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N. 82 - Gennaio-Febbraio 2010 - Italia € 3,50 - Francia € 4,50<br />

Sped. in A.P. - 45% - Art. 2 Comma 20/B - Legge 662/96 - Filiale di Torino - Anno XIV - n° 1<br />

Vallate Alpine Vallées des Alpes<br />

La nostra storia<br />

LE ALI DI MICHELE<br />

SULLA VALLE DI SUSA<br />

Boulder<br />

I BLOCCHI DI VARAZZE<br />

Gusto e tradizione<br />

I FORMAGGI PIEMONTESI<br />

NEL MEDIOEVO<br />

Itinerari<br />

CIASPOLATA AL CHIARO DI LUNA<br />

IN VALLE PESIO


Noi ci crediamo<br />

<strong>Panorami</strong> procede da anni in un percorso<br />

editoriale coerente e coraggioso.<br />

Siamo liberi, non riceviamo finanziamenti<br />

che ci condizionino le opinioni o le<br />

scelte, raccontiamo le <strong>vallate</strong> <strong>alpine</strong> ed un mondo<br />

che, sovente, sulla porta di casa rivela angoli<br />

meravigliosi di natura, tesori d’arte e cultura,<br />

storie di vita, ma anche problemi e tematiche<br />

da affrontare.<br />

Abbiamo voglia di pubblicare in positivo perché,<br />

secondo noi, c’è bisogno di buone notizie e,<br />

comunque, di soluzioni ai problemi.<br />

Di solito la cronaca è in cerca di negatività,<br />

brutti avvenimenti. Colpa dei giornalisti o dei<br />

lettori? In questa mentalità anche le banali vicende<br />

quotidiane assumono sempre contorni<br />

sensazionali in nero: una valvola dell’impianto<br />

termico di una scuola per due ore si blocca ed<br />

il quotidiano di turno dedica un pagina (a cosa?),<br />

ma se la stessa scuola viene ampliata sino<br />

a raddoppiare aule e laboratori per gli scolari la<br />

notizia è un trafiletto.<br />

Ecco, <strong>Panorami</strong> non vuole allinearsi a questa<br />

mentalità criticona e pettegola, incapace di svolgere<br />

approfondimenti ed inchieste serie che,<br />

poi, sarebbero lo scopo vero del giornalismo in<br />

un’epoca in cui l’informatica, i telefonini, radio<br />

e televisione, le notizie le danno in tempo reale.<br />

Noi siamo convinti che le Alpi occidentali per la<br />

loro storia e morfologia rappresentino una regione<br />

essenziale nell’Europa e ci impegniamo<br />

a scrivere e fotografare per dare il nostro contributo.<br />

Proprio le <strong>vallate</strong> oggi hanno bisogno di<br />

modernità, di avere coscienza delle radici ma di<br />

volare alto con progetti e prospettive.<br />

La retorica ci mortifica.<br />

La retorica di chi rimpiange il buon tempo antico,<br />

di chi in enti che dovrebbero occuparsi di<br />

montagna cerca un posto politico magari parlando<br />

a vanvera di cippato, centrali idroelettriche,<br />

legno. La retorica di chi dimentica che la<br />

lingua piemontese è patrimonio di 3.140.000<br />

persone e 2 milioni la parlano e, dunque, meri-<br />

del Direttore<br />

block notes<br />

MAURO CARENA<br />

ta d’essere una lingua ufficiale anziché esclusa<br />

dalla legge 482/99.<br />

La retorica di chi in politica per il Piemonte non<br />

fa molto, forse niente, ma poi agita la paura per<br />

gli stranieri, si appella alle tradizioni e si ricorda<br />

dei tanti bisogni e meriti di queste terre solo per<br />

prendere voti.<br />

<strong>Panorami</strong> ha conservato nel tempo una sua<br />

identità, ha mantenuto ed accresciuto i suoi lettori<br />

affezionati ed appassionati.<br />

La carta stampata conosce la crisi, i giornali<br />

stampano sempre meno copie; noi, nelle nostre<br />

dimensioni, al contrario cresciamo e, nel tempo,<br />

vediamo riconosciuta la volontà di impegnarci<br />

onestamente per i nostri territori, di pensare<br />

positivo, di credere che qualcosa possiamo.<br />

E’ ora di innovare e cambiare, non di lamentarsi.<br />

<strong>Panorami</strong>, adesso, si arricchirà molto, con alcuni<br />

cambiamenti editoriali, con il medesimo<br />

grande impegno dei tanti di prima, con l’entusiasmo<br />

dei molti che stanno arrivando.<br />

Siamo presuntuosi e, crediamo, ci sia bisogno<br />

di noi.<br />

Siamo aperti ai Vostri contributi in forma scritta<br />

o fotografica, oppure leggete e consigliate di<br />

leggere <strong>Panorami</strong>: fa bene alla mente, ma anche<br />

al cuore.


COPERTINA<br />

Foto Dorian Widling<br />

PAGINE CENTRALI<br />

Foto Dave Dyet<br />

<strong>Panorami</strong><br />

Vallate Alpine Vallées des Alpes<br />

Numero 82 - Gennaio-Febbraio 2010<br />

Direttore responsabile<br />

Mauro Carena<br />

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO<br />

Paolo Barosso, Beppe Borione, Christian Core,<br />

Daria Fava, Anna Maria Foli, Lodovico Marchisio,<br />

Stella Marchisio, Gianmarco Mondino,<br />

Sophie Manavella-Cuènot, Michele Ruggiero,<br />

Claudio Santacroce, Edoardo Tripodi,<br />

Gianna Tuninetti, Pierguido Vottero,<br />

William Wallace<br />

Questo numero è stato chiuso in redazione<br />

il 13-2-2010<br />

EDIZIONE E STAMPA<br />

Tipolito Melli<br />

Via Moncenisio, 11 - Borgone Susa (TO)<br />

Autorizzazione del Tribunale<br />

di Torino n. 4455 del 13-3-92<br />

REDAZIONE<br />

Via Rosta, 13 - 10143 Torino<br />

Tel. 011 7716035 - Fax 011 745965<br />

Il materiale inviato non verrà restituito<br />

ABBONAMENTO ANNUALE<br />

Italia € 18,00 - France € 21,00<br />

C/C Postale 30040109<br />

VENDITA<br />

Presso le edicole di Torino e cintura,<br />

<strong>vallate</strong> <strong>alpine</strong> Piemonte occidentale, Savoie,<br />

