LA VERA STORIA DELL'ASINO - Centro di Formazione Politica
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ANNO 5 NUMERO 31/32<br />
SABATO 5-12 AGOSTO 2006 A 1,50<br />
A<br />
ll’epoca dei lumi,<br />
Macerata era il ca-<br />
poluogo della Mar-<br />
ca anconetana. Sede <strong>di</strong> una<br />
università tra le più antiche<br />
d’Europa era un centro intellettuale<br />
vivacissimo,<br />
mentre nella città portuale<br />
erano fervi<strong>di</strong> il commercio e<br />
gli affari. Non c’è prova documentaria<br />
che fosse anche<br />
una città massone: <strong>di</strong><br />
quella massoneria cattolica<br />
che aveva successo in Austria<br />
e Baviera, con l’incoraggiamento<br />
delle stesse<br />
Case Reali, come descritto<br />
con pignoleria puntuale nel<br />
primo capitolo <strong>di</strong> un libro <strong>di</strong><br />
Li<strong>di</strong>a Bramani <strong>di</strong> grande<br />
successo.<br />
Macerata, però, ritorna<br />
ritmicamente si muove in tondo.<br />
Di questo posto incantevole ma<br />
sepolto dal degrado e ignorato<br />
dalla maggior parte dei napoletani,<br />
poco o nulla sanno gli stessi<br />
addetti ai lavori e le carte non parlano<br />
se non per rari e fuggevoli<br />
cenni. «Melofioccolo (supportico)»,<br />
scrive ne Le strade <strong>di</strong> Napoli<br />
Gino Doria, «Da un albero un<br />
tempo assai comune a Napoli».<br />
“1744” recita, all’ingresso del palazzo,<br />
una lapide.<br />
Eppure non è giusto datare<br />
questa costruzione soltanto al Diciottesimo<br />
secolo. Perché quello<br />
che Napoli ha <strong>di</strong> particolare è la<br />
sua continuità storica, per cui un<br />
e<strong>di</strong>ficio si sovrappone a un altro<br />
in una stratificazione continua e<br />
ogni luogo nuovo nato è sempre<br />
ricordo e in qualche modo ricalco<br />
<strong>di</strong> un altro più antico. Allora, infatti,<br />
vi avevo incontrato una<br />
donna, si chiamava Carmela – mi<br />
sembra –, che mi aveva in<strong>di</strong>cato,<br />
in un nicchione, il <strong>di</strong>pinto scolorito<br />
<strong>di</strong> un santo e mi aveva parlato<br />
<strong>di</strong> quando si poteva andare nei<br />
sotterranei, «si cammina per sotto,<br />
sapete, signò?», ma ora ne avevano<br />
impe<strong>di</strong>to il passaggio. Di<br />
quei sotterranei, costruzioni greche<br />
un tempo en plein air, ci testimonia<br />
il Celano nelle sue Notizie<br />
del bello, dell’antico e del<br />
curioso della città <strong>di</strong> Napoli<br />
(1692): «Da<br />
un’iscrizione rinvenuta<br />
nello<br />
scavar le fondamenta<br />
<strong>di</strong> palazzo Ammendola<br />
sappiamo esserci questa fratria»<br />
scrive, parlando della fratria dei<br />
Pancli<strong>di</strong>. Le fratrie raccoglievano<br />
la gente del posto ed erano, nella<br />
Napoli greca, organizzazioni sociali<br />
molto coese. Lì, a Melofioccolo,<br />
un tempo c’era questa fratria<br />
dei Pancli<strong>di</strong>, che aveva come<br />
protettore Orione.<br />
E lì vicino, a via Se<strong>di</strong>le <strong>di</strong> Porto,<br />
sulla facciata <strong>di</strong> un palazzo, si<br />
può vedere un rilievo vecchio più<br />
<strong>di</strong> due millenni. È piuttosto in alto,<br />
grigio per la sporcizia. E nessuno<br />
lo guarda. Rappresenta appunto<br />
Orione, un gagliardo giovanotto,<br />
molto erotico. Amatissimo<br />
dalle donne e appassionato<br />
amante <strong>di</strong> queste e della vita,<br />
Orione era o<strong>di</strong>ato da Apollo, il <strong>di</strong>o<br />
massone (anzi cattolica e<br />
massone come lo erano<br />
Giuseppe II Imperatore e<br />
tanti altri, tra cui Wolfgang<br />
Amadeus Mozart) dal 28 luglio<br />
al 13 agosto in occasione<br />
del Festival Musicale. I<br />
tre piatti principali, nell’elegante<br />
Arena Sferisterio,<br />
vengono letti dal <strong>di</strong>rettore<br />
artistico Pier Luigi Pizzi in<br />
chiave <strong>di</strong> iniziazione massonica:<br />
sono Il Flauto magico<br />
dell’onnipresente (in<br />
questo anno <strong>di</strong> grazia<br />
2006) Wolfgang Ama-<br />
il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune<br />
POSTE ITALIANE SPA SPED.ABB.POST. - 45% -<br />
ART.2 COMMA 20/b LEGGE 662/96 D.C. MI<strong>LA</strong>NO<br />
Massoni da spiaggia al festival musicale <strong>di</strong> Macerata?<br />
deus, Aida del buon Peppino<br />
Ver<strong>di</strong> e Turandot <strong>di</strong> quel<br />
simpatico donnaiolo toscano<br />
che rispondeva al<br />
nome <strong>di</strong> Giacomo Puccini.<br />
Di contorno, nell’elegante<br />
sala del Bibiena (il teatro<br />
Lauro Rossi), i canti massonici<br />
inizieranno con Thamos,<br />
Re d’Egitto, musiche<br />
<strong>di</strong> scena composte da Mozart<br />
con il grembiulino.<br />
Non è una novità che<br />
Mozart fosse massone (era<br />
però iscritto a una specie <strong>di</strong><br />
P2 dei poveri in cerca <strong>di</strong> la-<br />
REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI MI<strong>LA</strong>NO<br />
N.362 DEL 17/06/2002<br />
voro, non a una delle logge<br />
che contavano). Lo stesso<br />
Flauto magico è denso <strong>di</strong> riferimenti<br />
massonici, ma in<br />
linguaggio piuttosto cifrato<br />
perché nel frattempo Leopoldo<br />
era succeduto a Giuseppe<br />
II e a Vienna (nonché<br />
nel resto dell’Impero) e l’aria<br />
nei confronti della massoneria<br />
era cambiata. Il tema<br />
dell’opera è indubbiamente<br />
un’iniziazione: lo<br />
stesso Pizzi, però, in un’e<strong>di</strong>zione<br />
romana <strong>di</strong> pochi anni<br />
fa la lesse come iniziazione<br />
all’eros, prima, e all’amore<br />
coniugale, poi. Mettendo<br />
da parte tutta la simbologia<br />
massonica.<br />
Se avessimo la destrezza<br />
parapsicologica <strong>di</strong> Roma-<br />
BACETTI<br />
no Pro<strong>di</strong> chiederemmo a<br />
Peppino Ver<strong>di</strong> e a Giacomo<br />
Puccini cosa ne pensano.<br />
Mentre componeva Aida, il<br />
primo era certamente piuttosto<br />
anticlericale (basti<br />
pensare al Don Carlos), ma<br />
da qui a pensare a un’iniziazione<br />
massonica per finire<br />
sepolti vivi c’è quasi da offendere<br />
qualche Loggia seria.<br />
Il secondo ci investirebbe<br />
con una puffata <strong>di</strong> sigaro<br />
toscano e guarderebbe le<br />
prime belle gambe <strong>di</strong> passaggio.<br />
Un modo eloquente<br />
per esprimersi sulla materia.<br />
Vedremo, e soprattutto,<br />
ascolteremo. Augurandoci<br />
<strong>di</strong> non essere alle prese<br />
con massoneria da spiaggia.<br />
Giuseppe Pennisi<br />
REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE<br />
VIA SENATO 12, 20121 MI<strong>LA</strong>NO<br />
Alessandro Manzoni (1785-1873), I promessi sposi, XXXII<br />
TELEFONO 02 36560007<br />
E-MAIL: LETTERE@ILDOMENICALE.IT<br />
Come, dove e perché negli antichi vicoli partenopei si apprende che la vera sapienza non sale in cattedra<br />
<strong>LA</strong> <strong>VERA</strong> <strong>STORIA</strong> DELL’ASINO<br />
Negli Usa è il simbolo del Partito<br />
Democratico. E Pro<strong>di</strong> annuncia<br />
che sarà pure l’effigie del nuovo<br />
Partito Unico della Sinistra.<br />
Ma i fatti stanno <strong>di</strong>versamente,<br />
come raccontano a Napoli, e coi<br />
Professori il Ciuccio non c’entra<br />
<strong>di</strong> Adriana Dragoni<br />
l presidente del Consiglio, Professore<br />
Romano Pro<strong>di</strong>, vuole Icostituire<br />
il partito unico della<br />
sinistra. Si chiamerà Partito Democratico<br />
e avrà quale simbolo<br />
un asino. Come il Partito Democratico<br />
statunitense. «Ma il nostro<br />
sarà tutto italiano», ha detto Pro<strong>di</strong>,<br />
rassicurando, così, quelli, tra i<br />
suoi seguaci, che sono antiamericani.<br />
Già sette anni fa il Professore,<br />
insieme ad Antonio Di Pietro,<br />
aveva preso l’asino per insegna <strong>di</strong><br />
un nuovo partito; a cui aveva apposto,<br />
come logo, un melenso somaro<br />
<strong>di</strong>sneyano.<br />
Divertente? Ri<strong>di</strong>colo. Anzi,<br />
blasfemo. È come se avesse preso<br />
il Sacro Graal per farne una ciotola<br />
per cani. Infatti, l’Asino è, simbolicamente,<br />
attore <strong>di</strong> una mitica<br />
ri<strong>di</strong>colo,<br />
anzi blasfemo:<br />
come prendere<br />
il graal e farne<br />
una ciotola per cani<br />
trage<strong>di</strong>a, in cui un’antica storia si<br />
attualizza e dà all’attualità un significato:<br />
la lotta tra Apollo ed<br />
Eros-Dioniso. È un’antichissima<br />
storia <strong>di</strong>ffusa nella mitica terra <strong>di</strong><br />
Orione, che in un pezzetto <strong>di</strong> questa<br />
terra, nel quartiere Porto, a<br />
Napoli, le antiche pietre raccontano<br />
ancora. Insieme a tante altre<br />
storie, che, pur se vi sono scolpite,<br />
nessuno guarda e rimangono<br />
ignote.<br />
Versione partenopea del mito<br />
Io c’ero passata altre volte per<br />
quel luogo; ma non l’avevo mai<br />
visto. Ero scesa per le scalette dei<br />
SS. Cosma e Damiano, che un<br />
tempo portavano al mare. Allora<br />
arrivava fin là. Si gira a destra.<br />
“Vico Melofioccolo” in<strong>di</strong>ca l’insegna<br />
stradale. Invece è un largo,<br />
con un palazzo antico, “Ammendola”,<br />
ancora si chiama. Mi avevano<br />
colpito per primi dei grossi<br />
pezzi <strong>di</strong> muro sospesi così, quasi<br />
per miracolo, per aria e poi gli eleganti<br />
profili <strong>di</strong> quelle pietre, che<br />
<strong>di</strong>segnano un libero spazio che<br />
L’ONNIPRESENTE MOZART, PERÒ,<br />
ERA ISCRITTO A UNA LOGGIA<br />
DEI POVERI E PENSAVA ALL’EROS<br />
J.J.Grandville,<br />
pseudonimo <strong>di</strong> Jean<br />
Ignace Isidore Gérard<br />
(1803-1847), illustrazione<br />
in Vie privée et publique<br />
des animaux,<br />
<strong>di</strong>r. P.F. Stahl,<br />
Librairie-E<strong>di</strong>teur<br />
J. Hetzel, Paris 1867<br />
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IL DOMENICALE<br />
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fax 06/7826604<br />
della Ragione, che lo accecò e lo<br />
uccise mentre nuotava in mare.<br />
Fu salvato da una sua innamorata,<br />
Eos, l’Aurora, che gli ri<strong>di</strong>ede la<br />
vita e la vista e lo portò in cielo.<br />
Ora è là, luminosa costellazione.<br />
Ha due stelle sul capo. Sono – in<br />
una delle <strong>di</strong>verse versioni del mito,<br />
la più fedele secondo chi scrive<br />
alla sostanza delle metafore –<br />
le orecchie d’asino, prese quale<br />
trofeo a Seth, il <strong>di</strong>o delle tenebre.<br />
Orione è, in questo greco mito,<br />
l’Asino che vola. E, a volte, si<br />
confonde con Dioniso, il <strong>di</strong>o del<br />
vino e con Eros, l’Amore. Nella<br />
cabala napoletana, infatti, per<br />
esempio, il numero 14 rappresenta<br />
sia l’asino, cioè Orione, sia<br />
l’ebbro adoratore <strong>di</strong> Dioniso. E<br />
l’energia amorosa, quella che<br />
presso i Romani si tinse <strong>di</strong> volgarità<br />
e <strong>di</strong>ventò Priapo, un parente<br />
stretto dei Satiri, che si sa che tipi<br />
sono, per questi greci, invece, era<br />
più nobilmente sacra. In Lucio o<br />
l’asino, Luciano <strong>di</strong> Samosata (II<br />
sec. d.C.) parla <strong>di</strong> Lucio che si trasforma<br />
in un asino dagli attributi<br />
maschili enormi e che, dopo varie<br />
peripezie, riprende, con l’aiuto <strong>di</strong><br />
Iside, la <strong>di</strong>vina Luna, le sue sem-<br />
l’asino-orione<strong>di</strong>oniso-eros<br />
è l’amore reale,<br />
carnale e sacro.<br />
simbolo <strong>di</strong> libertà<br />
bianze umane. L’Asino-Orione-<br />
Dioniso-Eros è l’amore reale, carnale<br />
e sacro. E fu il simbolo, a Napoli,<br />
<strong>di</strong> una civiltà marinara che<br />
amava la libertà e godersi la vita,<br />
che sceglieva quali guide i migliori<br />
(gli aristoi), non dei politici <strong>di</strong><br />
professione.<br />
Ed era quin<strong>di</strong> tutt’affatto contraria<br />
al buonismo perbenino del<br />
terragno Professore Pro<strong>di</strong> e al giustizialismo<br />
prevaricatore del conta<strong>di</strong>nesco<br />
Di Pietro. Che c’entra,<br />
quin<strong>di</strong>, il giacobino e progressista<br />
Pro<strong>di</strong> con questo modo <strong>di</strong> pensare<br />
libero e realistico? Nulla. Lui si<br />
vuol prendere l’Asino? È appropriazione<br />
indebita.<br />
Cola Pesce corre e va<br />
Ma perché una più recente lapide,<br />
posta accanto all’antico rilievo<br />
<strong>di</strong> Orione, afferma che vi è<br />
rappresentato Cola Pesce?<br />
A pochi metri dal vico Melofioccolo<br />
si può ancora accedere a<br />
un locale sotterraneo <strong>di</strong> due millenni<br />
fa. È al <strong>di</strong> sotto della deliziosa<br />
e poco conosciuta chiesetta<br />
(neanche la guida del Touring la<br />
cita) <strong>di</strong> sant’Aspreno. Che ha curve<br />
forme settecentesche ma conserva<br />
ancora i lacerti <strong>di</strong> un’antica<br />
chiesa bizantina e gli stretti gra<strong>di</strong>ni<br />
che portano sotto il livello stradale,<br />
nella più antica Napoli pa-<br />
-segue a pagina 2<br />
REDAZIONE@ILDOMENICALE.IT<br />
INFO@ILDOMENICALE.IT<br />
POLIS<br />
Partiti, sol<strong>di</strong><br />
& “cartelli”<br />
Simona Bonfante a pagina 2<br />
PROFILI<br />
Diavolo d’un<br />
Ambrose Bierce<br />
Marco Respinti<br />
e Giorgio Bianco a pagina 3<br />
RILETTURE<br />
Siamo andati<br />
appresso a Rella<br />
Massimiliano Parente<br />
a pagina 4<br />
PAVESIANA<br />
Da Cesare<br />
a Omero<br />
Davide Brullo a pagina 5<br />
FINESTRE APERTE<br />
“Giù le mani”,<br />
un racconto<br />
<strong>di</strong> Edward<br />
Everett Hale<br />
alle pagine 6 e 7<br />
NEL<strong>LA</strong> RETE/1<br />
Museo virtuale<br />
del feuilleton<br />
Samwise a pagina 9<br />
NEL<strong>LA</strong> RETE/2<br />
TLIO, le origini<br />
della lingua<br />
Elena Inversetti a pagina 9<br />
DANZA<br />
Un invito<br />
e mille risposte<br />
Elena Borgatti a pagina 11
2 IL DOMENICALE POLIS<br />
Ma noi italiani non avevamo detto no<br />
al finanziamento pubblico dei partiti?<br />
Il New Labour britannico ha fatto della trasparenza economica in politica una battaglia civile. Da noi,<br />
invece, prevale un interesse a perpetuare il chiaroscuro dei sol<strong>di</strong> pubblici a tutti. Diagnosi e prognosi<br />
<strong>di</strong> Simona Bonfante<br />
l tema del “costo della democrazia”<br />
fa timidamente capoli- Ino,<br />
nel <strong>di</strong>battito politico nazionale,<br />
ogni qual volta vi sia il<br />
sentore <strong>di</strong> aver oltrepassato il limite<br />
del decoro. Ma, eccezion fatta<br />
per la sbornia antipartitica scatenata<br />
da Tangentopoli, quel <strong>di</strong>battito<br />
suscita al massimo cicliche<br />
ondate <strong>di</strong> ipocrita moralismo.<br />
Ed è un peccato. Che si tratti<br />
<strong>di</strong> un tema nodale della riflessione<br />
sul funzionamento delle istituzioni<br />
democratiche è infatti provato<br />
dalla ricorrenza con cui, più<br />
o meno in tutti i Paesi a democrazia<br />
avanzata, i sistemi politici,<br />
nel loro trasformarsi, si pongono<br />
la questione “ontologica” della<br />
rappresentanza <strong>di</strong> interessi,<br />
quin<strong>di</strong> delle forme del suo legittimo<br />
finanziamento.<br />
Lambito non solo dal Tamigi<br />
Il New Labour che propone <strong>di</strong><br />
riformare il sistema <strong>di</strong> finanziamento<br />
ai partiti britannici nel<br />
senso <strong>di</strong> un aumento delle risorse<br />
statali, <strong>di</strong> una maggiore trasparenza<br />
dei contributi privati e dell’istituzione<br />
<strong>di</strong> una soglia <strong>di</strong> spesa,<br />
è lo stesso New Labour che,<br />
un paio <strong>di</strong> mesi fa, veniva lambito<br />
dal sospetto che i contributi privati<br />
fossero il prezzo del con<strong>di</strong>zionamento<br />
delle scelte politiche<br />
del partito in senso favorevole al<br />
finanziatore.<br />
In Italia la stagione delle riforme<br />
anti-sistema, con i suoi referendum<br />
tra<strong>di</strong>ti e la sua retorica<br />
partitofobica, ha risposto, con il<br />
plebiscitario “No” al finanzia-<br />
QUEST’ESTATE “LIBERAL”<br />
PROPONE GLI ESTERI, E DIO<br />
S<br />
e il governo Pro<strong>di</strong> non<br />
cambia linea in politica<br />
estera, saranno guai: è<br />
la sintetica conclusione a cui,<br />
articolatamente, perviene il<br />
n.9 <strong>di</strong> Liberal Risk, quaderno<br />
<strong>di</strong> cultura geopolitica che il<br />
bimestrale Liberal allega al<br />
proprio fascicolo datato luglio-agosto<br />
2006. A “Un’Italia<br />
bipartisan” la rivista <strong>di</strong>retta<br />
da Fer<strong>di</strong>nando Adornato<br />
de<strong>di</strong>ca qui un dossier a più<br />
voci fra cui Luigi Ramponi,<br />
Beniamino Quintieri, Marco<br />
Lombar<strong>di</strong>, Stefano Silvestri.<br />
Allargano l’obiettivo e rincarano<br />
la dose, fra le altre, ricche<br />
sezioni <strong>di</strong> “Osservatorio”<br />
e “Scenari globali”.<br />
Non meno denso il numero<br />
estivo <strong>di</strong> Liberal, speciale<br />
monografico sulla cui<br />
copertina campeggia un<br />
crocifisso e il titolo “Ve<strong>di</strong> alla<br />
voce Dio”: ventun interventi<br />
in or<strong>di</strong>ne alfabetico da Baget<br />
Bozzo a Yehoshua fra cui a<br />
caduta d’occhio trascegliamo<br />
Belar<strong>di</strong>nelli, Cristin, Dell’Olio,<br />
Israel, Mussapi, Nolte,<br />
Novak, Risé (gli altri non<br />
mento pubblico ai partiti, alla domanda<br />
<strong>di</strong> rinnovamento delle forme<br />
e degli obblighi della politica.<br />
Cosa ne sia stato della volontà popolare<br />
è a tutti noto. Cesare Salvi<br />
e Massimo Villone e, più <strong>di</strong> recente,<br />
Il Sole-24 Ore hanno messo il<br />
coltello della denuncia nella piaga<br />
dell’enormità dei flussi <strong>di</strong> denaro<br />
che, <strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente,<br />
alimentano la macchina<br />
dei partiti attuali. Ne emerge un<br />
sistema costoso, inefficiente,<br />
un sistema costoso<br />
e inefficiente che<br />
non si alimenta della<br />
propria necessità ma<br />
<strong>di</strong> un circolo vizioso<br />
opaco, <strong>di</strong>sfunzionale che viziosamente<br />
si alimenta non della sua<br />
necessità per il funzionamento<br />
del sistema, ma dell’asfittica circolarità<br />
tra decisori e beneficiari.<br />
A colpire, della realtà del finanziamento<br />
pubblico ai partiti<br />
italiani, non è tanto l’entità dello<br />
spreco, essendo l’inefficiente gestione<br />
delle risorse pubbliche un<br />
leitmotiv della storia del nostro sistema.<br />
Né sorprende il continuo<br />
spostare in alto il tetto alla spesa<br />
dei partiti o l’allargamento della<br />
base degli eligible. Quello che colpisce<br />
è che, avendo perduto il<br />
ruolo “sociale” <strong>di</strong> regolazione e<br />
aggregazione della domanda democratica,<br />
i partiti si siano fatti<br />
piuttosto strumento <strong>di</strong> conservazione<br />
nelle istituzioni del proprio<br />
apparato professionale; non rap-<br />
sono meno significativi).<br />
Raccogliendo l’idea <strong>di</strong>ffusa<br />
secondo cui Giovanni<br />
Paolo II ha consegnato alla<br />
storia una Chiesa cattolica <strong>di</strong><br />
rinnovata incidenza civile,<br />
s’indaga sull’ipotesi se e come<br />
essa si presenti anche in<br />
quanto “via giusta” per eccellenza,<br />
posti il crollo delle<br />
ideologie materialiste, la crisi<br />
morale delle democrazie, i<br />
salti <strong>di</strong> para<strong>di</strong>gma della<br />
bioingegneria, nonché il relativismo<br />
pratico e il terrorismo<br />
nichilista.<br />
Più che un <strong>di</strong>scorso<br />
strettamente religioso ne risulta<br />
un soffermarsi interessante<br />
sui nuovi rapporti, istituiti<br />
e da istituire, tra sfera<br />
privata e sfera pubblica, tra<br />
fondamenti dell’agire personale<br />
e del patto sociale. Ovviamente<br />
abbondano esempi<br />
e riscontri <strong>di</strong> storia recente,<br />
in un panorama sul<br />
quale le Torri dell’11 Settembre<br />
si stagliano come rovine<br />
atroci <strong>di</strong> un passato e come<br />
fondamenta feconde <strong>di</strong><br />
nuove costruzioni civili. •<br />
presentanti degli interessi del<br />
“popolo” ma portatori <strong>di</strong> interessi<br />
della corporazione partitica.<br />
La questione, quin<strong>di</strong>, non è<br />
quanto costa la democrazia. Ma<br />
se si ha democrazia in un sistema<br />
che incentiva la “cartellizzazione”<br />
dei partiti; la convergenza <strong>di</strong><br />
interessi <strong>di</strong> “categoria” che prescindono<br />
dalla competizione politica,<br />
così promuovendo istanze<br />
con<strong>di</strong>vise sia da chi nel sistema<br />
dei partiti c’è già, sia da chi ambisce<br />
a entrarvi. La questione è se si<br />
ha democrazia in un sistema <strong>di</strong><br />
partiti che, autogovernandosi e<br />
auto-regolandosi, ha tutto l’interesse<br />
a promuovere iniziative <strong>di</strong><br />
finanziamento pubblico che mettano<br />
tutti d’accordo, partiti gran<strong>di</strong><br />
e partiti microscopici, in nome <strong>di</strong><br />
un equo <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> accesso al privilegio<br />
dell’irresponsabilità, consentita<br />
dall’attuale sistema del<br />
“finanziamento a prescindere”.<br />
Se la vitalità dei partiti e la<br />
competizione democratica delle<br />
relative idee sono un bene, allora<br />
è sacrosanto che lo Stato ne garantisca<br />
il compiersi. Ma «se i partiti<br />
hanno il pieno controllo del<br />
portafoglio pubblico – ragiona Richard<br />
S. Katz, autore insieme a<br />
Peter Mair della teoria del Cartel<br />
Party – essi sono in grado <strong>di</strong> decidere<br />
sia l’ammontare dei sussi<strong>di</strong>,<br />
sia le con<strong>di</strong>zioni in base alle quali<br />
saranno concessi». I cartelli fra<br />
partiti si formano per l’esigenza<br />
<strong>di</strong> arginare la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> legittimazione<br />
derivante dall’indebolimento<br />
della base sociale e del legame<br />
tra militante e partito; per<br />
l’appannarsi del valore ideale<br />
della partecipazione all’attività<br />
leocristiana: un vano con la volta a<br />
botte, dei se<strong>di</strong>li in pietra. È la casa <strong>di</strong><br />
sant’Aspreno, un santo importante.<br />
Fu il primo vescovo <strong>di</strong> Napoli, ché<br />
dallo stesso san Pietro, sbarcato qui<br />
prima <strong>di</strong> raggiungere Roma, ebbe<br />
l’incarico <strong>di</strong> sorvegliare (episcopein)<br />
quella che probabilmente fu la<br />
prima comunità cristiana del continente<br />
europeo. Questa comunità,<br />
questa ecclesia, ovvero chiesa,<br />
continuò ad avere come protettore<br />
l’Asino, tanto che il laico Se<strong>di</strong>le <strong>di</strong><br />
Porto, che, più tar<strong>di</strong>, sostituì la fratria,<br />
ne conservò il simbolo.<br />
E conservò alla figura <strong>di</strong> Orione<br />
il nome <strong>di</strong> Cola Pesce. Ma Cola Pesce<br />
chi è? È un mitico, vivacissimo<br />
bambino – ce ne parla pure Benedetto<br />
Croce – anche lui scomparso<br />
in mare e volato in cielo. È soltanto<br />
questo? No. Perché Cola è il <strong>di</strong>minutivo<br />
<strong>di</strong> Nicola, che, in greco, significa<br />
“vittoria del popolo”, e il pesce è<br />
il simbolo dei primi cristiani, perché<br />
la parola “pesce”, in greco, è l’acronimo<br />
<strong>di</strong> Gesù Cristo Salvatore figlio<br />
<strong>di</strong> Dio. In Cola Pesce c’è quin<strong>di</strong> il<br />
Bambino Gesù, adorato da quel popolo<br />
<strong>di</strong> marinai.<br />
<strong>di</strong> partito e il progressivo gonfiarsi<br />
dei costi legati all’attività politica,<br />
in virtù del crescente impatto<br />
dei me<strong>di</strong>a, dell’immagine, degli<br />
strumenti <strong>di</strong> rilevazione dell’opinione<br />
pubblica adottati per sopperire<br />
alla frammentarietà dei legami<br />
con i “territori”.<br />
Quale forma-partito?<br />
Elaborato a metà degli Anni<br />
90, il modello del Cartel Party sviluppa<br />
il <strong>di</strong>scorso avviato da Angelo<br />
Panebianco sul “partito elettorale<br />
a vocazione professionale” –<br />
un modello che definisce l’evoluzione<br />
della forma-partito a partire<br />
dalla predominanza dei gruppi<br />
politici <strong>di</strong> professione, dal minor<br />
rapporto tra iscritti ed elettori e<br />
dal marcato orientamento elettoralistico<br />
–, arrivando ad osservare<br />
come «i partiti tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong>ventino<br />
soggetti in collusione poco<br />
propensi al rischio, invece che<br />
concorrenti che cercano <strong>di</strong> massimizzare<br />
gli obiettivi». Il cartello,<br />
pertanto, regge se la competizione<br />
politica viene negoziata calibrando<br />
al ribasso le aspettative e<br />
compiendo l’“esternalizzazione”<br />
delle responsabilità, per esempio<br />
attraverso la privatizzazione dei<br />
servizi o la cessione a terzi <strong>di</strong> responsabilità<br />
<strong>di</strong> governance (l’Europa,<br />
per le performance economiche;<br />
le organizzazioni internazionali,<br />
per le scelte <strong>di</strong> politica<br />
estera; il mercato per la regolazione<br />
delle sperequazioni sociali).<br />
Si ba<strong>di</strong> bene: non è che nel<br />
partito <strong>di</strong> cartello la base non abbia<br />
più alcun ruolo. Essa serve a<br />
mantenere l’apparato simbolico<br />
che legittima il partito, la sua occupazione<br />
delle cariche pubbliche<br />
e la sua “lotta per le risorse”,<br />
in competizione con gli altri partiti<br />
del sistema. Nel rapporto tra<br />
struttura centrale e strutture periferiche<br />
interviene quin<strong>di</strong> la <strong>di</strong>mensione“stratarchico-oligopolistica”<br />
dell’organizzazione del<br />
partito (quella che i politologi in<strong>di</strong>viduano<br />
nelle strutture organizzative<br />
<strong>di</strong> partito che prevedono<br />
una pluralità <strong>di</strong> centri <strong>di</strong> potere<br />
in <strong>di</strong>alogo tra loro) che – dalla<br />
scelta sulle policy alla gestione finanziaria<br />
– fa giocare al leader, e<br />
al suo staff più ristretto, il ruolo <strong>di</strong><br />
big player. Nel comando del partito<br />
come nell’attribuzione del<br />
consenso.<br />
Funzionale al partito <strong>di</strong> cartello<br />
è dunque un sistema <strong>di</strong> selezione<br />
della classe <strong>di</strong>rigente e delle<br />
sue rappresentanze nelle istituzioni,<br />
basato non sulla competizione<br />
delle idee ma sulla prossimità<br />
al leader. In tal modo, spiega<br />
Katz, «i leader nazionali possono<br />
tentare <strong>di</strong> conservare un’ampia<br />
organizzazione <strong>di</strong> iscritti che li<br />
sostiene senza esserne allo stesso<br />
tempo vincolati». E potranno, anche<br />
in caso <strong>di</strong> sconfitta, contare<br />
sulla rete “amicale” che, occu-<br />
D’altronde, nell’antica iconografia<br />
cristiana, a volte l’Asino, poi<br />
relegato a più umili mansioni nelle<br />
raffigurazioni della Natività e della<br />
Fuga in Egitto, stette a rappresentare<br />
Cristo stesso. E san Nicola, nei<br />
paesi nor<strong>di</strong>ci, soprattutto protestanti,<br />
è Santa Claus, il prototipo <strong>di</strong><br />
Babbo Natale.<br />
A Melofioccolo, quin<strong>di</strong>, dalla<br />
fratria dei marinai, Cristo fu assimilato<br />
a Orione. Perché qui, come altrove<br />
nel mondo greco-romano, il<br />
cristianesimo ha ra<strong>di</strong>ci ben piantate,<br />
in quella civiltà pagana che fu<br />
«l’ombrifero prefazio del vero».<br />
E del senso profondamente vitale<br />
e realistico in cui il cristianesimo<br />
veniva vissuto ci dà testimonianza,<br />
a qualche centinaio <strong>di</strong> metri da Melofioccolo,<br />
la cappella <strong>di</strong> Raimondo<br />
<strong>di</strong> Sangro, principe <strong>di</strong> Sansevero.<br />
Qui c’è il famoso Cristo Velato del<br />
pando già il vertice, non avrebbe<br />
che da perdere dalla rimozione<br />
del leader.<br />
È qui che sta la vischiosità del<br />
sistema dei partiti cartello: nella<br />
riduzione dei costi della sconfitta<br />
elettorale e, <strong>di</strong> conseguenza, nell’inefficacia<br />
dell’incentivo pubblico<br />
a responsabilizzare l’azione<br />
e i risultati dei partiti. Se anche un<br />
partito dell’1% ha <strong>di</strong>ritto – in nome<br />
della rappresentatività democratica<br />
– alla sua fetta <strong>di</strong> finanziamento<br />
pubblico, esso si garantirà<br />
la sopravvivenza nel sistema,<br />
senza che l’inefficacia pervasiva<br />
della sua proposta politica, l’irrilevanza<br />
del consenso ottenuto<br />
vengano in alcun modo sanzionate.<br />
Quello che da ciò consegue<br />
è la trasformazione della democrazia<br />
