Morire di carcere - Dossier 2002-3 - Sesta Opera
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong><br />
<strong>Dossier</strong> <strong>2002</strong> – 2003<br />
Suici<strong>di</strong>, assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata,<br />
decessi per cause non chiare, episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> overdose<br />
Per la realizzazione del dossier è stato fondamentale il lavoro svolto dal<br />
Gruppo Rassegna Stampa del Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi<br />
Realizzato dalla Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi <strong>di</strong> Padova<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Parte introduttiva<br />
2<br />
Sommario<br />
L’informazione giornalistica sulle morti in <strong>carcere</strong> pag. 3<br />
I suici<strong>di</strong> in ambito penitenziario pag. 5<br />
L’assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata pag. 9<br />
Le morti per cause non chiare e per overdose pag. 12<br />
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003<br />
Le “storie” <strong>di</strong> 70 detenuti, morti nell’anno <strong>2002</strong> pag. 15<br />
Le “storie” <strong>di</strong> 41 detenuti, morti nell’anno 2003 (gennaio - luglio) pag. 35<br />
Elaborazioni statistiche sui casi descritti pag. 46<br />
Appen<strong>di</strong>ce: iniziative, inchieste, articoli<br />
L’impegnativa al Governo approvata dal Senato il 5 giugno <strong>2002</strong> pag. 55<br />
L’appello dell’Associazione Co.N.O.S.C.I. Onlus, del 21 giugno <strong>2002</strong> pag. 56<br />
Articoli sulle morti in <strong>carcere</strong> pubblicati dai giornali carcerari pag. 57<br />
Notizie sulle morti in <strong>carcere</strong> <strong>di</strong>ffuse dall’Osservatorio Calamandrana pag. 66<br />
Articoli sulle morti in <strong>carcere</strong> scritti da Adriano Sofri pag. 69<br />
Articolo <strong>di</strong> Sergio Segio “Il pianeta delle ombre e il mal <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>” pag. 71<br />
Rapporto sulle carceri dell’Associazione Antigone: eventi critici 2000 - 2001 pag. 75<br />
Nessuno tocchi Caino: malattia e morte <strong>di</strong>etro le sbarre nel 2000 pag. 81<br />
Lettera dei detenuti <strong>di</strong> Rebibbia sul suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un loro compagno pag. 82<br />
Intervista a Pietro Buffa, <strong>di</strong>rettore del <strong>carcere</strong> “Le Vallette” <strong>di</strong> Torino pag. 83
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
L’informazione giornalistica sulle morti in <strong>carcere</strong><br />
“I detenuti sono uomini, non numeri”. Forse questo è un pensiero poco originale, sono in tanti che lo<br />
ripetono… e qualcuno ci crede anche. Poi sfogli una rassegna stampa sul <strong>carcere</strong> e trovi molti articoli che<br />
sembrano proprio note contabili: c’è il numero totale dei detenuti, <strong>di</strong> quelli che sarebbero <strong>di</strong> troppo rispetto<br />
alla “normale capienza”, degli stranieri e dei tossico<strong>di</strong>pendenti, per finire con gli autolesionisti ed i morti<br />
suici<strong>di</strong>.<br />
Questa catena <strong>di</strong> cifre ricorda tanto le cronache <strong>di</strong> guerra, con le <strong>di</strong>mensioni degli eserciti, dei “corpi<br />
speciali” <strong>di</strong> combattenti e, infine, con il bilancio <strong>di</strong> morti e <strong>di</strong> feriti. La propaganda bellica si cura <strong>di</strong> far<br />
apparire i nemici come semplici quantità numeriche e, allo stesso tempo, <strong>di</strong> umanizzare i propri soldati,<br />
riprendendo la loro partenza - tra abbracci, baci e lacrime -, magari mostrandoli mentre soccorrono gente<br />
bisognosa, mentre pregano o giocano a carte. Allora, il parallelo con l’informazione “dall’interno” potrebbe<br />
avere un senso parlando <strong>di</strong> lotta alla criminalità, piccola e grande, con la contrapposizione tra le forze<br />
benigne mobilitate dalla società civile ed i delinquenti, <strong>di</strong>sumani e <strong>di</strong>sumanizzati.<br />
Occupandoci <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>, cioè <strong>di</strong> un momento nel quale la “guerra” è terminata e bisogna ricostruire una<br />
qualche occasione <strong>di</strong> riscatto per chi era un nemico ed ha smesso <strong>di</strong> esserlo, non dovrebbe più esistere la<br />
<strong>di</strong>stinzione tra le persone che hanno un nome e un’identità e quelle che sono rappresentate da un numero,<br />
magari inserito in una statistica <strong>di</strong> portata nazionale. Sembra, invece, che questo non avvenga quasi mai e<br />
basta ripassarsi qualche articolo sui quoti<strong>di</strong>ani per averne la controprova.<br />
I casi sono due: chi finisce in galera rimane per sempre nemico (quin<strong>di</strong> indegno <strong>di</strong> essere rappresentato come<br />
persona), oppure il ricorso alla contabilità è la maniera meno impegnativa per scrivere del <strong>carcere</strong>… basta<br />
prendere qualche dato dal sito internet del ministero… le cifre sono grosse, fanno impressione, ed è risaputo<br />
che la gente cerca cose impressionanti. Il problema è che i dati sono sempre gli stessi (con qualche<br />
variazione verso l’alto), l’emozione che possono dare passa in fretta e, con l’abitu<strong>di</strong>ne, presto si trasforma in<br />
perfetta in<strong>di</strong>fferenza.<br />
La sensibilizzazione della società riguardo agli emarginati, al <strong>carcere</strong> e alla devianza, è un’impresa<br />
faticosissima, anche volendoci mettere tutta la professionalità e l’inventiva possibili. Figurarsi se l’impegno<br />
si limita all’in<strong>di</strong>spensabile, se ci si accontenta <strong>di</strong> “riempire la pagina” rimasticando sempre gli stessi concetti,<br />
magari giustissimi, ma talmente logori che ormai annoiano anche noi detenuti, che pure siamo i <strong>di</strong>retti<br />
interessati. In questo modo chi non è detenuto, parente o amico <strong>di</strong> detenuti, volontario od operatore<br />
penitenziario, legge del sovraffollamento delle carceri come potrebbe leggere della migrazione delle oche<br />
canadesi… non gliene frega niente, in pratica!<br />
Nelle scorse settimane abbiamo ripassato tre anni <strong>di</strong> rassegna stampa sul <strong>carcere</strong> per raccogliere notizie e<br />
commenti sui cosiddetti “eventi critici” in ambito penitenziario: i suici<strong>di</strong>, le morti per malattia, gli<br />
autolesionismi, etc.. Molti articoli del 2003, anche <strong>di</strong> opinionisti intelligenti, anche <strong>di</strong> politici e operatori in<br />
gamba, sono pressoché identici a quelli che gli stessi hanno scritto nel 2001 e poi ancora nel <strong>2002</strong>: è vero che<br />
i problemi non sono tanto cambiati, però è anche vero che così l’informazione perde <strong>di</strong> vivacità (necessaria<br />
per cercare <strong>di</strong> coinvolgere i lettori) e l’analisi socio-politica del fenomeno fa ben pochi progressi.<br />
Non se la cavano meglio i redattori della cronaca, anche qui con alcune – poche – eccezioni. La fonte<br />
privilegiata della notizia – spesso l’unica – è la <strong>di</strong>rezione del <strong>carcere</strong>, che <strong>di</strong> solito trasmette uno scarno<br />
comunicato nel quale si preoccupa soprattutto <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere il lavoro svolto dagli agenti, “prontamente accorsi<br />
per soccorrere il detenuto”, dai me<strong>di</strong>ci “chiamati d’urgenza” che “si sono pro<strong>di</strong>gati per salvargli la vita” e<br />
dagli altri operatori che “lo seguivano costantemente”. Sono loro i veri protagonisti dell’articolo che compare<br />
sui giornali: tante volte non c’è nemmeno il nome del detenuto morto (per suici<strong>di</strong>o o per malattia).<br />
Ritorna quin<strong>di</strong> la regola della spersonalizzazione del “nemico” e in più i cronisti aggiungono, <strong>di</strong> propria<br />
iniziativa, un giu<strong>di</strong>zio morale sull’accaduto, spesso senza conoscere la storia che c’è <strong>di</strong>etro: così il suicida si<br />
è “arreso”, “non ha retto il peso della propria colpa”, e via <strong>di</strong> questo passo… dunque non solo era cattivo, ma<br />
anche codardo!<br />
In qualche articolo traspare anche una specie <strong>di</strong> delusione perché il morto non potrà più scontare la condanna<br />
ricevuta, oppure perché si è sottratto al processo, impedendo così “l’accertamento della verità”. Un<br />
perbenismo assurdo, che ha spinto Adriano Sofri a scrivere, con amara ironia: “Vorrei tornare su questa<br />
vergogna delle evasioni. Nell’ultimo mese sono evasi tre da Rebibbia e uno da Milano <strong>Opera</strong>. Gente<br />
all’antica, con lenzuoli annodati. (…) Ma la forma <strong>di</strong> evasione più <strong>di</strong>ffusa e subdola, perché si maschera in<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
modo da essere ignorata nelle statistiche criminali, è il suici<strong>di</strong>o. Un centinaio <strong>di</strong> delinquenti all’anno se ne<br />
vanno così, a volte anche loro con le lenzuola dell’Amministrazione. È ora <strong>di</strong> <strong>di</strong>re: basta!”. (Il Foglio, 2<br />
gennaio 1999).<br />
Trascritte fedelmente le notizie <strong>di</strong>ffuse dell’Amministrazione penitenziaria e aggiunti i propri apprezzamenti,<br />
il terzo passaggio, nella costruzione dell’articolo sulla morte <strong>di</strong> un detenuto, è quello <strong>di</strong> rovistare nella<br />
cronaca nera e giu<strong>di</strong>ziaria per ricostruire le circostanze del suo arresto e del processo (se è già stato<br />
celebrato): spesso la parte più consistente del “pezzo” è costituita proprio dal resoconto delle indagini e degli<br />
atti processuali. Soprattutto nei giornali locali si citano i nomi dei carabinieri, dei giu<strong>di</strong>ci, degli avvocati e dei<br />
periti. Sulla vita del detenuto morto non viene scritto quasi nulla (tranne i precedenti penali, spesso elencati<br />
con <strong>di</strong>ligenza: se era incensurato lo deduci dall’assenza <strong>di</strong> questo riferimento), forse perché non si hanno<br />
elementi, oppure perché si pensa che non importi a nessuno.<br />
Eppure sarebbe possibile dare queste notizie in modo <strong>di</strong>verso: su circa 300 articoli esaminati nella ricerca<br />
almeno una trentina sono costruiti con maggiore attenzione, attingendo a fonti <strong>di</strong>verse, introducendo ipotesi<br />
ed interrogativi, a volte anche sollevando dei dubbi sull’atten<strong>di</strong>bilità delle versioni ufficiali. Un risultato che<br />
deriva, <strong>di</strong> solito, dall’interessamento dei famigliari del detenuto morto, più raramente da quello <strong>di</strong> un<br />
rappresentante del volontariato, o <strong>di</strong> qualche politico.<br />
Come a <strong>di</strong>re che, chi non ha una rete <strong>di</strong> sostegno all’esterno, può tranquillamente scomparire senza che la<br />
notizia esca dalla cerchia degli addetti ai lavori. Un marocchino si è impiccato a San Vittore… forse era<br />
tunisino… aveva tanti “alias”! E la sua famiglia, se ne aveva una, da qualche parte nel nordafrica, non saprà<br />
mai che fine ha fatto.<br />
Trenta articoli “buoni” su 300 sono pochi, però stanno a significare che nelle varie redazioni c’è anche chi<br />
capisce l’importanza <strong>di</strong> raccontare il vissuto <strong>di</strong> una persona - quali che siano le sue colpe - per far riflettere i<br />
lettori, per aiutarli a capire (semmai gli interessi) i motivi <strong>di</strong> un suici<strong>di</strong>o o <strong>di</strong> uno sciopero della fame<br />
protratto fino a morirne.<br />
Sul versante opposto, invece, c’è il rischio <strong>di</strong> trasformare la storia vissuta (e tragica) in una sorta <strong>di</strong> romanzo,<br />
insistendo <strong>di</strong> proposito sulle circostanze più dolorose per suscitare nei lettori sentimenti <strong>di</strong> pietà e <strong>di</strong><br />
in<strong>di</strong>gnazione. In particolare nei giornali locali alcuni articoli “soffrono” chiaramente <strong>di</strong> un eccesso <strong>di</strong> pathos:<br />
il detenuto morto è chiamato con affettuosi nomignoli e il <strong>carcere</strong> <strong>di</strong>venta il Regno del Male, dove tutti<br />
congiuravano perché si uccidesse. Anche questo tipo <strong>di</strong> informazione, a nostro parere, serve a ben poco: può<br />
strappare qualche lacrima alle persone più sensibili, però sposta l’attenzione dalla vera natura e <strong>di</strong>mensione<br />
dei problemi.<br />
Tracciato il quadro <strong>di</strong> ciò che funziona e non funziona, nel modo <strong>di</strong> dare le notizie sulle morti in <strong>carcere</strong>,<br />
abbiamo cercato <strong>di</strong> realizzare una ricerca che privilegiasse l’aspetto <strong>di</strong>vulgativo, piuttosto <strong>di</strong> quello più<br />
propriamente scientifico.<br />
4<br />
• La parte principale è costituita dalle storie – alcune <strong>di</strong> poche righe, altre <strong>di</strong> una pagina – <strong>di</strong> detenuti<br />
suici<strong>di</strong>, morti per malattia, per overdose, per “cause non accertate”, in or<strong>di</strong>ne cronologico dal gennaio<br />
<strong>2002</strong> al luglio 2003. Sono oltre cento, quelli ai quali siamo riusciti a restituire un’identità e una<br />
provenienza togliendoli dall’anonimato delle statistiche. Per quasi altrettanti non c’è stato modo <strong>di</strong><br />
sapere nulla, nonostante la rassegna stampa (che ha fatto da base per l’indagine) contenesse notizie<br />
tratte da tutti i principali quoti<strong>di</strong>ani nazionali e da molti giornali locali: la conclusione più logica è che,<br />
ogni due detenuti che muoiono, uno passa quasi “inosservato”.<br />
• Una seconda sezione della ricerca raccoglie notizie e riflessioni tratte dai giornali carcerari:<br />
testimonianze <strong>di</strong> detenuti che conoscevano le persone morte, a volte degli stessi compagni <strong>di</strong> cella. In<br />
questa parte trovano posto anche alcuni articoli <strong>di</strong> Adriano Sofri, in <strong>carcere</strong> a Pisa, e una lettera dei<br />
detenuti <strong>di</strong> Rebibbia. In considerazione del particolare valore <strong>di</strong> questi documenti abbiamo utilizzato<br />
anche alcuni articoli scritti in anni precedenti al <strong>2002</strong>.<br />
• L’ultima parte è costituita da tabelle riassuntive: l’elenco dei detenuti morti, la loro età e il motivo<br />
della morte, le carceri nelle quali si sono verificati i decessi (la “classifica” è guidata da Cagliari e<br />
Sassari), etc.
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
I suici<strong>di</strong> in ambito penitenziario<br />
Nelle carceri italiane i detenuti si tolgono la vita con una frequenza 19 volte maggiore rispetto alle persone<br />
libere e, spesso, lo fanno negli istituti dove le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita sono peggiori, quin<strong>di</strong> in strutture<br />
particolarmente fatiscenti, con poche attività trattamentali, con una scarsa presenza del volontariato. Il<br />
numero maggiore <strong>di</strong> suici<strong>di</strong> avviene al sud e nelle isole, soprattutto in Sardegna (14 casi), mentre al nord i<br />
suici<strong>di</strong> sono concentrati in istituti come la Casa Circondariale <strong>di</strong> Marassi (GE) e quella <strong>di</strong> San Vittore (MI),<br />
notoriamente tra i più degradati d’Italia, oltre che nell’Ospedale Psichiatrico Giu<strong>di</strong>ziario <strong>di</strong> Reggio Emilia.<br />
Su quest’ultimo caso è opportuno soffermarsi: ben cinque internati si sono uccisi nell’arco <strong>di</strong> pochi mesi e la<br />
notizia è trapelata soltanto perché il cappellano ha inviato una lettera <strong>di</strong> denuncia al sindaco e al vescovo<br />
della città: siamo nell’agosto del <strong>2002</strong> ed il giornale che ne parla, in un articolo <strong>di</strong> 20 righe, è la Gazzetta <strong>di</strong><br />
Reggio. Nell’arco dei 19 mesi coperti dalla ricerca non abbiamo trovato nessun’altra segnalazione (fosse<br />
pure <strong>di</strong> un tentativo <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o, o <strong>di</strong> un decesso per malattia) proveniente da uno dei sei O.P.G. italiani.<br />
Sorge allora un dubbio, molto forte: che in questo tipo d’istituto i “ricoverati” possano morire, per cause<br />
<strong>di</strong>verse, senza che all’esterno si sappia. Non è inverosimile, se pensiamo che molti internati sono<br />
abbandonati dalle famiglie e che la funzione terapeutico-contenitiva della struttura psichiatrica giu<strong>di</strong>ziaria la<br />
rende ancor meno trasparente delle “normali” carceri. Oppure, semplicemente, della sorte dei pazzi criminali<br />
non importa a nessuno e gli O.P.G. funzionano da “buchi neri” per le forme più gravi <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio sociale.<br />
In alcuni casi le persone che si sono tolte la vita erano affette da malattie invalidanti e ricoverate in Centri<br />
Clinici Penitenziari, ma sembra che sia l’allocazione in un determinato reparto a rappresentare il principale<br />
fattore <strong>di</strong> rischio, più che la gravità della patologia: nel Braccio “G14” (Infermeria) <strong>di</strong> Rebibbia, nel Reparto<br />
Malattie Infettive <strong>di</strong> Marassi, come nel C.O.C. (Reparto Osservazione per Tossico<strong>di</strong>pendenti) <strong>di</strong> San Vittore,<br />
si sono uccisi anche detenuti che non erano gravemente ammalati. Forse il fatto <strong>di</strong> raggruppare i detenuti in<br />
base al loro stato <strong>di</strong> salute, con l’occasione <strong>di</strong> specchiarsi quoti<strong>di</strong>anamente nella doppia sofferenza dei<br />
compagni, quella della detenzione e quella della malattia, contribuisce a far perdere ogni speranza.<br />
In questo concetto, della “per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> ogni speranza”, c’è la spiegazione - semplice e palese - per la maggior<br />
parte dei suici<strong>di</strong> che avvengono nelle carceri. “Si uccide chi conosce il proprio destino e ne teme<br />
l’ineluttabilità”, scrive l’Associazione A Buon Diritto - Associazione per le libertà in una ricerca del <strong>2002</strong>.<br />
Una ragione che spesso molti operatori, anche me<strong>di</strong>ci, sembrano non vedere e capire: cercano sempre la<br />
“giustificazione” dello squilibrio mentale e per lo più l’unica risposta che pre<strong>di</strong>spongono (per chi sopravvive<br />
al tentativo <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o, chiaramente) è l’isolamento nelle celle “lisce”, cioè completamente vuote, oppure il<br />
ricovero in psichiatria, dove il paziente viene immobilizzato nel letto (con cinghie che gli stringono i polsi e<br />
le caviglie) e imbottito <strong>di</strong> sedativi, nell’attesa che abbandoni i suoi “insani” propositi.<br />
Si tratta, comunque, <strong>di</strong> interventi a posteriori, sui “sopravvissuti”, mentre nel campo della prevenzione c’è<br />
quasi il vuoto, manca persino un attento esame sui trascorsi delle persone che si sono uccise, per cercare <strong>di</strong><br />
capire da dove nascesse la loro <strong>di</strong>sperazione.<br />
Alcune in<strong>di</strong>cazioni al riguardo vengono anche dalla nostra ricerca: l’elemento che, paradossalmente,<br />
accomuna i suici<strong>di</strong> appena arrestati con quelli che stanno per terminare la pena è la mancanza totale <strong>di</strong><br />
prospettive, seppure in situazioni molto <strong>di</strong>verse tra loro.<br />
Nessuna prospettiva <strong>di</strong> riottenere la rispettabilità persa per chi, da detenuto, attende il processo per mesi ed<br />
anni: anche se fosse assolto, non potrà più liberarsi dal marchio del sospetto. Nessuna prospettiva <strong>di</strong> poter<br />
trascorrere utilmente la detenzione, per chi sa <strong>di</strong> dover scontare molti anni: in tante carceri, spesso proprio<br />
quelle dove sono più frequenti i suici<strong>di</strong>, il tempo della pena è tempo vuoto, <strong>di</strong>ssipato lentamente aspettando il<br />
fine pena. Nessuna prospettiva <strong>di</strong> poter tornare a vivere “normalmente”, per chi è entrato e uscito troppe<br />
volte dal <strong>carcere</strong> e si sente condannato (anche in libertà) ad una vita ai margini, <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne, <strong>di</strong> sofferenza<br />
fisica e psicologica.<br />
Messi a fuoco i problemi non è così <strong>di</strong>fficile capire quali possono essere le strade percorribili per ridurre al<br />
minimo il rischio che un detenuto si uccida (pur nella consapevolezza che tante situazioni personali sfuggono<br />
ad ogni tentativo <strong>di</strong> comprensione).<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Il primo fronte è la tutela della <strong>di</strong>gnità sociale delle persone incarcerate nell’attesa del processo. Oggi basta<br />
un “avviso <strong>di</strong> garanzia”, cioè l’avvertimento che ci sono delle indagini in corso, perché giornali e televisioni<br />
saccheggino la vita della persona indagata… fregandosene della presunzione d’innocenza fino alla sentenza<br />
definitiva, che dovrebbe essere l’elemento fondante <strong>di</strong> tutti i sistemi giuri<strong>di</strong>ci moderni. Questo gioco al<br />
massacro può avvenire anche grazie ad un certo protagonismo <strong>di</strong> alcuni rappresentanti delle forze dell’or<strong>di</strong>ne<br />
e dei giu<strong>di</strong>ci inquirenti, che non vedono l’ora <strong>di</strong> annunciare i loro “successi” nella lotta alla criminalità: nel<br />
50% dei casi le persone indagate saranno poi assolte (tra i vari gra<strong>di</strong> del processo), ma ormai il loro nome è<br />
stato pubblicamente associato a vicende criminali ed è questo che rimane impresso nella memoria della<br />
gente, non la sentenza d’assoluzione.<br />
Il secondo fronte riguarda strettamente la “qualità della pena”. Se chie<strong>di</strong> perché il <strong>carcere</strong> non riesce a<br />
svolgere la funzione rieducativa che la Costituzione gli assegna, ti senti invariabilmente rispondere: “È<br />
sovraffollato, mancano gli operatori, etc., etc.”. Sono motivazioni reali, però non devono <strong>di</strong>ventare il pretesto<br />
per bloccare in partenza le iniziative che potrebbero lo stesso attuarsi. Anche negli Istituti più cadenti e<br />
affollati (ad esempio San Vittore) si sono trovati degli spazi per attivare laboratori e corsi <strong>di</strong> formazione:<br />
salette per la socialità riadattate, magazzini <strong>di</strong>smessi, perfino angoli dei cortili utilizzati per “l’aria”. Spesso<br />
questi progetti sono ostacolati anche sban<strong>di</strong>erando le esigenze della sicurezza, ma gli operatori penitenziari<br />
dovrebbero sapere bene che i detenuti, quando possono frequentare un’attività che li faccia uscire dalla cella,<br />
hanno comportamenti molto più corretti. Dove c’è una <strong>di</strong>rezione intelligente, una scuola attenta, un<br />
volontariato dotato d’inventiva, il tempo della pena può essere riempito costruttivamente, in qualsiasi<br />
istituto.<br />
L’ultimo versante è quello del reinserimento nella società al termine della pena. Recentemente i Ra<strong>di</strong>cali<br />
Italiani hanno fatto un’inchiesta per capire come operano i Consigli d’Aiuto Sociale, che sarebbero gli organi<br />
preposti a sostenere le persone scarcerate nei primi mesi <strong>di</strong> libertà: la nostra impressione è che i Consigli<br />
d’Aiuto Sociale esistano soltanto sulla carta, nella legge <strong>di</strong> riforma penitenziaria del 1975. Nessun detenuto o<br />
ex detenuto ricorda che siano intervenuti per aiutarlo. Ci sono i Centri <strong>di</strong> Servizio Sociale per Adulti<br />
(C.S.S.A.), con la duplice funzione <strong>di</strong> controllo e <strong>di</strong> sostegno durante l’esecuzione delle misure alternative e<br />
<strong>di</strong> sicurezza. Il controllo, magari attraverso le visite dei carabinieri, c’è anche… il sostegno a volte è <strong>di</strong>fficile<br />
capire in cosa debba consistere, data la spora<strong>di</strong>cità dei rapporti con gli assistenti sociali. Certo, mancano gli<br />
operatori, mancano i fon<strong>di</strong>, manca tutto e quin<strong>di</strong> c’è poco da pretendere. Però, se la mettiamo così, c’è poco<br />
da pretendere anche dalle persone scarcerate, se la pena è stata soltanto punizione (e non rieducazione) e il<br />
dopo-pena significa soltanto controlli <strong>di</strong> polizia. Dove non arriva il volontariato c’è il vuoto e, quasi<br />
inevitabilmente, chi era drogato tornerà a drogarsi, chi rubava tornerà a rubare, finché il <strong>carcere</strong> si prenderà<br />
nuovamente “cura” <strong>di</strong> loro, o finché ne avranno abbastanza <strong>di</strong> tutto questo.<br />
Non sempre, però, i suici<strong>di</strong> in <strong>carcere</strong> deriverebbero da una reale determinazione a “farla finita”. A volte<br />
hanno origine da un finto suici<strong>di</strong>o andato male, come sostiene Franco La Maestra, ex militante delle Brigate<br />
Rosse, detenuto per 12 anni e libero dal 2001: “In genere si comincia con atti <strong>di</strong> autolesionismo: ti tagli,<br />
pren<strong>di</strong> a capocciate il muro. Poi insceni il suici<strong>di</strong>o. Se ti va bene pren<strong>di</strong> l’incompatibilità col <strong>carcere</strong> che<br />
può voler <strong>di</strong>re, per detenuti con pene brevi, uno sconto <strong>di</strong> pena, un trasferimento in un Ospedale Psichiatrico<br />
Giu<strong>di</strong>ziario, o in comunità. Solo che a quel punto è pericoloso. Sei deperito, puoi avere un mancamento, ti<br />
possono cedere le gambe. E allora sei morto. Il gioco, però, è pericoloso anche se sopravvivi. Tutto finisce<br />
nella tua cartella, vengono stesi dei rapporti, iniziano ad osservarti 24 ore su 24. A quel punto, se hai<br />
inscenato il suici<strong>di</strong>o, devi continuare a fingere, tutto il tempo. E non è facile”. (Il Manifesto, 28 maggio<br />
2003).<br />
Si uccidono più gli italiani che gli stranieri: con una presenza straniera del 30% circa (sul totale dei detenuti),<br />
i suici<strong>di</strong> <strong>di</strong> stranieri ricostruiti nella ricerca sono “solo” il 16%. Tuttavia questa percentuale potrebbe essere<br />
sottostimata, in considerazione della maggiore <strong>di</strong>fficoltà a raccogliere notizie sulle morti dei detenuti<br />
stranieri, spesso privi <strong>di</strong> quella rete <strong>di</strong> sostegno (famiglie, avvocati, etc.) che in molte circostanze fa da cassa<br />
<strong>di</strong> risonanza all’esterno del <strong>carcere</strong>.<br />
Del resto anche il numero complessivo dei suici<strong>di</strong> è probabilmente sottostimato, come sostiene Luigi<br />
Manconi, presidente dell’Associazione A buon <strong>di</strong>ritto: “Se un detenuto cerca <strong>di</strong> uccidersi nella propria<br />
cella, ma muore in ospedale, o in ambulanza, il suo non sempre rientra negli atti suicidali carcerari. Inoltre<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
l’amministrazione penitenziaria tende a declassificare ad eventi involontari fatti volontari. Tra detenuti<br />
esiste la pratica del drogarsi inalando il gas delle bombolette per alimenti. Se un detenuto ci muore, è da<br />
considerarsi overdose involontaria o suici<strong>di</strong>o voluto? L’amministrazione lo considera sempre un atto<br />
involontario, ma non <strong>di</strong> rado si tratta <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o vero e proprio”. (Il Manifesto, 28 maggio 2003).<br />
I tossico<strong>di</strong>pendenti rappresentano il 35% dei casi <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o ricostruiti, a fronte <strong>di</strong> una presenza, sul totale<br />
dei detenuti, <strong>di</strong> circa il 30%. Si uccidono con più frequenza da “definitivi” e, ad<strong>di</strong>rittura, in vicinanza della<br />
scarcerazione: questo può essere in<strong>di</strong>cativo <strong>di</strong> particolari angosce legate al ritorno in libertà, all’impatto con<br />
l’ambiente sociale <strong>di</strong> provenienza, al rinnovato confronto (inelu<strong>di</strong>bile, fuori del <strong>carcere</strong>) con la propria<br />
con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza.<br />
L’ingresso in <strong>carcere</strong> ed i giorni imme<strong>di</strong>atamente seguenti sono un altro momento nel quale il “rischio<br />
suici<strong>di</strong>o” appare elevato, non solo per i tossico<strong>di</strong>pendenti: i detenuti per omici<strong>di</strong>o (che sono il 2.4% <strong>di</strong> tutti i<br />
detenuti, tra attesa <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio ed espiazione pena) rappresentano ben il 20% dei casi <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o esaminati,<br />
molti avvenuti nei primi giorni <strong>di</strong> detenzione. Si tolgono la vita più frequentemente coloro che hanno ucciso<br />
il coniuge, parenti o amici, più raramente i responsabili <strong>di</strong> delitti maturati nell’ambito della criminalità<br />
organizzata.<br />
Alcuni eventi della vita detentiva, poi, sembrano funzionare da innesco rispetto alla decisione <strong>di</strong> “farla<br />
finita”: il trasferimento da un <strong>carcere</strong> all’altro (a volte anche solo l’annuncio dell’imminente trasferimento,<br />
verso carceri e situazioni sconosciute), l’esito negativo <strong>di</strong> un ricorso alla magistratura, la revoca <strong>di</strong> una<br />
misura alternativa, la notizia <strong>di</strong> essere stati lasciati dal partner, etc.. Abbastanza rari, invece, sembrano essere<br />
i casi <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong>rettamente connessi all’arrivo della sentenza <strong>di</strong> condanna.<br />
Circa un terzo dei suici<strong>di</strong> aveva un’età compresa tra i 20 e i 30 anni e, un altro terzo, un’età compresa tra i 30<br />
e i 40. In queste due fasce d’età il totale dei detenuti sono, rispettivamente, il 26% e il 36%: quin<strong>di</strong> i ventenni<br />
si uccidono con maggiore frequenza, rispetto ai trentenni. Nelle altre fasce d’età le percentuali dei suici<strong>di</strong><br />
non si <strong>di</strong>scostano molto da quelle del totale dei detenuti.<br />
La punibilità del tentativo <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o in <strong>carcere</strong><br />
Il tentativo <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o compiuto in <strong>carcere</strong> è punito <strong>di</strong>sciplinarmente (come avviene anche per<br />
l’autolesionismo, il tatuaggio, il piercing), in base all’articolo 77 del Regolamento penitenziario che, al punto<br />
1) prevede l’infrazione (molto generica) della “negligenza nella pulizia e nell’or<strong>di</strong>ne della persona o della<br />
camera”. Oltre alle possibili sanzioni decise dal Consiglio <strong>di</strong> <strong>di</strong>sciplina (richiamo, esclusione dalle attività,<br />
isolamento, etc.), l’infrazione <strong>di</strong>sciplinare comporta la per<strong>di</strong>ta dello sconto <strong>di</strong> pena per la buona condotta<br />
(liberazione anticipata), nonostante il co<strong>di</strong>ce penale non consideri reato il tentativo <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o.<br />
L’interpellanza al Governo dell’On. Ruggero Ruggeri (30 maggio <strong>2002</strong>)<br />
Il deputato della Margherita così interviene in Parlamento: “Il fenomeno riguarda almeno 135 suici<strong>di</strong>,<br />
avvenuti solo negli ultimi 2 anni e spesso <strong>di</strong> ragazzi giovani, condannati a brevi perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> detenzione: il<br />
fenomeno riguarda soprattutto i condannati definitivi, nei primi sei mesi <strong>di</strong> detenzione, o nel primo anno.<br />
Quali misure <strong>di</strong> prevenzione intende prendere il Governo per arginare questo fenomeno <strong>di</strong>lagante? Quali<br />
progetti <strong>di</strong> prima accoglienza sono stati messi in campo? Ci sono programmi personali <strong>di</strong> recupero?”<br />
(Gazzetta <strong>di</strong> Mantova, 5 giugno <strong>2002</strong>).<br />
Il documento del Comitato nazionale <strong>di</strong> bioetica (17 gennaio 2003)<br />
L’aumento dei suici<strong>di</strong> tra i detenuti - in 10 anni sono triplicati - spinge il Comitato nazionale <strong>di</strong> bioetica (su<br />
proposta del prof. Luciano Eusebi, docente <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto penale a Piacenza) a votare un documento al riguardo:<br />
“Il quadro obiettivo risulta <strong>di</strong> gravissimo <strong>di</strong>sagio, come in<strong>di</strong>cano un tasso <strong>di</strong> suici<strong>di</strong> <strong>di</strong> quasi 20 volte<br />
superiore a quello nazionale e un numero impressionante <strong>di</strong> condotte autolesionistiche. Resta anche la<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
percezione, in molti casi, del ricorso da parte dei detenuti a sostanze stupefacenti. La stessa garanzia<br />
imme<strong>di</strong>ata della salute dei reclusi appare messa in <strong>di</strong>scussione, il che richiede la <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> risorse<br />
adeguate”. Il Comitato <strong>di</strong> bioetica, poi, si sofferma su quattro punti: “La tutela della salute <strong>di</strong> questi<br />
in<strong>di</strong>vidui è preciso dovere morale, oltre che giuri<strong>di</strong>co dei pubblici poteri. La condanna a pena detentiva non<br />
deve implicare la compromissione dei <strong>di</strong>ritti umani fondamentali. Sono necessari provve<strong>di</strong>menti urgenti<br />
rispetto al sovraffollamento. Infine è auspicabile un approfon<strong>di</strong>mento finalizzato all’introduzione <strong>di</strong> pene<br />
principali non detentive, finora assenti”. (Corriere della Sera, 24 gennaio 2003).<br />
La denuncia della Procura <strong>di</strong> Milano (8 luglio 2003)<br />
Chamorro Morocho, ecuadoriano, detenuto a San Vittore, si impicca “con una stringa delle sue scarpe,<br />
lunga 107 centimetri”. Dopo due mesi <strong>di</strong> accertamenti, la Procura <strong>di</strong> Milano non si limita a escludere<br />
qualsiasi responsabilità degli agenti per la mancata sorveglianza dell’arrestato, ma nel Decreto <strong>di</strong><br />
archiviazione elogia la <strong>di</strong>rezione per “l’innegabile attenzione” al problema dei suici<strong>di</strong>, fino a concludere però<br />
che i problemi oggettivi <strong>di</strong> San Vittore sono tanto gravi da mettere in dubbio perfino l’obiettivo minimo della<br />
sopravvivenza: “Mancano personale e mezzi: in particolare la <strong>di</strong>rezione non <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> vestiario che eviti<br />
rischi <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o”, nemmeno per i detenuti per cui questo è “elevato”. Gli agenti, insomma, non hanno<br />
scelta: se pretendessero <strong>di</strong> sequestrare a tutti “i capi a rischio”, gli arrestati “circolerebbero seminu<strong>di</strong>”. “Pur<br />
apparendo auspicabile che non vengano più lasciate stringhe così lunghe”, conclude il P.M., “non sembra<br />
che la morte <strong>di</strong> Chamorro si possa attribuire alla responsabilità del personale carcerario”. Il vero problema<br />
è che la stessa struttura del <strong>carcere</strong> non rispetta “l’incoercibile <strong>di</strong>ritto” <strong>di</strong> ogni detenuto “<strong>di</strong> essere custo<strong>di</strong>to<br />
in un ambiente che rispetti la sua <strong>di</strong>gnità, oltre che la sua salute e sicurezza. Le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />
sovraffollamento e la cronica mancanza <strong>di</strong> mezzi in cui versa il <strong>carcere</strong> rendono sostanzialmente impossibile<br />
attuare una politica <strong>di</strong> reale ed efficace prevenzione degli atti autolesivi e dei suici<strong>di</strong> (...) Si tratta <strong>di</strong><br />
con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> detenzione non degne <strong>di</strong> un Paese civile”.<br />
Già nel novembre <strong>2002</strong> la stessa Procura, chiudendo un’altra inchiesta sul suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> due detenuti, aveva<br />
spe<strong>di</strong>to al ministero della giustizia una relazione che denunciava “l’evidente violazione dei <strong>di</strong>ritti umani dei<br />
detenuti <strong>di</strong> San Vittore”. (Corriere della Sera, 18 luglio 2003).<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
L’assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata<br />
Oltre 100 detenuti l’anno muoiono per “cause naturali” nelle carceri italiane. Raramente i giornali ne danno<br />
notizia: su 113 casi, ufficialmente registrati nel <strong>2002</strong>, la ricerca ha permesso <strong>di</strong> ricostruirne soltanto 28<br />
(mentre i suici<strong>di</strong> ricostruiti sono stati 43 su 53).<br />
A volte la causa della morte è l’infarto, evento <strong>di</strong>fficilmente preve<strong>di</strong>bile. Altre volte sono le complicazioni <strong>di</strong><br />
un malanno trascurato o curato male. Altre volte ancora la morte arriva al termine <strong>di</strong> un lungo deperimento,<br />
dovuto a malattie croniche, o a scioperi della fame.<br />
A riguardo <strong>di</strong> questi ultimi casi, va detto che i tribunali applicano in maniera molto <strong>di</strong>somogenea le norme<br />
sul <strong>di</strong>fferimento della pena per le persone gravemente ammalate (art. 146 e art. 147 c.p.) e, spesso, la<br />
scarcerazione non viene concessa perché il detenuto è considerato ancora pericoloso, nonostante la malattia<br />
che lo debilita.<br />
Nel marzo <strong>2002</strong> al “Reparto infettivi” del <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Marassi muoiono due malati <strong>di</strong> AIDS nell’arco <strong>di</strong> 48<br />
ore. Stefano Anastasia, Presidente dell’Associazione Antigone, commenta così l’accaduto: “Il <strong>di</strong>scorso che<br />
sarebbero morti anche se fossero stati fuori del <strong>carcere</strong> è indegno <strong>di</strong> un paese civile”. (L’Unità, 25 marzo<br />
<strong>2002</strong>).<br />
L’articolo 1 del Decreto Legislativo 230/99, sul rior<strong>di</strong>no della me<strong>di</strong>cina penitenziaria stabilisce che: “I<br />
detenuti e gli internati hanno <strong>di</strong>ritto, al pari dei citta<strong>di</strong>ni in stato <strong>di</strong> libertà, alla erogazione delle prestazioni<br />
<strong>di</strong> prevenzione, <strong>di</strong>agnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e<br />
speciali <strong>di</strong> salute e dei livelli essenziali e uniformi <strong>di</strong> assistenza in<strong>di</strong>viduati nel Piano sanitario nazionale, nei<br />
piani sanitari regionali ed in quelli locali”.<br />
Dall’entrata in vigore <strong>di</strong> questa legge sono trascorsi quattro anni, nel corso dei quali le competenze<br />
sull’assistenza sanitaria dei detenuti avrebbero dovuto gradualmente passare dal Ministero della Giustizia a<br />
quello della Sanità: invece, quello che si è sicuramente verificato è stato il taglio delle risorse economiche<br />
destinate alle cure me<strong>di</strong>che per i detenuti, mentre l’attribuzione delle pertinenze è tuttora argomento <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>scussione e <strong>di</strong> confusione. Nel frattempo i detenuti morti per problemi <strong>di</strong> salute sono aumentati d’anno in<br />
anno: 83 nel 1999, 96 nel 2000, 109 nel 2001, 113 nel <strong>2002</strong>.<br />
Non si può credere ad una semplice coincidenza, quando la presenza dei me<strong>di</strong>ci specialisti si è ridotta del<br />
40% (e, nel contempo, i detenuti sono passati da 51.000 a 57.000), quando a volte mancano i sol<strong>di</strong> anche per<br />
l’acquisto dei farmaci “salvavita”, quando in <strong>carcere</strong> ci sono 17.000 tossico<strong>di</strong>pendenti, 10.500 malati <strong>di</strong><br />
epatite virale, 5.000 <strong>di</strong> HIV (stimati, perché solo un terzo dei detenuti si sottopone all’esame).<br />
Francesco Ceraudo, Presidente dell’Associazione dei me<strong>di</strong>ci penitenziari, definisce il <strong>carcere</strong> una “fabbrica<br />
<strong>di</strong> han<strong>di</strong>cap” e aggiunge: “In queste con<strong>di</strong>zioni, con i tagli alle risorse della Sanità Penitenziaria ed una<br />
conseguente <strong>di</strong>minuzione del personale, che era già insufficiente, non è più possibile garantire al detenuto<br />
quel <strong>di</strong>ritto alla salute sancito dalla nostra Costituzione. L’imme<strong>di</strong>ata conseguenza <strong>di</strong> questa azione<br />
governativa sarà l’aumento dei suici<strong>di</strong> e delle ospedalizzazioni, con un pericoloso sovraccarico <strong>di</strong> lavoro<br />
per la Polizia Penitenziaria. I nostri pazienti, dopo aver perso la libertà, rischiano <strong>di</strong> perdere la salute e<br />
talvolta la vita”. (La Stampa, 22 giugno <strong>2002</strong>).<br />
Anche Francesca Danese, del Cesv (Centro Servizi per il Volontariato), denuncia la gravità della situazione:<br />
“Oggi in <strong>carcere</strong> manca persino l’aspirina. Ci sono detenuti che vivono in uno stato <strong>di</strong> totale abbandono<br />
farmaceutico, soprattutto quei pazienti, come ad esempio quelli affetti da Aids, che hanno bisogno <strong>di</strong> farmaci<br />
particolari. Moltissimi detenuti muoiono <strong>di</strong> cancro senza aver visto neanche l’oncologo e senza aver fatto<br />
una sola seduta <strong>di</strong> chemioterapia”. (Il Manifesto, 22 giugno <strong>2002</strong>).<br />
Rosaria Iar<strong>di</strong>ni, rappresentante dell’Anlaids, è convinta che: “Almeno il 70% delle persone sieropositive e<br />
ammalate che sono rinchiuse nelle carceri non ricevono cure corrette. A peggiorare la situazione ci sono<br />
anche i trasferimenti: capita spesso che, assieme al detenuto, non venga spe<strong>di</strong>ta la sua cartella clinica nel<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
<strong>carcere</strong> <strong>di</strong> destinazione. La conseguenza è la sospensione forzata della terapia, l’annullamento dei risultati<br />
raggiunti e il rischio <strong>di</strong> andare incontro a infezioni opportunistiche”. (L’Unità, 25 giugno <strong>2002</strong>).<br />
Ma l’assistenza sanitaria in <strong>carcere</strong> è molto complicata anche perché a volte i detenuti “usano” la propria<br />
salute per cercare <strong>di</strong> ottenere migliori con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> detenzione (una <strong>di</strong>eta speciale, una cella singola,<br />
l’autorizzazione a fare la doccia ogni giorno… farmaci con i quali “sballarsi”), oppure la detenzione<br />
domiciliare o il rinvio della pena. I me<strong>di</strong>ci, a loro volta, tendono a considerare tutti i detenuti dei simulatori,<br />
a minimizzare <strong>di</strong> fronte ai sintomi <strong>di</strong> una malattia, a rassicurare il paziente - detenuto sul fatto che “non è<br />
niente <strong>di</strong> grave”. Il comportamento <strong>di</strong> entrambe le parti impe<strong>di</strong>sce, insomma, l’instaurarsi <strong>di</strong> un rapporto <strong>di</strong><br />
fiducia, che pure sarebbe necessario per l’effettività e l’efficacia delle cure: <strong>di</strong> fare della prevenzione<br />
nemmeno a parlarne… quando manca perfino l’in<strong>di</strong>spensabile.<br />
Così, quando un detenuto muore, una azione <strong>di</strong> “depistaggio” viene spesso messa in campo per scaricare su<br />
altri la responsabilità dell’accaduto, sia all’interno del <strong>carcere</strong> (gli agenti non l’hanno sorvegliato, i me<strong>di</strong>ci<br />
non l’hanno curato, gli psicologi non l’hanno capito, i magistrati non l’hanno scarcerato), sia all’esterno (non<br />
è morto in cella, ma durante la corsa verso l’ospedale, oppure subito dopo l’arrivo in ospedale), il che vuol<br />
<strong>di</strong>re: noi non c’entriamo, il <strong>carcere</strong> non c’entra… da qui è uscito ancora vivo.<br />
Ed è vero che ci sono delle indagini, che un fascicolo viene aperto in Procura, però le notizie <strong>di</strong>ffuse dai<br />
giornali si basano quasi sempre sulle versioni “addomesticate” che provengono dal <strong>carcere</strong>. Fanno eccezione<br />
solo i casi nei quali i famigliari o gli avvocati del detenuto morto s’impegnano fortemente perché venga fatta<br />
chiarezza sulla fine del loro congiunto e, allora, si arriva anche all’accertamento delle responsabilità, a<br />
sentenze <strong>di</strong> condanna, a volte alla rimozione <strong>di</strong> <strong>di</strong>rettori e <strong>di</strong>rigenti sanitari.<br />
A Regina Coeli, nel 2000, il <strong>di</strong>rettore e il comandante sono stati rimossi dopo la denuncia per la morte <strong>di</strong><br />
Marco Ciuffreda (fatta dalla madre, con il sostegno del volontariato). Marco Ciuffreda viene arrestato il 28<br />
ottobre 1999, per possesso <strong>di</strong> hascisc: dopo due giorni ottiene gli arresti domiciliari, ma mancano gli agenti<br />
che devono accompagnarlo alla sua abitazione e quin<strong>di</strong> rimane in cella, indebitamente, per altre 52 ore.<br />
Quando, finalmente, vanno a prenderlo, si accorgono che sta molto male e lo trasportano d’urgenza in<br />
ospedale, dove muore il 2 novembre.<br />
A Padova, nel <strong>2002</strong>, alcuni operatori sanitari del <strong>carcere</strong> sono condannati per omissione <strong>di</strong> soccorso in<br />
relazione alla morte <strong>di</strong> Giuseppe Ugone, avvenuta nel 1997. Giuseppe Ugone, 54 anni, ha già subito tre<br />
infarti: una notte si sente male ma nessuno lo soccorre (è anche solo in cella) e il mattino seguente lo trovano<br />
cadavere.<br />
A Ragusa, nel <strong>2002</strong>, un<strong>di</strong>ci sanitari del <strong>carcere</strong> sono rinviati a giu<strong>di</strong>zio con l’accusa <strong>di</strong> omici<strong>di</strong>o colposo per<br />
la morte <strong>di</strong> Giovanna Franzò, 28 anni, che stava scontando una condanna <strong>di</strong> sette mesi. Giovanna Franzò<br />
muore il primo maggio del 2000 a seguito <strong>di</strong> un’infezione da ascesso dentario che, non curata<br />
adeguatamente, finisce per estendersi alla trachea e ad un polmone.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Il rinvio dell’esecuzione della pena in caso <strong>di</strong> malattia (articoli 146 e 147 c.p.)<br />
L’articolo 146 prevede il “rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena” quando il condannato è affetto da<br />
A.I.D.S. conclamata, o da grave deficienza immunitaria, o da altra malattia particolarmente grave per effetto<br />
della quale le sue con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute risultano incompatibili con lo stato <strong>di</strong> detenzione.<br />
L’incompatibilità si verifica quando la persona è in una fase della malattia così avanzata da non rispondere<br />
più (secondo le certificazioni del Servizio sanitario penitenziario o <strong>di</strong> quello esterno) ai trattamenti<br />
terapeutici praticati in <strong>carcere</strong>.<br />
L’articolo 147 prevede il “rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena” per “chi si trova in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />
grave infermità fisica”. La legge non <strong>di</strong>ce nulla per definire meglio il concetto <strong>di</strong> “grave infermità fisica” e<br />
per saperne <strong>di</strong> più dobbiamo guardare alla giurisprudenza che, peraltro, contiene anche elementi<br />
contrad<strong>di</strong>ttori.<br />
Viene riconosciuta nel caso in cui la malattia conduca la persona alla morte senza che vi sia alcuna<br />
possibilità <strong>di</strong> cura; non è sufficiente, però, essere affetti da una malattia cronica irreversibile, bisogna che le<br />
con<strong>di</strong>zioni fisiche del malato siano tali da poterne escludere la pericolosità.<br />
Tuttavia alcune sentenze hanno vincolato la concessione del <strong>di</strong>fferimento alla possibilità della regressione<br />
della malattia (quale effetto <strong>di</strong> trattamenti terapeutici praticati in stato <strong>di</strong> libertà), quin<strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>cendo la<br />
prima interpretazione. In altre sentenze ancora troviamo letture della legge improntate a una maggiore<br />
umanità: al rischio <strong>di</strong> morte, quale elemento per determinare l’effettiva gravità delle con<strong>di</strong>zioni fisiche, si<br />
aggiunge quello che la malattia “cagioni altre rilevanti conseguenze dannose” (Cass. Pen. Sez. VI, 1986,<br />
Celentano).<br />
Ma l’interpretazione <strong>di</strong> maggior favore la troviamo in questa pronuncia: “La guaribilità o reversibilità della<br />
malattia non sono requisiti richiesti dalla normativa vigente in tema <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferimento dell’esecuzione della<br />
pena, per la cui concessione è sufficiente che l’infermità sia <strong>di</strong> tale rilevanza da far apparire l’espiazione in<br />
contrasto con il senso <strong>di</strong> umanità cui fa riferimento l’articolo 27 della Costituzione”. (Cass. Pen. Sez. I,<br />
1994, Conti).<br />
Da segnalare come l’infermità psichica non rientri tra i motivi del possibile <strong>di</strong>fferimento della pena. Quando<br />
l’infermità è accertata nel processo l’imputato viene prosciolto per vizio <strong>di</strong> mente e, invece della condanna,<br />
subisce l’internamento nell’Ospedale Psichiatrico Giu<strong>di</strong>ziario; se un condannato impazzisce durante la<br />
detenzione (o rende manifesta una malattia mentale preesistente) l’aspetta comunque il “ricovero” forzato in<br />
un O.P.G..<br />
Questa <strong>di</strong>fferenza deriva dalla presunzione che la malattia fisica, indebolendo una persona, la renda meno<br />
pericolosa per la sicurezza sociale e che, invece, la malattia mentale rappresenti un elemento <strong>di</strong> maggior<br />
pericolo: quin<strong>di</strong> il “criminale pazzo” va sorvegliato meglio del “criminale sano <strong>di</strong> mente”.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
12<br />
Le morti per cause non chiare e per overdose<br />
In questa categoria possiamo <strong>di</strong>stinguere due gruppi principali:<br />
1. i casi nei quali la causa della morte non è circostanziata a sufficienza dall’informazione giornalistica,<br />
cioè dove l’uso <strong>di</strong> termini generici come “malore”, “arresto car<strong>di</strong>ocircolatorio”, etc., chiarisce ben poco e<br />
i casi <strong>di</strong> overdose, provocata da droghe , da psicofarmaci e alcool, dal gas delle bombolette da camping;<br />
2. i casi nei quali le versioni ufficiali presentano zone d’ombra ed incongruenze tali da far nascere il<br />
sospetto che mascherino degli episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> maltrattamenti ad opera <strong>di</strong> agenti o <strong>di</strong> violenza da parte altri<br />
detenuti.<br />
Il primo gruppo è il più consistente, dal punto <strong>di</strong> vista del numero dei casi descritti, e comprende i collassi<br />
causati da un eccesso <strong>di</strong> farmaci (come nel caso <strong>di</strong> Licia Roncelli, ventenne morta a Pozzuoli nel gennaio<br />
<strong>2002</strong> e della ragazza zingara morta alla Giudecca nel febbraio <strong>2002</strong>), le overdose da eroina (5 i casi descritti<br />
nella ricerca: particolarmente scioccante quello <strong>di</strong> due compagne <strong>di</strong> cella, morte nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Aurelia), le<br />
morti conseguenti all’uso del gas delle bombolette a scopo stupefacente, ma anche quelle imputabili a<br />
patologie che non erano state <strong>di</strong>agnosticate per tempo, o curate male, o non curate affatto.<br />
Di certo quando si verificano queste trage<strong>di</strong>e il “riserbo” degli operatori e dei magistrati è “strettissimo”. In<br />
pochi se la sentono <strong>di</strong> fare veramente chiarezza sulle colpe e sulle mancanze dei propri colleghi, nell’attesa<br />
che il tempo faccia <strong>di</strong>menticare l’accaduto (se il detenuto morto era uno straniero, magari registrato con un<br />
nome falso, non serve nemmeno una lunga attesa…).<br />
Il secondo gruppo è rappresentato dai casi nei quali c’è il sospetto che la morte sia stata causata da un<br />
pestaggio, compiuto da agenti, oppure da altri detenuti. Si tratta quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> possibili casi <strong>di</strong> omici<strong>di</strong>o che, in<br />
attesa degli esiti dell’inchiesta giu<strong>di</strong>ziaria, sono comunque catalogati come morti per “cause naturali”.<br />
Nelle statistiche del Ministero della Giustizia sugli eventi critici in ambito penitenziario i pestaggi<br />
“ovviamente” non compaiono, però anche i dati sugli omici<strong>di</strong> sono <strong>di</strong>scutibili: negli ultimi tre anni ne è stato<br />
rilevato uno solo, quello <strong>di</strong> un tossico<strong>di</strong>pendente picchiato a morte dai compagni <strong>di</strong> cella, a Brescia.<br />
Nelle rassegne stampa che coprono lo stesso periodo ci sono, invece, <strong>di</strong>verse notizie riguardanti<br />
proce<strong>di</strong>menti penali contro degli agenti <strong>di</strong> polizia penitenziaria, accusati <strong>di</strong> avere provocato - <strong>di</strong>rettamente o<br />
in<strong>di</strong>rettamente - la morte <strong>di</strong> detenuti. C’è il caso <strong>di</strong> Luigi Acquaviva, morto nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Nuoro il 27<br />
novembre 2000: “Otto poliziotti penitenziari saranno processati il 27 novembre per la morte <strong>di</strong> Luigi<br />
Acquaviva, il detenuto <strong>di</strong> San Giuseppe Vesuviano che il 23 gennaio <strong>di</strong> due anni fa morì nella sua cella, nel<br />
<strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Badu ‘e Carros. Suicida, secondo la ricostruzione ufficiale, impiccato alle sbarre della cella con<br />
un cappio costituito da una serie <strong>di</strong> calzini annodati. Ma i familiari non avevano creduto a questa versione,<br />
e avevano subito sollevato pesanti sospetti sulla vicenda. Fatti propri dalla Procura, e in qualche modo<br />
avvalorati dalla perizie necroscopica dei consulenti del pubblico ministero, Vin<strong>di</strong>ce Mingioni e Roberto<br />
Demontis. Che certificarono un fatto inequivocabile: alcune ore prima della morte (il referto parla delle sei<br />
del 23 gennaio) Acquaviva subì un violentissimo pestaggio. Aveva ecchimosi su tutto il corpo, violenti traumi<br />
agli arti, alla testa. In qualche parte mancavano lembi <strong>di</strong> pelle. Un uomo fortemente debilitato quin<strong>di</strong>, che,<br />
stando alla ricostruzione ufficiale, avrebbe trovato la forza <strong>di</strong> impiccarsi. E che, per <strong>di</strong> più, avrebbe dovuto<br />
essere sorvegliato a vista. Le accuse per gli otto poliziotti (tra ispettori e agenti) vanno dall’omici<strong>di</strong>o<br />
colposo alle lesioni”. (La Nuova Sardegna, 16 luglio <strong>2002</strong>).<br />
E c’è quello <strong>di</strong> Giuliano Costantini, morto ad Ascoli il 27 settembre 2000: “Secondo il sostituto procuratore<br />
Umberto Monti, l’agente <strong>di</strong> polizia penitenziaria Salvatore Pezzella nel settembre del 2000 avrebbe<br />
Costantini, ritenendolo responsabile <strong>di</strong> aver rotto un tubo <strong>di</strong> un lavan<strong>di</strong>no. L’agente, abusando<br />
della sua posizione, avrebbe costretto Costantini ad uscire dalla cella, dove si trovava insieme ad altri<br />
detenuti; l’avrebbe quin<strong>di</strong> accompagnato in una stanza appartata e lontana da sguar<strong>di</strong> in<strong>di</strong>screti e qui<br />
l’avrebbe colpito in varie parti del corpo con calci, pugni e schiaffi. Al termine della l’avrebbe<br />
poi ricondotto, dolorante, nella sua cella. Successivamente Giuliano Costantini si sentì male: ricoverato in<br />
ospedale morì, nonostante un lungo intervento chirurgico. L’autopsia, però, non ha in<strong>di</strong>viduato nelle<br />
presunte percosse subite la causa della morte, dovuta piuttosto ad un’infezione, mal curata”. (Il<br />
Messaggero, 9 ottobre <strong>2002</strong>).