Dauphiné, Briançonnais<br />

INDIRIZZO INTERNET<br />

e-mail: panorami_redazione@libero.it<br />

www.panorami-<strong>vallate</strong><strong>alpine</strong>.info<br />

Il prossimo numero di <strong>Panorami</strong><br />

in abbonamento sarà in edicola<br />

nel mese di Marzo 2010<br />

Block notes del Direttore<br />

Noi ci crediamo. 3<br />

MAURO CARENA<br />

Escursionismo<br />

Un’avventura alle porte di casa 6<br />

DARIA FAVA<br />

I nostri paesi<br />

Bogliano nei ricordi 8<br />

PIERGUIDO VOTTERO<br />

Stagioni<br />

Ad ogni luogo, il suo giardino 12<br />

GIANNA TUNINETTI<br />

La nostra storia<br />

Le ali di Michele sulla Valle di Susa 14<br />

PAOLO BAROSSO<br />

Gusto e tradizione<br />

I formaggi piemontesi nel Medioevo 20<br />

CLAUDIO SANTACROCE<br />

Itinerari<br />

Ciaspolata al chiaro di luna in Valle Pesio 26<br />

LODOVICO MARCHISIO<br />

Il tempo e la memoria<br />

Un’antica orazione salvifica:<br />

l’epistola di Leone III a Carlo Magno 28<br />

GIANMARCO MONDINO<br />

Boulder<br />

I blocchi di Varazze 34<br />

STELLA MARCHISIO - CHRISTIAN CORE<br />

Montagne di ieri<br />

La bibliothèque popolaire<br />

de la Ville de Chambery 38<br />

SOPHIE MANAVELLA-CUÉNOT<br />

Cuori impavidi<br />

L’invenzione delle razze 43<br />

WILLIAM WALLACE<br />

Sci<br />

Un nuovo comprensorio sciistico in Savoia 44<br />

BEPPE BORIONE<br />

La libreria di <strong>Panorami</strong> 46<br />

Sommario


Escursionismo<br />

Un’avventura<br />

alle porte di casa<br />

Guardando dal terrazzo di<br />

casa verso il Musinè, imbiancato<br />

dall’ultima nevicata,<br />

con gli alberi ancora coperti dal<br />

candido manto, al mantenimento<br />

del quale hanno senz’altro<br />

contribuito le recenti algide<br />

temperature, il mio pensiero<br />

va a ritroso nel tempo (molto a<br />

ritroso…). Eravamo certamente<br />

più giovani, e sicuramente<br />

più avventurosi, forse anche<br />

perché meno condizionati da<br />

acciacchi e problemini collegati<br />

al peso anagrafico dell’età.<br />

Il venerdì sera era trascorso<br />

come di prammatica con gli<br />

amici presso la sede del CAI<br />

locale a parlare, guarda caso,<br />

di montagna: Michele e Ugo ci<br />

avevano raccontato entusiasti<br />

la loro avventura sci alpinistica<br />

al Musinè. La salita in sci,<br />

assolutamente inusuale, era<br />

stata resa possibile dall’eccezionale<br />

nevicata che aveva praticamente<br />

paralizzato le nostre<br />

zone. Il venerdì mattina di buon’ora<br />

avevano calzato sci e pelli<br />

di foca ed erano saliti in vetta:<br />

avventura fantastica, era sembrato<br />

loro di trovarsi in pieno<br />

Canada, ma con vista su Torino,<br />

la collina, i paesi della pianura<br />

e la Valle di Susa con l’arco<br />

delle nostre belle Alpi. Il sabato<br />

mattina, lo spiritello avventuroso<br />

che si annida in tutti noi<br />

appassionati della montagna,<br />

ci spronò alla levataccia indispensabile<br />

al compimento dell’impresa,<br />

in una giornata che<br />

per l’occasione si presentava<br />

splendida. Seguendo le indicazioni<br />

dei volonterosi benefatto-<br />

A cura di Daria Fava - Foto di Dario Borione<br />

ri che con grande fatica avevano<br />

battuto pista il giorno precedente,<br />

ci infilammo, dopo aver<br />

oltrepassato la costruzione del<br />

serbatoio dell’acqua, su per il<br />

versante orientale del Musinè.<br />

Alla nostra sinistra la cresta<br />

dell’itinerario di salita più frequentato<br />

dai normali escursionisti,<br />

che dalla mulattiera<br />

che ha inizio presso il Campo<br />

Sportivo di Caselette, raggiunto<br />

il Santuario di Sant’Abaco,<br />

prosegue seguendo quasi fedelmente<br />

la dorsale fino alla<br />

sommità. Alla nostra destra, in<br />

lontananza, la cresta che dal<br />

Truc d’Muncalv raggiunge Pian<br />

d’le Feje e di qui la vetta. Noi,<br />

al centro, in un mondo completamente<br />

invaso dalla neve,<br />

con i quercioli, le rade betulle<br />

e i rarissimi pini praticamente<br />

sepolti da essa, a seguire con<br />

la massima precisione quella<br />

benedetta traccia indispensabile<br />

per procedere, specie per<br />

chi la falcata lunga proprio non<br />

l’aveva. E il silenzio ovattato,<br />

rotto dai tonfi smorzati della<br />

neve che iniziava a cadere<br />

dai rami. E qualche frullio d’ali<br />

di uccellini stupiti da questo<br />

nuovo mondo immerso in un<br />

candore abbagliante. E questo<br />

cielo blu sopra di noi, senza<br />

una nuvola, che contrastava<br />

con il bosco che un gigante<br />

impazzito sembrava aver ricoperto<br />

senza cognizione alcuna<br />

di panna montata…E che contrasto,<br />

il pensare che d’estate<br />

quello era il regno delle lucertole,<br />

delle bisce e degli insetti,<br />

arido e quasi completamente<br />

ricoperto dall’erba e dai rovi!<br />

I cambi di direzione, notevolmente<br />

malagevoli nel bosco fitto<br />

di arbusti e nel groviglio dei<br />

rami, la pendenza che salendo<br />

s’impennava sempre di più rendevano<br />

l’avventura, oltre che<br />

…avventurosa, anche decisamente<br />

faticosa. L’appagamento<br />

derivante dall’ammirare il panorama<br />

sulla città e la collina<br />

alle nostre spalle e lo splendido<br />

ambiente che ci circondava era<br />

però un viatico che smorzava<br />

la fatica e attenuava il bruciore<br />

dei muscoli. Fino a intersecare<br />

la cresta all’altezza dell’ultimo<br />

colletto appena sotto la grande<br />

croce, dove ci raggiunsero<br />

altri due ardimentosi, Ilio e un<br />

amico, che si unirono a noi per<br />

l’ultimo strappo. E finalmente<br />

la vetta, la croce e il panorama<br />

circolare così consueto e tuttavia<br />

così insolito sotto questo<br />

nuovo aspetto nordico: uno<br />

Escursionismo<br />

spettacolo! La sensazione di<br />

aver fatto qualcosa che probabilmente<br />

non avremmo più potuto<br />

ripetere, qualcosa che non<br />

avevamo mai immaginato di<br />

fare, data l’eccezionalità delle<br />

precipitazioni nevose, dava un<br />

sapore tutto particolare a quei<br />

momenti. Ancora adesso, a tanti<br />

anni di distanza, il ripensarci<br />

mi fa sorridere e mi restituisce<br />

l’emozione e l’entusiasmo di<br />

allora. La sosta fu molto breve,<br />

giusto il tempo di togliere<br />

le pelli e di mettere qualcosa<br />

sotto i denti, ai piedi della croce<br />

che non ci sembrò mai più<br />

così bassa: data la quota modesta<br />

(1150 m) era indispensabile<br />

scendere al più presto, prima<br />

che i raggi del sole cuocessero<br />

la neve. La prima parte di discesa,<br />

notevolmente travagliata,<br />

sfruttò l’incassato canalino<br />

che scende a sud ovest verso<br />

Almese, affollato di troppi arbusti,<br />

poi i pendii a sud, con neve<br />

quasi trasformata, ci offrirono<br />

incredibilmente la possibilità di<br />

fare ottime e divertenti curve.<br />

Avremmo desiderato un maggiore<br />

dislivello in discesa, ma<br />

non si può avere tutto: e quel<br />

giorno avevamo già avuto molto.<br />

Scendemmo assaporando<br />

ogni curva fino a incontrare la<br />

pista tagliafuoco, che ci ricondusse<br />

senza problemi al campo<br />

sportivo di Caselette e al Viale<br />

S. Abaco. Un solo rimpianto,<br />

quello di non aver scattato un<br />

maggior numero di diapositive<br />

con la vecchia Rollei in quel<br />

lontano febbraio 1986, perché<br />

davvero, mentre buona parte<br />

delle escursioni sulle nostre<br />

montagne tutti noi le abbiamo<br />

fatte e rifatte, gustandole sempre<br />

e comunque anche se con<br />

sensazioni diverse a seconda<br />

delle situazioni, per questa non<br />

credo proprio che noi avremo<br />

6 una seconda possibilità. 7<br />

IN VETTA<br />

LA PIANURA<br />

IMBIANCATA<br />

UNA BREVE SOSTA<br />

IN VETTA PRIMA<br />

DELLA DISCESA<br />

LA CROCE<br />

DEL MUSINÈ<br />

CON I BAFFI GELATI


La frazione<br />

di Mezzenile<br />

con le sue<br />

attività,<br />

i colori<br />

e i sapori<br />

di un tempo<br />

CASA ANTICA<br />

8<br />

I nostri paesi<br />

PIERGUIDO VOTTERO<br />

Bogliano<br />

nei ricordi<br />

Sono nato, cresciuto e vivo nelle Valli di<br />

Lanzo, valli con un’economia alpestre da<br />

sempre abbastanza povera, le realtà industriali<br />

locali o di bassa valle in grado di<br />

dare lavoro alla mano d’opera residente sono<br />

poche e col fiato corto, il turismo stanziale via<br />

via negli anni ha abbandonato i paesi di media<br />

e bassa valle, non ci sono blasonati impianti di<br />

risalita, non è la montagna di Heidi e nemmeno<br />

pascolano mucche che fanno cioccolato, però nel<br />

nostro piccolo qualcosa piano piano si stà muovendo,<br />

io le trovo belle e mi ci trovo bene, non<br />

le ho mai volute abbandonare neanche a fronte<br />

di offerte di lavoro economicamente interessanti<br />

che però mi avrebbero portato lontano.<br />

Gli anni della giovinezza della mia generazione<br />

sono stati per l’Italia i più importanti economicamente<br />

degli ultimi 50 anni del secolo scorso,<br />

parlo del favoloso boom degli anni 60, gli anni<br />

della rivoluzione culturale, del movimento operaio<br />

e studentesco del ‘68, anni dove nessuno<br />

nutriva il dubbio sul fatto che fosse possibile<br />

cambiare il mondo, in parte la cosa è anche riuscita,<br />

sia nel bene che nel male.<br />

In valle, in quegli anni, molte famiglie tra le quali<br />

la mia, approfittando di questo momento magico<br />

ed irripetibile decisero di investire tutti i loro<br />

risparmi nella casa, ovviamente questo impose<br />

alcuni sacrifici come ad esempio rinunciare alle<br />

ferie e rimandare l’acquisto della macchina di<br />

alcuni anni, cercando però nel contempo di non<br />

far pesare troppo la cosa ai figli, cercando di dar<br />

loro tutto quello che la guerra aveva impedito a<br />

molti di loro di avere: una giovinezza serena, un<br />

titolo di studio, la libertà di scegliere e di decidere…<br />

la pancia piena tutti i giorni.<br />

Fino all’età di 17 anni, ho passato quasi tutte<br />

le mie vacanze estive a casa dei nonni materni<br />

a Pessinetto, i nonni si sa, sono più inclini dei<br />

genitori a concedere qualche piccolo innocente<br />

vizio; i miei nonni (come tutti i nonni, credo)<br />

avevano inoltre la pazienza, la saggezza e<br />

la sagacia propria dell’età che ben si sposava<br />

con la mia irrequietezza e le mie immancabili,<br />

quotidiane, birichinate, per questo quando arrivava,<br />

finalmente, la sospirata estate anch’io…<br />

andavo in villeggiatura con grande sollievo per<br />

i miei genitori.<br />

Di fianco all’alloggio dove i miei nonni vivevano<br />

avevano anche un’aia con un gallo, qualche gallina<br />

e alcune anatre che si divertivano a sguazzare<br />

in una piccola pozza d’acqua che era stata<br />

ricavata contro il muro di cinta sfruttando una<br />

piccola sorgente, c’era anche una vite di uva<br />

fragola supportata da pali in legno ai quali mio<br />

nonno aveva legato due corde ad un’assicella in<br />

modo da ricavarne un’altalena, negli anni della<br />

mia fanciullezza questo era il mio terreno di<br />

gioco preferito, con l’immaginazione e la fan-<br />

tasia infantile era come vivere in un bellissimo<br />

romanzo di Kipling.<br />

Crescendo poi negli anni, maturando via via<br />

interessi diversi, aspettavo comunque sempre<br />

con gioia l’arrivo dell’estate per poter ritornare<br />

dai nonni, l’immenso affetto che mi davano, le<br />

scampagnate con loro, ma anche piccoli lavori<br />

che potevo fare per aiutarli hanno sempre sopperito,<br />

alla grande, al fatto di andare in ferie in<br />

qualche località turistica e la mancanza del mare,<br />

per la verità, non l’ho mai sentita, anche perché<br />

all’epoca a Pessinetto veniva in villeggiatura<br />

parecchia gente, per noi ragazzi significava una<br />

cosa sola: ragazze nuove da conoscere!<br />

Nelle vacanze estive della quarta e quinta elementare<br />

i miei genitori, convinti di fare cosa<br />

buona e giusta per la mia salute e la mia formazione<br />

morale, decisero di mandarmi in colonia,<br />

al mare a Riccione, mi sentii crollare il mondo<br />

addosso, ancora oggi, a distanza di tanto tempo,<br />

coi ricordi della mia fanciullezza che vanno via<br />

via affievolendosi, quello che è ancora vivo ed<br />

indelebile in me è il ricordo di quelle due estati<br />

passate in colonia: il cibo insipido, tanta sete e<br />

con l’acqua da bere calda che sapeva di cloro, la<br />

doccia di gruppo con lo sciampo che colando negli<br />

occhi bruciava terribilmente, quanto magone<br />

dentro, quanta nostalgia, quanta voglia di ritornare<br />

tra le mie montagne, nella mia jungla.<br />

Poi, dopo un tempo ne viene un altro (diceva<br />

sempre mio nonno), ed il mare oggi mi piace, però<br />

non quello di Rimini e Riccione!! (non me ne<br />

vogliano i Romagnoli), ma neanche quello della<br />

Liguria (non me ne vogliano nemmeno i Liguri,<br />

almeno una parte) ma adoro il mare selvaggio<br />

delle Cinque Terre, le spiagge del Gargano e<br />

della Calabria, la costiera Amalfitana… però la<br />

montagna è nel mio cuore.<br />

All’epoca i miei nonni per riscaldare il piccolo<br />

alloggio di proprietà che avevano al terzo piano<br />

dell’ultima casa di Pessinetto, la casa dove<br />

siamo nati sia io che mia sorella, usavano un<br />

putagè a legna, in estate era quindi gioco forza<br />

fare di necessità virtù e, siccome avevano alcuni<br />

appezzamenti boscosi a Bogliano, andare colà<br />

ad approvvigionarsi la legna.<br />

Bogliano è una ridente e soleggiata frazione di<br />

Mezzenile situata difronte all’Uja di Calcante<br />

(1614 mt) ad una quota di 850 mt, raggiungibile<br />

dal capoluogo attraverso una carrabile è stato,<br />

nel passato, rinomato per la qualità delle sue castagne,<br />

ora la maggior parte dei secolari castani,<br />

sono seccati sia per “il male dell’inchiostro” che<br />

per il “cancro della corteccia” dovuti principalmente<br />

all’abbandono della montagna, i terreni<br />

che circondano l’abitato, essendo esposti a sud,<br />

da sempre si sono ben prestati ad essere coltivati<br />

a campo, pascolo e frutteto dove, ancora<br />

oggi, numerosi meli, peri e ciliegi sopravvivono<br />

all’abbraccio soffocante delle erbacce.<br />

A monte dell’abitato solo montagne impervie,<br />

molto ripide, eppure qui, fin poco dopo la fine<br />

della seconda guerra mondiale, i prati venivano<br />

ancora accuratamente falciati e concimati,<br />

alcuni appezzamenti erano coltivati a campo,<br />

un sistema di terrazzamenti sostenuti da mura<br />

in pietra a secco permettevano alla terra di rimanere<br />

aggrappata ai ripidi pendii, il bosco era<br />

molto rado e prevalentemente era composto da<br />

castani, faggi, tigli e frassini.<br />

È inutile dire che oggi questi luoghi sono diventati<br />

una foresta impenetrabile proprio in<br />

virtù del fatto che alberi rovi e sterpaglie sono<br />

cresciuti a dismisura perché hanno trovato nel<br />

terreno una volta fertile l’abitat ideale, i muri<br />

CHIESA DI BOGLIANO<br />

L’UJA DI CALCANTE<br />

VISTA DA BOGLIANO<br />

9


FRAZIONE MONTI<br />

DI MEZZENILE<br />

MELO IN FIORE<br />

10<br />

in pietra sono crollati quasi tutti e la montagna<br />

ha cominciato lentamente a franare verso valle<br />

riprendendo la sua figura piramidale: il lavoro<br />

di generazioni sta scomparendo.<br />

All’età di 12-13 anni i miei nonni cominciarono<br />

a portarmi con loro, non avendo la macchina<br />

si andava a Bogliano a piedi, lungo una mulattiera<br />

che per secoli era stata l’unica via di collegamento<br />

con Pessinetto e che generazioni di<br />

pendolari avevano percorso in ogni stagione e<br />

con qualsiasi tempo per andare a prendere il<br />

treno oppure per andare a lavorare nel cotonificio<br />

Vallesusa.<br />

La mulattiera me la ricordo ampia ed ombrosa<br />

snodarsi in mezzo ad un bellissimo bosco di faggi,<br />

frassini e castani con il selciato saponato dal<br />

secolare calpestio di persone ed animali, quanta<br />

storia di vita grama scritta su queste pietre, per<br />

me era un’esperienza nuova, un’appassionante<br />

avventura che mi avrebbe portato, alcuni anni<br />

più tardi, ad amare e praticare prima l’escursionismo<br />

e poi l’alpinismo.<br />

Quando si decideva per il pranzo al sacco era<br />

d’obbligo passare dal Sabbione (località oltre<br />

Stura di fronte a Pessinetto) per comprare un<br />

“miccone” appena sfornato dal forno a legna,<br />

ancora caldo la fragranza del suo profumo mi<br />

metteva appetito già prima di partire, quando<br />

invece si decideva diversamente appena si arrivava<br />

a Bogliano mio nonno andava nella piccola<br />

trattoria-bar di Pin a ordinare riso con la toma<br />

e bistecca con patatine; a quei tempi, quel pranzo,<br />

era per tutti una vera prelibatezza perché,<br />

diversamente, le occasioni per andare al ristorante<br />

erano veramente poche.<br />

Ancora oggi a distanza di tanti anni, dopo essere<br />

stato in ristoranti di tutti i tipi e di ogni livello<br />

in diverse parti del mondo, molte volte sento<br />

la mancanza di questo risotto con la toma che<br />

mangiavo da Pin: era il sapore della freschezza,<br />

della genuinità del cibo ma era anche e soprattutto<br />

il sapore della gioventù.<br />

La legna veniva portata a spalle per un buon<br />

tratto di sentiero dal bosco fino alla carrozzabile<br />

dove poi sarebbe stata caricata su un trattore,<br />

fatica e sudore, ma anche tanta voglia di rendermi<br />

utile, di imparare la tecnica di un mestiere<br />

semplice e antico tramandato di generazione<br />

in generazione, soprattutto era però il piacere<br />

di potermi muovere liberamente in quei boschi,<br />

in quel silenzio magico della natura dove niente<br />

e nessuno avrebbe potuto rompere quell’incantesimo,<br />

il mare era lontano… solo una sbiadita<br />

fotografia su uno sgualcito libro di geografia ed<br />

un brutto ricordo di pochi anni prima.<br />

Mia nonna era originaria, da parte della madre,<br />

di Bogliano e quindi lì vivevano e vivono tutt’oggi<br />

dei parenti, dei cugini, era in questi momenti<br />

che mi divertivo a sentire mia nonna parlare<br />

con loro usando il patois originale abbandonando,<br />

senza nessun problema, l’acquisito dialetto<br />

di Pessinetto.<br />

I miei nonni non ci sono più ormai da molti anni,<br />

ma ancora oggi, quando mi trovo a passare<br />

per Bogliano mi trovo a ripensare a quei dolci<br />

ricordi di gioventù, sembra solo ieri e il tempo<br />

sembra essersi fermato in questo ridente angolo<br />

delle valli di Lanzo, ma non è così, sono passati<br />

più di trent’anni.<br />

Rubrica<br />

11


Le piante<br />

più adatte<br />

al clima e<br />

all’altitudine<br />

garantiscono<br />

aiuole<br />

ad effetto<br />

e poca<br />

manutenzione<br />

12<br />

Stagioni<br />

Ad ogni luogo,<br />

GIANNA TUNINETTI<br />

il suo giardino<br />

Raramente ci capita di osservare aree<br />

verdi, pubbliche o private, perfettamente<br />

inserite nel contesto paesaggistico<br />

circostante.<br />

Volendo essere non troppo critici, leviamo fin da<br />

subito il termine “perfettamente” e, per la verità,<br />

a volte, ci accontenteremmo di alberelli ben attecchiti<br />

e aiuole senza troppe erbacce.<br />

Non si comprende, però, quali possono essere<br />

le motivazioni che suggeriscono inserimenti<br />

di cineraria marittima in giardinetti montani<br />

(Bardonecchia) o “stitici” oleandri e palmette<br />

tristanzuole in ambienti inadatti (Torino corso<br />

Unità d’Italia). Tanto per citare due esempi da<br />

non copiare.<br />

Nel primo caso l’effetto grigio argenteo si può<br />

facilmente ottenere con cespugli di lavanda<br />

e piante di artemisia che, naturalizzandosi,<br />

avranno bisogno di pochissima manutenzione.<br />

Inutile anche pretendere aiuole a 1500/2000<br />

metri piantumate con surfinie, begoniette ed<br />

altre annuali abitualmente utilizzate in contesti<br />

cittadini e pianeggianti. La fioritura sarà deludente<br />

e l’operazione di sostituzione, tutte le<br />

primavere, sarà inutilmente costosa lasciando il<br />

terreno disadorno per gran parte dell’anno.<br />

Il nostro suggerimento è quello di copiare quanto<br />

già la natura circostante propone, arricchendola.<br />

Per esempio, se lo spazio non è piccolissimo,(<br />

pensiamo a certe rotonde spartitraffico piuttosto<br />

ampie), si possono immettere le diverse varietà<br />

di rose selvatiche, R. sempervirens, R. arvensis,<br />

R. pendulina, R.canina, R.spinosissima,<br />

R. glauca, R.tomentosa, R. montana, tutte più<br />

o meno presenti sull’arco alpino e facilmente<br />

ricuperabili da vivai specializzati in arbusti da<br />

bacca e rose portainnesto. Creeranno bellissimi<br />

cespugli con fioritura scalare primaverile nelle<br />

diverse colorazioni naturali: dal bianco al rosso<br />

magenta .In autunno ci regaleranno bacche (o<br />

meglio cinorrodi) molto diversi da rosa a rosa<br />

spaziando da quelli sferici bordeaux intenso,<br />

quasi neri, a quelli arancio più o meno piccoli e<br />

numerosi, disposti a mazzetto o più radi oppure<br />

assomiglianti a piccole fiaschette pendule.<br />

Sono splendidi i cespugli di olivella dalle leggere<br />

minuscole foglie grigie, cespugli che in autunno,<br />

e per quasi tutto l’inverno avranno rami carichi<br />

di palline fiammeggianti, un vero spettacolo.<br />

Alla base potranno essere poste numerosissime<br />

bulbose: crochi sia autunnali che primaverili,<br />

muscari, scille, bucaneve (Galantus nivalis),<br />

tulipanini (Tulipa australis), narcisi gialli<br />

(Narcissus speudonarcissus), tutte facilmente<br />

reperibili da distributori internazionali. Per<br />

combattere erbe indesiderate sarà una buona<br />

idea abbondare in piantine di viole mammole in<br />

tutte le gradazioni e varietà, garofanini ed altre<br />

piccole perenni autoctone.<br />

Uno spazio così concepito sarà bello e interessante<br />

quasi tutto l’anno e faremo felici anche<br />

gli uccellini che potranno becchettare frutticini<br />

provvidenziali, anche quando la neve è abbondante.<br />

Ci sono piante che si distinguono per la loro eccezionale<br />

robustezza anche in situazioni non<br />

facili, sopportano estati siccitose e inverni gelidi,<br />

amano la vita difficile e i terreni poveri, per<br />

questo possiamo immaginare uno spazio allegramente,<br />

rusticamente fiorito, scommettendo<br />

su una sola specie botanica: l’achillea utilizzata<br />

nelle diverse varietà spontanee e cultivar.<br />

L’achillea più comune è certamente la Achillea<br />

millefolium dai capolini bianchi o appena rosati<br />

nelle varietà spontanee, nelle diverse tonalità<br />

rosa fino al violetto nelle creazioni degli ibridatori.<br />

Pianta robustissima, strisciante, provvista<br />

Stagioni<br />

di stoloni a fusti eretti, ricopre in fretta il terreno<br />

e offre lunghe fioriture, non particolarmente vistose<br />

ma di ottimo effetto soprattutto se abbinate<br />

alla Achillea filipendulina dai capolini dorati<br />

raccolti in grandi, fitte ombrelle regolari e, per<br />

contrasto, accompagnata da un’altra achillea di<br />

sicuro effetto: la candida Achillea ptarmica varietà<br />

‘Pearl’ a fiore doppio.<br />

Insieme alle diverse achillee si possono abbinare<br />

cespugli di lavanda. Il risultato sarà notevole<br />

e, anche in questo caso le attenzioni giardiniere<br />

ridotte al minimo.<br />

Altro spazio di semplicissima manutenzione e<br />

di grande efficacia si può ottenere organizzando<br />

un “roccioso” con tutte piante “grasse” perenni e<br />

di poche pretese. L’elemento forte sarà, in questo<br />

caso, rappresentato da conifere di piccola<br />

taglia e andamento prostrato.<br />

ACQUERELLI DI<br />

GIANNA TUNINETTI<br />

13


Quando nel<br />

Medioevo la<br />

Valle di Susa<br />

divenne<br />

“strata<br />

pellerina”,<br />

luogo di<br />

passaggio<br />

e incontro,<br />

si radicò<br />

il culto<br />

dell’Arcangelo<br />

Gabriele<br />

14<br />

La nostra storia<br />

Le ali di Michele<br />

sulla Valle di Susa<br />

PAOLO BAROSSO<br />

La Valsusa, con<br />

il suo incunearsi<br />

verso<br />

i valichi del<br />

Monginevro (il passo<br />

di “ad Matronas” delle<br />

fonti latine) e del<br />

Moncenisio (scelto da<br />

Carlo Magno nel 773<br />

o 774 nella sua marcia<br />

