Download - Panorami-vallate alpine
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N. 82 - Gennaio-Febbraio 2010 - Italia € 3,50 - Francia € 4,50<br />
Sped. in A.P. - 45% - Art. 2 Comma 20/B - Legge 662/96 - Filiale di Torino - Anno XIV - n° 1<br />
Vallate Alpine Vallées des Alpes<br />
La nostra storia<br />
LE ALI DI MICHELE<br />
SULLA VALLE DI SUSA<br />
Boulder<br />
I BLOCCHI DI VARAZZE<br />
Gusto e tradizione<br />
I FORMAGGI PIEMONTESI<br />
NEL MEDIOEVO<br />
Itinerari<br />
CIASPOLATA AL CHIARO DI LUNA<br />
IN VALLE PESIO
Noi ci crediamo<br />
<strong>Panorami</strong> procede da anni in un percorso<br />
editoriale coerente e coraggioso.<br />
Siamo liberi, non riceviamo finanziamenti<br />
che ci condizionino le opinioni o le<br />
scelte, raccontiamo le <strong>vallate</strong> <strong>alpine</strong> ed un mondo<br />
che, sovente, sulla porta di casa rivela angoli<br />
meravigliosi di natura, tesori d’arte e cultura,<br />
storie di vita, ma anche problemi e tematiche<br />
da affrontare.<br />
Abbiamo voglia di pubblicare in positivo perché,<br />
secondo noi, c’è bisogno di buone notizie e,<br />
comunque, di soluzioni ai problemi.<br />
Di solito la cronaca è in cerca di negatività,<br />
brutti avvenimenti. Colpa dei giornalisti o dei<br />
lettori? In questa mentalità anche le banali vicende<br />
quotidiane assumono sempre contorni<br />
sensazionali in nero: una valvola dell’impianto<br />
termico di una scuola per due ore si blocca ed<br />
il quotidiano di turno dedica un pagina (a cosa?),<br />
ma se la stessa scuola viene ampliata sino<br />
a raddoppiare aule e laboratori per gli scolari la<br />
notizia è un trafiletto.<br />
Ecco, <strong>Panorami</strong> non vuole allinearsi a questa<br />
mentalità criticona e pettegola, incapace di svolgere<br />
approfondimenti ed inchieste serie che,<br />
poi, sarebbero lo scopo vero del giornalismo in<br />
un’epoca in cui l’informatica, i telefonini, radio<br />
e televisione, le notizie le danno in tempo reale.<br />
Noi siamo convinti che le Alpi occidentali per la<br />
loro storia e morfologia rappresentino una regione<br />
essenziale nell’Europa e ci impegniamo<br />
a scrivere e fotografare per dare il nostro contributo.<br />
Proprio le <strong>vallate</strong> oggi hanno bisogno di<br />
modernità, di avere coscienza delle radici ma di<br />
volare alto con progetti e prospettive.<br />
La retorica ci mortifica.<br />
La retorica di chi rimpiange il buon tempo antico,<br />
di chi in enti che dovrebbero occuparsi di<br />
montagna cerca un posto politico magari parlando<br />
a vanvera di cippato, centrali idroelettriche,<br />
legno. La retorica di chi dimentica che la<br />
lingua piemontese è patrimonio di 3.140.000<br />
persone e 2 milioni la parlano e, dunque, meri-<br />
del Direttore<br />
block notes<br />
MAURO CARENA<br />
ta d’essere una lingua ufficiale anziché esclusa<br />
dalla legge 482/99.<br />
La retorica di chi in politica per il Piemonte non<br />
fa molto, forse niente, ma poi agita la paura per<br />
gli stranieri, si appella alle tradizioni e si ricorda<br />
dei tanti bisogni e meriti di queste terre solo per<br />
prendere voti.<br />
<strong>Panorami</strong> ha conservato nel tempo una sua<br />
identità, ha mantenuto ed accresciuto i suoi lettori<br />
affezionati ed appassionati.<br />
La carta stampata conosce la crisi, i giornali<br />
stampano sempre meno copie; noi, nelle nostre<br />
dimensioni, al contrario cresciamo e, nel tempo,<br />
vediamo riconosciuta la volontà di impegnarci<br />
onestamente per i nostri territori, di pensare<br />
positivo, di credere che qualcosa possiamo.<br />
E’ ora di innovare e cambiare, non di lamentarsi.<br />
<strong>Panorami</strong>, adesso, si arricchirà molto, con alcuni<br />
cambiamenti editoriali, con il medesimo<br />
grande impegno dei tanti di prima, con l’entusiasmo<br />
dei molti che stanno arrivando.<br />
Siamo presuntuosi e, crediamo, ci sia bisogno<br />
di noi.<br />
Siamo aperti ai Vostri contributi in forma scritta<br />
o fotografica, oppure leggete e consigliate di<br />
leggere <strong>Panorami</strong>: fa bene alla mente, ma anche<br />
al cuore.
COPERTINA<br />
Foto Dorian Widling<br />
PAGINE CENTRALI<br />
Foto Dave Dyet<br />
<strong>Panorami</strong><br />
Vallate Alpine Vallées des Alpes<br />
Numero 82 - Gennaio-Febbraio 2010<br />
Direttore responsabile<br />
Mauro Carena<br />
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO<br />
Paolo Barosso, Beppe Borione, Christian Core,<br />
Daria Fava, Anna Maria Foli, Lodovico Marchisio,<br />
Stella Marchisio, Gianmarco Mondino,<br />
Sophie Manavella-Cuènot, Michele Ruggiero,<br />
Claudio Santacroce, Edoardo Tripodi,<br />
Gianna Tuninetti, Pierguido Vottero,<br />
William Wallace<br />
Questo numero è stato chiuso in redazione<br />
il 13-2-2010<br />
EDIZIONE E STAMPA<br />
Tipolito Melli<br />
Via Moncenisio, 11 - Borgone Susa (TO)<br />
Autorizzazione del Tribunale<br />
di Torino n. 4455 del 13-3-92<br />
REDAZIONE<br />
Via Rosta, 13 - 10143 Torino<br />
Tel. 011 7716035 - Fax 011 745965<br />
Il materiale inviato non verrà restituito<br />
ABBONAMENTO ANNUALE<br />
Italia € 18,00 - France € 21,00<br />
C/C Postale 30040109<br />
VENDITA<br />
Presso le edicole di Torino e cintura,<br />
<strong>vallate</strong> <strong>alpine</strong> Piemonte occidentale, Savoie,<br />
Dauphiné, Briançonnais<br />
INDIRIZZO INTERNET<br />
e-mail: panorami_redazione@libero.it<br />
www.panorami-<strong>vallate</strong><strong>alpine</strong>.info<br />
Il prossimo numero di <strong>Panorami</strong><br />
in abbonamento sarà in edicola<br />
nel mese di Marzo 2010<br />
Block notes del Direttore<br />
Noi ci crediamo. 3<br />
MAURO CARENA<br />
Escursionismo<br />
Un’avventura alle porte di casa 6<br />
DARIA FAVA<br />
I nostri paesi<br />
Bogliano nei ricordi 8<br />
PIERGUIDO VOTTERO<br />
Stagioni<br />
Ad ogni luogo, il suo giardino 12<br />
GIANNA TUNINETTI<br />
La nostra storia<br />
Le ali di Michele sulla Valle di Susa 14<br />
PAOLO BAROSSO<br />
Gusto e tradizione<br />
I formaggi piemontesi nel Medioevo 20<br />
CLAUDIO SANTACROCE<br />
Itinerari<br />
Ciaspolata al chiaro di luna in Valle Pesio 26<br />
LODOVICO MARCHISIO<br />
Il tempo e la memoria<br />
Un’antica orazione salvifica:<br />
l’epistola di Leone III a Carlo Magno 28<br />
GIANMARCO MONDINO<br />
Boulder<br />
I blocchi di Varazze 34<br />
STELLA MARCHISIO - CHRISTIAN CORE<br />
Montagne di ieri<br />
La bibliothèque popolaire<br />
de la Ville de Chambery 38<br />
SOPHIE MANAVELLA-CUÉNOT<br />
Cuori impavidi<br />
L’invenzione delle razze 43<br />
WILLIAM WALLACE<br />
Sci<br />
Un nuovo comprensorio sciistico in Savoia 44<br />
BEPPE BORIONE<br />
La libreria di <strong>Panorami</strong> 46<br />
Sommario
Escursionismo<br />
Un’avventura<br />
alle porte di casa<br />
Guardando dal terrazzo di<br />
casa verso il Musinè, imbiancato<br />
dall’ultima nevicata,<br />
con gli alberi ancora coperti dal<br />
candido manto, al mantenimento<br />
del quale hanno senz’altro<br />
contribuito le recenti algide<br />
temperature, il mio pensiero<br />
va a ritroso nel tempo (molto a<br />
ritroso…). Eravamo certamente<br />
più giovani, e sicuramente<br />
più avventurosi, forse anche<br />
perché meno condizionati da<br />
acciacchi e problemini collegati<br />
al peso anagrafico dell’età.<br />
Il venerdì sera era trascorso<br />
come di prammatica con gli<br />
amici presso la sede del CAI<br />
locale a parlare, guarda caso,<br />
di montagna: Michele e Ugo ci<br />
avevano raccontato entusiasti<br />
la loro avventura sci alpinistica<br />
al Musinè. La salita in sci,<br />
assolutamente inusuale, era<br />
stata resa possibile dall’eccezionale<br />
nevicata che aveva praticamente<br />
paralizzato le nostre<br />
zone. Il venerdì mattina di buon’ora<br />
avevano calzato sci e pelli<br />
di foca ed erano saliti in vetta:<br />
avventura fantastica, era sembrato<br />
loro di trovarsi in pieno<br />
Canada, ma con vista su Torino,<br />
la collina, i paesi della pianura<br />
e la Valle di Susa con l’arco<br />
delle nostre belle Alpi. Il sabato<br />
mattina, lo spiritello avventuroso<br />
che si annida in tutti noi<br />
appassionati della montagna,<br />
ci spronò alla levataccia indispensabile<br />
al compimento dell’impresa,<br />
in una giornata che<br />
per l’occasione si presentava<br />
splendida. Seguendo le indicazioni<br />
dei volonterosi benefatto-<br />
A cura di Daria Fava - Foto di Dario Borione<br />
ri che con grande fatica avevano<br />
battuto pista il giorno precedente,<br />
ci infilammo, dopo aver<br />
oltrepassato la costruzione del<br />
serbatoio dell’acqua, su per il<br />
versante orientale del Musinè.<br />
Alla nostra sinistra la cresta<br />
dell’itinerario di salita più frequentato<br />
dai normali escursionisti,<br />
che dalla mulattiera<br />
che ha inizio presso il Campo<br />
Sportivo di Caselette, raggiunto<br />
il Santuario di Sant’Abaco,<br />
prosegue seguendo quasi fedelmente<br />
la dorsale fino alla<br />
sommità. Alla nostra destra, in<br />
lontananza, la cresta che dal<br />
Truc d’Muncalv raggiunge Pian<br />
d’le Feje e di qui la vetta. Noi,<br />
al centro, in un mondo completamente<br />
invaso dalla neve,<br />
con i quercioli, le rade betulle<br />
e i rarissimi pini praticamente<br />
sepolti da essa, a seguire con<br />
la massima precisione quella<br />
benedetta traccia indispensabile<br />
per procedere, specie per<br />
chi la falcata lunga proprio non<br />
l’aveva. E il silenzio ovattato,<br />
rotto dai tonfi smorzati della<br />
neve che iniziava a cadere<br />
dai rami. E qualche frullio d’ali<br />
di uccellini stupiti da questo<br />
nuovo mondo immerso in un<br />
candore abbagliante. E questo<br />
cielo blu sopra di noi, senza<br />
una nuvola, che contrastava<br />
con il bosco che un gigante<br />
impazzito sembrava aver ricoperto<br />
senza cognizione alcuna<br />
di panna montata…E che contrasto,<br />
il pensare che d’estate<br />
quello era il regno delle lucertole,<br />
delle bisce e degli insetti,<br />
arido e quasi completamente<br />
ricoperto dall’erba e dai rovi!<br />
I cambi di direzione, notevolmente<br />
malagevoli nel bosco fitto<br />
di arbusti e nel groviglio dei<br />
rami, la pendenza che salendo<br />
s’impennava sempre di più rendevano<br />
l’avventura, oltre che<br />
…avventurosa, anche decisamente<br />
faticosa. L’appagamento<br />
derivante dall’ammirare il panorama<br />
sulla città e la collina<br />
alle nostre spalle e lo splendido<br />
ambiente che ci circondava era<br />
però un viatico che smorzava<br />
la fatica e attenuava il bruciore<br />
dei muscoli. Fino a intersecare<br />
la cresta all’altezza dell’ultimo<br />
colletto appena sotto la grande<br />
croce, dove ci raggiunsero<br />
altri due ardimentosi, Ilio e un<br />
amico, che si unirono a noi per<br />
l’ultimo strappo. E finalmente<br />
la vetta, la croce e il panorama<br />
circolare così consueto e tuttavia<br />
così insolito sotto questo<br />
nuovo aspetto nordico: uno<br />
Escursionismo<br />
spettacolo! La sensazione di<br />
aver fatto qualcosa che probabilmente<br />
non avremmo più potuto<br />
ripetere, qualcosa che non<br />
avevamo mai immaginato di<br />
fare, data l’eccezionalità delle<br />
precipitazioni nevose, dava un<br />
sapore tutto particolare a quei<br />
momenti. Ancora adesso, a tanti<br />
anni di distanza, il ripensarci<br />
mi fa sorridere e mi restituisce<br />
l’emozione e l’entusiasmo di<br />
allora. La sosta fu molto breve,<br />
giusto il tempo di togliere<br />
le pelli e di mettere qualcosa<br />
sotto i denti, ai piedi della croce<br />
che non ci sembrò mai più<br />
così bassa: data la quota modesta<br />
(1150 m) era indispensabile<br />
scendere al più presto, prima<br />
che i raggi del sole cuocessero<br />
la neve. La prima parte di discesa,<br />
notevolmente travagliata,<br />
sfruttò l’incassato canalino<br />
che scende a sud ovest verso<br />
Almese, affollato di troppi arbusti,<br />
poi i pendii a sud, con neve<br />
quasi trasformata, ci offrirono<br />
incredibilmente la possibilità di<br />
fare ottime e divertenti curve.<br />
Avremmo desiderato un maggiore<br />
dislivello in discesa, ma<br />
non si può avere tutto: e quel<br />
giorno avevamo già avuto molto.<br />
Scendemmo assaporando<br />
ogni curva fino a incontrare la<br />
pista tagliafuoco, che ci ricondusse<br />
senza problemi al campo<br />
sportivo di Caselette e al Viale<br />
S. Abaco. Un solo rimpianto,<br />
quello di non aver scattato un<br />
maggior numero di diapositive<br />
con la vecchia Rollei in quel<br />
lontano febbraio 1986, perché<br />
davvero, mentre buona parte<br />
delle escursioni sulle nostre<br />
montagne tutti noi le abbiamo<br />
fatte e rifatte, gustandole sempre<br />
e comunque anche se con<br />
sensazioni diverse a seconda<br />
delle situazioni, per questa non<br />
credo proprio che noi avremo<br />
6 una seconda possibilità. 7<br />
IN VETTA<br />
LA PIANURA<br />
IMBIANCATA<br />
UNA BREVE SOSTA<br />
IN VETTA PRIMA<br />
DELLA DISCESA<br />
LA CROCE<br />
DEL MUSINÈ<br />
CON I BAFFI GELATI
La frazione<br />
di Mezzenile<br />
con le sue<br />
attività,<br />
i colori<br />
e i sapori<br />
di un tempo<br />
CASA ANTICA<br />
8<br />
I nostri paesi<br />
PIERGUIDO VOTTERO<br />
Bogliano<br />
nei ricordi<br />
Sono nato, cresciuto e vivo nelle Valli di<br />
Lanzo, valli con un’economia alpestre da<br />
sempre abbastanza povera, le realtà industriali<br />
locali o di bassa valle in grado di<br />
dare lavoro alla mano d’opera residente sono<br />
poche e col fiato corto, il turismo stanziale via<br />
via negli anni ha abbandonato i paesi di media<br />
e bassa valle, non ci sono blasonati impianti di<br />
risalita, non è la montagna di Heidi e nemmeno<br />
pascolano mucche che fanno cioccolato, però nel<br />
nostro piccolo qualcosa piano piano si stà muovendo,<br />
io le trovo belle e mi ci trovo bene, non<br />
le ho mai volute abbandonare neanche a fronte<br />
di offerte di lavoro economicamente interessanti<br />
che però mi avrebbero portato lontano.<br />
Gli anni della giovinezza della mia generazione<br />
sono stati per l’Italia i più importanti economicamente<br />
degli ultimi 50 anni del secolo scorso,<br />
parlo del favoloso boom degli anni 60, gli anni<br />
della rivoluzione culturale, del movimento operaio<br />
e studentesco del ‘68, anni dove nessuno<br />
nutriva il dubbio sul fatto che fosse possibile<br />
cambiare il mondo, in parte la cosa è anche riuscita,<br />
sia nel bene che nel male.<br />
In valle, in quegli anni, molte famiglie tra le quali<br />
la mia, approfittando di questo momento magico<br />
ed irripetibile decisero di investire tutti i loro<br />
risparmi nella casa, ovviamente questo impose<br />
alcuni sacrifici come ad esempio rinunciare alle<br />
ferie e rimandare l’acquisto della macchina di<br />
alcuni anni, cercando però nel contempo di non<br />
far pesare troppo la cosa ai figli, cercando di dar<br />
loro tutto quello che la guerra aveva impedito a<br />
molti di loro di avere: una giovinezza serena, un<br />
titolo di studio, la libertà di scegliere e di decidere…<br />
la pancia piena tutti i giorni.<br />
Fino all’età di 17 anni, ho passato quasi tutte<br />
le mie vacanze estive a casa dei nonni materni<br />
a Pessinetto, i nonni si sa, sono più inclini dei<br />
genitori a concedere qualche piccolo innocente<br />
vizio; i miei nonni (come tutti i nonni, credo)<br />
avevano inoltre la pazienza, la saggezza e<br />
la sagacia propria dell’età che ben si sposava<br />
con la mia irrequietezza e le mie immancabili,<br />
quotidiane, birichinate, per questo quando arrivava,<br />
finalmente, la sospirata estate anch’io…<br />
andavo in villeggiatura con grande sollievo per<br />
i miei genitori.<br />
Di fianco all’alloggio dove i miei nonni vivevano<br />
avevano anche un’aia con un gallo, qualche gallina<br />
e alcune anatre che si divertivano a sguazzare<br />
in una piccola pozza d’acqua che era stata<br />
ricavata contro il muro di cinta sfruttando una<br />
piccola sorgente, c’era anche una vite di uva<br />
fragola supportata da pali in legno ai quali mio<br />
nonno aveva legato due corde ad un’assicella in<br />
modo da ricavarne un’altalena, negli anni della<br />
mia fanciullezza questo era il mio terreno di<br />
gioco preferito, con l’immaginazione e la fan-<br />
tasia infantile era come vivere in un bellissimo<br />
romanzo di Kipling.<br />
Crescendo poi negli anni, maturando via via<br />
interessi diversi, aspettavo comunque sempre<br />
con gioia l’arrivo dell’estate per poter ritornare<br />
dai nonni, l’immenso affetto che mi davano, le<br />
scampagnate con loro, ma anche piccoli lavori<br />
che potevo fare per aiutarli hanno sempre sopperito,<br />
alla grande, al fatto di andare in ferie in<br />
qualche località turistica e la mancanza del mare,<br />
per la verità, non l’ho mai sentita, anche perché<br />
all’epoca a Pessinetto veniva in villeggiatura<br />
parecchia gente, per noi ragazzi significava una<br />
cosa sola: ragazze nuove da conoscere!<br />
Nelle vacanze estive della quarta e quinta elementare<br />
i miei genitori, convinti di fare cosa<br />
buona e giusta per la mia salute e la mia formazione<br />
morale, decisero di mandarmi in colonia,<br />
al mare a Riccione, mi sentii crollare il mondo<br />
addosso, ancora oggi, a distanza di tanto tempo,<br />
coi ricordi della mia fanciullezza che vanno via<br />
via affievolendosi, quello che è ancora vivo ed<br />
indelebile in me è il ricordo di quelle due estati<br />
passate in colonia: il cibo insipido, tanta sete e<br />
con l’acqua da bere calda che sapeva di cloro, la<br />
doccia di gruppo con lo sciampo che colando negli<br />
occhi bruciava terribilmente, quanto magone<br />
dentro, quanta nostalgia, quanta voglia di ritornare<br />
tra le mie montagne, nella mia jungla.<br />
Poi, dopo un tempo ne viene un altro (diceva<br />
sempre mio nonno), ed il mare oggi mi piace, però<br />
non quello di Rimini e Riccione!! (non me ne<br />
vogliano i Romagnoli), ma neanche quello della<br />
Liguria (non me ne vogliano nemmeno i Liguri,<br />
almeno una parte) ma adoro il mare selvaggio<br />
delle Cinque Terre, le spiagge del Gargano e<br />
della Calabria, la costiera Amalfitana… però la<br />
montagna è nel mio cuore.<br />
All’epoca i miei nonni per riscaldare il piccolo<br />
alloggio di proprietà che avevano al terzo piano<br />
dell’ultima casa di Pessinetto, la casa dove<br />
siamo nati sia io che mia sorella, usavano un<br />
putagè a legna, in estate era quindi gioco forza<br />
fare di necessità virtù e, siccome avevano alcuni<br />
appezzamenti boscosi a Bogliano, andare colà<br />
ad approvvigionarsi la legna.<br />
Bogliano è una ridente e soleggiata frazione di<br />
Mezzenile situata difronte all’Uja di Calcante<br />
(1614 mt) ad una quota di 850 mt, raggiungibile<br />
dal capoluogo attraverso una carrabile è stato,<br />
nel passato, rinomato per la qualità delle sue castagne,<br />
ora la maggior parte dei secolari castani,<br />
sono seccati sia per “il male dell’inchiostro” che<br />
per il “cancro della corteccia” dovuti principalmente<br />
all’abbandono della montagna, i terreni<br />
che circondano l’abitato, essendo esposti a sud,<br />
da sempre si sono ben prestati ad essere coltivati<br />
a campo, pascolo e frutteto dove, ancora<br />
oggi, numerosi meli, peri e ciliegi sopravvivono<br />
all’abbraccio soffocante delle erbacce.<br />
A monte dell’abitato solo montagne impervie,<br />
molto ripide, eppure qui, fin poco dopo la fine<br />
della seconda guerra mondiale, i prati venivano<br />
ancora accuratamente falciati e concimati,<br />
alcuni appezzamenti erano coltivati a campo,<br />
un sistema di terrazzamenti sostenuti da mura<br />
in pietra a secco permettevano alla terra di rimanere<br />
