Contardi padre.qxp - Edizioni Ares
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324<br />
Roberto<br />
<strong>Contardi</strong><br />
Da Freud<br />
a Lacan<br />
N<br />
ell’introdurre la propria Histoire des<br />
pères et de la paternité (2000), Jean<br />
Delumeau, professore onorario al Collége de France,<br />
poneva provocatoriamente la domanda se fosse ancora<br />
ipotizzabile un avvenire del <strong>padre</strong> in Occidente.<br />
Di fronte alla moltiplicazione di divorzi con successive<br />
ricomposizioni di nuovi nuclei familiari, di fronte<br />
alla diffusione delle tecniche di procreazione assistita<br />
– condizioni entrambe che esemplarmente evidenziano<br />
come in numerose situazioni la paternità<br />
non sia più assicurata da un solo uomo –, l’insigne<br />
storico coglieva l’affermarsi nella modernità di una<br />
«paternità esplosa ed in frantumi» (paternité éclatée):<br />
si pensi al caso emblematico delle pratiche di<br />
inseminazione artificiale e di fecondazione in vitro<br />
con donatore (Iad e Fivet-D), espressione della riconosciuta<br />
accettazione sociale di una forma di filiazione<br />
paterna mediata e medicalizzata in cui il <strong>padre</strong><br />
legale è altro dal genitore biologico e talvolta, in con-<br />
Il declino<br />
del <strong>padre</strong><br />
nella psicoanalisi<br />
Il progressivo dileguare della figura del <strong>padre</strong>, evidente negli ordinamenti<br />
giuridici e nel costume dei Paesi occidentali, è questione che interroga la<br />
teoria e la pratica della psicoanalisi stessa, ponendone in discussione lo<br />
statuto epistemologico. Tale il giudizio di Roberto <strong>Contardi</strong>, psichiatra e<br />
membro dell’Associazione internazionale di psicoanalisi, che a ragione ritiene<br />
opportuno deporre le antiche diffidenze della cultura cattolica nei<br />
confronti della psicoanalisi per un più libero e puntuale approccio. L’autore,<br />
muovendo da un recente incontro-seminario sul <strong>padre</strong> promosso dalla<br />
Pontificia Università della Santa Croce in Roma e tenendo presente l’interessante<br />
saggio di Giuliana Kantzà Il Nome del Padre nella Psicoanalisi<br />
(ed. <strong>Ares</strong>), sviluppa in merito un complesso itinerario, che lascia emergere<br />
le irriducibili differenze tra le posizioni di Freud e quelle di Lacan (foto)<br />
in ordine al ruolo e alla funzione del <strong>padre</strong> quale fattore d’organizzazione<br />
della soggettività umana. <strong>Contardi</strong> conclude il raffronto sottolineando<br />
che, se preziosi sono gli apporti freudiani nell’indagare i dinamismi della<br />
psiche, lo psicanalista francese ha contribuito in maniera decisiva all’eclissi<br />
del <strong>padre</strong> nella modernità con il suo intellettualismo astratto e disincarnato,<br />
influenzato peraltro da elementi spuri come taluni motivi heideggeriani<br />
o addirittura orientaleggianti.<br />
seguenza di una successiva nuova convivenza della<br />
madre, non è neppure il <strong>padre</strong> psicologico affettivamente<br />
dedito alla cura del figlio 1 . Frammentata, con<br />
parti disperse in più individui, sottoposta a nuovi criteri<br />
di designazione legati a forme «allargate» e complessificate<br />
di famiglia, la nozione di paternità rinvia<br />
a un <strong>padre</strong> le cui funzioni sono sovente disgiunte in<br />
più uomini, quando non vengano assunte o accentrate<br />
da un’unica donna, la madre.<br />
Ma è più in generale la storia recente della paternità<br />
quale si evince dall’evoluzione del diritto di famiglia<br />
dalla fine del XVIII secolo, nello stretto rapporto che<br />
ha legato cioè l’abolizione da parte della Rivoluzione<br />
francese del dispotismo del monarca e la destituzione<br />
del suo omologo maschile in seno alla cellula<br />
familiare, a evidenziare l’affermarsi di una progressiva<br />
limitazione della potestà paterna, fino a giungere<br />
a una sua diluizione e assorbimento nel concetto di<br />
autorità della coppia genitoriale. L’imporsi poi con
quest’ultimo del principio della corresponsabilità parentale,<br />
che pone da un lato termine alla non più sostenibile<br />
prospettiva d’ineguaglianza che aveva organizzato<br />
i rapporti fra il <strong>padre</strong> e la madre lungo il corso<br />
della storia delle società umane, ha spostato l’accento<br />
dai poteri ai doveri dei genitori nei confronti<br />
dei diritti soggettivi dei figli ed ha condotto a sua<br />
volta dall’altro al paradossale capovolgimento che<br />
registra infine, nelle controversie coniugali condotte<br />
in aule giudiziarie, una costante prevalenza di fatto,<br />
se non di diritto, delle esigenze della madre a detrimento<br />
di quelle del <strong>padre</strong>.<br />
Riscontri incontrovertibili, tutti quelli fin qui richiamati,<br />
dell’estrema fragilizzazione alla quale si è<br />
trovata progressivamente sottoposta sul piano socioculturale<br />
l’immagine del <strong>padre</strong>. O forse, come<br />
indicato dallo storico francese, sarebbe ancor più<br />
realistico ammettere che essa è andata definitivamente<br />
in pezzi?<br />
Quesiti sul rapporto<br />
<strong>padre</strong>/figlio<br />
Domande del tipo: chi è <strong>padre</strong>? come intendere la<br />
funzione paterna? che cosa fonda la filiazione? diventano<br />
inevitabili in conseguenza della impossibilità<br />
ormai di contare su risposte affidate al piano<br />
dell’evidenza. Non possiamo sottrarci a tali interrogativi,<br />
l’avvenire ci chiederà conto delle nostre risposte,<br />
il presente fin da ora ci confronta con il disagio<br />
psichico delle nuove generazioni, con il diffondersi<br />
di un ampio spettro di patologie in soggetti<br />
che non hanno potuto beneficiare di padri facilitanti<br />
processi identificatori sufficienti al formarsi di<br />
una adeguata strutturazione della personalità e al<br />
definirsi di una valida regolazione del mondo pulsionale<br />
2 , o a cui, ancor più profondamente, è mancato<br />
il contributo paterno al costituirsi di un apparato<br />
di simbolizzazione 3 .<br />
Gia il Freud di Psicologia delle masse e analisi dell’Io<br />
(1921), poco dopo la fine del primo conflitto<br />
mondiale che aveva visto la caduta dell’Imperatore<br />
e il disfacimento della monarchia asburgica, nel<br />
mentre avvertiva l’urgenza di impiegare lo strumento<br />
psicoanalitico al fine di comprendere il comportamento<br />
di tumultuose masse disorientate ed<br />
esposte alla suggestione di un Führer, segnalava la<br />
necessità di tenere in considerazione le silenziose<br />
forze psicologiche dei legami inconsci con il leader,<br />
riconoscendo al contempo in quest’ultimo un sostituto<br />
del <strong>padre</strong>. Per ciò, citando il saggio di un suo<br />
collaboratore (Federn 1919), adottava la locuzione<br />
vaterlose Gesellschaft («società senza <strong>padre</strong>») 4 al<br />
fine di caratterizzare la condizione del manifestarsi<br />
di effetti disorganizzanti del tessuto sociale conse-<br />
guenti al venir<br />
meno dei legami<br />
psichici che<br />
uniscono le<br />
masse ai loro<br />
capi. In tale approcciointerpretativo<br />
egli<br />
marcava cioè la<br />
imprescindibilità<br />
di una analisi<br />
