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Andrea Lo Faro - il blog del Lofa

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<strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

ANCHE MARADONA<br />

HA SBAGLIATO UN<br />

CALCIO DI RIGORE<br />

www.0111edizioni.com


www.0111edizioni.com<br />

www.<strong>il</strong>giralibro.com<br />

ANCHE MARADONA HA SBAGLIATO<br />

UN CALCIO DI RIGORE<br />

2008 Zerounoundici Edizioni<br />

Copyright © 2008 Zerounoundici Edizioni<br />

Copyright © <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

ISBN 978-88-6307-149-8<br />

Finito di stampare nel mese di Dicembre 2008 da<br />

Meloprint – Il Melograno<br />

Cassina Nuova - M<strong>il</strong>ano<br />

www.anchemaradonahasbagliatouncalciodirigore.com


Non c’è nulla di male a essere ultimi,<br />

se lo si è con dignità.<br />

Zdenek Zeman


A Astrid


NOTA DELL’AUTORE<br />

Il romanzo è ispirato a fatti realmente accaduti che, senza porre limiti alla<br />

propria libertà narrativa, l’autore ha parzialmente rielaborato. Il contenuto<br />

di quest’opera non è quindi da intendersi come una cronaca attendib<strong>il</strong>e,<br />

così come non sono da considerare attinenti al vero le azioni di alcuni dei<br />

personaggi ritratti.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 11<br />

Uno<br />

di sguardi e invisib<strong>il</strong>i confini, ripetizioni e verità in divenire<br />

Gli sguardi si trovano senza cercarsi, poli magnetici opposti che le leggi<br />

<strong>del</strong>la fisica attraggono loro malgrado. Il Capitano, braccia conserte nel<br />

cerchio di metà campo, è cosciente <strong>del</strong>le proprie responsab<strong>il</strong>ità e maestro<br />

nel mascherare la propria snervante inquietudine. Nasconde sapientemente<br />

la propria emotività, immob<strong>il</strong>e anche quando Asto para <strong>il</strong> rigore <strong>del</strong><br />

temporaneo vantaggio: lo fa per sé, innanzitutto, per <strong>il</strong> proprio orgoglio di<br />

leader, per legittimare una volta di più un ruolo che non dovrà mai essere<br />

messo in discussione. Non di meno, per regalare serenità ai compagni in<br />

un momento diffic<strong>il</strong>e come quello che stanno vivendo insieme: la loro<br />

prima vera finale, l’adrenalina dei calci di rigore dopo cinquanta minuti di<br />

mai cessato equ<strong>il</strong>ibrio. La paura di <strong>del</strong>udere, l’ansia di chi teme di non<br />

essere all’altezza.<br />

In questo, forse solo in quest’unico risvolto <strong>del</strong> carattere <strong>del</strong> Capitano, in<br />

questa sua tendenza a sminuire sempre, agli occhi degli altri, <strong>il</strong> peso <strong>del</strong>le<br />

difficoltà, in questa sua apparente leggerezza nell’affrontare i fatti <strong>del</strong><br />

calcio ma anche <strong>del</strong>la vita, in queste circostanze la napoletanità impressa<br />

sui cromosomi paterni è un’evidenza oltremodo innegab<strong>il</strong>e.<br />

Il <strong>Lo</strong>fa, mani in tasca, è def<strong>il</strong>ato ald<strong>il</strong>à <strong>del</strong>la riga laterale, impossib<strong>il</strong>itato a<br />

tutto tranne che ad alternare gioia e dolore a ogni rete gonfiata. Di tanto in<br />

tanto dà una sistemata agli occhiali i cui naselli non sono più in grado di<br />

reggere <strong>il</strong> peso <strong>del</strong>la sua vecchia montatura in acciaio smaltato nero, più<br />

spesso si asciuga con un fazzoletto di stoffa <strong>il</strong> sudore che neanche le sue<br />

folte sopracciglia riescono ad arginare sulla fronte. Soffre nel vedere la sua<br />

maglia indossata da altri e non fa nulla per nasconderlo, maledice<br />

quell’uscita al limite <strong>del</strong>l’area che ha messo fine alle sue velleità<br />

agonistiche.<br />

Non parlano <strong>il</strong> Capitano e <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa, non ce n’è bisogno: è la tensione che ne<br />

deforma i lineamenti a comunicare s<strong>il</strong>enziosamente le emozioni che stanno<br />

vivendo.<br />

Prevedib<strong>il</strong>e e previsto <strong>il</strong> rigore di Forrest, ma troppo violento per essere<br />

tenuto al di qua <strong>del</strong>la linea di porta. E’ gol ed è proprio in quel momento<br />

che i loro occhi anticipano incoscienti l’abbraccio nel quale entrambi sono<br />

certi si stringeranno presto. E’ gol e l’otturatore <strong>del</strong>la loro memoria fa<br />

click: <strong>il</strong> Borla la saprà mettere e <strong>il</strong> Capitano, ultimo a doversi presentare<br />

sul dischetto, è oltre ogni lecito sospetto. E’ fatta, sembrano dirsi nella


12 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

complicità dei loro laconici pigli, ingenui nel credere che bastino piedi<br />

buoni per iniziare la festa.<br />

Il Borla la tiene bassa e sceglie di calciarla a sinistra. La traiettoria sembra<br />

quella giusta, ma un rumore sordo fa presagire che non saranno loro ad<br />

alzare quella coppa. Almeno non nell’immediato. Questione di m<strong>il</strong>limetri,<br />

l’invisib<strong>il</strong>e confine che separa un palo interno da uno esterno. Un gol<br />

pressoché certo dalla frustrazione che ti rapisce. Le successive segnature e<br />

le tre serie a oltranza non fanno altro che rendere l’attesa ancora più<br />

estenuante. E quando Jimmy la spara in bocca al portiere avversario, <strong>il</strong><br />

triplice fischio <strong>del</strong>l’arbitro rende esplicito un destino <strong>del</strong> quale <strong>il</strong> Capitano<br />

e <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa erano ormai persuasi.<br />

Jimmy e <strong>il</strong> Borla, amici per la pelle dentro e fuori dal campo, non riescono<br />

a credere che la sorte li abbia uniti anche in quest’infausta occasione.<br />

Sentono <strong>il</strong> peso <strong>del</strong>la sconfitta solo sulle proprie spalle, dimentichi che<br />

anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore.<br />

E’ <strong>il</strong> 30 Giugno 2005. Le Mine Vaganti, da sempre alla ricerca di<br />

un’identità, iniziano a essere davvero squadra.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 13<br />

Due<br />

di Egidio e Claudio<br />

«Senti, so bene che non sono affari miei, ma non riesco a far finta di nulla.<br />

Non ce la faccio, Claudio, non posso continuare a vederti in questo stato».<br />

Nelle ultime due settimane aveva provato almeno una mezza dozzina di<br />

volte ad iniziare quel discorso, senza però trovare <strong>il</strong> giusto abbrivio. Con<br />

le parole che sembravano morirgli sulla lingua un attimo prima di essere<br />

pronunciate, incapaci di varcare la soglia dei propositi, di sfondare l’argine<br />

<strong>del</strong>l’indifferenza che si erano giurati dopo l’ennesimo dissapore. Quella<br />

sera la manifesta lontananza <strong>del</strong> fratello lo spaventava, quasi che <strong>il</strong> tempo<br />

a disposizione per rianimarlo fosse venuto meno. Schiarì la gola, mandò<br />

giù la saliva che gli impicciava la bocca e proseguì. «Ho l’impressione che<br />

tu e Barbara stiate passando un brutto periodo…».<br />

Claudio rimase sorpreso nel sentire quelle parole. La rinnovata<br />

disponib<strong>il</strong>ità <strong>del</strong> fratello, la sua evidente apprensione: dopo i conati d’odio<br />

che gli aveva vomitato addosso e dopo la ridicola piazzata <strong>del</strong> mese<br />

precedente, tanta sollecitudine sembrava essere, nella sua ingenua logica<br />

binaria post-adolescenziale, <strong>del</strong> tutto ingiustificata. Pensava che <strong>il</strong> suo<br />

credito fosse esaurito e con esso la pazienza di chi si era dimostrato fin<br />

troppo tollerante nei suoi confronti. Lasciò passare qualche istante, poi<br />

annuì s<strong>il</strong>enzioso senza distogliere gli occhi dalla televisione.<br />

«Hai voglia di parlarne?».<br />

La verità è che non sapeva se ne avesse davvero voglia. Non capiva se era<br />

per via <strong>del</strong>l’imbarazzo a cui l’aveva costretto l’indulgenza <strong>del</strong> fratello<br />

oppure <strong>il</strong> timore di risposte in grado di confonderlo ancor di più. Si guardò<br />

intorno, alla ricerca di qualcosa che non trovava. Sempre in s<strong>il</strong>enzio, con<br />

movimenti rapidi, nervosi. Cercava <strong>il</strong> telecomando, anche se non sapeva<br />

per quale motivo. Se per spegnere, cambiare canale oppure solo abbassare<br />

<strong>il</strong> volume. «Edi, è successo un cazzo di casino» si decise, non sapeva<br />

perché ma si decise, sicuro che se ne sarebbe pentito. Spense e si girò<br />

verso <strong>il</strong> fratello, all’altra estremità <strong>del</strong> divano. «Barbara è incinta».


14 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Tre<br />

di Giacomo e Onan, facce diverse <strong>del</strong>la stessa medaglia<br />

6 Giuda prese una moglie per <strong>il</strong> suo primogenito Er, la quale si chiamava<br />

Tamar. 7 Ma Er, primogenito di Giuda, si rese odioso al Signore e <strong>il</strong><br />

Signore lo fece morire. 8 Allora Giuda disse a Onan: «Unisciti alla<br />

moglie <strong>del</strong> fratello, compi verso di lei <strong>il</strong> dovere di cognato e assicura così<br />

una posterità per <strong>il</strong> fratello». 9 Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe<br />

stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie <strong>del</strong><br />

fratello, disperdeva per terra, per non dare una posterità al fratello. 10<br />

Ciò che egli faceva non fu gradito al Signore, <strong>il</strong> quale fece morire anche<br />

lui.<br />

Genesi 38,6-10<br />

Visto con gli occhi di uno sconosciuto, Giacomo appariva come un<br />

adolescente qualsiasi <strong>del</strong>la M<strong>il</strong>ano dei primi anni Ottanta: né migliore né<br />

peggiore di tanti altri bagaj, un ragazzo. Dietro l’assoluta normalità <strong>del</strong><br />

suo lato esteriore si celava tuttavia la condanna ch’egli stesso scelse di<br />

infliggersi e che, in una sorta di processo senza appello né difesa, decise di<br />

scontare segregato nelle prigioni <strong>del</strong>la propria debolezza.<br />

Raccontare <strong>del</strong>l’infanzia di Giacomo è raccontare <strong>del</strong>l’infanzia di un<br />

qualsiasi ragazzino cresciuto in una piazza: le partite di calcio fino a che<br />

non faceva buio, sfiancanti nascondini senza limiti né regole, cavallina<br />

storna abbracciato al palo <strong>del</strong>la luce e, immancab<strong>il</strong>i, le gare in bicicletta,<br />

nelle quali riusciva a far valere i lunghissimi rapporti <strong>del</strong>la Bianchi da<br />

corsa e che facevano di lui lo scontato vincitore di qualsiasi sfida.<br />

Un’infanzia serena, sfociata tristemente in un’adolescenza nella quale <strong>il</strong><br />

suo problema relazionale emerse in maniera manifesta. Specie i primi anni<br />

di liceo, dove la convivenza con i giovani uomini in odore di diploma<br />

oppure con le ragazzine dalle gonne ben sopra <strong>il</strong> ginocchio e <strong>il</strong> seno nello<br />

splendore <strong>del</strong>lo sv<strong>il</strong>uppo lo riducevano inesorab<strong>il</strong>mente in ambasce. La<br />

vergogna per la sua condizione e i sempre più frequenti episodi che lo<br />

vedevano passivo protagonista di scherzi e canzonamenti tra i più<br />

spregevoli lo portarono a maturare la distorta consapevolezza di non<br />

essere all’altezza degli altri, di non potersi considerare una persona<br />

normale se quella era la normalità, e, anticamera di un’irragionevole<br />

decadenza, smise di parlare. Per rifuggire <strong>il</strong> disagio, dal quale non riuscì a<br />

liberarlo neppure <strong>il</strong> più stimato dei logopedisti <strong>del</strong>la città, scelse di


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 15<br />

trasformare la sua balbuzie nel mutismo più incondizionato. Al rispetto da<br />

guadagnarsi sul campo a suon di schiaffi e spintoni preferì l’altrui, e ben<br />

più semplice da ottenere, pietà.<br />

Preso atto non senza dolore <strong>del</strong>la decisione di lasciare gli studi e gli amici<br />

di sempre, i genitori gli imposero di frequentare un istituto per sordomuti,<br />

grazie al quale riprese a comunicare – anche se tramite <strong>il</strong> solo uso <strong>del</strong><br />

linguaggio gestuale – e ad avere un minimo di vita sociale. La vera svolta<br />

nelle sue relazioni col mondo esterno avvenne però qualche anno dopo, in<br />

seguito alla diffusione di internet e <strong>del</strong>la posta elettronica, per raggiungere<br />

<strong>il</strong> proprio apice comunicativo in quel mondo virtuale che è la <strong>blog</strong>osfera,<br />

un non-posto dove l’anima conta più <strong>del</strong> corpo e l’apparenza è<br />

esclusivamente frutto <strong>del</strong>le proprie capacità intellettuali, non fisiche.<br />

Elettrizzato dalla possib<strong>il</strong>ità di poter dire finalmente la sua, intraprese<br />

un’appassionata battaglia contro i pregiudizi che limitano le possib<strong>il</strong>ità dei<br />

singoli a causa di innati deficit fisici. Senza però l’onestà intellettuale di<br />

ricordare a sé stesso che <strong>il</strong> suo non era un problema congenito ma frutto<br />

<strong>del</strong>la v<strong>il</strong>tà <strong>del</strong>la propria scelta e che, per trasformare un proponimento in<br />

un successo, è necessario <strong>il</strong> temperamento che lui non aveva mai mostrato<br />

di avere, tanto meno se nascosto tra le mura <strong>del</strong>la propria cameretta. Se è<br />

vero che <strong>il</strong> fine giustifica i mezzi, tanto nob<strong>il</strong>i erano le sue intenzioni che<br />

occultare una parte di verità non avrebbe di fatto cambiato la sostanza di<br />

quella missione, i cui risultati vennero per giunta amplificati<br />

dall’impenetrab<strong>il</strong>e distacco che circondava un uomo senza volto e<br />

disinteressato ad apparire. Anche se sapeva bene che la rivalsa nei<br />

confronti di quel mondo che l’aveva, a suo modo di dire, soggiogato,<br />

doveva necessariamente passare attraverso <strong>il</strong> pubblico riconoscimento.<br />

Trovato nei meandri <strong>del</strong>la sua livida indole un ultimo barlume di coraggio,<br />

accettò di intervenire telefonicamente a una trasmissione radiofonica; ma<br />

<strong>il</strong> disagio che provava ogni qual volta i propri pensieri non si traducevano<br />

in parole lo portò a decidere che <strong>il</strong> mondo dei codici orali non faceva per<br />

lui. Abbandonò una volta per tutte i propositi che aveva maturato negli<br />

ultimi tempi e si rituffò nel microcosmo nel quale sapeva muoversi senza<br />

impaccio alcuno. Un posto nel quale aveva saputo trovare tutto, e nel<br />

quale non gli restava altro da scoprire se non l’amore, la cosa che più di<br />

ogni altra desiderava. A qualsiasi costo.<br />

Un giorno, commentando sul proprio <strong>blog</strong> la scelta <strong>del</strong>lo pseudonimo<br />

Onan (“un esempio di mistificazione storica, un uomo che, contrario a


16 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

costumi nei quali non riusciva a immedesimarsi, viene ricordato da<br />

m<strong>il</strong>lenni come un segaiolo invece che come <strong>il</strong> precursore <strong>del</strong> più antico<br />

metodo contraccettivo naturale dopo l’astinenza”), entrò in contatto con<br />

un’apparente coetanea, con la quale si stab<strong>il</strong>ì presto una certa affinità.<br />

Dopo mesi di messaggi tanto belli quanto forzatamente platonici, decisero<br />

di condividere - con le debite distanze e gli annessi f<strong>il</strong>tri - un’esperienza<br />

diversa e che sapesse rinverdire l’entusiasmo che, data la ripetitività degli<br />

argomenti trattati, stava scemando lentamente nella noia: si iscrissero a un<br />

concorso letterario, presentando una storia scritta a quattro mani. Il<br />

racconto non ebbe <strong>il</strong> successo che si attendevano, ma permise loro di<br />

conoscersi veramente a fondo e di dare libero sfogo ai sentimenti che, nel<br />

tempo, avevano maturato l’uno verso l’altro.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 17<br />

Quattro<br />

di Alfredo Mauro e Federico, <strong>il</strong> racconto<br />

Foglie gialle sparse dappertutto, sacchetti di plastica variopinti che si<br />

liberano alti tra gli alberi, rami spezzati e tutto ciò che <strong>il</strong> furioso vento di<br />

quei giorni potesse trascinare dietro di sé. Oggi la piazza si presenta così,<br />

lucente, vivace, addirittura esuberante. Scossa da un’improvvisa energia,<br />

sembra stia provando a ripudiare, con i suoi fugaci colori autunnali,<br />

l’incessante grigiore riflesso <strong>del</strong>la Borletti, che ne disegna per metà <strong>il</strong><br />

perimetro e contribuisce ad animarne la vita di tutti i giorni.<br />

Non una pausa nel cuore <strong>del</strong>la piazza, non un momento di stanca: operai,<br />

bambini, tossici, <strong>del</strong>inquenti, barboni, cani e un’intensità che in pochi<br />

altri posti <strong>del</strong>la città puoi trovare. Rumori di ogni tipo che si fondono,<br />

ognuno con <strong>il</strong> proprio ritmo e calore, in un unico grande battito, supremo<br />

metronomo <strong>del</strong>la più mesta e sempre avv<strong>il</strong>ente quotidianità.<br />

In un pomeriggio di relativa tregua, non solo meteorologica, Alfredo si<br />

unisce a due amici appoggiati allo schienale di una vecchia panchina<br />

verde, tra le poche sopravvissute ai periodici vandalismi di una <strong>del</strong>le<br />

compagnie rivali. Probab<strong>il</strong>mente i metallari di Via Garian.<br />

«Oh ragazzi, ho studiato un percorso per scappare dai tossici che è una<br />

bomba!».<br />

Si siede, dà un morso a uno degli ultimi Croccante <strong>del</strong>la stagione e<br />

aspetta che Mauro e Federico gli diano retta. E’ distratto però, preso<br />

com’è dalle sensazioni che prova gustando <strong>il</strong> gelato al quale non<br />

rinuncerebbe se non per poche, pochissime altre cose al mondo: per<br />

alcuni secondi rimane immob<strong>il</strong>e, attento solo a prolungare quanto più<br />

possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> piacere viscerale che quell’armonico abbinamento di panna<br />

granella e amarena sa diffondere nel profondo <strong>del</strong>la sua anima di goloso.<br />

«Madonna, ma… ma Gloria Guida è di un altro pianeta…madonna se è<br />

stupenda!». L'estrema lentezza con cui la bocca di Mauro dà alla luce la<br />

frase, impreziosita da quel “ma” ripetuto, quasi balbettato e poi l’enfasi<br />

posta sulla parola “stupenda”, questa combinazione di suoni ed emozioni<br />

ha l’effetto di un elettroshock su Alfredo che, girandosi di scatto, si<br />

rivolge incuriosito agli amici.<br />

«Cos’è? Fa vedere, oh, fa vedere!».<br />

« Non tirare, beota, che lo rompi!».<br />

«Mizzica… Blitz! Chi è che l’ha comprato?».


18 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

«L'abbiamo trovato vicino al cestino…».<br />

Alfredo è eccitatissimo, Federico addirittura euforico nel vedere alcune<br />

immagini scattate sul set <strong>del</strong> nuovo f<strong>il</strong>m di Laura Antonelli. «Questa sì che<br />

è una donna!» protesta con decisione rivolto a Mauro. «Va qui che due<br />

tette! Altro che la tua biondina piatta piatta…».<br />

<strong>Lo</strong> guardano tutto fino alla fine, un’altra volta e poi un’altra ancora: tra<br />

stronzi, foglie, sassi, siringhe e schifezze di ogni tipo, Blitz era quanto di<br />

meglio si potesse trovare per terra in piazza. Specie per tre ragazzini alle<br />

prese con i primi fermenti ormonali. <strong>Lo</strong> sfogliano per l’ultima volta, poi,<br />

con inusuale cura, divaricano le due graffette con le quali <strong>il</strong> giornaletto è<br />

r<strong>il</strong>egato e se lo spartiscono: Mauro prende per sé le sole foto <strong>del</strong>la<br />

“biondina”, Federico mette in tasca Laura Antonelli e Agostina Belli. Ad<br />

Alfredo, qualunquista per opportunità e ben fiero di esserlo, ciò che<br />

avanza.<br />

«Oh Alfre, cosa dicevi dei tossici?».<br />

La mente di Alfredo è comprensib<strong>il</strong>mente turbata, <strong>il</strong> suo viso ancora<br />

avvolto da vampate di calore. «Prima, quando sei arrivato, hai detto<br />

qualcosa sui tossici…». Mauro prova a rinfrescargli la memoria. «Oh»<br />

gli dà anche una leggera spinta «l'hai detto dieci minuti fa, non ti<br />

ricordi?!».<br />

«Mmh… ah, sì…» Alfredo fa saltare con la lingua l’ultimo ricordo <strong>del</strong><br />

Croccante «…sì, dicevo che stamattina ho studiato un percorso per<br />

scappare dai tossici».<br />

Federico è perplesso. «Perché, scusa, sei mai stato rincorso da un<br />

tossico?».<br />

«No».<br />

«E allora perché studi un percorso?».<br />

«Boh… l'ora di religione è dura da far passare e…» esitò un istante,<br />

preso alla sprovvista dalla reazione degli amici «…e poi può sempre<br />

essere ut<strong>il</strong>e, no? Metti che qualcuno t'insegue…».<br />

Mauro e Federico sorridono.<br />

«Ve lo faccio vedere, dai, cos’avete da perderci?!».<br />

«L’hai disegnato?» chiede uno dei due.<br />

«No, ma possiamo provarlo, se volete. Ci mettiamo qualche minuto».<br />

Poche le alternative alla proposta di Alfredo: giocare a undici contro la<br />

Borletti, se avessero un pallone o solo la voglia di andare su a prenderlo,<br />

oppure lanciare sassi nel cestino oppure ancora andare in giro per i


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 19<br />

negozi <strong>del</strong>la zona ad accattonare adesivi per <strong>il</strong> solo gusto di dire che io ho<br />

più adesivi di te. Insomma, <strong>il</strong> solito noioso modo per riempire quel che<br />

resta <strong>del</strong>la giornata. Decidono di dar retta ad Alfredo.<br />

«Mauro, che ne dici? Io, quasi quasi…».<br />

«Massì, dai, andiamo! Che poi, come dice Alfre, non si sa mai… dai, da<br />

dov’è che partiamo?».<br />

«Allora, facciamo finta che adesso arrivi un tossico… mizzi, fatto di<br />

brutto e che… ti si avvicina e ti chiede se hai la collanina». La voce di<br />

Alfredo inizia a essere tremolante. «Tu cosa fai? Allora, dimmelo, cosa<br />

fai? E tu?». Nessuna risposta. «Ti caghi addosso… no?». Alfredo guarda<br />

gli amici e trova negli occhi di entrambi la luce di chi è tanto d’accordo<br />

con te quanto molto impaurito. Come te.<br />

«Va bene, ci caghiamo tutti addosso… e poi? E poi cosa facciamo?».<br />

Mauro incalza.<br />

«Dobbiamo scattare tutti e tre verso casa, correndo veloce. Tra la<br />

sorpresa e la sua fattanza, <strong>il</strong> tossico lo stacchiamo di diversi secondi.<br />

Entriamo e andiamo verso la mia scala. Uno di noi, <strong>il</strong> primo, chiama<br />

l’ascensore mentre l’ultimo sta vicino alla portineria per capire quando<br />

arriva. Se entra, prendiamo l’ascensore e saliamo in solaio. Apriamo la<br />

porta, ci facciamo tutto <strong>il</strong> corridoio e chiamiamo l’ascensore <strong>del</strong>l’altra<br />

scala; aspettiamo qualche minuto, però, vediamo se <strong>il</strong> tossico ci è ancora<br />

dietro».<br />

I tre si ritrovano nel sottotetto ad aspettare che da lì a qualche minuto si<br />

materializzino le forme di quel truce personaggio creato dalle proprie<br />

menti adolescenti e telecomandato da un’annoiata ma sempre fervida<br />

fantasia, un agghiacciante ologramma che gli sta dando la caccia per<br />

rubar loro le collanine. Le collanine, appunto. Ma loro ce le hanno le<br />

collanine?<br />

«Alfre, ce l’hai la collanina?».<br />

«No, io non ce l’ho. E tu?».<br />

«No, neanch’io. Fede, tu ce l’hai?».<br />

Federico si sbottona la giacca e inizia a toccarsi <strong>il</strong> collo: non ricorda se<br />

ha su la collanina, quella bella ovviamente, quella d’oro, oppure una<br />

qualunque collana di perline comprata al mare un paio di mesi prima. Si<br />

abbassa <strong>il</strong> maglione e scopre la risposta, che era poi quella che<br />

immaginava. La collanina bella è nell’armadio dove mamma mette le<br />

sigarette.


20 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

«No, non ce l’ho neanch’io. Non ce l’ha nessuno. Che culo! Ma… se non<br />

ce l’ha nessuno, allora vuol dire che non c’è nessun tossico che ci sta<br />

correndo dietro!».<br />

Una pausa, tutti e tre in s<strong>il</strong>enzio per sentire se, per caso o per destino,<br />

arrivano rumori dal pianerottolo <strong>del</strong>l’ottavo piano. No, niente. Né per<br />

caso né per destino.<br />

«Ma cosa c’entra, Fede, <strong>il</strong> tossico mica lo sa che non abbiamo le<br />

collanine! Ci ha visto scappare e ci ha inseguiti». Questa considerazione,<br />

più che legittima, gli dà da pensare. «Perché saremmo dovuti scappare se<br />

non avevamo le collanine? Ci aprivamo <strong>il</strong> giubbotto e gli facevamo vedere<br />

che non le abbiamo. Tutto qui. Lui cosa ci avrebbe fatto?». Mauro aspetta<br />

qualche momento e poi termina: «Secondo me, niente. Da noi voleva le<br />

collanine, mica pestarci». Non finisce neanche di dirlo che <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio<br />

viene rotto da un rumore cupo, proviene proprio da lì sotto. E’<br />

l’ascensore: la porta si apre sbattendo violentemente contro la parete e<br />

un tossico brutto, tutto sporco, nel pieno <strong>del</strong>la scimmia, alza gli occhi per<br />

vedere se tu sei lì. E tu, porca puttana, ci sei.<br />

Attraversi <strong>il</strong> solaio correndo lungo <strong>il</strong> corridoio, raggiungi l’altra scala e<br />

giù - Mennea mi fa una pippa - fino al piano terra. All’uscita, a sinistra<br />

verso via Cavalcabò e corri senza fermarti fino all’angolo con Via <strong>del</strong><br />

Fusaro. Lì ti puoi girare per vedere se <strong>il</strong> tossico ti sta ancora inseguendo.<br />

Ti sta ancora inseguendo. Corri verso Via Sardegna e, prima <strong>del</strong>l’angolo,<br />

gira a sinistra dentro al garage, sali la rampa e vai ancora a sinistra.<br />

Adesso controlla se sta arrivando.<br />

Eccolo. Ora scavalca <strong>il</strong> muretto e sali sul tetto di quel box. Salta giù.<br />

«Oh, ma è alto!». Mauro abita al piano rialzato e soffre di vertigini.<br />

«Salta che <strong>il</strong> tossico sta arrivando, muoviti, dai!».<br />

Mauro si fa coraggio, salta e i ragazzi scappano verso l’uscita <strong>del</strong><br />

cort<strong>il</strong>etto. E’ <strong>il</strong> momento chiave <strong>del</strong> piano di Alfredo: le ante <strong>del</strong> portone<br />

sono aperte, ma basta uno scatto di una quindicina di metri per uscire,<br />

mettersi in salvo e chiuderle, intrappolando <strong>il</strong> tossico. Per l'eternità.<br />

Passa Alfredo, subito dietro Federico e per ultimo Mauro.<br />

«Chiudi le porte, veloce!».<br />

Mauro a sinistra, Federico a destra e <strong>il</strong> portone si chiude violentemente,<br />

emettendo un sonoro clangore che fa scappare tutti i piccioni appostati<br />

sotto <strong>il</strong> balcone <strong>del</strong>l’ammezzato. E' fatta!


