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Leggi - Associazione Nomentana di Storia e Archeologia Onlus

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ANNALI 2008 84<br />

Introduzione<br />

L<br />

’isola <strong>di</strong> Sant’Antioco della quale mi onoro <strong>di</strong> essere<br />

il sindaco, è situata presso la costa sud-occidentale<br />

della Sardegna, <strong>di</strong> fronte alla regione del Sulcis-Iglesiente.<br />

L’isola si estende per 109 km2 , è la più vasta della Sardegna<br />

e la quarta d’Italia. Essa è collegata all’entroterra<br />

costiero da un sottile istmo, lungo 5 km, creato da se<strong>di</strong>menti<br />

marini, che in termini propri forma una penisola<br />

che si affaccia a sud nel golfo <strong>di</strong> Palmas. Dista da Cagliari<br />

circa 90 km.<br />

Il suo clima è prevalentemente me<strong>di</strong>terraneo, con inverni<br />

brevi ed estati calde, asciutte, mitigate dai venti freschi<br />

<strong>di</strong> maestrale.<br />

Nei giorni <strong>di</strong> bonaccia, il paesaggio, pavoneggiandosi<br />

SANT’ANTIOCO<br />

ISOLA DI CULTURA ED EMOZIONI<br />

Ridente sovra un colle il borgo giace,<br />

<strong>di</strong> florida isoletta ad oriente,<br />

tra viti rigogliose, in suol ferace,<br />

che verso il mar pianeggia dolcemente.<br />

Sui ruderi, già spenti, <strong>di</strong> cittade<br />

un dì fiorente e ricca molto, ei sorse,<br />

dappoi che queste fertili contrade,<br />

dal Saracen crudele furon corse.<br />

...Così introduceva il suo scritto il Direttore Didattico Michele<br />

Caracciolo nel 1919...<br />

e così concludeva:<br />

Si, spero, che più lieto il dì risplenda<br />

Su questa terra bella e pur felice,<br />

e che pel mondo il grido mio si estenda:<br />

Trovata è alfine l’Araba Fenice.<br />

Il Villaggio <strong>di</strong> Sant’Antioco, ristampato nell’anno 2002<br />

dalla Basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco Martire, è un documento <strong>di</strong> altissimo<br />

valore, poiché ci fa conoscere cose oggi <strong>di</strong>menticate. Il<br />

professor Caracciolo all’inizio del secolo ha pensato <strong>di</strong> far qualcosa<br />

per l’isola che l’ospitava; dopo quasi un secolo, in veste<br />

del tutto <strong>di</strong>versa, abbiamo proposto un lavoro che speriamo sia<br />

utile a tutti coloro che stanno avendo un approccio con la nostra<br />

storia. L’attività svolta ha il solo fine <strong>di</strong> ricordare ciò che gli<br />

altri <strong>di</strong>menticano.<br />

In qualità <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>natore dei lavori relativi ai saggi qui<br />

pubblicati, desidero ringraziare tutti coloro che hanno voluto<br />

fortemente il gemellaggio tra il territorio Antiochense e quello<br />

<strong>di</strong> Guidonia sotto la bene<strong>di</strong>zione dei Santi Martiri Antioco e<br />

Sinforosa.<br />

Ringraziamenti<br />

Pertano si ringraziano in or<strong>di</strong>ne puramente casuale:<br />

Prof. Vittorio Sgarbi, per il suo pensiero;<br />

Dott. Eugenio Moscetti, per aver lavorato instancabilmente al<br />

progetto;<br />

Ing. Mario Corongiu, per esserne stato il promotore.<br />

Lgt. Santino Carta, per sentirsi figlio della nostra isola;<br />

Prof. Piero Bartoloni, per il suo saggio;<br />

Prof. Francesca Cenerini, per il suo saggio;<br />

Prof. Roberto Coroneo, per il suo saggio;<br />

Dott.ssa Grazia Villani, per il suo saggio;<br />

Dott.ssa Daniela Ibba, per il suo incoraggiamento;<br />

Sig. Giorgio Pinna, libero stu<strong>di</strong>oso, per il suo saggio;<br />

Sig. Marco Massa, libero stu<strong>di</strong>oso, per il suo saggio;<br />

Don Demetrio Pinna, per essere l’in<strong>di</strong>scusso padre del culto<br />

del Santo;<br />

Sig. Stefano Alessandrini, responsabile dei gruppi archeologici<br />

d’Italia per l’articolo sulla protome leonina da Sulky;<br />

Prof. Michele Caracciolo, per il saggio sul Villaggio <strong>di</strong> Sant’Antioco;<br />

Dott.ssa Maddalena Cima, Direttrice del Museo Barraco <strong>di</strong><br />

Roma, per la sua cortesia;<br />

Dott.ssa Cristina Bombasaro, mia moglie, per la selezione delle<br />

foto e la sua pazienza.<br />

Ringrazio infine per la concessione del prezioso materiale<br />

fotografico:<br />

Piero Bartoloni, Roberto Coroneo, Don Demetrio Pinna,<br />

Marco Massa, Grazia Villani, Cristina Bombasaro,<br />

Basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco, Salvatore Selis,<br />

Cattedrale <strong>di</strong> Sassari, Chiesa <strong>di</strong> Sant’Antonio Abate a<br />

Maracalagonis, Chiesa <strong>di</strong> Fluminimaggiore,<br />

e tutti coloro che in modo <strong>di</strong>retto e in<strong>di</strong>retto hanno collaborato<br />

con me e mi hanno incoraggiato. ROBERTO LAI<br />

nella sua laguna animata da colonie <strong>di</strong> fenicotteri rosa,<br />

sembra uscito dalla tavolozza <strong>di</strong> un pittore.<br />

A pochi km dal paese si raggiungono spiagge d’incomparabili<br />

bellezze, che stupiscono l’occasionale visitatore.<br />

L’isola nasce durante il periodo del Miocene, circa 25<br />

milioni <strong>di</strong> anni fa, e si <strong>di</strong>stacca dalla Sardegna a causa <strong>di</strong><br />

poderosi movimenti tettonici. Molti milioni <strong>di</strong> anni dopo,<br />

l’isola assume l’attuale morfologia, prevalentemente pianeggiante.<br />

Registra la presenza <strong>di</strong> rocce calcaree e trachitiche,<br />

con una rara vegetazione <strong>di</strong> tipo me<strong>di</strong>terraneo: la<br />

palma nana, considerata un fossile vivente, antico <strong>di</strong> milioni<br />

<strong>di</strong> anni, il mirto, il leccio, l’olivastro, il corbezzolo, il<br />

rosmarino selvatico, il ginepro fenicio, il lentischio e tanta<br />

altra vegetazione me<strong>di</strong>terranea.<br />

Più tar<strong>di</strong>, intorno al 1800 a.C. i Fenici effettuarono le<br />

prime invasioni della Sardegna e delle sue isole minori, svi-


luppando la civiltà dei nuraghi<br />

e delle domus de janas,<br />

ossia tombe in miniatura<br />

scavate nelle rocce,<br />

oltre alle necropoli denominate<br />

“tombe dei giganti”.<br />

La dominazione fenicia<br />

durò sino al 500 a.C.<br />

dopo<strong>di</strong>ché furono i cartaginesi<br />

a stabilire inse<strong>di</strong>amenti<br />

in Sardegna e fondarono<br />

le prime città, quali<br />

Cagliari, Tharros, Nora e<br />

Sulci, e quest’ultima, in<br />

onore del nostro Santo<br />

Martire, <strong>di</strong>venne isola <strong>di</strong><br />

Sant’Antioco.<br />

I romani, apparvero in<br />

Sardegna nel 238 a.C.<br />

Durante l’impero <strong>di</strong> Adriano, (II sec. d.C.), erano in atto<br />

furiose persecuzioni verso i cristiani, i quali, per non essere<br />

arrestati e uccisi, emigrarono verso terre più tranquille.<br />

Secondo la leggenda agiografica, Antioco, me<strong>di</strong>co Mauritano,<br />

arrivò sulla costa <strong>di</strong> Sulci durante l’epurazione cristiana<br />

per <strong>di</strong>ffondere la fede <strong>di</strong> Cristo, che in poco tempo<br />

raggiunse ogni anfratto della Sardegna. Qui, la sua fede fu<br />

recepita e accettata dalla popolazione sarda, ma non dai<br />

persecutori che, recatisi a Sulci per arrestarlo, lo trovarono<br />

già morto nelle grotte ove si era recato a pregare.<br />

La notizia della morte del nobile pre<strong>di</strong>catore sconvolse<br />

il popolo sardo ormai evangelizzato. In suo onore, in tutta<br />

la Sardegna, fiorirono opere religiose avendolo riconosciuto<br />

il primo apostolo martire della cristianità sulla grande<br />

isola sarda. E fu così che il territorio <strong>di</strong> Sulci venne rinominato<br />

“Isola <strong>di</strong> Sant’Antioco” e Antioco, “Patrono <strong>di</strong><br />

tutta la Sardegna”.<br />

Tessere le lo<strong>di</strong> <strong>di</strong> un martire che la Chiesa ha voluto<br />

santificare, dando così lustro anche alla medesima isola è<br />

certamente gra<strong>di</strong>to al popolo antiochense, che si pregia<br />

d’aver dato ospitalità al Santo Patrono della Sardegna.<br />

L’iniziativa <strong>di</strong> potere in questa sede presentare, in una<br />

rivista così importante, il nostro Santo Patrono è per me<br />

motivo d’orgoglio. Il gemellaggio tra Sant’Antioco Sulcitano<br />

e Santa Sinforosa mette in posa una pietra miliare che<br />

deve essere l’inizio <strong>di</strong> un comune interesse nella valorizzazione<br />

dei nostri territori e della nostra millenaria cultura.<br />

I due Santi per or<strong>di</strong>ne dell’imperatore romano Adriano<br />

furono martirizzati, ma oggi questo triste evento è lontano<br />

e il mio pensiero và a tutti quei Santi che in momenti<br />

storici tristi hanno subito supplizi e martiri, ma il loro sacrificio<br />

non è stato vano in quanto ci hanno lasciato un<br />

messaggio che ancora oggi li vede protagonisti in questa<br />

sede che accomuna due territori sotto il fattore comune<br />

della fratellanza.<br />

IL SINDACO DI SANT’ANTIOCO<br />

DOTT. ING. MARIO CORONGIU<br />

Presentazione<br />

La Carta Costituzionale della Repubblica Italiana con<br />

l’articolo 9 recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo<br />

della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, tutela<br />

il paesaggio e il patrimonio storico artistico della nazione”.<br />

“Repubblica”, è parola <strong>di</strong> derivazione latina (res publica,<br />

‘la cosa pubblica’) che in<strong>di</strong>ca una forma <strong>di</strong> stato basata sul<br />

principio della sovranità popolare. Il termine fu usato per<br />

la prima volta a Roma nel 509 a.C., dopo la cacciata della<br />

<strong>di</strong>nastia etrusca dei Tarquini, per in<strong>di</strong>care la nuova forma<br />

<strong>di</strong> governo, antitetica alla monarchia e costruita sul concetto<br />

<strong>di</strong> bene comune, <strong>di</strong> cosa pubblica. Partendo da questo<br />

fondamentale principio, è a mio giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> particolare<br />

rilevanza <strong>di</strong>mostrare che i risultati conseguiti dalle Amministrazioni<br />

<strong>di</strong> uno Stato nella tutela del proprio patrimonio<br />

culturale sono parte integrante della comunità stessa<br />

trattandosi <strong>di</strong> beni pubblici. Tanto si è scritto e tanti sono<br />

stati i <strong>di</strong>battiti sul termine “Bene Culturale” impropriamente<br />

usato ed inopportunamente abusato. Tanto<br />

quasi da poter <strong>di</strong>re che la definizione sta dentro <strong>di</strong> noi ed<br />

ognuno la identifica a modo suo. Non sempre le leggi in<br />

materia <strong>di</strong> tutela, almeno fino al Testo Unico sui Beni Culturali<br />

del 1999, hanno fornito una definizione esauriente<br />

su tale termine. Regolare i conti con l’ere<strong>di</strong>tà del passato,<br />

trovando risposte giuste al bisogno <strong>di</strong> memoria storica, è<br />

il problema che si pone oggi con sempre maggior chiarezza<br />

a quanti hanno la responsabilità <strong>di</strong> garantire alla comunità<br />

la sopravvivenza e la fruizione dei Beni Culturali. La<br />

funzione che i Beni Culturali possono svolgere oggi, risiede<br />

nella determinazione della qualità ambientale e inse<strong>di</strong>ativa,<br />

quin<strong>di</strong> della qualità della vita <strong>di</strong> un ambito urbano.<br />

Valorizzare un bene culturale significa quin<strong>di</strong> riqualificare<br />

anche il tessuto urbano circostante. Questa premessa,<br />

per esternare profonda gratitu<strong>di</strong>ne a coloro che<br />

hanno voluto supportare l’iniziativa <strong>di</strong> questo Assessorato<br />

alla Cultura sulla promozione che vede in prima linea<br />

due territori: quello Antiochense e Nomentano. Oggi in<br />

85<br />

ANNALI 2008


sinergia con la prestigiosa <strong>Associazione</strong> <strong>Nomentana</strong> <strong>di</strong> <strong>Storia</strong><br />

e <strong>Archeologia</strong> ONLUS con il Comune <strong>di</strong> Guidonia<br />

Montecelio e sotto la protezione del nostro Patrono<br />

Sant’Antioco Sulcitano e Santa Sinforosa <strong>di</strong> Guidonia abbiamo<br />

sicuramente dato un ulteriore contributo alla valorizzazione<br />

dei nostri territori e della nostra cultura che vede<br />

comunque protagonisti le nostre comunità nella tutela<br />

del bene pubblico.<br />

L’ASSESSORE ALLA CULTURA DI SANT’ANTIOCO<br />

DOTT.SSA DANIELA IBBA<br />

Sant’Antioco Patrono della Sardegna<br />

ANNALI 2008 86<br />

Tra agiografia e leggenda<br />

ROBERTO LAI<br />

Dalle origini del cristianesimo ai primi martiri<br />

La religione Cristiana com’è noto prende il nome da<br />

Cristo appellativo <strong>di</strong> Gesù <strong>di</strong> Nazareth, nato tra il 7<br />

e il 4 a.C. in Palestina (anche se per tra<strong>di</strong>zione viene in<strong>di</strong>cata<br />

come data <strong>di</strong> nascita l’anno zero). Gesù nacque a Betlemme<br />

da Maria, sposa <strong>di</strong> Giuseppe, concepito per opera<br />

dello Spirito Santo: non è dunque un semplice uomo, ma<br />

uomo e Dio allo stesso tempo. Con Gesù, dunque, Dio<br />

sceglie <strong>di</strong> farsi uomo tra gli uomini. Il cristianesimo si presenta<br />

quin<strong>di</strong> da subito come religione universale, nata tra<br />

gli umili per portare il lieto annuncio a tutta l’umanità siano<br />

essi peccatori o giusti, schiavi o persecutori, donne o<br />

bambini. Inizialmente, la nuova religione trovò i suoi adepti<br />

tra la popolazione ebraica grazie all’azione <strong>di</strong> proselitismo<br />

degli Apostoli. Un notevole salto <strong>di</strong> qualità per il cristianesimo<br />

delle origini si ebbe con la conversione <strong>di</strong> San<br />

Paolo (Paolo <strong>di</strong> Tarso), eru<strong>di</strong>to <strong>di</strong> origini ebraiche e citta<strong>di</strong>no<br />

romano, che contribuì con i suoi viaggi ad estendere<br />

l’insegnamento del cristianesimo nel bacino del Me<strong>di</strong>terraneo<br />

e specialmente a Roma, dove morì nel 67, dopo esservi<br />

stato più volte incarcerato. San Paolo fu il primo intellettuale<br />

convertito al cristianesimo. Nel primo secolo il<br />

cristianesimo si <strong>di</strong>ffuse in tutta l’Asia Minore e nell’Africa<br />

settentrionale per poi arrivare in Europa e a Roma; l’Apostolo<br />

Pietro e Paolo <strong>di</strong> Tarso furono sicuramente i primi<br />

martiri: San Pietro conobbe personalmente il Cristo<br />

mentre San Paolo non lo conobbe <strong>di</strong>rettamente e pur non<br />

facendo parte dei 12 viene in<strong>di</strong>cato come tale. La loro<br />

opera li vide protagonisti nella Galazia, nella Capodacia,<br />

in Antiochia <strong>di</strong> Siria, in Bitinia e a Corinto. Probabilmente<br />

gli echi <strong>di</strong> questi evangelisti e dei loro seguaci che continuarono<br />

l’opera nell’Africa del nord arrivarono in quella<br />

regione in<strong>di</strong>cata come Mauretania che vede protagonista<br />

il nostro Antioco.<br />

Conoscere esattamente il numero esatto dei martiri è<br />

quasi impossibile, furono probabilmente migliaia. Secondo<br />

Tacito furono ingens multitudo. Il martirologio Gerominiano<br />

ne elenca 979. In seguito San Cipriano parlerà <strong>di</strong><br />

martirium innumerabilis populus. In questa sede non si<br />

vuole certo fare una cronologia <strong>di</strong> tutti i Santi Martiri ma<br />

per meglio comprendere il Santo sulcitano, dobbiamo capire<br />

dove esattamente si può collocare la sua educazione<br />

cristiana, ed in particolare quale fu il contesto storico sociale<br />

dove si formò.<br />

La prima presa <strong>di</strong> posizione dello Stato Romano contro<br />

i Cristiani risale all’imperatore Clau<strong>di</strong>o (41-54 d.C.).<br />

Gli storici Svetonio e Dione Cassio riferiscono che Clau<strong>di</strong>o<br />

fece espellere i giudei perché erano continuamente in<br />

lite fra loro per causa <strong>di</strong> un certo Chrestos. Lo storico Gaio<br />

Svetonio Tranquillo (70-140 ca.), funzionario imperiale <strong>di</strong><br />

alto rango sotto Traiano e Adriano, intellettuale e consigliere<br />

dell’imperatore, giustificherà questo e i successivi<br />

interventi dello Stato contro i Cristiani definendoli “superstizione<br />

nuova e malefica”.<br />

L’Imperatore Nerone accusò i cristiani <strong>di</strong> aver appiccato<br />

l’incen<strong>di</strong>o che <strong>di</strong>strusse la città nel 64; in questo scenario<br />

ebbe inizio la prima grande persecuzione che durò<br />

quattro anni, dal luglio del 64 al giugno del 68. Molto<br />

scarse sono le notizie della persecuzione che colpì i Cristiani<br />

nell’anno 89, sotto l’imperatore Domiziano. Di particolare<br />

importanza è la notizia riportata dallo storico greco<br />

Dione Cassio, che a Roma fu pretore e console. Nel libro<br />

67 della sua <strong>Storia</strong> Romana afferma che sotto Domiziano<br />

furono accusati e condannati “per ateismo” (ateòtes)<br />

il console Flavio Clemente e sua moglie Domitilla, e con<br />

loro molti altri che “avevano adottato gli usi giudaici”. L’accusa<br />

<strong>di</strong> ateismo, in questo secolo, è rivolta a chi non considera<br />

<strong>di</strong>vinità suprema la maestà imperiale. Domiziano,<br />

durissimo restauratore dell’autorità centrale, pretende il<br />

culto massimo alla sua persona, centro e garanzia della “civiltà<br />

umana”. Nel 111 Plinio il giovane, governatore della<br />

Bitinia sul Mar Nero, riferisce all’imperatore Traiano che<br />

il rifiuto da parte dei cristiani <strong>di</strong> offrire incenso e vino davanti<br />

alle statue dell’Imperatore gli sembra un atto <strong>di</strong> derisione<br />

sacrilega.<br />

L’Imperatore risponde: “I Cristiani non si devono perseguire<br />

d’ufficio. Se invece vengono denunciati e riconosciuti<br />

colpevoli bisogna condannarli”.<br />

Sotto l’imperatore Marco Aurelio (161-180) l’impero<br />

fu martoriato da carestie, pestilenze e da invasioni barbare;<br />

<strong>di</strong> tutto questo furono accusati i cristiani.<br />

Sotto Settimo Severo (193-211) ci furono altre persecuzioni<br />

ed altre e più terribili avvennero tra il 235-238<br />

sotto Massimino; tra il 249-251 sotto Decio; nel 251-253<br />

sotto Treboniano Gallo; tra il 253-260 sotto Valeriano; infine<br />

con gli e<strong>di</strong>tti del 303 e 304 sotto Diocleziano e Galerio.<br />

La fine definitiva delle persecuzioni arrivò dopo tre secoli<br />

dalla nascita <strong>di</strong> Cristo, precisamente nel 313, con l’e<strong>di</strong>tto<br />

<strong>di</strong> Milano, emesso da Costantino e Licinio. L’e<strong>di</strong>tto<br />

accordava ai cristiani la libertà <strong>di</strong> culto e la restituzione dei<br />

beni confiscati. Lo stesso Costantino fu il primo Imperatore<br />

convertito alla cristianità, tanto da presiedere il primo<br />

concilio ecumenico nel 325 a Nicea per contrastare<br />

l’eresia degli Ariani.<br />

I martirologi storici<br />

A partire dal II secolo nelle Chiese più importanti, come<br />

in quella <strong>di</strong> Cartagine, <strong>di</strong> Roma e <strong>di</strong> Antiochia, si teneva<br />

un martirologio aggiornato e compilato con dovizia<br />

<strong>di</strong> particolari. Consisteva in un vero e proprio calendario


dove veniva in<strong>di</strong>cato il nome dei Santi e il luogo della loro<br />

morte. In seguito le notizie vennero arricchite anche con<br />

una descrizione <strong>di</strong> come era avvenuto il decesso. Il più famoso<br />

è quello “gerolomita”, compilato nel VI secolo a Roma<br />

e impropriamente attribuito a San Girolamo. Nello<br />

stesso periodo si assiste alle Legendae l’usanza tra il clero<br />

<strong>di</strong> leggere, durante la Messa una breve storia della vita del<br />

santo <strong>di</strong> cui si celebrava il <strong>di</strong>es natalis, che per i cristiani è<br />

l’anniversario della morte corporale. Questi racconti in seguito<br />

vennero chiamati Passiones. Partendo da una base<br />

certa nelle legendae si dava più importanza all’immaginazione<br />

che alla storicità. Gli autori non mancavano <strong>di</strong> dare<br />

dettagli sulla crudeltà dei boia e dei magistrati, sulla durezza<br />

dei supplizi e sulla serena resistenza che i servi <strong>di</strong><br />

Dio opponevano ai loro persecutori. Al fine <strong>di</strong> colpire i fedeli<br />

venivano narrati miracoli fantastici e opere straor<strong>di</strong>narie<br />

per suscitare negli u<strong>di</strong>tori spirito <strong>di</strong> emulazione e<br />

ammirazione. L’agiografia è infatti quella parte letteraria<br />

che ha per oggetto i santi che hanno praticato le virtù in<br />

modo eroico e riconosciute dalla chiesa cattolica o <strong>di</strong><br />

un’altra chiesa cristiana.<br />

Le origini <strong>di</strong> Antioco<br />

La tra<strong>di</strong>zione ritiene che il martire Antioco sia vissuto<br />

sotto la dominazione dell’imperatore Adriano suo persecutore.<br />

Tralasciando l’agiografia cercheremo <strong>di</strong> ricostruire<br />

fatti storici atten<strong>di</strong>bili. Innanzi tutto sorge una domanda:<br />

Adriano fu il vero persecutore <strong>di</strong> Antioco?<br />

La Passio sancti Antiochi martyris, è la più antica e importante<br />

fonte storica sul martire sulcitano. Il testo originale<br />

è purtroppo andato perduto; ci rimane una fedele ed<br />

integrale copia custo<strong>di</strong>ta nell’archivio del Capitolo della<br />

cattedrale <strong>di</strong> Iglesias, fatta eseguire nel 1621 dall’Arcivescovo<br />

<strong>di</strong> Cagliari Francesco Desquivel, scopritore delle reliquie<br />

del Santo. L’originale era scritto su pergamena con<br />

copertina in pelle scura. La sua compilazione si può<br />

senz’altro datare tra il 1089 e il 1119, periodo in cui i monaci<br />

benedettini <strong>di</strong> San Vittore <strong>di</strong> Marsiglia ebbero<br />

il possesso della chiesa del Santo.<br />

L’antico agiografo scrive che in Africa<br />

ed in particolare in Mauretania un me<strong>di</strong>co,<br />

<strong>di</strong> religione cristiana, chiamato Antioco,<br />

non vuole ricavare dalla sua professione alcun<br />

lucro, ma soltanto il bene spirituale.<br />

Nella Passio leggiamo: “Riteniamo che a<br />

questa schiera <strong>di</strong> beati martiri appartenga il<br />

santissimo martire Antioco, la cui passione, che<br />

abbiamo appreso da una verace relazione presentiamo<br />

a tutti i fedeli <strong>di</strong> Cristo.<br />

Cosa intendeva il narratore riferendosi<br />

a una “verace narrazione”?<br />

Esisteva qualche<br />

antico documento<br />

ora perduto o si riferisce<br />

ad una tra<strong>di</strong>zione orale<br />

che si è tramandata nei<br />

secoli fino alla compilazione<br />

della Passio?<br />

L’imperatore Adriano e il cristianesimo<br />

Publio Elio Adriano, fu un uomo <strong>di</strong> grande cultura,<br />

amante delle lettere e delle arti. Si intendeva <strong>di</strong> musica, <strong>di</strong><br />

pittura, <strong>di</strong> scultura, <strong>di</strong> architettura, <strong>di</strong> filosofia, scriveva in<br />

prosa e in poesia, in greco e latino; era un grande estimatore<br />

della cultura Ellenica tanto che a Roma fu soprannominato<br />

“graeculus”. Governò dal 117 al 138; il suo impero<br />

fu lungo e caratterizzato da gran<strong>di</strong> riforme civili e militari.<br />

Sembra verosimile che un uomo <strong>di</strong> tale carisma <strong>di</strong>venne<br />

il persecutore <strong>di</strong> un innocuo me<strong>di</strong>co che professava il<br />

cristianesimo in Mauretania?<br />

Per rispondere a questa domanda dobbiamo cercare <strong>di</strong><br />

analizzare l’atteggiamento <strong>di</strong> Adriano verso i cristiani. La<br />

fonte letteraria fondamentale a questo scopo è il rescritto<br />

<strong>di</strong> Adriano a Minucio Fundano, proconsole d’Asia, intorno<br />

al 124 (Giustino, Apologia, LXVIII, 6-19). Poiché le popolazioni<br />

locali avevano richiesto l’intervento delle autorità<br />

romane contro i cristiani, il proconsole Silvano Graniano<br />

aveva chiesto il parere in merito dell’imperatore, come<br />

già aveva fatto Plinio con Traiano. Adriano inviò la propria<br />

risposta al successore <strong>di</strong> Graniano, Minucio Fundano,<br />

ed essa fu sostanzialmente conforme a quella <strong>di</strong> Traiano.<br />

Dal testo si evince che Adriano non voleva venissero promossi<br />

proce<strong>di</strong>menti d’ufficio, ma esigeva che nonostante<br />

ciò i cristiani dovevano essere puniti quando contro <strong>di</strong> loro<br />

venisse portata un’accusa fondata. In confronto alla posizione<br />

<strong>di</strong> Traiano, le istruzioni <strong>di</strong> Adriano costituivano un<br />

più energico richiamo al rispetto della legge, ed in tal senso<br />

costituivano una migliore tutela giuri<strong>di</strong>ca dei cristiani.<br />

Ancor più del suo predecessore, Adriano era preoccupato<br />

che i funzionari imperiali dessero prova <strong>di</strong> debolezza<br />

<strong>di</strong> fronte alle pressioni irresponsabili dei ceti popolari,<br />

ponendosi a rimorchio <strong>di</strong> essi con esecuzioni sommarie a<br />

seguito <strong>di</strong> pressioni o tumulti della plebe.<br />

Adriano non si limitava a raccomandare <strong>di</strong> non tener<br />

conto delle denunce anonime, ma in<strong>di</strong>cava più precise<br />

cautele in <strong>di</strong>fesa soprattutto degli innocenti che potevano<br />

facilmente venir coinvolti da accuse false e processi affrettati.<br />

Non era neppure sufficiente che vi fosse<br />

un’accusa regolare, basata su fatti concreti e<br />

non su semplici <strong>di</strong>cerie, ma questa doveva<br />

provare che l’accusato avesse realmente<br />

commesso un delitto: Si quis igitur accusat et<br />

probat, adversum legem, quidquid agere memoratos<br />

homines, pro merito peccatorum etiam<br />

supplicia statues.<br />

Si è letta in queste parole la revoca della decisione<br />

<strong>di</strong> Traiano, per la quale bastava il semplice<br />

nomen <strong>di</strong> cristiano per venir processato, e lo<br />

stabilirsi d’una nuova massima, secondo la<br />

quale i cristiani si sarebbero dovuti punire<br />

solo quando a loro carico fosse risultato<br />

qualche altro delitto, e quin<strong>di</strong><br />

l’esser cristiani non avrebbe costituito<br />

ex se un crimine passibile<br />

<strong>di</strong> punizione.<br />

Altri autori tuttavia ritengono<br />

che Adriano facesse riferimento<br />

non solo a delitti comuni, ma<br />

87<br />

ANNALI 2008


anche alla lesa maestà ed al sacrilegio, accuse comunemente<br />

mosse ai cristiani, particolarmente gravi in età adrianea,<br />

nella quale l’imperatore, sulle orme <strong>di</strong> Augusto, tentava<br />

<strong>di</strong> rinvigorire i culti tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> Roma ed il culto<br />

imperiale, nel quadro <strong>di</strong> una sovranità carismatica riprendente<br />

la tra<strong>di</strong>zione religiosa e politica della Roma arcaica.<br />

Ma anche nel secondo caso Adriano avrebbe corretto<br />

la giurisprudenza stabilitasi sotto Traiano, secondo la quale<br />

detti crimini potevano essere addebitati per presunzioni<br />

sulla sola base dell’appartenenza al cristianesimo, in<br />

omaggio al principio del crimen coherens nomini, ed abbia<br />

voluto esigere invece che venisse provato come ciascun accusato,<br />

anche se manifestamente cristiano, avesse realmente<br />

commesso i delitti usualmente associati al nomen<br />

christiani, ossia ateismo, empietà e lesa maestà.<br />

Siamo <strong>di</strong> fronte ad una posizione ben più favorevole<br />

agli accusati rispetto all’epoca <strong>di</strong> Traiano, poiché <strong>di</strong> fronte<br />

ad un’accusa <strong>di</strong> ateismo ed empietà, per la quale non<br />

esistessero prove concrete, il cristiano o presunto tale non<br />

poteva venir processato, e, negli altri casi, per liberarsi da<br />

un’accusa <strong>di</strong> tale genere, all’accusato sarebbe bastato rendere<br />

omaggio agli emblemi <strong>di</strong> Roma e dell’imperatore alla<br />

presenza <strong>di</strong> un magistrato per esser scagionato.<br />

Infine, Adriano stabiliva che gli accusatori, in caso <strong>di</strong><br />

provata innocenza degli accusati, seguissero la sorte dei calunniatori;<br />

con ciò l’imperatore mise un rime<strong>di</strong>o alla piaga<br />

dei sicofanti e dei delatori <strong>di</strong> professione.<br />

Nelle sue “Memorie <strong>di</strong> Adriano” Marguerite Yourcenar<br />

a proposito del cristianesimo fa <strong>di</strong>re ad Adriano: “In<br />

quell’epoca, Quadrato, vescovo dei cristiani, m’inviò un’apologia<br />

della sua fede... avevo recentemente rammentato<br />

ai governatori delle province che la protezione delle leggi<br />

si estende a tutti i citta<strong>di</strong>ni, e che i <strong>di</strong>ffamatori <strong>di</strong> cristiani<br />

sarebbero stati puniti qualora li accusassero senza prove...<br />

Stento a credere che Quadrato sperasse <strong>di</strong> convertirmi al<br />

cristianesimo, comunque volle provarmi l’eccellenza della<br />

sua dottrina, e soprattutto quanto essa fosse innocua per<br />

lo Stato. Lessi la sua opera ed ebbi perfino la curiosità <strong>di</strong><br />

far raccogliere da Flegone qualche informazione sulla vita<br />

del giovane profeta chiamato Gesù, il quale fondò quella<br />

setta e morì vittima dell’intolleranza ebraica circa 100 anni<br />

fa. Pare che quel giovane sapiente abbia lasciato precetti<br />

che arieggiano quelli <strong>di</strong> Orfeo, al quale i <strong>di</strong>scepoli talvolta<br />

lo paragonano. Attraverso la prosa singolarmente piatta<br />

<strong>di</strong> Quadrato, non mancai tuttavia <strong>di</strong> gustare il fascino<br />

commovente <strong>di</strong> quelle virtù da gente semplice, la loro dolcezza,<br />

la loro ingenuità, il loro affetto reciproco; sembravano<br />

le confraternite <strong>di</strong> schiavi o <strong>di</strong> poveri che si fondono<br />

qua e là in onore dei nostri dèi, nei quartieri popolosi della<br />

città; ...queste piccole società <strong>di</strong> mutua assistenza offrono<br />

un appoggio ed un conforto a molti sventurati. Ma<br />

non ero insensibile ad alcuni pericoli: quella esaltazione <strong>di</strong><br />

virtù da fanciulli o da schiavi avveniva a <strong>di</strong>scapito <strong>di</strong> qualità<br />

più virili e più ferme; <strong>di</strong>etro quell’innocenza insipida<br />

e ristretta, indovinavo l’intransigenza feroce del settario<br />

verso forme <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> pensiero che non sono le sue, l’orgoglio<br />

insolente che gli fa preferire se stesso al resto degli<br />

uomini, la sua visuale deliberatamente limitata da paraocchi...<br />

Cabria, sempre ansioso... si sgomentava per le nostre<br />

vecchie religioni, che non impongono all’uomo il giogo <strong>di</strong><br />

ANNALI 2008 88<br />

alcun dogma, e lasciano che i cuori austeri si foggino, se lo<br />

vogliono, una morale più alta, senza costringere le masse<br />

a precetti troppo rigi<strong>di</strong> per evitare che ne scaturiscano subito<br />

costrizione e ipocrisia.<br />

...Cabria si preoccupa <strong>di</strong> vedere un giorno il pastoforo<br />

<strong>di</strong> Mitra o il vescovo <strong>di</strong> Cristo prendere <strong>di</strong>mora a Roma e<br />

rimpiazzarvi il Pontefice Massimo. Se per <strong>di</strong>sgrazia questo<br />

giorno venisse, il mio successore lungo i crinali vaticani<br />

avrà cessato d’essere il capo d’una cerchia d’affiliati o d’una<br />

banda <strong>di</strong> settari per <strong>di</strong>venire, a sua volta, una delle<br />

espressioni universali dell’autorità. Ere<strong>di</strong>terà i nostri palazzi,<br />

i nostri archivi; <strong>di</strong>fferirà da noi meno <strong>di</strong> quel che si<br />

potrebbe credere. Accetto con calma le vicissitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong><br />

