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<strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
ANCHE MARADONA<br />
HA SBAGLIATO UN<br />
CALCIO DI RIGORE<br />
www.0111edizioni.com
www.0111edizioni.com<br />
www.<strong>il</strong>giralibro.com<br />
ANCHE MARADONA HA SBAGLIATO<br />
UN CALCIO DI RIGORE<br />
2008 Zerounoundici Edizioni<br />
Copyright © 2008 Zerounoundici Edizioni<br />
Copyright © <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
ISBN 978-88-6307-149-8<br />
Finito di stampare nel mese di Dicembre 2008 da<br />
Meloprint – Il Melograno<br />
Cassina Nuova - M<strong>il</strong>ano<br />
www.anchemaradonahasbagliatouncalciodirigore.com
Non c’è nulla di male a essere ultimi,<br />
se lo si è con dignità.<br />
Zdenek Zeman
A Astrid
NOTA DELL’AUTORE<br />
Il romanzo è ispirato a fatti realmente accaduti che, senza porre limiti alla<br />
propria libertà narrativa, l’autore ha parzialmente rielaborato. Il contenuto<br />
di quest’opera non è quindi da intendersi come una cronaca attendib<strong>il</strong>e,<br />
così come non sono da considerare attinenti al vero le azioni di alcuni dei<br />
personaggi ritratti.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 11<br />
Uno<br />
di sguardi e invisib<strong>il</strong>i confini, ripetizioni e verità in divenire<br />
Gli sguardi si trovano senza cercarsi, poli magnetici opposti che le leggi<br />
<strong>del</strong>la fisica attraggono loro malgrado. Il Capitano, braccia conserte nel<br />
cerchio di metà campo, è cosciente <strong>del</strong>le proprie responsab<strong>il</strong>ità e maestro<br />
nel mascherare la propria snervante inquietudine. Nasconde sapientemente<br />
la propria emotività, immob<strong>il</strong>e anche quando Asto para <strong>il</strong> rigore <strong>del</strong><br />
temporaneo vantaggio: lo fa per sé, innanzitutto, per <strong>il</strong> proprio orgoglio di<br />
leader, per legittimare una volta di più un ruolo che non dovrà mai essere<br />
messo in discussione. Non di meno, per regalare serenità ai compagni in<br />
un momento diffic<strong>il</strong>e come quello che stanno vivendo insieme: la loro<br />
prima vera finale, l’adrenalina dei calci di rigore dopo cinquanta minuti di<br />
mai cessato equ<strong>il</strong>ibrio. La paura di <strong>del</strong>udere, l’ansia di chi teme di non<br />
essere all’altezza.<br />
In questo, forse solo in quest’unico risvolto <strong>del</strong> carattere <strong>del</strong> Capitano, in<br />
questa sua tendenza a sminuire sempre, agli occhi degli altri, <strong>il</strong> peso <strong>del</strong>le<br />
difficoltà, in questa sua apparente leggerezza nell’affrontare i fatti <strong>del</strong><br />
calcio ma anche <strong>del</strong>la vita, in queste circostanze la napoletanità impressa<br />
sui cromosomi paterni è un’evidenza oltremodo innegab<strong>il</strong>e.<br />
Il <strong>Lo</strong>fa, mani in tasca, è def<strong>il</strong>ato ald<strong>il</strong>à <strong>del</strong>la riga laterale, impossib<strong>il</strong>itato a<br />
tutto tranne che ad alternare gioia e dolore a ogni rete gonfiata. Di tanto in<br />
tanto dà una sistemata agli occhiali i cui naselli non sono più in grado di<br />
reggere <strong>il</strong> peso <strong>del</strong>la sua vecchia montatura in acciaio smaltato nero, più<br />
spesso si asciuga con un fazzoletto di stoffa <strong>il</strong> sudore che neanche le sue<br />
folte sopracciglia riescono ad arginare sulla fronte. Soffre nel vedere la sua<br />
maglia indossata da altri e non fa nulla per nasconderlo, maledice<br />
quell’uscita al limite <strong>del</strong>l’area che ha messo fine alle sue velleità<br />
agonistiche.<br />
Non parlano <strong>il</strong> Capitano e <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa, non ce n’è bisogno: è la tensione che ne<br />
deforma i lineamenti a comunicare s<strong>il</strong>enziosamente le emozioni che stanno<br />
vivendo.<br />
Prevedib<strong>il</strong>e e previsto <strong>il</strong> rigore di Forrest, ma troppo violento per essere<br />
tenuto al di qua <strong>del</strong>la linea di porta. E’ gol ed è proprio in quel momento<br />
che i loro occhi anticipano incoscienti l’abbraccio nel quale entrambi sono<br />
certi si stringeranno presto. E’ gol e l’otturatore <strong>del</strong>la loro memoria fa<br />
click: <strong>il</strong> Borla la saprà mettere e <strong>il</strong> Capitano, ultimo a doversi presentare<br />
sul dischetto, è oltre ogni lecito sospetto. E’ fatta, sembrano dirsi nella
12 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
complicità dei loro laconici pigli, ingenui nel credere che bastino piedi<br />
buoni per iniziare la festa.<br />
Il Borla la tiene bassa e sceglie di calciarla a sinistra. La traiettoria sembra<br />
quella giusta, ma un rumore sordo fa presagire che non saranno loro ad<br />
alzare quella coppa. Almeno non nell’immediato. Questione di m<strong>il</strong>limetri,<br />
l’invisib<strong>il</strong>e confine che separa un palo interno da uno esterno. Un gol<br />
pressoché certo dalla frustrazione che ti rapisce. Le successive segnature e<br />
le tre serie a oltranza non fanno altro che rendere l’attesa ancora più<br />
estenuante. E quando Jimmy la spara in bocca al portiere avversario, <strong>il</strong><br />
triplice fischio <strong>del</strong>l’arbitro rende esplicito un destino <strong>del</strong> quale <strong>il</strong> Capitano<br />
e <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa erano ormai persuasi.<br />
Jimmy e <strong>il</strong> Borla, amici per la pelle dentro e fuori dal campo, non riescono<br />
a credere che la sorte li abbia uniti anche in quest’infausta occasione.<br />
Sentono <strong>il</strong> peso <strong>del</strong>la sconfitta solo sulle proprie spalle, dimentichi che<br />
anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore.<br />
E’ <strong>il</strong> 30 Giugno 2005. Le Mine Vaganti, da sempre alla ricerca di<br />
un’identità, iniziano a essere davvero squadra.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 13<br />
Due<br />
di Egidio e Claudio<br />
«Senti, so bene che non sono affari miei, ma non riesco a far finta di nulla.<br />
Non ce la faccio, Claudio, non posso continuare a vederti in questo stato».<br />
Nelle ultime due settimane aveva provato almeno una mezza dozzina di<br />
volte ad iniziare quel discorso, senza però trovare <strong>il</strong> giusto abbrivio. Con<br />
le parole che sembravano morirgli sulla lingua un attimo prima di essere<br />
pronunciate, incapaci di varcare la soglia dei propositi, di sfondare l’argine<br />
<strong>del</strong>l’indifferenza che si erano giurati dopo l’ennesimo dissapore. Quella<br />
sera la manifesta lontananza <strong>del</strong> fratello lo spaventava, quasi che <strong>il</strong> tempo<br />
a disposizione per rianimarlo fosse venuto meno. Schiarì la gola, mandò<br />
giù la saliva che gli impicciava la bocca e proseguì. «Ho l’impressione che<br />
tu e Barbara stiate passando un brutto periodo…».<br />
Claudio rimase sorpreso nel sentire quelle parole. La rinnovata<br />
disponib<strong>il</strong>ità <strong>del</strong> fratello, la sua evidente apprensione: dopo i conati d’odio<br />
che gli aveva vomitato addosso e dopo la ridicola piazzata <strong>del</strong> mese<br />
precedente, tanta sollecitudine sembrava essere, nella sua ingenua logica<br />
binaria post-adolescenziale, <strong>del</strong> tutto ingiustificata. Pensava che <strong>il</strong> suo<br />
credito fosse esaurito e con esso la pazienza di chi si era dimostrato fin<br />
troppo tollerante nei suoi confronti. Lasciò passare qualche istante, poi<br />
annuì s<strong>il</strong>enzioso senza distogliere gli occhi dalla televisione.<br />
«Hai voglia di parlarne?».<br />
La verità è che non sapeva se ne avesse davvero voglia. Non capiva se era<br />
per via <strong>del</strong>l’imbarazzo a cui l’aveva costretto l’indulgenza <strong>del</strong> fratello<br />
oppure <strong>il</strong> timore di risposte in grado di confonderlo ancor di più. Si guardò<br />
intorno, alla ricerca di qualcosa che non trovava. Sempre in s<strong>il</strong>enzio, con<br />
movimenti rapidi, nervosi. Cercava <strong>il</strong> telecomando, anche se non sapeva<br />
per quale motivo. Se per spegnere, cambiare canale oppure solo abbassare<br />
<strong>il</strong> volume. «Edi, è successo un cazzo di casino» si decise, non sapeva<br />
perché ma si decise, sicuro che se ne sarebbe pentito. Spense e si girò<br />
verso <strong>il</strong> fratello, all’altra estremità <strong>del</strong> divano. «Barbara è incinta».
14 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Tre<br />
di Giacomo e Onan, facce diverse <strong>del</strong>la stessa medaglia<br />
6 Giuda prese una moglie per <strong>il</strong> suo primogenito Er, la quale si chiamava<br />
Tamar. 7 Ma Er, primogenito di Giuda, si rese odioso al Signore e <strong>il</strong><br />
Signore lo fece morire. 8 Allora Giuda disse a Onan: «Unisciti alla<br />
moglie <strong>del</strong> fratello, compi verso di lei <strong>il</strong> dovere di cognato e assicura così<br />
una posterità per <strong>il</strong> fratello». 9 Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe<br />
stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie <strong>del</strong><br />
fratello, disperdeva per terra, per non dare una posterità al fratello. 10<br />
Ciò che egli faceva non fu gradito al Signore, <strong>il</strong> quale fece morire anche<br />
lui.<br />
Genesi 38,6-10<br />
Visto con gli occhi di uno sconosciuto, Giacomo appariva come un<br />
adolescente qualsiasi <strong>del</strong>la M<strong>il</strong>ano dei primi anni Ottanta: né migliore né<br />
peggiore di tanti altri bagaj, un ragazzo. Dietro l’assoluta normalità <strong>del</strong><br />
suo lato esteriore si celava tuttavia la condanna ch’egli stesso scelse di<br />
infliggersi e che, in una sorta di processo senza appello né difesa, decise di<br />
scontare segregato nelle prigioni <strong>del</strong>la propria debolezza.<br />
Raccontare <strong>del</strong>l’infanzia di Giacomo è raccontare <strong>del</strong>l’infanzia di un<br />
qualsiasi ragazzino cresciuto in una piazza: le partite di calcio fino a che<br />
non faceva buio, sfiancanti nascondini senza limiti né regole, cavallina<br />
storna abbracciato al palo <strong>del</strong>la luce e, immancab<strong>il</strong>i, le gare in bicicletta,<br />
nelle quali riusciva a far valere i lunghissimi rapporti <strong>del</strong>la Bianchi da<br />
corsa e che facevano di lui lo scontato vincitore di qualsiasi sfida.<br />
Un’infanzia serena, sfociata tristemente in un’adolescenza nella quale <strong>il</strong><br />
suo problema relazionale emerse in maniera manifesta. Specie i primi anni<br />
di liceo, dove la convivenza con i giovani uomini in odore di diploma<br />
oppure con le ragazzine dalle gonne ben sopra <strong>il</strong> ginocchio e <strong>il</strong> seno nello<br />
splendore <strong>del</strong>lo sv<strong>il</strong>uppo lo riducevano inesorab<strong>il</strong>mente in ambasce. La<br />
vergogna per la sua condizione e i sempre più frequenti episodi che lo<br />
vedevano passivo protagonista di scherzi e canzonamenti tra i più<br />
spregevoli lo portarono a maturare la distorta consapevolezza di non<br />
essere all’altezza degli altri, di non potersi considerare una persona<br />
normale se quella era la normalità, e, anticamera di un’irragionevole<br />
decadenza, smise di parlare. Per rifuggire <strong>il</strong> disagio, dal quale non riuscì a<br />
liberarlo neppure <strong>il</strong> più stimato dei logopedisti <strong>del</strong>la città, scelse di
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 15<br />
trasformare la sua balbuzie nel mutismo più incondizionato. Al rispetto da<br />
guadagnarsi sul campo a suon di schiaffi e spintoni preferì l’altrui, e ben<br />
più semplice da ottenere, pietà.<br />
Preso atto non senza dolore <strong>del</strong>la decisione di lasciare gli studi e gli amici<br />
di sempre, i genitori gli imposero di frequentare un istituto per sordomuti,<br />
grazie al quale riprese a comunicare – anche se tramite <strong>il</strong> solo uso <strong>del</strong><br />
linguaggio gestuale – e ad avere un minimo di vita sociale. La vera svolta<br />
nelle sue relazioni col mondo esterno avvenne però qualche anno dopo, in<br />
seguito alla diffusione di internet e <strong>del</strong>la posta elettronica, per raggiungere<br />
<strong>il</strong> proprio apice comunicativo in quel mondo virtuale che è la <strong>blog</strong>osfera,<br />
un non-posto dove l’anima conta più <strong>del</strong> corpo e l’apparenza è<br />
esclusivamente frutto <strong>del</strong>le proprie capacità intellettuali, non fisiche.<br />
Elettrizzato dalla possib<strong>il</strong>ità di poter dire finalmente la sua, intraprese<br />
un’appassionata battaglia contro i pregiudizi che limitano le possib<strong>il</strong>ità dei<br />
singoli a causa di innati deficit fisici. Senza però l’onestà intellettuale di<br />
ricordare a sé stesso che <strong>il</strong> suo non era un problema congenito ma frutto<br />
<strong>del</strong>la v<strong>il</strong>tà <strong>del</strong>la propria scelta e che, per trasformare un proponimento in<br />
un successo, è necessario <strong>il</strong> temperamento che lui non aveva mai mostrato<br />
di avere, tanto meno se nascosto tra le mura <strong>del</strong>la propria cameretta. Se è<br />
vero che <strong>il</strong> fine giustifica i mezzi, tanto nob<strong>il</strong>i erano le sue intenzioni che<br />
occultare una parte di verità non avrebbe di fatto cambiato la sostanza di<br />
quella missione, i cui risultati vennero per giunta amplificati<br />
dall’impenetrab<strong>il</strong>e distacco che circondava un uomo senza volto e<br />
disinteressato ad apparire. Anche se sapeva bene che la rivalsa nei<br />
confronti di quel mondo che l’aveva, a suo modo di dire, soggiogato,<br />
doveva necessariamente passare attraverso <strong>il</strong> pubblico riconoscimento.<br />
Trovato nei meandri <strong>del</strong>la sua livida indole un ultimo barlume di coraggio,<br />
accettò di intervenire telefonicamente a una trasmissione radiofonica; ma<br />
<strong>il</strong> disagio che provava ogni qual volta i propri pensieri non si traducevano<br />
in parole lo portò a decidere che <strong>il</strong> mondo dei codici orali non faceva per<br />
lui. Abbandonò una volta per tutte i propositi che aveva maturato negli<br />
ultimi tempi e si rituffò nel microcosmo nel quale sapeva muoversi senza<br />
impaccio alcuno. Un posto nel quale aveva saputo trovare tutto, e nel<br />
quale non gli restava altro da scoprire se non l’amore, la cosa che più di<br />
ogni altra desiderava. A qualsiasi costo.<br />
Un giorno, commentando sul proprio <strong>blog</strong> la scelta <strong>del</strong>lo pseudonimo<br />
Onan (“un esempio di mistificazione storica, un uomo che, contrario a
16 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
costumi nei quali non riusciva a immedesimarsi, viene ricordato da<br />
m<strong>il</strong>lenni come un segaiolo invece che come <strong>il</strong> precursore <strong>del</strong> più antico<br />
metodo contraccettivo naturale dopo l’astinenza”), entrò in contatto con<br />
un’apparente coetanea, con la quale si stab<strong>il</strong>ì presto una certa affinità.<br />
Dopo mesi di messaggi tanto belli quanto forzatamente platonici, decisero<br />
di condividere - con le debite distanze e gli annessi f<strong>il</strong>tri - un’esperienza<br />
diversa e che sapesse rinverdire l’entusiasmo che, data la ripetitività degli<br />
argomenti trattati, stava scemando lentamente nella noia: si iscrissero a un<br />
concorso letterario, presentando una storia scritta a quattro mani. Il<br />
racconto non ebbe <strong>il</strong> successo che si attendevano, ma permise loro di<br />
conoscersi veramente a fondo e di dare libero sfogo ai sentimenti che, nel<br />
tempo, avevano maturato l’uno verso l’altro.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 17<br />
Quattro<br />
di Alfredo Mauro e Federico, <strong>il</strong> racconto<br />
Foglie gialle sparse dappertutto, sacchetti di plastica variopinti che si<br />
liberano alti tra gli alberi, rami spezzati e tutto ciò che <strong>il</strong> furioso vento di<br />
quei giorni potesse trascinare dietro di sé. Oggi la piazza si presenta così,<br />
lucente, vivace, addirittura esuberante. Scossa da un’improvvisa energia,<br />
sembra stia provando a ripudiare, con i suoi fugaci colori autunnali,<br />
l’incessante grigiore riflesso <strong>del</strong>la Borletti, che ne disegna per metà <strong>il</strong><br />
perimetro e contribuisce ad animarne la vita di tutti i giorni.<br />
Non una pausa nel cuore <strong>del</strong>la piazza, non un momento di stanca: operai,<br />
bambini, tossici, <strong>del</strong>inquenti, barboni, cani e un’intensità che in pochi<br />
altri posti <strong>del</strong>la città puoi trovare. Rumori di ogni tipo che si fondono,<br />
ognuno con <strong>il</strong> proprio ritmo e calore, in un unico grande battito, supremo<br />
metronomo <strong>del</strong>la più mesta e sempre avv<strong>il</strong>ente quotidianità.<br />
In un pomeriggio di relativa tregua, non solo meteorologica, Alfredo si<br />
unisce a due amici appoggiati allo schienale di una vecchia panchina<br />
verde, tra le poche sopravvissute ai periodici vandalismi di una <strong>del</strong>le<br />
compagnie rivali. Probab<strong>il</strong>mente i metallari di Via Garian.<br />
«Oh ragazzi, ho studiato un percorso per scappare dai tossici che è una<br />
bomba!».<br />
Si siede, dà un morso a uno degli ultimi Croccante <strong>del</strong>la stagione e<br />
aspetta che Mauro e Federico gli diano retta. E’ distratto però, preso<br />
com’è dalle sensazioni che prova gustando <strong>il</strong> gelato al quale non<br />
rinuncerebbe se non per poche, pochissime altre cose al mondo: per<br />
alcuni secondi rimane immob<strong>il</strong>e, attento solo a prolungare quanto più<br />
possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> piacere viscerale che quell’armonico abbinamento di panna<br />
granella e amarena sa diffondere nel profondo <strong>del</strong>la sua anima di goloso.<br />
«Madonna, ma… ma Gloria Guida è di un altro pianeta…madonna se è<br />
stupenda!». L'estrema lentezza con cui la bocca di Mauro dà alla luce la<br />
frase, impreziosita da quel “ma” ripetuto, quasi balbettato e poi l’enfasi<br />
posta sulla parola “stupenda”, questa combinazione di suoni ed emozioni<br />
ha l’effetto di un elettroshock su Alfredo che, girandosi di scatto, si<br />
rivolge incuriosito agli amici.<br />
«Cos’è? Fa vedere, oh, fa vedere!».<br />
« Non tirare, beota, che lo rompi!».<br />
«Mizzica… Blitz! Chi è che l’ha comprato?».
18 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
«L'abbiamo trovato vicino al cestino…».<br />
Alfredo è eccitatissimo, Federico addirittura euforico nel vedere alcune<br />
immagini scattate sul set <strong>del</strong> nuovo f<strong>il</strong>m di Laura Antonelli. «Questa sì che<br />
è una donna!» protesta con decisione rivolto a Mauro. «Va qui che due<br />
tette! Altro che la tua biondina piatta piatta…».<br />
<strong>Lo</strong> guardano tutto fino alla fine, un’altra volta e poi un’altra ancora: tra<br />
stronzi, foglie, sassi, siringhe e schifezze di ogni tipo, Blitz era quanto di<br />
meglio si potesse trovare per terra in piazza. Specie per tre ragazzini alle<br />
prese con i primi fermenti ormonali. <strong>Lo</strong> sfogliano per l’ultima volta, poi,<br />
con inusuale cura, divaricano le due graffette con le quali <strong>il</strong> giornaletto è<br />
r<strong>il</strong>egato e se lo spartiscono: Mauro prende per sé le sole foto <strong>del</strong>la<br />
“biondina”, Federico mette in tasca Laura Antonelli e Agostina Belli. Ad<br />
Alfredo, qualunquista per opportunità e ben fiero di esserlo, ciò che<br />
avanza.<br />
«Oh Alfre, cosa dicevi dei tossici?».<br />
La mente di Alfredo è comprensib<strong>il</strong>mente turbata, <strong>il</strong> suo viso ancora<br />
avvolto da vampate di calore. «Prima, quando sei arrivato, hai detto<br />
qualcosa sui tossici…». Mauro prova a rinfrescargli la memoria. «Oh»<br />
gli dà anche una leggera spinta «l'hai detto dieci minuti fa, non ti<br />
ricordi?!».<br />
«Mmh… ah, sì…» Alfredo fa saltare con la lingua l’ultimo ricordo <strong>del</strong><br />
Croccante «…sì, dicevo che stamattina ho studiato un percorso per<br />
scappare dai tossici».<br />
Federico è perplesso. «Perché, scusa, sei mai stato rincorso da un<br />
tossico?».<br />
«No».<br />
«E allora perché studi un percorso?».<br />
«Boh… l'ora di religione è dura da far passare e…» esitò un istante,<br />
preso alla sprovvista dalla reazione degli amici «…e poi può sempre<br />
essere ut<strong>il</strong>e, no? Metti che qualcuno t'insegue…».<br />
Mauro e Federico sorridono.<br />
«Ve lo faccio vedere, dai, cos’avete da perderci?!».<br />
«L’hai disegnato?» chiede uno dei due.<br />
«No, ma possiamo provarlo, se volete. Ci mettiamo qualche minuto».<br />
Poche le alternative alla proposta di Alfredo: giocare a undici contro la<br />
Borletti, se avessero un pallone o solo la voglia di andare su a prenderlo,<br />
oppure lanciare sassi nel cestino oppure ancora andare in giro per i
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 19<br />
negozi <strong>del</strong>la zona ad accattonare adesivi per <strong>il</strong> solo gusto di dire che io ho<br />
più adesivi di te. Insomma, <strong>il</strong> solito noioso modo per riempire quel che<br />
resta <strong>del</strong>la giornata. Decidono di dar retta ad Alfredo.<br />
«Mauro, che ne dici? Io, quasi quasi…».<br />
«Massì, dai, andiamo! Che poi, come dice Alfre, non si sa mai… dai, da<br />
dov’è che partiamo?».<br />
«Allora, facciamo finta che adesso arrivi un tossico… mizzi, fatto di<br />
brutto e che… ti si avvicina e ti chiede se hai la collanina». La voce di<br />
Alfredo inizia a essere tremolante. «Tu cosa fai? Allora, dimmelo, cosa<br />
fai? E tu?». Nessuna risposta. «Ti caghi addosso… no?». Alfredo guarda<br />
gli amici e trova negli occhi di entrambi la luce di chi è tanto d’accordo<br />
con te quanto molto impaurito. Come te.<br />
«Va bene, ci caghiamo tutti addosso… e poi? E poi cosa facciamo?».<br />
Mauro incalza.<br />
«Dobbiamo scattare tutti e tre verso casa, correndo veloce. Tra la<br />
sorpresa e la sua fattanza, <strong>il</strong> tossico lo stacchiamo di diversi secondi.<br />
Entriamo e andiamo verso la mia scala. Uno di noi, <strong>il</strong> primo, chiama<br />
l’ascensore mentre l’ultimo sta vicino alla portineria per capire quando<br />
arriva. Se entra, prendiamo l’ascensore e saliamo in solaio. Apriamo la<br />
porta, ci facciamo tutto <strong>il</strong> corridoio e chiamiamo l’ascensore <strong>del</strong>l’altra<br />
scala; aspettiamo qualche minuto, però, vediamo se <strong>il</strong> tossico ci è ancora<br />
dietro».<br />
I tre si ritrovano nel sottotetto ad aspettare che da lì a qualche minuto si<br />
materializzino le forme di quel truce personaggio creato dalle proprie<br />
menti adolescenti e telecomandato da un’annoiata ma sempre fervida<br />
fantasia, un agghiacciante ologramma che gli sta dando la caccia per<br />
rubar loro le collanine. Le collanine, appunto. Ma loro ce le hanno le<br />
collanine?<br />
«Alfre, ce l’hai la collanina?».<br />
«No, io non ce l’ho. E tu?».<br />
«No, neanch’io. Fede, tu ce l’hai?».<br />
Federico si sbottona la giacca e inizia a toccarsi <strong>il</strong> collo: non ricorda se<br />
ha su la collanina, quella bella ovviamente, quella d’oro, oppure una<br />
qualunque collana di perline comprata al mare un paio di mesi prima. Si<br />
abbassa <strong>il</strong> maglione e scopre la risposta, che era poi quella che<br />
immaginava. La collanina bella è nell’armadio dove mamma mette le<br />
sigarette.
20 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
«No, non ce l’ho neanch’io. Non ce l’ha nessuno. Che culo! Ma… se non<br />
ce l’ha nessuno, allora vuol dire che non c’è nessun tossico che ci sta<br />
correndo dietro!».<br />
Una pausa, tutti e tre in s<strong>il</strong>enzio per sentire se, per caso o per destino,<br />
arrivano rumori dal pianerottolo <strong>del</strong>l’ottavo piano. No, niente. Né per<br />
caso né per destino.<br />
«Ma cosa c’entra, Fede, <strong>il</strong> tossico mica lo sa che non abbiamo le<br />
collanine! Ci ha visto scappare e ci ha inseguiti». Questa considerazione,<br />
più che legittima, gli dà da pensare. «Perché saremmo dovuti scappare se<br />
non avevamo le collanine? Ci aprivamo <strong>il</strong> giubbotto e gli facevamo vedere<br />
che non le abbiamo. Tutto qui. Lui cosa ci avrebbe fatto?». Mauro aspetta<br />
qualche momento e poi termina: «Secondo me, niente. Da noi voleva le<br />
collanine, mica pestarci». Non finisce neanche di dirlo che <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio<br />
viene rotto da un rumore cupo, proviene proprio da lì sotto. E’<br />
l’ascensore: la porta si apre sbattendo violentemente contro la parete e<br />
un tossico brutto, tutto sporco, nel pieno <strong>del</strong>la scimmia, alza gli occhi per<br />
vedere se tu sei lì. E tu, porca puttana, ci sei.<br />
Attraversi <strong>il</strong> solaio correndo lungo <strong>il</strong> corridoio, raggiungi l’altra scala e<br />
giù - Mennea mi fa una pippa - fino al piano terra. All’uscita, a sinistra<br />
verso via Cavalcabò e corri senza fermarti fino all’angolo con Via <strong>del</strong><br />
Fusaro. Lì ti puoi girare per vedere se <strong>il</strong> tossico ti sta ancora inseguendo.<br />
Ti sta ancora inseguendo. Corri verso Via Sardegna e, prima <strong>del</strong>l’angolo,<br />
gira a sinistra dentro al garage, sali la rampa e vai ancora a sinistra.<br />
Adesso controlla se sta arrivando.<br />
Eccolo. Ora scavalca <strong>il</strong> muretto e sali sul tetto di quel box. Salta giù.<br />
«Oh, ma è alto!». Mauro abita al piano rialzato e soffre di vertigini.<br />
«Salta che <strong>il</strong> tossico sta arrivando, muoviti, dai!».<br />
Mauro si fa coraggio, salta e i ragazzi scappano verso l’uscita <strong>del</strong><br />
cort<strong>il</strong>etto. E’ <strong>il</strong> momento chiave <strong>del</strong> piano di Alfredo: le ante <strong>del</strong> portone<br />
sono aperte, ma basta uno scatto di una quindicina di metri per uscire,<br />
mettersi in salvo e chiuderle, intrappolando <strong>il</strong> tossico. Per l'eternità.<br />
Passa Alfredo, subito dietro Federico e per ultimo Mauro.<br />
«Chiudi le porte, veloce!».<br />
Mauro a sinistra, Federico a destra e <strong>il</strong> portone si chiude violentemente,<br />
emettendo un sonoro clangore che fa scappare tutti i piccioni appostati<br />
sotto <strong>il</strong> balcone <strong>del</strong>l’ammezzato. E' fatta!