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 21<br />

Qualche attimo di s<strong>il</strong>enzio, i ragazzi si guardano negli occhi e poi Alfredo<br />

esulta: «Avete visto, funziona! Il tossico è in trappola!».<br />

Trecento metri di pura tensione vissuta in una lunga corsa senza una meta<br />

apparente, poi lo scatto finale: qualche secondo di fiatone, mani<br />

appoggiate alle gambe leggermente flesse e l’immagine agghiacciante da<br />

cui fuggivano che lentamente si dissolve fino a ritornare un puro oggetto<br />

di fantasia.<br />

«Beh, più che per scappare, questo mi sembra un piano per intrappolarli,<br />

i tossici!». Federico fa un bel respiro profondo, scarta una Sugus (quanta<br />

invidia provavano i suoi amici quando tirava fuori le Sugus che <strong>il</strong> padre<br />

gli portava di ritorno dai suoi sabati di sigarette e benzina in Svizzera), la<br />

ciuccia in maniera teatrale e infine termina. «Comunque… [ciucciata]<br />

bello... [respirone] bravo Alfre!».<br />

«Bello Alfre, però non farmi fare più quel salto ché ho paura, lo sai».<br />

Anche Mauro si complimenta con l’amico, sebbene non sia <strong>del</strong> tutto<br />

contento. Le sue gambe tremano ancora.<br />

«Paura? Paura di cosa? E’ basso, dai, saranno tre metri e mezzo».<br />

«Sì, tre metri e mezzo, mica un metro! Oh, tre metri e mezzo è come<br />

saltare giù dal primo piano… una cosa assolutamente normale, no? Tu lo<br />

fai tutti i giorni, vero?».<br />

Alfredo non ha voglia di discutere e ignora l’ironia <strong>del</strong>l’amico. Lascia<br />

perdere, sufficientemente soddisfatto sia <strong>del</strong>la sua pensata che <strong>del</strong><br />

riconoscimento ricevuto dai compagni d'avventura. Una caramella<br />

sarebbe la c<strong>il</strong>iegina sulla torta. «Fede, me la merito una Sugus, vero?».<br />

«Eh sì, te la meriti proprio…» Federico sogghigna malizioso «…se solo<br />

ne avessi una…». Mette la mano in tasca, la rivolta e ne mostra <strong>il</strong><br />

contenuto: tre monete da dieci lire, qualche cartaccia e niente più.<br />

L'acquolina in bocca è una brutta sensazione se non soddisfatta, lui lo sa<br />

bene e tutto sommato non se ne dispiace più di tanto.<br />

Rimane un'ultima cosa da aggiungere per concludere con l’ingegnoso<br />

piano: «Ah, dimenticavo». Alfredo si riappropria <strong>del</strong>la scena. «Se avete<br />

qualcosa da nascondere, qualcosa di relativamente piccolo che possa<br />

passare attraverso <strong>il</strong> diametro di quel tubo lì…». Prende sotto braccio i<br />

due amici e li riporta all'esterno <strong>del</strong> garage, indicando una grondaia non<br />

più ut<strong>il</strong>izzata. «Inf<strong>il</strong>i l'oggetto lì dentro e scappi. Per riprenderlo, è<br />

sufficiente saltare giù e alzare <strong>il</strong> tubo».


22 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Federico e Mauro erano ancora più sorpresi di prima. «No… scusa…<br />

come facevi a sapere di quel tubo? Non posso pensare che te lo sei<br />

inventato tu…». Federico è incredulo.<br />

«No, ovviamente no, di quello mi ha parlato Poldo. Lui ci nasconde le<br />

sigarette».<br />

«Ma se qualcuno va lì e ti ruba la roba che butti dentro?».<br />

«Impossib<strong>il</strong>e: lo sappiamo noi tre e Poldo, nessun altro. Neanche la<br />

vecchia che abita qui».<br />

Nulla più da aggiungere. Grande Alfre, bel piano.<br />

Di nuovo in Via Cavalcabò, si incamminano verso la piazza. Sguardo<br />

basso e scanzonato, passo lento e parecchio distratto, non pensano a<br />

nulla, neanche al motivo per cui stanno tornando indietro. Tornano<br />

indietro, come attirati da un’invisib<strong>il</strong>e calamita. Tornano indietro e basta.<br />

Come è normale che sia.<br />

Attraversano Via Del Fusaro, venti trenta metri e girano l’angolo.<br />

Un’occhiata verso <strong>il</strong> centro <strong>del</strong>la piazza alla ricerca di qualche amico e<br />

nel cuore la speranza che questi abbia portato con sé un buon motivo per<br />

non ritornare a casa: niente da fare, solo qualche vecchio sulle panchine<br />

e un paio di cani a contendersi un pallone bucato. Pazienza, oggi va così.<br />

Si sono fatte le cinque. Tra un po’ su Canale 51 inizia Daitarn III. Un<br />

buon motivo per rientrare oppure solo un banale ripiego?<br />

«Le cinque?». Federico ha un sussulto. «Che ore sono ? Le cinque?».<br />

«Sì, le cinque. Cinque meno due». Mauro è telegrafico, <strong>il</strong> suo Texas<br />

Instruments è sincronizzato con i sei beep <strong>del</strong> segnale orario Rai. «Sedici<br />

cinquantotto minuti e quattordici secondi. Quindici sedici diciassette».<br />

<strong>Lo</strong> sconforto attacca in forze Federico. «Nooo, avevo detto alla madre di<br />

Marina che sarei andato con lei all’ospedale. Madonna, me ne sono<br />

dimenticato». E' distrutto, come ha fatto, continua a chiedersi, a<br />

dimenticarsi di Marina? Il sangue gli si sta gelando nelle vene. E’<br />

disperato e allo stesso tempo già um<strong>il</strong>iato per la gran figura di merda che<br />

presto avrebbe fatto.<br />

Allunga nervosamente <strong>il</strong> passo e poi, d’improvviso, prende a correre<br />

verso casa. Le probab<strong>il</strong>ità che i genitori di Marina non siano ancora<br />

partiti sono veramente poche. Ma sufficienti, data l’insofferenza <strong>del</strong>lo<br />

spinterogeno <strong>del</strong>la vecchia Opel all’umidità <strong>del</strong>l’autunno inoltrato.<br />

«Non parte, non c’è niente da fare. Prendiamo la sessanta». Il padre di<br />

Marina sbatte la portiera <strong>del</strong>la sua Kadett grigia, guarda la moglie e


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 23<br />

scuote <strong>il</strong> capo. «Non parte, cosa posso farci?». Sta per inf<strong>il</strong>are la chiave<br />

nella serratura quando una voce viene in suo soccorso.<br />

«Ha bisogno di una mano?». Federico, ignob<strong>il</strong>mente sollevato nel vederli<br />

ancora lì, gioca subito l'unica carta a disposizione per recuperare la<br />

situazione. «Proviamo a farla partire a spinta?».<br />

Franco non ci pensa due volte e annuisce fiducioso. «Dai ragazzi, correte<br />

più veloce che potete». Accende <strong>il</strong> quadro, mette la folle e i tre iniziano a<br />

spingere appoggiati allo sportello <strong>del</strong> baule. La macchina si muove<br />

lentamente, prende progressivamente velocità fino a che Franco non<br />

inf<strong>il</strong>a la seconda: <strong>il</strong> borbottio <strong>del</strong> motore, la macchina che si fa pesante e<br />

poi una portentosa sgasata a suggellare <strong>il</strong> loro successo. Partita. Un giro<br />

<strong>del</strong>la piazza per tenerla su di giri e poi Franco si ferma per far salire la<br />

moglie. «Venite anche voi?». Non aspettò la risposta dei ragazzi. «Dai,<br />

salite!».<br />

Corsero come dei folli fino all’ospedale e lì, in compagnia di Marina, vi<br />

rimasero per oltre un’ora, incuranti degli orari di visita e dei rimproveri<br />

<strong>del</strong>l’infermiera di turno. Scherzavano e giocavano come se nulla fosse,<br />

come se mai nessuna mazzetta da un ch<strong>il</strong>o le avesse devastato <strong>il</strong> cranio<br />

dopo un volo di otto piani. Come se fosse rimasta sempre con loro in<br />

piazza, in cort<strong>il</strong>e o all’oratorio. Quella fu l’ultima volta che i ragazzi la<br />

videro in vita. Morì a causa di un’infezione <strong>il</strong> giorno stesso in cui la<br />

piazza si era preparata a riaccoglierla a sé, a farla diventare una brutta<br />

storia ma con un lieto fine che tutti potessero raccontare con gioia.<br />

Quale dio potrebbe essere così cru<strong>del</strong>e da fare una cosa <strong>del</strong> genere a una<br />

bambina?<br />

Quale?


24 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Cinque<br />

di sospetti e impazienza<br />

In quell’angolo di mondo virtuale, intriso di miele, parole e buoni<br />

propositi, Onan e Vesna si erano ripromessi di amarsi a distanza: sapevano<br />

bene, memori di esperienze vissute da altri membri <strong>del</strong>la loro piccola<br />

comunità autoreferenziale, che incontrarsi avrebbe senz’altro disatteso le<br />

aspettative di un amore perfetto quale <strong>il</strong> loro sembrava essere; in ragione<br />

di questo, sempre ligi ai precetti che si erano imposti, evitarono di<br />

affrontare temi che potessero definire i contorni <strong>del</strong>l’altro, perchè la<br />

priorità indiscussa era preservare <strong>il</strong> sentimento. Niente, nelle loro<br />

intenzioni, avrebbe avuto forza sufficiente a incrinarlo, tanto meno la<br />

fisicità di un amore convenzionale di cui, sebbene per vicende opposte,<br />

nessuno dei due sentiva al momento la necessità. Tanti buoni propositi alla<br />

base di un rapporto che, accecati dalla bellezza romantica <strong>del</strong> sentimento,<br />

pensavano fosse per sempre; ma che iniziò a dimostrare la propria fugacità<br />

nel momento in cui entrambi furono coscienti, Vesna in particolare, <strong>del</strong><br />

fatto che i riferimenti di quel passato di cui abbondava <strong>il</strong> loro racconto non<br />

potevano che essere frutto di esperienze comuni. Leggere <strong>del</strong>la morte di<br />

sua sorella Marina le diede poi l’assoluta consapevolezza di non<br />

sbagliarsi: aveva a che fare con un personaggio <strong>del</strong> suo passato, le cui<br />

indefinite fattezze iniziavano a inquietarla. Scandagliò minuziosamente<br />

protagonisti e comparse di una vicenda lontana oltre venti anni e giunse<br />

alla conclusione che nessuno, per quanto la vita sia in grado di cambiare<br />

un essere umano, poteva incarnare le virtù di quell’uomo tanto combattivo<br />

quanto sensib<strong>il</strong>e e <strong>del</strong> quale non riusciva più a fare a meno. Indubbio che<br />

avesse qualche sospetto, uno in particolare, ma gli elementi a disposizione<br />

per arrivare a una risposta sicura non c’erano. Scelse dunque di giocarsi <strong>il</strong><br />

tutto per tutto con una proposta dai contorni vaghi, interessante ma allo<br />

stesso tempo somigliante a un ultimatum. Che avrebbe saputo rimuovere<br />

qualsiasi velo.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 25<br />

Sei<br />

di sesso confuso per amore<br />

Seduto di fronte al monitor, Giacomo perdeva tempo nell’attesa che si<br />

aprisse la finestra con la quale <strong>il</strong> sistema di messaggistica istantanea<br />

l’avrebbe informato <strong>del</strong>la connessione di Vesna. Come tutti i giorni, nel<br />

primo dopo cena. Poco dopo le venti, finito Blob.<br />

Si distolse per qualche secondo, giusto <strong>il</strong> tempo di andare a prendere <strong>il</strong><br />

posacenere che aveva dimenticato in bagno. Al suo ritorno, l’immagine di<br />

sfondo <strong>del</strong> desktop prese le forme e i colori <strong>del</strong>la locandina <strong>del</strong> f<strong>il</strong>m da cui<br />

Antonella Vannucchi ricavò <strong>il</strong> proprio pseudonimo.<br />

- Lei: ci sei?<br />

- Lui: eccomi. Buonasera.<br />

- Lei: ciao.<br />

- Lei: voglio incontrarti.<br />

- Lui: penso di avere qualche problema col<br />

monitor... <br />

- Lei: no, hai letto bene.<br />

- Lui: hai dimenticato la nostra promessa?<br />

- Lei: non posso più vivere così. Ho bisogno di<br />

toccarti, di saperti vero.<br />

- Lui: io sono vero, perché veri sono i sentimenti<br />

che nutro nei tuoi confronti. Non mi sembra che ci<br />

sia altro da aggiungere.<br />

- Lei: Invece sì. Voglio fisicità. Voglio fare<br />

l’amore con te.<br />

- Lui: piacerebbe tanto anche a me, ma <strong>il</strong> solo<br />

colore dei tuoi capelli potrebbe farmi disamorare.<br />

- Lei: non vedrai e non sentirai nulla di me, se<br />

non <strong>il</strong> calore <strong>del</strong> mio corpo. Te lo assicuro.<br />

- Lui: come sarebbe a dire?<br />

- Lei: ci incontriamo in un hotel. Io ti precedo e<br />

ti aspetto nel buio <strong>del</strong>la camera. Non dirò una<br />

sola parola. Faremo l’amore fino a che ne avremo<br />

voglia, poi ritorneremo a essere Onan e Vesna.<br />

- Lui: ho paura. Ho paura di perderti. E tengo<br />

troppo a te per correre questo rischio.


26 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

- Lei: non prenderlo come un ricatto, non mi<br />

fraintendere. Ma non so per quanto tempo riuscirei<br />

a portare ancora avanti questa storia, specie in<br />

questo modo.<br />

- Lui: devo pensarci.<br />

- Lei: no, devi solo dirmi di sì.<br />

- Lui: altrimenti?<br />

- Lei: altrimenti non lo so, ma ti prego, dimmi di<br />

sì!<br />

- Lui: sai che detesto questi giochi.<br />

- Lei: mi spiace.<br />

- Lui: cosa vuol dire “mi spiace”? Se ti spiacesse<br />

davvero, allora eviteresti.<br />

- Lei: non posso.<br />

- Lui: OK, direi che possiamo salutarci qui,<br />

allora.<br />

- Lei: no, ti prego.<br />

- Lei: ti prego, non farlo.<br />

- Lei: ti prego.<br />

- Lei: ehi, sei ancora lì?<br />

- Lui: dove e quando?<br />

- Lei: domani sera, pensione Stella, via Quarnero.<br />

Alle nove io sarò in stanza ad aspettarti.<br />

- Lui: che nome userai per la prenotazione?<br />

- Lei: Vesna, ovviamente.<br />

- Lui: a domani.<br />

- Lei: a domani, amore. Buona notte.<br />

- Lei: e… GRAZIE!


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 27<br />

Sette<br />

di sorrisi e um<strong>il</strong>iazioni<br />

La neve era un appuntamento che ogni ragazzino aspettava sin da che i<br />

primi palesi segnali <strong>del</strong>la primavera ne fiaccavano ogni legittima speranza<br />

per i giorni e le settimane a venire. Per alcuni, più propensi o addirittura<br />

obbligati a rimboccarsi le maniche, presagiva la probab<strong>il</strong>e chiamata <strong>del</strong><br />

Comune per spalare le strade e conseguentemente dare un minimo di<br />

consistenza a quel portafogli pieno di tutto tranne che di banconote. Per<br />

altri, più giovani o semplicemente meno alle strette col denaro, un<br />

divertimento che poteva interrompersi solo quando le mani, malgrado<br />

fossero protette da più strati di guanti, perdevano la sensib<strong>il</strong>ità necessaria<br />

per appallottolare dardi e scagliarli in un tutti contro tutti che sarebbe<br />

proseguito per giorni, fino a che <strong>il</strong> freddo o la pioggia non avrebbero<br />

ghiacciato oppure sciolto <strong>il</strong> soffice strato di neve che ricopriva ogni<br />

marciapiede, aiuola o macchina. Tra i risvolti di questo spensierato<br />

divertimento si celava però l’incognita che i bastardi <strong>del</strong>la compagnia di<br />

Via Garian si presentassero a perpetrare quella che era la loro infame<br />

tradizione. Per quale motivo avrebbero dovuto abbandonarla proprio<br />

quell’anno, <strong>il</strong> 1985, l’anno <strong>del</strong>la nevicata <strong>del</strong> secolo?<br />

Egidio, non solo <strong>il</strong> migliore ma semplicemente l'unico vero amico di<br />

Giacomo, tornava dall’as<strong>il</strong>o nido con <strong>il</strong> fratellino in braccio e, sorpreso da<br />

una violenta manata sulla spalla, perse l’equ<strong>il</strong>ibrio e scivolò su un tombino<br />

che si nascondeva sotto la neve. Alzò gli occhi e si vide di fronte una<br />

decina di ragazzi che sapeva pronti a qualsiasi vigliaccata, anche la più<br />

spregevole: temeva per sé, ma le maggiori preoccupazioni erano per<br />

Claudio che, ritrovatosi affondato nella neve, prese a piangere spaventato.<br />

«Dov’è <strong>il</strong> balbuziente?».<br />

Il cuore a m<strong>il</strong>le, sapeva bene che non poteva esimersi dal rispondere.<br />

Sebbene non ne fosse certo, indicò la piazza come <strong>il</strong> posto più probab<strong>il</strong>e in<br />

cui trovare Giacomo.<br />

«In piazza non c’è un cazzo di nessuno». Provò a rialzarsi, ma <strong>il</strong> più<br />

grosso continuava a costringerlo per terra. «Se non mi dici dove cazzo è, ti<br />

prendo a scarpate fino a che a non mi si consuma la punta degli anfibi».<br />

Egidio, per tutti Edi, stringendo forte al petto <strong>il</strong> bambino poco più che<br />

infante, ripeté che non sapeva dove Giacomo fosse e che abitualmente lo<br />

si poteva trovare appunto in piazza o, alla peggio, all’oratorio. Come un


28 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

branco di squali richiamati dall’odore <strong>del</strong> sangue, <strong>il</strong> gruppetto non perse<br />

tempo e si diresse di corsa verso la parrocchia, promettendo a Egidio che,<br />

non avessero trovato l’amico, sarebbero tornati indietro a prendere lui.<br />

Nel frattempo, Giacomo e gli altri davano corso alle proprie innocue<br />

guerre fredde senza preoccupazione alcuna: l’oratorio era una zona offlimits<br />

per malintenzionati di qualsiasi genere. Nella spensieratezza <strong>del</strong><br />

proprio divertimento non fecero dunque caso al fatto che tutte le possib<strong>il</strong>i<br />

uscite, compreso un buco che squarciava una vecchia recinzione metallica,<br />

erano state improvvisamente presidiate da alcuni personaggi che, per<br />

movenze e ancor più per aspetto, nulla sembrava avessero a che vedere<br />

con la quiete, seppur molto rumorosa, <strong>del</strong> campo giochi.<br />

«Eccolo lì <strong>il</strong> balbuziente, andiamo a prenderlo!».<br />

Riconosciuti alcuni componenti <strong>del</strong>la banda e coscienti <strong>del</strong> rischio che<br />

stavano per correre, i ragazzi si dispersero rapidamente, lasciando<br />

Giacomo solo a sé stesso e fac<strong>il</strong>e preda di quel manipolo di capelloni che<br />

gli si avvicinava minaccioso. Bastarono pochi secondi per raggiungerlo:<br />

totalmente incuranti <strong>del</strong> probab<strong>il</strong>e arrivo <strong>del</strong> prete, presero a picchiarlo e<br />

spogliarlo fino a che non lo ridussero totalmente nudo.<br />

«Guardatelo <strong>il</strong> minorato mentale» - lo scherno di quella frase seppe<br />

produrre ben più dolore di tutti i calci e pugni che ricevette - «non ha<br />

neanche i peli sul cazzo ‘sto handicappato di merda!». E, come se la sua<br />

assenza di peli costituisse una colpa per la quale essere punito, la masnada<br />

di infami gli diede contro con ancora più violenza, per arrivare al culmine<br />

<strong>del</strong>l’um<strong>il</strong>iazione quando alcuni, tirato fuori l’intirizzito membro, gli<br />

pisciarono addosso.<br />

Il sib<strong>il</strong>are di una sirena, che sfortunatamente non suonava per loro, li<br />

indusse a interrompere l’esecuzione morale <strong>del</strong>l’essere umano che giaceva<br />

inerme sotto alcune decine di centimetri di neve: ridevano tronfi mentre se<br />

ne andavano e rideva anche l’unica ragazza che era con loro.<br />

Rideva, Antonella Vannucchi. Rideva, Vesna.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 29<br />

Otto<br />

<strong>del</strong>l’amore<br />

Giacomo,<br />

nel momento in cui ho capito che tu, solo tu, potevi nasconderti dietro<br />

quell’indirizzo di posta elettronica, in quel momento mi sono tornati alla<br />

mente, uno a uno, tutti quegli episodi <strong>del</strong> passato in cui <strong>il</strong> mio<br />

atteggiamento ha senz’altro contribuito a rendere la tua adolescenza una<br />

sorta d’inferno. In quel momento, la vergogna per quello che ho fatto è<br />

stata tale che per due settimane, le due settimane di qualche tempo fa in<br />

cui sono scomparsa senza darti notizie di me, in quei giorni non ho fatto<br />

altro che pensare a quanto dolore ho saputo procurare a te come ad altri<br />

esseri umani, dai più cari fino ai più sconosciuti. A una vita immolata<br />

sull’altare <strong>del</strong>la bellezza da esporre nella vetrina dei trofei, non quella da<br />

condividere gioiosamente. A piaceri effimeri che non mi hanno lasciato<br />

altro se non <strong>il</strong> rimpianto per avere gettato via <strong>il</strong> mio tempo. Ma sono<br />

cambiata ed è questo ciò che più conta. Almeno per me. Ho pensato molto<br />

anche al nostro insolito rapporto e, se sono ritornata a scriverti, è perché<br />

ho realizzato che ciò di cui avevo bisogno era l’amore che tu di certo<br />

avresti saputo darmi, cosciente di quanto vero fosse <strong>il</strong> sentimento che<br />

sempre ho espresso nei tuoi confronti sia prima di scoprire <strong>del</strong> tuo<br />

nickname, che dopo.<br />

Se ho voluto organizzare <strong>il</strong> nostro incontro al buio proprio come si è poi<br />

materializzato, l’ho fatto perché sapevo che quello era l’unico modo per<br />

stringerti davvero. E per provare a restituirti quel corpo che ho<br />

contribuito a strappare alla tua anima. Ho ovviamente sperato che tu non<br />

ricordassi di me, che non mi avessi riconosciuta e che non ci fossero<br />

preclusioni da parte tua nei miei confronti. Ma la violenza con cui mi hai<br />

presa ieri sera, unita alla totale assenza di un bacio che fosse uno, queste<br />

due constatazioni mi hanno portato a capire l’esatto contrario, cioè che<br />

forse sapevi di me fin dal primo messaggio o che hai capito chi io fossi<br />

ben prima di quanto non abbia saputo fare, io, con te.<br />

I miei sentimenti sono sempre stati sinceri, ma a questo punto non so se lo<br />

stesso si possa dire dei tuoi: non so se mi hai voluto condurre lentamente<br />

nello spazio in cui materializzare la tua vendetta, oppure se per te era<br />

tutto solo un gioco o un esercizio di st<strong>il</strong>e fine a sé stesso.<br />

Dimmi, ti prego, che non finisce tutto con ieri sera. Dammi, ti prego, una<br />

speranza.


30 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Ti voglio come sei,<br />

Antonella


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 31<br />

Nove<br />

<strong>del</strong>l’odio<br />

Aveva dovuto attendere trent’anni affinché <strong>il</strong> momento <strong>del</strong>l’amore, quello<br />

convenzionalmente dotato di batticuore ma anche fisicità, si presentasse al<br />

suo cospetto. Non importa se nello squallore di un hotel per sole puttane o<br />

poco più, perché anche <strong>il</strong> grigiore di una fogna non avrebbe potuto<br />

ovattare l’ebbrezza di ritrovarsi pervaso da un sentimento così nob<strong>il</strong>e.<br />

Vissuto a modo suo, è evidente, con le difficoltà e le paure di chi ha troppa<br />

fame per poter gustare fino in fondo anche <strong>il</strong> più id<strong>il</strong>liaco dei cibi, ma<br />

finalmente vissuto. Poi un messaggio in grado di rinverdire l’odio mai<br />

represso lungo anni di isolamento, al quale rispose con un solo, semplice<br />

augurio: di raggiungere Giacomo nell’inferno in cui lei l’aveva, per sua<br />

stessa ammissione, abbandonato. Chi odia non ha <strong>il</strong> diritto di amare,<br />

scriveva dall’alto <strong>del</strong> pulpito sul quale era stata sacrificata la sua vita.<br />

Ostinandosi a non guardare in faccia <strong>il</strong> suo carnefice, nel quale aveva<br />

l’inconscia paura di riconoscere i propri tratti.<br />

Nel momento <strong>del</strong>l’amore, presentatosi in maniera inequivocab<strong>il</strong>mente<br />

chiara, Giacomo aveva preferito la vendetta. Nel momento in cui la vita gli<br />

aveva dato l’ennesima opportunità per ripartire, lui scelse di continuare ad<br />

annaspare nel lago che le sue lacrime non avrebbero mai smesso di<br />

alimentare.<br />

Morì, un giorno di tanti anni dopo, Giacomo, dicendosi che sì, ogni tanto<br />

si può scegliere di perdere una battaglia per poi vincere una guerra. E che<br />

a volte è addirittura indispensab<strong>il</strong>e una sconfitta, magari non <strong>del</strong> tutto<br />

indolore ma neanche definitiva, per arrivare al successo finale, quello che<br />

rimane in<strong>del</strong>eb<strong>il</strong>mente scritto negli almanacchi <strong>del</strong>la propria memoria. Ma<br />

era troppo tardi, ormai, perché la sua battaglia, quella battaglia, era più<br />

forte di qualsiasi consapevolezza. E <strong>il</strong> suo album dei ricordi pieno zeppo<br />

di tante piccole, insignificanti vittorie, cancellate senza fatica alcuna dal<br />

suo ultimo, lento, batter d’occhi.


32 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Dieci<br />

quarti di finale<br />

L’uomo col cane era una persona come tante altre: tanto comuni i suoi<br />

modi di fare e tanto normali le sue fattezze che, per coloro i quali non ne<br />

conoscevano <strong>il</strong> nome, quell’uomo di mezz’età che capitava di vedere in<br />

zona in compagnia di un cane con la museruola di stoffa nera, quell’uomo<br />

era semplicemente l’uomo col cane. L’uomo col cane conduceva una vita<br />

dalla sorprendente regolarità, che lo portava a ritrovarsi, ogni giorno<br />

intorno alle otto, su quel limbo di terra mista a erba che divide la<br />

carreggiata principale dal controviale <strong>del</strong>lo stradone periferico su cui<br />

affacciavano le finestre <strong>del</strong>la sua abitazione. In compagnia di un meticcio<br />

sim<strong>il</strong>-pastore tedesco e <strong>del</strong>le deiezioni che si curava di gettare in un<br />

cestino dopo averle raccolte in un sacchetto giallo <strong>del</strong>l’Esselunga. O<br />

talvolta bianco e rosso <strong>del</strong>la Standa. Alle otto e mezza, sabati e domeniche<br />

escluse, davanti alla scuola elementare mentre dà un bacio sulla guancia<br />

alla figlia e poi nella pausa pranzo nell’aiuola antistante la chiesa. Prima di<br />

cena sempre nei pressi <strong>del</strong> controviale e poi dappertutto quando la sera si<br />

sveste <strong>del</strong>l’abito bello per diventare notte.<br />

L’uomo col cane pensava che avrebbe fatto volentieri a meno <strong>del</strong> freddo,<br />

<strong>del</strong>la pioggia, <strong>del</strong>le zanzare e <strong>del</strong>le involontarie frequentazioni notturne a<br />

cui era obbligato per via <strong>del</strong> cane. In certi momenti, vista anche<br />

l’irascib<strong>il</strong>ità <strong>del</strong>la bestia, si augurava che quella quotidiana penitenza<br />

potesse avere termine quanto prima.<br />

Una mattina di settembre Kyra non riuscì a trovare la forza di lasciare la<br />

propria cuccia e lui, dopo avere consultato un veterinario, smise di essere<br />

l’uomo col cane. Kyra venne soppressa e lui abbandonò i suoi<br />

immancab<strong>il</strong>i appuntamenti che cadenzavano ogni momento <strong>del</strong>la sua<br />

giornata. Kyra morì e con lei la di lui vitalità. Kyra lasciò libero <strong>il</strong> divano<br />

di cui si era impossessata e lui se ne riappropriò senza neanche averne<br />

lavato la fodera.<br />

Quello che prima era l’uomo col cane si rese presto conto che la sua vita<br />

era ormai diventata famiglia e lavoro, lavoro e famiglia. Un avv<strong>il</strong>ente ping<br />

pong tra casa ed ufficio, insipido senso <strong>del</strong> dovere a colazione pranzo e<br />

cena: voleva per sé qualcosa di esclusivamente suo, una passione o<br />

qualsiasi altra cosa potesse farlo sentire vivo. Cercava vibrazioni,<br />

coinvolgimento e soprattutto stimoli, ma non riusciva a trovare nulla, non<br />

un solo motivo che lo potesse tenere a debita distanza dal sofà su cui si


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 33<br />

addormentava sera dopo sera, annoiato dalla tivù e svuotato da ogni<br />

pensiero.<br />

Dopo mesi di buoni propositi e tentativi precocemente naufragati decise<br />

che era meglio un’inut<strong>il</strong>e mezz’ora in giro per le strade <strong>del</strong> quartiere<br />

piuttosto che Bruno Vespa o Maria De F<strong>il</strong>ippi. Aria fresca, non importa se<br />

dal puzzo irrespirab<strong>il</strong>e, piuttosto che <strong>il</strong> tepore <strong>del</strong> suo riscaldamento<br />

centralizzato. Prese dunque a camminare senza meta per intere settimane,<br />

quando una sera, colto di sorpresa dalla grandine, non ebbe altra scelta che<br />

rifugiarsi all’interno <strong>del</strong> centro sportivo vicino al comune. A quell’ora la<br />

struttura era di dominio dei soli amanti <strong>del</strong>la pedata: i più romantici nel<br />

sempreverde campo a 11, gli appassionati nel campo a 7 e gli uomini che<br />

fingono ancora di essere ragazzini nella tensostruttura che <strong>del</strong>imita <strong>il</strong><br />

campo a 5. Volti diversi ogni sera, fino a che non iniziò a prendere<br />

dimestichezza con i colori <strong>del</strong>le maglie e con dettagli che richiamavano<br />

alla sua mente un gol particolarmente bello o un litigio per fut<strong>il</strong>i motivi.<br />

Iniziò a ricordare orari <strong>del</strong>le partite e giorni di solo allenamento e arrivò a<br />

selezionare i campi e i momenti che più parevano promettergli emozioni.<br />

Chiamalo caso oppure solo empatia, si trovò a non perdere nessuna <strong>del</strong>le<br />

partite di quella squadra che vestiva un completo rosso e blu. Una squadra<br />

di cui non conosceva <strong>il</strong> nome, ma che importanza aveva, <strong>il</strong> nome, per<br />

quell’uomo senza nome?<br />

Combattevano i ragazzi sul campo in erba sintetica e col cuore riuscivano<br />

sempre a sopperire agli evidenti limiti tecnici che tutto potevano far<br />

pensare tranne che loro fossero la capolista <strong>del</strong> girone. Combattevano e<br />

spesso discutevano animatamente con quell’omino sm<strong>il</strong>zo copia sputata di<br />

