Maria Francesca Siciliani: la mia Suor Angelica Alma ... - De Benaco

Trib. di Brescia n. 20/09 del 16/03/09
Editrice Associazione Culturale De Benaco di Desenzano del Garda (Bs)
Mensile - Anno 2 - N. 11 di marzo 2010
DISTRIBUZIONE GRATUITA
Maria Francesca Siciliani:
la mia Suor Angelica
Alma che crea
sogni di stoffa
Utopia di un lavoro
dignitoso e sicuro

L’AGO
Direzione Cultura
Editore
Associazione culturale De Benaco
Registrazione
Tribunale di Brescia N° 20/09 del 16/03/09
Consiglio direttivo
dell’Associazione culturale De Benaco
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Brescia Bar Atelier - corso Del Gambero
Carpenedolo Erboristeria La betulla - via Torre
Castiglione d.S. Concessionaria Mutti Auto - via Carpenedolo
Castiglione d.S. Superottica - Centro comm. Benaco
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Castiglione d.S. Arcidallo - p.zza U. Dallo
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Castiglione d.S. Bar Regina Café - via S. Pietro
Castiglione d.S. Bar c/o Ospedale S. Pellegrino
Castiglione d.S. Pizzeria da asporto Olimpo - loc. Chiassi
Centenaro Centener Cafè
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Desenzano d.G. Edicola Il Chiosco - lungolago Anelli
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Desenzano d.G. Foto-ottica Rampani - via Roma
Desenzano d.G. Pizzeria da asporto Pizzaland - via Rambotti
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Desenzano d.G. Libreria Giunti - p.zza G. Matteotti
Desenzano d.G. Parrucchiere Jean Louis David - via Adua
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Desenzano d.G. Edicola e Bar presso la stazione ferroviaria
Desenzano d.G. Sede Avis - presso ospedale Montecroce
Desenzano d.G. Forneria “Gozzi” - viale Cavour
Lonato d.G. Trattoria Al Folzone - via Folzone
Lonato d.G. Municipio - p.zza Martiri Della Libertà
Lonato d.G. Centro commerciale La Rocca
Lonato d.G. Cartolibreria “Al Corlo” - piazzetta Corlo
Manerba Caffè Taverna - p.zza Aldo Moro
Manerba Osteria del lago - via Risorgimento
Manerba d.G. Bar Amici - via S. Maria
Montichiari Ristorante Antica Osteria del Gambero - via Felice Cavallotti
Peschiera d.G. Municipio - p.le Betteloni
Peschiera d.G. Caffè centrale - p.zza S. Marco
Peschiera d.G. Gelateria Alle Vecchie Mura - Riviera Carducci
Peschiera d.G. Caffé Carducci - Riviera Carducci
Peschiera d.G. Clinica Pederzoli - via Monte Baldo
Pozzolengo Municipio e Pro Loco - P.zza Repubblica
Rivoltella Biblioteca civica - via F. Agello
Rivoltella Edicola La nuova edicola - via di G. Di Vittorio
Rivoltella Pizzeria Centrale - via G. Di Vittorio
Rivoltella Agrigelateria Cavaliere - Loc. Fenilazzo
Rivoltella Pizzeria Caravelle - via Giovanni XXIII
Rivoltella Pizzeria-rosticceria Linus e Pasticceria c/o il c. comm. Le Ginestre
Rivoltella Tabaccheria Bocchio - via Durighello
Rivoltella Pizzeria Davidone - via F. Agello
Rivoltella Ambulatorio Medici Insieme - via G. Di Vittorio
Rivoltella Gelateria Tipsy’s - Via G. Di Vittorio
Rivoltella Pescheria Abate - Via F. Agello
Salò Once upon a time - lungolago Zanardelli, 10
San Benedetto d.L. Bar Gardenia - viale Indipendenza
San Martino d.B. Edicola e cartolibreria - p.zza Della Concordia
San Martino d.B. Ristorante e pizzeria Hops - via Colli Storici
San Martino d.B. Osteria Alla Torre - via Torre
San Pietro di Desenzano Bar Don Carlos
Sirmione Edicola c/o stabilimento termale Virgilio
Sirmione Barracuda - lungolago Diaz
Sirmione Ambulatorio Guardia medica - p.zza Virgilio
Sirmione Biblioteca e Municipio - via XXIV Maggio
Sirmione Trattoria Al Pozzo - via Brescia
Sirmione Pizzeria Il Paiolo - via Todeschino
Sirmione Nonsolobar - via Todeschino
Sirmione Bar Damm -Atrà - via Colombare
Soiano d.L. Edicola Papa - p.zza Umberto I
Soiano d.L. Bar Mahureva - p.zza Umberto I
Verona Biblioteca Civica - via Cappello, 43
Verona Società letteraria - piazzetta Scalette Rubiani
www.lagodirezionecultura.it
ASSEMBLEA DEI SOCI
dell’Associazione culturale De Benaco
Giovedì 8 aprile alle ore 21
nella Sala Brunelli, presso il municipio di Desenzano del Garda
Vi ricordiamo che è già iniziato il tesseramento per l'anno 2010
CULTURA

Editrice Associazione Culturale De Benaco di Desenzano del Garda (Bs)
Mensile - Anno 2 - N. 11 di marzo 2010
DISTRIBUZIONE GRATUITA
“editoriale” N. 11
Marzo 2010
di Francesca Gardenato
S
Maria Francesca Siciliani:
In copertina:
la mia Suor Angelica
Alma che crea
sogni di stoffa
poesia di una nostra
Utopia di un lavoro
dignitoso e sicuro
lettrice, BiancaLuna
4 PRIMO PIANO
Donne
- Maria Francesca Siciliani:
la mia Suor Angelica
- Benedetta che amava la vita
di marzo
O
6 DONNE & ASSOCIAZIONI
- Dinamismo femminile in “volo”
- Il Centro è vita, donna, famiglia
8 PENTAGRAMMA
La musica delle donne
10 PROFILI
M
Alma che crea sogni di stoffa
12 HISTORIA
Storia d’Italia nel Museo
del Nastro Azzurro
13 SCUOLA
Utopia di un lavoro dignitoso
M
e sicuro
14 L’AGO DELLA POESIA
Vers’in rosa
15 L’AGO DELL’ARTE
Desenzano, 1834 A
16 L’AGORÁ
- La rete della vita
e la Carta della Terra
- Dall’Europa al Garda, a Sirmione:
Eurolakes
18 RACCONTANDO R
Ritratto, uno sguardo
al mattino del mondo
19 OLTRE L’AGO
Sentieri che passione
21 LIBERALAMENTE I
Tina e Nahui, arte e bellezza
22 BUON GUSTO
Tornano gli amatori
dell’agricoltura
23 LA VOCE DEI LETTORI
O
Donne in prima linea. Donne che hanno sofferto e dal dolore partorito un
amore immenso, senza confini. Donne d’arte e di spettacolo che parlano al
mondo. Donne che con la loro personalità e il loro impegno sociale portano nel lavoro
una testimonianza esemplare. Donne che insegnano, che si fanno raccontare, che
dalle parole sono celebrate, cullate, amate.
Non per un semplice cliché a corredo della Festa della donna, abbiamo voluto concepire
un numero di L’ago con una forte presenza femminile, quanto per valorizzare storie ed
esperienze significative e dare voce a una redazione che vanta in effetti un’alta
percentuale di quote rosa. Non c’è solo l’8 marzo in quest’anima dolce dell’undicesimo
L’ago, ma un mosaico di volti che si ricompone nei nostri paesi e nella nostra cultura.
Dopo l’a-tu-per-tu con il ministro alla Pubblica Istruzione Mariastella Gelmini, continuano
le interviste dedicate a “personaggi di rilievo”, donne e non solo. Apriamo questo mese
con un “Primo piano” in rosa, che parte dall’esperienza mondiale della regista Maria
Francesca Siciliani e approda nel ricordo della venerabile sirmionese Benedetta Bianchi
Porro.
A marzo, s’inseguono le date da ricordare. Scorrendo il calendario, la penna s’inchina
in un Buona festa del papà! e, poco più giù… Auguri alla primavera. Una stagione che
è donna in tutta la sua essenza. Perché dalla fecondità della Natura germoglia un
mondo nuovo (come nel racconto di Chiara). Dai fiori giungeranno i frutti. Dalla pianta,
un nuovo raccolto. È colei che schiude il suo ventre alla vita a portare nuova energia,
nuova linfa, gocce di pura speranza da distillare nelle stagioni a venire (come fanno,
con i loro progetti, le volontarie del Centro aiuto vita o, ancora, le amiche di Lankama,
Chiara e Loredana).
Godetevi dunque questa nuova primavera e l’XI numero di L’ago.
In ultimo, qualche accenno ai nostri prossimi appuntamenti. Siete tutti invitati, giovedì
8 aprile alle 21 (presso il municipio di Desenzano) all’assemblea dei soci dell’Associazione
culturale De Benaco – che cade proprio nell’anniversario della nostra prima uscita! –
ma, per chi ama scrivere, c’è anche il nostro concorso di narrativa “Premio De Benaco”.
Per partecipare, potete inviare i vostri racconti brevi, ambientati lungo le rive di un
Garda futuristico: “Benaco, anno 2050. Nel ventre del lago un oblio…”.
Da non perdere, il prossimo evento che proponiamo a Desenzano: un’idea che nasce
nell’ambito del Progetto Noi Musica di don Luca Nicocelli, in collaborazione con
l’Assessorato alla Cultura del comune desenzanese e con la partecipazione dell’Unicef.
Sarà una serata di “musica e parole” con una celebre protagonista: la cantante Iskra
Menarini. Sabato 27 marzo alle ore 21, presso il Teatro Giovanni XXIII di piazza Garibaldi,
Iskra ci regalerà un “Incontro con la musica”. Parole e note si alterneranno nel racconto
di una straordinaria voce del panorama italiano: dall’incontro con Lucio Dalla all’esperienza
ventennale come vocalist, fino all’impresa teatrale nei panni della veggente Sidonia
in Tosca Amore Disperato. Dolce e aggressiva, l’artista italo-francese ha partecipato
anche al Festival di Sanremo nel 2009, ha alle spalle collaborazioni con molti cantanti
e maestri famosi ed è anche un’apprezzata insegnante di canto. Sul palco desenzanese
si esibirà con le giovani leve del Progetto Noi Musica. Sarà una festa della musica,
aperta a tutti e a ingresso gratuito. Non mancate!
Ringraziamo sin da ora don Luca Cesari e la Parrocchia di San Giovanni Lavoratore
per l’ospitalità, oltre naturalmente all’assessore alla Cultura Emanuele Giustacchini.
Vi ricordiamo che per partecipare al nostro Concorso di narrativa “Premio de
Benaco”, potete inviare i vostri racconti entro il 15 maggio 2010. È necessario:
avere più di 16 anni, farci pervenire i testi (non più di 9.000 battute, spazi inclusi)
entro il 15 maggio 2010 e versare la quota d’iscrizione di 15 euro. Tutte le informazioni
sui premi e il regolamento del concorso sono sul nostro nuovo sito
www.lagodirezionecultura.it.
Trib. di Brescia n. 20/09 del 16/03/09

