Leggi - Associazione Nomentana di Storia e Archeologia Onlus
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ANNALI 2008 84<br />
Introduzione<br />
L<br />
’isola <strong>di</strong> Sant’Antioco della quale mi onoro <strong>di</strong> essere<br />
il sindaco, è situata presso la costa sud-occidentale<br />
della Sardegna, <strong>di</strong> fronte alla regione del Sulcis-Iglesiente.<br />
L’isola si estende per 109 km2 , è la più vasta della Sardegna<br />
e la quarta d’Italia. Essa è collegata all’entroterra<br />
costiero da un sottile istmo, lungo 5 km, creato da se<strong>di</strong>menti<br />
marini, che in termini propri forma una penisola<br />
che si affaccia a sud nel golfo <strong>di</strong> Palmas. Dista da Cagliari<br />
circa 90 km.<br />
Il suo clima è prevalentemente me<strong>di</strong>terraneo, con inverni<br />
brevi ed estati calde, asciutte, mitigate dai venti freschi<br />
<strong>di</strong> maestrale.<br />
Nei giorni <strong>di</strong> bonaccia, il paesaggio, pavoneggiandosi<br />
SANT’ANTIOCO<br />
ISOLA DI CULTURA ED EMOZIONI<br />
Ridente sovra un colle il borgo giace,<br />
<strong>di</strong> florida isoletta ad oriente,<br />
tra viti rigogliose, in suol ferace,<br />
che verso il mar pianeggia dolcemente.<br />
Sui ruderi, già spenti, <strong>di</strong> cittade<br />
un dì fiorente e ricca molto, ei sorse,<br />
dappoi che queste fertili contrade,<br />
dal Saracen crudele furon corse.<br />
...Così introduceva il suo scritto il Direttore Didattico Michele<br />
Caracciolo nel 1919...<br />
e così concludeva:<br />
Si, spero, che più lieto il dì risplenda<br />
Su questa terra bella e pur felice,<br />
e che pel mondo il grido mio si estenda:<br />
Trovata è alfine l’Araba Fenice.<br />
Il Villaggio <strong>di</strong> Sant’Antioco, ristampato nell’anno 2002<br />
dalla Basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco Martire, è un documento <strong>di</strong> altissimo<br />
valore, poiché ci fa conoscere cose oggi <strong>di</strong>menticate. Il<br />
professor Caracciolo all’inizio del secolo ha pensato <strong>di</strong> far qualcosa<br />
per l’isola che l’ospitava; dopo quasi un secolo, in veste<br />
del tutto <strong>di</strong>versa, abbiamo proposto un lavoro che speriamo sia<br />
utile a tutti coloro che stanno avendo un approccio con la nostra<br />
storia. L’attività svolta ha il solo fine <strong>di</strong> ricordare ciò che gli<br />
altri <strong>di</strong>menticano.<br />
In qualità <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>natore dei lavori relativi ai saggi qui<br />
pubblicati, desidero ringraziare tutti coloro che hanno voluto<br />
fortemente il gemellaggio tra il territorio Antiochense e quello<br />
<strong>di</strong> Guidonia sotto la bene<strong>di</strong>zione dei Santi Martiri Antioco e<br />
Sinforosa.<br />
Ringraziamenti<br />
Pertano si ringraziano in or<strong>di</strong>ne puramente casuale:<br />
Prof. Vittorio Sgarbi, per il suo pensiero;<br />
Dott. Eugenio Moscetti, per aver lavorato instancabilmente al<br />
progetto;<br />
Ing. Mario Corongiu, per esserne stato il promotore.<br />
Lgt. Santino Carta, per sentirsi figlio della nostra isola;<br />
Prof. Piero Bartoloni, per il suo saggio;<br />
Prof. Francesca Cenerini, per il suo saggio;<br />
Prof. Roberto Coroneo, per il suo saggio;<br />
Dott.ssa Grazia Villani, per il suo saggio;<br />
Dott.ssa Daniela Ibba, per il suo incoraggiamento;<br />
Sig. Giorgio Pinna, libero stu<strong>di</strong>oso, per il suo saggio;<br />
Sig. Marco Massa, libero stu<strong>di</strong>oso, per il suo saggio;<br />
Don Demetrio Pinna, per essere l’in<strong>di</strong>scusso padre del culto<br />
del Santo;<br />
Sig. Stefano Alessandrini, responsabile dei gruppi archeologici<br />
d’Italia per l’articolo sulla protome leonina da Sulky;<br />
Prof. Michele Caracciolo, per il saggio sul Villaggio <strong>di</strong> Sant’Antioco;<br />
Dott.ssa Maddalena Cima, Direttrice del Museo Barraco <strong>di</strong><br />
Roma, per la sua cortesia;<br />
Dott.ssa Cristina Bombasaro, mia moglie, per la selezione delle<br />
foto e la sua pazienza.<br />
Ringrazio infine per la concessione del prezioso materiale<br />
fotografico:<br />
Piero Bartoloni, Roberto Coroneo, Don Demetrio Pinna,<br />
Marco Massa, Grazia Villani, Cristina Bombasaro,<br />
Basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco, Salvatore Selis,<br />
Cattedrale <strong>di</strong> Sassari, Chiesa <strong>di</strong> Sant’Antonio Abate a<br />
Maracalagonis, Chiesa <strong>di</strong> Fluminimaggiore,<br />
e tutti coloro che in modo <strong>di</strong>retto e in<strong>di</strong>retto hanno collaborato<br />
con me e mi hanno incoraggiato. ROBERTO LAI<br />
nella sua laguna animata da colonie <strong>di</strong> fenicotteri rosa,<br />
sembra uscito dalla tavolozza <strong>di</strong> un pittore.<br />
A pochi km dal paese si raggiungono spiagge d’incomparabili<br />
bellezze, che stupiscono l’occasionale visitatore.<br />
L’isola nasce durante il periodo del Miocene, circa 25<br />
milioni <strong>di</strong> anni fa, e si <strong>di</strong>stacca dalla Sardegna a causa <strong>di</strong><br />
poderosi movimenti tettonici. Molti milioni <strong>di</strong> anni dopo,<br />
l’isola assume l’attuale morfologia, prevalentemente pianeggiante.<br />
Registra la presenza <strong>di</strong> rocce calcaree e trachitiche,<br />
con una rara vegetazione <strong>di</strong> tipo me<strong>di</strong>terraneo: la<br />
palma nana, considerata un fossile vivente, antico <strong>di</strong> milioni<br />
<strong>di</strong> anni, il mirto, il leccio, l’olivastro, il corbezzolo, il<br />
rosmarino selvatico, il ginepro fenicio, il lentischio e tanta<br />
altra vegetazione me<strong>di</strong>terranea.<br />
Più tar<strong>di</strong>, intorno al 1800 a.C. i Fenici effettuarono le<br />
prime invasioni della Sardegna e delle sue isole minori, svi-
luppando la civiltà dei nuraghi<br />
e delle domus de janas,<br />
ossia tombe in miniatura<br />
scavate nelle rocce,<br />
oltre alle necropoli denominate<br />
“tombe dei giganti”.<br />
La dominazione fenicia<br />
durò sino al 500 a.C.<br />
dopo<strong>di</strong>ché furono i cartaginesi<br />
a stabilire inse<strong>di</strong>amenti<br />
in Sardegna e fondarono<br />
le prime città, quali<br />
Cagliari, Tharros, Nora e<br />
Sulci, e quest’ultima, in<br />
onore del nostro Santo<br />
Martire, <strong>di</strong>venne isola <strong>di</strong><br />
Sant’Antioco.<br />
I romani, apparvero in<br />
Sardegna nel 238 a.C.<br />
Durante l’impero <strong>di</strong> Adriano, (II sec. d.C.), erano in atto<br />
furiose persecuzioni verso i cristiani, i quali, per non essere<br />
arrestati e uccisi, emigrarono verso terre più tranquille.<br />
Secondo la leggenda agiografica, Antioco, me<strong>di</strong>co Mauritano,<br />
arrivò sulla costa <strong>di</strong> Sulci durante l’epurazione cristiana<br />
per <strong>di</strong>ffondere la fede <strong>di</strong> Cristo, che in poco tempo<br />
raggiunse ogni anfratto della Sardegna. Qui, la sua fede fu<br />
recepita e accettata dalla popolazione sarda, ma non dai<br />
persecutori che, recatisi a Sulci per arrestarlo, lo trovarono<br />
già morto nelle grotte ove si era recato a pregare.<br />
La notizia della morte del nobile pre<strong>di</strong>catore sconvolse<br />
il popolo sardo ormai evangelizzato. In suo onore, in tutta<br />
la Sardegna, fiorirono opere religiose avendolo riconosciuto<br />
il primo apostolo martire della cristianità sulla grande<br />
isola sarda. E fu così che il territorio <strong>di</strong> Sulci venne rinominato<br />
“Isola <strong>di</strong> Sant’Antioco” e Antioco, “Patrono <strong>di</strong><br />
tutta la Sardegna”.<br />
Tessere le lo<strong>di</strong> <strong>di</strong> un martire che la Chiesa ha voluto<br />
santificare, dando così lustro anche alla medesima isola è<br />
certamente gra<strong>di</strong>to al popolo antiochense, che si pregia<br />
d’aver dato ospitalità al Santo Patrono della Sardegna.<br />
L’iniziativa <strong>di</strong> potere in questa sede presentare, in una<br />
rivista così importante, il nostro Santo Patrono è per me<br />
motivo d’orgoglio. Il gemellaggio tra Sant’Antioco Sulcitano<br />
e Santa Sinforosa mette in posa una pietra miliare che<br />
deve essere l’inizio <strong>di</strong> un comune interesse nella valorizzazione<br />
dei nostri territori e della nostra millenaria cultura.<br />
I due Santi per or<strong>di</strong>ne dell’imperatore romano Adriano<br />
furono martirizzati, ma oggi questo triste evento è lontano<br />
e il mio pensiero và a tutti quei Santi che in momenti<br />
storici tristi hanno subito supplizi e martiri, ma il loro sacrificio<br />
non è stato vano in quanto ci hanno lasciato un<br />
messaggio che ancora oggi li vede protagonisti in questa<br />
sede che accomuna due territori sotto il fattore comune<br />
della fratellanza.<br />
IL SINDACO DI SANT’ANTIOCO<br />
DOTT. ING. MARIO CORONGIU<br />
Presentazione<br />
La Carta Costituzionale della Repubblica Italiana con<br />
l’articolo 9 recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo<br />
della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, tutela<br />
il paesaggio e il patrimonio storico artistico della nazione”.<br />
“Repubblica”, è parola <strong>di</strong> derivazione latina (res publica,<br />
‘la cosa pubblica’) che in<strong>di</strong>ca una forma <strong>di</strong> stato basata sul<br />
principio della sovranità popolare. Il termine fu usato per<br />
la prima volta a Roma nel 509 a.C., dopo la cacciata della<br />
<strong>di</strong>nastia etrusca dei Tarquini, per in<strong>di</strong>care la nuova forma<br />
<strong>di</strong> governo, antitetica alla monarchia e costruita sul concetto<br />
<strong>di</strong> bene comune, <strong>di</strong> cosa pubblica. Partendo da questo<br />
fondamentale principio, è a mio giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> particolare<br />
rilevanza <strong>di</strong>mostrare che i risultati conseguiti dalle Amministrazioni<br />
<strong>di</strong> uno Stato nella tutela del proprio patrimonio<br />
culturale sono parte integrante della comunità stessa<br />
trattandosi <strong>di</strong> beni pubblici. Tanto si è scritto e tanti sono<br />
stati i <strong>di</strong>battiti sul termine “Bene Culturale” impropriamente<br />
usato ed inopportunamente abusato. Tanto<br />
quasi da poter <strong>di</strong>re che la definizione sta dentro <strong>di</strong> noi ed<br />
ognuno la identifica a modo suo. Non sempre le leggi in<br />
materia <strong>di</strong> tutela, almeno fino al Testo Unico sui Beni Culturali<br />
del 1999, hanno fornito una definizione esauriente<br />
su tale termine. Regolare i conti con l’ere<strong>di</strong>tà del passato,<br />
trovando risposte giuste al bisogno <strong>di</strong> memoria storica, è<br />
il problema che si pone oggi con sempre maggior chiarezza<br />
a quanti hanno la responsabilità <strong>di</strong> garantire alla comunità<br />
la sopravvivenza e la fruizione dei Beni Culturali. La<br />
funzione che i Beni Culturali possono svolgere oggi, risiede<br />
nella determinazione della qualità ambientale e inse<strong>di</strong>ativa,<br />
quin<strong>di</strong> della qualità della vita <strong>di</strong> un ambito urbano.<br />
Valorizzare un bene culturale significa quin<strong>di</strong> riqualificare<br />
anche il tessuto urbano circostante. Questa premessa,<br />
per esternare profonda gratitu<strong>di</strong>ne a coloro che<br />
hanno voluto supportare l’iniziativa <strong>di</strong> questo Assessorato<br />
alla Cultura sulla promozione che vede in prima linea<br />
due territori: quello Antiochense e Nomentano. Oggi in<br />
85<br />
ANNALI 2008
sinergia con la prestigiosa <strong>Associazione</strong> <strong>Nomentana</strong> <strong>di</strong> <strong>Storia</strong><br />
e <strong>Archeologia</strong> ONLUS con il Comune <strong>di</strong> Guidonia<br />
Montecelio e sotto la protezione del nostro Patrono<br />
Sant’Antioco Sulcitano e Santa Sinforosa <strong>di</strong> Guidonia abbiamo<br />
sicuramente dato un ulteriore contributo alla valorizzazione<br />
dei nostri territori e della nostra cultura che vede<br />
comunque protagonisti le nostre comunità nella tutela<br />
del bene pubblico.<br />
L’ASSESSORE ALLA CULTURA DI SANT’ANTIOCO<br />
DOTT.SSA DANIELA IBBA<br />
Sant’Antioco Patrono della Sardegna<br />
ANNALI 2008 86<br />
Tra agiografia e leggenda<br />
ROBERTO LAI<br />
Dalle origini del cristianesimo ai primi martiri<br />
La religione Cristiana com’è noto prende il nome da<br />
Cristo appellativo <strong>di</strong> Gesù <strong>di</strong> Nazareth, nato tra il 7<br />
e il 4 a.C. in Palestina (anche se per tra<strong>di</strong>zione viene in<strong>di</strong>cata<br />
come data <strong>di</strong> nascita l’anno zero). Gesù nacque a Betlemme<br />
da Maria, sposa <strong>di</strong> Giuseppe, concepito per opera<br />
dello Spirito Santo: non è dunque un semplice uomo, ma<br />
uomo e Dio allo stesso tempo. Con Gesù, dunque, Dio<br />
sceglie <strong>di</strong> farsi uomo tra gli uomini. Il cristianesimo si presenta<br />
quin<strong>di</strong> da subito come religione universale, nata tra<br />
gli umili per portare il lieto annuncio a tutta l’umanità siano<br />
essi peccatori o giusti, schiavi o persecutori, donne o<br />
bambini. Inizialmente, la nuova religione trovò i suoi adepti<br />
tra la popolazione ebraica grazie all’azione <strong>di</strong> proselitismo<br />
degli Apostoli. Un notevole salto <strong>di</strong> qualità per il cristianesimo<br />
delle origini si ebbe con la conversione <strong>di</strong> San<br />
Paolo (Paolo <strong>di</strong> Tarso), eru<strong>di</strong>to <strong>di</strong> origini ebraiche e citta<strong>di</strong>no<br />
romano, che contribuì con i suoi viaggi ad estendere<br />
l’insegnamento del cristianesimo nel bacino del Me<strong>di</strong>terraneo<br />
e specialmente a Roma, dove morì nel 67, dopo esservi<br />
stato più volte incarcerato. San Paolo fu il primo intellettuale<br />
convertito al cristianesimo. Nel primo secolo il<br />
cristianesimo si <strong>di</strong>ffuse in tutta l’Asia Minore e nell’Africa<br />
settentrionale per poi arrivare in Europa e a Roma; l’Apostolo<br />
Pietro e Paolo <strong>di</strong> Tarso furono sicuramente i primi<br />
martiri: San Pietro conobbe personalmente il Cristo<br />
mentre San Paolo non lo conobbe <strong>di</strong>rettamente e pur non<br />
facendo parte dei 12 viene in<strong>di</strong>cato come tale. La loro<br />
opera li vide protagonisti nella Galazia, nella Capodacia,<br />
in Antiochia <strong>di</strong> Siria, in Bitinia e a Corinto. Probabilmente<br />
gli echi <strong>di</strong> questi evangelisti e dei loro seguaci che continuarono<br />
l’opera nell’Africa del nord arrivarono in quella<br />
regione in<strong>di</strong>cata come Mauretania che vede protagonista<br />
il nostro Antioco.<br />
Conoscere esattamente il numero esatto dei martiri è<br />
quasi impossibile, furono probabilmente migliaia. Secondo<br />
Tacito furono ingens multitudo. Il martirologio Gerominiano<br />
ne elenca 979. In seguito San Cipriano parlerà <strong>di</strong><br />
martirium innumerabilis populus. In questa sede non si<br />
vuole certo fare una cronologia <strong>di</strong> tutti i Santi Martiri ma<br />
per meglio comprendere il Santo sulcitano, dobbiamo capire<br />
dove esattamente si può collocare la sua educazione<br />
cristiana, ed in particolare quale fu il contesto storico sociale<br />
dove si formò.<br />
La prima presa <strong>di</strong> posizione dello Stato Romano contro<br />
i Cristiani risale all’imperatore Clau<strong>di</strong>o (41-54 d.C.).<br />
Gli storici Svetonio e Dione Cassio riferiscono che Clau<strong>di</strong>o<br />
fece espellere i giudei perché erano continuamente in<br />
lite fra loro per causa <strong>di</strong> un certo Chrestos. Lo storico Gaio<br />
Svetonio Tranquillo (70-140 ca.), funzionario imperiale <strong>di</strong><br />
alto rango sotto Traiano e Adriano, intellettuale e consigliere<br />
dell’imperatore, giustificherà questo e i successivi<br />
interventi dello Stato contro i Cristiani definendoli “superstizione<br />
nuova e malefica”.<br />
L’Imperatore Nerone accusò i cristiani <strong>di</strong> aver appiccato<br />
l’incen<strong>di</strong>o che <strong>di</strong>strusse la città nel 64; in questo scenario<br />
ebbe inizio la prima grande persecuzione che durò<br />
quattro anni, dal luglio del 64 al giugno del 68. Molto<br />
scarse sono le notizie della persecuzione che colpì i Cristiani<br />
nell’anno 89, sotto l’imperatore Domiziano. Di particolare<br />
importanza è la notizia riportata dallo storico greco<br />
Dione Cassio, che a Roma fu pretore e console. Nel libro<br />
67 della sua <strong>Storia</strong> Romana afferma che sotto Domiziano<br />
furono accusati e condannati “per ateismo” (ateòtes)<br />
il console Flavio Clemente e sua moglie Domitilla, e con<br />
loro molti altri che “avevano adottato gli usi giudaici”. L’accusa<br />
<strong>di</strong> ateismo, in questo secolo, è rivolta a chi non considera<br />
<strong>di</strong>vinità suprema la maestà imperiale. Domiziano,<br />
durissimo restauratore dell’autorità centrale, pretende il<br />
culto massimo alla sua persona, centro e garanzia della “civiltà<br />
umana”. Nel 111 Plinio il giovane, governatore della<br />
Bitinia sul Mar Nero, riferisce all’imperatore Traiano che<br />
il rifiuto da parte dei cristiani <strong>di</strong> offrire incenso e vino davanti<br />
alle statue dell’Imperatore gli sembra un atto <strong>di</strong> derisione<br />
sacrilega.<br />
L’Imperatore risponde: “I Cristiani non si devono perseguire<br />
d’ufficio. Se invece vengono denunciati e riconosciuti<br />
colpevoli bisogna condannarli”.<br />
Sotto l’imperatore Marco Aurelio (161-180) l’impero<br />
fu martoriato da carestie, pestilenze e da invasioni barbare;<br />
<strong>di</strong> tutto questo furono accusati i cristiani.<br />
Sotto Settimo Severo (193-211) ci furono altre persecuzioni<br />
ed altre e più terribili avvennero tra il 235-238<br />
sotto Massimino; tra il 249-251 sotto Decio; nel 251-253<br />
sotto Treboniano Gallo; tra il 253-260 sotto Valeriano; infine<br />
con gli e<strong>di</strong>tti del 303 e 304 sotto Diocleziano e Galerio.<br />
La fine definitiva delle persecuzioni arrivò dopo tre secoli<br />
dalla nascita <strong>di</strong> Cristo, precisamente nel 313, con l’e<strong>di</strong>tto<br />
<strong>di</strong> Milano, emesso da Costantino e Licinio. L’e<strong>di</strong>tto<br />
accordava ai cristiani la libertà <strong>di</strong> culto e la restituzione dei<br />
beni confiscati. Lo stesso Costantino fu il primo Imperatore<br />
convertito alla cristianità, tanto da presiedere il primo<br />
concilio ecumenico nel 325 a Nicea per contrastare<br />
l’eresia degli Ariani.<br />
I martirologi storici<br />
A partire dal II secolo nelle Chiese più importanti, come<br />
in quella <strong>di</strong> Cartagine, <strong>di</strong> Roma e <strong>di</strong> Antiochia, si teneva<br />
un martirologio aggiornato e compilato con dovizia<br />
<strong>di</strong> particolari. Consisteva in un vero e proprio calendario
dove veniva in<strong>di</strong>cato il nome dei Santi e il luogo della loro<br />
morte. In seguito le notizie vennero arricchite anche con<br />
una descrizione <strong>di</strong> come era avvenuto il decesso. Il più famoso<br />
è quello “gerolomita”, compilato nel VI secolo a Roma<br />
e impropriamente attribuito a San Girolamo. Nello<br />
stesso periodo si assiste alle Legendae l’usanza tra il clero<br />
<strong>di</strong> leggere, durante la Messa una breve storia della vita del<br />
santo <strong>di</strong> cui si celebrava il <strong>di</strong>es natalis, che per i cristiani è<br />
l’anniversario della morte corporale. Questi racconti in seguito<br />
vennero chiamati Passiones. Partendo da una base<br />
certa nelle legendae si dava più importanza all’immaginazione<br />
che alla storicità. Gli autori non mancavano <strong>di</strong> dare<br />
dettagli sulla crudeltà dei boia e dei magistrati, sulla durezza<br />
dei supplizi e sulla serena resistenza che i servi <strong>di</strong><br />
Dio opponevano ai loro persecutori. Al fine <strong>di</strong> colpire i fedeli<br />
venivano narrati miracoli fantastici e opere straor<strong>di</strong>narie<br />
per suscitare negli u<strong>di</strong>tori spirito <strong>di</strong> emulazione e<br />
ammirazione. L’agiografia è infatti quella parte letteraria<br />
che ha per oggetto i santi che hanno praticato le virtù in<br />
modo eroico e riconosciute dalla chiesa cattolica o <strong>di</strong><br />
un’altra chiesa cristiana.<br />
Le origini <strong>di</strong> Antioco<br />
La tra<strong>di</strong>zione ritiene che il martire Antioco sia vissuto<br />
sotto la dominazione dell’imperatore Adriano suo persecutore.<br />
Tralasciando l’agiografia cercheremo <strong>di</strong> ricostruire<br />
fatti storici atten<strong>di</strong>bili. Innanzi tutto sorge una domanda:<br />
Adriano fu il vero persecutore <strong>di</strong> Antioco?<br />
La Passio sancti Antiochi martyris, è la più antica e importante<br />
fonte storica sul martire sulcitano. Il testo originale<br />
è purtroppo andato perduto; ci rimane una fedele ed<br />
integrale copia custo<strong>di</strong>ta nell’archivio del Capitolo della<br />
cattedrale <strong>di</strong> Iglesias, fatta eseguire nel 1621 dall’Arcivescovo<br />
<strong>di</strong> Cagliari Francesco Desquivel, scopritore delle reliquie<br />
del Santo. L’originale era scritto su pergamena con<br />
copertina in pelle scura. La sua compilazione si può<br />
senz’altro datare tra il 1089 e il 1119, periodo in cui i monaci<br />
benedettini <strong>di</strong> San Vittore <strong>di</strong> Marsiglia ebbero<br />
il possesso della chiesa del Santo.<br />
L’antico agiografo scrive che in Africa<br />
ed in particolare in Mauretania un me<strong>di</strong>co,<br />
<strong>di</strong> religione cristiana, chiamato Antioco,<br />
non vuole ricavare dalla sua professione alcun<br />
lucro, ma soltanto il bene spirituale.<br />
Nella Passio leggiamo: “Riteniamo che a<br />
questa schiera <strong>di</strong> beati martiri appartenga il<br />
santissimo martire Antioco, la cui passione, che<br />
abbiamo appreso da una verace relazione presentiamo<br />
a tutti i fedeli <strong>di</strong> Cristo.<br />
Cosa intendeva il narratore riferendosi<br />
a una “verace narrazione”?<br />
Esisteva qualche<br />
antico documento<br />
ora perduto o si riferisce<br />
ad una tra<strong>di</strong>zione orale<br />
che si è tramandata nei<br />
secoli fino alla compilazione<br />
della Passio?<br />
L’imperatore Adriano e il cristianesimo<br />
Publio Elio Adriano, fu un uomo <strong>di</strong> grande cultura,<br />
amante delle lettere e delle arti. Si intendeva <strong>di</strong> musica, <strong>di</strong><br />
pittura, <strong>di</strong> scultura, <strong>di</strong> architettura, <strong>di</strong> filosofia, scriveva in<br />
prosa e in poesia, in greco e latino; era un grande estimatore<br />
della cultura Ellenica tanto che a Roma fu soprannominato<br />
“graeculus”. Governò dal 117 al 138; il suo impero<br />
fu lungo e caratterizzato da gran<strong>di</strong> riforme civili e militari.<br />
Sembra verosimile che un uomo <strong>di</strong> tale carisma <strong>di</strong>venne<br />
il persecutore <strong>di</strong> un innocuo me<strong>di</strong>co che professava il<br />
cristianesimo in Mauretania?<br />
Per rispondere a questa domanda dobbiamo cercare <strong>di</strong><br />
analizzare l’atteggiamento <strong>di</strong> Adriano verso i cristiani. La<br />
fonte letteraria fondamentale a questo scopo è il rescritto<br />
<strong>di</strong> Adriano a Minucio Fundano, proconsole d’Asia, intorno<br />
al 124 (Giustino, Apologia, LXVIII, 6-19). Poiché le popolazioni<br />
locali avevano richiesto l’intervento delle autorità<br />
romane contro i cristiani, il proconsole Silvano Graniano<br />
aveva chiesto il parere in merito dell’imperatore, come<br />
già aveva fatto Plinio con Traiano. Adriano inviò la propria<br />
risposta al successore <strong>di</strong> Graniano, Minucio Fundano,<br />
ed essa fu sostanzialmente conforme a quella <strong>di</strong> Traiano.<br />
Dal testo si evince che Adriano non voleva venissero promossi<br />
proce<strong>di</strong>menti d’ufficio, ma esigeva che nonostante<br />
ciò i cristiani dovevano essere puniti quando contro <strong>di</strong> loro<br />
venisse portata un’accusa fondata. In confronto alla posizione<br />
<strong>di</strong> Traiano, le istruzioni <strong>di</strong> Adriano costituivano un<br />
più energico richiamo al rispetto della legge, ed in tal senso<br />
costituivano una migliore tutela giuri<strong>di</strong>ca dei cristiani.<br />
Ancor più del suo predecessore, Adriano era preoccupato<br />
che i funzionari imperiali dessero prova <strong>di</strong> debolezza<br />
<strong>di</strong> fronte alle pressioni irresponsabili dei ceti popolari,<br />
ponendosi a rimorchio <strong>di</strong> essi con esecuzioni sommarie a<br />
seguito <strong>di</strong> pressioni o tumulti della plebe.<br />
Adriano non si limitava a raccomandare <strong>di</strong> non tener<br />
conto delle denunce anonime, ma in<strong>di</strong>cava più precise<br />
cautele in <strong>di</strong>fesa soprattutto degli innocenti che potevano<br />
facilmente venir coinvolti da accuse false e processi affrettati.<br />
Non era neppure sufficiente che vi fosse<br />
un’accusa regolare, basata su fatti concreti e<br />
non su semplici <strong>di</strong>cerie, ma questa doveva<br />
provare che l’accusato avesse realmente<br />
commesso un delitto: Si quis igitur accusat et<br />
probat, adversum legem, quidquid agere memoratos<br />
homines, pro merito peccatorum etiam<br />
supplicia statues.<br />
Si è letta in queste parole la revoca della decisione<br />
<strong>di</strong> Traiano, per la quale bastava il semplice<br />
nomen <strong>di</strong> cristiano per venir processato, e lo<br />
stabilirsi d’una nuova massima, secondo la<br />
quale i cristiani si sarebbero dovuti punire<br />
solo quando a loro carico fosse risultato<br />
qualche altro delitto, e quin<strong>di</strong><br />
l’esser cristiani non avrebbe costituito<br />
ex se un crimine passibile<br />
<strong>di</strong> punizione.<br />
Altri autori tuttavia ritengono<br />
che Adriano facesse riferimento<br />
non solo a delitti comuni, ma<br />
87<br />
ANNALI 2008
anche alla lesa maestà ed al sacrilegio, accuse comunemente<br />
mosse ai cristiani, particolarmente gravi in età adrianea,<br />
nella quale l’imperatore, sulle orme <strong>di</strong> Augusto, tentava<br />
<strong>di</strong> rinvigorire i culti tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> Roma ed il culto<br />
imperiale, nel quadro <strong>di</strong> una sovranità carismatica riprendente<br />
la tra<strong>di</strong>zione religiosa e politica della Roma arcaica.<br />
Ma anche nel secondo caso Adriano avrebbe corretto<br />
la giurisprudenza stabilitasi sotto Traiano, secondo la quale<br />
detti crimini potevano essere addebitati per presunzioni<br />
sulla sola base dell’appartenenza al cristianesimo, in<br />
omaggio al principio del crimen coherens nomini, ed abbia<br />
voluto esigere invece che venisse provato come ciascun accusato,<br />
anche se manifestamente cristiano, avesse realmente<br />
commesso i delitti usualmente associati al nomen<br />
christiani, ossia ateismo, empietà e lesa maestà.<br />
Siamo <strong>di</strong> fronte ad una posizione ben più favorevole<br />
agli accusati rispetto all’epoca <strong>di</strong> Traiano, poiché <strong>di</strong> fronte<br />
ad un’accusa <strong>di</strong> ateismo ed empietà, per la quale non<br />
esistessero prove concrete, il cristiano o presunto tale non<br />
poteva venir processato, e, negli altri casi, per liberarsi da<br />
un’accusa <strong>di</strong> tale genere, all’accusato sarebbe bastato rendere<br />
omaggio agli emblemi <strong>di</strong> Roma e dell’imperatore alla<br />
presenza <strong>di</strong> un magistrato per esser scagionato.<br />
Infine, Adriano stabiliva che gli accusatori, in caso <strong>di</strong><br />
provata innocenza degli accusati, seguissero la sorte dei calunniatori;<br />
con ciò l’imperatore mise un rime<strong>di</strong>o alla piaga<br />
dei sicofanti e dei delatori <strong>di</strong> professione.<br />
Nelle sue “Memorie <strong>di</strong> Adriano” Marguerite Yourcenar<br />
a proposito del cristianesimo fa <strong>di</strong>re ad Adriano: “In<br />
quell’epoca, Quadrato, vescovo dei cristiani, m’inviò un’apologia<br />
della sua fede... avevo recentemente rammentato<br />
ai governatori delle province che la protezione delle leggi<br />
si estende a tutti i citta<strong>di</strong>ni, e che i <strong>di</strong>ffamatori <strong>di</strong> cristiani<br />
sarebbero stati puniti qualora li accusassero senza prove...<br />
Stento a credere che Quadrato sperasse <strong>di</strong> convertirmi al<br />
cristianesimo, comunque volle provarmi l’eccellenza della<br />
sua dottrina, e soprattutto quanto essa fosse innocua per<br />
lo Stato. Lessi la sua opera ed ebbi perfino la curiosità <strong>di</strong><br />
far raccogliere da Flegone qualche informazione sulla vita<br />
del giovane profeta chiamato Gesù, il quale fondò quella<br />
setta e morì vittima dell’intolleranza ebraica circa 100 anni<br />
fa. Pare che quel giovane sapiente abbia lasciato precetti<br />
che arieggiano quelli <strong>di</strong> Orfeo, al quale i <strong>di</strong>scepoli talvolta<br />
lo paragonano. Attraverso la prosa singolarmente piatta<br />
<strong>di</strong> Quadrato, non mancai tuttavia <strong>di</strong> gustare il fascino<br />
commovente <strong>di</strong> quelle virtù da gente semplice, la loro dolcezza,<br />
la loro ingenuità, il loro affetto reciproco; sembravano<br />
le confraternite <strong>di</strong> schiavi o <strong>di</strong> poveri che si fondono<br />
qua e là in onore dei nostri dèi, nei quartieri popolosi della<br />
città; ...queste piccole società <strong>di</strong> mutua assistenza offrono<br />
un appoggio ed un conforto a molti sventurati. Ma<br />
non ero insensibile ad alcuni pericoli: quella esaltazione <strong>di</strong><br />
virtù da fanciulli o da schiavi avveniva a <strong>di</strong>scapito <strong>di</strong> qualità<br />
più virili e più ferme; <strong>di</strong>etro quell’innocenza insipida<br />
e ristretta, indovinavo l’intransigenza feroce del settario<br />
verso forme <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> pensiero che non sono le sue, l’orgoglio<br />
insolente che gli fa preferire se stesso al resto degli<br />
uomini, la sua visuale deliberatamente limitata da paraocchi...<br />
Cabria, sempre ansioso... si sgomentava per le nostre<br />
vecchie religioni, che non impongono all’uomo il giogo <strong>di</strong><br />
ANNALI 2008 88<br />
alcun dogma, e lasciano che i cuori austeri si foggino, se lo<br />