aggrappata ai ripidi pendii, il bosco era<br />
molto rado e prevalentemente era composto da<br />
castani, faggi, tigli e frassini.<br />
È inutile dire che oggi questi luoghi sono diventati<br />
una foresta impenetrabile proprio in<br />
virtù del fatto che alberi rovi e sterpaglie sono<br />
cresciuti a dismisura perché hanno trovato nel<br />
terreno una volta fertile l’abitat ideale, i muri<br />
CHIESA DI BOGLIANO<br />
L’UJA DI CALCANTE<br />
VISTA DA BOGLIANO<br />
9
FRAZIONE MONTI<br />
DI MEZZENILE<br />
MELO IN FIORE<br />
10<br />
in pietra sono crollati quasi tutti e la montagna<br />
ha cominciato lentamente a franare verso valle<br />
riprendendo la sua figura piramidale: il lavoro<br />
di generazioni sta scomparendo.<br />
All’età di 12-13 anni i miei nonni cominciarono<br />
a portarmi con loro, non avendo la macchina<br />
si andava a Bogliano a piedi, lungo una mulattiera<br />
che per secoli era stata l’unica via di collegamento<br />
con Pessinetto e che generazioni di<br />
pendolari avevano percorso in ogni stagione e<br />
con qualsiasi tempo per andare a prendere il<br />
treno oppure per andare a lavorare nel cotonificio<br />
Vallesusa.<br />
La mulattiera me la ricordo ampia ed ombrosa<br />
snodarsi in mezzo ad un bellissimo bosco di faggi,<br />
frassini e castani con il selciato saponato dal<br />
secolare calpestio di persone ed animali, quanta<br />
storia di vita grama scritta su queste pietre, per<br />
me era un’esperienza nuova, un’appassionante<br />
avventura che mi avrebbe portato, alcuni anni<br />
più tardi, ad amare e praticare prima l’escursionismo<br />
e poi l’alpinismo.<br />
Quando si decideva per il pranzo al sacco era<br />
d’obbligo passare dal Sabbione (località oltre<br />
Stura di fronte a Pessinetto) per comprare un<br />
“miccone” appena sfornato dal forno a legna,<br />
ancora caldo la fragranza del suo profumo mi<br />
metteva appetito già prima di partire, quando<br />
invece si decideva diversamente appena si arrivava<br />
a Bogliano mio nonno andava nella piccola<br />
trattoria-bar di Pin a ordinare riso con la toma<br />
e bistecca con patatine; a quei tempi, quel pranzo,<br />
era per tutti una vera prelibatezza perché,<br />
diversamente, le occasioni per andare al ristorante<br />
erano veramente poche.<br />
Ancora oggi a distanza di tanti anni, dopo essere<br />
stato in ristoranti di tutti i tipi e di ogni livello<br />
in diverse parti del mondo, molte volte sento<br />
la mancanza di questo risotto con la toma che<br />
mangiavo da Pin: era il sapore della freschezza,<br />
della genuinità del cibo ma era anche e soprattutto<br />
il sapore della gioventù.<br />
La legna veniva portata a spalle per un buon<br />
tratto di sentiero dal bosco fino alla carrozzabile<br />
dove poi sarebbe stata caricata su un trattore,<br />
fatica e sudore, ma anche tanta voglia di rendermi<br />
utile, di imparare la tecnica di un mestiere<br />
semplice e antico tramandato di generazione<br />
in generazione, soprattutto era però il piacere<br />
di potermi muovere liberamente in quei boschi,<br />
in quel silenzio magico della natura dove niente<br />
e nessuno avrebbe potuto rompere quell’incantesimo,<br />
il mare era lontano… solo una sbiadita<br />
fotografia su uno sgualcito libro di geografia ed<br />
un brutto ricordo di pochi anni prima.<br />
Mia nonna era originaria, da parte della madre,<br />
di Bogliano e quindi lì vivevano e vivono tutt’oggi<br />
dei parenti, dei cugini, era in questi momenti<br />
che mi divertivo a sentire mia nonna parlare<br />
con loro usando il patois originale abbandonando,<br />
senza nessun problema, l’acquisito dialetto<br />
di Pessinetto.<br />
I miei nonni non ci sono più ormai da molti anni,<br />
ma ancora oggi, quando mi trovo a passare<br />
per Bogliano mi trovo a ripensare a quei dolci<br />
ricordi di gioventù, sembra solo ieri e il tempo<br />
sembra essersi fermato in questo ridente angolo<br />
delle valli di Lanzo, ma non è così, sono passati<br />
più di trent’anni.<br />
Rubrica<br />
11
Le piante<br />
più adatte<br />
al clima e<br />
all’altitudine<br />
garantiscono<br />
aiuole<br />
ad effetto<br />
e poca<br />
manutenzione<br />
12<br />
Stagioni<br />
Ad ogni luogo,<br />
GIANNA TUNINETTI<br />
il suo giardino<br />
Raramente ci capita di osservare aree<br />
verdi, pubbliche o private, perfettamente<br />
inserite nel contesto paesaggistico<br />
circostante.<br />
Volendo essere non troppo critici, leviamo fin da<br />
subito il termine “perfettamente” e, per la verità,<br />
a volte, ci accontenteremmo di alberelli ben attecchiti<br />
e aiuole senza troppe erbacce.<br />
Non si comprende, però, quali possono essere<br />
le motivazioni che suggeriscono inserimenti<br />
di cineraria marittima in giardinetti montani<br />
(Bardonecchia) o “stitici” oleandri e palmette<br />
tristanzuole in ambienti inadatti (Torino corso<br />
Unità d’Italia). Tanto per citare due esempi da<br />
non copiare.<br />
Nel primo caso l’effetto grigio argenteo si può<br />
facilmente ottenere con cespugli di lavanda<br />
e piante di artemisia che, naturalizzandosi,<br />
avranno bisogno di pochissima manutenzione.<br />
Inutile anche pretendere aiuole a 1500/2000<br />
metri piantumate con surfinie, begoniette ed<br />
altre annuali abitualmente utilizzate in contesti<br />
cittadini e pianeggianti. La fioritura sarà deludente<br />
e l’operazione di sostituzione, tutte le<br />
primavere, sarà inutilmente costosa lasciando il<br />
terreno disadorno per gran parte dell’anno.<br />
Il nostro suggerimento è quello di copiare quanto<br />
già la natura circostante propone, arricchendola.<br />
Per esempio, se lo spazio non è piccolissimo,(<br />
pensiamo a certe rotonde spartitraffico piuttosto<br />
ampie), si possono immettere le diverse varietà<br />
di rose selvatiche, R. sempervirens, R. arvensis,<br />
R. pendulina, R.canina, R.spinosissima,<br />
R. glauca, R.tomentosa, R. montana, tutte più<br />
o meno presenti sull’arco alpino e facilmente<br />
ricuperabili da vivai specializzati in arbusti da<br />
bacca e rose portainnesto. Creeranno bellissimi<br />
cespugli con fioritura scalare primaverile nelle<br />
diverse colorazioni naturali: dal bianco al rosso<br />
magenta .In autunno ci regaleranno bacche (o<br />
meglio cinorrodi) molto diversi da rosa a rosa<br />
spaziando da quelli sferici bordeaux intenso,<br />
quasi neri, a quelli arancio più o meno piccoli e<br />
numerosi, disposti a mazzetto o più radi oppure<br />
assomiglianti a piccole fiaschette pendule.<br />
Sono splendidi i cespugli di olivella dalle leggere<br />
minuscole foglie grigie, cespugli che in autunno,<br />
e per quasi tutto l’inverno avranno rami carichi<br />
di palline fiammeggianti, un vero spettacolo.<br />
Alla base potranno essere poste numerosissime<br />
bulbose: crochi sia autunnali che primaverili,<br />
muscari, scille, bucaneve (Galantus nivalis),<br />
tulipanini (Tulipa australis), narcisi gialli<br />
(Narcissus speudonarcissus), tutte facilmente<br />
reperibili da distributori internazionali. Per<br />
combattere erbe indesiderate sarà una buona<br />
idea abbondare in piantine di viole mammole in<br />
tutte le gradazioni e varietà, garofanini ed altre<br />
piccole perenni autoctone.<br />
Uno spazio così concepito sarà bello e interessante<br />
quasi tutto l’anno e faremo felici anche<br />
gli uccellini che potranno becchettare frutticini<br />
provvidenziali, anche quando la neve è abbondante.<br />
Ci sono piante che si distinguono per la loro eccezionale<br />
robustezza anche in situazioni non<br />
facili, sopportano estati siccitose e inverni gelidi,<br />
amano la vita difficile e i terreni poveri, per<br />
questo possiamo immaginare uno spazio allegramente,<br />
rusticamente fiorito, scommettendo<br />
su una sola specie botanica: l’achillea utilizzata<br />
nelle diverse varietà spontanee e cultivar.<br />
L’achillea più comune è certamente la Achillea<br />
millefolium dai capolini bianchi o appena rosati<br />
nelle varietà spontanee, nelle diverse tonalità<br />
rosa fino al violetto nelle creazioni degli ibridatori.<br />
Pianta robustissima, strisciante, provvista<br />
Stagioni<br />
di stoloni a fusti eretti, ricopre in fretta il terreno<br />
e offre lunghe fioriture, non particolarmente vistose<br />
ma di ottimo effetto soprattutto se abbinate<br />
alla Achillea filipendulina dai capolini dorati<br />
raccolti in grandi, fitte ombrelle regolari e, per<br />
contrasto, accompagnata da un’altra achillea di<br />
sicuro effetto: la candida Achillea ptarmica varietà<br />
‘Pearl’ a fiore doppio.<br />
Insieme alle diverse achillee si possono abbinare<br />
cespugli di lavanda. Il risultato sarà notevole<br />
e, anche in questo caso le attenzioni giardiniere<br />
ridotte al minimo.<br />
Altro spazio di semplicissima manutenzione e<br />
di grande efficacia si può ottenere organizzando<br />
un “roccioso” con tutte piante “grasse” perenni e<br />
di poche pretese. L’elemento forte sarà, in questo<br />
caso, rappresentato da conifere di piccola<br />
taglia e andamento prostrato.<br />
ACQUERELLI DI<br />
GIANNA TUNINETTI<br />
13
Quando nel<br />
Medioevo la<br />
Valle di Susa<br />
divenne<br />
“strata<br />
pellerina”,<br />
luogo di<br />
passaggio<br />
e incontro,<br />
si radicò<br />
il culto<br />
dell’Arcangelo<br />
Gabriele<br />
14<br />
La nostra storia<br />
Le ali di Michele<br />
sulla Valle di Susa<br />
PAOLO BAROSSO<br />
La Valsusa, con<br />
il suo incunearsi<br />
verso<br />
i valichi del<br />
Monginevro (il passo<br />
di “ad Matronas” delle<br />
fonti latine) e del<br />
Moncenisio (scelto da<br />
Carlo Magno nel 773<br />
o 774 nella sua marcia<br />
di avvicinamento<br />
alle Chiuse di San<br />
Michele, dov’era attestato<br />
l’esercito longobardo),<br />
si è affermata<br />
nell’immaginario collettivo<br />
come corridoio<br />
di passaggio privilegiato<br />
per eserciti,<br />
mercanti e pellegrini.<br />
Fu il capostipite della<br />
dinastia sabauda,<br />
l’Humbertus comes<br />
detto “blancis manibus”<br />
(Umberto<br />
Biancamano) dalla<br />
fantasia di un cronista<br />
trecentesco,<br />
citato dalle cronache<br />
dell’abbazia di<br />
Hautecombe, sulla<br />
sponda occidentale<br />
del lago di Bourget,<br />
nucleo embrionale dei<br />
possedimenti dinastici,<br />
e dall’Obituario<br />
dell’anonimo monaco<br />
di Talloires che ne<br />
registra malinconicamente<br />
la morte (1048<br />
o 1050?), ad intuire lo straordinario vantaggio<br />
strategico che sarebbe derivato ai suoi discendenti<br />
dal controllo dei passi alpini. Umberto e i<br />
successori impostarono attorno al dominio militare<br />
dei valichi alpini occidentali, stretti passaggi<br />
ritagliati con nettezza tra alti monti, e dei corridoi<br />
vallivi che ad essi conducevano (Val Susa,<br />
Val d’Aosta, Tarentaise, Maurienne o Moriana)<br />
il perno di quella vasta dominazione territoriale,<br />
inclusa tra “Rodano e Po”, efficacemente definita<br />
dagli storici “stato di passo”.<br />
Dal controllo dei valichi dipese la capacità di<br />
condizionamento politico verso i principali centri<br />
di potere del tempo, l’impero ed i “regna”<br />
sorti dal disfacimento della costruzione carolingia,<br />
che non si sarebbero potuti avvalere dei<br />
passi alpini come punti di attraversamento per<br />
gli eserciti senza il consenso dei loro dominatori,<br />
i conti di Moriana-Savoia.<br />
Alla morte senza eredi del re di Borgogna<br />
Rodolfo III (1032), Umberto Biancamano approfittò<br />
della contesa successoria tra l’imperatore<br />
Corrado II il Salico (duca di Franconia) e il conte<br />
Eude di Blois, figlio d’una sorella di Rodolfo, per<br />
valorizzare politicamente la posizione di controllore<br />
dei passi alpini e inserirsi, da protagonista,<br />
nel contesto internazionale.<br />
Umberto aderì al fronte imperiale, ottenendo in<br />
cambio protezione e concessioni territoriali, e si<br />
affermò quale accompagnatore “ufficiale” dell’imperatore<br />
attraverso i valichi alpini occidentali.<br />
Nel 1032 scortò Ermengarda (di cui Umberto<br />
si accreditò come “advocatus”, cioè protettore e<br />
difensore), vedova di Rodolfo, a Zurigo, perché<br />
rendesse omaggio a Corrado, mentre nel 1034<br />
guidò l’esercito imperiale attraverso i varchi<br />
alpini per consentire a Corrado di raggiungere<br />
la Borgogna aggirando l’ostacolo dei passi del<br />
Giura e del Rodano, più facili da valicare ma presidiati<br />
da truppe fedeli al rivale Eude.<br />
Il matrimonio tra la “comitissa” di Torino<br />
Adelaide (erroneamente ricordata come marchesa<br />
di Susa, titolo inventato da eruditi ottocenteschi),<br />
figlia di Olderico Manfredi, e Oddone,<br />
il figlio più giovane di Umberto (succeduto nella<br />
posizione paterna al fratello Amedeo I, soprannominato<br />
“la Coda” per essersi rifiutato, a Verona,<br />
di incontrare l’imperatore senza il seguito che<br />
s’era portato con sé) saldò i possedimenti transalpini<br />
controllati dai conti di Moriana-Savoia con<br />
le terre marchionali arduiniche del versante piemontese<br />
e prefigurò le linee guida dell’espansionismo<br />
sabaudo. La morte senza eredi di Adelaide<br />
nel dicembre 1091 (i figli Pietro I e Amedeo II<br />
le erano premorti, rispettivamente nel 1078 e<br />
1080, mentre Federico di Montbeliard, cugino<br />
di Matilde di Canossa, spirò nel giugno 1091,<br />
precedendola di qualche mese) vanificò i progetti<br />
sabaudi, favorì la parcellizzazione del potere<br />
all’interno della vasta dominazione garantita<br />
dal matrimonio con Oddone ma non impedì ad<br />
Rubrica<br />
Umberto II, che pure aveva subito<br />
la concorrenza di Bonifacio del<br />
Vasto, marchese aleramico, e di<br />
Enrico IV (per conto del figlio) nella<br />
contesa successoria, di fregiarsi<br />
del titolo di “Conte di Moriana e<br />
Marchese di Torino” (titolo mantenuto<br />
dai successori per sottolineare<br />
le pretese sabaude su Torino) e<br />
di conservare il controllo di Susa,<br />
testa di ponte sabauda al di qua<br />
delle Alpi.<br />
Per completare il quadro, un episodio<br />
in particolare, fra tutti quelli<br />
che potrebbero essere citati,<br />
mette in luce l’acume politico di<br />
Adelaide e testimonia la forza di<br />
contrattazione assicurata ai primi<br />
Savoia dal dominio militare<br />
dei valichi. Nel 1077, dopo aver<br />
trascorso il Natale a Besançon,<br />
la coppia imperiale, formata da<br />
Enrico IV e dalla moglie Berta<br />
(figlia di Adelaide, il che comprova<br />
l’abilità di manovra della<br />
comitissa nello scacchiere internazionale),<br />
diretta in Italia per<br />
incontrare papa Gregorio VII a<br />
Canossa, si trovò il passaggio<br />
attraverso le Alpi ostruito dalle<br />
truppe marchionali, fedeli ad<br />
Adelaide. Quest’ultima s’era riproposta<br />
di mettere a frutto la<br />
posizione di vantaggio derivante<br />
dal presidio dei varchi alpini, imitando<br />
la linea di condotta che già<br />
aveva fatto la fortuna di Umberto<br />
Biancamano, e intavolò, con il sostegno dei figli<br />
Pietro ed Amedeo, una trattativa con l’imperatore<br />
che si concluse con la pattuizione di cessioni<br />
territoriali in cambio del consenso di Adelaide al<br />
transito indisturbato del seguito imperiale attraverso<br />
il Moncenisio.<br />
Pare che Adelaide avesse preteso, come contropartita<br />
per consentire il passaggio, i diritti su<br />
cinque diocesi attigue alla marca di Torino ma<br />
che si sia poi accontentata di un compenso territoriale<br />
meno “eclatante” ma altrettanto significativo<br />
in area borgognona, forse il Bugey, forse<br />
il Chiablese.<br />
Susa, però, non si impose soltanto, dal punto<br />
di vista militare, come cittadella fortificata lungo<br />
l’antica strada delle Gallie (su questa base<br />
poggiò le proprie fortune politiche, testimoniate<br />
dalla decisione di Umberto II conte di Moriana<br />
di fondarvi nei primi anni del 1100, con il consenso<br />
imperiale, una zecca per la coniazione dei<br />
“denarii segusini”) o, dal punto di vista economico,<br />
come aggregato urbano che faceva derivare<br />
la propria vitalità commerciale dall’essere<br />
adagiato alle pendici dei monti, in direzione<br />
LA STATUA<br />
DELL’ARCANGELO<br />
GABRIELE<br />
ALLA SACRA<br />
DI SAN MICHELE<br />
15
LORENZO LOTTO<br />
“SAN MICHELE”<br />
16<br />
La nostra storia<br />
dei varchi alpini, il Moncenisio e il Monginevro<br />
(quest’ultimo meno frequentato del primo, durante<br />
il Medioevo, e rientrante, da una certa<br />
epoca in avanti, nella sfera d’influenza dei conti<br />
di Albon, poi Delfini di Grenoble e di Vienne, anch’essi,<br />
come i Savoia, proiettati sul palcoscenico<br />
politico dell’XI secolo dallo sfacelo del regno<br />
di Borgogna) ma si ritagliò il ruolo di città di<br />
transito anche grazie ai primi fermenti che, manifestandosi<br />
all’alba del secondo millennio, prefigurarono<br />
il radicarsi di un altro fenomeno, il<br />
pellegrinaggio, che si sarebbe consolidato come<br />
pratica comune nel corso del Medioevo.<br />
Torme di viandanti presero a percorrere freneticamente<br />
le strade valsusine, dirigendosi verso<br />
i principali luoghi di culto della Cristianità e<br />
condizionando in profondità la struttura economica<br />
e sociale della valle, che si attrezzò per<br />
alloggiarli nelle locande dislocate lungo gli itinerari<br />
di transito (le prelibatezze locali, a base di<br />
carne di maiale, erano già state celebrate, a suo<br />
tempo, da Plinio), accoglierli nelle foresterie annesse<br />
ai monasteri, accudirli attraverso la fondazione<br />
di ospedali (Precettoria di Sant’Antonio<br />
di Ranverso) e luoghi di ricovero.<br />
Il pellegrinaggio si affermò agli albori del Mille<br />
come sintomo del risveglio spirituale che fiorì<br />
con la stabilizzazione del quadro politico, scosso<br />
durante il X secolo (il “secolo di Ferro” o delle<br />
seconde invasioni) dalle scorrerie saracene,<br />
dai raid vichinghi e dalle incursioni ungare, e<br />
prefigurò, in un certo senso, il bando della prima<br />
crociata, dichiarata a Clermont nel 1095 da<br />
papa Urbano II. Infatti, il luogo per eccellenza<br />
dove dimensione divina e dimensione terrena<br />
si compenetravano era la Terra Santa e proprio<br />
laggiù molti pellegrini si dirigevano, ostacolati<br />
dall’assalto dei predoni e dalla scarsa protezione<br />
offerta dalle autorità locali, spesso ostili.<br />
Si delineò, così, il concetto di “pellegrinaggio armato”<br />
per la liberazione del Santo Sepolcro dai<br />
nemici della fede, che trovò la massima manifestazione<br />
nelle serie di spedizioni militari organizzate<br />
dai principi occidentali per riportare sotto<br />
l’autorità cristiana le terre che avevano assistito<br />
al manifestarsi e irradiarsi del verbo di Cristo.<br />
Il pellegrinaggio si affermò, quindi, come pratica<br />
tanto connaturata alla società medievale<br />
confutando il luogo comune che percepisce il<br />
Medioevo come età dell’immobilismo, una società<br />
irrigidita al punto tale da ostacolare la libertà<br />
di movimento delle persone.<br />
I pellegrini, mossi dall’urgenza di salvezza individuale,<br />
acuita dal senso imperante di precarietà<br />
dell’esistenza umana e subordinata alla capacità<br />
del singolo di purificarsi dalle colpe terrene,<br />
presero, dunque, a percorrere le strade d’Occidente,<br />
alla ricerca dei luoghi del sacro, dove si<br />
credeva più facile incontrare Dio.<br />
La Valsusa si affermò, in questo contesto, come<br />
snodo strategico tra l’odierna Francia e Roma:<br />
l’antica strada delle Gallie, che la attraversava,<br />
si meritò l’appellativo di “strata pellerina”,<br />
“strata fura” (per i frequenti agguati subiti dai<br />
pellegrini), “strata romea” o “strata francigena”.<br />
Meno nota è la titolatura di “Angelus”, termine<br />
