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L'albero dei fiori viola - Hooksbooks

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Sahar Delijani<br />

L’albero <strong>dei</strong> <strong>fiori</strong> <strong>viola</strong><br />

Traduzione di Federica Aceto<br />

Rizzoli


Proprietà letteraria riservata<br />

© Sahar Delijani, 2013<br />

All rights reserved<br />

© 2013 RCS Libri S.p.A., Milano<br />

ISBN 978-88-17-06578-8<br />

Titolo originale dell’opera:<br />

ChiLDRen of The jACARAnDA TRee<br />

Prima edizione: aprile 2013<br />

Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti<br />

sono il prodotto dell’immaginazione dell’Autore o sono<br />

usati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti, luoghi o persone<br />

reali, viventi o scomparse, è puramente casuale.<br />

Prestampa: Librofficina, Roma


1983<br />

Prigione di Evin, Teheran<br />

La cella, le cui mura luccicavano da tante erano le teste<br />

e le schiene che negli anni vi si erano appoggiate, si riempì<br />

di brusii concitati. Era l’eccitazione speciale di quando la<br />

vita sta per cambiare forma.<br />

Frementi per l’entusiasmo, le detenute aspettavano l’arrivo<br />

della neonata. Avevano ripulito ogni cosa, strofinato<br />

le pareti, lavato i tappeti. Quel giorno, per timore di sollevare<br />

polvere, vigeva il divieto assoluto di fare ginnastica.<br />

Un mucchietto di foglie portate in cortile dal vento era<br />

stato raccolto e sistemato in un contenitore di alluminio.<br />

Le sbarre di ferro proiettavano spessi fasci d’ombra sul<br />

foulard giallo limone appeso davanti alla finestra a mo’<br />

di tenda.<br />

Le facce di solito tristi e pallide erano raggianti al pensiero<br />

di quello che stava per accadere. Non era il giorno<br />

della doccia, ma decisero di farsi belle lo stesso, e cantando<br />

s’intrecciarono i capelli a vicenda.<br />

Nemmeno Firoozeh riusciva a contenere la felicità. A<br />

malapena rivolgeva la parola alle Sorelle. Invece, a chiunque<br />

fosse disposto ad ascoltarla, parlava di Donya, sua figlia.<br />

Raccontava di averla affidata ai suoi genitori il giorno<br />

in cui era stata arrestata, delle lacrime che versava ogni<br />

notte al pensiero della sua lontananza. Una volta uscita<br />

di prigione, avrebbe lasciato il Paese insieme a Donya.<br />

Partire senza mai guardarsi indietro, diceva aggrottando la<br />

fronte come se le fosse tornato in mente un brutto sogno.<br />

3


Nell’udire un rumore di passi e il pianto di un neonato,<br />

corsero tutte verso la porta. Ridevano, applaudivano, si<br />

davano pacche sulle spalle. Quando la porta si aprì e Azar<br />

entrò con la bimba infagottata, proruppero in grida di<br />

gioia come quelle che si sentono ai matrimoni. La Sorella<br />

fece la faccia torva e ordinò loro di stare zitte.<br />

Azar rise, rise nel vedere le donne vestite a festa, le pareti<br />

linde, il foulard trasformato in tenda. Il suo corpo vibrava<br />

delle grida di esultanza delle compagne. Circondata<br />

da tanta felicità, dimenticò tutto. Dimenticò lo sguardo<br />

severo e penetrante di sua figlia. Dimenticò il dolore, le<br />

viscere ferite, la paura e il senso di colpa. Si sentì all’improvviso,<br />

inaspettatamente, a casa.<br />

La bimba passò da un abbraccio all’altro. I corpi si riscaldavano<br />

nello stringerla, tutte desideravano poterla cullare<br />

ancora un po’, tutte esitavano a consegnarla nelle mani<br />

