferimento al periodo futuro. Il prezzo e il cambiamento del<br />
prezzo del future è funzione delle aspettative di sinistrosità e delle sue modifiche.<br />
Nel caso in cui l’acquirente abbia comprato un future sulla base di un’aspettativa<br />
più bassa rispetto a quella realmente registrata conseguirà un profitto, visto che<br />
il prezzo del future, a seguito dell’aumento dell’indice di sinistrosità, è aumentato.<br />
Il profitto andrà a compensare il maggior rischio gravante sul portafoglio rischi<br />
dell’operatore stesso.<br />
Tra gli strumenti derivati assicurativi, oltre ai futures catastrofali, vanno ricordate<br />
anche le Catastrophe Insurance Options (cat options), una particolare tipologia di<br />
opzioni apparse nel CBOT nel 1995.<br />
Anche in questo caso, è bene ricordare che cosa si intende per opzione.<br />
Il contratto di opzione è una particolare tipologia di compravendita a termine, in<br />
virtù della quale una parte si riserva la facoltà di eseguire o meno un acquisto o<br />
una vendita a termine, in cambio del pagamento di un premio alla controparte. Il<br />
soggetto che paga il premio e si riserva la facoltà di eseguire l’operazione è detto<br />
compratore dell’opzione. Il soggetto che incassa il premio e rimane vincolato alla<br />
decisione della controparte è detto venditore.<br />
Esistono due fondamentali contratti di opzione: la call, che conferisce il diritto di<br />
acquistare, e la put, che conferisce il diritto di vendere. In dettaglio, la call è il<br />
contratto mediante il quale una parte acquista il diritto, ma non l’obbligo, di<br />
71 Fabrizi, Forestieri, Mottura, Strumenti e servizi finanziari; Egea, 2003, p. 248.<br />
56
concludere un successivo acquisto, per una quantità determinata, di una data<br />
attività a un prezzo prefissato (prezzo di esercizio, o strike price). In modo<br />
analogo, la put è il contratto mediante il quale una parte acquista il diritto, ma<br />
non l’obbligo di concludere una successiva vendita di una determinata attività a<br />
un prezzo prefissato.<br />
Il premio rappresenta il prezzo pagato per l’acquisto del diritto connesso<br />
all’opzione 72 . Da sottolineare, infine, che le opzioni sono strumenti negoziabili sia<br />
sui mercati over the counter, sia sui mercati organizzati.<br />
Le cat options non hanno incontrato l’interesse né degli assicuratori né degli<br />
investitori, così i volumi di transazione sono sempre stati notevolmente ridotti.<br />
Per questo motivo il CBOT, nel 1999, ha deciso di sospenderne la quotazione.<br />
Le cat options quotate sul mercato di Chicago erano opzioni di tipo europeo, cioè<br />
esercitabili soltanto a scadenza, e avevano come attività sottostante l’indice<br />
Property Claim Service (PCS), che computa le perdite assicurate del settore<br />
assicurativo statunitense nei rami property. In particolare, il PCS è un comparto<br />
della società ISO (Insurance Services Office), riconosciuto in tutto il mondo come<br />
la massima autorità, nel settore assicurativo property/casualty, nell’informazione<br />
catastrofale. Il PCS raccoglie i dati delle perdite subite dalle cento maggiori<br />
compagnie di assicurazione e pubblica un indice, su base annuale e trimestrale<br />
che fa riferimento sia agli interi Stati Uniti sia alle singole regioni e stati. Dal<br />
1996, l’indice PCS costituisce l’indice di riferimento per i derivati assicurativi<br />
trattati dal CBOT 73 .<br />
Le cat options quotate sul mercato delle Bermuda, invece, avevano come<br />
sottostante il Guy Carpenter Cat Index (GCCI). Il GCCI è l’indice costruito dalla<br />
Guy Carpenter & Company, ed è pubblicato trimestralmente. Esso registra i<br />
danni assicurativi alle abitazioni statunitensi derivanti dagli uragani, dalle<br />
tempeste di vento, i temporali, i tornado e altri incidenti atmosferici, come<br />
grandine e gelo.<br />
Il valore dell’opzione dipende, quindi, dall’andamento dell’indice sottostante dei<br />
danni catastrofali. Una compagnia di assicurazione può ad esempio garantirsi<br />
contro i rischi catastrofali acquistando un’opzione call. Il danno nel proprio<br />
portafoglio verrà compensato dall’aumento del valore dell’opzione, sempre che<br />
l’indice superi un livello prestabilito che, nel caso delle opzioni, è rappresentato<br />
dal prezzo di esercizio. Mediante l’acquisto e la vendita contemporanei delle<br />
opzioni call con prezzi di esercizio diversi è, inoltre, possibile riprodurre le<br />
condizioni di un trattato tradizionale di riassicurazione non proporzionale con<br />
priorità e limiti.<br />
Nonostante la presenza di determinati aspetti, sicuramente positivi, le cat options<br />
non hanno però avuto molto successo e questo può essere spiegato in vari modi.<br />
Il primo fattore da considerare è la presenza di un problema di natura<br />
informativa: l’informazione intermedia nel corso di negoziazione del contratto di<br />
transazione che le società PCS avrebbero dovuto fornire sui sinistri già registrati<br />
non è stata divulgata. Inoltre, trovare venditori di questi prodotti non è così<br />
72 Fabrizi, Forestieri, Mottura, Strumenti e servizi finanziari; Egea, 2003, p. 255.<br />
73 Informazioni tratte dal sito dell’ Insurance Services Office, www.iso.com.<br />
57
semplice: gli stessi assicuratori possono esitare nell’acquistare prodotti a loro<br />
poco familiari e, allo stesso tempo, le controparti possono ritenere che gli<br />
assicuratori beneficino di informazioni più complete e decidere, così, di non<br />
prendere parte ad una transazione inficiata da una certa forma di asimmetria<br />
informativa.<br />
I meriti delle cat options sono, invece, riconducibili sia alle proprietà generali dei<br />
contratti a termine sia allo stesso sottostante che viene considerato 74 :<br />
- offrono una valida alternativa alla riassicurazione; a differenza dei contratti<br />
riassicurativi che spesso hanno lunga durata, una posizione assunta sui<br />
contratti a termine può essere annullata assumendo una posizione<br />
contraria;<br />
- i costi di transazione sono contenuti;<br />
- l’acquisto e la vendita di questi strumenti è anonima;<br />
- il rischio di inadempienza è tendenzialmente nullo.<br />
Può risultare utile, a questo punto, mettere in evidenza quali sono i vantaggi e gli<br />
svantaggi delle opzioni catastrofali rispetto alla riassicurazione. Le due soluzioni<br />
possono, infatti, considerarsi alternative o complementari, in quanto entrambe<br />
hanno come obiettivo quello di ridurre il rischio di sottoscrizione. La<br />
riassicurazione però si adegua meglio al profilo di rischio che la compagnia vuole<br />
trasferire e quindi è in grado di offrire una migliore capacità di sottoscrizione.<br />
Inoltre, grazie al fatto che il prezzo è oggetto di libera negoziazione tra le due<br />
controparti e può consentire ampi margini di discrezionalità, la riassicurazione<br />
permette anche di ottenere una maggiore flessibilità di prezzo, che i derivati<br />
catastrofali non sono in grado di offrire.<br />
Il costo della riassicurazione, però, può dimostrarsi rilevante per effetto dei costi<br />
che la compagnia di assicurazione deve sostenere per verificare la solvibilità della<br />
compagnia riassicurativa e per quelli sostenuti, invece, da quest’ultima per<br />
controllare il risk management delle compagnie.<br />
Con l’uso dei derivati assicurativi le compagnie non devono cedere quote<br />
consistenti delle loro entrate derivanti dai premi ma si limitano a pagare il<br />
premio sull’opzione e allo stesso tempo non devono sottostare a restrizioni delle<br />
proprie attività di sottoscrizione e di offerta di servizi. I derivati assicurativi,<br />
inoltre, sono uno strumento valido per abbattere sia il rischio di default sia il<br />
rischio di azzardo morale e di selezione avversa, in quanto le parti non sono in<br />
grado di influenzare il contratto.<br />
Il fondamentale svantaggio delle cat options consiste, però, nella imperfezione<br />
della copertura. Mentre la riassicurazione copre le perdite effettivamente subite<br />
da un assicuratore, le cat options coprono le oscillazioni di valore di un indice in<br />
un dato periodo di tempo e relativamente a una data zona geografica. Le perdite<br />
di un assicuratore ovviamente si possono discostare dalle variazioni dell’indice. Il<br />
loss ratio dell’assicuratore, in occasione di un dato evento catastrofale, può,<br />
74 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 108.<br />
58
infatti, allontanarsi da quello usuale e, inoltre, la zona geografica a cui fa<br />
riferimento l’indice può non coincidere con la distribuzione territoriale delle<br />
esposizioni dell’assicuratore.<br />
Dal quadro appena delineato emerge che le opzioni catastrofali e in generali i<br />
derivati assicurativi, devono essere visti come un completamento dei programmi<br />
riassicurativi, da usare per coprire certe aree di esposizione che la riassicurazione<br />
non è in grado di affrontare in modo soddisfacente.<br />
La negoziazione in borsa degli strumenti assicurativi derivati, ancora oggi, risulta<br />
abbastanza contenuta, sebbene gli strumenti e i relativi sottostanti siano stati più<br />
volte adeguati e perfezionati per rispondere alle esigenze dei clienti.<br />
Nonostante i notevoli vantaggi che gli strumenti derivati presentano, non è<br />
pensabile che in futuro un assicuratore possa soddisfare tutti i propri bisogni<br />
riassicurativi mediante questi strumenti. Per quanto riguarda le imprese<br />
industriali e di servizi, gli strumenti trattati al CBOT finora si sono rivelati in<br />
effetti poco adatti per la copertura dei rischi specifici di queste aziende. I<br />
prodotti infatti sono disegnati su misura per i portafogli degli assicuratori diretti.<br />
Quanto detto in riferimento al rischio di base per le compagnie di assicurazione<br />
vale ancor più per la clientela aziendale. L’andamento dei sinistri relativo a questa<br />
categoria è in genere limitatamente correlato all’indice trattato al CBOT. Di<br />
conseguenza, anche l’utilità di questi prodotti per le imprese industriali risulta<br />
minima.<br />
2.4.1 I derivati atmosferici: un approfondimento<br />
L’utilizzo degli strumenti derivati assicurativi a copertura di rischi che in passato<br />
non erano assicurati porta con sé un notevole potenziale. Un esempio<br />
interessante in tal senso può essere riferito alle condizioni meteorologiche: lo<br />
spettro delle aziende il cui fatturato dipende dalle condizioni meteorologiche,<br />
come visto nel primo capitolo, è molto ampio: aziende che producono energia e<br />
imprese edili, produttori di bevande e generi alimentari, aziende che operano nel<br />
settore del tempo libero, ecc.<br />
E’ quindi ragionevole che queste società valutino l’opportunità di coprirsi dal<br />
rischio atmosferico analogamente a come si coprono dai rischi di cambio o di<br />
interesse.<br />
I primi derivati atmosferici over the counter sono stati negoziati nel 1997.<br />
Inizialmente rivolti soprattutto alle imprese energetiche, i cui risultati sono<br />
influenzati direttamente dalle temperature invernali ed estive, hanno ben presto<br />
cominciato ad essere utilizzati anche da altre forme di imprese sottoposte sempre<br />
più alla pressione dei propri azionisti, di produrre stabili e consistenti profitti.<br />
Assicurazioni e derivati climatici non possono essere considerati prodotti<br />
alternativi in quanto coprono aspetti diversi del rischio climatico, utilizzando<br />
tecniche differenti.<br />
Mentre nella tipica struttura assicurativa, le imprese devono dimostrare una<br />
perdita derivante dall’evento climatico per ottenere il pagamento, nei contratti di<br />
tipo derivato questo non è necessario, in quanto l’evento che fa scattare la<br />
59
copertura si basa su un fattore oggettivo e misurabile che, se eccede quanto<br />
stabilito, assicura un pagamento immediato.<br />
L’utilizzo di tali strumenti risulta sicuramente più semplice per le imprese che già<br />
usano i derivati per coprire il rischio di credito o il rischio di cambio. La<br />
decisione, se usare uno strumento derivato o stipulare una polizza assicurativa, è<br />
però, solamente un aspetto marginale di ogni operazione legata al rischio<br />
climatico. L’elemento fondamentale per le imprese è, infatti, capire come i propri<br />
risultati siano influenzati dai fattori meteorologici e costruire una copertura<br />
effettiva, anche in termini di costi, che sia in grado di prevenire perdite<br />
straordinarie.<br />
A tal fine, sarà necessario effettuare delle analisi quantitative e qualitative, come<br />
la “mappatura dei ricavi” in funzione dei dati climatici. Infatti, solo con uno<br />
studio del tipo di rischio è possibile programmare un’efficace copertura.<br />
I derivati climatici, così come quelli catastrofali, differiscono dai derivati<br />
convenzionali in quanto non esiste un sottostante negoziabile, come invece<br />
avviene nelle normali contrattazioni sui mercati di tali strumenti. Il sottostante,<br />
infatti, non è rappresentato da azioni, titoli o indici azionari, ma è costituito da<br />
dati di tipo meteorologico quali temperatura, millimetri di pioggia, centimetri di<br />
neve, ecc. Questo significa che l’obiettivo di tali strumenti non può essere la<br />
copertura del prezzo del sottostante anche perché è impossibile attribuire un<br />
valore monetario alle varie sfumature meteorologiche. L’obiettivo primario dei<br />
derivati atmosferici è, invece, quello di coprire il cosiddetto volume risk, che<br />
deriva dalle variazioni della domanda di beni dovuta a variazioni climatiche 75 .<br />
Il funzionamento di uno strumento derivato legato alle condizioni meteorologiche<br />
può essere più facilmente spiegato con un esempio concreto di assicurazione<br />