DIREZIONE
CULTURA
4
marzo 2010
primo piano di Franco Masseroni
Maria Francesca Siciliani:
la mia Suor Angelica
Per la Festa della donna
Sirmione ricorda la
venerabile Benedetta Bianchi
Porro (Dovadola, 8 agosto 1936
– Sirmione, 23 gennaio 1964) con
lo spettacolo lirico Suor Angelica,
atto unico di Giacomo Puccini.
L’opera va in scena l’8 marzo alle
ore 21, al Palazzo Congressi di
Sirmione. La serata organizzata
dagli Amici di Benedetta è a
ingresso libero. Si esibiscono
gratuitamente tutti gli artisti,
magistralmente diretti dalla regista
Maria Francesca Siciliani, figlia
d’arte e allieva di Giorgio Strehler.
Maestra (come i suoi allievi la
chiamano), lei è figlia d’arte. Prima
di parlare della sua Suor Angelica,
ci vuole raccontare qualcosa di suo
padre, Francesco Siciliani, che fu
direttore artistico della Scala dal
1957 al ‘66?
«Mio padre cominciò a portarmi a
teatro a 3 anni e da allora ho vissuto
sempre nei teatri e nei camerini dei più
grandi artisti del dopoguerra. Ricordo
quando mio padre passava le notti a
insegnare la Medea alla Callas, come
pure i primi passi nell’opera di
personalità del calibro di Corelli,
Bastianini, Tebaldi, Maazel, Mehta,
Abbado, Muti e tantissimi altri che mio
padre ha scoperto e di cui ha poi
facilitato la carriera. Ma vorrei che lui
fosse ricordato per ciò che ha fatto nella
rivalutazione di alcuni dei più grandi
compositori che erano completamente
dimenticati: primo fra questi Rossini,
poi Spontini, Cherubini, Gluck...».
Delle centinaia di regie di opere liriche
che lei ha curato in tutti i più grandi
teatri del mondo, quali ricorda come
le più significative?
«Il Tristano e Isotta, edizione diventata
storica con le scene e i costumi di
Alberto Burri, che li creò espressamente
per me e per la mia idea registica. Anche
la prima alla Fenice di Venezia,
dell’opera Blaubart di Camillo Togni, tra
le più significative del ‘900. Un altro
bellissimo ricordo per Marilyn di Lorenzo
Ferrero al Teatro dell’Opera di Roma
che fu, a detta della critica, una pietra
miliare della regia contemporanea».
Da qualche anno, mette il suo grande
talento, la sua esperienza e la sua
spiccata sensibilità teatrale al servizio
della sua scuola d’arte scenica
presso il Conservatorio di Bolzano…
«Ho degli allievi talentuosi con cui
facciamo un lavoro molto approfondito,
perché non solo mirato all’opera lirica
ottocentesca ma anche all’opera antica,
contemporanea e soprattutto al teatro
Diplomatasi presso la Scuola d’arte drammatica del Piccolo Teatro della
Città di Milano, sotto la guida di Giorgio Strehler, Maria Francesca Siciliani
ha svolto un’intensa attività nell’ambito della prosa e della musica lirica.
Degna erede del padre, è stata direttore artistico del Teatro comunale di
Bologna e del Teatro Massimo Bellini di Catania. Il suo curriculum registico
include opere nei principali teatri del mondo: da Milano a San Paolo del
Brasile, da Venezia a Madrid.
Titolare della cattedra di Arte scenica presso il Conservatorio “Monteverdi”
di Bolzano, in precedenza ha insegnato al Conservatorio “Santa Cecilia”
di Roma. Ha anche collaborato assiduamente con il Festival di Martina
Franca e con il Festival di Spoleto. Fondamentale è stato il suo apporto
artistico e organizzativo per il Festival Opera di Barga. È stata docente di
Arte scenica all’Ateneo della Lirica di Sulmona e, tutt’oggi, è direttore
artistico del Festival e del concorso lirico Leoncavallo di Montalto Uffugo
(Cosenza).
di prosa. Spero che dalla mia scuola
escano dei veri artisti adatti sia per la
musica che per il teatro».
Tra i suoi allievi più importanti, ci
sono dei nomi della lirica mondiale
che oggi calcano i più grandi
palcoscenici del mondo, non è vero?
«Saimir Pirgu è un tenore ormai a livello
mondiale, ultimamente diretto da
Woody Allen in Gianni Schicchi. Poi
c’è Giulio Mastrototaro, brillante
baritono apprezzato da grandi maestri
come Riccardo Muti».
Come è nata l’idea di coniugare la
Suor Angelica di Giacomo Puccini
alla figura di Benedetta Bianchi Porro
e alla festa della donna?
«Quello che colpisce nella figura di
Benedetta è la sua grandissima
capacità di sofferenza, che non è
soltanto spirituale, ma anche
profondamente umana. Quindi mi pare
che la sofferenza di questa grande
donna, che è Suor Angelica,
rappresenti la donna nella sua parte
più significativa, che è la maternità, e
costituisca un legame profondo con
l’essenza del pensiero e della vita di
Benedetta».
Benedetta Bianchi Porro
era una ragazza che amava la vita, la
sua famiglia e la natura. Romagnola
per nascita, coltivava speranze e
amicizie, aveva tanti interessi. Sognava,
era nel fiore della giovinezza. D’un
tratto, fu colpita da una malattia
degenerativa, il morbo di
Recklinghausen, che cambiò per sempre
la sua esistenza. Perse progressivamente
l’udito e poi gli altri sensi. Fino a
rimanere paralizzata. Fu costretta a
interrompere gli studi in Medicina e ad
abbandonare ogni progetto per il futuro.
Dopo la perdita della vista, le rimasero
solo la sensibilità in una mano e un filo
di voce. Eppure, riuscì a comunicare
cose meravigliose e a regalare la gioia
a tante persone, una serenità immensa
che andava al di là della sofferenza e
della paura della morte. Così scriveva
Benedetta: “Io penso: che cosa
meravigliosa è la vita (anche nei suoi
aspetti più terribili); come la mia anima
è piena di gratitudine e amore verso
Dio per questo!”. E ancora: “Lo so, che
attraverso la sofferenza il Signore mi
conduce verso una strada
meravigliosa!”.
Il 23 gennaio 1964, giorno della sua
morte, a soli 27 anni, fiorì nel suo
giardino una rosa bianca. «Per coloro
che credono – aveva detto Benedetta –
tutto è segno». In attesa della
conclusione del processo di
beatificazione, i suoi scritti, tradotti in
molte lingue, portano ovunque una luce
di speranza. Le sue spoglie si trovano
nella chiesa della Badia di Dovadola
(Forlì).

Fotografia inedita di Benedetta
Benedetta che amava la vita
In questa intervista alla
sorella Emanuela della
venerabile sirmionese,
ricordiamo la vita e gli
insegnamenti di Benedetta
Bianchi Porro.
Emanuela, prima di ripercorrere
insieme il senso della vita di
Benedetta, vorrei chiederle un
ricordo personale, come sorella.
«Quell’afflusso di amici che si
addensava quotidianamente intorno
al suo letto. Gente che andava e
veniva dopo una sosta, un colloquio,
una preghiera fatta in comune con
lei. La maggior parte erano giovani,
all’apparenza spensierati. Andavano
via commossi, sollevati, gioiosi.
Venivano per dare e invece
ricevevano».
Com’era possibile, se Benedetta
era immobile, cieca e sorda?
«Eppure era lei a consolare e far
sorridere, a illuminare e a
incoraggiare. E godeva di tutto, del
sole e della luce che non vedeva
più. Perfino i sacerdoti se ne
andavano via sorpresi e confusi,
aiutati. Interveniva nelle vicende di
tanti, ma senza la pretesa di
insegnare. Era devota e innamorata
della vita, di ogni cosa bella».
Il cardinale Ruini ha definito così
la venerabile durante la Messa a
Dovadola, il 25 gennaio scorso:
«Per il suo lungo cammino di
sofferenza, Benedetta Bianchi Porro
ha vissuto un’esperienza che l’ha
portata a capire la vera e autentica
concezione umanistica dell’uomo».
Da dove nascono queste parole?
«La scienza può combattere sempre più
le malattie, ma non è capace di dare un
senso alla sofferenza.
Per Benedetta il dolore può aiutarci a
capire di più noi stessi e ad aprirci a Dio,
che è Amore. È il vero “umanesimo” di
cui abbiamo bisogno».
Qual è il valore del messaggio che
Benedetta ancora oggi ci trasmette
con la sua vita e i suoi scritti?
«Tutti noi siamo strumenti di cose grandi,
volenti o nolenti, consapevoli o no. Il
miracolo della salvezza e della pace
succede quando all’azione di Dio si
unisce il nostro volere come Dio».
L’associazione Amici di Benedetta
ormai raccoglie adesioni da tutte
le parti del mondo. Come si spiega
un fenomeno così ampio per una
persona così poco pubblicizzata
dai grandi media?
«Le rispondo con una lettura del
profeta Geremia: benedetto l’uomo
che confida nel Signore. Egli è come
l’albero piantato nell’acqua, non teme
quando viene il caldo, le sue foglie
rimangono verdi, non smette di
produrre frutti...».
marzo 2010
CULTURA
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DIREZIONE

DIREZIONE
CULTURA
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donne &
marzo 2010
Le attività di un gruppo di donne
di Pozzolengo
Dinamismo
femminile in
“volo”
di Luisa Sabbadini
A Pozzolengo, una gruppo di donne intraprendenti
e creative si diverte a ideare momenti di gioco,
cultura e aggregazione per grandi e piccoli. Tanti i
progetti usciti dalla magica “Scatola” di via Marconi,
che è la loro sede.
L’Associazione “Il volo” nasce a fine 2006, da una serie di
incontri tra persone unite da amicizia e comunione di interessi,
con l’intento di creare nell’ambiente locale momenti e spazi
di riflessione e di discussione, atti a favorire la partecipazione
della comunità.
“Il volo” è un’associazione di Pozzolengo, con finalità
assolutamente proteiformi che nascono di volta in volta in base
all’estro di chi vi collabora o alle necessità del territorio. Da qui
la sua utilità: uno spazio svincolato da qualsivoglia legame
dove i pozzolenghesi, e non solo, possono “fare” o “guardare”
in base alle proprie inclinazioni.
Il gruppo è composto da sole donne ed è presieduto da
Emanuela Esquilli, che ne è la coordinatrice, insieme alle
attivissime collaboratrici Viviana Tavoni, Laura Strazzi, Lisbeth
Wahl, Liza Rendina e Barbara Boraso. A questo gruppo di
mamme e lavoratrici si aggiungono altre persone che, a seconda
delle iniziative proposte, degli interessi e delle competenze di
ciascuno, condividono con loro un piccolo pezzo di strada. E
l’attività prosegue anche grazie all’Amministrazione comunale
di Pozzolengo, che ha sempre supportato le iniziative del
gruppo, sia a livello di patrocinio sia di contributo finanziario.
Naturalmente sono sempre alla ricerca di qualche “sostegno”,
dato che l’associazione opera al di fuori di ogni interesse
economico e di appartenenza politica.
“Il volo” lavora per l’attivazione di progetti in ambito culturale,
sociale e ricreativo, cercando la collaborazione di istituzioni,
associazioni, famiglie e di chi si sente coinvolto dai temi proposti.
A novembre, sono ripartiti i seguenti progetti: “un mondo di
coccole”: gli incontri settimanali per neo mamme e bambini da
zero a 12 mesi con l’ausilio della psicologa Laura Strazzi; “un
mondo da piccoli”, laboratori settimanali per bambini da 12
mesi a 3 anni che, accompagnati dalle loro mamme, condividono
giochi, emozioni, scambi d’idee e di esperienze relative a questa
delicata tappa dell’evoluzione madre-figlio.
Dagli albori fino a oggi l’associazione ha promosso iniziative
importanti che hanno coinvolto la scuola primaria. “Il passo e
il volo”, ad esempio, è da ricordare in quanto finanziata dalla
Regione Lombardia grazie alla Legge regionale 23/99 (Famiglia
e Solidarietà sociale) con un percorso per genitori e bambini
sulla gestione delle emozioni.
Con il contributo della Cooperativa Tornasole di Brescia e con
il patrocinio del comune di Pozzolengo, si è potuto inoltre
realizzare il progetto dal titolo “doposcuola su misura”. Una
proficua e indispensabile collaborazione con la locale scuola
secondaria di primo grado.
Un notevole successo ha riscosso anche la loro prima iniziativa:
la mostra di disegni sul papà, intitolata “l’Acchiappapapà” e
realizzata dai bambini delle “elementari” di Pozzolengo con
relativa pubblicazione (hanno collaborato anche le associazioni
Tornasole e Mondo Bambino).
Ora è in corso il progetto “Ke Storia!”. Si tratta della seconda
edizione del premio letterario per scrittori in erba e audaci
narratori. Il tema proposto è appunto “il volo”, in tutte le sue
forme: fantastico, fisico, come salto della memoria, ecc.
Selezionati i racconti più meritevoli, si procederà alla
pubblicazione del secondo volume che sarà presentato a
Pozzolengo in giugno, con la partecipazione del gruppo teatrale
“I saggi e i folli”, noti interpreti di storie e racconti.
Per la fiera di San Giuseppe, che si terrà dal 19 al 22 marzo
a Pozzolengo, vi aspettano per raccogliere le iscrizioni al
concorso letterario (il giorno 21). Sono in fase di ultimazione
le iniziative che verranno presentate in fiera: “Liberailibri” (21
marzo) ossia uno scambio di libri tra la gente presente, e
“Barattopoli” (22 marzo), il mercatino dell’usato e del libero
scambio. Saranno inoltre presenti i “Suonatori sul lastrico” per
un allegro intrattenimento musicale e l’associazione
“Tuttigiùperterra”, che, con gessi e pannelli, coinvolgerà i
bambini nella creazione di opere d’arte “madonnara”.
Nell’immediato è previsto anche un corso di inglese per bambini.
Le attività del “Volo” si svolgono presso la Scatola, sede
dell’associazione, in via Marconi 8 a Pozzolengo: è un luogo
libero che può ospitare piccole mostre, conferenze e laboratori,
ed è a disposizione per chi desidera organizzare eventi e cerca
un punto d’appoggio.
Per informazioni sugli eventi: 339.8944211 (Barbara) o
030.9918166 (Manuela).