“Roma eterna”.<br />

La profezia messa in bocca ad Adriano dalla Yourcenar<br />

si è avverata presso il colle Vaticano, dove continua, ancor<br />

oggi, ad avere sede il Pontefice Massimo.<br />

Il grande imperatore pagano, che aggre<strong>di</strong>to da un uomo<br />

armato <strong>di</strong> spada non lo punì ma lo fece curare da un<br />

me<strong>di</strong>co, scriveva <strong>di</strong> Alessandria: “Non vi è alcun prete cristiano<br />

che non sia al tempo stesso astrologo, mago e ciarlatano.<br />

Lo stesso patriarca, quando viene in Egitto, è spinto<br />

da un partito ad adorare Serapide, dall’altro Cristo. È<br />

una categoria <strong>di</strong> uomini ribelli, spregevoli, maligni. ...Il loro<br />

<strong>di</strong>o è l’oro, e i cristiani coi giudei e tutte le altre nazionalità<br />

vi si prosternano. Io ho fatto gran<strong>di</strong> concessioni a<br />

questa città, le ho ridato gli antichi privilegi ed anche nuovi,<br />

tanto che i citta<strong>di</strong>ni sono venuti a ringraziarmi personalmente;<br />

e tuttavia, appena sono partito, hanno parlato<br />

in modo indegno <strong>di</strong> mio figlio Vero. ...S’ingrassino pure<br />

con i loro polli; io mi vergogno <strong>di</strong> parlare del modo come<br />

li covano” (Gregorovius, Vita <strong>di</strong> Adriano).<br />

I viaggi <strong>di</strong> Adriano<br />

Sappiamo che Adriano fu un grande viaggiatore non<br />

per irrequietezza <strong>di</strong> spirito o per desiderio <strong>di</strong> vedere o godere,<br />

ma per la necessità che l’imperatore sentiva <strong>di</strong> osservare<br />

le con<strong>di</strong>zioni delle province e <strong>di</strong> provvedere ai loro<br />

bisogni e al loro sviluppo. Adriano trascorse nelle province<br />

circa tre lustri del suo impero. È ancora incerta la<br />

cronologia dei viaggi d’Adriano, ma più che le date hanno<br />

importanza i risultati del lungo peregrinare dell’imperatore.<br />

Iniziò col visitare la Gallia, dove fu, come pare, nel 119<br />

dove era <strong>di</strong>ffuso il paganesimo e vi faceva la comparsa anche<br />

il Cristianesimo.<br />

Dalla Gallia Adriano si recò nella Germania superiore<br />

e nell’inferiore, dove <strong>di</strong>ede impulso alle fortificazioni <strong>di</strong><br />

frontiera e provvide alla <strong>di</strong>sciplina delle legioni; poi passò<br />

nella Britannia dove seguendo la sua politica <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa, or<strong>di</strong>nò<br />

una linea <strong>di</strong> sbarramento munita <strong>di</strong> trincee e fortini<br />

(Vallum Hadriani).<br />

Dalla Britannia l’imperatore, attraversando la Gallia,<br />

passò nella Spagna, forse la più fiorente delle provincie<br />

d’occidente. Si trovava a Tarracona, forse nell’inverno del<br />

123, quando un’insurrezione scoppiata nella Mauritania<br />

lo costrinse a passare in Africa. La sua presenza valse a<br />

quietare questa regione occidentale africana, la quale resisteva<br />

ancora tenacemente alla penetrazione delle armi e<br />

della civiltà romana. Anche qui l’imperatore dovette pren-


dere provve<strong>di</strong>menti per la <strong>di</strong>fesa militare e dopo un’offensiva<br />

verso l’Atlante iniziò la costruzione <strong>di</strong> un vallum.<br />

Inoltre trasferì i quartieri della Legione III Augusta a Lambese.<br />

La sua presenza in Mauritania fu dunque forte, decisa<br />

e risolutiva per piegare alle armi della civiltà romana.<br />

La Mauritania provincia romana (da non confondersi con<br />

l’attuale stato <strong>di</strong> Mauritania) si estendeva dalla zona occidentale<br />

dell’attuale Algeria fino all’o<strong>di</strong>erno Marocco e alla<br />

parte settentrionale della Mauritania. La tra<strong>di</strong>zione ci<br />

ha tramandato la Mauretania come paese d’origine <strong>di</strong><br />

Sant’Antioco che quin<strong>di</strong> proveniva dalle terre dell’attuale<br />

Marocco o Algeria. Oggi lo definiremmo come uno straniero<br />

<strong>di</strong> razza africana sbarcato sulle nostre coste. Come<br />

detto sopra, risulta oggi <strong>di</strong>fficile pronunciarsi sulla storicità<br />

<strong>di</strong> quanto riferito nella Passio del martire sulcitano, anche<br />

se in ogni leggenda c’è un fondo <strong>di</strong> verità. D’altra parte<br />

è anche vero che le passiones sono tutte molto simili fra<br />

<strong>di</strong> loro, in particolare quelle che vedono protagonisti dei<br />

Santi Taumaturghi, tra cui basti citare Sant’Antioco <strong>di</strong> Sebaste,<br />

San Vito, San Biagio e i Santi Cosma e Damiano La<br />

fede nei santi taumaturghi, è fortemente ra<strong>di</strong>cata ovunque;<br />

vengono invocati sia <strong>di</strong>rettamente, finché sono in vita,<br />

sia tramite immagini simboliche o reliquie quando sono<br />

morti. Il loro potere va oltre la morte e pertanto sono<br />

in grado <strong>di</strong> compiere i miracoli, per i quali vengono invocati<br />

dalla fede popolare, anche a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> secoli.<br />

L’epigrafe del Vescovo Pietro e il rinvenimento<br />

delle reliquie del Santo<br />

Un altro supporto storico particolarmente importante<br />

per la storia <strong>di</strong> S. Antioco è l’epigrafe rinvenuta nel 1615<br />

dall’Arcivescovo <strong>di</strong> Cagliari Monsignore Francesco Desquivel<br />

durante l’inventio delle reliquie del Santo. L’iscrizione<br />

è considerata autentica dagli stu<strong>di</strong>osi e fatta risalire ai<br />

sec. VII-IX, se non ad<strong>di</strong>rittura al secolo VI; in questo sen-<br />

RELIQUARIO IN ARGENTO CON TESCHIO DI S. ANTIOCO<br />

so abbiamo <strong>di</strong>verse scuole <strong>di</strong> pensiero ma ritengo che gli<br />

stu<strong>di</strong> Cagliaritani <strong>di</strong> <strong>Storia</strong> e Filologia (vol. I del Motzo)<br />

siano più che atten<strong>di</strong>bili. In relazione a ciò si può dedurre<br />

che il culto del Santo non solo è conosciuto nel 500, ma<br />

anche prima; la lapide parla <strong>di</strong> restauri fatti eseguire dal<br />

Vescovo Pietro in un’Aula già esistente, abbellendola con<br />

marmi; questo ci fa pertanto tornare in<strong>di</strong>etro almeno <strong>di</strong><br />

due secoli.<br />

+AVLA MICAT VBI CORPUS SCI<br />

ANTHIOCI QVIEBIT IN GLORIA<br />

VIRTVTIS OPVS REPARANTE MINISTRO<br />

PONTIFICIS XPI SIC DECET ESSE DOMVM<br />

QVAM PETRUS ANTISTES CVLTV SPLENDO<br />

RE NOBABIT MARMORIBVS TITVLIS<br />

NOBILITATE FIDEI DDICATU D/ XII K FEBRV<br />

Il fattore che <strong>di</strong>ede l’impulso alle ricerche dei corpi dei<br />

Santi in Sardegna fu la controversia per il titolo primaziale<br />

sulla Sardegna e sulla Corsica. Due erano i contendenti<br />

il Vescovo <strong>di</strong> Cagliari e il Vescovo <strong>di</strong> Sassari; a questi si aggiunse<br />

nel 1611 l’Arcivescovo <strong>di</strong> Pisa.<br />

La relazione dell’Arcivescovo Desquivel sul ritrovamento<br />

delle reliquie <strong>di</strong> Sant’Antioco è particolarmente<br />

importante per la storia <strong>di</strong> S. Antioco.<br />

Il 18 marzo del 1615, la delegazione inviata a Sulci per<br />

la ricerca del corpo del Santo, dopo aver <strong>di</strong>giunato per un<br />

giorno a pane ed acqua, entrò nella chiesa a pie<strong>di</strong> nu<strong>di</strong>,<br />

pregando fervorosamente Dio che concedesse questo dono,<br />

mettendo come intercessore il Santo stesso. Finita la<br />

preghiera entrarono nella catacomba dove il Santo morì e<br />

andarono verso il luogo dove da sempre si <strong>di</strong>ceva fosse la<br />

tomba del Santo. Trovarono un sarcofago <strong>di</strong> marmo posto<br />

sopra un altare molto antico, all’entrata della stessa catacomba<br />

che era a forma <strong>di</strong> capella con sei colonne, qui venne<br />

rinvenuta la lapide Aula micat. La lapide era posta sopra<br />

l’altare, fissata alla parete con ganci <strong>di</strong> ferro, consumati<br />

dal tempo. Letta la lapide crebbero le speranze.<br />

Smontarono l’altare, ruppero un impasto<br />

molto forte, che ricopriva un vano costruito in<br />

calce e pietre ben lavorate e con le pareti <strong>di</strong>pinte;<br />

dentro stava il corpo del Glorioso martire,<br />

composto in modo che la testa corrispondeva<br />

al punto della lapide in cui erano scritte per<br />

esteso le parole: BEATI SANCTI ANTIOCI.<br />

La vista delle reliquie riempì tutti <strong>di</strong> ammirazione<br />

e <strong>di</strong> devozione e mandarono subito un<br />

corriere per informare il Vescovo. Il corriere,<br />

passando i ponti <strong>di</strong> notte, cadde nel mare, ma i<br />

fogli contenenti la notizia non si bagnarono. In<br />

attesa che il Vescovo giungesse a Sulci, si pregava<br />

accanto alle reliquie. Appena si <strong>di</strong>vulgò la<br />

notizia, gli archibugieri spararono mille colpi a<br />

salve.<br />

Un Archibugio fu caricato per sbaglio con<br />

due palle, e anche mettendogli fuoco non si incen<strong>di</strong>ò,<br />

perché sarebbe scoppiato tra la gente<br />

che gremiva la catacomba in preghiera. L’Arcivescovo<br />

Desquivel, dopo il rinvenimento della<br />

lapide e delle reliquie del Santo Antioco mostrò<br />

al popolo il teschio del Santo e con esso lo be-<br />

89<br />

ANNALI 2008


ne<strong>di</strong>sse. Poi suggellò la cassa con quattro chiavi, “y estas<br />

entregò a los Capitulares de la Cathedral de Iglesias con<br />

con<strong>di</strong>cion que si en algun tiempo se bolviesse a poblar la<br />

Isla de S. Antiogo, se las hayan de restituir, siendo aquel<br />

su proprio lugar”.<br />

Del ritrovamento del Sacro Corpo il Desquivel ebbe<br />

subito l’accortezza <strong>di</strong> incaricare alcuni notai che raccogliessero<br />

sotto giuramento le deposizioni delle varie persone<br />

che furono testimoni dell’accaduto. Inoltre ne fece<br />

una relazione ben particolareggiata al papa Paolo V, che è<br />

conservata nell’Archivio Segreto Vaticano, ed una al re <strong>di</strong><br />

Spagna, Filippo III, a cui offriva anche in un reliquiario<br />

d’argento un Osso della gamba del Santo. Questa relazione<br />

si trova ancora nella “Biblioteca Nacional de Madrid”,<br />

conservata tra i manoscritti al n. 8664.<br />

È opportuno intanto notare come lo stesso Desquivel,<br />

6 anni dopo, portasse una correzione al suo impegno per<br />

la cessione delle Reliquie. Con atto del febbraio 1621 – in<br />

considerazione delle spese sostenute dal Capitolo e dal<br />

Comune <strong>di</strong> Iglesias per gli scavi e la causa contro Sassari –<br />

donava “in perpetuo” le Reliquie alla Città. Comunque esse<br />

rimasero ad Iglesias per oltre 200 anni. “Pò sa festa manna”<br />

<strong>di</strong> dopo Pasqua, tutti gli anni, seguendo la statua del<br />

Santo, esse venivano portate processionalmente nell’Isola,<br />

ma terminate le celebrazioni facevano ritorno in Città.<br />

La popolazione risorgendo e crescendo si sentì però in<br />

qualche modo quasi orfana, senza la continua presenza<br />

delle spoglie del suo Martire, del suo “Padre nella fede”.<br />

Quell’antica chiesa monumentale, che oggi finalmente<br />

possiamo ammirare nel rigore della sua fattura originaria,<br />

integrata dalla catacomba testimone della fede dei primi<br />

nostri cristiani, era vuota senza quel Corpo Santo, che per<br />

secoli aveva lì riposato richiamando tanti fedeli. Che quelle<br />

Spoglie ci venissero una volta all’anno, e solo per qualche<br />

giorno, non era sufficiente, non era naturale. Il Santo<br />

doveva ritornare<br />

Il Comune <strong>di</strong> S. Antioco ne fa richiesta al Capitolo ed<br />

al vescovo mons. Montixi, appellandosi all’impegno <strong>di</strong> restituzione<br />

stabilito nel 1615 da Mons. Desquivel. Ma il<br />

Capitolo non è dello stesso parere, ed anch’esso si fa forte<br />

della donazione in perpetuo del medesimo Desquivel<br />

del 1621 che corregge il precedente atto. Nel giugno 1851<br />

il Comune <strong>di</strong> S. Antioco insiste<br />

e tenta la via giu<strong>di</strong>ziaria. Il 29<br />

marzo 1852 il Tribunale provinciale<br />

<strong>di</strong> Cagliari, accogliendo le<br />

sue istanze, condanna il Capitolo<br />

alla restituzione delle Reliquie e<br />

degli arre<strong>di</strong> sacri relativi. Il Capitolo<br />

appella. Inoltre nel febbraio<br />

1853 in favore del Capitolo<br />

e contro il Comune Sulcitano<br />

si schiera, come parte in causa, il<br />

Comune <strong>di</strong> Iglesias facendosi anch’esso<br />

forte del fatto che il Desquivel<br />

gli aveva affidato una<br />

delle chiavi del Reliquiario, e ciò<br />

in compenso delle spese sostenute<br />

per i lavori <strong>di</strong> scavo e per la<br />

ANNALI 2008 90<br />

L’INTERVENTO DI SGARBI NELLA BASILICA<br />

causa contro Sassari. In più vantava in suo favore la prescrizione<br />

<strong>di</strong> possesso ultra centenario. La causa si concluderà<br />

il 9 ottobre 1855 con la sentenza pronunciata a Cagliari<br />

in favore del Comune <strong>di</strong> S. Antioco. Le reliquie rientrarono<br />

in possesso degli Antiochensi con un magistrale colpo <strong>di</strong> mano<br />

nel 1853.<br />

L’Epigrafe in atti, nonostante i trascorsi 400 anni, si trova<br />

ancora orfana e decontestualizzata presso il Capitolo <strong>di</strong><br />

Iglesias, in attesa, a Dio piacendo <strong>di</strong> una futura ricollocazione<br />

nel suo luogo <strong>di</strong> origine. L’attuale Amministrazione<br />

Comunale <strong>di</strong> Sant’Antioco, gli stu<strong>di</strong>osi, gli accademici e<br />

lo scrivente stanno lavorando perché ciò si realizzi.<br />

Basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco Martire<br />

29 luglio 2008<br />

VITTORIO SGARBI<br />

Conoscevo la basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco per averne letto<br />

le vicende nei libri <strong>di</strong> Raffaello Delogu, l’autore de<br />

L’architettura me<strong>di</strong>evale in Sardegna, certamente il testo<br />

più noto in assoluto fra quelli che hanno trattato la storia<br />

dell’arte nell’isola.<br />

È stato Delogu a ispirare i lavori con cui si è ripristinata<br />

quella che veniva considerata, allora, la con<strong>di</strong>zione originale<br />

dell’e<strong>di</strong>ficio, risalente all’inizio del primo millennio,<br />

spogliandolo della decorazione barocca. Stu<strong>di</strong> successivi<br />

ci hanno detto che quell’originalità è più sfumata <strong>di</strong> quanto<br />

non si pensasse cinquanta anni fa, visto che l’e<strong>di</strong>ficio<br />

romanico deriva, probabilmente, dall’unificazione <strong>di</strong> un<br />

sacrario a pianta centrale, paleocristiano, con un’aula longitu<strong>di</strong>nale,<br />

d’epoca posteriore. Anche l’eliminazione degli<br />

intonaci, che ha lasciato gli interni in una nu<strong>di</strong>tà brut, è<br />

qualcosa sulla cui pertinenza filologica si potrebbe <strong>di</strong>scutere,<br />

rispondendo più a un’idea romantica del Me<strong>di</strong>oevo<br />

che alla sua realtà verificata, un po’ come la neutralità cromatica<br />

della scultura antica va ritenuta concetto neoclassico<br />

piuttosto che greco-romano.<br />

Originale o meno che sia, è certo che così come è stata<br />

recuperata, la basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco ha acquisito un


fascino ulteriore, <strong>di</strong> energia strutturale e <strong>di</strong> forza concentrata,<br />

che dal punto <strong>di</strong> vista architettonico va considerato<br />

il suo carattere peculiare. Il restauro lo ha evidenziato al<br />

meglio, in un modo che qualunque superficie <strong>di</strong> intonaco<br />

avrebbe attutito, proponendo per essa una lettura che<br />

oggi potremmo considerare critica, più ancora che filologica,<br />

ma comunque lecita, soprattutto in virtù del risultato<br />

conseguito, che non fa rimpiangere per niente la per<strong>di</strong>ta<br />

delle decorazioni barocche, artisticamente poco significative.<br />

Un caso che <strong>di</strong>mostra quanto, nella pratica, sia complicato<br />

concepire il restauro architettonico in un modo integralmente<br />

scientifico, simile a quello che viene applica-<br />

to ai <strong>di</strong>pinti o alle sculture, qualora non si abbia l’assoluta<br />

certezza dell’aspetto e dei materiali originari.<br />

E anche quando ciò fosse stato<br />

conseguito, le problematiche non si esaurirebbero<br />

<strong>di</strong> certo; perché andrebbe sempre<br />

valutato, per esempio, se un restauro<br />

scientifico sia realmente necessario<br />

quando non è in grado <strong>di</strong> valorizzare al<br />

meglio i significati civili e sociali <strong>di</strong> un<br />

monumento, potendo, in fondo, essere<br />

proposto in un plastico o nell’illustrazione<br />

<strong>di</strong> un libro, che ne garantirebbero<br />

ugualmente la conoscenza; oppure, se il<br />

ripristino dello stato più antico <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio<br />

sia sempre il più legittimo, azzerando<br />

visivamente una vicenda storica che<br />

può essere anche complessa e articolata,<br />

con altri episo<strong>di</strong> degni <strong>di</strong> essere ricordati,<br />

non solo dal punto <strong>di</strong> vista storico e artistico.<br />

Per l’interno della basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco,<br />

possiamo <strong>di</strong>re che la scelta della<br />

nu<strong>di</strong>tà originaria, anche se la sua idea <strong>di</strong><br />

antico, dettata da uomini moderni, fosse stata con<strong>di</strong>zionata<br />

dalla mentalità e dal gusto dell’epoca, è stata la più<br />

congeniale alla piena valorizzazione del monumento. Già<br />

<strong>di</strong>verso, però, è il <strong>di</strong>scorso riguardante l’esterno, per il quale<br />

l’azzeramento delle aggiunte successive – la facciata, il<br />

campanile, l’e<strong>di</strong>ficio più alto <strong>di</strong> Sant’Antioco, nel punto<br />

più alto del paese, ben visibile a <strong>di</strong>stanza – non ripristinerebbe<br />

nulla <strong>di</strong> più significativo dell’attuale, ma lascerebbe,<br />

semmai, un vuoto, per quanto, a qualcuno, potrebbe<br />

sembrare <strong>di</strong> sapore antico.<br />

È vero che dal punto <strong>di</strong> vista artistico la facciata e il<br />

campanile non hanno niente <strong>di</strong> particolarmente rilevante,<br />

ma sono testimonianze <strong>di</strong> una storia comunque importante,<br />

anche quando non la si trovasse scritta nei manuali<br />

e nelle guide turistiche, appartenendo alla memoria collettiva<br />

degli abitanti <strong>di</strong> Sant’Antioco, alle loro vite, alle vite<br />

dei loro avi, così come le hanno conosciute da loro. È<br />

una memoria locale che va preservata e tramandata nel<br />

tempo, almeno fino quando essa sarà ancora riconosciuta<br />

come un valore irrinunciabile. Non hanno motivazioni culturalmente<br />

qualificate, quin<strong>di</strong>, i tentativi, anche recenti,<br />

<strong>di</strong> eliminare tutti gli aspetti post-me<strong>di</strong>evali della basilica,<br />

NAVATA CENTRALE DEL SANTUARIO<br />

nell’illusione <strong>di</strong> recuperare un’integrità storica che, come<br />

abbiamo visto, è opinabile sotto vari punti <strong>di</strong> vista.<br />

Al contrario, lo scarto fra l’esterno e l’interno accentua<br />

l’impressione del <strong>di</strong>venire storico e fornisce un’emozione<br />

particolare a chi entra in questa chiesa, come un improvviso<br />

viaggio a ritroso che conduce a un tempo remoto, sobrio,<br />

spirituale. Per ciò che mi riguarda, è un’emozione che<br />

ha suscitato anche una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio personale,<br />

avendo potuto concedere un tempo molto ristretto alla visita<br />

della chiesa, per le emergenze della vita che mi fanno<br />

essere sindaco <strong>di</strong> Salemi, un posto lontano da Sant’Antioco,<br />

ma non tanto da Mozia, la “sorella” siciliana della progenitrice<br />

<strong>di</strong> Sant’Antioco, Sulci, anch’essa isola raggiungibile<br />

a pie<strong>di</strong>, anch’essa colonia punica alla quale fa seguito<br />

un inse<strong>di</strong>amento romano, anch’essa nucleo urbano contrad<strong>di</strong>stinto<br />

dal notevole rilievo, non solo simbolico, che<br />

acquisiscono due luoghi <strong>di</strong> morte, la necropoli e il tophet.<br />

Due vicende, quelle <strong>di</strong> Sant’Antioco e Mozia, che mutano<br />

con l’apparizione delle due nuove religioni destinate<br />

a dominare il mondo, il Cristianesimo e l’Islamismo.<br />

Sant’Antioco, grazie al suo santo omonimo, anomalo,<br />

perché moro, nord-africano convertito, e grazie, soprattutto,<br />

al suo santuario, reverito in tutta la Sardegna, <strong>di</strong>venta<br />

un avamposto della cristianità contro il pericolo islamico,<br />

personificato dai pirati arabi che perio<strong>di</strong>camente, fino<br />

all’Ottocento, devastano le sue coste.<br />

Mozia, ormai abbandonata, non pone resistenza all’occupazione<br />

araba della Sicilia, origine <strong>di</strong> una convivenza<br />

fra locali e islamici che ancora caratterizza la vicina Mazara<br />

del Vallo.<br />

Nell’XI secolo, più o meno nel momento in cui i monaci<br />

Vittorini dovettero realizzare la basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco,<br />

i Normanni affidano Mozia ai Basiliani. Ma Mozia<br />

non avrà mai un santo da reverire, tanto meno un sacrario<br />

che ne conservi le spoglie, e ciò la porterà alla morte, per<br />

certi versi provvidenziale, visto che ha favorito la preservazione<br />

<strong>di</strong> un patrimonio archeologico straor<strong>di</strong>nario.<br />

91<br />

ANNALI 2008


Il ruolo delle religioni nelle vicende <strong>di</strong> Sant’Antioco e<br />

<strong>di</strong> Mozia mi invita a fare qualche riflessione sull’incidenza<br />

che esse continuano a esercitare nelle nostre identità<br />

culturali. La laicizzazione del mondo, figlia della civiltà industriale,<br />

non è ancora arrivata, fortunatamente, a minare<br />

il presupposto storico dei nostri attuali mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> essere.<br />

Per quanto riguarda l’Occidente cristiano, credo che la<br />

nota affermazione del laico Benedetto Croce, non possiamo<br />

non <strong>di</strong>rci cristiani, abbia mantenuto intatta la sua vali<strong>di</strong>tà.<br />

Sono cambiati i costumi, le mentalità, il senso stesso<br />

con cui i singoli percepiscono la fede, più personalizzato,<br />

quin<strong>di</strong> meno legato alle ritualità <strong>di</strong> gruppo, ma non fino<br />

al punto <strong>di</strong> rinnegare la matrice storica del nostro modello<br />

civile. Non credo sia stato casuale che le democrazie<br />

moderne siano nate sotto civiltà cristiane, con<strong>di</strong>videndo<br />

fra <strong>di</strong> esse molti valori sociali, a partire dall’uguaglianza<br />

dei <strong>di</strong>ritti.<br />

Immagino che anche per il mondo islamico ci sia stato<br />

un Benedetto Croce che abbia espresso un concetto<br />

analogo. Magari facendo riferimento a società in cui, rispetto<br />

alle nostre, c’è più religione professata, ma anche<br />

meno democrazia moderna, cosa <strong>di</strong> cui va tenuto conto.<br />

La percezione che noi abbiamo del mondo arabo è che<br />

non esista una sola persona che non sia musulmana, più<br />

ancora <strong>di</strong> quanto non potremmo <strong>di</strong>re per gli occidentali<br />

cristiani. In realtà, le cose sono più complicate.<br />

È vero che considerarsi musulmano corrisponde al riconoscimento<br />

<strong>di</strong> una specifica con<strong>di</strong>zione culturale, ma<br />

non <strong>di</strong> visioni del mondo equivalenti, che in taluni possono<br />

essere <strong>di</strong> apertura e me<strong>di</strong>azione con la modernità, <strong>di</strong><br />

tolleranza del <strong>di</strong>verso, in altri, per fortuna pochi, <strong>di</strong> chiusura,<br />

<strong>di</strong> fanatismo integralista, in altri ancora, anche <strong>di</strong><br />

agnosticismo. Ciò non toglie che tutti questi <strong>di</strong>versi mo<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> essere musulmano facciano riferimento a una base <strong>di</strong><br />

partenza comune, che è ancora determinante nel definire<br />

le formae mentis corrispondenti.<br />

Conosco personalmente lo scrittore Tahar Ben Jelloun,<br />

marocchino <strong>di</strong> nascita, francese d’adozione, che certamente<br />

non è un credente, nel senso della rigorosa fedeltà a<br />

una religione confessata. Eppure si considera un musulmano<br />

nei comportamenti, nel costume, nelle scelte, molti<br />

dei quali ere<strong>di</strong>tati da musulmani credenti; non potrebbe<br />

fare a meno <strong>di</strong> questa parte della sua identità culturale<br />

e sentimentale, che gli permette <strong>di</strong> confrontarsi in modo<br />

critico con la modernità occidentale, <strong>di</strong> cui riconosce i<br />

meriti anche rispetto alla sua emancipazione culturale, ma<br />

<strong>di</strong> cui apprezza meno il suo essere tendenzialmente omologante,<br />

poco rispettosa delle <strong>di</strong>versità, anche <strong>di</strong> quelle in<br />

cui lui, oggi, si riconosce solo in parte.<br />

Il rispetto delle civiltà a matrice religiosa non dovrebbe<br />

mai prescindere dalla presa <strong>di</strong> coscienza della loro <strong>di</strong>versità.<br />

In arte, questo è avvenuto perfettamente. L’arte occidentale,<br />

figlia <strong>di</strong> quella greco-romana, pagana, ha preferito<br />

esprimere il senso del bello attraverso l’idealizzazione<br />

dell’umano, replicando, per certi versi, il processo creativo<br />

con cui la natura è stata istillata <strong>di</strong> Dio. Nell’arte musulmana,<br />

che pure non deve poco a quella greco-romana,<br />

il senso del bello si esprime in una <strong>di</strong>mensione che prevalentemente<br />

esula dall’incarnazione umana, superando la<br />

sua con<strong>di</strong>zione fisica, in una chiave <strong>di</strong> maggiore astratti-<br />

ANNALI 2008 92<br />

smo mentale. Solo un ottuso occidentale potrebbe <strong>di</strong>sconoscere<br />

che l’arte musulmana sia stata incapace <strong>di</strong> esprimere<br />

un senso del bello altrettanto <strong>di</strong>gnitoso <strong>di</strong> quello dell’arte<br />

cristiana.<br />

Le influenze fra le due arti, strettissime in alcuni momenti<br />

storici e aree geografiche, <strong>di</strong>mostrano che il reciproco<br />

interesse, e quin<strong>di</strong> la sostanziale legittimazione estetica,<br />

è figlia del passato, non dei tempi recenti. È indubbio,<br />

però, che per un occidentale i due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> esprimere<br />

il senso del bello non siano equivalenti; uno fa parte integrante<br />

della sua identità culturale, essendo ancora motivo<br />

vivo della propria esistenza, l’altro lo è certamente <strong>di</strong> meno.<br />

Altrettanto, naturalmente, potrebbe <strong>di</strong>re un musulmano.<br />

L’una e l’altra mentalità meritano lo stesso rispetto,<br />

ma senza che ciò porti a considerarle uguali: solo un<br />

processo autoritario, <strong>di</strong> genoci<strong>di</strong>o culturale, potrebbe farle<br />

<strong>di</strong>ventare tali.<br />

Non siamo uguali neanche quando fra uomini <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa<br />

matrice culturale si stabiliscono convivenze felici,<br />

come quelle che contrad<strong>di</strong>stinguono già il mondo <strong>di</strong> oggi,<br />

e sempre più lo saranno in quello <strong>di</strong> domani.<br />

Salemi è un simbolo storico esemplare della convivenza<br />

interreligiosa, avendo ospitato, fin dal Me<strong>di</strong>oevo, una<br />

comunità ebraica e una musulmana vicino a quella cristiana,<br />

ognuno con una propria zona <strong>di</strong> appartenenza. I<br />

cristiani ottusi, che non vivevano a Salemi, né comprendevano<br />

il modello civile che proponeva, troppo evoluto<br />

per un mondo che ancora, in nome del <strong>di</strong>o migliore, concepiva<br />

la contrapposizione delle civiltà, <strong>di</strong>cevano che era<br />

una città <strong>di</strong> Satanasso.<br />

Rischio che certamente non corre Sant’Antioco, luogo<br />

che simbolicamente può forse proporre un altro modello<br />

<strong>di</strong> convivenza, ancora cristianocentrico, che prevede la<br />

conversione dell’etnicamente <strong>di</strong>verso. Luogo che in ogni<br />

caso, nell’identificare il proprio nome con quello del santo<br />

patrono, esibisce imme<strong>di</strong>atamente l’orgoglio della propria<br />

identità storica e culturale, irrinunciabile, antica, eppure<br />

modernissima nello stabilire la relazione fra livello civile e<br />

religioso, se è vero che si riconosce nel culto <strong>di</strong> uomo <strong>di</strong><br />

colore. Concludo con la felicità <strong>di</strong> essere stato a Sant’Antioco,<br />

e <strong>di</strong> avere avuto il saluto del parroco Don Demetrio<br />

Pinna e del Sindaco Mario Corongiu, uniti nel nome <strong>di</strong><br />

Sant’Antioco a cui io stesso invio il mio pensiero devoto.<br />

SULKY FENICIA E PUNICA<br />

PIERO BARTOLONI<br />

L<br />

’antica storia della Sardegna, e quin<strong>di</strong> anche quella<br />

della città <strong>di</strong> Sulky, è strettamente legata ai vecchi racconti<br />

e alle antiche leggende, come del resto lo è quella <strong>di</strong><br />

tutte le altre regioni del mondo e soprattutto dell’antico<br />

Me<strong>di</strong>terraneo. Purtroppo, per quanto riguarda in modo<br />

specifico l’isola, le opere degli antichi scrittori greci e latini<br />

risultano particolarmente povere <strong>di</strong> notizie e queste ultime<br />

nella maggior parte dei casi sono legate sovente ad<br />

avvenimenti mitici, nei quali il sostrato fenicio è appena<br />

percepibile o, ad<strong>di</strong>rittura, assente, e quin<strong>di</strong> sono da considerare<br />

per lo più fantasiose e quanto meno imprecise1 .