da processo con il quale la<br />
società civile controlla lo Stato a<br />
servizio fornito dallo Stato per il<br />
compiersi del rito democratico<br />
rappresentato dal voto.<br />
Peculiarità <strong>di</strong> casa nostra<br />
Il sistema bipolare coalizionale<br />
italiano suggerisce tuttavia<br />
delle correzioni al modello. Innanzitutto<br />
per la più complessa<br />
tipizzazione dei partiti nostrani<br />
(Forza Italia, per esempio, ricorda<br />
più il partito franchising che il<br />
partito professionale). Poi perché<br />
la formazione <strong>di</strong> cartello, da noi,<br />
sembra riservare un certo ossequio<br />
al perimetro “ideale” fissato<br />
dalla coalizione così da determinare,<br />
a ogni cambio <strong>di</strong> maggioranza,<br />
un cambio del cartello e<br />
dei suoi beneficiari.<br />
Lo scandalo insomma non è<br />
nel costo in sé della democrazia; è<br />
nei meccanismi inceppati delle<br />
funzioni democratiche. È nel silenzio<br />
che sovrasta la classe <strong>di</strong>rigente<br />
alla domanda: “che senso<br />
ha finanziare i partiti con i sol<strong>di</strong><br />
pubblici?”.<br />
Stupisce quin<strong>di</strong> che la “storica”<br />
autoriforma del sistema che<br />
dovrebbe innescare la nascita del<br />
Partito Democratico, tra gli obiettivi<br />
che si pone, non contempli il<br />
superamento del vizio all’origine<br />
della nostra “partitocrazia”.<br />
Stupisce, cioè, che quell’avveniristica<br />
formazione politica <strong>di</strong><br />
centrosinistra non ragioni a partire<br />
da quell’unico, emblematico<br />
aggettivo che la descrive: l’aggettivo<br />
“democratico”. •<br />
Sammartino, che rappresenta un<br />
uomo <strong>di</strong>steso, coperto da un velo<br />
trasparente. È la Divina Verità Incarnata<br />
che soffre d’essere coperta,<br />
è la realtà, l’aletheia (la non nascosta),<br />
l’evidenza parmenidea.<br />
E c’è una statua, opera del Queirolo,<br />
che rappresenta un uomo che<br />
si libera da una rete e si volge a un<br />
bambino, a una sorta <strong>di</strong> amorino,<br />
L’UOMO SI LIBERA DAL<strong>LA</strong> RETE CARTESIANA E SI VOLGE<br />
A GUARDARE <strong>LA</strong> VITA, E L’AMORE. UNA <strong>STORIA</strong><br />
NAPOLETANA CHE A TUTTI GLI UOMINI APPARTIENE<br />
un Eros: l’uomo si libera dai quadrati<br />
della rete, dagli statici schemi<br />
mentali della cartesiana ragione<br />
geometrica e si volge a guardare la<br />
vita, l’amore.<br />
Vichiani e antigiacobini<br />
Il principe <strong>di</strong> Sansevero fu l’ispiratore<br />
delle opere della cappella e vi<br />
espresse la mentalità napoletana vichiana<br />
e antigiacobina. Era amico<br />
dei Borbone e massone, quando<br />
nella massoneria i giacobini non si<br />
Q<br />
uando Francesca Rigotti<br />
<strong>di</strong>ce che il verbo “pen-<br />
sare” deriva dal latino<br />
pendere afferma il vero, ma pure<br />
propina un piccolo imbroglio,<br />
perché quel “pendere” latino<br />
non significa oscillare, ma soppesare,<br />
è il pendere del piatto<br />
della bilancia incaricato <strong>di</strong> quantificare<br />
la gravità <strong>di</strong> un oggetto.<br />
Ma sia, l’attacco è brillante e<br />
quin<strong>di</strong> perdoniamo la piccola<br />
truffa utilizzata dall’autrice per<br />
dare l’abbrivio alla sua nuova invenzione,<br />
sempre orientata ad<br />
intellettualizzare la quoti<strong>di</strong>anità,<br />
come è ormai nel suo stile. Chi<br />
conosce la Rigotti, la ama soprattutto<br />
per i suoi bellissimi stu<strong>di</strong>,<br />
ormai lontani nel tempo per<br />
la verità, sulle metafore della politica<br />
e del potere, con cui ha richiamato<br />
su <strong>di</strong> sé l’attenzione<br />
agli esor<strong>di</strong> della carriera accademica.<br />
A questo centro d’interesse<br />
è seguita poi una nutrita serie<br />
<strong>di</strong> pubblicazioni lungo un binario<br />
<strong>di</strong>verso, riflessioni incar<strong>di</strong>nate<br />
sul quoti<strong>di</strong>ano e sulle sue capacità<br />
<strong>di</strong> ricondurci alla funzione<br />
intellettuale, una sorta <strong>di</strong> teoretica<br />
del banale: La filosofia in<br />
cucina (2004), Il filo del pensiero.<br />
Tessere, scrivere, pensare<br />
(2002), La filosofia delle piccole<br />
cose (2005).<br />
Mancava il pendolo, ma eccolo<br />
comparire, se non proprio<br />
nel soggiorno <strong>di</strong> casa, sulla scrivania<br />
del nostro stu<strong>di</strong>o. Come in<br />
ogni libro, anche in questo c’è<br />
molto della vita dell’autrice che<br />
insegna Dottrine e istituzioni politiche<br />
all’Università della Svizzera<br />
italiana presso la Facoltà <strong>di</strong><br />
scienze della comunicazione <strong>di</strong><br />
Lugano, abitando a Göttingen<br />
con la propria famiglia. Talvolta,<br />
ma solo talvolta, le cose si semplificano<br />
quando trascorre brevi<br />
perio<strong>di</strong> nella <strong>di</strong>mora <strong>di</strong> Cargiago,<br />
sull’altra sponda <strong>di</strong> quel lago<br />
Maggiore che per lungo tratto,<br />
nella parte settentrionale, traccia<br />
il confine italo-elvetico. In luogo<br />
dei 1800 chilometri settimanali,<br />
allora è sufficiente una “battellata”<br />
per raggiungere il lavoro, per<br />
avere la possibilità <strong>di</strong> parlare tedesco<br />
con gli studenti della Svizzera<br />
interna, ma capita, per <strong>di</strong>strazione,<br />
che gli appunti della lezione<br />
restino sul traghetto, e allora<br />
tocca improvvisare...<br />
«Viviamo sotto il segno del<br />
pendolo. […] L’esperienza <strong>di</strong> vita<br />
è una sorta <strong>di</strong> pendolo che oscilla,<br />
<strong>di</strong>ceva Schopenhauer, tra<br />
noia e dolore, piacere e gioia», ci<br />
ricorda nell’introduzione. Idea<br />
non nuova quella del pendolo,<br />
ovviamente: «Fu allora che vi<strong>di</strong> il<br />
Pendolo. La sfera, mobile all’estremità<br />
<strong>di</strong> un lungo filo fissato<br />
alla volta del coro, descriveva le<br />
sue ampie oscillazioni con isocroma<br />
maestà», è l’incipit <strong>di</strong> un<br />
noto libro <strong>di</strong> un noto romanziere-saggista,<br />
o forse il contrario,<br />
che al pendolo ha de<strong>di</strong>cato una<br />
delle sue opere più lette .<br />
erano ancora infiltrati. Poi questi ultimi<br />
s’impossessarono <strong>di</strong> Napoli,<br />
tolsero da mezzo anche i Se<strong>di</strong>li e<br />
malfamarono il principe. Oggi, nella<br />
città, imperano ancora, nel più<br />
importante istituto culturale citta<strong>di</strong>no,<br />
l’Istituto Filosofico, e nelle<br />
istituzioni.<br />
Il Ciuccio rimane alla popolare<br />
squadra <strong>di</strong> calcio citta<strong>di</strong>na.<br />
Come si vede, in questa storia<br />
napoletana ma che a tutti gli uomini<br />
appartiene, l’Asino non è chi non<br />
sa ma è chi viene messo dai professori<br />
<strong>di</strong>etro la lavagna. Lui sa, continuamente<br />
sperimentandola, con la<br />
mente, il cuore e la passione che gli<br />
è propria, la natura, la vita, qual è.<br />
Asino è Parmenide, secondo il<br />
Professore (allora era Aristotele),<br />
ed è Empedocle, che <strong>di</strong>ceva che la<br />
conoscenza passa per i pori della<br />
pelle. Quello che <strong>di</strong>rà poi Vico: «la<br />
conoscenza è una mescolanza <strong>di</strong><br />
corporeità e <strong>di</strong> pensiero».<br />
Eretici furono Bruno e Campanella:<br />
solo perché volevano conoscere<br />
la realtà secondo i principi<br />
suoi (l’iuxta propria principia <strong>di</strong> Telesio)<br />
e non come i Professori <strong>di</strong> tur-<br />
SABATO 5/12 AGOSTO 2006<br />
Francesca Rigotti pende<br />
un po’ qua e un po’ là. Cioè<br />
soppesa le cose con finezza<br />
Il pendolo della Rigotti (ora è<br />
chiaro il titolo dell’opera <strong>di</strong> cui si è<br />
data eco poc’anzi?) significa<br />
esperienza e conoscenza. L’essere<br />
sospeso del pendolo in stato <strong>di</strong><br />
quiete che immobile punta verso<br />
il centro della terra è immagine<br />
della con<strong>di</strong>zione umana e della<br />
sua inevitabile angoscia; il pendolo<br />
in movimento che oscilla da<br />
un punto all’altro può rappresentare<br />
invece le <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong><br />
prendere partito <strong>di</strong> fronte a delle<br />
alternative. E allora la metafora<br />
<strong>di</strong>viene più suadente, richiama il<br />
dubbio necessario ad ogni percorso<br />
<strong>di</strong> scoperta, si avanza e si ritorna,<br />
si conquista e si perde<br />
qualcosa; del resto, il sapere<br />
umano non è cumulativo come<br />
per molto tempo si è pensato.<br />
La più parte dei pendolari si<br />
muovono dalla provincia alla<br />
metropoli, dalla metropoli alla<br />
provincia, Milano ce ne dà <strong>di</strong>-<br />
mostrazione ogni giorno. Forse<br />
banalmente le case in città sono<br />
troppo care, ma cre<strong>di</strong>amo che,<br />
oltre a questo, il movimento del<br />
pendolare ci sottolinei il valore<br />
delle ra<strong>di</strong>ci a cui ritornare costantemente,<br />
la proiezione verso<br />
la <strong>di</strong>mensione cosmopolitica<br />
e l’ancoraggio alla propria piccola<br />
patria, le opportunità seducenti<br />
e le sicurezze magari anguste,<br />
la curiosità e l’appagamento<br />
del già noto.<br />
«Non soltanto viviamo e conosciamo<br />
sotto il segno del pendolo.<br />
Noi siamo il pendolo, in<br />
tutte le situazioni esperienziali, e<br />
sono tante, nelle quali ci troviamo<br />
a oscillare tra due poli, due<br />
tentazioni, due posizioni che ci<br />
attraggono o ci respingono, o <strong>di</strong><br />
cui una ci attrae o ci respinge più<br />
dell’altra, ma che dobbiamo<br />
soppesare e valutare per agire».<br />
E mentre pendoliamo fra luoghi<br />
<strong>di</strong>versi ci viene da pensare, come<br />
succede in treno se non ci muniamo<br />
preventivamente <strong>di</strong> un libro.<br />
Il Pensiero pendolare <strong>di</strong>segna<br />
un itinerario intrigante che<br />
attinge a piene mani dalla mitologia<br />
(Proserpina, Sisifo), dalla<br />
narrativa (Dostoevskij, Poe, Kafka),<br />
dalla filosofia (Montaigne,<br />
Kant, Bobbio, Sen), e altrettanto<br />
dalla propria esperienza personale<br />
<strong>di</strong> incessante spola tra la casa<br />
tedesca <strong>di</strong> Göttingen, la <strong>di</strong>mora<br />
<strong>di</strong> Cargiago sul lago Maggiore<br />
e Lugano. Forse non è un libro da<br />
ombrellone, o forse sì, a con<strong>di</strong>zione<br />
<strong>di</strong> posarlo spesso per fare<br />
due passi, assaporarlo a piccoli<br />
sorsi, me<strong>di</strong>tarlo, e ritornarvi dopo<br />
avervi preso congedo per ritrovarlo<br />
con piacere. •<br />
Davide G. Bianchi<br />
Dal bimbo Cola a Santa Claus, ombrifero prefazio<br />
L’Asino soffre perché l’ottusa ragione illuminista vuol metterlo <strong>di</strong>etro la lavagna. È notte, ma passerà<br />
-segue da pagina 1<br />
il sistema bipolare<br />
italiano costribuisce<br />
a formare coalizioni<br />
come “cartelli”<br />
<strong>di</strong> beneficiari<br />
House of Lords and House<br />
of Commons, la sede del Parlamento<br />
inglese a Londra<br />
FRANCESCA RIGOTTI, Il pensiero pendolare,<br />
Il Mulino, Bologna 2006, pp.126, E11,50<br />
Mitologia,<br />
narrativa, filosofia<br />
ed esperienza<br />
no gli volevano far credere che fosse.<br />
Asini sono quelli, filosofi e non,<br />
che osservano la realtà e non considerano<br />
la ragione euclidea l’unico<br />
mezzo per conoscerla. Sono antigiacobini<br />
ante e post litteram. Sono<br />
politicamente scorretti, perciò<br />
osteggiati dal potere e malfamati<br />
dagli accademici <strong>di</strong> turno. Che<br />
osannano l’intellettuale organico, il<br />
politicamente corretto, che fu aristotelico,<br />
scolastico, poi cartesiano,<br />
deinde giacobino e oggi, infine, è il<br />
progressista.<br />
L’o<strong>di</strong>o implacabile del <strong>di</strong>o Apollo<br />
contro l’Asino si rinnova continuamente.<br />
E oggi <strong>di</strong>venta una eroicomica<br />
sacrilega trage<strong>di</strong>a. Ma democratica.<br />
L’Apollo–Pro<strong>di</strong> (an<strong>di</strong>amo nel ri<strong>di</strong>colo<br />
più schietto) con il suo “ragionevole”<br />
parlare vuole impossessarsi<br />
dell’Asino, per svuotarlo <strong>di</strong> significato,<br />
per ucciderlo, per impadronirsi<br />
del suo cadavere e portarlo nel cimitero<br />
della realtà.<br />
Ma il Ciuccio non è morto. Brilla<br />
ancora nel cielo. È vero, è notte. E<br />
nera. Ma adda passà ‘a nuttata. •<br />
Adriana Dragoni
SABATO 5/12 AGOSTO 2006 L’ALTRA <strong>STORIA</strong><br />
<strong>di</strong> Marco Respinti<br />
C<br />
L’EDITORE FANUCCI HA INTRAPRESO <strong>LA</strong> MERITORIA OPERA DEL<strong>LA</strong> PUBBLICAZIONE COMPLETA DEI SUOI RACCONTI<br />
Quel <strong>di</strong>avolo <strong>di</strong> un Ambrose Bierce<br />
Grande giornalista e straor<strong>di</strong>nario narratore, è il giullare dal riso triste che scar<strong>di</strong>na la menzogna del pensiero facile<br />
e ne vuole <strong>di</strong> spocchia per immaginarsi<br />
nei panni nientepopo<strong>di</strong>menoche<br />
del <strong>di</strong>avolo e così agghindati<br />
(ma <strong>di</strong> nascosto, sotto l’impeccabile<br />
abito tre pezzi, la camicia bianca<br />
e il farfallino) ripercorrere l’alfabeto latino<br />
e la storia del pensiero stilando un<br />
inverecondo <strong>di</strong>zionario come altri non<br />
ce ne sono. Ma ad Ambrose Bierce la<br />
spocchia non mancava certo.<br />
L’opera sua più famosa, Il <strong>di</strong>zionario<br />
del <strong>di</strong>avolo, uscì a puntate su perio<strong>di</strong>ci e<br />
giornali, e nel 1906 in volume come The<br />
Cynic’s World Book. Entrambi i titoli promettono<br />
il classico take-no-prisoner; in<br />
fatto <strong>di</strong> filosofia, religione – specialmente<br />
quella cristiana, soprattutto nel suo apparato<br />
istituzionale –, donne (uhuu, le donne...),<br />
politici, potere e via <strong>di</strong> questo passo.<br />
È un po’ come se ci si trovasse <strong>di</strong> fronte<br />
a un bel mescolone <strong>di</strong> Karl Krauss, sapienza<br />
biblica, Friedrich Nietzsche, massime<br />
spirituali (non sempre e solo stravolte),<br />
Voltaire, un briciolo <strong>di</strong> Blaise Pascal e<br />
spunti dai tesoretti dell’epigrammatica<br />
classica. Sì, perché nonostante Bierce ri-<br />
soldato, cartografo,<br />
esploratore,<br />
giornalista, narratore,<br />
<strong>di</strong>rigente minerario,<br />
trekker, revolucionario...<br />
esca benissimo in quel suo sforzo coltivato<br />
con maestria <strong>di</strong> apparire antipatico,<br />
scostante, iconoclasta e <strong>di</strong>ssacratorio, come<br />
tutti i giganti del genere aforismatico<br />
riesce comunque a sottolineare pezzi <strong>di</strong><br />
verità per nulla banali; e non solo perché<br />
avendo profetato l’asina <strong>di</strong> Balam, anche<br />
il più perfetto dei villain alla fine riesce,<br />
per sbaglio o seren<strong>di</strong>pità, a <strong>di</strong>re qualcosa<br />
<strong>di</strong> minimamente sensato.<br />
Tutt’altro. Bierce “cattivo” lo è <strong>di</strong> certo,<br />
per scelta, vocazione e professione,<br />
ma la sua malizia non è affatto asineria.<br />
Come non <strong>di</strong> rado accade agli autori <strong>di</strong> vasta<br />
cultura, magari profondo o<strong>di</strong>o, sicuramente<br />
fine intelligenza (e non è un sostantivo<br />
buttato lì a caso, ma la resa italiana<br />
migliore del latino intus-legere), l’arsenico<br />
<strong>di</strong> cui Bierce inonda il lettore prende<br />
in realtà, pagina dopo pagina, a sapere <strong>di</strong><br />
aceto. Il gusto, cioè, <strong>di</strong> un forte acido antiossidante,<br />
perfetto per rimuovere le mille<br />
scorie che il tempo ha accumulato sul<br />
patrimonio <strong>di</strong> quello che altri definisce, e<br />
brillantemente, il «canone occidentale».<br />
Bierce è così un castigatore <strong>di</strong> quelle<br />
idées reçues e <strong>di</strong> quei tic luogocomunisti<br />
che non si sa perché resistono più della<br />
cruda verità, e così facendo fa un gran bene<br />
a quell’opera autenticamente revisionista<br />
che è la costante purificazione dello<br />
sguardo intellettuale, insomma del pensiero,<br />
base certa della buona cultura (altro<br />
sostantivo non buttato lì, ma miglior<br />
resa italiana del latino colere riferito alla<br />
persona, la cui ra<strong>di</strong>ce è cultus).<br />
Come accade ai bei piatti che uniscono<br />
piccante e agrodolce, d’acchito <strong>di</strong>sgu-<br />
stosi e in verità sopraffini nell’orchestrazione<br />
del contrasto, Bierce si gusta bene<br />
se accompagnato a quel cultore delle se<strong>di</strong>mentazioni<br />
che gli sta agli antipo<strong>di</strong> rispondendo<br />
al nome <strong>di</strong> Nicolás Gómez<br />
Dávila. Nulla potrebbe separare <strong>di</strong> più lo<br />
scrittore statunitense dal pensatore colombiano,<br />
l’uno impegnato a smitizzare<br />
e l’altro teso a conservare (peraltro con<br />
non minore opera demistificatrice). Ma<br />
dove i due trovano unità è nel lettore, così<br />
oggi avvelenato da appesantimenti e<br />
da leggerezze da non essere più in grado<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere gravitas e levitas.<br />
Bierce pare cioè l’ultimo epigono <strong>di</strong><br />
quella tra<strong>di</strong>zione scettica pirroniana che,<br />
dall’antichità greca narrataci da Sesto detto<br />
“Empirico” al Seicento <strong>di</strong> John Dryden<br />
e al Settecento <strong>di</strong> Edmund Burke, permea<br />
<strong>di</strong> sé – ma guarda un po’ – il pensiero religioso<br />
<strong>di</strong> tono controrivoluzionario. Uno<br />
scetticismo meto<strong>di</strong>co, già presente in sant’Agostino,<br />
che <strong>di</strong>ffida delle teoresi astratte<br />
e dei sistemi ideologici, invocando un<br />
realismo ra<strong>di</strong>cale da cui – guarda un po’<br />
un’altra volta – risorge ad<strong>di</strong>rittura la possibilità<br />
(sono i casi, <strong>di</strong>versi e però solidali<br />
nel senso in cui l’espressione è usata nelle<br />
matematiche, <strong>di</strong> Dryden e <strong>di</strong> Burke) <strong>di</strong><br />
una metafisica. Un <strong>di</strong>sincanto dal mondo<br />
da cui risorge un nuovo incanto (è il caso<br />
<strong>di</strong> Burke) che ripu<strong>di</strong>a le sclerotizzazioni<br />
del pensiero, ma che rivaluta persino il<br />
pregiu<strong>di</strong>zio, vale a <strong>di</strong>re quella somma tra<strong>di</strong>zionale<br />
<strong>di</strong> conoscenze che al singolo<br />
giunge attraverso ciò che John Henry<br />
Newman chiamava “senso illativo”.<br />
Un fuoco purificatore, insomma,<br />
quello acceso da Bierce nella cultura occidentale,<br />
che produce ceneri fertili.<br />
Non c’è bisogno, infatti, <strong>di</strong> sottoscrivere<br />
ogni e qualunque sua icasticità per apprezzarne<br />
lo spirito.<br />
Dai fantasmi a Pancho Villa<br />
Ambrose Bierce nacque il 24 giugno<br />
1842 nella regione rurale della Meigs County,<br />
nell’Ohio, e passò l’adolescenza a<br />
Elkhart, nell’In<strong>di</strong>ana. Allo scoppio della<br />
guerra cosiddetta civile si arruolò tra i<br />
“nor<strong>di</strong>sti” del IX Reggimento degl’In<strong>di</strong>ana<br />
Volunteers. Tenente cartografo dal febbraio<br />
1862, entrò nello staff del generale<br />
William Babcock Hazen. Bierce combatté<br />
sovente da eroe, conquistando l’onore<br />
delle gazzette quando salvò, con sommo<br />
sprezzo del pericolo, un commilitone ferito<br />
alla Battaglia <strong>di</strong> Girard Hill, West Virginia.<br />
Ferito pure lui nel giugno 1864 a Kennesaw<br />
Mountain, Georgia, tornò in armi<br />
in settembre per essere definitivamente<br />
congedato nel gennaio 1865.<br />
Nell’estate del 1866 vestì però <strong>di</strong> nuovo<br />
la <strong>di</strong>visa al fianco <strong>di</strong> Hazen incaricato<br />
<strong>di</strong> esplorare le gran<strong>di</strong> pianure occidentali.<br />
A cavallo e in carovana, partì da Omaha,<br />
in Nebraska, e giunse a fine anno a San<br />
Francisco. Qui si licenziò con il grado <strong>di</strong><br />
maggiore per darsi al giornalismo. Collaborò<br />
a vari tra quoti<strong>di</strong>ani e perio<strong>di</strong>ci (tra<br />
questi The San Francisco News Letter, The<br />
Argonaut e The Wasp), poi fu in Inghilterra<br />
dal 1872 al 1875 e, tornato in patria, fu<br />
prima <strong>di</strong> nuovo a San Francisco, quin<strong>di</strong><br />
tra 1879 e 1880 a Rokerville e a Deadwood,<br />
nel South Dakota, <strong>di</strong>rigente locale<br />
<strong>di</strong> una compagnia mineraria <strong>di</strong> New York.<br />
Quando questa fallì, Bierce riparò ancora<br />
nel giornalismo californiano.<br />
Nel 1887 venne assunto da William<br />
Randolph Hearst, e<strong>di</strong>tore del San Francisco<br />
Examiner e presto <strong>di</strong>venne uno dei<br />
giornalisti più noti e apprezzati <strong>di</strong> tutta la<br />
Costa Occidentale. Nel <strong>di</strong>cembre 1899,<br />
pur continuando a collaborare con Hearst<br />
fino al 1906, si spostò a Washington .<br />
Giornalismo, dunque, ma pure narrativa.<br />
I racconti <strong>di</strong> Bierce, tra guerra, orrore<br />
e insolito, sono tra i migliori del secolo<br />
XIX. Quelli <strong>di</strong> guerra, intrisi e amareggiati<br />
della sua lunga esperienza con il mestiere<br />
delle armi, sono dei capolavori, ma quelli<br />
horror o comunque supernatural pure <strong>di</strong><br />
più. Anche perché sono la quintessenza<br />
<strong>di</strong> quel gusto tutto americano per le ghoststory<br />
che aleggia dappertutto, ma che certamente<br />
ha casa, ancora oggi, nelle solitu<strong>di</strong>ni<br />
inquietanti delle gran<strong>di</strong> pianure, in<br />
quegli alberghi old-fashion tutti cigolii e<br />
spiriti irrequieti, negli incen<strong>di</strong> “misteriosi”<br />
che l’architettura lignea degli States<br />
centrali invita a nozze, e nella grande<br />
commistione fra retaggi europei e leggende<br />
in<strong>di</strong>ane che là è una nobiltà obbligante<br />
<strong>di</strong> ogni buon american.<br />
I Collected Works <strong>di</strong> Bierce, pubblicati<br />
nel 1909, constano <strong>di</strong> 12 volumi, il settimo<br />
interamente occupato da Il <strong>di</strong>zionario<br />
del <strong>di</strong>avolo. Era questo infatti il titolo che<br />
preferiva Bierce lo scettico <strong>di</strong>struttore della<br />
grettezza, più che il cinico. Bierce, quello<br />
strano <strong>di</strong>avolo poco zolfo e molto lingua<br />
(e linguistica) tagliente <strong>di</strong> cui certo il<br />
buon Dio sorride. Ambrose Bierce, che<br />
nell’ottobre 1913, 70enne, lasciò Washington<br />
per rivisitare i vecchi campi <strong>di</strong><br />
battaglia della guerra “civile”, che in <strong>di</strong>cembre,<br />
attraversati Louisiana e Texas,<br />
entrò in Messico da El Paso, che a Ciudad<br />
Juárez si unì a rivoluzionari <strong>di</strong> Pancho Villa,<br />
che combatté a Tierra Blanca, che<br />
giunse fino a Chihuahua, che da lì spedì<br />
una lettera a un caro amico il 26 del mese e<br />
che poi scomparve senza lasciare traccia.<br />
Quando sia morto il gringo nessuno<br />
lo sa, tranne gli spiriti che per una vita ha<br />
evocato e il buon Dio da cui aveva qualche<br />
cosuccia da farsi perdonare. •<br />
Nei suoi racconti, l’insostenibile trage<strong>di</strong>a della guerra<br />
nostri assassini in uniforme»:<br />
così Mark Twain, in «Iuno<br />
scritto pubblicato po-<br />
stumo nel 1924, riferito al massacro<br />
<strong>di</strong> 600 uomini, donne e bambini<br />
Moros (una popolazione delle<br />
Filippine <strong>di</strong> religione musulmana)<br />
perpetrato nel 1906, definisce<br />
i soldati statunitensi guidati dal<br />
generale Leonard Wood.<br />
Quello della natura intrinsecamente<br />
criminale del mestiere <strong>di</strong><br />
militare è un motivo che ritorna<br />
più volte anche nei racconti <strong>di</strong><br />
guerra dell’autore del celebre Dizionario<br />
del <strong>di</strong>avolo Ambrose<br />
Bierce (che <strong>di</strong> Twain fu amico e<br />
collega <strong>di</strong> giornalismo), pubblicati<br />
per la prima volta nel 1891 come<br />
Tales of Sol<strong>di</strong>ers and Civilians<br />
e riproposti l’anno successivo<br />
con il titolo In the Midst of Life, <strong>di</strong><br />
cui la casa e<strong>di</strong>trice romana Fanucci,<br />
dopo il volume dell’anno sorso<br />
de<strong>di</strong>cato ai “racconti dell’orrore”<br />
(nei quali appare già in tutta evidenza<br />
la straor<strong>di</strong>naria vocazione<br />
allo humour noir dell’autore statunitense),<br />
ha appena proposto<br />
una nuova traduzione, secondo<br />
volume <strong>di</strong> una trilogia, Tutti i racconti,<br />
che si concluderà con i<br />
“racconti dell’assurdo”.<br />
“Criminali in uniforme”, si è<br />
detto: i passi in cui ricorre questo<br />
motivo sono quelli in cui Bierce<br />
(che pure, <strong>di</strong>ciottenne, si arruolò<br />
tra i volontari <strong>di</strong> Abraham Lincoln<br />
per prendere parte alla Guerra<br />
<strong>di</strong> Secessione nelle fila dell’Unione,<br />
partecipando a moltissime<br />
tra le battaglie più note e <strong>di</strong>stinguendosi<br />
per il coraggio straor<strong>di</strong>nario,<br />
tanto che gli venne affidato<br />
il delicato incarico <strong>di</strong> ricognitore<br />
prima della battaglia) manifesta<br />
in modo più virulento il proprio<br />
<strong>di</strong>sprezzo verso il militarismo e la<br />
sua retorica. Di un gruppo <strong>di</strong> soldati<br />
è detto: «Tutti questi assassi-<br />
ni incalliti e impenitenti, per i<br />
quali la morte nelle sue forme<br />
peggiori è uno spettacolo quoti<strong>di</strong>anamente<br />
familiare […], giocano<br />
a carte accanto ai visi esanimi<br />
dei loro più cari amici…». Di un<br />
soldato che era stato posto a fare<br />
da sentinella, e che vide un qualcosa<br />
subito dopo rivelatosi un cadavere,<br />
Bierce narra: «Istintivamente<br />
si allacciò il cinturone e afferrò<br />
la pistola; si ritrovò <strong>di</strong> nuovo<br />
nel mondo della guerra e tornò a<br />
essere un assassino <strong>di</strong> professione».<br />
Nel silenzio che segue un<br />
violento scontro fra “su<strong>di</strong>sti” e federali,<br />
scrive: «Era come se entrambi<br />
gli schieramenti si fossero<br />
improvvisamente pentiti dei loro<br />
crimini inutili».<br />
Jerome Searing, stor<strong>di</strong>to<br />
In modo apparentemente cinico<br />
e privo <strong>di</strong> ogni partecipazione<br />
emotiva, e attraverso il ricorso a<br />
raffinate tecniche narrative analizzate<br />
nel saggio <strong>di</strong> Ugo Rubeo<br />
che conclude il volume, Bierce<br />
rappresenta la guerra come realtà<br />
irrime<strong>di</strong>abilmente priva <strong>di</strong> senso,<br />
svelandone le pieghe più atroci,<br />
crudeli, ma anche grottesche e<br />
beffarde. È il caso, per esempio,<br />
del protagonista <strong>di</strong> Uno dei <strong>di</strong>spersi,<br />
Jerome Searing, esploratore federale<br />
recatosi in avanscoperta,<br />
che rimane sepolto dal crollo <strong>di</strong> un<br />
vecchio rudere sul quale si era arrampicato<br />
per vedere meglio il nemico<br />
in ritirata e assestare qualche<br />
colpo in grado «<strong>di</strong> lasciarsi <strong>di</strong>etro<br />
una vedova, un orfano o una madre<br />
senza figli».<br />
Stor<strong>di</strong>to e incapace <strong>di</strong> muoversi,<br />
rimane sotto le macerie per ore,<br />
con il fucile, a cui aveva già tolto la<br />
sicura, incastrato sotto <strong>di</strong> lui con la<br />
canna puntata verso la sua fronte.<br />
Searing fa in tempo a compiere l’esperienza<br />
del terrore estremo, che<br />
giunge a fargli battere i denti “come<br />
nacchere”, prima che i suoi<br />
compagni lo vedano da lontano,<br />
morto da una settimana, e nemmeno<br />
il fratello lo riconosca.<br />
Ma è anche il caso <strong>di</strong> George<br />
Thurston, protagonista dell’omonimo<br />
racconto, il quale, scampato<br />
più volte alla morte in battaglia,<br />
perde la vita nel modo più<br />
assurdo, cadendo da una ru<strong>di</strong>mentale<br />
altalena costruita dai<br />
suoi commilitoni. E ancora, del<br />
capitano Coulter, costretto dalla<br />
<strong>di</strong>sciplina militare a non opporre<br />
obiezioni quando gli si or<strong>di</strong>na <strong>di</strong><br />
bombardare la casa, vicino alla<br />
quale sono posizionati cannoni<br />
nemici, che si scoprirà essere la<br />
sua, e <strong>di</strong> uccidere la propria mo-<br />
per lo scrittore<br />
americano il<br />
mestiere del soldato<br />
è intrinsecamente<br />
criminale<br />
glie e il proprio bambino.<br />
La guerra, nelle pagine <strong>di</strong><br />