Un aiuto alla vita. Una mano data da donna a donna.
Una luce che fa germogliare la famiglia.
In 22 anni di vita, dal 1988 a oggi, 714 bambini aiutati a nascere.
È questo il bilancio più importante per il Centro aiuto vita (Cav).
L’associazione desenzanese opera ogni giorno perché tutte le
madri possano dire “sì alla vita”: le sostiene prima e dopo la
gravidanza, presta assistenza psicologica e medica, distribuisce
viveri, vestiario e mobili, fornisce latte e pannolini per i neonati.
Aiuti basilari che si estendono a una zona sempre più vasta,
sia come area che come utenza.
Più di 300 sono le famiglie in difficoltà seguite da una
cinquantina di volontarie del Cav che, nel 2009, ha seguito
127 donne incinta (di cui 7 hanno deciso l’aborto volontario)
e regalato i natali a 98 bimbi.
«Grazie al progetto regionale “Insieme per un sì alla vita” –
riferisce la presidente desenzanese Bruna Filippini – abbiamo
distribuito volantini e materiale informativo in 3 distretti Asl, 6
consultori e 102 parrocchie, oltre agli studi dei 164 medici con
cui collaboriamo». In questo modo «diamo più visibilità al
nostro servizio, diffondiamo il numero verde “Sos Vita” e
abbiamo l’opportunità di conoscere più utenti».
La sede della onlus è a Rivoltella, nei locali delle ex scuole
medie in via B. Croce. Il servizio ha come “base” il comprensorio
desenzanese, ma abbraccia con la sua attività una zona molto
estesa, costituita da 56 comuni e dalle Aziende sanitarie locali
10, 11 e 12.
Si rivolge quindi ai residenti italiani e stranieri dei comuni della
Valtenesi, del basso ed alto lago, dell’entroterra gardesano,
dalla Valsabbia alla Bassa bresciana. «È proprio dai paesi
dell’entroterra che oggi giungono la maggior parte dei nuovi
Il Centro è vita, donna, famiglia
utenti. Se, tra commercio e turismo, sul lago un po’ di lavoro
c’è ancora, in molti comuni bresciani purtroppo la situazione
è disperata. E, con il peso delle difficoltà economiche, la nuova
vita fatica a trovare spazio». Filippini sottolinea che la recessione
dell’ultimo anno e mezzo ha scatenato un netto aumento delle
richieste: «Facciamo mediamente 10-12 nuovi colloqui a
settimana. Le famiglie da noi assistite sono quelle con figli fino
a tre anni, che prima della crisi erano nuclei monoreddito. A
loro consegniamo un “pacco famiglia” mensile, con prodotti
per bambini e adulti».
Per le mamme straniere sono organizzati anche corsi di
alfabetizzazione.
La legge 194 non ha risolto completamente il problema degli
aborti illegali, si sa. Ma non è tanto la normativa a peccare di
imperfezione, quanto il punto di vista a monte e l’atteggiamento
della società in generale. «Un passo avanti rispetto al passato
– riprende la responsabile – si è fatto grazie alla nostra presenza
costante, con un apposito ufficio, nei tre ospedali dell’Azienda
sanitaria gardesana: Desenzano, Gavardo e Manerbio». Lì, «le
volontarie incontrano le donne segnalate dai ginecologi e
parlano con quante sono orientate a interrompere la gravidanza.
Aiutiamo, innanzitutto, ad accogliere il miracolo della vita, ma
il nostro servizio non si limita a questo: interveniamo nei casi
di maternità difficili e diamo supporto psicologico-morale anche
nella fase post aborto. Questo percorso, tenuto da una
psicologa, è ben accetto in ospedale perché i medici si rendono
conto delle complicanze che seguono l’interruzione di
gravidanza». Perché, come dice Filippini, «una madre è madre
per sempre: l’impronta di quell’essere umano rimarrà per
Spettacolo “Ombre” del Cav di Desenzano
sempre impressa nella donna, anche dopo l’aborto».
Molte iniziative promosse dai Cav italiani sono attive anche
a Desenzano. Le mamme con difficoltà emotive possono
chiamare un numero verde gratuito: “Sos Vita” (800813000).
In extremis, c’è anche la “Culla salvavita”, che permette di
deporre il bimbo, dopo la nascita, in un luogo dove potrà
ricevere assistenza, lasciando che la madre vada per la sua
strada. Infine, il “Progetto Gemma” offre la possibilità di adottare
una mamma per salvare il suo bambino, con la garanzia
dell’anonimato. Questa adozione prenatale a distanza, per 18
mesi, assicura a entrambi 160 euro, più gli aiuti offerti dal Cav.
Dal 2008 a oggi, i piccoli adottati sono stati in tutto 24.
“Persone, non più ombre”. Per la Giornata della Vita, il 7
febbraio scorso, a Verona è stata portata in scena la
rappresentazione già proposta in castello a Desenzano, con la
collaborazione di donne e madri aiutate dal Cav, che hanno
raccontato e unito le loro storie ed emozioni nello spettacolotestimonianza
“Ombre” (regia di Ombretta Costanzo). «Abbiamo
incontrato molte donne e madri provenienti da paesi diversi,
ad alcune abbiamo chiesto di raccontare la loro storia,
l’esperienza della partenza, del viaggio e della permanenza in
una terra lontana, per aiutarci a riconoscerle come persone
uguali a noi anche se il colore della pelle, le loro abitudini e le
loro lingue sono diverse...».
Il titolo è stato scelto dalle stesse attrici-protagoniste, perché
così si sentivano al loro arrivo in Italia: Ombre. Alcune di loro
sono riuscite a “ricostruirsi una vita”, altre ci stanno riuscendo
pian piano.
marzo 2010
CULTURA
7
DIREZIONE

DIREZIONE
CULTURA
8
pentagramma
marzo 2010
di Elena Linda Bertoni
Compositrici e musiciste memorabili,
figlie dei tempi in cui era
“disdicevole” che una donna,
destinata al ruolo di moglie e madre,
si occupasse di musica.
Nei secoli scorsi, il ruolo della donna nella storia della
musica è stato piuttosto marginale. Se, da un lato, le
donne della buona società partecipavano, in qualche modo,
alla “mensa” della musica ricevendo un’educazione musicale,
non presso istituti pubblici ma con maestri privati, era
assolutamente impensabile che una donna potesse esercitare
una qualsiasi professione legata alla musica, come invece
accadeva per gli uomini.
Era disdicevole che una signora esercitasse professioni legate
alla musica. Facevano eccezione le cantanti in teatro, ma la
loro professione (e quindi la loro reputazione) era, nell’opinione
comune, strettamente connessa alla prostituzione. Ben accetti
e incoraggiati erano gli interessi artistici in una donna, solo se
non sfociavano in una vera professione, ma se restavano un
fine e grazioso ornamento per una fanciulla destinata a diventare
moglie e madre.
Tuttavia, non furono poche le donne che non si limitarono al
ruolo imposto loro dalla società maschile e che, al contrario,
trovarono (a volte a fatica) il modo di esprimersi attraverso la
composizione musicale.
Una delle prime figure di donne
compositrici fu Hildegard Von
Bingen (Bermersheim vor der
Höhe, 1098 – Bingen, 17 settembre
1179; in foto a sinistra), santa,
mistica, poetessa, medico, filosofo,
teologo e, come si diceva poc’anzi,
anche musicista.
La sua opera musicale più nota è
la Symphonia harmoniae celestium
revelationum e contiene 77 brani di canto monodico (antifone,
responsori, inni e sequenze) composti per l’Ufficio monastico
e per la Messa.
Non solo alla celebrazione di Dio fu dedicata l’attività
compositiva delle donne: anche dal lato delle corti, vi furono
splendidi esempi di musiciste e compositrici. A Ferrara, grande
importanza ebbe il Concerto delle Dame, che operò dal 1580
circa. Costituito dapprima da Laura Peperara (cantante e
arpista), Anna Guarini (cantante e liutista) e Livia d’Arco
(cantante e violista da gamba), vide poi la partecipazione di
altre virtuose.
Le Dame non erano solo esecutrici, ma anche compositrici:
purtroppo, i loro lavori – che pare fossero eccellenti – custoditi
gelosamente dal Duca Alfonso II, andarono perduti in un
incendio.
Un ulteriore passo in avanti è rappresentato dalla vicenda di
La musica delle
donne
Barbara Strozzi
Barbara Strozzi (Venezia, 1619 – 1664 circa), cantante, liutista
e clavicembalista, figlia “adottiva” (forse illegittima) del poeta
e librettista Giulio Strozzi (1583 – 1652), educata come “virtuosa
di canto e dello stromento” dal padre, e allieva di compositori
quali Cavalli e Cesti.
La peculiarità delle vicende di Barbara è costituita dal fatto
che non si limitò a eseguire le proprie composizioni, ma, al
pari dei colleghi maschi, le fece pubblicare, rendendole
pubbliche e facendole circolare e conoscere. A proposito di
Associazione Amici della Musica
Desenzano del Garda
Giovedì 18 marzo 2010
Teatro Ponchielli di Cremona
Orchestra da Camera di Mantova
Pianista: Pietro De Maria
Musiche di Chopin e Schumann
Partenza ore 18.30 da Desenzano – posti di platea a soli 40 euro
Info e prenotazioni: 030.9142508 – 335.5325356
Con soli 20 euro all’anno, oltre alla tessera di socio,
ogni mese si ricevono tutte le informazioni sulle attività
dell’Associazione.

donne che poterono pubblicare i loro
lavori, non si può dimenticare Anna
Maria Pellegrini Celoni, “romana,
accademica Filarmonica del Liceo di
Bologna”, a tutt’oggi la prima donna a
dare alle stampe un trattato sull’arte del
canto: la Grammatica o siano Regole
per ben cantare, pubblicato a Roma,
nel 1810 presso Piale & Martorelli.
Ancora, le figure di Maria Theresa
Paradies (Vienna, 1759 - ivi, 1824) e
di Charlotta Seuerling (Svezia, 1782 –
1828) dovettero misurarsi non solo con
l’essere donna in un’epoca piuttosto
maschilista, ma anche con la cecità.
Paradies, cieca dall’età di cinque anni,
rivelò presto un talento musicale
eccezionale, che mise a frutto studiando
con G. F. Richter, Kozeluch (pianoforte),
V. Righini e A. Salieri (composizione e
canto).
Ottima pianista, cantante e organista,
intraprese nel 1783 una lunga tournée
concertistica attraverso l’Europa
centrale, la Francia, l’Inghilterra e il
Belgio, esibendosi nel 1784, con enorme
successo, ai “Concerts Spirituels” di
Parigi e alla corte di Londra. Poté
affrontare la composizione grazie a un
particolare sistema di notazione
musicale per ciechi, ideato per lei da J.
Riedinger.
Anche Charlotta Seuerling, figlia di
Carl Gottfried Seuerling e Margareta
Lindal, attori e direttori di una compagnia
teatrale itinerante, divenne cieca in
tenerissima età.
Dopo la morte del padre, il pedagogo
Per Aron Borg scoprì, nel 1806,
l’eccezionale talento di Charlotta e prese
a impartirle regolari lezioni di teoria
musicale, scienze naturali e poesia.
Borg inventò anche un metodo di lettura
e scrittura per non vedenti. Charlotta
però non si fermò alla musica. Intraprese
persino lo studio della medicina e Borg,
ispirato da tanta determinazione, nel
1808 fondò una scuola, la prima in
Svezia, per persone non vedenti e non
udenti.
In pieno Romanticismo, troviamo Fanny
Cäcilia Hensel Mendelssohn
(Amburgo, 1805 – Berlino, 1847), sorella
maggiore del più conosciuto Felix
Mendelssohn Bartholdy, nipote del
famoso filosofo Moses Mendelssohn
(1729-1786). Fanny vide le proprie
composizioni pubblicate sotto il nome
del fratello: fu questa la sola possibilità
che ebbe di dare alle stampe l’opera
del proprio ingegno. Fin dall’infanzia
mostrò un chiaro talento musicale
eguale, se non addirittura più grande,
a quello del fratello.
Nel 1818, a 13 anni, Fanny imparò a
memoria tutti i preludi del primo volume
del Clavicembalo ben temperato di Bach
per il compleanno del padre e, un anno
più tardi, compose il suo primo pezzo
musicale, un Lied. La vita di Fanny,
però, era già stata programmata dal
padre, come si conveniva alle fanciulle
di buona famiglia, e non v’era spazio
Fanny Cäcilia Hensel Mendelssohn
per alcuna attività artistica pubblica. Il
padre nel 1820 le scrisse: “La musica
forse diventerà la sua (di Felix, ndr)
professione, mentre per te può e deve
essere solo un ornamento”.
Per Fanny, quindi, si prospettava un
destino di moglie, colta e di gusti
musicalmente raffinati, ma sempre e
solo moglie. Non ebbe mai il permesso
di esibirsi pubblicamente come pianista,
anche se dal 1831 era diventata la
direttrice artistica dei “pomeriggi
musicali” tenuti nella casa dei
Clara Wieck Schumann
Mendelssohn. Per molti anni, per Fanny
l’unico punto di contatto con il grande
mondo della musica professionale fu il
fratello Felix, che riconobbe la
superiorità della sorella come pianista.
Il nostro breve excursus non può che
chiudersi con Clara Wieck Schumann
(Lipsia, 1819 – Francoforte sul Meno
1896), eccellente pianista, compositrice,
didatta e curatrice dell’opera del marito
Robert. Figlia del didatta musicale e
commerciante di pianoforti Friedrich
Wieck, debuttò a soli nove anni come
“virtuosa del pianoforte” al famoso
Gewandhaus di Lipsia. Nonostante
l’opposizione del padre, sposò nel 1840
Robert Schumann, che morì poi nel
manicomio di Endenich, nel 1856.
Concertista di chiara fama, Clara ebbe
contatti con il mondo musicale del suo
tempo, fu amica del violinista Joseph
Joachim e del compositore Johannes
Brahms, e svolse un’importante opera
di diffusione delle musiche pianistiche
del marito e di altri grandi compositori
(Brahms, Liszt, Chopin).
In Biblioteca a Sirmione, il 2 aprile
alle ore 20.40, la conferenza “Storia
della musica” a cura della prof. Elena
Bertoni (elena.bertoni@gmail.com).

