31.05.2013 Views

Scarica Il File, 4592 Kb - Quartu Territorio

Scarica Il File, 4592 Kb - Quartu Territorio

Scarica Il File, 4592 Kb - Quartu Territorio

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

RELAZIONE STORICO/ARCHEOLOGICA<br />

SUL TERRITORIO DI QUARTU SANT’ELENA<br />

Maria Antonietta Mongiu


INSERIRE IMMAGINE


1.00 I FONDAMENTI TEORICI.<br />

1.01 La ripresa della ricerca urbanologica ed il recente<br />

allargamento del campo d’indagine dalla topografia antica delle<br />

città ai territori di appartenenza (Mongiu 1989), ha posto<br />

all’attenzione l’urgenza di trascendere le standardizzate<br />

ricostruzioni, basate su rigidi modelli e tipologie (Sommella<br />

1988) spostando l’analisi anche sulle dominanti<br />

geomorfologiche, sulle preesistenze insediative preurbane,<br />

sulle ragioni delle diverse selezioni geografiche e<br />

topografiche, sulle persistenze nelle fasi postclassiche,<br />

sull’incidenza di queste nelle ristrutturazioni e<br />

trasformazioni dalla fine del mondo antico fino alle grandi<br />

rivoluzioni industriali (Mongiu 1996 a).<br />

La ricerca, non diversamente, ha riguardato i sistemi ed i<br />

metodi di lettura e di rappresentazione delle tessiture<br />

insediative nella prospettiva di un esito meno semplificante e<br />

semplificato che nel passato.<br />

La dilatazione dei presupposti ha come immediato orizzonte la<br />

declinazione al plurale della stessa nomenclatura e categoria<br />

dell’archeologico; la moltiplicazione dei punti di vista e dei<br />

campi disciplinari che si occupano della storia degli<br />

insediamenti (Maciocco 1996), alfine di risolvere<br />

definitivamente sia la riduttiva unitarietà attribuita al mondo<br />

antico nelle sue svariate configurazioni sia la precisazione<br />

dei paradigmi, degli strumenti e del bagaglio filologico e<br />

semantico utilizzati. L’insieme sottende un confronto sempre<br />

2


meno univoco, più attrezzato e puntuale rispetto al passato<br />

anche recente.<br />

Siffatta accelerazione degli studi antichistici e di quelli<br />

topografici in particolare, ha come fondamento da una parte la<br />

recente, ancorchè vasta, tradizione storiografica conseguente<br />

alla elaborazione del concetto di lunga durata e di<br />

microstoria, con buoni esiti anche nell’analisi delle fonti<br />

materiali (Mongiu 1996 a), e dall’altra la fattispecie,<br />

strumentale e operativa, insita nella pianificazione di città e<br />

di territori connotati da un sostrato, diffusamente ancora<br />

leggibile, e cioè di città e di territori attraversati da<br />

vicende che sono incidenti nelle risoluzioni programmatiche non<br />

solo sul piano tassonomico.<br />

Non si tratta tuttavia di operare un meccanico trasferimento<br />

delle categorie dello storico e dell’ambientale nella<br />

pianificazione, con un innesto di maniera che allargherebbe<br />

appena la somma di conoscenze e di informazioni senza<br />

discostarsi dalle prospettive caratterizzanti le letture, le<br />

interpretazioni/rappresentazioni ed il loro uso di stampo<br />

tardoilluministico e positivistico. Si tratta piuttosto di<br />

praticare riconoscimenti, presupposti e condivisi, fondati su<br />

ermeneutiche inerenti ogni campo al di là di quello storico-<br />

archeologico o ambientale. Un episteme che, sostanzialmente e<br />

definitivamente, sottragga le stratificazioni di una comunità,<br />

all’interno del Piano, dal residuale e dal giustapposto senza,<br />

tuttavia, farsi coinvolgere in comportamenti proiettivi<br />

3


dell’attuale nell’antico secondo una pratica che ancora<br />

caratterizza molta analisi e, non diversamente, larga parte<br />

della filosofia della ricostruzione destinata alla<br />

pianificazione, sulla scia, malgrado le trasformazioni che si<br />

registrano dei punti di vista e le accresciute tecniche, di una<br />

mai dismessa visione di maniera del preesistente.<br />

Storicamente le ricostruzioni infatti, anche le più avvertite,<br />

si sono fondate su elementi ritenuti canonici indistintamente<br />

per tutti gli insediamenti (agorà, foro, templi etc.) e di cui<br />

si rinvenivano tracce materiali negli scavi o, in casi del<br />

tutto straordinari, in elevato e soprattutto notizie nelle<br />

fonti letterarie ed epigrafiche (Torelli 1983; Idem 1988).<br />

Le conseguenti formae o descriptiones urbis sono risultate,<br />

maggioritariamente, riferibili a città di rilevenza giuridico-<br />

amministrativa e/o storico-politca sempre articolate: per<br />

dilatate partizioni storico-cronologiche e per testi-principe<br />

costituiti da manufatti monumentali nella funzione di unici<br />

vettori decontestualizzati dai tessuti.<br />

Siffatto indirizzo si data a partire dal primo Ottocento in<br />

coincidenza da una parte, nelle città di lunga durata, con gli<br />

incipienti interventi pianificatori e dall’altra con le<br />

campagne di scavo nelle città antiche del Mediterraneo che<br />

erano state, in molti casi, dismesse alla fine del mondo<br />

antico.<br />

Le rappresentazioni nella sostanza tuttavia non si<br />

discostavano di molto dalla formulazione delle cosmografie<br />

4


cinquecentesche tese diffusamente a congelare gli<br />

insediamenti in asserzioni, simboliche e strutturali, canoniche<br />

e volutamente escludenti i soggettivi processi e le<br />

differenziate dinamiche di costruzione dei tessuti insediativi.<br />

<strong>Il</strong> senso e lo spirito di quelle formae urbis risiedevano<br />

tuttavia nella condivisione tra i committenti, gli elaboratori<br />

ed i fruitori degli obiettivi della rappresentazione;<br />

l’efficacia comunicativa raggiungeva l’obiettivo di non<br />

ingenerare alcun fraintendimento rispetto ad un assunto di tipo<br />

pattizio e direttivo, che trascendendo ogni contraddizione<br />

rappresentava la forna urbana antica secondo una presupposta<br />

topica del tutto congruente.<br />

Non diversamente dall’Ottocento, si configura la successiva<br />

grande stagione delle restituzioni ricostruttive che vede anche<br />

l’incidenza proiettiva degli studi urbanistici, topografici ed<br />

urbanologici, sostenuta da dichiarati intenti ideologici,<br />

specie nel ventennio fascista, che inerirono nell’accentuazione<br />

delle centralità romanocentriche e nel conseguente<br />

irrigidimento delle antiche forme urbane su un’unica fase<br />

storica, con una visione apocalittica per le successive o<br />

ininfluente per quelle precedenti.<br />

Se le ricostruzioni delle formae urbis si possono allo stato<br />

storicizzare con le relative anamnesi, in cui ragioni ed<br />

obiettivi sono facilmente individuabili, le aumentate<br />

documentazioni ed i dati sempre più copiosi, una tecnica<br />

cartografica più accorta è sofisticata, l’avvento, della<br />

pianificazione come strumento operativo e la necessità del<br />

5


confronto con il preesistente, generalmente irregolare, hanno<br />

al contempo accresciuto, nella rappresentazione, i formalismi<br />

convenzionali senza eliminare diffusamente come discriminante<br />

cronologica la fine dell’egemonia romana e l’affermazione del<br />

Cristianesimo, considerate destabilizzanti di palinsesti<br />

topografici ed urbanistici ascritti alla categoria dei modelli<br />

e delle tipologie.<br />

L’aumentato formalismo coniugato con l’artificiosa cesura<br />

cronologica non hanno di conseguenza attutito la lettura di<br />

pronunciata compartimentazione all’interno degli insediamenti<br />

antichi sopravvissuti fino ad oggi e tra questi ed i territori<br />

di appartenenza ed hanno impedito per quelle città la cui<br />

vicenda ha smesso di essere, alla fine del mondo antico, urbs e<br />

civitas, l’indagine sulle forme, ancorché diverse, di<br />

insediamento che le hanno successivamente connotate.<br />

Un approccio cosi’ configurato ha accentuato artificiose<br />

soluzioni di continuità dagli esiti, nell’esistente, di<br />

ulteriore destrutturazione la cui interfaccia,<br />

paradossalmente, consiste nell’evidenziazione di singolarità<br />

monumentali ed archeologiche confermate dall’attuale quadro<br />

delle norme di tutela.<br />

La discussione ed il confronto, sul merito e sul contenuto<br />

ancora marginali all’interno dei processi di Piano, non può<br />

tuttavia che inserire in prospettiva in ambiti che non siano<br />

esclusivamente le forme urbane deputate, poiché il<br />

riconoscimento come pratica si fonda sull’idea di storicità di<br />

6


qualsivoglia territorio di cui i centri abitati antichi<br />

dismessi o di lunga durata sono parte rivelante e tuttavia non<br />

esclusiva.<br />

L’emarginazione, nella letteratura e nella storiografia<br />

topografica, di cui hanno sofferto molti territori extraurbani<br />

ma nondimeno molti insediamenti, dai rarefatti ritrovamenti o<br />

fuoriterra archeologici, è solo in parte colmata dalla recente<br />

attenzione alle fonti letterarie e archivistiche, a lungo<br />

deputate come dirimenti nella ricostruzione storica ma<br />

nondimeno sotto-utilizzate ai fini della ricostruzione dei<br />

centri abitati e più diffusamente dei territori.<br />

L’assenza o la rarefazione delle stesse fonti, per larghe<br />

porzioni storiche e cronologiche, in queste fattispecie impone<br />

una strategia d’indagine in cui elementi differenziati -<br />

convenzionali e non - vengano messi e verificati senza<br />

esclusioni aprioristiche.<br />

7


2.00 I METODI E GLI STRUMENTI.<br />

2.01 La ricostruzione che si propone in questa sede delle<br />

tessiture insediative del territorio oggi amministrativamente<br />

afferente a <strong>Quartu</strong> Sant’Elena, si è dislocata a partire dallo<br />