Ciò perché con ogni probabilità gran parte del mondo<br />

greco non aveva una <strong>di</strong>retta conoscenza della Sardegna<br />

e quin<strong>di</strong> vedeva l’isola come una lontana terra misteriosa<br />

e felice2 , mentre, il mondo romano, acerrimo nemico<br />

<strong>di</strong> Cartagine, aveva una visione <strong>di</strong>storta dalla propaganda<br />

politica.<br />

Altrettanto misere e generiche sono le fonti <strong>di</strong>rette,<br />

derivanti dalla tra<strong>di</strong>zione fenicia e punica, poiché rare<br />

sono le iscrizioni rimaste e le poche sopravvissute sono<br />

prevalentemente <strong>di</strong> argomento religioso o<br />

votivo3 . Si consideri ad esempio che le<br />

scarse iscrizioni con più parole <strong>di</strong> senso<br />

compiuto rinvenute fino ad oggi a<br />

Sulky riguardano la de<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> un tempio<br />

da parte <strong>di</strong> un privato citta<strong>di</strong>no ad<br />

una <strong>di</strong>vinità femminile4 o la de<strong>di</strong>ca<br />

<strong>di</strong> una coppa da parte <strong>di</strong> alcuni<br />

magistrati ad un’altra <strong>di</strong>vinità maschile5<br />

. Pertanto, la ricostruzione<br />

dell’antica storia dell’isola risulta<br />

particolarmente <strong>di</strong>fficoltosa e ancor<br />

più lo è quella dell’agglomerato<br />

urbano <strong>di</strong> Sulky. Comunque,<br />

un in<strong>di</strong>spensabile aiuto è dato dalle<br />

indagini archeologiche che sono<br />

state effettuate in Sardegna6 e in<br />

particolare a Sulky e nel suo circondario<br />

nel corso dell’ultimo secolo<br />

e che almeno in parte sopperiscono<br />

al desolante quadro7 .<br />

Le prime tracce <strong>di</strong> vita a Sant’Antioco sono da collocare<br />

in epoca neolitica, anche se la morfologia e la struttura<br />

dell’isola ne fanno da sempre una ovvia fortezza naturale<br />

e quin<strong>di</strong> consentono <strong>di</strong> ritenere che abbia costituito<br />

un rifugio eccellente per l’uomo fin dalle epoche più remote.<br />

Comunque, le prime tracce <strong>di</strong> stanziamenti umani<br />

nell’isola <strong>di</strong> Sant’Antioco sono rappresentate da due<br />

menhirs, cioè da due stele monolitiche erette lungo l’istmo<br />

che collega la Sardegna all’isola.<br />

Più consistenti testimonianze <strong>di</strong> vita nell’isola <strong>di</strong><br />

Sant’Antioco sono da collocare sempre in epoca neolitica,<br />

in questo caso attorno al 2500 a.C. I resti più concreti sono<br />

rappresentati da alcune Domus de Janas, del tipo costituito<br />

da non più <strong>di</strong> due celle successive. Si tratta <strong>di</strong> alcune<br />

camere ipogee scavate nel tufo, praticate in un rilievo<br />

retrostante la spiaggia <strong>di</strong> Is Pruinis.<br />

Il nuraghe più imponente e <strong>di</strong> maggiore interesse del<br />

circondario era quello situato sul culmine della collina del<br />

castello sabaudo che domina la città. Si trattava <strong>di</strong> un nuraghe<br />

<strong>di</strong> tipo complesso, formato cioè da una torre centrale<br />

– forse ma non necessariamente la più antica dell’e<strong>di</strong>ficio<br />

– circondata da almeno altre due torri collegate tra<br />

loro. Ciò è quanto emerge dalle fondazioni dell’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong><br />

età fenicia e dalla torre <strong>di</strong> età punica che sono stati eretti<br />

sul nuraghe e che attualmente sono in parte inseriti nelle<br />

strutture del suddetto castello, eretto nel XVIII secolo della<br />

nostra era. Il nuraghe, probabilmente attivo nella sua<br />

funzione primaria tra il 1400 e il 1200 a.C., fu certamente<br />

abitato fino ai primi anni dell’VIII secolo a.C. e sussi-<br />

FIALA IN FAIENCE<br />

stono tracce della presenza <strong>di</strong> un villaggio <strong>di</strong><br />

capanne circolari nel pen<strong>di</strong>o che si apre a<br />

nord della torre 8 .<br />

Le prime testimonianze <strong>di</strong> una presenza stabile<br />

dei Fenici, ultimi a giungere in Sardegna dopo<br />

i naviganti micenei, nord-siriani e ciprioti,<br />

sono databili attorno al 780/770 a.C. e anche<br />

a Sulky se ne notano chiari in<strong>di</strong>zi, anch’essi attribuibili<br />

a questo periodo. Infatti gli oggetti<br />

più antichi rinvenuti nell’area dell’abitato sono<br />

databili non dopo il 780/770 a.C. 9 Grazie<br />

a questi elementi archeologici, che avvicinano<br />

la data <strong>di</strong> fondazione dell’antica<br />

Sulky a quella <strong>di</strong> Cartagine, che tra<strong>di</strong>zionalmente<br />

si pone nell’814 a.C., allo<br />

stato attuale delle ricerche la città è da<br />

considerare la più antica tra quelle e<strong>di</strong>ficate<br />

dai Fenici in Sardegna.<br />

Non è neppure lontanamente immaginabile<br />

che tutti gli abitanti <strong>di</strong> cultura fenicia<br />

che si inse<strong>di</strong>arono a Sulky e successivamente<br />

a Monte Sirai così come in tutte le<br />

altre città <strong>di</strong> fondazione fenicia della costa<br />

sarda fossero <strong>di</strong> origine orientale. Si deve<br />

pensare piuttosto ad una popolazione mista<br />

e composta da una minoranza <strong>di</strong> Fenici <strong>di</strong><br />

Oriente e da una maggioranza abitanti <strong>di</strong><br />

stirpe nuragica. La presenza <strong>di</strong> forti nuclei<br />

<strong>di</strong> genti <strong>di</strong> origine autoctona e la reale possibilità<br />

<strong>di</strong> matrimoni misti soprattutto nei primi<br />

anni della fondazione delle città è suggerita ad esempio<br />

da alcune testimonianze legate alle pratiche funerarie<br />

più antiche in uso nel circondario e da alcuni oggetti <strong>di</strong><br />

uso quoti<strong>di</strong>ano, come tra l’altro le pentole, che, come forma<br />

esteriore, erano senza dubbio <strong>di</strong> tipo nuragico, ma erano<br />

fabbricati con l’uso del tornio e, dunque, con una tecnologia<br />

importata dai Fenici 10 . L’abitato fu impiantato su<br />

una dorsale formata da rocce trachitiche o, meglio, ignimbritiche,<br />

che correva parallela alla costa e separata dai rilievi<br />

retrostanti, costituendo una ulteriore <strong>di</strong>fesa naturale.<br />

Dunque, i Fenici si inse<strong>di</strong>arono stabilmente a Sulky attorno<br />

al 780/770 a.C. costruendo un centro abitato che<br />

fin dall’origine era <strong>di</strong> notevoli <strong>di</strong>mensioni e che si <strong>di</strong>stendeva<br />

sul pen<strong>di</strong>o ad est della vecchia torre nuragica 11 . L’agglomerato<br />

urbano originario occupava una superficie <strong>di</strong><br />

circa quin<strong>di</strong>ci ettari, praticamente <strong>di</strong> pari estensione a<br />

quella relativa al centro abitato <strong>di</strong> età me<strong>di</strong>evale 12 . La necropoli<br />

<strong>di</strong> età fenicia invece si estendeva lungo la costa a<br />

sud della città, alle spalle dell’antico porto ed aveva una<br />

estensione <strong>di</strong> circa tre ettari 13 .<br />

Non ci è nota nei dettagli la struttura urbanistica globale<br />

dell’inse<strong>di</strong>amento o la totalità della rete viaria originale<br />

né conosciamo la topografia dettagliata dell’antico<br />

abitato fenicio, ma solo una parte delle strutture murarie<br />

che le componevano emergono nell’area dell’abitato moderno.<br />

Si è potuto constatare che le abitazioni <strong>di</strong> epoca fenicia<br />

erano del tipo consueto in madrepatria e in genere<br />

in tutta l’area del Vicino Oriente, cioè formate da più ambienti<br />

raccolti attorno ad un cortile centrale.<br />

93<br />

ANNALI 2008


In ogni caso, grazie alla sua vastissima rete commerciale<br />

e ai suoi due porti a cavallo dell’istmo, quello lagunare e<br />

quello del Golfo <strong>di</strong> Palmas, la città <strong>di</strong>venne in breve tempo<br />

una metropoli <strong>di</strong> grande ricchezza e passò a controllare<br />

il territorio della Sardegna sud-occidentale che ancora<br />

oggi porta il nome <strong>di</strong> Sulcis. Le testimonianze delle sue attività<br />

commerciali sono emerse dagli scavi effettuati nell’abitato<br />

e ci parlano fin dalla prima metà dell’VIII secolo<br />

a.C. <strong>di</strong> rapporti stabili con Tiro e con le altre città fenicie<br />

della madrepatria orientale, <strong>di</strong> legami con Ca<strong>di</strong>ce e con gli<br />

altri centri fenici dell’Andalusia, <strong>di</strong> scambi fittissimi con il<br />

mondo etrusco e con l’ambiente greco dell’Eubea e delle<br />

colonie della Magna Grecia 14 .<br />

La comunità fenicia trascorse nell’abitato <strong>di</strong> Sulky un<br />

periodo <strong>di</strong> circa duecentocinquanta anni <strong>di</strong> tranquilla attività<br />

commerciale, agricola e domestica fino a quando –<br />

attorno al 540 a.C. – Cartagine, città fenicia <strong>di</strong> stirpe tiria<br />

collocata sulla costa africana tra la Sicilia e la Sardegna, seguendo<br />

una politica imperialista volta alla conquista dei<br />

territori costieri del Me<strong>di</strong>terraneo occidentale, decise <strong>di</strong><br />

porre piede in Sardegna per impadronirsene ed inserirla<br />

<strong>di</strong> fatto nel suo territorio metropolitano 15 . Già da tempo<br />

la città nord-africana sembrava aver manifestato le sue mire<br />

espansionistiche, fondando alcune colonie in area nordafricana,<br />

ma solo attorno alla metà del VI secolo a.C. questi<br />

propositi presero realmente corpo in tutta la loro violenza<br />

e drammaticità con l’invasione della parte occidentale<br />

della Sicilia e con la conseguente conquista <strong>di</strong> Mozia e<br />

dei centri fenici presenti nel territorio. Infatti, con due successive<br />

invasioni, l’una avvenuta appunto attorno al 540 e<br />

l’altra verso il 520 a.C., Cartagine invase la Sardegna. È<br />

ampiamente noto il susseguirsi degli eventi, cioè come<br />

dapprima giungesse nell’isola un esercito al comando del<br />

generale Malco, già vittorioso in Sicilia. Narrano le antiche<br />

e purtroppo avare fonti che il comandante cartaginese,<br />

dopo alterne vicende, fu duramente sconfitto, probabilmente<br />

da una coalizione <strong>di</strong> città fenicie alla cui testa era<br />

verosimilmente Sulky, e costretto a reimbarcarsi verso<br />

Cartagine. Non è da escludere che contro l’esercito cartaginese<br />

intervenissero anche truppe nuragiche, sia come alleate,<br />

sia come mercenarie delle città fenicie.<br />

Ancorché momentaneamente sconfitta, Cartagine continuò<br />

a sviluppare la sua politica egemonica volta alla supremazia<br />

nelle acque del Mar Tirreno. Ne sono prova gli<br />

eventi sfociati con la battaglia navale combattuta nel Mare<br />

Sardonio, da localizzare probabilmente nelle acque della<br />

Corsica, forse ad Alalia, e l’alleanza con la città etrusca<br />

<strong>di</strong> Caere, attuale Cerveteri, posta in evidenza dalle ben note<br />

lamine auree <strong>di</strong> Pyrgi 16 .<br />

In seguito – attorno al 520 a.C. – Cartagine effettuò<br />

un ulteriore tentativo e le sue armate passarono sotto il<br />

comando <strong>di</strong> Asdrubale e Amilcare figli <strong>di</strong> Magone, conquistatore<br />

della penisola iberica. Questa volta gli eserciti<br />

cartaginesi ebbero ragione della resistenza opposta dagli<br />

abitanti delle città fenicie <strong>di</strong> Sardegna. Infatti, come si<br />

evince dalle significative tracce <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione, le ostilità<br />

della città nord-africana erano rivolte soprattutto nei confronti<br />

<strong>di</strong> questi centri e perciò soprattutto verso Sulky.<br />

ANNALI 2008 94<br />

Quin<strong>di</strong>, dopo aspri combattimenti, Cartagine si impadronì<br />

saldamente della Sardegna, tanto che, già nel 509<br />

a.C., nel quadro del primo trattato <strong>di</strong> pace con Roma, tramandatoci<br />

dallo storico greco Polibio, l’isola, se non era<br />

letteralmente assimilata al suo territorio metropolitano,<br />

era posta strettamente sotto controllo tanto che ai naviganti<br />

stranieri era impe<strong>di</strong>to lo sbarco e la realizzazione <strong>di</strong><br />

qualsiasi forma <strong>di</strong> commercio se non in presenza dei funzionari<br />

cartaginesi.<br />

In ogni caso, come gran parte delle città fenicie <strong>di</strong> Sardegna,<br />

anche Sulky uscì gravemente danneggiata dalla<br />

conquista cartaginese. La metropoli africana, che aveva<br />

conquistato la Sardegna per impadronirsi soprattutto delle<br />

considerevoli risorse agricole dell’isola, inserì anche nella<br />

città sulcitana dei coloni trasportati dalle coste del Nord-<br />

Africa. Molte zone dell’isola, soprattutto quelle collinari,<br />

furono abbandonate poiché inadatte all’agricoltura <strong>di</strong> tipo<br />

latifon<strong>di</strong>sta attuata da Cartagine, mentre numerosi nuovi<br />

inse<strong>di</strong>amenti sorsero nelle pianure 17 . Dunque, mentre<br />

nei secoli precedenti l’isola aveva costituito un fondamentale<br />

nodo <strong>di</strong> scambio tra Oriente e Occidente e tra il<br />

Settentrione e il Meri<strong>di</strong>one del Me<strong>di</strong>terraneo, l’intera Sardegna<br />

fu praticamente assimilata al territorio metropolitano<br />

<strong>di</strong> Cartagine e fu totalmente e rigorosamente chiusa<br />

ai commerci internazionali. In particolare, cessarono tutte<br />

le importazioni dall’Etruria e dalla Grecia, mentre furono<br />

consentite unicamente quelle sottoposte all’egida e<br />

alla me<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> Cartagine e sotto il rigido controllo dei<br />

suoi funzionari.<br />

I nuovi abitanti, forse anche <strong>di</strong> origine berbera e quin<strong>di</strong><br />

portatori <strong>di</strong> una nuova cultura e <strong>di</strong> nuove usanze, trovarono<br />

una sistemazione nell’area dell’abitato fenicio e<br />

quin<strong>di</strong> ripristinarono una parte degli e<strong>di</strong>fici, e<strong>di</strong>ficandone<br />

nuovi sulle rovine <strong>di</strong> quelli danneggiati dall’invasione.<br />

Dopo la sua conquista, il centro <strong>di</strong> Sulky fu abitato anche<br />

da famiglie <strong>di</strong> stirpe nord-africana, come si deduce<br />

dalla presenza nella necropoli punica, relativa appunto a<br />

questo periodo.<br />

Infatti, mentre in epoca fenicia, a Sulky come nei restanti<br />

inse<strong>di</strong>amenti fenici <strong>di</strong> Sardegna e in genere del Me<strong>di</strong>terraneo<br />

occidentale, era in uso soprattutto il rito dell’incinerazione<br />

del corpo in piccole fosse, in età punica,<br />

vale a <strong>di</strong>re dopo la conquista cartaginese, <strong>di</strong>venne prevalente<br />

il rituale dell’inumazione dei defunti, che venivano<br />

sistemati all’interno <strong>di</strong> tombe a camera ipogea 18 . La necropoli<br />

<strong>di</strong> Sulky è composta in prevalenza da tombe sotterranee,<br />

<strong>di</strong>sposte talvolta su due livelli e a profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong>fferenti,<br />

e si estende per una superficie <strong>di</strong> oltre sei ettari a<br />

nord e a ovest dell’antico abitato 19 . Questo si <strong>di</strong>stendeva<br />

a est della collina del Castello e scendeva verso il mare.<br />

Nella prima età punica Sulky subì un periodo <strong>di</strong> crisi,<br />

conseguente alla sua emarginazione commerciale e alla relativa<br />

depressione economica, fino al terzo quarto del IV<br />

secolo a.C. circa, presumibilmente il 380/370 a.C. Attorno<br />

a questa data Cartagine decise <strong>di</strong> ristrutturare, ampliare<br />

e fortificare alcune tra le città più importanti della Sardegna<br />

e tra queste inserì anche il centro abitato <strong>di</strong> Sulky 20 .<br />

Quin<strong>di</strong> anche Sulky fu fortificata e, grazie anche alla sua


felice posizione naturale, fu resa praticamente inespugnabile.<br />

Le parti dell’abitato troppo <strong>di</strong>stanti per essere inserite<br />

nella cerchia delle mura, come ad esempio il tofet 21 , furono<br />

dotate <strong>di</strong> specifiche fortificazioni 22 .<br />

In seguito allo scoppio della prima guerra punica, che,<br />

come è noto, ebbe una durata <strong>di</strong> circa cinque lustri, tra il<br />

264 e il 241 a.C., allo scopo <strong>di</strong> prevenire eventuali sbarchi<br />

<strong>di</strong> contingenti militari romani, nei centri fortificati furono<br />

inse<strong>di</strong>ate alcune guarnigioni costituite da truppe mercenarie,<br />

all’epoca soprattutto <strong>di</strong> provenienza iberica, balearica,<br />

ligure e campana.<br />

Sulky infatti fece parte del teatro delle operazioni e in<br />

particolare <strong>di</strong> un importante scontro navale nel corso della<br />

I guerra punica. Da quanto ci è tramandato nella narrazione<br />

dello storico Zonara, l’ammiraglio cartaginese Annibale,<br />

che aveva stanziato la sua flotta nel Portus Sulcitanus,<br />

verosimilmente il Golfo <strong>di</strong> Palmas, subì nel 258 a.C.<br />

una dura sconfitta in mare da parte del console C. Sulpicio<br />

Patercolo. Il comportamento <strong>di</strong> Annibale, giu<strong>di</strong>cato imbelle<br />

dai propri soldati per aver abbandonato gran parte<br />

della flotta in mano ai nemici ed essersi rifugiato in città,<br />

fu punito con la morte. Zonara, come anche il greco Polibio<br />

e il romano Livio tramandano ad<strong>di</strong>rittura che l’ammiraglio<br />

fu crocefisso, mentre Orosio scrive che fu lapidato.<br />

La sconfitta cartaginese dovette essere un fatto talmente<br />

inconsueto che il senato romano concesse a C.<br />

Sulpicio Patercolo gli onori del trionfo il 6 ottobre del<br />

258 a.C.<br />

Poco tempo dopo, comunque, la superiorità navale dei<br />

Cartaginesi prevalse allorché in un nuovo attacco all’isola<br />

entrò in azione il generale punico Annone infliggendo una<br />

dura e decisa sconfitta alla flotta romana.<br />

Subito dopo la fine della prima guerra punica nel 241<br />

a.C., che vide il passaggio della Sicilia sotto il dominio romano,<br />

i centri del Nord-Africa e della Sardegna furono<br />

scossi da una rivolta delle truppe mercenarie <strong>di</strong> guarnigione<br />

che reclamavano la loro paga arretrata. Come è am-<br />

piamente noto, Cartagine, ingaggiata nei territori della pro-<br />

vincia nord-africana, quin<strong>di</strong> praticamente<br />

alle porte <strong>di</strong> casa, una<br />

lotta inespiabile e mortale contro<br />

i suoi antichi soldati, dopo aver<br />

subito un asse<strong>di</strong>o e dopo aspri e<br />

violentissimi combattimenti, vinse<br />

la sfida a caro prezzo. Infatti,<br />

poiché secondo l’interpretazione<br />

del senato romano, in deroga al<br />

trattato <strong>di</strong> pace impostole dopo<br />

la fine della Prima Guerra Punica,<br />

Cartagine era entrata in guerra<br />

contro le sue truppe mercenarie,<br />

la metropoli africana fu costretta<br />

da Roma a cedere la signoria<br />

della Sardegna. Dunque,<br />

senza colpo ferire, l’intera isola,<br />

e con essa Sulky, cadde sotto il<br />

dominio <strong>di</strong> Roma nel 238 a.C.<br />

EPIGRAFE DI S. ANTIOCO<br />

Epigrafe BEATI SANCTI ANTHIOCI<br />

GIORGIO PINNA<br />

Le rivalità secolari tra Cagliari e Sassari agli inizi del<br />

XVI secolo si aggravarono sempre più allorquando la<br />

contesa investì le se<strong>di</strong> arcivescovili sarde per vantare il titolo<br />

<strong>di</strong> “primaziale”, e quin<strong>di</strong> sul <strong>di</strong>ritto degli arcivescovi<br />

<strong>di</strong> potersi fregiare dell’intestazione <strong>di</strong> “primate <strong>di</strong> Sardegna<br />

e Corsica”.<br />

I due schieramenti si scontrarono sulla vetustà <strong>di</strong> fondazione<br />

urbana: Sassari, con l’umanista G. Francesco Fara,<br />

arciprete sassarese, derivò la propria dai “Vetulonesi”<br />

(Etruschi) nel 1580 a.C. 23 , mentre la rivale Cagliari venne<br />

<strong>di</strong>chiarata fondata dai Cartaginesi nel 518 a.C., ovvero<br />

più <strong>di</strong> mille anni dopo. Sassari, con Torres, asseriva la fondazione<br />

apostolica della propria sede con Paolo; Cagliari<br />

<strong>di</strong>chiarava la specifica origine da Clemente, futuro papa e<br />

<strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong> Pietro.<br />

Altro oggetto del contendere fu il numero e la gloria<br />

dei martiri; la de<strong>di</strong>ca latina BM invece <strong>di</strong> essere letta correttamente<br />

come “Bonae Memoriae” veniva liberamente<br />

interpretata come “Beatus Martyr”. I propri santi venivano<br />

esaltati a <strong>di</strong>smisura contrariamente a quelli della parte<br />

avversa che venivano sistematicamente denigrati: a Lucifero,<br />

antico vescovo <strong>di</strong> Cagliari, i Sassaresi, poggiando sull’autorità<br />

<strong>di</strong> Cesare Baronio autore degli Annales ecclesiastici,<br />

contestavano la santità e l’ortodossia.<br />

La guerra <strong>di</strong> santi e martiri tra le due se<strong>di</strong> arcivescovili<br />

sfociò nella ricerca dei corpi santi incominciata nel 1614<br />

dall’arcivescovo <strong>di</strong> Sassari Gavino Manca Cedrelles, che<br />

portò al ritrovamento, nella cripta della basilica <strong>di</strong> San Gavino<br />

presso il porto <strong>di</strong> Torres, dei sepolcri e delle reliquie<br />

dei martiri turritani Gavino, Proto e Ianuario. La risposta<br />

fu imme<strong>di</strong>ata allorché, nel novembre dello stesso anno,<br />

l’arcivescovo <strong>di</strong> Cagliari Francisco de Esquivel fece svolgere<br />

degli scavi presso la chiesa paleocristiana <strong>di</strong> San Saturno,<br />

dove vennero scoperti i resti dei santi Cesello e Ca-<br />

95<br />

ANNALI 2008


merino. Altri centri imitarono i capoluoghi: nel 1615 furono<br />

trovate le spoglie <strong>di</strong> San Simplicio a Terranova,<br />

Sant’Imbenia a Cuglieri, Sant’Archelao a Fordongianus ed<br />

infine il 18 marzo dello stesso anno nell’isola sulcitana fu<br />

fatto il rinvenimento del corpo <strong>di</strong> Sant’Antioco; segnando<br />

un punto favorevole e determinante all’arci<strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Cagliari.<br />

Il P. Tommaso Napoli 24 fornisce <strong>di</strong> questo episo<strong>di</strong>o<br />

una colorita descrizione: «Dopo aver fatto ognuno i suoi voti,<br />

e preghiere per ottener da Dio il desiato effetto, e proposto <strong>di</strong><br />

passar quel dì a pane ed acqua entrarono con gran devozione<br />

nella catacomba, e per <strong>di</strong>vina <strong>di</strong>sposizione colpirono subito<br />

nel segno; poiché essendovi a piè della scala nell’ingresso<br />

della grotta un piccolo altare ornato <strong>di</strong> sei colonnette, una <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>aspro, tre <strong>di</strong> marmo bianco, e due altre <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenti pietre,<br />

levarono una gran tavola <strong>di</strong> marmo che serviva <strong>di</strong> ara a detto<br />

altare, sopra la quale erano scolpite con lettere Gotiche<br />

molto chiare sette linee contenenti la seguente iscrizione:<br />

Questa iscrizione l’aveano tempi avanti già letta, e anche<br />

copiata persone dotte, senza però capirne bene il senso, ma tosto<br />

che la lessero i sopradetti Canonici, o Religiosi stimarono<br />

fondatamente, che in quel sito, e sotto quell’altare fosse sepolto<br />

il corpo del Santo. Ruppero dunque lo smalto molto forte,<br />

e duro, su cui era fermata la detta tavola, e nel centro <strong>di</strong><br />

esso altare apparve una piccola volta, rotta la quale, scoprirono<br />

dentro <strong>di</strong> essa una sepoltura molto ben fabbricata <strong>di</strong> pietre,<br />

e calcina, e dentro smaltata incorporata nell’istesso altare,<br />

ed in essa il corpo del glorioso Martire posto in modo, che<br />

la testa corrispondeva alla parte dell’ara, ove erano le parole<br />

BEATI S. ANTIOCHI».<br />

L’autenticità dell’epigrafe fu sostenuta da Theodor<br />

Mommsen, grazie al contributo <strong>di</strong> un suo giovane collaboratore<br />

Johannes Schmidt che visitò la Sardegna nel<br />

1881, ed inserita nel X volume del Corpus Inscriptionum<br />

Latinarum pubblicato nel 1883 con il n° 7533; non prima<br />

d’aver chiesto il parere dello stu<strong>di</strong>oso G.B. De Rossi. Il 23<br />

maggio 1881 il Mommsen trasmise al De Rossi il calco<br />

dell’iscrizione sulcitana, invitando l’amico ad ammorbi<strong>di</strong>re<br />

le riserve sull’autenticità <strong>di</strong> un testo che non poteva essere<br />

me<strong>di</strong>oevale 26 ; lo stesso De Rossi aggiunse: «L’iscrizione<br />

credo sia stata in origine nell’abside in lettere <strong>di</strong> musaico<br />

o <strong>di</strong> pittura imitante il musaico così:<br />

† AULA MICAT UBI cinis (?) CORPUSque BEATum<br />

ANTIOCHI SCI QUIEBIT IN GLORIA<br />

sic splendet VIRTUTIS OPUS REPARANTE MINISTRO cet.<br />

ANNALI 2008 96<br />

25<br />

È evidentemente mutila, composta <strong>di</strong> emistichi dei formolarii<br />

delle epigrafi metriche dei musaici, male riusciti,<br />

come si faceva circa il secolo VIII e IX ed anche prima.<br />

Un falsario non saprebbe inventare questa razza <strong>di</strong> centoni;<br />

<strong>di</strong> ciascuno degli emistichii potrei citarvi plus minus<br />

l’autorità originale. Poi fu fatta in marmo la copia mutila<br />

e guasta, che anche oggi esiste».<br />

Rilevante a tal proposito è l’annotazione <strong>di</strong> O. Marucchi<br />

sulle iscrizioni metriche 27 : «Le iscrizioni cristiane metriche<br />

a <strong>di</strong>fferenza delle pagane non sono scritte generalmente<br />

con eleganza anzi spesso ci si presentano rozze ed anche erronee<br />

nella misura dei versi: quin<strong>di</strong> devono <strong>di</strong>rsi piuttosto ritmiche<br />

che veramente metriche. Dal primo al quarto secolo tali<br />

epigrafi sono quasi tutte sepolcrali semplici e brevissime. Esse<br />

ci offrono spesso centoni <strong>di</strong> poeti antichi, versi intieri od<br />

emistichi presi in prestito dai classici autori...».<br />

All’autorità del Mommsen e De Rossi si appoggiarono<br />

<strong>di</strong>versi autori; G. Dettori considera: «Il culto <strong>di</strong> Antioco a<br />

Sulcis è molto antico, poiché in un’iscrizione mutila del sec.<br />

VIII o IX, che sembra, però, la copia <strong>di</strong> un’altra più antica,<br />

trovata nel sec. XVII nella catacomba sottostante all’attuale<br />

chiesa a lui de<strong>di</strong>cata, si allude ad una chiesa ornata con<br />

marmi e de<strong>di</strong>cata al santo dal vescovo Pietro, vissuto probabilmente<br />

nel sec. VI» 28 .<br />

R. Serra anticipa <strong>di</strong> un secolo il periodo <strong>di</strong> riferimento:<br />

«Di imprecisabili lavori d’“abbellimento marmoreo”, per<br />

i quali un’aula “riluce e acquista nuovo splendore”, parla l’iscrizione<br />

del vescovo Pietro, databile fra VII-IX sec. e variamente<br />

interpretata» 29 . Non si <strong>di</strong>scosta dal periodo L. Porru:<br />

«Se ancora non si è in grado <strong>di</strong> chiarire i nessi che non<br />

sembrano generici fra Sulci e Roma nei primi secoli dell’Altome<strong>di</strong>oevo,<br />

in<strong>di</strong>scutibilmente se ne trae conferma della genesi<br />

metrica della nostra epigrafe, che in più punti lascia percepire<br />

cadenze ritmiche; può dunque fondatamente fissarsi<br />

agli inizi del VII sec. il post quem per l’intervento del vescovo»<br />

30 . Ma, nell’introduzione dello stesso testo, <strong>di</strong>scorrendo<br />

dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> R. Coroneo sull’arredo architettonico<br />

del Santuario, il massimo stu<strong>di</strong>oso e archeologo sardo Giovanni<br />

Lilliu considera: «Il primo gruppo consta <strong>di</strong> otto frammenti<br />

(nn. 1-8 del pregevolissimo Catalogo), datati V-VI secolo,<br />

costituenti residui <strong>di</strong> pluteo, ciborio e altri parti <strong>di</strong> arredo<br />

da riferire verosimilmente al martyrium. È in questi elementi,<br />

taluni inscritti con lettere greche e latine e tutti decorati<br />

con motivi a pelte, croci e vegetali, che si devono riconoscere<br />

(a mio avviso) i “titoli” e i “marmi” vantati nell’epigrafe<br />

<strong>di</strong> Petrus antistes, per cui brillava l’aula (aula micat) dove<br />

il corpo <strong>di</strong> S. Antioco dormiva nella gloria delle sue virtù<br />

(quiebit in gloria virtutis). I pezzi stilisticamente e per l’iconografia<br />

sanno della tra<strong>di</strong>zione artistica tardo-antica» 31 .<br />

Dalla datazione dell’epigrafe non si può <strong>di</strong>sgiungere la<br />

figura storica del vescovo Pietro; Alberto de La Marmora<br />

in risposta alla tesi del Mattei in Sar<strong>di</strong>nia Sacra: «Ce prélat<br />

n’était pas, comme on l’a cru, un archevêque de Cagliari,<br />

mais un évêque de Sulcis et il se nommait Pierre Pintor» 32 ;<br />

e d’accordo con il Martini della <strong>Storia</strong> ecclesiastica <strong>di</strong> Sardegna,<br />

Vol. III, colloca il vescovo Pietro nel periodo compreso<br />

tra il 1122, anno in cui Alberto, monaco cassinese,<br />

fu or<strong>di</strong>nato vescovo dal Pontefice Callisto II, e l’anno 1163


nel quale il vescovo Aimone compare come garante in una<br />

<strong>di</strong>sputa tra l’arcivescovo <strong>di</strong> Cagliari ed i monaci <strong>di</strong> San Saturnino.<br />