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 21<br />
Qualche attimo di s<strong>il</strong>enzio, i ragazzi si guardano negli occhi e poi Alfredo<br />
esulta: «Avete visto, funziona! Il tossico è in trappola!».<br />
Trecento metri di pura tensione vissuta in una lunga corsa senza una meta<br />
apparente, poi lo scatto finale: qualche secondo di fiatone, mani<br />
appoggiate alle gambe leggermente flesse e l’immagine agghiacciante da<br />
cui fuggivano che lentamente si dissolve fino a ritornare un puro oggetto<br />
di fantasia.<br />
«Beh, più che per scappare, questo mi sembra un piano per intrappolarli,<br />
i tossici!». Federico fa un bel respiro profondo, scarta una Sugus (quanta<br />
invidia provavano i suoi amici quando tirava fuori le Sugus che <strong>il</strong> padre<br />
gli portava di ritorno dai suoi sabati di sigarette e benzina in Svizzera), la<br />
ciuccia in maniera teatrale e infine termina. «Comunque… [ciucciata]<br />
bello... [respirone] bravo Alfre!».<br />
«Bello Alfre, però non farmi fare più quel salto ché ho paura, lo sai».<br />
Anche Mauro si complimenta con l’amico, sebbene non sia <strong>del</strong> tutto<br />
contento. Le sue gambe tremano ancora.<br />
«Paura? Paura di cosa? E’ basso, dai, saranno tre metri e mezzo».<br />
«Sì, tre metri e mezzo, mica un metro! Oh, tre metri e mezzo è come<br />
saltare giù dal primo piano… una cosa assolutamente normale, no? Tu lo<br />
fai tutti i giorni, vero?».<br />
Alfredo non ha voglia di discutere e ignora l’ironia <strong>del</strong>l’amico. Lascia<br />
perdere, sufficientemente soddisfatto sia <strong>del</strong>la sua pensata che <strong>del</strong><br />
riconoscimento ricevuto dai compagni d'avventura. Una caramella<br />
sarebbe la c<strong>il</strong>iegina sulla torta. «Fede, me la merito una Sugus, vero?».<br />
«Eh sì, te la meriti proprio…» Federico sogghigna malizioso «…se solo<br />
ne avessi una…». Mette la mano in tasca, la rivolta e ne mostra <strong>il</strong><br />
contenuto: tre monete da dieci lire, qualche cartaccia e niente più.<br />
L'acquolina in bocca è una brutta sensazione se non soddisfatta, lui lo sa<br />
bene e tutto sommato non se ne dispiace più di tanto.<br />
Rimane un'ultima cosa da aggiungere per concludere con l’ingegnoso<br />
piano: «Ah, dimenticavo». Alfredo si riappropria <strong>del</strong>la scena. «Se avete<br />
qualcosa da nascondere, qualcosa di relativamente piccolo che possa<br />
passare attraverso <strong>il</strong> diametro di quel tubo lì…». Prende sotto braccio i<br />
due amici e li riporta all'esterno <strong>del</strong> garage, indicando una grondaia non<br />
più ut<strong>il</strong>izzata. «Inf<strong>il</strong>i l'oggetto lì dentro e scappi. Per riprenderlo, è<br />
sufficiente saltare giù e alzare <strong>il</strong> tubo».
22 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Federico e Mauro erano ancora più sorpresi di prima. «No… scusa…<br />
come facevi a sapere di quel tubo? Non posso pensare che te lo sei<br />
inventato tu…». Federico è incredulo.<br />
«No, ovviamente no, di quello mi ha parlato Poldo. Lui ci nasconde le<br />
sigarette».<br />
«Ma se qualcuno va lì e ti ruba la roba che butti dentro?».<br />
«Impossib<strong>il</strong>e: lo sappiamo noi tre e Poldo, nessun altro. Neanche la<br />
vecchia che abita qui».<br />
Nulla più da aggiungere. Grande Alfre, bel piano.<br />
Di nuovo in Via Cavalcabò, si incamminano verso la piazza. Sguardo<br />
basso e scanzonato, passo lento e parecchio distratto, non pensano a<br />
nulla, neanche al motivo per cui stanno tornando indietro. Tornano<br />
indietro, come attirati da un’invisib<strong>il</strong>e calamita. Tornano indietro e basta.<br />
Come è normale che sia.<br />
Attraversano Via Del Fusaro, venti trenta metri e girano l’angolo.<br />
Un’occhiata verso <strong>il</strong> centro <strong>del</strong>la piazza alla ricerca di qualche amico e<br />
nel cuore la speranza che questi abbia portato con sé un buon motivo per<br />
non ritornare a casa: niente da fare, solo qualche vecchio sulle panchine<br />
e un paio di cani a contendersi un pallone bucato. Pazienza, oggi va così.<br />
Si sono fatte le cinque. Tra un po’ su Canale 51 inizia Daitarn III. Un<br />
buon motivo per rientrare oppure solo un banale ripiego?<br />
«Le cinque?». Federico ha un sussulto. «Che ore sono ? Le cinque?».<br />
«Sì, le cinque. Cinque meno due». Mauro è telegrafico, <strong>il</strong> suo Texas<br />
Instruments è sincronizzato con i sei beep <strong>del</strong> segnale orario Rai. «Sedici<br />
cinquantotto minuti e quattordici secondi. Quindici sedici diciassette».<br />
<strong>Lo</strong> sconforto attacca in forze Federico. «Nooo, avevo detto alla madre di<br />
Marina che sarei andato con lei all’ospedale. Madonna, me ne sono<br />
dimenticato». E' distrutto, come ha fatto, continua a chiedersi, a<br />
dimenticarsi di Marina? Il sangue gli si sta gelando nelle vene. E’<br />
disperato e allo stesso tempo già um<strong>il</strong>iato per la gran figura di merda che<br />
presto avrebbe fatto.<br />
Allunga nervosamente <strong>il</strong> passo e poi, d’improvviso, prende a correre<br />
verso casa. Le probab<strong>il</strong>ità che i genitori di Marina non siano ancora<br />
partiti sono veramente poche. Ma sufficienti, data l’insofferenza <strong>del</strong>lo<br />
spinterogeno <strong>del</strong>la vecchia Opel all’umidità <strong>del</strong>l’autunno inoltrato.<br />
«Non parte, non c’è niente da fare. Prendiamo la sessanta». Il padre di<br />
Marina sbatte la portiera <strong>del</strong>la sua Kadett grigia, guarda la moglie e
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 23<br />
scuote <strong>il</strong> capo. «Non parte, cosa posso farci?». Sta per inf<strong>il</strong>are la chiave<br />
nella serratura quando una voce viene in suo soccorso.<br />
«Ha bisogno di una mano?». Federico, ignob<strong>il</strong>mente sollevato nel vederli<br />
ancora lì, gioca subito l'unica carta a disposizione per recuperare la<br />
situazione. «Proviamo a farla partire a spinta?».<br />
Franco non ci pensa due volte e annuisce fiducioso. «Dai ragazzi, correte<br />
più veloce che potete». Accende <strong>il</strong> quadro, mette la folle e i tre iniziano a<br />
spingere appoggiati allo sportello <strong>del</strong> baule. La macchina si muove<br />
lentamente, prende progressivamente velocità fino a che Franco non<br />
inf<strong>il</strong>a la seconda: <strong>il</strong> borbottio <strong>del</strong> motore, la macchina che si fa pesante e<br />
poi una portentosa sgasata a suggellare <strong>il</strong> loro successo. Partita. Un giro<br />
<strong>del</strong>la piazza per tenerla su di giri e poi Franco si ferma per far salire la<br />
moglie. «Venite anche voi?». Non aspettò la risposta dei ragazzi. «Dai,<br />
salite!».<br />
Corsero come dei folli fino all’ospedale e lì, in compagnia di Marina, vi<br />
rimasero per oltre un’ora, incuranti degli orari di visita e dei rimproveri<br />
<strong>del</strong>l’infermiera di turno. Scherzavano e giocavano come se nulla fosse,<br />
come se mai nessuna mazzetta da un ch<strong>il</strong>o le avesse devastato <strong>il</strong> cranio<br />
dopo un volo di otto piani. Come se fosse rimasta sempre con loro in<br />
piazza, in cort<strong>il</strong>e o all’oratorio. Quella fu l’ultima volta che i ragazzi la<br />
videro in vita. Morì a causa di un’infezione <strong>il</strong> giorno stesso in cui la<br />
piazza si era preparata a riaccoglierla a sé, a farla diventare una brutta<br />
storia ma con un lieto fine che tutti potessero raccontare con gioia.<br />
Quale dio potrebbe essere così cru<strong>del</strong>e da fare una cosa <strong>del</strong> genere a una<br />
bambina?<br />
Quale?
24 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Cinque<br />
di sospetti e impazienza<br />
In quell’angolo di mondo virtuale, intriso di miele, parole e buoni<br />
propositi, Onan e Vesna si erano ripromessi di amarsi a distanza: sapevano<br />
bene, memori di esperienze vissute da altri membri <strong>del</strong>la loro piccola<br />
comunità autoreferenziale, che incontrarsi avrebbe senz’altro disatteso le<br />
aspettative di un amore perfetto quale <strong>il</strong> loro sembrava essere; in ragione<br />
di questo, sempre ligi ai precetti che si erano imposti, evitarono di<br />
affrontare temi che potessero definire i contorni <strong>del</strong>l’altro, perchè la<br />
priorità indiscussa era preservare <strong>il</strong> sentimento. Niente, nelle loro<br />
intenzioni, avrebbe avuto forza sufficiente a incrinarlo, tanto meno la<br />
fisicità di un amore convenzionale di cui, sebbene per vicende opposte,<br />
nessuno dei due sentiva al momento la necessità. Tanti buoni propositi alla<br />
base di un rapporto che, accecati dalla bellezza romantica <strong>del</strong> sentimento,<br />
pensavano fosse per sempre; ma che iniziò a dimostrare la propria fugacità<br />
nel momento in cui entrambi furono coscienti, Vesna in particolare, <strong>del</strong><br />
fatto che i riferimenti di quel passato di cui abbondava <strong>il</strong> loro racconto non<br />
potevano che essere frutto di esperienze comuni. Leggere <strong>del</strong>la morte di<br />
sua sorella Marina le diede poi l’assoluta consapevolezza di non<br />
sbagliarsi: aveva a che fare con un personaggio <strong>del</strong> suo passato, le cui<br />
indefinite fattezze iniziavano a inquietarla. Scandagliò minuziosamente<br />
protagonisti e comparse di una vicenda lontana oltre venti anni e giunse<br />
alla conclusione che nessuno, per quanto la vita sia in grado di cambiare<br />
un essere umano, poteva incarnare le virtù di quell’uomo tanto combattivo<br />
quanto sensib<strong>il</strong>e e <strong>del</strong> quale non riusciva più a fare a meno. Indubbio che<br />
avesse qualche sospetto, uno in particolare, ma gli elementi a disposizione<br />
per arrivare a una risposta sicura non c’erano. Scelse dunque di giocarsi <strong>il</strong><br />
tutto per tutto con una proposta dai contorni vaghi, interessante ma allo<br />
stesso tempo somigliante a un ultimatum. Che avrebbe saputo rimuovere<br />
qualsiasi velo.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 25<br />
Sei<br />
di sesso confuso per amore<br />
Seduto di fronte al monitor, Giacomo perdeva tempo nell’attesa che si<br />
aprisse la finestra con la quale <strong>il</strong> sistema di messaggistica istantanea<br />
l’avrebbe informato <strong>del</strong>la connessione di Vesna. Come tutti i giorni, nel<br />
primo dopo cena. Poco dopo le venti, finito Blob.<br />
Si distolse per qualche secondo, giusto <strong>il</strong> tempo di andare a prendere <strong>il</strong><br />
posacenere che aveva dimenticato in bagno. Al suo ritorno, l’immagine di<br />
sfondo <strong>del</strong> desktop prese le forme e i colori <strong>del</strong>la locandina <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m da cui<br />
Antonella Vannucchi ricavò <strong>il</strong> proprio pseudonimo.<br />
- Lei: ci sei?<br />
- Lui: eccomi. Buonasera.<br />
- Lei: ciao.<br />
- Lei: voglio incontrarti.<br />
- Lui: penso di avere qualche problema col<br />
monitor... <br />
- Lei: no, hai letto bene.<br />
- Lui: hai dimenticato la nostra promessa?<br />
- Lei: non posso più vivere così. Ho bisogno di<br />
toccarti, di saperti vero.<br />
- Lui: io sono vero, perché veri sono i sentimenti<br />
che nutro nei tuoi confronti. Non mi sembra che ci<br />
sia altro da aggiungere.<br />
- Lei: Invece sì. Voglio fisicità. Voglio fare<br />
l’amore con te.<br />
- Lui: piacerebbe tanto anche a me, ma <strong>il</strong> solo<br />
colore dei tuoi capelli potrebbe farmi disamorare.<br />
- Lei: non vedrai e non sentirai nulla di me, se<br />
non <strong>il</strong> calore <strong>del</strong> mio corpo. Te lo assicuro.<br />
- Lui: come sarebbe a dire?<br />
- Lei: ci incontriamo in un hotel. Io ti precedo e<br />
ti aspetto nel buio <strong>del</strong>la camera. Non dirò una<br />
sola parola. Faremo l’amore fino a che ne avremo<br />
voglia, poi ritorneremo a essere Onan e Vesna.<br />
- Lui: ho paura. Ho paura di perderti. E tengo<br />
troppo a te per correre questo rischio.
26 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
- Lei: non prenderlo come un ricatto, non mi<br />
fraintendere. Ma non so per quanto tempo riuscirei<br />
a portare ancora avanti questa storia, specie in<br />
questo modo.<br />
- Lui: devo pensarci.<br />
- Lei: no, devi solo dirmi di sì.<br />
- Lui: altrimenti?<br />
- Lei: altrimenti non lo so, ma ti prego, dimmi di<br />
sì!<br />
- Lui: sai che detesto questi giochi.<br />
- Lei: mi spiace.<br />
- Lui: cosa vuol dire “mi spiace”? Se ti spiacesse<br />
davvero, allora eviteresti.<br />
- Lei: non posso.<br />
- Lui: OK, direi che possiamo salutarci qui,<br />
allora.<br />
- Lei: no, ti prego.<br />
- Lei: ti prego, non farlo.<br />
- Lei: ti prego.<br />
- Lei: ehi, sei ancora lì?<br />
- Lui: dove e quando?<br />
- Lei: domani sera, pensione Stella, via Quarnero.<br />
Alle nove io sarò in stanza ad aspettarti.<br />
- Lui: che nome userai per la prenotazione?<br />
- Lei: Vesna, ovviamente.<br />
- Lui: a domani.<br />
- Lei: a domani, amore. Buona notte.<br />
- Lei: e… GRAZIE!
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 27<br />
Sette<br />
di sorrisi e um<strong>il</strong>iazioni<br />
La neve era un appuntamento che ogni ragazzino aspettava sin da che i<br />
primi palesi segnali <strong>del</strong>la primavera ne fiaccavano ogni legittima speranza<br />
per i giorni e le settimane a venire. Per alcuni, più propensi o addirittura<br />
obbligati a rimboccarsi le maniche, presagiva la probab<strong>il</strong>e chiamata <strong>del</strong><br />
Comune per spalare le strade e conseguentemente dare un minimo di<br />
consistenza a quel portafogli pieno di tutto tranne che di banconote. Per<br />
altri, più giovani o semplicemente meno alle strette col denaro, un<br />
divertimento che poteva interrompersi solo quando le mani, malgrado<br />
fossero protette da più strati di guanti, perdevano la sensib<strong>il</strong>ità necessaria<br />
per appallottolare dardi e scagliarli in un tutti contro tutti che sarebbe<br />
proseguito per giorni, fino a che <strong>il</strong> freddo o la pioggia non avrebbero<br />
ghiacciato oppure sciolto <strong>il</strong> soffice strato di neve che ricopriva ogni<br />
marciapiede, aiuola o macchina. Tra i risvolti di questo spensierato<br />
divertimento si celava però l’incognita che i bastardi <strong>del</strong>la compagnia di<br />
Via Garian si presentassero a perpetrare quella che era la loro infame<br />
tradizione. Per quale motivo avrebbero dovuto abbandonarla proprio<br />
quell’anno, <strong>il</strong> 1985, l’anno <strong>del</strong>la nevicata <strong>del</strong> secolo?<br />
Egidio, non solo <strong>il</strong> migliore ma semplicemente l'unico vero amico di<br />
Giacomo, tornava dall’as<strong>il</strong>o nido con <strong>il</strong> fratellino in braccio e, sorpreso da<br />
una violenta manata sulla spalla, perse l’equ<strong>il</strong>ibrio e scivolò su un tombino<br />
che si nascondeva sotto la neve. Alzò gli occhi e si vide di fronte una<br />
decina di ragazzi che sapeva pronti a qualsiasi vigliaccata, anche la più<br />
spregevole: temeva per sé, ma le maggiori preoccupazioni erano per<br />
Claudio che, ritrovatosi affondato nella neve, prese a piangere spaventato.<br />
«Dov’è <strong>il</strong> balbuziente?».<br />
Il cuore a m<strong>il</strong>le, sapeva bene che non poteva esimersi dal rispondere.<br />
Sebbene non ne fosse certo, indicò la piazza come <strong>il</strong> posto più probab<strong>il</strong>e in<br />
cui trovare Giacomo.<br />
«In piazza non c’è un cazzo di nessuno». Provò a rialzarsi, ma <strong>il</strong> più<br />
grosso continuava a costringerlo per terra. «Se non mi dici dove cazzo è, ti<br />
prendo a scarpate fino a che a non mi si consuma la punta degli anfibi».<br />
Egidio, per tutti Edi, stringendo forte al petto <strong>il</strong> bambino poco più che<br />
infante, ripeté che non sapeva dove Giacomo fosse e che abitualmente lo<br />
si poteva trovare appunto in piazza o, alla peggio, all’oratorio. Come un
28 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
branco di squali richiamati dall’odore <strong>del</strong> sangue, <strong>il</strong> gruppetto non perse<br />
tempo e si diresse di corsa verso la parrocchia, promettendo a Egidio che,<br />
non avessero trovato l’amico, sarebbero tornati indietro a prendere lui.<br />
Nel frattempo, Giacomo e gli altri davano corso alle proprie innocue<br />
guerre fredde senza preoccupazione alcuna: l’oratorio era una zona offlimits<br />
per malintenzionati di qualsiasi genere. Nella spensieratezza <strong>del</strong><br />
proprio divertimento non fecero dunque caso al fatto che tutte le possib<strong>il</strong>i<br />
uscite, compreso un buco che squarciava una vecchia recinzione metallica,<br />
erano state improvvisamente presidiate da alcuni personaggi che, per<br />
movenze e ancor più per aspetto, nulla sembrava avessero a che vedere<br />
con la quiete, seppur molto rumorosa, <strong>del</strong> campo giochi.<br />
«Eccolo lì <strong>il</strong> balbuziente, andiamo a prenderlo!».<br />
Riconosciuti alcuni componenti <strong>del</strong>la banda e coscienti <strong>del</strong> rischio che<br />
stavano per correre, i ragazzi si dispersero rapidamente, lasciando<br />
Giacomo solo a sé stesso e fac<strong>il</strong>e preda di quel manipolo di capelloni che<br />
gli si avvicinava minaccioso. Bastarono pochi secondi per raggiungerlo:<br />
totalmente incuranti <strong>del</strong> probab<strong>il</strong>e arrivo <strong>del</strong> prete, presero a picchiarlo e<br />
spogliarlo fino a che non lo ridussero totalmente nudo.<br />
«Guardatelo <strong>il</strong> minorato mentale» - lo scherno di quella frase seppe<br />
produrre ben più dolore di tutti i calci e pugni che ricevette - «non ha<br />
neanche i peli sul cazzo ‘sto handicappato di merda!». E, come se la sua<br />
assenza di peli costituisse una colpa per la quale essere punito, la masnada<br />
di infami gli diede contro con ancora più violenza, per arrivare al culmine<br />
<strong>del</strong>l’um<strong>il</strong>iazione quando alcuni, tirato fuori l’intirizzito membro, gli<br />
pisciarono addosso.<br />
Il sib<strong>il</strong>are di una sirena, che sfortunatamente non suonava per loro, li<br />
indusse a interrompere l’esecuzione morale <strong>del</strong>l’essere umano che giaceva<br />
inerme sotto alcune decine di centimetri di neve: ridevano tronfi mentre se<br />
ne andavano e rideva anche l’unica ragazza che era con loro.<br />
Rideva, Antonella Vannucchi. Rideva, Vesna.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 29<br />
Otto<br />
<strong>del</strong>l’amore<br />
Giacomo,<br />
nel momento in cui ho capito che tu, solo tu, potevi nasconderti dietro<br />
quell’indirizzo di posta elettronica, in quel momento mi sono tornati alla<br />
mente, uno a uno, tutti quegli episodi <strong>del</strong> passato in cui <strong>il</strong> mio<br />
atteggiamento ha senz’altro contribuito a rendere la tua adolescenza una<br />
sorta d’inferno. In quel momento, la vergogna per quello che ho fatto è<br />
stata tale che per due settimane, le due settimane di qualche tempo fa in<br />
cui sono scomparsa senza darti notizie di me, in quei giorni non ho fatto<br />
altro che pensare a quanto dolore ho saputo procurare a te come ad altri<br />
esseri umani, dai più cari fino ai più sconosciuti. A una vita immolata<br />
sull’altare <strong>del</strong>la bellezza da esporre nella vetrina dei trofei, non quella da<br />
condividere gioiosamente. A piaceri effimeri che non mi hanno lasciato<br />
altro se non <strong>il</strong> rimpianto per avere gettato via <strong>il</strong> mio tempo. Ma sono<br />
cambiata ed è questo ciò che più conta. Almeno per me. Ho pensato molto<br />
anche al nostro insolito rapporto e, se sono ritornata a scriverti, è perché<br />
ho realizzato che ciò di cui avevo bisogno era l’amore che tu di certo<br />
avresti saputo darmi, cosciente di quanto vero fosse <strong>il</strong> sentimento che<br />
sempre ho espresso nei tuoi confronti sia prima di scoprire <strong>del</strong> tuo<br />
nickname, che dopo.<br />
Se ho voluto organizzare <strong>il</strong> nostro incontro al buio proprio come si è poi<br />
materializzato, l’ho fatto perché sapevo che quello era l’unico modo per<br />
stringerti davvero. E per provare a restituirti quel corpo che ho<br />
contribuito a strappare alla tua anima. Ho ovviamente sperato che tu non<br />
ricordassi di me, che non mi avessi riconosciuta e che non ci fossero<br />
preclusioni da parte tua nei miei confronti. Ma la violenza con cui mi hai<br />
presa ieri sera, unita alla totale assenza di un bacio che fosse uno, queste<br />
due constatazioni mi hanno portato a capire l’esatto contrario, cioè che<br />
forse sapevi di me fin dal primo messaggio o che hai capito chi io fossi<br />
ben prima di quanto non abbia saputo fare, io, con te.<br />
I miei sentimenti sono sempre stati sinceri, ma a questo punto non so se lo<br />
stesso si possa dire dei tuoi: non so se mi hai voluto condurre lentamente<br />
nello spazio in cui materializzare la tua vendetta, oppure se per te era<br />
tutto solo un gioco o un esercizio di st<strong>il</strong>e fine a sé stesso.<br />
Dimmi, ti prego, che non finisce tutto con ieri sera. Dammi, ti prego, una<br />
speranza.
30 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Ti voglio come sei,<br />
Antonella
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 31<br />
Nove<br />
<strong>del</strong>l’odio<br />
Aveva dovuto attendere trent’anni affinché <strong>il</strong> momento <strong>del</strong>l’amore, quello<br />
convenzionalmente dotato di batticuore ma anche fisicità, si presentasse al<br />
suo cospetto. Non importa se nello squallore di un hotel per sole puttane o<br />
poco più, perché anche <strong>il</strong> grigiore di una fogna non avrebbe potuto<br />
ovattare l’ebbrezza di ritrovarsi pervaso da un sentimento così nob<strong>il</strong>e.<br />
Vissuto a modo suo, è evidente, con le difficoltà e le paure di chi ha troppa<br />
fame per poter gustare fino in fondo anche <strong>il</strong> più id<strong>il</strong>liaco dei cibi, ma<br />
finalmente vissuto. Poi un messaggio in grado di rinverdire l’odio mai<br />
represso lungo anni di isolamento, al quale rispose con un solo, semplice<br />
augurio: di raggiungere Giacomo nell’inferno in cui lei l’aveva, per sua<br />
stessa ammissione, abbandonato. Chi odia non ha <strong>il</strong> diritto di amare,<br />
scriveva dall’alto <strong>del</strong> pulpito sul quale era stata sacrificata la sua vita.<br />
Ostinandosi a non guardare in faccia <strong>il</strong> suo carnefice, nel quale aveva<br />
l’inconscia paura di riconoscere i propri tratti.<br />
Nel momento <strong>del</strong>l’amore, presentatosi in maniera inequivocab<strong>il</strong>mente<br />
chiara, Giacomo aveva preferito la vendetta. Nel momento in cui la vita gli<br />
aveva dato l’ennesima opportunità per ripartire, lui scelse di continuare ad<br />
annaspare nel lago che le sue lacrime non avrebbero mai smesso di<br />
alimentare.<br />
Morì, un giorno di tanti anni dopo, Giacomo, dicendosi che sì, ogni tanto<br />
si può scegliere di perdere una battaglia per poi vincere una guerra. E che<br />
a volte è addirittura indispensab<strong>il</strong>e una sconfitta, magari non <strong>del</strong> tutto<br />
indolore ma neanche definitiva, per arrivare al successo finale, quello che<br />
rimane in<strong>del</strong>eb<strong>il</strong>mente scritto negli almanacchi <strong>del</strong>la propria memoria. Ma<br />
era troppo tardi, ormai, perché la sua battaglia, quella battaglia, era più<br />
forte di qualsiasi consapevolezza. E <strong>il</strong> suo album dei ricordi pieno zeppo<br />
di tante piccole, insignificanti vittorie, cancellate senza fatica alcuna dal<br />
suo ultimo, lento, batter d’occhi.