Bierce, perde ogni connotazione<br />
eroica ed esaltante, come ha ben<br />
modo <strong>di</strong> rendersi conto, in Un ufficiale,<br />
un soldato, il capitano<br />
Graffenreid, che, trasferito dai<br />
servizi amministrativi al fronte,<br />
perde ben presto la sua baldanza<br />
e il suo ardore («Come gli batté il<br />
cuore quando la tromba suonò le<br />
note toccanti dell’adunata!») non<br />
appena una granata esplode a<br />
una trentina <strong>di</strong> metri da lui: «Non<br />
sapeva che il volo <strong>di</strong> un proiettile<br />
fosse un fenomeno così spaventoso.<br />
La sua concezione della<br />
guerra aveva già subíto un profondo<br />
cambiamento, e si rese<br />
conto che questa nuova sensazio-<br />
ne si stava manifestando con<br />
un’agitazione palpabile. […] La<br />
mano con cui teneva la spada tremava;<br />
l’altra si muoveva in modo<br />
meccanico, stringendo <strong>di</strong>verse<br />
parti della <strong>di</strong>visa. Faceva fatica a<br />
stare fermo […]. Si trattava <strong>di</strong><br />
paura? Forse sì».<br />
Un caos senza senso<br />
E più ancora ha modo <strong>di</strong> accorgersene,<br />
sia pure con una repulsione<br />
tutta estetica in cui non<br />
vi è traccia <strong>di</strong> pietà umana, il governatore<br />
<strong>di</strong> un non precisato Stato<br />
che, coinvolto nella ritirata <strong>di</strong><br />
un piccolo reparto, cade slogandosi<br />
una caviglia e constata con<br />
fasti<strong>di</strong>o la <strong>di</strong>fferenza tra la retorica<br />
della guerra e la sua squallida<br />
realtà: «In tutto questo non c’era<br />
traccia della magnificenza della<br />
guerra, né un barlume <strong>di</strong> gloria.<br />
Nonostante il dolore e il pericolo,<br />
il civile inerme non poté fare a<br />
meno <strong>di</strong> confrontarla con le parate<br />
sfarzose e le rassegne tenute in<br />
suo onore… con le uniformi sfavillanti,<br />
la musica, gli stendar<strong>di</strong> e<br />
le marce. Era una faccenda sgradevole<br />
e <strong>di</strong>sgustosa: per il suo<br />
senso estetico tutto ciò era rivoltante,<br />
brutale, <strong>di</strong> cattivo gusto».<br />
La guerra, in questi venticinque<br />
racconti, svela la propria natura<br />
<strong>di</strong> caos senza senso, incomprensibile<br />
tanto ai soldati comuni<br />
quanto agli ufficiali, che cercano<br />
<strong>di</strong> decifrarla con una maggiore<br />
competenza e una maggiore proprietà<br />
<strong>di</strong> linguaggio che si rivelano<br />
del tutto inutili, come nota sarcasticamente<br />
Bierce: «Gli uomini<br />
si sentivano insicuri e <strong>di</strong>scutevano<br />
degli errori tattici che lo scarso<br />
vocabolario militare <strong>di</strong> cui erano<br />
in possesso consentiva loro <strong>di</strong> nominare.<br />
Gli ufficiali superiori e<br />
quelli sul fronte si raccolsero in<br />
gruppi per parlare in modo più<br />
Una faccenda<br />
sgradevole<br />
e <strong>di</strong>sgustosa<br />
senza più<br />
traccia alcuna<br />
della pietà<br />
umana,<br />
né un barlume<br />
minimo<br />
<strong>di</strong> gloria...<br />
PENTOLE<br />
&COPERCHI<br />
Tutte le “definizioni”<br />
<strong>di</strong> Bierce tradotte<br />
da Rúmil per il<br />
“Dom” (molte delle<br />
quali in prima<br />
versione italiana<br />
assoluta)<br />
sono raccolte<br />
sul nostro sito<br />
www.ildomenicale.it<br />
• Ambrose Bierce,<br />
Tutti i racconti,<br />
vol. 2., I racconti<br />
<strong>di</strong> guerra,<br />
Fanucci, Roma,<br />
2006, pp. 238,<br />
e15,00<br />
si gusta bene<br />
accompagnandolo<br />
a nicolás gómez dávila,<br />
che gli sta agli antipo<strong>di</strong>.<br />
piccante & agrodolce<br />
competente <strong>di</strong> ciò che, però, non<br />
avevano compreso con maggiore<br />
chiarezza».<br />
Come da più parti è stato osservato,<br />
il racconto da cui emerge<br />
con più forza l’insensatezza della<br />
guerra è Chickamauga, che porta<br />
il nome del luogo in cui si svolse<br />
una delle battaglie più cruente<br />
della cosiddetta Guerra Civile (oltre<br />
35mila morti in due soli giorni),<br />
e che ha per protagonista un<br />
bambino che s’inoltra in una foresta<br />
per giocare alla guerra, si<br />
smarrisce e s’imbatte in una<br />
schiera <strong>di</strong> feriti in ritirata, incapaci<br />
<strong>di</strong> reggersi sulle gambe e che si<br />
trascinano con le braccia. Incapace,<br />
per la sua tenera età, <strong>di</strong> comprendere<br />
lo spettacolo raccapricciante<br />
che ha <strong>di</strong> fronte, prima<br />
scoppia a ridere e poi immagina<br />
<strong>di</strong> mettersi alla guida, brandendo<br />
una spada giocattolo che si è costruito,<br />
<strong>di</strong> quel gruppo <strong>di</strong> uomini.<br />
Ma quando ritrova casa propria,<br />
incen<strong>di</strong>ata da una granata, e<br />
vede il corpo orrendamente mutilato<br />
della madre, prorompe in<br />
«grida inarticolate e indescrivibili,<br />
qualcosa tra il chiacchiericcio<br />
della scimmia e il gloglottare del<br />
tacchino... una voce che faceva<br />
trasalire, senz’anima, empia, il<br />
linguaggio del <strong>di</strong>avolo». Il bambino<br />
è sordomuto, e vittima <strong>di</strong> un<br />
dolore a cui è negato perfino l’umano<br />
sfogo della parola. Ma la<br />
mancanza <strong>di</strong> strumenti adatti alla<br />
comprensione, la sor<strong>di</strong>tà e il mutismo<br />
del bambino sono simbolo<br />
<strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione umana che coinvolge<br />
soldati, ufficiali, generali,<br />
civili, che sperimentano l’annichilimento<br />
della loro in<strong>di</strong>vidualità,<br />
l’annientamento <strong>di</strong> tutto<br />
quanto vi è umano in loro, provocato<br />
da quell’insensata realtà che<br />
è la guerra. •<br />
Giorgio Bianco<br />
IL DOMENICALE 3<br />
LO SCAFFALE<br />
DEL<strong>LA</strong> SAGGISTICA<br />
episteme<br />
Al cinema<br />
con il pensiero<br />
Recensire con filosofia<br />
rofonda e acuta l’analisi <strong>di</strong> 23<br />
film recenti, scelti in base alle Pproblematiche<br />
e gl’interrogativi<br />
tematizzati, che l’autore – presidente<br />
del corso <strong>di</strong> Filosofia all’Università <strong>di</strong><br />
Padova – <strong>di</strong>vide in sei gran<strong>di</strong> categorie:<br />
l’incontro-scontro con il <strong>di</strong>verso, fondamentale<br />
per costruire la nostra identità;<br />
l’intreccio tra Eros e Thanatos, per<br />
cui l’amore è passione travolgente che<br />
finisce in trage<strong>di</strong>a (da L’amore infedele<br />
a Million Dollar Baby); il tema del doppio,<br />
<strong>di</strong> cui sono ico-<br />
UMBERTO CURI ne i protagonisti <strong>di</strong><br />
UN FILOSOFO Prova e prendermi<br />
AL CINEMA e Master & Com-<br />
Bompiani,<br />
mander; il mistero<br />
Milano 2006<br />
della morte, da 21<br />
pp.200, E7,50<br />
grammi. Il peso<br />
dell’anima a La<br />
Passione; la violenza, connaturale all’uomo<br />
e or<strong>di</strong>natrice del caos in Gangs<br />
of New York, Mystic River, Collateral;<br />
e infine il <strong>di</strong>lemma del tempo. Ogni sezione<br />
è introdotta da una breve riflessione<br />
sul pensiero <strong>di</strong> filosofi – Aristotele<br />
e Platone, i trage<strong>di</strong>ografi Eschilo e Sofocle,<br />
Hobbes, Nietzsche, Freud, Bergson,<br />
Girard – nella cui ottica i film vengono<br />
considerati. Ne deriva un’analisi<br />
chiara, lucida e concettualmente densa,<br />
intrisa però <strong>di</strong> un pessimismo antropologico<br />
soffocante.<br />
Chiara Ferla Lo<strong>di</strong>giani<br />
poesis<br />
Il Leopar<strong>di</strong><br />
analizzato<br />
Stili, lessemi, metrica, incipit<br />
tu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> filologia, stilistica e<br />
storia della lingua italiana, che Sinsegna<br />
all’Università <strong>di</strong> Padova,<br />
Pier Vincenzo Mengaldo è anche<br />
un appassionato <strong>di</strong> poesia (si veda la<br />
sua antologia Poeti italiani del Novecento)<br />
e <strong>di</strong> Leopar<strong>di</strong> in particolare. Dei<br />
suoi Canti, infatti, ha proposto un’accurata<br />
analisi formale in cinque saggi<br />
pubblicati <strong>di</strong> recente su alcune riviste<br />
letterarie, e ora raccolti da Il Mulino<br />
con il titolo: Sona-<br />
PIER VINCENZO van le quiete stan-<br />
MENGALDO, ze. Sullo stile dei<br />
SONAVAN LE «Canti» <strong>di</strong> Leo-<br />
QUIETE STANZE. par<strong>di</strong>. Nello speci-<br />
SULLO STILE DEI fico Mengaldo<br />
«CANTI» DI prende in esame:<br />
LEOPARDI,<br />
la metrica, gl’inci-<br />
Il Mulino,<br />
pit e il lessico dei<br />
Bologna 2006,<br />
pp.167, E15,50<br />
componimenti;<br />
l’uso delle metafore,<br />
che non ne fa<br />
un «poeta metaforico»; infine la struttura<br />
e la tecnica compositiva <strong>di</strong> un i<strong>di</strong>llio<br />
in particolare, La vita solitaria. Lo<br />
stu<strong>di</strong>o, non complesso, ma tuttavia<br />
abbordabile da chi abbia un po’ <strong>di</strong> <strong>di</strong>mestichezza<br />
con la materia, si avvale<br />
<strong>di</strong> dati formali e strutturali al fine <strong>di</strong> fornire<br />
utili spunti per una riflessione contenutistica.<br />
Evidenziando soprattutto<br />
la propensione <strong>di</strong>alogica del fare poetico<br />
leopar<strong>di</strong>ano e la capacità del recanatese<br />
<strong>di</strong> «sollevare sempre il <strong>di</strong>scorso<br />
poetico a canto». Elena Inversetti<br />
gnosis<br />
Poesia e storia<br />
del già visto<br />
Il fascino inquieto del déjà vu<br />
tutti sarà capitato <strong>di</strong> vivere un<br />
déjà vu. Di aver percepito per Aun<br />
istante che la scena davanti<br />
a noi era stata già vista o vissuta. A tutti<br />
sarà capitato quin<strong>di</strong> quella sgradevole<br />
sensazione <strong>di</strong> straniamento, <strong>di</strong> sogno<br />
da svegli, <strong>di</strong> rammemorazione, come si<br />
fosse spettatori <strong>di</strong> una vita altrui o<br />
esterni della nostra.<br />
Facendo baluginare sta<strong>di</strong> della coscienza<br />
ulteriori a quello abituale, tempi<br />
della vita <strong>di</strong>versi dal presente, realtà<br />
meno certe <strong>di</strong>etro<br />
REMO BODEI la realtà, il déjà vu<br />
PIRAMIDI<br />
è sempre stato in-<br />
DI TEMPO. dagato con scru-<br />
<strong>STORIA</strong> E TEORIA polo dai filosofi,<br />
DEL DÉJÀ VU<br />
poi dagli psicologi<br />
Il Mulino, pp.152,<br />
infine dai me<strong>di</strong>ci.<br />
E12,00<br />
Con l’idea che fosse,<br />
in chiave platonica,<br />
una reminiscenza, poiché ogni<br />
appren<strong>di</strong>mento è in realtà un ricordare,<br />
oppure in chiave me<strong>di</strong>ca un semplice<br />
sfasamento del nostro modo <strong>di</strong> vedere<br />
e quin<strong>di</strong> percepire le cose, quasi<br />
che talvolta la cosa vista s’impremesse<br />
nel nostro cervello prima che il cervello<br />
ne fosse cosciente.<br />
In un gustoso libretto, il filosofo<br />
Remo Bodei ripercorre la storia del fenomeno<br />
tra alterne fortune, attraverso<br />
la poesia, la psicologia, la me<strong>di</strong>cina,<br />
aprendo alle varie interpretazioni che si<br />
sono susseguite dal 1876 quando Emile<br />
Boirac coniò il fortunato termine.
4 IL DOMENICALE<br />
LO SCAFFALE<br />
DEL<strong>LA</strong> CRITICA<br />
il poeta<br />
Ma che bel Cappello!<br />
Finalmente un lirico degno <strong>di</strong> tal nomea<br />
vero, su queste pagine abbiamo spesso<br />
deplorato l’attività dei se<strong>di</strong>centi “giovin Èpoeti”,<br />
questi versificatori del week-end<br />
che avremmo volentieri messo al muro e trivellati<br />
<strong>di</strong> colpi, eppure il talento, laddove si nascondesse,<br />
lo abbiamo sempre tirato al sole a prendersi<br />
una bella abbronzatura. In sostanza, abbasso<br />
le truppe cammellate dei poetelli portaborse,<br />
sì, benché tra i lirici lattanti si nascondano<br />
genietti che già sorpassano i padri e con cui, se<br />
bisogna fare i conti, bisogna risalire agli anni dorati<br />
della nostra poesia. Che poi i padri-padroni<br />
così annichiliti abbiano poltrona nelle case e<strong>di</strong>trici<br />
<strong>di</strong> maggior lusso, ciò non facilita <strong>di</strong> certo l’opera<br />
<strong>di</strong> questi valorosi imberbi. Facciamola breve,<br />
Pierluigi Cappello (1967) un giovanotto <strong>di</strong> certo<br />
non lo è, lo è semmai poeticamente, contando<br />
che questa antologia, che raccoglie testi pubblicati<br />
dal 1998, è il vero esor<strong>di</strong>o nella lirica che conta<br />
del poeta <strong>di</strong> Gemona del Friuli. Una ola a Crocetti,<br />
dunque, e ancora una volta, che ha e<strong>di</strong>to<br />
l’autore nella sua collana nobile <strong>di</strong> poesia italiana,<br />
“Aryballos” (tra gli autori, ricor<strong>di</strong>amo Giovanni<br />
Raboni e Antonio Porta, Maurizio Cucchi e<br />
PIERLUIGI<br />
CAPPELLO,<br />
ASSETTO DI VOLO,<br />
Crocetti, Milano 2006,<br />
pp.172, e15,00<br />
Alda Merini), e gli ha<br />
de<strong>di</strong>cato la copertina <strong>di</strong><br />
uno degli ultimi numeri<br />
<strong>di</strong> Poesia. Ebbene sì,<br />
Cappello è uno dei più<br />
forzuti poeti degli ultimi<br />
anni, <strong>di</strong> certo uno dei<br />
maggiori tra lo stuolo dei “novissimi”. Per quale<br />
motivo è all’apparenza banale: egli è poeta della<br />
necessità, delle cose prime necessarie al vivere. E<br />
questa necessità granitica, ossessiva, attentissima,<br />
<strong>di</strong>venta esperienza linguistica supremamente<br />
acuta. Ergo: Cappello riesce a <strong>di</strong>re le cose<br />
come sono, papali papali, con alchimie verbali da<br />
numero <strong>di</strong>eci. Ecco come l’eccezionalità del linguaggio<br />
non <strong>di</strong>viene un gioco <strong>di</strong> melina letteraria<br />
– vizio congenito <strong>di</strong> molta poesia pure all’apparenza<br />
più realista del re – ma aurea pappa ben<br />
bilanciata con la sostanza del concetto.<br />
Peraltro l’autore sciorina testi (i più im-<br />
portanti vanno ricercati nelle raccolte<br />
Dentro Gericoe Dittico) che<br />
alternano l’italiano al friulano, e<br />
proprio in quel <strong>di</strong>aletto magico<br />
e terrestre si ricavano alcune<br />
tra le poesie più commoventi,<br />
<strong>di</strong> una malinconia compenetrata<br />
<strong>di</strong> serenità. «Qui resistere<br />
significa esistere», <strong>di</strong>ce<br />
Cappello in uno dei suoi versi<br />
ra<strong>di</strong>cali e forse più esemplari. In<br />
questo poeta, la cui essenzialità<br />
e vigore è più me<strong>di</strong>oevale che greca,<br />
abbiamo forse ritrovato quel provenzale<br />
che ci mancava da decenni.<br />
Federico Scardanelli<br />
il giallo<br />
Padri e figli alla Turow<br />
Legal-thriller sulla Seconda guerra<br />
I<br />
n generale, i libri <strong>di</strong> Scott Turow, benché siano<br />
dei bei libri gialli, non possono certo essere ridotti<br />
a questa semplice definizione: come<br />
spesso succede, e a volte con esito incerto, gli autori<br />
utilizzano narrativa <strong>di</strong> genere (e <strong>di</strong> tanto in<br />
tanto ne inventano ad<strong>di</strong>rittura un sottogenere,<br />
come Turow con il legal-thriller) per raccontare<br />
delle vicende limite, adatte a mettere in luce<br />
aspetti dell’animo umano. Questo Eroi normali<br />
sembra corrispondere a ciò, ancor più dei suoi<br />
precedenti romanzi<br />
Stewart Dubinsky ritrova, alla morte del padre<br />
David, un bel fascio <strong>di</strong> lettere che questi aveva<br />
inviato alla sua fidanzata durante la Seconda<br />
guerra mon<strong>di</strong>ale; David vi aveva infatti partecipato<br />
come ufficiale, addetto all’avvocatura dell’esercito<br />
americano. Mentre ripercorre la vita<br />
militare del padre, Stewart scopre però delle incongruenze<br />
e dei fatti assolutamente inaspettati<br />
e sempre ignorati nella vita familiare: David era<br />
infatti stato demandato alla Corte marziale, con<br />
l’accusa <strong>di</strong> aver fatto fuggire un ufficiale dei servizi<br />
segreti, sospettato <strong>di</strong> doppio gioco a favore<br />
dei tedeschi. Ma la<br />
SCOTT TUROW,<br />
EROI NORMALI,<br />
Mondadori ,<br />
Milano 2005,<br />
pp.420, e18,60<br />
condanna era stata poi<br />
improvvisamente sospesa<br />
grazie all’intervento<br />
dello Stato maggiore.<br />
Perché David, irreprensibile<br />
e colto av-<br />
vocato, de<strong>di</strong>to alla famiglia, ha subito quel processo?<br />
Era in realtà un ipocrita? E poi: perché non<br />
ha mai parlato <strong>di</strong> Gita, della bellissima ebrea, sua<br />
compagna <strong>di</strong> avventure resistenziali in Francia?<br />
Attorno a questi interrogativi Turow costruisce<br />
questo romanzo, a volte un po’ scontato, ché<br />
sembra ripetere degli stereotipi dei film <strong>di</strong> guerra<br />
americani: l’ufficiale psicopatico ma tollerato<br />
perché eroico; il giovane intellettuale “imbranato”<br />
alla prova del fuoco; l’incontro con la “Vecchia<br />
Europa”. Per risolverli, alterna il racconto<br />
bellico alla narrativa familiare, il romanzo <strong>di</strong> formazione<br />
alla riflessione sulla guerra, mantenendo<br />
alcuni punti fermi del romanzo giallo legale<br />
che si scioglie con un colpo <strong>di</strong> scena finale, anche<br />
se facilmente intuibile.<br />
Vi è poi un altro piano narrativo: il filo rosso<br />
<strong>di</strong> questo libro è il confronto <strong>di</strong> Stewart con il<br />
padre. Avviene dopo la morte <strong>di</strong> David, ma la<br />
ricerca sulla sua vita riannoda i fili <strong>di</strong> una vita<br />
trascorsa senza una conoscenza davvero intima.<br />
Stewart, ben più anziano del padre negli<br />
anni <strong>di</strong> guerra, assume quasi il punto <strong>di</strong> vista<br />
del più vecchio che comprende le vicende da<br />
cui egli stesso ha avuto la nascita. Un rapporto<br />
temporale e relazioni filiali quasi invertite dunque,<br />
per colmare i buchi neri <strong>di</strong> una storia familiare<br />
fuori dal comune.<br />
Enrico Colombo<br />
periscopio<br />
MA TU<br />
T<br />
iziano Scarpa deve essersi chiesto<br />
se è possibile recensire il mondo;<br />
e se è possibile descriverlo; e se è<br />
possibile, soprattutto, descriverlo ancora,<br />
descriverlo ora. Batticuore fuorilegge<br />
(Fanucci, Roma 2006, pp.288, ¤15,00)<br />
è un «sussi<strong>di</strong>ario pieno <strong>di</strong> strategie» che<br />
prova che sì, si può. Che oggi che il mondo<br />
è più che mai steganografia, il linguaggio<br />
può essere ancora criptoanalisi.<br />
Che se il mondo è steganografia un<br />
linguaggio (una scrittura) che sia criptoanalisi<br />
è possibile, è, anzi, una forma<br />
resistenziale, la prima se non l’unica.<br />
Ecco perché sulla copertina <strong>di</strong> questa<br />
raccolta, che avrebbe dovuto inizialmente<br />
intitolarsi Poesia e potere, campeggia<br />
una precisa proclamazione <strong>di</strong><br />
militanza ideologico-intellettuale che<br />
conferisce alla parola la funzione <strong>di</strong>fensiva:<br />
«Siamo citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong>sarmati, abbiamo<br />
soltanto la nostra forza <strong>di</strong> volontà e<br />
la nostra parola. Abbiamo la nostra letteratura»;<br />
e perché la citazione in esergo<br />
è tratta da Antonio Moresco, e proprio<br />
da un brano dell’autore delle Lettere a<br />
nessuno in cui parole come “ferita” e<br />
“fuoco”, dall’inequivocabile rimando<br />
prometeico, occorrono più e più volte,<br />
chiosate infine dalla parola “sogno”.<br />
Tiziano Scarpa è uno <strong>di</strong> quegli<br />
scrittori e poeti e intellettuali che potrebbe<br />
smettere <strong>di</strong> scrivere dopo questa<br />
antologia che raccoglie per lo più<br />
interventi critici <strong>di</strong> varia occasione,<br />
perché essa completa la vera e propria<br />
<strong>LA</strong> REPUBBLICA DELLE LETTERE<br />
trilogia <strong>di</strong> una personale e particolarissima<br />
concezione-installazione del linguaggio<br />
come speculum delle cose, come<br />
“cosa” che può ancora cosare le cose,<br />
e che fa <strong>di</strong> lui uno scultore concettuale<br />
della parola: prima Corpo, meravigliosa<br />
tomografia assiale linguistica<br />
in cui la ricognizione del (proprio) corpo<br />
umano attraverso un corpus linguistico<br />
tra<strong>di</strong>zionale otteneva il risultato,<br />
voluto, della descrizione del corpo come<br />
epifania della percezione e <strong>di</strong> una<br />
epifania inau<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> una lingua matericamente<br />
corporea; poi Groppi d’amore<br />
nella scuraglia, poema incantevole in<br />
cui una lingua nuova <strong>di</strong>alettale e insieme<br />
universale veniva letteralmente<br />
(re)inventata per raccontare questioni<br />
“vecchie” come l’amore, la natura,<br />
l’ingiustizia, l’opposizione all’ingiustizia,<br />
il sogno, la meraviglia.<br />
Ma, per fortuna, Tiziano Scarpa non<br />
smetterà <strong>di</strong> scrivere, perché non ha mai<br />
smesso da quando, coinvolto nel malinteso<br />
dei giovani scrittori pulp <strong>di</strong>eci anni<br />
or sono, si è <strong>di</strong>mostrato, e sempre più vigorosamente,<br />
la mente e la penna più<br />
lucida e responsabile <strong>di</strong> quella generazione,<br />
provando che un ottimo romanzo<br />
d’esor<strong>di</strong>o (Occhi sulla graticola), e<br />
dunque l’epiteto <strong>di</strong> “giovane scrittore”<br />
che così poco amava, potevano essere<br />
l’inizio, e non la fine, <strong>di</strong> un percorso <strong>di</strong><br />
maturazione stilistica come intellettuale<br />
che procede da allora <strong>di</strong> pari, e ogni<br />
volta lunghissimo, passo.<br />
Scarpa ha infatti portato alle estreme<br />
conseguenze semiotiche alcuni dei<br />
precetti che devono certamente costituire<br />
i punti car<strong>di</strong>nali dell’immaginario<br />
letterario <strong>di</strong> riferimento e formativo suo<br />
proprio: dal San Paolo del videmus nunc<br />
per speculum in aenigmate al Philip K.<br />
Dick <strong>di</strong> Come costruire un universo che<br />
non cada a pezzi dopo due giorni, passando<br />
attraverso Manganelli.<br />
Non a caso Aldo Nove, suo compagno<br />
d’intenti oltre che <strong>di</strong> generazione,<br />
aveva scritto <strong>di</strong> lui in Superwoobinda, e<br />
l’ironia era soltanto una parvenza in<br />
quella perfetta e serissima e preveggente<br />
Polaroid: «Tiziano Scarpa è come<br />
Manganelli, solo che gioca a mondo con<br />
il suo libro quando entra nelle trasmissioni<br />
televisive». Poco dopo Tiziano<br />
Scarpa ha smesso <strong>di</strong> entrare nelle trasmissioni<br />
televisive, ha perseguito soltanto<br />
la strada dell’esercizio della letteratura<br />
come coscienzioso <strong>di</strong>ritto-dovere<br />
civile e artistico, ha cofondato il più importante<br />
blog italiano <strong>di</strong> letteratura, Nazione<br />
In<strong>di</strong>ana, l’ha lasciato per cofondarne<br />
un altro, il primo amore, e soprattutto<br />
ha infinitamente, infaticabilmente<br />
osservato il mondo e scritto.<br />
Molti dei testi che ora Batticuore<br />
fuorilegge collaziona (sottraendo quei<br />
testi al destino <strong>di</strong> uso e consumo e facile<br />
oblio in cui incorrono molte pubblicazioni<br />
su riviste cartacee o on line, interventi<br />
a <strong>di</strong>battiti, poesie non raccolte<br />
in volume) nella forma dell’excursus<br />
solo apparentemente “illogico”, come<br />
un Bersaglio, il gioco della Settimana<br />
Enigmistica, giocato però intorno a<br />
tasselli come cronaca, storia, vita, arte,<br />
cultura, morte, memoria, mezzi <strong>di</strong><br />
comunicazione <strong>di</strong> massa. E se c’è una<br />
costante, in tutta la scrittura <strong>di</strong> Scarpa<br />
e ancora qui, se c’è un fil rouge che collega<br />
questi capitoli tematici («il conflitto<br />
fra l’espressione in<strong>di</strong>viduale e<br />
quella istituzionale e me<strong>di</strong>atica, le<br />
ideologie comportamentali in Italia<br />
oggi, il grumo passionale e politico<br />
delle merci, la critica culturale fuori<br />
dal recinto estetico e la <strong>di</strong>ttatura della<br />
narrazione, le utopie, i desideri, i sogni<br />
<strong>di</strong> opere d’arte reali o immaginate») tra<br />
<strong>di</strong> loro e con l’idea stessa <strong>di</strong> letteratura<br />
che Tiziano Scarpa insegue e persegue<br />
da sempre, è questo: la teoretica e l’estetica<br />
e la maieutica del linguaggio<br />
come speculum.<br />
SABATO 5/12 AGOSTO 2006<br />
Il vero scrittore va oltre ogni confine<br />
In tempi<br />
<strong>di</strong> vacche<br />
magrissime<br />
e <strong>di</strong> autori<br />
che hanno<br />
paura della<br />
propria<br />
ombra,<br />
tanto vale<br />
rileggersi i<br />
capolavori<br />
<strong>di</strong> alcuni<br />
estremi.<br />
An<strong>di</strong>amo<br />
<strong>di</strong>etro a un<br />
bel libro<br />
<strong>di</strong> Franco<br />
Rella<br />
per <strong>di</strong>re<br />
<strong>di</strong> Kafka,<br />
<strong>di</strong> Proust,<br />
<strong>di</strong> Beckett<br />
sai cosa sono gli uomini?<br />
Miserabili cose che dovranno<br />
morire, più miserabili<br />
dei vermi o delle foglie dell’altr’anno<br />
che son morte ignorandolo.<br />
Loro invece lo sanno e lo <strong>di</strong>cono,<br />
e non smettono mai d’invocarci, <strong>di</strong><br />
volerci strappare un favore o uno<br />
sguardo.<br />
Cesare Pavese, Gli uomini,<br />
in Dialoghi con Leucò, Einau<strong>di</strong>,<br />
Milano 1999, p.146<br />
In alto, da sinistra:<br />
Franz Kafka<br />
(1883-1924), Marcel<br />
Proust (1871-1922)<br />
e Samuel Beckett<br />
(1906-1989)<br />
<strong>di</strong> Massimiliano Parente<br />
«I<br />
o mi sentiva come soffocare,<br />
considerando e sentendo<br />
che tutto è nulla, solido nul-<br />
la». Dentro questo soffocamento<br />
leopar<strong>di</strong>ano, in questo abisso esistenziale<br />
dove «è fatale a chi nasce<br />
il dì natale», c’è tutta la <strong>di</strong>mensione<br />
tragica su cui si muovono la letteratura<br />
e il pensiero. Il nulla dentro le<br />
parole e dentro la vita, l’uomo <strong>di</strong><br />
fronte all’assurdo e al non senso,<br />
costretto nell’esilio <strong>di</strong> questo vuoto<br />
senza speranza o trascendenza.<br />
«Forse è che l’età che sopraggiunge,<br />
tra<strong>di</strong>tora, e ci annuncia il<br />
peggio. Non si ha più musica in sé<br />
per far ballare la vita, ecco. Tutta la<br />
gioventù è già andata a morire in<br />
capo al mondo nel silenzio della verità.<br />
E dove andar fuori, ve lo chiedo,<br />
quando uno non ha più dentro<br />
una quantità sufficiente <strong>di</strong> delirio?<br />
La verità, è un’agonia che non finisce<br />
mai. La verità <strong>di</strong> questo mondo<br />
è la morte». Così scriveva Céline nel<br />
suo Viaggio al termine della notte,<br />
ed è questo il tema profondo dei<br />
due maggiori scrittori del Novecento,<br />
Proust e Kafka. Ci ragiona Franco<br />
Rella in un intenso saggio in libreria<br />
in questi giorni intitolato appunto<br />
Scritture estreme (Feltrinelli,<br />
Milano 2006, pp.156, e16,00).<br />
Perché nella modernità cade l’idea<br />
classica <strong>di</strong> bellezza, come già<br />
aveva intuito Dostoevskij (perché<br />
non c’è bellezza che non inglobi la<br />
sua contrad<strong>di</strong>zione e il suo deperimento,<br />
non c’è bellezza che non<br />
contenga la morte) altro scrittore<br />
che si spinge all’estremo («quelli<br />
che vanno all’ultimo confine, passano<br />
sempre il limite») e sprofonda<br />
nel vortice <strong>di</strong> un io che entra in conflitto<br />
mortale con se stesso; le memorie<br />
saranno memorie del sottosuolo<br />
<strong>di</strong> un io sbriciolato non soltanto<br />
in punti <strong>di</strong> vista molteplici ma<br />
già tra sé e sé (come spiega bene Mi-<br />
chail Bachtin), un io esploso e inconciliabile<br />
prima ancora che<br />
Freud cominciasse a scavare la sua<br />
ricerca nell’inconscio. Un io mortale<br />
e in contrad<strong>di</strong>zione rispetto agli<br />
altri e al nulla, il nulla che soffocava<br />
Leopar<strong>di</strong>, lo stesso nulla dentro cui<br />
si trovano ingabbiati Joseph K. e il<br />
Narratore <strong>di</strong> Proust e dentro cui finiranno<br />
stritolati, annichiliti, mutilati,<br />
fisicamente immobilizzati i<br />
personaggi beckettiani.<br />
Senza salvare nulla<br />
Il romanzo ha inizio con Cervantes,<br />
nel rapporto tra uomo e illusione,<br />
e approda alla <strong>di</strong>struzione<br />
dell’illusione, pur non potendo fare<br />
a meno <strong>di</strong> <strong>di</strong>rne la fine. Perfino l’amore<br />
nella Recherche è una costruzione,<br />
un’illusione, una finzione, e<br />
non salva niente e nessuno, né prima<br />
né dopo. L’amore, semplicemente,<br />
non c’è, o c’è nella per<strong>di</strong>ta<br />
