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Il mio teatro - il portale di "rodoni.ch"

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Edward Gordon Craig, <strong>Il</strong> <strong>mio</strong> <strong>teatro</strong>.<br />

Introduzione e cura <strong>di</strong> Ferruccio Marotti<br />

Feltrinelli, M<strong>il</strong>ano, 1971<br />

Introduzione<br />

<strong>Il</strong> mondo <strong>di</strong> Craig è un mondo scomparso. E in esso Craig si era ritagliato un mondo a<br />

parte, dai confini rigorosamente tracciati e presi<strong>di</strong>ati dall'Inefficacia e dall'Afasia.<br />

Inefficacia <strong>di</strong> un artista ra<strong>di</strong>cale, che progetta in solitu<strong>di</strong>ne e vuole realizzare ogni cosa in<br />

modo perfetto, talmente teso all'assoluto da preferire l’inazione ad ogni sia pur minimo ce<strong>di</strong>mento<br />

alle esigenze della “pratica”, da temere in forma quasi maniacale che altri si appropri (e tra<strong>di</strong>sca)<br />

ciò che egli ha faticosamente elaborato. “The enemies” erano gli altri, per Craig, coloro che<br />

volevano spingerlo al compromesso, coloro che non volevano sapere, che andavano respinti, ai<br />

quali si doveva parlare un linguaggio criptico, <strong>il</strong> linguaggio esoterico <strong>di</strong> chi si pone come oggetto <strong>di</strong><br />

persecuzione.<br />

Afasia, anche, <strong>di</strong> colui che non nutre sufficiente fede nella parola e che, impossib<strong>il</strong>itato a<br />

comunicare attraverso segni teatrali assoluti, si serve <strong>di</strong> emblemi letterari: le forme precostituite del<br />

<strong>di</strong>alogo f<strong>il</strong>osofico, della visione profetica, dell’excursus storico e f<strong>il</strong>ologico (dotte esercitazioni su<br />

improbab<strong>il</strong>i fenomeni <strong>di</strong> anni o regioni lontane), della pagina ironica, dell'enfasi satirica.<br />

Chi non tenesse presente la fondamentale artificialità del linguaggio craighiano quale si<br />

manifesta negli scritti che qui pubblichiamo, <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>mente potrebbe ritrovare in essi la vivacità e la<br />

<strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> un'idea <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> per molti versi ancor oggi feconda. Quando parla della sua poetica,<br />

Craig allontana <strong>il</strong> lettore, cerca <strong>di</strong> porlo nella scomoda posizione <strong>di</strong> chi legge un testo sacro, la<br />

buona novella <strong>di</strong> un <strong>teatro</strong> venturo.<br />

Posizione tanto più scomoda oggi, quando non solo rischiano <strong>di</strong> sembrarci inattuali (e<br />

inut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>i) le immagini <strong>di</strong> una prosa che risente <strong>di</strong> un gusto che dal nostro è troppo lontano senza<br />

esserlo tanto da assumere <strong>il</strong> sapore delle cose - un po' ingenue e un po' paludate - <strong>di</strong> un buon tempo<br />

andato; ma quando l’oggetto stesso <strong>di</strong> quelle immagini e <strong>di</strong> quella prosa - <strong>il</strong> concetto <strong>di</strong> regia, <strong>il</strong><br />

linguaggio teatrale da Craig elaborati e definiti - sembra non più pertinente al <strong>di</strong>battito teatrale<br />

contemporaneo, degno, invece, dell'attenzione dello storico per un'avventura estetica in sé conclusa<br />

ed esaurita.<br />

Partendo dalla consapevolezza del valore riduttivo che acquisterebbe una lettura craighiana<br />

volta esclusivamente a un recupero f<strong>il</strong>ologico e a una ricostruzione storica - dalla consapevolezza,<br />

cioè, che pubblicare oggi, in Italia, gli scritti <strong>di</strong> Craig (che solo la cultura anglo-americana, e in<br />

parte quella mitteleuropea, hanno in certa misura assim<strong>il</strong>ato, mentre, ad esempio, anche in Francia<br />

essi sono stati trasmessi in maniera incompleta e non <strong>di</strong> rado fuorviante) acquista un valore che va<br />

al <strong>di</strong> là dell'interesse che essi possono suscitare presso gli addetti ai lavori solo se nel pubblicarli li<br />

si immette nel <strong>di</strong>battito contemporaneo sul <strong>teatro</strong> - abbiamo assunto l’idea <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> <strong>di</strong> Craig come<br />

uno dei poli <strong>di</strong> tensione cui ancora si riferisce - sia pure, a volte, come alternativa da negare, in base<br />

alla quale definirsi opponendosi - la vita dello spettacolo dei nostri giorni.<br />

È una scelta motivata anche dal fatto che <strong>il</strong> valore nodale delle teoriche e dell'opera craighiana<br />

per la storia del <strong>teatro</strong> moderno sono un dato ormai largamente acquisito e su cui non fa conto<br />

tornare, così come ci sembra inut<strong>il</strong>e ripercorrere una volta ancora l'arco della problematica<br />

artistica fra Ottocento e Novecento inserendo in esso lo svolgersi del pensiero craighiano, la sua<br />

utopia <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>, che costituisce anche <strong>il</strong> primo tentativo organico <strong>di</strong> inserire la fenomenologia<br />

dell’evento scenico nella problematica estetica.<br />

1


In prima istanza, quin<strong>di</strong>, leggere Craig oggi può significare porsi <strong>il</strong> problema della regia.<br />

Regia non intesa come prassi empirica, irriflessa, <strong>di</strong> subor<strong>di</strong>nazione degli interpreti a un <strong>di</strong>rettore,<br />

ma come principio estetico <strong>di</strong> unità degli elementi dello spettacolo e della sua autonomia in quanto<br />

fatto artistico.<br />

Questa ricerca dell'autonomia linguistica dello spettacolo va certo correlata alle ricerche<br />

estetiche che in <strong>di</strong>versi campi si andavano conducendo sullo scorcio del secolo anche come<br />

conseguenza della mutata funzione delle arti nella società. Ma mentre potremmo <strong>di</strong>re,<br />

schematizzando, e ovviamente generalizzando, che la <strong>di</strong>rezione della problematica intorno ad arti<br />

come la pittura, la scultura, l'architettura, la musica o la poesia è dettata univocamente dai loro<br />

rispettivi sistemi se<strong>mio</strong>logici, l’ambito se<strong>mio</strong>logico che delimitiamo con la parola “<strong>teatro</strong>" può<br />

comportare un duplice orientarsi della riflessione estetica.<br />

L'espressione "arte del <strong>teatro</strong>" (theatre, non drama) in<strong>di</strong>ca, infatti, l’organizzarsi dei segni in<br />

due <strong>di</strong>versi sistemi che spesso tendono a sovrapporsi, ma che permettono <strong>di</strong> separare teoricamente<br />

due <strong>di</strong>fferenti domini estetici. Da un lato <strong>il</strong> dominio dell'elaborazione artistica dell'attore, un'arte<br />

dell'uomo sull'uomo, <strong>il</strong> risultato, cioè, del formalizzarsi (se possib<strong>il</strong>e) <strong>di</strong> un materiale che - sia pure<br />

comunicandosi attraverso segni fisici - è in ultima analisi costituito dagli impulsi psichici; dall'altro<br />

<strong>il</strong> dominio estetico dello spettacolo nel suo insieme, assunto come prodotto artistico unitario ed<br />

autonomo.<br />

Nel primo caso - ra<strong>di</strong>calizzando i due termini dell'alternativa che abbiamo tracciato - la<br />

struttura dello spettacolo appare come una struttura sintattica attraversata perpen<strong>di</strong>colarmente dai<br />

sistemi <strong>di</strong> segni elaborati dagli attori, segni ad essa non omogenei e che essa serve soltanto a<br />

rendere leggib<strong>il</strong>i (una struttura che tende per così <strong>di</strong>re ad atrofizzarsi e della quale, quin<strong>di</strong>, si<br />

potrebbe persino fare a meno); nel secondo caso, evidentemente, <strong>il</strong> linguaggio dell’attore va reso<br />

omogeneo con quello che si esprime dagli altri elementi lessicali che compongono l’unità dello<br />

spettacolo, deve risultare dalla pura gestualità, dalla negazione <strong>di</strong> ogni materiale che riman<strong>di</strong><br />

all'orizzonte psicologico: i segni <strong>di</strong> cui si serve l’attore si pongono accanto, cioè, a quelli costituiti<br />

dalle luci, dalle scene, dai costumi, dalle parole del testo, acquistano <strong>il</strong> loro senso solo in quanto<br />

sono ad essi correlati, vengono progettati in base alle intenzioni che fondono in unità gli elementi<br />

visivi e sonori dello spettacolo.<br />

Più avanti ci riallacceremo a questo ambito problematico, ma va notato fin d'ora che<br />

identificare l’arte del <strong>teatro</strong> nell'arte dell’attore (secondo la migliore tra<strong>di</strong>zione del <strong>teatro</strong><br />

ottocentesco, riven<strong>di</strong>cando l’autonomia del fatto teatrale <strong>di</strong> fronte a quello letterario) sembrò<br />

significare un precludersi la via per l’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> un linguaggio artistico in senso stretto, nella<br />

misura in cui <strong>il</strong> linguaggio dell'attore sembrava rimanere un linguaggio "naturale": natura come<br />

opposto ad arte.<br />

Non si pensi subito alle teorizzazioni craighiane sulla Übermarionette: fin dal sorgere della<br />

piena consapevolezza dell'autonomia dell'arte dell'attore, dal suo inquadrarsi fra le "arti maggiori",<br />

sorse la parallela coscienza dell'impossib<strong>il</strong>ità del linguaggio attorico ad esprimersi in segni "puri"<br />

come quelli che caratterizzavano le altre arti. L’arte dell'attore sembrava così destinata o a vivere in<br />

regioni totalmente separate da quelle in cui fiorivano l'arte del poeta, del pittore e del musicista, o a<br />

ritrovarsi continuamente bloccata dai limiti, imposti dalla fisicità dell'uomo usato come materiale<br />

artistico. Da qui l’alternativa della marionetta già in Kleist o nel <strong>di</strong>alogo <strong>di</strong> Hoffmann. Singolari<br />

pene <strong>di</strong> un <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> (<strong>il</strong> vecchio capocomico mostra la perfetta compagnia per un <strong>teatro</strong><br />

ideale nella cassa che racchiude le marionette); da qui l’inquietu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Stanislavskij <strong>di</strong> fronte ai<br />

quadri <strong>di</strong> Vrubel; da qui la frase della Duse, almeno nel senso in cui viene epigraficamente<br />

riut<strong>il</strong>izzata da Craig: “Per salvare <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> bisogna <strong>di</strong>struggere <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>: gli attori e le attrici devono<br />

tutti morire <strong>di</strong> peste”.<br />

2


Negare l'arte dell'attore così come si era definita nello spettacolo ottocentesco appariva<br />

veramente come una <strong>di</strong>struzione del <strong>teatro</strong>, era <strong>il</strong> confrontarsi con la tra<strong>di</strong>zione non per operare un<br />

rinnovamento innestandosi in essa, ma per negarla e quin<strong>di</strong> inventare un linguaggio nuovo.<br />