Caparezza, ma si abbracciavano felici in mezzo al campo alla fine di ogni<br />

partita.<br />

Tenendosi sempre a debita distanza, ma abbastanza vicino per ben<br />

intendere, quello che prima era l’uomo col cane e che adesso è quel tizio<br />

che è sempre appoggiato sulla porta a vedere le nostre partite riuscì a<br />

sapere <strong>del</strong> prossimo, imminente appuntamento: i quarti di finale. Ai quali<br />

non volle mancare.<br />

Giovedì 23 marzo 2006, ore ventidue. L’arbitro fischia e non passano due<br />

minuti che <strong>il</strong> biondino numero 4 ha già propiziato un gol e segnatone un<br />

altro. La partita inizia come meglio non potrebbe.<br />

I rossi, come d’abitudine, sono chiusi in difesa nella speranza che <strong>il</strong> loro<br />

capitano, la punta col numero 7, riesca a bruciare sullo scatto <strong>il</strong> centrale


34 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

difensivo avversario e scuotere la rete. Ma è dura, perché i neri sanno<br />

giocare la palla e non gli si può concedere <strong>il</strong> fianco.<br />

Un banale errore sugli sv<strong>il</strong>uppi di un calcio d’angolo muove <strong>il</strong> punteggio<br />

sul 2a1 e la partita si riapre. Per concludere la prima metà senza altre<br />

significative emozioni.<br />

Quello che prima era l’uomo col cane e che adesso è quel tizio che è<br />

sempre appoggiato sulla porta a vedere le nostre partite, quel tizio lì non<br />

sembra granché intimorito: sebbene abbia imparato che nel calcio a 5 tutto<br />

è possib<strong>il</strong>e, è altresì convinto che i rossi ci siano, stasera, con la testa e<br />

anche con le gambe. Se n’è accorto per <strong>il</strong> loro modo di occupare <strong>il</strong> campo<br />

e per i loro subitanei recuperi in difesa. E perché giocano uniti, coscienti<br />

di quanto possa essere rischioso prendere iniziative estemporanee che<br />

potrebbero non essere comprese dai compagni. E’ vero, mancano l’8 e<br />

anche <strong>il</strong> 10, ma le rotazioni sono sufficientemente profonde per poter<br />

reggere altri venti minuti di pura battaglia.<br />

Inizia <strong>il</strong> secondo tempo e <strong>il</strong> 6 spinge in rete col destro la palla <strong>del</strong> 3a1,<br />

punteggio che evolve a 3a2 e poi subito 4a2 grazie a una portentosa volata<br />

sulla sinistra <strong>del</strong> capitano, che regala al 9 <strong>il</strong> più fac<strong>il</strong>e dei gol. Con due tiri<br />

liberi a disposizione la partita si sarebbe potuta chiudere (<strong>il</strong> 4 sul portiere e<br />

<strong>il</strong> 7 sul palo), ma così non è: in un amen i neri si portano sul 4a4 e l’inerzia<br />

gira decisa dalla loro. L’arbitro decide, una volta di più, di smettere i panni<br />

<strong>del</strong>l’anonima comparsa e regala, nel vero senso <strong>del</strong>la parola, un tiro libero<br />

a un minuto dalla fine ai neri. Un solo minuto e la più che seria possib<strong>il</strong>ità<br />

di trovarsi sotto di un gol. <strong>Lo</strong> scoramento, sì, perché anche <strong>il</strong> più ottimista<br />

non avrebbe potuto non pensare che la beffa era ormai imminente. Ma <strong>il</strong><br />

portiere dei rossi, che finalmente ha smesso quei terrib<strong>il</strong>i calzettoni verdi,<br />

para sicuro e la partita va ai calci di rigore.<br />

Iniziano i neri e segnano nonostante <strong>il</strong> portiere l’avesse quasi parata.<br />

Pareggia <strong>il</strong> 4 rosso e siamo sul 5a5. Ancora <strong>il</strong> portiere dei rossi a dare una<br />

svolta alla partita, parando <strong>il</strong> rigore numero due degli avversari. Segna <strong>il</strong> 9<br />

rosso e poi anche l’avversario. Segna <strong>il</strong> 6 rosso e poi anche <strong>il</strong> nero di<br />

turno. E’ <strong>il</strong> momento <strong>del</strong> capitano, <strong>il</strong> 7. E <strong>il</strong> capitano segnerà. Quello che<br />

prima era l’uomo col cane e che adesso è quel tizio che è sempre<br />

appoggiato sulla porta a vedere le nostre partite ne è sicuro. No, tiraccio<br />

centrale sui piedi <strong>del</strong> portiere e si ricomincia da capo. Segnano loro e poi<br />

anche <strong>il</strong> 3 rosso, si va a oltranza. Il capitano dei neri insacca sicuro e, a<br />

questo punto, tocca tirare al portiere. Che non la mette certo bene, ma<br />

entra lo stesso. La parata sul successivo penalty regala ai rossi la


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 35<br />

possib<strong>il</strong>ità di chiudere <strong>il</strong> confronto e sul dischetto si presenta <strong>il</strong> 2: la<br />

stagione in mano all’unico ragazzo che fino a quel momento non aveva<br />

mai tirato un solo calcio di rigore. Che dalla panchina oppure dalla tribuna<br />

lo si sentiva ripetere sempre lo stesso ritornello, cioè «nel dubbio calcia<br />

forte sotto la traversa» o qualcosa <strong>del</strong> genere, ma che nella pratica non<br />

aveva mai avuto riscontro.<br />

Beh, <strong>il</strong> 2 calcia forte proprio sotto la traversa e i rossi vincono.<br />

Quello che prima era l’uomo col cane e che adesso è quel tizio che è<br />

sempre appoggiato sulla porta a vedere le nostre partite, quel tizio lì non<br />

ha resistito all’impulso di dirigersi in mezzo al campo e di stringere la<br />

mano al numero 2. «Bravo» gli disse non senza la paura di apparire<br />

inopportuno, «tu sei le Mine Vaganti. <strong>Lo</strong> spirito. La voglia di vincere».<br />

Mario prese finalmente ad avere un nome e, invitato a terminare la serata<br />

in loro compagnia, condivise con i ragazzi l’ebbrezza <strong>del</strong>la semifinale<br />

raggiunta. A La Masseria, <strong>il</strong> solito posto, un locale poco distante dal<br />

campo dove lo stridere dei coltelli da pizza e <strong>il</strong> rumore <strong>del</strong> vetro dei<br />

boccali di birra uniti in un brindisi a ognuno dei giri di media erano<br />

l’ideale sottofondo alla gioia vibrata <strong>del</strong> sogno che si dissolve quasi per<br />

incanto nella realtà.<br />

«Mario, cosa fai nella vita?». Jimmy cercò di coinvolgerlo. Da che si<br />

erano seduti non aveva ancora aperto bocca.<br />

«Lavoro in una Software House, sv<strong>il</strong>uppo siti internet e applicazioni…».<br />

«Grandioso!» lo interruppe <strong>il</strong> Borla, «vuoi vedere che questa è la volta<br />

buona che…» si girò verso l’altra estremità <strong>del</strong> tavolo e alzò la voce, così<br />

da farsi chiaramente intendere dal <strong>Lo</strong>fa. «… che se stiamo ad aspettare <strong>il</strong><br />

<strong>Lo</strong>fa stiamo freschi…».<br />

«Certo, perché no?». Mario sorrise nel vedere un oggetto, forse solo <strong>del</strong>la<br />

carta appallottolata, prendere <strong>il</strong> volo e finire giusto sul naso <strong>del</strong> Borla. «In<br />

questi giorni ho veramente poco da fare».<br />

Si lasciarono, <strong>il</strong> ristorante vuoto e la serranda abbassata per metà, con una<br />

promessa: Mario alla semifinale non sarebbe mancato. Così come, da quel<br />

giorno e per <strong>il</strong> resto <strong>del</strong>la stagione, puntuale sarebbe stato <strong>il</strong> suo commento<br />

a ognuna <strong>del</strong>le partite <strong>del</strong>le Mine Vaganti. Trasferte comprese. La fredda<br />

cronaca, come gli piaceva chiamarla, integrata da compiacenti e poco<br />

obiettive pagelle. Sul sito internet <strong>del</strong>le Mine Vaganti che lui stesso aveva<br />

sv<strong>il</strong>uppato. Sul loro <strong>blog</strong>, per la precisione.


36 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Undici<br />

(firma) di chi ne fa le veci<br />

Egidio incassò un colpo al quale era già preparato. A cui settimane di litigi<br />

telefonici e drammi borghesi vissuti da involontario spettatore avevano in<br />

parte modificato la traiettoria, attutendone sensib<strong>il</strong>mente l’impatto ma<br />

senza per questo renderlo <strong>del</strong> tutto innocuo. Strinse le ginocchia al petto,<br />

come per proteggersi da altre possib<strong>il</strong>i sferzate, più precise forse, più<br />

dolorose. Cosciente <strong>del</strong>l’ingratitudine che avrebbe ricevuto in cambio di<br />

tanta preoccupazione, ma disinteressato, indifferente: perché quello che<br />

aveva di fronte a sé, a dispetto <strong>del</strong> corredo di piercing, capelli da camerata<br />

e qualche ciuffo di barba spuntato a caso sul viso, quello restava <strong>il</strong><br />

bambino che aveva cresciuto come un figlio da che mamma e papà<br />

avevano tolto <strong>il</strong> disturbo. A cui aveva pulito <strong>il</strong> culo per anni, al quale<br />

aveva provato ad insegnare quel poco che sapeva <strong>del</strong>la vita. Firma di un<br />

genitore o di chi ne fa le veci gli risuonava nella mente quando doveva<br />

cavarlo d’impaccio, in principio un onore per <strong>il</strong> giovane uomo che non ne<br />

conosceva gli oneri, ben presto una responsab<strong>il</strong>ità alla quale la sua<br />

maggiore età appena compiuta non poté sottrarsi. Firma di un genitore o<br />

di chi ne fa le veci gli risuonava in mente ora. Gli atteggiamenti di<br />

Claudio, <strong>il</strong> suo modo di esprimere la ribellione che l’orfano non ha mai<br />

potuto indirizzare ammodo, <strong>il</strong> suo grido di autodeterminazione ignorato:<br />

Firma di un genitore o di chi ne fa le veci.<br />

«Cosa avete intenzione di fare?» gli chiese, sforzandosi di essere<br />

accomodante nonostante l’istinto suggerisse l’aggiunta di almeno qualche<br />

aggettivo. E molto qualificativo.<br />

«C’ho vent’anni, Edi, e l’ultima cosa che voglio è diventare padre». Fece<br />

quanto nelle sue possib<strong>il</strong>ità per soffocare <strong>il</strong> sorriso imbarazzato che gli<br />

vestiva <strong>il</strong> volto quando <strong>il</strong> disagio smascherava le sue debolezze. Ma niente<br />

da fare. Odiava quella voce tremolante, non sopportava l’idea che <strong>il</strong><br />

fratello lo vedesse nudo di fronte a difficoltà che, sicuro di sé come voleva<br />

apparire, non sapeva affrontare. «Ma Barbara non vuole sentir parlare di<br />

aborto» concluse, nascondendo lo sguardo sulla sigaretta che stava per<br />

accendere.<br />

«Non vuole abortire perché è contenta di essere incinta oppure lo fa, cioè<br />

non lo fa, per altre ragioni?». La domanda, già che i due giovani stavano<br />

insieme da troppo poco tempo per poter ragionevolmente desiderare una<br />

gravidanza, era solo un espediente per farlo parlare. Per farlo sciogliere.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 37<br />

«No, contenta non lo è affatto. Ma non se la sente di arrivare a tanto. Di<br />

ammazzare una creatura innocente, come dice lei».<br />

«Cla, qui non si tratta di ammazzare un innocente». La puzza di sacrestia<br />

di cui era colma quell’espressione non faceva certo <strong>il</strong> paio con <strong>il</strong> dichiarato<br />

scetticismo <strong>del</strong> fratello. «Qua c’è di mezzo la tua vita. Quella di Barbara, <strong>il</strong><br />

vostro rapporto».<br />

«E a me lo vieni a dire?! Queste sono le stesse cose che vado dicendole da<br />

quando ce ne siamo accorti. Ma lei è ferma sulla sua posizione».<br />

«Proviamo a parlarne insieme, tutti e tre intendo?».<br />

«No, questi sono solo cazzi miei». Come mosso da un riflesso<br />

incondizionato, Claudio s’alzò in piedi e si parò davanti al fratello. «E me<br />

li sbrigo io», i lineamenti <strong>del</strong> volto contratti, la mano destra a battersi<br />

ripetutamente <strong>il</strong> petto. «Io e basta. E’ chiaro?».<br />

«E’ chiarissimo, questi sono solo cazzi tuoi, sbrigateli tu. Ma smetti di<br />

avere questo atteggiamento, perché io voglio solo aiutarti, non farti <strong>del</strong><br />

male».<br />

«Cambierò atteggiamento, forse, quando tu dimostrerai di avere fiducia in<br />

me. Quando smetterai di trattarmi come un bamboccio».


38 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Dodici<br />

di Dante<br />

Bisogna sempre partire da lontano e talvolta riavvolgere intere bobine di<br />

nastro; riportare alla luce quelle scatole impolverate piene di ricordi di cui<br />

non ti vuoi privare solo per una questione affettiva, ma che hai accatastato<br />

senza grande cura nella buia cantina <strong>del</strong> tuo passato, certo che, prima o<br />

poi, ti deciderai a gettare in discarica assieme a quel televisore quattordici<br />

pollici che è ormai senza colori o a quella tenda da campeggio che così<br />

conciata non è più adatta neanche alle emergenze.<br />

Nel suo caso è necessario tornare indietro sino alla metà degli anni<br />

sessanta, quando la sua vita non era nemmeno allo stadio <strong>del</strong>le ipotesi.<br />

Due migranti, un sic<strong>il</strong>iano e una pugliese, che lasciano non senza problemi<br />

le rispettive famiglie nel tentativo di costruirsi un futuro solido, in un<br />

posto che possa offrirgli quelle opportunità che la loro terra natia non è in<br />

grado di assicurare. Lasciano gli affetti, le amicizie e i pochi punti fermi<br />

<strong>del</strong>la loro vita per provare a stare meglio. Senza uno straccio di certezza,<br />

carichi di sole speranze. Lasciano casa per cercar fortuna a M<strong>il</strong>ano, dove<br />

un posto su una catena di montaggio lo dovrebbero trovare con discreta<br />

fac<strong>il</strong>ità. Si incontrano in Piazza <strong>del</strong> Duomo nel momento più caotico <strong>del</strong>la<br />

rituale passeggiata domenicale, quella in cui mettere in mostra l’abito<br />

bello e le scarpe col tacco lucidate a nuovo. Si piacciono, si frequentano a<br />

lungo e infine si innamorano. Si sposano e meno di un anno dopo danno<br />

alla luce quattro ch<strong>il</strong>i di essere umano.<br />

Due migranti, dicevo, due migranti che, sorprendendolo una volta di più<br />

per quello che aveva sempre considerato mero disinteresse, non hanno<br />

posto vincolo alcuno nel momento in cui ha comunicato loro, ancora<br />

minorenne, la sua volontà di lasciare casa e trasferirsi in Calabria. Era sì<br />

cosciente, nonostante la sua giovane età, di intraprendere <strong>il</strong> percorso<br />

esattamente contrario alla logica <strong>del</strong>le cose, ma non avrebbe mai pensato<br />

che poche rassicurazioni sulla sua intenzione di portare avanti gli studi e<br />

nel contempo di guadagnarsi da vivere in un v<strong>il</strong>laggio turistico fossero<br />

elementi sufficienti a convincerli. Lasciava M<strong>il</strong>ano, <strong>il</strong> posto <strong>del</strong>le<br />

opportunità, per trasferirsi nella desolazione salmastra di Catanzaro Lido.<br />

E loro, i suoi genitori, non hanno neanche provato a farlo ragionare su<br />

quello che stava facendo. Non lo hanno messo di fronte alle difficoltà che<br />

nel medio-lungo termine avrebbe dovuto affrontare sia che fosse rimasto lì<br />

per sempre, sia che avesse scelto di tornare su a M<strong>il</strong>ano. Si sono


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 39<br />

semplicemente presi una notte per pensarci, per poi augurargli le migliori<br />

fortune. Senza aggiungere altro che non fossero le banali raccomandazioni<br />

di un genitore a un figlio. E, cosa peggiore, senza mettere in moto quel<br />

meccanismo che gli avrebbe permesso di capire <strong>il</strong> perché <strong>del</strong> loro avallo;<br />

senza mettere in evidenza che, tutto sommato, stava ricalcando le loro<br />

stesse orme.<br />

A ogni modo, invece che essergli grato per la fiducia incondizionata che<br />

gli stavano concedendo, Dante, d’acchito, nel s<strong>il</strong>enzio inconsapevole <strong>del</strong>la<br />

propria ignoranza, trovò un ulteriore motivo per detestarli più di quanto<br />

già non facesse: non sopportava <strong>il</strong> pensiero che fossero disposti a liberarsi<br />

<strong>del</strong> loro unico figlio così, per un amore adolescenziale che quasi<br />

sicuramente si sarebbe ridimensionato nel volgere di poco. Era però ben<br />

contento di poter raggiungere Caterina e dirle che sì, avrebbero continuato<br />

a stare insieme. Passò i suoi ultimi giorni a M<strong>il</strong>ano macerandosi<br />

nell’agrodolce di contrastanti sentimenti. Infine, rapito dal ricordo di<br />

emozioni che voleva provare a rivivere, partì.<br />

Aveva diciassette anni e non poteva capire <strong>il</strong> loro gesto d’amore. Aveva<br />

diciassette anni e non poteva capire che la fiducia che avevano in lui era<br />

incondizionata al punto da concedergli la loro benedizione per quella che<br />

si configurava come una cazzata di cui si sarebbe probab<strong>il</strong>mente pentito.<br />

Era inesperto e non sapeva che i ch<strong>il</strong>ometri che ci separano dalla felicità,<br />

quella consapevole, sono tanti.<br />

Bisogna sempre partire da lontano, proprio come fecero loro. Lui l’ha<br />

capito solo adesso, di ritorno dal suo viaggio. E l’ha capito semplicemente<br />

perché solo adesso ha provato a essere razionale, miracolato da quello<br />

stato di miopia interiore che gli ha sempre fatto vedere le cose nel loro<br />

aspetto più deforme, quello emotivo.


40 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Tredici<br />

<strong>del</strong> dovere<br />

Sulle frequenze sintetiche di un pop-rock con molte pretese ma infondo<br />

inconsistente, indegno continuatore <strong>del</strong>la rivoluzione visionaria che aveva<br />

iniziato quindici anni prima nei panni di Ziggy Stardust, David Bowie<br />

annuncia che The Glass Spider Tour avrebbe fatto tappa a M<strong>il</strong>ano. Per la<br />

prima volta in venti anni di carriera, <strong>il</strong> Thin White Duke avrebbe suonato<br />

dal vivo in Italia, a San Siro, <strong>il</strong> 10 giugno 1987.<br />

Pressoché digiuno <strong>del</strong> Bowie autentico tranne che per i pezzi più celebrati,<br />

ma attratto da un’esibizione dal vivo che veniva annunciata tra le più<br />

spettacolari di sempre, Dante sapeva che non sarebbe mancato. Con lui<br />

finalmente Raffaella, convinta, forse sedotta.<br />

I biglietti erano introvab<strong>il</strong>i da tempo, ma nessun cancello <strong>del</strong>lo stadio era<br />

troppo alto per Dante. Nessun celerino troppo veloce, nessun manganello<br />

troppo duro, nessun addetto alla sicurezza sufficientemente vig<strong>il</strong>e per<br />

impedirgli di scavalcare e poi spalancare <strong>il</strong> portone tramite <strong>il</strong> quale sarebbe<br />

entrata l’amica e chi l’avesse voluto. I bagarini un’ipotesi che non<br />

prendeva neanche in considerazione. Tutto sembrava pronto, ma un<br />

imprevisto lo obbligò altrove. Proprio per quel mercoledì venne<br />

pianificato <strong>il</strong> rientro in Calabria di un cugino di suo padre e lui si trovò<br />

costretto ad approfittare <strong>del</strong> suo passaggio in macchina per <strong>il</strong> viaggio che<br />

l’avrebbe portato a Catanzaro. Per Raffaella, per cantare insieme as long<br />

as we’re together the rest can go to hell, per quella serata Dante si sarebbe<br />

sobbarcato un disagio anche peggiore di quattordici ore di corridoio su un<br />

treno <strong>del</strong>le Ferrovie <strong>del</strong>lo Stato: ma Lucio, come ci sarebbe rimasto Lucio<br />

se non avesse accettato la sua offerta? E suo padre, poi, per quanto tempo<br />

l’avrebbe guardato di traverso se non si fosse dimostrato riconoscente? Si<br />

perse <strong>il</strong> concerto, così come <strong>il</strong> corso <strong>del</strong>la vita l’ha portato a non rivedere<br />

più Raffaella.<br />

Quantomeno, con quel giorno può dire che ebbe inizio un’altra storia.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 41<br />

Quattordici<br />

<strong>del</strong> viaggio<br />

Era solito lavorare, finita la stagione scolastica, per avere un minimo di<br />

indipendenza economica durante l’inverno. La cosa tornava ut<strong>il</strong>e a lui e<br />

non di meno ai suoi, non tanto per i soldi che avrebbe messo da parte<br />

quanto perchè non gradivano saperlo a passare le giornate in mezzo a una<br />

strada per tutta l’estate. Quell’anno, quando ormai era entrato nell’ordine<br />

d’idee che la sua sarebbe stata una calda stagione di mal pagato<br />

volantinaggio, quell’anno Germano, un parente alla lontana che ogni tanto<br />

capitava dalle loro parti gli offrì di andare a fare <strong>il</strong> barista nel v<strong>il</strong>laggio<br />

vacanze di cui era <strong>il</strong> responsab<strong>il</strong>e amministrativo. Calabria, costa ionica.<br />

Partenza immediata, ritorno la prima settimana di settembre.<br />

Dante non trovò nessuna controindicazione alla sua proposta, che al<br />

contrario gli avrebbe garantito un guadagno inaspettato rispetto a quelle<br />

che erano le sue abitudini. Accettò con <strong>il</strong> massimo <strong>del</strong>l’entusiasmo,<br />

nonostante sapesse che c’era da lavorare, e anche parecchio. E che di<br />

vacanze, per quell’anno, non ne avrebbe proprio fatte: <strong>il</strong> viaggio ad<br />

Amsterdam con gli amici <strong>del</strong>la piazza rimaneva un sogno, ma con quei<br />

soldi si sarebbe potuto permettere la patente e, se tutto andava bene, anche<br />

la prima macchina.<br />

Era <strong>il</strong> 10 giugno 1987 e mentre i suoi coetanei m<strong>il</strong>anesi fremevano davanti<br />

ai cancelli di San Siro, Dante se ne stava in coda sulla Salerno-Reggio<br />

Calabria in compagnia di Lucio. I finestrini giù perché faceva già molto<br />

caldo e l’intera discografia <strong>del</strong>la PFM a rinverdire <strong>il</strong> grigiore desertico<br />

<strong>del</strong>l’alto potentino. Impiegarono quindici ore per percorrere i circa<br />

m<strong>il</strong>leduecento ch<strong>il</strong>ometri di autostrada che separano M<strong>il</strong>ano dall’uscita di<br />

Lamezia Terme, dopodiché iniziarono a brancolare nel buio alla ricerca<br />

<strong>del</strong> paesino in cui era situato <strong>il</strong> v<strong>il</strong>laggio turistico. Era notte inoltrata e di<br />

gente, lungo la Statale 106, ce n’era veramente poca. A un semaforo<br />

affiancarono un motorino.<br />

«Mi scusi, saprebbe indicarci Simeri Crichi?».<br />

Era già pronto a una risposta stizzita di quella che solo in un secondo<br />

momento riconobbe come una ragazza e che - ne avrebbe avuto ogni<br />

ragione - visti <strong>il</strong> contesto e ancor più l’orario avrebbe potuto confondere la<br />

sua domanda con un audace approccio. Invece, forse per via di un accento<br />

<strong>del</strong> tutto inusuale per un calabrese, la ragazza si dimostrò disponib<strong>il</strong>e ad<br />

aiutarli.


42 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

«Seguitemi, sto andando anch’io da quelle parti».<br />

Si misero dietro al Garelli grigio metallizzato che arrancava su per la<br />

collina, fino a che non arrivarono in paese. A quel punto la ragazza si<br />

fermò, spense <strong>il</strong> motorino e smise un vecchio paio di occhiali da moto che<br />

celavano l’elegante bellezza dei suoi occhi. Si abbassò leggermente per<br />

guardarli entrambi in faccia. «Che ci dovete fare, voi, a Simeri?».<br />

Dante rimase sorpreso nel vedersi in un posto <strong>del</strong> tutto diverso da quello<br />

che si aspettava: lo scenario che si era immaginato era <strong>del</strong> tutto difforme<br />

dalla geografia di quel borgo medievale. Non esitò a trasmettere alla<br />

ragazza <strong>il</strong> suo pieno stupore. «Scusa, ma… ma <strong>il</strong> mare dov’è?».<br />

La domanda, ingenua già di per sé e rinforzata dall’evidente smarrimento<br />

<strong>del</strong> suo tono la fece sorridere. «Ma voi dove dovete andare di preciso?».<br />

«Conosci <strong>il</strong> v<strong>il</strong>laggio Splendor?».<br />

«E certo che lo conosco: ci lavoro, io, lì». La sua espressione mutò<br />

rapidamente al severo. «Dovete andare a Simeri Mare, allora!».<br />

Dante non sapeva cosa dirle. E non fu necessario che aggiungesse altro.<br />

«Potevate dirlo prima, malanova mu nd haj!». Rimise gli occhiali.<br />

«Continuate a seguirmi».<br />

Lasciarono <strong>il</strong> paese e dopo qualche ch<strong>il</strong>ometro di nulla si ritrovarono di<br />

fronte alla sbarra <strong>del</strong>l’ingresso, oltre la quale videro sparire la ragazza che<br />

li aveva fin lì condotti. Dante scese dall’auto, tirò giù <strong>il</strong> borsone e<br />

ringraziò Lucio per la sua gent<strong>il</strong>ezza. All’invito di andarlo a trovare non<br />

poté che rispondere affermativamente, anche se sapeva bene che fino a<br />

Taurianova, distante un buon paio d’ore d’auto, non ci sarebbe mai andato.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 43<br />

Quindici<br />

<strong>del</strong>la prima volta<br />

Vide una figura piuttosto corpulenta avanzare verso di sé, la cui<br />

inequivocab<strong>il</strong>e divisa lo portò a pensare a un guardiano notturno. Non<br />

aspettò che fossero uno di fronte all’altro.<br />

«Buonasera» disse, palesando un accento e una cadenza alle quali Dante<br />

non avrebbe più fatto caso nel giro di pochi giorni. «E’ un ospite <strong>del</strong><br />

v<strong>il</strong>laggio?».<br />

«No» rispose d’acchito, ancora distante cinque sei metri da lui «sono qui<br />

per lavorare».<br />

L’uomo, senza nulla aggiungere, rientrò nel piccolo gabbiotto in muratura<br />

e prese a consultare un elenco. Sebbene già sapesse che nessun arrivo<br />

notturno era previsto.<br />

«Senti» fece scorrere lungo un binario impolverato la piccola finestra di<br />

plexiglas davanti alla quale Dante si era fermato «io non sono stato<br />

avvisato. Di conseguenza non ho da darti le chiavi <strong>del</strong>la tua stanza».<br />

Attese per qualche secondo una possib<strong>il</strong>e replica, per poi riattaccare<br />

seccamente. «Ma proprio a ‘st’ura dovevi arrivare?». Dante spiegò che<br />

veniva da M<strong>il</strong>ano e che i sempiterni lavori sull’autostrada lo avevano<br />

portato a ritardare di non poco <strong>il</strong> suo arrivo, omettendo di sottolineare che<br />

<strong>il</strong> giorno stesso aveva parlato con una ragazza <strong>del</strong> personale e che tutto,<br />

almeno in linea teorica, era stato organizzato a regola d’arte. Le sue parole<br />

non furono sufficienti a che si trovasse una soluzione. «Mi spiace, io non<br />

ti posso far entrare. Devo aspettare che riapra la reception. Se vuoi, puoi<br />

lasciarmi qui la valigia e andare a dormire in spiaggia. Devi fare <strong>il</strong> giro<br />

dalla strada, perché se non sei registrato non puoi entrare nel v<strong>il</strong>laggio».<br />

A Dante non sembrava di avere molte alternative: lo ringraziò per la<br />

cortesia che gli stava facendo nel badare alla borsa che, dato <strong>il</strong> peso, non<br />

avrebbe di certo potuto portare con sé; si fece quindi spiegare nel dettaglio<br />

come raggiungere la spiaggia, inf<strong>il</strong>ò nella tasca di dietro dei jeans <strong>il</strong><br />

Superbasket che aveva comprato in Autogr<strong>il</strong>l e s’incamminò. Riprese la<br />

strada e dopo aver girato intorno all’intera, enorme struttura si ritrovò ad<br />

attraversare una spoglia ma ben curata pineta. Superata la quale, sotto un<br />

lampione acceso, notò una catasta di sdraio chiuse. Ne prese una, l’aprì e<br />

ci si sedette sopra, sicuro che tutto avrebbe potuto fare tranne che<br />

addormentarsi. Si rialzò infatti dopo qualche attimo, si tolse scarpe e calze<br />

e andò a bagnarsi i piedi nell’acqua <strong>del</strong> mare. Era tentato di farsi un bagno,