sfondo problematico accennato e dunque in un orizzonte<br />

differente dalla diffusa percezione, nel pensiero comune ma<br />

nondimeno nella vasta produzione editoriale che sul centro è<br />

stata prodotta, della categoria del gregario, del minoritario,<br />

del marginale rispetto alla contermine città di Cagliari<br />

ritenuta anche per le fasi antiche risolutiva per le sue<br />

vicende, del deprivato di valenze complesse e di monumentalità<br />

(che non siano le apparecchiature chiesastiche).<br />

Ha trasceso, una volta esplicitato e condiviso l’obiettivo -<br />

quale è la fattispecie pianificatrice fondata non<br />

strumentalmente sul riconoscimento del preesistente - le<br />

tradizionali forme di analisi dimostrative o assiomatiche, sia<br />

cercando di superare le dicotomie dal contermine areale e<br />

storico sia evitando l’esemplarità risolutiva presupposta in<br />

qualsiasi teorema il cui obiettivo non sia argomentativo e<br />

referente possibili risultanze di prospettiva non date a<br />

priori.<br />

La sequenza elencativa delle presenze/assenze di emergenze<br />

segniche e di oggetti referenziati e catalizzanti non solo non<br />

avrebbe fatto fare un passo in più rispetto ad una linea<br />

storiografica meccanicisticamente evolutiva e<br />

deconcettualizzante ma avrebbe ulteriormente atomizzato,<br />

8


parcellizzato e ricondotto alla categoria del frammento ogni<br />

elemento di questo specifico territorio.<br />

L’atomizzazione dello stesso è stata, nel passato, un<br />

approccio limitante ed al contempo riducente che non ha<br />

sottratto ad una sfocata e semplificata rappresentazione<br />

neanche gli stessi oggetti a prima vista deputati. Ha nondimeno<br />

persino occultato geografie che se pure, a tutta prima ed<br />

arbitrariamente, sembrano vuote di matericità monumentali e<br />

dunque relegabili nella fattispecie ambientalista deprivante di<br />

protagonismo storico - è il caso del Molentargius e del<br />

Simbirizzi - sono in realtà dei topoi tra i più referenziati<br />

per la individuazione e per la ricostruzione del più<br />

complessivo senso dei luoghi quartesi e più in generale di<br />

quelli cagliaritani.<br />

Tuttavia va detto che, nella rappresentazione, la restituzione<br />

della sostanza e della centralità storica di questi luoghi e<br />

delle loro geografie, risulta tuttora difficilmente delegabile<br />

a forme che non siano ancora la decostruzione e la<br />

semplificazione rispetto alla complessità che sottendono.<br />

Sicchè necessitano ancora di esplicitazioni e di spiegazioni<br />

convenzionali per non apparire dimidiate dalle forti ed<br />

incisive matericità che gli afferiscono e con cui sono in<br />

stretta relazione ma soprattutto per non sottacerne le<br />

interfacce sia con gli ulteriori oggetti che si sono<br />

stratificati in questo vasto territorio sia con gli orditi e<br />

le trame, anche di scala extraquartese, sia infine con le<br />

9


elative traduzioni e reinterpretazioni nelle specifiche<br />

diacronie.<br />

L’approccio praticato è legittimamente teso a ricomporre un<br />

palinsesto e farlo interagire e riconciliare con le variamente<br />

titolate articolazioni composte, allo stato, di emergenzialità,<br />

di pieni, di vuoti, di discontinuità, di persistenze, di<br />

rapporti, di nette soluzioni di continuità sia all’interno<br />

della porzione indagata che tra questa e l’esterno.<br />

Qualsiasi ricostruzione non può comunque che presupporre scelte<br />

di campo di tipo metodologico non foss’altro per la vastità<br />

dell’arco cronologico trattato ma anche per l’obiettivo<br />

specifico del lavoro pertinente un’area vasta ed assolutamente<br />

differenziata anche nelle sue articolazioni geomorfiche.<br />

L’assenza, per le fasi antiche, di fonti scritte - letterarie<br />

ed epigrafiche (qualche rara iscrizione è frutto quasi<br />

certamente dell’azione di spoglio e di riutilizzo) - di scavi<br />

sistematici - a mala pena sopperiti da estemporanei<br />

ritrovamenti (labili nell’attuale abitato)- impone a maggior<br />

ragione un’ulteriore e più precisata definizione del punto di<br />

vista che si assume a fondamento del racconto dell’insediamento<br />

e la esplicitazione delle effettive fonti disponibili.<br />

10


Si è optato di fondare l’analisi e la rappresentazione sui<br />

palinsesti costitutivi il territorio e di verificare:<br />

a) se le geomorfologie e geoidrologie hanno avuto lo stesso<br />

peso per tutte le fasi, le culture e gli etnici che hanno<br />

percorso la vicenda di questo territorio;<br />

b) in che misura si possono registrare modificazioni<br />

sostanziali delle stesse e segnatamente dell’assetto idrologico<br />

che nel mondo antico ha costituito una prelazione non<br />

scambiabile nella scelta e nella qualificazione dei luoghi;<br />

c) il tasso di presenza e di persistenza nel tempo di elementi<br />

infrastrutturali (tracciati stradali, infrastrutture-ponti-<br />

terrapieni-argini-apparecchiature idrauliche- sistemi<br />

difensivi, orientamenti, metrologie, ripartizioni del<br />

territorio);<br />

d)la presenza di preesistenze persistenti negli attuali<br />

fuoriterra; la qualità e la quantità degli angiotoponimi ed il<br />

loro ruolo, alla fine del mondo antico, nella organizzazione<br />

delle topografie, dell’habitat e nel continuismo insediativo<br />

dei luoghi nelle fasi postclassiche.<br />

Nell’analisi e nella restituzione cartografica si sono<br />

evidenziate senza gerarchizzazioni sia le fonti archeologiche<br />

casualmente rinvenute, in questo secolo, nell’abitato e nel<br />

11


territorio sia quelle attualmente fuoriterra in alcune porzioni<br />

del territorio cui diffusamente, rispetto alle precedenti, si<br />

annette una decisiva referenzialità.<br />

Quet’ultima risoluzione è stata corredata anche delle<br />

sottolineatura dei tracciati e dei percorsi che furono<br />

definitivamente stabilizzati e razionalizzati in fase romana e<br />

che nondimeno sono, nelle linee portanti, ancora<br />

rintracciabili sia nel territorio che nell’abitato.<br />

Una scelta cartografica privilegiante esclusivamente le entità<br />

monumentali avrebbe mortificato ed escluso buona parte del<br />

territorio, per enfatizzare la caratterizzazione del fronte<br />

orientale intessuto di fuoriterra nuragici, per altro<br />

sottovalutati dalla letteratura nell’orizzonte della storia<br />

insediativa del cagliaritano come vettore di dialettiche<br />

complesse tra l’ambito extrainsulare, quello costiero, il<br />

montano ed il basso Campidano.<br />

D’altra parte siffatta pratica metodologica per poli di<br />

accumulazione monumentale, che assume in genere carattere<br />

elencativo e/o quantitativo, ha degli ulteriori limiti<br />

configurando ogni tipologia insediativa in una versione<br />

autoriduttiva e di microsistema dimidiante. Nel nostro caso non<br />

sarebbe risultata attendibile delle effettive realtà e delle<br />

relazioni, dal momento che i manufatti in questione, numerosi e<br />

visibili, avrebbero circoscritto l’ambito storico ad una<br />

limitata porzione cronologica, in assenza di specifiche<br />

12


indagini stratigrafiche sulla continuità d’uso dei singoli<br />

nuraghi, e quello geografico al solo settore orientale.<br />

13


3.00 L’IDENTITA’ DEI LUOGHI.<br />

3.01 <strong>Il</strong> territorio di <strong>Quartu</strong> Sant’Elena, che nell’analisi<br />

ricomprende anche le aree del monte Sant’Elia, di San<br />

Bartolomeo e del Poetto, è in Sardegna tra quelli di più<br />

antica e soprattutto di più stratificata antropizzazione<br />

documentata senza soluzione a partire dal VI millennio AV. C..<br />

L’habitat insediativo antico, delimitato organicamente dai<br />

monti Sant’Elia-San Bartolomeo e Urpinu e dalle propaggini dei<br />

Sette Fratelli che ne rappresentano nella storia il margine<br />

naturale ed il raccordo, è polarizzato intorno al<br />

Molentargius, al cosidetto stagno di <strong>Quartu</strong> e diffusamente al<br />

più complessivo bacino idrologico, centripeto nella rilevanza<br />

che il Golfo degli Angeli precocemente assunse.<br />

<strong>Il</strong> bacino nelle fasi antiche era per estensione e<br />

configurazione affatto differente; in particolare le<br />

trasformazioni che hanno investito il litorale del Poetto ne<br />

riducono allo stato la dimensione di luogo deputato per<br />

insediamento fin dalla prima preistoria e di cerniera con il<br />

monte di Sant’Elia, con la piana di Is Arenas e con il versante<br />

orientale del territorio quartese.<br />

D’altra parte il monte di Sant’Elia si configurava come una<br />

sorta di isola dai labili legami fisici con la terraferma<br />

risarciti anche dal mare che lo riconnetteva, attraverso una<br />

serie di approdi naturali di cui si è conservata la<br />

consuetudine in epoca storica, con il restante litorale del<br />

Golfo degli Angeli.<br />

14


L’ evidenza, rispetto al restante, e la sua composizione<br />

calcarea con invasi naturali, alcuni dei quali artificialmente<br />

approfonditi nel corso del tempo, lo elessero a luogo di<br />

frequentazione sin dal Neolitico Antico ed oggetto a partire<br />

dall’Ottocento dell’attenzione di paleontologi e di<br />

paletnologi.<br />

I primi scavi furono intrapresi dall’Orsoni nel 1878 nella<br />

Grotta di San Bartolomeo, che prese il nome dallo scavatore,<br />

contestualmente ad indagini geologiche, botaniche,<br />

malacologiche e zoologiche. Nello stesso sito (Patroni 1951),<br />

le investigazioni furono riprese nel 1901 con l’ulteriore<br />

messa in evidenza di depositi di frequentazione contenenti<br />

oggetti d’osso e di ossidiana, di elementi in rame, di<br />

un’accetta levigata, di conchiglie, di denti forati, di<br />

pendagli, di vasi campaniformi.<br />

Ai primi studiosi, a cui seguirono il Lovisato ed il Lilliu,<br />

apparve evidente un cospicuo insediamento rupestre ed una<br />

continuità d’uso, documentabile, senza soluzioni, dal VI<br />

millennio AV. C. fino alle Età del Rame e del Bronzo (Atzeni<br />

1986).<br />

Le analisi morfometriche e antropologiche sui resti denunciano<br />

una comunità in cui era presente la dolicocefalia ma anche la<br />

mesocrania e diffuse patologie dovute, secondo gli antropologi,<br />

ad un’alimentazione prevalentemente vegetale e ad una spiccata<br />

endogamia (Bondi 1988). Nell’analisi tuttavia dei resti ossei<br />

animali, rinvenuti tra le ceneri ed i carboni del focolare, si<br />

15


sono riscontrate ossa di bove, di coniglio, di lepre, di<br />

maiale, di cinghiale, di pecora, di cane, di cavallo (Cherchi<br />

Paba 1970) che ampliano l’orizzonte alimentare della comunità<br />

insediata.<br />

Tenuto conto che la grotta conteneva anche tracce di<br />

frequentazione ancora in fase romana, i reperti osteologici<br />

animali devono con prudenza essere globalmente ascritti alle<br />

fasi neo-eneolitiche.<br />

L’habitat rupestre per quanto rilevante nella dimensione e nei<br />

contenuti, non risulta essere, per le fasi preistoriche,<br />

l’unica tipologica insediativa della porzione occidentale del<br />

territorio quartese. Le esplorazioni condotte dal Tamarelli, ai<br />

primi del secolo (Tamarelli 1904), lungo tutto il litorale del<br />

Petto evidenziarono un paesaggio intensamente insediato<br />

costituito da un villaggio di cui residuavano fondi di capanne<br />

e resti di ossidiana in associazione con frammenti ceramici.<br />

La contestuale presenza di due comunità contermini, di cui una<br />

capannicola e l’altra troglodita, documenta per quelle fasi<br />

condizioni affatto favorevoli per l’insediamento. Sono nuclei<br />

antropici poco numerosi ma portatori di una cultura materiale<br />

evoluta, come riferisce la presenza di un vaso proveniente da<br />

Sant’Elia, datato al Neolitico Medio e ascrivibile alla Cultura<br />

di Bonu Ighinu, carenato ed ornato con motivi a scacchiera resi<br />

con la tecnica del puntinato.<br />

Le due comunità in questione potevano usufruire di condizioni<br />

ambientali ottimali, di un variegato apporto alimentare, della<br />

16


presenza di sorgenti di acqua dolce, della naturale produzione<br />

saliniera e di un sito riparato dai venti.<br />

Ulteriori stazioni preistoriche si sono registrate a raggiera<br />

intorno al Molentargius in siti appena emergenti rispetto<br />

all’acqua; le comunità di piccola entità risultano in raccordo<br />

tra loro e con quelle attestate sul Monte Urpinu, che<br />

costituiva la naturale chiusura a sud-ovest dell’enclave<br />

afferente alla porzione quartese del territorio piuttosto che a<br />

quella cagliaritana.<br />

L’occupazione di spazi, nel corso del Neolitico Medio (Atzeni<br />

1986) di gruppi di Cultura di Bonu Ighinu, confermano una<br />

chiara opzione sia per la bassa e media collina, da sistemi<br />

idrici facilmente accessibili e controllabili, sia per habitat<br />

lagunari.<br />

Le comunità del monte Sant’Elia, del Poetto e del Molentargius<br />

conoscono una rudimentale cultura agricola e contemporaneamente<br />

pratiche appena più complesse nei rituali funerari e nei<br />

dispositivi abitativi.<br />

Nel corso del Neolitico Recente risultano privilegiati ancora i<br />

bordi appena emergenti lungo il bacino del Molentargius con una<br />

espansione demografica più consistente rispetto ai primi<br />

nuclei.<br />

Tra gli insediamenti, per la vastità e l’articolazione, mette<br />

conto citare quello vasto ed articolato di Su Coddu di<br />

Selargius<br />

17


(Ugas 1989), località allora a ridosso del bacino idrologico.<br />

Si tratta di un vasto abitato denunciato dalla presenza di<br />

decine di sacche, scavate nel banco naturale, ricche di resti<br />

di pasto costituiti da ossa di animali selvatici e di<br />

allevamento, valve di molluschi e di un considerevole<br />

repertorio ceramico.<br />

<strong>Il</strong> sito fu frequentato da molte generazioni e senza soluzioni<br />

fino al Neolitico Finale ed all’Eneolitico, documentato<br />

quest’ultimo da reperti delle Culture di Abealzu Filigosa e di<br />

Monte Claro.<br />

Alle stesse culture appartengono le comunità che s’insediarono<br />

alle porte di <strong>Quartu</strong> Sant’Elena lungo l’attuale viale Colombo,<br />