di avvicinamento<br />

alle Chiuse di San<br />

Michele, dov’era attestato<br />

l’esercito longobardo),<br />

si è affermata<br />

nell’immaginario collettivo<br />

come corridoio<br />

di passaggio privilegiato<br />

per eserciti,<br />

mercanti e pellegrini.<br />

Fu il capostipite della<br />

dinastia sabauda,<br />

l’Humbertus comes<br />

detto “blancis manibus”<br />

(Umberto<br />

Biancamano) dalla<br />

fantasia di un cronista<br />

trecentesco,<br />

citato dalle cronache<br />

dell’abbazia di<br />

Hautecombe, sulla<br />

sponda occidentale<br />

del lago di Bourget,<br />

nucleo embrionale dei<br />

possedimenti dinastici,<br />

e dall’Obituario<br />

dell’anonimo monaco<br />

di Talloires che ne<br />

registra malinconicamente<br />

la morte (1048<br />

o 1050?), ad intuire lo straordinario vantaggio<br />

strategico che sarebbe derivato ai suoi discendenti<br />

dal controllo dei passi alpini. Umberto e i<br />

successori impostarono attorno al dominio militare<br />

dei valichi alpini occidentali, stretti passaggi<br />

ritagliati con nettezza tra alti monti, e dei corridoi<br />

vallivi che ad essi conducevano (Val Susa,<br />

Val d’Aosta, Tarentaise, Maurienne o Moriana)<br />

il perno di quella vasta dominazione territoriale,<br />

inclusa tra “Rodano e Po”, efficacemente definita<br />

dagli storici “stato di passo”.<br />

Dal controllo dei valichi dipese la capacità di<br />

condizionamento politico verso i principali centri<br />

di potere del tempo, l’impero ed i “regna”<br />

sorti dal disfacimento della costruzione carolingia,<br />

che non si sarebbero potuti avvalere dei<br />

passi alpini come punti di attraversamento per<br />

gli eserciti senza il consenso dei loro dominatori,<br />

i conti di Moriana-Savoia.<br />

Alla morte senza eredi del re di Borgogna<br />

Rodolfo III (1032), Umberto Biancamano approfittò<br />

della contesa successoria tra l’imperatore<br />

Corrado II il Salico (duca di Franconia) e il conte<br />

Eude di Blois, figlio d’una sorella di Rodolfo, per<br />

valorizzare politicamente la posizione di controllore<br />

dei passi alpini e inserirsi, da protagonista,<br />

nel contesto internazionale.<br />

Umberto aderì al fronte imperiale, ottenendo in<br />

cambio protezione e concessioni territoriali, e si<br />

affermò quale accompagnatore “ufficiale” dell’imperatore<br />

attraverso i valichi alpini occidentali.<br />

Nel 1032 scortò Ermengarda (di cui Umberto<br />

si accreditò come “advocatus”, cioè protettore e<br />

difensore), vedova di Rodolfo, a Zurigo, perché<br />

rendesse omaggio a Corrado, mentre nel 1034<br />

guidò l’esercito imperiale attraverso i varchi<br />

alpini per consentire a Corrado di raggiungere<br />

la Borgogna aggirando l’ostacolo dei passi del<br />

Giura e del Rodano, più facili da valicare ma presidiati<br />

da truppe fedeli al rivale Eude.<br />

Il matrimonio tra la “comitissa” di Torino<br />

Adelaide (erroneamente ricordata come marchesa<br />

di Susa, titolo inventato da eruditi ottocenteschi),<br />

figlia di Olderico Manfredi, e Oddone,<br />

il figlio più giovane di Umberto (succeduto nella<br />

posizione paterna al fratello Amedeo I, soprannominato<br />

“la Coda” per essersi rifiutato, a Verona,<br />

di incontrare l’imperatore senza il seguito che<br />

s’era portato con sé) saldò i possedimenti transalpini<br />

controllati dai conti di Moriana-Savoia con<br />

le terre marchionali arduiniche del versante piemontese<br />

e prefigurò le linee guida dell’espansionismo<br />

sabaudo. La morte senza eredi di Adelaide<br />

nel dicembre 1091 (i figli Pietro I e Amedeo II<br />

le erano premorti, rispettivamente nel 1078 e<br />

1080, mentre Federico di Montbeliard, cugino<br />

di Matilde di Canossa, spirò nel giugno 1091,<br />

precedendola di qualche mese) vanificò i progetti<br />

sabaudi, favorì la parcellizzazione del potere<br />

all’interno della vasta dominazione garantita<br />

dal matrimonio con Oddone ma non impedì ad<br />

Rubrica<br />

Umberto II, che pure aveva subito<br />

la concorrenza di Bonifacio del<br />

Vasto, marchese aleramico, e di<br />

Enrico IV (per conto del figlio) nella<br />

contesa successoria, di fregiarsi<br />

del titolo di “Conte di Moriana e<br />

Marchese di Torino” (titolo mantenuto<br />

dai successori per sottolineare<br />

le pretese sabaude su Torino) e<br />

di conservare il controllo di Susa,<br />

testa di ponte sabauda al di qua<br />

delle Alpi.<br />

Per completare il quadro, un episodio<br />

in particolare, fra tutti quelli<br />

che potrebbero essere citati,<br />

mette in luce l’acume politico di<br />

Adelaide e testimonia la forza di<br />

contrattazione assicurata ai primi<br />

Savoia dal dominio militare<br />

dei valichi. Nel 1077, dopo aver<br />

trascorso il Natale a Besançon,<br />

la coppia imperiale, formata da<br />

Enrico IV e dalla moglie Berta<br />

(figlia di Adelaide, il che comprova<br />

l’abilità di manovra della<br />

comitissa nello scacchiere internazionale),<br />

diretta in Italia per<br />

incontrare papa Gregorio VII a<br />

Canossa, si trovò il passaggio<br />

attraverso le Alpi ostruito dalle<br />

truppe marchionali, fedeli ad<br />

Adelaide. Quest’ultima s’era riproposta<br />

di mettere a frutto la<br />

posizione di vantaggio derivante<br />

dal presidio dei varchi alpini, imitando<br />

la linea di condotta che già<br />

aveva fatto la fortuna di Umberto<br />

Biancamano, e intavolò, con il sostegno dei figli<br />

Pietro ed Amedeo, una trattativa con l’imperatore<br />

che si concluse con la pattuizione di cessioni<br />

territoriali in cambio del consenso di Adelaide al<br />

transito indisturbato del seguito imperiale attraverso<br />

il Moncenisio.<br />

Pare che Adelaide avesse preteso, come contropartita<br />

per consentire il passaggio, i diritti su<br />

cinque diocesi attigue alla marca di Torino ma<br />

che si sia poi accontentata di un compenso territoriale<br />

meno “eclatante” ma altrettanto significativo<br />

in area borgognona, forse il Bugey, forse<br />

il Chiablese.<br />

Susa, però, non si impose soltanto, dal punto<br />

di vista militare, come cittadella fortificata lungo<br />

l’antica strada delle Gallie (su questa base<br />

poggiò le proprie fortune politiche, testimoniate<br />

dalla decisione di Umberto II conte di Moriana<br />

di fondarvi nei primi anni del 1100, con il consenso<br />

imperiale, una zecca per la coniazione dei<br />

“denarii segusini”) o, dal punto di vista economico,<br />

come aggregato urbano che faceva derivare<br />

la propria vitalità commerciale dall’essere<br />

adagiato alle pendici dei monti, in direzione<br />

LA STATUA<br />

DELL’ARCANGELO<br />

GABRIELE<br />

ALLA SACRA<br />

DI SAN MICHELE<br />

15


LORENZO LOTTO<br />

“SAN MICHELE”<br />

16<br />

La nostra storia<br />

dei varchi alpini, il Moncenisio e il Monginevro<br />

(quest’ultimo meno frequentato del primo, durante<br />

il Medioevo, e rientrante, da una certa<br />

epoca in avanti, nella sfera d’influenza dei conti<br />

di Albon, poi Delfini di Grenoble e di Vienne, anch’essi,<br />

come i Savoia, proiettati sul palcoscenico<br />

politico dell’XI secolo dallo sfacelo del regno<br />

di Borgogna) ma si ritagliò il ruolo di città di<br />

transito anche grazie ai primi fermenti che, manifestandosi<br />

all’alba del secondo millennio, prefigurarono<br />

il radicarsi di un altro fenomeno, il<br />

pellegrinaggio, che si sarebbe consolidato come<br />

pratica comune nel corso del Medioevo.<br />

Torme di viandanti presero a percorrere freneticamente<br />

le strade valsusine, dirigendosi verso<br />

i principali luoghi di culto della Cristianità e<br />

condizionando in profondità la struttura economica<br />

e sociale della valle, che si attrezzò per<br />

alloggiarli nelle locande dislocate lungo gli itinerari<br />

di transito (le prelibatezze locali, a base di<br />

carne di maiale, erano già state celebrate, a suo<br />

tempo, da Plinio), accoglierli nelle foresterie annesse<br />

ai monasteri, accudirli attraverso la fondazione<br />

di ospedali (Precettoria di Sant’Antonio<br />

di Ranverso) e luoghi di ricovero.<br />

Il pellegrinaggio si affermò agli albori del Mille<br />

come sintomo del risveglio spirituale che fiorì<br />

con la stabilizzazione del quadro politico, scosso<br />

durante il X secolo (il “secolo di Ferro” o delle<br />

seconde invasioni) dalle scorrerie saracene,<br />

dai raid vichinghi e dalle incursioni ungare, e<br />

prefigurò, in un certo senso, il bando della prima<br />

crociata, dichiarata a Clermont nel 1095 da<br />

papa Urbano II. Infatti, il luogo per eccellenza<br />

dove dimensione divina e dimensione terrena<br />

si compenetravano era la Terra Santa e proprio<br />

laggiù molti pellegrini si dirigevano, ostacolati<br />

dall’assalto dei predoni e dalla scarsa protezione<br />

offerta dalle autorità locali, spesso ostili.<br />

Si delineò, così, il concetto di “pellegrinaggio armato”<br />

per la liberazione del Santo Sepolcro dai<br />

nemici della fede, che trovò la massima manifestazione<br />

nelle serie di spedizioni militari organizzate<br />

dai principi occidentali per riportare sotto<br />

l’autorità cristiana le terre che avevano assistito<br />

al manifestarsi e irradiarsi del verbo di Cristo.<br />

Il pellegrinaggio si affermò, quindi, come pratica<br />

tanto connaturata alla società medievale<br />

confutando il luogo comune che percepisce il<br />

Medioevo come età dell’immobilismo, una società<br />

irrigidita al punto tale da ostacolare la libertà<br />

di movimento delle persone.<br />

I pellegrini, mossi dall’urgenza di salvezza individuale,<br />

acuita dal senso imperante di precarietà<br />

dell’esistenza umana e subordinata alla capacità<br />

del singolo di purificarsi dalle colpe terrene,<br />

presero, dunque, a percorrere le strade d’Occidente,<br />

alla ricerca dei luoghi del sacro, dove si<br />

credeva più facile incontrare Dio.<br />

La Valsusa si affermò, in questo contesto, come<br />

snodo strategico tra l’odierna Francia e Roma:<br />

l’antica strada delle Gallie, che la attraversava,<br />

si meritò l’appellativo di “strata pellerina”,<br />

“strata fura” (per i frequenti agguati subiti dai<br />

pellegrini), “strata romea” o “strata francigena”.<br />

Meno nota è la titolatura di “Angelus”, termine<br />

usato per designare la rete di strade tracciate,<br />

ad uso dei pellegrini, per congiungere i principali<br />

poli di devozione micaelica, luoghi deputati<br />

alla venerazione dell’Arcangelo Michele.<br />

L’itinerario univa le estremità della topografia<br />

sacra legata all’Arcangelo, Mont-Saint-Michel<br />

au péril de la mer in Normandia e San Michele<br />

del Gargano, in Puglia, toccando come punto intermedio<br />

la Sacra di San Michele, in Piemonte,<br />

e la romana Mole Adriana (il Mausoleo di<br />

Adriano), meglio nota come Castel Sant’Angelo<br />

(dalla leggenda che tramanda l’apparizione di<br />

Michele durante la processione voluta nel 590<br />

da papa Gregorio Magno per impetrare la cessazione<br />

della pestilenza che aveva portato alla<br />

morte anche il predecessore, papa Pelagio II).<br />

Il pellegrinaggio, concepito come spostamento<br />

fisico corrispondente ad un percorso di perfezionamento<br />

spirituale, toccava anche i luoghi di<br />

venerazione micaelica, testimoniando l’importanza<br />

che, nella prospettiva cristiana, era attribuita<br />

alla figura dell’angelo, quale mediatore tra<br />

sfera celeste e terrena.<br />

La credenza in entità celesti latrici di messaggi,<br />

accostabili agli angeli, è comune a varie cultu-<br />

re. Gli “angheloi” greci - non una categoria a se<br />

stante ma, a seconda dei casi, esseri umani, uccelli<br />

o entità celesti - erano portatori di messaggi,<br />

capaci di assicurare lo scambio d’informazioni<br />

tra i mortali e gli dèi. I “daimones”, invece, sono<br />

spiriti benigni o maligni, capaci di influenza diretta<br />

sulla realtà. Plotino fa coincidere angheloi<br />

e daimones: portatori di rivelazioni, guide delle<br />

anime preesistenti nel viaggio verso l’incarnazione<br />

sulla terra, partecipi della creazione.<br />

Nel mondo ebraico il Mal’akim, l’angelo, comunica<br />

messaggi agli uomini, facendosi interprete<br />

e trasmettitore della volontà di Dio all’uomo, e<br />

combatte per l’esaltazione della gloria celeste di<br />

Jahvé, affermandosi come “guerriero” che milita<br />

contro i nemici di Israele. Il definirsi del precetto<br />

che proibisce di rappresentare Dio potenzia,<br />

di riflesso, la figura ed il ruolo dell’angelo: se<br />

ne precisano natura e funzioni, li si quantifica<br />

in 209, e si attribuisce loro un nome proprio,<br />

Michele, Raffaele, Gabriele.<br />

Cristo, incarnandosi, si afferma come unico inviato<br />

di Dio, che esaurisce l’insieme dei rapporti<br />

tra uomo, mondo e Dio: questa lettura accantona<br />

l’angelo, ne offusca la natura, obbligando<br />

a rivisitarne i compiti. Nonostante il ruolo di<br />

Cristo come mediatore diretto tra Dio e uomo,<br />

l’esigenza di un tramite come l’angelo, capace<br />

di abbassarsi al livello dei mortali e “umanizzare”<br />

il trascendente, segnò la sopravvivenza del<br />

culto, che mostrò la propria capacità di resistenza<br />

con tale energia da suscitare la presa di posizione<br />

del concilio di Laodicea (360) che proibì il<br />

culto degli angeli, equiparandolo all’idolatria.<br />

Papa Zacaria, consapevole dell’inanità dello<br />

sforzo di contrastare il culto angelico, trattandolo<br />

alla stregua di pratiche idolatriche e, dunque,<br />

demonolatriche (l’idolo è una forma di travestimento<br />

adottata dal demonio, che si maschera<br />

da “falso dio” per ingannare l’uomo), lo riabilita<br />

parzialmente e nel 745 legittima la venerazione<br />

di Michele, Gabriele e Raffaele. L’angelo, umanizzando<br />

il trascendente, favorisce il dialogo tra<br />

sfera terrena e sfera celeste, riducendo l’incommensurabile<br />

distanza che l’uomo percepisce come<br />

interposta tra la limitatezza della condizione<br />

terrena e Dio.<br />

Dobbiamo, invece, alla “Hierarchia Coelestis” (V<br />

secolo d.C.) dello pseudo-Dionigi la classificazione<br />

degli angeli, la loro suddivisione secondo<br />

il principio gerarchico in tre triadi e tre cori e<br />

l’inserimento nella terza triade del coro degli<br />

Arcangeli, i principi degli Angeli, che “stanno<br />

sempre dinnanzi a Dio”. In questa categoria, è<br />

inserito Michele, il principe degli Arcangeli.<br />

La tradizione cristiana, basata su testi canonici<br />

e scritti apocrifi, precisò con il tempo gli attributi<br />

di Michele:<br />

1) Custode e protettore d’Israele: dopo la dispersione<br />

dei popoli, Dio assegna ad ogni nazione<br />

un angelo che ne assume la protezione.<br />

La nostra storia<br />

2) Protettore della Cristianità: lo si invoca nella<br />

veste di miles Christi, armato di corazza, elmo e<br />

scudo secondo lo stereotipo del crociato (iconografia<br />

francese, XIII secolo) e come sostegno soprannaturale<br />

contro i nemici della fede (Michele<br />

compare dalla fine del VII secolo effigiato su<br />

vessilli, scudi e monete longobarde, quale tutore<br />

celeste sovrapposto al dio germanico della guerra,<br />

Wotan). Si ricorre a Michele come fonte di<br />

protezione, una sorta di scudo soprannaturale<br />

di cui si munisce prima degli assalti, pronunciandone<br />

il nome ad alta voce e trasformando<br />

l’invocazione in un grido di battaglia, che incita<br />

alla vittoria e inneggia alla sua intercessione.<br />

3) Combattente contro satana e Arcistratega:<br />

l’Apocalisse assegna a Michele il comando degli<br />

angeli nella lotta contro il “grande drago”, figura<br />

del diavolo (questa lettura è richiamata dalla<br />

rappresentazione di Michele in veste di soldato<br />

a piedi o tra le nuvole, raramente a cavallo,<br />

mentre trafigge, schiaccia o amputa il diavolo<br />

in forma di drago ma si rispecchia altresì nella<br />

versione iconografica diffusa nella Spagna medievale,<br />

che lo raffigura come vincitore del toro,<br />

allegoria del Cristianesimo trionfante, che sottomette<br />

il paganesimo simboleggiato dal toro).<br />

4) Pesatore delle anime: la lettura di Michele<br />

come pesatore di anime (psicostasia) riporta<br />

ad un’immagine già delineata nella cultura<br />

egiziana, ripresa in Grecia e nell’antica Roma,<br />

che propone la “pesatura” delle anime, gravate<br />

dalle colpe, come criterio per separare i buoni<br />

dai cattivi (l’attributo di Michele pesatore di anime<br />

si traduce iconograficamente nel nugolo di<br />

diavoletti accalcati attorno al piatto della bilancia,<br />

cui l’arcangelo si oppone intervenendo con<br />

lancia e spada a favore dell’anima meritevole di<br />

salvezza).<br />

4) Psicopompo: Michele, appropriandosi di<br />

un attributo che appartenne già ad Hermes e<br />

Mercurio e conformandosi al compito, che l’Antico<br />

Testamento gli assegna, di accompagnatore<br />

nel viaggio verso l’aldilà dei giusti trapassati<br />

(Maria, Giuseppe, Mosé, Eva, Adamo), è presentato<br />

come guida delle anime (psicopompo),<br />

le scorta nel passaggio dal mondo terreno a<br />

quello ultraterreno, difendendole dalle insidie<br />

dei demòni (l’attributo si rispecchia nella prassi<br />

dedicatoria, seguita anche nelle campagne<br />

piemontesi, che intitola a Michele le cappelle di<br />

posa, luoghi di sosta lungo i percorsi seguiti dai<br />

portatori di bare verso il camposanto, e gli oratori<br />

cimiteriali).<br />

5) Taumaturgo: l’affermarsi di Michele come<br />

guaritore e medico soprannaturale si collega ai<br />

testi apocrifi (nei testi canonici il ruolo di taumaturgo<br />

spetta a Raffaele), che ne esaltano le doti<br />

medicali. Nella “Vita di Adamo ed Eva”, Adamo<br />

implora Michele perché abbrevi il travaglio di<br />

Eva mentre Eva e il figlio Seth lo invocano perché<br />

lenisca il dolore di Adamo morente. Michele<br />

17


FRANCESCO CARELLA,<br />

“SAN MICHELE”,<br />

TELA AD OLIO; 1788<br />

18<br />

La nostra storia<br />

è custode dell’albero della vita e della misericordia<br />

in Paradiso, dal quale spilla l’olio santo, che<br />

possiede proprietà taumaturgiche e risananti.<br />

Nella letteratura religiosa, la visione di Michele<br />

che appare in sogno, guarendo l’orante a mezzo<br />

del semplice “tocco”, e la tradizione che gli assegna<br />

il compito di custodire l’albero della vita si<br />

riflettono nella credenza, attestata anche presso<br />

le comunità copte d’Egitto, che attribuisce doti<br />

prodigiose all’olio “santo”, abitualmente tratto a<br />

piccole dosi dalle lampade che ardono dinnanzi<br />

alle icone raffiguranti l’Arcangelo.<br />

Come attestazione concreta dell’attributo di<br />

combattente contro il demonio, riconosciuto<br />

dalla tradizione a Michele, gli avancorpi occidentali<br />

delle chiese d’età carolingia sono spesso<br />

intitolati al principe degli Arcangeli. In questa<br />

prassi dedicatoria si rispecchia la credenza nella<br />

capacità di Michele di tenere lontani i demòni,<br />

che attaccano i luoghi sacri preferibilmente<br />

dal lato occidentale, il più esposto alle insidie<br />

del maligno.<br />

Negli attributi di Michele si riflette l’influenza<br />

di modelli greco-romani o orientali, i cui tratti<br />

caratteristici si proiettano sulla figura dell’Arcangelo<br />

delineata dalla tradizione cristiana: in<br />

particolare, Hermes, Mercurio e Mitra. Hermes,<br />

messaggero degli dèi e guida delle anime, si afferma<br />

come protagonista di un rito divinatorio<br />

praticato presso centri santuariali dell’antichità<br />

greco-romana: l’incubatio, dove il sogno compare<br />

come tramite tra uomo e dio ed è concepito<br />

quale strumento della rivelazione divina. Dopo<br />

il sacrificio di un ariete in onore di Hermes, il<br />

fedele si corica su una pelle di capra e si addormenta:<br />

il dio visita il fedele in sogno, impartendogli<br />

istruzioni per guarire o emanando<br />

responsi.<br />

Mercurio, dio latino dei commerci, s’impone<br />

anche come psicopompo, accompagnatore dei<br />

trapassati. Il culto miseriosofico di Mitra, con la<br />

promessa di salvezza individuale ed il percorso<br />

iniziatico che lo caratterizza, si celebrava nelle<br />

grotte, a stretto contatto con l’acqua, elemento<br />

rigenerante associato alla vita. Non a caso,<br />

il santuario di Colosse, in Frigia (Asia Minore),<br />

dedicato a Michele, sorse nel IV secolo in prossimità<br />

di una grotta e di una sorgente considerata<br />

miracolosa. La grotta, come il monte, è il luogo<br />

della rivelazione, porta di comunicazione con il<br />

mondo dell’ultrasensibile.<br />

Le doti taumaturgiche della fonte accendevano<br />

il fervore dei pellegrini, tanto che le autorità ecclesiastiche<br />

della zona, in aderenza al concilio di<br />

Laodicea, misero in atto delle contromisure, disponendo<br />

la deviazione delle acque di un vicino<br />

torrente affinché gli apprestamenti cultuali (un<br />

oratorio dedicato a Michele) fossero travolti e la<br />

fonte estinta. L’anacoreta Archippa, ispirato da<br />

Dio, arrestò il deflusso delle acque, salvaguardando<br />

l’integrità della fonte e testimoniando il<br />

favore divino verso il culto micaeliano ad essa<br />

correlato.<br />

Il culto di Michele, dall’Asia Minore, si diffonde<br />

nei territori sottoposti alla dominazione bizantina,<br />

tanto che, nei paraggi di una grotta e di<br />

un’altura, nell’area del Gargano, prese forma<br />

il primo santuario d’Occidente dedicato all’arcangelo<br />

taumaturgo. I Longobardi, attestati in<br />

Pannonia, assimilarono il culto di Michele dai<br />

Bizantini e, conquistata l’area del santuario<br />

per opera del duca Grimoaldo I di Benevento,<br />

ne fecero un polo devozionale, diffondendone<br />

il culto a Nord, nella Langobardia Maior, e accentuando,<br />

nell’iconografia micaeliana, la componente<br />

militare/guerresca a discapito della<br />

funzione taumaturgica, sempre più marginale.<br />

Anche i Carolingi ne adottarono il culto, come è<br />

testimoniato sia dall’intitolazione a Michele del<br />

complesso abbaziale costruito in cima al Monte<br />

Pirchiriano (la Sacra, dichiarata monumento<br />

simbolo delle Regione Piemonte), sia dalla dedicazione<br />

allo stesso delle Clusae Langobardorum,<br />

la strettoia naturale che definisce l’imboccatura<br />

della valle.<br />

La Sacra di San Michele, dunque, attesta il radicamento<br />

del culto micaeliano in Occidente e<br />

associa all’Arcangelo l’attributo di dominatore<br />

delle vette (sostituendosi in questo dominio alle<br />

deità pagane che avevano dimora sulle vette<br />

<strong>alpine</strong>, dal dio celtico Albiorix al dio celto-ligure<br />

Pen, il primo rivelante un collegamento con<br />

la radice antica Alp-Alb, da cui Alpi o anche<br />

Albània, l’antico nome dell’odierna Scozia, o<br />

ancora Albione, per designare la Britannia, il<br />

secondo tanto potente da trasmettere il nome<br />

alla sezione delle Alpi Pennine), di vigilante soprannaturale<br />

posto a guardia delle vie di transito<br />

e, infine, di guardiano, difensore delle terre<br />

piemontesi dagli assalti provenienti da ovest,<br />

dall’Oltralpe (e, all’epoca, scorrerie ed eserciti<br />

di passaggio erano un fatto ordinario).<br />

L’Arcangelo, dominatore ab alto della Valsusa<br />

e della strettoia sottostante, è presentato dai<br />

cronisti clusini come protagonista delle leggende<br />

di consacrazione della Sacra, imbastite da<br />

monaci eruditi per rimediare all’assenza di un<br />

atto di fondazione. L’anonimo estensore della<br />

Chronica (metà XI secolo) e gli autori degli scritti<br />

successivi, che la integrano, giustificati dalla<br />

finalità di legittimare le pretese autonomistiche<br />

dei monaci clusini dalle interferenze vescovili<br />

e signorili, misero in atto due “stratagemmi”:<br />

presentarono la fondazione della comunità monastica,<br />

caso forse unico in Europa, come atto<br />

complesso, caratterizzato dall’intervento di più<br />

fondatori o protettori (Giovanni Vincenzo, Ugo<br />

di Montboissier, il marchese di Torino Arduino<br />

il Glabro) e fecero in modo che l’Arcangelo<br />

Michele fosse percepito come consacratore celeste<br />

dell’abbazia. Così, entrarono in gioco, senza<br />