ogni opera somma<br />
del secolo scorso<br />
è il fallimento <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>re l’in<strong>di</strong>cibile. in<br />
modo meraviglioso<br />
<strong>di</strong> ciò che, quando c’era, era solo<br />
un’illusione. In Proust, anzi, l’amore<br />
si capovolge nel suo contrario,<br />
<strong>di</strong>venta ricerca e fallimento e perversione<br />
estrema: l’ossessione<br />
amorosa del Narratore, Albertine<br />
Simonet, sarà una lesbica, corpo <strong>di</strong><br />
femmina che quando si spoglia è<br />
«animata dalla vita incosciente dei<br />
vegetali» lasciando cadere uno dopo<br />
l’altro i «suoi <strong>di</strong>fferenti caratteri<br />
<strong>di</strong> umanità», figura <strong>di</strong> essere impenetrabile<br />
che già aveva trovato la<br />
sua celebrazione in Baudelaire.<br />
Le fanciulle in fiore <strong>di</strong>scendono<br />
<strong>di</strong>rettamente dai fiori del male. La<br />
più profonda ricerca <strong>di</strong> Proust spro-<br />
fonda in ricerca della morte e dell’inumano,<br />
dove perfino l’amata<br />
nonna, nell’idea della morte, si trasforma<br />
in una «specie <strong>di</strong> bestia», né<br />
più né meno che una «visione organica».<br />
L’anima, in Proust, non regge<br />
più, non può più esistere, e frana<br />
sotto il <strong>di</strong>sfacimento dei corpi come<br />
in un quadro <strong>di</strong> Francis Bacon, e «la<br />
morte è appunto niente».<br />
Non resta neppure l’io a tenere<br />
in pie<strong>di</strong> i ricor<strong>di</strong> e a salvarli dall’oblio,<br />
perché l’io <strong>di</strong> Proust viene <strong>di</strong>sintegrato<br />
dal tempo, l’io non esiste<br />
ma esistono solo molteplici io <strong>di</strong> cui<br />
l’uno celebra il funerale dell’altro,<br />
un altro sempre più irriconoscibile,<br />
lo stesso io che non potrà più <strong>di</strong>re io<br />
nell’Ultimo nastro <strong>di</strong> Krapp o in<br />
Non io o nella Trilogia <strong>di</strong> Samuel<br />
Beckett. «Proust è uno strano platonico»,<br />
commenta Franco Rella.<br />
«Nel momento stesso in cui <strong>di</strong>chiara<br />
salva l’essenza dell’amore, <strong>di</strong>chiara<br />
che l’opera che ha compiuto<br />
questa salvezza “è un grande cimitero<br />
dove sulla maggior parte delle<br />
tombe i nomi cancellati non si possono<br />
più leggere”».<br />
L’opera, che per Alessandro Piperno,<br />
dovendo scrivere per L’espresso<br />
la sua marchetta, è una celebrazione<br />
dello snobismo e della<br />
mondanità, è costruita al contrario<br />
intorno al buco nero della morte. I<br />
Guermantes, <strong>di</strong> cui narra i fasti e la<br />
scintillante aristocrazia, decadono<br />
e incartapecoriscono, trasformandosi<br />
presto in mostri organici. Le<br />
donne si sgretolano sotto l’orrore<br />
del tempo, Odette sembra una<br />
bambola meccanica, un animale<br />
impagliato, Agencourt «un cencio<br />
imputri<strong>di</strong>to», la duchessa <strong>di</strong> Guermantes<br />
un «corpo salmonato»,<br />
«strangolata <strong>di</strong> gioielli», «un vecchio<br />
pesce sacro»; i vivi sono già<br />
morti e resi terribili dalla vecchiaia,<br />
la vecchiezza che per Leopar<strong>di</strong> non<br />
era male «perché porta seco tutti i<br />
mali» ponendo fine alla vita, e per<br />
Proust rispetto agli in<strong>di</strong>vidui descritti,<br />
siano essi nobili o re, è «il più<br />
miserevole degli stati e che li fa precipitare<br />
dai loro fasti come i re delle<br />
trage<strong>di</strong>e greche costringendoli a sostare<br />
lungo la via crucis che <strong>di</strong>venta<br />
la vita degli impotenti».<br />
Non <strong>di</strong>versamente accade in<br />
Kafka, che Rella mette appunto in<br />
strettissima e stringente relazione<br />
con Proust, lo scrittore recluso nella<br />
stanza foderata <strong>di</strong> sughero e lo<br />
scrittore recluso in cantina, riprendendo<br />
il progetto <strong>di</strong> un libro mai<br />
scritto <strong>di</strong> Walter Benjamin, e confrontando<br />
le due opere come due<br />
fallimenti riusciti <strong>di</strong> <strong>di</strong>re l’in<strong>di</strong>cibile.<br />
«Kafka non ha dato risposte. Kafka<br />
ha fallito, come d’altronde<br />
Proust ha fallito in una redenzione<br />
del tempo che conduce al rovescio<br />
della vita e dunque della morte».<br />
Per entrambi non c’è altra soluzione<br />
che l’annullamento dentro l’opera<br />
che sta lì ad affermare il nulla,<br />
ma la soluzione non è più né una<br />
soluzione né un problema, è nulla<br />
senza redenzione.<br />
Scrivere, per Kafka, era «uscire<br />
dalla schiera degli uccisori, osservare<br />
i fatti», e anche l’aporia de<br />
«l’impossibilità <strong>di</strong> scrivere, l’impossibilità<br />
<strong>di</strong> non scrivere». Meletinskij,<br />
ricorda Rella, aveva osservato<br />
quanto in Kafka persistesse<br />
una procedura mitica, come nella<br />
trasformazione in insetto <strong>di</strong> Gregor<br />
Samsa, solo che Kafka «non fonda<br />
una comunità <strong>di</strong> senso, ma esclude<br />
da ogni comunità». L’unica esistenza<br />
possibile è l’esilio, una scrittura<br />
che lo condanna senza appello, ma<br />
«al <strong>di</strong> fuori della scrittura io sono<br />
assolutamente nulla». Dentro Kafka<br />
non c’è redenzione, non c’è interpretazione<br />
possibile. C’è <strong>di</strong>scesa<br />
nell’inumano quanto in Proust, che<br />
animalizza l’umanità.<br />
Sdraiato sul pavimento, scrive<br />
Kafka a Felice, come una larva, un<br />
verme, dove si affaccia il popolo<br />
notturno dei topi. O come uno scarafaggio.<br />
Come in seguito Molloy <strong>di</strong><br />
Beckett, che scoprirà il privilegio <strong>di</strong><br />
strisciare, in un bosco, usando le<br />
stampelle per <strong>di</strong>segnare i semicerchi<br />
del proprio percorso.<br />
Terrore e consolazione<br />
«Dire Kafka. Uscire dalla schiera<br />
degli interpreti, e dunque non<br />
pretendere <strong>di</strong> spiegare tutto, <strong>di</strong> trovare<br />
la chiave che spieghi tutta la<br />
sua opera, ma scoprire almeno una<br />
parola che si avvicini al segreto della<br />
sua scrittura, che è terrore e consolazione.<br />
Che è, in una parola, destino»<br />
(Rella) . Ecco perché non è<br />
possibile ridurre Kafka a santone<br />
della teologia ebraica, a profeta del<br />
sionismo, a cabalista eretico. Sono<br />
tentativi d’interpretazione che non<br />
tengono, scavalcati dall’opera che<br />
vola molto più in alto per <strong>di</strong>re molto<br />
<strong>di</strong> meno e molto <strong>di</strong> più.<br />
Allo sguardo <strong>di</strong> Kafka basta<br />
guardare dalla finestra per «guardare<br />
in un deserto». Dentro Kafka c’è<br />
Leopar<strong>di</strong>, quando scrive che «la caratteristica<br />
decisiva <strong>di</strong> questo mondo<br />
è la caducità», e anche Leopar<strong>di</strong><br />
e Nietzsche che osservando branchi<br />
<strong>di</strong> pecore le vedono felici perché<br />
fuori dal tempo, fuori dalla coscienza<br />
del tempo e della storia, ma per il<br />
recanatese non esenti dalla noia,<br />
che nell’uomo è «il più sublime dei<br />
sentimenti <strong>di</strong> questo mondo» perché<br />
implica la percezione del nulla<br />
in ogni momento. Ma in Kafka non<br />
c’è salvezza nella morte, che per<br />
Proust e Leopar<strong>di</strong> è almeno, quantomeno,<br />
la fine <strong>di</strong> ogni male.<br />
«Se per Proust, come si è visto,<br />
la morte è la fine <strong>di</strong> tutto: è l’annientamento,<br />
il nulla, a Kafka non è<br />
concessa conclusione, nemmeno<br />
questa conclusione». Non essendoci<br />
vera vita, non c’è neppure una<br />
vera morte. Il tema principale dell’opera<br />
<strong>di</strong> Kafka è il non poter finire,<br />
l’impossibilità della morte. Questa<br />
parola che obbliga a <strong>di</strong>re, non poter<br />
scrivere, non poter far altro che<br />
scrivere. Come L’innominabile <strong>di</strong><br />
Samuel Beckett, sempre sul punto<br />
<strong>di</strong> morire e non poter morire, <strong>di</strong> <strong>di</strong>re<br />
il silenzio e non poterlo <strong>di</strong>re. E allora<br />
«curiosa pena, curiosa colpa, bisogna<br />
continuare, forse è già fatto,<br />
forse mi hanno già detto, mi hanno<br />
forse portato sino alle soglie della<br />
mia storia, davanti alla porta che<br />
s’apre sulla mia storia, mi stupirebbe,<br />
se s’aprisse, sarò io, sarà il silenzio,<br />
lì dove sono, non so, non lo saprò<br />
mai, nel silenzio non si sa, bisogna<br />
continuare, e io continuo». •<br />
Il “manuale <strong>di</strong> combattimento” <strong>di</strong> Tiziano Scarpa<br />
Oppure, secondo la definizione dell’autore, un «sussi<strong>di</strong>ario pieno <strong>di</strong> strategie». Così l’ultimo libro del non<br />
più cannibale che cannibalizza il mondo e ce lo serve caldo sul piatto. Mescolando San Paolo a Philip K. Dick<br />
DEI PULP FU <strong>LA</strong> MENTE PIÙ ACUTA E <strong>LA</strong> PENNA PIÙ LUCIDA, MA<br />
DA ALLORA NE SON PASSATI DI FIUMI. ORA SI È TRAMUTATO IN<br />
UN MANGANELLI CHE NON HA TEMA DI SPORCARSI LE BRAGHE<br />
in questi giganti<br />
non c’è redenzione<br />
possibile, non c’è via<br />
<strong>di</strong> scampo, ma solo la<br />
<strong>di</strong>scesa nell’inumano<br />
Il linguaggio come ostetrico dell’etica,<br />
la <strong>di</strong>mostrazione formalmente perfetta<br />
che «l’Etica può essere espressa»,<br />
<strong>di</strong>versamente da quanto affermava<br />
Ludwig Wittgenstein. Impietoso, chirurgico,<br />
iperrealistico, preciso, e insieme<br />
compassionevole, accorato, emotivamente<br />
coinvolto da ciò che guarda e<br />
rispecchia, da ciò che rimodellizza descrivendolo:<br />
questo il linguaggio per Tiziano<br />
Scarpa, questo il linguaggio <strong>di</strong> Tiziano<br />
Scarpa.<br />
Che illustra come si può ricostruire<br />
uno stato delle cose in cui la coscienza<br />
del fatto che «alcune zone <strong>di</strong> intensità<br />
della parola, come ad esempio la letteratura,<br />
si sono affievolite, o meglio<br />
hanno teorizzato e proclamato e praticato<br />
l’affievolimento della propria parola,<br />
autoconfinandosi in un recinto<br />
sociale <strong>di</strong> puro estetismo» sia solo la<br />
con<strong>di</strong>zione contro cui lottare, memori e<br />
fautori dell’idea-manifesto supportata<br />
da questo «manuale <strong>di</strong> combattimento»,<br />
quella che «la parola è azione».<br />
Batticuore fuorilegge non si può riassumere,<br />
forse nemmeno recensire. Si<br />
può soltanto leggere. Batticuore fuorilegge<br />
anticipa neutralizzandole ipse<br />
facto misinterpretazioni come quella<br />
<strong>di</strong> Enzo De Mauro quando ritiene che<br />
«le battaglie <strong>di</strong> Scarpa sono senza oggetto»<br />
(Alias, 27 maggio 2006): “polemichette”,<br />
queste sì, che cadono a pezzi<br />
dopo due giorni. •<br />
Gemma Gaetani
SABATO 5/12 AGOSTO 2006<br />
<strong>di</strong> Davide Brullo<br />
C<br />
esare Pavese aveva i polmoni in due<br />
luoghi tra loro opposti: da una parte<br />
respirava l’aria immensa e pionieri-<br />
stica delle pianure statunitensi, dall’altra<br />
la bava <strong>di</strong> vento secca, essenziale della<br />
Grecia arcaica. Zone del tempo e del mondo,<br />
però, solo in apparenza inconciliabili.<br />
Anzi, Pavese credeva che gli States, con le<br />
loro «sensibilità nude e primor<strong>di</strong>ali», fossero<br />
un residuo <strong>di</strong> quella perduta grecità.<br />
Walt Whitman è un novello Omero,<br />
Herman Melville un folgorante, complessissimo<br />
Esiodo, Emily Dickinson è Saffo,<br />
Hart Crane è il Pindaro dell’età meccanica,<br />
William Faulkner è il primo dei tragici,<br />
Eschilo, ed Ernest Hemingway Euripide,<br />
e con una capriola da circo il gioco è<br />
fatto. Per confermare il refrain da scimmie<br />
ballerine che Pavese è stato il grande<br />
sdoganatore della letteratura a stelle e<br />
strisce si leggano i suoi articoli americani<br />
radunati in Saggi letterari (Einau<strong>di</strong>, Torino<br />
1951, 1968). Per carità, nulla <strong>di</strong> travolgente<br />
ma se contiamo che quei nomi li conosceva<br />
grosso modo solo lui, lì sta il lavoro<br />
del cercatore d’oro con il setaccio.<br />
Con quell’articolo, dal titolo in<strong>di</strong>cativo<br />
Middle West e Piemonte (era il 1931), de<strong>di</strong>cato<br />
all’opera <strong>di</strong> Sherwood Anderson,<br />
che è un po’ la cassa degli attrezzi del Pavese<br />
artista. Loro come i greci, noi come<br />
loro: eccomi, un Erodoto che ha fatto un<br />
master a Chicago.<br />
Una palude <strong>di</strong> paroloni<br />
Che poi non le azzecchi proprio tutte<br />
ci sta. Di Melville, ad esempio, Pavese non<br />
sopporta le sofisticherie, e tende a guardarlo<br />
come lo scrittore <strong>di</strong> quell’unico immane<br />
capolavoro, Moby Dick, che lui peraltro<br />
tradusse graziosamente nel 1932,<br />
salvando poco altro. Non gli garbano i<br />
congeniti <strong>di</strong>fetti – troppo allegorismo in<br />
tri<strong>di</strong>mensione postmoderna – <strong>di</strong> Mar<strong>di</strong> e<br />
ancor meno Pierre: «lo stile si fa convulso,<br />
l’ispirazione epilettica, frammentaria, il<br />
senso delle proporzioni viene meno e, su<br />
qualche pagina ancor tagliata all’antica,<br />
si stende una palude <strong>di</strong> paroloni, <strong>di</strong> stonature<br />
e <strong>di</strong> sottigliezze, che non solo è noiosa,<br />
ma dopo tutto anche ingenua. Davvero<br />
il libro sembra scritto da Achab». Ecco,<br />
noi dopo consimile descrizione lo cercheremmo<br />
per terra e per mare, quel romanzo<br />
sconsiderato, Pavese lo getta alle acque.<br />
Sia chiaro, Melville rimane sull’albero<br />
maestro («Un greco veramente è Melville»),<br />
ma non influisce per nulla sulla scrittura<br />
del piemontese. Peggio per lui.<br />
Non è che con Faulkner vada meglio.<br />
Ossia: Pavese ne riconosce la grandezza<br />
assoluta, ma non la comprende per intero.<br />
Eppure ci regala una definizione sua<br />
che è quasi un colpo <strong>di</strong> tacco: «Non è un<br />
uomo che scrive, è un angelo; un angelo,<br />
s’intende, senza cura d’anime». Le tagliole<br />
da superare, probabilmente, sono quelle<br />
del “modernismo”, che Pavese non<br />
amò proprio. Joyce può far correre brivi<strong>di</strong><br />
sulla schiena dei pionieri fessi, noi europei<br />
abbiamo Boccaccio e Rabelais; Gertrude<br />
Stein è semplicemente «insopportabile<br />
a noi». Gli Stati Uniti sono un antidoto<br />
reale, “terrestre”, al vizio letterario e dal<br />
naso all’insù europeo.<br />
Già, ma il vizio suo d’origine, il peccato<br />
originale <strong>di</strong> Pavese è quello <strong>di</strong> non aver<br />
saputo scrivere il grande romanzo. Così<br />
vanno le cose, e così, un poco subdolamente,<br />
ricamava Calvino, quando, annunciando<br />
nel 1951 proprio la cisterna <strong>di</strong><br />
saggi del piemontese, scrisse che «in verità<br />
non si può separare l’opera creativa <strong>di</strong><br />
Pavese da quella battaglia culturale», che<br />
è come <strong>di</strong>re che l’opera da sola non si regge,<br />
ha necessità <strong>di</strong> quelle lodevoli stampelle,<br />
quando tutti sanno che l’opera se è<br />
tale resiste a ogni partito, a ogni “battaglia<br />
culturale”, al suo creatore.<br />
No, Pavese non fu un grande scrittore,<br />
fu uno scrittore enormemente “gradevole”.<br />
Avrebbe voluto essere greco o statunitense<br />
– a proposito, leggete Erskine<br />
Caldwell e l’epica facile come una sorsata<br />
<strong>di</strong> sidro <strong>di</strong> John Steinbeck e scoprirete<br />
due altri cugini suoi – ma non fu né carne<br />
né pesce. Cioè: né goliardamente pionieristico,<br />
né severamente cinico. Eppure<br />
noi, e fu il nostro primo furto serio, da goderne<br />
per tutta l’estate, <strong>di</strong> lui rubammo in<br />
giovinezza un volume <strong>di</strong> tutti i romanzi.<br />
Prima restandone sedotti, poi fortemente<br />
delusi (a guardare un poco a lato sullo<br />
scaffale ci saremmo intascati Conrad o<br />
Tommaso Landolfi). Non c’è niente da fare,<br />
Pavese è uno scrittore <strong>di</strong> esperienze,<br />
ed è per questo che non c’è uno che ne<br />
possa uscire pulito, per <strong>di</strong>re, dalla lettura<br />
del Mestiere <strong>di</strong> vivere, perché sembra<br />
sempre che egli si rivolga a te, alla tua intimità,<br />
alla tua <strong>di</strong>sumana umanità. Ma<br />
questo non basta a farne un grande scrittore.<br />
Che Pavese, vista anche la trage<strong>di</strong>a<br />
della fine, sia il nostro Albert Camus (ma<br />
più quello delle Nozze e de Il rovescio e il<br />
<strong>di</strong>ritto che dello Straniero) con grammi <strong>di</strong><br />
aggressività e ferocia in meno (si legga il<br />
<strong>di</strong>ario dell’uno comparato ai Taccuini del<br />
secondo), è cosa su cui trastullarsi.<br />
Sulla poesia, poi, come a <strong>di</strong>re, altro giro,<br />
altra corsa. Pavese aveva sempre mes-<br />
<strong>LA</strong> REPUBBLICA DELLE LETTERE<br />
Il gran torinese aveva un polmone in Grecia e l’altro negli States. E Melville ed Esiodo nella stessa tasca<br />
PAVESE, OMERO E GLI USA<br />
Tra esperimenti, stu<strong>di</strong> e mirabili cadute, Cesare si lastricò la strada da Smirne a New York<br />
L’<br />
ultimo giro <strong>di</strong> chiave, alla<br />
porta <strong>di</strong> casa, dà sempre<br />
un segnale. Se davanti a<br />
essa si sono ammonticchiati i bagagli<br />
è sicuramente il segnale<br />
dell’inizio delle vacanze. Ma potrebbe<br />
anche assumere un significato<br />
più misterioso, e dare inizio<br />
a una pro<strong>di</strong>giosa trasformazione<br />
dentro casa: quella narrata<br />
in Chiuso per ferie <strong>di</strong> Maja Celia<br />
(Topipittori 2006, pp.40,<br />
¤13,00). Le e<strong>di</strong>zioni Lapis guardano,<br />
invece, alla prima tappa<br />
delle vacanze e a coloro che l’affrontano<br />
in automobile in La<br />
macchina <strong>di</strong> Celestino (2006,<br />
pp.14, ¤11,00).<br />
La Famiglia Orsetti, protagonista<br />
<strong>di</strong> mille avventure per i più<br />
piccini, nella collana “Battellino<br />
a Vapore” della Piemme junior,<br />
sogna da mesi la vacanza annuale<br />
in riva al lago, ma come qualche<br />
volta accade non sempre il<br />
luogo delle vacanze è quello che<br />
ci si attende. E <strong>di</strong>sastrose sono Le<br />
vacanze, che avventura! (2006,<br />
QUALCHE<br />
BUON CESARE<br />
PER CAPIRCI<br />
• Hermann Melville,<br />
Moby Dick (trad. it. <strong>di</strong><br />
C. Pavese), 1932,<br />
ora Adelphi,<br />
Milano 1987<br />
• William Faulkner,<br />
Il borgo (trad. it. <strong>di</strong><br />
C. Pavese), 1942, ora<br />
Adelphi, Milano 2005<br />
• Cesare Pavese,<br />
I <strong>di</strong>aloghi con Leucò,<br />
Einau<strong>di</strong>, Torino 1947<br />
• Cesare Pavese,<br />
Saggi letterari,<br />
Einau<strong>di</strong>, Torino 1968<br />
• Cesare Pavese e<br />
Ernesto De Martino,<br />
La collana viola.<br />
Lettere 1945-1950,<br />
Bollati Boringhieri,<br />
Torino 1991<br />
• La Teogonia <strong>di</strong> Esiodo<br />
e tre inni omerici<br />
(trad. it. <strong>di</strong> C. Pavese),<br />
Einau<strong>di</strong>, Torino 1981<br />
• Cesare Pavese,<br />
Il mestiere <strong>di</strong> vivere<br />
(1935-1950),<br />
Einau<strong>di</strong>, Torino 1990<br />
• Percy Bysshe Shelley,<br />
Prometeo slegato<br />
(trad. it. <strong>di</strong> C. Pavese),<br />
Einau<strong>di</strong>, Torino 1997<br />
• Cesare Pavese,<br />
Le poesie,<br />
Einau<strong>di</strong>, Torino 1998<br />
pp.32, ¤4,50) degli orsetti che<br />
velocemente torneranno a casa.<br />
Perché anche a casa si può<br />
trascorrere una bellissima vacanza.<br />
Con fantasia, un po’ <strong>di</strong><br />
amici e un cortile, Marsilio Parolini,<br />
autore <strong>di</strong> Giochi Tra<strong>di</strong>zionali<br />
(San Paolo Junior 2006, pp.40,<br />
¤6,00) ritorna alla sua infanzia:<br />
aiutati dalle vivaci illustrazioni<br />
<strong>di</strong> Silvia Balzaretti, ecco i “suoi”<br />
giochi all’aria aperta.<br />
Tre giochi al giorno li propone<br />
Geronimo Stilton con L’arricciacoda<br />
( Piemme 2006, pp.128,<br />
¤7,50) per i cento giorni <strong>di</strong> vacanza<br />
estivi. Ma se per mancanza<br />
<strong>di</strong> tempo se ne sceglie uno solo<br />
tra labirinti, indovinelli e rebus<br />
non importa, tanto sono 365<br />
e cioè un gioco per tutti i giorni<br />
dell’anno. Giochi in compagnia<br />
in fondo al mare invece per Guido<br />
Quarzo con Amici nel mare<br />
(E<strong>di</strong>zioni Piemme, pp.28,<br />
¤6,90). De<strong>di</strong>cato ai più piccini, è<br />
un invito coloratissimo a conoscere<br />
gli abitanti che vivono sot-<br />
t’acqua. E se al posto della spiaggia<br />
fosse il balcone <strong>di</strong> casa a <strong>di</strong>ventare<br />
meta delle vacanze? Viene<br />
in aiuto ai piccoli una talpa<br />
golosissima <strong>di</strong> nome Teodoro, il<br />
protagonista <strong>di</strong> Teodoro coltiva<br />
fagioli <strong>di</strong> Lars Klinting (E<strong>di</strong>toriale<br />
Scienza 2006, pp.30, ¤11,90)<br />
dove si racconta come riuscire a<br />
coltivare e a raccogliere, anche<br />
da un semplice vaso, qualche<br />
piccolo legume.<br />
Insalata, peperoncini, prezzemolo,<br />
fragole ed erba per gatto<br />
sono, invece, i protagonisti del<br />
bel libro dell’e<strong>di</strong>tore De Vecchi<br />
dal titolo Il mio primo orto <strong>di</strong><br />
Eliana Contri ed Ermes Lasagni<br />
(2006, pp.64, ¤12,90). Dal seme<br />
al frutto, il processo <strong>di</strong> coltura è<br />
raccontato anche attraverso le<br />
belle illustrazioni che esaltano<br />
un <strong>di</strong>vertente compromesso tra<br />
segno e fotografia. E un cofanetto<br />
<strong>di</strong> Jaka Book aggiunge ai vegetali<br />
(Girasole, Quercia, Mais e<br />
Olivo) piccoli animaletti come<br />
Ape, Gufo, Ragno Tartaruga<br />
so nella lista dei libri migliori da lui scritto<br />
Lavorare stanca, la prima raccolta <strong>di</strong> versi<br />
del 1936. I suoi romanzi, giu<strong>di</strong>zio che più<br />
sommario non si può, sono una variante<br />
lunga <strong>di</strong> quelle vicende e <strong>di</strong> quelle atmosfere.<br />
Che più che Walt Whitman, su cui il<br />
piemontese scrisse una tesi <strong>di</strong> laurea e<br />
molti bei pensierini, risentono <strong>di</strong> una profonda<br />
escursione in Edgar Lee Master e<br />
Charles Baudelaire, con stoccatine crepuscolari.<br />
La critica col lauro, come è noto,<br />
non la pensò mai come lui.<br />
Il silenzio fu tambureggiante all’epoca<br />
della pubblicazione del libro, e i giu<strong>di</strong>zi<br />
a tagliola dopo. «Short stories chiuse e<br />
tetre <strong>di</strong> personaggi tipizzati, che oscillano<br />
tra referto realistico e proiezione dell’autore<br />
stesso», la faceva breve Pier Vincenzo<br />
Mengaldo, con stoccata da lancil-<br />
lotto: «la poesia pavesiana ha ricevuto attenzioni<br />
anche superiori ai suoi meriti».<br />
Sul trotto lungo, però, Pavese l’ha vinta.<br />
Oggi parecchi ragazzotti scrivono come<br />
lui settant’anni fa, con quello zoccolare<br />
narrativo e malinconico assieme, da sfigati<br />
che guardano oltre la siepe un infinito<br />
scialbo. Eppure ha ragione Pavese,<br />
quello è il suo libro più “patetico” e onesto,<br />
e in cui si prepara la grande sbandata<br />
per la grecità. Liriche come Mito e i <strong>di</strong>versi<br />
“notturni” preparano la ra<strong>di</strong>calità delle<br />
Poesie del <strong>di</strong>samore. In cui un’antichità<br />
<strong>di</strong>gerita con stomaco da leone si fa cristallina,<br />
aerea, astratta, lancinante. Non gli<br />
perdoneranno neppure quegli ultimi<br />
“scherzi” i criticoni, neppure i versi postumi,<br />
etichettati da Mengaldo come una<br />
«droga <strong>di</strong> intere generazioni <strong>di</strong> liceali».<br />
Ma prima, è il 1947, c’era stato il libro<br />
più amato e più <strong>di</strong>scusso, i Dialoghi con<br />
(pp.30, ¤8,00; oppure li si può<br />
offrire ai bambini raccolti tutti in<br />
cofanetto a ¤64,00).<br />
In vacanza ci va anche Babbo<br />
Natale. Approfittando <strong>di</strong> una<br />
pubblicità in roulotte, con un cane<br />
e quattro renne al seguito<br />
scende sino alla riviera adriatica.<br />
E così Babbo Natale in vacanza a<br />
Riccione (E<strong>di</strong>zioni Piemme Junior,<br />
pp.140, ¤7,50) <strong>di</strong> Roberta e<br />
Walter Graziani, si <strong>di</strong>verte un<br />
mondo tra pia<strong>di</strong>na, ballo liscio e<br />
serate in riva al mare, tanto da<br />
trovarsi anche due giovani aiutanti<br />
per recuperare il tempo perduto<br />
in vacanza.<br />
Ultimo giro <strong>di</strong> chiave verso<br />
un’altra vacanza lontana. Da<br />
Londra a Madrid, passando per<br />
Parigi o per Vienna e senza <strong>di</strong>menticare<br />
Praga e Berlino o Roma.<br />
La Bohem Press Italia offre<br />
ai bambini le sue guide monografiche<br />
(pp.64 cartonate,<br />
¤8,50). Dal segno romantico e<br />
tranquillizzante offrono una piacevole<br />
prolusione <strong>di</strong> primi riferi-<br />
Leucò (in un’intervista ra<strong>di</strong>ofonica del<br />
1950 il piemontese, ri<strong>di</strong>mensionando la<br />
portata dei suoi romanzi, <strong>di</strong>sse con chiarezza:<br />
«Pavese ritiene i Dialoghi con Leucò<br />
il suo libro più significativo, e subito dopo<br />
vengono le poesie <strong>di</strong> Lavorare stanca»).<br />
Per negativi e domande prime<br />
Libro misterico e inattuale, esso rilegge<br />
la grecità vissuta dall’autore, per negativi<br />
e scarti, per domande prime. È come<br />
se Omero fosse stato messo in scena da<br />
Beckett, e il biancore è in ogni cosa, abbacina.<br />
«Un libro come i Dialoghi seguita a<br />
vivere con l’autore, perché è gremito <strong>di</strong> futuro<br />
e d’inespresso», scrisse Emilio Cecchi<br />
su Paragone, nel 1950. Un libro che chi<br />
ne ascolta il suono non avrebbe dubbi e se<br />
lo porterebbe <strong>di</strong>etro nell’ipotetica isola<br />
deserta. Eppure il balzo nella grecità più<br />
assolata era stato preparato da tempo.<br />
Da un romanzo “etnografico” come<br />
La luna e i falò, ad esempio, in cui già<br />
Calvino aveva letto il rapporto centrale<br />
con Il ramo d’oro <strong>di</strong> Frazer, e da un libro<br />
composito come Feria d’agosto (ora riproposto<br />
in Tutti i racconti, a cura <strong>di</strong> M.<br />
Masoero, Einau<strong>di</strong>, Torino 2006,<br />
pp.CXXI+1146, e20,80), in cui ha luogo<br />
nucleare il bel brano Del mito, del simbolo<br />
e d’altro. «Il mito è insomma una norma,<br />
lo schema <strong>di</strong> un fatto avvenuto una<br />
volta per tutte, e trae il suo valore da questa<br />
unicità assoluta che lo solleva fuori<br />
dal tempo e lo consacra rivelazione», ecco<br />
la formula geometrica <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso<br />
più <strong>di</strong> tutto amava i<br />
“<strong>di</strong>aloghi con leucò”,<br />
un erodoto passato per<br />
beckett, e le poesie che<br />
non gli perdonarono<br />
mitologico “fisso”, arido, perpetuo e che<br />
precede la letteratura, quella formula<br />
prima che Pavese è andato ricercando<br />
con pena attiva nei suoi Dialoghi. Semmai<br />
da comparare al mito “in <strong>di</strong>venire”,<br />
mosso e inquieto scandagliato per tutta<br />
la sua opera da Pier Paolo Pasolini.<br />
In serie, tutta una teoria <strong>di</strong> vigorosi<br />
passetti verso Omero e cotanti compari,<br />
dall’amore per Ernesto De Martino e la<br />
messa in mare, assieme a lui, della “Collezione<br />
<strong>di</strong> stu<strong>di</strong> religiosi, etnologici e psicologici”,<br />
la celebre “collana viola” ardentemente<br />
voluta da Pavese; poi la passione a<br />
fegato aperto per Raffaele Pettazzoni e la<br />
inesausta, oceanica messe dei suoi Miti e<br />
leggende <strong>di</strong> tutto il mondo e<strong>di</strong>ta dagli “avversari”<br />
della Utet; poi l’impresa <strong>di</strong> Rosa<br />
Calzecchi Onesti <strong>di</strong> tradurre Iliade e O<strong>di</strong>ssea<br />
seguita palmo a palmo e con spirito<br />
d’intrapresa (colto da furore eroico, Pavese<br />
cominciò una versione mai conclusa<br />
della Teogonia <strong>di</strong> Esiodo).<br />
E in mezzo, a fare da ponticello <strong>di</strong><br />
quattro assi e due corde tra le isole greche<br />
e le epiche rout degli States, i precocissimi<br />
esercizi <strong>di</strong> stile, condotti tra il 1923 e il<br />
1928, dentro il Prometeo slegato <strong>di</strong> Percy<br />
Bysshe Shelley (ora Einau<strong>di</strong>, Torino<br />
1997), cioè classicità messa in brillantina<br />
moderna, e la catabasi costante in Leopar<strong>di</strong>,<br />
superbo lettore dei classici e truce<br />
fustigatore dei “moderni”. La strada da<br />
qui a lì, da Smirne a New York, Pavese se<br />