32 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Dieci<br />
quarti di finale<br />
L’uomo col cane era una persona come tante altre: tanto comuni i suoi<br />
modi di fare e tanto normali le sue fattezze che, per coloro i quali non ne<br />
conoscevano <strong>il</strong> nome, quell’uomo di mezz’età che capitava di vedere in<br />
zona in compagnia di un cane con la museruola di stoffa nera, quell’uomo<br />
era semplicemente l’uomo col cane. L’uomo col cane conduceva una vita<br />
dalla sorprendente regolarità, che lo portava a ritrovarsi, ogni giorno<br />
intorno alle otto, su quel limbo di terra mista a erba che divide la<br />
carreggiata principale dal controviale <strong>del</strong>lo stradone periferico su cui<br />
affacciavano le finestre <strong>del</strong>la sua abitazione. In compagnia di un meticcio<br />
sim<strong>il</strong>-pastore tedesco e <strong>del</strong>le deiezioni che si curava di gettare in un<br />
cestino dopo averle raccolte in un sacchetto giallo <strong>del</strong>l’Esselunga. O<br />
talvolta bianco e rosso <strong>del</strong>la Standa. Alle otto e mezza, sabati e domeniche<br />
escluse, davanti alla scuola elementare mentre dà un bacio sulla guancia<br />
alla figlia e poi nella pausa pranzo nell’aiuola antistante la chiesa. Prima di<br />
cena sempre nei pressi <strong>del</strong> controviale e poi dappertutto quando la sera si<br />
sveste <strong>del</strong>l’abito bello per diventare notte.<br />
L’uomo col cane pensava che avrebbe fatto volentieri a meno <strong>del</strong> freddo,<br />
<strong>del</strong>la pioggia, <strong>del</strong>le zanzare e <strong>del</strong>le involontarie frequentazioni notturne a<br />
cui era obbligato per via <strong>del</strong> cane. In certi momenti, vista anche<br />
l’irascib<strong>il</strong>ità <strong>del</strong>la bestia, si augurava che quella quotidiana penitenza<br />
potesse avere termine quanto prima.<br />
Una mattina di settembre Kyra non riuscì a trovare la forza di lasciare la<br />
propria cuccia e lui, dopo avere consultato un veterinario, smise di essere<br />
l’uomo col cane. Kyra venne soppressa e lui abbandonò i suoi<br />
immancab<strong>il</strong>i appuntamenti che cadenzavano ogni momento <strong>del</strong>la sua<br />
giornata. Kyra morì e con lei la di lui vitalità. Kyra lasciò libero <strong>il</strong> divano<br />
di cui si era impossessata e lui se ne riappropriò senza neanche averne<br />
lavato la fodera.<br />
Quello che prima era l’uomo col cane si rese presto conto che la sua vita<br />
era ormai diventata famiglia e lavoro, lavoro e famiglia. Un avv<strong>il</strong>ente ping<br />
pong tra casa ed ufficio, insipido senso <strong>del</strong> dovere a colazione pranzo e<br />
cena: voleva per sé qualcosa di esclusivamente suo, una passione o<br />
qualsiasi altra cosa potesse farlo sentire vivo. Cercava vibrazioni,<br />
coinvolgimento e soprattutto stimoli, ma non riusciva a trovare nulla, non<br />
un solo motivo che lo potesse tenere a debita distanza dal sofà su cui si
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 33<br />
addormentava sera dopo sera, annoiato dalla tivù e svuotato da ogni<br />
pensiero.<br />
Dopo mesi di buoni propositi e tentativi precocemente naufragati decise<br />
che era meglio un’inut<strong>il</strong>e mezz’ora in giro per le strade <strong>del</strong> quartiere<br />
piuttosto che Bruno Vespa o Maria De F<strong>il</strong>ippi. Aria fresca, non importa se<br />
dal puzzo irrespirab<strong>il</strong>e, piuttosto che <strong>il</strong> tepore <strong>del</strong> suo riscaldamento<br />
centralizzato. Prese dunque a camminare senza meta per intere settimane,<br />
quando una sera, colto di sorpresa dalla grandine, non ebbe altra scelta che<br />
rifugiarsi all’interno <strong>del</strong> centro sportivo vicino al comune. A quell’ora la<br />
struttura era di dominio dei soli amanti <strong>del</strong>la pedata: i più romantici nel<br />
sempreverde campo a 11, gli appassionati nel campo a 7 e gli uomini che<br />
fingono ancora di essere ragazzini nella tensostruttura che <strong>del</strong>imita <strong>il</strong><br />
campo a 5. Volti diversi ogni sera, fino a che non iniziò a prendere<br />
dimestichezza con i colori <strong>del</strong>le maglie e con dettagli che richiamavano<br />
alla sua mente un gol particolarmente bello o un litigio per fut<strong>il</strong>i motivi.<br />
Iniziò a ricordare orari <strong>del</strong>le partite e giorni di solo allenamento e arrivò a<br />
selezionare i campi e i momenti che più parevano promettergli emozioni.<br />
Chiamalo caso oppure solo empatia, si trovò a non perdere nessuna <strong>del</strong>le<br />
partite di quella squadra che vestiva un completo rosso e blu. Una squadra<br />
di cui non conosceva <strong>il</strong> nome, ma che importanza aveva, <strong>il</strong> nome, per<br />
quell’uomo senza nome?<br />
Combattevano i ragazzi sul campo in erba sintetica e col cuore riuscivano<br />
sempre a sopperire agli evidenti limiti tecnici che tutto potevano far<br />
pensare tranne che loro fossero la capolista <strong>del</strong> girone. Combattevano e<br />
spesso discutevano animatamente con quell’omino sm<strong>il</strong>zo copia sputata di<br />
Caparezza, ma si abbracciavano felici in mezzo al campo alla fine di ogni<br />
partita.<br />
Tenendosi sempre a debita distanza, ma abbastanza vicino per ben<br />
intendere, quello che prima era l’uomo col cane e che adesso è quel tizio<br />
che è sempre appoggiato sulla porta a vedere le nostre partite riuscì a<br />
sapere <strong>del</strong> prossimo, imminente appuntamento: i quarti di finale. Ai quali<br />
non volle mancare.<br />
Giovedì 23 marzo 2006, ore ventidue. L’arbitro fischia e non passano due<br />
minuti che <strong>il</strong> biondino numero 4 ha già propiziato un gol e segnatone un<br />
altro. La partita inizia come meglio non potrebbe.<br />
I rossi, come d’abitudine, sono chiusi in difesa nella speranza che <strong>il</strong> loro<br />
capitano, la punta col numero 7, riesca a bruciare sullo scatto <strong>il</strong> centrale
34 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
difensivo avversario e scuotere la rete. Ma è dura, perché i neri sanno<br />
giocare la palla e non gli si può concedere <strong>il</strong> fianco.<br />
Un banale errore sugli sv<strong>il</strong>uppi di un calcio d’angolo muove <strong>il</strong> punteggio<br />
sul 2a1 e la partita si riapre. Per concludere la prima metà senza altre<br />
significative emozioni.<br />
Quello che prima era l’uomo col cane e che adesso è quel tizio che è<br />
sempre appoggiato sulla porta a vedere le nostre partite, quel tizio lì non<br />
sembra granché intimorito: sebbene abbia imparato che nel calcio a 5 tutto<br />
è possib<strong>il</strong>e, è altresì convinto che i rossi ci siano, stasera, con la testa e<br />
anche con le gambe. Se n’è accorto per <strong>il</strong> loro modo di occupare <strong>il</strong> campo<br />
e per i loro subitanei recuperi in difesa. E perché giocano uniti, coscienti<br />
di quanto possa essere rischioso prendere iniziative estemporanee che<br />
potrebbero non essere comprese dai compagni. E’ vero, mancano l’8 e<br />
anche <strong>il</strong> 10, ma le rotazioni sono sufficientemente profonde per poter<br />
reggere altri venti minuti di pura battaglia.<br />
Inizia <strong>il</strong> secondo tempo e <strong>il</strong> 6 spinge in rete col destro la palla <strong>del</strong> 3a1,<br />
punteggio che evolve a 3a2 e poi subito 4a2 grazie a una portentosa volata<br />
sulla sinistra <strong>del</strong> capitano, che regala al 9 <strong>il</strong> più fac<strong>il</strong>e dei gol. Con due tiri<br />
liberi a disposizione la partita si sarebbe potuta chiudere (<strong>il</strong> 4 sul portiere e<br />
<strong>il</strong> 7 sul palo), ma così non è: in un amen i neri si portano sul 4a4 e l’inerzia<br />
gira decisa dalla loro. L’arbitro decide, una volta di più, di smettere i panni<br />
<strong>del</strong>l’anonima comparsa e regala, nel vero senso <strong>del</strong>la parola, un tiro libero<br />
a un minuto dalla fine ai neri. Un solo minuto e la più che seria possib<strong>il</strong>ità<br />
di trovarsi sotto di un gol. <strong>Lo</strong> scoramento, sì, perché anche <strong>il</strong> più ottimista<br />
non avrebbe potuto non pensare che la beffa era ormai imminente. Ma <strong>il</strong><br />
portiere dei rossi, che finalmente ha smesso quei terrib<strong>il</strong>i calzettoni verdi,<br />
para sicuro e la partita va ai calci di rigore.<br />
Iniziano i neri e segnano nonostante <strong>il</strong> portiere l’avesse quasi parata.<br />
Pareggia <strong>il</strong> 4 rosso e siamo sul 5a5. Ancora <strong>il</strong> portiere dei rossi a dare una<br />
svolta alla partita, parando <strong>il</strong> rigore numero due degli avversari. Segna <strong>il</strong> 9<br />
rosso e poi anche l’avversario. Segna <strong>il</strong> 6 rosso e poi anche <strong>il</strong> nero di<br />
turno. E’ <strong>il</strong> momento <strong>del</strong> capitano, <strong>il</strong> 7. E <strong>il</strong> capitano segnerà. Quello che<br />
prima era l’uomo col cane e che adesso è quel tizio che è sempre<br />
appoggiato sulla porta a vedere le nostre partite ne è sicuro. No, tiraccio<br />
centrale sui piedi <strong>del</strong> portiere e si ricomincia da capo. Segnano loro e poi<br />
anche <strong>il</strong> 3 rosso, si va a oltranza. Il capitano dei neri insacca sicuro e, a<br />
questo punto, tocca tirare al portiere. Che non la mette certo bene, ma<br />
entra lo stesso. La parata sul successivo penalty regala ai rossi la
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 35<br />
possib<strong>il</strong>ità di chiudere <strong>il</strong> confronto e sul dischetto si presenta <strong>il</strong> 2: la<br />
stagione in mano all’unico ragazzo che fino a quel momento non aveva<br />
mai tirato un solo calcio di rigore. Che dalla panchina oppure dalla tribuna<br />
lo si sentiva ripetere sempre lo stesso ritornello, cioè «nel dubbio calcia<br />
forte sotto la traversa» o qualcosa <strong>del</strong> genere, ma che nella pratica non<br />
aveva mai avuto riscontro.<br />
Beh, <strong>il</strong> 2 calcia forte proprio sotto la traversa e i rossi vincono.<br />
Quello che prima era l’uomo col cane e che adesso è quel tizio che è<br />
sempre appoggiato sulla porta a vedere le nostre partite, quel tizio lì non<br />
ha resistito all’impulso di dirigersi in mezzo al campo e di stringere la<br />
mano al numero 2. «Bravo» gli disse non senza la paura di apparire<br />
inopportuno, «tu sei le Mine Vaganti. <strong>Lo</strong> spirito. La voglia di vincere».<br />
Mario prese finalmente ad avere un nome e, invitato a terminare la serata<br />
in loro compagnia, condivise con i ragazzi l’ebbrezza <strong>del</strong>la semifinale<br />
raggiunta. A La Masseria, <strong>il</strong> solito posto, un locale poco distante dal<br />
campo dove lo stridere dei coltelli da pizza e <strong>il</strong> rumore <strong>del</strong> vetro dei<br />
boccali di birra uniti in un brindisi a ognuno dei giri di media erano<br />
l’ideale sottofondo alla gioia vibrata <strong>del</strong> sogno che si dissolve quasi per<br />
incanto nella realtà.<br />
«Mario, cosa fai nella vita?». Jimmy cercò di coinvolgerlo. Da che si<br />
erano seduti non aveva ancora aperto bocca.<br />
«Lavoro in una Software House, sv<strong>il</strong>uppo siti internet e applicazioni…».<br />
«Grandioso!» lo interruppe <strong>il</strong> Borla, «vuoi vedere che questa è la volta<br />
buona che…» si girò verso l’altra estremità <strong>del</strong> tavolo e alzò la voce, così<br />
da farsi chiaramente intendere dal <strong>Lo</strong>fa. «… che se stiamo ad aspettare <strong>il</strong><br />
<strong>Lo</strong>fa stiamo freschi…».<br />
«Certo, perché no?». Mario sorrise nel vedere un oggetto, forse solo <strong>del</strong>la<br />
carta appallottolata, prendere <strong>il</strong> volo e finire giusto sul naso <strong>del</strong> Borla. «In<br />
questi giorni ho veramente poco da fare».<br />
Si lasciarono, <strong>il</strong> ristorante vuoto e la serranda abbassata per metà, con una<br />
promessa: Mario alla semifinale non sarebbe mancato. Così come, da quel<br />
giorno e per <strong>il</strong> resto <strong>del</strong>la stagione, puntuale sarebbe stato <strong>il</strong> suo commento<br />
a ognuna <strong>del</strong>le partite <strong>del</strong>le Mine Vaganti. Trasferte comprese. La fredda<br />
cronaca, come gli piaceva chiamarla, integrata da compiacenti e poco<br />
obiettive pagelle. Sul sito internet <strong>del</strong>le Mine Vaganti che lui stesso aveva<br />
sv<strong>il</strong>uppato. Sul loro <strong>blog</strong>, per la precisione.
36 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Undici<br />
(firma) di chi ne fa le veci<br />
Egidio incassò un colpo al quale era già preparato. A cui settimane di litigi<br />
telefonici e drammi borghesi vissuti da involontario spettatore avevano in<br />
parte modificato la traiettoria, attutendone sensib<strong>il</strong>mente l’impatto ma<br />
senza per questo renderlo <strong>del</strong> tutto innocuo. Strinse le ginocchia al petto,<br />
come per proteggersi da altre possib<strong>il</strong>i sferzate, più precise forse, più<br />
dolorose. Cosciente <strong>del</strong>l’ingratitudine che avrebbe ricevuto in cambio di<br />
tanta preoccupazione, ma disinteressato, indifferente: perché quello che<br />
aveva di fronte a sé, a dispetto <strong>del</strong> corredo di piercing, capelli da camerata<br />
e qualche ciuffo di barba spuntato a caso sul viso, quello restava <strong>il</strong><br />
bambino che aveva cresciuto come un figlio da che mamma e papà<br />
avevano tolto <strong>il</strong> disturbo. A cui aveva pulito <strong>il</strong> culo per anni, al quale<br />
aveva provato ad insegnare quel poco che sapeva <strong>del</strong>la vita. Firma di un<br />
genitore o di chi ne fa le veci gli risuonava nella mente quando doveva<br />
cavarlo d’impaccio, in principio un onore per <strong>il</strong> giovane uomo che non ne<br />
conosceva gli oneri, ben presto una responsab<strong>il</strong>ità alla quale la sua<br />
maggiore età appena compiuta non poté sottrarsi. Firma di un genitore o<br />
di chi ne fa le veci gli risuonava in mente ora. Gli atteggiamenti di<br />
Claudio, <strong>il</strong> suo modo di esprimere la ribellione che l’orfano non ha mai<br />
potuto indirizzare ammodo, <strong>il</strong> suo grido di autodeterminazione ignorato:<br />
Firma di un genitore o di chi ne fa le veci.<br />
«Cosa avete intenzione di fare?» gli chiese, sforzandosi di essere<br />
accomodante nonostante l’istinto suggerisse l’aggiunta di almeno qualche<br />
aggettivo. E molto qualificativo.<br />
«C’ho vent’anni, Edi, e l’ultima cosa che voglio è diventare padre». Fece<br />
quanto nelle sue possib<strong>il</strong>ità per soffocare <strong>il</strong> sorriso imbarazzato che gli<br />
vestiva <strong>il</strong> volto quando <strong>il</strong> disagio smascherava le sue debolezze. Ma niente<br />
da fare. Odiava quella voce tremolante, non sopportava l’idea che <strong>il</strong><br />
fratello lo vedesse nudo di fronte a difficoltà che, sicuro di sé come voleva<br />
apparire, non sapeva affrontare. «Ma Barbara non vuole sentir parlare di<br />
aborto» concluse, nascondendo lo sguardo sulla sigaretta che stava per<br />
accendere.<br />
«Non vuole abortire perché è contenta di essere incinta oppure lo fa, cioè<br />
non lo fa, per altre ragioni?». La domanda, già che i due giovani stavano<br />
insieme da troppo poco tempo per poter ragionevolmente desiderare una<br />
gravidanza, era solo un espediente per farlo parlare. Per farlo sciogliere.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 37<br />
«No, contenta non lo è affatto. Ma non se la sente di arrivare a tanto. Di<br />
ammazzare una creatura innocente, come dice lei».<br />
«Cla, qui non si tratta di ammazzare un innocente». La puzza di sacrestia<br />
di cui era colma quell’espressione non faceva certo <strong>il</strong> paio con <strong>il</strong> dichiarato<br />
scetticismo <strong>del</strong> fratello. «Qua c’è di mezzo la tua vita. Quella di Barbara, <strong>il</strong><br />
vostro rapporto».<br />
«E a me lo vieni a dire?! Queste sono le stesse cose che vado dicendole da<br />
quando ce ne siamo accorti. Ma lei è ferma sulla sua posizione».<br />
«Proviamo a parlarne insieme, tutti e tre intendo?».<br />
«No, questi sono solo cazzi miei». Come mosso da un riflesso<br />
incondizionato, Claudio s’alzò in piedi e si parò davanti al fratello. «E me<br />
li sbrigo io», i lineamenti <strong>del</strong> volto contratti, la mano destra a battersi<br />
ripetutamente <strong>il</strong> petto. «Io e basta. E’ chiaro?».<br />
«E’ chiarissimo, questi sono solo cazzi tuoi, sbrigateli tu. Ma smetti di<br />
avere questo atteggiamento, perché io voglio solo aiutarti, non farti <strong>del</strong><br />
male».<br />
«Cambierò atteggiamento, forse, quando tu dimostrerai di avere fiducia in<br />
me. Quando smetterai di trattarmi come un bamboccio».
38 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Dodici<br />
di Dante<br />
Bisogna sempre partire da lontano e talvolta riavvolgere intere bobine di<br />
nastro; riportare alla luce quelle scatole impolverate piene di ricordi di cui<br />
non ti vuoi privare solo per una questione affettiva, ma che hai accatastato<br />
senza grande cura nella buia cantina <strong>del</strong> tuo passato, certo che, prima o<br />
poi, ti deciderai a gettare in discarica assieme a quel televisore quattordici<br />
pollici che è ormai senza colori o a quella tenda da campeggio che così<br />
conciata non è più adatta neanche alle emergenze.<br />
Nel suo caso è necessario tornare indietro sino alla metà degli anni<br />
sessanta, quando la sua vita non era nemmeno allo stadio <strong>del</strong>le ipotesi.<br />
Due migranti, un sic<strong>il</strong>iano e una pugliese, che lasciano non senza problemi<br />
le rispettive famiglie nel tentativo di costruirsi un futuro solido, in un<br />
posto che possa offrirgli quelle opportunità che la loro terra natia non è in<br />
grado di assicurare. Lasciano gli affetti, le amicizie e i pochi punti fermi<br />
<strong>del</strong>la loro vita per provare a stare meglio. Senza uno straccio di certezza,<br />
carichi di sole speranze. Lasciano casa per cercar fortuna a M<strong>il</strong>ano, dove<br />
un posto su una catena di montaggio lo dovrebbero trovare con discreta<br />
fac<strong>il</strong>ità. Si incontrano in Piazza <strong>del</strong> Duomo nel momento più caotico <strong>del</strong>la<br />
rituale passeggiata domenicale, quella in cui mettere in mostra l’abito<br />
bello e le scarpe col tacco lucidate a nuovo. Si piacciono, si frequentano a<br />
lungo e infine si innamorano. Si sposano e meno di un anno dopo danno<br />
alla luce quattro ch<strong>il</strong>i di essere umano.<br />
Due migranti, dicevo, due migranti che, sorprendendolo una volta di più<br />
per quello che aveva sempre considerato mero disinteresse, non hanno<br />
posto vincolo alcuno nel momento in cui ha comunicato loro, ancora<br />
minorenne, la sua volontà di lasciare casa e trasferirsi in Calabria. Era sì<br />
cosciente, nonostante la sua giovane età, di intraprendere <strong>il</strong> percorso<br />
esattamente contrario alla logica <strong>del</strong>le cose, ma non avrebbe mai pensato<br />
che poche rassicurazioni sulla sua intenzione di portare avanti gli studi e<br />
nel contempo di guadagnarsi da vivere in un v<strong>il</strong>laggio turistico fossero<br />
elementi sufficienti a convincerli. Lasciava M<strong>il</strong>ano, <strong>il</strong> posto <strong>del</strong>le<br />
opportunità, per trasferirsi nella desolazione salmastra di Catanzaro Lido.<br />
E loro, i suoi genitori, non hanno neanche provato a farlo ragionare su<br />
quello che stava facendo. Non lo hanno messo di fronte alle difficoltà che<br />
nel medio-lungo termine avrebbe dovuto affrontare sia che fosse rimasto lì<br />
per sempre, sia che avesse scelto di tornare su a M<strong>il</strong>ano. Si sono
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 39<br />
semplicemente presi una notte per pensarci, per poi augurargli le migliori<br />
fortune. Senza aggiungere altro che non fossero le banali raccomandazioni<br />
di un genitore a un figlio. E, cosa peggiore, senza mettere in moto quel<br />
meccanismo che gli avrebbe permesso di capire <strong>il</strong> perché <strong>del</strong> loro avallo;<br />
senza mettere in evidenza che, tutto sommato, stava ricalcando le loro<br />
stesse orme.<br />
A ogni modo, invece che essergli grato per la fiducia incondizionata che<br />
gli stavano concedendo, Dante, d’acchito, nel s<strong>il</strong>enzio inconsapevole <strong>del</strong>la<br />
propria ignoranza, trovò un ulteriore motivo per detestarli più di quanto<br />
già non facesse: non sopportava <strong>il</strong> pensiero che fossero disposti a liberarsi<br />
<strong>del</strong> loro unico figlio così, per un amore adolescenziale che quasi<br />
sicuramente si sarebbe ridimensionato nel volgere di poco. Era però ben<br />
contento di poter raggiungere Caterina e dirle che sì, avrebbero continuato<br />
a stare insieme. Passò i suoi ultimi giorni a M<strong>il</strong>ano macerandosi<br />
nell’agrodolce di contrastanti sentimenti. Infine, rapito dal ricordo di<br />
emozioni che voleva provare a rivivere, partì.<br />
Aveva diciassette anni e non poteva capire <strong>il</strong> loro gesto d’amore. Aveva<br />
diciassette anni e non poteva capire che la fiducia che avevano in lui era<br />
incondizionata al punto da concedergli la loro benedizione per quella che<br />
si configurava come una cazzata di cui si sarebbe probab<strong>il</strong>mente pentito.<br />
Era inesperto e non sapeva che i ch<strong>il</strong>ometri che ci separano dalla felicità,<br />
quella consapevole, sono tanti.<br />
Bisogna sempre partire da lontano, proprio come fecero loro. Lui l’ha<br />
capito solo adesso, di ritorno dal suo viaggio. E l’ha capito semplicemente<br />
perché solo adesso ha provato a essere razionale, miracolato da quello<br />
stato di miopia interiore che gli ha sempre fatto vedere le cose nel loro<br />
aspetto più deforme, quello emotivo.
40 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Tredici<br />
<strong>del</strong> dovere<br />
Sulle frequenze sintetiche di un pop-rock con molte pretese ma infondo<br />
inconsistente, indegno continuatore <strong>del</strong>la rivoluzione visionaria che aveva<br />
iniziato quindici anni prima nei panni di Ziggy Stardust, David Bowie<br />
annuncia che The Glass Spider Tour avrebbe fatto tappa a M<strong>il</strong>ano. Per la<br />
prima volta in venti anni di carriera, <strong>il</strong> Thin White Duke avrebbe suonato<br />
dal vivo in Italia, a San Siro, <strong>il</strong> 10 giugno 1987.<br />
Pressoché digiuno <strong>del</strong> Bowie autentico tranne che per i pezzi più celebrati,<br />
ma attratto da un’esibizione dal vivo che veniva annunciata tra le più<br />
spettacolari di sempre, Dante sapeva che non sarebbe mancato. Con lui<br />
finalmente Raffaella, convinta, forse sedotta.<br />
I biglietti erano introvab<strong>il</strong>i da tempo, ma nessun cancello <strong>del</strong>lo stadio era<br />
troppo alto per Dante. Nessun celerino troppo veloce, nessun manganello<br />
troppo duro, nessun addetto alla sicurezza sufficientemente vig<strong>il</strong>e per<br />
impedirgli di scavalcare e poi spalancare <strong>il</strong> portone tramite <strong>il</strong> quale sarebbe<br />
entrata l’amica e chi l’avesse voluto. I bagarini un’ipotesi che non<br />
prendeva neanche in considerazione. Tutto sembrava pronto, ma un<br />
imprevisto lo obbligò altrove. Proprio per quel mercoledì venne<br />
pianificato <strong>il</strong> rientro in Calabria di un cugino di suo padre e lui si trovò<br />
costretto ad approfittare <strong>del</strong> suo passaggio in macchina per <strong>il</strong> viaggio che<br />
l’avrebbe portato a Catanzaro. Per Raffaella, per cantare insieme as long<br />
as we’re together the rest can go to hell, per quella serata Dante si sarebbe<br />
sobbarcato un disagio anche peggiore di quattordici ore di corridoio su un<br />
treno <strong>del</strong>le Ferrovie <strong>del</strong>lo Stato: ma Lucio, come ci sarebbe rimasto Lucio<br />
se non avesse accettato la sua offerta? E suo padre, poi, per quanto tempo<br />
l’avrebbe guardato di traverso se non si fosse dimostrato riconoscente? Si<br />
perse <strong>il</strong> concerto, così come <strong>il</strong> corso <strong>del</strong>la vita l’ha portato a non rivedere<br />
più Raffaella.<br />
Quantomeno, con quel giorno può dire che ebbe inizio un’altra storia.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 41<br />
Quattordici<br />
<strong>del</strong> viaggio<br />
Era solito lavorare, finita la stagione scolastica, per avere un minimo di<br />
indipendenza economica durante l’inverno. La cosa tornava ut<strong>il</strong>e a lui e<br />
non di meno ai suoi, non tanto per i soldi che avrebbe messo da parte<br />
quanto perchè non gradivano saperlo a passare le giornate in mezzo a una<br />
strada per tutta l’estate. Quell’anno, quando ormai era entrato nell’ordine<br />
d’idee che la sua sarebbe stata una calda stagione di mal pagato<br />
volantinaggio, quell’anno Germano, un parente alla lontana che ogni tanto<br />
capitava dalle loro parti gli offrì di andare a fare <strong>il</strong> barista nel v<strong>il</strong>laggio<br />
vacanze di cui era <strong>il</strong> responsab<strong>il</strong>e amministrativo. Calabria, costa ionica.<br />
Partenza immediata, ritorno la prima settimana di settembre.<br />
Dante non trovò nessuna controindicazione alla sua proposta, che al<br />
contrario gli avrebbe garantito un guadagno inaspettato rispetto a quelle<br />
che erano le sue abitudini. Accettò con <strong>il</strong> massimo <strong>del</strong>l’entusiasmo,<br />
nonostante sapesse che c’era da lavorare, e anche parecchio. E che di<br />
vacanze, per quell’anno, non ne avrebbe proprio fatte: <strong>il</strong> viaggio ad<br />
Amsterdam con gli amici <strong>del</strong>la piazza rimaneva un sogno, ma con quei<br />
soldi si sarebbe potuto permettere la patente e, se tutto andava bene, anche<br />
la prima macchina.<br />
Era <strong>il</strong> 10 giugno 1987 e mentre i suoi coetanei m<strong>il</strong>anesi fremevano davanti<br />
ai cancelli di San Siro, Dante se ne stava in coda sulla Salerno-Reggio<br />
Calabria in compagnia di Lucio. I finestrini giù perché faceva già molto<br />
caldo e l’intera discografia <strong>del</strong>la PFM a rinverdire <strong>il</strong> grigiore desertico<br />
<strong>del</strong>l’alto potentino. Impiegarono quindici ore per percorrere i circa<br />
m<strong>il</strong>leduecento ch<strong>il</strong>ometri di autostrada che separano M<strong>il</strong>ano dall’uscita di<br />
Lamezia Terme, dopodiché iniziarono a brancolare nel buio alla ricerca<br />
<strong>del</strong> paesino in cui era situato <strong>il</strong> v<strong>il</strong>laggio turistico. Era notte inoltrata e di<br />
gente, lungo la Statale 106, ce n’era veramente poca. A un semaforo<br />
affiancarono un motorino.<br />
«Mi scusi, saprebbe indicarci Simeri Crichi?».<br />
Era già pronto a una risposta stizzita di quella che solo in un secondo<br />
momento riconobbe come una ragazza e che - ne avrebbe avuto ogni<br />
ragione - visti <strong>il</strong> contesto e ancor più l’orario avrebbe potuto confondere la<br />
sua domanda con un audace approccio. Invece, forse per via di un accento<br />
<strong>del</strong> tutto inusuale per un calabrese, la ragazza si dimostrò disponib<strong>il</strong>e ad<br />
aiutarli.