a Perda Bona ed a Santo Stefano. Anche questi insediamenti,<br />

poco discosti da quelli di Selargius, si dispongono su<br />

lievissime emergenze a ridosso di brevi corsi d’acqua di cui,<br />

attualmente si è persa traccia per gli interventi alterativi<br />

messi in opera già in fase antica e comunque a ridosso dello<br />

stagno di <strong>Quartu</strong>.<br />

Praticano anche attività rurali ed elaborano contenitori di<br />

ampia dimensione atti a conservare derrate che, nel nostro<br />

caso, si presentano con le caratteristiche colorazioni in<br />

rosso-arancio, connotanti la produzione vascolare della Cultura<br />

di Monte Claro nella versione cagliaritana della tipologia.<br />

Le comunità citate ma nondimeno quelle insediate lungo il<br />

Simbirizzi ed a Terra Mala (Usai 1983; Eadem 1985) a breve<br />

distanza dalle precedenti, risultano in rapporto organico tra<br />

loro e con quelle evidenziate dal Taramelli, nel primo<br />

18


Novecento, nel Monte Claro di Cagliari - da cui il nome alla<br />

Cultura in questione - e probanti la progressiva presenza<br />

antropica in tutto il retroterra.<br />

La capillarità e la diffusività, dovute a migliori condizioni<br />

complessive, nel Neolitico Finale e nell’Eneolitico trovano<br />

ulteriori conferme archeologiche negli insediamenti di<br />

Terramaini, di Is Arenas, di Santa Maria, di Bacu Serreli, di<br />

Basciu e Serra, sempre a <strong>Quartu</strong> Sant’Elena e quasi in<br />

allineamento rispetto ai precedenti, e non diversamente in<br />

quelli di Pirri, di Selargius, di Monserrato anch’essi<br />

dislocati nell’arco di uno spazio contenuto.<br />

Nella topografia dei siti sulle brevi ma regolari curve di<br />

livello si può ragionevolmente sospettare un ruolo vieppiù<br />

centripeto del vasto compendio idrologico in ragione di un più<br />

organico utilizzo, a fini produttivi, delle alternanze di<br />

impaludamenti e di terraferma. La intenzionale disposizione a<br />

corona intorno al Molentargius, allo stagno di <strong>Quartu</strong> ed al<br />

Simbirizzi, configurano i bordi degli stessi più arretrati<br />

rispetto alla linea di costa attuale e nondimeno l’area di Is<br />

Arenas certamente più estesa e con soluzioni di continuità dal<br />

litorale del Poetto, a sua volta di diversa conformazione ed<br />

estensione.<br />

In questi molteplici gruppi si colgono manifestazioni culturali<br />

e cultuali complesse sia nella sintassi decorativa ed<br />

iconografica dei repertori vascolari sia nella ritualità<br />

19


funeraria delle tombe a pozzetto accertate a ridosso del<br />

Simbirizzi e a Terra Mala (Usai 1985).<br />

Queste ultime trovano il confronto, fuori del territorio<br />

quartese, con i più noti dispositivi funerari delle cellette<br />

ipogeiche del Monte Claro e di Sa Duchessa di Cagliari (Atzeni<br />

1986), luoghi che ripartiscono e mettono in relazione i<br />

territori afferenti al Molentargius e i colli di Tuvumannu e<br />

Tuvixeddu, prospicenti la Laguna di Santa Gilla, recanti<br />

contestuali tracce di antropizzazioni preistoriche.<br />

I rinvenimenti che qui si sono lumeggiati nella loro<br />

articolazione pongono all’attenzione due ordini di problemi; il<br />

primo di ordine storico-antropologico attiene all’incidenza dei<br />

compendi idrologici del territorio quartese nell’attivazione<br />

della antropizzazione dell’area cagliaritana il cui vettore<br />

pare individuarsi negli insediamenti del monte di Sant’Elia; il<br />

secondo di ordine geografico, in stretta interdipendenza nel<br />

corso del tempo, con il primo, riguarda la variazione delle<br />

perimetrazioni dei compendi idrologici per la precoce e mai<br />

dismessa antropizzazione ed i susseguenti interventi<br />

trasformativi.<br />

Durante tutto il Neolitico, come si è detto, le zone umide ed<br />

il Molentargius in particolare si configuravano più estesi e<br />

morfologicamente alternati, senza soluzione di continuità, tra<br />

impaludamenti e terraferma. Nella fattispecie il quadro<br />

denunciato dagli insediamenti del litorale del Poetto, di Perda<br />

Bona, di Santo Stefano, di Santa Maria, di Simbirizzi, di<br />

20


Basciu e Serra, di Bacu Serreli, di Terra Mala ma anche quelli<br />

nei territori di Pirri, di Selargius, di Monserrato, attesta<br />

che i bordi del Molentargius erano allora contermini ai siti<br />

disposti sul suo versante nordoccidentale, diversamente dalla<br />

situazione attuale in cui si registrano forti soluzioni di<br />

continuità dal bacino stagnale, frutto di progressivi<br />

interramenti in cui l’intervento dell’uomo preistorico è<br />

marginale.<br />

Le stazioni di Perda Bona, di Santo Stefano, di Terramaini, di<br />

Is Arenas si attestavano su un lembo più vasto, rispetto<br />

all’esistente di terraferma, attraversato da una molteplicità<br />

di corsi d’acqua, che fungeva da soluzione e raccordo tra lo<br />

stagno di <strong>Quartu</strong> ed il Molentargius. L’ulteriore tratto del<br />

litorale del Poetto ed i suoi relativi insediamenti<br />

capannicoli, a sua volta, costituiva una soluzione tra il<br />

Molentargius, lo stagno di <strong>Quartu</strong> e le loro stazioni ed il<br />

mare. Nondimeno gli insediamenti, accertati sul monte di<br />

Sant’Elia, evidenziano la loro contestuale pertinenza da una<br />

parte con gli stagni ed il mare e dall’altra con il litorale di<br />

San Bartolomeo, nella porzione attualmente interrata. Gli<br />

stessi indiziano infine la continuità, con poche soluzioni, di<br />

quest’ultima area con quelle che dalla zona di La Palma ed Is<br />

Arenas si saldano con il bordo sudoccidentale di <strong>Quartu</strong><br />

Sant’Elena, limitrofo - come si è detto - dello stagno di<br />

<strong>Quartu</strong> e del Molentargius.<br />

21


3.02 Lo scenario che si presenta a partire dal Bronzo Antico<br />

sino alle prime fasi urbane, nel territorio in questione,<br />

riferisce di una serie di eventi la cui scala trascende ambiti<br />

localistici per situarsi in un orizzonte che ricomprende<br />

definitivamente e non più casualmente eventi extrainsulari che<br />

ineriscono, più in generale, nelle vicende del territorio<br />

sardo.<br />

L’affermazione del Bronzo rappresenta, nella sostanza, una<br />

discontinuità con le facies precedenti; discontinuità non<br />

attutita dai continuismi registrabili nella elaborazione di<br />

repertori ceramici e strumentali, ripetitivi di forme e di<br />

tipologie ancorate a sintassi tecnologiche e decorative della<br />

Cultura di Monte Claro che sopravvivono nella prima cultura<br />

nuragica.<br />

Se è oggettivamente sostenibile un nuovo apporto antropico e<br />

culturale dall’esterno, innestato sul preesistente e forse<br />

dallo stesso mediato, è decisamente più complesso e meno<br />

giustificabile sostenere il passaggio, secondo schemi<br />

evoluzionistici, dalle fasi precedenti, senza soluzioni o<br />

interventi allogeni, alle nuove forme insediative e culturali.<br />

Nelle culture neolitiche ed eneolitiche il sistema di<br />

produzione trasferiva ed esplicitava parte della sua capacità e<br />

possibilità di accumulazione nell’orizzonte del sovrannaturale<br />

e del simbolico di cui sono evidenza oltre ai reperti mobili,<br />

soprattutto la qualità e la diffusività delle sepolture<br />

22


ipogeiche che surrogano l’autorappresentazione dell’esistente<br />

nei dispositivi alla sfera funeraria.<br />

E’ in questi livelli profondi che si tratta di ricercare la<br />

maggiore discontinuità della fase nuragica dal preesistente.<br />

Diverso è il rapporto con i processi di accumulazione, sottesi<br />

da modi e mezzi di produzione mutati, e di destinazione d’uso<br />

che si esplicitano e si inverano in visibili fuoriterra<br />

strutturali alle funzioni del quotidiano no più delegate ad<br />

altri linguaggi o ad altre forme di rappresentazione.<br />

Da questo punto di vista il megalitismo nuragico risulta del<br />

tutto autoreferenziale ed in quanto tale altro rispetto alle<br />

forme conosciute.<br />

D’altra parte la stessa sofisticata progettualità messa in<br />

essere nell’allestimento delle apparecchiature architettoniche<br />

e nelle selezioni topografiche, rimanda ad un orizzonte<br />

linguisticamente rispondente ad altri codici in cui le tracce<br />

del sostrato sono molto labili. Attraverso la non<br />

estemporaneità delle selezioni e delle polarizzazioni<br />

insediative si coglie obiettivamente la minore incidenza che<br />

nel passato delle dominanti dei luoghi; si intravede con<br />

chiarezza il superamento della scelta di un sito per la mera<br />

sussistenza ed una dimensione che trascende il controllo della<br />

breve porzione territoriale per situarsi in un compiuta<br />

competenza dello spazio allargato.<br />

Ne discende una sempre mirata distribuzione degli insediamenti,<br />

interna ed intrinseca, prioritariamente, al controllo di<br />

23


percorsi, di risorse e più in generale di territori nella loro<br />

complessità; una tecnologia evoluta nel mettere in opera<br />

dispositivi che garantiscano insospettabili, fino ad allora,<br />

livelli di autonomia, a prescindere dallo specifico luogo,<br />

quali derivavano dal governo delle acque - sorgive, pluviali,<br />

fluviali - individuabile nelle complesse apparecchiature<br />

idrauliche che connotano buona parte dei manufatti noti.<br />

<strong>Il</strong> trascendimento dalla immediata sopravvivenza si registra,<br />