l’era lastricata bene. Poi, è questione <strong>di</strong> armare<br />
la barca, affrontare gli oceani, e avere<br />
braccia robuste. •<br />
LIBRI PER OGNI GUSTO E PER OGNI VACANZA,<br />
IL CATALOGO È QUESTO. RISERVATO AI PICCOLI<br />
menti storico-geografici, ma soprattutto<br />
non tralasciano gli in<strong>di</strong>rizzi<br />
<strong>di</strong> musei, mostre, ludoteche,<br />
teatri e altri piacevoli luoghi<br />
creati per i bambini. L’Italia narrata<br />
per regioni e sotto forma <strong>di</strong><br />
scanzonato <strong>di</strong>ario <strong>di</strong> adolescente<br />
è l’escamotage utilizzato da Angelo<br />
Petrosino per far conoscere<br />
il nostro paese nella sua essenza<br />
più intima ai ragazzi tra storia e<br />
tra<strong>di</strong>zioni, ma anche attraverso<br />
poesie, ricette e aneddoti. In...<br />
con Valentina (Piemme Junior<br />
2006, pp.90, ¤7,90,) è una serie<br />
monografica per ogni regione. E<br />
se alla fine <strong>di</strong> questi volumetti<br />
quattro pagine sono lasciate<br />
bianche per annotare i propri ricor<strong>di</strong>,<br />
E<strong>di</strong>toriale Scienza ne fa un<br />
apposito libro dal titolo Il mio<br />
Diario delle Vacanze (2006,<br />
pp.40, ¤13,90). Niente noiosissimi<br />
compiti, ma spazi per incollare<br />
foglie, foto, conchiglie e ritagliare<br />
scatole per celare i ricor<strong>di</strong><br />
più belli e segreti. •<br />
Aurora Marsotto<br />
LO SCAFFALE DEI<br />
LIBRI GIALLI E NERI<br />
a cura <strong>di</strong> Enrico Colombo<br />
N<br />
icolai Röschlaub, anziano e noto<br />
me<strong>di</strong>co, nel 1835 è invitato all’i-<br />
naugurazione della prima ferro-<br />
via a vapore: vi si reca, insieme all’amata<br />
nipote, eccitatissima all’idea <strong>di</strong> poter<br />
viaggiare per la prima volta su un tale<br />
gioiello della tecno-<br />
WOLFRAUM logia. Il viaggio per<br />
FLEISCHHAUER, la Germania della<br />
IL LIBRO CHE Rivoluzione indu-<br />
CAMBIÒ IL MONDO, striale riporta Nico-<br />
Longanesi,<br />
lai a Norimbrega,<br />
Milano 2006, città in cui aveva<br />
pp.432, ¤16,60 vissuto da giovane,<br />
come assistente del<br />
me<strong>di</strong>co condotto, dopo essere stato<br />
cacciato dal precedente lavoro per alcune<br />
strane idee sulla trasmissione delle<br />
malattie. Deviando dal viaggio, pernotta<br />
in una locanda nei pressi delle rovine<br />
<strong>di</strong> un castello: lì, nel 1780, era stato testimone,<br />
ma anche protagonista, <strong>di</strong> avve-<br />
IL DOMENICALE 5<br />
ROMANZO STORICO DOVE SPUNTA PURE IMMANUEL KANT<br />
H<br />
enning Mankell aveva affermato<br />
che non avrebbe più proseguito<br />
la saga <strong>di</strong> Kurt Wallander dopo<br />
Muro <strong>di</strong> fuoco. Si è invece lasciato convincere<br />
a scrivere alcuni racconti che<br />
narrassero come<br />
HENNING<br />
Wallander fosse <strong>di</strong>-<br />
MANKELL,<br />
ventato, per l’ap-<br />
PIRAMIDE,<br />
punto, Wallander. Il<br />
Marsilio, Venezia<br />
primo racconto, in<br />
2006, pp.416, ¤17,00<br />
particolare, lo mostra<br />
giovane poliziotto,<br />
ancora in <strong>di</strong>visa e <strong>di</strong> pattuglia, ma<br />
già desideroso <strong>di</strong> entrare nella squadra<br />
omici<strong>di</strong>: il laboratorio dunque, non solo<br />
fattuale, ma psicologico in cui si forma<br />
nimenti così misteriosi da turbare l’intera<br />
sua vita. Chiamato una notte a soccorrere<br />
il nobile proprietario del castello,<br />
era stato ingaggiato dal ciambellano <strong>di</strong><br />
corte per indagare sulla sua strana morte,<br />
apparentemente frutto <strong>di</strong> un veneficio.<br />
Percorrendo la Germania illuminista<br />
per inseguire le tracce dell’assassino, Nicolai<br />
giunge a Königsberg dove conosce<br />
un maturo filosofo, Immanuel Kant.<br />
Non si svelerà la trama <strong>di</strong> questo romanzo<br />
non bellissimo e non molto originale –<br />
quanti romanzi che vogliono in<strong>di</strong>viduare<br />
nell’Illuminismo, soprattutto tedesco,<br />
un sottofondo <strong>di</strong> irrazionalismo! quanti<br />
romanzi coinvolgono Kant! – la scoprirà<br />
il lettore che avrà la pazienza <strong>di</strong> leggere<br />
432 pagine. Troverà però un personaggio<br />
interessante, Nicolai, ritratto come<br />
un giovane entusiasta e incerto e come<br />
un vecchio appagato e saggio (una citazione<br />
da Lotte a Weimar?)<br />
WAL<strong>LA</strong>NDER È MORTO? MACCHÉ, HA SOLO CAMBIATO MISURA<br />
L<br />
a casa e<strong>di</strong>trice Marsilio continua la<br />
sua politica e<strong>di</strong>toriale e pubblica<br />
un nuovo giallo scan<strong>di</strong>navo, la-<br />
sciando però la Svezia, nazione a cui si<br />
era sempre rivolta<br />
KJELL O<strong>LA</strong> DAHL, per trarre i suoi libri<br />
UN PICCOLO (basti ricordare, ve-<br />
ANELLO D’ORO, <strong>di</strong> la sche<strong>di</strong>na so-<br />
Marsilio,<br />
pra, proprio Hen-<br />
Venezia 2006, ning Mankell, con il<br />
pp.368, ¤17,50 suo Kurt Wallander),<br />
per approdare<br />
in Norvegia, pozzo ancora poco sondato.<br />
Kjell Ola Dahl è un noto psicologo e<br />
giurista, assai noto nell’aspro Nord e<br />
considerato un giallista inarrivabile, per<br />
quello straor<strong>di</strong>nario personaggio. Si potrà<br />
obbiettare che sia un’operazione furba<br />
e sfrontata: dopo il successo mon<strong>di</strong>ale<br />
raggiunto potrebbe sembrare impossibile<br />
rinunciare a una fonte <strong>di</strong> guadagno<br />
e <strong>di</strong> celebrità. In realtà, anche se si<br />
ha <strong>di</strong> fronte sicuramente un Mankell<br />
“minore”, questo libro offre alcuni non<br />
trascurabili e gradevoli spunti narrativi:<br />
il rapporto <strong>di</strong> Wallander con il padre,<br />
sempre visto, nei romanzi, vecchio e<br />
ammalato, ma qui ancora vitale, il legame<br />
con la moglie e con la figlia piccola.<br />
Insomma: momenti da vero romanzo,<br />
anche se <strong>di</strong>spersi in racconti, apparentemente<br />
non unitari.<br />
SE VI PIACE IL MISTERO SVEDESE PROVATE CON <strong>LA</strong> NORVEGIA...<br />
E<br />
aver creato il personaggio dell’ispettore<br />
Gunnarstranda, funzionario della squadra<br />
omici<strong>di</strong> <strong>di</strong> Oslo. Descritto come un<br />
uomo <strong>di</strong> mezza età, sovrappeso e ben<br />
poco attraente, utilizza il suo atteggiamento<br />
sottotono e sornione per spiazzare<br />
gli indagati, aiutato dal suo assistente<br />
Frølich. Questa prima indagine lo<br />
impegna nella ricerca dell’assassino <strong>di</strong><br />
una bellissima ragazza, Katrine Bratterud,<br />
trovata nuda in un campo e identificata<br />
per un particolare tatuaggio. È questa<br />
l’occasione per l’autore per ripercorrere<br />
con sguardo partecipe le vicende <strong>di</strong><br />
Katrine che aspira alla felicità, sullo sfondo<br />
<strong>di</strong> una Norvegia desolata.<br />
...PER POI TORNARE A STOCCOLMA CON IL COMMISSARIO BECK<br />
cco il secondo giallo dei coniugi reato: rilasciato, abita ora proprio nella<br />
Sjöwall e Wahlöö pubblicato da stessa citta<strong>di</strong>na della vittima. Grazie a<br />
Sellerio, fedele al progetto <strong>di</strong> re- questo pretesto, che lo lega al primo rocupero<br />
<strong>di</strong> romanzi ormai un po’ <strong>di</strong>mentimanzo <strong>di</strong> Beck, questo libro mostra una<br />
cati ma meritevoli <strong>di</strong> trama narrativa complessa, costruita<br />
MAJ SJÖWALL attenzione. Il prota- grazie a continui e intelligenti riman<strong>di</strong>.<br />
E PER WAHLÖÖ, gonista <strong>di</strong> questa Ciò è anche l’occasione, per la coppia <strong>di</strong><br />
UN ASSASSINO avventura è sempre scrittori, per descrivere la vita svedese <strong>di</strong><br />
DI TROPPO,<br />
Sellerio,<br />
Palermo 2005,<br />
pp.394, ¤12,00<br />
il commissario Martin<br />
Beck, capo della<br />
squadra omici<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
Stoccolma, è qui al-<br />
provincia negli anni Sessanta, così <strong>di</strong>versa<br />
da quella <strong>di</strong> Stoccolma, della capitale<br />
scintillante e colta: nella lontana Scania,<br />
sembra invece <strong>di</strong> vivere ancora agli inizi<br />
le prese con un omi- del Novecento, nonostante la modernici<strong>di</strong>o<br />
commesso nella Scania, forse da tà socialdemocratica e tollerante, che<br />
un maniaco Ne è sospettato un uomo, <strong>di</strong>viene però oggetto <strong>di</strong> aspra critica nel-<br />
colpevole, anni ad<strong>di</strong>etro, dello stesso le parole <strong>di</strong> Beck.<br />
UNA TRUPPA DI DONNE CHE FILOSOFEGGIANO SUI DELITTI<br />
A<br />
lexander Mc Call Smith è noto al che, con cui ha fondato il “Club dei filo-<br />
pubblico italiano per aver dato sofi <strong>di</strong>lettanti”, si trova sempre implicata<br />
vita a gialli ambientati in Botswa- in misteri, apparentemente banali ma, in<br />
na e al personaggio <strong>di</strong> Precious Ramot- realtà, intricati e sottili. Qui, mentre assiswe,<br />
detective priste a un concerto, è testimone della ca-<br />
ALEXANDER MC vata, titolare <strong>di</strong> duta <strong>di</strong> un giovane uomo dalla galleria<br />
CALL SMITH, un’agenzia investi- della sala concerti. Ben presto, però, da<br />
IL CLUB DEI<br />
gativa a Gaborone. testimone, <strong>di</strong>viene un’investigatrice im-<br />
FILOSOFI<br />
DILETTANTI,<br />
Guanda, Parma 2006,<br />
pp.264, ¤14,50<br />
Torna con questo libro<br />
ad ambientazioni<br />
europee e, in<br />
particolare, alla sua<br />
placabile, coa<strong>di</strong>uvata dalle aderenti al<br />
suo circolo, Cat, Jamie e Grace, versate<br />
in <strong>di</strong>verse professioni e travagliate dai<br />
più vari e complessi problemi personali.<br />
amata E<strong>di</strong>mburgo, Questo romanzo si segnala per un’at-<br />
delineando una nuova protagonista delmosfera da vecchia Scozia e per il tentale<br />
sue avventure, Isabel Dalhousie, retivo dell’autore <strong>di</strong> immedesimarsi in una<br />
dattrice della Rivista <strong>di</strong> etica applicata. certa narrazione femminile. Con un esi-<br />
Circondata dalle sue inseparabili amito certo gradevole.<br />
COME A DIRE: NELLO ZAINO UN MAIGRET NON FA MAI MALE<br />
A<br />
rdua scelta quella <strong>di</strong> scegliere il libro<br />
da insaccare nello zaino prima<br />
delle agognate partenze estive.<br />
Noi, da professorini bacchettoni, saremmo<br />
tentati <strong>di</strong> stilare una lista <strong>di</strong> tali “mat-<br />
toni” che vi verreb-<br />
GEORGES<br />
be voglia <strong>di</strong> tornare<br />
SIMENON,<br />
imbucati in ufficio<br />
GLI SCRUPOLI piuttosto che inabis-<br />
DI MAIGRET, sarvi nella lettura. Si<br />
Adelphi, Milano 2006, sa come siamo fatti,<br />
pp.154, ¤8,00 ce lo rimproverano a<br />
destra e a manca.<br />
Ma no, siamo seri, un libro, se ha da essere<br />
“vacanziero” deve almeno mescere in<br />
speciale succo la qualità narrativa a quella<br />
dell’intrattenimento puro e netto, altrimenti<br />
che vacanza è? Ecco, allora, il libro<br />
da po<strong>di</strong>o <strong>di</strong> questo scaffale: l’intramontabile<br />
e bulimico Simenon, che ha imparato<br />
da Céline – che peraltro ricambiava la stima<br />
– il gusto <strong>di</strong> sondare perversioni e bassezze<br />
dell’animo umano, ma con scrittura<br />
assai più piana, me<strong>di</strong>a e scorrevolissima.<br />
L’Orfeo che compie questa <strong>di</strong>scesa agli<br />
inferi con perpetua risalita è manco a <strong>di</strong>rlo<br />
il commissario Maigret, il cui immane corpus<br />
<strong>di</strong> opere nelle quali fa la parte del leone<br />
viene e<strong>di</strong>to da Adelphi volumetto per<br />
volumetto come un <strong>di</strong>stillato <strong>di</strong> lusso.<br />
Questa volta la vicenda, che interessa sì<br />
ma pure per come è scritta e tirata per le<br />
lunghe, ha a che vedere con un tizio che si<br />
occupa <strong>di</strong> treni giocattolo e con la moglie<br />
del suddetto che lo vorrebbe – ma è vero?<br />
ma perché poi? – anzitempo nella tomba.<br />
Stare stravaccati sulla rena o su ameni<br />
praticelli montani rovellandosi – e <strong>di</strong>vertendosi<br />
– attorno alla rara moralità del<br />
francese produrrà lieti frutti. D.B.
6 IL DOMENICALE FINESTRE APERTE SABATO 5/12 AGOSTO 2006<br />
M<br />
I<br />
i trovavo in un’altra fase<br />
dell’esistenza. Ero libero<br />
dai limiti del Tempo, e in<br />
una relazione nuova con<br />
lo Spazio.<br />
Tale è la povertà della lingua inglese<br />
che io sono costretto a usare il tempo<br />
passato nelle mie descrizioni. Potremmo<br />
avere un verbo tale da avere molte forme<br />
in<strong>di</strong>fferenti al tempo, ma non l’abbiamo.<br />
Mi accadde <strong>di</strong> osservare, in queste<br />
con<strong>di</strong>zioni, il moto <strong>di</strong> parecchi sistemi<br />
solari tutti insieme. È affascinante vedere<br />
ogni loro parte con uguale chiarezza,<br />
soprattutto quando si è stufi, come me,<br />
<strong>di</strong> lenti e obiettivi, <strong>di</strong> rifrazione, colori<br />
prismatici e congegni acromatici. Il piacere<br />
<strong>di</strong> non avere praticamente <strong>di</strong>stanze,<br />
<strong>di</strong> fare a meno <strong>di</strong> questi ingombranti telescopi,<br />
e allo stesso tempo <strong>di</strong> non aver<br />
nulla <strong>di</strong> troppo piccolo da non poter essere<br />
osservato, <strong>di</strong> eliminare i microscopi,<br />
fasti<strong>di</strong>osi se non ingombranti, può <strong>di</strong>fficilmente<br />
essere descritto in una lingua fisica<br />
o materiale come la nostra.<br />
Nel momento da me descritto, avevo<br />
deliberatamente limitato la mia osservazione<br />
a circa venti o trentamila sistemi<br />
solari, scegliendo quelli che, quando andavo<br />
a scuola sulla Terra, mi erano stati<br />
più vicini. Niente è piú bello che guardare<br />
il movimento, in rapporti perfettamente<br />
armoniosi, dei pianeti attorno al<br />
loro centro, dei satelliti attorno ai loro<br />
pianeti, dei soli, con i loro pianeti e satelliti,<br />
attorno al loro centro, e <strong>di</strong> questi attorno<br />
ai loro centri. E per persone che<br />
hanno amato la Terra quanto me, e che,<br />
mentre erano a scuola lí, hanno stu<strong>di</strong>ato<br />
altri mon<strong>di</strong> e stelle, allora <strong>di</strong>stanti, con<br />
tanta attenzione quanto me, nulla, a mio<br />
parere, è più affascinante che osservare<br />
contemporaneamente queste azioni e<br />
interazioni, che vedere le comete passare<br />
da un sistema all’altro, scaldandosi al<br />
calore <strong>di</strong> un sole ora bianco, ora multicolore:<br />
vedere la gente <strong>di</strong> questi mon<strong>di</strong> mutare<br />
abiti e abitu<strong>di</strong>ni col mutare della lu-<br />
Limitai il mio stu<strong>di</strong>o<br />
a circa ventimila<br />
sistemi solari. Era a<br />
<strong>di</strong>r poco emozionante<br />
ce e ascoltare le loro curiose <strong>di</strong>scussioni<br />
quando giustificano il nuovo e mettono<br />
in ri<strong>di</strong>colo il vecchio.<br />
Mi ci volle un certo sforzo per adattarmi<br />
ai vecchi punti <strong>di</strong> vista. Ma avevo<br />
un Mentore così amabile e così paziente,<br />
il cui livello era infinitamente superiore<br />
al mio. Lui sapeva quanto io amassi la<br />
Terra, e, se ce ne fosse stato bisogno, si<br />
sarebbe dato da fare fino all’ultimo per<br />
adattarmi al caro vecchio punto <strong>di</strong> vista.<br />
Non ci fu nessun bisogno <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> sforzi,<br />
tuttavia. Era lì, proprio come mi aveva<br />
detto. Mi trovavo sul vecchio piano della<br />
vecchia eclittica. E <strong>di</strong> nuovo vi<strong>di</strong> il mio<br />
caro vecchio Orione e l’Orsa e le Pleia<strong>di</strong> e<br />
Corona e tutto il resto, come se non avessi<br />
mai visto altre figure formate dalle<br />
stesse stelle quando avevo altri punti <strong>di</strong><br />
osservazione.<br />
Ma quello che vi devo raccontare è<br />
solo una cosa.<br />
Il mio Custode ed io – senza la seccatura<br />
del tempo – stavamo osservando<br />
quei piccoli sistemi mentre i cari piccoli<br />
mon<strong>di</strong> ruotavano così regolarmente e<br />
graziosamente. Bene, era come ai vecchi<br />
tempi, quando prendevo un po’ d’acqua<br />
sulla punta <strong>di</strong> un ago e lo ponevo nel<br />
campo del mio microscopio <strong>di</strong> precisione.<br />
Suppongo, come ho detto, che allora<br />
parecchie migliaia <strong>di</strong> sistemi solari fossero<br />
lì alla mia portata contemporaneamente,<br />
solo che le parole «allora», «lì» e<br />
«contemporaneamente» hanno un significato<br />
<strong>di</strong>verso quando ci si trova in questi<br />
nuovi rapporti <strong>di</strong> spazio e tempo. Dovevo<br />
solo scegliere l’epoca da osservare. E<br />
<strong>di</strong> qualunque mondo io avevo una visione<br />
ugualmente chiara; sì, del rossore sulla<br />
guancia <strong>di</strong> una fanciulla sul pianeta<br />
Nettuno, mentre sedeva sola nel suo salottino,<br />
avevo una visione chiara quanto<br />
del balenare <strong>di</strong> una cometa che attraversava<br />
una dozzina <strong>di</strong> sistemi, e indugiava<br />
civettando con una dozzina <strong>di</strong> soli.<br />
❧<br />
II<br />
Nell’esperienza che descrivo, avevo<br />
la possibilità <strong>di</strong> scegliere sia le epoche<br />
che i luoghi. Credo che stu<strong>di</strong>osi e uomini<br />
<strong>di</strong> gusti eru<strong>di</strong>ti non si meraviglieranno<br />
quando <strong>di</strong>rò che, nel guardare la nostra<br />
cara vecchia Terra, dopo essermi intrattenuto<br />
per un momento con la storia del<br />
Nord America, per <strong>di</strong>eci o ventimila anni,<br />
io mi volsi a quella piccola terra singolare,<br />
quella lingua <strong>di</strong> terra tra l’Asia e<br />
l’Africa e quel misterioso angolo della Siria<br />
che è a nord. Terra Santa, la chiamano,<br />
e non c’è da meravigliarsene. E credo,<br />
inoltre, che nessuno si meraviglierà<br />
che io abbia scelto proprio il momento in<br />
cui una grande carovana <strong>di</strong> mercanti attraversava<br />
l’istmo – si erano già inoltrati<br />
sul versante egiziano – conducendo con<br />
loro un giovane <strong>di</strong> bell’aspetto, comprato<br />
appena uno o due giorni prima, per<br />
portarlo a sud, al mercato degli schiavi <strong>di</strong><br />
On, in Egitto.<br />
Questo giovane avvenente era Jussuf<br />
Ben Yacoub, o, come <strong>di</strong>ciamo noi, Giuseppe,<br />
figlio <strong>di</strong> Giacobbe. Era bello, del<br />
tipo più nobile <strong>di</strong> bellezza ebraica. Poteva<br />
avere 18 o 19 anni; non sono abbastanza<br />
istruito da sapere la sua età esatta.<br />
Era la mattina presto. Ricordo perfino<br />
la freschezza dell’aria mattutina, e lo<br />
squisito color madreperla del cielo. Vedevo<br />
ogni dettaglio e avevo il cuore in gola<br />
mentre osservavo la scena.<br />
La notte era stata molto calda, e i bor<strong>di</strong><br />
delle tende erano rialzati. Il bel giovane<br />
giaceva con i polsi tenuti insieme da<br />
una corda <strong>di</strong> pelo <strong>di</strong> cammello, che lo legava<br />
al braccio <strong>di</strong> un grande arabo che<br />
somigliava, per quello che mi ricordo, a<br />
Falco Nero della tribù delle Volpi. Giuseppe<br />
stava seduto per terra, con le mani<br />
così vicine l’una all’altra che la corda<br />
non si muoveva ai suoi movimenti. Poi,<br />
con un singolare gioco <strong>di</strong> abilità che non<br />
riuscii a seguire, e con uno strappo che<br />
dev’essere stato doloroso per lui, si girò e<br />
cambiò la forma del nodo nella corda.<br />
Con un abile morso degli incisivi allentò<br />
la stretta. Mordeva, e mordeva e mordeva.<br />
Evviva! Il nodo è sciolto e il ragazzo è<br />
libero da quell’uomo grande e goffo che<br />
russa al suo fianco. Ancora un istante ed<br />
è fuori; con leggerezza, scivola tra le funi<br />
delle tende, giù per il viale; ora è arrivato<br />
all’ua<strong>di</strong> che si stende arido lungo il fianco<br />
ovest dell’accampamento: altri cinquecento<br />
metri lo porteranno all’altro lato<br />
<strong>di</strong> Cheril-el-bar (la parete <strong>di</strong> roccia che<br />
corre giù dalle montagne verso ovest) e<br />
sarà libero. In quel momento, due cagnetti<br />
rabbiosi, spuntati dall’unica tenda<br />
isolata – che gli Arabi chiamano la tenda<br />
del capocarovana –, balzarono <strong>di</strong>etro <strong>di</strong><br />
lui, ringhiando e abbaiando.<br />
Il valoroso ragazzo si girò e, come<br />
avesse il sangue stesso <strong>di</strong> Davide nelle<br />
vene, e con la precisione dell’occhio <strong>di</strong><br />
Davide, scagliò una pesante pietra sul<br />
primo bastardo, così abilmente da colpirlo<br />
alla spina dorsale azzittendolo per<br />
sempre, come avrebbe potuto fare una<br />
pallottola.<br />
L’altro cagnaccio, spaventato, rimase<br />
fermo e abbaiò più ferocemente <strong>di</strong><br />
prima.<br />
Era una situazione insopportabile.<br />
Bastava che io facessi a pezzi quel bastardo<br />
che guaiva e il giovane Giuseppe<br />
sarebbe stato libero e, entro quarantotto<br />
ore, avrebbe riabbracciato il padre. I suoi<br />
fratelli sarebbero stati liberi dal rimorso,<br />
e il mondo...<br />
E il mondo?<br />
❧<br />
III<br />
Senza che nessuno mi vedesse, tesi il<br />
mio <strong>di</strong>to verso il cane, quando il mio Custode,<br />
che osservava la scena con la stessa<br />
mia attenzione, <strong>di</strong>sse: «No. Sono tutti<br />
consapevoli e tutti liberi. Sono suoi figli,<br />
come noi. Tu ed io non dobbiamo interferire,<br />
a meno che non sappiamo quello<br />
che facciamo. Vieni, e ti farò vedere».<br />
Mi fece girare nella regione che gli<br />
astronomi chiamano la regione senza<br />
stelle e mi mostrò lì un’altra serie – una<br />
serie immensa e assolutamente incalcolabile<br />
<strong>di</strong> sistemi – che in quel momento<br />
sembrava uguale a quella che avevamo<br />
osservato subito prima.<br />
«Ma non sono gli stessi – <strong>di</strong>sse il mio<br />
Custode, prontamente.<br />
– Vedrai che non sono gli stessi. In effetti,<br />
non so neanche io a cosa servono, a<br />
meno che... talvolta penso che esistano<br />
perché tu e io impariamo da loro. Lui è<br />
cosi generoso. E io non l’ho mai chiesto.<br />
Non lo so».<br />
Intanto, era assorto a cercare qualcosa<br />
tra i sistemi, e alla fine lo trovò. Me<br />
lo in<strong>di</strong>cò, e vi<strong>di</strong> un sistema simile in tutto<br />
al nostro caro vecchio sistema, e un<br />
mondo proprio come il nostro caro vecchio<br />
mondo. Lo stesso Sud America a<br />
forma <strong>di</strong> orecchio, la stessa Africa a forma<br />
<strong>di</strong> coscia <strong>di</strong> montone, lo stesso Mar<br />
Me<strong>di</strong>terraneo a forma <strong>di</strong> violino, lo stesso<br />
stivale dell’Italia, lo stesso triangolo<br />
della Sicilia. Erano tutti là. «Ora – egli<br />
<strong>di</strong>sse – qui puoi fare i tuoi esperimenti.<br />
Qui è tutto nuovo; nessuno l’ha toccato.<br />
Solo, questi qui non sono Suoi figli, sono<br />
soltanto degli esseri viventi. Non<br />
hanno consapevolezza, sebbene così<br />
sembri. Tu non farai loro del male, qualunque<br />
cosa tu faccia: essi non sono liberi.<br />
Prova qui col tuo cane morto, e ve<strong>di</strong><br />
cosa accadrà».<br />
In quale pianeta viviamo veramente? E siamo noi a vivere o ci vive il perfezionato<br />
simulacro <strong>di</strong> qualcuno che in realtà sta altrove? Dice il saggio, «non una goccia <strong>di</strong> pioggia<br />
cade senza essere bilanciata da un granello <strong>di</strong> polvere sull’altro lato dell’universo».<br />
E infatti ecco il grigio madreperla della<br />
bella mattina; quel vecchio omone<br />
goffo <strong>di</strong> un arabo che russava nella sua<br />
tenda; il bel giovane nella valle arida, lo<br />
ua<strong>di</strong>; ed ecco il cane morto – proprio com’era<br />
successo – e l’altro cane che ringhiava<br />
e guaiva. Lo spazzai via, come ho<br />
spesso spazzato via un pidocchio verde<br />
da un cespuglio <strong>di</strong> rose; tutto era <strong>di</strong> nuovo<br />
silenzioso e il giovane Giuseppe si<br />
voltò e prese a correre.<br />
Quel vecchio omone <strong>di</strong> un arabo non<br />
si svegliò. Il capocarovana non fece altro<br />
che girarsi nel letto. Il ragazzo superò<br />
l’angolo <strong>di</strong> Cheril-el-bar con attenzione,<br />
si guardò solo un attimo in<strong>di</strong>etro per accertarsi<br />
<strong>di</strong> non essere seguito; poi, con la<br />
velocità <strong>di</strong> un’antilope, continuò la sua<br />
corsa. Ma non ce n’era bisogno: aveva<br />
due ore <strong>di</strong> vantaggio prima che qualcuno<br />
si muovesse nel campo dei Ma<strong>di</strong>aniti.<br />
Poi, ecco un breve allarme. I cani morti<br />
erano stati trovati e si u<strong>di</strong>rono imprecazioni<br />
generali, cosa che mostrava come i<br />
Ma<strong>di</strong>aniti <strong>di</strong> quel periodo fossero fatalisti<br />
quanto gli Arabi <strong>di</strong> oggi. Ma nessuno<br />
pensò <strong>di</strong> fermarsi un attimo per uno<br />
Questo giovane assai<br />
avvenente era Jussuf<br />
Ben Yacoub, o meglio,<br />
Giuseppe <strong>di</strong> Giacobbe<br />
schiavo in più o in meno. Il pigrone che<br />
russava e che lo aveva lasciato scappare<br />
fu frustato per la sua negligenza, e la carovana<br />
proseguì.<br />
E Giuseppe? Dopo aver corso per<br />
un’ora, raggiunse l’acqua e fece il bagno.<br />
Ora poteva aprire la sua borsa e mangiare<br />
un pezzo <strong>di</strong> pane nero. Continuava a<br />
guardarsi intorno; non correva più, ma<br />
camminava, con il passo fermo e sicuro<br />
<strong>di</strong> un pioniere o <strong>di</strong> un esperto cacciatore.<br />
Quella notte dormì tra due rocce sotto un<br />
albero <strong>di</strong> terebinto, dove neanche un falco<br />
lo avrebbe scorto. Il giorno seguente si<br />
incamminò per i sentieri lungo la collina,<br />
come se avesse gli occhi <strong>di</strong> una lince e le<br />
zampe <strong>di</strong> una capra. Verso notte, raggiunse<br />
un accampamento; sembrava appartenere<br />
a un eminente sceicco.<br />
Non c’era nulla, qui, della sor<strong>di</strong>dezza<br />
<strong>di</strong> quei trafficanti girovaghi, i Ma<strong>di</strong>aniti<br />
figli del deserto! Tutto mostrava il<br />
lusso orientale e anche una certa stabilità.<br />
Ma si sentivano dei gemiti, e, avvicinandosi,<br />
si poteva vedere da dove provenivano.<br />
Una lunga processione <strong>di</strong> donne<br />
si percuoteva le braccia, con i lamenti<br />
più dolorosi, e cantando – o, se preferite,<br />
urlando – nei toni dell’agonia più straziante.<br />
Leah e Bilhah e Zilpah condussero<br />
la processione per tre volte attorno alla<br />
tenda del vecchio Giacobbe. Lì, come<br />
prima, le tende erano rialzate e potei vedere<br />
il vecchio accovacciato al suolo e lo<br />
splen<strong>di</strong>do mantello o scialle, dove perfino<br />
gran<strong>di</strong> macchie nere <strong>di</strong> sangue non<br />
nascondevano lo splendore della lavorazione<br />
variopinta, appeso davanti a lui sul<br />
paletto della tenda, come se non potesse<br />
rassegnarsi a metterlo via.<br />
Giuseppe balzò agilmente dentro la<br />
tenda. «Padre mio, sono qui!»<br />
Che grido <strong>di</strong> gioia! Che esclamazioni<br />
<strong>di</strong> giubilo! Quante lo<strong>di</strong> a Dio! Quale sollecito<br />
chiedersi e rispondersi! La strana<br />
processione <strong>di</strong> donne sentì il grido, e<br />
Leah, Zilpah e Bilhah si precipitarono<br />
nel luogo dell’incontro. Un momento ancora,<br />
e Judah dalla sua tenda e Reuben<br />
dalla propria guidavano la fila dei falsi<br />
fratelli. Giuseppe si girò e afferrò la mano<br />
<strong>di</strong> Judah. Lo sentii bisbigliare: «Non una<br />
parola. Il vecchio non sa nulla. Non c’è<br />
bisogno che sappia».<br />
Il vecchio fece uccidere un vitello<br />
grasso. Mangiarono e bevvero e furono<br />
contenti; per un attimo mi sentii come se<br />
non fossi vissuto invano.<br />
❧<br />
IV<br />
E questo stato d’animo durò per alcuni<br />
anni della loro vita. Veramente, come<br />
ho detto, erano anni che passavano<br />
in un baleno. Stavo a guardare e godevo<br />
<strong>di</strong> loro con quello stesso piacere con cui<br />
ci si sofferma sull’ultima pagina <strong>di</strong> un romanzo<br />
incantevole, dove tutto è primavera,<br />
sole splen<strong>di</strong>do, dolcezza e felicità.<br />
E avevo la confortante sensazione che<br />
tutto fosse opera mia. Come ero stato<br />
bravo a ridurre quel cane in polpette! Ed<br />
era davvero una brutta bestia! Nessuno<br />
avrebbe potuto volergli bene. Sebbene<br />
tutto ciò avvenisse in un baleno, tuttavia<br />
provavo un piacevole fremito <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfazione<br />
personale. Poi, le cose cominciarono<br />
a incupirsi, e cominciarono i ripensamenti.<br />