vogliono, una morale più alta, senza costringere le masse<br />
a precetti troppo rigi<strong>di</strong> per evitare che ne scaturiscano subito<br />
costrizione e ipocrisia.<br />
...Cabria si preoccupa <strong>di</strong> vedere un giorno il pastoforo<br />
<strong>di</strong> Mitra o il vescovo <strong>di</strong> Cristo prendere <strong>di</strong>mora a Roma e<br />
rimpiazzarvi il Pontefice Massimo. Se per <strong>di</strong>sgrazia questo<br />
giorno venisse, il mio successore lungo i crinali vaticani<br />
avrà cessato d’essere il capo d’una cerchia d’affiliati o d’una<br />
banda <strong>di</strong> settari per <strong>di</strong>venire, a sua volta, una delle<br />
espressioni universali dell’autorità. Ere<strong>di</strong>terà i nostri palazzi,<br />
i nostri archivi; <strong>di</strong>fferirà da noi meno <strong>di</strong> quel che si<br />
potrebbe credere. Accetto con calma le vicissitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong><br />
“Roma eterna”.<br />
La profezia messa in bocca ad Adriano dalla Yourcenar<br />
si è avverata presso il colle Vaticano, dove continua, ancor<br />
oggi, ad avere sede il Pontefice Massimo.<br />
Il grande imperatore pagano, che aggre<strong>di</strong>to da un uomo<br />
armato <strong>di</strong> spada non lo punì ma lo fece curare da un<br />
me<strong>di</strong>co, scriveva <strong>di</strong> Alessandria: “Non vi è alcun prete cristiano<br />
che non sia al tempo stesso astrologo, mago e ciarlatano.<br />
Lo stesso patriarca, quando viene in Egitto, è spinto<br />
da un partito ad adorare Serapide, dall’altro Cristo. È<br />
una categoria <strong>di</strong> uomini ribelli, spregevoli, maligni. ...Il loro<br />
<strong>di</strong>o è l’oro, e i cristiani coi giudei e tutte le altre nazionalità<br />
vi si prosternano. Io ho fatto gran<strong>di</strong> concessioni a<br />
questa città, le ho ridato gli antichi privilegi ed anche nuovi,<br />
tanto che i citta<strong>di</strong>ni sono venuti a ringraziarmi personalmente;<br />
e tuttavia, appena sono partito, hanno parlato<br />
in modo indegno <strong>di</strong> mio figlio Vero. ...S’ingrassino pure<br />
con i loro polli; io mi vergogno <strong>di</strong> parlare del modo come<br />
li covano” (Gregorovius, Vita <strong>di</strong> Adriano).<br />
I viaggi <strong>di</strong> Adriano<br />
Sappiamo che Adriano fu un grande viaggiatore non<br />
per irrequietezza <strong>di</strong> spirito o per desiderio <strong>di</strong> vedere o godere,<br />
ma per la necessità che l’imperatore sentiva <strong>di</strong> osservare<br />
le con<strong>di</strong>zioni delle province e <strong>di</strong> provvedere ai loro<br />
bisogni e al loro sviluppo. Adriano trascorse nelle province<br />
circa tre lustri del suo impero. È ancora incerta la<br />
cronologia dei viaggi d’Adriano, ma più che le date hanno<br />
importanza i risultati del lungo peregrinare dell’imperatore.<br />
Iniziò col visitare la Gallia, dove fu, come pare, nel 119<br />
dove era <strong>di</strong>ffuso il paganesimo e vi faceva la comparsa anche<br />
il Cristianesimo.<br />
Dalla Gallia Adriano si recò nella Germania superiore<br />
e nell’inferiore, dove <strong>di</strong>ede impulso alle fortificazioni <strong>di</strong><br />
frontiera e provvide alla <strong>di</strong>sciplina delle legioni; poi passò<br />
nella Britannia dove seguendo la sua politica <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa, or<strong>di</strong>nò<br />
una linea <strong>di</strong> sbarramento munita <strong>di</strong> trincee e fortini<br />
(Vallum Hadriani).<br />
Dalla Britannia l’imperatore, attraversando la Gallia,<br />
passò nella Spagna, forse la più fiorente delle provincie<br />
d’occidente. Si trovava a Tarracona, forse nell’inverno del<br />
123, quando un’insurrezione scoppiata nella Mauritania<br />
lo costrinse a passare in Africa. La sua presenza valse a<br />
quietare questa regione occidentale africana, la quale resisteva<br />
ancora tenacemente alla penetrazione delle armi e<br />
della civiltà romana. Anche qui l’imperatore dovette pren-
dere provve<strong>di</strong>menti per la <strong>di</strong>fesa militare e dopo un’offensiva<br />
verso l’Atlante iniziò la costruzione <strong>di</strong> un vallum.<br />
Inoltre trasferì i quartieri della Legione III Augusta a Lambese.<br />
La sua presenza in Mauritania fu dunque forte, decisa<br />
e risolutiva per piegare alle armi della civiltà romana.<br />
La Mauritania provincia romana (da non confondersi con<br />
l’attuale stato <strong>di</strong> Mauritania) si estendeva dalla zona occidentale<br />
dell’attuale Algeria fino all’o<strong>di</strong>erno Marocco e alla<br />
parte settentrionale della Mauritania. La tra<strong>di</strong>zione ci<br />
ha tramandato la Mauretania come paese d’origine <strong>di</strong><br />
Sant’Antioco che quin<strong>di</strong> proveniva dalle terre dell’attuale<br />
Marocco o Algeria. Oggi lo definiremmo come uno straniero<br />
<strong>di</strong> razza africana sbarcato sulle nostre coste. Come<br />
detto sopra, risulta oggi <strong>di</strong>fficile pronunciarsi sulla storicità<br />
<strong>di</strong> quanto riferito nella Passio del martire sulcitano, anche<br />
se in ogni leggenda c’è un fondo <strong>di</strong> verità. D’altra parte<br />
è anche vero che le passiones sono tutte molto simili fra<br />
<strong>di</strong> loro, in particolare quelle che vedono protagonisti dei<br />
Santi Taumaturghi, tra cui basti citare Sant’Antioco <strong>di</strong> Sebaste,<br />
San Vito, San Biagio e i Santi Cosma e Damiano La<br />
fede nei santi taumaturghi, è fortemente ra<strong>di</strong>cata ovunque;<br />
vengono invocati sia <strong>di</strong>rettamente, finché sono in vita,<br />
sia tramite immagini simboliche o reliquie quando sono<br />
morti. Il loro potere va oltre la morte e pertanto sono<br />
in grado <strong>di</strong> compiere i miracoli, per i quali vengono invocati<br />
dalla fede popolare, anche a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> secoli.<br />
L’epigrafe del Vescovo Pietro e il rinvenimento<br />
delle reliquie del Santo<br />
Un altro supporto storico particolarmente importante<br />
per la storia <strong>di</strong> S. Antioco è l’epigrafe rinvenuta nel 1615<br />
dall’Arcivescovo <strong>di</strong> Cagliari Monsignore Francesco Desquivel<br />
durante l’inventio delle reliquie del Santo. L’iscrizione<br />
è considerata autentica dagli stu<strong>di</strong>osi e fatta risalire ai<br />
sec. VII-IX, se non ad<strong>di</strong>rittura al secolo VI; in questo sen-<br />
RELIQUARIO IN ARGENTO CON TESCHIO DI S. ANTIOCO<br />
so abbiamo <strong>di</strong>verse scuole <strong>di</strong> pensiero ma ritengo che gli<br />
stu<strong>di</strong> Cagliaritani <strong>di</strong> <strong>Storia</strong> e Filologia (vol. I del Motzo)<br />
siano più che atten<strong>di</strong>bili. In relazione a ciò si può dedurre<br />
che il culto del Santo non solo è conosciuto nel 500, ma<br />
anche prima; la lapide parla <strong>di</strong> restauri fatti eseguire dal<br />
Vescovo Pietro in un’Aula già esistente, abbellendola con<br />
marmi; questo ci fa pertanto tornare in<strong>di</strong>etro almeno <strong>di</strong><br />
due secoli.<br />
+AVLA MICAT VBI CORPUS SCI<br />
ANTHIOCI QVIEBIT IN GLORIA<br />
VIRTVTIS OPVS REPARANTE MINISTRO<br />
PONTIFICIS XPI SIC DECET ESSE DOMVM<br />
QVAM PETRUS ANTISTES CVLTV SPLENDO<br />
RE NOBABIT MARMORIBVS TITVLIS<br />
NOBILITATE FIDEI DDICATU D/ XII K FEBRV<br />
Il fattore che <strong>di</strong>ede l’impulso alle ricerche dei corpi dei<br />
Santi in Sardegna fu la controversia per il titolo primaziale<br />
sulla Sardegna e sulla Corsica. Due erano i contendenti<br />
il Vescovo <strong>di</strong> Cagliari e il Vescovo <strong>di</strong> Sassari; a questi si aggiunse<br />
nel 1611 l’Arcivescovo <strong>di</strong> Pisa.<br />
La relazione dell’Arcivescovo Desquivel sul ritrovamento<br />
delle reliquie <strong>di</strong> Sant’Antioco è particolarmente<br />
importante per la storia <strong>di</strong> S. Antioco.<br />
Il 18 marzo del 1615, la delegazione inviata a Sulci per<br />
la ricerca del corpo del Santo, dopo aver <strong>di</strong>giunato per un<br />
giorno a pane ed acqua, entrò nella chiesa a pie<strong>di</strong> nu<strong>di</strong>,<br />
pregando fervorosamente Dio che concedesse questo dono,<br />
mettendo come intercessore il Santo stesso. Finita la<br />
preghiera entrarono nella catacomba dove il Santo morì e<br />
andarono verso il luogo dove da sempre si <strong>di</strong>ceva fosse la<br />
tomba del Santo. Trovarono un sarcofago <strong>di</strong> marmo posto<br />
sopra un altare molto antico, all’entrata della stessa catacomba<br />
che era a forma <strong>di</strong> capella con sei colonne, qui venne<br />
rinvenuta la lapide Aula micat. La lapide era posta sopra<br />
l’altare, fissata alla parete con ganci <strong>di</strong> ferro, consumati<br />
dal tempo. Letta la lapide crebbero le speranze.<br />
Smontarono l’altare, ruppero un impasto<br />
molto forte, che ricopriva un vano costruito in<br />
calce e pietre ben lavorate e con le pareti <strong>di</strong>pinte;<br />
dentro stava il corpo del Glorioso martire,<br />
composto in modo che la testa corrispondeva<br />
al punto della lapide in cui erano scritte per<br />
esteso le parole: BEATI SANCTI ANTIOCI.<br />
La vista delle reliquie riempì tutti <strong>di</strong> ammirazione<br />
e <strong>di</strong> devozione e mandarono subito un<br />
corriere per informare il Vescovo. Il corriere,<br />
passando i ponti <strong>di</strong> notte, cadde nel mare, ma i<br />
fogli contenenti la notizia non si bagnarono. In<br />
attesa che il Vescovo giungesse a Sulci, si pregava<br />
accanto alle reliquie. Appena si <strong>di</strong>vulgò la<br />
notizia, gli archibugieri spararono mille colpi a<br />
salve.<br />
Un Archibugio fu caricato per sbaglio con<br />
due palle, e anche mettendogli fuoco non si incen<strong>di</strong>ò,<br />
perché sarebbe scoppiato tra la gente<br />
che gremiva la catacomba in preghiera. L’Arcivescovo<br />
Desquivel, dopo il rinvenimento della<br />
lapide e delle reliquie del Santo Antioco mostrò<br />
al popolo il teschio del Santo e con esso lo be-<br />
89<br />
ANNALI 2008
ne<strong>di</strong>sse. Poi suggellò la cassa con quattro chiavi, “y estas<br />
entregò a los Capitulares de la Cathedral de Iglesias con<br />
con<strong>di</strong>cion que si en algun tiempo se bolviesse a poblar la<br />
Isla de S. Antiogo, se las hayan de restituir, siendo aquel<br />
su proprio lugar”.<br />
Del ritrovamento del Sacro Corpo il Desquivel ebbe<br />
subito l’accortezza <strong>di</strong> incaricare alcuni notai che raccogliessero<br />
sotto giuramento le deposizioni delle varie persone<br />
che furono testimoni dell’accaduto. Inoltre ne fece<br />
una relazione ben particolareggiata al papa Paolo V, che è<br />
conservata nell’Archivio Segreto Vaticano, ed una al re <strong>di</strong><br />
Spagna, Filippo III, a cui offriva anche in un reliquiario<br />
d’argento un Osso della gamba del Santo. Questa relazione<br />
si trova ancora nella “Biblioteca Nacional de Madrid”,<br />
conservata tra i manoscritti al n. 8664.<br />
È opportuno intanto notare come lo stesso Desquivel,<br />
6 anni dopo, portasse una correzione al suo impegno per<br />
la cessione delle Reliquie. Con atto del febbraio 1621 – in<br />
considerazione delle spese sostenute dal Capitolo e dal<br />
Comune <strong>di</strong> Iglesias per gli scavi e la causa contro Sassari –<br />
donava “in perpetuo” le Reliquie alla Città. Comunque esse<br />
rimasero ad Iglesias per oltre 200 anni. “Pò sa festa manna”<br />
<strong>di</strong> dopo Pasqua, tutti gli anni, seguendo la statua del<br />
Santo, esse venivano portate processionalmente nell’Isola,<br />
ma terminate le celebrazioni facevano ritorno in Città.<br />
La popolazione risorgendo e crescendo si sentì però in<br />
qualche modo quasi orfana, senza la continua presenza<br />
delle spoglie del suo Martire, del suo “Padre nella fede”.<br />
Quell’antica chiesa monumentale, che oggi finalmente<br />
possiamo ammirare nel rigore della sua fattura originaria,<br />
integrata dalla catacomba testimone della fede dei primi<br />
nostri cristiani, era vuota senza quel Corpo Santo, che per<br />
secoli aveva lì riposato richiamando tanti fedeli. Che quelle<br />
Spoglie ci venissero una volta all’anno, e solo per qualche<br />
giorno, non era sufficiente, non era naturale. Il Santo<br />
doveva ritornare<br />
Il Comune <strong>di</strong> S. Antioco ne fa richiesta al Capitolo ed<br />
al vescovo mons. Montixi, appellandosi all’impegno <strong>di</strong> restituzione<br />
stabilito nel 1615 da Mons. Desquivel. Ma il<br />
Capitolo non è dello stesso parere, ed anch’esso si fa forte<br />
della donazione in perpetuo del medesimo Desquivel<br />
del 1621 che corregge il precedente atto. Nel giugno 1851<br />
il Comune <strong>di</strong> S. Antioco insiste<br />
e tenta la via giu<strong>di</strong>ziaria. Il 29<br />
marzo 1852 il Tribunale provinciale<br />
<strong>di</strong> Cagliari, accogliendo le<br />
sue istanze, condanna il Capitolo<br />
alla restituzione delle Reliquie e<br />
degli arre<strong>di</strong> sacri relativi. Il Capitolo<br />
appella. Inoltre nel febbraio<br />
1853 in favore del Capitolo<br />
e contro il Comune Sulcitano<br />
si schiera, come parte in causa, il<br />
Comune <strong>di</strong> Iglesias facendosi anch’esso<br />
forte del fatto che il Desquivel<br />
gli aveva affidato una<br />
delle chiavi del Reliquiario, e ciò<br />
in compenso delle spese sostenute<br />
per i lavori <strong>di</strong> scavo e per la<br />
ANNALI 2008 90<br />
L’INTERVENTO DI SGARBI NELLA BASILICA<br />
causa contro Sassari. In più vantava in suo favore la prescrizione<br />
<strong>di</strong> possesso ultra centenario. La causa si concluderà<br />
il 9 ottobre 1855 con la sentenza pronunciata a Cagliari<br />
in favore del Comune <strong>di</strong> S. Antioco. Le reliquie rientrarono<br />
in possesso degli Antiochensi con un magistrale colpo <strong>di</strong> mano<br />
nel 1853.<br />
L’Epigrafe in atti, nonostante i trascorsi 400 anni, si trova<br />
ancora orfana e decontestualizzata presso il Capitolo <strong>di</strong><br />
Iglesias, in attesa, a Dio piacendo <strong>di</strong> una futura ricollocazione<br />
nel suo luogo <strong>di</strong> origine. L’attuale Amministrazione<br />
Comunale <strong>di</strong> Sant’Antioco, gli stu<strong>di</strong>osi, gli accademici e<br />
lo scrivente stanno lavorando perché ciò si realizzi.<br />
Basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco Martire<br />
29 luglio 2008<br />
VITTORIO SGARBI<br />
Conoscevo la basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco per averne letto<br />
le vicende nei libri <strong>di</strong> Raffaello Delogu, l’autore de<br />
L’architettura me<strong>di</strong>evale in Sardegna, certamente il testo<br />
più noto in assoluto fra quelli che hanno trattato la storia<br />
dell’arte nell’isola.<br />
È stato Delogu a ispirare i lavori con cui si è ripristinata<br />
quella che veniva considerata, allora, la con<strong>di</strong>zione originale<br />
dell’e<strong>di</strong>ficio, risalente all’inizio del primo millennio,<br />
spogliandolo della decorazione barocca. Stu<strong>di</strong> successivi<br />
ci hanno detto che quell’originalità è più sfumata <strong>di</strong> quanto<br />
non si pensasse cinquanta anni fa, visto che l’e<strong>di</strong>ficio<br />
romanico deriva, probabilmente, dall’unificazione <strong>di</strong> un<br />
sacrario a pianta centrale, paleocristiano, con un’aula longitu<strong>di</strong>nale,<br />
d’epoca posteriore. Anche l’eliminazione degli<br />
intonaci, che ha lasciato gli interni in una nu<strong>di</strong>tà brut, è<br />
qualcosa sulla cui pertinenza filologica si potrebbe <strong>di</strong>scutere,<br />
rispondendo più a un’idea romantica del Me<strong>di</strong>oevo<br />
che alla sua realtà verificata, un po’ come la neutralità cromatica<br />
della scultura antica va ritenuta concetto neoclassico<br />
piuttosto che greco-romano.<br />
Originale o meno che sia, è certo che così come è stata<br />
recuperata, la basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco ha acquisito un
fascino ulteriore, <strong>di</strong> energia strutturale e <strong>di</strong> forza concentrata,<br />
che dal punto <strong>di</strong> vista architettonico va considerato<br />
il suo carattere peculiare. Il restauro lo ha evidenziato al<br />
meglio, in un modo che qualunque superficie <strong>di</strong> intonaco<br />
avrebbe attutito, proponendo per essa una lettura che<br />
oggi potremmo considerare critica, più ancora che filologica,<br />
ma comunque lecita, soprattutto in virtù del risultato<br />
conseguito, che non fa rimpiangere per niente la per<strong>di</strong>ta<br />
delle decorazioni barocche, artisticamente poco significative.<br />
Un caso che <strong>di</strong>mostra quanto, nella pratica, sia complicato<br />
concepire il restauro architettonico in un modo integralmente<br />
scientifico, simile a quello che viene applica-<br />
to ai <strong>di</strong>pinti o alle sculture, qualora non si abbia l’assoluta<br />
certezza dell’aspetto e dei materiali originari.<br />
E anche quando ciò fosse stato<br />
conseguito, le problematiche non si esaurirebbero<br />
<strong>di</strong> certo; perché andrebbe sempre<br />
valutato, per esempio, se un restauro<br />
scientifico sia realmente necessario<br />
quando non è in grado <strong>di</strong> valorizzare al<br />
meglio i significati civili e sociali <strong>di</strong> un<br />
monumento, potendo, in fondo, essere<br />
proposto in un plastico o nell’illustrazione<br />
<strong>di</strong> un libro, che ne garantirebbero<br />
ugualmente la conoscenza; oppure, se il<br />
ripristino dello stato più antico <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio<br />
sia sempre il più legittimo, azzerando<br />
visivamente una vicenda storica che<br />
può essere anche complessa e articolata,<br />
con altri episo<strong>di</strong> degni <strong>di</strong> essere ricordati,<br />
non solo dal punto <strong>di</strong> vista storico e artistico.<br />
Per l’interno della basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco,<br />
possiamo <strong>di</strong>re che la scelta della<br />
nu<strong>di</strong>tà originaria, anche se la sua idea <strong>di</strong><br />
antico, dettata da uomini moderni, fosse stata con<strong>di</strong>zionata<br />
dalla mentalità e dal gusto dell’epoca, è stata la più<br />
congeniale alla piena valorizzazione del monumento. Già<br />
<strong>di</strong>verso, però, è il <strong>di</strong>scorso riguardante l’esterno, per il quale<br />
l’azzeramento delle aggiunte successive – la facciata, il<br />
campanile, l’e<strong>di</strong>ficio più alto <strong>di</strong> Sant’Antioco, nel punto<br />
più alto del paese, ben visibile a <strong>di</strong>stanza – non ripristinerebbe<br />
nulla <strong>di</strong> più significativo dell’attuale, ma lascerebbe,<br />
semmai, un vuoto, per quanto, a qualcuno, potrebbe<br />
sembrare <strong>di</strong> sapore antico.<br />
È vero che dal punto <strong>di</strong> vista artistico la facciata e il<br />
campanile non hanno niente <strong>di</strong> particolarmente rilevante,<br />
ma sono testimonianze <strong>di</strong> una storia comunque importante,<br />
anche quando non la si trovasse scritta nei manuali<br />
e nelle guide turistiche, appartenendo alla memoria collettiva<br />
degli abitanti <strong>di</strong> Sant’Antioco, alle loro vite, alle vite<br />
dei loro avi, così come le hanno conosciute da loro. È<br />
una memoria locale che va preservata e tramandata nel<br />
tempo, almeno fino quando essa sarà ancora riconosciuta<br />
come un valore irrinunciabile. Non hanno motivazioni culturalmente<br />
qualificate, quin<strong>di</strong>, i tentativi, anche recenti,<br />
<strong>di</strong> eliminare tutti gli aspetti post-me<strong>di</strong>evali della basilica,<br />
NAVATA CENTRALE DEL SANTUARIO<br />
nell’illusione <strong>di</strong> recuperare un’integrità storica che, come<br />
abbiamo visto, è opinabile sotto vari punti <strong>di</strong> vista.<br />
Al contrario, lo scarto fra l’esterno e l’interno accentua<br />
l’impressione del <strong>di</strong>venire storico e fornisce un’emozione<br />
particolare a chi entra in questa chiesa, come un improvviso<br />
viaggio a ritroso che conduce a un tempo remoto, sobrio,<br />
spirituale. Per ciò che mi riguarda, è un’emozione che<br />
ha suscitato anche una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio personale,<br />
avendo potuto concedere un tempo molto ristretto alla visita<br />
della chiesa, per le emergenze della vita che mi fanno<br />
essere sindaco <strong>di</strong> Salemi, un posto lontano da Sant’Antioco,<br />
ma non tanto da Mozia, la “sorella” siciliana della progenitrice<br />
<strong>di</strong> Sant’Antioco, Sulci, anch’essa isola raggiungibile<br />
a pie<strong>di</strong>, anch’essa colonia punica alla quale fa seguito<br />
un inse<strong>di</strong>amento romano, anch’essa nucleo urbano contrad<strong>di</strong>stinto<br />
dal notevole rilievo, non solo simbolico, che<br />
acquisiscono due luoghi <strong>di</strong> morte, la necropoli e il tophet.<br />
Due vicende, quelle <strong>di</strong> Sant’Antioco e Mozia, che mutano<br />
con l’apparizione delle due nuove religioni destinate<br />
a dominare il mondo, il Cristianesimo e l’Islamismo.<br />
Sant’Antioco, grazie al suo santo omonimo, anomalo,<br />
perché moro, nord-africano convertito, e grazie, soprattutto,<br />
al suo santuario, reverito in tutta la Sardegna, <strong>di</strong>venta<br />
un avamposto della cristianità contro il pericolo islamico,<br />
personificato dai pirati arabi che perio<strong>di</strong>camente, fino<br />
all’Ottocento, devastano le sue coste.<br />
Mozia, ormai abbandonata, non pone resistenza all’occupazione<br />
araba della Sicilia, origine <strong>di</strong> una convivenza<br />
fra locali e islamici che ancora caratterizza la vicina Mazara<br />
del Vallo.<br />
Nell’XI secolo, più o meno nel momento in cui i monaci<br />
Vittorini dovettero realizzare la basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco,<br />
i Normanni affidano Mozia ai Basiliani. Ma Mozia<br />
non avrà mai un santo da reverire, tanto meno un sacrario<br />
che ne conservi le spoglie, e ciò la porterà alla morte, per<br />
certi versi provvidenziale, visto che ha favorito la preservazione<br />
<strong>di</strong> un patrimonio archeologico straor<strong>di</strong>nario.<br />
91<br />
ANNALI 2008
Il ruolo delle religioni nelle vicende <strong>di</strong> Sant’Antioco e<br />
<strong>di</strong> Mozia mi invita a fare qualche riflessione sull’incidenza<br />
che esse continuano a esercitare nelle nostre identità<br />
culturali. La laicizzazione del mondo, figlia della civiltà industriale,<br />
non è ancora arrivata, fortunatamente, a minare<br />
il presupposto storico dei nostri attuali mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> essere.<br />
Per quanto riguarda l’Occidente cristiano, credo che la<br />
nota affermazione del laico Benedetto Croce, non possiamo<br />
non <strong>di</strong>rci cristiani, abbia mantenuto intatta la sua vali<strong>di</strong>tà.<br />
Sono cambiati i costumi, le mentalità, il senso stesso<br />
con cui i singoli percepiscono la fede, più personalizzato,<br />
quin<strong>di</strong> meno legato alle ritualità <strong>di</strong> gruppo, ma non fino<br />
al punto <strong>di</strong> rinnegare la matrice storica del nostro modello<br />
civile. Non credo sia stato casuale che le democrazie<br />
moderne siano nate sotto civiltà cristiane, con<strong>di</strong>videndo<br />
fra <strong>di</strong> esse molti valori sociali, a partire dall’uguaglianza<br />
dei <strong>di</strong>ritti.<br />
Immagino che anche per il mondo islamico ci sia stato<br />
un Benedetto Croce che abbia espresso un concetto<br />
analogo. Magari facendo riferimento a società in cui, rispetto<br />
alle nostre, c’è più religione professata, ma anche<br />
meno democrazia moderna, cosa <strong>di</strong> cui va tenuto conto.<br />
La percezione che noi abbiamo del mondo arabo è che<br />
non esista una sola persona che non sia musulmana, più<br />
ancora <strong>di</strong> quanto non potremmo <strong>di</strong>re per gli occidentali<br />
cristiani. In realtà, le cose sono più complicate.<br />
È vero che considerarsi musulmano corrisponde al riconoscimento<br />
<strong>di</strong> una specifica con<strong>di</strong>zione culturale, ma<br />
non <strong>di</strong> visioni del mondo equivalenti, che in taluni possono<br />
essere <strong>di</strong> apertura e me<strong>di</strong>azione con la modernità, <strong>di</strong><br />
tolleranza del <strong>di</strong>verso, in altri, per fortuna pochi, <strong>di</strong> chiusura,<br />
<strong>di</strong> fanatismo integralista, in altri ancora, anche <strong>di</strong><br />
agnosticismo. Ciò non toglie che tutti questi <strong>di</strong>versi mo<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> essere musulmano facciano riferimento a una base <strong>di</strong><br />
partenza comune, che è ancora determinante nel definire<br />
le formae mentis corrispondenti.<br />
Conosco personalmente lo scrittore Tahar Ben Jelloun,<br />
marocchino <strong>di</strong> nascita, francese d’adozione, che certamente<br />
non è un credente, nel senso della rigorosa fedeltà a<br />
una religione confessata. Eppure si considera un musulmano<br />
nei comportamenti, nel costume, nelle scelte, molti<br />
dei quali ere<strong>di</strong>tati da musulmani credenti; non potrebbe<br />
fare a meno <strong>di</strong> questa parte della sua identità culturale<br />
e sentimentale, che gli permette <strong>di</strong> confrontarsi in modo<br />
critico con la modernità occidentale, <strong>di</strong> cui riconosce i<br />
meriti anche rispetto alla sua emancipazione culturale, ma<br />
<strong>di</strong> cui apprezza meno il suo essere tendenzialmente omologante,<br />
poco rispettosa delle <strong>di</strong>versità, anche <strong>di</strong> quelle in<br />
cui lui, oggi, si riconosce solo in parte.<br />
Il rispetto delle civiltà a matrice religiosa non dovrebbe<br />
mai prescindere dalla presa <strong>di</strong> coscienza della loro <strong>di</strong>versità.<br />
In arte, questo è avvenuto perfettamente. L’arte occidentale,<br />
figlia <strong>di</strong> quella greco-romana, pagana, ha preferito<br />
esprimere il senso del bello attraverso l’idealizzazione<br />
dell’umano, replicando, per certi versi, il processo creativo<br />
con cui la natura è stata istillata <strong>di</strong> Dio. Nell’arte musulmana,<br />
che pure non deve poco a quella greco-romana,<br />
il senso del bello si esprime in una <strong>di</strong>mensione che prevalentemente<br />
esula dall’incarnazione umana, superando la<br />
sua con<strong>di</strong>zione fisica, in una chiave <strong>di</strong> maggiore astratti-<br />
ANNALI 2008 92<br />
smo mentale. Solo un ottuso occidentale potrebbe <strong>di</strong>sconoscere<br />
che l’arte musulmana sia stata incapace <strong>di</strong> esprimere<br />
un senso del bello altrettanto <strong>di</strong>gnitoso <strong>di</strong> quello dell’arte<br />
cristiana.<br />
Le influenze fra le due arti, strettissime in alcuni momenti<br />
storici e aree geografiche, <strong>di</strong>mostrano che il reciproco<br />
interesse, e quin<strong>di</strong> la sostanziale legittimazione estetica,<br />
è figlia del passato, non dei tempi recenti. È indubbio,<br />
però, che per un occidentale i due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> esprimere<br />
il senso del bello non siano equivalenti; uno fa parte integrante<br />
della sua identità culturale, essendo ancora motivo<br />
vivo della propria esistenza, l’altro lo è certamente <strong>di</strong> meno.<br />
Altrettanto, naturalmente, potrebbe <strong>di</strong>re un musulmano.<br />
L’una e l’altra mentalità meritano lo stesso rispetto,<br />
ma senza che ciò porti a considerarle uguali: solo un<br />
processo autoritario, <strong>di</strong> genoci<strong>di</strong>o culturale, potrebbe farle<br />
<strong>di</strong>ventare tali.<br />
Non siamo uguali neanche quando fra uomini <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa<br />
matrice culturale si stabiliscono convivenze felici,<br />
come quelle che contrad<strong>di</strong>stinguono già il mondo <strong>di</strong> oggi,<br />
e sempre più lo saranno in quello <strong>di</strong> domani.<br />
Salemi è un simbolo storico esemplare della convivenza<br />
interreligiosa, avendo ospitato, fin dal Me<strong>di</strong>oevo, una<br />
comunità ebraica e una musulmana vicino a quella cristiana,<br />
ognuno con una propria zona <strong>di</strong> appartenenza. I<br />
cristiani ottusi, che non vivevano a Salemi, né comprendevano<br />
il modello civile che proponeva, troppo evoluto<br />
per un mondo che ancora, in nome del <strong>di</strong>o migliore, concepiva<br />
la contrapposizione delle civiltà, <strong>di</strong>cevano che era<br />
una città <strong>di</strong> Satanasso.<br />
Rischio che certamente non corre Sant’Antioco, luogo<br />
che simbolicamente può forse proporre un altro modello<br />
<strong>di</strong> convivenza, ancora cristianocentrico, che prevede la<br />
conversione dell’etnicamente <strong>di</strong>verso. Luogo che in ogni<br />
caso, nell’identificare il proprio nome con quello del santo<br />
patrono, esibisce imme<strong>di</strong>atamente l’orgoglio della propria<br />
identità storica e culturale, irrinunciabile, antica, eppure<br />
modernissima nello stabilire la relazione fra livello civile e<br />
religioso, se è vero che si riconosce nel culto <strong>di</strong> uomo <strong>di</strong><br />
colore. Concludo con la felicità <strong>di</strong> essere stato a Sant’Antioco,<br />
e <strong>di</strong> avere avuto il saluto del parroco Don Demetrio<br />
Pinna e del Sindaco Mario Corongiu, uniti nel nome <strong>di</strong><br />
Sant’Antioco a cui io stesso invio il mio pensiero devoto.<br />
SULKY FENICIA E PUNICA<br />
PIERO BARTOLONI<br />
L<br />
’antica storia della Sardegna, e quin<strong>di</strong> anche quella<br />
della città <strong>di</strong> Sulky, è strettamente legata ai vecchi racconti<br />
e alle antiche leggende, come del resto lo è quella <strong>di</strong><br />
tutte le altre regioni del mondo e soprattutto dell’antico<br />
Me<strong>di</strong>terraneo. Purtroppo, per quanto riguarda in modo<br />
specifico l’isola, le opere degli antichi scrittori greci e latini<br />
risultano particolarmente povere <strong>di</strong> notizie e queste ultime<br />
nella maggior parte dei casi sono legate sovente ad<br />
avvenimenti mitici, nei quali il sostrato fenicio è appena<br />
percepibile o, ad<strong>di</strong>rittura, assente, e quin<strong>di</strong> sono da considerare<br />
per lo più fantasiose e quanto meno imprecise1 .