più globalmente, nel radicale mutamento del rapporto tra<br />

ambiente e uomo che ha come esito una presenza antropica<br />

tutt’altro che mimetica, denotante, a sua volta, una nuova<br />

elaborazione e concettualizzazione dell’idea di tempo e di<br />

comunicazione, percepibile nell’organico sfruttamento delle<br />

geomorfologie e delle pedologie il cui peso va oltre la<br />

raccolta o la stessa coltivazione. Nelle stesse l’intervento<br />

artificiale se ha una consistenza materica quantificabile per<br />

le attività obiettivamente alterative del preesistente naturale<br />

(non ultima l’azione ad esempio di cava, ove si ragioni sulla<br />

quantità di materiale necessario per la realizzazione dei<br />

manufatti), al contempo lo stesso non impedisce l’aumento della<br />

capacità di integrazione e di adattamento alle geografie date.<br />

Gli ambiti in cui la relazione tra i due processi si coglie<br />

nella sua interdipendenza è - in virtù di quella che potremo<br />

definire una vera rivoluzione tecnologica -<br />

l’approvvigionamento idrico, che viene sempre meno subito e più<br />

facilmente governato; l’assunzione dell’ abitare come ambito<br />

sempre meno estemporaneo e casuale; le concentrazioni<br />

25


antropiche e le polarizzazioni di scala che seguono itinerari<br />

non sovrapponibili meccanicamente a quelli precedenti.<br />

In sostanza le dominanti ambientali dirimenti per i lunghi<br />

millenni del Neolitico diventano secondarie perché altre sono<br />

quelle gerarchicamente inerenti con un palinsesto insediativo<br />

che nel territorio quartese seleziona maggiormente le aree,<br />

prima non antropizzate, nord/orientale ed orientale.<br />

26


3.03 Se permangono forti incertezze sulla presenza di un<br />

nuraghe sul monte Urpinu (un’incerta individuazione<br />

ottocentesca non ha trovato ulteriori riscontri), è invece<br />

certa la frequentazione del monte di Sant’Elia, senza soluzione<br />

di continuità, negli invasi rupestri (ripari sotto roccia,<br />

grotte, anfratti) in cui non si registrano variazioni degli<br />

stili insediativi e di vita fatti salvi i repertori ceramici e<br />

gli utensili ascrivibili ai nuovi orizzonti culturali.<br />

Quella di Sant’Elia sembra configurarsi come una comunità<br />

residuale nonostante la rilevanza topografica del luogo nel<br />

sistema delle relazioni costiere che si vanno accentuando nel<br />

Nuragico Medio e Finale e nell’Età del Ferro.<br />

Non diversamente da quelli del monte di Sant’Elia risultano<br />

ancora frequentati gli abitanti di Perda Bona (Atzeni 1986),<br />

dove mette conto sottolineare, per l’incidenza nel più generale<br />

tessuto insediativo, anche la presenza di una tomba megalitica<br />

- rara testimonianza nel nostro territorio di dispositivi<br />

funerari nuragici - distrutta nel corso dei lavori di<br />

urbanizzazione della zona, che ha restituito pugnaletti,<br />

spilloni, ceramiche ascrivibili, unitamente al monumento, alle<br />

Culture di Bonnanaro e del Campaniforme, maggioritarie nel<br />

primo Nuragico.<br />

Gli antichi insediamenti di Santo Stefano e di Is Arenas non<br />

sono dismessi ancora per tutto il Bronzo Medio (1500-1200) a<br />

differenza di quelli di Perdinas e di Su Forti Becciu la cui<br />

frequentazione persiste fino al Bronzo Recente e Finale,<br />

27


probabilmente, per la incisiva vicinanza con gli habitat<br />

megalitici.<br />

La localizzazione dei siti indicati, dislocati sul versante<br />

occidentale del territorio, convince della loro stretta<br />

interdipendenza con le zone stagnali le quali, alla luce della<br />

puntiforme distribuzione, sul versante orientale, dei complessi<br />

megalitici nuragici si configurano sempre più come il recapito<br />

di un orizzonte produttivo e di scambio, intrinseco alle<br />

naturali valenze saliniere dell’area ed al controllo dei<br />

tracciati che mettevano in relazione le due porzioni del<br />

territorio.<br />

Le vicende insediativa e antropica con la conseguente selezione<br />

dei luoghi, si orientano tuttavia definitivamente, nel corso<br />

della fase nuragica, sul versante ad oriente degli stagni dove<br />

nuraghi semplici, complessi e villaggi si dispongono<br />

capillarmente e ad alta densità durante il Bronzo Medio,<br />

Recente e Finale e l’Età del Ferro.<br />

Nella storia degli studi sul territorio quartese si registra,<br />

allo stato, una considerevole disparità tassonomica sulla<br />

quantità e qualità del fenomeno; nelle fonti il numero dei<br />

monumenti nuragici infatti, attribuiti al territorio di <strong>Quartu</strong><br />

varia da 22 (Carte I.G.M. o Catasti) o 24 (Ministero Pubblica<br />

Istruzione 1922), fino a 38 (Strugia 1990), con quantità<br />

intermedie nelle svariate repliche bibliografiche. La<br />

accentuata disparità, discende in prima istanza, dall’assenza<br />

di una analisi specifica sulla morfologia di ogni singolo<br />

28


evento architettonico; siffatta assenza di puntuale anamnesi ha<br />

ingenerato, nel corso del tempo, attribuzioni univoche,<br />

costantemente replicate, ed oggi incontrollabili nei casi in<br />

cui l’intensa e diffusa attività edilizia e l’alta<br />

infrastrutturazione del territorio abbiano obliterato<br />

manufatti, citati dalle fonti, ancora visibili prima<br />

dell’ultimo decennio.<br />

Ha ingenerato una generalizzata ascrizione, e ciò diffusamente<br />

anche a livello regionale, all’orizzonte nuragico di tutti i<br />

manufatti realizzati in opera poligonale o bruta che non tiene<br />

conto della persistenza e del continuismo delle tecniche<br />

costruttive, della ristrutturazione dei contenitori nuragici<br />

nelle fasi successive, delle errate attribuzioni e delle<br />

conseguenti toponimie adottato nelle cartografie a partire da<br />

Alberto La Marmora, generanti confusioni malgrado, in molti<br />

casi, ulteriori toponimi possano se non essere dirimenti<br />

certamente di qualche utilità (Paulis 1983; Isdem 1987).<br />

Nonostante la prudenza per alcuni manufatti, su cui permangono<br />

forti sospetti sia sulla decisiva attribuzione sia sul<br />

continuismo insediativo, che rende poco chiara la fase edilizia<br />

originaria, appare nondimeno evidente che lo schieramento dei<br />

nuraghi si allestisce, in progressione e con regolarità,<br />

dall’immediato litorale assecondando i salti di quota secondo<br />

le curve di livello con tracciati di raccordo che seguono<br />

preferibilmente le linee di cresta ed il litorale.<br />

29


Seppure il paesaggio complessivo si configuri diffusamente<br />

insediato, la maggiore concentrazione si registra lungo le<br />

valli di fiumi e di rii affluenti - dal bacino attualmente in<br />

qualche caso irrilevante ma dalla portata per le fasi di cui ci<br />

occupiamo più consistente - i cui compluvi risultano in<br />

relazione fisica e funzionale con la costa.<br />

La ripetitività della strategia insediativa rende in tal senso<br />

referenziate le localizzazioni che dalla zona di San Luria e<br />

Capitana si dispongono lungo la vallata afferente Flumini Cuba<br />

e i piccoli rii contermini, in un allineamento regolare ed in<br />

un sistematico raccordo visivo che configura l’habitat in<br />

questione come un sistema che, contestualmente, afferisce al<br />

mare, alla breve piana controllando gli accessi e le vallate<br />

fino alla montagna. La serie dei nuraghi in questione (Meris,<br />

Niu e Crobu; Serra Paulis; SAria; Lianu; Marcolinu; Luas;<br />

Sighientu; Medau Abraxau), è in rapporto, topografico e<br />

funzionale, per il tramite di quelli posti sulle basse quote e<br />

senza soluzione di continuità, con gli apprestamenti litoranei<br />

di Su Forti Becciu, ad occidente, e di Capitana (Nuraghi<br />

Capitana e Diana), nella porzione sudorientale.<br />

<strong>Il</strong> Nuraghe Diana, in particolare, afferisce contestualmente<br />

agli insediamenti disposti sui rii Cadelanu e S’Orixeddu<br />

(Nuraghi Is Paras; S’Arcu de sa Spina; Murtineddu; S’Orixeddu;<br />

Cuccureddus; Acutzu; S’Arcu de sa moddizzi) che si polarizzano<br />

sulla vallata il cui esito verso il mare è Is Mortorius ed il<br />

nuraghe prima richiamato.<br />

30


L’ulteriore allineamento privilegia i rii Is Stellas, de Su<br />

Tuvu Mannu, Nieddu (Nuraghi Marapintau; Su Lillu; Tuvu Mannu;<br />

Palisteri; Callitas; Ludus; Sa Siliqua; Crabu; Zinnibiri;<br />

Biancu; Nieddu) con contenitori di particolare rilevanza e<br />

complessità dall’immediato retroterra di Terra Mala, fino a<br />

declivi appena più pronunciati ed ormai a ridosso delle<br />

retrostanti emergenze montane e degli insediamenti della<br />

vallata di Geremeas (Geremeas; Puxeddu).<br />

L’assetto insediativo e le topografie del territorio quartese<br />

polarizzati sulle zone rivierasche e nel prossimo retroterra,<br />

ridimensionando le molte ipotesi circa la mancata<br />

frequentazione delle coste da parte delle popolazione del<br />

Bronzo. Nel nostro caso al contrario infatti è di evidenza<br />

proprio la vocazione a disporre l’insediamento in progressione<br />

longitudinale a partire dal litorale e, latitudinalmente, a<br />

corona sullo stesso per garantire il suo controllo o meglio il<br />

controllo del sistema di attracchi di supporto a rotte di<br />

piccolo cabotaggio, di cui si leggono tracce topografiche a<br />

Geremeas, Terra Mala, Capitana e Sant’Andrea.<br />

La direttrice portante, a partire dall’immediato litorale,<br />

degli insediamenti nuragici è l’asse nord/nord-ovest, che<br />

persistette senza alterazione nelle fasi successive investendo<br />

anche l’abitato e governando, da questo momento, i tracciati, i<br />

percorsi e le relazioni, che si consolidarono con il<br />

superamento anche, in alcune porzioni, delle condizioni<br />

ostativi causate dagli assetti geomorfologici.<br />

31


<strong>Il</strong> palinsesto quartese non è estraneo alle dinamiche<br />

contermini; in tal senso mette conto richiamare la relazione<br />

con gli eventi insediativi della Sardegna sudorientale, per il<br />

tramite del mare e degli entroterra montani di Terra Mala e di<br />

Geremeas, e più precisamente con le complesse sequenze<br />

afferenti alle vallate fluviali del Flumendosa - che<br />

garantivano anche lo scambio tra le popolazioni del Sarrabus,<br />

del Gerrei con il Sarcidano fino a Funtana Raminosa - e con<br />

quelle dei territori dei Comuni di Villasimius, Sinnai e<br />

Maracalagonis.<br />

La presenza, in questo vasto orizzonte geografico, di nuclei<br />

abitati, dislocati sul litorale, e dei relativi approdi<br />

coinvolge la nostra area sia all’interno delle rotte interne,<br />

utilizzate a scala locale, sia in quelle di rango<br />

extrainsulare e relative ai rapporti, non più estemporanei,<br />

della Sardegna meridionale con il Mediterraneo orientale di cui<br />

sono riscontro recente, per il tramite del versante costiero<br />

orientale, i materiali micenei del Nuraghe Arrubiu di Orroli<br />

e, sul versante occidentale del Golfo degli Angeli, quelli<br />

dell’Antigori di Sarroch.<br />

I ritrovamenti in questione da località, a ridosso di regioni<br />

ricche di minerali indispensabili - a scala mediterranea - per<br />

la innovativa tecnologia metallurgica che va diffondendosi<br />

velocemente in tutto l’ Occidente; i frequenti spostamenti e le<br />

diaspore di popolazioni su rotte di vasta area che paiono<br />

consolidate e sistematiche; l’accentuato aumento demografico -<br />

non solo in Sardegna - conferiscono, nell’area cagliaritana in<br />

32


generale e in quella quartese in particolare, centralità alla<br />

risorsa saliniera presente naturalmente.<br />

Siffatta materia prima risulta gerarchicamente non residuale<br />

nelle pratiche dello scambio tra le comunità indigene e tra<br />

queste e le popolazioni allogene già in queste fasi. La<br />

disponibilità della risorsa e la sua accessibilità, a ridosso<br />

di approdi e attracchi, consentiva gradi di autonomia nello<br />

spostamento non dissimili da quelli garantiti dal governo<br />

dell’acque. E’ proprio all’interno dei dispositivi dello<br />

scambio, del dislocamento degli approdi in ragione sia delle<br />

risorse minerarie sia dei livelli di autonomia nella<br />

navigazione, del conseguente ruolo del sale nella quotidianità<br />

delle comunità locali e non, che devono essere riconsiderate le<br />

topografie dei nuraghi quartesi e la loro rilevanza<br />

nell’immediato areale e più in generale nelle relazioni<br />

extrainsulari.<br />

Se infatti nella tessitura si legge un altro tasso di<br />

interdipendenza tra i siti del nostro specifico territorio<br />

nondimeno e altrettanto percepibile, nella direttrice<br />

dominante, la relazione tra gli stessi e le interfacce<br />

simboliche dello scambio, costituito nel mondo nuragico dal<br />

tempio a pozzo, nel nostro caso, individuabile nel territorio<br />

di Settimo San Pietro e più precisamente a Cuccuru Nuraxi,<br />

luogo di mediazione delle relazioni tra gruppi variamente<br />

connotati sul piano etnico come denunciano i repertori fittili<br />

ritrovati nel complesso (Taramelli 1906).<br />

33


Ma non diversamente nella tomba dei giganti di Is Concas di<br />

<strong>Quartu</strong>cciu e nel complesso, funerario già segnalato, di Perda<br />

Bona, che mediano a loro volta le relazioni con l’orizzonte<br />

funerario.<br />

I manufatti, dall’alto valore simbolico, sono da leggersi in<br />

una logica d’area; sono infatti gli unici con valenze rituali<br />

accertati in una porzione territoriale affatto considerevole.<br />

La sproporzione quantitativa tra gli abitati ed i relativi<br />

recapiti culturali e funerari accentua il carattere non<br />

localistico e persitente specie del pozzo sacro di Cuccuru<br />

Nuraxi, frequentato ancora nel VII/VI sec. AV. C. (Bernardini<br />

1987) nelle Fasi dell’Orientalizzante ed Arcaica e concomitante<br />

per quei periodi con l’insediamento di Cuccureddus di<br />

Villasimius (Marras 1991).<br />

In assenza di studi sulle demografie nuragiche in generale e<br />

sulle differenze delle stesse nelle diverse fasi delle Età del<br />

Bronzo e del Ferro, la quantità e la qualità degli insediamenti<br />

nel nostro territorio costituiscono sia degli indicatori<br />

demografici referenti di un’antropizzazione non residuale sia<br />

la conferma ulteriore di un’obiettiva rarefazione, proiettabile<br />

più diffusamente a scala regionale, dei luoghi funerari e di<br />

culto rispetto agli abitati.<br />

Su quest’ultimo orizzonte, integrazioni e variazioni potrebbero<br />

provenire da ritrovamenti di differenti rituali e dispositivi<br />

cultuali e funerari non ultimo, quantomeno per le ultime fasi<br />

del Bronzo e per l’Età del Ferro, quello dell’incinerazione di<br />

34


cui tuttavia, allo stato, non si sono ritrovate tracce giacchè<br />

i rituali d’incinerazione riscontrati nella porzione<br />

prospiciente la tomba di <strong>Quartu</strong>cciu non sembrano ricollegarsi<br />

alla combustione di defunti.<br />

<strong>Il</strong> riferimento polarizzante di Cuccuru Nuraxi di Settimo San<br />