L'isolamento e l’atteggiamento <strong>di</strong>struttivo degli “inventori” della regia - che troppo spesso si<br />

è ascritto a colpa o a riprova <strong>di</strong> una carenza <strong>di</strong> impegno sociale - appaiono così come <strong>il</strong> risultato<br />

necessario della logica del <strong>di</strong>scorso: basta tener presenti i valori della civ<strong>il</strong>tà teatrale del Grande<br />

Attore per comprendere come, con la regia, non si trattasse, in realtà, <strong>di</strong> riformare l’Arte del <strong>teatro</strong>,<br />

ma <strong>di</strong> fondare una nuova arte.<br />

La regia si conferma, anche da questo punto <strong>di</strong> vista, come un fenomeno affatto <strong>di</strong>verso da<br />

quell'unitarietà e <strong>di</strong>gnità formale pre<strong>di</strong>cate dalla messa in scena, che cercava <strong>di</strong> tradurre nello<br />

spettacolo l’unità poetica del testo rappresentato; <strong>di</strong>verso anche dalla messa in scena verista e<br />

naturalista (i Meininger, Antoine...) che, applicando a tutti gli elementi dello spettacolo <strong>il</strong> carattere<br />

mimetico della realtà proprio dell'attore, restavano forzatamente al <strong>di</strong> qua (malgrado la somiglianza<br />

<strong>di</strong> certi atteggiamenti, e fermo restando l’interesse che riveste una progettazione dello spettacolo<br />

condotta sulla base <strong>di</strong> precise categorie culturali) della ricerca dell'autonomia del linguaggio<br />

teatrale.<br />

E ancora: la nuova arte dello spettacolo si contrappone allo spettacolo delle arti. Essa, <strong>di</strong>ce in<br />

primo luogo Craig, non può essere <strong>il</strong> risultato <strong>di</strong> un'accumulazione e fusione <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse modalità<br />

espressive, deve derivare dallo strutturarsi in un autonomo linguaggio teatrale dei singoli elementi<br />

linguistici che possono essere estrapolati dai sistemi delle <strong>di</strong>verse arti. Con l’esigenza <strong>di</strong><br />

circoscrivere, <strong>di</strong>remmo oggi, un ambito se<strong>mio</strong>logico esclusivo del <strong>teatro</strong>, quest'ultimo si precisa<br />

fondamentalmente come fatto visivo cinetico, come arte della visione del movimento.<br />

Tutti gli elementi che convergono sul palcoscenico subiscono, cioè, un processo che li scioglie da<br />

ogni riferimento esterno all'insieme autosufficiente dello spettacolo, che abolisce ogni significazione<br />

realistica, e li fonda come puri segni <strong>il</strong> cui significato deriva esclusivamente dall'intrecciarsi e dallo<br />

svolgersi dei loro mutui rapporti.<br />

Le modalità <strong>di</strong> un tale processo mostrano come l’autonomia del linguaggio teatrale che sta alla<br />

base delle ricerche craighiane si traduca in progettazioni concrete. Su ciò occorre insistere onde<br />

evitare che <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso intorno a Craig si stemperi (come d'uso) da un lato nell’in<strong>di</strong>viduazione delle<br />

linee <strong>di</strong> una vaga e astratta idea <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>, dall'altro nella descrizione <strong>di</strong> singole realizzazioni che,<br />

private del loro valore <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni programmatiche, apparirebbero come i frutti isolati, come tali<br />

fin troppo fac<strong>il</strong>mente assim<strong>il</strong>ab<strong>il</strong>i, dell'estro <strong>di</strong> un grande artista.<br />

È noto come <strong>il</strong> segno teatrale potesse assumere, nei piani craighiani, un valore simbolico; ma<br />

ciò che più importa è che un tale valore viene ottenuto solo come punto culminante <strong>di</strong> un processo<br />

per cui un determinato segno dotato <strong>di</strong> un significato mimetico, “rappresentazione <strong>di</strong> una cosa”,<br />

perde questo suo originario significato per assumerne uno letterale nel sistema dello spettacolo.<br />

L'autonomia del linguaggio teatrale non appare come <strong>il</strong> presupposto su cui si elabora la<br />

rappresentazione (che allora potrebbe risultare imme<strong>di</strong>atamente da pure forme, luci, colori in<br />

movimento) ma è, in qualche modo, l’oggetto stesso dello spettacolo. <strong>Il</strong> movimento interno <strong>di</strong> questo<br />

è dettato dall'alternarsi <strong>di</strong> momenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>astole e momenti <strong>di</strong> sistole attraverso i quali i segni scenici si<br />

chiudono, per così <strong>di</strong>re, su se stessi, negando i riferimenti - <strong>di</strong>anzi appena accennati - alla realtà, per<br />

poi aprirsi a una significazione simbolica per via <strong>di</strong> autonomi proce<strong>di</strong>menti teatrali. È <strong>il</strong> ritmo che<br />

scan<strong>di</strong>sce la prima vera regia <strong>di</strong> Craig (Dido and Aeneas <strong>di</strong> Purcell), salutata, fin dal suo apparire,<br />

come un fatto rivoluzionario nella storia del <strong>teatro</strong> inglese.<br />

Si in<strong>di</strong>vidua, così, veramente una se<strong>mio</strong>logia propria del <strong>teatro</strong> nella misura in cui non ci si<br />

limita a superare l’atteggiamento mimetico trapiantando sul palcoscenico simboli letterari o<br />

figurativi. A questo proposito è particolarmente in<strong>di</strong>cativo l’elemento scenico che dominava l’inizio<br />

3


dell'Hamlet nella regia craighiana: <strong>il</strong> manto <strong>di</strong> porpora e oro che scendeva dalle spalle del re e della<br />

regina e si espandeva - fino a coprire metà della scena - in larghe onde da cui emergevano teste <strong>di</strong><br />

cortigiani. Si trattava, evidentemente, <strong>di</strong> dar corpo a un'immagine precisa del potere regale, della<br />

corte come propaggine del re, organismo unitario che si opponeva al principe Amleto. A prima vista<br />

<strong>il</strong> proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> Craig sembrerebbe consistere semplicemente nell'aver visualizzato l’espressione<br />

metaforica secondo cui la corte è tutta raccolta sotto <strong>il</strong> mantello del re, nell'aver portato in primo<br />

piano, cioè, un elemento (<strong>il</strong> mantello regale) carico <strong>di</strong> significati simbolici. In realtà accade esattamente<br />

l’opposto: lungi dall'avanzare in primo piano, <strong>il</strong> mantello perdeva <strong>il</strong> suo valore <strong>di</strong> oggetto,<br />

non appariva come un mantello più grande che quin<strong>di</strong> deve significare qualcosa <strong>di</strong> più, si presentava<br />

come puro colore e volume, e acquistava un significato simbolico attraverso i rapporti intercorrenti<br />

fra quel colore e quel volume e gli altri elementi che organizzavano lo spazio scenico: la piramide <strong>di</strong><br />

broccato d'oro da cui lame <strong>di</strong> luce traevano baluginii si opponeva ai toni grigi della parte avanzata<br />

della scena dominata da linee orizzontali, dove giaceva Amleto.<br />

<strong>Il</strong> simbolismo, risultante non da un sovrappiù <strong>di</strong> significato aggiunto al valore mimetico<br />

dell'oggetto scenico, ma funzione della crisi dell'oggetto stesso, del suo risolversi nel puro colore e<br />

nella pura spazialità, spiega <strong>il</strong> senso delle affermazioni craighiane secondo cui quella teatrale e l'arte<br />

del movimento. <strong>Il</strong> “movimento” è, innanzitutto, come si <strong>di</strong>ceva, <strong>il</strong> risultato del procedere dell'oggetto<br />

da una "connotazione" realistica ad una connotazione esclusivamente teatrale, ma non si risolve in<br />

pura figuratività, nella pura presentazione <strong>di</strong> “modulazioni visive", frutto <strong>di</strong> un estetismo fine a se<br />

stesso. La visione scenica, cioè, non viene semplicemente “vista”, ma coinvolge ogni livello<br />

percettivo.<br />

S. A. Luciani, nel descrivere gli esperimenti <strong>di</strong> Craig con gli screens del Model stage, notava:<br />

“Così la scena, manovrata da un artista, <strong>di</strong>venta come uno strumento nelle mani <strong>di</strong> un ab<strong>il</strong>e<br />

improvvisatore. Non più cosa meccanica ed immob<strong>il</strong>e, ma una cosa viva come l’attore, come la<br />

faccia umana, capace, pur restando sempre la stessa, <strong>di</strong> espressioni innumerevoli”.<br />

<strong>Il</strong> richiamo all'espressione umana, all'espressione attorica, è sintomatico: <strong>il</strong> regista, nell'idea<br />

<strong>di</strong> <strong>teatro</strong> <strong>di</strong> Craig, è l'artista che visualizza un ritmo organico, fisiologico ed interiore, traduce nei<br />

segni scan<strong>di</strong>ti dell'arte la globalità della percezione psichica.<br />

È questo un aspetto fondamentale della poetica craighiana, che - proprio per la sua ra<strong>di</strong>calità<br />