usato per designare la rete di strade tracciate,<br />
ad uso dei pellegrini, per congiungere i principali<br />
poli di devozione micaelica, luoghi deputati<br />
alla venerazione dell’Arcangelo Michele.<br />
L’itinerario univa le estremità della topografia<br />
sacra legata all’Arcangelo, Mont-Saint-Michel<br />
au péril de la mer in Normandia e San Michele<br />
del Gargano, in Puglia, toccando come punto intermedio<br />
la Sacra di San Michele, in Piemonte,<br />
e la romana Mole Adriana (il Mausoleo di<br />
Adriano), meglio nota come Castel Sant’Angelo<br />
(dalla leggenda che tramanda l’apparizione di<br />
Michele durante la processione voluta nel 590<br />
da papa Gregorio Magno per impetrare la cessazione<br />
della pestilenza che aveva portato alla<br />
morte anche il predecessore, papa Pelagio II).<br />
Il pellegrinaggio, concepito come spostamento<br />
fisico corrispondente ad un percorso di perfezionamento<br />
spirituale, toccava anche i luoghi di<br />
venerazione micaelica, testimoniando l’importanza<br />
che, nella prospettiva cristiana, era attribuita<br />
alla figura dell’angelo, quale mediatore tra<br />
sfera celeste e terrena.<br />
La credenza in entità celesti latrici di messaggi,<br />
accostabili agli angeli, è comune a varie cultu-<br />
re. Gli “angheloi” greci - non una categoria a se<br />
stante ma, a seconda dei casi, esseri umani, uccelli<br />
o entità celesti - erano portatori di messaggi,<br />
capaci di assicurare lo scambio d’informazioni<br />
tra i mortali e gli dèi. I “daimones”, invece, sono<br />
spiriti benigni o maligni, capaci di influenza diretta<br />
sulla realtà. Plotino fa coincidere angheloi<br />
e daimones: portatori di rivelazioni, guide delle<br />
anime preesistenti nel viaggio verso l’incarnazione<br />
sulla terra, partecipi della creazione.<br />
Nel mondo ebraico il Mal’akim, l’angelo, comunica<br />
messaggi agli uomini, facendosi interprete<br />
e trasmettitore della volontà di Dio all’uomo, e<br />
combatte per l’esaltazione della gloria celeste di<br />
Jahvé, affermandosi come “guerriero” che milita<br />
contro i nemici di Israele. Il definirsi del precetto<br />
che proibisce di rappresentare Dio potenzia,<br />
di riflesso, la figura ed il ruolo dell’angelo: se<br />
ne precisano natura e funzioni, li si quantifica<br />
in 209, e si attribuisce loro un nome proprio,<br />
Michele, Raffaele, Gabriele.<br />
Cristo, incarnandosi, si afferma come unico inviato<br />
di Dio, che esaurisce l’insieme dei rapporti<br />
tra uomo, mondo e Dio: questa lettura accantona<br />
l’angelo, ne offusca la natura, obbligando<br />
a rivisitarne i compiti. Nonostante il ruolo di<br />
Cristo come mediatore diretto tra Dio e uomo,<br />
l’esigenza di un tramite come l’angelo, capace<br />
di abbassarsi al livello dei mortali e “umanizzare”<br />
il trascendente, segnò la sopravvivenza del<br />
culto, che mostrò la propria capacità di resistenza<br />
con tale energia da suscitare la presa di posizione<br />
del concilio di Laodicea (360) che proibì il<br />
culto degli angeli, equiparandolo all’idolatria.<br />
Papa Zacaria, consapevole dell’inanità dello<br />
sforzo di contrastare il culto angelico, trattandolo<br />
alla stregua di pratiche idolatriche e, dunque,<br />
demonolatriche (l’idolo è una forma di travestimento<br />
adottata dal demonio, che si maschera<br />
da “falso dio” per ingannare l’uomo), lo riabilita<br />
parzialmente e nel 745 legittima la venerazione<br />
di Michele, Gabriele e Raffaele. L’angelo, umanizzando<br />
il trascendente, favorisce il dialogo tra<br />
sfera terrena e sfera celeste, riducendo l’incommensurabile<br />
distanza che l’uomo percepisce come<br />
interposta tra la limitatezza della condizione<br />
terrena e Dio.<br />
Dobbiamo, invece, alla “Hierarchia Coelestis” (V<br />
secolo d.C.) dello pseudo-Dionigi la classificazione<br />
degli angeli, la loro suddivisione secondo<br />
il principio gerarchico in tre triadi e tre cori e<br />
l’inserimento nella terza triade del coro degli<br />
Arcangeli, i principi degli Angeli, che “stanno<br />
sempre dinnanzi a Dio”. In questa categoria, è<br />
inserito Michele, il principe degli Arcangeli.<br />
La tradizione cristiana, basata su testi canonici<br />
e scritti apocrifi, precisò con il tempo gli attributi<br />
di Michele:<br />
1) Custode e protettore d’Israele: dopo la dispersione<br />
dei popoli, Dio assegna ad ogni nazione<br />
un angelo che ne assume la protezione.<br />
La nostra storia<br />
2) Protettore della Cristianità: lo si invoca nella<br />
veste di miles Christi, armato di corazza, elmo e<br />
scudo secondo lo stereotipo del crociato (iconografia<br />
francese, XIII secolo) e come sostegno soprannaturale<br />
contro i nemici della fede (Michele<br />
compare dalla fine del VII secolo effigiato su<br />
vessilli, scudi e monete longobarde, quale tutore<br />
celeste sovrapposto al dio germanico della guerra,<br />
Wotan). Si ricorre a Michele come fonte di<br />
protezione, una sorta di scudo soprannaturale<br />
di cui si munisce prima degli assalti, pronunciandone<br />
il nome ad alta voce e trasformando<br />
l’invocazione in un grido di battaglia, che incita<br />
alla vittoria e inneggia alla sua intercessione.<br />
3) Combattente contro satana e Arcistratega:<br />
l’Apocalisse assegna a Michele il comando degli<br />
angeli nella lotta contro il “grande drago”, figura<br />
del diavolo (questa lettura è richiamata dalla<br />
rappresentazione di Michele in veste di soldato<br />
a piedi o tra le nuvole, raramente a cavallo,<br />
mentre trafigge, schiaccia o amputa il diavolo<br />
in forma di drago ma si rispecchia altresì nella<br />
versione iconografica diffusa nella Spagna medievale,<br />
che lo raffigura come vincitore del toro,<br />
allegoria del Cristianesimo trionfante, che sottomette<br />
il paganesimo simboleggiato dal toro).<br />
4) Pesatore delle anime: la lettura di Michele<br />
come pesatore di anime (psicostasia) riporta<br />
ad un’immagine già delineata nella cultura<br />
egiziana, ripresa in Grecia e nell’antica Roma,<br />
che propone la “pesatura” delle anime, gravate<br />
dalle colpe, come criterio per separare i buoni<br />
dai cattivi (l’attributo di Michele pesatore di anime<br />
si traduce iconograficamente nel nugolo di<br />
diavoletti accalcati attorno al piatto della bilancia,<br />
cui l’arcangelo si oppone intervenendo con<br />
lancia e spada a favore dell’anima meritevole di<br />
salvezza).<br />
4) Psicopompo: Michele, appropriandosi di<br />
un attributo che appartenne già ad Hermes e<br />
Mercurio e conformandosi al compito, che l’Antico<br />
Testamento gli assegna, di accompagnatore<br />
nel viaggio verso l’aldilà dei giusti trapassati<br />
(Maria, Giuseppe, Mosé, Eva, Adamo), è presentato<br />
come guida delle anime (psicopompo),<br />
le scorta nel passaggio dal mondo terreno a<br />
quello ultraterreno, difendendole dalle insidie<br />
dei demòni (l’attributo si rispecchia nella prassi<br />
dedicatoria, seguita anche nelle campagne<br />
piemontesi, che intitola a Michele le cappelle di<br />
posa, luoghi di sosta lungo i percorsi seguiti dai<br />
portatori di bare verso il camposanto, e gli oratori<br />
cimiteriali).<br />
5) Taumaturgo: l’affermarsi di Michele come<br />
guaritore e medico soprannaturale si collega ai<br />
testi apocrifi (nei testi canonici il ruolo di taumaturgo<br />
spetta a Raffaele), che ne esaltano le doti<br />
medicali. Nella “Vita di Adamo ed Eva”, Adamo<br />
implora Michele perché abbrevi il travaglio di<br />
Eva mentre Eva e il figlio Seth lo invocano perché<br />
lenisca il dolore di Adamo morente. Michele<br />
17
FRANCESCO CARELLA,<br />
“SAN MICHELE”,<br />
TELA AD OLIO; 1788<br />
18<br />
La nostra storia<br />
è custode dell’albero della vita e della misericordia<br />
in Paradiso, dal quale spilla l’olio santo, che<br />
possiede proprietà taumaturgiche e risananti.<br />
Nella letteratura religiosa, la visione di Michele<br />
che appare in sogno, guarendo l’orante a mezzo<br />
del semplice “tocco”, e la tradizione che gli assegna<br />
il compito di custodire l’albero della vita si<br />
riflettono nella credenza, attestata anche presso<br />
le comunità copte d’Egitto, che attribuisce doti<br />
prodigiose all’olio “santo”, abitualmente tratto a<br />
piccole dosi dalle lampade che ardono dinnanzi<br />
alle icone raffiguranti l’Arcangelo.<br />
Come attestazione concreta dell’attributo di<br />
combattente contro il demonio, riconosciuto<br />
dalla tradizione a Michele, gli avancorpi occidentali<br />
delle chiese d’età carolingia sono spesso<br />
intitolati al principe degli Arcangeli. In questa<br />
prassi dedicatoria si rispecchia la credenza nella<br />
capacità di Michele di tenere lontani i demòni,<br />
che attaccano i luoghi sacri preferibilmente<br />
dal lato occidentale, il più esposto alle insidie<br />
del maligno.<br />
Negli attributi di Michele si riflette l’influenza<br />
di modelli greco-romani o orientali, i cui tratti<br />
caratteristici si proiettano sulla figura dell’Arcangelo<br />
delineata dalla tradizione cristiana: in<br />
particolare, Hermes, Mercurio e Mitra. Hermes,<br />
messaggero degli dèi e guida delle anime, si afferma<br />
come protagonista di un rito divinatorio<br />
praticato presso centri santuariali dell’antichità<br />
greco-romana: l’incubatio, dove il sogno compare<br />
come tramite tra uomo e dio ed è concepito<br />
quale strumento della rivelazione divina. Dopo<br />
il sacrificio di un ariete in onore di Hermes, il<br />
fedele si corica su una pelle di capra e si addormenta:<br />
il dio visita il fedele in sogno, impartendogli<br />
istruzioni per guarire o emanando<br />
responsi.<br />
Mercurio, dio latino dei commerci, s’impone<br />
anche come psicopompo, accompagnatore dei<br />
trapassati. Il culto miseriosofico di Mitra, con la<br />
promessa di salvezza individuale ed il percorso<br />
iniziatico che lo caratterizza, si celebrava nelle<br />
grotte, a stretto contatto con l’acqua, elemento<br />
rigenerante associato alla vita. Non a caso,<br />
il santuario di Colosse, in Frigia (Asia Minore),<br />
dedicato a Michele, sorse nel IV secolo in prossimità<br />
di una grotta e di una sorgente considerata<br />
miracolosa. La grotta, come il monte, è il luogo<br />
della rivelazione, porta di comunicazione con il<br />
mondo dell’ultrasensibile.<br />
Le doti taumaturgiche della fonte accendevano<br />
il fervore dei pellegrini, tanto che le autorità ecclesiastiche<br />
della zona, in aderenza al concilio di<br />
Laodicea, misero in atto delle contromisure, disponendo<br />
la deviazione delle acque di un vicino<br />
torrente affinché gli apprestamenti cultuali (un<br />
oratorio dedicato a Michele) fossero travolti e la<br />
fonte estinta. L’anacoreta Archippa, ispirato da<br />
Dio, arrestò il deflusso delle acque, salvaguardando<br />
l’integrità della fonte e testimoniando il<br />
favore divino verso il culto micaeliano ad essa<br />
correlato.<br />
Il culto di Michele, dall’Asia Minore, si diffonde<br />
nei territori sottoposti alla dominazione bizantina,<br />
tanto che, nei paraggi di una grotta e di<br />
un’altura, nell’area del Gargano, prese forma<br />
il primo santuario d’Occidente dedicato all’arcangelo<br />
taumaturgo. I Longobardi, attestati in<br />
Pannonia, assimilarono il culto di Michele dai<br />
Bizantini e, conquistata l’area del santuario<br />
per opera del duca Grimoaldo I di Benevento,<br />
ne fecero un polo devozionale, diffondendone<br />
il culto a Nord, nella Langobardia Maior, e accentuando,<br />
nell’iconografia micaeliana, la componente<br />
militare/guerresca a discapito della<br />
funzione taumaturgica, sempre più marginale.<br />
Anche i Carolingi ne adottarono il culto, come è<br />
testimoniato sia dall’intitolazione a Michele del<br />
complesso abbaziale costruito in cima al Monte<br />
Pirchiriano (la Sacra, dichiarata monumento<br />
simbolo delle Regione Piemonte), sia dalla dedicazione<br />
allo stesso delle Clusae Langobardorum,<br />
la strettoia naturale che definisce l’imboccatura<br />
della valle.<br />
La Sacra di San Michele, dunque, attesta il radicamento<br />
del culto micaeliano in Occidente e<br />
associa all’Arcangelo l’attributo di dominatore<br />
delle vette (sostituendosi in questo dominio alle<br />
deità pagane che avevano dimora sulle vette<br />
<strong>alpine</strong>, dal dio celtico Albiorix al dio celto-ligure<br />
Pen, il primo rivelante un collegamento con<br />
la radice antica Alp-Alb, da cui Alpi o anche<br />
Albània, l’antico nome dell’odierna Scozia, o<br />
ancora Albione, per designare la Britannia, il<br />
secondo tanto potente da trasmettere il nome<br />
alla sezione delle Alpi Pennine), di vigilante soprannaturale<br />
posto a guardia delle vie di transito<br />
e, infine, di guardiano, difensore delle terre<br />
piemontesi dagli assalti provenienti da ovest,<br />
dall’Oltralpe (e, all’epoca, scorrerie ed eserciti<br />
di passaggio erano un fatto ordinario).<br />
L’Arcangelo, dominatore ab alto della Valsusa<br />
e della strettoia sottostante, è presentato dai<br />
cronisti clusini come protagonista delle leggende<br />
di consacrazione della Sacra, imbastite da<br />
monaci eruditi per rimediare all’assenza di un<br />
atto di fondazione. L’anonimo estensore della<br />
Chronica (metà XI secolo) e gli autori degli scritti<br />
successivi, che la integrano, giustificati dalla<br />
finalità di legittimare le pretese autonomistiche<br />
dei monaci clusini dalle interferenze vescovili<br />
e signorili, misero in atto due “stratagemmi”:<br />
presentarono la fondazione della comunità monastica,<br />
caso forse unico in Europa, come atto<br />
complesso, caratterizzato dall’intervento di più<br />
fondatori o protettori (Giovanni Vincenzo, Ugo<br />
di Montboissier, il marchese di Torino Arduino<br />
il Glabro) e fecero in modo che l’Arcangelo<br />
Michele fosse percepito come consacratore celeste<br />
dell’abbazia. Così, entrarono in gioco, senza<br />
un ordine temporale definibile con precisione,<br />
le figure di Giovanni Vincenzo, eremita forse<br />
ravennate (soprannominato “Gioanin d’le rave”<br />
o Vincens, nel senso di “il Vincente”), il quale,<br />
stabilito il romitaggio sul Caprasio, ricevette in<br />
sogno da Michele l’ordine di costruire una chiesa<br />
e, con la mediazione degli angeli, trasmettitori<br />
di messaggi per conto di Dio, il comando<br />
di spostarne la fabbrica dalla cima del monte<br />
Caprasio alla vetta del Pirchiriano, e del nobile<br />
alverniate Ugo di Montboissier, detto lo Scucito<br />
per la prodigalità. Michele compare come consacratore<br />
celeste dell’abbazia (detta per questo<br />
Sacra). Anticipa, infatti, il vescovo Amizone che,<br />
salendo da Torino, assiste alla comparsa di una<br />
colonna di fuoco torreggiante sulla vetta del<br />
Pirchiriano, accostata dal cronista al “roveto ardente”<br />
che avvolse il monte dove Mosé ricevette<br />
da Dio le tavole della legge, e, guadagnando<br />
la cima della montagna, si limita a certificare<br />
l’avvenuta consacrazione celeste, ad opera di<br />
Michele, testimoniata dal liquido, olio e balsamo<br />
(la composizione del crisma, usato per consacrare<br />
i vescovi), che trasudava dalla roccia.<br />
Come per miracolo, si materializzò dinnanzi<br />
ad Amizone un altare, fabbricato dagli angeli,<br />
grondante anch’esso olio santo, che il vescovo<br />
torinese asciugò con un lenzuolo, usato poi come<br />
tovaglia per celebrare la Messa. Il tessuto,<br />
intriso d’olio, dispensò prodigi e guarigioni miracolose,<br />
confermando la tradizione che attribuisce<br />
a Michele proprietà taumaturgiche.<br />
Il messaggio, che traspare dal racconto nel suo<br />
La nostra storia<br />
complesso, è chiaro: la Sacra appartiene ai monaci<br />
benedettini, sottomessi alla sola autorità<br />
papale, non tollera intromissioni vescovili o<br />
marchionali. Il compito di legittimare le pretese<br />
autonomistiche della Sacra, riconosciute da<br />
pontefici e imperatori che assegnarono all’ente<br />
monastico, con provvedimenti ad hoc, il privilegio<br />
dell’esenzione dalla giurisdizione episcopale<br />
e civile, spetta a Michele, che, sostituendosi ad<br />
Amizone nell’atto di consacrare l’abbazia, ne<br />
rivendica la “proprietà” celeste.<br />
I monaci difesero accanitamente la propria autonomia<br />
sia dalle ingerenze del potere marchionale<br />
torinese (ma Adelaide nel 1075, richiamata<br />
all’ordine dal papa, frenò il figlio Pietro, che<br />
aveva organizzato una spedizione contro i monaci<br />
clusini in sostegno alle pretese del vescovo<br />
Cuniberto) sia dalle intromissioni dei vescovi di<br />
Torino, che tentavano di costruire una signoria<br />
episcopale assoggettando alla propria giurisdizione<br />
i territori circostanti la città. Dopo la morte<br />
di Adelaide, trovarono appoggio nei conti di<br />
Moriana-Savoia, precisamente in Umberto II il<br />
cui potere, agli albori del XII secolo, non oltrepassava<br />
il limite di Avigliana, compresso dalla<br />
signoria vescovile torinese e, seppure in misura<br />
minore, dal comune.<br />
Malgrado l’alleanza, i Savoia non rinunciarono<br />
all’obiettivo di integrare la Sacra nei loro<br />
possedimenti e riuscirono a “sabaudizzarla”<br />
definitivamente quando, nel 1379, ottennero<br />
l’introduzione della commenda come sistema<br />
di scelta dell’abate. In buona sostanza, il capo<br />
della comunità clusina non era più eletto dai cenobiti<br />
e consacrato (confermato) dal Papa, bensì<br />
nominato dai Savoia, con il consenso del pontefice.<br />
Su tutti questi passaggi storici si staglia la<br />
figura solenne e temuta di Michele, che ci piace<br />
immaginare come custode e protettore di queste<br />
montagne.<br />
19
Descritti<br />
nella Summa<br />
lacticiniorum<br />
(1477) di<br />
Pantaleone<br />
da Confienza,<br />
un’opera che<br />
anticipa le<br />
attuali guide<br />
enogastronomiche<br />
20<br />
Gusto e tradizione<br />
I formaggi<br />
piemontesi<br />
nel Medioevo<br />
CLAUDIO SANTACROCE<br />
Le attuali guide che illustrano, a scopo<br />
promozionale e turistico, le specialità<br />
grastronomiche ed enologiche tipiche di<br />
determinate località o regioni, hanno un<br />
antenato prestigioso nella Summa lacticiniorum<br />
di Pantaleone da Confienza.<br />
Pubblicata a Torino il 9 luglio 1477, la Summa fu<br />
il primo trattato organico e sistematico sui derivati<br />
del latte, un’opera di assoluta novità nella<br />
letteratura medica del tardo Medioevo.<br />
L’Autore, Pantaleone da Confienza (n. 1417? - m.<br />
dopo 1497) nativo di Vercelli, fu insigne rappresentante<br />
della medicina piemontese del XV sec.<br />
Laureatosi all’Università di Pavia, divenne in<br />
seguito professore presso quella di Torino, medico<br />
“condotto” della città di Torino, archiatra di<br />
Casa Savoia, in particolare del duca Ludovico, di<br />
cui fu anche consigliere ed ambasciatore presso<br />
varie corti europee, ed infine professore all’Università<br />
di Pavia.<br />
Fu inoltre uno dei promotori dell’arte tipografica<br />
in Piemonte. Sembra infatti che sia stato lui<br />
a chiamare a Torino, nel 1474, lo stampatore<br />
francese Jean Fabre (italianizzato in Giovanni<br />
Fabbri) col quale collaborò alla stampa di alcuni<br />
tra i primi libri piemontesi, appunto la Summa<br />
lacticiniorum ed un altro suo lavoro scientifico,<br />
il Pillularium omnibus medicis quam necessarium.<br />
La sua opera più famosa e ricordata è appunto<br />
la Summa lacticiniorum sive tractatus varii de<br />
butyro, de caseorum variorum gentium differentia<br />
et facultate suddivisa in tre trattati. Nel<br />
primo si parla della qualità e dei caratteri del<br />
latte; il secondo è dedicato alla classificazione e<br />
descrizione di diversi formaggi ritenuti dall’Autore<br />