affamate delle compagne. Mani ansiose di afferrarla.<br />

Di aggrapparsi a lei.<br />

Poi videro che era nuda dentro quella coperta ruvida<br />

e trasalirono. Ma non dissero nulla. Le tolsero la coperta<br />

di dosso e la avvolsero in un morbido chador stampato a<br />

minuscole margherite.<br />

Guardarono la piccola e poi gli occhi di Azar. Riuscivano<br />

ancora a vedere la paura appesa alle sue ciglia, l’incredulità<br />

sulle labbra screpolate: sua figlia era viva, lei era<br />

viva.<br />

Portarono la ciotola di acqua fresca che avevano messo<br />

da parte accanto al lettino di foglie e lavarono il viso di<br />

Azar.<br />

«È tutto passato, ora» dicevano accarezzandole le mani.<br />

«Ora sei al sicuro. Sei con noi.»<br />

Le massaggiarono le spalle. Chiusero gli occhi per non<br />

vedere la ferita che aveva dentro.<br />

«Come si chiama?» chiese Marzieh, la più giovane di<br />

4


tutte, prendendo con cautela la piccola dalle braccia di<br />

Firoozeh.<br />

Azar fece un respiro profondo. «Neda» disse e d’istinto<br />

giunse le mani.<br />

Erano sedute a guardare il fazzoletto bianco che si<br />

sollevava e ricadeva al ritmo del respiro di Neda. In un<br />

angolo della cella, Firoozeh faceva ginnastica: saltellava,<br />

sforbiciava gambe e braccia, tutta rossa in viso. C’era poca<br />

aria nella cella, e lei aveva il fiatone.<br />

Azar aveva messo il fazzoletto sulla faccia della bimba<br />

per non farle respirare la polvere sollevata da Firoozeh.<br />

«Sono sicura che organizzeranno un incontro con tuo<br />

marito prima di mandarla via» disse Marzieh con voce sognante,<br />

alzando gli occhi verdi sui pochi vestitini stesi ad<br />

asciugare su una corda.<br />

Era passato quasi un mese. Il viso della bimba stava<br />

pian piano perdendo il colorito rosa acceso della nascita.<br />

Le rughe si stavano spianando. Lo sguardo acquistava<br />

nuove sfumature. E il latte di Azar, inizialmente acquoso,<br />

adesso era più denso.<br />

Azar godeva della sua nuova condizione di madre. Portava<br />

i seni gonfi con orgoglio. Persino nella stanza degli<br />

interrogatori provava un brivido di piacere quando sentiva<br />

i capezzoli pizzicare e il seno inturgidirsi. Quasi che<br />

il latte potesse proteggerla, renderla invincibile. Il liquido<br />

caldo le colava fin sulla pancia, mentre l’uomo che la<br />

interrogava ripeteva le stesse domande in ordine sempre<br />

diverso per farla cadere in contraddizione, per coglierla in<br />

fallo. Ma Azar lo ascoltava a malapena. Si abbandonava<br />

al calore del proprio corpo, che aspettava solo di potersi<br />

ricongiungere con quello della bimba, dolce e appiccicoso<br />

come il nettare di un albero.<br />

Per le altre detenute, Neda era diventata la principale<br />

5


distrazione. Non ne avevano mai abbastanza di lei. L’ammiravano<br />

con occhi intrisi di solitudine e bocche piene<br />

di complimenti. Si raccoglievano attorno a lei come fosse<br />

un santuario. Chiedevano di poterla tenere in braccio, di<br />

poter vegliare su di lei quando dormiva, di poterle pulire<br />

la bocca quando starnutiva.<br />

Nella cella la vita era cambiata. Ruotava attorno alla<br />

bambina. E quanto più Neda rimaneva fra loro, tanto più<br />

le prigioniere si organizzavano. Le facevano vestitini usando<br />

la stoffa <strong>dei</strong> loro chador. Crescerà così in fretta nei primi<br />