un ordine temporale definibile con precisione,<br />

le figure di Giovanni Vincenzo, eremita forse<br />

ravennate (soprannominato “Gioanin d’le rave”<br />

o Vincens, nel senso di “il Vincente”), il quale,<br />

stabilito il romitaggio sul Caprasio, ricevette in<br />

sogno da Michele l’ordine di costruire una chiesa<br />

e, con la mediazione degli angeli, trasmettitori<br />

di messaggi per conto di Dio, il comando<br />

di spostarne la fabbrica dalla cima del monte<br />

Caprasio alla vetta del Pirchiriano, e del nobile<br />

alverniate Ugo di Montboissier, detto lo Scucito<br />

per la prodigalità. Michele compare come consacratore<br />

celeste dell’abbazia (detta per questo<br />

Sacra). Anticipa, infatti, il vescovo Amizone che,<br />

salendo da Torino, assiste alla comparsa di una<br />

colonna di fuoco torreggiante sulla vetta del<br />

Pirchiriano, accostata dal cronista al “roveto ardente”<br />

che avvolse il monte dove Mosé ricevette<br />

da Dio le tavole della legge, e, guadagnando<br />

la cima della montagna, si limita a certificare<br />

l’avvenuta consacrazione celeste, ad opera di<br />

Michele, testimoniata dal liquido, olio e balsamo<br />

(la composizione del crisma, usato per consacrare<br />

i vescovi), che trasudava dalla roccia.<br />

Come per miracolo, si materializzò dinnanzi<br />

ad Amizone un altare, fabbricato dagli angeli,<br />

grondante anch’esso olio santo, che il vescovo<br />

torinese asciugò con un lenzuolo, usato poi come<br />

tovaglia per celebrare la Messa. Il tessuto,<br />

intriso d’olio, dispensò prodigi e guarigioni miracolose,<br />

confermando la tradizione che attribuisce<br />

a Michele proprietà taumaturgiche.<br />

Il messaggio, che traspare dal racconto nel suo<br />

La nostra storia<br />

complesso, è chiaro: la Sacra appartiene ai monaci<br />

benedettini, sottomessi alla sola autorità<br />

papale, non tollera intromissioni vescovili o<br />

marchionali. Il compito di legittimare le pretese<br />

autonomistiche della Sacra, riconosciute da<br />

pontefici e imperatori che assegnarono all’ente<br />

monastico, con provvedimenti ad hoc, il privilegio<br />

dell’esenzione dalla giurisdizione episcopale<br />

e civile, spetta a Michele, che, sostituendosi ad<br />

Amizone nell’atto di consacrare l’abbazia, ne<br />

rivendica la “proprietà” celeste.<br />

I monaci difesero accanitamente la propria autonomia<br />

sia dalle ingerenze del potere marchionale<br />

torinese (ma Adelaide nel 1075, richiamata<br />

all’ordine dal papa, frenò il figlio Pietro, che<br />

aveva organizzato una spedizione contro i monaci<br />

clusini in sostegno alle pretese del vescovo<br />

Cuniberto) sia dalle intromissioni dei vescovi di<br />

Torino, che tentavano di costruire una signoria<br />

episcopale assoggettando alla propria giurisdizione<br />

i territori circostanti la città. Dopo la morte<br />

di Adelaide, trovarono appoggio nei conti di<br />

Moriana-Savoia, precisamente in Umberto II il<br />

cui potere, agli albori del XII secolo, non oltrepassava<br />

il limite di Avigliana, compresso dalla<br />

signoria vescovile torinese e, seppure in misura<br />

minore, dal comune.<br />

Malgrado l’alleanza, i Savoia non rinunciarono<br />

all’obiettivo di integrare la Sacra nei loro<br />

possedimenti e riuscirono a “sabaudizzarla”<br />

definitivamente quando, nel 1379, ottennero<br />

l’introduzione della commenda come sistema<br />

di scelta dell’abate. In buona sostanza, il capo<br />

della comunità clusina non era più eletto dai cenobiti<br />

e consacrato (confermato) dal Papa, bensì<br />

nominato dai Savoia, con il consenso del pontefice.<br />

Su tutti questi passaggi storici si staglia la<br />

figura solenne e temuta di Michele, che ci piace<br />

immaginare come custode e protettore di queste<br />

montagne.<br />

19


Descritti<br />

nella Summa<br />

lacticiniorum<br />

(1477) di<br />

Pantaleone<br />

da Confienza,<br />

un’opera che<br />

anticipa le<br />

attuali guide<br />

enogastronomiche<br />

20<br />

Gusto e tradizione<br />

I formaggi<br />

piemontesi<br />

nel Medioevo<br />

CLAUDIO SANTACROCE<br />

Le attuali guide che illustrano, a scopo<br />

promozionale e turistico, le specialità<br />

grastronomiche ed enologiche tipiche di<br />

determinate località o regioni, hanno un<br />

antenato prestigioso nella Summa lacticiniorum<br />

di Pantaleone da Confienza.<br />

Pubblicata a Torino il 9 luglio 1477, la Summa fu<br />

il primo trattato organico e sistematico sui derivati<br />

del latte, un’opera di assoluta novità nella<br />

letteratura medica del tardo Medioevo.<br />

L’Autore, Pantaleone da Confienza (n. 1417? - m.<br />

dopo 1497) nativo di Vercelli, fu insigne rappresentante<br />

della medicina piemontese del XV sec.<br />

Laureatosi all’Università di Pavia, divenne in<br />

seguito professore presso quella di Torino, medico<br />

“condotto” della città di Torino, archiatra di<br />

Casa Savoia, in particolare del duca Ludovico, di<br />

cui fu anche consigliere ed ambasciatore presso<br />

varie corti europee, ed infine professore all’Università<br />

di Pavia.<br />

Fu inoltre uno dei promotori dell’arte tipografica<br />

in Piemonte. Sembra infatti che sia stato lui<br />

a chiamare a Torino, nel 1474, lo stampatore<br />

francese Jean Fabre (italianizzato in Giovanni<br />

Fabbri) col quale collaborò alla stampa di alcuni<br />

tra i primi libri piemontesi, appunto la Summa<br />

lacticiniorum ed un altro suo lavoro scientifico,<br />

il Pillularium omnibus medicis quam necessarium.<br />

La sua opera più famosa e ricordata è appunto<br />

la Summa lacticiniorum sive tractatus varii de<br />

butyro, de caseorum variorum gentium differentia<br />

et facultate suddivisa in tre trattati. Nel<br />

primo si parla della qualità e dei caratteri del<br />

latte; il secondo è dedicato alla classificazione e<br />

descrizione di diversi formaggi ritenuti dall’Autore<br />

i più tipici e rinomati, cioè quelli dell’Italia<br />

centro-settentrionale, in particolare delle regioni<br />

nord-occidentali, ed inoltre quelli francesi,<br />

inglesi, fiamminghi, svizzero-tedeschi. Infine il<br />

terzo trattato raccoglie consigli ed avvertenze<br />

dietetiche riguardo all’uso alimentare dei latticini.<br />

Fine dell’opera era essenzialmente quello di<br />

dimostrare in maniera scientifica l’importante<br />

ruolo alimentare dei derivati del latte in un’epoca<br />

in cui gli stessi medici ne discutevano e contestavano<br />

la validità. Sembra tuttavia che, più<br />

nascostamente, Pantaleone avesse quasi lo scopo<br />

di promuovere ed incentivare il consumo dei<br />

prodotti caseari provenienti dalle terre comprese<br />

nei domini di Casa Savoia.<br />

Per quanto riguarda il Piemonte, Pantaleone<br />

descrive le robiole del Cuneese e i formaggi delle<br />

valli di Locana e di Ceresole, di Susa e del<br />

Moncenisio, di Lanzo e fa un brevissimo accenno<br />

anche alle produzioni di Coazze in Val<br />

Sangone. Inoltre, sempre restando nelle terre<br />

sabaude, tratta dei formaggi della Valle d’Aosta,<br />

di Moriana, Tarantasia e Bressa.<br />

Gran parte delle descrizioni di Pantaleone non<br />

si addicono più alle attuali produzioni casearie<br />

degli stessi territori, ma bisogna tenere presente<br />

che, nel corso dei secoli, sono cambiate le tecniche<br />

di produzione, stagionatura e conservazione<br />

dei formaggi e ciò è stato in parte causa, in parte<br />

effetto del mutamento delle abitudini alimentari<br />

e dei gusti dei consumatori.<br />

Ripresi dal trattato, ecco le traduzioni dal latino<br />

dei capitoli relativi ai formaggi piemontesi e<br />

valdostani.<br />

Cap. 3° De caseo de La Mora<br />

(Il formaggio di La Morra)<br />

Questi formaggi si chiamano robiole e sono piccoli,<br />

di una libbra circa, rotondi e abbastanza<br />

massicci rispetto al loro peso, puliti in superficie<br />

e lucidi o trasparenti soprattutto se sono di buona<br />

qualità: così succede anche per i formaggi inglesi,<br />

come si dirà a suo tempo. Si producono nella<br />

terra dei Mar chesi del Monferrato e del Carretto<br />

e Ceva; però una gran quan tità è prodotta in<br />

parecchie zone del Marchesato del Monferrato.<br />

Sono infatti formaggi abbastanza pregiati. Si<br />

conservano per due anni senza che perdano in<br />

bontà; dopo un anno tuttavia sono migliori, e<br />

presso molti si mangiano più volentieri dopo sei<br />

op pure otto mesi di stagionatura. In effetti dopo<br />

questo tempo sono più ricchi di qualità nutritive<br />

e si digeriscono più facilmen te, come si dirà più<br />

avanti. Si fanno per lo più col latte di peco ra, anzi<br />

si chiamano propriamente robiole quelli che<br />

si ricavano dal latte di pecora. Alcuni tuttavia lo<br />

tagliano aggiungendo latte dì mucca, anzi anche<br />

latte di capra, che è peggiore.<br />

Cap. 4° De caseo Valis Auguste<br />

et de seracio (Il formaggio della<br />

Valle d’Aosta e la ricotta)<br />

La Valle d’Aosta si trova nel ducato di Savoia e<br />

qui i formaggi sono buoni ed i pascoli sono ottimi,<br />

il clima è temperato con monti fertili e i prodotti<br />

della terra sono perfetti. Tra le altre cose è<br />

ottimo il burro di Settimo e assai celebre, non<br />

essendovene altro in tutta la Lombardia che lo<br />

pareggi in bontà; e così non è strano che anche<br />

i formaggi siano buoni. Questa valle confina con<br />

la Tarantasia nella quale i formaggi sono pure<br />

ottimi e delicati. Vengono fabbricati di media<br />

grandezza da latte vaccino; hanno una crosta<br />

alquanto spessa, sono di solito viscosi e filano<br />

quando sono posti sul fuoco o quando sono<br />

messi nell’acqua o nei cibi ai quali vengono aggiunti;<br />

quindi hanno una notevole pesantezza,<br />

per cui non sono così adatti per la nutrizione.<br />

Se ne trovano però di quelli che non sono così<br />

pesanti e con maggiori quantità di parti aerate<br />

nelle quali sono rimaste delle parti butirrose e<br />

così filano di meno; i migliori, i più sapidi sono<br />

quelli freschi e quelli invecchiati. Normalmente<br />

se si vogliono conservare a lungo sono sospesi<br />

a delle funi, esponendoli all’aria in camere, si<br />

possono così tenere per tre o quattro anni, per<br />

cui non subiscono delle contusioni da freschi in<br />

Gusto e tradizione<br />

seguito alle quali si produrrebbero facilmente<br />

dei vermi ed altre decomposizioni.<br />

In questa valle si fanno anche delle ricotte (seracii),<br />

pure famose e buone, particolarmente nella<br />

località di Nus, per cui si chiamano ricotte di<br />

Nus. Sono assai grosse, di forma quadrangolare,<br />

alte quasi due cubiti, si conservano perfettamente<br />

per uno od anche due anni. La tecnica di<br />

fabbricazione è la seguente: estratto il formaggio,<br />

si aggiunge un certo quantitativo di latte con<br />

una certa quantità di siero acetoso, cioè di due<br />

giorni, e si mescolano con siero fresco; si mette<br />

la caldaia sul fuoco sino a che cominci a bollire<br />

e così vengono condensate alcune parti che affiorano<br />

e questo si chiama siero. Raccogliendolo<br />

lo mettono in uno stampo della forma sopradescritta,<br />

si comprime espellendo le parti liquide<br />

come dal formaggio. E se talvolta non si ha sufficiente<br />

materia per riempire lo stampo, si fa il<br />

cacio in due o tre giorni; così appaiono di diverso<br />

colore e di diversa bontà nei vari strati che<br />

talvolta appare di più in uno strato, talora in un<br />

altro; e in verità non appare in essi una grande<br />

viscosità che in effetti non c’è. Sono di assai facile<br />

digeribilità e nelle zone vicine le donne lo servono<br />

indifferentemente come cibo agli infermi<br />

così come fanno anche alcuni medici.<br />

In Coazze, vicino ad Avigliana, sono fatti quasi<br />

in forma di formaggio e sono buoni assai fino a<br />

quando non sono molto salati (…) e, a ec cezione<br />

dei seracchi di Nus, se vengono stagionati superano<br />

gli altri in bontà. Tra quelli freschi invece<br />

ne trovo di migliori in molte località pre<strong>alpine</strong>,<br />

per esempio a Chieri. Ma ne ho man giati di ancora<br />

migliori a Savigliano.<br />

21


22<br />

Gusto e tradizione<br />

Cap. 5° De caseo Vallis Locane et<br />

Cirisole (Il formaggio della Valle<br />

di Locana e di Ceresole)<br />

Nella Valle di Locana e di Ceresole si producono<br />

formaggi assai pregiati, specialmente a<br />

Ceresole. Dopo 4-6 mesi dalla fabbricazione<br />

prendono un colore rossastro come se fossero<br />

cosparsi di polvere di mattone e ciò senza alcun<br />

intervento dell’uomo. Sono formaggi grassi, di<br />

buon sapore, poco viscosi, fabbricati con latte di<br />

vacca ed inizialmente sono di colore bianco, in<br />

seguito, giunti alla giusta maturazione, appaiono<br />

di colore giallo citrino. Non tutti i formaggi<br />

della Valle di Locana sono tuttavia di colore<br />

rossastro e comunque sono più gustosi se stagionati<br />

piuttosto che freschi. Conservano la loro<br />

bontà per quattro e più anni. I formaggi sono<br />

più belli se ripuliti della crosta e se stagionati,<br />

hanno un sapore assai acuto e forte che tuttavia<br />

non nuoce poiché comunemente se ne mangia<br />

in piccola quantità.<br />

I signori di questa valle sono i conti di Valperga.<br />

I pascoli in questi monti e in queste valli sono<br />

ottimi: i cavalli si possono veramente saziare di<br />

quel fieno. Di conseguenza il latte ed il formaggio<br />

sono assai buoni.<br />

Cap. 6° De caseo Vallis Lancei<br />

et circumstancium (Il formaggio<br />

della Valle di Lanzo e dintorni)<br />

Parecchie valli sono comprese sotto il nome di<br />

Valli di Lanzo, alcune del le quali confinano con<br />

la Valle Locana, ed altre si estendono fino al Moncenisio;<br />

ed in tutte quelle valli si produce una<br />

notevole quantità di formaggi che, finché sono<br />

freschi non hanno sapore molto buono; sono<br />

assai grassi. E o non sanno o non possono essi<br />

stessi essere opportunamente conservati se non<br />

su fieno disteso in luoghi umidi; e per questo il<br />

fieno aderisce alla crosta e così appaiono sporchi.<br />

Quando però vogliono stagionarli, puliscono<br />

la crosta e li espongono all’aria sospendendoli<br />

- avvolti - in granaglie e paglie, specialmente<br />

nella segale e nel grano gentile - o bianco -; e<br />

men tre sono stagionati, essi subiscono una tale<br />

fermentazione che diventano gu stosi, ma di<br />

sapore molto forte, tanto che sono da considerarsi<br />

molto utili per i poveri, primo perché di<br />

esso ne mangiano poco a causa dell’acutezza;<br />

infatti se qualcuno ne mettesse in bocca una notevole<br />

quantità, ne indurreb be tanta mordacità<br />

o acutezza, che farebbe piangere, non meno di<br />

quanto un forte vino produce in beoni ed ubriaconi.<br />

In secondo luogo sono consi derati utili per<br />

i poveri perché, mentre con quel formaggio si<br />

preparano ali menti, soprattutto torte, a causa<br />

della loro mordacità non è necessario l’im piego<br />

di spezie e di sale; e tali sono soprattutto essicativi<br />

e risolutivi, come è detto nel terzo trattato.<br />

Non faccio qui distinzione tra i formaggi di queste<br />

valli, perché sono all’incirca simili tra loro,<br />

è possibile - tuttavia - che al cuni superino altri<br />

in bontà.<br />

Cap. 7° De caseo Vallis Secuxie<br />

et Montiscinixii<br />

(Il formaggio della Valle di Susa e<br />

del Moncenisio)<br />

La Valle di Susa è fertile in grano, vino, frutta<br />

e in bestiame e di conseguenza in formaggio.<br />

La produzione di formaggi è scarsa nella pianura,<br />

ma abbondante sui monti, in particolare<br />

sul Moncenisio, dove vi è una tale estensione<br />

di pascoli che anche da località assai lontane<br />

conducono qui a pascolare il bestiame durante<br />

l’estate, sia per l’abbondanza dei pascoli sia per<br />

la bontà delle erbe. I formaggi prodotti su quella<br />

montagna sono ovunque buoni e Pantaleone<br />

pensa che ciò sia dovuto al fatto che il bestiame<br />

vi è portato tutto insieme nel mese di maggio, a<br />

causa della grande quantità di neve che ricopre<br />

il terreno, e il pascolo prosegue fino al mese di<br />

settembre, più o meno a seconda delle condizioni<br />

meteorologiche e della durata delle nevi.<br />

Inoltre Pantaleone ritiene che la causa della<br />

bontà dei pascoli, e di conseguenza del latte e<br />

del formaggio, sia la qualità dell’aria durante<br />

tutto il periodo in cui il bestiame può restare<br />

all’alpeggio: infatti l’aria è sempre ben ventilata<br />

e perciò il latte è di qualità e prodotto in<br />

abbondanza. In questo monte il bestiame non<br />

abbisogna praticamente di sale a causa della<br />

buona qualità dell’erbaggio, così come avviene<br />

Gusto e tradizione<br />

anche in diverse altre località montane, mentre<br />

in pianura il bestiame, necessitando di una<br />

notevole quantità di sale, non produce un latte<br />

parimenti buono, né tale bestiame può godere<br />

della stessa salute. La causa di ciò non è facile<br />

da scoprire. Per le cause descritte le bestie sono<br />

condotte in montagna da quindici a venti leghe<br />

di distanza nel tempo che le erbe iniziano a crescere,<br />

e vi stanziano come detto. I formaggi ivi<br />

prodotti non differiscono in bontà, mentre sono<br />

diversi per volume poiché alcuni pastori hanno<br />

pochi animali, altri molti e quindi dispongono<br />

di diverse quantità di latte da lavorare; alcuni<br />

piccoli proprietari costituiscono allora delle società<br />

nelle quali si mette in comune il latte e, una<br />

volta prodotto il formaggio, lo si ridistribuisce in<br />

rapporto al bestiame posseduto. I formaggi fabbricati<br />

nei giorni festivi sono offerti alla chiesa,<br />

la qual cosa Pantaleone giudica che non poco<br />

giovi alla salute del bestiame.<br />

23


Itinerari<br />

Vi sono posti così belli e rilassanti<br />

che è un vero peccato<br />

non se ne conosca a volte<br />

l’esistenza. Basta una serie di<br />

combinazioni felici, che possono<br />

creare un luogo affascinante<br />

e trasformarlo ancora in qualcosa<br />

di più e cioè “uno spazio<br />

magico”. Uno di questi è il Parco<br />

Naturale del Pesio, che unisce<br />

la sacralità della Certosa, visi-<br />

Ciaspolata al chiaro di luna<br />

in Valle Pesio<br />

tabile per tutto l’arco dell’anno,<br />

a percorsi ideati per il piacere<br />

di muoversi in montagna nei<br />

mesi invernali. Sono stati, infatti,<br />

creati dei percorsi battuti<br />

e tracciati in vari modi che permettono<br />

a chi cammina, a chi<br />

ama le “ciaspolate” o a chi è<br />

affezionato allo sci da fondo e<br />

allo sci-escursionismo tranquillo,<br />

di trascorrere ore indimenti-<br />

A cura di Lodovico Marchisio<br />

cabili tra pini carichi di neve, il<br />

mormorio soffuso del Pesio che<br />

scorre a lato di questi percorsi<br />

e un rifugio che ti accoglie al<br />

Pian delle Gorre, classica ciliegina<br />

sulla torta, in un ambiente<br />

così edificante.<br />

Per i fondisti il luogo è un vero<br />

paradiso perché la pista inizia da<br />

San Bartolomeo (753 metri) ove<br />

nell’apposito bar e centro visibi-<br />

le dalla strada, noleggiano ciaspole,<br />

sci da fondo, scarpe per<br />

la pratica di questa disciplina e<br />

anche calzature per l’esercizio<br />

del pattinaggio su ghiaccio nel<br />

laghetto ghiacciato a lato di tali<br />

percorsi. L’anello di fondo, che<br />

arriva sino al Pian delle Gorre<br />

nei pressi del Rifugio omonimo<br />

(1032 m) è lungo più di 30 Km<br />

con le varie diramazioni, digressioni<br />

ad anelli confluenti nel bosco<br />

da varie direzioni. A volte la<br />

quota non elevata può trarre in<br />

inganno sulla qualità delle neve<br />

che però grazie a questi ultimi<br />

inverni particolarmente nevosi,<br />

specialmente nella zona del<br />

Cuneese, assicurano veramente<br />

una giornata per muoversi<br />

in totale libertà in uno spazio<br />

“wilderness” di notevole entità.<br />

Anche le passeggiate a piedi<br />

sono consentite in percorsi appositi<br />

creati a lato o discostati<br />

di qualche metro rispetto alle<br />

piste da fondo e sci - escursionismo.<br />

La chicca finale però è la pratica<br />

delle ciaspole, che si possono<br />

noleggiare anche nei pressi<br />

della Certosa. Il percorso è tutto<br />

un poema. Ne descriviamo<br />

uno per i lettori di “<strong>Panorami</strong>”<br />

come itinerario base, ma a proprio<br />

gusto si possono percorrere<br />

più di dieci itinerari diversi<br />

tutti confluenti in vari punti.<br />

A lato della Certosa presso la<br />

Fonte degli Innamorati, si dirama<br />

un sentiero appositamente<br />

tracciato per le ciaspole, che<br />

sulla sinistra di chi sale e sulla<br />

destra idrografica del Pesio,<br />

sale al Gias Sottano del Pari<br />

(Fontana Dompè) inoltrandosi<br />

nel bosco tra alberi colmi di<br />

neve. Si prova un senso di pace<br />

totale e vista l’organizzazione<br />

per preparare i percorsi, è diventato<br />

anche un luogo ideale<br />

per chi calza per la prima volta<br />

le sulla sponda destra idrografica<br />

del Pesio, può essere in un<br />

tratto bloccato da un divieto a<br />

causa di una valanga incombente<br />

su un canalone sovrastante.<br />

Questo non rappresenta però<br />

un problema perché un’edificante<br />

digressione vi permetterà<br />

di scendere sul bordo del Pesio<br />

e continuare in tutta tranquillità<br />

il percorso fino al Pian delle<br />

Gorre dove il rifugio omonimo<br />

vi attenderà (sempre aperto)<br />

per deliziarvi con i suoi favolosi<br />

piatti di polente condite in più<br />

modi, vini DOC e altre delizie<br />

locali. La traccia per le ciaspole<br />

è quasi sempre segnata fino<br />

alla sovrastante Cascata del<br />

Saut. Il rientro lo si può compiere<br />

sulla sinistra idrografica del<br />

torrente e del senso di marcia,<br />

transitando a lato del Villaggio<br />

dell’Arduà, per poi trasferirsi<br />

sulla sponda destra idrografica<br />

(verso di salita) su un ponte<br />

con belle colate di ghiaccio<br />

originatesi per una perdita di<br />

un condotto (gennaio 2010). Si<br />

può addirittura con una digressione<br />

alta trovarsi ad entrare<br />

(con rispetto) nel parco della<br />

Certosa e se non siete fondisti<br />

che devono proseguire sul percorso<br />

basso di San Bartolomeo,<br />

circoscrivere le mura su neve a<br />

volte vergine che vi farà assaporare<br />

al massimo le ciaspole,<br />

per uscire (prima della chiusura<br />

della Certosa - ore 17 circa)<br />

dal portone principale che vi<br />

ricondurrà al parcheggio. Per<br />

un itinerario base che sale al<br />

Pian delle Gorre e ridiscende<br />

alla Certosa (che si consiglia<br />

vivamente di visitare) calcolare<br />

circa 4 ore, con un dislivello di<br />

appena 200 metri, affrontabile<br />

da chiunque ami immergersi in<br />

una natura così varia e corroborante.<br />

Vengono anche organizzate<br />

ciaspolate, nei mesi invernali<br />

al chiaro di luna con cena al<br />

Rifugio del Pian delle Gorre<br />

quando vi è la luna piena.<br />

L’ultima è stata effettuata da<br />

un folto gruppo del CAI Sezione<br />

di Torino sottosezione GEB il<br />

30 gennaio 2010. Anche se poi<br />

la luna piena è coperta dalla<br />

neve la suggestività dell’evento<br />

rimane inalterato. Provare per<br />

credere.<br />

Si pensi infine che tutti questi<br />

percorsi in tarda primavera ed<br />

estate si trasformano in strade<br />

aperte al traffico con aree<br />

di parcheggio ben delimitate<br />

e il Pian delle Gorre diventa il<br />

punto di partenza per escur-<br />

sioni estive al Rifugio Garelli ed<br />

ascensioni più impegnative alla<br />

cima del Marguareis, con una<br />

via facile per escursionisti e canaloni<br />

più difficoltosi (Torinesi e<br />

Genovesi). Questa è anche una<br />

delle cime più importanti a livello<br />

nazionale per l’infinità di<br />

grotte tra le più profonde d’Italia<br />

che racchiude la Carsena del<br />

Pas ove convergono alpinisti<br />

da tutto il mondo per il sistema<br />

idrico sotterraneo tra i più importanti<br />

d’Italia e con grotte che<br />

hanno uno sviluppo superiore ai<br />

30 Km di corridoi sotterranei<br />

26 le ciaspole. Il percorso integra- vere e proprie gite sociali con esplorati nel sistema.<br />

