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FRANCESCO CARELLA,<br />

“SAN MICHELE”,<br />

TELA AD OLIO; 1788<br />

18<br />

La nostra storia<br />

è custode dell’albero della vita e della misericordia<br />

in Paradiso, dal quale spilla l’olio santo, che<br />

possiede proprietà taumaturgiche e risananti.<br />

Nella letteratura religiosa, la visione di Michele<br />

che appare in sogno, guarendo l’orante a mezzo<br />

del semplice “tocco”, e la tradizione che gli assegna<br />

il compito di custodire l’albero della vita si<br />

riflettono nella credenza, attestata anche presso<br />

le comunità copte d’Egitto, che attribuisce doti<br />

prodigiose all’olio “santo”, abitualmente tratto a<br />

piccole dosi dalle lampade che ardono dinnanzi<br />

alle icone raffiguranti l’Arcangelo.<br />

Come attestazione concreta dell’attributo di<br />

combattente contro il demonio, riconosciuto<br />

dalla tradizione a Michele, gli avancorpi occidentali<br />

delle chiese d’età carolingia sono spesso<br />

intitolati al principe degli Arcangeli. In questa<br />

prassi dedicatoria si rispecchia la credenza nella<br />

capacità di Michele di tenere lontani i demòni,<br />

che attaccano i luoghi sacri preferibilmente<br />

dal lato occidentale, il più esposto alle insidie<br />

del maligno.<br />

Negli attributi di Michele si riflette l’influenza<br />

di modelli greco-romani o orientali, i cui tratti<br />

caratteristici si proiettano sulla figura dell’Arcangelo<br />

delineata dalla tradizione cristiana: in<br />

particolare, Hermes, Mercurio e Mitra. Hermes,<br />

messaggero degli dèi e guida delle anime, si afferma<br />

come protagonista di un rito divinatorio<br />

praticato presso centri santuariali dell’antichità<br />

greco-romana: l’incubatio, dove il sogno compare<br />

come tramite tra uomo e dio ed è concepito<br />

quale strumento della rivelazione divina. Dopo<br />

il sacrificio di un ariete in onore di Hermes, il<br />

fedele si corica su una pelle di capra e si addormenta:<br />

il dio visita il fedele in sogno, impartendogli<br />

istruzioni per guarire o emanando<br />

responsi.<br />

Mercurio, dio latino dei commerci, s’impone<br />

anche come psicopompo, accompagnatore dei<br />

trapassati. Il culto miseriosofico di Mitra, con la<br />

promessa di salvezza individuale ed il percorso<br />

iniziatico che lo caratterizza, si celebrava nelle<br />

grotte, a stretto contatto con l’acqua, elemento<br />

rigenerante associato alla vita. Non a caso,<br />

il santuario di Colosse, in Frigia (Asia Minore),<br />

dedicato a Michele, sorse nel IV secolo in prossimità<br />

di una grotta e di una sorgente considerata<br />

miracolosa. La grotta, come il monte, è il luogo<br />

della rivelazione, porta di comunicazione con il<br />

mondo dell’ultrasensibile.<br />

Le doti taumaturgiche della fonte accendevano<br />

il fervore dei pellegrini, tanto che le autorità ecclesiastiche<br />

della zona, in aderenza al concilio di<br />

Laodicea, misero in atto delle contromisure, disponendo<br />

la deviazione delle acque di un vicino<br />

torrente affinché gli apprestamenti cultuali (un<br />

oratorio dedicato a Michele) fossero travolti e la<br />

fonte estinta. L’anacoreta Archippa, ispirato da<br />

Dio, arrestò il deflusso delle acque, salvaguardando<br />

l’integrità della fonte e testimoniando il<br />

favore divino verso il culto micaeliano ad essa<br />

correlato.<br />

Il culto di Michele, dall’Asia Minore, si diffonde<br />

nei territori sottoposti alla dominazione bizantina,<br />

tanto che, nei paraggi di una grotta e di<br />

un’altura, nell’area del Gargano, prese forma<br />

il primo santuario d’Occidente dedicato all’arcangelo<br />

taumaturgo. I Longobardi, attestati in<br />

Pannonia, assimilarono il culto di Michele dai<br />

Bizantini e, conquistata l’area del santuario<br />

per opera del duca Grimoaldo I di Benevento,<br />

ne fecero un polo devozionale, diffondendone<br />

il culto a Nord, nella Langobardia Maior, e accentuando,<br />

nell’iconografia micaeliana, la componente<br />

militare/guerresca a discapito della<br />

funzione taumaturgica, sempre più marginale.<br />

Anche i Carolingi ne adottarono il culto, come è<br />

testimoniato sia dall’intitolazione a Michele del<br />

complesso abbaziale costruito in cima al Monte<br />

Pirchiriano (la Sacra, dichiarata monumento<br />

simbolo delle Regione Piemonte), sia dalla dedicazione<br />

allo stesso delle Clusae Langobardorum,<br />

la strettoia naturale che definisce l’imboccatura<br />

della valle.<br />

La Sacra di San Michele, dunque, attesta il radicamento<br />

del culto micaeliano in Occidente e<br />

associa all’Arcangelo l’attributo di dominatore<br />

delle vette (sostituendosi in questo dominio alle<br />

deità pagane che avevano dimora sulle vette<br />

<strong>alpine</strong>, dal dio celtico Albiorix al dio celto-ligure<br />

Pen, il primo rivelante un collegamento con<br />

la radice antica Alp-Alb, da cui Alpi o anche<br />

Albània, l’antico nome dell’odierna Scozia, o<br />

ancora Albione, per designare la Britannia, il<br />

secondo tanto potente da trasmettere il nome<br />