- non ha trovato un adeguato sv<strong>il</strong>uppo nella storia della regia moderna (ci si è spesso fermati a una<br />

concezione della regia come fatto visivo, o come semplice subor<strong>di</strong>nazione dei <strong>di</strong>versi elementi dello<br />

spettacolo ad un “regista comandante”), e che ha visto forse le sue più interessanti estensioni nelle<br />

teorie cinematografiche <strong>di</strong> Eisenstein.<br />

A ben guardare, <strong>il</strong> superamento della teoria "ortodossa" del montaggio cinematografico<br />

fondato sulla dominante in favore <strong>di</strong> una formulazione del montaggio basata sulla stimolazione<br />

totale dei vari organi sensori degli spettatori attraverso la totalità, cioè, degli stimoli - che trovano la<br />

loro unità nel fatto <strong>di</strong> essere dei riflessi fisiologici percepiti psichicamente - può essere vista come<br />

un'acuta applicazione al fatto cinematografico <strong>di</strong> un principio, che Eisenstein in<strong>di</strong>vidua nel kabuki (o<br />

nella qualità “fisiologica” della musica <strong>di</strong> Debussy e Skrjabin opposta al "classicismo" <strong>di</strong><br />

Beethoven), ma che è altresì inerente al concetto <strong>di</strong> regia <strong>di</strong> Gordon Craig.<br />

Anche <strong>il</strong> rifiuto eisensteiniano <strong>di</strong> una predeterminata definizione spaziale dell’immagine<br />

cinematografica, in favore <strong>di</strong> uno schermo circolare nel quale possano iscriversi le <strong>di</strong>verse<br />

inquadrature in figure corrispondenti ai loro interni caratteri, trova un'anticipazione teorica nell'uso<br />

craighiano degli screens che rifiutano <strong>il</strong> palcoscenico come “spazio dato” entro cui muovere o fare<br />

accadere qualcosa, e che rendono le stesse coor<strong>di</strong>nate spaziali funzioni metrodome dello scan<strong>di</strong>rsi<br />

profondo dello spettacolo.<br />

4


Lo spazio scenico non appare, così, spazio nel quale si vede, ma spazio visto, che ingloba lo<br />

sguardo da cui è determinato.<br />

Su questa linea è agevole precisare <strong>il</strong> valore della concezione della Übermarionette e della<br />

sostituzione del volto dell'attore con la maschera: la figura umana non è più la superficie su cui si<br />

esprimono degli stati d'animo, essa deve rappresentarli, è già <strong>il</strong> risultato <strong>di</strong> una visione, un tertium<br />

quid rispetto all'attore e al personaggio, implica - da parte dello spettatore - uno sguardo che veda<br />

“non con gli occhi ma attraverso gli occhi”. E al riguardo va r<strong>il</strong>evato come la ricerca craighiana<br />

sul linguaggio teatrale fosse - proprio in quanto ricerca linguistica - assim<strong>il</strong>ab<strong>il</strong>e anche nell'ambito<br />

<strong>di</strong> poetiche teatrali volte in <strong>di</strong>rezioni affatto <strong>di</strong>verse da quella <strong>di</strong> Craig: pensiamo sia al pre<strong>di</strong>gra, <strong>il</strong><br />

pregioco, e alla biomeccanica dell'attore mejerchol<strong>di</strong>ano, sia al Verfremdungseffekt dell'attore epico<br />

brechtiano.<br />

L'apporto, al livello tecnico linguistico, della visione craighiana dell'attore sulle esperienze<br />

operative e sulle ipotesi teoriche sia <strong>di</strong> Mejerchol'd che <strong>di</strong> Brecht è storicamente comprovato da un<br />

lato dal lavoro che <strong>il</strong> primo condusse, come traduttore, intorno ai testi <strong>di</strong> Craig; dall'altro dai<br />

colloqui sulla problematica dell'attore che Craig ebbe con Brecht subito dopo la messinscena della<br />

Dreigroschenoper e che furono ripresi successivamente a Mosca nel 1935. Sono apporti che<br />

meriterebbero una più approfon<strong>di</strong>ta indagine attraverso l’esame delle carte private sia <strong>di</strong> Craig sia<br />

dei suoi interlocutori.<br />

Ma, prima <strong>di</strong> concludere queste in<strong>di</strong>cazioni sulle modalità <strong>di</strong> presenza dell'attore nello spazio<br />

e nel tempo scenico teorizzati da Craig, non sarà inut<strong>il</strong>e notare come, ad essere coerenti, solo <strong>il</strong><br />

mezzo cinematografico possa integralmente tradurre l’espressività della figura umana nella<br />

rappresentazione, nella <strong>di</strong>mostrazione dell’Übermarionette (che non è semplicemente Marionette<br />

perché ad essa ineriscono tutti i segni propri dell'espressione corporea). E ciò non soltanto perché <strong>il</strong><br />

cinema fissa immutab<strong>il</strong>mente, su <strong>di</strong> un mezzo <strong>di</strong> riproduzione meccanico, l’espressione selezionata<br />

dell'attore, i tempi e i mo<strong>di</strong> della "maschera mob<strong>il</strong>e", ma anche perché esso permette <strong>di</strong> formalizzare<br />

<strong>il</strong> processo secondo cui la figura umana si mostra come risultato, come pre-vista (anche, quin<strong>di</strong>,<br />

come <strong>il</strong> risultato <strong>di</strong> un giu<strong>di</strong>zio che svela l’interna <strong>di</strong>alettica della realtà c'è da chiedersi, a questo<br />

proposito, se <strong>il</strong> mezzo priv<strong>il</strong>egiato per realizzare <strong>il</strong> progetto brechtiano <strong>di</strong> attore non sia, oggi, <strong>il</strong><br />

cinema piuttosto che <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>).<br />

Non è un caso se <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso sulle implicazioni ultime delle ricerche craighiane tende<br />

ripetutamente a sboccare in riferimenti alle possib<strong>il</strong>ità del linguaggio cinematografico: ciò che rende<br />

necessario un tale percorso della riflessione critica su Craig è anche ciò che spiega la relativa<br />

ster<strong>il</strong>ità, per quanto si riferisce alla problematica teatrale contemporanea, dell'idea craighiana <strong>di</strong><br />

regia.<br />

Per fare un solo esempio: quando oggi un uomo <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> come Grotowski pone all'origine delle<br />

sue ricerche la domanda stessa che si poneva Craig (l’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> un autonomo linguaggio<br />

teatrale capace quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> fondare la “funzione” del <strong>teatro</strong>), e l'esigenza - anche questa craighiana,<br />

come si <strong>di</strong>ceva - <strong>di</strong> superare la concezione dello spettacolo come unione più o meno armonica <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fferenti mezzi d'espressione, i risultati cui egli giunge costituiscono per molti aspetti l’esatto<br />

opposto <strong>di</strong> quelli cui giungeva Craig.<br />

Un esame anche superficiale dell'opera <strong>di</strong> Grotowski mostra imme<strong>di</strong>atamente come in essa<br />

vengano rifiutati precisamente quegli elementi lessicali costituenti <strong>il</strong> linguaggio teatrale così come si<br />

era definito dall'analisi <strong>di</strong> Craig.<br />

<strong>Il</strong> fatto è tanto più sintomatico in quanto <strong>il</strong> rifiuto non viene nemmeno esplicitato: non si tratta<br />

<strong>di</strong> una contrapposizione <strong>di</strong> “poetiche”, ma del sostituirsi <strong>di</strong> una problematica che esamina <strong>il</strong> <strong>teatro</strong><br />

5


nel contesto del sistema degli spettacoli, a quella che esaminava lo spettacolo teatrale in rapporto al<br />

più vasto sistema delle arti.<br />

Ciò che qui importa notare, infatti, è l’incomparab<strong>il</strong>ità del <strong>di</strong>scorso craighiano sul <strong>teatro</strong> con<br />

quello - assunto a titolo esemplificativo e in ragione della somiglianza almeno apparente dei punti <strong>di</strong><br />

partenza - <strong>di</strong> Grotowski; così come non si può <strong>di</strong>menticare che usando <strong>il</strong> termine "<strong>teatro</strong>"<br />

in<strong>di</strong>chiamo fenomeni non omogenei, che non possono essere racchiusi nel giro <strong>di</strong> un'unica<br />

riflessione generale, a seconda che ci riferiamo al <strong>di</strong>ciannovesimo o al ventesimo secolo, o, per<br />

essere più precisi, a quegli anni del nostro secolo che seguono <strong>il</strong> definitivo affermarsi - come mezzo<br />

<strong>di</strong> comunicazione <strong>di</strong> massa e come autonoma espressione artistica - del cinema. Sia al livello<br />

sociologico sia a quello se<strong>mio</strong>logico, infatti, gran parte dei fenomeni che nel secolo scorso<br />

costituivano l’insieme che in<strong>di</strong>chiamo con la parola <strong>teatro</strong> andrebbero oggi in<strong>di</strong>viduati nell'insieme<br />

costituito dalla serie spettacolo teatrale, cinematografico e televisivo.<br />

Se, quin<strong>di</strong>, <strong>il</strong> concetto craighiano <strong>di</strong> regia nasceva dalla ricerca <strong>di</strong> un sistema <strong>di</strong> segni teatrali<br />

e soltanto teatrali equivalente, per autonomia, a quello delle altre arti (musica, pittura, architettura<br />

ecc.), la ricerca o<strong>di</strong>erna è volta a reperire ciò che <strong>di</strong>stingue <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> dagli altri mezzi <strong>di</strong> espressione<br />

quando gli siano stati tolti quegli elementi che, nel sistema complessivo dei mass-me<strong>di</strong>a e delle arti<br />

dello spettacolo (cinema, televisione ecc.), si trovano in una zona <strong>di</strong> sovrapposizione.<br />

Nel primo caso si trattava <strong>di</strong> reperire la necessità del <strong>teatro</strong> in un contesto che potremmo<br />

in<strong>di</strong>care come quello dell'estetica idealistica, nel secondo caso <strong>il</strong> problema della necessità si pone nei<br />

termini concreti <strong>di</strong> un problema sociologico; quello, cioè, <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare - quando ciò sia possib<strong>il</strong>e -<br />

le ragioni <strong>di</strong> una sopravvivenza che non sia semplicemente <strong>il</strong> frutto della viscosità delle moeurs.<br />