Giacobbe <strong>di</strong>ventava sempre più vecchio.<br />
Lo potevo vedere dal modo in cui rimaneva<br />
nell’accampamento mentre gli<br />
altri conducevano i loro affari. E poi,<br />
un’estate dopo l’altra, vi<strong>di</strong> il grano appassire<br />
e una specie <strong>di</strong> bufera abbattersi<br />
sugli olivi; pareva si fossero <strong>di</strong>ffuse la pestilenza<br />
tra il bestiame, e <strong>di</strong>sgrazie senza<br />
fine tra pecore e capre.<br />
Potevo vedere l’aspetto preoccupato<br />
dei do<strong>di</strong>ci fratelli, e anche i loro <strong>di</strong>scorsi<br />
erano molto tetri. Gran<strong>di</strong> mandrie <strong>di</strong><br />
cammelli ridotti a scheletri malconci,<br />
buoni a nulla, pastori che tornavano dalla<br />
regione dei laghi conducendo tre o<br />
quattro misere pecore, riferendo che era<br />
tutto ciò che rimaneva <strong>di</strong> tre-quattromila<br />
capi! Le cose cominciarono a farsi incerte,<br />
perfino nell’accampamento. Le<br />
donne piangevano e, alla fine, i fratelli<br />
tennero una grande riunione con i capi<br />
dei pastori, i cammellieri e i padroni <strong>di</strong><br />
cavalli, per sapere cosa si dovesse fare<br />
per nutrire le bestie e anche per fornire il<br />
cibo alla gente.<br />
Mi era andata così bene col cane che<br />
ero tentato <strong>di</strong> gridare, nel mio miglior<br />
caldeo: «L’Egitto! Perché non andate in<br />
Egitto? Lì c’è abbondanza <strong>di</strong> grano». Ma<br />
appena guardai l’Egitto, mi accorsi che<br />
la situazione era ancora peggiore che attorno<br />
alle tende <strong>di</strong> Giacobbe. Le inondazioni<br />
erano mancate anno dopo anno.<br />
Era stata tentata qualche misera irrigazione,<br />
ma fare affidamento su dei piccoli<br />
giar<strong>di</strong>ni innaffiati era come nutrire le<br />
schiere d’Egitto <strong>di</strong> erba pepe e ravanelli.<br />
«Ma i granai – <strong>di</strong>ssi io – dove sono i granai?»<br />
Granai? Non c’erano granai. Tutto<br />
per colpa <strong>di</strong> una cricca <strong>di</strong> imbecilli che<br />
governava l’Egitto in quel momento.<br />
Avevano avuto buoni raccolti un anno<br />
dopo l’altro, e anche per molti anni, ma<br />
avevano sprecato la buona sorte, come,<br />
per quanto ne so, altre nazioni. Diamine,<br />
potevo vedere il luogo in cui avevano<br />
bruciato tutto il grano <strong>di</strong> un’annata per<br />
far posto al raccolto più recente dell’an-<br />
no dopo. Non c’era stato un Giuseppe figlio<br />
<strong>di</strong> Giacobbe a pre<strong>di</strong>sporre la conservazione<br />
del raccolto in quegli anni <strong>di</strong> abbondanza.<br />
L’uomo che avevano come<br />
capo era un <strong>di</strong>lettante svagato, il quale<br />
era impegnato nel restauro <strong>di</strong> alcune<br />
vecchie sculture <strong>di</strong> duecentocinquanta<br />
anni prima. E, in breve, i conta<strong>di</strong>ni e gli<br />
Egizi della casta superiore stavano tutti<br />
morendo <strong>di</strong> fame. Quello era, come cominciavo<br />
a pensare un po’ a <strong>di</strong>sagio, ciò<br />
che avevo causato quando avevo puntato<br />
il <strong>di</strong>to sul cagnaccio giallo ringhioso<br />
della sentinella ma<strong>di</strong>anita.<br />
Be’, è una lunga storia, e neanche<br />
piacevole; sebbene, come ho detto, mentre<br />
io e il mio compagno stavamo a guar-<br />
dare, tutto avveniva in un baleno, potrei<br />
anche <strong>di</strong>re in meno <strong>di</strong> un baleno. La gloria<br />
e il benessere degli accampamenti dei<br />
figli <strong>di</strong> Giacobbe svanirono. Tutto <strong>di</strong>venne,<br />
in pratica, una lotta serrata contro la<br />
carestia. Invece <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> lieti, ricchi,<br />
agiati proprietari <strong>di</strong> pascoli, con migliaia<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenti e un numero incalcolabile<br />
<strong>di</strong> cammelli, cavalli, buoi e pecore,<br />
ecco davanti ai miei occhi pochi vagabon<strong>di</strong>,<br />
scarni e mezzi morti <strong>di</strong> fame, che<br />
vivevano della selvaggina che riuscivano<br />
a uccidere in una caccia fortunata, e<br />
che talvolta si riducevano a mangiare cavallette<br />
o il miele degli alberi.<br />
Quello che mi addolorava <strong>di</strong> più era<br />
vedere quelle brave persone catturate,<br />
una dopo l’altra, dalle brutali guarnigio-<br />
GIÙ<br />
un racconto <strong>di</strong> Edward Eve<br />
Mi addolorava vedere<br />
quelle buone persone<br />
razziate e depredate<br />
dalle genti <strong>di</strong> Canaan<br />
ni delle città <strong>di</strong> Canaan. Solo il cielo sa da<br />
dove vennero questi <strong>di</strong>avoli o come se la<br />
cavarono con la carestia. Ma eccoli lì,<br />
nelle loro fortezze, a vivere, appunto, come<br />
<strong>di</strong>avoli, con abitu<strong>di</strong>ni così bestiali<br />
che non insu<strong>di</strong>cierò questi fogli con esse,<br />
e con una sorta <strong>di</strong> abilità che ancora chiamiamo<br />
«<strong>di</strong>abolica», cosicché non mi meraviglio<br />
che siano stati chiamati «adoratori<br />
del <strong>di</strong>avolo» in tutta la letteratura che<br />
conosco.<br />
Ricordo come fui <strong>di</strong>sgustato quando<br />
li vi<strong>di</strong> attraversare la regione del Nilo con<br />
le loro navi ed eliminare, dal primo all’ultimo,<br />
gli Egizi sopravvissuti alla carestia.<br />
Allo stesso modo, ho visto uno sciame <strong>di</strong><br />
insetti posarsi su un rosaio e <strong>di</strong>struggerlo<br />
in un’ora o due. Questa fu la fine dell’Egitto.<br />
Poi guardai, con un interesse ora<br />
privo <strong>di</strong> allegria, la colonia <strong>di</strong> Didone,<br />
mentre navigava con un immenso equipaggio<br />
<strong>di</strong> Cananei adoratori <strong>di</strong> Moloc, i<br />
loro riti, le loro abitu<strong>di</strong>ni bestiali, e fondava<br />
Cartagine. Fu interessante vedere il<br />
povero Enea che vagava per il Me<strong>di</strong>terraneo,<br />
mentre Didone e la sua gente se la<br />
passavano così bene – o cosi pensavano<br />
– sulla riva africana.<br />
Ammetterò che adesso ero piuttosto<br />
in ansia. Non solo per quello che si vedeva<br />
– una grande e sfarzosa città – sui pen<strong>di</strong>i<br />
del monte Moria e Sion. Ma mi faceva<br />
star male vedere certi riti, e mi tappavo le<br />
orecchie piuttosto che sentire quei canti.<br />
O Dio! Le grida <strong>di</strong> quei poveri bambini<br />
mentre, a centinaia, venivano bruciati<br />
vivi a Hinnom, e le loro madri danzavano<br />
e urlavano presso i fuochi! Ancora<br />
adesso non posso parlarne. Non potevo<br />
sopportarne la vista a lungo. Ma altrove<br />
la situazione non era migliore. Provai<br />
con la Grecia, ma fu inutile. Quando cercai<br />
l’arrivo <strong>di</strong> Danao con le opere d’arte e<br />
la cultura egiziana – Toonth, penso lo<br />
chiamassero in Egitto – <strong>di</strong>amine, non
SABATO 5/12 AGOSTO 2006<br />
Vicenda <strong>di</strong> un vigoroso scrittore d’oltreoceano che simula <strong>di</strong> vagare per gli spazi celesti<br />
libero da qualsiasi limite temporale. E comprende che non tutto, nel cosmo intero,<br />
è retto dall’amore universale. Ovvero, favola con retrogusto sapienziale che non guasta<br />
LE MANI<br />
rett Hale<br />
c’era nessun Toonth e nessuna opera<br />
d’arte egiziana, perché quei bruti <strong>di</strong> Cananei<br />
avevano ripulito l’Egitto. I Pelasgi<br />
erano in Grecia, e in Grecia rimasero. Costruivano<br />
gran<strong>di</strong> mura – non capivo perché<br />
– ma vivevano in baracche che<br />
avrebbero fatto storcere il naso a un rispettabile<br />
Apache, e, secolo dopo secolo,<br />
costruivano e vivevano sempre nelle<br />
stesse capanne. «Riguardo alle buone<br />
maniere, non ne avevano, e le loro abitu<strong>di</strong>ni<br />
erano a <strong>di</strong>r poco ripugnanti». Quando<br />
venne l’ora <strong>di</strong> Cadmo, non ci fu nessuna<br />
occasione per lui. Forse egli arrivò,<br />
forse no. Tutto quello che so, è che l’invasione<br />
molochita dell’Egitto aveva cancellato<br />
integralmente l’alfabeto e le sue<br />
lettere, e che, se Cadmo ci fu, egli era meno<br />
progre<strong>di</strong>to dei Pelasgi tra i quali sbarcò.<br />
In verità tutta la Grecia era in una tale<br />
confusione che mi ripugnava seguire la<br />
sua grossolana stupi<strong>di</strong>tà e le selvagge<br />
scorrerie che gli abitanti delle valli compivano<br />
contro i vicini. Ecco cosa avevo<br />
fatto per loro quando avevo ridotto in<br />
polpette quel piccolo cane giallo con tanta<br />
<strong>di</strong>sinvoltura.<br />
Enea e la sua gente sembravano fare<br />
qualche progresso, all’inizio. Potevo vedere<br />
le sue navi, con le foglie ver<strong>di</strong> che<br />
ancora crescevano sull’albero maestro,<br />
uscire <strong>di</strong> fretta dal porto <strong>di</strong> Didone. Vi<strong>di</strong><br />
il povero Palinuro cadere. Vi<strong>di</strong> Ascanio e<br />
gli altri mangiare le proprie mense. Era<br />
abbastanza strano sentire i vecchi versi<br />
semi<strong>di</strong>menticati <strong>di</strong> Dryden – che conosco<br />
molto meglio <strong>di</strong> Virgilio, per mia vergogna<br />
– tornarmi alla mente, mentre il<br />
povero Niso implorava la salvezza per<br />
l’amico, la povera Camilla moriva <strong>di</strong>ssanguata<br />
e Turno lottava inutilmente<br />
con tutte le sue forze. Sì, vedevo Romolo<br />
e tutti gli altri, proprio com’è nel volumetto<br />
<strong>di</strong> storia <strong>di</strong> Harry e Lucy. Mi consolai<br />
con Bruto; chiusi gli occhi quando<br />
la nobile Lucrezia si pugnalò; e il rapido<br />
stereoscopio – perché veramente cominciavo<br />
a pensare che fosse uno stereoscopio<br />
– <strong>di</strong>ventava sempre più affascinante,<br />
fino ad arrivare alla seconda<br />
guerra punica.<br />
Poi mi sembrò come se quel maledetto<br />
cane giallo ricomparisse. Non che lo<br />
vedessi, naturalmente. Non lui! Le sue<br />
ossa e la sua pelle erano state rose dagli<br />
sciacalli un migliaio <strong>di</strong> anni prima. Ma il<br />
male che i cani fanno sopravvive a loro; e<br />
quando vi<strong>di</strong> l’ansia sul volto <strong>di</strong> Scipione<br />
Vi<strong>di</strong> i violenti<br />
adoratori del Moloch,<br />
vi<strong>di</strong> la fine <strong>di</strong> Roma,<br />
la <strong>di</strong>struzione estrema<br />
– non lo chiamavano l’Africano –, e scorsi<br />
piccole riunioni private <strong>di</strong> virili nobili<br />
romani, e li sentii calcolare le loro risorse<br />
in declino, e paragonarle alle forze<br />
schiaccianti <strong>di</strong> Cartagine, be’, vi <strong>di</strong>co che<br />
mi sentii male.<br />
Vedete, Cartagine era semplicemente<br />
un avamposto <strong>di</strong> tutta quella marmaglia<br />
molochita dell’est. Nella storia a cui<br />
sono abituato, il Levante <strong>di</strong> allora era <strong>di</strong>viso<br />
tra l’Egitto e la Grecia, e ciò che rimaneva<br />
dell’impero <strong>di</strong> Alessandro. Ma<br />
in questo sistema – del cane-giallo – <strong>di</strong><br />
cui ero responsabile, era tutto un susseguirsi<br />
brutale <strong>di</strong> adoratori <strong>di</strong> Moloch, eccetto<br />
quei Pelasgi, <strong>di</strong> cui vi ho detto, in<br />
Grecia, che nell’equilibrio delle potenze<br />
non contavano più <strong>di</strong> quanto gli In<strong>di</strong>ani<br />
Diggers contino nell’equilibrio attuale.<br />
Era questo che rendeva il povero Scipione<br />
e gli altri così scoraggiati. E ce n’era<br />
motivo. Io, che vedevo tutto l’insieme<br />
Un uomo, valicando<br />
epoche e luoghi, decide<br />
<strong>di</strong> metterci del suo<br />
in un ameno mondo<br />
parallelo. Ne scaturirà<br />
la più devastante delle<br />
apocalissi, coinvolgendo<br />
l’Egitto, la Grecia<br />
e gli antichi romani.<br />
Dal racconto <strong>di</strong><br />
fantascienza si passa<br />
all’orrore più puro<br />
in vorticoso passo<br />
<strong>di</strong> danza. Ma la morale,<br />
come al solito, salverà<br />
capra e cavoli. Almeno<br />
fino a un certo limite<br />
Friedrich Overbeck (1789-1869):<br />
Giuseppe venduto dai suoi fratelli, 1817,<br />
da Casa Bartholdy a Roma, Berlino,<br />
Nationalgalerie © 2005. Foto Scala,<br />
Firenze/Bildarchiv Preussischer Kulturbesitz,<br />
Berlin Archivio Scala<br />
(solo che, come ho spiegato, le cose erano<br />
sconnesse), potevo vedere Annibale,<br />
con al seguito tutte le potenze del Me<strong>di</strong>terraneo<br />
eccetto l’Italia, abbattersi sui<br />
Romani e schiacciarli con la stessa facilità<br />
con cui avevo annientato il cagnaccio.<br />
No, non così facilmente, perché i Romani<br />
combattevano come furie.<br />
Piombarono nel porto <strong>di</strong> Cartagine<br />
con le loro navi incen<strong>di</strong>arie e bruciarono<br />
la flotta. Inviarono una squadra anche<br />
nel porto <strong>di</strong> Sidone, e bruciarono mezza<br />
città. Ma non servì a nulla: gli eserciti furono<br />
battuti uno dopo l’altro; la flotta fu<br />
affondata, una nave dopo l’altra, dalle<br />
gran<strong>di</strong> triremi dei cartaginesi. Ahimè! Ricordo<br />
il sartiame <strong>di</strong> una nave ammiraglia<br />
fatto coi capelli delle matrone romane.<br />
Ma era l’unica. Se fosse stato canapa <strong>di</strong><br />
Manila o filo <strong>di</strong> ferro non avrebbe resistito,<br />
quando quel brutale ammiraglio <strong>di</strong> Sidone<br />
la speronò coi suoi cento rematori.<br />
Quella battaglia fu la fine <strong>di</strong> Roma. Per<br />
prima cosa, i bruti la bruciarono. Abbatterono<br />
perfino le mura dei templi. Passarono<br />
con l’aratro ovunque fosse possibile.<br />
I ragazzi e le ragazze ancora troppo<br />
giovani per combattere vennero ridotti<br />
in schiavitù, e quella fu la fine. Tutti gli<br />
altri erano morti sul campo <strong>di</strong> battaglia, o<br />
annegati in mare.<br />
E così il Molochismo regnò un secolo<br />
dopo l’altro. Proprio così: due secoli in<br />
tutto. Che regno fu! Lussuria, brutalità,<br />
terrore, crudeltà, strage, carestia, tormento,<br />
orrore. Se non parlo della morte,<br />
è perché la morte era una bene<strong>di</strong>zione,<br />
rispetto a una vita simile. Ora che non<br />
c’era nessuno da combattere, nessuno<br />
che avesse un’idea delle cose terrene o<br />
ultraterrene, quelle spade così affilate<br />
dovevano volgersi l’una contro l’altra.<br />
Non essendoci nessun Israele da abbattere,<br />
nessun Egitto né Iran né Grecia né<br />
Roma, Moloch e Canaan si rivolsero l’u-<br />
FINESTRE APERTE<br />
no contro l’altro e si <strong>di</strong>edero battaglia.<br />
Non chiedetemi <strong>di</strong> raccontarvi questa<br />
storia! Dove una bestia combatte un’altra<br />
bestia, non c’è storia degna <strong>di</strong> essere<br />
sentita o raccontata. La furia bruta non<br />
lascia nulla da descrivere. Uccidevano<br />
col veleno, facevano morire <strong>di</strong> fame, appiccavano<br />
fuoco; flagellavano e scorticavano<br />
e crocifiggevano; inventavano forme<br />
d’orrore tali che la nostra immaginazione,<br />
grazie a Dio, non sa figurarsi, e<br />
che la nostra lingua non sa descrivere. E<br />
per tutto questo tempo, la lussuria e ogni<br />
forma <strong>di</strong> pestilenza e malanno che da<br />
quella <strong>di</strong>pendono infuriarono come infuria<br />
il fuoco quando <strong>di</strong>vampa. I bambini<br />
nascevano sempre più raramente; e<br />
quando nascevano, sembravano già<br />
mezzi morti. E quelli che arrivavano ad<br />
essere uomini e donne – ma è quasi una<br />
profanazione usare queste parole – trasmettevano<br />
una bestialità indomita a<br />
quelli che venivano!<br />
Cento anni, come ho detto. Un numero<br />
sempre minore <strong>di</strong> questi <strong>di</strong>sgraziati<br />
rimaneva al mondo. Potevo vedere campi<br />
<strong>di</strong>ventare giungle e foreste. Un incen<strong>di</strong>o<br />
<strong>di</strong>strusse Cartagine, un altro spazzò<br />
via On, e un altro pose fine a Sidone, e<br />
non ci fu né volontà né capacità <strong>di</strong> ricostruirla.<br />
Poi altri cento anni passarono,<br />
con orrori peggiori, se possibile, e in numero<br />
più grande. Il torrente della vita del<br />
Che regno fu quello!<br />
Lussuria, brutalità,<br />
terrore, strage. Sì, la<br />
morte era benedetta<br />
mondo continuò a scorrere a gocce, gocce<br />
grosse, con un rumoroso gorgoglio;<br />
gocce nere, anche, o rosse come il sangue.<br />
Meno uomini, e ancor meno donne,<br />
e tutti presi da un furore bestiale e dalla<br />
follia. La mano dell’uomo si alzava contro<br />
il fratello, come in un mondo <strong>di</strong> Caini,<br />
e tutto ciò accadeva perché non volevano<br />
accogliere Dio nella loro conoscenza.<br />
No, non descriverò quel mondo. Voi<br />
non me lo chiedete. E se me lo chiedeste,<br />
vi <strong>di</strong>rei: «No». Fatemi arrivare alla fine.<br />
I due secoli erano passati. Non rimaneva<br />
che una mandata <strong>di</strong> queste furie.<br />
Poi venne l’ultima generazione, e durò<br />
per altri trent’anni <strong>di</strong> assassini e <strong>di</strong> lotte.<br />
Alla fine – come mi sembrava strano –<br />
tutto quello che rimaneva erano due fazioni<br />
<strong>di</strong>seguali, ognuna delle quali aveva<br />
ancora il suo vessillo da combattimento,<br />
e una specie <strong>di</strong> uniforme, come fossero<br />
eserciti; ma solo quattro da un lato e nove<br />
dall’altro combattevano, come se il<br />
mondo non fosse stato abbastanza grande<br />
per entrambe, e si scontravano proprio<br />
in quella Siria dove avevo aiutato<br />
Giuseppe, figlio <strong>di</strong> Giacobbe, a gettare <strong>di</strong><br />
nuovo le braccia al collo <strong>di</strong> suo padre.<br />
Né, effettivamente, il luogo era molto<br />
lontano. Le rovine della città dei Gebusiti,<br />
fra le ultime roccaforti ad essere <strong>di</strong>strutte<br />
da uno <strong>di</strong> questi clan, erano vicine.<br />
Quella città era stata bruciata, ma le<br />
rovine fumavano ancora. Appena fuori<br />
c’era uno spazio aperto. Mi chiedo se<br />
avesse un aspetto fatale, lugubre, o era<br />
l’orrore del giorno a farmi pensare così?<br />
Ricordo una grande roccia a forma <strong>di</strong> teschio<br />
umano che spuntava dal suolo arido<br />
e grigio. Attorno a quella roccia quei<br />
dannati combattevano, quattro contro<br />
nove, nascondendosi <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> essa, ora<br />
da un lato, ora dall’altro, in quel giorno<br />
<strong>di</strong> aprile, sotto quel cielo nero.<br />
Uno è a terra! Due dell’altra fazione<br />
si inginocchiano su <strong>di</strong> lui, per strappargli<br />
l’ultimo respiro. Con un urlo <strong>di</strong> furore tre<br />
o quattro del suo gruppo, fracassando gli<br />
scu<strong>di</strong> sulle teste dei due, saltano su <strong>di</strong> loro;<br />
e posso vederne uno agitare l’ascia <strong>di</strong><br />
guerra sul suo capo, quando...<br />
Fu il metallo ad attrarre il lampo? Un<br />
frastuono! Una fiammata che mi abbagliò;<br />
quando aprii gli occhi gli ultimi bruti<br />
giacevano morti stecchiti sui lati della<br />
sinistra roccia del Calvario!<br />
❧<br />
V<br />
– Non essere turbato – <strong>di</strong>sse il mio<br />
Mentore. – Non hai fatto nulla.<br />
– Nulla? – gemetti. – Ho <strong>di</strong>strutto un<br />
mondo con la mia sventatezza.<br />
– Nulla – ripeté. – Ricorda ciò che ti<br />
ho detto: queste sono, come <strong>di</strong>re, ombre,<br />
forme in<strong>di</strong>stinte. Non sono Suoi figli. Sono<br />
solo forme che si comportano come se<br />
lo fossero, cosicché tu ed io possiamo vedere<br />
e imparare, forse cominciare a capire,<br />
anche se ciò supera la nostra comprensione.<br />
Mentre parlava, ricordo che mi lamentavo<br />
e mi <strong>di</strong>vincolavo come un bambino<br />
che piange. Ero sopraffatto dalla vista<br />
del danno che avevo causato. Non me<br />
ne davo pace.<br />
– Ascoltami – <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> nuovo. – Tu hai<br />
fatto, o volevi fare, solo ciò che tutti noi<br />
tentiamo, all’inizio. Volevi salvare il povero<br />
Giuseppe. Di che ti meravigli?<br />
– Certo che volevo salvarlo – singhiozzai.<br />
– Avrei potuto immaginarlo?<br />
Tu l’avresti immaginato?<br />
– No – egli <strong>di</strong>sse, con quel suo sorriso<br />
regale – no, non l’avrei immaginato, una<br />
volta, finché non feci anche io i miei<br />
esperimenti.<br />
E qui esitò. Forse pensava ai suoi<br />
esperimenti.<br />
Poi riprese, e il sorriso regale era ancora<br />
sul suo volto: - Lascia che ti spieghi.<br />
O lascia che provi. Volevi salvare il povero<br />
Giuseppe, lui solo.<br />
– Sì – <strong>di</strong>ssi – perché non avrei dovuto?<br />
– Perché non era solo; non poteva essere<br />
solo. Nessuno <strong>di</strong> loro era solo; nessuno<br />
<strong>di</strong> loro poteva essere solo. Diamine,<br />
sai da te che non una goccia <strong>di</strong> pioggia<br />
cade senza essere bilanciata da un granello<br />
<strong>di</strong> polvere sull’altro lato dell’universo.<br />
Come poteva Giuseppe vivere o<br />
morire da solo? Come poteva quel bruto<br />
a cui era incatenato vivere o morire da<br />
solo? Nessuno <strong>di</strong> loro era solo. Nessuno<br />
<strong>di</strong> noi è solo. Egli non è solo. Perfino Lui è<br />
in noi e noi siamo in Lui. Ma per gli uomini<br />
– e non è da molto, caro amico, che tu<br />
sei <strong>di</strong>ventato un uomo – l’unica cosa, per<br />
gli uomini, è tentare ciò che tu hai tentato.<br />
Non ho ancora conosciuto un uomo –<br />
e quanti ne ho conosciuti, grazie a Dio! –<br />
non ho ancora conosciuto un uomo che<br />
non volesse scegliere un Giuseppe da<br />
aiutare, come se il resto non contasse<br />
nulla, o come se il nostro Padre non avesse<br />
i suoi progetti.<br />
– Non ci riproverò mai più! – singhiozzai,<br />
dopo una lunga pausa.<br />
– Mai – <strong>di</strong>sse lui – è una parola lunga.<br />
Imparerai a non <strong>di</strong>re «mai». Ma ti <strong>di</strong>rò<br />
quel che farai. Quando cogli un barlume<br />
della vita in comune, quando scopri<br />
qual è il senso – devo <strong>di</strong>re del gioco o<br />
della legge? – in cui tutti loro e tutti noi,<br />
Lui in noi e noi in Lui, viviamo, allora,<br />
oh, è così bello intervenire e vivere per<br />
la comunità.<br />
Si fermò un minuto, e poi proseguì,<br />
Non hai fatto nulla,<br />
mi <strong>di</strong>sse. Ma se ho<br />
<strong>di</strong>strutto un mondo<br />
con la mia stupi<strong>di</strong>tà?<br />
dapprima esitando, come se temesse <strong>di</strong><br />
farmi male, ma poi risolutamente, come<br />
se fosse costretto a parlare:<br />
– Un’altra cosa che noto nella maggior<br />
parte degli uomini, sebbene non in<br />
tutti, è questa: essi non sembrano capire,<br />
all’inizio, che l’Idea è il tutto. Abramo<br />
aveva lasciato Ur piuttosto che avere a<br />
che fare con quella gentaglia: adoratori<br />
della Natura, penso che li chiamino. Come<br />
fu che non ti accorgesti che Giuseppe<br />
andava in Egitto con l’Idea? Poteva portare<br />
ciò che lì non avevano. E come hai<br />
potuto vedere, nell’altro luogo, senza <strong>di</strong><br />
essa, ebbene, il tuo mondo è morto.<br />
Poi ci voltammo e abbandonammo<br />
quell’orrendo mondo <strong>di</strong> fantasmi per<br />
tornare al nostro caro mondo reale. E<br />
questa volta mi misi a guardare il momento<br />
presente. Come sembrava luminoso<br />
e quant’era piacevole pensare che<br />
non avevo mai toccato il cane giallo, e<br />
che aveva trovato la morte seguendo il<br />
proprio destino!<br />
Vi<strong>di</strong> alcune cose che mi piacevano, e<br />
altre che non mi piacevano. Per caso stavo<br />
guardando le terre degli Zulù, quando<br />
il piede del povero principe Lulu scivolò<br />
sul bordo della sella. Vi<strong>di</strong> la zagaglia che<br />
lo colpì. Fossi stato un soldato al suo<br />
fianco, al suo fianco sarei anche morto.<br />
Ma no, non ero al suo fianco. E mi ricordai<br />
<strong>di</strong> Giuseppe, e <strong>di</strong>ssi:<br />
– Da ciò che chiamo male, Egli trae il<br />
bene. •<br />
IL DOMENICALE 7<br />
QUEI VIAGGI<br />
SIDERALI DEL<strong>LA</strong><br />
LETTERATURA<br />
I<br />
l racconto fantastico nasce con la<br />
letteratura. Come intendere altrimenti<br />
l’epopea omerica <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo,<br />
o il viaggio interstellare <strong>di</strong> Giasone<br />
narrato da Apollonio Ro<strong>di</strong>o, e<br />
poi, su, su, fino ad Apuleio e Luciano?<br />
Come a <strong>di</strong>re: il fantastico è la<br />
pappa del narrare. Poi, è vero, via<br />
dalle sofisticherie, ci sono epoche<br />
ed epoche, e l’Ottocento, con tutta<br />
la congiura <strong>di</strong> positivismi e scientismi<br />
e tecnologismi, fu il secolo dei<br />
“generi”. Non che non esistessero<br />
già tra gli antichi, per carità, ma in<br />
quei decenni essi cambiarono cipria.<br />
Si <strong>di</strong>rà, i Vittoriani brava gente,<br />
William Morris e Stevenson, George<br />
MacDonald e Lewis Carrol e poi<br />
Shiel, Bellamy, Haggard, fino al padre-padrone<br />
H. G. Wells. Con una<br />
massa <strong>di</strong> precursori predarwiniani<br />
(quantomeno, che marcia in più<br />
<strong>di</strong>edero alla letteratura le scimmiesche<br />
ipotesi <strong>di</strong> Darwin!), da Swift a<br />
Mary Shelley, fino a Defoe e allo<br />
Shakespeare della Tempesta.<br />
Eppure, landa mirabile, moderno<br />
hic sunt leones dell’Occidente,<br />
furono gli Stati Uniti a donarci i più<br />
esorbitanti esempi del “genere”. E<br />
non parliamo solo <strong>di</strong> Poe, inventore<br />
del moderno noir e dell’horror, <strong>di</strong><br />
Lovecraft e <strong>di</strong> Stephen King come <strong>di</strong><br />
Raymond Chandler, e della celebrale<br />
poesia decadente. No, qui si parla<br />
<strong>di</strong> una truppa <strong>di</strong> eroi a stelle e strisce,<br />
più o meno noti. «L’America,<br />
costituendosi come universo parallelo<br />
e autonomo rispetto alla tra<strong>di</strong>zione<br />
europea, genera inevitabilmente<br />
altri universi, altre terre, in<br />
cui si riproducono le con<strong>di</strong>zioni del<br />
viaggio nella wilderness senza ritorno»,<br />
parole <strong>di</strong> Carlo Pagetti da<br />
cui abbiamo estrapolato l’idea e il<br />
racconto <strong>di</strong> queste pagine (si veda Il<br />
laboratorio dei sogni. Fantascienza<br />
americana dell’Ottocento, E<strong>di</strong>tori<br />
Riuniti, Roma 1988). Il Nordamerica,<br />
ovvero, il passaggio dal sogno<br />
all’incubo. Ovvero: non c’è scrittore,<br />
<strong>di</strong> quella generazione <strong>di</strong> eroi ottocenteschi,<br />
cioè <strong>di</strong> americani <strong>di</strong> se-<br />
conda generazione, che non abbia<br />
fatto pratica con il racconto ultragotico<br />
(poi verrà, u<strong>di</strong>te u<strong>di</strong>te, Faulkner).<br />
Dalla raffinatezza <strong>di</strong> Hawthorne<br />
a Melville, il cui esperimento,<br />
cioè il racconto La torre campanaria,<br />
è una delle perle della sua opera. Ecco,<br />
Melville, archetipo emersoniano<br />
dello scrittore “fai da te”. Che<br />
dai racconti <strong>di</strong>dascalici passa al capolavoro,<br />
stu<strong>di</strong>ando, leggendo, con<br />
quel <strong>di</strong>lettantismo made in States e<br />
che è anche la sovrana forza <strong>di</strong> quella<br />
letteratura rispetto a quella, parecchia,<br />
occhialuta e impettita dei<br />
colleghi europei.<br />
E poi Jack London e Mark<br />
Twain, Ambrose Bierce e Washington<br />
Irving. E poi questo assai men<br />
noto Edward Everett Hale (1822-<br />
1909), <strong>di</strong> professione teologo e pastore<br />
della chiesa unitaria, che<br />
scrisse alcune novelle tra le più interessanti<br />
della letteratura americana<br />
tardo ottocentesca. La più nota tra<br />
queste è senz’altro The Man Without<br />
a Country, pubblicata nel<br />
1863 sull’Atlantic Monthly e precocissimamente<br />
tradotta in Italia da<br />
Libera <strong>di</strong> Maria Davit Lunati nel<br />
1915. Da allora nulla più nel Belpaese,<br />
tranne la pubblicazione con<br />
testo a fronte per le e<strong>di</strong>zioni Nord <strong>di</strong><br />
La luna <strong>di</strong> mattoni (trad. it. Annarita<br />
Guarnieri, Milano 1987). La sua peculiarità?<br />
Come in questo bel racconto,<br />
mescolare il fantascientifico<br />
a una spiccata tensione morale, finanche<br />
con allusioni teologiche<br />
spicce ed “esotiche”. Da questi<br />
americani alla generazione degli<br />
Asimov e dei Philip K. Dick il passo è<br />
all’apparenza brevissimo. Si legga<br />
allora, sinotticamente a questo testo,<br />
la perfetta Antologia della fantascienza<br />
dal titolo largo Le meraviglie<br />
del possibile curata da Sergio<br />
Solmi e Carlo Fruttero nel 1973 e or<br />
ora rie<strong>di</strong>ta da Einau<strong>di</strong> (Torino 2006,<br />
pp.XXIV+560, e13,50). D.B.
