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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DELL'INSUBRIA

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UNIVERSITA’ <strong>DEGLI</strong> <strong>STUDI</strong> DELL’INSUBRIA<br />

FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA.<br />

Istituto di Clinica Dermatologica.<br />

Direttore: Prof. Nicola Zerbinati.<br />

VALUTAZIONI CLINICO -<br />

STRUMENTALI DI UNA NUOVA<br />

METODICA LASER PER IL<br />

TRATTAMENTO DELLE CICATRICI<br />

ACNEICHE.<br />

Tesi di Laurea di Colombo Sara<br />

Matr. 609003<br />

Relatore Chiar.mo Prof. Nicola Zerbinati<br />

Anno accademico 2006_2007<br />

1


A Nicolò e Samuele.<br />

2


VALUTAZIONI CLINICO - STRUMENTALI DI UNA NUOVA<br />

METODICA LASER PER IL TRATTAMENTO DELLE CICATRICI<br />

ACNEICHE. .......................................................................................... 1<br />

INTRODUZIONE. ....................................................................................................... 5<br />

REGIME IPERTERMICO (43- 45 °C , INTERVALLO IPERTERMICO) ............ 8<br />

REGIME COAGULATIVO ..................................................................................... 8<br />

EFFETTI DI TEMPERATURA MEDIO- ALTA (› 100 °C) ................................... 9<br />

SORGENTI LASER ABLATIVE: LASER CO2 CONTINUO E PULSATO. ..... 11<br />

LE CICATRICI ACNEICHE ..................................................................................... 13<br />

CAUSE DI CICATRICI ACNEICHE. ................................................................... 14<br />

PREVENZIONE DELLE CICATRICI ACNEICHE. ................................ 15<br />

TIPI DI CICATRICI ACNEICHE ................................................................. 15<br />

Il cheloide ........................................................................................................... 16<br />

La cicatrice ipertrofica ....................................................................................... 17<br />

Ice pick scars. ..................................................................................................... 20<br />

Cicatrici fibrotiche depresse. .............................................................................. 20<br />

Cicatrici soffici, superficiali o profonde ............................................................. 20<br />

Macule atrofiche ................................................................................................. 21<br />

Atrofia follicolare maculare ............................................................................... 21<br />

PARTE SPERIMENTALE ......................................................................................... 23<br />

SCOPO DELLA RICERCA ............................................................................. 23<br />

MATERIALI E METODI ................................................................................ 26<br />

Materiali. ............................................................................................................ 26<br />

3


Metodo ................................................................................................................ 33<br />

RISULTATI ............................................................................................................ 35<br />

Colorimetria ........................................................................................................ 36<br />

Corneometria ...................................................................................................... 37<br />

TEWL .................................................................................................................. 37<br />

Sebometria .......................................................................................................... 38<br />

DISCUSSIONE ...................................................................................................... 40<br />

VALUTAZIONE ISTOLOGICA ........................................................................... 40<br />

ISTOLOGIA 1 E 2. .............................................................................................. 41<br />

ISTOLOGIA 3. .................................................................................................... 41<br />

ISTOLOGIA 4 E 5. .............................................................................................. 42<br />

CONCLUSIONE. ....................................................................................................... 44<br />

ICONOGRAFIA ......................................................................................................... 46<br />

BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................ 55<br />

RINGRAZIAMENTI. ................................................................................................. 77<br />

4


INTRODUZIONE.<br />

Nuove tecnologie laser applicate a “vecchie” sorgenti energetiche sono oggi proposte<br />

per il rimaneggiamento e la ristrutturazione dei tessuti dermoepidermici colpiti e segnati<br />

da esiti cicatriziali distrofici o anetodermici.<br />

Le tecniche ablative laser definite tecniche di “resurfacing” che avevano a loro volta<br />

sostituito le dermoabrasioni vengono oggi discusse a vantaggio di nuove tecnologie in<br />

grado di erogare energia laser in modo frazionato creando danni termici in profondità a<br />

volte oltre i 5 mm, preservando parzialmente lo strato epidermico.<br />

Tutto ciò comporta tempi di recupero ed effetti collaterali minimi rispetto alle tecniche<br />

tradizionali meccaniche e laser.<br />

Scopo della nostra ricerca era quello di valutare la reale efficacia e la minor invasività<br />

di un laser frazionato che lavorasse con quella che in letteratura viene considerata la<br />

lunghezza d’onda ideale per il rimodellamento cutaneo del viso affetto da esiti<br />

cicatriziali post acneici.<br />

La nostra valutazione dunque si è soffermata in particolare sul laser a CO2, da circa 30<br />

anni sorgente laser presente negli ambulatori dermatologici.<br />

5


BREVE STORIA DEI LASER<br />

Sviluppati intorno al 1960 i laser sono strumenti ormai frequentemente utilizzati nei<br />

reparti e negli ambulatori di dermatologia ed impiegati in sempre più estesi ambiti<br />

clinici. Tali strumenti sfruttano la reazione fototermica indotto dalle varie lunghezze<br />

d’onda emesse per stimolazione di “mezzi” attivi ( gas, coliranti, cristalli).<br />

A livello microscopico, la reazione fototermica avviene a seguito dell'assorbimento di<br />

fotoni da parte delle molecole bersaglio, che si portano in uno stato elettronico-<br />

vibrazionale eccitato, e del successivo trasferimento collisionale dell'energia alle<br />

molecole mezzo, con aumento della loro energia cinetica.<br />

Questo processo di decadimento non radiattivo avviene in tempi estremamente brevi e,<br />

la conseguente rapida termalizzazione produce un aumento della temperatura locale. A<br />

livello tessutale e, dunque, anche a livello cutaneo, le modificazioni bioistologiche<br />

indotte dal calore sono dipendenti dall'assorbimento dell’energia da parte della molecola<br />

bersaglio, essenzialmente acqua, emoproteine, pigmenti (quali melanina, carotenoidi,<br />

flavine, bilirubina), ed altre macromolecole, come acidi nucleici e molecole aromatiche.<br />

L'evoluzione della temperatura nel tempo dipende invece dalla modalità con cui<br />

l'energia laser è depositata nel tessuto, in particolare dalla durata dell'impulso e dalla<br />

quantità di energia per impulso.<br />

Il riscaldamento progressivo del tessuto produce una sequenza complessa di effetti<br />

biologici che, a livello macroscopico, possono essere classificati secondo differenti<br />

processi termodinamici cui corrispondono le principali modificazioni istologiche<br />

riassunte in Tabella1.<br />

6


Tabella 1 Modificazioni istologiche indotte dai processi fototermici<br />

43-45°C Cambiamenti conformazionali<br />

Restringimento<br />

Ipertemia (morte cellulare)<br />

50°C Riduzione dell'attività enzimatica<br />

60°C Denaturazione delle proteine<br />

Coagulazione<br />

Denaturazione del collagene<br />

Permeabilizzazione delle membrane<br />

100°C Formazione vacuoli extracellulari<br />

> 100°C Rottura dei vacuoli<br />

300-1000°C Termoablazione del tessuto<br />

Questi effetti si registrano tipicamente con laser ad emissione continua, per densità di<br />

potenza superiori ai 10 W/cm 2 , o per irraggiamento con laser pulsati di durate superiori<br />