DIREZIONE
CULTURA
10
marzo 2010
profili
Alma che crea sogni di stoffa
Ad Alma, sarta e insegnante di
Desenzano, basta vedere un modello
per carpirne ogni dettaglio e,
con la magia delle sue mani, realizzare
un abito da sogno.
La scuola di taglio e cucito è da 70 anni la vita di Alma Veronesi
Massoni. Ne ha fondate tante, spostandosi dai paesi gardesani
alle province limitrofe, in qualità di sarta professionista e insegnante
di taglio.
Terminata la scuola, appena ventenne, si mise in proprio e cominciò
a tramandare quel mestiere che per lei era una passione, un talento
che non ha mai tradito. Un’attività a cui si dedica da circa sette
decenni, tre quarti dei quali legati a Desenzano. Dopo aver formato
almeno tre generazioni di allieve, continua a tenere i corsi nel suo
atelier a pochi passi dal castello di Desenzano e anche a Soiano.
Da poco ha soffiato le sue 87 candeline, ma a sentirla parlare e a
vedere i suoi capolavori, pare che la carta d’identità c’inganni.
Per la maggior parte delle allieve, Alma non è solo la “maestra di
taglio”: è naturale considerarla l’amica o la zia a cui affidare un po’
della propria vita.
Alma è quasi un’istituzione per Desenzano. Di fronte alla chiesa
di San Giovanni, da oltre mezzo secolo, una vetrina illuminata invita
le ragazze a imparare i “fondamentali” del cucito o a migliorare le
abilità manuali a “Scuola di taglio”. Esposti, si vedono abiti da sera
o da sposa: i suoi preferiti.
«Da più di 60 anni insegno taglio e cucito», dice la signora Veronesi.
«Ci sono livelli diversi: si parte dalle basi, come attaccare un semplice
bottone, imbastire un orlo o cambiare una cerniera, per poi arrivare
a realizzare una gonna e, via via, capi più complicati e unici». E
s’impara davvero a «confezionare giacche e cappotti, abiti da
cerimonia, bustini, borsette e accessori vari», fanno eco alcune allieve.
Così nascono creazioni sublimi, di estrema finezza, generate da un
gioco di ago e dita, che semina punti e orli con fantasiosa scioltezza.
In mezzo secolo, davanti al suo negozio, le strade, le auto, le
vetrine… tutto è cambiato. Ma l’effetto delle sue creazioni è sempre
lo stesso. Le bambine guardano ancora quei modelli favolosi, una
sfilata di capi d’alta moda indossati dai manichini della boutique:
“Sembrano vestiti delle bambole!”, esclamano. Mentre le grandi
entrano per migliorare le loro performance tra ago e ditale, forbici e
stoffe: “Vorrei farmi un vestito da sola”, affermano entrando in atelier.
«Anni fa è passata di qui la cognata della sarta di Reagan. Voleva
che andassi in America con lei per occuparmi degli abiti della moglie
del presidente», racconta con un pizzico di orgoglio la signora Alma,
che ha scelto di continuare la sua passione in Italia, a Desenzano.
Da sempre dedica le sue energie alla famiglia e a quell’arte che
per lei è un naturale diletto. Trasmettere alle altre donne i suoi segreti
è una “vocazione”: «Aprivo scuole e le avviavo – ricorda –, affidando
le lezioni ad alcune maestre del luogo, e poi andavo periodicamente
a controllare che le ragazze si trovassero bene e imparassero il
mestiere. Le mie scuole sono sorte un po’ ovunque: a Torri del
Benaco, Malcesine, Riva del Garda, Peschiera, Desenzano, Salò,
Lonato, Castiglione delle Stiviere, Treviglio, Crema, Romano Lombardo,
ecc.».
Le allieve la stimavano ed entusiaste si passavano parola,
“trascinando” al corso amiche, figlie o nipoti. Una storia che si ripete
anche nel 2010: «Le ragazze vengono a lezione due volte la settimana
di Francesca Gardenato
Alma Veronesi Massoni
– riferisce la signora Veronesi –. Dovrebbero stare qui
un paio d’ore, ma alla fine si appassionano e si fermano
sempre di più».
In quasi sette decenni di attività, sotto le mani e gli
occhi di Alma sono passate macchine da cucire a
pedale fino alle più moderne “taglia e cuci” elettriche.
Un’era di trasformazioni che non ha sconvolto più di
tanto la sua scuola: i modelli di sartoria vengono
realizzati sempre a mano, su misura, con gusto,
destrezza e maestria. Come sottolinea la sarta
desenzanese, «la scuola si è sempre adattata alle mode
e alle esigenze delle ragazze». C’è solo una differenza:
«Una volta le giovani venivano per imparare un mestiere.
Erano a casa e si dedicavano a questi corsi in maniera
totale. Oggi le donne s’iscrivono per passione: vengono
da me dopo 8-9 ore di lavoro e fanno sacrifici enormi
per non perdere le lezioni».
Passione, precisione e metodo. Pochi ingredienti
servono per frequentare la scuola di Alma “con profitto”.
«Non ci sono trucchi nel lavoro della sarta: bastano la
voglia di imparare e un po’ di manualità e propensione
al cucito. Ci vuole tempo per confezionare un abito,
quindi anche la pazienza non guasta».
Dal ’47 a oggi, nella scuola desenzanese, hanno
“studiato” centinaia di aspiranti sarte: «Impossibile
ricordare tutte le ragazze che hanno frequentato i miei
corsi diurni e serali», ammette l’insegnate 87enne.
Sorride, e fa trapelare che, ancora oggi, non molla il
“timone” della scuola: «Ho delle maestre che mi aiutano,
ma io ci sono sempre durante le lezioni. Mi piace stare
con le ragazze e insegnare. È una passione, non mi
costa fatica. Quando vedo un modello, capisco subito
come potrà essere realizzato e come spiegare il lavoro
alle allieve, anche nei passaggi più difficili».
Gardesana a tutti gli effetti, Alma ha fatto assaggiare

la sua scuola a tanti paesi del lago. Un
incubatoio dell’alta moda, dove regna
incontrastato «il metodo De Benedetti-
Galimberti», che significa: «tutto è fatto
a mano e il risultato è sempre unico».
Mentre parla, la sarta del Garda ci mostra
alcuni suoi capi, rifiniti in ogni dettaglio.
Non un filo di troppo, non un’imperfezione.
Questa signora, che di moda se ne
intende parecchio, ha il pregio di unire
all’abilità manuale, il tocco della
raffinatezza: «Due doni», come li chiama
lei. «Sin da ragazzina mi piaceva vestirmi
con abiti eleganti, di stile, se pur sobri...
Già a 16 anni, portavo i pantaloni, ma
mia madre non voleva perché diceva che
i calzoni non erano da “brava ragazza”».
Come sfuggire alla tentazione? «Li
mettevo di nascosto quei bei pantaloni
neri, di taglio elegante, che mi davano
un’aria da signora».
Era poco più di una bambina, quando
cominciò a destreggiarsi tra ago e filo.
Nativa di Pai di Torri del Benaco, a 12
anni Alma andò a imparare il mestiere da
una sarta del paese. Cucì il suo primo
abito a 16 anni, età in cui s’iscrisse a una
scuola di Verona, «per ottenere il diploma
e diventare maestra di taglio. Frequentavo
le lezioni in corso Cavour, con una delle
più brave insegnati dell’epoca: Maria
Lenotti». Ben presto la giovane sarta
passò dalla teoria alla pratica: «A 20 anni
mi misi in proprio e avviai le mie prime
scuole».
A Desenzano, la scuola è nata per caso,
nel 1947. «Ero ancora “veronese”
all’epoca – scherza –. Abitavo a Torri del
Benaco e, un giorno del ‘46, mentre ero
in centro a Desenzano, entrai in Duomo
per una visita. Parlai con le signore Riviera
e Mor, dicendo loro che volevo tenere un
corso di taglio in questo paese. Così, da
una chiacchierata, partì la prima scuola
desenzanese, nei locali adiacenti la chiesa
di S. Giovanni, in Capolaterra. Ricordo
che a quel corso del ‘47 parteciparono
tantissime giovani e signore… Ho
Accademia Bizantina
insegnato anche educazione domestica
a oltre 200 maestre».
Dalla sponda veronese alla riva
trentina, fino al Bresciano, Mantovano e
Milanese: tanti comuni hanno accolto
l’arte di Alma. E le sue lezioni sono
tutt’oggi molto frequentate: «Sono le
nonne, mie allieve di un tempo, che
Lezione di taglio e cucito
mandano a scuola le nipoti. Vengono
da ogni parte», racconta. In atelier
«eseguiamo anche modelli su misura
per sartorie di altre città e tante mie
allieve hanno avviato sartorie per conto
loro, persino in Germania».
La soddisfazione di realizzare un abito
con le proprie mani è sempre la stessa
di cinquant’anni fa. La moda è cambiata,
ma non troppo. La classe di Alma è
rimasta immutata: «Una volta – riprende
mostrandoci alcuni suoi tailleur – c’erano
capi semplici, alla buona: bastava una
manica lunga a rendere elegante un
Nadia Engheben
abito. Oggi lo stesso vestito ha bisogno
di fiocchi, rose applicate per sostenere
un drappeggio, una scollatura più
pronunciata, qualche piega e rifinitura
in più. La moda in fondo è sempre quella.
Solo si è fatta più ricercata». Aggiornarsi
è d’obbligo: «La mia scuola – conclude
– è sempre attuale perché cerca di
cogliere e assecondare le tendenze, ma
con stile. Sono le allieve a scegliere i
modelli e le stoffe. Io mi permetto di
suggerire ciò che più si adatta loro». E
che fa la differenza tra il coprirsi e il
vestirsi.
marzo 2010
CULTURA
DIREZIONE
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DIREZIONE
CULTURA
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marzo 2010
HISTORIA
di Stefano Biguzzi
Storia d’Italia
nel Museo del
Nastro Azzurro
L’appassionato di storia che si aggirasse per
la sponda occidentale del Garda sulle orme
di dannunziane vestigia o di cupe memorie
repubblichine probabilmente non conosce, e
dunque fatalmente perderebbe,
il piccolo ma interessantissimo scrigno di
memorie racchiuso nel
Museo del Nastro Azzurro di Salò.
Nato nel 1943 su iniziativa del Grand’Ufficiale Luigi
Ebranati, il Museo del Nastro Azzurro ebbe sede nel
municipio di Salò fino al 1980, quando sotto la supervisione
della direttrice, Annamaria Salvo de Paoli Ambrosi, fu
trasferito in via Fantoni 49, all’interno dell’omonimo palazzo
dove è tuttora collocato e aperto al pubblico il sabato e la
domenica dalle 10 alle 12, e gli altri giorni su appuntamento.
I documenti, le immagini e i cimeli custoditi da questo
affascinante spazio espositivo ci guidano in un emozionante
viaggio attraverso la storia d’Italia, dal 1793 alla Seconda
guerra mondiale.
Delle quattro sale, la prima abbraccia un arco temporale
che va dal Risorgimento fino al 1914, con uniformi
garibaldine, il tricolore issato ad Homs, in Libia nel 1912,
berretto, sciarpa e reggisciabola dell’ammiraglio Enrico
Millo, armi leggere italiane, austriache e francesi dell’epoca.
La seconda è dedicata alla Grande Guerra e ospita svariati
cimeli dannunziani fino all’impresa di Fiume, un manoscritto
di Cesare Battisti e un’ampia raccolta di oggetti appartenuti
al generale Achille Papa, medaglia d’oro desenzanese.
La terza sala verte invece sul periodo tra le due guerre
mondiali e si segnala per le foto autografe di personalità
dell’epoca, tra le quali Amedeo di Savoia duca d’Aosta,
oltre che per un “pezzo raro” come i fregi dell’uniforme di
Mussolini e i suoi gradi di caporale d’onore della Milizia.
L’ultimo vano, infine, è dedicato alla Seconda guerra
mondiale, con manifesti, documenti e armi di provenienza
partigiana e repubblichina, insieme a cimeli della medaglia
d’oro bresciana Serafino Gnutti.
Energie fresche che di certo sapranno imprimere nuovo
slancio all’attività del Museo vengono ora dalla recente
nomina a vicedirettore di Leonardo Malatesta, studioso
formatosi alla scuola di Ca’ Foscari ed esperto di storia
militare con al suo attivo una vastissima serie di eccellenti
pubblicazioni (la collana Sentinelle di Pietra edita da Temi
e dedicata ai forti del Trentino, oltre a svariati saggi sul ’15-
’18) e di collaborazioni, in veste di associato, con prestigiose
istituzioni storico culturali (Società Italiana di Storia Militare,
Society for Militar History, Centro Internazionale di Studi
Risorgimentali-Garibaldini di Marsala).
Malatesta ci ha anticipato come, tra i progetti legati a
questo suo incarico, vi sia quello di sviluppare la presenza
del Museo affiancando l’aspetto meramente espositivo
con l’organizzazione di convegni, la pubblicazione di un
Annale dedicato a studi storico-militari e la presentazione
di volumi.
A tale proposito, segnaliamo due appuntamenti proprio
in questo mese, entrambi organizzati dall’Assessorato alla
Cultura del Comune di Salò con la Fondazione Museo
Storico del Nastro Azzurro e dedicati alle ultime pubblicazioni
di Malatesta: venerdì 5 marzo, alle 17.30, nella Sala dei
Provveditori del Comune di Salò, il generale Magnani,
presidente nazionale del Nastro Azzurro presenterà insieme
all’autore il volume “Il difensore della Val d’Astico. Il forte
di Punta Corbin. La storia costruttiva e bellica di un’opera
permanente della grande guerra” (Temi, Trento 2010).
Venerdì 12 marzo, invece, alla stessa ora e nella stessa
sede, il prof. D’Acunto, sempre con l’autore, presenterà il
volume “Altipiani di fuoco. La Strafexpedition austriaca del
maggio-giugno 1916” (ISTRIT, Treviso 2009).
Fotografie del dott. Leonardo Malatesta: particolari del
Museo del Nastro Azzurro di Salò.