Ciò perché con ogni probabilità gran parte del mondo<br />
greco non aveva una <strong>di</strong>retta conoscenza della Sardegna<br />
e quin<strong>di</strong> vedeva l’isola come una lontana terra misteriosa<br />
e felice2 , mentre, il mondo romano, acerrimo nemico<br />
<strong>di</strong> Cartagine, aveva una visione <strong>di</strong>storta dalla propaganda<br />
politica.<br />
Altrettanto misere e generiche sono le fonti <strong>di</strong>rette,<br />
derivanti dalla tra<strong>di</strong>zione fenicia e punica, poiché rare<br />
sono le iscrizioni rimaste e le poche sopravvissute sono<br />
prevalentemente <strong>di</strong> argomento religioso o<br />
votivo3 . Si consideri ad esempio che le<br />
scarse iscrizioni con più parole <strong>di</strong> senso<br />
compiuto rinvenute fino ad oggi a<br />
Sulky riguardano la de<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> un tempio<br />
da parte <strong>di</strong> un privato citta<strong>di</strong>no ad<br />
una <strong>di</strong>vinità femminile4 o la de<strong>di</strong>ca<br />
<strong>di</strong> una coppa da parte <strong>di</strong> alcuni<br />
magistrati ad un’altra <strong>di</strong>vinità maschile5<br />
. Pertanto, la ricostruzione<br />
dell’antica storia dell’isola risulta<br />
particolarmente <strong>di</strong>fficoltosa e ancor<br />
più lo è quella dell’agglomerato<br />
urbano <strong>di</strong> Sulky. Comunque,<br />
un in<strong>di</strong>spensabile aiuto è dato dalle<br />
indagini archeologiche che sono<br />
state effettuate in Sardegna6 e in<br />
particolare a Sulky e nel suo circondario<br />
nel corso dell’ultimo secolo<br />
e che almeno in parte sopperiscono<br />
al desolante quadro7 .<br />
Le prime tracce <strong>di</strong> vita a Sant’Antioco sono da collocare<br />
in epoca neolitica, anche se la morfologia e la struttura<br />
dell’isola ne fanno da sempre una ovvia fortezza naturale<br />
e quin<strong>di</strong> consentono <strong>di</strong> ritenere che abbia costituito<br />
un rifugio eccellente per l’uomo fin dalle epoche più remote.<br />
Comunque, le prime tracce <strong>di</strong> stanziamenti umani<br />
nell’isola <strong>di</strong> Sant’Antioco sono rappresentate da due<br />
menhirs, cioè da due stele monolitiche erette lungo l’istmo<br />
che collega la Sardegna all’isola.<br />
Più consistenti testimonianze <strong>di</strong> vita nell’isola <strong>di</strong><br />
Sant’Antioco sono da collocare sempre in epoca neolitica,<br />
in questo caso attorno al 2500 a.C. I resti più concreti sono<br />
rappresentati da alcune Domus de Janas, del tipo costituito<br />
da non più <strong>di</strong> due celle successive. Si tratta <strong>di</strong> alcune<br />
camere ipogee scavate nel tufo, praticate in un rilievo<br />
retrostante la spiaggia <strong>di</strong> Is Pruinis.<br />
Il nuraghe più imponente e <strong>di</strong> maggiore interesse del<br />
circondario era quello situato sul culmine della collina del<br />
castello sabaudo che domina la città. Si trattava <strong>di</strong> un nuraghe<br />
<strong>di</strong> tipo complesso, formato cioè da una torre centrale<br />
– forse ma non necessariamente la più antica dell’e<strong>di</strong>ficio<br />
– circondata da almeno altre due torri collegate tra<br />
loro. Ciò è quanto emerge dalle fondazioni dell’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong><br />
età fenicia e dalla torre <strong>di</strong> età punica che sono stati eretti<br />
sul nuraghe e che attualmente sono in parte inseriti nelle<br />
strutture del suddetto castello, eretto nel XVIII secolo della<br />
nostra era. Il nuraghe, probabilmente attivo nella sua<br />
funzione primaria tra il 1400 e il 1200 a.C., fu certamente<br />
abitato fino ai primi anni dell’VIII secolo a.C. e sussi-<br />
FIALA IN FAIENCE<br />
stono tracce della presenza <strong>di</strong> un villaggio <strong>di</strong><br />
capanne circolari nel pen<strong>di</strong>o che si apre a<br />
nord della torre 8 .<br />
Le prime testimonianze <strong>di</strong> una presenza stabile<br />
dei Fenici, ultimi a giungere in Sardegna dopo<br />
i naviganti micenei, nord-siriani e ciprioti,<br />
sono databili attorno al 780/770 a.C. e anche<br />
a Sulky se ne notano chiari in<strong>di</strong>zi, anch’essi attribuibili<br />
a questo periodo. Infatti gli oggetti<br />
più antichi rinvenuti nell’area dell’abitato sono<br />
databili non dopo il 780/770 a.C. 9 Grazie<br />
a questi elementi archeologici, che avvicinano<br />
la data <strong>di</strong> fondazione dell’antica<br />
Sulky a quella <strong>di</strong> Cartagine, che tra<strong>di</strong>zionalmente<br />
si pone nell’814 a.C., allo<br />
stato attuale delle ricerche la città è da<br />
considerare la più antica tra quelle e<strong>di</strong>ficate<br />
dai Fenici in Sardegna.<br />
Non è neppure lontanamente immaginabile<br />
che tutti gli abitanti <strong>di</strong> cultura fenicia<br />
che si inse<strong>di</strong>arono a Sulky e successivamente<br />
a Monte Sirai così come in tutte le<br />
altre città <strong>di</strong> fondazione fenicia della costa<br />
sarda fossero <strong>di</strong> origine orientale. Si deve<br />
pensare piuttosto ad una popolazione mista<br />
e composta da una minoranza <strong>di</strong> Fenici <strong>di</strong><br />
Oriente e da una maggioranza abitanti <strong>di</strong><br />
stirpe nuragica. La presenza <strong>di</strong> forti nuclei<br />
<strong>di</strong> genti <strong>di</strong> origine autoctona e la reale possibilità<br />
<strong>di</strong> matrimoni misti soprattutto nei primi<br />
anni della fondazione delle città è suggerita ad esempio<br />
da alcune testimonianze legate alle pratiche funerarie<br />
più antiche in uso nel circondario e da alcuni oggetti <strong>di</strong><br />
uso quoti<strong>di</strong>ano, come tra l’altro le pentole, che, come forma<br />
esteriore, erano senza dubbio <strong>di</strong> tipo nuragico, ma erano<br />
fabbricati con l’uso del tornio e, dunque, con una tecnologia<br />
importata dai Fenici 10 . L’abitato fu impiantato su<br />
una dorsale formata da rocce trachitiche o, meglio, ignimbritiche,<br />
che correva parallela alla costa e separata dai rilievi<br />
retrostanti, costituendo una ulteriore <strong>di</strong>fesa naturale.<br />
Dunque, i Fenici si inse<strong>di</strong>arono stabilmente a Sulky attorno<br />
al 780/770 a.C. costruendo un centro abitato che<br />
fin dall’origine era <strong>di</strong> notevoli <strong>di</strong>mensioni e che si <strong>di</strong>stendeva<br />
sul pen<strong>di</strong>o ad est della vecchia torre nuragica 11 . L’agglomerato<br />
urbano originario occupava una superficie <strong>di</strong><br />
circa quin<strong>di</strong>ci ettari, praticamente <strong>di</strong> pari estensione a<br />
quella relativa al centro abitato <strong>di</strong> età me<strong>di</strong>evale 12 . La necropoli<br />
<strong>di</strong> età fenicia invece si estendeva lungo la costa a<br />
sud della città, alle spalle dell’antico porto ed aveva una<br />
estensione <strong>di</strong> circa tre ettari 13 .<br />
Non ci è nota nei dettagli la struttura urbanistica globale<br />
dell’inse<strong>di</strong>amento o la totalità della rete viaria originale<br />
né conosciamo la topografia dettagliata dell’antico<br />
abitato fenicio, ma solo una parte delle strutture murarie<br />
che le componevano emergono nell’area dell’abitato moderno.<br />
Si è potuto constatare che le abitazioni <strong>di</strong> epoca fenicia<br />
erano del tipo consueto in madrepatria e in genere<br />
in tutta l’area del Vicino Oriente, cioè formate da più ambienti<br />
raccolti attorno ad un cortile centrale.<br />
93<br />
ANNALI 2008
In ogni caso, grazie alla sua vastissima rete commerciale<br />
e ai suoi due porti a cavallo dell’istmo, quello lagunare e<br />
quello del Golfo <strong>di</strong> Palmas, la città <strong>di</strong>venne in breve tempo<br />
una metropoli <strong>di</strong> grande ricchezza e passò a controllare<br />
il territorio della Sardegna sud-occidentale che ancora<br />
oggi porta il nome <strong>di</strong> Sulcis. Le testimonianze delle sue attività<br />
commerciali sono emerse dagli scavi effettuati nell’abitato<br />
e ci parlano fin dalla prima metà dell’VIII secolo<br />
a.C. <strong>di</strong> rapporti stabili con Tiro e con le altre città fenicie<br />
della madrepatria orientale, <strong>di</strong> legami con Ca<strong>di</strong>ce e con gli<br />
altri centri fenici dell’Andalusia, <strong>di</strong> scambi fittissimi con il<br />
mondo etrusco e con l’ambiente greco dell’Eubea e delle<br />
colonie della Magna Grecia 14 .<br />
La comunità fenicia trascorse nell’abitato <strong>di</strong> Sulky un<br />
periodo <strong>di</strong> circa duecentocinquanta anni <strong>di</strong> tranquilla attività<br />
commerciale, agricola e domestica fino a quando –<br />
attorno al 540 a.C. – Cartagine, città fenicia <strong>di</strong> stirpe tiria<br />
collocata sulla costa africana tra la Sicilia e la Sardegna, seguendo<br />
una politica imperialista volta alla conquista dei<br />
territori costieri del Me<strong>di</strong>terraneo occidentale, decise <strong>di</strong><br />
porre piede in Sardegna per impadronirsene ed inserirla<br />
<strong>di</strong> fatto nel suo territorio metropolitano 15 . Già da tempo<br />
la città nord-africana sembrava aver manifestato le sue mire<br />
espansionistiche, fondando alcune colonie in area nordafricana,<br />
ma solo attorno alla metà del VI secolo a.C. questi<br />
propositi presero realmente corpo in tutta la loro violenza<br />
e drammaticità con l’invasione della parte occidentale<br />
della Sicilia e con la conseguente conquista <strong>di</strong> Mozia e<br />
dei centri fenici presenti nel territorio. Infatti, con due successive<br />
invasioni, l’una avvenuta appunto attorno al 540 e<br />
l’altra verso il 520 a.C., Cartagine invase la Sardegna. È<br />
ampiamente noto il susseguirsi degli eventi, cioè come<br />
dapprima giungesse nell’isola un esercito al comando del<br />
generale Malco, già vittorioso in Sicilia. Narrano le antiche<br />
e purtroppo avare fonti che il comandante cartaginese,<br />
dopo alterne vicende, fu duramente sconfitto, probabilmente<br />
da una coalizione <strong>di</strong> città fenicie alla cui testa era<br />
verosimilmente Sulky, e costretto a reimbarcarsi verso<br />
Cartagine. Non è da escludere che contro l’esercito cartaginese<br />
intervenissero anche truppe nuragiche, sia come alleate,<br />
sia come mercenarie delle città fenicie.<br />
Ancorché momentaneamente sconfitta, Cartagine continuò<br />
a sviluppare la sua politica egemonica volta alla supremazia<br />
nelle acque del Mar Tirreno. Ne sono prova gli<br />
eventi sfociati con la battaglia navale combattuta nel Mare<br />
Sardonio, da localizzare probabilmente nelle acque della<br />
Corsica, forse ad Alalia, e l’alleanza con la città etrusca<br />
<strong>di</strong> Caere, attuale Cerveteri, posta in evidenza dalle ben note<br />
lamine auree <strong>di</strong> Pyrgi 16 .<br />
In seguito – attorno al 520 a.C. – Cartagine effettuò<br />
un ulteriore tentativo e le sue armate passarono sotto il<br />
comando <strong>di</strong> Asdrubale e Amilcare figli <strong>di</strong> Magone, conquistatore<br />
della penisola iberica. Questa volta gli eserciti<br />
cartaginesi ebbero ragione della resistenza opposta dagli<br />
abitanti delle città fenicie <strong>di</strong> Sardegna. Infatti, come si<br />
evince dalle significative tracce <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione, le ostilità<br />
della città nord-africana erano rivolte soprattutto nei confronti<br />
<strong>di</strong> questi centri e perciò soprattutto verso Sulky.<br />
ANNALI 2008 94<br />
Quin<strong>di</strong>, dopo aspri combattimenti, Cartagine si impadronì<br />
saldamente della Sardegna, tanto che, già nel 509<br />
a.C., nel quadro del primo trattato <strong>di</strong> pace con Roma, tramandatoci<br />
dallo storico greco Polibio, l’isola, se non era<br />
letteralmente assimilata al suo territorio metropolitano,<br />
era posta strettamente sotto controllo tanto che ai naviganti<br />
stranieri era impe<strong>di</strong>to lo sbarco e la realizzazione <strong>di</strong><br />
qualsiasi forma <strong>di</strong> commercio se non in presenza dei funzionari<br />
cartaginesi.<br />
In ogni caso, come gran parte delle città fenicie <strong>di</strong> Sardegna,<br />
anche Sulky uscì gravemente danneggiata dalla<br />
conquista cartaginese. La metropoli africana, che aveva<br />
conquistato la Sardegna per impadronirsi soprattutto delle<br />
considerevoli risorse agricole dell’isola, inserì anche nella<br />
città sulcitana dei coloni trasportati dalle coste del Nord-<br />
Africa. Molte zone dell’isola, soprattutto quelle collinari,<br />
furono abbandonate poiché inadatte all’agricoltura <strong>di</strong> tipo<br />
latifon<strong>di</strong>sta attuata da Cartagine, mentre numerosi nuovi<br />
inse<strong>di</strong>amenti sorsero nelle pianure 17 . Dunque, mentre<br />
nei secoli precedenti l’isola aveva costituito un fondamentale<br />
nodo <strong>di</strong> scambio tra Oriente e Occidente e tra il<br />
Settentrione e il Meri<strong>di</strong>one del Me<strong>di</strong>terraneo, l’intera Sardegna<br />
fu praticamente assimilata al territorio metropolitano<br />
<strong>di</strong> Cartagine e fu totalmente e rigorosamente chiusa<br />
ai commerci internazionali. In particolare, cessarono tutte<br />
le importazioni dall’Etruria e dalla Grecia, mentre furono<br />
consentite unicamente quelle sottoposte all’egida e<br />
alla me<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> Cartagine e sotto il rigido controllo dei<br />
suoi funzionari.<br />
I nuovi abitanti, forse anche <strong>di</strong> origine berbera e quin<strong>di</strong><br />
portatori <strong>di</strong> una nuova cultura e <strong>di</strong> nuove usanze, trovarono<br />
una sistemazione nell’area dell’abitato fenicio e<br />
quin<strong>di</strong> ripristinarono una parte degli e<strong>di</strong>fici, e<strong>di</strong>ficandone<br />
nuovi sulle rovine <strong>di</strong> quelli danneggiati dall’invasione.<br />
Dopo la sua conquista, il centro <strong>di</strong> Sulky fu abitato anche<br />
da famiglie <strong>di</strong> stirpe nord-africana, come si deduce<br />
dalla presenza nella necropoli punica, relativa appunto a<br />
questo periodo.<br />
Infatti, mentre in epoca fenicia, a Sulky come nei restanti<br />
inse<strong>di</strong>amenti fenici <strong>di</strong> Sardegna e in genere del Me<strong>di</strong>terraneo<br />
occidentale, era in uso soprattutto il rito dell’incinerazione<br />
del corpo in piccole fosse, in età punica,<br />
vale a <strong>di</strong>re dopo la conquista cartaginese, <strong>di</strong>venne prevalente<br />
il rituale dell’inumazione dei defunti, che venivano<br />
sistemati all’interno <strong>di</strong> tombe a camera ipogea 18 . La necropoli<br />
<strong>di</strong> Sulky è composta in prevalenza da tombe sotterranee,<br />
<strong>di</strong>sposte talvolta su due livelli e a profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong>fferenti,<br />
e si estende per una superficie <strong>di</strong> oltre sei ettari a<br />
nord e a ovest dell’antico abitato 19 . Questo si <strong>di</strong>stendeva<br />
a est della collina del Castello e scendeva verso il mare.<br />
Nella prima età punica Sulky subì un periodo <strong>di</strong> crisi,<br />
conseguente alla sua emarginazione commerciale e alla relativa<br />
depressione economica, fino al terzo quarto del IV<br />
secolo a.C. circa, presumibilmente il 380/370 a.C. Attorno<br />
a questa data Cartagine decise <strong>di</strong> ristrutturare, ampliare<br />
e fortificare alcune tra le città più importanti della Sardegna<br />
e tra queste inserì anche il centro abitato <strong>di</strong> Sulky 20 .<br />
Quin<strong>di</strong> anche Sulky fu fortificata e, grazie anche alla sua
felice posizione naturale, fu resa praticamente inespugnabile.<br />
Le parti dell’abitato troppo <strong>di</strong>stanti per essere inserite<br />
nella cerchia delle mura, come ad esempio il tofet 21 , furono<br />
dotate <strong>di</strong> specifiche fortificazioni 22 .<br />
In seguito allo scoppio della prima guerra punica, che,<br />
come è noto, ebbe una durata <strong>di</strong> circa cinque lustri, tra il<br />
264 e il 241 a.C., allo scopo <strong>di</strong> prevenire eventuali sbarchi<br />
<strong>di</strong> contingenti militari romani, nei centri fortificati furono<br />
inse<strong>di</strong>ate alcune guarnigioni costituite da truppe mercenarie,<br />
all’epoca soprattutto <strong>di</strong> provenienza iberica, balearica,<br />
ligure e campana.<br />
Sulky infatti fece parte del teatro delle operazioni e in<br />
particolare <strong>di</strong> un importante scontro navale nel corso della<br />
I guerra punica. Da quanto ci è tramandato nella narrazione<br />
dello storico Zonara, l’ammiraglio cartaginese Annibale,<br />
che aveva stanziato la sua flotta nel Portus Sulcitanus,<br />
verosimilmente il Golfo <strong>di</strong> Palmas, subì nel 258 a.C.<br />
una dura sconfitta in mare da parte del console C. Sulpicio<br />
Patercolo. Il comportamento <strong>di</strong> Annibale, giu<strong>di</strong>cato imbelle<br />
dai propri soldati per aver abbandonato gran parte<br />
della flotta in mano ai nemici ed essersi rifugiato in città,<br />
fu punito con la morte. Zonara, come anche il greco Polibio<br />
e il romano Livio tramandano ad<strong>di</strong>rittura che l’ammiraglio<br />
fu crocefisso, mentre Orosio scrive che fu lapidato.<br />
La sconfitta cartaginese dovette essere un fatto talmente<br />
inconsueto che il senato romano concesse a C.<br />
Sulpicio Patercolo gli onori del trionfo il 6 ottobre del<br />
258 a.C.<br />
Poco tempo dopo, comunque, la superiorità navale dei<br />
Cartaginesi prevalse allorché in un nuovo attacco all’isola<br />
entrò in azione il generale punico Annone infliggendo una<br />
dura e decisa sconfitta alla flotta romana.<br />
Subito dopo la fine della prima guerra punica nel 241<br />
a.C., che vide il passaggio della Sicilia sotto il dominio romano,<br />
i centri del Nord-Africa e della Sardegna furono<br />
scossi da una rivolta delle truppe mercenarie <strong>di</strong> guarnigione<br />
che reclamavano la loro paga arretrata. Come è am-<br />
piamente noto, Cartagine, ingaggiata nei territori della pro-<br />
vincia nord-africana, quin<strong>di</strong> praticamente<br />
alle porte <strong>di</strong> casa, una<br />
lotta inespiabile e mortale contro<br />
i suoi antichi soldati, dopo aver<br />
subito un asse<strong>di</strong>o e dopo aspri e<br />
violentissimi combattimenti, vinse<br />
la sfida a caro prezzo. Infatti,<br />
poiché secondo l’interpretazione<br />
del senato romano, in deroga al<br />
trattato <strong>di</strong> pace impostole dopo<br />
la fine della Prima Guerra Punica,<br />
Cartagine era entrata in guerra<br />
contro le sue truppe mercenarie,<br />
la metropoli africana fu costretta<br />
da Roma a cedere la signoria<br />
della Sardegna. Dunque,<br />
senza colpo ferire, l’intera isola,<br />
e con essa Sulky, cadde sotto il<br />
dominio <strong>di</strong> Roma nel 238 a.C.<br />
EPIGRAFE DI S. ANTIOCO<br />
Epigrafe BEATI SANCTI ANTHIOCI<br />
GIORGIO PINNA<br />
Le rivalità secolari tra Cagliari e Sassari agli inizi del<br />
XVI secolo si aggravarono sempre più allorquando la<br />
contesa investì le se<strong>di</strong> arcivescovili sarde per vantare il titolo<br />
<strong>di</strong> “primaziale”, e quin<strong>di</strong> sul <strong>di</strong>ritto degli arcivescovi<br />
<strong>di</strong> potersi fregiare dell’intestazione <strong>di</strong> “primate <strong>di</strong> Sardegna<br />
e Corsica”.<br />
I due schieramenti si scontrarono sulla vetustà <strong>di</strong> fondazione<br />
urbana: Sassari, con l’umanista G. Francesco Fara,<br />
arciprete sassarese, derivò la propria dai “Vetulonesi”<br />
(Etruschi) nel 1580 a.C. 23 , mentre la rivale Cagliari venne<br />
<strong>di</strong>chiarata fondata dai Cartaginesi nel 518 a.C., ovvero<br />
più <strong>di</strong> mille anni dopo. Sassari, con Torres, asseriva la fondazione<br />
apostolica della propria sede con Paolo; Cagliari<br />
<strong>di</strong>chiarava la specifica origine da Clemente, futuro papa e<br />
<strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong> Pietro.<br />
Altro oggetto del contendere fu il numero e la gloria<br />
dei martiri; la de<strong>di</strong>ca latina BM invece <strong>di</strong> essere letta correttamente<br />
come “Bonae Memoriae” veniva liberamente<br />
interpretata come “Beatus Martyr”. I propri santi venivano<br />
esaltati a <strong>di</strong>smisura contrariamente a quelli della parte<br />
avversa che venivano sistematicamente denigrati: a Lucifero,<br />
antico vescovo <strong>di</strong> Cagliari, i Sassaresi, poggiando sull’autorità<br />
<strong>di</strong> Cesare Baronio autore degli Annales ecclesiastici,<br />
contestavano la santità e l’ortodossia.<br />
La guerra <strong>di</strong> santi e martiri tra le due se<strong>di</strong> arcivescovili<br />
sfociò nella ricerca dei corpi santi incominciata nel 1614<br />
dall’arcivescovo <strong>di</strong> Sassari Gavino Manca Cedrelles, che<br />
portò al ritrovamento, nella cripta della basilica <strong>di</strong> San Gavino<br />
presso il porto <strong>di</strong> Torres, dei sepolcri e delle reliquie<br />
dei martiri turritani Gavino, Proto e Ianuario. La risposta<br />
fu imme<strong>di</strong>ata allorché, nel novembre dello stesso anno,<br />
l’arcivescovo <strong>di</strong> Cagliari Francisco de Esquivel fece svolgere<br />
degli scavi presso la chiesa paleocristiana <strong>di</strong> San Saturno,<br />
dove vennero scoperti i resti dei santi Cesello e Ca-<br />
95<br />
ANNALI 2008
merino. Altri centri imitarono i capoluoghi: nel 1615 furono<br />
trovate le spoglie <strong>di</strong> San Simplicio a Terranova,<br />
Sant’Imbenia a Cuglieri, Sant’Archelao a Fordongianus ed<br />
infine il 18 marzo dello stesso anno nell’isola sulcitana fu<br />
fatto il rinvenimento del corpo <strong>di</strong> Sant’Antioco; segnando<br />
un punto favorevole e determinante all’arci<strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Cagliari.<br />
Il P. Tommaso Napoli 24 fornisce <strong>di</strong> questo episo<strong>di</strong>o<br />
una colorita descrizione: «Dopo aver fatto ognuno i suoi voti,<br />
e preghiere per ottener da Dio il desiato effetto, e proposto <strong>di</strong><br />
passar quel dì a pane ed acqua entrarono con gran devozione<br />
nella catacomba, e per <strong>di</strong>vina <strong>di</strong>sposizione colpirono subito<br />
nel segno; poiché essendovi a piè della scala nell’ingresso<br />
della grotta un piccolo altare ornato <strong>di</strong> sei colonnette, una <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>aspro, tre <strong>di</strong> marmo bianco, e due altre <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenti pietre,<br />
levarono una gran tavola <strong>di</strong> marmo che serviva <strong>di</strong> ara a detto<br />
altare, sopra la quale erano scolpite con lettere Gotiche<br />
molto chiare sette linee contenenti la seguente iscrizione:<br />
Questa iscrizione l’aveano tempi avanti già letta, e anche<br />
copiata persone dotte, senza però capirne bene il senso, ma tosto<br />
che la lessero i sopradetti Canonici, o Religiosi stimarono<br />
fondatamente, che in quel sito, e sotto quell’altare fosse sepolto<br />
il corpo del Santo. Ruppero dunque lo smalto molto forte,<br />
e duro, su cui era fermata la detta tavola, e nel centro <strong>di</strong><br />
esso altare apparve una piccola volta, rotta la quale, scoprirono<br />
dentro <strong>di</strong> essa una sepoltura molto ben fabbricata <strong>di</strong> pietre,<br />
e calcina, e dentro smaltata incorporata nell’istesso altare,<br />
ed in essa il corpo del glorioso Martire posto in modo, che<br />
la testa corrispondeva alla parte dell’ara, ove erano le parole<br />
BEATI S. ANTIOCHI».<br />
L’autenticità dell’epigrafe fu sostenuta da Theodor<br />
Mommsen, grazie al contributo <strong>di</strong> un suo giovane collaboratore<br />
Johannes Schmidt che visitò la Sardegna nel<br />
1881, ed inserita nel X volume del Corpus Inscriptionum<br />
Latinarum pubblicato nel 1883 con il n° 7533; non prima<br />
d’aver chiesto il parere dello stu<strong>di</strong>oso G.B. De Rossi. Il 23<br />
maggio 1881 il Mommsen trasmise al De Rossi il calco<br />
dell’iscrizione sulcitana, invitando l’amico ad ammorbi<strong>di</strong>re<br />
le riserve sull’autenticità <strong>di</strong> un testo che non poteva essere<br />
me<strong>di</strong>oevale 26 ; lo stesso De Rossi aggiunse: «L’iscrizione<br />
credo sia stata in origine nell’abside in lettere <strong>di</strong> musaico<br />
o <strong>di</strong> pittura imitante il musaico così:<br />
† AULA MICAT UBI cinis (?) CORPUSque BEATum<br />
ANTIOCHI SCI QUIEBIT IN GLORIA<br />
sic splendet VIRTUTIS OPUS REPARANTE MINISTRO cet.<br />
ANNALI 2008 96<br />
25<br />
È evidentemente mutila, composta <strong>di</strong> emistichi dei formolarii<br />
delle epigrafi metriche dei musaici, male riusciti,<br />
come si faceva circa il secolo VIII e IX ed anche prima.<br />
Un falsario non saprebbe inventare questa razza <strong>di</strong> centoni;<br />
<strong>di</strong> ciascuno degli emistichii potrei citarvi plus minus<br />
l’autorità originale. Poi fu fatta in marmo la copia mutila<br />
e guasta, che anche oggi esiste».<br />
Rilevante a tal proposito è l’annotazione <strong>di</strong> O. Marucchi<br />
sulle iscrizioni metriche 27 : «Le iscrizioni cristiane metriche<br />
a <strong>di</strong>fferenza delle pagane non sono scritte generalmente<br />
con eleganza anzi spesso ci si presentano rozze ed anche erronee<br />
nella misura dei versi: quin<strong>di</strong> devono <strong>di</strong>rsi piuttosto ritmiche<br />
che veramente metriche. Dal primo al quarto secolo tali<br />
epigrafi sono quasi tutte sepolcrali semplici e brevissime. Esse<br />
ci offrono spesso centoni <strong>di</strong> poeti antichi, versi intieri od<br />
emistichi presi in prestito dai classici autori...».<br />
All’autorità del Mommsen e De Rossi si appoggiarono<br />
<strong>di</strong>versi autori; G. Dettori considera: «Il culto <strong>di</strong> Antioco a<br />
Sulcis è molto antico, poiché in un’iscrizione mutila del sec.<br />
VIII o IX, che sembra, però, la copia <strong>di</strong> un’altra più antica,<br />
trovata nel sec. XVII nella catacomba sottostante all’attuale<br />
chiesa a lui de<strong>di</strong>cata, si allude ad una chiesa ornata con<br />
marmi e de<strong>di</strong>cata al santo dal vescovo Pietro, vissuto probabilmente<br />
nel sec. VI» 28 .<br />
R. Serra anticipa <strong>di</strong> un secolo il periodo <strong>di</strong> riferimento:<br />
«Di imprecisabili lavori d’“abbellimento marmoreo”, per<br />
i quali un’aula “riluce e acquista nuovo splendore”, parla l’iscrizione<br />
del vescovo Pietro, databile fra VII-IX sec. e variamente<br />
interpretata» 29 . Non si <strong>di</strong>scosta dal periodo L. Porru:<br />
«Se ancora non si è in grado <strong>di</strong> chiarire i nessi che non<br />
sembrano generici fra Sulci e Roma nei primi secoli dell’Altome<strong>di</strong>oevo,<br />
in<strong>di</strong>scutibilmente se ne trae conferma della genesi<br />
metrica della nostra epigrafe, che in più punti lascia percepire<br />
cadenze ritmiche; può dunque fondatamente fissarsi<br />
agli inizi del VII sec. il post quem per l’intervento del vescovo»<br />
30 . Ma, nell’introduzione dello stesso testo, <strong>di</strong>scorrendo<br />
dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> R. Coroneo sull’arredo architettonico<br />
del Santuario, il massimo stu<strong>di</strong>oso e archeologo sardo Giovanni<br />
Lilliu considera: «Il primo gruppo consta <strong>di</strong> otto frammenti<br />
(nn. 1-8 del pregevolissimo Catalogo), datati V-VI secolo,<br />
costituenti residui <strong>di</strong> pluteo, ciborio e altri parti <strong>di</strong> arredo<br />
da riferire verosimilmente al martyrium. È in questi elementi,<br />
taluni inscritti con lettere greche e latine e tutti decorati<br />
con motivi a pelte, croci e vegetali, che si devono riconoscere<br />
(a mio avviso) i “titoli” e i “marmi” vantati nell’epigrafe<br />
<strong>di</strong> Petrus antistes, per cui brillava l’aula (aula micat) dove<br />
il corpo <strong>di</strong> S. Antioco dormiva nella gloria delle sue virtù<br />
(quiebit in gloria virtutis). I pezzi stilisticamente e per l’iconografia<br />
sanno della tra<strong>di</strong>zione artistica tardo-antica» 31 .<br />
Dalla datazione dell’epigrafe non si può <strong>di</strong>sgiungere la<br />
figura storica del vescovo Pietro; Alberto de La Marmora<br />
in risposta alla tesi del Mattei in Sar<strong>di</strong>nia Sacra: «Ce prélat<br />
n’était pas, comme on l’a cru, un archevêque de Cagliari,<br />
mais un évêque de Sulcis et il se nommait Pierre Pintor» 32 ;<br />
e d’accordo con il Martini della <strong>Storia</strong> ecclesiastica <strong>di</strong> Sardegna,<br />
Vol. III, colloca il vescovo Pietro nel periodo compreso<br />
tra il 1122, anno in cui Alberto, monaco cassinese,<br />
fu or<strong>di</strong>nato vescovo dal Pontefice Callisto II, e l’anno 1163
nel quale il vescovo Aimone compare come garante in una<br />