ai microsecondi.<br />

Gli effetti termici su tessuto biologico sono quindi: ipertermia, coagulazione,<br />

carbonizzazione e vaporizzazione.<br />

7


E’ quindi importante classificarli singolarmente, ma anche definire, come verrà fatto nel<br />

seguito, le condizioni di irraggiamento che permettono di controllare il volume affetto<br />

dalle modificazioni di natura termica.<br />

REGIME IPERTERMICO (43- 45 °C , INTERVALLO IPERTERMICO)<br />

Il primo effetto ipertermico subito dalla biomateria è la denaturazione (rottura dei<br />

legami idrogeno) delle biomolecole e dei loro aggregati (proteine, collagene, lipidi,<br />

emoglobina). Intorno 45 °C si osservano cambiamenti conformazionali, rotture di<br />

legami, alterazioni delle membrane.<br />

Le singole cellule ed i vari tessuti riscaldati a temperatura di 43-45 °C possono tollerare<br />

il danneggiamento solo in via temporanea. Il danno diventa irreversibile (morte<br />

cellulare) dopo tempi di esposizione prolungati, che possono variare da 25 minuti ad<br />

alcune ore, in dipendenza del tipo di tessuto e delle condizioni di irraggiamento. Nel<br />

caso di cellule di natura oncologica la mortalità è particolarmente alta in questo regime<br />

termico.<br />

REGIME COAGULATIVO<br />

Per temperature superiori a quella di denaturazione, hanno luogo processi di necrosi<br />

(cellulare) coagulativa e di vacuolizzazione. Tra 50 e 60°C vengono modificate (ridotte)<br />

le attività enzimatiche, e ha inizio una cospicua denaturazione delle macromolecole<br />

(quali proteine, collagene, lipidi, emoglobina), che è alla base del processo di<br />

coagulazione. Importante è la denaturazione del collagene, proteina fibrosa largamente<br />

8


diffusa nei mammiferi composta da quattro catene polipeptidiche unite a formare una<br />

struttura bielica. L'aumento di temperatura distrugge l'organizzazione spaziale delle<br />

catene macromolecolari, le spire si distribuiscono in modo casuale, producendo una<br />

vistosa contrazione strutturale delle fibre di collagene. La denaturazione termica e la<br />

contrazione delle proteine intercellulari, ed un possibile collasso dei citoscheletro,<br />

producono il restringimento delle cellule coagulate. La rottura delle membrane diventa<br />

predominante nelle cellule di tutti i tipi quando risultino seriamente danneggiate per<br />

effetto termico. Infine, nei tessuti ove esiste a livello cellulare un elevato ordine spaziale<br />

come nel tessuto muscolare, origine in genere di proprietà di birifrangenza ottica, la<br />

denaturazione proteica sconvolge questa struttura regolare, con perdita delle relative<br />

proprietà ottiche. Questi processi di fotocoagulazione sono utilizzati ad esempio in<br />

chirurgia oculistica per la riduzione dei distacchi di retina ed in dermatologia per il<br />

rimaneggiamento delle fibre collagene.<br />

EFFETTI DI TEMPERATURA MEDIO- ALTA (› 100 °C)<br />

Gli effetti sono essenzialmente quelli dominati dalla presenza di acqua. Assumiamo,<br />

molto qualitativamente, a 100 °C l'inizio del processo di vaporizzazione,<br />

prevalentemente dovuto al riscaldamento dell'acqua libera nei tessuti. Per irraggiamento<br />

continuo, il riscaldamento tissutale è caratterizzato da:<br />

- assorbimento di energia per la transizione di fase liquido-vapore,<br />

- disseccamento del tessuto,<br />

- formazione di vacuoli di vapore all'interno del tessuto<br />

- rapida espansione dei vacuoli di vapore.<br />

9


Il danno che ha luogo in queste condizioni, oltre che alle componenti puramente<br />

termiche, può avere contributi di tipo meccanico, anche nel caso di irraggiamento con<br />

laser continui. Le bolle macroscopiche (vacuoli), infatti, che si formano nelle zone più<br />

calde del tessuto al di sotto della superficie irraggiata, comprimono il tessuto per il<br />

notevole aumento di volume associato alla trasformazione liquido - vapore allorché si<br />

raggiunge la pressione critica, le sottili pareti dei vacuoli si rompono ed essi si<br />

riuniscono a formare agglomerati di dimensioni maggiori. Prolungando l'irraggiamento,<br />

le bolle si espandono fino a causare eventi di rottura esplosiva (effetto pop-corn). La<br />

rottura dei vacuoli in superficie permette al vapore acqueo di uscire all'esterno,<br />

producendo un momentaneo raffreddamento della superficie. L’analisi istologica degli<br />

effetti indotti dall'effetto pop-corn indica che i crateri superficiali così prodotti non sono<br />

dovuti a perdita di massa tessutale, ma alla formazione, espansione, e rottura di<br />

agglomerati di vacuoli.<br />

La rimozione di tessuto caldo espone all'irraggiamento uno strato più freddo, che rimane<br />

approssimativamente a 100 °C per il tempo che impiega l'irraggiamento a disidratare il<br />

tessuto. La perdita d'acqua diminuisce la conducibilità termica locale e limita la<br />

conduzione del calore alle aree circostanti.<br />

Quando l'acqua presente nelle cellule è completamente evaporata, la temperatura<br />

tessutale aumenta rapidamente fino a circa 300°C. Siti di nucleazione si formano in<br />

superficie e il tessuto brucia e carbonizza. La vaporizzazione insieme alla<br />

carbonizzazione dà luogo alla decomposizione dei costituenti tessutali.<br />

10


SORGENTI LASER ABLATIVE: LASER CO2 CONTINUO E PULSATO.<br />

Il mezzo laser è costituito da una miscela gassosa di anidride carbonica (CO2), azoto ed<br />

elio: il materiale attivo è l’anidride carbonica.<br />

L’impiego del laser in dermatologia viene generalmente collegato al calore laser-<br />

indotto. Quando questo surriscaldamento tissutale è indotto rispettando i principi della<br />

fototermolisi selettiva si possono raggiungere effetti molto precisi sui tessuti.<br />

I principi basilari della fototermolisi selettiva sono che la luce laser assorbita dal<br />

cromoforo lo riscalda e tale calore è confinato nel cromoforo da una durata d’impulso<br />

più breve del tempo di rilassamento termico (raffreddamento) del tessuto bersaglio.<br />

Il cromoforo che assorbe le lunghezze d’onda di 10,600 nm del laser a CO2 è l’acqua.<br />

La profondità di penetrazione di questa lunghezza d’onda nel tessuto è dunque<br />

dipendente solo dal contenuto d’acqua: pigmentazione e vascolarizzazione sono<br />

irrilevanti. La lunghezza di estinzione, o la densità, dell’acqua che assorbe il 90%<br />

dell’energia radiante del raggio incidente per il laser CO2 è approssimativamente 30<br />

μm.<br />

La temperatura di evaporazione o di ebollizione dell’acqua ad un’atmosfera di pressione<br />

