architettura di qualità - ZERO-OFFICE Andrea Mammarella Architetto
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ARCHITETTURA DI QUALITÀ<br />
La Forma segue il Processo<br />
Qualità è <strong>di</strong>ventata da <strong>di</strong>versi anni una delle principali parole-chiave all’interno dei<br />
processi produttivi delle opere <strong>di</strong> <strong>architettura</strong>.<br />
Amministratori pubblici, piccoli e gran<strong>di</strong> impren<strong>di</strong>tori e<strong>di</strong>li, teorici più o meno illustri<br />
e praticanti a tutti i livelli ricorrono costantemente a questo termine e a tutto ciò<br />
che sottende ogni qualvolta si richiede un innalzamento del livello della risposta<br />
alle più <strong>di</strong>verse tipologie <strong>di</strong> domande. Si sventola, ahinoi, il vessillo della <strong>qualità</strong><br />
anche quando, volendo contrastare qualcuno o qualcosa, non si riesce o non si<br />
sa argomentare, nel merito, né si riesce a costruire un seria e cre<strong>di</strong>bile critica<br />
d’<strong>architettura</strong>.<br />
Pur tuttavia – e forse proprio per questi motivi – la necessità e l’attualità <strong>di</strong><br />
sviscerare il tema della <strong>qualità</strong> si fa ogni giorno più stringente. Diventa sempre più<br />
necessario il recupero dei temi e degli strumenti della critica d’<strong>architettura</strong>, dei<br />
processi contemporanei <strong>di</strong> costruzione del progetto; prima <strong>di</strong> cedere tristemente<br />
il passo, da una parte, ad una cialtronesca e speculativa forma <strong>di</strong> banalizzazione<br />
del concetto <strong>di</strong> <strong>qualità</strong> ovvero, dall’altra, al suadente – nella sua sbrigativa<br />
esaustività – e sempre strisciante concetto secondo con cui la <strong>qualità</strong><br />
dell’<strong>architettura</strong> possa essere misurata dal fatturato del professionista che l’ha<br />
‘prodotta’, dall’or<strong>di</strong>ne con cui questi tiene il suo archivio, dal numero <strong>di</strong> documenti<br />
e <strong>di</strong> asseverazioni attraverso cui è stata definita.<br />
Diventa allora fondamentale capire quale significato e quale possibile definizione<br />
pratica possa essere data a questa idea <strong>di</strong> <strong>qualità</strong> che appare sempre più<br />
determinante e risolutrice all’interno della <strong>di</strong>alettica architettonica contemporanea.<br />
Non c’è dubbio – anche se molto più facile aderire in astratto <strong>di</strong> quanto non lo sia<br />
alla prova dei fatti – che ciò che deve intendersi con la definizione <strong>di</strong> <strong>architettura</strong> <strong>di</strong><br />
<strong>qualità</strong> non può avere molto a che vedere con le proprie personali idee rispetto a<br />
cosa possa essere più o meno valido; non si tratta, in altre parole, <strong>di</strong> separare ciò<br />
che la personale sensibilità compositiva riconosce come affine e ciò che, al<br />
contrario, giu<strong>di</strong>ca <strong>di</strong>fforme o non all’altezza.<br />
A ben vedere inoltre, risulta ancor meno proponibile la possibilità <strong>di</strong> costruire una<br />
scala <strong>di</strong> valori, un canone (come si sarebbe definito due o trecento anni fa)<br />
rispetto al quale confrontare, misurare e classificare il grado <strong>di</strong> <strong>qualità</strong> <strong>di</strong> un’opera<br />
architettonica – anche se su questo punto, varrà la pena spendere qualche riga <strong>di</strong><br />
riflessione in più.<br />
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L’ere<strong>di</strong>tà storica <strong>di</strong> lunghi secoli <strong>di</strong> <strong>architettura</strong> giunta fino a noi ci ha insegnato in<br />
realtà che in molti perio<strong>di</strong> (anche se non in tutti), la definizione <strong>di</strong> <strong>architettura</strong> <strong>di</strong><br />