<strong>di</strong>sputa tra l’arcivescovo <strong>di</strong> Cagliari ed i monaci <strong>di</strong> San Saturnino.<br />
I due prelati, Aimone ed Alberto, compaiono nell’iscrizione<br />
murata nella facciata dell’antica cattedrale <strong>di</strong><br />
Tratalias. D’accordo con il Martini ed il La Marmora è S.<br />
Pintus, che afferma: «Quest’iscrizione è interessante, perché<br />
ci fa conoscere il tempo in cui la chiesa fu abbellita dal vescovo<br />
Pietro, al cominciare del secolo XII» 33 . Infine, in or<strong>di</strong>ne<br />
temporale, F. Pili sulla traccia <strong>di</strong> altri autori sar<strong>di</strong> continua<br />
a considerare il vescovo Pietro reggente la cattedra<br />
sulcitana nel XII secolo: «...l’antica iscrizione latina Aula<br />
micat ricalcata, probabilmente, dal vescovo Pietro (sec. XII),<br />
a seguito degli abbellimenti da lui apportati al tempio sulcitano,<br />
su altra più breve e più antica (sec. V?)» 34 .<br />
Voce solo in parte <strong>di</strong>ssenziente è quella <strong>di</strong> B.R. Motzo:<br />
«Avendo avuto occasione <strong>di</strong> esaminare l’iscrizione il cui marmo<br />
è intero e occupato solo per metà dal testo, mi sono convinto<br />
che è autentica e che fu posta nella cripta dove giaceva<br />
il corpo del santo in occasione <strong>di</strong> lavori eseguiti nel VI-VIII<br />
secolo. Essa è il più antico monumento storico che menzioni<br />
s. Antioco. Ignoto è il Petrus antistes che vi è ricordato: il Mattei<br />
vide in esso l’arcivescovo <strong>di</strong> Cagliari Pietro che viveva verso<br />
il 1126; il Martini lo riven<strong>di</strong>ca alla chiesa sulcitana ma<br />
il suo tentativo <strong>di</strong> precisarne l’epoca con l’aiuto della donazione<br />
<strong>di</strong> parte del salto <strong>di</strong> Marzana a s. Cristina fatta da Costantino-Salusio<br />
(1130-1102?) è vano, poiché il Pietro Pintori<br />
che vi è ricordato era vescovo <strong>di</strong> Suelli non <strong>di</strong> Sulcis. Trattasi<br />
più probabilmente d’un vescovo della sede <strong>di</strong> Sulcis nel<br />
VI-VIII secolo» 35 .<br />
Procedendo nella storia degli stu<strong>di</strong> incontriamo due<br />
Sar<strong>di</strong> sul trono <strong>di</strong> S. Pietro, S. Ilario (461-468) e S. Simmaco<br />
(498-514). Papa Simmaco viene citato da F. Lanzoni<br />
36 : «Quando vivesse il vescovo Pietro, certamente <strong>di</strong> Sulci,<br />
che de<strong>di</strong>cò quell’antica chiesa o basilica in onore <strong>di</strong> s. Antioco,<br />
non si sa. A ogni modo l’iscrizione, <strong>di</strong> cui ci occupiamo,<br />
potrebbe risalire al VI secolo, non oltre, contenendo evidenti<br />
reminiscenze <strong>di</strong> epigrafi metriche cristiane del secolo V. Infatti<br />
l’ultimo <strong>di</strong>stico quasi per intero si legge in un’iscrizione romana<br />
<strong>di</strong> papa Simmaco (498-514)» 37 ; da notare in questa<br />
citazione che F. Lanzoni considera il vescovo Pietro come<br />
Sulcitano. Simmaco, originario, secondo la tra<strong>di</strong>zione, del<br />
paese <strong>di</strong> Simaxis presso Oristano, fu eletto papa il 22 novembre<br />
del 498 38 .<br />
E. Diehl nell’e<strong>di</strong>zione del 1961 delle Inscriptiones Latinae<br />
Christianae Veteres mette in accostamento la nostra<br />
epigrafe, al n° 1791, con una iscrizione, al n° 1788, rinvenuta<br />
nell’Isola Sacra nei pressi del Porto Ostiense all’interno<br />
della basilica <strong>di</strong> s. Ippolito, <strong>di</strong>strutta da Genserico<br />
nell’anno 455 e ricostruita dal vescovo <strong>di</strong> Porto Pietro nell’anno<br />
465 39 ; l’iscrizione è oggi perduta. Un frammento<br />
fu ritrovato nella chiesa <strong>di</strong> S. Giovanni Calibita a Roma 40 ,<br />
la trascrizione riferita è <strong>di</strong> questo tenore:<br />
† Vandalica rabies hanc ussit martyris aulam,<br />
quam Petrus antistes cultu meliore nouata(m)<br />
Analizzando questa iscrizione troviamo non solo una<br />
assonanza metrica, rilevabile anche più estesamente in altre<br />
iscrizioni dello stesso periodo, con la nostra epigrafe<br />
ma una corrispondenza delle origini molto stimolante al<br />
fine <strong>di</strong> inquadrare correttamente il periodo storico.<br />
La città <strong>di</strong> Porto (Portus ostiensis, Portus urbis Romae)<br />
e<strong>di</strong>ficata nel I secolo nasce come alternativa portuale ad<br />
Ostia, soggetta a frequenti insabbiamenti 41 , si afferma nel<br />
tardo impero ospitando un nucleo cristiano documentato<br />
da un ricco corredo epigrafico; attualmente l’antico nucleo<br />
urbano non è più esistente come tale ed il territorio<br />
per la più parte ricade nell’area demaniale dell’aeroporto<br />
intercontinentale <strong>di</strong> Fiumicino, già proprietà dei principi<br />
Torlonia. La città <strong>di</strong> Porto era nota nell’antichità per essere<br />
stata la probabile <strong>di</strong>mora <strong>di</strong> Sant’Ippolito, la cui storia<br />
è molto oscura; qui fu costruito il grande xenodochium, od<br />
ospizio, <strong>di</strong> Pammachius per accogliere i pellegrini <strong>di</strong>retti a<br />
Roma 42 . Nel 410, Roma e Porto furono saccheggiate da<br />
Alarico, re dei Visigoti.<br />
Nel giugno del 455 Porto subì l’attacco ed il saccheggio<br />
dei Vandali <strong>di</strong> Genserico, i quali incen<strong>di</strong>arono e <strong>di</strong>strussero<br />
l’aula martyris, identificata con la basilica <strong>di</strong><br />
Sant’Ippolito. Anche Ostia e Roma subirono l’affronto del<br />
saccheggio. Porto fu costituita in <strong>di</strong>ocesi nel III secolo <strong>di</strong>ventando<br />
ben presto sede suburbicaria; al car<strong>di</strong>nale vescovo<br />
<strong>di</strong> Porto-Santa Rufina compete la qualifica <strong>di</strong> subdecano<br />
facente parte del collegio car<strong>di</strong>nalizio.<br />
Nel 465 il vescovo <strong>di</strong> Porto Pietro partecipa al concilio<br />
romano indetto dal papa Ilario; nel 474 nella cattedrale<br />
<strong>di</strong> Porto, oramai riattivata, ebbe luogo l’or<strong>di</strong>nazione del<br />
vescovo Glicerio.<br />
A. Mastino ritiene che la dominazione vandalica in Sardegna<br />
vada collocata ben oltre il sacco <strong>di</strong> Roma del 2 giugno<br />
455 43 , perché ancora nel 458 la Sardegna non riconosceva<br />
l’autorità <strong>di</strong> Genserico; ed aggiunge: «Del resto la<br />
provincia Sar<strong>di</strong>nia fu amministrata dai re vandali con relativa<br />
mitezza...: già l’effimera riconquista della Sardegna nel<br />
466, avvenuta forse su sollecitazione del papa sardo Ilaro<br />
(anni 461-468) con l’intervento <strong>di</strong> Marcellino che riuscì senza<br />
troppa <strong>di</strong>fficoltà a travolgere le piccole guarnigioni vandale<br />
stanziate nell’isola, <strong>di</strong>mostra come i Vandali si limitassero<br />
a controllare soltanto alcune località, lasciando la massima<br />
libertà ai Sar<strong>di</strong> dell’interno ed agli stessi Mauri trasferiti<br />
dalla Cesariense ed esiliati da Genserico in Sardegna, confinati<br />
assieme alle loro donne, che avrebbero rappresentato<br />
un problema solo qualche decennio dopo, in età bizantina».<br />
Il papa Ilario (461-468) è il successore <strong>di</strong> Leone I Magno<br />
(440-461); i Bollan<strong>di</strong>sti nella Vite dei Santi 44 scrivono:<br />
«Ilaro o Ilario, figliuolo <strong>di</strong> Crispiniano, cui credesi originario<br />
<strong>di</strong> Sardegna, era <strong>di</strong>acono della Chiesa romana sotto il<br />
papa san Leone, e gli aveva dato tali prove <strong>di</strong> capacità, <strong>di</strong> zelo<br />
e <strong>di</strong> virtù, che questi lo scelse per uno dei legati da lui inviati,<br />
l’anno 449, in Oriente ad assistere in suo nome ed in<br />
quello <strong>di</strong> tutti i vescovi <strong>di</strong> Occidente al concilio convocato ad<br />
Efeso, a causa della nuova eresia degli Euticheti... Dopo lunghe<br />
fatiche pel servizio della Chiesa, il papa san Leone lasciò<br />
vacante la sede apostolica con la sua morte accaduta il 30<br />
ottobre dell’anno 461. Nessuno fu giu<strong>di</strong>cato più degno <strong>di</strong> occuparla<br />
del <strong>di</strong>acono Ilaro, <strong>di</strong> cui questo santo papa erasi servito<br />
tanto utilmente negli affari più importanti avvenuti sotto<br />
il suo pontificato. Fu consacrato il 12 novembre seguente...<br />
97<br />
ANNALI 2008
Sin dal principio del suo pontificato, scrisse una lettera circolare<br />
per condannare novellamente Nestorio ed Eutichete, e<br />
per confermare i concilii <strong>di</strong> Nicea, il primo <strong>di</strong> Efeso, e quello<br />
<strong>di</strong> Calcedone. ...Questo santo papa, sempre applicato a correggere<br />
gli abusi ed a fare salutari regolamenti per tutta la<br />
Chiesa, tenne un nuovo concilio a Roma, il 17 novembre dell’anno<br />
465, con i vescovi andati a celebrarvi il giorno della<br />
sua or<strong>di</strong>nazione, che cadeva il 12 <strong>di</strong> questo mese... Dicesi,<br />
che questo concilio particolare durò più <strong>di</strong> un anno, dal che<br />
può giu<strong>di</strong>carsi il gran numero <strong>di</strong> costituzioni ch’egli vi fece pel<br />
bene della Chiesa». Ilario fu accusato dai suoi contemporanei<br />
<strong>di</strong> eccessivo mecenatismo; utilizzò le donazioni <strong>di</strong><br />
ricche famiglie patrizie romane per arricchire e decorare<br />
con marmi e statue preziose <strong>di</strong>verse chiese, tra le quali San<br />
Pietro, San Paolo e San Lorenzo, dotandole anche <strong>di</strong> strumenti<br />
per le funzioni sacre in oro ed argento. Dunque, il<br />
papa Ilario era originario della Sardegna, proseguì l’opera<br />
<strong>di</strong> Leone Magno con una incessante attività <strong>di</strong>plomatica e<br />
fu assertore del primato del vescovo <strong>di</strong> Roma, al quale<br />
compete sollecitudo et auctoritas verso tutta la Chiesa nelle<br />
sue varie <strong>di</strong>ocesi.<br />
Nel 594 il vescovo <strong>di</strong> Porto Felice e Ciriaco, abate <strong>di</strong><br />
Sant’Andrea al Celio, furono inviati in Sardegna come ministri<br />
dal papa Gregorio Magno 45 . Felice era il latore per i<br />
possessores sar<strong>di</strong> <strong>di</strong> una lettera dove venivano spronati ad<br />
agire per la conversione dei propri conta<strong>di</strong>ni, che praticavano<br />
il culto degli idoli; al duca <strong>di</strong> Sardegna Zabarda consegnò<br />
una missiva <strong>di</strong> elogio per le buone azioni compiute<br />
e al duca barbaricino Ospitone recapitò una nota <strong>di</strong> insistenza<br />
per la conversione dei barbaricini con l’invito a fornire<br />
aiuto, in qualsiasi modo, al “nostro confratello vescovo<br />
Felice”.<br />
A questo punto si possono fare alcune ipotesi: Sulci<br />
con<strong>di</strong>vide con Porto l’invasione ed il saccheggio dei Vandali;<br />
il vescovo Pietro <strong>di</strong> Porto, con prerogative simili a Felice,<br />
viene inviato a Sulci per rinnovare lo splendore del<br />
Martyrium, avendo già operato per la ricostruzione della<br />
cattedra <strong>di</strong> Porto. Pietro antistes opera in qualità <strong>di</strong> ministro<br />
del pontifex Christi, cioè il papa Ilario, <strong>di</strong> origini sarde,<br />
che ben conosceva la realtà religiosa della Sardegna dato<br />
che si sarebbe formato spiritualmente e culturalmente a<br />
Cagliari 46 .<br />
In questo periodo possiamo considerare il seggio vescovile<br />
sulcitano vacante o non ancora costituito; fu il vescovo<br />
Pietro in rappresentanza <strong>di</strong> Ilario ad istituirlo? Il vescovo<br />
Vitale, il primo conosciuto per Sulci, è presente al<br />
concilio <strong>di</strong> Cartagine nel 484 47 .<br />
Il titolo <strong>di</strong> Antistes, in sostituzione <strong>di</strong> episcopus, fu <strong>di</strong><br />
preferenza adoperato nelle epigrafi metriche 48 . L’intestazione<br />
<strong>di</strong> pontifex, in uso nel culto pagano, non fu impiegato<br />
nei primi secoli del cristianesimo; nel secolo V, ormai<br />
sconfitto il paganesimo, fu utilizzato come titolo per Leone<br />
I Magno nell’iscrizione dell’arco trionfale a San Paolo<br />
sull’Ostiense, anno 443-449 49 .<br />
L’epigrafe dettata dal Petrus antistes, e poi negligentemente<br />
interpretata dal lapicida, così come il restauro ed il<br />
riacquistato splendore del Martyrium possono pertanto ritenersi<br />
risalenti agli anni 465-468.<br />
ANNALI 2008 98<br />
Il culto in Sardegna <strong>di</strong> Sant’Antioco<br />
Sulcitano<br />
GRAZIA VILLANI<br />
Il primo martire della Sardegna<br />
lorioso protho Martir de Çerdeña”: così viene accla- “G mato sant’Antioco nella sua Passio, pervenutaci in<br />
copia seicentesca dal presunto originale dell’XI secolo.<br />
In effetti, stando a ciò che tramanda la tra<strong>di</strong>zione,<br />
sant’Antioco visse e morì nell’isola <strong>di</strong> Sulci durante il regno<br />
dell’imperatore Adriano (117-138): in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> tempo,<br />
risulterebbe essere, quin<strong>di</strong>, il primo martire della Sardegna.<br />
Dopo il ritrovamento delle reliquie, avvenuto il 18<br />
marzo 1615, questo suo status <strong>di</strong> Protomartyr Apostolicus<br />
svolse un ruolo decisivo nell’assegnazione, da parte della<br />
Sacra Rota, del Primato Metropolitano nell’isola: permise<br />
alla <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Cagliari, che dal 1506 inglobava anche quella<br />
<strong>di</strong> Sulci, <strong>di</strong> certificare la maggiore antichità delle proprie<br />
testimonianze protocristiane rispetto a Torres e ad Arborea,<br />
ottenendo così l’ambita investitura.<br />
Sant’Antioco “Patronus Sar<strong>di</strong>niae”<br />
Tuttavia, il culto <strong>di</strong> sant’Antioco non solo è antichissimo,<br />
come <strong>di</strong>mostrano, fra gli altri, i ritrovamenti archeologici<br />
ed epigrafici all’interno della basilica a lui de<strong>di</strong>cata,<br />
ma la sua <strong>di</strong>ffusione è documentata, in modo capillare,<br />
nell’intero territorio sardo. Non a caso, nel corso dei secoli,<br />
le attestazioni che lo salutano come patrono dell’isola<br />
sono redatte nelle <strong>di</strong>verse lingue usate dai dominatori e<br />
dai locali: dal latino (“Patronus totius Regni Sar<strong>di</strong>niae”) al<br />
castigliano (“Patron de la Isla de Sardegna”), dal sardo logudorese<br />
(“Patronu de sa Isola de Sar<strong>di</strong>gna”) all’italiano<br />
(“Protettore insigne della Chiesa sarda”), a <strong>di</strong>mostrazione<br />
della continuità cronologica e territoriale del suo culto.<br />
Nel 1124 la devozione verso il Santo doveva costituire<br />
già una consolidata tra<strong>di</strong>zione religiosa, se il giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong><br />
Cagliari, Mariano Torchitorio, decretò <strong>di</strong> offrirgli in donazione<br />
l’intera isola sulcitana, pro remissione dei propri peccati<br />
e <strong>di</strong> quelli <strong>di</strong> tutti i suoi familiari. In seguito, tale consacrazione<br />
fu sancita definitivamente: abbandonata l’antica<br />
denominazione, Sulci assunse ad eponimo lo stesso<br />
Martire, e venne, da allora, comunemente in<strong>di</strong>cata e conosciuta<br />
come isola <strong>di</strong> Sant’Antioco.<br />
In tempi ancora più remoti, a Bisarcio, nell’attuale provincia<br />
<strong>di</strong> Sassari, in suo onore era stata innalzata una gran<strong>di</strong>osa<br />
cattedrale, poi ricostruita in forme romaniche, primaziale<br />
dell’omonima <strong>di</strong>ocesi; dopo lunghe ed alterne vicende,<br />
dal 1915 essa fu compresa nella nuova sede vescovile<br />
<strong>di</strong> Ozieri, <strong>di</strong> cui tuttavia sant’Antioco è rimasto il venerato<br />
patrono.<br />
Non solo. Come abbiamo anticipato, la profonda fede<br />
nei confronti del Sulcitano ha interessato, nel volgere della<br />
storia, tutta la Sardegna nella sua interezza, secondo ciò<br />
che <strong>di</strong>chiara anche Tommaso Napoli nel 1784: “Tanta è la<br />
<strong>di</strong>vozione <strong>di</strong> questi popoli [sar<strong>di</strong>] verso il glorioso martire S.<br />
Antioco, che non vi è città, né villaggio in questo regno, in cui<br />
non vi sia o chiesa, o altare, o statua, o immagine innalzata
a onor <strong>di</strong> questo Santo, o a lui consegrata,<br />
facendosi nella Sardegna varie feste,<br />
ed in varii giorni, e templi a suo onore”.<br />
Chiese, cappelle e simulacri<br />
de<strong>di</strong>cati al Santo<br />
Se, col passare del tempo, molti <strong>di</strong><br />
questi e<strong>di</strong>fici chiesastici sono scomparsi<br />
e tante cappelle hanno cambiato intitolazione,<br />
la loro esistenza è fortunatamente<br />
ricordata da un immenso materiale<br />
letterario e documentale: da Sassari<br />
ad Oristano, da Cagliari a Porto<br />
Torres, sono molteplici i simulacri, le<br />
aule <strong>di</strong> culto e le cappelle che, attraverso<br />
i secoli, sono stati de<strong>di</strong>cati a<br />
sant’Antioco, per non parlare, ovviamente,<br />
della loro <strong>di</strong>ffusione nel territorio<br />
iglesiente, della cui <strong>di</strong>ocesi è, peraltro,<br />
il patrono.<br />
Fra le tante chiese sarde <strong>di</strong> cui è titolare,<br />
nominiamo per tutte quelle <strong>di</strong><br />
Ghilarza, Muravera e Scano Montiferro,<br />
nonché le aule <strong>di</strong> culto ormai scomparse<br />
<strong>di</strong> Pattada, Escolca, Gesico e Senorbì.<br />
Infine, occorre ricordare che i paesi<br />
<strong>di</strong> Atzara, Girasole, Palmas Arborea,<br />
Ulassai e Villasor, oltre ad aver innalzato<br />
“templi a suo onore”, hanno eletto<br />
sant’Antioco quale proprio supremo<br />
protettore, ruolo con<strong>di</strong>viso a Mogoro<br />
assieme a san Bernar<strong>di</strong>no da Siena.<br />
Feste in onore <strong>di</strong> sant’Antioco<br />
ANTINA IN LEGNO CON<br />
IMMAGINE DI<br />
SANT’ANTIOCO. PEDAXIUS,<br />
CHIESA CAMPESTRE<br />
La devozione dei Sar<strong>di</strong> nei confronti<br />
del Sulcitano è altresì <strong>di</strong>mostrata dalle innumerevoli feste<br />
che tra<strong>di</strong>zionalmente si svolgevano ovunque per omaggiarlo,<br />
<strong>di</strong> cui, molte, tuttora vigenti. Il calendario liturgico<br />
prevedeva ben quattro appuntamenti annuali: il 13 novembre,<br />
il 1° agosto, il venerdì chiamato “<strong>di</strong> Lazzaro”, (ossia<br />
dopo la quarta domenica <strong>di</strong> quaresima), e il quin<strong>di</strong>cesimo<br />
giorno successivo alla Pasqua <strong>di</strong> Resurrezione.<br />
In quest’ultima ricorrenza, uno dei festeggiamenti più<br />
importanti, per partecipazione e fede, era quello celebrato<br />
a Cagliari, la cui processione si snodava attorno alla<br />
chiesa <strong>di</strong> Bonaria e al quale accorreva, a pie<strong>di</strong> o con i carri<br />
(le cosiddette “trakkas”), una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> fedeli da<br />
tutto il Campidano. Significativa la descrizione offerta dal<br />
Lippi nel 1870: “Quasi improvvisamente e come per incanto,<br />
Bonaria non pare più una collina cagliaritana, sì un vero<br />
villaggio, oppure un ridotto <strong>di</strong> popoli <strong>di</strong>versi per lingua, vesti<br />
e costumi: è la religione che li ha uniti per venerare un sardo<br />
eroe”.<br />
A Baunei, sul versante orientale sardo, in onore del Sulcitano<br />
aveva sede annualmente la sagra de is baga<strong>di</strong>us (i<br />
celibi), cosiddetta perché organizzata da un comitato <strong>di</strong><br />
giovani. Non si trattava <strong>di</strong> una ricorrenza solo religiosa, ma<br />
costituiva un atteso appuntamento durante il quale si in-<br />
tessevano basilari transazioni economiche per quella<br />
comunità, come le compraven<strong>di</strong>te <strong>di</strong> greggi e gli<br />
ingaggi <strong>di</strong> servi-pastori.<br />
Ancora, nel cuore dell’isola, a Gavoi, oltre alla<br />
solenne processione, si svolgevano gare equestri, come<br />
si legge nella descrizione ottocentesca fornita da<br />
Vittorio Angius: “Una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> cavalli scelti,<br />
governati da giovani briosi, (...) gareggiano per arrivare<br />
prima alla meta, che è fissata nel piazzale della<br />
chiesa”. Apriva la sfilata il cosiddetto “cavallo del<br />
Santo”, che s’inchinava sette volte davanti al simulacro<br />
<strong>di</strong> S. Antioco per rendergli omaggio, secondo<br />
una consuetu<strong>di</strong>ne ancora in vigore a tutt’oggi.<br />
Le “corse <strong>di</strong> barbari” venivano <strong>di</strong>sputate anche a<br />
Cagliari, Pirri, San Gavino Monreale, inoltre, con<br />
modalità <strong>di</strong>verse ma col simile afflusso <strong>di</strong> numerosissimi<br />
fedeli, celebrazioni in onore <strong>di</strong> sant’Antioco<br />
si tenevano a Fordongianus, Furtei, Irgoli, Neoneli,<br />
Sanluri, Ussassai, per citare solo alcune località <strong>di</strong><br />
un elenco che sarebbe altrimenti interminabile.<br />
La festa <strong>di</strong> sant’Antioco nell’isola omonima<br />
La festa in assoluto più importante era quella<br />
che si svolgeva nell’isola omonima, quin<strong>di</strong>ci giorni<br />
dopo la Pasqua, definita da Tommaso Napoli, nel<br />
1784, “la più celebre, e la più <strong>di</strong>vota <strong>di</strong> quante se ne<br />
facciano in questo regno [<strong>di</strong> Sardegna]”.<br />
Tale celebrazione, ancor prima dell’inventio delle<br />
reliquie del Santo, prevedeva afflussi <strong>di</strong> pellegrini<br />
dalle più <strong>di</strong>sparate contrade dell’isola: un manoscritto<br />
anonimo tardo-cinquecentesco, intitolato Vita<br />
Sancti Antiochi Martyris, riferisce della presenza,<br />
per questi stessi anni, <strong>di</strong> 20.000 persone, 4.000 cavalli,<br />
2.000 carri <strong>di</strong> buoi, in provenienza “da tutta<br />
la Sardegna” e persino “dalla Corsica”.<br />
Serafino Esquirro, canonico della cattedrale <strong>di</strong><br />
Cagliari, a proposito <strong>di</strong> questa ricorrenza, qualifica come<br />
“cosa milagrosa” la grande partecipazione popolare che annualmente<br />
comportava, e “non solo dalla città <strong>di</strong> Cagliari e<br />
dalla città <strong>di</strong> Iglesias e da altri luoghi lontani, ma anche da<br />
tutta l’isola, in gran<strong>di</strong>ssimo numero e con gran<strong>di</strong>ssima devozione”.<br />
Fra le tante autorità politiche che erano solite presenziare,<br />
sono documentati due Viceré: Don Alvaro de Madrigal,<br />
nel 1557, e Don Joan Colomma nel 1575; inoltre,<br />
per il 1595, viene segnalata la partecipazione dell’Illustrissime<br />
Señor Inquisidor Peña, oltre che dei governatori<br />
<strong>di</strong> Cagliari e Gallura.<br />
Pochi anni ad<strong>di</strong>etro, nel 1584, papa Gregorio XIII aveva<br />
concesso l’indulgenza plenaria, con vali<strong>di</strong>tà decennale,<br />
a tutti coloro che si fossero recati presso la chiesa sulcitana<br />
in due delle festività consacrate al Santo: una sorta <strong>di</strong><br />
riconoscimento solenne, con tanto <strong>di</strong> avallo pontificio, della<br />
devozione attribuitagli da un’evidente moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />
fedeli, che, chiaramente, oltrepassava quello della singola<br />
<strong>di</strong>ocesi e, ad<strong>di</strong>rittura, persino dell’intera isola <strong>di</strong> Sardegna.<br />
Particolarmente solenne fu la celebrazione del 4 maggio<br />
1615, successiva al ritrovamento delle reliquie del san-<br />
99<br />
ANNALI 2008
to: in tale occasione, l’arcivescovo De Esquivel osservò come<br />
i fedeli fossero giunti non solo “da <strong>di</strong>verse città e parti<br />
della Sardegna”, ma ad<strong>di</strong>rittura “de afuera del Reyno”, in<br />
provenienza dall’Aragona, Castiglia, Portogallo, Italia,<br />
Francia “y de otras varias naciones”. Serafino Esquirro ne<br />
fornì i dati numerici, calcolando la presenza <strong>di</strong> 4.125 cavalli,<br />
4.000 carri, 150 barche, per un totale approssimativo<br />
<strong>di</strong> 32.000 persone.<br />
Al <strong>di</strong> là dell’esattezza delle cifre, un decennio più tar<strong>di</strong>,<br />
sempre l’Esquirro, finì per qualificare questa celebrazione<br />
sulcitana come “uno degli avvenimenti più insigni e degni <strong>di</strong><br />
memoria, non solo per il Regno <strong>di</strong> Sardegna ma anche per la<br />
maggior parte della Cristianità”.<br />
I festeggiamenti ad Iglesias<br />
per il ritrovamento delle reliquie<br />
Quello stesso anno 1615, visto che l’appuntamento del<br />
quin<strong>di</strong>cesimo giorno dopo la Pasqua era comunque avvenuto<br />
troppo a ridosso, rispetto al giorno dell’Inventio, per<br />
organizzarne adeguatamente i festeggiamenti, fu decretata<br />
una celebrazione aggiuntiva, che si svolse in tre giorni,<br />
fra l’agosto e il settembre successivi. Tale manifestazione,<br />
cui accenna immancabilmente anche l’Esquirro, definendola<br />
muy curiosa e muy insigne, è nota da un manoscritto,<br />
redatto in catalano e ancora ine<strong>di</strong>to, reperito nell’Archivio<br />
Capitolare <strong>di</strong> Iglesias, città, peraltro, teatro dell’avvenimento.<br />
In quell’occasione, in onore <strong>di</strong> sant’Antioco martire, oltre<br />
alle tra<strong>di</strong>zionali cerimonie religiose e a meravigliosi giochi<br />
pirotecnici, abili cavalieri si cimentarono in ar<strong>di</strong>te competizioni<br />
equestri: fra queste, un palio, <strong>di</strong>verse quadriglie<br />
e persino una Sortilla, simile, a quanto consta dai particolari<br />
descritti, alla Sartiglia che annualmente viene <strong>di</strong>sputata<br />
ad Oristano nel periodo <strong>di</strong> Carnevale, nonché a quella<br />
corsa nell’isola <strong>di</strong> Minorca per la festa <strong>di</strong> san Giovanni.<br />
Inoltre, furono impiegati, quale apparecchiatura scenografica<br />
della festa, quelli che l’Esquirro chiama “maravillosos<br />
artificios”: in linea col gusto teatrale del Seicento barocco,<br />
consistevano in strabilianti macchine sceniche, dotate<br />
<strong>di</strong> movimenti meccanici, le quali, applicate a una vera<br />
e propria sfilata <strong>di</strong> carri allegorici, provocavano stupore<br />
e sorpresa negli spettatori. Si trattava <strong>di</strong> uno spettacolo<br />
eccezionale, che, in quanto tale, voleva riba<strong>di</strong>re il significato<br />
<strong>di</strong> estra-or<strong>di</strong>narietà dell’evento celebrato, ovvero il<br />
ritrovamento del corpo <strong>di</strong> sant’Antioco.<br />
In conclusione, al <strong>di</strong> là delle specifiche modalità <strong>di</strong> festeggiamento<br />
dei singoli paesi, ciò che preme evidenziare,<br />
quale filo rosso che accomuna tutte queste manifestazioni,<br />
è la profonda fede, da parte dei Sar<strong>di</strong>, nei confronti <strong>di</strong><br />
Sant’Antioco, loro Patronus, attorno al quale, “de tiempo<br />
immemorial”, pone le ra<strong>di</strong>ci la loro identità <strong>di</strong> popolo religioso.<br />
L. CINESU, La Passione <strong>di</strong> S. Antioco Martire, Sant’Antioco 1983.<br />
F. DE ESQUIVEL, Relacion de la Invencion de los cuerpos santos en los<br />
años 1614-15 y 1616 fueron hallados en varias Iglesias de la Ciudad<br />
de Caller y su Arçobispado, Naples 1617.<br />
ANNALI 2008 100<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
S. ESQUIRRO, Santuario de Caller, y verdavera Historia de la Invencion<br />
de los Cuerpuos Santos hallados en la <strong>di</strong>cha Ciudad y su arçobispado,<br />
1624.<br />
J. FUOS, Notizie dalla Sardegna, a cura <strong>di</strong> Giulio Angioni, Nuoro 2000.<br />
E. LIPPI, <strong>Storia</strong> del Santuario <strong>di</strong> N.S. <strong>di</strong> Bonaria, Cagliari 1870.<br />
B. MOTZO, La donazione dell’isola sulcitana a S. Antioco, in Archivio<br />
Storico Sardo, vol. XIII, Cagliari 1921.<br />
T. NAPOLI, Vita, invenzione e miracoli del glorioso martire S. Antioco sulcitano,<br />
Cagliari 1784.<br />
F. PILI, Le meraviglie <strong>di</strong> S. Antioco, Cagliari 1984.<br />
S. VIDAL, Vida, martyrio, y milagros de San Antiogo sulcitano, Patron<br />
de la Isla de Sardegna, 1638.<br />
La basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco<br />
ROBERTO CORONEO<br />
Il santuario <strong>di</strong> Sant’Antioco è intitolato al santo martire<br />
che la tra<strong>di</strong>zione agiografica vuole me<strong>di</strong>co <strong>di</strong> origine<br />
africana, vissuto a Sulci al tempo dell’imperatore Adriano<br />
(117-138) 50 . Si compone <strong>di</strong> due nuclei principali, alla<br />
sommità del colle che domina l’abitato: le catacombe, sviluppatesi<br />
nel sottosuolo a partire dal più antico santuario<br />
ipogeo e la chiesa, che svolse il ruolo <strong>di</strong> cattedrale sulcitana<br />
fino al trasferimento del vescovo dapprima a Tratalias<br />
entro il XII secolo, quin<strong>di</strong> a Iglesias nel XIII. Dopo questi<br />
eventi la città romana e me<strong>di</strong>evale <strong>di</strong> Sulci andò in rovina,<br />
per sopravvivere soltanto come santuario del martire locale.<br />