che affrontasse<br />
il significato<br />
delle mutazioniriscontrabili<br />
sul piano<br />
sociale a partire<br />
dall’attenzione<br />
nei riguardi<br />
delle invisibili<br />
e tuttavia identificabili<br />
costanti psicologiche in esercizio evolutivo<br />
all’interno della famiglia, e individuava in esse<br />
la centralità dinamizzante del riferimento paterno.<br />
Di fronte alla necessità di risalire dal cangiante piano<br />
delle manifestazioni socioculturali a quello delle<br />
invarianti antropologiche di cui esse sono espressione<br />
sia pur problematica, di fronte all’esigenza di<br />
riguadagnare la comprensione di una paternità la<br />
cui nozione si relativizza e sbiadisce all’interno di<br />
un approccio puramente storiografico, rimane da allora<br />
ineludibile il ricorso alla psicoanalisi. Essa, oltre<br />
ad avere inaugurato la prospettiva dell’origine<br />
infantile della patologia psichica e quindi ad aver<br />
per prima posto l’accento sul carattere strutturante<br />
delle dinamiche che informano gli affetti e le rappresentazioni<br />
riguardanti la coppia genitoriale, ha<br />
approfondito con coerenza, secondo l’indicazione<br />
freudiana, proprio una interrogazione intorno alla<br />
funzione fondativa disimpegnata dalla figura paterna,<br />
rilevandone il ruolo di organizzatore del processo<br />
di costituzione della soggettività umana.<br />
Mi pare sia avvicinabile sullo sfondo di questi presupposti<br />
l’iniziativa che è stata assunta nel luglio del<br />
2006, da parte della Facoltà di Filosofia della Pontificia<br />
Università della Santa Croce, di promuovere un<br />
seminario con Jacques-Alain Miller, filosofo formatosi<br />
alla lezione marxista di Louis Althusser e genero<br />
dello psicoanalista francese Jacques Lacan, in occasione<br />
della pubblicazione italiana di quattro interventi<br />
di quest’ultimo, due dei quali riuniti da Miller<br />
stesso in qualità di esecutore testamentario sotto il titolo<br />
di Dei Nomi del Padre 5 . In presenza del progressivo<br />
intensificarsi degli attacchi alla famiglia da<br />
parte della modernità, muovendo inoltre dall’aumentata<br />
coscienza che la sua difesa sia in relazione alla<br />
possibilità di riguadagnarne l’imprescindibile funzione<br />
formativa della soggettività, la cultura cattoli-<br />
325
326<br />
ca italiana avvertiva infatti allora la necessità di interpellare<br />
il campo psicoanalitico, riconoscendo la<br />
fecondità delle sue acquisizioni proprio su tale tema.<br />
Accantonando diffidenze e ostilità, esiti di una lettura<br />
spesso ideologica dei testi psicoanalitici avallata<br />
da <strong>padre</strong> Gemelli su Vita e pensiero e da <strong>padre</strong> Gaetani<br />
su Civiltà Cattolica 6 – e rispetto alle quali un primo<br />
significativo superamento era stato promosso a<br />
partire dagli anni ’70 dalla rivista Fenomenologia e<br />
società 7 –, è sul tema della paternità che il seminario<br />
interrogava il contributo di Lacan, discusso psicoanalista<br />
francese fondatore di una Scuola peraltro in<br />
aperta dissidenza, sia sul piano dell’impostazione<br />
teorica che della pratica clinica e di insegnamento,<br />
con il pensiero di Freud.<br />
Il saggio lacaniano<br />
di Giuliana Kantzà<br />
Nella scia di tale evento, la recente pubblicazione<br />
de Il Nome-del-Padre nella psicoanalisi, saggio di<br />
Giuliana Kantzà (ed. <strong>Ares</strong>), già moderatrice di impostazione<br />
lacaniana dell’incontro-seminario romano,<br />
può essere occasione per un sintetico richiamo<br />
della posizione assunta da Lacan riguardo al tema<br />
del <strong>padre</strong>, per cogliere in essa, insieme alla distanza<br />
da Freud, il peso dell’invadenza del discorso della<br />
modernità anche nel campo psicoanalitico. Ciò è<br />
tanto più necessario in quanto il testo stesso non<br />
sottace una posizione polemica e teoricamente non<br />
argomentata nei confronti sia di Freud che dell’Associazione<br />
scientifica (l’International Psychoanalytical<br />
Association) da egli fondata con l’obiettivo di<br />
assicurare lo sviluppo del pensiero psicoanalitico e<br />
contro il rischio della «psicoanalisi selvaggia»: a tutela<br />
cioè, attraverso la formazione degli psicoanalisti<br />
secondo standards riconosciuti e la vigilanza<br />
esercitata sull’eticità della loro pratica clinica, del<br />
bene primario costituito dalla salute dei pazienti che<br />
avanzano domanda di cura 8 . Va d’altronde ricordato<br />
che, proprio a seguito dell’introduzione di fondamentali<br />
variazioni sia nella direzione della cura che<br />
nella formazione degli analisti – variazioni che a<br />
tutt’oggi caratterizzano la scuola lacaniana –, Jacques<br />
Lacan e i suoi discepoli non furono riammessi,<br />
nonostante dieci anni di loro reiterate sollecitazioni<br />
e richieste in tal senso, nell’Ipa 9 stessa. Da allora,<br />
il terapeuta lacaniano continua ad «autorizzarsi<br />
da sé» all’esercizio clinico 10 . Una evidente e originaria<br />
destituzione del <strong>padre</strong> Freud.<br />
Ma che ne è quindi, sul piano della dottrina, del riferimento<br />
al <strong>padre</strong> nella posizione del lacanismo?<br />
Evidenziarlo esige innanzitutto un preliminare richiamo<br />
alla riflessione freudiana.<br />
Accingendosi a introdurre, come conseguenza delle<br />
acquisizioni cliniche frattanto realizzate, un nuovo<br />
punto di vista circa l’organizzazione dell’apparato<br />
psichico – la cosiddetta «seconda topica», illustrata<br />
ne L’Io e l’Es (1922a), che propone una raffigurazione<br />
dei diversi sistemi che compongono l’apparato<br />
come luoghi dotati di nature e modi di funzionamento<br />
differenti –, Freud avverte la necessità di designare<br />
con chiarezza gli insostituibili pilastri sui<br />
quali comunque non può non continuare a poggiare<br />
l’intero edificio psicoanalitico, e il cui rispetto rende<br />
conto della legittima appartenenza della teoria al<br />
campo da egli inaugurato. A tal fine, stendendo il<br />
saggio Psicoanalisi, al capitolo «Le pietre miliari<br />
della teoria psicoanalitica» scrive: «L’ipotesi dell’esistenza<br />
di processi psichici inconsci, l’accettazione<br />
della dottrina della resistenza e della rimozione, il<br />
riconoscimento dell’importanza della sessualità e<br />
del complesso edipico, corrispondono ai contenuti<br />
principali della psicoanalisi e costituiscono i fondamenti<br />
della sua teoria: chi non sappia accettarli tutti<br />
non dovrebbe annoverarsi tra gli psicoanalisti» 11 .<br />
Fondamenti non revocabili che qualificano l’edificio<br />
teorico, pietre miliari che segnano il perimetro del<br />
campo psicoanalitico e marcano le tappe lungo le<br />
quali si è venuta ad acquisire la sua conoscenza: dall’ipotesi<br />
dell’esistenza dell’Inconscio, procedendo<br />
per l’identificazione del processo dinamico della rimozione<br />
che è all’origine del suo costituirsi come territorio<br />
separato dal resto dello psichismo, passando<br />
attraverso la scoperta della natura sessuale dell’energia<br />
che sostiene le trasformazioni interne all’apparato<br />
psichico, fino alla definizione del complesso di Edipo<br />
o «complesso paterno» quale coronamento strutturante<br />