stipulata da un’azienda produttrice di energia. L’azienda intende coprirsi contro il<br />
rischio di inverni particolarmente miti. In un caso simile il fabbisogno di energia<br />
per il riscaldamento sarebbe infatti decisamente inferiore alla media, con<br />
conseguente riduzione dei proventi. Mediante la stipula di un’opzione put sulle<br />
condizioni meteorologiche, l’impresa, dietro il versamento di un premio, ottiene<br />
la garanzia di risarcimento in caso l’indice di temperatura concordato dovesse<br />
scendere al di sotto del livello prefissato (strike level) durante un periodo<br />
prestabilito. L’ammontare di detto risarcimento viene calcolato sulla base del<br />
numero di unità di temperatura di cui è sceso l’indice rispetto al prezzo strike. Le<br />
unità di temperatura possono essere calcolate come differenza tra 20°C e la<br />
temperatura diurna media. L’indice di temperatura è ricavato dalla somma delle<br />
unità di temperatura: più l’inverno è rigido, maggiore sarà il livello raggiunto<br />
dall’indice; più mite è l’inverno e minore sarà il livello dell’indice. Con l’acquisto<br />
di un’opzione put l’azienda può quindi assicurarsi contro il rischio di un inverno<br />
molto mite 76 .<br />
Il profilo di rendimento dell’opzione put appena descritta è rappresentato nel<br />
grafico che segue.<br />
75 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 197.<br />
76 Swiss Re, Trasferimento alternativo dei rischi (ART) per aziende: fenomeno di moda o strumento di<br />
gestione del rischio per il 21° secolo?; Rapporto Sigma, n. 2, 1999, p. 33.<br />
60
Grafico 1: profili di rendimento di un’opzione put sulle condizioni meteorologoche<br />
temperatura<br />
Valore put<br />
alla scadenza<br />
Fonte: Swiss Re; rapporto Sigma, n. 2, 1999, p. 33.<br />
0<br />
Premio opzione put<br />
Strike level Unità di<br />
(Prezzo di esercizio)<br />
Oltre alle opzioni, nel mercato climatico sono molto diffusi gli interest rate swaps<br />
basati su un particolare indice climatico. Un interest rate swap è un contratto in<br />
base al quale due parti assumono il reciproco impegno di scambiarsi pagamenti<br />
periodici di interessi, calcolati su un capitale di riferimento, chiamato notional<br />
(nozionale), per un periodo di tempo predefinito, pari alla scadenza del contratto<br />
stesso. La forma contrattuale più semplice prevede che una parte effettui<br />
pagamenti a tasso variabile, calcolati in funzione dell’andamento nel tempo di un<br />
prefissato indice di riferimento, e riceva pagamenti a tasso fisso per tutta la<br />
durata del contratto. Naturalmente la controparte esegue e riceve pagamenti di<br />
segno opposto. Il livello degli interessi variabili, nel caso di uno swap basato su<br />
un indice climatico, dipende dal verificarsi di determinate condizioni climatiche,<br />
mentre il pagamento degli interessi fissi, assimilabili al premio assicurativo,<br />
vengono determinati al momento della stipulazione del derivato.<br />
61
Volendo comparare i derivati climatici rispetto alla riassicurazione si potrebbe<br />
affermare che, mentre le capacità riassicurative sono limitate sia nell’ammontare<br />
sia nella loro disponibilità, i derivati climatici presentano la caratteristica di poter<br />
essere strutturati nel modo migliore, rispetto alle esigenze del cliente.<br />
In aggiunta ai derivati climatici tutti i soggetti esposti al rischio meteorologico<br />
possono utilizzare anche i bonds climatici, sebbene questi siano molto meno<br />
popolari rispetto alle opzioni e agli swaps.<br />
Mediante i bonds climatici, i pagamenti degli interessi e la restituzione<br />
dell’ammontare nominale dello strumento sono effettuati sulla base di un<br />
determinato indice meteorologico. Gli indici utilizzabili includono precipitazioni o<br />
temperature. Un bond di questo tipo può essere particolarmente attraente per le<br />
compagnie riassicurative che cercano protezione contro i danni indotti dalle<br />
condizioni climatiche. Come nel caso dei bonds catastrofali, anche quelli di tipo<br />
climatico hanno una grande importanza nell’ambito della gestione del portafoglio,<br />
in quanto presentano interessanti caratteristiche sia in termini di rischio sia in<br />
termini di ricavi.<br />
Non essendoci, infatti, nessuna correlazione con le altre attività che costituiscono<br />
il portafoglio, possono contribuire a creare una struttura più efficiente del<br />
portafoglio di investimento.<br />
2.4.2 La valutazione dei derivati assicurativi<br />
Il successo mondiale del mercato dei derivati è stato sicuramente agevolato dal<br />
lavoro di Black, Scholes e Merton del 1973, relativo alla individuazione di una<br />
formula per il pricing delle opzioni.<br />
La formula originaria, negli ultimi vent’anni, è stata modificata e rielaborata per<br />
essere applicata non solo alle opzioni pure, ma anche ai contratti di opzione sui<br />
futures, alle opzioni su valute e a molte altre tipologie di contratti di opzione.<br />
Tuttavia, la formula non può essere applicata a tutte le opzioni, in modo<br />
particolare a quelle assicurative e climatiche, poiché l’andamento del valore<br />
dell’indice sottostante non può essere modellato mediante una distribuzione di<br />
tipo normale. Quest’ultima condizione è, infatti, necessaria affinché il premio<br />
teorico dell’opzione possa essere calcolato mediante una formula che abbia una<br />
soluzione unica ed effettivamente determinabile.<br />
L’andamento delle perdite derivanti da sinistri non rispetta in genere gli assunti<br />
che stanno alla base della distribuzione normale. In modo particolare, nel caso di<br />
rischi catastrofali, le perdite si verificano raramente e per importi estremamente<br />
elevati. L’andamento nel tempo si mostra, così, come un andamento a salti<br />
rispetto al quale la distribuzione normale non è una buona approssimazione.<br />
Qualora si volesse effettuare un confronto tra le opzioni tradizionali e quelle<br />
catastrofali, la prima considerazione che si deve fare è quella relativa alla<br />
determinazione del loro valore. La quantità che definisce il payout delle opzioni<br />
tradizionali, alla scadenza T, è il prezzo dello strumento sottostante definito S.<br />
Indicando con K il prezzo di esercizio, il valore intrinseco dell’opzione è<br />
facilmente individuabile in qualsiasi momento della vita utile dell’opzione stessa: è<br />
62
pari al massimo tra 0 e S(T) – K se l’opzione è di tipo call, è, invece, pari al<br />
massimo tra 0 e K – S(T) se l’opzione è di tipo put. Questa considerazione,<br />
ovviamente, non vale per le opzioni assicurative dove è necessaria la definizione,<br />
in modo piuttosto chiaro, del sottostante o dell’indice a cui legare l’opzione per<br />
evitare contrasti.<br />
La seconda considerazione che deve essere fatta è che coprire la posizione<br />
assunta con un derivato catastrofale, attraverso una posizione lunga o corta su<br />
un indice catastrofale è alquanto complicato e le soluzioni fino ad oggi sviluppate<br />
non riescono a produrre gli stessi effetti che si ottengono con le tecniche di<br />
copertura (hedging) suggerite da Black e Sholes per i portafogli classici.<br />
La terza considerazione è, invece, relativa alla modellazione matematica della<br />
dinamica del sottostante che, nel caso delle opzioni assicurative, è rappresentato<br />
dalle perdite catastrofali aggregate. L’individuazione di un andamento<br />
sufficientemente preciso, richiede processi stocastici la cui individuazione e<br />
calibrazione derivano dallo sviluppo di un database. Mentre le informazioni<br />
necessarie nel caso di opzioni finanziarie sono disponibili e facilmente reperibili,<br />
per le opzioni assicurative non è sempre facile ottenere i dati necessari.<br />
I derivati catastrofali, essendo basati su un indice che determina l’ammontare<br />
aggregato delle perdite, vengono paragonati, in quanto presentano le stesse<br />
problematiche, alle opzioni asiatiche dove, alla maturity T, l’acquirente di<br />
un’opzione call riceve il valore massimo tra 0 e A T – k, con A T che rappresenta la<br />
media aritmetica dei prezzi delle opzioni registrati nell’intervallo (0, T) o in<br />
sottointervallo di quel periodo. La valutazione di queste opzioni viene fatta<br />
attraverso diversi metodi, tra cui l’approssimazione lineare o l’utilizzo delle<br />
simulazioni del metodo Monte Carlo.<br />
In aggiunta alle difficoltà già evidenziate, nella valutazione dei derivati catastrofali<br />
occorre anche considerare il problema del basis risk.<br />
Come già sappiamo, il basis risk di un derivato catastrofale è il rischio che le<br />
perdite di un dato assicuratore non siano strettamente correlate con l’indice che<br />
funge da strumento sottostante al contratto. L’analisi del basis risk per gli<br />
strumenti derivati è fondamentale, in quanto tale rischio fornisce una misura<br />
dell’efficacia della copertura che viene attuata con gli strumenti catastrofali.<br />
Ci sono, fondamentalmente, due metodi per la misura di questo rischio. Un<br />
approccio, sviluppato da Major nel 1996, prevede la costruzione di un modello<br />
computerizzato di simulazione per esaminare la correlazione tra l’indice di<br />
perdita catatsrofale e il volume d’affari del singolo assicuratore. Dopo aver<br />
effettuato ipotesi sulla distribuzione geografica delle proprietà assicurate da un<br />
particolare assicuratore e le proprietà comprese nell’indice catastrofale, una<br />
semplice correlazione tra le perdite del singolo e l’indice è calcolata con dati<br />
simulati per un ampio numero di combinazioni.<br />
L’approccio alternativo è quello di dare rilevanza al basis risk mediante l’analisi<br />
della correlazione storica tra le perdite catastrofali e le perdite del singolo<br />
assicuratore. L’utilizzo di serie storiche presenta, però, alcuni svantaggi e, inoltre,<br />
va considerato che nella pratica, le decisioni di copertura degli assicuratori si<br />
basano prevalentemente su analisi costruite su simulazioni. Nonostante ciò,<br />
63
l’analisi dei dati storici è in grado di fornire informazioni ulteriori per quanto<br />
riguarda l’ammontare del basis risk 77 .<br />
Un approccio che può essere utilizzato nella determinazione del pricing è il<br />
metodo attuariale, noto in modo particolare nel comparto assicurativo, per la<br />
misurazione e il pricing di varie forme di rischio assicurativo. L’approccio<br />
attuariale consiste nel calcolare il valore atteso del derivato sulla base dei dati<br />
storici, per poi attualizzarlo in base al tasso di interesse privo di rischio 78 .<br />
Nel modello attuariale, la natura del rischio che deve essere coperto viene<br />
scomposto sulla base di due elementi caratterizzanti: la frequenza degli eventi<br />
inattesi e la gravità dell’impatto finanziario dei sinistri.<br />
Combinando la frequenza e la gravità dei danni su uno specifico periodo,<br />
l’assicuratore è in grado di capire per quale ammontare totale di sinistri risulta<br />
esposto. Assegnando un valore al suo portafoglio delle perdite totali attese, sarà,<br />
quindi, in grado di costruire la propria copertura, non solo per quanto riguarda<br />
le perdite attese, ma anche per i costi che sostiene.<br />
Il modello attuariale, solitamente, considera i fattori che influenzano la frequenza<br />
e la gravità degli eventi e cerca, attraverso modelli di distribuzione e modelli<br />
ipotetici, di assegnare un valore al grado di esposizione complessivo<br />
dell’assicuratore.<br />
La determinazione di un valore atteso richiede l’attribuzione di una corretta<br />
probabilità al verificarsi di certi eventi. In particolare, nel modello attuariale, la<br />
variabile cruciale che presenta la maggiore difficoltà di determinazione è<br />
rappresentata dalla probabilità che un evento ecceda il livello fissato dallo strike.<br />
Per l’individuazione di tale variabile, il modello prevede due metodi di calcolo:<br />
uno che utilizza i dati storici e l’altro che si fonda sull’utilizzo di dati modellati.<br />
Nel primo metodo, i dati storici delle perdite registrate dalle industrie<br />
assicurative sono usati per stimare la probabilità di eccedere certi livelli di<br />
perdita in alcune regioni definite. Anche nel caso in cui, sulla serie di dati<br />
osservati, vengano effettuati gli opportuni aggiustamenti non si riuscirà<br />
comunque ad ottenere una serie di dati sufficientemente buoni per stimare la<br />
probabilità di ampie catastrofi, in quanto queste ultime non sono così frequenti a<br />
livello storico.<br />
Un’ulteriore alternativa è quella che prevede l’utilizzo di modelli per stimare la<br />
gravità di alcuni danni provocati da particolari catastrofi a varie intensità. Le<br />
società più complesse sviluppano team appositi per la costruzione di modelli di<br />
simulazione catastrofale; raccolgono ed elaborano dati a livello nazionale e locale<br />
facendo riferimento al livello di esposizione industriale specifico, alle polizze<br />
distinte che sono state sottoscritte, alle tecniche di costruzione e a tutti gli<br />
elementi che possono risultare utili da inserire nei propri software. Al contrario<br />
dei dati storici, per quegli eventi che si sono verificati raramente e per cui non si<br />
hanno dati, i modelli di simulazione possono generare un quadro più completo<br />
delle probabilità di prezzamento.<br />
77 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 137.<br />
78 J. C. Hull, opzioni, futures e mezzi derivati; Pearson Prentice Hall, Milano, 2006, p. 577.<br />
64
Esistono diversi modelli di simulazione utilizzabili per dare una valutazione ai<br />
derivati catastrofali. Tutti partono dalla considerazione che il modello di<br />
distribuzione normale o continua non è adatto per dare un valore ai derivati<br />