A seguito del ripopolamento del centro, avvenuto nel<br />
XVIII secolo, Sant’Antioco <strong>di</strong>ede il nome all’intera isola e<br />
al nuovo abitato, esteso verso il mare a occupare il sito dell’antica<br />
Sulci. Principale porto d’imbarco del piombo argentifero<br />
estratto nell’entroterra, la città – ubicata in un’area<br />
frequentata sin dall’età preistorica51 – venne fondata<br />
dai Fenici entro la metà dell’VIII secolo a.C. 52 e fu fiorente<br />
in età romana53 . Aveva la necropoli punica (VI-II<br />
secolo a.C.) e quella romano-imperiale (fine del I-IV secolo<br />
d.C.) sulle pen<strong>di</strong>ci del mont’e Cresia e nella zona alta<br />
dell’abitato moderno, dove camere funerarie fenicio-puniche<br />
furono adattate a catacombe cristiane e al santuario<br />
ipogeo, cui si accede oggi dalla chiesa54 .<br />
Sulci fu sede episcopale, documentata dal 484, quando<br />
un suo vescovo (Vitalis) partecipa al concilio <strong>di</strong> Cartagine55<br />
. Nessun documento specifica il titolo della cattedrale,<br />
prima della bolla del 1218, con cui papa Onorio III<br />
prende atto del trasferimento della <strong>di</strong>ocesi sulcitana nella<br />
chiesa <strong>di</strong> Santa Maria a Tratalias. Tuttavia, a favore dell’identità<br />
fra la cattedrale <strong>di</strong> Sulci e la chiesa <strong>di</strong> Sant’Antioco<br />
va la scoperta <strong>di</strong> un possibile fonte battesimale all’interno<br />
della basilica56 .<br />
Risale al 1089 la prima menzione <strong>di</strong> un monasterium<br />
sancti Anthioci, donato dal giu<strong>di</strong>ce cagliaritano Costantino-Salusio<br />
II de Lacon-Gunale ai Vittorini <strong>di</strong> Marsiglia, assieme<br />
alla chiesa riconsacrata dal vescovo sulcitano Gregorio<br />
nel 110257 . Non si hanno dati certi sullo spopolamento<br />
del sito, sopravvissuto come centro devozionale fino<br />
al 1615, quando l’arcivescovo <strong>di</strong> Cagliari Francisco De<br />
Esquivel58 or<strong>di</strong>nò una ricognizione nel santuario ipogeo,
per confutare il preteso rinvenimento<br />
delle reliquie <strong>di</strong> Sant’Antioco a Porto<br />
Torres e <strong>di</strong>mostrare così la tra<strong>di</strong>zione, che<br />
sulla scorta dell’iscrizione del vescovo Pietro<br />
le ubicava nel sarcofago-altare entro<br />
cui si verificò l’inventio. Quest’ultimo si<br />
trova nella “cripta”, oggi accessibile dall’interno<br />
della chiesa ma in origine<br />
martyrium dotato <strong>di</strong> proprio ingresso e<br />
in<strong>di</strong>pendente da quella.<br />
L’attuale basilica risulterebbe dalla<br />
trasformazione longitu<strong>di</strong>nale d’una chiesa<br />
cruciforme cupolata 59 . Data l’entità<br />
dei successivi interventi e<strong>di</strong>lizi è <strong>di</strong>fficile<br />
<strong>di</strong>stinguere le strutture d’impianto da<br />
quelle <strong>di</strong> rifacimento, messe in opera con<br />
gli stessi cantoni in arenaria e grossi conci<br />
bugnati in basalto, <strong>di</strong> spoglio delle mura<br />
<strong>di</strong> Sulci. La prima campata è un’aggiunta<br />
del XVII secolo, come pure la facciata,<br />
e<strong>di</strong>ficata nel XVIII. L’antica facciata<br />
basava su una muratura in grossi blocchi bugnati <strong>di</strong> pietra<br />
vulcanica, appartenenti a una struttura preesistente.<br />
Alla fase <strong>di</strong> ristrutturazione longitu<strong>di</strong>nale, forse operata<br />
anche prima della donazione ai Vittorini, risalgono le<br />
absi<strong>di</strong> e le navatelle, probabilmente anche i setti <strong>di</strong>visori e<br />
le volte a botte dell’aula. Alla fase d’impianto cruciforme<br />
risalgono con relativa sicurezza le volte a botte del braccio<br />
trasversale e il corpo centrale raccordato alla cupola<br />
tramite trombe con mensole a forma <strong>di</strong> zampa leonina (le<br />
due coppie a est) e a guscio <strong>di</strong> tartaruga (le altre due a<br />
ovest). Dall’arredo liturgico <strong>di</strong> questa o d’altra chiesa più<br />
antica potrebbe derivare un frammento <strong>di</strong> pluteo decorato<br />
a squame, ascrivibile al V-VI secolo 60 . Da quello rinnovato<br />
tra la metà del X e i primi decenni dell’XI secolo<br />
derivano un’importante iscrizione in lingua e grafia me<strong>di</strong>oellenica<br />
e un consistente gruppo <strong>di</strong> frammenti scultorei,<br />
alcuni dei quali con figure zoo e antropomorfe, murati<br />
in varie zone della chiesa e delle catacombe 61 .<br />
La basilica <strong>di</strong> Sant’Antioco si caratterizza per la presenza<br />
della cupola innalzata da quattro robuste arcate che<br />
a loro volta si impostano sui pilastri d’angolo all’incrocio<br />
fra la navata principale e il transetto. La soluzione architettonica<br />
“a baldacchino”, per quanto più antica, è comunque<br />
tipica dell’e<strong>di</strong>lizia bizantina del VI secolo e risulta<br />
applicata in Sardegna, dopo la conquista giustinianea<br />
del 534, a Cagliari nella chiesa <strong>di</strong> San Saturnino e a Cabras<br />
in quella <strong>di</strong> San Giovanni <strong>di</strong> Sinis. I tre e<strong>di</strong>fici sono<br />
complessivamente assai simili, ma si danno varianti 62 .<br />
A <strong>di</strong>fferenza che nel San Giovanni <strong>di</strong> Sinis, nella chiesa<br />
<strong>di</strong> Sant’Antioco la soluzione <strong>di</strong> raccordo della cupola al<br />
tamburo è, come probabilmente in origine nel San Saturnino<br />
<strong>di</strong> Cagliari, quella delle trombe a quarto <strong>di</strong> sfera. È<br />
però <strong>di</strong>fficile precisare se l’impianto fosse a croce libera o<br />
inscritta, in ogni caso con bracci mononavati. Quanto alla<br />
specifica soluzione <strong>di</strong> raccordo – trombe anziché pennacchi<br />
– bisogna ricordare la coesistenza dei <strong>di</strong>versi tipi nell’architettura<br />
orientale della prima metà del VI secolo 63 .<br />
“SU MONIMENTU”<br />
Procopio termina i sei libri Perì ktismáton (De Ae<strong>di</strong>ficiis)<br />
nel 554, con una sola in<strong>di</strong>cazione relativa alla Sardegna:<br />
la fortificazione della città <strong>di</strong> Forum Traiani, o<strong>di</strong>erna<br />
Fordongianus 64 . Per quanto l’opera sia stata compilata e<br />
rivesta un interesse principalmente per l’utilità rispetto alle<br />
informazioni militari, si può anche pensare che a quella<br />
data nessuna grande fabbrica ecclesiastica fosse stata intrapresa<br />
nell’isola, almeno non con la committenza imperiale<br />
65 . Non prima della metà del VI secolo vanno dunque<br />
collocate la fabbrica <strong>di</strong> San Saturnino a Cagliari, fra la<br />
metà del VI e il VII secolo quelle <strong>di</strong> Sant’Antioco e <strong>di</strong> San<br />
Giovanni <strong>di</strong> Sinis. Nell’arco del VI secolo fu probabilmente<br />
costruito anche il <strong>di</strong>strutto Castello Castro, fortezza<br />
<strong>di</strong> tipo giustinianeo presso il ponte romano <strong>di</strong> Sant’Antioco<br />
66 .<br />
La probabile anteriorità della basilica cagliaritana trova<br />
ragione nella maggiore prossimità al prototipo dell’Apostoleion<br />
costantinopolitano, riconsacrato nel 550 67 . La<br />
seriazione delle altre due non è precisabile, in quanto entrambe<br />
presentano elementi comuni con San Saturnino,<br />
ma <strong>di</strong>versi fra loro. Come in San Saturnino, la soluzione<br />
<strong>di</strong> raccordo del tamburo alla cupola è data da trombe in<br />
Sant’Antioco, mentre in San Giovanni <strong>di</strong> Sinis si hanno<br />
pennacchi, ma nei pilastri <strong>di</strong> quest’ultima sono alveolate<br />
colonne, come in San Saturnino. Più che a significativi<br />
scarti cronologici, le <strong>di</strong>fferenze sembrano imputabili a <strong>di</strong>verse<br />
scelte operate dagli architetti a capo delle tre fabbriche,<br />
scelte che potevano anche derivare dal maggiore o<br />
minore grado <strong>di</strong> aggiornamento sulle linee sperimentali<br />
della capitale, ovvero dalla continuazione <strong>di</strong> linee architettoniche<br />
della tra<strong>di</strong>zione locale.<br />
L’architetto <strong>di</strong> San Giovanni <strong>di</strong> Sinis è in possesso delle<br />
sofisticate nozioni tecniche per padroneggiare e porre<br />
in opera l’impegnativa soluzione dei pennacchi, che risolve<br />
brillantemente e con coerenza il problema del raccordo<br />
del quadrato al cerchio. Gli altri due architetti o non<br />
conoscono l’innovazione, o preferiscono servirsi della so-<br />
101<br />
ANNALI 2008
CUPOLA DELLA BASILICA<br />
luzione tra<strong>di</strong>zionale a trombe, ma con una sostanziale <strong>di</strong>fferenza.<br />
Sia nel corpo cupolato <strong>di</strong> San Saturnino, sia in<br />
quello <strong>di</strong> Sant’Antioco il raccordo a trombe obbliga a far<br />
rientrare l’intradosso della cupola sul filo interno del tamburo,<br />
onde <strong>di</strong>minuire la superficie d’imposta che non ricade<br />
sui quattro sostegni delle arcate ed è pertanto destinata<br />
a poggiare sugli archetti delle trombe. Queste ultime<br />
però si collocano a livelli <strong>di</strong>fferenti: in San Saturnino allo<br />
stesso piano d’imposta della cupola; in Sant’Antioco più<br />
in basso, in quanto la cupola s’imposta su tamburo rialzato.<br />
Di conseguenza, nella chiesa cagliaritana le quattro luci<br />
si aprono nei primi corsi della cupola, mentre in quella<br />
sulcitana si aprono negli ultimi filari del corpo sottostante.<br />
Inoltre, in Saturnino le trombe e la cupola vengono celate<br />
alla vista dal tiburio quadrangolare esterno, che ancora<br />
oggi rifascia interamente le prime e per metà la seconda,<br />
la cui emergenza doveva essere in origine contenuta entro<br />
un tetto piramidale a falde 68 . In Sant’Antioco, invece, il<br />
tamburo rialzato richiede un tiburio a pianta ottagonale,<br />
inscritta nel quadrato del corpo centrale. Agli angoli del<br />
quadrato, ogni tromba ha copertura semipiramidale. Lungo<br />
i lati, la muratura si innalza per raggiungere il piano<br />
d’imposta della cupola, in origine contenuta per intero entro<br />
un tetto prismatico a otto falde. È un risultato d’immagine<br />
che accomuna la basilica sulcitana alle più tarde<br />
derivazioni dal modello giustinianeo dei Santi Apostoli, in<br />
particolare alla cattedrale <strong>di</strong> Santa Sofia a Sofia, ascritta<br />
alla fine del VI-VII secolo.<br />
Un frammento <strong>di</strong> pluteo decorato a squame, riutilizzato<br />
nella muratura della testata nord del transetto, sembra<br />
in<strong>di</strong>care che entro il VI secolo la chiesa cruciforme (o<br />
altra preesistente) dovette possedere un arredo liturgico<br />
in marmo, forse lo stesso <strong>di</strong> cui rimane memoria nell’iscrizione<br />
del vescovo Pietro, oggi nella cattedrale <strong>di</strong> Iglesias. Si<br />
può facilmente rilevare come il referente culturale palesato<br />
da quest’ultima, che sembra collazionare formule epigrafiche<br />
largamente attestate nella basilica vaticana, riceva<br />
conferma dall’analisi formale del frammento <strong>di</strong> pluteo<br />
ANNALI 2008 102<br />
decorato a squame, che denota una stretta <strong>di</strong>pendenza<br />
dal motivo ornamentale più <strong>di</strong>ffuso a Roma<br />
e in marmi <strong>di</strong> desunzione romana, rimandando allo<br />
stesso tempo al sarcofago sulcitano <strong>di</strong> Orfeo liricino<br />
(<strong>di</strong> cui restano frammenti nella locale collezione Biggio)<br />
69 e dunque a una sostanziale continuità nel<br />
flusso <strong>di</strong> importazione <strong>di</strong> manufatti marmorei da officine<br />
ostiensi e romane a Sulci, tra la fine del III e<br />
la metà del VI secolo.<br />
All’arredo litugico della seconda metà del X secolo<br />
va invece restituito un ciborio con iscrizioni latine,<br />
cui appartenevano frammenti <strong>di</strong> archetti e probabilmente<br />
anche capitelli con croce. Ai primi decenni<br />
dell’XI secolo sono ascrivibili i marmi provenienti<br />
dallo smembramento <strong>di</strong> un recinto presbiteriale,<br />
comprendente plutei con figure animali, raccordati<br />
me<strong>di</strong>ante pilastrini. Altri elementi, <strong>di</strong>versi<br />
per caratteri tipologici (<strong>di</strong>mensioni, sagome, <strong>di</strong>stribuzione<br />
degli ornati) non si prestano a esser restituiti<br />
nell’arredo liturgico dell’aula, bensì come parti<br />
della decorazione architettonica della chiesa: for-<br />
melle e fregi <strong>di</strong> varia, imprecisabile destinazione.<br />
Una <strong>di</strong>fferente categoria <strong>di</strong> problemi è posta dai frammenti<br />
dell’iscrizione <strong>di</strong> Torcotorio, Salusio e Nispella, in greco<br />
me<strong>di</strong>oellenico 70 . Nel protospatario Torcotorio, nell’arconte<br />
Salusio e in Nispella vanno identificati personaggi<br />
dell’aristocrazia locale, in un momento in cui i rappresentanti<br />
dell’autorità imperiale andavano svincolandosi dal<br />
controllo centrale e costituendo l’autoctono giu<strong>di</strong>cato <strong>di</strong><br />
Cagliari. Non si hanno dati sufficienti, per accertare la natura<br />
del monumento aulico al quale era apposta l’epigrafe.<br />
Come per altre simili epigrafi sardo-meri<strong>di</strong>onali in greco<br />
me<strong>di</strong>oellenico, può pensarsi all’epistilio del recinto presbiteriale.<br />
È possibile poi riformulare organicamente l’ipotesi<br />
<strong>di</strong> Antonio Taramelli, che l’iscrizione, datata post<br />
1015, vada considerata in rapporto contestuale non solo<br />
con l’arredo liturgico dei primi decenni dell’XI secolo, ma<br />
anche con la serie <strong>di</strong> lastre coeve che presentano musici,<br />
un armigero e due personaggi in atteggiamento aulico, come<br />
per rappresentare la committenza giu<strong>di</strong>cale a complemento<br />
figurativo degli intenti celebrativi dell’epigrafe.<br />
SULCI ROMANA<br />
FRANCESCA CENERINI<br />
La conquista romana della Sardegna risale a partire dal<br />
III secolo a.C., più esattamente al 237/8 a.C. Fin dai<br />
primi anni dell’occupazione l’isola era oggetto <strong>di</strong> fenomeni<br />
<strong>di</strong> immigrazione da parte dei mercatores italici che sfruttavano<br />
le risorse sarde. Al contempo, aprivano le porte a<br />
fecon<strong>di</strong> processi <strong>di</strong> integrazione e romanizzazione, e monumentalizzazione<br />
urbana, almeno per quanto riguarda le<br />
città della costa, se<strong>di</strong> dei porti vitali per la commercializzazione<br />
<strong>di</strong> tali risorse. Un esempio della ricchezza legata<br />
al commercio dei minerali può essere visto proprio per la<br />
città punica <strong>di</strong> Sulky, la Sulci romana, da sempre porto <strong>di</strong><br />
smercio del piombo argentifero delle miniere della regione<br />
del Sulcis-Iglesiente.
Sulci è ricordata dall’anonimo autore del Bellum Africanum<br />
71 per avere rifornito <strong>di</strong> uomini e vettovagliamenti<br />
i Pompeiani; per questo motivo, Cesare, dopo avere sconfitto<br />
i seguaci <strong>di</strong> Pompeo a Thapsus, nel 46 sbarcò a Karales,<br />
impose ai Sulcitani una forte multa, il cui ammontare<br />
era <strong>di</strong> 10 milioni <strong>di</strong> sesterzi, secondo una recente interpretazione,<br />
oltre ad elevare ad un ottava parte la decima<br />
dei prodotti del suolo. Lo stato economico della città,<br />
per altro, non pare dovette soffrire a lungo per le restrizioni<br />
volute da Cesare, se Strabone 72 <strong>di</strong>ce che Cagliari e<br />
Sulci sono le due più importanti e fiorenti città dell’isola.<br />
Per quanto riguarda Sulci, è stata avanzata l’ipotesi che abbia<br />
ottenuto lo statuto <strong>di</strong> municipium civium Romanorum<br />
con l’imperatore Clau<strong>di</strong>o, statuto attestato con sicurezza<br />
da alcune iscrizioni. Secondo un’altra interpretazione, tale<br />
concessione potrebbe risalire all’età augustea 73 .<br />
Tuttavia, il commercio non era la sola anima dell’economia<br />
sulcitana. A partire dalla prima età imperiale esistono<br />
attestazioni archeologiche <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>amenti rustici<br />
nell’interno dell’isola, volti al suo sfruttamento cerealicolo.<br />
Una testimonianza <strong>di</strong> ciò è costituita dall’impianto termale<br />
che un tempo esisteva al margine settentrionale della<br />
cala <strong>di</strong> Maladroxia, verso Capo Sperone 74 .<br />
Nei fatti conseguenti alla conquista romana della Sardegna<br />
non vi sono riferimenti alla città, alla quale dovettero<br />
essere risparmiate le conseguenze dei violenti scontri<br />
che infiammarono l’isola tra il 238 e il 110 a.C. Tra questi<br />
la rivolta <strong>di</strong> Ampsicora e numerose insurrezioni che, a<br />
giu<strong>di</strong>care dai sei trionfi attribuiti ai generali romani, dovettero<br />
essere violentissime.<br />
Nei primi tempi dell’occupazione romana, come conseguenza<br />
imme<strong>di</strong>ata, furono demolite le fortificazioni puniche<br />
che circondavano l’antica città, tranne che nel settore<br />
settentrionale dell’abitato, che costituì il nucleo originario<br />
dell’inse<strong>di</strong>amento romano. In questo luogo fortificato,<br />
a<strong>di</strong>acente al porto, trovarono ospitalità e rifugio i primi<br />
mercatores, i mercanti italici che procacciavano affari<br />
per conto <strong>di</strong> Roma.<br />
Un nuovo riferimento a quella che dai Romani fu chia-<br />
mata Sulcis e al Portus Sulcitanus<br />
lo troviamo nella tarda età repubblicana,<br />
quando la città ebbe<br />
un ruolo nel corso degli<br />
scontri connessi alle guerre civili.<br />
Sulcis infatti parteggiò per il<br />
partito <strong>di</strong> Pompeo e nel 47 a.C.<br />
accolse nel suo porto la flotta<br />
del prefetto pompeiano L. Nasi<strong>di</strong>o.<br />
Le navi giungevano da<br />
Massilia, attuale Marsiglia, principale<br />
centro della costa della<br />
Provenza, nell’antica Gallia, in<br />
mano ai partigiani <strong>di</strong> Pompeo e<br />
recavano anche truppe, materiali<br />
e vettovaglie.<br />
Come accennato più sopra,<br />
per questo comportamento l’anno<br />
seguente la città fu severa-<br />
mente punita da Cesare con una forte sanzione pecuniaria<br />
e la decima sui prodotti agricoli fu portata per Sulci ad<br />
un ottavo. Sappiamo dalle fonti storiche inoltre che i responsabili<br />
della sfortunata scelta politica anti-cesariana <strong>di</strong><br />
Sulci furono condannati da Cesare alla privazione dei beni<br />
personali, che furono ban<strong>di</strong>ti all’asta pubblica. Ma la<br />
città ebbe modo <strong>di</strong> risorgere anche da questi danni, poiché<br />
tornò a costituire un importante centro per il commercio<br />
dei metalli, che provenivano dal bacino minerario<br />
dell’Iglesiente. Traccia palese <strong>di</strong> queste attività è nel nome<br />
<strong>di</strong> Plumbaria o Plumbea Insula che le venne conferito, pur<br />
non essendo nel suo territorio alcuna traccia <strong>di</strong> metalli e<br />
soprattutto <strong>di</strong> piombo 75 .<br />
Sotto l’impero <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o al più tar<strong>di</strong>, la città fu innalzata<br />
al rango <strong>di</strong> municipium, <strong>di</strong>venne cioè una città pienamente<br />
romana all’interno della provincia Sar<strong>di</strong>nia, come<br />
<strong>di</strong>mostrano le numerose testimonianze archeologiche relative<br />
alla famiglia giulio-clau<strong>di</strong>a. Ai fini elettorali e anagrafici,<br />
gli abitanti della città, al pari <strong>di</strong> quelli <strong>di</strong> Karales<br />
(Cagliari) e <strong>di</strong> Cornus (Santa Caterina <strong>di</strong> Pittinuri), erano<br />
iscritti nella tribù Quirina 76 .<br />
La città mostrò fino al II secolo d.C. una prosperità notevole<br />
e una rete commerciale che la lega strettamente all’ambiente<br />
nord-africano. Per quel che concerne la ceramica,<br />
questa proveniva in massima parte dalla provincia<br />
africana o era imitata dai prodotti <strong>di</strong> questa regione. Questo<br />
legame è espresso anche dalla vicenda <strong>di</strong> Sant’Antioco,<br />
Protomartire e Santo patrono della Sardegna e attualmente<br />
venerato dagli abitanti del luogo da cui prende il<br />
nome. Infatti nella passio si narra che appunto in questo<br />
periodo, attorno alla metà del II secolo d.C., il Santo, me<strong>di</strong>co<br />
<strong>di</strong> professione e originario della Numi<strong>di</strong>a, compresa<br />
nella <strong>di</strong>ocesi della Mauretania, forse Caesarensis, fu esiliato<br />
nella città che ne prese il nome.<br />
Nell’area urbana è attestata anche la presenza <strong>di</strong> un nucleo<br />
<strong>di</strong> abitanti <strong>di</strong> origine ebraica, evidenziata da sepolture<br />
con iscrizioni in caratteri ebraici, che forse parteciparono<br />
a moti insurrezionali connessi con la rivolta ebraica, av-<br />
MOSAICO CON SCENA DIONISIACA, CAGLIARI MUSEO ARCHEOLOGICO<br />
103<br />
ANNALI 2008
venuta verso la fine del II secolo d.C., che provocò danni<br />
non in<strong>di</strong>fferenti all’abitato 77 .<br />
Alla destra <strong>di</strong> chi percorre l’attuale strada statale 126<br />
per raggiungere l’abitato <strong>di</strong> Sant’Antioco, prima dell’ultima<br />
grande curva che segue il fondo della laguna è visibile<br />
un tratto superstite della massicciata dell’antica strada romana<br />
e, forse in precedenza, punica, anticamente denominata<br />
a Karalibus Sulcos, cioè che da Cagliari conduceva<br />
a Sant’Antioco passando attraverso la valle del Rio<br />
Cixerri.<br />
Proseguendo lungo la strada, sempre sulla destra s’incontra<br />
il ponte, definito come romano, ma è frutto <strong>di</strong> numerosi<br />
rimaneggiamenti, l’ultimo dei quali non anteriore<br />
alla metà del secolo scorso. La struttura attualmente visibile,<br />
che si lascia prima <strong>di</strong> transitare sul canale che attualmente<br />
separa l’isola <strong>di</strong> Sant’Antioco dalla Sardegna, era in<br />
uso fino agli anni ’50. Sono visibili le rampe e le spallette,<br />
costruite prevalentemente in blocchi <strong>di</strong> trachite, che sormontano<br />
due archi in pietra arenaria. Questi due archi,<br />
unitamente ad un terzo collocato in posizione centrale, oggi<br />
occluso, sono le sole strutture che probabilmente appartenevano<br />
all’antico ponte, costruito in età tardo-punica<br />
o romana, come si evidenzia in base alla tipologia dei materiali<br />
impiegati.<br />
Vistose tracce della cinta muraria punica erano visibili<br />
fino alla fine degli anni ’60 in località Su Narboni, che corrisponde<br />
alla zona nel cui epicentro attualmente sorge la<br />
scuola me<strong>di</strong>a “Antioco Mannai”. Durante la costruzione<br />
dell’e<strong>di</strong>ficio scolastico furono messi in luce lunghi tratti<br />
delle mura in eccellente stato <strong>di</strong> conservazione rispetto a<br />
quelle esistenti al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> questo settore. Si trattava <strong>di</strong><br />
paramenti composti da almeno tre assise <strong>di</strong> blocchi <strong>di</strong> trachite<br />
rossa, che raggiungevano l’altezza <strong>di</strong> circa tre metri.<br />
Visto che la parte restante della cinta muraria punica era<br />
stata abbattuta e i blocchi che la componevano erano stati<br />
ampiamente riutilizzati nelle strutture e<strong>di</strong>lizie private<br />
<strong>di</strong> età romana repubblicana, è possibile che questo settore<br />
fosse stato risparmiato al fine <strong>di</strong> costituire il primo nucleo<br />
abitato della Sulci romana. In questo quartiere, che sorge<br />
nelle imme<strong>di</strong>ate a<strong>di</strong>acenze del porto, è possibile trovassero<br />
ospitalità e tutela i primi mercatores italici, giunti al seguito<br />
dell’esercito romano. Questa ipotesi è avvalorata dalle<br />
presenza <strong>di</strong> un’area che sorge imme<strong>di</strong>atamente a ovest<br />
della scuola e a est dell’area del Cronicario, che viene in<strong>di</strong>cata<br />
come sede del foro romano e dalla quale provengono<br />
la maggior parte delle statue rinvenute nei secoli<br />
scorsi a Sant’Antioco. Quanto alla presenza dei mercatores,<br />
questa sembra ulteriormente confermata dall’esistenza<br />
<strong>di</strong> un supposto e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto <strong>di</strong> tipo italico ubicato<br />
in area limitrofa, il cui impianto architettonico composito<br />
è posto in relazione dal mondo degli stu<strong>di</strong> con le ricchezze<br />
acquisite dai mercatores italici nell’area del Me<strong>di</strong>terraneo<br />
orientale.<br />
Infatti, con la conquista romana dell’isola e con il conseguente<br />
smantellamento delle fortificazioni cartaginesi,<br />
da taluno ritenute invece <strong>di</strong> età romana 78 , l’area in pen<strong>di</strong>o<br />
a Oriente del Castello fu ristrutturata e i materiali <strong>di</strong><br />
risulta delle fortificazioni furono utilizzati fin dal II secolo<br />
a.C. per la costruzione <strong>di</strong> un grande e<strong>di</strong>ficio, forse un san-<br />
ANNALI 2008 104<br />
tuario tipologicamente affine a quello <strong>di</strong> Palestrina, che si<br />
sovrapponeva anche a una parte della necropoli punica<br />
ipogea, ubicata nelle imme<strong>di</strong>ate a<strong>di</strong>acenze. L’area del supposto<br />
santuario giungeva fino ad una zona pianeggiante<br />
ove è stato rinvenuto l’anfiteatro romano, eretto invece<br />
nel II secolo d.C. Si tratta <strong>di</strong> un’ampia ellisse, orientata secondo<br />
l’asse nord-sud, con la cavea scavata nel tufo e con<br />
le strutture che probabilmente dovevano essere lignee 79 .<br />
Una parte dell’anfiteatro, il po<strong>di</strong>um, fu eretta in muratura<br />
e allo scopo vennero usate anche le due statue dei leoni<br />
della porta <strong>di</strong> età punica, che sono state appunto rinvenute<br />
riutilizzate in quest’area 80 .<br />
Nel corso del periodo cristiano, più precisamente tra il<br />
IV e il VII secolo d.C., a Sant’Antioco, come del resto in<br />
gran parte del mondo cristiano, entrò in uso il sistema <strong>di</strong><br />
sepoltura con l’utilizzo delle catacombe, che prevedeva<br />
l’impiego <strong>di</strong> vani sotterranei. Allo scopo non furono praticate<br />
nuove gallerie, ma <strong>di</strong>sponendo <strong>di</strong> un vastissimo sepolcreto<br />
punico attivato nei primi anni del V secolo a.C.<br />
e formato da tombe a camera ipogea l’una a<strong>di</strong>acente all’altra,<br />
fu sufficiente sgomberare gli antichi ipogei dalle<br />
precedenti deposizioni e, abbattendo i <strong>di</strong>aframmi che separavano<br />
una tomba punica dall’altra, formare una serie<br />
continua <strong>di</strong> cavità 81 .<br />
Nel mondo dei primi cristiani era invalso l’uso <strong>di</strong> collocare<br />
le proprie sepolture il più vicino possibile ai sepolcri<br />
dei martiri e all’interno o nelle imme<strong>di</strong>ate a<strong>di</strong>acenze<br />
dei luoghi <strong>di</strong> culto. Del resto tale uso è rimasto in auge fino<br />
all’e<strong>di</strong>tto napoleonico, promulgato nel 1804, che proibì<br />
le sepolture all’interno o all’esterno delle chiese ubicate<br />
sia all’interno che all’esterno dei centri abitati.<br />
Le catacombe <strong>di</strong> Sant’Antioco seguono i criteri che<br />
ispirarono i sepolcreti cristiani e quin<strong>di</strong> furono create là<br />
dove la Passio Sancti Antiochi aveva collocato la sepoltura<br />
del santo, considerato il protomartire della Sardegna. Esistono<br />
altri raggruppamenti <strong>di</strong> tombe puniche trasformati<br />
in catacombe, ma il nucleo principale è quello raccolto attorno<br />
alla tomba del santo, il cui accesso è ubicato nel transetto<br />
a destra dell’altare. Un ulteriore nucleo catacombale,<br />
denominato <strong>di</strong> Santa Rosa, fu creato utilizzando due ipogei<br />
punici trovati sotto la navata della basilica.<br />
Ulteriori catacombe sono state rinvenute nell’area della<br />
necropoli punica in località Is Pirixeddus, <strong>di</strong>stanti dalla<br />
chiesa circa 250 m. All’interno <strong>di</strong> questa catacomba è stato<br />
rinvenuto un sepolcro ad arcosolio destinato ad una defunta,<br />
della quale si conserva l’immagine policroma idealizzata.<br />
Sempre da impianti catacombali prossimi all’e<strong>di</strong>ficio<br />
chiesastico, ma in questo caso utilizzati da fedeli <strong>di</strong> religione<br />
ebraica, provengono alcuni arcosolii con iscrizioni<br />
in caratteri ebraici e latini databili nel IV secolo d.C. Si<br />
tratta evidentemente <strong>di</strong> <strong>di</strong>scendenti <strong>di</strong> quegli Ebrei che furono<br />
dedotti in Sardegna nel 19 d.C. 82 , durante l’impero<br />
<strong>di</strong> Tiberio, o <strong>di</strong> quelli che si <strong>di</strong>spersero nei territori dell’impero,<br />
dopo l’asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Gerusalemme e la <strong>di</strong>struzione<br />
del tempio avvenuta nel 70 d.C., durante l’impero <strong>di</strong> Vespasiano.