i più tipici e rinomati, cioè quelli dell’Italia<br />
centro-settentrionale, in particolare delle regioni<br />
nord-occidentali, ed inoltre quelli francesi,<br />
inglesi, fiamminghi, svizzero-tedeschi. Infine il<br />
terzo trattato raccoglie consigli ed avvertenze<br />
dietetiche riguardo all’uso alimentare dei latticini.<br />
Fine dell’opera era essenzialmente quello di<br />
dimostrare in maniera scientifica l’importante<br />
ruolo alimentare dei derivati del latte in un’epoca<br />
in cui gli stessi medici ne discutevano e contestavano<br />
la validità. Sembra tuttavia che, più<br />
nascostamente, Pantaleone avesse quasi lo scopo<br />
di promuovere ed incentivare il consumo dei<br />
prodotti caseari provenienti dalle terre comprese<br />
nei domini di Casa Savoia.<br />
Per quanto riguarda il Piemonte, Pantaleone<br />
descrive le robiole del Cuneese e i formaggi delle<br />
valli di Locana e di Ceresole, di Susa e del<br />
Moncenisio, di Lanzo e fa un brevissimo accenno<br />
anche alle produzioni di Coazze in Val<br />
Sangone. Inoltre, sempre restando nelle terre<br />
sabaude, tratta dei formaggi della Valle d’Aosta,<br />
di Moriana, Tarantasia e Bressa.<br />
Gran parte delle descrizioni di Pantaleone non<br />
si addicono più alle attuali produzioni casearie<br />
degli stessi territori, ma bisogna tenere presente<br />
che, nel corso dei secoli, sono cambiate le tecniche<br />
di produzione, stagionatura e conservazione<br />
dei formaggi e ciò è stato in parte causa, in parte<br />
effetto del mutamento delle abitudini alimentari<br />
e dei gusti dei consumatori.<br />
Ripresi dal trattato, ecco le traduzioni dal latino<br />
dei capitoli relativi ai formaggi piemontesi e<br />
valdostani.<br />
Cap. 3° De caseo de La Mora<br />
(Il formaggio di La Morra)<br />
Questi formaggi si chiamano robiole e sono piccoli,<br />
di una libbra circa, rotondi e abbastanza<br />
massicci rispetto al loro peso, puliti in superficie<br />
e lucidi o trasparenti soprattutto se sono di buona<br />
qualità: così succede anche per i formaggi inglesi,<br />
come si dirà a suo tempo. Si producono nella<br />
terra dei Mar chesi del Monferrato e del Carretto<br />
e Ceva; però una gran quan tità è prodotta in<br />
parecchie zone del Marchesato del Monferrato.<br />
Sono infatti formaggi abbastanza pregiati. Si<br />
conservano per due anni senza che perdano in<br />
bontà; dopo un anno tuttavia sono migliori, e<br />
presso molti si mangiano più volentieri dopo sei<br />
op pure otto mesi di stagionatura. In effetti dopo<br />
questo tempo sono più ricchi di qualità nutritive<br />
e si digeriscono più facilmen te, come si dirà più<br />
avanti. Si fanno per lo più col latte di peco ra, anzi<br />
si chiamano propriamente robiole quelli che<br />
si ricavano dal latte di pecora. Alcuni tuttavia lo<br />
tagliano aggiungendo latte dì mucca, anzi anche<br />
latte di capra, che è peggiore.<br />
Cap. 4° De caseo Valis Auguste<br />
et de seracio (Il formaggio della<br />
Valle d’Aosta e la ricotta)<br />
La Valle d’Aosta si trova nel ducato di Savoia e<br />
qui i formaggi sono buoni ed i pascoli sono ottimi,<br />
il clima è temperato con monti fertili e i prodotti<br />
della terra sono perfetti. Tra le altre cose è<br />
ottimo il burro di Settimo e assai celebre, non<br />
essendovene altro in tutta la Lombardia che lo<br />
pareggi in bontà; e così non è strano che anche<br />
i formaggi siano buoni. Questa valle confina con<br />
la Tarantasia nella quale i formaggi sono pure<br />
ottimi e delicati. Vengono fabbricati di media<br />
grandezza da latte vaccino; hanno una crosta<br />
alquanto spessa, sono di solito viscosi e filano<br />
quando sono posti sul fuoco o quando sono<br />
messi nell’acqua o nei cibi ai quali vengono aggiunti;<br />
quindi hanno una notevole pesantezza,<br />
per cui non sono così adatti per la nutrizione.<br />
Se ne trovano però di quelli che non sono così<br />
pesanti e con maggiori quantità di parti aerate<br />
nelle quali sono rimaste delle parti butirrose e<br />
così filano di meno; i migliori, i più sapidi sono<br />
quelli freschi e quelli invecchiati. Normalmente<br />
se si vogliono conservare a lungo sono sospesi<br />
a delle funi, esponendoli all’aria in camere, si<br />
possono così tenere per tre o quattro anni, per<br />
cui non subiscono delle contusioni da freschi in<br />
Gusto e tradizione<br />
seguito alle quali si produrrebbero facilmente<br />
dei vermi ed altre decomposizioni.<br />
In questa valle si fanno anche delle ricotte (seracii),<br />
pure famose e buone, particolarmente nella<br />
località di Nus, per cui si chiamano ricotte di<br />
Nus. Sono assai grosse, di forma quadrangolare,<br />
alte quasi due cubiti, si conservano perfettamente<br />
per uno od anche due anni. La tecnica di<br />
fabbricazione è la seguente: estratto il formaggio,<br />
si aggiunge un certo quantitativo di latte con<br />
una certa quantità di siero acetoso, cioè di due<br />
giorni, e si mescolano con siero fresco; si mette<br />
la caldaia sul fuoco sino a che cominci a bollire<br />
e così vengono condensate alcune parti che affiorano<br />
e questo si chiama siero. Raccogliendolo<br />
lo mettono in uno stampo della forma sopradescritta,<br />
si comprime espellendo le parti liquide<br />
come dal formaggio. E se talvolta non si ha sufficiente<br />
materia per riempire lo stampo, si fa il<br />
cacio in due o tre giorni; così appaiono di diverso<br />
colore e di diversa bontà nei vari strati che<br />
talvolta appare di più in uno strato, talora in un<br />
altro; e in verità non appare in essi una grande<br />
viscosità che in effetti non c’è. Sono di assai facile<br />
digeribilità e nelle zone vicine le donne lo servono<br />
indifferentemente come cibo agli infermi<br />
così come fanno anche alcuni medici.<br />
In Coazze, vicino ad Avigliana, sono fatti quasi<br />
in forma di formaggio e sono buoni assai fino a<br />
quando non sono molto salati (…) e, a ec cezione<br />
dei seracchi di Nus, se vengono stagionati superano<br />
gli altri in bontà. Tra quelli freschi invece<br />
ne trovo di migliori in molte località pre<strong>alpine</strong>,<br />
per esempio a Chieri. Ma ne ho man giati di ancora<br />
migliori a Savigliano.<br />
21
22<br />
Gusto e tradizione<br />
Cap. 5° De caseo Vallis Locane et<br />
Cirisole (Il formaggio della Valle<br />
di Locana e di Ceresole)<br />
Nella Valle di Locana e di Ceresole si producono<br />
formaggi assai pregiati, specialmente a<br />
Ceresole. Dopo 4-6 mesi dalla fabbricazione<br />
prendono un colore rossastro come se fossero<br />
cosparsi di polvere di mattone e ciò senza alcun<br />
intervento dell’uomo. Sono formaggi grassi, di<br />
buon sapore, poco viscosi, fabbricati con latte di<br />
vacca ed inizialmente sono di colore bianco, in<br />
seguito, giunti alla giusta maturazione, appaiono<br />
di colore giallo citrino. Non tutti i formaggi<br />
della Valle di Locana sono tuttavia di colore<br />
rossastro e comunque sono più gustosi se stagionati<br />
piuttosto che freschi. Conservano la loro<br />
bontà per quattro e più anni. I formaggi sono<br />
più belli se ripuliti della crosta e se stagionati,<br />
hanno un sapore assai acuto e forte che tuttavia<br />
non nuoce poiché comunemente se ne mangia<br />
in piccola quantità.<br />
I signori di questa valle sono i conti di Valperga.<br />
I pascoli in questi monti e in queste valli sono<br />
ottimi: i cavalli si possono veramente saziare di<br />
quel fieno. Di conseguenza il latte ed il formaggio<br />
sono assai buoni.<br />
Cap. 6° De caseo Vallis Lancei<br />
et circumstancium (Il formaggio<br />
della Valle di Lanzo e dintorni)<br />
Parecchie valli sono comprese sotto il nome di<br />
Valli di Lanzo, alcune del le quali confinano con<br />
la Valle Locana, ed altre si estendono fino al Moncenisio;<br />
ed in tutte quelle valli si produce una<br />
notevole quantità di formaggi che, finché sono<br />
freschi non hanno sapore molto buono; sono<br />
assai grassi. E o non sanno o non possono essi<br />
stessi essere opportunamente conservati se non<br />
su fieno disteso in luoghi umidi; e per questo il<br />
fieno aderisce alla crosta e così appaiono sporchi.<br />
Quando però vogliono stagionarli, puliscono<br />
la crosta e li espongono all’aria sospendendoli<br />
- avvolti - in granaglie e paglie, specialmente<br />
nella segale e nel grano gentile - o bianco -; e<br />
men tre sono stagionati, essi subiscono una tale<br />
fermentazione che diventano gu stosi, ma di<br />
sapore molto forte, tanto che sono da considerarsi<br />
molto utili per i poveri, primo perché di<br />
esso ne mangiano poco a causa dell’acutezza;<br />
infatti se qualcuno ne mettesse in bocca una notevole<br />
quantità, ne indurreb be tanta mordacità<br />
o acutezza, che farebbe piangere, non meno di<br />
quanto un forte vino produce in beoni ed ubriaconi.<br />
In secondo luogo sono consi derati utili per<br />
i poveri perché, mentre con quel formaggio si<br />
preparano ali menti, soprattutto torte, a causa<br />
della loro mordacità non è necessario l’im piego<br />
di spezie e di sale; e tali sono soprattutto essicativi<br />
e risolutivi, come è detto nel terzo trattato.<br />
Non faccio qui distinzione tra i formaggi di queste<br />
valli, perché sono all’incirca simili tra loro,<br />
è possibile - tuttavia - che al cuni superino altri<br />
in bontà.<br />
Cap. 7° De caseo Vallis Secuxie<br />
et Montiscinixii<br />
(Il formaggio della Valle di Susa e<br />
del Moncenisio)<br />
La Valle di Susa è fertile in grano, vino, frutta<br />
e in bestiame e di conseguenza in formaggio.<br />
La produzione di formaggi è scarsa nella pianura,<br />
ma abbondante sui monti, in particolare<br />
sul Moncenisio, dove vi è una tale estensione<br />
di pascoli che anche da località assai lontane<br />
conducono qui a pascolare il bestiame durante<br />
l’estate, sia per l’abbondanza dei pascoli sia per<br />
la bontà delle erbe. I formaggi prodotti su quella<br />
montagna sono ovunque buoni e Pantaleone<br />
pensa che ciò sia dovuto al fatto che il bestiame<br />
vi è portato tutto insieme nel mese di maggio, a<br />
causa della grande quantità di neve che ricopre<br />
il terreno, e il pascolo prosegue fino al mese di<br />
settembre, più o meno a seconda delle condizioni<br />
meteorologiche e della durata delle nevi.<br />
Inoltre Pantaleone ritiene che la causa della<br />
bontà dei pascoli, e di conseguenza del latte e<br />
del formaggio, sia la qualità dell’aria durante<br />
tutto il periodo in cui il bestiame può restare<br />
all’alpeggio: infatti l’aria è sempre ben ventilata<br />
e perciò il latte è di qualità e prodotto in<br />
abbondanza. In questo monte il bestiame non<br />
abbisogna praticamente di sale a causa della<br />
buona qualità dell’erbaggio, così come avviene<br />
Gusto e tradizione<br />
anche in diverse altre località montane, mentre<br />
in pianura il bestiame, necessitando di una<br />
notevole quantità di sale, non produce un latte<br />
parimenti buono, né tale bestiame può godere<br />
della stessa salute. La causa di ciò non è facile<br />
da scoprire. Per le cause descritte le bestie sono<br />
condotte in montagna da quindici a venti leghe<br />
di distanza nel tempo che le erbe iniziano a crescere,<br />
e vi stanziano come detto. I formaggi ivi<br />
prodotti non differiscono in bontà, mentre sono<br />
diversi per volume poiché alcuni pastori hanno<br />
pochi animali, altri molti e quindi dispongono<br />
di diverse quantità di latte da lavorare; alcuni<br />
piccoli proprietari costituiscono allora delle società<br />
nelle quali si mette in comune il latte e, una<br />
volta prodotto il formaggio, lo si ridistribuisce in<br />
rapporto al bestiame posseduto. I formaggi fabbricati<br />
nei giorni festivi sono offerti alla chiesa,<br />
la qual cosa Pantaleone giudica che non poco<br />
giovi alla salute del bestiame.<br />
23
Itinerari<br />
Vi sono posti così belli e rilassanti<br />
che è un vero peccato<br />
non se ne conosca a volte<br />
l’esistenza. Basta una serie di<br />
combinazioni felici, che possono<br />
creare un luogo affascinante<br />
e trasformarlo ancora in qualcosa<br />
di più e cioè “uno spazio<br />
magico”. Uno di questi è il Parco<br />
Naturale del Pesio, che unisce<br />
la sacralità della Certosa, visi-<br />
Ciaspolata al chiaro di luna<br />
in Valle Pesio<br />
tabile per tutto l’arco dell’anno,<br />
a percorsi ideati per il piacere<br />
di muoversi in montagna nei<br />
mesi invernali. Sono stati, infatti,<br />
creati dei percorsi battuti<br />
e tracciati in vari modi che permettono<br />
a chi cammina, a chi<br />
ama le “ciaspolate” o a chi è<br />
affezionato allo sci da fondo e<br />
allo sci-escursionismo tranquillo,<br />
di trascorrere ore indimenti-<br />
A cura di Lodovico Marchisio<br />
cabili tra pini carichi di neve, il<br />
mormorio soffuso del Pesio che<br />
scorre a lato di questi percorsi<br />
e un rifugio che ti accoglie al<br />
Pian delle Gorre, classica ciliegina<br />
sulla torta, in un ambiente<br />
così edificante.<br />
Per i fondisti il luogo è un vero<br />
paradiso perché la pista inizia da<br />
San Bartolomeo (753 metri) ove<br />
nell’apposito bar e centro visibi-<br />
le dalla strada, noleggiano ciaspole,<br />
sci da fondo, scarpe per<br />
la pratica di questa disciplina e<br />
anche calzature per l’esercizio<br />
del pattinaggio su ghiaccio nel<br />
laghetto ghiacciato a lato di tali<br />
percorsi. L’anello di fondo, che<br />
arriva sino al Pian delle Gorre<br />
nei pressi del Rifugio omonimo<br />
(1032 m) è lungo più di 30 Km<br />
con le varie diramazioni, digressioni<br />
ad anelli confluenti nel bosco<br />
da varie direzioni. A volte la<br />
quota non elevata può trarre in<br />
inganno sulla qualità delle neve<br />
che però grazie a questi ultimi<br />
inverni particolarmente nevosi,<br />
specialmente nella zona del<br />
Cuneese, assicurano veramente<br />
una giornata per muoversi<br />
in totale libertà in uno spazio<br />
“wilderness” di notevole entità.<br />
Anche le passeggiate a piedi<br />
sono consentite in percorsi appositi<br />
creati a lato o discostati<br />
di qualche metro rispetto alle<br />
piste da fondo e sci - escursionismo.<br />
La chicca finale però è la pratica<br />
delle ciaspole, che si possono<br />
noleggiare anche nei pressi<br />
della Certosa. Il percorso è tutto<br />
un poema. Ne descriviamo<br />
uno per i lettori di “<strong>Panorami</strong>”<br />
come itinerario base, ma a proprio<br />
gusto si possono percorrere<br />
più di dieci itinerari diversi<br />
tutti confluenti in vari punti.<br />
A lato della Certosa presso la<br />
Fonte degli Innamorati, si dirama<br />
un sentiero appositamente<br />
tracciato per le ciaspole, che<br />
sulla sinistra di chi sale e sulla<br />
destra idrografica del Pesio,<br />
sale al Gias Sottano del Pari<br />
(Fontana Dompè) inoltrandosi<br />
nel bosco tra alberi colmi di<br />
neve. Si prova un senso di pace<br />
totale e vista l’organizzazione<br />
per preparare i percorsi, è diventato<br />
anche un luogo ideale<br />
per chi calza per la prima volta<br />
le sulla sponda destra idrografica<br />
del Pesio, può essere in un<br />
tratto bloccato da un divieto a<br />
causa di una valanga incombente<br />
su un canalone sovrastante.<br />
Questo non rappresenta però<br />
un problema perché un’edificante<br />
digressione vi permetterà<br />
di scendere sul bordo del Pesio<br />
e continuare in tutta tranquillità<br />
il percorso fino al Pian delle<br />
Gorre dove il rifugio omonimo<br />
vi attenderà (sempre aperto)<br />
per deliziarvi con i suoi favolosi<br />
piatti di polente condite in più<br />
modi, vini DOC e altre delizie<br />
locali. La traccia per le ciaspole<br />
è quasi sempre segnata fino<br />
alla sovrastante Cascata del<br />
Saut. Il rientro lo si può compiere<br />
sulla sinistra idrografica del<br />
torrente e del senso di marcia,<br />
transitando a lato del Villaggio<br />
dell’Arduà, per poi trasferirsi<br />
sulla sponda destra idrografica<br />
(verso di salita) su un ponte<br />
con belle colate di ghiaccio<br />
originatesi per una perdita di<br />
un condotto (gennaio 2010). Si<br />
può addirittura con una digressione<br />
alta trovarsi ad entrare<br />
(con rispetto) nel parco della<br />
Certosa e se non siete fondisti<br />
che devono proseguire sul percorso<br />
basso di San Bartolomeo,<br />
circoscrivere le mura su neve a<br />
volte vergine che vi farà assaporare<br />
al massimo le ciaspole,<br />
per uscire (prima della chiusura<br />
della Certosa - ore 17 circa)<br />
dal portone principale che vi<br />
ricondurrà al parcheggio. Per<br />
un itinerario base che sale al<br />
Pian delle Gorre e ridiscende<br />
alla Certosa (che si consiglia<br />
vivamente di visitare) calcolare<br />
circa 4 ore, con un dislivello di<br />
appena 200 metri, affrontabile<br />
da chiunque ami immergersi in<br />
una natura così varia e corroborante.<br />
Vengono anche organizzate<br />
ciaspolate, nei mesi invernali<br />
al chiaro di luna con cena al<br />
Rifugio del Pian delle Gorre<br />
quando vi è la luna piena.<br />
L’ultima è stata effettuata da<br />
un folto gruppo del CAI Sezione<br />
di Torino sottosezione GEB il<br />
30 gennaio 2010. Anche se poi<br />
la luna piena è coperta dalla<br />
neve la suggestività dell’evento<br />
rimane inalterato. Provare per<br />
credere.<br />
Si pensi infine che tutti questi<br />
percorsi in tarda primavera ed<br />
estate si trasformano in strade<br />
aperte al traffico con aree<br />
di parcheggio ben delimitate<br />
e il Pian delle Gorre diventa il<br />
punto di partenza per escur-<br />
sioni estive al Rifugio Garelli ed<br />
ascensioni più impegnative alla<br />
cima del Marguareis, con una<br />
via facile per escursionisti e canaloni<br />
più difficoltosi (Torinesi e<br />
Genovesi). Questa è anche una<br />
delle cime più importanti a livello<br />
nazionale per l’infinità di<br />
grotte tra le più profonde d’Italia<br />
che racchiude la Carsena del<br />
Pas ove convergono alpinisti<br />
da tutto il mondo per il sistema<br />
idrico sotterraneo tra i più importanti<br />
d’Italia e con grotte che<br />
hanno uno sviluppo superiore ai<br />
30 Km di corridoi sotterranei<br />
26 le ciaspole. Il percorso integra- vere e proprie gite sociali con esplorati nel sistema.<br />
27<br />
Itinerari<br />
IMMAGINI DELLA<br />
CIASPOLATA<br />
NEL PARCO<br />
DI CERTOSA<br />
DI PESIO
Preghiere<br />
e testi<br />
trascritti e<br />
usati come<br />
amuleti tra<br />
religiosità e<br />
magia<br />
28<br />
Il tempo e la memoria<br />
Un’antica<br />
orazione salvifica:<br />
l’epistola di Leone III<br />
a Carlo Magno<br />
GIANMARCO MONDINO<br />
Lettere dal cielo e preghiere<br />
scongiuro<br />
Uno dei più antichi documenti apocrifi<br />
del Medioevo cristiano (VI secolo) è<br />
la “Lettera della Domenica”, attribuita<br />
a Gesù medesimo e caduta dal cielo o<br />
portata in terra dall’arcangelo Michele. Bollata<br />
come falsa dal Concilio Romano del 745 e condannata<br />
da Carlo Magno, continuò a circolare<br />
nascostamente. Questa ed altre venerate “lettere<br />
dal cielo” diventarono poi degli amuleti da<br />
portare indosso contro pericoli e malattie, assumendo<br />
quindi un ruolo magico. In epoca carolingia<br />
ne esisteva un vero e proprio commercio<br />
che, malgrado l’opposizione della Chiesa e delle<br />
autorità (propense, però, a farne uso a loro volta<br />
in privato) continuò nei secoli successivi. Si indossavano<br />
amuleti con frasi propiziatorie, tratte<br />
di solito dai libri sacri, come i cosiddetti “brevi”,<br />
oppure testi più articolati, definiti dagli studiosi<br />
orazioni salvifiche o preghiere scongiuro, di<br />
contenuto magico più o meno evidente, utilizzate<br />
pure a protezione della casa. Mirella Ferrari<br />