del percorso di maturazione della psicosessualità<br />
infantile e della disciplina psicoanalitica di cui quest’ultima<br />
è oggetto di studio.<br />
Il «complesso» paterno<br />
nelle generazioni<br />
«Complesso» in quanto costituito da una rete di<br />
rappresentazioni e affetti legati tra di loro in modo<br />
tale che il significato di ogni elemento isolato, parziale,<br />
che vi appartiene, ha un senso soltanto se posto<br />
in relazione con l’insieme degli altri elementi<br />
che compongono il complesso stesso, dal momento<br />
che il significato in questione è subordinato al senso<br />
ricavato dalla costellazione globale. «Paterno»<br />
poiché è l’accesso del <strong>padre</strong> nella scena storica e<br />
psichica del piccolo dell’uomo a rendere possibile il<br />
rimaneggiamento e la stabilizzazione di tale rete e,<br />
con essa, la definizione di una identità e l’inserimento<br />
non confusivo nella catena generazionale.<br />
L’universalità del complesso paterno, o quantomeno<br />
dei suoi precursori organizzativi («fantasmi ori-
ginari»), consente inoltre financo di pensare a esso<br />
quale condizione indispensabile per lo scaturire<br />
dell’umano dal piano animale; l’obbiettivo del transito<br />
strutturante attraverso il suo dinamismo costituisce<br />
in questo senso un vertice privilegiato dal<br />
quale guardare al progetto della cura analitica, nella<br />
misura in cui esso definisce la possibilità della<br />
progressione maturativa dello psichico dal biologico<br />
e determina le vicissitudini dei più fini processi<br />
di elaborazione simbolica che a ciò conseguono.<br />
Dopo averne osservato la centralità sia negli individui<br />
colpiti da un processo regressivo patologico che in coloro<br />
nei quali risplende la luce del genio (Leonardo,<br />
Dostoevskij…), Freud giunge infatti a ipotizzare l’accesso<br />
alla sua costituzione come essenziale a qualificare<br />
il corso dell’evoluzione della specie. Mentre negli<br />
stessi anni Jung, indirizzandosi a un definitivo<br />
estraniamento dalla psicoanalisi, volge il proprio interesse<br />
in chiave spiritualista e gnostica alla mitologia e<br />
al simbolismo orientale, Freud (in Totem e tabù, 1912-<br />
1913), spingendo la propria indagine verso lo studio<br />
delle società primitive alla ricerca di tracce del complesso<br />
paterno ormai cancellate dal movimento della<br />
civilizzazione, ritrova infine per esso una sorgente nella<br />
storia della specie umana e, oltrepassando con ciò le<br />
particolarità dei singoli, gli fornisce un impianto sovraindividuale.<br />
Attraverso il ricorso all’ipotesi darwiniana<br />
dell’orda preistorica e del <strong>padre</strong> onnipotente che<br />
sta alla sua testa e vieta ai figli il possesso delle femmine<br />
del gruppo, diviene così esplicabile la trasmissione<br />
filogenetica di un timore e di un tabù organizzatori<br />
dell’ordine psichico e dei rapporti intersoggettivi<br />
familiari e sociali: l’uccisione del tiranno a opera dei<br />
figli è alla base di un sentimento di colpa dal quale<br />
prende origine il totemismo quale prima costruzione<br />
simbolica che congiunge insieme tabù, interdetti, rituali<br />
e strutture di parentela, dando il via alle istituzioni<br />
sociali, alle restrizioni morali e alla religione.<br />
Il <strong>padre</strong> più importante<br />
della madre?<br />
Di più, attribuendo poi all’affermarsi della religione<br />
monoteista tra i grandi sistemi di riferimento collettivi<br />
il merito del più significativo «progresso nella vita<br />
dello spirito» conseguito dall’umanità nel corso della<br />
sua storia, è alla specifica caratterizzazione paterna di<br />
tale sistema che Freud riconosce una cruciale funzione<br />
di promozione dell’attività di pensiero. La decisione<br />
che la paternità sia più importante della maternità,<br />
nonostante essa non si lasci provare come la seconda<br />
dalla testimonianza dei sensi, comporta infatti che ci<br />
si risolva contro la percezione sensoriale diretta e in<br />
favore dei processi intellettuali superiori, cioè i ricordi,<br />
le riflessioni e le deduzioni (Freud 1934-1938).<br />
Portando in tal modo a maturazione una interrogazione<br />
sul sentimento religioso e sulle religioni istituite<br />
che ha accompagnato costantemente il progredire di<br />
una ricerca antropologica ancorata all’approfondimento<br />
dello studio dell’apparato psichico e del suo<br />
funzionamento, Freud perviene allora, tramite l’analisi<br />
della figura dell’uomo Mosè, a una declinazione<br />
della paternità divina che si svincola dalla rappresentazione<br />
idealizzata e onnipotente che è centro e origine<br />
del mondo (il genitore dell’orda di Totem e tabù),<br />
a favore di un <strong>padre</strong> che muore sottomettendosi a<br />
quella Legge che egli stesso incarna, annuncia e trasmette,<br />
un <strong>padre</strong> portatore di una funzione etica, morale<br />
e legislatrice che favorisce la rinuncia alla soddisfazione<br />
immediata delle pulsioni 12 .<br />
Prodotto e rappresentante di tutta la storia umana,<br />
l’Edipo, il complesso paterno, è anche conseguentemente<br />
ciò che viene a determinare le successive<br />
storie individuali nelle loro diversità – dovendo le<br />
singolarità conformarsi imperativamente al modello<br />
che le determina. Detto altrimenti, il <strong>padre</strong> pone<br />
in gioco insieme il divenire psichico dell’umano e<br />
la produzione e la progressione della vita psichica<br />
dell’individuo.<br />
Alla ricerca<br />
del porto sicuro<br />
La messa in campo e il funzionamento dello psichico<br />
come apparato che pone in relazione l’Io a sé e<br />
al mondo esterno, sono infatti concomitanti alla<br />
possibilità dell’ingresso del <strong>padre</strong> nell’universo bidimensionale<br />
della illusoria e acquietante autosufficienza<br />
della monade madre-bambino. Lo stesso<br />
processo di costituzione delle rappresentazioni<br />
mentali quali elementi basilari della formazione del<br />
pensiero, suppone l’emersione dal mondo delle sensazioni<br />
come da un tutto unico indifferenziato al<br />
quale, per il bambino, anche la madre confusivamente<br />
appartiene, nonché l’accettazione della perdita<br />
dell’oggetto percettivo reale esterno in tal modo<br />
istituitosi, a favore del suo sostituto ideativo.<br />
Ma è più compiutamente in seguito alla acquisita<br />
distinzione Io/non-Io che, a misura dell’esplicitarsi<br />
delle diverse forme della sessualità infantile che<br />
danno corpo al legame con la madre, il disporsi del<br />
<strong>padre</strong> quale oggetto pulsionalmente investito nelle<br />
interrelazioni reali e immaginarie sulla scena psichica<br />
infantile fornisce a quest’ultima un punto di<br />
svolta essenziale. Che si tratti del bambino o della<br />
bambina, l’apertura al <strong>padre</strong> è portatrice di uno<br />
sconvolgimento necessario alla promozione della<br />
dinamica psichica.<br />
La bambina, confrontata all’angoscia di castrazione e<br />
«sotto l’influenza dell’invidia del pene… viene di-<br />
327
328<br />
stolta dall’attaccamento alla madre e si precipita nella<br />
situazione edipica come in un porto sicuro» (Freud<br />