I due prelati, Aimone ed Alberto, compaiono nell’iscrizione<br />

murata nella facciata dell’antica cattedrale <strong>di</strong><br />

Tratalias. D’accordo con il Martini ed il La Marmora è S.<br />

Pintus, che afferma: «Quest’iscrizione è interessante, perché<br />

ci fa conoscere il tempo in cui la chiesa fu abbellita dal vescovo<br />

Pietro, al cominciare del secolo XII» 33 . Infine, in or<strong>di</strong>ne<br />

temporale, F. Pili sulla traccia <strong>di</strong> altri autori sar<strong>di</strong> continua<br />

a considerare il vescovo Pietro reggente la cattedra<br />

sulcitana nel XII secolo: «...l’antica iscrizione latina Aula<br />

micat ricalcata, probabilmente, dal vescovo Pietro (sec. XII),<br />

a seguito degli abbellimenti da lui apportati al tempio sulcitano,<br />

su altra più breve e più antica (sec. V?)» 34 .<br />

Voce solo in parte <strong>di</strong>ssenziente è quella <strong>di</strong> B.R. Motzo:<br />

«Avendo avuto occasione <strong>di</strong> esaminare l’iscrizione il cui marmo<br />

è intero e occupato solo per metà dal testo, mi sono convinto<br />

che è autentica e che fu posta nella cripta dove giaceva<br />

il corpo del santo in occasione <strong>di</strong> lavori eseguiti nel VI-VIII<br />

secolo. Essa è il più antico monumento storico che menzioni<br />

s. Antioco. Ignoto è il Petrus antistes che vi è ricordato: il Mattei<br />

vide in esso l’arcivescovo <strong>di</strong> Cagliari Pietro che viveva verso<br />

il 1126; il Martini lo riven<strong>di</strong>ca alla chiesa sulcitana ma<br />

il suo tentativo <strong>di</strong> precisarne l’epoca con l’aiuto della donazione<br />

<strong>di</strong> parte del salto <strong>di</strong> Marzana a s. Cristina fatta da Costantino-Salusio<br />

(1130-1102?) è vano, poiché il Pietro Pintori<br />

che vi è ricordato era vescovo <strong>di</strong> Suelli non <strong>di</strong> Sulcis. Trattasi<br />

più probabilmente d’un vescovo della sede <strong>di</strong> Sulcis nel<br />

VI-VIII secolo» 35 .<br />

Procedendo nella storia degli stu<strong>di</strong> incontriamo due<br />

Sar<strong>di</strong> sul trono <strong>di</strong> S. Pietro, S. Ilario (461-468) e S. Simmaco<br />

(498-514). Papa Simmaco viene citato da F. Lanzoni<br />

36 : «Quando vivesse il vescovo Pietro, certamente <strong>di</strong> Sulci,<br />

che de<strong>di</strong>cò quell’antica chiesa o basilica in onore <strong>di</strong> s. Antioco,<br />

non si sa. A ogni modo l’iscrizione, <strong>di</strong> cui ci occupiamo,<br />

potrebbe risalire al VI secolo, non oltre, contenendo evidenti<br />

reminiscenze <strong>di</strong> epigrafi metriche cristiane del secolo V. Infatti<br />

l’ultimo <strong>di</strong>stico quasi per intero si legge in un’iscrizione romana<br />

<strong>di</strong> papa Simmaco (498-514)» 37 ; da notare in questa<br />

citazione che F. Lanzoni considera il vescovo Pietro come<br />

Sulcitano. Simmaco, originario, secondo la tra<strong>di</strong>zione, del<br />

paese <strong>di</strong> Simaxis presso Oristano, fu eletto papa il 22 novembre<br />

del 498 38 .<br />

E. Diehl nell’e<strong>di</strong>zione del 1961 delle Inscriptiones Latinae<br />

Christianae Veteres mette in accostamento la nostra<br />

epigrafe, al n° 1791, con una iscrizione, al n° 1788, rinvenuta<br />

nell’Isola Sacra nei pressi del Porto Ostiense all’interno<br />

della basilica <strong>di</strong> s. Ippolito, <strong>di</strong>strutta da Genserico<br />

nell’anno 455 e ricostruita dal vescovo <strong>di</strong> Porto Pietro nell’anno<br />

465 39 ; l’iscrizione è oggi perduta. Un frammento<br />

fu ritrovato nella chiesa <strong>di</strong> S. Giovanni Calibita a Roma 40 ,<br />

la trascrizione riferita è <strong>di</strong> questo tenore:<br />

† Vandalica rabies hanc ussit martyris aulam,<br />

quam Petrus antistes cultu meliore nouata(m)<br />

Analizzando questa iscrizione troviamo non solo una<br />

assonanza metrica, rilevabile anche più estesamente in altre<br />

iscrizioni dello stesso periodo, con la nostra epigrafe<br />

ma una corrispondenza delle origini molto stimolante al<br />

fine <strong>di</strong> inquadrare correttamente il periodo storico.<br />

La città <strong>di</strong> Porto (Portus ostiensis, Portus urbis Romae)<br />

e<strong>di</strong>ficata nel I secolo nasce come alternativa portuale ad<br />

Ostia, soggetta a frequenti insabbiamenti 41 , si afferma nel<br />

tardo impero ospitando un nucleo cristiano documentato<br />

da un ricco corredo epigrafico; attualmente l’antico nucleo<br />

urbano non è più esistente come tale ed il territorio<br />

per la più parte ricade nell’area demaniale dell’aeroporto<br />

intercontinentale <strong>di</strong> Fiumicino, già proprietà dei principi<br />

Torlonia. La città <strong>di</strong> Porto era nota nell’antichità per essere<br />

stata la probabile <strong>di</strong>mora <strong>di</strong> Sant’Ippolito, la cui storia<br />

è molto oscura; qui fu costruito il grande xenodochium, od<br />

ospizio, <strong>di</strong> Pammachius per accogliere i pellegrini <strong>di</strong>retti a<br />

Roma 42 . Nel 410, Roma e Porto furono saccheggiate da<br />

Alarico, re dei Visigoti.<br />

Nel giugno del 455 Porto subì l’attacco ed il saccheggio<br />

dei Vandali <strong>di</strong> Genserico, i quali incen<strong>di</strong>arono e <strong>di</strong>strussero<br />

l’aula martyris, identificata con la basilica <strong>di</strong><br />

Sant’Ippolito. Anche Ostia e Roma subirono l’affronto del<br />

saccheggio. Porto fu costituita in <strong>di</strong>ocesi nel III secolo <strong>di</strong>ventando<br />

ben presto sede suburbicaria; al car<strong>di</strong>nale vescovo<br />

<strong>di</strong> Porto-Santa Rufina compete la qualifica <strong>di</strong> subdecano<br />

facente parte del collegio car<strong>di</strong>nalizio.<br />

Nel 465 il vescovo <strong>di</strong> Porto Pietro partecipa al concilio<br />

romano indetto dal papa Ilario; nel 474 nella cattedrale<br />

<strong>di</strong> Porto, oramai riattivata, ebbe luogo l’or<strong>di</strong>nazione del<br />

vescovo Glicerio.<br />

A. Mastino ritiene che la dominazione vandalica in Sardegna<br />

vada collocata ben oltre il sacco <strong>di</strong> Roma del 2 giugno<br />

455 43 , perché ancora nel 458 la Sardegna non riconosceva<br />

l’autorità <strong>di</strong> Genserico; ed aggiunge: «Del resto la<br />

provincia Sar<strong>di</strong>nia fu amministrata dai re vandali con relativa<br />

mitezza...: già l’effimera riconquista della Sardegna nel<br />

466, avvenuta forse su sollecitazione del papa sardo Ilaro<br />

(anni 461-468) con l’intervento <strong>di</strong> Marcellino che riuscì senza<br />

troppa <strong>di</strong>fficoltà a travolgere le piccole guarnigioni vandale<br />

stanziate nell’isola, <strong>di</strong>mostra come i Vandali si limitassero<br />

a controllare soltanto alcune località, lasciando la massima<br />

libertà ai Sar<strong>di</strong> dell’interno ed agli stessi Mauri trasferiti<br />

dalla Cesariense ed esiliati da Genserico in Sardegna, confinati<br />

assieme alle loro donne, che avrebbero rappresentato<br />

un problema solo qualche decennio dopo, in età bizantina».<br />

Il papa Ilario (461-468) è il successore <strong>di</strong> Leone I Magno<br />

(440-461); i Bollan<strong>di</strong>sti nella Vite dei Santi 44 scrivono:<br />

«Ilaro o Ilario, figliuolo <strong>di</strong> Crispiniano, cui credesi originario<br />

<strong>di</strong> Sardegna, era <strong>di</strong>acono della Chiesa romana sotto il<br />

papa san Leone, e gli aveva dato tali prove <strong>di</strong> capacità, <strong>di</strong> zelo<br />

e <strong>di</strong> virtù, che questi lo scelse per uno dei legati da lui inviati,<br />

l’anno 449, in Oriente ad assistere in suo nome ed in<br />

quello <strong>di</strong> tutti i vescovi <strong>di</strong> Occidente al concilio convocato ad<br />

Efeso, a causa della nuova eresia degli Euticheti... Dopo lunghe<br />

fatiche pel servizio della Chiesa, il papa san Leone lasciò<br />

vacante la sede apostolica con la sua morte accaduta il 30<br />

ottobre dell’anno 461. Nessuno fu giu<strong>di</strong>cato più degno <strong>di</strong> occuparla<br />

del <strong>di</strong>acono Ilaro, <strong>di</strong> cui questo santo papa erasi servito<br />

tanto utilmente negli affari più importanti avvenuti sotto<br />

il suo pontificato. Fu consacrato il 12 novembre seguente...<br />

97<br />

ANNALI 2008


Sin dal principio del suo pontificato, scrisse una lettera circolare<br />

per condannare novellamente Nestorio ed Eutichete, e<br />

per confermare i concilii <strong>di</strong> Nicea, il primo <strong>di</strong> Efeso, e quello<br />

<strong>di</strong> Calcedone. ...Questo santo papa, sempre applicato a correggere<br />

gli abusi ed a fare salutari regolamenti per tutta la<br />

Chiesa, tenne un nuovo concilio a Roma, il 17 novembre dell’anno<br />

465, con i vescovi andati a celebrarvi il giorno della<br />

sua or<strong>di</strong>nazione, che cadeva il 12 <strong>di</strong> questo mese... Dicesi,<br />

che questo concilio particolare durò più <strong>di</strong> un anno, dal che<br />

può giu<strong>di</strong>carsi il gran numero <strong>di</strong> costituzioni ch’egli vi fece pel<br />

bene della Chiesa». Ilario fu accusato dai suoi contemporanei<br />

<strong>di</strong> eccessivo mecenatismo; utilizzò le donazioni <strong>di</strong><br />

ricche famiglie patrizie romane per arricchire e decorare<br />

con marmi e statue preziose <strong>di</strong>verse chiese, tra le quali San<br />

Pietro, San Paolo e San Lorenzo, dotandole anche <strong>di</strong> strumenti<br />

per le funzioni sacre in oro ed argento. Dunque, il<br />

papa Ilario era originario della Sardegna, proseguì l’opera<br />

<strong>di</strong> Leone Magno con una incessante attività <strong>di</strong>plomatica e<br />

fu assertore del primato del vescovo <strong>di</strong> Roma, al quale<br />

compete sollecitudo et auctoritas verso tutta la Chiesa nelle<br />

sue varie <strong>di</strong>ocesi.<br />

Nel 594 il vescovo <strong>di</strong> Porto Felice e Ciriaco, abate <strong>di</strong><br />

Sant’Andrea al Celio, furono inviati in Sardegna come ministri<br />

dal papa Gregorio Magno 45 . Felice era il latore per i<br />

possessores sar<strong>di</strong> <strong>di</strong> una lettera dove venivano spronati ad<br />

agire per la conversione dei propri conta<strong>di</strong>ni, che praticavano<br />

il culto degli idoli; al duca <strong>di</strong> Sardegna Zabarda consegnò<br />

una missiva <strong>di</strong> elogio per le buone azioni compiute<br />

e al duca barbaricino Ospitone recapitò una nota <strong>di</strong> insistenza<br />

per la conversione dei barbaricini con l’invito a fornire<br />

aiuto, in qualsiasi modo, al “nostro confratello vescovo<br />

Felice”.<br />

A questo punto si possono fare alcune ipotesi: Sulci<br />

con<strong>di</strong>vide con Porto l’invasione ed il saccheggio dei Vandali;<br />

il vescovo Pietro <strong>di</strong> Porto, con prerogative simili a Felice,<br />

viene inviato a Sulci per rinnovare lo splendore del<br />

Martyrium, avendo già operato per la ricostruzione della<br />

cattedra <strong>di</strong> Porto. Pietro antistes opera in qualità <strong>di</strong> ministro<br />

del pontifex Christi, cioè il papa Ilario, <strong>di</strong> origini sarde,<br />

che ben conosceva la realtà religiosa della Sardegna dato<br />

che si sarebbe formato spiritualmente e culturalmente a<br />

Cagliari 46 .<br />

In questo periodo possiamo considerare il seggio vescovile<br />

sulcitano vacante o non ancora costituito; fu il vescovo<br />

Pietro in rappresentanza <strong>di</strong> Ilario ad istituirlo? Il vescovo<br />

Vitale, il primo conosciuto per Sulci, è presente al<br />

concilio <strong>di</strong> Cartagine nel 484 47 .<br />

Il titolo <strong>di</strong> Antistes, in sostituzione <strong>di</strong> episcopus, fu <strong>di</strong><br />

preferenza adoperato nelle epigrafi metriche 48 . L’intestazione<br />

<strong>di</strong> pontifex, in uso nel culto pagano, non fu impiegato<br />

nei primi secoli del cristianesimo; nel secolo V, ormai<br />

sconfitto il paganesimo, fu utilizzato come titolo per Leone<br />

I Magno nell’iscrizione dell’arco trionfale a San Paolo<br />

sull’Ostiense, anno 443-449 49 .<br />

L’epigrafe dettata dal Petrus antistes, e poi negligentemente<br />

interpretata dal lapicida, così come il restauro ed il<br />

riacquistato splendore del Martyrium possono pertanto ritenersi<br />

risalenti agli anni 465-468.<br />

ANNALI 2008 98<br />

Il culto in Sardegna <strong>di</strong> Sant’Antioco<br />

Sulcitano<br />

GRAZIA VILLANI<br />

Il primo martire della Sardegna<br />

lorioso protho Martir de Çerdeña”: così viene accla- “G mato sant’Antioco nella sua Passio, pervenutaci in<br />

copia seicentesca dal presunto originale dell’XI secolo.<br />

In effetti, stando a ciò che tramanda la tra<strong>di</strong>zione,<br />

sant’Antioco visse e morì nell’isola <strong>di</strong> Sulci durante il regno<br />

dell’imperatore Adriano (117-138): in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> tempo,<br />

risulterebbe essere, quin<strong>di</strong>, il primo martire della Sardegna.<br />

Dopo il ritrovamento delle reliquie, avvenuto il 18<br />

marzo 1615, questo suo status <strong>di</strong> Protomartyr Apostolicus<br />

svolse un ruolo decisivo nell’assegnazione, da parte della<br />

Sacra Rota, del Primato Metropolitano nell’isola: permise<br />

alla <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Cagliari, che dal 1506 inglobava anche quella<br />

<strong>di</strong> Sulci, <strong>di</strong> certificare la maggiore antichità delle proprie<br />

testimonianze protocristiane rispetto a Torres e ad Arborea,<br />

ottenendo così l’ambita investitura.<br />

Sant’Antioco “Patronus Sar<strong>di</strong>niae”<br />

Tuttavia, il culto <strong>di</strong> sant’Antioco non solo è antichissimo,<br />

come <strong>di</strong>mostrano, fra gli altri, i ritrovamenti archeologici<br />

ed epigrafici all’interno della basilica a lui de<strong>di</strong>cata,<br />

ma la sua <strong>di</strong>ffusione è documentata, in modo capillare,<br />

nell’intero territorio sardo. Non a caso, nel corso dei secoli,<br />

le attestazioni che lo salutano come patrono dell’isola<br />

sono redatte nelle <strong>di</strong>verse lingue usate dai dominatori e<br />

dai locali: dal latino (“Patronus totius Regni Sar<strong>di</strong>niae”) al<br />

castigliano (“Patron de la Isla de Sardegna”), dal sardo logudorese<br />

(“Patronu de sa Isola de Sar<strong>di</strong>gna”) all’italiano<br />

(“Protettore insigne della Chiesa sarda”), a <strong>di</strong>mostrazione<br />

della continuità cronologica e territoriale del suo culto.<br />

Nel 1124 la devozione verso il Santo doveva costituire<br />

già una consolidata tra<strong>di</strong>zione religiosa, se il giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong><br />

Cagliari, Mariano Torchitorio, decretò <strong>di</strong> offrirgli in donazione<br />

l’intera isola sulcitana, pro remissione dei propri peccati<br />

e <strong>di</strong> quelli <strong>di</strong> tutti i suoi familiari. In seguito, tale consacrazione<br />

fu sancita definitivamente: abbandonata l’antica<br />

denominazione, Sulci assunse ad eponimo lo stesso<br />

Martire, e venne, da allora, comunemente in<strong>di</strong>cata e conosciuta<br />

come isola <strong>di</strong> Sant’Antioco.<br />

In tempi ancora più remoti, a Bisarcio, nell’attuale provincia<br />

<strong>di</strong> Sassari, in suo onore era stata innalzata una gran<strong>di</strong>osa<br />

cattedrale, poi ricostruita in forme romaniche, primaziale<br />

dell’omonima <strong>di</strong>ocesi; dopo lunghe ed alterne vicende,<br />

dal 1915 essa fu compresa nella nuova sede vescovile<br />

<strong>di</strong> Ozieri, <strong>di</strong> cui tuttavia sant’Antioco è rimasto il venerato<br />

patrono.<br />

Non solo. Come abbiamo anticipato, la profonda fede<br />

nei confronti del Sulcitano ha interessato, nel volgere della<br />

storia, tutta la Sardegna nella sua interezza, secondo ciò<br />

che <strong>di</strong>chiara anche Tommaso Napoli nel 1784: “Tanta è la<br />

<strong>di</strong>vozione <strong>di</strong> questi popoli [sar<strong>di</strong>] verso il glorioso martire S.<br />

Antioco, che non vi è città, né villaggio in questo regno, in cui<br />

non vi sia o chiesa, o altare, o statua, o immagine innalzata


a onor <strong>di</strong> questo Santo, o a lui consegrata,<br />

facendosi nella Sardegna varie feste,<br />

ed in varii giorni, e templi a suo onore”.<br />

Chiese, cappelle e simulacri<br />

de<strong>di</strong>cati al Santo<br />

Se, col passare del tempo, molti <strong>di</strong><br />

questi e<strong>di</strong>fici chiesastici sono scomparsi<br />

e tante cappelle hanno cambiato intitolazione,<br />

la loro esistenza è fortunatamente<br />

ricordata da un immenso materiale<br />

letterario e documentale: da Sassari<br />

ad Oristano, da Cagliari a Porto<br />

Torres, sono molteplici i simulacri, le<br />

aule <strong>di</strong> culto e le cappelle che, attraverso<br />

i secoli, sono stati de<strong>di</strong>cati a<br />

sant’Antioco, per non parlare, ovviamente,<br />

della loro <strong>di</strong>ffusione nel territorio<br />

iglesiente, della cui <strong>di</strong>ocesi è, peraltro,<br />

il patrono.<br />

Fra le tante chiese sarde <strong>di</strong> cui è titolare,<br />

nominiamo per tutte quelle <strong>di</strong><br />

Ghilarza, Muravera e Scano Montiferro,<br />

nonché le aule <strong>di</strong> culto ormai scomparse<br />

<strong>di</strong> Pattada, Escolca, Gesico e Senorbì.<br />

Infine, occorre ricordare che i paesi<br />

<strong>di</strong> Atzara, Girasole, Palmas Arborea,<br />

Ulassai e Villasor, oltre ad aver innalzato<br />

“templi a suo onore”, hanno eletto<br />

sant’Antioco quale proprio supremo<br />

protettore, ruolo con<strong>di</strong>viso a Mogoro<br />

assieme a san Bernar<strong>di</strong>no da Siena.<br />

Feste in onore <strong>di</strong> sant’Antioco<br />

ANTINA IN LEGNO CON<br />

IMMAGINE DI<br />

SANT’ANTIOCO. PEDAXIUS,<br />

CHIESA CAMPESTRE<br />

La devozione dei Sar<strong>di</strong> nei confronti<br />

del Sulcitano è altresì <strong>di</strong>mostrata dalle innumerevoli feste<br />

che tra<strong>di</strong>zionalmente si svolgevano ovunque per omaggiarlo,<br />

<strong>di</strong> cui, molte, tuttora vigenti. Il calendario liturgico<br />

prevedeva ben quattro appuntamenti annuali: il 13 novembre,<br />

il 1° agosto, il venerdì chiamato “<strong>di</strong> Lazzaro”, (ossia<br />

dopo la quarta domenica <strong>di</strong> quaresima), e il quin<strong>di</strong>cesimo<br />

giorno successivo alla Pasqua <strong>di</strong> Resurrezione.<br />

In quest’ultima ricorrenza, uno dei festeggiamenti più<br />

importanti, per partecipazione e fede, era quello celebrato<br />

a Cagliari, la cui processione si snodava attorno alla<br />

chiesa <strong>di</strong> Bonaria e al quale accorreva, a pie<strong>di</strong> o con i carri<br />

(le cosiddette “trakkas”), una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> fedeli da<br />

tutto il Campidano. Significativa la descrizione offerta dal<br />

Lippi nel 1870: “Quasi improvvisamente e come per incanto,<br />

Bonaria non pare più una collina cagliaritana, sì un vero<br />

villaggio, oppure un ridotto <strong>di</strong> popoli <strong>di</strong>versi per lingua, vesti<br />

e costumi: è la religione che li ha uniti per venerare un sardo<br />

eroe”.<br />

A Baunei, sul versante orientale sardo, in onore del Sulcitano<br />

aveva sede annualmente la sagra de is baga<strong>di</strong>us (i<br />

celibi), cosiddetta perché organizzata da un comitato <strong>di</strong><br />

giovani. Non si trattava <strong>di</strong> una ricorrenza solo religiosa, ma<br />

costituiva un atteso appuntamento durante il quale si in-<br />

tessevano basilari transazioni economiche per quella<br />

comunità, come le compraven<strong>di</strong>te <strong>di</strong> greggi e gli<br />

ingaggi <strong>di</strong> servi-pastori.<br />

Ancora, nel cuore dell’isola, a Gavoi, oltre alla<br />

solenne processione, si svolgevano gare equestri, come<br />

si legge nella descrizione ottocentesca fornita da<br />

Vittorio Angius: “Una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> cavalli scelti,<br />

governati da giovani briosi, (...) gareggiano per arrivare<br />

prima alla meta, che è fissata nel piazzale della<br />

chiesa”. Apriva la sfilata il cosiddetto “cavallo del<br />

Santo”, che s’inchinava sette volte davanti al simulacro<br />

<strong>di</strong> S. Antioco per rendergli omaggio, secondo<br />

una consuetu<strong>di</strong>ne ancora in vigore a tutt’oggi.<br />

Le “corse <strong>di</strong> barbari” venivano <strong>di</strong>sputate anche a<br />

Cagliari, Pirri, San Gavino Monreale, inoltre, con<br />

modalità <strong>di</strong>verse ma col simile afflusso <strong>di</strong> numerosissimi<br />

fedeli, celebrazioni in onore <strong>di</strong> sant’Antioco<br />

si tenevano a Fordongianus, Furtei, Irgoli, Neoneli,<br />

Sanluri, Ussassai, per citare solo alcune località <strong>di</strong><br />

un elenco che sarebbe altrimenti interminabile.<br />

La festa <strong>di</strong> sant’Antioco nell’isola omonima<br />

La festa in assoluto più importante era quella<br />

che si svolgeva nell’isola omonima, quin<strong>di</strong>ci giorni<br />

dopo la Pasqua, definita da Tommaso Napoli, nel<br />

1784, “la più celebre, e la più <strong>di</strong>vota <strong>di</strong> quante se ne<br />

facciano in questo regno [<strong>di</strong> Sardegna]”.<br />

Tale celebrazione, ancor prima dell’inventio delle<br />

reliquie del Santo, prevedeva afflussi <strong>di</strong> pellegrini<br />

dalle più <strong>di</strong>sparate contrade dell’isola: un manoscritto<br />

anonimo tardo-cinquecentesco, intitolato Vita<br />

Sancti Antiochi Martyris, riferisce della presenza,<br />

per questi stessi anni, <strong>di</strong> 20.000 persone, 4.000 cavalli,<br />

2.000 carri <strong>di</strong> buoi, in provenienza “da tutta<br />

la Sardegna” e persino “dalla Corsica”.<br />

Serafino Esquirro, canonico della cattedrale <strong>di</strong><br />

Cagliari, a proposito <strong>di</strong> questa ricorrenza, qualifica come<br />

“cosa milagrosa” la grande partecipazione popolare che annualmente<br />

comportava, e “non solo dalla città <strong>di</strong> Cagliari e<br />

dalla città <strong>di</strong> Iglesias e da altri luoghi lontani, ma anche da<br />

tutta l’isola, in gran<strong>di</strong>ssimo numero e con gran<strong>di</strong>ssima devozione”.<br />

Fra le tante autorità politiche che erano solite presenziare,<br />

sono documentati due Viceré: Don Alvaro de Madrigal,<br />

nel 1557, e Don Joan Colomma nel 1575; inoltre,<br />

per il 1595, viene segnalata la partecipazione dell’Illustrissime<br />

Señor Inquisidor Peña, oltre che dei governatori<br />

<strong>di</strong> Cagliari e Gallura.<br />

Pochi anni ad<strong>di</strong>etro, nel 1584, papa Gregorio XIII aveva<br />

concesso l’indulgenza plenaria, con vali<strong>di</strong>tà decennale,<br />

a tutti coloro che si fossero recati presso la chiesa sulcitana<br />

in due delle festività consacrate al Santo: una sorta <strong>di</strong><br />

riconoscimento solenne, con tanto <strong>di</strong> avallo pontificio, della<br />

devozione attribuitagli da un’evidente moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />

fedeli, che, chiaramente, oltrepassava quello della singola<br />

<strong>di</strong>ocesi e, ad<strong>di</strong>rittura, persino dell’intera isola <strong>di</strong> Sardegna.<br />

Particolarmente solenne fu la celebrazione del 4 maggio<br />

1615, successiva al ritrovamento delle reliquie del san-<br />

99<br />

ANNALI 2008


to: in tale occasione, l’arcivescovo De Esquivel osservò come<br />

i fedeli fossero giunti non solo “da <strong>di</strong>verse città e parti<br />

della Sardegna”, ma ad<strong>di</strong>rittura “de afuera del Reyno”, in<br />

provenienza dall’Aragona, Castiglia, Portogallo, Italia,<br />

Francia “y de otras varias naciones”. Serafino Esquirro ne<br />

fornì i dati numerici, calcolando la presenza <strong>di</strong> 4.125 cavalli,<br />

4.000 carri, 150 barche, per un totale approssimativo<br />

<strong>di</strong> 32.000 persone.<br />

Al <strong>di</strong> là dell’esattezza delle cifre, un decennio più tar<strong>di</strong>,<br />

sempre l’Esquirro, finì per qualificare questa celebrazione<br />

sulcitana come “uno degli avvenimenti più insigni e degni <strong>di</strong><br />

memoria, non solo per il Regno <strong>di</strong> Sardegna ma anche per la<br />

maggior parte della Cristianità”.<br />

I festeggiamenti ad Iglesias<br />

per il ritrovamento delle reliquie<br />

Quello stesso anno 1615, visto che l’appuntamento del<br />

quin<strong>di</strong>cesimo giorno dopo la Pasqua era comunque avvenuto<br />

troppo a ridosso, rispetto al giorno dell’Inventio, per<br />

organizzarne adeguatamente i festeggiamenti, fu decretata<br />

una celebrazione aggiuntiva, che si svolse in tre giorni,<br />

fra l’agosto e il settembre successivi. Tale manifestazione,<br />

cui accenna immancabilmente anche l’Esquirro, definendola<br />

muy curiosa e muy insigne, è nota da un manoscritto,<br />

redatto in catalano e ancora ine<strong>di</strong>to, reperito nell’Archivio<br />

Capitolare <strong>di</strong> Iglesias, città, peraltro, teatro dell’avvenimento.<br />

In quell’occasione, in onore <strong>di</strong> sant’Antioco martire, oltre<br />

alle tra<strong>di</strong>zionali cerimonie religiose e a meravigliosi giochi<br />

pirotecnici, abili cavalieri si cimentarono in ar<strong>di</strong>te competizioni<br />

equestri: fra queste, un palio, <strong>di</strong>verse quadriglie<br />

e persino una Sortilla, simile, a quanto consta dai particolari<br />

descritti, alla Sartiglia che annualmente viene <strong>di</strong>sputata<br />

ad Oristano nel periodo <strong>di</strong> Carnevale, nonché a quella<br />

corsa nell’isola <strong>di</strong> Minorca per la festa <strong>di</strong> san Giovanni.<br />

Inoltre, furono impiegati, quale apparecchiatura scenografica<br />

della festa, quelli che l’Esquirro chiama “maravillosos<br />

artificios”: in linea col gusto teatrale del Seicento barocco,<br />

consistevano in strabilianti macchine sceniche, dotate<br />

<strong>di</strong> movimenti meccanici, le quali, applicate a una vera<br />

e propria sfilata <strong>di</strong> carri allegorici, provocavano stupore<br />

e sorpresa negli spettatori. Si trattava <strong>di</strong> uno spettacolo<br />

eccezionale, che, in quanto tale, voleva riba<strong>di</strong>re il significato<br />

<strong>di</strong> estra-or<strong>di</strong>narietà dell’evento celebrato, ovvero il<br />

ritrovamento del corpo <strong>di</strong> sant’Antioco.<br />

In conclusione, al <strong>di</strong> là delle specifiche modalità <strong>di</strong> festeggiamento<br />

dei singoli paesi, ciò che preme evidenziare,<br />

quale filo rosso che accomuna tutte queste manifestazioni,<br />

è la profonda fede, da parte dei Sar<strong>di</strong>, nei confronti <strong>di</strong><br />

Sant’Antioco, loro Patronus, attorno al quale, “de tiempo<br />

immemorial”, pone le ra<strong>di</strong>ci la loro identità <strong>di</strong> popolo religioso.<br />

L. CINESU, La Passione <strong>di</strong> S. Antioco Martire, Sant’Antioco 1983.<br />

F. DE ESQUIVEL, Relacion de la Invencion de los cuerpos santos en los<br />

años 1614-15 y 1616 fueron hallados en varias Iglesias de la Ciudad<br />

de Caller y su Arçobispado, Naples 1617.<br />

ANNALI 2008 100<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

S. ESQUIRRO, Santuario de Caller, y verdavera Historia de la Invencion<br />

de los Cuerpuos Santos hallados en la <strong>di</strong>cha Ciudad y su arçobispado,<br />

1624.<br />

J. FUOS, Notizie dalla Sardegna, a cura <strong>di</strong> Giulio Angioni, Nuoro 2000.<br />

E. LIPPI, <strong>Storia</strong> del Santuario <strong>di</strong> N.S. <strong>di</strong> Bonaria, Cagliari 1870.<br />

B. MOTZO, La donazione dell’isola sulcitana a S. Antioco, in Archivio<br />

Storico Sardo, vol. XIII, Cagliari 1921.<br />

T. NAPOLI, Vita, invenzione e miracoli del glorioso martire S. Antioco sulcitano,<br />

Cagliari 1784.<br />

F. PILI, Le meraviglie <strong>di</strong> S. Antioco, Cagliari 1984.<br />

S. VIDAL, Vida, martyrio, y milagros de San Antiogo sulcitano, Patron<br />

de la Isla de Sardegna, 1638.<br />

La basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco<br />

ROBERTO CORONEO<br />

Il santuario <strong>di</strong> Sant’Antioco è intitolato al santo martire<br />

che la tra<strong>di</strong>zione agiografica vuole me<strong>di</strong>co <strong>di</strong> origine<br />

africana, vissuto a Sulci al tempo dell’imperatore Adriano<br />

(117-138) 50 . Si compone <strong>di</strong> due nuclei principali, alla<br />

sommità del colle che domina l’abitato: le catacombe, sviluppatesi<br />

nel sottosuolo a partire dal più antico santuario<br />

ipogeo e la chiesa, che svolse il ruolo <strong>di</strong> cattedrale sulcitana<br />

fino al trasferimento del vescovo dapprima a Tratalias<br />

entro il XII secolo, quin<strong>di</strong> a Iglesias nel XIII. Dopo questi<br />

eventi la città romana e me<strong>di</strong>evale <strong>di</strong> Sulci andò in rovina,<br />

per sopravvivere soltanto come santuario del martire locale.<br />

A seguito del ripopolamento del centro, avvenuto nel<br />

XVIII secolo, Sant’Antioco <strong>di</strong>ede il nome all’intera isola e<br />

al nuovo abitato, esteso verso il mare a occupare il sito dell’antica<br />

Sulci. Principale porto d’imbarco del piombo argentifero<br />

estratto nell’entroterra, la città – ubicata in un’area<br />

frequentata sin dall’età preistorica51 – venne fondata<br />

dai Fenici entro la metà dell’VIII secolo a.C. 52 e fu fiorente<br />

in età romana53 . Aveva la necropoli punica (VI-II<br />

secolo a.C.) e quella romano-imperiale (fine del I-IV secolo<br />

d.C.) sulle pen<strong>di</strong>ci del mont’e Cresia e nella zona alta<br />

dell’abitato moderno, dove camere funerarie fenicio-puniche<br />

furono adattate a catacombe cristiane e al santuario<br />

ipogeo, cui si accede oggi dalla chiesa54 .<br />

Sulci fu sede episcopale, documentata dal 484, quando<br />

un suo vescovo (Vitalis) partecipa al concilio <strong>di</strong> Cartagine55<br />