Pietro, si è detto, media per molti secoli la complessa<br />

tessitura di relazione tra diversi etnici definendo oltremodo<br />

la centralità dei nuraghi quartesi ed il sistema degli approdi<br />

che segnano la sua costa e quelli della Sardegna sudorientale<br />

fino a Villasimius. Non è a tutt’oggi giustificabile (Mongiu<br />

1995) la posizione che vede l’accesso di materiali allogeni nel<br />

complesso di Settimo San Pietro dal versante cagliaritano di<br />

Santa Gilla (Bernardini 1987) che per le Fase Orientalizzante<br />

e Arcaica è da considerare all’interno della sequenza di<br />

attracchi in dialettica con le popolazioni locali (Mongiu 1996<br />

b) piuttosto che in un compiuto esito urbano (Mongiu 1995). In<br />

queste fasi l’accesso, per le ragioni ripetutamente suesposte,<br />

è da individuarsi dal versante costiero orientale non dimidiato<br />

dal complesso di Settimo che ne costituiva l’orizzonte. Le<br />

rotte in cui i Fenici risultano presenti governano selezioni<br />

topografiche diffuse lungo la costa (Mongiu 1996 c) con<br />

gerarchie in cui il nostro territorio è decisivo.<br />

<strong>Il</strong> ribaltamento e le conseguenti differenziate gerarchizzazioni<br />

si registrano a partire dalla seconda meta ovvero dalla fine<br />

del VI secolo AV. C., fase in cui il sistema di approdi, così<br />

come lo riconosciamo per la lungo fase nuragica, e con esso la<br />

centralità topografica del territorio di <strong>Quartu</strong> (Mongiu<br />

35


1995)subiscono un ridimensionamento in favore di diverse<br />

prelazioni e centralità irreversibilmente urbane sul versante<br />

occidentale del Golfo degli Angeli.<br />

36


3.04 L’affermazione dell’urbanizzazione a Cagliari se a tutta<br />

prima si configura come rarefazione di nuovi manufatti - le cui<br />

tipologie e morfologie non risultano facilmente definibili<br />

anche in contesti certi - o come decadenza dei precedenti e<br />

della cultura di appartenenza, nella prospettiva accentua le<br />

funzioni e valorizza le valenze del territorio di <strong>Quartu</strong> che<br />

risulterà strategico nel quadro economico e storico che si va<br />

delineando.<br />

La obiettiva prossimità fisica alla città destina il vasto<br />

territorio contermine a suo suburbio strutturato in maniera<br />

sempre più organica con il crescere della consistenza di<br />

Cagliari e del suo ruolo nel sistema delle città puniche della<br />

Sardegna e del Mediterraneo. Appare insostenibile mettere in<br />

relazione di interdipendenza il cambiamento di ruolo di siti<br />

frequentati in periodo nuragico con un pretesto loro<br />

spopolamento. In assenza di scavi e dunque di elementi più<br />

direttamente probanti per ogni specifico contesto, non pare<br />

fuori luogo sostenere continuismi insediativi in fase punica di<br />

alcuni siti alla luce di elementi significativi, provenienti da<br />

questi, per le fasi romane e postclassiche. Specialmente in<br />

quelli ad alta antropizzazione nuragica nelle aree di Flumini<br />

Cuba, di Is Mortorius/Terra Mala e di Geremeas si osservano<br />

nondimeno dispositivi architettonici, dalla complesse<br />

icnografie in cui brani costruttivi relativi a torri si<br />

integrano con ambienti a pianta rettilinea, messi in opera con<br />

37


differenti tecniche edilizie, in cui si leggono ripetute<br />

ristrutturazioni di diversi periodi ed in cui si individua<br />

sporadicamente cocciame punico.<br />

Che il territorio del suburbio cagliaritano fosse organizzato e<br />

fosse in parte sotto il controllo di un’aristocrazia terriera<br />

era convinzione già di Ettore Pais per la presenza, ancora in<br />

fase imperiale, di personaggi di rango, di etnico punico,<br />

documentati epigraficamente nel territorio.<br />

Analisi topografiche di vasto raggio nel suburbio cagliaritano<br />

hanno documentato (Mongiu 1986; Eadem 1996 b), una tessitura<br />

territoriale che ha poche soluzioni di continuità tra le fasi<br />

medio e tardo puniche, romano-repubblicana e romano-imperiale.<br />

Appare comunque non discutibile il ruolo strategico del sale in<br />

un’economia, quale quella punica, affatto complessa e con un<br />

orizzonte mercantile non limitato alla sola isola.<br />

In tale senso non pare essere ridimensionato il ruolo del monte<br />

Sant’Elia e dell’area di San Bartolomeo comprovato dal<br />

rinvestimento nell’Ottocento in situ, ma fuori contesto, di<br />

un’iscrizione dedicata ad Astarte (Bondi 1988) oggetto di<br />

attribuzioni cronologiche e storiche variamente giustificate.<br />

Si è infatti passati da ascrizioni molto antiche relative alla<br />

presenza di un emporion, da situare nella fase precoloniale,<br />

alla più probabile esistenza di un sacello di piena fase punica<br />

fino al sospetto circa l’origine da spoglio dell’iscrizione<br />

38


iutilizzata nelle fasi successive e in dispositivi tardi<br />

diversi da quelli originari.<br />

Le topografie del territorio nella sua generalità, fin qui<br />

esposte, ridimensionano il problema. E’ di evidenza infatti che<br />

il monte ed i suoi attracchi non furono mai esclusi dalle<br />

dinamiche più complessive comprese quelle relative alle fasi<br />

precoloniale e coloniale. La mai chiarita situazione di<br />

ritrovamento dell’iscrizione può essere appena sopperita da<br />

riscontri autoptici nell’area del monte propriamente indicata<br />

in cartografia come Sant’Elia dove sono individuabili<br />

apparecchiature idrauliche romane-repubblicane e nondimeno<br />

elementi costruttivi con qualche sporadico elemento<br />

architettonico di fase o di tradizione puniche che riferiscono<br />

l’area ad una destinazione d’uso, nel corso delle fasi punica e<br />

romana-repubblicana, nel senso di un piccolo insediamento<br />

infrastrutturato per una stabile frequentazione. L’ascrizione,<br />

d’altra parte, di Astarte Ericina ad un orizzonte emporico, ci<br />

porta a sottrarre la zona ed i relativi attracchi- sui versanti<br />

sudorientale (Marina Piccola) e sudoccidentale (San<br />

Bartolomeo)- ad un uso accidentale per risituarli all’interno<br />

delle pratiche di scambio e di commercio che, per le fasi del<br />

V/IV sec. AV. C., data la presenza di altre strutture<br />

certamente portuali sul versante cagliaritano (Mongiu 1996 c) e<br />

le naturali risorse dell’area, erano intrinseche al sale<br />

indispensabile per la conservazione e per la<br />

commercializzazione dei prodotti.<br />

39


Nondimeno la distruzione dell’insediamento di Cuccureddus di<br />

Villasimius ed il ridimensionamento degli attracchi di Terra<br />

Mala e di Capitana, già alla fine del VI sec. AV. C., ed<br />

insieme le mutate economie e politiche conferiscono al<br />

complesso Sant’Elia/San Bartolomeo, anche in direzione del<br />

controllo dell’accesso a Cagliari, un senso aumentato rispetto<br />

al passato ed un rango di porto specializzato.<br />

Le dinamiche più complessive, in corso nel Mediterraneo, e le<br />

geografie segnate da bacini stagnali e lagunari, irripetibili<br />

conferirono a Cagliari un aumentato ruolo che ineri in una<br />

soluzione urbanistica organizzata su una pluralità di aggregati<br />

(Mongiu 1986) inscindibili da necessità strategiche ma<br />

nondimeno dalla pluralità delle risorse derivate dai territori<br />

contermini.<br />

L’enclave orientale della città s’inseriva nelle strategie<br />

mercantili di scala che, nel IV secolo AV. C., determinarono il<br />

protagonismo della porzione che dalla Darsena si allarga verso<br />

la piana di San Saturno e Bonaria, in raccordo fisico e<br />

funzionale con l’estrema porzione orientale in direzione del<br />

territorio quartese.<br />

Se la polarizzazione ha come vettori il sistema portuale,<br />

questo risulta già in queste fasi imprescindibile dal reticolo<br />

di tracciati che lo rendono possibile. Se le vie d’acqua<br />

marine-fluviali-stagnali (Mongiu 1996 c) risultano<br />

privilegiate, quelle di terra si configurano, già dal periodo<br />

40


nuragico, essenziali, nel reticolo degli aggregati di<br />

entroterra, ancorché mai del tutto alternative, nelle zone<br />

litoranee, a quelle d’acqua.<br />

Se gli orientamenti urbani, in fase punica, seguono<br />

indistintamente le direttrici nord-nord/est e nord-nord/ovest,<br />

in quelle successive pare prevalere, come definitivo asse<br />

portante la seconda a conferma di un palinsesto già tracciato,<br />

nel territorio quartese, nella fase nuragica e governato dalle<br />

geomorfologie ma nondimeno dalla funzione centripeta dei luoghi<br />

della produzione e da quelli dello scambio.<br />

<strong>Il</strong> grande disegno sui due assi nord-nord/ovest e sud- sud/est<br />

garantiva un attraversamento sia di retroterra nel suburbio sia<br />

di collegamento tra questo e i diversi esiti portuali<br />

gerarchizzati ma fortemente integrati.<br />

41


3.05 L’urbanistica cagliaritana, con l’arrivo dei romani,<br />

assegna ruoli differenti dal preesistente alle diverse porzioni<br />

della città, tendendo a superare la logica centrifuga per una<br />

soluzione centripeta incentrata sul porto-riga, ubicato nella<br />

porzione orientale della via Roma (Mongiu 1996 c), e risarcendo<br />

le soluzioni di continuità che connotavano lo spazio urbano. <strong>Il</strong><br />

processo non altera la complessità che la città punica aveva<br />

raggiunto con funzioni amministrative, militari e mercantili e<br />

con un retroterra dall’economia fortemente integrata; semmai<br />

risultano aumentati per importanza i ruoli di Cagliari nelle<br />

vicende sarde e del Mediterraneo - in una prima fase per<br />

ragioni strettamente militari e successivamente come collettore<br />

di derrate per la capitale - con essi lo sfruttamento delle<br />

risorse dei territori (Meloni 1990). Ne discende una migliore<br />

ottimizzazione del suburbio che si riconosce per un’opzione,<br />

maggioritariamente latifondista nella sua qualificazione<br />

proprietaria, e per un’organizzazione che rimanda a<br />

ripartizioni per lotti con un sistema di produzione schiavile<br />

di cui l’asse portante sono fattorie e abitati di tipo rustico<br />

(Mongiu 1989).<br />

La presenza di antichi possesores punici documentati<br />

epigraficamente, l’acquisizione di porzioni del territorio da<br />

parte di possessores italici sospettata da E. Pais, il ruolo<br />

dei negotiatores e dei navicularii nella gestione economica<br />

delle risorse non sottrae infatti buona parte del suburbio<br />

41


cagliaritano dalla concentrazione proprietaria nelle mani della<br />

famiglia imperiale, documentata epigraficamente ( Eadem<br />

ibidem).<br />

<strong>Il</strong> processo fa sospettare uno status quo ante,<br />

nell’organizzazione giuridico/amministrativa demaniale,<br />

certamente per gli ambiti territoriali con risorse il cui ruolo<br />

era strategico nell’economia complessiva quali erano gli<br />

stagnali e lagunari.<br />

La demanialità di larghe porzioni, leggibile indirettamente<br />

nelle enfiteusi e nelle concessioni documentate a partire dalla<br />

fine del IV sec. d. C. fino all’XI secolo, di fatto era<br />

ineliminabile nelle aree coinvolte nelle funzione militari di<br />

Cagliari che ospitava, a partire dal I secolo d. C, un<br />

distaccamento della flotta misenate, la cui necropoli era, a<br />

ridosso del porto, in Viale Regina Margherita, ed i cui navalia<br />

(cantieri navali e di carenaggio) e acquartieramenti sono da<br />

localizzare, per ragioni logistiche e di tecnologia navale,<br />

nella porzione orientale del territorio cagliaritano.<br />

E’ sul fronte del Poetto e di San Bartolomeo che una antica e<br />

accettabile tradizione erudita, costantemente ribadita (Cherchi<br />

Paba 1970), localizzava il litum calaritanum, in cui sarebbe<br />

sbarcato Tito Manlio Torquato che conquistò Cagliari.<br />

<strong>Il</strong> quadro giuridico e produttivo delineato inerisce nel livello<br />