<strong>qualità</strong>, così come potrebbe essere semplicisticamente intesa oggi, corrispondeva<br />
in realtà ad una e ad una sola possibilità <strong>di</strong> espressione, coincideva con una<br />
regola, con un or<strong>di</strong>ne, definito in maniera assai dettagliata da una serie <strong>di</strong><br />
in<strong>di</strong>cazioni, <strong>di</strong> vere e proprie prescrizioni, <strong>di</strong> carattere geometrico e formale<br />
(sezione aurea, simmetrie, abaci <strong>di</strong> elementi raggruppati per or<strong>di</strong>ni e per categorie<br />
tipologiche, ecc.). C’era, ovviamente, una gradazione e una <strong>di</strong>fferenziazione delle<br />
capacità <strong>di</strong> ogni singolo architetto all’interno <strong>di</strong> questo processo compositivo che<br />
ne faceva <strong>di</strong>stinguere l’operato e il valore ma, comunque, tutta la maestria del<br />
progettista veniva spesa all’interno <strong>di</strong> un quadro oggettivamente determinato <strong>di</strong><br />
princìpi e a partire da una griglia <strong>di</strong> elementi fissa e stabilizzata per decenni.<br />
L’<strong>architettura</strong> era tale, era degna <strong>di</strong> questo nome, quando rispettava e sviluppava<br />
armoniosamente le in<strong>di</strong>cazioni e i precetti stilistici del proprio tempo; al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong><br />
questo mondo articolato ma, tutto sommato, abbastanza semplice <strong>di</strong> prescrizioni<br />
e <strong>di</strong> regole oggettivamente misurabili c’era spazio soltanto per due possibili ed<br />
estreme <strong>di</strong>versità: da un lato la capacità dei geni, dei gran<strong>di</strong> maestri, che<br />
riuscivano a svincolarsi dalle regole e dai canoni, anche se solo per crearne <strong>di</strong><br />
nuovi e <strong>di</strong> più aggiornati; dall’altro la non-<strong>architettura</strong>, la costruzione nuda e cruda<br />
<strong>di</strong> opere da considerarsi provvisorie, destinate alla quoti<strong>di</strong>aneità popolare e senza<br />
alcun valore architettonico – non si trattava certo <strong>di</strong> una questione <strong>di</strong> maggiore o<br />
minore <strong>qualità</strong>, o si faceva <strong>architettura</strong>, oppure no.<br />
Questa con<strong>di</strong>zione stabile e universale dei canoni che l’<strong>architettura</strong> ha utilizzato<br />
nei secoli per esprimersi (mantenendo intatto il corpo nobile dell’<strong>architettura</strong><br />
stessa, per cui o essa è tale oppure non è possibile parlarne) è rimasta<br />
sostanzialmente inalterata fino ai giorni nostri, fino – e compresa – all’ultima<br />
grande stagione del Movimento Moderno in cui, formalmente ed essenzialmente,<br />
la <strong>di</strong>fferenza tra ciò che poteva essere considerata <strong>architettura</strong> <strong>di</strong> <strong>qualità</strong><br />
(<strong>architettura</strong> tout court, si sarebbe detto qualche decennio fa) e ciò che non lo era,<br />
si basava su una serie <strong>di</strong> parametri, <strong>di</strong> prescrizioni geometriche, tecniche e<br />
compositive rigorose (chiarezza, linearità e standar<strong>di</strong>zzazione tipologica e<br />
strutturale, pilastri in libera, finestre a nastro, ecc.). Ancora, fino alla fine degli anni<br />
quaranta era possibile ‘misurare’ la <strong>qualità</strong> <strong>di</strong> una <strong>architettura</strong> in ragione della sua<br />
rispondenza ai dettami e ai princìpi comunemente definiti dallo ‘stile’ del tempo.<br />
Un tempo certamente in via <strong>di</strong> una sempre maggiore complessizzazione, rispetto<br />
alla quale la <strong>di</strong>sciplina architettonica (rappresentata in quegli anni proprio dal<br />