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Nel “Rapporto sulle carceri 2001” dell’Associazione Antigone c’è la notizia del processo contro 24 agenti<br />
del <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Reggio Calabria, 12 dei quali accusati <strong>di</strong> omici<strong>di</strong>o volontario: “Francesco Romeo, 28 anni,<br />
muore il 29 settembre 1997 nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Reggio Calabria. Dagli atti giu<strong>di</strong>ziari emerge che Romeo sarebbe<br />
stato aggre<strong>di</strong>to da almeno 5 persone; successivamente il corpo sarebbe stato trasportato sotto un muro per<br />
simulare un tentativo <strong>di</strong> evasione. La messinscena è stata smascherata dopo la consulenza me<strong>di</strong>co - legale<br />
che ha <strong>di</strong>chiarato la assoluta incompatibilità delle lesioni con la caduta dall’altezza <strong>di</strong> 3/4 metri. La causa<br />
<strong>di</strong>retta della morte sarebbe invece una serie <strong>di</strong> colpi <strong>di</strong> bastone, o manganello, che avrebbero provocato la<br />
frattura del cranio. Le lesioni alle braccia hanno invece evidenziato un tentativo <strong>di</strong> protezione del volto.<br />
Risultano lesioni allo scroto ed al coccige. Il P.M., dopo due anni <strong>di</strong> indagini, ha rinviato a giu<strong>di</strong>zio 24<br />
agenti <strong>di</strong> polizia penitenziaria, <strong>di</strong> cui 12 per omici<strong>di</strong>o volontario e 12 per favoreggiamento. Quasi tutti gli<br />
imputati negano la propria presenza al momento e sul luogo del fatto. I registri delle presenze risultano<br />
alterati con il bianchetto. Nessuno ha attivato l’allarme. Intercettazioni ambientali <strong>di</strong>mostrerebbero che tutti<br />
gli escussi in qualche modo sono a conoscenza <strong>di</strong> come sono andati i fatti il giorno della morte <strong>di</strong> Romeo. Le<br />
intercettazioni hanno evidenziato, secondo quanto chiesto dal P.M. nel rinvio a giu<strong>di</strong>zio ”.<br />
Tra i casi descritti nella ricerca (relativi al <strong>2002</strong> - 2003) il più clamoroso è quello <strong>di</strong> Mauro Fedele, morto il<br />
30 giugno <strong>2002</strong> nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Cuneo. La versione ufficiale parla <strong>di</strong> “arresto car<strong>di</strong>ocircolatorio” ma Giuseppe<br />
Fedele, padre <strong>di</strong> Mauro, lancia accuse contro gli agenti <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>a. “Il corpo <strong>di</strong> mio figlio è pieno <strong>di</strong> livi<strong>di</strong>:<br />
ha la testa fasciata e ha segni blu su collo, sul petto, specialmente a destra, come uno zoccolo <strong>di</strong> cavallo; e<br />
poi sui fianchi e all’interno delle cosce, sia a destra sia a sinistra. È chiaro che lo hanno riempito <strong>di</strong> botte,<br />
forse con i manganelli, e che è morto per questo. Chiederemo che un nostro me<strong>di</strong>co <strong>di</strong> fiducia assista<br />
all’autopsia, perché dopo quello che abbiamo visto non possiamo subire passivamente e credere a quello<br />
che ci hanno detto e cioè che Mauro è morto per arresto car<strong>di</strong>ocircolatorio. Il nostro avvocato presenterà<br />
una denuncia per omici<strong>di</strong>o, perché pensiamo che sia morto in seguito ad un pestaggio”. (La Stampa, 1<br />
luglio <strong>2002</strong>).<br />
A riprova del fatto che i pestaggi compiuti dagli agenti non sono eventi rarissimi (anche se, fortunatamente, è<br />
raro che provochino la morte dei detenuti che li subiscono) c’è il numero consistente <strong>di</strong> proce<strong>di</strong>menti penali<br />
dei quali danno notizia i giornali e che, a margine della ricerca, abbiamo registrato.<br />
Va detto che la verità giu<strong>di</strong>ziaria è scritta soltanto con la conclusione del proce<strong>di</strong>mento e, fino allora, la<br />
presunzione d’innocenza vale per tutti gli imputati. Ma va pure detto che per un detenuto è arduo denunciare<br />
d’essere stato picchiato, perché è esposto al rischio <strong>di</strong> ritorsioni, perché sa che potrà vincere la causa soltanto<br />
producendo prove inconfutabili, altrimenti sarà lui ad essere condannato per calunnia, e nel <strong>carcere</strong> la<br />
raccolta <strong>di</strong> queste prove viene spesso ostacolata (basti pensare ai referti me<strong>di</strong>ci che si “smarriscono”, ai<br />
detenuti citati come testimoni che, prima del processo, vengono trasferiti in carceri lontane, etc.).<br />
Per tutti questi motivi nasce il ragionevole sospetto che le denunce depositate in procura rappresentino<br />
soltanto la punta <strong>di</strong> un iceberg, dalle <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong>fficilmente verificabili.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Alcuni titoli <strong>di</strong> giornali su proce<strong>di</strong>menti penali per violenze subite dai detenuti<br />
• Bolzano, ventuno guar<strong>di</strong>e carcerarie sotto processo. Gli ex detenuti accusano: “Si <strong>di</strong>vertivano a picchiare<br />
ed umiliare” (Alto A<strong>di</strong>ge, 16 aprile 2003).<br />
• Biella: violenze sui detenuti, 59 inquisiti tra gli agenti (Il Secolo XIX, domenica 5 gennaio 2003).<br />
• Carcere <strong>di</strong> San Sebastiano, prosegue il processo. “Non c’entro col pestaggio”: si <strong>di</strong>fende il capo delle<br />
guar<strong>di</strong>e (La Nuova Sardegna, 9 ottobre <strong>2002</strong>).<br />
• Massacrato in <strong>carcere</strong>: “Una decina <strong>di</strong> agenti mi sono saltati addosso in cella”. (Il Resto del Carlino, 3<br />
ottobre <strong>2002</strong>).<br />
• Elsa Sotgia: “Picchiata in <strong>carcere</strong>” (La Nuova Sardegna, 29 luglio <strong>2002</strong>).<br />
• Picchiato e seviziato in cella: “È pedofilo, se lo merita” (Il Giorno, 24 luglio <strong>2002</strong>).<br />
• Voghera: pestaggi ai detenuti, arrestate due guar<strong>di</strong>e carcerarie (Corriere della Sera, 29 marzo <strong>2002</strong>).<br />
• Catanzaro: inchiesta su maltrattamenti a detenuti. Indagati due agenti <strong>di</strong> polizia penitenziaria (Ansa, 14<br />
novembre 2001).<br />
• Il detenuto picchiato chiede il trasferimento. Anche il magistrato ritiene che qualcuno abbia esagerato (Il<br />
Mattino <strong>di</strong> Padova, 10 novembre 2001).<br />
• Picchiarono detenuto: quattro guar<strong>di</strong>e condannate a Pavia (Ansa, 20 marzo 2001).<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> – 2003<br />
Suici<strong>di</strong>, assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata, morti per cause non chiare, episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> overdose<br />
I detenuti morti nell’anno <strong>2002</strong><br />
Morte per cause non chiare: 8 gennaio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Pozzuoli (Napoli)<br />
Licia Roncelli, 20 anni, tossico<strong>di</strong>pendente, muore: forse a causa dell’assunzione <strong>di</strong> un “cocktail” <strong>di</strong> farmaci.<br />
Il decesso della ragazza è coperto dal segreto istruttorio: dopo tre mesi, neanche il risultato dell’autopsia è<br />
stato reso noto ai familiari e all’avvocato <strong>di</strong> parte. Licia è morta e non si sa perché. Le voci, sussurrate dal<br />
<strong>carcere</strong>, raccontano <strong>di</strong> un cocktail mici<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> farmaci. Già, perché lei aveva deciso <strong>di</strong> <strong>di</strong>sintossicarsi e <strong>di</strong><br />
cambiare vita; aveva scelto <strong>di</strong> essere libera e felice e progettava viaggi e passeggiate all’aria aperta,<br />
soprattutto negli ultimi mesi, quando il suo legale, Amedeo Valanzuolo, le aveva prospettato una riduzione<br />
<strong>di</strong> pena. Ma “la sera dell’8 gennaio Licia si è sentita male. È <strong>di</strong>ventata cianotica, urlava, chiedeva aiuto, poi<br />
si è irrigi<strong>di</strong>ta, si muoveva a scatti - ha raccontato all’avvocato un’amica conosciuta in <strong>carcere</strong> - un minuto<br />
prima era viva, gioiosa, sana. Dopo poco non respirava più”.<br />
Al primo malore il <strong>di</strong>rettore della casa circondariale ha dato l’allarme. Ma i me<strong>di</strong>ci e gli infermieri,<br />
provenienti dal vicino ospedale “Santa Maria delle Grazie”, non hanno potuto far nulla. “Dalle carte in<br />
nostro possesso risulta che la detenuta era già morta quando è arrivata l’ambulanza”, <strong>di</strong>cono i funzionari<br />
della <strong>di</strong>rezione sanitaria dell’A.S.L..<br />
Aveva un nome dolcissimo, Licia, e gran<strong>di</strong> e profon<strong>di</strong> occhi scuri. Si bucava, aggrappandosi all’oblio del<br />
veleno che si iniettava nel sangue. Per questo rubava e per questo era stata punita. Oggi sua madre, Gabriella<br />
Roncelli, veterinaria, non vuole che quella storia resti nell’ombra. Così da quattro giorni protesta, seduta<br />
all’ingresso della prigione <strong>di</strong> Pozzuoli, dove era detenuta la figlia. “Era pallida e bellissima, quando l’ho<br />
vista, <strong>di</strong>stesa sulla barella dell’obitorio. I capelli scuri e lunghi le sfioravano il volto. Le ho toccato la testa,<br />
come quando era bambina. Sembrava addormentata. Non è possibile che si muoia così, a vent’anni, in<br />
prigione, senza una ragione. Mia figlia era sana. Da mesi non si bucava, d’altronde era in <strong>carcere</strong> come<br />
avrebbe potuto acquistare droga?”, grida Gabriella Roncelli, che non sa darsi pace.<br />
Naturalmente sulla vicenda è stata aperta un’inchiesta. “La famiglia si è costituita parte civile, ma ad oggi<br />
non c’è stata neanche la deposizione del referto me<strong>di</strong>co e dei risultati dell’autopsia in Procura - ribatte il<br />
legale - La ragazza stava bene. Risale ai primi <strong>di</strong> gennaio la mia ultima visita in <strong>carcere</strong>. È stato allora che ho<br />
incontrato Licia. Era fiduciosa, sembrava rinata. Aveva iniziato il trattamento <strong>di</strong> <strong>di</strong>sintossicazione e sognava<br />
<strong>di</strong> andar via. Dalla sua cella vedeva il mare e mi raccontava che aveva voglia <strong>di</strong> correre. Libera”. (Il Mattino,<br />
27 aprile <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 17 gennaio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Sassari<br />
Un giovane slavo, s’impicca con una corda fatta <strong>di</strong> stracci nel terzo braccio, quello dove solitamente sono<br />
messi i detenuti affetti da qualche problema psichico. Il giovane aveva già manifestato, in più occasioni,<br />
atteggiamenti da schizofrenico.<br />
L’autoambulanza rimane fuori dal portone dell’Istituto, perché dall’interno arriva la notizia che “Si è ripreso,<br />
ce l’hanno fatta”. Invece il me<strong>di</strong>co del <strong>carcere</strong> ha già constatato il decesso.<br />
Il magistrato <strong>di</strong> turno, Roberta Pischedda, apre un’inchiesta e chiede una dettagliata relazione alla<br />
vice<strong>di</strong>rettrice del “San Sebastiano”, dott.ssa Incollu. L’autopsia, <strong>di</strong>sposta dal giu<strong>di</strong>ce, è eseguita il 19<br />
gennaio. (L’unione Sarda, 19 gennaio <strong>2002</strong>)<br />
Overdose: 20 gennaio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Is Arenas (Cagliari)<br />
Detenuto muore in cella: probabile overdose. Nell’istituto si registrano tensioni tra gli agenti e i detenuti, ma<br />
anche tra le varie categorie <strong>di</strong> operatori. Accuse <strong>di</strong> eccessiva severità nei confronti del <strong>di</strong>rettore. (La Nuova<br />
Sardegna, 27 gennaio <strong>2002</strong>)<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 22 febbraio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Poggioreale (Napoli)<br />
Detenuto muore poco dopo il ricovero all’Ospedale “San Paolo”. Da circa un mese lamentava forti dolori<br />
addominali e respirava a fatica. Aveva più volte chiesto <strong>di</strong> essere visitato, ma i me<strong>di</strong>ci del <strong>carcere</strong> si erano<br />
limitati a prescrivergli dei sedativi. Era abbandonato dalla famiglia. Un gruppo <strong>di</strong> detenuti, che <strong>di</strong>chiara <strong>di</strong><br />
avere assistito al suo calvario, invia una lettera <strong>di</strong> protesta al Presidente della Repubblica, al Presidente del<br />
Consiglio e al Ministro della Giustizia. (Il Mattino, 4 febbraio 2003)<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 26 gennaio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Cassino (Frosinone)<br />
Tony C., 35 anni, <strong>di</strong> Latina, tenta <strong>di</strong> impiccarsi. Soccorso dagli agenti e trasportato all’Ospedale <strong>di</strong><br />
Frosinone, in Rianimazione. È in coma farmaceutico, indotto per cercare <strong>di</strong> limitare i danni al cervello.<br />
Condannato per reati contro il patrimonio, con una pena residua <strong>di</strong> un anno. Negli ultimi tempi era apparso<br />
depresso, in preda a frequenti crisi <strong>di</strong> pianto. Inchiesta avviata dalla Direzione degli Istituti <strong>di</strong> Pena, già<br />
interrogati alcuni detenuti, previsto anche l’interrogatorio dello staff psicologico e me<strong>di</strong>co del <strong>carcere</strong> <strong>di</strong><br />
Cassino. (Il Messaggero, 28 gennaio <strong>2002</strong>)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 30 gennaio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Poggioreale (Napoli)<br />
Raffaele Montella, 40 anni, napoletano, si impicca. Due giorni prima l’avevano “chiuso” dagli arresti<br />
domiciliari, per essersi allontanato dalla sua abitazione; era in attesa <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio per reati <strong>di</strong> droga. I suoi<br />
parenti non credono al suici<strong>di</strong>o, ma lui, prima <strong>di</strong> essere riportato in <strong>carcere</strong>, aveva detto: “Se torno in cella mi<br />
ammazzo”. (La Repubblica, 1 febbraio <strong>2002</strong>)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 2 febbraio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Foggia<br />
Luigi Cavaliere, 24 anni, foggiano, si impicca, poco prima <strong>di</strong> mezzogiorno, mentre era in cella <strong>di</strong><br />
“osservazione”. Soccorso dagli agenti e trasportato in ambulanza al Policlinico <strong>di</strong> Foggia, vi arriva morto.<br />
Era in attesa <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio, per rapina e associazione per delinquere. Gli era stata <strong>di</strong>agnosticata una patologia<br />
ansioso-depressiva, a causa della quale il suo avvocato aveva chiesto (una settimana prima del suici<strong>di</strong>o) che<br />
gli concedessero gli arresti domiciliari. Il G.I.P. ha rigettato l’istanza, nonostante il parere favorevole <strong>di</strong> una<br />
perizia psichiatrica e, dopo il suici<strong>di</strong>o del detenuto, è stato denunciato dal legale. (Gazzetta del Mezzogiorno,<br />
3 febbraio 2003)<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 2 febbraio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Teramo<br />
Luigi Martera, 36 anni, muore per un’emorragia interna, causata da un paio <strong>di</strong> forbicine che aveva ingerito 3<br />
giorni prima. Condannato a 24 anni <strong>di</strong> reclusione, per reati <strong>di</strong> criminalità organizzata, era stato ammesso al<br />
programma <strong>di</strong> protezione per i collaboratori <strong>di</strong> giustizia. Però era evaso dalla detenzione domiciliare e, per<br />
questo, l’avevano rimesso in <strong>carcere</strong>, all’Aquila. Dopo aver ingerito le forbicine aveva rifiutato il ricovero in<br />
ospedale, quin<strong>di</strong> era stato trasferito nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Teramo, che è dotato <strong>di</strong> un Centro Clinico. (Gazzetta del<br />
Mezzogiorno, 4 febbraio 2003)<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 3 febbraio <strong>2002</strong>, O.P.G. <strong>di</strong> Montelupo Fiorentino (Firenze)<br />
Giovanni Pietro Bonomo, 40 anni, romano, muore durante la notte. Alle 5.30 del mattino gli agenti se ne<br />
accorgono e tentano <strong>di</strong> soccorrerlo, chiamano l’autoambulanza, ma il me<strong>di</strong>co può solo constatare il decesso<br />
dell’uomo. Bonomo era in <strong>carcere</strong> dal 25 novembre 2001 per avere forzato un posto <strong>di</strong> blocco della polizia, a<br />
Roma. Portato prima nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Civitavecchia, il 21 gennaio <strong>2002</strong> viene trasferito all’O.P.G. Montelupo<br />
perché “ogni tanto andava in escandescenze”, come racconta la moglie. L’Osservatorio per i <strong>di</strong>ritti dei<br />
detenuti, che si batte per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giu<strong>di</strong>ziari, denuncia l’episo<strong>di</strong>o e rivolge un<br />
appello al Ministro della Salute e a quello della Giustizia: “Le persone con problemi psichiatrici andrebbero<br />
curate, non incarcerate” (Il Tirreno, 8 febbraio 2003)<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Morte per cause non chiare: 3 febbraio <strong>2002</strong>, Carcere Femminile della Giudecca (Venezia)<br />
Giovane detenuta muore per “probabile malore”. Nessun segno <strong>di</strong> violenza sul corpo. Il Sostituto Procuratore<br />
<strong>di</strong> Venezia, Susanna Menegazzi, ha <strong>di</strong>sposto l’autopsia. (Il Gazzettino, 4 febbraio 2003) Era una ragazza <strong>di</strong><br />
origine zingara e sembra avesse perso il sostegno della famiglia a causa dei suoi problemi <strong>di</strong><br />
tossico<strong>di</strong>pendenza. In <strong>carcere</strong> assumeva molti psicofarmaci. (Redazione della Giudecca <strong>di</strong> Ristretti<br />
Orizzonti)<br />
Morte per cause non chiare: 3 febbraio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Secon<strong>di</strong>gliano (Napoli)<br />
Giovanni Troncone, napoletano, muore nel pa<strong>di</strong>glione “Alta Sicurezza”. Si sospetta il suici<strong>di</strong>o. La Procura<br />
chiede l’archiviazione del caso ma il G.I.P., Giuseppe Campa, rifiuta l’archiviazione e chiede che un<br />
ispettore <strong>di</strong> polizia penitenziaria sia indagato per omici<strong>di</strong>o. Il Sappe (sindacato autonomo polizia<br />
penitenziaria) protesta, attraverso segretario regionale Emilio Fattorello: “…a pagare, ancora una volta, è<br />
l’anello debole della catena”, l’agente <strong>di</strong> polizia penitenziaria. (Il Mattino, 4 febbraio <strong>2002</strong>)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 6 febbraio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Spoleto (Perugia)<br />
Salvatore Damiani, 62 anni, si impicca nella sezione <strong>di</strong> “Alta Sicurezza”. Era in <strong>carcere</strong> dal 22 giugno 2001,<br />
con una condanna definitiva a 12 anni per associazione <strong>di</strong> stampo mafioso. (La Sicilia, 8 febbraio <strong>2002</strong>)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 7 febbraio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Sassari<br />
Detenuto marocchino, 31 anni, si impicca, usando come cappio un fazzoletto, dopo aver atteso che i<br />
compagni <strong>di</strong> cella uscissero per “l’aria”. Avrebbe finito <strong>di</strong> scontare la pena il 15 agosto 2003. Soffriva <strong>di</strong><br />
esaurimento nervoso ed era seguito da uno psichiatra: la sua situazione era giu<strong>di</strong>cata “sotto controllo”. (La<br />
Nuova Sardegna, 8 febbraio <strong>2002</strong>)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 7 febbraio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia (Roma)<br />
Detenuto <strong>di</strong> 33 anni, tossico<strong>di</strong>pendente, si impicca dopo un colloquio con il Magistrato <strong>di</strong> Sorveglianza.<br />
Aveva manifestato le sue intenzioni sia con il giu<strong>di</strong>ce, sia, sembra, con un ispettore, al quale avrebbe detto<br />
“Io mi ammazzo”, ricevendo come risposta “Fai come ti pare”. L’uomo era tornato in <strong>carcere</strong> da poco, dopo<br />
che gli era stata sospesa la semilibertà a causa della sopravvenienza <strong>di</strong> una nuova condanna definitiva. Stava<br />
aspettando che il tribunale <strong>di</strong> sorveglianza verificasse se il cumulo delle pene gli consentisse <strong>di</strong> riavere la<br />
misura alternativa. (Il Messaggero, 12 febbraio 2003)<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 10 febbraio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Sassari<br />
A.S., 35 anni, tenta <strong>di</strong> darsi fuoco in cella. Gli agenti intervengono in tempo, viene ricoverato al Centro<br />
ustioni dell’Ospedale citta<strong>di</strong>no. Da tempo soffriva <strong>di</strong> crisi depressive e, per questo, educatori ed agenti<br />
avevano aumentato l’attenzione intorno a lui. (L’Unione Sarda, 11 febbraio <strong>2002</strong>)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 12 febbraio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Monza<br />
Detenuto <strong>di</strong> 25 anni, originario del sud Italia ma residente a Seregno (MI), si impicca in una cella<br />
dell’infermeria, dove stava da solo, dopo un colloquio con gli operatori del Ser.T.. In attesa <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio per<br />
una serie <strong>di</strong> rapine a tabaccai e benzinai, compiute con una pistola giocattolo, doveva essere interrogato a<br />
giorni. Considerato un giovane “fragile e problematico” era “costantemente seguito dagli operatori”: sembra<br />
che l’intenzione <strong>di</strong> uccidersi fosse legata alla vergogna per avere deluso la sua famiglia (La Repubblica, 14<br />
febbraio 2003)<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 20 febbraio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Verona<br />
Carmine Proietto, 57 anni, <strong>di</strong> origine calabrese ma residente a San Bonifacio (VR), muore per una crisi<br />
car<strong>di</strong>aca nell’infermeria del <strong>carcere</strong>. Era stato arrestato un mese e mezzo prima, con l’accusa <strong>di</strong> aver<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
partecipato ad un’estorsione. Aveva già subito tre infarti e, per questo motivo, il suo avvocato aveva chiesto<br />
che gli fossero concessi gli arresti domiciliari. Il giu<strong>di</strong>ce, dopo aver <strong>di</strong>sposto una perizia me<strong>di</strong>ca – dalla quale<br />
risultò che le sue con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute erano compatibili con la detenzione – respinse la richiesta. La Procura<br />
ha aperto un’inchiesta.<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 24 febbraio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Sanremo (IM)<br />
Gianni Cretarola, 19 anni, tenta <strong>di</strong> impiccarsi e viene salvato da un agente. In attesa <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio per<br />
l’omici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un coetaneo, avvenuto all’uscita <strong>di</strong> una <strong>di</strong>scoteca, il ragazzo aveva già tentato il suici<strong>di</strong>o<br />
tagliandosi le vene e, per questo, era stato per qualche tempo nel reparto psichiatrico dell’Ospedale Civile <strong>di</strong><br />
Sanremo. Successivamente l’avevano riportato in <strong>carcere</strong>, dove è seguito dagli psicologi e sottoposto ad una<br />
sorveglianza intensificata.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 28 febbraio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Marassi (Genova)<br />
Mario V., 54 anni, originario <strong>di</strong> Pesaro, muore mentre attende <strong>di</strong> essere chiamato per un colloquio con la<br />
moglie. Era in cella con altri otto detenuti, che l’hanno visto barcollare e poi cadere, sbattendo la testa contro<br />
lo spigolo <strong>di</strong> un tavolino. Trasferito nell’ambulatorio del <strong>carcere</strong>, non si è più ripreso. Mario V. stava<br />
scontando una pena definitiva, per il furto in un’abitazione, e l’avrebbe terminata entro un mese. Nei giorni<br />
precedenti aveva lamentato uno “strano formicolio” ad un braccio, forse segnale <strong>di</strong> latenti problemi car<strong>di</strong>aci,<br />
ma non era stato <strong>di</strong>sposto nessun accertamento sulle sue con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute. Sulla morte sono state aperte<br />
due inchieste, una dal Provve<strong>di</strong>torato regionale alle Carceri e una dalla Procura <strong>di</strong> Sanremo.<br />
Morte per cause non chiare: 1 marzo <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia (Roma)<br />
Stefano Guidotti, 32 anni, è trovato impiccato alle sbarre del bagno. Sono i tre compagni <strong>di</strong> cella a dare<br />
l’allarme, ma una serie <strong>di</strong> particolari fa sorgere dubbi ai carabinieri del centro investigazione scientifica <strong>di</strong><br />
Roma, che conducono le indagini. A cominciare dalle escoriazioni presenti sul suo volto: ferite inconciliabili<br />
con l’ipotesi del suici<strong>di</strong>o. Poi alcune inspiegabili macchie <strong>di</strong> sangue sul pavimento. Infine il cappio - fatto<br />
con la cintura del pigiama – che per gli inquirenti non avrebbe potuto sostenere il peso del corpo. Ad<br />
alimentare il dubbio anche una lettera, ritrovata tra gli effetti personali <strong>di</strong> Guidotti: contiene progetti per il<br />
futuro, troppo lontani dall’idea <strong>di</strong> farla finita. Era detenuto per associazione mafiosa ed estorsione. Il P.M.<br />
Giancarlo Amato, titolare dell’inchiesta, per ora ha chiesto soltanto gli accertamenti <strong>di</strong> rito per un suici<strong>di</strong>o in<br />
<strong>carcere</strong>. (La Repubblica, 5 marzo <strong>2002</strong>)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 10 marzo <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Castrovillari (Cosenza)<br />
Giuseppe Pirrone, 42 anni, si uccide strangolandosi con una corda. Era in <strong>carcere</strong> dal 21 maggio 2001, per<br />
scontare un cumulo <strong>di</strong> pene <strong>di</strong> un anno e otto mesi per minacce e lesioni. Verso le <strong>di</strong>eci del mattino ha fissato<br />
la corda all’inferriata della finestra del bagno; qualcuno, dall’esterno, s’è accorto delle sue intenzioni ed è<br />
subito scattato il “piano d’emergenza”, con l’intervento del me<strong>di</strong>co dell’istituto. Il sanitario, accortosi della<br />
gravità del caso, ha <strong>di</strong>sposto il trasferimento imme<strong>di</strong>ato <strong>di</strong> Pirrone all’Ospedale “Ferrari”, dove è morto poco<br />
dopo il ricovero. Il P.M. Carmen Ciancia ha <strong>di</strong>sposto accertamenti investigativi sul cadavere, mentre tutti si<br />
chiedono come abbia fatto ad entrare nel <strong>carcere</strong> la corda che Pirrone ha usato come “strumento <strong>di</strong> morte”.<br />
Nei giorni precedenti il suici<strong>di</strong>o 113 detenuti del <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Castrovillari avevano inviato delle lettere <strong>di</strong><br />
protesta al Presidente del Consiglio e al Ministro della Giustizia, per denunciare le <strong>di</strong>fficili con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita<br />
nell’Istituto. (Gazzetta del sud, 12 marzo <strong>2002</strong>)<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 14 marzo <strong>2002</strong>, Carcere delle Vallette (Torino)<br />
Carmine Aquino, 38 anni, dopo un tentativo <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o viene trasferito al repartino detenuti dell’Ospedale<br />
“Le Molinette”. L’uomo si è tagliato le vene dei polsi e si è salvato soltanto grazie al tempestivo intervento<br />
degli agenti penitenziari: si trovava in <strong>carcere</strong> nonostante sia gravemente malato e pesi appena 48 chili. Il 26<br />
marzo il Tribunale <strong>di</strong> Sorveglianza si esprimerà sulla richiesta <strong>di</strong> sospensione della pena e sul trasferimento<br />
in un ospedale in grado <strong>di</strong> prestare le cure adeguate; ma in attesa della decisione l’avvocato <strong>di</strong> Aquino,<br />
Walter Campini, ha presentato una nuova istanza al giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Sorveglianza, chiedendo l’imme<strong>di</strong>ato ricovero<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
del detenuto presso l’istituto riabilitativo Fatebenefratelli <strong>di</strong> San Maurizio Canavese, che ha dato la sua<br />
<strong>di</strong>sponibilità ad accogliere il detenuto. (La Stampa, 17 marzo <strong>2002</strong>)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 17 marzo <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Foggia<br />
Ignazio Carpano, 42 anni, detenuto per tentata estorsione e droga, muore nell’ambulanza che lo trasportava<br />
agli Ospedali Riuniti, dopo essersi impiccato alla finestra della sua cella. L’allarme è scattato alle 12, quando<br />
un agente <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>a ha visto il corpo penzolare: la vittima aveva fatto un cappio usando le lenzuola. Il<br />
me<strong>di</strong>co del <strong>carcere</strong> ha praticato tutte le tecniche <strong>di</strong> rianimazione, proseguite anche sull’ambulanza, ma non<br />
c’è stato nulla da fare. Carpano era stato arrestato il 15 settembre 2000, per scontare 5 anni e 3 mesi <strong>di</strong><br />
reclusione. Il primo anno e mezzo <strong>di</strong> detenzione l’aveva trascorso agli arresti domiciliari e, dal 7 febbraio<br />
<strong>2002</strong>, si trovava nel <strong>carcere</strong> foggiano (Gazzetta del Mezzogiorno, 18 marzo <strong>2002</strong>)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 22 marzo <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Lecce<br />
Gioacchino Sammali, 22 anni, si impicca. Era in attesa <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio, con l’accusa <strong>di</strong> avere ucciso un’anziana<br />
donna, nel corso <strong>di</strong> una rapina avvenuta nel 1998 e che aveva fruttato 200.000 lire. (Gazzetta del<br />
Mezzogiorno, 24 marzo <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 2 aprile <strong>2002</strong>, <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Trento<br />
Stefano Santolini, 28 anni, si impicca in cella. Ha solo 15 anni quando viene denunciato la prima volta, uno<br />
<strong>di</strong> più quando partecipa all’omici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un tassista in Valsugana. Quin<strong>di</strong> la vita <strong>di</strong> Stefano Santolini è stata<br />
una <strong>di</strong>scesa nel buio, fino all’altro giorno quando si è suicidato nella sua cella del <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> via Pilati. Aveva<br />
un fisico imponente, ha aspettato che i compagni <strong>di</strong> cella si addormentassero e si è impiccato alle sbarre della<br />
finestra.<br />
Dice <strong>di</strong> lui il cappellano del <strong>carcere</strong>: “Ha pagato molto, per colpe che non sono solo sue”. Una frase per<br />
spiegare una vita che ha avuto solo qualche breve sprazzo <strong>di</strong> futuro, pronunciata da padre Bortolotti, che ha<br />
parlato per l’ultima volta con Santolini sabato scorso: “Questi gesti sono sempre una coda <strong>di</strong> situazioni<br />
<strong>di</strong>fficili, per lui la situazione era <strong>di</strong>ventata pesantissima”.<br />
Per capire quanto quel ragazzo soffrisse <strong>di</strong>etro le sbarre basta ricordare la lunga serie <strong>di</strong> evasioni <strong>di</strong> cui è<br />
stato protagonista. Ottobre 1992: fugge assieme a due compagni dal <strong>carcere</strong> minorile <strong>di</strong> Bologna rimuovendo<br />
una grata da una finestra. Maggio 1993: fugge dalla finestra del locale docce del <strong>carcere</strong> minorile <strong>di</strong> Milano,<br />
si arrampica su un cornicione e si cala per <strong>di</strong>eci metri lungo una corda <strong>di</strong> lenzuola annodate. Marzo 1994: si<br />
allontana mentre gode <strong>di</strong> un permesso premio concesso per frequentare un corso <strong>di</strong> roccia. Aprile 1994:<br />
fugge assieme a due compagni <strong>di</strong> cella dal <strong>carcere</strong> minorile <strong>di</strong> Torino, dopo aver saltato un muro alto sei<br />
metri. Viene sempre ripreso, perché i ragazzi come lui - per quanto abili a saltare dalle finestre - non sanno<br />
dove nascondersi in una società dove per loro non c’è posto.<br />
Il racconto delle sue evasioni <strong>di</strong>ce quanto Santolini amasse la libertà. Ma non fu in grado <strong>di</strong> mantenerla<br />
quando, nel 1998, terminò <strong>di</strong> scontare la sua pena. Tornò nella sua casa <strong>di</strong> Levico Terme dove - come spiega<br />
il suo avvocato, Stefano Giampietro - non riuscì mai più ad integrarsi: nessun lavoro, nessun contatto sociale.<br />
Così dopo qualche mese venne nuovamente arrestato con gravi accuse: sequestro <strong>di</strong> persona, violenza<br />
sessuale, atti osceni in luogo pubblico, tutto per un episo<strong>di</strong>o in cui si era appartato con una ragazza in<br />
Valsugana. Stefano Santolini aveva provato a rifarsi una vita con l’aiuto dell’Apas (l’associazione trentina<br />
che si occupa della riabilitazione dei detenuti). Solo che la sua situazione personale e familiare era troppo<br />
<strong>di</strong>fficile, terribilmente complicata. Una volta in <strong>carcere</strong> il suo equilibrio era peggiorato, tanto che per alcuni<br />
perio<strong>di</strong> era stato detenuto nell’ospedale psichiatrico giu<strong>di</strong>ziario <strong>di</strong> Montelupo Fiorentino.<br />
Da un anno era tornato in via Pilati in attesa degli ultimi processi per le sue scorribande, in corte d’appello a<br />
Trento. L’altra notte l’ultimo gesto <strong>di</strong>sperato, ma non il primo. Altre volte Stefano Santolini aveva tentato il<br />
suici<strong>di</strong>o e negli ultimi tempi non voleva vedere nessuno, nemmeno i genitori, nemmeno una ragazza che in<br />
passato gli aveva scritto lettere <strong>di</strong>sperate in <strong>carcere</strong>. Quando voleva parlare con il suo legale scriveva lunghe<br />
lettere in un italiano corretto in modo sorprendente, almeno per uno che con le scuole non aveva avuto un<br />
buon rapporto. I giornali l’avevano chiamato “Faccia d’angelo” perché nelle redazioni circolava una vecchia<br />
fotografia <strong>di</strong> quando venne arrestato la prima volta, ancora ragazzino. Ma la sua faccia in realtà non era più<br />
angelica da tempo.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Nel settembre 2001 si era tolto la vita il fratello <strong>di</strong> Stefano, Massimo Santolini, in una stanza del convento <strong>di</strong><br />
Cles dove era agli arresti domiciliari. L’anno precedente si era tolto la vita Eduard Bellin, compagno <strong>di</strong> cella<br />
<strong>di</strong> Santolini. In precedenza aveva scelto la stessa estrema soluzione Andrea Rinaldo (uno dei giovani<br />
condannati per l’omici<strong>di</strong>o del tassista). Giovani per cui non c’era posto né fuori, né dentro il <strong>carcere</strong>. (L’Alto<br />
A<strong>di</strong>ge, 4 aprile <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 24 aprile <strong>2002</strong>, Ospedale “Maria Vittoria” <strong>di</strong> Torino<br />
Fabrizio Linetti, detenuto nel <strong>carcere</strong> delle Vallette, <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> aver ingerito un tagliaunghie. È una scusa (come<br />
accerterà l’autopsia) per andare in ospedale. Al pronto soccorso s’impadronisce <strong>di</strong> una specie <strong>di</strong> taglierino<br />
usato in ambulatorio. C’è una colluttazione con un agente penitenziario e Linetti riusce ad afferrare la pistola<br />
dell’agente, con la quale poi si uccide, quando vede inutile ogni tentativo <strong>di</strong> fuga. Un fatto anomalo, <strong>di</strong>cono<br />
gli inquirenti, perché Linetti non aveva alcuna possibilità <strong>di</strong> scappare, ma anomalo è anche il suici<strong>di</strong>o, che<br />
non sembra avere una giustificazione precisa. (La Stampa, 25 aprile <strong>2002</strong>).<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 1 maggio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne<br />
“Nordafricano <strong>di</strong> 30 anni”, da alcuni anni detenuto nel <strong>carcere</strong> u<strong>di</strong>nese, si ferisce alla gola con una lametta<br />
per la barba. I compagni <strong>di</strong> cella danno l’allarme e, fortunatamente, vicino c’è un agente che fa scattare i<br />
soccorsi. La rapi<strong>di</strong>tà, in questo caso, è decisiva: al pronto soccorso i me<strong>di</strong>ci possono intervenire prima che la<br />
situazione <strong>di</strong>venti critica. (Messaggero Veneto, 3 maggio <strong>2002</strong>).<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 2 maggio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne<br />
“Detenuto friulano <strong>di</strong> 35 anni” tenta <strong>di</strong> impiccarsi, utilizzando delle lenzuola appese ad un letto a castello. I<br />
compagni <strong>di</strong> cella, svegliati dal rumore, lo soccorrono e chiamano gli agenti. L’uomo è trasportato al pronto<br />
soccorso del “Santa Maria della Misericor<strong>di</strong>a”, dove i me<strong>di</strong>ci lo sottopongono alle terapie del caso. Il<br />
trentacinquenne si riprende, tanto che non si rende nemmeno necessario il ricovero. (Messaggero Veneto, 3<br />
maggio <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 4 maggio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Marassi (Genova)<br />
Antonio D. S., <strong>di</strong> 30 anni, si impicca in una cella nel Centro Clinico con una ru<strong>di</strong>mentale corda, ricavata da<br />
un lenzuolo tagliato a strisce. Su quest’ultimo particolare gli accertamenti saranno rigorosi: gli inquirenti non<br />
riescono a spiegarsi come e quando Antonio D. S. abbia formato la “corda” senza essere visto da alcuno. In<br />
proposito si ipotizza comunque una giustificazione: l’assoluta carenza <strong>di</strong> personale; in quel reparto la<br />
sorveglianza per una ventina <strong>di</strong> detenuti è affidata a un solo agente. Una situazione paradossale, che però<br />
alleggerirebbe la posizione delle guar<strong>di</strong>e carcerarie. L’uomo stato condannato a 15 anni, per un omici<strong>di</strong>o<br />
commesso in provincia <strong>di</strong> Taranto. (La Repubblica, 24 maggio <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 5 maggio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Marassi (Genova)<br />
Fabio B., <strong>di</strong> 38 anni, residente a Sestri, si uccide nel Centro Clinico del <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Marassi. Poco prima delle<br />
14, le guar<strong>di</strong>e carcerarie hanno trovato il detenuto impiccato, con la cintura dei pantaloni usata come cappio.<br />
Era stato arrestato la sera del 15 febbraio <strong>2002</strong> nella casa dei genitori, con i quali aveva avuto una violenta<br />
lite. Sarebbe stata una lettera della sua fidanzata a fare crollare Fabio B. in una depressione ancora più<br />
profonda <strong>di</strong> quella che lo affliggeva: lo ha rivelato Giorgio P., il compagno <strong>di</strong> cella: la scoperta dell’amico<br />
penzoloni da un cappio formato dalla cintura dei calzoni, ebbe effetti negativi anche su <strong>di</strong> lui, tali da indurre i<br />
me<strong>di</strong>ci delle Case Rosse a trasferirlo all’Ospedale “San Martino”. Fabio B., dopo avere letto la missiva, si<br />
sarebbe chiuso in un mutismo assoluto. Tentativi <strong>di</strong> farlo parlare non avrebbero avuto successo. Rimasto<br />
momentaneamente solo perché Giorgio P. era stato accompagnato alle docce, entrò nel cucinino della cella e<br />
attuò così il gesto <strong>di</strong>sperato. Non è dato conoscere ancora il contenuto della missiva: il P.M. Biagio Mazzeo<br />
ne ha <strong>di</strong>sposto il sequestro; lo stesso magistrato ha chiesto alla <strong>di</strong>rezione del <strong>carcere</strong> anche un memoriale che<br />
il suicida aveva scritto. È il terzo suici<strong>di</strong>o, in cinque mesi, a Marassi e il secondo in due giorni nel Centro<br />
Clinico della Casa Circondariale. (La Repubblica, 24 maggio <strong>2002</strong>).<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 5 maggio <strong>2002</strong>, Ospedale “Hesperia” <strong>di</strong> Modena<br />
Domenico Di Gioia, 39 anni, muore in ospedale, dove era stato ricoverato per una crisi car<strong>di</strong>aca che lo aveva<br />
colto nel <strong>carcere</strong> “S. Anna” <strong>di</strong> Modena. Il 25 aprile Di Gioia ha un edema polmonare ed è ricoverato in<br />
ospedale, ma opta per le <strong>di</strong>missioni volontarie e torna in <strong>carcere</strong>. La notte del 30 aprile ha un arresto car<strong>di</strong>aco<br />
e, dopo un massaggio car<strong>di</strong>aco <strong>di</strong> 30 minuti, viene nuovamente portato in ospedale e sottoposto ad intervento<br />
chirurgico. L’operazione riesce, ma l’arresto car<strong>di</strong>aco ha già prodotti danni irreparabili al cervello, che poi<br />
conducono al decesso.<br />
L’avvocato Roberto D’Errico, presidente della Camera penale <strong>di</strong> Bologna, ha annunciato che presenterà un<br />
esposto dettagliato sulla vicenda. D’Errico, che aveva chiesto più volte al G.I.P. e al Tribunale della Libertà<br />
<strong>di</strong> Bologna, gli arresti domiciliari per Di Gioia, chiederà nell’esposto che “se sono sussistenti responsabilità<br />
<strong>di</strong> ogni or<strong>di</strong>ne - amministrative, <strong>di</strong>sciplinari ed eventualmente penali - vengano in<strong>di</strong>viduate e perseguite”.<br />
L’uomo era stato arrestato nell’ottobre 2001, su or<strong>di</strong>nanza <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>a cautelare del P.M. <strong>di</strong> Bologna<br />
Elisabetta Melotti, per un traffico <strong>di</strong> droga tra la Puglia e l’Emilia. Una consulenza del me<strong>di</strong>co legale della<br />
<strong>di</strong>fesa, Michele Romanelli, aveva concluso per l’incompatibilità <strong>di</strong> Di Gioia con la con<strong>di</strong>zione carceraria.<br />
Una perizia del G.I.P. però aveva concluso per la compatibilità dello stato <strong>di</strong> salute dell’uomo con la<br />
detenzione.<br />
L’On. Paolo Cento (Ver<strong>di</strong>) ha inviato un’interrogazione urgente al Ministro della Giustizia sulla vicenda. “Di<br />
Gioia era riuscito a sopravvivere a cinque gravi crisi car<strong>di</strong>ache - ha detto il parlamentare - il ministero deve<br />
intervenire, per verificare le eventuali omissioni e le responsabilità <strong>di</strong> questo decesso”. La perizia del G.I.P.,<br />
comunque, aveva accertato che Di Gioia si era sottratto volontariamente alle terapie e che il peggioramento<br />
era riconducibile in parte ad una condotta volontaria. (Il Resto del Carlino, 8 maggio <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 17 maggio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Pesaro<br />
Marco Zampetti, 35 anni, bolognese, si impicca con un laccio da scarpe. Era detenuto dal 27 agosto 2001,<br />
per avere ucciso la madre in un raptus <strong>di</strong> follia. Il giovane, che aveva interrotto gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Ingegneria a<br />
Bologna e aveva svolto lavori saltuari, era in cura da uno psichiatra ed era stato anche sottoposto a<br />
trattamenti sanitari.<br />
Dopo l’omici<strong>di</strong>o confessò subito tutto e cercò <strong>di</strong> spiegare il suo gesto con una serie <strong>di</strong> screzi e liti, l’ultimo<br />
dei quali una banale <strong>di</strong>scussione su dove collocare una pianta grassa nel balcone. Dietro le liti continue, uno<br />
stato <strong>di</strong> oppressione e frustrazione, dovuta anche alla sua con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupato, che lo spingeva a<br />
chiedere <strong>di</strong> continuo sol<strong>di</strong> alla madre.<br />
Zampetti fu sottoposto anche a una perizia psichiatrica, dalla quale risultò che i suoi <strong>di</strong>sturbi erano molto<br />
gravi e che poteva rappresentare un pericolo per sé e per gli altri. Da qui la decisione <strong>di</strong> tenerlo in<br />
isolamento, in regime <strong>di</strong> “alta sorveglianza”. Negli ultimi tempi, a detta dei familiari, c’era stato un<br />
apparente miglioramento: Zampetti aveva anche riallacciato i contatti con il padre, a cui aveva scritto alcune<br />
lettere.<br />
Poco meno <strong>di</strong> un mese fa, però, il giu<strong>di</strong>ce Barberini lo aveva interrogato <strong>di</strong> nuovo, sulla base delle ultime<br />
perizie psichiatriche. Perizie che lasciavano pochi dubbi: Zampetti aveva ucciso la madre in uno stato <strong>di</strong><br />
follia e avrebbe potuto uccidere ancora, perché le sue con<strong>di</strong>zioni erano gravissime. Di fronte al giu<strong>di</strong>ce,<br />
Zampetti non aveva mostrato segni <strong>di</strong> pentimento e aveva ricordato che la madre, quella mattina, lo aveva<br />
guardato storto e aveva spostato in malo modo il vaso sul balcone, scatenando la sua reazione. Molto<br />
probabilmente, avrebbe dovuto essere trasferito in un manicomio giu<strong>di</strong>ziario. Non è andata così. (Il<br />
Messaggero, 18 maggio <strong>2002</strong>)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 20 maggio <strong>2002</strong>, O.P.G. <strong>di</strong> Reggio Emilia<br />
Kolica Andon, 30 anni, albanese, si uccide, dopo 35 giorni <strong>di</strong> sciopero della fame. La notizia trapela solo<br />
all’inizio <strong>di</strong> luglio. “Preferisco morire, piuttosto che restare qui dentro da innocente”: ora, quella frase<br />
ripetuta fino all’ossessione, suona ancora più terribile e accusatoria. Faceva sul serio, Kolica Andon, si è<br />
impiccato in una cella dell’ospedale psichiatrico giu<strong>di</strong>ziario <strong>di</strong> Reggio Emilia, dov’era arrivato da pochi<br />
giorni, proveniente dal <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Mantova. Due settimane prima del suici<strong>di</strong>o una sua nipote, Maria, aveva<br />
lanciato un appello pubblico perché la posizione processuale <strong>di</strong> suo zio venisse rivista. “È in sciopero della<br />
fame da metà aprile e <strong>di</strong>ce che si lascerà morire, se non verrà accertata la sua innocenza. Bisogna fare<br />
qualcosa, ha già perso 18 chili e non si fermerà”. Arrestato il 22 aprile 2001 a Ponti sul Mincio (MN),<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
insieme ad un suo connazionale, era stato condannato a quattro anni <strong>di</strong> <strong>carcere</strong> per detenzione e spaccio <strong>di</strong><br />
cocaina. Nel garage dell’abitazione dove si trovava, i carabinieri avevano trovato un chilo e 680 grammi <strong>di</strong><br />
coca.<br />
“Ma io non ne sapevo nulla - ha ripetuto a tutti fino all’ultimo - in quella casa ero ospite solo per quella<br />
notte”. Nessun Tribunale però ha mai creduto alla sua tesi: dopo la condanna in primo grado è arrivata anche<br />
quella in appello, a Brescia. Poi, passando da un legale all’altro, in una corsa contro il tempo dopo l’inizio<br />
dello sciopero della fame, i suoi familiari le hanno tentate tutte: un’istanza per la sostituzione del <strong>carcere</strong> con<br />
un’altra misura cautelare, al Tribunale della Libertà, una seconda istanza, analoga, al Tribunale del Riesame,<br />
ma non c’è stato niente da fare: tutte respinte.<br />
E, mentre gli avvocati stavano preparando una nuova istanza, per chiedere almeno gli arresti domiciliari per<br />
motivi <strong>di</strong> salute, Kolica ha anticipato tutti sul tempo. Accanto al suo cadavere, più magro <strong>di</strong> venti chili <strong>di</strong><br />
quando era entrato in <strong>carcere</strong> a Mantova, i primi agenti che hanno tentato inutilmente <strong>di</strong> soccorrerlo hanno<br />
trovato una lettera. “Ero innocente”, ha voluto riba<strong>di</strong>re ancora una volta in punto <strong>di</strong> morte, prima <strong>di</strong> de<strong>di</strong>care<br />
un ultimo pensiero ai suoi due figli: “Voglio che dei miei due piccoli si occupi mio zio, che sta in provincia<br />
<strong>di</strong> Brescia”. Una morte annunciata, che forse si poteva evitare? (Gazzetta <strong>di</strong> Mantova, 2 luglio <strong>2002</strong>)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 25 maggio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Sassari<br />
Patrizia Piu, 23 anni, detenuta per reati <strong>di</strong> droga, si è impiccata nella cella del <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> San Sebastiano,<br />
approfittando dei pochi attimi in cui la vigilatrice penitenziaria incaricata <strong>di</strong> controllare ogni sua mossa si era<br />
allontanata per sod<strong>di</strong>sfare un bisogno fisico. Forse Patrizia ha maturato la sua decisione in quel maledetto<br />
pomeriggio <strong>di</strong> sabato, trascorso a pensare e a scrivere su alcuni fogli protocollo una lunga lettera. Senza<br />