mesi, vedrai, dicevano. Esentavano Azar dallo sciacquare<br />

i piatti perché avesse il tempo di lavare i pannolini. Facevano<br />

il bagno alla piccola nel catino dell’acqua calda. Le<br />

leggevano le lettere che avevano ricevuto. Giocavano con<br />

lei. Le cantavano canzoni.<br />

Tutte vivevano nel terrore di essere trasferite in un’altra<br />

cella o in un altro carcere. Non volevano lasciare quel posto<br />

dove la voce di una bambina squillava come una sirena<br />

di vita. Il loro mondo era tutt’uno con i suoi respiri e le sue<br />

pappe, con il suo succhiare e il suo svuotarsi. Il loro mondo<br />

ora aveva un significato. Non era più un buco nero.<br />

Ma sapevano che non sarebbe durata a lungo. Ogni<br />

giorno poteva essere l’ultimo. Lo sapevano. Lo sapeva anche<br />

Azar.<br />

La bimba non le apparteneva. Avrebbero potuto portargliela<br />

via quello stesso giorno. Doveva farsi trovare<br />

pronta. Ma come?<br />

«Forse ti concederanno di portarla dai tuoi genitori.<br />

Avrai un giorno di permesso e potrai lasciarla a loro» disse<br />

una delle compagne giocherellando con un bottone allentato<br />

della camicia.<br />

Azar sorrise scettica e triste, e intanto ascoltava il ciabattare<br />

delle infradito nel corridoio, il fruscio <strong>dei</strong> chador<br />

e le chiacchiere delle Sorelle oltre la porta.<br />

6


«Non succederà niente di tutto questo» disse, cercando<br />

di dominare l’emozione. «Quando penseranno che ho<br />

trascorso abbastanza tempo con lei, apriranno la porta,<br />

giusto tanto così, e la porteranno via.» Aprì di poco le<br />

mani per mostrare quanto stretto sarebbe stato quello spiraglio.<br />

Borbottii di protesta si diffusero nella stanza. Azar, sempre<br />

così pessimista.<br />

Da sotto il fazzoletto, Neda fece un piccolo verso e<br />

mosse la testa. Tutte le donne si girarono a guardarla. Si<br />

era svegliata.<br />

Era passata un’altra settimana e ancora Azar non aveva<br />

saputo niente riguardo a Neda. Non era stata chiamata<br />

nell’ufficio della Sorella. Si sentiva leggera, in grado di<br />

affrontare qualsiasi cosa. Forse non le avrebbero tolto la<br />

bambina. Non c’era nulla di male a sperare, dopotutto.<br />

Ricominciò a cucire vestitini e su uno ricamò una bambina<br />

in un campo di <strong>fiori</strong>. Riprese a indossare la sua camicia<br />

con i <strong>fiori</strong> gialli e rosa, dai colori così luminosi che sembravano<br />