catastrofali e assegnano un diverso grado di importanza ai parametri che possono<br />
influire nella determinazione di un pricing. In tutti i modelli, inoltre, si sottolinea<br />
il fatto che nelle formule non possono essere trascurate le componenti di salto: la<br />
soluzione di porre uguale a zero il valore di salto, non è, infatti, idonea per<br />
quanto riguarda le catastrofi, che sono appunto caratterizzate dal fatto che non si<br />
verificano in modo continuo.<br />
Il modello attuariale appare semplicistico per dare una valutazione ma può essere<br />
facilmente utilizzabile dagli investitori per assegnare un primo e approssimativo<br />
valore allo strumento. Rimane comunque il problema, già evidenziato, della<br />
difficoltà di individuazione della probabilità che l’evento o gli eventi superino lo<br />
strike dell’opzione.<br />
Tutti i modelli di simulazione utilizzabili, purtroppo, hanno la caratteristica di<br />
non essere semplici dal punto di vista matematico, e forse, è proprio questo il<br />
vero motivo per cui i mercati di questo tipo di derivati sono sempre stati così<br />
sottili, nonostante la presenza di grosse potenzialità.<br />
Come nel caso dei derivati catastrofali, anche per gli strumenti derivati di tipo<br />
climatico non esiste un unico modello per poter effettuare la loro valutazione.<br />
I principali metodi di pricing possono essere classificati in due grandi categorie a<br />
seconda del tipo di soggetto che partecipa al mercato. La prima fa riferimento ai<br />
soggetti che operano in campo assicurativo, che per la valutazione utilizzano un<br />
modello attuariale in cui le perdite attese, che necessitano di una copertura, sono<br />
stimate sulla base delle distribuzioni statistiche delle uscite. Il premio viene<br />
costruito nel contesto di un ampio portafoglio composto da rischi indipendenti e<br />
disomogenei e lo strumento è valutato in modo che gli assicuratori ottengano un<br />
ritorno, in senso finanziario, almeno uguale al valore del rischio che si sono<br />
assunti. Questo principio di valutazione è molto semplice: l’esposizione al rischio<br />
o la perdita, derivante da un singolo e specifico evento, vengono stimati e la<br />
probabilità di accadimento viene ottenuta da una semplice osservazione dei dati<br />
storici, ponderata con le previsioni.<br />
Alla seconda categoria appartengono, invece, tutti gli altri soggetti operanti sul<br />
mercato dei capitali, che fanno riferimento alla moderna teoria della valutazione<br />
delle opzioni. Dando per scontato che un approccio simile a quello utilizzato per<br />
la valorizzazione delle opzioni e di altri prodotti sul mercato dei capitali, come le<br />
azioni o i titoli, possa essere utilizzato anche sul mercato climatico deve, però,<br />
essere fatta una fondamentale distinzione. Il metodo di valutazione delle opzioni<br />
tradizionali utilizza, infatti, alcune assunzioni fondamentali, tra cui spicca quella<br />
della possibilità di costruire un portafoglio fotocopia flessibile, costituito dallo<br />
strumento sottostante e attività a rischio zero, che sia in grado di seguire le<br />
dinamiche delle opzioni o del contratto di tipo derivato 79 .<br />
Nel caso dei derivati climatici, come in quelli catastrofali, il sottostante, però, è un<br />
indice che non viene contrattato; di conseguenza, una strategia di contrattazione<br />
79 J. C. Hull, opzioni, futures e mezzi derivati; Pearson Prentice Hall, Milano, 2006; pagine varie<br />
65
dinamica che possa seguire l’andamento del valore del contratto derivato non è<br />
realizzabile, vista l’assenza di un mercato delle attività anche di tipo campione.<br />
Inoltre, deve essere considerato che i processi statistici seguiti dalla temperatura,<br />
o da qualsiasi altra variabile climatica, sono leggermente diversi da quelle che<br />
governano le fluttuazioni di prezzo. Da tutto ciò si deduce che il modello di<br />
Black-Scholes, il più utilizzato per la valutazione delle opzioni, non soddisfa<br />
pienamente le caratteristiche intrinseche dei derivati climatici 80 .<br />
Nell’ambito della valutazione dei derivati climatici, il processo di raccolta e<br />
selezione dei dati storici riveste un’importanza fondamentale. Quasi tutti i<br />
modelli di valutazione, infatti, prevedono l’analisi dei dati passati per ottenere<br />
valori medi e volatilità di qualsiasi variabile climatica.<br />
Il passo iniziale in ogni studio consiste nell’ottenere il migliore e più ampio<br />
possibile record di dati storici per il luogo su cui si intende scrivere il contratto.<br />
Nel processo di valutazione si utilizza solo una parte dei dati contenuti negli<br />
archivi, ma tutti sono necessari per una migliore comprensione delle variazioni<br />
che intervengono a livello climatico: è infatti fondamentale conoscere tutti i dati<br />
del passato per poter stimare meglio la situazione del futuro.<br />
L’elemento critico della valutazione è rappresentato dalla decisione relativa ai dati<br />
disponibili da utilizzare al fine della determinazione del pricing. Solitamente, i<br />
fornitori di modelli climatici e i siti meteorologici mostrano il trend dell’ultimo<br />
decennio o ventennio, in quanto considerano che solo i dati più recenti siano<br />
rappresentativi della situazione futura. Altri utilizzatori, invece, ritengono che la<br />
soluzione migliore sia quella di poter disporre di ampie quantità di dati in modo<br />
da considerare tutti gli eventi del passato che potrebbero riverificarsi. Gli estremi<br />
del passato, secondo questa concezione, non possono essere ignorati solo perché<br />
si sono già verificati. Esiste, infine, una terza soluzione, secondo la quale è<br />
opportuno utilizzare una serie di lunghezza intermedia che tenga conto degli<br />
eventi del passato ma che allo stesso tempo non dia troppo peso alla storia. La<br />
lunghezza di compromesso è spesso di 30-50 anni.<br />
Attribuire un valore adeguato ad un derivato climatico significa anche prestare<br />
una particolare attenzione alla qualità e alla attendibilità delle previsioni<br />
climatiche utilizzate.<br />
Il tempo, di norma, è previsto per periodi che vanno da poche ore ad alcuni mesi,<br />
anche se è difficile trovare previsioni che abbracciano periodi particolarmente<br />
lunghi. Le previsioni più brevi, che coprono un periodo di tempo che va da pochi<br />
minuti a qualche ora, presentano la caratteristica di essere molto accurate e<br />
forniscono un valore di grande affidabilità. Al contrario, le previsioni a lungo<br />
termine o stagionali si concentrano su un periodo di uno o più mesi, tengono<br />
conto di una maggiore quantità di informazioni ma spesso sono meno attendibili<br />
delle prime. Lo scopo delle previsioni climatiche deve, in ogni caso, essere quello<br />
di individuare le caratteristiche dell’evento, ma anche di quantificare la<br />
probabilità di accadimento. Le pure previsioni non sono però sufficienti a dare un<br />
adeguato valore, per questo devono essere combinati con i dati storici. L’analisi<br />
del trend passato, abbinata con quella per il futuro, rappresenta la soluzione<br />
80 J. C. Hull, opzioni, futures e mezzi derivati; Pearson Prentice Hall, Milano, 2006, p. 579.<br />
66
ideale per poter attribuire un corretto valore allo strumento con cui si intende<br />
effettuare la copertura.<br />
Il metodo più semplice per assegnare un valore a un derivato climatico è, molto<br />
probabilmente, la Burn Analysis. Si tratta di un metodo che permette di<br />
determinare quanto avrebbe dovuto ricevere l’acquirente di uno strumento<br />
derivato per ogni anno passato, per il quale si dispone di dati. La media dei<br />
pagamenti che avrebbe dovuto incassare rappresenta il valore da assegnare allo<br />
strumento. Esso è una stima del giusto prezzo che, tuttavia, trascura alcuni<br />
elementi fondamentali quali il momento del pagamento, la pressione della<br />
domanda e dell’offerta e le opinioni sulle previsioni future 81 .<br />
Tutti quelli che utilizzano modelli per l’analisi dei derivati sanno, però, che<br />
l’utilizzo di dati che rappresentano in maniera limitata i fenomeni, impoveriscono<br />
il valore del modello stesso. E’ perciò necessario l’utilizzo di modelli che tengano<br />
conto anche di altri elementi e non esclusivamente quelli derivanti dagli archivi<br />
storici. La possibilità di errori, comunque, rimane anche utilizzando altri modelli<br />
più complessi che utilizzano processi di simulazione e di stima. L’unica soluzione<br />
per assegnare un adeguato valore a questi particolari strumenti risulta essere<br />
quello di comparare il prezzo ottenuto con l’applicazione di metodi diversi,<br />
cercando una soluzione intermedia che risponda alle specifiche esigenze del<br />
cliente.<br />
2.4.3 I mercati ufficiali e OTC<br />
Le soluzioni assicurative sul mercato dei capitali implicano notevoli costi, che<br />
possono essere ridotti con una migliore conoscenza dei prodotti utilizzati. Sono<br />
diversi gli elementi che potrebbero garantire il successo dei prodotti assicurativi<br />
proposti sul mercato dei capitali.<br />
Un primo elemento da considerare è la debolezza del mercato riassicurativo. Una<br />
grave catastrofe o una flessione dei prezzi dei titoli, tale da rendere insolventi<br />
numerosi riassicuratori, potrebbero accelerare il processo di sviluppo delle<br />
soluzioni ART. La scarsità di coperture riassicurative e assicurative a prezzi<br />
ragionevoli, già negli anni scorsi, ha stimolato lo sviluppo di soluzioni alternative,<br />
basti pensare allo sviluppo delle società captive negli anni settanta.<br />
Un secondo fattore da considerare è la liquidità del mercato: se il mercato si<br />
presenta liquido, gli investitori possono chiudere le loro posizioni facilmente e a<br />
costo ridotto; in caso contrario, l’investimento si presenta meno interessante.<br />
Di pari passo con la liquidità, bisogna considerare anche la trasparenza: se le<br />
regole di funzionamento del mercato e dei prodotti trattati sono chiare a tutti,<br />
un maggior numero di investitori sarà in grado di sopportare un determinato<br />
rischio. Questo è un vantaggio importante, in quanto le soluzioni assicurative<br />
sono in concorrenza con la riassicurazione, che è già uno strumento affermato,<br />
standardizzato e accettato per il trasferimento del rischio. Dovrebbero essere<br />
quindi effettuati degli investimenti sul piano tecnologico, per standardizzare le<br />
procedure di registrazione dei dati in tutto il settore, in modo da facilitare lo<br />
scambio dei rischi.<br />
81 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 215.<br />
67
Funzionale alla chiarezza e alla trasparenza è, inoltre, l’eliminazione delle<br />
ambiguità a livello normativo, contabile e fiscale. Man mano che le norme e le<br />
regolamentazioni che regolano le soluzioni assicurative del mercato diventeranno<br />
più chiare, gli assicuratori saranno sempre più disposti a cartolarizzare i propri<br />
rischi. Essendo ancora relativamente nuovi, questi prodotti godono di trattamenti<br />
regolamentari meno favorevoli rispetto alla riassicurazione.<br />
Gli stessi prodotti devono suscitare l’attenzione di nuovi investitori disposti a<br />
provare un prodotto nuovo: tra questi, si collocano le aziende, con una<br />
conoscenza istituzionale dei mercati assicurativi. Alcune compagnie di<br />
assicurazione e riassicurazione investono in questi strumenti, in quanto<br />
consentono loro di accedere con facilità a un ramo d’affari o a un’area geografica,<br />
senza bisogno di una costosa infrastruttura.<br />
Un ulteriore elemento che potrebbe favorire la negoziazione e gli scambi degli<br />
strumenti assicurativi proposti sul mercato dei capitali è la presenza delle società<br />
di rating. Grazie al rating gli investitori possono disporre di una valutazione<br />
obiettiva sulla rischiosità dei titoli. Tali società effettuano, infatti, un’analisi<br />
strutturale delle entità che partecipano all’operazione, esaminando nello specifico<br />
la validità del modello catastrofale adottato, le supposizioni che stanno alla base<br />
di esso e la qualità dei dati utilizzati. Le società di rating, inoltre, analizzano le<br />
competenze degli assicuratori, la loro capacità di liquidazione dei sinistri e<br />
attuano una valutazione dei rischi di inadempienza sulla base della probabilità<br />
che si verifichino sinistri e dei dati pregressi sulle inadempienze delle obbligazioni<br />
societarie.<br />
Tutti i fattori sopra elencati, però, consentiranno lo sviluppo delle soluzioni<br />
alternative di trasferimento del rischio se e solo se tutti gli operatori del settore<br />
assicurativo inizieranno a familiarizzare con i concetti dei mercati dei capitali.<br />
Dovranno, quindi, essere effettuate iniziative volte ad incrementare la cultura<br />
finanziaria del settore.<br />
I due mercati di riferimento che hanno lanciato questi prodotti di tipo<br />
catastrofale sono stati il Bermuda Commodities Exchange (BCOE) e il Chicago<br />
Board of Trade (CBOT). Entrambi però non hanno avuto molto successo e,<br />
sebbene gli strumenti e i relativi sottostanti siano stati più volte adeguati e<br />
perfezionati per rispondere alle esigenze dei clienti, nel 1999 i due mercati hanno<br />
sospeso le quotazioni di questi strumenti.<br />
Autorizzata dal Parlamento delle Bermuda nel 1996, il Bermuda Commodities<br />
Exchange è stata la seconda borsa creata, dopo quella di Chicago, per la<br />
contrattazione di derivati assicurativi di tipo catastrofale.<br />
Le Bermuda appaiono, sin dall’origine un mercato ideale per lo scambio dei rischi<br />
catastrofali, vista la regolamentazione, sia legislativa sia fiscale, favorevole alle<br />
imprese di assicurazione. Posseduta da un gruppo di assicuratori, banche<br />