SABATO 5/12 AGOSTO 2006 <strong>LA</strong>BIRINTI DEL<strong>LA</strong> COMUNICAZIONE<br />
IL DOMENICALE 9<br />
Il feuilleton in un museo. Virtuale<br />
Da sempre il fascicolo popolare me<strong>di</strong>a contenuti talvolta importanti tra la cultura “alta” e le masse. Per questo<br />
il <strong>Centro</strong> Stu<strong>di</strong> sulla “Popular Culture” <strong>di</strong> Torino ha intrapreso una straor<strong>di</strong>naria opera <strong>di</strong> preservazione e <strong>di</strong> <strong>di</strong>vulgazione<br />
C’<br />
è ancora un El Dorado non raggiunto,<br />
una Ultima Thule che<br />
sempre sfugge. È il mondo del<br />
fascicolo popolare, piccolo omnibus<br />
delle passioni e delle curiosità della<br />
gente normale del tempo che fu.<br />
Sappiamo infatti bene cos’è se non<br />
ce lo chiedono, ma se dovessimo fornirne<br />
qualche dettaglio finiremmo immancabilmente<br />
per essere evasivi. Lui, invece,<br />
il fascicolo popolare, è stato storicamente<br />
il tramite fra la cultura “alta” e le<br />
masse, talora pure veicolando, volgarizzati<br />
(resi cioè pane per il popolo),<br />
contenuti importanti.<br />
A monte del fascicolo popolare c’è<br />
infatti un altro fenomeno, straor<strong>di</strong>nario,<br />
che gli stu<strong>di</strong>osi definiscono oggi con<br />
fare tecnico popular culture.<br />
Sì, gli stu<strong>di</strong>osi, perché oramai la cosa<br />
è <strong>di</strong>venuta materia <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> anche accademici.<br />
Ve<strong>di</strong> il CESPOC, per esempio,<br />
il <strong>Centro</strong> Stu<strong>di</strong> sulla “Popular Culture”,<br />
presieduto a Torino da Andrea Menegotto<br />
e coor<strong>di</strong>nato sul piano scientifico<br />
dal sociologo delle religioni Massimo<br />
Introvigne, che del fenomeno si occupa<br />
in maniera seria e profonda.<br />
Ci si domanderà a questo punto perché<br />
non “cultura popolare”, all’italiana.<br />
Be’ perché questa espressione, <strong>di</strong>cono<br />
al CESPOC, grazie a una scuola <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi<br />
rispettati in tutto il mondo, fa riferimento<br />
imme<strong>di</strong>ato al folklore, mentre<br />
Il web mette in mostra l’edro della lingua italiana<br />
È online il “Tesoro della lingua italiana delle origini”, dove l’Accademia della Crusca ci spiega le parole che usiamo<br />
L<br />
a nostra favella online. Pratici<br />
ed economici, numerosi sono<br />
gli strumenti per la consultazione<br />
linguistica <strong>di</strong>sponibili in rete.<br />
Il ricorso al web fa parte <strong>di</strong> un<br />
processo <strong>di</strong> adozione degli strumenti<br />
multime<strong>di</strong>ali in corso ormai<br />
da qualche anno.<br />
Paravia e Garzanti, per esempio,<br />
hanno già proposto la versione<br />
in cd-rom dei <strong>di</strong>zionari, con i rispettivi<br />
aggiornamenti. A partire<br />
dal linguista Tullio De Mauro del<br />
quale su www.demauroparavia.it<br />
si propone la versione <strong>di</strong>gitale del<br />
vocabolario cartaceo.<br />
Ma ci si può muovere anche in<br />
modo opposto. Il bel Vocabolario<br />
Etimologico della Lingua Italiana<br />
(1907) <strong>di</strong> Ottorino Pianigiani in<br />
versione online su www.etimo.it è<br />
un work in progress in vista <strong>di</strong> una<br />
prossima e<strong>di</strong>zione su cd-rom. Per<br />
la ricchezza dei servizi offerti, come<br />
la ricerca <strong>di</strong> neologismi e <strong>di</strong> sinonimi<br />
regionali oltre alla possibilità<br />
<strong>di</strong> porre quesiti linguistici, non<br />
si può inoltre <strong>di</strong>menticare la sezione<br />
Lingue e linguaggi presente su<br />
www.treccani.it.<br />
E se volessimo conoscere l’evoluzione<br />
che la nostra lingua ha<br />
subito nel corso del tempo, ripercorrendone<br />
la storia delle origini?<br />
A tal proposito merita particolare<br />
attenzione il TLIO, Tesoro della<br />
Lingua Italiana delle Origini, da<br />
poco <strong>di</strong>sponibile in rete, ossia un<br />
vocabolario storico che attesta tutte<br />
le varietà dell’italiano antico,<br />
avendo come limite cronologico<br />
convenzionale il 1375, l’anno <strong>di</strong><br />
morte del Boccaccio, anche se vengono<br />
riportate attestazioni databili<br />
fino all’inizio del XV secolo. Per<br />
ogni voce sono registrate: le forme<br />
grafiche; l’etimologia (molti i prestiti<br />
dal latino e dal francese antico);<br />
la prima attestazione del termine;<br />
la cronologia delle prime attestazioni<br />
nelle <strong>di</strong>verse varietà linguistiche,<br />
o la <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> attestazione<br />
unica; note linguistiche;<br />
altre annotazioni come eventuali<br />
sinonimi o contrari e rinvii ad<br />
altre voci; infine il riepilogo dei significati.<br />
Il TLIO viene pubblicato<br />
in corso d’opera su www.vocabolario.org<br />
e costituisce la prima sezione<br />
cronologica del Vocabolario<br />
storico italiano, l’ambizioso e annoso<br />
progetto avviato quarantun<br />
anni fa dall’Accademia della Crusca<br />
con il contributo dell’Istituto <strong>di</strong><br />
Firenze del CNR.<br />
L’Accademia non è nuova al ricorso<br />
del web per dare voce a iniziative<br />
<strong>di</strong> indubbia rilevanza culturale,<br />
così da facilitare la consultazione<br />
a un ampio numero <strong>di</strong> persone,<br />
e soprattutto permettere aggiornamenti<br />
in tempo reale. Su<br />
www.accademiadellacrusca.it sono,<br />
infatti, consultabili sezioni come:<br />
Consulenza linguistica, de<strong>di</strong>cata<br />
a fornire risposte a quesiti linguistici<br />
posti dagli utenti (attualmente<br />
il servizio è in parte sospeso<br />
per problemi <strong>di</strong> finanziamenti);<br />
Parole nuove, che si propone come<br />
un osservatorio sui neologismi;<br />
Lingue speciali de<strong>di</strong>cato ai lin-<br />
Per gentile<br />
concessione<br />
della biblioteca<br />
del CESPOC,<br />
il <strong>Centro</strong> Stu<strong>di</strong> sulla<br />
“Popular Culture”<br />
<strong>di</strong> Torino,<br />
riproduciamo<br />
alcune copertine<br />
<strong>di</strong> famosi feuilleton<br />
d’epoca presenti<br />
alla mostra virtuale<br />
Dai “Beati Paoli”<br />
al “Co<strong>di</strong>ce<br />
da Vinci”: il mito<br />
del complotto<br />
nel feuilleton<br />
e prossimamente<br />
“esposti”, al<br />
“Museo virtuale del<br />
fascicolo popolare”<br />
la <strong>di</strong>zione inglese mantiene anche nel<br />
contesto italiano il senso <strong>di</strong> fenomeno<br />
“<strong>di</strong> massa”, insomma quello <strong>di</strong> una cultura<br />
<strong>di</strong>versa da quella “alta” e nata con<br />
l’irruzione in Occidente dell'alfabetizzazione<br />
<strong>di</strong> un gran numero <strong>di</strong> persone.<br />
Le quattro “f”<br />
Di suo il CESPOC si occupa tematicamente<br />
<strong>di</strong> quelle che chiama “le quattro<br />
‘f’”, ossia feuilleton, fascicolo popolare,<br />
fumetto e fiction, tutti generi definiti<br />
dalla serialità (il ritorno perio<strong>di</strong>co,<br />
cadenzato degli stessi personaggi e delle<br />
medesime ambientazioni).<br />
Soffermiamoci allora sul feuilleton,<br />
antenato del nostro fascicolo popolare.<br />
Lo merita. Dalle sue pagine, d’antan e<br />
tra la fine del secolo<br />
xix e la metà del xx<br />
la canadese “policejournal”<br />
ha venduto<br />
75 milioni <strong>di</strong> fascicoli<br />
spesso oramai sbia<strong>di</strong>te, torreggiano infatti<br />
nomi in<strong>di</strong>menticabili quali quelli<br />
<strong>di</strong> Nick Carter, <strong>di</strong> Phantomas o <strong>di</strong> Arsenio<br />
Lupin.<br />
Coniato il termine alla fine del Settecento,<br />
il feuilleton come romanzo a<br />
puntate nasce negli anni Quaranta dell’Ottocento<br />
e viene in primo piano con<br />
la pubblicazione de I misteri <strong>di</strong> Parigi <strong>di</strong><br />
Eugène Sue (1804-1857) negli anni<br />
1842-1843. Pullula tipicamente <strong>di</strong> criminali<br />
il feuilleton, ma affronta spesso e<br />
volentieri anche temi comici e <strong>di</strong> fantascienza.<br />
In Italia, testimone eccelso dell’epoca<br />
d’oro del genere è la maggiore<br />
produzione italiana del settore, I Beati<br />
Paoli (1909-1910) <strong>di</strong> Luigi Natoli (1857-<br />
1941), che ha segnato la popular culture<br />
italiana, e siciliana in particolare, con<br />
conseguenze che si fanno sentire ancora<br />
oggi.<br />
Ebbene, al feuilleton è ora de<strong>di</strong>cata<br />
guaggi tecnici e settoriali, e Lingua<br />
in Web che contiene link a siti italiani<br />
e stranieri <strong>di</strong> interesse linguistico.<br />
La Lessicografia della Crusca<br />
in Rete pubblica il contenuto delle<br />
cinque e<strong>di</strong>zioni del Vocabolario degli<br />
Accademici.<br />
Il progetto del Vocabolario storico<br />
italiano online appare dunque<br />
in linea con il servizio <strong>di</strong> documentazione<br />
offerto dall’Accademia.<br />
Per quanto riguarda il TLIO, nel<br />
1985 la struttura della Crusca de<strong>di</strong>cata<br />
al vocabolario <strong>di</strong>venta il <strong>Centro</strong><br />
<strong>di</strong> stu<strong>di</strong> OVI, Opera del Vocabo-<br />
nel “tesoro” sono<br />
consultabili 15mila<br />
voci, attestazioni,<br />
significati, sinonimi<br />
e contrari<br />
lario Italiano, del CNR, e questo<br />
permette <strong>di</strong> accelerare i lavori <strong>di</strong><br />
compilazione fino a raggiungere,<br />
alla fine del 1998, le prime 1.000<br />
voci. Oggi sono già consultabili circa<br />
15.000 voci. Il Tesoro non è un<br />
vezzo per pochi addetti ai lavori,<br />
ma si inserisce in un progetto <strong>di</strong> respiro<br />
internazionale. Con l’Accademia<br />
della Crusca, infatti, l’OVI<br />
partecipa all’iniziativa che unisce<br />
accademie e istituti linguistici europei<br />
allo scopo <strong>di</strong> promuovere e<br />
valorizzare le lingue nazionali, che<br />
nel 2003 ha dato alla luce la Federazione<br />
Europea delle Istituzioni<br />
Linguistiche Nazionali. Compito<br />
primario è <strong>di</strong>fendere il pluringuismo<br />
europeo mettendo al servizio<br />
<strong>di</strong> tutti la possibilità <strong>di</strong> conoscere<br />
davvero a fondo e con intelligenza<br />
critica il proprio i<strong>di</strong>oma. E, per restare<br />
all’interno dei confini nazionali,<br />
interessante si è rivelato il collegamento<br />
via internet esistente<br />
tra il TLIO e il Dizionario <strong>di</strong> Italiano<br />
realizzato da Garzanti Linguistica;<br />
a ogni voce dei due vocabolari<br />
un link consente il passaggio dalla<br />
voce antica alla corrispondente<br />
moderna, e viceversa.<br />
Ma <strong>di</strong>amo uno sguardo più da<br />
vicino al Tesoro. Non mancano sorprese<br />
e curiosità. Per esempio per<br />
quanto riguarda le prime attestazioni<br />
delle parole, come “influenza”,<br />
che, intesa come malattia, è<br />
già presente nel 1387 in una lettera<br />
<strong>di</strong> un me<strong>di</strong>co <strong>di</strong> Prato, molto prima<br />
delle citazioni finora note a partire<br />
dal 1667; col significato, invece, <strong>di</strong><br />
influsso degli astri la si trova già<br />
nell’opera <strong>di</strong> Ristoro D’Arezzo nel<br />
1282. Interessante è poi scoprire<br />
l’evoluzione dei significati, come<br />
per “contenente” che nel 1334 è registrato<br />
nel senso <strong>di</strong> “contenitore”,<br />
250 anni prima <strong>di</strong> quanto in<strong>di</strong>cato<br />
dal Grande Dizionario Italiano dell’Uso<br />
<strong>di</strong> De Mauro, mentre all’inizio<br />
del Trecento è attestato con il significato<br />
<strong>di</strong> “contenuto”. Una sorte<br />
simile è toccata a “pulsante” che in<br />
un commento <strong>di</strong> fine Trecento al<br />
detto evangelico «Bussate e vi sarà<br />
aperto» compare con il significato<br />
<strong>di</strong> chi/che cosa viene premuto: «Et<br />
una notevole mostra virtuale, intitolata<br />
Dai “Beati Paoli” al “Co<strong>di</strong>ce Da Vinci”: il<br />
mito del complotto nel “feuilleton”, allestita<br />
appunto dal CESPOC con il contributo<br />
dell’Assessorato dei Beni Culturali<br />
e Ambientali e della Pubblica Istruzione<br />
della Regione Siciliana. Essendo virtuale<br />
è <strong>di</strong>sponibile alla visita in Internet, al<br />
sito http://www.popularculture.it/mostra_virtuale.htm.<br />
Perché una mostra così? Perché Il<br />
successo de Il Co<strong>di</strong>ce Da Vinci <strong>di</strong> Dan<br />
Brown da un lato e dall’altro il perdurare<br />
del <strong>di</strong>battito attorno a I Beati Paoli<br />
hanno suggerito l’idea <strong>di</strong> una indagine<br />
per immagini sul mito del complotto<br />
nella letteratura popolare a cui la Sicilia<br />
si è mostrata subito interessata.<br />
L’o<strong>di</strong>erna speciale attenzione a questo<br />
genere che la mostra virtuale testimonia<br />
bene, <strong>di</strong>cono al CESPOC, s’inquadra<br />
peraltro nella costruzione <strong>di</strong> un primo<br />
nucleo <strong>di</strong> un “Museo virtuale del fascicolo<br />
popolare”.<br />
Del resto, si sta parlando <strong>di</strong> un genere<br />
che tra la fine del secolo XIX e la metà<br />
del XX ha contato <strong>di</strong>verse centinaia <strong>di</strong><br />
milioni <strong>di</strong> lettori (una sola casa e<strong>di</strong>trice<br />
canadese, Police-Journal, ha venduto<br />
75 milioni <strong>di</strong> fascicoli) prima <strong>di</strong> essere<br />
soppiantata dal fumetto (e della televisione),<br />
e che costituisce una parte essenziale<br />
della popular culture oggi <strong>di</strong> vitale<br />
importanza riscoprire e preservare.<br />
La paura della luce<br />
I fascicoli popolari erano infatti tipicamente<br />
stampati, per garantirne il basso<br />
costo, su carta <strong>di</strong> non eccelsa qualità,<br />
così che il trasporto rischia <strong>di</strong> danneggiarli<br />
irrime<strong>di</strong>abilmente. Mostre ed<br />
esposizioni sono dunque – come sta avvenendo<br />
negli Stati Uniti per i fumetti<br />
dei primor<strong>di</strong> – ormai quasi sempre virtuali,<br />
anche se i primi tentativi sono stati<br />
<strong>di</strong> portata limitata.<br />
Ma anche le mostre e i musei virtuali<br />
dei fascicoli popolari pongono però<br />
dei problemi. La stessa scansione elettronica<br />
me<strong>di</strong>ante scanner o fotografia<br />
BALBETTARE<br />
Registrato nel DELI deriva<br />
dal latino tardo balbitare<br />
ed è attestato in molteplici<br />
forme: balbettando,<br />
balbettarà, balbettare,<br />
balbettava, balbetti,<br />
palpettando, palpi,<br />
balbetta, sinonimo <strong>di</strong><br />
balbare, barbugliare.<br />
Ha da sempre il significato<br />
<strong>di</strong> «parlare, per paura,<br />
emozione o <strong>di</strong>fetto<br />
strutturale, scandendo<br />
male o ripetendo suoni<br />
e sillabe», ossia<br />
“tartagliare”.<br />
La prima attestazione è<br />
nel volgarizzamento<br />
del Tesoro <strong>di</strong> Brunetto<br />
Latini: «Il cuore, che è<br />
infiammato d’ira, batte<br />
fortemente: lo corpo<br />
triema, la lingua<br />
balbetta…».<br />
EDRO<br />
Registrato nel REW,<br />
Romanisches<br />
Etymologisches<br />
Wörterbuch, Vocabolario<br />
Etimologico delle Lingue<br />
Romanze, come derivante<br />
dal latino iter, significa<br />
appunto «cammino»,<br />
mentre «pigliare il suo<br />
edro» vuol <strong>di</strong>re<br />
«intraprendere un viaggio».<br />
La prima attestazione risale<br />
a un testo <strong>di</strong> Bonvesin de<br />
la Riva del XII secolo.<br />
con eccessiva esposizione alla luce crea<br />
<strong>di</strong>sagi che comportano a propria volta<br />
gravi rischi <strong>di</strong> danno. Considerando<br />
l’importanza essenziale delle copertine<br />
per il successo del fascicolo popolare, il<br />
CESPOC ha quin<strong>di</strong> scelto la strada <strong>di</strong><br />
una scannerizzazione a me<strong>di</strong>a illuminazione.<br />
Le imperfezioni del risultato<br />
faranno forse parte del fascino della<br />
mostra e del costituendo Museo.<br />
Ora, la mostra virtuale “siciliana”,<br />
sud<strong>di</strong>visa in due “sale” offre al visitatore<br />
oltre 2mila esempi del mondo del fascicolo<br />
ruotanti attorno al complotto.<br />
C’è <strong>di</strong> che lustrarsi gli occhi, insomma,<br />
sognando un tempo <strong>di</strong>verso per<br />
chiedersi non tanto cosa sia cambiato<br />
(giacché questo è evidente), ma cosa sia<br />
rimasto uguale.<br />
E avendo tutto questo spesso a che<br />
fare con la <strong>di</strong>etrologia, ciò potrebbe svelare<br />
alcuni piccoli interessanti arcani<br />
del modo con cui i popoli si formano le<br />
coscienze collettive. •<br />
Samwise<br />
anco a gli pulsanti s’apre in breve».<br />
Se poi cercate “felicità” dovrete invece<br />
andare a leggere “beatezza”<br />
attestata nel Trecento con anche il<br />
significato <strong>di</strong> “fortuna”, mentre la<br />
corrispondente forma verbale “beare”<br />
significa «rendere beato, felice»,<br />
e qui il verso petrarchesco è<br />
musica per le orecchie: «Beata s’è,<br />
che pò beare altrui / co la sua vista,<br />
over co le parole, / intellecte da noi<br />
soli ambedui: / “Fedel mio caro,<br />
assai <strong>di</strong> te mi dole, / ma pur per nostro<br />
ben dura ti fui”».<br />
Oltre che lessicali le variazioni<br />
sono anche morfologiche, come<br />
nel caso dell’esatto contrario del<br />
sopraccitato lemma: “addogliare”<br />
per ”addolorarsi”. Ci si può imbattere<br />
in termini che da soli basterebbero<br />
a ispirare un poeta, come “effiatare”,<br />
«perdere fiato», attestazione<br />
unica nel corpus datata al<br />
XIV secolo; ma anche in simpatici<br />
mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>re come «cacare nel vaglio»,<br />
ossia fare un’impresa inutile<br />
(Trecentonovelle del Sacchetti: «e<br />
al gentiluomo parve avere cacato<br />
nel vaglio, veggendosi aver perduta<br />
la ronzina e ‘l porco suo che avea<br />
insalato, e quello che avea imbolato,<br />
e ancora fiorini do<strong>di</strong>ci…») e in<br />
espressioni curiose come «empermordezò»,<br />
che non è uno scioglilingua,<br />
ma, in funzione <strong>di</strong> avverbio,<br />
congiunzione e preposizione,<br />
assume, a seconda dei casi, un significato<br />
avversativo o concessivo<br />
(«nonostante, tuttavia»). E deriva<br />
dal latino amorem, “amore”. •<br />
Elena Inversetti<br />
Sit-com, reginetta<br />
dei nuovi me<strong>di</strong>a<br />
L<br />
TIVÙ<br />
a si dava per morta e sepolta.<br />
Produttori e inserzionisti avevano<br />
fatto quadrato contro <strong>di</strong> lei.<br />
«Superata», <strong>di</strong>cevano, «la sit-com<br />
non piace più a nessuno». E invece,<br />
ecco qui: è lei la reginetta dei new me<strong>di</strong>a.<br />
Con un colpo <strong>di</strong> reni si è rialzata dal<br />
baratro mortuario, aggrappandosi al<br />
volano <strong>di</strong> telefonini, portali, internet e<br />
tv mobile. Su queste nuove piattaforme<br />
si vanta <strong>di</strong> essere il prodotto<br />
trendy, sulla tv tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong> riconciliare<br />
i più giovani al piccolo schermo. E<br />
chissà, forse si imporrà davvero sul<br />
mercato facendo le scarpe a calcio e<br />
telefilm. Ammesso che i new me<strong>di</strong>a<br />
non finiscano per virare verso altri<br />
fronti. Il genere della situation comedy<br />
è infatti paragonabile al cibo takeaway:<br />
va bene un po’ dovunque, lo<br />
consumi velocemente e ti riempie la<br />
pancia. Ma se non si rinnova, può appesantire.<br />
Sotto l’aspetto meramente produttivo<br />
i vantaggi del format sono<br />
tanti: i recenti Camera Cafè, Cotti e<br />
Mangiati e Buttafuori privilegiano inquadrature<br />
fisse e microcosmi stabili,<br />
a basso costo e ad alto tasso <strong>di</strong> italianità.<br />
Hanno appeal, possono essere trasmessi<br />
in sequenza o frammentati, in<strong>di</strong>pendentemente<br />
dal contesto. Il che<br />
li rende prodotti ideali per riempire<br />
palinsesti traballanti e nuove piattaforme<br />
<strong>di</strong>gitali. Ma riesumare il genere<br />
sit-com potrebbe non bastare. Perché,<br />
come sosteneva Leonardo Sciascia,<br />
quel che conta non è la storia ma<br />
il racconto.<br />
Pur nella mobilità più frenetica,<br />
per appassionarsi il pubblico deve<br />
potersi coinvolgere con quanto viene<br />
raccontato. Essendo qui l’incanto<br />
creativo condensato in 5’, è necessaria<br />
un’altissima qualità <strong>di</strong> scrittura.<br />
Gli autori, è vero, non mancano in<br />
Italia: perché la sit-com tenga, si<br />
tratterebbe <strong>di</strong> investire maggiormente<br />
sul lato creativo. Ma come la<br />
mettiamo sul fronte attori? Pur buona,<br />
per avvincere la storia necessita<br />
<strong>di</strong> bravi interpreti. Finora si è puntato<br />
sui comici, da Luca&Paolo alla Massironi.<br />
Con esiti alterni. Se si vuole<br />
rendere la sit-com il genere per antonomasia<br />
dei new me<strong>di</strong>a (cosa che<br />
converrebbe in termini economici)<br />
urge arruolare nuovi attori.<br />
Facendo piazza pulita dei Canalis<br />
e Taricone <strong>di</strong> turno.<br />
Francesca D’Angelo<br />
Pubblicità<br />
responsabile<br />
L<br />
SPOT&GO<br />
a pubblicità sociale va oltre l’advertising<br />
classico. Sbaglia chi vede<br />
lo spot solo come un mezzo <strong>di</strong><br />
mero marketing, con scopi esclusivamente<br />
commerciali. Lo “spot sociale”,<br />
anzi, è visto dagli addetti ai lavori<br />
come un valido strumento in quella<br />
<strong>di</strong>rezione che considera la comunicazione<br />
una realtà responsabile, educativa,<br />
che <strong>di</strong>vulga valori (e, ma questo<br />
è concetto più ar<strong>di</strong>to, capace <strong>di</strong> sensibilizzare<br />
l’opinione pubblica).<br />
Chi investe nella Corporate social<br />
responsability ha più clienti.<br />
Vengono conferme anche da <strong>di</strong>verse<br />
parti del settore, rivelando come<br />
l’auto<strong>di</strong>sciplina pubblicitaria può<br />
rappresentare, nell’immenso panorama<br />
della comunicazione commerciale,<br />
una sorta <strong>di</strong> modello <strong>di</strong> responsabilità<br />
sociale, apportando benefici<br />
sia ai promotori sia alla collettività.<br />
L’advertising responsabile premia il<br />
brand. Da una ricerca svolta dal<br />
gruppo Wpp Italia emerge che più<br />
del 70% degli italiani ricorda <strong>di</strong> aver<br />
visto nell’ultimo periodo almeno una<br />
pubblicità sociale. Lo stesso stu<strong>di</strong>o rivela<br />
che la fiducia degli utenti nei riguar<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> marche, imprese e, ad<strong>di</strong>rittura,<br />
comportamenti d’acquisto, è<br />
notevolmente rafforzata da campagne<br />
socialmente responsabili. Ma il<br />
tutto non si limita alla pubblicità responsabile:<br />
essa va collocata dentro<br />
un più ampio contesto del marketing<br />
sociale. Sono le <strong>di</strong>namiche <strong>di</strong> quest’ultimo<br />
che risultano in<strong>di</strong>spensabili<br />
nella costruzione <strong>di</strong> campagne per<br />
mo<strong>di</strong>ficare idee e comportamenti.<br />
Perché è nato il bisogno della<br />
pubblicità sociale? Perché contestualmente<br />
è nato, nelle società occidentali<br />
intorno ai primi anni Settanta,<br />
anche il concetto <strong>di</strong> “qualità della<br />
vita”: crescita, libertà, democrazia e<br />
autodeterminazione. Il fenomeno<br />
vede la sua massima espansione nell’ultimo<br />
decennio. Spot sociali ce ne<br />
sono stati tanti: dal rispetto del co<strong>di</strong>ce<br />
stradale alla tutela del <strong>di</strong>ritto all’informazione<br />
e al lavoro, fino al volontariato.<br />
Pubblicità Progresso per<br />
conto delle istituzioni ha messo in pista<br />
varie campagne “socialmente responsabili”<br />
<strong>di</strong> ottima qualità professionale<br />
e comunicativa.<br />
Francesca Galli
SABATO 5/12 AGOSTO 2006 ARTE E DINTORNI<br />
IL DOMENICALE 11<br />
Un invito (alla danza) e mille risposte<br />
<strong>di</strong> Elena Borgatti<br />
L<br />
Henze, ottant’anni suonati<br />
Un omaggio al compositore che ha “sdoganato” la dodecafonia<br />
I<br />
a sconfitta francese nella<br />
Battaglia <strong>di</strong> Waterloo, de-<br />
scritta minuziosamente da<br />
Victor Hugo ne I Miserabili, ispirò<br />
il talento musicale <strong>di</strong> Carl Maria<br />
von Weber (1786 – 1826) che celebrò<br />
il trionfo su Napoleone nella<br />
composizione Kampf und Sieg<br />
(Praga, il 15 <strong>di</strong>cembre 1815), una<br />
partitura sfacciatamente descrittiva<br />
che ricorda il Wellingtons<br />
Sieg <strong>di</strong> Beethoven. Poiché anche<br />
n questi giorni compie ottant’anni<br />
Hans Werner Henze. Li celebra in Ita-<br />
lia, sua Patria <strong>di</strong> elezione: vive vicino<br />
Roma dal 1954. Talento precocissimo,<br />
Henze è protagonista della scena musicale<br />
internazionale. Inizia a comporre a 12<br />
anni: il suo Kammerkonzert per pianoforte,<br />
flauto e archi del 1946, viene subito<br />
eseguita con successo. Dopo aver scritto<br />
opere molto <strong>di</strong>verse fra loro per genere e<br />
stile, tra cui Boulevard Solitude (che scatenò<br />
una vera e propria battaglia al Teatro<br />
dell’Opera <strong>di</strong> Roma), e dopo aver collaborato<br />
con il Deutsches Theater <strong>di</strong> Costanza<br />
(1948) e con il Ballet du Staatstheater<br />
Wiesbaden (1950–53), si trasferisce definitivamente<br />
in Italia dove compone due<br />
ROMA ASPETTA PER<br />
L’AUTUNNO <strong>LA</strong> SUA<br />
“DAS WUNDERTHEATER”,<br />
IN PRIMA AL CANTIERE ARTE<br />
DI MONTEPULCIANO<br />
opere – König Hirsch (1956) e Der Prinz<br />
von Homburg da Kleist – i tre atti del balletto<br />
Un<strong>di</strong>ne e l’opera Elegy for Young Lovers<br />
(1961) su libretto <strong>di</strong> Auden; poi le<br />
cantate Kammermusik (1958) e Cantata<br />
della fiaba estrema (1963). Nel 1966,<br />
sempre su libretto <strong>di</strong> Auden, Henze compone<br />
Die Bassariden, concepita come<br />
una sinfonia in quattro movimenti. Coeva<br />
anche l’opera comica Der Junge Lord,<br />
a cui segue un altro capolavoro, il Secondo<br />
Concerto per pianoforte (1967).<br />
Una visita a Cuba (1969–70) lascia<br />
una decisa impronta politico–sociale nei<br />
lavori <strong>di</strong> quegli anni, El Cimarrón (1970) e<br />
We Come to the River (1976). Sono anche<br />
gli anni in cui fonda il Cantiere d’Arte <strong>di</strong><br />
Montepulciano, che considererà «uno dei<br />
miei pochi successi politici», per cui scrive<br />
Pollicino, un’opera per bambini, forse<br />
il suo lavoro più eseguito in Italia. Contemporaneamente<br />
sviluppa la ricerca <strong>di</strong><br />
una ricchezza espressiva anche nel lin-<br />
Qui sopra: uno scatto d’epoca<br />
che ritrae il grande ballerino<br />
Vaslav Nijinskij nel suo<br />
“mitico” costume ricoperto<br />
<strong>di</strong> petali <strong>di</strong> rosa<br />
A destra: Carl Maria von<br />
Weber all’epoca della sua<br />
nomina a <strong>di</strong>rettore musicale<br />
dell’Opera tedesca <strong>di</strong> Dresda<br />
guaggio orchestrale con Heliogabalus imperator<br />
(1972), Tristan (1974) e Aria de la<br />
folía española (1977), reinterpretando<br />
spesso antichi modelli musicali. Degli anni<br />
più recenti ricor<strong>di</strong>amo The English Cat<br />
del 1983 e nel 2003, su commissione del<br />
Festival <strong>di</strong> Salisburgo, Upupa, che è approdata<br />
sulle scene <strong>di</strong> tutto il Mondo<br />
(tranne quelle italiane), e Paolo Isotta<br />
considerata la migliore opera in assoluto<br />
a cavallo tra XX e XXI secolo.<br />
In Italia , si è avuta una ripresa <strong>di</strong> Boulevard<br />
Solutude a Genova alcuni anni fa e<br />
una delle sue opere da camera più struggenti,<br />
Elegy for young lovers, viene eseguita<br />
grazie a una co-produzione del Teatro<br />
alle Muse <strong>di</strong> Verona e del Teatro San<br />
Carlo <strong>di</strong> Napoli. Anche qui occorre chiedersi<br />
come mai un compositore considerato<br />
“<strong>di</strong> sinistra”, nell’Italia “a sinistra”,<br />
venga rappresentato così <strong>di</strong> rado, mentre<br />
era regolarmente nei programmi del Covent<br />
Garden negli anni <strong>di</strong> Margaret Thatcher<br />
(sua grande estimatrice), lui che ha<br />
composto opere su testi <strong>di</strong> Yukio Mishima<br />
ed è <strong>di</strong> frequente sulle scene americane e<br />
spagnole (oltre che su quelle tedesche,<br />
austriache e svizzere). Lui che ha portato<br />
la musica dodecafonica al grande pubblico,<br />
combinandola (grazie a un eclettismo<br />
inconfon<strong>di</strong>bile ) con la musica cromatica<br />
e <strong>di</strong>atonica tra<strong>di</strong>zionale.<br />
Per celebrare il genetliaco <strong>di</strong> Henze, il<br />
Cantiere Arte <strong>di</strong> Montepulciano (un festival<br />
davvero low cost, con un budget <strong>di</strong> solo<br />
380mila euro per 3 settimane, finanziato<br />
in gran parte da privati) ha riproposto<br />
sue musiche dal primo al 23 luglio. Tra le<br />
vere chicche, la prima italiana <strong>di</strong> Das<br />
Wundertheater (opera composta da Henze<br />
quando aveva 23 anni), nonché la ripresa<br />
della rielaborazione <strong>di</strong> Henze del Re<br />
Teodoro in Venezia <strong>di</strong> Paisiello. La seconda<br />
si vedrà a Colonia in autunno. La prima<br />
forse a Roma. Non male, ma si sarebbe<br />
sperato in una maggiore attenzione da<br />
parte dei tanti teatri alla ricerca <strong>di</strong> spettacoli<br />
<strong>di</strong> qualità ma a basso budget. •<br />
G.P.<br />
allora la carriera <strong>di</strong> un artista<br />
spesso <strong>di</strong>pendeva da un incomprensibile<br />
apprezzamento delle<br />
sue opere più insulse, il Kampf<br />
und Sieg pare sia stato in<strong>di</strong>rettamente<br />
responsabile dell’inattesa<br />
nomina del trentunenne Weber a<br />
<strong>di</strong>rettore musicale dell’Opera tedesca<br />