44 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

vista l’accogliente temperatura <strong>del</strong>l’acqua, ma senza un asciugamano<br />

avrebbe rischiato d’ammalarsi.<br />

Guardò l’orologio e pensò che a quell’ora <strong>il</strong> concerto era senz’altro<br />

terminato. E che magari, proprio in quell’istante, avrebbe potuto trovarsi<br />

sotto <strong>il</strong> portone di Raffaella Montanarini. Baciandola, finalmente, dopo<br />

mesi di un discreto ma inequivocab<strong>il</strong>e corteggiamento. Aveva perso<br />

un’altra occasione, si diceva, i piedi in acqua e lo sguardo rivolto a quel<br />

pezzettino di Luna che <strong>il</strong>luminava <strong>il</strong> buio <strong>del</strong>la sua prima notte in Calabria.<br />

Ne capiteranno altre. Di certo.<br />

Un rumore alle sue spalle lo distolse da quel pensiero: si girò e vide che<br />

qualcuno stava scavalcando la rete di recinzione che divide <strong>il</strong> v<strong>il</strong>laggio<br />

dalla spiaggia. Non poteva dire di essere spaventato, ma neanche <strong>del</strong> tutto<br />

tranqu<strong>il</strong>lo, specie perché quel qualcuno si avvicinava con passo deciso.<br />

Era buio e riuscì a riconoscere la sagoma <strong>del</strong>la ragazza <strong>del</strong> motorino<br />

quando si trovò a non più di cinque metri da lui.<br />

«Ho parlato con la guardia e mi ha detto che sei senza camera».<br />

«Sì» rispose, quasi intimidito dalla fermezza <strong>del</strong> suo tono.<br />

«Cosa fai, rimani fino a domattina in spiaggia?». Fece una breve pausa.<br />

«Vieni a stare da me, che ho dei letti liberi nel mio appartamento».<br />

«Sei sicura? Non è che poi mi fanno, o ti fanno, storie?».<br />

«Ma vattinne, ma quali storie! Vieni, andiamo». <strong>Lo</strong> prese per mano e lo<br />

trascinò per qualche passo fino a una passerella in plastica bianca. Si<br />

fermò, vuotò la sabbia che le aveva riempito i sandali e aspettò che anche<br />

lui rimettesse le scarpe. «La porta è chiusa, dobbiamo scavalcare».<br />

Quel fare iniziava a indispettirlo. «Scavalca tu, io faccio <strong>il</strong> giro».<br />

«Perché, hai paura di smagliarti le calze?».<br />

«No, ma la guardia m’ha detto chiaramente che io nel v<strong>il</strong>laggio non posso<br />

entrare».<br />

«Ascolta». <strong>Lo</strong> prese di nuovo per un braccio. «La guardia fa quello che<br />

dico io. E se io dico che tu sei con me, di problemi non ce ne sono». Non<br />

sapendo come le cose funzionassero da quelle parti, Dante decise di dar<br />

retta alla ragazza: <strong>il</strong> fastidio che <strong>il</strong> suo tono arrecava era senz’altro più<br />

sopportab<strong>il</strong>e <strong>del</strong> vento freddo che si era improvvisamente alzato dal mare.<br />

Attraversarono in tutto s<strong>il</strong>enzio l’intero v<strong>il</strong>laggio, costeggiando campi da<br />

tennis, piscine, bar, anfiteatro e ristorante. Entrarono nella hall e vi<br />

uscirono proprio di fronte al guardiano. Che, invece che ammonirlo per<br />

non aver seguito le sue indicazioni, sorridendo gli disse che «hai visto che<br />

t’ho trovato un tetto dove passare la notte?». <strong>Lo</strong> ringraziò, riprese la borsa


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 45<br />

e si diresse verso un complesso di v<strong>il</strong>lette dall’altra parte <strong>del</strong>la strada, una<br />

piccola estensione <strong>del</strong> v<strong>il</strong>laggio dove risiedevano operai, animatori e<br />

personale <strong>del</strong>l’organizzazione.<br />

«Stanotte tu dormi qui». La ragazza, di cui non sapeva ancora <strong>il</strong> nome, gli<br />

indicò un piccolo stanzino, una specie di grande ripostiglio all’interno <strong>del</strong><br />

quale erano sistemati un letto e un armadio in lamiera. «Poi, alle prossime<br />

notti penseranno quelli <strong>del</strong> personale». La ringraziò e, prima di<br />

congedarsi, le disse buonanotte. «Ah», riaprii la porta, «io mi chiamo<br />

Dante». Non ricevette risposta.<br />

Il lungo viaggio e la scomodità dei sed<strong>il</strong>i sfondati <strong>del</strong>la A112 di Lucio<br />

avevano ridotto a pezzi la sua schiena: scrollò giusto la sabbia che era<br />

ancora rimasta appiccicata ai piedi e, senza neanche spogliarsi, si<br />

appoggiò al letto. Stava per spegnere la luce quando la ragazza <strong>del</strong><br />

motorino, vestita solo da un inut<strong>il</strong>e – data la totale inconsistenza <strong>del</strong> suo<br />

petto – reggiseno nero, riaprì la porta. Fu un attimo: gli slacciò la cintura,<br />

abbassò, senza sf<strong>il</strong>arli <strong>del</strong> tutto, i pantaloni e lo stesso fece con le mutande.<br />

Iniziò a menarglielo fino a che non gli venne duro, dopodiché se lo inf<strong>il</strong>ò<br />

dentro senza neanche aspettare di essere sufficientemente bagnata.<br />

Gemette rumorosamente quando arrivò ad averlo tutto dentro e poi prese<br />

ad ancheggiare con grande impeto, avanti e indietro, velocemente, come se<br />

scopare uno sconosciuto, in quel momento, fosse la cosa più normale <strong>del</strong><br />

mondo. Dante assisteva <strong>del</strong> tutto passivo alla scena: la sorpresa era tale<br />

che non trovò la forza di opporsi allo stupro estemporaneo che stava<br />

vivendo. Che poi, per quale motivo avrebbe dovuto opporsi? Perché? Il<br />

sesso era ciò che voleva da quando imparò <strong>del</strong>la sua esistenza: perché<br />

avrebbe dovuto rifiutare l’accogliente calore di quelle labbra dep<strong>il</strong>ate?<br />

Non disse una parola, se non per avvisarla quando era prossimo a venire.<br />

Lei, ansimando, rispose che prendeva la p<strong>il</strong>lola.<br />

«Ce l’hai un fazzoletto?». Dante non aveva <strong>del</strong> tutto finito di venirle<br />

dentro che lei era già in piedi a rovistare nella valigia appoggiata per terra.<br />

«Sì, tieni». Tirò su i jeans, mise la mano in tasca ed estrasse un pacchetto<br />

di Kleenex.<br />

Lei si asciugò lo sperma che le stava colando tra le cosce, si diede una<br />

sistemata ai lunghi capelli e gli si avvicinò. Dante pensava che volesse<br />

baciarlo, invece gli strinse le guance tra <strong>il</strong> pollice e l’indice <strong>del</strong>la sua mano<br />

destra e lo minacciò: «Io sono la ragazza <strong>del</strong> figlio <strong>del</strong> boss. Se dici a<br />

qualcuno, anche a una sola persona, di quello che è successo, sappi che vai<br />

a finire dritto dritto sotto a qualche metro di terra». <strong>Lo</strong> guardò, per la


46 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

prima volta da che erano entrati in casa, negli occhi. «Capiscisti?». Lui si<br />

liberò fac<strong>il</strong>mente <strong>del</strong>la sua presa e la ribaltò sul letto. I ruoli si erano<br />

invertiti. La ragazza cercava di svincolarsi, ma lui la scosse violentemente<br />

per le spalle fino a che non si quietò. «Senti, io non so chi cazzo sei, non<br />

so neanche come ti chiami. Sei venuta nel mio letto e mi hai scopato. Non<br />

so perché tu l’abbia fatto, ma ormai non si può tornare indietro. Io sto<br />

muto, perché sono venuto qui per lavorare, non per farmi ammazzare. Ma<br />

vedi di andartene affanculo lontano da me». Adesso era Dante ad alzare la<br />

voce. «Hai capito?». La ragazza girò la testa e iniziò a piangere<br />

s<strong>il</strong>enziosamente. Il contrasto tra la rabbia di qualche minuto prima e le<br />

lacrime che scorrevano lungo <strong>il</strong> suo viso era inquietante. «Scusami… è<br />

che… ero a una festa col mio ragazzo e… e mentre stavo ballando con<br />

<strong>del</strong>le amiche <strong>il</strong> bastardo è andato a scoparsi una troia di cubista e…» i<br />

singhiozzi le impedivano di respirare «e io l’ho beccato. Gli ho tirato uno<br />

schiaffone mentre si slinguava nel cesso quella puttana e poi me ne sono<br />

venuta via. E… e mi sono vendicata <strong>del</strong>le corna scopandomi te».<br />

Le era ancora sopra. Lasciò la presa per passarsi le mani tra i capelli.<br />

Chiuse gli occhi. «Adesso è meglio che me ne vada a letto, perché lui<br />

potrebbe arrivare». <strong>Lo</strong> guardò. «Sai, anche lui lavora qui. Quella» e indicò<br />

la stanza di fronte «quella è la sua stanza».<br />

Sembrava tutto surreale. «Mi raccomando, non una parola» lei disse. Si<br />

alzò, chiuse la porta e se ne andò a dormire. «Ah, io mi chiamo Teresa.<br />

Chiamami pure Terry, se vuoi».


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 47<br />

Sedici<br />

<strong>del</strong> figlio <strong>del</strong> boss<br />

Non provò neppure ad addormentarsi: l’adrenalina che di volta in volta<br />

aveva trasudato nello scavalcare i cancelli di San Siro erano gocce di<br />

impalpab<strong>il</strong>e rugiada se confrontate all’esondazione nervosa che stava<br />

vivendo in quei precisi attimi. Le gambe, come argini divelti dalla furia<br />

<strong>del</strong>la natura, gli tremavano ancora. Impossib<strong>il</strong>e quindi prendere sonno,<br />

anche se dormire era la cosa di cui <strong>il</strong> suo corpo aveva più bisogno. Andò<br />

in bagno, chiuse a chiave per paura di ulteriori sorprese e si fece una<br />

doccia. Pensava a quello che gli era appena successo e si diceva che se<br />

anche quei tre mesi di Calabria si fossero consumati senza nessun’altra<br />

emozione, beh, qualcosa da raccontare ai suoi amici l’avrebbe comunque<br />

avuta. Non immaginava certo che la sua prima volta con una donna si<br />

potesse consumare proprio in quel modo, ma non è mai stato un cultore<br />

<strong>del</strong>la forma. Aveva scopato, finalmente. E questo era ciò che più contava.<br />

Quando riaprì la porta, fasciato da un asciugamano che avvolgeva una<br />

trentina di centimetri tra torso e cosce, si trovò di fronte un ragazzo. Non<br />

molto alto e pure piuttosto tarchiato; con una bottiglia di birra da tre quarti<br />

in mano, tenuta per <strong>il</strong> collo e nascosta non proprio così bene dietro la<br />

schiena.<br />

«E tu che cazzo ci fai qua dentro?».<br />

Dante gli porse lentamente una mano, in maniera molto cordiale. Con<br />

l’altra teneva l’asciugamano affrancato al corpo ancora bagnato. Quello<br />

doveva essere <strong>il</strong> figlio <strong>del</strong> boss. «Ciao, mi chiamo Dante». Non sapeva<br />

come spiegargli <strong>del</strong> ritardo <strong>del</strong> suo arrivo e <strong>del</strong>l’offerta d’ospitalità <strong>del</strong>la<br />

ragazza <strong>del</strong> motorino. Rimase sul vago. «Mi hanno sistemato qui, per<br />

stanotte».<br />

«Ma come parli? Di dove sei?».<br />

«Sono di M<strong>il</strong>ano».<br />

«Sei venuto qui in vacanza o cosa?».<br />

«No, sono venuto qui per lavorare. Al bar».<br />

«Ah, ho capito». L’espressione <strong>del</strong> volto <strong>del</strong> giovane cambiò<br />

repentinamente. «Tu sei <strong>il</strong> m<strong>il</strong>anese di cui mi ha parlato Germano».<br />

«Esatto, sono proprio io».<br />

Gli allungò la mano. «Ciao, io mi chiamo Pasquale. Lavoro anch’io al<br />

bar». Appoggiò la bottiglia per terra. «Chi è che ti ha detto di venire a<br />

dormire qui?».


48 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Dante indicò con un cenno <strong>del</strong>la testa, senza pronunciarne <strong>il</strong> nome, Teresa,<br />

che nel frattempo si era coricata. «Ah» fece lui «chi altri avrebbe potuto?».<br />

Uscirono dall’appartamento.<br />

«Ascoltami bene: quella è pazza. E’ una gran pezza di figa, è vero, ma è<br />

proprio pazza. E’ una ninfomane, sai, hai presente quelle donne che<br />

appena sentono odore di cazzo ci saltano sopra?». Sorrise goffamente. «Se<br />

te la vuoi scopare, scopatela pure. Fai però in modo che nessuno lo sappia,<br />

nessuno, altrimenti suo padre è capace di puntarti una pistola in faccia. E<br />

suo padre spara, sai, mica cugghunjia chiju ja».<br />

Doveva capire se fosse lui a cui Teresa faceva riferimento quando parlava<br />

<strong>del</strong> suo ragazzo. Il figlio <strong>del</strong> boss. «No no, vai tranqu<strong>il</strong>lo» disse Dante «ci<br />

tengo alla pellaccia. Piuttosto, non ho ancora ben capito come funziona <strong>il</strong><br />

discorso <strong>del</strong>l’alloggio: cioè, uno si sceglie una stanza e ci va a stare oppure<br />

è la direzione a decidere?».<br />

«Allora. Per alcuni, diciamo quasi tutti, è la direzione a decidere. Per altri,<br />

invece, <strong>il</strong> discorso è differente». Pasquale si sorprese <strong>del</strong>l’imbarazzo che<br />

provava nel raccontare dei suoi priv<strong>il</strong>egi. «Provo a spiegarmi meglio:<br />

qualcuno fa un po’ quel che gli pare. Gli altri, invece…».<br />

«Scusami, ma perché, allora, quella lì dorme nella tua stanza?». Doveva<br />

giocarsi <strong>il</strong> tutto per tutto, già che era ancora nuovo <strong>del</strong>l’ambiente e che<br />

l’imprudenza <strong>del</strong>le sue domande poteva essere tollerata.<br />

«Io la devo tenere sotto controllo, perché le nostre famiglie sono piuttosto<br />

legate. E immagino che tu sappia quanto sono importanti i rapporti tra le<br />

famiglie, qui in Calabria, no?». Si fermò un istante, a sottolineare con<br />

l’eloquenza <strong>del</strong> s<strong>il</strong>enzio l’importanza di ciò che aveva appena detto.<br />

«Dorme nella mia stanza, quindi, così so che nessun coglione se la viene a<br />

scopare proprio a casa mia. Poi, quello che fa altrove sono cazzi suoi.<br />

Figurati che prima l’ho incontrata a una festa e non sai che figura di merda<br />

ho fatto con la mia ragazza: quella pazza mi si strusciava addosso proprio<br />

in sua presenza. ‘Sta cujjuna ha messo in giro la voce che stiamo insieme,<br />

quando penso di essere tra i pochi al mondo a non essersela mai scopata.<br />

Ma io mica sono scemo, sai, a mettermi con quella». Prese fiato.<br />

«Comunque, finita la settimana, se ne va da qui: i suoi si trasferiscono al<br />

nord e lei con loro». Sospirò. «Minchia, menomale. Mi sta tirando<br />

scemo».<br />

Minchia, menomale, ripeté s<strong>il</strong>enziosamente Dante rientrando.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 49<br />

Diciassette<br />

di luoghi comuni e tà tà tà<br />

Ahi la tiene Maradona. <strong>Lo</strong> marcan dos. Pisa la pelota Maradona.<br />

Arranca por la derecha el genio <strong>del</strong> futbol mundial. Puede tocar para<br />

Burruchaga.<br />

Siempre Maradona.<br />

Genio, genio, genio... tà, tà, tà... goooooooool...<br />

Quiero llorar... Dios Santo, viva el fùtbol!<br />

Golaaaaazooo... Diegoooool!<br />

Maradona... es para llorar, perdónenme.<br />

Maradona en recorrida memorable, en la jugada de todos los tiempos.<br />

Barr<strong>il</strong>ete cósmico. ¿De qué planeta viniste para dejar en el camino a<br />

tanto inglés?<br />

Para que el país sea un puño apretado gritando por Argentina.<br />

Argentina 2, Inglaterra 0.<br />

Diegol, Diegol...<br />

Diego Armando Maradona...<br />

Gracias Dios. Por el futbol, por Maradona, por estas lágrimas... por este<br />

Argentina 2, Inglaterra 0.<br />

Victor Hugo Morales<br />

Accompagnato lungo i vialetti <strong>del</strong> v<strong>il</strong>laggio proprio dalla ragazza <strong>del</strong><br />

Personale che aveva dimenticato di avvisare la portineria <strong>del</strong> suo<br />

imminente arrivo - e per la qual cosa lei diceva di non sapere come<br />

scusarsi, inconsapevole di aver aiutato <strong>il</strong> destino a che si compisse ciò che<br />

poi è stato - spese la sua prima mezza giornata facendo conoscenza dei<br />

colleghi con i quali avrebbe passato l'intera estate, incapace, data la<br />

ripetitività dei nomi e dei tratti, di ricordarne anche solo la mansione; poi<br />

tra un ufficio e un altro, alle prese con registrazioni, libretti sanitari,<br />

vaccinazioni e, almeno sulla carta, tante regole da rispettare, alcune <strong>del</strong>le<br />

quali <strong>del</strong> tutto esagerate per quello che riteneva un incarico marginale<br />

come <strong>il</strong> suo. Stordito dalla notte insonne ma carico d’entusiasmo, inebriato<br />

dall’aver sentito <strong>il</strong> peso <strong>del</strong>la verginità liberarsi nella leggerezza di un<br />

ricordo <strong>del</strong> quale non provava nessuna nostalgia.<br />

Tanto valeva andare a puttane con qualche anno d’anticipo, si disse in un<br />

momento in cui <strong>il</strong> sapore <strong>del</strong>l’appagamento non era forte quanto l’acre<br />

insoddisfazione per <strong>il</strong> modo in cui era stato scritto un capitolo


50 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

indimenticab<strong>il</strong>e <strong>del</strong>la sua esistenza, ma tra questo pensiero e un franco<br />

vaffanculo passarono solo pochi attimi, niente di più.<br />

Perché anche se a distanza di ore, nessun odore sembrava potersi sostituire<br />

a quello <strong>del</strong> sesso <strong>del</strong>la sua improvvisata amante, nessun sole poteva<br />

essere più caldo <strong>del</strong> ricovero nel quale era stato accolto la notte prima. Si<br />

sentiva alla stregua di un cacciatore che torna a casa con una preda uccisa<br />

da altri, regalatagli dal caso e non dalla precisione <strong>del</strong>la sua mira, ma<br />

sapeva bene che l’unica vera priorità era sfamarsi. Vaffanculo, dunque.<br />

Vaffanculo!<br />

Nel pomeriggio prese servizio al bar, affiancato proprio a Pasquale.<br />

Nell’immaginario di chi non ha mai toccato con mano, all’epoca lui per<br />

primo, <strong>il</strong> figlio <strong>del</strong> boss avrebbe dovuto avere le fattezze <strong>del</strong>lo spaccone<br />

strafottente cui la ragione consiglia di stare a debita distanza. Pronto a<br />

tutto, pericoloso e imprevedib<strong>il</strong>e come gli avevano insegnato attendib<strong>il</strong>i<br />

leggende o supposte verità. Ma lui era diverso, e non solo con Dante: i<br />

ragazzi lo trattavano come se fosse uno qualsiasi <strong>del</strong> gruppo e questo<br />

anche quando non si parlava di faceto. Anche quando si toccavano le note<br />

dolenti. Quando alle gesta <strong>del</strong> Pibe de Oro o ai seni di procaci ospiti <strong>del</strong><br />

v<strong>il</strong>laggio si sostituivano pizzi, morti ammazzati e intimidazioni, quando<br />

l’imbarazzo per la fotografia <strong>del</strong> padre in manette, che <strong>il</strong> Corriere <strong>del</strong><br />

Mezzogiorno pubblicava a giorni alterni, lo faceva sentire sim<strong>il</strong>e più alla<br />

gazzella che nasce cosciente di una vita senza pace che al leone che non<br />

avrebbe mai scelto di essere. In quelle occasioni neanche <strong>il</strong> “tà tà tà” di<br />

Fernando riusciva a riportarlo alla serenità e questo rendeva evidente a<br />

tutti coloro che gli stavano accanto quanto profondo fosse <strong>il</strong> dolore che<br />

stava provando. Il “tà tà tà” di Fernando era <strong>il</strong> ricordo di Maradona, <strong>il</strong> suo<br />

unico dio, e <strong>del</strong> gol che nessuno, se non lui, avrebbe immaginato di poter<br />

segnare. Della telecronaca di Victor Hugo Morales vissuta in diretta, a<br />

Buenos Aires, ospite di uno zio es<strong>il</strong>iatosi oltre oceano per rifuggire la<br />

condanna cui le attività di famiglia l’avevano inevitab<strong>il</strong>mente condotto.<br />

Parole <strong>il</strong>luminate a cui l’immortalità di un gesto atletico fuori dal comune<br />

ha regalato i tratti <strong>del</strong>la poesia.<br />

Fernando, suo cugino, aveva deciso di lasciare gli stenti di un’Argentina<br />

da poco liberata dalla dittatura m<strong>il</strong>itare per abbracciare <strong>il</strong> sogno <strong>del</strong>le sue<br />

origini. Scelse l’Italia e l’unica reale opportunità per dare un senso a una<br />

vita che di giorno in giorno si faceva sempre più precaria. Scelse di<br />

prendere lo stesso volo che avrebbe riportato Pasquale in Calabria e<br />

l’unica opportunità professionale in cui <strong>il</strong> coltello serviva solo per tagliare


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 51<br />

a metà i limoni che una macchina avrebbe poi trasformato in granita. Portò<br />

con sé lo stretto indispensab<strong>il</strong>e e tra i pochi oggetti un’audiocassetta su cui<br />

aveva riversato i settantuno secondi in cui la voce <strong>del</strong> periodista uruguagio<br />

prestato dalla sorte alla televisione argentina ha commentato un gol che<br />

non è solo calcio, ma la storia di una rivalità politica che proprio pochi<br />

anni prima aveva acceso la miccia di una pericolosa guerra. Un nastro che<br />

<strong>il</strong> walkman di Pasquale non si stancava mai di riprodurre e che Fernando<br />

recitava a memoria con la solennità di un mantra, caratterizzando ogni<br />

singolo passaggio al punto tale che conoscere lo spagnolo e <strong>il</strong> significato<br />

letterale di quelle parole diventava un inut<strong>il</strong>e dettaglio.<br />

Anche nei momenti di maggior disagio Pasquale seppe dimostrarsi un<br />

buon collega e un amico affidab<strong>il</strong>e: Dante poteva sempre contare su di lui<br />

ogni volta avesse bisogno di un passaggio in paese oppure di cambiare un<br />

turno. Come quella sera che lo accompagnò a Catanzaro a incontrare un<br />

amico in visita forzata al parentado d’origine calabro-albanese. E dove<br />

conobbe Caterina.


52 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Diciotto<br />

di Sergio<br />

«Oh, vediamo di non fare la fine <strong>del</strong>l’ultima volta che siamo usciti con<br />

<strong>del</strong>le tipe».<br />

Distolse senza indugio, sebbene molto a malincuore, lo sguardo dalle due<br />

ragazze che avevano momentaneamente lasciato <strong>il</strong> tavolo per<br />

l’immancab<strong>il</strong>e visita di coppia alla to<strong>il</strong>ette. Assaporava, convinto che fosse<br />

solo una questione di tempo, <strong>il</strong> piacere che avrebbe provato sostituendo le<br />

sue mani alle tasche di dietro dei loro jeans att<strong>il</strong>lati; percepiva addirittura<br />

sui polpastrelli la consistenza di tanta stagna grazia quando quella ridicola<br />

frase rinnovò tutti i suoi dubbi circa la compatib<strong>il</strong>ità di concetti quali <strong>il</strong><br />

successo con le donne e la presenza di Sergio. Nonostante fosse più che<br />

abituato al nonsenso <strong>del</strong>la maggior parte <strong>del</strong>le sue parole, Dante non riuscì<br />

a trattenersi dall’eruttargli addosso la sua consueta dose d’insulti. «E a me<br />

lo vieni a dire, pezzo di pirla che non sei altro?». Sgranò ancor più gli<br />

occhi, inferocito come diffic<strong>il</strong>mente riusciva a essere. Si era sforzato di<br />

non parlare più di quella storia, ma questa sua uscita non poteva passare<br />

sotto s<strong>il</strong>enzio. La musica <strong>del</strong> jukebox era molto alta e poté permettersi di<br />

urlare senza <strong>il</strong> timore che qualcuno li sentisse. «Chi è che ha mandato tutto<br />

a puttane, brutto coglione?».<br />

A volte Sergio sembrava autistico per quanto sconnesso dalla realtà. Di<br />

certo, una <strong>del</strong>le sue più grandi preoccupazioni era avere l’ultima parola,<br />

vizio che Dante non ha mai saputo comprendere né sopportare. Ma Sergio<br />

era un amico e Dante gli voleva bene a prescindere dalle manie di<br />

protagonismo che, ai suoi occhi, lo facevano sentire diverso<br />

dall’imbranato fatto e finito che tutti vedevano. «Te l’avevo detto che non<br />

potevo rimanere tutto <strong>il</strong> pomeriggio, ma tu hai voluto continuare. E poi lo<br />

sapevi bene che a me quelle due cozze pelose non interessavano». Fossero<br />

stati a M<strong>il</strong>ano, Dante l’avrebbe mandato a fare in culo e se ne sarebbe<br />

andato via. Per giunta, senza pagare la sua birra media. Il tutto nel pieno<br />

rispetto <strong>del</strong>la loro amicizia, ma sarebbe andato via. Per poi richiamarlo <strong>il</strong><br />

giorno dopo come se nulla di strano fosse mai successo, ma sarebbe<br />

andato via. Perché le due cozze in questione non erano affatto tali. E<br />

perché Dante era anche riuscito a ridurle in mutande e reggipetto con un<br />

improvvisato strip poker prima che Sergio se ne uscisse con<br />

quell’impegno improrogab<strong>il</strong>e. Gliela stavano per servire senza troppe<br />

formalità, ma lui seppe mandare tutto a monte. Anche quella volta. Si


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 53<br />

limitò dunque a insultarlo ripetutamente, un vaffanculo dietro l’altro senza<br />

neanche ascoltare cosa dicesse, fino a che non si accorse che le ragazze<br />

stavano uscendo dal bagno. Le eiaculazioni precoci di Sergio – <strong>il</strong> sospetto<br />

più plausib<strong>il</strong>e era quello – e i suoi ridicoli tentativi di mistificare non<br />

sarebbero stati d’aiuto. «Avete voglia di andare a mare?» chiese Caterina e<br />

Dante non aspettò che Sergio dicesse loro, come aveva già fatto con lui, di<br />

non aver pensato al costume. Rispose subito di sì, affrettandosi a prevenire<br />

ogni probab<strong>il</strong>e obiezione. Salirono sulla Uno <strong>del</strong> padre di Sergio, lui<br />

davanti con Veronica, Dante dietro con Caterina. Al resto pensarono i<br />

ferormoni, e già prima che si arrivasse alla spiaggia. Il vento che<br />

quell’estate soffiava costante consigliò loro di lasciar perdere <strong>il</strong> bagno e di<br />

occupare le prime ore <strong>del</strong> nuovo giorno in modo diverso. Prendendo<br />

coscienza, nel bene e nel male, dei segnali <strong>del</strong> proprio corpo.<br />

Inequivocab<strong>il</strong>i espressioni che, di lì a breve, avrebbero dato un senso<br />

diverso alle loro vite.


54 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Diciannove<br />

di rabbia e, forse, amore<br />

Tutte le famiglie felici sono sim<strong>il</strong>i le une alle altre; ogni famiglia infelice è<br />

infelice a modo suo.<br />

Lev Nikolaevic Tolstoj – Anna Karenina<br />

Suo padre lo aveva chiamato la sera prima, informandolo <strong>del</strong>l’imminente<br />

partenza per le vacanze: diretti a Palermo, i suoi avrebbero potuto<br />

concedersi una piccola pausa e passare una mezz’ora insieme al loro unico<br />

figlio, che non vedevano da diverse settimane. Erano di strada, si diceva,<br />

mentre <strong>il</strong> padre lo tediava elencandogli i controlli a cui aveva sottoposto la<br />

macchina prima di un viaggio così probante, e una deviazione di pochi<br />

ch<strong>il</strong>ometri non gli avrebbe portato via troppo tempo. Non ci fu però<br />

nessun accenno a questa possib<strong>il</strong>ità: gli disse che si sarebbero fermati a<br />

Taurianova a trovare i parenti di suo nonno, ma l’idea di un caffè in sua<br />

compagnia non li aveva evidentemente sfiorati.<br />

Il passato era un immenso contenitore debordante occasioni in cui<br />

avrebbero potuto stargli vicino, alle quali hanno sempre preferito la noia di<br />

una canasta o impegni che non potevano essere importanti quanto <strong>il</strong><br />

desiderio di condividere momenti unici <strong>del</strong>la sua adolescenza: mai<br />

presenti alle recite scolastiche, mai una visita durante le colonie estive,<br />

mai una volta che fossero andati a fare <strong>il</strong> tifo per lui quando girava la<br />

<strong>Lo</strong>mbardia nella speranza che <strong>il</strong> suo miglior salto fosse più alto di quello<br />

degli avversari di turno. Non si spiegava <strong>il</strong> perché di un tale distacco e non<br />

sapeva se avrebbe avuto senso palesarlo. Si limitava a soffrirne, in<br />

s<strong>il</strong>enzio, auspicando che un giorno arrivassero a capire e ad agire di<br />

conseguenza. E che quel giorno fosse prossimo a venire.<br />

Fu per questo che, quando un collega lo avvisò di una visita nel momento<br />

più caotico <strong>del</strong> dopo cena, l’idea che i suoi gli avessero fatto una sorpresa<br />

lo eccitò. Incurante di quella che sarebbe stata la dura reazione <strong>del</strong> capo<br />

bar, si affrettò a raggiungere la hall; non rimase però granché stupito<br />

quando s’accorse che ad attenderlo non vi erano loro. Era Caterina.<br />

Si era già detto pronto a dimenticare tutti gli episodi che alimentavano da<br />

anni <strong>il</strong> suo malcontento, a ricondurre tutto alla fisiologica necessità di<br />

prendere fiato dopo dure giornate di lavoro sulla catena di montaggio, ma<br />

non ebbe modo di farlo. Aveva però un buon motivo per rivolgere altrove i<br />

propri pensieri. «Cosa ci fai, te, qui?». Si sentiva ridicolo con quella


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 55<br />

divisa, che gli ricordava più gli stracci di un mozzo d’altri tempi che una<br />

tenuta da barista. «Avevo voglia di rivederti…». Dante sorrise e sfiorò i<br />

suoi lunghi capelli castani fino a carezzarle una guancia. «Io sto<br />

lavorando, e ne avrò ancora fino a mezzanotte».<br />

«Non ti preoccupare, ho detto ai miei che stanotte dormo da Veronica».<br />

Dante passò tre ore visib<strong>il</strong>mente distratto dal pensiero che lei fosse lì ad<br />

aspettarlo, dopodiché la raggiunse e le fece fare un giro per <strong>il</strong> v<strong>il</strong>laggio.<br />

Bevvero qualcosa insieme al Piano Bar e poi andò a togliere la divisa.<br />

Pensava sarebbero andati sulla spiaggia, ma l’accoglienza e la riservatezza<br />

<strong>del</strong> suo stanzino li indussero a passare i loro momenti abbracciati stretti sul<br />

letto. Non successe niente di particolarmente interessante da raccontare,<br />

ma Dante era felice. Felice che qualcuno gli dimostrasse di essere<br />

importante. Si addormentarono.<br />

L’indomani si fece lasciare <strong>il</strong> suo indirizzo e <strong>il</strong> numero di telefono,<br />

promettendole che sarebbe presto andato a trovarla.