Moderno) stava compiendo un titanico e smisurato sforzo <strong>di</strong> determinazione e <strong>di</strong><br />
puntualizzazione dei canoni descrittivi e fondativi della cosiddetta nuova<br />
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<strong>architettura</strong> (basti pensare, tra i vari esempi <strong>di</strong> questo gigantesco sforzo <strong>di</strong><br />
inquadramento formalista, al grottesco malinteso che la storiografia<br />
dell’<strong>architettura</strong> ha compiuto nell’accomunare la straor<strong>di</strong>naria e rivoluzionaria<br />
stagione dell’<strong>architettura</strong> americana del Dopoguerra con gli ermeneuti e gli esegeti<br />
del Moderno europeo in un in<strong>di</strong>stinto e confuso International Style).<br />
Ma come ci ha duramente insegnato il Novecento, ad una sempre maggiore<br />
puntualizzazione dei rapporti causa-effetto, delle descrizioni oggettivistiche dei<br />
fenomeni, non sempre (quasi mai) è corrisposto un maggior grado <strong>di</strong> conoscenza<br />
ed una maggiore capacità <strong>di</strong> controllo dei fenomeni; ma anzi, l’universo che ci è<br />
stato consegnato dopo la definizione della teoria quantistica e della relatività<br />
einsteiniana, dopo la fisica nucleare, dopo la scoperta dei buchi neri e dei neutrini<br />
(per restare in ambito scientifico, senza entrare in quelli filosofici e artistici…) si è<br />
caratterizzato per un altissimo livello <strong>di</strong> indeterminatezza, mostrando<br />
vertiginosamente tutti i limiti e l’inadeguatezza <strong>di</strong> quel metodo determinista e<br />
oggettivista che, ancora fino al tempo <strong>di</strong> Le Corbusier e compagni, continuava a<br />
provare a spiegare agli architetti che, tra le altre cose, la misura minima necessaria<br />
(e numericamente descrivibile) dell’esistenza poteva essere ‘or<strong>di</strong>nata’ in una<br />
sequenza <strong>di</strong> rapporti (rapporti <strong>di</strong> causa-effetto, per l’appunto) geometrici (Modulor<br />
ed existenzminimum).<br />
Molta <strong>di</strong> questa cultura ‘Moderna’ vive ancora oggi all’interno dei nostri<br />
meccanismi <strong>di</strong> produzione e <strong>di</strong> valutazione dell’<strong>architettura</strong> contemporanea; al<strong>di</strong>là<br />
delle questioni <strong>di</strong> merito rispetto alle quali ci si confronta, resiste soprattutto la<br />
tendenza, l’inclinazione culturale a costruire scenari <strong>di</strong> riferimento oggettivi,<br />
misurabili, determinabili, dentro cui incasellare il giu<strong>di</strong>zio della propria e dell’altrui<br />
opera.<br />
Da una parte allora ci troviamo <strong>di</strong> fronte ad una metodologia <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio legata<br />
ancora agli schemi mentali classici della tra<strong>di</strong>zione, all’articolazione <strong>di</strong> una griglia <strong>di</strong><br />
rapporti <strong>di</strong> causa ed effetto consolidati e immobilizzati da secoli; da un’altra<br />
tuttavia, ci scontriamo ogni giorno con la impossibilità <strong>di</strong> costruire un ideale<br />
‘manuale contemporaneo’ dell’<strong>architettura</strong>, una raccolta cioè <strong>di</strong> tutte le<br />
prescrizioni e le descrizioni degli elementi attraverso cui esprimere <strong>architettura</strong><br />
(così come hanno fatto i nostri predecessori, da Vitruvio a Palla<strong>di</strong>o, fino al<br />
Bauhaus). Tutti coloro che ancora oggi provano ad impegnarsi in questo tentativo<br />
epico non possono far altro che misurarsi con l’esplosione e la frammentazione<br />
generale <strong>di</strong> tutti quelli che fino a qualche decennio fa erano gli elementi base<br />
intorno a cui costruire l’enciclope<strong>di</strong>a dei saperi dell’architetto: le tecnologie, i<br />
materiali, i programmi funzionali, le forme. Non a caso i manuali più recenti <strong>di</strong><br />