è 100°C. Quando il laser CO2 viene utilizzato nella modalità continua ad una potenza<br />

modesta per l’evaporazione, la temperatura della superficie della pelle fluttua<br />

ciclicamente fra 120-200°C. durante l’ablazione.<br />

Le bruciature accadono a causa dell’estremo calore del tessuto distaccato, che<br />

carbonizza. Gli effetti immediati sul tessuto sono dipendenti dalla dimensione del punto<br />

trattato dalla potenza, e dalla velocità con cui il raggio laser viene mosso lungo la<br />

superficie del tessuto. Quando viene impiegato un raggio con un diametro molto piccolo<br />

di 100-300 μm, possono venire raggiunte irradiazioni molto grandi che provocano una<br />

11


apida vaporizzazione dei tessuto. In ogni caso, a meno che il raggio non venga mosso<br />

rapidamente lungo la superficie del tessuto, si hanno disseccamento, bruciature, e<br />

diffusione del calore.<br />

Quando si utilizza un raggio di dimensioni maggiori di 2mm, non si ottiene la<br />

vaporizzazione, bensì una bruciatura. La potenzialità di un profondo danno termico<br />

aumenta a causa della necessità di applicare radiazioni basse per lunghi periodi di sosta<br />

sul tessuto per ottenere la vaporizzazione o visibili effetti termici. In tutte queste<br />

situazioni, il tempo di interazione laser-tessuto è il fattore critico che determina la<br />

profondità del danno termico residuo.<br />

Sebbene l’energia l. penetri solo 30 μm o all’incirca e venga assorbita entro quello<br />

strato, la coagulazione termica si ha ad una profondità di oltre 1 mm a causa della<br />

diffusione del calore.<br />

La capacità del laser CO2 di fotocoagulare i vasi sanguigni minori di 0,5 mm di<br />

diametro, e di sigillare piccoli vasi linfatici e terminazioni nervose, ha permesso il<br />

raggiungimento di una chirurgia virtualmente incruenta con meno edemi e dolori<br />

postoperatori..<br />

Per controllare la profondità del danno termico sul tessuto, il raggio del laser CO2 ad<br />

onde continue deve avere una permanenza temporale sul tessuto minore del tempo di<br />

rilassamento termico: diversamente l’energia deve essere sprigionata in un impulso più<br />

breve di questo periodo.<br />

Il tempo di rilassamento termico dello strato di tessuto di 30 μm scaldato dal l. CO2 è<br />

stato calcolato essere minore di 1 msec.<br />

12


I laser ad anidride carbonica superpulsati vennero sviluppati per liberare picchi di<br />

potenza 2-10 volte più elevati, e durate di impulso 10-100 volte più brevi, dei<br />

convenzionali laser<br />

LE CICATRICI ACNEICHE<br />

La cicatrice è il prodotto finale di una fase di riorganizzazione di un tessuto leso.<br />

Dunque la cicatrizzazione è l’insieme dei processi biologici che contribuiscono alla<br />

chiusura di una ferita e riguarda tutte le strutture del corpo umano: si parla di cicatrici<br />

cutanee se la lesione interessa la cute, invece di aderenze qualora il danno riguardi<br />

tessuti sottostanti (strappi muscolari, cicatrici cutanee profonde.)<br />

La pelle è organizzata in diversi strati: l’epidermide, più superficiale, si moltiplica<br />

continuamente dando luogo al ricambio cutaneo, mentre il derma è costituito da fibre<br />

elastiche e collagene, contenuti in una sostanza semifluida formata da vari tipi di<br />

cellule, tra le quali i fibroblasti, fondamentali per il processo di cicatrizzazione.<br />

Quando la pelle subisce una lesione, il nostro organismo si attiva per riparare al danno,<br />

producendo nuove fibre di collagene: se la lesione ha interessato lo strato superficiale<br />

della pelle, tale processo non lascerà segni rilevanti. Le cose cambiano invece se<br />

risultano essere coinvolti anche gli strati più profondi della cute: in questo caso la<br />

tendenza sarà quella di formare una cicatrice piuttosto visibile.<br />

Le cicatrici determinano un’interruzione del continuum della pelle e dei tessuti<br />

sottostanti (muscolare e nervoso), fino ad incidere anche sul funzionamento fisiologico<br />

13


degli organi. Hanno conseguenze meccaniche, energetiche e neurologiche, sia a livello<br />

locale sia globale.<br />

CAUSE DI CICATRICI ACNEICHE.<br />

Le cicatrici acneiche si formano in seguito ad un danno tissutale.<br />

In pratica esse rappresentano l’esito visibile del danno e della conseguente, successiva<br />

riparazione dei tessuti.<br />

Nel caso specifico della patologia acneica, il danno è connesso con la risposta<br />

infiammatoria dell’organismo, che s’instaura a seguito dell’accumulo di batteri, sebo e<br />

cellule apoptotiche a livello del follicolo sebaceo.<br />

Quando i tessuti sono danneggiati, l’organismo intraprende un processo riparativo a<br />

livello della lesione ed in tale processo svolgono un ruolo fondamentale i leucociti e le<br />

citochine infiammatorie, che agiscono con lo scopo di ottenere la riparazione dei tessuti<br />

e di prevenire le sovrainfezioni.<br />

In talune circostanze, questo processo riparativo può però determinare la formazione di<br />

un’ulteriore lesione che, a sua volta può essere rappresentata da una cicatrice fibrotica o<br />

da un’erosione tissutale.<br />

In particolare, nei soggetti che mostrano suscettibilità maggiore alla formazione di<br />

cicatrici, i leucociti e le citochine permangono a livello della lesione acneica per<br />

parecchi giorni o per alcune settimane. Il risultato di quest’anomala persistenza è,<br />

appunto, la formazione della cicatrice acneica.<br />

Generalmente le cicatrici acneiche si correlano più frequentemente, con la presenza di<br />

severe forme di acne, in particolare con quelle caratterizzate dalla presenza di lesioni<br />

infiammatorie di tipo nodulo- cistico, situate in profondità.<br />

14


In realtà però la cicatrizzazione può avvenire anche nelle forme più lievi e nelle lesioni<br />

più superficiali, seppur con una minore incidenza.<br />

PREVENZIONE DELLE CICATRICI ACNEICHE.<br />

Innanzitutto va ricordato che è molto difficile prevedere il decorso del processo di<br />

cicatrizzazione nei diversi soggetti.<br />

In particolare è difficoltoso riconoscere i soggetti con maggiore suscettibilità alla<br />

formazione delle cicatrici e la profondità e la durata di persistenza delle stesse.<br />

In ogni caso la metodica che necessariamente dev’essere intrapresa per almeno<br />

limitarne l’estensione è rappresentata dal trattamento precoce e mirato della patologia<br />

acneica.<br />

TIPI DI CICATRICI ACNEICHE<br />

Generalmente si possono riconoscere due differenti tipi di cicatrici post-acne,<br />

classificabili sulla base della risposta tissutale al processo infiammatorio.<br />

-cicatrici correlate con un’aumentata proliferazione tissutale;<br />

-cicatrici correlate con una perdita dei tessuti.<br />

Cicatrici causate da una proliferazione tissutale.<br />

15


Queste lesioni sono rappresentate dalle cicatrici ipertrofiche e dai cheloidi.<br />