brillare anche di notte, e a ballare il lezgi battendo<br />

forte i piedi per terra, con i <strong>fiori</strong> gialli e rosa che<br />

rimbalzavano su e giù al ritmo del battito delle mani delle<br />

compagne. I <strong>fiori</strong> sembravano prendere vita, insieme alle<br />

sue guance rosse, agli occhi neri e ai folti capelli ondulati.<br />

Tutte dicevano che in quei momenti era bellissima.<br />

Azar si offrì di tagliare i capelli alle altre, usando le forbici<br />

che avevano a disposizione per un’ora soltanto una<br />

volta ogni due o tre settimane. Stranamente, le Sorelle non<br />

si preoccupavano che le detenute potessero usarle per<br />

ferirsi o magari per togliersi la vita. Non gliene sarebbe<br />

importato nulla, se qualcuna si fosse uccisa. Anzi, il loro<br />

lavoro sarebbe stato più facile: una prigioniera in meno<br />

di cui occuparsi. E le detenute lo sapevano. Ecco perché<br />

7


nessuna usava le forbici contro se stessa. Non volevano<br />

dare quella soddisfazione alle Sorelle.<br />

La prima a cui Azar tagliò i capelli fu Marzieh, poi fu<br />

il turno di una ragazza che poco dopo venne trasferita in<br />

un’altra cella. Azar si sforzava di imitare il modo in cui<br />

sua sorella, una parrucchiera, teneva le ciocche tra due<br />

dita ben tese e le accompagnava incontro alle lame. Non<br />

c’erano specchi in carcere. Le compagne di cella potevano<br />

solo fidarsi di lei. Poi un giorno Firoozeh chiese ad Azar<br />

di tagliarle i capelli.<br />

Azar avrebbe preferito non farlo. Sapeva che Firoozeh<br />

aveva fatto la spia sul suo conto, quando lei era ancora incinta:<br />

aveva detto alle Sorelle di averla vista ballare il lezgi.<br />

In prigione non era consentito ballare. Le donne dovevano<br />

pregare e basta, non mettersi a sgambettare e saltare<br />

al ritmo di una musica che esisteva solo nelle loro teste.<br />

Come punizione, Azar era stata portata sul tetto, dove era<br />

rimasta per ore in piedi sotto la pioggia. La pioggia doveva<br />

lavarle di dosso la musica e purificare la creatura che<br />

portava in grembo. La pioggia le avrebbe fatto capire che<br />

il carcere non era il luogo adatto per rievocare i ricordi<br />

d’infanzia. Quel giorno Azar aveva giurato che non avrebbe<br />

mai più avuto nulla a che fare con Firoozeh. Eppure<br />

persino lei era cambiata dopo l’arrivo della bambina, e in<br />

fondo, pensò Azar, che senso aveva serbare rancore nella<br />

situazione in cui erano?<br />

Firoozeh prese posto sulla sedia al centro del pavimento<br />

umido e sporco del bagno. Azar era in piedi alle sue<br />

spalle con le forbici in mano, e guardava la spessa treccia<br />

sinuosa che arrivava a sfiorare il fondoschiena della compagna.<br />

Azar non aveva nemmeno un pettine.<br />

Dopo un momento di esitazione, posizionò le forbici<br />

nel punto in cui cominciava la treccia, all’altezza della<br />

nuca di Firoozeh, e le fece scattare. Invece del rumore<br />

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secco che si era aspettata, si udì il debole stridio delle<br />

lame che invano si sforzavano di farsi strada tra i capelli<br />

intrecciati. Azar aprì e chiuse di nuovo le forbici, ma la<br />

treccia era più forte. Invece di lasciarsi recidere, si disfaceva,<br />

sottraendosi al timido tocco delle lame. Azar provò<br />

di nuovo, aprì e chiuse le forbici, finché i capelli schizzarono<br />

tutto attorno e sulla testa di Firoozeh non rimasero<br />

due sole ciocche della stessa lunghezza. Allora Azar si rese<br />

conto che avrebbe dovuto sciogliere la treccia prima di<br />

cominciare a tagliare. Ma ormai era troppo tardi. Continuò<br />

a tagliare finché mezza treccia, monca e arruffata,<br />

non si staccò. Alzò lo sguardo. Le faceva male il polso. Le<br />

compagne di cella osservavano in silenzio. Firoozeh era<br />

l’unica a non essersi accorta dello scempio che Azar stava<br />

compiendo. La lampadina sopra le loro teste conferiva ai<br />

visi un pallore mortale.<br />

Azar guardò la treccia che penzolava dalla testa di<br />

Firoozeh. Sfilò dalle forbici i ciuffi di capelli recisi e si<br />

rimise al lavoro. Si accanì con disperata determinazione,<br />

come se stesse cercando di rianimare un bambino. Quando<br />

anche l’ultimo pezzo di treccia cadde a terra, nella cella<br />

il silenzio si fece assoluto. I ciuffi superstiti sulla testa<br />

di Firoozeh sparavano in tutte le direzioni. Azar cercò di<br />

sistemarli tagliando ancora qua e là, ma non faceva che<br />

peggiorare la situazione. Si arrese. non ci sono specchi qui,<br />

pensò, cercando di consolarsi.<br />

«Come sto?» chiese Firoozeh, guardandosi intorno<br />

con gli occhi sgranati.<br />

«È un taglio moderno» provò a sdrammatizzare Azar.<br />

In fondo erano in prigione. Che importanza può mai avere<br />

un taglio di capelli?<br />

Nessuna parlava. Gli occhi delle donne si spostavano<br />

da Azar a Firoozeh, da Firoozeh ad Azar. Fu allora che<br />

Marzieh, con Neda addormentata in braccio, scoppiò in<br />

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una risata fortissima che andò a schiantarsi contro il soffitto<br />