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<strong>architettura</strong> si affidano sempre <strong>di</strong> più ad esempi <strong>di</strong> architetture realizzate da<br />
prendere a singolare modello accettandone, implicitamente, il loro carattere <strong>di</strong><br />
unicità, il loro ‘miracoloso’ equilibrio <strong>di</strong> forme e tecnologie che lì (e forse solo lì)<br />
hanno saputo concretizzare quella e quella sola opera compiuta. Del resto, in un<br />
contesto economico produttivo in cui le innovazioni tecnologiche e <strong>di</strong> settore<br />
subiscono variazioni e implementazioni continue, in un contesto sociale, culturale<br />
e finanziario in cui le articolazioni programmatiche e le cosiddette tipologie<br />
costruttive vengono scombussolate, reinventate e riadattate ad ogni progetto,<br />
come si può sperare <strong>di</strong> fissare dentro un in<strong>di</strong>ce, dentro un elenco finito <strong>di</strong><br />
elementi, tutte le soluzioni e le possibilità <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>spone oggi un progettista?<br />
La con<strong>di</strong>zione definitiva <strong>di</strong> questo nuovo scenario cui viene riconsegnato l’operato<br />
dell’architetto contemporaneo, oltre ad una interminabile, elettrizzante e<br />
stimolante gamma <strong>di</strong> possibilità non co<strong>di</strong>ficabili e sempre rinnovabili, implica,<br />
d’altro canto, una impossibilità concreta <strong>di</strong> definire e fissare le forme e i criteri<br />
attraverso ed entro cui una buona <strong>architettura</strong>, una <strong>architettura</strong> <strong>di</strong> <strong>qualità</strong> (<strong>di</strong>ciamo<br />
oggi), debba esprimersi.<br />
Paradossalmente (ma solo in apparenza), è proprio durante questa fase storica<br />
contemporanea, <strong>di</strong> fronte a questa inafferrabile definizione univoca <strong>di</strong> <strong>architettura</strong>,<br />
che il confronto con un concetto quale quello della <strong>qualità</strong> <strong>di</strong>venta cruciale e<br />
irrinunciabile; perduti i riferimenti e gli strumenti classici <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio e <strong>di</strong> analisi,<br />
nasce l’urgenza <strong>di</strong> dotarsi <strong>di</strong> un nuovo metodo <strong>di</strong> valutazione e <strong>di</strong> critica<br />
dell’attività architettonica. Un sistema <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio tanto più urgente e necessario<br />
quanto più il superamento del metodo tra<strong>di</strong>zionale da una parte e la mancata – o<br />
presunta tale – comprensione delle nuove con<strong>di</strong>zioni dall’altra, viene sfruttata<br />
colpevolmente dai soliti speculatori per commettere i delitti architettonici più<br />
efferati.<br />
Se finalmente e un po’ amaramente (chissà poi perché!), sembra si cominci a<br />
prendere atto del fatto che non è più possibile definire (e quin<strong>di</strong> richiedere)<br />
un’unica <strong>architettura</strong> con la A maiuscola – per lo meno, non così come la<br />
intendevano i nostri antenati (siano essi Classici, siano essi Moderni) – allo stesso<br />
tempo però è necessario prendere coscienza dell’urgenza e della necessità <strong>di</strong><br />
stabilire e <strong>di</strong> utilizzare un metodo <strong>di</strong> determinazione e <strong>di</strong> valutazione della <strong>qualità</strong>,<br />
capace <strong>di</strong> funzionare sempre e comunque anche quando, in assenza del manuale<br />
<strong>di</strong> cui si <strong>di</strong>ceva in precedenza, non è più possibile rapportarsi ad uno schema<br />
prestabilito e universalmente riconosciuto.<br />
Questo metodo però, per non ricadere nel solito errore, è costretto a posizionarsi<br />
su due versanti <strong>di</strong>versi e alternativi: o rinunciare completamente alla possibilità <strong>di</strong><br />