I Greci a Sant’Antioco<br />
(e un tentativo fallito <strong>di</strong> ripopolamento)<br />
MARCO MASSA<br />
L<br />
’Isola <strong>di</strong> Sulcis, ora detta <strong>di</strong> S. Antioco, che a mezzogiorno<br />
e libeccio è alla Sardegna unita per mezzo <strong>di</strong> alcuni<br />
tratti <strong>di</strong> terra in più luoghi continuati da ponti <strong>di</strong> pietra<br />
che sotto <strong>di</strong> tre <strong>di</strong> loro archi lasciano il varco ai soli battelli e<br />
piccoli bastimenti in quel mare assai basso nulla ritiene della<br />
antica Sua Popolazione e grandezza se non alcuni, qua e<br />
là sparsi avanzi <strong>di</strong> Fabriche o Fondamenti <strong>di</strong> ben grosse e ritagliate<br />
pietre...<br />
Cominciava così la Relazione dello Stato dell’Isola <strong>di</strong> S.<br />
Antioco e de Contorni della Città <strong>di</strong> Iglesias83 redatta da<br />
Francesco Cordara penultimo Conte <strong>di</strong> Calamandrana ed<br />
Intendente Generale <strong>di</strong> Sardegna.<br />
Era sbarcato i primi giorni del mese <strong>di</strong> <strong>di</strong>cembre 1754<br />
accompagnato dal Sig. Maggiore <strong>di</strong> Cagliari Bessone, intelligente<br />
d’architettura militare e civile, <strong>di</strong> un Regio Misuratore<br />
e <strong>di</strong> altri...<br />
Suo compito, misurare e verificare lo stato dei terreni<br />
dell’isola, quelli da destinare a pascolo (<strong>di</strong> pecore, vacche<br />
e capre), le varie colture da potersi impiantare (grano, vigne,<br />
olivo, orto e giar<strong>di</strong>no, bosco).<br />
Il progetto del governo piemontese: in<strong>di</strong>viduare i siti<br />
in cui potesse sussistere una nuova Popolazione costituita da<br />
una colonia <strong>di</strong> greco-corsi che avendo il capitano Costantino<br />
astutamente procurato <strong>di</strong> far passare dal Golfo <strong>di</strong> san<br />
Pietro (dove secondo l’or<strong>di</strong>ne avuto era trasportato) a quello<br />
<strong>di</strong> Palmas nelle vicinanze <strong>di</strong> S. Antioco il Capitano Inglese<br />
Ferguson colla sua nave, che unitamente ad altro bastimento<br />
toscano, ha condotto da Ajaccio in numero <strong>di</strong> 198 i greci<br />
che sono poi <strong>di</strong>scesi a Portoscuso, dove per ora rimangono<br />
provvisti <strong>di</strong> alloggio e <strong>di</strong> vitto e facendo il medesimo Costantino<br />
vivissime istanze, anche con espressioni <strong>di</strong> volersene altrimenti<br />
tornarsene in<strong>di</strong>etro, perché si lasciassero <strong>di</strong>scendere<br />
detti greci nelle abitazioni suddette.<br />
C’era da risolvere un piccolo problema segnalato anche<br />
dall’Intendente Generale e cioè che l’isola non è siccome<br />
si è supposta affatto <strong>di</strong>sabitata et incolta, vi ho trovato<br />
esistenti nei contorni della Chiesa del Santo, da cui la Sª Isola<br />
tiene il nome, oltre ad un’altra chiesa e 17 botteghe, n° 49<br />
Case, 31 Capanne e due Grotte tutte abitate da 302 persone<br />
che fanno ivi continua <strong>di</strong>mora et avendo in<strong>di</strong> in più volte<br />
scorsa tutta l’isola, ed i siti della medesima riconosciuti, vi<br />
ho veduto fontane e rivi, Porti, Monti e terreni coltivati ed incolti,<br />
de quali ne ha fatta il D° Maggiore annotazione nella<br />
carta dal med° formata con particolare esattezza, e con settanta<br />
paia <strong>di</strong> bovi ed aratri altrettanti agricoltori, la maggior<br />
parte de’ medesimi sovraddetti abitanti lavorando il terreno,<br />
e nella campagna <strong>di</strong>eci fra magazzini e case, 63 capanne per<br />
uso <strong>di</strong> detti agricoltori e de pastori, che in numero <strong>di</strong> 28 vi<br />
pascolano ciascuno nei suoi territori assegnati, e <strong>di</strong>stinti co’<br />
loro propri segni o de’ loro padroni gli armenti che sono 2.380<br />
capre, 3.213 pecore, 440 vacche e 39 cavalle, et altri molti<br />
bovi novelli e da giogo, che ivi per la sola pastura mantengonsi,<br />
senza danno ancora <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> cavalli selvatici osservati,<br />
come specialmente protetti da S. Antioco e <strong>di</strong> altre fie-<br />
re, cinghiali e caprioli che pur vi sussistono nei luoghi men<br />
frequentati...<br />
In sintesi i greci aspettavano impazientemente <strong>di</strong> poter<br />
occupare le case abitate dal primo nucleo <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni<br />
antiochensi, che naturalmente non erano proprio d’accordo<br />
...tutti esprimendosi che se S.M., la <strong>di</strong> cui somma giustizia<br />
e clemenza sapevano, fosse informata della loro situazione,<br />
giammai vorrebbe far uscire dalle case e dai luoghi dove si<br />
erano allevati e cresciuti essi suoi sud<strong>di</strong>ti e figli naturali antichi<br />
e fedeli, come si professavano, per collocarvi i vescovi et<br />
adottivi e <strong>di</strong> non sicura fede, come chiamavano i Greci.<br />
Anche appena saputo il mio arrivo in detta isola la città e<br />
il Capitolo <strong>di</strong> Iglesias mi hanno ciascuno spe<strong>di</strong>to un soggetto<br />
per rinnovare le loro rimostranze, e la detta città; e le monache<br />
<strong>di</strong> Santa Chiara, li Padri Francescani, e Gesuiti, ed Antonina<br />
Olargiu, hanno trasmesso suppliche, che qui vanno<br />
unite, pregandomi farle presenti a S.E. e alla Maestà Sovrana<br />
colla da essi esposta legittimità dei loro titoli, et antico possesso<br />
<strong>di</strong> dette case e terreni su dei quali <strong>di</strong>cono posta la sicurezza,<br />
o ipoteca <strong>di</strong> molti loro cre<strong>di</strong>ti, et in gran parte la loro<br />
sussistenza.<br />
Ecco la trascrizione della supplica degli abitanti <strong>di</strong><br />
Sant’Antioco, straor<strong>di</strong>nario censimento della prima popolazione<br />
moderna.<br />
SUPPLICA DEGLI ABITATORI DI ST ANTIOCO<br />
– La vedova Dona Madalena de Spinosa che <strong>di</strong>mora quasi tutto<br />
l’anno nell’isola <strong>di</strong> San Antiogo con la sua famiglia che<br />
consiste in quattro figlioli un servitore e tre serve possiede<br />
vicino alla Chiesa una casa grande col suo Magazzino. Nel<br />
Piano detto della Chiesa due aratri <strong>di</strong> terra <strong>di</strong>sboscata (per<br />
aratri si intende tanto <strong>di</strong> terreno che basti per seminare se<strong>di</strong>ci<br />
starelli tra grano, orzo, legumi, cioè, do<strong>di</strong>ci starelli <strong>di</strong><br />
grano, tre starelli d’orzo e uno starello <strong>di</strong> fave e ogni starello<br />
<strong>di</strong> misura sarda corrisponde a due semine <strong>di</strong> Piemonte)<br />
(1 starello equivale a 0,40 ettari. N.d.T.). Possiede<br />
inoltre nel luogo detto Ponti Mannu un altro aratro; nel luogo<br />
detto Su Pruini = altri due aratri; nel Luogo o sia regione<br />
detta Su Fraitzu quattro aratri; nel Luogo detto Sa Grutta<br />
De s’Homini una capanna con centocinquanta pecore;<br />
nel Luogo detto Cortis Cherbus cento novanta capre con<br />
una capanna per abitazione del pastore.<br />
– Don Pedro Usay San Just delegato della Rª intendenza che vive<br />
quasi tutto l’anno nell’isola colla sua famiglia che tra i figliuoli<br />
e servidori sono quin<strong>di</strong>ci persone insieme a Don<br />
Francesco e Don Lorenzo suoi figliuoli posseggono una casa<br />
capace con due gran magazzini e un orto chiuso a muraglia<br />
nel Piano della Chiesa do<strong>di</strong>ci aratri in Corru Longu tre<br />
aratri nel Piano della Chiesa duecento cinquanta pecore.<br />
– Don Emanuele Angioi che abita la maggior parte dell’anno<br />
nell’isola colla sua famiglia, cioè moglie, quattro figliuoli e<br />
sette tra Servidori e Servo, tiene una casa con un cortile<br />
grande, in sa gruta due aratri.<br />
– La Città <strong>di</strong> Iglesias tiene una casa che serve al tempo delle<br />
due feste che ogni anno si fanno per San Antiogo per abitazione<br />
de Consiglieri e <strong>di</strong> varie persone <strong>di</strong> riguardo che<br />
sogliono concorrere ogni anno.<br />
– Il Capitolo <strong>di</strong> Iglesias tiene una casa, in cui abitano tutti i<br />
Canonici nel tempo che durano le suddette feste e quin<strong>di</strong>ci<br />
botteghe che suole affittare quando si fa la festa facendosi<br />
allora una spezie <strong>di</strong> fiera perché vi concorrono da tut-<br />
105<br />
ANNALI 2008
te le parti del Regno fino a sette, otto e più mille persone,<br />
nella Cussorgia detta “Portu de terra apidu” sessanta vacche.<br />
– Don Mario de Spinosa tiene una casa.<br />
– Don Francesco Giuseppe Otger possiede due case, in Malladorgia<br />
un aratro.<br />
– Don Francesco Caneglies possiede due case con un cortile<br />
oltre i seguenti territori, cioè in Ponte un aratro, in Triga<br />
due aratri.<br />
– Don Nicola Salazar Arci<strong>di</strong>acono della Cattedrale una casa.<br />
– Il Dr Fadda una casa.<br />
– L’Ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> Don Antonio Rog una casa e due aratri in Su Pruini.<br />
– Ignazio Ventura una casa.<br />
– Antonio Desogus, che abita tutto l’anno colla moglie, tre figliuoli,<br />
Suocera, Cognato e due Servidori possiede una casa<br />
e un cortile grande nel Piano della Chiesa, un aratro in<br />
Canai, tre aratri in Canai, trecento cinquanta pecore.<br />
– Il Notaro Antonio Cocco una casa, in Canai cinque aratri<br />
– Il Notaro Francesco Cocco una casa.<br />
– Il Notaro Nicola Pintus una casa.<br />
– Il Canonico Carta una casa con sotterranei. In Su Pruini due<br />
aratri, in Su Pruini ottanta pecore.<br />
– La vedova Maria Dessi che vive tutto l’anno nell’isola nella<br />
casa <strong>di</strong> Salvador Esu Cannas con quattro figlie maritate,<br />
che fra tutti sono ventitre persone, possiede in Triga tre<br />
aratri, il <strong>di</strong> lei genero Domenico Salidu in Triga una capanna<br />
in Triga novanta pecore, l’altro genero Antiogo Sera cinquanta<br />
pecore in Triga.<br />
– Pietro Toro nel Piano della Chiesa due aratri.<br />
– Domenico Salidu nel d° Piano due aratri.<br />
– Sisinnio Trudu Massaro abita nell’isola tutto l’anno colla<br />
moglie cinque figliuoli e un servidore in una Cappanna<br />
possiede nel piano della Chiesa due aratri.<br />
– Salvador Querqui che <strong>di</strong>mora tutto l’anno colla moglie tiene<br />
nel piano della Chiesa ottanta pecore.<br />
– Gioanni Esu Fanutza che abita la maggior parte dell’anno<br />
colla moglie, figlio e sei persone che lo adjutano al lavoro<br />
della terra possiede una casa e una capanna in Triga e in<br />
Canai cinque aratri, in su Pruini un aratro, e cinque capanne<br />
nelle quali abitano due pastori con trecentocinquanta<br />
capre e cinquanta pecore, oltre oltre cinquanta vacche che<br />
tiene nella regione detta Mercoreddu.<br />
– Salvador Esu Cannas coi suoi fratelli e sorelle posseggono<br />
una casa, un territorio un cortile grande chiuso a muraglia<br />
e una capanna in Canai due gran pezzi <strong>di</strong> territorj chiusi a<br />
siepe con altre due capanne e otto aratri <strong>di</strong> altro territorio<br />
trecento pecore con altra capanna duecento cinquanta capre<br />
con altra capanna in Crisionis, cinquanta vacche in Portu<br />
Misi.<br />
– Antonio Esu colla sua moglie quattro figli ed un servidore<br />
possiede due capanne, in Triga due aratri e mezzo e trenta<br />
pecore.<br />
– Antiogo Esu nella regione detta Sa tuvara settanta capre.<br />
–Gioanni Antonio Pricocci colla sua famiglia, una casa con<br />
due capanne, in Triga due aratri.<br />
– Antonio Sevis in Corongiu Murvonis due capanne e tre aratri<br />
<strong>di</strong> territorj in Triga cento cinquanta capre, in Porta de<br />
Su Suergiu quaranta vacche, nel piano della Chiesa tre aratri.<br />
ANNALI 2008 106<br />
– Salvador Paris in Canai un aratro, in Triga cento ottanta capre.<br />
– Antiogo Ganau in Canai quattro aratri, vicino alla Chiesa<br />
una casa, tre cave con magazzini e 50 pecore.<br />
– Il Nor° Marco Corbelli in Canai un magazzeno, e tre aratri<br />
<strong>di</strong> terra<br />
– Antiogo Ignazio Corbelli in Triga 40 pecore.<br />
–I Padri Minori Conventuali <strong>di</strong> San Francesco del convento <strong>di</strong><br />
Iglesias in Canai due case e tre aratri.<br />
– La Vedova Mª Santu Lochi coi suoi tre figliuoli in Canai due<br />
capanne, un cortile, quattro aratri trecento pecore e uno<br />
de suoi figliuoli in Crisionis 250 capre, in Sa Pispisia 70 vacche.<br />
– Sebastiano Spada in Canai 5 aratri.<br />
– Gavino Garia in Canai 4 aratri.<br />
– Salvador Corona in Canai una capanna e tre aratri.<br />
– Gioanni Cautai colla moglie e tre figli in Triga una capanna<br />
con un aratro in mezzo ed altra capanna vicina alla Chiesa.<br />
– Sisinnio Cordeddu colla moglie e quattro figli in Triga un<br />
aratro e mezzo e una capanna.<br />
– Antiogo Lochi colla sua moglie in Triga un aratro.<br />
– Francesco Chireddu vicino alla Chiesa una casa e in Canai<br />
due aratri e in Su Pruini un altro aratro.<br />
– Antonio Vincenzo Longu in Canai una casa e due aratri, in<br />
Crisionis 150 capre.<br />
– Antiogo Pisano in Canai due cappanne e due aratri.<br />
– Gli ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> Antiogo Ignazio Depau in Cannai due aratri.<br />
– Giovanni Antonio Pisano in Canai un aratro.<br />
– Antonio Querqui in Canai due aratri e una cappanna.<br />
– La vedova Paselli cò suoi figli in Canai due aratri.<br />
– Gli ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> Cristoforo Falconi in Canai un aratro.<br />
–Giovanni Esu Cannas in Canai due aratri, in Portu Maiori 100<br />
vacche.<br />
– Gli ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> Salvador Contu in Canai un aratro.<br />
– Salavador Balzai nel Piano della Chiesa un aratro, in Crisionis<br />
130 capre.<br />
– La vedova Corbelli cò suoi figli in Coacuaddus due aratri.<br />
– Pietro Carroccia in Canai due aratri.<br />
– Antiogo Pittis cò suoi figli in Canai un aratro, in Su Pruini<br />
un altro aratro.<br />
–Don Nicolas de Spinosa in Su Pruini un aratro, nel Piano della<br />
Chiesa un altro aratro.<br />
– Antiogo Fonnesu in Guturu Canargius un aratro.<br />
– Antiogo Vincenzo Manigas nel Piano della Chiesa un aratro.<br />
– Benedetto Pabis una casa vicino alla Chiesa e nel piano tre<br />
aratri.<br />
– Don Gavino Salazar Capitano <strong>di</strong> Giustizia della Città e territorj<br />
d’Iglesias nel Piano della Chiesa tre aratri.<br />
– Antiogo Corona che vive tutto l’anno nell’isola colla moglie<br />
e quattro figli due aratri.<br />
– Il Sacerdote Giuseppe Pintus Vice Curato della Chiesa <strong>di</strong> San<br />
Antiogo nel Piano della Chiesa due aratri, due cappanne e<br />
cinquanta pecore.<br />
– Francesco Vacca che sta tutto l’anno nell’isola colla moglie<br />
e due figli nel Piano della Chiesa due aratri.<br />
– Giuseppe Brondo colla moglie e tre figli nel Piano della Chiesa<br />
due aratri e un sotterraneo.
– Sebastiano Bolegas che sta anche tutto l’anno colla moglie<br />
e quattro figli nel Piano della Chiesa quattro aratri.<br />
– Il Collegio de PP. Gesuiti d’Iglesias una casa vicino alla Chiesa.<br />
– Salvador Tronchi domiciliato nell’isola colla moglie e cinque<br />
figli nel Piano della Chiesa due aratri.<br />
– Giuseppe Bulegas domiciliato nell’isola colla moglie tre figli,<br />
due servidori nel Piano della Chiesa due aratri.<br />
– Giovanni Bulegas Murroni nel Piano della Chiesa due aratri.<br />
– Giovanni Manca colla moglie e figli domiciliato nell’isola<br />
una capanna nel Piano della Chiesa e due aratri.<br />
– Antonio Barossu domiciliato nell’isola colla moglie e quattro<br />
figli due capanne nel Piano della Chiesa e due aratri.<br />
– Sisinnio Trudu colla moglie e cinque figli due cappanne nel<br />
Piano della Chiesa due aratri, Antonio Cuccu colla moglie e<br />
tre figli tre cappanne con tre cortili nel Piano della Chiesa<br />
due aratri.<br />
– Francesco Mereu colla moglie e cinque figli una capanna e<br />
due aratri nel Piano della Chiesa.<br />
– Salvador Luxu colla moglie e quattro figli due cappanne, in<br />
Su Pruini un aratro.<br />
– Giovanni Balloni in Su Pruini un aratro.<br />
– Francesco Elias colla moglie e figli una cappanna nel Piano<br />
della Chiesa due aratri.<br />
– Antonio Piredda colla moglie e figlio nel Piano detto due<br />
aratri.<br />
– Pietro Fod<strong>di</strong>s colla moglie e figli nel Piano della Chiesa due<br />
aratri.<br />
– Il Nor° Giovanni Vincenzo Frongia nel Piano della Chiesa due<br />
aratri, in Sa Pispisia due aratri.<br />
– Francesco Porcu nel Piano detto due aratri.<br />
– Francesco Pintus colla moglie e tre figliuoli una cappanna<br />
nel Piano della Chiesa due aratri.<br />
– Mauro Simula colla moglie e due figli tre cappanne e tre<br />
cortili, nel Piano della Chiesa due aratri.<br />
– Don Miguel Pes Arciprete della cattedrale d’Iglesias in S’Acqua<br />
de sa Canna tre aratri.<br />
– Don Giuseppe Pintus in Sa Pispisia quattro aratri.<br />
– Antonio Usay colla moglie e due figli abitano nella casa <strong>di</strong><br />
Dona Madalena Sulas.<br />
– Pietro Carta Massaro nella casa del Capitolo.<br />
– Antonio Esteri colla moglie e due figli in un sotterraneo del<br />
Capitolo.<br />
– Giuliana Callaresa vedova nella casa del Canonico Pileddu.<br />
– Francesco Antonio Zucca colla moglie e tre figli in un’altra<br />
casa del Canonico Pileddu.<br />
– Giovanni Lochj colla moglie e tre figli nella casa <strong>di</strong> Benedetto<br />
Pavis.<br />
–Nicoletta Manca con tre figlie una casa e una cappanna<br />
– Antiogo Frongia colla moglie e tre figli posseggono una casa<br />
e una cappanna, in Su Pruini settanta pecore.<br />
– Giovanni Coccu massaro colla moglie e due figlj una casa.<br />
– Antiogo Lochi colla moglie e tre figlj due cappanne.<br />
– Salvador Cabras colla moglie e tre figlj due cappanne, nel<br />
Piano della Chiesa due aratri.<br />
– Francesco Ignazio Eremita della Chiesa <strong>di</strong> San Antiogo una<br />
cappanna con un cortile, nel Piano della Chiesa due aratri.<br />
– Francesco Toru colla moglie e una figlia pastore <strong>di</strong> capre -<br />
Pietro Toru colla moglie e un figlio massaro, Giovanni An-<br />
tonio Pai colla moglie e quattro figlj massaro. Salvador Pullo<br />
colla moglie e quattro figlj vivono tutto l’anno nell’isola.<br />
– Antiogo Melis Murtas colla moglie madre e tre figlj. Giuseppe<br />
Lodde colla moglie e quattro figlj. Antiogo Melis Piricocci<br />
colla moglie, suocera e due figlj – Antonio Rossu colla<br />
moglie e tre figlj – Sisinio Campus colla moglie sono tutti<br />
massaro domiciliati nell’Isola che coltivano le terre de Cavalieri<br />
e d’altre persone che non coltivano da se stessi.<br />
– Antiogo Corona colla moglie e quattro figlj nel Piano della<br />
Chiesa due aratri.<br />
– Antonio Piredda colla moglie e figlj – Antonio Giruccio colla<br />
moglie figlio e nuora – Antonio Garau colla moglie e due<br />
figlj - Felice Olargiu colla moglie – Agostino Pintus – Salvador<br />
Raspilla, Sebastiano Pilloy colla moglie e due figlj sono<br />
pastori e massari altrui sono abitanti tutto l’anno nell’Isola.<br />
– Francesco Puddu - Donna Gioanna Paliaccio con suo figlio<br />
Don Giorgio Corria che <strong>di</strong>mora quasi tutto l’anno nell’Isola<br />
posseggono tre case e un magazzeno grande nel Piano della<br />
Chiesa, quattro aratri in Sa Punta des’Omini una cappanna<br />
con trenta pecore in Corti Cherbus una cappanna con<br />
246 capre.<br />
Vi sono più <strong>di</strong> cento grotte incavate nella rocca tutte proprie<br />
<strong>di</strong> vari Particolari della Città d’Iglesias che si sogliono<br />
affittare per abitazione e ricovero de concorrenti alla Festa.<br />
Lo stabilimento <strong>di</strong> una nuova popolazione presentava<br />
un altro ostacolo da superare: i <strong>di</strong>ritti vantati dal Vescovo<br />
<strong>di</strong> Iglesias in forza <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse donazioni: il Giu<strong>di</strong>ce Torcotorio<br />
nel 1124, Donna Benedetta <strong>di</strong> Lacon Massa con suo<br />
figlio Guglielmo nel 1216, Privilegi Reali dei Re <strong>di</strong> Spagna<br />
Giovanni nel 1466 e Fer<strong>di</strong>nando nel 1479 dove, su richiesta<br />
del Vescovo Giuliano <strong>di</strong> Iglesias, vengono riba<strong>di</strong>ti i<br />
privilegi sull’isola “Tam in <strong>di</strong>e festivitatis eiusde Ecclesia...”<br />
(importante la citazione “in <strong>di</strong>e festivitatis” nel 1466 che<br />
certifica la festa 54 anni prima).<br />
Monsignore Arcivescovo <strong>di</strong> Cagliari scrive una memoria<br />
<strong>di</strong> proprio pugno (conservata presso l’Archivio Mauriziano<br />
a Torino) dove sono anche in<strong>di</strong>cate alcune <strong>di</strong>sposizioni da<br />
tenersi durante la festa del Santo: Memorie <strong>di</strong> molti atti degli<br />
Arcivescovi <strong>di</strong> Cagliari come Vescovi pure <strong>di</strong> Iglesias miei<br />
Predecessori sopra l’Isola <strong>di</strong> Santo Antioco, per li quali si deduce<br />
chiaramente il loro possesso e dominio <strong>di</strong> quell’Isola, ricavati<br />
da i Registri della Mensa.<br />
E in primo luogo è da notare che né libri stampati anche<br />
prima del 1600 approvati dall’Arcivescovo <strong>di</strong> quel tempo, o a<br />
lui de<strong>di</strong>cati, gli vien dato palesemente il Titolo Dominus Suelli,<br />
ac Sancti Pantaleonis, atque Insulae Sancti Antiochi &.<br />
Così si vede in un libro che mi ritrovo a caso <strong>di</strong> avere, il<br />
quale è stato stampato in Cagliari con licenza dè Superiori.<br />
1598 - L’anno 1598: e così pure si legge in una Prefazione<br />
o pure de<strong>di</strong>catoria stampata in Sassari circa il medesimo<br />
tempo, e inviatami due anni sono da Monsignore Vescovo <strong>di</strong><br />
Bosa, in<strong>di</strong>rizzata all’Arcivescovo <strong>di</strong> Cagliari ch’era allora<br />
Don Alonso Lasso Sedegno.<br />
Dalla quale appellazione allora così palesemente usata si<br />
deduce che lo stesso Arcivescovo d’Iglesias doveva essere notoriamente<br />
riputato, quale viene asserito, cioè Dominus Insulae<br />
Sancti Antiochi, o Insularum Sancti Antiochi come<br />
107<br />
ANNALI 2008
PIANO DELL’ABITATO DI SANT’ANTIOCO DISEGNATO<br />
DAL MAGGIORE BESSONE (10 GENNAIO 1955)<br />
si legge in altro luogo, siccome lo era <strong>di</strong> Suelli e <strong>di</strong> San Pantaleo<br />
siccome ivi chiaramente viene enunziato nè i Titoli.<br />
1597 - Una commissione e Delegazione generale dell’Arcivescovo<br />
Don Alonso Lasso data nel 1597. al Canonico<br />
Giovanni Melis con poter generale <strong>di</strong> procedere, catturare,<br />
giu<strong>di</strong>care, sentenziare, ed esercitare la Giuris<strong>di</strong>zione contra<br />
qualsiasi delinquenti nell’Isola <strong>di</strong> San Antiogo, Santa<strong>di</strong> &;<br />
la qual Commissione e Delegazione gen.le è stata prodotta in<br />
cedola, a i. 3. <strong>di</strong> agosto del 1630. nella causa vertente con la<br />
Città d’Iglesias sopra la Giuris<strong>di</strong>zzione <strong>di</strong> Santa<strong>di</strong> al fol.<br />
713. e 714.<br />
1600 - Una Provisione del medesimo Arciv° Don Alonso<br />
Lasso data il dì 14. <strong>di</strong> gennaro 1600. per la quale commanda<br />
al suo Vicario Generale, e Ministri Ecclesiastici d’Iglesias<br />
che abbiano a riconoscere e riputare Andrea Meli dª<br />
medesima Città d’Iglesias per Arrendatore <strong>di</strong> tutti i frutti e<br />
ren<strong>di</strong>te così civili come criminali, del detto Vescovado, della<br />
Isola <strong>di</strong> San Antiogo &; la quale provisione fu prodotta in<br />
cedola a i. 16. <strong>di</strong> Settembre 1638. nella medesima causa che<br />
sopra a fogl. 122. a tergo.<br />
1609 - Una provvisione <strong>di</strong> Monsignor Arcivesc° Don<br />
Francesco d’Esquivel in data <strong>di</strong> 28. Gennaro 1609, per la<br />
quale dà facoltà al suo Vicario generale d’Iglesias <strong>di</strong> stabilire,<br />
ossia sin<strong>di</strong>care, o assegnare terreni nell’Isola <strong>di</strong> San Antiogo<br />
a qualsiasi persona, pagando quello che accostumavano<br />
<strong>di</strong> pagare nel suo Salto, cioè né i suoi territorj <strong>di</strong> San-<br />
ANNALI 2008 108<br />
ta<strong>di</strong>; la quale provvisione fù ancora prodotta nella medesima<br />
causa della Giuris<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Santa<strong>di</strong> in cedola presentata<br />
il dì 23. <strong>di</strong> 7.bre dell’anno 1638. a fol. 138.<br />
1620 - Relazione <strong>di</strong> Nicolò Corbelli pubblico pregoniere<br />
<strong>di</strong> aver fatto il Bando per la Città <strong>di</strong> Iglesias con la<br />
grida né i luoghi soliti della dª Città il dì 26. <strong>di</strong> Marzo<br />
dell’anno 1620. d’or<strong>di</strong>ne del Vicario Generale d’Iglesias<br />
e de i Salti ossia Territorj d.ª Mensa ossia Mitra Ecclesiense<br />
che era il Canonico Francesco Cani, che nessun<br />
genere <strong>di</strong> persone <strong>di</strong> qualsivoglia Grado, o Stamento, non<br />
possano condurre né pascolare qualsivoglia genere <strong>di</strong> Bestiame<br />
per la <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> quattro miglia d’intorno alla<br />
Chiesa e Case del Glorioso Santo Antioco, sottopena <strong>di</strong><br />
essere macellate, tenturate, tante volte quante entreranno<br />
& e <strong>di</strong> cinque lire da applicarsi alla Chiesa del medesimo<br />
Santo.<br />
1620 - Intima fatta dal suddetto Rdo Francesco Cani<br />
Vicario Gen.le Ecclesiense a i 28. d’Aprile del 1620, e notificata<br />
al Capitano e Giurati dª Città d’Iglesias, perché<br />
non molestino li Cacciatori dell’altra Città e Luoghi del<br />
Regno che andarebbero a caccia nell’Isola <strong>di</strong> San Antiogo<br />
con licenza dell’Ill.mo e R.mo Don Francesco d’Esquivel<br />
Arciv° <strong>di</strong> Cagliari Vescovo d’Iglesias Barone e Signore<br />
della detta Isola, o del suo Vicario gente <strong>di</strong> quel Vescovado<br />
e dè i Salti ossia Territorj <strong>di</strong> esso; La qual espressione<br />
<strong>di</strong> Barone e Signore della detta Isola quivi viene replicata<br />
più volte. L’oggetto <strong>di</strong> questa Intima si è che non<br />
molestino i cacciatori forestieri col levargli parte della caccia<br />
che avrebbero presa, secondo che essi Capitano e Giurati<br />
& dovevano essersi vantati <strong>di</strong> voler fare e quivi gli si<br />
<strong>di</strong>ce in questa Intima che essi non devono nè possono fa-<br />
re <strong>di</strong> queste cose, mentre li cacciatori anno la licenza del proprio<br />
Barone e Signore dell’Isola.<br />
1620 - Proclama del Dottore e M° R.do Nicolò Cadello<br />
Provicario Gen.le in assenza del Canonico Franc° Cani Vic°<br />
Gen.le del Vescovato d’Iglesias e suoi Territorj; Nel quale si<br />
commanda che tutti coloro che anno case <strong>di</strong>strutte o <strong>di</strong>sfatte<br />
nell’Isola <strong>di</strong> San Antiogo, le debbano far aggiustare e rifare<br />
in pie<strong>di</strong>, o rie<strong>di</strong>ficare dentro del termine <strong>di</strong> otto mesi sotto<br />
pena <strong>di</strong> devoluzione delle medesime rovine e <strong>di</strong> esser messe<br />
all’incanto, e consegnate a chi offerirà <strong>di</strong> più &. In questo<br />
Proclama si <strong>di</strong>ce ancora l’Arcivescovo come sopra Barone<br />
e Signore dª medesima Isola e in suo nome si commanda<br />
& come sopra. E segue la Relazione e Certificato <strong>di</strong> essersi<br />
pubblicata questo Proclama nella Chiesa del medesimo<br />
Santo nell’Isola nel dì della Festa del Santo e al maggior<br />
concorso del popolo (che concorre numerosissimo da tutte le<br />
parti del Regno a quella Festa dove, sempre interviene tutta<br />
la Città e Magistrati d’Iglesias) alla Chiesa il dì 3. e 4. <strong>di</strong><br />
Maggio 1620.<br />
1647 - Filippo Corrus Officiale dell’Isola <strong>di</strong> San Antiogo<br />
da Relazione <strong>di</strong> aver sin<strong>di</strong>cato ossia assegnato una misura<br />
<strong>di</strong> terreno Marco Cannas Blancher e Giovanni Manca abitanti<br />
d.ª Città d’Iglesias d’or<strong>di</strong>ne del Vicario Gen.le del Vescovado<br />
Giovan Antonio Escarconi Serra a i 28. <strong>di</strong> febbr°<br />
1647.<br />
Alli 3. <strong>di</strong> Aprile dello stesso anno 1647. d’or<strong>di</strong>ne del me
desimo Vicario Gen.le ha sin<strong>di</strong>cata altra misura <strong>di</strong> terra a<br />
Antiogo Esu abitante d.ª medesima Città.<br />
A i trè <strong>di</strong> Maggio del medesimo anno 1647. lo stesso Vicario<br />
Genle commanda per E<strong>di</strong>tto che coloro che avevano stabilimenti<br />
<strong>di</strong> case, Baracche nell’Isola debbano fra quin<strong>di</strong>ci dì<br />