Utopia di un lavoro
dignitoso e sicuro
Provate a osservarvi allo specchio
e a guardare quello che
indossate. Guardate anche i giochi
dei vostri bimbi e gli elettrodomestici
della vostra casa e chiedetevi: da
dove arrivano? Chi li ha fatti? Molto
probabilmente ci sarà scritto “made
in PRC”, “India” o “Bangladesh” o
comunque un altro paese asiatico.
Oggi ancora troppe donne vengono
sfruttate per produrre i nostri beni di
consumo, senza un salario minimo
dignitoso, senza diritti sociali e
sindacali, in condizioni di lavoro
pessime e orari estenuanti. Spesso
vivono direttamente in azienda, senza
mai vedere quello che sta fuori, vere
e proprie schiave di un sistema
industrializzato a favore di pochi.
Controcorrente naviga, per fortuna,
qualche iniziativa che forse è solo una
goccia nel mare, ma un mare che fa
ben sperare. Da Pozzolengo arriva un
sorso di fiducia: l’associazione
Lankama, fondata da Loredana
Prosperini, sta portando avanti un
nuovo progetto per valorizzare il
lavoro e la manualità delle ragazze in
India, grazie alla creatività e alla
sensibilità della stilista Chiara Zanetti.
Due nuovi progetti sono stati concepiti
tra le mura della “Casa dei bimbi
sorridenti”, la Smiling Children’s Home:
una casa di accoglienza, a Kesarapalli,
nel Sud-est indiano, dove oggi vivono e
studiano circa 300 bambini indiani.
Abbiamo già raccontato nell’articolo di
Fiorenzo Pienazza l’esperienza di
Loredana Prosperini, insegnante
pozzolenghese che nel 2000, con alcuni
amici, creò la onlus Lankama.
Oltre agli altri corsi professionali e alla
scuola di base, c’è il nuovo laboratorio
di sartoria, che ha tre pregi: insegna un
mestiere alle adolescenti, consente di
confezionare in proprio il vestiario per i
bimbi della casa e poi di cucire abiti su
commissione.
«La bottega di sartoria è il nostro
orgoglio femminile», attacca Loredana
Prosperini. «Chiara Zanetti, un’amica
stilista specializzata in gioielli in pelle, ha
ideato un progetto per valorizzare il lavoro
e la manualità di un paese come l’India,
dove lo sfruttamento della manodopera
e delle persone è diventato purtroppo
una cosa normale». In pratica, «si tratta
di acquistare della stoffa in India e, con
questa, elaborare dei gioielli. Saranno poi
le ragazze del corso di sartoria a produrli».
Abitualmente, denuncia Prosperini,
«l’Occidente sfrutta il lavoro del terzo
mondo pagando alle persone una
frazione minima di quanto è loro dovuto
e costringendo la mano d’opera indiana
a lavorare in condizioni aberranti. Chiara,
con la sua professionalità, vorrebbe offrire
alle nostre ragazze un salario accettabile,
un posto di lavoro sicuro e un monte ore
regolato».
Chiara Zanetti, stilista desenzanese,
realizza accessori bijoux di alto livello,
tutti prodotti a mano, unicamente in Italia,
in serie limitata. La qualità è il suo
obiettivo, ma non solo: «Le grandi
aziende e anche molte altre hanno
spostato buona parte della produzione
in India o in Cina, ottenendo prodotti a
prezzi bassissimi e applicando
percentuali di ricarico molto alte. Ciò ha
portato a una concorrenza e a un
commercio smisurati e, a mio parere,
sfocia in una scarsa qualità dei prodotti».
Chiara crede molto nel ritorno del
“manufatto di qualità” e aggiunge: «Oggi
un articolo cinese o indiano è sinonimo
di “economico”, ma non è sempre così:
il lavoro può essere comunque di qualità».
Da qui, parte la sfida delle due donne di
Lankama: «La mia idea è quella di far
produrre bracciali realizzati con stoffe
indiane selezionate e ricamate dalle
ragazze della nostra associazione; poi in
Italia verranno cuciti e rifiniti con altri
elementi come la pelle, tipica di tutti i
miei accessori».
l\nheZ
di Ilaria Vegnente e
Francesca Gardenato
Ogni bracciale sarà realizzato in serie
limitata e numerata, e ci saranno anche
pezzi unici, dotati di ricami particolari. Il
bello è che «avranno una piccola etichetta
con il nome e la breve storia della ragazza
che ha realizzato l’articolo. Ho già chiesto
a Loredana di tenere i tempi esatti per la
realizzazione di ogni accessorio, proprio
perché il lavoro sia retribuito con i costi
di un’artigiana in regola nel nostro Paese.
La resa finale del prodotto deve
evidenziare un accessorio raffinato e,
soprattutto, realizzato con cura e
precisione». Al di là della buona causa,
chiosa Zanetti, «dobbiamo dare
un’immagine concreta del nostro
progetto, proponendo accessori che
siano belli e innovativi, valorizzando
soprattutto la tradizione del ricamo
indiano e il lavoro manuale».
Si sono date un anno di tempo le due
amiche di Lankama. «Il lavoro da fare è
moltissimo – aggiunge la stilista – ci sono
molti passaggi per ottenere un articolo
che nei colori, nei volumi e nei ricami
esprima armonia e buon gusto. E che,
giustamente, invogli il cliente finale
all’acquisto di un accessorio di prezzo
medio-alto». Il primo passo è già stato
fatto: dopo il suo viaggio in India, del
novembre scorso, Loredana ha portato
alcune prove fatte dalle ragazze. Sono
stati selezionati i tessuti e i ricami più
interessanti. Tornata a gennaio in India
(e da poco rientrata), Prosperini ha fatto
realizzare i primi campioni sulla base dei
modelli scelti.
Il lancio e la campagna di marketing
delle nuove creazioni andranno curate
nei dettagli. «Gli articoli – conclude Chiara
– saranno presentati insieme alla mia
collezione sui siti www.chiarazanetti.it e
www.lankama.it. Cercherò di coinvolgere
tutte le riviste che hanno già pubblicato
i miei accessori. Ora abbiamo bisogno
di sostegno e di energie per questo
progetto, per offrire dignità al lavoro delle
ragazze. Forse non cambieremo le cose
nel mondo del commercio, ma da
qualcuno ci faremo sentire».
Tel. 030 961116 - Via F. Cavallotti, 20 - 25018 Montichiari (Bs)
Chiuso il mercoledì
marzo 2010
CULTURA
13
DIREZIONE

Ogni donna
(Angelo Gabrielli)
della Poesia
Ogni donna ha una sua bellezza segreta
che non si vede.
Ma che si sente,
quando fa l’amore.
Donna
(di BiancaLuna)
Caleidoscopio
di conoscenza
Scrigno
di valori e di virtù
Porto sicuro
Custode
di affetti profondi
Simbolo
di bellezza
soave o prorompente
Fonte
di forza e di tenacia
Pilastro
del genere umano
Tuttora repressa
dal giogo maschile.
Donne
(Arwen)
Come farfalle tropicali
Intrappolate nella ragnatela metropolitana
Aspettano.
Grandi occhi umidi
Di lacrime non versate
Scrutano.
Mani diafane
Stringono i pugni
Per tenerli vivi.
Non chiederti, novella Antiope,
cosa ti porterà il futuro.
Affila le tue armi
Dardi di emozione
Spade d’amore
Lancia la tolleranza
Nel bel mezzo dei cuori.
E illumina il tuo nido
Che rimbomba buio
Quando vince la tristezza.
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chiuso il sabato a pranzo
Vers’in rosa
Un regalo per le lettrici di L’ago:
una pagina di poesie dedicate alla
femminilità e all’unicità di ogni donna.
Può bastare
(Barbara Migliorati)
Non domando nulla
a chi non vuol rispondere.
Ho imparato a trovare
la quiete nel silenzio.
Il tuo respiro accanto al mio,
il tuo pensiero alla sera,
questo può bastare.
Il sogno
(Mario Arduino)
Cercavo di tenere le tue mani,
ma tu svanivi, pallida e leggera.
In fondo, nella vita degli umani
sono sempre le cinque della sera.
La Donna del sogno
(Angelo Gabrielli)
Ti ho incontrata
e somigli a quella del sogno;
ho quasi paura d’averti vista,
in questo “Bar del Porto”.
L’ho sfiorato apposta
per vedere se c’eri davvero,
ma sei subito svanita.
Allora mi sono rassicurato
E sono andato subito a dormire;
per sognarti di nuovo.
Senza titolo
(Franca Grisoni)
Se sono nel suo sogno
lascio che sia,
di quello ho anche bisogno.
Quando sento lo stesso nome
e faccio come se fosse
a me, e me lo prendo...
Essere il sogno di un uomo
non è da tutte
e adesso non lo scuoto più
che non ho potere di più
troppo grande quella che
lui fa che sia.
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Desenzano, 1834
Un itinerario artistico e curioso del quadro
“Veduta di Desenzano del Garda” (1834)
di Jean-Baptiste Camille Corot.
Da circa cento anni si erano perse
le tracce del dipinto di Jean-
Baptiste Camille Corot “Veduta di
Desenzano del Garda” del 1834 (foto
sopra), inserito nel catalogo dell’artista
con l’errata indicazione “Riva” (Lago di
Garda).
Del quadro di Desenzano non si
conosceva fino a poco tempo fa la
collocazione, tanto che si pensava fosse
disperso. Esisteva in un archivio
fotografico una sua produzione in bianco
e nero, senza alcuna indicazione del
collezionista.
Un giallo non da poco! Nemmeno dopo
la pubblicazione della foto, qualcuno
seppe fornire indicazioni sull’ubicazione
del quadro. L’opera è riapparsa nel 2005,
guarda caso, in occasione della mostra
di Ferrara dedicata al celebre pittore
francese. Essendo al corrente che il prof.
Giovanni Stipi era da tempo alla ricerca
del quadro, l’amico Mario Rocca ha
potuto segnalarne la presenza alla mostra
di Ferrara. Il Comune di Desenzano ha
quindi avuto l’opportunità di riprodurre
l’opera del grande artista.
Il pittore francese (Parigi, 1976-1875),
con i suoi viaggi in Italia, ha lasciato
un’impronta indelebile su più d’uno dei
nostri artisti. La raffinata opera di
mediazione fra la tradizione classica e le
nuove esigenze romantiche da lui
condotta, non rappresentava un fatto
isolato: tutta una costellazione di pittori,
conducevano un’operazione analoga.
Stipi ipotizza «che Corot conoscesse le
incisioni dell’artista svizzero Johann
Jackob Wetzel (1871-1834) o, più ancora,
che avesse con sé l’album degli schizzi
di Wetzel raffigurante i paesaggi
benacensi».
Il quadro di Corot, infatti, replica
l’identico punto di vista della “Veduta di
Desenzano verso l’isola Lechi” di Wetzel.
Corot sa distinguere le più delicate
sfumature dell’ombra e della luce e,
dotato di questa attitudine, è naturale
ch’egli rifuggisse dalle emozioni violente,
dal “sublime” romantico, per concentrarsi
su atmosfere più intime e raccolte. Quelle
del lago o dello stagno erano per lui le
forme ideali: le sue ascendenze classiche
lo portarono a prediligere le forme chiuse,
la stasi più che il dinamismo.
Egli dedicò al lago di Garda almeno
quattro dipinti. I primi due, realizzati dal
vero, durante il suo viaggio in Italia nel
1834: una “Veduta di Desenzano”, dipinta
in settembre, che fa parte di una
collezione privata svizzera, e una “Veduta
di Riva”, ora conservata al Kunst Museum
di San Gallo (Svizzera). Questa seconda
sarà ripresa negli anni successivi, in
studio, e darà vita ad altre due opere
d’arte: una “Veduta di Riva. Tirolo italiano”
del 1850, ora al Musée des Beaux-Arts
di Marsiglia, e un “Ricordo di Riva” del
1865-70, al Taft Museum of Art di
Cincinnati (Ohio, Usa).
Parliamo di “Veduta di Desenzano”:
secondo lo studioso lonatese Giovanni
dell’arte
di Luisa Sabbadini
Stipi in un mattino di settembre del 1834,
Corot fissò il proprio cavalletto a mezza
costa, su una collina poco fuori
Desenzano, non lontano dall’attuale
stazione ferroviaria. Come sempre
accadeva nei suoi bozzetti, egli dipingeva
esattamente quello che i suoi occhi
vedevano. Ciò che noi oggi rivediamo
nel suo quadro: nei primi piani, una vasta
macchia di vegetazione cespugliosa, che
digrada lentamente in profondità, segnata
sulla destra dal percorso sinuoso di una
strada campestre, lungo la quale
scendono un uomo a cavallo,
accompagnati da un cane. Il lento pendio
conduce fino alla parte alta del paese,
Capolaterra, di cui emergono gli edifici
eminenti: la vasta, articolata struttura del
castello, dove non è ancora stata eretta
la grande caserma in stile neogotico, che
oggi la occupa in gran parte; la chiesa
di San Giovanni e, a sinistra, una grande
casa che attualmente chiude piazza 1°
maggio dal lato sud. Oltre le costruzioni,
il lago, con la riviera della Valtenesi, sulla
sinistra. Vi si distingue la punta di Cisano,
la Rocca e il Sasso di Manerba. Una
macroscopica macchia bianca indica
persino la chiesa parrocchiale di Solarolo.
Sullo sfondo, bene illuminati nei loro
rilievi, il Pizzocolo, il monte Castello, il
Denervo. A destra più sfumati, oltre la
gola lontana in cui si restringe il lago,
l’Altissimo e i primi contrafforti del Baldo.
Il taglio della composizione esclude la
penisola di Sirmione e gran parte del
monte Baldo. Se Corot si fosse rivolto in
quella direzione, avrebbe avuto, nelle
prime ore del giorno, il sole in faccia.
La luce è la grande protagonista di
questo dipinto: fa lievitare l’impasto dei
colori con gioioso nitore, fonde la
precisione del disegno con la sintesi delle
masse cromatiche (il sottobosco, il lago,
i monti, il cielo), producendo una
immediatezza di rappresentazione in cui
circola e vibra una grazia sottile. I
paesaggi di Corot non sono mai una
riproduzione fotografica del vero. In loro
c’è un’anima sensibile, che s’allieta con
fanciullesca spontaneità e
s’immalinconisce in trepide, crepuscolari
attese.
Si ringrazia in modo particolare il prof.
Giovanni Stipi, autore di: Il paesaggio
lacustre nella pittura dell’Ottocento
europeo in “I luoghi della pittura - I
paesaggi di lago nell’800”, Brescia 2006.
Atlante del Garda, Brescia 1992, vol. III
“Luci e atmosfere gardesane nella
pittura”. Il paesaggio del Garda.
Evoluzione di un mito, Brescia 1993, vol.
I, secoli XIV-XIX.
marzo 2010
CULTURA
15
DIREZIONE