di infrastrutturazione del suburbio cagliaritano punteggiato da<br />

pagi, vici, fattorie/villae, da dispositivi idraulici e da un<br />

fitto sistema stradale. Si ascrivono a questo orizzonte le<br />

apparecchiature sul monte Sant’Elia il cui insediamento è<br />

42


all’interno di una sequenza che si registra a partire da San<br />

Saturno/Predio Ravenna (Taramelli 1929), nel territorio che da<br />

Bonaria porta a viale San Bartolomeo le cui sepolture, secondo<br />

G. Spano, erano afferenti ad un villaggio saliniero<br />

ulteriormente comprovato dal ritrovamento, nel corso della<br />

messa in opera dei Bagni Penali, di edifici, di infrastrutture<br />

idrauliche e dal del precedente rinvenimento di un mosaico (BAS<br />

II, P. 273).<br />

E’ lo stesso studioso che da notizia di un piedistallo, a<br />

sostituzione della colonna reggicroce, posta al centro della<br />

piazza di San Bartolomeo, recante una dedica all’imperatore<br />

Claudio Gotico (ibidem p. 160).<br />

Ne sospetta un’origine di spoglio secondo una pratica che si<br />

registra anche nelle tessiture murarie della chiesa<br />

prospiciente ma anche in quelle della chiesa di Sant’Elia,<br />

messa in opera precipuamente con materiale di riutilizzo.<br />

E’ in fase romana che il territorio quartese appare nuovamente<br />

rispondere a due logiche appena differenziate tra la sua<br />

porzione occidentale, interna alle strategie appena descritte,<br />

e quello estremo orientale.<br />

Risultano di mediazione e intermedi gli abitati di tipo rurale<br />

disposti nell’immediato entroterra cagliaritano secondo una<br />

direttrice che sempre dalla piana di San Lucifero/San Saturno,<br />

nodale nelle relazioni con il suburbio e con i territori<br />

orientali, percorre il settore sudorientale dell’attuale<br />

quartiere cagliaritano di Villanova (tracce di infrastrutture<br />

43


omane e tardoantiche sono leggibili all’interno del Convento<br />

di San Mauro, a San Cesello, nell’Istituto Agrario (Mongiu<br />

1989), cisterne sono state ripetutamente segnalate nella Via<br />

Sonnino), Sant’Alenixedda - Mannazzu (di cui si conoscono i<br />

cippi funerari inscritti e relativi ad un abitato, senza<br />

soluzione di continuità, frequentato ancora nel Medioevo e<br />

leggibile nelle strutture fuoriterra esistenti), Pirri (in cui<br />

ripetuti ritrovamenti di cisterne, di lacerti di mosaico<br />

(Mongiu 1989) indiziano cospicui presenze insediative), la<br />

porzione sudorientale del territorio di Monserrato. Tutti a<br />

corona ed appena rilevati sullo stagno.<br />

Si tratta di nuclei cresciuti sulla arteria che, per il tramite<br />

di Ferraria (Itinerario Antonino), forse San Gregorio, e<br />

Sarcapos (forse Santa Maria di Villaputzu) (Meloni 1983; Isdem<br />

1990) garantiva i collegamenti della città con la costa<br />

orientale.<br />

Nella storia degli studi se è risultata del tutto condivisa<br />

l’ascrizione di <strong>Quartu</strong> al rango di statio dell’arteria<br />

orientale - con esiti ancora nel toponimo - tuttavia<br />

l’ubicazione del quartum lapidem a Karali, le topografie del<br />

tracciato e delle tappe intermedie, le metrologie sono<br />

risultate diffusamente generiche. Le precisazioni risultano,<br />

allo stato, di rilievo specie nella prospettiva di verificare<br />

la genesi degli insediamenti medievali quartesi ed il ruolo<br />

delle preesistenze romane nelle vicende che dal periodo<br />

tardoantico fino al medioevo hanno investito il territorio.<br />

44


<strong>Il</strong> tracciato ed il percorso prima descritti, nelle<br />

articolazioni topografiche, risultano scanditi con regolarità<br />

ove si assuma plausibilmente come punto di attivazione il porto<br />

di Cagliari e la porzione ad oriente della necropoli di Viale<br />

Regina Margherita/Via Eleonora d’Arborea. <strong>Il</strong> primo predio,<br />

esterno alla necropoli e da situare nell’ager, risultava quello<br />

a ridosso dell’attuale chiesa di San Saturno costantemente<br />

intrinseco, ancora nelle fasi successive per la presenza di<br />

sepolture di salinieri, anche all’orizzonte orientale del<br />

territorio cagliaritano.<br />

Nella sequenza dei siti assume un ruolo dirimente ai fini della<br />

localizzazione del quarto miglio da una parte l’area di<br />

Mannazzu/Sant’Alenixedda e quella compresa tra gli attuali<br />

territori di Monserrato, Selargius, <strong>Quartu</strong>cciu e <strong>Quartu</strong> da cui<br />

si dipartivano importanti diverticula che collegano l’arteria<br />

portante con i predii e gli aggregati distribuiti in maniera<br />

puntiforme. Nella definizione del territorio quartese assume<br />

rilievo quello individuabile con direttrice nord-nord/ovesti<br />

sud-sud/est che attraversa <strong>Quartu</strong> per collegarsi agli abitanti<br />

del suo litorale ed al relativo tracciato di costa, residuale e<br />

secondario rispetto a quello che collegava Cagliari a<br />

Villaputzu attraverso l’entroterra.<br />

L’arteria nel suo percorso da Cagliari era posizionata su clivi<br />

appena emergenti, su curve di livello che per quanto brevi<br />

tuttavia sono di evidenza rispetto alle impaludate aree<br />

peristagnali. <strong>Il</strong> reticolo dei diverticuli susseguenti non pare<br />

seguire logiche diverse, assecondando le orografie e comunque<br />

45


isarcendo le condizioni ostative con infrastrutturazioni che<br />

si leggono negli interventi che riguardarono lo snodo, di cui<br />

si è detto, tra i territori di Monserrato, Selargius,<br />

<strong>Quartu</strong>cciu atti a contenere, imbrigliare e superare il sistema<br />

dei rii e canali che avevano il loro esito negli stagni.<br />

Ne rimangono tracce topografiche nell’attraversamento di Riu<br />

Mortu e più precisamente nel Ponte Is Paris/Ponti Is Paras, che<br />

trovano riscontri anche negli argini e attraversamenti, a<br />

ridosso del Complesso di San Pietro, dei rii affluenti allo<br />

stagno di <strong>Quartu</strong> (Fois 1969).<br />

Contenimenti ovvero brevi terrazzamenti sono percepibili nelle<br />

assise di base della spina di Santa Maria di Cepola/Sant’Efisio<br />

che la rilevano ulteriormente, rispetto alla naturale<br />

orografia, sulle vie d’acqua e infine nondimeno sul fronte<br />

nordoccidentale del complesso di Sant’Agata.<br />

L’organizzazione del cursus publicus non lasciando spazi<br />

all’estemporaneità, per la sua rilevanza da punto di vista<br />

militare ed economico, stabiliva delle gerarchie all’interno<br />

dei territori ed i conseguenti investimenti; nella fattispecie<br />

quartese il rilievo delle risorse saliniere e le<br />

caratteristiche montane del suo retroterra, chiare a partire<br />

dalla stazione di San Gregorio, fa intravedere una presenza<br />

militare ed insediamenti in tal senso strutturati.<br />

La stessa presenza non secondaria, nella iscrizione di San<br />

Nicolò Gerrei, di un addetto alle saline (Meloni 1990)<br />

riferisce, alla luce del più complessivo contesto<br />

46


dell’iscrizione, della costante necessità di controllare da<br />

una parte le risorse cerealicole del Parteolla e della Trexenta<br />

e dall’altra quelle saliniere dalle incursioni degli abitanti<br />

delle civitates barbariae, insediate geograficamente in<br />

territori contermini ai nostri ed a questi collegati da strade,<br />

di precipua funzione militare, ma soprattutto da tracciati che<br />

ricalcavano gli antichi percorsi nuragici più difficilmente<br />

controllabili. La rilevanza degli abitati quartesi legati al<br />

sale può trovare riscontri nella attestazione di un cippo<br />

inscritto, conservato nella chiesa di Santa Maria di Cepola<br />

(Gugliotta s.d.) altrimenti sconosciuto; si deve considerare<br />

con prudenza l’originaria collocazione quartese del manufatto<br />

in questione per la consuetudine della pratica dello spoglio e<br />

del trasporto di materiali specie marmorei, a partire dalla<br />

fase tardoantica, dalla città nel suburbio cagliaritano (Mongiu<br />

1989); processo prospettato per un capitello di particolare<br />

pregio, del II sec. d. C. (Nieddu 1992) visibile in Piazza<br />

Azuni nella colonna reggicroce. Per la dimensione e la quantità<br />

pare al contrario problematico immaginare una provenienza da un<br />

altro sito per le basi di colonna poste s ridosso della chiesa<br />

di San Benedetto, con chiarezza impostata su una preesistenza,<br />

ulteriormente, segnalata anche da un lacerto stradale di cui si<br />

colgono ancora le crepidini, o ancora per i blocchi di spoglio<br />

riutilizzati nelle tessiture murarie della chiesa di San Pietro<br />

provenienti più plausibilmente dall’abitato precedente.<br />

<strong>Il</strong> ridimensionamento dell’ipotesi del trasporto da Cagliari per<br />

questi ultimi materiali fa riconsiderare i manufatti, tra cui<br />

47


quello inscritto, di Santa Maria di Cepola sia per la presenza<br />

nelle tessiture murarie di questa chiesa di materiali edilizi<br />

preesistenti e di spoglio ma soprattutto per la sua<br />

localizzazione topografica e per la metrologia che la governa.<br />

<strong>Il</strong> lotto in cui la chiesa insiste con quella di Sant’Efisio,<br />

disposto sul reticolo di diverticula - organizzati dal<br />

tracciato portante nord-nord/ovest - sud-sud/est ortogonale ad<br />

un’ulteriore direttrice con orientamento est-nord/est - ovest-<br />

sud/ ovest - si configura, nella sua genesi, come spazio di<br />

risulta all’interno della ripartizione assunta dai Romani nel<br />

programmare i tracciati stradali secondo l’unita di misura<br />

dell’actus corrispondente a 120 piedi (romani).<br />

La soluzione delle ripartizioni territoriali sugli assi<br />

stradali, piuttosto che su forme centuriate, discende anche nel<br />

caso quartese nella nostra fattispecie dell’azione di <br />

pianificazione adottata dai Romani nell’atto di trasferire il<br />

centro amministrativo e commerciale della città di Cagliari -<br />

dal quartiere di Sant’Avendrace alle zone corrispondenti agli<br />

attuali quartieri di Marina e Stampace (Mongiu 1955) - e dalla<br />

conseguente necessità di razionalizzare i tracciati, per<br />

ragioni militari e mercantili, sul porto di via Roma. Le nuove<br />

strategie coinvolsero il territorio di <strong>Quartu</strong>, considerato per<br />

le valenze che gli venivano riconosciute, senza soluzione<br />

rispetto alla città.<br />

Questa precisazione se inerisce sulle analisi vicende urbane e<br />

urbanistiche della Cagliari romana e sulle persistenze della<br />

48


stessa, nondimeno inserisce il territorio quartese sia nel<br />

grande disegno di riordino del territorio operato dai romani<br />

sottraendolo da una vocazione esclusivamente rurale sia nei<br />

processi di persistenza della architettura viaria il cui<br />

palinsesto, con ridotte mutazioni, risulta essere stato il<br />

vettore degli accertati continuismi insediativi nel corso dei<br />

secoli successivi.<br />

La proiezione nel territorio di <strong>Quartu</strong> degli elementi portanti<br />

dell’urbanistica romana non azzera affatto il ruolo<br />

dell’orografia e dei tracciati precedenti, non ultimi quelli<br />

nuragici che su questa si erano dimensionati, che vengono<br />

razionalizzati e definitivamente strutturati. La declinazione<br />

infatti degli orientamenti quartesi, non casualmente identica a<br />

quella dei tracciati cagliaritani, risulta una spia di<br />

quell’antica partitura sortendo dei cardines e dei decumani<br />

inclinati rispetto agli orientamenti canonici.<br />

Ne consegue che l’antico disegno dello spazio dove insiste<br />

l’attuale abitato era costituito da una serie di nuclei di<br />

risulta, dalla forma irregolare e vagamente a fuso piuttosto<br />

che castramentata, dimensionati sull’actus o sui suoi multipli<br />

e sottomultipli.<br />

Gli esiti sono ancora leggibili nella cosiddetta spina di Santa<br />

Maria di Cepola, la cui dimensione sulla direttrice nord-<br />

est/sud-ovest coincide perfettamente con un actus, ma<br />

nondimeno - nella porzione settentrionale dell’attuale abitato<br />

- nello spazio che ricomprende anche i complessi di Sant’Agata<br />

49


e di Sant’Elena e sul - versante orientale - in quello in cui<br />

si edificheranno le chiese di Santa Giusta, oggi sparita, e di<br />

San Benedetto eretta su una via pubblica persistente.<br />

A partire da questi nuclei è possibile individuare un’<br />

ulteriore serie di tracciati e di risulta anch’esse nondimeno<br />

congrue sul piano metrologico; è il caso della prosecuzione da<br />

Santa Maria di Cepola, attraverso Santo Stefano, in direzione<br />

di Is Arenas favorita anche dalla panchina tirreniana che<br />

costituiva una sussistenza fondativa.<br />

<strong>Il</strong> percorso verso oriente, sul cui asse sorgerà la chiesa di<br />