or<strong>di</strong>nare i propri giu<strong>di</strong>zi lungo una scala misurabile e universale (affidandosi ad una<br />
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sorta <strong>di</strong> ‘pura empatia’ soggettiva), oppure definire il proprio spazio <strong>di</strong> azione<br />
rispetto ad una sommatoria integrale <strong>di</strong> variabili complesse; rielaborando e<br />
ridefinendo in questo stesso ‘campo’ <strong>di</strong> valutazione ampliato le caratteristiche e le<br />
azioni utili alla definizione delle <strong>di</strong>fferenze e delle <strong>di</strong>mensioni dei processi<br />
progettuali contemporanei.<br />
In altre parole, se non esistono più gli abaci e gli or<strong>di</strong>ni architettonici rispetto ai<br />
quali misurare il valore (la <strong>qualità</strong>) dell’<strong>architettura</strong>, varrà la pena prendere atto del<br />
fatto che l’<strong>architettura</strong> contemporanea si esprime attraverso l’organizzazione <strong>di</strong><br />
sistemi più o meno complessi <strong>di</strong> variabili: soluzioni e invenzioni programmatiche al<br />
posto del proporzionamento geometrico <strong>di</strong> elementi prestabiliti, gestione e<br />
ottimizzazione <strong>di</strong> tecnologie sempre nuove e <strong>di</strong>verse al posto dell’articolazione <strong>di</strong><br />
abaci costruttivi, uso delle forme come elementi solutori finali delle conflittualità del<br />
progetto piuttosto che adesione alla corrente stilistica del momento.<br />
Ancora più sinteticamente: non è sulle forme che va misurato il valore qualitativo<br />
della nostra <strong>architettura</strong>, ma nella capacità che queste hanno <strong>di</strong> gestire e risolvere<br />
il maggior numero possibile <strong>di</strong> problematiche.<br />
Ecco dunque profilarsi una possibile risposta alla nostra domanda iniziale: Come<br />
si può misurare la <strong>qualità</strong> <strong>di</strong> una <strong>architettura</strong>? Più che una risposta, una proposta.<br />
Se dunque non ha più senso definire il livello qualitativo <strong>di</strong> un’opera<br />
esclusivamente in ragione della sua forma, del suo aspetto esteriore, anche e<br />
soprattutto quando il risultato formale che pretende <strong>di</strong> essere messo a giu<strong>di</strong>zio<br />
giunge dopo una lunga serie <strong>di</strong> frustrazioni, <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>menti e <strong>di</strong> <strong>di</strong>sattenzioni <strong>di</strong> altre<br />
fondamentali tematiche, bisognerà smettere <strong>di</strong> cercare gli elementi utili alla<br />
‘quantificazione’ della sua <strong>qualità</strong> unicamente in ciò che <strong>di</strong> quest’opera appare<br />
all’esterno; cosa <strong>di</strong>re dei famigerati archetti e volte finto-antico che, per sod<strong>di</strong>sfare<br />
una bizzarra idea <strong>di</strong> <strong>qualità</strong> dell’antico, costringono i carpentieri a mirabolanti<br />
opere <strong>di</strong> casseratura, gli irrefrenabili clienti a spendere il doppio per farsi fare ‘su<br />
misura’ infissi e imbotti curvati; così come <strong>di</strong> quelle opere che, folgorate dalla<br />
‘purezza’ <strong>di</strong> forme e geometrie precostituite, si legittimano e si impongono al<br />
prezzo <strong>di</strong> complicatissime e spesso irrisolte articolazioni funzionali, <strong>di</strong>stributive,<br />
tecnologiche, impiantistiche; o ancora <strong>di</strong> quelle costruzioni fintamente tra<strong>di</strong>zionali<br />
che pretendono <strong>di</strong> trovare nell’utilizzo consolidato e banalizzato <strong>di</strong> forme e<br />
tipologie la risposta definitiva e ottimale a tutte le richieste che la complessa<br />
utenza contemporanea avanza.<br />