e ricadde su di loro come polvere da sparo. Tutte la<br />

guardarono, stupefatte. Ma Marzieh rideva, rideva, e la sua<br />

risata, come la miccia che innesca una reazione a catena,<br />

contagiò le altre detenute, che a loro volta risero fino a restare<br />

senza fiato. Un turbine di risate, scatenato, selvaggio.<br />

Firoozeh le guardava esterrefatta. «Perché ridete?»<br />

chiese, toccandosi i capelli.<br />

«Come taglio è un po’ disordinato» disse Azar, ridacchiando<br />

anche lei. Specchio o no, probabilmente era meglio<br />

dirle la verità. «Ma va di moda» insisté.<br />

«Che cosa?!» Firoozeh si girò di scatto. Balzò in piedi<br />

come se volesse avventarsi su Azar, le narici dilatate dalla<br />

furia. Gli occhi sembravano ancora più grandi del solito.<br />

«Che cosa hai fatto? Che cosa mi hai fatto?» gridava. Afferrò<br />

Azar per le spalle e cominciò a scuoterla.<br />

Azar si irrigidì. Sentì una vampata di calore salirle al<br />

volto. Le risate s’interruppero di colpo. Adesso le donne<br />

guardavano la scena con apprensione. Azar provò a dire<br />

qualcosa, una cosa qualsiasi per consolare Firoozeh, per<br />

convincerla a lasciarla andare.<br />

A quel punto Parisa arrivò quasi di corsa e posò una<br />

mano sulla spalla di Firoozeh. «Calmati, Firoozi. Non è<br />

niente. Lasciala.»<br />

Firoozeh fissava Azar con rabbia e non mollava la presa.<br />

Azar sentiva il suo fiato sul viso.<br />

«Lasciala» ripeté Parisa.<br />

«Sono solo un po’ irregolari» mormorò Azar, cercando<br />

di fare un passo indietro.<br />

Stringeva le forbici come se volesse usarle per aprirsi<br />

un varco nelle pareti del bagno. «Avrei dovuto sciogliere<br />

prima la treccia. Mi dispiace.»<br />

Col viso paonazzo e senza staccarle gli occhi di dosso,<br />

Firoozeh lasciò andare Azar. C’era qualcosa di esasperato,<br />

10


di imprevedibile, nello sguardo di Firoozeh. Parisa tolse la<br />

mano dalla sua spalla, ma non si allontanò.<br />

«Mi dispiace» ripeté Azar con la voce tesa e la gola che<br />

le pulsava. Guardò Parisa come per scusarsi anche con lei.<br />

«Non era mia intenzione combinare un pasticcio.»<br />

«Sono solo capelli» disse Parisa. «Ricresceranno.»<br />

Firoozeh non le ascoltava, continuava a toccarsi la testa.<br />

Rimase immobile per qualche secondo senza guardare<br />

Azar. Prima di uscire dal bagno, le strappò le forbici di<br />

mano.<br />

Le donne vestite di grigio fissavano Azar con occhi<br />

ansiosi. Il rumore di un rubinetto che perdeva riempiva<br />

l’aria. Parisa le guardò una a una e, con un sorriso triste,<br />

seguì Firoozeh fuori dal bagno.<br />

Azar si svegliò di soprassalto. Aveva sete e la sua lingua<br />

era secca come un pezzo d’argilla. Era mattina presto. La<br />

luce argentata dell’alba penetrava nell’angusta cella attraverso<br />

il chador giallo, scendeva sulle pareti nude e sulle<br />

sagome irregolari rannicchiate l’una accanto all’altra sul<br />

pavimento. Ancora pochi istanti e i primi raggi di sole sarebbero<br />

arrivati a lambire la porta di ferro, che come sempre<br />

era chiusa a chiave. Azar si girò su un fianco e posò<br />

una mano sul corpo caldo di Neda. Dopo essersi assicurata<br />

che la bambina dormiva e respirava normalmente, si<br />

trasse a sedere. Strizzò gli occhi nel tentativo di individuare<br />

Firoozeh. E se avesse deciso di vendicarsi? Se avesse<br />

dato un calcio a Neda, se le avesse schiacciato la testa con<br />

una pedata?<br />

Erano diverse notti che Azar non dormiva; da quando,<br />

dopo il disastro della treccia, gli occhi arrabbiati e vendicativi<br />

di Firoozeh le si erano incollati addosso. Ogni notte<br />

Azar rimaneva sveglia finché non era sicura che Firoozeh<br />

si fosse addormentata. A volte Marzieh le dava il cambio,<br />

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altre volte Parisa restava di guardia per consentirle di riposare<br />