27<br />

Itinerari<br />

IMMAGINI DELLA<br />

CIASPOLATA<br />

NEL PARCO<br />

DI CERTOSA<br />

DI PESIO


Preghiere<br />

e testi<br />

trascritti e<br />

usati come<br />

amuleti tra<br />

religiosità e<br />

magia<br />

28<br />

Il tempo e la memoria<br />

Un’antica<br />

orazione salvifica:<br />

l’epistola di Leone III<br />

a Carlo Magno<br />

GIANMARCO MONDINO<br />

Lettere dal cielo e preghiere<br />

scongiuro<br />

Uno dei più antichi documenti apocrifi<br />

del Medioevo cristiano (VI secolo) è<br />

la “Lettera della Domenica”, attribuita<br />

a Gesù medesimo e caduta dal cielo o<br />

portata in terra dall’arcangelo Michele. Bollata<br />

come falsa dal Concilio Romano del 745 e condannata<br />

da Carlo Magno, continuò a circolare<br />

nascostamente. Questa ed altre venerate “lettere<br />

dal cielo” diventarono poi degli amuleti da<br />

portare indosso contro pericoli e malattie, assumendo<br />

quindi un ruolo magico. In epoca carolingia<br />

ne esisteva un vero e proprio commercio<br />

che, malgrado l’opposizione della Chiesa e delle<br />

autorità (propense, però, a farne uso a loro volta<br />

in privato) continuò nei secoli successivi. Si indossavano<br />

amuleti con frasi propiziatorie, tratte<br />

di solito dai libri sacri, come i cosiddetti “brevi”,<br />

oppure testi più articolati, definiti dagli studiosi<br />

orazioni salvifiche o preghiere scongiuro, di<br />

contenuto magico più o meno evidente, utilizzate<br />

pure a protezione della casa. Mirella Ferrari<br />

(“Buona fortuna e scongiuri”, in “Margarita<br />

amicorum”) cita il ritrovamento, nell’architrave<br />

di un’antica abitazione del Comasco, di una<br />

“carthula del XIII secolo, con tutta una serie di<br />

invocazioni a Dio, alla Vergine, ai Santi, ai Magi,<br />

perfino ai due ladroni, a cui la tradizione assegnava<br />

il ruolo di difensori domestici dai furti!<br />

Era frequente che nella stessa preghiera si accumulassero<br />

svariate “potenze” per garantire<br />

un effetto più sicuro.<br />

Del commercio di preghiere nel ‘500 forniscono<br />

testimonianze vari studiosi. Maria Pia Fantini<br />

(“Tra poesia e magia”) spiega come ciarlatani<br />

e mendicanti commissionassero orazioni con<br />

parole e frasi precise, tali da colpire l’attenzione<br />

del pubblico ed essere vendute agevolmente come<br />

amuleti; altrettanto riferisce Roberta Astori<br />

in “Formule magiche”. Una specifica ricerca di<br />

Giorgio Caravale, “L’orazione proibita”, cita un<br />

gran numero di scritti utilizzati a questo scopo.<br />

A fruirne erano sovente i militari: i Valdesi, ostili<br />

a tale usanza, ne trovarono parecchi indosso<br />

ai cadaveri dei soldati nemici e li esibirono per<br />

dimostrarne l’illusorietà (V. Minutoli, “Storia del<br />

ritorno dei Valdesi nella loro patria”). La teologia<br />

ufficiale osteggiava il fenomeno, ma nella pratica<br />

quotidiana si finì per lasciar correre, se non<br />

altro i testi meno contrari alle regole ufficiali.<br />

Tuttavia, anche nel ‘500 e nel ‘600, secoli di<br />

lotta accanita contro le superstizioni, l’atteggiamento<br />

di Chiesa ed autorità verso “incantesimi<br />

e stregherie”, detti anche “inchiarmi”, fu ambivalente:<br />

da un lato si voleva convincere la gente<br />

che erano vani ed illusori; d’altro lato, però,<br />

si dava la caccia a chi li usava o li diffondeva<br />

(esercitando una rigida censura sulle stamperie),<br />

non solo perché la magia era considerata<br />

eresia, ma, come afferma un editto del 1673 di<br />

Carlo Emanuele II di Savoia, per “sicurezza de’<br />

nostri sudditi”, avallando così l’opinione che gli<br />

“inchiarmi” fossero efficaci e temibili. L’editto<br />

prevedeva la pena di morte per i casi più gravi<br />

e la perquisizione degli arrestati, per cercare<br />

tali amuleti. Secondo uno studioso francese del<br />

1800, il Le Blant, si credeva che fossero usati<br />

per sopportare senza sofferenze la tortura; alcuni<br />

si facevano rasare e tatuare il cuoio capelluto<br />

con formule magiche le quali, ricresciuti i capelli,<br />

non erano più visibili. Una preoccupazione<br />

in più per chi doveva perquisire i criminali o<br />

addirittura i duellanti. Il Lecouteux (“Charmes,<br />

conjurations, benedictions”) segnala che già nel<br />

1355 un duello giudiziario fu rinviato perché<br />

addosso ad uno dei contendenti era stata trovata<br />

una preghiera scongiuro.<br />

Nel secolo XIX la ripresa delle guerre in Europa,<br />

con tanto di coscrizione obbligatoria, generò al-<br />

tre situazioni di pericolo, rese più tragiche da<br />

nuove epidemie: il colera e, con il primo conflitto<br />

mondiale, la spagnola. L’angoscia rinnovò<br />

il bisogno di rassicurazione con preghiere ed<br />

amuleti, spesso riutilizzando quelli più antichi.<br />

Elisabetta Gulli Grigioni (“L’esorcizzazione<br />

della paura”) ha evidenziato appunto come le<br />

orazioni salvifiche abbiano subito nel tempo<br />

un “adattamento popolare”, cioè siano servite,<br />

con parziali modifiche, a fronteggiare rinnovate<br />

esigenze: ad esempio, cessato ormai l’incubo<br />

della peste, furono usate per il colera, e il “logo”<br />

della campagna anti-tbc nel ‘900, la croce a due<br />

bracci, non era altro che un simbolo anti-peste.<br />

Certe formule per vincere alle lotterie furono poi<br />

utilizzate dai coscritti per estrarre il numero che<br />

li avrebbe esentati dal servizio.<br />

Alla riscoperta di un antico<br />

documento<br />

Tra vecchie carte di famiglia, a Forno Alpi Graie<br />

(Val Grande di Lanzo), ho trovato, su un foglio<br />

sgualcito e ripiegato, scritto fittamente, una preghiera<br />

scongiuro risalente ai primi del ‘900. Si<br />

tratta della celebre Epistola di papa Leone III<br />

a Carlo Magno, un apocrifo dalla lunga storia.<br />

Incuriosito, ho svolto le prime ricerche, aiutato<br />

da un’appassionata di storia locale, Maria<br />

Teresa Serra, giungendo ad una scoperta per me<br />

impensabile: il testo era diffuso su un territorio<br />

vastissimo, dal Piemonte alla Valle d’Aosta, fino<br />

alla Lombardia, al Friuli ed all’Emilia. La preghiera<br />

è citata, insieme ad altre, da libri ed articoli<br />

di etnologia, magia, storia religiosa, poiché<br />

rientra nelle passate tradizioni magico-sacrali<br />

europee. Circolava sia in copie manoscritte, tramandate<br />

fra il popolo, sia su foglietti a stampa,<br />

spesso piegati in forma di libretto, da leggere o<br />

tenere indosso, che sovente erano venduti dai<br />

girovaghi in fiere e mercati. In tale forma l’orazione,<br />

assai utilizzata dai soldati durante i due<br />

conflitti mondiali (ma ho letto una testimonianza<br />

relativa alla guerra di Libia), ha continuato<br />

ad essere diffusa fino a tempi piuttosto recenti,<br />

se la tipografia Chiais di Vercelli la stampava ancora<br />

una ventina d’anni fa.<br />

Le numerose copie, di varia provenienza, che<br />

ho esaminato sono identiche fra loro in quanto<br />

a struttura e parole, salvo varianti marginali, in<br />

genere legate all’ortografia. Il testo si compone<br />

di due parti: la “cornice” in lingua italiana, che è<br />

la più antica, e l’insieme di parole e formule latine<br />

aggiunte qua e là, spesso trascritte in modo<br />

errato o incompleto. Anche gli esemplari a stampa<br />

(dove però la parte in italiano è debitamente<br />

corretta) presentano le stesse manchevolezze:<br />

segno che non era lo scritto a contare, ma solo il<br />

fatto di possederlo o recarlo indosso come amuleto,<br />

tanto è vero che l’orazione, pur con le sue<br />

lacune, ebbe una diffusione enorme. Il testo qui<br />

riportato deriva dal confronto ed interpretazio-<br />

Il tempo e la memoria<br />

ne delle varie versioni esaminate, con l’obiettivo<br />

di offrire ai lettori una lettura più comprensibile<br />

e completa possibile, ovviamente senza la pretesa<br />

di elaborare un’edizione critica.<br />

Il testo dell’Epistola di papa<br />

Leone III a Carlo Magno<br />

Si legge che la santità di papa Leone IV mandò<br />

questa SS. Epistola al Re Carlo Imperatore, nel<br />

tempo che si trovava alla battaglia per la S. Sede<br />

[Santa Fede], ed ordinò a favore d’ognuno che<br />

facesse la copia e la portasse indosso, che ogni<br />

persona sarà salva, e chi la leggerà e la porterà<br />

indosso, non gli potrà accadere male alcuno né<br />

di giorno né di notte.<br />

Inoltre andranno sempre bene i suoi affari. Se<br />

qualche donna stesse in disgrazia del suo marito,<br />

avendo questa SS. Epistola indosso, bisogna<br />

che il suo marito la torni ad amare. Se vi fosse<br />

qualche donna che non partorisse, mettendosi<br />

la presente indosso, partorirà subito e senza dolore.<br />

Se qualcheduno si trovasse nell’estremo di<br />

sua vita, confidandosi alla misericordia di Dio,<br />

avrà la grazia che l’anima sua non potrà essere<br />

dannata all’Inferno. Quello che la porterà indosso<br />

non potrà in nessun caso essere offeso. Se<br />

questa Santa Epistola alcuna persona l’avesse in<br />

mano, ne faccia la copia e la conservi, che poche<br />

copie se ne trovano ancora. Se alcuno avesse<br />

perduto l’amicizia di qualche signore, oppure di<br />

qualche suo favorito amico, andandogli a parlare<br />

tornerà alla prima amicizia.<br />

Se qualcheduno combattesse con li nemici suoi,<br />

sarà sempre vincitore e vittorioso, e dove sono<br />

questi santi nomi di Dio:<br />

Agnus + Nativitas + Vitulus + Christus +<br />

Benevolentias + Amabilis + Sanctus +<br />

Se qualcheduno venisse il sangue dal naso che<br />

non gli stagnasse, mettendosi la medesima indosso<br />

subito gli stagnerà, e portando la presente<br />

in seno non verrà offeso da qualsiasi sorta d’armi,<br />

e se vi fosse qualcheduno incredulo, lo potrà<br />

provare con metterla sopra un’anima e tirargli<br />

che non potrà essere offesa.<br />

+ Compatitione [Computatione, Competitione]<br />

spiritus malignos quattuor fulminacibus [fulminaribus]<br />

catolicis + et computatione sanctum<br />

Jacobum et omnes sancti et sanctae Dei nullo<br />

modo possit nocere mihi + Sancti Andreae Dei<br />

famulum tuum libera me Domine ab omnibus<br />

infirmitatibus, periculis temporalibus et omni<br />

odio et omni lingua et vigilando et comandando<br />

in omni tempore.<br />

Jesus F. F. F. F.<br />

+ Libera Jesus Maria, amen, angelus nativitas,<br />

qui fecit caelum et terram fecit salvum famulum<br />

tuum a Joseph sanctus Andrea. Amen.<br />

Queste sono le parole ovvero la lettera che<br />

mandò Papa Leone al re Carlo e si trovò scritta<br />

[stampata] nell’archivio antico del suo palazzo,<br />

nell’anno di sua salute 1169.<br />

29


30<br />

Il tempo e la memoria<br />

Erue sit + amen. Deus erue inquam omni tempore<br />

te adoro + Erue Christus afferat ad me<br />

Domine quidam [quidem] me opprimat inimicus<br />

Christus nobiscum sit amen, Jesus, Maria,<br />

Joseph, Franciscus, Antonius, Jacobus, Andrea,<br />

libera me Joseph<br />

I.N.R.I [ + ]<br />

Sarà libero da ogni pericolo, e non morirà senza<br />

confessione, né di folgore, né di tempesta, né<br />

di saette, né d’acqua né di fuoco, né di veleno,<br />

né di mal fisico, né di mala morte, né di morte<br />

subitanea, e sarà libero dalle calunnie dei falsi<br />

testimoni e dai cattivi nemici.<br />

Questa orazione fu mandata dall’Angelo disceso<br />

dal cielo nel palazzo di Carlo Magno acciò nessuno<br />

potesse nuocerlo:<br />

Christus Rex visitare nos Deus + homo + factus<br />

est miraculo Jacobus Andrea transeat per<br />

montium [monticum] Elisabet sine sanguine<br />

sine non abitet + et requiescat omni regione +<br />

sanctus Deus + sanctus misericors et immortalis<br />

misericordiae mei + Crux Christi defendat me.<br />

Crux + Christi me ab omni malo, libera me.<br />

Domine Christus + Deus Emanuel Jesus<br />

Redemptor Christus + et Verbum caro factum est<br />

et habitavit in me: Raphael mirram + Melchior<br />

incensum + Baldhassar aurum + Christus vincit,<br />

Christus ut omni periculo imminenti me defendat,<br />

Jesus et Maria.<br />

Signor mio Gesù Cristo, Salvator di tutto il mondo<br />

salvate l’anima mia<br />

Si legge che il Re Carlo una mattina doveva far<br />

decollare uno che era reo di morte, ed il carnefice<br />

non gli poteva mai tagliar la testa, e non potè<br />

farlo morire; fu cercato indosso, e gli trovarono<br />

la medesima Epistola.<br />

Gran Madre di Dio, Vergine fra tutte le vergini di<br />

tutto l’universo, benedetta e santificata fra tutte<br />

le altre donne, pregate il vero SS. Figlio per tutti<br />

i peccatori, voi Signora che siete la vera Vergine,<br />

vogliatemi bene e aiutatemi in tutte le necessità.<br />

Quest’orazione fu trovata nel Santo Sepolcro di<br />

Gerusalemme, ed ha questa proprietà, che chi<br />

la porterà indosso, però con devozione e con<br />

buona intenzione, non sarà sentenziato a morte,<br />

non patirà il male d’occhi, né di cuore, e sarà<br />

visitato tre giorni avanti la sua morte dalla Gran<br />

Madre di Dio Maria SS.; ed in quella casa dove<br />

vi sarà questa Orazione, non si sentirà veruno,<br />

non vi sarà incendio e non si vedranno genii cattivi,<br />

e sarà libera da qualsiasi sorta di pericolo.<br />

LAUS DEO<br />

[NdR Il segno + indica che si dovevano intervallare le parole<br />

con un segno di croce.<br />

In alcuni esemplari, a mano o a stampa, la croce accanto<br />

a INRI è di dimensioni maggiori rispetto alle altre e di<br />

disegno più ricercato. Solo in due delle versioni manoscritte<br />

esaminate, una in possesso dei signori Lino e Maria Piera<br />

Solero di Mondrone e l’altra appartenuta ad un anziano di<br />

Cuorgnè morto nel 1916 ed inviatami dal Dr. Giovanni Bertotti,<br />

compare anche la scritta: “La misura della croce di nostro<br />

Signor Gesù Cristo era lunga più di questa 49 volte. Il detto<br />

legno ha tanta proprietà che chi la porterà indosso con la<br />

sottoscritta orazione sarà libero da ogni pericolo ecc.”<br />

Sul retro del documento manoscritto dei signori Solero di<br />

Mondrone si legge: “Scritto di fretta il 19 ottobre 1916”. Oltre<br />

a fornirci una data precisa, la breve nota fa pensare che la<br />

preghiera fosse destinata urgentemente a qualcuno al fronte.<br />

Due membri della famiglia Solero, tornati incolumi dalla<br />

Grande Guerra, fecero poi costruire per voto un “ciaplot”<br />

(cappelletta) nella zona sopra il loro paese].<br />

Religiosità o magia?<br />

L’Epistola apocrifa di papa Leone III appartiene<br />

alla tradizione magica o religiosa? Propendo per<br />

la prima ipotesi. È vero che la preghiera sembra<br />

corretta dal punto di vista formale, poiché non<br />

contiene certi elementi tipici degli scritti magici<br />

e combattuti dalla Chiesa, come i nomi di<br />

Dio più stravaganti o di angeli inventati, né vi<br />

compaiono espliciti riferimenti a numeri propiziatori<br />

o a particolari mezzi di scrittura (basti<br />

pensare all’Encheyridion, attribuita allo stesso<br />

Leone III). Tuttavia l’impostazione ideologica<br />

rientra nell’universo magico, e non in quello religioso.<br />

Che invochi Dio, la Vergine un Santo, o<br />

indossi un’immagine sacra, il cristiano“chiede”<br />

una grazia o una protezione nella speranza di<br />

ottenerla. Nel pensiero magico, invece, la realtà<br />

è un campo di forze in cui l’uomo, per difendersi,<br />

deve far intervenire una “potenza” più efficace<br />

di quella che lo minaccia; l’evocazione di<br />

tale “potenza” attraverso una formula, un gesto,<br />

un amuleto indossato, provoca automaticamente<br />

la sconfitta di ogni negatività: la magia non<br />

chiede”, non prega, dà la certezza dell’effetto<br />

benefico. Nell’Epistola compaiono verso la fine<br />

un paio di invocazioni (a Gesù Salvatore, alla<br />

Vergine), probabilmente aggiunte in tempi più<br />

vicini a noi, ma il discorso nel suo insieme dà<br />

per scontato che, indossando l’amuleto, da cui<br />

sprigiona appunto una “potenza”, non si verrà<br />

toccati dai mali più disparati.<br />

Siamo di fronte ad una concezione magica, benché<br />

molte persone che ho avuto modo di sentire,<br />

soprattutto anziani, in perfetta buona fede recitassero<br />

l’orazione o la portassero con spirito cristiano,<br />

senza rendersi conto della devianza del<br />

testo. Parecchi mi hanno citato il caso di un marito,<br />

figlio o parente che, indossando l’Epistola, è<br />

stato l’unico di un gruppo a sopravvivere ad un<br />

evento bellico (l’affondamento di un sottomarino,<br />

la Campagna di Russia). La studiosa valdostana<br />

Fernanda Cout mi ha spiegato che in un paesino<br />

della sua regione non c’è alcun monumento ai<br />

Caduti e che una vecchietta, interrogata al riguardo,<br />

le rispose che lì non c’erano stati morti nella<br />

Grande Guerra, perché tutti gli uomini recavano<br />

con sé la “prière”. Sono affermazioni basate su<br />

una convinzione religiosa, e non superstiziosa,<br />

a riprova del fatto che dell’Epistola, vista come<br />

una semplice orazione o immagine sacra, talora<br />

procurata dai sacerdoti stessi, è esistito anche un<br />

uso “corretto”. Le due Guerre Mondiali, con il loro<br />

seguito di stragi, avevano segnato, con il ritorno<br />

della paura, la rinascita della devozione e perciò<br />

anche dell’utilizzo di ogni pratica religiosa, giusta<br />

o meno che fosse; per questo anche l’Epistola<br />

riprese a circolare, insieme ad altre preghiere<br />

ed immagini sacre. Il Malgeri (“La Chiesa e la<br />

guerra”) cita numerosi esempi al riguardo, tra<br />

cui anche la nostra orazione, sottolineando come<br />

la censura fascista bloccasse l’invio di tali scritti<br />

ai soldati, considerandoli disfattisti per il morale<br />

delle truppe.<br />

Origini e storia dell’Epistola<br />

Non sapppiamo dove e quando l’Epistola abbia<br />

cominciato a circolare, ma possiamo solo formulare<br />

qualche ipotesi. Nella preghiera si distinguono<br />

“strati” successivi, cioè elementi di periodi<br />

diversi che hanno contribuito alla sua formazione:<br />

è come un puzzle al quale si è aggiunto via<br />

via qualche pezzo. La genesi va ricercata già agli<br />

inizi del Cristianesimo, poiché fin dal VI secolo fu<br />

diffusa la credenza delle “lettere dal cielo”, spesso<br />

recate da un angelo in un luogo sacro. Nel<br />

corso del Medioevo esse proliferarono e furono<br />

indossate abitualmente come amuleti. Dopo il<br />

Mille in questa tradizione si innestò la figura di<br />

Carlo Magno, sul quale erano fiorite molte leggende,<br />

in particolare sui suoi presunti viaggi<br />

in Italia Settentrionale (in Lombardia e poi nel<br />

Trentino, come riferisce Emanuela Renzetti) e<br />

addirittura a Costantinopoli e Gerusalemme. La<br />

data scritta nell’Epistola è singolarmente vicina<br />

al 1165, anno della sua beatificazione voluta<br />

dal Barbarossa. Intorno al personaggio di Carlo<br />

Magno nacque una serie di preghiere, a lui attribuite<br />

per dare loro importanza o da lui ricevute<br />

tramite papi o angeli ed utilizzate come protezione<br />

in battaglia, onde poi la diffusione popolare<br />

sotto forma di amuleto per tutti gli usi. Anna<br />

Cornagliotti (“La preghiera di Carlo Magno”) ne<br />

cita parecchie, tra cui una in dialetto veneto del<br />

XIV secolo, ed osserva che, ad un certo punto,<br />

quella che era diventata per definizione la “preghiera<br />

di Carlo Magno” si fuse con un’altra di<br />

origine assai antica, l’elenco dei nomi di Cristo<br />

(ben 72 in certe versioni).<br />

La studiosa francese, Edina Bozoky (“Charmes<br />

et prieres apotropaiques”), fa risalire al XIII<br />

secolo la prima preghiera di Carlo Magno,<br />

mandatagli da San Silvestro, un’orazione che<br />

l’imperatore leggeva prima di ogni battaglia.<br />

Successivamente, come mittenti, in genere tramite<br />

un angelo, comparvero altri papi e finalmente,<br />

a partire dal ‘400, l’invio fu attribuito<br />

a Leone III, suo contemporaneo ed alleato. A<br />