56 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Venti<br />

di amore perso e di amore ritrovato<br />

La verità è che non era la profondità dei suoi sentimenti ad attrarlo a<br />

Caterina al punto da mollare tutto e trasferirsi in Calabria, quanto l’idea<br />

che fosse ritornato a nutrire emozioni per una donna che non fossero<br />

necessariamente riconducib<strong>il</strong>i alla pulsione sessuale. Da quando Marina<br />

morì, infatti, e nonostante all’epoca fosse giusto un ragazzino, non riuscì<br />

mai a provare sincere passioni nei confronti <strong>del</strong>le ragazze con le quali gli<br />

capitava di avere un rapporto che trascendesse l’amicizia. Desiderava solo<br />

baciarle, toccare <strong>il</strong> loro corpo, sentirsi all’altezza di tutti i ragazzi che<br />

andavano a spasso mano nella mano con la morosa. E scoparle,<br />

ovviamente. Cercava nelle donne un medicamento che potesse aumentare<br />

la poca stima che aveva di sé e uno strumento che fosse in grado di<br />

mascherare l’insicurezza di ogni suo passo. Mai vero coinvolgimento. Per<br />

di più, di un rapporto stab<strong>il</strong>e non sentiva la necessità e ancora meno era<br />

disposto a rendere conto <strong>del</strong>le proprie azioni a qualsivoglia persona.<br />

Cercava leggerezza e riusciva a trovarla solo nella superficialità di una<br />

serata in discoteca, voleva sesso ma non era affatto incline alla pazienza. Il<br />

perché di questo approccio potrebbe essere presto spiegato, e senza andare<br />

troppo lontano nel tempo: la morte <strong>del</strong>la persona che ami quando hai solo<br />

tredici anni è un evento che ti segna. E questo può essere un perché,<br />

evidente al punto tale da non farti spingere oltre nell’analisi. Sentiva però<br />

che c’era <strong>del</strong>l’altro, ma non aveva ancora sufficienti elementi per<br />

comprendere. L’offerta di Caterina ebbe la forza di azzerare totalmente i<br />

pregiudizi che condizionavano i suoi rapporti con l’altro sesso: la<br />

prospettiva di una vita indipendente e di un rapporto adulto aprì nuovi<br />

scenari a un futuro che non aveva immaginato potesse essere così<br />

prossimo. La fiducia che lei gli dimostrava e le costanti attenzioni di cui lo<br />

faceva oggetto lo indussero a provarci, a cercare motivazioni che non<br />

fossero banali come quelle che lo avevano fin lì mosso o limitato. Sebbene<br />

le fondamenta <strong>del</strong> sentimento non fossero radicate quanto la razionalità <strong>del</strong><br />

suo pensiero avrebbe voluto, la prospettiva di qualcosa di importante lo<br />

aiutò a essere finalmente spontaneo, liberando tutto ciò che aveva<br />

scientemente represso. Sapeva che un solo mese di frequentazione, anche<br />

se parecchio intensa, non poteva essere sufficiente per arrivare a prendere<br />

quella decisione, ma scelse di lasciarsi trasportare dagli eventi e da ragioni<br />

a lui <strong>del</strong> tutto nuove. Si trasferì.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 57<br />

Ventuno<br />

Semifinale<br />

Lacchiarella, <strong>il</strong> ricordo <strong>del</strong>la sconfitta prima ancora <strong>del</strong>la consapevolezza<br />

di ritornare nella palestra in cui si è materializzata la svolta. <strong>Lo</strong> spogliatoio<br />

sotto le scale, lo stesso nel quale i ragazzi hanno scelto di indossare,<br />

indifferenti al suo mesto ep<strong>il</strong>ogo, la maglietta celebrativa di una vittoria<br />

che non c’è stata, non sul campo, non in quella partita senza ritorno<br />

giocata quasi un anno prima. Il momento in cui la tristezza per una finale<br />

persa non poteva sottacere l’aver vissuto insieme un’esperienza che<br />

avrebbe saputo lasciare un segno in<strong>del</strong>eb<strong>il</strong>e sul loro futuro, in cui due<br />

rigori calciati malamente hanno dato più di quanto non avrebbe mai potuto<br />

regalare un pezzo di latta mo<strong>del</strong>lato sulle linee tondeggianti di una coppa.<br />

Un’<strong>il</strong>lusione smascherata un attimo prima che si tramutasse in<br />

un’ingannevole verità, una promessa la cui unica condizione era la volontà<br />

di crederci.<br />

Tornano a Lacchiarella le Mine Vaganti, per disputare la semifinale <strong>del</strong><br />

campionato provinciale contro un avversario di cui non sanno nulla, se<br />

non <strong>il</strong> nome. Con una sola certezza, l’essere finalmente una squadra. Con<br />

una personalità che mai avevano dimostrato di avere, con la capacità di<br />

imporre a ogni partita i ritmi a loro più congeniali, con la continuità per<br />

arrivare a giocarsela sempre fino in fondo. Un’identità. Roba che non si<br />

trova nel sacchetto <strong>del</strong>le patatine, tanto meno scritta tra le pagine di un<br />

manuale. Che nasce, per caso o forse no, quando <strong>il</strong> gruppo sceglie di<br />

mettersi nelle mani di una sola persona, l’unica deputata a parlare mentre<br />

ognuno vorrebbe dire la sua. A mediare e prendere decisioni. Una persona<br />

che, con alle spalle un passato di allenatore, sì, ma di pallacanestro, non ha<br />

una vera esperienza calcistica se non quella maturata sul campo, con loro,<br />

prima di infortunarsi nel tentativo di difenderne la porta. Con <strong>il</strong> buonsenso<br />

di anteporre <strong>il</strong> gruppo ai risultati e <strong>il</strong> divertimento alla vittoria, assegnando<br />

responsab<strong>il</strong>ità ma allo stesso tempo sminuendo gli errori dei singoli,<br />

ottenendo in cambio <strong>il</strong> meglio da ognuno di loro.<br />

Il <strong>Lo</strong>fa passeggia ai margini <strong>del</strong> campo, un occhio ai suoi compagni e<br />

l’altro ai ragazzi con la scritta Bogside sul petto. Che hanno vinto senza<br />

grandi affanni <strong>il</strong> loro girone e altrettanto fac<strong>il</strong>mente <strong>il</strong> quarto di finale.<br />

Sono in undici, sono tanti, e dovrebbero avere più ossigeno da spendere<br />

dei sette in rossoblu. Anche se - di questo <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa ne è convinto nonostante


58 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

<strong>il</strong> carattere empirico <strong>del</strong>la sua teoria - non potranno mettere in campo<br />

l’intensità che le soventi sostituzioni tendono a far scemare. Nel calcio a 5<br />

due o tre cambi sono sufficienti. Quattro sono già troppi. A lui piace<br />

pensarla così e i risultati <strong>del</strong>la stagione regolare ottenuti contro compagini<br />

più numerose forse non lo dimostrano in maniera ineccepib<strong>il</strong>e, ma non lo<br />

possono affatto negare.<br />

Ami è ancora deb<strong>il</strong>itato dall’influenza e non se la sente di andare a referto.<br />

Non fa comunque mancare <strong>il</strong> suo rumoroso sostegno, seduto in tribuna<br />

affianco a Mario, che ha dato un seguito alla sua promessa. Gianlukakà<br />

resta anche stavolta una speranza vana, ma per la qual cosa non può essere<br />

condannato: ha parlato chiaro all’inizio <strong>del</strong>la stagione e <strong>il</strong> rimpianto di<br />

vederlo in campo solo di rado è metabolizzato da tempo. Il quintetto di<br />

partenza, pressoché obbligato per dare un minimo di senso alle rotazioni,<br />

prevede Asto tra i pali, <strong>il</strong> Borla e Forrest sulle fasce, Jimmy in mezzo alla<br />

difesa e <strong>il</strong> Capitano come terminale offensivo. Più che le loro giocate,<br />

però, è la tensione a scrivere la cronaca <strong>del</strong>la fase iniziale <strong>del</strong>la partita. La<br />

tensione che ognuno di loro vive in modo diverso ma che si traduce con<br />

rara sistematicità in una reiterazione di errori, dai più grossolani ai più<br />

preoccupanti. In una barriera piazzata male che costa <strong>il</strong> vantaggio<br />

avversario, nell’incapacità di tenere la propria posizione, nella foga di<br />

volere recuperare subito lo svantaggio, nel prendere iniziative fuori da<br />

ogni logica. Il risultato, non fosse che gli avversari non hanno saputo<br />

approfittare <strong>del</strong>le enormi lacune mostrate su entrambi i versanti, avrebbe<br />

dovuto essere ben più severo <strong>del</strong>l’uno a zero su cui si chiude <strong>il</strong> primo<br />

tempo.<br />

«Perché continuate a far di testa vostra? Non lo capite che così facciamo <strong>il</strong><br />

loro gioco?». Le parole spese nel preparare la partita si sono dimostrate<br />

vane e i problemi apparentemente annegati negli abissi <strong>del</strong> passato sono<br />

tornati d’attualità. Inspiegab<strong>il</strong>mente, perché <strong>il</strong> confronto, almeno sul piano<br />

tecnico, sembra sb<strong>il</strong>anciato a favore <strong>del</strong>le Mine Vaganti e la sola tensione<br />

non può quindi giustificare venti lunghi minuti in cui in campo si è visto<br />

l’esatto contrario di quello che i ragazzi si erano ripromessi di fare. La<br />

frustrazione di un allenatore, in questi frangenti, raggiunge lo zenit:<br />

l’atmosfera è rarefatta, ma l’esperienza è ossigeno. Insistere è l’unica<br />

strada percorrib<strong>il</strong>e. «State tranqu<strong>il</strong>li, non abbiate fretta, manca ancora tutto<br />

<strong>il</strong> secondo tempo. Se fra una decina di minuti siamo ancora sotto, allora ci<br />

giochiamo <strong>il</strong> tutto per tutto. Ma per <strong>il</strong> momento dobbiamo continuare a<br />

credere che la partita si possa vincere come sappiamo noi. Con le nostre


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 59<br />

armi. Con la difesa e la ripartenza. Chiusi. Senza correre rischi». Il <strong>Lo</strong>fa<br />

prende per un braccio <strong>il</strong> Capitano. «Oh, guarda che questa non è mica la<br />

Playstation! E’ tutta la partita che te ne vai in giro per <strong>il</strong> campo senza dare<br />

un riferimento ai compagni. Devi stare profondo, cazzo, ti devi portare via<br />

un difensore. Altrimenti non c’è spazio per muovere la palla a<br />

centrocampo».<br />

«<strong>Lo</strong>fa, se non mi arriva una sola palla giocab<strong>il</strong>e, allora me la vado a<br />

prendere io».<br />

«Ma è ovvio che non ti arrivi, sei sempre nel posto sbagliato! Sempre. Tu<br />

fai quello che devi e vedrai che gli altri sapranno dartela al momento<br />

giusto». <strong>Lo</strong> scosse per <strong>il</strong> braccio, <strong>il</strong> braccio che non aveva ancora lasciato<br />

da che gli si era rivolto. «Non è un caso se con Dado in campo e te in<br />

panchina abbiamo creato qualcosa di più. Mettitelo in testa, non è un<br />

caso».<br />

Il Capitano, sensib<strong>il</strong>e a quel ritornello solo quando con le spalle al muro,<br />

annuì s<strong>il</strong>enziosamente e così <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa si prese qualche secondo per<br />

concludere. Senza far riferimento agli avversari, ribadendo per l’ennesima<br />

volta concetti ancora ridotti allo stadio <strong>del</strong>la teoria. «Jimmy, smetti di<br />

chiamarli alti, altrimenti i laterali si ritrovano con l’attaccante sempre alle<br />

loro spalle. Dobbiamo guardarli in faccia i nostri uomini, non devono<br />

esserci dietro».<br />

Continuò a spronarli, uno a uno, fino che gli arbitri non comandarono la<br />

ripresa.<br />

I primi minuti <strong>del</strong> secondo tempo sono la cartina di tornasole degli stati<br />

d’animo <strong>del</strong>le due squadre: da una parte l’inevitab<strong>il</strong>e forcing di chi si trova<br />

a rincorrere, dall’altra la necessità di spezzettare <strong>il</strong> gioco e togliere ritmo<br />

all’avversario. Gestire bene, dal punto di vista psicologico, i primi cinque<br />

minuti equivale a mettere un’ipoteca davvero importante sul risultato<br />

finale. Tant’è. Pareggio immediato e altri quattro gol nel giro di dieci<br />

minuti. La partita è archiviata e <strong>il</strong> 5a2 finale rispecchia con discreta fe<strong>del</strong>tà<br />

la netta differenza dei valori espressi nel secondo tempo.<br />

«Capitano, cosa facciamo, rimaniamo a vedere la seconda semifinale?».<br />

Asto, come sempre l’ultimo sotto la doccia, la butta lì. Non è dato sapere<br />

se per scherzo o se perché realmente interessato.<br />

«Ma sei fuori?, muoviti a lavarti che poi ci andiamo a bere una birra!». Il<br />

Capitano cercò, trovandolo, <strong>il</strong> consenso degli altri. «Tanto, vincere o<br />

perdere dipende solo da noi, no?».


60 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Ventidue<br />

di supposte paternità<br />

«Cioè, tu metti incinta una ragazza che frequenti da… diciamo un paio di<br />

mesi e io dovrei pensare che hai <strong>il</strong> pieno controllo <strong>del</strong>la situazione? E’<br />

questo che mi stai dicendo, bigolo che non sei altro?». Il limite tra ironia e<br />

sarcasmo, cinismo e sottinteso è spesso ambiguo. Troppo, a volte, per<br />

riuscire a comprendere <strong>il</strong> senso di un’affermazione o per coglierne, senza<br />

equivoci, le reali intenzioni. Le mezze verità di Egidio, evasive quanto<br />

basta per dimostrarsi sincere ma anche <strong>il</strong> suo esatto contrario, si prestano<br />

in maniera sorprendente al gioco <strong>del</strong>le chiavi di lettura. In cui <strong>il</strong> giudizio,<br />

se non innocente, si maschera fac<strong>il</strong>mente con l’incomprensione.<br />

«Stavolta io non c’entro un cazzo, Edi. Te lo giuro davanti a dio».<br />

«Ah sì, adesso vuoi vedere che è colpa mia?».<br />

«Davvero, Edi, credimi, non è colpa mia». Persuaso dall’apparente garbo<br />

<strong>del</strong> fratello, Claudio si affrettò a chiarire. «Il ginecologo dice che l’effetto<br />

contraccettivo <strong>del</strong>la p<strong>il</strong>lola viene meno nel caso si prendano determinati<br />

farmaci. Alcuni antibiotici, ad esempio. E così è stato, bastarda di una<br />

merda».<br />

Egidio non disse nulla per qualche secondo. Scuoteva la testa, <strong>il</strong> buio degli<br />

occhi chiusi <strong>il</strong>luminato da un sottofondo di bestemmie urlate<br />

s<strong>il</strong>enziosamente. Il colpo aveva lasciato <strong>il</strong> segno. «Barbara vuol tenerlo,<br />

allora?».<br />

«Sì».<br />

«A tutti i costi?».<br />

«In che senso?».<br />

«Nel senso che è disposta a portare avanti la gravidanza anche senza <strong>il</strong> tuo<br />

appoggio?».<br />

Claudio si prese qualche istante prima di rispondere. «Edi, questo è uno<br />

scenario che non prendo neanche in considerazione. Io sono <strong>il</strong> padre <strong>del</strong><br />

bambino che le sta crescendo dentro e non ho intenzione di lavarmene le<br />

mani». Il punto di rottura sembrava molto prossimo ad essere raggiunto.<br />

Di nuovo. «Hai da insegnarmi qualcosa anche in questo senso?».<br />

«La risposta te la sei data da solo…».<br />

«Ma dai, raccontami allora. Non sapevo che avessi dei figli…».<br />

«Non è necessario avere dei figli per arrivare a capire determinate cose. Tu<br />

ne sei l’esempio».<br />

«Eh?!».


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 61<br />

«Non penso di sbagliarmi quando dico che essere padre vuol dire crescere<br />

una creatura, educarla. Non semplicemente concepirla».<br />

«In altre parole mi stai dicendo che, oltre che mio fratello, ti consideri pure<br />

mio padre?».<br />

«Sì, per certi versi, sì».<br />

Claudio si produsse in una risata teatrale, sulla cui totale assenza di<br />

spontaneità Egidio non nutriva dubbi.<br />

«Non fare lo scemo, sto parlando seriamente».


62 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Ventitre<br />

di Masco<br />

In piedi sotto una pens<strong>il</strong>ina a ripararsi da un freddo <strong>del</strong> tutto inatteso e che,<br />

incurante <strong>del</strong>la logica alternanza <strong>del</strong>le stagioni, ha trasformato i giorni più<br />

miti di inizio autunno in un saggio <strong>del</strong>l’inverno che è ancora lungi<br />

dall’arrivare. Almeno per <strong>il</strong> calendario. Un libro in mano nell’attesa<br />

<strong>del</strong>l’autobus, gli occhi a scandire parola per parola <strong>il</strong> racconto che fino a<br />

un paio di settimane prima lo entusiasmava come pochi, ma che nel<br />

contingente non riesce a distrarlo dai pensieri che occupano esclusivi la<br />

sua mente. Legge, ma non c’è parola o frase che riesca a sovrastare<br />

l’estenuante sottofondo che risuona nella sua testa: la voce ovattata di un<br />

noto cantante, di cui non ricorda <strong>il</strong> nome, rimbalza da un emisfero all’altro<br />

<strong>del</strong> suo cervello ripetendogli che This is the end, beautiful friend, this is<br />

the end, my only friend, the end. D’altri tempi avrebbe fatto di tutto per<br />

dare un volto a quella voce. E per scoprire <strong>il</strong> titolo di quel brano. Questa<br />

volta no. Questa volta non gli frega proprio un cazzo né di lui, né <strong>del</strong> suo<br />

gruppo e ancora meno di quella maledetta canzone. L’anatema che gli ha<br />

lanciato va ben oltre l’apparenza di un’infausta cant<strong>il</strong>ena e <strong>il</strong> messaggio di<br />

cui si fa portatore gli impone, senza mezzi termini, una scelta: accettarne<br />

le lusinghe o combatterle strenuamente. La consapevolezza <strong>del</strong>la sua<br />

incertezza è più di una mezza risposta e <strong>il</strong> pensiero <strong>del</strong>la resa non lo<br />

spaventa come dovrebbe. E’ di questo che ha veramente paura.<br />

L’autobus arriva e, sebbene fossero già saltate due corse, <strong>il</strong> conducente<br />

spegne <strong>il</strong> motore e si dirige compassato verso <strong>il</strong> chiosco all’angolo <strong>del</strong>la<br />

strada, incurante <strong>del</strong> vociare <strong>del</strong>la gente che aspetta infreddolita da oltre<br />

mezz’ora. Masco sale e, nonostante l’assembramento, trova un seggiolino<br />

libero su cui sedersi. Di fronte a sé un ragazzino sudamericano con due<br />

cuffie enormi alle orecchie, dal volume alto e in parte nascoste da un<br />

cappello di lana a maglie larghe, azzurro, senza visiera; chiude <strong>il</strong> libro, che<br />

comunque non riusciva a leggere, e tira fuori dalla borsa <strong>il</strong> lettore portat<strong>il</strong>e,<br />

cosciente che gli sarebbe servito non tanto per distrarsi, quanto per evitare<br />

<strong>il</strong> fastidioso ronzio hip hop che echeggia intermittente in quell’atmosfera<br />

già di per sé satura di rumori.<br />

John Mayall, la sua personale medicina per i mali <strong>del</strong> cuore, non è efficace<br />

come in tante altre occasioni. Giusto <strong>il</strong> tempo di realizzarlo – <strong>il</strong> piede<br />

immob<strong>il</strong>e nonostante l’assolo di chitarra di Good Times Boogie – che gli<br />

occhi gli si velano di un leggero strato di lacrime: non è per via <strong>del</strong>


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 63<br />

fastidioso vento che entra dalle porte ancora aperte, ma per <strong>il</strong> pensiero di<br />

doversi separare da suo figlio. La frag<strong>il</strong>ità <strong>del</strong> compromesso su cui era<br />

fondato <strong>il</strong> matrimonio con Cristiana e la sua inevitab<strong>il</strong>e instab<strong>il</strong>ità hanno<br />

obbligato lui e la moglie a equ<strong>il</strong>ibrismi logoranti. Che nel tempo, esaurita<br />

la passione di un rapporto molto intenso, hanno tolto a entrambi la<br />

speranza in un futuro migliore. Un futuro che da qualche giorno s’è fatto<br />

presente. <strong>Lo</strong>ntano da suo figlio. Senza Patrizio.<br />

L’autobus finalmente parte. Il triste squallore <strong>del</strong>la periferia m<strong>il</strong>anese<br />

sembra lo scenario più adatto al disagio che sta s<strong>il</strong>enziosamente vivendo.<br />

Campi di grano bruciati dal prematuro gelo, le baracche lungo <strong>il</strong> Lambro e<br />

<strong>il</strong> far west <strong>del</strong>le case popolari. Il traffico <strong>del</strong>l’ora di punta sulla tangenziale<br />

e poi, dopo <strong>il</strong> rosso di quell’interminab<strong>il</strong>e semaforo, la sua fermata.<br />

Entra in casa, a dargli <strong>il</strong> benvenuto solo Rufus, <strong>il</strong> suo vecchio cane. Lui<br />

scodinzola eccitato e per qualche istante la sua piacevole accoglienza lo<br />

rinfranca. Toglie <strong>il</strong> giubbotto, lo butta su una sedia e si sdraia per terra,<br />

supino. Mani davanti agli occhi, sente la rabbia fluire per tutto <strong>il</strong> corpo e<br />

materializzarsi in vortici di invisib<strong>il</strong>e aria che sfoga, veemente, dal naso.<br />

Si alza di scatto e comincia a girare nervosamente per la stanza, poi va in<br />

camera e prende a calci ogni oggetto si trovi sulla sua strada. Perde <strong>il</strong><br />

controllo dei nervi. Piange fiumi di amaro veleno e urla <strong>il</strong> suo dolore<br />

incurante di quello che possono pensare i vicini. Soffre, consapevole che<br />

alla sua disperazione non c’è rimedio. Questa volta è davvero finita.<br />

Mortificato, va avanti nel suo <strong>del</strong>irio incontrollato alla ricerca di una<br />

soluzione che non c’è. Fino a che, esaurite le energie nervose, si appoggia<br />

sul letto e, senza neanche accorgersene, si addormenta.<br />

Si risveglia dopo un paio di ore, in preda a un forte mal di pancia. Un<br />

fuoco intermittente pervade le sue viscere, stavolta non in senso lato. Si<br />

siede sul cesso, ma i suoi sforzi producono solo rumore, niente più. Prova<br />

a mangiare qualcosa e così, lentamente, <strong>il</strong> dolore si attenua fino a<br />

diventare un semplice fastidio. Si sente più calmo rispetto a prima.<br />

Accende l’ennesima sigaretta di una giornata in cui ha ecceduto anche nel<br />

fumare e cerca un motivo che lo possa distogliere da qualsiasi pensiero.<br />

Prova con la televisione, ma spegne dopo aver constatato che nessuna di<br />

quelle idiozie avrebbe potuto distrarlo. Di ascoltare <strong>del</strong>la musica non ha<br />

proprio voglia, nemmeno di leggere. Ha bisogno di qualcosa che sappia<br />

strappare con decisione le catene che lo obbligano a vagare come un folle<br />

intorno al nulla, ma non sa proprio dove rivolgere le proprie attenzioni. Un<br />

salto al bar potrebbe essere un’idea, ma nello stato in cui si trova non ha


64 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

certo la forza di parlare o anche solo la voglia di ascoltare. Decide di<br />

portare giù <strong>il</strong> cane, nella speranza che <strong>il</strong> freddo possa in qualche modo<br />

scuoterlo.<br />

Al rientro, dopo circa un’ora in giro per i giardini <strong>del</strong>la zona, si accorge<br />

che nella cassetta <strong>del</strong>la posta c’è una busta. Non è la banca che comunica<br />

che i tassi <strong>del</strong> mutuo sono stati nuovamente rialzati. Né una bolletta e<br />

nemmeno una pubblicità. Sul retro trova scritto a mano un nome che gli<br />

suona vagamente fam<strong>il</strong>iare. Entra in casa.<br />

Ero a tavola, assorto nel guardare la televisione. Non ricordo quale<br />

programma in particolare: dato l’orario, probab<strong>il</strong>mente un cartone<br />

animato. Non feci quindi caso ai rumori che provenivano dal portone,<br />

rumori che invece furono chiaramente colti da mio padre. Troppo decisi,<br />

quei colpi, per passare inosservati. Almeno per un adulto. Lui mi chiese di<br />

alzarmi e di andare a vedere cosa stesse succedendo in cort<strong>il</strong>e e così mi<br />

affacciai al balcone e vidi Marina in una pozza di sangue. Sapevo che tu e<br />

Dante eravate lì con lei, ci eravamo da poco salutati prima che io mi<br />

sedessi a tavola, ma di voi due non vi erano tracce.<br />

Eravate voi a scuotere <strong>il</strong> portone nella speranza di riuscire a scappare da<br />

quell’inferno. Siete stati voi a richiamare l’attenzione di mio padre.<br />

Ancora sul balcone, mi girai e dissi che «a Marina esce <strong>il</strong> sangue dal<br />

naso» e così mio padre si precipitò a vedere con i propri occhi. Appena si<br />

rese conto di quello che stava succedendo mi urlò di andare dentro e,<br />

dopo aver detto qualcosa a mia madre, senza neanche vestirsi, corse giù.<br />

A piedi nudi. E’ stato lui a soccorrere Marina per primo mentre mia<br />

madre chiamava <strong>il</strong> 113.<br />

Non capivo. Avevo nove anni e non sapevo che potessero accadere certe<br />

cose. Ho sentito le urla <strong>del</strong>la Paola e poi le voci che si sovrapponevano<br />

progressivamente mentre <strong>il</strong> cort<strong>il</strong>e si affollava di gente richiamata dal<br />

trambusto e dalla sirena <strong>del</strong>l’ambulanza. Immaginavo stesse succedendo<br />

qualcosa di grave, ma non trovavo <strong>il</strong> coraggio di affacciarmi e guardare.<br />

Mio padre mi aveva detto di stare in casa e io, mosso dal terrore che<br />

avevo letto nei suoi occhi, obbedii ligio.<br />

Poi, non ricordo quanto tempo dopo, lui è tornato su. Era scosso.<br />

Tremava. Gli occhi ancora lucidi. La sua canottiera e i suoi calzoni corti<br />

erano completamente intrisi di sangue. Le sue mani, la sua faccia, le sue<br />

gambe. Sangue dappertutto.<br />

Mi spiegò cosa era successo.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 65<br />

Avevo nove anni e non sapevo che potessero accadere certe cose.<br />

Masco, immagino tu sappia che la piazza, allo stato attuale, è un cantiere<br />

aperto. I lavori, che tanto ho sollecitato da che mi sono insediato nel<br />

consiglio di zona, dovrebbero terminare alla fine di ottobre e per <strong>il</strong> 9<br />

novembre è prevista l’inaugurazione. Saranno presenti alcuni<br />

rappresentanti <strong>del</strong> comune e in quell’occasione verrà esposta una targa in<br />

memoria di Marina Vannucchi. La nostra amica Marina. Mi piacerebbe<br />

rivederti dopo tanto tempo. Rivedere te e i ragazzi con i quali siamo<br />

cresciuti. L’appuntamento è per le ore 14:30 davanti al bar.<br />

Un abbraccio,<br />

Lino Cavenaghi


66 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Ventiquattro<br />

Finale<br />

Una finale non è solo una partita di calcio, una finale è molto di più. Una<br />

finale è innanzitutto <strong>il</strong> sogno a occhi aperti che non ti vergogni di fare nel<br />

momento in cui decidi di iniziare qualcosa, qualunque cosa essa sia. Un<br />

sogno che tieni per te e basta, che ti appartiene in modo <strong>del</strong> tutto esclusivo,<br />

che non si cura dei s<strong>il</strong>logismi <strong>del</strong>la logica materiale.<br />