I cheloidi e le cicatrici ipertrofiche sono condizioni patologiche conseguenti ad un<br />

processo di guarigione tessutale abnorme legato ad un’eccessiva produzione di tessuto<br />

cicatriziale.<br />

Queste due entità, talvolta indistinguibili clinicamente nelle fasi iniziali di malattia,<br />

differiscono l’una dall’altra nella forma conclamata per alcune caratteristiche: colorito,<br />

consistenza, forma, sedi, sintomatologia ed aspetti evolutivi.<br />

Il cheloide<br />

Si definisce cheloide la proliferazione benigna di tessuto fibroso conseguente ad un<br />

insulto traumatico cutaneo; il termine deriva dal greco “chele” e si riferisce all’aspetto<br />

simile alla chela del granchio. Deriva dal processo riparativo aberrante conseguente alla<br />

tendenza del tessuto cicatriziale ad estendersi al di fuori del tessuto riparato verso il<br />

tessuto normale perilesionale con formazione di estensioni che ricordano, appunto, le<br />

chele del granchio. La prima descrizione del cheloide risale ad Alibert nel 1806 il quale<br />

la interpretò come una forma tumorale (Alibert JLM. Descrition des maladies de la peau<br />

observies a l’hospital Saint-lauest et exposition melleireues methodes suivee pour leur<br />

traitement. Paris: Barrots L’Ainé et Fils, 1806 :113.). La formazione di un cheloide è<br />

generalmente graduale ed il tempo che intercorre fra il danno e la sua formazione è<br />

estremamente variabile raggiungendo in alcuni casi mesi o anni; anche<br />

minimi traumi possono determinarne la formazione.La lesione si presenta<br />

come una formazione irregolare, in placca, di varie dimensioni. Il cheloide può<br />

presentarsi come una formazione esuberante eritematosa o diversamente pigmentata,<br />

16


che presenta nel suo contesto aree di colore perlaceo. Numerose sono le condizioni<br />

cliniche e genetiche che ne determinano la comparsa: il fototipo scuro (neri ed ispanici),<br />

la gravidanza, la pubertà, la familiarità ed un’anamnesi positiva per cheloidi, la<br />

presenza di severe cicatrici post-acneiche, emogruppo di tipo A ecc. Alcune aree<br />

corporee rappresentano siti caratterizzati dalla formazione più frequente di cheloidi: la<br />

parte superiore del dorso, le spalle, la porzione antero-superiore del torace (regione<br />

presternale), la porzione prossimale degli arti superiori, ma non deve essere dimenticato<br />

che anche alte zone possono presentare ugualmente evoluzione di un danno cutaneo in<br />

cheloide<br />

Fig.1<br />

La cicatrice ipertrofica<br />

Le cicatrici ipertrofiche sono distinguibili dal cheloide per le diverse caratteristiche<br />

temporali di evoluzione e di crescita e per un decorso clinico meno aggressivo.<br />

Compaiono, infatti, più velocemente dopo il danno cutaneo e l’estensione del tessuto<br />

cicatriziale è limitata al tessuto danneggiato risparmiando il tessuto sano circostante.<br />

Compaiono più frequentemente su grosse aree danneggiate come nel caso di ustioni e si<br />

appianano spontaneamente in 1-2 anni dalla formazione. Le cicatrici ipertrofiche si<br />

17


presentano comunemente come lesioni in placca, di aspetto eritematoso o di colore<br />

biancasto. Spesso, a causa della frequente remissione spontanea, non richiedono terapia<br />

e a differenza del cheloide non evocano dolore o altri sintomi soggettivi né alla<br />

digitopressione, né spontaneamente.<br />

L’eziopatogenesi delle cicatrici ipertrofiche e dei chelodi è tuttora sconosciuta e la<br />

fisiopatologia della formazione di un tessuto cicatriziale in eccesso è complessa. Ciò<br />

che sembra essere evidente dalla letteratura più recente è che i meccanismi<br />

fisiopatologici della formazione delle due lesioni abbiano in comune molti punti di<br />

partenza, ma che ad un certo momento dell’evoluzione patologica nel caso del cheloide<br />

compaiono fenomeni di automantenimento e di iperattività fibroblastica invece assenti<br />

nelle cicatrici ipertrofiche.<br />

Fig. 2<br />

Nel cheloide è stata descritto un aumento del contenuto tissutale di fibronettina. La<br />

persistenza di fibronectina nei cheloidi può essere determinata da una maggiore e<br />

prolungata attività dei fibroblasti che, sotto l’azione di citochine, perseverano nella loro<br />

azione di deposito di collagene ed altri elementi costitutivi lo stroma dermico anche<br />

dopo che la normale cicatrizzazione del danno è avvenuta. Sia nel cheloide che nelle<br />

18


cicatrici ipertrofiche si evidenzia un aumentato numero di mastcellule e della<br />

formazione di collagene indotto da istamina.<br />

Per quanto concerne l’istologia, nelle fasi iniziali l’aspetto istopatologico sia del<br />

cheloide che delle cicatrici ipertrofiche appare simile al normale tessuto di<br />

cicatrizzazione. In entrambi i casi si passa da una fase infiammatoria ad una fase<br />

proliferativa con esagerata fibroplasia, neoangiogenesi, e formazione di collagene.La<br />

formazione di agglomerati di collagene nel derma prosegue con una più spiccata<br />

deposizione di masse collageniche nel cheloide ed un minor deposito nelle cicatrici<br />

ipertrofiche. Come evidente anche dal punto di vista clinico, il cheloide si caratterizza<br />

per una deposizione di tessuto cicatriziale anche al di fuori della sede del danno<br />

tissutale.<br />

Fig. 3: CHELOIDE. Fig. 4: CICATRICE IPERTROFICA.<br />

Cicatrici causate da perdita di tessuto.<br />

Sono innanzitutto più comuni rispetto al gruppo precedente e sono rappresentate da:<br />

19


Ice pick scars, che generalmente si localizzano a livello del collo<br />

Generalmente hanno piccole dimensioni, possono essere superficiali o profonde e avere<br />

una consistenza molle o dura alla palpazione e presentano rilevate rispetto alla cute<br />

circostante.<br />

Cicatrici fibrotiche depresse, in genere hanno una grandezza moderata, consistenza<br />

dura e possono rappresentare l’evoluzione delle ice- pick scars.<br />

Fig. 5<br />

Cicatrici soffici, superficiali o profonde, hanno consistenza soffice alla palpazione,<br />

margini tondeggianti, difficilmente delimitabili dalla cute circostante.<br />

Generalmente hanno piccole dimensioni e forma lineare o tondeggiante.<br />

Fig. 6<br />

20


Fig. 6<br />

Macule atrofiche, generalmente, se localizzate a livello del volto hanno piccole<br />

dimensioni, ma possono raggiungere dimensioni di in centimetro o più, se localizzate in<br />

altre sedi.<br />

Hanno consistenza soffice, spesso una base lievemente raggrinzita.<br />

Possono avere un colorito bluastro in superficie, che tuttavia tende a virare in avorio,<br />

divenendo meno evidente.<br />

Fig. 7<br />

Atrofia follicolare maculare, generalmente si localizza a livello del torace o della<br />

schiena.<br />

Si presenta sotto forma di lesioni di piccole dimensioni, di colorito biancastro e<br />

consistenza soffice, spesso rilevate rispetto alla cute circostante.<br />

Questa condizione è peraltro nota anche come elastosi perifollicolare e può persistere<br />

per mesi o anni.<br />

21


Fig. 8<br />

Figura 1: esempi di cicatrici da acne.<br />

Figura 2: esempi di cicatrici da acne.<br />

Figura 3: esempi di cicatrici da acne.<br />

22


PARTE SPERIMENTALE<br />

SCOPO DELLA RICERCA<br />

Negli ultimi 12 mesi abbiamo eseguito numerosi test clinici-strumentali per individuare<br />

la reale efficacia di un’apparecchiatura elettromedicale laser in grado di generare zone<br />

di micro danno termico a carico delle strutture dermo epidermiche, nella cura delle<br />

cicatrici da acne.<br />

Tale ricerca era volta a valutare in particolare una nuova tecnica operatoria, eseguibile<br />

con erogazione frazionata dell’energia laser, che potesse creare il minor danno<br />

epidermico possibile a fronte di un’adeguata contrazione e stimolazione dermica che<br />

favorisse l’attenuazione o la scomparsa di cicatrici ipotrotrofiche e ipertrofiche.<br />