in<strong>di</strong>rizzo. Una sorta <strong>di</strong> memoriale. Sequestrato dalla magistratura.<br />
Sul fronte delle indagini la situazione è in un momento <strong>di</strong> stallo. Il Procuratore della Repubblica, Giuseppe<br />
Porqueddu, sta esaminando tutti gli elementi raccolti durante il sopralluogo che gli esperti della polizia<br />
scientifica hanno eseguito nella cella, ma si sarebbe soffermato soprattutto sulle due lettere che Patrizia Piu<br />
ha lasciato sulla branda prima <strong>di</strong> togliersi la vita. Quella più breve sarebbe un vero e proprio atto d’accusa,<br />
contro qualcuno che avrebbe avuto un ruolo determinante nella tragica, quasi obbligatoria, scelta fatta da<br />
Patrizietta e dal suo amato Alessandro. Anche lui era morto impiccato. E proprio questo particolare potrebbe<br />
aver indotto la ragazza a fare la stessa scelta.<br />
Durante la sua breve latitanza, Patrizia non avrebbe pensato a nascondersi e a sfuggire ai controlli delle forze<br />
dell’or<strong>di</strong>ne, ma soltanto a cercare la verità sulla morte <strong>di</strong> Alessandro Vitiello. Avrebbe affrontato a muso<br />
duro, come era sua abitu<strong>di</strong>ne, anche personaggi pericolosi e incontrato gente che sapeva che lei sapeva che<br />
volevano farle del male. Ma lei non si era mai tirata in<strong>di</strong>etro, non era nel suo carattere. Voleva sapere la<br />
verità su Alessandro ed era <strong>di</strong>sposta a tutto. Anche a morire. Forse l’aveva già messo in preventivo quando si<br />
era data alla latitanza, inspiegabilmente, a metà marzo. Stava finendo <strong>di</strong> scontare la pena, ma era stanca <strong>di</strong><br />
subire minacce e intimidazioni continue per qualcosa legato alla fine del fidanzatino. E allora aveva preferito<br />
sparire. Per capire.<br />
Si era arresa venerdì pomeriggio in piazza Tola a tre carabinieri del nucleo ra<strong>di</strong>omobile che l’avevano<br />
avvicinata e fermata senza alcuna <strong>di</strong>fficoltà. Forse perché Patrizia si era stancata <strong>di</strong> fuggire. Ma soprattutto<br />
perché era convinta <strong>di</strong> aver capito il motivo della morte del “suo” Alessandro. E stava maturando l’ipotesi <strong>di</strong><br />
accusare chi glielo aveva portato via in quel modo così assurdo. Forse avrebbe collaborato con la giustizia,<br />
forse avrebbe affidato al suo <strong>di</strong>ario il racconto della verità, forse l’avrebbe raccontato all’amatissima Nonna<br />
Michela, nelle tante lettere che le spe<strong>di</strong>va dal <strong>carcere</strong>. (La Nuova Sardegna, 28 maggio <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 27 maggio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Pavia<br />
Miguel Bosco, 30 anni, nomade, si uccide infilando la testa in un sacchetto <strong>di</strong> plastica riempito con il gas<br />
della bomboletta da camping. Era stato arrestato nel tardo pomeriggio del 26 maggio, per il furto <strong>di</strong> una<br />
motocicletta. Non ha resistito nemmeno 24 ore.<br />
Il suici<strong>di</strong>o ha provocato un intervento della CGIL, che ha chiesto un incontro con il <strong>di</strong>rettore. “La morte nel<br />
<strong>carcere</strong> - si legge in un comunicato della CGIL - ci lascia carichi <strong>di</strong> dubbi e perplessità: è stato fatto tutto il<br />
possibile per evitarla? Lo stesso evento si sarebbe verificato anche fuori dal <strong>carcere</strong>? Il suici<strong>di</strong>o del nomade<br />
Miguel Bosco impone alle istituzioni carcerarie una riflessione sulle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vivibilità, ma richiama<br />
anche i citta<strong>di</strong>ni ad aumentare il controllo su quanto accade <strong>di</strong>etro quelle mura. Qualche giorno fa il <strong>di</strong>rettore<br />
<strong>di</strong> un <strong>carcere</strong> simbolo, come è quello <strong>di</strong> San Vittore, sollevava il problema dei suici<strong>di</strong>. Il tono provocatorio e<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
la novità delle proposte lanciate dal dottor Pagano, non ci devono <strong>di</strong>stogliere dalla gravità del problema. La<br />
CGIL <strong>di</strong> Pavia chiede alla <strong>di</strong>rettrice della Casa Circondariale un incontro per analizzare la situazione<br />
carceraria”. (La Provincia Pavese, 30 maggio <strong>2002</strong>).<br />
Morte per cause non chiare: 4 giugno <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Rimini<br />
Roberto Muccioli, 36 anni, ex tossico<strong>di</strong>pendente, muore in cella durante la notte. Nessuno si accorge <strong>di</strong><br />
nulla, neppure i compagni <strong>di</strong> cella: solo quando la guar<strong>di</strong>a carceraria passa, per un normale controllo, lo<br />
trova privo <strong>di</strong> vita. Roberto Muccioli, un passato <strong>di</strong> tossico<strong>di</strong>pendente, era stato arrestato l’ultima volta<br />
all’inizio dell’anno per una serie <strong>di</strong> scippi messi a segno in sella ad uno scooter rubato. L’ipotesi più<br />
accre<strong>di</strong>tata è che l’uomo sia morto per infarto. Il magistrato ha <strong>di</strong>sposto l’autopsia sul corpo, per l’esito degli<br />
esami tossicologici occorreranno 2 mesi. (Il Resto del Carlino, 6 giugno <strong>2002</strong>).<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 4 giugno <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Parma<br />
“Trentenne, originario della Sicilia”, tenta <strong>di</strong> uccidersi impiccandosi nella propria cella. È salvato in extremis<br />
dagli agenti della polizia penitenziaria e dagli operatori <strong>di</strong> Parmasoccorso, che lo hanno trasportato<br />
all’ospedale Maggiore <strong>di</strong> Parma. Visitato dai me<strong>di</strong>ci del pronto soccorso, le sue con<strong>di</strong>zioni non sono parse<br />
particolarmente gravi. (Gazzetta <strong>di</strong> Parma, 6 giugno <strong>2002</strong>)<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 10 giugno <strong>2002</strong>, Reparto Detenuti dell’Ospedale <strong>di</strong> Salerno<br />
La notizia della morte del detenuto è stata <strong>di</strong>ffusa dal consigliere regionale Franco Specchio (Rifondazione<br />
Comunista), che ha effettuato un’ispezione al Reparto dell’Ospedale incontrando il <strong>di</strong>rigente Salemme e<br />
verificando uno stato <strong>di</strong> carenza strutturale preoccupante: “La <strong>di</strong>visione versa in con<strong>di</strong>zioni pietose, gli<br />
standard igienico - sanitari non sono rispettati, le celle sono prive <strong>di</strong> bagni e lavan<strong>di</strong>ni, in estate le<br />
temperature sono sahariane, d’inverno antartiche, con spazi troppo angusti per gli operatori sanitari.<br />
Mancano pavimenti, campanelli per le emergenze, riscaldamenti e ad<strong>di</strong>rittura defibrillatori - ha spiegato<br />
Alessandro Longo - soprattutto la <strong>di</strong>gnità del carcerato è calpestata, in quelle piccole celle non possono<br />
portare neanche indumenti intimi o libri”. Il Reparto Detenuti è al quarto piano dell’e<strong>di</strong>ficio centrale:<br />
l’ascensore ferma al terzo piano. Per accedere al quarto esiste una chiave in dotazione solo agli agenti <strong>di</strong><br />
custo<strong>di</strong>a. Morale: in caso d’emergenza, è <strong>di</strong>fficilissimo garantire celerità ed efficienza me<strong>di</strong>ca. Salemme ha<br />
promesso un intervento sollecito, garantendo l’attivazione <strong>di</strong> un presi<strong>di</strong>o me<strong>di</strong>co permanente ed i tanto<br />
auspicati lavori <strong>di</strong> ristrutturazione dell’e<strong>di</strong>ficio. Rifondazione Comunista chiederà alla Regione Campania<br />
l’approvazione imme<strong>di</strong>ata del progetto “Salute in <strong>carcere</strong>”, esigendo la previsione <strong>di</strong> adeguate risorse<br />
finanziarie per la ristrutturazione dei reparti detenuti. (La Città. Quoti<strong>di</strong>ano <strong>di</strong> Salerno, 15 giugno <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 18 giugno <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> San Vittore (Milano)<br />
Detenuto marocchino si impicca. La notizia viene data dal <strong>di</strong>rettore dell’Istituto, Luigi Pagano, durante un<br />
incontro con dei giornalisti: “Ieri si è impiccato un marocchino: il suici<strong>di</strong>o rimane la nostra vera sconfitta”.<br />
(Panorama, 19 luglio <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 18 giugno <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Tolmezzo (U<strong>di</strong>ne)<br />
Renzo Carraro, 45 anni, si uccide con il gas. A trovarlo, verso le 19.30, è il compagno <strong>di</strong> cella: ha un<br />
sacchetto <strong>di</strong> plastica in testa, e accanto la bomboletta del fornello a gas. Ha fatto in modo che il gas riempisse<br />
il sacchetto, lasciandosi stor<strong>di</strong>re fino a perdere conoscenza e poi morire. Il me<strong>di</strong>co <strong>di</strong> turno, intervenuto<br />
tempestivamente, fa risalire il decesso ad un quarto d’ora prima. Carraro era in <strong>carcere</strong> da poco più <strong>di</strong> un<br />
anno, con l’accusa <strong>di</strong> omici<strong>di</strong>o. Da mese fa era stato trasferito da Vicenza a Tolmezzo e non aveva mai dato<br />
segni <strong>di</strong> sofferenza o manifestato intenzioni suicide, assicura la <strong>di</strong>rezione del <strong>carcere</strong>: “Non ha mai chiesto<br />
assistenza me<strong>di</strong>ca o <strong>di</strong> parlare dei suoi problemi con qualcuno. Tra l’altro aveva un avvocato molto attento e<br />
presente, che lo seguiva costantemente”. All’inchiesta amministrativa, che sarà aperta dalla <strong>di</strong>rezione del<br />
<strong>carcere</strong>, si affiancherà quella avviata dalla Procura <strong>di</strong> Tolmezzo. (Il Gazzettino, 20 giugno <strong>2002</strong>)<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Morte per cause non chiare: 30 giugno <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Cuneo<br />
Mauro Fedele, 33 anni, muore in <strong>carcere</strong>. La versione ufficiale parla <strong>di</strong> “arresto car<strong>di</strong>ocircolatorio” ma<br />
Giuseppe Fedele, padre <strong>di</strong> Mauro, lancia accuse contro gli agenti <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>a. “Il corpo <strong>di</strong> mio figlio è pieno<br />
<strong>di</strong> livi<strong>di</strong>: ha la testa fasciata e ha segni blu su collo, sul petto, specialmente a destra, come uno zoccolo <strong>di</strong><br />
cavallo; e poi sui fianchi e all’interno delle cosce, sia a destra sia a sinistra. È chiaro che lo hanno riempito <strong>di</strong><br />
botte, forse con i manganelli, e che è morto per questo. Chiederemo che un nostro me<strong>di</strong>co <strong>di</strong> fiducia assista<br />
all’autopsia, perché dopo quello che abbiamo visto non possiamo subire passivamente e credere a quello che<br />
ci hanno detto e cioè che Mauro è morto per arresto car<strong>di</strong>ocircolatorio. Il nostro avvocato presenterà una<br />
denuncia per omici<strong>di</strong>o, perché pensiamo che sia morto in seguito ad un pestaggio”.<br />
Mauro Fedele era in <strong>carcere</strong> alle Vallette <strong>di</strong> Torino, in attesa <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio per reati connessi allo spaccio <strong>di</strong><br />
stupefacenti. Una decina <strong>di</strong> giorni prima della sua morte ne è stato deciso il trasferimento al <strong>carcere</strong> <strong>di</strong><br />
Cuneo, per ragioni legate al sovraffollamento della Casa <strong>di</strong> reclusione torinese. Sabato un fratello e una<br />
sorella lo avevano potuto incontrare nel parlatorio del <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Cuneo. “Stava bene - racconta Franco<br />
Fedele -, sono certo che non aveva ferite, non mi ha detto che aveva problemi. Sono stato anch’io in <strong>carcere</strong><br />
a Cuneo; so che il regime è un po’ più duro, ma se avesse avuto guai me lo avrebbe detto”. Non passa<br />
un’intera giornata: a casa della famiglia Fedele, in via Fratelli Garrone, a Torino, alle <strong>di</strong>eci <strong>di</strong> ieri mattina<br />
arriva una pattuglia dei carabinieri.<br />
“Ci hanno spiegato - <strong>di</strong>ce la madre <strong>di</strong> Mauro Fedele, Santina Di Fazio - che avevano ricevuto un fax che<br />
<strong>di</strong>ceva che Mauro era morto, per arresto car<strong>di</strong>ocircolatorio, all’alba, verso le 5”. “Abbiamo telefonato al<br />
<strong>carcere</strong> - prosegue il padre Giuseppe - dove ci hanno detto che potevamo andare <strong>di</strong>rettamente all’obitorio<br />
dell’ospedale. Siamo partiti subito per Cuneo, ma quando siamo arrivati per più <strong>di</strong> un’ora non ci hanno<br />
permesso <strong>di</strong> vedere nostro figlio: gli addetti dell’impresa <strong>di</strong> pompe funebri ci hanno detto che dovevano<br />
ancora sistemarlo. Abbiamo iniziato a protestare, fino a quando si sono decisi a farcelo vedere. È allora che<br />
ci siamo accorti <strong>di</strong> come era ridotto”. Le circostanze della morte <strong>di</strong> Mauro Fedele, al momento, non sono<br />
chiarite da uno scarno referto me<strong>di</strong>co, tecnicamente ineccepibile, che <strong>di</strong>ce che il suo cuore si è fermato, ma<br />
non spiega le cause <strong>di</strong> questo arresto. Forse le chiarirà l’autopsia, già <strong>di</strong>sposta dal procuratore aggiunto della<br />
Repubblica a Cuneo Guido Bissoni. Resta l’accusa dei parenti: “Mio fratello è morto perché qualcuno lo ha<br />
picchiato - <strong>di</strong>ce Franco Fedele -, e lui non aveva mai avuto problemi con gli atri detenuti”. (La Stampa, 1<br />
luglio <strong>2002</strong>)<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 3 luglio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Torino<br />
Remo Bartoli, 55 anni, romano, colpito da infarto durante una visita me<strong>di</strong>ca, muore. L’uomo,<br />
apparentemente in buone con<strong>di</strong>zioni, si è accasciato mentre un me<strong>di</strong>co gli stava visitando una banalissima<br />
cisti sul collo. Il <strong>di</strong>rettore sanitario del <strong>carcere</strong>, Remo Urani, non si è ancora pronunciato, “anche se tutto fa<br />
pensare a un infarto acuto”. Remo Bartoli aveva alle spalle un passato <strong>di</strong> ladro, con qualche episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />
relativa violenza. L’ultimo arresto, nel giugno 2001, alla darsena <strong>di</strong> San Bartolomeo a Mare, vicino Imperia,<br />
mentre cercava <strong>di</strong> introdursi in un cabinato. Dopo un anno nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Imperia, Bartoli era stato trasferito<br />
alle Vallette il primo <strong>di</strong> luglio: nessun problema <strong>di</strong> salute. Il primo e l’ultimo ieri: aveva chiesto <strong>di</strong> essere<br />
visitato, per poi farsi togliere la cisti sul collo. La magistratura ha aperto un’inchiesta. (La Stampa, 4 luglio<br />
<strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 8 luglio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Sanremo (Imperia)<br />
Ibrahim Nazgas, 23 anni, marocchino si impicca nella cella dove era rinchiuso da qualche settimana. Quando<br />
i compagni <strong>di</strong> detenzione, rientrati dall’ora d’aria, lo vedono immobile in quella posizione, accasciato al<br />
muro e con quel terribile cappio intorno al collo, danno subito l’allarme ma per lui, purtroppo, non c’è ormai<br />
più nulla da fare. L’intervento della polizia penitenziaria e il trasporto imme<strong>di</strong>ato nel centro sanitario del<br />
<strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Valle Armea, non hanno permesso <strong>di</strong> salvare la vita al giovanissimo detenuto extracomunitario.<br />
Un rapporto sull’accaduto è stato trasmesso in serata al procuratore della Repubblica Mariano Gagliano, che<br />
questa mattina scioglierà la riserva sull’eventuale autopsia (una scelta con<strong>di</strong>zionata alla necessità <strong>di</strong> fare<br />
chiarezza sulla morte del nordafricano). Secondo quanto si è appreso il detenuto non aveva dato particolari<br />
segni <strong>di</strong> problemi psichici. Insomma, nessuno avrebbe potuto prevedere un epilogo così drammatico<br />
dell’esperienza carceraria. (La Stampa, 9 luglio <strong>2002</strong>).<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Suici<strong>di</strong>o: 8 luglio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Siracusa<br />
Clau<strong>di</strong>o Scala, 26 anni, tossico<strong>di</strong>pendente, si uccide al terzo giorno <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>. Divideva la stanza con altri<br />
due detenuti, ma questi non si sono accorti <strong>di</strong> nulla: il giovane è entrato nel bagno, ha legato la cintura<br />
dell’accappatoio alle sbarre della finestra, si è passata l’altra estremità attorno al collo, e si è lasciato<br />
soffocare. Quando é stato trovato in quello stato non era ancora morto e, per quasi un’ora, si è avuta la<br />
speranza <strong>di</strong> poterlo salvare. La scoperta è stata fatta verso le 3. A quell’ora le guar<strong>di</strong>e eseguono “la conta”,<br />
verificano, cioè, la presenza nelle celle dei detenuti. L’agente entrato nella stanza <strong>di</strong> Scala ha notato subito<br />
l’assenza del giovane e ha chiesto notizie agli altri due reclusi, trovati entrambi che dormivano. Hanno avuto<br />
subito la sensazione che fosse accaduto qualcosa <strong>di</strong> grave, visto che Clau<strong>di</strong>o Scala, sin dal momento in cui<br />
era entrato in <strong>carcere</strong>, era apparso particolarmente depresso e aveva anche manifestato intenzioni suicide. La<br />
guar<strong>di</strong>a e i due detenuti sono corsi nel bagno e hanno trovato Clau<strong>di</strong>o Scala impiccato. Imme<strong>di</strong>atamente lo<br />
hanno liberato dal cappio che gli stringeva il collo. Il giovane era ancora vivo, anche se non riprendeva<br />
conoscenza. A bordo dell’ambulanza fatta intervenire per trasportarlo in ospedale, si è tentato <strong>di</strong> rianimare il<br />
detenuto, ma è stato tutto inutile. Lungo il tragitto, il cuore del povero Clau<strong>di</strong>o Scala ha cessato <strong>di</strong> battere.<br />
Quando è arrivato al pronto soccorso dell’Ospedale Umberto I° i me<strong>di</strong>ci non hanno potuto fare altro che<br />
constatare l’avvenuto decesso.<br />
Clau<strong>di</strong>o Scala era finito in cella sabato scorso. Due le condanne che doveva scontare: una ad un anno, tre<br />
mesi e 24 giorni <strong>di</strong> reclusione, per spaccio <strong>di</strong> droga, un’altra a quattro mesi, per avere <strong>di</strong>sertato quando era<br />
stato chiamato a svolgere il servizio militare. I carabinieri avevano avvertito la <strong>di</strong>rezione della Casa <strong>di</strong><br />
Reclusione dello stato <strong>di</strong> profonda depressione dell’arrestato. La raccomandazione non era caduta nel vuoto:<br />
“Vista la situazione - afferma il <strong>di</strong>rettore pro tempore del <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> contrada Cavadonna, Giovanni Mazzone<br />
- gli avevamo dato la possibilità <strong>di</strong> scegliere in quale cella stare. Aveva scelto quella dove si trovava un suo<br />
conoscente <strong>di</strong> Pachino ed era stato accontentato. I compagni <strong>di</strong> stanza erano stati anche informati delle sue<br />
con<strong>di</strong>zioni, affinché lo aiutassero. Purtroppo, tutte queste attenzioni non sono servite a niente”.<br />
Clau<strong>di</strong>o Scala, più volte arrestato per droga, in <strong>carcere</strong> non ci voleva tornare e poteva riuscirvi. Aveva, a<br />
quanto pare, le carte in regola per chiedere la sospensione dell’esecuzione della pena e l’affidamento al<br />
Ser.T. Ma non ha mai presentato alcuna domanda. Aveva contattato il Ser.T. <strong>di</strong> Noto, che è il più vicino a<br />
Pachino, dove abitava, ma si era poi posto il problema <strong>di</strong> come vi si doveva recare ogni giorno, visto che non<br />
aveva un mezzo e - <strong>di</strong>ceva - nemmeno i sol<strong>di</strong> per l’autobus. Insomma, davanti a tanti problemi,<br />
apparentemente piccoli ma che lui sarebbero sembrati insormontabili, si sarebbe arreso, aggrappandosi solo<br />
all’impossibile speranza che la Giustizia si <strong>di</strong>menticasse <strong>di</strong> lui. Una speranza che si è <strong>di</strong>ssolta sabato scorso,<br />
quando a casa sua si sono presentati i carabinieri per eseguire il provve<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> carcerazione. (Gazzetta del<br />
Sud, 9 luglio <strong>2002</strong>)<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 9 luglio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Viterbo<br />
Fabio Ciaralli, 40 anni, tenta <strong>di</strong> impiccarsi in una cella del <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Viterbo. Un agente <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>a vede il<br />
suo corpo che penzola. Sta ancora respirando, quando viene dato l’allarme: trasportato all’ospedale, lo<br />
strappano alla morte.<br />
Il 24 novembre 2000 Ciaralli uccise la moglie, ferendo gravemente anche il nuovo compagno <strong>di</strong><br />
quest’ultima. Il 5 marzo <strong>2002</strong> si era concluso il processo in Corte d’Assise e Ciaralli era stato condannato a<br />
28 anni <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>. Era stato giu<strong>di</strong>cato in grado <strong>di</strong> intendere e <strong>di</strong> volere. In pratica, era stata accolta la tesi<br />
dell’accusa, che aveva sostenuto la luci<strong>di</strong>tà dell’omicida al momento del tragico evento. Dopo la sentenza<br />
aveva chiesto <strong>di</strong> essere trasferito dal <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Pisa a quello <strong>di</strong> Roma, dove abitano i suoi genitori.<br />
La domanda era stata accolta, ma in parte. Invece <strong>di</strong> Rebibbia, per Ciaralli si apre la possibilità <strong>di</strong> andare a<br />
Viterbo. Così, negli ultimi giorni <strong>di</strong> giugno, Ciaralli lascia il Don Bosco per una cella del <strong>carcere</strong> viterbese.<br />
Ma alla quarta notte crolla. Vuole mettere la parola fine alla propria vita. È il quinto tentativo <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o dal<br />
giorno della trage<strong>di</strong>a. La prima volta ci tentò quel terribile 24 novembre tagliandosi la gola e i polsi; per ben<br />
due volte, mentre era in terapia intensiva al “Santa Chiara”, aveva manomesso la cannula dell’ossigeno<br />
procurandosi due broncospasmi; nel luglio dell’anno scorso rifiutò il cibo per <strong>di</strong>versi giorni. Per contrastare<br />
questo grave stato depressivo, al <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Pisa, era sotto cura ed i me<strong>di</strong>ci gli somministravano gli<br />
psicofarmaci.<br />
“Quando è stato trasferito a Viterbo - afferma Ezio Menzione, legale <strong>di</strong> Ciaralli - non è stato posto sotto<br />
controllo continuo e non gli sono stati dati i farmaci necessari. Se fosse stato soccorso un minuto più tar<strong>di</strong>,<br />
sarebbe morto. Ciaralli è rimasto quattro giorni in rianimazione. Quest’ultimo grave episo<strong>di</strong>o, purtroppo,<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
avvalora quello che la <strong>di</strong>fesa ha sempre sostenuto. Ovvero che Ciaralli al momento dell’omici<strong>di</strong>o non era in<br />
grado <strong>di</strong> intendere e <strong>di</strong> volere”.<br />
Dopo essere stato <strong>di</strong>chiarato fuori pericolo dall’ospedale <strong>di</strong> Viterbo, la procura viterbese ha chiesto il<br />
trasferimento <strong>di</strong> Ciaralli all’ospedale psichiatrico giu<strong>di</strong>ziario <strong>di</strong> Montelupo. Ma la Corte d’Appello <strong>di</strong> Pisa si<br />
è opposta poiché Ciaralli è ritenuta una persona in grado <strong>di</strong> intendere e <strong>di</strong> volere, come - del resto - è stato<br />
affermato nella sentenza <strong>di</strong> condanna. Pertanto, Fabio Ciaralli è stato inviato alla clinica psichiatrica “Santa<br />
Chiara” <strong>di</strong> Pisa dove è stato curato. Successivamente, è stato trasferito al centro clinico del <strong>carcere</strong> Don<br />
Bosco. In pratica, è tornato dove si trovava. (Il Tirreno, 17 luglio <strong>2002</strong>).<br />
Morte per cause non chiare: 13 luglio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Cagliari<br />
Luca Saba, 31 anni, muore in cella dopo una settimana dall’arresto. La madre è andata al colloquio, ma Luca<br />
non poteva esserci: “Suo figlio è morto”, l’hanno liquidata sul portone <strong>di</strong> “Buoncammino”, a Cagliari. C’è<br />
voluto l’arrivo <strong>di</strong> un avvocato, per riuscire a saperne <strong>di</strong> più. Poco <strong>di</strong> più: “Il detenuto Saba Luca, <strong>di</strong> anni<br />
trentuno, nato e residente a Carbonia, è deceduto per arresto car<strong>di</strong>ocircolatorio”. Secche e brutali, le<br />
informazioni della polizia penitenziaria si sono fermate qui. Per riuscire ad avere altri particolari, è stato<br />
necessario raccogliere in<strong>di</strong>screzioni non confermate. Di sicuro si sa che è stata aperta un’inchiesta. La segue<br />
il sostituto procuratore Giangiacomo Pilia, che ha fatto eseguire l’autopsia nell’istituto <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cina legale.<br />
Luca è stato probabilmente stroncato da un infarto, ma ci sono alcuni dettagli poco chiari.<br />
Tossico<strong>di</strong>pendente, un passato tempestato <strong>di</strong> piccoli reati (soprattutto furti), Luca doveva scontare tre anni <strong>di</strong><br />
reclusione. Venerdì aveva ricevuto la visita del padre e, prima ancora, quella del suo avvocato: “Era<br />
tranquillo, sembrava finalmente sereno”. Sabato mattina, improvvisamente, è morto. Alle 17 del pomeriggio<br />
un fax della <strong>di</strong>rezione del <strong>carcere</strong> è arrivato ai carabinieri <strong>di</strong> Carbonia. Chiedevano <strong>di</strong> informare i familiari. A<br />
nessuno è venuto in mente che, forse, sarebbe stato meglio informare la caserma con una telefonata: i fax che<br />
piovono al centralino sono una quantità infinita e s’è perso in mezzo a mille noticine e or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> servizio.<br />
Solo lunedì mattina i carabinieri <strong>di</strong> Carbonia si sono recati a casa dei familiari <strong>di</strong> Luca, in via Mazzini.<br />
Hanno bussato ma non ha risposto nessuno, perché da qualche tempo si sono trasferiti in una villetta a Punt’e<br />
Trettu.<br />
In quel momento, comunque, non avrebbero potuto rintracciare la madre. Che era a Cagliari, in sala attesacolloqui<br />
a Buoncammino. Quando ha chiesto <strong>di</strong> parlare col figlio, la donna si è sentita rispondere nel<br />
peggiore dei mo<strong>di</strong>, senza un minimo <strong>di</strong> tatto: “Suo figlio è morto, non lo sa?”. A quel punto ha cominciato a<br />
gridare ed è stata allontanata. Nel giro <strong>di</strong> una mezz’ora l’ha raggiunta il marito, ma anche per lui il portone<br />
del <strong>carcere</strong> è rimasto implacabilmente chiuso. L’avvocato Aste è arrivato in un meno <strong>di</strong> un’ora: “Così ho<br />
saputo dagli agenti <strong>di</strong> polizia penitenziaria che la madre <strong>di</strong> Luca era stata cacciata perché gridava. Cos’altro<br />
avrebbe potuto fare una madre che apprende in quel modo la morte del figlio?”<br />
La morte, per quel poco che si è riusciti a sapere, è dovuta a cause naturali. Sul cadavere non sarebbero stati<br />
riscontrati traumi o altro che possa far pensare a tragiche conseguenze <strong>di</strong> una lite. All’ufficio-matricola <strong>di</strong><br />
Buoncammino, Luca aveva <strong>di</strong>chiarato <strong>di</strong> essere tossico<strong>di</strong>pendente e come tale ha chiesto assistenza me<strong>di</strong>cofarmacologica.<br />
Non c’è ragione <strong>di</strong> ritenere che gli sia stata negata. Anzi. I dubbi sono altri. Nonostante il<br />
fisico debilitato, le sue con<strong>di</strong>zioni generali erano buone. Mai avuto problemi car<strong>di</strong>aci, né fasti<strong>di</strong> che<br />
potessero in qualche modo segnalare l’arrivo <strong>di</strong> un infarto. Ecco perché il <strong>di</strong>fensore vuole vederci chiaro e ha<br />
chiesto, per questa ragione, l’aiuto <strong>di</strong> un perito. Il P.M. <strong>di</strong>sporrà, intanto, nuovi accertamenti. Nell’arco <strong>di</strong><br />
qualche giorno il giallo, se <strong>di</strong> giallo si tratta, dovrebbe essere risolto. (L’Unione Sarda, 17 luglio <strong>2002</strong>)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 17 luglio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Salerno<br />
Antonio Rinal<strong>di</strong>, 31 anni, tossico<strong>di</strong>pendente, si impicca. Avrebbe terminato la pena entro pochi giorni. Era<br />
da solo in una cella del reparto “comuni”, è stato un agente a dare l’allarme, ma inutilmente. Antonio Rinal<strong>di</strong><br />
aveva un passato <strong>di</strong> tossico<strong>di</strong>pendenza, era noto alle forze dell’or<strong>di</strong>ne per numerosi reati quali detenzione e<br />
spaccio <strong>di</strong> sostanze stupefacenti e <strong>di</strong>versi furti, ma suo debito con la giustizia era già quasi saldato. Aveva<br />
scontato sette mesi e qualche settimana <strong>di</strong> <strong>carcere</strong> ed, ora, stava per ritornare ad essere un uomo libero, ma<br />
forse la prospettiva <strong>di</strong> tornare in libertà e poter ricadere nell’errore lo ha spinto ad un atto così estremo.<br />
Forse la vita del <strong>carcere</strong>, forse il timore del giu<strong>di</strong>zio degli altri, il rimorso per il dolore provocato ai genitori<br />
hanno soggiogato Antonio, che ha deciso <strong>di</strong> farla finita, con un cappio attorno al collo. Un attimo ed il suo<br />
giovane cuore ha cessato <strong>di</strong> battere. Un attimo ed una famiglia, già tristemente provata, è stata <strong>di</strong>strutta dalla<br />
tragica morte del loro congiunto. (La Città. Quoti<strong>di</strong>ano <strong>di</strong> Salerno, 19 luglio <strong>2002</strong>).<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Suici<strong>di</strong>o: 18 luglio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Sassari<br />
Samuele Catta si impicca con il cavo della televisione in una cella del “San Sebastiano”. Dopo sei mesi <strong>di</strong><br />
indagini il sostituto procuratore Paolo Piras ha ipotizzato, nei confronti del sovrintendente della polizia<br />
penitenziaria C.A., 42 anni, <strong>di</strong> Castelsardo, il reato <strong>di</strong> omici<strong>di</strong>o colposo. Un’accusa molto pesante, che va<br />
oltre quella "tra<strong>di</strong>zionale" <strong>di</strong> negligenza nella sorveglianza, che viene formalizzata solitamente in queste<br />
situazioni. Secondo il titolare dell’inchiesta quel sovrintendente, capoturno al momento della trage<strong>di</strong>a, aveva<br />
avuto un incarico preciso, dopo che il me<strong>di</strong>co del <strong>carcere</strong> aveva <strong>di</strong>sposto nei confronti <strong>di</strong> Samuele Catta la<br />
precauzione dell’altissima sorveglianza. Il giovane, infatti, era stato portato in infermeria dopo un atto <strong>di</strong><br />
autolesionismo e, in quella sede, aveva manifestato propositi suici<strong>di</strong>.<br />
L’or<strong>di</strong>ne era quello <strong>di</strong> condurlo in una cella priva <strong>di</strong> suppellettili, con le quali potesse attuare quei propositi o<br />
anche ripetere gli atti <strong>di</strong> autolesionismo, e venne eseguito: la stanza dove fu condotto, però, aveva il cavo<br />
dell’antenna appeso al muro, anche se a poco più <strong>di</strong> un metro <strong>di</strong> altezza, e Samuele Catta lo usò come<br />
patibolo impiccandosi con una garza. Secondo il magistrato, C.A. avrebbe <strong>di</strong>satteso le <strong>di</strong>sposizioni<br />
provocando così la morte del giovane, sulla quale all’inizio ci furono due teorie: suici<strong>di</strong>o, appunto, o un<br />
tragico scherzo degenerato poi in una trage<strong>di</strong>a. La decisione <strong>di</strong> indagare il capoturno sembra chiaramente<br />
in<strong>di</strong>care che è stato un suici<strong>di</strong>o e che, secondo il magistrato, la morte <strong>di</strong> Samuele Catta si poteva evitare.<br />
L’inchiesta ha avuto così una svolta imprevista, dopo che qualche settimana fa sembrava avviata verso una<br />
semplice archiviazione. L’episo<strong>di</strong>o aveva però suscitato un enorme clamore, sia per la vittima (Samuele<br />
Catta era figlio <strong>di</strong> Marco, il musicista scomparso a causa <strong>di</strong> un’esplosione al centro storico e anche in quel<br />
caso qualcuno parlò <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o), sia perché si trattava del quarto suici<strong>di</strong>o a San Sebastiano nel giro <strong>di</strong> poche<br />
settimane. Il provve<strong>di</strong>tore aveva chiesto più volte l’autorizzazione per un’inchiesta interna, ma la<br />
magistratura l’aveva sempre rifiutata: evidentemente la procura voleva esaminare il caso più da vicino e a<br />
breve ci saranno nuovi sviluppi. (La Nuova Sardegna, 2 febbraio 2003).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 19 luglio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Pavia<br />
G.S., 36 anni, originario <strong>di</strong> Como, muore inalando il gas. Il corpo senza vita è stato trovato verso le 20.<br />
L’ipotesi nettamente prevalente è quella del suici<strong>di</strong>o, anche se non si può escludere che G.S abbia voluto<br />
inalare il gas solo per stor<strong>di</strong>rsi, in un momento particolarmente negativo, e sia stato stroncato dall’eccessiva<br />
quantità respirata. Sempre in base a quanto risulterebbe dai primi accertamenti, G.S. era solo nella sua cella,<br />
quando ha inalato il gas butano contenuto in una bombola, che il regolamento carcerario consente <strong>di</strong><br />
utilizzare per alimentare i fornelli portatili. Il detenuto è stato trovato privo <strong>di</strong> conoscenza: i soccorsi sono<br />
stati attivati imme<strong>di</strong>atamente, ma il me<strong>di</strong>co del 118 non ha potuto fare altro che constatare la morte.<br />
“Era un ragazzo fragile, molto sensibile”. Parla l’avvocato Piercostante Ferrari, che aveva <strong>di</strong>feso G.S. ad un<br />
processo per furto, celebrato il 4 aprile scorso. “Dopo aver commesso qualche errore in passato, aveva<br />
trovato un lavoro e cercava <strong>di</strong> condurre una vita più tranquilla. Finché non ha commesso l’errore che<br />
purtroppo l’ha riportato in <strong>carcere</strong>, con una condanna a due anni e un mese”. “È stata respinta - ricorda il<br />
legale - anche la richiesta <strong>di</strong> semilibertà, che gli avrebbe consentito <strong>di</strong> conservare il lavoro”. (La Provincia<br />
Pavese, 21 luglio <strong>2002</strong>).<br />
Morte per cause non chiare: 22 luglio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne<br />
Sergio Franceschinis, triestino, è stroncato da un infarto mentre consuma il pranzo. (Gazzettino del Friuli, 2<br />
agosto <strong>2002</strong>).<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 22 luglio <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Torino<br />
Fabio Benini, 30 anni, muore per infarto car<strong>di</strong>aco. Era stato trasferito da <strong>di</strong>eci giorni, proveniente dal <strong>carcere</strong><br />
<strong>di</strong> Forlì, al centro psichiatrico del <strong>carcere</strong> “Le Vallette” <strong>di</strong> Torino. Soffriva <strong>di</strong> anoressia, aveva perso 50 kg<br />
negli ultimi mesi, collassava due volte al giorno, l’altra mattina l’hanno trovato morto nel suo letto.<br />
Benini era stato condannato, in primo grado <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio, per l’omici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Daniele Dall’Ara, avvenuto il 14<br />
febbraio 2001 dopo una lite. L’avvocato Veniero Accreman, ha inviato ieri mattina un esposto alla Procura<br />
della Repubblica <strong>di</strong> Torino, chiedendo non solo un responso <strong>di</strong>agnostico sulla morte del suo ex assistito, ma<br />
una vera e propria autopsia. L’autopsia verrà eseguita domani, giovedì.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
“Vogliamo capire - spiega Accreman - se il comportamento me<strong>di</strong>co tenuto nei confronti del detenuto sia<br />
stato conforme alle regole. Ci sarà anche un nostro perito, il professor Francesco Zanetti”.<br />
Secondo la famiglia e i pochi amici che ancora circondavano Benini no, non è stato conforme alle regole,<br />
questo comportamento, e quin<strong>di</strong> non è da escludere in un secondo momento una denuncia contro le autorità<br />
penitenziarie. A più riprese Accreman aveva chiesto una misura detentiva <strong>di</strong>versa dal <strong>carcere</strong> per Fabio: gli<br />
arresti domiciliari, una clinica privata: “Non gliel’hanno mai concessa - piange oggi Giorgio Benini, il padre<br />
- il mio Fabio non si reggeva più in pie<strong>di</strong> e loro avevano paura che scappasse. È una vergogna, ma adesso mi<br />
<strong>di</strong>spiace io non starò più zitto. Non hanno neanche voluto fargli vedere la nonna, che l’aveva cresciuto”.<br />
Il “caso Benini” è finito anche a Palazzo Madama. Il senatore Sauro Turroni (Ver<strong>di</strong>) ha presentato<br />
un’interrogazione al ministero della Giustizia. Turroni chiede, in sostanza: 1) se il ministro ritenga<br />
accettabile che nel <strong>2002</strong> si possa ancora essere lasciati morire in <strong>carcere</strong>, condannati solo in primo grado; 2)<br />
per quale motivo non sono state adottate adeguate misure nei confronti <strong>di</strong> una persona notoriamente malata;<br />
3) perché si è tardato tanto a trasferirlo a Torino; 4) se giunto in Piemonte è stato sottoposto a tutte le cure<br />
necessarie; 5) quali determinazioni il ministro abbia assunto per accertare se da parte della <strong>di</strong>rezione delle<br />
due carceri vi siano stati ritar<strong>di</strong> od omissioni; 6) se il ministro non intende avviare un’inchiesta interna volta<br />
ad accertare eventuali responsabilità. (Il Resto del Carlino, 24 luglio <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 3 agosto <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Bari<br />
Gianluca Frani, 31 anni, paraplegico, si uccide impiccandosi. Una morte “annunciata”, con le lettere scritte<br />
alla famiglia, in cui chiedeva <strong>di</strong> non essere seppellito sotto terra e <strong>di</strong> aver con sé la maglia della sua squadra,<br />
la Roma. L’uomo, che stava scontando una condanna <strong>di</strong> 8 anni e 9 mesi per un cumulo <strong>di</strong> pene relative ad<br />
una serie <strong>di</strong> reati, si è suicidato nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Bari, dove era stato trasferito due anni fa perché paraplegico.<br />
Uno dei pochi istituti <strong>di</strong> pena, secondo il ministero della Giustizia, dotato <strong>di</strong> un centro clinico per gente<br />
malata come lui.<br />
Ma la famiglia accusa: era depresso, veniva curato solo con il valium e nessuno ne ha impe<strong>di</strong>to il suici<strong>di</strong>o.<br />
Come può un carrozzellato - si chiedono i parenti - riuscire ad impiccarsi al tubo dello scarico del water<br />
senza che nessuno si accorga <strong>di</strong> nulla? Gianluca Frani aveva subito una lesione al midollo spinale nel ‘97:<br />
qualcuno gli sparò contro, proprio sotto casa, e man mano le sue con<strong>di</strong>zioni erano peggiorate fino a<br />
costringerlo alla se<strong>di</strong>a a rotelle.<br />
Poi erano andati a stringersi anche i no<strong>di</strong> della giustizia, con l’arresto per il cumulo <strong>di</strong> pena. E il<br />
trasferimento a Bari, dove la famiglia poteva raggiungerlo saltuariamente, aveva acuito la sua malattia fino a<br />
spingerlo alla morte. “Ci siamo costituiti parte civile - <strong>di</strong>ce l’avvocato Luca Colaiacomo, legale della<br />
famiglia Frani - nel proce<strong>di</strong>mento avviato sulla morte, soprattutto per capire la complessa <strong>di</strong>namica dei fatti.<br />
Abbiamo fiducia nell’operato della magistratura, che sta indagando per chiarire quanto è accaduto”. Sotto<br />
sequestro la cella, sentito anche il detenuto che aveva il ruolo “accompagnatore” <strong>di</strong> Gianluca Frani, data la<br />
sua <strong>di</strong>fficoltà a muoversi. E il rammarico della famiglia per il fatto che le richieste <strong>di</strong> avvicinamento a casa<br />
siano sempre state rigettate dal Tribunale <strong>di</strong> Sorveglianza. Certo, le pene detentive vanno scontate, ma<br />
qualcuno doveva accorgersi che in questo caso si era imboccata la via del non ritorno. (Il Messaggero, 9<br />
agosto <strong>2002</strong>)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 3 agosto <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> <strong>Opera</strong> (MI)<br />
A.M., 40 anni, tossico<strong>di</strong>pendente si uccide mentre era in una cella <strong>di</strong> “osservazione”. S’era ripresentato in<br />
<strong>carcere</strong>, non trovandosi bene in una comunità terapeutica. Grazie all’imminente cumulo <strong>di</strong> due pene, tra<br />
meno <strong>di</strong> 2 anni sarebbe uscito. (Corriere della Sera, 6 agosto <strong>2002</strong>).<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 7 agosto <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Vicenza<br />
“Giovane cinese”, detenuto da quasi due mesi, per ricettazione, cerca <strong>di</strong> togliersi la vita per due volte in un<br />
pomeriggio. In entrambe le occasioni viene salvato dall’intervento degli agenti della polizia penitenziaria. Il<br />
primo episo<strong>di</strong>o accade poco prima delle 15.30. Il ragazzo, con un lenzuolo, forma un cappio e tenta <strong>di</strong><br />
impiccarsi alla finestra della cella. La guar<strong>di</strong>a interviene subito e lo blocca. Mezz’ora più tar<strong>di</strong>, il cinese<br />
utilizza del detersivo, in dotazione per la pulizia delle celle. Memori <strong>di</strong> quant’era accaduto poco prima, gli<br />
agenti lo sorvegliano a vista e intervengono accompagnandolo in infermeria. Le sue con<strong>di</strong>zioni fisiche non<br />
sono preoccupanti. Quelle psicologiche, invece, parrebbe <strong>di</strong> sì. (Il Giornale <strong>di</strong> Vicenza, 8 agosto <strong>2002</strong>)<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 8 agosto <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Sanremo (Imperia)<br />
Omar Talala, 35 anni, marocchino, tenta <strong>di</strong> uccidersi bevendo l’intero contenuto <strong>di</strong> una confezione <strong>di</strong><br />
ammorbidente “Coccolino”. Durante il giro d’ispezione notturna gli agenti lo trovano steso a terra, privo <strong>di</strong><br />
sensi, con la bava alla bocca. Ricoverato all’Ospedale citta<strong>di</strong>no e sottoposto a una lavanda gastrica e a terapie<br />
<strong>di</strong>sintossicanti, è fuori pericolo. (La Stampa, 9 agosto <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 9 agosto <strong>2002</strong>, Ospedale Psichiatrico Giu<strong>di</strong>ziario <strong>di</strong> Reggio Emilia<br />
Franco Valinetti, 32 anni, veronese, si impicca in cella. La notizia è data dal cappellano dell’O.P.G., che si<br />
rivolge al vescovo <strong>di</strong> Reggio Emilia, Adriano Caprioli, e al sindaco della città, Antonella Spaggiari, con una<br />
drammatica lettera aperta. In pochi mesi quello <strong>di</strong> Franco Valinetti è il quinto suici<strong>di</strong>o che avviene nella<br />
struttura. (Gazzetta <strong>di</strong> Reggio, 15 agosto <strong>2002</strong>).<br />
Morte per cause non chiare: 13 agosto <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia (Roma)<br />
Massimo De Rossi, 39 anni, tossico<strong>di</strong>pendente, muore nel suo letto e viene trovato senza vita dai compagni<br />
<strong>di</strong> cella, all’alba. Malore, oppure overdose: sono queste le due ipotesi sulla sua morte. Ma neanche<br />
l’autopsia, effettuata all’istituto <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cina legale della Sapienza, ha ancora chiarito le cause: sul corpo<br />
dell’uomo non sono stati trovati segni <strong>di</strong> violenza e sono stati <strong>di</strong>sposti esami tossicologici per capire se si sia<br />
trattato <strong>di</strong> un’overdose. Il primo ad escludere il suici<strong>di</strong>o è il <strong>di</strong>rettore del Nuovo Complesso, Carmelo<br />
Cantone: “Al momento non si può escludere alcuna ipotesi, ma non abbiamo elementi per supporre il<br />
suici<strong>di</strong>o. È stato trovato morto steso nel suo letto, non aveva segni <strong>di</strong> violenza, né ha lasciato lettere. Poi<br />
sarebbe stato scarcerato il prossimo febbraio”. L’associazione Papillon chiede <strong>di</strong> chiarire i motivi della<br />
morte, sostenendo che “È ugualmente grave sia se Massimo è morto per overdose, per l’assunzione <strong>di</strong> un mix<br />
<strong>di</strong> droghe, o a causa delle carenze del sistema sanitario”. (Il Nuovo on line, 23 agosto <strong>2002</strong>).<br />
Morte per cause non chiare: 16 agosto <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Poggioreale (Napoli)<br />
Vittorio Montescuro, 39 anni, muore in <strong>carcere</strong> 9 giorni prima del termine della pena. Il fratello lo scopre<br />
solo dopo <strong>di</strong>versi giorni, quando già stavano eseguendo l’autopsia. Sulla vicenda - resa nota ieri<br />
dall’avvocato Vittorio Trupiano, che ha raccolto la denuncia dell’uomo - la Procura della Repubblica <strong>di</strong><br />
Napoli aveva già aperto un’inchiesta giu<strong>di</strong>ziaria. La scoperta del decesso sarebbe stata fatta da due detenuti<br />
<strong>di</strong> colore. Nessuno degli organi preposti, secondo Carmine Montescuro, lo avrebbe però avvertito della morte<br />
<strong>di</strong> suo fratello, e la notizia sarebbe arrivata tre giorni dopo, grazie ad alcuni conoscenti. Nessuno gli avrebbe<br />
inoltre detto se il fratello si sia suicidato, se è morto per cause naturali, o se è stato ucciso. Quando si è<br />
rivolto ai carabinieri della caserma Arenaccia, per chiedere spiegazioni, afferma Montescuro nella denuncia,<br />
i militari gli avrebbero risposto che lo avevano cercato già una volta e che “non erano dei postini”. Nella<br />
denuncia Montescuro ha scritto <strong>di</strong> aver “trovato il corpo <strong>di</strong> Vittorio sottoposto ad autopsia e immerso in una<br />
vasca piena d’acqua gelida, con il torace aperto in due”. (Il Mattino, 30 agosto <strong>2002</strong>).<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 30 agosto <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> San Gimignano (Siena)<br />
F.S., 35 anni, <strong>di</strong> origine nordafricana, cerca <strong>di</strong> togliersi la vita, probabilmente con un vetro o una specie <strong>di</strong><br />
lametta, tagliuzzandosi entrambi i polsi. I compagni <strong>di</strong> cella sono i primi ad accorgersi delle ferite. Lo<br />
straniero è subito soccorso dagli agenti, per le prime cure, poi viene trasferito al pronto soccorso <strong>di</strong><br />
Campostaggia. Non si conoscono i motivi all’origine del <strong>di</strong>sperato gesto: depressione o trasferimento<br />
negato? (La Nazione, 31 agosto <strong>2002</strong>)<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 2 settembre <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Forlì<br />
Umberto Tubelli, 54 anni, muore durante la notte nel letto della sua cella. Una morte che scotta. Per vari<br />
motivi. Di certo perché s’è subito innescata un’inchiesta giu<strong>di</strong>ziaria, coor<strong>di</strong>nata dal sostituto procuratore<br />
Filippo Santangelo. Che ha <strong>di</strong>sposto l’autopsia al cadavere <strong>di</strong> Tubelli, che pare soffrisse <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi <strong>di</strong>sturbi da<br />
alcuni giorni: avrebbe pure chiesto <strong>di</strong> uscire per essere visitato e curato adeguatamente fuori dal <strong>carcere</strong>.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Permesso non concesso. Ci sarebbero comunque già degli indagati. Il riserbo è massimo. Tutti si tengono in<br />
equilibrio sopra evasivi “non so”.<br />
L’autopsia sarà, comunque, un passo decisivo per stabilire eventuali responsabilità <strong>di</strong> questa morte. L’esame<br />
dovrebbe stabilire le esatte cause della morte. E da lì sarebbe poi possibile risalire ad eventuali<br />
responsabilità. Tuttavia, co<strong>di</strong>ce alla mano, sarebbero già partite informazioni <strong>di</strong> garanzia. E questo perché<br />