Nel caso specifico, la finale è <strong>il</strong> punto più alto da raggiungere in una<br />

competizione agonistica. Così come lo è pubblicare un disco per un<br />

aspirante musicista o organizzare una mostra per un pittore alle prime<br />

armi. E’ un obiettivo ambizioso, smaccatamente immodesto per quanto<br />

infondato, ma è anche un modo di dimostrare a te stesso tutta la tua<br />

determinazione. E’ fiducia incondizionata nelle tue capacità, è <strong>il</strong> desiderio<br />

di dar tutto ciò di cui ti senti in grado. Voglia di fare bene, volontà di<br />

alimentare l’entusiasmo di cui non puoi fare a meno.<br />

Alla finale dedichi i tuoi pensieri fino a che non ti trovi obbligato ad<br />

affrontare le difficoltà <strong>del</strong> contingente, perché non puoi permetterti di<br />

distoglierti un solo istante, non uno, dalla realtà.<br />

La finale si presenta dunque come un sogno, ma ben presto assume i tratti<br />

infidi <strong>del</strong>la distrazione. Della sensazione di aver perso di vista <strong>il</strong> vero<br />

obiettivo. Della paura di rimanere <strong>del</strong>uso, di aver caricato di troppe<br />

aspettative <strong>il</strong> tuo lavoro.<br />

Spaventato ma non per questo meno risoluto, decidi di vivere alla giornata<br />

e di sputare sangue a prescindere da quello che sarà <strong>il</strong> risultato finale.<br />

Perché hai imparato che dare <strong>il</strong> meglio di te in qualunque cosa tu faccia è<br />

sempre una vittoria.<br />

Partita dopo partita la speranza di centrare <strong>il</strong> tuo obiettivo si fa concreta.<br />

Vinci <strong>il</strong> tuo girone e poi anche i quarti di finale. Il triplice fischio<br />

<strong>del</strong>l’arbitro sancisce la fine <strong>del</strong>la semifinale e ti riporta indietro nel tempo<br />

fino al giorno in cui, guardandoti allo specchio, hai visto l’immagine<br />

riflessa di un volto sconosciuto ma allo stesso tempo fam<strong>il</strong>iare che, con<br />

una voce molto rassicurante ti diceva di non farti condizionare dalle tue<br />

ricorrenti e ingiustificate nevrosi, di provarci. Un volto che, finale dopo<br />

finale, ti somiglia sempre di più e che, con i fatti, rivendica le proprie<br />

ragioni.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 67<br />

La finale è quindi l’attesa che <strong>il</strong> sogno si compia. Un’attesa che ti riempie<br />

<strong>del</strong>le vibrazioni di cui <strong>il</strong> quotidiano è avaro e che, proprio in ragione di<br />

questo, vorresti durasse all’infinito: per continuare a sperare mentre <strong>il</strong><br />

cuore ti batte forte esattamente come se tu fossi lì, in campo, ma senza<br />

correre <strong>il</strong> rischio, tempo quaranta minuti, di piangere <strong>il</strong> tuo fallimento.<br />

Perché di finali ne hai già perse e perché sai che di fronte al dolore <strong>il</strong><br />

sogno è un azzardo con <strong>il</strong> quale potresti non voler più incrociare la spada.<br />

La finale finisce quando ha inizio la contesa: <strong>il</strong> campo ha la forza di<br />

cancellare qualsiasi emozione, ti libera dall’attesa e ti consegna a una<br />

partita che, dopo tutto, è una partita come nei hai giocate a centinaia in<br />

piazza con gli amici, in corridoio durante <strong>il</strong> quarto d’ora d’intervallo, a<br />

piedi scalzi su una spiaggia assolata oppure sull’erba bruciata di un parco<br />

di periferia. Il campo restituisce l’immagine di quello che realmente sei e<br />

le Mine Vaganti dimostrano sin da subito tutta la loro determinazione. La<br />

loro ultima sconfitta, arrivata proprio per mano <strong>del</strong> Precotto e con ben<br />

nove gol di passivo, è un incidente di percorso maturato quando ormai i<br />

giochi erano fatti, un incidente comunque dimenticato.<br />

Iniziano arrembanti i cinque <strong>del</strong> quintetto di partenza e sv<strong>il</strong>uppano una<br />

gran mole di gioco: arrivano in più di un’occasione a un passo dalla<br />

segnatura, ma sulla loro strada trovano un portiere in stato di grazia, che<br />

tiene in linea di galleggiamento i suoi giovani compagni con grandissime<br />

parate. Col passare dei minuti l’ardore dei rossoblu si spegne<br />

progressivamente, fino a che l’equ<strong>il</strong>ibrio non prende <strong>il</strong> sopravvento. Il<br />

primo tempo sembra essere in dirittura d’arrivo, quando <strong>il</strong> Borla impiega<br />

un istante più <strong>del</strong> dovuto nel lasciare la marcatura <strong>del</strong>l’uomo che, dalla sua<br />

fascia, si stava def<strong>il</strong>ando in una posizione non pericolosa. Un solo istante<br />

sarebbe stato sufficiente per uscire in tempo sul capitano dei gialloverdi ed<br />

evitare che questi scoccasse col mancino <strong>il</strong> tiro che si insacca alla destra di<br />

un incolpevole Asto e sul quale si chiude la prima frazione.<br />

I ragazzi sono sparpagliati di fronte alla loro panchina, in piedi, lungo la<br />

linea laterale. Parlano, ascoltano <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa, si danno consigli reciproci,<br />

bevono <strong>del</strong>l’acqua oppure liquidi acidi dai colori sintetici. L’unico distante<br />

è <strong>il</strong> Capitano, mani in faccia, seduto a pensare a come sia possib<strong>il</strong>e venire<br />

a capo di una partita senza giocare, badando sempre e solo a non correre<br />

rischi per poi ripartire. Stufo di sacrificarsi in quel ruolo di boa offensiva<br />

che, risultati alla mano, serve solo a prendere un fallo, un calcio d’angolo<br />

o una rimessa. Palesemente in contrasto con le indicazioni <strong>del</strong> Mister, ma


68 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

anche questa volta zittito dalle evidenze. Lui non vuol proprio farsene una<br />

ragione, ma <strong>il</strong> dubbio si è insinuato anche nella sua di testa: questo è uno<br />

sport in cui vince chi ne prende uno di meno, non chi ne fa uno di più.<br />

Un’evidenza che, per un attaccante, è penalizzante come la catena per un<br />

cane. Ma lui di quella squadra è anche <strong>il</strong> Capitano e lui quella cazzo di<br />

coppa la vuole per sé. Abbandona i suoi propositi e si unisce ai compagni.<br />

Proviamoci, si dice, non ci sono alternative.<br />

<strong>Lo</strong> svantaggio non fiacca le velleità <strong>del</strong>le Mine Vaganti, che ritemprate dai<br />

cinque minuti di pausa riprendono le ost<strong>il</strong>ità con lo stesso piglio con cui le<br />

avevano iniziate.<br />

[Un fallo] Su un lancio lungo di Asto, <strong>il</strong> Capitano si trova a contatto con <strong>il</strong><br />

suo diretto avversario che, vistosi superato, gli si attacca alla maglia e<br />

commette fallo un passo fuori dall’area di rigore. Sulla conseguente<br />

punizione <strong>il</strong> Capitano finge <strong>il</strong> tiro e la tocca piano per Jimmy, che non ha<br />

difficoltà a insaccare <strong>il</strong> gol <strong>del</strong> pareggio. Il momento sembra propizio e le<br />

Mine Vaganti cercano di approfittarne con un’iniziativa <strong>del</strong> Borla, sulla<br />

quale l’angolo che lui stesso rivendicava non trova però l’avallo<br />

dall’arbitro.<br />

[Rapide ripartenze] Il contropiede degli avversari è immediato e due<br />

tocchi di palla sono sufficienti per arrivare davanti alla porta e battere<br />

nuovamente <strong>il</strong> portiere rossoblu.<br />

[Una rimessa laterale] In questi frangenti lo scoramento nel vedersi<br />

nuovamente sotto nel punteggio nonostante lo sforzo profuso potrebbe<br />

cambiare <strong>il</strong> corso <strong>del</strong>la partita, che viene infatti raddrizzata solo grazie al<br />

mestiere <strong>del</strong> Capitano, ab<strong>il</strong>e a trasformare un’innocua rimessa laterale nel<br />

gol <strong>del</strong> secondo pareggio.<br />

[Un calcio d’angolo] Nonostante <strong>il</strong> gran numero di cambi a disposizione,<br />

l’impressione è che entrambe le squadre siano in debito d’ossigeno e al<br />

3a2 segnato da Gianlukakà su angolo calciato da Ami segue subito <strong>il</strong> 3a3<br />

che <strong>il</strong> Precotto realizza proprio sugli sv<strong>il</strong>uppi di un calcio da fermo. La<br />

complicità di Jimmy e Gianlukakà sulla segnatura avversaria è evidente.<br />

Si ricomincia ancora daccapo e ora più che mai ogni errore, con pochi<br />

minuti ancora da giocare, potrebbe scrivere <strong>il</strong> destino <strong>del</strong>la partita.<br />

[Non correre rischi] Su una rimessa laterale di Jimmy, è infatti un<br />

controllo velleitario di un difensore gialloverde a consegnare la palla al<br />

sinistro di Dado, che calcia con violenza e insacca proprio sotto la<br />

traversa. Precotto deve necessariamente alzare <strong>il</strong> baricentro e lascia molto


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 69<br />

campo a disposizione <strong>del</strong>le Mine Vaganti, che si trovano a giocare sul<br />

terreno a loro più congeniale. Lancio lungo di Asto per <strong>il</strong> Capitano che<br />

segna dopo aver aggirato <strong>il</strong> proprio marcatore e poi ancora una sgroppata<br />

sulla sinistra di Dado che, dopo aver scartato un avversario, passa a<br />

Forrest <strong>il</strong> pallone <strong>del</strong> definitivo 6a3. Gli sguardi smarriti dei ragazzi <strong>del</strong><br />

Precotto autorizzano a festeggiare la vittoria ben prima che l’arbitro<br />

sancisca la fine <strong>del</strong>le ost<strong>il</strong>ità: non era un sogno, ma un presagio. Le Mine<br />

Vaganti sono Campioni Provinciali.


70 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Venticinque<br />

di regali indesiderati<br />

«Avevo la tua età quando mi hanno regalato te e i tuoi cinque anni. E’ per<br />

questo che vorrei che la vita ti offrisse qualcosa di meglio, perché so cosa<br />

vuol dire sacrificare tutto, davvero tutto, per una decisione presa da altri».<br />

«Tu ti devi fare curare».<br />

«E perché mi dovrei far curare, eh?! Perché t’ho detto che fare un figlio,<br />

per una coppia, è una decisione da prendere insieme? E’ per questo che<br />

dovrei farmi curare?».<br />

«Ma vaffanculo, va».<br />

«Oh, ma vaffanculo cosa? Vaffanculo cosa?!».<br />

«Ma vaffanculo a te e al tuo cinismo di merda. Al tuo aver sempre una<br />

risposta pronta e che debba per forza essere all’opposto di quello che<br />

pensa <strong>il</strong> resto <strong>del</strong> mondo».<br />

«Perché, <strong>il</strong> resto <strong>del</strong> mondo cosa pensa?».<br />

«Ma vaffanculo, va».<br />

«Oh, pezzettino di merda, rispondimi. Dimmelo, avanti. Dimmi cosa<br />

pensa <strong>il</strong> resto <strong>del</strong> mondo! Dimmelo!».<br />

«Il resto <strong>del</strong> mondo pensa che in certi momenti <strong>il</strong> proprio egoismo si<br />

debba mettere da parte. Specie quando c’è di mezzo una donna che ami e<br />

quello che sarà tuo figlio».<br />

«Egoismo? Ma chi è che ti sta obbligando a diventare padre contro la tua<br />

volontà, eh? Chi è che ha fatto casino con la p<strong>il</strong>lola, tu o lei? E poi, non<br />

essere ridicolo, cazzo ne sai te <strong>del</strong>l’amore? La conosci sì e no da un paio<br />

di mesi quella, come puoi pensare di…».<br />

«Tu devi farti curare».<br />

«Dove cazzo vai, vieni qua».<br />

«Mollami <strong>il</strong> braccio».<br />

«Non fare <strong>il</strong> coglione, siediti».<br />

«Perché dovrei sedermi? Perché dovrei continuare ad ascoltare le stronzate<br />

di uno che mi considera un peso per la propria vita, eh?».<br />

«Sai perché devi sederti, lo sai perché? Perché certe decisioni le devi<br />

prendere con la testa. Perché certe decisioni condizioneranno ogni singolo<br />

giorno <strong>del</strong>la tua vita. Per questo devi ragionare, per questo ti devi sedere e<br />

provare a ragionarci su un attimo. Per questo. Vieni qui, non fare <strong>il</strong> pirla».


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 71<br />

Ventisei<br />

<strong>del</strong>la piazza<br />

«Al posto dei muri <strong>del</strong>la Borletti, le sue immense finestre con le grate<br />

contro le quali giocavamo a pelota e gli spuntoni sul tetto <strong>del</strong>la mensa che<br />

ci bucavano i pantaloni quando andavamo a recuperare palline o palloni, al<br />

posto di tutto questo ora c’è lo sfarzo <strong>del</strong> Grand Hotel Marriott, le sue<br />

bandierine colorate, i marmi pregiati, <strong>il</strong> rame luccicante. Cinque stelle e<br />

non meno di quattrocentom<strong>il</strong>a lire a notte, roba che i nostri genitori<br />

avrebbero dovuto lavorare una settimana intera per poterci dormire una<br />

notte. Al posto degli operai ci sono turisti e uomini d’affari, al posto <strong>del</strong>le<br />

famiglie d’immigrati ora ci sono calciatori, musicisti e presentatrici TV.<br />

Aiuole ben curate, cestini sempre vuoti, l’altalena e <strong>il</strong> cavallino con la<br />

molla».<br />

«E… e allora? Di cos’è che ti lamenti?».<br />

«Di cosa mi lamento? Sai di cosa mi lamento? Mi chiedo, ad esempio,<br />

dove possono giocare i bambini. Insieme intendo, mica ognuno su una<br />

giostrina diversa. Mi chiedo dove possono giocare a pallone. Mi chiedo<br />

dove corrono i cani. Dove pisciano, se non per terra. Dove cagano, se non<br />

dove poi tu ci appoggi i piedi».<br />

«Cioè, tu vuoi dirmi che preferivi lo schifo di prima? Che quando pioveva<br />

la piazza rimaneva allagata per giorni e che d’inverno non si poteva<br />

respirare per <strong>il</strong> fumo che la Lalla faceva con i suoi fuochi?».<br />

«Ah, la Lalla, giusto. Ma com’è che nessuno ha mai saputo chi ha<br />

ammazzato la Lalla? Com’è che ha vissuto per una decina d’anni in piazza<br />

e poi, misteriosamente, appena è stato aperto ‘sto grand hotel di ‘sto gran<br />

cazzo la Lalla è stata misteriosamente uccisa?».<br />

«Senti, Alfredo, non mi scassare la minchia a gratis. Che cazzo ne so io<br />

<strong>del</strong>la Lalla…».<br />

«Sai che non esiste neanche un fascicolo sulla morte <strong>del</strong>la Lalla? Neanche<br />

uno».<br />

«E perché non c’indaghi tu, ispettore Zenigata dei poveri?».<br />

«Fanculo Lino, non hai ancora capito un cazzo».<br />

«Sì, ora che lavori in Polizia hai capito tutto tu».<br />

«Perché, c’è qualcosa che non va col mio lavoro?».<br />

«Ci mancherebbe altro. E’ che ti preferivo com’eri prima, quando ti<br />

fumavi <strong>il</strong> dado che <strong>il</strong> figlio <strong>del</strong> padrone <strong>del</strong> bar ti spacciava per Pakistano<br />

di prima qualità…».


72 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

«Guarda che quello che c’aveva sempre <strong>il</strong> fumo pacco eri tu, bello…».<br />

«Sì, sì… senti, ci vediamo più tardi. E’ arrivato <strong>il</strong> Sindaco, devo andare».


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 73<br />

Ventisette<br />

<strong>del</strong>le Mine Vaganti<br />

Giacomo ha ripreso a parlare. Prevalentemente da solo, dal momento che<br />

l’odio che prova per <strong>il</strong> genere umano non lo rende una persona di<br />

piacevole compagnia. A volte inciampa su qualche s<strong>il</strong>laba, ma si rialza<br />

facendo finta di niente.<br />

Egidio ha saputo amministrare con sorprendente criterio la dote lasciatagli<br />

dai genitori e oggi, a quindici anni dalla loro ascetica partenza, si trova<br />

nella condizione di poter vivere di rendita senza farsi mancare nulla.<br />

Colleziona lauree e a tempo perso insegna l’italiano agli stranieri di una<br />

comunità laica di sostegno all’immigrazione.<br />

Claudio, a differenza <strong>del</strong> fratello, ha lasciato dopo pochi esami l’università<br />

e si occupa di compravendita di fumetti e pubblicazioni d’annata. L’amore<br />

che nutriva per Barbara non era forte come immaginava e dopo l’aborto<br />

spontaneo con cui si è conclusa l’inaspettata gravidanza le loro strade si<br />

sono separate.<br />

Alfredo ha scoperto che la sua pulsione verso i drogati era più che un<br />

banale espediente per passare le ore di religione: si è arruolato in Polizia e<br />

dopo i primi quattro anni di ferma volontaria è riuscito a ottenere <strong>il</strong><br />

trasferimento nella sezione narcotici.<br />

Federico e Mauro si sono entrambi sposati e vivono di lavoro, pay TV e<br />

domeniche nei centri commerciali. Per vincere la noia <strong>del</strong> quotidiano si<br />

sono inventati rigattieri e svuotano gratis cantine e solai: la speranza è di<br />

poter alimentare la loro collezione di oggetti vintage, specie riviste, meglio<br />

se erotiche. La verità è che la fredda bellezza di Gloria Guida e la sensuale<br />

femmin<strong>il</strong>ità di Laura Antonelli sono tuttora gli ingredienti base <strong>del</strong>le loro<br />

migliori erezioni.<br />

Dante è tornato dalla Calabria e continua a non incontrare una sola ragazza<br />

di cui innamorarsi veramente. Inizia però a compiacersene, già che passare<br />

da un letto all’altro non gli è poi così sgradito.<br />

Sergio, negli anni, ha compreso che <strong>il</strong> suo problema con l’altro sesso ha un<br />

nome che non può prestarsi al dubbio: omosessualità. Non è tipo da parate,<br />

ma non fa nulla per nascondere i suoi costumi.<br />

Masco, scosso dalla separazione, oltre che moglie e figlio ha perso pure <strong>il</strong><br />

lavoro. Quel ritornello, se possib<strong>il</strong>e, gli risuona per la testa ancor più che<br />

prima. Quanto meno, ha realizzato che la voce è di Jim Morrison.


74 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Giacomo, Egidio, Claudio, Alfredo, Federico, Mauro, Dante, Sergio e<br />

Masco hanno risposto alla chiamata di Lino Cavenaghi e <strong>il</strong> 9 novembre si<br />

sono fatti trovare puntuali in piazza. Davanti al bar, insieme a qualche<br />

decina, forse un centinaio, di persone. Tra cui Franco, <strong>il</strong> padre di Marina,<br />

letteralmente irriconoscib<strong>il</strong>e rispetto agli ultimi giorni che passò tra le<br />

lamiere <strong>del</strong> chiosco prima di riprendersi dallo shock <strong>del</strong>la tragedia. Una<br />

cicatrice sulla nuca è tutto ciò che gli rimane di quel paio d’anni di deriva,<br />

almeno all’apparenza.<br />

Gli abbracci, le strette di mano, i tanti ch<strong>il</strong>i, i pochi capelli. Le mogli, i<br />

figli e le domande sugli amici di un tempo che Lino non è riuscito a<br />

rintracciare. La cerimonia, le autorità e poi i tavolini <strong>del</strong> bar che non<br />

riconoscono più come <strong>il</strong> posto in cui avevano passato gran parte <strong>del</strong>la loro<br />

adolescenza. Tante parole e i racconti di tante vite. Poi, quando <strong>il</strong><br />

momento dei saluti sembrava giunto, Federico propone agli amici di<br />

partecipare a un torneo di calcio a 5 di cui lui è organizzatore. «Dai<br />

ragazzi, mi manca una squadra e non so proprio dove sbattere la testa.<br />

Sono sette partite, una alla settimana per meno di due mesi. Giochiamo<br />

tardi, anche alle dieci se non riuscite a liberarvi prima. Il calendario lo<br />

gestisco io e posso venire incontro a qualsiasi necessità».<br />

Si fecero tutti pregare. Alcuni anche troppo, specie Giacomo. Ciò<br />

nonostante, Federico riuscì a comporre la squadra. Una squadra che non<br />

poteva avere nessuna velleità, ma la loro squadra. Ognuno col proprio<br />

ruolo, un po’ come accadeva una ventina d’anni prima quando si<br />

incontravano per andare a giocare a Trenno la domenica mattina. Vestiti di<br />

una maglia rigorosamente rossoblu.<br />

«Hai già pensato anche al nome?» chiese qualcuno nell’eccitazione <strong>del</strong><br />

momento.<br />

«Ovviamente» rispose Federico. «O meglio: nel nome vorrei che fossero<br />

essere presenti una “M” e una “V”. E non c’è bisogno che vi dica a cosa<br />

quelle due lettere fanno riferimento. Se non riusciamo a trovare qualcosa<br />

che ci piaccia, beh, <strong>il</strong> nostro nome potrebbe essere MV». Fece una pausa.<br />

«Eh? Che ne dite?».<br />

Nessuno ebbe nulla da obiettare: MV oppure una parola composta<br />

contenente le due lettere. «Mine Vaganti» fece Giacomo, rompendo <strong>il</strong><br />

s<strong>il</strong>enzio in cui si era isolato da qualche minuto. «Mine Vaganti» dissero<br />

tutti, alzando in un brindisi quel che restava nei loro bicchieri.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 75<br />

Al volante <strong>del</strong>la propria ut<strong>il</strong>itaria lungo la strada che l’avrebbe riportato a<br />

casa, Sergio continuava a interrogarsi sulla ragione che ha portato a quelle<br />

due lettere. Nonostante paresse a tutti evidente al punto da non necessitare<br />

di spiegazioni, lui non aveva affatto capito che “M” e “V” erano le iniziali<br />

di Marina Vannucchi. Ci arrivò solo dopo qualche tempo. E solo per caso.


76 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Ventotto<br />

Cartelline Rosse<br />

E adesso - mi chiedevo ieri notte girando la chiave nella serratura <strong>del</strong>la<br />

porta di casa - e adesso?<br />

Entro in punta di piedi, facendo <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e affinché Monica e Astrid non<br />

si distolgano dalla loro veglia ormai prossima al capolinea, accendo la<br />

luce <strong>del</strong>l’ingresso e, nel togliere la giacca, svuoto le tasche; per le mani<br />

mi capita <strong>il</strong> referto arbitrale che, come mia abitudine, poco dopo pinzo<br />

alla distinta degli avversari. Apro la cartellina rossa in cui ho custodito<br />

tutto <strong>il</strong> materiale <strong>del</strong> campionato invernale e v’inf<strong>il</strong>o l’ultimo ricordo<br />

<strong>del</strong>la stagione. La finale. La vittoria. L’emozione che più di ogni altra<br />

volevo provare dal momento in cui ho ricevuto <strong>il</strong> calendario <strong>del</strong><br />

campionato. La vittoria.<br />

E adesso?<br />

Beh, mi dicevo, adesso potrò prendere la cartellina e riporla nell’armadio<br />

in cui accatasto tutte le mie cartacce. Non mi serve più averla sempre con<br />

me: adesso è <strong>il</strong> momento di pensare al campionato primaver<strong>il</strong>e ed è<br />

inut<strong>il</strong>e che continui a portarmela nello zainetto. Pesa per quanto piena, fa<br />

molto volume e, banalizzando anche oltre ogni ragionevole limite, non mi<br />

serve più.<br />

Indugio stranito a quel pensiero, e quasi mi condanno per quanta poca<br />

considerazione io stia avendo per la cartellina che contiene sette mesi<br />

pregni di grandi gioie e solo lievi dolori, sette mesi di sempre intense<br />

emozioni vissute con i miei compagni. Mi spavento anche, se devo dirla<br />

tutta, nel chiedermi se tutto può realmente esaurirsi così: quanti i pensieri<br />

per arrivare a questo momento, quante le notti spese a sognare di vedere<br />

<strong>il</strong> Capitano alzare la coppa? E io, io sono così scellerato e insensib<strong>il</strong>e da<br />

farne una mera questione di cartelline?<br />

La risposta al dichiarato paradosso di questa domanda è ovviamente no,<br />

la risposta è un’altra. Che non risiede certo dentro una cartellina, ma che<br />

con le cartelline ha comunque a che fare. Perché – facciamo finta che sia<br />

un gioco, proviamo a vederla così - la cartellina è un pezzo di vita. Un<br />

pezzo di vita di chi, come me, è alla perenne ricerca di emozioni.<br />

Emozioni che solo raramente si traducono in una coppa alzata al cielo,<br />

ma emozioni che ti fanno sentire vivo. Che ti distolgono dal quotidiano.<br />

Che ti fanno venire <strong>il</strong> batticuore ogni volta che la tua mente ti porta a


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 77<br />

spasso per sentieri tanto impervi quanto possib<strong>il</strong>i, per te che comunque ci<br />

vuoi sempre provare.<br />

Ci pensi bene, per quanto nelle tue capacità, e alla fine ti dici che sì, <strong>il</strong><br />

bello sta proprio nel chiudere una cartellina e riaprirne subito dopo<br />

un’altra. Senza pause, se non quelle fisiologiche di un’esistenza fatta di<br />

passioni ma soprattutto di doveri. Sempre distante da divano,<br />

telecomando e televisione. Sognando, e dandoti la concreta speranza che i<br />

tuoi sogni possano diventare realtà. Cosciente che <strong>il</strong> cercare, arricchito<br />

da un immenso e indissolub<strong>il</strong>e corollario di emozioni, è meglio che<br />

trovare.<br />

Per farla breve: voi, ragazzi, mi avete dato modo di cercare. Mi avete<br />

fatto vivere. Mi avete fatto sognare. E mi avete regalato la gioia di dire<br />

che sì, stavolta ce l’ho fatta. Voi non avete nemmeno idea di quanto ve ne<br />

sarò grato.<br />

Per sempre.<br />

Sì, per sempre. Perché lo spazio per le cartelline rosse non è infinito e<br />

ogni tanto qualcuna la prendi e la getti via. Ma non di certo questa<br />

cartellina rossa.<br />

Scritto dal <strong>Lo</strong>fa, venerdì 21 apr<strong>il</strong>e 2006, sul <strong>blog</strong> <strong>del</strong>le Mine Vaganti.