1932): il <strong>padre</strong>, oggetto d’attrazione, incarna la speranza<br />
di uno smarcamento nei confronti dell’esclusivo<br />
possesso materno. Per quanto l’interdetto e l’immaturità<br />
fisiologica impediscano la realizzazione del<br />
desiderio incestuoso, il transito dalla madre al <strong>padre</strong><br />
testimonia di una possibile mobilità dell’investimento<br />
psichico, di una ripartizione dell’eccitazione che la<br />
renda più gestibile. Sia pure a costo della rinuncia all’oggetto<br />
d’amore originario, si inscrive nell’apparato<br />
psichico la traccia mnestica dell’esperienza di un processo<br />
in base al quale l’energia così liberata diviene<br />
disponibile per un nuovo inizio. Nel bambino, il desiderio<br />
per la madre e l’opposizione al rivale paterno<br />
nel corso della fase sessuale edipica sfociano nel pericolo<br />
di perdere il pene, minaccia di punizione per la<br />
trasgressione incestuosa e parricida. L’angoscia che<br />
ne consegue costringe anche il maschietto a rinunciare<br />
al desiderio originario, promuove la mobilità liberante<br />
dell’investimento e conduce all’abbandono dei<br />
genitori sessualizzati.<br />
La nascita<br />
del Super-io<br />
Dal suo attraversamento, quale esito del suo tramonto,<br />
il complesso paterno comporta per entrambi i sessi<br />
due conseguenze decisive per la strutturazione della<br />
futura personalità. Da una parte, la nascita di una<br />
nuova e fondamentale istanza psichica (il Super-io):<br />
abbandonati i genitori come oggetti sessuali, il piccolo<br />
d’uomo li conserva dentro di sé come oggetti di<br />
identificazione, ideali del proprio Io, integrando con<br />
essi anche i loro divieti e conformando a essi la propria<br />
condotta morale. Dall’altra, il costituirsi di argini<br />
psichici che inseriscono le pulsioni in un’organizzazione<br />
gerarchizzata e consentono la progressiva assunzione<br />
della propria identità sessuale e l’accettazione<br />
della differenza maschile/femminile, alla base del<br />
riconoscimento dell’ordine naturale della realtà con le<br />
sue distinzioni limitanti e tuttavia non valicabili, le<br />
sue discontinuità spaziali e temporali, il suo stimolo<br />
alla congiunzione generativa e creativa con l’altro.<br />
In tal modo, l’Edipo è garante della organizzazione topica<br />
interna dell’apparato psichico ed è allo stesso<br />
tempo organizzatore del rapporto del soggetto all’alterità.<br />
Il <strong>padre</strong>, fulcro carnale del complesso, disimpegna<br />
in esso il compito di operatore centrale, rivelando<br />
con ciò il proprio ruolo cruciale nel processo di costituzione<br />
della soggettività umana: sue inadeguatezze o<br />
mancanze in seno alla coppia genitoriale aprono non<br />
solo a patologiche conflittualità interne all’apparato o<br />
in àmbito relazionale, ma ancor prima a mancate definizioni<br />
e deficit di funzionamento dell’apparato stes-<br />
so e suoi scompensi nei rapporti con la realtà.<br />
L’intenzione di Lacan di procedere a una rilettura<br />
del testo freudiano destinata a smarrirne il senso<br />
proprio, è evidente sin dal suo primo articolo a intento<br />
psicoanalitico, I complessi familiari (1938) 13 .<br />
In esso, l’universalità del complesso paterno cede<br />
da subito alla proposta relatività del suo riconoscimento<br />
a opera di Freud in qualità di «figlio del patriarcato<br />
ebreo» (ivi 51), e, ancor più, la sua comprensione<br />
psicologica è inoltre vincolata e ricondotta<br />
«ai suoi antecedenti narcisistici» (ivi 45).<br />
L’eclissi del <strong>padre</strong><br />
in Lacan<br />
Il sovvertimento interpretativo così avanzato mira a<br />
connettere artificialmente la clinica a un presupposto<br />
teorico destinato ad avvicinare apertamente negli anni<br />
lo psichiatra francese alle astratte formulazioni di<br />
Heidegger 14 , aprendo con ciò un dialogo privilegiato<br />
con la filosofia più che con la psicoanalisi. Il dramma<br />
dell’essere «gettato nel mondo» è infatti tradotto da<br />
Lacan nei termini dell’insufficienza vitale dell’uomo<br />
fin dalle sue origini, costretto con la nascita all’abbandono<br />
del paradiso intrauterino. Separazione «prematura,<br />
dalla quale risulta un malessere che nessuna<br />
cura materna riesce a compensare» (ivi 17), e alla<br />
quale si aggiunge la traumatica esperienza perinatale<br />
della percezione del proprio corpo come frammentato.<br />
Condizione di insufficienza vitale, che a un tempo<br />
origina il tentativo di restaurare l’integrità perduta e<br />
promuove in tal senso nel piccolo d’uomo la ricerca<br />
riequilibrante di una unità, la cui forma più intuitiva è<br />
data infine dalla scoperta della propria immagine speculare:<br />
rinvio dunque al mito di Narciso, alla natura<br />
illusoria del riflesso captante dell’altro nella relazione<br />
e al successivo necessario processo di disvelamento<br />
della propria soggettività attraverso l’abbandono delle<br />
immagini alienanti proposte dall’altro quale unificante<br />
miraggio di identificazione. Rifiutato come<br />
Jung il fondamentale riferimento psicoanalitico alla<br />
sessualità infantile e alle sue fasi di sviluppo, anche la<br />
più tarda angoscia di castrazione edipica non rinvierà<br />
più al <strong>padre</strong> reale ma ai primitivi fantasmi di frantumazione<br />
del corpo, esiti dell’antico frazionamento<br />
percettivo, rievocati insieme alla madre in quanto oggetto<br />
del desiderio di ritorno nella sua matrice.<br />
Il <strong>padre</strong> offre certo al soggetto la soluzione ideale alla<br />
crisi edipica, mostrandosi allo stesso tempo di appoggio<br />
in quanto interdittore del legame mortifero<br />
con la madre, e di esempio in quanto a sua volta<br />
trionfatore sul proprio desiderio regressivo. Tuttavia,<br />
benché gli sia riconosciuta la possibilità di disimpegnare<br />
una efficacia maggiore nella concretezza della<br />
famiglia patriarcale moderna, egli è innanzitutto
compreso dal soggetto meno nella sua realtà che come<br />
facente segno all’oggetto immaginario (il «fallo»)<br />
che la madre desidera al di là di lui. Parlando del<br />
<strong>padre</strong>, la madre lo fa esistere immaginariamente sotto<br />
forma della legge che vieta il legame fusionale;<br />
rendendosi conto della sua esistenza, il soggetto dovrà<br />
rinunciare alla propria aspirazione di essere riconosciuto<br />
come chi «ha» l’oggetto in grado di colmare<br />
il desiderio materno, restandogli la possibilità di<br />
identificarsi al <strong>padre</strong>, di «essere» cioè a sua volta<br />
quel <strong>padre</strong> del quale non ha potuto prendere il posto.<br />
L’io & il soggetto<br />
L’esperienza dello specchio è del resto, per Lacan,<br />
ben più che un momento di maturazione; essa pone<br />
piuttosto in evidenza il ruolo determinante dell’immaginario<br />
nella formazione dell’Io. L’Io è costituito<br />
da identificazioni e questo grava la sua natura delle<br />
caratteristiche di un originario misconoscimento,<br />
espresso nel vocabolario lacaniano attraverso la ferma<br />
distinzione tra io e soggetto. Se l’io è immaginario<br />
e quindi alienato, il soggetto si darebbe invece attraverso<br />