l’autopsia giu<strong>di</strong>ziaria è considerata dalla legge un “accertamento tecnico non ripetibile”: in previsione <strong>di</strong> un<br />
eventuale processo, è stabilito che i probabili soggetti imputabili siano già in<strong>di</strong>viduati con nomi e cognomi<br />
per poter essere presenti all’accertamento e potersi quin<strong>di</strong> successivamente <strong>di</strong>fendere. Chi e quanti siano gli<br />
indagati non è però ancora chiaro. (Il Resto del Carlino, 4 settembre <strong>2002</strong>).<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 7 settembre <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia (Roma)<br />
S.P., car<strong>di</strong>opatico, muore per una crisi respiratoria. È il terzo morto, in poche settimane, a Rebibbia. La<br />
denuncia arriva dell’Associazione Papillon: ci sarebbero stati ritar<strong>di</strong> nella somministrazione<br />
dell’ossigenoterapia, <strong>di</strong> cui l’uomo aveva bisogno. “La cosa più incre<strong>di</strong>bile è che tutto questo è accaduto<br />
durante la visita <strong>di</strong> due rappresentanti politici, Deiana e Bonadonna, del PRC - afferma Vittorio Antonimi, <strong>di</strong><br />
Papillon – e la <strong>di</strong>rezione, che li accompagnava, ha fatto in modo che i due non si accorgessero <strong>di</strong> nulla”.<br />
Sulla vicenda è intervenuto anche il deputato verde Paolo Cento, vicepresidente della Commissione Giustizia<br />
della Camera: “Stamane mi sono recato in visita a Rebibbia e sono venuto a sapere <strong>di</strong> quello che è successo.<br />
Presenterò un’interrogazione parlamentare su questa grave vicenda”. (Il Nuovo on line, 8 settembre <strong>2002</strong>).<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 23 settembre <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Pisa<br />
Adolfo Nocchi, 30 anni, muore durante la notte. Era arrivato a Pisa da poco, dal <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Livorno. A<br />
stroncarlo, pare nel sonno, sarebbe stato un infarto: la salma però è stata composta all’istituto <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cina<br />
legale dell’università, a <strong>di</strong>sposizione dell’autorità giu<strong>di</strong>ziaria. Sarà sottoposta ad autopsia. Il giovane, un<br />
passato purtroppo legato alla tossico<strong>di</strong>pendenza, potrebbe avere avuto un malessere, culminato nell’attacco<br />
car<strong>di</strong>aco che ha posto fine alla sua esistenza. (Il Tirreno, 24 settembre <strong>2002</strong>).<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 5 ottobre <strong>2002</strong>, Ospedale “Fazzi” <strong>di</strong> Lecce<br />
Sotaj Satoj, 40 anni, albanese, muore nel reparto Rianimazione dell’Ospedale <strong>di</strong> Lecce dopo tre mesi <strong>di</strong><br />
sciopero della fame. Gli agenti continuano a piantonarlo per ore, da morto: credevano fosse un éscamotage<br />
per tentare la fuga. Era arrivato in Italia su un gommone, attraversando il Canale <strong>di</strong> Otranto. All’arrivo aveva<br />
trovato la Guar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Finanza, che non aveva creduto fosse un “semplice” clandestino, sbarcato assieme ad<br />
altri 50, e che aveva pagato circa duemila dollari agli scafisti. Sul gommone c’era della droga e lui era stato<br />
arrestato, assieme ad altri sei connazionali, per associazione a delinquere finalizzata al traffico <strong>di</strong><br />
stupefacenti. Per riba<strong>di</strong>re la sua innocenza aveva deciso <strong>di</strong> adottare l’unica forma <strong>di</strong> protesta possibile: lo<br />
sciopero della fame. “Sono turbata e amareggiata – ha detto il suo <strong>di</strong>fensore, l’avvocato D’Amuri – perché la<br />
magistratura non si è resa conto della gravità della situazione. Avevo chiesto da tempo una perizia me<strong>di</strong>ca.<br />
Quell’uomo, colpevole o innocente che fosse, si è consumato come una candela, arrivando a perdere tutte le<br />
<strong>di</strong>fese immunitarie. Qualcuno avrebbe dovuto impe<strong>di</strong>re che arrivasse a quel punto. Mi resta l’amaro dubbio<br />
che, se fosse stato italiano, la storia <strong>di</strong> Sotaj non sarebbe finita così”. (Il Manifesto, 6 ottobre <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 6 ottobre <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Cagliari<br />
Paolo Santona, 48 anni, cagliaritano, collaboratore <strong>di</strong> giustizia, si impicca. È ancora vivo, quando gli agenti<br />
lo soccorrono, ma il loro intervento non serve a nulla: asfissia da soffocamento, sentenzia il me<strong>di</strong>co legale.<br />
Stava scontando una condanna <strong>di</strong> tre anni, per droga. Non era ritenuto “pericoloso” né era tossico<strong>di</strong>pendente.<br />
Sembra, ad<strong>di</strong>rittura, che avesse da poco superato senza problemi il test con la psicologa del <strong>carcere</strong>,<br />
nell’ipotesi <strong>di</strong> essere assegnato in affidamento ai servizi sociali. Sul tragico episo<strong>di</strong>o la Procura ha aperto<br />
un’inchiesta. (L’Unione Sarda, 9 ottobre <strong>2002</strong>).<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Suici<strong>di</strong>o: 7 ottobre <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Cagliari<br />
Sandro Fanari, 45 anni, si uccide poco prima dell’alba. Gli agenti <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a lo trovano agonizzante nel<br />
bagno della cella, con il capo infilato in un cappio ru<strong>di</strong>mentale legato alla finestrella. Il giovane viene subito<br />
trasportato nel Centro Clinico, ma tutto è inutile. “Direi che era un detenuto abbastanza tranquillo - ha<br />
commentato il <strong>di</strong>rettore Gianfranco Pala - e questo ci <strong>di</strong>spiace molto. Stava in una stanza doppia, quin<strong>di</strong><br />
lontano dall’affollamento <strong>di</strong> cui si parla. Né aveva denunciato malattie. Purtroppo, sono gesti impreve<strong>di</strong>bili,<br />
su cui non si può <strong>di</strong>re molto”. (L’Unione Sarda, 9 ottobre <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 17 ottobre <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Marassi (Genova)<br />
R.F., 33 anni, genovese, ex tossico<strong>di</strong>pendente e malato <strong>di</strong> AIDS, si è uccide mettendosi un sacchetto <strong>di</strong><br />
plastica in testa e aprendo la bomboletta <strong>di</strong> gas per cucinare. Era ricoverato nel reparto malattie infettive del<br />
<strong>carcere</strong>. Il suo compagno <strong>di</strong> cella si è svegliato per il forte odore <strong>di</strong> gas, ha visto la scena e ha chiesto aiuto.<br />
Inutili sono stati i tentativi <strong>di</strong> rianimazione. Il PM Nicola Piacente ha <strong>di</strong>sposto l’autopsia. È il terzo suici<strong>di</strong>o,<br />
in poco tempo, che avviene nel reparto infettivi <strong>di</strong> Marassi. R.F. faceva il falegname e come hobby suonava<br />
il basso. La musica era la sua grande passione. Aveva grossi problemi caratteriali ed era ben conosciuto dai<br />
servizi sociali. (Libertà – Quoti<strong>di</strong>ano <strong>di</strong> Piacenza, 18 ottobre <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 24 ottobre <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Sondrio<br />
Roberto Mainetti, 22 anni, si impicca in cella. Doveva scontare una condanna a <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> reclusione, con<br />
l’accusa <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci tentati omici<strong>di</strong>. Il giovane, assieme ad un coetaneo (condannato a otto anni), era stato<br />
ritenuto autore <strong>di</strong> numerosi lanci <strong>di</strong> sassi dai cavalcavia della Valtellina. (Messaggero Veneto, 25 ottobre<br />
<strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 30 ottobre <strong>2002</strong>, Carcere del Piemonte (?)<br />
Maurizio Blancato, 26 anni, collaboratore <strong>di</strong> giustizia, si impicca. Era legato a un clan mafioso catanese e, lo<br />
scorso anno, aveva chiesto <strong>di</strong> parlare con il sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia,<br />
Francesco Puleio, che ha coor<strong>di</strong>nato le indagini contro la mafia della zona <strong>di</strong> Calatabiano, cominciando così<br />
la sua collaborazione. Era stato più volte preso a verbale, ma ancora la sua collaborazione non era<br />
considerata del tutto convinta. Forse doveva raccontare altro, forse doveva alzare il tiro per narrare le<br />
conoscenze che aveva in seno al sodalizio criminale dove era considerato “picciotto” <strong>di</strong> rilevo. Ma, da<br />
qualche mese, Maurizio Blancato era caduto in depressione. Era rimasto in un <strong>carcere</strong> del Piemonte, mentre<br />
ai suoi parenti era stata data la protezione, affidata ai carabinieri. Ha avuto un crollo psicologico e non<br />
parlava più con nessuno. Si sentiva abbandonato ed era in crisi poiché era ancora ristretto in <strong>carcere</strong>, pare lo<br />
stesso dove qualche anno ad<strong>di</strong>etro si è suicidato - sempre impiccandosi - un altro collaboratore <strong>di</strong> giustizia<br />
catanese. (Gazzetta del Sud, 31 ottobre <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 2 novembre <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Ancona<br />
Alfredo Vargas Sanchez, peruviano, muore all’ospedale <strong>di</strong> Ancona, dopo essersi impiccato in cella. Era in<br />
<strong>carcere</strong> da circa un mese, prima a Camerino, dove aveva compiuto gesti autolesionistici e tentato il suici<strong>di</strong>o,<br />
poi nella casa circondariale <strong>di</strong> Ancona, dove si è impiccato, legando un lenzuolo alle sbarre della finestra<br />
della cella. Gli agenti gli hanno praticato il massaggio car<strong>di</strong>aco, facendolo poi trasportare in ospedale, ma<br />
nonostante le cure l’uomo è deceduto. Era ricercato per un omici<strong>di</strong>o commesso in Perù (secondo l’accusa,<br />
avrebbe ucciso un connazionale durante una rissa in un bar) però era regolarmente in Italia e lavorava, come<br />
badante, a Macerata. (Il Messaggero, 3 novembre <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 11 novembre <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> San Vittore (Milano)<br />
Eugenio Po<strong>di</strong>o, 44 anni, si impicca nella sua cella. Doveva essere trasferito, entro pochi giorni, nell’Ospedale<br />
Psichiatrico Giu<strong>di</strong>ziario <strong>di</strong> Reggio Emilia. Aveva annunciato agli psichiatri che avrebbe ucciso il figlio <strong>di</strong> 6<br />
anni e ha mantenuto la parola. Poi ha annunciato che si sarebbe tolto la vita e, anche in questo caso, è stato<br />
sincero. L’omici<strong>di</strong>o risale a maggio, quando Po<strong>di</strong>o, in preda ad una crisi mistica, soffocò con un cuscino il<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
figlio Nitai, coprendo poi il corpo con immagini <strong>di</strong> <strong>di</strong>vinità indù. Giu<strong>di</strong>cato seminfermo <strong>di</strong> mente, era stato<br />
destinato all’O.P.G. <strong>di</strong> Reggio Emilia, per essere sottoposto a una terapia, ma anche per poter essere<br />
controllato più agevolmente, visto l’annuncio dei proponimenti suici<strong>di</strong>. (Gazzetta <strong>di</strong> Reggio, 13 novembre<br />
<strong>2002</strong>).<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 15 novembre <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Como<br />
Un romeno, <strong>di</strong> 27 anni, è ricoverato in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>sperate nel reparto rianimazione dell’ospedale<br />
“Sant’Anna”, dopo che ha tentato <strong>di</strong> togliersi la vita impiccandosi nel bagno della cella. Se ne sono accorte le<br />
guar<strong>di</strong>e carcerarie, nel momento in cui hanno fatto la conta dei detenuti. Il giovane romeno non ha risposto<br />
all’appello. Oltre agli agenti <strong>di</strong> polizia penitenziaria, a soccorrere il ventisettenne, in <strong>carcere</strong> dall’agosto<br />
scorso per scontare un anno <strong>di</strong> reclusione per rapina, sono stati anche gli altri detenuti della sezione. (Il<br />
Giorno, 19 novembre <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 25 novembre <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Bologna<br />
L. Celeste, 27 anni, tossico<strong>di</strong>pendente, si infila in testa un sacchetto <strong>di</strong> plastica e poi si impicca. Era entrato<br />
alla “Dozza” solo due giorni prima, rimesso in <strong>carcere</strong> perché aveva contravvenuto agli arresti domiciliari, in<br />
attesa <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio per furto e rapina. Per essere sicuro <strong>di</strong> farla finita, il giovane si è messo un sacco in testa,<br />
poi si è legato una corda al collo e si è impiccato. La fune, oltre alla gola, gli stringeva addosso il sacco <strong>di</strong><br />
cellophane. Neppure un filo d’aria per lui. A trovarlo ciondolante è stato un agente della polizia<br />
penitenziaria. Ha aperto l’uscio della prigione in fretta, ha preso quel corpo penzoloni per le gambe e l’ha<br />
sollevato con forza, chiedendo aiuto ai colleghi. Purtroppo non è servito. Al pa<strong>di</strong>glione giu<strong>di</strong>ziario del<br />
<strong>carcere</strong> della “Dozza”, secondo piano, sono accorsi in tanti, ma per Celeste nessuna speranza <strong>di</strong> ripigliare<br />
fiato. È arrivato anche un me<strong>di</strong>co, vana anche la sua corsa. Il detenuto era già morto per asfissia. Ai<br />
soccorritori allora non è rimasto altro da fare che avvisare il P.M. <strong>di</strong> turno, Walter Giovannini, che è<br />
imme<strong>di</strong>atamente andato in <strong>carcere</strong> per il sopralluogo. Nessuno, almeno all’inizio, poteva escludere, ad<br />
esempio, l’omici<strong>di</strong>o del giovane, eventualità poi risultata priva <strong>di</strong> ogni fondamento. (Il Resto del Carlino, 26<br />
novembre <strong>2002</strong>).<br />
Morte per cause non chiare: 27 novembre <strong>2002</strong>, Questura <strong>di</strong> Roma<br />
Maurizio Scandura, 28 anni, tossico<strong>di</strong>pendente, muore nella camera <strong>di</strong> sicurezza <strong>di</strong> una Questura. Era stato<br />
arrestato al termine <strong>di</strong> un inseguimento in moto culminato con una caduta, sua e dei due poliziotti che<br />
cercavano <strong>di</strong> fermarlo. Dopo la caduta dalle rispettive moto sia Scandura sia i poliziotti erano stati me<strong>di</strong>cati<br />
in ospedale e il giovane era stato <strong>di</strong>messo con una prognosi <strong>di</strong> sette giorni, dopo che la TAC non aveva<br />
in<strong>di</strong>viduato alcun problema neurologico. Dopo essere stato portato in Questura, visto il suo stato molto<br />
agitato, aveva ottenuto una dose <strong>di</strong> metadone, somministrata da un me<strong>di</strong>co <strong>di</strong> Villa Maraini (associazione che<br />
a Roma si occupa del recupero dei tossico<strong>di</strong>pendenti). La sera aveva avuto anche una dose <strong>di</strong> Valium,<br />
prescritta dallo stesso me<strong>di</strong>co <strong>di</strong> Villa Maraini e poi, per tutta la nottata, sembrava essersi tranquillizzato.<br />
Invece la mattina seguente i due agenti che avrebbero dovuto scortarlo in Procura, per il processo per<br />
<strong>di</strong>rettissima, lo hanno trovato morto. Imme<strong>di</strong>ata è stata l’apertura <strong>di</strong> un’inchiesta e l’avvio degli accertamenti<br />
me<strong>di</strong>co-legali, che nella stessa giornata hanno escluso ogni dubbio e ogni incertezza sulla morte <strong>di</strong> Maurizio<br />
Scandura. È morto per arresto car<strong>di</strong>ocircolatorio, forse provocato anche dalla sua mole – circa 130 chili – e<br />
non ci sono elementi che possono far pensare a fatti traumatici che abbiano determinato il decesso. (L’Eco <strong>di</strong><br />
Bergamo, 29 novembre <strong>2002</strong>).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 29 novembre <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Voghera<br />
S.A., 30 anni, marocchino, si impicca in cella, dopo aver legato un laccio <strong>di</strong> scarpe alla maniglia del bagno.<br />
Una fine orribile e in qualche modo inspiegabile, se la si collega al regime <strong>di</strong> detenzione, visto che il giovane<br />
nordafricano avrebbe finito <strong>di</strong> scontare la pena fra pochi mesi: sarebbe tornato in libertà nel luglio 2003. A<br />
nulla sono valsi i tentativi <strong>di</strong> salvarlo messi in atto dai rianimatori del 118. Il suici<strong>di</strong>o è avvenuto appena tre<br />
giorni dopo l’inse<strong>di</strong>amento ufficiale del nuovo <strong>di</strong>rettore, Roberto Festa, subentrato a Massimo Parisi. (La<br />
Provincia Pavese, 1 <strong>di</strong>cembre <strong>2002</strong>).<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Suici<strong>di</strong>o: 4 <strong>di</strong>cembre <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Modena<br />
Maria Laurence Savy, belga, claustrofobica, si impicca tre giorni dopo l’arresto. Era detenuta al “Sant’Anna”<br />
dopo essere stata arrestata per aver portato a Modena dal Belgio, insieme al marito, cinque chili <strong>di</strong> cocaina:<br />
lascia in Belgio una figlia 16enne e un figlio <strong>di</strong> 31 anni. La donna, incensurata, ha approfittato <strong>di</strong> trovarsi da<br />
sola nella cella per impiccarsi alla finestra con un lenzuolo. Un modo <strong>di</strong> togliersi la vita che non lascia<br />
scampo. E, infatti, i sorveglianti, che hanno trovato il suo corpo alle 19, quando il dramma si era appena<br />
consumato, nulla hanno potuto per soccorrerla. La donna non aveva mostrato in precedenza alcun segno <strong>di</strong><br />
depressione. Il marito, Nello Cremonesi, ha <strong>di</strong>chiarato che la moglie al momento dell’arresto ha scritto <strong>di</strong> suo<br />
pugno una <strong>di</strong>chiarazione, nella quale elencava i propri problemi <strong>di</strong> salute. La lettera, scritta in francese,<br />
sarebbe poi stata tradotta e letta. La stessa traduttrice - secondo le <strong>di</strong>chiarazioni <strong>di</strong> Cremonesi - avrebbe poi<br />
consigliato alla Savy <strong>di</strong> consegnarne una copia all’infermeria del <strong>carcere</strong>. Esiste davvero questo documento?<br />
Dov’è finito? L’interprete può confermare? È stato consegnato ai responsabili del “Sant’Anna”, agenti <strong>di</strong><br />
polizia penitenziaria o personale me<strong>di</strong>co? In caso affermativo, la successiva domanda sarà: la detenzione per<br />
tre giorni in cella singola e senza sorveglianza continua era compatibile con la claustrofobia e gli altri<br />
eventuali <strong>di</strong>sturbi <strong>di</strong>chiarati dalla donna? (Il Resto del Carlino, 6 <strong>di</strong>cembre <strong>2002</strong>).<br />
Overdose: 6 <strong>di</strong>cembre <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Busto Arsizio<br />
Ventottenne <strong>di</strong> Busto Arsizio, muore per overdose. La notizia del decesso è trapelata solo ieri, dopo che sono<br />
state chiarite le cause <strong>di</strong> un episo<strong>di</strong>o apparso, a prima vista, inspiegabile, e che riapre il <strong>di</strong>battito sul clima e<br />
sui <strong>di</strong>sagi che accompagnano la vita nelle carceri. La vittima era finita <strong>di</strong>etro le sbarre da poche settimane,<br />
per scontare una condanna <strong>di</strong>venuta definitiva <strong>di</strong> 4 mesi, per spaccio <strong>di</strong> stupefacenti. Il giovane è stato<br />
trovato senza vita dai compagni <strong>di</strong> cella: si era pensato, sulle prime, a un decesso per cause naturali,<br />
comunque anomale in un uomo <strong>di</strong> 28 anni, ma in seguito l’esame del cadavere ha permesso <strong>di</strong> svelare la<br />
verità: sulle braccia del detenuto c’erano i segni <strong>di</strong> una iniezione recente, anche se in cella non sarebbero<br />
state ritrovate tracce <strong>di</strong> stupefacenti.<br />
L’overdose sarebbe stata confermata anche da alcune analisi, effettuate assieme all’autopsia sul corpo della<br />
vittima. Il sostituto procuratore <strong>di</strong> Busto Arsizio, Roberto Craveia, ha avviato imme<strong>di</strong>ati controlli: resta da<br />
capire come sia stato possibile che dosi <strong>di</strong> droga siano “filtrate” nel <strong>carcere</strong>. Sono già stati interrogati gli<br />
agenti <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>a, il magistrato non ha escluso nelle prossime ore l’invio <strong>di</strong> informazioni <strong>di</strong> garanzia.<br />
(Corriere della Sera, 10 <strong>di</strong>cembre <strong>2002</strong>).<br />
Morte per cause non chiare: 25 <strong>di</strong>cembre <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Regina Coeli (Roma)<br />
Marco Russo, 25 anni, tossico<strong>di</strong>pendente, muore nel pomeriggio del giorno <strong>di</strong> Natale, inalando il gas <strong>di</strong> una<br />
bomboletta da campeggio. Il giovane, nel tentativo <strong>di</strong>sperato <strong>di</strong> drogarsi con il gas, si è intontito fino al punto<br />
<strong>di</strong> cadere a terra. È stato soccorso da un agente e poi dal me<strong>di</strong>co del <strong>carcere</strong>, ma purtroppo non c’è stato<br />
niente da fare. Non era la prima volta che M.R. faceva ricorso al gas pur <strong>di</strong> riuscire ad estraniarsi dalla realtà<br />
della prigione. Proprio per questo gli era proibito sia <strong>di</strong> acquistare che <strong>di</strong> tenere le bombolette, usate<br />
normalmente dai detenuti per scaldare i pasti. Inoltre su <strong>di</strong> lui era stata <strong>di</strong>sposta una maggiore sorveglianza.<br />
Ma il giorno <strong>di</strong> Natale, forse proprio per la festività, il livello <strong>di</strong> attenzione deve essere sceso e M.R. è<br />
riuscito a procurarsi la bomboletta che gli è stata fatale. La Procura <strong>di</strong> Roma ha aperto un’inchiesta e<br />
<strong>di</strong>sposto l’autopsia. (Il Messaggero, 27 <strong>di</strong>cembre <strong>2002</strong>).<br />
Overdose: 30 <strong>di</strong>cembre <strong>2002</strong>, Carcere <strong>di</strong> Isernia<br />
Nicola Caramanico, 30 anni, muore dopo essersi iniettato una dose <strong>di</strong> eroina, che gli sarebbe stata consegnata<br />
durante l’ultimo incontro con la moglie, il giorno precedente la morte. A lei, Romina Graziani, il magistrato<br />
titolare dell’inchiesta contesta i reati <strong>di</strong> omici<strong>di</strong>o colposo e cessione <strong>di</strong> sostanze stupefacenti. Ma la procura<br />
della Repubblica ipotizza anche il reato <strong>di</strong> favoreggiamento, al momento a carico <strong>di</strong> ignoti. Di questa<br />
seconda accusa potrebbero essere chiamati a rispondere alcuni degli agenti del servizio <strong>di</strong> vigilanza del<br />
<strong>carcere</strong>, se dovesse emergere che non sono state rispettate le norme in materia <strong>di</strong> controllo durante le visite ai<br />
detenuti o nelle celle. In qualche modo quin<strong>di</strong> sul banco degli accusati finirà l’intera struttura carceraria,<br />
definita quasi modello fino a pochi giorni fa ma, evidentemente, con qualche grave inadeguatezza nel<br />
sistema <strong>di</strong> sorveglianza. Nel tardo pomeriggio <strong>di</strong> ieri, intanto, si è svolta l’autopsia sul cadavere del giovane,<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
le cui risultanze ufficiali saranno note solo fra alcune settimane, ma che avrebbe sostanzialmente confermato<br />
la prima ipotesi, avanzata dal me<strong>di</strong>co del <strong>carcere</strong> subito dopo la scoperta del cadavere, accanto al quale<br />
c’erano un cucchiaino annerito dal fuoco e una siringa, cioè una crisi car<strong>di</strong>orespiratoria causata da<br />
assunzione <strong>di</strong> stupefacenti. Le analisi <strong>di</strong> laboratorio <strong>di</strong>ranno poi se la crisi è stata “naturale” o provocata da<br />
sostanze da taglio. Il giovane recluso, che doveva scontare due anni per reati connessi con lo spaccio, era<br />
stato trasferito ad Isernia da poco più <strong>di</strong> tre mesi. Nell’istituto molisano il giovane sembra avesse tenuto un<br />
atteggiamento tranquillo, pur senza nascondere il malumore per la <strong>di</strong>stanza da casa e quin<strong>di</strong> le poche<br />
opportunità <strong>di</strong> incontro con la moglie, con la quale un anno e mezzo fa <strong>di</strong>ede vita a una protesta per chiedere<br />
un alloggio. (Il Centro. Quoti<strong>di</strong>ano dell’Abruzzo, 31 <strong>di</strong>cembre <strong>2002</strong>).<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003<br />
Suici<strong>di</strong>, assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata, morti per cause non chiare, episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> overdose<br />
I detenuti morti nell’anno 2003<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 2 gennaio 2003, Carcere <strong>di</strong> Catania<br />
Salvatore Gravina, 30 anni, ex collaboratore <strong>di</strong> giustizia, è ricoverato in coma profondo al reparto <strong>di</strong><br />
Rianimazione del Policlinico universitario. Avrebbe tentato il suici<strong>di</strong>o, per impiccagione, mentre si trovava<br />
all’interno della casa circondariale: non è sopraggiunta la morte cerebrale ma la speranza <strong>di</strong> un recupero è<br />
quasi inesistente, anche perché il danno provocato dalla momentanea mancanza d’ossigeno è stato devastante<br />
per il suo organismo.<br />
Cosa è successo quel pomeriggio? Gravina è stato “avvicinato” da qualcuno oppure - e sembra questa<br />
l’ipotesi più probabile -, ha tentato il suici<strong>di</strong>o? Era sottoposto ad un regime <strong>di</strong> sorveglianza specifico? C’è un<br />
retroscena che porta alla sua “carriera” precedente? Ha influito, nella sua situazione psicologica, il<br />
trasferimento <strong>di</strong> reparto - all’interno del Centro Clinico del <strong>carcere</strong> - dalla Me<strong>di</strong>cina alla Chirurgia? Non ci<br />
sono ancora risposte a questi interrogativi, ma con tutta probabilità saranno chiariti dall’inchiesta interna e<br />
dagli accertamenti <strong>di</strong>sposti in Procura dal magistrato <strong>di</strong> turno. (Gazzetta del Sud, 4 gennaio 2003)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 4 gennaio 2003, I.P.M. Casal del Marmo (Roma)<br />
Nell’Istituto Penale per Minori <strong>di</strong> Casal del marmo un ragazzo si uccide. La <strong>di</strong>rettrice ne parla a fatica. “È<br />
stato terribile, è accaduto all’improvviso, senza che quel ragazzo ci avesse mai dato modo <strong>di</strong> capire a che<br />
punto fosse arrivata la sua <strong>di</strong>sperazione. Non riesco a perdonarmelo”. (La Stampa, 9 gennaio 2003).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 9 gennaio 2003, Carcere <strong>di</strong> Castrovillari (Cosenza)<br />
Ilir Kakri, 38 anni, albanese, si impicca durante la notte. A scoprire il corpo dell’uomo sono gli agenti <strong>di</strong><br />
polizia penitenziaria che, all’ora della sveglia, trovano l’albanese ormai privo <strong>di</strong> vita. Ilir Kakri era stato<br />
arrestato nei primi giorni dello scorso mese <strong>di</strong> ottobre, a La Spezia, dove era “emigrato” da oltre un anno per<br />
sfuggire a un’or<strong>di</strong>nanza cautelare emessa dal GIP <strong>di</strong> Castrovillarri, Assunta Napoliello, su richiesta del PM<br />
Livio Cristofano. Dopo l’arresto l’uomo era stato condannato, col rito abbreviato, a quattro anni e otto mesi<br />
per un tentato omici<strong>di</strong>o perpetrato nell’aprile del 2001 nella citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> Firmo. La salma dell’uomo è stata<br />
trasportata nell’obitorio dell’ospedale civile <strong>di</strong> Castrovillari, dove sarà sottoposta ad esame autoptico che<br />
stabilirà le effettive cause del decesso. Sul caso è stata aperta un’inchiesta della magistratura per accertare le<br />
modalità del suici<strong>di</strong>o e, nello stesso tempo, chiarire i motivi che hanno spinto l’albanese nel portare a<br />
compimento un gesto così <strong>di</strong>sperato. Ricor<strong>di</strong>amo che, dal 2000 ad oggi, è il terzo suici<strong>di</strong>o che avviene nella<br />
casa circondariale castrovillarese. (Gazzetta del Sud, 10 gennaio 2003).<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 14 gennaio 2003, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia (Roma)<br />
Clau<strong>di</strong>o M. muore durante la notte nella Sezione d’Osservazione Psichiatrica. L’Associazione “Papillon”<br />
accusa la gestione del reparto: “Niente permessi premio e poca assistenza sanitaria: questi ragazzi devono<br />
essere assistiti e curati, non solo contenuti”. (Corriere della Sera, 18 gennaio 2003).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 21 gennaio 2003, Carcere <strong>di</strong> Cagliari<br />
Alessio Inconis, 25 anni, si impicca in un gabinetto del <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Buoncammino servendosi <strong>di</strong> un<br />
asciugamano. Ci aveva provato già un mese ad<strong>di</strong>etro, con la stessa tecnica. Finito alla rianimazione del<br />
“Santissima Trinità”, l’avevano salvato per un pelo. Tossico<strong>di</strong>pendente, carattere piuttosto ingovernabile,<br />
Inconis stava scontando una condanna a un anno e otto mesi per furto ed estorsione.<br />
Sarebbe uscito a marzo. Ma era da tempo che mostrava segni d’inquietu<strong>di</strong>ne, sfociati giorno per giorno in<br />
episo<strong>di</strong> manifesti <strong>di</strong> autolesionismo. Dopo il tentativo <strong>di</strong> un mese fa i me<strong>di</strong>ci del <strong>carcere</strong> avevano chiesto e<br />
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ottenuto per lui il regime <strong>di</strong> stretta sorveglianza: due detenuti - pagati per questo - lo piantonavano a tempo<br />
pieno, seguendolo ovunque andasse. Nel giro <strong>di</strong> quattro settimane l’avevano sentito tre volte gli psichiatri del<br />
penitenziario e altrettante gli operatori del Ser.T.: rispondeva, ma si lamentava genericamente <strong>di</strong> tutto.<br />
Domenica 19 sembrava tranquillo, era in cella insieme ad altri detenuti. Ha chiesto <strong>di</strong> andare al bagno,<br />
l’hanno accompagnato i suoi due angeli custo<strong>di</strong>. S’è chiuso dentro, accostando la porta: i minuti passavano e<br />
Alessio non veniva fuori. L’hanno chiamato, non rispondeva. Non restava che entrare. Brutto spettacolo:<br />
s’era appeso alle sbarre, annodando un asciugamano. I due piantoni l’hanno tirato giù, uno ha urlato <strong>di</strong><br />
chiamare il me<strong>di</strong>co. Ma quando sono riusciti ad adagiarlo sul lettino dell’infermeria Alessio Inconis non<br />
respirava più. Tempo un’ora e sono arrivati a Buoncammino il magistrato <strong>di</strong> turno e il me<strong>di</strong>co legale,<br />
Giuseppe Paribello.<br />
Ispezione del corpo, in attesa della perizia. Tutto chiaro: suici<strong>di</strong>o per auto-strangolamento. Difficile che<br />
l’inchiesta giu<strong>di</strong>ziaria aperta dalla Procura della Repubblica possa aggiungere altro. Il solo interrogativo<br />
riguarda “l’uscita” della notizia: a <strong>di</strong>ffonderla sono stati il segretario regionale dei Ra<strong>di</strong>cali e i consiglieri<br />
regionali del gruppo <strong>di</strong>essino, in una conferenza stampa. Nessuno, tantomeno il <strong>di</strong>rettore del <strong>carcere</strong><br />
Gianfranco Pala, aveva pensato <strong>di</strong> trasmettere una nota alle agenzie <strong>di</strong> stampa. Al contrario, sembrerebbe che<br />
la <strong>di</strong>rezione abbia provato a tenere la cosa sotto silenzio: tre suici<strong>di</strong> in tre mesi sono troppi, anche per un<br />
girone infernale com’è considerato il <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Buoncammino. Dove ora tira aria <strong>di</strong> cambiamenti. Un po’<br />
perché Roma gra<strong>di</strong>sce poco le morti <strong>di</strong>etro le sbarre, un po’ anche perché si va delineando un conflitto <strong>di</strong><br />
competenze - e <strong>di</strong> responsabilità - fra ministero della Giustizia e Aziende Sanitarie Locali. Nel frattempo si<br />
parla <strong>di</strong> malessere e <strong>di</strong> rivolte interne al penitenziario meno amato dai sar<strong>di</strong>: in realtà, la situazione viene<br />
descritta dagli operatori come assolutamente normale. Ammesso che sia normale un sovraffollamento <strong>di</strong><br />
detenuti tossico<strong>di</strong>pendenti, tenuti in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> immobilità e spesso <strong>di</strong> astinenza. (La Nuova Sardegna, 23<br />
gennaio 2003)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 22 gennaio 2003, Carcere <strong>di</strong> Padova (Reclusione)<br />
Salvatore Sanfilippo, 35 anni, condannato all’ergastolo per reati <strong>di</strong> mafia, si impicca con dei lunghi lacci da<br />
scarpa legati alla finestra. A dare l’allarme, alle otto <strong>di</strong> mattina, è l’agente <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>a che ha appena iniziato<br />
il suo turno <strong>di</strong> lavoro. Sanfilippo si trovava nella sezione cosiddetta dei “protetti” ed è stato, tra gli anni ‘80 e<br />
‘90, un personaggio emergente nella mafia della Sicilia centrale. Apparteneva ad un clan della “Stidda”, che<br />
aveva la base a Mazzarino, in provincia <strong>di</strong> Caltanissetta. Ha partecipato attivamente anche agli scontri interni<br />
della mafia contro Pippu Madonia, il boss arrestato a Longare, in provincia <strong>di</strong> Vicenza, alcuni anni fa. Negli<br />
ultimi mesi Sanfilippo appariva molto nervoso. (Il Mattino <strong>di</strong> Padova, 23 gennaio 2003)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 1 febbraio 2003, Carcere <strong>di</strong> Caltanissetta<br />
Biagio Graci, 24 anni, sancataldese, si impicca in una cella del <strong>carcere</strong> “Malaspina”. Soccorso da un<br />
compagno <strong>di</strong> cella e trasportato all’Ospedale “S. Elia”, giunge al pronto soccorso ormai privo <strong>di</strong> vita ed i<br />
me<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> turno non possono constatarne il decesso per impiccagione, comunicando la notizia alle guar<strong>di</strong>e<br />
carcerarie che hanno scortato l’ambulanza fino all’ospedale. Adesso sarà il magistrato a decidere se restituire<br />
la salma ai familiari o effettuare l’ispezione cadaverica. Biagio Graci era in <strong>carcere</strong> da meno <strong>di</strong> due mesi, con<br />
l’accusa <strong>di</strong> tentato omici<strong>di</strong>o: aveva ferito il fratello, con una coltellata, al culmine <strong>di</strong> un litigio scaturito dalla<br />
scelta del programma televisivo. Aveva anche dei precedenti penali per droga ed a luglio del <strong>2002</strong> venne<br />
arrestato dai carabinieri perché trovato in possesso <strong>di</strong> alcuni grammi <strong>di</strong> eroina. Tre settimane prima del<br />
suici<strong>di</strong>o il tribunale della libertà gli aveva negato la scarcerazione e questo lo aveva fatto cadere in uno stato<br />
<strong>di</strong> assoluto sconforto. (La Sicilia, 6 febbraio <strong>2002</strong>)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 3 febbraio 2003, Colonia Penale <strong>di</strong> Is Arenas (Cagliari)<br />
Roberto Sirigu, 33 anni, si suicida in cella. (L’Unità, 17 febbraio 2003).<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 7 febbraio 2003, Carcere <strong>di</strong> Padova (Reclusione)<br />
Riccardo Tonicello, 56 anni, muore all’Ospedale Civile <strong>di</strong> Padova. Soffriva <strong>di</strong> grave insufficienza epatica e,<br />
nella notte tra il 6 e il 7 febbraio, un improvviso aggravamento delle sue con<strong>di</strong>zioni spinge i me<strong>di</strong>ci del<br />
<strong>carcere</strong> a chiederne il ricovero urgente in ospedale Muore dopo poche ore. (Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti).<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Diversa la versione ufficiale dei fatti: il detenuto Riccardo Tonicello, 56 anni, <strong>di</strong> Carpenedo, stava scontando<br />
una pena per piccoli reati nella Casa <strong>di</strong> reclusione <strong>di</strong> via Due Palazzi. A fine gennaio si era sentito male ed<br />
era stato trasferito all’Ospedale civile <strong>di</strong> Padova, dove però le sue con<strong>di</strong>zioni si erano improvvisamente<br />
aggravate. Fino al decesso, avvenuto venerdì 7 febbraio. Il lunedì successivo, a casa dell’anziano padre<br />
arriva una telefonata. A chiamare è un’assistente sociale del <strong>carcere</strong> che chiede la data dei funerali <strong>di</strong><br />
Riccardo. “I suoi compagni <strong>di</strong> detenzione vorrebbero inviare una corona <strong>di</strong> fiori”, <strong>di</strong>ce.<br />
Oreste Tonicello, 83 anni, <strong>di</strong> salute cagionevole, si sente male. Lui non sapeva nulla del decesso del figlio.<br />
Nessuno lo aveva informato. “È un fatto gravissimo - spiega Girolamo Quintavalle, cognato <strong>di</strong> Riccardo e<br />
consigliere comunale <strong>di</strong> Forza Italia a Carpenedo - Non ci hanno nemmeno avvertito che era ricoverato. Mio<br />
suocero poi, ha rischiato un infarto”. Quintavalle <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> non conoscere ancora la causa della morte. “Ho<br />
chiamato al telefono la <strong>di</strong>rezione del Due Palazzi - spiega - e mi hanno detto <strong>di</strong> scrivere una lettera e <strong>di</strong><br />
aspettare la risposta, per sapere se e quando sarà possibile avere un colloquio”. A quel punto, in<strong>di</strong>gnati, i<br />
famigliari <strong>di</strong> Riccardo Tonicello hanno informato dell’episo<strong>di</strong>o il deputato verde Luana Zanella che ha<br />
presentato un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia, che <strong>di</strong>ce: “È inau<strong>di</strong>to che una persona<br />
anziana venga a sapere con quattro giorni <strong>di</strong> ritardo ed in questo modo, del decesso del figlio. È chiaro che<br />
chi straparla delle carceri, senza avere esperienze <strong>di</strong>rette, dovrebbe riflettere”. La parlamentare verde ha<br />
chiesto al ministro della Giustizia che vengano in<strong>di</strong>viduati i responsabili dell’increscioso episo<strong>di</strong>o. (Il<br />
Gazzettino, 12 febbraio 2003).<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 9 febbraio 2003, Carcere <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne<br />
Alket Pekra, albanese, tenta <strong>di</strong> impiccarsi nel bagno della cella. Da due giorni, cioè quando era salito su uno<br />
dei muri interni del cortile della Casa Circondariale <strong>di</strong> Via Spalato, era rinchiuso in una cella da solo.<br />
L’agente <strong>di</strong> sorveglianza, non avvertendo la sua presenza, l’ha chiamato più volte senza ricevere risposta. A<br />
quel punto la guar<strong>di</strong>a si è insospettita e ha dato l’allarme. L’agente è entrato nel bagno insieme ad un collega<br />
e si è trovato <strong>di</strong> fronte a una scena drammatica. Il detenuto, che aveva tentato <strong>di</strong> togliersi la vita usando i<br />
lembi della tuta che indossava, giaceva in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>sperate. Imme<strong>di</strong>ati i soccorsi. L’uomo è stato<br />
rianimato dal me<strong>di</strong>co <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a del <strong>carcere</strong> e poi affidato alle cure del personale del 118. Erano appena<br />
passate le 12.30. La situazione è apparsa subito grave ai primi soccorritori, che l’hanno messo nelle mani dei<br />
sanitari dell’ospedale Santa Maria della Misericor<strong>di</strong>a, dove è tuttora ricoverato, nel reparto <strong>di</strong> Terapia<br />
intensiva.<br />
Due giorni prima del tentativo <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o, durante l’ora d’aria, l’uomo si era arrampicato su uno dei muri<br />
interni del cortile della Casa circondariale <strong>di</strong> via Spalato. Notato dagli agenti <strong>di</strong> sorveglianza, l’albanese<br />
aveva preferito scendere a terra senza opporre resistenza. In quell’occasione, il <strong>di</strong>rettore del <strong>carcere</strong>,<br />
Francesco Macrì, non aveva parlato <strong>di</strong> tentata evasione perché dalla zona dove era salito il detenuto era<br />
“praticamente impossibile arrivare all’esterno del <strong>carcere</strong>”. Alket Pekra è in attesa <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio, dovrà<br />
rispondere <strong>di</strong> tentato omici<strong>di</strong>o perché a novembre ha colpito al petto con un cacciavite un connazionale<br />
procurandogli lesioni gravi. Le sue con<strong>di</strong>zioni restano gravissime: piantonato dalle guar<strong>di</strong>e carcerarie, è<br />
ricoverato nel reparto <strong>di</strong> terapia intensiva nel nosocomio u<strong>di</strong>nese. (Messaggero Veneto, 10 febbraio 2003).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 15 febbraio 2003, Carcere <strong>di</strong> Oristano<br />
Mauro Saba, 38 anni, tossico<strong>di</strong>pendente, si uccide dopo 20 giorni <strong>di</strong> detenzione. Avrebbe dovuto scontare un<br />
residuo pena per maltrattamenti in famiglia e spaccio <strong>di</strong> hascisc. Mauro S. aveva moglie e due figli, una vita<br />
sfortunata passata alla ricerca <strong>di</strong> un lavoro, segnata da <strong>di</strong>savventure giu<strong>di</strong>ziarie per piccoli reati, un periodo<br />
<strong>di</strong> terapia al servizio psichiatrico dell’Ospedale <strong>di</strong> Oristano e una parentesi in affidamento alla comunità per<br />
il recupero dei tossico<strong>di</strong>pendenti <strong>di</strong> Sanluri. Una vita tormentata, quella <strong>di</strong> Mauro, conclusa violentemente e,<br />
come spiegano anche i me<strong>di</strong>ci, forse in un posto sbagliato: la prigione. Una storia simile a quella dei due<br />
detenuti che si sono suicidati negli ultimi venti giorni in altre due prigioni della Sardegna. (L’Unità, 17<br />
febbraio 2003).<br />
Morte per cause non chiare: 28 febbraio 2003, Carcere <strong>di</strong> Forlì<br />
Michael Hadà, 28 anni, nigeriano, muore sul pavimento della cella. Durante il normale giro <strong>di</strong> controllo un<br />
agente <strong>di</strong> polizia penitenziaria trova il corpo, ormai senza vita. L’allarme scatta in piena notte, proprio<br />
quando nella struttura non vi è il me<strong>di</strong>co, che invece presi<strong>di</strong>a durante il giorno. Dai primi accertamenti<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
sembra si tratti <strong>di</strong> un decesso naturale: un malore e il successivo infarto avrebbe stroncato l’extracomunitario<br />
che, comunque, riportava anche una ferita alla testa. Probabilmente la lesione è stata causata dall’impatto con<br />
il pavimento, quando il giovane straniero colto da malore ha perso i sensi. Sul caso è stata aperta un’inchiesta<br />
della Procura della Repubblica <strong>di</strong> Forlì. Il pubblico ministero, Filippo Santangelo, ha <strong>di</strong>sposto un’autopsia<br />
proprio per togliere ogni dubbio. Il senegalese, in <strong>carcere</strong> a Forlì da pochi mesi per una vicenda legata al<br />
mondo delle sostanze stupefacenti, occupava una cella al secondo piano della Casa circondariale <strong>di</strong> via della<br />
Rocca, nella sezione or<strong>di</strong>naria. Era un tipo tranquillo, che non aveva mai creato problemi agli agenti <strong>di</strong><br />
polizia penitenziaria. Soltanto l’autopsia potrà chiarire le cause esatte della morte, avvenuta in una struttura<br />
nel mirino dall’estate scorsa, per il decesso <strong>di</strong> un 60enne e i sospetti su un altro decesso, avvenuto alle<br />
Vallette <strong>di</strong> Torino dopo il trasferimento da Forlì. (Corriere della Romagna, 1 marzo 2003).<br />
Overdose: 8 marzo 2003, Carcere <strong>di</strong> Aurelia (Roma)<br />
Manuela Contu e Franca Fiorini, rispettivamente <strong>di</strong> 42 e 37 anni, muoiono per overdose. Le trovano,<br />
abbracciate, in un lettino della loro cella, che non danno segni <strong>di</strong> vita: l’allarme scatta imme<strong>di</strong>atamente, ma<br />
ormai non c’era più nulla da fare. Le indagini, coor<strong>di</strong>nate dal procuratore capo Consolato Labate e dal<br />
sostituto Pantaleo Polifemo hanno portato rapidamente a risolvere il caso, con l’arresto <strong>di</strong> Benito Leofred<strong>di</strong>,<br />
<strong>di</strong> 41 anni, originario <strong>di</strong> Ardea.<br />
Manuela Contu, <strong>di</strong> Roma, aveva avuto in passato dei legami con la banda della Magliana e da tre anni era<br />
ospite della sezione femminile <strong>di</strong> Aurelia, per scontare una pena per spaccio <strong>di</strong> sostanze stupefacenti. Franca<br />
Fiorini, <strong>di</strong> Sezze, era in <strong>carcere</strong> per furto da circa due anni. La mattina dell’8 marzo la Contu ha ricevuto la<br />
visita del Leofred<strong>di</strong> (col quale ha avuto un bambino) ed è stato questo elemento ad in<strong>di</strong>rizzare<br />
imme<strong>di</strong>atamente le indagini sull’uomo che, con precedenti per furto, ricettazione, spaccio e rapina, era uscito<br />
dal <strong>carcere</strong> il 19 febbraio.<br />
Nell’abitazione del pregiu<strong>di</strong>cato è stata trovata una lettera della Contu, con tutte le istruzioni per fare entrare<br />
la droga in <strong>carcere</strong>. “Metti due grammi <strong>di</strong> eroina - scriveva la detenuta all’amico appena tornato in libertà - in<br />
un palloncino e tienilo in bocca. Se ti perquisiscono e ve<strong>di</strong> che butta male, ingoialo, non ti succederà nulla.<br />
Se è tutto ok avvicinati, dammi un bacio e passami la droga. Vestiti con questo e quello... io capirò che hai la<br />
roba”.<br />
Le agenti della polizia penitenziaria che hanno assistito al colloquio hanno avuto qualche sospetto, e appena<br />
finita la visita hanno perquisito la donna prima <strong>di</strong> riportarla in cella. Niente. Sia la Contu che la Fiorini si<br />
sono comportate in modo insolito nel pomeriggio e la cella è stata perquisita da cima a fondo e lo stesso è<br />
stato fatto per le due detenute. Non è stato trovato nulla. In serata, intorno alle 20, è stato scoperto il dramma.<br />
Gli inquirenti ritengono che le due detenute non assumessero sostanze stupefacenti da circa sei mesi e quin<strong>di</strong><br />
un grammo <strong>di</strong> eroina a testa, assunto per inalazione, sia stato fatale. Si ritiene che il decesso sia avvenuto tra<br />
le 19 e le 19.30, ma per averne la certezza occorrerà attendere l’autopsia, che non verrà effettuata prima <strong>di</strong><br />
due o tre giorni. (Il Messaggero, 11 marzo 2003).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 9 marzo 2003, Carcere <strong>di</strong> Camerino (Macerata)<br />
Abed El Sfina, 32 anni, tunisino, si impicca dopo poche ore dall’arresto. Arrestato all’alba, con l’accusa <strong>di</strong><br />
avere ucciso la moglie, si suicida nel pomeriggio dello stesso giorno. Maria Vito, 32 anni, era stata trovata<br />
strangolata nella notte tra l’8 e il 9 marzo nell’abitazione <strong>di</strong> Civitanova Marche del marito (da cui era però<br />
separata). Imme<strong>di</strong>ato l’arresto dell’uomo, che però si è tolto la vita impiccandosi in cella. (La Repubblica, 10<br />
marzo 2003).<br />
Assistenza sanitaria negata: 9 marzo 2003, Carcere <strong>di</strong> Marassi (Genova)<br />
Leo L., 44 anni, ex tossico<strong>di</strong>pendente, è stroncato dall’AIDS nel Centro Clinico della Casa Circondariale.<br />
Trasferito d’urgenza all’Ospedale “San Martino”, muore dopo due ore dal ricovero. Leo, originario del<br />
quartiere San Fruttuoso, era una vecchia conoscenza dei poliziotti <strong>di</strong> Marassi: a causa della malattia, negli<br />
ultimi anni, andava avanti e in<strong>di</strong>etro fra le celle e i letti della <strong>di</strong>visione <strong>di</strong> malattie infettive del “San<br />
Martino”. (Corriere Mercantile, 14 marzo 2003)<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Morte per cause non chiare: 11 marzo 2003, Carcere <strong>di</strong> Marassi (Genova)<br />
Un detenuto è trovato privo <strong>di</strong> sensi, nella sua cella, la mattina del 7 marzo. Ricoverato all’Ospedale “San<br />
Martino”, le sue con<strong>di</strong>zioni appaiono subito <strong>di</strong>sperate e, dopo 4 giorni <strong>di</strong> agonia, muore nel Reparto <strong>di</strong><br />
Rianimazione del nosocomio. (Corriere Mercantile, 14 marzo 2003)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 12 marzo 2003, Carcere <strong>di</strong> Marassi (Genova)<br />
Santo R., 50 anni, si uccide ingerendo una massiccia dose <strong>di</strong> tranquillanti. L’uomo, accusato <strong>di</strong> avere<br />