Bisognerà piuttosto cercare gli elementi <strong>di</strong> valore (<strong>di</strong> <strong>qualità</strong>) <strong>di</strong> un progetto<br />
all’interno del processo che l’architetto deve compiere durante la sua attività <strong>di</strong><br />
progettazione, nella capacità <strong>di</strong> offrire risposte e sod<strong>di</strong>sfazioni ai tanti aspetti<br />
problematici della sua attività.<br />
5 <strong>di</strong> 6
marzo 2007<br />
Per quanto <strong>di</strong>fficile e in alcuni casi anche complicato da ricostruire, la vera chiave<br />
<strong>di</strong> lettura che può restituirci la misura della <strong>qualità</strong> <strong>di</strong> un progetto <strong>di</strong> <strong>architettura</strong> sta<br />
dunque nel faticoso incrocio delle tematiche e delle questioni che il progetto<br />
stesso ha affrontato e tentato <strong>di</strong> risolvere, <strong>di</strong> quanto cioè le forme finali che<br />
appaiono sulle riviste – o banalmente dal finestrino dell’automobile – siano<br />
l’espressione ultima dell’equilibrio <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> problematiche, <strong>di</strong> ostacoli e<br />
<strong>di</strong>fficoltà precedenti al progetto, inerenti al progetto, superati e ottimizzati.<br />
Si ponga l’attenzione e si definisca la sfera <strong>di</strong> valutazione delle opere<br />
architettoniche nella ricostruzione <strong>di</strong> un atto compositivo a tutto campo, attento e<br />
consapevole dei tanti e <strong>di</strong>versificati ambiti problematici e delle tante <strong>di</strong>scipline<br />
coinvolte, un atto capace <strong>di</strong> utilizzare le forme per risolvere e per ricondurre verso<br />
lo zero i problemi e non (come spesso accade) per crearne <strong>di</strong> nuovi.<br />
Sarà così possibile costruire una scala <strong>di</strong> misurazione della <strong>qualità</strong> in base al livello<br />
<strong>di</strong> equilibrio delle variabili (i costi, le tecnologie, gli usi, la normativa,…) che il<br />
progetto è riuscito a definire, alla capacità – attraverso l’uso delle forme – che<br />
questo ha <strong>di</strong>mostrato <strong>di</strong> possedere nel tener conto <strong>di</strong> un più alto numero possibile<br />
<strong>di</strong> ambiti tematici, in un miracoloso castello <strong>di</strong> alchimie compositive tanto più <strong>di</strong><br />
successo – tanto più <strong>di</strong> <strong>qualità</strong> – quanto più numerosi gli elementi presi in<br />
considerazione.<br />
Quanto <strong>di</strong> questa complessa attività e delle sempre <strong>di</strong>verse problematiche <strong>di</strong> un<br />
progetto possa essere capito da una foto o da un <strong>di</strong>segno tecnico <strong>di</strong> pianta o <strong>di</strong><br />
sezione è assai <strong>di</strong>fficile da definire, proprio perché questi strumenti <strong>di</strong> restituzione<br />
grafica rappresentano soltanto il momento ultimo del processo, l’atto conclusivo<br />
<strong>di</strong> un’azione a monte in cui l’<strong>architettura</strong> contemporanea ha potuto e ha dovuto<br />
applicare tutto il suo portato <strong>di</strong>sciplinare, in cui può e deve esprimere il suo grado<br />
<strong>di</strong> <strong>qualità</strong>; lì e solamente lì, nel processo che ha portato alla definizione delle<br />
forme, risiede la possibilità <strong>di</strong> definire la cifra del proprio carattere <strong>di</strong>stintivo, dei<br />
suoi valori aggiunti, del suo stesso senso all’interno del processo produttivo.<br />
Ma sull’ormai reciso rapporto tra tecniche <strong>di</strong> rappresentazione dell’<strong>architettura</strong> e<br />
giu<strong>di</strong>zio qualitativo della stessa si è già detto in precedenza e certamente si potrà<br />
tornare a <strong>di</strong>re in seguito.<br />
ANDREA MAMMARELLA<br />
6 <strong>di</strong> 6