Allo spettacolo della regia, che si realizzava come unitario ed autosufficiente sistema <strong>di</strong> segni,<br />

si contrappone, ora, lo spettacolo che è frutto <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> spoliazione (che è povero), e che,<br />

necessariamente, finisce con l’identificarsi nell'attore, nella comunicazione per mezzo del sistema<br />

psicofisico umano, quel sistema che Craig rifiutava come non dominab<strong>il</strong>e e strutturab<strong>il</strong>e<br />

artisticamente. E proprio nella ricerca <strong>di</strong> un superamento delle ragioni che determinavano un tale<br />

rifiuto gli in<strong>di</strong>rizzi del <strong>teatro</strong> contemporaneo cui prima accennavamo si sono ricollegati alle scienze<br />

antropologiche e psicologiche e - nell'ambito della riflessione teatrale - alla tra<strong>di</strong>zione<br />

stanislavskijana, attraverso l’eliminazione <strong>di</strong> tutto ciò che in quella tra<strong>di</strong>zione vi è <strong>di</strong> mimetico, e<br />

quin<strong>di</strong> innestando su <strong>di</strong> essa suggestioni da Artaud (o da Witkiewicz). Anche senza voler confrontare<br />

la problematica craighiana con l’“opposto estremismo” delle ricerche contemporanee sull'attore,<br />

occorre notare che nel momento in cui oggi si esamina lo spettacolo teatrale è proprio <strong>il</strong> suo<br />

carattere <strong>di</strong> perfezione (<strong>di</strong> sistema artistico autosufficiente) a venir posto in questione. <strong>Il</strong> <strong>teatro</strong> è<br />

chiamato a trarre ogni conseguenza dal fatto <strong>di</strong> porsi come spettacolo che avviene hic et nunc<br />

(spettacolo che non dura) in contrapposizione allo spettacolo costruito una volta per tutte (spettacolo<br />

che dura, che si riproduce identico), che è quello cinematografico. Anche quando non si giunge, cioè,<br />

alla scelta ra<strong>di</strong>cale del <strong>teatro</strong> povero, è <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> rozzo, imme<strong>di</strong>ato, che ancora una volta sembra<br />

palesare l’inattualità dell'idea <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> craighiana.<br />

Ma quella <strong>di</strong> Craig è un'idea <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> che non può essere chiusa definitivamente nell'ambito<br />

storico del problema registico. L’angustia <strong>di</strong> una tale prospettiva appare evidente non appena si<br />

pensi a come la regia sia per lui un momento che me<strong>di</strong>a <strong>il</strong> passaggio dal <strong>teatro</strong> inautentico al <strong>teatro</strong><br />

come esperienza totale.<br />

Gli scritti <strong>di</strong> Craig sono, per molti aspetti, scritti esoterici. Pensando ad almeno un lettore<br />

attento egli scriveva: “Quell’uno capirà che io scrivo qui <strong>di</strong> cose che hanno a che fare col presente,<br />

col domani e coll'avvenire, e starà attento a non confondere questi tre <strong>di</strong>fferenti perio<strong>di</strong>”.<br />

Dagli strati meno superficiali delle pagine craighiane emerge un'immagine del <strong>teatro</strong> che non si<br />

limita a rinnovare la struttura dell'evento artistico, ma che cerca <strong>di</strong> immetterlo in maniera nuova nel<br />

6


circuito dell'esperienza. L'immagine <strong>di</strong> un <strong>teatro</strong> sistolico, per così <strong>di</strong>re, una sorta <strong>di</strong> Nô occidentale<br />

che - piuttosto <strong>di</strong> aprirsi verso <strong>il</strong> pubblico - accentri <strong>il</strong> pubblico su <strong>di</strong> sé; non un improbab<strong>il</strong>e “<strong>teatro</strong><br />

rituale”, ma un <strong>teatro</strong>, forse, dell'autocoscienza raggiunta per mezzo della precisione tecnica,<br />

dell'artificio del velare e dello svelare.<br />

È una proposta che si immette nel <strong>di</strong>battito contemporaneo, quando gli uomini <strong>di</strong> <strong>teatro</strong><br />

sentono l’esigenza <strong>di</strong> inventariare le possib<strong>il</strong>ità del linguaggio teatrale prima <strong>di</strong> progettare i mo<strong>di</strong> e<br />

gli scopi dell’intervento del <strong>teatro</strong> nella società, e quando non si vuole più correre <strong>il</strong> rischio <strong>di</strong><br />

lastricare <strong>di</strong> buone intenzioni un e<strong>di</strong>ficio inabitato, che sopravvive sempre più inut<strong>il</strong>mente nel tessuto<br />

della metropoli.<br />

Craig, spogliato della veste liberty, ci appare come la prima proposta in termini mitici (e non<br />

ancora <strong>di</strong>rettamente antropologici) <strong>di</strong> recupero <strong>di</strong> una cultura "altra" e <strong>di</strong> un significato “altro” per<br />

l’evento spettacolo.<br />

FERRUCCIO MAROTTI<br />

7


L’itinerario <strong>di</strong> Gordon Craig<br />

Edward Gordon Craig nacque a Stevenage, in Ingh<strong>il</strong>terra, nel 1872, da Edward W<strong>il</strong>liam<br />

Godwin, famoso architetto (e appassionato <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>) e da Ellen Terry, giovane sconosciuta attrice,<br />

moglie separata del pittore vittoriano G. F. Watts. Godwin, che rimase accanto ad Ellen Terry solo<br />

pochi anni, morì quattor<strong>di</strong>ci anni più tar<strong>di</strong>. Ellen Terry <strong>di</strong>venne la più grande attrice dell’età<br />

vittoriana.<br />

Craig debuttò in scena nel 1878, a sei anni, facendo una breve apparizione in Olivia, al Court<br />

Theatre. <strong>Il</strong> 28 <strong>di</strong>cembre dello stesso anno Ellen Terry iniziò la sua collaborazione artistica con Henry<br />

Irving, <strong>il</strong> maggior attore e capocomico inglese dell’Ottocento, recitando con lui, nell’Hamlet, al <strong>teatro</strong><br />

Lyceum <strong>di</strong> Londra. Durante la seconda tournée americana <strong>di</strong> Ellen Terry ed Henry Irving, nel 1885,<br />

Teddy (Edward Wardell, per la legge, essendo questo <strong>il</strong> cognome del nuovo marito della madre)<br />

sostenne una piccola parte, quella del ragazzo del giar<strong>di</strong>niere, nel primo atto <strong>di</strong> Eugene Aram, a<br />

Chicago. Poi recitò saltuariamente - a volte soltanto come comparsa - nell’Hamlet, in Much Ado<br />

About Nothing e in Twelfth Night.<br />

Solo quando ebbe compiuto se<strong>di</strong>ci anni Ellen Terry decise <strong>di</strong> farne un attore. Ma, ha notato in<br />

seguito Craig, egli ormai era troppo autocosciente: avrebbe potuto <strong>di</strong>ventare attore solo se avesse<br />

cominciato a recitare in modo sistematico da piccolo, per riuscire ad acquistare tutta l’esperienza<br />

necessaria prima <strong>di</strong> giungere all’età della ragione. Nel 1889 venne scritturato con salario, da Irving, al<br />

Lyceum, e nel cast del melodramma <strong>di</strong> Watt Ph<strong>il</strong>lips, The Dead Heart, apparve per la prima volta <strong>il</strong><br />

nuovo nome d’arte <strong>di</strong> Teddy: Edward Gordon Craig.<br />

Lo stesso anno iniziò a stu<strong>di</strong>are recitazione sotto la guida <strong>di</strong> Walter Lacy, un vecchio attore, e<br />

ad istruirsi meto<strong>di</strong>camente nei vari “mestieri” del <strong>teatro</strong>. Al Lyceum si rese conto poco per volta <strong>di</strong><br />

venir sempre ad<strong>di</strong>tato come figlio <strong>di</strong> Ellen Terry, e <strong>di</strong> non poter quin<strong>di</strong> lavorare senza essere notato,<br />

<strong>di</strong> non poter perdersi fra gli altri, farsi strada da sé ed emergere al momento opportuno con le proprie<br />

forze. Quest’idea lo perseguitava e gli impe<strong>di</strong>va anche <strong>di</strong> apprezzare <strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egio <strong>di</strong> avere due maestri<br />

come sua madre ed Henry Irving.<br />

L’esempio e la guida <strong>di</strong> Irving, mentre in un primo tempo indussero Craig a tentarne<br />

un’imitazione che da esteriore <strong>di</strong>venne sempre più intima, determinarono poi in lui a poco a poco -<br />

col progressivo formarsi della sua personalità - un senso <strong>di</strong> insod<strong>di</strong>sfazione sempre più acuto,<br />

poiché, scrisse egli stesso, “osservando Irving nell’ultimo atto <strong>di</strong> The Lyons Ma<strong>il</strong> e <strong>di</strong> The Bells,<br />

sentii che era impossib<strong>il</strong>e andar oltre quel punto e mi <strong>di</strong>ssi che o dovevo contentarmi per <strong>il</strong> resto<br />

della mia vita <strong>di</strong> seguire Irving e <strong>di</strong>ventare una sua pallida imitazione, o scoprire chi ero realmente io,<br />

ed essere me stesso”.<br />

Durante l’estate del ‘92, mentre <strong>il</strong> Lyceum rimaneva chiuso, Craig recitò in provincia la parte<br />

<strong>di</strong> Petruchio in The Taming of the Shrew, quella <strong>di</strong> Charles Surface in The School for Scandal e quella<br />

<strong>di</strong> Modus in The Hunchback.<br />

Nel 1893 incontrò W<strong>il</strong>liam Nicholson e James Pride, due giovani artisti grafici, tramite i quali<br />

scoprì <strong>il</strong> <strong>di</strong>segno e la x<strong>il</strong>ografia, che <strong>di</strong>vennero presto le sue passioni dominanti.<br />