alla sezione delle Alpi Pennine), di vigilante soprannaturale<br />

posto a guardia delle vie di transito<br />

e, infine, di guardiano, difensore delle terre<br />

piemontesi dagli assalti provenienti da ovest,<br />

dall’Oltralpe (e, all’epoca, scorrerie ed eserciti<br />

di passaggio erano un fatto ordinario).<br />

L’Arcangelo, dominatore ab alto della Valsusa<br />

e della strettoia sottostante, è presentato dai<br />

cronisti clusini come protagonista delle leggende<br />

di consacrazione della Sacra, imbastite da<br />

monaci eruditi per rimediare all’assenza di un<br />

atto di fondazione. L’anonimo estensore della<br />

Chronica (metà XI secolo) e gli autori degli scritti<br />

successivi, che la integrano, giustificati dalla<br />

finalità di legittimare le pretese autonomistiche<br />

dei monaci clusini dalle interferenze vescovili<br />

e signorili, misero in atto due “stratagemmi”:<br />

presentarono la fondazione della comunità monastica,<br />

caso forse unico in Europa, come atto<br />

complesso, caratterizzato dall’intervento di più<br />

fondatori o protettori (Giovanni Vincenzo, Ugo<br />

di Montboissier, il marchese di Torino Arduino<br />

il Glabro) e fecero in modo che l’Arcangelo<br />

Michele fosse percepito come consacratore celeste<br />

dell’abbazia. Così, entrarono in gioco, senza<br />

un ordine temporale definibile con precisione,<br />

le figure di Giovanni Vincenzo, eremita forse<br />

ravennate (soprannominato “Gioanin d’le rave”<br />

o Vincens, nel senso di “il Vincente”), il quale,<br />

stabilito il romitaggio sul Caprasio, ricevette in<br />

sogno da Michele l’ordine di costruire una chiesa<br />

e, con la mediazione degli angeli, trasmettitori<br />

di messaggi per conto di Dio, il comando<br />

di spostarne la fabbrica dalla cima del monte<br />

Caprasio alla vetta del Pirchiriano, e del nobile<br />

alverniate Ugo di Montboissier, detto lo Scucito<br />

per la prodigalità. Michele compare come consacratore<br />

celeste dell’abbazia (detta per questo<br />

Sacra). Anticipa, infatti, il vescovo Amizone che,<br />

salendo da Torino, assiste alla comparsa di una<br />

colonna di fuoco torreggiante sulla vetta del<br />

Pirchiriano, accostata dal cronista al “roveto ardente”<br />

che avvolse il monte dove Mosé ricevette<br />

da Dio le tavole della legge, e, guadagnando<br />

la cima della montagna, si limita a certificare<br />

l’avvenuta consacrazione celeste, ad opera di<br />

Michele, testimoniata dal liquido, olio e balsamo<br />

(la composizione del crisma, usato per consacrare<br />

i vescovi), che trasudava dalla roccia.<br />

Come per miracolo, si materializzò dinnanzi<br />

ad Amizone un altare, fabbricato dagli angeli,<br />

grondante anch’esso olio santo, che il vescovo<br />

torinese asciugò con un lenzuolo, usato poi come<br />

tovaglia per celebrare la Messa. Il tessuto,<br />

intriso d’olio, dispensò prodigi e guarigioni miracolose,<br />

confermando la tradizione che attribuisce<br />

a Michele proprietà taumaturgiche.<br />

Il messaggio, che traspare dal racconto nel suo<br />

La nostra storia<br />

complesso, è chiaro: la Sacra appartiene ai monaci<br />

benedettini, sottomessi alla sola autorità<br />

papale, non tollera intromissioni vescovili o<br />

marchionali. Il compito di legittimare le pretese<br />

autonomistiche della Sacra, riconosciute da<br />

pontefici e imperatori che assegnarono all’ente<br />

monastico, con provvedimenti ad hoc, il privilegio<br />

dell’esenzione dalla giurisdizione episcopale<br />

e civile, spetta a Michele, che, sostituendosi ad<br />

Amizone nell’atto di consacrare l’abbazia, ne<br />

rivendica la “proprietà” celeste.<br />

I monaci difesero accanitamente la propria autonomia<br />

sia dalle ingerenze del potere marchionale<br />

torinese (ma Adelaide nel 1075, richiamata<br />

all’ordine dal papa, frenò il figlio Pietro, che<br />

aveva organizzato una spedizione contro i monaci<br />

clusini in sostegno alle pretese del vescovo<br />

Cuniberto) sia dalle intromissioni dei vescovi di<br />

Torino, che tentavano di costruire una signoria<br />

episcopale assoggettando alla propria giurisdizione<br />

i territori circostanti la città. Dopo la morte<br />

di Adelaide, trovarono appoggio nei conti di<br />

Moriana-Savoia, precisamente in Umberto II il<br />

cui potere, agli albori del XII secolo, non oltrepassava<br />

il limite di Avigliana, compresso dalla<br />

signoria vescovile torinese e, seppure in misura<br />

minore, dal comune.<br />

Malgrado l’alleanza, i Savoia non rinunciarono<br />

all’obiettivo di integrare la Sacra nei loro<br />

possedimenti e riuscirono a “sabaudizzarla”<br />

definitivamente quando, nel 1379, ottennero<br />

l’introduzione della commenda come sistema<br />

di scelta dell’abate. In buona sostanza, il capo<br />

della comunità clusina non era più eletto dai cenobiti<br />

e consacrato (confermato) dal Papa, bensì<br />

nominato dai Savoia, con il consenso del pontefice.<br />

Su tutti questi passaggi storici si staglia la<br />

figura solenne e temuta di Michele, che ci piace<br />

immaginare come custode e protettore di queste<br />

montagne.<br />

19

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