commerciali e di investimento, broker di riassicurazione ed altri operatori del<br />
settore assicurativo, ha iniziato ad operare nell’anno successivo alla sua<br />
autorizzazione fino all’agosto del 1999.<br />
Thomas Heise, presidente e fondatore del BCOE, ha affermato che lo scopo della<br />
realizzazione di questo mercato non era quello di creare un’attività di tipo<br />
68
speculativo, ma di creare un mercato il cui obiettivo era coprire il rischio assunto<br />
da parte dei soggetti membri, con esposizioni catastrofali. Il BCOE aveva, inoltre,<br />
una finalità ulteriore rispetto a quella appena citata: era stato costituito, infatti,<br />
anche per soddisfare i bisogni dei riassicuratori nella gestione del rischio di<br />
credito. Come in molti mercati, in cui si contrattano strumenti derivati, gli<br />
acquirenti e i venditori non contrattavano direttamente tra loro ma tramite la<br />
Clearing House, che garantiva l’adempimento di tutti i contratti stipulati. La<br />
borsa era interamente dedicata allo scambio delle opzioni catastrofali che avevano<br />
come base di riferimento il Guy Carpenter Index (GCCI). Le opzioni potevano<br />
essere scritte su sette regioni, in cui veniva suddiviso il territorio degli Stati Uniti.<br />
I contratti erano strutturati come contratti binari, cioè contratti in cui il<br />
detentore dell’opzione riceveva una somma fissa predeterminata nel caso in cui il<br />
prezzo del sottostante superasse il prezzo di esercizio. Il valore del sottostante<br />
era determinato dall’indice moltiplicato per 10.000. Il sottoscrittore doveva pagare<br />
all’acquirente 5.000$ se il valore dell’indice sottostante eccedeva lo strike<br />
dell’opzione. In caso contrario, l’acquirente non riceveva nulla. Il sottoscrittore<br />
riceveva, comunque, un premio per aver rischiato 5.000$.<br />
Lo scopo del mercato delle Bermuda, però, non era solo quello di fornire<br />
un’adeguata copertura ai rischi assunti dai soci, ma fornire, anche, la possibilità<br />
di assumere nuovi rischi, per diversificare le proprie esposizioni e speculare su<br />
potenziali discrepanze nei prezzi, in modo tale da cartolarizzare o riassicurare le<br />
esposizioni assunte, in modo più efficiente.<br />
Il Chicago Board of Trade è, invece, nato nel 1848 come borsa dei derivati sul<br />
grano, ma, a partire dal 1972, ha cominciato ad occuparsi anche dei derivati di<br />
tipo finanziario.<br />
Visto che nell’assicurazione tradizionale o nella riassicurazione il processo di<br />
assicurazione di un evento catastrofale richiede lunghi mesi di trattative,<br />
l’obiettivo del CBOT era quello di sviluppare un mercato liquido, in cui il rischio<br />
catastrofale potesse essere facilmente assunto o trasferito.<br />
Le opzioni trattate nel CBOT erano molto simili alla forma riassicurativa excess<br />
of loss, dove il premio viene pagato per ottenere la protezione contro le perdite<br />
eccedenti un certo limite specificato. Questi strumenti hanno però ottenuto, a<br />
partire dal loro anno di lancio, solo bassi livelli di accettazione che hanno portato<br />
alla chiusura definitiva anche di questo mercato.<br />
La causa principale dello scarso interesse per questi prodotti viene individuata<br />
nella scelta dell’indice PCS come sottostante. L’indice, infatti, è basato su troppi<br />
fattori, comprese le telefonate degli assicuratori, le stime da parte di esperti di<br />
rischi catastrofali del mercato, che ne rendono facile la manipolazione. Inoltre, i<br />
possibili fruitori del mercato hanno mostrato una certa difficoltà nel capire come<br />
l’indice possa essere correlato ad un portafoglio assicurativo, visto il relativo<br />
grado di trasparenza che presenta la sua metodologia di formazione.<br />
Gli strumenti trattati al CBOT si sono rivelati non solo inadeguati per le imprese<br />
assicurative, ma anche poco adatti per la copertura di rischi specifici delle<br />
imprese industriali e di servizi. I prodotti erano, infatti, sviluppati su misura per<br />
69
portafogli degli assicuratori diretti che, però, hanno dimostrato difficoltà ad<br />
assumere dimestichezza con questi prodotti 82 .<br />
L’aumento dei premi riassicurativi, per effetto del trend catastrofale crescente, e<br />
lo scarso interesse degli investitori per i mercati regolamentati dei derivati<br />
assicurativi hanno favorito lo sviluppo di un mercato over the counter di tali<br />
prodotti, particolarmente attivo.<br />
La possibilità di concludere transazioni in forma privata, secondo condizioni<br />
contrattuali ed economiche definite di volta in volta, è sicuramente visto dalle<br />
istituzioni di grosse dimensioni, con notevoli risorse finanziarie, e dalle grosse<br />
compagnie di riassicurazione come il principale elemento di vantaggio di questo<br />
mercato.<br />
La negoziazione di contratti, al di fuori delle strutture regolamentate, permette<br />
infatti di godere di un’estrema flessibilità nella creazione della struttura<br />
contrattuale. Le istituzioni finanziarie, che offrono questi prodotti, ne adattano le<br />
caratteristiche alle esigenze del cliente, in riferimento al prezzo di esercizio, alle<br />
scadenze, alle attività che devono fungere da sottostante e a ogni altro elemento<br />
rilevante per la stipulazione del contratto.<br />
La possibilità per i singoli assicuratori di concludere contratti, che presentano<br />
come valore sottostante il portafoglio di perdite personale, minimizza o elimina il<br />
basis risk che grava, invece, sui derivati assicurativi trattati sui mercati<br />
regolamentati.<br />
Rispetto ai mercati regolamentati, però, il mercato OTC presenta lo svantaggio di<br />
non eliminare il rischio di credito, vista l’assenza di un organismo specifico che<br />
svolge le funzioni di garanzia della Clearing House. L’esecuzione delle prestazioni<br />
determinate in sede contrattuale dipende solo dalla solvibilità della controparte.<br />
I premi sui derivati OTC presentano, inoltre, un’altra condizione sfavorevole: in<br />
genere, infatti, sono più costosi dei derivati di tipo borsistico, sia per la mancanza<br />
di una standardizzazione dei contratti, sia per la richiesta da parte della società<br />
emittente di una remunerazione per tutte le analisi tecniche che devono essere<br />
svolte per lo studio del rischio e l’organizzazione dei contratti, che implicano<br />
commissioni elevate. Le istituzioni finanziarie, infatti, devono svolgere un’attenta<br />
analisi e valutazione del rischio sottoscritto o del rischio del portafoglio, i cui<br />
costi vanno ad incrementare il prezzo offerto dello strumento 83 .<br />
Il mercato over the counter, per le sue caratteristiche, è sicuramente il mercato<br />
che offre le maggiori probabilità di utilizzo dei derivati assicurativi da parte di<br />
imprese non assicurative. Mediante contratti basati sulle perdite effettive,<br />
un’impresa può ottenere una copertura per rischi che, quanto a condizioni di<br />
copertura, è equivalente a una polizza assicurativa. Data però la presenza del<br />
rischio di credito, il vantaggio di tali strumenti consiste esclusivamente nella<br />
possibilità di ottenere una struttura contrattuale particolare, che si adatta al<br />
meglio alle proprie esigenze, anche grazie alla possibilità di trattare forme<br />
contrattuali la cui esistenza in borsa viene esclusa.<br />
82 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 100.<br />
83 S. Miani, La gestione dei rischi climatici e catastrofali; Giappichelli, 2004, p. 102.<br />
70
2.5 Considerazioni conclusive<br />
In questo secondo capitolo si è cercato di individuare e capire le<br />
caratteristiche e il meccanismo di funzionamento dei principali strumenti<br />
utilizzabili dalle compagnie assicurative e, in generale, dalle imprese per far<br />
fronte alla gestione di rischi che spesso non trovano adeguata copertura nel<br />
mercato assicurativo. Si è partiti dal mercato riassicurativo, analizzandone le<br />
principali tipologie contrattuali, per poi soffermarsi sulle nuove e alternative<br />
soluzioni utilizzabili per il trasferimento del rischio. Si tratta di prodotti<br />
particolari, che spesso risultano poco chiari agli stessi utilizzatori ma che<br />
generano dei vantaggi non trascurabili in termini di migliore gestione dei<br />
rischi e maggiore diversificazione del portafoglio degli investitori. Questi<br />
strumenti, che implicano un meccanismo di convergenza tra il mercato<br />
assicurativo e il mercato dei capitali, stentano però ad affermarsi anche a<br />
causa di un’assenza di trasparenza sui mercati che ne consenta un adeguato<br />
livello di negoziazione.<br />
In futuro, probabilmente, si potrebbe assistere ad un cambiamento di questo<br />
scenario e ad un maggiore ricorso a queste soluzioni alternative da parte delle<br />
imprese. Queste ultime, infatti, ormai tendono sempre più ad attuare una<br />
gestione complessiva del rischio in tutte le sue possibili manifestazioni, ponendo<br />
al centro della loro strategia la creazione di valore per gli azionisti.<br />
Sul medio termine, quindi, anche grazie alla maggiore convergenza tra banche,<br />
mercato assicurativo e mercato dei capitali, le soluzioni alternative di<br />
trasferimento del rischio, pur non soppiantando le coperture assicurative<br />
tradizionali, potranno sicuramente integrare le lacune lasciate da queste ultime,<br />
in termini di efficienza.<br />
CAPITOLO 3 LA COPERTURA DEI RISCHI CATASTROFALI:<br />
LEGISLAZIONI A CONFRONTO<br />
3.1 L’iter legislativo italiano in tema di catastrofi naturali<br />
L’Italia è un paese in cui esiste un rischio elevato di calamità naturali, di natura<br />
sismica e alluvionale. Si stima che il 67% dei comuni italiani si trovi collocato in<br />
zona sismica, il 50% delle imprese in aree a pericolo di frane e alluvioni e due<br />
milioni di persone vivono in aree ad alto rischio vulcanico. Su 57 milioni di<br />
italiani, insomma, oltre la metà vive in zone ad alto rischio. Gli episodi degli<br />
ultimi mesi hanno, inoltre, confermato le previsioni fatte in passato sui<br />
cambiamenti climatici, che vedevano per l’Italia un consistente aumento di<br />
fenomeni estremi come precipitazioni intense, alluvioni e prolungate siccità.<br />
E’ quindi improcrastinabile l’approvazione di una legge sui finanziamenti da<br />
attivare in caso di calamità allo scopo di non ricorrere, ogniqualvolta si verifichi<br />
l’evento, ad un decreto d’urgenza. Questa prassi genera costi troppo elevati per lo<br />
Stato, calcolabili in 3,5 miliardi di euro all’anno, e non assicura servizi adeguati ai<br />
cittadini che per troppo tempo attendono rimborsi, sempre troppo esigui rispetto<br />
al danno subito. A livello politico si discute di un’assicurazione a copertura dei<br />
71
danni da calamità naturali sin dal 1993, ma le divergenze tra le parti non hanno<br />
portato a nulla di concreto.<br />
I vari governi che si sono succeduti in questi anni hanno temuto l’impopolarità di<br />
una legge che renda obbligatoria l’assicurazione per danni da calamità naturali e<br />
nulla hanno fatto per informare correttamente i cittadini sui vantaggi che ne<br />
deriverebbero: questi, infatti, percepiscono l’assicurazione obbligatoria come una<br />
tassa in più.<br />
Questa situazione ormai è divenuta insostenibile e non intervenire seriamente sul<br />
problema, significa assumere un atteggiamento poco responsabile nei confronti<br />
dei cittadini e dei paesi che già hanno legiferato sul tema 84 .<br />
Lo Stato italiano non dispone di una legislazione organica che regoli la copertura<br />
finanziaria dei danni causati da calamità naturali: si sono succedute diverse<br />
proposte legislative che fino ad ora non sono riuscite a decollare. La mancanza di<br />
un quadro normativo adeguato in una materia di così grande rilevanza ha fatto sì<br />
che finora l’intervento pubblico venisse ispirato dall’urgenza degli specifici eventi<br />
e da una quasi totale assenza di programmi di prevenzione.<br />
Questo modo di procedere presenta però numerosi problemi:<br />
- non fornisce incentivi a pianificare interventi di prevenzione e<br />
contenimento dei danni in caso di catastrofi;<br />
- l’erogazione del risarcimento non è certa per il cittadino né nell’an né<br />
tanto meno nel quantum, poiché dipende da provvedimenti presi ad hoc e<br />
avviene in tempi generalmente lunghi e comunque indeterminati;<br />
- causa una scarsa trasparenza nell’attribuzione ed erogazione degli aiuti<br />
con il conseguente uso inefficiente e inefficace delle risorse;<br />
- crea l’illusione che il sistema non abbia un costo mentre in realtà il costo<br />
pesa sulla fiscalità generale;<br />
- provoca l’aumento della volatilità dei risultati del bilancio pubblico.<br />
A partire dagli anni Novanta, sono stati presentati diversi progetti di legge, mai<br />
giunti a conclusione, che è opportuno ricordare in questa sede.<br />
Il primo disegno di legge veniva presentato per iniziativa del Senatore Golfari e<br />
risale al 1993: l’articolo 1 prevedeva l’istituzione di un Fondo per l’assicurazione<br />
dei privati, alimentato da un’addizionale obbligatoria all’ICI dell’1% riscossa dai<br />
comuni, chiamati a stipulare per i cittadini una polizza con un consorzio<br />
assicurativo obbligatorio. Tra i punti deboli individuati in questo progetto di<br />
legge, il più rilevante era costituito dal fatto che si prevedeva un contratto di<br />
assicurazione stipulato tra i comuni e il Consorzio obbligatorio e non tra i privati<br />
e le assicurazioni.<br />
Nel 1996 veniva proposto il secondo progetto di legge in materia di Protezione<br />
Civile e di intervento dello Stato in caso di calamità naturale, nonché di<br />
assicurazione contro i rischi da esse derivanti. Lo stesso progetto è stato<br />