violentato una famigliare, non riusciva a parlare con un magistrato: questo sarebbe il motivo che lo ha<br />
portato al gesto suicida. (Corriere Mercantile, 14 marzo 2003)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 16 marzo 2003, Carcere <strong>di</strong> Viterbo<br />
Luigi Diana, 27 anni, si uccide aspirando il gas <strong>di</strong> una bomboletta e completando l’opera coprendosi il volto<br />
con una busta <strong>di</strong> plastica. A trovarlo sono stati gli agenti della polizia penitenziaria che erano in servizio.<br />
Sono stati loro stessi a cercare <strong>di</strong> prestargli le prime cure. Ma, purtroppo per il detenuto, non c’era più nulla<br />
da fare. Imme<strong>di</strong>atamente è stato dato l’allarme e nella cella <strong>di</strong> Luigi Diana si è recato anche il me<strong>di</strong>co <strong>di</strong><br />
servizio, che non ha potuto far altro che constatarne il decesso, avvenuto poco prima. Dell’accaduto è stato<br />
avvertito il magistrato <strong>di</strong> turno, Carlo Maria Scipio, che ha <strong>di</strong>sposto l’autopsia per avere un quadro preciso <strong>di</strong><br />
quanto avvenuto all’interno del penitenziario viterbese. (Il Messaggero, 18 marzo 2003)<br />
Assistenza sanitaria negata: 17 marzo 2003, Carcere <strong>di</strong> Catania<br />
Maurizio Gallucci, 42 anni, muore <strong>di</strong> infarto. Il sostituto procuratore Francesco Testa, che procede d’ufficio,<br />
ha aperto un fascicolo contro ignoti (ma i familiari della vittima, <strong>di</strong>fesi dall’avv. Maria Caterina Caltabiano,<br />
presenteranno al più presto una denuncia) per accertare eventuali responsabilità. L’autopsia sul cadavere del<br />
Gallucci è stata già eseguita dal dott. Giuseppe Ragazzo, affiancato dal tossicologo Guido Romano (entrambi<br />
nominati dal PM) e dal dott. Carlo Rossitto (nominato dalla parte offesa) e sembrerebbe confermare la<br />
<strong>di</strong>agnosi iniziale, che ad uccidere Gallucci sia stato un infarto.<br />
A loro volta i detenuti del <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> piazza Lanza hanno scritto una lettera in cui, dopo avere ripercorso i<br />
momenti in cui il loro compagno si è sentito male, aggiungono: “Il me<strong>di</strong>co si è visto arrivare solo verso le<br />
ore 20.45, orario in cui il Gallucci è stato portato presso l’infermeria del <strong>carcere</strong> aiutato da un altro detenuto,<br />
che lo ha dovuto ripulire, visto che gli infermieri si schifavano... Gallucci è morto ed è stato fatto morire<br />
privo <strong>di</strong> quella <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> cui ogni essere umano, anche se detenuto, ha <strong>di</strong>ritto. In questo <strong>carcere</strong> ammalarsi è<br />
un rischio, dato che possiamo segnarci una visita me<strong>di</strong>ca solo un giorno la settimana; se poi hai bisogno <strong>di</strong><br />
uno specialista i mesi <strong>di</strong> attesa sono incre<strong>di</strong>bili, le me<strong>di</strong>cine a <strong>di</strong>sposizione sono limitate e per potere<br />
acquistare dei farmaci per conto proprio bisogna avere l’autorizzazione della <strong>di</strong>rezione e ci vuole un altro<br />
mese. Qui ci sono detenuti che per un esame al cuore aspettano da cinque mesi. Siamo abbandonati a noi<br />
stessi e privi <strong>di</strong> poterci ammalare come tanti altri essere umani, perché ognuno <strong>di</strong> noi potrebbe fare la fine <strong>di</strong><br />
Gallucci, che per inciso era in attesa <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio. Adesso noi chie<strong>di</strong>amo: e se Gallucci fosse stato<br />
innocente?”. (La Sicilia, 26 marzo 2003)<br />
Assistenza sanitaria negata: 22 marzo 2003, Carcere <strong>di</strong> Poggioreale (Napoli)<br />
Luigi Giusti, 59 anni, sofferente <strong>di</strong> una forma grave <strong>di</strong> <strong>di</strong>abete - che lo aveva portato alla cecità - muore nel<br />
<strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Poggioreale. La notizia arriva dagli avvocati Alfonso ed Alberto Martucci, che hanno espresso<br />
“sgomento e sdegno” per “questa morte annunciata”. “Più volte - affermano i legali <strong>di</strong> Giusti - erano state<br />
evidenziate, inutilmente, al magistrato <strong>di</strong> sorveglianza le gravi con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute del nostro assistito”.<br />
Giusti era detenuto perché accusato <strong>di</strong> avere aperto alcuni punti ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> mozzarelle, a Pietralcina e San<br />
Giorgio del Sannio (Benevento), con l’aiuto patrimoniale <strong>di</strong> un presunto camorrista. Sulla morte sono stati<br />
registrati gli interventi dell’eurodeputato ra<strong>di</strong>cale Maurizio Turco e del segretario dell’associazione<br />
“Nessuno tocchi Caino” Sergio D’Elia, nel corso <strong>di</strong> un <strong>di</strong>battito sull’articolo 41 bis alla Camera Penale <strong>di</strong><br />
Napoli. (Il Mattino, 23 marzo 2003).<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Suici<strong>di</strong>o: 25 marzo 2003, Carcere <strong>di</strong> Biella<br />
Maurizio Di Cuonzo, 27 anni, si impicca in cella. Il giovane, soffriva da tempo <strong>di</strong> crisi depressive e pare che<br />
la sera prima del suici<strong>di</strong>o avesse chiesto <strong>di</strong> andare in “isolamento”. “La famiglia chiede chiarezza<br />
sull’episo<strong>di</strong>o - precisa l’avvocato Luigi Florio - come mai sono state lasciate le lenzuola nella cella. Ci sono<br />
state omissioni nelle norme <strong>di</strong> sorveglianza? La notizia della morte del giovane in questi giorni non è<br />
trapelata, nonostante sia stata aperta un’inchiesta e anche questa è una anomalia. Si voleva tenere l’episo<strong>di</strong>o<br />
coperto?”. Maurizio Di Cuonzo è stato protagonista <strong>di</strong> numerosi episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> cronaca nera. Nel 1998 si era<br />
presentato in questura chiedendo <strong>di</strong> essere arrestato “altrimenti faccio una follia”. Nel marzo del <strong>2002</strong> ha<br />
rapinato un barista, in piazza San Secondo, con un coltello. Bottino pochi euro, fu preso dai carabinieri. (La<br />
Stampa, 28 marzo 2003).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 30 marzo 2003, Carcere <strong>di</strong> Ancona<br />
Loris Costarelli, 20 anni, in attesa <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio per l’omici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un amico <strong>di</strong> 17 anni, si impicca nella doccia.<br />
Verso le 14 Loris Costarelli chiede <strong>di</strong> potersi fare una doccia. Richiesta che è accolta. E quando rimane solo<br />
tira fuori una striscia <strong>di</strong> stoffa e la annoda alla doccia. Un rapido gesto e quel pezzo <strong>di</strong> stoffa si trasforma in<br />
un cappio. Un agente penitenziario si accorge della trage<strong>di</strong>a che si sta consumando ed interviene<br />
imme<strong>di</strong>atamente. Il giovane è subito trasportato in ospedale dove i sanitari, constatate le gravi con<strong>di</strong>zioni, ne<br />
<strong>di</strong>spongono il ricovero in rianimazione. Il ragazzo, piantonato da un agente <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>a, è in coma. Il 2 aprile<br />
è <strong>di</strong>chiarato clinicamente morto. (Liberazione, 3 aprile 2003).<br />
Il gesto <strong>di</strong> Loris Costarelli è, in qualche modo, annunciato: il padre, Gianfranco Costarelli, aveva manifestato<br />
come un uomo sandwich davanti al Palazzo <strong>di</strong> giustizia <strong>di</strong> Ancona, chiedendo che il figlio venisse<br />
riconosciuto seminfermo <strong>di</strong> mente, al contrario <strong>di</strong> quanto stabiliva invece la perizia che, nello stesso<br />
momento della protesta, veniva <strong>di</strong>scussa <strong>di</strong> fronte al giu<strong>di</strong>ce per le indagini preliminari. “Loris non si rende<br />
conto <strong>di</strong> quello che ha fatto a Matteo, non ha rimorsi. Mi ha detto che, se gli daranno una pena troppo alta,<br />
non l’accetterà, si ucciderà. È una persona debole”. Loris era seguito da uno psicologo e, secondo quanto ha<br />
affermato il Dipartimento regionale per l’amministrazione penitenziaria, il suo stato psicologico sembrava<br />
stabile. Era però sotto stretta sorveglianza, anche se detenuto nella sezione comune (in una cella con un altro<br />
recluso). Sull’episo<strong>di</strong>o verranno aperte due inchieste: una penale e una interna al <strong>carcere</strong>. Carcere dove, in<br />
base alla perizia psichiatrica, Loris sarebbe dovuto rimanere in attesa del processo vista la “potenzialità <strong>di</strong><br />
pericolosità sociale”. Perizia che ha definito il ventenne affetto “<strong>di</strong> un <strong>di</strong>sturbo della personalità <strong>di</strong> tipo<br />
narcisistico e antisociale che comunque non farebbe scemare la sua capacità <strong>di</strong> intendere e <strong>di</strong> volere”. (Il<br />
Messaggero, 31 marzo 2003)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 20 aprile 2003, Carcere <strong>di</strong> Pesaro<br />
Roberto Salidu, cagliaritano <strong>di</strong> 41 anni, si uccide impiccandosi con una sciarpa legata a un’inferriata, nel<br />
bagno del <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Pesaro. Prima <strong>di</strong> uccidersi scrive un biglietto, poche righe per spiegare i motivi del<br />
gesto: non sopportava l’idea <strong>di</strong> non poter uscire dal <strong>carcere</strong>, <strong>di</strong> dover rinunciare alla semilibertà. I problemi<br />
per Roberto Salidu iniziano qualche settimana fa, quando l’uomo litiga con un fratello. La sua famiglia<br />
risiede da tanti anni a Fano, una citta<strong>di</strong>na a venti chilometri da Pesaro. Salidu stava scontando una condanna<br />
a venticinque anni <strong>di</strong> reclusione, per un omici<strong>di</strong>o commesso in Lombar<strong>di</strong>a. Qualche anno fa i giu<strong>di</strong>ci del<br />
tribunale <strong>di</strong> Pesaro hanno deciso <strong>di</strong> concedere al detenuto la semilibertà. L’uomo ha trovato lavoro nella<br />
falegnameria gestita da una cooperativa. Tutto sembrava filare liscio. Di giorno al lavoro e <strong>di</strong> sera il rientro<br />
in <strong>carcere</strong> per dormire. Qualche settimana ad<strong>di</strong>etro però Roberto Salidu litiga con il fratello e viene<br />
denunciato con l’accusa <strong>di</strong> minacce. L’episo<strong>di</strong>o gli complica la vita. Il giu<strong>di</strong>ce del tribunale <strong>di</strong> sorveglianza<br />
sospende i benefici <strong>di</strong> legge e Roberto Salidu è costretto a rientrare in <strong>carcere</strong>. Non può uscire per andare in<br />
falegnameria, deve restare in cella. Passa qualche giorno e per il detenuto arriva una vera e propria mazzata:<br />
il magistrato revoca la semilibertà. L’uomo però non sopporta l’idea <strong>di</strong> tornare in <strong>carcere</strong> dopo tanti anni:<br />
quando il compagno <strong>di</strong> cella esce per l’ora d’aria, Roberto Salidu decide <strong>di</strong> rinunciare “alla socialità” con gli<br />
altri detenuti. L’uomo resta in cella, prende carta e penna, scrive un messaggio ai suoi familiari, poi lega una<br />
sciarpa alle inferriate del bagno e si lascia andare nel vuoto. Lo ritrovano le guar<strong>di</strong>e del penitenziario dopo<br />
qualche minuto, ma i soccorsi sono inutili. Arrivano anche i me<strong>di</strong>ci del <strong>carcere</strong>, ma non possono far altro che<br />
constatare la morte del detenuto. Sull’episo<strong>di</strong>o è stata aperta un’inchiesta, coor<strong>di</strong>nata dal procuratore della<br />
repubblica <strong>di</strong> Pesaro Stefano Celli. Ieri il magistrato ha <strong>di</strong>sposto la perizia necroscopica sul cadavere<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
dell’uomo. Si tratta <strong>di</strong> una prassi che viene sempre rispettata quando un detenuto si toglie la vita in cella.<br />
(L’Unione Sarda, 22 aprile 2003).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 23 aprile 2003, Carcere <strong>di</strong> Livorno<br />
Giovane turco si uccide impiccandosi con le stringhe delle scarpe, legate alle inferriate della cella. Un gesto<br />
<strong>di</strong>sperato dettato, sembra, da problemi affettivi. La Procura in queste ore sta verificando alcuni aspetti della<br />
vicenda. Rigoroso è il riserbo sull’indagine volta a sapere se la morte del giovane poteva essere evitata. Il<br />
magistrato titolare dell’inchiesta, Mario Profeta, sta acquisendo ulteriori elementi, dopo aver acquisito una<br />
sorta <strong>di</strong> biglietto scritto pare in lingua turca. Il cadavere del giovane è stato trasferito all’obitorio<br />
dell’ospedale, in attesa delle decisioni della magistratura. (La Nazione, 27 aprile 2003).<br />
Morte per cause non chiare: 25 aprile 2003, Carcere <strong>di</strong> Verona<br />
Antonio Barbato, 25 anni, napoletano <strong>di</strong> origine, muore nel letto della sua cella. L’improvviso decesso si è<br />
subito tinto <strong>di</strong> giallo, anche perché il magistrato <strong>di</strong> turno, Beatrice Zanotti, ha <strong>di</strong>sposto l’autopsia per<br />
verificare le cause della morte <strong>di</strong> quel detenuto. Da un primo esame esterno, l’uomo potrebbe essere<br />
deceduto per cause naturali. A fare la triste scoperta è stato il personale <strong>di</strong> polizia penitenziaria, che stava<br />
eseguendo l’ispezione del mattino. Il corpo dell’uomo era ancora caldo, a significare che la morte aveva<br />
colto il detenuto poco tempo prima della macabra scoperta. E gli altri due detenuti che <strong>di</strong>videvano la cella<br />
con lui, hanno detto alla polizia penitenziaria, che li ha sentiti a verbale, <strong>di</strong> non essersi accorti <strong>di</strong> nulla.<br />
Barbato, secondo quanto s’è appreso godeva <strong>di</strong> ottima salute, ma in passato aveva fatto uso <strong>di</strong> sostanze<br />
stupefacenti. Quando venne arrestato, nel settembre del <strong>2002</strong>, assieme al complice Antonio Abramo, al<br />
giu<strong>di</strong>ce che ne aveva convalidato l’arresto, i due <strong>di</strong>ssero che avevano deciso <strong>di</strong> compiere una rapina perché<br />
avevano bisogno <strong>di</strong> denaro per acquistare droga. (L’Arena <strong>di</strong> Verona, 26 aprile 2003)<br />
Suicido: 30 aprile 2003, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia (Roma)<br />
Alluad Abdel Rahim, 20 anni, marocchino, si impicca alle sbarre della sua cella, nel reparto G12. Arrestato<br />
per furto, sarebbe dovuto uscire il 16 aprile, però sembra che gli fosse stato notificato un nuovo cumulo <strong>di</strong><br />
pene per effetto del quale la sua detenzione si era prolungata <strong>di</strong> un anno. Secondo la <strong>di</strong>rezione del <strong>carcere</strong>,<br />
però, la notizia gli era già arrivata a febbraio e, dunque, non sarebbe la causa imme<strong>di</strong>ata del suici<strong>di</strong>o.<br />
Secondo il tam tam <strong>di</strong> “ra<strong>di</strong>o <strong>carcere</strong>”, invece, al ragazzo sarebbe stato impe<strong>di</strong>to <strong>di</strong> vedere il suo avvocato. (Il<br />
Manifesto, 3 maggio 2003)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 1 maggio 2003, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia (Roma)<br />
Marco De Simone, 41 anni, si impicca in una cella del reparto minorati psichici, 48 ore dopo essere arrivato<br />
a Rebibbia. Era stato <strong>di</strong>chiarato incompatibile con il regime carcerario. L’uomo, ha riferito il suo legale, era<br />
già stato ricoverato nell’Ospedale Psichiatrico Giu<strong>di</strong>ziario <strong>di</strong> Napoli e anche nel reparto psichiatrico<br />
dell’Ospedale “Sant’Eugenio” <strong>di</strong> Roma. Avrebbe dovuto scontare un cumulo <strong>di</strong> pene per un totale <strong>di</strong> 8 mesi<br />
e 15 giorni. (Corriere della Sera, 3 maggio 2003).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 5 maggio 2003, Carcere <strong>di</strong> San Vittore (Milano)<br />
Chamorro Morocho, 30 anni, ecuadoriano, si uccide nel reparto “nuovi giunti”. Era stato arrestato due giorni<br />
prima, per avere ucciso la moglie e ferito il figlio, investendoli con un’auto. Alla visita me<strong>di</strong>ca risulta<br />
ammalato <strong>di</strong> tubercolosi, però nel reparto infermeria non c’è posto e quin<strong>di</strong> rimane in una cella del reparto<br />
“nuovi giunti”, con altre nove persone. Il giorno seguente lo trovano in bagno, impiccato. Dopo due mesi <strong>di</strong><br />
accertamenti, la Procura non si limita a escludere qualsiasi responsabilità degli agenti, per la mancata<br />
sorveglianza dell’arrestato, ma elogia la <strong>di</strong>rezione per “l’innegabile attenzione” al problema dei suici<strong>di</strong>, fino<br />
a concludere che i problemi oggettivi <strong>di</strong> San Vittore sono tanto gravi da mettere in dubbio perfino l’obiettivo<br />
minimo della sopravvivenza: “Le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> sovraffollamento e la cronica mancanza <strong>di</strong> mezzi in cui versa<br />
il <strong>carcere</strong> rendono sostanzialmente impossibile attuare una politica <strong>di</strong> reale ed efficace prevenzione degli<br />
atti autolesivi e dei suici<strong>di</strong> (...) Si tratta <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> detenzione non degne <strong>di</strong> un Paese civile”.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Il 4 maggio Chamorro Morocho, nella visita <strong>di</strong> routine dello psicologo, “non <strong>di</strong>chiara propositi autolesivi”,<br />
ma il me<strong>di</strong>co, come per ogni protagonista <strong>di</strong> delitti familiari, <strong>di</strong>spone comunque “massima sorveglianza, con<br />
controlli ravvicinati”. Il detenuto risulta malato <strong>di</strong> tubercolosi, ma “per mancanza <strong>di</strong> celle idonee” viene<br />
rinchiuso in una stanza <strong>di</strong> fortuna, ricavata nella sala d’attesa. Il pericolo <strong>di</strong> contagio ne imporrebbe<br />
“l’isolamento sanitario”, ma in quella “piccola cella con i materassi a terra” sono ammassati altri nove<br />
detenuti stremati dall’afa. Alle 13.20 del 5 maggio il recluso ecuadoriano s’impicca in bagno “con una<br />
stringa delle sue scarpe, lunga 107 centimetri”. È questo particolare a far partire l’inchiesta: com’è possibile<br />
che a un detenuto a rischio sia stata lasciata la corda per impiccarsi? Per cominciare, il P.M. Marco Ghezzi<br />
accerta che “non esiste una normativa sul punto”: ci sono generiche “circolari sull’autolesionismo”, ma<br />
“nessuna affronta il problema del vestiario”. Poi, in una testimonianza definita dal magistrato “sconfortante”<br />
ma “illuminante”, il <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> San Vittore, Luigi Pagano, spiega che il <strong>carcere</strong> avrebbe “una capienza<br />
massima <strong>di</strong> 800 detenuti”, ma quel giorno <strong>di</strong>etro le sbarre ce ne sono 1.326 e solo perché “un reparto e<br />
mezzo sono chiusi”: la me<strong>di</strong>a or<strong>di</strong>naria è <strong>di</strong> “oltre 1.600” reclusi.<br />
Motivando l’archiviazione, il P.M. aggiunge che “mancano personale e mezzi: in particolare la <strong>di</strong>rezione<br />
non <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> vestiario che eviti rischi <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o”, nemmeno per i detenuti per cui questo è “elevato”. Le<br />
guar<strong>di</strong>e, insomma, non hanno scelta: se pretendessero <strong>di</strong> sequestrare a tutti “i capi a rischio”, gli arrestati<br />
“circolerebbero seminu<strong>di</strong>”. “Pur apparendo auspicabile che non vengano più lasciate stringhe” così lunghe,<br />
conclude il P.M., “non sembra che la morte <strong>di</strong> Chamorro si possa attribuire alla responsabilità del<br />
personale carcerario”.<br />
Il vero problema è che la stessa struttura del <strong>carcere</strong> non rispetta “l’incoercibile <strong>di</strong>ritto” <strong>di</strong> ogni detenuto “<strong>di</strong><br />
essere custo<strong>di</strong>to in un ambiente che rispetti la sua <strong>di</strong>gnità, oltre che la sua salute e sicurezza”. Già nel<br />
novembre scorso la Procura, chiudendo un’altra inchiesta sul suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> due detenuti a massimo rischio,<br />
aveva spe<strong>di</strong>to al ministero della giustizia una relazione su che denunciava “l’evidente violazione dei <strong>di</strong>ritti<br />
umani dei detenuti <strong>di</strong> San Vittore”. (Corriere della Sera, 18 luglio 2003).<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 16 maggio 2003, Carcere <strong>di</strong> Nuoro<br />
Detenuto <strong>di</strong> 79 anni tenta il suici<strong>di</strong>o dopo aver saputo dell’imminente trasferimento in un altro <strong>carcere</strong> e<br />
viene salvato in extremis dagli agenti. (La Nuova Sardegna, 17 maggio 2003).<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 17 maggio 2003, Carcere <strong>di</strong> Pesaro<br />
Napoletano, 40 anni, tenta il suici<strong>di</strong>o impiccandosi in cella. L’uomo sarebbe stato indotto alla <strong>di</strong>sperazione a<br />
causa del rifiuto, oppostogli dalla magistratura competente, a una sua richiesta <strong>di</strong> sospensione della pena a<br />
causa <strong>di</strong> motivi <strong>di</strong> salute: ha tentato <strong>di</strong> impiccarsi all’interno della sua cella ma l’intervento repentino, prima<br />
del compagno, poi delle guar<strong>di</strong>e carcerarie, ha permesso <strong>di</strong> salvarlo. Trasportato dal 118 al Pronto soccorso<br />
dell’ospedale “S. Salvatore”, versa in con<strong>di</strong>zioni serie ma non è in pericolo <strong>di</strong> vita. (Il Resto del Carlino, 18<br />
maggio 2003)<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 18 maggio 2003, Carcere <strong>di</strong> Perugia<br />
Un detenuto del <strong>carcere</strong> circondariale <strong>di</strong> piazza Partigiani a Perugia, è stato ricoverato al centro rianimazione<br />
<strong>di</strong> uno dei due ospedali perugini. La prognosi, secondo in<strong>di</strong>screzioni, sarebbe riservatissima. L’uomo, <strong>di</strong> cui<br />
non si conosce praticamente nulla, avrebbe tentato <strong>di</strong> togliersi la vita impiccandosi nella propria cella. Ma il<br />
tentativo del gesto estremo del recluso è stato evidentemente scoperto in tempo, perché, benché in con<strong>di</strong>zioni<br />
gravissime, se non ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong>sperate, l’uomo è ancora vivo. (La Nazione, 19 maggio 2003)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 19 maggio 2003, Carcere <strong>di</strong> Macomer (Nuoro)<br />
Ivan Ditriiev, 22 anni, bulgaro, si impicca. Era nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Macomer da una decina <strong>di</strong> giorni. Il giovane,<br />
tossico<strong>di</strong>pendente dall’età <strong>di</strong> nove anni (sarebbe uscito dal <strong>carcere</strong> nel luglio del 2004 dopo aver scontato una<br />
condanna per tentata rapina), è stato trovato intorno alle 15.30 da un agente della polizia penitenziaria, lo<br />
stesso con cui poco prima aveva scambiato due parole senza che nulla facesse presagire le sue intenzioni. Il<br />
ragazzo bulgaro, ancora agonizzante, era appeso all’inferriata della finestra della cella con una striscia <strong>di</strong><br />
lenzuolo. I tentativi <strong>di</strong> salvarlo, scattati imme<strong>di</strong>atamente con l’intervento del personale in quel momento in<br />
servizio, sono stati inutili.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Ivan Ditriiev ha sicuramente approfittato dell’assenza del compagno <strong>di</strong> cella, che si trovava in un’altra parte<br />
del <strong>carcere</strong>, impegnato in un lavoro, per farla finita. Ha chiuso così con una vita <strong>di</strong> sofferenze, fatta <strong>di</strong><br />
solitu<strong>di</strong>ne, piccoli episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> criminalità, <strong>carcere</strong> e processi. Una vita scan<strong>di</strong>ta dalla solitu<strong>di</strong>ne, che nemmeno<br />
i perio<strong>di</strong>ci colloqui con il personale specializzato addetto alla cura dei detenuti sono riusciti a cambiare. Pare<br />
che Ivan avesse più volte detto <strong>di</strong> non trovarsi bene a Macomer e avesse chiesto più volte <strong>di</strong> tornare nel<br />
<strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Milano, da dove era stato trasferito. Descritto come un tipo introverso e taciturno, poco prima del<br />
suici<strong>di</strong>o aveva avuto un colloquio con un’educatrice della Casa circondariale. Dell’episo<strong>di</strong>o è stato<br />
imme<strong>di</strong>atamente informato il magistrato <strong>di</strong> turno presso la procura del Tribunale <strong>di</strong> Oristano che ha<br />
autorizzato la rimozione del cadavere, anche se, secondo alcune in<strong>di</strong>screzioni, non sarebbe stata <strong>di</strong>sposta<br />
l’autopsia ma un semplice “esame esterno”. Sulla vicenda è stata comunque aperta un’inchiesta da parte<br />
dell’autorità giu<strong>di</strong>ziaria, che ha affidato gli accertamenti al comando <strong>di</strong> Polizia penitenziaria in servizio nel<br />
<strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Macomer. Occorrerà stabilire i motivi che hanno indotto il giovane originario dell’Est a un gesto<br />
così estremo. (L’unione Sarda, 21 maggio 2003)<br />
Suici<strong>di</strong>o: 27 maggio 2003, Carcere <strong>di</strong> Sassari<br />
Giovanni Cabras, 28 anni, si uccide impiccandosi nel bagno della cella. Il giovane, che scontava una<br />
condanna per reati contro il patrimonio, è stato trovato morto dai compagni <strong>di</strong> cella. In passato si era tagliato<br />
le vene, era stato ricoverato in reparti psichiatrici. Dopo un’u<strong>di</strong>enza in tribunale era apparso prostrato, al<br />
rientro in <strong>carcere</strong>: un suici<strong>di</strong>o annunciato, dunque. (Liberazione, 28 maggio 2003).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 9 giugno 2003, Carcere <strong>di</strong> Cagliari<br />
Roberto Sanna, 37 anni, tossico<strong>di</strong>pendente, si impicca alle sbarre della cella mentre i compagni erano fuori<br />
per l’ora d’aria. Un suo compagno <strong>di</strong> cella lo soccorre, poi arrivano gli agenti, ma le sue con<strong>di</strong>zioni appaiono<br />
subito gravissime. Viene ricoverato nel reparto <strong>di</strong> rianimazione del “Santissima Trinità”, dove muore il 12<br />
giugno. Era in <strong>carcere</strong> da poche ore, dopo un tentativo <strong>di</strong> furto <strong>di</strong> un’auto. (L’Unione Sarda, 13 giugno<br />
2003).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 15 giugno 2003, Carcere <strong>di</strong> Bologna<br />
Paride C., 29 anni, accusato <strong>di</strong> spaccio <strong>di</strong> banconote false, si uccide perché, non gli era stato concesso il<br />
premesso per andare al funerale della fidanzata. Il deputato Verde Paolo Cento, vicepresidente della<br />
Commissione giustizia della Camera, ha annunciato la presentazione <strong>di</strong> un’interpellanza urgente al Ministro<br />
della Giustizia sul suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Paride C.. “Il suici<strong>di</strong>o del detenuto è purtroppo la conferma <strong>di</strong> una situazione<br />
penitenziaria ormai non più sostenibile, ha scritto il parlamentare Verde, d’altra parte vi sono gravi<br />
inadempienze e violazioni dei <strong>di</strong>ritti dei detenuti”. (Il Resto del Carlino, 16 giugno 2003 - Corriere della<br />
Sera, 24 giugno 2003).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 23 giugno 2003, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia (Roma)<br />
Gennaro Di Gennaro, 40 anni, sieropositivo, si uccide riempiendo un sacchetto <strong>di</strong> gas fatto uscire da una<br />
bomboletta e poi chiudendosi la testa dentro quel mortale involucro. Era ricoverato nel reparto G14, che<br />
funge da infermeria per i malati più gravi. Di Gennaro era ammalato, non ce l’ha fatta a resistere dentro<br />
quella gabbia <strong>di</strong> celle bianche che è il G14 <strong>di</strong> Rebibbia. A dare la notizia è stato il vicepresidente della<br />
commissione comunale sul <strong>carcere</strong>, Eugenio Iafrate, responsabile per Villa Maraini del progetto sulle<br />
tossico<strong>di</strong>pendenze in <strong>carcere</strong>. Nessun commento dalla struttura, dove ieri il <strong>di</strong>rettore Carmelo Cantone<br />
veniva dato come assente e dove erano altrettanto irrintracciabili i suoi sostituti. Il problema del trattamento<br />
degli ammalati, e in particolare degli ammalati <strong>di</strong> Aids, è una delle questioni più annose che hanno a più<br />
riprese focalizzato il <strong>di</strong>battito sulla questione dell’incompatibilità tra <strong>carcere</strong> e malattie gravi. La Consulta<br />
permanente penitenziaria del Comune <strong>di</strong> Roma, attraverso il vicepresidente Eugenio Iafrate, ha espresso ieri<br />
tristezza per la vicenda ribadendo “le precarie con<strong>di</strong>zioni psicofisiche dei detenuti negli istituti <strong>di</strong> pena”. Per<br />
Iafrate è “estremamente necessario” il passaggio dalla me<strong>di</strong>cina penitenziaria a quella pubblica del Servizio<br />
Sanitario Nazionale. L’associazione dei detenuti “Papillon” ha aggiunto: “Il suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Di Gennaro è<br />
l’ennesimo caso <strong>di</strong> persone che non trovano un sostegno psicologico adeguato e che quin<strong>di</strong> finiscono in<br />
questo brutto modo”. (Corriere della Sera, 25 giugno 2003).<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Suici<strong>di</strong>o: 4 luglio 2003, Carcere <strong>di</strong> Secon<strong>di</strong>gliano (Napoli)<br />
La notizia del suici<strong>di</strong>o, senza altri particolari, è stata <strong>di</strong>ffusa dall’Associazione Antigone (“Hotel inferno”, <strong>di</strong><br />
Patrizio Gonella e Stefano Anastasia – Liberazione, 11 luglio 2003).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 5 luglio 2003, Carcere <strong>di</strong> Regina Coeli (Roma)<br />
Nicola Cozzolino, 20 anni, muore dopo aver aspirato gas da una bomboletta. Era in <strong>carcere</strong> da circa due<br />
mesi, dopo che gli erano stati revocati gli arresti domiciliari. Il giovane aveva chiesto <strong>di</strong> essere inserito nei<br />
piani <strong>di</strong> assistenza del Ser.T. interno al <strong>carcere</strong>, la struttura <strong>di</strong> sostegno per i tossico<strong>di</strong>pendenti, ma la sua<br />
domanda era ancora in corso <strong>di</strong> valutazione. Cozzolino, residente a Centocelle, era stato arrestato un anno fa<br />
dopo essere stato riconosciuto da numerosi ragazzi che erano stati derubati <strong>di</strong> cellulari, portafogli, catenine.<br />
A denunciare la sua morte è stato il parlamentare Paolo Cento, dopo una visita all’Istituto <strong>di</strong> Pena <strong>di</strong> Via<br />
della Lungara. La Procura <strong>di</strong> Roma ha aperto un’inchiesta, che dovrà stabilire se la morte <strong>di</strong> Cozzolino sia<br />
stata conseguente all’uso <strong>di</strong> gas per scopo stupefacente, oppure se si è trattato <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o. (Corriere della<br />
Sera, 6 luglio 2003).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 6 luglio 2003, Carcere <strong>di</strong> Piacenza<br />
Giosuè Matera, 25 anni, originario <strong>di</strong> Foggia, si uccide in cella, strangolandosi con la cintura<br />
dell’accappatoio. Si trovava in <strong>carcere</strong> dal mese <strong>di</strong> febbraio <strong>2002</strong>, con l’accusa <strong>di</strong> avere partecipato ad una<br />
rapina. Da pochi giorni ERA stato trasferito dal <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Parma a quello <strong>di</strong> Piacenza e, per <strong>di</strong>sposizione dei<br />
magistrati, era in cella d’isolamento. Il 9 luglio sarebbe dovuto comparire davanti al G.U.P. del Tribunale <strong>di</strong><br />
Parma, per l’u<strong>di</strong>enza preliminare. La Procura ha incaricato un me<strong>di</strong>co legale <strong>di</strong> Pavia <strong>di</strong> effettuare l’autopsia<br />
sulla salma del giovane, ma non vi sarebbero però dubbi sugli intenti suici<strong>di</strong> del detenuto che, secondo<br />
quanto si è appreso, sarebbero stati espressi anche per iscritto, nelle pagine <strong>di</strong> un’agenda ritrovata nella sua<br />
cella ed acquisita agli atti. I genitori del giovane hanno nominato un legale per seguire le fasi degli<br />
accertamenti. Si vuole in sostanza accertare se vi siano delle responsabilità sulla morte del detenuto da parte<br />
<strong>di</strong> qualcuno. (Libertà. Quoti<strong>di</strong>ano <strong>di</strong> Piacenza, 13 luglio 2003).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 17 luglio 2003, Carcere <strong>di</strong> Bergamo<br />
Vittorio Damiani, 62 anni, parroco <strong>di</strong> Villa <strong>di</strong> Serio (BG), si impicca in una cella della sezione <strong>di</strong> isolamento.<br />
Era detenuto dal 6 maggio 2003, con l’accusa <strong>di</strong> concorso in abusi sessuali si minori. Il sacerdote si<br />
proclamava innocente e pronto a ribaltare ogni addebito ma poi, forse, ha pensato che la vergogna non si<br />
cancella mai, anche quando nasce da accuse non vere. Tutto era partito dalla magistratura <strong>di</strong> Chiavari, che<br />
aveva poi passato gli atti a quella <strong>di</strong> Bergamo. Un primo ricorso al Tribunale della libertà <strong>di</strong> Genova era stato<br />
respinto. La scorsa settimana il legale del sacerdote ne aveva fatto un secondo, al Tribunale del Riesame <strong>di</strong><br />
Brescia, col quale faceva notare che nessun provve<strong>di</strong>mento restrittivo era stato emesso dalla magistratura <strong>di</strong><br />
Bergamo e, visto che l’or<strong>di</strong>nanza emessa dal giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Chiavari era ormai decaduta, chiedeva il suo rilascio.<br />
Tesi accolta dai giu<strong>di</strong>ci del riesame <strong>di</strong> Brescia, che hanno <strong>di</strong>sposto la scarcerazione del sacerdote. Ma nello<br />
stesso momento il P.M. Carmen Pugliese ha emesso un or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> fermo giu<strong>di</strong>ziario, temendo che don<br />
Damiani fuggisse. Costretto a restare in cella – sopraffatto dal dolore, dal rimorso, dalla vergogna, non si<br />
saprà mai – don Vittorio ha preferito la morte. (Il Giornale, 19 luglio 2003).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 21 luglio 2003, Carcere <strong>di</strong> Cagliari<br />
Damiano M., 26 anni, si uccide inspirando il gas <strong>di</strong> una bomboletta. Due compagni <strong>di</strong> cella notano che il<br />
giovane è sul letto, quasi rannicchiato, in una posizione insolita. Un detenuto lo chiama, ma Damiano M. non<br />
risponde. A quel punto chiede l’intervento delle guar<strong>di</strong>e penitenziarie, che chiamano il me<strong>di</strong>co. Damiano M.<br />
è trasportato in ospedale, ma ogni tentativo per rianimarlo si rivela inutile. Stava scontando una condanna per<br />
lesioni. In passato era stato arrestato anche con l’accusa <strong>di</strong> furto. Secondo le poche notizie filtrate negli<br />
ultimi tempi il giovane aveva problemi <strong>di</strong> salute. Non si conoscono i motivi che lo hanno spinto al suici<strong>di</strong>o,<br />
ma è chiaro che anche questo episo<strong>di</strong>o testimonia la situazione <strong>di</strong> estremo <strong>di</strong>sagio all’interno del vecchio<br />
penitenziario. Nei giorni scorsi un altro detenuto avrebbe cercato <strong>di</strong> togliersi la vita, sempre inspirando del<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
gas. Ma, in questa circostanza, l’intervento delle guar<strong>di</strong>e penitenziarie avrebbe scongiurato l’ennesima<br />
trage<strong>di</strong>a. Nel 2003 a “Buoncammino” si sono suicidati altri tre detenuti. (L’unione Sarda, 23 luglio 2003).<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 27 luglio 2003, Carcere <strong>di</strong> Ancona<br />
Giovane detenuto albanese tenta <strong>di</strong> uccidersi in cella e viene salvato dal pronto intervento delle guar<strong>di</strong>e<br />
carcerarie. Il ragazzo, in <strong>carcere</strong> per reati non pesanti, ha cercato <strong>di</strong> impiccarsi ad una sbarra: subito soccorso<br />
e trasportato al pronto soccorso <strong>di</strong> Torrette è stato giu<strong>di</strong>cato fuori pericolo. Si tratta del secondo caso <strong>di</strong><br />
tentativo <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o, nel giro <strong>di</strong> pochi giorni, nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Ancona. Nel caso precedente un detenuto italiano<br />
aveva bevuto un flacone <strong>di</strong> detersivo per l’igiene della casa. (Il Messaggero, 31 luglio 2003).<br />
Suici<strong>di</strong>o: 28 luglio 2003, Carcere <strong>di</strong> Agrigento<br />
Antonino Frenna, 50 anni, si impicca in cella. Era in <strong>carcere</strong> da un mese, arrestato dopo avere vibrato una<br />
coltellata al suo futuro genero. I legali <strong>di</strong> Frenna, Salvatore Re e Monica Malogioglio chiesero per lui la<br />
riqualificazione del reato da tentato omici<strong>di</strong>o in lesioni aggravate, chiedendo anche l’imme<strong>di</strong>ata<br />
scarcerazione del loro assistito. In attesa del pronunciamento del giu<strong>di</strong>ce, Frenna è rimasto chiuso nella sua<br />
cella, con la possibilità <strong>di</strong> vedere ogni tanto i propri cari, durante le ore <strong>di</strong> colloquio permesse dalla <strong>di</strong>rezione<br />
del <strong>carcere</strong>. Lunedì scorso Frenna si incontrava con la madre e un fratello, anch’esso detenuto a Petrusa: al<br />
termine del faccia a faccia, il cinquantenne ha fatto ritorno nella sua cella, avendo già in mente <strong>di</strong> uccidersi.<br />
Annodatosi un lenzuolo al collo si è strozzato. Un attimo dopo è scattato l’allarme.<br />
La salma <strong>di</strong> Frenna è stata trasportata nella camera mortuaria dell’ospedale <strong>di</strong> Agrigento, dove ieri, su<br />
<strong>di</strong>sposizione del sostituto procuratore Camillo Poillucci, il me<strong>di</strong>co legale Gianfranco Pullara ha effettuato<br />
l’ispezione cadaverica. Al magistrato non è rimasto altro da fare che aprire l’inchiesta, per stabilire eventuali<br />
responsabilità per la morte del detenuto. Uno dei reati ipotizzati è istigazione al suici<strong>di</strong>o. Dal <strong>carcere</strong> giunge<br />
il commento pieno <strong>di</strong> rammarico del <strong>di</strong>rettore, Laura Brancato, la quale ha evidenziato come “d’estate in<br />
molte carceri può accadere che qualcuno si lasci andare allo sconforto”. (La Sicilia, 30 luglio 2003).<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003<br />
Suici<strong>di</strong>, assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata, decessi “sospetti”, episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> overdose<br />
Statistica generale sui risultati della ricerca<br />
Casi considerati <strong>2002</strong> 2003 In due anni<br />
Suici<strong>di</strong> 43 28 71 64%<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata 13 5 18 16%<br />
Morti per cause non chiare 12 5 17 15%<br />
Morti per overdose 3 2 5 5%<br />
Totale delle morti 71 40 111 100%<br />
Tentati suici<strong>di</strong> 12 7 19<br />
Totale degli “eventi critici” 83 47 130<br />
Gli “eventi critici” nelle carceri: serie storica 1992 – <strong>2002</strong><br />
Fonte: D.A.P. – Ministero della Giustizia<br />
Anno Suici<strong>di</strong> Tentati<br />
suici<strong>di</strong><br />
Decessi<br />
“naturali”<br />
Auto<br />
lesioni<br />
1992 47 531 89 4.385<br />
1993 61 670 111 5.441<br />
1994 51 639 86 4.893<br />
1995 50 868 79 4.763<br />
1996 46 709 78 4.634<br />
1997 55 773 67 5.706<br />
1998 51 933 78 6.342<br />
1999 53 920 83 6.536<br />
2000 61 892 96 6.788<br />
2001 70 852 109 6.352<br />
<strong>2002</strong>* 53 - 113 -<br />
2003** 39 - - -<br />
* Per il <strong>2002</strong> non esistono dati ufficiali del Ministero della Giustizia; quelli <strong>di</strong>sponibili sono<br />
stati elaborati dai sindacati <strong>di</strong> Polizia penitenziaria e dall’Associazionismo.<br />
** Il dato sui suici<strong>di</strong>, riferito ai primi 8 mesi del 2003, è stato elaborato dall’Osapp (sindacato<br />
autonomo della Polizia penitenziaria). Secondo la stessa fonte, tra il <strong>2002</strong> e i primi mesi del<br />
2003 i tentati suici<strong>di</strong> e gli autolesionismi sono aumentati del 50%.
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Morti in <strong>carcere</strong> <strong>2002</strong> - 2003: casi descritti nella ricerca *<br />
Cognome Nome Età Causa della morte Carcere<br />
A. S. 30 anni Suici<strong>di</strong>o Voghera (PV)<br />
Abdel Rahim Alluad 20 anni Suici<strong>di</strong>o Rebibbia (RM)<br />
Andon Kolica 30 anni Suici<strong>di</strong>o O.P.G. Reggio Emilia<br />
B. Fabio 38 anni Suici<strong>di</strong>o Marassi (GE)<br />
Barbato Antonio 25 anni Non accertata Verona<br />
Bartoli Remo 55 anni Malattia Torino<br />
Benini Fabio 30 anni Malattia Torino<br />
Blancato Maurizio 26 anni Suici<strong>di</strong>o Carcere del Piemonte<br />
Bonomo Giovanni Pietro 40 anni Malattia O.P.G. Montelupo (FI)<br />
Bosco Miguel 30 anni Suici<strong>di</strong>o Pavia<br />
C. Paride 29 anni Suici<strong>di</strong>o Bologna<br />
Cabras Giovanni 28 anni Suici<strong>di</strong>o Sassari<br />
Caramanico Nicola 30 anni Overdose Isernia<br />
Carpano Ignazio 42 anni Suici<strong>di</strong>o Foggia<br />
Carraro Renzo 45 anni Suici<strong>di</strong>o Tolmezzo (UD)<br />
Catta Samuele Suici<strong>di</strong>o Sassari<br />
Cavaliere Luigi 24 anni Suici<strong>di</strong>o Foggia<br />
Celeste L. 27 anni Suici<strong>di</strong>o Bologna<br />
Chamorro Morocho 30 anni Suici<strong>di</strong>o San Vittore (MI)<br />
Contu Manuela 42 anni Overdose Aurelia (RM)<br />
Costarelli Loris 20 anni Suici<strong>di</strong>o Ancona<br />
Cozzolino Nicola 20 anni Suici<strong>di</strong>o Regina Coeli (RM)<br />
D. S. Antonio 30 anni Suici<strong>di</strong>o Marassi (GE)<br />
Damiani Salvatore 62 anni Suici<strong>di</strong>o Spoleto (PG)<br />
Damiani Vittorio 62 anni Suici<strong>di</strong>o Bergamo<br />
De Rossi Massimo 39 anni Non accertata Rebibbia (RM)<br />
De Simone Marco 41 anni Suici<strong>di</strong>o Rebibbia (RM)<br />
Detenuta italiana Non accertata Giudecca (VE)<br />
Detenuto italiano Overdose Is Arenas (CA)<br />
Detenuto italiano Suici<strong>di</strong>o O.P.G. Reggio Emilia<br />
Detenuto italiano Suici<strong>di</strong>o O.P.G. Reggio Emilia<br />
Detenuto italiano Malattia Salerno<br />
Detenuto italiano Suici<strong>di</strong>o O.P.G. Reggio Emilia<br />
Detenuto italiano Suici<strong>di</strong>o O.P.G. Reggio Emilia<br />
Detenuto italiano 33 anni Suici<strong>di</strong>o Rebibbia (RM)<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
48<br />
Detenuto italiano 25 anni Suici<strong>di</strong>o Monza<br />
Detenuto italiano Malattia Poggioreale (Napoli)<br />
Detenuto italiano 28 anni Overdose Busto Arsizio<br />
Detenuto italiano minorenne Suici<strong>di</strong>o Casal Del Marmo (RM)<br />
Detenuto italiano Non accertata Marassi (GE)<br />
Detenuto italiano Suici<strong>di</strong>o Nuoro<br />
Detenuto marocchino Suici<strong>di</strong>o San Vittore (MI)<br />
Detenuto marocchino 31 anni Suici<strong>di</strong>o Sassari<br />
Detenuto slavo Suici<strong>di</strong>o Sassari<br />
Detenuto turco Suici<strong>di</strong>o Livorno<br />
Di Cuonzo Maurizio 27 anni Suici<strong>di</strong>o Biella<br />
Di Gennaro Gennaro 40 anni Suici<strong>di</strong>o Rebibbia (RM)<br />
Di Gioia Domenico 39 anni Malattia Modena<br />
Diana Luigi 27 anni Suici<strong>di</strong>o Viterbo<br />
Ditriiev Ivan 22 anni Suici<strong>di</strong>o Macomer (NU)<br />
El Sfina Abed 32 anni Suici<strong>di</strong>o Camerino (MM)<br />
F. R. 33 anni Suici<strong>di</strong>o Marassi (GE)<br />
Fanari Sandro 45 anni Suici<strong>di</strong>o Cagliari<br />
Fedele Mauro 33 anni Non accertata Cuneo<br />
Fiorini Franca 37 anni Overdose Aurelia (RM)<br />
Franceschinis Sergio Malattia U<strong>di</strong>ne<br />
Frani Gianluca 31 anni Malattia Bari<br />
Frenna Antonino 50 anni Suici<strong>di</strong>o Agrigento<br />
Gallucci Maurizio 42 anni Malattia Catania<br />
Giusti Luigi 59 anni Malattia Poggioreale (NA)<br />
Graci Biagio 24 anni Suici<strong>di</strong>o Caltanissetta<br />
Guidotti Stefano 32 anni Non accertata Rebibbia (RM)<br />
Inconis Alessio 25 anni Suici<strong>di</strong>o Cagliari<br />
Kakri Ilir 38 anni Suici<strong>di</strong>o Castrovillari (CS)<br />
L. Leo 44 anni Malattia Marassi (GE)<br />
Linetti Fabrizio Suici<strong>di</strong>o Torino<br />
M. A. 40 anni Suici<strong>di</strong>o <strong>Opera</strong> (MI)<br />
M. Clau<strong>di</strong>o Malattia Rebibbia (RM)<br />
M. Damiano 26 anni Suici<strong>di</strong>o Cagliari<br />
Mainetti Roberto 22 anni Suici<strong>di</strong>o Sondrio<br />
Martera Luigi 36 anni Malattia Teramo<br />
Matera Giosuè 25 anni Suici<strong>di</strong>o Piacenza<br />
Michael Hadà 28 anni Non accertata Forlì<br />
Montella Raffaele 40 anni Suici<strong>di</strong>o Poggioreale (NA)<br />
Montescuro Vittorio 39 anni Non accertata Poggioreale (NA)<br />
Muccioli Roberto 36 anni Non accertata Rimini
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Nazgas Ibrahim 23 anni Suici<strong>di</strong>o Sanremo (IM)<br />
Nocchi Adolfo 30 anni Malattia Pisa<br />
P. S. Malattia Rebibbia (RM)<br />
Pirrone Giuseppe 42 anni Suici<strong>di</strong>o Castrovillari (CS)<br />
Piu Patrizia 23 anni Suici<strong>di</strong>o Sassari<br />
Po<strong>di</strong>o Eugenio 44 anni Suici<strong>di</strong>o San Vittore (MI)<br />
Proietto Carmine 57 anni Malattia Verona<br />
R. Santo 50 anni Suici<strong>di</strong>o Marassi (GE)<br />
Rinal<strong>di</strong> Antonio 31 anni Suici<strong>di</strong>o Salerno<br />
Roncelli Licia 20 anni Non accertata Pozzuoli (NA)<br />
Russo Marco 25 anni Non accertata Regina Coeli (RM)<br />
S. G. 36 anni Suici<strong>di</strong>o Pavia<br />
Saba Luca 31 anni Non accertata Cagliari<br />
Saba Mauro 38 anni Suici<strong>di</strong>o Oristano<br />
Salidu Roberto 41 anni Suici<strong>di</strong>o Pesaro<br />
Sammali Gioacchino 22 anni Suici<strong>di</strong>o Lecce<br />
Sanfilippo Salvatore 35 anni Suici<strong>di</strong>o Padova (C. Reclusione)<br />
Sanna Roberto 37 anni Suici<strong>di</strong>o Cagliari<br />
Santolini Stefano 28 anni Suici<strong>di</strong>o Trento<br />
Santona Paolo 48 anni Suici<strong>di</strong>o Cagliari<br />
Satoj Sotaj 40 anni Malattia Lecce<br />
Savy Maria Laurence Suici<strong>di</strong>o Modena<br />
Scala Clau<strong>di</strong>o 26 anni Suici<strong>di</strong>o Siracusa<br />
Scandura Maurizio 28 anni Non accertata Questura <strong>di</strong> Roma<br />
Sirigu Roberto 33 anni Suici<strong>di</strong>o Is Arenas (CA)<br />
Tonicello Riccardo 56 anni Malattia Padova (C. Reclusione)<br />
Troncone Giovanni Non accertata Secon<strong>di</strong>gliano (NA)<br />
Tubelli Umberto 54 anni Malattia Forlì<br />
V. Mario 54 anni Malattia Marassi (GE)<br />
Valinetti Franco 32 anni Malattia O.P.G. Reggio Emilia<br />
Vargas Sanchez Alfredo Suici<strong>di</strong>o Ancona<br />
Zampetti Marco 35 anni Suici<strong>di</strong>o Pesaro<br />
* Nel <strong>2002</strong>, oltre ai casi descritti, sono morti altri 95 detenuti dei quali non siamo riusciti a sapere nulla.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
50<br />
Tentati suici<strong>di</strong> <strong>2002</strong> - 2003: casi descritti *<br />
Cognome Nome Età Carcere<br />
Aquino Carmine 38 anni Torino<br />
C. Tony 35 anni Cassino (FR)<br />
Ciaralli Fabio 40 anni Viterbo<br />
Cretarola Gianni 19 anni Sanremo (IM)<br />
Detenuto albanese Ancona<br />
Detenuto italiano 79 anni Ancona<br />
Detenuto italiano 79 anni Nuoro<br />
Detenuto italiano 40 anni Pesaro<br />
Detenuto italiano Perugia<br />
Detenuto nordafricano 30 anni U<strong>di</strong>ne<br />
Detenuto italiano 35 anni U<strong>di</strong>ne<br />
Detenuto italiano 30 anni Parma<br />
Detenuto cinese Vicenza<br />
Detenuto rumeno 27 anni Como<br />
Gravina Salvatore 30 anni Catania<br />
Pekra Alket U<strong>di</strong>ne<br />
S. A. 35 anni Sassari<br />
S. F. 35 anni San Gimignano (SI)<br />
Talala Omar 35 anni Sanremo (IM)<br />
* I casi <strong>di</strong> tentato suici<strong>di</strong>o descritti rappresentano una minima parte <strong>di</strong> quelli che si sono verificati, in quanto<br />
solo raramente i giornali ne danno notizia.