42 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
«Seguitemi, sto andando anch’io da quelle parti».<br />
Si misero dietro al Garelli grigio metallizzato che arrancava su per la<br />
collina, fino a che non arrivarono in paese. A quel punto la ragazza si<br />
fermò, spense <strong>il</strong> motorino e smise un vecchio paio di occhiali da moto che<br />
celavano l’elegante bellezza dei suoi occhi. Si abbassò leggermente per<br />
guardarli entrambi in faccia. «Che ci dovete fare, voi, a Simeri?».<br />
Dante rimase sorpreso nel vedersi in un posto <strong>del</strong> tutto diverso da quello<br />
che si aspettava: lo scenario che si era immaginato era <strong>del</strong> tutto difforme<br />
dalla geografia di quel borgo medievale. Non esitò a trasmettere alla<br />
ragazza <strong>il</strong> suo pieno stupore. «Scusa, ma… ma <strong>il</strong> mare dov’è?».<br />
La domanda, ingenua già di per sé e rinforzata dall’evidente smarrimento<br />
<strong>del</strong> suo tono la fece sorridere. «Ma voi dove dovete andare di preciso?».<br />
«Conosci <strong>il</strong> v<strong>il</strong>laggio Splendor?».<br />
«E certo che lo conosco: ci lavoro, io, lì». La sua espressione mutò<br />
rapidamente al severo. «Dovete andare a Simeri Mare, allora!».<br />
Dante non sapeva cosa dirle. E non fu necessario che aggiungesse altro.<br />
«Potevate dirlo prima, malanova mu nd haj!». Rimise gli occhiali.<br />
«Continuate a seguirmi».<br />
Lasciarono <strong>il</strong> paese e dopo qualche ch<strong>il</strong>ometro di nulla si ritrovarono di<br />
fronte alla sbarra <strong>del</strong>l’ingresso, oltre la quale videro sparire la ragazza che<br />
li aveva fin lì condotti. Dante scese dall’auto, tirò giù <strong>il</strong> borsone e<br />
ringraziò Lucio per la sua gent<strong>il</strong>ezza. All’invito di andarlo a trovare non<br />
poté che rispondere affermativamente, anche se sapeva bene che fino a<br />
Taurianova, distante un buon paio d’ore d’auto, non ci sarebbe mai andato.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 43<br />
Quindici<br />
<strong>del</strong>la prima volta<br />
Vide una figura piuttosto corpulenta avanzare verso di sé, la cui<br />
inequivocab<strong>il</strong>e divisa lo portò a pensare a un guardiano notturno. Non<br />
aspettò che fossero uno di fronte all’altro.<br />
«Buonasera» disse, palesando un accento e una cadenza alle quali Dante<br />
non avrebbe più fatto caso nel giro di pochi giorni. «E’ un ospite <strong>del</strong><br />
v<strong>il</strong>laggio?».<br />
«No» rispose d’acchito, ancora distante cinque sei metri da lui «sono qui<br />
per lavorare».<br />
L’uomo, senza nulla aggiungere, rientrò nel piccolo gabbiotto in muratura<br />
e prese a consultare un elenco. Sebbene già sapesse che nessun arrivo<br />
notturno era previsto.<br />
«Senti» fece scorrere lungo un binario impolverato la piccola finestra di<br />
plexiglas davanti alla quale Dante si era fermato «io non sono stato<br />
avvisato. Di conseguenza non ho da darti le chiavi <strong>del</strong>la tua stanza».<br />
Attese per qualche secondo una possib<strong>il</strong>e replica, per poi riattaccare<br />
seccamente. «Ma proprio a ‘st’ura dovevi arrivare?». Dante spiegò che<br />
veniva da M<strong>il</strong>ano e che i sempiterni lavori sull’autostrada lo avevano<br />
portato a ritardare di non poco <strong>il</strong> suo arrivo, omettendo di sottolineare che<br />
<strong>il</strong> giorno stesso aveva parlato con una ragazza <strong>del</strong> personale e che tutto,<br />
almeno in linea teorica, era stato organizzato a regola d’arte. Le sue parole<br />
non furono sufficienti a che si trovasse una soluzione. «Mi spiace, io non<br />
ti posso far entrare. Devo aspettare che riapra la reception. Se vuoi, puoi<br />
lasciarmi qui la valigia e andare a dormire in spiaggia. Devi fare <strong>il</strong> giro<br />
dalla strada, perché se non sei registrato non puoi entrare nel v<strong>il</strong>laggio».<br />
A Dante non sembrava di avere molte alternative: lo ringraziò per la<br />
cortesia che gli stava facendo nel badare alla borsa che, dato <strong>il</strong> peso, non<br />
avrebbe di certo potuto portare con sé; si fece quindi spiegare nel dettaglio<br />
come raggiungere la spiaggia, inf<strong>il</strong>ò nella tasca di dietro dei jeans <strong>il</strong><br />
Superbasket che aveva comprato in Autogr<strong>il</strong>l e s’incamminò. Riprese la<br />
strada e dopo aver girato intorno all’intera, enorme struttura si ritrovò ad<br />
attraversare una spoglia ma ben curata pineta. Superata la quale, sotto un<br />
lampione acceso, notò una catasta di sdraio chiuse. Ne prese una, l’aprì e<br />
ci si sedette sopra, sicuro che tutto avrebbe potuto fare tranne che<br />
addormentarsi. Si rialzò infatti dopo qualche attimo, si tolse scarpe e calze<br />
e andò a bagnarsi i piedi nell’acqua <strong>del</strong> mare. Era tentato di farsi un bagno,
44 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
vista l’accogliente temperatura <strong>del</strong>l’acqua, ma senza un asciugamano<br />
avrebbe rischiato d’ammalarsi.<br />
Guardò l’orologio e pensò che a quell’ora <strong>il</strong> concerto era senz’altro<br />
terminato. E che magari, proprio in quell’istante, avrebbe potuto trovarsi<br />
sotto <strong>il</strong> portone di Raffaella Montanarini. Baciandola, finalmente, dopo<br />
mesi di un discreto ma inequivocab<strong>il</strong>e corteggiamento. Aveva perso<br />
un’altra occasione, si diceva, i piedi in acqua e lo sguardo rivolto a quel<br />
pezzettino di Luna che <strong>il</strong>luminava <strong>il</strong> buio <strong>del</strong>la sua prima notte in Calabria.<br />
Ne capiteranno altre. Di certo.<br />
Un rumore alle sue spalle lo distolse da quel pensiero: si girò e vide che<br />
qualcuno stava scavalcando la rete di recinzione che divide <strong>il</strong> v<strong>il</strong>laggio<br />
dalla spiaggia. Non poteva dire di essere spaventato, ma neanche <strong>del</strong> tutto<br />
tranqu<strong>il</strong>lo, specie perché quel qualcuno si avvicinava con passo deciso.<br />
Era buio e riuscì a riconoscere la sagoma <strong>del</strong>la ragazza <strong>del</strong> motorino<br />
quando si trovò a non più di cinque metri da lui.<br />
«Ho parlato con la guardia e mi ha detto che sei senza camera».<br />
«Sì» rispose, quasi intimidito dalla fermezza <strong>del</strong> suo tono.<br />
«Cosa fai, rimani fino a domattina in spiaggia?». Fece una breve pausa.<br />
«Vieni a stare da me, che ho dei letti liberi nel mio appartamento».<br />
«Sei sicura? Non è che poi mi fanno, o ti fanno, storie?».<br />
«Ma vattinne, ma quali storie! Vieni, andiamo». <strong>Lo</strong> prese per mano e lo<br />
trascinò per qualche passo fino a una passerella in plastica bianca. Si<br />
fermò, vuotò la sabbia che le aveva riempito i sandali e aspettò che anche<br />
lui rimettesse le scarpe. «La porta è chiusa, dobbiamo scavalcare».<br />
Quel fare iniziava a indispettirlo. «Scavalca tu, io faccio <strong>il</strong> giro».<br />
«Perché, hai paura di smagliarti le calze?».<br />
«No, ma la guardia m’ha detto chiaramente che io nel v<strong>il</strong>laggio non posso<br />
entrare».<br />
«Ascolta». <strong>Lo</strong> prese di nuovo per un braccio. «La guardia fa quello che<br />
dico io. E se io dico che tu sei con me, di problemi non ce ne sono». Non<br />
sapendo come le cose funzionassero da quelle parti, Dante decise di dar<br />
retta alla ragazza: <strong>il</strong> fastidio che <strong>il</strong> suo tono arrecava era senz’altro più<br />
sopportab<strong>il</strong>e <strong>del</strong> vento freddo che si era improvvisamente alzato dal mare.<br />
Attraversarono in tutto s<strong>il</strong>enzio l’intero v<strong>il</strong>laggio, costeggiando campi da<br />
tennis, piscine, bar, anfiteatro e ristorante. Entrarono nella hall e vi<br />
uscirono proprio di fronte al guardiano. Che, invece che ammonirlo per<br />
non aver seguito le sue indicazioni, sorridendo gli disse che «hai visto che<br />
t’ho trovato un tetto dove passare la notte?». <strong>Lo</strong> ringraziò, riprese la borsa
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 45<br />
e si diresse verso un complesso di v<strong>il</strong>lette dall’altra parte <strong>del</strong>la strada, una<br />
piccola estensione <strong>del</strong> v<strong>il</strong>laggio dove risiedevano operai, animatori e<br />
personale <strong>del</strong>l’organizzazione.<br />
«Stanotte tu dormi qui». La ragazza, di cui non sapeva ancora <strong>il</strong> nome, gli<br />
indicò un piccolo stanzino, una specie di grande ripostiglio all’interno <strong>del</strong><br />
quale erano sistemati un letto e un armadio in lamiera. «Poi, alle prossime<br />
notti penseranno quelli <strong>del</strong> personale». La ringraziò e, prima di<br />
congedarsi, le disse buonanotte. «Ah», riaprii la porta, «io mi chiamo<br />
Dante». Non ricevette risposta.<br />
Il lungo viaggio e la scomodità dei sed<strong>il</strong>i sfondati <strong>del</strong>la A112 di Lucio<br />
avevano ridotto a pezzi la sua schiena: scrollò giusto la sabbia che era<br />
ancora rimasta appiccicata ai piedi e, senza neanche spogliarsi, si<br />
appoggiò al letto. Stava per spegnere la luce quando la ragazza <strong>del</strong><br />
motorino, vestita solo da un inut<strong>il</strong>e – data la totale inconsistenza <strong>del</strong> suo<br />
petto – reggiseno nero, riaprì la porta. Fu un attimo: gli slacciò la cintura,<br />
abbassò, senza sf<strong>il</strong>arli <strong>del</strong> tutto, i pantaloni e lo stesso fece con le mutande.<br />
Iniziò a menarglielo fino a che non gli venne duro, dopodiché se lo inf<strong>il</strong>ò<br />
dentro senza neanche aspettare di essere sufficientemente bagnata.<br />
Gemette rumorosamente quando arrivò ad averlo tutto dentro e poi prese<br />
ad ancheggiare con grande impeto, avanti e indietro, velocemente, come se<br />
scopare uno sconosciuto, in quel momento, fosse la cosa più normale <strong>del</strong><br />
mondo. Dante assisteva <strong>del</strong> tutto passivo alla scena: la sorpresa era tale<br />
che non trovò la forza di opporsi allo stupro estemporaneo che stava<br />
vivendo. Che poi, per quale motivo avrebbe dovuto opporsi? Perché? Il<br />
sesso era ciò che voleva da quando imparò <strong>del</strong>la sua esistenza: perché<br />
avrebbe dovuto rifiutare l’accogliente calore di quelle labbra dep<strong>il</strong>ate?<br />
Non disse una parola, se non per avvisarla quando era prossimo a venire.<br />
Lei, ansimando, rispose che prendeva la p<strong>il</strong>lola.<br />
«Ce l’hai un fazzoletto?». Dante non aveva <strong>del</strong> tutto finito di venirle<br />
dentro che lei era già in piedi a rovistare nella valigia appoggiata per terra.<br />
«Sì, tieni». Tirò su i jeans, mise la mano in tasca ed estrasse un pacchetto<br />
di Kleenex.<br />
Lei si asciugò lo sperma che le stava colando tra le cosce, si diede una<br />
sistemata ai lunghi capelli e gli si avvicinò. Dante pensava che volesse<br />
baciarlo, invece gli strinse le guance tra <strong>il</strong> pollice e l’indice <strong>del</strong>la sua mano<br />
destra e lo minacciò: «Io sono la ragazza <strong>del</strong> figlio <strong>del</strong> boss. Se dici a<br />
qualcuno, anche a una sola persona, di quello che è successo, sappi che vai<br />
a finire dritto dritto sotto a qualche metro di terra». <strong>Lo</strong> guardò, per la
46 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
prima volta da che erano entrati in casa, negli occhi. «Capiscisti?». Lui si<br />
liberò fac<strong>il</strong>mente <strong>del</strong>la sua presa e la ribaltò sul letto. I ruoli si erano<br />
invertiti. La ragazza cercava di svincolarsi, ma lui la scosse violentemente<br />
per le spalle fino a che non si quietò. «Senti, io non so chi cazzo sei, non<br />
so neanche come ti chiami. Sei venuta nel mio letto e mi hai scopato. Non<br />
so perché tu l’abbia fatto, ma ormai non si può tornare indietro. Io sto<br />
muto, perché sono venuto qui per lavorare, non per farmi ammazzare. Ma<br />
vedi di andartene affanculo lontano da me». Adesso era Dante ad alzare la<br />
voce. «Hai capito?». La ragazza girò la testa e iniziò a piangere<br />
s<strong>il</strong>enziosamente. Il contrasto tra la rabbia di qualche minuto prima e le<br />
lacrime che scorrevano lungo <strong>il</strong> suo viso era inquietante. «Scusami… è<br />
che… ero a una festa col mio ragazzo e… e mentre stavo ballando con<br />
<strong>del</strong>le amiche <strong>il</strong> bastardo è andato a scoparsi una troia di cubista e…» i<br />
singhiozzi le impedivano di respirare «e io l’ho beccato. Gli ho tirato uno<br />
schiaffone mentre si slinguava nel cesso quella puttana e poi me ne sono<br />
venuta via. E… e mi sono vendicata <strong>del</strong>le corna scopandomi te».<br />
Le era ancora sopra. Lasciò la presa per passarsi le mani tra i capelli.<br />
Chiuse gli occhi. «Adesso è meglio che me ne vada a letto, perché lui<br />
potrebbe arrivare». <strong>Lo</strong> guardò. «Sai, anche lui lavora qui. Quella» e indicò<br />
la stanza di fronte «quella è la sua stanza».<br />
Sembrava tutto surreale. «Mi raccomando, non una parola» lei disse. Si<br />
alzò, chiuse la porta e se ne andò a dormire. «Ah, io mi chiamo Teresa.<br />
Chiamami pure Terry, se vuoi».
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 47<br />
Sedici<br />
<strong>del</strong> figlio <strong>del</strong> boss<br />
Non provò neppure ad addormentarsi: l’adrenalina che di volta in volta<br />
aveva trasudato nello scavalcare i cancelli di San Siro erano gocce di<br />
impalpab<strong>il</strong>e rugiada se confrontate all’esondazione nervosa che stava<br />
vivendo in quei precisi attimi. Le gambe, come argini divelti dalla furia<br />
<strong>del</strong>la natura, gli tremavano ancora. Impossib<strong>il</strong>e quindi prendere sonno,<br />
anche se dormire era la cosa di cui <strong>il</strong> suo corpo aveva più bisogno. Andò<br />
in bagno, chiuse a chiave per paura di ulteriori sorprese e si fece una<br />
doccia. Pensava a quello che gli era appena successo e si diceva che se<br />
anche quei tre mesi di Calabria si fossero consumati senza nessun’altra<br />
emozione, beh, qualcosa da raccontare ai suoi amici l’avrebbe comunque<br />
avuta. Non immaginava certo che la sua prima volta con una donna si<br />
potesse consumare proprio in quel modo, ma non è mai stato un cultore<br />
<strong>del</strong>la forma. Aveva scopato, finalmente. E questo era ciò che più contava.<br />
Quando riaprì la porta, fasciato da un asciugamano che avvolgeva una<br />
trentina di centimetri tra torso e cosce, si trovò di fronte un ragazzo. Non<br />
molto alto e pure piuttosto tarchiato; con una bottiglia di birra da tre quarti<br />
in mano, tenuta per <strong>il</strong> collo e nascosta non proprio così bene dietro la<br />
schiena.<br />
«E tu che cazzo ci fai qua dentro?».<br />
Dante gli porse lentamente una mano, in maniera molto cordiale. Con<br />
l’altra teneva l’asciugamano affrancato al corpo ancora bagnato. Quello<br />
doveva essere <strong>il</strong> figlio <strong>del</strong> boss. «Ciao, mi chiamo Dante». Non sapeva<br />
come spiegargli <strong>del</strong> ritardo <strong>del</strong> suo arrivo e <strong>del</strong>l’offerta d’ospitalità <strong>del</strong>la<br />
ragazza <strong>del</strong> motorino. Rimase sul vago. «Mi hanno sistemato qui, per<br />
stanotte».<br />
«Ma come parli? Di dove sei?».<br />
«Sono di M<strong>il</strong>ano».<br />
«Sei venuto qui in vacanza o cosa?».<br />
«No, sono venuto qui per lavorare. Al bar».<br />
«Ah, ho capito». L’espressione <strong>del</strong> volto <strong>del</strong> giovane cambiò<br />
repentinamente. «Tu sei <strong>il</strong> m<strong>il</strong>anese di cui mi ha parlato Germano».<br />
«Esatto, sono proprio io».<br />
Gli allungò la mano. «Ciao, io mi chiamo Pasquale. Lavoro anch’io al<br />
bar». Appoggiò la bottiglia per terra. «Chi è che ti ha detto di venire a<br />
dormire qui?».
48 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Dante indicò con un cenno <strong>del</strong>la testa, senza pronunciarne <strong>il</strong> nome, Teresa,<br />
che nel frattempo si era coricata. «Ah» fece lui «chi altri avrebbe potuto?».<br />
Uscirono dall’appartamento.<br />
«Ascoltami bene: quella è pazza. E’ una gran pezza di figa, è vero, ma è<br />
proprio pazza. E’ una ninfomane, sai, hai presente quelle donne che<br />
appena sentono odore di cazzo ci saltano sopra?». Sorrise goffamente. «Se<br />
te la vuoi scopare, scopatela pure. Fai però in modo che nessuno lo sappia,<br />
nessuno, altrimenti suo padre è capace di puntarti una pistola in faccia. E<br />
suo padre spara, sai, mica cugghunjia chiju ja».<br />
Doveva capire se fosse lui a cui Teresa faceva riferimento quando parlava<br />
<strong>del</strong> suo ragazzo. Il figlio <strong>del</strong> boss. «No no, vai tranqu<strong>il</strong>lo» disse Dante «ci<br />
tengo alla pellaccia. Piuttosto, non ho ancora ben capito come funziona <strong>il</strong><br />
discorso <strong>del</strong>l’alloggio: cioè, uno si sceglie una stanza e ci va a stare oppure<br />
è la direzione a decidere?».<br />
«Allora. Per alcuni, diciamo quasi tutti, è la direzione a decidere. Per altri,<br />
invece, <strong>il</strong> discorso è differente». Pasquale si sorprese <strong>del</strong>l’imbarazzo che<br />
provava nel raccontare dei suoi priv<strong>il</strong>egi. «Provo a spiegarmi meglio:<br />
qualcuno fa un po’ quel che gli pare. Gli altri, invece…».<br />
«Scusami, ma perché, allora, quella lì dorme nella tua stanza?». Doveva<br />
giocarsi <strong>il</strong> tutto per tutto, già che era ancora nuovo <strong>del</strong>l’ambiente e che<br />
l’imprudenza <strong>del</strong>le sue domande poteva essere tollerata.<br />
«Io la devo tenere sotto controllo, perché le nostre famiglie sono piuttosto<br />
legate. E immagino che tu sappia quanto sono importanti i rapporti tra le<br />
famiglie, qui in Calabria, no?». Si fermò un istante, a sottolineare con<br />
l’eloquenza <strong>del</strong> s<strong>il</strong>enzio l’importanza di ciò che aveva appena detto.<br />
«Dorme nella mia stanza, quindi, così so che nessun coglione se la viene a<br />
scopare proprio a casa mia. Poi, quello che fa altrove sono cazzi suoi.<br />
Figurati che prima l’ho incontrata a una festa e non sai che figura di merda<br />
ho fatto con la mia ragazza: quella pazza mi si strusciava addosso proprio<br />
in sua presenza. ‘Sta cujjuna ha messo in giro la voce che stiamo insieme,<br />
quando penso di essere tra i pochi al mondo a non essersela mai scopata.<br />
Ma io mica sono scemo, sai, a mettermi con quella». Prese fiato.<br />
«Comunque, finita la settimana, se ne va da qui: i suoi si trasferiscono al<br />
nord e lei con loro». Sospirò. «Minchia, menomale. Mi sta tirando<br />
scemo».<br />
Minchia, menomale, ripeté s<strong>il</strong>enziosamente Dante rientrando.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 49<br />
Diciassette<br />
di luoghi comuni e tà tà tà<br />
Ahi la tiene Maradona. <strong>Lo</strong> marcan dos. Pisa la pelota Maradona.<br />
Arranca por la derecha el genio <strong>del</strong> futbol mundial. Puede tocar para<br />
Burruchaga.<br />
Siempre Maradona.<br />
Genio, genio, genio... tà, tà, tà... goooooooool...<br />
Quiero llorar... Dios Santo, viva el fùtbol!<br />
Golaaaaazooo... Diegoooool!<br />
Maradona... es para llorar, perdónenme.<br />
Maradona en recorrida memorable, en la jugada de todos los tiempos.<br />
Barr<strong>il</strong>ete cósmico. ¿De qué planeta viniste para dejar en el camino a<br />
tanto inglés?<br />
Para que el país sea un puño apretado gritando por Argentina.<br />
Argentina 2, Inglaterra 0.<br />
Diegol, Diegol...<br />
Diego Armando Maradona...<br />
Gracias Dios. Por el futbol, por Maradona, por estas lágrimas... por este<br />
Argentina 2, Inglaterra 0.<br />
Victor Hugo Morales<br />
Accompagnato lungo i vialetti <strong>del</strong> v<strong>il</strong>laggio proprio dalla ragazza <strong>del</strong><br />
Personale che aveva dimenticato di avvisare la portineria <strong>del</strong> suo<br />
imminente arrivo - e per la qual cosa lei diceva di non sapere come<br />
scusarsi, inconsapevole di aver aiutato <strong>il</strong> destino a che si compisse ciò che<br />
poi è stato - spese la sua prima mezza giornata facendo conoscenza dei<br />
colleghi con i quali avrebbe passato l'intera estate, incapace, data la<br />
ripetitività dei nomi e dei tratti, di ricordarne anche solo la mansione; poi<br />
tra un ufficio e un altro, alle prese con registrazioni, libretti sanitari,<br />
vaccinazioni e, almeno sulla carta, tante regole da rispettare, alcune <strong>del</strong>le<br />
quali <strong>del</strong> tutto esagerate per quello che riteneva un incarico marginale<br />
come <strong>il</strong> suo. Stordito dalla notte insonne ma carico d’entusiasmo, inebriato<br />
dall’aver sentito <strong>il</strong> peso <strong>del</strong>la verginità liberarsi nella leggerezza di un<br />
ricordo <strong>del</strong> quale non provava nessuna nostalgia.<br />
Tanto valeva andare a puttane con qualche anno d’anticipo, si disse in un<br />
momento in cui <strong>il</strong> sapore <strong>del</strong>l’appagamento non era forte quanto l’acre<br />
insoddisfazione per <strong>il</strong> modo in cui era stato scritto un capitolo
50 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
indimenticab<strong>il</strong>e <strong>del</strong>la sua esistenza, ma tra questo pensiero e un franco<br />
vaffanculo passarono solo pochi attimi, niente di più.<br />
Perché anche se a distanza di ore, nessun odore sembrava potersi sostituire<br />
a quello <strong>del</strong> sesso <strong>del</strong>la sua improvvisata amante, nessun sole poteva<br />
essere più caldo <strong>del</strong> ricovero nel quale era stato accolto la notte prima. Si<br />
sentiva alla stregua di un cacciatore che torna a casa con una preda uccisa<br />
da altri, regalatagli dal caso e non dalla precisione <strong>del</strong>la sua mira, ma<br />
sapeva bene che l’unica vera priorità era sfamarsi. Vaffanculo, dunque.<br />
Vaffanculo!<br />
Nel pomeriggio prese servizio al bar, affiancato proprio a Pasquale.<br />
Nell’immaginario di chi non ha mai toccato con mano, all’epoca lui per<br />
primo, <strong>il</strong> figlio <strong>del</strong> boss avrebbe dovuto avere le fattezze <strong>del</strong>lo spaccone<br />
strafottente cui la ragione consiglia di stare a debita distanza. Pronto a<br />
tutto, pericoloso e imprevedib<strong>il</strong>e come gli avevano insegnato attendib<strong>il</strong>i<br />
leggende o supposte verità. Ma lui era diverso, e non solo con Dante: i<br />
ragazzi lo trattavano come se fosse uno qualsiasi <strong>del</strong> gruppo e questo<br />
anche quando non si parlava di faceto. Anche quando si toccavano le note<br />
dolenti. Quando alle gesta <strong>del</strong> Pibe de Oro o ai seni di procaci ospiti <strong>del</strong><br />
v<strong>il</strong>laggio si sostituivano pizzi, morti ammazzati e intimidazioni, quando<br />
l’imbarazzo per la fotografia <strong>del</strong> padre in manette, che <strong>il</strong> Corriere <strong>del</strong><br />
Mezzogiorno pubblicava a giorni alterni, lo faceva sentire sim<strong>il</strong>e più alla<br />
gazzella che nasce cosciente di una vita senza pace che al leone che non<br />
avrebbe mai scelto di essere. In quelle occasioni neanche <strong>il</strong> “tà tà tà” di<br />
Fernando riusciva a riportarlo alla serenità e questo rendeva evidente a<br />
tutti coloro che gli stavano accanto quanto profondo fosse <strong>il</strong> dolore che<br />
stava provando. Il “tà tà tà” di Fernando era <strong>il</strong> ricordo di Maradona, <strong>il</strong> suo<br />
unico dio, e <strong>del</strong> gol che nessuno, se non lui, avrebbe immaginato di poter<br />
segnare. Della telecronaca di Victor Hugo Morales vissuta in diretta, a<br />
Buenos Aires, ospite di uno zio es<strong>il</strong>iatosi oltre oceano per rifuggire la<br />
condanna cui le attività di famiglia l’avevano inevitab<strong>il</strong>mente condotto.<br />
Parole <strong>il</strong>luminate a cui l’immortalità di un gesto atletico fuori dal comune<br />
ha regalato i tratti <strong>del</strong>la poesia.<br />
Fernando, suo cugino, aveva deciso di lasciare gli stenti di un’Argentina<br />
da poco liberata dalla dittatura m<strong>il</strong>itare per abbracciare <strong>il</strong> sogno <strong>del</strong>le sue<br />
origini. Scelse l’Italia e l’unica reale opportunità per dare un senso a una<br />
vita che di giorno in giorno si faceva sempre più precaria. Scelse di<br />
prendere lo stesso volo che avrebbe riportato Pasquale in Calabria e<br />
l’unica opportunità professionale in cui <strong>il</strong> coltello serviva solo per tagliare
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 51<br />
a metà i limoni che una macchina avrebbe poi trasformato in granita. Portò<br />
con sé lo stretto indispensab<strong>il</strong>e e tra i pochi oggetti un’audiocassetta su cui<br />
aveva riversato i settantuno secondi in cui la voce <strong>del</strong> periodista uruguagio<br />
prestato dalla sorte alla televisione argentina ha commentato un gol che<br />
non è solo calcio, ma la storia di una rivalità politica che proprio pochi<br />
anni prima aveva acceso la miccia di una pericolosa guerra. Un nastro che<br />
<strong>il</strong> walkman di Pasquale non si stancava mai di riprodurre e che Fernando<br />
recitava a memoria con la solennità di un mantra, caratterizzando ogni<br />
singolo passaggio al punto tale che conoscere lo spagnolo e <strong>il</strong> significato<br />
letterale di quelle parole diventava un inut<strong>il</strong>e dettaglio.<br />
Anche nei momenti di maggior disagio Pasquale seppe dimostrarsi un<br />
buon collega e un amico affidab<strong>il</strong>e: Dante poteva sempre contare su di lui<br />
ogni volta avesse bisogno di un passaggio in paese oppure di cambiare un<br />
turno. Come quella sera che lo accompagnò a Catanzaro a incontrare un<br />
amico in visita forzata al parentado d’origine calabro-albanese. E dove<br />
conobbe Caterina.
52 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Diciotto<br />
di Sergio<br />
«Oh, vediamo di non fare la fine <strong>del</strong>l’ultima volta che siamo usciti con<br />
<strong>del</strong>le tipe».<br />
Distolse senza indugio, sebbene molto a malincuore, lo sguardo dalle due<br />
ragazze che avevano momentaneamente lasciato <strong>il</strong> tavolo per<br />
l’immancab<strong>il</strong>e visita di coppia alla to<strong>il</strong>ette. Assaporava, convinto che fosse<br />
solo una questione di tempo, <strong>il</strong> piacere che avrebbe provato sostituendo le<br />
sue mani alle tasche di dietro dei loro jeans att<strong>il</strong>lati; percepiva addirittura<br />
sui polpastrelli la consistenza di tanta stagna grazia quando quella ridicola<br />
frase rinnovò tutti i suoi dubbi circa la compatib<strong>il</strong>ità di concetti quali <strong>il</strong><br />
successo con le donne e la presenza di Sergio. Nonostante fosse più che<br />
abituato al nonsenso <strong>del</strong>la maggior parte <strong>del</strong>le sue parole, Dante non riuscì<br />
a trattenersi dall’eruttargli addosso la sua consueta dose d’insulti. «E a me<br />
lo vieni a dire, pezzo di pirla che non sei altro?». Sgranò ancor più gli<br />
occhi, inferocito come diffic<strong>il</strong>mente riusciva a essere. Si era sforzato di<br />
non parlare più di quella storia, ma questa sua uscita non poteva passare<br />
sotto s<strong>il</strong>enzio. La musica <strong>del</strong> jukebox era molto alta e poté permettersi di<br />
urlare senza <strong>il</strong> timore che qualcuno li sentisse. «Chi è che ha mandato tutto<br />
a puttane, brutto coglione?».<br />
A volte Sergio sembrava autistico per quanto sconnesso dalla realtà. Di<br />
certo, una <strong>del</strong>le sue più grandi preoccupazioni era avere l’ultima parola,<br />
vizio che Dante non ha mai saputo comprendere né sopportare. Ma Sergio<br />
era un amico e Dante gli voleva bene a prescindere dalle manie di<br />
protagonismo che, ai suoi occhi, lo facevano sentire diverso<br />
dall’imbranato fatto e finito che tutti vedevano. «Te l’avevo detto che non<br />
potevo rimanere tutto <strong>il</strong> pomeriggio, ma tu hai voluto continuare. E poi lo<br />
sapevi bene che a me quelle due cozze pelose non interessavano». Fossero<br />
stati a M<strong>il</strong>ano, Dante l’avrebbe mandato a fare in culo e se ne sarebbe<br />
andato via. Per giunta, senza pagare la sua birra media. Il tutto nel pieno<br />
rispetto <strong>del</strong>la loro amicizia, ma sarebbe andato via. Per poi richiamarlo <strong>il</strong><br />
giorno dopo come se nulla di strano fosse mai successo, ma sarebbe<br />
andato via. Perché le due cozze in questione non erano affatto tali. E<br />
perché Dante era anche riuscito a ridurle in mutande e reggipetto con un<br />
improvvisato strip poker prima che Sergio se ne uscisse con<br />
quell’impegno improrogab<strong>il</strong>e. Gliela stavano per servire senza troppe<br />
formalità, ma lui seppe mandare tutto a monte. Anche quella volta. Si
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 53<br />
limitò dunque a insultarlo ripetutamente, un vaffanculo dietro l’altro senza<br />
neanche ascoltare cosa dicesse, fino a che non si accorse che le ragazze<br />
stavano uscendo dal bagno. Le eiaculazioni precoci di Sergio – <strong>il</strong> sospetto<br />
più plausib<strong>il</strong>e era quello – e i suoi ridicoli tentativi di mistificare non<br />
sarebbero stati d’aiuto. «Avete voglia di andare a mare?» chiese Caterina e<br />
Dante non aspettò che Sergio dicesse loro, come aveva già fatto con lui, di<br />
non aver pensato al costume. Rispose subito di sì, affrettandosi a prevenire<br />
ogni probab<strong>il</strong>e obiezione. Salirono sulla Uno <strong>del</strong> padre di Sergio, lui<br />
davanti con Veronica, Dante dietro con Caterina. Al resto pensarono i<br />
ferormoni, e già prima che si arrivasse alla spiaggia. Il vento che<br />
quell’estate soffiava costante consigliò loro di lasciar perdere <strong>il</strong> bagno e di<br />
occupare le prime ore <strong>del</strong> nuovo giorno in modo diverso. Prendendo<br />
coscienza, nel bene e nel male, dei segnali <strong>del</strong> proprio corpo.<br />
Inequivocab<strong>il</strong>i espressioni che, di lì a breve, avrebbero dato un senso<br />
diverso alle loro vite.
54 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Diciannove<br />
di rabbia e, forse, amore<br />
Tutte le famiglie felici sono sim<strong>il</strong>i le une alle altre; ogni famiglia infelice è<br />
infelice a modo suo.<br />
Lev Nikolaevic Tolstoj – Anna Karenina<br />
Suo padre lo aveva chiamato la sera prima, informandolo <strong>del</strong>l’imminente<br />
partenza per le vacanze: diretti a Palermo, i suoi avrebbero potuto<br />
concedersi una piccola pausa e passare una mezz’ora insieme al loro unico<br />
figlio, che non vedevano da diverse settimane. Erano di strada, si diceva,<br />
mentre <strong>il</strong> padre lo tediava elencandogli i controlli a cui aveva sottoposto la<br />
macchina prima di un viaggio così probante, e una deviazione di pochi<br />
ch<strong>il</strong>ometri non gli avrebbe portato via troppo tempo. Non ci fu però<br />
nessun accenno a questa possib<strong>il</strong>ità: gli disse che si sarebbero fermati a<br />
Taurianova a trovare i parenti di suo nonno, ma l’idea di un caffè in sua<br />
compagnia non li aveva evidentemente sfiorati.<br />
Il passato era un immenso contenitore debordante occasioni in cui<br />
avrebbero potuto stargli vicino, alle quali hanno sempre preferito la noia di<br />
una canasta o impegni che non potevano essere importanti quanto <strong>il</strong><br />
desiderio di condividere momenti unici <strong>del</strong>la sua adolescenza: mai<br />
presenti alle recite scolastiche, mai una visita durante le colonie estive,<br />
mai una volta che fossero andati a fare <strong>il</strong> tifo per lui quando girava la<br />
<strong>Lo</strong>mbardia nella speranza che <strong>il</strong> suo miglior salto fosse più alto di quello<br />
degli avversari di turno. Non si spiegava <strong>il</strong> perché di un tale distacco e non<br />
sapeva se avrebbe avuto senso palesarlo. Si limitava a soffrirne, in<br />
s<strong>il</strong>enzio, auspicando che un giorno arrivassero a capire e ad agire di<br />
conseguenza. E che quel giorno fosse prossimo a venire.<br />
Fu per questo che, quando un collega lo avvisò di una visita nel momento<br />
più caotico <strong>del</strong> dopo cena, l’idea che i suoi gli avessero fatto una sorpresa<br />
lo eccitò. Incurante di quella che sarebbe stata la dura reazione <strong>del</strong> capo<br />
bar, si affrettò a raggiungere la hall; non rimase però granché stupito<br />
quando s’accorse che ad attenderlo non vi erano loro. Era Caterina.<br />
Si era già detto pronto a dimenticare tutti gli episodi che alimentavano da<br />
anni <strong>il</strong> suo malcontento, a ricondurre tutto alla fisiologica necessità di<br />
prendere fiato dopo dure giornate di lavoro sulla catena di montaggio, ma<br />
non ebbe modo di farlo. Aveva però un buon motivo per rivolgere altrove i<br />
propri pensieri. «Cosa ci fai, te, qui?». Si sentiva ridicolo con quella
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 55<br />
divisa, che gli ricordava più gli stracci di un mozzo d’altri tempi che una<br />
tenuta da barista. «Avevo voglia di rivederti…». Dante sorrise e sfiorò i<br />
suoi lunghi capelli castani fino a carezzarle una guancia. «Io sto<br />
lavorando, e ne avrò ancora fino a mezzanotte».<br />
«Non ti preoccupare, ho detto ai miei che stanotte dormo da Veronica».<br />
Dante passò tre ore visib<strong>il</strong>mente distratto dal pensiero che lei fosse lì ad<br />
aspettarlo, dopodiché la raggiunse e le fece fare un giro per <strong>il</strong> v<strong>il</strong>laggio.<br />
Bevvero qualcosa insieme al Piano Bar e poi andò a togliere la divisa.<br />
Pensava sarebbero andati sulla spiaggia, ma l’accoglienza e la riservatezza<br />
<strong>del</strong> suo stanzino li indussero a passare i loro momenti abbracciati stretti sul<br />
letto. Non successe niente di particolarmente interessante da raccontare,<br />
ma Dante era felice. Felice che qualcuno gli dimostrasse di essere<br />
importante. Si addormentarono.<br />
L’indomani si fece lasciare <strong>il</strong> suo indirizzo e <strong>il</strong> numero di telefono,<br />
promettendole che sarebbe presto andato a trovarla.