Venivano escluse da tale ricerca le cicatrici cheloidee ed anetodermiche.<br />

Naturalmente la procedura, che veniva eseguita a livello ambulatoriale e dunque gestita<br />

dal solo dermatologo senza l’ausilio di anestesisti, doveva mostrarsi attuabile anche<br />

nella gestione del dolore intra e post-operatorio.<br />

23


DISEGNO DELLO <strong>STUDI</strong>O<br />

Uno studio randomizzato aperto prevedeva di trattare un numero di 20 pazienti di età<br />

compresa tra i 25 ed i 40 anni, per il rimodellamento di lesioni cicatriziali acneiche ipo<br />

ed ipertrofiche.<br />

La metodica si doveva avvalere di un laser CO2 superpulsato che in modalità frazionata<br />

(D.O.T 400 – 600 micron) lavorasse in modalità pseudocontinua.<br />

L’applicazione clinica della sorgente elettromagnetica prevedeva un numero di 2<br />

scansioni laser di mm 15x15 a fluenze predefinite di 30 Watt.<br />

I pazienti una volta visitati venivano preventivamente informati sia sulla metodica che<br />

si sarebbe impiegata sia sui risultati ottenibili sia sui possibili effetti collaterali<br />

temporanei e permanenti.<br />

Naturalmente all’accettazione dell’intervento seguiva la compilazione dell’apposito<br />

modulo di consenso informato e successivamente venivano arruolati.<br />

Un ora prima della terapia laser veniva posizionata sul volto dei pazienti, in occlusiva,<br />

una crema anestetica a base di lidocaina, ed al termine dell’intervento laser veniva<br />

richiesta ai pazienti una valutazione dello stimolo doloroso rispetto ad un trattamento<br />

eseguito con le medesime fluenze qualche settimana prima su un braccio per verificare<br />

la reattività pigmentogena del soggetto.<br />

Ai pazienti veniva eseguita una valutazione clinica morfofotometrica delle lesioni<br />

trattate prima dopo 10, 20, 60 e 90 giorni dal trattamento al fine di valutare il<br />

miglioramento clinico e la restituzio ad integrum del tessuto.<br />

24


Al fine di valutare la tollerabilità della procedura nessun altro tipo di sedazione o<br />

anestetico veniva proposto se non la crema anestetica posizionata 1 ora prima<br />

dell’intervento.<br />

Naturalmente i pazienti arruolati non dovevano sottoporsi a nessun altro tipo di terapia<br />

fisica o chimica, e si astenevano da esposizioni solari od altre sorgenti<br />

elettromagnetiche.<br />

La terapia farmacologia prescritta come pre e post trattamento era quella codificata in<br />

tutti i trattamenti di resurfacing: terapia topica con idrochinone e acido retinico,<br />

terapia orale con antibatterici e antivirali.<br />

25


MATERIALI E METODI<br />

Materiali.<br />

Il laser impiegato per questa sperimentazione era come anticipato un laser a CO2 che<br />

grazie alla particolare gestione dell’impulso consentiva di vaporizzare il tessuto in modo<br />

estremamente preciso, alla profondità desiderata ed allo stesso tempo confinando il<br />

danno termico alle aree interessate (FIG 1).<br />

Tale apparecchiatura a passaggi multipli esegue una vaporizzazione del tessuto per strati<br />

successivi in modo da garantire il corretto e progressivo raggiungimento dell’end-point.<br />

La rimozione di piccoli strati di tessuto (50-500 micron) consente di scendere in<br />

profondità su scale proporzionali agli strati compositivi della pelle (Epidermide, Derma<br />

Papillare, etc) (FIG.2)<br />

La modalità frazionata di erogazione di energia laser è invece resa possibile da uno<br />

scanner, D.O.T scanner, (fig.3, 4) in grado di creare, grazie a particolari lenti di<br />

focalizzazione lesioni puntiformi di circa 350 micron di diametro, gestendo tempi<br />

d’impulso variabili tra gli 0.2 e i 20 msec.<br />

Interessante notare come la gestione dell’impulso è gestita interamente da un dispositivo<br />

optomeccanico dal memento che nella modalità frazionata il laser Smartxide, facendo<br />

tecnologicamente passo indietro nel tempo, di ben 15 anni, lavora in modalità continua.<br />

26


200<br />

J/cm2<br />

Fluenza<br />

Fig.1<br />

Fig. 2<br />

500 s<br />

70 m<br />

700 m<br />

= Profondità di<br />

danneggiamento termico<br />

= Profondità (Coagulazione) di ablazione<br />

(Vaporizzazione)<br />

Durata dell’impulso<br />

Controllo preciso delle<br />

profondità, grazie alla versatilità<br />

della scelta della durata<br />

dell’impulso e della densità di<br />

potenza.<br />

= Skin<br />

50 ms<br />

700 m<br />

27


Fig. 3<br />

Fig.4<br />

Gli altri strumenti impiegati nella sperimentazione per la valutazione morfofotometrica<br />

erano:<br />

1) Corneometro.<br />

La determinazione quantitativa "in vivo" di questo parametro con metodi strumentali<br />

non invasivi, fornisce indicazioni obbiettive, su condizioni sia fisiologiche che<br />

patologiche della cute, trovando particolare applicazione nel monitoraggio dell'effetto di<br />

trattamenti topici e/o sistemici attuati per correggere stati di alterazione del normale<br />

contenuto idrico cutaneo.<br />

28


frequenza (40-75KHZ).<br />

La valutazione del grado di idratazione<br />

cutanea viene effettuata mediante<br />

Corneometer CM 825 PC (Courage &<br />

Kazhaka, Koln, Germania), il cui<br />

funzionamento è basato sul metodo<br />

elettrico della capacitanza a bassa<br />

Lo strumento consiste di un’unità centrale per la registrazione dei dati connessa ad una<br />

sonda misuratrice per mezzo di un cavo flessibile. La superficie attiva per la<br />

misurazione (7x7 mm di diametro) è costituita da una rete di elettrodi rivestiti d'oro<br />

funzionanti come un condensatore, protetta da un sottile rivestimento di vetro. Il<br />

processo di misurazione viene attivato ponendo la sonda in posizione perpendicolare<br />

rispetto alla cute ed esercitando una pressione sufficiente ad accendere automaticamente<br />

lo strumento. I valori rilevati appaiono sul display digitale dell’unità centrale nell’arco<br />

di 1 sec., espressi in unità arbitrarie (a.u.). Il range teorico di valori forniti dallo<br />

strumento è compreso tra 0 e 130 a.u.<br />

2) Evaporimetro.<br />

Nello strato corneo l'acqua è presente sia in forma libera sia in forma legata.<br />