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Carceri nelle quali si sono verificati gli “eventi critici” descritti<br />
Carcere Suici<strong>di</strong> Assistenza<br />
sanitaria<br />
<strong>di</strong>sastrata<br />
Morti per<br />
cause non<br />
chiare<br />
Overdose Totale<br />
morti<br />
Tentati<br />
suici<strong>di</strong><br />
Cagliari 5 2 7 1<br />
Sassari 6 1 7 1<br />
Rebibbia (RM) 3 2 2 7<br />
Marassi (GE) 4 2 1 7<br />
O.P.G. Reggio Emilia 5 5<br />
Poggioreale (NA) 1 2 1 4<br />
San Vittore (MI) 3 1 4<br />
Torino 2 2 4<br />
Foggia 2 1 3<br />
Regina Coeli (RM) 2 1 3<br />
Secon<strong>di</strong>gliano (NA) 2 1 3<br />
Ancona 2 2 2<br />
Catania 2 2 1<br />
Pesaro 2 2 1<br />
Aurelia (RM) 2 2<br />
Is Arenas (CA) 1 1 2<br />
Lecce 1 1 2<br />
Modena 1 1 2<br />
Padova C. Reclusione 1 1 2<br />
Pavia 2 2<br />
Salerno 1 1 2<br />
Torino 1 1 1<br />
Viterbo 1 1 1<br />
Agrigento 1 1<br />
Bari 1 1<br />
51
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Bergamo 1 1<br />
Biella 1 1<br />
Bologna 1 1<br />
Busto Arsizio 1 1<br />
Caltanissetta 1 1<br />
Camerino (MC) 1 1<br />
Casal del Marmo (RM) 1 1<br />
Cassino (RM) 1 1<br />
Castrovillari (CS) 1 1<br />
Cosenza 1 1<br />
Cuneo 1 1<br />
Forlì 1 1<br />
Giudecca (VE) 1 1<br />
Isernia 1 1<br />
Livorno 1 1<br />
Macomer (NU) 1 1<br />
O.P.G. Montelupo (FI) 1 1<br />
Monza 1 1<br />
<strong>Opera</strong> (MI) 1 1<br />
Oristano 1 1<br />
Piacenza 1 1<br />
Pisa 1 1<br />
Pozzuoli (NA) 1 1<br />
Rimini 1 1<br />
San Gimignano (SI) 1 1<br />
Sanremo (IM) 1 1 2<br />
Siracusa 1 1<br />
Sondrio 1 1<br />
Spoleto 1 1<br />
52
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Teramo 1 1<br />
Tolmezzo 1 1<br />
Trento 1 1<br />
U<strong>di</strong>ne 1 1 2<br />
Verona 1 1<br />
Vicenza 1 1<br />
Como 1<br />
Nuoro 1<br />
Parma 1<br />
Perugia 1<br />
Totale 71 18 17 5 111 19<br />
Età delle persone morte (casi descritti)<br />
Fino a 20 anni 3 3%<br />
21 - 30 anni 40 36%<br />
31 - 40 anni 36 33%<br />
41 - 50 anni 12 10%<br />
51 - 60 anni 8 7%<br />
61 - 70 anni 2 2%<br />
Non rilevata 10 9%<br />
Totale 111 100%<br />
Nazionalità delle persone morte (casi descritti)<br />
Italiani 94 85%<br />
Stranieri 17 15%<br />
Dati socio - giuri<strong>di</strong>ci delle persone morte (casi descritti)<br />
Tossico<strong>di</strong>pendenti 42 38%<br />
Accusati / condannati per omici<strong>di</strong>o 13 12%<br />
Accusati / condannati per mafia 6 6%<br />
Pena / residuo inferiore ad un anno 19 18%<br />
53
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
54<br />
Numero me<strong>di</strong>o <strong>di</strong> detenuti e casi <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o nei <strong>di</strong>versi paesi europei<br />
Paese<br />
Numero suici<strong>di</strong><br />
nel 2000<br />
Numero me<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />
detenuti nel 2000<br />
Tasso <strong>di</strong> suici<strong>di</strong> per<br />
10.000 detenuti<br />
Albania 0 1.467 0,0<br />
Andorra 0 37 0,0<br />
Armenia 0 4.213 0,0<br />
Austria 17 7.090 24,0<br />
Belgio 16 8.630 19,0<br />
Bulgaria 4 9.424 4,2<br />
Cipro 0 310 0,0<br />
Croazia 1 2.510 4,0<br />
Danimarca 5 3.380 15,0<br />
Estonia 0 4.720 0,0<br />
Finlan<strong>di</strong>a 3 2.850 11,0<br />
Francia 120 50.670 24,0<br />
Germania 78 78.707 9,9<br />
Grecia 9 8.038 11,0<br />
Inghilterra 81 58.300 14,0<br />
Irlanda 4 2.900 14,0<br />
Irlanda del Nord 4 980 41,0<br />
Islanda 0 93 0,0<br />
Italia 61 53.481 11,4<br />
Lettonia 9 8.555 11,0<br />
Lituania 9 10.550 8,5<br />
Lussemburgo 5 398 13,0<br />
Macedonia 2 1.435 14,0<br />
Malta 0 257 0,0<br />
Moldavia 6 9.754 6,2<br />
Norvegia 0 2.450 0,0<br />
Paesi Bassi 9 11.740 7,7<br />
Polonia 46 65.336 7,0<br />
Portogallo 10 13.500 7,4<br />
Repubblica Ceca 11 22.800 4,8<br />
Romania 5 49.682 1,0<br />
Russia Non rilevato 971.496 ----<br />
Slovacchia 3 7.128 4,2<br />
Slovenia 4 1.036 39,0<br />
Spagna 18 45.310 4,0<br />
Svezia 5 5.320 9,4<br />
Svizzera 0 6.390 0,0<br />
Turchia 22 70.090 3,1<br />
Ucraina 31 189.885 1,6<br />
Ungheria 5 15.821 3,2<br />
Totale Europa 598 1.806.733 7,1 (Esclusa la Russia)<br />
Fonte: Consiglio d’Europa (tratto dalla rivista “Dignitas” n° 1 - <strong>2002</strong>)
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
L’impegnativa al Governo approvata dal Senato il 5 giugno <strong>2002</strong><br />
Senato Della Repubblica - XIV Legislatura - 184ª Seduta Pubblica - mercoledì 5 giugno <strong>2002</strong><br />
Presidenza del vice presidente Fisichella, in<strong>di</strong> del vice presidente Calderoli<br />
Malabarba, Sodano, Malentacchi, Togni, Battaglia Giovanni, Battisti, Boco, Calvi, Flammia,<br />
Gaglione, Liguori, Longhi, Passigli, Ripamonti, Zancan<br />
il Senato, premesso<br />
(…) che si legge nella ricerca effettuata dall’associazione “A Buon Diritto - Associazione per le libertà”,<br />
pubblicata dal quoti<strong>di</strong>ano “la Repubblica” in data 20 maggio <strong>2002</strong>, che in <strong>carcere</strong> ci si suicida ben 19 volte in<br />
più che all’esterno: si sono verificati 70 suici<strong>di</strong> nel 2001 e 65 nel 2000, oltre 6.000 sono gli atti <strong>di</strong><br />
autolesionismo.<br />
Si legge sempre nella ricerca che “contrariamente a ciò che vorrebbe un <strong>di</strong>ffuso luogo comune, non è affatto<br />
vero in genere che più si è <strong>di</strong>sperati più ci si suicida. Non è così, come documentano tutte le ricerche in<br />
materia: tra i malati gravi, quelli irreversibili e quelli terminali, la percentuale <strong>di</strong> suici<strong>di</strong> è assai ridotta e,<br />
più spesso, pressoché irrisoria. E su un altro piano, nei paesi dove è in vigore la pena capitale, il fenomeno<br />
dei suici<strong>di</strong> tra i condannati a morte non ha alcuna rilevanza statistica”. In <strong>carcere</strong> invece ci si suicida molto<br />
<strong>di</strong> più che in qualsiasi altro contesto; in base ai dati che emergono dalla ricerca si legge che:<br />
• si uccide chi conosce il proprio destino e ne teme l’ineluttabilità;<br />
• si ammazza, in misura appena meno rilevante, chi non ha la minima idea del proprio destino e ne teme<br />
l’impreve<strong>di</strong>bilità.<br />
Dunque il maggior numero <strong>di</strong> suici<strong>di</strong> si concentra tra i detenuti che scontano condanne definitive (57) e tra<br />
coloro che si trovano in custo<strong>di</strong>a cautelare, in attesa <strong>di</strong> rinvio a giu<strong>di</strong>zio o, se rinviati, in attesa della sentenza<br />
<strong>di</strong> primo grado (48). Questi ultimi, pertanto, sono sotto tutti i profili presunti innocenti, all’atto del suici<strong>di</strong>o.<br />
Si può <strong>di</strong>re, allora, che tra i “nuovi giunti” il rischio <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o è particolarmente elevato. Se consideriamo la<br />
durata della permanenza in <strong>carcere</strong> precedente il suici<strong>di</strong>o, troviamo che quasi il 55% dei detenuti si toglie la<br />
vita nei primi 6 mesi <strong>di</strong> reclusione e quasi il 64% nel corso del primo anno. E ancora: sul complesso dei<br />
suici<strong>di</strong> avvenuti in <strong>carcere</strong> negli ultimi due anni, una percentuale significativa riguarda detenuti per reati<br />
legati alla tossico<strong>di</strong>pendenza; un certo numero <strong>di</strong> suici<strong>di</strong> (circa un quinto) riguarda persone recluse per reati<br />
<strong>di</strong> ridotto rilievo penale e sociale (ricettazione e concorso in ricettazione, rissa aggravata, danneggiamenti,<br />
<strong>di</strong>serzione, maltrattamenti in famiglia, furto, guida senza patente, evasione fiscale, inosservanza degli<br />
obblighi <strong>di</strong> pubblica sicurezza, eccetera); e appena più <strong>di</strong> un terzo dei suici<strong>di</strong> riguarda detenuti per reati <strong>di</strong><br />
particolare allarme sociale (omici<strong>di</strong>o, tentato omici<strong>di</strong>o, rapina aggravata, associazione mafiosa, stupro e<br />
violenza sessuale, etc.).<br />
(…) che il <strong>carcere</strong> deve, per mandato costituzionale, tendere alla rieducazione del condannato<br />
impegna il Governo<br />
• a dare piena attuazione a quanto previsto nella legge 193/2000 sul lavoro in <strong>carcere</strong>, nel decreto<br />
legislativo n. 230/99 sulla sanità penitenziaria, nella legge 8 marzo del 2001, n° 40, intitolata “Misure<br />
alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori”, nel decreto del Presidente<br />
della Repubblica n° 230 del 30.06.2000, “Nuovo regolamento <strong>di</strong> esecuzione”;<br />
• ad attivare meccanismi <strong>di</strong> formazione e sensibilizzazione del personale <strong>di</strong> polizia penitenziaria sulle<br />
tematiche dei <strong>di</strong>ritti umani che possano essere <strong>di</strong> contrasto a comportamenti violenti o in<strong>di</strong>fferenti;<br />
• ad incentivare le attività <strong>di</strong> trattamento e aumentare il numero degli operatori dell’area pedagogica;<br />
• a favorire il rapporto fra istituzioni penali e enti locali territoriali e accrescere il numero <strong>di</strong> volontari in<br />
<strong>carcere</strong>;<br />
• ad aumentare il numero delle ore <strong>di</strong> aria e <strong>di</strong> socialità in <strong>carcere</strong>;<br />
• ad intraprendere ogni iniziativa utile perché l’isolamento sia utilizzato in casi assolutamente eccezionali;<br />
• a sostenere le politiche <strong>di</strong> decarcerizzazione e <strong>di</strong> accesso alle misure alternative;<br />
• a dare il consenso alla pubblicazione del rapporto del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura<br />
relativamente alla visita ispettiva del febbraio del 2000.<br />
55
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Al sig. Ministro della Giustizia<br />
Al sig. Ministro della Salute<br />
56<br />
L’appello dell’Associazione Co.N.O.S.C.I. Onlus<br />
Roma, 21 giugno <strong>2002</strong><br />
Il Coor<strong>di</strong>namento Nazionale degli <strong>Opera</strong>tori per la Salute nelle Carceri Italiane (Co.N.O.S.C.I. - Onlus),<br />
nell’ambito della emanazione dei decreti collegati all’art. 5 della Legge delega n° 419/98 in tema <strong>di</strong> rior<strong>di</strong>no<br />
della me<strong>di</strong>cina penitenziaria, pur rinnovando l’espressione della propria sod<strong>di</strong>sfazione per gli insperati<br />
risultati sinora raggiunti in tutte le regioni italiane per ciò che attiene alla terapia dei tossico<strong>di</strong>pendenti e nelle<br />
sei regioni che sperimentano il trasferimento <strong>di</strong> tutte le competenze sanitarie, tra cui il Lazio, la Campania,<br />
l’Emilia, il Molise, la Toscana e la Puglia, esprime ancora una volta la sua viva preoccupazione:<br />
• per le concrete e gravi carenze che si sono venute a creare con il taglio dei fon<strong>di</strong> per l’assistenza sanitaria<br />
ai detenuti, anche in previsione del passaggio delle competenze alle Regioni;<br />
• per la situazione <strong>di</strong> totale abbandono farmaceutico soprattutto per quei pazienti che più bisognosi <strong>di</strong> altri<br />
per gravi con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute, hanno necessità <strong>di</strong> cure costose (epatopatie croniche, Aids, etc.);<br />
• per la reale possibilità che vengano create due categorie <strong>di</strong> detenuti: quelli tossico<strong>di</strong>pendenti,<br />
<strong>di</strong>rettamente assistibili dal SSN sin da ora, e gli altri assistiti dal Ministero della Giustizia;<br />
• per il concreto rischio che le gran<strong>di</strong> speranze riposte nel rior<strong>di</strong>no del settore da parte <strong>di</strong> tutti gli attori<br />
dello stesso (detenuti, operatori, famiglie, etc.) vadano profondamente <strong>di</strong>silluse;<br />
• per il concreto pericolo <strong>di</strong> ritornare alle superate e costose “convenzioni” con gli Enti Locali, in una<br />
visione antifederalistica e centralizzante dello Stato sulle realtà locali;<br />
• per il rilevante ritardo con il quale è stato fatto inse<strong>di</strong>are il Comitato per la valutazione della fase<br />
sperimentale del passaggio delle funzioni sanitarie dal Ministero della Giustizia a quello della Sanità (e<br />
quin<strong>di</strong> alle Regioni) e la conseguente mancata valutazione e proposta dei correttivi necessari al<br />
completamento della fase sperimentale stessa;<br />
• per il rilevante ritardo per cui non sono stati ancora trasferiti alle Regioni i necessari fon<strong>di</strong> per la gestione<br />
della tutela della salute in <strong>carcere</strong> ed il personale appartenente al comparto delle tossico<strong>di</strong>pendenze.<br />
Nel contempo, è necessario continuare a prestare la massima attenzione sia da parte del Governo e dei sigg.<br />
Ministri interessati, anche su altri importanti aspetti dell’annosa vicenda che ben tre Governi non hanno<br />
ancora portato a compimento:<br />
• i Detenuti e le loro famiglie (valutabili complessivamente in circa 500.000 persone l’anno) sono<br />
attualmente assistiti da un sistema <strong>di</strong>cotomico: evoluto per la parte riguardante il SSN e fermo alla legge<br />
n° 740 del 1970 quello penitenziario;<br />
• le Comunità Terapeutiche <strong>di</strong> Accoglienza, molte delle quali firmatarie del presente documento, devono<br />
con<strong>di</strong>videre questo stato <strong>di</strong> grande incertezza anche amministrativa;<br />
• gli <strong>Opera</strong>tori coinvolti attendono questo decreto anche per poter avere la possibilità <strong>di</strong> una giusta<br />
stabilizzazione professionale;<br />
• le Regioni e le AUSL possono finalmente uscire dall’ambiguità amministrativa e realizzare la prima<br />
forma <strong>di</strong> federalismo sanitario reale in Italia;<br />
• il Citta<strong>di</strong>no, che può vedere incrementata la sicurezza nelle carceri, giacché non vi è migliore garanzia <strong>di</strong><br />
tranquillità come quando vengono garantiti i <strong>di</strong>ritti umani minimi e la pari opportunità <strong>di</strong> accesso alle<br />
cure.<br />
Per quanto suesposto, quin<strong>di</strong> i firmatari chiedono<br />
• che il Governo si adoperi affinché possa al più presto essere pubblicato il decreto finale sul trasferimento<br />
del personale, delle risorse economiche e delle attrezzature dell’intero comparto della “sanità<br />
penitenziaria”, dal Ministero della Giustizia a quello della Salute. Un urgente incontro con le Autorità in<br />
in<strong>di</strong>rizzo per poter <strong>di</strong>mostrare la gravità dei fatti esposti.<br />
Co.N.O.S.C.I. Onlus<br />
Il Presidente (dr. Sandro Libianchi)
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Suici<strong>di</strong>o<br />
Articoli sulle morti in <strong>carcere</strong> pubblicati dai giornali carcerari<br />
Facce e maschere, n° 12 (2003)<br />
Giovedì 28 novembre, nello svegliarci, abbiamo sentirò un odore <strong>di</strong>verso. In <strong>carcere</strong> le giornate si sentono<br />
dall’odore. Del resto, basta pensare a questo muro che ci chiude da ogni parte e ci impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> guardare<br />
oltre, per capire come il senso dell’odorato possa ben sostituire quello della vista. Quella mattina, non so<br />
perché, l’odore era <strong>di</strong>verso. Non saprei descriverlo, so solo che impe<strong>di</strong>va <strong>di</strong> respirare a pieni polmoni, come<br />
il presentimento <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> grave che fosse accaduto nella notte. Alcune ore dopo, arrivava nelle varie<br />
sezioni la voce che un detenuto, un nostro compagno, si era tolto la vita impiccandosi in cella. Abbiamo<br />
cominciato a porci le prime domande. Prima <strong>di</strong> tutto, chi fosse.<br />
Quando abbiamo saputo che era un ragazzo marocchino <strong>di</strong> vent’anni, molti <strong>di</strong> noi hanno provato un brivido<br />
sotto la pelle. Subito dopo, ci siamo chiesti perché l’aveva fatto. Gli mancavano, si <strong>di</strong>ceva, soltanto 4 mesi<br />
alla libertà. Abbiamo poi saputo che Nizar, questo il suo nome, era in isolamento, cioè sotto osservazione.<br />
E allora è venuto spontaneo chiedersi come avesse potuto portare a termine quell’ultimo, estremo gesto<br />
sfuggendo ai controlli. Qualcuno suggeriva, riferendosi alla sua provenienza dal Marocco, che “forse aveva<br />
bisogno <strong>di</strong> parlare con qualcuno perché era successo qualcosa alla sua famiglia”.<br />
Probabilmente, aggiungeva qualcun altro, era in <strong>carcere</strong> per la prima volta e, quin<strong>di</strong>, aveva bisogno <strong>di</strong><br />
maggiori attenzioni. Forse Nizar aveva soltanto bisogno <strong>di</strong> essere ascoltato. Di uscire dal suo doppio stato <strong>di</strong><br />
emarginazione, come detenuto e come extracomunitario, sentire qualcuno esprimergli solidarietà e appoggio<br />
morale. Non ti conoscevamo, amico Nizar, ma ti abbiamo de<strong>di</strong>cato il nostro spettacolo. Preparandomi per la<br />
recita, ho guardato a lungo le ali d’angelo, un costume <strong>di</strong> scena. Quelle ali che hai utilizzato davvero per<br />
volare lontano e che nessuno ormai potrà più toglierti.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata<br />
Facce e maschere, n° 8 (2001)<br />
Da due settimane mi trovo ristretto nella Casa <strong>di</strong> Reclusione <strong>di</strong> <strong>Opera</strong>. Da quando sono stato trasferito da S.<br />
Vittore ho un problema, non solo mio, ma generale, da esporre, anche se credo che già siate informati. Qui<br />
all’interno dell’istituto la situazione sanitaria è catastrofica, soprattutto per noi sieropositivi. Vi è un<br />
problema nella <strong>di</strong>stribuzione dei farmaci: ormai è quoti<strong>di</strong>anità la loro <strong>di</strong>stribuzione a mezzanotte. È risaputo<br />
che i farmaci antiretrovirali vanno presi negli orari prestabiliti, altrimenti non hanno alcun effetto contro il<br />
virus e creano ulteriori complicazioni. Per non <strong>di</strong>re che, il più delle volte, i farmaci mancano o non sono<br />
<strong>di</strong>stribuiti.<br />
Anche volendo curarmi, come potrei fare? La figura sanitaria dell’infettivologo è inesistente. Appena giunto<br />
ho saputo, parlando con i miei compagni, che nella sezione in cui mi trovo (2° pa<strong>di</strong>glione, 2° piano B) era<br />
appena deceduto un mio carissimo amico, Walter Holz. Se non fosse stato per la negligenza del personale<br />
sanitario <strong>di</strong> reparto, sarebbe ancora in mezzo a noi.<br />
Da più <strong>di</strong> un mese il dottore era a conoscenza delle reali con<strong>di</strong>zioni del povero Walter. Ma il me<strong>di</strong>co<br />
sanitario <strong>di</strong>agnosticò all’inizio una semplice cefalea, e per un mese è stato curato con pastiglie per il mal <strong>di</strong><br />
testa. Walter è deceduto per un aneurisma celebrale. Ora io mi chiedo a quanti decessi dobbiamo assistere -<br />
visto che quello <strong>di</strong> Walter è stato uno <strong>di</strong> una lunga serie, taciuta dai giornali - perché possano essere<br />
manifesti e possano cessare questi soprusi? E pensare che della Casa <strong>di</strong> Reclusione <strong>di</strong> <strong>Opera</strong> se ne parla bene,<br />
a mio avviso invece si tratta <strong>di</strong> un perfetto lager moderno. In ultimo, faccio presente che oggi sono venuto a<br />
conoscenza <strong>di</strong> un altro decesso.<br />
57
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata<br />
Alla luce della morte <strong>di</strong> due coabitanti del secondo raggio, da tutti chiamato C.O.C. (Centro <strong>di</strong> Osservazione<br />
Criminale) <strong>di</strong> San Vittore, non posso trattenere i miei pensieri e la mia rabbia. Il giorno 29 <strong>di</strong>cembre 2000 è<br />
morto Massimo Cogliati, un ragazzo d’una trentina d’anni. Venti giorni dopo, esattamente il 18 gennaio<br />
2001, è morto Paolo San<strong>di</strong>rali, ancora più giovane <strong>di</strong> Massimo. Tutti dovete ricordarli. Massimo è morto,<br />
pare (non ho i dati ufficiali dell’autopsia) a causa <strong>di</strong> un ingrossamento delle tonsille, che lo hanno soffocato.<br />
Poiché le tonsille non si gonfiano in modo così repentino, pongo questi quesiti: se è vero, perché non è<br />
intervenuto nessuno, prima?<br />
Eppure i compagni <strong>di</strong> cella avevano segnalato il caso anomalo. Nessuno si era accorto, nei giorni<br />
imme<strong>di</strong>atamente precedenti, che questo ragazzo non poteva mangiare, che faceva fatica a deglutire, che non<br />
andava all’aria? Non si era segnato a visita me<strong>di</strong>ca? Se si era segnato, perché non è stato chiamato?<br />
Qualcuno ha segnalato il caso a qualche agente? Chi e con quale faccia qualcuno ha potuto comunicare ai<br />
suoi cari che Massino era morto in <strong>carcere</strong>, perché… ha dovuto provvedere don Luigi! Mi piacerebbe poter<br />
avere le risposte, perché la morte <strong>di</strong> un ragazzo giovane, anche se non lo conoscevo, mi turba<br />
profondamente.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata<br />
Altro caso è la morte <strong>di</strong> Paolo: continuo a chiedermi come si può morire a venticinque anni, a Milano, non in<br />
un paese del terzo mondo. Paolo era stato <strong>di</strong>chiarato incompatibile con il <strong>carcere</strong> da ben sei me<strong>di</strong>ci e da tre<br />
infettivologi, sembra che il suo magistrato abbia <strong>di</strong>chiarato che voleva scarcerarlo il giorno dopo. Vergogna!<br />
Conclamato e CD4 a zero!<br />
Nella notte tra il 17 e il 18 gennaio, Paolo viene inviato dal me<strong>di</strong>co del pronto soccorso interno all’ospedale<br />
<strong>di</strong> turno: Paolo ha la febbre altissima. All’ospedale San Carlo Borromeo, i detenuti non sono gra<strong>di</strong>ti perché la<br />
scorta <strong>di</strong>sturba troppo gli altri pazienti, per il poco rispetto che alcuni agenti sono abituati a riservare ai<br />
detenuti piantonati. Paolo viene sommariamente visitato, senza nemmeno essere sottoposto a ra<strong>di</strong>oscopia.<br />
Secondo i me<strong>di</strong>ci pare che il suo stato fosse dovuto ad un uso eccessivo <strong>di</strong> qualche droga e, praticata<br />
un’iniezione <strong>di</strong> Narcan (farmaco salvavita in caso <strong>di</strong> overdose), viene <strong>di</strong>messo e rinviato al <strong>carcere</strong>.<br />
Nel pomeriggio del 18 gennaio, poche ore dopo il rientro, Paolo moriva. A nulla sono valsi i tentativi <strong>di</strong><br />
rianimazione effettuati dai me<strong>di</strong>ci del pronto soccorso. La temperatura ascellare, misurata un’ora dopo la<br />
morte, segnava 38° centigra<strong>di</strong>. Probabilmente, al momento del decesso, aveva raggiunto la soglia massima.<br />
Io non conoscevo Paolo, ma voglio ringraziare il magistrato che voleva scarcerarlo il giorno dopo il suo<br />
decesso. Non si vergogna, signor magistrato? A cosa servono i pareri me<strong>di</strong>ci, se lei si sente così vicino a Dio<br />
per prendere le decisioni per lui? Non perda il sonno per così poco, in fondo è morto soltanto un altro<br />
detenuto, citta<strong>di</strong>no ed essere umano non pari a lei, ma <strong>di</strong> serie “B”.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata<br />
Qui, al C.O.C., reparto <strong>di</strong> S. Vittore per tossico<strong>di</strong>pendenti, sepolti vivi dalla società civile, io sono un misero<br />
numero <strong>di</strong> matricola dal luglio dell’anno <strong>di</strong> <strong>di</strong>sgrazia 2000, anno del Giubileo del carcerato. Ho saputo della<br />
morte <strong>di</strong> un mio compagno, avvenuta giovedì 18 gennaio, da ra<strong>di</strong>o <strong>carcere</strong>, tutto questo nell’in<strong>di</strong>fferenza<br />
generale (è il quarto decesso in pochi mesi!) specie dell’opinione pubblica, perché attualmente il “drogato”<br />
che muore in <strong>carcere</strong> non ha più nemmeno il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> essere un puntino nella cronaca nera. È <strong>di</strong>fficile<br />
trovare traccia <strong>di</strong> un trafiletto sui quoti<strong>di</strong>ani <strong>di</strong> Stato.<br />
Questo ragazzo in AIDS conclamato e con pochissimi anticorpi, aveva appena ricevuto il rigetto della sua<br />
richiesta <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferimento della pena dal tribunale <strong>di</strong> sorveglianza <strong>di</strong> Milano, con l’assurda motivazione che la<br />
sua malattia non era così grave da non poter essere curata in questo istituto <strong>di</strong> pena! Questi cosiddetti<br />
“laureati” si dovrebbero vergognare <strong>di</strong> considerare la vita <strong>di</strong> un povero ragazzo malato alla pari <strong>di</strong> un<br />
qualsiasi animale (anzi nemmeno tale, perché gli animali sono amati dai loro padroni, non <strong>di</strong>sprezzati) come<br />
succede ad un tossico<strong>di</strong>pendente in AIDS, che doveva scontare pochi anni certamente (non saprei<br />
quantificare il tutto, dato che non conosco la sua posizione giuri<strong>di</strong>ca).<br />
So per certo che non aveva commesso crimini <strong>di</strong> sangue, come certi falsi pentiti opportunisti che usano le<br />
leggi <strong>di</strong> questo nostro malsano stato per il loro sporco tornaconto. Ho notato che la via <strong>di</strong> mezzo non esiste,<br />
si passa da un eccesso all’altro. Una volta, noi tossico<strong>di</strong>pendenti venivamo lasciati in crisi d’astinenza e, al<br />
massimo, ci veniva concessa qualche goccia <strong>di</strong> Valium, per pochissimi giorni. Ora ci danno il metadone<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
(com’è giusto che sia) e psicofarmaci a volontà, senza il minimo controllo, senza alcun accertamento<br />
sanitario. Chie<strong>di</strong> e ti sarà dato…<br />
Personalmente apprezzo l’impegno <strong>di</strong> assistenti, psicologi e psichiatri, ma non si può pensare <strong>di</strong> accontentare<br />
sempre e comunque una persona tossico<strong>di</strong>pendente, psicologicamente instabile, il più delle volte non in<br />
grado <strong>di</strong> autogestirsi. Per questo non capisco come possano questi dottori imbottire <strong>di</strong> psicofarmaci questi<br />
detenuti tossico<strong>di</strong>pendenti, solo perché lo pretendono, inventandosi scuse pazzesche. Non possono e non<br />
devono farsi raggirare dalle richieste esuberanti <strong>di</strong> certi soggetti, prima <strong>di</strong> tutto malati <strong>di</strong> protagonismo e <strong>di</strong><br />
non so che altro. Trovo giusto somministrare il metadone, ma non in maniera arbitraria.<br />
Lo stesso <strong>di</strong>scorso vale per la prescrizione degli psicofarmaci a chiunque. Questa “prassi penitenziaria”<br />
renderà la vita più tranquilla al personale <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>a, che avrà a che fare con persone rincretinite dalla<br />
terapia, ma insopportabile per i compagni <strong>di</strong> cella, che ci devono convivere 24 ore al giorno. C’è da<br />
impazzire, in questa pena nella pena! Vorrei concludere rivolgendomi ai responsabili della morte <strong>di</strong> questo<br />
ragazzo: spero che questi abbiano una coscienza e pensino al danno che hanno fatto, ma non credo.<br />
Altrimenti non avrebbero il coraggio <strong>di</strong> guardarsi allo specchio, appena svegli, senza provare <strong>di</strong>sprezzo per<br />
se stessi.<br />
Facce e maschere n° 3 (1998)<br />
Parliamo <strong>di</strong> chi si suicida, io per esempio, strano vero? Infatti sono qui a scrivere, forse non volevo<br />
veramente morire e mi domando: ma <strong>di</strong> tutte le persone che si sono suicidate quante volevano veramente<br />
morire? Chissà, forse se un compagno <strong>di</strong> cella fosse stato più attento o una guar<strong>di</strong>a meno menefreghista,<br />
chissà, forse tanti sarebbero qui con me a scrivere questo pezzo.<br />
Ma ricominciamo da capo, molti <strong>di</strong> quelli che si sono suicidati sono qui con me… uno mi sta proprio<br />
<strong>di</strong>cendo: “Pam io sto male, sto talmente male che preferisco farla finita, non sopporto sto cavolo <strong>di</strong><br />
astinenza”. Io vorrei rispondergli, ma io non ho voce, posso solo ascoltare... e continua a <strong>di</strong>rmi: “Però se mi<br />
dessero qualcosa io... io non lo farei, o forse è meglio che lo faccia così si accorgono <strong>di</strong> me e riesco ad<br />
ottenere qualche cosa”.<br />
Ecco subentra un’altra voce: “Pam, ho preparato il lenzuolo, cribbio come l’ho fatto bene, e se non l’ho fatto<br />
da solo mi ha dato una mano il mio compagno <strong>di</strong> cella che è dalla mia parte, mi ha anche detto che appena<br />
mi appende lui chiama, si mette ad urlare e fa venire le guar<strong>di</strong>e. Porca potta, Pam, quel cretino si è<br />
addormentato ed io come un salame sono rimasto qui appeso, è un attimo, ma non riesco a chiamare, non<br />
riesco neanche più a pensare... cribbio... sto morendo!”. Silenzio e mi sento un po’ rilassata; sembra che<br />
questo silenzio porti la pace, ma non è così, da un <strong>carcere</strong> lontano arriva un calore tremendo, mi sembra <strong>di</strong><br />
essere all’inferno, e una ragazza che chiama aiuto... aiuto... aiuto…, ma la cella è tutta un rogo, dall’altra<br />
parte del cancello chi chiama, chi urla, chi piange?<br />
Sono urla strazianti, è come un animale in trappola. Si, voleva morire veramente, ma all’ultimo momento<br />
anche lei sperava che qualcuno la tirasse fuori <strong>di</strong> lì, sento un ultimo grido, Dio mi sembra già <strong>di</strong> essere<br />
all’inferno, si io, Pam, mi sento nell’inferno! Non sto qui a chiedermi perché o per come, per colpa <strong>di</strong> chi. Mi<br />
sembra tutto così buffo per me che fortunatamente non ho avuto il coraggio <strong>di</strong> perpetuare quell’idea del<br />
suici<strong>di</strong>o, perché poi è prevalsa in me la voglia <strong>di</strong> vivere e con il mio solito culo sfacciato sono qui a<br />
raccontarvela.<br />
Ma per tutti quelli che non hanno più voce, né altro, come posso io, piccola tentatrice suicida mai morta,<br />
parlare a nome <strong>di</strong> chi voleva urlare. gridare, correre e vivere e invece non c’è più? Con la mia presunzione ho<br />
detto. “scrivo io un pezzo ironico sul suici<strong>di</strong>o”, ma amici miei, non ci sono riuscita; provo solo un gran<br />
rimpianto per non poter avere avuto voce in quei frangenti, forse anche solo una parola <strong>di</strong> conforto avrebbe<br />
<strong>di</strong>ssuaso Quelle persone. Io non so chi abbia scritto una cosa che ho letto sul davanzale all’ottavo piano <strong>di</strong> un<br />
ospedale, ma mi ha lasciata sempre molto perplessa: “Meglio una fine <strong>di</strong>sperata, o una <strong>di</strong>sperazione senza<br />
fine?”<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Overdose<br />
60<br />
Ragazze Fuori n° 1 (2003)<br />
A quando la prossima morte? Pochi quoti<strong>di</strong>ani ne hanno parlato. Ma almeno due lo hanno fatto. Due donne<br />
detenute nel <strong>carcere</strong> femminile <strong>di</strong> Civitavecchia, sono morte per overdose. Donne tossico<strong>di</strong>pendenti, con<br />
pene che non superavano i tre anni per reati correlati all’uso <strong>di</strong> droga.<br />
Le hanno trovate abbracciate in unico lettino. Questo è uno dei pochi esempi <strong>di</strong> come si vive la carcerazione<br />
nei circuiti or<strong>di</strong>nari, che non ti aiutano a uscire dal problema della droga. Anzi, si può scontare la pena<br />
continuando a usare sostanze dentro quelle mura. Dov’è la sicurezza della rieducazione all’interno <strong>di</strong> un<br />
<strong>carcere</strong>? A che cosa serve la certezza della pena, se non ti danno gli strumenti per cominciare a riflettere<br />
sulla propria vita? Non posso neanche immaginare gli occhi dei familiari <strong>di</strong> Manuela Contu, 42 anni, e della<br />
sua compagna <strong>di</strong> cella Franca Fiorini, <strong>di</strong> 38. Credo che un familiare, <strong>di</strong>sperato, svuotato dal dramma che la<br />
tossico<strong>di</strong>pendenza apporta a una famiglia, riconosce anche nel <strong>carcere</strong> una via <strong>di</strong> salvezza, uno stop<br />
obbligato, dove però è possibile morire perché si è molto fragili all’inizio della carcerazione, soprattutto<br />
entrando in stato <strong>di</strong> astinenza e successiva mancanza psicologica. Che cosa dovrà ancora accadere perché la<br />
situazione delle carceri sia presa in seria considerazione? È inutile inasprire le pene o pensare che costruire<br />
nuove carceri con più spazio e meno detenuti risolverà il problema del sovraffollamento e del recupero della<br />
persona. Oggi la priorità da affrontare è la guerra, ma pensiamo tutti insieme a che cosa <strong>di</strong>ce la nostra<br />
Costituzione.<br />
Suici<strong>di</strong>o<br />
Magazine 2, marzo 2001<br />
Dopo un suici<strong>di</strong>o, le sue voci San Vittore, parole rubate con orecchio attento durante, un certo giorno, in vari<br />
luoghi.<br />
Ciao! Hai sentito? È morto Antonio.<br />
Sì, si è impiccato all’alba, perché poi all’alba?<br />
Che ne so io? Antonio era un taciturno, non si confidava mai.<br />
Ma che strano tipo, strano davvero. Aspetta tutta la notte in pie<strong>di</strong> per poi uccidersi alla mattina.<br />
Stamattina si è impiccato, verso le 6 e mezza. Poveraccio e… poveracci i suoi.<br />
Non poteva aspettare alla sera, quando si va a dormire.<br />
Nessuno avrebbe saputo: ora lo sanno tutti, nel <strong>carcere</strong>. Speriamo fuori pure.<br />
Cosa ti aspettavi da Antonio. Pensa, mi aveva chiesto un pacco <strong>di</strong> sigarette domenica.<br />
E tu gliel’hai dato?<br />
E no, eh!<br />
Tutta la sua vita era così.<br />
Sapete <strong>di</strong> quello impiccato? Mi pare che fosse uno del quarto raggio.<br />
Si è impiccato stamattina.<br />
E perché?<br />
Boh! Si sa solo che ha lasciato tre lettere, scritte durante tutta la notte. Una per sua madre, una alla moglie e<br />
ai figli e una Tribunale, al Giu<strong>di</strong>ce suo.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata<br />
Massimiliano Cogliati, secondo raggio, quarto piano, è morto improvvisamente, oggi 29 gennaio alle ore<br />
11.30, mentre in stato <strong>di</strong> shock veniva portato a braccia nel tragitto verso l’ambulanza per il ricovero<br />
ospedaliero. È stramazzato a terra, viola e con la bava alla bocca. Dopo nemmeno un minuto è morto<br />
sull’ambulanza, all’interno del <strong>carcere</strong>. Era una settimana che <strong>di</strong>ceva <strong>di</strong> stare male e non mangiava quasi<br />
niente. Finalmente è sceso dal dottore del Pronto Soccorso che gli ha dato una pastiglia (alla quale forse era<br />
allergico?). Fatto sta che dopo neanche mezz’ora stava soffocando.
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Aveva 28 anni, era molto robusto. Da circa un mese era a san Vittore per tentata rapina. È morto un nostro<br />
compagno, e troppo in fretta. Possiamo <strong>di</strong>re ai suoi cari che c’è qualcosa che non è andata bene. È morto in<br />
un posto dove un Magistrato l’ha spe<strong>di</strong>to; è morto nelle Istituzioni, non sarà colpa <strong>di</strong> nessuno.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata<br />
Si chiamava Arturo Cappella. Gli avevano dato sei mesi <strong>di</strong> vita che ha rispettato. Arturo è morto domenica<br />
31 <strong>di</strong>cembre. Dopo tanta sofferenza e umiliazione se ne è andato. Aveva 60 anni e tre tumori, era stato<br />
operato alla vescica ed al colon, perciò doveva essere me<strong>di</strong>cato con lavaggi ogni giorno. Aveva avuto più <strong>di</strong><br />
un ictus ed è per quello che è morto; venerdì, era stato ricoverato in ospedale, domenica è morto. Stava<br />
scontando un residuo pena e tra poco meno <strong>di</strong> un anno avrebbe finito <strong>di</strong> pagare il suo debito con la giustizia.<br />
Arturo raccontava che il suo avvocato era un opportunista, uno che, con molto menefreghismo, aveva<br />
pensato bene <strong>di</strong> spremerlo fino all’ultimo. Gli avevano più volte rifiutato gli arresti ospedalieri. Arturo<br />
viveva nel Sud America e qui ormai non aveva più contatti con i suoi parenti più prossimi: era<br />
completamente solo!<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata<br />
Era qui dentro da pochi mesi, Paolo Ban<strong>di</strong>rali <strong>di</strong> 30, anni ed è morto nel pomeriggio del 18 gennaio: era stato<br />
ricoverato il 17 sera, ma dopo poco ore era stato <strong>di</strong>messo dall’ospedale per ritornare in cella, dove è morto.<br />
Aveva l’incompatibilità al regime carcerario per malattia, ma come al solito ha potuto <strong>di</strong>mostrarla solo<br />
morendo. È spirato tra le braccia dei compagni che lo portavano al Pronto Soccorso, esalando l’ultimo<br />
respiro tra le mani <strong>di</strong> me<strong>di</strong>ci ormai impotenti.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata<br />
Ancora un altro compagno se n’è andato, morendo per un’emorragia interna al Pronto Soccorso <strong>di</strong> San<br />
Vittore il 6 febbraio 2001, alle ore 8 circa. Era algerino e si chiamava Zidane Alì: stava al secondo raggio da<br />
8 mesi. Per raggiungere la libertà, gli rimanevano ancora da scontare altre due settimane. I dottori hanno<br />
tentato <strong>di</strong> tutto, anche l’aspirazione con un apposito apparecchio, che però, pare, era rotto da sei mesi. Allah<br />
abbia misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> lui.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata<br />
Magazine 2, novembre 2000<br />
San Vittore, Milano, 6 ottobre. Un detenuto <strong>di</strong> 36 anni, tossicomane, in <strong>carcere</strong> da pochi giorni, è stato<br />
trovato morto questa mattina alle 7.30 nel letto della sua cella. L’uomo, <strong>di</strong> cui non sono state fornite le<br />
generalità, sarebbe deceduto per un malore, che lo ha colto durante il sonno. Nessuno, infatti, si è accorto <strong>di</strong><br />
nulla. L’uomo era arrivato a San Vittore il 29 settembre, arrestato per rapina. La <strong>di</strong>rezione ha confermato che<br />
si trattava <strong>di</strong> un tossicomane sieropositivo, probabilmente già in fase molto avanzata.<br />
Suici<strong>di</strong>o<br />
Magazine 2, luglio 1999<br />
Una detenuta è morta suicida nel <strong>carcere</strong> milanese <strong>di</strong> <strong>Opera</strong>. È accaduto giovedì pomeriggio, quando la<br />
donna - <strong>di</strong> cui non è stato reso noto il nome - ha attuato il suo tentativo, utilizzando il fornellino con il quale i<br />
detenuti si scaldano i cibi. Soccorsa e trasportata in ospedale, la reclusa è morta dopo un’agonia durata fino a<br />
ieri sera.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Sembra che all’origine del <strong>di</strong>sperato gesto della detenuta, che avrebbe esaurito pena che stava scontando il<br />
prossimo 24 marzo, vi sia stata la notizia, all’inizio della settimana, <strong>di</strong> una nuova condanna a due anni <strong>di</strong><br />
reclusione, che avrebbe prolungato la sua permanenza in <strong>carcere</strong>. La corte d’appello, proprio il giorno prima<br />
del suici<strong>di</strong>o, aveva confermato la sentenza <strong>di</strong> condanna aumentandola però <strong>di</strong> due anni, e facendola quin<strong>di</strong><br />
passare da 3 anni e 11 mesi a 5 anni e 10 mesi, allungando i tempi per la scarcerazione per fine pena, che<br />
scadevano entro aprile e che invece ora slittavano al 24 marzo 2001. Sarebbe questo il motivo del gesto <strong>di</strong><br />
R.G., la donna <strong>di</strong> 45 anni che si è suicidata in <strong>carcere</strong>, e sulla cui morte è stato aperto un fascicolo in Procura<br />
affidato al sostituto procuratore Maria Luisa Sodano, che ha incaricato la polizia scientifica <strong>di</strong> compiere gli<br />
accertamenti.<br />
Secondo le testimonianze raccolte in <strong>carcere</strong> dalla polizia, la donna era apparsa alle altre detenute tranquilla<br />
fino a pochi minuti prima del gesto, compiuto alle 15 nella sua cella. R.G. era stata arrestata il 23 maggio<br />
1995 per spaccio <strong>di</strong> stupefacenti ed aveva ottenuto quello stesso anno gli arresti domiciliari nella comunità <strong>di</strong><br />
San Patrignano, per avviare un programma <strong>di</strong> recupero. Nel <strong>di</strong>cembre 1995 era stata però <strong>di</strong> nuovo arrestata<br />
perché aveva interrotto la terapia, e reclusa in <strong>carcere</strong>. R.G. aveva presentato ricorso alla sentenza <strong>di</strong> appello,<br />
accolto dalla Cassazione che aveva rinviato alla Corte d’appello. “È stato un fatto veramente impreve<strong>di</strong>bile -<br />
afferma il <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> <strong>Opera</strong>, Mellace - siamo rimasti tutti stupiti, era una detenuta coinvolta nelle attività del<br />
<strong>carcere</strong>”.<br />
Suici<strong>di</strong>o<br />
Un giovane marocchino, 28 anni, tossico<strong>di</strong>pendente, in <strong>carcere</strong> per reati legati alla droga, si è ucciso la scorsa<br />
notte nel bagno della cella che <strong>di</strong>videva con altri quattro detenuti, a San Vittore. Mentre i compagni<br />
dormivano, il giovane si è appeso ad un lenzuolo che aveva legato alle sbarre delle fa finestra del bagno. Il<br />
corpo è stato trovato da un agente della polizia penitenziaria. Il marocchino aveva seguito una terapia <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>sintossicazione dalla droga.<br />
Suici<strong>di</strong>o<br />
62<br />
Magazine 2, luglio 1997<br />
Un detenuto tossico<strong>di</strong>pendente <strong>di</strong> 26 anni, Luca Torchio, <strong>di</strong> Milano, è stato trovato morto stamani nella sua<br />
cella nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> <strong>Opera</strong> (Milano) con in testa un sacchetto <strong>di</strong> plastica e accanto una bomboletta <strong>di</strong> gas da<br />
campeggio. Non è ancora chiaro se Torchio si sia ucciso o se sia morto invece mentre aspirava il gas in<br />
sostituzione <strong>di</strong> altre sostanze stupefacenti.<br />
Suici<strong>di</strong><br />
Liberarsi dalla necessità del <strong>carcere</strong>, settembre - ottobre 1997<br />
Nel <strong>carcere</strong> torinese delle Vallette si è ucciso il 22 settembre il detenuto Roberto Amato, 23 anni, in <strong>carcere</strong><br />
da due settimane in regime <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>a cautelare per reati contro il patrimonio. Il 17 muore a Rebibbia il<br />
detenuto <strong>di</strong> 24 anni Alcide Zaccheddu. Nei primi sei mesi del 1997 sono stati 51 i detenuti morti, mentre in<br />
tutto il 1996 i suici<strong>di</strong> erano stati 45. Nel mese <strong>di</strong> settembre, già otto carcerati si sono suicidati. “Stu<strong>di</strong>ando le<br />
storie delle otto persone - ha detto Margara - non si desume una causa scatenante. Quattro erano stati arrestati<br />
da pochi giorni. Alcuni erano tossico<strong>di</strong>pendenti, altri no. La situazione carceraria mal si ad<strong>di</strong>ce a<br />
temperamenti a rischio, così come non aiuta il sovraffollamento che, anche se in via <strong>di</strong> riduzione, resta un<br />
problema; sono tra 10 e 12 mila i detenuti in più rispetto alla capienza degli istituti <strong>di</strong> pena. In 38 mila posti,<br />
ospitiamo una popolazione <strong>di</strong> circa 51 mila detenuti”.
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata<br />
Liberarsi dalla necessità del <strong>carcere</strong>, gennaio 1994<br />
Carcere <strong>di</strong> Volterra, domenica 9 gennaio, ore 23.00: l’agente, nel suo giro <strong>di</strong> controllo, scopre che un<br />
detenuto, Nicola Ventimiglia, è riverso per terra, svenuto. Avverte imme<strong>di</strong>atamente i sottufficiali <strong>di</strong> servizio<br />
ed il me<strong>di</strong>co <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a. Dopo pochi minuti sentiamo i passi affrettati degli agenti e del dottore. Il me<strong>di</strong>co<br />
chiede che il detenuto venga portato in infermeria. Quando Nicola passa, in barella, <strong>di</strong> fronte alle nostre celle<br />
chiunque può capire la gravità del caso: il suo viso era sporco <strong>di</strong> sangue, il respiro affannoso, le braccia e il<br />
collo erano gonfie in modo innaturale.<br />
La nostra speranza fu che Nicola arrivasse in tempo all’ospedale. Dopo trenta minuti ecco che ritornano in<br />
sezione le guar<strong>di</strong>e affannate che riportavano in barella Nicola, ancora esanime. Nel frattempo i blindati erano<br />
stati chiusi. Sapemmo poi che il dottore dopo aver visitato Nicola e aver a lungo me<strong>di</strong>tato aveva concluso<br />
che si trattava solo <strong>di</strong> uno stato <strong>di</strong> agitazione e che sarebbe stata sufficiente una buona dose <strong>di</strong> tranquillanti.<br />
Fu stabilito che il detenuto doveva essere controllato continuamente dall’agente <strong>di</strong> servizio. Povero Nicola,<br />
aveva scelto la serata sbagliata per sentirsi male! Come guar<strong>di</strong>a c’era un ragazzetto appena arruolato.<br />
Lunedì 10 gennaio, ore 7.30 solita conta e perquisa. Scen<strong>di</strong>amo al piano <strong>di</strong> sotto. Pensiamo che Nicola stia<br />
meglio, ma dopo venti minuti sentiamo la voce agitata del briga<strong>di</strong>ere che ha trovato il nostro amico in<br />
con<strong>di</strong>zioni molto gravi. Non vi <strong>di</strong>ciamo con quanta foga ora si cerchi <strong>di</strong> aiutare Nicola, ecco che<br />
miracolosamente si sente il triste suono dell’ambulanza. Chi l’avrà chiamata? Non certo (pensiamo noi) il<br />
dottore o i due briga<strong>di</strong>eri della sera prima, forse il comandante, che nessuno ha osato svegliare perché il suo<br />
sonno è sacro, molto più sacro della vita <strong>di</strong> un uomo, o meglio <strong>di</strong> un detenuto! La vita <strong>di</strong> Nicola si è spenta<br />
durante il trasporto in ambulanza verso l’ospedale. Era già in stato <strong>di</strong> coma. Vi rendete conto in che mani era<br />
la vita <strong>di</strong> Nicola? In che mani è la nostra?<br />
Che senso ha dare un sonnifero ad un uomo che è privo <strong>di</strong> sensi e perde sangue dalla bocca? Che serietà, che<br />
capacità, che competenza hanno <strong>di</strong>mostrato avere il me<strong>di</strong>co e i due briga<strong>di</strong>eri? Volete sapere cosa ha detto la<br />
stessa mattinata uno dei due famosi briga<strong>di</strong>eri: “State tranquilli, Ventimiglia è morto d’infarto, non ha<br />
sofferto!”.<br />
Date voi un giu<strong>di</strong>zio su quello che è avvenuto a Volterra, noi siamo talmente incazzati che è meglio che non<br />
ci esprimiamo. Prima però vogliamo farvi sapere chi era Nicola Ventimiglia: era un padre <strong>di</strong> famiglia e,<br />
malgrado la sua lunga detenzione, era riuscito a far crescere i suoi figli in modo esemplare. Era da venti anni<br />
in <strong>carcere</strong> e, benché fosse nei termini per ottenere i benefici della legge Gozzini, il magistrato non gli aveva<br />
mai concesso un permesso per dargli la possibilità <strong>di</strong> riabbracciare a casa la propria famiglia. Il suo<br />
comportamento in <strong>carcere</strong> era ottimo, lavorava come barbiere, non aveva avuto mai nessun rapporto<br />
<strong>di</strong>sciplinare, si era sempre <strong>di</strong>stinto per la sua correttezza ed educazione. Ora Nicola ha pagato del tutto il suo<br />
debito con la giustizia, lo ha pagato a caro prezzo, con la vita. Ad<strong>di</strong>o Nicola, noi tutti ti ricorderemo per la<br />
tua allegria, per le frasi che ci rivolgevi e che ci tiravano su e ci davano un aiuto per andare avanti in questa<br />
nostra carcerazione.<br />
Oltre il muro n° 2 - <strong>2002</strong><br />
Quello dei suici<strong>di</strong>, dei tentati suici<strong>di</strong> e degli atti <strong>di</strong> autolesionismo è un fenomeno drammatico nelle carceri<br />
italiane. Riportiamo <strong>di</strong> seguito la testimonianza <strong>di</strong> un detenuto <strong>di</strong> Trento scritta in occasione <strong>di</strong> un suici<strong>di</strong>o in<br />
<strong>carcere</strong>.<br />
L’inferno non è lontano: “Meglio morire”, <strong>di</strong>cono non pochi detenuti, soprattutto all’impatto iniziale con la<br />
carcerazione. Che si tratti <strong>di</strong> un inferno lo <strong>di</strong>mostrano le statistiche. Le percentuali dei detenuti suici<strong>di</strong> sono<br />
drammatiche: 12.7% per 1.000 abitanti (“soltanto” lo 0.67% nel resto della società). Ciò significa che in<br />
<strong>carcere</strong> ci si uccide 19 volte più che fuori <strong>di</strong> esso. Dal 1990 la situazione è ulteriormente peggiorata: i<br />
detenuti sono raddoppiati, i suici<strong>di</strong> triplicati. Terribile è la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> giovani e giovanissimi: il 36.6% dei<br />
suici<strong>di</strong> ha meno <strong>di</strong> 35 anni. Il 15.2% meno <strong>di</strong> 25.<br />
Nel marzo <strong>2002</strong> i detenuti erano oltre 57.000, quasi il doppio <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni prima; ciò significa che per ogni<br />
100 posti <strong>di</strong>sponibili in un <strong>carcere</strong> i reclusi sono 130. A San Vittore i posti sarebbero 800, ma i detenuti sono<br />
2.000. È una situazione esplosiva, cui si de<strong>di</strong>ca - se mai lo si fa concretamente- un’attenzione insufficiente.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Fuori da quelle mura si passa il tempo a <strong>di</strong>scutere <strong>di</strong> problemi tipo art. 18, conflitti <strong>di</strong> interesse, etc., etc. (che<br />
pure hanno indubbia rilevanza per la comunità e per la giustizia che dovrebbe concernere tutti i citta<strong>di</strong>ni…),<br />
mentre loro, là, sono soli, oppressi da mille incognite, abbandonati. E tra loro qualcuno si toglie la vita,<br />
incapace <strong>di</strong> sopportare una segregazione che l’ha espulso - talvolta senza colpa! - dalla vita <strong>di</strong> relazione e<br />
dalla libertà. Eppure, il fine della carcerazione dovrebbe pur sempre restare il reintegro dell’uomo, non la sua<br />
morte.<br />
Attualmente, da sempre e più <strong>di</strong> sempre, i servizi e l’assistenza sono insufficienti; la situazione complessiva<br />
è squallida, il sovraffollamento soffocante; molti avrebbero bisogno urgente <strong>di</strong> assistenza psichiatrica o<br />
almeno psicologica valida e continuativa. È importante non <strong>di</strong>menticare che circa la metà dei detenuti suici<strong>di</strong><br />
si toglie la vita nei primi sei mesi <strong>di</strong> carcerazione. Questo è il periodo più a rischio a causa della <strong>di</strong>sperazione<br />
conseguente alla con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> detenuto. Non tutti riescono a riorganizzare la propria vita dentro il <strong>carcere</strong>:<br />
rapporti sociali da costruire o ritrovare, significati autentici da dare all’esistenza, la costrizione a vivere la<br />
separazione dalle persone amate, sono problemi enormi. Le aride cifre dei suici<strong>di</strong> (quando mai le cifre sono<br />
state fertili?) rappresentano il sintomo <strong>di</strong> un <strong>di</strong>sagio esplosivo che investe tutto il sistema carcerario, e<br />
tuttavia è un sintomo che riguarda tutti da vicino, perché le carceri - non che luoghi <strong>di</strong> recupero umano e<br />
sociale - sono scuole <strong>di</strong> delinquenza.<br />
In <strong>carcere</strong> si entra, si esce, magari si rientra (conseguenza dell’assenza <strong>di</strong> un progetto <strong>di</strong> reinserimento<br />
efficace), e il recupero resta un’utopia. Il ministro Castelli ha a <strong>di</strong>sposizione 500 milioni <strong>di</strong> euro (circa mille<br />
miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> vecchie lire) per ammodernare il sistema carcerario italiano: va benissimo, l’ammodernamento;<br />
ma prima deve realizzarsi l’obiettivo fondamentale, quello della “ricostruzione” della personalità dei<br />
detenuti, che non può passare soltanto attraverso l’e<strong>di</strong>lizia, ma con l’avvio <strong>di</strong> un progetto concreto <strong>di</strong><br />
recupero umano e sociale dei reclusi e della loro <strong>di</strong>gnità. È necessario, urgente, in<strong>di</strong>fferibile un piano <strong>di</strong><br />
autentico recupero psicologico, umano, sociale e culturale del detenuto, che gli permetta un reinserimento<br />
pieno al termine del periodo <strong>di</strong> carcerazione. Ciò sarebbe anche un eccellente strumento - anzi, l’unico - per<br />
contrastare efficacemente gli effetti <strong>di</strong> quella “scuola <strong>di</strong> delinquenza” che è presente in ogni <strong>carcere</strong> italiano<br />
ed ha conseguenze mici<strong>di</strong>ali: non raramente un soggetto debole o sprovveduto, che magari ha soltanto<br />
sbagliato per ignoranza, viene trasformato da quella “scuola” in autentico criminale. Il che è davvero un<br />
crimine gratuito.<br />
Così si muore in galera<br />
L’associazione “A buon <strong>di</strong>ritto” ha curato una ricerca sui suici<strong>di</strong> in <strong>carcere</strong>, l’indagine de<strong>di</strong>ca un<br />
approfon<strong>di</strong>mento ai gesti <strong>di</strong> autolesionismo e ai tentati suici<strong>di</strong>: nel 2001 sono stati, rispettivamente, 6.353 e<br />
878. Ogni anno, circa un detenuto su sette - secondo i dati ufficiali - ricorre all’autolesionismo o tenta il<br />
suici<strong>di</strong>o. In <strong>carcere</strong>, gli atti <strong>di</strong> autolesionismo - il “tagliarsi”, innanzitutto - hanno una funzione<br />
principalmente “<strong>di</strong>mostrativa”, ma questo non ne limita in alcun modo la drammaticità - spiega Manconi -. Il<br />
“farsi male” e il tentativo <strong>di</strong> togliersi la vita costituiscono, spesso, la sola forma <strong>di</strong> auto-rappresentazione e<br />
l’unica voce (pur stenta e rotta) rimasta a chi, per definizione e per con<strong>di</strong>zione, è senza voce”. Infatti al<br />
detenuto “viene imposta, quale pena aggiuntiva, l’inter<strong>di</strong>zione a comunicare col resto della società. Rimasto<br />
“senza parola”, si adatta, pertanto, a parlare attraverso il proprio corpo: il corpo offeso e costretto è, in molte<br />
circostanze, il solo mezzo <strong>di</strong> comunicazione con l’esterno. E il proprio fisico “viene buttato - così com’è<br />
tagliato, lacerato, mortificato - in faccia a chi lo vorrebbe ignorare”.<br />
Negli ultimi tre mesi del 2000 si sono verificati 27 casi <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o, oltre il 40% rispetto all’intero anno:<br />
un’impennata riconducibile anche “all’aspettativa nutrita e la frustrazione patita a proposito <strong>di</strong> un<br />
provve<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> “clemenza” <strong>di</strong> cui molto si era <strong>di</strong>scusso nel corso dell’anno giubilare. “Più <strong>di</strong> una volta è<br />
sembrato che quella prospettiva potesse effettivamente realizzarsi, che maggioranza e opposizione trovassero<br />
l’intesa per approvare un provve<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> amnistia e/o indulto” - sottolinea Manconi. Le speranze<br />
alimentate dalle parole del car<strong>di</strong>nale Camillo Ruini e <strong>di</strong> Giovanni Paolo II, e dal <strong>di</strong>battito sviluppatosi in sede<br />
politica, hanno creato un clima <strong>di</strong> attesa tra i detenuti, ma la mancata approvazione <strong>di</strong> una misura <strong>di</strong><br />
clemenza l’ha mortificata, ha <strong>di</strong>sperso energie e <strong>di</strong>ssipato speranze. Fatale che l’aspettativa frustrata si<br />
rivolgesse contro chi più aveva investito in essa: i detenuti stessi”.<br />
64<br />
S. Z.
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Suici<strong>di</strong>o in <strong>carcere</strong><br />
Seac Notizie n° 4 (luglio - agosto 2003)<br />
Un detenuto <strong>di</strong> 28 anni, Giovanni Cabras, <strong>di</strong> Pirri, si è ucciso alcuni mesi or sono nel <strong>carcere</strong> sassarese <strong>di</strong> San<br />
Sebastiano. Il giovane, che scontava una condanna per reati contro il patrimonio, è stato trovato dai<br />
compagni <strong>di</strong> cella impiccato in bagno. Fin qui la fredda notizia <strong>di</strong> agenzia, una notizia che assume una luce<br />
<strong>di</strong>versa se messa insieme a queste altre: la sera <strong>di</strong> Pasqua un 41enne cagliaritano, Roberto Salidu, si impicca<br />
con una sciarpa alle sbarre della finestra della sua cella nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Villa Fastiggi (Fano).<br />
Doppio suici<strong>di</strong>o nel <strong>carcere</strong> romano <strong>di</strong> Rebibbia 10 giorni dopo: la notte del 30 si toglie la vita, nel braccio G<br />
12 del nuovo complesso, Abdel Rahim, 20enne marocchino. Arrestato per furto, doveva scontare un anno per<br />
il cumulo <strong>di</strong> precedenti condanne. Il giorno dopo è la volta <strong>di</strong> un romano <strong>di</strong> 41 anni, Marco De Simone,<br />
spostato dal nuovo complesso al reparto psichiatrico del penale, nessun me<strong>di</strong>co e poche strutture. San Vittore<br />
(Milano), 4 maggio: arriva al reparto “nuovi giunti” un giovane ecuadoriano. Ha ucciso la moglie e ferito il<br />
figlio investendoli con un’auto. La notte viene portato in infermeria per una sospetta polmonite, la mattina<br />
dopo lo trovano in bagno, impiccato. Stessa storia, il 19 maggio, per un detenuto bulgaro <strong>di</strong> 22 anni -<br />
tossico<strong>di</strong>pendente dall’età <strong>di</strong> 9 - della casa circondariale <strong>di</strong> Macomer, nel nuorese. Un’estremità del lenzuolo<br />
al collo, l’altra alle sbarre della finestra. Sei suici<strong>di</strong> in poco più <strong>di</strong> un mese.<br />
Una quin<strong>di</strong>cina dall’inizio dell’anno, conferma Vittorio Antonini, ergastolano, vicepresidente<br />
dell’associazione carceraria <strong>di</strong> Rebibbia, Papillon. In me<strong>di</strong>a col <strong>2002</strong> (52 suici<strong>di</strong>), meno che nel 2001 (70). E<br />
si tratta <strong>di</strong> dati sottostimati. L’amministrazione penitenziaria (D.A.P.) tende a declassificare ad eventi<br />
involontari fatti volontari, <strong>di</strong>ce Luigi Manconi, ex portavoce dei Ver<strong>di</strong> e presidente <strong>di</strong> “A buon <strong>di</strong>ritto”. Tra<br />
detenuti esiste la pratica del drogarsi inalando il gas delle bombolette per alimenti. Se un detenuto ci muore,<br />
è da considerarsi overdose involontaria o suici<strong>di</strong>o voluto?<br />
L’amministrazione lo considera sempre un atto involontario, ma non <strong>di</strong> rado si tratta <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o vero e<br />
proprio. E questo è solo un esempio. C’è poi da considerare un elemento burocratico: se un detenuto cerca <strong>di</strong><br />
uccidersi nella propria cella, ma muore in ospedale, o in ambulanza, il suo non sempre rientra negli “atti<br />
suicidali carcerari”. Certo è che chi si uccide in prigione è giovane - il 53% ha meno <strong>di</strong> 35 anni, il 15 meno <strong>di</strong><br />
25 - e lo fa entro il primo anno <strong>di</strong> detenzione (65%) se non nei primi 6 mesi (55%).<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
66<br />
Osservatorio Calamandrana sul <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> San Vittore<br />
“per la trasparenza e l’umanizzazione in <strong>carcere</strong>”<br />
Da molte parti si sente l’esigenza <strong>di</strong> presentare alla società civile un’immagine della realtà carceraria più<br />
fedele <strong>di</strong> quella, spesso strumentale e <strong>di</strong>storta, fornita dai me<strong>di</strong>a. A questo scopo, e anche per dare voce alle<br />
esperienze <strong>di</strong> quanti operano da volontari all’interno del <strong>carcere</strong> e spesso si trovano ad affrontare situazioni<br />
<strong>di</strong> grande emergenza e <strong>di</strong> lesione dei <strong>di</strong>ritti fondamentali, abbiamo inteso avviare un bollettino con scadenza<br />
bimestrale rivolto soprattutto all’esterno, dal titolo: “Osservatorio Calamandrana”. Pensiamo che questo<br />
bollettino possa essere uno strumento semplice ma utile anche per la vostra attività professionale, politica o<br />
comunque <strong>di</strong> solidarietà con i più emarginati. I documenti originali - che vengono riprodotti nel bollettino<br />
senza in<strong>di</strong>cazione del nome e del reparto del loro autore (salvo sua autorizzazione) - si trovano presso nostri<br />
archivi.<br />
Gruppo Calamandrana, Presso Lega dei Popoli<br />
Via Bagutta n° 12 - Milano – Tel. 02780811<br />
E mail: lidlip@ciaoweb.it<br />
Maria Elena Belli, Nunzio Ferrante, Augusto Magnone, Maria Vittoria Mora, Mario Napoleoni,<br />
Dajana Pennacchietti, Gabriella Sacchetti, Sandro Sessa, Rosanna Tognon<br />
Suici<strong>di</strong>o, 5 <strong>di</strong>cembre 2000<br />
Bollettino n° 1 (settembre 2001)<br />
Il detenuto A. viene trovato morto impiccato nel gabinetto della sua cella. A. era stato arrestato un mese<br />
prima e la notte seguente si era tagliato con una lametta. In quell’occasione era stato chiamato dallo<br />
psicologo, poi non più. A. aveva crisi asmatiche e passava le giornate a letto. Si tratteneva a messa solo per<br />
tre minuti perché non respirava bene.<br />
Quesiti<br />
Perché A. non era stato portato al centro clinico, date le sue con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute? Perché è stato visto dallo<br />
psicologo solo una volta? Nell’inchiesta che è seguita si è preso in esame anche l’operato <strong>di</strong> me<strong>di</strong>ci e<br />
psicologi? Perché su nessun giornale si è parlato della morte <strong>di</strong> A.? I detenuti del raggio percepiscono questo<br />
silenzio come in<strong>di</strong>fferenza.<br />
Morte evitabile, 29 <strong>di</strong>cembre 2000<br />
B., entrato a San Vittore 27 giorni prima, muore sorretto dai compagni a pochi passi dal pronto soccorso,<br />
dove un’ora prima il me<strong>di</strong>co gli aveva dato un antibiotico. B. era andato al pronto soccorso perché da una<br />
settimana si sentiva male. Quel me<strong>di</strong>co non è più venuto a San Vittore.<br />
Quesiti<br />
Perché il me<strong>di</strong>co dà un antibiotico senza controllare la cartella clinica? Se B. stava male da una settimana,<br />
perché non era stato curato?<br />
Morte per trascuratezza, 18 gennaio 2001<br />
C. muore mentre lo stanno portando al pronto soccorso. Il giorno prima C. (tossico<strong>di</strong>pendente) era stato<br />
mandato all’ospedale per una bronchite grave. Lì gli avevano dato una flebo <strong>di</strong>sintossicante. C. era stato<br />
<strong>di</strong>chiarato, dai me<strong>di</strong>ci, incompatibile con il <strong>carcere</strong> per il suo grave stato <strong>di</strong> salute.