questo pontefice la tradizione assegnava anche<br />

un vero e proprio trattato di magia, la celebre<br />

“Encheyridion”, dove comparivano le più strane<br />

“ricette” per realizzare amuleti e scongiuri,<br />

ed anche l’elenco completo dei nomi di Cristo.<br />

Malgrado la Chiesa combattesse con accanimento<br />

ogni forma di magia, tanto l’Encheyridion<br />

quanto l’Epistola furono utilizzate anche nel ‘500<br />

e nel ‘600, i secoli dei roghi. Sotto l’etichetta di<br />

“Epistola di papa Leone III”, circolarono, in latino<br />

o in volgare, scritti diversi fra loro e del tutto<br />

Il tempo e la memoria<br />

differenti dal nostro. A Palermo il Cherubini ne<br />

ha scoperto uno, più complesso, allegato al trattato<br />

“Lapidari”, che parla di pietre e piante ritenute<br />

curative; il Galimberti addirittura tre, differenti<br />

fra loro, conservati nell’archivio dell’Ospedale<br />

Maggiore di Milano, a dimostrazione che i<br />

medici, pur storcendo il naso, li usavano almeno<br />

nei casi più disperati. Il Lecouteux nota che<br />

una “Benedizione di papa Leone” fu distribuita<br />

ai soldati piemontesi, durante la guerra contro<br />

Ginevra del 1602, da parte del Duca di Savoia,<br />

per cui fu chiamata “Billet des Savoyards”. Uno<br />

studioso del ‘700, J.B. Thiers, nel suo trattato<br />

sulle superstizioni, definisce l’Epistola, proprio<br />

per la sua larga diffusione, una delle più “perniciose”<br />

vista l’influenza negativa che esercitava<br />

sulle menti della gente.<br />

La parte in italiano dell’orazione, con ampio<br />

spazio dedicato alla Vergine ed ai Santi, fa pensare<br />

ad una nascita dopo il Concilio di Trento,<br />

allorché tali culti acquisirono maggior rilievo.<br />

L’etnologo Angelomichele De Spirito cita una<br />

testimonianza dell’Epistola in un processo per<br />

stregoneria tenutosi a Napoli nel ‘700. Lo studioso<br />

osserva che, in tale forma, essa è una “preghiera<br />

senza contenuto”, poiché il documento<br />

parla di un’Epistola di papa Leone III a Carlo<br />

Magno, ne vanta il potere miracoloso, ne raccomanda<br />

la divulgazione, ma in realtà non ne<br />

riporta il testo. Come tale l’orazione fu diffusa in<br />

Italia Centro-Meridionale: infatti le pur non numerose<br />

testimonianze da me rinvenute (Firenze,<br />

Campagna Romana, Bari, Sardegna) sono tutte<br />

costituite dalla sola “cornice” in italiano. E’ probabile<br />

che si tratti di un modello semplificato<br />

dell’orazione, forse di uso popolare. Benché in<br />

questa forma incompleta, la preghiera ha continuato<br />

a circolare fino a tempi assai recenti, se<br />

il Maritani, parlando di un processo tenutosi a<br />

Bari negli anni ’90 del secolo scorso, afferma<br />

che una copia era stata rinvenuta addosso ad<br />

un membro della Sacra Corona Unita.<br />

Finalmente, tra la seconda metà del 1800 e gli<br />

inizi del ‘900, “qualcuno” provvide a riempire la<br />

“cornice”, a dare un “contenuto” alla preghiera,<br />

aggiungendo qua e là parole e formule in latino,<br />

oltre ai soliti segni di croce. E’ un armamentario<br />

tipico delle orazioni salvifiche, come i nomi<br />

di Dio (“agnus”, “vitulus“, “agios”, ecc.), che si è<br />

visto in certi antichi testi erano ben 72, e le frasi<br />

tratte dal vangelo di Giovanni, alle quali si attribuivano<br />

effetti portentosi. La “cornice” in italiano<br />

risulta perfettamente identica ai documenti<br />

precedenti, ma ora è riempita con il frasario latino.<br />

Non ho potuto scoprire nulla sull’autore della<br />

nuova versione. Le citazioni assai frammentarie,<br />

che sembrano prese a caso ed accumulate senza<br />

una logica, fanno pensare ad una persona priva<br />

di competenze specifiche in materia religiosa,<br />

limitatasi a riportare parole e frasi usate in questo<br />

genere di scritti. Se è vero che molti termini<br />

31


32<br />

Il tempo e la memoria<br />

si sono modificati solo perché chi copiava per<br />

uso personale la preghiera commetteva errori di<br />

trascrizione, tuttavia mi pare che almeno alcune<br />

improprietà fossero presenti in origine. Forse<br />

l’autore era uno dei tanti guaritori che, per i riti<br />

propiziatori, si servivano appunto di frasi latine<br />

in modo approssimativo, orecchiate chissà come,<br />

ma tali comunque da creare un effetto di<br />

mistero sui clienti. La correttezza formale non<br />

contava più di tanto, se l’orazione riscosse comunque<br />

un notevole successo, diffondendosi immutata,<br />

anche a stampa, in tutto il Settentrione.<br />

Resta però difficile spiegare come una preghiera<br />

di origine così “umile” abbia avuto una tale diffusione<br />

rispetto ad altre simili.<br />

Neanche sul luogo di provenienza dell’autore si<br />

può affermare alcunché di sicuro, salvo collocarlo<br />

in Italia Settentrionale, forse sull’arco alpino.<br />

Il signor Chiais mi ha spiegato che la sua<br />

tipografia di Vercelli ha pubblicato su ordinazione<br />

la preghiera in fogli volanti fino agli anni<br />

’80 e che le maggiori richieste venivano dalla<br />

zona del Lago Maggiore. Teniamo anche presente<br />

che molti esemplari a stampa riportano<br />

l’immagine dell’ “Agnus Dei”, che era il logo di<br />

un’altra tipografia, la Agnelli, operante a Milano<br />

ed a Lugano, in Svizzera. Forse la presenza più<br />

prolungata che altrove proprio nel territorio tra<br />

Piemonte e Lombardia sta ad indicarne anche il<br />

luogo d’origine, dove la gente sarebbe rimasta<br />

particolarmente affezionata all’Epistola per antica<br />

tradizione.<br />

Qualche problema di lettura<br />

e di interpretazione<br />

L’Epistola di papa Leone III è un amuleto “collage”<br />

polivalente, cioè assemblato con elementi<br />

di epoche diverse e destinato a proteggere dai<br />

pericoli più svariati. Ad esempio l’elenco dei<br />

rischi legati a fenomeni naturali rimanda alle<br />

antiche tradizioni pagane, mentre il discorso<br />

sulla morte improvvisa e la dannazione è venuto<br />

con il Cristianesimo medievale e la “nascita”<br />

del Purgatorio. Ampio spazio è dedicato anche<br />

ai problemi della salute. Pensiamo al diffuso<br />

timore delle emorragie, e non solo dal naso (il<br />

primo documento è già del IX secolo). Il sangue<br />

era considerato la forza vitale dell’individuo,<br />

tanto che alcuni lo ritenevano sede dell’anima,<br />

cosicché ogni perdita era vissuta drammaticamente.<br />

L’epistassi, poi, vista come un fatto improvviso<br />

ed inspiegabile, era attribuita a cause<br />

soprannaturali da esorcizzare: si conoscono al<br />

riguardo numerosi esempi di scongiuri, citati<br />

negli studi di M.P. Fantini e R. Astori, nonché di<br />

Marta Faggiotto in “Aspetti della religiosità contadina<br />

nella diocesi di Padova” e del Lecoueteux<br />

(“Grimoires”) per l’area francese.<br />

Riguardo all’invio dell’Epistola a Carlo Magno<br />

l’autore fornisce notizie imprecise e contraddittorie.<br />

Il papa in questione è Leone III (e non<br />

IV, di molto successivo all’imperatore), il quale<br />

visse tra l’VIII ed il IX secolo, e non intorno al<br />

1169, definito “anno di sua salute”: se mai una<br />

data da ricordare è il 1165, quando Federico<br />

Barbarossa lo fece beatificare. In alcune versioni<br />

il sovrano è impegnato nella “battaglia per<br />

la Santa Sede”, in altre per la “Santa Fede”, ma<br />

non si capisce di quale battaglia si tratti: è un<br />

dato che, tramandandosi nei secoli, era ormai<br />

diventato nebuloso e non rivestiva più un significato<br />

storico, ma simbolico. Contraddittorie<br />

sono anche le notizie sul ritrovamento dell’Epistola,<br />

di cui sono fornite tre differenti versioni,<br />

a riprova che la cornice è un assemblaggio di<br />

documenti e tradizioni diverse: all’inizio si afferma<br />

che il papa la “mandò” all’imperatore<br />

mentre era in “battaglia”; quindi che Carlo la<br />

trovò nell’archivio del suo palazzo; infine che la<br />

preghiera fu portata dall’angelo, e questo è un<br />

aspetto tipico delle “lettere dal cielo”. In conclusione<br />

sono stati affastellati elementi eterogenei<br />

tramandati dalla tradizione, senza alcuna coerenza,<br />

poiché lo scopo era colpire l’attenzione<br />

dei lettori nominando personaggi famosi o fatti<br />

miracolosi, in modo da accrescere l’importanza<br />

della preghiera.<br />

Le parti in latino, come ho detto, costituiscono<br />

talvolta un problema. In alcuni casi derivano<br />

da una lunga consuetudine, come quelle tratte<br />

dal Vangelo di Luca e soprattutto di Giovanni,<br />

ad esempio“et Verbum caro (che talora diventa<br />

“carum”! ) factum est” e “Deus homo factus<br />

est”, ritenute di per sé miracolose o addirittura<br />

magiche. In tutte le versioni compare la formula<br />

“Jesus FFF(F) amen”, dove la lettera F, ripetuta<br />

tre o quattro volte, è un altro elemento tipico<br />

di amuleti e preghiere-scongiuro: sta per “Filius<br />

fecit facit fiat”; ma in testi analoghi ho trovato<br />

scritto per esteso “fiat fiat fiat” (rilevato da M.<br />

Faggiotto in uno scongiuro trevigiano del ‘300).<br />

Sono comunque formule propiziatorie consolidate<br />

dall’uso, poiché ritenute portentose. Spesso<br />

ricorrente, per il suo valore miracoloso, era la<br />

sequenza: “Christus vincit. Christus regnat.<br />

Christus imperat”, di cui nel nostro documento<br />

compare solo la prima delle tre frasi. Infine<br />

evidenziamo il verbo “erue”, ripetuto tre volte,<br />

derivato probabilmente dal “De Profundis”:<br />

“strappami, o Dio, dal male”. A tutto questo frasario<br />

desunto da una tradizione ben nota, si aggiungono<br />

vari altri elementi, accumulati disordinatamente,<br />

che per me sono rimasti purtroppo<br />

enigmatici. Ad esempio è un rebus quel “quattuor<br />

fulminaribus catolicis”, che potrebbe derivare<br />

da un esorcismo dove “fulminar” sta per<br />

“anatema” (Du Cange). Anche “Computatione<br />

(o “competitione”) spiritus malignos” fa pensare<br />

a qualche formula esorcistica. Quanto ad<br />

“Elisabet sine sanguine sine non abitet”, forse è<br />

desunto da una preghiera per le partorienti, di<br />

cui la Santa era una delle protettrici. Non avendo<br />

individuato la fonte di tutte queste formule,<br />

non mi è stato possibile ristabilirne la lettura<br />

corretta e con essa il significato.<br />

Per approfondire il discorso<br />

A Carlo Magno è dedicato anche un passaggio<br />

particolare dell’Epistola, che narra come l’imperatore<br />

non sia riuscito a far decapitare un<br />

condannato, poiché questi portava indosso proprio<br />

una copia della preghiera, a dimostrarne<br />

l’efficacia. Questo genere di racconto breve è<br />

detto “historiola” (raccontino) ed è un elemento<br />

costante di tutte le preghiere-scongiuro ispirate<br />

alla magia, per la quale il solo fatto di nominare<br />

un evento in cui una certa “potenza” (un angelo,<br />

un santo, un talismano) avrebbe esercitato in<br />

passato un’influenza positiva basta di per sé ad<br />

evocare un’altra volta tale potenza e ad ottenere<br />

automaticamente lo stesso effetto benefico ( cfr<br />

ad esempio G. Dolfini, “Sulle formule magiche e<br />

le benedizioni della tradizione germanica”). E’<br />

un’ulteriore conferma della concezione magica<br />

a cui l’Epistola si ispira.<br />

Protagonisti frequenti di invocazioni ed amuleti<br />

furono anche i Magi, il culto dei quali era assai<br />

diffuso soprattutto in Lombardia, poiché Milano<br />

ne aveva ospitato le presunte reliquie (traslate<br />

dall’Oriente) fino al 1162, allorché il Barbarossa<br />

le trasferì a Colonia. Fin dai primi secoli del<br />

Cristianesimo, grazie soprattutto ai Vangeli<br />

apocrifi, essi erano venuti assumendo una fisionomia<br />

sempre più precisa, con i tre nomi fissati<br />

dalla tradizione dopo parecchie oscillazioni,<br />

Il tempo e la memoria<br />

ed una vasta fama di guaritori. Molti amuleti<br />

ne recavano i nomi con varie invocazioni, poiché,<br />

oltre a proteggere i viaggiatori, si pensava<br />

difendessero da epilessia, febbre, mal di testa.<br />

Nell’Epistola essi compaiono regolarmente e sono<br />

citati per nome, ma con un errore: al posto<br />

di Gaspare figura l’arcangelo Raphael, il quale,<br />

avendo risanato il biblico Tobia, era a sua volta<br />

ritenuto un taumaturgo e in particolare, proprio<br />

come i magi, protettore dei viaggiatori e guaritore<br />

dalla febbre. Lo sbaglio ricorre in tutte le<br />

versioni dell’orazione; quindi doveva trovarsi<br />

già nell’approssimativo testo originario.<br />

Due sole versioni a me note dell’Epistola, una<br />

dei signori Solero di Mondrone e l’altra inviatami<br />

dal Dr. Massimo Bertotti di Cuorgnè, riportano<br />

una specifica variante. Accanto ad una<br />

Croce più evidente delle altre, dopo la scritta<br />

INRI, compare questa aggiunta: “la misura della<br />

Croce di nostro Signor Gesù Cristo era lunga più<br />

di questa 49 [43] volte; il detto segno ha tanta<br />

proprietà che chi la porterà indosso con la sottoscritta<br />

orazione sarà libero da ogni pericolo,<br />

ecc.”. L’elenco dei pericoli è presente in tutte le<br />

versioni, ma senza cenni alle misure della Croce.<br />

Non so se questa parte sia andata perduta nel<br />

corso delle varie trascrizioni, forse per motivi<br />

di spazio, o sia stata aggiunta da qualcuno più<br />

zelante. La croce fu usata negli amuleti fin dall’antichità,<br />

ma con il Cristianesimo assunse un<br />

ruolo fondamentale; tuttavia, essendosi mescolata<br />

la religione con i residui del paganesimo,<br />

ad essa si attribuì anche una fortissima valenza<br />

magica. Perciò compare, nelle preghiere come<br />

negli amuleti, in tutte le forme possibili (a T, a<br />

doppia traversa, formata da lettere, come ricorda<br />

E. Gulli Grigioni, “L’esorcizzazione della<br />

paura”). Diffusissimo fu anche il culto di certi<br />

particolari relativi alla passione di Gesù, come<br />

appunto le dimensioni della Croce, il numero<br />

delle sue piaghe o delle gocce di sangue versato:<br />

cifre a cui dovevano corrispondere altrettante<br />

preghiere recitate regolarmente, anche per anni,<br />

allo scopo di ottenere un’indulgenza dei propri<br />

peccati, ma che alla fine, come di consueto,<br />

finirono per diventare solo più superstizione,<br />

poiché si pensava che bastasse portare indosso<br />

lo scritto che le elencava per trarne un effetto<br />

propiziatorio. Dell’argomento parla ad esempio<br />

Flavio Galizzi in Quaderni Brembani, che si sofferma<br />

anche su un curioso amuleto parimenti<br />

famoso: una preghiera trascritta su un pezzo di<br />

carta a forma di piede, che doveva riprodurre<br />

quello della Madonna.<br />

Ringrazio gli studiosi (di alcuni dei quali ho citato<br />

le opere da me utilizzate) che mi hanno cortesemente<br />

aiutato nella mia ricerca, ed in particolare<br />

il Prof. Giuseppe Sergi, il Prof. Claude<br />

Lecouteux e la signora M. Teresa Serra ai quali<br />

mi sono rivolto con una frequenza pari alla loro<br />

paziente disponibilità.<br />

33


IL PAESE DI<br />

ALPICELLA<br />

STELLA SU MESSA<br />

DELLE STREGHE 7C<br />

CHRISTIAN<br />

SU GIOIA 8C<br />

Boulder<br />

I blocchi di Varazze<br />

Spero che la gioia e la felicità che ho provato nello scoprire i<br />

blocchi di Varazze, possa essere sentita anche da chi verrà a salirli.<br />

Boschi, rocce, boulders che racchiudono storie di amici,<br />

fatiche e passione.<br />

Le prese raccontano gli sforzi degli scalatori che hanno lottato<br />

nel tentativo di tenerle.<br />

Linee sulla roccia, sembra quasi che qualcuno in chissà quale<br />

epoca si sia divertito a crearle, chi sa quando, e chi sa il motivo,<br />

forse semplicemente, perché altri un giorno potessero scalarle...<br />

Marco Bagnasco<br />

Sono trascorsi diversi anni<br />

da quando abbiamo cominciato<br />

a frequentare l’area blocchi<br />

nell’entroterra di Varazze,<br />

e grazie all’instancabile Marco,<br />

sono cambiate tante cose da<br />

allora. La sua passione ed entusiasmo<br />

lo ha spinto a continuare<br />

a cercare nuovi settori.<br />

Due o tre volte la settimana,<br />

in compagnia del suo cane<br />

Carlotta (diventata per tutti<br />

noi la mascotte del “team<br />

Varazze”) partiva, inoltrandosi<br />

nella fitta vegetazione del monte<br />

Beigua, alla ricerca di nuove<br />

rocce possibili da scalare. Ora,<br />

per merito suo, l’estensione del<br />

perimetro boulderistico è molto<br />

più vasta, dal 2001 ad oggi sono<br />

stati aggiunti settori nuovi,<br />

sempre più difficili da trovare,<br />

ma ora facili da raggiungere,<br />

grazie a sentieri puliti, all’utilizzo<br />

di cartelli di legno con<br />

riferimenti dettagliati. Questo<br />

prova che la Liguria non è “solo<br />

mare” e sarebbe importante<br />

se si riuscisse a sensibilizzare<br />

gli enti turistici a concentrare<br />

un po’ d’attenzione anche per<br />

tutte le attività possibili “alternative”<br />

da praticare nel parco<br />

e dintorni.<br />

Nel tempo moltissime persone<br />

provenienti da tutto il mondo<br />

sono venute a visitare queste<br />

zone, dall’ America, Australia,<br />

Canada, Giappone e dall’<br />

Europa, incuriosite da diversi<br />

video apparsi in internet, articoli<br />

o brevi recensioni su riviste.<br />

Quasi tutti venivano attratti<br />

soprattutto dall’incredibile linea<br />

di “Rampage”, la splendida<br />

prua apparsa su diverse riviste<br />

qualche anno fa, che ha reso famoso<br />

questo posto.<br />

Esistono altrettanti passaggi<br />

molto belli, però si trovano in<br />

zone meno conosciute perché<br />

più difficili da raggiungere.<br />

Inizialmente, per facilitare la<br />

comprensione di molti boulders<br />

nuovi abbiamo messo in<br />

rete alcune mappe con elencate<br />

la lista dei blocchi, però con<br />

la scoperta continua di linee<br />

nuove era spesso incompleta e<br />

in alcuni casi difficile da capire.<br />

Anche se ha richiesto molto<br />

tempo, la realizzazione di una<br />

guida dettagliata della zona era<br />

indispensabile.<br />

In alcuni periodi non facevamo<br />

tempo a finire di pulire un<br />

settore nuovo, che il nostro<br />

magico Marco ne faceva “apparire<br />

dal suo cappello cilindrico”<br />

subito un altro. Il lavoro è stato<br />

lungo e molto faticoso, quando<br />

si puliscono rocce capita spes-<br />

A cura di Stella Marchisio & Christian Core<br />

Boulder<br />

so di trovarsi in pochi, tutti<br />

Durante le “pulizie” non ab- punto di vista naturalistico che (nascita della catena alpina); in CHRISTIAN SU<br />

vogliono scalare, ma non molti<br />

biamo mai compreso il motivo geologico. Per la sua ricca geo- particolare si trovano metao-<br />

TEMUJIN 8B<br />

sono disposti a dedicare gior-<br />

dell’apparente diversità delle diversità, infatti il parco apparfioliti (le rocce verdi) e rocce di<br />

nate intere del proprio tempo<br />

rocce scoperte, capita spesso tiene agli “European Geoparks”. basamento polimetamorfico.<br />

libero ai “lavori forzati” senza<br />

di scalare su stili diversi, con Allora approfittiamo della sua Di conseguenza nei principali<br />

toccare una presa. Questo ha<br />

qualità e prese totalmente dif- competenza per svelare final- siti si possono trovare serpen-<br />

rallentato molto i tempi, ma<br />

ferenti a pochi metri di distanmente dopo tanti anni l’esatta tiniti, quando le prese sono dif-<br />

grazie all’unione e alla motivaza.<br />

Finalmente abbiamo sco- qualità della roccia spesso così ficili da tenere e sembra scivolizione,<br />

lentamente con costanvato<br />

tra i frequentatori locals, visibilmente diversa.<br />

no sempre; metagabbri, quando<br />

za siamo riusciti a continuare il<br />

la nostra Raffaella Cottalorda, Le parole di Raffaella: le rocce subito dopo il riscaldamento,<br />

lungo lavoro iniziato nel 2001.<br />

laureata in geologia, che ci ha presenti nell’area considerata, vediamo già il sangue sgorgare<br />