DIREZIONE
CULTURA
16
marzo 2010
L’AGO
del prof. Maurizio Tira
A continuare a dissipare le
risorse del pianeta,
ammonisce Ervin Laszlo,
scienziato ungherese, filosofo e
anche pianista straordinario, ci
attende un mondo in cui
crescono pressione
demografica, povertà, conflitti
sociali, guerre, cambiamenti
climatici nonché penuria di
alimenti, acqua, energia. Un
mondo in cui peggiorano
inquinamento industriale,
urbano e agricolo.
Esiste una via d’uscita per
l’uomo e per il suo futuro?
«Dipende da quello che l’uomo
vuole fare». La consapevolezza
dei nostri limiti, sottolinea Laszlo,
potrebbe aiutarci a divenire più
umani e aiutarci a sopravvivere
alla crisi che ci troviamo oggi
ad affrontare.
La Carta della Terra sancisce un patto
tra i popoli e la Terra, mette di fronte
alla sacralità della nostra “casa”. Come
si può leggere nel sito www.cartadella
terra.org, il documento ricorda le sfide
che ci vengono incontro e vuole
indicare possibili vie per affrontarle.
Non indugia in allarmismi, ma richiama
fortemente alla nostra responsabilità,
in quanto esseri umani, nei confronti
della “creazione”. Si tratta di un
richiamo a principi etici che possano
orientare le nostre azioni impegnate
nella costruzione di un mondo
sostenibile.
La Carta vuole essere una nuova
narrazione da consegnare a tutti i
popoli della Terra e da trasmettere alle
generazioni future in un momento in
cui “ il futuro riserva
contemporaneamente grandi pericoli
e grandi promesse”.
L’importante documento che fornisce
le fondamenta etiche per la
sostenibilità del pianeta, presso l’Aula
Magna della Facoltà di Ingegneria
dell’Università di Brescia, si è tenuto
un convegno promosso da Cogeme
Onlus, la fondazione che da anni
promuove attivamente la Carta della
La rete della vita e la
Carta della Terra
L’umanità è al bivio: da una parte si va verso il disfacimento
totale, dall’altra verso uno straordinario progresso.
Il professor Ervin Laszlo
Terra. Questa è considerata dall’Unesco
uno degli strumenti più innovativi ed
efficaci per la promozione di
un’educazione sostenibile.
Ospite d’eccezione, a Brescia, è stato
il professor Ervin Laszlo, fondatore della
filosofia dei sistemi e della teoria generale
dell’evoluzione, pianista ungherese poi
“convertitosi” alla filosofia della scienza.
L’evento, inserito nel “Decennio Onu per
l’educazione allo sviluppo sostenibile”
(2005-2014), ha rappresentato una grande
opportunità per ampliare il confronto e la
sensibilizzazione attorno al potenziale
educativo sulla cura della Terra e la
costruzione di comunità sostenibili
all’interno di una visione integrata del
mondo.
Il convegno ha tratto ispirazione dalla
necessità e urgenza di dover “aiutare” il
pianeta in cui viviamo che rischia di
autodistruggersi, a causa delle precarie
condizioni in cui lo abbiamo trascinato.
Il seminario, organizzato in collaborazione
con la Fondazione Cariplo, con il sostegno
di Unesco, Earth Charter International,
Ministero dell’Istruzione e Università degli
Studi di Brescia ha visto un’intensa e
numerosa partecipazione.
Ervin Laszlo ha fondato il
Club di Budapest,
un’ organizzazione
internazionale la cui filosofia
è basata sulla
consapevolezza che le
enormi sfide che l’umanità
sta attualmente affrontando
possono essere sconfitte
solamente attraverso lo
sviluppo di una coscienza
culturale globale. Il Club di
Budapest si batte per i valori
culturali e per il valore della/e
cultura/e, interpretando se
stesso come un costruttore
di ponti tra scienza e arte,
etica ed economia, tra
cognizione e realizzazione,
tra vecchio e giovane, così
come tra le differenti culture
del mondo.
Uno dei primi obiettivi del
Club è lo sviluppo di un
nuovo modo di pensare, che
richiede grande creatività.
La creatività è sempre stata
di dominio di artisti,
scienziati, pensatori non
convenzionali e insegnanti
spirituali. Con la loro ispirazione, potere
creativo, visioni e rilevanza universale,
essi hanno, in ogni generazione,
procurato gli impulsi che aiutano a dar
forma a valori culturali
(www.clubofbudapest.org). La creatività
è fondamentale in un momento in cui i
paradigmi classici dell’economia e della
tecnica hanno mostrato i loro limiti.
Maurizio Tira è docente ordinario di
Tecnica e pianificazione urbanistica
nell’Università degli Studi di Brescia.
Presidente del Consiglio di
coordinamento didattico dei corsi di
laurea in Ingegneria civile e Ingegneria
per l’Ambiente e il territorio e Presidente
del Centro Studi Città Amica (CeSCAm)
dell’Università degli Studi di Brescia. È
altresì presidente del Centro provinciale
di Studi urbanistici presso l’Ordine degli
Ingegneri, Chairman dell’Azione europea
COST “Land Management for urban
dynamics” ed esperto del gruppo di
lavoro OCSE “Pedestrian, urban safety
and health”.

Tre milioni di euro per il
monitoraggio e la tutela delle
acque gardesane. Sta per
partire Eulakes: studi,
rilevazioni e ricerche avranno
inizio tra marzo e aprile. Il
progetto punta anche al
coinvolgimento delle
comunità locali dal punto di
vista dell’educazione, della
conoscenza e della qualità
delle acque.
A breve il Cnr-Irea (Centro nazionale
di ricerca e Istituto per il
rilevamento elettromagnetico
dell’ambiente) e la Stazione
sperimentale “Eugenio Zilioli” (Ssez) di
Sirmione inizieranno il proprio impegno
nel progetto triennale Eulakes,
finanziato dall’Unione europea e
coordinato dalla Comunità del Garda.
Gli altri enti italiani coinvolti sono le
Agenzie per la protezione dell’ambiente
e l’Istituto di San Michele all’Adige
(Iasma).
Il progetto europeo prevede la
salvaguardia della quantità e qualità
delle acque del Garda e di altri tre
grandi laghi: il Balaton in Ungheria, il
Neusiedl in Austria e il Charzykowskie
in Polonia. Grande gioia, quindi, dopo
la conferma del finanziamento di circa
tre milioni di euro e anche tanta
soddisfazione per aver avanzato una
proposta vincente. Grazie alla
Comunità del Garda che ha coordinato
il progetto e alla presenza di partner
solidi, l’Europa porrà per i prossimi tre
Dall’Europa al
Garda, a Sirmione
Parte Eulakes
anni una considerevole attenzione al
nostro lago.
Eulakes coinvolgerà ogni Stato
partner con propri centri di ricerca e
agenzie per migliorare i sistemi di
monitoraggio, eseguire simulazioni dei
cambiamenti climatici volti a valutare
la vulnerabilità delle acque, definire
una strategia d’intervento comune
analizzando i casi d’inquinamento
specifici.
Sarà quindi uno studio focalizzato
sulle alterazioni provocate dall’uomo
e dai cambiamenti climatici in quattro
laghi europei, ma soprattutto vi sarà il
coinvolgimento delle realtà
amministrative nella soluzione delle
problematiche che emergeranno. Il
campo di ricerca del Cnr-Irea è quello
del telerilevamento applicato agli
aspetti ambientali. Il guardare
l’ambiente dall’alto, attraverso immagini
prive di confini amministrativi, che
mettano in evidenza le emergenze e i
cambiamenti del territorio, può essere
anche utile per le attività di educazione
ambientale. Questo è stato il tema
portante dei progetti Telea, acronimo
di Telerilevamento per l’educazione
ambientale, e Cartelgis (2004-2006),
che comprendeva anche la cartografia
a cura dell’ing. Luca Fila
e i sistemi informativi territoriali.
Il territorio analizzato con tecniche
di telerilevamento è anche inserito
tra i percorsi formativi proposti dal
Centro di rilevamento ambientale, che
condivide sede e attività con il Cnr-
Irea, alle scuole di Sirmione e dei
comuni limitrofi: dal 2003, almeno 500
studenti ogni anno hanno seguito
lezioni su vari temi a carattere
ambientale, tra cui la caratterizzazione
e la qualità degli ambienti acquatici e
in particolare dei canneti (Progetto
Rizoma), la qualità dell’aria, la geologia
e il termalismo, la geologia e la storia.
L’esperimento più difficile della
stazione sperimentale è proprio
dimostrare che la ricerca in ambito
ambientale non è soltanto un esercizio
accademico, ma può far ricadere sul
territorio che la sostiene una
consistente quantità di informazioni
utili a preservare il territorio stesso. Se
un’azienda privata vuole crescere o
mantenere un ruolo importante sul
mercato investe anche in ricerca,
perché allora enti pubblici territoriali
che dispongono di una risorsa come
l’ambiente, che è il perno della loro
economia, non dovrebbero fare
altrettanto?
L’Amministrazione comunale di Sirmione ha recentemente rinnovato per
altri dieci anni la convenzione stipulata con il Cnr-Irea. E nel 2009 è stato
firmato un protocollo di intesa tra il Cnr-Irea, la Provincia di Verona, i
Comuni di Bardolino, Lazise, Castelnuovo e Peschiera per il coordinamento
e il monitoraggio degli interventi di manutenzione alle aree a canneto e
un accordo simile è in corso per la Provincia di Brescia. Questi sono
piccoli passi verso la dimostrazione che l’ipotesi di partenza è valida. La
stazione sperimentale è stata inaugurata il 19 febbraio 2000, in occasione
del seminario ”Conoscere l’ambiente per governare lo sviluppo” svolto
a Sirmione, che ha avuto come madrina la professoressa Giuliana Sandrone.
Nel 2005 la struttura è stata dedicata a Eugenio Zilioli che ne fu il promotore.
I grandi alberi che vediamo nei giardini, in campagna o nei boschi sono
nati da semi relativamente piccoli: devono solo essere lasciati crescere.

DIREZIONE
CULTURA
18
marzo 2010
raccontando
di Chiara Sabbadini
Mi fermai, attonita, a osservare
il mondo che avevo davanti
Ritratto, uno
sguardo al mattino
del mondo
«È il mattino del mondo!», strillò mia madre svegliandomi dal sonno
profondo.
I miei genitori vivevano in maniera naturistica da sempre: il loro
calendario era colmo di appuntamenti legati al cambio stagione, alle
fasi lunari, ai cicli della natura. Quando ero piccola, il loro modo di
pensare, di essere, mi imbarazzava, mi faceva sentire diversa dai miei
amici, le cui famiglie regolavano la loro esistenza sullo stipendio e
l’affitto. Io avevo scelto di vivere diversamente.
Quella mattina, quando fui svegliata dalle solite frasi sulla natura che
cambiava, digrignai i denti. Ero tornata a notte fonda, volevo dormire.
Aprii gli occhi di malavoglia e cercai di raddrizzarmi. Vado a vivere da
sola!, pensai dentro di me, come già avevo fatto mille volte. Mi
sgranchii ai piedi del letto, infilai le pantofole e i pantaloni, alzai la
tapparella. Sapevo che mi attendeva una giornata colma di sorrisi,
pranzi faraonici e celebrazioni; la mia casa, durante queste feste, si
riempiva di amici dei miei genitori, che giungevano da ogni dove per
festeggiare.
Guardai il calendario, non avevo idea di quale giorno potesse essere:
era il 21 marzo. «L’equinozio di primavera – mi diceva mia madre
quando ero piccola – è la rinascita del mondo, Agata. La terra si
sveglia dal lungo sonno invernale e comincia a prendere forze per
affrontare l’estate!».
Nell’aprire la finestra il mio sguardo cadde sulla pianura. Il cortile era
stranamente colorato; tra i ciuffi di erba scura, appassita dall’inverno
e dal gelo, si vedevano appena sottili fili di un verde brillante. Un
pittore che avesse avuto a disposizione cento tonalità di verde non
avrebbe potuto rendere omaggio a quel prato. Che meraviglia!, pensai.
La mia vista corse oltre, verso il frutteto. I secchi rami marroni, che
come scheletri dondolavano nel vento pochi giorni prima, sembravano
aver trovato pace. Erano immobili, sereni, e dai loro rami spuntavano
decine di palline verde smeraldo: germogli, boccioli, abbozzi di foglie
che si facevano forti con i primi raggi del sole tiepido. Sembrava che
il paesaggio si fosse abbellito; sembrava che il suolo respirasse, e
che il vento pungente dell’inverno si fosse trasformato in una brezza
sottile che carezzava amorevolmente ogni creatura. I cani
scodinzolavano soddisfatti, e si sdraiavano sul manto erboso tiepido;
i conigli cominciavano a uscire dalle loro tane invernali per correre
alla stagione degli amori; i passeri cinguettavano buffe sinfonie, che
non avevo mai notato.
Mi fermai, attonita, a osservare il mondo che avevo davanti. Era la
prima volta che ci pensavo, la prima volta che mi soffermavo a riflettere
sui colori, a captarne l’energia. Il sole timido mi baciava in pieno viso
e mi donava una sensazione unica. Restai qualche minuto, o forse
qualche ora a guardare incantata il mattino del mondo, poi scesi dai
miei genitori e sorrisi. Quello che avevano cercato di insegnarmi in
trent’anni l’avevo capito, in un solo attimo, guardandomi intorno.
Redazionale
Comune di
Peschiera del Garda
La piscina
che mancava
Moderno ed efficiente, l’impianto natatorio di
Peschiera del Garda ospita corsi di nuoto,
acquagym e attività di fisioterapia nella frazione
di San Benedetto.
La piscina in via Ragazzi del ’99, non solo è uno
spazio accogliente e privo di barriere
architettoniche, ma ha anche proposte per ogni
età: scuola nuoto, acquagym e idrobike, corsi
per bimbi dai 3 mesi ai 4 anni, ginnastica dolce
e idrokinesi, ad esempio. Al suo interno ha tre
diverse vasche: quella da 25 metri per il nuoto
libero e i corsi, una vasca per i bimbi e una dotata
di scivolo, idromassaggio e percorso riabilitativo
per le persone con difficoltà motorie.
Nella piscina di Peschiera lavora anche
Alessandra Cappa, ex nuotatrice professionista
che ha partecipato alle Olimpiadi di Atene 2004.
«Ho iniziato a nuotare a 7 anni – ricorda – e fino
ai 22 mi sono sempre allenata due volte al giorno:
la mattina alle 5 e ogni pomeriggio». Dopo 12
anni con l’AvantGarda di Desenzano, è passata
sotto il compianto CT della Nazionale, Alberto
Castagnetti. Ha mancato Sydney per un incidente
al ginocchio, ma ha fatto i giochi di Atene; poi
ha lasciato il nuoto ad alti livelli. «Le Olimpiadi
mi hanno regalato un’emozione fortissima»,
racconta la 28enne. Ma ora è felice di essere
dall’altra parte, come istruttrice, per continuare
la sua passione: «Voglio trasmettere l’amore per
l’acqua ai “miei” allievi. Alleno una squadra di
nuoto di propaganda di bambini tra i 7 e i 9 anni».
Sulla piscina di Peschiera, aggiunge, «posso solo
dire che in gioventù mi è mancata molto. Da anni
la popolazione ne aveva bisogno… Come
impianto, sta lavorando bene e tanto».
Orgoglioso della struttura, oggi frequentatissima,
è il sindaco Umberto Chincarini, che ha seguito
personalmente l’opera: «Ogni spazio è pensato a
portata di disabile e a misura di carrozzina: non
ci sono gradini né passaggi stretti, abbiamo
spogliatoi e bagni dedicati, una palestra, un reparto
di fisioterapia e una vasca per l’idrokinesi».
L’impianto è gestito dall’Associazione Tennis
Club. È aperto da lunedì a venerdì in orario 8.30-
22 (mercoledì fino alle 21); sabato fino alle 19 e
domenica 8.30-13.30. Accesso gratuito per
bambini fino ai 4 anni e disabili residenti.
Informazioni su: www.piscinepeschiera.it (tel.
045.7552094).