<strong>di</strong> Dresda.<br />
Successo, gelosie e malattia<br />
Proprio mentre la fortuna<br />
sembrava arridergli, il giovane<br />
compositore fu oggetto <strong>di</strong> gelosie<br />
professionali e attacchi, soprattutto<br />
da parte dei fautori dell’opera<br />
italiana, capeggiati da Francesco<br />
Morlacchi. Tuttavia il felice<br />
debutto <strong>di</strong> Weber come <strong>di</strong>rettore<br />
d’orchestra nell’opera Joseph in<br />
Egypt <strong>di</strong> Méhul <strong>di</strong>ede nuovo slancio<br />
alla sua carriera. Incoraggiato<br />
dal successo, Weber iniziò – in<br />
collaborazione con il librettista<br />
ammalato, de<strong>di</strong>cò<br />
alla moglie<br />
un vivace valzer<br />
per pianoforte che<br />
lo rese immortale<br />
Friedrich Kind – un’opera che sarebbe<br />
stata imme<strong>di</strong>atamente riconosciuta<br />
come un capolavoro, Der<br />
Freishütz (Il franco cacciatore). Il<br />
destino volle che durante la composizione<br />
Weber si ammalasse<br />
gravemente, cosicché fu costretto<br />
a interrompere il suo lavoro.<br />
Balla che ti passa<br />
La malattia non gli impedì però<br />
<strong>di</strong> scrivere, nell’estate del<br />
1819, un valzer brillante e vivace<br />
per pianoforte: l’eternamente popolare<br />
Aufforderung zum Tanz<br />
(Invito alla danza). La musica,<br />
de<strong>di</strong>cata alla moglie, si presenta<br />
come un’accattivante combinazione<br />
<strong>di</strong> melo<strong>di</strong>e orecchiabili e <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>fficoltà tecniche, risultando così<br />
un brano adatto alle seconde<br />
parti (o ai bis) dei concerti dei<br />
pianisti virtuosi. L’Invito <strong>di</strong>venne<br />
talmente famoso che uscì presto<br />
dalle sale da concerto per entrare<br />
nelle case. Fu fatto stu<strong>di</strong>are a migliaia<br />
<strong>di</strong> fanciulli e per tutto il Diciannovesimo<br />
secolo la musica Di<br />
Weber suonò e risuonò, spesso in<br />
modo errato, guazzabugliato, ferito.<br />
La <strong>di</strong>fficoltà del brano indusse<br />
gli e<strong>di</strong>tori a pubblicarne e<strong>di</strong>zio-<br />
L<br />
ni facilitate, o meglio mutilate,<br />
ma allo stesso tempo stimolò gli<br />
acrobati della tastiera a escogitarne<br />
versioni ancor più ardue.<br />
Omaggi in musica e parole...<br />
Tra i tanti musicisti che apprezzarono<br />
la composizione weberiana<br />
si ricordano Robert Schumann<br />
che nel <strong>di</strong>cembre del 1828<br />
compose le Variazioni sull’Invito<br />
alla danza <strong>di</strong> Weber, Louis Moreau<br />
Gottschalk, che scrisse un<br />
nuovo arrangiamento per pianoforte<br />
dell’originale weberiano (<strong>di</strong><br />
cui purtroppo ci è giunto solo un<br />
frammento), e il giovane Tchajkovskij,<br />
che nei salotti pietroburghesi<br />
eccelleva proprio nell’esecuzione<br />
dell’Invito alla danza.<br />
Nel 1841 Hector Berlioz orchestrò<br />
la musica <strong>di</strong> Weber rendendola,<br />
se possibile, ancora più affascinante.<br />
La nuova versione piacque<br />
moltissimo persino al raffinato<br />
Sergej Prokofiev, che nella sua<br />
autobiografia la annoverò tra le<br />
composizioni preferite.<br />
Curiosamente, in campo letterario<br />
la composizione <strong>di</strong> Weber<br />
compare spesso in contesti affatto<br />
<strong>di</strong>versi da quelli in cui ci si<br />
aspetterebbe <strong>di</strong> trovare un valzer<br />
gioioso. Ne La rovina della casa<br />
degli Usher <strong>di</strong> Edgar Allan Poe le<br />
note <strong>di</strong> Weber si amalgamano all’oscurità<br />
insinuandosi nei rapporti<br />
sinistri e ambigui tra i protagonisti,<br />
uno dei quali confessa:<br />
«Avevo fin troppo bene in mente<br />
una certa singolare perversione e<br />
amplificazione dell’aria selvaggia<br />
dell’ultimo valzer <strong>di</strong> von Weber».<br />
In Angria and the angrians,<br />
una sorta <strong>di</strong> lungo racconto epico,<br />
Patrick Branwell Brontë, sconosciuto,<br />
depresso e alcolizzato<br />
fratello delle celebri Charlotte,<br />
Emily e Anna, riesce a trovare lo<br />
spazio per descrivere la «tensione<br />
dell’ultimo valzer <strong>di</strong> Weber che<br />
aumentava e <strong>di</strong>minuiva in cadenza<br />
con un effetto che rendeva solenne<br />
la malinconica dolcezza».<br />
Rabbiosa è invece la reazione<br />
<strong>di</strong> Marguerite, la Signora delle Camelie<br />
<strong>di</strong> Alexandre Dumas, impacciata<br />
nell’eseguire la sequenza<br />
re, mi, re, do, re, fa, mi, re…«È<br />
incre<strong>di</strong>bile che io non riesca a<br />
suonare quel passaggio! Credereste<br />
che qualche volta ci sto sopra<br />
fino alle due del mattino? E pensare<br />
che quell’imbecille del conte<br />
lo suona senza spartito, meravigliosamente!<br />
Credo sia questo<br />
MUSICA DANZA<br />
Fantasie contemporanee d’Europa<br />
Un’estate sulle punte, tra E<strong>di</strong>mburgo e Montecarlo, passando per Berlino. A tutto Festival<br />
a grande ruota, simbolo<br />
olimpico mobi-<br />
le, umano, e miglior<br />
performance dello spettacolo<br />
inaugurale delle<br />
Olimpia<strong>di</strong> Invernali <strong>di</strong> Torino<br />
2006, ha portato fortuna<br />
ai suoi ideatori e interpreti,<br />
il gruppo italiano<br />
Kataklò. Da febbraio, la<br />
compagnia <strong>di</strong>retta da Giulia<br />
Staccioli, ex ginnasta<br />
olimpica ed ex Momix,<br />
non si è ancora fermata un<br />
momento. In tournée in<br />
tutta Italia e all’estero, lo<br />
scorso 6 luglio ha inaugurato<br />
la celebre rassegna<br />
“Taormina Arte” con The<br />
Best of Kataklò – realizzato<br />
appositamente per il Teatro<br />
Antico – e partecipato a<br />
Pechino alle manifestazioni<br />
italo-cinesi. Ora tutto il<br />
gruppo si trasferisce a<br />
E<strong>di</strong>mburgo, ospite dell’eclettico<br />
Fringe Festival,<br />
tra<strong>di</strong>zionale appuntamento<br />
scozzese giunto alla sua<br />
sessantesima e<strong>di</strong>zione.<br />
Con quattro spettacoli<br />
all’attivo, In<strong>di</strong>scipline (de<strong>di</strong>cato<br />
allo sport e alle sue<br />
molteplici attività), Kataklopolis<br />
(una me<strong>di</strong>tazione<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>sequilibrio nella città<br />
contemporanea), Up-verticali<br />
energie (sfida tra<br />
l’uomo e la montagna sino<br />
all’elevazione finale) e Livingston<br />
(un volo tra sogno<br />
e fantasia), la compagnia<br />
presenta a E<strong>di</strong>mbur-<br />
go un lungo collage <strong>di</strong> questi<br />
lavori, dal 6 al 28 agosto<br />
all’Aurora Nova dello St.<br />
Stephen’s Centre. Preceduto,<br />
ogni pomeriggio<br />
(ore 17.30), da un’anteprima<br />
<strong>di</strong> “riscaldamenti–exploit”<br />
ricca <strong>di</strong> ironia.<br />
I Kataklò, inoltre, anticipano<br />
<strong>di</strong> qualche giorno<br />
l’apertura ufficiale del Festival<br />
<strong>di</strong> E<strong>di</strong>mburgo che<br />
inizia il 13 agosto e si protrae<br />
fino al 3 settembre<br />
(www.e<strong>di</strong>fringe.com).<br />
Ospite, tra le molte<br />
presenze che invaderanno<br />
che mi rende furiosa contro <strong>di</strong><br />
lui». E infine «Che il <strong>di</strong>avolo si<br />
porti via Weber, la musica, e i pianoforti!»,<br />
<strong>di</strong>sse scagliando il fascicolo<br />
all’altro lato della stanza.<br />
La musica <strong>di</strong> Weber evoca in<br />
Evelyn Wexler, autrice <strong>di</strong> Lost and<br />
found in Budapest 1936-1937, le<br />
telefonate <strong>di</strong> una madre che, da<br />
lontano, esorta la figlia a esercitarsi<br />
nell’Invito alla danza: la piccola,<br />
obbe<strong>di</strong>ente, sospirerà d’affetto<br />
stu<strong>di</strong>ando la partitura che<br />
sua mamma aveva segnato <strong>di</strong> rosso<br />
nei punti più insi<strong>di</strong>osi. Jean-<br />
Louis Besson nelle memorie <strong>di</strong><br />
guerra narrate in Paris Rutabaga<br />
ricorda suo padre esibirsi in piccoli<br />
concerti familiari tra le mura<br />
domestiche e <strong>di</strong> come tutti insistessero<br />
perché suonasse l’Invito<br />
alla danza, la musica preferita <strong>di</strong><br />
sua madre. In The iron furnace,<br />
storia <strong>di</strong> un sopravvissuto all’olocausto,<br />
George Topas, raccontando<br />
del viaggio in treno per giungere<br />
a Varsavia, pare cerchi conforto<br />
nell’immaginare che il rumore<br />
metallico delle rotaie richiami<br />
un tempo <strong>di</strong> valzer «[…] il ritmo<br />
delle ruote del treno mi sembrava<br />
somigliasse all’Invito alla<br />
danza <strong>di</strong> Carl<br />
Maria von Weber».<br />
Di tutt’altro<br />
genere è il<br />
viaggio <strong>di</strong> cui<br />
parla Charles<br />
Baudelaire<br />
nella poesia<br />
L’invitation au<br />
voyage la cui<br />
struttura metricadeliziosamentemusicale<br />
allude proprio<br />
alla musica<br />
<strong>di</strong> Weber. La<br />
poesia, pubblicata<br />
nel 1855,<br />
compare anche<br />
in forma <strong>di</strong> prosa nel 1857 e<br />
viene inserita nella collezione dei<br />
Petits Poèmes en prose (Le Spleen<br />
de Paris) del 1869. Nel poema in<br />
prosa Baudelaire parla esplicitamente<br />
della musica <strong>di</strong> Weber:<br />
«Un musicista ha scritto l’Invito<br />
alla danza, chi comporrà l’Invito<br />
al viaggio da porgere all’amata,<br />
alla sorella pre<strong>di</strong>letta?».<br />
Théophile Gautier in Le spectre<br />
de la rose scrive «Io sono lo<br />
spettro della rosa / che tu ieri portasti<br />
al ballo […] ogni notte il mio<br />
ogni luogo della città, la<br />
compagnia <strong>di</strong> casa, lo<br />
Scottish Ballet, ora sotto la<br />
<strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Ashley Page.<br />
Che dal 18 al 20 agosto<br />
presenta al Playhouse un<br />
programma misto composto<br />
da Agon, per la coreografia<br />
<strong>di</strong> George Balanchine,<br />
L’après-mi<strong>di</strong> d’un faune<br />
<strong>di</strong> Jerôme Robbins, Two<br />
Pieces for Het <strong>di</strong> Hans van<br />
Manen, e in prima inglese<br />
Light and Shadow <strong>di</strong><br />
Krzysztof Pastor, su musica<br />
<strong>di</strong> Bach. Altro appuntamento<br />
da non perdere,<br />
sempre al Playhouse, è il<br />
Suzanne Farrell Ballet <strong>di</strong><br />
Washington, <strong>di</strong>retto dalla<br />
celebre étoile internazionale,<br />
che presenta Don<br />
Chisciotte, <strong>di</strong> Balanchine<br />
dal 26 al 29 agosto.<br />
Poi, dal 31 agosto al 2<br />
settembre, sarà la volta del<br />
Nederlands Dance Theatre<br />
con coreografie <strong>di</strong> Paul<br />
Ligthfoot e Sol Leon. E ancora<br />
presenze dal Brasile<br />
con la compagnia d Bruno<br />
Beltrao, che al The Hub<br />
presenta, dal 14 al 19 agosto,<br />
Telesquat e la danza<br />
in<strong>di</strong>ana attesa al Royal<br />
Lyceum Theatre il 21 e 22<br />
agosto con lo spettacolo<br />
Samanvaya.<br />
Altro consueto appuntamento<br />
con la danza <strong>di</strong><br />
agosto è a Berlino che offre<br />
due manifestazioni. Dal<br />
12 al 20 agosto al Pfeffererg,<br />
si svolgerà l’un<strong>di</strong>cesima<br />
e<strong>di</strong>zione del Flamenco<br />
Festival (www.flamencofestival-berlin.com)<br />
che<br />
ospiterà tra gli altri, il<br />
gruppo <strong>di</strong> Yasaray Rodri-<br />
spettro roseo / danzerà al tuo<br />
fianco».<br />
...e celebrazioni danzate<br />
Il delicato coreografo Michel<br />
Fokine non restò in<strong>di</strong>fferente a<br />
cotanto tenebroso romanticismo<br />
la <strong>di</strong>fficoltà<br />
del brano stimolò<br />
molti gran<strong>di</strong><br />
verso partiture<br />
ancora più ar<strong>di</strong>te<br />
e nel 1911 inventò per i Ballets<br />
Russes, o meglio per il danzatore<br />
Vaslav Nijinskij, la coreografia Le<br />
spectre de la rose su musica de<br />
l’Invito alla danza nella sua versione<br />
orchestrale. Nel balletto,<br />
una fanciulla, addormentatasi<br />
poco dopo il suo rientro da una festa,<br />
sogna <strong>di</strong> danzare con lo spettro<br />
della rosa che aveva portato<br />
con sé. Nel sogno la rosa si incarna<br />
in un ballerino che balza nella<br />
camera della giovane da una finestra<br />
vestito unicamente <strong>di</strong> una<br />
calzamaglia e una cuffietta, entrambecoperte<br />
da petali <strong>di</strong><br />
rosa: una pietra<br />
miliare della<br />
danza. All’epoca<br />
il balletto<br />
fu un successo<br />
strepitoso. I<br />
fan <strong>di</strong> Nijinskij<br />
avevano preso<br />
l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />
attendere il<br />
danzatore all’uscita<br />
dal<br />
palco per rubargli<br />
i petali<br />
<strong>di</strong> rosa dal vestito;<br />
una volta,<br />
ad<strong>di</strong>rittura,<br />
Diaghilev gli si<br />
inginocchiò innanzi per baciargli<br />
la gamba. Viene il dubbio, però,<br />
che Nijinskij non avrebbe potuto<br />
infiammare tante anime belle se<br />
la sua danza si fosse accompagnata<br />
a una musica <strong>di</strong>versa. Il merito<br />
della magia emanata da un<br />
uomo coperto da petali <strong>di</strong> rosa,<br />
magia che ancor oggi non accenna<br />
a svanire, si deve in gran parte<br />
allo splendore della musica, anche<br />
se non credo che a Weber sia<br />
mai stato baciato qualche arto in<br />
segno <strong>di</strong> ammirazione. •<br />
guez, la Chata e Carlo “El<br />
Canario”, e la compagnia<br />
Fuersanta “La Moneta”.<br />
Sempre a Berlino, al<br />
suo <strong>di</strong>ciottesimo anno <strong>di</strong><br />
attività, si rinnova l’appuntamento<br />
con il tra<strong>di</strong>zionale<br />
Tanz im August.<br />
De<strong>di</strong>cato alla danza contemporanea<br />
si svolgerà dal<br />
17 agosto al 2 settembre e<br />
ospiterà tra gli altri, Michèle<br />
Anne de Mey con la<br />
ripresa <strong>di</strong> un suo pezzo<br />
storico dal titolo Sinfonia<br />
Eroica e il gruppo Rosas <strong>di</strong><br />
Anne Teresa de Keersmaeker<br />
con Mozart/Concert<br />
arias: un moto <strong>di</strong> gioia<br />
(www.tanzimaugust.de).<br />
Ma scendendo ancora<br />
più a sud e virando verso<br />
la Francia, rotta Mi<strong>di</strong>, ci<br />
fermiamo in una piacevole<br />
cornice, quella della terrazza<br />
del Casino <strong>di</strong> Montecarlo.<br />
Dopo qualche anno<br />
<strong>di</strong> pausa hanno ripreso Les<br />
Nuits de la Dance con i Balletti<br />
<strong>di</strong> Montecarlo, <strong>di</strong>retti<br />
da Jean Christofle Maillot.<br />
La rassegna, iniziata questa<br />
settimana, prosegue<br />
questa sera con Dov’è la<br />
Luna <strong>di</strong> Maillot, The Second<br />
Detail <strong>di</strong> Forshyte.<br />
Chiude la serata il celebre<br />
Bolero <strong>di</strong> Béjart. Dall’8 al<br />
10 agosto si prosegue con<br />
Cinderella, una delle migliori<br />
opere <strong>di</strong> Maillot, interpretata<br />
anche dalla nostra<br />
Cantalupo. In chiusura,<br />
il 12 e 13 agosto, Opus<br />
40 <strong>di</strong> Maillot e In Memoriam<br />
<strong>di</strong> Si<strong>di</strong> Larbi Cherkaoui(www.balletsdemontecarlo.com).<br />
•<br />
Aurora Marsotto<br />
L’ANGOLO<br />
DELLE MOSTRE<br />
— SAN MARINO<br />
Terzofuturismo, Galleria Cassa <strong>di</strong> Risparmio,<br />
tel. 0549/886344, fino al 4<br />
settembre<br />
È tempo <strong>di</strong> vacanze, <strong>di</strong> mare, <strong>di</strong> luce,<br />
<strong>di</strong> colori forti, cal<strong>di</strong> e intensi. E questa<br />
mostra è proprio un invito a godere<br />
<strong>di</strong> tutto ciò, ma al tempo stesso è<br />
l’occasione per cogliere le nuove e ar<strong>di</strong>te<br />
provocazioni <strong>di</strong> Baldo Savonari,<br />
fondatore nel 1986 del “Terzofuturismo”.<br />
Le sculture – ideate da Savonari,<br />
ma realizzate da altri artisti che il<br />
maestro ha seguito in corso d’opera –<br />
sono esposte alla Galleria Cassa <strong>di</strong> Risparmio,<br />
mentre i suoi <strong>di</strong>segni e gli oli,<br />
con la loro inconfon<strong>di</strong>bile esplosione<br />
<strong>di</strong> tratti e <strong>di</strong> colori, sono visibili nella<br />
Sala della Fondazione. «L’arte è guerra»,<br />
e la sfida è quella <strong>di</strong> sempre, ma<br />
lanciata su temi nuovi, tutti imperniati<br />
nella ricerca profonda e personale<br />
dell’artista siciliano: il Terzofuturismo<br />
è una metafora per parlare del futuro<br />
dell’arte, un movimento che vuole<br />
unire l’avvincente curiosità della<br />
scienza alla trasfigurazione del bello e<br />
della creatività.<br />
— RIMINI<br />
Wainer Vaccari. Il volto, realtà senza<br />
maschere, Galleria Fabjbasaglia, tel.<br />
0541/785646, fino al 15 settembre<br />
L’immagine della bellezza, della<br />
potenza e del primato del fisico in mostra<br />
attraverso sognanti volti <strong>di</strong> modelle<br />
e gran<strong>di</strong> ritratti dei pugili che<br />
hanno scritto la storia della nobile arte.<br />
L’esposizione, infatti, propone ben<br />
venti oli su tela che hanno come soggetto<br />
il mondo della boxe, tutti caratterizzati<br />
dalle ampie pennellate <strong>di</strong><br />
Vaccari e da segni astratti che complicano<br />
la sagoma della figura, ricordandoci<br />
i volti che scorgiamo quoti<strong>di</strong>anamente<br />
per strada o in tv. Con tutte le<br />
contrad<strong>di</strong>zioni della contemporaneità,<br />
che qui emergono attraverso l’accostamento<br />
<strong>di</strong> impavi<strong>di</strong> guerrieri del<br />
ring ed eteree regine della passerella.<br />
— FIRENZE<br />
Il mistero della Genesi nelle sculture<br />
<strong>di</strong> Jorge Jimenez Dere<strong>di</strong>a, Limonaia<br />
del Giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> Boboli, tel.<br />
055/2321858, fino al 30 settembre<br />
L’immensità della natura e il miracolo<br />
della vita sono solo due tra i tanti<br />
temi toccati da Jorge Jimenez Dere<strong>di</strong>a<br />
nelle 40 sculture esposte. Si tratta <strong>di</strong><br />
opere fisicamente importanti, tutte in<br />
marmo <strong>di</strong> Carrara e bronzo, larghe fino<br />
a sette metri e pesanti anche più <strong>di</strong><br />
40 tonnellate. La Genesi, simbolicamente<br />
rappresentata dalla perfezione<br />
della sfera, è l’ossessione <strong>di</strong> Dere<strong>di</strong>a,<br />
una sorta <strong>di</strong> partita a scacchi con cui<br />
l’artista rappresenta la nascita dell’uomo<br />
e il fiorire della vita. L’esposizione<br />
non poteva avere collocazione<br />
più felice della straor<strong>di</strong>naria Limonaia<br />
del giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> Boboli, completamente<br />
restaurata e prestata per la circostanza<br />
a un evento artistico destinato<br />
a celebrare, attraverso la pietra e il<br />
metallo, le meraviglie del creato.<br />
— PALMANOVA<br />
I turchi in Europa, civiltà a confronto,<br />
Ex caserma Montesanto, tel.<br />
0432/920856, fino al 22 ottobre<br />
Mostre, spettacoli, <strong>di</strong>battiti e<br />
proiezioni per chiunque voglia confrontarsi<br />
con la civiltà ottomana: partendo<br />
dall’indagine storica e dalla curiosità<br />
culturale, si <strong>di</strong>schiude un prezioso<br />
filo rosso fra passato, presente e<br />
futuro nella convinzione che la conoscenza<br />
possa arricchire le relazioni<br />
umane e aiutare a guardare il domani<br />
con maggiore libertà. I Turchi in Europa<br />
è sicuramente il cuore dell’evento,<br />
ma il cartellone <strong>di</strong> incontri e conferenze<br />
previsti in altre se<strong>di</strong> (Pordenone,<br />
Trieste, U<strong>di</strong>ne, Gorizia, Cividale del<br />
Friuli e Villa Manin <strong>di</strong> Passariano) è<br />
davvero nutrito. Numerose anche le<br />
proposte legate allo spettacolo, fra<br />
cui si segnalano le letture dell’attrice<br />
turca Serra Yilmaz e un originale percorso<br />
cinematografico fatto <strong>di</strong> film,<br />
cortometraggi e documentari.<br />
— ROMA<br />
Roma Barocca – Bernini, Borromini,<br />
Pietro da Cortona, Castel Sant’Angelo,<br />
tel. 06/39967600, fino al 29<br />
ottobre<br />
Meraviglia, spettacolo e invenzione:<br />
questo il biglietto da visita del<br />
barocco capitolino nel mondo, le cui<br />
gesta vengono ripercorse sulle tracce<br />
<strong>di</strong> tre suoi gran<strong>di</strong> protagonisti: Gian<br />
Lorenzo Bernini, Francesco Borromini<br />
e Pietro da Cortona. L’esposizione,<br />
circa 165 pezzi tra <strong>di</strong>pinti, <strong>di</strong>segni,<br />
sculture e modelli <strong>di</strong> piazze e palazzi, è<br />
lo specchio <strong>di</strong> artisti totali che hanno<br />
operato invadendo e influenzando<br />
ogni settore. Centinaia <strong>di</strong> opere raccontano<br />
gli anni in cui l’Urbe, grazie<br />
all’operato <strong>di</strong> Papi come Urbano VIII,<br />
fu “gran teatro del mondo”. Ne<br />
emerge un linguaggio dalla forza rivoluzionaria<br />
che è nato in Italia, ma si<br />
è poi <strong>di</strong>ffuso in Europa e nell’America<br />
meri<strong>di</strong>onale, riportando a Roma il primato<br />
<strong>di</strong> capitale culturale.<br />
Matteo Tosi
WEEK END<br />
<strong>LA</strong> GITA<br />
Quant’è bella<br />
Martina Franca<br />
Fra le città più belle del Tarantino,<br />
Martina Franca presenta alcuni<br />
fra gli esempi più interessanti<br />
del barocco leccese. Consigliamo,<br />
oltre che una passeggiata<br />
nello splen<strong>di</strong>do centro storico,<br />
una visita al palazzo Ducale<br />
(aperto ore 9-18), la cui e<strong>di</strong>ficazione,<br />
iniziata nel 1668, non è<br />
stata però mai portata a termine.<br />
Interessanti sono alcune sale interne,<br />
con affreschi <strong>di</strong> Domenico<br />
Carella, e la cappella dei duchi.<br />
Un’ottima sosta gastronomica<br />
può essere poi fatta al ristorante<br />
Al Fornello (tel. 0831/377104)<br />
nella vicina Ceglie Messapica.<br />
IL FESTIVAL<br />
Tutti a Cortona<br />
È <strong>di</strong> rara qualità il cartellone della<br />
IV e<strong>di</strong>zione del Tuscan Sun Festival<br />
dal 5 al 20 agosto nella<br />
splen<strong>di</strong>da cornice <strong>di</strong> Cortona<br />
(www.tuscansunfestival.com),<br />
uno degli eventi clou nel panorama<br />
della musica classica. I migliori<br />
musicisti del mondo, quattro<br />
orchestre, gran<strong>di</strong>ssime voci,<br />
e così via. A questo si aggiunga<br />
la Sezione Arti Visive con quattro<br />
mostre d’arte, scultura e fotografia;<br />
la Sezione Letteratura<br />
con tre incontri con scrittori, e<br />
poi appuntamenti più leggeri articolati<br />
nell’arco della giornata<br />
fino ad arrivare al Dopofestival<br />
nel chiostro <strong>di</strong> Palazzo Casali.<br />
L’APPUNTAMENTO<br />
Acqua e fuoco<br />
Dal 10 agosto fino al 23 settembre<br />
un’estate all’insegna dei<br />
fuochi e della magia in alcune località<br />
più belle del Trentino. L’acqua<br />
e il fuoco è un binomio che<br />
ha affascinato l’uomo sin dall’origine<br />
dei tempi così come l’arte<br />
<strong>di</strong> fabbricare, illuminare e tracciare<br />
scie luminose nel buio. I laghi<br />
del Trentino <strong>di</strong>ventono specchi<br />
delle luci che si accendono,<br />
cadono, viaggiano nell’aria trasportando<br />
gli spettatori in un<br />
universo stellato. Info: tel.<br />
0461/405405.<br />
<strong>LA</strong> MUSICA<br />
Stagione lirica estiva<br />
Fino a fine agosto a Verona all’Arena<br />
(www.arena.it) va in<br />
scena la “Stagione lirica estiva”.<br />
La magia dell’opera si accende<br />
sotto le<br />
stelle con<br />
la Cavalleriarusticana<br />
e<br />
Pagliacci.<br />
Molto attesoanche<br />
il debuttodella<br />
Tosca<br />
ideata dal genio <strong>di</strong> Hugo De<br />
Ana. E a grande richiesta tre<br />
applau<strong>di</strong>te messinscene <strong>di</strong><br />
Franco Zeffirelli: Aida, Carmen<br />
e Butterfly.<br />
<strong>LA</strong> MOSTRA<br />
Viareggio:<br />
Mirabilia maris<br />
Mostre e sirene, fino al 4 ottobre,<br />
popolano le antiche carte<br />
nautiche della Versilia, proiezione<br />
delle paure e del coraggio <strong>di</strong><br />
chi lasciava la terra per le acque<br />
sconosciute. Documentari rari e<br />
inaspettati a Mirabilia maris<br />
(Viareggio, tel. 0584/966413)<br />
tracciano l’evoluzione della cartografia<br />
toscana dal 1500 al<br />
1700, tra fantasia e rigore.<br />
<strong>LA</strong> SAGRA<br />
Gente <strong>di</strong> Sardegna<br />
A Villanova Monteleone (SS)<br />
gran<strong>di</strong> preparativi per l’e<strong>di</strong>zione<br />
2006 della manifestazione folkloristica<br />
“ Gente <strong>di</strong> Sardegna “.<br />
L’appuntamento è fissato il 6<br />
agosto per la grande sfilata nelle<br />
vie del paese <strong>di</strong> 16 gruppi in costume<br />
provenienti da <strong>di</strong>verse<br />
parti dell’isola e per la sagra della<br />
pecora.<br />
S<br />
CONTRALTARE<br />
<strong>di</strong> Filippo Facci<br />
e scavassi nel mio animo, se<strong>di</strong>menta- <strong>di</strong> altro, stia sacrificando sul proprio altare comunque cose per conto terzi, portano giù<br />
te, troverei probabilmente le incrosta- parti significative della nostra vita quali ap- persino il cane. La responsabilità affettiva sta<br />
zioni delle mie idee tardo-adolescenpunto i rapporti umani, le amicizie, il senso celermente passando all’economia <strong>di</strong> mercaziali<br />
sulla famiglia, non più che ru<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> della comunità, appunto la famiglia. to: le famiglie si restringono, i legami familia-<br />
un quasi orfano. Da allora a oggi non ho È tutto Made in Occidente: si lavora e si ri si sfilacciano ed è un tripu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> terapisti,<br />
cambiato idee: semplicemente non le ho più passa in ufficio anche 70 ore la settimana, si consulenti, assistenti per l’infanzia; strapar-<br />
elaborate, mi sono limitato a guardare come<br />
liamo <strong>di</strong> comunità e poi la vita è ridotta a un<br />
funziona il mondo e a capire che le idee camminano<br />
con le famose gambe degli uomini. A<br />
chi <strong>di</strong>fende la famiglia come una sorta <strong>di</strong> mis-<br />
Le verità<br />
del Fanciullino<br />
bancomat al posto <strong>di</strong> un bancario, il self-service<br />
al posto <strong>di</strong> un benzinaio, il <strong>di</strong>stributore al<br />
posto <strong>di</strong> un tabaccaio, il telepass al posto <strong>di</strong><br />
sione, tuttavia, non posso perdonare quella<br />
un bigliettaio, una labirintica segreteria al<br />
che a mio avviso corrisponde a una visione sfuggono le responsabilità affettive verso gli posto <strong>di</strong> una signorina, gran<strong>di</strong> magazzini al<br />
completamente sbagliata. Occuparsi ossessi- altri e verso se stessi, si sopperisce col denaro posto <strong>di</strong> un commesso, acquisti via internet al<br />
vamente <strong>di</strong> fecondazione assistita e <strong>di</strong> coppie arricchendo psicologi, guru, prostitute, si as- posto del mischiarsi alla pazza folla.<br />
<strong>di</strong> fatto e <strong>di</strong> bioetica e aborto e ra<strong>di</strong>ci cristiane sumono prestatori <strong>di</strong> attenzione e <strong>di</strong> assisten- Se non sapessi che suonerebbe terribil-<br />
(battaglie che peraltro giu<strong>di</strong>co tutte perse, alza per gli altri, persone che accu<strong>di</strong>scono i mente marxiano, <strong>di</strong>rei che a minare la fala<br />
lunga) penso abbia <strong>di</strong>stolto da come il nostro<br />
processo economico e consumistico, più<br />
bambini o gli anziani, allietano o curano i<br />
malati, i <strong>di</strong>sabili, e parlano con loro, fanno<br />
miglia è proprio questo nostro modello <strong>di</strong><br />
sviluppo. •<br />
EDICOLE AMICHE DEL “DOM”<br />
Venendo incontro alle richieste <strong>di</strong> alcuni lettori pubblichiamo un elenco <strong>di</strong> e<strong>di</strong>cole dove il Domenicale<br />
è sicuramente <strong>di</strong>sponibile. Facendo presente che il giornale è or<strong>di</strong>nariamente reperibile in 11.000<br />
riven<strong>di</strong>te, invitiamo altri e<strong>di</strong>colanti <strong>di</strong> tutt’Italia che gra<strong>di</strong>ssero essere segnalati a comunicarci il loro recapito<br />
MI<strong>LA</strong>NO<br />
• Largo Gemito/via<br />
Casoretto<br />
• Largo Augusto<br />
• Libreria Feltrinelli,<br />
Via Manzoni<br />
• Esselunga, Via De Angeli<br />
• Largo Nirone/<br />
corso Magenta<br />
Direttore Responsabile<br />
Angelo Crespi,<br />
Caporedattore Giuseppe Romano<br />
Redazione Marco Respinti,<br />
Davide Brullo, Matteo Tosi,<br />
Giovanni Abruzzo,<br />
Elena Buffa (consulente grafico),<br />
Giovanna Dal Negro<br />
(segreteria <strong>di</strong> redazione)<br />
Illustrazioni <strong>di</strong> Gianni Chiostri<br />
Redazione via Senato 12, 20121<br />
Milano, Telefono 02-36560007<br />
Fax 02-36560008,<br />
Registrazione Tribunale<br />
<strong>di</strong> Milano n.362 del 17/06/2002<br />
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TORINO<br />
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SETTIMANALE DI C ULTURA<br />
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NUMERO CHIUSO IN REDAZIONE<br />
IL 28 LUGLIO 2006<br />
ROMA<br />
• Via S.Susanna/<br />
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MERANO<br />
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p.zza Stazione<br />
• Eheim, interno Stazione<br />
• D.F.S., passeggiata<br />
lungo Passerio<br />
• Granetto, p.zza del grano<br />
• Lavanga, via delle Corse<br />
• Gregori, via Caserme<br />
Società E<strong>di</strong>trice Il Domenicale Spa<br />
Presidente Marcello Dell’Utri<br />
Vice Presidente Vicario<br />
Vittorio Farina<br />
Vice Presidente Riccardo Garosci<br />
Consiglieri d’Amministrazione<br />
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Giovanni Fagioli<br />
Carlo Fulchir<br />
Giuseppe Granata<br />
Delia Merlonghi<br />
Massimo Nicolucci<br />
L’e<strong>di</strong>tore si <strong>di</strong>chiara <strong>di</strong>sponibile a regolare<br />
eventuali <strong>di</strong>ritti per le immagini <strong>di</strong> cui non sia<br />
stato possibile reperire la fonte