San Benedetto - attraverso l’insediamento che preesisteva alla<br />

chiesa di S. Pietro - portava alla villa di Sant’Andrea -<br />

corredata di un piccolo balneum - e ad una serie di piccoli<br />

nuclei costieri afferenti a dinamiche più strettamente<br />

localistiche rispetto a quelli precedenti. <strong>Il</strong> fronte orientale<br />

infatti pare ricollegarsi solo incidentalmente ad attività<br />

marine, ed il caso della fattoria di Sant’Andrea, ma più<br />

precisamente alle attività ed al controllo della montagna.<br />

I ritrovamenti, per questa fase, costituiti da monete, da<br />

piccoli nuclei di sepolture, da cocciame, da tegole e da<br />

embrici, sono distribuiti con insistenza nei luoghi nuragici<br />

ben noti, per i quali è affatto legittimo presupporre<br />

un’azione di recupero da parte dei romani come pagi legati alle<br />

attività del bosco ma anche di controllo dei territori<br />

pedemontani e degli accessi dal mare. Tra quelli costieri mette<br />

conto citare come preminenti le aree di Geremeas in cui si<br />

segnalano apprestamenti idraulici (Fois 1969), Is<br />

50


Mortorius/Terra Mala (che registra una continuità d’uso senza<br />

soluzioni), Sant’Andrea (con una villa/fattoria legata ad<br />

attività produttive sia rurali che marine); in queste località<br />

gli apprestamenti sembrano essere pertinenti agli antichi<br />

attracchi, mai dismessi del tutto, e che continuano ad essere<br />

interdipendenti con i nuclei disposti sulle vallate fluviali<br />

nei quali inoltre la presenza di tegole ed embrici induce ad<br />

ascrivere molti dei lacerti murari in opera bruta al periodo<br />

romano.<br />

In queste aree le cartografie catastali segnalano toponimi<br />

referenziati tracciati i quali, allo stato, appena percebili<br />

nel territorio sono in relazione, attraverso la montagna, con<br />

la grande arteria orientale diretta a Ferraria e a Sarcapos.<br />

Gli spazi di risulta della fitta tessitura viaria ed i piccoli<br />

pagi divennero, nondimeno, centripeti nelle fasi successive;<br />

in queste zone infatti si rinvengono, a ridosso di antichi<br />

abitati nuragici, una serie di agiotoponimi bizantini (Paulis<br />

1983; Isdem 1987) ed al contempo dispositivi che rimandano a<br />

piccoli sacelli eremitali.<br />

Alla luce di quanto si è detto, la precisa localizzazione del<br />

quarto miglio discende dal complessivo quadro topografico<br />

delineato che denuncia già a partire dalla fase romana un<br />

assetto insediativo costituito da diversi aggregati di cui<br />

alcuni, posizionati all’interno dell’attuale abitato, dalla<br />

composizione strutturazione e ruolo diversi da quelli delle<br />

montagne o del litorale.<br />

51


Le diciture medievali aggregate al toponimo Quarto (Suso,<br />

Josso, domino etc) denunciano ancora la immutata puntiforme<br />

pluralità, non soccorrono tuttavia sulle loro puntuali<br />

dislocazioni topografiche e sulla loro origine e genesi.<br />

La complessiva organizzazione dei tracciati romani, i riscontri<br />

metrologici dei lotti in tal senso ancora persistenti a partire<br />

da quello di Santa Maria di Cepola e di Sant’Efisio fanno<br />

propendere, nell’ubicazione del quarto lapide a Karali, per<br />

un’area appena oltre il Ponte Is Paris / Is Paras, sul fronte<br />

settentrionale ed esterno dell’attuale abitato di <strong>Quartu</strong>.<br />

L’indicazione affeririva, nella generalità, alla serie degli<br />

nuclei che i Romani strutturano sui diverticula stradali<br />

(collegati e/o derivati dall’arteria orientale proveniente da<br />

Cagliari) sia a quelli interni all’attuale abitato sia a quelli<br />

dislocati sul fronte nordoccidentale connotandoli<br />

nell’identificazione toponomastica. Le attribuzione di josso e<br />

di suso, nella loro genesi, sono da ascrivere ad una sequenza<br />

geografica e metrologica, all’interno di una area contigua e<br />

ristretta, in cui il primo termine è da riferirsi alla porzione<br />

a nordovest dell’attuale abitato (la prima a Karali) e la<br />

successiva alla porzione a nordest, sempre dell’abitato<br />

attuale, e ulteriore nella progressione del tracciato stradale.<br />

Le incerte documentazioni sulla presenza di miliari all’interno<br />

dell’abitato (Meloni 1988) risultano comunque ininfluenti ai<br />

fini della loro collocazione topografica per la diffusa<br />

destinazione ad aste reggicroce di colonne e di miliari,<br />

utilizzate fin dall’altomedioevo per partire gli spazi di<br />

52


pertinenza di chiese, di conventi, di percorsi pellegrinali o<br />

di luoghi martiriali.<br />

53


3.06 La toponimia e la topologia del territorio quartese<br />

(Paulis 1983; Isdem 1987) da tempo avevano evidenziato una<br />

cospicua presenza bizantiva e più generalmente altomedievale.<br />

Si tratta in alcuni casi di toponimi referenzianti<br />

inequivocabilmente sia destinazioni d’uso di zone sia presenze<br />

selezionate: gruttas, Paras, cunventeddu, casteddu sono termini<br />

che inseriscono il territorio nelle due principali dinamiche di<br />

occupazione degli spazi coincidenti e/o connotanti il periodo,<br />

quella militare e quella monastica che nella fattispecie<br />

quartese in più di un caso risultano contestuali.<br />

Da tempo è stato acclarato che dopo un primo momento di crisi<br />

susseguente all’introduzione del Cristianesimo nell’isola,<br />

l’organizzazione della terra e delle proprietà furono riportate<br />

ai precedenti sistemi di produzione schiavile con il<br />

ricongiungimento delle famiglie schiavili nei latifondi (Mongiu<br />

1989), documentato dal Codice Teodosiano il quale, non<br />

diversamente, attesta anche la risistemazione ed il controllo<br />

del cursus publicus.<br />

<strong>Il</strong> processo sottrae i nostri territori all’inattendibile topica<br />

di una loro destrutturazione negli assetti giudico-<br />

amministrativi, nelle produzioni, nel governo degli<br />

insediamenti e delle loro topografie. Alle magistrature civili<br />

semmai si somma la presenza dell’autorità vescovile specie nel<br />

controllo e nell’esazione di rendite fondiarie, in virtù<br />

dell’appartenenza demaniale di molte di esse e di concessioni<br />

enfiteutiche da parte della famiglia imperiale in favore della<br />

54


mensa vescovile già a partire dalla fine del IV secolo (Mongiu<br />

1989), in linea con le risoluzioni che Costantino aveva<br />

adottato precedentemente per rendere più autonomo il clero<br />

nella cura delle anime e dei luoghi.<br />

Siffatto palinsesto non subisce particolari variazioni e<br />

sopravvive anche durante la presenza vandalica che non lo<br />

modifica come attesta il livello di autonomia nella gestione di<br />

risorse da parte dei vescovi africani a Cagliari e la qualità<br />

delle presenze nelle aree funerarie afferenti al complesso di<br />

San Saturno, diffusamente appartenenti al clero ma non<br />

diversamente anche persone legate all’attività saliniera.<br />

E’ semmai il tasso di militarizzazione introdotto dai Bizantini<br />

soprattutto a partire dal VII secolo, che modifica il rapporto<br />

con i territori che si affollano di strutture poliorcetiche<br />

nella doppia funzione contro le popolazioni locali e contro gli<br />

attacchi esterni. <strong>Il</strong> passaggio delle magistrature civili nelle<br />

mani dei militari, proprio a partire dal VII secolo, accentua<br />

questo carattere che inerisce nel controllo militare dei<br />

tracciati che in più di un caso hanno una destinazione<br />

soprattutto militare.<br />

Della nuova situazione nel territorio quartese se ne leggono<br />

abbondanti tracce senza distinzione tra le parti con semmai<br />

un’accentuazione nelle aree di entroterra o sul monte di<br />

Sant’Elia per il ruolo strategico di entrambi gli orizzonti.<br />

Alcuni luoghi erano già stati utilizzati in fase nuragica; è il<br />

caso di Su Forti Becciu e più ad oriente degli apprestamenti<br />

55


che da Santa Luria si dispongono lungo il versante di Flumini<br />

Cuba, dove più precisamente si registrano ristrutturazioni<br />

considerevoli nel nuraghe Santu Lianu (San Giuliano) ed una<br />

chiesa castrense, realizzata con pietrame di spoglio frutto<br />

della demolizione dei manufatti precedenti, secondo una<br />

consuetudine di allestire nei castra piccoli sacelli dedicati<br />

ad agiotoponimi guerrieri. Sullo stesso versante si richiama la<br />

presenza degli apprestamenti in sequenza su quote progressive<br />

ed in raccordo, noti come Sighientu (Gugliotta 1990) da<br />

leggersi, nella versione definitiva, come una progressione di<br />

bastioni di controllo dell’entroterra. A poca distanza da<br />

questa località sono visibili una serie di invasi, in una<br />

località chiamata sulle carte catastali Is Gruttas, che paiono<br />

congrui ad un piccolo insediamento rupestre di carattere<br />

eremitale a ridosso della fortifizazione.<br />

Trecce di risistemazioni si leggono nelle tessiture del nuraghe<br />

Diana a Is Motorius, nella cui area era ben conosciuta (Serra<br />

1973) una chiesetta bizantina ed un probabile piccolo convento<br />

della cui presenza si coglie traccia anche nella dicitura di un<br />

nuraghe appena discosto detto de Is Paras.<br />

Nell’entroterra dello stesso nella sequenza dei nuraghi<br />

Orixeddu e Cuccureddu sono diffuse tessiture apiccole e meie<br />

pietre che si differenziano dalla tecnica in opera bruta,<br />

maggioritaria nei complessi in questione. E’ tuttavia nel<br />

retroterra di Terra Mala, lungo i rii Is Stellas e Tuvu Mannu,<br />

che si leggono sistematici interventi e segnatamente nelle aree<br />

56


Tuvu Mannu e Callitas dove l’esistente viene trasformato in un<br />

apprestamento di naturale estensione. <strong>Il</strong> retroterra delle aree<br />