(“Buona fortuna e scongiuri”, in “Margarita<br />
amicorum”) cita il ritrovamento, nell’architrave<br />
di un’antica abitazione del Comasco, di una<br />
“carthula del XIII secolo, con tutta una serie di<br />
invocazioni a Dio, alla Vergine, ai Santi, ai Magi,<br />
perfino ai due ladroni, a cui la tradizione assegnava<br />
il ruolo di difensori domestici dai furti!<br />
Era frequente che nella stessa preghiera si accumulassero<br />
svariate “potenze” per garantire<br />
un effetto più sicuro.<br />
Del commercio di preghiere nel ‘500 forniscono<br />
testimonianze vari studiosi. Maria Pia Fantini<br />
(“Tra poesia e magia”) spiega come ciarlatani<br />
e mendicanti commissionassero orazioni con<br />
parole e frasi precise, tali da colpire l’attenzione<br />
del pubblico ed essere vendute agevolmente come<br />
amuleti; altrettanto riferisce Roberta Astori<br />
in “Formule magiche”. Una specifica ricerca di<br />
Giorgio Caravale, “L’orazione proibita”, cita un<br />
gran numero di scritti utilizzati a questo scopo.<br />
A fruirne erano sovente i militari: i Valdesi, ostili<br />
a tale usanza, ne trovarono parecchi indosso<br />
ai cadaveri dei soldati nemici e li esibirono per<br />
dimostrarne l’illusorietà (V. Minutoli, “Storia del<br />
ritorno dei Valdesi nella loro patria”). La teologia<br />
ufficiale osteggiava il fenomeno, ma nella pratica<br />
quotidiana si finì per lasciar correre, se non<br />
altro i testi meno contrari alle regole ufficiali.<br />
Tuttavia, anche nel ‘500 e nel ‘600, secoli di<br />
lotta accanita contro le superstizioni, l’atteggiamento<br />
di Chiesa ed autorità verso “incantesimi<br />
e stregherie”, detti anche “inchiarmi”, fu ambivalente:<br />
da un lato si voleva convincere la gente<br />
che erano vani ed illusori; d’altro lato, però,<br />
si dava la caccia a chi li usava o li diffondeva<br />
(esercitando una rigida censura sulle stamperie),<br />
non solo perché la magia era considerata<br />
eresia, ma, come afferma un editto del 1673 di<br />
Carlo Emanuele II di Savoia, per “sicurezza de’<br />
nostri sudditi”, avallando così l’opinione che gli<br />
“inchiarmi” fossero efficaci e temibili. L’editto<br />
prevedeva la pena di morte per i casi più gravi<br />
e la perquisizione degli arrestati, per cercare<br />
tali amuleti. Secondo uno studioso francese del<br />
1800, il Le Blant, si credeva che fossero usati<br />
per sopportare senza sofferenze la tortura; alcuni<br />
si facevano rasare e tatuare il cuoio capelluto<br />
con formule magiche le quali, ricresciuti i capelli,<br />
non erano più visibili. Una preoccupazione<br />
in più per chi doveva perquisire i criminali o<br />
addirittura i duellanti. Il Lecouteux (“Charmes,<br />
conjurations, benedictions”) segnala che già nel<br />
1355 un duello giudiziario fu rinviato perché<br />
addosso ad uno dei contendenti era stata trovata<br />
una preghiera scongiuro.<br />
Nel secolo XIX la ripresa delle guerre in Europa,<br />
con tanto di coscrizione obbligatoria, generò al-<br />
tre situazioni di pericolo, rese più tragiche da<br />
nuove epidemie: il colera e, con il primo conflitto<br />
mondiale, la spagnola. L’angoscia rinnovò<br />
il bisogno di rassicurazione con preghiere ed<br />
amuleti, spesso riutilizzando quelli più antichi.<br />
Elisabetta Gulli Grigioni (“L’esorcizzazione<br />
della paura”) ha evidenziato appunto come le<br />
orazioni salvifiche abbiano subito nel tempo<br />
un “adattamento popolare”, cioè siano servite,<br />
con parziali modifiche, a fronteggiare rinnovate<br />
esigenze: ad esempio, cessato ormai l’incubo<br />
della peste, furono usate per il colera, e il “logo”<br />
della campagna anti-tbc nel ‘900, la croce a due<br />
bracci, non era altro che un simbolo anti-peste.<br />
Certe formule per vincere alle lotterie furono poi<br />
utilizzate dai coscritti per estrarre il numero che<br />
li avrebbe esentati dal servizio.<br />
Alla riscoperta di un antico<br />
documento<br />
Tra vecchie carte di famiglia, a Forno Alpi Graie<br />
(Val Grande di Lanzo), ho trovato, su un foglio<br />
sgualcito e ripiegato, scritto fittamente, una preghiera<br />
scongiuro risalente ai primi del ‘900. Si<br />
tratta della celebre Epistola di papa Leone III<br />
a Carlo Magno, un apocrifo dalla lunga storia.<br />
Incuriosito, ho svolto le prime ricerche, aiutato<br />
da un’appassionata di storia locale, Maria<br />
Teresa Serra, giungendo ad una scoperta per me<br />
impensabile: il testo era diffuso su un territorio<br />
vastissimo, dal Piemonte alla Valle d’Aosta, fino<br />
alla Lombardia, al Friuli ed all’Emilia. La preghiera<br />
è citata, insieme ad altre, da libri ed articoli<br />
di etnologia, magia, storia religiosa, poiché<br />
rientra nelle passate tradizioni magico-sacrali<br />
europee. Circolava sia in copie manoscritte, tramandate<br />
fra il popolo, sia su foglietti a stampa,<br />
spesso piegati in forma di libretto, da leggere o<br />
tenere indosso, che sovente erano venduti dai<br />
girovaghi in fiere e mercati. In tale forma l’orazione,<br />
assai utilizzata dai soldati durante i due<br />
conflitti mondiali (ma ho letto una testimonianza<br />
relativa alla guerra di Libia), ha continuato<br />
ad essere diffusa fino a tempi piuttosto recenti,<br />
se la tipografia Chiais di Vercelli la stampava ancora<br />
una ventina d’anni fa.<br />
Le numerose copie, di varia provenienza, che<br />
ho esaminato sono identiche fra loro in quanto<br />
a struttura e parole, salvo varianti marginali, in<br />
genere legate all’ortografia. Il testo si compone<br />
di due parti: la “cornice” in lingua italiana, che è<br />
la più antica, e l’insieme di parole e formule latine<br />
aggiunte qua e là, spesso trascritte in modo<br />
errato o incompleto. Anche gli esemplari a stampa<br />
(dove però la parte in italiano è debitamente<br />
corretta) presentano le stesse manchevolezze:<br />
segno che non era lo scritto a contare, ma solo il<br />
fatto di possederlo o recarlo indosso come amuleto,<br />
tanto è vero che l’orazione, pur con le sue<br />
lacune, ebbe una diffusione enorme. Il testo qui<br />
riportato deriva dal confronto ed interpretazio-<br />
Il tempo e la memoria<br />
ne delle varie versioni esaminate, con l’obiettivo<br />
di offrire ai lettori una lettura più comprensibile<br />
e completa possibile, ovviamente senza la pretesa<br />
di elaborare un’edizione critica.<br />
Il testo dell’Epistola di papa<br />
Leone III a Carlo Magno<br />
Si legge che la santità di papa Leone IV mandò<br />
questa SS. Epistola al Re Carlo Imperatore, nel<br />
tempo che si trovava alla battaglia per la S. Sede<br />
[Santa Fede], ed ordinò a favore d’ognuno che<br />
facesse la copia e la portasse indosso, che ogni<br />
persona sarà salva, e chi la leggerà e la porterà<br />
indosso, non gli potrà accadere male alcuno né<br />
di giorno né di notte.<br />
Inoltre andranno sempre bene i suoi affari. Se<br />
qualche donna stesse in disgrazia del suo marito,<br />
avendo questa SS. Epistola indosso, bisogna<br />
che il suo marito la torni ad amare. Se vi fosse<br />
qualche donna che non partorisse, mettendosi<br />
la presente indosso, partorirà subito e senza dolore.<br />
Se qualcheduno si trovasse nell’estremo di<br />
sua vita, confidandosi alla misericordia di Dio,<br />
avrà la grazia che l’anima sua non potrà essere<br />
dannata all’Inferno. Quello che la porterà indosso<br />
non potrà in nessun caso essere offeso. Se<br />
questa Santa Epistola alcuna persona l’avesse in<br />
mano, ne faccia la copia e la conservi, che poche<br />
copie se ne trovano ancora. Se alcuno avesse<br />
perduto l’amicizia di qualche signore, oppure di<br />
qualche suo favorito amico, andandogli a parlare<br />
tornerà alla prima amicizia.<br />
Se qualcheduno combattesse con li nemici suoi,<br />
sarà sempre vincitore e vittorioso, e dove sono<br />
questi santi nomi di Dio:<br />
Agnus + Nativitas + Vitulus + Christus +<br />
Benevolentias + Amabilis + Sanctus +<br />
Se qualcheduno venisse il sangue dal naso che<br />
non gli stagnasse, mettendosi la medesima indosso<br />
subito gli stagnerà, e portando la presente<br />
in seno non verrà offeso da qualsiasi sorta d’armi,<br />
e se vi fosse qualcheduno incredulo, lo potrà<br />
provare con metterla sopra un’anima e tirargli<br />
che non potrà essere offesa.<br />
+ Compatitione [Computatione, Competitione]<br />
spiritus malignos quattuor fulminacibus [fulminaribus]<br />
catolicis + et computatione sanctum<br />
Jacobum et omnes sancti et sanctae Dei nullo<br />
modo possit nocere mihi + Sancti Andreae Dei<br />
famulum tuum libera me Domine ab omnibus<br />
infirmitatibus, periculis temporalibus et omni<br />
odio et omni lingua et vigilando et comandando<br />
in omni tempore.<br />
Jesus F. F. F. F.<br />
+ Libera Jesus Maria, amen, angelus nativitas,<br />
qui fecit caelum et terram fecit salvum famulum<br />
tuum a Joseph sanctus Andrea. Amen.<br />
Queste sono le parole ovvero la lettera che<br />
mandò Papa Leone al re Carlo e si trovò scritta<br />
[stampata] nell’archivio antico del suo palazzo,<br />
nell’anno di sua salute 1169.<br />
29
30<br />
Il tempo e la memoria<br />
Erue sit + amen. Deus erue inquam omni tempore<br />
te adoro + Erue Christus afferat ad me<br />
Domine quidam [quidem] me opprimat inimicus<br />
Christus nobiscum sit amen, Jesus, Maria,<br />
Joseph, Franciscus, Antonius, Jacobus, Andrea,<br />
libera me Joseph<br />
I.N.R.I [ + ]<br />
Sarà libero da ogni pericolo, e non morirà senza<br />
confessione, né di folgore, né di tempesta, né<br />
di saette, né d’acqua né di fuoco, né di veleno,<br />
né di mal fisico, né di mala morte, né di morte<br />
subitanea, e sarà libero dalle calunnie dei falsi<br />
testimoni e dai cattivi nemici.<br />
Questa orazione fu mandata dall’Angelo disceso<br />
dal cielo nel palazzo di Carlo Magno acciò nessuno<br />
potesse nuocerlo:<br />
Christus Rex visitare nos Deus + homo + factus<br />
est miraculo Jacobus Andrea transeat per<br />
montium [monticum] Elisabet sine sanguine<br />
sine non abitet + et requiescat omni regione +<br />
sanctus Deus + sanctus misericors et immortalis<br />
misericordiae mei + Crux Christi defendat me.<br />
Crux + Christi me ab omni malo, libera me.<br />
Domine Christus + Deus Emanuel Jesus<br />
Redemptor Christus + et Verbum caro factum est<br />
et habitavit in me: Raphael mirram + Melchior<br />
incensum + Baldhassar aurum + Christus vincit,<br />
Christus ut omni periculo imminenti me defendat,<br />
Jesus et Maria.<br />
Signor mio Gesù Cristo, Salvator di tutto il mondo<br />
salvate l’anima mia<br />
Si legge che il Re Carlo una mattina doveva far<br />
decollare uno che era reo di morte, ed il carnefice<br />
non gli poteva mai tagliar la testa, e non potè<br />
farlo morire; fu cercato indosso, e gli trovarono<br />
la medesima Epistola.<br />
Gran Madre di Dio, Vergine fra tutte le vergini di<br />
tutto l’universo, benedetta e santificata fra tutte<br />
le altre donne, pregate il vero SS. Figlio per tutti<br />
i peccatori, voi Signora che siete la vera Vergine,<br />
vogliatemi bene e aiutatemi in tutte le necessità.<br />
Quest’orazione fu trovata nel Santo Sepolcro di<br />
Gerusalemme, ed ha questa proprietà, che chi<br />
la porterà indosso, però con devozione e con<br />
buona intenzione, non sarà sentenziato a morte,<br />
non patirà il male d’occhi, né di cuore, e sarà<br />
visitato tre giorni avanti la sua morte dalla Gran<br />
Madre di Dio Maria SS.; ed in quella casa dove<br />
vi sarà questa Orazione, non si sentirà veruno,<br />
non vi sarà incendio e non si vedranno genii cattivi,<br />
e sarà libera da qualsiasi sorta di pericolo.<br />
LAUS DEO<br />
[NdR Il segno + indica che si dovevano intervallare le parole<br />
con un segno di croce.<br />
In alcuni esemplari, a mano o a stampa, la croce accanto<br />
a INRI è di dimensioni maggiori rispetto alle altre e di<br />
disegno più ricercato. Solo in due delle versioni manoscritte<br />
esaminate, una in possesso dei signori Lino e Maria Piera<br />
Solero di Mondrone e l’altra appartenuta ad un anziano di<br />
Cuorgnè morto nel 1916 ed inviatami dal Dr. Giovanni Bertotti,<br />
compare anche la scritta: “La misura della croce di nostro<br />
Signor Gesù Cristo era lunga più di questa 49 volte. Il detto<br />
legno ha tanta proprietà che chi la porterà indosso con la<br />
sottoscritta orazione sarà libero da ogni pericolo ecc.”<br />
Sul retro del documento manoscritto dei signori Solero di<br />
Mondrone si legge: “Scritto di fretta il 19 ottobre 1916”. Oltre<br />
a fornirci una data precisa, la breve nota fa pensare che la<br />
preghiera fosse destinata urgentemente a qualcuno al fronte.<br />
Due membri della famiglia Solero, tornati incolumi dalla<br />
Grande Guerra, fecero poi costruire per voto un “ciaplot”<br />
(cappelletta) nella zona sopra il loro paese].<br />
Religiosità o magia?<br />
L’Epistola apocrifa di papa Leone III appartiene<br />
alla tradizione magica o religiosa? Propendo per<br />
la prima ipotesi. È vero che la preghiera sembra<br />
corretta dal punto di vista formale, poiché non<br />
contiene certi elementi tipici degli scritti magici<br />
e combattuti dalla Chiesa, come i nomi di<br />
Dio più stravaganti o di angeli inventati, né vi<br />
compaiono espliciti riferimenti a numeri propiziatori<br />
o a particolari mezzi di scrittura (basti<br />
pensare all’Encheyridion, attribuita allo stesso<br />
Leone III). Tuttavia l’impostazione ideologica<br />
rientra nell’universo magico, e non in quello religioso.<br />
Che invochi Dio, la Vergine un Santo, o<br />
indossi un’immagine sacra, il cristiano“chiede”<br />
una grazia o una protezione nella speranza di<br />
ottenerla. Nel pensiero magico, invece, la realtà<br />
è un campo di forze in cui l’uomo, per difendersi,<br />
deve far intervenire una “potenza” più efficace<br />
di quella che lo minaccia; l’evocazione di<br />
tale “potenza” attraverso una formula, un gesto,<br />
un amuleto indossato, provoca automaticamente<br />
la sconfitta di ogni negatività: la magia non<br />
chiede”, non prega, dà la certezza dell’effetto<br />
benefico. Nell’Epistola compaiono verso la fine<br />
un paio di invocazioni (a Gesù Salvatore, alla<br />
Vergine), probabilmente aggiunte in tempi più<br />
vicini a noi, ma il discorso nel suo insieme dà<br />
per scontato che, indossando l’amuleto, da cui<br />
sprigiona appunto una “potenza”, non si verrà<br />
toccati dai mali più disparati.<br />
Siamo di fronte ad una concezione magica, benché<br />
molte persone che ho avuto modo di sentire,<br />
soprattutto anziani, in perfetta buona fede recitassero<br />
l’orazione o la portassero con spirito cristiano,<br />
senza rendersi conto della devianza del<br />
testo. Parecchi mi hanno citato il caso di un marito,<br />
figlio o parente che, indossando l’Epistola, è<br />
stato l’unico di un gruppo a sopravvivere ad un<br />
evento bellico (l’affondamento di un sottomarino,<br />
la Campagna di Russia). La studiosa valdostana<br />
Fernanda Cout mi ha spiegato che in un paesino<br />
della sua regione non c’è alcun monumento ai<br />
Caduti e che una vecchietta, interrogata al riguardo,<br />
le rispose che lì non c’erano stati morti nella<br />
Grande Guerra, perché tutti gli uomini recavano<br />
con sé la “prière”. Sono affermazioni basate su<br />
una convinzione religiosa, e non superstiziosa,<br />
a riprova del fatto che dell’Epistola, vista come<br />
una semplice orazione o immagine sacra, talora<br />
procurata dai sacerdoti stessi, è esistito anche un<br />
uso “corretto”. Le due Guerre Mondiali, con il loro<br />
seguito di stragi, avevano segnato, con il ritorno<br />
della paura, la rinascita della devozione e perciò<br />
anche dell’utilizzo di ogni pratica religiosa, giusta<br />
o meno che fosse; per questo anche l’Epistola<br />
riprese a circolare, insieme ad altre preghiere<br />
ed immagini sacre. Il Malgeri (“La Chiesa e la<br />
guerra”) cita numerosi esempi al riguardo, tra<br />
cui anche la nostra orazione, sottolineando come<br />
la censura fascista bloccasse l’invio di tali scritti<br />
ai soldati, considerandoli disfattisti per il morale<br />
delle truppe.<br />
Origini e storia dell’Epistola<br />
Non sapppiamo dove e quando l’Epistola abbia<br />
cominciato a circolare, ma possiamo solo formulare<br />
qualche ipotesi. Nella preghiera si distinguono<br />
“strati” successivi, cioè elementi di periodi<br />
diversi che hanno contribuito alla sua formazione:<br />
è come un puzzle al quale si è aggiunto via<br />
via qualche pezzo. La genesi va ricercata già agli<br />
inizi del Cristianesimo, poiché fin dal VI secolo fu<br />
diffusa la credenza delle “lettere dal cielo”, spesso<br />
recate da un angelo in un luogo sacro. Nel<br />
corso del Medioevo esse proliferarono e furono<br />
indossate abitualmente come amuleti. Dopo il<br />
Mille in questa tradizione si innestò la figura di<br />
Carlo Magno, sul quale erano fiorite molte leggende,<br />
in particolare sui suoi presunti viaggi<br />
in Italia Settentrionale (in Lombardia e poi nel<br />
Trentino, come riferisce Emanuela Renzetti) e<br />
addirittura a Costantinopoli e Gerusalemme. La<br />
data scritta nell’Epistola è singolarmente vicina<br />
al 1165, anno della sua beatificazione voluta<br />
dal Barbarossa. Intorno al personaggio di Carlo<br />
Magno nacque una serie di preghiere, a lui attribuite<br />
per dare loro importanza o da lui ricevute<br />
tramite papi o angeli ed utilizzate come protezione<br />
in battaglia, onde poi la diffusione popolare<br />
sotto forma di amuleto per tutti gli usi. Anna<br />
Cornagliotti (“La preghiera di Carlo Magno”) ne<br />
cita parecchie, tra cui una in dialetto veneto del<br />
XIV secolo, ed osserva che, ad un certo punto,<br />
quella che era diventata per definizione la “preghiera<br />
di Carlo Magno” si fuse con un’altra di<br />
origine assai antica, l’elenco dei nomi di Cristo<br />
(ben 72 in certe versioni).<br />
La studiosa francese, Edina Bozoky (“Charmes<br />
et prieres apotropaiques”), fa risalire al XIII<br />
secolo la prima preghiera di Carlo Magno,<br />
mandatagli da San Silvestro, un’orazione che<br />
l’imperatore leggeva prima di ogni battaglia.<br />
Successivamente, come mittenti, in genere tramite<br />
un angelo, comparvero altri papi e finalmente,<br />
a partire dal ‘400, l’invio fu attribuito<br />
a Leone III, suo contemporaneo ed alleato. A<br />
questo pontefice la tradizione assegnava anche<br />
un vero e proprio trattato di magia, la celebre<br />
“Encheyridion”, dove comparivano le più strane<br />
“ricette” per realizzare amuleti e scongiuri,<br />
ed anche l’elenco completo dei nomi di Cristo.<br />
Malgrado la Chiesa combattesse con accanimento<br />
ogni forma di magia, tanto l’Encheyridion<br />
quanto l’Epistola furono utilizzate anche nel ‘500<br />
e nel ‘600, i secoli dei roghi. Sotto l’etichetta di<br />
“Epistola di papa Leone III”, circolarono, in latino<br />
o in volgare, scritti diversi fra loro e del tutto<br />
Il tempo e la memoria<br />
differenti dal nostro. A Palermo il Cherubini ne<br />
ha scoperto uno, più complesso, allegato al trattato<br />
“Lapidari”, che parla di pietre e piante ritenute<br />
curative; il Galimberti addirittura tre, differenti<br />
fra loro, conservati nell’archivio dell’Ospedale<br />
Maggiore di Milano, a dimostrazione che i<br />
medici, pur storcendo il naso, li usavano almeno<br />
nei casi più disperati. Il Lecouteux nota che<br />
una “Benedizione di papa Leone” fu distribuita<br />
ai soldati piemontesi, durante la guerra contro<br />
Ginevra del 1602, da parte del Duca di Savoia,<br />
per cui fu chiamata “Billet des Savoyards”. Uno<br />
studioso del ‘700, J.B. Thiers, nel suo trattato<br />
sulle superstizioni, definisce l’Epistola, proprio<br />
per la sua larga diffusione, una delle più “perniciose”<br />
vista l’influenza negativa che esercitava<br />