. Nessun documento specifica il titolo della cattedrale,<br />

prima della bolla del 1218, con cui papa Onorio III<br />

prende atto del trasferimento della <strong>di</strong>ocesi sulcitana nella<br />

chiesa <strong>di</strong> Santa Maria a Tratalias. Tuttavia, a favore dell’identità<br />

fra la cattedrale <strong>di</strong> Sulci e la chiesa <strong>di</strong> Sant’Antioco<br />

va la scoperta <strong>di</strong> un possibile fonte battesimale all’interno<br />

della basilica56 .<br />

Risale al 1089 la prima menzione <strong>di</strong> un monasterium<br />

sancti Anthioci, donato dal giu<strong>di</strong>ce cagliaritano Costantino-Salusio<br />

II de Lacon-Gunale ai Vittorini <strong>di</strong> Marsiglia, assieme<br />

alla chiesa riconsacrata dal vescovo sulcitano Gregorio<br />

nel 110257 . Non si hanno dati certi sullo spopolamento<br />

del sito, sopravvissuto come centro devozionale fino<br />

al 1615, quando l’arcivescovo <strong>di</strong> Cagliari Francisco De<br />

Esquivel58 or<strong>di</strong>nò una ricognizione nel santuario ipogeo,


per confutare il preteso rinvenimento<br />

delle reliquie <strong>di</strong> Sant’Antioco a Porto<br />

Torres e <strong>di</strong>mostrare così la tra<strong>di</strong>zione, che<br />

sulla scorta dell’iscrizione del vescovo Pietro<br />

le ubicava nel sarcofago-altare entro<br />

cui si verificò l’inventio. Quest’ultimo si<br />

trova nella “cripta”, oggi accessibile dall’interno<br />

della chiesa ma in origine<br />

martyrium dotato <strong>di</strong> proprio ingresso e<br />

in<strong>di</strong>pendente da quella.<br />

L’attuale basilica risulterebbe dalla<br />

trasformazione longitu<strong>di</strong>nale d’una chiesa<br />

cruciforme cupolata 59 . Data l’entità<br />

dei successivi interventi e<strong>di</strong>lizi è <strong>di</strong>fficile<br />

<strong>di</strong>stinguere le strutture d’impianto da<br />

quelle <strong>di</strong> rifacimento, messe in opera con<br />

gli stessi cantoni in arenaria e grossi conci<br />

bugnati in basalto, <strong>di</strong> spoglio delle mura<br />

<strong>di</strong> Sulci. La prima campata è un’aggiunta<br />

del XVII secolo, come pure la facciata,<br />

e<strong>di</strong>ficata nel XVIII. L’antica facciata<br />

basava su una muratura in grossi blocchi bugnati <strong>di</strong> pietra<br />

vulcanica, appartenenti a una struttura preesistente.<br />

Alla fase <strong>di</strong> ristrutturazione longitu<strong>di</strong>nale, forse operata<br />

anche prima della donazione ai Vittorini, risalgono le<br />

absi<strong>di</strong> e le navatelle, probabilmente anche i setti <strong>di</strong>visori e<br />

le volte a botte dell’aula. Alla fase d’impianto cruciforme<br />

risalgono con relativa sicurezza le volte a botte del braccio<br />

trasversale e il corpo centrale raccordato alla cupola<br />

tramite trombe con mensole a forma <strong>di</strong> zampa leonina (le<br />

due coppie a est) e a guscio <strong>di</strong> tartaruga (le altre due a<br />

ovest). Dall’arredo liturgico <strong>di</strong> questa o d’altra chiesa più<br />

antica potrebbe derivare un frammento <strong>di</strong> pluteo decorato<br />

a squame, ascrivibile al V-VI secolo 60 . Da quello rinnovato<br />

tra la metà del X e i primi decenni dell’XI secolo<br />

derivano un’importante iscrizione in lingua e grafia me<strong>di</strong>oellenica<br />

e un consistente gruppo <strong>di</strong> frammenti scultorei,<br />

alcuni dei quali con figure zoo e antropomorfe, murati<br />

in varie zone della chiesa e delle catacombe 61 .<br />

La basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco si caratterizza per la presenza<br />

della cupola innalzata da quattro robuste arcate che<br />

a loro volta si impostano sui pilastri d’angolo all’incrocio<br />

fra la navata principale e il transetto. La soluzione architettonica<br />

“a baldacchino”, per quanto più antica, è comunque<br />

tipica dell’e<strong>di</strong>lizia bizantina del VI secolo e risulta<br />

applicata in Sardegna, dopo la conquista giustinianea<br />

del 534, a Cagliari nella chiesa <strong>di</strong> San Saturnino e a Cabras<br />

in quella <strong>di</strong> San Giovanni <strong>di</strong> Sinis. I tre e<strong>di</strong>fici sono<br />

complessivamente assai simili, ma si danno varianti 62 .<br />

A <strong>di</strong>fferenza che nel San Giovanni <strong>di</strong> Sinis, nella chiesa<br />

<strong>di</strong> Sant’Antioco la soluzione <strong>di</strong> raccordo della cupola al<br />

tamburo è, come probabilmente in origine nel San Saturnino<br />

<strong>di</strong> Cagliari, quella delle trombe a quarto <strong>di</strong> sfera. È<br />

però <strong>di</strong>fficile precisare se l’impianto fosse a croce libera o<br />

inscritta, in ogni caso con bracci mononavati. Quanto alla<br />

specifica soluzione <strong>di</strong> raccordo – trombe anziché pennacchi<br />

– bisogna ricordare la coesistenza dei <strong>di</strong>versi tipi nell’architettura<br />

orientale della prima metà del VI secolo 63 .<br />

“SU MONIMENTU”<br />

Procopio termina i sei libri Perì ktismáton (De Ae<strong>di</strong>ficiis)<br />

nel 554, con una sola in<strong>di</strong>cazione relativa alla Sardegna:<br />

la fortificazione della città <strong>di</strong> Forum Traiani, o<strong>di</strong>erna<br />

Fordongianus 64 . Per quanto l’opera sia stata compilata e<br />

rivesta un interesse principalmente per l’utilità rispetto alle<br />

informazioni militari, si può anche pensare che a quella<br />

data nessuna grande fabbrica ecclesiastica fosse stata intrapresa<br />

nell’isola, almeno non con la committenza imperiale<br />

65 . Non prima della metà del VI secolo vanno dunque<br />

collocate la fabbrica <strong>di</strong> San Saturnino a Cagliari, fra la<br />

metà del VI e il VII secolo quelle <strong>di</strong> Sant’Antioco e <strong>di</strong> San<br />

Giovanni <strong>di</strong> Sinis. Nell’arco del VI secolo fu probabilmente<br />

costruito anche il <strong>di</strong>strutto Castello Castro, fortezza<br />

<strong>di</strong> tipo giustinianeo presso il ponte romano <strong>di</strong> Sant’Antioco<br />

66 .<br />

La probabile anteriorità della basilica cagliaritana trova<br />

ragione nella maggiore prossimità al prototipo dell’Apostoleion<br />

costantinopolitano, riconsacrato nel 550 67 . La<br />

seriazione delle altre due non è precisabile, in quanto entrambe<br />

presentano elementi comuni con San Saturnino,<br />

ma <strong>di</strong>versi fra loro. Come in San Saturnino, la soluzione<br />

<strong>di</strong> raccordo del tamburo alla cupola è data da trombe in<br />

Sant’Antioco, mentre in San Giovanni <strong>di</strong> Sinis si hanno<br />

pennacchi, ma nei pilastri <strong>di</strong> quest’ultima sono alveolate<br />

colonne, come in San Saturnino. Più che a significativi<br />

scarti cronologici, le <strong>di</strong>fferenze sembrano imputabili a <strong>di</strong>verse<br />

scelte operate dagli architetti a capo delle tre fabbriche,<br />

scelte che potevano anche derivare dal maggiore o<br />

minore grado <strong>di</strong> aggiornamento sulle linee sperimentali<br />

della capitale, ovvero dalla continuazione <strong>di</strong> linee architettoniche<br />

della tra<strong>di</strong>zione locale.<br />

L’architetto <strong>di</strong> San Giovanni <strong>di</strong> Sinis è in possesso delle<br />

sofisticate nozioni tecniche per padroneggiare e porre<br />

in opera l’impegnativa soluzione dei pennacchi, che risolve<br />

brillantemente e con coerenza il problema del raccordo<br />

del quadrato al cerchio. Gli altri due architetti o non<br />

conoscono l’innovazione, o preferiscono servirsi della so-<br />

101<br />

ANNALI 2008


CUPOLA DELLA BASILICA<br />

luzione tra<strong>di</strong>zionale a trombe, ma con una sostanziale <strong>di</strong>fferenza.<br />

Sia nel corpo cupolato <strong>di</strong> San Saturnino, sia in<br />

quello <strong>di</strong> Sant’Antioco il raccordo a trombe obbliga a far<br />

rientrare l’intradosso della cupola sul filo interno del tamburo,<br />

onde <strong>di</strong>minuire la superficie d’imposta che non ricade<br />

sui quattro sostegni delle arcate ed è pertanto destinata<br />

a poggiare sugli archetti delle trombe. Queste ultime<br />

però si collocano a livelli <strong>di</strong>fferenti: in San Saturnino allo<br />

stesso piano d’imposta della cupola; in Sant’Antioco più<br />

in basso, in quanto la cupola s’imposta su tamburo rialzato.<br />

Di conseguenza, nella chiesa cagliaritana le quattro luci<br />

si aprono nei primi corsi della cupola, mentre in quella<br />

sulcitana si aprono negli ultimi filari del corpo sottostante.<br />

Inoltre, in Saturnino le trombe e la cupola vengono celate<br />

alla vista dal tiburio quadrangolare esterno, che ancora<br />

oggi rifascia interamente le prime e per metà la seconda,<br />

la cui emergenza doveva essere in origine contenuta entro<br />

un tetto piramidale a falde 68 . In Sant’Antioco, invece, il<br />

tamburo rialzato richiede un tiburio a pianta ottagonale,<br />

inscritta nel quadrato del corpo centrale. Agli angoli del<br />

quadrato, ogni tromba ha copertura semipiramidale. Lungo<br />

i lati, la muratura si innalza per raggiungere il piano<br />

d’imposta della cupola, in origine contenuta per intero entro<br />

un tetto prismatico a otto falde. È un risultato d’immagine<br />

che accomuna la basilica sulcitana alle più tarde<br />

derivazioni dal modello giustinianeo dei Santi Apostoli, in<br />

particolare alla cattedrale <strong>di</strong> Santa Sofia a Sofia, ascritta<br />

alla fine del VI-VII secolo.<br />

Un frammento <strong>di</strong> pluteo decorato a squame, riutilizzato<br />

nella muratura della testata nord del transetto, sembra<br />

in<strong>di</strong>care che entro il VI secolo la chiesa cruciforme (o<br />

altra preesistente) dovette possedere un arredo liturgico<br />

in marmo, forse lo stesso <strong>di</strong> cui rimane memoria nell’iscrizione<br />

del vescovo Pietro, oggi nella cattedrale <strong>di</strong> Iglesias. Si<br />

può facilmente rilevare come il referente culturale palesato<br />

da quest’ultima, che sembra collazionare formule epigrafiche<br />

largamente attestate nella basilica vaticana, riceva<br />

conferma dall’analisi formale del frammento <strong>di</strong> pluteo<br />

ANNALI 2008 102<br />

decorato a squame, che denota una stretta <strong>di</strong>pendenza<br />

dal motivo ornamentale più <strong>di</strong>ffuso a Roma<br />

e in marmi <strong>di</strong> desunzione romana, rimandando allo<br />

stesso tempo al sarcofago sulcitano <strong>di</strong> Orfeo liricino<br />

(<strong>di</strong> cui restano frammenti nella locale collezione Biggio)<br />

69 e dunque a una sostanziale continuità nel<br />

flusso <strong>di</strong> importazione <strong>di</strong> manufatti marmorei da officine<br />

ostiensi e romane a Sulci, tra la fine del III e<br />

la metà del VI secolo.<br />

All’arredo litugico della seconda metà del X secolo<br />

va invece restituito un ciborio con iscrizioni latine,<br />

cui appartenevano frammenti <strong>di</strong> archetti e probabilmente<br />

anche capitelli con croce. Ai primi decenni<br />

dell’XI secolo sono ascrivibili i marmi provenienti<br />

dallo smembramento <strong>di</strong> un recinto presbiteriale,<br />

comprendente plutei con figure animali, raccordati<br />

me<strong>di</strong>ante pilastrini. Altri elementi, <strong>di</strong>versi<br />

per caratteri tipologici (<strong>di</strong>mensioni, sagome, <strong>di</strong>stribuzione<br />

degli ornati) non si prestano a esser restituiti<br />

nell’arredo liturgico dell’aula, bensì come parti<br />

della decorazione architettonica della chiesa: for-<br />

melle e fregi <strong>di</strong> varia, imprecisabile destinazione.<br />

Una <strong>di</strong>fferente categoria <strong>di</strong> problemi è posta dai frammenti<br />

dell’iscrizione <strong>di</strong> Torcotorio, Salusio e Nispella, in greco<br />

me<strong>di</strong>oellenico 70 . Nel protospatario Torcotorio, nell’arconte<br />

Salusio e in Nispella vanno identificati personaggi<br />

dell’aristocrazia locale, in un momento in cui i rappresentanti<br />

dell’autorità imperiale andavano svincolandosi dal<br />

controllo centrale e costituendo l’autoctono giu<strong>di</strong>cato <strong>di</strong><br />

Cagliari. Non si hanno dati sufficienti, per accertare la natura<br />

del monumento aulico al quale era apposta l’epigrafe.<br />

Come per altre simili epigrafi sardo-meri<strong>di</strong>onali in greco<br />

me<strong>di</strong>oellenico, può pensarsi all’epistilio del recinto presbiteriale.<br />

È possibile poi riformulare organicamente l’ipotesi<br />

<strong>di</strong> Antonio Taramelli, che l’iscrizione, datata post<br />

1015, vada considerata in rapporto contestuale non solo<br />

con l’arredo liturgico dei primi decenni dell’XI secolo, ma<br />

anche con la serie <strong>di</strong> lastre coeve che presentano musici,<br />

un armigero e due personaggi in atteggiamento aulico, come<br />

per rappresentare la committenza giu<strong>di</strong>cale a complemento<br />

figurativo degli intenti celebrativi dell’epigrafe.<br />

SULCI ROMANA<br />

FRANCESCA CENERINI<br />

La conquista romana della Sardegna risale a partire dal<br />

III secolo a.C., più esattamente al 237/8 a.C. Fin dai<br />

primi anni dell’occupazione l’isola era oggetto <strong>di</strong> fenomeni<br />

<strong>di</strong> immigrazione da parte dei mercatores italici che sfruttavano<br />

le risorse sarde. Al contempo, aprivano le porte a<br />

fecon<strong>di</strong> processi <strong>di</strong> integrazione e romanizzazione, e monumentalizzazione<br />

urbana, almeno per quanto riguarda le<br />

città della costa, se<strong>di</strong> dei porti vitali per la commercializzazione<br />

<strong>di</strong> tali risorse. Un esempio della ricchezza legata<br />

al commercio dei minerali può essere visto proprio per la<br />

città punica <strong>di</strong> Sulky, la Sulci romana, da sempre porto <strong>di</strong><br />

smercio del piombo argentifero delle miniere della regione<br />

del Sulcis-Iglesiente.


Sulci è ricordata dall’anonimo autore del Bellum Africanum<br />

71 per avere rifornito <strong>di</strong> uomini e vettovagliamenti<br />

i Pompeiani; per questo motivo, Cesare, dopo avere sconfitto<br />

i seguaci <strong>di</strong> Pompeo a Thapsus, nel 46 sbarcò a Karales,<br />

impose ai Sulcitani una forte multa, il cui ammontare<br />

era <strong>di</strong> 10 milioni <strong>di</strong> sesterzi, secondo una recente interpretazione,<br />

oltre ad elevare ad un ottava parte la decima<br />

dei prodotti del suolo. Lo stato economico della città,<br />

per altro, non pare dovette soffrire a lungo per le restrizioni<br />

volute da Cesare, se Strabone 72 <strong>di</strong>ce che Cagliari e<br />

Sulci sono le due più importanti e fiorenti città dell’isola.<br />

Per quanto riguarda Sulci, è stata avanzata l’ipotesi che abbia<br />

ottenuto lo statuto <strong>di</strong> municipium civium Romanorum<br />

con l’imperatore Clau<strong>di</strong>o, statuto attestato con sicurezza<br />

da alcune iscrizioni. Secondo un’altra interpretazione, tale<br />

concessione potrebbe risalire all’età augustea 73 .<br />

Tuttavia, il commercio non era la sola anima dell’economia<br />

sulcitana. A partire dalla prima età imperiale esistono<br />

attestazioni archeologiche <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>amenti rustici<br />

nell’interno dell’isola, volti al suo sfruttamento cerealicolo.<br />

Una testimonianza <strong>di</strong> ciò è costituita dall’impianto termale<br />

che un tempo esisteva al margine settentrionale della<br />

cala <strong>di</strong> Maladroxia, verso Capo Sperone 74 .<br />

Nei fatti conseguenti alla conquista romana della Sardegna<br />

non vi sono riferimenti alla città, alla quale dovettero<br />

essere risparmiate le conseguenze dei violenti scontri<br />

che infiammarono l’isola tra il 238 e il 110 a.C. Tra questi<br />

la rivolta <strong>di</strong> Ampsicora e numerose insurrezioni che, a<br />

giu<strong>di</strong>care dai sei trionfi attribuiti ai generali romani, dovettero<br />

essere violentissime.<br />

Nei primi tempi dell’occupazione romana, come conseguenza<br />

imme<strong>di</strong>ata, furono demolite le fortificazioni puniche<br />

che circondavano l’antica città, tranne che nel settore<br />

settentrionale dell’abitato, che costituì il nucleo originario<br />

dell’inse<strong>di</strong>amento romano. In questo luogo fortificato,<br />

a<strong>di</strong>acente al porto, trovarono ospitalità e rifugio i primi<br />

mercatores, i mercanti italici che procacciavano affari<br />

per conto <strong>di</strong> Roma.<br />

Un nuovo riferimento a quella che dai Romani fu chia-<br />

mata Sulcis e al Portus Sulcitanus<br />

lo troviamo nella tarda età repubblicana,<br />

quando la città ebbe<br />

un ruolo nel corso degli<br />

scontri connessi alle guerre civili.<br />

Sulcis infatti parteggiò per il<br />

partito <strong>di</strong> Pompeo e nel 47 a.C.<br />

accolse nel suo porto la flotta<br />

del prefetto pompeiano L. Nasi<strong>di</strong>o.<br />

Le navi giungevano da<br />

Massilia, attuale Marsiglia, principale<br />

centro della costa della<br />

Provenza, nell’antica Gallia, in<br />

mano ai partigiani <strong>di</strong> Pompeo e<br />

recavano anche truppe, materiali<br />

e vettovaglie.<br />

Come accennato più sopra,<br />

per questo comportamento l’anno<br />

seguente la città fu severa-<br />

mente punita da Cesare con una forte sanzione pecuniaria<br />

e la decima sui prodotti agricoli fu portata per Sulci ad<br />

un ottavo. Sappiamo dalle fonti storiche inoltre che i responsabili<br />

della sfortunata scelta politica anti-cesariana <strong>di</strong><br />

Sulci furono condannati da Cesare alla privazione dei beni<br />

personali, che furono ban<strong>di</strong>ti all’asta pubblica. Ma la<br />

città ebbe modo <strong>di</strong> risorgere anche da questi danni, poiché<br />

tornò a costituire un importante centro per il commercio<br />

dei metalli, che provenivano dal bacino minerario<br />

dell’Iglesiente. Traccia palese <strong>di</strong> queste attività è nel nome<br />

<strong>di</strong> Plumbaria o Plumbea Insula che le venne conferito, pur<br />

non essendo nel suo territorio alcuna traccia <strong>di</strong> metalli e<br />

soprattutto <strong>di</strong> piombo 75 .<br />

Sotto l’impero <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o al più tar<strong>di</strong>, la città fu innalzata<br />

al rango <strong>di</strong> municipium, <strong>di</strong>venne cioè una città pienamente<br />

romana all’interno della provincia Sar<strong>di</strong>nia, come<br />

<strong>di</strong>mostrano le numerose testimonianze archeologiche relative<br />

alla famiglia giulio-clau<strong>di</strong>a. Ai fini elettorali e anagrafici,<br />

gli abitanti della città, al pari <strong>di</strong> quelli <strong>di</strong> Karales<br />

(Cagliari) e <strong>di</strong> Cornus (Santa Caterina <strong>di</strong> Pittinuri), erano<br />

iscritti nella tribù Quirina 76 .<br />

La città mostrò fino al II secolo d.C. una prosperità notevole<br />

e una rete commerciale che la lega strettamente all’ambiente<br />

nord-africano. Per quel che concerne la ceramica,<br />

questa proveniva in massima parte dalla provincia<br />

africana o era imitata dai prodotti <strong>di</strong> questa regione. Questo<br />

legame è espresso anche dalla vicenda <strong>di</strong> Sant’Antioco,<br />

Protomartire e Santo patrono della Sardegna e attualmente<br />

venerato dagli abitanti del luogo da cui prende il<br />

nome. Infatti nella passio si narra che appunto in questo<br />

periodo, attorno alla metà del II secolo d.C., il Santo, me<strong>di</strong>co<br />

<strong>di</strong> professione e originario della Numi<strong>di</strong>a, compresa<br />

nella <strong>di</strong>ocesi della Mauretania, forse Caesarensis, fu esiliato<br />

nella città che ne prese il nome.<br />

Nell’area urbana è attestata anche la presenza <strong>di</strong> un nucleo<br />

<strong>di</strong> abitanti <strong>di</strong> origine ebraica, evidenziata da sepolture<br />

con iscrizioni in caratteri ebraici, che forse parteciparono<br />

a moti insurrezionali connessi con la rivolta ebraica, av-<br />

MOSAICO CON SCENA DIONISIACA, CAGLIARI MUSEO ARCHEOLOGICO<br />

103<br />

ANNALI 2008


venuta verso la fine del II secolo d.C., che provocò danni<br />

non in<strong>di</strong>fferenti all’abitato 77 .<br />

Alla destra <strong>di</strong> chi percorre l’attuale strada statale 126<br />

per raggiungere l’abitato <strong>di</strong> Sant’Antioco, prima dell’ultima<br />

grande curva che segue il fondo della laguna è visibile<br />

un tratto superstite della massicciata dell’antica strada romana<br />

e, forse in precedenza, punica, anticamente denominata<br />

a Karalibus Sulcos, cioè che da Cagliari conduceva<br />

a Sant’Antioco passando attraverso la valle del Rio<br />

Cixerri.<br />

Proseguendo lungo la strada, sempre sulla destra s’incontra<br />

il ponte, definito come romano, ma è frutto <strong>di</strong> numerosi<br />

rimaneggiamenti, l’ultimo dei quali non anteriore<br />

alla metà del secolo scorso. La struttura attualmente visibile,<br />

che si lascia prima <strong>di</strong> transitare sul canale che attualmente<br />

separa l’isola <strong>di</strong> Sant’Antioco dalla Sardegna, era in<br />

uso fino agli anni ’50. Sono visibili le rampe e le spallette,<br />

costruite prevalentemente in blocchi <strong>di</strong> trachite, che sormontano<br />

due archi in pietra arenaria. Questi due archi,<br />

unitamente ad un terzo collocato in posizione centrale, oggi<br />

occluso, sono le sole strutture che probabilmente appartenevano<br />

all’antico ponte, costruito in età tardo-punica<br />

o romana, come si evidenzia in base alla tipologia dei materiali<br />

impiegati.<br />

Vistose tracce della cinta muraria punica erano visibili<br />

fino alla fine degli anni ’60 in località Su Narboni, che corrisponde<br />

alla zona nel cui epicentro attualmente sorge la<br />

scuola me<strong>di</strong>a “Antioco Mannai”. Durante la costruzione<br />

dell’e<strong>di</strong>ficio scolastico furono messi in luce lunghi tratti<br />

delle mura in eccellente stato <strong>di</strong> conservazione rispetto a<br />

quelle esistenti al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> questo settore. Si trattava <strong>di</strong><br />

paramenti composti da almeno tre assise <strong>di</strong> blocchi <strong>di</strong> trachite<br />

rossa, che raggiungevano l’altezza <strong>di</strong> circa tre metri.<br />

Visto che la parte restante della cinta muraria punica era<br />

stata abbattuta e i blocchi che la componevano erano stati<br />

ampiamente riutilizzati nelle strutture e<strong>di</strong>lizie private<br />

<strong>di</strong> età romana repubblicana, è possibile che questo settore<br />

fosse stato risparmiato al fine <strong>di</strong> costituire il primo nucleo<br />

abitato della Sulci romana. In questo quartiere, che sorge<br />

nelle imme<strong>di</strong>ate a<strong>di</strong>acenze del porto, è possibile trovassero<br />

ospitalità e tutela i primi mercatores italici, giunti al seguito<br />

dell’esercito romano. Questa ipotesi è avvalorata dalle<br />

presenza <strong>di</strong> un’area che sorge imme<strong>di</strong>atamente a ovest<br />

della scuola e a est dell’area del Cronicario, che viene in<strong>di</strong>cata<br />

come sede del foro romano e dalla quale provengono<br />

la maggior parte delle statue rinvenute nei secoli<br />

scorsi a Sant’Antioco. Quanto alla presenza dei mercatores,<br />

questa sembra ulteriormente confermata dall’esistenza<br />

<strong>di</strong> un supposto e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto <strong>di</strong> tipo italico ubicato<br />

in area limitrofa, il cui impianto architettonico composito<br />

è posto in relazione dal mondo degli stu<strong>di</strong> con le ricchezze<br />

acquisite dai mercatores italici nell’area del Me<strong>di</strong>terraneo<br />

orientale.<br />

Infatti, con la conquista romana dell’isola e con il conseguente<br />

smantellamento delle fortificazioni cartaginesi,<br />

da taluno ritenute invece <strong>di</strong> età romana 78 , l’area in pen<strong>di</strong>o<br />

a Oriente del Castello fu ristrutturata e i materiali <strong>di</strong><br />

risulta delle fortificazioni furono utilizzati fin dal II secolo<br />

a.C. per la costruzione <strong>di</strong> un grande e<strong>di</strong>ficio, forse un san-<br />

ANNALI 2008 104<br />

tuario tipologicamente affine a quello <strong>di</strong> Palestrina, che si<br />

sovrapponeva anche a una parte della necropoli punica<br />

ipogea, ubicata nelle imme<strong>di</strong>ate a<strong>di</strong>acenze. L’area del supposto<br />

santuario giungeva fino ad una zona pianeggiante<br />

ove è stato rinvenuto l’anfiteatro romano, eretto invece<br />

nel II secolo d.C. Si tratta <strong>di</strong> un’ampia ellisse, orientata secondo<br />

l’asse nord-sud, con la cavea scavata nel tufo e con<br />

le strutture che probabilmente dovevano essere lignee 79 .<br />

Una parte dell’anfiteatro, il po<strong>di</strong>um, fu eretta in muratura<br />

e allo scopo vennero usate anche le due statue dei leoni<br />

della porta <strong>di</strong> età punica, che sono state appunto rinvenute<br />

riutilizzate in quest’area 80 .<br />

Nel corso del periodo cristiano, più precisamente tra il<br />

IV e il VII secolo d.C., a Sant’Antioco, come del resto in<br />

gran parte del mondo cristiano, entrò in uso il sistema <strong>di</strong><br />

sepoltura con l’utilizzo delle catacombe, che prevedeva<br />

l’impiego <strong>di</strong> vani sotterranei. Allo scopo non furono praticate<br />

nuove gallerie, ma <strong>di</strong>sponendo <strong>di</strong> un vastissimo sepolcreto<br />

punico attivato nei primi anni del V secolo a.C.<br />

e formato da tombe a camera ipogea l’una a<strong>di</strong>acente all’altra,<br />

fu sufficiente sgomberare gli antichi ipogei dalle<br />

precedenti deposizioni e, abbattendo i <strong>di</strong>aframmi che separavano<br />

una tomba punica dall’altra, formare una serie<br />

continua <strong>di</strong> cavità 81 .<br />

Nel mondo dei primi cristiani era invalso l’uso <strong>di</strong> collocare<br />

le proprie sepolture il più vicino possibile ai sepolcri<br />

dei martiri e all’interno o nelle imme<strong>di</strong>ate a<strong>di</strong>acenze<br />

dei luoghi <strong>di</strong> culto. Del resto tale uso è rimasto in auge fino<br />

all’e<strong>di</strong>tto napoleonico, promulgato nel 1804, che proibì<br />

le sepolture all’interno o all’esterno delle chiese ubicate<br />

sia all’interno che all’esterno dei centri abitati.<br />

Le catacombe <strong>di</strong> Sant’Antioco seguono i criteri che<br />

ispirarono i sepolcreti cristiani e quin<strong>di</strong> furono create là<br />

dove la Passio Sancti Antiochi aveva collocato la sepoltura<br />

del santo, considerato il protomartire della Sardegna. Esistono<br />

altri raggruppamenti <strong>di</strong> tombe puniche trasformati<br />

in catacombe, ma il nucleo principale è quello raccolto attorno<br />

alla tomba del santo, il cui accesso è ubicato nel transetto<br />

a destra dell’altare. Un ulteriore nucleo catacombale,<br />

denominato <strong>di</strong> Santa Rosa, fu creato utilizzando due ipogei<br />

punici trovati sotto la navata della basilica.<br />

Ulteriori catacombe sono state rinvenute nell’area della<br />

necropoli punica in località Is Pirixeddus, <strong>di</strong>stanti dalla<br />

chiesa circa 250 m. All’interno <strong>di</strong> questa catacomba è stato<br />

rinvenuto un sepolcro ad arcosolio destinato ad una defunta,<br />

della quale si conserva l’immagine policroma idealizzata.<br />

Sempre da impianti catacombali prossimi all’e<strong>di</strong>ficio<br />

chiesastico, ma in questo caso utilizzati da fedeli <strong>di</strong> religione<br />

ebraica, provengono alcuni arcosolii con iscrizioni<br />

in caratteri ebraici e latini databili nel IV secolo d.C. Si<br />

tratta evidentemente <strong>di</strong> <strong>di</strong>scendenti <strong>di</strong> quegli Ebrei che furono<br />

dedotti in Sardegna nel 19 d.C. 82 , durante l’impero<br />

<strong>di</strong> Tiberio, o <strong>di</strong> quelli che si <strong>di</strong>spersero nei territori dell’impero,<br />

dopo l’asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Gerusalemme e la <strong>di</strong>struzione<br />

del tempio avvenuta nel 70 d.C., durante l’impero <strong>di</strong> Vespasiano.