da ultimo richiamate ma anche dei dispositivi di Sighientu e Is<br />

Gruttas afferiscono ad entroterra, amministrativamente oggi nei<br />

Comuni di <strong>Quartu</strong>cciu e di Maracalagonis, di particolare<br />

rilevanza per le fasi in questione di cui si segnalano<br />

rispettivamente l’area di Piscina Nuxedda che ha restituito un<br />

piccolo ma strutturato insediamento con una necropoli dalle<br />

sepolture a cista e la chiesa di Santa Maria che conserva<br />

iscrizioni bizantine ed una serie di significativi manufatti di<br />

piena età bizantina.<br />

Sul fronte occidentale del territorio quartese G. Spano<br />

segnalava nella sua Guida la presenza della chiesa, dedicata a<br />

Sant’Elia, corredata da dispositivi idraulici, da lacerti<br />

murari ed una spelonca detta di San Giovenale; segnala<br />

nell’area un’altra serie di agiotoponimi senza ubicarli fatta<br />

salva la cosiddetta valle (San Luca), alle spalle della chiesa<br />

di San Bartolomeo, ed un Sant’Eliseo che insieme a Sant’Elia<br />

dava il nome alla saline orientale di Cagliari. Gli altri<br />

titoli Stefano, Giovanni non vengono ubicati ma denotano la<br />

precoce presenza di comunità religiose orientali nel monte;<br />

comunità eremitali che vivevano nei considerevoli, per numero e<br />

dimensione, invasi rupestri del monte in linea con<br />

comportamenti insediativi affrontati in città (Mongiu 1995).<br />

E’ al VII secolo che si ascrivono le sepolture con corredo<br />

rinvenute all’interno dell’attuale centro abitato nella via<br />

57


Minzoni (Serra 1990), e gli orecchini prevenienti da<br />

Funtanedda (Salvi 1990). La rilevanza del repertorio sul piano<br />

della qualità rimanda a comunità in cui sono presenti<br />

possessores in grado di praticare accumulazioni e l'acquisto di<br />

gioielli da poter utilizzare nondimeno come corredo funerario e<br />

ad una loro dislocazione abitativa topograficamente differente<br />

dagli abitati precedenti.<br />

La diffusa e copiosa presenza nel territorio di lo riconduce<br />

alla seconda delle due dinamiche, in apertura accennata, e cioè<br />

quella monastica e più diffusamente religiosa.<br />

Tra gli agiotoponimi risultano presenti sia quelli del<br />

sinassario ma non diversamente quelli martiriali (guerrieri e<br />

non), ed una larga serie di agiotoponimie femminili martiriali<br />

e non.<br />

La distribuzione degli stessi registra affollamenti in aree che<br />

in fase moderna risultano del tutto periferiche, attiene<br />

tuttavia tutte le porzioni con episodi architettonici<br />

indistintamente sub divo e rupestre oppure contestualmente (è<br />

il caso del monte Sant’Elia ma anche dell’area Is Gruttas).<br />

Nella sequenza sono presenti titoli di origine indistintamente<br />

occidentale, nordafricana, orientale e locale. L’insieme<br />

comunque denota una presenza nel territorio quartese altrimenti<br />

non sospettabile; è presumibilmente intrinseca al superamento<br />

delle soluzioni di continuità tra città e suburbio e ad una<br />

selezione topografica che privilegia complessivamente luoghi<br />

più sicuri e idonei alle nuove pratiche religiose.<br />

58


La polarizzazione degli agiotoponimi, all’interno dell’area<br />

occupata dall’attuale abitato, privilegia i luoghi di<br />

particolare strutturazione, fase romana, e segnatamente gli<br />

snodi dei tracciati con una gerarchia topografica non casuale<br />

nell’allineamento dei santi. Si assiste ad una coopresenza di<br />

agiotoponimi martiriali e non: è il caso di Sant’Efisio e Santa<br />

Maria, Sant’Agata e Sant’Elena, San Benedetto e Santa Giusta,<br />

San Pietro e Sant’Anastasia, Sant’Andrea (che spesso ha un<br />

doppio ruolo) e San Michele/Miali, Santo Stefano e Santa Maria.<br />

Le coppie, a cui tuttavia si aggiungono altri titoli presenti<br />

nel territorio (San Giovanni, Santu Lianu, San Forzonio, Santa<br />

Luria, Santa Barbara etc.) governano l’organizzazione delle<br />

topografie e garantiscono, ancorchè con competenze differenti,<br />

la continuità degli insediamenti nel nostro territorio. <strong>Il</strong><br />

carattere militare (Biblioteca Santorum passim) della maggior<br />

parte degli agiotoponimi, compresi quelli femminili (sia Agata<br />

che Elena ma anche Giusta spesso vengono rappresentate in abiti<br />

maschili e con la spada), viene appena integrato da una<br />

presenza di carattere taumaturgico rappresentato da sante di<br />

cui alcune di origine martiriale (Giusta, Agata).<br />

La sequenza dei titoli, di cui alcuni appartenenti alla prima<br />

generazione martiriale e riconducibili nell’affermazione<br />

topografica già all’interno del IV secolo, persistette a <strong>Quartu</strong><br />

con poche aggiunte e nondimeno con rare obliterazioni.<br />

E’ possibile, tuttavia, che nel corso dell’altomedioevo il<br />

rango gerarchico e topografico dei titoli abbia subito<br />

59


alterazioni anche nella proprietà ancora una volta intrinseca<br />

agli assetti proprietari delle diverse zone geografiche<br />

pertinenti alle chiese.<br />

Una conferma indiretta proviene dalla situazione che<br />

riscontriamo nell’XI secolo nel momento in cui nel Giudicato di<br />

Cagliari arrivano i Vittorini. Sono le chiese oggetto di<br />

donazioni e sono tuttavia le stesse che nelle stesse donazioni<br />

definiscono spazi, proprietà, attività (San Pietro di ponte,<br />

Sant’Efisio, Santa Maria di Cepola, Sant’Eliseo etc.), di un<br />

territorio che continua ad avere come perno le saline e lo<br />

stagno. L’arrivo dei mercanti pisani, su questo fronte, non<br />

altera il palinsesto.<br />

La sostituzione arricchisce il sistema chiesastico, in termini<br />

quantitativi e qualitativi ma non altera i grandi tracciati e<br />

le susseguenti ripartizioni segnate irreversibilmente dai<br />

Romani.<br />

60


REFERENZE BIBLIOGRAFICHE<br />

ATZENI 1986 = Atzeni Enrico, Cagliari preistorica (nota<br />

preliminare), in S. Igia, capitale giudicale (a cura di B.<br />

Fois), Pisa 1986.<br />

BERBARDINI 1987 = Bernardini Paolo, Tore Giovanni, Sui<br />

materiali del tempio a pozzo di Cuccuru Nuraxi di Settimo San<br />

Pietro (Cagliari), in La Sardegna nel Mediterraneo tra il<br />

secondo ed il primo millennio a. C., Cagliari 1987.<br />

BONDI 1988 = Bondi Filippo et alii, Dalle origini alla fine<br />

dell’età bizantina. Storia dei Sardi e della Sardegna, vol. I<br />

(a cura di M. Guidetti), Milano 1988.<br />

CERCHI PABA 1970 = Cherchi Paba Felice, <strong>Il</strong> Poetto, in Quaderni<br />

Storici e Turistici di Sardegna, n 12, Cagliari 1970<br />

FOIS 1969 = Fois Foiso, Iponti romani in Sardegna, Sassari 1969<br />

GUGLIOTTA s.d. = Gugliotta Gaetano, Qui <strong>Quartu</strong>: Guida storico<br />

turistica della città e del territorio, <strong>Quartu</strong> Sant’Elena s.d..<br />

MELONI 1988 = Meloni Cenzo, <strong>Quartu</strong> Sant’Elena: cronache e<br />

memorie, Cagliari 1988.<br />

MELONI 1990 = Meloni Piero, La Sardegna romana, Sassari 1990<br />

MARRAS 1991 = Marras Luisa Anna, La storia. L’età antica. I<br />

Sette fratelli (a cura di G. Sanna), Cagliari 1991.<br />

MELONI 1983 = Meloni Piero, La Sardegna meridionale nell’epoca<br />

punica e romana, in La Provincia di Cagliari, vol. I: ambiente,<br />

storia, cultura, Cinisello Balsamo, 1983<br />

MACIOCCO 1996 = Maciocco Giovanni, La città in ombra, in AA. VV.<br />

La città in ombra (a cura di G. Maciocco), Milano 1996.<br />

61


MONGIU 1989 = Mongiu Maria Antonietta, Cagliari e la sua conurbazione tra<br />

tardo antico e altro medioevo, in <strong>Il</strong> Suburbio delle città in Sardegna,<br />

Taranto 1989.<br />

MONGIU 1995 = Mongiu Maria Antonietta, Un quartiere tra polis e<br />

chora, in AA. VV, Cagliari. Quartieri storici. Stampace,<br />

Cinisello Balsamo 1995.<br />

MONGIU 1996 a = Mongiu Maria Antonietta, La città e le<br />

disavventure della dialettica del riconoscimento, in AA. VV,<br />

La città in ombra (a cura di G. Maciocco).<br />

MONGIU 1996 b = Mongiu Maria Antonietta, Lo Stagno di Cagliari:<br />

margine di Cagliari, in AA. VV, Santa Gilla tra passato e<br />

futuro (a cura di A. Deiana e R. Paracchini), Cagliari 1996<br />

MONGIU 1996 c = Mongiu Maria Antonietta, Ad Karalis Ripam, in<br />

AA. VV., Via Roma tra memoria e progetto, Catalogo. Mostra a<br />

cura dell’Assessorato alla cultura del Comune di Cagliari,<br />

Cagliari 1996.<br />

NIEDDU 1992 = Nieddu Giuseppe, La decorazione architettonica<br />

della Sardegna romana, Oristano 1992.<br />

PAULIS 1983 = Paulis Giulio, Lingua e cultura nella Sardegna<br />

bizantina, Sassari 1983<br />

PAULIS 1987 = Paulis Giulio, I nomi di luogo della Sardegna,<br />

volume I, Sassari 1987<br />

PATRONI 1951 = Patroni Giovanni, La preistoria in Storia<br />

politica<br />

dell’Italia, Milano 1951.<br />

SALVI 1990 = Salvi Donatella, Oreficerie altomedievali nei<br />

corredi funerari femminili, in Quaderni didattici della<br />

Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e<br />

Oristano, 3/1990, Cagliari 1990<br />

SALVI 1990 = Salvi Donatella, Nuove testimonianze di età<br />

altomedievale nel territorio di <strong>Quartu</strong> Sant’Elena, in Quaderni<br />

della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e<br />

Oristano, 7 1990,<br />

62


SERRA 1988 = Serra Paolo Benito, <strong>Quartu</strong> Sant’Elena (CA): coppia<br />

di orecchini aurei con cestello a calice floreale (orecchini di<br />

tipo I dalla Sardegna, in Quaderni della Soprintendenza<br />

archeologica per le province di Cagliari e Oristano, II (1987),<br />

Cagliari 1988<br />

SERRA 1990 = Serra Paolo Benito, Tombe a camera con volta a<br />

botte nei cimiteri altomedievali della Sardegna, in AA. VV., Le<br />

sepolture in Sardegna dal IV al VII secolo, Atti cel Convegno<br />

di Cuglieri 1987, Oristano 1990.<br />

SERRA 1973 = Serra Renata, Ruderi di una chiesetta tardobizantina<br />

a Is Mortorius, Annali della Facoltà di Lettere e<br />

Filosofia di Cagliari, vol XXXIV, 1972, Sassari 1973.<br />

SOMELLA 1988 = Sommella Paolo, Modelli urbani e geomorfologie<br />

degli insediamenti. L’urbanistica romana, in Itali Antica, Roma<br />

1988<br />

SOTGIU 1952 = Sotgiu Giovanna, Supplementum epigraphicum ad<br />

C.I.L. (7513-8013) Iscriptiones Sardiniae, Studi Sardi vol. X-<br />

XI (1952), Sassari 1952<br />

STRUGLIA 1990 = Struglia Giuseppe, I nuraghi di <strong>Quartu</strong><br />

Sant’Elena.Descrizione e guida, <strong>Quartu</strong> Sant’Elena.<br />

TORELLI 1983 = Torelli Mario, Greco Emilio, Storia<br />

dell’urbanistica. <strong>Il</strong> mondo greco, Bari 1983.<br />

TORELLI 1988 = Torelli Mario. Greco Emanuele, Storia<br />

dell’urbanistica. <strong>Il</strong> mondo romano, Bari 1988.<br />

UGAS 1989 = Ugas Giovanni e alii, Nuovi dati sull’insediamento<br />

di Su Coddu (Selargius), in La cultura di Ozieri. Problematiche<br />

e nuove acquisizioni. Ozieri 1989.<br />

USAI 1985 = Usai Emerenziana, <strong>Quartu</strong> Sant’Elena (Cagliari).<br />

Tombe di cultura Monte Claro in località Simbirizzi , NBAS, I<br />

(1984), Sassari 1985.<br />

63

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!