56 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Venti<br />
di amore perso e di amore ritrovato<br />
La verità è che non era la profondità dei suoi sentimenti ad attrarlo a<br />
Caterina al punto da mollare tutto e trasferirsi in Calabria, quanto l’idea<br />
che fosse ritornato a nutrire emozioni per una donna che non fossero<br />
necessariamente riconducib<strong>il</strong>i alla pulsione sessuale. Da quando Marina<br />
morì, infatti, e nonostante all’epoca fosse giusto un ragazzino, non riuscì<br />
mai a provare sincere passioni nei confronti <strong>del</strong>le ragazze con le quali gli<br />
capitava di avere un rapporto che trascendesse l’amicizia. Desiderava solo<br />
baciarle, toccare <strong>il</strong> loro corpo, sentirsi all’altezza di tutti i ragazzi che<br />
andavano a spasso mano nella mano con la morosa. E scoparle,<br />
ovviamente. Cercava nelle donne un medicamento che potesse aumentare<br />
la poca stima che aveva di sé e uno strumento che fosse in grado di<br />
mascherare l’insicurezza di ogni suo passo. Mai vero coinvolgimento. Per<br />
di più, di un rapporto stab<strong>il</strong>e non sentiva la necessità e ancora meno era<br />
disposto a rendere conto <strong>del</strong>le proprie azioni a qualsivoglia persona.<br />
Cercava leggerezza e riusciva a trovarla solo nella superficialità di una<br />
serata in discoteca, voleva sesso ma non era affatto incline alla pazienza. Il<br />
perché di questo approccio potrebbe essere presto spiegato, e senza andare<br />
troppo lontano nel tempo: la morte <strong>del</strong>la persona che ami quando hai solo<br />
tredici anni è un evento che ti segna. E questo può essere un perché,<br />
evidente al punto tale da non farti spingere oltre nell’analisi. Sentiva però<br />
che c’era <strong>del</strong>l’altro, ma non aveva ancora sufficienti elementi per<br />
comprendere. L’offerta di Caterina ebbe la forza di azzerare totalmente i<br />
pregiudizi che condizionavano i suoi rapporti con l’altro sesso: la<br />
prospettiva di una vita indipendente e di un rapporto adulto aprì nuovi<br />
scenari a un futuro che non aveva immaginato potesse essere così<br />
prossimo. La fiducia che lei gli dimostrava e le costanti attenzioni di cui lo<br />
faceva oggetto lo indussero a provarci, a cercare motivazioni che non<br />
fossero banali come quelle che lo avevano fin lì mosso o limitato. Sebbene<br />
le fondamenta <strong>del</strong> sentimento non fossero radicate quanto la razionalità <strong>del</strong><br />
suo pensiero avrebbe voluto, la prospettiva di qualcosa di importante lo<br />
aiutò a essere finalmente spontaneo, liberando tutto ciò che aveva<br />
scientemente represso. Sapeva che un solo mese di frequentazione, anche<br />
se parecchio intensa, non poteva essere sufficiente per arrivare a prendere<br />
quella decisione, ma scelse di lasciarsi trasportare dagli eventi e da ragioni<br />
a lui <strong>del</strong> tutto nuove. Si trasferì.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 57<br />
Ventuno<br />
Semifinale<br />
Lacchiarella, <strong>il</strong> ricordo <strong>del</strong>la sconfitta prima ancora <strong>del</strong>la consapevolezza<br />
di ritornare nella palestra in cui si è materializzata la svolta. <strong>Lo</strong> spogliatoio<br />
sotto le scale, lo stesso nel quale i ragazzi hanno scelto di indossare,<br />
indifferenti al suo mesto ep<strong>il</strong>ogo, la maglietta celebrativa di una vittoria<br />
che non c’è stata, non sul campo, non in quella partita senza ritorno<br />
giocata quasi un anno prima. Il momento in cui la tristezza per una finale<br />
persa non poteva sottacere l’aver vissuto insieme un’esperienza che<br />
avrebbe saputo lasciare un segno in<strong>del</strong>eb<strong>il</strong>e sul loro futuro, in cui due<br />
rigori calciati malamente hanno dato più di quanto non avrebbe mai potuto<br />
regalare un pezzo di latta mo<strong>del</strong>lato sulle linee tondeggianti di una coppa.<br />
Un’<strong>il</strong>lusione smascherata un attimo prima che si tramutasse in<br />
un’ingannevole verità, una promessa la cui unica condizione era la volontà<br />
di crederci.<br />
Tornano a Lacchiarella le Mine Vaganti, per disputare la semifinale <strong>del</strong><br />
campionato provinciale contro un avversario di cui non sanno nulla, se<br />
non <strong>il</strong> nome. Con una sola certezza, l’essere finalmente una squadra. Con<br />
una personalità che mai avevano dimostrato di avere, con la capacità di<br />
imporre a ogni partita i ritmi a loro più congeniali, con la continuità per<br />
arrivare a giocarsela sempre fino in fondo. Un’identità. Roba che non si<br />
trova nel sacchetto <strong>del</strong>le patatine, tanto meno scritta tra le pagine di un<br />
manuale. Che nasce, per caso o forse no, quando <strong>il</strong> gruppo sceglie di<br />
mettersi nelle mani di una sola persona, l’unica deputata a parlare mentre<br />
ognuno vorrebbe dire la sua. A mediare e prendere decisioni. Una persona<br />
che, con alle spalle un passato di allenatore, sì, ma di pallacanestro, non ha<br />
una vera esperienza calcistica se non quella maturata sul campo, con loro,<br />
prima di infortunarsi nel tentativo di difenderne la porta. Con <strong>il</strong> buonsenso<br />
di anteporre <strong>il</strong> gruppo ai risultati e <strong>il</strong> divertimento alla vittoria, assegnando<br />
responsab<strong>il</strong>ità ma allo stesso tempo sminuendo gli errori dei singoli,<br />
ottenendo in cambio <strong>il</strong> meglio da ognuno di loro.<br />
Il <strong>Lo</strong>fa passeggia ai margini <strong>del</strong> campo, un occhio ai suoi compagni e<br />
l’altro ai ragazzi con la scritta Bogside sul petto. Che hanno vinto senza<br />
grandi affanni <strong>il</strong> loro girone e altrettanto fac<strong>il</strong>mente <strong>il</strong> quarto di finale.<br />
Sono in undici, sono tanti, e dovrebbero avere più ossigeno da spendere<br />
dei sette in rossoblu. Anche se - di questo <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa ne è convinto nonostante
58 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
<strong>il</strong> carattere empirico <strong>del</strong>la sua teoria - non potranno mettere in campo<br />
l’intensità che le soventi sostituzioni tendono a far scemare. Nel calcio a 5<br />
due o tre cambi sono sufficienti. Quattro sono già troppi. A lui piace<br />
pensarla così e i risultati <strong>del</strong>la stagione regolare ottenuti contro compagini<br />
più numerose forse non lo dimostrano in maniera ineccepib<strong>il</strong>e, ma non lo<br />
possono affatto negare.<br />
Ami è ancora deb<strong>il</strong>itato dall’influenza e non se la sente di andare a referto.<br />
Non fa comunque mancare <strong>il</strong> suo rumoroso sostegno, seduto in tribuna<br />
affianco a Mario, che ha dato un seguito alla sua promessa. Gianlukakà<br />
resta anche stavolta una speranza vana, ma per la qual cosa non può essere<br />
condannato: ha parlato chiaro all’inizio <strong>del</strong>la stagione e <strong>il</strong> rimpianto di<br />
vederlo in campo solo di rado è metabolizzato da tempo. Il quintetto di<br />
partenza, pressoché obbligato per dare un minimo di senso alle rotazioni,<br />
prevede Asto tra i pali, <strong>il</strong> Borla e Forrest sulle fasce, Jimmy in mezzo alla<br />
difesa e <strong>il</strong> Capitano come terminale offensivo. Più che le loro giocate,<br />
però, è la tensione a scrivere la cronaca <strong>del</strong>la fase iniziale <strong>del</strong>la partita. La<br />
tensione che ognuno di loro vive in modo diverso ma che si traduce con<br />
rara sistematicità in una reiterazione di errori, dai più grossolani ai più<br />
preoccupanti. In una barriera piazzata male che costa <strong>il</strong> vantaggio<br />
avversario, nell’incapacità di tenere la propria posizione, nella foga di<br />
volere recuperare subito lo svantaggio, nel prendere iniziative fuori da<br />
ogni logica. Il risultato, non fosse che gli avversari non hanno saputo<br />
approfittare <strong>del</strong>le enormi lacune mostrate su entrambi i versanti, avrebbe<br />
dovuto essere ben più severo <strong>del</strong>l’uno a zero su cui si chiude <strong>il</strong> primo<br />
tempo.<br />
«Perché continuate a far di testa vostra? Non lo capite che così facciamo <strong>il</strong><br />
loro gioco?». Le parole spese nel preparare la partita si sono dimostrate<br />
vane e i problemi apparentemente annegati negli abissi <strong>del</strong> passato sono<br />
tornati d’attualità. Inspiegab<strong>il</strong>mente, perché <strong>il</strong> confronto, almeno sul piano<br />
tecnico, sembra sb<strong>il</strong>anciato a favore <strong>del</strong>le Mine Vaganti e la sola tensione<br />
non può quindi giustificare venti lunghi minuti in cui in campo si è visto<br />
l’esatto contrario di quello che i ragazzi si erano ripromessi di fare. La<br />
frustrazione di un allenatore, in questi frangenti, raggiunge lo zenit:<br />
l’atmosfera è rarefatta, ma l’esperienza è ossigeno. Insistere è l’unica<br />
strada percorrib<strong>il</strong>e. «State tranqu<strong>il</strong>li, non abbiate fretta, manca ancora tutto<br />
<strong>il</strong> secondo tempo. Se fra una decina di minuti siamo ancora sotto, allora ci<br />
giochiamo <strong>il</strong> tutto per tutto. Ma per <strong>il</strong> momento dobbiamo continuare a<br />
credere che la partita si possa vincere come sappiamo noi. Con le nostre
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 59<br />
armi. Con la difesa e la ripartenza. Chiusi. Senza correre rischi». Il <strong>Lo</strong>fa<br />
prende per un braccio <strong>il</strong> Capitano. «Oh, guarda che questa non è mica la<br />
Playstation! E’ tutta la partita che te ne vai in giro per <strong>il</strong> campo senza dare<br />
un riferimento ai compagni. Devi stare profondo, cazzo, ti devi portare via<br />
un difensore. Altrimenti non c’è spazio per muovere la palla a<br />
centrocampo».<br />
«<strong>Lo</strong>fa, se non mi arriva una sola palla giocab<strong>il</strong>e, allora me la vado a<br />
prendere io».<br />
«Ma è ovvio che non ti arrivi, sei sempre nel posto sbagliato! Sempre. Tu<br />
fai quello che devi e vedrai che gli altri sapranno dartela al momento<br />
giusto». <strong>Lo</strong> scosse per <strong>il</strong> braccio, <strong>il</strong> braccio che non aveva ancora lasciato<br />
da che gli si era rivolto. «Non è un caso se con Dado in campo e te in<br />
panchina abbiamo creato qualcosa di più. Mettitelo in testa, non è un<br />
caso».<br />
Il Capitano, sensib<strong>il</strong>e a quel ritornello solo quando con le spalle al muro,<br />
annuì s<strong>il</strong>enziosamente e così <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa si prese qualche secondo per<br />
concludere. Senza far riferimento agli avversari, ribadendo per l’ennesima<br />
volta concetti ancora ridotti allo stadio <strong>del</strong>la teoria. «Jimmy, smetti di<br />
chiamarli alti, altrimenti i laterali si ritrovano con l’attaccante sempre alle<br />
loro spalle. Dobbiamo guardarli in faccia i nostri uomini, non devono<br />
esserci dietro».<br />
Continuò a spronarli, uno a uno, fino che gli arbitri non comandarono la<br />
ripresa.<br />
I primi minuti <strong>del</strong> secondo tempo sono la cartina di tornasole degli stati<br />
d’animo <strong>del</strong>le due squadre: da una parte l’inevitab<strong>il</strong>e forcing di chi si trova<br />
a rincorrere, dall’altra la necessità di spezzettare <strong>il</strong> gioco e togliere ritmo<br />
all’avversario. Gestire bene, dal punto di vista psicologico, i primi cinque<br />
minuti equivale a mettere un’ipoteca davvero importante sul risultato<br />
finale. Tant’è. Pareggio immediato e altri quattro gol nel giro di dieci<br />
minuti. La partita è archiviata e <strong>il</strong> 5a2 finale rispecchia con discreta fe<strong>del</strong>tà<br />
la netta differenza dei valori espressi nel secondo tempo.<br />
«Capitano, cosa facciamo, rimaniamo a vedere la seconda semifinale?».<br />
Asto, come sempre l’ultimo sotto la doccia, la butta lì. Non è dato sapere<br />
se per scherzo o se perché realmente interessato.<br />
«Ma sei fuori?, muoviti a lavarti che poi ci andiamo a bere una birra!». Il<br />
Capitano cercò, trovandolo, <strong>il</strong> consenso degli altri. «Tanto, vincere o<br />
perdere dipende solo da noi, no?».
60 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Ventidue<br />
di supposte paternità<br />
«Cioè, tu metti incinta una ragazza che frequenti da… diciamo un paio di<br />
mesi e io dovrei pensare che hai <strong>il</strong> pieno controllo <strong>del</strong>la situazione? E’<br />
questo che mi stai dicendo, bigolo che non sei altro?». Il limite tra ironia e<br />
sarcasmo, cinismo e sottinteso è spesso ambiguo. Troppo, a volte, per<br />
riuscire a comprendere <strong>il</strong> senso di un’affermazione o per coglierne, senza<br />
equivoci, le reali intenzioni. Le mezze verità di Egidio, evasive quanto<br />
basta per dimostrarsi sincere ma anche <strong>il</strong> suo esatto contrario, si prestano<br />
in maniera sorprendente al gioco <strong>del</strong>le chiavi di lettura. In cui <strong>il</strong> giudizio,<br />
se non innocente, si maschera fac<strong>il</strong>mente con l’incomprensione.<br />
«Stavolta io non c’entro un cazzo, Edi. Te lo giuro davanti a dio».<br />
«Ah sì, adesso vuoi vedere che è colpa mia?».<br />
«Davvero, Edi, credimi, non è colpa mia». Persuaso dall’apparente garbo<br />
<strong>del</strong> fratello, Claudio si affrettò a chiarire. «Il ginecologo dice che l’effetto<br />
contraccettivo <strong>del</strong>la p<strong>il</strong>lola viene meno nel caso si prendano determinati<br />
farmaci. Alcuni antibiotici, ad esempio. E così è stato, bastarda di una<br />
merda».<br />
Egidio non disse nulla per qualche secondo. Scuoteva la testa, <strong>il</strong> buio degli<br />
occhi chiusi <strong>il</strong>luminato da un sottofondo di bestemmie urlate<br />
s<strong>il</strong>enziosamente. Il colpo aveva lasciato <strong>il</strong> segno. «Barbara vuol tenerlo,<br />
allora?».<br />
«Sì».<br />
«A tutti i costi?».<br />
«In che senso?».<br />
«Nel senso che è disposta a portare avanti la gravidanza anche senza <strong>il</strong> tuo<br />
appoggio?».<br />
Claudio si prese qualche istante prima di rispondere. «Edi, questo è uno<br />
scenario che non prendo neanche in considerazione. Io sono <strong>il</strong> padre <strong>del</strong><br />
bambino che le sta crescendo dentro e non ho intenzione di lavarmene le<br />
mani». Il punto di rottura sembrava molto prossimo ad essere raggiunto.<br />
Di nuovo. «Hai da insegnarmi qualcosa anche in questo senso?».<br />
«La risposta te la sei data da solo…».<br />
«Ma dai, raccontami allora. Non sapevo che avessi dei figli…».<br />
«Non è necessario avere dei figli per arrivare a capire determinate cose. Tu<br />
ne sei l’esempio».<br />
«Eh?!».
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 61<br />
«Non penso di sbagliarmi quando dico che essere padre vuol dire crescere<br />
una creatura, educarla. Non semplicemente concepirla».<br />
«In altre parole mi stai dicendo che, oltre che mio fratello, ti consideri pure<br />
mio padre?».<br />
«Sì, per certi versi, sì».<br />
Claudio si produsse in una risata teatrale, sulla cui totale assenza di<br />
spontaneità Egidio non nutriva dubbi.<br />
«Non fare lo scemo, sto parlando seriamente».
62 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Ventitre<br />
di Masco<br />
In piedi sotto una pens<strong>il</strong>ina a ripararsi da un freddo <strong>del</strong> tutto inatteso e che,<br />
incurante <strong>del</strong>la logica alternanza <strong>del</strong>le stagioni, ha trasformato i giorni più<br />
miti di inizio autunno in un saggio <strong>del</strong>l’inverno che è ancora lungi<br />
dall’arrivare. Almeno per <strong>il</strong> calendario. Un libro in mano nell’attesa<br />
<strong>del</strong>l’autobus, gli occhi a scandire parola per parola <strong>il</strong> racconto che fino a<br />
un paio di settimane prima lo entusiasmava come pochi, ma che nel<br />
contingente non riesce a distrarlo dai pensieri che occupano esclusivi la<br />
sua mente. Legge, ma non c’è parola o frase che riesca a sovrastare<br />
l’estenuante sottofondo che risuona nella sua testa: la voce ovattata di un<br />
noto cantante, di cui non ricorda <strong>il</strong> nome, rimbalza da un emisfero all’altro<br />
<strong>del</strong> suo cervello ripetendogli che This is the end, beautiful friend, this is<br />
the end, my only friend, the end. D’altri tempi avrebbe fatto di tutto per<br />
dare un volto a quella voce. E per scoprire <strong>il</strong> titolo di quel brano. Questa<br />
volta no. Questa volta non gli frega proprio un cazzo né di lui, né <strong>del</strong> suo<br />
gruppo e ancora meno di quella maledetta canzone. L’anatema che gli ha<br />
lanciato va ben oltre l’apparenza di un’infausta cant<strong>il</strong>ena e <strong>il</strong> messaggio di<br />
cui si fa portatore gli impone, senza mezzi termini, una scelta: accettarne<br />
le lusinghe o combatterle strenuamente. La consapevolezza <strong>del</strong>la sua<br />
incertezza è più di una mezza risposta e <strong>il</strong> pensiero <strong>del</strong>la resa non lo<br />
spaventa come dovrebbe. E’ di questo che ha veramente paura.<br />
L’autobus arriva e, sebbene fossero già saltate due corse, <strong>il</strong> conducente<br />
spegne <strong>il</strong> motore e si dirige compassato verso <strong>il</strong> chiosco all’angolo <strong>del</strong>la<br />
strada, incurante <strong>del</strong> vociare <strong>del</strong>la gente che aspetta infreddolita da oltre<br />
mezz’ora. Masco sale e, nonostante l’assembramento, trova un seggiolino<br />
libero su cui sedersi. Di fronte a sé un ragazzino sudamericano con due<br />
cuffie enormi alle orecchie, dal volume alto e in parte nascoste da un<br />
cappello di lana a maglie larghe, azzurro, senza visiera; chiude <strong>il</strong> libro, che<br />
comunque non riusciva a leggere, e tira fuori dalla borsa <strong>il</strong> lettore portat<strong>il</strong>e,<br />
cosciente che gli sarebbe servito non tanto per distrarsi, quanto per evitare<br />
<strong>il</strong> fastidioso ronzio hip hop che echeggia intermittente in quell’atmosfera<br />
già di per sé satura di rumori.<br />
John Mayall, la sua personale medicina per i mali <strong>del</strong> cuore, non è efficace<br />
come in tante altre occasioni. Giusto <strong>il</strong> tempo di realizzarlo – <strong>il</strong> piede<br />
immob<strong>il</strong>e nonostante l’assolo di chitarra di Good Times Boogie – che gli<br />
occhi gli si velano di un leggero strato di lacrime: non è per via <strong>del</strong>
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 63<br />
fastidioso vento che entra dalle porte ancora aperte, ma per <strong>il</strong> pensiero di<br />
doversi separare da suo figlio. La frag<strong>il</strong>ità <strong>del</strong> compromesso su cui era<br />
fondato <strong>il</strong> matrimonio con Cristiana e la sua inevitab<strong>il</strong>e instab<strong>il</strong>ità hanno<br />
obbligato lui e la moglie a equ<strong>il</strong>ibrismi logoranti. Che nel tempo, esaurita<br />
la passione di un rapporto molto intenso, hanno tolto a entrambi la<br />
speranza in un futuro migliore. Un futuro che da qualche giorno s’è fatto<br />
presente. <strong>Lo</strong>ntano da suo figlio. Senza Patrizio.<br />
L’autobus finalmente parte. Il triste squallore <strong>del</strong>la periferia m<strong>il</strong>anese<br />
sembra lo scenario più adatto al disagio che sta s<strong>il</strong>enziosamente vivendo.<br />
Campi di grano bruciati dal prematuro gelo, le baracche lungo <strong>il</strong> Lambro e<br />
<strong>il</strong> far west <strong>del</strong>le case popolari. Il traffico <strong>del</strong>l’ora di punta sulla tangenziale<br />
e poi, dopo <strong>il</strong> rosso di quell’interminab<strong>il</strong>e semaforo, la sua fermata.<br />
Entra in casa, a dargli <strong>il</strong> benvenuto solo Rufus, <strong>il</strong> suo vecchio cane. Lui<br />
scodinzola eccitato e per qualche istante la sua piacevole accoglienza lo<br />
rinfranca. Toglie <strong>il</strong> giubbotto, lo butta su una sedia e si sdraia per terra,<br />
supino. Mani davanti agli occhi, sente la rabbia fluire per tutto <strong>il</strong> corpo e<br />
materializzarsi in vortici di invisib<strong>il</strong>e aria che sfoga, veemente, dal naso.<br />
Si alza di scatto e comincia a girare nervosamente per la stanza, poi va in<br />
camera e prende a calci ogni oggetto si trovi sulla sua strada. Perde <strong>il</strong><br />
controllo dei nervi. Piange fiumi di amaro veleno e urla <strong>il</strong> suo dolore<br />
incurante di quello che possono pensare i vicini. Soffre, consapevole che<br />
alla sua disperazione non c’è rimedio. Questa volta è davvero finita.<br />
Mortificato, va avanti nel suo <strong>del</strong>irio incontrollato alla ricerca di una<br />
soluzione che non c’è. Fino a che, esaurite le energie nervose, si appoggia<br />
sul letto e, senza neanche accorgersene, si addormenta.<br />
Si risveglia dopo un paio di ore, in preda a un forte mal di pancia. Un<br />
fuoco intermittente pervade le sue viscere, stavolta non in senso lato. Si<br />
siede sul cesso, ma i suoi sforzi producono solo rumore, niente più. Prova<br />
a mangiare qualcosa e così, lentamente, <strong>il</strong> dolore si attenua fino a<br />
diventare un semplice fastidio. Si sente più calmo rispetto a prima.<br />
Accende l’ennesima sigaretta di una giornata in cui ha ecceduto anche nel<br />
fumare e cerca un motivo che lo possa distogliere da qualsiasi pensiero.<br />
Prova con la televisione, ma spegne dopo aver constatato che nessuna di<br />
quelle idiozie avrebbe potuto distrarlo. Di ascoltare <strong>del</strong>la musica non ha<br />
proprio voglia, nemmeno di leggere. Ha bisogno di qualcosa che sappia<br />
strappare con decisione le catene che lo obbligano a vagare come un folle<br />
intorno al nulla, ma non sa proprio dove rivolgere le proprie attenzioni. Un<br />
salto al bar potrebbe essere un’idea, ma nello stato in cui si trova non ha
64 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
certo la forza di parlare o anche solo la voglia di ascoltare. Decide di<br />
portare giù <strong>il</strong> cane, nella speranza che <strong>il</strong> freddo possa in qualche modo<br />
scuoterlo.<br />
Al rientro, dopo circa un’ora in giro per i giardini <strong>del</strong>la zona, si accorge<br />
che nella cassetta <strong>del</strong>la posta c’è una busta. Non è la banca che comunica<br />
che i tassi <strong>del</strong> mutuo sono stati nuovamente rialzati. Né una bolletta e<br />
nemmeno una pubblicità. Sul retro trova scritto a mano un nome che gli<br />
suona vagamente fam<strong>il</strong>iare. Entra in casa.<br />
Ero a tavola, assorto nel guardare la televisione. Non ricordo quale<br />
programma in particolare: dato l’orario, probab<strong>il</strong>mente un cartone<br />
animato. Non feci quindi caso ai rumori che provenivano dal portone,<br />
rumori che invece furono chiaramente colti da mio padre. Troppo decisi,<br />
quei colpi, per passare inosservati. Almeno per un adulto. Lui mi chiese di<br />
alzarmi e di andare a vedere cosa stesse succedendo in cort<strong>il</strong>e e così mi<br />
affacciai al balcone e vidi Marina in una pozza di sangue. Sapevo che tu e<br />
Dante eravate lì con lei, ci eravamo da poco salutati prima che io mi<br />
sedessi a tavola, ma di voi due non vi erano tracce.<br />
Eravate voi a scuotere <strong>il</strong> portone nella speranza di riuscire a scappare da<br />
quell’inferno. Siete stati voi a richiamare l’attenzione di mio padre.<br />
Ancora sul balcone, mi girai e dissi che «a Marina esce <strong>il</strong> sangue dal<br />
naso» e così mio padre si precipitò a vedere con i propri occhi. Appena si<br />
rese conto di quello che stava succedendo mi urlò di andare dentro e,<br />
dopo aver detto qualcosa a mia madre, senza neanche vestirsi, corse giù.<br />
A piedi nudi. E’ stato lui a soccorrere Marina per primo mentre mia<br />
madre chiamava <strong>il</strong> 113.<br />
Non capivo. Avevo nove anni e non sapevo che potessero accadere certe<br />
cose. Ho sentito le urla <strong>del</strong>la Paola e poi le voci che si sovrapponevano<br />
progressivamente mentre <strong>il</strong> cort<strong>il</strong>e si affollava di gente richiamata dal<br />
trambusto e dalla sirena <strong>del</strong>l’ambulanza. Immaginavo stesse succedendo<br />
qualcosa di grave, ma non trovavo <strong>il</strong> coraggio di affacciarmi e guardare.<br />
Mio padre mi aveva detto di stare in casa e io, mosso dal terrore che<br />
avevo letto nei suoi occhi, obbedii ligio.<br />
Poi, non ricordo quanto tempo dopo, lui è tornato su. Era scosso.<br />
Tremava. Gli occhi ancora lucidi. La sua canottiera e i suoi calzoni corti<br />
erano completamente intrisi di sangue. Le sue mani, la sua faccia, le sue<br />
gambe. Sangue dappertutto.<br />
Mi spiegò cosa era successo.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 65<br />
Avevo nove anni e non sapevo che potessero accadere certe cose.<br />
Masco, immagino tu sappia che la piazza, allo stato attuale, è un cantiere<br />
aperto. I lavori, che tanto ho sollecitato da che mi sono insediato nel<br />
consiglio di zona, dovrebbero terminare alla fine di ottobre e per <strong>il</strong> 9<br />
novembre è prevista l’inaugurazione. Saranno presenti alcuni<br />
rappresentanti <strong>del</strong> comune e in quell’occasione verrà esposta una targa in<br />