I Greci a Sant’Antioco<br />

(e un tentativo fallito <strong>di</strong> ripopolamento)<br />

MARCO MASSA<br />

L<br />

’Isola <strong>di</strong> Sulcis, ora detta <strong>di</strong> S. Antioco, che a mezzogiorno<br />

e libeccio è alla Sardegna unita per mezzo <strong>di</strong> alcuni<br />

tratti <strong>di</strong> terra in più luoghi continuati da ponti <strong>di</strong> pietra<br />

che sotto <strong>di</strong> tre <strong>di</strong> loro archi lasciano il varco ai soli battelli e<br />

piccoli bastimenti in quel mare assai basso nulla ritiene della<br />

antica Sua Popolazione e grandezza se non alcuni, qua e<br />

là sparsi avanzi <strong>di</strong> Fabriche o Fondamenti <strong>di</strong> ben grosse e ritagliate<br />

pietre...<br />

Cominciava così la Relazione dello Stato dell’Isola <strong>di</strong> S.<br />

Antioco e de Contorni della Città <strong>di</strong> Iglesias83 redatta da<br />

Francesco Cordara penultimo Conte <strong>di</strong> Calamandrana ed<br />

Intendente Generale <strong>di</strong> Sardegna.<br />

Era sbarcato i primi giorni del mese <strong>di</strong> <strong>di</strong>cembre 1754<br />

accompagnato dal Sig. Maggiore <strong>di</strong> Cagliari Bessone, intelligente<br />

d’architettura militare e civile, <strong>di</strong> un Regio Misuratore<br />

e <strong>di</strong> altri...<br />

Suo compito, misurare e verificare lo stato dei terreni<br />

dell’isola, quelli da destinare a pascolo (<strong>di</strong> pecore, vacche<br />

e capre), le varie colture da potersi impiantare (grano, vigne,<br />

olivo, orto e giar<strong>di</strong>no, bosco).<br />

Il progetto del governo piemontese: in<strong>di</strong>viduare i siti<br />

in cui potesse sussistere una nuova Popolazione costituita da<br />

una colonia <strong>di</strong> greco-corsi che avendo il capitano Costantino<br />

astutamente procurato <strong>di</strong> far passare dal Golfo <strong>di</strong> san<br />

Pietro (dove secondo l’or<strong>di</strong>ne avuto era trasportato) a quello<br />

<strong>di</strong> Palmas nelle vicinanze <strong>di</strong> S. Antioco il Capitano Inglese<br />

Ferguson colla sua nave, che unitamente ad altro bastimento<br />

toscano, ha condotto da Ajaccio in numero <strong>di</strong> 198 i greci<br />

che sono poi <strong>di</strong>scesi a Portoscuso, dove per ora rimangono<br />

provvisti <strong>di</strong> alloggio e <strong>di</strong> vitto e facendo il medesimo Costantino<br />

vivissime istanze, anche con espressioni <strong>di</strong> volersene altrimenti<br />

tornarsene in<strong>di</strong>etro, perché si lasciassero <strong>di</strong>scendere<br />

detti greci nelle abitazioni suddette.<br />

C’era da risolvere un piccolo problema segnalato anche<br />

dall’Intendente Generale e cioè che l’isola non è siccome<br />

si è supposta affatto <strong>di</strong>sabitata et incolta, vi ho trovato<br />

esistenti nei contorni della Chiesa del Santo, da cui la Sª Isola<br />

tiene il nome, oltre ad un’altra chiesa e 17 botteghe, n° 49<br />

Case, 31 Capanne e due Grotte tutte abitate da 302 persone<br />

che fanno ivi continua <strong>di</strong>mora et avendo in<strong>di</strong> in più volte<br />

scorsa tutta l’isola, ed i siti della medesima riconosciuti, vi<br />

ho veduto fontane e rivi, Porti, Monti e terreni coltivati ed incolti,<br />

de quali ne ha fatta il D° Maggiore annotazione nella<br />

carta dal med° formata con particolare esattezza, e con settanta<br />

paia <strong>di</strong> bovi ed aratri altrettanti agricoltori, la maggior<br />

parte de’ medesimi sovraddetti abitanti lavorando il terreno,<br />

e nella campagna <strong>di</strong>eci fra magazzini e case, 63 capanne per<br />

uso <strong>di</strong> detti agricoltori e de pastori, che in numero <strong>di</strong> 28 vi<br />

pascolano ciascuno nei suoi territori assegnati, e <strong>di</strong>stinti co’<br />

loro propri segni o de’ loro padroni gli armenti che sono 2.380<br />

capre, 3.213 pecore, 440 vacche e 39 cavalle, et altri molti<br />

bovi novelli e da giogo, che ivi per la sola pastura mantengonsi,<br />

senza danno ancora <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> cavalli selvatici osservati,<br />

come specialmente protetti da S. Antioco e <strong>di</strong> altre fie-<br />

re, cinghiali e caprioli che pur vi sussistono nei luoghi men<br />

frequentati...<br />

In sintesi i greci aspettavano impazientemente <strong>di</strong> poter<br />

occupare le case abitate dal primo nucleo <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni<br />

antiochensi, che naturalmente non erano proprio d’accordo<br />

...tutti esprimendosi che se S.M., la <strong>di</strong> cui somma giustizia<br />

e clemenza sapevano, fosse informata della loro situazione,<br />

giammai vorrebbe far uscire dalle case e dai luoghi dove si<br />

erano allevati e cresciuti essi suoi sud<strong>di</strong>ti e figli naturali antichi<br />

e fedeli, come si professavano, per collocarvi i vescovi et<br />

adottivi e <strong>di</strong> non sicura fede, come chiamavano i Greci.<br />

Anche appena saputo il mio arrivo in detta isola la città e<br />

il Capitolo <strong>di</strong> Iglesias mi hanno ciascuno spe<strong>di</strong>to un soggetto<br />

per rinnovare le loro rimostranze, e la detta città; e le monache<br />

<strong>di</strong> Santa Chiara, li Padri Francescani, e Gesuiti, ed Antonina<br />

Olargiu, hanno trasmesso suppliche, che qui vanno<br />

unite, pregandomi farle presenti a S.E. e alla Maestà Sovrana<br />

colla da essi esposta legittimità dei loro titoli, et antico possesso<br />

<strong>di</strong> dette case e terreni su dei quali <strong>di</strong>cono posta la sicurezza,<br />

o ipoteca <strong>di</strong> molti loro cre<strong>di</strong>ti, et in gran parte la loro<br />

sussistenza.<br />

Ecco la trascrizione della supplica degli abitanti <strong>di</strong><br />

Sant’Antioco, straor<strong>di</strong>nario censimento della prima popolazione<br />

moderna.<br />

SUPPLICA DEGLI ABITATORI DI ST ANTIOCO<br />

– La vedova Dona Madalena de Spinosa che <strong>di</strong>mora quasi tutto<br />

l’anno nell’isola <strong>di</strong> San Antiogo con la sua famiglia che<br />

consiste in quattro figlioli un servitore e tre serve possiede<br />

vicino alla Chiesa una casa grande col suo Magazzino. Nel<br />

Piano detto della Chiesa due aratri <strong>di</strong> terra <strong>di</strong>sboscata (per<br />

aratri si intende tanto <strong>di</strong> terreno che basti per seminare se<strong>di</strong>ci<br />

starelli tra grano, orzo, legumi, cioè, do<strong>di</strong>ci starelli <strong>di</strong><br />

grano, tre starelli d’orzo e uno starello <strong>di</strong> fave e ogni starello<br />

<strong>di</strong> misura sarda corrisponde a due semine <strong>di</strong> Piemonte)<br />

(1 starello equivale a 0,40 ettari. N.d.T.). Possiede<br />

inoltre nel luogo detto Ponti Mannu un altro aratro; nel luogo<br />

detto Su Pruini = altri due aratri; nel Luogo o sia regione<br />

detta Su Fraitzu quattro aratri; nel Luogo detto Sa Grutta<br />

De s’Homini una capanna con centocinquanta pecore;<br />

nel Luogo detto Cortis Cherbus cento novanta capre con<br />

una capanna per abitazione del pastore.<br />

– Don Pedro Usay San Just delegato della Rª intendenza che vive<br />

quasi tutto l’anno nell’isola colla sua famiglia che tra i figliuoli<br />

e servidori sono quin<strong>di</strong>ci persone insieme a Don<br />

Francesco e Don Lorenzo suoi figliuoli posseggono una casa<br />

capace con due gran magazzini e un orto chiuso a muraglia<br />

nel Piano della Chiesa do<strong>di</strong>ci aratri in Corru Longu tre<br />

aratri nel Piano della Chiesa duecento cinquanta pecore.<br />

– Don Emanuele Angioi che abita la maggior parte dell’anno<br />

nell’isola colla sua famiglia, cioè moglie, quattro figliuoli e<br />

sette tra Servidori e Servo, tiene una casa con un cortile<br />

grande, in sa gruta due aratri.<br />

– La Città <strong>di</strong> Iglesias tiene una casa che serve al tempo delle<br />

due feste che ogni anno si fanno per San Antiogo per abitazione<br />

de Consiglieri e <strong>di</strong> varie persone <strong>di</strong> riguardo che<br />

sogliono concorrere ogni anno.<br />

– Il Capitolo <strong>di</strong> Iglesias tiene una casa, in cui abitano tutti i<br />

Canonici nel tempo che durano le suddette feste e quin<strong>di</strong>ci<br />

botteghe che suole affittare quando si fa la festa facendosi<br />

allora una spezie <strong>di</strong> fiera perché vi concorrono da tut-<br />

105<br />

ANNALI 2008


te le parti del Regno fino a sette, otto e più mille persone,<br />

nella Cussorgia detta “Portu de terra apidu” sessanta vacche.<br />

– Don Mario de Spinosa tiene una casa.<br />

– Don Francesco Giuseppe Otger possiede due case, in Malladorgia<br />

un aratro.<br />

– Don Francesco Caneglies possiede due case con un cortile<br />

oltre i seguenti territori, cioè in Ponte un aratro, in Triga<br />

due aratri.<br />

– Don Nicola Salazar Arci<strong>di</strong>acono della Cattedrale una casa.<br />

– Il Dr Fadda una casa.<br />

– L’Ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> Don Antonio Rog una casa e due aratri in Su Pruini.<br />

– Ignazio Ventura una casa.<br />

– Antonio Desogus, che abita tutto l’anno colla moglie, tre figliuoli,<br />

Suocera, Cognato e due Servidori possiede una casa<br />

e un cortile grande nel Piano della Chiesa, un aratro in<br />

Canai, tre aratri in Canai, trecento cinquanta pecore.<br />

– Il Notaro Antonio Cocco una casa, in Canai cinque aratri<br />

– Il Notaro Francesco Cocco una casa.<br />

– Il Notaro Nicola Pintus una casa.<br />

– Il Canonico Carta una casa con sotterranei. In Su Pruini due<br />

aratri, in Su Pruini ottanta pecore.<br />

– La vedova Maria Dessi che vive tutto l’anno nell’isola nella<br />

casa <strong>di</strong> Salvador Esu Cannas con quattro figlie maritate,<br />

che fra tutti sono ventitre persone, possiede in Triga tre<br />

aratri, il <strong>di</strong> lei genero Domenico Salidu in Triga una capanna<br />

in Triga novanta pecore, l’altro genero Antiogo Sera cinquanta<br />

pecore in Triga.<br />

– Pietro Toro nel Piano della Chiesa due aratri.<br />

– Domenico Salidu nel d° Piano due aratri.<br />

– Sisinnio Trudu Massaro abita nell’isola tutto l’anno colla<br />

moglie cinque figliuoli e un servidore in una Cappanna<br />

possiede nel piano della Chiesa due aratri.<br />

– Salvador Querqui che <strong>di</strong>mora tutto l’anno colla moglie tiene<br />

nel piano della Chiesa ottanta pecore.<br />

– Gioanni Esu Fanutza che abita la maggior parte dell’anno<br />

colla moglie, figlio e sei persone che lo adjutano al lavoro<br />

della terra possiede una casa e una capanna in Triga e in<br />

Canai cinque aratri, in su Pruini un aratro, e cinque capanne<br />

nelle quali abitano due pastori con trecentocinquanta<br />

capre e cinquanta pecore, oltre oltre cinquanta vacche che<br />

tiene nella regione detta Mercoreddu.<br />

– Salvador Esu Cannas coi suoi fratelli e sorelle posseggono<br />

una casa, un territorio un cortile grande chiuso a muraglia<br />

e una capanna in Canai due gran pezzi <strong>di</strong> territorj chiusi a<br />

siepe con altre due capanne e otto aratri <strong>di</strong> altro territorio<br />

trecento pecore con altra capanna duecento cinquanta capre<br />

con altra capanna in Crisionis, cinquanta vacche in Portu<br />

Misi.<br />

– Antonio Esu colla sua moglie quattro figli ed un servidore<br />

possiede due capanne, in Triga due aratri e mezzo e trenta<br />

pecore.<br />

– Antiogo Esu nella regione detta Sa tuvara settanta capre.<br />

–Gioanni Antonio Pricocci colla sua famiglia, una casa con<br />

due capanne, in Triga due aratri.<br />

– Antonio Sevis in Corongiu Murvonis due capanne e tre aratri<br />

<strong>di</strong> territorj in Triga cento cinquanta capre, in Porta de<br />

Su Suergiu quaranta vacche, nel piano della Chiesa tre aratri.<br />

ANNALI 2008 106<br />

– Salvador Paris in Canai un aratro, in Triga cento ottanta capre.<br />

– Antiogo Ganau in Canai quattro aratri, vicino alla Chiesa<br />

una casa, tre cave con magazzini e 50 pecore.<br />

– Il Nor° Marco Corbelli in Canai un magazzeno, e tre aratri<br />

<strong>di</strong> terra<br />

– Antiogo Ignazio Corbelli in Triga 40 pecore.<br />

–I Padri Minori Conventuali <strong>di</strong> San Francesco del convento <strong>di</strong><br />

Iglesias in Canai due case e tre aratri.<br />

– La Vedova Mª Santu Lochi coi suoi tre figliuoli in Canai due<br />

capanne, un cortile, quattro aratri trecento pecore e uno<br />

de suoi figliuoli in Crisionis 250 capre, in Sa Pispisia 70 vacche.<br />

– Sebastiano Spada in Canai 5 aratri.<br />

– Gavino Garia in Canai 4 aratri.<br />

– Salvador Corona in Canai una capanna e tre aratri.<br />

– Gioanni Cautai colla moglie e tre figli in Triga una capanna<br />

con un aratro in mezzo ed altra capanna vicina alla Chiesa.<br />

– Sisinnio Cordeddu colla moglie e quattro figli in Triga un<br />

aratro e mezzo e una capanna.<br />

– Antiogo Lochi colla sua moglie in Triga un aratro.<br />

– Francesco Chireddu vicino alla Chiesa una casa e in Canai<br />

due aratri e in Su Pruini un altro aratro.<br />

– Antonio Vincenzo Longu in Canai una casa e due aratri, in<br />

Crisionis 150 capre.<br />

– Antiogo Pisano in Canai due cappanne e due aratri.<br />

– Gli ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> Antiogo Ignazio Depau in Cannai due aratri.<br />

– Giovanni Antonio Pisano in Canai un aratro.<br />

– Antonio Querqui in Canai due aratri e una cappanna.<br />

– La vedova Paselli cò suoi figli in Canai due aratri.<br />

– Gli ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> Cristoforo Falconi in Canai un aratro.<br />

–Giovanni Esu Cannas in Canai due aratri, in Portu Maiori 100<br />

vacche.<br />

– Gli ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> Salvador Contu in Canai un aratro.<br />

– Salavador Balzai nel Piano della Chiesa un aratro, in Crisionis<br />

130 capre.<br />

– La vedova Corbelli cò suoi figli in Coacuaddus due aratri.<br />

– Pietro Carroccia in Canai due aratri.<br />

– Antiogo Pittis cò suoi figli in Canai un aratro, in Su Pruini<br />

un altro aratro.<br />

–Don Nicolas de Spinosa in Su Pruini un aratro, nel Piano della<br />

Chiesa un altro aratro.<br />

– Antiogo Fonnesu in Guturu Canargius un aratro.<br />

– Antiogo Vincenzo Manigas nel Piano della Chiesa un aratro.<br />

– Benedetto Pabis una casa vicino alla Chiesa e nel piano tre<br />

aratri.<br />

– Don Gavino Salazar Capitano <strong>di</strong> Giustizia della Città e territorj<br />

d’Iglesias nel Piano della Chiesa tre aratri.<br />

– Antiogo Corona che vive tutto l’anno nell’isola colla moglie<br />

e quattro figli due aratri.<br />

– Il Sacerdote Giuseppe Pintus Vice Curato della Chiesa <strong>di</strong> San<br />

Antiogo nel Piano della Chiesa due aratri, due cappanne e<br />

cinquanta pecore.<br />

– Francesco Vacca che sta tutto l’anno nell’isola colla moglie<br />

e due figli nel Piano della Chiesa due aratri.<br />

– Giuseppe Brondo colla moglie e tre figli nel Piano della Chiesa<br />

due aratri e un sotterraneo.


– Sebastiano Bolegas che sta anche tutto l’anno colla moglie<br />

e quattro figli nel Piano della Chiesa quattro aratri.<br />

– Il Collegio de PP. Gesuiti d’Iglesias una casa vicino alla Chiesa.<br />

– Salvador Tronchi domiciliato nell’isola colla moglie e cinque<br />

figli nel Piano della Chiesa due aratri.<br />

– Giuseppe Bulegas domiciliato nell’isola colla moglie tre figli,<br />

due servidori nel Piano della Chiesa due aratri.<br />

– Giovanni Bulegas Murroni nel Piano della Chiesa due aratri.<br />

– Giovanni Manca colla moglie e figli domiciliato nell’isola<br />

una capanna nel Piano della Chiesa e due aratri.<br />

– Antonio Barossu domiciliato nell’isola colla moglie e quattro<br />

figli due capanne nel Piano della Chiesa e due aratri.<br />

– Sisinnio Trudu colla moglie e cinque figli due cappanne nel<br />

Piano della Chiesa due aratri, Antonio Cuccu colla moglie e<br />

tre figli tre cappanne con tre cortili nel Piano della Chiesa<br />

due aratri.<br />

– Francesco Mereu colla moglie e cinque figli una capanna e<br />

due aratri nel Piano della Chiesa.<br />

– Salvador Luxu colla moglie e quattro figli due cappanne, in<br />

Su Pruini un aratro.<br />

– Giovanni Balloni in Su Pruini un aratro.<br />

– Francesco Elias colla moglie e figli una cappanna nel Piano<br />

della Chiesa due aratri.<br />

– Antonio Piredda colla moglie e figlio nel Piano detto due<br />

aratri.<br />

– Pietro Fod<strong>di</strong>s colla moglie e figli nel Piano della Chiesa due<br />

aratri.<br />

– Il Nor° Giovanni Vincenzo Frongia nel Piano della Chiesa due<br />

aratri, in Sa Pispisia due aratri.<br />

– Francesco Porcu nel Piano detto due aratri.<br />

– Francesco Pintus colla moglie e tre figliuoli una cappanna<br />

nel Piano della Chiesa due aratri.<br />

– Mauro Simula colla moglie e due figli tre cappanne e tre<br />

cortili, nel Piano della Chiesa due aratri.<br />

– Don Miguel Pes Arciprete della cattedrale d’Iglesias in S’Acqua<br />

de sa Canna tre aratri.<br />

– Don Giuseppe Pintus in Sa Pispisia quattro aratri.<br />

– Antonio Usay colla moglie e due figli abitano nella casa <strong>di</strong><br />

Dona Madalena Sulas.<br />

– Pietro Carta Massaro nella casa del Capitolo.<br />

– Antonio Esteri colla moglie e due figli in un sotterraneo del<br />

Capitolo.<br />

– Giuliana Callaresa vedova nella casa del Canonico Pileddu.<br />

– Francesco Antonio Zucca colla moglie e tre figli in un’altra<br />

casa del Canonico Pileddu.<br />

– Giovanni Lochj colla moglie e tre figli nella casa <strong>di</strong> Benedetto<br />

Pavis.<br />

–Nicoletta Manca con tre figlie una casa e una cappanna<br />

– Antiogo Frongia colla moglie e tre figli posseggono una casa<br />

e una cappanna, in Su Pruini settanta pecore.<br />

– Giovanni Coccu massaro colla moglie e due figlj una casa.<br />

– Antiogo Lochi colla moglie e tre figlj due cappanne.<br />

– Salvador Cabras colla moglie e tre figlj due cappanne, nel<br />

Piano della Chiesa due aratri.<br />

– Francesco Ignazio Eremita della Chiesa <strong>di</strong> San Antiogo una<br />

cappanna con un cortile, nel Piano della Chiesa due aratri.<br />

– Francesco Toru colla moglie e una figlia pastore <strong>di</strong> capre -<br />

Pietro Toru colla moglie e un figlio massaro, Giovanni An-<br />

tonio Pai colla moglie e quattro figlj massaro. Salvador Pullo<br />

colla moglie e quattro figlj vivono tutto l’anno nell’isola.<br />

– Antiogo Melis Murtas colla moglie madre e tre figlj. Giuseppe<br />

Lodde colla moglie e quattro figlj. Antiogo Melis Piricocci<br />

colla moglie, suocera e due figlj – Antonio Rossu colla<br />

moglie e tre figlj – Sisinio Campus colla moglie sono tutti<br />

massaro domiciliati nell’Isola che coltivano le terre de Cavalieri<br />

e d’altre persone che non coltivano da se stessi.<br />

– Antiogo Corona colla moglie e quattro figlj nel Piano della<br />

Chiesa due aratri.<br />

– Antonio Piredda colla moglie e figlj – Antonio Giruccio colla<br />

moglie figlio e nuora – Antonio Garau colla moglie e due<br />

figlj - Felice Olargiu colla moglie – Agostino Pintus – Salvador<br />

Raspilla, Sebastiano Pilloy colla moglie e due figlj sono<br />

pastori e massari altrui sono abitanti tutto l’anno nell’Isola.<br />

– Francesco Puddu - Donna Gioanna Paliaccio con suo figlio<br />

Don Giorgio Corria che <strong>di</strong>mora quasi tutto l’anno nell’Isola<br />

posseggono tre case e un magazzeno grande nel Piano della<br />

Chiesa, quattro aratri in Sa Punta des’Omini una cappanna<br />

con trenta pecore in Corti Cherbus una cappanna con<br />

246 capre.<br />

Vi sono più <strong>di</strong> cento grotte incavate nella rocca tutte proprie<br />

<strong>di</strong> vari Particolari della Città d’Iglesias che si sogliono<br />

affittare per abitazione e ricovero de concorrenti alla Festa.<br />

Lo stabilimento <strong>di</strong> una nuova popolazione presentava<br />

un altro ostacolo da superare: i <strong>di</strong>ritti vantati dal Vescovo<br />

<strong>di</strong> Iglesias in forza <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse donazioni: il Giu<strong>di</strong>ce Torcotorio<br />

nel 1124, Donna Benedetta <strong>di</strong> Lacon Massa con suo<br />

figlio Guglielmo nel 1216, Privilegi Reali dei Re <strong>di</strong> Spagna<br />

Giovanni nel 1466 e Fer<strong>di</strong>nando nel 1479 dove, su richiesta<br />

del Vescovo Giuliano <strong>di</strong> Iglesias, vengono riba<strong>di</strong>ti i<br />

privilegi sull’isola “Tam in <strong>di</strong>e festivitatis eiusde Ecclesia...”<br />

(importante la citazione “in <strong>di</strong>e festivitatis” nel 1466 che<br />

certifica la festa 54 anni prima).<br />

Monsignore Arcivescovo <strong>di</strong> Cagliari scrive una memoria<br />

<strong>di</strong> proprio pugno (conservata presso l’Archivio Mauriziano<br />

a Torino) dove sono anche in<strong>di</strong>cate alcune <strong>di</strong>sposizioni da<br />

tenersi durante la festa del Santo: Memorie <strong>di</strong> molti atti degli<br />

Arcivescovi <strong>di</strong> Cagliari come Vescovi pure <strong>di</strong> Iglesias miei<br />

Predecessori sopra l’Isola <strong>di</strong> Santo Antioco, per li quali si deduce<br />

chiaramente il loro possesso e dominio <strong>di</strong> quell’Isola, ricavati<br />

da i Registri della Mensa.<br />

E in primo luogo è da notare che né libri stampati anche<br />

prima del 1600 approvati dall’Arcivescovo <strong>di</strong> quel tempo, o a<br />

lui de<strong>di</strong>cati, gli vien dato palesemente il Titolo Dominus Suelli,<br />

ac Sancti Pantaleonis, atque Insulae Sancti Antiochi &.<br />

Così si vede in un libro che mi ritrovo a caso <strong>di</strong> avere, il<br />

quale è stato stampato in Cagliari con licenza dè Superiori.<br />

1598 - L’anno 1598: e così pure si legge in una Prefazione<br />

o pure de<strong>di</strong>catoria stampata in Sassari circa il medesimo<br />

tempo, e inviatami due anni sono da Monsignore Vescovo <strong>di</strong><br />

Bosa, in<strong>di</strong>rizzata all’Arcivescovo <strong>di</strong> Cagliari ch’era allora<br />

Don Alonso Lasso Sedegno.<br />

Dalla quale appellazione allora così palesemente usata si<br />

deduce che lo stesso Arcivescovo d’Iglesias doveva essere notoriamente<br />

riputato, quale viene asserito, cioè Dominus Insulae<br />

Sancti Antiochi, o Insularum Sancti Antiochi come<br />

107<br />

ANNALI 2008


PIANO DELL’ABITATO DI SANT’ANTIOCO DISEGNATO<br />

DAL MAGGIORE BESSONE (10 GENNAIO 1955)<br />

si legge in altro luogo, siccome lo era <strong>di</strong> Suelli e <strong>di</strong> San Pantaleo<br />

siccome ivi chiaramente viene enunziato nè i Titoli.<br />

1597 - Una commissione e Delegazione generale dell’Arcivescovo<br />

Don Alonso Lasso data nel 1597. al Canonico<br />

Giovanni Melis con poter generale <strong>di</strong> procedere, catturare,<br />

giu<strong>di</strong>care, sentenziare, ed esercitare la Giuris<strong>di</strong>zione contra<br />

qualsiasi delinquenti nell’Isola <strong>di</strong> San Antiogo, Santa<strong>di</strong> &;<br />

la qual Commissione e Delegazione gen.le è stata prodotta in<br />

cedola, a i. 3. <strong>di</strong> agosto del 1630. nella causa vertente con la<br />

Città d’Iglesias sopra la Giuris<strong>di</strong>zzione <strong>di</strong> Santa<strong>di</strong> al fol.<br />

713. e 714.<br />

1600 - Una Provisione del medesimo Arciv° Don Alonso<br />

Lasso data il dì 14. <strong>di</strong> gennaro 1600. per la quale commanda<br />

al suo Vicario Generale, e Ministri Ecclesiastici d’Iglesias<br />

che abbiano a riconoscere e riputare Andrea Meli dª<br />

medesima Città d’Iglesias per Arrendatore <strong>di</strong> tutti i frutti e<br />

ren<strong>di</strong>te così civili come criminali, del detto Vescovado, della<br />

Isola <strong>di</strong> San Antiogo &; la quale provisione fu prodotta in<br />

cedola a i. 16. <strong>di</strong> Settembre 1638. nella medesima causa che<br />

sopra a fogl. 122. a tergo.<br />

1609 - Una provvisione <strong>di</strong> Monsignor Arcivesc° Don<br />

Francesco d’Esquivel in data <strong>di</strong> 28. Gennaro 1609, per la<br />

quale dà facoltà al suo Vicario generale d’Iglesias <strong>di</strong> stabilire,<br />

ossia sin<strong>di</strong>care, o assegnare terreni nell’Isola <strong>di</strong> San Antiogo<br />

a qualsiasi persona, pagando quello che accostumavano<br />

<strong>di</strong> pagare nel suo Salto, cioè né i suoi territorj <strong>di</strong> San-<br />

ANNALI 2008 108<br />

ta<strong>di</strong>; la quale provvisione fù ancora prodotta nella medesima<br />

causa della Giuris<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Santa<strong>di</strong> in cedola presentata<br />

il dì 23. <strong>di</strong> 7.bre dell’anno 1638. a fol. 138.<br />

1620 - Relazione <strong>di</strong> Nicolò Corbelli pubblico pregoniere<br />

<strong>di</strong> aver fatto il Bando per la Città <strong>di</strong> Iglesias con la<br />

grida né i luoghi soliti della dª Città il dì 26. <strong>di</strong> Marzo<br />

dell’anno 1620. d’or<strong>di</strong>ne del Vicario Generale d’Iglesias<br />

e de i Salti ossia Territorj d.ª Mensa ossia Mitra Ecclesiense<br />

che era il Canonico Francesco Cani, che nessun<br />

genere <strong>di</strong> persone <strong>di</strong> qualsivoglia Grado, o Stamento, non<br />

possano condurre né pascolare qualsivoglia genere <strong>di</strong> Bestiame<br />

per la <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> quattro miglia d’intorno alla<br />

Chiesa e Case del Glorioso Santo Antioco, sottopena <strong>di</strong><br />

essere macellate, tenturate, tante volte quante entreranno<br />

& e <strong>di</strong> cinque lire da applicarsi alla Chiesa del medesimo<br />

Santo.<br />

1620 - Intima fatta dal suddetto Rdo Francesco Cani<br />

Vicario Gen.le Ecclesiense a i 28. d’Aprile del 1620, e notificata<br />

al Capitano e Giurati dª Città d’Iglesias, perché<br />

non molestino li Cacciatori dell’altra Città e Luoghi del<br />

Regno che andarebbero a caccia nell’Isola <strong>di</strong> San Antiogo<br />

con licenza dell’Ill.mo e R.mo Don Francesco d’Esquivel<br />

Arciv° <strong>di</strong> Cagliari Vescovo d’Iglesias Barone e Signore<br />

della detta Isola, o del suo Vicario gente <strong>di</strong> quel Vescovado<br />

e dè i Salti ossia Territorj <strong>di</strong> esso; La qual espressione<br />

<strong>di</strong> Barone e Signore della detta Isola quivi viene replicata<br />

più volte. L’oggetto <strong>di</strong> questa Intima si è che non<br />

molestino i cacciatori forestieri col levargli parte della caccia<br />

che avrebbero presa, secondo che essi Capitano e Giurati<br />

& dovevano essersi vantati <strong>di</strong> voler fare e quivi gli si<br />

<strong>di</strong>ce in questa Intima che essi non devono nè possono fa-<br />

re <strong>di</strong> queste cose, mentre li cacciatori anno la licenza del proprio<br />

Barone e Signore dell’Isola.<br />

1620 - Proclama del Dottore e M° R.do Nicolò Cadello<br />

Provicario Gen.le in assenza del Canonico Franc° Cani Vic°<br />

Gen.le del Vescovato d’Iglesias e suoi Territorj; Nel quale si<br />

commanda che tutti coloro che anno case <strong>di</strong>strutte o <strong>di</strong>sfatte<br />

nell’Isola <strong>di</strong> San Antiogo, le debbano far aggiustare e rifare<br />

in pie<strong>di</strong>, o rie<strong>di</strong>ficare dentro del termine <strong>di</strong> otto mesi sotto<br />

pena <strong>di</strong> devoluzione delle medesime rovine e <strong>di</strong> esser messe<br />

all’incanto, e consegnate a chi offerirà <strong>di</strong> più &. In questo<br />

Proclama si <strong>di</strong>ce ancora l’Arcivescovo come sopra Barone<br />

e Signore dª medesima Isola e in suo nome si commanda<br />

& come sopra. E segue la Relazione e Certificato <strong>di</strong> essersi<br />

pubblicata questo Proclama nella Chiesa del medesimo<br />

Santo nell’Isola nel dì della Festa del Santo e al maggior<br />

concorso del popolo (che concorre numerosissimo da tutte le<br />

parti del Regno a quella Festa dove, sempre interviene tutta<br />

la Città e Magistrati d’Iglesias) alla Chiesa il dì 3. e 4. <strong>di</strong><br />

Maggio 1620.<br />

1647 - Filippo Corrus Officiale dell’Isola <strong>di</strong> San Antiogo<br />

da Relazione <strong>di</strong> aver sin<strong>di</strong>cato ossia assegnato una misura<br />

<strong>di</strong> terreno Marco Cannas Blancher e Giovanni Manca abitanti<br />

d.ª Città d’Iglesias d’or<strong>di</strong>ne del Vicario Gen.le del Vescovado<br />

Giovan Antonio Escarconi Serra a i 28. <strong>di</strong> febbr°<br />

1647.<br />

Alli 3. <strong>di</strong> Aprile dello stesso anno 1647. d’or<strong>di</strong>ne del me


desimo Vicario Gen.le ha sin<strong>di</strong>cata altra misura <strong>di</strong> terra a<br />

Antiogo Esu abitante d.ª medesima Città.<br />

A i trè <strong>di</strong> Maggio del medesimo anno 1647. lo stesso Vicario<br />

Genle commanda per E<strong>di</strong>tto che coloro che avevano stabilimenti<br />

<strong>di</strong> case, Baracche nell’Isola debbano fra quin<strong>di</strong>ci dì<br />

dalla pubblicazione del presente E<strong>di</strong>tto, mostrare e produrre i<br />

titoli, dè i detti stabilimenti, concessioni & alla medesima Curia<br />

Ecclesiastica; e che le case <strong>di</strong>strutte debbano essere rimesse<br />

in pie<strong>di</strong> e rie<strong>di</strong>ficate entro <strong>di</strong> un anno sotto pena <strong>di</strong> essere devolute<br />

alla Mensa &. Il quale E<strong>di</strong>tto fù pubblicato ed affisso<br />

alla Chiesa del medesimo Santo Antioco il dì della sua Festa<br />

cioè li trè <strong>di</strong> Maggio 1647.<br />

1648 - Concessione <strong>di</strong> un tratto <strong>di</strong> terra per costruirvi una<br />

Barracca, ai 15. Marzo<br />

A i 27. Luglio del medesimo anno il soprad° Vicario<br />

Genle dà Patente <strong>di</strong> Offiziale della Isola <strong>di</strong> San Antiogo territorio<br />

e giuris<strong>di</strong>zione della Mensa, come ivi <strong>di</strong>ce, del Vescovado<br />