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Quesiti<br />
Perché C. non era stato curato per la sua bronchite? Perché C. era ancora in <strong>carcere</strong> se era stata <strong>di</strong>chiarata la<br />
sua incompatibilità con la detenzione?<br />
Terapia sbagliata – suici<strong>di</strong>o 27 marzo 2001<br />
Ad F. viene aumentata la terapia, ogni giorno 50 gocce in più, fino ad arrivare a 400 gocce. F. viene colpito<br />
da una parziale paralisi. Nella cella <strong>di</strong> F. (trovato impiccato) viene trovata dai compagni una bottiglia <strong>di</strong><br />
pastiglie.<br />
Quesiti<br />
La terapia (ansiolitici) viene data solo su prescrizione del me<strong>di</strong>co, o è sufficiente la decisione<br />
dell’infermiere? Se la terapia deve essere assunta davanti all’infermiere che la <strong>di</strong>stribuisce, come mai si<br />
accumula in alcune celle, come in quella <strong>di</strong> F.?<br />
Suici<strong>di</strong>o, 9 agosto 2001<br />
Il detenuto Q., albanese, viene trovato impiccato nel gabinetto della sua cella. Pochi giorni prima si era<br />
prodotto tagli per protesta. L’agente che lo accompagnava al pronto soccorso gli aveva detto che se moriva ci<br />
sarebbe stato un albanese <strong>di</strong> meno. Q. si era molto lamentato della villania <strong>di</strong> questo agente e i suoi compagni<br />
<strong>di</strong> cella sanno che negli ultimi giorni aveva scritto su alcuni fogli la sua testimonianza.<br />
Quesiti<br />
Perché nessun giornale ha riferito <strong>di</strong> questo suici<strong>di</strong>o? È stata aperta una inchiesta? Qualcuno leggerà e<br />
prenderà in considerazione gli scritti <strong>di</strong> Q.? Chi verrà a conoscere i risultati dell’inchiesta?<br />
Suici<strong>di</strong>o<br />
Bollettino n° 2 (<strong>di</strong>cembre 2001)<br />
Nella serata del 30 ottobre 2000 a Rosario Candamano e a quelli <strong>di</strong> noi in cura (Franco, io e Luca) verso le<br />
20 veniva data la terapia, nelle dosi prescritte dai dottori del <strong>carcere</strong>. Rosario quella sera, dopo aver preso la<br />
terapia, non riusciva a prendere sonno e si mise a chiamare l’agente <strong>di</strong> turno, per poter andare al pronto<br />
soccorso e avere altre gocce per dormire. Questa sua richiesta veniva respinta dall’agente <strong>di</strong> turno che<br />
rispondeva con arroganza: “Candamano, fatti la galera!”. Così abbiamo sentito noi e altri detenuti delle celle<br />
del piano. Verso le 2.30, 3, o 4 tutti noi ci siamo addormentati, lasciando Rosario a scrivere, come <strong>di</strong> sua<br />
abitu<strong>di</strong>ne, nel bagno, per non recare <strong>di</strong>sturbo a noi suoi compagni <strong>di</strong> cella.<br />
Rosario era agitato, nell’entrare e uscire dal bagno. Alle ore 6,50 Nicola si svegliò e, andando in bagno, si<br />
trovò <strong>di</strong> fronte a Rosario, che si era impiccato alla grata della finestra del bagno. Nicola svegliò Enzo, che<br />
tentò invano <strong>di</strong> sollevare Rosario, che però era già morto, quin<strong>di</strong> non restava altro che chiamare gli agenti.<br />
Rosario era arrivato nella cella 102 nei primi <strong>di</strong> giugno. Non aveva nessun problema a socializzare con noi<br />
della cella. Passava parecchio tempo a ritagliare articoli <strong>di</strong> giornale, scriveva parecchio e a causa <strong>di</strong><br />
mancanza <strong>di</strong> spazio era solito adoperare il bagno per questi suoi lavori <strong>di</strong> scrittura e lettura. Oltre alla terapia<br />
gli venivano somministrate delle punture antidolorifiche per la schiena; ma più <strong>di</strong> una volta gli agenti non lo<br />
mandavano al pronto soccorso. Aveva avuto dunque anche problemi a ricevere la terapia, sempre per ragioni<br />
che <strong>di</strong>pendevano dalla organizzazione carceraria. Più volte aveva sollecitato questa mal organizzazione, con<br />
doman<strong>di</strong>ne continue <strong>di</strong> visita me<strong>di</strong>ca, ma la maggior parte del suo periodo carcerario era problematico.<br />
Ultimamente aveva cominciato lo sciopero della fame, dopo aver fatto invano varie doman<strong>di</strong>ne per ricevere<br />
un pacco inviato da dei suoi conoscenti, che avevano rispettato tutte le regole dette dagli agenti. Voleva farsi<br />
sentire e far conoscere gli innumerevoli problemi causati dalle mancanze dell’istituto. Essendosi in<br />
precedenza, per ben tre volte, tagliati i polsi, veniva posto in una cella a rischio.<br />
67
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
A questo punto noi, avendo messo alla luce la vita con cui vivevamo con Rosario, chie<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> far luce su<br />
questo suici<strong>di</strong>o. Chi è veramente responsabile? Un’altra cosa che ci lascia perplessi è: perché la stampa non<br />
riporta notizie <strong>di</strong> vicende così gravi? La settimana antecedente un altro detenuto del 4° raggio veniva trovato<br />
impiccato, come Rosario, nella propria cella.<br />
Con questa lettera vogliamo rendere pubblico com’è la vita carceraria, in uno stato che combatte contro la<br />
pena <strong>di</strong> morte ma che ti costringe al “suici<strong>di</strong>o”. Così si muore, in galera, a 36 anni.<br />
68<br />
Bollettino n° 3 (marzo <strong>2002</strong>)<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: la storia <strong>di</strong> Arturo, narrata da un suo compagno <strong>di</strong> cella<br />
Cappella Arturo, nato a Milano il 4 aprile 1937, a sessant’anni fu operato per un tumore alla vescica, con<br />
conseguente asportazione della parte interessata. Car<strong>di</strong>opatico e <strong>di</strong>abetico, gli furono concessi gli arresti<br />
domiciliari nel 1999, per le precarie con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute, presso un suo zio, da dove ogni quin<strong>di</strong>ci giorni si<br />
recava, per le cure, in ospedale.<br />
Ricondotto al Centro Clinico <strong>di</strong> San Vittore nel 2000, per una sentenza definitiva, richiedeva la detenzione<br />
ospedaliera per l’aggravamento delle sue con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute. Essendo, nel frattempo, deceduto il suo unico<br />
parente ed essendo lui non più autosufficiente, la detenzione domiciliare gli fu concessa però non fu eseguita,<br />
perché gli mancava l’abitazione. Colto da forti dolori, dovuti ad occlusione intestinale, fu ricoverato in<br />
ospedale, ma debilitato dalle <strong>di</strong>verse patologie e colpito da ictus celebrale si spegneva il 7 gennaio 2001.<br />
“Le tre scimmie”: non voler vedere, non voler sentire, non voler parlare, <strong>di</strong> Ivano Longo<br />
Questa settimana, qui a San Vittore, un altro detenuto è morto. E non ci interessa se era bianco o nero, non ci<br />
interessa cosa aveva fatto o quale ingiustizia aveva commesso. Sappiamo solo che ora è “fuori”. Come sono<br />
“fuori” tanti altri <strong>di</strong> cui non si parla più. Questi uomini non sono morti da uomini liberi. E questo non è<br />
giusto. So bene che in molte parti del mondo si muore ancora <strong>di</strong> fame e <strong>di</strong> freddo, che molte persone non<br />
hanno neanche una casa. Ma morire in galera, questo no! Io sono un detenuto del <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> San Vittore, e<br />
precisamente del quarto raggio. Sono qui da più <strong>di</strong> due anni e mezzo e, in questo tempo, ci sono stati<br />
moltissimi casi <strong>di</strong> detenuti morti, detenuti <strong>di</strong> cui non si è più sentito parlare. Non si sono visti cambiamenti,<br />
non sono stati presi provve<strong>di</strong>menti, non ci sono state denunce, non c’è stato nulla.<br />
Gli agenti che ci sono non sono sufficienti (un agente per piano, ovvero uno per centocinquanta uomini…<br />
parliamoci chiaro, non può farcela). Pochi giorni fa è venuto qui in visita un ministro, non ricordo chi fosse.<br />
Dentro <strong>di</strong> me ho pensato: “È uno dei tanti”, e come uno dei tanti è sparito nel nulla. Sono entrate le<br />
telecamere <strong>di</strong> una TV privata, hanno fatto il loro “spot” nel reparto penale (il più pulito, il più or<strong>di</strong>nato, il più<br />
vuoto dei reparti) e sono spariti nel nulla. Nulla, come il messaggio che hanno lanciato con una puntata <strong>di</strong><br />
un’ora.<br />
Perché ci sono malati terminali in quei reparti che qui chiamano “infermeria” ma che <strong>di</strong> infermeria non<br />
hanno neanche l’odore? Perché per avere un farmaco (prescritto dal dottore del reparto) bisogna aspettare un<br />
mese? Perché ci sono persone sulla se<strong>di</strong>a a rotelle che non riescono ad entrare in cella perché il cancello è<br />
troppo stretto? Perché quasi una volta al mese un detenuto muore? Queste cose tutti le vedono, tutti le<br />
sentono e tutti ne parlano, ma nessuno si muove perché tutto questo cambi.<br />
Noi vogliamo solo essere aiutati a vivere in modo <strong>di</strong>gnitoso, e quando <strong>di</strong>co <strong>di</strong>gnitoso <strong>di</strong>co che ognuno abbia<br />
<strong>di</strong>ritto a un letto, a due pasti cal<strong>di</strong> al giorno, alle posate, alle cure me<strong>di</strong>che appropriate, ad uno spazio<br />
<strong>di</strong>gnitoso (non sei uomini in una cella per due), ai colloqui con gli educatori (che sono il tramite tra i<br />
magistrati <strong>di</strong> sorveglianza e noi). Noi chie<strong>di</strong>amo che vengano applicate quelle leggi, alternative al <strong>carcere</strong>,<br />
già in vigore… ma per ora ci accontentiamo anche solo <strong>di</strong> essere ascoltati.
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Il Foglio, 14 settembre 2000<br />
Articoli <strong>di</strong> Adriano Sofri dal <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Pisa<br />
Interpellate, le persone <strong>di</strong>cono se condannerebbero o no a morte qualcuno. Non viene loro in mente<br />
l’eventualità <strong>di</strong> essere loro dal lato dei condannati. Giu<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> professione, interpellati, giu<strong>di</strong>cano anche i<br />
suici<strong>di</strong> dei loro imputati. Senza neanche immaginare l’eventualità del proprio suici<strong>di</strong>o. Alcune persone sono<br />
compassionevoli, altre feroci: ma stanno tutte dall’altra parte.<br />
La Repubblica, 20 giugno 2000<br />
Si è impiccato “uno” stanotte, un ragazzo tunisino. Si chiamava Samir, aveva ventisette anni, era ricoverato<br />
al Centro clinico per un qualunque guaio ad una gamba. Si era rotto un ten<strong>di</strong>ne giocando a pallone, nel<br />
<strong>carcere</strong> siciliano <strong>di</strong> San Cataldo, e lì era stato curato per sei mesi, <strong>di</strong>ceva, con iniezioni antidolorifiche. Poi<br />
finalmente era stato mandato a Pisa, e ne era stato grato e pieno <strong>di</strong> fiducia. Era ricoverato da mesi: la sala<br />
operatoria del Centro clinico <strong>di</strong> Pisa - il più prestigioso d’Italia, dell’Italia delle galere, intendo - è chiusa da<br />
più <strong>di</strong> un anno perché mancano i sol<strong>di</strong> per metterla a norma <strong>di</strong> igiene e sicurezza. La gente non viene operata,<br />
semplicemente, né dentro, né fuori. Faceva esami, perché non si trovava una spiegazione adeguata ai dolori<br />
che lamentava. Aveva appena fatto una risonanza magnetica, <strong>di</strong> cui non c’era ancora l’esito, e temeva che<br />
non volessero farglielo conoscere. Già altre volte si era tagliato, o aveva cominciato lo sciopero della fame: i<br />
me<strong>di</strong>ci gli parlavano, lo rassicuravano, e lui ricominciava ad aspettare.<br />
Ma non era questo il problema, <strong>di</strong>cono. Allora qual era? Voci. Era <strong>di</strong>sperato <strong>di</strong> essere rimandato al suo paese<br />
zoppo, sabato si era infilzato con due spille le labbra, aveva litigato col suo compagno <strong>di</strong> cella, era stato<br />
isolato ieri notte al GS 2, la sezione <strong>di</strong> sicurezza riservata ai “pentiti” - e lì, dopo aver ingoiato frantumi <strong>di</strong><br />
vetro <strong>di</strong> una finestra rotta, si è impiccato. In una cella nuda <strong>di</strong> tutto. Non aveva niente con sé, neanche il<br />
lenzuolo: ha usato il pigiama dei ricoverati. Doveva uscire fra quin<strong>di</strong>ci giorni. Mi <strong>di</strong>spiace <strong>di</strong> scrivere, invece<br />
<strong>di</strong> darvi una fotografia del ragazzo coi capelli scuri, lo sguardo spaesato e le stampelle. Magari avreste<br />
pensato: “Potrebbe essere mio figlio”. Sapete qual è il problema ogni volta che ci si trova col cadavere <strong>di</strong> un<br />
ragazzo arabo? Che non si sa che farsene. Ammesso che si rintracci la famiglia, è raro che abbia i sol<strong>di</strong><br />
necessari a rimpatriare la salma. Quella <strong>di</strong> un giovane algerino morto qui dentro <strong>di</strong> overdose, all’isolamento,<br />
l’inverno scorso, è rimasta per mesi in non so quale deposito <strong>di</strong> obitorio. Questo nome tecnico, “isolamento”,<br />
vuol <strong>di</strong>re poi davvero che quando si muore si muore soli.<br />
Così va la mia cronaca <strong>di</strong> una domenica <strong>di</strong> giubileo. Le voci, quando cominciano, chi le ferma più. Un<br />
giovane maghrebino, all’isolamento, ha ingoiato stamattina <strong>di</strong>eci batterie <strong>di</strong> pila. Un altro ragazzo arabo, al<br />
giu<strong>di</strong>ziario, si è tagliato, <strong>di</strong>cono, così gravemente che non riuscivano a suturarlo.<br />
Un mese fa era morto <strong>di</strong> meningite Antonio S., uno degli ultimi detenuti all’antica, uno che aveva deciso<br />
davvero <strong>di</strong> farla finita con la malavita, ma non avrebbe barattato la propria scontrosa <strong>di</strong>gnità con nessun<br />
beneficio. Era stato dentro per mezza vita, solitario, finché qualcuno non gli offrì l’occasione <strong>di</strong> lavorare e <strong>di</strong><br />
prendersi qualche responsabilità, e ne scoprì il valore. Aveva cinquant’anni, ottenne la semilibertà, <strong>di</strong> giorno<br />
andava a governare una casa d’accoglienza volontaria per ex detenuti, <strong>di</strong> notte tornava dentro. Prima,<br />
l’avrebbero considerato come uno “pericoloso”. Poi, lo riconobbero come il più degno <strong>di</strong> fiducia,<br />
semplicemente perché non avrebbe mancato alla propria parola.<br />
Ebbe una febbre forte, non capirono che cos’era, e quando fu ricoverato era tar<strong>di</strong>. Lo incontrai, <strong>di</strong> passaggio<br />
in un corridoio, che era già via: “Vogliono rimettermi in <strong>carcere</strong>”, <strong>di</strong>sse, con un tono avvilito, come <strong>di</strong> un<br />
evento incomprensibile. È brutto stare in galera, ma è orribile morirci. È come aver risparmiato per anni e<br />
anni, a costo dei più penosi sacrifici, e tutto d’un tratto è stato per niente. La galera è per niente: fondo<br />
perduto.<br />
Posso continuare? La casa d’accoglienza <strong>di</strong> cui Antonio S. era stato custode, sostenuta dal Comune, si<br />
chiama “Oltre il muro”, titolo che fu inventato da Marcello, un detenuto sardo che si pro<strong>di</strong>gava per gli altri,<br />
aveva trascorso in galera mezza vita per il rosario <strong>di</strong> condanne che toccano a un tossicomane. Uscì a fine<br />
pena, inventò il titolo, e si ammazzò in una notte solitaria, libero e <strong>di</strong>sperato, scrivendo il <strong>di</strong>ario del proprio<br />
commiato. Ho qui un <strong>di</strong>stintivo del Cagliari che mi lasciò per ricordo.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Il Foglio, 16 novembre 1999<br />
A Pisa l’altro ieri è morto in cella un giovane arabo, altri due sono stati salvati in extremis. Overdose <strong>di</strong><br />
eroina, iniettata con una penna biro. (Dovrei risparmiare una battuta sul celebre <strong>di</strong>vieto alle penne<br />
stilografiche?) Pochi giorni fa era morto, a Rebibbia, un giovane italiano, tossicomane: era in galera per la<br />
prima volta. Conosco sua madre e le voglio bene. Qualche tempo fa, a Torino, erano morti in tre, in cella, <strong>di</strong><br />
overdose. E gli altri, quelli non contati. Non ho commenti. Voglio <strong>di</strong>re questo, che dei giorni che passo a<br />
Venezia la cosa più preziosa sono le notti, il loro magnifico silenzio. Sono contento perfino <strong>di</strong> non prender<br />
sonno, finché ascolto quel magnifico silenzio. Ma ho sempre nelle orecchie il rumore <strong>di</strong> galera, quello che da<br />
fuori non si sente.<br />
Il Foglio, 2 gennaio 1999<br />
Vorrei tornare su questa vergogna delle evasioni. Nell’ultimo mese sono evasi tre da Rebibbia e uno da<br />
Milano <strong>Opera</strong>. Gente all’antica, con lenzuoli annodati. Quelli <strong>di</strong> Rebibbia erano “in custo<strong>di</strong>a attenuata”:<br />
avrebbero potuto uscire più agevolmente dal portone, ma si vede che sono tra<strong>di</strong>zionalisti. Uno l’hanno<br />
ripreso alla bottega sotto casa. Quello <strong>di</strong> <strong>Opera</strong> però, maligno, ha approfittato della nebbia e delle ferie <strong>di</strong><br />
Natale. Poi se n’è andato un ex brigatista che usciva, al lavoro esterno, tutti i giorni da otto mesi, secondo la<br />
previsione <strong>di</strong> legge, cui ha dunque trasgre<strong>di</strong>to. Ma la forma <strong>di</strong> evasione più <strong>di</strong>ffusa e subdola, perché si<br />
maschera in modo da essere ignorata nelle statistiche criminali, è il suici<strong>di</strong>o. Un centinaio <strong>di</strong> delinquenti<br />
all’anno se ne vanno così, a volte anche loro con le lenzuola dell’Amministrazione. È ora <strong>di</strong> <strong>di</strong>re: basta!<br />
Il Foglio, 21 maggio 1998<br />
Due giorni fa qui è morto un uomo: gli si è rotto il cuore. Aveva solo 47 anni. A Milano non avevano<br />
ritenuto il suo stato grave abbastanza da sconsigliare la traduzione a Pisa. Sospettavano che simulasse. A<br />
Pisa hanno accertato che solo un trapianto poteva salvarlo. Se simulava, ha simulato bene.<br />
Il Foglio, 9 maggio 1997<br />
Cari lettori, vorrei, per una volta, scrivere anche a nome <strong>di</strong> tanti altri carcerati <strong>di</strong> Pisa, benché non possa<br />
chiedere il loro permesso. Il fatto è che martedì sera, il 6 maggio, si è ammazzata, o è morta, Margherita, che<br />
aveva 23 anni. Era in galera da tre anni, ne aveva ancora per uno, credo: per droga, naturalmente. Si è<br />
soffocata con un sacchetto <strong>di</strong> plastica e una bomboletta <strong>di</strong> gas. Ho saputo molte cose su lei, dai ragazzi che<br />
qui l’avevano conosciuta, o che avevano scambiato con lei una corrispondenza, come succede in <strong>carcere</strong>:<br />
cose piene <strong>di</strong> affetto e compassione, che non trascrivo. Nello stesso giorno si è saputo che è morto <strong>di</strong><br />
overdose Giuliano, che aveva poco più <strong>di</strong> trent’anni, ed era stato messo in sospensione della pena una<br />
settimana fa. Giuliano lavorava a portare il vitto, era grasso e sentimentale, benvoluto da tutti. Tempo fa<br />
avevo commentato, al passeggio, i trasferimenti improvvisi <strong>di</strong> detenuti. Avevo detto, scherzosamente, che<br />
non c’è solo la separazione dagli affetti <strong>di</strong> fuori, ma anche da quelli <strong>di</strong> dentro. Giuliano aveva ripetuto con<br />
emozione: “Proprio così, proprio così”. Era passato a salutarci, mentre gli agenti gli facevano fretta. Credo<br />
che avesse, come tanti, gravi tristezze famigliari. Era stato in galera sette anni - rieducato, dunque. Queste<br />
notizie correvano, nel modo accorto e quasi clandestino in cui corrono le notizie in <strong>carcere</strong> - come l’aria, che<br />
si infila tra le grate, le sbarre, le blindate, e <strong>di</strong>venta un vento - mercoledì 7 maggio, venticinquesimo<br />
anniversario della morte in queste celle <strong>di</strong> Franco Serantini. Non cavate da queste righe un’impressione<br />
sbagliata, non chiedetevi che cosa succede al <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Pisa. Dico sul serio, senza sarcasmo: non succede<br />
niente. Tutto normale. È la galera, ragazzi. Come la vita <strong>di</strong> fuori, ma passata per regolamento sotto un<br />
vecchio schiacciasassi senza guidatore.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Il pianeta delle ombre e il mal <strong>di</strong> <strong>carcere</strong><br />
<strong>di</strong> Sergio Segio (Responsabile Programma carceri del Gruppo Abele)<br />
Dignitas, n° 1 – <strong>2002</strong><br />
Non è casuale che, nell’economia dei capitoli, Inchiesta sulle carceri italiane, il Secondo Rapporto sulle<br />
con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> detenzione in Italia dell’Associazione Antigone (a cura <strong>di</strong> Stefano Anastasia e Patrizio<br />
Gonnella, e<strong>di</strong>zioni Carocci, <strong>2002</strong>) ne de<strong>di</strong>chi uno al tema “Eventi critici: maltrattamenti e decessi 2000 -<br />
2001”. L’estensore, infatti, avverte già nelle prime righe che, specie dopo l’11 settembre 2001, per chi abbia<br />
a cuore i <strong>di</strong>ritti umani il clima non è dei migliori. La logica del fine che giustifica i mezzi, tuttavia, non si è<br />
esasperata solo negli USA, colpiti dalla tremenda strage terroristica delle Twin Towers e non vige solo a<br />
Guantanamano. In vari Paesi europei si sono verificati episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> compressione dei <strong>di</strong>ritti civili, irrigi<strong>di</strong>menti<br />
legislativi e normativi, peggioramento nelle con<strong>di</strong>zioni carcerarie e violazioni nel <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa, in<br />
particolare per quanto riguarda le persone immigrate. Negli USA, a ridosso dell’attentato, sui giornali si è<br />
apertamente <strong>di</strong>scusso <strong>di</strong> legittimità della tortura. E non solo in ambiti conservatori.<br />
Un settimanale liberal come “Newsweek”, ad esempio, è giunto a pubblicare un articolo del commentatore<br />
progressista Jonathan Alter dal titolo “È l’ora <strong>di</strong> pensare alla tortura”. In Italia, segnala il Rapporto <strong>di</strong><br />
Antigone (la quale ha <strong>di</strong>ffusamente trattato l’argomento nel volume limiti alla costrizione, Quaderno <strong>di</strong><br />
Antigone n° 2, che raccoglie gli atti <strong>di</strong> un convegno internazionale svolto dalla stessa associazione e dalla<br />
sezione italiana <strong>di</strong> Amnesty International), continua a esservi un vuoto giuri<strong>di</strong>co al riguardo, poiché nel<br />
nostro co<strong>di</strong>ce non esiste ancora un reato specifico <strong>di</strong> tortura. E questo nonostante le sollecitazioni delle<br />
Nazioni unite, attraverso il Comitato dei <strong>di</strong>ritti umani e <strong>di</strong> quello contro la tortura, e nonostante le numerose<br />
e trasversali proposte <strong>di</strong> legge presentate in Parlamento. L’introduzione <strong>di</strong> questa nuova fattispecie, peraltro,<br />
risulterebbe necessaria anche per delimitare e contrad<strong>di</strong>stinguere i casi <strong>di</strong> tortura da quelli, sicuramente più<br />
frequenti, <strong>di</strong> maltrattamento. Fatto sta che il volume <strong>di</strong> Antigone enumera numerosi casi <strong>di</strong> morti sospette o<br />
evitabili e <strong>di</strong> pestaggi accaduti tra il 2000 e il 2001 in 29 carceri e in 7 tra commissariati e caserme <strong>di</strong><br />
carabinieri. Analoghi rilievi compaiono nelle relazioni stilate e consegnate al governo italiano dal “Comitato<br />
europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti degradanti” (in sigla, CPT) del Consiglio<br />
d’Europa, dopo le perio<strong>di</strong>che ispezioni effettuate negli istituti penitenziari e nelle celle <strong>di</strong> sicurezza italiane.<br />
Gli eventi critici e la crescita dei suici<strong>di</strong><br />
Sarebbe certo sbagliato, e ingiusto nei confronti <strong>di</strong> chi ci lavora, immaginare che episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> violenze<br />
generalizzate a danno <strong>di</strong> persone detenute siano frequenti o <strong>di</strong>ffusi nei penitenziari italiani. Non<strong>di</strong>meno,<br />
sarebbe fuorviante supporre che le sofferenze e i danni fisici e psichici che segnano molti <strong>di</strong> coloro che<br />
vivono dentro le carceri siano prodotti solo da violenze deliberate o da pestaggi. Vi è una casistica assai<br />
ampia, che nella classificazione statistica dell’Amministrazione penitenziaria prende il nome, un po’<br />
generico e criptico, <strong>di</strong> “Eventi critici” e che riguarda sia i gesti <strong>di</strong> autolesionismo, i suici<strong>di</strong>, i decessi e le<br />
aggressioni, sia le manifestazioni <strong>di</strong> protesta e le evasioni.<br />
I dati ministeriali sono sicuramente utili nel fotografare questi particolari fenomeni e, purtroppo, nel<br />
delineare la crescita, in particolare <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>, tentati suici<strong>di</strong> e atti <strong>di</strong> autolesionismo, la cui curva appare a<br />
tratti in drammatico parallelo all’aumento della popolazione detenuta, pressoché raddoppiata nel corso degli<br />
anni Novanta (ma più corretto sarebbe <strong>di</strong>re triplicata, poiché, secondo i dati al 31 <strong>di</strong>cembre 2001, ai 55.275<br />
detenuti presenti ne vanno almeno sommati 26.195 affidati al servizio sociale; nel <strong>di</strong>cembre 1990 vi erano<br />
invece 29.113 detenuti presenti, mentre gli affidati al servizio sociale nel 1991 erano solo 3.988). Pur se nelle<br />
carceri italiane nel 2001 vi è stata un”‘impennata” nel numero <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>, va detto che la situazione è ancora<br />
peggiore in altri Paesi europei, in particolare in Francia e Austria, dove il tasso <strong>di</strong> suici<strong>di</strong> è quasi doppio<br />
rispetto al nostro.<br />
Tuttavia, le cifre da sole non sono sempre sufficienti. Specialmente a illuminare il cono d’ombra cui sono<br />
tra<strong>di</strong>zionalmente relegati molti dei fenomeni violenti che avvengono nelle celle. Sui particolari e delicati<br />
aspetti dell’autolesionismo e del suici<strong>di</strong>o non sono molte le ricerche e gli approfon<strong>di</strong>menti. Tra quelli<br />
effettuati, come <strong>di</strong>re, <strong>di</strong>rettamente “sul campo” vanno segnalati gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Francesco Ceraudo, che da molti<br />
anni opera nel Centro Clinico del <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Pisa ed è presidente dell’Associazione nazionale me<strong>di</strong>ci<br />
penitenziari. Tra i materiali più recenti e acuti, vi è invece la ricerca “Così si muore in galera. Suici<strong>di</strong> e atti<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
<strong>di</strong> autolesionismo nei luoghi <strong>di</strong> pena” realizzata nel <strong>2002</strong> da Luigi Manconi, presidente <strong>di</strong> “A buon <strong>di</strong>ritto.<br />
Associazione per le libertà”.<br />
La ricerca è importante per vari motivi e sotto <strong>di</strong>versi aspetti. Perché tenta, forse per la prima volta, sulla<br />
forza dei dati e della loro interpretazione, <strong>di</strong> rompere consolidati stereotipi sul suici<strong>di</strong>o in <strong>carcere</strong>, in<br />
particolare quello secondo cui la propensione a uccidersi sia strettamente correlata alla riduzione della<br />
speranza; proprio come avviene all’esterno, dove nei malati terminali o irreversibili la percentuale <strong>di</strong> suici<strong>di</strong><br />
è irrisoria. Secondo la ricerca, sul complesso dei suici<strong>di</strong> avvenuti in <strong>carcere</strong> negli anni 2000 e 2001, oltre il<br />
16% riguarda detenuti per reati legati alla tossico<strong>di</strong>pendenza e più del 22% riguarda detenuti per reati <strong>di</strong><br />
scarso rilievo penale e sociale.<br />
Anche qui: la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> tossico<strong>di</strong>pendenza, che generalmente si vuole associata a particolari fragilità, che<br />
a loro volta starebbero alla base <strong>di</strong> molte scelte <strong>di</strong> togliersi la vita, non sembra particolarmente rappresentata,<br />
stante che le persone tossico<strong>di</strong>pendenti costituiscono il 27.94% dei detenuti presenti in <strong>carcere</strong> (al 31<br />
<strong>di</strong>cembre 2001).<br />
Per Manconi, dunque, non è con la <strong>di</strong>sperazione che si può spiegare lo scarto così rilevante tra il numero <strong>di</strong><br />
quanti si suicidano in <strong>carcere</strong> (quasi 13 ogni <strong>di</strong>ecimila detenuti nel 2001) e il numero <strong>di</strong> coloro che si tolgono<br />
la vita fuori dal <strong>carcere</strong> (meno dello 0.7 ogni <strong>di</strong>ecimila residenti nel territorio italiano). Semmai, si può<br />
cercare <strong>di</strong> spiegarlo con la paura del noto e dell’ignoto, vale a <strong>di</strong>re che in <strong>carcere</strong> si uccide, quasi in eguale<br />
misura, “chi conosce il proprio destino e ne teme l’ineluttabilità; chi non ha la minima idea del proprio<br />
destino e ne teme l’impreve<strong>di</strong>bilità”. La scelta <strong>di</strong> uccidersi riguarderebbe insomma la “normalità”. Non<br />
sembrano cioè esserci particolari “gruppi a rischio”, a parte quello dei “nuovi giunti” in <strong>carcere</strong>, ovvero <strong>di</strong><br />
coloro che impattano per la prima volta questa realtà, spesso non trovando in quei primi delicati momenti il<br />
necessario supporto, se non quello eventuale (ma certo più frequente <strong>di</strong> quello degli operatori) e<br />
fondamentale <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> auto-aiuto tra reclusi. Secondo i dati raccolti dai ricercatori, è <strong>di</strong>fficile escludere<br />
una correlazione tra il sovraffollamento (con tutto quel che comporta, spazi ridotti, maggiore promiscuità,<br />
tensione continua, aggressività, lentezze esasperanti per il <strong>di</strong>sbrigo <strong>di</strong> ogni pratica o per ricevere servizi e<br />
assistenza) e crescita dell’insostenibilità della con<strong>di</strong>zione reclusa.<br />
La fabbrica della malattia<br />
Non è allora troppo forzato sostenere che anche i suici<strong>di</strong>, e più complessivamente i cosiddetti “eventi critici”,<br />
ovvero una quota significativa <strong>di</strong> violenza che il detenuto vive, subisce o esprime su <strong>di</strong> sé, sono in relazione<br />
<strong>di</strong> causa-effetto con la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> reclusione. Paradossalmente, nella situazione limite della prigionia, la<br />
scelta del suici<strong>di</strong>o può <strong>di</strong>ventare estrema riven<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>gnità: “Non sempre il suici<strong>di</strong>o in <strong>carcere</strong> è un<br />
gesto <strong>di</strong> ribellione. Ma sempre pone l’istituzione davanti alla propria impotenza. Il condannato cessa <strong>di</strong><br />
essere un recluso per affermarsi, attraverso la ra<strong>di</strong>cale negatività del gesto, come essere umano”.<br />
Anche questa considerazione, che significativamente proviene da uno dei più attenti <strong>di</strong>rigenti<br />
dell’Amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, responsabile dell’Ufficio Stu<strong>di</strong> del DAP e<br />
<strong>di</strong>rettore del suo mensile, in<strong>di</strong>rettamente ci <strong>di</strong>ce quanto le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> carcerazione siano oggettivamente e<br />
ra<strong>di</strong>calmente lesive della <strong>di</strong>gnità della persona. Laddove la <strong>di</strong>chiarata impotenza dell’Amministrazione al<br />
riguardo risiede forse nella consapevolezza che la pena reclusiva non è mai rime<strong>di</strong>o ma spesso pura<br />
ritorsione sociale, dunque a priori e comunque produttrice <strong>di</strong> dolore e violenza, negatrice <strong>di</strong> umanità e<br />
<strong>di</strong>gnità. Il <strong>carcere</strong> è, <strong>di</strong> per se, fabbrica <strong>di</strong> sofferenza e malattia. Per <strong>di</strong>rla con il libro Ferri battuti: “Nel<br />
<strong>carcere</strong> i poveri e i <strong>di</strong>sperati <strong>di</strong> tutto il mondo si danno convegno, avanguar<strong>di</strong>e esposte e vulnerabili dello<br />
scambio <strong>di</strong> genti. La Me<strong>di</strong>cina vi è <strong>di</strong> casa, con una complicazione amara: che la malattia che il me<strong>di</strong>co cura<br />
è proprio quella che il <strong>carcere</strong> aggrava, per così <strong>di</strong>re <strong>di</strong> proposito, quando non la fabbrica” (Adriano Sofri e<br />
Francesco Ceraudo, ed. Archime<strong>di</strong>a, 1991).<br />
In definitiva, la ricerca <strong>di</strong> Manconi non si azzarda a fornire risposte generalizzanti al quesito sul perché ci si<br />
uccida con tanta frequenza in <strong>carcere</strong>, assumendo correttamente che le cause dei suici<strong>di</strong> sono tante quanti<br />
sono i suici<strong>di</strong> stessi (e questo vale nelle prigioni quanto all’esterno). E che dunque vi sia sempre un originale<br />
e drammatico insieme <strong>di</strong> circostanze e fattori che determinano l’evento. Diverso è il <strong>di</strong>scorso sugli atti <strong>di</strong><br />
autolesionismo, dove prevale e ricorre una funzione principalmente “<strong>di</strong>mostrativa”, <strong>di</strong> protesta o anche solo<br />
<strong>di</strong> tentativo <strong>di</strong> comunicare. Si pensi in modo particolare ai detenuti stranieri. 16.294 persone (al 31 <strong>di</strong>cembre<br />
2001), che talvolta non conoscono la lingua e non riescono a farsi capire e soprattutto ascoltare.<br />
Cosicché, scrive Manconi nella ricerca citata, “il farsi male” e il tentativo <strong>di</strong> togliersi la vita costituiscono,<br />
spesso, la sola forma <strong>di</strong> auto-rappresentazione e l’unica voce (pur stenta e rotta) rimasta a chi, per definizione<br />
e per con<strong>di</strong>zione. è senza voce. E, infatti, al detenuto viene imposta, quale pena aggiuntiva, l’inter<strong>di</strong>zione a<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
comunicare col resto della società. Rimasto “senza parola”, il detenuto si adatta, pertanto, a parlare attraverso<br />
il proprio corpo, il corpo offeso e costretto è, in molte circostanze, il solo mezzo <strong>di</strong> comunicazione con<br />
l’esterno. Il corpo è qui, davvero, il mezzo e il messaggio. E il corpo viene buttato così com’è - “tagliato”,<br />
lacerato, mortificato - in faccia a chi lo vorrebbe ignorare. Di conseguenza non stupisce che, ogni anno, un<br />
detenuto su sette - e possiamo far riferimento solo ai dati ufficiali - ricorre all’autolesionismo o tenta il<br />
suici<strong>di</strong>o. Il silenzio imposto, l’irrilevanza sociale, la negazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti sono pene aggiuntive, non scritte nei<br />
co<strong>di</strong>ci o nei regolamenti ma decisamente e immancabilmente operanti. Ma non sono le sole.<br />
Le pene corporali<br />
“La pena della prigione è ancora e soprattutto una pena corporale, qualche cosa che dà dolore fisico e<br />
produce malattia e morte”, scrive Massimo Pavarini nell’introduzione a uno dei pochi testi che hanno<br />
sviluppato ricerca sul campo, ma anche riflessione teorica, attorno alle patologie penitenziarie (Daniel<br />
Gonin, EGA, 1994). Il <strong>carcere</strong> martirizza il corpo del detenuto più per ottusità che per sa<strong>di</strong>smo, puntualizza<br />
Pavarini esaminando i risultati della ricerca <strong>di</strong> Gonin: “Circa un quarto degli entrati in prigione soffre già nei<br />
primi mesi <strong>di</strong> vertigini; l’olfatto viene prima sconvolto e poi annientato nel 31% dei detenuti; entro i primi<br />
quattro mesi, un terzo degli entrati dallo stato <strong>di</strong> libertà soffre <strong>di</strong> un peggioramento della vista fino a<br />
<strong>di</strong>ventare con il tempo “un’ombra dalla vista corta”, perché lo sguardo perde progressivamente la funzione <strong>di</strong><br />
sostegno della parola, l’occhio non si articola più alla bocca; il 60% dei reclusi soffre entro i primi otto mesi<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbi dell’u<strong>di</strong>to per stati morbosi <strong>di</strong> iperacutezza; il 60%, fin dai primi giorni, soffre la sensazione <strong>di</strong><br />
“carenza <strong>di</strong> energia”, il 28% patisce sensazioni <strong>di</strong> freddo anche nei mesi estivi”.<br />
Non deve allora stupire se quello stesso corpo aggre<strong>di</strong>to dalla con<strong>di</strong>zione innaturale della cattività nei suoi<br />
sensi e nelle sue funzioni, nella sua integrità e nella sua <strong>di</strong>gnità, venga utilizzato come “arma” estrema e<br />
<strong>di</strong>sperata <strong>di</strong> comunicazione. Del resto, proprio i detenuti tra<strong>di</strong>zionalmente usano il corpo come “tabellone” su<br />
cui affiggere messaggi, ricorda Daniel Gonin. O, meglio, usavano, perché nell’epoca dell’AIDS la pratica del<br />
tatuaggio artigianale in <strong>carcere</strong> sembra assai ridotta, non costituendo più, oltre tutto, tratto <strong>di</strong>stintivo<br />
d’identità, perché ormai <strong>di</strong>venuto moda e praticato commercialmente e trasversalmente ai ceti sociali. La<br />
violenza ora viene espressa su <strong>di</strong> sé, non produce eco esterna perché spesso sembra avere da comunicare solo<br />
l’in<strong>di</strong>viduale <strong>di</strong>sagio e perché “l’occhio non si articola più con la bocca”, la povertà <strong>di</strong> campo visivo si<br />
traduce e cronicizza in afasia.<br />
La solitu<strong>di</strong>ne del detenuto<br />
Paradossalmente e in definitiva, il <strong>carcere</strong> riformato e “aperto” ha zittito il detenuto sin dentro il chiuso della<br />
sua cella. Lo ha privato non solo della protesta violenta, così drammaticamente <strong>di</strong>ffusa negli anni settanta,<br />
ma anche <strong>di</strong> quella pacifica (per esempio, lo sciopero del vitto o l’astensione dal lavoro possono facilmente<br />
comportare ritorsioni, sanzioni <strong>di</strong>sciplinari e la mancata concessione <strong>di</strong> benefici), in cambio della speranza,<br />
<strong>di</strong> una promessa che non ha saputo - o che non poteva - mantenere, quella <strong>di</strong> ridurre il ricorso al <strong>carcere</strong>.<br />
Un processo certo complesso e complicato, da analizzarsi su scala mon<strong>di</strong>ale entro i generali processi <strong>di</strong><br />
ricarcerizzazione e <strong>di</strong> globalizzazione, ma che in ogni modo vede come uno dei suoi effetti proprio la<br />
crescente solitu<strong>di</strong>ne del detenuto, la mancanza <strong>di</strong> ascolto e, in ultimo e in conseguenza, la crescita della<br />
sofferenza e del suo uso in vece della parola attraverso l’autolesionismo e il suici<strong>di</strong>o. Si potrebbe definirlo un<br />
fallimento delle buone intenzioni, certificato dall’enorme crescita della popolazione detenuta e dal<br />
progressivo mutare <strong>di</strong> segno delle misure alternative introdotte dalla riforma penitenziaria del 1975 e<br />
rafforzate da quella del 1986. La valenza decarcerizzante <strong>di</strong> queste ultime, infatti, è platealmente venuta<br />
meno<br />
a vantaggio <strong>di</strong> una funzione <strong>di</strong> espansione del controllo sociale e <strong>di</strong> “esportazione” del <strong>carcere</strong> sul territorio,<br />
complementare alla tendenza alla ricarcerizzazione. Sempre nel corso degli anni Novanta, infatti, il numero<br />
degli ammessi alle misure alternative è cresciuto in parallelo e non in maniera inversamente proporzionale al<br />
numero dei reclusi. Esattamente com’è successo in modo più evidente e massiccio negli USA, ma anche in<br />
molti altri Paesi, stante che i tassi <strong>di</strong> carcerazione sono aumentati pressoché ovunque proprio nello scorso<br />
decennio che, guarda caso è quello stesso che ha visto, a partire dal 1991, il decremento complessivo delle<br />
statistiche dei reati e in particolare <strong>di</strong> quelli più gravi e degli omici<strong>di</strong>.<br />
Il clima, insomma, non è dei migliori, per tornare all’inizio <strong>di</strong> questo ragionamento. L’ottimismo della<br />
volontà deve cedere per un momento spazio al pessimismo della ragione e della constatazione. Tanto che<br />
possiamo provvisoriamente concludere con le parole - scritte significativamente poco dopo il varo della<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
riforma del 1986 - <strong>di</strong> Igino Cappelli, che è stato a lungo magistrato <strong>di</strong> sorveglianza: Igino Cappelli, Gli<br />
avanzi della giustizia. Diario del giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> sorveglianza, E<strong>di</strong>tori Riuniti. “Ho lasciato il <strong>carcere</strong> peggiore <strong>di</strong><br />
com’era anni prima della riforma. Fu un errore <strong>di</strong> stampo illuministico credere che una legge potesse, per<br />
virtù propria, trasformare realtà sociali e istituzionali, deviare il destino <strong>di</strong> uomini e donne. Il <strong>carcere</strong><br />
poteva cambiare solo nel senso delle linee generali <strong>di</strong> tendenza prevalenti nella società, e dunque in peggio.<br />
Né si poteva pretendere che proprio la galera fosse un’isola <strong>di</strong> legalità e <strong>di</strong> decenza, se poi le sue vittime<br />
(Angioni, Netta, Antonia Bernar<strong>di</strong>ni) sono troppe volte le vittime della giustizia. E se la logica del lager è<br />
vincente, non c’è posto per un giu<strong>di</strong>ce impotente alla tutela dei <strong>di</strong>ritti umani più elementari. Non deve<br />
esserci posto. La galera basti a se stessa. Ma imbarbarita e corrotta dalla legge e dal costume<br />
dell’emergenza, la giustizia è ridotta a celebrare i suoi nuovi riti in aule bunker allestite persino a ridosso o<br />
all’interno delle prigioni. Dove va il giu<strong>di</strong>ce? È tar<strong>di</strong>. La donna si è <strong>di</strong>stesa sui suoi stracci. Anch’io<br />
raccolgo i miei avanzi e vado a dormire”.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Rapporto sulle carceri dell’Associazione Antigone: eventi critici 2000 - 2001<br />
Anno 2000<br />
Morte per cause non chiare: 21 gennaio 2000, Carcere <strong>di</strong> Parma<br />
Il 15 gennaio 2000 34 detenuti protestano duramente, prendendo un agente in ostaggio per alcune ore,<br />
lamentando, fra l’altro, la scarsa qualità del cibo. La protesta si è conclusa con l’intervento del procuratore<br />
della Repubblica <strong>di</strong> Parma, Giovanni Panebianco. Fra i detenuti che avevano partecipato alla rivolta vi era<br />
Antonio Fabiani, <strong>di</strong>sabile, da poco giunto da Civitavecchia. Durante le ore della rivolta il Fabiani aveva<br />
inviato un fax alla famiglia affermando che “qualsiasi cosa avvenga, fatemi fare l’autopsia”. Il 19 gennaio la<br />
moglie del Fabiani va a trovarlo in <strong>carcere</strong>, ma le <strong>di</strong>cono che lui non vuole parlarle. Il 21 gennaio viene<br />
trovato morto nella sua cella, impiccato. Nello stesso <strong>carcere</strong>, pochi giorni dopo, muore <strong>di</strong> infarto Giuseppe<br />
Mammoliti. Anche lui aveva partecipato alla rivolta del 15 gennaio.<br />
Morte per cause non chiare: 23 gennaio 2000, Carcere <strong>di</strong> Nuoro<br />
Luigi Acquaviva muore nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Nuoro. Le prime informazioni parlavano <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o. Acquaviva era<br />
stato protagonista qualche giorno prima <strong>di</strong> una protesta in cui aveva preso in ostaggio per quattro ore un<br />
agente <strong>di</strong> polizia penitenziaria. La procura della Repubblica ha iscritto nel registro degli indagati il <strong>di</strong>rettore,<br />
poi rimosso, e alcuni agenti. Acquaviva, secondo gli esami necroscopici, nelle ore precedenti la morte<br />
avrebbe subito una brutale aggressione. Nel corpo del detenuto sono riscontrate una infinità <strong>di</strong> ecchimosi e<br />
contusioni. Anche il Comandante <strong>di</strong> reparto viene rimosso. Nei mesi successivi i detenuti denunciano un<br />
aggravarsi del clima interno. I familiari dei detenuti e l’intero consiglio comunale <strong>di</strong> Nuoro nei primi mesi<br />
del 2001 protestano duramente contro quella che chiamano deportazione dei loro parenti detenuti. I<br />
parlamentari locali lamentano i trattamenti <strong>di</strong> eccessivo rigore presenti nel <strong>carcere</strong>. Il 7 giugno 2001 il<br />
procuratore della Repubblica <strong>di</strong> Nuoro Roberto Faceva e il sostituto Maria Grazia Genovese hanno richiesto<br />
il rinvio a giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> 8 agenti <strong>di</strong> polizia penitenziaria. Per uno <strong>di</strong> essi l’accusa è <strong>di</strong> omici<strong>di</strong>o colposo, per gli<br />
altri sette <strong>di</strong> lesioni.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 22 marzo 2000, Carcere <strong>di</strong> Como<br />
Si impicca un detenuto in attesa <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio arrestato per detenzione <strong>di</strong> droghe.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 9 aprile 2000, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia, Roma<br />
Natale D’Ignazi muore <strong>di</strong> Aids a Rebibbia Nuovo Complesso, nel reparto G9.<br />
Overdose: 27 aprile 2000, Carcere <strong>di</strong> Sassari<br />
Dopo cinque giorni <strong>di</strong> agonia, per una dose <strong>di</strong> eroina assunta in <strong>carcere</strong>, muore Giuseppe Piras.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 10 luglio 2000, Carcere <strong>di</strong> Oristano<br />
Vitaliano Scanu, 25 anni, detenuto in attesa <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio, si impicca con un lenzuolo alle sbarre della sua cella.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 12 luglio 2000, Carcere <strong>di</strong> Sulmona<br />
A.M., 30 anni, si uccide in cella con il lenzuolo del letto appeso a un tubo del soffitto. Stava scontando una<br />
condanna per tentato omici<strong>di</strong>o.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 12 luglio 2000, Carcere <strong>di</strong> Prato<br />
Adrian Lefter Kriqui, 29 anni, muore a Pisa nel reparto ospedaliero del <strong>carcere</strong>, dopo 48 giorni <strong>di</strong> sciopero<br />
della fame. Perduti 17 chili, il suo <strong>di</strong>fensore ne chiese la scarcerazione ed in subor<strong>di</strong>ne gli arresti domiciliari.<br />
Entrambe le istanze furono respinte.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 14 luglio 2000, Carcere <strong>di</strong> Marassi, Genova<br />
Un detenuto <strong>di</strong> 24 anni, Zitouni El Fellah, probabilmente marocchino, arrestato per spaccio <strong>di</strong> stupefacenti, si<br />
uccide nella sua cella.<br />
Tentato suici<strong>di</strong>o: 21 luglio 2000, Carcere <strong>di</strong> <strong>Opera</strong>, Milano<br />
Karola Unterkircher, citta<strong>di</strong>na austriaca condannata a Bolzano per attentati compiuti in Alto A<strong>di</strong>ge negli anni<br />
80, tenta <strong>di</strong> uccidersi nel <strong>carcere</strong> milanese.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 21 luglio 2000, Carcere <strong>di</strong> Piacenza<br />
Un operaio <strong>di</strong> 32 anni si uccide dopo aver ammesso <strong>di</strong> aver violentato la figlia <strong>di</strong> meno <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 21 luglio 2000, Carcere <strong>di</strong> Biella<br />
Giorgio Ramella, 53 anni, si impicca nella sua cella, dove era rinchiuso perché non aveva rispettato l’obbligo<br />
degli arresti domiciliari.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 25 luglio 2000, Carcere <strong>di</strong> Taranto<br />
Si uccide Osvaldo Cinieri, 41 anni, fratello del boss <strong>di</strong> un clan della Sacra Corona Unita.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 27 luglio 2000, Carcere <strong>di</strong> Regina Coeli, Roma<br />
Si uccide Clau<strong>di</strong>no Cossu.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 29 luglio 2000, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia, Roma<br />
Guido Tomassini si impicca nel reparto G8 <strong>di</strong> Rebibbia Nuovo Complesso.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 29 luglio 2000, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia, Roma<br />
Si uccide Sabrina, transessuale <strong>di</strong> 28 anni.<br />
Morte per cause non chiare: 30 luglio 2000, Carcere <strong>di</strong> Sulmona<br />
Lorenzo Cimino, dopo aver provato, invano, a ottenere un trasferimento, muore nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Sulmona.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 1 agosto 2000, Carcere <strong>di</strong> Vigevano<br />
Un detenuto <strong>di</strong> 60 anni G.D.D. muore per emorragia. Due me<strong>di</strong>ci vengono indagati, il 10 novembre 2001,<br />
per omici<strong>di</strong>o colposo dalla Procura della Repubblica <strong>di</strong> Pavia. Non avrebbero tempestivamente <strong>di</strong>sposto il<br />
ricovero in ospedale del detenuto. Il detenuto era stato arrestato per furto <strong>di</strong> auto.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 21 agosto 2000, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia, Roma<br />
Giuseppe Vannetiello muore a seguito <strong>di</strong> una malattia nel reparto G9 <strong>di</strong> Rebibbia Nuovo Complesso.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 8 settembre 2000, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia, Roma<br />
Placeres Lopez Pastorino muore <strong>di</strong> Aids nel reparto G11 <strong>di</strong> Rebibbia Nuovo Complesso.<br />
Overdose: 14 settembre 2000, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia, Roma<br />
Un detenuto <strong>di</strong> 30 anni muore per overdose nella Terza Casa del <strong>carcere</strong> romano <strong>di</strong> Rebibbia.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 15 settembre 2000, Carcere Le Vallette, Torino<br />
Carlo Ruggeri, 37 anni, tossico<strong>di</strong>pendente, si uccide impiccandosi con un lenzuolo legato ad una sbarra della<br />
sua cella.<br />
Overdose: 15 settembre 2000, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia, Roma<br />
A causa <strong>di</strong> un cocktail <strong>di</strong> droga, me<strong>di</strong>cinali e vino, nel reparto G11 <strong>di</strong> Rebibbia Nuovo Complesso muore<br />
Fer<strong>di</strong>nando Putzu.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 16 settembre 2000, Carcere <strong>di</strong> Regina Coeli, Roma<br />
Larbi Nalasi, marocchino <strong>di</strong> 22 anni, si impicca<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 17 settembre 2000, Carcere <strong>di</strong> Lecco<br />
Pietro Ibba muore per una infezione dopo il trasferimento in due carceri ed un breve ricovero in ospedale. La<br />
madre, Barbara Valli, annuncia la presentazione <strong>di</strong> un esposto in cui chiede l’accertamento <strong>di</strong> eventuali<br />
responsabilità sulla morte del figlio. Ibba fu portato in <strong>carcere</strong> per scontare una pena <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci mesi per<br />
spaccio <strong>di</strong> sostanze stupefacenti. Dopo aver accusato febbre alta per <strong>di</strong>eci giorni nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Lecco, invece<br />
<strong>di</strong> essere ricoverato in un ospedale civile, viene trasferito nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> <strong>Opera</strong>. Qui si aggrava e viene<br />
ricoverato d’urgenza all’ospedale milanese Sacco, dove muore. La madre non fu avvisata del trasferimento<br />
all’ospedale e gli venne data notizia del ricovero una volta che il figlio era già morto. L’avvocato <strong>di</strong>fensore<br />
della madre <strong>di</strong> Pietro Ibba riferisce <strong>di</strong> aver notato su un registro sanitario il nome <strong>di</strong> Ibba con accanto la<br />
scritta Aids, pur non essendo sieropositivo.<br />
Morte per cause non chiare: 28 settembre 2000, Carcere <strong>di</strong> Ascoli Piceno<br />
Giuliano Costantini, <strong>di</strong> anni 40, tossico<strong>di</strong>pendente, con fine pena a novembre 2000 per tentato furto, muore<br />
dopo essere stato <strong>di</strong> urgenza ricoverato in ospedale con una prima prognosi <strong>di</strong> addome acuto e retto sfondato.<br />
Gli esiti dell’autopsia non hanno confermato questa <strong>di</strong>agnosi. Il sostituto procuratore della Repubblica<br />
Umberto Monti ha aperto un inchiesta per atti relativi al decesso. Il PM ha già fatto interrogare alcuni<br />
detenuti e agenti <strong>di</strong> polizia penitenziaria ma, riferisce il <strong>di</strong>rettore facente funzione Salvatore Ricotta,<br />
“nessuno ha visto niente”. Il Provve<strong>di</strong>tore regionale dell’amministrazione penitenziaria ha chiesto alla<br />
<strong>di</strong>rezione del <strong>carcere</strong> una relazione dettagliata. Molte le testimonianze dal <strong>carcere</strong> riguardanti i pestaggi che<br />
il Costantini avrebbe subito durante la detenzione. Antigone si è costituita parte civile il 9 ottobre del 2000.<br />
A fine <strong>di</strong>cembre c’e stata la chiusura delle indagini con la richiesta <strong>di</strong> rinvio a giu<strong>di</strong>zio, per omici<strong>di</strong>o colposo,<br />
per tre me<strong>di</strong>ci dell’amministrazione penitenziaria. C’è un proce<strong>di</strong>mento penale pendente per lesioni a carico<br />
<strong>di</strong> alcuni agenti <strong>di</strong> polizia penitenziaria.<br />
Il ricordo <strong>di</strong> don Vinicio Albanesi, Presidente della Comunità <strong>di</strong> Capodarco<br />
Giuliano Costantini è un uomo <strong>di</strong> 40 anni, originario <strong>di</strong> Fermo (AP), tossico<strong>di</strong>pendente. Vive <strong>di</strong> espe<strong>di</strong>enti.<br />
Frequenta comunità e Sert, ma la sua vita va avanti senza la possibilità <strong>di</strong> una svolta. Non ha padre; e<br />
cresciuto in orfanotrofi e istituti. Ha una struttura <strong>di</strong> “semplice”, tanto da non <strong>di</strong>ventare nemmeno un vero<br />
“tossico”.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
Il 5 maggio <strong>di</strong> quest’anno viene arrestato per tentato furto. Il 19 maggio ottiene gli arresti domiciliari. Il 1°<br />
giugno viene riportato nel super<strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Marino del Tronto, perché sorpreso fuori casa, sulla via<br />
antistante la sua abitazione. Il 28 agosto il Tribunale del riesame <strong>di</strong> Ancona rigetta il suo ricorso per<br />
riottenere gli arresti domiciliari. Chiede al suo avvocato <strong>di</strong> non ritornare a Marino del Tronto. Il 29 luglio<br />
chiede una visita me<strong>di</strong>ca perché <strong>di</strong>chiara <strong>di</strong> essere stato picchiato dagli agenti. Il 4 agosto gli viene<br />