il linguaggio, nel movimento claudicante del<br />
dire, in accordo col presupposto che l’inconscio in<br />
quanto parla rivela l’essere. Così, smarrendo di nuovo<br />
un solido riscontro clinico freudiano riguardo alla<br />
assoluta estraneità delle rappresentazioni verbali dall’inconscio,<br />
al linguaggio è invece heideggerianamente<br />
affidato, nell’ottica di una con ciò rinata psicologia<br />
della coscienza 15 , il compito di aprire al disvelamento<br />
della autenticità propria del soggetto in quanto<br />
«soggetto vero, cioè a dire soggetto dell’inconscio»<br />
(Lacan 1954). Ancora, l’inconscio stesso, svuotato<br />
dei contenuti che la articolata metapsicologia freudiana<br />
consente di porvi in evidenza ai fini della promozione<br />
del lavoro trasformativo di analisi, è voluto da<br />
Lacan «strutturato come un linguaggio» 16 , con la<br />
conseguenza che per esso il <strong>padre</strong> perde il rilievo carnale<br />
della persona storica investita pulsionalmente ed<br />
è ridotto ad astratta «metafora» (Lacan 1957), incaricato<br />
cioè di far segno al desiderio della madre e di farsi<br />
vettore della legge che, interdicendo la relazionale<br />
fusionale e consentendo il distacco dall’oggetto di desiderio,<br />
renderebbe con ciò possibile l’ingresso nel sistema<br />
discontinuo dei significanti, l’accesso quindi<br />
all’«ordine simbolico».<br />
Intervenendo come puro «rappresentante della legge»<br />
presso la coppia madre-figlio, la funzione di ordine<br />
che il <strong>padre</strong> svolge è per questa ragione potenzialmente<br />
aperta a qualsiasi altro delegato reale che abbia<br />
la credibilità di svolgerla, al solo presupposto che la<br />
sua intercessione sia incidente nell’economia di desiderio<br />
del bambino in presa con il desiderio materno.<br />
Non vi è financo necessità dunque di un uomo perché<br />
vi sia un <strong>padre</strong>, poiché nessun <strong>padre</strong>, nella realtà,<br />
è fondatore della funzione simbolica che rappresenta,<br />
ma semplice vettore della stessa, a condizione<br />
che abbia primariamente trovato riconoscimento<br />
come tale nella mente materna e sia veicolato pertanto<br />
come Nome 17 dalla parola di quest’ultima<br />
(Lacan 1957-1958). La referenza al <strong>padre</strong>, in quanto<br />
associata al desiderio della madre, non è che un<br />
puro significante, il Nome-del-Padre; e quest’ultimo,<br />
in ragione della differente e contingente modalità<br />
di ciascuno di intendere la referenza centrale, è<br />
pluralizzabile inoltre nei Nomi-dei-Padri (Lacan<br />
1963), confermando ulteriormente la non necessità<br />
del <strong>padre</strong> concreto nella famiglia per l’inscrizione<br />
del soggetto nell’ordine simbolico 18 .<br />
Come la voce del <strong>padre</strong> nell’universo familiare è artificialmente<br />
zittita dalla teoria proposta, così al terapeuta<br />
lacaniano nella situazione di cura è richiesta<br />
sul piano tecnico l’adozione del silenzio del Maestro<br />
buddhista zen, punteggiato dai colpi di bambù di giochi<br />
omofonici scompaginanti ogni senso rassicurante<br />
per l’Io, o dalla interruzione improvvisa e anticipata<br />
delle sedute intesa come sottolineatura della verità<br />
del discorso, enigmatica conferma o disconferma<br />
del suo progresso 19 . Venuta infatti a cadere ogni fiducia<br />
nell’Io e nella alleanza terapeutica che quest’ultimo<br />
può e deve stabilire ai fini della cura, anche<br />
ogni intervento interpretativo perde indicazione a<br />
causa della supposta mancanza di un interlocutore<br />
valido, e la teoria della tecnica che ne consegue promuove<br />
la priorità di uno scontro tra l’Io del terapeuta<br />
e quello del paziente: uno scontro che non può<br />
condurre che all’aberrazione di considerare infine<br />
come criterio di riuscita del trattamento non tanto la<br />
riacquisita mobilità di un pensiero libero e sottratto ai<br />
vincoli e alle impossibilità della patologia, ma la normativizzante<br />
identificazione finale con il terapeuta-<br />
«maestro di verità».<br />
Destituire l’universo<br />
paterno<br />
Attraverso l’adozione della formula secondo la quale<br />
«l’inconscio è strutturato come un linguaggio»<br />
(Lacan 1960) – asserzione incompatibile sia con la<br />
linguistica 20 che con la psicoanalisi –, attraverso<br />
quindi la confusione tra l’inconscio e una delle condizioni<br />
della sua analizzabilità 21 , Lacan partecipa e<br />
contribuisce a preparare quella posizione della modernità<br />
che, astraendo intellettualisticamente dalla<br />
realtà psichica evidenziata dalla clinica psicoanalitica<br />
e dalla realtà materiale dispiegatasi nel percorso<br />
evolutivo intrapreso dall’umanità, destituisce il <strong>padre</strong><br />
carnale dal proprio ruolo di organizzatore del<br />
329
330<br />
processo di costituzione della soggettività umana.<br />
L’idealismo formalista e linguista lacaniano riduce il<br />
processo di simbolizzazione all’ordine simbolico, il<br />
complesso di Edipo alla metafora paterna, la funzione<br />
paterna al significante del Nome-del-Padre, la castrazione<br />
freudiana (angoscia e fantasma) alla castrazione<br />
simbolica. Tutti i fondamenti della teoria analitica<br />
alla cui accettazione Freud vincolava, come più<br />
sopra ricordato, la legittimità di annoverarsi tra gli<br />
psicoanalisti, vengono a decadere nella deviazione lacaniana,<br />
e con la loro abrogazione è rinfrancato il percorso<br />
della modernità che, impegnata nella ricusazione<br />
di ogni trascendenza sovraindividuale, toglie infine<br />
consistenza normativa financo al <strong>padre</strong> reale. Di<br />
quest’ultimo non resta che uno spazio vuoto, nominato<br />
dalla madre attraverso il suo indicare ai figli il luogo<br />
del proprio desiderio, puro significante pluralizzabile<br />
nei Nomi-dei-Padri.<br />
Il materno<br />
nella vita dello spirito<br />
Non a caso, come già avvenuto, nell’àmbito delle defezioni<br />
dalla psicoanalisi, al percorso teorico intrapreso<br />
da Carl Gustav Jung, anche in Lacan la sottrazione<br />
del riferimento al <strong>padre</strong> carnale, pulsionale, si accompagna<br />
a una accentuazione del «materno» che, come<br />
da Freud denunciato, fatalmente promuove, quale involuzione<br />
nella vita dello spirito, l’abbandono del riferimento<br />
al monoteismo della tradizione ebraico-cristiana<br />
a favore del politeismo di provenienza dall’Estremo<br />
Oriente 22 . La centralità di quest’ultimo, riconoscibile<br />
nel corso del dispiegarsi della riflessione lacaniana,<br />
è evidente sin dal fondativo «discorso di Roma»<br />
del 1953, nel quale le deviazioni tecniche introdotte<br />
sono esplicitamente ricondotte alla pratica zen,<br />
e al quale è apposto come sigillo conclusivo un episodio<br />
del Bhrad-âranyaka Upanishad riguardante il<br />
noviziato presso il dio del tuono Prajapâti, genitore<br />
comune, nel variegato pantheon induista, degli dèi celesti<br />
e delle potenze delle tenebre a essi avversi.<br />
All’interno di una visione che sminuisce il <strong>padre</strong> in<br />
carne e ossa a un significante e alle funzioni che nella<br />
psiche vi sarebbero associate, istituendolo astrattamente<br />