Ecclesiense, il quale impiego vacava allora per la morte<br />

del soprallodato Filippo Corrus, a Antiogo Cadello Massaio<br />

d’Iglesias perché amministri ed eserciti gli atti e cose concernenti<br />

alla buona giustizia; e costui presente accetta il carico<br />

<strong>di</strong> Offiziale, ed ha prestato il solito omaggio perciò ossia<br />

il giuramento nella Curia, <strong>di</strong> portarsi ad amministrare<br />

fedelmente il carico datogli. Ai 24. <strong>di</strong> Agosto del medesimo<br />

anno è sin<strong>di</strong>cata dall’Offiziale Antiogo Cadello d’or<strong>di</strong>ne del<br />

Vicario Genle a favore <strong>di</strong> Antonio Bringiu Toco Supplicante<br />

una misura <strong>di</strong> terra per due arati <strong>di</strong> formento, senza pregiu<strong>di</strong>zio<br />

<strong>di</strong> terzo &.<br />

Dal sopradetto anno 1648 a questa parte vi sono assais-<br />

sime concessioni <strong>di</strong> terreni a<br />

lavorare, e <strong>di</strong> pascoli, fatte da<br />

tutti gli Arcivescovi o dal loro<br />

Vicario Generale d’Iglesias,<br />

con le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> pagare il<br />

Dritto territoriale, ossia portà<strong>di</strong>a<br />

come <strong>di</strong>cono qui ed oltre;<br />

e sarebbe fare un volume<br />

a volere trascrivere tutta questa<br />

serie non interrotta <strong>di</strong> atti,<br />

pregoni, patenti, sin<strong>di</strong>ci &<br />

che comprovano a piena evidenza<br />

il possesso pacifico ed<br />

antichissimo del Dominio utile<br />

<strong>di</strong> tutta l’Isola <strong>di</strong> San Antiogo<br />

e a<strong>di</strong>acenti. Solamente<br />

aggiungo che per l’incen<strong>di</strong>o<br />

dell’Archivio del quale consta<br />

non si ritrovano più antichi<br />

documenti dè i sopradetti, e<br />

da quelli tempi fino al dì<br />

d’oggi sono innumerabili i documenti.<br />

Aggiungo ancora<br />

che nell’anno 1613 essendosi<br />

presa Informazione d’or<strong>di</strong>ne<br />

del Duca <strong>di</strong> Gan<strong>di</strong>a che allora<br />

era Vicerè, dal Capitano<br />

d’Iglesias a grazia del medesimo,<br />

senza intervento del-<br />

l’Arcivescovo e in o<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Lui sopra della Giuris<strong>di</strong>zione esercitata<br />

nell’Isola, si esclude bensì l’Arcivescovo ossia il Vescovo<br />

d’Iglesias dalla Giuris<strong>di</strong>zzione; ma dalla stessa informazione<br />

risulta che l’Arcivescovo era nel possesso fino ad allora<br />

<strong>di</strong> esiggere oltre la Decima anche gli altri red<strong>di</strong>ti (che sono<br />

il <strong>di</strong>ritto territoriale ossia la portà<strong>di</strong>a) e la metà delle machizie<br />

<strong>di</strong>sperse, cioè per mezzo del suo Offiziale; pagandosi<br />

alla Cassa Reale l’altra metà delle medesime. La suddetta<br />

Informazione si ritroverà nell’Archivio del Patrimonio. Il Reggente<br />

Vico nª sua Istoria fa menzione del Dominio utile dell’Isola<br />

che anno i Vescovi, e delle antiche Donazioni delle<br />

quali ecco le Copie annesse.<br />

Quanto al titolo <strong>di</strong> Barone dell’Isola sempre i Vescovi lo<br />

anno usato in tutti gli atti pubblici, almeno da più <strong>di</strong> cencinquanta<br />

anni in quà come si vede da libri o E<strong>di</strong>tti stampati,<br />

e dalle esortatorie ancora solite a presentarsi a Signori Vicerè<br />

ed alla Reale U<strong>di</strong>enza né i casi frequenti <strong>di</strong> contenzione.<br />

Gli Arcivescovi nelle loro patenti che danno ai Vicarj generali<br />

d’Iglesias sono stati sempre soliti <strong>di</strong> <strong>di</strong>chiararli Reggitori<br />

dè i Salti ossia territorj dª Mensa, ed espressamente dell’Isola<br />

<strong>di</strong> San Antiogo; e nelle patenti date agli Offiziali della Isola<br />

e nell’omaggio sempre ricevuto <strong>di</strong> essi dagli stessi Arcivescovi<br />

o da loro Vicarj, si vede che hanno sempre pensato <strong>di</strong><br />

essere veramente Baroni dell’Isola; e lo stesso si vede da loro<br />

frequenti Pregoni ossia E<strong>di</strong>tti; e veramente il nominare Offiziali,<br />

il riceverne il Giuramento de Part ac fideliter administranda<br />

justitiâ, il fare e pubblicare Ban<strong>di</strong>, o e<strong>di</strong>tti con pene<br />

&, l’esiggere la metà delle machizie& e il titolo pacificamente<br />

usato <strong>di</strong> Baroni, pare che tutto ciò in<strong>di</strong>chi qualche cosa <strong>di</strong><br />

più del dominio utile; né a questo si oppone la Informazione<br />

COPIA DELL’ATTO DI DONAZIONE DI BENEDETTA DI LACON (11 GIUGNO 1216)<br />

109<br />

ANNALI 2008


del 1613. la quale fù<br />

presa dal Capitano d’Iglesias<br />

e a <strong>di</strong>stanza del<br />

medesimo; perché in essa<br />

si <strong>di</strong>ce da i testimoni<br />

allegati che il Capitano<br />

d’Iglesias per parte <strong>di</strong><br />

Sua Maestà era quello<br />

che esercitava la Giuris<strong>di</strong>zzione;<br />

ma questo è<br />

perche quelli che andavano<br />

o abitavano là erano<br />

Vassalli Reali, cioè<br />

Citta<strong>di</strong>ni e abitatori dª<br />

Città d’Iglesias, e per<br />

conseguenza non poteva<br />

contra <strong>di</strong> quelli procedersi<br />

fuori che per la Reale<br />

Giuris<strong>di</strong>zione ch’era esercitata<br />

dal Capitano<br />

d’Iglesias. Ma il titolo <strong>di</strong><br />

Barone, le patenti <strong>di</strong><br />

Reggitore, le patenti <strong>di</strong><br />

RELITTI TOPONOMASTICI<br />

Offiziale per amministrare<br />

giustizia, gli e<strong>di</strong>tti sotto pene, il <strong>di</strong>ritto delle machizie<br />

& pare che mostri che gli Arcivescovi come Vescovi d’Iglesias<br />

avevano ed anno la giuris<strong>di</strong>zione del luogo ossia del territorio<br />

dell’Isola quantunque non possano esercitarla sopra gli<br />

abitatori della medesima cioè per esser questi, Vassalli Reali<br />

come si è detto. Ben è vero che da quattro o cinque anni in<br />

qua il Capitano d’Iglesias non vuole che l’Offiziale <strong>di</strong> San<br />

Antiogo e degli altri territorj della Mensa facciano esecuzione<br />

e macellino & come facevano sempre, ma vuole che si raccorra<br />

a Lui perch’egli faccia esecutare, macellare & e siccome<br />

per evitare i romori fino ad ora non si è fatta formale opposizione<br />

a questa novità pregiu<strong>di</strong>ziale; perciò poco a poco<br />

cresce il pregiu<strong>di</strong>zio della Mensa.<br />

Calamandrana, stretto tra le rimostranze degli abitanti<br />

<strong>di</strong> Sant’Antioco ed Iglesias, i <strong>di</strong>ritti riven<strong>di</strong>cati dall’Arcivescovo<br />

<strong>di</strong> Cagliari, e la necessità per il governo piemontese<br />

<strong>di</strong> aumentare gli introiti per le povere casse reali aumentando<br />

le ren<strong>di</strong>te nelle zone spopolate del Regno, prova<br />

a suggerire un progetto <strong>di</strong> compromesso.<br />

Nella sua relazione scrive...<br />

Tra tutti i territori <strong>di</strong> dett’isola da noi visitati tre sono parsi<br />

propri per farvi una nuova popolazione cioè a Cala <strong>di</strong> Seta<br />

a tramontana verso San Pietro, a Porto Misci o sia Calasapone<br />

al ponente dell’isola, et altra a Maladorgia o Coicuaddus<br />

poco <strong>di</strong>stante a mezzogiorno e levante verso il Golfo<br />

<strong>di</strong> Palmas, ma siccome nel sito <strong>di</strong> Cala <strong>di</strong> Seta che è tutto incolto<br />

e serve solo <strong>di</strong> pascolo si trova un piccolo rivo et una fonte<br />

in riva al mare d’acqua dolce perenne che vi si osservano<br />

vestigi <strong>di</strong> altre antiche abitazioni, che vi è un porto per ancorare<br />

i bastimenti e che una torre ivi situata potrebbe con quella<br />

che si è progettata in Carloforte dominare l’entrata del<br />

Golfo <strong>di</strong> San Pietro, et avere anche con Portoscuso la dovuta<br />

relazione giacchè dalla parte dell’isola Piana e <strong>di</strong> Portoscuso<br />

vi è il comando <strong>di</strong> altre torri.<br />

ANNALI 2008 110<br />

In questo sito, <strong>di</strong>co, come il più proprio quando si volesse<br />

collocare i Greci venuti ultimamente da Corsica, ne avrebbero<br />

<strong>di</strong> terreno buono secondo il giu<strong>di</strong>cio de’ suddetti periti,<br />

al <strong>di</strong> la <strong>di</strong> quello sicuro per poter coltivare in più anni senza<br />

toccare quello degli Iglesiensi e delli abitatori <strong>di</strong> S. Antioco,<br />

che si ritrova da questo lontano, e con altra torre che gli iglesiensi<br />

medesimi fabbricherebbero e manterrebero a loro spese<br />

nel Capo Su Moru, come alcuni della città hanno proposto,<br />

purchè si lascino godere le terre che attualmente coltivano,<br />

rimarrebbe quest’isola preservata dalle scorrerie sin qui praticate<br />

dai barbareschi con far preda <strong>di</strong> sar<strong>di</strong> fino a che il Rais<br />

pochi anni fa superato da questi vi ha con altri suoi turchi<br />

lasciato la vita.<br />

Il 28 Gennaio 1755 il Subdelegato d’Iglesias Don Pietro<br />

Usay consegna un’Intimazione 84 scritta dal Conte <strong>di</strong><br />

Bricherasio alli Greci Corsi venuti d’Ajaccio, e commoranti<br />

in Porto Scuso.<br />

A seguito degli accor<strong>di</strong> venuti meno (si erano obbligati<br />

ad introdurre 240 famiglie, cioè circa 600 persone anziché<br />

le 198 presenti, e varie altre mancanze), viene loro<br />

concessa la possibilità <strong>di</strong> scegliere (entro 5 giorni) <strong>di</strong> stabilirsi<br />

non più nell’isola <strong>di</strong> St Antiogo, ma bensì a Montresta<br />

oppure a Fiumesanto. In caso poi li medesimi rifiutassero<br />

queste grazie <strong>di</strong> S.M., intimerà loro che si facciano tutti<br />

trasportare in Ajaccio facendo loro somministrare il nolito per<br />

il suo ritorno senza speranza <strong>di</strong> mai più essere ammessi nel<br />

Regno.<br />

Il 16 Settembre 1759 la penisola <strong>di</strong> S. Antioco in Sardegna,<br />

in seguito a transazione tra l’Arcivescovo <strong>di</strong> Cagliari,<br />

il Regio Patrimonio e l’Or<strong>di</strong>ne dei Santi Maurizio e<br />

Lazzaro, è ceduta a quest’ultimo.<br />

Dieci anni dopo il sito <strong>di</strong> Cala <strong>di</strong> Seta sarà occupato da<br />

una colonia <strong>di</strong> tabarchini e piemontesi.<br />

Qualche traccia greca permane.


Relitti toponomastici come l’antico nome dell’isola<br />

(Molibodes nesos poi plumbaria insula per i romani).<br />

I Gregu (riferito a probabili <strong>di</strong>scendenti greco-corsi),<br />

Sa Potecaria (così gli antiochensi più antichi chiamavano<br />

la farmacia, e Su Potecariu il farmacista).<br />

Più importante l’ere<strong>di</strong>tà architettonica: l’impianto a<br />

croce greca del VII secolo nella basilica del glorioso Santo<br />

Antioco Patronus totius Regni Sar<strong>di</strong>niae.<br />

Ma erano altri greci.<br />

Il leone <strong>di</strong> Sulky nelle vicende antiquarie<br />

<strong>di</strong> Roma, nuova capitale del Regno<br />

STEFANO ALESSANDRINI<br />

Il Museo Barraco <strong>di</strong> Roma è una delle più complete raccolte<br />

<strong>di</strong> scultura riguardante le civiltà del mondo antico<br />

esistenti in Italia. Composta da circa 300 opere,<br />

la raccolta donata nel 1902 alla città dal barone<br />

calabrese Giovanni Barraco, patriota risorgimentale<br />

e senatore, rappresenta uno<br />

straor<strong>di</strong>nario percorso che guida il visitatore<br />

attraverso l’arte ed il tempo. Sculture egizie,<br />

assire, cipriote, etrusche, greche, romane<br />

(spesso degne <strong>di</strong> figurare nei più gran<strong>di</strong> musei<br />

del mondo), sono esposte nel palazzetto<br />

rinascimentale della cosiddetta Piccola Farnesina,<br />

a pochi passi da Piazza Navona.<br />

Tra i capolavori del Museo si trova un reperto<br />

eccezionale: una testa <strong>di</strong> leone in alabastro.<br />

È fenicia, ma non proviene dal paese<br />

dei cedri, e nemmeno da Cartagine.<br />

Fu rinvenuta in Sardegna. Nell’isola<br />

<strong>di</strong> S. Antioco.<br />

Giovanni Barraco era consigliato nei<br />

suoi acquisti <strong>di</strong> sculture antiche da un archeologo nativo<br />

<strong>di</strong> Praga, che da Vienna si era trasferito a Roma nel 1893:<br />

Ludwig Pollak. Divenne famoso per aver ritrovato il braccio<br />

destro del Laocoonte nel 1906.<br />

Il Pollak era stimato ed interpellato da tutti i più gran<strong>di</strong><br />

collezionisti stranieri residenti nella città eterna. Questi<br />

ultimi erano sempre alla ricerca <strong>di</strong> reperti ed opere d’arte<br />

provenienti dagli scavi effettuati per la costruzione dei<br />

nuovi quartieri della città, da scoperte fortuite nei <strong>di</strong>ntorni<br />

<strong>di</strong> Roma, o da ven<strong>di</strong>te <strong>di</strong> sculture dalle antiche collezioni<br />

romane.<br />

Un antiquario piuttosto particolare era Pietro Stettiner,<br />

Ispettore generale del Ministero delle Poste. Nella sua<br />

casa con un piccolo giar<strong>di</strong>no, non lontano dal Colosseo,<br />

raccoglieva monete e sculture romane. Durante i suoi viaggi<br />

<strong>di</strong> lavoro incrementava la sua collezione acquistando reperti<br />

archeologici.<br />

In Sardegna, durante un’ispezione a Sant’Antioco, passeggiando<br />

in campagna, vide con suo grande stupore una<br />

scultura in alabastro <strong>di</strong> eccezionale fattura. Domandò al<br />

proprietario (un conta<strong>di</strong>no del luogo) quanto denaro volesse<br />

per cedere il reperto. L’uomo chiese in cambio un fucile<br />

a doppia canna.<br />

Stettiner aspettava un consiglio da Pollak: lo stu<strong>di</strong>oso<br />

boemo, entusiasta per la rarità del pezzo, lo spinse ad acquisirlo.<br />

A sua volta Pollak comprò dall’antiquario il leone<br />

e lo cedette al barone Barraco per la sua collezione nel<br />

<strong>di</strong>cembre 1899. L’archeologo era entusiasta della scultura:<br />

“Probabilmente l’unico pezzo sopravvissuto <strong>di</strong> scultura<br />

fenicia in Italia” (così scrive nella presentazione del Museo<br />

nel 1905).<br />

La scultura, alta poco più <strong>di</strong> settanta centimetri, è una<br />

protome (rappresenta soltanto il muso e le zampe anteriori<br />

dell’animale). Molto probabilmente il leone aveva la<br />

funzione <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>ano (assieme ad una scultura gemella)<br />

della porta <strong>di</strong> un sepolcro monumentale. A S. Antioco si<br />

trovano tombe con dromos (lungo corridoio) con più camere.<br />

Due leoni in pietra calcarea, che quasi certamente<br />

erano posti ai lati <strong>di</strong> una porta, sono conservati nel museo.<br />

Queste due sculture (simili ai leoni dell’isola <strong>di</strong> Delo) e la<br />

protome leonina, pur nella loro originalità, hanno<br />

subito l’influenza dominante del mondo<br />

greco. Per la Magna Grecia possiamo<br />

citare le gronde leonine tipiche<br />

delle architravi dei templi della Sicilia,<br />

che ovviamente era in stretto<br />

contatto col mondo fenicio-punico<br />

della Sardegna. Da non <strong>di</strong>menticare,<br />

comunque, anche i leoni funerari<br />

tipici dell’Etruria meri<strong>di</strong>onale, con<br />

esempi a Cerveteri e a Vulci. Per la<br />

datazione posssiamo ipotizzare il periodo<br />

tra la fine del V e il IV secolo<br />

avanti Cristo: una protome simile è<br />

inserita nelle mura persiane <strong>di</strong> Biblo,<br />

risalenti all’incirca allo stesso<br />

periodo. Da ricordare infine<br />

che i leoni fiancheggiano il trono<br />

della dea Cibele, la grande<br />

dea madre identificabile con Astarte fenicia.<br />

Forse un giorno riusciremo a ritrovare il luogo preciso<br />

della collocazione originaria del “leone <strong>di</strong> Sulky” e a definirne<br />

la funzione con certezza. Per ora non ci resta che<br />

ammirarlo, insieme ad altre straor<strong>di</strong>narie opere d’arte del<br />

passato, nella meravigliosa collezione <strong>di</strong> un appassionato<br />

ed ammirevole mecenate.<br />

Il Museo Archeologico <strong>di</strong> Sant’Antioco<br />

PIERO BARTOLONI<br />

Nel 1956, nell’abitato <strong>di</strong> Sant’Antioco, antica Sulky,<br />

ebbero inizio le fruttuose campagne <strong>di</strong> scavo nelle<br />

aree del tofet e della necropoli ipogea <strong>di</strong> età punica. Gli<br />

scavi erano condotti dal Soprintendente, Gennaro Pesce,<br />

e dall’allora Ispettore, Ferruccio Barreca. Molte centinaia<br />

<strong>di</strong> stele in pietra, decorate in prevalenza con figure umane,<br />

e <strong>di</strong> urne fittili, unite ad altrettanti vasi in terracotta<br />

decorati e non, che facevano parte dei corre<strong>di</strong> tombali, imposero<br />

la creazione <strong>di</strong> un luogo ove conservare tutta questa<br />

messe <strong>di</strong> reperti. D’altro canto, la <strong>di</strong>stanza con il capo-<br />

111<br />

ANNALI 2008


IL MUSEO<br />

luogo cagliaritano e la mancanza <strong>di</strong> spazi adeguati all’interno<br />

del Museo Archeologico Nazionale <strong>di</strong> Cagliari, obbligarono<br />

la Soprintendenza a creare a Sant’Antioco un<br />

deposito sia pur temporaneo che potesse ospitare la maggior<br />

parte dei reperti.<br />

Occorre premettere che, nello stesso periodo, nell’area<br />

a<strong>di</strong>acente al settore della necropoli punica ipogea, denominata<br />

Is Pirixeddus (le piccole pere), era stata iniziata la<br />

costruzione <strong>di</strong> tre palazzine a due piani destinate all’e<strong>di</strong>lizia<br />

popolare. Questi e<strong>di</strong>fici dovevano sorgere a quella che<br />

all’epoca era la imme<strong>di</strong>ata periferia del paese, cioè alla<br />

sommità della cresta che, dalla cattedrale <strong>di</strong> Sant’Antioco,<br />

de<strong>di</strong>cata al Santo Protomartire della Sardegna, giungeva<br />

fino ad un nuraghe polilobato su cui poi in età sabauda fu<br />

costruito un fortino. Conclusi i lavori del primo e<strong>di</strong>ficio e<br />

iniziati quelli per la realizzazione dei successivi, i funzionari<br />

dell’allora Soprintendenza Archeologica per la Sardegna<br />

tra le trincee <strong>di</strong> fondazione rinvennero vistose tracce<br />

<strong>di</strong> antichi e<strong>di</strong>fici. Questi, rivelatisi in parte relativi alle<br />

fortificazioni <strong>di</strong> età punica e in parte riguardanti forse un<br />

grande santuario <strong>di</strong> età romana repubblicana, imposero<br />

prima l’arresto imme<strong>di</strong>ato dei lavori e poi il loro definitivo<br />

abbandono. Le Autorità comunali spostarono il cantiere<br />

per le case popolari in un’altra area e il secondo piano dell’unica<br />

palazzina già e<strong>di</strong>ficata fu dato in uso come deposito<br />

temporaneo alla Soprintendenza Archeologica. Questi<br />

due piccoli appartamenti costituirono il nucleo del futuro<br />

Museo Archeologico Comunale <strong>di</strong> Sant’Antioco.<br />

Infatti, l’allora Ispettore Ferruccio Barreca, sotto la cui<br />

responsabilità venivano compiute le ricerche archeologiche<br />

nel tofet e nella necropoli, decise che almeno una parte<br />

dei materiali conservati nel magazzino improvvisato<br />

meritava <strong>di</strong> essere esposta al pubblico go<strong>di</strong>mento. In realtà<br />

non si trattava <strong>di</strong> un vero e proprio museo, ma <strong>di</strong> un deposito,<br />

per <strong>di</strong> più temporaneo. Si deve dunque alla lungimiranza<br />

<strong>di</strong> Ferruccio Barreca, alla cui memoria è stato op-<br />

ANNALI 2008 112<br />

portunamente intitolato<br />

l’attuale museo, se<br />

oggi a Sant’Antioco apre<br />

i battenti il Museo<br />

Archeologico Comunale.<br />

Negli anni successivi<br />

gli oggetti contenuti in<br />

questo deposito furono<br />

in parte collocati in una<br />

esposizione temporanea,<br />

allestita in un locale<br />

del monte granatico<br />

<strong>di</strong> Sant’Antioco, appositamente<br />

restaurato.<br />

Il progetto per il<br />

nuovo museo fu varato<br />

attorno al 1970 e nel<br />

1973 fu e<strong>di</strong>ficata la<br />

struttura, con i fon<strong>di</strong><br />

messi a <strong>di</strong>sposizione<br />

dalla Cassa del Mezzo-<br />

giorno. Dopo lunghe<br />

vicissitu<strong>di</strong>ni e numerosi passaggi dell’e<strong>di</strong>ficio da un ente<br />

all’altro, verso la metà degli anni ’90 la struttura è finalmente<br />

approdata sotto la giuris<strong>di</strong>zione dell’Amministrazione<br />

Comunale, che, grazie anche ai fon<strong>di</strong> messi a <strong>di</strong>sposizione<br />

dalla Regione Autonoma della Sardegna, è stata in<br />

grado <strong>di</strong> completare le opere murarie, <strong>di</strong> mettere a punto<br />

gli impianti e <strong>di</strong> allestire gli arre<strong>di</strong> interni. Il museo è inserito<br />

nell’area archeologica del tofet, che lo sovrasta.<br />

L’allestimento del museo è stato curato da chi vi parla,<br />

con la collaborazione <strong>di</strong> Paolo Bernar<strong>di</strong>ni, Direttore della<br />

Soprintendenza Archeologica, e con l’aiuto imprescin<strong>di</strong>bile<br />

<strong>di</strong> giovani stu<strong>di</strong>osi e studenti dell’Università <strong>di</strong> Sassari,<br />

tra i quali Michele Guirguis, del Personale della sezione<br />

<strong>di</strong> Sant’Antioco della Soprintendenza Archeologica<br />

e del Personale della Società Cooperativa Archeotur <strong>di</strong><br />

Sant’Antioco.<br />

Oggi il Museo Archeologico Comunale <strong>di</strong> Sant’Antioco,<br />

grazie agli accor<strong>di</strong> e alla collaborazione della Soprintendenza<br />

archeologica per le Province <strong>di</strong> Cagliari e Oristano,<br />

è pronto ad accogliere le istanze, l’interesse e il desiderio<br />

<strong>di</strong> conoscere e <strong>di</strong> sapere dei più giovani, degli stu<strong>di</strong>osi,<br />

dei turisti e, in definitiva, <strong>di</strong> tutti coloro, citta<strong>di</strong>nanza<br />

compresa, che sono desiderosi <strong>di</strong> apprendere la storia<br />

e le vicende del più antico agglomerato urbano della Sardegna.<br />

Questo museo si presenta come la più importante<br />

esposizione monografica della Sardegna, relativa alla civiltà<br />

fenicia e punica, poiché ospita le testimonianze <strong>di</strong> un<br />

unico grande centro urbano dell’antichità, centro urbano<br />

che, allo stato attuale delle ricerche, risulta il più antico<br />

della Sardegna.<br />

Allo scopo il museo è stato allestito seguendo un percorso<br />

storico, che, dalle origini dell’occupazione del territorio<br />

da parte dell’uomo e dalle brume della preistoria,<br />

conduce fino all’impero romano e alla fine del mondo an-


tico. Tutti gli oggetti sono esposti in vetrine <strong>di</strong> tre <strong>di</strong>fferenti<br />

<strong>di</strong>mensioni, che ne permettono una completa visuale.<br />

L’esposizione è aperta dalla vetrina allestita per i non<br />

vedenti, che, oltre ad un modello <strong>di</strong> nave da guerra cartaginese,<br />

contiene alcune riproduzioni <strong>di</strong> oggetti provenienti<br />

da contesti sacri, funerari o <strong>di</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana, che possono<br />

essere toccati. Le <strong>di</strong>dascalie dei materiali sono riprodotte<br />

anche in caratteri Braille.<br />

La prima sezione comprende alcune vetrine che presentano<br />

materiali d’uso quoti<strong>di</strong>ano e <strong>di</strong> provenienza funeraria,<br />

relativi al periodo Calcolitico e all’Età del Bronzo.<br />

Buona parte degli oggetti sono stati rinvenuti nell’area<br />

cosiddetta del Cronicario <strong>di</strong> Sant’Antioco, sotto le vestigia<br />

della città fenicia. Sono presenti tra l’altro frammenti<br />

relativi alla Cultura Ozieri e Sub Ozieri, imme<strong>di</strong>atamente<br />

precedente la Cultura <strong>di</strong> Monte Claro, cronologicamente<br />

inquadrabili a cavallo del IV e del III millennio a.C.<br />

Quanto alla ceramica nuragica, situata soprattutto nell’Età<br />

del Bronzo, sono presenti pochi ma significativi frammenti,<br />

relativi a brocche askoi<strong>di</strong> o a recipienti decorati a<br />

stampo o a incisione. Alcune vetrine della prima sezione<br />

sono de<strong>di</strong>cate alle collezioni private <strong>di</strong> Sant’Antioco o alle<br />

mostre temporanee.<br />

Tuttavia, come è intuitivo, il fulcro e il maggior numero<br />

dei reperti esposti nel museo è appartenente alla civiltà<br />

fenicia e punica e proviene dalle ricerche archeologiche<br />

effettuate nel sito durante l’ultimo cinquantennio. Infatti,<br />

la seconda sezione ospita ciò che è stato trovato nel corso<br />

dei decenni nella necropoli punica dell’antica Sulky. Questa<br />

sezione inizia superato il plastico ricostruttivo del tofet<br />

e <strong>di</strong> fronte da quello che riproduce l’antico porto. In cinque<br />

vetrine sono ospitati sia gli oggetti, soprattutto vasellame,<br />

che erano parte dei corre<strong>di</strong> <strong>di</strong> accompagnamento dei<br />

defunti, sia il corredo completo della tomba 9PGM, che,<br />

grazie al limitato numero degli oggetti, è stato possibile<br />

ospitare all’interno <strong>di</strong> una sola vetrina. È appunto in concomitanza<br />

con l’allestimento che sono emersi aspetti in<br />

precedenza solo sfiorati. Tra tutti, il limitato repertorio delle<br />

forme vascolari rinvenuto all’interno degli ipogei, che,<br />

per quanto riguarda le forme chiuse, non supera la decina<br />

<strong>di</strong> tipi. Ciò, confrontato con quanto risulta da un confronto<br />

con la ceramica <strong>di</strong> uso domestico adottata tra il V<br />

e il IV secolo a.C., se non altro <strong>di</strong>mostra l’appiattimento<br />

e la banalizzazione <strong>di</strong> alcune pratiche connesse con il rito<br />

funebre.<br />

Il vasto an<strong>di</strong>to, che accoglie parte delle vetrine della necropoli,<br />

è custo<strong>di</strong>to dai due gran<strong>di</strong> leoni in pietra, che all’origine<br />

probabilmente erano eretti a guar<strong>di</strong>a della porta<br />

settentrionale dell’antica cinta muraria. Si tratta <strong>di</strong> due<br />

splen<strong>di</strong>de sculture a tutto tondo, in grandezza naturale,<br />

ispirate a modelli vicino-orientali, in particolare siro-anatolici,<br />

che fin dal secondo millennio a.C. adornavano e sorvegliavano<br />

le porte delle antiche città.<br />

Superata la porta dei leoni, si accede alla terza sezione,<br />

anch’essa de<strong>di</strong>cata in parte alla necropoli punica, poiché,<br />

come è noto, in questo settore la cinta sulcitana separava<br />

l’area funeraria. Nell’ampio vano a destra è visibile<br />

una ricostruzione della tomba <strong>di</strong> via Belvedere, una delle<br />

tombe puniche più antiche rinvenuta verso la fine del<br />

2004, mentre, nelle vetrine lungo la parete opposta, sono<br />

conservati i gioielli, gli amuleti, le maschere in terracotta<br />

e le statuine rinvenute nelle <strong>di</strong>verse tombe. Una ulteriore<br />

vetrina ospita alcuni contenitori che, seguendo il rito dell’incinerazione<br />

<strong>di</strong> età ellenistica, conservano ossa <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui<br />

adulti.<br />

La seconda metà <strong>di</strong> questa sezione è de<strong>di</strong>cata al tofet,<br />

il santuario fenicio e punico de<strong>di</strong>cato al <strong>di</strong>o Baal Hammon<br />

e alla dea Tinnit, ove, con riti particolari, venivano deposte<br />

le ossa dei fanciulli mai nati o deceduti in tenerissima età<br />

e, comunque, prima dell’iniziazione. Le prime due vetrine<br />

contengono gli amuleti, i piccoli giochi e il vasellame<br />

in miniatura che accompagnavano i piccoli defunti, mentre<br />

le successive accolgono i vasi che nel corso del tempo<br />

costituirono le urne per le ossa bruciate dei bambini deposti<br />

nel santuario.<br />

L’an<strong>di</strong>to tra la terza e la quarta sezione conserva una<br />

vetrina nel cui interno sono esposti gli oggetti <strong>di</strong> una collezione<br />

privata recentemente acquisita dal Ministero per<br />

i Beni e le Attività Culturali e ceduta al museo. La collezione<br />

è composta da oltre duecento amuleti e da circa seicento<br />

vaghi <strong>di</strong> collana in vetro e pasta vitrea, oltre a tre<br />

coppe ed alcuni bracciali in argento e a oltre duecento bottoni<br />

in osso. Una delle coppe reca un’iscrizione punica <strong>di</strong><br />

oltre cento caratteri. Anche se non se ne conosce la provenienza,<br />

il materiale ha un carattere omogeneo sia per<br />

quanto riguarda la cronologia che per quel che attiene la<br />

tipologia. Infatti, gli amuleti alludono soprattutto alla maternità<br />

e all’infanzia, mentre tra i vaghi <strong>di</strong> collana mancano<br />

o sono assai rari quelli classici con ocelli.<br />

La quarta ed ultima sezione contiene i materiali, ceramiche,<br />

ossi e metalli rinvenuti nell’area cosiddetta del Cronicario,<br />

casa <strong>di</strong> riposo comunale degli anziani. In quest’area<br />

sono stati rinvenuti gli e<strong>di</strong>fici relativi alla prima città fenicia,<br />

datati attorno al 770 a.C., sormontati da un santuario,<br />

forse <strong>di</strong> Demetra, e da abitazioni del III e II secolo a.C.<br />