Per acqua libera s’intende quella che, sotto forma di vapore acqueo, si diffonde<br />

dall'epidermide verso l'ambiente esterno. Il flusso d'acqua verso l'esterno ha come<br />

significato fisiologico quello di contribuire al mantenimento dell'omeostasi termica<br />

insieme all'attività delle ghiandole sudorali eccrine. Il flusso di vapore acqueo verso<br />

l'esterno, o Trans Epidermal Water Loss (TEWL) è una funzione propria<br />

dell'epidermide ed è regolata mediante la funzione barriera dello strato corneo. Si è<br />

29


osservato che la TEWL è in funzione dell'integrità sia della componente lipidica che<br />

della componente proteica dello strato corneo.<br />

La TEWL varia nelle differenti aree corporee in base allo spessore dello strato corneo,<br />

alla diversità del contenuto lipidico, ma è in particolare influenzata dallo stato di salute<br />

della pelle.<br />

Infatti, negli stati clinici di xerosi cutanea tale parametro risulta aumentata, così come<br />

nelle alterazioni artificialmente indotte della funzione barriera (stripping corneo,<br />

estrazione lipidica) .<br />

Il monitoraggio di questo parametro biofisico mediante evaporimetria è pertanto<br />

utilizzato nello studio della funzione di barriera nelle suddette condizioni e per valutare<br />

l'efficacia dei trattamenti topici impiegati per la riparazione del danno cutaneo o per<br />

prevenire la comparsa o l'esacerbazione delle manifestazioni cliniche.<br />

La quantità d'acqua che evapora dalla superficie della pelle per disperdersi nell'ambiente<br />

(nota col termine di TEWL) può essere misurata con l'ausilio degli evaporimetri. In<br />

questo studio verrà utilizzato un evaporimetro DermaLab ® basato sul metodo della<br />

camera aperta all'atmosfera ambientale. La TEWL è calcolata da una coppia di<br />

igrosensori orientati posti all'interno della camera stessa, che rilevano il flusso di vapore<br />

acqueo attraverso una determinata unità di superficie, mediante le variazioni di<br />

concentrazione di acqua nell'atmosfera prossima allo strato corneo. Il DermaLab ® è<br />

costituito da un'unità centrale per la registrazione dei dati e di una sonda di rilevazione,<br />

la cui testa misurante è costituita da una camera aperta di forma cilindrica, in cui l’aria<br />

può fluire liberamente, che copre un'area cutanea pari a 10 mm di diametro. Questa<br />

viene poggiata sulla cute per un intervallo di tempo che varia da 1 a 250 sec. In due<br />

punti posti verticalmente, sono situate due coppie di trasduttori: una per la misurazione<br />

30


dell'umidità e l'altra per la misurazione della temperatura ambientale. Lo strumento<br />

calcola, dapprima, la pressione di vapore acqueo a ciascuna delle due distanze dalla<br />

superficie ed il relativo gradiente e da questo, infine, ricava il tasso di evaporazione.<br />

Quest'ultimo rappresenta il valore che compare sul display ed è espresso in<br />

grammi/metro 2 /ora con una risoluzione di 0.1 g/m2/h.<br />

3) Sebometro.<br />

Strumento che utilizza una metodica non invasiva, a sua volta, impiegata per valutare<br />

quantitativamente il sebo presente sulla superficie cutanea.<br />

Il sebo è costituito soprattutto dal secreto delle ghiandole sebacee, delle ghiandole<br />

sudoripare e dai lipidi presenti nello strato più superficiale dell’epidermide; è quindi una<br />

sostanza complessa soggetta all’influenza di numerosi fattori fra cui gli agenti esterni,<br />

ambientali, gli effetti dovuti all’uso di prodotti topici cosmetici e farmaceutici, ecc.<br />

Variazioni nella sua composizione e nella sua fluidità sono state osservate in presenza di<br />

cute seborroica.<br />

La cute seborroica si presenta all’esame obiettivo con un colorito grigiastro in quanto<br />

ispessita (ipercheratosi dello strato corneo), opaca, con osti follicolari dilatati. Si<br />

31


possono anche notare microcisti. In questo caso la secrezione sebacea non sarebbe<br />

alterata solo dal punto di vista quantitativo, ma anche dal punto di vista qualitativo in<br />

seguito ad un difetto intrinseco nelle vie deputate alla biosintesi lipidica. Con analisi<br />

biochimiche si è notato:<br />

- aumento della quota assoluta di lipidi di superficie<br />

- aumento relativo delle quote di colesterolo libero, trigliceridi, paraffine<br />

- diminuzione di acidi grassi liberi ed un aumento del rapporto acidi grassi saturi/<br />

acidi grassi insaturi<br />

In particolare un aumento della fluidità del sebo ne comporterebbe una maggiore<br />

fuoriuscita dalla ghiandola sebacea e una sua aumentata dispersione sulla superficie<br />

cutanea: verrebbe meno di conseguenza il grado di tensione superficiale, fattore<br />

importante nell’inibizione della secrezione sebacea.<br />

La valutazione sebometrica viene effettuata<br />

mediante Sebumeter SM 810. Il principio su cui si<br />

basa questo strumento è quello della fotometria della<br />

macchia di grasso ed è insensibile all’umidità. Un<br />

nastro sintetico opaco viene posto a contatto con la<br />

superficie cutanea per 30 secondi ed assume un<br />

grado di trasparenza direttamente proporzionale alla<br />

quantità di grasso che viene absorbita. Il fotometro<br />

(sito all’interno dell’apparecchio) legge il nastro<br />

prima e dopo il contatto con la cute, fornendo così la<br />

quantità di sebo per cm 2 di cute.<br />

32


Metodo<br />

Una volta rimossa la crema anestetica posta in occlusiva almeno 1 ora prima, la cute<br />

detersa e disinfettata veniva valutata fotomorfometricamente: si eseguivano delle<br />

macrofotografie e delle rilevazioni sebometriche, corneometriche e di TEWL.<br />

Solo al termine delle valutazioni clinico strumentali si procedeva all’erogazione<br />

dell’energia laser in modo frazionato sulle lesioni cicatriziali acneiche rispettando tempi<br />

e d’impulso e spaziature riportati in tabella 1 tali parametri nascevano dalle conoscenze<br />

acquisite sia attraverso i dati di letteratura che dalle precedenti esperienze cliniche con i<br />

resurfacing tradizionali. (Tab1)<br />

Come si può evincere dai dati riportati in tabella tutti pazienti venivano trattati con una<br />

fluenza energetica di 30 Watt e un’ampiezza di impulso di 500 msec. Unica differenza<br />

era la spaziatura tra le varie MZT create, infatti, avendo trattato fotipo 1 e 2 si decise per<br />

allontanare il rischio di iperpigmentazione post infiammatoria di adottare per i fototipi 2<br />

una spaziatura maggiore: 600 micron.<br />

Al termine della terapia fisica i pazienti venivano medicati con ungento antibiotico in<br />

occlusiva solo per le 24 ore successive e poi continuavano la medicazione topica libera<br />

a base di antibiotico per i 5 giorni successivi.<br />

La sospensione delle medicazioni topiche doveva avvenire almeno 2 giorni prima della<br />