sulle menti della gente.<br />
La parte in italiano dell’orazione, con ampio<br />
spazio dedicato alla Vergine ed ai Santi, fa pensare<br />
ad una nascita dopo il Concilio di Trento,<br />
allorché tali culti acquisirono maggior rilievo.<br />
L’etnologo Angelomichele De Spirito cita una<br />
testimonianza dell’Epistola in un processo per<br />
stregoneria tenutosi a Napoli nel ‘700. Lo studioso<br />
osserva che, in tale forma, essa è una “preghiera<br />
senza contenuto”, poiché il documento<br />
parla di un’Epistola di papa Leone III a Carlo<br />
Magno, ne vanta il potere miracoloso, ne raccomanda<br />
la divulgazione, ma in realtà non ne<br />
riporta il testo. Come tale l’orazione fu diffusa in<br />
Italia Centro-Meridionale: infatti le pur non numerose<br />
testimonianze da me rinvenute (Firenze,<br />
Campagna Romana, Bari, Sardegna) sono tutte<br />
costituite dalla sola “cornice” in italiano. E’ probabile<br />
che si tratti di un modello semplificato<br />
dell’orazione, forse di uso popolare. Benché in<br />
questa forma incompleta, la preghiera ha continuato<br />
a circolare fino a tempi assai recenti, se<br />
il Maritani, parlando di un processo tenutosi a<br />
Bari negli anni ’90 del secolo scorso, afferma<br />
che una copia era stata rinvenuta addosso ad<br />
un membro della Sacra Corona Unita.<br />
Finalmente, tra la seconda metà del 1800 e gli<br />
inizi del ‘900, “qualcuno” provvide a riempire la<br />
“cornice”, a dare un “contenuto” alla preghiera,<br />
aggiungendo qua e là parole e formule in latino,<br />
oltre ai soliti segni di croce. E’ un armamentario<br />
tipico delle orazioni salvifiche, come i nomi<br />
di Dio (“agnus”, “vitulus“, “agios”, ecc.), che si è<br />
visto in certi antichi testi erano ben 72, e le frasi<br />
tratte dal vangelo di Giovanni, alle quali si attribuivano<br />
effetti portentosi. La “cornice” in italiano<br />
risulta perfettamente identica ai documenti<br />
precedenti, ma ora è riempita con il frasario latino.<br />
Non ho potuto scoprire nulla sull’autore della<br />
nuova versione. Le citazioni assai frammentarie,<br />
che sembrano prese a caso ed accumulate senza<br />
una logica, fanno pensare ad una persona priva<br />
di competenze specifiche in materia religiosa,<br />
limitatasi a riportare parole e frasi usate in questo<br />
genere di scritti. Se è vero che molti termini<br />
31
32<br />
Il tempo e la memoria<br />
si sono modificati solo perché chi copiava per<br />
uso personale la preghiera commetteva errori di<br />
trascrizione, tuttavia mi pare che almeno alcune<br />
improprietà fossero presenti in origine. Forse<br />
l’autore era uno dei tanti guaritori che, per i riti<br />
propiziatori, si servivano appunto di frasi latine<br />
in modo approssimativo, orecchiate chissà come,<br />
ma tali comunque da creare un effetto di<br />
mistero sui clienti. La correttezza formale non<br />
contava più di tanto, se l’orazione riscosse comunque<br />
un notevole successo, diffondendosi immutata,<br />
anche a stampa, in tutto il Settentrione.<br />
Resta però difficile spiegare come una preghiera<br />
di origine così “umile” abbia avuto una tale diffusione<br />
rispetto ad altre simili.<br />
Neanche sul luogo di provenienza dell’autore si<br />
può affermare alcunché di sicuro, salvo collocarlo<br />
in Italia Settentrionale, forse sull’arco alpino.<br />
Il signor Chiais mi ha spiegato che la sua<br />
tipografia di Vercelli ha pubblicato su ordinazione<br />
la preghiera in fogli volanti fino agli anni<br />
’80 e che le maggiori richieste venivano dalla<br />
zona del Lago Maggiore. Teniamo anche presente<br />
che molti esemplari a stampa riportano<br />
l’immagine dell’ “Agnus Dei”, che era il logo di<br />
un’altra tipografia, la Agnelli, operante a Milano<br />
ed a Lugano, in Svizzera. Forse la presenza più<br />
prolungata che altrove proprio nel territorio tra<br />
Piemonte e Lombardia sta ad indicarne anche il<br />
luogo d’origine, dove la gente sarebbe rimasta<br />
particolarmente affezionata all’Epistola per antica<br />
tradizione.<br />
Qualche problema di lettura<br />
e di interpretazione<br />
L’Epistola di papa Leone III è un amuleto “collage”<br />
polivalente, cioè assemblato con elementi<br />
di epoche diverse e destinato a proteggere dai<br />
pericoli più svariati. Ad esempio l’elenco dei<br />
rischi legati a fenomeni naturali rimanda alle<br />
antiche tradizioni pagane, mentre il discorso<br />
sulla morte improvvisa e la dannazione è venuto<br />
con il Cristianesimo medievale e la “nascita”<br />
del Purgatorio. Ampio spazio è dedicato anche<br />
ai problemi della salute. Pensiamo al diffuso<br />
timore delle emorragie, e non solo dal naso (il<br />
primo documento è già del IX secolo). Il sangue<br />
era considerato la forza vitale dell’individuo,<br />
tanto che alcuni lo ritenevano sede dell’anima,<br />
cosicché ogni perdita era vissuta drammaticamente.<br />
L’epistassi, poi, vista come un fatto improvviso<br />
ed inspiegabile, era attribuita a cause<br />
soprannaturali da esorcizzare: si conoscono al<br />
riguardo numerosi esempi di scongiuri, citati<br />
negli studi di M.P. Fantini e R. Astori, nonché di<br />
Marta Faggiotto in “Aspetti della religiosità contadina<br />
nella diocesi di Padova” e del Lecoueteux<br />
(“Grimoires”) per l’area francese.<br />
Riguardo all’invio dell’Epistola a Carlo Magno<br />
l’autore fornisce notizie imprecise e contraddittorie.<br />
Il papa in questione è Leone III (e non<br />
IV, di molto successivo all’imperatore), il quale<br />
visse tra l’VIII ed il IX secolo, e non intorno al<br />
1169, definito “anno di sua salute”: se mai una<br />
data da ricordare è il 1165, quando Federico<br />
Barbarossa lo fece beatificare. In alcune versioni<br />
il sovrano è impegnato nella “battaglia per<br />
la Santa Sede”, in altre per la “Santa Fede”, ma<br />
non si capisce di quale battaglia si tratti: è un<br />
dato che, tramandandosi nei secoli, era ormai<br />
diventato nebuloso e non rivestiva più un significato<br />
storico, ma simbolico. Contraddittorie<br />
sono anche le notizie sul ritrovamento dell’Epistola,<br />
di cui sono fornite tre differenti versioni,<br />
a riprova che la cornice è un assemblaggio di<br />
documenti e tradizioni diverse: all’inizio si afferma<br />
che il papa la “mandò” all’imperatore<br />
mentre era in “battaglia”; quindi che Carlo la<br />
trovò nell’archivio del suo palazzo; infine che la<br />
preghiera fu portata dall’angelo, e questo è un<br />
aspetto tipico delle “lettere dal cielo”. In conclusione<br />
sono stati affastellati elementi eterogenei<br />
tramandati dalla tradizione, senza alcuna coerenza,<br />
poiché lo scopo era colpire l’attenzione<br />
dei lettori nominando personaggi famosi o fatti<br />
miracolosi, in modo da accrescere l’importanza<br />
della preghiera.<br />
Le parti in latino, come ho detto, costituiscono<br />
talvolta un problema. In alcuni casi derivano<br />
da una lunga consuetudine, come quelle tratte<br />
dal Vangelo di Luca e soprattutto di Giovanni,<br />
ad esempio“et Verbum caro (che talora diventa<br />
“carum”! ) factum est” e “Deus homo factus<br />
est”, ritenute di per sé miracolose o addirittura<br />
magiche. In tutte le versioni compare la formula<br />
“Jesus FFF(F) amen”, dove la lettera F, ripetuta<br />
tre o quattro volte, è un altro elemento tipico<br />
di amuleti e preghiere-scongiuro: sta per “Filius<br />
fecit facit fiat”; ma in testi analoghi ho trovato<br />
scritto per esteso “fiat fiat fiat” (rilevato da M.<br />
Faggiotto in uno scongiuro trevigiano del ‘300).<br />
Sono comunque formule propiziatorie consolidate<br />
dall’uso, poiché ritenute portentose. Spesso<br />
ricorrente, per il suo valore miracoloso, era la<br />
sequenza: “Christus vincit. Christus regnat.<br />
Christus imperat”, di cui nel nostro documento<br />
compare solo la prima delle tre frasi. Infine<br />
evidenziamo il verbo “erue”, ripetuto tre volte,<br />
derivato probabilmente dal “De Profundis”:<br />
“strappami, o Dio, dal male”. A tutto questo frasario<br />
desunto da una tradizione ben nota, si aggiungono<br />
vari altri elementi, accumulati disordinatamente,<br />
che per me sono rimasti purtroppo<br />
enigmatici. Ad esempio è un rebus quel “quattuor<br />
fulminaribus catolicis”, che potrebbe derivare<br />
da un esorcismo dove “fulminar” sta per<br />
“anatema” (Du Cange). Anche “Computatione<br />
(o “competitione”) spiritus malignos” fa pensare<br />
a qualche formula esorcistica. Quanto ad<br />
“Elisabet sine sanguine sine non abitet”, forse è<br />
desunto da una preghiera per le partorienti, di<br />
cui la Santa era una delle protettrici. Non avendo<br />
individuato la fonte di tutte queste formule,<br />
non mi è stato possibile ristabilirne la lettura<br />
corretta e con essa il significato.<br />
Per approfondire il discorso<br />
A Carlo Magno è dedicato anche un passaggio<br />
particolare dell’Epistola, che narra come l’imperatore<br />
non sia riuscito a far decapitare un<br />
condannato, poiché questi portava indosso proprio<br />
una copia della preghiera, a dimostrarne<br />
l’efficacia. Questo genere di racconto breve è<br />
detto “historiola” (raccontino) ed è un elemento<br />
costante di tutte le preghiere-scongiuro ispirate<br />
alla magia, per la quale il solo fatto di nominare<br />
un evento in cui una certa “potenza” (un angelo,<br />
un santo, un talismano) avrebbe esercitato in<br />
passato un’influenza positiva basta di per sé ad<br />
evocare un’altra volta tale potenza e ad ottenere<br />
automaticamente lo stesso effetto benefico ( cfr<br />
ad esempio G. Dolfini, “Sulle formule magiche e<br />
le benedizioni della tradizione germanica”). E’<br />
un’ulteriore conferma della concezione magica<br />
a cui l’Epistola si ispira.<br />
Protagonisti frequenti di invocazioni ed amuleti<br />
furono anche i Magi, il culto dei quali era assai<br />
diffuso soprattutto in Lombardia, poiché Milano<br />
ne aveva ospitato le presunte reliquie (traslate<br />
dall’Oriente) fino al 1162, allorché il Barbarossa<br />
le trasferì a Colonia. Fin dai primi secoli del<br />
Cristianesimo, grazie soprattutto ai Vangeli<br />
apocrifi, essi erano venuti assumendo una fisionomia<br />
sempre più precisa, con i tre nomi fissati<br />
dalla tradizione dopo parecchie oscillazioni,<br />
Il tempo e la memoria<br />
ed una vasta fama di guaritori. Molti amuleti<br />
ne recavano i nomi con varie invocazioni, poiché,<br />
oltre a proteggere i viaggiatori, si pensava<br />
difendessero da epilessia, febbre, mal di testa.<br />
Nell’Epistola essi compaiono regolarmente e sono<br />
citati per nome, ma con un errore: al posto<br />
di Gaspare figura l’arcangelo Raphael, il quale,<br />
avendo risanato il biblico Tobia, era a sua volta<br />
ritenuto un taumaturgo e in particolare, proprio<br />
come i magi, protettore dei viaggiatori e guaritore<br />
dalla febbre. Lo sbaglio ricorre in tutte le<br />
versioni dell’orazione; quindi doveva trovarsi<br />
già nell’approssimativo testo originario.<br />
Due sole versioni a me note dell’Epistola, una<br />
dei signori Solero di Mondrone e l’altra inviatami<br />
dal Dr. Massimo Bertotti di Cuorgnè, riportano<br />
una specifica variante. Accanto ad una<br />
Croce più evidente delle altre, dopo la scritta<br />
INRI, compare questa aggiunta: “la misura della<br />
Croce di nostro Signor Gesù Cristo era lunga più<br />
di questa 49 [43] volte; il detto segno ha tanta<br />
proprietà che chi la porterà indosso con la sottoscritta<br />
orazione sarà libero da ogni pericolo,<br />
ecc.”. L’elenco dei pericoli è presente in tutte le<br />
versioni, ma senza cenni alle misure della Croce.<br />
Non so se questa parte sia andata perduta nel<br />
corso delle varie trascrizioni, forse per motivi<br />
di spazio, o sia stata aggiunta da qualcuno più<br />
zelante. La croce fu usata negli amuleti fin dall’antichità,<br />
ma con il Cristianesimo assunse un<br />
ruolo fondamentale; tuttavia, essendosi mescolata<br />
la religione con i residui del paganesimo,<br />
ad essa si attribuì anche una fortissima valenza<br />
magica. Perciò compare, nelle preghiere come<br />
negli amuleti, in tutte le forme possibili (a T, a<br />
doppia traversa, formata da lettere, come ricorda<br />
E. Gulli Grigioni, “L’esorcizzazione della<br />
paura”). Diffusissimo fu anche il culto di certi<br />
particolari relativi alla passione di Gesù, come<br />
appunto le dimensioni della Croce, il numero<br />
delle sue piaghe o delle gocce di sangue versato:<br />
cifre a cui dovevano corrispondere altrettante<br />
preghiere recitate regolarmente, anche per anni,<br />
allo scopo di ottenere un’indulgenza dei propri<br />
peccati, ma che alla fine, come di consueto,<br />
finirono per diventare solo più superstizione,<br />
poiché si pensava che bastasse portare indosso<br />
lo scritto che le elencava per trarne un effetto<br />
propiziatorio. Dell’argomento parla ad esempio<br />
Flavio Galizzi in Quaderni Brembani, che si sofferma<br />
anche su un curioso amuleto parimenti<br />
famoso: una preghiera trascritta su un pezzo di<br />
carta a forma di piede, che doveva riprodurre<br />
quello della Madonna.<br />
Ringrazio gli studiosi (di alcuni dei quali ho citato<br />
le opere da me utilizzate) che mi hanno cortesemente<br />
aiutato nella mia ricerca, ed in particolare<br />
il Prof. Giuseppe Sergi, il Prof. Claude<br />
Lecouteux e la signora M. Teresa Serra ai quali<br />
mi sono rivolto con una frequenza pari alla loro<br />
paziente disponibilità.<br />
33
IL PAESE DI<br />
ALPICELLA<br />
STELLA SU MESSA<br />
DELLE STREGHE 7C<br />
CHRISTIAN<br />
SU GIOIA 8C<br />
Boulder<br />
I blocchi di Varazze<br />
Spero che la gioia e la felicità che ho provato nello scoprire i<br />
blocchi di Varazze, possa essere sentita anche da chi verrà a salirli.<br />
Boschi, rocce, boulders che racchiudono storie di amici,<br />
fatiche e passione.<br />
Le prese raccontano gli sforzi degli scalatori che hanno lottato<br />
nel tentativo di tenerle.<br />
Linee sulla roccia, sembra quasi che qualcuno in chissà quale<br />
epoca si sia divertito a crearle, chi sa quando, e chi sa il motivo,<br />
forse semplicemente, perché altri un giorno potessero scalarle...<br />
Marco Bagnasco<br />
Sono trascorsi diversi anni<br />
da quando abbiamo cominciato<br />
a frequentare l’area blocchi<br />
nell’entroterra di Varazze,<br />
e grazie all’instancabile Marco,<br />
sono cambiate tante cose da<br />
allora. La sua passione ed entusiasmo<br />
lo ha spinto a continuare<br />
a cercare nuovi settori.<br />
Due o tre volte la settimana,<br />
in compagnia del suo cane<br />
Carlotta (diventata per tutti<br />
noi la mascotte del “team<br />
Varazze”) partiva, inoltrandosi<br />
nella fitta vegetazione del monte<br />
Beigua, alla ricerca di nuove<br />
rocce possibili da scalare. Ora,<br />
per merito suo, l’estensione del<br />
perimetro boulderistico è molto<br />
più vasta, dal 2001 ad oggi sono<br />
stati aggiunti settori nuovi,<br />
sempre più difficili da trovare,<br />
ma ora facili da raggiungere,<br />
grazie a sentieri puliti, all’utilizzo<br />
di cartelli di legno con<br />
riferimenti dettagliati. Questo<br />
prova che la Liguria non è “solo<br />
mare” e sarebbe importante<br />
se si riuscisse a sensibilizzare<br />
gli enti turistici a concentrare<br />
un po’ d’attenzione anche per<br />
tutte le attività possibili “alternative”<br />
da praticare nel parco<br />
e dintorni.<br />
Nel tempo moltissime persone<br />
provenienti da tutto il mondo<br />
sono venute a visitare queste<br />
zone, dall’ America, Australia,<br />
Canada, Giappone e dall’<br />
Europa, incuriosite da diversi<br />
video apparsi in internet, articoli<br />
o brevi recensioni su riviste.<br />
Quasi tutti venivano attratti<br />
soprattutto dall’incredibile linea<br />
di “Rampage”, la splendida<br />
prua apparsa su diverse riviste<br />
qualche anno fa, che ha reso famoso<br />
questo posto.<br />
Esistono altrettanti passaggi<br />
molto belli, però si trovano in<br />
zone meno conosciute perché<br />
più difficili da raggiungere.<br />
Inizialmente, per facilitare la<br />
comprensione di molti boulders<br />
nuovi abbiamo messo in<br />
rete alcune mappe con elencate<br />
la lista dei blocchi, però con<br />
la scoperta continua di linee<br />
nuove era spesso incompleta e<br />
in alcuni casi difficile da capire.<br />
Anche se ha richiesto molto<br />
tempo, la realizzazione di una<br />
guida dettagliata della zona era<br />
indispensabile.<br />
In alcuni periodi non facevamo<br />
tempo a finire di pulire un<br />
settore nuovo, che il nostro<br />
magico Marco ne faceva “apparire<br />
dal suo cappello cilindrico”<br />
subito un altro. Il lavoro è stato<br />
lungo e molto faticoso, quando<br />
si puliscono rocce capita spes-<br />
A cura di Stella Marchisio & Christian Core<br />
Boulder<br />
so di trovarsi in pochi, tutti<br />
Durante le “pulizie” non ab- punto di vista naturalistico che (nascita della catena alpina); in CHRISTIAN SU<br />
vogliono scalare, ma non molti<br />
biamo mai compreso il motivo geologico. Per la sua ricca geo- particolare si trovano metao-<br />
TEMUJIN 8B<br />
sono disposti a dedicare gior-<br />
dell’apparente diversità delle diversità, infatti il parco apparfioliti (le rocce verdi) e rocce di<br />
nate intere del proprio tempo<br />
rocce scoperte, capita spesso tiene agli “European Geoparks”. basamento polimetamorfico.<br />
libero ai “lavori forzati” senza<br />
di scalare su stili diversi, con Allora approfittiamo della sua Di conseguenza nei principali<br />
toccare una presa. Questo ha<br />
qualità e prese totalmente dif- competenza per svelare final- siti si possono trovare serpen-<br />
rallentato molto i tempi, ma<br />
ferenti a pochi metri di distanmente dopo tanti anni l’esatta tiniti, quando le prese sono dif-<br />
grazie all’unione e alla motivaza.<br />
Finalmente abbiamo sco- qualità della roccia spesso così ficili da tenere e sembra scivolizione,<br />
lentamente con costanvato<br />
tra i frequentatori locals, visibilmente diversa.<br />
no sempre; metagabbri, quando<br />
za siamo riusciti a continuare il<br />
la nostra Raffaella Cottalorda, Le parole di Raffaella: le rocce subito dopo il riscaldamento,<br />
lungo lavoro iniziato nel 2001.<br />
laureata in geologia, che ci ha presenti nell’area considerata, vediamo già il sangue sgorgare<br />
A volte si univano nuovi mem-<br />
messo a conoscenza dei det- collocano nella loro storia un dalle dita (grip assicurato!); mebri<br />
per aiutarci, provenienti un<br />
tagli. L’intera zona del Beigua evento fondamentale che ha tabasite: bella a vedersi e ad ar-<br />
po’ dappertutto, e l’aiuto dato è<br />
sempre stato molto gradito.<br />
fa parte di uno dei pochissimi<br />
parchi d’Europa protetti sia dal<br />
segnato la loro figura e composizione:<br />
l’orogenesi alpina<br />
rampicarci, che, spesso e volentieri,<br />
presenta prese e disegni 35
STELLA MARCHISIO<br />
SU ANUBI 8A<br />
STELLA<br />
SU RAMPAGE 8A<br />
Boulder<br />
assimilabili ad una roccia calcarea<br />
ed infine metasedimenti<br />
organizzati in gradoni che per<br />
questo ricordano il loro passato<br />
da rocce sedimentarie stratificate,<br />
dove troviamo taccone<br />
svase, “sbrilluccicanti” col sole<br />
(per la presenza di minerali del<br />
gruppo delle miche). Tradotto<br />
in parole semplici e scalatorie:<br />
roccia spesso compatta, aderente<br />
con una vasta diversità di<br />
prese, da tacche a piatti e raramente<br />
qualche buco. Buona<br />
parte dei siti sono su terreni<br />
privati, per rispetto abbiamo<br />
chiesto il permesso ai proprietari,<br />
e visto il lavoro costante di<br />
pulizia e mantenimento ci hanno<br />
consentito di frequentare<br />
i loro posti. Chiediamo a tutti<br />
quelli che verranno in futuro di<br />
rispettare l’ambiente affinché<br />