A volte si univano nuovi mem-<br />

messo a conoscenza dei det- collocano nella loro storia un dalle dita (grip assicurato!); mebri<br />

per aiutarci, provenienti un<br />

tagli. L’intera zona del Beigua evento fondamentale che ha tabasite: bella a vedersi e ad ar-<br />

po’ dappertutto, e l’aiuto dato è<br />

sempre stato molto gradito.<br />

fa parte di uno dei pochissimi<br />

parchi d’Europa protetti sia dal<br />

segnato la loro figura e composizione:<br />

l’orogenesi alpina<br />

rampicarci, che, spesso e volentieri,<br />

presenta prese e disegni 35


STELLA MARCHISIO<br />

SU ANUBI 8A<br />

STELLA<br />

SU RAMPAGE 8A<br />

Boulder<br />

assimilabili ad una roccia calcarea<br />

ed infine metasedimenti<br />

organizzati in gradoni che per<br />

questo ricordano il loro passato<br />

da rocce sedimentarie stratificate,<br />

dove troviamo taccone<br />

svase, “sbrilluccicanti” col sole<br />

(per la presenza di minerali del<br />

gruppo delle miche). Tradotto<br />

in parole semplici e scalatorie:<br />

roccia spesso compatta, aderente<br />

con una vasta diversità di<br />

prese, da tacche a piatti e raramente<br />

qualche buco. Buona<br />

parte dei siti sono su terreni<br />

privati, per rispetto abbiamo<br />

chiesto il permesso ai proprietari,<br />

e visto il lavoro costante di<br />

pulizia e mantenimento ci hanno<br />

consentito di frequentare<br />

i loro posti. Chiediamo a tutti<br />

quelli che verranno in futuro di<br />

rispettare l’ambiente affinché<br />

queste aree possano continuare<br />

ad essere “aperte” a tutti.<br />

Ogni passaggio è stato preparato<br />

mantenendo le prese<br />

come la natura le ha create,<br />

in passato abbiamo avuto episodi<br />

spiacevoli di persone che<br />

hanno volontariamente modificato<br />

gli appigli di alcune linee<br />

già precedentemente liberate.<br />

Questo accade da tempo in tut-<br />

to il mondo, ora dopo parecchi<br />

interventi sui siti internet di riferimento,<br />

si spera che la cultura<br />

boulderistica stia finalmente<br />

maturando, vogliamo sperare<br />

che episodi di questo genere<br />

non accadano più. Ogni modifica<br />

che viene fatta alle rocce<br />

rimane “per sempre”.<br />

Dopo tanti anni siamo riusciti finalmente<br />

a realizzare una guida<br />

completa di tutti i settori, anche<br />

quelli più difficili da raggiungere.<br />

È capitato più volte che gli<br />

stessi local non conoscevano la<br />

corretta locazione dei passaggi<br />

nuovi scoperti, e quando ci telefonavano<br />

dispersi nei boschi,<br />

per noi capire dove si trovavano<br />

e dire di conseguenza le giuste<br />

direzioni diventava sempre più<br />

complicato.<br />

Ora si possono trovare spesso<br />

indicazioni sui sentieri che<br />

portano alle aree, e nella guida<br />

abbiamo cercato di trascrivere<br />

più riferimenti possibili per impedire<br />

di perdersi. È stato un lavoro<br />

minuzioso, tutti i sentieri<br />

e le strade sono segnate, ogni<br />

lato dei massi è stato fotografato<br />

e una linea colorata indica<br />

la direzione del passaggio, inoltre<br />

alla partenza di ognuno, se<br />

la pioggia non l’ha cancellata<br />

troverete una piccola freccia<br />

nera che indica la posizione<br />

corretta di partenza. Ci sono<br />

aree che inizialmente avevano<br />

molti più passaggi, soprattutto<br />

nei settori meno conosciuti, nel<br />

tempo sono stati poco frequentati<br />

e la natura si è ripresa ogni<br />

singolo metro quadro di roccia<br />

e sentiero per raggiungerlo, così<br />

abbiamo rivisto tutti gli itinerari<br />

facendo una forte selezione<br />

e lasciando solo i boulders più<br />

belli e meno soggetti a mutamenti<br />

della vegetazione.<br />

Spesso i boschi sono molto fitti<br />

e dopo lunghi periodi di pioggia<br />

è possibile che qualche blocco<br />

ripresenti un sottile strato di<br />

muschio, consigliamo di portarvi<br />

sempre dietro uno spazzolino<br />

morbido che sarà sufficiente<br />

per riportarlo velocemente in<br />

perfette condizioni. Come per<br />

ogni guida d’arrampicata esistente,<br />

viene l’eterno dubbio<br />

dei gradi dati ai passaggi, nelle<br />

aree più frequentate si sono<br />

“stabilizzati” grazie all’opinione<br />

di molte persone, ovviamente<br />

al contrario, nei settori più<br />

lontani e scomodi rimangono<br />

ancora da consolidare, ma ri-<br />

cordate sempre che il grado<br />

perfettamente corretto non<br />

esiste, l’opinione data è sempre<br />

soggettiva e quindi “variabile”,<br />

bisogna considerarlo solo come<br />

riferimento puramente indicativo.<br />

Speriamo comunque di aver<br />

risolto il problema su possibili<br />

variazioni e novità, riportando<br />

ogni informazione sul sito di riferimento<br />

di Varazze: www.infoboulder.com/varazze.php<br />

Attualmente nella guida esistono<br />

600 passaggi selezionati distribuiti<br />

su 11 aree, divise in 25<br />

settori, ma siamo sempre stati<br />

convinti che questi boschi nascondano<br />

altri possibili blocchi,<br />

infatti altre 4 aree nuove sono<br />

state sviluppate ora arrivando<br />

a 820 boulders. Il lavoro continua...<br />

Per noi è stimolante continuare<br />

a cercare, scoprire nuovi passaggi,<br />

nuove prese da tirare,<br />

un gioco che mantiene alta la<br />

motivazione, e un motivo in più<br />

per ritrovarsi, condividere quel<br />

momento magico di provare linee<br />

nuove insieme, completa<br />

lo spirito in quello che facciamo.<br />

L’ente parco del Beigua,<br />

dopo avergli mostrato molti<br />

nostri video e foto, sono venuti<br />

di persona per rendersi conto<br />

del lavoro che è stato svolto<br />

in tutto questo tempo. Sono<br />

rimasti colpiti e soddisfatti,<br />

non immaginavano che potesse<br />

esistere una passione del<br />

genere e tanto meno si aspettavano<br />

un afflusso di scalatori<br />

così alto. Per questo ci hanno<br />

aiutato mandandoci 5 persone<br />

a pulire per 9 giorni il settore<br />

“Lilliput”, trasformandolo in<br />

un “giardino”, rendendolo uno<br />

dei posti più belli per scalare,<br />

con tantissimi passaggi in più.<br />

In uno dei settori “La cava” ci<br />

sono stati grossi problemi con i<br />

proprietari dei terreni che hanno<br />

giustamente manifestato lamentele<br />

nei confronti di alcuni<br />

frequentatori poco rispettosi,<br />

ingombravano il passaggio con<br />

i loro mezzi, lasciavano spazzatura<br />

in giro, accendevano fuochi<br />

vicino ai massi (ricordate che ci<br />

si trova in un bosco spesso pieno<br />

di foglie e il rischio incendi<br />

in Liguria è molto alto).<br />

Dopo questo periodo di inciviltà<br />

abbiamo rischiato la chiusura<br />

del settore, poi Marco è andato<br />

di persona a parlargli convincendoli<br />

a cambiare idea, ma se<br />

ci saranno altri comportamenti<br />

simili in futuro non ci daranno<br />

un’ulteriore possibilità. In qualunque<br />

settore andiate, parcheggiate<br />

sempre fuori dagli<br />

spazi privati e non recate danni<br />

o disturbo ai proprietari in al-<br />

cun modo. Tutti i terreni dove si<br />

arrampica sono privati, o fanno<br />

parte del parco, quindi siamo<br />

sempre ospiti in casa d’altri.<br />

Senza il lavoro puntiglioso di<br />

Marco molto probabilmente non<br />

esisterebbe nulla tra queste<br />

valli, solo una fitta giungla che<br />

avrebbe continuato a nascondere<br />

un potenziale sprecato e<br />

per noi boulderisti una piccola<br />

“ricchezza”.<br />

Varazze non ci ha soltanto regalato<br />

dei boulders, ma è stato<br />

un motivo per unirci e consolidare<br />

l’amicizia del gruppo, altrettanto<br />

importante ai molti<br />

passaggi realizzati insieme.<br />

Nel periodo della lavorazione<br />

della guida sono stati trovati<br />

molti nuovi massi meritevoli,<br />

cosa che ne ha rallentato ulteriormente<br />

la realizzazione.<br />

Siamo sicuri che il potenziale<br />

sia ancora da sfruttare, c’è ancora<br />

tanto da scoprire, molte<br />

rocce che attendono da tempo<br />

solo che qualche boulderista<br />

vada a scovarle, sono tutte li<br />

fuori che aspettano, ne siamo<br />

sicuri.<br />

36 37<br />

Boulder<br />

(IN ALTO A SIN.)<br />

CHRISTIAN<br />

SU TAI LUNG 8A<br />

(SOPRA)<br />

STELLA<br />

SU EXCALIBUR 7C<br />

(A LATO)<br />

STELLA<br />

SU NATO CATTIVO 7B


38<br />

Montagne di ieri<br />

La bibliothèque<br />

populaire de la Ville<br />

de Chambéry<br />

SOPHIE MANAVELLA-CUÉNOT<br />

Traduction d’Anna Maria Foli<br />

des bibliothèques populaires<br />

françaises est liée à celle de la lecture<br />

publique. Elle prend son origine dans<br />

L’histoire<br />

la philosophie des Lumières au XVIIIe siècle mais n’a vu sa réalisation concrète que<br />