quale Legge del bambino e della madre, anche<br />
quest’ultima è privata però infine degli attributi materiali<br />
a essa riconosciuti invece dalla psicoanalisi. Sottratta<br />
al duplice compito di modulazione/elaborazione<br />
differenziante degli eccitamenti e di successivo oggetto<br />
di desiderio sessuale, espulsa sul piano teorico<br />
in un Reale primario assolutamente estraneo 23 , anche<br />
la madre sconta infatti in ultimo le conseguenze dell’intellettualizzazione<br />
strutturalista sviluppata dallo<br />
psichiatra francese. Insieme alla sessualità è del resto<br />
l’affetto a risultare il grande assente della costruzione<br />
da lui proposta. Con ciò promuovendo dunque con<br />
forza la delegittimazione del complesso edipico, in riferimento<br />
al quale si è venuta invece organizzando la<br />
famiglia umana nel corso dell’evoluzione della civiltà,<br />
la teoria lacaniana testimonia inoltre, attraverso il<br />
processo di sovvertimento delle concezioni psicoanalitiche<br />
da essa operato, degli attacchi cui sono fatalmente<br />
esposte nella modernità anche le formulazioni<br />
culturali più approfondite e significative allorché siano<br />
espressione di esigenze di pensiero incompatibili<br />
con la destituzione di ogni sapere portatore di una<br />
istanza paterna, come tale inevitabilmente aperto all’alterità<br />
e dunque a tutto quanto può evocare un garante<br />
esterno, trascendente.<br />
«Autorizzarsi da sé» 24 non è solo cifra dell’etica lacaniana,<br />
ma espressione di una più generale tentazione<br />
mortifera a sconfessare la verità e la realtà dei limiti,<br />
la legge delle separazioni e delle differenze (tra i sessi<br />
e tra le generazioni), insieme alle coordinate spazio-temporali<br />
e razionali che esse comportano. Aggirando<br />
in tal modo l’Edipo e la connessa minaccia di<br />
castrazione, sono altrettanto evitate le sofferenze e le<br />
ferite psichiche derivanti dal riconoscimento della<br />
propria inadeguatezza nonché la consapevolezza dell’impossibilità<br />
di una completezza dell’Io. Alla sconfessione<br />
segue la sostituzione della legge paterna con<br />
un universo confuso e privato della differenziazione<br />
dei valori, proprio di una «organizzazione» conosciuta<br />
in àmbito clinico attraverso il variegato spettro delle<br />
perversioni. Riguardo a queste ultime, al pericolo<br />
da esse rappresentato a causa del movimento regressivo<br />
che le istituisce e accomuna nel desiderio di screditare<br />
il potere del Padre-creatore ponendosi al suo<br />
posto, ricordo quanto avanzato con apprensione da<br />
Freud in una lettera a Wilhelm Fliess: «Sto incominciando<br />
a credere che nella perversione… possano esservi<br />
residui di un ancestrale culto sessuale, che un<br />
tempo può essere stato una religione, nell’Oriente semitico<br />
(Moloch, Astarte)… Immagino dunque un’ancestrale<br />
religione diabolica i cui riti continuano a essere<br />
compiuti in segreto, e ora comprendo la severa<br />
terapia che usavano i giudici delle streghe» (Freud<br />
1887-1904, 257-258).<br />
Il ritorno<br />
al <strong>padre</strong> edipico<br />
Preoccupazione, quella di Freud riguardo alla persistenza<br />
al cuore dell’uomo di oscure forze sempre in<br />
agguato e pronte a travolgere i fragili argini a esse opposti<br />
dallo sviluppo spirituale, che non può non tornare<br />
a condividere chi interroghi oggi i segni dell’invadenza<br />
del discorso della modernità in àmbito sociale<br />
e culturale. Nel suo Appello alla ragione, pronunciato<br />
nel 1930 a Berlino nella Beethovensaal, e
che provocò le ire degli ascoltatori filonazisti, anche<br />
Thomas Mann, che solo un anno prima aveva consigliato<br />
alla gioventù tedesca di rivolgersi alla psicoanalisi<br />
come antidoto all’irrazionalismo e all’irrisione<br />
dello spirito (Mann 1929) 25 , rintracciò il sottile filo<br />
che lega la sostituzione dell’universo paterno da parte<br />
dell’«elemento materno ipoginico» e l’affermarsi<br />
di una cultura mortifera. Ponendo con ciò in guardia<br />
dalle conseguenze funeste di una tale regressione, ritrovò<br />
allora sorprendentemente la stessa indicazione<br />
freudiana: «Se si pensa che cosa è costato all’umanità,<br />
nella storia della religione, elevarsi dal culto della<br />
natura, da uno gnosticismo barbaramente raffinato e<br />
dalla sensualistica scostumatezza religiosa del culto<br />
di Moloc-Baal-Astarte, a un culto più spirituale, ci si<br />
meraviglia della leggerezza con cui oggi si rinnegano<br />
tali superamenti e liberazioni… Alimentato [invece]<br />
da correnti pseudospirituali, il movimento che… ha<br />
dimostrato un così forte potere di reclutamento, si<br />
mescola con l’immensa ondata di barbarie eccentrica<br />
e di volgarità primitiva, plebeamente democratica che<br />
si abbatte sul mondo… Tutto sembra possibile oggi,<br />
tutto sembra lecito» (1930, 260-262).<br />
Restituire al <strong>padre</strong> edipico il ruolo riconosciutogli<br />
dalla psicoanalisi, costituisce a un tempo esigenza<br />
non derogabile per un’adeguata crescita della soggettività<br />
umana e tutela di una cultura generatrice di<br />
civiltà e di pensiero.<br />
Roberto <strong>Contardi</strong><br />
1 I rapidi progressi delle scienze biomediche hanno condotto a forme<br />
inedite sia di paternità che di maternità (la tecnica della fecondazione<br />
in vitro con trasferimento di embrione – Fivet – ha permesso<br />
per esempio la nascita di bambini con tre «madri»: la donna<br />
donatrice dell’ovulo, la donna che ha portato avanti la gravidanza,<br />
e colei la quale ha allevato il figlio dalla nascita). Al di là<br />
delle differenti configurazioni da esse assunte, costante è il rilievo,<br />
nelle situazioni artificiali di fecondazione che le rendono possibili,<br />
dell’arretramento imposto al <strong>padre</strong> a profitto del suo solo prodotto<br />
fecondatore, lo sperma; con la conseguenza, secondo l’analisi<br />
di numerosi giuristi, dell’attestazione dell’assolutezza della<br />
potestà materna – già impostasi nel campo delle interruzioni volontarie<br />
della gravidanza –. Rinvio al mio saggio Omphalós. Considerazioni<br />
intorno a tecnologia, etica e psicoanalisi (<strong>Contardi</strong><br />
1999), per un approfondimento del possibile uso perverso degli<br />
ausili forniti dalle biotecnologie da parte di pazienti e medici<br />
smarritisi di fronte a una clinica inquadrabile più correttamente<br />
nell’àmbito delle problematiche di identificazione simbolica.<br />
2 Il rimando è al dilagare dei disturbi dell’identità sessuale, alle<br />
anomalie della condotta con debordamenti delle pulsioni sessuali<br />
e aggressive o ai disordini alimentari e ai quadri tossicomanici.<br />
3 Ho richiamato in un testo del 2000 i legami di mutua dipendenza<br />
fra l’aumentato grado di compromissione della funzione simbolica<br />
degli individui e l’erosione della funzione di significazione<br />
da parte degli apparati di rappresentazione collettiva sempre<br />
più assoggettati all’autorità del sapere tecnicoscientifico.<br />
4 S. Freud, Massenpsychologie und Ich Analyse (1921, 55).<br />
5 In Lacan 1953-1964.<br />
6 Cfr David (1970, 90 ss.).<br />