dalla pubblicazione del presente E<strong>di</strong>tto, mostrare e produrre i<br />
titoli, dè i detti stabilimenti, concessioni & alla medesima Curia<br />
Ecclesiastica; e che le case <strong>di</strong>strutte debbano essere rimesse<br />
in pie<strong>di</strong> e rie<strong>di</strong>ficate entro <strong>di</strong> un anno sotto pena <strong>di</strong> essere devolute<br />
alla Mensa &. Il quale E<strong>di</strong>tto fù pubblicato ed affisso<br />
alla Chiesa del medesimo Santo Antioco il dì della sua Festa<br />
cioè li trè <strong>di</strong> Maggio 1647.<br />
1648 - Concessione <strong>di</strong> un tratto <strong>di</strong> terra per costruirvi una<br />
Barracca, ai 15. Marzo<br />
A i 27. Luglio del medesimo anno il soprad° Vicario<br />
Genle dà Patente <strong>di</strong> Offiziale della Isola <strong>di</strong> San Antiogo territorio<br />
e giuris<strong>di</strong>zione della Mensa, come ivi <strong>di</strong>ce, del Vescovado<br />
Ecclesiense, il quale impiego vacava allora per la morte<br />
del soprallodato Filippo Corrus, a Antiogo Cadello Massaio<br />
d’Iglesias perché amministri ed eserciti gli atti e cose concernenti<br />
alla buona giustizia; e costui presente accetta il carico<br />
<strong>di</strong> Offiziale, ed ha prestato il solito omaggio perciò ossia<br />
il giuramento nella Curia, <strong>di</strong> portarsi ad amministrare<br />
fedelmente il carico datogli. Ai 24. <strong>di</strong> Agosto del medesimo<br />
anno è sin<strong>di</strong>cata dall’Offiziale Antiogo Cadello d’or<strong>di</strong>ne del<br />
Vicario Genle a favore <strong>di</strong> Antonio Bringiu Toco Supplicante<br />
una misura <strong>di</strong> terra per due arati <strong>di</strong> formento, senza pregiu<strong>di</strong>zio<br />
<strong>di</strong> terzo &.<br />
Dal sopradetto anno 1648 a questa parte vi sono assais-<br />
sime concessioni <strong>di</strong> terreni a<br />
lavorare, e <strong>di</strong> pascoli, fatte da<br />
tutti gli Arcivescovi o dal loro<br />
Vicario Generale d’Iglesias,<br />
con le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> pagare il<br />
Dritto territoriale, ossia portà<strong>di</strong>a<br />
come <strong>di</strong>cono qui ed oltre;<br />
e sarebbe fare un volume<br />
a volere trascrivere tutta questa<br />
serie non interrotta <strong>di</strong> atti,<br />
pregoni, patenti, sin<strong>di</strong>ci &<br />
che comprovano a piena evidenza<br />
il possesso pacifico ed<br />
antichissimo del Dominio utile<br />
<strong>di</strong> tutta l’Isola <strong>di</strong> San Antiogo<br />
e a<strong>di</strong>acenti. Solamente<br />
aggiungo che per l’incen<strong>di</strong>o<br />
dell’Archivio del quale consta<br />
non si ritrovano più antichi<br />
documenti dè i sopradetti, e<br />
da quelli tempi fino al dì<br />
d’oggi sono innumerabili i documenti.<br />
Aggiungo ancora<br />
che nell’anno 1613 essendosi<br />
presa Informazione d’or<strong>di</strong>ne<br />
del Duca <strong>di</strong> Gan<strong>di</strong>a che allora<br />
era Vicerè, dal Capitano<br />
d’Iglesias a grazia del medesimo,<br />
senza intervento del-<br />
l’Arcivescovo e in o<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Lui sopra della Giuris<strong>di</strong>zione esercitata<br />
nell’Isola, si esclude bensì l’Arcivescovo ossia il Vescovo<br />
d’Iglesias dalla Giuris<strong>di</strong>zzione; ma dalla stessa informazione<br />
risulta che l’Arcivescovo era nel possesso fino ad allora<br />
<strong>di</strong> esiggere oltre la Decima anche gli altri red<strong>di</strong>ti (che sono<br />
il <strong>di</strong>ritto territoriale ossia la portà<strong>di</strong>a) e la metà delle machizie<br />
<strong>di</strong>sperse, cioè per mezzo del suo Offiziale; pagandosi<br />
alla Cassa Reale l’altra metà delle medesime. La suddetta<br />
Informazione si ritroverà nell’Archivio del Patrimonio. Il Reggente<br />
Vico nª sua Istoria fa menzione del Dominio utile dell’Isola<br />
che anno i Vescovi, e delle antiche Donazioni delle<br />
quali ecco le Copie annesse.<br />
Quanto al titolo <strong>di</strong> Barone dell’Isola sempre i Vescovi lo<br />
anno usato in tutti gli atti pubblici, almeno da più <strong>di</strong> cencinquanta<br />
anni in quà come si vede da libri o E<strong>di</strong>tti stampati,<br />
e dalle esortatorie ancora solite a presentarsi a Signori Vicerè<br />
ed alla Reale U<strong>di</strong>enza né i casi frequenti <strong>di</strong> contenzione.<br />
Gli Arcivescovi nelle loro patenti che danno ai Vicarj generali<br />
d’Iglesias sono stati sempre soliti <strong>di</strong> <strong>di</strong>chiararli Reggitori<br />
dè i Salti ossia territorj dª Mensa, ed espressamente dell’Isola<br />
<strong>di</strong> San Antiogo; e nelle patenti date agli Offiziali della Isola<br />
e nell’omaggio sempre ricevuto <strong>di</strong> essi dagli stessi Arcivescovi<br />
o da loro Vicarj, si vede che hanno sempre pensato <strong>di</strong><br />
essere veramente Baroni dell’Isola; e lo stesso si vede da loro<br />
frequenti Pregoni ossia E<strong>di</strong>tti; e veramente il nominare Offiziali,<br />
il riceverne il Giuramento de Part ac fideliter administranda<br />
justitiâ, il fare e pubblicare Ban<strong>di</strong>, o e<strong>di</strong>tti con pene<br />
&, l’esiggere la metà delle machizie& e il titolo pacificamente<br />
usato <strong>di</strong> Baroni, pare che tutto ciò in<strong>di</strong>chi qualche cosa <strong>di</strong><br />
più del dominio utile; né a questo si oppone la Informazione<br />
COPIA DELL’ATTO DI DONAZIONE DI BENEDETTA DI LACON (11 GIUGNO 1216)<br />
109<br />
ANNALI 2008
del 1613. la quale fù<br />
presa dal Capitano d’Iglesias<br />
e a <strong>di</strong>stanza del<br />
medesimo; perché in essa<br />
si <strong>di</strong>ce da i testimoni<br />
allegati che il Capitano<br />
d’Iglesias per parte <strong>di</strong><br />
Sua Maestà era quello<br />
che esercitava la Giuris<strong>di</strong>zzione;<br />
ma questo è<br />
perche quelli che andavano<br />
o abitavano là erano<br />
Vassalli Reali, cioè<br />
Citta<strong>di</strong>ni e abitatori dª<br />
Città d’Iglesias, e per<br />
conseguenza non poteva<br />
contra <strong>di</strong> quelli procedersi<br />
fuori che per la Reale<br />
Giuris<strong>di</strong>zione ch’era esercitata<br />
dal Capitano<br />
d’Iglesias. Ma il titolo <strong>di</strong><br />
Barone, le patenti <strong>di</strong><br />
Reggitore, le patenti <strong>di</strong><br />
RELITTI TOPONOMASTICI<br />
Offiziale per amministrare<br />
giustizia, gli e<strong>di</strong>tti sotto pene, il <strong>di</strong>ritto delle machizie<br />
& pare che mostri che gli Arcivescovi come Vescovi d’Iglesias<br />
avevano ed anno la giuris<strong>di</strong>zione del luogo ossia del territorio<br />
dell’Isola quantunque non possano esercitarla sopra gli<br />
abitatori della medesima cioè per esser questi, Vassalli Reali<br />
come si è detto. Ben è vero che da quattro o cinque anni in<br />
qua il Capitano d’Iglesias non vuole che l’Offiziale <strong>di</strong> San<br />
Antiogo e degli altri territorj della Mensa facciano esecuzione<br />
e macellino & come facevano sempre, ma vuole che si raccorra<br />
a Lui perch’egli faccia esecutare, macellare & e siccome<br />
per evitare i romori fino ad ora non si è fatta formale opposizione<br />
a questa novità pregiu<strong>di</strong>ziale; perciò poco a poco<br />
cresce il pregiu<strong>di</strong>zio della Mensa.<br />
Calamandrana, stretto tra le rimostranze degli abitanti<br />
<strong>di</strong> Sant’Antioco ed Iglesias, i <strong>di</strong>ritti riven<strong>di</strong>cati dall’Arcivescovo<br />
<strong>di</strong> Cagliari, e la necessità per il governo piemontese<br />
<strong>di</strong> aumentare gli introiti per le povere casse reali aumentando<br />
le ren<strong>di</strong>te nelle zone spopolate del Regno, prova<br />
a suggerire un progetto <strong>di</strong> compromesso.<br />
Nella sua relazione scrive...<br />
Tra tutti i territori <strong>di</strong> dett’isola da noi visitati tre sono parsi<br />
propri per farvi una nuova popolazione cioè a Cala <strong>di</strong> Seta<br />
a tramontana verso San Pietro, a Porto Misci o sia Calasapone<br />
al ponente dell’isola, et altra a Maladorgia o Coicuaddus<br />
poco <strong>di</strong>stante a mezzogiorno e levante verso il Golfo<br />
<strong>di</strong> Palmas, ma siccome nel sito <strong>di</strong> Cala <strong>di</strong> Seta che è tutto incolto<br />
e serve solo <strong>di</strong> pascolo si trova un piccolo rivo et una fonte<br />
in riva al mare d’acqua dolce perenne che vi si osservano<br />
vestigi <strong>di</strong> altre antiche abitazioni, che vi è un porto per ancorare<br />
i bastimenti e che una torre ivi situata potrebbe con quella<br />
che si è progettata in Carloforte dominare l’entrata del<br />
Golfo <strong>di</strong> San Pietro, et avere anche con Portoscuso la dovuta<br />
relazione giacchè dalla parte dell’isola Piana e <strong>di</strong> Portoscuso<br />
vi è il comando <strong>di</strong> altre torri.<br />
ANNALI 2008 110<br />
In questo sito, <strong>di</strong>co, come il più proprio quando si volesse<br />
collocare i Greci venuti ultimamente da Corsica, ne avrebbero<br />
<strong>di</strong> terreno buono secondo il giu<strong>di</strong>cio de’ suddetti periti,<br />
al <strong>di</strong> la <strong>di</strong> quello sicuro per poter coltivare in più anni senza<br />
toccare quello degli Iglesiensi e delli abitatori <strong>di</strong> S. Antioco,<br />
che si ritrova da questo lontano, e con altra torre che gli iglesiensi<br />
medesimi fabbricherebbero e manterrebero a loro spese<br />
nel Capo Su Moru, come alcuni della città hanno proposto,<br />
purchè si lascino godere le terre che attualmente coltivano,<br />
rimarrebbe quest’isola preservata dalle scorrerie sin qui praticate<br />
dai barbareschi con far preda <strong>di</strong> sar<strong>di</strong> fino a che il Rais<br />
pochi anni fa superato da questi vi ha con altri suoi turchi<br />
lasciato la vita.<br />
Il 28 Gennaio 1755 il Subdelegato d’Iglesias Don Pietro<br />
Usay consegna un’Intimazione 84 scritta dal Conte <strong>di</strong><br />
Bricherasio alli Greci Corsi venuti d’Ajaccio, e commoranti<br />
in Porto Scuso.<br />
A seguito degli accor<strong>di</strong> venuti meno (si erano obbligati<br />
ad introdurre 240 famiglie, cioè circa 600 persone anziché<br />
le 198 presenti, e varie altre mancanze), viene loro<br />
concessa la possibilità <strong>di</strong> scegliere (entro 5 giorni) <strong>di</strong> stabilirsi<br />
non più nell’isola <strong>di</strong> St Antiogo, ma bensì a Montresta<br />
oppure a Fiumesanto. In caso poi li medesimi rifiutassero<br />
queste grazie <strong>di</strong> S.M., intimerà loro che si facciano tutti<br />
trasportare in Ajaccio facendo loro somministrare il nolito per<br />
il suo ritorno senza speranza <strong>di</strong> mai più essere ammessi nel<br />
Regno.<br />
Il 16 Settembre 1759 la penisola <strong>di</strong> S. Antioco in Sardegna,<br />
in seguito a transazione tra l’Arcivescovo <strong>di</strong> Cagliari,<br />
il Regio Patrimonio e l’Or<strong>di</strong>ne dei Santi Maurizio e<br />
Lazzaro, è ceduta a quest’ultimo.<br />
Dieci anni dopo il sito <strong>di</strong> Cala <strong>di</strong> Seta sarà occupato da<br />
una colonia <strong>di</strong> tabarchini e piemontesi.<br />
Qualche traccia greca permane.
Relitti toponomastici come l’antico nome dell’isola<br />
(Molibodes nesos poi plumbaria insula per i romani).<br />
I Gregu (riferito a probabili <strong>di</strong>scendenti greco-corsi),<br />
Sa Potecaria (così gli antiochensi più antichi chiamavano<br />
la farmacia, e Su Potecariu il farmacista).<br />
Più importante l’ere<strong>di</strong>tà architettonica: l’impianto a<br />
croce greca del VII secolo nella basilica del glorioso Santo<br />
Antioco Patronus totius Regni Sar<strong>di</strong>niae.<br />
Ma erano altri greci.<br />
Il leone <strong>di</strong> Sulky nelle vicende antiquarie<br />
<strong>di</strong> Roma, nuova capitale del Regno<br />
STEFANO ALESSANDRINI<br />
Il Museo Barraco <strong>di</strong> Roma è una delle più complete raccolte<br />
<strong>di</strong> scultura riguardante le civiltà del mondo antico<br />
esistenti in Italia. Composta da circa 300 opere,<br />
la raccolta donata nel 1902 alla città dal barone<br />
calabrese Giovanni Barraco, patriota risorgimentale<br />
e senatore, rappresenta uno<br />
straor<strong>di</strong>nario percorso che guida il visitatore<br />
attraverso l’arte ed il tempo. Sculture egizie,<br />
assire, cipriote, etrusche, greche, romane<br />
(spesso degne <strong>di</strong> figurare nei più gran<strong>di</strong> musei<br />
del mondo), sono esposte nel palazzetto<br />
rinascimentale della cosiddetta Piccola Farnesina,<br />
a pochi passi da Piazza Navona.<br />
Tra i capolavori del Museo si trova un reperto<br />
eccezionale: una testa <strong>di</strong> leone in alabastro.<br />
È fenicia, ma non proviene dal paese<br />
dei cedri, e nemmeno da Cartagine.<br />
Fu rinvenuta in Sardegna. Nell’isola<br />
<strong>di</strong> S. Antioco.<br />
Giovanni Barraco era consigliato nei<br />
suoi acquisti <strong>di</strong> sculture antiche da un archeologo nativo<br />
<strong>di</strong> Praga, che da Vienna si era trasferito a Roma nel 1893:<br />
Ludwig Pollak. Divenne famoso per aver ritrovato il braccio<br />
destro del Laocoonte nel 1906.<br />
Il Pollak era stimato ed interpellato da tutti i più gran<strong>di</strong><br />
collezionisti stranieri residenti nella città eterna. Questi<br />
ultimi erano sempre alla ricerca <strong>di</strong> reperti ed opere d’arte<br />
provenienti dagli scavi effettuati per la costruzione dei<br />
nuovi quartieri della città, da scoperte fortuite nei <strong>di</strong>ntorni<br />
<strong>di</strong> Roma, o da ven<strong>di</strong>te <strong>di</strong> sculture dalle antiche collezioni<br />
romane.<br />
Un antiquario piuttosto particolare era Pietro Stettiner,<br />
Ispettore generale del Ministero delle Poste. Nella sua<br />
casa con un piccolo giar<strong>di</strong>no, non lontano dal Colosseo,<br />
raccoglieva monete e sculture romane. Durante i suoi viaggi<br />
<strong>di</strong> lavoro incrementava la sua collezione acquistando reperti<br />
archeologici.<br />
In Sardegna, durante un’ispezione a Sant’Antioco, passeggiando<br />
in campagna, vide con suo grande stupore una<br />
scultura in alabastro <strong>di</strong> eccezionale fattura. Domandò al<br />
proprietario (un conta<strong>di</strong>no del luogo) quanto denaro volesse<br />
per cedere il reperto. L’uomo chiese in cambio un fucile<br />
a doppia canna.<br />
Stettiner aspettava un consiglio da Pollak: lo stu<strong>di</strong>oso<br />
boemo, entusiasta per la rarità del pezzo, lo spinse ad acquisirlo.<br />
A sua volta Pollak comprò dall’antiquario il leone<br />
e lo cedette al barone Barraco per la sua collezione nel<br />
<strong>di</strong>cembre 1899. L’archeologo era entusiasta della scultura:<br />
“Probabilmente l’unico pezzo sopravvissuto <strong>di</strong> scultura<br />
fenicia in Italia” (così scrive nella presentazione del Museo<br />
nel 1905).<br />
La scultura, alta poco più <strong>di</strong> settanta centimetri, è una<br />
protome (rappresenta soltanto il muso e le zampe anteriori<br />
dell’animale). Molto probabilmente il leone aveva la<br />
funzione <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>ano (assieme ad una scultura gemella)<br />
della porta <strong>di</strong> un sepolcro monumentale. A S. Antioco si<br />
trovano tombe con dromos (lungo corridoio) con più camere.<br />
Due leoni in pietra calcarea, che quasi certamente<br />
erano posti ai lati <strong>di</strong> una porta, sono conservati nel museo.<br />
Queste due sculture (simili ai leoni dell’isola <strong>di</strong> Delo) e la<br />
protome leonina, pur nella loro originalità, hanno<br />
subito l’influenza dominante del mondo<br />
greco. Per la Magna Grecia possiamo<br />
citare le gronde leonine tipiche<br />
delle architravi dei templi della Sicilia,<br />
che ovviamente era in stretto<br />
contatto col mondo fenicio-punico<br />
della Sardegna. Da non <strong>di</strong>menticare,<br />
comunque, anche i leoni funerari<br />
tipici dell’Etruria meri<strong>di</strong>onale, con<br />
esempi a Cerveteri e a Vulci. Per la<br />
datazione posssiamo ipotizzare il periodo<br />
tra la fine del V e il IV secolo<br />
avanti Cristo: una protome simile è<br />
inserita nelle mura persiane <strong>di</strong> Biblo,<br />
risalenti all’incirca allo stesso<br />
periodo. Da ricordare infine<br />
che i leoni fiancheggiano il trono<br />
della dea Cibele, la grande<br />
dea madre identificabile con Astarte fenicia.<br />
Forse un giorno riusciremo a ritrovare il luogo preciso<br />
della collocazione originaria del “leone <strong>di</strong> Sulky” e a definirne<br />
la funzione con certezza. Per ora non ci resta che<br />
ammirarlo, insieme ad altre straor<strong>di</strong>narie opere d’arte del<br />
passato, nella meravigliosa collezione <strong>di</strong> un appassionato<br />
ed ammirevole mecenate.<br />
Il Museo Archeologico <strong>di</strong> Sant’Antioco<br />
PIERO BARTOLONI<br />
Nel 1956, nell’abitato <strong>di</strong> Sant’Antioco, antica Sulky,<br />
ebbero inizio le fruttuose campagne <strong>di</strong> scavo nelle<br />
aree del tofet e della necropoli ipogea <strong>di</strong> età punica. Gli<br />
scavi erano condotti dal Soprintendente, Gennaro Pesce,<br />
e dall’allora Ispettore, Ferruccio Barreca. Molte centinaia<br />
<strong>di</strong> stele in pietra, decorate in prevalenza con figure umane,<br />
e <strong>di</strong> urne fittili, unite ad altrettanti vasi in terracotta<br />
decorati e non, che facevano parte dei corre<strong>di</strong> tombali, imposero<br />
la creazione <strong>di</strong> un luogo ove conservare tutta questa<br />
messe <strong>di</strong> reperti. D’altro canto, la <strong>di</strong>stanza con il capo-<br />
111<br />
ANNALI 2008
IL MUSEO<br />
luogo cagliaritano e la mancanza <strong>di</strong> spazi adeguati all’interno<br />
del Museo Archeologico Nazionale <strong>di</strong> Cagliari, obbligarono<br />
la Soprintendenza a creare a Sant’Antioco un<br />
deposito sia pur temporaneo che potesse ospitare la maggior<br />
parte dei reperti.<br />
Occorre premettere che, nello stesso periodo, nell’area<br />
a<strong>di</strong>acente al settore della necropoli punica ipogea, denominata<br />
Is Pirixeddus (le piccole pere), era stata iniziata la<br />
costruzione <strong>di</strong> tre palazzine a due piani destinate all’e<strong>di</strong>lizia<br />
popolare. Questi e<strong>di</strong>fici dovevano sorgere a quella che<br />
all’epoca era la imme<strong>di</strong>ata periferia del paese, cioè alla<br />
sommità della cresta che, dalla cattedrale <strong>di</strong> Sant’Antioco,<br />
de<strong>di</strong>cata al Santo Protomartire della Sardegna, giungeva<br />
fino ad un nuraghe polilobato su cui poi in età sabauda fu<br />
costruito un fortino. Conclusi i lavori del primo e<strong>di</strong>ficio e<br />
iniziati quelli per la realizzazione dei successivi, i funzionari<br />
dell’allora Soprintendenza Archeologica per la Sardegna<br />
tra le trincee <strong>di</strong> fondazione rinvennero vistose tracce<br />
<strong>di</strong> antichi e<strong>di</strong>fici. Questi, rivelatisi in parte relativi alle<br />
fortificazioni <strong>di</strong> età punica e in parte riguardanti forse un<br />
grande santuario <strong>di</strong> età romana repubblicana, imposero<br />
prima l’arresto imme<strong>di</strong>ato dei lavori e poi il loro definitivo<br />
abbandono. Le Autorità comunali spostarono il cantiere<br />
per le case popolari in un’altra area e il secondo piano dell’unica<br />
palazzina già e<strong>di</strong>ficata fu dato in uso come deposito<br />
temporaneo alla Soprintendenza Archeologica. Questi<br />
due piccoli appartamenti costituirono il nucleo del futuro<br />
Museo Archeologico Comunale <strong>di</strong> Sant’Antioco.<br />
Infatti, l’allora Ispettore Ferruccio Barreca, sotto la cui<br />
responsabilità venivano compiute le ricerche archeologiche<br />
nel tofet e nella necropoli, decise che almeno una parte<br />
dei materiali conservati nel magazzino improvvisato<br />
meritava <strong>di</strong> essere esposta al pubblico go<strong>di</strong>mento. In realtà<br />
non si trattava <strong>di</strong> un vero e proprio museo, ma <strong>di</strong> un deposito,<br />
per <strong>di</strong> più temporaneo. Si deve dunque alla lungimiranza<br />
<strong>di</strong> Ferruccio Barreca, alla cui memoria è stato op-<br />
ANNALI 2008 112<br />
portunamente intitolato<br />
l’attuale museo, se<br />
oggi a Sant’Antioco apre<br />
i battenti il Museo<br />
Archeologico Comunale.<br />
Negli anni successivi<br />
gli oggetti contenuti in<br />
questo deposito furono<br />
in parte collocati in una<br />
esposizione temporanea,<br />
allestita in un locale<br />
del monte granatico<br />
<strong>di</strong> Sant’Antioco, appositamente<br />
restaurato.<br />
Il progetto per il<br />
nuovo museo fu varato<br />
attorno al 1970 e nel<br />
1973 fu e<strong>di</strong>ficata la<br />
struttura, con i fon<strong>di</strong><br />
messi a <strong>di</strong>sposizione<br />
dalla Cassa del Mezzo-<br />
giorno. Dopo lunghe<br />
vicissitu<strong>di</strong>ni e numerosi passaggi dell’e<strong>di</strong>ficio da un ente<br />
all’altro, verso la metà degli anni ’90 la struttura è finalmente<br />
approdata sotto la giuris<strong>di</strong>zione dell’Amministrazione<br />
Comunale, che, grazie anche ai fon<strong>di</strong> messi a <strong>di</strong>sposizione<br />
dalla Regione Autonoma della Sardegna, è stata in<br />
grado <strong>di</strong> completare le opere murarie, <strong>di</strong> mettere a punto<br />
gli impianti e <strong>di</strong> allestire gli arre<strong>di</strong> interni. Il museo è inserito<br />
nell’area archeologica del tofet, che lo sovrasta.<br />
L’allestimento del museo è stato curato da chi vi parla,<br />
con la collaborazione <strong>di</strong> Paolo Bernar<strong>di</strong>ni, Direttore della<br />
Soprintendenza Archeologica, e con l’aiuto imprescin<strong>di</strong>bile<br />
<strong>di</strong> giovani stu<strong>di</strong>osi e studenti dell’Università <strong>di</strong> Sassari,<br />
tra i quali Michele Guirguis, del Personale della sezione<br />
<strong>di</strong> Sant’Antioco della Soprintendenza Archeologica<br />
e del Personale della Società Cooperativa Archeotur <strong>di</strong><br />
Sant’Antioco.<br />
Oggi il Museo Archeologico Comunale <strong>di</strong> Sant’Antioco,<br />
grazie agli accor<strong>di</strong> e alla collaborazione della Soprintendenza<br />
archeologica per le Province <strong>di</strong> Cagliari e Oristano,<br />
è pronto ad accogliere le istanze, l’interesse e il desiderio<br />
<strong>di</strong> conoscere e <strong>di</strong> sapere dei più giovani, degli stu<strong>di</strong>osi,<br />
dei turisti e, in definitiva, <strong>di</strong> tutti coloro, citta<strong>di</strong>nanza<br />
compresa, che sono desiderosi <strong>di</strong> apprendere la storia<br />
e le vicende del più antico agglomerato urbano della Sardegna.<br />
Questo museo si presenta come la più importante<br />
esposizione monografica della Sardegna, relativa alla civiltà<br />
fenicia e punica, poiché ospita le testimonianze <strong>di</strong> un<br />
unico grande centro urbano dell’antichità, centro urbano<br />
che, allo stato attuale delle ricerche, risulta il più antico<br />
della Sardegna.<br />
Allo scopo il museo è stato allestito seguendo un percorso<br />
storico, che, dalle origini dell’occupazione del territorio<br />
da parte dell’uomo e dalle brume della preistoria,<br />
conduce fino all’impero romano e alla fine del mondo an-
tico. Tutti gli oggetti sono esposti in vetrine <strong>di</strong> tre <strong>di</strong>fferenti<br />
<strong>di</strong>mensioni, che ne permettono una completa visuale.<br />
L’esposizione è aperta dalla vetrina allestita per i non<br />
vedenti, che, oltre ad un modello <strong>di</strong> nave da guerra cartaginese,<br />
contiene alcune riproduzioni <strong>di</strong> oggetti provenienti<br />
da contesti sacri, funerari o <strong>di</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana, che possono<br />
essere toccati. Le <strong>di</strong>dascalie dei materiali sono riprodotte<br />
anche in caratteri Braille.<br />
La prima sezione comprende alcune vetrine che presentano<br />
materiali d’uso quoti<strong>di</strong>ano e <strong>di</strong> provenienza funeraria,<br />
relativi al periodo Calcolitico e all’Età del Bronzo.<br />
Buona parte degli oggetti sono stati rinvenuti nell’area<br />
cosiddetta del Cronicario <strong>di</strong> Sant’Antioco, sotto le vestigia<br />
della città fenicia. Sono presenti tra l’altro frammenti<br />
relativi alla Cultura Ozieri e Sub Ozieri, imme<strong>di</strong>atamente<br />
precedente la Cultura <strong>di</strong> Monte Claro, cronologicamente<br />
inquadrabili a cavallo del IV e del III millennio a.C.<br />
Quanto alla ceramica nuragica, situata soprattutto nell’Età<br />
del Bronzo, sono presenti pochi ma significativi frammenti,<br />
relativi a brocche askoi<strong>di</strong> o a recipienti decorati a<br />
stampo o a incisione. Alcune vetrine della prima sezione<br />
sono de<strong>di</strong>cate alle collezioni private <strong>di</strong> Sant’Antioco o alle<br />
mostre temporanee.<br />
Tuttavia, come è intuitivo, il fulcro e il maggior numero<br />
dei reperti esposti nel museo è appartenente alla civiltà<br />
fenicia e punica e proviene dalle ricerche archeologiche<br />
effettuate nel sito durante l’ultimo cinquantennio. Infatti,<br />
la seconda sezione ospita ciò che è stato trovato nel corso<br />
dei decenni nella necropoli punica dell’antica Sulky. Questa<br />
sezione inizia superato il plastico ricostruttivo del tofet<br />
e <strong>di</strong> fronte da quello che riproduce l’antico porto. In cinque<br />
vetrine sono ospitati sia gli oggetti, soprattutto vasellame,<br />
che erano parte dei corre<strong>di</strong> <strong>di</strong> accompagnamento dei<br />
defunti, sia il corredo completo della tomba 9PGM, che,<br />
grazie al limitato numero degli oggetti, è stato possibile<br />
ospitare all’interno <strong>di</strong> una sola vetrina. È appunto in concomitanza<br />
con l’allestimento che sono emersi aspetti in<br />
precedenza solo sfiorati. Tra tutti, il limitato repertorio delle<br />
forme vascolari rinvenuto all’interno degli ipogei, che,<br />
per quanto riguarda le forme chiuse, non supera la decina<br />
<strong>di</strong> tipi. Ciò, confrontato con quanto risulta da un confronto<br />
con la ceramica <strong>di</strong> uso domestico adottata tra il V<br />
e il IV secolo a.C., se non altro <strong>di</strong>mostra l’appiattimento<br />
e la banalizzazione <strong>di</strong> alcune pratiche connesse con il rito<br />
funebre.<br />
Il vasto an<strong>di</strong>to, che accoglie parte delle vetrine della necropoli,<br />
è custo<strong>di</strong>to dai due gran<strong>di</strong> leoni in pietra, che all’origine<br />
probabilmente erano eretti a guar<strong>di</strong>a della porta<br />
settentrionale dell’antica cinta muraria. Si tratta <strong>di</strong> due<br />
splen<strong>di</strong>de sculture a tutto tondo, in grandezza naturale,<br />
ispirate a modelli vicino-orientali, in particolare siro-anatolici,<br />
che fin dal secondo millennio a.C. adornavano e sorvegliavano<br />
le porte delle antiche città.<br />
Superata la porta dei leoni, si accede alla terza sezione,<br />
anch’essa de<strong>di</strong>cata in parte alla necropoli punica, poiché,<br />
come è noto, in questo settore la cinta sulcitana separava<br />
l’area funeraria. Nell’ampio vano a destra è visibile<br />
una ricostruzione della tomba <strong>di</strong> via Belvedere, una delle<br />
tombe puniche più antiche rinvenuta verso la fine del<br />
2004, mentre, nelle vetrine lungo la parete opposta, sono<br />
conservati i gioielli, gli amuleti, le maschere in terracotta<br />
e le statuine rinvenute nelle <strong>di</strong>verse tombe. Una ulteriore<br />
vetrina ospita alcuni contenitori che, seguendo il rito dell’incinerazione<br />
<strong>di</strong> età ellenistica, conservano ossa <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui<br />
adulti.<br />
La seconda metà <strong>di</strong> questa sezione è de<strong>di</strong>cata al tofet,<br />
il santuario fenicio e punico de<strong>di</strong>cato al <strong>di</strong>o Baal Hammon<br />
e alla dea Tinnit, ove, con riti particolari, venivano deposte<br />
le ossa dei fanciulli mai nati o deceduti in tenerissima età<br />
e, comunque, prima dell’iniziazione. Le prime due vetrine<br />
contengono gli amuleti, i piccoli giochi e il vasellame<br />
in miniatura che accompagnavano i piccoli defunti, mentre<br />
le successive accolgono i vasi che nel corso del tempo<br />
costituirono le urne per le ossa bruciate dei bambini deposti<br />
nel santuario.<br />
L’an<strong>di</strong>to tra la terza e la quarta sezione conserva una<br />