Un invito primaverile giunge dagli
alpini. Raggiungere il rifugio
gestito dalla sezione alpina Monte
Suello ed esplorare le cime circostanti
ammirando le impareggiabili viste
panoramiche, percorrendo i sentieri
creati dagli stessi alpini.
Il rifugio Campei de Sima, che si
trova nel territorio di Toscolano
Maderno, è stato completamente
ristrutturato e inaugurato il 1° ottobre
del 2000. Andare a visitarlo consente
di godere della tradizionale ospitalità
alpina e di passare un weekend all’aria
aperta, fra tracce di storia e meraviglie
naturalistiche.
Per promuovere e agevolare
l’ascesa al rifugio, dal 2003 è stata
istituita l’apposita Commissione
sentieri ed escursionismo.
Responsabile della commissione,
nonché capogruppo delle penne nere
di Rivoltella, è il signor Silvano
Bertoletti che, in collaborazione con i
Famiglia Molinari
Vi offriamo... Cucina casalinga, pasta fresca,
arrosti e bolliti con servizio dal carrello...
e tanta ospitalità!
Giorno di chiusura lunedì
Loc. Folzone, 5 - Lonato (Bs)
Tel. 030 9130536 - fax 030 9134252 - www.alfolzone.it
oltre
di Silvia Brentegani
Finalmente la bella stagione è alle porte. Non esiste momento migliore per conoscere le montagne
che circondano il nostro lago. E chi più degli alpini può trasmettere l’amore per la montagna e
l’impegno per la sua salvaguardia?
Sentieri che passione!
“colleghi”, s’impegna a individuare i
percorsi migliori e a tracciare i sentieri,
con opere di disboscamento, creazione
di gradini e messa in sicurezza delle zone
più pericolose, come la cima dello Zingla,
il monte più alto della zona di Campei
(1497 m), dove è stato necessario installare
una corda metallica.
Fondamentale è la segnaletica del sentiero
che permette agli escursionisti di non
scegliere il percorso errato e di conoscere
i tempi di percorrenza di ciascun tragitto,
così da non essere sorpresi dal buio. Non
esiste, purtroppo, uno standard
internazionale per la segnaletica in
montagna, ma negli anni scorsi il Cai (Club
alpino italiano) ne ha proposto uno al quale
gli alpini si attengono fedelmente: una
piccola bandiera con due fasce rosse ai
lati e la parte centrale bianca con il numero
del sentiero.
Sono diversi gli itinerari che hanno come
punto di partenza o di arrivo il rifugio
Campei de Sima. Il più lungo e
impegnativo è il percorso circolare formato
dai sentieri n. 12 e n. 3, che sale sul monte
Zingla e ha una durata complessiva di
circa 5 ore. Dopo un così lungo cammino
si può decidere di tornare a valle oppure
passare la notte al rifugio, aperto tutti i
fine settimana da aprile a ottobre e dotato
anche di un bivacco sempre disponibile.
Natura e storia s’intrecciano in questo
“itinerario alpino”. La vecchia trincea della
prima guerra mondiale al Pas de la Fabiòla,
le stalattiti e le stalagmiti nel “Cuel de la
val de le Grote” conosciuto anche come
“Büs del Lüf”, le diverse specie animali
come l’aquila e il capriolo e le varietà
botaniche, fanno di questi monti una
destinazione ideale per tutti. Tuttavia, è
essenziale capire che frequentare e vivere
questi luoghi vuol dire anche
salvaguardarli, e il modo migliore per
cementare una buona cultura naturalistica
è l’educazione a rispettare la natura fin da
bambini.
Gli alpini della Monte Suello si occupano
anche di tale aspetto: organizzano, per
ragazzi delle elementari e delle medie,
momenti didattici nelle scuole ed
escursioni al rifugio sezionale dove sono
previsti pernottamento, proiezioni di
diapositive e incontri con Guardie forestali
e Guardiacaccia. Sul sito della sezione
(www.montesuello.it) si possono trovare
i sentieri percorribili, descritti nel dettaglio
e i riferimenti a tutte le attività promosse
dal gruppo.
Sempre pronti a intervenire
Il 20 febbraio scorso il gruppo alpini di Desenzano ha
organizzato una conferenza sull’operato della Protezione
Civile dell'Associazione nazionale alpini che, nel corso
degli anni, è intervenuta prontamente in ogni situazione
di emergenza. Dal 1976, anno del terremoto in Friuli, fino
al lavoro in Abruzzo, la Protezione Civile si è specializzata,
organizzata e dotata dei mezzi necessari. Anche la sezione
del nostro territorio, la Monte Suello, è sempre in prima
linea, con spirito di altruismo e lavoro di squadra. In
particolare, in Abruzzo ha contribuito alla gestione
dell’emergenza e alla costruzione di 33 case prefabbricate,
realizzate grazie alle donazioni delle diverse sezioni.

Città di Lonato
del Garda
L’assessore Valerio Silvestri accompagna i bambini
in visita al cantiere della nuova scuola
La primavera della Cultura
Biblioteca e scuola dell’infanzia
sbocciano a Lonato
Nel mese di marzo, Lonato del Garda inaugura due opere fondamentali per
la cittadinanza. L’Assessorato alla Cultura si accinge a consegnare ai lonatesi
la biblioteca “rinnovata” e la scuola dell’infanzia “Papa Wojtyla”, che potrà
ospitare fino a 8 sezioni e oltre 200 alunni.
Il prossimo 20 marzo alle 16 sarà ufficializzata la conclusione dei lavori
di restauro conservativo a Palazzo Zambelli, il prestigioso edificio ex
sede della Pretura.
«Un recupero importante, dato che l’investimento sostenuto supera il milione
e 500mila euro, e in un certo senso doveroso per la città, se si considera il
valore storico-architettonico e artistico della dimora settecentesca. Uno
scrigno che racchiude alcuni gioielli, come la “sala degli specchi” e gli
affreschi della scuola del Celesti. Riportati all’antico splendore, questi tesori
saranno a disposizione di tutti i cittadini, che in queste sale potranno soddisfare
la loro sete di cultura. Nel mese di maggio sarà infatti inaugurata la sezione
adulti della biblioteca comunale. Attualmente, la sezione bambini è attiva
al piano terra del palazzo». Riferisce l’assessore alla Cultura Valerio
Silvestri, che precisa: «Non sarà una semplice biblioteca, ma un polo
culturale con un patrimonio documentario significativo, sale di lettura,
un’emeroteca, una mediateca, una sala computer, spazi per conferenze,
incontri ed eventi culturali. Il servizio per gli adulti partirà a breve, in
primavera; per ora, invito tutti i lonatesi e gli amanti della cultura sabato
20 marzo a visitare il “ritrovato” Palazzo Zambelli, che diventerà una delle
più importanti biblioteche della Provincia di Brescia».
Oltre agli interventi di recupero dell’edificio che, nel rispetto architettonico,
hanno reso la struttura idonea ad accogliere una biblioteca moderna, i nuovi
spazi sono stati dotati anche di un sistema di rete wireless per la connessione
a internet senza fili nella mediateca e nella sala computer.
L’Amministrazione guidata dal sindaco Mario Bocchio, con l’impegno
profuso dal 2005 a oggi, ha però voluto rispondere anche a molti altri bisogni
della popolazione, in primis quello dell’educazione. A servizio delle famiglie
del “capoluogo” e dintorni, spiega l’assessore Valerio Silvestri, «abbiamo
creato una nuova scuola dell’infanzia in posizione centrale e facilmente
raggiungibile, con comodi parcheggi all’entrata del plesso. Sono una 70ina
i posti auto a disposizione dei genitori, mentre per il personale sono previsti
oltre 20 posti interni. La struttura didattica che si affaccia su viale Roma è
un edificio moderno ed efficiente, dove ogni spazio è concepito proprio
“a misura di bambino”. Sin dalla fase progettuale, ho voluto incontrare
le insegnanti per avere da loro le indicazioni utili a creare un ambiente che
Redazionale
corrispondesse ai bisogni reali dei bimbi. Vista la struttura
realizzata, credo che siamo riusciti a raggiungere l’obiettivo
prefissato».
L’edificio è innovativo anche dal punto di vista energetico.
Grazie alla collaborazione con la municipalizzata Garda Uno,
sono predisposti pannelli fotovoltaici, impianti solari termici,
sonde geotermiche e una centrale termica che collocano la
scuola in classe energetica “B”. Al suo interno, ospita anche il
centro di cottura, fiore all’occhiello dello stabile comunale: la
mensa è attrezzata e organizzata per preparare i pasti per i
bambini della scuola stessa e degli istituti “Don Milani” e “De
André”.
Lo spazio dedicato a ciascuna sezione – sei, per ora, ma
diventeranno otto a breve – vede al centro l’aula dove i bambini
si riuniscono per il gioco e le varie attività didattiche e, intorno,
una piccola serra con accesso al giardino, la mensa “privata”
e i servizi igienici. Ogni classe ha quindi il suo “regno”
autonomo, un luogo colorato e luminoso. Il corridoio centrale
mette in comunicazione le classi con gli spazi degli insegnanti,
i saloni per la psicomotricità e l’atrio con l’ingresso principale.
Non poteva che essere alle soglie della primavera l’inaugurazione
della scuola. Con un duplice appuntamento: gli alunni, futuri
“abitanti” del plesso, la mattina del 19 marzo riceveranno
una chiave ciascuno, con un portachiavi, per aprire
simbolicamente il nuovo asilo. Seguirà, sabato 20 marzo alle
ore 10, il taglio del nastro ufficiale della struttura intitolata
a Papa Wojtyla, grande esempio di amore per i bambini.
Ammonta a 2,9 milioni di euro il costo sostenuto
dall’Amministrazione civica per la realizzazione della scuola
dell’infanzia, che si estende su una superficie totale di 2.000
mq (più i locali interrati), di cui 350 occupati solo dal centro
di cottura. La cucina è suddivisa per “zone”, a seconda della
funzione specifica: per l’entrata delle derrate alimentari, il
lavaggio delle verdure, il taglio della carne, la cottura e il
confezionamento, il magazzino e l’uscita dei pasti pronti per
le altre scuole.
Come accennato, l’edificio si colloca in classe “B”. «Le
innovazioni energetiche – chiude Silvestri – miglioreranno
l’ambiente di vita degli alunni e i dati si tradurranno anche in
un risparmio economico per il nostro comune».
Sala degli specchi (Palazzo Zambelli)