7 Fin dal suo primo numero, la rivista, nata nella prospettiva aperta<br />
alla filosofia dall’Husserl de La crisi delle scienze europee<br />
(1936), ha mantenuto aperto un dialogo non prevenuto con la psi-<br />
coanalisi, seguendone per un tratto anche l’evoluzione concettuale<br />
interna alla stessa Società Psicoanalitica Italiana, componente<br />
costitutiva per l’Italia della International Psychoanalytical Association<br />
(cfr per esempio Fornari 1985 e <strong>Contardi</strong> 1983, 1990 e<br />
1991). Per una visione d’insieme della storia della Spi e un breve<br />
profilo del pensiero in essa sviluppato, si veda Di Chiara 1985, Di<br />
Chiara e Pirillo 1997, Di Chiara 2003 cap.1.<br />
8 S. Freud, Psicoanalisi «selvaggia» (1910). Scrive invece l’autrice:<br />
«La rigidità dell’Associazione, diretta a preservare l’integrità<br />
dell’insegnamento freudiano, ne divenne in realtà il limite<br />
frenante, la sclerotica e mortifera chiusura per difendere la psicoanalisi<br />
nel suo statuto dottrinario… Come nota Lacan, il fatto<br />
che non si tratti di figli creativi tranquillizza il passaggio della<br />
consegna; se gli eredi sono limitati l’opera è garantita da ignote<br />
penetrazioni» (Kantzà 2008, 83 s.). Non è privo di interesse, a testimoniare<br />
anche solo dello stile in cui si manifesta il preteso contrapposto<br />
rapporto creativo e vitalizzante favorito da Lacan negli<br />
eredi della sua École, un frammento del testo di Jacques-Alain<br />
Miller al Congresso lacaniano del dicembre 1974, presentato, con<br />
probabile inflessione hegeliana, quale «elogio di Lacan padrone»:<br />
«A volte qualche ingenuo scopre tutt’a un tratto che noi non siamo<br />
una società scientifica perché seguiamo un maestro, anzi un<br />
padrone che comanda, e come! Forse era così nelle sette antiche.<br />
Dov’è lo scandalo, se non per coloro che non possono più concepire<br />
la funzione dell’insegnare quando non rientri nello stampo<br />
dell’università? Lacan è un padrone» (1974, 39).<br />
9 Nel 1953, in conseguenza di dissensi evidenziatisi nella Société<br />
Psychanalytique de Paris riguardo alla ricostituzione dell’Istituto<br />
di formazione successiva alla conclusione della seconda<br />
guerra mondiale, alcuni analisti didatti inseriti in àmbito universitario,<br />
sotto la guida di Daniel Lagaghe, promossero la scissione<br />
dalla Spp di un «Groupe d’Etudes et de Recherches Freudiennes».<br />
A essi si unì in un secondo tempo anche Lacan, fino allora<br />
Presidente della Società stessa, dopo esser stato costretto alla dimissione<br />
da una votazione di sfiducia dei suoi colleghi in conseguenza<br />
delle gravi variazioni tecniche da lui introdotte nella conduzione<br />
della cura e nella formazione dei giovani analisti – cfr<br />
Lagaghe (1953, 107 ss.), Roudinesco (1986, 288-482), Diatkine<br />
1997 e 2001 e Green 2008 –. La scissione comportò, cosa che i<br />
dissidenti non avevano previsto, la loro automatica esclusione<br />
dall’Ipa, poiché la dimissione da una Società componente dell’Internazionale<br />
comprende ipso facto la perdita del titolo di<br />
membro dell’Ipa stessa. Nel 1963, in seguito alle incessanti domande<br />
di riconoscimento e riammissione in seno all’Ipa, la riaffermata<br />
adozione da parte di numerosi analisti degli standards loro<br />
richiesti e il contemporaneo non accoglimento da parte dell’Internazionale<br />
della domanda di reintegro dell’ormai sfiduciato<br />
Lacan per quanto atteneva alle sue funzioni didattiche, comportò<br />
una scissione della Società dei dissidenti (Société Française de<br />
Psychanalyse): mentre l’Association Psychanalytique de France<br />
poté così rientrare, con Lagaghe quale suo primo Presidente, nell’Ipa,<br />
Lacan si vide costretto a fondare la École Freudienne de Paris,<br />
da lui condotta in qualità di maître assoluto (cfr Roustang<br />
1986) e con l’imposizione del proprio personale stile di insegnamento<br />
e di affiliazione che consentiva la qualifica di Analisti della<br />
Scuola anche ai semplici cultori del verbo del maestro (con<br />
quali pericolose conseguenze a carico dei pazienti, comunque anche<br />
da costoro spesso seguiti, è facile immaginare).<br />
10 Secondo le indicazioni di Lacan, tese del resto a svuotare le<br />
stesse funzioni didattiche di ogni ruolo di verifica e garanzia: l’École<br />
freudienne «non fornisce… né autorizzazione, né interdizione<br />
all’esercizio della psicoanalisi. Essa lascia allo psicoanalista la<br />
propria responsabilità – che non potrà essere che intera – nei riguardi<br />
della cura psicoanalitica intrapresa sotto la propria direzione.<br />
Lo psicoanalista non si autorizza che da sé stesso» (Jury<br />
d’accueil et directoire de l’Efp, 1969, 31); ogni analisi lacaniana<br />
produce quindi legittimamente un analista e la trasmissione della<br />
psicoanalisi avviene per moltiplicazione degli analisti-discepoli<br />
(cfr Roustang 1986, 16 ss.). Il rifiuto degli standards etici imposti<br />
dall’Ipa e con essi più in generale del valore della validazione<br />
331
332<br />
scientifica e della verifica da parte di un corpo docente a ciò incaricato,<br />
ha poi inevitabilmente condotto sul piano istituzionale i<br />
lacaniani, in seguito alla morte del Maestro unico, a una feroce<br />
guerra intestina non combattuta attorno a questioni teoriche ma<br />
unicamente volta al controllo della Scuola in quanto organizzazione<br />
societaria, infine scioltasi in numerosissime associazioni<br />
(cfr Roudinesco 1986, 635-700 e Roudinesco 1993, 457 ss.): la<br />
gran parte gruppuscolari e ospitanti insieme pazienti e discepoli<br />
di singoli analisti con personalità carismatica – in Italia la Magistratura<br />
ebbe motivo di intervenire negli anni ’80 su una di esse,<br />
costituita dal filosofo Armando Verdiglione con l’appoggio dello<br />
stesso Lacan (cfr Lacan in Italia,103), proprio a causa degli effetti<br />
della sistematica promozione dei rapporti «confusivi» fra i<br />
pazienti e i loro terapeuti (cfr Roudinesco 1986, 547-550) –, altre<br />
spinte a un processo di intensa internazionalizzazione e conformismo<br />
dogmatico nello sforzo di unire strutturalmente insieme<br />
gli elementi dispersi – sul primo affermarsi di questo movimento<br />
destinato a estromettere completamente dall’istituzione lacaniana<br />
gli anziani «clinici» collaboratori di Lacan a vantaggio dei giovani<br />
filosofi di impostazione milleriana, cfr le attestazioni di Leclaire<br />
1981 e Mannoni 1988; sull’esito finale, richiamo l’amara e<br />
disincantata testimonianza dell’allievo Gérard Haddad (2007,<br />
295): «L’unità del gruppo, o piuttosto dei diversi sottogruppi, non<br />
è più assicurata che dal “carisma” di certe personalità, guru che<br />
sottomettono ai propri capricci, ai propri interessi e ai propri abusi,<br />
greggi disorientate e asservite. L’impero lacaniano si è presto<br />
trasformato in un arcipelago di baronie settarie, sottoposto a un<br />
processo di scissioni senza fine».<br />
11 S. Freud 1922b, 451.<br />
12 Cfr <strong>Contardi</strong> 2001.<br />
13 L’articolo, pubblicato con il titolo La famille nell’ottavo volume<br />
dell’Encyclopédie française, fu scritto su incarico di Henri<br />