sous le Second Empire.<br />

Après la Révolution française, des dépôts de livres,<br />

issus des confiscations des biens du clergé<br />

et des émigrés, sont confiés aux villes En 1804<br />

La Biblioteca popolare<br />

della città di Chambéry<br />

La storia delle biblioteche popolari francesi<br />

è legata a quella della lettura pubblica.<br />

La sua origine risale alla filosofia dell’Illuminismo<br />

del XVIII secolo, anche se si è<br />

realizzata solo durante il Secondo Impero.<br />

Dopo la Rivoluzione francese, alcuni depositi<br />

di libri, derivati da confische di beni del clero<br />

e degli emigrati, vengono affidati alle città. Nel<br />

1804 un decreto esonera lo stato dalla responsabilità<br />

di tali fondi, che rimangono comunque<br />

di sua proprietà. È nata in questo modo l’idea<br />

di «biblioteca municipale». Lo scopo è favorire<br />

l’accesso delle classi lavoratrici al sapere e alla<br />

cultura, creando quelle che all’epoca vengono<br />

chiamate biblioteche comunali. [...]<br />

Tuttavia questi primi fondi di biblioteche erano<br />

costituiti da un insieme di libri di erudizione e<br />

di teologia provenienti non solo dalle confische<br />

rivoluzionarie, ma anche da «collezioni letterarie»<br />

e da donazioni di notabili. Queste strutture<br />

un décret signe le désengagement de l’État qui<br />

reste cependant propriétaire des fonds. Ainsi<br />

l’idée de « bibliothèque municipale » est née. Il<br />

s’agit notamment de donner aux classes laborieuses<br />

l’accès au savoir et à la culture en créant<br />

ce qui s’appelle alors les bibliothèques communales.<br />

[...]<br />

Cependant ces premiers fonds de bibliothèques<br />

ont été constitués par une masse de livres d’éru-<br />

dition et de théologie provenant non seulement<br />

des confiscations révolutionnaires mais aussi de<br />

« dépôts littéraires » ou de dons de notables.<br />

Ces structures n’étaient pas destinées au grand<br />

public. Et les villes tardent à les leur ouvrir car<br />

elles restent soumises à leur mission de conservation<br />

de collections remarquables qu’elles destinent<br />

à un choix d’érudits : on parle plutôt de<br />

« bibliothèques d’études », la lecture publique<br />

restant liée à l’idée d’instruction.<br />

Dès la monarchie de Juillet (1830-1848), qui<br />

a transféré la responsabilité des bibliothèques<br />

au Ministère de l’Instruction publique (1839),<br />

de multiples réseaux se mettent en place pour<br />

répondre à la question de l’instruction du peuple<br />

et de son accès à l’information. Ainsi le<br />

Second Empire voit les bibliothèques se développer<br />

dans deux nouvelles directions : les bibliothèques<br />

scolaires et les actions de propagande<br />

pour la lecture populaire poursuivies par<br />

des associations (ayant souvent des objectifs<br />

moralisateurs et didactiques) comme la Société<br />

Franklin et la Ligue de l’enseignement. Ce sont<br />

ces dernières qui feront naître les bibliothèques<br />

populaires. On compte à la fin du XIX e siècle<br />

3000 bibliothèques nommées « populaires »<br />

dans les écrits officiels, axées sur la communication<br />

et le prêt, et qui ont accepté l’aide et le<br />

contrôle de l’État. L’essor de ces bibliothèques<br />

populaires va « accompagner la laïcisation de la<br />

non erano destinate al grande pubblico, e le città<br />

tardano a renderle disponibili, continuando<br />

a restare fedeli alla missione di conservazione<br />

di collezioni di valore riservate a una cerchia<br />

esclusiva di eruditi: si parla piuttosto di «biblioteche<br />

di studi», in quanto la lettura pubblica restava<br />

legata all’idea di istruzione.<br />

A partire dalla Monarchia di Luglio (1830-1848),<br />

durante la quale la responsabilità delle biblioteche<br />

viene affidata al ministero dell’Istruzione<br />

pubblica (1839), prendono il via molteplici iniziative<br />

per far fronte alla questione dell’istruzione<br />

del popolo e del suo accesso all’informazione.<br />

Quindi durante il Secondo Impero le biblioteche<br />

si sviluppano in due nuove direzioni: le biblioteche<br />

scolastiche e le azioni di propaganda per la<br />

lettura pubblica sostenute da alcune associazioni<br />

(che spesso avevano obiettivi moralizzatori<br />

e didattici), come la Société Franklin e la Ligue<br />

de l’enseignement (Lega dell’insegnamento).<br />

Saranno queste ultime a determinare la nascita<br />

delle biblioteche popolari. Alla fine del XIX<br />

secolo si contano 3000 biblioteche chiamate<br />

«popolari» nei documenti ufficiali, basate sulla<br />

comunicazione e sul prestito e che hanno accettato<br />

l’aiuto e il controllo statale. Il successo<br />

di queste biblioteche popolari «accompagnerà<br />

société et le développement de la scolarité, apportant<br />

à tous l’accès aux savoirs élémentaires<br />

» (Pallier, 2006).<br />

C’est donc dans la deuxième moitié du XIX e<br />

siècle que se développe vraiment la lecture publique<br />

telle qu’on la connaît aujourd’hui, avec<br />

des bibliothèques municipales ayant des professionnels<br />

en poste et un principe de prêt à<br />

domicile de documents acquis sur un budget<br />

communal.<br />

la laicizzazione della società e lo sviluppo della<br />

scolarizzazione, permettendo a tutti l’accesso<br />

alle conoscenze elementari» (Pallier, 2006).<br />

È quindi nella seconda metà del XIX secolo che<br />

si sviluppa veramente la lettura pubblica come<br />

la conosciamo oggi, con biblioteche municipali<br />

gestite da professionisti e il principio del prestito<br />

a domicilio di documenti acquisiti a spese del<br />

comune.<br />

La biblioteca pubblica contemporanea assume<br />

molteplici missioni che precedentemente appartenevano<br />

a strutture molto diverse. [...]<br />

La storia della Biblioteca Popolare di Chambéry<br />

si inserisce in queste grandi tappe della storia<br />

della lettura e delle biblioteche pubbliche in<br />

Francia. Comprendere le varie fasi di creazione<br />

della Biblioteca Popolare di Chambéry implica<br />

la necessità di considerare non solo questa<br />

evoluzione, ma anche la particolare storia della<br />

Savoia, riunita alla Francia nel 1860.<br />

In Francia, a partire dal 1880, la lettura diventa<br />

un «fattore importante dell’economia e della<br />

cultura», in particolare con il grandissimo sviluppo<br />

della stampa, che fa del libro un prodotto<br />

commerciale visto come una fonte di guadagno.<br />

Soprattutto perché, inoltre, l’ideologia repubblicana<br />

unisce biblioteca pubblica e scuola<br />

39


40<br />

Montagne di ieri<br />

La bibliothèque publique contemporaine assume<br />

des missions multiples qui étaient auparavant<br />

le fait de structures très diverses. [...]<br />

L’histoire de la Bibliothèque Populaire de<br />

Chambéry, créée en 1873, s’inscrit dans ces<br />

grandes étapes de l’histoire de la lecture et des<br />

bibliothèques publiques en France. Comprendre<br />

le processus de création de la Bibliothèque<br />

Populaire de Chambéry implique donc de prendre<br />

en compte non seulement cette évolution,<br />

mais également l’histoire particulière de la<br />

Savoie, réunie à la France en 1860.<br />

En France, dès 1880, la lecture devient un «<br />

enjeu économique et culturel » avec notamment<br />

l’explosion de la production imprimée qui<br />

fait du livre un produit commercial lucratif. Et<br />

surtout parce que l’idéologie républicaine unit<br />

dans un même projet de rénovation sociale la<br />

bibliothèque publique et l’école publique, l’école<br />

devenant obligatoire et la maîtrise de la lecture<br />

un outil de développement social. C’est le 28<br />

mars 1882 que Jules Ferry propose la loi relative<br />

à l’obligation et à la laïcité de l’enseignement.<br />

Cependant, il y a un gouffre entre les objectifs<br />

de l’État et les résultats. Tout d’abord en raison<br />

des carences publiques en matière de crédits,<br />

les bibliothèques publiques émargent à la fois<br />

aux budgets des communes et de l’instruction<br />

publique. La France est ensuite majoritairement<br />

rurale, ceci entraînant des querelles locales de<br />

pubblica in un unico progetto di rinnovamento<br />

sociale, in quanto la scuola diventa obbligatoria<br />

e la padronanza della lettura uno strumento di<br />

sviluppo sociale. Il 28 marzo 1882 Jules Ferry 1<br />

propone la legge relativa all’obbligo e alla laicità<br />

dell’insegnamento.<br />

Tuttavia c’è un abisso tra gli obiettivi dello stato<br />

e i risultati ottenuti. A causa soprattutto delle ca-<br />

pouvoir entre instituteurs, curés et élus locaux<br />

et de fait entre les bibliothèques populaires, scolaires<br />

et paroissiales. Enfin, le système scolaire<br />

dont hérite la III e République est une institution<br />

bien en place mais sans corps professionnel de<br />

bibliothécaires.<br />

Face à ces problèmes structurels qui retardent<br />

la création des bibliothèques publiques municipales,<br />

les bibliothèques populaires trouvent<br />

toute leur légitimité, et à Chambéry la mission<br />

première de cette structure est « l’instruction du<br />

peuple ».<br />

La situation particulière de la Savoie sous le<br />

Second Empire, liée à son rattachement à la<br />

France en 1860, a ralenti la révolution industrielle<br />

locale. L’artisanat, le commerce et l’agriculture<br />

gardent une<br />

place prépondérante dans la vie économique<br />

savoyarde [...].<br />

Aussi de 1870 à 1914, les notables locaux restent<br />

les catégories dirigeantes. Dans le nouvel<br />

ordre social (après la disparition des trois ordres<br />

: Noblesse, Clergé et Tiers-État) on constate une<br />

redistribution des pouvoirs. Mais tous, notables,<br />

bourgeois, travailleurs, vont œuvrer pour mettre<br />

en place un idéal laïque et républicain. [...]<br />

Désormais la culture des notables dispose d’outils<br />

d’influence dont le plus pertinent est l’école. On<br />

ne peut que constater l’ambiguïté de la société<br />

républicaine qui propose des mutations tout en<br />

renze pubbliche in materia di crediti, le biblioteche<br />

pubbliche vengono finanziate sia dai comuni<br />

che dall’istruzione pubblica. Inoltre la Francia è<br />

in maggioranza un paese rurale, e questo determina<br />

dispute locali di potere tra istitutori, curati<br />

ed eletti locali e di fatto tra biblioteche popolari,<br />

scolastiche e parrocchiali. Infine, il sistema scolastico<br />

che eredita la Terza Repubblica è un’istituzione<br />

ben organizzata, ma priva di un personale<br />

di bibliotecari professionisti.<br />

Di fronte a questi problemi strutturali che fanno<br />

ritardare la creazione di biblioteche pubbliche<br />

municipali, le biblioteche popolari trovano una<br />

completa legittimità, e a Chambéry la missione<br />

principale di questa struttura è «l’istruzione del<br />

popolo».<br />

La situazione particolare della Savoia durante il<br />

Secondo Impero, dovuta alla riannessione alla<br />

Francia nel 1860, ha rallentato la rivoluzione<br />

industriale locale. L’artigianato, il commercio e<br />

l’agricoltura conservano un ruolo preponderante<br />

nella vita economica savoiarda. [...] Dal 1870<br />

al 1914, di conseguenza, i notabili locali continuano<br />

a costituire la categoria dirigente. Nel<br />

nuovo ordine sociale (dopo la scomparsa dei tre<br />

ordini: nobiltà, clero e terzo stato) si constata<br />

una ridistribuzione dei ruoli. Tutti, però, nota-<br />

conservant une structure relativement traditionnelle<br />

ne modifiant que partiellement les équilibres<br />

en place. L’école primaire, gratuite, oriente<br />

les enfants des classes populaires vers le certificat<br />

d’études puis « naturellement » vers le monde<br />

du travail. Ainsi l’idéal laïc passe par l’éducation<br />

de la masse laborieuse et l’instruction des filles.<br />

N’oublions pas que les missions principales de<br />

l’école de Jules Ferry étaient : généraliser l’usage<br />

du français (provoquant la disparition des dialectes<br />

locaux), diffuser la morale républicaine<br />

(laïcité) et développer les savoirs fondamentaux<br />

(lire, écrire et calculer). On cherchait à faire naitre<br />

des citoyens républicains, à même de voter,<br />

dans les milieux populaires par le développement<br />

de l’éducation et les bibliothèques populaires<br />

étaient des outils efficaces.<br />

À Chambéry, la lecture populaire se développe<br />

sous l’impulsion de la Société savoisienne d’histoire<br />

et d’archéologie (SSHA) et de l’un de ses<br />

membres M. Carret. Dans la séance du 4 décembre<br />

1872, Jules Carret parle des services que<br />

rendrait à la classe ouvrière la création d’une<br />

bibliothèque circulante. Un local et des hommes<br />

de bonne volonté pourraient facilement être<br />

trouvés. La ville accorderait des vitrines, un appel<br />

serait fait par la Société pour collecter de<br />

nombreux dons de livre. À cette époque, il existe<br />

déjà à Chambéry une Bibliothèque municipale<br />

[...], mais cette bibliothèque est cependant ré-<br />

bili, borghesi e lavoratori, opereranno al fine di<br />

realizzare un ideale laico e repubblicano. [...]<br />

Ormai la cultura dei notabili dispone di strumenti<br />

atti a questo scopo, tra cui il più pertinente è la<br />

scuola. Non si può fare a meno di notare l’ambiguità<br />

della società repubblicana, che propone<br />

cambiamenti pur conservando una struttura<br />

relativamente tradizionale, modificando solo<br />

parzialmente gli equilibri esistenti. La scuola<br />

primaria, gratuita, orienta i bambini provenienti<br />

dalle classi popolari verso il certificato di studi e<br />

poi, «naturalmente», verso il mondo del lavoro.<br />

L’ideale laico, quindi, si realizza attraverso l’educazione<br />

della massa lavoratrice e l’istruzione delle<br />

ragazze. Non dimentichiamo che le missioni<br />

principali della scuola di Jules Ferry erano l’uso<br />

generalizzato del francese (con la conseguente<br />

scomparsa dei dialetti locali), la diffusione della<br />

morale repubblicana (laicità) e lo sviluppo delle<br />

conoscenze fondamentali (leggere, scrivere,<br />

e contare). Lo scopo era cercare di far nascere<br />

negli ambienti popolari dei cittadini repubblicani<br />

in grado di votare per mezzo dello sviluppo<br />

dell’educazione; le biblioteche rappresentavano<br />

strumenti utili per realizzare questo obiettivo.<br />

A Chambéry, la lettura popolare si sviluppa grazie<br />

all’impulso della Société Savoisienne d’Hi-<br />

Montagne di ieri<br />

servée à un public d’érudits et de chercheurs.<br />

M. Carret est franc-maçon, membre de la loge<br />

l’Espérance Savoisienne. La Bibliothèque<br />

Populaire chambérienne a commencé à se<br />

constituer pendant une période d’affaiblissement<br />

des loges entre 1870 et 1877 la nouvelle<br />

stoire et d’Archéologie (SSHA) e di uno dei suoi<br />

membri, Jules Carret. Nella seduta del 4 dicembre<br />

1872, questi parla dei vantaggi che porterebbe<br />

la creazione di una biblioteca circolante<br />

per la classe operaia. Non sarebbe stato difficile<br />

trovare un locale e alcune persone di buona<br />

volontà. La città avrebbe concesso delle librerie<br />

con vetrine, la Société avrebbe fatto un invito<br />

per raccogliere le donazioni di libri. In quell’epoca<br />

a Chambéry esisteva già una biblioteca<br />

municipale, [...] riservata però a un pubblico di<br />

eruditi e ricercatori.<br />

Carret è un massone, membro della loggia<br />

Espérance Savoisienne. La biblioteca popolare<br />

di Chambéry ha iniziato a costituirsi durante un<br />

periodo di indebolimento delle logge, tra il 1870<br />

e il 1877: la nuova repubblica francese sostenuta<br />

dai massoni era fragile e le istituzioni che si<br />

interessavano di politica erano molto sorvegliate<br />

o addirittura proibite, come accadde per le<br />

logge della Savoia.<br />

Anche se l’iniziativa per la creazione di questa<br />

biblioteca non deriva direttamente dai massoni,<br />

comunque alla sua origine troviamo personalità<br />

facenti parte della massoneria. [...] Politica e<br />

umanesimo erano molto collegati e Jules Carret,<br />

membro dell’amministrazione comunale, si<br />

41


42<br />

Montagne di ieri<br />

République française soutenue par les francsmaçons<br />

était fragile et les institutions qui se mêlaient<br />

de politique étaient très surveillées voire<br />

interdites, ce fut le cas des loges savoyardes.<br />

Si l’initiative de cette bibliothèque n’est donc pas<br />

une émanation directe des francs-maçons, ce<br />

sont cependant des personnalités engagées en<br />

franc-maçonnerie qui ont été à son origine.[...]<br />

Politique et humanisme étaient très imbriqués<br />

et Jules Carret, membre de la municipalité, se<br />

sentait profondément impliqué dans la cause<br />

populaire, il souhaitait améliorer la condition<br />

ouvrière. Pour lui « la politique est l’affaire<br />

de tous : pour que chacun puisse remplir ses<br />

devoirs, il faut développer l’enseignement primaire<br />

laïc gratuit et obligatoire pour les filles et<br />

les garçons ». Avec la Bibliothèque circulante<br />

pour outil.<br />

C’est dans son édition du 10 janvier 1873 que<br />

Le Patriote Savoisien annonce la fondation à<br />

Chambéry, d’une bibliothèque circulante par<br />

la Société d’histoire et d’archéologie. Le secrétaire<br />

de la commission d’initiative pour la<br />

Bibliothèque Populaire circulante, M. le Baron<br />

de Ponnat, [...] explique que le projet s’inscrit<br />

dans un mouvement plus large et national de «<br />

progrès de l’instruction » [...] et insiste sur son<br />

objectif qui est de « procurer des moyens d’instruction<br />

à ceux qu’un certain genre de vie tient<br />

éloignés des centres d’études ».<br />

sentiva profondamente coinvolto nella causa<br />

popolare, si augurava di poter migliorare la<br />

condizione degli operai [...]. Per lui «la politica<br />

riguarda tutti: affinché ognuno possa compiere<br />

i suoi doveri occorre sviluppare l’insegnamento<br />

primario laico gratuito e obbligatorio per bambini<br />

e bambine». La biblioteca circolante era<br />

uno strumento per realizzare tutto questo.<br />

Nell’edizione del 10 gennaio 1873 Le Patriote<br />

Savoisien 2 annuncia la fondazione a Chambéry<br />

di una biblioteca circolante da parte della Société<br />

Savoisienne d’histoire et d’archéologie. Il segretario<br />

della commissione organizzativa della biblioteca<br />

popolare circolante, il Barone di Ponnat,<br />

[...] spiega che il progetto si inserisce in un movimento<br />

più ampio e nazionale di «progresso dell’istruzione»,<br />

[...] e insiste sul suo obiettivo, che<br />

è quello di «procurare dei mezzi di istruzione<br />

a coloro che a causa di un certo genere di vita<br />

rimangono lontani dai centri di studi».<br />

A quel tempo per «biblioteca circolante» si intende<br />

una biblioteca in cui i testi vengono dati in<br />

prestito, in opposizione alla struttura municipale<br />

dell’epoca che era una biblioteca dedicata allo<br />

studio. Quindi Le Patriote Savoisien precisa: «La<br />

grande biblioteca della città di Chambéry non<br />

è accessibile a tutti [...]. Inoltre il regolamento<br />

On entend alors par « bibliothèque circulante »<br />

bibliothèque de prêt, en opposition à la structure<br />

municipale de l’époque qui était une bibliothèque<br />

d’étude. Ainsi Le Patriote Savoisien<br />

précise : « la grande bibliothèque de la ville de<br />

Chambéry n’est pas accessible à tous. [...].En<br />

outre le règlement défend de laisser sortir les livres,<br />

[...] cette bibliothèque est inabordable pour<br />

un grand nombre de personnes et surtout pour<br />

les ouvriers ; elle n’est pas populaire, puisque<br />

la majorité du public n’en peut profiter, et n’est<br />

pas circulante, puisque les livres ne peuvent être<br />

emportés ni circuler au-dehors » (1873).<br />

Le conseil municipal prend en considération le<br />

projet (SSHA, 1873, n° 14, p. XIII) le 19 mars 1873<br />

[...] Et le 7 avril 1873, il alloue un crédit de 600 F<br />

pour son organisation et a « même offert une des<br />

salles de la maison des écoles laïques pour l’installation<br />

de cette bibliothèque ». L’établissement<br />

sera effectif le 8 juillet 1873 [...].<br />

À ses origines, la Bibliothèque Populaire circulante<br />

était donc statutairement affiliée à la SSHA<br />

et en tant qu’organisme culturel, soumis à l’autorité<br />

du Préfet et au ministère de l’Instruction<br />

publique et des Cultes. La Ville de Chambéry<br />

avait également autorité sur cette organisation<br />

et participait financièrement et matériellement<br />

à son fonctionnement. Idéologiquement parlant<br />

elle était portée par l’idéal laïque et l’appui de la<br />

franc-maçonnerie.<br />

vieta di far uscire i libri, [...] questa biblioteca<br />

è inavvicinabile da un gran numero di persone<br />

e soprattutto dagli operai; non è popolare,<br />

perché la maggioranza del pubblico non può<br />

approfittarne, e non è circolante perché i libri<br />

non possono essere presi in prestito e circolare<br />

all’esterno» (1873).<br />

Il consiglio municipale prende in considerazione<br />

il progetto il 19 marzo 1873 [...] e il 7 aprile concede<br />

un credito di 600 franchi per l’organizzazione,<br />

offrendo anche «una delle sale della casa<br />

delle scuole laiche per l’insediamento di questa<br />

biblioteca». Lo stabilimento diventerà effettivo<br />

l’8 luglio 1873. [...]<br />

In origine, quindi, la biblioteca popolare circolante<br />

era saldamente affiliata alla SSHA e, in<br />

quanto organismo culturale, sottomessa all’autorità<br />

del prefetto e al ministero dell’istruzione<br />

pubblica e dei culti. Anche la città di Chambéry<br />

aveva autorità su questa organizzazione e partecipava<br />

finanziariamente e materialmente al<br />

suo funzionamento. Ideologicamente parlando,<br />

era sorretta dall’ideale laico e dall’appoggio della<br />

massoneria.<br />

(Note)<br />

1 Primo ministro francese dal 1880 al 1881 e dal 1883 al 1885.<br />

2 Giornale d’opposizione fondato nel 1848 che tratta argomenti<br />

di politica, industria, commercio, agricoltura e letteratura.<br />

Cuori impavidi<br />

L’ invenzione<br />

delle razze<br />

WILLIAM WALLACE<br />

un ordinario delirio del sabato sera,<br />

la volgarità televisiva imperante,<br />

l’ignoranza di ritorno, i movimenti C’è<br />

populisti di una nuova inciviltà occidentale.<br />

La cosa più preoccupante è, però, questo inventarsi<br />

sempre nuovi confini e nuove guerre, molte<br />

delle quali vengono definite etniche, come se<br />

il passato nulla ci avesse insegnato.<br />

Per i biologi è, però, soprattutto un errore concettuale,<br />

perché il genere umano è uno solo, al<br />

di là delle differenze, e ce lo dicono i geni.<br />

Il concetto di razza non corrisponde infatti ad<br />

alcuna entità scientificamente riconosciuta ed<br />

è inutile per comprendere le basi delle nostre<br />

differenze biologiche e culturali.<br />

Ci dicono che le nostre identità possono essere<br />

difese solo difendendo il nostro territorio contro<br />

l’invasione dei portatori di identità diverse.<br />

Qualcuno sostiene che gli scienziati non vogliono<br />

sentir parlare di razze per motivi politici, o<br />

perché chiusi nei loro laboratori, altri ritengono<br />

che accettare le differenze razziali porterebbe<br />

benefici medici, sociali e perfino estetici.<br />

Il peggio è che non c’è mai uno straccio di prova,<br />

o argomento scientifico per siffatti ragionamenti,<br />

ma la gente, magari giustamente preoccupata<br />

del futuro, della sicurezza e dell’economia, ci<br />

crede e, se non lo dice, a volte lo pensa.<br />

Sono passati solo cinquant’anni da quando i<br />

neri di Montgomery in Alabama decisero di<br />

boicottare gli autobus finché non gli fosse stato<br />

permesso di sedersi dove volevano; pochi anni<br />

sono trascorsi dalla caduta del regime sudafricano<br />

di segregazione razziale.<br />

Invero, la parola razza non identifica alcuna<br />

realtà biologica riconoscibile nel Dna della nostra<br />

specie e perciò non c’è nulla di genetico<br />

nelle identità etniche, o culturali, come le conosciamo<br />

oggi.<br />

Le razze ce le siamo inventate, le abbiamo prese<br />

sul serio per secoli, ma sarebbe ora di lasciarle<br />

perdere.<br />

Siamo tutti parenti e tutti differenti. Siamo sei<br />

miliardi e mezzo sulla Terra, ma fino ai primi<br />

dell’Ottocento eravamo meno di un miliardo, e<br />

duemila anni fa eravamo circa 150 milioni.<br />

Ognuno di noi ha due genitori, quattro nonni<br />

ed otto bisnonni, i trisavoli erano 16 e così via.<br />

Questo vuol dire che dieci generazioni fa (duecentocinquanta<br />

anni or sono) ognuno aveva<br />

1.024 antenati, ciascuno dei quali aveva un migliaio<br />

di antenati 250 anni prima.<br />

Studiosi come Guido Barbujani hanno fatto conti<br />

secondo i quali ciascuno di noi discenderebbe<br />

da un milione di antenati vissuti al tempo<br />

di Cristoforo Colombo, da un milione di milioni<br />

di antenati nell’anno 1000 e parecchi miliardi<br />

all’epoca di Cristo. In realtà non è possibile e<br />

questi sono solo antenati virtuali, perchè i matrimoni<br />

tra consanguinei restringono il numero<br />

di antenati. Infatti, affinché la nostra genealogia<br />

possa stare dentro ai limiti della popolazione<br />

umana delle varie epoche significa che moltissime<br />

delle unioni da cui attraverso i millenni deriviamo,<br />

sono unioni tra consanguinei, discendenti<br />

da antenati comuni.<br />

Il che vuol dire che molti degli antenati erano<br />

comuni alle varie popolazioni e che le razze sono<br />

un’invenzione: sbagliata e da superare al più<br />

presto.<br />

43


FOTO DELLA<br />

TRAVERSATA<br />

DI BEPPE BORIONE<br />

44<br />

Sci<br />

Un nuovo<br />

comprensorio<br />

sciistico<br />

in Savoia<br />

BEPPE BORIONE<br />

Termignon, ridente località dell’Alta<br />

Savoia, dallo scorso anno si è unita al<br />

comprensorio sciistico della Val Cenis<br />

(Vanoise). Sapendo quanto abbiano preso<br />

piede le traversate in pista, per chi non si sente<br />

di fare sci-alpinismo, questo nuovo comprensorio<br />

offre un giro di tutto rilievo che permette di<br />

raggiungere cinque località di fondovalle diverse,<br />

tra loro collegate (Termignon, Lanslebourg, Les<br />

Champs, Lanslevillard e Le Haut).<br />

Proponiamo una delle tante traversate possibili<br />

(andata e ritorno per piste diverse).<br />

Da Termignon iniziare la giornata salendo con<br />

la seggiovia (télésiège) a 4 posti della Girarde<br />

che porta alla partenza della seconda seggiovia<br />

Rochers Blanches. Da qui prendere a sinistra la<br />

pista Flambeau per raggiungere l’arrivo della<br />

seggiovia a sei posti della Turra. Alcuni sciatori<br />

scendono in seggiovia per evitare la piacevole<br />

ma quasi piana pista “Traverse” che termina in<br />

fondo alla vallata a Lanslebourg (seconda località<br />

che si tocca nella piacevole traversata) dove lo<br />

skilift (téléski) della Madeleine conduce in piano<br />

alla partenza della seggiovia Ramasse. Da qui per<br />

pista Bleu scendere alla partenza della seggiovia<br />

Arcellins II. Salire su tale impianto e prendere<br />

la pista Bleu “Vers la Berche” fino alla partenza<br />

dello skilift de la Tomba. Non salirlo. Continuare<br />

invece in discesa per la Pista “Familiale” fino a<br />

quando essa non incontra la Pista “Chamois” che<br />

scende congiungendosi alla pista “Pré Novel” a<br />

Les Champs. Abbiamo toccato così tre delle<br />

cinque località che andremo a visitare. Da qui<br />

con la breve e vecchia seggiovia a due posti Pré<br />

Novel (nome della pista prima discesa) unirsi<br />

con la pista “Alpages”, che congiungendosi con<br />

varie piste minori scende a Lanslevillard (quarta<br />

stazione toccata nella traversata). Da qui salire<br />

con la cabinovia (télécabine) Vieux Moulin per<br />

scendere su pista Bleu fino a congiungersi con<br />

la pista verde “Terres Grasses” che conduce a<br />

“Le Haut”, che è il punto estremo e opposto a<br />

Termignon (quinta e ultima località su cui si può<br />

scendere). Siamo a metà percorso (circa 3 ore<br />

tra sci e trasferimenti con gli impianti). Qui vi<br />

sono diversi piccoli chalet per un veloce spuntino.<br />

In andata abbiamo sciato su tutta la parte<br />

bassa degli impianti per toccare tutte e cinque le<br />

località inserite nel percorso. Si tornerà ora per<br />

una via totalmente diversa, andando a toccare<br />

gli impianti alti del comprensorio, con un anello<br />

sciistico di prim’ordine. Da Le Haut risalire con<br />

l’ovovia “Val Cenis Le Haut” fino alla partenza<br />

della seggiovia a sei posti dell’Arcelle. La digressione<br />

allo skilift Plan Cardinal è facoltativa.<br />

Occorre invece, per continuare la traversata di<br />

rientro, scendere per le piste Rhodos e Fema alla<br />

partenza della seggiovia a sei posti del Solert.<br />

All’arrivo scendere a destra per il breve raccordo<br />

che condurrà alla partenza della seggiovia a<br />

4 posti di Met. Tale impianto permetterà di salire<br />

nel punto più elevato di tutto il vasto comprensorio<br />

a quota 2800 metri, con stupenda vista sul<br />

lago del Moncenisio e sulle montagne adiacenti<br />

(rosa dei venti con i nomi di tutte le montagne<br />

circostanti). Da qui a destra in un largo canale<br />

si compie una traversata che conduce a una<br />

deviazione a destra: (nome della pista: “Vers le<br />

Mont Cenis”), “pista nera”, solo perché è stretta,<br />

ma in realtà nella parte bassa è una stradina di<br />

collegamento che porta alla partenza dello skilift<br />

Mont Cenis. Risalito il quale ci si troverà proprio<br />

a ridosso del Colle del Moncenisio (lato francese).<br />

Muovendo a destra in direzione di un vec-<br />

Rubrica<br />

chio skilift disattivato, scendere nei pressi della<br />

malga che d’estate vende i formaggi tipici della<br />

zona sulla strada del valico (Pista Goulet). Una<br />

fantastica discesa per la pista rossa “Ramasse”<br />

condurrà direttamente a Lanslebourg saltando<br />

le altre località prima toccate. Da qui prendere<br />

la nuova seggiovia a sei posti della Turra che<br />

insieme alla seconda seggiovia a 4 posti della<br />

“Sources” sono i due nuovi impianti che hanno<br />

permesso a Termignon di unirsi alla Val Cenis.<br />

Restano ora solo più da salire i due skilift del<br />

comprensorio di Termignon, lasciati per ultimi.<br />

Il primo che s’incontra scendendo a destra dalla<br />

“Sources” per la pista Flambeau è lo skilift du<br />

Gran Coin. All’arrivo per la stupenda pista rossa<br />

della “Petite Combe” ci si porta alla partenza<br />

dell’ultimo skilift della giornata: “Lac”. In cima,<br />

se si vuole scendere sul lato estremo di partenza<br />

oltre il quale non esistono più né impianti né<br />

piste, occorre scendere per la pista panoramica<br />

“Bleu du Lac” in cui è compreso il nome del colore<br />

di difficoltà della medesima (blu). Consiglio<br />

vivamente di unirsi in un elettrizzante finale alla<br />

pista rossa “Bois du Coq” che porta alla pista blu<br />

“Girarde”. Essa scende a incrociare la pista per<br />

principianti “Petits Loups” nell’estrema parte<br />

destra di Termignon in corrispondenza di due<br />

skilift per principianti (Tannes e Marmottons)<br />

che faranno concludere nel migliore dei modi<br />

questa giornata di sci totale (3 ore e 30 minuti<br />

per il rientro) con una sciata totale di 6 ore e 30<br />

minuti distribuita nell’arco della giornata, senza<br />

considerare eventuali code alle partenze degli<br />

impianti. Ultima considerazione: questo nuovo<br />

modo di concepire lo sci da pista permette agli<br />

appassionati di divertirsi sulla neve, muovendosi<br />

in terreni sempre diversi. Vi sono comprensori<br />

così vasti per i quali occorrono due giorni<br />

per toccare i loro lati estremi e fare ritorno il<br />

giorno dopo alla partenza: Corchevel-Les Trois<br />

Vallées, Avoriaz, Verbier, la nostra Via Lattea da<br />

Monginevro a Pragelato e ritorno, le Dolomiti<br />

per le quali occorrono addirittura 4 giorni per<br />

percorrerle tutte. E ancora le traversate fattibili<br />

in giornata come: Giro del Monte Rosa, Vallée<br />

Blanche (non servita da impianti intermedi),<br />

Cervinia - Zermatt, etc). Non sarà sciare in fuori<br />

pista ma è un comodo compromesso per divertirsi<br />

in libertà sulla neve, ponendosi come meta<br />

un punto di partenza e uno di arrivo, come le<br />

più belle delle escursioni estive. Provare per credere.<br />

45


La libreria di <strong>Panorami</strong><br />

46<br />

Storia del<br />

Piemonte<br />

Michele Ruggiero<br />

La Bela Gigogin<br />

Dalla gente dei<br />

Longobardi, dei<br />

Franchi e dei<br />

Saraceni al Medioevo,<br />

dalla tormentata<br />

costruzione dello<br />

stato sabaudo alla<br />

sua dissoluzione fra i<br />

turbini rivoluzionari,<br />

passando per<br />

l’avventura napoleonica sino al 1861.<br />

Terra di Piemonte raccontata in un eccezionale<br />

volume da un autore tanto preparato quanto<br />

avvincente.<br />

Cari ij mè fieuj<br />

Natale Cerrato<br />

Gioventura<br />

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La terra d’origine<br />

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anche agli uomini di Dio<br />

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