almeno per qualche ora.<br />

Vide Firoozeh in fondo alla cella, vicino alla porta di<br />

ferro chiusa, distesa a terra come tutte le altre. Era immobile,<br />

accoccolata sotto la coperta. Il suo corpo emanava un<br />

senso di stanchezza estrema, le braccia giacevano lungo i<br />

fianchi come prive di vita e la testa era buttata all’indietro<br />

sul cuscino. Sembrava una vecchia a stento capace di<br />

alzarsi e di reggersi in piedi. Era proprio quella sua stanchezza<br />

a spaventare Azar, lo sfinimento di chi non ha più<br />

niente da perdere, di chi può decidere con noncuranza<br />

di fare del male a un altro, oppure di lasciarlo in pace.<br />

Imprevedibile è la stanchezza dell’anima.<br />

Azar si appoggiò al cuscino dietro di sé. Rimboccò la<br />

coperta a sua figlia. Presto Neda si sarebbe svegliata e<br />

avrebbe chiesto da mangiare. I minuti scorrevano lenti.<br />

Azar aspettava con impazienza che Neda si svegliasse per<br />

offrirle i seni pieni di latte, quel latte che già le bagnava<br />

la camicia. Ogni volta che la bambina dormiva, Azar non<br />

vedeva l’ora che riaprisse gli occhi. Non c’era niente che la<br />

facesse sentire sicura come tenerla tra le braccia, quando<br />

le labbra della bimba, dopo qualche istante di famelica e<br />

ansiosa ricerca, agganciavano il capezzolo e cominciavano<br />

a succhiare con forza. Azar viveva nell’attesa di quei<br />

momenti.<br />

Il respiro regolare delle compagne riempiva la stanza.<br />

Firoozeh non si era mossa. Azar si distese, e con delicatezza<br />

allungò il braccio a proteggere la piccola testa di Neda.<br />

Il giorno in cui Azar fu convocata nell’ufficio della<br />

Sorella, il cielo era nuvoloso. La preghiera del pomeriggio<br />

era finita da poco e il pezzo di cielo oltre la finestra<br />

dell’ufficio era grigio, coperto. La finestra non aveva tende.<br />

Nella stanza c’erano una scrivania, una sedia e la foto<br />

del Leader Supremo con la lunga barba bianca appesa al<br />

12


muro. Alle spalle della Sorella armadi pieni di carte, documenti,<br />

fascicoli, ognuno con la sua vita e con la sua storia.<br />

firoozeh ha finalmente deciso di vendicarsi, pensò Azar.<br />

Sentì in lontananza lo stridulo verso di un corvo. Una mosca<br />

ronzava sul davanzale. Perché me la vogliono portare<br />

via? ho ancora il latte.<br />

Una farfallina bianca entrò nella cella attraverso le<br />

sbarre della finestra. Azar la osservò svolazzare in giro per<br />

un po’. La farfalla veniva dalle montagne, che erano vicinissime.<br />

Azar la guardò finché non si posò sul chador<br />

giallo.<br />

La cella era vuota. Le altre detenute erano in cortile a<br />

godersi qualche minuto di aria fresca. «Io rimango dentro»<br />

aveva detto Azar, senza guardarle in faccia. Voleva<br />

usare quei pochi momenti di calma per allattare Neda,<br />

cosa che fece con un fervore persino maggiore del solito:<br />

desiderava dissolversi nel suo latte e finire dritta dentro la<br />

bocca di sua figlia, così da rimanere con lei per sempre,<br />

senza che le Sorelle o chiunque altro potessero separarle.<br />

Erano passati quattro giorni e ancora non le avevano<br />

comunicato quando avrebbero portato via la bambina.<br />

Azar aveva i brividi ogni volta che sentiva il fruscio di<br />

un chador, ogni volta che il rumore delle ciabatte si avvicinava<br />