Wallon, l’insigne psicologo alle cui ricerche sulle reazioni del<br />
bambino di fronte alla propria immagine allo specchio Lacan è<br />
debitore – purtroppo senza riconoscerlo adeguatamente – per la<br />
propria teoria dell’identificazione (il riferimento all’immagine<br />
speculare, avanzato da Wallon nel 1931, ripreso da Lacan nel<br />
1936 e nel 1949 riguardo allo stadio dello specchio, ritorna anche<br />
ne I complessi familiari: in ambedue gli autori, tuttavia,<br />
senza attinenza stretta con la psicoanalisi ma in relazione al piano<br />
dell’osservazione dei comportamenti infantili).<br />
14 Cfr Lacan 1955, 18.<br />
15 Una psicologia rivolta cioè non alle vicissitudini trasformative<br />
delle «rappresentazioni di cosa», componenti proprie dell’inconscio,<br />
ma alle «rappresentazioni di parola» proprie di preconscio<br />
e conscio (Freud 1915).<br />
16 A partire dall’assunto, non psicoanalitico ma mutuato, attraverso<br />
trasposizione libera, dal campo della linguistica, che nelle formazioni<br />
dell’inconscio (sogni, sintomi…) si manifestino processi<br />
di legame delle catene associative psichiche formalizzabili secondo<br />
le figure retoriche della metafora e della metonimia.<br />
17 Designato cioè come luogo del desiderio.<br />
18 Sviluppando tali presupposti teorici non vi è chi, in àmbito lacaniano,<br />
non sia giunto a sostenere che, «essendo il <strong>padre</strong> altra<br />
cosa dal genitore» (Porge 2000, 134) e «la madre da sé sola sufficiente<br />
a designare il progetto del Nome-del-Padre» (Lacan<br />
1973-1974), anche le diverse modificazioni intervenute con la<br />
modernità nell’organizzazione familiare non sono di per sé pensabili<br />
come fonti di sofferenza individuale e sociale, dal momento<br />
che «la referenza centrale al Padre non è necessaria al<br />
funzionamento dell’apparato psichico» (Lebrun 2001, 82).<br />
19 È anche in conseguenza di questa tecnica della seduta abbreviata,<br />
caratterizzante la direzione della cura quale sostenuta da<br />
Lacan fin dal testo del 1953 con cui accompagnò polemicamente<br />
il proprio allontanamento dalla Société Psychanalytique de Paris,<br />
che si rese impossibile per l’Ipa la riammissione dello psichiatra<br />
francese nella comunità degli psicoanalisti. La pratica della scansione<br />
agita, della variazione arbitraria del tempo e della durata<br />
della seduta (in luogo delle sessioni a durata stabile di 45 minuti<br />
e a orari fissi, Lacan e i suoi allievi prevedono appuntamenti set-<br />
timanali variabili, concordati anche contemporaneamente con più<br />
pazienti nella medesima ora e con durata potenziale financo di soli<br />
pochi minuti), garantisce in realtà al medico la certezza di potersi<br />
sottrarre in qualsiasi momento dall’esperienza per lui eventualmente<br />
angosciante e insostenibile del transfert (dello spostamento<br />
operato dal paziente nell’àmbito della relazione con l’analista<br />
di affetti di amore e odio) e dalla sua onerosa ma purtuttavia<br />
necessaria elaborazione a fini terapeutici, favorisce l’incardinarsi<br />
di trattamenti interminabili e impone l’adesione compiacente al<br />
capriccio sovrano e ai pregiudizi ideologici del Maestro sotto la<br />
minaccia del ritiro improvviso e sanzionatorio, da parte di quest’ultimo,<br />
della propria presenza a seconda dei discorsi e degli atteggiamenti<br />
sottopostigli.<br />
20 Dopo aver poggiato le fondamenta del proprio sistema teorico<br />
sul postulato che le formazioni dell’inconscio (sogno e sintomo)<br />
si lascino decifrare secondo la logica del linguaggio – riconducendo<br />
artificialmente i freudiani processi psichici della<br />
condensazione e dello spostamento ai tropi retorici di metafora<br />
e metonimia, attraverso un forzato e non fedele richiamo alla<br />
teoria linguistica di Roland Jakobson (Lacan 1955-1956) –, Lacan<br />
stesso, trovandosi a parlare in presenza dell’insigne linguista,<br />
fu infine costretto ad ammetterlo, pur senza poi mai trarne<br />
le necessarie conseguenze: «Per lasciare a Jakobson il campo<br />
che gli è riservato, occorrerà forgiare qualche altra parola [per<br />
definire l’àmbito in cui collocare la proposta retorica dell’inconscio]:<br />
lo chiamerò linguisteria. Il che per un certo verso mi<br />
lascia al linguista, e spiega com’è che tante volte, da parte di<br />
tanti linguisti, io subisca più di una tirata d’orecchi… Il mio dire,<br />
che l’inconscio è strutturato come un linguaggio, non è cosa<br />
del campo della linguistica» (Lacan 1972-1973, 16).<br />
21 Nella misura in cui, infatti, l’analisi si rende possibile a condizione<br />
di porre in parola l’inconscio, e tuttavia il costituirsi psichico<br />
di tale condizione è anche l’obiettivo stesso del trattamento analitico,<br />
proprio in ragione di una originaria assenza di strutturazione<br />
dell’inconscio nonché dell’eterogeneità del linguaggio a quest’ultimo<br />
e degli ostacoli affettivi e rappresentativi interni posti al suo<br />
manifestarsi attraverso il medio della parola. È solo misconoscendo<br />
le conseguenze nell’apparato psichico dell’opera della rimozione<br />
– è solo destituendo cioè anche questo fondamentale pilastro<br />
della metapsicologia psicoanalitica – che diventa invece possibile<br />
per Lacan proporre l’omogeneità di linguaggio e inconscio.<br />
22 Esula dagli intenti di questo articolo approfondire la chiusura<br />
di Lacan sia al giudaismo che al cristianesimo; sulla feroce<br />
critica a quest’ultimo in quanto religione del diniego (cioè costruzione<br />
di pensiero marcata dal ricorso a operazioni psichiche<br />
difensive di tipo psicotico) ricordo un passaggio del Seminario<br />
dell’11 febbraio 1970 nel corso del quale Lacan ritorna sul concetto,<br />
per lui cruciale, della «mancanza» costitutiva, del vuoto,<br />
al cuore del soggetto: «Cos’è che manca? Qualcuno disse una<br />
volta – Non affaticatevi, nulla manca, guardate i gigli dei campi,<br />
non tessono né filano, essi sono al loro posto nel Regno dei<br />
Cieli… Bisognava che fosse il Verbo in persona per poter negare<br />
tanto l’evidenza» (Lacan 1969-1970, 91). Ho avvicinato il tema<br />
della distanza di Freud dalle suggestioni della mistica orientale<br />
in Il Trofeo di Adamklissi. Il «Disagio della civiltà» laboratorio<br />
teorico per il narcisismo (<strong>Contardi</strong> 2009).<br />
23 Cfr questo esplicito passo del Seminario del 9 dicembre 1959:<br />
«Non credo che questo Tu – questo Tu di devozione su cui a volte<br />
va a cozzare qualunque altra manifestazione del bisogno d’amare<br />
– sia semplice. Credo che in esso vi sia la tentazione di addomesticare<br />
l’Altro, l’Altro preistorico, l’Altro indimenticabile<br />
che rischia tutt’a un tratto di sorprenderci e di precipitarci dall’alto<br />
della sua apparizione. Tu, contiene chissà quale difesa – e<br />
direi che quando viene pronunciato, è tutto in questo Tu, e non<br />
è da cercare altrove quello che vi ho presentato oggi come das<br />
Ding» (Lacan 1959-1960, 69).<br />
24 Si veda più in alto alla nota 10.<br />
25 Sul ruolo cardine che ebbe la psicoanalisi nell’evoluzione del<br />
rapporto di Thomas Mann con il Romanticismo tedesco, si veda<br />
Khan 2005.
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