prima rilevazione morfofotometrica che come già detto veniva ripetuta ad intervalli<br />

prestabiliti.<br />

33


Ad un primo controllo ed a quelli successivi il medico ed il paziente compilavano una<br />

scheda di valutazione soggettiva del miglioramento clinico secondo una scala numerica<br />

predefinita (0= nessun miglioramenti; 2= stabile; 3=lieve miglioramento; 4=importante<br />

miglioramento; 5=risoluzione della patologia)<br />

Sempre durante i controlli programmati venivano raccolti i dati strumentali per<br />

verificare l’andamento dell’eritema (colorimetria), della funzionalità e integrità<br />

dermoepidermica (TEWL, CORNEOMETRIA e SEBOMETRIA)<br />

Tab.1<br />

Paziente Tipo di<br />

lesione<br />

Fototipo Fluenza D.O.T TIME Passaggi<br />

Paz 1 CIPO 1 30 Watt 400 500 sec 2<br />

Paz 2 CIPO 1 30 Watt 400 500 sec 2<br />

Paz 3 CIPO 2 30 Watt 600 500 sec 2<br />

Paz 4 CIPO 2 30 Watt 600 500 sec 2<br />

Paz.5 CIPO 2 30 Watt 600 500 sec 2<br />

Paz. 6 CIPO 2 30 Watt 600 500 sec 2<br />

Paz.7 CIPE 1 30 Watt 400 500 sec 2<br />

Paz. 8 CIPE 1 30 Watt 400 500 sec 2<br />

Paz.9 CIPE 1 30 Watt 400 500 sec 2<br />

Paz.10 Esame<br />

Istologico<br />

2 30 Watt 600 500 sec 2<br />

34


RISULTATI<br />

I risultati ottenuti mostravano un miglioramento clinico evidente sia da parte del medico<br />

che del paziente dopo solo 10 giorni (primo controllo) dal trattamento . Purtroppo<br />

questa chimera clinica era indotta dall’edema post trattamento ed in effetti dopo 20<br />

(secondo controllo) la valutazione sia del paziente che del medico crollava su valori<br />

negativi. Negli ultimi due controlli invece a 60 e a 90 giorni il miglioramento clinico<br />

rilevato era notevole sino ad attestarsi al massimo del miglioramento clinico valutabile<br />

senza però raggiungere né per la valutazione medica né per quella del paziente la<br />

risoluzione totale del problema.<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10<br />

T0 - - - - - - - - - -<br />

T10 3 2 3 2 4 2 4 2 2 4<br />

T20 2 2 2 3 3 2 2 2 3 3<br />

T30 4 2 3 3 4 3 3 3 4 4<br />

T60 4 3 3 4 4 3 3 3 4 4<br />

4<br />

3,5<br />

3<br />

2,5<br />

2<br />

1,5<br />

1<br />

0,5<br />

0<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10<br />

A quest’andamento clinico corrispondevano interessanti dati strumentali.<br />

T0<br />

T10<br />

T20<br />

T30<br />

T60<br />

35


Dopo solo 10 giorni dal trattamento l’eritema (colorimetria) si attestava a livelli più alti<br />

ma del tutto accettabili rispetto al basale per normalizzarsi e rimanere assolutamente<br />

stabile dopo il secondo controllo (20 giorni).<br />

Colorimetria<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10<br />

T0 7,9 8 6,5 7 10,2 7 8,3 8,2 10,4 7,4<br />

T10 8,3 8,3 6,7 7,5 10,8 6,9 8,4 8,4 10,8 7,4<br />

T20 5,4 8 6,4 6,8 9,5 6,8 7,8 7,5 9,3 7,2<br />

T30 5,5 8 6,3 6,7 9,3 6,8 7,8 7,4 9,3 7,1<br />

T60 5,4 8 6,2 6,7 9,2 6,7 7,7 7,4 9,3 7,1<br />

12<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10<br />

T0<br />

T10<br />

T20<br />

T30<br />

T60<br />

36


La corneometria e la TEWL miglioravano progressivamente nei primi controlli (10 – 20<br />

giorni) e si normalizzavano completamente dopo il 3 controllo (30 giorni).<br />

Corneometria<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10<br />

T0 34,25 35 34,5 34,25 39,5 31,75 36 43 34,25 36<br />

T10 34,0 34,30 33,8 32,30 37,7 30,0 34,8 38,0 33,6 34<br />

T20 33,35 33,00 33,4 32,00 36,7 30,0 34,6 37,5 33,4 34,5<br />

T30 33,30 32,80 32,0 31,8 36,4 29,9 33,6 37,3 32,8 33,7<br />

T60 33,25 32,90 32,0 31,7 36,0 29,9 33,7 37,0 32,8 33,8<br />

50<br />

45<br />

40<br />

35<br />

30<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

TEWL<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10<br />

T0 24,5 11,5 12,8 14,8 15,9 12,3 13,6 13,2 13,0 14,3<br />

T10 23,9 11,3 12,00 13,7 15,0 12,0 13,2 12,8 12,8 13,8<br />

T20 23,0 11,2 11,80 13,5 14,8 11,8 13,0 12,6 12,7 13,6<br />

T30 22,7 11,0 11,6 13,4 14,7 11,7 12,8 12,5 12,5 13,6<br />

T60 22,6 11,0 11,5 13,4 14,8 11,5 12,7 12,5 12,6 13,4<br />

T0<br />

T10<br />

T20<br />

T30<br />

T60<br />

37


30<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10<br />

La sebometria invece dopo un iniziale picco dopo il primo controllo (10 giorni) si<br />

riduceva drasticamente per rimanere al disotto dei valori basali già dopo il secondo<br />

controllo e per tutto il periodo di follow up.<br />

Sebometria<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10<br />

T0 205 176 201 205 194 167 200 200 212 192<br />

T10 226 194 230 222 190 198 259 204 230 223<br />

T20 162 163 134 132 102 148 170 199 155 179<br />

T30 142 163 134 130 105 138 167 198 152 177<br />

T60 112 132 118 123 84 128 169 185 144 150<br />

T0<br />

T10<br />

T20<br />

T30<br />

T60<br />

38


300<br />

250<br />

200<br />

150<br />

100<br />

50<br />

0<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10<br />

T0<br />

T10<br />

T20<br />

T30<br />

T60<br />

39


DISCUSSIONE<br />

I dati di letteratura mostravano come per i trattamenti di resurfacing sino ad oggi<br />

eseguiti in modalità standard superpulsata, ovvero utilizzando spot di generose<br />

dimensioni superiori ai 2 mm di diametro con fluenze energetiche superiori ai 250 mj si<br />

potevano ottenere vaporizzazioni ad una profondità di 20 -30 micron con un danno<br />

termico residuale dai 100 ai 120 micron per singolo passaggio.<br />

Dunque un controllato danno dermo-epidermico totale, da un punto di vista spaziale,<br />

con quasi assoluta assenza di danno termico aspecifico.<br />

La filosofia d’impiego dei laser in modalità frazionata stravolge completamento il<br />

concetto di resurfacing; da un’erogazione energetica orizzontale si passa un’erogazione<br />

verticale in modalità puntiformi e pseudocontina in grado di preservare interi spazi di<br />

epidermide e favorendo una denaturazione collagenica per diffusione termica delle<br />