trasformato in testo base per la discussione in aula nel 2001; il disegno di legge<br />
84 Ricerca Cineas sui rischi ambientali in Italia e quadro legislativo, 31 ottobre 2007; www.cineas.it.<br />
72
prevedeva la graduale introduzione di un sistema di assicurazione contro i rischi<br />
di catastrofi naturali per adesione volontaria, all’interno del quale i premi<br />
dovevano essere determinati dal Governo in relazione alle diverse fasce di rischio<br />
sul territorio. Il dibattito, che ha portato ad una significativa convergenza delle<br />
forze politiche, non ha poi avuto un seguito.<br />
Nel 1999, è stato presentato un disegno di legge che proponeva di introdurre<br />
un’assicurazione contro le calamità naturali: lo scopo era quello di rendere<br />
obbligatorio per tutti i privati, che avessero acquistato una polizza contro il<br />
rischio di incendio dei fabbricati, anche l’acquisto della copertura per le catastrofi<br />
naturali. Anche questo progetto non è andato a buon fine.<br />
Nel progetto di legge Manfredi del 2001, la possibilità di indennizzare a privati i<br />
danni derivanti da calamità naturali per mezzo di un sistema assicurativo era<br />
trattata in modo sintetico in un articolo che delegava il Ministero dell’Industria<br />
alla stipula di una convenzione con le compagnie di assicurazione private per<br />
regolare la materia. Successivamente, sono stati posti all’esame della<br />
Commissione Ambiente, Territorio e Beni ambientali del Senato due disegni di<br />
legge: il primo, nel 2001, riproponeva una revisione radicale della materia<br />
attinente alla Protezione civile, nelle sue fasi fondamentali della previsione, della<br />
prevenzione e del soccorso in emergenza; il secondo, nel 2002, si proponeva,<br />
invece, di fornire una norma di riferimento per disciplinare con immediatezza i<br />
processi post calamità, distinguendoli nettamente da quelli relativi all’emergenza.<br />
La legge aveva come obiettivo quello di rendere semplici e veloci i provvedimenti,<br />
predisponendo le misure in modo uniforme sul territorio nazionale e dando la<br />
certezza ai cittadini e agli enti locali interessati dall’evento calamitoso di poter<br />
disporre di risorse certe in tempi brevi. Il disegno di legge del 2002 conteneva<br />
anche quei provvedimenti adottati con decreti-legge a seguito di singole calamità,<br />
ritenuti validi e già applicati a favore delle popolazioni colpite.<br />
Il tema continua ad essere all’attenzione delle forze politiche e del Governo, il<br />
quale ha inserito nel disegno di legge relativo alla Finanziaria 2004 un’apposita<br />
disposizione diretta ad introdurre l’assicurazione delle calamità naturali; la norma<br />
delegava il Governo a disciplinare la materia con apposito regolamento, fissando<br />
nel contempo i principi fondamentali del nuovo sistema misto (pubblico-privato)<br />
che si vorrebbe istituire seguendo quanto già è stato fatto in materia da altri<br />
paesi. Il sistema delineato nel disegno di legge prevedeva:<br />
1. l’inserimento obbligatorio della garanzia del rischio delle calamità naturali<br />
nei contratti di assicurazione contro l’incendio stipulati per gli immobili<br />
destinati ad uso abitativo;<br />
2. l’esclusione della tutela per i fabbricati abusivi;<br />
3. l’esclusione dell’intervento dello Stato per i fabbricati non assicurati,<br />
appartenenti a persone giuridiche private;<br />
4. la costituzione di un Consorzio fra le compagnie di assicurazione per la<br />
definizione delle modalità per la riassicurazione del rischio;<br />
73
5. l’intervento dello Stato in presenza di calamità naturali che avessero<br />
causato danni di importo superiore al limite massimo annuo di<br />
esposizione del Consorzio.<br />
Durante l’iter parlamentare, tuttavia, il progetto è stato oggetto di critiche che,<br />
nelle fasi finali del dibattito, hanno portato al suo accantonamento.<br />
La Legge Finanziaria 2005, riprendendo la proposta inserita nella Finanziaria<br />
precedente, ha previsto, nell’articolo 26, il ricorso ad un sistema di estensione<br />
obbligatoria di garanzia ai contratti incendio, per i danni cagionati dalle calamità<br />
naturali ai fabbricati di civile abitazione. Nella seduta del 2 novembre un<br />
emendamento sull’articolo 26 ha cancellato le norme relative all’obbligatorietà<br />
della polizza.<br />
La Finanziaria 2005 ha introdotto, al fine di favorire l’avvio di un regime<br />
assicurativo volontario, l’istituzione di un apposito Fondo di garanzia (50 milioni<br />
di euro per il 2005), la cui gestione dovrebbe essere affidata alla Consap s.p.a. 85 ,<br />
per la copertura dei rischi derivanti da calamità naturali sui fabbricati a qualsiasi<br />
uso destinati. In aggiunta, è stata prevista la partecipazione al capitale sociale di<br />
una compagnia di riassicurazione di nuova costituzione, volta ad incrementare le<br />
capacità riassicurative del mercato. La copertura si riferisce a rischi quali:<br />
terremoto, alluvione, maremoto, frane, inondazioni, fenomeni vulcanici e, in ogni<br />
caso, a quei danni che presentino le caratteristiche di catastrofalità stabilite dal<br />
Dipartimento di Protezione civile sulla base delle proposte della Commissione<br />
Nazionale grandi rischi.<br />
Il regolamento che dovrebbe portare alla costituzione della compagnia di<br />
riassicurazione e alla definizione delle regole di funzionamento del Fondo non è<br />
ancora stato approvato 86 . Per evitare l’ennesimo insuccesso, Cineas propone un<br />
approccio più collaborativo, invitando Ania, Protezione Civile e Consap ad<br />
elaborare un progetto comune e condiviso da presentare al mondo politico. Il<br />
presidente di Cineas, Adolfo Bertani, sostiene che “una legge sulla copertura<br />
assicurativa delle calamità naturali sarà utile a tutti: ai consumatori che avranno<br />
diritto al risarcimento in tempi brevi; agli assicuratori che, tramite un pool di<br />
compagnie, copriranno i rischi fino alla loro capacità massima di ritenzione; allo<br />
Stato che ridurrà le spese pubbliche e favorirà il rafforzamento dei sistemi di<br />
prevenzione” 87 .<br />
3.1.1 Il progetto dell’ANIA sulla copertura del rischio terroristico<br />
In Italia, per tradizione, le clausole relative all’estensione di garanzia ai rischi<br />
socio-politici comprendevano non solo i danni connessi gli atti di terrorismo in<br />
85<br />
La Consap è la Concessionaria dei Servizi Assicurativi Pubblici nata nel 1993, in seguito alla<br />
trasformazione dell’INA (Istituto Nazionale delle Assicurazioni) in S.p.a.; alla Consap, il cui capitale è<br />
interamente detenuto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, sono state attribuite tutte le attività di<br />
rilievo pubblicistico che già formavano oggetto della concessione legale in capo all’ INA.<br />
86<br />
CINEAS: I più importanti progetti di legge sull’assicurazione del danno da catastrofe naturale in Italia,<br />
5 novembre 2007; www.cineas.it.<br />
87<br />
Ricerca Cineas sui rischi ambientali in Italia e quadro legislativo, 31 ottobre 2007; www.cineas.it.<br />
74
senso stretto, ma anche quelli conseguenti ad atti di sabotaggio, scioperi, tumulti,<br />
sommosse o atti vandalici.<br />
Nella realtà storica, in molti casi, tali estensioni di garanzia non erano valorizzate<br />
con l’indicazione di porzioni di premio chiaramente identificate e, anche nei casi<br />
in cui erano individuati i sovrappremi, questi erano calcolati esclusivamente con<br />
riferimento agli scioperi e agli atti vandalici.<br />
Gli assicuratori italiani, infatti, analogamente a quanto accadeva in altri mercati,<br />
hanno sempre considerato i danni cagionati alle cose da atti di terrorismo come<br />
una ipotesi del tutto teorica, tale da non giustificare una valorizzazione in termini<br />
di premio, anche quando imperversavano le azioni sovversive delle Brigate Rosse,<br />
dirette peraltro soprattutto contro le persone fisiche e non contro le cose.<br />
L’11 settembre 2001 ha cambiato completamente lo scenario e, sospinti dalle<br />
pressioni nel mercato riassicurativo, anche gli assicuratori italiani hanno<br />
modificato la propria politica assuntiva escludendo il rischio terrorismo da gran<br />
parte delle coperture offerte, per poi, in qualche caso, ad esempio quello<br />
dell’assicurazione trasporti, reintrodurlo come garanzia aggiuntiva con tariffe<br />
specifiche e precisi limiti di impegno.<br />
Per quanto riguarda la copertura del rischio terroristico, il progetto degli<br />
assicuratori italiani prevede un sistema di assicurazione volontaria contro i rischi<br />
di terrorismo articolato su diversi livelli, con il coinvolgimento di assicurati,<br />
assicuratori diretti, un pool nazionale di riassicurazione e lo Stato.<br />
L’elaborazione del progetto, inoltre, ha implicato la preliminare formulazione da<br />
parte dell’ANIA di una “clausola terrorismo”, ai sensi della quale “…si considera<br />
atto di terrorismo qualsiasi azione, intenzionalmente posta in essere o anche solo<br />
minacciata da una o più persone espressione di gruppi organizzati, al fine di<br />
intimidire, condizionare o destabilizzare uno Stato, la popolazione o una parte di<br />
essa” 88 .<br />
Il sistema proposto si articola secondo quanto segue:<br />
- l’assicurato dovrebbe mantenere una quota modesta di rischio a proprio<br />
carico tramite una franchigia e dovrebbero essere altresì posti limiti di<br />
indennizzo;<br />
- l’assicuratore diretto, a sua volta, dovrebbe rispondere integralmente di<br />
tutti i rischi di ammontare “sopportabile”;<br />
- l’assicuratore diretto dovrebbe poi poter cedere ad un Pool nazionale di<br />
riassicurazione i rischi in eccesso alla propria ritenzione;<br />
- infine, lo Stato dovrebbe intervenire quale garante ultimo della copertura<br />
del rischio, per la parte che eccede le capacità del Pool 89 .<br />
Si prevede l’estensione obbligatoria del rischio terrorismo alle nuove polizze che<br />
garantiscono i beni immobili, anche se in costruzione, contro l’incendio, nonché<br />
88<br />
<strong>Studi</strong>o ANIA, rischio terrorismo in Italia e nel mondo: la copertura del rischio terroristico in Italia, 8<br />
luglio 2005; www.ania.it.<br />
89<br />
<strong>Studi</strong>o ANIA, rischio terrorismo in Italia e nel mondo: la copertura del rischio terroristico in Italia, 8<br />
luglio 2005; www.ania.it.<br />
75
la graduale estensione dell’obbligo assicurativo alle polizze incendio già in essere.<br />
L’obbligatorietà è considerata un requisito indispensabile per rafforzare la<br />
solidarietà tra assicurati, evitare fenomeni di selezione avversa e costituire una<br />
massa di premi idonea ad una corretta tariffazione. Dall’obbligo assicurativo<br />
dovrebbero essere esclusi i beni immobili di particolare pregio artistico o<br />
destinati ad attività di natura militare e di polizia, nonché il relativo contenuto.<br />
La copertura dovrebbe inoltre essere limitata ai soli danni verificatisi a seguito di<br />
eventi per i quali sia intervenuto un apposito atto del Governo che qualifichi<br />
detti eventi come atti di terrorismo.<br />
Il Pool nazionale contro i rischi del terrorismo, la cui esistenza, configurazione ed<br />
operatività dovrebbero essere regolate da una norma di legge, approvata anche<br />
dalle Autorità antitrust europee e nazionali, dovrebbe operare secondo le seguenti<br />
modalità:<br />
- l’attività dovrebbe essere suddivisa tra più sezioni separate, dedicate alla<br />
gestione dei premi conferiti e degli eventuali sinistri relativi ad atti di<br />
terrorismo; in tal senso, si può prevedere: una sezione “property”, relativa<br />
ai danni diretti ed indiretti subiti dalle cose assicurate, e una sezione<br />
“aviation and marine”, per i danni agli aeromobili ed ai natanti;<br />
- tutte le imprese di assicurazione, comprese quelle straniere operanti in<br />
Italia in regime di libera prestazione di servizi, potranno aderire al Pool;<br />
- le compagnie che vorranno aderire avranno l’obbligo di cedere al Pool<br />
tutti i rischi assicurati rientranti nelle fattispecie definite nelle singole<br />
sezioni di adesione, trattenendo a proprio carico una quota di conservato;<br />
- il Pool risponderà in funzione dell’ammontare dei premi acquisiti e, in<br />
caso di saldo attivo, la somma sarà accantonata a riserva per far fronte ad<br />
eventuali sinistri di esercizi successivi. Questo sistema, sempre che non si<br />
verifichino eventi catastrofali nei primi anni, determinerà un aumento<br />
progressivo della capacità del Pool, capacità che potrebbe essere<br />
ulteriormente incrementata nell’ipotesi di cessione ai riassicuratori di una<br />
porzione dei premi raccolti;<br />
- qualora l’ammontare dei sinistri da terrorismo superi il limite di capacità<br />
del Pool, sarà necessario l’intervento dello Stato per le porzioni in<br />
eccedenza. Tale intervento dovrebbe in prospettiva ridursi grazie alla<br />
menzionata progressione nel tempo della capacità del Pool;<br />
- il Pool dovrebbe essere caratterizzato da una struttura snella, non gravata<br />
da oneri burocratici. La gestione dei sinistri rimarrebbe in capo alle<br />
singole imprese cedenti e sarebbe rimessa al Pool la sola gestione<br />
finanziaria, amministrativo-contabile ed informatica;<br />
- il Pool dovrebbe avere una durata temporanea, ad esempio, dieci anni;<br />
76
- infine, un’appropriata disciplina fiscale dovrebbe consentire<br />
l’accantonamento negli anni dei premi ceduti al Pool in esenzione<br />
d’imposta 90 .<br />
Il contributo italiano all’assicurazione del rischio terrorismo si fonda, dunque, su<br />
una stretta cooperazione fra settore pubblico e settore privato. Questa,<br />
probabilmente, è la sola strada da seguire in tutti i casi in cui l’entità dei danni<br />
potenziali sia talmente elevata da superare di gran lunga la capacità del mercato.<br />