queste aree possano continuare<br />
ad essere “aperte” a tutti.<br />
Ogni passaggio è stato preparato<br />
mantenendo le prese<br />
come la natura le ha create,<br />
in passato abbiamo avuto episodi<br />
spiacevoli di persone che<br />
hanno volontariamente modificato<br />
gli appigli di alcune linee<br />
già precedentemente liberate.<br />
Questo accade da tempo in tut-<br />
to il mondo, ora dopo parecchi<br />
interventi sui siti internet di riferimento,<br />
si spera che la cultura<br />
boulderistica stia finalmente<br />
maturando, vogliamo sperare<br />
che episodi di questo genere<br />
non accadano più. Ogni modifica<br />
che viene fatta alle rocce<br />
rimane “per sempre”.<br />
Dopo tanti anni siamo riusciti finalmente<br />
a realizzare una guida<br />
completa di tutti i settori, anche<br />
quelli più difficili da raggiungere.<br />
È capitato più volte che gli<br />
stessi local non conoscevano la<br />
corretta locazione dei passaggi<br />
nuovi scoperti, e quando ci telefonavano<br />
dispersi nei boschi,<br />
per noi capire dove si trovavano<br />
e dire di conseguenza le giuste<br />
direzioni diventava sempre più<br />
complicato.<br />
Ora si possono trovare spesso<br />
indicazioni sui sentieri che<br />
portano alle aree, e nella guida<br />
abbiamo cercato di trascrivere<br />
più riferimenti possibili per impedire<br />
di perdersi. È stato un lavoro<br />
minuzioso, tutti i sentieri<br />
e le strade sono segnate, ogni<br />
lato dei massi è stato fotografato<br />
e una linea colorata indica<br />
la direzione del passaggio, inoltre<br />
alla partenza di ognuno, se<br />
la pioggia non l’ha cancellata<br />
troverete una piccola freccia<br />
nera che indica la posizione<br />
corretta di partenza. Ci sono<br />
aree che inizialmente avevano<br />
molti più passaggi, soprattutto<br />
nei settori meno conosciuti, nel<br />
tempo sono stati poco frequentati<br />
e la natura si è ripresa ogni<br />
singolo metro quadro di roccia<br />
e sentiero per raggiungerlo, così<br />
abbiamo rivisto tutti gli itinerari<br />
facendo una forte selezione<br />
e lasciando solo i boulders più<br />
belli e meno soggetti a mutamenti<br />
della vegetazione.<br />
Spesso i boschi sono molto fitti<br />
e dopo lunghi periodi di pioggia<br />
è possibile che qualche blocco<br />
ripresenti un sottile strato di<br />
muschio, consigliamo di portarvi<br />
sempre dietro uno spazzolino<br />
morbido che sarà sufficiente<br />
per riportarlo velocemente in<br />
perfette condizioni. Come per<br />
ogni guida d’arrampicata esistente,<br />
viene l’eterno dubbio<br />
dei gradi dati ai passaggi, nelle<br />
aree più frequentate si sono<br />
“stabilizzati” grazie all’opinione<br />
di molte persone, ovviamente<br />
al contrario, nei settori più<br />
lontani e scomodi rimangono<br />
ancora da consolidare, ma ri-<br />
cordate sempre che il grado<br />
perfettamente corretto non<br />
esiste, l’opinione data è sempre<br />
soggettiva e quindi “variabile”,<br />
bisogna considerarlo solo come<br />
riferimento puramente indicativo.<br />
Speriamo comunque di aver<br />
risolto il problema su possibili<br />
variazioni e novità, riportando<br />
ogni informazione sul sito di riferimento<br />
di Varazze: www.infoboulder.com/varazze.php<br />
Attualmente nella guida esistono<br />
600 passaggi selezionati distribuiti<br />
su 11 aree, divise in 25<br />
settori, ma siamo sempre stati<br />
convinti che questi boschi nascondano<br />
altri possibili blocchi,<br />
infatti altre 4 aree nuove sono<br />
state sviluppate ora arrivando<br />
a 820 boulders. Il lavoro continua...<br />
Per noi è stimolante continuare<br />
a cercare, scoprire nuovi passaggi,<br />
nuove prese da tirare,<br />
un gioco che mantiene alta la<br />
motivazione, e un motivo in più<br />
per ritrovarsi, condividere quel<br />
momento magico di provare linee<br />
nuove insieme, completa<br />
lo spirito in quello che facciamo.<br />
L’ente parco del Beigua,<br />
dopo avergli mostrato molti<br />
nostri video e foto, sono venuti<br />
di persona per rendersi conto<br />
del lavoro che è stato svolto<br />
in tutto questo tempo. Sono<br />
rimasti colpiti e soddisfatti,<br />
non immaginavano che potesse<br />
esistere una passione del<br />
genere e tanto meno si aspettavano<br />
un afflusso di scalatori<br />
così alto. Per questo ci hanno<br />
aiutato mandandoci 5 persone<br />
a pulire per 9 giorni il settore<br />
“Lilliput”, trasformandolo in<br />
un “giardino”, rendendolo uno<br />
dei posti più belli per scalare,<br />
con tantissimi passaggi in più.<br />
In uno dei settori “La cava” ci<br />
sono stati grossi problemi con i<br />
proprietari dei terreni che hanno<br />
giustamente manifestato lamentele<br />
nei confronti di alcuni<br />
frequentatori poco rispettosi,<br />
ingombravano il passaggio con<br />
i loro mezzi, lasciavano spazzatura<br />
in giro, accendevano fuochi<br />
vicino ai massi (ricordate che ci<br />
si trova in un bosco spesso pieno<br />
di foglie e il rischio incendi<br />
in Liguria è molto alto).<br />
Dopo questo periodo di inciviltà<br />
abbiamo rischiato la chiusura<br />
del settore, poi Marco è andato<br />
di persona a parlargli convincendoli<br />
a cambiare idea, ma se<br />
ci saranno altri comportamenti<br />
simili in futuro non ci daranno<br />
un’ulteriore possibilità. In qualunque<br />
settore andiate, parcheggiate<br />
sempre fuori dagli<br />
spazi privati e non recate danni<br />
o disturbo ai proprietari in al-<br />
cun modo. Tutti i terreni dove si<br />
arrampica sono privati, o fanno<br />
parte del parco, quindi siamo<br />
sempre ospiti in casa d’altri.<br />
Senza il lavoro puntiglioso di<br />
Marco molto probabilmente non<br />
esisterebbe nulla tra queste<br />
valli, solo una fitta giungla che<br />
avrebbe continuato a nascondere<br />
un potenziale sprecato e<br />
per noi boulderisti una piccola<br />
“ricchezza”.<br />
Varazze non ci ha soltanto regalato<br />
dei boulders, ma è stato<br />
un motivo per unirci e consolidare<br />
l’amicizia del gruppo, altrettanto<br />
importante ai molti<br />
passaggi realizzati insieme.<br />
Nel periodo della lavorazione<br />
della guida sono stati trovati<br />
molti nuovi massi meritevoli,<br />
cosa che ne ha rallentato ulteriormente<br />
la realizzazione.<br />
Siamo sicuri che il potenziale<br />
sia ancora da sfruttare, c’è ancora<br />
tanto da scoprire, molte<br />
rocce che attendono da tempo<br />
solo che qualche boulderista<br />
vada a scovarle, sono tutte li<br />
fuori che aspettano, ne siamo<br />
sicuri.<br />
36 37<br />
Boulder<br />
(IN ALTO A SIN.)<br />
CHRISTIAN<br />
SU TAI LUNG 8A<br />
(SOPRA)<br />
STELLA<br />
SU EXCALIBUR 7C<br />
(A LATO)<br />
STELLA<br />
SU NATO CATTIVO 7B
38<br />
Montagne di ieri<br />
La bibliothèque<br />
populaire de la Ville<br />
de Chambéry<br />
SOPHIE MANAVELLA-CUÉNOT<br />
Traduction d’Anna Maria Foli<br />
des bibliothèques populaires<br />
françaises est liée à celle de la lecture<br />
publique. Elle prend son origine dans<br />
L’histoire<br />
la philosophie des Lumières au XVIIIe siècle mais n’a vu sa réalisation concrète que<br />
sous le Second Empire.<br />
Après la Révolution française, des dépôts de livres,<br />
issus des confiscations des biens du clergé<br />
et des émigrés, sont confiés aux villes En 1804<br />
La Biblioteca popolare<br />
della città di Chambéry<br />
La storia delle biblioteche popolari francesi<br />
è legata a quella della lettura pubblica.<br />
La sua origine risale alla filosofia dell’Illuminismo<br />
del XVIII secolo, anche se si è<br />
realizzata solo durante il Secondo Impero.<br />
Dopo la Rivoluzione francese, alcuni depositi<br />
di libri, derivati da confische di beni del clero<br />
e degli emigrati, vengono affidati alle città. Nel<br />
1804 un decreto esonera lo stato dalla responsabilità<br />
di tali fondi, che rimangono comunque<br />
di sua proprietà. È nata in questo modo l’idea<br />
di «biblioteca municipale». Lo scopo è favorire<br />
l’accesso delle classi lavoratrici al sapere e alla<br />
cultura, creando quelle che all’epoca vengono<br />
chiamate biblioteche comunali. [...]<br />
Tuttavia questi primi fondi di biblioteche erano<br />
costituiti da un insieme di libri di erudizione e<br />
di teologia provenienti non solo dalle confische<br />
rivoluzionarie, ma anche da «collezioni letterarie»<br />
e da donazioni di notabili. Queste strutture<br />
un décret signe le désengagement de l’État qui<br />
reste cependant propriétaire des fonds. Ainsi<br />
l’idée de « bibliothèque municipale » est née. Il<br />
s’agit notamment de donner aux classes laborieuses<br />
l’accès au savoir et à la culture en créant<br />
ce qui s’appelle alors les bibliothèques communales.<br />
[...]<br />
Cependant ces premiers fonds de bibliothèques<br />
ont été constitués par une masse de livres d’éru-<br />
dition et de théologie provenant non seulement<br />
des confiscations révolutionnaires mais aussi de<br />
« dépôts littéraires » ou de dons de notables.<br />
Ces structures n’étaient pas destinées au grand<br />
public. Et les villes tardent à les leur ouvrir car<br />
elles restent soumises à leur mission de conservation<br />
de collections remarquables qu’elles destinent<br />
à un choix d’érudits : on parle plutôt de<br />
« bibliothèques d’études », la lecture publique<br />
restant liée à l’idée d’instruction.<br />
Dès la monarchie de Juillet (1830-1848), qui<br />
a transféré la responsabilité des bibliothèques<br />
au Ministère de l’Instruction publique (1839),<br />
de multiples réseaux se mettent en place pour<br />
répondre à la question de l’instruction du peuple<br />
et de son accès à l’information. Ainsi le<br />
Second Empire voit les bibliothèques se développer<br />
dans deux nouvelles directions : les bibliothèques<br />
scolaires et les actions de propagande<br />
pour la lecture populaire poursuivies par<br />
des associations (ayant souvent des objectifs<br />
moralisateurs et didactiques) comme la Société<br />
Franklin et la Ligue de l’enseignement. Ce sont<br />
ces dernières qui feront naître les bibliothèques<br />
populaires. On compte à la fin du XIX e siècle<br />
3000 bibliothèques nommées « populaires »<br />
dans les écrits officiels, axées sur la communication<br />
et le prêt, et qui ont accepté l’aide et le<br />
contrôle de l’État. L’essor de ces bibliothèques<br />
populaires va « accompagner la laïcisation de la<br />
non erano destinate al grande pubblico, e le città<br />
tardano a renderle disponibili, continuando<br />
a restare fedeli alla missione di conservazione<br />
di collezioni di valore riservate a una cerchia<br />
esclusiva di eruditi: si parla piuttosto di «biblioteche<br />
di studi», in quanto la lettura pubblica restava<br />
legata all’idea di istruzione.<br />
A partire dalla Monarchia di Luglio (1830-1848),<br />
durante la quale la responsabilità delle biblioteche<br />
viene affidata al ministero dell’Istruzione<br />
pubblica (1839), prendono il via molteplici iniziative<br />
per far fronte alla questione dell’istruzione<br />
del popolo e del suo accesso all’informazione.<br />
Quindi durante il Secondo Impero le biblioteche<br />
si sviluppano in due nuove direzioni: le biblioteche<br />
scolastiche e le azioni di propaganda per la<br />
lettura pubblica sostenute da alcune associazioni<br />
(che spesso avevano obiettivi moralizzatori<br />
e didattici), come la Société Franklin e la Ligue<br />
de l’enseignement (Lega dell’insegnamento).<br />
Saranno queste ultime a determinare la nascita<br />
delle biblioteche popolari. Alla fine del XIX<br />
secolo si contano 3000 biblioteche chiamate<br />
«popolari» nei documenti ufficiali, basate sulla<br />
comunicazione e sul prestito e che hanno accettato<br />
l’aiuto e il controllo statale. Il successo<br />
di queste biblioteche popolari «accompagnerà<br />
société et le développement de la scolarité, apportant<br />
à tous l’accès aux savoirs élémentaires<br />
» (Pallier, 2006).<br />
C’est donc dans la deuxième moitié du XIX e<br />
siècle que se développe vraiment la lecture publique<br />
telle qu’on la connaît aujourd’hui, avec<br />
des bibliothèques municipales ayant des professionnels<br />
en poste et un principe de prêt à<br />
domicile de documents acquis sur un budget<br />
communal.<br />
la laicizzazione della società e lo sviluppo della<br />
scolarizzazione, permettendo a tutti l’accesso<br />
alle conoscenze elementari» (Pallier, 2006).<br />
È quindi nella seconda metà del XIX secolo che<br />
si sviluppa veramente la lettura pubblica come<br />
la conosciamo oggi, con biblioteche municipali<br />
gestite da professionisti e il principio del prestito<br />
a domicilio di documenti acquisiti a spese del<br />
comune.<br />
La biblioteca pubblica contemporanea assume<br />
molteplici missioni che precedentemente appartenevano<br />
a strutture molto diverse. [...]<br />
La storia della Biblioteca Popolare di Chambéry<br />
si inserisce in queste grandi tappe della storia<br />
della lettura e delle biblioteche pubbliche in<br />
Francia. Comprendere le varie fasi di creazione<br />
della Biblioteca Popolare di Chambéry implica<br />
la necessità di considerare non solo questa<br />
evoluzione, ma anche la particolare storia della<br />
Savoia, riunita alla Francia nel 1860.<br />
In Francia, a partire dal 1880, la lettura diventa<br />
un «fattore importante dell’economia e della<br />
cultura», in particolare con il grandissimo sviluppo<br />
della stampa, che fa del libro un prodotto<br />
commerciale visto come una fonte di guadagno.<br />
Soprattutto perché, inoltre, l’ideologia repubblicana<br />
unisce biblioteca pubblica e scuola<br />
39
40<br />
Montagne di ieri<br />
La bibliothèque publique contemporaine assume<br />
des missions multiples qui étaient auparavant<br />
le fait de structures très diverses. [...]<br />
L’histoire de la Bibliothèque Populaire de<br />
Chambéry, créée en 1873, s’inscrit dans ces<br />
grandes étapes de l’histoire de la lecture et des<br />
bibliothèques publiques en France. Comprendre<br />
le processus de création de la Bibliothèque<br />
Populaire de Chambéry implique donc de prendre<br />
en compte non seulement cette évolution,<br />
mais également l’histoire particulière de la<br />
Savoie, réunie à la France en 1860.<br />
En France, dès 1880, la lecture devient un «<br />
enjeu économique et culturel » avec notamment<br />
l’explosion de la production imprimée qui<br />
fait du livre un produit commercial lucratif. Et<br />
surtout parce que l’idéologie républicaine unit<br />
dans un même projet de rénovation sociale la<br />
bibliothèque publique et l’école publique, l’école<br />
devenant obligatoire et la maîtrise de la lecture<br />
un outil de développement social. C’est le 28<br />
mars 1882 que Jules Ferry propose la loi relative<br />
à l’obligation et à la laïcité de l’enseignement.<br />
Cependant, il y a un gouffre entre les objectifs<br />
de l’État et les résultats. Tout d’abord en raison<br />
des carences publiques en matière de crédits,<br />
les bibliothèques publiques émargent à la fois<br />
aux budgets des communes et de l’instruction<br />
publique. La France est ensuite majoritairement<br />
rurale, ceci entraînant des querelles locales de<br />
pubblica in un unico progetto di rinnovamento<br />
sociale, in quanto la scuola diventa obbligatoria<br />
e la padronanza della lettura uno strumento di<br />
sviluppo sociale. Il 28 marzo 1882 Jules Ferry 1<br />
propone la legge relativa all’obbligo e alla laicità<br />
dell’insegnamento.<br />
Tuttavia c’è un abisso tra gli obiettivi dello stato<br />
e i risultati ottenuti. A causa soprattutto delle ca-<br />
pouvoir entre instituteurs, curés et élus locaux<br />
et de fait entre les bibliothèques populaires, scolaires<br />
et paroissiales. Enfin, le système scolaire<br />
dont hérite la III e République est une institution<br />
bien en place mais sans corps professionnel de<br />
bibliothécaires.<br />
Face à ces problèmes structurels qui retardent<br />
la création des bibliothèques publiques municipales,<br />
les bibliothèques populaires trouvent<br />
toute leur légitimité, et à Chambéry la mission<br />
première de cette structure est « l’instruction du<br />
peuple ».<br />
La situation particulière de la Savoie sous le<br />
Second Empire, liée à son rattachement à la<br />
France en 1860, a ralenti la révolution industrielle<br />
locale. L’artisanat, le commerce et l’agriculture<br />
gardent une<br />
place prépondérante dans la vie économique<br />
savoyarde [...].<br />
Aussi de 1870 à 1914, les notables locaux restent<br />
les catégories dirigeantes. Dans le nouvel<br />
ordre social (après la disparition des trois ordres<br />
: Noblesse, Clergé et Tiers-État) on constate une<br />
redistribution des pouvoirs. Mais tous, notables,<br />
bourgeois, travailleurs, vont œuvrer pour mettre<br />
en place un idéal laïque et républicain. [...]<br />
Désormais la culture des notables dispose d’outils<br />
d’influence dont le plus pertinent est l’école. On<br />
ne peut que constater l’ambiguïté de la société<br />
républicaine qui propose des mutations tout en<br />
renze pubbliche in materia di crediti, le biblioteche<br />
pubbliche vengono finanziate sia dai comuni<br />
che dall’istruzione pubblica. Inoltre la Francia è<br />
in maggioranza un paese rurale, e questo determina<br />
dispute locali di potere tra istitutori, curati<br />
ed eletti locali e di fatto tra biblioteche popolari,<br />
scolastiche e parrocchiali. Infine, il sistema scolastico<br />
che eredita la Terza Repubblica è un’istituzione<br />
ben organizzata, ma priva di un personale<br />
di bibliotecari professionisti.<br />
Di fronte a questi problemi strutturali che fanno<br />
ritardare la creazione di biblioteche pubbliche<br />
municipali, le biblioteche popolari trovano una<br />
completa legittimità, e a Chambéry la missione<br />
principale di questa struttura è «l’istruzione del<br />
popolo».<br />
La situazione particolare della Savoia durante il<br />
Secondo Impero, dovuta alla riannessione alla<br />
Francia nel 1860, ha rallentato la rivoluzione<br />
industriale locale. L’artigianato, il commercio e<br />
l’agricoltura conservano un ruolo preponderante<br />
nella vita economica savoiarda. [...] Dal 1870<br />
al 1914, di conseguenza, i notabili locali continuano<br />
a costituire la categoria dirigente. Nel<br />
nuovo ordine sociale (dopo la scomparsa dei tre<br />
ordini: nobiltà, clero e terzo stato) si constata<br />
una ridistribuzione dei ruoli. Tutti, però, nota-<br />
conservant une structure relativement traditionnelle<br />
ne modifiant que partiellement les équilibres<br />
en place. L’école primaire, gratuite, oriente<br />
les enfants des classes populaires vers le certificat<br />
d’études puis « naturellement » vers le monde<br />
du travail. Ainsi l’idéal laïc passe par l’éducation<br />
de la masse laborieuse et l’instruction des filles.<br />
N’oublions pas que les missions principales de<br />
l’école de Jules Ferry étaient : généraliser l’usage<br />
du français (provoquant la disparition des dialectes<br />
locaux), diffuser la morale républicaine<br />
(laïcité) et développer les savoirs fondamentaux<br />
(lire, écrire et calculer). On cherchait à faire naitre<br />
des citoyens républicains, à même de voter,<br />
dans les milieux populaires par le développement<br />
de l’éducation et les bibliothèques populaires<br />
étaient des outils efficaces.<br />
À Chambéry, la lecture populaire se développe<br />
sous l’impulsion de la Société savoisienne d’histoire<br />
et d’archéologie (SSHA) et de l’un de ses<br />
membres M. Carret. Dans la séance du 4 décembre<br />
1872, Jules Carret parle des services que<br />
rendrait à la classe ouvrière la création d’une<br />
bibliothèque circulante. Un local et des hommes<br />
de bonne volonté pourraient facilement être<br />