“colonne di luce” .<br />

In particolare i settaggi del laser preso in esame consentono lesioni puntiformi di circa<br />

350 micron di diametro, con tempi di impulso di 500 msec ed una spaziatura di 600<br />

micron tra una MZT ed un’altra che mostrano alla valutazione istologica a fronte di un<br />

danno limitato a livello epidermico una denaturazione proteica più omogenea a carico<br />

del collagene con aree di maggior danno lungo le colonne di MZT.<br />

VALUTAZIONE ISTOLOGICA:<br />

-risultati.<br />

40


ISTOLOGIA 1 E 2.<br />

Non si rilevani significative alterazioni morfologiche apprezzabili, fatte salve alcune<br />

immagini, peraltro estremamente limitate, di focale vacuolizzazione epidermica.<br />

L’evidente fenomeno di degenerazione del collageno dermico appare sede-correlato e<br />

non riconducibile a trattamento ablativo mediante laser.<br />

ISTOLOGIA 3.<br />

Anche in questo caso non si evidenziano significative alterazioni, ad eccezione della già<br />

menzionata vacuolizzazione delle cellule epidermiche.<br />

La presenza di degenerazione basofila del collageno appare anche in questo caso sede-<br />

correlata e non riferibile al trattamento laser.<br />

41


ISTOLOGIA 4 E 5.<br />

Rispetto alle precedenti tempistiche applicative si evidenzia, oltre ad una deposizione<br />

non specifica (prelievo-correlata) di èmazie in sede sub-epidermica, la presenza di<br />

significative modificazioni epidermiche caratterizzate da spiccata vacuolizzazione del<br />

basale che focalmente appare distaccarsi in lembi con formazione di fissurazioni ed<br />

iniziali bolle.<br />

In alcune aree si apprezza inoltre un certo grado di edema del derma con dissociazione<br />

dei fasci collagene, questi ultimi con degenerazioni attiniche interpretate, anche in<br />

questo caso, come sede correlate.<br />

42


Clinicamente, tutto ciò si traduce in un’assenza di ferita “aperta” ed in un tempo di<br />

guarigione assolutamente più rapido, con effetti collaterali transitori minimi.<br />

La lettura dei dati strumentali ci riporta infatti ad alcune considerazioni: già dopo solo<br />

10 giorni l’indice eritematogeno cutaneo si era normalizzato e mai nei controlli<br />

successivi si è avuto un innalzamento preoccupante dell’ Indice di Melanine a conferma<br />

che gli stati infiammatori indotti da tale metodica sono decisamente inferiori rispetto ai<br />

resurfacing tradizionali dove eritemi prolungati (3 mesi) e iperpigmentazioni post<br />

infiammatorie sono estremamente frequenti.<br />

Al 3˚controllo i valori di superficie erano completamente normalizzati a dimostrazione<br />

che la compattezza e la ristrutturazione dermoepiidermica erano avvenute in un tempo<br />

assolutamente fisiologico.<br />

Da ultimo estremamente interessante, il dato sebometrico che a fronte di un rebound<br />

post trattamento, probabilmente aggravato dalla condizione occlusiva dell’ungento,<br />

mostra una diminuzione importante probabilmente indotta dall’effetto termico<br />

aspecifico sulle strutture annessiali dermiche.<br />

43


CONCLUSIONE.<br />

Lo studio sperimentale condotto, consente di dimostrare l’efficacia del laser CO2<br />

superpulsato utilizzato in modalità frazionata (D.O.T 400 – 600 micron) e in modalità<br />

pseudocontinua nel trattamento delle cicatrici acneiche.<br />

In particolare sono stati trattati 20 pazienti di età compresa tra i 25 ed i 40 anni che<br />

mostravano lesioni cicatriziali acneiche ipo ed ipertrofiche.<br />

Ricordiamo peraltro che la filosofia d’impiego dei laser in modalità frazionata stravolge<br />

completamento il concetto di resurfacing; da un’erogazione energetica orizzontale si<br />

passa un’erogazione verticale in modalità puntiformi e pseudocontina in grado di<br />

preservare interi spazi di epidermide e favorendo una denaturazione collagenica per<br />

diffusione termica delle “colonne di luce”.<br />

In particolare i settaggi del laser preso in esame consentono lesioni puntiformi di circa<br />

350 micron di diametro, con tempi di impulso di 500 msec ed una spaziatura di 600<br />

micron tra una MZT ed un’altra che mostrano alla valutazione istologica a fronte di un<br />

danno limitato a livello epidermico una denaturazione proteica più omogenea a carico<br />

del collagene con aree di maggior danno lungo le colonne di MZT.<br />

Clinicamente, tutto ciò si traduce in un’assenza di ferita “aperta” ed in un tempo di<br />

guarigione assolutamente più rapido, con effetti collaterali transitori minimi.<br />

Inoltre l’utilizzo di strumenti tra cui: sebometro, corneometro e colorimetro, ha<br />

consentito di dimostrare che gli stati infiammatori indotti da tale metodica sono<br />

decisamente inferiori rispetto ai resurfacing tradizionali dove eritemi prolungati (3<br />

mesi) e iperpigmentazioni post infiammatorie sono estremamente frequenti.<br />

44


Peraltro anche le valutazioni soggettive dei pazienti, sia per quanto concerne la<br />

tollerabilità, sia per quanto concerne il miglioramento visibile delle lesioni cicatriziali,<br />

indicano l’efficacia del trattamento.<br />

45


ICONOGRAFIA<br />

Foto 1.: prima<br />

Foto 2.: dopo<br />

Foto 3.: prima<br />

46


Foto 4.: durante<br />

Foto 5.:dopo<br />

Foto 6.<br />

47


Foto 7.: prima<br />

Foto 8.<br />

48


Foto 9.: durante<br />

Foto 10.<br />

Foto 11.: dopo<br />

49


Foto 12.: prima<br />

Foto 13.<br />

Foto 14.: dopo<br />

50


Foto 15.<br />

Foto 16.<br />

51


Foto 17.<br />

Foto 18.: prima<br />

52


Foto 19.<br />

53


Foto 20.: dopo<br />

Foto 21<br />

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RINGRAZIAMENTI.<br />

Ringrazio il mio Relatore, il Chiar.mo Prof. Nicola Zerbinati, per avermi permesso di<br />

intraprendere e completare la mia tesi. Lo ringrazio per tutto il tempo e la pazienza che<br />

mi dedicato. Ringrazio Silvia, Valentina e Marco, in particolare, per l’aiuto che mi<br />

hanno dato. Ringrazio Rita e la Dott.ssa Rona.<br />

Ringrazio il Prof. Motolese, il Dott. Lega, il Dott. Lombardo, la Dott.ssa Pandolfi e la<br />

Dott.ssa Venturi e, ovviamente, tutto il personale del reparto di Dermatologia<br />

dell’Ospedale di Circolo di Varese.<br />

Ringrazio ovviamente e soprattutto la mia famiglia e Davide per essermi stati vicini in<br />

questi anni, non sempre facili, e per avermi sostenuto e spronato ad andare avanti e a<br />

non mollare, mai.<br />

Ringrazio i miei nonni che pur non essendo fisicamente presenti oggi mi sono stati<br />

sempre accanto e sempre ci saranno.<br />

Grazie davvero di cuore.<br />

Sara.<br />

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