Nello stesso anno, essendosi sposato e non potendo quin<strong>di</strong> seguire Irving ed Ellen Terry nella<br />

nuova tournée americana, Craig mise in scena a Uxbridge, per uno spettacolo <strong>di</strong> beneficenza, On ne<br />

ba<strong>di</strong>ne pas avec l’amour <strong>di</strong> de Musset. È <strong>il</strong> suo primo “tentativo” registico: la preparazione del<br />

lavoro gli richiese circa due mesi e mezzo; egli stesso <strong>di</strong>segnò le scene, aiutò i falegnami a costruirle,<br />

le <strong>di</strong>pinse e <strong>di</strong>resse le prove degli attori. Lo spettacolo fu replicato due sere, <strong>il</strong> 13 e <strong>il</strong> 14 <strong>di</strong>cembre.<br />

Nel cast degli attori, oltre a lui che sosteneva la parte <strong>di</strong> Per<strong>di</strong>cano, c’erano Italia Conti<br />

(Cam<strong>il</strong>la) e Tom Heslewood.<br />

8


I documenti al riguardo sono molto scarsi: la stampa non si interessò a questo spettacolo <strong>di</strong><br />

beneficenza. Una nota al programma stampato in quell’occasione <strong>di</strong>ce che “i costumi sono un’esatta<br />

riproduzione degli abiti usati nel secolo XIV, e sono fatti su <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> Viollet le Duc”.<br />

L’estate seguente recitò in provincia con la compagnia W. S. Hardy come protagonista in<br />

Hamlet, sostenendo anche altri ruoli: Cassio nell’Othello e Gratiano in The Merchant of Venice.<br />

Dopo altre tournées in cui recitò la parte <strong>di</strong> Cavaradossi nella Tosca e fu protagonista in Hamlet e in<br />

Macbeth, Craig tornò a lavorare, nel 1896, nella compagnia <strong>di</strong> Irving, e nel mese <strong>di</strong> luglio recitò con<br />

una propria compagnia al <strong>teatro</strong> Parkhurst <strong>di</strong> Londra, come protagonista in Hamlet e in Romeo and<br />

Juliet. Con Irving ebbe parti in Cymbeline e in Richard III. L’anno seguente fu <strong>di</strong> nuovo protagonista<br />

<strong>di</strong> Hamlet per sei repliche serali e due <strong>di</strong>urne al <strong>teatro</strong> Olympic, chiamato a sostituire un attore<br />

malato.<br />

La stampa lon<strong>di</strong>nese comincia a notare questo giovane attore pieno <strong>di</strong> talento. A proposito<br />

delle recite al <strong>teatro</strong> Parkhurst, <strong>il</strong> giornale “The Era” del 25 luglio 1896 scriveva <strong>di</strong> Craig nel ruolo <strong>di</strong><br />

Amleto: “Ha dei tratti fini, espressivi e si muove con grazia e <strong>di</strong>sinvoltura. È chiaro che ha stu<strong>di</strong>ato<br />

la parte con grande cura e ne dà un’interpretazione al tempo stesso intelligente, penetrante e<br />

sapiente. Gordon Craig è un serio rappresentante della nuova scuola <strong>di</strong> recitazione che si<br />

contrappone all’eloquio pomposo e declamatorio e ai proce<strong>di</strong>menti spesso meccanici della scuola<br />

tra<strong>di</strong>zionale”.<br />

Su “The People”, più conservatore, <strong>il</strong> giorno seguente usciva un traf<strong>il</strong>etto <strong>di</strong> critica che gli<br />

rimproverara <strong>il</strong> suo st<strong>il</strong>e “decisamente moderno” e lo metteva in guar<strong>di</strong>a sui pericoli dell’uscir fuori<br />

dalla tra<strong>di</strong>zione. Clement Scott - uno fra i più influenti critici teatrali dell’epoca - scriveva sulle<br />

“<strong>Il</strong>lustrated London News” del 1° agosto 1895 che, pur notandosi ancora in lui <strong>il</strong> forte influsso della<br />

scuola <strong>di</strong> Irving, Gordon Craig aveva <strong>di</strong>mostrato <strong>di</strong> avere “delle idee nuove e interessanti per quel che<br />

riguarda i particolari dell’interpretazione e <strong>il</strong> movimento scenico”. Anni dopo G<strong>il</strong>bert Coleridge<br />

(“Sunday Times”, 19 agosto 1923) ricordava ancora la sua interpretazione <strong>di</strong> Amleto come la più<br />

intelligente e la più nuova fra le tante da lui viste in Ingh<strong>il</strong>terra.<br />

Del tutto inaspettatamente, allorché gli scadde la scrittura con <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> Lyceum, nel <strong>di</strong>cembre<br />

del 1897 Craig pose fine alla sua carriera <strong>di</strong> attore a neppur ventisei anni, quando aveva cominciato<br />

ad affrontare con successo i ruoli più impegnativi.<br />

In questi anni <strong>di</strong> crisi Craig si <strong>di</strong>ede a <strong>di</strong>segnare e a incidere su legno sempre più<br />

appassionatamente e iniziò anche a pubblicare una rivistina, “The Page”, <strong>di</strong> cui, a cominciare dal<br />

1898, uscirono quattro annate, con una frequenza prima mens<strong>il</strong>e, poi trimestrale. Ormai si<br />

guadagnava da vivere <strong>di</strong>segnando o incidendo per giornali e riviste. Nel 1900 pubblicò <strong>il</strong> volume <strong>di</strong><br />

x<strong>il</strong>ografie The Gordon Craig Book of Oenny Toys.<br />

<strong>Il</strong> numero finale <strong>di</strong> “The Page” per l’anno 1899 riportava una notizia importante: si era formata<br />

The Purcell Operatic Society, una società artistica che intendeva riproporre al pubblico le opere non<br />

più eseguite <strong>di</strong> Purcell, Arne, Händel, Gluck e altri compositori. <strong>Il</strong> numero dei membri era limitato a<br />

duecentocinquanta persone; costo annuale per gli iscritti: una ghinea. Direttore musicale: Martin<br />

Fallas Shaw. Direttore <strong>di</strong> scena: Edward Gordon Craig. La prima opera in programma era Dido and<br />

Aeneas <strong>di</strong> Purcell.<br />

Gordon Craig aveva conosciuto Martin Fallas Shaw, un giovane musicista, nel ‘97, poco prima<br />

<strong>di</strong> ritirarsi dalla sua attività <strong>di</strong> attore, ed erano <strong>di</strong>venuti molto amici.<br />

Nel suo Index to the Story of My Days, Craig ricorda: “Non avevamo un soldo - e questa era<br />

una seccatura minima. Non avevamo un <strong>teatro</strong> - ma non era niente <strong>di</strong> insuperab<strong>il</strong>e. Non avevamo una<br />

compagnia <strong>di</strong> attori-cantanti, né potevamo ingaggiarne una perché ci sarebbe voluto un capitale <strong>di</strong><br />

parecchie migliaia <strong>di</strong> sterline. Decidemmo subito <strong>di</strong> provare e riprovare finché tutto non fosse stato<br />

9


pronto - nessun limite <strong>di</strong> due settimane al massimo per le prove. Niente denaro - niente <strong>teatro</strong> -<br />

niente compagnia. Aggiungete a questo: niente personale”.<br />

L’orchestra aveva una struttura identica a quella usata da Purcell nel 1680; nel programma per<br />

la rappresentazione ad Hampstead si avverte che “nel <strong>di</strong>segnare la scena e i costumi <strong>di</strong> Dido and<br />

Aeneas <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena si è preoccupato in particolar modo <strong>di</strong> essere assolutamente scorretto in<br />

tutto ciò che riguarda i particolari”. È evidente l’intenzione polemica con cui <strong>il</strong> regista desiderava<br />

presentare <strong>il</strong> suo spettacolo, in una Ingh<strong>il</strong>terra dominata in quegli anni dall’influsso dei Meininger e<br />

della scuola realistica.<br />

Le prove, che durarono circa sette mesi, iniziarono verso la fine del 1899, nei vari locali che si<br />

trovarono <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>i ad Hampstead, dove vivevano i componenti della troupe, tutti d<strong>il</strong>ettanti, se si<br />

eccettuano i due cantanti che impersonarono Didone ed Enea, i quali d’altronde provarono solo<br />

poche volte prima della rappresentazione. La sala, sulla cui piattaforma Craig costruì <strong>il</strong> proscenio e<br />

le scene del dramma, era quella del Conservatorio musicale <strong>di</strong> Hampstead. La piattaforma “era<br />

rialzata <strong>di</strong> circa un metro e venti dal livello del pavimento e si estendeva per tutta la larghezza della<br />

sala; sul fondo <strong>di</strong> questa lunga scena si elevavano più f<strong>il</strong>e <strong>di</strong> ripiani a gra<strong>di</strong>nata, come nella maggior<br />

parte delle sale da concerto dell’epoca” (Craig, Index). <strong>Il</strong> regista, quin<strong>di</strong>, si dovette adattare alle<br />

proporzioni della scena già esistente; fece costruire, con travi da impalcature, un proscenio, che<br />

venne in tal modo a formare una cornice <strong>di</strong> color grigio alla scena, la quale si presentava<br />

particolarmente larga, contrariamente allo sv<strong>il</strong>uppo verticale che hanno in genere i <strong>di</strong>segni successivi<br />

<strong>di</strong> Craig, e piuttosto bassa. Martin Shaw ricorda nel suo libro come ogni sera, durante le tre repliche<br />

dello spettacolo (17, 18 e 19 maggio 1900), le travi orizzontali che formavano la parte superiore del<br />

proscenio, su cui erano i due operatori delle luci e tutto l’impianto d’<strong>il</strong>luminazione (<strong>il</strong> ponte-luce), si<br />

piegavano sempre <strong>di</strong> più, tanto da far temere che si spezzassero da un momento all’altro. Craig si<br />

servì dunque fin da questa prima volta <strong>di</strong> luci provenienti dall’alto, eliminando ogni luce <strong>di</strong> ribalta. La<br />

cosa, da un punto <strong>di</strong> vista tecnico, era a quel tempo inusitata; ma c’era anche un’altra significante<br />

innovazione tecnica, a quanto risulta da una rivista dell’epoca: “L’<strong>il</strong>luminazione era eccellente; due<br />

potenti riflettori erano adoperati dal fondo della sala, sopra le teste del pubblico; ad essi si<br />

aggiungevano delle luci dall’alto del proscenio, ma le luci laterali e quelle <strong>di</strong> ribalta erano del tutto<br />

assenti; i costumi e coloro che li indossavano venivano a guadagnare moltissimo da<br />

quest’innovazione”.<br />

Per ottenere un effetto <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà infinita alla scena, Craig aveva inoltre messo a un paio <strong>di</strong><br />

metri dal fondale blu uno schermo grigio <strong>di</strong> garza, <strong>il</strong>luminato lateralmente con luci rosa, che<br />

producevano un colorismo cangiante, in cui la terza <strong>di</strong>mensione si vanificava nella profon<strong>di</strong>tà oscura.<br />