trouvés. La ville accorderait des vitrines, un appel<br />
serait fait par la Société pour collecter de<br />
nombreux dons de livre. À cette époque, il existe<br />
déjà à Chambéry une Bibliothèque municipale<br />
[...], mais cette bibliothèque est cependant ré-<br />
bili, borghesi e lavoratori, opereranno al fine di<br />
realizzare un ideale laico e repubblicano. [...]<br />
Ormai la cultura dei notabili dispone di strumenti<br />
atti a questo scopo, tra cui il più pertinente è la<br />
scuola. Non si può fare a meno di notare l’ambiguità<br />
della società repubblicana, che propone<br />
cambiamenti pur conservando una struttura<br />
relativamente tradizionale, modificando solo<br />
parzialmente gli equilibri esistenti. La scuola<br />
primaria, gratuita, orienta i bambini provenienti<br />
dalle classi popolari verso il certificato di studi e<br />
poi, «naturalmente», verso il mondo del lavoro.<br />
L’ideale laico, quindi, si realizza attraverso l’educazione<br />
della massa lavoratrice e l’istruzione delle<br />
ragazze. Non dimentichiamo che le missioni<br />
principali della scuola di Jules Ferry erano l’uso<br />
generalizzato del francese (con la conseguente<br />
scomparsa dei dialetti locali), la diffusione della<br />
morale repubblicana (laicità) e lo sviluppo delle<br />
conoscenze fondamentali (leggere, scrivere,<br />
e contare). Lo scopo era cercare di far nascere<br />
negli ambienti popolari dei cittadini repubblicani<br />
in grado di votare per mezzo dello sviluppo<br />
dell’educazione; le biblioteche rappresentavano<br />
strumenti utili per realizzare questo obiettivo.<br />
A Chambéry, la lettura popolare si sviluppa grazie<br />
all’impulso della Société Savoisienne d’Hi-<br />
Montagne di ieri<br />
servée à un public d’érudits et de chercheurs.<br />
M. Carret est franc-maçon, membre de la loge<br />
l’Espérance Savoisienne. La Bibliothèque<br />
Populaire chambérienne a commencé à se<br />
constituer pendant une période d’affaiblissement<br />
des loges entre 1870 et 1877 la nouvelle<br />
stoire et d’Archéologie (SSHA) e di uno dei suoi<br />
membri, Jules Carret. Nella seduta del 4 dicembre<br />
1872, questi parla dei vantaggi che porterebbe<br />
la creazione di una biblioteca circolante<br />
per la classe operaia. Non sarebbe stato difficile<br />
trovare un locale e alcune persone di buona<br />
volontà. La città avrebbe concesso delle librerie<br />
con vetrine, la Société avrebbe fatto un invito<br />
per raccogliere le donazioni di libri. In quell’epoca<br />
a Chambéry esisteva già una biblioteca<br />
municipale, [...] riservata però a un pubblico di<br />
eruditi e ricercatori.<br />
Carret è un massone, membro della loggia<br />
Espérance Savoisienne. La biblioteca popolare<br />
di Chambéry ha iniziato a costituirsi durante un<br />
periodo di indebolimento delle logge, tra il 1870<br />
e il 1877: la nuova repubblica francese sostenuta<br />
dai massoni era fragile e le istituzioni che si<br />
interessavano di politica erano molto sorvegliate<br />
o addirittura proibite, come accadde per le<br />
logge della Savoia.<br />
Anche se l’iniziativa per la creazione di questa<br />
biblioteca non deriva direttamente dai massoni,<br />
comunque alla sua origine troviamo personalità<br />
facenti parte della massoneria. [...] Politica e<br />
umanesimo erano molto collegati e Jules Carret,<br />
membro dell’amministrazione comunale, si<br />
41
42<br />
Montagne di ieri<br />
République française soutenue par les francsmaçons<br />
était fragile et les institutions qui se mêlaient<br />
de politique étaient très surveillées voire<br />
interdites, ce fut le cas des loges savoyardes.<br />
Si l’initiative de cette bibliothèque n’est donc pas<br />
une émanation directe des francs-maçons, ce<br />
sont cependant des personnalités engagées en<br />
franc-maçonnerie qui ont été à son origine.[...]<br />
Politique et humanisme étaient très imbriqués<br />
et Jules Carret, membre de la municipalité, se<br />
sentait profondément impliqué dans la cause<br />
populaire, il souhaitait améliorer la condition<br />
ouvrière. Pour lui « la politique est l’affaire<br />
de tous : pour que chacun puisse remplir ses<br />
devoirs, il faut développer l’enseignement primaire<br />
laïc gratuit et obligatoire pour les filles et<br />
les garçons ». Avec la Bibliothèque circulante<br />
pour outil.<br />
C’est dans son édition du 10 janvier 1873 que<br />
Le Patriote Savoisien annonce la fondation à<br />
Chambéry, d’une bibliothèque circulante par<br />
la Société d’histoire et d’archéologie. Le secrétaire<br />
de la commission d’initiative pour la<br />
Bibliothèque Populaire circulante, M. le Baron<br />
de Ponnat, [...] explique que le projet s’inscrit<br />
dans un mouvement plus large et national de «<br />
progrès de l’instruction » [...] et insiste sur son<br />
objectif qui est de « procurer des moyens d’instruction<br />
à ceux qu’un certain genre de vie tient<br />
éloignés des centres d’études ».<br />
sentiva profondamente coinvolto nella causa<br />
popolare, si augurava di poter migliorare la<br />
condizione degli operai [...]. Per lui «la politica<br />
riguarda tutti: affinché ognuno possa compiere<br />
i suoi doveri occorre sviluppare l’insegnamento<br />
primario laico gratuito e obbligatorio per bambini<br />
e bambine». La biblioteca circolante era<br />
uno strumento per realizzare tutto questo.<br />
Nell’edizione del 10 gennaio 1873 Le Patriote<br />
Savoisien 2 annuncia la fondazione a Chambéry<br />
di una biblioteca circolante da parte della Société<br />
Savoisienne d’histoire et d’archéologie. Il segretario<br />
della commissione organizzativa della biblioteca<br />
popolare circolante, il Barone di Ponnat,<br />
[...] spiega che il progetto si inserisce in un movimento<br />
più ampio e nazionale di «progresso dell’istruzione»,<br />
[...] e insiste sul suo obiettivo, che<br />
è quello di «procurare dei mezzi di istruzione<br />
a coloro che a causa di un certo genere di vita<br />
rimangono lontani dai centri di studi».<br />
A quel tempo per «biblioteca circolante» si intende<br />
una biblioteca in cui i testi vengono dati in<br />
prestito, in opposizione alla struttura municipale<br />
dell’epoca che era una biblioteca dedicata allo<br />
studio. Quindi Le Patriote Savoisien precisa: «La<br />
grande biblioteca della città di Chambéry non<br />
è accessibile a tutti [...]. Inoltre il regolamento<br />
On entend alors par « bibliothèque circulante »<br />
bibliothèque de prêt, en opposition à la structure<br />
municipale de l’époque qui était une bibliothèque<br />
d’étude. Ainsi Le Patriote Savoisien<br />
précise : « la grande bibliothèque de la ville de<br />
Chambéry n’est pas accessible à tous. [...].En<br />
outre le règlement défend de laisser sortir les livres,<br />
[...] cette bibliothèque est inabordable pour<br />
un grand nombre de personnes et surtout pour<br />
les ouvriers ; elle n’est pas populaire, puisque<br />
la majorité du public n’en peut profiter, et n’est<br />
pas circulante, puisque les livres ne peuvent être<br />
emportés ni circuler au-dehors » (1873).<br />
Le conseil municipal prend en considération le<br />
projet (SSHA, 1873, n° 14, p. XIII) le 19 mars 1873<br />
[...] Et le 7 avril 1873, il alloue un crédit de 600 F<br />
pour son organisation et a « même offert une des<br />
salles de la maison des écoles laïques pour l’installation<br />
de cette bibliothèque ». L’établissement<br />
sera effectif le 8 juillet 1873 [...].<br />
À ses origines, la Bibliothèque Populaire circulante<br />
était donc statutairement affiliée à la SSHA<br />
et en tant qu’organisme culturel, soumis à l’autorité<br />
du Préfet et au ministère de l’Instruction<br />
publique et des Cultes. La Ville de Chambéry<br />
avait également autorité sur cette organisation<br />
et participait financièrement et matériellement<br />
à son fonctionnement. Idéologiquement parlant<br />
elle était portée par l’idéal laïque et l’appui de la<br />
franc-maçonnerie.<br />
vieta di far uscire i libri, [...] questa biblioteca<br />
è inavvicinabile da un gran numero di persone<br />
e soprattutto dagli operai; non è popolare,<br />
perché la maggioranza del pubblico non può<br />
approfittarne, e non è circolante perché i libri<br />
non possono essere presi in prestito e circolare<br />
all’esterno» (1873).<br />
Il consiglio municipale prende in considerazione<br />
il progetto il 19 marzo 1873 [...] e il 7 aprile concede<br />
un credito di 600 franchi per l’organizzazione,<br />
offrendo anche «una delle sale della casa<br />
delle scuole laiche per l’insediamento di questa<br />
biblioteca». Lo stabilimento diventerà effettivo<br />
l’8 luglio 1873. [...]<br />
In origine, quindi, la biblioteca popolare circolante<br />
era saldamente affiliata alla SSHA e, in<br />
quanto organismo culturale, sottomessa all’autorità<br />
del prefetto e al ministero dell’istruzione<br />
pubblica e dei culti. Anche la città di Chambéry<br />
aveva autorità su questa organizzazione e partecipava<br />
finanziariamente e materialmente al<br />
suo funzionamento. Ideologicamente parlando,<br />
era sorretta dall’ideale laico e dall’appoggio della<br />
massoneria.<br />
(Note)<br />
1 Primo ministro francese dal 1880 al 1881 e dal 1883 al 1885.<br />
2 Giornale d’opposizione fondato nel 1848 che tratta argomenti<br />
di politica, industria, commercio, agricoltura e letteratura.<br />
Cuori impavidi<br />
L’ invenzione<br />
delle razze<br />
WILLIAM WALLACE<br />
un ordinario delirio del sabato sera,<br />
la volgarità televisiva imperante,<br />
l’ignoranza di ritorno, i movimenti C’è<br />
populisti di una nuova inciviltà occidentale.<br />
La cosa più preoccupante è, però, questo inventarsi<br />
sempre nuovi confini e nuove guerre, molte<br />
delle quali vengono definite etniche, come se<br />
il passato nulla ci avesse insegnato.<br />
Per i biologi è, però, soprattutto un errore concettuale,<br />
perché il genere umano è uno solo, al<br />
di là delle differenze, e ce lo dicono i geni.<br />
Il concetto di razza non corrisponde infatti ad<br />
alcuna entità scientificamente riconosciuta ed<br />
è inutile per comprendere le basi delle nostre<br />
differenze biologiche e culturali.<br />
Ci dicono che le nostre identità possono essere<br />
difese solo difendendo il nostro territorio contro<br />
l’invasione dei portatori di identità diverse.<br />
Qualcuno sostiene che gli scienziati non vogliono<br />
sentir parlare di razze per motivi politici, o<br />
perché chiusi nei loro laboratori, altri ritengono<br />
che accettare le differenze razziali porterebbe<br />
benefici medici, sociali e perfino estetici.<br />
Il peggio è che non c’è mai uno straccio di prova,<br />
o argomento scientifico per siffatti ragionamenti,<br />
ma la gente, magari giustamente preoccupata<br />
del futuro, della sicurezza e dell’economia, ci<br />
crede e, se non lo dice, a volte lo pensa.<br />
Sono passati solo cinquant’anni da quando i<br />
neri di Montgomery in Alabama decisero di<br />
boicottare gli autobus finché non gli fosse stato<br />
permesso di sedersi dove volevano; pochi anni<br />
sono trascorsi dalla caduta del regime sudafricano<br />
di segregazione razziale.<br />
Invero, la parola razza non identifica alcuna<br />
realtà biologica riconoscibile nel Dna della nostra<br />
specie e perciò non c’è nulla di genetico<br />
nelle identità etniche, o culturali, come le conosciamo<br />
oggi.<br />
Le razze ce le siamo inventate, le abbiamo prese<br />
sul serio per secoli, ma sarebbe ora di lasciarle<br />
perdere.<br />
Siamo tutti parenti e tutti differenti. Siamo sei<br />
miliardi e mezzo sulla Terra, ma fino ai primi<br />
dell’Ottocento eravamo meno di un miliardo, e<br />
duemila anni fa eravamo circa 150 milioni.<br />
Ognuno di noi ha due genitori, quattro nonni<br />
ed otto bisnonni, i trisavoli erano 16 e così via.<br />
Questo vuol dire che dieci generazioni fa (duecentocinquanta<br />
anni or sono) ognuno aveva<br />
1.024 antenati, ciascuno dei quali aveva un migliaio<br />
di antenati 250 anni prima.<br />
Studiosi come Guido Barbujani hanno fatto conti<br />
secondo i quali ciascuno di noi discenderebbe<br />
da un milione di antenati vissuti al tempo<br />
di Cristoforo Colombo, da un milione di milioni<br />
di antenati nell’anno 1000 e parecchi miliardi<br />
all’epoca di Cristo. In realtà non è possibile e<br />
questi sono solo antenati virtuali, perchè i matrimoni<br />
tra consanguinei restringono il numero<br />
di antenati. Infatti, affinché la nostra genealogia<br />
possa stare dentro ai limiti della popolazione<br />
umana delle varie epoche significa che moltissime<br />
delle unioni da cui attraverso i millenni deriviamo,<br />
sono unioni tra consanguinei, discendenti<br />
da antenati comuni.<br />
Il che vuol dire che molti degli antenati erano<br />
comuni alle varie popolazioni e che le razze sono<br />
un’invenzione: sbagliata e da superare al più<br />
presto.<br />
43
FOTO DELLA<br />
TRAVERSATA<br />
DI BEPPE BORIONE<br />
44<br />
Sci<br />
Un nuovo<br />
comprensorio<br />
sciistico<br />
in Savoia<br />
BEPPE BORIONE<br />
Termignon, ridente località dell’Alta<br />
Savoia, dallo scorso anno si è unita al<br />
comprensorio sciistico della Val Cenis<br />
(Vanoise). Sapendo quanto abbiano preso<br />
piede le traversate in pista, per chi non si sente<br />
di fare sci-alpinismo, questo nuovo comprensorio<br />
offre un giro di tutto rilievo che permette di<br />
raggiungere cinque località di fondovalle diverse,<br />
tra loro collegate (Termignon, Lanslebourg, Les<br />
Champs, Lanslevillard e Le Haut).<br />
Proponiamo una delle tante traversate possibili<br />
(andata e ritorno per piste diverse).<br />
Da Termignon iniziare la giornata salendo con<br />
la seggiovia (télésiège) a 4 posti della Girarde<br />
che porta alla partenza della seconda seggiovia<br />
Rochers Blanches. Da qui prendere a sinistra la<br />
pista Flambeau per raggiungere l’arrivo della<br />
seggiovia a sei posti della Turra. Alcuni sciatori<br />
scendono in seggiovia per evitare la piacevole<br />
ma quasi piana pista “Traverse” che termina in<br />
fondo alla vallata a Lanslebourg (seconda località<br />
che si tocca nella piacevole traversata) dove lo<br />
skilift (téléski) della Madeleine conduce in piano<br />
alla partenza della seggiovia Ramasse. Da qui per<br />
pista Bleu scendere alla partenza della seggiovia<br />
Arcellins II. Salire su tale impianto e prendere<br />
la pista Bleu “Vers la Berche” fino alla partenza<br />
dello skilift de la Tomba. Non salirlo. Continuare<br />
invece in discesa per la Pista “Familiale” fino a<br />
quando essa non incontra la Pista “Chamois” che<br />
scende congiungendosi alla pista “Pré Novel” a<br />
Les Champs. Abbiamo toccato così tre delle<br />
cinque località che andremo a visitare. Da qui<br />
con la breve e vecchia seggiovia a due posti Pré<br />
Novel (nome della pista prima discesa) unirsi<br />
con la pista “Alpages”, che congiungendosi con<br />
varie piste minori scende a Lanslevillard (quarta<br />
stazione toccata nella traversata). Da qui salire<br />
con la cabinovia (télécabine) Vieux Moulin per<br />
scendere su pista Bleu fino a congiungersi con<br />
la pista verde “Terres Grasses” che conduce a<br />
“Le Haut”, che è il punto estremo e opposto a<br />
Termignon (quinta e ultima località su cui si può<br />
scendere). Siamo a metà percorso (circa 3 ore<br />
tra sci e trasferimenti con gli impianti). Qui vi<br />
sono diversi piccoli chalet per un veloce spuntino.<br />
In andata abbiamo sciato su tutta la parte<br />
bassa degli impianti per toccare tutte e cinque le<br />
località inserite nel percorso. Si tornerà ora per<br />
una via totalmente diversa, andando a toccare<br />
gli impianti alti del comprensorio, con un anello<br />
sciistico di prim’ordine. Da Le Haut risalire con<br />
l’ovovia “Val Cenis Le Haut” fino alla partenza<br />
della seggiovia a sei posti dell’Arcelle. La digressione<br />
allo skilift Plan Cardinal è facoltativa.<br />
Occorre invece, per continuare la traversata di<br />
rientro, scendere per le piste Rhodos e Fema alla<br />
partenza della seggiovia a sei posti del Solert.<br />
All’arrivo scendere a destra per il breve raccordo<br />
che condurrà alla partenza della seggiovia a<br />
4 posti di Met. Tale impianto permetterà di salire<br />
nel punto più elevato di tutto il vasto comprensorio<br />
a quota 2800 metri, con stupenda vista sul<br />
lago del Moncenisio e sulle montagne adiacenti<br />
(rosa dei venti con i nomi di tutte le montagne<br />
circostanti). Da qui a destra in un largo canale<br />
si compie una traversata che conduce a una<br />
deviazione a destra: (nome della pista: “Vers le<br />
Mont Cenis”), “pista nera”, solo perché è stretta,<br />
ma in realtà nella parte bassa è una stradina di<br />
collegamento che porta alla partenza dello skilift<br />
Mont Cenis. Risalito il quale ci si troverà proprio<br />
a ridosso del Colle del Moncenisio (lato francese).<br />
Muovendo a destra in direzione di un vec-<br />
Rubrica<br />
chio skilift disattivato, scendere nei pressi della<br />
malga che d’estate vende i formaggi tipici della<br />
zona sulla strada del valico (Pista Goulet). Una<br />
fantastica discesa per la pista rossa “Ramasse”<br />
condurrà direttamente a Lanslebourg saltando<br />
le altre località prima toccate. Da qui prendere<br />
la nuova seggiovia a sei posti della Turra che<br />
insieme alla seconda seggiovia a 4 posti della<br />
“Sources” sono i due nuovi impianti che hanno<br />
permesso a Termignon di unirsi alla Val Cenis.<br />
Restano ora solo più da salire i due skilift del<br />
comprensorio di Termignon, lasciati per ultimi.<br />
Il primo che s’incontra scendendo a destra dalla<br />
“Sources” per la pista Flambeau è lo skilift du<br />
Gran Coin. All’arrivo per la stupenda pista rossa<br />
della “Petite Combe” ci si porta alla partenza<br />
dell’ultimo skilift della giornata: “Lac”. In cima,<br />
se si vuole scendere sul lato estremo di partenza<br />
oltre il quale non esistono più né impianti né<br />
piste, occorre scendere per la pista panoramica<br />
“Bleu du Lac” in cui è compreso il nome del colore<br />
di difficoltà della medesima (blu). Consiglio<br />
vivamente di unirsi in un elettrizzante finale alla<br />
pista rossa “Bois du Coq” che porta alla pista blu<br />
“Girarde”. Essa scende a incrociare la pista per<br />
principianti “Petits Loups” nell’estrema parte<br />
destra di Termignon in corrispondenza di due<br />
skilift per principianti (Tannes e Marmottons)<br />
che faranno concludere nel migliore dei modi<br />
questa giornata di sci totale (3 ore e 30 minuti<br />
per il rientro) con una sciata totale di 6 ore e 30<br />
minuti distribuita nell’arco della giornata, senza<br />
considerare eventuali code alle partenze degli<br />
impianti. Ultima considerazione: questo nuovo<br />
modo di concepire lo sci da pista permette agli<br />
appassionati di divertirsi sulla neve, muovendosi<br />
in terreni sempre diversi. Vi sono comprensori<br />
così vasti per i quali occorrono due giorni<br />
per toccare i loro lati estremi e fare ritorno il<br />
giorno dopo alla partenza: Corchevel-Les Trois<br />
Vallées, Avoriaz, Verbier, la nostra Via Lattea da<br />
Monginevro a Pragelato e ritorno, le Dolomiti<br />
per le quali occorrono addirittura 4 giorni per<br />
percorrerle tutte. E ancora le traversate fattibili<br />
in giornata come: Giro del Monte Rosa, Vallée<br />
Blanche (non servita da impianti intermedi),<br />
Cervinia - Zermatt, etc). Non sarà sciare in fuori<br />
pista ma è un comodo compromesso per divertirsi<br />
in libertà sulla neve, ponendosi come meta<br />
un punto di partenza e uno di arrivo, come le<br />
più belle delle escursioni estive. Provare per credere.<br />
45
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46<br />
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