alla porta. Anche dopo che il fruscio e le ciabatte<br />

si erano allontanati, il suo respiro stentava a ritrovare il<br />

ritmo giusto.<br />

L’ansia le faceva scivolare addosso ogni cosa come se<br />

fosse sabbia. Non ci vedeva più, non ci sentiva più. Il suo<br />

latte aveva una consistenza strana, impalpabile. Il mondo<br />

aveva cominciato a perdere la sua realtà. Azar non riusciva<br />

più a tenervisi aggrappata. L’unica cosa a cui riusciva ad<br />

aggrapparsi era un nuovo giorno. Come se fosse l’ultimo<br />

della sua vita. Come se stesse aspettando la morte con un<br />

13


accio attorno a sua figlia e l’altro attorno a se stessa.<br />

Azar respirava ancora, ma presto tutto sarebbe finito.<br />

Mormorii filtravano nella cella attraverso le sbarre<br />

della finestra. Azar sapeva di cosa parlavano le altre. Dal<br />

giorno in cui era stata nell’ufficio della Sorella, tutte le<br />

conversazioni erano diventate sussurri. Sulle detenute era<br />

calato un peso che aveva smorzato loro la voce. Stavano<br />

sedute in fila lungo i muri bassi, con i capelli sciolti sui visi<br />

spigolosi e spenti, la fronte solcata da rughe di sconforto.<br />

Non facevano che chiedere Quando? Quando? Era come<br />

se qualcosa fosse volato via dal loro corpo, evaporato<br />

nell’aria spessa e viziata della cella.<br />

Azar smise di ascoltare i sussurri dolenti che venivano<br />

da fuori. Non riusciva a sopportarli. Si concentrò soltanto<br />

sul rumore delle labbra di Neda che si muovevano feroci<br />

avanti e indietro; guardò il bagliore delicato del giorno sul<br />

suo viso, le spesse ciglia scure lungo le palpebre. L’ansia le<br />

montò dentro irrefrenabile all’idea di separarsi da lei, del<br />

vuoto senza fondo in cui sarebbe precipitata.<br />

Aveva cominciato ad avere incubi in cui Neda piangeva<br />

nello scantinato della casa di sua madre. Sola, bagnata,<br />

affamata. Nessuno la soccorreva. Nemmeno la nonna. Lo<br />

scantinato era buio e freddo e Neda continuava a piangere<br />

finché Azar non si svegliava col cuscino zuppo di lacrime.<br />

Sua madre si sarebbe presa cura di Neda? O l’abbandono<br />

di Azar l’aveva ferita al punto da impedirle di voler bene<br />

alla nipote? Come poteva Azar aspettarsi aiuto dai genitori<br />

quando li aveva abbandonati senza farsi alcuno scrupolo?<br />

Sarebbero stati capaci di perdonarle tutte le volte che<br />

erano andati a cercarla e la sua porta era rimasta chiusa?<br />

Azar non aveva nemmeno detto loro di essere incinta.<br />

Aveva negato ai suoi genitori l’attesa, la gioia, l’orgoglio<br />

di sentirsi partecipi della sua vita. Come potevano aver<br />

reagito alla telefonata che li aveva informati della nascita<br />

14


della nipotina? Si erano sentiti felici? Scioccati? Almeno<br />

adesso sanno che sono viva, pensò Azar, ma quel pensiero<br />

non bastò a rasserenarla. Era divorata dal senso di colpa.<br />

Nella testa aveva un turbinio di domande a cui non<br />

trovava risposta. Ogni notte gli incubi tornavano, e ogni<br />

mattina Azar metteva il cuscino in un angolo ad asciugare.<br />

Azar posò lo sguardo su Neda e vide che si era già riaddormentata<br />

e che le labbra si staccavano lentamente dal<br />

seno. La vista le si annebbiò e si coprì il volto con la mano.<br />

Dentro di lei si ruppe qualcosa che nessuno sarebbe stato<br />

in grado di rimettere insieme, mai più. Quando rialzò lo<br />