La prima scena, che secondo <strong>il</strong> libretto doveva rappresentare dapprima <strong>il</strong> palazzo <strong>di</strong> Didone,<br />

poi <strong>il</strong> porto, fu realizzata da Craig con in primo piano “un traliccio molto lungo coperto da<br />

rampicanti ver<strong>di</strong> e da fiori. <strong>Il</strong> traliccio, era interrotto al centro da un trono - quattro alti, es<strong>il</strong>i p<strong>il</strong>astri<br />

che sorreggevano un baldacchino, e sotto <strong>di</strong> esso <strong>il</strong> trono, ampio e ricco <strong>di</strong> molti cuscini. Subito <strong>di</strong>etro<br />

una grande tela <strong>di</strong> fondo blu, blu porpora. Questo fondale si elevava oltre <strong>il</strong> limite <strong>di</strong> visib<strong>il</strong>ità degli<br />

spettatori... così si provava (la gente <strong>di</strong>ceva - per la prima volta) una sensazione <strong>di</strong> spazialità sulla<br />

scena” (Craig, Index). Per rappresentare <strong>il</strong> porto veniva semplicemente tolto <strong>il</strong> trono con i suoi<br />

cuscini rosso scarlatto e i due tratti <strong>di</strong> traliccio venivano congiunti.<br />

Nella seconda scena, che rappresentava <strong>il</strong> conc<strong>il</strong>io delle streghe, con in primo piano le sagome<br />

scure <strong>di</strong> navi naufragate, Craig si servì <strong>di</strong> tutta la profon<strong>di</strong>tà del palcoscenico, comprese le gra<strong>di</strong>nate<br />

<strong>di</strong> fondo, coperte <strong>di</strong> grigio, su cui agivano i personaggi del coro - parte <strong>di</strong>nanzi e parte <strong>di</strong>etro lo<br />

schermo <strong>di</strong> garza, su cui si proiettavano luci blu e ver<strong>di</strong> - veri protagonisti <strong>di</strong> questo spettacolo, con<br />

un’unità e una continuità <strong>di</strong> movimento che destò meraviglia.<br />

10


<strong>Il</strong> fine ultimo <strong>di</strong> Craig - come egli stesso <strong>di</strong>ce - era “non <strong>di</strong> creare una sensazione <strong>di</strong> varietà -<br />

bensì <strong>di</strong> creare una sensazione <strong>di</strong> unità”, e questo fu <strong>il</strong> principio che lo guidò in tutta la realizzazione<br />

scenica: a tal fine <strong>il</strong> proscenio, <strong>il</strong> sipario, <strong>il</strong> pavimento del palcoscenico e le gra<strong>di</strong>nate sul fondo erano<br />

“<strong>di</strong> un caldo grigio neutro... L’effetto era quello <strong>di</strong> elevare e mettere a fuoco al massimo <strong>il</strong> quadro<br />

scenico, sicché ogni minimo pezzo <strong>di</strong> colore aveva un suo preciso significato... Vi era poi un chiaro<br />

intento artistico nell’inseparab<strong>il</strong>ità dei costumi degli attori da quel che li circondava; essi erano<br />

essenzialmente parte del <strong>di</strong>segno d’insieme <strong>di</strong> ciascuna scena, e tutto questo portava ad una<br />

complessità armoniosa che è rara a <strong>teatro</strong>; i <strong>di</strong>rettori <strong>di</strong>menticano con fac<strong>il</strong>ità che un certo numero <strong>di</strong><br />

costumi isolati, anche se belli, non creano un bel quadro” (M. Cox, Dress, in “The Artist”, luglio<br />

1900, XXVII, pp. 130-132).<br />

I costumi delle fanciulle al seguito <strong>di</strong> Didone erano composti <strong>di</strong> due colori: un fondo verde,<br />

coperto da veli <strong>di</strong> mussola color porpora scuro. Anche <strong>il</strong> costume della regina si basava<br />

sull’accostamento <strong>di</strong> questi due colori. I colori cupi che caratterizzavano la regina e le ancelle<br />

avevano un preciso significato simbolico - quasi presagio <strong>di</strong> sventura - e si accordavano alla musica e<br />

all’azione, che era lenta e misurata. Enea aveva due toni fondamentali: <strong>il</strong> rosso porpora e <strong>il</strong> nero; i<br />

suoi attendenti portavano vasi rossi e oro, rami d’olivo ver<strong>di</strong> ed ancore, che dovevano produrre un<br />

effetto coloristico molto vivo nelle scene d’insieme.<br />

Per <strong>il</strong> secondo atto, che avrebbe dovuto rappresentare un boschetto sotto <strong>il</strong> chiaro <strong>di</strong> luna -<br />

scena troppo costosa quin<strong>di</strong>, e <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e a realizzarsi sul palco <strong>di</strong> una sala da concerti - Craig ricorse al<br />

semplice fondale grigio, con luci ver<strong>di</strong> sullo schermo <strong>di</strong> garza. Su <strong>di</strong> esso producevano un fine effetto<br />

tonale i costumi delle fanciulle del seguito, avvolte ora in veli grigi. Gli uomini qui indossavano<br />

mantelli <strong>di</strong> un grigio scuro. Tutta la scena, cioè, era impostata sulle gradazioni <strong>di</strong> tono <strong>di</strong> un unico<br />

colore, e creava come un’oasi <strong>di</strong> pace, <strong>di</strong> rinnovato id<strong>il</strong>lio fra i due amanti, dopo un primo atto ricco<br />

<strong>di</strong> colori violenti e cupi che evocavano l’addensarsi del dramma sul capo della regina.<br />

<strong>Il</strong> terzo atto comprendeva tre scene: la prima rappresentava la partenza <strong>di</strong> Enea e dei suoi<br />

uomini; per la seconda - che si doveva svolgere sotto terra fra le streghe - Craig si servì ancora una<br />

volta del semplice fondale; - e per la terza riprese lo schema della prima scena del primo atto, mo<strong>di</strong>ficando<br />

- con un’idea geniale - tutti i toni dei colori me<strong>di</strong>ante l’applicazione <strong>di</strong> f<strong>il</strong>tri gialli alle luci poste<br />

sul proscenio. “Sotto <strong>il</strong> gioco <strong>di</strong> questa luce”, scrive ancora la Cox, “lo sfondo <strong>di</strong>viene <strong>di</strong> un blu cupo,<br />

luccicante, quasi traslucido all’apparenza, su cui <strong>il</strong> verde e la porpora producono un’armonia <strong>di</strong><br />

grande bellezza, mentre i cuscini scarlatti del trono <strong>di</strong> Didone sono stati misericor<strong>di</strong>osamente<br />

sostituiti con cuscini neri”.<br />

Le scene che più colpirono <strong>il</strong> pubblico furono le due in cui comparivano le streghe. Qui Craig<br />

fece uno stu<strong>di</strong>o del chiaroscuro che sconcertò molti per l’ar<strong>di</strong>tezza con cui era concepito, ma non da<br />

tutti fu apprezzato nel suo giusto valore. Partendo dall’idea che la realtà, lo spazio, non preesistono<br />

alla rappresentazione, ma si vengono a configurare in rapporto all’azione e al movimento<br />

drammatico, immerse la scena nel buio, privandola <strong>di</strong> ogni in<strong>di</strong>cazione spaziale e lasciando vedere<br />

solo delle forme nere che si muovono in un fermento continuo, ma smisurato. “Qua e là una<br />

maschera orrib<strong>il</strong>e, o un volto <strong>di</strong> cadavere colpivano l’occhio con un forte effetto. Queste maschere<br />

sono ciò che c’è <strong>di</strong> più orrib<strong>il</strong>e e spaventoso; sono un incubo, la personificazione <strong>di</strong> orrende<br />

emozioni”, scriveva la Cox. Craig, infatti, adoperò in questa sua prima regia delle maschere che egli<br />

stesso costruì, e <strong>di</strong> cui ci rimangono alcuni notevoli stu<strong>di</strong> preparatori in acquerello, oltre alla<br />

trasposizione x<strong>il</strong>ografica - che ne rispetta i tratti fondamentali, ma ne annulla gli effetti coloristici - da<br />

lui stesso curata per 14 pubblicazione del programma. Le maschere erano in parte costruite, in parte<br />

<strong>di</strong>rettamente <strong>di</strong>pinte sul volto dei coreuti. <strong>Il</strong> lavoro giunse a un così alto grado <strong>di</strong> unità perché Craig si<br />

occupò personalmente <strong>di</strong> ogni cosa, dalla scena all’<strong>il</strong>luminazione, ai costumi, ai movimenti dei coreuti<br />

e dei protagonisti, fino alla pubblicazione del programma.<br />

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Nel 1901 Dido and Aeneas fu portato per una settimana, a partire dal 26 marzo, al <strong>teatro</strong><br />

Coronet <strong>di</strong> Londra. Un’importante testimonianza <strong>di</strong> questa ripresa è data da Haldane Mac Fall che<br />

sottolinea la qualità innovatrice e antirealistica della messa in scena: “...<strong>il</strong> primo passo <strong>di</strong> un nuovo<br />

movimento che è destinato a rivoluzionare la messa in scena del dramma poetico... Lo spirito <strong>di</strong> ogni<br />

scena... era reso in uno schema coloristico, che cercava <strong>di</strong> accentrare <strong>il</strong> significato emotivo <strong>di</strong> quella<br />

scena”.<br />

L’unica <strong>di</strong>fferenza tra questa e la precedente e<strong>di</strong>zione dell’opera fu l’abolizione delle gra<strong>di</strong>nate <strong>di</strong><br />

fondo. Lo spettacolo questa volta era più lungo, poiché oltre Dido and Aeneas comprendeva brani da<br />