78 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Ventinove<br />

di tempi grami<br />

La spensieratezza e l’assoluta leggerezza che hanno sempre<br />

contraddistinto l’approccio alla competizione di ognuno dei ragazzi –<br />

ragazzi si fa per dire, vista la non più giovane età di alcuni di loro - sono<br />

venute meno nel momento in cui le Mine Vaganti hanno deciso di<br />

iscriversi al campionato d’Eccellenza, un gradino superiore rispetto alla<br />

competizione vinta l’anno precedente. Al divertimento fine a sé stesso,<br />

alla birra <strong>del</strong> dopo partita e alla scusa per star fuori almeno una volta alla<br />

settimana senza l’ombra di mogli figli o fidanzate hanno dovuto<br />

necessariamente anteporre un obiettivo, seppur di modesta portata. E <strong>il</strong><br />

loro proposito, a parte <strong>il</strong> rinnovato piacere di passare una serata insieme,<br />

altro non era se non la salvezza. Una stagione di apprendistato che nelle<br />

loro intenzioni sarebbe servita per verificare quanto lecite potessero essere<br />

le ambizioni a qualcosa di più appagante e in un futuro comunque non<br />

troppo remoto. Con l’aiuto <strong>del</strong> rientrante Casa, che dopo un paio di anni<br />

sabbatici ha ripreso a vestire la numero 2 alla quale Cel ha preferito <strong>il</strong><br />

Softball.<br />

Gli inizi hanno dato segnali decisamente incoraggianti: sconfitta di misura<br />

all’esordio, pareggio alla seconda contro un’ottima squadra e poi due<br />

vittorie di f<strong>il</strong>a. L’obiettivo non poteva certo cambiare dopo sole quattro<br />

giornate, ma la sensazione era che lo si potesse raggiungere con una<br />

fac<strong>il</strong>ità di gran lunga superiore a quanto ipotizzato. Un vero abbaglio. Un<br />

f<strong>il</strong>otto di sei sconfitte consecutive li ha repentinamente riportati con i piedi<br />

per terra e oggi, a quattro giornate dalla fine, l’ottimismo dei tempi<br />

migliori ha lasciato <strong>il</strong> passo al rude aspetto <strong>del</strong>la realtà: sebbene con un<br />

solo punto di svantaggio rispetto a chi li precede, oggi le Mine Vaganti<br />

occupano <strong>il</strong> terzultimo posto <strong>del</strong>la classifica. Se così finisse, la<br />

retrocessione non sarebbe evitata.<br />

Sono anche i giorni in cui Diego Armando Maradona sta affrontando una<br />

<strong>del</strong>le tappe più dure <strong>del</strong>la sua personale via crucis, ammantato dalle<br />

maddalene dei tempi moderni e – sembra - prossimo al ricongiungimento<br />

con <strong>il</strong> padre. Il figlio <strong>del</strong> dio calcio sta spogliandosi <strong>del</strong>la sua aura e, senza<br />

la dignità che da un messia ti aspetti, sopravvive suo malgrado al richiamo<br />

<strong>del</strong>la morte.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 79<br />

Trenta<br />

di Franco<br />

In un contesto scientifico <strong>il</strong> fenomeno si rappresenta ut<strong>il</strong>izzando la formula<br />

PE = mgh. Dove PE sta per energia cinetica e mgh è <strong>il</strong> prodotto di massa,<br />

forza gravitazionale e altezza.<br />

Un solido di massa pari a un ch<strong>il</strong>ogrammo, in caduta libera da venticinque<br />

metri di altezza sv<strong>il</strong>uppa, in virtù <strong>del</strong>la costante di gravitazione universale<br />

(9,8), una quantità di energia cinetica che al momento <strong>del</strong>l’impatto lo<br />

porta ad avere una forza di 245 Joule (1 x 25 x 9,8). Questo sta a<br />

significare che quell’oggetto, in meno di tre secondi (tempo di caduta),<br />

vede aumentare la propria forza fino a moltiplicarne <strong>il</strong> peso di 245 volte. A<br />

tale conclusione si è giunti grazie al contributo di un eclettico alchimista<br />

vissuto a cavallo tra <strong>il</strong> diciassettesimo e <strong>il</strong> diciottesimo secolo, all’anagrafe<br />

Sir Isaac Newton. Che con l’elaborazione <strong>del</strong>la seconda legge <strong>del</strong>la<br />

dinamica ha spianato la strada ai discendenti colleghi che ne hanno poi<br />

perfezionato i calcoli. Fino a giungere all’assunto PE=mgh.<br />

Nella realtà dei fatti, i 245 ch<strong>il</strong>ogrammi/forza sono concentrati in una<br />

mazzetta <strong>del</strong> volume di 50 centimetri cubici. Un ch<strong>il</strong>o di indistruttib<strong>il</strong>e<br />

ferro che, dopo aver assunto una traiettoria <strong>del</strong> tutto casuale, interrompe la<br />

propria corsa penetrando nell’emicranio sinistro di una bambina di tredici<br />

anni.<br />

Nessuno mai, se non per effetto <strong>del</strong> caso, sarebbe stato in grado di centrare<br />

un bersaglio così distante con un oggetto di così contenute dimensioni.<br />

Nessuno. A eccezione <strong>del</strong> destino, che ha fatto in modo che quel martello<br />

si dividesse in due parti: <strong>il</strong> manico stretto saldamente nella mano destra<br />

<strong>del</strong>l’inqu<strong>il</strong>ino <strong>del</strong>l’ottavo piano che stava applicando una zanzariera sul<br />

proprio balcone di casa, la mazzetta a testa arrotondata a volare nel vuoto.<br />

Senza una meta apparente. Semplicemente cadendo. Il cambiamento di<br />

moto è proporzionale alla forza risultante motrice impressa, e avviene<br />

lungo la linea retta secondo la quale la forza è stata impressa.<br />

Sangue misto a materia cerebrale che fuoriesce copioso senza soluzione di<br />

continuità. Tua figlia, prona e priva di sensi, con la scatola cranica<br />

sfondata da un martello che giace lì, indifferente, a pochi centimetri. Tua<br />

moglie che gira la bambina, se la stringe forte al petto come una puerpera,<br />

la scuote nel tentativo di risvegliarla. Urla straziata. Grida <strong>il</strong> suo nome.<br />

Sviene. I condomini affacciati con le mani tra i capelli, incapaci di tutto


80 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

tranne che di provare pietà. Gli sconosciuti che accorrono richiamati dal<br />

tuo dramma. Ti senti soffocare. Preghi nella speranza di risvegliarti sotto<br />

le lenzuola <strong>del</strong> tuo letto. Ma non ti sei mai addormentato.<br />

Arriva l’ambulanza e non appena Marina viene distesa sulla lettiga,<br />

Franco crolla. Chiude gli occhi per l’ultima volta. Non riuscirà più a farlo<br />

nelle tre settimane a venire.<br />

In una quindicina di giorni l’ematoma si riassorbe e i medici risvegliano la<br />

bambina dal coma farmacologico nel quale era stata mantenuta per<br />

preservarne le residue capacità cerebrali. Cosa ne sarà di lei? Sopravvivrà,<br />

innanzitutto? Se sì, ritornerà ad avere una vita normale oppure, come più<br />

volte paventato, rimarrà paralizzata? I pensieri si accavallano e ogni<br />

giorno nasce una nuova preoccupazione. Marina reagisce però bene e<br />

dopo due mesi di costante miglioramento i medici ne autorizzano le<br />

dimissioni. Il tempo e la forza di volontà faranno <strong>il</strong> resto. Gli ultimi esami<br />

e poi un’ultima notte in ospedale. Il risveglio nel buio di una luminosa<br />

giornata di sole. La cecità, figlia di un’infezione che insorge improvvisa.<br />

La morte nel volgere di un tramonto e un alba.<br />

Franco sente di non essere in grado di superare <strong>il</strong> castigo che gli è stato<br />

riservato dalla sorte: non mangia, non dorme, non va più a lavorare. Passa<br />

giorno e notte camminando in giro per la città, non torna più a casa, non è<br />

nelle condizioni di realizzare che, così facendo, accresce ulteriormente <strong>il</strong><br />

dolore <strong>del</strong>la moglie e <strong>del</strong>la figlia maggiore. Franco si sta lasciando<br />

trascinare dalla disperazione. Franco non trova un solo valido motivo per<br />

sopravvivere alla sofferenza.<br />

In un momento di rara lucidità prova <strong>il</strong> suicidio lanciandosi dal tetto <strong>del</strong><br />

primo stab<strong>il</strong>e che incontra sulla propria strada dopo aver litigato per una<br />

panchina di cui arrogava irragionevolmente la proprietà, ma a pochi metri<br />

dal suolo <strong>il</strong> suo corpo rimbalza sulle corde <strong>del</strong>lo stendibiancheria <strong>del</strong><br />

primo piano e, attutito l’impatto, lo schianto gli procura solo alcune<br />

fratture. Il ricovero in ospedale serve giusto per restituirgli qualche ch<strong>il</strong>o,<br />

non certo la sanità mentale. Riprende a vagabondare, a frugare nei cestini<br />

alla ricerca di croste di pizza e bibite avanzate, a dormire dove più gli<br />

aggrada. Viene alle mani con altri barboni per un pezzo di cartone, prende<br />

calci pugni e bastonate da chi non lo vuole vedere seduto davanti alle<br />

vetrine <strong>del</strong> proprio negozio, diventa s<strong>il</strong>enziofobico.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 81<br />

Un giorno, guidato dal caso, torna in piazza e, trovato un ricovero<br />

sufficientemente ospitale, decide di stab<strong>il</strong>irsi. Il chiosco verde che la<br />

merciaia ha abbandonato per un più confortevole negozio è senz’altro<br />

adatto a ripararlo dalle rigide temperature <strong>del</strong>l’inverno.


82 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Trentuno<br />

Ventunesima giornata<br />

«Servono nove punti, non uno di meno. E se qualche squadra molla <strong>il</strong><br />

colpo prima <strong>del</strong> dovuto, ad esempio chi sta nel limbo di metà classifica,<br />

potrebbero addirittura non essere sufficienti. Ma se vogliamo sperare di<br />

salvarci, <strong>del</strong>le prossime quattro dobbiamo vincerne almeno tre. Non<br />

abbiamo scelta». Estrae le tessere dalla cartellina rossa e segna sulla<br />

distinta, a penna, i numeri di maglia. «Gente, se non vinciamo oggi sono<br />

cazzi amari…». Il <strong>Lo</strong>fa è seduto su una panchina <strong>del</strong>lo spogliatoio <strong>del</strong><br />

palazzetto <strong>del</strong>lo sport di <strong>Lo</strong>cate Triulzi. Cerca di motivare i compagni<br />

mentre raccoglie i documenti d’identità, nell’attesa che la vestizione venga<br />

completata e che Dado finisca di spalmarsi <strong>il</strong> quadricipite <strong>del</strong>la gamba<br />

destra d’olio canforato, Prozac per muscoli stanchi non ancora rassegnati<br />

all’idea che alla soglia dei quaranta la sofferenza è parte <strong>del</strong> gioco. Che la<br />

vera partita da vincere è quella che oppone lo spirito <strong>del</strong>l’indomito Peter<br />

Pan al fisico <strong>del</strong>l’Highlander che non c’è più.<br />

«Oh, avete saputo di Ami?».<br />

«Sappiamo, Capitano, sappiamo» risponde Jimmy. «Stamattina io e <strong>il</strong><br />

Borla siamo andati all’ospedale a vedere la bimba. Troppo bella per<br />

somigliargli. Mi sa che la sua donna gli nasconde qualcosa, non trovi?».<br />

L’arbitro ha più volte sollecitato <strong>il</strong> riconoscimento, anche se manca oltre<br />

mezz’ora alle nove e mezza. Non bastasse <strong>il</strong> suo gratuito atteggiamento da<br />

represso caporale dai modi sempre indisponenti, lui, l’arbitro, è proprio<br />

quel vecchietto mezzo cieco che non prende mai decisioni, se non dopo le<br />

proteste <strong>del</strong>l’una o <strong>del</strong>l’altra squadra. Un vero controsenso visto <strong>il</strong> suo fare<br />

arrogante. I piedi incollati per terra e sempre, sistematicamente, nel punto<br />

meno indicato dal quale assegnare un fallo o decretare una rimessa. Un<br />

arbitro peggiore di questo non poteva essere convocato per una partita che<br />

si preannuncia molto accesa, vista l’importanza <strong>del</strong>la posta in gioco.<br />

Forrest, infortunatosi un paio di settimane prima, è comunque a referto,<br />

anche se in veste di dirigente accompagnatore. «Stai sereno, <strong>Lo</strong>fa, stasera<br />

Asto le prende tutte. E se perdessimo, beh, rientro io, battiamo Laboni e<br />

saldiamo <strong>il</strong> conto. Ci faccio su quello che vuoi…». Il <strong>Lo</strong>fa sorride, Laboni<br />

non l’ha ancora battuto nessuno, quest’anno.<br />

Oltre a Forrest, all’appello manca Ami, fresco papà di Carolina. Ma,<br />

sempre che la sua vecchia Fiesta non l’abbia lasciato a piedi per<br />

campagne, dovrebbe esserci GianluKakà, nella speranza che la sua


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 83<br />

presenza non sia fine alle sole rotazioni socialiste dettate dal cronometro.<br />

Serve qualità e lui, se in serata, sa essere davvero determinante.<br />

Le formalità burocratiche, <strong>il</strong> riscaldamento, la presentazione <strong>del</strong>le squadre<br />

e infine <strong>il</strong> calcio d’inizio. La cornice di pubblico non è quella <strong>del</strong>le<br />

precedenti occasioni e tra le f<strong>il</strong>a de Il Centro Sport A non è presente <strong>il</strong><br />

tanto temuto attaccante che lasciò un segno in<strong>del</strong>eb<strong>il</strong>e sulla gara d’andata.<br />

Una bella notizia, almeno all’apparenza. Si parte con Asto tra i pali, <strong>il</strong><br />

Casa in mezzo alla difesa, Jimmy e <strong>il</strong> Borla sulle fasce, <strong>il</strong> Capitano di<br />

punta. Dado sarà, come di consueto, <strong>il</strong> primo cambio. A ruota GianluKakà.<br />

Sempre che arrivi.<br />

La contesa ha inizio, ma le Mine Vaganti non sembrano accorgersene: in<br />

un crescendo di <strong>del</strong>iranti movenze dettate dalla sufficienza più insolente,<br />

in meno di quattro minuti la partita è sul 3a0 per gli avversari. Che fanno<br />

esattamente quello che vogliono, senza che vi sia <strong>il</strong> minimo ostacolo da<br />

parte dei rossi. Asto riesce anche a prendere un gol dalla trequarti<br />

avversaria. Trequarti di campo, sì, ma <strong>del</strong>l’altra metà <strong>del</strong> rettangolo di<br />

gioco. E’ un vero incubo. Il <strong>Lo</strong>fa cambia Dado per <strong>il</strong> Capitano, che sta<br />

vivendo una di quelle serate in cui pensa di poter prendere palla a<br />

centrocampo, scartare tutti gli avversari e arrivare in porta.<br />

Dimenticandosi completamente <strong>del</strong>la profondità e chiudendo ogni spazio<br />

per gli inserimenti dei compagni. Con l’aggiunta di GianluKakà in luogo<br />

di un impalpab<strong>il</strong>e e spesso fuori posizione Borla, la partita sembra essere<br />

più viva e le occasioni iniziano ad arrivare copiose. Ma due volte <strong>il</strong> palo e<br />

tantissime parate <strong>del</strong>l’ottimo portiere avversario impediscono la segnatura.<br />

Culmine <strong>del</strong> ridicolo di un primo tempo che sembra tratto da una<br />

sceneggiatura dei fratelli Cohen, GianluKakà scambia l’arbitro per un<br />

compagno e gli passa la palla su un calcio d’angolo. Contropiede solitario<br />

degli increduli avversari e 4a0. Sotto di quattro gol, la partita sembra<br />

finita. E con lei <strong>il</strong> sogno <strong>del</strong>la salvezza. La riaccende Jimmy con una<br />

punizione su cui si chiude un primo tempo molto lontano dalla soglia <strong>del</strong>la<br />

decenza. «Ci stiamo giocando un intero campionato e voi vi permettete di<br />

scendere in campo con questo approccio?». Il <strong>Lo</strong>fa è fuori dalla grazia <strong>del</strong><br />

dio che non ha. «Se questo è <strong>il</strong> modo in cui pensate di giocare a pallone,<br />

allora è proprio vero che noi non siamo una squadra da campionato<br />

d’Eccellenza!». Nessuno fiata, una volta tanto, tutti coscienti <strong>del</strong>la<br />

pochezza di quanto fatto fino a quel momento. «Adesso cerchiamo la palla<br />

e se ci vanno via troviamo un sistema per fermarli. E tiriamo fuori i<br />

coglioni, se ce li abbiamo».


84 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Complice un atteggiamento estremamente r<strong>il</strong>assato degli avversari, le<br />

Mine Vaganti riaprono la partita con due bei gol ancora firmati da Jimmy.<br />

Le cose si mettono decisamente meglio e con quindici minuti ancora da<br />

giocare un recupero, totalmente impensab<strong>il</strong>e fino a poco prima, non è più<br />

un miraggio. Il 5a3 non intacca <strong>il</strong> morale dei nostri, che nel volgere di un<br />

minuto accorciano con un bel sinistro di Dado e pareggiano a quota cinque<br />

con <strong>il</strong> Borla. Mettono addirittura la testa avanti prima con <strong>il</strong> secondo gol<br />

<strong>del</strong> Borla e poi col quarto di Jimmy, ma in entrambe le occasioni sono due<br />

fortuiti autogol a fissare <strong>il</strong> punteggio sul 7a7. I tempi regolamentari<br />

terminano in parità e almeno uno dei tre punti previsti dalla tabella<br />

salvezza è definitivamente perso. Probab<strong>il</strong>mente due, stante la cronica<br />

incapacità di vincere ai rigori.<br />

Si presenta sul dischetto Jimmy, poi è <strong>il</strong> turno <strong>del</strong> Casa, GianluKakà, <strong>il</strong><br />

Borla e infine <strong>il</strong> Capitano. E tutti insaccano, freddi o forse solo fortunati.<br />

Così come gli avversari. Sul 12a11 per le Mine Vaganti i padroni di casa<br />

devono calciare l’ultimo tiro. Lunga la rincorsa <strong>del</strong> dinoccolato numero<br />

dieci, che la spara violentemente a colpire la parte interna <strong>del</strong>la traversa.<br />

La palla sembra varcare palesemente la linea di porta e poi uscire, ma<br />

l’arbitro decide che così non è. E decreta una vittoria insperata per le<br />

Mine Vaganti.<br />

In virtù dei risultati maturati dopo la decima giornata di ritorno, la<br />

classifica dice che Il Centro Sport B è già matematicamente retrocesso.<br />

Bogside ha 20 punti, APB Bernareggese 21, le Mine Vaganti 22 e Real<br />

Eagles 23. Ne scendono tre: a tre turni dalla fine, le Mine Vaganti<br />

sorpassano APB Bernareggese e si mettono temporaneamente al riparo<br />

dalle incandescenti temperature <strong>del</strong>l’inferno. Ma <strong>il</strong> loro calendario è ben<br />

più duro di quello dei diretti avversari e fino all’ultimo secondo<br />

<strong>del</strong>l’ultima giornata nulla sarà deciso. La tensione cresce e la zona calda<br />

<strong>del</strong>la classifica si affolla come una tonnara. Perché anche Il Centro Sport<br />

A, con 26 punti, non può certo considerarsi al sicuro.<br />

Riflettevano proprio di questo <strong>il</strong> Capitano e <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa prima di salire in<br />

macchina. «Ma ci pensi, nel solo girone di ritorno ci siamo fumati non<br />

meno di sei punti sicuri. Già nostri, tipo i 3 con V<strong>il</strong>la Cortese e altrettanti<br />

contro Il Centro Sport B. Roba che eravamo già salvi, a quest’ora». Il <strong>Lo</strong>fa<br />

è d’accordo col Capitano. «Vero, quest’anno non ce n’è andata una giusta.<br />

Speriamo che la fortuna si faccia viva per le prossime tre partite, perché<br />

puoi essere bravo quanto vuoi, ma con le carte lisce non si vince».


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 85<br />

Trentadue<br />

<strong>del</strong> Tango mo<strong>del</strong>lo España<br />

La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente<br />

come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civ<strong>il</strong>e,<br />

dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una<br />

scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di<br />

eliminarla.<br />

F. Basaglia<br />

«Cretino, non sei capace di tirarla un po’ più piano?». Il pallone, calciato<br />

con troppa foga da Mauro verso la linea invisib<strong>il</strong>e che collega <strong>il</strong> cestino a<br />

un albero e che ne <strong>del</strong>imita la porta, è andato a incastrarsi proprio sotto <strong>il</strong><br />

baracchino <strong>del</strong> barbone. «Adesso ci vai tu a prenderla!» gli urla Dante, che<br />

per comprare quel pallone in cuoio plastificato aveva dovuto investire<br />

l’intera paga settimanale e i risparmi <strong>del</strong>le mance di fine anno. Un Tango<br />

mo<strong>del</strong>lo España, replica di quello ut<strong>il</strong>izzato nel Mondiale che gli azzurri<br />

vinsero al Santiago Bernabéu <strong>il</strong> 11 luglio 1982. Non un banale Supertele.<br />

Mauro sapeva di non potersi esimere dal dare seguito all’ammonimento<br />

<strong>del</strong>l’amico: la regola, esplicita e indiscutib<strong>il</strong>e, è che la va a prendere chi la<br />

tira. Altrimenti non gioca più, neanche se la sua presenza serve per non<br />

essere in dispari oppure per mantenere un minimo di equ<strong>il</strong>ibrio tra le<br />

squadre. Sbuffa, estrae due tre sassolini che gli si erano inf<strong>il</strong>ati in una<br />

scarpa e si avvia a testa bassa. Sa già che non sarà semplice riaverlo e sa<br />

anche che non potrà tornare senza. Non ha scelta. Ci deve quanto meno<br />

provare.<br />

«Franco, dammi <strong>il</strong> pallone».<br />

«No».<br />

«Franco, che cazzo, facci finire la partita e poi te lo prestiamo». Mente, ma<br />

non se ne bada.<br />

«No. Voglio giocare anch’io».<br />

«Franco, come fai a giocare con noi, dai…».<br />

«Voglio giocare anch’io».<br />

«Franco… dai… come fai a correre con la radiolina?».<br />

Il ritornello non cambiava di una sola virgola. «Voglio giocare anch’io.<br />

Voglio giocare anch’io. Voglio giocare anch’io…».


86 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Il ragazzo si voltò verso gli amici e fece capire loro che <strong>il</strong> pazzo non<br />

voleva saperne. «Cazzi tuoi» fu la risposta che si sentì rivolgere in coro.<br />

«O torni con la palla o non giochi più» aggiunse qualcuno.<br />

«Ascolta Franco» Mauro non sapeva proprio cosa inventarsi «noi<br />

giochiamo e tu…» all’improvviso la frase gli venne fuori così, spontanea,<br />

senza neanche pensarla davvero «e tu… e tu fai l’arbitro, ti va?». Franco<br />

ebbe un sussulto. «L’arbitro?». Aggrottò per qualche secondo le<br />

sopracciglia e poi, soddisfatto <strong>del</strong>l’inattesa conquista, esplose in un sorriso<br />

raggiante, ingenuo e allo stesso tempo scaltro. Era la prima volta che non<br />

minacciavano di prenderlo a sassate se non avesse restituito loro <strong>il</strong> pallone.<br />

Si girò e senza dir nulla abbassò la parete basculante <strong>del</strong> chiosco. Era<br />

pronto. Mauro riprese la stradina che l’avrebbe riportato agli amici, attento<br />

a non pestare le merde di cane che farcivano i pochi ciuffi d’erba<br />

sopravvissuti al gelo. Franco dietro di lui, <strong>il</strong> pallone saldamente stretto al<br />

petto e la volontà di consegnarlo solo dopo aver comandato la ripresa <strong>del</strong><br />

gioco. Scoppiarono tutti a ridere nel sentire dalla viva voce di Mauro <strong>il</strong><br />

compromesso a cui era giunto per riavere <strong>il</strong> pallone, tuttavia da quel<br />

giorno Franco divenne l’arbitro <strong>del</strong>le partite che la piazza ospitava. Senza<br />

eccezioni, se non quando erano i più grandi a sfidarsi. Non sempre – a dire<br />

<strong>il</strong> vero quasi mai - le sue decisioni venivano accettate come si converrebbe<br />

di fronte all’autorità <strong>del</strong> direttore di gara, ma la sua presenza era<br />

comunque divertente, specie se ubriaco. Con quella radiolina<br />

perennemente attaccata all’orecchio destro e, nella mano libera, un<br />

fischietto a sancirne <strong>il</strong> sommo potere.<br />

Prese ad appassionarsi al calcio, uno sport che non lo aveva granché<br />

entusiasmato neanche in gioventù e, uditi gli otto rintocchi nel giorno in<br />

cui le campane <strong>del</strong>la chiesa si sostituivano alla sirene dalla Borletti, si<br />

metteva in marcia verso <strong>il</strong> campo a undici dall’altra parte <strong>del</strong>la<br />

circonvallazione, dove passava l’intera domenica in un susseguirsi di<br />

partite la cui unica costante era la maglia arancione di una <strong>del</strong>le due<br />

squadre. Seduto sempre in disparte, studiava minuziosamente <strong>il</strong><br />

comportamento degli arbitri e cercava di carpirne i segreti. Memorizzava i<br />

gesti e ne cercava di imitare le movenze. Li aspettava all’uscita dal campo<br />

e, dopo una pacca sulla spalla, rivolgeva loro sempre la stessa frase. Bella<br />

direzione di gara, collega, complimenti.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 87<br />

Trentatre<br />

Ventiduesima giornata<br />

La partita giocata nel girone d’andata contro M<strong>il</strong>lepini è stata lo<br />

spartiacque di due momenti diametralmente opposti <strong>del</strong>la stagione <strong>del</strong>le<br />

Mine Vaganti: una prima metà perlopiù disastrosa, in cui <strong>il</strong> caso e le<br />

individualità hanno avuto la capacità di mantenere in linea di<br />

galleggiamento una classifica fortemente precaria, ingannevole al punto da<br />

alimentare le speranze di chi credeva di avere vita fac<strong>il</strong>e anche in un<br />

campionato di alto livello. Sottacendo capziosamente la palese incapacità<br />

<strong>del</strong> gruppo di mantenere <strong>il</strong> giusto atteggiamento a prescindere<br />

dall’avversario o dall’evolversi <strong>del</strong> punteggio. Mascherando attriti che<br />

solo l’inattaccab<strong>il</strong>e affiatamento <strong>del</strong>lo spogliatoio e la voglia di non darsi<br />

mai per vinti hanno saputo sminuire. Poi una svolta indispensab<strong>il</strong>e quanto<br />

attesa, improvvisa per la forza con cui ha saputo manifestarsi: senz’altro<br />

meno punti di quanti non fosse legittimo attendersi dopo prestazioni<br />

decisamente all’altezza, ma partite giocate sempre fino in fondo e<br />

l’evidenza di meritare ben più dei saldi di fine stagione.<br />

Ora, ancora, M<strong>il</strong>lepini. Squadra diffic<strong>il</strong>e e che, incontrata non meno di una<br />

decina di volte negli ultimi anni, li ha sempre, sistematicamente, sconfitti.<br />

Il campo di casa e motivazioni ben più stimolanti potrebbero rivelarsi<br />

decisive nel centrare l’unico possib<strong>il</strong>e obiettivo: con le spalle al muro,<br />

ogni risultato diverso da una vittoria scriverebbe i titoli di coda <strong>del</strong>la<br />

stagione.<br />

A referto i sette <strong>del</strong>la scorsa partita, con Forrest ancora in borghese visto <strong>il</strong><br />

perdurare <strong>del</strong>l’infortunio. Il collo <strong>del</strong> suo piede destro sembra però<br />

migliorare e un imminente recupero non è da escludere. <strong>Lo</strong>ro non sono<br />

numerosi come d’abitudine, ma i due migliori saranno comunque <strong>del</strong>la<br />

contesa. «Meglio così» dice <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa a Jimmy prima di iniziare la partita.<br />

«E’ una settimana che maledico <strong>il</strong> momento in cui vi ho detto che quello<br />

forte <strong>del</strong> Centro Sport non era sulla distinta…». <strong>Lo</strong> affianca al trotto<br />

durante <strong>il</strong> riscaldamento intorno al campo. «Oh, li conosciamo alla<br />

perfezione, sappiamo bene come giocano: attaccano in tre se non in<br />

quattro, si sb<strong>il</strong>anciano e prestano <strong>il</strong> fianco alle nostre ripartenze. E <strong>il</strong> loro<br />

centrale è troppo lento per star dietro al Capitano o per evitare che Dado<br />

non lo bruci nello stretto. Fidati, se ce la giochiamo con la testa vinciamo<br />

noi».


88 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

I primi minuti confermano paure e certezze <strong>del</strong> Mister: loro sono<br />

indubbiamente molto tecnici e dunque pericolosi su ogni giocata, anche se<br />

non in grado di coprirsi adeguatamente. Iniziano forte e mettono più volte<br />

in difficoltà la retroguardia rossoblu, in affanno nel sopperire alla vena<br />

difensiva non propriamente ispirata <strong>del</strong> Borla. A mantenere la rete<br />

inviolata ci pensa però un Asto in grandissimo spolvero, autore di parate<br />

determinanti. «Prima o poi un gol ce lo fanno» dice qualcuno in panchina<br />

all’apice <strong>del</strong>la pressione avversaria, quando <strong>il</strong> Borla estrae dal c<strong>il</strong>indro un<br />

gol di pregevole fattura e regala una discreta dose di tranqu<strong>il</strong>lità. Asto<br />

continua a opporsi in ogni modo alle fiondate avversarie e Jimmy decide<br />

che è giunto <strong>il</strong> momento di arrotondare: due gol fotocopia dopo aver<br />

seduto a terra gli avversari e 3a0 rassicurante, anche se troppo prematuro<br />

per essere considerato definitivo. Siparietto demenziale che vede<br />

GianluKakà passare per la seconda volta in due partite <strong>il</strong> pallone<br />

all’arbitro, distrazione conclamatamente daltonica che anticipa di poco la<br />

temporanea doppietta <strong>del</strong> Borla, bravo a chiudere con una puntata una<br />

bella azione <strong>del</strong> Capitano. In pieno recupero, <strong>il</strong> 4a1 di M<strong>il</strong>lepini tiene la<br />

partita ancora aperta a ogni risultato.<br />

Si riprende e un Borla decisivo più che mai restituisce l’assist al Capitano,<br />

che insacca al volo un grandissimo gol. Subito imitato però dal più temuto<br />

degli avversari, che da poco oltre la metà campo scaglia una fiondata che<br />

si insacca senza che Asto possa nemmeno accennare l’intervento. <strong>Lo</strong>ro<br />

non mollano, ma le praterie concesse nel tentativo di rimontare portano<br />

ancora <strong>il</strong> Borla a risolvere sotto porta e <strong>il</strong> Capitano a siglare <strong>il</strong> 7a2 dopo<br />

aver scartato anche <strong>il</strong> portiere. Il 7a3 arriva troppo tardi e i minuti finali<br />

sono una libagione a cui GianluKakà, <strong>il</strong> Borla, Jimmy e <strong>il</strong> Capitano non<br />

vogliono per nessun motivo sottrarsi. 11a3 <strong>il</strong> finale. Tre punti.<br />

La prossima contro Bogside è la partita che vale, sulla carta, la<br />

permanenza nel campionato d’Eccellenza. Vincerla non farà rima con<br />

matematica, è vero, tuttavia non è nemmeno ipotizzab<strong>il</strong>e che i diretti<br />

concorrenti, tutti, sappiano contemporaneamente vincere contro avversarie<br />

che si stanno giocando l’accesso alla fase regionale. Non ci sarà <strong>il</strong> Borla e<br />

la sua mancanza si farà di certo sentire, al pari di quella di Ami. Ma torna<br />

Forrest e le sue lunghe leve potrebbero risultare decisive. Una sola partita.<br />

Quaranta lunghi minuti di sofferenza.<br />

Nell’attesa che <strong>il</strong> quadro <strong>del</strong>la giornata venga completato, le Mine Vaganti<br />

superano temporaneamente Real Eagles, raggiungendo quota 25. Alle loro


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 89<br />

spalle ci sono oggi 5 squadre e Il Centro Sport A ha solo una lunghezza di<br />

vantaggio. Il tempo per i verdetti ha ancora da venire.