sguardo, la farfalla era sparita.<br />

Pioveva. Non era ancora calata la sera. Nel cortile, le<br />

gocce di pioggia battevano sulla tettoia di lamiera. Le donne<br />

erano sedute sulle coperte arrotolate e addossate alle<br />

pareti. Alcune chiacchieravano a bassa voce scambiandosi<br />

ricordi, altre scrivevano lettere ai loro cari o leggevano per<br />

l’ennesima volta quella ricevuta dal marito mesi prima;<br />

altre ancora fissavano la parete con espressione assente,<br />

canticchiando vecchie canzoni sottovoce. In un angolo,<br />

piatti e cucchiai di plastica lavati e asciugati erano impilati<br />

in ordine uno sopra l’altro. La luce fioca della lampadina<br />

cadeva sui vestiti sistemati accanto a ogni giaciglio.<br />

La porta si aprì appena. Qualcuno chiamò il nome di<br />

Azar. Lo spiraglio era giusto grande abbastanza perché ci<br />

passasse la bimba.<br />

Azar trasalì. Tutti gli sguardi corsero verso la porta.<br />

I secondi passavano. Azar rimaneva seduta e ansimava,<br />

come se i suoi polmoni avessero smesso all’improvviso di<br />

ricevere ossigeno.<br />

Il suo nome risuonò per la seconda volta.<br />

Accanto a lei, Neda emetteva piccoli versi, sembrava<br />

cantasse. Azar la prese tra le braccia. Il corpo della bambina<br />

era morbido, già più pesante rispetto ai primi giorni,<br />

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perché stava crescendo bene. Azar avrebbe voluto alzarsi,<br />

ma qualcosa la tirava verso il basso, verso terra. Due mani<br />

la afferrarono per le spalle e la sollevarono, aiutandola a<br />

ritrovare l’equilibrio. Azar fece un passo, poi un altro. Le<br />

donne raccolsero le ginocchia al petto mentre Azar sfilava<br />

arrancando davanti a loro, il viso segnato da emozioni impossibili<br />

da descrivere, da riconoscere.<br />

Un momento le mani tremanti di Azar reggevano un<br />

piccolo corpo pieno di vita. L’attimo dopo erano vuote.<br />

La Sorella la spinse via e richiuse la porta.<br />

Azar scivolò lungo il muro come una goccia di pioggia<br />

sul vetro. La testa si piegò e ricadde sulla spalla. I seni<br />

pesanti scivolarono di lato. La camicia era fradicia di latte.<br />

Le sue braccia erano vuote. La porta di ferro chiusa a<br />

chiave.<br />

Nella stanza regnava il silenzio, il silenzio del lutto.<br />

Marzieh e Parisa cercarono di farla alzare in piedi. Avevano<br />

il viso arrossato e faticarono a sistemare le braccia flosce<br />

di Azar attorno alle proprie spalle. Era pesante come<br />

se fosse morta. Il latte le colava sulla pancia. Latte orfano.<br />

Latte caldo, appiccicoso, nauseabondo.<br />

Dal fondo della cella, Firoozeh si avvicinò ad Azar con<br />

un chador in mano. Sedette accanto a lei, il viso contorto<br />

per il dolore, il rimorso o la pena, come se qualcuno la<br />

stesse picchiando da dentro. Azar avrebbe voluto allontanarsi,<br />

avrebbe voluto attaccarla, prenderla a unghiate. Ma<br />

continuava a starsene lì immobile, disfatta.<br />

Una voce si levò nella cella. Una canzone tremante, che<br />

parlava di ricordi e di vite sradicate, fatte a pezzi.<br />

Non c’erano più alberi dentro di loro.<br />

Con delicatezza, Firoozeh sollevò la camicia bagnata<br />

di Azar e le legò il chador attorno al seno per fermare il<br />

flusso di latte.<br />

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