Nance Oldfield che Ellen Terry, per richiamare pubblico allo spettacolo del figlio, recitò con gli attori<br />

della sua compagnia, e The Masque of Love su musica <strong>di</strong> Purcell, tratto dall’adattamento <strong>di</strong> Betterton<br />

da Prophetess, or Tbe History of Dioclesian <strong>di</strong> Fletcher.<br />

Questo intermezzo drammatico, The Masque of Love, fu la seconda breve messa in scena<br />

rivoluzionaria <strong>di</strong> Craig. “La scena”, <strong>di</strong>ce <strong>il</strong> programma a stampa, “è una sala in un maniero. Cupido<br />

manda fuori i fanciulli a prendere le maschere, dal che compren<strong>di</strong>amo, che essi stanno giocando a fare<br />

gli Dei e le Dee - Flora, Comus e gli altri. I tre gruppi, che rappresentano la Nob<strong>il</strong>tà, la Ricchezza e la<br />

Povertà, entrano, da parti <strong>di</strong>verse; hanno i polsi legati e vengono trascinati a forza, a rappresentare <strong>il</strong><br />

rigido dominio <strong>di</strong> Amore. Le catene vengono sciolte. <strong>Il</strong> palo della prigionia <strong>di</strong>viene l’asta intorno a cui<br />

si festeggia la gioia, con un solenne movimento. ‘O<strong>di</strong>, possente Amore!’. Alla fine <strong>di</strong> questo coro, si<br />

sente fuori scena un fruscio e un rumore <strong>di</strong> passi, che suscitano timore e attesa insieme. I sacerdoti <strong>di</strong><br />

Bacco entrano, le maschere fuggono come cerbiatti in allarme. Segue un inno a Bacco, con vivaci<br />

movimenti delle mani e del corpi, e una danza intrecciata. Mentre gli occhi si beano, una gaia danza<br />

campagnola incanta l’orecchio, e <strong>il</strong> trionfo si chiude con la processione d’uso”.<br />

La scena fu realizzata in modo lineare: “tre ampi teloni (uno <strong>di</strong> fondo e due laterali), un<br />

grande fondale sul pavimento, e una tela tagliata sul davanti, tutto fu <strong>di</strong>pinto in un solo grigio, <strong>di</strong><br />

tono uniforme” (Craig, Index). Craig ritiene che questa sia stata la cosa migliore da lui realizzata sulla<br />

scena; dalla ricerca spaziale e coloristica sulla scena era pervenuto qui al puro stu<strong>di</strong>o del movimento,<br />

del valore figurativo allegorico e ritmico del corpo umano. Anche in questa seconda regia Craig<br />

adoperò delle maschere, che riprodusse in <strong>di</strong>segni acquarellati comparsi in un Souvenir del 1902. È<br />

un uso in<strong>di</strong>cativo della teorizzazione della maschera che Craig fece anni dopo nella figura mitica della<br />

Übermarionette, la Supermarionetta. <strong>Il</strong> fatto <strong>di</strong> ut<strong>il</strong>izzare attori non professionisti ha esso pure un<br />

suo valore; lungi dal mettere in risalto alcuna loro dote <strong>di</strong> estemporaneità veristica, Craig li fece<br />

provare tanto a lungo da renderli dei veri e propri burattini dai movimenti ritmati in modo perfetto<br />

(cosa che un giovane regista mai avrebbe ottenuto da attori professionisti).<br />

Dopo circa un anno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> prove, Craig inscenò insieme con Martin Shaw al Great<br />

Queen Street Theatre <strong>il</strong> terzo spettacolo della Purcell Operatic Society, Acis and Galatea <strong>di</strong> Händel<br />

su testo <strong>di</strong> John Gay, e una ripresa <strong>di</strong> The Masque of Love. Dopo sei sere soltanto, a partire dal 10<br />

marzo 1902, si dovettero però interrompere le recite per mancanza <strong>di</strong> pubblico, nonostante i<br />

commenti favorevoli della stampa più qualificata.<br />

Anche in Acis and Galatea Craig semplificò al massimo la scena. Nel primo atto sostituì al<br />

“paesaggio campestre con rocce, fontane e grotte” del libretto, una semplice “tenda bianca”<br />

composta <strong>di</strong> sott<strong>il</strong>i strisce verticali, su cui spiccavano i costumi <strong>di</strong> gusto geometrico degli<br />

attori-cantanti, mentre fra gli spiragli che si aprivano nella tenda a strisce si intravedeva un fondale<br />

bianco alla base, che attraverso una serie <strong>di</strong> graduazioni tonali <strong>di</strong>veniva rosa poi blu e infine, in alto,<br />

color indaco. Ma l’interesse coloristico nel primo atto era incentrato soprattutto sui costumi corali:<br />

quelli <strong>di</strong> Galatea e delle fanciulle constavano <strong>di</strong> una semplice tunica dalle cui maniche e dalla cui<br />

scollatura scendevano dei lunghi fitti nastri chiari, che producevano un forte accentuarsi del valore<br />

ritmico <strong>di</strong> ogni singolo movimento e portavano con sé un elemento <strong>di</strong> pura linearità che era in<br />

12


elazione con quella della scena; dal ginocchio in giù i loro vestiti erano <strong>di</strong>segnati a scacchi bianchi e<br />

scuri. I costumi dei fanciulli erano in tutto sim<strong>il</strong>i ai precedenti, tranne che per la minor lunghezza<br />

della tunica; vi erano poi i personaggi con “costumi <strong>di</strong> giunchi”, cioè <strong>di</strong> strisce ver<strong>di</strong> verticali aderenti<br />

al corpo e fermate alle giunture.<br />

La prima scena del secondo atto, una delle più belle pagine musicali dell’opera, in cui <strong>il</strong> coro<br />

cantava fuori scena l’aria Wretched lovers, mentre l’ombra <strong>di</strong> Polifemo con le braccia spalancate si<br />

proiettava sempre più gigantesca, fino ad avv<strong>il</strong>uppare i due amanti abbracciati al centro della scena<br />

nuda, era prelu<strong>di</strong>o all’altra scena, che indusse W. B. Yeats a scrivere: “La scena in cui Polifemo<br />

uccide Acis appartiene ad un’arte che è stata sepolta sotto le basi delle pirami<strong>di</strong> per <strong>di</strong>ecim<strong>il</strong>a anni<br />

tanto è solenne”; qui Craig suggerì <strong>il</strong> senso del terrore me<strong>di</strong>ante le luci rosse - che <strong>il</strong>luminavano <strong>il</strong><br />

covo del gigante, seduto su <strong>di</strong> un alto trono che le vesti coprivano in parte, in modo da ingran<strong>di</strong>re la<br />

sua figura - e con ombre profonde. La scena seguente, la “tenda grigia”, trovava la sua nota<br />

fondamentale nell’impronta <strong>di</strong> tristezza per la morte <strong>di</strong> Acis, che la pervadeva. L’opera si<br />

concludeva con l’assunzione del pastore a <strong>di</strong>o dell’acqua e la sua trasformazione in fonte: lentamente<br />

la tenda a strisce si apriva sulla tela <strong>di</strong> fondo blu, in cui si <strong>il</strong>luminavano brevi linee perforate salenti<br />

verso l’alto con movimento curv<strong>il</strong>ineo sempre più ampio. Qui l’<strong>il</strong>luminazione era duplice, davanti e<br />

<strong>di</strong>etro <strong>il</strong> telone, e davanti ai proiettori posteriori venivano fatti ruotare dei <strong>di</strong>schi perforati, che<br />

proiettando una luce stroboscopica attraverso i fori del telone, creavano l’effetto <strong>di</strong> uno zamp<strong>il</strong>lo<br />

d’acqua in movimento.<br />

Con questa terza messa in scena ebbe fine l’attività della Purcell Operatic Society, per motivi<br />

<strong>di</strong> carattere economico: all’ultimo spettacolo assistettero gli agenti venuti a requisire da parte dei<br />

numerosi cre<strong>di</strong>tori quanto era in scena.<br />

Un epigono della Purcell Operatic Society si può considerare anche la messa in scena <strong>di</strong><br />

Bethlehem <strong>di</strong> Laurence Housman, all’Imperial Institute dell’Università <strong>di</strong> Londra. Craig de<strong>di</strong>cò circa<br />

sei mesi <strong>di</strong> preparazione a questo dramma sacro, che venne recitato alcune sere, a partire dal 17<br />

<strong>di</strong>cembre 1902. Gli attori erano in parte gli stessi dell’opera <strong>di</strong> Purcell e <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> Händel. Lo<br />

sfondo della prima scena era <strong>di</strong> un blu scuro, cosparso <strong>di</strong> stelle (cristalli <strong>di</strong> lampadario, sospesi in aria<br />

a <strong>di</strong>verse altezze): <strong>il</strong> palcoscenico era recintato da una staccionata; in esso stavano, <strong>di</strong>sposti a gruppi,<br />

i pastori, vestiti <strong>di</strong> ampi mantelli tutti uguali <strong>di</strong> stoffa ruvida, con lunghi bastoni in mano, che durante<br />

lo svolgersi dell’azione valorizzavano i movimenti dando loro un’euritmia strumentale; in alcuni<br />

punti della piattaforma tele <strong>di</strong> sacco raggruppate per terra servivano a in<strong>di</strong>care <strong>il</strong> gregge. Ancora una<br />

volta al centro dello spettacolo era uno stu<strong>di</strong>o del rapporto <strong>di</strong> luci e movimento, in un complesso<br />

gioco chiaroscurale; ed anche questa volta Craig si servì <strong>di</strong> pochi elementi ripetuti (i costumi dei<br />

pastori, <strong>il</strong> cielo scuro e le stelle, lo steccato) per dare un’impronta <strong>di</strong> armonica uniformità allo<br />

spettacolo.<br />

Con questa messa in scena si conclude l’attività registica <strong>di</strong> Craig al <strong>di</strong> fuori del <strong>teatro</strong> più<br />

propriamente professionale. I consensi che aveva riscosso erano stati più che lusinghieri:<br />

specialmente gli artisti vedevano in lui chi avrebbe portato <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> al livello delle arti superiori,<br />

traendolo fuori dagli schemi della fastosità tra<strong>di</strong>zionale e del realismo positivistico.<br />