memoria di Marina Vannucchi. La nostra amica Marina. Mi piacerebbe<br />
rivederti dopo tanto tempo. Rivedere te e i ragazzi con i quali siamo<br />
cresciuti. L’appuntamento è per le ore 14:30 davanti al bar.<br />
Un abbraccio,<br />
Lino Cavenaghi
66 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Ventiquattro<br />
Finale<br />
Una finale non è solo una partita di calcio, una finale è molto di più. Una<br />
finale è innanzitutto <strong>il</strong> sogno a occhi aperti che non ti vergogni di fare nel<br />
momento in cui decidi di iniziare qualcosa, qualunque cosa essa sia. Un<br />
sogno che tieni per te e basta, che ti appartiene in modo <strong>del</strong> tutto esclusivo,<br />
che non si cura dei s<strong>il</strong>logismi <strong>del</strong>la logica materiale.<br />
Nel caso specifico, la finale è <strong>il</strong> punto più alto da raggiungere in una<br />
competizione agonistica. Così come lo è pubblicare un disco per un<br />
aspirante musicista o organizzare una mostra per un pittore alle prime<br />
armi. E’ un obiettivo ambizioso, smaccatamente immodesto per quanto<br />
infondato, ma è anche un modo di dimostrare a te stesso tutta la tua<br />
determinazione. E’ fiducia incondizionata nelle tue capacità, è <strong>il</strong> desiderio<br />
di dar tutto ciò di cui ti senti in grado. Voglia di fare bene, volontà di<br />
alimentare l’entusiasmo di cui non puoi fare a meno.<br />
Alla finale dedichi i tuoi pensieri fino a che non ti trovi obbligato ad<br />
affrontare le difficoltà <strong>del</strong> contingente, perché non puoi permetterti di<br />
distoglierti un solo istante, non uno, dalla realtà.<br />
La finale si presenta dunque come un sogno, ma ben presto assume i tratti<br />
infidi <strong>del</strong>la distrazione. Della sensazione di aver perso di vista <strong>il</strong> vero<br />
obiettivo. Della paura di rimanere <strong>del</strong>uso, di aver caricato di troppe<br />
aspettative <strong>il</strong> tuo lavoro.<br />
Spaventato ma non per questo meno risoluto, decidi di vivere alla giornata<br />
e di sputare sangue a prescindere da quello che sarà <strong>il</strong> risultato finale.<br />
Perché hai imparato che dare <strong>il</strong> meglio di te in qualunque cosa tu faccia è<br />
sempre una vittoria.<br />
Partita dopo partita la speranza di centrare <strong>il</strong> tuo obiettivo si fa concreta.<br />
Vinci <strong>il</strong> tuo girone e poi anche i quarti di finale. Il triplice fischio<br />
<strong>del</strong>l’arbitro sancisce la fine <strong>del</strong>la semifinale e ti riporta indietro nel tempo<br />
fino al giorno in cui, guardandoti allo specchio, hai visto l’immagine<br />
riflessa di un volto sconosciuto ma allo stesso tempo fam<strong>il</strong>iare che, con<br />
una voce molto rassicurante ti diceva di non farti condizionare dalle tue<br />
ricorrenti e ingiustificate nevrosi, di provarci. Un volto che, finale dopo<br />
finale, ti somiglia sempre di più e che, con i fatti, rivendica le proprie<br />
ragioni.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 67<br />
La finale è quindi l’attesa che <strong>il</strong> sogno si compia. Un’attesa che ti riempie<br />
<strong>del</strong>le vibrazioni di cui <strong>il</strong> quotidiano è avaro e che, proprio in ragione di<br />
questo, vorresti durasse all’infinito: per continuare a sperare mentre <strong>il</strong><br />
cuore ti batte forte esattamente come se tu fossi lì, in campo, ma senza<br />
correre <strong>il</strong> rischio, tempo quaranta minuti, di piangere <strong>il</strong> tuo fallimento.<br />
Perché di finali ne hai già perse e perché sai che di fronte al dolore <strong>il</strong><br />
sogno è un azzardo con <strong>il</strong> quale potresti non voler più incrociare la spada.<br />
La finale finisce quando ha inizio la contesa: <strong>il</strong> campo ha la forza di<br />
cancellare qualsiasi emozione, ti libera dall’attesa e ti consegna a una<br />
partita che, dopo tutto, è una partita come nei hai giocate a centinaia in<br />
piazza con gli amici, in corridoio durante <strong>il</strong> quarto d’ora d’intervallo, a<br />
piedi scalzi su una spiaggia assolata oppure sull’erba bruciata di un parco<br />
di periferia. Il campo restituisce l’immagine di quello che realmente sei e<br />
le Mine Vaganti dimostrano sin da subito tutta la loro determinazione. La<br />
loro ultima sconfitta, arrivata proprio per mano <strong>del</strong> Precotto e con ben<br />
nove gol di passivo, è un incidente di percorso maturato quando ormai i<br />
giochi erano fatti, un incidente comunque dimenticato.<br />
Iniziano arrembanti i cinque <strong>del</strong> quintetto di partenza e sv<strong>il</strong>uppano una<br />
gran mole di gioco: arrivano in più di un’occasione a un passo dalla<br />
segnatura, ma sulla loro strada trovano un portiere in stato di grazia, che<br />
tiene in linea di galleggiamento i suoi giovani compagni con grandissime<br />
parate. Col passare dei minuti l’ardore dei rossoblu si spegne<br />
progressivamente, fino a che l’equ<strong>il</strong>ibrio non prende <strong>il</strong> sopravvento. Il<br />
primo tempo sembra essere in dirittura d’arrivo, quando <strong>il</strong> Borla impiega<br />
un istante più <strong>del</strong> dovuto nel lasciare la marcatura <strong>del</strong>l’uomo che, dalla sua<br />
fascia, si stava def<strong>il</strong>ando in una posizione non pericolosa. Un solo istante<br />
sarebbe stato sufficiente per uscire in tempo sul capitano dei gialloverdi ed<br />
evitare che questi scoccasse col mancino <strong>il</strong> tiro che si insacca alla destra di<br />
un incolpevole Asto e sul quale si chiude la prima frazione.<br />
I ragazzi sono sparpagliati di fronte alla loro panchina, in piedi, lungo la<br />
linea laterale. Parlano, ascoltano <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa, si danno consigli reciproci,<br />
bevono <strong>del</strong>l’acqua oppure liquidi acidi dai colori sintetici. L’unico distante<br />
è <strong>il</strong> Capitano, mani in faccia, seduto a pensare a come sia possib<strong>il</strong>e venire<br />
a capo di una partita senza giocare, badando sempre e solo a non correre<br />
rischi per poi ripartire. Stufo di sacrificarsi in quel ruolo di boa offensiva<br />
che, risultati alla mano, serve solo a prendere un fallo, un calcio d’angolo<br />
o una rimessa. Palesemente in contrasto con le indicazioni <strong>del</strong> Mister, ma
68 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
anche questa volta zittito dalle evidenze. Lui non vuol proprio farsene una<br />
ragione, ma <strong>il</strong> dubbio si è insinuato anche nella sua di testa: questo è uno<br />
sport in cui vince chi ne prende uno di meno, non chi ne fa uno di più.<br />
Un’evidenza che, per un attaccante, è penalizzante come la catena per un<br />
cane. Ma lui di quella squadra è anche <strong>il</strong> Capitano e lui quella cazzo di<br />
coppa la vuole per sé. Abbandona i suoi propositi e si unisce ai compagni.<br />
Proviamoci, si dice, non ci sono alternative.<br />
<strong>Lo</strong> svantaggio non fiacca le velleità <strong>del</strong>le Mine Vaganti, che ritemprate dai<br />
cinque minuti di pausa riprendono le ost<strong>il</strong>ità con lo stesso piglio con cui le<br />
avevano iniziate.<br />
[Un fallo] Su un lancio lungo di Asto, <strong>il</strong> Capitano si trova a contatto con <strong>il</strong><br />
suo diretto avversario che, vistosi superato, gli si attacca alla maglia e<br />
commette fallo un passo fuori dall’area di rigore. Sulla conseguente<br />
punizione <strong>il</strong> Capitano finge <strong>il</strong> tiro e la tocca piano per Jimmy, che non ha<br />
difficoltà a insaccare <strong>il</strong> gol <strong>del</strong> pareggio. Il momento sembra propizio e le<br />
Mine Vaganti cercano di approfittarne con un’iniziativa <strong>del</strong> Borla, sulla<br />
quale l’angolo che lui stesso rivendicava non trova però l’avallo<br />
dall’arbitro.<br />
[Rapide ripartenze] Il contropiede degli avversari è immediato e due<br />
tocchi di palla sono sufficienti per arrivare davanti alla porta e battere<br />
nuovamente <strong>il</strong> portiere rossoblu.<br />
[Una rimessa laterale] In questi frangenti lo scoramento nel vedersi<br />
nuovamente sotto nel punteggio nonostante lo sforzo profuso potrebbe<br />
cambiare <strong>il</strong> corso <strong>del</strong>la partita, che viene infatti raddrizzata solo grazie al<br />
mestiere <strong>del</strong> Capitano, ab<strong>il</strong>e a trasformare un’innocua rimessa laterale nel<br />
gol <strong>del</strong> secondo pareggio.<br />
[Un calcio d’angolo] Nonostante <strong>il</strong> gran numero di cambi a disposizione,<br />
l’impressione è che entrambe le squadre siano in debito d’ossigeno e al<br />
3a2 segnato da Gianlukakà su angolo calciato da Ami segue subito <strong>il</strong> 3a3<br />
che <strong>il</strong> Precotto realizza proprio sugli sv<strong>il</strong>uppi di un calcio da fermo. La<br />
complicità di Jimmy e Gianlukakà sulla segnatura avversaria è evidente.<br />
Si ricomincia ancora daccapo e ora più che mai ogni errore, con pochi<br />
minuti ancora da giocare, potrebbe scrivere <strong>il</strong> destino <strong>del</strong>la partita.<br />
[Non correre rischi] Su una rimessa laterale di Jimmy, è infatti un<br />
controllo velleitario di un difensore gialloverde a consegnare la palla al<br />
sinistro di Dado, che calcia con violenza e insacca proprio sotto la<br />
traversa. Precotto deve necessariamente alzare <strong>il</strong> baricentro e lascia molto
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 69<br />
campo a disposizione <strong>del</strong>le Mine Vaganti, che si trovano a giocare sul<br />
terreno a loro più congeniale. Lancio lungo di Asto per <strong>il</strong> Capitano che<br />
segna dopo aver aggirato <strong>il</strong> proprio marcatore e poi ancora una sgroppata<br />
sulla sinistra di Dado che, dopo aver scartato un avversario, passa a<br />
Forrest <strong>il</strong> pallone <strong>del</strong> definitivo 6a3. Gli sguardi smarriti dei ragazzi <strong>del</strong><br />
Precotto autorizzano a festeggiare la vittoria ben prima che l’arbitro<br />
sancisca la fine <strong>del</strong>le ost<strong>il</strong>ità: non era un sogno, ma un presagio. Le Mine<br />
Vaganti sono Campioni Provinciali.
70 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Venticinque<br />
di regali indesiderati<br />
«Avevo la tua età quando mi hanno regalato te e i tuoi cinque anni. E’ per<br />
questo che vorrei che la vita ti offrisse qualcosa di meglio, perché so cosa<br />
vuol dire sacrificare tutto, davvero tutto, per una decisione presa da altri».<br />
«Tu ti devi fare curare».<br />
«E perché mi dovrei far curare, eh?! Perché t’ho detto che fare un figlio,<br />
per una coppia, è una decisione da prendere insieme? E’ per questo che<br />
dovrei farmi curare?».<br />
«Ma vaffanculo, va».<br />
«Oh, ma vaffanculo cosa? Vaffanculo cosa?!».<br />
«Ma vaffanculo a te e al tuo cinismo di merda. Al tuo aver sempre una<br />
risposta pronta e che debba per forza essere all’opposto di quello che<br />
pensa <strong>il</strong> resto <strong>del</strong> mondo».<br />
«Perché, <strong>il</strong> resto <strong>del</strong> mondo cosa pensa?».<br />
«Ma vaffanculo, va».<br />
«Oh, pezzettino di merda, rispondimi. Dimmelo, avanti. Dimmi cosa<br />
pensa <strong>il</strong> resto <strong>del</strong> mondo! Dimmelo!».<br />
«Il resto <strong>del</strong> mondo pensa che in certi momenti <strong>il</strong> proprio egoismo si<br />
debba mettere da parte. Specie quando c’è di mezzo una donna che ami e<br />
quello che sarà tuo figlio».<br />
«Egoismo? Ma chi è che ti sta obbligando a diventare padre contro la tua<br />
volontà, eh? Chi è che ha fatto casino con la p<strong>il</strong>lola, tu o lei? E poi, non<br />
essere ridicolo, cazzo ne sai te <strong>del</strong>l’amore? La conosci sì e no da un paio<br />
di mesi quella, come puoi pensare di…».<br />
«Tu devi farti curare».<br />
«Dove cazzo vai, vieni qua».<br />
«Mollami <strong>il</strong> braccio».<br />
«Non fare <strong>il</strong> coglione, siediti».<br />
«Perché dovrei sedermi? Perché dovrei continuare ad ascoltare le stronzate<br />
di uno che mi considera un peso per la propria vita, eh?».<br />
«Sai perché devi sederti, lo sai perché? Perché certe decisioni le devi<br />
prendere con la testa. Perché certe decisioni condizioneranno ogni singolo<br />
giorno <strong>del</strong>la tua vita. Per questo devi ragionare, per questo ti devi sedere e<br />
provare a ragionarci su un attimo. Per questo. Vieni qui, non fare <strong>il</strong> pirla».
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 71<br />
Ventisei<br />
<strong>del</strong>la piazza<br />
«Al posto dei muri <strong>del</strong>la Borletti, le sue immense finestre con le grate<br />
contro le quali giocavamo a pelota e gli spuntoni sul tetto <strong>del</strong>la mensa che<br />
ci bucavano i pantaloni quando andavamo a recuperare palline o palloni, al<br />
posto di tutto questo ora c’è lo sfarzo <strong>del</strong> Grand Hotel Marriott, le sue<br />
bandierine colorate, i marmi pregiati, <strong>il</strong> rame luccicante. Cinque stelle e<br />
non meno di quattrocentom<strong>il</strong>a lire a notte, roba che i nostri genitori<br />
avrebbero dovuto lavorare una settimana intera per poterci dormire una<br />
notte. Al posto degli operai ci sono turisti e uomini d’affari, al posto <strong>del</strong>le<br />
famiglie d’immigrati ora ci sono calciatori, musicisti e presentatrici TV.<br />
Aiuole ben curate, cestini sempre vuoti, l’altalena e <strong>il</strong> cavallino con la<br />
molla».<br />
«E… e allora? Di cos’è che ti lamenti?».<br />
«Di cosa mi lamento? Sai di cosa mi lamento? Mi chiedo, ad esempio,<br />
dove possono giocare i bambini. Insieme intendo, mica ognuno su una<br />
giostrina diversa. Mi chiedo dove possono giocare a pallone. Mi chiedo<br />
dove corrono i cani. Dove pisciano, se non per terra. Dove cagano, se non<br />
dove poi tu ci appoggi i piedi».<br />
«Cioè, tu vuoi dirmi che preferivi lo schifo di prima? Che quando pioveva<br />
la piazza rimaneva allagata per giorni e che d’inverno non si poteva<br />
respirare per <strong>il</strong> fumo che la Lalla faceva con i suoi fuochi?».<br />
«Ah, la Lalla, giusto. Ma com’è che nessuno ha mai saputo chi ha<br />
ammazzato la Lalla? Com’è che ha vissuto per una decina d’anni in piazza<br />
e poi, misteriosamente, appena è stato aperto ‘sto grand hotel di ‘sto gran<br />
cazzo la Lalla è stata misteriosamente uccisa?».<br />
«Senti, Alfredo, non mi scassare la minchia a gratis. Che cazzo ne so io<br />
<strong>del</strong>la Lalla…».<br />
«Sai che non esiste neanche un fascicolo sulla morte <strong>del</strong>la Lalla? Neanche<br />
uno».<br />
«E perché non c’indaghi tu, ispettore Zenigata dei poveri?».<br />
«Fanculo Lino, non hai ancora capito un cazzo».<br />
«Sì, ora che lavori in Polizia hai capito tutto tu».<br />
«Perché, c’è qualcosa che non va col mio lavoro?».<br />
«Ci mancherebbe altro. E’ che ti preferivo com’eri prima, quando ti<br />
fumavi <strong>il</strong> dado che <strong>il</strong> figlio <strong>del</strong> padrone <strong>del</strong> bar ti spacciava per Pakistano<br />
di prima qualità…».
72 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
«Guarda che quello che c’aveva sempre <strong>il</strong> fumo pacco eri tu, bello…».<br />
«Sì, sì… senti, ci vediamo più tardi. E’ arrivato <strong>il</strong> Sindaco, devo andare».
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 73<br />
Ventisette<br />
<strong>del</strong>le Mine Vaganti<br />
Giacomo ha ripreso a parlare. Prevalentemente da solo, dal momento che<br />
l’odio che prova per <strong>il</strong> genere umano non lo rende una persona di<br />
piacevole compagnia. A volte inciampa su qualche s<strong>il</strong>laba, ma si rialza<br />
facendo finta di niente.<br />
Egidio ha saputo amministrare con sorprendente criterio la dote lasciatagli<br />
dai genitori e oggi, a quindici anni dalla loro ascetica partenza, si trova<br />
nella condizione di poter vivere di rendita senza farsi mancare nulla.<br />
Colleziona lauree e a tempo perso insegna l’italiano agli stranieri di una<br />
comunità laica di sostegno all’immigrazione.<br />
Claudio, a differenza <strong>del</strong> fratello, ha lasciato dopo pochi esami l’università<br />
e si occupa di compravendita di fumetti e pubblicazioni d’annata. L’amore<br />
che nutriva per Barbara non era forte come immaginava e dopo l’aborto<br />
spontaneo con cui si è conclusa l’inaspettata gravidanza le loro strade si<br />
sono separate.<br />
Alfredo ha scoperto che la sua pulsione verso i drogati era più che un<br />
banale espediente per passare le ore di religione: si è arruolato in Polizia e<br />
dopo i primi quattro anni di ferma volontaria è riuscito a ottenere <strong>il</strong><br />
trasferimento nella sezione narcotici.<br />
Federico e Mauro si sono entrambi sposati e vivono di lavoro, pay TV e<br />
domeniche nei centri commerciali. Per vincere la noia <strong>del</strong> quotidiano si<br />
sono inventati rigattieri e svuotano gratis cantine e solai: la speranza è di<br />
poter alimentare la loro collezione di oggetti vintage, specie riviste, meglio<br />
se erotiche. La verità è che la fredda bellezza di Gloria Guida e la sensuale<br />
femmin<strong>il</strong>ità di Laura Antonelli sono tuttora gli ingredienti base <strong>del</strong>le loro<br />
migliori erezioni.<br />
Dante è tornato dalla Calabria e continua a non incontrare una sola ragazza<br />
di cui innamorarsi veramente. Inizia però a compiacersene, già che passare<br />
da un letto all’altro non gli è poi così sgradito.<br />
Sergio, negli anni, ha compreso che <strong>il</strong> suo problema con l’altro sesso ha un<br />
nome che non può prestarsi al dubbio: omosessualità. Non è tipo da parate,<br />
ma non fa nulla per nascondere i suoi costumi.<br />
Masco, scosso dalla separazione, oltre che moglie e figlio ha perso pure <strong>il</strong><br />
lavoro. Quel ritornello, se possib<strong>il</strong>e, gli risuona per la testa ancor più che<br />
prima. Quanto meno, ha realizzato che la voce è di Jim Morrison.
74 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Giacomo, Egidio, Claudio, Alfredo, Federico, Mauro, Dante, Sergio e<br />
Masco hanno risposto alla chiamata di Lino Cavenaghi e <strong>il</strong> 9 novembre si<br />
sono fatti trovare puntuali in piazza. Davanti al bar, insieme a qualche<br />
decina, forse un centinaio, di persone. Tra cui Franco, <strong>il</strong> padre di Marina,<br />
letteralmente irriconoscib<strong>il</strong>e rispetto agli ultimi giorni che passò tra le<br />
lamiere <strong>del</strong> chiosco prima di riprendersi dallo shock <strong>del</strong>la tragedia. Una<br />
cicatrice sulla nuca è tutto ciò che gli rimane di quel paio d’anni di deriva,<br />
almeno all’apparenza.<br />
Gli abbracci, le strette di mano, i tanti ch<strong>il</strong>i, i pochi capelli. Le mogli, i<br />
figli e le domande sugli amici di un tempo che Lino non è riuscito a<br />
rintracciare. La cerimonia, le autorità e poi i tavolini <strong>del</strong> bar che non<br />
riconoscono più come <strong>il</strong> posto in cui avevano passato gran parte <strong>del</strong>la loro<br />
adolescenza. Tante parole e i racconti di tante vite. Poi, quando <strong>il</strong><br />
momento dei saluti sembrava giunto, Federico propone agli amici di<br />
partecipare a un torneo di calcio a 5 di cui lui è organizzatore. «Dai<br />
ragazzi, mi manca una squadra e non so proprio dove sbattere la testa.<br />
Sono sette partite, una alla settimana per meno di due mesi. Giochiamo<br />
tardi, anche alle dieci se non riuscite a liberarvi prima. Il calendario lo<br />
gestisco io e posso venire incontro a qualsiasi necessità».<br />
Si fecero tutti pregare. Alcuni anche troppo, specie Giacomo. Ciò<br />
nonostante, Federico riuscì a comporre la squadra. Una squadra che non<br />
poteva avere nessuna velleità, ma la loro squadra. Ognuno col proprio<br />
ruolo, un po’ come accadeva una ventina d’anni prima quando si<br />
incontravano per andare a giocare a Trenno la domenica mattina. Vestiti di<br />
una maglia rigorosamente rossoblu.<br />
«Hai già pensato anche al nome?» chiese qualcuno nell’eccitazione <strong>del</strong><br />
momento.<br />
«Ovviamente» rispose Federico. «O meglio: nel nome vorrei che fossero<br />
essere presenti una “M” e una “V”. E non c’è bisogno che vi dica a cosa<br />
quelle due lettere fanno riferimento. Se non riusciamo a trovare qualcosa<br />
che ci piaccia, beh, <strong>il</strong> nostro nome potrebbe essere MV». Fece una pausa.<br />
«Eh? Che ne dite?».<br />
Nessuno ebbe nulla da obiettare: MV oppure una parola composta<br />
contenente le due lettere. «Mine Vaganti» fece Giacomo, rompendo <strong>il</strong><br />
s<strong>il</strong>enzio in cui si era isolato da qualche minuto. «Mine Vaganti» dissero<br />
tutti, alzando in un brindisi quel che restava nei loro bicchieri.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 75<br />
Al volante <strong>del</strong>la propria ut<strong>il</strong>itaria lungo la strada che l’avrebbe riportato a<br />
casa, Sergio continuava a interrogarsi sulla ragione che ha portato a quelle<br />
due lettere. Nonostante paresse a tutti evidente al punto da non necessitare<br />
di spiegazioni, lui non aveva affatto capito che “M” e “V” erano le iniziali<br />
di Marina Vannucchi. Ci arrivò solo dopo qualche tempo. E solo per caso.
76 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Ventotto<br />
Cartelline Rosse<br />
E adesso - mi chiedevo ieri notte girando la chiave nella serratura <strong>del</strong>la<br />
porta di casa - e adesso?<br />
Entro in punta di piedi, facendo <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e affinché Monica e Astrid non<br />
si distolgano dalla loro veglia ormai prossima al capolinea, accendo la<br />
luce <strong>del</strong>l’ingresso e, nel togliere la giacca, svuoto le tasche; per le mani<br />
mi capita <strong>il</strong> referto arbitrale che, come mia abitudine, poco dopo pinzo<br />
alla distinta degli avversari. Apro la cartellina rossa in cui ho custodito<br />
tutto <strong>il</strong> materiale <strong>del</strong> campionato invernale e v’inf<strong>il</strong>o l’ultimo ricordo<br />
<strong>del</strong>la stagione. La finale. La vittoria. L’emozione che più di ogni altra<br />
volevo provare dal momento in cui ho ricevuto <strong>il</strong> calendario <strong>del</strong><br />
campionato. La vittoria.<br />
E adesso?<br />
Beh, mi dicevo, adesso potrò prendere la cartellina e riporla nell’armadio<br />
in cui accatasto tutte le mie cartacce. Non mi serve più averla sempre con<br />
me: adesso è <strong>il</strong> momento di pensare al campionato primaver<strong>il</strong>e ed è<br />
inut<strong>il</strong>e che continui a portarmela nello zainetto. Pesa per quanto piena, fa<br />
molto volume e, banalizzando anche oltre ogni ragionevole limite, non mi<br />
serve più.<br />
Indugio stranito a quel pensiero, e quasi mi condanno per quanta poca<br />
considerazione io stia avendo per la cartellina che contiene sette mesi<br />
pregni di grandi gioie e solo lievi dolori, sette mesi di sempre intense<br />
emozioni vissute con i miei compagni. Mi spavento anche, se devo dirla<br />
tutta, nel chiedermi se tutto può realmente esaurirsi così: quanti i pensieri<br />
per arrivare a questo momento, quante le notti spese a sognare di vedere<br />
<strong>il</strong> Capitano alzare la coppa? E io, io sono così scellerato e insensib<strong>il</strong>e da<br />
farne una mera questione di cartelline?<br />
La risposta al dichiarato paradosso di questa domanda è ovviamente no,<br />
la risposta è un’altra. Che non risiede certo dentro una cartellina, ma che<br />
con le cartelline ha comunque a che fare. Perché – facciamo finta che sia<br />
un gioco, proviamo a vederla così - la cartellina è un pezzo di vita. Un<br />
pezzo di vita di chi, come me, è alla perenne ricerca di emozioni.<br />
Emozioni che solo raramente si traducono in una coppa alzata al cielo,<br />
ma emozioni che ti fanno sentire vivo. Che ti distolgono dal quotidiano.<br />
Che ti fanno venire <strong>il</strong> batticuore ogni volta che la tua mente ti porta a
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 77<br />
spasso per sentieri tanto impervi quanto possib<strong>il</strong>i, per te che comunque ci<br />
vuoi sempre provare.<br />
Ci pensi bene, per quanto nelle tue capacità, e alla fine ti dici che sì, <strong>il</strong><br />
bello sta proprio nel chiudere una cartellina e riaprirne subito dopo<br />
un’altra. Senza pause, se non quelle fisiologiche di un’esistenza fatta di<br />
passioni ma soprattutto di doveri. Sempre distante da divano,<br />
telecomando e televisione. Sognando, e dandoti la concreta speranza che i<br />
tuoi sogni possano diventare realtà. Cosciente che <strong>il</strong> cercare, arricchito<br />
da un immenso e indissolub<strong>il</strong>e corollario di emozioni, è meglio che<br />
trovare.<br />
Per farla breve: voi, ragazzi, mi avete dato modo di cercare. Mi avete<br />
fatto vivere. Mi avete fatto sognare. E mi avete regalato la gioia di dire<br />
che sì, stavolta ce l’ho fatta. Voi non avete nemmeno idea di quanto ve ne<br />
sarò grato.<br />
Per sempre.<br />
Sì, per sempre. Perché lo spazio per le cartelline rosse non è infinito e<br />
ogni tanto qualcuna la prendi e la getti via. Ma non di certo questa<br />
cartellina rossa.<br />
Scritto dal <strong>Lo</strong>fa, venerdì 21 apr<strong>il</strong>e 2006, sul <strong>blog</strong> <strong>del</strong>le Mine Vaganti.