“Coltivo un sogno, un’utopia contro
l’oblio”. Così lo scrittore Pino Cacucci,
nel suo lungo vagabondaggio fisico e
mentale in Messico, ha colto l’essenza
di personaggi come Tina Modotti e Nahui
Olìn.
Cacucci attraverso il racconto di storie
nascoste, dimenticate e sconosciute, ha
reso possibile e accessibili le biografie
di “Tina” (ed. Tea 1991) e di “Nahui” (ed.
Feltrinelli 2005). Entrambi catalogabili
come “reportage passionali”, non semplici
biografie quindi, ma romanzi di passione
politica, d’amore e di sofferta ricerca
artistica.
La fotografa rivoluzionaria e attrice del
muto, l’italiana Assunta Adelaide Luigia
Modotti Mondini in arte “Tina Modotti”
(1896-1942) e la pittrice e poetessa
messicana Maria Del Carmen
Mondragòn Valseci, in arte “Nahui Olìn”
(1893-1978) sono donne emergenti,
grandi ispiratrici di artisti e speranza della
storia messicana. Emblemi con Frida
Khalo (pittrice) e Dolores Del Rio (attrice),
di quell’epoca memorabile che furono gli
anni ‘20 e ‘30 a Città del Messico.
Già nel guardare le foto delle
protagoniste sulla copertina delle
rispettive biografie, non si può sfuggire
alla curiosità di addentrarsi nella loro
storia e, attraverso le pagine dello
scrittore, non si può non subire il fascino
della loro personalità. Dotate di quella
rara capacità di essere sia artiste che
muse. Oltre a una straordinaria bellezza
fisica, le accomuna l’immagine di una
bellezza vissuta e celebrata, il
temperamento focoso e irriverente,
specchio del fermento artistico e culturale,
strumento nella rivoluzione sessuale e
nell’emancipazione femminile in un
Messico sconvolto dalla rivoluzione.
Stupisce che un personaggio come
Sono ammessi: racconti brevi
Lunghezza massima: 9.000
battute, spazi inclusi,
l’equivalente di 5 cartelle
da 1.800 battute ciascuna
(con 30 righe da 60 battute
per ogni cartella)
Le iscrizioni al concorso sono
aperte fino al 30 aprile 2010;
la quota di partecipazione è
di 15 euro.
Per regolamento e informazioni: tel.
333.98094546 – 338.1702911
www.lagodirezionecultura.it
e-mail: direzionecultura@libero.it
di Luisa Sabbadini
liberalamente
Tina e Nahui,
arte e bellezza
Tina Modotti, artista di qualità e militante
di grande valore, sia stata trascurata per
così lungo tempo dagli storici della
fotografia e dalla storiografia politica,
senza considerare il fascino e
l’innovazione artistica che caratterizza
la sua complessa esistenza. Un’artista
che aveva creato immagini di qualità e
militato nel movimento comunista
internazionale. Nel percorso biografico,
la incontriamo a Hollywood alle prese
con il cinema muto, dove la sua
espressione artistica è subordinata alla
sua fisicità. Si trasferirà in Messico con
il famoso fotografo statunitense Edward
Weston, con cui vivrà una storia di
grande passione, non solo artistica.
Il clima politico e culturale postrivoluzionario
dell’epoca li porterà a
conoscere i grandi pittori muralisti. Sarà
infatti Diego Rivera in grado di cogliere
la forza innovativa nel lavoro di Tina. Nel
suo obiettivo Tina cattura gli aspetti
meno consueti del Messico, fotografa
la realtà umana per le strade, il disagio
sociale, si dedica alla militanza e, nel
suo lavoro di denuncia, realizza un
significativo reportage che si trasforma
in atto rivoluzionario per il contenuto
delle sue fotografie. Negli anni più cupi
dello Stalinismo lavorerà nel Soccorso
Rosso. La ritroviamo come combattente
nelle Brigate Internazionali nel 1936 in
Spagna, dove conosce Hemingway, Dos
Passos e Capa. Infine, la raggiungiamo
a Città del Messico, dove poco più che
quarantenne muore in circostanze ancora
misteriose.
Tina esiste grazie al narrare di
Cacucci. Come anche il ricordo di
Nahui, “donna più bella di Città del
Messico”, emerge e continua ad
affascinare: la incontriamo nel racconto
a ritroso di Cacucci, già vecchia e
trasandata, mentre si trascina lungo
l’avenida Madero, a Città del Messico,
dove poco distante si può ancora
DIREZIONE
Premio De Benaco
La casa editrice, Associazione De Benaco, indice
UN CONCORSO DI NARRATIVA A PREMI
Tema: Benaco, anno 2050
Nel ventre del lago un oblio…
CULTURA
La vita e i sogni
sono fogli di uno
stesso libro.
Leggerli in
ordine è vivere,
sfogliarli a caso
è sognare.
(Arthur Schopenauer)
intravedere il suo ritratto nel murales di
Diego Ravera. Malgrado tutto, i suoi
occhi ammaliano ancora, il magnetismo
è sempre lo stesso. Il poeta Homero
Aridjis ne è attratto, si ferma a conversare
con questa “pazza”, la riconosce e si
stupisce che nessuno abbia dato voce
alla leggendaria storia di Nahui.
La pittrice e poetessa nasce in una
famiglia conformista, con cui ha poi un
eterno rapporto conflittuale. Si innamora
degli artisti più inquieti di Città del
Messico. Le sue sono passioni infernali,
alternate da turbini di gelosia e
sottomissione, morbosità, sensi scatenati
e affetti incatenati. Nahui non muore...
si fa morire, quando si accorge di essere
troppo stanca per continuare ad
accompagnare il sole. Nella sua vena
poetica, emerge tutto il suo essere donna:
Non ho rimpianti./ Non farei altro che ciò
che ho fatto./ E amerei gli stessi cabrones
che ho amato,/ perché finché è durato
l’amore/ non ho avuto il tempo di
chiedermi/ come si sarebbero comportati
un domani./ E amerei gli stessi
caballeros,/ perché per quanto effimera
sia stata l’emozione/ e per quanto crudele
il distacco,/ la morte che me li ha tolti/
non mi ha strappato di certo il ricordo,/
né ha potuto annullare il vissuto./ Perché
l’amore che ho vissuto/ non me lo può
togliere nessuno,/ neppure tu,/ Pelona,/
la Gran Cavaliera Sonriente...
e Associazione culturale
De Benaco

DIREZIONE
CULTURA
22
Tornano gli amatori dell’agricoltura
casa. E c’è pure la famigliola che recinta una parte del
giardino per farvi crescere un po’ di verdura. Gli alimenti
coltivati nell’orto non sono solo sani e genuini, perché prodotti
in casa e accessibili a tutti, ma regalano anche tante
soddisfazioni quando, dopo settimane di lavoro e cure, dalla
piantina si raccolgono i frutti.
I ritmi naturali e l’attività all’aria aperta riportano a uno stile
di vita più “rilassato”, quasi un anti-stress, e a una maggiore
attenzione verso l’ambiente in cui si vive. La scelta delle
colture varia nel rispetto delle tradizioni locali e delle dimensioni
del terreno a disposizione, ma la costante è l’orto.
Persino nelle scuole italiane tale pratica sta tornando alla
ribalta. La “campagna” entra in aula, come progetto o
disciplina correlata alle abitudini nutrizionali, ma anche nelle
case, come autentica passione. In Italia, sono circa un milione
le persone che si dedicano al cosiddetto “hobby farming”,
l’agricoltura amatoriale che si diffonde un po’ a ogni età e
in tutte le classi sociali. Se il primo a praticarla, anni fa, era
il pensionato, ora anche lo studente, l’operaio o l’impiegato,
dedicano del tempo alla coltivazione del loro fazzoletto di
terra. Cosa spinge ad avviare l’orticello? In primis, il desiderio
di consumare cibi più sani e sicuri. Ma anche la voglia di
stare all’aria aperta e di risparmiare sui costi dei generi
alimentari.
Agricoltore per passione, l’hobby farmer è il proprietario
di terreno che ha tra i 40 e i 60 anni circa e passa mediamente
10 ore alla settimana nell’orto. Risulta dall’indagine condotta
su un campione di 4mila intervistati dalla società Nomisma,
in collaborazione con il mensile “Vita in Campagna” e
presentata alla Fieragricola di Verona il mese scorso.
marzo 2010 C’è la neolaureata che tiene l’orticello nella veranda di
di Angelica Saffi
Gli orti tornano di moda. E crescono gli hobby farmer: amatori dell’agricoltura
“domestica”. Salubrità dei prodotti e voglia di stare all’aria aperta spingono
una realtà ormai quasi sociale. Sarà da quando la first lady Michelle Obama
ne ha creato uno alla Casa Bianca? O più probabilmente da quando la crisi
induce ad aguzzare l’ingegno e a riscoprire il piacere conveniente delle cose
buone, fatte in casa.
L’interesse per le attività agricole da parte di “non addetti ai
lavori” – fa sapere Nomisma – sta assumendo oggi particolare
rilevanza in un momento in cui la crisi economica porta molte
persone a riscoprire la bontà e la convenienza dei prodotti
del proprio orto e frutteto. Le dimensioni medie dei terreni
coltivati non sono marginali e si aggirano in media tra 0,6
(perlopiù per pensionati e operai) e 1,2 ettari di superficie,
arrivano a 2 in collina o montagna. Mentre l’88,6% si dedica
all’orto, il 65% opta per il frutteto e il 34,3% ha il vigneto o
l’oliveto (32,3%). Tornano anche i piccoli allevamenti di animali
da cortile: ci sono allevatori avicoli (86,6% ) e di conigli (40%).
Le scuole che organizzano un piccolo orto biologico nel
cortile o in un fazzoletto di terreno vicino sono oggi molto
diffuse in Italia, perlopiù in Toscana, Piemonte e Marche.
L’orticoltura è un’attività vivace e interessante che sta
prendendo piede in molte realtà del panorama scolastico
italiano per i suoi risvolti educativi: migliora l’approccio delle
nuove generazioni al mondo alimentare e alla natura. Nell’alto
lago, ad esempio, le scuole di Caprino Veronese partecipano
a un concorso a premi… per gli orti migliori, facendo
dell’orticoltura una pratica didattica e formativa.
“Orti a scuola” coinvolge tutte le classi dell’Istituto
comprensivo, dalla “materna” alle “medie”. «L’idea – spiegano
gli organizzatori – è che questi alimenti vengano prodotti,
curati e consumati in loco, senza spese aggiuntive. L’orto è
educativo ed è un’occasione di svago». Come racconta il
dirigente scolastico Enzo Gravizzi, «l’iniziativa coinvolge le
scuole, l’associazione Baldofestival e gli agricoltori locali, nel
ruolo di tutor. Il progetto ha una doppia valenza: sia come
pratica di osservazione scientifica e di sperimentazione, sia
come percorso di educazione alimentare».
Studio di Psicologia
Livingston
Per info e iscrizioni
tel. 392.8584404 - 339.3937088
E-mail: studiolivingston@email.it
Consulenza psicologica - Coaching - Relazione d’aiuto
Lo Studio Livingston inizia a marzo i corsi di:
MOTIVAZIONE ALLO STUDIO - Per tutti gli studenti incastrati in problemi di studio
e di rendimento
DIMAGRIRE: ISTRUZIONI PER L’USO - Per tutti coloro che combattono ogni
giorno con la bilancia
S.O.S ANSIA - Per tutti coloro che hanno incontrato l’ansia sul loro cammino
L’ARTE DI ESSERE FELICI - Per la presa di consapevolezza dei sintomi depressivi
I corsi sono a numero chiuso con un massimo di 10 frequentanti per sessione; gli incontri si
terranno presso lo Studio Livingston, in Via Mazzini 29 a Carpendolo (Bs).

La voce dei lettori
Pubblichiamo la risposta del prof. Claudio Gallo, dell’Università di Verona, in risposta al messaggio inviato dal
prof. Roberto Giacomelli e già apparso su questa pagina del numero scorso, in merito all’articolo “Dario Papa,
maestro del giornalismo moderno” (L’ago di gennaio 2010, pp. 10-11), scritto dallo stesso prof. Gallo.
Verona, febbraio 2010
Da diverso tempo avevo cercato di rintracciare una fonte certa sul luogo e sulla data di nascita di Dario Papa. Ora il
professor Roberto Giacomelli mi viene in aiuto e corregge un mio errore; Papa non è nato a Desenzano, ma a Rovereto.
Avevo rintracciato entrambe le segnalazioni biografiche sulla stampa veronese, ma avevo dato più credito alle indicazioni
di vecchi redattori col pallino della storia del giornalismo, come Giuseppe Faccincani. Il cognome “Papa”, diffuso nel
basso lago della riva bresciana, un ampio scritto di Dario Papa in ricordo di Desenzano, la lapide che lo ricorda nella
città lacustre, la carriera giornalistica iniziata a Milano, sbocco naturale per i lombardi mi avevano indotto a dare più
credito all’ipotesi dei suoi natali a Desenzano. Ciò comunque non muta il legame di Papa con questa simpatica città.
Ringrazio il professor Giacomelli per la preziosa informazione che mi aiuterà a conoscere e ad approfondire la storia
di un grande e moderno giornalista italiano.
Cordiali saluti. Claudio Gallo
Sirmione: fotografie cercansi
A partire dal 2000, il Comune di Sirmione ha curato la
pubblicazione di alcuni libri di storia locale e ha
collaborato nella realizzazione di mostre fotografiche che
riproponevano immagini significative, e talvolta curiose, della
Sirmione del XX secolo. Già da un po’ la Biblioteca comunale
sta lavorando a un nuovo doppio evento per il 2011: una mostra
fotografica sulla Sirmione di ieri e di oggi, con la stampa di un
corposo volume contenente le fotografie più significative tra
quelle già esposte nelle mostre precedenti. Tale lavoro
presuppone la collaborazione di tutti: coloro che hanno a
disposizione del materiale fotografico che possa contribuire a
ricostruire il passato recente della nostra comunità, sono invitati
a portarlo in Biblioteca, dove verrà riprodotto e restituito ai
legittimi proprietari. Anche alcune fotografie contemporanee
possono diventare interessanti, in un’ottica futura: le foto
scattate oggi saranno importanti tra qualche anno, quando
risulterà simpatico e curioso identificare i presenti in un continuo
tentativo di recupero della nostra memoria collettiva.
Carnevale con L’ago
A ogni buon cavaliere il suo... L’ago
Incontri per Filosofare
Proseguono a Peschiera gli incontri del ciclo “Filosofare”.
Laboratori di pratica filosofica per apprendere e provare
l’esercizio della riflessione in prima persona e riscoprire il dialogo
di gruppo. Non serve essere specialisti della materia: «Tutti i
partecipanti a questi incontri – spiegano gli organizzatori – sono
invitati a collaborare alla ricerca comune, mettendo in gioco le
proprie idee ed esperienze nel dialogo con gli altri. Il consulente
filosofico stimola la riflessione e il confronto fra i dialoganti e
guida il percorso di indagine filosofica… che è un modo di
vivere».
Le serate sono a ingresso libero, dalle 20.30 nella Biblioteca
civica, condotte dalla consulente Gloria Pimazzoni, organizzate
dal Comune di Peschiera in collaborazione con l’Associazione
italiana per la consulenza filosofica (Phronesis) e lo studio di
filosofia “Il Giardino di Epicuro”.
Prossimi appuntamenti: “Che cos’è successo?”, il 10 marzo;
“La cura di sé”, il 24 marzo; infine “Attività e pigrizia”, il 31
marzo. Info: 045.6400153 o www.comune.peschieradelgarda.vr.it.

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