90 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Trentaquattro<br />

<strong>del</strong>la radio a transistor<br />

Nel s<strong>il</strong>enzio, l’ansia spingerebbe la gente a riflettere, e non si può<br />

prevedere che cosa arriverebbe alla coscienza. La maggior parte <strong>del</strong>le<br />

persone ha paura <strong>del</strong> s<strong>il</strong>enzio, per cui quando viene meno <strong>il</strong> rumore<br />

continuo, per esempio di una conversazione, bisogna sempre fare, dire,<br />

fischiare, cantare, tossire o mormorare qualcosa. Il bisogno di rumore è<br />

quasi insaziab<strong>il</strong>e, anche se a tratti <strong>il</strong> chiasso ci sembra intollerab<strong>il</strong>e. E’<br />

però sempre meglio che niente. In quello che viene significativamente<br />

chiamato “s<strong>il</strong>enzio di tomba” ci sentiamo a disagio. Perché? Forse ci<br />

sono i fantasmi? Non credo. Ciò che davvero temiamo è quello che<br />

potrebbe provenire dalla nostra interiorità, e cioè tutto quello da cui<br />

cerchiamo di tenerci lontani con <strong>il</strong> rumore.<br />

C.G. Jung<br />

Franco aveva paura <strong>del</strong> s<strong>il</strong>enzio. L’assenza di rumore – <strong>il</strong> motore di una<br />

macchina o <strong>il</strong> cinguettio di un passero, <strong>il</strong> juke-box <strong>del</strong> bar oppure <strong>il</strong><br />

gocciolare <strong>del</strong>l’acqua <strong>del</strong>la fontanella - lo obbligava infatti a prestare<br />

ascolto agli eco che rimbombavano costanti nella sua testa e che,<br />

inquietanti e inarrestab<strong>il</strong>i, lo terrorizzavano. Un vortice di indefiniti toni,<br />

voci, vibrazioni e suoni, un crescendo roboante dal quale riusciva a<br />

difendersi solo se la sua attenzione veniva distratta da altro. Le proprie<br />

urla, ad esempio, erano l’espediente a cui più di frequente ricorreva per<br />

non lasciarsi trascinare dal <strong>del</strong>irio che lo accompagnava da ormai più di un<br />

anno. Capitava quindi spesso che nel mezzo <strong>del</strong>la notte la piazza venisse<br />

svegliata dai lamenti che <strong>il</strong> pazzo emetteva, oltremodo amplificati dalle<br />

lamiere <strong>del</strong> baracchino nel quale era solito ripararsi e contro le quali si<br />

scagliava sovente a suon di calci pugni e testate. Malgrado <strong>il</strong><br />

comprensib<strong>il</strong>e disagio, la piazza non poteva essergli ost<strong>il</strong>e: Franco<br />

continuava a essere l’uomo di una volta, l’amico, <strong>il</strong> vicino di casa, <strong>il</strong><br />

padre, <strong>il</strong> marito. Un uomo sfortunato, senza colpe. Un essere umano come<br />

ce ne sono sempre stati e sempre ce ne saranno. Debole. Vero. La<br />

solidarietà nei suoi confronti era un dovere morale a cui nessuno voleva<br />

sottrarsi e da che smise di pellegrinare in giro per la città non mancava<br />

giorno in cui davanti al suo riparo non si trovassero abiti, scarpe, libri e<br />

ogni genere di oggetto che potesse essergli di conforto. Sigarette<br />

comprese.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 91<br />

Al cibo pensavano <strong>il</strong> panettiere, <strong>il</strong> salumiere e <strong>il</strong> droghiere. La mera<br />

sopravvivenza non era dunque in discussione, sebbene vi fosse da<br />

risolvere l’inquietudine di quelle urla, che martoriavano lui e che<br />

rendevano comunque diffic<strong>il</strong>e la vita di chi ne condivideva la residenza in<br />

quel rettangolo perfetto che circa a metà <strong>del</strong> loro percorso divide Via<br />

Washington da Via Sardegna. In questo senso si adoperò <strong>il</strong> medico di<br />

quartiere, che aveva studio e dimora al civico numero due. Fu lui infatti<br />

che regalò a Franco la prima radiolina e fu grazie a lui che, di riflesso, tutti<br />

ripresero a dormire sonni tranqu<strong>il</strong>li. L’unica indispensab<strong>il</strong>e precauzione<br />

era quella di verificare che vi fosse sempre una quantità sufficiente di<br />

batterie a sua disposizione e, a questo proposito, sul banco <strong>del</strong> bar venne<br />

sistemato un contenitore in plastica in cui venivano lasciati i resti in<br />

moneta di colazioni, aperitivi o caffè. Il barista, almeno una volta alla<br />

settimana, si occupava di comprarle e consegnargliele. Dal giorno in cui <strong>il</strong><br />

Dottor Maranti gli regalò quella piccola scatoletta grigia la vita di Franco<br />

prese a essere più serena.


92 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Trentacinque<br />

Ventitreesima giornata<br />

Il numero nove lascia <strong>il</strong> cerchio di metà campo e si avvicina lentamente<br />

alla porta. E’ giunto <strong>il</strong> suo momento: <strong>il</strong> destino di quella partita passa per i<br />

suoi piedi. Il destino di una competizione, di un’intera stagione. I sacrifici,<br />

gli infortuni, <strong>il</strong> sudore. Perfino <strong>il</strong> sangue. La propria gioia e quella dei<br />

compagni. Degli amici che si sono fatti un’ora di viaggio per vederlo<br />

giocare in quell’angusta palestra gremita di gente e ancor più di zanzare.<br />

Per vederlo vincere.<br />

Raccoglie la palla da terra e la fa roteare più volte su se stessa. Asciuga<br />

con la sua maglia rossa una macchia di sudore lasciata dal portiere che un<br />

attimo prima ha inut<strong>il</strong>mente immolato <strong>il</strong> proprio petto nel tentativo di<br />

tacitare l’urlo liberatorio degli avversari. Ne saggia <strong>il</strong> rimbalzo prima di<br />

posizionarla con cura sul cerchio bianco disegnato esattamente al centro<br />

<strong>del</strong>l’area di porta. Sente, o forse solo immagina di sentire, una voce amica<br />

che urla Borla, nel dubbio calcia forte sotto la traversa. Ma lui di dubbi<br />

non ne ha.<br />

La palla continua a spostarsi, ma infine <strong>il</strong> nove riesce a domarla. Adesso è<br />

immob<strong>il</strong>e, lì, sul dischetto, pronta a essere nuovamente colpita. Prende<br />

qualche metro di rincorsa <strong>il</strong> nove, e attende che l’arbitro fischi. Nella sua<br />

mente non un accenno di paura, perché sa che quel pallone non troverà<br />

nessun ostacolo nella sua corsa verso la rete. I suoi compagni lo guardano<br />

e così gli avversari. Il pubblico e l’obiettivo <strong>del</strong>la telecamera.<br />

L’arbitro segna sul taccuino <strong>il</strong> numero <strong>del</strong>la maglia <strong>del</strong> giocatore che si<br />

appresta a calciare. Avvicina <strong>il</strong> fischietto alla bocca. Controlla che <strong>il</strong><br />

portiere sia esattamente sulla linea di porta. Soffia.<br />

Il nove espira profondo e inizia la sua rincorsa. La colpisce secca col<br />

piatto destro. A incrociare, sulla sinistra. Riesce a tenerla bassa e ben<br />

angolata. La vede dirigersi decisa verso la porta. Ma <strong>il</strong> palo. <strong>Lo</strong> stesso palo<br />

che poco prima ha aiutato una palla a finire in rete. Il palo, ancora, come a<br />

Lacchiarella due anni prima.<br />

Palo interno e gol oppure palo esterno e fuori?<br />

Il Borla si sveglia di soprassalto. L’effetto <strong>del</strong>l’anestesia non è <strong>del</strong> tutto<br />

smaltito e nell’attesa di ricevere notizie dai compagni s’è addormentato<br />

guardando la TV. Lui a quella partita non ha potuto prendervi parte e nello<br />

stato in cui si trova non può uscire di casa neanche per pascolare <strong>il</strong> cane.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 93<br />

Guarda l’orologio e si accorge che è tardi. Ancora intontito realizza che se<br />

i compagni non l’hanno chiamato vuol dire che la partita è finita male. No,<br />

non può essere si dice lasciando cadere la testa sul cuscino, non possiamo<br />

averla persa. Prende <strong>il</strong> cellulare che, scaricata <strong>del</strong> tutto la batteria, non dà<br />

segni di vita. <strong>Lo</strong> mette sotto corrente, lo accende e aspetta che arrivi <strong>il</strong><br />

messaggio relativo alla chiamata non risposta. Niente. Chiama Jimmy. Ma<br />

Jimmy non risponde. Chiama Asto, ma anche <strong>il</strong> suo telefono è spento.<br />

Chiama <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa. Suona libero, poi un rumore ovattato, probab<strong>il</strong>mente <strong>il</strong><br />

rimbombo <strong>del</strong>la palestra. «Ti chiamo io fra qualche minuto, la partita non<br />

è ancora finita». Il <strong>Lo</strong>fa mette giù senza aggiungere altro.<br />

Possib<strong>il</strong>e, pensa <strong>il</strong> Borla, che la partita non sia ancora finita? Guarda di<br />

nuovo l’orologio. E’ mezzanotte passata e iniziando alle dieci, a quest’ora<br />

i ragazzi dovrebbero aver già fatto la doccia. Inizia a temere per <strong>il</strong> peggio.<br />

E’ andata ai rigori? No, non può essere. Perché se è andata ai rigori,<br />

almeno un punto lo abbiamo perso. E non possiamo permettercelo. Il<br />

tempo passa spietatamente lento. Cinque, dieci, quindici minuti. Poi <strong>il</strong><br />

telefono squ<strong>il</strong>la. Il display dice <strong>Lo</strong>fa.<br />

I risultati <strong>del</strong>la terzultima giornata arrivano alla spicciolata e si lasciano<br />

alle spalle una percepib<strong>il</strong>e vena d’ottimismo: le dirette concorrenti<br />

perdono punti che almeno sulla carta sembravano sicuri e la classifica, a<br />

due soli turni dalla fine, vede quattro squadre alle spalle <strong>del</strong>le Mine<br />

Vaganti. Il lunedì <strong>del</strong>la settimana successiva vengono giocate due<br />

fondamentali partite, che se da una parte complicano le cose con la<br />

matematica salvezza di Real Eagles, dall’altra regalano l’opportunità di<br />

centrare l’agognato quartultimo posto a prescindere dai tre punti dettati, a<br />

suo tempo, dalla tabella di marcia. Basta infatti un pareggio contro<br />

Bogside per rendere ininfluente la probab<strong>il</strong>e sconfitta nell’ultimo turno<br />

contro la ben più titolata Laboni, incontrastata dominatrice <strong>del</strong>la<br />

competizione da oltre un decennio. <strong>Lo</strong> scenario cambia dunque in maniera<br />

radicale. Un motivo in più per lasciare in mano agli avversari gli oneri di<br />

una partita giocoforza arrembante, nella quale ordine velocità e<br />

contropiede assumeranno un’importanza capitale.<br />

«Oggi sono andato al cesso non meno di tre volte». Il Casa fa ricorso a<br />

un’immagine dai contorni affatto vaghi per esprimere <strong>il</strong> proprio stato<br />

d’animo a pochi minuti dall’inizio <strong>del</strong>la partita più importante <strong>del</strong>la<br />

stagione, mentre Jimmy, forse per via <strong>del</strong>la regimental che la funzione gli


94 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

ha imposto nella giornata di lavoro appena terminata, sembra avere<br />

contegno e maniere da englishman nell’accontentarsi di un grigio-fumodi-<strong>Lo</strong>ndra<br />

«anch’io sono abbastanza nervoso…». L’unica cosa certa è che<br />

nessuno dei ragazzi scenderà in campo con un atteggiamento dimesso, un<br />

po’ come successe inaspettatamente una quindicina di giorni prima nella<br />

sfida contro Il Centro Sport A. E questa è già di per sé una buona notizia.<br />

Forrest rientra e <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa lo getta subito nella mischia: in campo con lui ci<br />

sono Asto Jimmy <strong>il</strong> Casa e <strong>il</strong> Capitano. Il peso <strong>del</strong>la posta in palio obbliga<br />

entrambe le squadre a non lesinare gli sforzi ed è subito partita vera sin dai<br />

primissimi minuti, in cui sono le Mine Vaganti a farsi pericolose su azioni<br />

di rimessa. Un recupero a centrocampo di Jimmy si stampa sul palo dopo<br />

aver dato l’<strong>il</strong>lusione <strong>del</strong> gol e rinverdisce <strong>il</strong> ricordo di troppe occasioni<br />

perse per quei legni che sembrano avere un conto aperto con loro. Sugli<br />

sv<strong>il</strong>uppi <strong>del</strong>l’azione <strong>il</strong> Capitano è però bravo ad approfittare <strong>del</strong>lo<br />

sb<strong>il</strong>anciamento <strong>del</strong>la difesa avversaria e rompe l’equ<strong>il</strong>ibrio <strong>del</strong>la partita. I<br />

bianchi, obbligati a rincorrere, fanno tantissimo movimento e si scoprono<br />

con troppa leggerezza, regalando a Dado gli spazi per un uno contro uno<br />

che conclude magistralmente per <strong>il</strong> 2a0. La pressione avversaria è sempre<br />

maggiore, anche se non produce grandissimi pericoli. La partita si riapre<br />

all’improvviso su un’involontaria deviazione che va a beffare un<br />

incolpevole Asto, ennesimo autogol di una stagione in cui tutto si può fare<br />

tranne che ringraziare la fortuna. Almeno fino a quel momento. I contorni<br />

<strong>del</strong>la beffa iniziano così a <strong>del</strong>inearsi, specie dopo che l’arbitro non<br />

convalida un evidente quanto splendido gol che <strong>il</strong> Capitano aveva siglato<br />

da posizione impossib<strong>il</strong>e. I primi venti minuti si chiudono dunque con un<br />

vantaggio minimo e affatto rassicurante. Il secondo tempo è un vero e<br />

proprio assedio, che vede <strong>il</strong> solo Asto opporsi egregiamente alle<br />

inarrestab<strong>il</strong>i iniziative degli avversari, agevolato, questa volta con grande<br />

soddisfazione, da una sequenza di tre pali consecutivi. Ricapitalizzando<br />

nel momento più indicato <strong>del</strong>la stagione <strong>il</strong> b<strong>il</strong>ancio con la sorte, che può<br />

finalmente dirsi in pareggio. Il gol <strong>del</strong>la tranqu<strong>il</strong>lità potrebbe arrivare su<br />

una rubata di Jimmy, che lo mette in condizione di puntare solitario la<br />

porta. Tuttavia un avversario interviene di mano e regala ancora <strong>del</strong>la<br />

speranza ai propri colori, complice anche l’arbitro che non ne decreta una<br />

sacrosanta espulsione. Con le squadre ormai esauste gli ultimi cinque<br />

minuti diventano una lotteria in cui tutto è possib<strong>il</strong>e. Raggiunto <strong>il</strong> quinto<br />

fallo, Bogside deve fronteggiare un primo tiro libero: <strong>il</strong> Capitano e Jimmy<br />

provano un’esecuzione inusuale, ma <strong>il</strong> Capitano scivola e non riesce a


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 95<br />

concludere. Altro fallo subìto e un’altra occasione sciupata dai dieci metri.<br />

La partita sta per concludersi e Bogside si gioca <strong>il</strong> tutto per tutto: fuori <strong>il</strong><br />

portiere, in campo solo giocatori di movimento. Una situazione <strong>del</strong> tutto<br />

nuova per le Mine Vaganti, ma che non produce nessun grande pericolo. A<br />

pochi secondi dalla fine dei minuti di recupero <strong>il</strong> Capitano chiude ogni<br />

discorso siglando la sua personale doppietta con un tiro da centrocampo<br />

che si insacca lentamente nella porta sguarnita degli avversari. Il 3a1<br />

finale regala alle Mine Vaganti la gioia <strong>del</strong>la salvezza e una doccia, vestito<br />

con tanto di scarpe e portafogli in tasca, al Mister. Un prezzo che <strong>il</strong> <strong>Lo</strong>fa<br />

paga di buon grado.<br />

Il telefono squ<strong>il</strong>la. Il display dice <strong>Lo</strong>fa.<br />

«Allora?». Il Borla non sta più nella pelle.<br />

«Dov’è che sei?».<br />

«Dove vuoi che sia?, pirla, sono a casa…». Il tono <strong>del</strong>la voce <strong>del</strong> <strong>Lo</strong>fa è<br />

dimesso e <strong>il</strong> Borla non riesce a capire se per via <strong>del</strong> risultato o se perché,<br />

come spesso accade in queste circostanze, si sta prendendo gioco di lui.<br />

Opta per la seconda. «Bastardo, cazzo te ne frega di dove sono, cosa avete<br />

fatto?». In lontananza sente la voce di un compagno intonare <strong>il</strong> solito<br />

motivetto da stadio ed è proprio <strong>il</strong> suo nome a essere associato al ritornello<br />

che si conclude con uomo di merda.<br />

«Tu dimmi dove sei e poi ti dico com’è finita…».<br />

«Sono in camera».<br />

«Occhei» la voce <strong>del</strong> <strong>Lo</strong>fa è interrotta da una risata «tira su la tapparella,<br />

pirla. Muoviti!».<br />

I ragazzi erano tutti lì, riuniti sotto la finestra <strong>del</strong> Borla. Abbracciati l’uno<br />

all’altro. Una bottiglia di champagne in mano al Capitano e all’altra<br />

estremità <strong>del</strong>la catena Jimmy che sventola la foto di Ami. A festeggiare<br />

tutti insieme, assenti compresi, la salvezza.


96 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Trentasei<br />

<strong>del</strong> mercoledì di coppa<br />

Il mercoledì era <strong>il</strong> giorno consacrato alle Coppe Europee, una non-stop di<br />

partite che prendeva <strong>il</strong> via nel primo pomeriggio per concludersi, a volte,<br />

anche oltre la mezzanotte se l’italiana di turno era di scena in Portogallo o<br />

Spagna. In un ordine grosso modo casuale e dettato sostanzialmente da<br />

fusi orari e costumi <strong>del</strong>la squadra ospitante si succedevano in radio e TV<br />

tanti match quante erano le italiane rimaste in lizza nei diversi tabelloni a<br />

eliminazione diretta: la Coppa dei Campioni, la più prestigiosa tra tutte le<br />

competizioni Europee, a cui partecipavano le sole vincitrici <strong>del</strong><br />

campionato nazionale, la Coppa Uefa, già Coppa <strong>del</strong>le Fiere, che vedeva<br />

competere le due salite sui gradini meno pregiati <strong>del</strong> podio nazionale e la<br />

Coppa <strong>del</strong>le Coppe, riservata alla squadra che si aggiudicava <strong>il</strong> trofeo di<br />

lega; la consolazione <strong>del</strong>la Mitropa Cup per i più modesti provenienti dalle<br />

serie minori, prima vera competizione continentale che negli anni venne<br />

relegata a manifestazione di contorno fino alla sua definitiva cancellazione<br />

agli inizi <strong>del</strong>l’ultimo decennio <strong>del</strong> secolo passato. Tutto in un giorno<br />

dunque, un appassionante tour de force che nel tempo ha dovuto lasciare <strong>il</strong><br />

passo ai sostanziosi guadagni legati alla vendita dei diritti televisivi e<br />

inesorab<strong>il</strong>mente fagocitato dall’onnipotenza <strong>del</strong> business tout-court.<br />

Capitava quindi spesso che i ragazzi, interessati sì da squadre quali <strong>il</strong><br />

Verona o la Fiorentina, ma non al punto da restarsene tutto <strong>il</strong> giorno chiusi<br />

in casa, facessero ricorso a Franco per avere gli aggiornamenti in tempo<br />

reale dei risultati. Talvolta, se sobrio e <strong>del</strong> giusto umore, <strong>il</strong> balabiott si<br />

sedeva vicino a loro e, alzato al massimo <strong>il</strong> volume <strong>del</strong>la sua radiolina, ne<br />

condivideva l’ascolto <strong>del</strong>la telecronaca rigorosamente trasmessa sulle<br />

frequenze Rai. Quella sera andò proprio in quel modo: l’Inter giocava a<br />

San Siro <strong>il</strong> ritorno degli ottavi di Coppa Uefa contro l’Austria Vienna e i<br />

ragazzi, col bar chiuso per non si sa quale motivo, non poterono che<br />

contare su di lui per vivere insieme le emozioni <strong>del</strong>la partita. Il risultato<br />

<strong>del</strong>l’andata, maturato su una doppietta <strong>del</strong> magiaro Tibor Ny<strong>il</strong>asi a<br />

ribaltare in soli cinque minuti <strong>il</strong> vantaggio siglato da Carletto Muraro,<br />

lasciava spazio a una possib<strong>il</strong>e qualificazione. Con la prospettiva di<br />

incontrare, nel turno successivo, i forti londinesi <strong>del</strong> Tottenham.<br />

Gli austriaci erano un avversario temib<strong>il</strong>e e <strong>il</strong> loro portiere seppe in più di<br />

un’occasione negare <strong>il</strong> gol qualificazione ai nerazzurri. A diciassette<br />

minuti dalla fine, con l’Inter in forcing per ottenere <strong>il</strong> passaggio ai quarti,


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 97<br />

<strong>il</strong> numero undici austriaco Istvan Magyar buca una difesa non esente da<br />

colpe e trafigge l’esordiente Walter Zenga. A niente servì <strong>il</strong> successivo<br />

pareggio di Salvatore Bagni al settantanovesimo, se non a dare pathos agli<br />

ultimi dieci incandescenti minuti.<br />

L’uno a uno finale decretò l’ennesimo fallimento continentale <strong>del</strong>l’Inter e<br />

l’ultima apparizione in tribuna di Ivanoe Fraizzoli, che esattamente sei<br />

settimane dopo avrebbe lasciato <strong>il</strong> controllo <strong>del</strong>la società a Ernesto<br />

Pellegrini. Fu quindi festa grande a Vienna e dintorni, ma non solo: i<br />

sostenitori <strong>del</strong> M<strong>il</strong>an, che negli ultimi tre campionati conobbero per ben<br />

due volte l’onta <strong>del</strong>la serie B e d<strong>il</strong>eggi che si sarebbero ripetuti per decine<br />

di anni a venire, i m<strong>il</strong>anisti non risparmiarono gesti e sfottò all’indirizzo<br />

dei malcapitati interisti, mestamente di rientro dallo stadio con <strong>il</strong><br />

cuscinetto sotto braccio e la sciarpa dappertutto tranne che al collo.<br />

Franco, divertito dall’atmosfera creatasi in piazza, si unì a loro, rumoroso<br />

come solo un pazzo poteva essere. La cosa che non sapeva è che Licio,<br />

fe<strong>del</strong>issimo <strong>del</strong>la curva Nord, non era tipo da gradire certe prese in giro,<br />

specie se perpetrate da quello che lui considerava un pezzente meritevole<br />

unicamente di una tanica di benzina e una manciata di cerini. Un<br />

miserevole escremento di una società lassista. Gli si avvicinò e prese a<br />

spingerlo, senza però che <strong>il</strong> barbone opponesse la minima resistenza.<br />

Indispettito ulteriormente dai sorrisi ingenui <strong>del</strong>lo spostato, Licio gli diede<br />

un violento schiaffo a palmo aperto proprio sull’orecchio su cui era<br />

appoggiata la radiolina, che cadde contro lo spigolo <strong>del</strong> marciapiedi<br />

aprendosi in due pezzi.<br />

Franco smise all’istante di ridere. Raccolse la radio e l’avvicinò<br />

all’orecchio, senza sentirne provenire alcun suono dall’altoparlante.<br />

Trafficò qualche secondo con la rotella <strong>del</strong> volume e poi anche con quella<br />

<strong>del</strong>la sintonia. Cercò di cambiare banda, con l’infausto risultato di trovarsi<br />

<strong>il</strong> selettore in mano. Iniziò a tremare. Si avventò, accecato dall’ira, con<br />

tutto <strong>il</strong> peso <strong>del</strong> corpo contro Licio che, preso alla sprovvista per una<br />

reazione che neanche immaginava, indietreggiò fino a inciampare su una<br />

radice sporgente e infine cadere con le spalle a terra. Non fece in tempo a<br />

rialzarsi che <strong>il</strong> barbone gli era sopra, le mani alla gola e l’evidente<br />

desiderio di ucciderlo. Sebbene compiaciuti nel vederlo in difficoltà dopo<br />

anni di impuniti soprusi, i ragazzi cercarono di fare <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e per liberare<br />

<strong>il</strong> malcapitato, ma la forza di Franco unita alla sua inesorab<strong>il</strong>e disperazione<br />

riuscirono a avere la meglio. Licio sembrava non respirare più, non<br />

reagiva in nessun modo alle feroci percosse. Provarono a intervenire anche


98 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

dei passanti richiamati dal trambusto, senza però ottenere nessun risultato.<br />

Fu a quel punto che Dante raccolse un grosso sasso e lo picchiò sulla nuca<br />

<strong>del</strong> barbone, che si afflosciò lentamente a terra.<br />

Era <strong>il</strong> 7 dicembre 1983.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 99<br />

Trentasette<br />

di momenti<br />

Pensa a un posto, <strong>il</strong> posto che sempre ti viene in mente quando hai voglia<br />

di sognare qualcosa di diverso. Quello su cui plani, sospinto dalle correnti<br />

liriche <strong>del</strong>l’immaginario, durante i tuoi frequenti voli pindarici. Il luogo<br />

dove vorresti passare <strong>il</strong> resto, o anche solo parte dei tuoi giorni dopo aver<br />

indovinato quella maledetta combinazione di sei numeri.<br />

Chiudi gli occhi e non aver fretta di riaprirli; sognalo una volta ancora.<br />

Io ho pensato a un'isola sperduta in un chissà dove rigorosamente<br />

dimenticato dall'uomo. Una pigna di libri e la mia musica preferita per<br />

meglio definire i contorni <strong>del</strong>l’etereo id<strong>il</strong>lio. Calma sole relax. E una<br />

martellata secca, definitiva, sull'orologio: perché <strong>il</strong> tempo sia solo alba e<br />

tramonto, fame e sonno. Niente di più.<br />

Torniamo a te. Adesso pensa di essere in quel posto, ma di avere un<br />

tremendo mal di denti. Spasmi continui, lancinanti, insopportab<strong>il</strong>i.<br />

Ora dimmi: con un tale mal di denti, preferiresti essere ancora lì, in uno<br />

splendido ma isolato eremo, oppure in un grigio studio dentistico?<br />

Sii sincero, sai bene che c'è un'unica risposta a questa domanda.<br />

Posti e momenti vengono spesso messi in relazione. E' molto frequente<br />

sentire di una persona che si trova nel posto giusto al momento giusto<br />

oppure nel posto giusto ma nel momento sbagliato.<br />

Posto giusto momento giusto, niente da eccepire: chiunque vorrebbe<br />

trovarsi nel posto giusto al momento giusto ed è inut<strong>il</strong>e cercare un esempio<br />

che possa rendere meglio l'idea, basta che tu riprenda l'esercizio di prima e<br />

avrai sufficienti elementi per convincertene, se mai ce ne fosse bisogno.<br />

Cambiamo momento: posto giusto momento sbagliato. Posto giusto, sì, ma<br />

nel momento sbagliato. Momento sbagliato.<br />

Un attimo, qualcosa non va.<br />

Un posto non potrà mai essere <strong>il</strong> posto giusto se <strong>il</strong> momento è sbagliato.<br />

Mai. Dimentica <strong>il</strong> paradiso <strong>del</strong>l'ozio, perché quando hai mal di denti, <strong>il</strong><br />

posto dei tuoi sogni non può che essere uno studio dentistico. Né più né<br />

meno. Quello.<br />

Andiamo avanti.


100 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Posto sbagliato momento sbagliato: di nuovo l'isola e <strong>il</strong> solito, tremendo,<br />

mal di denti. Ma l'isola non era forse <strong>il</strong> posto ideale? Com'è possib<strong>il</strong>e che<br />

adesso si sia trasformata nel posto sbagliato?<br />

Ancora.<br />

Posto sbagliato momento giusto. Posto sbagliato momento giusto?<br />

Esiste un momento giusto per trovarsi nel posto sbagliato? Vero che un<br />

posto non può essere sbagliato a prescindere, ma allora, qual è <strong>il</strong> confine<br />

che separa <strong>il</strong> posto giusto dal posto sbagliato?<br />

Posti e momenti.<br />

No, solo momenti. Perché sono i momenti a fare i posti e mai <strong>il</strong> contrario.<br />

Non esistono posti giusti e posti sbagliati. Esistono i posti ed esistono i<br />

momenti.<br />

Momenti che si presentano senza annunciarsi, con la violenza di un<br />

martello. Di fronte ai quali non puoi comprendere, solo accettare.<br />

Ma anche cartelline rosse, che solo tu puoi scegliere di aprire.<br />

A prescindere dal dove, se non dentro di te.


Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 101<br />

RINGRAZIAMENTI<br />

Pubblicare questo libro mi ha reso debitore nei confronti di molte persone,<br />

amici che non mi stancherò mai di ringraziare per l’aiuto disinteressato<br />

che hanno voluto darmi nell’ispirare <strong>il</strong> soggetto e migliorarne la versione<br />

andata in stampa.<br />

Il primo ringraziamento va alle Mine Vaganti, nelle persone di Alessandro<br />

“Ami” Amisano, Gabriele “Asto” Astori, Cristian “Il Borla” Borlenghi,<br />

Alessandro “Il Casa” Casarin, Celeste “Cel” Colombo, Gianluca “Jimmy”<br />

De Benedictis, Gianluca “GianluKakà” D’Innocenzo, Roberto “Forrest”<br />

Lamia Caputo, Giorgio “Il Capitano” Musitano Guerrera, Johannes<br />

“Dado” Raspi. E tutti coloro che, negli anni, hanno più o meno<br />

degnamente vestito la casacca rossoblu.<br />

Non meno importante è stato <strong>il</strong> contributo di chi, inconsapevolmente, è<br />

stato ritratto a vivere, soffrire o morire nel perimetro <strong>del</strong>la Piazza, Monica<br />

Aristolao per tutti. Ciao Monica!<br />

Detto dei protagonisti, se arrivi al leggere queste righe è anche grazie<br />

all’importante supporto editoriale di Omar Degoli e Stefano Mazzoni,<br />

all’editing di Antonella Barranca e Viviana D’Antona, a Monica Cappato<br />

e Enzo <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong> per la grafica, a Salvatore <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong> per l’archivio<br />

fotografico e a 0111 Edizioni per l’opportunità che mi ha concesso. A mia<br />

mamma e mia sorella perché non posso certo dimenticarmi di loro anche<br />

se infondo non hanno portato granché alla causa e a tutti coloro che hanno<br />

letto <strong>il</strong> manoscritto e che mi hanno dato modo di farlo diventare un libro.<br />

Ringrazio infine te, per la voglia e la pazienza. Per aver dimostrato fiducia<br />

nel mio lavoro.

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