78 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Ventinove<br />
di tempi grami<br />
La spensieratezza e l’assoluta leggerezza che hanno sempre<br />
contraddistinto l’approccio alla competizione di ognuno dei ragazzi –<br />
ragazzi si fa per dire, vista la non più giovane età di alcuni di loro - sono<br />
venute meno nel momento in cui le Mine Vaganti hanno deciso di<br />
iscriversi al campionato d’Eccellenza, un gradino superiore rispetto alla<br />
competizione vinta l’anno precedente. Al divertimento fine a sé stesso,<br />
alla birra <strong>del</strong> dopo partita e alla scusa per star fuori almeno una volta alla<br />
settimana senza l’ombra di mogli figli o fidanzate hanno dovuto<br />
necessariamente anteporre un obiettivo, seppur di modesta portata. E <strong>il</strong><br />
loro proposito, a parte <strong>il</strong> rinnovato piacere di passare una serata insieme,<br />
altro non era se non la salvezza. Una stagione di apprendistato che nelle<br />
loro intenzioni sarebbe servita per verificare quanto lecite potessero essere<br />
le ambizioni a qualcosa di più appagante e in un futuro comunque non<br />
troppo remoto. Con l’aiuto <strong>del</strong> rientrante Casa, che dopo un paio di anni<br />
sabbatici ha ripreso a vestire la numero 2 alla quale Cel ha preferito <strong>il</strong><br />
Softball.<br />
Gli inizi hanno dato segnali decisamente incoraggianti: sconfitta di misura<br />
all’esordio, pareggio alla seconda contro un’ottima squadra e poi due<br />
vittorie di f<strong>il</strong>a. L’obiettivo non poteva certo cambiare dopo sole quattro<br />
giornate, ma la sensazione era che lo si potesse raggiungere con una<br />
fac<strong>il</strong>ità di gran lunga superiore a quanto ipotizzato. Un vero abbaglio. Un<br />
f<strong>il</strong>otto di sei sconfitte consecutive li ha repentinamente riportati con i piedi<br />
per terra e oggi, a quattro giornate dalla fine, l’ottimismo dei tempi<br />
migliori ha lasciato <strong>il</strong> passo al rude aspetto <strong>del</strong>la realtà: sebbene con un<br />
solo punto di svantaggio rispetto a chi li precede, oggi le Mine Vaganti<br />
occupano <strong>il</strong> terzultimo posto <strong>del</strong>la classifica. Se così finisse, la<br />
retrocessione non sarebbe evitata.<br />
Sono anche i giorni in cui Diego Armando Maradona sta affrontando una<br />
<strong>del</strong>le tappe più dure <strong>del</strong>la sua personale via crucis, ammantato dalle<br />
maddalene dei tempi moderni e – sembra - prossimo al ricongiungimento<br />
con <strong>il</strong> padre. Il figlio <strong>del</strong> dio calcio sta spogliandosi <strong>del</strong>la sua aura e, senza<br />
la dignità che da un messia ti aspetti, sopravvive suo malgrado al richiamo<br />
<strong>del</strong>la morte.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 79<br />
Trenta<br />
di Franco<br />
In un contesto scientifico <strong>il</strong> fenomeno si rappresenta ut<strong>il</strong>izzando la formula<br />
PE = mgh. Dove PE sta per energia cinetica e mgh è <strong>il</strong> prodotto di massa,<br />
forza gravitazionale e altezza.<br />
Un solido di massa pari a un ch<strong>il</strong>ogrammo, in caduta libera da venticinque<br />
metri di altezza sv<strong>il</strong>uppa, in virtù <strong>del</strong>la costante di gravitazione universale<br />
(9,8), una quantità di energia cinetica che al momento <strong>del</strong>l’impatto lo<br />
porta ad avere una forza di 245 Joule (1 x 25 x 9,8). Questo sta a<br />
significare che quell’oggetto, in meno di tre secondi (tempo di caduta),<br />
vede aumentare la propria forza fino a moltiplicarne <strong>il</strong> peso di 245 volte. A<br />
tale conclusione si è giunti grazie al contributo di un eclettico alchimista<br />
vissuto a cavallo tra <strong>il</strong> diciassettesimo e <strong>il</strong> diciottesimo secolo, all’anagrafe<br />
Sir Isaac Newton. Che con l’elaborazione <strong>del</strong>la seconda legge <strong>del</strong>la<br />
dinamica ha spianato la strada ai discendenti colleghi che ne hanno poi<br />
perfezionato i calcoli. Fino a giungere all’assunto PE=mgh.<br />
Nella realtà dei fatti, i 245 ch<strong>il</strong>ogrammi/forza sono concentrati in una<br />
mazzetta <strong>del</strong> volume di 50 centimetri cubici. Un ch<strong>il</strong>o di indistruttib<strong>il</strong>e<br />
ferro che, dopo aver assunto una traiettoria <strong>del</strong> tutto casuale, interrompe la<br />
propria corsa penetrando nell’emicranio sinistro di una bambina di tredici<br />
anni.<br />
Nessuno mai, se non per effetto <strong>del</strong> caso, sarebbe stato in grado di centrare<br />
un bersaglio così distante con un oggetto di così contenute dimensioni.<br />
Nessuno. A eccezione <strong>del</strong> destino, che ha fatto in modo che quel martello<br />
si dividesse in due parti: <strong>il</strong> manico stretto saldamente nella mano destra<br />
<strong>del</strong>l’inqu<strong>il</strong>ino <strong>del</strong>l’ottavo piano che stava applicando una zanzariera sul<br />
proprio balcone di casa, la mazzetta a testa arrotondata a volare nel vuoto.<br />
Senza una meta apparente. Semplicemente cadendo. Il cambiamento di<br />
moto è proporzionale alla forza risultante motrice impressa, e avviene<br />
lungo la linea retta secondo la quale la forza è stata impressa.<br />
Sangue misto a materia cerebrale che fuoriesce copioso senza soluzione di<br />
continuità. Tua figlia, prona e priva di sensi, con la scatola cranica<br />
sfondata da un martello che giace lì, indifferente, a pochi centimetri. Tua<br />
moglie che gira la bambina, se la stringe forte al petto come una puerpera,<br />
la scuote nel tentativo di risvegliarla. Urla straziata. Grida <strong>il</strong> suo nome.<br />
Sviene. I condomini affacciati con le mani tra i capelli, incapaci di tutto
80 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
tranne che di provare pietà. Gli sconosciuti che accorrono richiamati dal<br />
tuo dramma. Ti senti soffocare. Preghi nella speranza di risvegliarti sotto<br />
le lenzuola <strong>del</strong> tuo letto. Ma non ti sei mai addormentato.<br />
Arriva l’ambulanza e non appena Marina viene distesa sulla lettiga,<br />
Franco crolla. Chiude gli occhi per l’ultima volta. Non riuscirà più a farlo<br />
nelle tre settimane a venire.<br />
In una quindicina di giorni l’ematoma si riassorbe e i medici risvegliano la<br />
bambina dal coma farmacologico nel quale era stata mantenuta per<br />
preservarne le residue capacità cerebrali. Cosa ne sarà di lei? Sopravvivrà,<br />
innanzitutto? Se sì, ritornerà ad avere una vita normale oppure, come più<br />
volte paventato, rimarrà paralizzata? I pensieri si accavallano e ogni<br />
giorno nasce una nuova preoccupazione. Marina reagisce però bene e<br />
dopo due mesi di costante miglioramento i medici ne autorizzano le<br />
dimissioni. Il tempo e la forza di volontà faranno <strong>il</strong> resto. Gli ultimi esami<br />
e poi un’ultima notte in ospedale. Il risveglio nel buio di una luminosa<br />
giornata di sole. La cecità, figlia di un’infezione che insorge improvvisa.<br />
La morte nel volgere di un tramonto e un alba.<br />
Franco sente di non essere in grado di superare <strong>il</strong> castigo che gli è stato<br />
riservato dalla sorte: non mangia, non dorme, non va più a lavorare. Passa<br />
giorno e notte camminando in giro per la città, non torna più a casa, non è<br />
nelle condizioni di realizzare che, così facendo, accresce ulteriormente <strong>il</strong><br />
dolore <strong>del</strong>la moglie e <strong>del</strong>la figlia maggiore. Franco si sta lasciando<br />
trascinare dalla disperazione. Franco non trova un solo valido motivo per<br />
sopravvivere alla sofferenza.<br />
In un momento di rara lucidità prova <strong>il</strong> suicidio lanciandosi dal tetto <strong>del</strong><br />
primo stab<strong>il</strong>e che incontra sulla propria strada dopo aver litigato per una<br />
panchina di cui arrogava irragionevolmente la proprietà, ma a pochi metri<br />
dal suolo <strong>il</strong> suo corpo rimbalza sulle corde <strong>del</strong>lo stendibiancheria <strong>del</strong><br />
primo piano e, attutito l’impatto, lo schianto gli procura solo alcune<br />
fratture. Il ricovero in ospedale serve giusto per restituirgli qualche ch<strong>il</strong>o,<br />
non certo la sanità mentale. Riprende a vagabondare, a frugare nei cestini<br />
alla ricerca di croste di pizza e bibite avanzate, a dormire dove più gli<br />
aggrada. Viene alle mani con altri barboni per un pezzo di cartone, prende<br />
calci pugni e bastonate da chi non lo vuole vedere seduto davanti alle<br />
vetrine <strong>del</strong> proprio negozio, diventa s<strong>il</strong>enziofobico.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 81<br />
Un giorno, guidato dal caso, torna in piazza e, trovato un ricovero<br />
sufficientemente ospitale, decide di stab<strong>il</strong>irsi. Il chiosco verde che la<br />
merciaia ha abbandonato per un più confortevole negozio è senz’altro<br />
adatto a ripararlo dalle rigide temperature <strong>del</strong>l’inverno.
82 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Trentuno<br />
Ventunesima giornata<br />
«Servono nove punti, non uno di meno. E se qualche squadra molla <strong>il</strong><br />
colpo prima <strong>del</strong> dovuto, ad esempio chi sta nel limbo di metà classifica,<br />
potrebbero addirittura non essere sufficienti. Ma se vogliamo sperare di<br />
salvarci, <strong>del</strong>le prossime quattro dobbiamo vincerne almeno tre. Non<br />
abbiamo scelta». Estrae le tessere dalla cartellina rossa e segna sulla<br />
distinta, a penna, i numeri di maglia. «Gente, se non vinciamo oggi sono<br />
cazzi amari…». Il <strong>Lo</strong>fa è seduto su una panchina <strong>del</strong>lo spogliatoio <strong>del</strong><br />
palazzetto <strong>del</strong>lo sport di <strong>Lo</strong>cate Triulzi. Cerca di motivare i compagni<br />
mentre raccoglie i documenti d’identità, nell’attesa che la vestizione venga<br />
completata e che Dado finisca di spalmarsi <strong>il</strong> quadricipite <strong>del</strong>la gamba<br />
destra d’olio canforato, Prozac per muscoli stanchi non ancora rassegnati<br />
all’idea che alla soglia dei quaranta la sofferenza è parte <strong>del</strong> gioco. Che la<br />
vera partita da vincere è quella che oppone lo spirito <strong>del</strong>l’indomito Peter<br />
Pan al fisico <strong>del</strong>l’Highlander che non c’è più.<br />
«Oh, avete saputo di Ami?».<br />
«Sappiamo, Capitano, sappiamo» risponde Jimmy. «Stamattina io e <strong>il</strong><br />
Borla siamo andati all’ospedale a vedere la bimba. Troppo bella per<br />
somigliargli. Mi sa che la sua donna gli nasconde qualcosa, non trovi?».<br />
L’arbitro ha più volte sollecitato <strong>il</strong> riconoscimento, anche se manca oltre<br />
mezz’ora alle nove e mezza. Non bastasse <strong>il</strong> suo gratuito atteggiamento da<br />
represso caporale dai modi sempre indisponenti, lui, l’arbitro, è proprio<br />
quel vecchietto mezzo cieco che non prende mai decisioni, se non dopo le<br />
proteste <strong>del</strong>l’una o <strong>del</strong>l’altra squadra. Un vero controsenso visto <strong>il</strong> suo fare<br />
arrogante. I piedi incollati per terra e sempre, sistematicamente, nel punto<br />
meno indicato dal quale assegnare un fallo o decretare una rimessa. Un<br />
arbitro peggiore di questo non poteva essere convocato per una partita che<br />
si preannuncia molto accesa, vista l’importanza <strong>del</strong>la posta in gioco.<br />
Forrest, infortunatosi un paio di settimane prima, è comunque a referto,<br />
anche se in veste di dirigente accompagnatore. «Stai sereno, <strong>Lo</strong>fa, stasera<br />
Asto le prende tutte. E se perdessimo, beh, rientro io, battiamo Laboni e<br />
saldiamo <strong>il</strong> conto. Ci faccio su quello che vuoi…». Il <strong>Lo</strong>fa sorride, Laboni<br />
non l’ha ancora battuto nessuno, quest’anno.<br />
Oltre a Forrest, all’appello manca Ami, fresco papà di Carolina. Ma,<br />
sempre che la sua vecchia Fiesta non l’abbia lasciato a piedi per<br />
campagne, dovrebbe esserci GianluKakà, nella speranza che la sua
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 83<br />
presenza non sia fine alle sole rotazioni socialiste dettate dal cronometro.<br />
Serve qualità e lui, se in serata, sa essere davvero determinante.<br />
Le formalità burocratiche, <strong>il</strong> riscaldamento, la presentazione <strong>del</strong>le squadre<br />
e infine <strong>il</strong> calcio d’inizio. La cornice di pubblico non è quella <strong>del</strong>le<br />
precedenti occasioni e tra le f<strong>il</strong>a de Il Centro Sport A non è presente <strong>il</strong><br />
tanto temuto attaccante che lasciò un segno in<strong>del</strong>eb<strong>il</strong>e sulla gara d’andata.<br />
Una bella notizia, almeno all’apparenza. Si parte con Asto tra i pali, <strong>il</strong><br />
Casa in mezzo alla difesa, Jimmy e <strong>il</strong> Borla sulle fasce, <strong>il</strong> Capitano di<br />
punta. Dado sarà, come di consueto, <strong>il</strong> primo cambio. A ruota GianluKakà.<br />
Sempre che arrivi.<br />
La contesa ha inizio, ma le Mine Vaganti non sembrano accorgersene: in<br />
un crescendo di <strong>del</strong>iranti movenze dettate dalla sufficienza più insolente,<br />
in meno di quattro minuti la partita è sul 3a0 per gli avversari. Che fanno<br />
esattamente quello che vogliono, senza che vi sia <strong>il</strong> minimo ostacolo da<br />
parte dei rossi. Asto riesce anche a prendere un gol dalla trequarti<br />
avversaria. Trequarti di campo, sì, ma <strong>del</strong>l’altra metà <strong>del</strong> rettangolo di<br />
gioco. E’ un vero incubo. Il <strong>Lo</strong>fa cambia Dado per <strong>il</strong> Capitano, che sta<br />
vivendo una di quelle serate in cui pensa di poter prendere palla a<br />
centrocampo, scartare tutti gli avversari e arrivare in porta.<br />
Dimenticandosi completamente <strong>del</strong>la profondità e chiudendo ogni spazio<br />
per gli inserimenti dei compagni. Con l’aggiunta di GianluKakà in luogo<br />
di un impalpab<strong>il</strong>e e spesso fuori posizione Borla, la partita sembra essere<br />
più viva e le occasioni iniziano ad arrivare copiose. Ma due volte <strong>il</strong> palo e<br />
tantissime parate <strong>del</strong>l’ottimo portiere avversario impediscono la segnatura.<br />
Culmine <strong>del</strong> ridicolo di un primo tempo che sembra tratto da una<br />
sceneggiatura dei fratelli Cohen, GianluKakà scambia l’arbitro per un<br />
compagno e gli passa la palla su un calcio d’angolo. Contropiede solitario<br />
degli increduli avversari e 4a0. Sotto di quattro gol, la partita sembra<br />
finita. E con lei <strong>il</strong> sogno <strong>del</strong>la salvezza. La riaccende Jimmy con una<br />
punizione su cui si chiude un primo tempo molto lontano dalla soglia <strong>del</strong>la<br />
decenza. «Ci stiamo giocando un intero campionato e voi vi permettete di<br />
scendere in campo con questo approccio?». Il <strong>Lo</strong>fa è fuori dalla grazia <strong>del</strong><br />
dio che non ha. «Se questo è <strong>il</strong> modo in cui pensate di giocare a pallone,<br />
allora è proprio vero che noi non siamo una squadra da campionato<br />
d’Eccellenza!». Nessuno fiata, una volta tanto, tutti coscienti <strong>del</strong>la<br />
pochezza di quanto fatto fino a quel momento. «Adesso cerchiamo la palla<br />
e se ci vanno via troviamo un sistema per fermarli. E tiriamo fuori i<br />
coglioni, se ce li abbiamo».
84 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Complice un atteggiamento estremamente r<strong>il</strong>assato degli avversari, le<br />
Mine Vaganti riaprono la partita con due bei gol ancora firmati da Jimmy.<br />
Le cose si mettono decisamente meglio e con quindici minuti ancora da<br />
giocare un recupero, totalmente impensab<strong>il</strong>e fino a poco prima, non è più<br />
un miraggio. Il 5a3 non intacca <strong>il</strong> morale dei nostri, che nel volgere di un<br />
minuto accorciano con un bel sinistro di Dado e pareggiano a quota cinque<br />
con <strong>il</strong> Borla. Mettono addirittura la testa avanti prima con <strong>il</strong> secondo gol<br />
<strong>del</strong> Borla e poi col quarto di Jimmy, ma in entrambe le occasioni sono due<br />
fortuiti autogol a fissare <strong>il</strong> punteggio sul 7a7. I tempi regolamentari<br />
terminano in parità e almeno uno dei tre punti previsti dalla tabella<br />
salvezza è definitivamente perso. Probab<strong>il</strong>mente due, stante la cronica<br />
incapacità di vincere ai rigori.<br />
Si presenta sul dischetto Jimmy, poi è <strong>il</strong> turno <strong>del</strong> Casa, GianluKakà, <strong>il</strong><br />
Borla e infine <strong>il</strong> Capitano. E tutti insaccano, freddi o forse solo fortunati.<br />
Così come gli avversari. Sul 12a11 per le Mine Vaganti i padroni di casa<br />
devono calciare l’ultimo tiro. Lunga la rincorsa <strong>del</strong> dinoccolato numero<br />
dieci, che la spara violentemente a colpire la parte interna <strong>del</strong>la traversa.<br />
La palla sembra varcare palesemente la linea di porta e poi uscire, ma<br />
l’arbitro decide che così non è. E decreta una vittoria insperata per le<br />
Mine Vaganti.<br />
In virtù dei risultati maturati dopo la decima giornata di ritorno, la<br />
classifica dice che Il Centro Sport B è già matematicamente retrocesso.<br />
Bogside ha 20 punti, APB Bernareggese 21, le Mine Vaganti 22 e Real<br />
Eagles 23. Ne scendono tre: a tre turni dalla fine, le Mine Vaganti<br />
sorpassano APB Bernareggese e si mettono temporaneamente al riparo<br />
dalle incandescenti temperature <strong>del</strong>l’inferno. Ma <strong>il</strong> loro calendario è ben<br />
più duro di quello dei diretti avversari e fino all’ultimo secondo<br />
<strong>del</strong>l’ultima giornata nulla sarà deciso. La tensione cresce e la zona calda<br />
<strong>del</strong>la classifica si affolla come una tonnara. Perché anche Il Centro Sport<br />
A, con 26 punti, non può certo considerarsi al sicuro.<br />
Riflettevano proprio di questo <strong>il</strong> Capitano e <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa prima di salire in<br />
macchina. «Ma ci pensi, nel solo girone di ritorno ci siamo fumati non<br />
meno di sei punti sicuri. Già nostri, tipo i 3 con V<strong>il</strong>la Cortese e altrettanti<br />
contro Il Centro Sport B. Roba che eravamo già salvi, a quest’ora». Il <strong>Lo</strong>fa<br />
è d’accordo col Capitano. «Vero, quest’anno non ce n’è andata una giusta.<br />
Speriamo che la fortuna si faccia viva per le prossime tre partite, perché<br />
puoi essere bravo quanto vuoi, ma con le carte lisce non si vince».
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 85<br />
Trentadue<br />
<strong>del</strong> Tango mo<strong>del</strong>lo España<br />
La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente<br />
come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civ<strong>il</strong>e,<br />
dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una<br />
scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di<br />
eliminarla.<br />
F. Basaglia<br />
«Cretino, non sei capace di tirarla un po’ più piano?». Il pallone, calciato<br />
con troppa foga da Mauro verso la linea invisib<strong>il</strong>e che collega <strong>il</strong> cestino a<br />
un albero e che ne <strong>del</strong>imita la porta, è andato a incastrarsi proprio sotto <strong>il</strong><br />
baracchino <strong>del</strong> barbone. «Adesso ci vai tu a prenderla!» gli urla Dante, che<br />
per comprare quel pallone in cuoio plastificato aveva dovuto investire<br />
l’intera paga settimanale e i risparmi <strong>del</strong>le mance di fine anno. Un Tango<br />
mo<strong>del</strong>lo España, replica di quello ut<strong>il</strong>izzato nel Mondiale che gli azzurri<br />
vinsero al Santiago Bernabéu <strong>il</strong> 11 luglio 1982. Non un banale Supertele.<br />
Mauro sapeva di non potersi esimere dal dare seguito all’ammonimento<br />
<strong>del</strong>l’amico: la regola, esplicita e indiscutib<strong>il</strong>e, è che la va a prendere chi la<br />
tira. Altrimenti non gioca più, neanche se la sua presenza serve per non<br />
essere in dispari oppure per mantenere un minimo di equ<strong>il</strong>ibrio tra le<br />
squadre. Sbuffa, estrae due tre sassolini che gli si erano inf<strong>il</strong>ati in una<br />
scarpa e si avvia a testa bassa. Sa già che non sarà semplice riaverlo e sa<br />
anche che non potrà tornare senza. Non ha scelta. Ci deve quanto meno<br />
provare.<br />
«Franco, dammi <strong>il</strong> pallone».<br />
«No».<br />
«Franco, che cazzo, facci finire la partita e poi te lo prestiamo». Mente, ma<br />
non se ne bada.<br />
«No. Voglio giocare anch’io».<br />
«Franco, come fai a giocare con noi, dai…».<br />
«Voglio giocare anch’io».<br />
«Franco… dai… come fai a correre con la radiolina?».<br />
Il ritornello non cambiava di una sola virgola. «Voglio giocare anch’io.<br />
Voglio giocare anch’io. Voglio giocare anch’io…».
86 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Il ragazzo si voltò verso gli amici e fece capire loro che <strong>il</strong> pazzo non<br />
voleva saperne. «Cazzi tuoi» fu la risposta che si sentì rivolgere in coro.<br />
«O torni con la palla o non giochi più» aggiunse qualcuno.<br />
«Ascolta Franco» Mauro non sapeva proprio cosa inventarsi «noi<br />
giochiamo e tu…» all’improvviso la frase gli venne fuori così, spontanea,<br />
senza neanche pensarla davvero «e tu… e tu fai l’arbitro, ti va?». Franco<br />
ebbe un sussulto. «L’arbitro?». Aggrottò per qualche secondo le<br />
sopracciglia e poi, soddisfatto <strong>del</strong>l’inattesa conquista, esplose in un sorriso<br />
raggiante, ingenuo e allo stesso tempo scaltro. Era la prima volta che non<br />
minacciavano di prenderlo a sassate se non avesse restituito loro <strong>il</strong> pallone.<br />
Si girò e senza dir nulla abbassò la parete basculante <strong>del</strong> chiosco. Era<br />
pronto. Mauro riprese la stradina che l’avrebbe riportato agli amici, attento<br />
a non pestare le merde di cane che farcivano i pochi ciuffi d’erba<br />
sopravvissuti al gelo. Franco dietro di lui, <strong>il</strong> pallone saldamente stretto al<br />
petto e la volontà di consegnarlo solo dopo aver comandato la ripresa <strong>del</strong><br />
gioco. Scoppiarono tutti a ridere nel sentire dalla viva voce di Mauro <strong>il</strong><br />
compromesso a cui era giunto per riavere <strong>il</strong> pallone, tuttavia da quel<br />
giorno Franco divenne l’arbitro <strong>del</strong>le partite che la piazza ospitava. Senza<br />
eccezioni, se non quando erano i più grandi a sfidarsi. Non sempre – a dire<br />
<strong>il</strong> vero quasi mai - le sue decisioni venivano accettate come si converrebbe<br />
di fronte all’autorità <strong>del</strong> direttore di gara, ma la sua presenza era<br />
comunque divertente, specie se ubriaco. Con quella radiolina<br />
perennemente attaccata all’orecchio destro e, nella mano libera, un<br />
fischietto a sancirne <strong>il</strong> sommo potere.<br />
Prese ad appassionarsi al calcio, uno sport che non lo aveva granché<br />
entusiasmato neanche in gioventù e, uditi gli otto rintocchi nel giorno in<br />
cui le campane <strong>del</strong>la chiesa si sostituivano alla sirene dalla Borletti, si<br />
metteva in marcia verso <strong>il</strong> campo a undici dall’altra parte <strong>del</strong>la<br />
circonvallazione, dove passava l’intera domenica in un susseguirsi di<br />
partite la cui unica costante era la maglia arancione di una <strong>del</strong>le due<br />
squadre. Seduto sempre in disparte, studiava minuziosamente <strong>il</strong><br />
comportamento degli arbitri e cercava di carpirne i segreti. Memorizzava i<br />
gesti e ne cercava di imitare le movenze. Li aspettava all’uscita dal campo<br />
e, dopo una pacca sulla spalla, rivolgeva loro sempre la stessa frase. Bella<br />
direzione di gara, collega, complimenti.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 87<br />
Trentatre<br />
Ventiduesima giornata<br />
La partita giocata nel girone d’andata contro M<strong>il</strong>lepini è stata lo<br />
spartiacque di due momenti diametralmente opposti <strong>del</strong>la stagione <strong>del</strong>le<br />
Mine Vaganti: una prima metà perlopiù disastrosa, in cui <strong>il</strong> caso e le<br />
individualità hanno avuto la capacità di mantenere in linea di<br />
galleggiamento una classifica fortemente precaria, ingannevole al punto da<br />
alimentare le speranze di chi credeva di avere vita fac<strong>il</strong>e anche in un<br />
campionato di alto livello. Sottacendo capziosamente la palese incapacità<br />
<strong>del</strong> gruppo di mantenere <strong>il</strong> giusto atteggiamento a prescindere<br />
dall’avversario o dall’evolversi <strong>del</strong> punteggio. Mascherando attriti che<br />
solo l’inattaccab<strong>il</strong>e affiatamento <strong>del</strong>lo spogliatoio e la voglia di non darsi<br />
mai per vinti hanno saputo sminuire. Poi una svolta indispensab<strong>il</strong>e quanto<br />
attesa, improvvisa per la forza con cui ha saputo manifestarsi: senz’altro<br />
meno punti di quanti non fosse legittimo attendersi dopo prestazioni<br />
decisamente all’altezza, ma partite giocate sempre fino in fondo e<br />
l’evidenza di meritare ben più dei saldi di fine stagione.<br />
Ora, ancora, M<strong>il</strong>lepini. Squadra diffic<strong>il</strong>e e che, incontrata non meno di una<br />
decina di volte negli ultimi anni, li ha sempre, sistematicamente, sconfitti.<br />
Il campo di casa e motivazioni ben più stimolanti potrebbero rivelarsi<br />
decisive nel centrare l’unico possib<strong>il</strong>e obiettivo: con le spalle al muro,<br />
ogni risultato diverso da una vittoria scriverebbe i titoli di coda <strong>del</strong>la<br />
stagione.<br />
A referto i sette <strong>del</strong>la scorsa partita, con Forrest ancora in borghese visto <strong>il</strong><br />
perdurare <strong>del</strong>l’infortunio. Il collo <strong>del</strong> suo piede destro sembra però<br />
migliorare e un imminente recupero non è da escludere. <strong>Lo</strong>ro non sono<br />
numerosi come d’abitudine, ma i due migliori saranno comunque <strong>del</strong>la<br />
contesa. «Meglio così» dice <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa a Jimmy prima di iniziare la partita.<br />
«E’ una settimana che maledico <strong>il</strong> momento in cui vi ho detto che quello<br />
forte <strong>del</strong> Centro Sport non era sulla distinta…». <strong>Lo</strong> affianca al trotto<br />
durante <strong>il</strong> riscaldamento intorno al campo. «Oh, li conosciamo alla<br />
perfezione, sappiamo bene come giocano: attaccano in tre se non in<br />
quattro, si sb<strong>il</strong>anciano e prestano <strong>il</strong> fianco alle nostre ripartenze. E <strong>il</strong> loro<br />
centrale è troppo lento per star dietro al Capitano o per evitare che Dado<br />
non lo bruci nello stretto. Fidati, se ce la giochiamo con la testa vinciamo<br />
noi».
88 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
I primi minuti confermano paure e certezze <strong>del</strong> Mister: loro sono<br />
indubbiamente molto tecnici e dunque pericolosi su ogni giocata, anche se<br />
non in grado di coprirsi adeguatamente. Iniziano forte e mettono più volte<br />
in difficoltà la retroguardia rossoblu, in affanno nel sopperire alla vena<br />
difensiva non propriamente ispirata <strong>del</strong> Borla. A mantenere la rete<br />
inviolata ci pensa però un Asto in grandissimo spolvero, autore di parate<br />
determinanti. «Prima o poi un gol ce lo fanno» dice qualcuno in panchina<br />
all’apice <strong>del</strong>la pressione avversaria, quando <strong>il</strong> Borla estrae dal c<strong>il</strong>indro un<br />
gol di pregevole fattura e regala una discreta dose di tranqu<strong>il</strong>lità. Asto<br />
continua a opporsi in ogni modo alle fiondate avversarie e Jimmy decide<br />
che è giunto <strong>il</strong> momento di arrotondare: due gol fotocopia dopo aver<br />
seduto a terra gli avversari e 3a0 rassicurante, anche se troppo prematuro<br />
per essere considerato definitivo. Siparietto demenziale che vede<br />
GianluKakà passare per la seconda volta in due partite <strong>il</strong> pallone<br />
all’arbitro, distrazione conclamatamente daltonica che anticipa di poco la<br />
temporanea doppietta <strong>del</strong> Borla, bravo a chiudere con una puntata una<br />
bella azione <strong>del</strong> Capitano. In pieno recupero, <strong>il</strong> 4a1 di M<strong>il</strong>lepini tiene la<br />
partita ancora aperta a ogni risultato.<br />
Si riprende e un Borla decisivo più che mai restituisce l’assist al Capitano,<br />
che insacca al volo un grandissimo gol. Subito imitato però dal più temuto<br />
degli avversari, che da poco oltre la metà campo scaglia una fiondata che<br />
si insacca senza che Asto possa nemmeno accennare l’intervento. <strong>Lo</strong>ro<br />
non mollano, ma le praterie concesse nel tentativo di rimontare portano<br />
ancora <strong>il</strong> Borla a risolvere sotto porta e <strong>il</strong> Capitano a siglare <strong>il</strong> 7a2 dopo<br />
aver scartato anche <strong>il</strong> portiere. Il 7a3 arriva troppo tardi e i minuti finali<br />
sono una libagione a cui GianluKakà, <strong>il</strong> Borla, Jimmy e <strong>il</strong> Capitano non<br />
vogliono per nessun motivo sottrarsi. 11a3 <strong>il</strong> finale. Tre punti.<br />
La prossima contro Bogside è la partita che vale, sulla carta, la<br />
permanenza nel campionato d’Eccellenza. Vincerla non farà rima con<br />
matematica, è vero, tuttavia non è nemmeno ipotizzab<strong>il</strong>e che i diretti<br />
concorrenti, tutti, sappiano contemporaneamente vincere contro avversarie<br />
che si stanno giocando l’accesso alla fase regionale. Non ci sarà <strong>il</strong> Borla e<br />
la sua mancanza si farà di certo sentire, al pari di quella di Ami. Ma torna<br />
Forrest e le sue lunghe leve potrebbero risultare decisive. Una sola partita.<br />
Quaranta lunghi minuti di sofferenza.<br />
Nell’attesa che <strong>il</strong> quadro <strong>del</strong>la giornata venga completato, le Mine Vaganti<br />
superano temporaneamente Real Eagles, raggiungendo quota 25. Alle loro
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 89<br />
spalle ci sono oggi 5 squadre e Il Centro Sport A ha solo una lunghezza di<br />
vantaggio. Il tempo per i verdetti ha ancora da venire.