L’intervento pubblico diventa allora indispensabile per consentire al mercato di<br />
operare a condizioni non proibitive.<br />
E’ possibile accettare l’idea di convivere con il rischio, sia pure con un rischio<br />
inquietante come il rischio terrorismo, ma non si può accettare che esso<br />
condizioni i valori che fondano la nostra società per cui l’assicurazione, nel suo<br />
piccolo, rappresenta uno strumento di carattere difensivo.<br />
3.2 La situazione legislativa sui rischi catastrofali in altri Paesi<br />
Le caratteristiche assunte dal rischio terroristico dopo l’11 settembre 2001 e, in<br />
generale, dai rischi catastrofali, pongono nuove sfide a tutti gli attori di quella<br />
che può essere definita come una rete internazionale di ripartizione del rischio:<br />
gli assicuratori, il mercato finanziario, lo Stato.<br />
La capacità degli assicuratori di far fronte a potenziali di danno estremi trova un<br />
limite nei criteri di assicurabilità dei rischi e nella disponibilità di capitale delle<br />
imprese. D’altra parte, anche il ricorso al mercato finanziario attraverso<br />
strumenti quali la cartolarizzazione, sembra poter fornire soltanto un contributo<br />
marginale alla soluzione del problema.<br />
Un’efficace gestione assicurativa dei rischi catastrofali richiede forme di<br />
collaborazione fra settore pubblico e settore privato. E’ in questo senso che si<br />
sono mossi alcuni paesi europei che hanno cercato di dare soluzione al problema<br />
dopo l’11 settembre, ma vanno in questa direzione anche gli approcci adottati nei<br />
paesi che già in passato avevano dovuto fare i conti con i fenomeni terroristici.<br />
In Italia, sempre più frequenti sono le voci di coloro che chiedono la revisione dei<br />
sistemi di emergenza attualmente in vigore a favore di soluzioni innovative in<br />
campo normativo.<br />
Come già detto, attualmente, lo scenario italiano continua a vedere impegnato lo<br />
Stato nel ruolo di assicuratore unico per fronteggiare il costo dei danni da<br />
catastrofe naturale.<br />
Al contrario, l’obbligatorietà della copertura assicurativa è presente ormai da<br />
tempo in numerosi paesi europei ed extraeuropei. Particolare importanza<br />
assumono le legislazioni di Spagna, Francia, Inghilterra, Germania, Norvegia e<br />
Stati Uniti, paesi i cui governi hanno voluto definire severe regolamentazioni per<br />
cercare di far fronte al problema dei danni provocati da calamità naturali e da<br />
attentati terroristici. Alcuni di questi paesi hanno focalizzato l’attenzione sulla<br />
90 <strong>Studi</strong>o ANIA, rischio terrorismo in Italia e nel mondo: il Pool nazionale contro i rischi del terrorismo, 8<br />
luglio 2005; www.ania.it.<br />
77
copertura del rischio terrorismo, altri sulla gestione dei rischi derivanti da<br />
calamità naturali.<br />
3.2.1 L’esperienza spagnola: il Consorcio de Compensacion de Seguros<br />
In Spagna, per i cittadini, l’obbligatorietà della copertura assicurativa da danni<br />
provocati da calamità naturali è presente fin dall’epoca della guerra civile:<br />
l’esperienza spagnola è infatti da tempo caratterizzata dal massimo intervento da<br />
parte dello Stato per quanto riguarda i danni provocati dai rischi catastrofali.<br />
In Spagna, alla gestione di questo settore assicurativo è preposto un ente di<br />
natura puramente pubblica, denominato Consorcio de Compensaciòn de Seguros:<br />
si tratta di un’organizzazione statale istituita nel 1941, con un proprio stato<br />
giuridico e piena capacità di operare, che regola le sue attività in base alle leggi<br />
in vigore e alle norme del settore privato.<br />
I suoi compiti, che originariamente erano quelli di indennizzare i danni provocati<br />
dalla guerra civile, si sono via via ampliati sino a coprire un’ampia gamma di<br />
rischi cosiddetti “straordinari”.<br />
Il consorzio di compensazione gestisce la riassicurazione pubblica in tutti i settori<br />
e offre contratti assicurativi per quei rischi che non vengono assicurati dal<br />
settore privato 91 .<br />
Per quanto riguarda il rischio terrorismo, il Consorcio interviene secondo due<br />
modalità:<br />
- come assicuratore diretto, se il rischio non è già coperto da polizza<br />
privata;<br />
- come fondo di garanzia, se il rischio è coperto ma l’assicuratore privato<br />
non è in grado di adempiere ai suoi impegni perché insolvente o fallito.<br />
Quello del Consorcio è un ruolo sussidiario, per cui esso interviene<br />
indennizzando i danni da terrorismo (o da altri rischi “straordinari”) solo ove non<br />
esista copertura privata o, laddove esista, non possa essere onorata per insolvenza<br />
dell’assicuratore 92 .<br />
I mezzi finanziari del Consorcio sono propri ed indipendenti da quelli dello Stato:<br />
l’unica sua entrata è costituita dai premi. Come una qualsiasi altra compagnia di<br />
assicurazione, esso deve mantenere adeguate riserve tecniche, oltre a un margine<br />
di solvibilità. La legge, inoltre, prevede che esso debba costituire, oltre agli altri<br />
normali fondi tecnici previsti per tutte le compagnie di assicurazione, delle<br />
riserve miste, ovvero un vero e proprio “fondo catastrofale”, considerato come<br />
voce detraibile, fino ad un limite fissato dalla legge 93 .<br />
91<br />
Gruppo Assiteca: l’integrazione nel sistema paese e la necessità di collaborazione fra assicuratori e<br />
Governi, News Letter n° 32, anno 2002, p. 4; www.assiteca.it.<br />
92<br />
<strong>Studi</strong>o ANIA, rischio terrorismo in Italia e nel mondo: l’esperienza spagnola, 8 luglio 2005;<br />
www.ania.it.<br />
93<br />
CINEAS: white paper, la situazione legislativa sulle calamità naturali in altri paesi, 5 novembre 2007;<br />
www.cineas.it.<br />
78
Il Consorcio non riassicura l’assicuratore originario, bensì indennizza<br />
direttamente il soggetto che ha subito il danno: il suo intervento avviene in<br />
relazione agli stessi beni e alle stesse somme assicurate che sono state stabilite<br />
dal cliente con l’impresa privata. Qualora le risorse finanziarie dovessero risultare<br />
insufficienti per effettuare tutti gli indennizzi richiesti, è previsto che scatti, a<br />
favore del Consorcio, una garanzia dello Stato spagnolo.<br />
Recentemente, tramite un accordo fra il Consorcio e l’ UNESPA 94 (Associazione<br />
degli assicuratori spagnoli), è stato stabilito che il Consorcio stesso offrirà<br />
copertura anche per i rischi di danni indiretti conseguenti ad atti terroristici.<br />
Di fatto, oggi, nel mercato spagnolo, le compagnie private non sottoscrivono le<br />
garanzie per il “rischio straordinario”, essendo il consorzio stesso ad assumersene<br />
l’obbligo.<br />
3.2.2 L’esperienza francese: Gareat<br />
Il modello francese si basa sull’obbligatorietà: infatti, il legislatore ha imposto a<br />
tutti i privati e alle imprese l’obbligo di stipulare la polizza antincendio sugli<br />
immobili, comprensiva di una clausola che copra le calamità naturali.<br />
Si tratta di un sistema ibrido: da una parte, si rinvia al meccanismo classico<br />
dell’assicurazione, per cui i risarcimenti vengono erogati direttamente dalle<br />
società assicuratrici; dall’altra, si fa invece affidamento allo Stato, che interviene<br />
in maniera significativa stabilendo l’obbligatorietà dell’assicurazione da catastrofe<br />
naturale, la definizione di un premio unico per tutti gli assicurati ed offrendo una<br />
garanzia.<br />
Per sollecitare le società assicuratrici private a garantire rischi tradizionalmente<br />
ritenuti non assicurabili da parte dei privati, quali quelli da catastrofe naturale, il<br />
governo francese ha infatti istituito la Caisse Centrale de Reinsurance (CCR),<br />
società di riassicurazione di proprietà pubblica, che offre alle imprese<br />
assicuratrici la possibilità di riassicurarsi contro il rischio da calamità naturale, ad<br />
un tasso fisso di cessione pari al 50 per cento.<br />
Qualora, poi, i fondi della CCR non risultassero sufficienti a coprire i danni da<br />
indennizzare, interviene lo Stato nella forma di una garanzia patrimoniale<br />
illimitata.<br />
Rimangono però esclusi dal sistema sopra citato i danni provocati dal vento, dalla<br />
grandine e dalla neve, i quali vengono coperti dall’inserimento di apposite<br />
clausole obbligatorie nei contratti di assicurazione e rifuse esclusivamente dagli<br />
assicuratori privati 95 .<br />
Per quanto riguarda la copertura dei rischi legati al terrorismo, la Francia è stato<br />
il primo paese europeo a prendere l’iniziativa, a seguito degli eventi dell’11<br />
settembre. A partire dal 1° gennaio 2002, infatti, è operativo il pool Gareat<br />
94 L’UNESPA è l’Associazione degli assicuratori spagnoli che rappresenta più del 94% del mercato<br />
assicurativo spagnolo; svolge la sua attività dal 1977 e le sue principali funzioni sono quelle di<br />
rappresentare, gestire e tutelare gli interessi economici e sociali di tutti gli assicurati, siano essi privati o<br />
organizzazioni pubbliche, nazionali o internazionali.<br />
95 CINEAS: white paper, la situazione legislativa sulle calamità naturali in altri paesi, 5 novembre 2007;<br />
www.cineas.it.<br />
79
(« Gestion de l’Assurance et de la Reassurance des Risques Attentats et Actes de<br />
Terrorisme »).<br />
Il pool ha lo scopo di riassicurare i rischi di danni ai beni (esclusi i rischi di r.c.)<br />
in conseguenza di atti di terrorismo o attentati.<br />
L’estensione ai rischi terroristici è obbligatoria nell’ambito delle polizze property.<br />
Il sistema comprende i rischi delle imprese, degli enti locali e delle grandi unità<br />
immobiliari, i cui valori assicurati superano i 6 milioni di euro; sono esclusi i<br />
rischi facenti capo alle persone, che continuano ad essere coperti secondo<br />
disposizioni emanate nel 1986 (intervento di un Fondo pubblico di garanzia per<br />
le vittime di atti terroristici).<br />
Lo schema di funzionamento di Gareat è il seguente:<br />
- tutte le imprese aderenti al pool (i membri della Federazione degli<br />
Assicuratori Francesi e dell’Associazione delle Imprese Mutue sono<br />
obbligati a partecipare) devono cedere al medesimo i rischi “terrorismo”<br />
previsti dalla legge;<br />
- una prima fascia (fino a 400 milioni di euro) di danni è ritenuta dagli<br />
assicuratori diretti, in proporzione alla quota di rischio ceduta al pool;<br />
- una seconda fascia di 1,1 miliardi di euro (in eccesso dei 400 milioni di cui<br />
sopra) è collocata dal pool nel mercato assicurativo e riassicurativo<br />
internazionale;<br />
- una terza fascia, pari a 250 milioni di euro (in eccesso rispetto agli 1,5<br />
miliardi di euro di cui ai punti precedenti), prevede l’intervento della<br />
Caisse Centrale de Réassurance (CCR) con forme di riassicurazione<br />
finanziaria;<br />
- infine, per gli importi eccedenti 1750 milioni di euro è previsto l’intervento<br />
della CCR quale riassicuratore di ultima istanza, con garanzia dello Stato 96 .<br />
Il modello francese è, quindi, un altro esempio di collaborazione tra pubblico e<br />
privato: il meccanismo di Gareat coinvolge, infatti, gli assicuratori, la compagnia<br />
pubblica Caisse Centrale de Réassurance e lo Stato.<br />
3.2.3 L’esperienza del Regno Unito: Pool Re<br />
In Inghilterra, nel 1993, in seguito a una serie di attentati terroristici dell’Ira 97 , la<br />
copertura per il rischio terrorismo era largamente non ottenibile. Il governo<br />
inglese creò allora Pool Re, che funziona come una mutua, di cui fanno parte 213<br />
compagnie, operante secondo i principi di una compagnia di riassicurazione,<br />
capace di sottoscrivere i rischi terrorismo, ottenendo dal Governo la certezza di<br />
recuperare i risarcimenti relativi ai sinistri che superano le disponibilità 98 .<br />
96<br />
<strong>Studi</strong>o ANIA, rischio terrorismo in Italia e nel mondo: l’esperienza francese, 8 luglio 2005;<br />
www.ania.it.<br />
97<br />
L’Ira è l’esercito della repubblica irlandese.<br />
98<br />
Gruppo Assiteca: l’integrazione nel sistema paese e la necessità di collaborazione fra assicuratori e<br />
Governi, News Letter n° 32, anno 2002, p. 4; www.assiteca.it.<br />
80
Possono essere membri di Pool Re le imprese di assicurazione autorizzate ad<br />
operare nel settore “commercial property” nel Regno Unito.<br />
In sostanza, le imprese aderenti cedono i rischi a Pool Re, che offre alle stesse<br />
una garanzia riassicurativi; Pool Re ha a sua volta stipulato un accordo di<br />
retrocessione con il Ministero del Tesoro britannico, per il quale viene pagato un<br />
apposito premio annuo.<br />
L’intervento dello Stato avviene, in misura illimitata, allorché le risorse di Pool Re<br />
non siano sufficienti a far fronte ai propri impegni; quanto eventualmente<br />
sborsato dallo Stato è poi soggetto a restituzione da parte di Pool Re negli anni<br />
successivi, attraverso i premi raccolti presso i propri membri.<br />
Se nel corso di un anno la compagnia di riassicurazione risulta in perdita, ogni<br />
membro deve pagare una somma aggiuntiva non superiore al 10%<br />
dell’ammontare del premio stabilito per quel determinato anno; nel caso inverso,<br />
se essa ottiene un profitto superiore a quello previsto, restituisce a ciascun<br />
membro una somma non superiore al 10%.<br />
L’operatività di Pool Re abbraccia i danni diretti ai beni, nonché quelli indiretti,<br />
subiti da aziende sul territorio britannico; sono compresi anche i danni agli<br />
immobili residenziali di proprietà di aziende. E’ esclusa l’Irlanda del Nord, in<br />
quanto vi opera un apposito schema governativo per l’indennizzo dei danni<br />
diretti.<br />
In Gran Bretagna, non vige un obbligo di assicurazione contro il terrorismo ma,<br />
qualora il cliente chieda l’apposita copertura, deve assicurare il complesso dei<br />