concesso e, contemporaneamente, annullato il trasferimento in altro istituto <strong>di</strong> pena. Il 5 settembre Giuliano<br />
Costantini lamenta dolori addominali. Il me<strong>di</strong>co che lo visita parla, nella cartella clinica, <strong>di</strong> “simulazione”.<br />
Il 9 settembre e il 18 settembre viene visitato; gli vengono somministrati Minias e Talofen, farmaci specifici<br />
per tossico<strong>di</strong>pendenti. Il 18 settembre viene trovato un lavan<strong>di</strong>no rotto. Il Costantini <strong>di</strong>ce ai suoi compagni<br />
<strong>di</strong> cella <strong>di</strong> essere stato picchiato da agenti <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>a. Il 25 settembre visita me<strong>di</strong>ca per febbre a 39.8; ore<br />
2.30, si prescrive Flociprin e Sulidamar.<br />
Nello stesso giorno altra visita; la febbre è scesa a 36 (Flociprin per 4 giorni). Il 26 settembre altra visita,<br />
ore 12.30. Si ipotizza un <strong>di</strong>sturbo <strong>di</strong> natura psichiatrica. Il 26 settembre il me<strong>di</strong>co dei tossico<strong>di</strong>pendenti<br />
prescrive un clistere (ore 14.45). Il 26 settembre altra visita (ore 18.00), perché il detenuto vomita<br />
“materiale scuro”. Si prescrive un clistere. Il 27 settembre, ore 11.30, ultima visita: Il me<strong>di</strong>co <strong>di</strong>agnostica:<br />
“Addome acuto e imminente pericolo <strong>di</strong> vita”. Il 27 settembre viene operato d’urgenza e muore poco dopo<br />
l’intervento.<br />
Dal 5 settembre al 27 settembre, giorno della sua morte, nonostante 10 visite me<strong>di</strong>che, il Costantini non<br />
viene sottoposto a nessun esame, a nessun controllo specialistico. La procura <strong>di</strong> Ascoli dapprima ha aperto<br />
un’indagine come “atti relativi” al decesso, poi ha iscritto il proce<strong>di</strong>mento come notizia <strong>di</strong> reato per<br />
omici<strong>di</strong>o colposo a carico <strong>di</strong> 4 me<strong>di</strong>ci del <strong>carcere</strong>. Ha aperto un proce<strong>di</strong>mento a carico <strong>di</strong> una o più guar<strong>di</strong>e<br />
carcerarie per lesioni aggravate, ma non ha ritenuto esservi un nesso causale tra i pestaggi e la morte del<br />
Costantini. Dalla morte alla celebrazione dei funerali, avvenuta lunedì 9.10, sono arrivate tre lettere <strong>di</strong><br />
detenuti: una anonima dove si parla <strong>di</strong> “squadretta” <strong>di</strong> agenti che nel super<strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Marino del Tronto,<br />
sezione giu<strong>di</strong>ziaria, picchiano i detenuti. Giuliano sarebbe stato picchiato tre volte; una lettera firmata, dove<br />
si parla <strong>di</strong> due pestaggi del Costantini; una lettera <strong>di</strong> un detenuto che parla della cella come <strong>di</strong> un<br />
“magazzino sporco, impolverato e pieno <strong>di</strong> ragnatele, dove non ci sono più neanche i ragni”.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 29 settembre 2000, Carcere <strong>di</strong> Forlì<br />
Il noto parrucchiere Gino Corvini, accusato <strong>di</strong> violenza carnale, si uccide in una cella <strong>di</strong> isolamento del<br />
<strong>carcere</strong>.<br />
Overdose: 12 ottobre 2000, Carcere <strong>di</strong> Torino<br />
Muore <strong>di</strong> overdose Gianfranco Costantini, 22 anni.<br />
Morte per cause non chiare: 13 ottobre 2000, Carcere <strong>di</strong> Brescia<br />
Maurizio B., tossico<strong>di</strong>pendente, viene trovato ucciso. Finiscono iscritti sul registro degli indagati con<br />
l’accusa <strong>di</strong> omici<strong>di</strong>o volontario i sette compagni <strong>di</strong> cella del tossicomane accusato <strong>di</strong> aver costretto la madre<br />
<strong>di</strong> 73 anni a prostituirsi per procurargli la droga.<br />
Overdose: 17 ottobre 2000, Carcere <strong>di</strong> Torino<br />
Muore <strong>di</strong> overdose Nicola Gianturco, 34 anni.<br />
Overdose: 17 ottobre 2000, Carcere <strong>di</strong> Torino<br />
Muore <strong>di</strong> overdose Vittorio Miceli, 31 anni.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 3 novembre 2000, Carcere <strong>di</strong> Viterbo<br />
Muore, presunto suicida, un detenuto tunisino. Un operatore penitenziario qualificato afferma che frequenti<br />
sono i pestaggi e le vessazioni a carico <strong>di</strong> detenuti. Uno degli ispettori gerarchicamente posti al vertice della<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
struttura, durante la visita effettuata dagli osservatori <strong>di</strong> Antigone, ha affermato che “i <strong>di</strong>ritti umani con gli<br />
animali [i detenuti, ndr] non c’entrano”.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 5 novembre 2000, Carcere <strong>di</strong> Rimini<br />
Guido Renato F., 38 anni, si uccide in <strong>carcere</strong>.<br />
Overdose: 12 novembre 2000, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia, Roma<br />
Massimiliano Wiecek muore nel reparto G12 <strong>di</strong> Rebibbia Nuovo Complesso, a causa <strong>di</strong> un cocktail <strong>di</strong> droga,<br />
me<strong>di</strong>cinali e vino.<br />
Overdose: 15 novembre 2000, Carcere <strong>di</strong> Pisa<br />
Muore un detenuto nordafricano per overdose.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 15 novembre 2000, Carcere <strong>di</strong> Como<br />
Si impicca in cella Francesco A., 28 anni.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 6 <strong>di</strong>cembre 2000, Carcere <strong>di</strong> Busto Arsizio, Varese<br />
Nicola Simone, 43 anni, detenuto in attesa del processo, si impicca in cella.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 14 <strong>di</strong>cembre 2000, Carcere <strong>di</strong> Regina Coeli, Roma<br />
Adriano Tacchia, 74 anni, muore nell’ospedale San Camillo, dove era stato trasferito dal <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Regina<br />
Coeli. La vicenda presenta aspetti poco chiari: Tacchia già al momento dell’arresto manifestava un evidente<br />
squilibrio psichico. Il 29 ottobre viene ricoverato nel centro clinico del <strong>carcere</strong> per la frattura <strong>di</strong> un femore:<br />
dopo un’operazione all’ospedale Umberto I, viene riportato in <strong>carcere</strong> anche se accusava “piaghe da decubito<br />
e un marcato deperimento”.<br />
Anno 2001<br />
Suici<strong>di</strong>o: 16 gennaio 2001, Carcere <strong>di</strong> Messina<br />
A.C. si impicca in cella. Il 31 luglio 2001 il sostituto procuratore Vincenzo Cefalo ha sentito 4 agenti <strong>di</strong><br />
polizia penitenziaria a seguito <strong>di</strong> un esposto che allargava l’inchiesta a presunte irregolarità all’interno<br />
dell’istituto e a presunti pestaggi a carico <strong>di</strong> 3 detenuti. A.C. si è suicidato dopo essersi barricato in cella per<br />
3 giorni.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 18 gennaio 2001, Carcere Pagliarelli, Palermo<br />
Per la morte <strong>di</strong> A.L.B., morto dopo un intervento chirurgico, 5 me<strong>di</strong>ci vengono indagati dalla procura della<br />
Repubblica. Il detenuto aveva precedentemente tentato <strong>di</strong> suicidarsi. L’autopsia ha evidenziato un errore<br />
nell’uso della sonda per l’anestesia.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 17 aprile 2001, Carcere <strong>di</strong> Potenza<br />
Dieci, fra agenti <strong>di</strong> polizia penitenziaria e operatori sanitari, sono indagati dal sostituto procuratore della<br />
Repubblica Henry John Woodcock per i maltrattamenti inferti ad un detenuto tunisino. L’inchiesta era<br />
cominciata il 3 agosto 2000, quando Tbini Ama, un giovane tunisino <strong>di</strong> 21 anni, era salito sui tetti del <strong>carcere</strong><br />
per protestare contro le percosse subite il giorno prima. Un consulente nominato dal PM avrebbe accertato la<br />
compatibilità delle lesioni riportate dal detenuto con i maltrattamenti denunciati. Le ipotesi <strong>di</strong> reato<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
contestate sono: lesioni gravi e gravissime, falsa certificazione me<strong>di</strong>ca. Il giovane tunisino si suicida il 17<br />
aprile 2001. Per due mesi è rimasto nello stesso <strong>carcere</strong> e con le stesse guar<strong>di</strong>e che lui aveva denunciato per<br />
maltrattamenti.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 18 maggio 2001, Carcere <strong>di</strong> Enna<br />
C.G., 59 anni, <strong>di</strong> professione ambulante e in <strong>carcere</strong> da meno <strong>di</strong> due mesi per un vecchia condanna, muore in<br />
<strong>carcere</strong>. I legali preannunciano una doppia denuncia contro il <strong>di</strong>rettore sanitario del <strong>carcere</strong> e contro il<br />
magistrato <strong>di</strong> sorveglianza <strong>di</strong> Caltanisetta in quanto, a <strong>di</strong>re del legale, tutti e due erano a conoscenza delle<br />
gravi con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute del detenuto. Il 13 aprile era stata presentata la prima richiesta <strong>di</strong> sospensione della<br />
pena. Il provve<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> ricovero all’esterno <strong>di</strong>sposto dal magistrato <strong>di</strong> sorveglianza è giunto la mattina del<br />
decesso.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 26 luglio 2001, Carcere <strong>di</strong> Milano <strong>Opera</strong><br />
Il muore un detenuto. Le perizie rilevano che è deceduto per overdose <strong>di</strong> metadone, che non gli era stato<br />
ufficialmente prescritto.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 6 settembre 2001, Carcere <strong>di</strong> Milano <strong>Opera</strong><br />
P.S. muore per un’embolia. Il giorno precedente si sente male ma solo la mattina del 6 viene ricoverato nel<br />
reparto me<strong>di</strong>co interno. Secondo alcuni testimoni sarebbe una suora ad accorgersi che era in gravi con<strong>di</strong>zioni<br />
tali da rendere necessario il ricovero esterno. I familiari presentano un esposto alla Procura, perché ritengono<br />
che sia stato curato male e non gli siano stati concessi gli arresti domiciliari nonostante le gravissime<br />
con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute pregresse.<br />
Morte per cause non chiare: 10 novembre 2001, Carcere <strong>di</strong> Modena<br />
Antonio Zara è trovato morto nella sua cella, con un sacchetto in testa. Due giorni prima era stato trasferito<br />
d’urgenza dal <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Bologna. Era stato arrestato a luglio con le accuse <strong>di</strong> sequestro <strong>di</strong> persona e violenza<br />
sessuale. I familiari non credono all’ipotesi del suici<strong>di</strong>o.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
<strong>Dossier</strong> carceri 2000 <strong>di</strong> “Nessuno tocchi Caino”<br />
Malattia e morte <strong>di</strong>etro le sbarre<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 13 aprile 2000, Carcere <strong>di</strong> Torino<br />
Un uomo <strong>di</strong> 50 anni, Angelo Au<strong>di</strong>no, muore in una cella del Centro Diagnostico Terapeutico del <strong>carcere</strong><br />
delle Vallette <strong>di</strong> Torino. Era stato arrestato ad aprile del ‘99, ma dopo alcuni mesi era stato ricoverato in<br />
ospedale e, a novembre, trasferito agli arresti domiciliari per le sue gravissime con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute.<br />
“Ipertensione arteriosa essenziale severa, car<strong>di</strong>opatia ischemica monovasale e pregresso infarto miocar<strong>di</strong>co<br />
con retinopatia causata dalle conseguenze”, hanno detto i me<strong>di</strong>ci. Trascorse 23 ore a casa, era stato riportato<br />
in <strong>carcere</strong> per scontare una vecchia pena.<br />
Lì, le sue con<strong>di</strong>zioni si erano aggravate e, la sera prima del decesso, gli era stato notificato l’ennesimo rigetto<br />
dell’istanza <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferimento pena con la motivazione che le patologie <strong>di</strong> cui era sofferente sarebbero state<br />
controllabili in ambito carcerario. Quando il me<strong>di</strong>co è intervenuto, il detenuto era già morto.<br />
Assistenza sanitaria <strong>di</strong>sastrata: 1 maggio 2000, Carcere <strong>di</strong> Ragusa<br />
Una donna <strong>di</strong> 28 anni, Giovanna Franzò, muore nell’ospedale <strong>di</strong> Ragusa per un ascesso ai denti non curato.<br />
All’ospedale era giunta tre giorni prima, proveniente dal <strong>carcere</strong> della città, dove la donna, condannata a 7<br />
mesi per furto, stava espiando la sua pena. Dopo settimane <strong>di</strong> sofferenze – il collo ingrossato, la febbre alta,<br />
il respiro sempre più affannoso - i me<strong>di</strong>ci del <strong>carcere</strong> hanno capito che la donna stava morendo e si sono<br />
decisi <strong>di</strong> ricoverarla in ospedale. La Tac ha rivelato l’evoluzione dell’ascesso dentario in una “me<strong>di</strong>astinite<br />
necrotizzante”. Dopo due interventi chirurgici, la giovane vita <strong>di</strong> Giovanna Franzò si è spenta per sempre. Il<br />
1° luglio, finita <strong>di</strong> scontare la sua pena, sarebbe ritornata a casa.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 20 maggio 2000, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia (Roma)<br />
Un uomo <strong>di</strong> 31 anni, Vincenzo Spina, si impicca nella sua cella del reparto “G7” dove si trovano i detenuti in<br />
regime <strong>di</strong> art. 41 bis (altissima sorveglianza e contatti limitati) del Nuovo Complesso del Carcere <strong>di</strong><br />
Rebibbia. Stava scontando una pena all’ergastolo per omici<strong>di</strong>o. Il suo “fine pena: mai”, si è risolto nell’arco<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni. Nella notte tra il 23 ed il 24 giugno, Eleonora Manna è morta <strong>di</strong> infarto nella sua cella nel<br />
<strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Rebibbia.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 29 giugno 2000, Carcere <strong>di</strong> Modena<br />
Un giovane marocchino si uccide nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Modena, impiccandosi all’interno della cella <strong>di</strong> transito nella<br />
quale era detenuto. Era stato arrestato il giorno prima per resistenza a pubblico ufficiale, e aveva precedenti<br />
penali per droga. L’u<strong>di</strong>enza <strong>di</strong> convalida dell’arresto era prevista il giorno dopo la sua morte.<br />
Suici<strong>di</strong>o: 15 luglio 2000, Carcere <strong>di</strong> Pavia<br />
Giovanni S., 44 anni, detenuto da un anno nel <strong>carcere</strong> <strong>di</strong> Torre del Gallo (Pavia), si suicida. Si è stretto al<br />
collo la cintura dei pantaloni e, fissata alle sbarre <strong>di</strong> alluminio del letto a castello, si è lasciato soffocare fino<br />
alla morte. Giovanni S. era stato arrestato per spaccio <strong>di</strong> droga e una rapina e sarebbe dovuto uscire nel <strong>2002</strong>.<br />
Non ha lasciato nessun messaggio, ma si era confidato con i compagni <strong>di</strong> cella sulle speranze <strong>di</strong> un’amnistia<br />
o <strong>di</strong> un indulto. Nell’apprendere dai telegiornali <strong>di</strong> mezzogiorno dell’uccisione <strong>di</strong> un maresciallo dei<br />
carabinieri in Puglia, ha temuto che la <strong>di</strong>scussione politica sulla possibilità <strong>di</strong> un atto <strong>di</strong> clemenza si sarebbe<br />
arenata.<br />
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<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
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Lettera dei detenuti <strong>di</strong> Rebibbia<br />
Suici<strong>di</strong>o: 1 maggio 2003, Carcere <strong>di</strong> Rebibbia (Roma)<br />
Siamo nuovamente qua a scrivere, dell’ennesima morte annunciata <strong>di</strong> un nostro compagno, ristretto presso la<br />
cosiddetta sezione minorati psichici della Casa <strong>di</strong> Reclusione <strong>di</strong> Rebibbia. Chi scrive questo annuncio è<br />
molto amareggiato, non si può essere in<strong>di</strong>fferenti a quanto sta accadendo all’interno della sezione dove sono<br />
ristretti i ragazzi “alcuni giovanissimi” affetti da <strong>di</strong>sturbi psichici.<br />
Marco Desimoni, età 41 anni, arrivato in questa sezione tre giorni ad<strong>di</strong>etro, gli sono stati dati i panni <strong>di</strong> sua<br />
proprietà, gli è stata fatta, sicuramente la visita me<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> routine poi è stato inserito nel “ghetto” sezione<br />
minorati psichici, la cella assegnatogli è stata l’ultima in fondo alla sezione “il posto meno controllabile” la<br />
sera stessa del suo arrivo Marco, ha dato segni visibili <strong>di</strong> insofferenza gridando tutta la notte che voleva<br />
morire. Il mattino seguente ha iniziato a <strong>di</strong>re a gran voce che si sarebbe impiccato ma, come sempre accade<br />
in questa sezione, le sue parole non sono state prese in considerazione, da chi avrebbe il dovere <strong>di</strong> tutelare i<br />
pazienti psichici. Questa mattina <strong>di</strong> festa, marco ha portato a termine ciò che aveva gridato per una giornata<br />
intera, si è tolto la vita impiccandosi nella cella assegnatagli all’arrivo in questo <strong>carcere</strong>. In questo momento<br />
è chiuso nella cella <strong>di</strong>steso sopra la branda in attesa che il magistrato <strong>di</strong> turno arrivi con il me<strong>di</strong>co legale che<br />
convali<strong>di</strong> il decesso, subito dopo verrà portato via e poi fatto vedere dalla famiglia. Marco, 41 anni,<br />
totalmente malato, con proscioglimento e non compatibile con la detenzione, solo per questo doveva essere<br />
sottoposto a vigilanza continua, a sostegno <strong>di</strong> questa affermazione c’è una pensione con il supporto<br />
dell’accompagno. Prima delle festività natalizie è morto un altro compagno, sempre ristretto nella sezione<br />
minorati psichici, Clau<strong>di</strong>o Menna, anche allora ci fu superficialità all’assistenza <strong>di</strong> un malato non solo con<br />
problematiche psichiche, ma soffriva <strong>di</strong> una grave forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>abete, faceva tre volte al giorno insulina, la<br />
notte alcuni compagni <strong>di</strong> sezione sentirono il campanello e la fievole voce <strong>di</strong> richiesta <strong>di</strong> aiuto, solo al<br />
mattino si scoprì che Clau<strong>di</strong>o era morto.<br />
Scrivemmo una lettera a molte testate giornalistiche, nella lettera descrivemmo le dure con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita che<br />
i minorati psichici conducevano all’interno della loro sezione, ma anche allora dopo che alcune testate<br />
giornalistiche pubblicarono il contenuto della lettera, tornò tutto alla normalità, siamo venuti a conoscenza<br />
della sezione minorati psichici, ma <strong>di</strong> contro parte nessuno volle sentire chi conosce a fondo i problemi dei<br />
ristretti. In questa sezione abitano 15 detenuti con problematiche psichiche “scusate ora sono 14!, uno ci ha<br />
lasciato” Questi ragazzi non fanno nessuna attività, alcuni <strong>di</strong> loro stanno molte ore chiusi nella stanza, altri<br />
girano nei corridoi senza meta, come già è stato detto altre volte dovrebbe esserci un supporto me<strong>di</strong>co<br />
specialistico 24 ore su 24, ma questo non accade, si aspetta che qualche malato vada in escandescenza e la<br />
soluzione a questo problema è l’aumento della terapia e la chiusura per alcuni giorni nella stanza.<br />
Come supporto specialistico hanno: una neurologa che accoglie i pazienti una,due volte massimo la<br />
settimana, il psichiatra “persona capacissima” purtroppo può essere in istituto le ore che gli sono state<br />
concesse da contratto, quin<strong>di</strong> anche lui arriva in istituto una, due volte la settimana.<br />
Sappiamo bene che questa sezione è nata nel 1992, e sulla carta doveva rispondere alle esigenze dei malati,<br />
purtroppo tutto questo non accade, si è sempre tamponato il problema creando supporto umano dato dai<br />
compagni <strong>di</strong> detenzione ristretti presso lo stesso istituto, ultimamente è traboccato il vaso, questi ragazzi<br />
sono totalmente <strong>di</strong>menticati da chi avrebbe il dovere <strong>di</strong> curarli, assisterli e aiutarli all’integrazione sociale.<br />
Ora siamo qui a chiedere che siano presi provve<strong>di</strong>menti affinché questi ragazzi siano realmente tutelati e<br />
curati. Cre<strong>di</strong>amo che le autorità competenti se, vogliono che questi ragazzi siano curati e assistiti, possano<br />
decidere e mettere in pratica ciò che è scritto sul <strong>di</strong>ritto penitenziario.<br />
Può sembrare ripetitivo quanto scritto, ma bisogna tener presente che è molto più importante la ripetitività<br />
dei decessi che sono accaduti in breve all’interno dei quest’istituto, posto che ha sempre dato esempio <strong>di</strong><br />
comportamento civile e democratico, da parte dei detenuti e degli agenti <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>a, ultimamente questa<br />
collaborazione è venuta a mancare, motivi ci sono sicuramente e sono stati in<strong>di</strong>viduati, vorremmo <strong>di</strong>scuterli<br />
insieme, cercando una soluzione, affinché si torni verso una vivibilità accettabile, è interesse <strong>di</strong> tutti che, la<br />
C.R. <strong>di</strong> Rebibbia torni a d essere quell’istituto <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> iniziative culturali, sportive e <strong>di</strong> spettacolo”<br />
insomma all’avanguar<strong>di</strong>a, così come è sempre stato definito. In attesa che venga fissato un incontro urgente<br />
con i sopra citati sarà sospesa la partecipazione dei detenuti alle attività trattamentali, quali corsi <strong>di</strong><br />
formazione, scuola, e sospesa qualsiasi iniziativa sportiva, culturale già programmata. Se questo non basterà<br />
a far sì che l’incontro richiesto non avverrà si continuerà con altre forme <strong>di</strong> protesta pacifiche.<br />
I detenuti ristretti presso la C.R. <strong>di</strong> Rebibbia
<strong>Morire</strong> <strong>di</strong> <strong>carcere</strong>: dossier <strong>2002</strong> - 2003 Centro <strong>di</strong> Documentazione Due Palazzi – Redazione <strong>di</strong> Ristretti Orizzonti<br />
“Facciamo in modo che la gente in <strong>carcere</strong> non si faccia male”<br />
(Intervista realizzata nel mese <strong>di</strong> marzo 2003)<br />
A cura <strong>di</strong> Ornella Favero e Paola Soligon<br />
Pietro Buffa, <strong>di</strong>rettore del <strong>carcere</strong> Le Vallette <strong>di</strong> Torino, ci parla dell’esperienza dei “Gruppi <strong>di</strong><br />
attenzione”: una risposta non formale al <strong>di</strong>sagio che si esprime attraverso gli atti <strong>di</strong> autolesionismo, i<br />
tentativi <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o, i suici<strong>di</strong> riusciti<br />
Se dovessimo descrivere il <strong>di</strong>rettore del <strong>carcere</strong> Le Vallette <strong>di</strong> Torino, faticheremmo a “fissarlo” in una<br />
immagine da fermo: è infatti una persona perennemente in movimento, movimento fisico e, soprattutto,<br />
mentale. Uno per cui sembra che “gli esami non finiscano mai”, perché mai si sottrae a un bisogno <strong>di</strong><br />
stu<strong>di</strong>are, sperimentare, tentare nuove strade. Ora sta lavorando a un progetto, avviato da più <strong>di</strong> un anno, che,<br />
stu<strong>di</strong>ando gli “eventi critici” così <strong>di</strong>ffusi in <strong>carcere</strong>, suici<strong>di</strong>, tentativi <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o, atti <strong>di</strong> autolesionismo, cerca<br />
una soluzione, a partire da una verità mai abbastanza sottolineata: il bisogno <strong>di</strong> attenzione che esprimono le<br />
persone detenute quando si fanno del male. E a Torino, non a caso, sono nati dei “Gruppi <strong>di</strong> attenzione”. Ne<br />
abbiamo parlato con Pietro Buffa, <strong>di</strong>etro a un tavolo del suo ufficio coperto <strong>di</strong> carte, tipico delle persone che<br />
non la smettono mai <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are.<br />
L’ultima volta che ci siamo visti eravamo esattamente partiti con una <strong>di</strong>scussione sugli atti <strong>di</strong><br />
autolesionismo e il <strong>di</strong>sagio che esprimono. Ora vorremmo avere qualche idea più precisa sul bilancio e<br />
sui punti critici <strong>di</strong> questa esperienza dei “Gruppi <strong>di</strong> attenzione”.<br />
Abbiamo organizzato questi Gruppi <strong>di</strong> attenzione partendo da alcune considerazioni molto semplici. Ci si è<br />
chiesti prima <strong>di</strong> tutto se l’attenzione alle persone in <strong>di</strong>fficoltà fosse una attenzione efficace, se le<br />
comunicazioni fossero o meno tempestive, e ci si è resi conto che c’è un forte rischio nelle istituzioni, che è<br />
quello <strong>di</strong> un approccio più formale che sostanziale a fenomeni come l’autolesionismo, nel senso che c’è più<br />
attenzione appunto alla forma, al fatto che determinate questioni vengano segnalate, e non si cura poi<br />
abbastanza la parte organizzativa, la ricerca <strong>di</strong> soluzioni. Allora ci si è detti “Diamoci innanzitutto un<br />
obiettivo”, e l’obiettivo sembra piccolo, ma in realtà io lo trovo enorme: facciamo in modo che la gente non<br />
si faccia male.<br />
La potremmo chiamare una specie <strong>di</strong> “riduzione del danno prodotto dal <strong>carcere</strong>”?<br />
Sì, facciamo almeno in modo che la gente non si faccia male, e questo ha voluto <strong>di</strong>re innanzitutto capire<br />
perché la gente si possa fare del male in <strong>carcere</strong>. Cominciamo a <strong>di</strong>re che il farsi male non deriva sempre da<br />
un quadro psicopatologico che determina tali atti autolesionistici. Ma se questa affermazione è vera, questo<br />
apre uno scenario nuovo: significa che l’intervento nei confronti <strong>di</strong> queste persone non potrà essere un<br />
intervento esclusivamente me<strong>di</strong>co, psichiatrico o psicologico. Allora, abbiamo scoperto che l’autolesionismo<br />
in questo <strong>carcere</strong>, ma penso pure negli altri, non si estende su tutto il <strong>carcere</strong>, ma interessa solo alcune<br />
sezioni, e anche in modo significativo, non casuale. Su questa non casualità ci siamo interrogati e inventati<br />
un in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> misurazione del tipo <strong>di</strong> sezione dove noi raccoglievamo dati significativi sull’autolesionismo,<br />
scoprendo così che il regime <strong>di</strong> quei luoghi è un regime peggiore, in termini <strong>di</strong> apertura delle celle, <strong>di</strong><br />
attività, <strong>di</strong> presenza <strong>di</strong> operatori, <strong>di</strong> opportunità, <strong>di</strong> “stanzialità” della persona detenuta, <strong>di</strong> accettazione<br />
sociale <strong>di</strong> quella sezione da parte del restante <strong>carcere</strong>. Ma quando noi an<strong>di</strong>amo a fare un altro calcolo, cioè a<br />
scoprire da un punto <strong>di</strong> vista economico come si <strong>di</strong>stribuisce l’autolesionismo, scopriamo un’altra cosa: che,<br />
stabilito qual è un livello ipotetico <strong>di</strong> soglia <strong>di</strong> povertà, stabilito che se il 25% <strong>di</strong> una sezione non riesce a<br />
superare questa soglia, a questo punto l’intera sezione <strong>di</strong>venta povera perché, secondo la logica penitenziaria,<br />
c’è un carico <strong>di</strong>stribuito su tutti gli altri, allora laddove noi troviamo sezioni povere, lì vedremo una forte<br />
presenza <strong>di</strong> atti <strong>di</strong> autolesionismo. La terza cosa è che esiste una correlazione fra la povertà e la possibilità <strong>di</strong><br />
accedere al trattamento, per adesso presunta, perché lo stu<strong>di</strong>o fatto non è uno stu<strong>di</strong>o ancora fondato nel<br />
tempo.<br />
Di questo abbiamo <strong>di</strong>scusso recentemente anche nel <strong>carcere</strong> femminile della Giudecca, dove le donne,<br />
che siano già condannate o in attesa <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio, vivono comunque insieme, e allora si nota che c’è un<br />
nucleo <strong>di</strong> donne che fanno tutto, attive, vivaci, pronte, e la restante parte che vive nella passività.<br />
Sembra in un certo senso un problema <strong>di</strong> auto-esclusione, per mancanza <strong>di</strong> mezzi culturali, <strong>di</strong> risorse<br />
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personali minime. Il grave problema è che in <strong>carcere</strong> arrivano sempre più persone che già fuori<br />
avevano pochissime risorse, e il <strong>carcere</strong> aggrava questa con<strong>di</strong>zione.<br />
Io posso garantire che da un punto <strong>di</strong> vista istituzionale il <strong>carcere</strong> non <strong>di</strong>scrimina, non può farlo e non lo fa. Il<br />
problema è che, esattamente come all’esterno, nell’approccio alle risorse offerte si crea una <strong>di</strong>namica che<br />
mette in rapporto capacità <strong>di</strong>verse. Su questo c’è un fondamentale modello <strong>di</strong> interpretazione, che è<br />
contenuto in un testo ormai vecchio, ma tuttora valido che è “La pena del non lavoro” <strong>di</strong> L. Berzano, dove si<br />
fa una tabella a doppia entrata e si mettono in correlazione da un lato le risorse in<strong>di</strong>viduali del soggetto,<br />
dall’altro le risorse sociali dello stesso soggetto, per cui si creano situazioni dove sussistono sia le risorse<br />
in<strong>di</strong>viduali, intelligenza, modo <strong>di</strong> relazionarsi, sia una capacità sociale, quin<strong>di</strong> una famiglia, una rete amicale,<br />
il lavoro all’esterno etc., poi ci sono situazioni miste, dove c’è o l’uno o l’altro, e situazioni all’opposto della<br />
prima, dove non ci sono né risorse in<strong>di</strong>viduali né risorse sociali.<br />
È evidente che quest’ultimo quadrante è il quadrante che nella competizione <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>scutevamo prima non<br />
entra. Fatta questa premessa, che ripeto è frutto <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> considerazioni, lavori, riflessioni, ci si è detti:<br />
va bene, d’accordo, noi abbiamo a che fare quin<strong>di</strong> con un universo che non è più un universo totale, ma è un<br />
universo <strong>di</strong>viso in due parti, <strong>di</strong> cui una è in una situazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio più pesante. La letteratura scientifica<br />
<strong>di</strong>ce: laddove la persona non è più dotata <strong>di</strong> capacità, è anche una persona non dotata <strong>di</strong> potere. E allora il<br />
fatto autolesionistico è un tentativo <strong>di</strong> una riacquisizione <strong>di</strong> potere rispetto ad una istituzione o rispetto ad un<br />
contesto. Quin<strong>di</strong> l’attenzione viene richiamata e la contrattazione viene effettuata attraverso gesti <strong>di</strong> questo<br />
tipo. Allora c’è un primo problema: concentriamo più attenzione possibile nelle sezioni maggiormente a<br />
rischio. Ma poiché partiamo dal presupposto che non siamo sempre e comunque in un quadro <strong>di</strong><br />
psicopatologia, siamo in un quadro <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperazione, siamo in un quadro <strong>di</strong> bisogno, allora una cosa<br />
collaterale che abbiamo fatto è stata <strong>di</strong> chiedere agli assistenti volontari <strong>di</strong> presi<strong>di</strong>are queste sezioni,<br />
presi<strong>di</strong>are nel senso che sto in sezione, e parlo con le persone, e mi faccio portavoce delle loro esigenze, che<br />
sono quasi sempre o <strong>di</strong> tipo materiale, o anche richieste <strong>di</strong> mera attenzione umana, e questo è un esperimento<br />
che abbiamo messo in pie<strong>di</strong> nell’ultimo quadrimestre.<br />
L’altra parte invece del progetto, quella che è stata denominata “Gruppi <strong>di</strong> attenzione”, è nata quando ci<br />
siamo resi conto che, se c’era un rapporto che segnalava un caso <strong>di</strong> autolesionismo, le decisioni standard che<br />
venivano prese non prevedevano affatto l’incarico specifico a un operatore <strong>di</strong> andare a sentire la persona che<br />
stava male. Ci siamo resi conto che queste richieste venivano in<strong>di</strong>rizzate all’ufficio educatori, ma l’ufficio<br />
educatori non ha i numeri per poter fare fronte a questa situazione. Ragioniamo allora in termini più estesi: al<br />
<strong>di</strong> là delle etichette, noi siamo tutti persone, c’è il gruppo degli educatori, il gruppo degli esperti, il gruppo<br />
dei volontari, se io vado a sommare queste persone scopro <strong>di</strong> avere un centinaio <strong>di</strong> operatori, che io ritengo<br />
essere una buona risorsa. Quin<strong>di</strong> si è dato il compito all’educatore, al quale viene segnalato il fatto nel più<br />
breve tempo possibile, <strong>di</strong> segnalarlo a sua volta, secondo una valutazione sua rispetto alla gravità e intensità<br />
del problema, o a uno psicologo o a un assistente volontario, con un obbligo però, che ci sia un ritorno<br />
dell’informazione.<br />
Lei ha detto che non è l’istituzione a operare una <strong>di</strong>scriminazione, però noi poniamo un problema: un<br />
fenomeno <strong>di</strong> ghettizzazione in<strong>di</strong>retta è il fatto che si investe sempre meno sul “trattamento”, per cui<br />
molte persone si auto-escludono perché non hanno le risorse, non reagiscono, stanno in branda, e non<br />
ci sono i mezzi per aiutarle. Ci sono sezioni in cui l’educatore non lo ve<strong>di</strong> mai, certo i volontari possono<br />
contribuire a far <strong>di</strong>minuire gli atti <strong>di</strong> autolesionismo, ma il problema <strong>di</strong> quello che comunque fa<br />
l’istituzione <strong>carcere</strong> per queste persone resta.<br />
Voi ponete una questione molto complessa. La mia prima risposta è questa: sicuramente siamo in una<br />
situazione in cui ci sono risorse scarse, il che significa che comunque, se noi siamo in due e c’è una risorsa,<br />
nella competizione che noi poniamo in essere per prenderla qualcuno soccombe, e non soccombe a caso. In<br />
questo momento in questo <strong>carcere</strong> è in atto una azione <strong>di</strong> prevenzione, nel senso che nelle situazioni meno<br />
floride, più pesanti, oggi viene garantita una possibilità <strong>di</strong> avere un contatto con dei volontari e attraverso<br />
questo contatto si attiva un <strong>di</strong>alogo, in questo <strong>di</strong>alogo vengono espressi dei bisogni e a questi si dà in qualche<br />
modo sod<strong>di</strong>sfazione, o quanto meno ascolto. Questo risolve il primo gra<strong>di</strong>no dei bisogni, quello del<br />
comunicare, dopo <strong>di</strong> che ci deve essere altro, e io su questo concordo con voi, però vi <strong>di</strong>co: nel percorso che<br />
stiamo facendo, siamo arrivati a scavalcare questo gra<strong>di</strong>no e ad affrontare il secondo, io la vedo in questo<br />
modo la mia progressione.<br />
Voi poi <strong>di</strong>cevate un’altra cosa: in certe sezioni non si vedono neppure gli educatori, ed è vero, basta prendere<br />
i numeri e fare dei rapporti per capire che la probabilità che ci si incroci è limitata. Io stesso sono qui da due<br />
anni e mezzo e <strong>di</strong> u<strong>di</strong>enze con i detenuti ne ho fatte 600, ma qui sono passate 17.500 persone. Allora anche<br />
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se ne fai <strong>di</strong> più, anche se fai 1.000 u<strong>di</strong>enze, tu te ne sei “persi” più <strong>di</strong> 16.000. Io però ho superato nella mia<br />
testa il problema <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che è l’educatore che deve fare un certo intervento, perché il bisogno qui dentro non<br />
è un bisogno “tecnico”, qui non siamo <strong>di</strong> fronte a un ingegnere che deve costruire un ponte, qui siamo <strong>di</strong><br />
fronte a persone, che stanno in cella buttate 20 ore su 24 e le altre quattro ore se le passano in un vascone <strong>di</strong><br />
cemento. Questo è il problema, per cui io supero l’altro problema, quello delle “etichette”, e non <strong>di</strong>co più che<br />
non riesco a fare il trattamento perché mi mancano gli educatori. Anche perché bisogna capire che cosa<br />
significa la richiesta del detenuto rispetto all’educatore, che spesso è solamente “Io devo parlare con<br />
l’educatore, perché l’educatore mi fa la relazione, e la relazione va al Magistrato <strong>di</strong> Sorveglianza”. Non c’è<br />
nulla, in questi casi, che abbia a che fare con l’attenzione alla persona.<br />
Creare delle iniziative, secondo me, è importante al <strong>di</strong> là del tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>visa, camice o camicetta che porti,<br />
perché in un posto come questo, dove lavorano mille persone, non posso <strong>di</strong>re che mi mancano risorse.<br />
Sembra forse banale, o forse troppo rivoluzionario, però il problema è che tutti qui contribuiamo al fatto che<br />
questo posto deve avere un certo livello <strong>di</strong> tranquillità, un certo livello <strong>di</strong> civiltà, <strong>di</strong> umanità, e anche <strong>di</strong><br />
flessibilità rispetto a certe questioni, e a questo devono contribuire tutti, non siamo organi separati l’uno<br />
dall’altro.<br />
C’è però da <strong>di</strong>re che <strong>di</strong> queste mille persone, ottocento sono agenti.<br />
Però io ho sempre pensato che, al <strong>di</strong> là delle funzioni, al <strong>di</strong> là dei ruoli, il <strong>carcere</strong> è proprio quel posto dove<br />
alla fine tutti lavorano per qualcosa, ma nel momento in cui noi creiamo una <strong>di</strong>visione, una pesante<br />
<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> interessi, noi creiamo un problema. Io qui ho trovato a volte <strong>di</strong>sponibilità rispetto ai problemi <strong>di</strong><br />
cui stiamo <strong>di</strong>scutendo in persone che vestono una <strong>di</strong>visa e non l’ho trovata in volontari. Quin<strong>di</strong> non possiamo<br />
<strong>di</strong>re che a seconda del gruppo <strong>di</strong> cui farai parte sarai orientato o non sarai orientato in un certo modo.<br />
Guardate che a fronte <strong>di</strong> una ottantina <strong>di</strong> volontari che operano qui, saranno stati venti quelli che mi hanno<br />
detto: “Io vado a presi<strong>di</strong>are le situazioni più “sporche”, più pesantemente <strong>di</strong>sagiate”.<br />
D’altra parte la scelta è <strong>di</strong>versa, per un agente è una scelta legata a una necessità lavorativa, per un<br />
volontario è in gioco il suo tempo che mette a <strong>di</strong>sposizione gratuitamente.<br />
Sì, d’accordo, però perché tu mi <strong>di</strong>ci <strong>di</strong> no? Questo <strong>carcere</strong> è un grosso <strong>carcere</strong>, e prima tutti giravano<br />
dappertutto. Cominciamo allora a <strong>di</strong>viderci in gruppi e ogni gruppo si prende cura <strong>di</strong> un pa<strong>di</strong>glione. Su<br />
questo c’è gente che ha fatto la guerra: “Ah no, io i detenuti li devo vedere tutti!”. E io rispondo: “E<br />
perché?”. Tu facendo in questo modo hai girato dappertutto incrociando altre persone, operatori anche, che<br />
in modo altrettanto <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nato giravano, per cui la probabilità che io e te ci siamo visti una volta, tra<br />
operatori, è talmente bassa, che io e te siamo dei perfetti sconosciuti, ma se noi due parliamo con una terza<br />
persona, che è detenuta, e poi non ci parliamo tra <strong>di</strong> noi, la prima cosa che succede è che quella persona può<br />
esprimere dei bisogni che tu non riesci a risolvere, ma che io potrei invece risolvere, ma siccome non ci<br />
parliamo non riusciamo a combinare nulla. E oltre tutto, siccome io e te non ci conosciamo, nasce una<br />
<strong>di</strong>ffidenza, perché in <strong>carcere</strong> l’estraneo è un rischio. Dunque se ti conosco non sei più un estraneo e non sei<br />
più un rischio, se non sei più un rischio io posso lavorare con te, ma se tu continui a essere un estraneo io e te<br />
siamo due rischi, e non lavoreremo mai insieme. Poi ci sono dei paroloni che parlano <strong>di</strong> sinergia, <strong>di</strong><br />
collaborazione, ma se non si parte da queste banali affermazioni, noi non riusciamo a creare una macchina<br />
organizzata che riesca quanto meno a capire quello che ha <strong>di</strong> fronte. Tutto questo però ci ha portato via un<br />
anno. Oggi mi sento <strong>di</strong>re: “Ma sai che effettivamente ci parliamo <strong>di</strong> più, facciamo riunioni, ci scambiamo più<br />
informazioni, abbiamo più attenzione alle cose!”. Però è stata dura. Anche per quel che riguarda gli agenti,<br />
ora ogni pa<strong>di</strong>glione ha quel contingente <strong>di</strong> uomini che lavora stabilmente lì, e tutto questo ha migliorato la<br />
situazione. Ci sono degli in<strong>di</strong>catori a <strong>di</strong>rlo, c’è il fatto che ogni mattina per me è una sorpresa se posso<br />
affermare “Anche questa notte ce l’abbiamo fatta”, e questa è una situazione che si verifica sempre più<br />
spesso. Un altro dato è che da un anno all’altro c’è stato un abbattimento del 50% degli atti <strong>di</strong><br />
autolesionismo. Naturalmente lo <strong>di</strong>ciamo con molto pudore e magari facendo dei gesti scaramantici.<br />
Come intervenite quando viene segnalata una persona particolarmente “a rischio”?<br />
Il passo iniziale è il “primo colloquio”, cioè se una persona, per esempio, si fa male, nell’arco del minor<br />
tempo possibile viene da lei qualcuno per capire perché si è fatta male, che cosa succede, su che cosa vuole<br />
richiamare l’attenzione. Ma superato questo primo gra<strong>di</strong>no, poi che succede? Il poi deve essere quelle<br />
iniziative che stiamo cercando <strong>di</strong> fare e che riguardano ancora oggi poche persone, ma che è nella nostra<br />
speranza che ne riguar<strong>di</strong>no molte. L’intervento che dovremo fare non deve essere però <strong>di</strong> immagine: io ho<br />
una idea molto semplice del <strong>carcere</strong>, io li farei lavorare tutti, perché pensate che cos’è il tempo passato in una<br />
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cella o in un vascone <strong>di</strong> cemento, pensate solo se noi dovessimo passare venti ore in questo ufficio. Se siamo<br />
d’accordo insomma sul fatto che si debba dare un senso alle cose, venti ore <strong>di</strong> cella e quattro <strong>di</strong> aria che<br />
senso hanno?<br />
Sì, però anche il concetto del solo lavoro che salva la vita è da riconsiderare. Basta vedere fuori: una<br />
persona che ha un lavoro, ma non ha una rete <strong>di</strong> rapporti amicali, un sostegno, la possibilità <strong>di</strong><br />
coltivare degli interessi, è una persona che rischia, dopo qualche mese, <strong>di</strong> tornare a fare una rapina<br />
perché la vita che fa è insopportabilmente vuota.<br />
Sì, certo, ma io <strong>di</strong>co però: <strong>di</strong>amo un senso alla giornata, e dare un senso alla giornata significa avvicinare<br />
quella che è la vita <strong>di</strong> dentro alla vita <strong>di</strong> fuori. Ognuno <strong>di</strong> noi, del resto, non fa una vita “<strong>di</strong> salti e <strong>di</strong> lazzi”,<br />
ognuno <strong>di</strong> noi si sveglia alla mattina e si mette a lavorare, dopo <strong>di</strong> che cerca <strong>di</strong> crearsi qualcosa che riempia<br />
la vita <strong>di</strong> altri contenuti e <strong>di</strong> altri sensi. Però per arrivare a questo i passi sono ancora lunghi, ma noi per lo<br />
meno ora abbiamo dei gruppi stabili all’interno dei pa<strong>di</strong>glioni, con degli educatori assegnati, il personale <strong>di</strong><br />
polizia assegnato, i volontari e i me<strong>di</strong>ci assegnati, che si ritrovano perio<strong>di</strong>camente e per esempio stabiliscono<br />
le regole del pa<strong>di</strong>glione, che possono essere <strong>di</strong>verse da pa<strong>di</strong>glione a pa<strong>di</strong>glione, e a quel punto io faccio un<br />
passo in<strong>di</strong>etro, perché se un gruppo si autoregolamenta e si dà delle procedure efficaci, funzionali, perché<br />
gliele devo <strong>di</strong>struggere? E tutto questo passa attraverso il parlare, parlare e cercare <strong>di</strong> ragionare sulle minime<br />
cose. Io non voglio <strong>di</strong>re che oggi alle Vallette abbiamo 1238 detenuti felici, perché sicuramente oggi qui<br />
dentro ci sono situazioni drammatiche, ci sono situazioni <strong>di</strong> forte <strong>di</strong>sagio e <strong>di</strong> incazzatura profonda, però si<br />
sono aperte delle possibilità.<br />
Dalle vostre ricerche risulta che c’è un consistente numero <strong>di</strong> detenuti per i quali non si riesce neppure<br />
a in<strong>di</strong>viduare chi li ha spinti a gesti <strong>di</strong> autolesionismo. Su questo avete poi lavorato <strong>di</strong> più?<br />
I casi sono due: o non ti <strong>di</strong>cono i motivi del loro gesto perché non te li vogliono <strong>di</strong>re, e questo è già un<br />
problema, o perché magari non hanno niente da <strong>di</strong>re, mentre noi invece <strong>di</strong>amo per scontato che uno si taglia<br />
e sa esattamente perché lo fa. A volte uno si fa male e non sa neppure lui perché, sa solo che in quel<br />
momento è arrivato al fondo. Di prassi allora si scrive che uno si è tagliato “per motivi personali”, ma i<br />
motivi personali possono essere <strong>di</strong> tutto, dal pacchetto <strong>di</strong> sigarette che non ho al fatto che fuori mia moglie<br />
sta male. Voi capite allora che, se non si parte da questa cosa semplice, “Perché l’hai fatto?”, <strong>di</strong>fficilmente si<br />
potrà andare oltre, però questa è una domanda che non necessariamente deve fare uno psichiatra con titoli<br />
accademici. Io non <strong>di</strong>co che qui abbiamo trovato la soluzione per tutti i mali del <strong>carcere</strong>, perché non è così,<br />
io <strong>di</strong>co però che dobbiamo cominciare a riflettere su queste cose, che non risaltano dagli atti formali. È il<br />
clima che conta, il fatto che se comincio per esempio ad avere più posti <strong>di</strong> lavoro, non potrò sod<strong>di</strong>sfare le<br />
richieste <strong>di</strong> tutti, ma creerò almeno una situazione in cui chi non lavora ora può comunque sperare che<br />
domani potrebbe toccare a lui. Se io sto in un posto dove non c’è speranza, la competizione <strong>di</strong>venta davvero<br />
più forte e più dura, perché se tu hai un maggior numero <strong>di</strong> neuroni e li sai usare meglio <strong>di</strong> me, tu prevali ma<br />
io muoio, là dove non c’è speranza. Dove non c’è attenzione, io per procurarmi l’attenzione devo fare<br />
qualcosa che sia talmente eclatante, che alla fine qualcuno deve per forza venire a vedere che cosa succede.<br />
Ma se hai poche risorse per intervenire, devi almeno cominciare a <strong>di</strong>stribuirle dove pensi che siano utili. Chi<br />
lasci fuori? Chi in <strong>carcere</strong> ce la fa. Perché anche lì, l’educatore che va nella sezione dove c’è una attività,<br />
dove ci sono altri operatori, va lì perché deve fare delle relazioni, perché quella è la richiesta, ma sa anche<br />
che ha a che fare con persone che le sigarette le hanno, i colloqui con i famigliari pure e probabilmente anche<br />
la possibilità <strong>di</strong> andare in permesso. Questo è un livello <strong>di</strong> situazioni che io non <strong>di</strong>co debba essere lasciato lì,<br />
ma se ho solo quattro persone a <strong>di</strong>sposizione, il mio sarà anche un concetto banale, minimalista, ma<br />
l’obiettivo <strong>di</strong> base mio non è <strong>di</strong> fare il più bel <strong>carcere</strong> del mondo per pochi, ma <strong>di</strong> far sì che la gente prima <strong>di</strong><br />
tutto non si faccia male.<br />
Io sto poi verificando un’altra cosa: la percezione che ha la polizia delle sezioni. Perché se la nostra indagine<br />
ci <strong>di</strong>ce che abbiamo un <strong>carcere</strong> a due marce, uno tranquillo e uno con <strong>di</strong>sagi più accentuati, dobbiamo capire<br />
se questa percezione che ci viene dai gesti dei detenuti, dai fenomeni <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio, corrisponde alla percezione<br />
del personale. Il fatto è che è probabile, questa è una mia ipotesi, che anche l’assegnazione dei posti <strong>di</strong><br />
servizio avvenga non secondo criteri formali, ma secondo criteri informali: pure lì il più forte finisce nella<br />
situazione migliore e il più debole nella situazione peggiore. Queste cose non le ho dette io, le ha dette<br />
Goffman (E. Goffman: Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza) più <strong>di</strong><br />
quaranta anni fa: l’istituzione è fatta <strong>di</strong> tante parti, ci sono le parti cattive e quelle buone, ogni mattina chi sta<br />
in quella cattiva vuole andare in quella buona e chi sta in quella buona non vuole andare in quella cattiva, e<br />
su questo funziona la <strong>di</strong>namica istituzionale. Ma se ciò è vero significa che i più deboli finiscono con i più<br />
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deboli, e le due debolezze si scontrano. Questo succede anche nella vita militare, nelle USSL, nelle famiglie,<br />
perché non deve succedere qui? Però se succede qui, che tipo <strong>di</strong> riflesso ha complessivamente su certi<br />
fenomeni? Allora se c’è attenzione e riflessione anche su questo, probabilmente riuscirai a tamponare<br />
un’altra serie <strong>di</strong> problemi, a trovare una soluzione. Però è un cammino lungo, e le idee ti vengono facendo<br />
anche dei piccoli passi.<br />
Lei <strong>di</strong>ceva che in una seconda fase <strong>di</strong> questo progetto i gruppi <strong>di</strong> attenzione hanno coinvolto <strong>di</strong> più i<br />
volontari. Ci spiega come?<br />
Il fatto è che, quando noi siamo andati a vedere che c’erano sezioni peggiori <strong>di</strong> altre e abbiamo capito che<br />
cosa peggiorava queste situazioni, abbiamo detto: “Scusate, noi lì non dobbiamo andarci solo quando c’è “il<br />
caso”, an<strong>di</strong>amoci con maggior frequenza, secondo criteri che <strong>di</strong>ano la maggior continuità possibile”. Tra i<br />
volontari più <strong>di</strong> uno mi ha detto <strong>di</strong> no, e una spiegazione semplicissima c’è: lavorare con gli sfigati è più<br />
brutto che lavorare con gli intelligenti, è molto meno gratificante. L’altro giorno io parlavo con un detenuto,<br />
che è un pezzo <strong>di</strong> storia carceraria, un rapinatore vecchia maniera, che quando gli parli entri dentro un film,<br />
uno che non ha un fascicolo, ha una cassa <strong>di</strong> fascicoli, una storia con 4 o 5 evasioni, dove è successo <strong>di</strong> tutto.<br />
Con persone così è facile, è interessante parlare, sono persone che non hanno bisogno <strong>di</strong> usare una lametta<br />
per attirare l’attenzione. Il problema è quando hai a che fare con qualcuno che non sa cosa sta <strong>di</strong>cendo, che è<br />
incoerente, ha una situazione così <strong>di</strong>sastrosa che in partenza non sai da dove prenderla. Allora che fare?<br />
Questo fa parte <strong>di</strong> un percorso, durante il quale tu su queste cose rifletti parlando con tutte le persone<br />
trasversalmente, cercando <strong>di</strong> capire, con tutta l’umiltà del caso, che cos’è il <strong>carcere</strong>, qual è la tua visione del<br />
<strong>carcere</strong>, e poi metti in pista delle esperienze, che funzionano o non funzionano, sapendo che tutte le volte che<br />
tenti qualcosa <strong>di</strong> nuovo ottieni consenso, ma anche <strong>di</strong>ssenso, resistenze. E tu non lo fai né per avere ragione<br />
né per avere torto, ma perché comunque non puoi fare altro, non puoi <strong>di</strong>re “Vada come vada”, perché quando<br />
poi ti <strong>di</strong>cono che è successo qualcosa <strong>di</strong> grave tu stai male, stai male davvero. Lei sostiene che il sistema<br />
<strong>carcere</strong> produce naturalmente una selezione e spinge i deboli in una situazione ancor più marginale. Il lavoro<br />
<strong>di</strong> gruppo dovrebbe quin<strong>di</strong> riguardare l’approccio a questa, come la chiama lei, “zona grigia”. Si può allora<br />
non dare per scontato che una parte consistente della popolazione carceraria non avrà nessuna attenzione dal<br />
<strong>carcere</strong>, e uscirà anzi peggio <strong>di</strong> come è entrata?<br />
Io non so se questo <strong>carcere</strong> produca una minor zona grigia, oggi però posso <strong>di</strong>re onestamente che in questo<br />
<strong>carcere</strong> quella zona grigia è senza dubbio interessata da una maggiore attenzione. Ma non possiamo<br />
<strong>di</strong>menticare che abbiamo a che fare con 7.000 persone che ogni anno entrano qui dentro, e sono veramente<br />
tante. Il che significa che dovresti fare anche un grosso sforzo per convincere queste persone che qui si opera<br />
in modo <strong>di</strong>verso. E noi non riusciamo a fare questo. Chi entra in <strong>carcere</strong> non coglie il senso <strong>di</strong> tutte queste<br />
elucubrazioni e le risposte e le pratiche che ne derivano. Coglie il fatto che viene portato qua, smanettato,<br />
immatricolato e mandato in cella. Punto. E da quel momento là comincia a ragionare su come “sfangarsela”<br />
prima possibile. Nel fare questo si può abbrutire, e quin<strong>di</strong> entrare a far parte della zona grigia, o invece<br />
cercare <strong>di</strong> arrivare a una zona meno grigia.<br />
La sua relazione su questa esperienza si intitola “Dalla responsabilità formale al pragmatismo etico”.<br />
Ci spiega meglio questa definizione <strong>di</strong> “pragmatismo etico”?<br />
Assumersi la responsabilità, in questo appunto sta l’eticità della persona. La responsabilità <strong>di</strong> prevenire nel<br />
miglior modo possibile fatti che determinano reazioni serie, concrete come il farsi male fino anche a<br />
uccidersi, questa è l’eticità della questione. È un’etica semplice, per carità. Mia nonna mi <strong>di</strong>ceva sempre: se<br />
un problema è risolvibile, non ti preoccupare, se non è risolvibile, non ti preoccupare lo stesso, tanto non<br />
serve a niente. Però se è risolvibile, non ti far angosciare, affrontalo. Non so se tutto questo allora derivi da<br />
mia nonna, ma altrimenti come si fa a <strong>di</strong>rigere un <strong>carcere</strong> così? Io quando sono in aereo e guardo giù su<br />
questo <strong>carcere</strong>, mi spavento e mi <strong>di</strong>co: ma è enorme questo posto, chissà chi è il <strong>di</strong>rettore!<br />
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