90 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Trentaquattro<br />
<strong>del</strong>la radio a transistor<br />
Nel s<strong>il</strong>enzio, l’ansia spingerebbe la gente a riflettere, e non si può<br />
prevedere che cosa arriverebbe alla coscienza. La maggior parte <strong>del</strong>le<br />
persone ha paura <strong>del</strong> s<strong>il</strong>enzio, per cui quando viene meno <strong>il</strong> rumore<br />
continuo, per esempio di una conversazione, bisogna sempre fare, dire,<br />
fischiare, cantare, tossire o mormorare qualcosa. Il bisogno di rumore è<br />
quasi insaziab<strong>il</strong>e, anche se a tratti <strong>il</strong> chiasso ci sembra intollerab<strong>il</strong>e. E’<br />
però sempre meglio che niente. In quello che viene significativamente<br />
chiamato “s<strong>il</strong>enzio di tomba” ci sentiamo a disagio. Perché? Forse ci<br />
sono i fantasmi? Non credo. Ciò che davvero temiamo è quello che<br />
potrebbe provenire dalla nostra interiorità, e cioè tutto quello da cui<br />
cerchiamo di tenerci lontani con <strong>il</strong> rumore.<br />
C.G. Jung<br />
Franco aveva paura <strong>del</strong> s<strong>il</strong>enzio. L’assenza di rumore – <strong>il</strong> motore di una<br />
macchina o <strong>il</strong> cinguettio di un passero, <strong>il</strong> juke-box <strong>del</strong> bar oppure <strong>il</strong><br />
gocciolare <strong>del</strong>l’acqua <strong>del</strong>la fontanella - lo obbligava infatti a prestare<br />
ascolto agli eco che rimbombavano costanti nella sua testa e che,<br />
inquietanti e inarrestab<strong>il</strong>i, lo terrorizzavano. Un vortice di indefiniti toni,<br />
voci, vibrazioni e suoni, un crescendo roboante dal quale riusciva a<br />
difendersi solo se la sua attenzione veniva distratta da altro. Le proprie<br />
urla, ad esempio, erano l’espediente a cui più di frequente ricorreva per<br />
non lasciarsi trascinare dal <strong>del</strong>irio che lo accompagnava da ormai più di un<br />
anno. Capitava quindi spesso che nel mezzo <strong>del</strong>la notte la piazza venisse<br />
svegliata dai lamenti che <strong>il</strong> pazzo emetteva, oltremodo amplificati dalle<br />
lamiere <strong>del</strong> baracchino nel quale era solito ripararsi e contro le quali si<br />
scagliava sovente a suon di calci pugni e testate. Malgrado <strong>il</strong><br />
comprensib<strong>il</strong>e disagio, la piazza non poteva essergli ost<strong>il</strong>e: Franco<br />
continuava a essere l’uomo di una volta, l’amico, <strong>il</strong> vicino di casa, <strong>il</strong><br />
padre, <strong>il</strong> marito. Un uomo sfortunato, senza colpe. Un essere umano come<br />
ce ne sono sempre stati e sempre ce ne saranno. Debole. Vero. La<br />
solidarietà nei suoi confronti era un dovere morale a cui nessuno voleva<br />
sottrarsi e da che smise di pellegrinare in giro per la città non mancava<br />
giorno in cui davanti al suo riparo non si trovassero abiti, scarpe, libri e<br />
ogni genere di oggetto che potesse essergli di conforto. Sigarette<br />
comprese.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 91<br />
Al cibo pensavano <strong>il</strong> panettiere, <strong>il</strong> salumiere e <strong>il</strong> droghiere. La mera<br />
sopravvivenza non era dunque in discussione, sebbene vi fosse da<br />
risolvere l’inquietudine di quelle urla, che martoriavano lui e che<br />
rendevano comunque diffic<strong>il</strong>e la vita di chi ne condivideva la residenza in<br />
quel rettangolo perfetto che circa a metà <strong>del</strong> loro percorso divide Via<br />
Washington da Via Sardegna. In questo senso si adoperò <strong>il</strong> medico di<br />
quartiere, che aveva studio e dimora al civico numero due. Fu lui infatti<br />
che regalò a Franco la prima radiolina e fu grazie a lui che, di riflesso, tutti<br />
ripresero a dormire sonni tranqu<strong>il</strong>li. L’unica indispensab<strong>il</strong>e precauzione<br />
era quella di verificare che vi fosse sempre una quantità sufficiente di<br />
batterie a sua disposizione e, a questo proposito, sul banco <strong>del</strong> bar venne<br />
sistemato un contenitore in plastica in cui venivano lasciati i resti in<br />
moneta di colazioni, aperitivi o caffè. Il barista, almeno una volta alla<br />
settimana, si occupava di comprarle e consegnargliele. Dal giorno in cui <strong>il</strong><br />
Dottor Maranti gli regalò quella piccola scatoletta grigia la vita di Franco<br />
prese a essere più serena.
92 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Trentacinque<br />
Ventitreesima giornata<br />
Il numero nove lascia <strong>il</strong> cerchio di metà campo e si avvicina lentamente<br />
alla porta. E’ giunto <strong>il</strong> suo momento: <strong>il</strong> destino di quella partita passa per i<br />
suoi piedi. Il destino di una competizione, di un’intera stagione. I sacrifici,<br />
gli infortuni, <strong>il</strong> sudore. Perfino <strong>il</strong> sangue. La propria gioia e quella dei<br />
compagni. Degli amici che si sono fatti un’ora di viaggio per vederlo<br />
giocare in quell’angusta palestra gremita di gente e ancor più di zanzare.<br />
Per vederlo vincere.<br />
Raccoglie la palla da terra e la fa roteare più volte su se stessa. Asciuga<br />
con la sua maglia rossa una macchia di sudore lasciata dal portiere che un<br />
attimo prima ha inut<strong>il</strong>mente immolato <strong>il</strong> proprio petto nel tentativo di<br />
tacitare l’urlo liberatorio degli avversari. Ne saggia <strong>il</strong> rimbalzo prima di<br />
posizionarla con cura sul cerchio bianco disegnato esattamente al centro<br />
<strong>del</strong>l’area di porta. Sente, o forse solo immagina di sentire, una voce amica<br />
che urla Borla, nel dubbio calcia forte sotto la traversa. Ma lui di dubbi<br />
non ne ha.<br />
La palla continua a spostarsi, ma infine <strong>il</strong> nove riesce a domarla. Adesso è<br />
immob<strong>il</strong>e, lì, sul dischetto, pronta a essere nuovamente colpita. Prende<br />
qualche metro di rincorsa <strong>il</strong> nove, e attende che l’arbitro fischi. Nella sua<br />
mente non un accenno di paura, perché sa che quel pallone non troverà<br />
nessun ostacolo nella sua corsa verso la rete. I suoi compagni lo guardano<br />
e così gli avversari. Il pubblico e l’obiettivo <strong>del</strong>la telecamera.<br />
L’arbitro segna sul taccuino <strong>il</strong> numero <strong>del</strong>la maglia <strong>del</strong> giocatore che si<br />
appresta a calciare. Avvicina <strong>il</strong> fischietto alla bocca. Controlla che <strong>il</strong><br />
portiere sia esattamente sulla linea di porta. Soffia.<br />
Il nove espira profondo e inizia la sua rincorsa. La colpisce secca col<br />
piatto destro. A incrociare, sulla sinistra. Riesce a tenerla bassa e ben<br />
angolata. La vede dirigersi decisa verso la porta. Ma <strong>il</strong> palo. <strong>Lo</strong> stesso palo<br />
che poco prima ha aiutato una palla a finire in rete. Il palo, ancora, come a<br />
Lacchiarella due anni prima.<br />
Palo interno e gol oppure palo esterno e fuori?<br />
Il Borla si sveglia di soprassalto. L’effetto <strong>del</strong>l’anestesia non è <strong>del</strong> tutto<br />
smaltito e nell’attesa di ricevere notizie dai compagni s’è addormentato<br />
guardando la TV. Lui a quella partita non ha potuto prendervi parte e nello<br />
stato in cui si trova non può uscire di casa neanche per pascolare <strong>il</strong> cane.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 93<br />
Guarda l’orologio e si accorge che è tardi. Ancora intontito realizza che se<br />
i compagni non l’hanno chiamato vuol dire che la partita è finita male. No,<br />
non può essere si dice lasciando cadere la testa sul cuscino, non possiamo<br />
averla persa. Prende <strong>il</strong> cellulare che, scaricata <strong>del</strong> tutto la batteria, non dà<br />
segni di vita. <strong>Lo</strong> mette sotto corrente, lo accende e aspetta che arrivi <strong>il</strong><br />
messaggio relativo alla chiamata non risposta. Niente. Chiama Jimmy. Ma<br />
Jimmy non risponde. Chiama Asto, ma anche <strong>il</strong> suo telefono è spento.<br />
Chiama <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa. Suona libero, poi un rumore ovattato, probab<strong>il</strong>mente <strong>il</strong><br />
rimbombo <strong>del</strong>la palestra. «Ti chiamo io fra qualche minuto, la partita non<br />
è ancora finita». Il <strong>Lo</strong>fa mette giù senza aggiungere altro.<br />
Possib<strong>il</strong>e, pensa <strong>il</strong> Borla, che la partita non sia ancora finita? Guarda di<br />
nuovo l’orologio. E’ mezzanotte passata e iniziando alle dieci, a quest’ora<br />
i ragazzi dovrebbero aver già fatto la doccia. Inizia a temere per <strong>il</strong> peggio.<br />
E’ andata ai rigori? No, non può essere. Perché se è andata ai rigori,<br />
almeno un punto lo abbiamo perso. E non possiamo permettercelo. Il<br />
tempo passa spietatamente lento. Cinque, dieci, quindici minuti. Poi <strong>il</strong><br />
telefono squ<strong>il</strong>la. Il display dice <strong>Lo</strong>fa.<br />
I risultati <strong>del</strong>la terzultima giornata arrivano alla spicciolata e si lasciano<br />
alle spalle una percepib<strong>il</strong>e vena d’ottimismo: le dirette concorrenti<br />
perdono punti che almeno sulla carta sembravano sicuri e la classifica, a<br />
due soli turni dalla fine, vede quattro squadre alle spalle <strong>del</strong>le Mine<br />
Vaganti. Il lunedì <strong>del</strong>la settimana successiva vengono giocate due<br />
fondamentali partite, che se da una parte complicano le cose con la<br />
matematica salvezza di Real Eagles, dall’altra regalano l’opportunità di<br />
centrare l’agognato quartultimo posto a prescindere dai tre punti dettati, a<br />
suo tempo, dalla tabella di marcia. Basta infatti un pareggio contro<br />
Bogside per rendere ininfluente la probab<strong>il</strong>e sconfitta nell’ultimo turno<br />
contro la ben più titolata Laboni, incontrastata dominatrice <strong>del</strong>la<br />
competizione da oltre un decennio. <strong>Lo</strong> scenario cambia dunque in maniera<br />
radicale. Un motivo in più per lasciare in mano agli avversari gli oneri di<br />
una partita giocoforza arrembante, nella quale ordine velocità e<br />
contropiede assumeranno un’importanza capitale.<br />
«Oggi sono andato al cesso non meno di tre volte». Il Casa fa ricorso a<br />
un’immagine dai contorni affatto vaghi per esprimere <strong>il</strong> proprio stato<br />
d’animo a pochi minuti dall’inizio <strong>del</strong>la partita più importante <strong>del</strong>la<br />
stagione, mentre Jimmy, forse per via <strong>del</strong>la regimental che la funzione gli
94 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
ha imposto nella giornata di lavoro appena terminata, sembra avere<br />
contegno e maniere da englishman nell’accontentarsi di un grigio-fumodi-<strong>Lo</strong>ndra<br />
«anch’io sono abbastanza nervoso…». L’unica cosa certa è che<br />
nessuno dei ragazzi scenderà in campo con un atteggiamento dimesso, un<br />
po’ come successe inaspettatamente una quindicina di giorni prima nella<br />
sfida contro Il Centro Sport A. E questa è già di per sé una buona notizia.<br />
Forrest rientra e <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa lo getta subito nella mischia: in campo con lui ci<br />
sono Asto Jimmy <strong>il</strong> Casa e <strong>il</strong> Capitano. Il peso <strong>del</strong>la posta in palio obbliga<br />
entrambe le squadre a non lesinare gli sforzi ed è subito partita vera sin dai<br />
primissimi minuti, in cui sono le Mine Vaganti a farsi pericolose su azioni<br />
di rimessa. Un recupero a centrocampo di Jimmy si stampa sul palo dopo<br />
aver dato l’<strong>il</strong>lusione <strong>del</strong> gol e rinverdisce <strong>il</strong> ricordo di troppe occasioni<br />
perse per quei legni che sembrano avere un conto aperto con loro. Sugli<br />
sv<strong>il</strong>uppi <strong>del</strong>l’azione <strong>il</strong> Capitano è però bravo ad approfittare <strong>del</strong>lo<br />
sb<strong>il</strong>anciamento <strong>del</strong>la difesa avversaria e rompe l’equ<strong>il</strong>ibrio <strong>del</strong>la partita. I<br />
bianchi, obbligati a rincorrere, fanno tantissimo movimento e si scoprono<br />
con troppa leggerezza, regalando a Dado gli spazi per un uno contro uno<br />
che conclude magistralmente per <strong>il</strong> 2a0. La pressione avversaria è sempre<br />
maggiore, anche se non produce grandissimi pericoli. La partita si riapre<br />
all’improvviso su un’involontaria deviazione che va a beffare un<br />
incolpevole Asto, ennesimo autogol di una stagione in cui tutto si può fare<br />
tranne che ringraziare la fortuna. Almeno fino a quel momento. I contorni<br />
<strong>del</strong>la beffa iniziano così a <strong>del</strong>inearsi, specie dopo che l’arbitro non<br />
convalida un evidente quanto splendido gol che <strong>il</strong> Capitano aveva siglato<br />
da posizione impossib<strong>il</strong>e. I primi venti minuti si chiudono dunque con un<br />
vantaggio minimo e affatto rassicurante. Il secondo tempo è un vero e<br />
proprio assedio, che vede <strong>il</strong> solo Asto opporsi egregiamente alle<br />
inarrestab<strong>il</strong>i iniziative degli avversari, agevolato, questa volta con grande<br />
soddisfazione, da una sequenza di tre pali consecutivi. Ricapitalizzando<br />
nel momento più indicato <strong>del</strong>la stagione <strong>il</strong> b<strong>il</strong>ancio con la sorte, che può<br />
finalmente dirsi in pareggio. Il gol <strong>del</strong>la tranqu<strong>il</strong>lità potrebbe arrivare su<br />
una rubata di Jimmy, che lo mette in condizione di puntare solitario la<br />
porta. Tuttavia un avversario interviene di mano e regala ancora <strong>del</strong>la<br />
speranza ai propri colori, complice anche l’arbitro che non ne decreta una<br />
sacrosanta espulsione. Con le squadre ormai esauste gli ultimi cinque<br />
minuti diventano una lotteria in cui tutto è possib<strong>il</strong>e. Raggiunto <strong>il</strong> quinto<br />
fallo, Bogside deve fronteggiare un primo tiro libero: <strong>il</strong> Capitano e Jimmy<br />
provano un’esecuzione inusuale, ma <strong>il</strong> Capitano scivola e non riesce a
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 95<br />
concludere. Altro fallo subìto e un’altra occasione sciupata dai dieci metri.<br />
La partita sta per concludersi e Bogside si gioca <strong>il</strong> tutto per tutto: fuori <strong>il</strong><br />
portiere, in campo solo giocatori di movimento. Una situazione <strong>del</strong> tutto<br />
nuova per le Mine Vaganti, ma che non produce nessun grande pericolo. A<br />
pochi secondi dalla fine dei minuti di recupero <strong>il</strong> Capitano chiude ogni<br />
discorso siglando la sua personale doppietta con un tiro da centrocampo<br />
che si insacca lentamente nella porta sguarnita degli avversari. Il 3a1<br />
finale regala alle Mine Vaganti la gioia <strong>del</strong>la salvezza e una doccia, vestito<br />
con tanto di scarpe e portafogli in tasca, al Mister. Un prezzo che <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa<br />
paga di buon grado.<br />
Il telefono squ<strong>il</strong>la. Il display dice <strong>Lo</strong>fa.<br />
«Allora?». Il Borla non sta più nella pelle.<br />
«Dov’è che sei?».<br />
«Dove vuoi che sia?, pirla, sono a casa…». Il tono <strong>del</strong>la voce <strong>del</strong> <strong>Lo</strong>fa è<br />
dimesso e <strong>il</strong> Borla non riesce a capire se per via <strong>del</strong> risultato o se perché,<br />
come spesso accade in queste circostanze, si sta prendendo gioco di lui.<br />
Opta per la seconda. «Bastardo, cazzo te ne frega di dove sono, cosa avete<br />
fatto?». In lontananza sente la voce di un compagno intonare <strong>il</strong> solito<br />
motivetto da stadio ed è proprio <strong>il</strong> suo nome a essere associato al ritornello<br />
che si conclude con uomo di merda.<br />
«Tu dimmi dove sei e poi ti dico com’è finita…».<br />
«Sono in camera».<br />
«Occhei» la voce <strong>del</strong> <strong>Lo</strong>fa è interrotta da una risata «tira su la tapparella,<br />
pirla. Muoviti!».<br />
I ragazzi erano tutti lì, riuniti sotto la finestra <strong>del</strong> Borla. Abbracciati l’uno<br />
all’altro. Una bottiglia di champagne in mano al Capitano e all’altra<br />
estremità <strong>del</strong>la catena Jimmy che sventola la foto di Ami. A festeggiare<br />
tutti insieme, assenti compresi, la salvezza.
96 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Trentasei<br />
<strong>del</strong> mercoledì di coppa<br />
Il mercoledì era <strong>il</strong> giorno consacrato alle Coppe Europee, una non-stop di<br />
partite che prendeva <strong>il</strong> via nel primo pomeriggio per concludersi, a volte,<br />
anche oltre la mezzanotte se l’italiana di turno era di scena in Portogallo o<br />
Spagna. In un ordine grosso modo casuale e dettato sostanzialmente da<br />
fusi orari e costumi <strong>del</strong>la squadra ospitante si succedevano in radio e TV<br />
tanti match quante erano le italiane rimaste in lizza nei diversi tabelloni a<br />
eliminazione diretta: la Coppa dei Campioni, la più prestigiosa tra tutte le<br />
competizioni Europee, a cui partecipavano le sole vincitrici <strong>del</strong><br />
campionato nazionale, la Coppa Uefa, già Coppa <strong>del</strong>le Fiere, che vedeva<br />
competere le due salite sui gradini meno pregiati <strong>del</strong> podio nazionale e la<br />
Coppa <strong>del</strong>le Coppe, riservata alla squadra che si aggiudicava <strong>il</strong> trofeo di<br />
lega; la consolazione <strong>del</strong>la Mitropa Cup per i più modesti provenienti dalle<br />
serie minori, prima vera competizione continentale che negli anni venne<br />
relegata a manifestazione di contorno fino alla sua definitiva cancellazione<br />
agli inizi <strong>del</strong>l’ultimo decennio <strong>del</strong> secolo passato. Tutto in un giorno<br />
dunque, un appassionante tour de force che nel tempo ha dovuto lasciare <strong>il</strong><br />
passo ai sostanziosi guadagni legati alla vendita dei diritti televisivi e<br />
inesorab<strong>il</strong>mente fagocitato dall’onnipotenza <strong>del</strong> business tout-court.<br />
Capitava quindi spesso che i ragazzi, interessati sì da squadre quali <strong>il</strong><br />
Verona o la Fiorentina, ma non al punto da restarsene tutto <strong>il</strong> giorno chiusi<br />
in casa, facessero ricorso a Franco per avere gli aggiornamenti in tempo<br />
reale dei risultati. Talvolta, se sobrio e <strong>del</strong> giusto umore, <strong>il</strong> balabiott si<br />
sedeva vicino a loro e, alzato al massimo <strong>il</strong> volume <strong>del</strong>la sua radiolina, ne<br />
condivideva l’ascolto <strong>del</strong>la telecronaca rigorosamente trasmessa sulle<br />
frequenze Rai. Quella sera andò proprio in quel modo: l’Inter giocava a<br />
San Siro <strong>il</strong> ritorno degli ottavi di Coppa Uefa contro l’Austria Vienna e i<br />
ragazzi, col bar chiuso per non si sa quale motivo, non poterono che<br />
contare su di lui per vivere insieme le emozioni <strong>del</strong>la partita. Il risultato<br />
<strong>del</strong>l’andata, maturato su una doppietta <strong>del</strong> magiaro Tibor Ny<strong>il</strong>asi a<br />
ribaltare in soli cinque minuti <strong>il</strong> vantaggio siglato da Carletto Muraro,<br />
lasciava spazio a una possib<strong>il</strong>e qualificazione. Con la prospettiva di<br />
incontrare, nel turno successivo, i forti londinesi <strong>del</strong> Tottenham.<br />
Gli austriaci erano un avversario temib<strong>il</strong>e e <strong>il</strong> loro portiere seppe in più di<br />
un’occasione negare <strong>il</strong> gol qualificazione ai nerazzurri. A diciassette<br />
minuti dalla fine, con l’Inter in forcing per ottenere <strong>il</strong> passaggio ai quarti,
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 97<br />
<strong>il</strong> numero undici austriaco Istvan Magyar buca una difesa non esente da<br />
colpe e trafigge l’esordiente Walter Zenga. A niente servì <strong>il</strong> successivo<br />
pareggio di Salvatore Bagni al settantanovesimo, se non a dare pathos agli<br />
ultimi dieci incandescenti minuti.<br />
L’uno a uno finale decretò l’ennesimo fallimento continentale <strong>del</strong>l’Inter e<br />
l’ultima apparizione in tribuna di Ivanoe Fraizzoli, che esattamente sei<br />
settimane dopo avrebbe lasciato <strong>il</strong> controllo <strong>del</strong>la società a Ernesto<br />
Pellegrini. Fu quindi festa grande a Vienna e dintorni, ma non solo: i<br />
sostenitori <strong>del</strong> M<strong>il</strong>an, che negli ultimi tre campionati conobbero per ben<br />
due volte l’onta <strong>del</strong>la serie B e d<strong>il</strong>eggi che si sarebbero ripetuti per decine<br />
di anni a venire, i m<strong>il</strong>anisti non risparmiarono gesti e sfottò all’indirizzo<br />
dei malcapitati interisti, mestamente di rientro dallo stadio con <strong>il</strong><br />
cuscinetto sotto braccio e la sciarpa dappertutto tranne che al collo.<br />
Franco, divertito dall’atmosfera creatasi in piazza, si unì a loro, rumoroso<br />
come solo un pazzo poteva essere. La cosa che non sapeva è che Licio,<br />
fe<strong>del</strong>issimo <strong>del</strong>la curva Nord, non era tipo da gradire certe prese in giro,<br />
specie se perpetrate da quello che lui considerava un pezzente meritevole<br />
unicamente di una tanica di benzina e una manciata di cerini. Un<br />
miserevole escremento di una società lassista. Gli si avvicinò e prese a<br />
spingerlo, senza però che <strong>il</strong> barbone opponesse la minima resistenza.<br />
Indispettito ulteriormente dai sorrisi ingenui <strong>del</strong>lo spostato, Licio gli diede<br />
un violento schiaffo a palmo aperto proprio sull’orecchio su cui era<br />
appoggiata la radiolina, che cadde contro lo spigolo <strong>del</strong> marciapiedi<br />
aprendosi in due pezzi.<br />
Franco smise all’istante di ridere. Raccolse la radio e l’avvicinò<br />
all’orecchio, senza sentirne provenire alcun suono dall’altoparlante.<br />
Trafficò qualche secondo con la rotella <strong>del</strong> volume e poi anche con quella<br />
<strong>del</strong>la sintonia. Cercò di cambiare banda, con l’infausto risultato di trovarsi<br />
<strong>il</strong> selettore in mano. Iniziò a tremare. Si avventò, accecato dall’ira, con<br />
tutto <strong>il</strong> peso <strong>del</strong> corpo contro Licio che, preso alla sprovvista per una<br />
reazione che neanche immaginava, indietreggiò fino a inciampare su una<br />
radice sporgente e infine cadere con le spalle a terra. Non fece in tempo a<br />
rialzarsi che <strong>il</strong> barbone gli era sopra, le mani alla gola e l’evidente<br />
desiderio di ucciderlo. Sebbene compiaciuti nel vederlo in difficoltà dopo<br />
anni di impuniti soprusi, i ragazzi cercarono di fare <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e per liberare<br />
<strong>il</strong> malcapitato, ma la forza di Franco unita alla sua inesorab<strong>il</strong>e disperazione<br />
riuscirono a avere la meglio. Licio sembrava non respirare più, non<br />
reagiva in nessun modo alle feroci percosse. Provarono a intervenire anche
98 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
dei passanti richiamati dal trambusto, senza però ottenere nessun risultato.<br />
Fu a quel punto che Dante raccolse un grosso sasso e lo picchiò sulla nuca<br />
<strong>del</strong> barbone, che si afflosciò lentamente a terra.<br />
Era <strong>il</strong> 7 dicembre 1983.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 99<br />
Trentasette<br />
di momenti<br />
Pensa a un posto, <strong>il</strong> posto che sempre ti viene in mente quando hai voglia<br />
di sognare qualcosa di diverso. Quello su cui plani, sospinto dalle correnti<br />
liriche <strong>del</strong>l’immaginario, durante i tuoi frequenti voli pindarici. Il luogo<br />
dove vorresti passare <strong>il</strong> resto, o anche solo parte dei tuoi giorni dopo aver<br />
indovinato quella maledetta combinazione di sei numeri.<br />
Chiudi gli occhi e non aver fretta di riaprirli; sognalo una volta ancora.<br />
Io ho pensato a un'isola sperduta in un chissà dove rigorosamente<br />
dimenticato dall'uomo. Una pigna di libri e la mia musica preferita per<br />
meglio definire i contorni <strong>del</strong>l’etereo id<strong>il</strong>lio. Calma sole relax. E una<br />
martellata secca, definitiva, sull'orologio: perché <strong>il</strong> tempo sia solo alba e<br />
tramonto, fame e sonno. Niente di più.<br />
Torniamo a te. Adesso pensa di essere in quel posto, ma di avere un<br />
tremendo mal di denti. Spasmi continui, lancinanti, insopportab<strong>il</strong>i.<br />
Ora dimmi: con un tale mal di denti, preferiresti essere ancora lì, in uno<br />
splendido ma isolato eremo, oppure in un grigio studio dentistico?<br />
Sii sincero, sai bene che c'è un'unica risposta a questa domanda.<br />
Posti e momenti vengono spesso messi in relazione. E' molto frequente<br />
sentire di una persona che si trova nel posto giusto al momento giusto<br />
oppure nel posto giusto ma nel momento sbagliato.<br />
Posto giusto momento giusto, niente da eccepire: chiunque vorrebbe<br />
trovarsi nel posto giusto al momento giusto ed è inut<strong>il</strong>e cercare un esempio<br />
che possa rendere meglio l'idea, basta che tu riprenda l'esercizio di prima e<br />
avrai sufficienti elementi per convincertene, se mai ce ne fosse bisogno.<br />
Cambiamo momento: posto giusto momento sbagliato. Posto giusto, sì, ma<br />
nel momento sbagliato. Momento sbagliato.<br />
Un attimo, qualcosa non va.<br />
Un posto non potrà mai essere <strong>il</strong> posto giusto se <strong>il</strong> momento è sbagliato.<br />
Mai. Dimentica <strong>il</strong> paradiso <strong>del</strong>l'ozio, perché quando hai mal di denti, <strong>il</strong><br />
posto dei tuoi sogni non può che essere uno studio dentistico. Né più né<br />
meno. Quello.<br />
Andiamo avanti.
100 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />
Posto sbagliato momento sbagliato: di nuovo l'isola e <strong>il</strong> solito, tremendo,<br />
mal di denti. Ma l'isola non era forse <strong>il</strong> posto ideale? Com'è possib<strong>il</strong>e che<br />
adesso si sia trasformata nel posto sbagliato?<br />
Ancora.<br />
Posto sbagliato momento giusto. Posto sbagliato momento giusto?<br />
Esiste un momento giusto per trovarsi nel posto sbagliato? Vero che un<br />
posto non può essere sbagliato a prescindere, ma allora, qual è <strong>il</strong> confine<br />
che separa <strong>il</strong> posto giusto dal posto sbagliato?<br />
Posti e momenti.<br />
No, solo momenti. Perché sono i momenti a fare i posti e mai <strong>il</strong> contrario.<br />
Non esistono posti giusti e posti sbagliati. Esistono i posti ed esistono i<br />
momenti.<br />
Momenti che si presentano senza annunciarsi, con la violenza di un<br />
martello. Di fronte ai quali non puoi comprendere, solo accettare.<br />
Ma anche cartelline rosse, che solo tu puoi scegliere di aprire.<br />
A prescindere dal dove, se non dentro di te.
Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 101<br />
RINGRAZIAMENTI<br />
Pubblicare questo libro mi ha reso debitore nei confronti di molte persone,<br />
amici che non mi stancherò mai di ringraziare per l’aiuto disinteressato<br />
che hanno voluto darmi nell’ispirare <strong>il</strong> soggetto e migliorarne la versione<br />
andata in stampa.<br />
Il primo ringraziamento va alle Mine Vaganti, nelle persone di Alessandro<br />
“Ami” Amisano, Gabriele “Asto” Astori, Cristian “Il Borla” Borlenghi,<br />
Alessandro “Il Casa” Casarin, Celeste “Cel” Colombo, Gianluca “Jimmy”<br />
De Benedictis, Gianluca “GianluKakà” D’Innocenzo, Roberto “Forrest”<br />
Lamia Caputo, Giorgio “Il Capitano” Musitano Guerrera, Johannes<br />
“Dado” Raspi. E tutti coloro che, negli anni, hanno più o meno<br />
degnamente vestito la casacca rossoblu.<br />
Non meno importante è stato <strong>il</strong> contributo di chi, inconsapevolmente, è<br />
stato ritratto a vivere, soffrire o morire nel perimetro <strong>del</strong>la Piazza, Monica<br />
Aristolao per tutti. Ciao Monica!<br />
Detto dei protagonisti, se arrivi al leggere queste righe è anche grazie<br />
all’importante supporto editoriale di Omar Degoli e Stefano Mazzoni,<br />
all’editing di Antonella Barranca e Viviana D’Antona, a Monica Cappato<br />
e Enzo <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong> per la grafica, a Salvatore <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong> per l’archivio<br />
fotografico e a 0111 Edizioni per l’opportunità che mi ha concesso. A mia<br />
mamma e mia sorella perché non posso certo dimenticarmi di loro anche<br />
se infondo non hanno portato granché alla causa e a tutti coloro che hanno<br />
letto <strong>il</strong> manoscritto e che mi hanno dato modo di farlo diventare un libro.<br />
Ringrazio infine te, per la voglia e la pazienza. Per aver dimostrato fiducia<br />
nel mio lavoro.