suoi beni e non solo quelli “a rischio”; le condizioni applicate alle garanzie base si<br />
estendono alla copertura terrorismo.<br />
A partire dal 2003, anche in seguito agli eventi dell’11 settembre, sono state<br />
apportate modifiche al meccanismo di finanziamento del sistema, riguardanti<br />
l’ampiezza delle coperture, le tariffe applicate da Pool Re e la percentuale di<br />
ritenzione degli assicuratori diretti. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, nel<br />
2006, il livello massimo di ritenzione degli assicuratori diretti è passato da 30<br />
milioni di sterline per evento a 200 milioni per evento 99 .<br />
3.2.4 L’esperienza tedesca: Extremus Versicherungs AG<br />
Anche in Germania, gli eventi dell’11 settembre 2001 hanno sospinto il settore<br />
assicurativo ed il Governo ad intavolare trattative per trovare soluzioni idonee al<br />
problema dell’assicurazione dei rischi terroristici.<br />
In un primo momento, si era considerata l’ipotesi del pool riassicurativo, ma<br />
l’idea è stata successivamente accantonata.<br />
Nel settembre 2002, è stato così istituito, su iniziativa di 16 gruppi assicurativi e<br />
riassicurativi operanti sul mercato tedesco, la compagnia assicurativa specializzata<br />
nei rischi terroristici Extremus Versicherungs AG. L’operatività di Extremus,<br />
99 <strong>Studi</strong>o ANIA, rischio terrorismo in Italia e nel mondo: l’esperienza del Regno Unito, 8 luglio 2005;<br />
www.ania.it.<br />
81
avviata il mese successivo, prevede che essa emetta polizze, nel settore dei rischi<br />
commerciali ubicati in Germania (danni ai beni e danni da interruzione di<br />
esercizio), per somme assicurate superiori ai 25 milioni di euro. Tutti i rischi al<br />
di sotto di tale soglia continuano comunque ad essere coperti con le usuali<br />
polizze property e la copertura non è obbligatoria.<br />
Extremus non si avvale di un proprio network distributivo, ma si appoggia alle<br />
reti delle altre compagnie presenti sul mercato; il supporto assicurativo è fornito<br />
dal pool tedesco per i rischi nucleari (DKVG).<br />
Il limite massimo sottoscrivibile è stato fissato in 1,5 miliardi di euro, deve infatti<br />
esservi coerenza tra la somma assicurata contro i rischi di incendio o danni<br />
indiretti e quella relativa alla copertura contro i rischi terroristici; i premi<br />
applicati non variano secondo il tipo o l’ubicazione del rischio, ma dipendono<br />
solo dalla somma assicurata e dal limite aggregato annuale (per polizza o per<br />
assicurato) fino al massimo di 1,5 miliardi di euro per assicurato.<br />
Extremus può offrire una capacità riassicurativa annua aggregata pari a 13<br />
miliardi di euro, ripartita nel modo seguente:<br />
- le imprese di assicurazione tedesche offrono un primo layer di capacità<br />
riassicurativa pari a 1,5 miliardi di euro;<br />
- il mercato assicurativo internazionale ha offerto un sostegno per un<br />
secondo layer di capacità in eccesso pari a 1,5 miliardi di euro;<br />
- il governo tedesco interviene con un terzo layer di 10 miliardi di euro, in<br />
eccesso rispetto ai 3 miliardi dei primi due livelli di copertura, per un<br />
periodo iniziale di tre anni 100 .<br />
Anche quello tedesco è un caso di collaborazione pubblico-privato; la presenza<br />
dello Stato è però sussidiaria e secondaria rispetto al ruolo ricoperto dal mercato<br />
assicurativo nazionale e da quello riassicurativo internazionale, i quali si fanno<br />
comunque carico della parte preponderante dei risarcimenti da corrispondere agli<br />
assicurati.<br />
3.2.5 Le altre esperienze: Norvegia, Paesi Bassi, Austria, Stati Uniti<br />
Nel 1980, il Parlamento norvegese ha varato una legge che prevede che siano le<br />
compagnie di assicurazione private le uniche responsabili per i danni causati da<br />
fenomeni naturali per chi possiede un’assicurazione contro l’incendio.<br />
A seguito di questa decisione, tutte le compagnie di assicurazione che coprono i<br />
danni da incendio si sono riunite ed hanno istituito un’alleanza: il Norsk<br />
Naturskadepool. Si tratta di un pool danni: di conseguenza, i danni provocati da<br />
calamità naturali vengono segnalati dalle compagnie al pool e quindi ridistribuiti<br />
alle stesse in base alla loro quota di mercato. Quest’ultima viene determinata<br />
100 <strong>Studi</strong>o ANIA, rischio terrorismo in Italia e nel mondo: l’esperienza tedesca, 8 luglio 2005;<br />
www.ania.it.<br />
82
sulla base delle somme aggregate assicurate ed è espressa in percentuale sul<br />
totale della somma assicurata norvegese.<br />
I premi per i rischi naturali delle rispettive polizze originarie non sono pagate al<br />
Norsk Naturskadepool, ma trattenuti dalle singole compagnie che ne fanno parte.<br />
Tale copertura assicurativa esclude: foreste e raccolti, merci in transito, veicoli a<br />
motore, inondazione, danni indiretti, gelo e responsabilità civile 101 .<br />
In Olanda, la necessità di fronteggiare le nuove dimensioni assunte dal rischio<br />
terroristico ha portato alla costituzione, nel 2003, su iniziativa dell’Associazione<br />
degli assicuratori, di una compagnia di riassicurazione specializzata, NHT (Dutch<br />
Terrorism Risk Reinsurance Company).<br />
NHT è dotata di un capitale sociale relativamente contenuto posseduto da una<br />
Fondazione promossa dall’Associazione; la partecipazione, comunque, non è<br />
obbligatoria.<br />
Il sistema olandese, operativo dal 1° luglio 2003, prevede che NHT offra, su base<br />
annua, una capacità complessiva pari a 1 miliardo di euro, articolata su più livelli,<br />
come segue:<br />
- 400 milioni di euro offerti dagli assicuratori diretti facenti parte del<br />
sistema di NHT;<br />
- 300 milioni di euro, offerti dalla riassicurazione internazionale;<br />
- altri 300 milioni di euro, in eccesso rispetto ai primi due layer, garantiti<br />
dallo Stato.<br />
La garanzia contro gli atti terroristici è inclusa come clausola aggiuntiva nelle<br />
usuali condizioni di polizza.<br />
Rientrano nello schema di riassicurazione tutti i rami assicurativi, vita e danni,<br />
purché il rischio sia situato in Olanda (danni) o il contraente risieda<br />
regolarmente nel paese (vita); le uniche esclusioni riguardano il ramo<br />
aeronautico.<br />
Gli indennizzi relativi a danni ad immobili, al loro contenuto e a danni indiretti<br />
non possono superare un importo pari a 75 milioni di euro per assicurato.<br />
Anche in Austria, dal 1° gennaio 2003, è operativo un pool per l’assicurazione dei<br />
rischi terroristici, costituito dalle principali compagnie del mercato, che offre una<br />
copertura automatica per i rischi commerciali sino ad un tetto di 5 milioni di<br />
euro.<br />
La ritenzione del pool è di 50 milioni di euro su base aggregata annua, ripartita<br />
tra gli assicuratori austriaci in base alle rispettive quote di mercato; un ulteriore<br />
ammontare di 150 milioni di euro è collocato sul mercato riassicurativo<br />
internazionale e, a differenza degli altri paesi, non è ancora certo se lo Stato<br />
fornirà una propria garanzia per somme in eccesso a tali limiti 102 .<br />
101 CINEAS: white paper, la situazione legislativa sulle calamità naturali in altri paesi, 5 novembre 2007;<br />
www.cineas.it.<br />
102 <strong>Studi</strong>o ANIA, rischio terrorismo in Italia e nel mondo: altre esperienze, 8 luglio 2005; www.ania.it.<br />
83
Negli Stati Uniti, è stato approvato sul finire del 2002 un piano riassicurativo<br />
federale per la copertura dei danni conseguenti ad atti di terrorismo<br />
internazionale. Il piano ha avuto una durata limitata e infatti è stato interrotto<br />
nel 2005; esso forniva copertura solo nell’ambito delle commercial lines (con<br />
esclusione di settori quali i rischi agricoli, le cauzioni, l’r.c. sanitaria, il vita e il<br />
malattia). Il governo federale era impegnato a garantire il pagamento del 90%<br />
delle perdite subite dagli assicuratori diretti che superassero una predeterminata<br />
franchigia; danni superiori a 100 miliardi di dollari erano comunque esclusi dallo<br />
schema.<br />
Negli Stati Uniti, inoltre, la legislazione sulle calamità naturali prevede la presenza<br />
della Federal Emergency Management Agency (FEMA), ovvero l’Agenzia federale<br />
per la gestione delle emergenze, che amministra il Programma nazionale per<br />
l’assicurazione contro le inondazioni, istituito nel 1968, ma che trae origine da<br />
una serie di interventi per aiutare le zone colpite da catastrofi.<br />
La FEMA è attiva con un intenso programma di riduzione dei rischi che non si<br />
limita a gestire il problema inondazioni, ma che opera anche in occasione di<br />
terremoti, uragani ed incendi.<br />
L’attività dell’Agenzia sul territorio è volta a stimolare la cittadinanza ad aderire<br />
al programma a livello locale. L’obiettivo è quello di ridurre i rischi elevando<br />
alcuni standard che sono sotto controllo del Governo locale: qualità degli<br />
insediamenti, delle infrastrutture, dell’educazione della cittadinanza, prevenzione<br />
e gestione dei rischi delle catastrofi attraverso comportamenti cooperativi.<br />
Il programma relativo alle inondazioni garantisce ai cittadini delle aree a maggior<br />
rischio l’accesso all’assicurazione a condizioni di favore (fino al 45% di sconto<br />
sulla polizza), purché il Governo locale abbia aderito agli standard indicati da<br />
programma di prevenzione.<br />
La FEMA, inoltre, individua le mappe di rischio a cui corrispondono specifici<br />
livelli dei premi assicurativi: all’interno di queste aree, ogni forma pubblica di<br />
aiuto o di incentivo agli insediamenti produttivi e residenziali non può essere<br />
erogata se manca l’assicurazione.<br />
Anche se l’adesione dell’autorità locale è volontaria, l’incentivo ad aderire al<br />
programma federale è molto forte, perché i cittadini della comunità locale non<br />
vogliono perdere gli sconti sulla polizza e le altre agevolazioni 103 .<br />
In definitiva, è possibile constatare che le esperienze adottate nei paesi<br />
menzionati seguono, più o meno, uno schema comune che prevede:<br />
- un primo intervento degli assicuratori diretti, limitato ad un certo<br />
ammontare del danno;<br />
- un’iniziativa comune tramite pool di riassicurazione, o tramite imprese di<br />
riassicurazione specializzate, che aumenta la capacità sino ad una certa<br />
soglia;<br />
73 CINEAS: white paper, la situazione legislativa sulle calamità naturali in altri paesi, 5 novembre 2005;<br />
www.cineas.it.<br />
84
- oltre tale soglia, l’intervento dello Stato quale garante o riassicuratore di<br />
ultima istanza.<br />
3.3 Possibili soluzioni per migliorare il sistema assicurativo italiano<br />
Si è visto che l’Italia, a differenza di altri paesi, non si è ancora dotata di<br />
coperture assicurative obbligatorie o volontarie, in grado di far fronte ai danni<br />
derivanti dal verificarsi di catastrofi naturali. Tali danni, infatti, vengono risarciti,<br />
anche parzialmente, grazie a finanziamenti ad hoc che fanno leva sulla fiscalità<br />
generale. A volte, questi risarcimenti sono stati oggetto di polemiche relative sia<br />
all’incertezza degli stanziamenti, sia alla scarsa trasparenza nella loro<br />
attribuzione, nonché ai tempi lunghi di erogazione.<br />
I principali aspetti critici della gestione del rischio catastrofi naturali in Italia<br />
possono essere sintetizzati nei seguenti punti:<br />
1. bassa trasparenza;<br />
2. tempi lunghi;<br />
3. entità risarcimento;<br />
4. costi comunque elevati.<br />
L’attribuzione ed erogazione degli aiuti è accompagnata spesso da critiche su<br />
possibili fenomeni clientelari e conseguente uso inefficiente ed inefficace delle<br />
risorse; i tempi per il risarcimento sono incerti e per alcuni eventi verificatisi<br />
molti decenni fa (ad esempio Belice nel 1968), non si sono ancora conclusi;<br />
l’entità dei rimborsi non è stabilita a priori e non è nemmeno certo il diritto al<br />
risarcimento. Infine, il fatto che il singolo individuo non paghi un premio, non<br />
vuole dire che tale copertura non costi, essa è finanziata tramite la fiscalità<br />
generale e grava su tutti i cittadini.<br />
Oltre ai problemi indicati, il quadro complessivo non fornisce i giusti incentivi<br />
per lo sviluppo e la pianificazione territoriale finalizzata alla prevenzione, che è la<br />
leva fondamentale da utilizzare per ridurre l’impatto delle catastrofi naturali,<br />
soprattutto in una prospettiva in cui esse sembrano destinate ad aumentare nel<br />
futuro.<br />
Ma anche un modello di tipo esclusivamente privato, in cui è assente l’intervento<br />
pubblico, comporta altri aspetti negativi come, ad esempio:<br />
- costi proporzionali al rischio dello specifico territorio, quindi anche elevati;<br />
- impossibilità per le fasce di popolazione meno abbienti e residenti in zone<br />
ad alto rischio di pagare il premio assicurativo, non usufruendo così della<br />
copertura;<br />
- limiti alla capacità del mercato assicurativo e riassicurativo di coprire<br />
rischi così elevati 104 .<br />
104 ANIA, L’assicurazione italiana 2006/2007, la copertura dei rischi catastrofali: l’Italia rispetto agli altri<br />
paesi, p. 100; www.ania.it.<br />
85
Per cercare di trovare una soluzione ottimale a tutti i problemi individuati, da<br />
molti anni si discute sulla possibile introduzione in Italia di un sistema<br />
assicurativo misto pubblico-privato, che avrebbe il pregio di assorbire le<br />
caratteristiche virtuose dei due modelli estremi (pubblico e privato) e di evitare<br />
le problematiche prima evidenziate, fornendo anche i giusti incentivi per una<br />
seria politica di prevenzione e contenimento dei danni.<br />
Un modello equo che garantisca la copertura dei danni da calamità naturali deve<br />