vetrina nel cui interno sono esposti gli oggetti <strong>di</strong> una collezione<br />
privata recentemente acquisita dal Ministero per<br />
i Beni e le Attività Culturali e ceduta al museo. La collezione<br />
è composta da oltre duecento amuleti e da circa seicento<br />
vaghi <strong>di</strong> collana in vetro e pasta vitrea, oltre a tre<br />
coppe ed alcuni bracciali in argento e a oltre duecento bottoni<br />
in osso. Una delle coppe reca un’iscrizione punica <strong>di</strong><br />
oltre cento caratteri. Anche se non se ne conosce la provenienza,<br />
il materiale ha un carattere omogeneo sia per<br />
quanto riguarda la cronologia che per quel che attiene la<br />
tipologia. Infatti, gli amuleti alludono soprattutto alla maternità<br />
e all’infanzia, mentre tra i vaghi <strong>di</strong> collana mancano<br />
o sono assai rari quelli classici con ocelli.<br />
La quarta ed ultima sezione contiene i materiali, ceramiche,<br />
ossi e metalli rinvenuti nell’area cosiddetta del Cronicario,<br />
casa <strong>di</strong> riposo comunale degli anziani. In quest’area<br />
sono stati rinvenuti gli e<strong>di</strong>fici relativi alla prima città fenicia,<br />
datati attorno al 770 a.C., sormontati da un santuario,<br />
forse <strong>di</strong> Demetra, e da abitazioni del III e II secolo a.C.<br />
Proprio nel segno della continuità, nella stessa sezione sono<br />
visibili i corre<strong>di</strong> tombali della necropoli <strong>di</strong> età romana<br />
imperiale, che concludono l’esposizione.<br />
Alcuni plastici attualmente ancora in allestimento contribuiscono<br />
opportunamente ad integrare l’esposizione ed<br />
hanno una funzione prettamente <strong>di</strong>dattica: si tratta <strong>di</strong> un<br />
enorme pianta tri<strong>di</strong>mensionale dell’isola <strong>di</strong> Sant’Antioco<br />
in scala 1:2500, delle <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> m 3,5x3, ove, utilizzando<br />
un’apposita consolle, possono essere in<strong>di</strong>cate con<br />
punti luminosi tutte le località d’interesse archeologico<br />
dell’isola. Un ulteriore plastico riproduce un’immagine<br />
ideale, ma non molto <strong>di</strong>stante dalla realtà, dell’antico porto<br />
della città, mentre una grande vasca contiene le riproduzioni<br />
in scala 1:20 <strong>di</strong> una nave da carico e <strong>di</strong> una nave<br />
da guerra in uso in età fenicia.<br />
Il Museo Archeologico Comunale “Ferruccio Barreca”<br />
<strong>di</strong> Sant’Antioco, con la ricchezza e l’interesse dei materiali<br />
conservati, si pone senza dubbio tra i musei più importanti<br />
tra quelli de<strong>di</strong>cati alla civiltà fenicia e punica.<br />
113<br />
ANNALI 2008
suoi primi lavori in legno,<br />
per poi passare alla<br />
pietra, prosegue il suo<br />
percorso artistico con la<br />
lavorazione <strong>di</strong> entrambe.<br />
Attualmente si de<strong>di</strong>ca<br />
a tempo pieno alla ricerca<br />
e alla creazione<br />
delle sue opere.<br />
Nasce a Sant’Antioco il<br />
27 novembre 1941;<br />
1980 - scopre la vocazione<br />
alla scultura e<br />
inizia il suo percorso<br />
LIBERTÀ SPAZIO<br />
artistico;<br />
Agosto 1982 - si presenta al pubblico<br />
con la sua prima personale tenuta a<br />
Sant’Antioco;<br />
ANNALI 2008 114<br />
L’Artista Antiochense<br />
“Gianni Salidu”<br />
’arte è un linguaggio che mi consente <strong>di</strong> esprimere<br />
“N tutto ciò che non si può trasmettere con le parole”<br />
GIANNI SALIDU<br />
Gianni Salidu, inizia la sua attività artistica traendo dall’isola<br />
sulcitana ispirazione per le proprie opere, realizza i<br />
GIANNI SALIDU<br />
1984 - Allestimento del presepe artistico<br />
a Sant’Antioco in un ipogeo punico.<br />
L’appuntamento biennale prosegue<br />
tutt’oggi;<br />
1986 - Inizio delle esposizioni oltre Tirreno:<br />
Fiorano Modenese (MO) - Lacchiarella<br />
(MI) e, nel 1990 nel centro<br />
CIAS Club dell’UNESCO a Roma;<br />
1991 - Ha inizio la collaborazione con la<br />
cooperativa Monte Meana per l’allestimento<br />
del presepe artistico anche<br />
nella grotta calcarea <strong>di</strong> Is zuddas -<br />
Santa<strong>di</strong>. L’appuntamento artistico <strong>di</strong><br />
fine anno è imperniato ancora oggi sulla natività dell’artista,<br />
che annualmente viene rinnovata;<br />
1993 - Partecipazione al primo simposio <strong>di</strong> scultura. Dal<br />
’93 l’artista ha partecipato ogni anno ad un simposio,<br />
alcuni a Sant’Antioco, altri a Cortoghiana, Ittiri, Jerzu,<br />
etc...<br />
Ogni anno, nel mese <strong>di</strong> agosto, allestisce una personale<br />
a Sant’Antioco. Salidu è un profondo conoscitore<br />
delle culture tribali: In<strong>di</strong>a, Malesia, Indonesia, Thaiwan,<br />
Sud Africa, Marocco e Turchia. Ha viaggiato molto anche<br />
in Europa (Austria, Germania, Belgio, Grecia), Senegal,<br />
Gambia e Brasile. Si è potuto così confrontare con<br />
<strong>di</strong>verse culture e manifestazioni artistiche. È proprio grazie<br />
al contrasto artistico dei luoghi visitati e al confronto<br />
<strong>di</strong> questi con la sua terra che ogni sua opera prende vita,<br />
si anima, come fosse lo specchio della crescita ed<br />
espressione interiore dell’artista.<br />
Alcune recensioni<br />
Nelle sue pietre e nei suoi legni c’è una forza impressionante,<br />
ti si parano davanti con la stessa consistenza <strong>di</strong><br />
una collina o <strong>di</strong> un albero, e al tempo stesso cariche <strong>di</strong> me<strong>di</strong>aniche<br />
corrispondenze: hanno i tratti e le figure <strong>di</strong> ciò<br />
che ci circonda e pure<br />
vivono in una loro<br />
aurea remota e assoluta.<br />
Presenze, che<br />
sono collocate nella<br />
loro primor<strong>di</strong>ale sembianza,<br />
spesso racchiusa<br />
nel tempo interminabiledell’archetipo,<br />
dove comincia<br />
la vita, e nascono<br />
i miti e gli dei. Hanno<br />
la stessa sostanza e<br />
forma degli eventi <strong>di</strong><br />
natura, ...e per sottili<br />
corrispondenze evocano<br />
tempi <strong>di</strong> origine e <strong>di</strong> creazione che<br />
circondano in un enigma le civiltà e la storia<br />
dei popoli, i nuraghi della sua Sardegna,<br />
toccata dai Fenici, isola ponte <strong>di</strong> passaggi<br />
e contatti, che in Salidu rivivono per<br />
quella misteriosa magia che non è fatta <strong>di</strong><br />
libri ma <strong>di</strong> percorsi e <strong>di</strong> emergenze dal cerchio<br />
profondo...<br />
Prof. ELIO MERCURI<br />
critico d’arte (Roma)<br />
UNIONE<br />
VENERE “LIBERTÀ” MATERNITÀ<br />
Il significato iconografico delle raffigurazioni<br />
legate al suo primo periodo artistico<br />
risentono dell’influenza del Mito, dell’Antico,<br />
dell’Arcano: basti osservare l’opera<br />
umana, dagli occhi semichiusi e pensosi,<br />
capelli lunghi, baffi folti e lunga barba,<br />
ci riporta ai busti degli antichi filosofi gre
ci, carichi <strong>di</strong> esperienza<br />
e maestri <strong>di</strong><br />
vita. Con l’Ar<strong>di</strong>a,<br />
opera realizzata in<br />
olivastro, l’artista si<br />
avvicina al mondo<br />
del folclore sardo: il<br />
Palio della montagna.<br />
In una delle<br />
sue opere lo scultore<br />
tocca un tema<br />
attualissimo e purtroppo<br />
tristemente<br />
frequente: la trage<strong>di</strong>a<br />
nucleare. In<br />
questa sua opera<br />
Salidu ha raggiunto<br />
la piena maturità<br />
sia artistica che<br />
sociale: come non<br />
COSTUMI SARDI - S. ANTIOCO<br />
commuoversi <strong>di</strong>-<br />
nanzi a questa Apocalisse, effigiata in primo piano dallo<br />
struggente abbraccio Madre-Figlio, sconvolti da tanto terrore.<br />
FRANCO ROSSI<br />
Ispett. Storico dell’Arte - Ministero BB.CC. (Roma)<br />
Lettera all’artista<br />
Caro Gianni,<br />
come tu sai, non sono né uno storico né un critico d’arte,<br />
ma figlio <strong>di</strong> questa terra antiochense che lavora nello specifico<br />
settore della Tutela del Patrimonio Culturale. Pertanto,<br />
le mie osservazioni, nascono esclusivamente dall’amore co-<br />
COSTUMI FEMMINILI E MASCHILI DELLA TRADIZIONE ISOLANA<br />
Con prudenza e senza alcuna presunzione, mi sento in<br />
dovere <strong>di</strong> fare alcune considerazioni sulla tua arte, sulla tua<br />
magistrale tecnica che riesce a plasmare la materia tutta.<br />
Il fatto che tu, a prescindere dalla materia utilizzata, sia<br />
essa un blocco <strong>di</strong> trachite o un tronco <strong>di</strong> ginepro, esprima<br />
magistralmente temi e soggetti così <strong>di</strong>versi ma facenti parte<br />
<strong>di</strong> un’unica matrice, legata al comune denominatore che<br />
rappresenta le ra<strong>di</strong>ci della nostra terra, danno, all’attento<br />
osservatore, la percezione dell’ecletticità dell’artista.<br />
Personalmente, la mia pre<strong>di</strong>lezione va alle figure femminili,<br />
<strong>di</strong>scendenti dalla Mater Me<strong>di</strong>terranea, che, con elegante<br />
sofferenza, stringono tra le mani, racchiuso in una<br />
sfera, la dualità del mondo: la nascita e la morte, la crea-<br />
COSTUMI SARDI - S. ANTIOCO<br />
zione e la <strong>di</strong>struzione.<br />
Dalle materie<br />
portate dal mare<br />
hai realizzato figure<br />
dal sapore mistico<br />
e orientale che ci<br />
riportano in<strong>di</strong>etro<br />
nel tempo, ove a<br />
bordo <strong>di</strong> una piccola<br />
imbarcazione il<br />
nostro Antico, Santo<br />
Taumaturgo, venuto<br />
da lontano, ha<br />
sofferto per portare<br />
avanti le sue idee e<br />
la sua missione.<br />
Oggi, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong><br />
secoli, il suo culto è<br />
ancora vivo e ci ha<br />
lasciato un messag-<br />
mune che ci lega alla nostra isola. gio: lo stesso che tu oggi riesci a trasmettere con le tue<br />
opere.<br />
La tua arte parla ed io sento parole <strong>di</strong> libertà, <strong>di</strong><br />
unione, <strong>di</strong> pietà e <strong>di</strong> superbia che attraverso il filo conduttore<br />
della tua opera, la Dea Madre, giungono in<br />
una <strong>di</strong>mensione senza confine, dove luce e tempo, che<br />
inesorabilmente scorrono, si materializzano in un<br />
unico messaggio d’amore: la tua arte.<br />
Con stima e amicizia<br />
ROBERTO LAI<br />
I costumi tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong><br />
Sant’Antioco<br />
I costumi tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> Sant’Antioco sono oggi indossati<br />
solo in occasione delle sagre religiose. Solo<br />
alcune fra le donne più anziane ancora portano<br />
ogni giorno una versione semplificata del costume<br />
tra<strong>di</strong>zionale. I costumi <strong>di</strong> Sant’Antioco sono <strong>di</strong> tipologia<br />
<strong>di</strong>versa in base alla posizione sociale <strong>di</strong> chi li<br />
indossa. Su “bistiri a nostrana” era indossato dalle<br />
donne della borghesia agricola. Comprende una gon-<br />
115<br />
ANNALI 2008
na a pieghe, “sa fardetta de mesu grana”, <strong>di</strong> colore rosso,<br />
in tessuto d’orbace finissimo, “su ventalliccu”, il grembiule<br />
nero ricamato, “su gipponi”, il corpetto stretto in raso o<br />
velluto, “sa camisa a polanias”, la camicia bianca ricamata,<br />
“su panneddu”, da mettere sulle spalle, “sa perr’e sera”, il<br />
fazzoletto ricamato, “is bottinus” le scarpe rosse con il tacco,<br />
i gioielli: “sa gioia” (un ciondolo), “is arreccadas” (gli<br />
orecchini), “is aneddus” (gli anelli).<br />
“Sa massaia”, la donna <strong>di</strong> casa vestiva in modo più semplice<br />
e senza gioielli (a parte la fede). In questo vestito si<br />
ritrovano “su gipponi”, “sa perr’e sera”, “su ventalliccu”.<br />
Sul capo una cuffia rossa “sa scuffia”, ai pie<strong>di</strong> gli zoccoli in<br />
legno fasciati da una banda rossa: “is cappus”.<br />
1) M. PERRA, ΣΑΡ∆Ω, Sar<strong>di</strong>nia, Sardegna,<br />
voll. I-III, Oristano 1997.<br />
2) S.F. BONDÌ, Osservazioni sulle fonti<br />
classiche per la colonizzazione della Sardegna,<br />
Saggi Fenici (Collezione <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Fenici, 6),<br />
Roma 1975, pp. 49-66.<br />
3) M.G. GUZZO AMADASI, Le iscrizioni<br />
fenicie e puniche delle colonie in Occidente<br />
(Stu<strong>di</strong> Semitici, 28), Roma 1967, pp. 129-31.<br />
4) F. CENERINI, L’epigrafia <strong>di</strong> frontiera: il<br />
caso <strong>di</strong> Sulci punica in età romana, in Epigrafia<br />
<strong>di</strong> confine. Confine dell’epigrafia, Atti del Colloquio<br />
AIEGL Borghesi 2003, a cura <strong>di</strong> M.G.<br />
ANGELI BERTINELLI e A. DONATI, Faenza<br />
2004, pp. 223-237.<br />
5) P. BARTOLONI, G. GARBINI, Una<br />
coppa d’argento con iscrizione punica da Sulcis,<br />
“Rivista <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Fenici”, 27, 1999, pp. 79-91.<br />
6) P. BARTOLONI, S.F. BONDÌ, S. MO-<br />
SCATI, La penetrazione fenicia e punica in Sardegna.<br />
Trent’anni dopo (Memorie dell’Accademia<br />
Nazionale dei Lincei, 9,1), Roma 1997.<br />
7) P. BARTOLONI, Sulcis (Itinerari, 3),<br />
Roma 1989, pp. 27-59; P. BARTOLONI, Fenici<br />
e Cartaginesi nel Sulcis, Cagliari 2003; P.<br />
BARTOLONI, P. BERNARDINI, I Fenici, i<br />
Cartaginesi e il mondo in<strong>di</strong>geno <strong>di</strong> Sardegna tra<br />
l’VIII e il III secolo a.C., “Sar<strong>di</strong>nia, Corsica et<br />
Baleares Antiquae”, 2, 2004, pp. 57-64 P.<br />
BARTOLONI, Il museo archeologico comunale<br />
“Ferruccio Barreca” <strong>di</strong> Sant’Antioco (Guide e<br />
Itinerari, 40), Sassari 2007, pp. 12-63.<br />
8) V. SANTONI, La preistoria e la protostorica,<br />
(ed. P. BARTOLONI), Sulcis, Roma<br />
1989, pp. 63-78.<br />
9) S. MOSCATI, Chi furono i Fenici, Torino<br />
1992; ID., Il tramonto <strong>di</strong> Cartagine, Torino<br />
1993; ID., Introduzione alle guerre puniche,<br />
Torino 1994; P. BARTOLONI, Nuove testimonianze<br />
sui commerci sulcitani, Mozia - XI<br />
(Quaderni <strong>di</strong> Antichità Fenicie e Puniche, 2),<br />
Roma 2005, pp. 557-78.<br />
10) P. BARTOLONI, Nuove testimonianze<br />
arcaiche da Sulcis, “Nuovo Bullettino Archeologico<br />
Sardo”, 2, 1985, pp. 167-92.<br />
11) P. BARTOLONI, Per la cronologia del-<br />
ANNALI 2008 116<br />
l’area urbana <strong>di</strong> Sulky, “QuadCagliari”, 21,<br />
2004, pp. 51-55; ID., Nuovi dati sulla cronologia<br />
<strong>di</strong> Sulky, in L’Africa romana: Atti del<br />
XVII Convegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, Sevilla 2006, in<br />
stampa.<br />
12) P. BERNARDINI, Un inse<strong>di</strong>amento fenicio<br />
a Sulci nella seconda metà dell’VIII sec.<br />
a.C., Atti del II Congresso Internazionale <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong><br />
Fenici e Punici, Roma 1987, Roma 1991,<br />
pp. 663-673<br />
13) P. BARTOLONI, Le necropoli della<br />
Sardegna fenicia: El mundo funerario. Actas del<br />
III Seminario Internacional sobre temas fenicios,<br />
Guardamar del Segura, 3 a 5 de mayo de<br />
2002, Alicante 2004, pp. 117-30.<br />
14) P. BARTOLONI, Orizzonti commerciali<br />
sulcitani tra l’VIII e il VII secolo a.C.,<br />
“Ren<strong>di</strong>conti dell’Accademia Nazionale dei<br />
Lincei”, 41, 1986, pp. 219-226.<br />
15) P. BARTOLONI, Le relazioni tra Cartagine<br />
e la Sardegna nei secoli VII e VI a.C.:<br />
Egitto e Vicino Oriente, 10 (1987), pp. 79-86.<br />
16) S.F. BONDÌ, Fenici e Punici nel Me<strong>di</strong>terraneo<br />
occidentale tra il 600 e il 500 a.C., in<br />
MAXH. La battaglia del Mare Sardonio, Cagliari<br />
- Oristano 2000, pp. 57-72; P. BAR-<br />
TOLONI, Fenici e Cartaginesi nel Sulcis, Cagliari<br />
2003<br />
17) P. BARTOLONI, Il controllo del territorio<br />
nella Sardegna fenicia e punica, Fra Cartagine<br />
e Roma, Seminario <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> italo-tunisino<br />
(Epigrafia e Antichità, 18), Bologna 2002, pp.<br />
79-86.<br />
18) P. BARTOLONI, Contributo alla cronologia<br />
delle necropoli fenicie e puniche <strong>di</strong> Sardegna,<br />
“Rivista <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Fenici”, 9 Supplemento,<br />
1981, pp. 13-29.<br />
19) P. BARTOLONI, La tomba 2 AR della<br />
necropoli <strong>di</strong> Sulcis: Rivista <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Fenici, 15<br />
(1987), pp. 57-73; ID., Riti funerari fenici e<br />
punici nel Sulcis: Riti funerari e <strong>di</strong> olocausto nella<br />
Sardegna fenicia e punica, Atti dell’incontro<br />
<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, Sant’Antioco, 3-4 ottobre 1986,<br />
(QuadCagliari, 6, 1989, supplemento), Cagliari<br />
1990, pp. 67-81; P. BERNARDINI, Sistemazione<br />
dei feretri e dei corre<strong>di</strong> nelle tombe<br />
Sobrio ma fiero il vestito de “Su massaiu”, l’uomo, caratterizzato<br />
dai colori nero dei pantaloni “is cracciònis”,<br />
tessuti in orbace e tenuti stretti in vita da una cintura in<br />
cuoio e dal bianco della camicia in lino ricamata: “sa camisa”.<br />
Alla cintura viene sempre tenuto un fazzoletto piegato,<br />
<strong>di</strong> colore rigorosamente rosso. Sul capo una “berritta”<br />
nera; le scarpe sono ricoperte da ghette, sempre nere,<br />
“is cràccias”.<br />
Il corpetto nero, da indossare sopra la camicia (“su cossu”)<br />
è adornato da una doppia fila <strong>di</strong> monete dorate usate<br />
a mo’ <strong>di</strong> bottoni. Il cappotto <strong>di</strong> lana marrone, “su gabbanu”,<br />
bellissimo, comodo ed elegante, è più somigliante<br />
ad un mantello che a un cappotto, ma ha le maniche.<br />
puniche: tre esempi da Sulcis: “Rivista <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong><br />
Fenici”, 27, 1999, pp. 133-146.<br />
20) P. BARTOLONI, Fortificazioni puniche<br />
a Sulcis, “Oriens Antiquus”, 10, 1971, pp.<br />
147-154; ID., Fortificazioni puniche nel Me<strong>di</strong>terraneo,<br />
“Cultura e Scuola”, 37, 1971, pp.<br />
193-198.<br />
21) P. BERNARDINI, Recenti indagini nel<br />
santuario tofet <strong>di</strong> Sulci, Atti V Congresso Internazionale<br />
<strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Fenici e Punici, Marsala-Palermo<br />
2000, Palermo 2005, pp. 1059-1070.<br />
22) P. BARTOLONI, Urne cinerarie arcaiche<br />
a Sulcis: “Rivista <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Fenici”, 16,<br />
1988, pp. 165-179.<br />
23) A. MATTONE in B. ANATRA, A.<br />
MATTONE, R. TURTAS, <strong>Storia</strong> dei Sar<strong>di</strong> e<br />
della Sardegna, vol. III, L’Età moderna, Jaca<br />
Book, Milano, 1989, pagg. 328 e seg.<br />
24) T. NAPOLI, Vita, Invenzione e Miracoli<br />
del glorioso martire Sant’Antioco detto volgarmente<br />
Sulcitano, Reale Stamparia, Cagliari,<br />
1784, pag. 15.<br />
25) A. LA MARMORA, Itinéraire de l’île<br />
de Sardaigne, Frères Bocca, Turin, 1860, pag.<br />
279.<br />
26) A. MASTINO, Diritto @ <strong>Storia</strong> N. 3 -<br />
Maggio 2004 - Tra<strong>di</strong>zione Romana, Il viaggio<br />
<strong>di</strong> Theodor Mommsen e dei suoi collaboratori in<br />
Sardegna per il Corpus Inscriptionum Latinarum<br />
sta in: www.<strong>di</strong>rittoestoria.it/3/Tra<strong>di</strong>zioneRomana/Mastino-Viaggio-<strong>di</strong>-Mommsen-in-<br />
Sardegna.<br />
27) O. MARUCCHI, Epigrafia cristiana,<br />
Ulrico Hoepli, Milano, 1910, pag. 67.<br />
28) G. DETTORI, in Biblioteca Sanctorum,<br />
Istituto Giovanni XXIII nella Pontificia Università<br />
Lateranense, Roma, Vol. II, 1962, pag.<br />
68.<br />
29) L. PORRU, R. SERRA, R. CORO-<br />
NEO, Sant’Antioco - Le Catacombe - La Chiesa<br />
Martyrium-I frammenti scultorei, STEF, Cagliari,<br />
1989, pag. 88.<br />
30) Ibidem, pag. 29.<br />
31) Ibidem, pag. 11.<br />
32) A. LA MARMORA, Itinéraire de l’île
de Sardaigne, Frères Bocca, Turin, 1860, pag.<br />
279.<br />
33) S. PINTUS, Sar<strong>di</strong>nia Sacra, Vol. I, Tipografia<br />
Canelles, Iglesias, 1904, pag. 65.<br />
34) F. PILI, Le meraviglie <strong>di</strong> Sant’Antioco<br />
Martire Sulcitano, E<strong>di</strong>zioni “Santuario S. Antioco”,<br />
Cagliari, 1984, pag. 34<br />
35) B.R. MOTZO, La donazione dell’isola<br />
sulcitana a S. Antioco, in Archivio Storico Sardo<br />
- Vol. XIII, Cagliari, 1920, pag. 88.<br />
36) F. LANZONI, Le <strong>di</strong>ocesi d’Italia, Dalle<br />
origini al principio del secolo VII (an. 604),<br />
Stabilimento grafico F. Lega, Faenza ,1927.<br />
pag. 670.<br />
37) Ibidem: (cf. “Rassegna Gregoriana”, an.<br />
1910, pagg. 47-8):<br />
Simmacus has arces cultu meliore novavit<br />
Marmoribus, titulis, nobilitate, fide;<br />
e (ivi) in un’altra iscrizione dello stesso papa<br />
si legge:<br />
Antistes portam renovavit Simmachus istam.<br />
38) A.F. SPADA, <strong>Storia</strong> della Sardegna<br />
Cristiana e dei suoi Santi, Il primo Millennio,<br />
E<strong>di</strong>trice S’Alvure, Oristano, 1994, pag. 208.<br />
39) E. DIEHL, Inscriptiones Latinae Christianae<br />
Veteres, vol. I, Berlino, 1961. pagg.<br />
850-1.<br />
40) O. MARUCCHI, Le catacombe romane,<br />
Desclée, Lefebvre e C., E<strong>di</strong>tori, Roma,<br />
1905, pag. 706.<br />
41) G. CALZA, G. BECATTI, Ostia, Istituto<br />
Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma,<br />
1987, pag. 59.<br />
42) O. MARUCCHI, Le catacombe romane,<br />
Desclée, Lefebvre e C., E<strong>di</strong>tori, Roma,<br />
1905, pag. 701.<br />
43) A. MASTINO, Diritto @ <strong>Storia</strong> N. 2 -<br />
Marzo 2003 - Lavori in corso - Contributi, La<br />
Sardegna cristiana in età tardo-antica, sta in:<br />
www.<strong>di</strong>rittoestoria.it/lavori2/Contributi/Mastino-Sardegna-Cristiana.<br />
44) AA.VV., Fiore dei Bollan<strong>di</strong>sti ovvero Vite<br />
dei Santi, Napoli, 1882.<br />
45) A. BOSCOLO, La Sardegna bizantina<br />
e alto-giu<strong>di</strong>cale, Chiarella, Sassari, 1978, pag.<br />
45.<br />
46) A.F. SPADA, <strong>Storia</strong> della Sardegna<br />
Cristiana e dei suoi Santi, Il primo Millennio,<br />
E<strong>di</strong>trice S’Alvure, Oristano, 1994, pag. 22.<br />
47) C. HALM, Victoris Vitensis - Persecvtionis<br />
africanae provinciae sub Geiserico et<br />
Hvnirico regibvs wandalorvm, Weidmannos,<br />
Berlino, 1961, pag. 71.<br />
48) A. BLAISE, Le vocabulaire latin des principaux<br />
thèmes liturgiques, Brepols, Turnhout<br />
(Belgique), 1966, pag. 519: ...Le mot antistes,<br />
chef, a désigné les évèques dès l’époque de Tertullien<br />
[Quintus Septimius Florens Tertullianus<br />
(150-220 circa)]. Dans le latin liturgique,<br />
il est aussi courant que pontifex et episcopus.<br />
49) F. GROSSI GONDI, Trattato <strong>di</strong> Epigrafia<br />
cristiana latina e greca del mondo romano<br />
occidentale, Università Gregoriana, Roma,<br />
1920, pag. 148.<br />
50) P.G. SPANU, Martyria Sar<strong>di</strong>niae. I<br />
santuari dei martiri sar<strong>di</strong>, Oristano, 2000, pp.<br />
83-95.<br />
51) E. ATZENI, La preistoria del Sulcis<br />
Iglesiente, Cagliari, 1987 [ripubblicato in: Enrico<br />
Atzeni, Ricerche preistoriche in Sardegna,<br />
Cagliari, 2005, pp. 271-319].<br />
52) P. BARTOLONI, Fenici e Cartaginesi<br />
nel Sulcis, Cagliari, 2003.<br />
53) P. MELONI, “Sulcis e Iglesiente nel<br />
periodo romano”, in Iglesias. <strong>Storia</strong> e società,<br />
Iglesias, 1987, pp. 73-83.<br />
54) L. PORRU, “Riesame delle Catacombe<br />
(nuove osservazioni e rilievi)”, in L. POR-<br />
RU, R. SERRA, R. CORONEO, Sant’Antioco.<br />
Le Catacombe. La Chiesa Martyrium. I<br />
frammenti scultorei, Cagliari, 1989, pp. 13-83.<br />
55) R. TURTAS, “La <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Sulci tra il<br />
V e il XIII secolo”, in Sandalion, 18, 1995, pp.<br />
147-170.<br />
56) P.G. SPANU, La Sardegna bizantina<br />
tra VI e VII secolo, Oristano, 1998, pp. 47-55.<br />
57) R. CORONEO, Architettura romanica<br />
dalla metà del Mille al primo ’300, collana<br />
“<strong>Storia</strong> dell’arte in Sardegna”, Nuoro, 1993,<br />
p. 35, sch. 3.<br />
58) F. DE ESQUIVEL, Relacion de la invencion<br />
de los cuerpos santos que en los años<br />
1614, 1615, y 1616, fueron hallados en varias<br />
Yglesias de la Ciudad de Caller y su Arçobispado,<br />
Napoli, 1617, passim; Antioco Piseddu,<br />
L’arcivescovo Francesco Desquivell e la ricerca<br />
delle reliquie dei martiri cagliaritani nel<br />
secolo XVII, Cagliari, 1997.<br />
59) R. CORONEO, R. SERRA, Sardegna<br />
preromanica e romanica, collana “Patrimonio<br />
Artistico Italiano”, Milano, 2004, pp. 52-59.<br />
60) R. CORONEO, “Altari, pilastrini e<br />
plutei in Sardegna fra VI e VII secolo”, in Archivio<br />
Storico Sardo, XLII, 2002, pp. 15-17.<br />
61 R. CORONEO, Scultura me<strong>di</strong>obizantina<br />
in Sardegna, Nuoro, 2000, passim.<br />
62) R. CORONEO, “La basilica <strong>di</strong> San Saturnino<br />
a Cagliari nel quadro dell’architettura<br />
me<strong>di</strong>terranea del VI secolo”, in San Saturnino.<br />
Patrono della città <strong>di</strong> Cagliari nel 17° centenario<br />
del martirio. Convegno nell’aula consiliare<br />
del Comune <strong>di</strong> Cagliari, Cagliari, 2004,<br />
pp. 55-83.<br />
63) R. KRAUTHEIMER, Architettura paleocristiana<br />
e bizantina, Torino, 1986, pp.<br />
281-282.<br />
64) A.F. VACCA, “Forum Traiani: Πο´λις<br />
τειχη´ ρης”, in Città, territorio, produzione e<br />
commerci nella Sardegna me<strong>di</strong>evale. Stu<strong>di</strong> in<br />
onore <strong>di</strong> Letizia Pani Ermini offerti dagli allievi<br />
sar<strong>di</strong> per il settantesimo compleanno, a cura <strong>di</strong><br />
Rossana Martorelli, Cagliari, 2002, pp. 187-<br />
206.<br />
65) F. DE’ MAFFEI, E<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> Giustiniano<br />
nell’ambito dell’impero, Spoleto, 1988.<br />
66) R. SERRA, “La possibile memoria <strong>di</strong><br />
una fortezza bizantina in Sardegna: il ‘Castello<br />
Castro’ nell’isola <strong>di</strong> Sant’Antioco”, in Ar-<br />
chivio Storico Sardo, XXXVI, 1989, pp. 83-<br />
90.<br />
67) R. KRAUTHEIMER, Architettura sacra<br />
paleocristiana e me<strong>di</strong>evale, Torino, 1993,<br />
pp. 40-49.<br />
68) O. LILLIU, Il martyrium <strong>di</strong> S. Antioco<br />
nel Sulcis, Cagliari, 1986.<br />
69) R. CORONEO, “Sarcofagi marmorei<br />
del III-IV secolo d’importazione ostiense in<br />
Sardegna”, in La cristianizzazione in Italia, cit.,<br />
pp. 1353-1355.<br />
70) R. CORONEO, “Nuovo frammento<br />
epigrafico me<strong>di</strong>oellenico da Sant’Antioco”, in<br />
Theologica & Historica. Annali della Pontificia<br />
Facoltà Teologica della Sardegna, XII, 2003,<br />
pp. 315-331.<br />
71) Bellum Africanum, 98, 1.<br />
72) STRABONE, 5, 2 123.<br />
73) Cfr. CENERINI, Epigrafia <strong>di</strong> frontiera,<br />
cit.<br />
74) P. BARTOLONI, La navigazione nel<br />
Golfo <strong>di</strong> Oristano, Emporikòs Kòlpos. Il Golfo<br />
degli Empori dai Fenici agli Arabi, Oristano<br />
2005, pp. 11-13.<br />
75) R. ZUCCA, Insulae Sar<strong>di</strong>niae et Carsicae.<br />
Le isole minori della Sardegna e della Corsica<br />
nell’antichità, Roma 2003, pp. 212-14.<br />
76) A. MASTINO, Cornus nella storia degli<br />
stu<strong>di</strong>, Cagliari 1979; ID., Roma in Sardegna:<br />
l’occupazione e la guerra <strong>di</strong> Hampsicora,in <strong>Storia</strong><br />
della Sardegna antica, (ed. Attilio Mastino),<br />
Nuoro 2005, pp. 63-90.<br />
77) A. MASTINO, Roma in Sardegna: l’età<br />
imperiale: <strong>Storia</strong> della Sardegna antica, Nuoro<br />
2005, pp. 127-33.<br />
78) A.M. COLAVITTI, C. TRONCHET-<br />
TI, Nuovi dati sulle mura puniche <strong>di</strong> Sant’Antioco<br />
(Sulci), L’Africa Romana, Atti del XIII<br />
Congresso, Roma 2000, pp. 1321-31.<br />
79) C. TRONCHETTI, S. Antioco (= Guide<br />
e Itinerari, 12), Sassari 1989, pp. 41-42.<br />
80) P. BERNARDINI, I leoni <strong>di</strong> Sulci (=<br />
Sardò, 4), Sassari 1988, pp. 39-42.<br />
81) G. LILLIU, Antichità paleocristiane del<br />
Sulcis, “Nuovo Bullettino Archeologico Sardo”,<br />
1, 1984, pp. 283-300; L. PORRU, R.<br />
SERRA, R. CORONEO, Sant’Antioco. Le catacombe,<br />
la chiesa Martyrium, i frammenti scultorei,<br />
Cagliari 1989; L. PANI ERMINI, Sulci<br />
dalla tarda antichità al me<strong>di</strong>oevo: note preliminari<br />
<strong>di</strong> una ricerca, in Carbonia e il Sulcis. <strong>Archeologia</strong><br />
e territorio, Oristano 1995, pp.<br />
363-77.<br />
82) A. IBBA, L’esercito e la flotta: <strong>Storia</strong><br />
della Sardegna antica, (ed. Attilio Mastino)<br />
Nuoro 2005, pp. 393-404.<br />
83) Archivio <strong>di</strong> Stato Torino, Paesi-Sardegna-Materie<br />
Feudali-Feu<strong>di</strong> per A e B, Mazzo<br />
21, copia Archivio Comunale Sant’Antioco.<br />
84) Archivio <strong>di</strong> Stato Torino, Paesi-Sardegna-Materie<br />
Feudali-Feu<strong>di</strong> per A e B, Mazzo<br />
5, copia Archivio Comunale Sant’Antioco.<br />
117<br />
ANNALI 2008