Proprio nel segno della continuità, nella stessa sezione sono<br />

visibili i corre<strong>di</strong> tombali della necropoli <strong>di</strong> età romana<br />

imperiale, che concludono l’esposizione.<br />

Alcuni plastici attualmente ancora in allestimento contribuiscono<br />

opportunamente ad integrare l’esposizione ed<br />

hanno una funzione prettamente <strong>di</strong>dattica: si tratta <strong>di</strong> un<br />

enorme pianta tri<strong>di</strong>mensionale dell’isola <strong>di</strong> Sant’Antioco<br />

in scala 1:2500, delle <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> m 3,5x3, ove, utilizzando<br />

un’apposita consolle, possono essere in<strong>di</strong>cate con<br />

punti luminosi tutte le località d’interesse archeologico<br />

dell’isola. Un ulteriore plastico riproduce un’immagine<br />

ideale, ma non molto <strong>di</strong>stante dalla realtà, dell’antico porto<br />

della città, mentre una grande vasca contiene le riproduzioni<br />

in scala 1:20 <strong>di</strong> una nave da carico e <strong>di</strong> una nave<br />

da guerra in uso in età fenicia.<br />

Il Museo Archeologico Comunale “Ferruccio Barreca”<br />

<strong>di</strong> Sant’Antioco, con la ricchezza e l’interesse dei materiali<br />

conservati, si pone senza dubbio tra i musei più importanti<br />

tra quelli de<strong>di</strong>cati alla civiltà fenicia e punica.<br />

113<br />

ANNALI 2008


suoi primi lavori in legno,<br />

per poi passare alla<br />

pietra, prosegue il suo<br />

percorso artistico con la<br />

lavorazione <strong>di</strong> entrambe.<br />

Attualmente si de<strong>di</strong>ca<br />

a tempo pieno alla ricerca<br />

e alla creazione<br />

delle sue opere.<br />

Nasce a Sant’Antioco il<br />

27 novembre 1941;<br />

1980 - scopre la vocazione<br />

alla scultura e<br />

inizia il suo percorso<br />

LIBERTÀ SPAZIO<br />

artistico;<br />

Agosto 1982 - si presenta al pubblico<br />

con la sua prima personale tenuta a<br />

Sant’Antioco;<br />

ANNALI 2008 114<br />

L’Artista Antiochense<br />

“Gianni Salidu”<br />

’arte è un linguaggio che mi consente <strong>di</strong> esprimere<br />

“N tutto ciò che non si può trasmettere con le parole”<br />

GIANNI SALIDU<br />

Gianni Salidu, inizia la sua attività artistica traendo dall’isola<br />

sulcitana ispirazione per le proprie opere, realizza i<br />

GIANNI SALIDU<br />

1984 - Allestimento del presepe artistico<br />

a Sant’Antioco in un ipogeo punico.<br />

L’appuntamento biennale prosegue<br />

tutt’oggi;<br />

1986 - Inizio delle esposizioni oltre Tirreno:<br />

Fiorano Modenese (MO) - Lacchiarella<br />

(MI) e, nel 1990 nel centro<br />

CIAS Club dell’UNESCO a Roma;<br />

1991 - Ha inizio la collaborazione con la<br />

cooperativa Monte Meana per l’allestimento<br />

del presepe artistico anche<br />

nella grotta calcarea <strong>di</strong> Is zuddas -<br />

Santa<strong>di</strong>. L’appuntamento artistico <strong>di</strong><br />

fine anno è imperniato ancora oggi sulla natività dell’artista,<br />

che annualmente viene rinnovata;<br />

1993 - Partecipazione al primo simposio <strong>di</strong> scultura. Dal<br />

’93 l’artista ha partecipato ogni anno ad un simposio,<br />

alcuni a Sant’Antioco, altri a Cortoghiana, Ittiri, Jerzu,<br />

etc...<br />

Ogni anno, nel mese <strong>di</strong> agosto, allestisce una personale<br />

a Sant’Antioco. Salidu è un profondo conoscitore<br />

delle culture tribali: In<strong>di</strong>a, Malesia, Indonesia, Thaiwan,<br />

Sud Africa, Marocco e Turchia. Ha viaggiato molto anche<br />

in Europa (Austria, Germania, Belgio, Grecia), Senegal,<br />

Gambia e Brasile. Si è potuto così confrontare con<br />

<strong>di</strong>verse culture e manifestazioni artistiche. È proprio grazie<br />

al contrasto artistico dei luoghi visitati e al confronto<br />

<strong>di</strong> questi con la sua terra che ogni sua opera prende vita,<br />

si anima, come fosse lo specchio della crescita ed<br />

espressione interiore dell’artista.<br />

Alcune recensioni<br />

Nelle sue pietre e nei suoi legni c’è una forza impressionante,<br />

ti si parano davanti con la stessa consistenza <strong>di</strong><br />

una collina o <strong>di</strong> un albero, e al tempo stesso cariche <strong>di</strong> me<strong>di</strong>aniche<br />

corrispondenze: hanno i tratti e le figure <strong>di</strong> ciò<br />

che ci circonda e pure<br />

vivono in una loro<br />

aurea remota e assoluta.<br />

Presenze, che<br />

sono collocate nella<br />

loro primor<strong>di</strong>ale sembianza,<br />

spesso racchiusa<br />

nel tempo interminabiledell’archetipo,<br />

dove comincia<br />

la vita, e nascono<br />

i miti e gli dei. Hanno<br />

la stessa sostanza e<br />

forma degli eventi <strong>di</strong><br />

natura, ...e per sottili<br />

corrispondenze evocano<br />

tempi <strong>di</strong> origine e <strong>di</strong> creazione che<br />

circondano in un enigma le civiltà e la storia<br />

dei popoli, i nuraghi della sua Sardegna,<br />

toccata dai Fenici, isola ponte <strong>di</strong> passaggi<br />

e contatti, che in Salidu rivivono per<br />

quella misteriosa magia che non è fatta <strong>di</strong><br />

libri ma <strong>di</strong> percorsi e <strong>di</strong> emergenze dal cerchio<br />

profondo...<br />

Prof. ELIO MERCURI<br />

critico d’arte (Roma)<br />

UNIONE<br />

VENERE “LIBERTÀ” MATERNITÀ<br />

Il significato iconografico delle raffigurazioni<br />

legate al suo primo periodo artistico<br />

risentono dell’influenza del Mito, dell’Antico,<br />

dell’Arcano: basti osservare l’opera<br />

umana, dagli occhi semichiusi e pensosi,<br />

capelli lunghi, baffi folti e lunga barba,<br />

ci riporta ai busti degli antichi filosofi gre


ci, carichi <strong>di</strong> esperienza<br />

e maestri <strong>di</strong><br />

vita. Con l’Ar<strong>di</strong>a,<br />

opera realizzata in<br />

olivastro, l’artista si<br />

avvicina al mondo<br />

del folclore sardo: il<br />

Palio della montagna.<br />

In una delle<br />

sue opere lo scultore<br />

tocca un tema<br />

attualissimo e purtroppo<br />

tristemente<br />

frequente: la trage<strong>di</strong>a<br />

nucleare. In<br />

questa sua opera<br />

Salidu ha raggiunto<br />

la piena maturità<br />

sia artistica che<br />

sociale: come non<br />

COSTUMI SARDI - S. ANTIOCO<br />

commuoversi <strong>di</strong>-<br />

nanzi a questa Apocalisse, effigiata in primo piano dallo<br />

struggente abbraccio Madre-Figlio, sconvolti da tanto terrore.<br />

FRANCO ROSSI<br />

Ispett. Storico dell’Arte - Ministero BB.CC. (Roma)<br />

Lettera all’artista<br />

Caro Gianni,<br />

come tu sai, non sono né uno storico né un critico d’arte,<br />

ma figlio <strong>di</strong> questa terra antiochense che lavora nello specifico<br />

settore della Tutela del Patrimonio Culturale. Pertanto,<br />

le mie osservazioni, nascono esclusivamente dall’amore co-<br />

COSTUMI FEMMINILI E MASCHILI DELLA TRADIZIONE ISOLANA<br />

Con prudenza e senza alcuna presunzione, mi sento in<br />

dovere <strong>di</strong> fare alcune considerazioni sulla tua arte, sulla tua<br />

magistrale tecnica che riesce a plasmare la materia tutta.<br />

Il fatto che tu, a prescindere dalla materia utilizzata, sia<br />

essa un blocco <strong>di</strong> trachite o un tronco <strong>di</strong> ginepro, esprima<br />

magistralmente temi e soggetti così <strong>di</strong>versi ma facenti parte<br />

<strong>di</strong> un’unica matrice, legata al comune denominatore che<br />

rappresenta le ra<strong>di</strong>ci della nostra terra, danno, all’attento<br />

osservatore, la percezione dell’ecletticità dell’artista.<br />

Personalmente, la mia pre<strong>di</strong>lezione va alle figure femminili,<br />

<strong>di</strong>scendenti dalla Mater Me<strong>di</strong>terranea, che, con elegante<br />

sofferenza, stringono tra le mani, racchiuso in una<br />

sfera, la dualità del mondo: la nascita e la morte, la crea-<br />

COSTUMI SARDI - S. ANTIOCO<br />

zione e la <strong>di</strong>struzione.<br />

Dalle materie<br />

portate dal mare<br />

hai realizzato figure<br />

dal sapore mistico<br />

e orientale che ci<br />

riportano in<strong>di</strong>etro<br />

nel tempo, ove a<br />

bordo <strong>di</strong> una piccola<br />

imbarcazione il<br />

nostro Antico, Santo<br />

Taumaturgo, venuto<br />

da lontano, ha<br />

sofferto per portare<br />

avanti le sue idee e<br />

la sua missione.<br />

Oggi, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong><br />

secoli, il suo culto è<br />

ancora vivo e ci ha<br />

lasciato un messag-<br />

mune che ci lega alla nostra isola. gio: lo stesso che tu oggi riesci a trasmettere con le tue<br />

opere.<br />

La tua arte parla ed io sento parole <strong>di</strong> libertà, <strong>di</strong><br />

unione, <strong>di</strong> pietà e <strong>di</strong> superbia che attraverso il filo conduttore<br />

della tua opera, la Dea Madre, giungono in<br />

una <strong>di</strong>mensione senza confine, dove luce e tempo, che<br />

inesorabilmente scorrono, si materializzano in un<br />

unico messaggio d’amore: la tua arte.<br />

Con stima e amicizia<br />

ROBERTO LAI<br />

I costumi tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong><br />

Sant’Antioco<br />

I costumi tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> Sant’Antioco sono oggi indossati<br />

solo in occasione delle sagre religiose. Solo<br />

alcune fra le donne più anziane ancora portano<br />

ogni giorno una versione semplificata del costume<br />

tra<strong>di</strong>zionale. I costumi <strong>di</strong> Sant’Antioco sono <strong>di</strong> tipologia<br />

<strong>di</strong>versa in base alla posizione sociale <strong>di</strong> chi li<br />

indossa. Su “bistiri a nostrana” era indossato dalle<br />

donne della borghesia agricola. Comprende una gon-<br />

115<br />

ANNALI 2008


na a pieghe, “sa fardetta de mesu grana”, <strong>di</strong> colore rosso,<br />

in tessuto d’orbace finissimo, “su ventalliccu”, il grembiule<br />

nero ricamato, “su gipponi”, il corpetto stretto in raso o<br />

velluto, “sa camisa a polanias”, la camicia bianca ricamata,<br />

“su panneddu”, da mettere sulle spalle, “sa perr’e sera”, il<br />

fazzoletto ricamato, “is bottinus” le scarpe rosse con il tacco,<br />

i gioielli: “sa gioia” (un ciondolo), “is arreccadas” (gli<br />

orecchini), “is aneddus” (gli anelli).<br />

“Sa massaia”, la donna <strong>di</strong> casa vestiva in modo più semplice<br />

e senza gioielli (a parte la fede). In questo vestito si<br />

ritrovano “su gipponi”, “sa perr’e sera”, “su ventalliccu”.<br />

Sul capo una cuffia rossa “sa scuffia”, ai pie<strong>di</strong> gli zoccoli in<br />

legno fasciati da una banda rossa: “is cappus”.<br />

1) M. PERRA, ΣΑΡ∆Ω, Sar<strong>di</strong>nia, Sardegna,<br />

voll. I-III, Oristano 1997.<br />

2) S.F. BONDÌ, Osservazioni sulle fonti<br />

classiche per la colonizzazione della Sardegna,<br />

Saggi Fenici (Collezione <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Fenici, 6),<br />

Roma 1975, pp. 49-66.<br />

3) M.G. GUZZO AMADASI, Le iscrizioni<br />

fenicie e puniche delle colonie in Occidente<br />

(Stu<strong>di</strong> Semitici, 28), Roma 1967, pp. 129-31.<br />

4) F. CENERINI, L’epigrafia <strong>di</strong> frontiera: il<br />

caso <strong>di</strong> Sulci punica in età romana, in Epigrafia<br />

<strong>di</strong> confine. Confine dell’epigrafia, Atti del Colloquio<br />

AIEGL Borghesi 2003, a cura <strong>di</strong> M.G.<br />

ANGELI BERTINELLI e A. DONATI, Faenza<br />

2004, pp. 223-237.<br />

5) P. BARTOLONI, G. GARBINI, Una<br />

coppa d’argento con iscrizione punica da Sulcis,<br />

“Rivista <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Fenici”, 27, 1999, pp. 79-91.<br />

6) P. BARTOLONI, S.F. BONDÌ, S. MO-<br />

SCATI, La penetrazione fenicia e punica in Sardegna.<br />

Trent’anni dopo (Memorie dell’Accademia<br />

Nazionale dei Lincei, 9,1), Roma 1997.<br />

7) P. BARTOLONI, Sulcis (Itinerari, 3),<br />

Roma 1989, pp. 27-59; P. BARTOLONI, Fenici<br />

e Cartaginesi nel Sulcis, Cagliari 2003; P.<br />

BARTOLONI, P. BERNARDINI, I Fenici, i<br />

Cartaginesi e il mondo in<strong>di</strong>geno <strong>di</strong> Sardegna tra<br />

l’VIII e il III secolo a.C., “Sar<strong>di</strong>nia, Corsica et<br />

Baleares Antiquae”, 2, 2004, pp. 57-64 P.<br />

BARTOLONI, Il museo archeologico comunale<br />

“Ferruccio Barreca” <strong>di</strong> Sant’Antioco (Guide e<br />

Itinerari, 40), Sassari 2007, pp. 12-63.<br />

8) V. SANTONI, La preistoria e la protostorica,<br />

(ed. P. BARTOLONI), Sulcis, Roma<br />

1989, pp. 63-78.<br />

9) S. MOSCATI, Chi furono i Fenici, Torino<br />

1992; ID., Il tramonto <strong>di</strong> Cartagine, Torino<br />

1993; ID., Introduzione alle guerre puniche,<br />

Torino 1994; P. BARTOLONI, Nuove testimonianze<br />

sui commerci sulcitani, Mozia - XI<br />

(Quaderni <strong>di</strong> Antichità Fenicie e Puniche, 2),<br />

Roma 2005, pp. 557-78.<br />

10) P. BARTOLONI, Nuove testimonianze<br />

arcaiche da Sulcis, “Nuovo Bullettino Archeologico<br />

Sardo”, 2, 1985, pp. 167-92.<br />

11) P. BARTOLONI, Per la cronologia del-<br />

ANNALI 2008 116<br />

l’area urbana <strong>di</strong> Sulky, “QuadCagliari”, 21,<br />

2004, pp. 51-55; ID., Nuovi dati sulla cronologia<br />

<strong>di</strong> Sulky, in L’Africa romana: Atti del<br />

XVII Convegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, Sevilla 2006, in<br />

stampa.<br />

12) P. BERNARDINI, Un inse<strong>di</strong>amento fenicio<br />

a Sulci nella seconda metà dell’VIII sec.<br />

a.C., Atti del II Congresso Internazionale <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong><br />

Fenici e Punici, Roma 1987, Roma 1991,<br />

pp. 663-673<br />

13) P. BARTOLONI, Le necropoli della<br />

Sardegna fenicia: El mundo funerario. Actas del<br />

III Seminario Internacional sobre temas fenicios,<br />

Guardamar del Segura, 3 a 5 de mayo de<br />

2002, Alicante 2004, pp. 117-30.<br />

14) P. BARTOLONI, Orizzonti commerciali<br />

sulcitani tra l’VIII e il VII secolo a.C.,<br />

“Ren<strong>di</strong>conti dell’Accademia Nazionale dei<br />

Lincei”, 41, 1986, pp. 219-226.<br />

15) P. BARTOLONI, Le relazioni tra Cartagine<br />

e la Sardegna nei secoli VII e VI a.C.:<br />

Egitto e Vicino Oriente, 10 (1987), pp. 79-86.<br />

16) S.F. BONDÌ, Fenici e Punici nel Me<strong>di</strong>terraneo<br />

occidentale tra il 600 e il 500 a.C., in<br />

MAXH. La battaglia del Mare Sardonio, Cagliari<br />

- Oristano 2000, pp. 57-72; P. BAR-<br />

TOLONI, Fenici e Cartaginesi nel Sulcis, Cagliari<br />

2003<br />

17) P. BARTOLONI, Il controllo del territorio<br />

nella Sardegna fenicia e punica, Fra Cartagine<br />

e Roma, Seminario <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> italo-tunisino<br />

(Epigrafia e Antichità, 18), Bologna 2002, pp.<br />

79-86.<br />

18) P. BARTOLONI, Contributo alla cronologia<br />

delle necropoli fenicie e puniche <strong>di</strong> Sardegna,<br />

“Rivista <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Fenici”, 9 Supplemento,<br />

1981, pp. 13-29.<br />

19) P. BARTOLONI, La tomba 2 AR della<br />

necropoli <strong>di</strong> Sulcis: Rivista <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Fenici, 15<br />

(1987), pp. 57-73; ID., Riti funerari fenici e<br />

punici nel Sulcis: Riti funerari e <strong>di</strong> olocausto nella<br />

Sardegna fenicia e punica, Atti dell’incontro<br />

<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, Sant’Antioco, 3-4 ottobre 1986,<br />

(QuadCagliari, 6, 1989, supplemento), Cagliari<br />

1990, pp. 67-81; P. BERNARDINI, Sistemazione<br />

dei feretri e dei corre<strong>di</strong> nelle tombe<br />

Sobrio ma fiero il vestito de “Su massaiu”, l’uomo, caratterizzato<br />

dai colori nero dei pantaloni “is cracciònis”,<br />

tessuti in orbace e tenuti stretti in vita da una cintura in<br />

cuoio e dal bianco della camicia in lino ricamata: “sa camisa”.<br />

Alla cintura viene sempre tenuto un fazzoletto piegato,<br />

<strong>di</strong> colore rigorosamente rosso. Sul capo una “berritta”<br />

nera; le scarpe sono ricoperte da ghette, sempre nere,<br />

“is cràccias”.<br />

Il corpetto nero, da indossare sopra la camicia (“su cossu”)<br />

è adornato da una doppia fila <strong>di</strong> monete dorate usate<br />

a mo’ <strong>di</strong> bottoni. Il cappotto <strong>di</strong> lana marrone, “su gabbanu”,<br />

bellissimo, comodo ed elegante, è più somigliante<br />

ad un mantello che a un cappotto, ma ha le maniche.<br />

puniche: tre esempi da Sulcis: “Rivista <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong><br />

Fenici”, 27, 1999, pp. 133-146.<br />

20) P. BARTOLONI, Fortificazioni puniche<br />

a Sulcis, “Oriens Antiquus”, 10, 1971, pp.<br />

147-154; ID., Fortificazioni puniche nel Me<strong>di</strong>terraneo,<br />

“Cultura e Scuola”, 37, 1971, pp.<br />

193-198.<br />

21) P. BERNARDINI, Recenti indagini nel<br />

santuario tofet <strong>di</strong> Sulci, Atti V Congresso Internazionale<br />

<strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Fenici e Punici, Marsala-Palermo<br />

2000, Palermo 2005, pp. 1059-1070.<br />

22) P. BARTOLONI, Urne cinerarie arcaiche<br />

a Sulcis: “Rivista <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Fenici”, 16,<br />

1988, pp. 165-179.<br />

23) A. MATTONE in B. ANATRA, A.<br />

MATTONE, R. TURTAS, <strong>Storia</strong> dei Sar<strong>di</strong> e<br />

della Sardegna, vol. III, L’Età moderna, Jaca<br />

Book, Milano, 1989, pagg. 328 e seg.<br />

24) T. NAPOLI, Vita, Invenzione e Miracoli<br />

del glorioso martire Sant’Antioco detto volgarmente<br />

Sulcitano, Reale Stamparia, Cagliari,<br />

1784, pag. 15.<br />

25) A. LA MARMORA, Itinéraire de l’île<br />

de Sardaigne, Frères Bocca, Turin, 1860, pag.<br />

279.<br />

26) A. MASTINO, Diritto @ <strong>Storia</strong> N. 3 -<br />

Maggio 2004 - Tra<strong>di</strong>zione Romana, Il viaggio<br />

<strong>di</strong> Theodor Mommsen e dei suoi collaboratori in<br />

Sardegna per il Corpus Inscriptionum Latinarum<br />

sta in: www.<strong>di</strong>rittoestoria.it/3/Tra<strong>di</strong>zioneRomana/Mastino-Viaggio-<strong>di</strong>-Mommsen-in-<br />

Sardegna.<br />

27) O. MARUCCHI, Epigrafia cristiana,<br />

Ulrico Hoepli, Milano, 1910, pag. 67.<br />

28) G. DETTORI, in Biblioteca Sanctorum,<br />

Istituto Giovanni XXIII nella Pontificia Università<br />

Lateranense, Roma, Vol. II, 1962, pag.<br />

68.<br />

29) L. PORRU, R. SERRA, R. CORO-<br />

NEO, Sant’Antioco - Le Catacombe - La Chiesa<br />

Martyrium-I frammenti scultorei, STEF, Cagliari,<br />

1989, pag. 88.<br />

30) Ibidem, pag. 29.<br />

31) Ibidem, pag. 11.<br />

32) A. LA MARMORA, Itinéraire de l’île


de Sardaigne, Frères Bocca, Turin, 1860, pag.<br />

279.<br />

33) S. PINTUS, Sar<strong>di</strong>nia Sacra, Vol. I, Tipografia<br />

Canelles, Iglesias, 1904, pag. 65.<br />

34) F. PILI, Le meraviglie <strong>di</strong> Sant’Antioco<br />

Martire Sulcitano, E<strong>di</strong>zioni “Santuario S. Antioco”,<br />

Cagliari, 1984, pag. 34<br />

35) B.R. MOTZO, La donazione dell’isola<br />

sulcitana a S. Antioco, in Archivio Storico Sardo<br />

- Vol. XIII, Cagliari, 1920, pag. 88.<br />

36) F. LANZONI, Le <strong>di</strong>ocesi d’Italia, Dalle<br />

origini al principio del secolo VII (an. 604),<br />

Stabilimento grafico F. Lega, Faenza ,1927.<br />

pag. 670.<br />

37) Ibidem: (cf. “Rassegna Gregoriana”, an.<br />

1910, pagg. 47-8):<br />

Simmacus has arces cultu meliore novavit<br />

Marmoribus, titulis, nobilitate, fide;<br />

e (ivi) in un’altra iscrizione dello stesso papa<br />

si legge:<br />

Antistes portam renovavit Simmachus istam.<br />

38) A.F. SPADA, <strong>Storia</strong> della Sardegna<br />

Cristiana e dei suoi Santi, Il primo Millennio,<br />

E<strong>di</strong>trice S’Alvure, Oristano, 1994, pag. 208.<br />

39) E. DIEHL, Inscriptiones Latinae Christianae<br />

Veteres, vol. I, Berlino, 1961. pagg.<br />

850-1.<br />

40) O. MARUCCHI, Le catacombe romane,<br />

Desclée, Lefebvre e C., E<strong>di</strong>tori, Roma,<br />

1905, pag. 706.<br />

41) G. CALZA, G. BECATTI, Ostia, Istituto<br />

Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma,<br />

1987, pag. 59.<br />

42) O. MARUCCHI, Le catacombe romane,<br />

Desclée, Lefebvre e C., E<strong>di</strong>tori, Roma,<br />

1905, pag. 701.<br />

43) A. MASTINO, Diritto @ <strong>Storia</strong> N. 2 -<br />

Marzo 2003 - Lavori in corso - Contributi, La<br />

Sardegna cristiana in età tardo-antica, sta in:<br />

www.<strong>di</strong>rittoestoria.it/lavori2/Contributi/Mastino-Sardegna-Cristiana.<br />

44) AA.VV., Fiore dei Bollan<strong>di</strong>sti ovvero Vite<br />

dei Santi, Napoli, 1882.<br />

45) A. BOSCOLO, La Sardegna bizantina<br />

e alto-giu<strong>di</strong>cale, Chiarella, Sassari, 1978, pag.<br />

45.<br />

46) A.F. SPADA, <strong>Storia</strong> della Sardegna<br />

Cristiana e dei suoi Santi, Il primo Millennio,<br />

E<strong>di</strong>trice S’Alvure, Oristano, 1994, pag. 22.<br />

47) C. HALM, Victoris Vitensis - Persecvtionis<br />

africanae provinciae sub Geiserico et<br />

Hvnirico regibvs wandalorvm, Weidmannos,<br />

Berlino, 1961, pag. 71.<br />

48) A. BLAISE, Le vocabulaire latin des principaux<br />

thèmes liturgiques, Brepols, Turnhout<br />

(Belgique), 1966, pag. 519: ...Le mot antistes,<br />

chef, a désigné les évèques dès l’époque de Tertullien<br />

[Quintus Septimius Florens Tertullianus<br />

(150-220 circa)]. Dans le latin liturgique,<br />

il est aussi courant que pontifex et episcopus.<br />

49) F. GROSSI GONDI, Trattato <strong>di</strong> Epigrafia<br />

cristiana latina e greca del mondo romano<br />

occidentale, Università Gregoriana, Roma,<br />

1920, pag. 148.<br />

50) P.G. SPANU, Martyria Sar<strong>di</strong>niae. I<br />

santuari dei martiri sar<strong>di</strong>, Oristano, 2000, pp.<br />

83-95.<br />

51) E. ATZENI, La preistoria del Sulcis<br />

Iglesiente, Cagliari, 1987 [ripubblicato in: Enrico<br />

Atzeni, Ricerche preistoriche in Sardegna,<br />

Cagliari, 2005, pp. 271-319].<br />

52) P. BARTOLONI, Fenici e Cartaginesi<br />

nel Sulcis, Cagliari, 2003.<br />

53) P. MELONI, “Sulcis e Iglesiente nel<br />

periodo romano”, in Iglesias. <strong>Storia</strong> e società,<br />

Iglesias, 1987, pp. 73-83.<br />

54) L. PORRU, “Riesame delle Catacombe<br />

(nuove osservazioni e rilievi)”, in L. POR-<br />

RU, R. SERRA, R. CORONEO, Sant’Antioco.<br />

Le Catacombe. La Chiesa Martyrium. I<br />

frammenti scultorei, Cagliari, 1989, pp. 13-83.<br />

55) R. TURTAS, “La <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Sulci tra il<br />

V e il XIII secolo”, in Sandalion, 18, 1995, pp.<br />

147-170.<br />

56) P.G. SPANU, La Sardegna bizantina<br />

tra VI e VII secolo, Oristano, 1998, pp. 47-55.<br />

57) R. CORONEO, Architettura romanica<br />

dalla metà del Mille al primo ’300, collana<br />

“<strong>Storia</strong> dell’arte in Sardegna”, Nuoro, 1993,<br />

p. 35, sch. 3.<br />

58) F. DE ESQUIVEL, Relacion de la invencion<br />

de los cuerpos santos que en los años<br />

1614, 1615, y 1616, fueron hallados en varias<br />

Yglesias de la Ciudad de Caller y su Arçobispado,<br />

Napoli, 1617, passim; Antioco Piseddu,<br />

L’arcivescovo Francesco Desquivell e la ricerca<br />

delle reliquie dei martiri cagliaritani nel<br />

secolo XVII, Cagliari, 1997.<br />

59) R. CORONEO, R. SERRA, Sardegna<br />

preromanica e romanica, collana “Patrimonio<br />

Artistico Italiano”, Milano, 2004, pp. 52-59.<br />

60) R. CORONEO, “Altari, pilastrini e<br />

plutei in Sardegna fra VI e VII secolo”, in Archivio<br />

Storico Sardo, XLII, 2002, pp. 15-17.<br />

61 R. CORONEO, Scultura me<strong>di</strong>obizantina<br />

in Sardegna, Nuoro, 2000, passim.<br />

62) R. CORONEO, “La basilica <strong>di</strong> San Saturnino<br />

a Cagliari nel quadro dell’architettura<br />

me<strong>di</strong>terranea del VI secolo”, in San Saturnino.<br />

Patrono della città <strong>di</strong> Cagliari nel 17° centenario<br />

del martirio. Convegno nell’aula consiliare<br />

del Comune <strong>di</strong> Cagliari, Cagliari, 2004,<br />

pp. 55-83.<br />

63) R. KRAUTHEIMER, Architettura paleocristiana<br />

e bizantina, Torino, 1986, pp.<br />

281-282.<br />

64) A.F. VACCA, “Forum Traiani: Πο´λις<br />

τειχη´ ρης”, in Città, territorio, produzione e<br />

commerci nella Sardegna me<strong>di</strong>evale. Stu<strong>di</strong> in<br />

onore <strong>di</strong> Letizia Pani Ermini offerti dagli allievi<br />

sar<strong>di</strong> per il settantesimo compleanno, a cura <strong>di</strong><br />

Rossana Martorelli, Cagliari, 2002, pp. 187-<br />

206.<br />

65) F. DE’ MAFFEI, E<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> Giustiniano<br />

nell’ambito dell’impero, Spoleto, 1988.<br />

66) R. SERRA, “La possibile memoria <strong>di</strong><br />

una fortezza bizantina in Sardegna: il ‘Castello<br />

Castro’ nell’isola <strong>di</strong> Sant’Antioco”, in Ar-<br />

chivio Storico Sardo, XXXVI, 1989, pp. 83-<br />

90.<br />

67) R. KRAUTHEIMER, Architettura sacra<br />

paleocristiana e me<strong>di</strong>evale, Torino, 1993,<br />

pp. 40-49.<br />

68) O. LILLIU, Il martyrium <strong>di</strong> S. Antioco<br />

nel Sulcis, Cagliari, 1986.<br />

69) R. CORONEO, “Sarcofagi marmorei<br />

del III-IV secolo d’importazione ostiense in<br />

Sardegna”, in La cristianizzazione in Italia, cit.,<br />

pp. 1353-1355.<br />

70) R. CORONEO, “Nuovo frammento<br />

epigrafico me<strong>di</strong>oellenico da Sant’Antioco”, in<br />

Theologica & Historica. Annali della Pontificia<br />

Facoltà Teologica della Sardegna, XII, 2003,<br />

pp. 315-331.<br />

71) Bellum Africanum, 98, 1.<br />

72) STRABONE, 5, 2 123.<br />

73) Cfr. CENERINI, Epigrafia <strong>di</strong> frontiera,<br />

cit.<br />

74) P. BARTOLONI, La navigazione nel<br />

Golfo <strong>di</strong> Oristano, Emporikòs Kòlpos. Il Golfo<br />

degli Empori dai Fenici agli Arabi, Oristano<br />

2005, pp. 11-13.<br />

75) R. ZUCCA, Insulae Sar<strong>di</strong>niae et Carsicae.<br />

Le isole minori della Sardegna e della Corsica<br />

nell’antichità, Roma 2003, pp. 212-14.<br />

76) A. MASTINO, Cornus nella storia degli<br />

stu<strong>di</strong>, Cagliari 1979; ID., Roma in Sardegna:<br />

l’occupazione e la guerra <strong>di</strong> Hampsicora,in <strong>Storia</strong><br />

della Sardegna antica, (ed. Attilio Mastino),<br />

Nuoro 2005, pp. 63-90.<br />

77) A. MASTINO, Roma in Sardegna: l’età<br />

imperiale: <strong>Storia</strong> della Sardegna antica, Nuoro<br />

2005, pp. 127-33.<br />

78) A.M. COLAVITTI, C. TRONCHET-<br />

TI, Nuovi dati sulle mura puniche <strong>di</strong> Sant’Antioco<br />

(Sulci), L’Africa Romana, Atti del XIII<br />

Congresso, Roma 2000, pp. 1321-31.<br />

79) C. TRONCHETTI, S. Antioco (= Guide<br />

e Itinerari, 12), Sassari 1989, pp. 41-42.<br />

80) P. BERNARDINI, I leoni <strong>di</strong> Sulci (=<br />

Sardò, 4), Sassari 1988, pp. 39-42.<br />

81) G. LILLIU, Antichità paleocristiane del<br />

Sulcis, “Nuovo Bullettino Archeologico Sardo”,<br />

1, 1984, pp. 283-300; L. PORRU, R.<br />

SERRA, R. CORONEO, Sant’Antioco. Le catacombe,<br />

la chiesa Martyrium, i frammenti scultorei,<br />

Cagliari 1989; L. PANI ERMINI, Sulci<br />

dalla tarda antichità al me<strong>di</strong>oevo: note preliminari<br />

<strong>di</strong> una ricerca, in Carbonia e il Sulcis. <strong>Archeologia</strong><br />

e territorio, Oristano 1995, pp.<br />

363-77.<br />

82) A. IBBA, L’esercito e la flotta: <strong>Storia</strong><br />

della Sardegna antica, (ed. Attilio Mastino)<br />

Nuoro 2005, pp. 393-404.<br />

83) Archivio <strong>di</strong> Stato Torino, Paesi-Sardegna-Materie<br />

Feudali-Feu<strong>di</strong> per A e B, Mazzo<br />

21, copia Archivio Comunale Sant’Antioco.<br />

84) Archivio <strong>di</strong> Stato Torino, Paesi-Sardegna-Materie<br />

Feudali-Feu<strong>di</strong> per A e B, Mazzo<br />

5, copia Archivio Comunale Sant’Antioco.<br />

117<br />

ANNALI 2008

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