godere però di alcuni requisiti di base:<br />
- estensione della garanzia incendio;<br />
- perimetro dell’evento ben definito;<br />
- libero mercato;<br />
- Stato riassicuratore;<br />
- incentivi fiscali;<br />
- incentivi alla prevenzione.<br />
L’inclusione obbligatoria della copertura nelle polizze incendio è un principio di<br />
semi-obbligatorietà, già applicato in altri paesi, che risolverebbe il problema di<br />
raggiungere una certa massa critica e il problema dell’antiselezione.<br />
La copertura dovrebbe fare riferimento esclusivo alle abitazioni civili, non<br />
abusive, e la quantificazione del danno dovrebbe essere effettuata in base al costo<br />
di ricostruzione. Occorre prevedere che la copertura produca i suoi effetti solo a<br />
seguito della dichiarazione di calamità naturale da parte dell’Autorità pubblica, o<br />
dell’accertamento del nesso di causalità da parte di un perito, scelto nell’ambito<br />
di un elenco di periti certificati dalla Protezione Civile.<br />
Altro requisito indispensabile per l’equilibrio del modello è la libertà tariffaria e<br />
assuntiva da parte delle imprese di assicurazione. Le politiche di pricing dello<br />
Stato, come riassicuratore, potranno condizionare in modo positivo la mutualità<br />
e, conseguentemente, il costo di tale copertura tra diverse zone con indici di<br />
rischio differenti. Lo Stato, intervenendo in qualità di riassicuratore, potrebbe<br />
anche essere garante in caso di eventi eccezionali che dovessero eccedere le<br />
capacità del sistema.<br />
In aggiunta a quanto detto sino ad ora, occorre considerare gli aspetti di natura<br />
fiscale: l’aliquota fiscale attualmente applicata ai premi delle coperture del ramo<br />
incendio è estremamente elevata rispetto al resto d’Europa; data l’utilità sociale<br />
della copertura per il rischio delle catastrofi naturali, si potrebbe prevedere<br />
l’esenzione da imposte e in aggiunta, per favorirne la diffusione, si potrebbe<br />
ipotizzare la sua deducibilità fiscale.<br />
Risulta, infine, necessario porre in essere un sistema di incentivi quali<br />
l’applicazione di franchigie e massimali che siano determinati in funzione delle<br />
attività e delle politiche di prevenzione messe in atto in determinati territori. Lo<br />
scopo è quello di stimolare i governi locali ad intraprendere tutte quelle iniziative<br />
(es. qualità delle infrastrutture, educazione dei cittadini) dirette a ridurre al<br />
minimo i possibili risvolti negativi di eventi catastrofici particolarmente gravi.<br />
86
SCHEMA DI FUNZIONAMENTO DI UN POSSIBILE MODELLO MISTO<br />
SISTEMA ASSICURATIVO E<br />
RIASSICURATIVO PRIVATO<br />
IMPRESE DI<br />
RIASSICURAZIONE<br />
p<br />
Premi Risarcimenti<br />
IMPRESE DI ASSICURAZIONE<br />
Premi Risarcimenti<br />
CITTADINI<br />
Risarcimenti<br />
Premi<br />
Fonte: ANIA, alcune riflessioni su un possibile sistema assicurativo, di Roberto Manzato.<br />
Per quanto riguarda la modalità di diffusione della copertura, è stato detto che<br />
l’estensione della garanzia incendio rappresenta senza dubbio l’opzione preferita,<br />
in quanto consentirebbe di evitare fenomeni di antiselezione e di raggiungere la<br />
massa critica in fase di start-up.<br />
Tale opzione, tuttavia, non è l’unica possibile, ne esistono almeno altre due:<br />
1. assicurazione della singola garanzia volontaria;<br />
2. assicurazione della singola garanzia obbligatoria.<br />
SISTEMA<br />
RIASSICURATIVO<br />
PUBBLICO<br />
Nel primo caso, ognuno è libero di sottoscrivere o meno la copertura per il<br />
rischio catastrofale. Si tratta però di un modello che potrebbe presentare<br />
determinate criticità quali l’antiselezione, la difficoltà a raggiungere la massa<br />
critica e un elevato costo della copertura in certe zone.<br />
L’altra opzione, invece, rendendo obbligatoria la copertura per il rischio di<br />
catastrofi naturali, potrebbe essere vista dai cittadini come un’imposizione<br />
fiscale 105 . Tutto ciò non fa altro che confermare la superiorità in termini di<br />
105 ANIA: alcune riflessioni su un possibile sistema assicurativo, di Roberto Manzato; www.ania.it.<br />
87
efficacia e di efficienza della estensione della garanzia nell’ambito della copertura<br />
contro l’incendio, proprio come avviene già da tempo nel modello francese.<br />
3.4 Conclusioni<br />
Le calamità naturali rappresentano una minaccia estremamente sentita in Italia e<br />
comportano un onere rilevante per il bilancio dello Stato che, negli ultimi<br />
vent’anni, sta spendendo circa 4 miliardi di euro ogni anno per far fronte ai<br />
danni ed ai disagi causati dai sempre più frequenti episodi catastrofali.<br />
Al fine di ridurre gli esborsi da parte dello Stato, da alcuni anni viene ipotizzata<br />
la creazione di un sistema pubblico-privato che, analogamente a quanto avviene<br />
in numerosi altri paesi europei e non, coinvolga gli assicuratori nell’indennizzo<br />
dei danni causati da calamità naturali.<br />
Già la Legge Finanziaria 2004, in un suo articolo, prevedeva l’introduzione di una<br />
estensione obbligatoria di garanzia, ai soli contratti incendio, per i danni<br />
cagionati dalle calamità naturali ai fabbricati di civile abitazione.<br />
La proposta, lungamente discussa a livello parlamentare, era stata poi soppressa<br />
ma il discorso era tornato di attualità con la Legge Finanziaria 2005, che ha<br />
evidenziato un cambiamento importante: è stata rimarcata, infatti, la volontà di<br />
mantenere un regime assicurativo volontario per la copertura dei rischi derivanti<br />
da calamità naturali sui fabbricati “a qualunque uso destinati”, attraverso la<br />
partecipazione al capitale sociale di una compagnia di riassicurazione di nuova<br />
costituzione, volta a incrementare le capacità riassicurative del mercato.<br />
Il 29 luglio 2005, inoltre, Cineas e Protezione Civile hanno siglato un protocollo<br />
d’intesa che prevede 106 :<br />
- la promozione della ricerca scientifica applicata alla previsione, all’analisi e<br />
alla valutazione degli effetti di terremoti, alluvioni, frane o eruzioni<br />
vulcaniche con l’utilizzo di sistemi di monitoraggio satellitari che vengono<br />
sperimentati, oltre che in Italia, anche in ambito internazionale;<br />
- lo svolgimento di specifiche attività di formazione sull’analisi e la gestione<br />
del rischio, sulla prevenzione e sulla sicurezza;<br />
- la costituzione di una rete di cooperazione internazionale fra le istituzioni<br />
pubbliche e private che svolgono attività di studio, di analisi e di ricerca;<br />
- l’applicazione dei risultati della ricerca scientifica e tecnologica al tessuto<br />
sociale, economico e produttivo con particolare interesse nei confronti<br />
delle pubbliche amministrazioni e delle piccole e medie imprese.<br />
4. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE<br />
I rischi catastrofali costituiscono minacce per l’impresa e, quindi, hanno rilevanza<br />
nella definizione delle sue strategie.<br />
106 CINEAS, il Cineas per il perito che cambia: convegno del 21 settembre 2006, relazione di Adolfo<br />
Bertani; www.cineas.it.<br />
88
Sulla gestione dell’impresa possono avere un notevole impatto sia i sinistri legati<br />
ai processi produttivi sia quelli originati da catastrofi naturali. I primi, a loro<br />
volta, possono riguardare danni diretti (distruzione di beni, perdita di<br />
informazioni ecc.) e indiretti (perdita di reddito conseguente all’interruzione<br />
dell’attività produttiva, peggioramento della posizione competitiva, ecc.) alla sua<br />
economia, o danni causati a terzi.<br />
La crescente complessità dei sistemi di produzione ha contribuito in modo<br />
notevole all’aumento della vulnerabilità delle imprese in rapporto ai rischi e, in<br />
particolare, ai rischi incendio e inquinamento. Di fronte a tale fenomeno, esse<br />
sono spinte a valutare in profondità la mappa dei rischi ai quali risultano esposte,<br />
quale premessa indispensabile per poter decidere su valide basi la politica di risk<br />
management 107 . Quest’ultima non può essere limitata alla scelta degli strumenti<br />
più adatti a fronteggiare il rischio e alla decisione dell’intensità da attribuire<br />
all’utilizzo degli stessi, ma deve comportare incisivi interventi a livello<br />
organizzativo e a livello di gestione delle risorse umane. Questo perché il valido<br />
ed efficace ricorso agli strumenti di fronteggiamento del rischio presuppone la<br />
capacità dell’intera organizzazione dell’impresa di saper gestire in modo corretto<br />
le situazioni di rischio che dovessero presentarsi e di saper fronteggiare con<br />
azioni tempestive ed efficaci le situazioni di emergenza.<br />
Una soluzione adottabile è sicuramente quella di ricorrere al mercato<br />
riassicurativo: la riassicurazione gestita su base internazionale si dimostra uno<br />
strumento in grado di incidere sulla stabilità del sistema economico di ciascun<br />
paese. L’elevata magnitudo che possono raggiungere i sinistri catastrofali fa sì<br />
che, in presenza di un frequente ricorso alle coperture riassicurative a livello<br />
internazionale, larga parte della loro copertura finanziaria sia garantita da risorse<br />
provenienti da altri paesi. Ove, al contrario, il ricorso alla riassicurazione<br />
internazionale dovesse essere limitato, la copertura di detti sinistri<br />
inevitabilmente dovrebbe avvenire solo mediante una distribuzione nel tempo<br />
degli impieghi di risorse a ciò destinate.<br />
Un’ulteriore soluzione è quella di ricorrere agli strumenti innovativi di<br />
fronteggiamento della sinistrosità dei rischi catastrofici, i quali, nonostante la<br />
presenza dei vantaggi in precedenza evidenziati, stentano ancora a trovare una<br />
loro affermazione sul mercato. Gli interrogativi che al presente si pongono non<br />
riguardano tanto la validità dei cat bonds o delle cat options come strumenti di<br />
copertura di tale tipologia di rischi, quanto la possibilità che ad una domanda<br />
degli stessi possa corrispondere un’offerta adeguata e continuativa.<br />
I derivati catastrofali interessano, più o meno direttamente, tutte le imprese<br />
assicuratrici: i rischi catastrofali sono infatti riassicurati su base mondiale e<br />
quindi interessano per le quote assunte in riassicurazione anche le grandi<br />
imprese europee ed italiane.<br />
E’ opportuno concludere il presente lavoro ricordando quali sono le incertezze e<br />
le nuove sfide che il comparto assicurativo deve prepararsi ad affrontare; la<br />
capacità di risposta deve adeguarsi a una percezione del rischio profondamente<br />
107 Luigi Selleri, I rischi catastrofali e ambientali: principi di valutazione e strumenti di gestione; Guerini<br />
e Associati, Milano, 1996, p. 143.<br />
89
mutata, che dia luogo a profonde ristrutturazioni i cui riflessi sul mercato si<br />
avvertiranno ancora negli anni a venire.<br />
Le aree in cui si è reso necessario allargare il livello di attenzione sono le<br />
seguenti:<br />
- un nuovo approccio al risk management, in quanto una semplice analisi<br />
statistica retrospettiva del rischio non è più sufficiente;<br />
- una più attenta valutazione delle riserve tecniche e della potenziale<br />
esposizione agli eventi catastrofali, che oggi viene fatta sulla base di<br />
informazioni ridotte;<br />
- la ricerca di nuove forme contrattuali, restrizioni dei termini e delle<br />
condizioni di polizza (si paga di più per avere una copertura minore);<br />
- la ricerca di alternative all’assicurazione/riassicurazione tradizionale 108 .<br />
Emerge dunque un quadro assicurativo incerto, che trova la sua motivazione<br />
nell’esame dei fatti: le compagnie hanno subito danni ingenti e tali danni possono<br />
derivare da una superficialità delle imprese incapaci di valutare l’evoluzione del<br />
mercato e dei rischi ad esso correlati.<br />
La domanda, quindi, è cosa si possa fare per il futuro e una risposta univoca non<br />
sembra possibile. Secondo posizioni diverse la soluzione potrebbe arrivare da:<br />
- una maggiore sinergia fra banche e sistema finanziario;<br />
- un marcato ritorno all’analisi tecnica del rischio;<br />
- l’adozione di modelli statistici più aggiornati e adeguati.<br />
Occorre, infine, introdurre nella cultura degli imprenditori il concetto della “loss<br />
prevention”, nell’ottica di evitare sinistri sostenibili e destinare i premi alla<br />
copertura di rischi più rilevanti come esposizione 109 .<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
ANIA:<br />
- “La cartolarizzazione del rischio catastrofale”, L’assicurazione italiana nel<br />
2005/2006.<br />
- “Il mercato internazionale dei cat-bonds nel 2006”, L’assicurazione italiana nel<br />
2006/2007.<br />
- “La copertura dei rischi catastrofali: l’Italia rispetto agli altri paesi”,<br />
L’assicurazione italiana nel 2006/2007.<br />
108<br />
Gruppo Assiteca: Lo scenario assicurativo dopo l’11 settembre 2001: le nuove sfide, News Letter n°<br />
32, anno 2002, p. 3; www.assiteca.it.<br />
109<br />
Gruppo Assiteca: Lo scenario assicurativo dopo l’11 settembre 2001: come reagire alla crisi, News<br />
Letter n° 32, anno 2002, p. 3; www.assiteca.it.<br />
90
ANIA, “Rischio terrorismo in Italia e nel mondo: la copertura del rischio<br />
terroristico in Italia e le esperienze degli altri Paesi”, 2005, www.ania.it.<br />
Cineas, “Il Cineas per il perito che cambia”, convegno del 21 settembre 2006,<br />
relazione di Adolfo Bertani, www.cineas.it.<br />
Cineas:<br />
- “I più importanti progetti di legge sull’assicurazione del danno da catastrofe<br />
naturale in Italia”, White Paper, 5 novembre 2007.<br />
- “La situazione legislativa sulle calamità naturali in altri Paesi”, White Paper, 5<br />
novembre 2007.<br />
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