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Contardi padre.qxp - Edizioni Ares

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330<br />

processo di costituzione della soggettività umana.<br />

L’idealismo formalista e linguista lacaniano riduce il<br />

processo di simbolizzazione all’ordine simbolico, il<br />

complesso di Edipo alla metafora paterna, la funzione<br />

paterna al significante del Nome-del-Padre, la castrazione<br />

freudiana (angoscia e fantasma) alla castrazione<br />

simbolica. Tutti i fondamenti della teoria analitica<br />

alla cui accettazione Freud vincolava, come più<br />

sopra ricordato, la legittimità di annoverarsi tra gli<br />

psicoanalisti, vengono a decadere nella deviazione lacaniana,<br />

e con la loro abrogazione è rinfrancato il percorso<br />

della modernità che, impegnata nella ricusazione<br />

di ogni trascendenza sovraindividuale, toglie infine<br />

consistenza normativa financo al <strong>padre</strong> reale. Di<br />

quest’ultimo non resta che uno spazio vuoto, nominato<br />

dalla madre attraverso il suo indicare ai figli il luogo<br />

del proprio desiderio, puro significante pluralizzabile<br />

nei Nomi-dei-Padri.<br />

Il materno<br />

nella vita dello spirito<br />

Non a caso, come già avvenuto, nell’àmbito delle defezioni<br />

dalla psicoanalisi, al percorso teorico intrapreso<br />

da Carl Gustav Jung, anche in Lacan la sottrazione<br />

del riferimento al <strong>padre</strong> carnale, pulsionale, si accompagna<br />

a una accentuazione del «materno» che, come<br />

da Freud denunciato, fatalmente promuove, quale involuzione<br />

nella vita dello spirito, l’abbandono del riferimento<br />

al monoteismo della tradizione ebraico-cristiana<br />

a favore del politeismo di provenienza dall’Estremo<br />

Oriente 22 . La centralità di quest’ultimo, riconoscibile<br />

nel corso del dispiegarsi della riflessione lacaniana,<br />

è evidente sin dal fondativo «discorso di Roma»<br />

del 1953, nel quale le deviazioni tecniche introdotte<br />

sono esplicitamente ricondotte alla pratica zen,<br />

e al quale è apposto come sigillo conclusivo un episodio<br />

del Bhrad-âranyaka Upanishad riguardante il<br />

noviziato presso il dio del tuono Prajapâti, genitore<br />

comune, nel variegato pantheon induista, degli dèi celesti<br />

e delle potenze delle tenebre a essi avversi.<br />

All’interno di una visione che sminuisce il <strong>padre</strong> in<br />

carne e ossa a un significante e alle funzioni che nella<br />

psiche vi sarebbero associate, istituendolo astrattamente<br />

quale Legge del bambino e della madre, anche<br />

quest’ultima è privata però infine degli attributi materiali<br />

a essa riconosciuti invece dalla psicoanalisi. Sottratta<br />

al duplice compito di modulazione/elaborazione<br />

differenziante degli eccitamenti e di successivo oggetto<br />

di desiderio sessuale, espulsa sul piano teorico<br />

in un Reale primario assolutamente estraneo 23 , anche<br />

la madre sconta infatti in ultimo le conseguenze dell’intellettualizzazione<br />

strutturalista sviluppata dallo<br />

psichiatra francese. Insieme alla sessualità è del resto<br />

l’affetto a risultare il grande assente della costruzione<br />

da lui proposta. Con ciò promuovendo dunque con<br />

forza la delegittimazione del complesso edipico, in riferimento<br />

al quale si è venuta invece organizzando la<br />

famiglia umana nel corso dell’evoluzione della civiltà,<br />

la teoria lacaniana testimonia inoltre, attraverso il<br />

processo di sovvertimento delle concezioni psicoanalitiche<br />

da essa operato, degli attacchi cui sono fatalmente<br />

esposte nella modernità anche le formulazioni<br />

culturali più approfondite e significative allorché siano<br />

espressione di esigenze di pensiero incompatibili<br />

con la destituzione di ogni sapere portatore di una<br />

istanza paterna, come tale inevitabilmente aperto all’alterità<br />

e dunque a tutto quanto può evocare un garante<br />

esterno, trascendente.<br />

«Autorizzarsi da sé» 24 non è solo cifra dell’etica lacaniana,<br />

ma espressione di una più generale tentazione<br />

mortifera a sconfessare la verità e la realtà dei limiti,<br />

la legge delle separazioni e delle differenze (tra i sessi<br />

e tra le generazioni), insieme alle coordinate spazio-temporali<br />

e razionali che esse comportano. Aggirando<br />

in tal modo l’Edipo e la connessa minaccia di<br />

castrazione, sono altrettanto evitate le sofferenze e le<br />

ferite psichiche derivanti dal riconoscimento della<br />

propria inadeguatezza nonché la consapevolezza dell’impossibilità<br />

di una completezza dell’Io. Alla sconfessione<br />

segue la sostituzione della legge paterna con<br />

un universo confuso e privato della differenziazione<br />

dei valori, proprio di una «organizzazione» conosciuta<br />

in àmbito clinico attraverso il variegato spettro delle<br />

perversioni. Riguardo a queste ultime, al pericolo<br />

da esse rappresentato a causa del movimento regressivo<br />

che le istituisce e accomuna nel desiderio di screditare<br />

il potere del Padre-creatore ponendosi al suo<br />

posto, ricordo quanto avanzato con apprensione da<br />

Freud in una lettera a Wilhelm Fliess: «Sto incominciando<br />

a credere che nella perversione… possano esservi<br />

residui di un ancestrale culto sessuale, che un<br />

tempo può essere stato una religione, nell’Oriente semitico<br />

(Moloch, Astarte)… Immagino dunque un’ancestrale<br />

religione diabolica i cui riti continuano a essere<br />

compiuti in segreto, e ora comprendo la severa<br />

terapia che usavano i giudici delle streghe» (Freud<br />

1887-1904, 257-258).<br />

Il ritorno<br />

al <strong>padre</strong> edipico<br />

Preoccupazione, quella di Freud riguardo alla persistenza<br />

al cuore dell’uomo di oscure forze sempre in<br />

agguato e pronte a travolgere i fragili argini a esse opposti<br />

dallo sviluppo spirituale, che non può non tornare<br />

a condividere chi interroghi oggi i segni dell’invadenza<br />

del discorso della modernità in àmbito sociale<br />

e culturale. Nel suo Appello alla ragione, pronunciato<br />

nel 1930 a Berlino nella Beethovensaal, e

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