Si trattava <strong>di</strong> inserire questa reazione idealistica, questo che Craig definiva ritorno alle<br />

tra<strong>di</strong>zioni più antiche della semplificazione e dell’unità, nell’ambito della routine teatrale lon<strong>di</strong>nese.<br />

Un primo esperimento in tal senso egli lo fece <strong>di</strong>segnando tre scene per <strong>il</strong> dramma musicale For<br />

Sword or Song <strong>di</strong> Legge e Rose, che suo zio Fred Terry presentò <strong>il</strong> 21 gennaio 1903 allo Shaftesbury<br />

Theatre. Nella prima scena Craig fece uso degli alti letti che aveva visto al palazzo <strong>di</strong> Hampton<br />

Court tante volte. Un’altra scena, con un vasto fondo blu, rappresentava una foresta che sorgeva da<br />

una collinetta ampia quanto l’intero palcoscenico. <strong>Il</strong> critico drammatico <strong>di</strong> “The Stage”, <strong>il</strong> 22 gennaio<br />

1903, scrisse che in tutto lo spettacolo si notava “l’ispirato giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Gordon Craig”.<br />

13


Lo stesso anno Ellen Terry decise <strong>di</strong> formare una propria compagnia in<strong>di</strong>pendente, con<br />

Gordon Craig metteur en scène ed E<strong>di</strong>th, l’altra sua figlia, costumista. <strong>Il</strong> 15 apr<strong>il</strong>e la formazione<br />

debuttò all’lmperial Theatre, un <strong>teatro</strong> periferico affittato da Ellen Terry, con I guerrieri a<br />

Helgeland, un dramma giovan<strong>il</strong>e <strong>di</strong> Ibsen, <strong>il</strong> cui titolo inglese era The Vikings. Con questo spettacolo,<br />

oltre che proporre un criterio <strong>di</strong>rettivo nuovo (che oggi si definisce registico) ad una formazione<br />

completamente professionale, Craig si cimentava in una trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Ibsen (<strong>il</strong> dramma è del 1858).<br />

Nei Guerrieri a Helgeland c’è un romanticismo <strong>di</strong> impronta schiettamente nor<strong>di</strong>ca: è una saga<br />

norvegese, pervasa da una foga barbarica, da un maestoso crescendo tragico che, pur nelle incertezze<br />

<strong>di</strong> un autore ancora inesperto, è sconvolgente e richiama <strong>il</strong> Wagner dell’Anello dei Nibelunghi. C’è<br />

una tensione nei <strong>di</strong>aloghi dei protagonisti, che Craig tradusse visivamente in campi <strong>di</strong> forze musicali,<br />

trascendendo del tutto ogni aggancio realistico.<br />

Egli - nonostante Ibsen avesse scritto delle in<strong>di</strong>cazioni sceniche precise per ogni atto -<br />

trascurò le <strong>di</strong>dascalie e, nel lavoro <strong>di</strong> mesi per <strong>di</strong>segnare le scene e i costumi, si fece guidare soltanto<br />

dalle reazioni della sua fantasia <strong>di</strong> fronte al semplice <strong>di</strong>alogo dei personaggi. Era questo un<br />

fondamentale principio che avrebbe teorizzato più tar<strong>di</strong> in un saggio <strong>di</strong> On the Art of the Theatre.<br />

Un rapido confronto fra le <strong>di</strong>dascalie del dramma <strong>di</strong> Ibsen e i caratteri della scenografia <strong>di</strong><br />

Craig è sufficiente a fare un quadro degli intenti d’arte perseguiti dal giovane regista inglese.<br />

La scena del primo atto dei Guerrieri a Helgeland è così descritta da Ibsen: “Un’alta costa,<br />

che in fondo scende ripida al mare. A sinistra un capanno <strong>di</strong> legno, a destra rocce e boschi <strong>di</strong> conifere.<br />

Giù nella baia si vedono gli alberi <strong>di</strong> due navi da guerra; a destra in lontananza isolotti scogliosi; <strong>il</strong><br />

mare è molto agitato. È inverno; nevischio e bufera”. Craig ci vide in primo piano una roccia<br />

praticab<strong>il</strong>e grigia, più in<strong>di</strong>etro una costa, anch’essa grigia, che si levava altissima a sinistra e<br />

degradava fin oltre <strong>il</strong> mezzo del palcoscenico. Qui si svolgeva un duello barbarico, sim<strong>il</strong>e a quelli dei<br />

Samurai: movimenti lenti, misurati, carichi <strong>di</strong> tensione; poi bagliori improvvisi <strong>di</strong> spade. L’esatto<br />

opposto dei duelli teatrali <strong>di</strong> quegli anni. Ad in<strong>di</strong>care <strong>il</strong> cielo, <strong>il</strong> nevischio e la bufera Craig fece un<br />

fondale che avvolgeva tutta la scena, blu scuro, opaco. Naturalmente i critici notarono che l’azione si<br />

dovrebbe svolgere <strong>di</strong> giorno e all’aperto, non in una tenda gigantesca. Qui si intrecciavano le f<strong>il</strong>a della<br />

trage<strong>di</strong>a.<br />

Con lo sfondo monotono, evanescente, Craig tendeva a creare uno spazio indefinito, che<br />

assumesse <strong>di</strong> volta in volta le <strong>di</strong>mensioni drammatiche dei personaggi. Dapprima vasto, quando la<br />

scena si popolava <strong>di</strong> guerrieri; poi opprimente, cupo, quando Sigurd presentiva l’imminente<br />

catastrofe.<br />

<strong>Il</strong> secondo atto si svolge nella sala delle feste in casa <strong>di</strong> Gunnar, dove sono convenuti tutti,<br />

tranne Örnulf, che ha promesso <strong>di</strong> giungere presto. La <strong>di</strong>dascalia <strong>di</strong>ce: “La sala delle feste in casa <strong>di</strong><br />

Gunnar. La porta principale è nel fondo, porte più piccole alle pareti laterali. In primo piano, a<br />

sinistra, <strong>il</strong> grande seggio d’onore, <strong>di</strong> fronte a questo, a destra, un secondo seggio meno elevato. In<br />

mezzo alla sala, su un focolare in muratura, arde un fuoco <strong>di</strong> sterpi. In fondo ai due lati della porta,<br />

due tribune per le donne. Lungo i muri laterali, due lunghe tavole, con panche dalle due parti, che<br />

vanno dai seggi d’onore alla parete <strong>di</strong> fondo. Fuori è buio; <strong>il</strong> fuoco <strong>di</strong> sarmenti <strong>il</strong>lumina la sala”.<br />

Nel creare l’atmosfera <strong>di</strong> questa che dovrebbe essere la festa <strong>di</strong> riconc<strong>il</strong>iazione, Craig costruì<br />

una scena circolare le cui pareti erano costituite da tante strisce verticali <strong>di</strong> stoffa <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenti tonalità<br />

del grigio, eliminando qualunque porta; gli attori potevano entrare e uscire da ogni dove. I loro vestiti<br />

erano sgargianti, <strong>di</strong> seta, sim<strong>il</strong>i al colore delle pareti - non più i costumi barbarici <strong>di</strong> pelliccia e <strong>di</strong> ferro<br />

del primo atto. Al centro della scena un’ampia pedana rotonda, lungo i cui bor<strong>di</strong> si estendeva una<br />

tavola circolare, mentre al centro erano i seggi d’onore per i personaggi principali, <strong>di</strong>etro a un tavolo<br />

più piccolo. Una gra<strong>di</strong>nata frontale congiungeva l’alto centro della scena al proscenio. I ventiquattro<br />

guerrieri che partecipavano al banchetto entravano dal fondo <strong>di</strong>sponendosi intorno alla tavola<br />

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circolare volgendo le spalle all’esterno, con i loro mantelli da festa tutti uguali. Un anello amplissimo<br />

incorniciava dall’alto, come un baldacchino, la piattaforma rotonda; fanciulle dai costumi bruni e<br />

dorati con cesti <strong>di</strong> frutta e portatori <strong>di</strong> torce vestiti <strong>di</strong> nero davano con i loro movimenti un senso <strong>di</strong><br />

festosità al convito.<br />

L’atto terzo, secondo la <strong>di</strong>dascalia <strong>di</strong> Ibsen, si svolge nella stessa sala del banchetto. Ma Craig<br />

ritenne che quest’atto, in cui Hiör<strong>di</strong>s prepara, secondo magici riti, con i suoi capelli, la corda<br />

dell’arco con cui si ven<strong>di</strong>cherà <strong>di</strong> Sigurd, non potesse svolgersi nello stesso ambiente in cui alla festa<br />

era succeduta la morte, alla gioia <strong>il</strong> dolore. Fece perciò una scena nella quale al valore simbolico del<br />

cerchio - la vita ora infranta - succedeva quella <strong>di</strong> una duplicità <strong>di</strong> piani paralleli, allegoria della<br />

vendetta e del perdono.<br />

Questi valori extrateatrali non procedono da un proposito intellettuale aprioristico, ma sono,<br />

<strong>di</strong>rei, quasi delle verifiche a posteriori <strong>di</strong> un impulso spettacolare e artistico.<br />

<strong>Il</strong> luogo immaginato da Craig constava <strong>di</strong> un grande vano scuro che occupava tutta la parete <strong>di</strong><br />

fondo, era velato da una tenda purpurea e delimitato in basso da un muretto, dal quale si accedeva<br />

con degli scalini - che scendevano da destra a sinistra - nello spazio del proscenio. Per rendere<br />

l’ambiente più raccolto, Craig ridusse in questo quadro l’ampiezza e l’altezza del proscenio, e fece<br />

svolgere la recitazione degli attori sui gra<strong>di</strong>ni e sul due piani, quello arretrato più alto e quello<br />

avanzato più basso.<br />

L’ultimo atto del dramma è così descritto da Ibsen: “Sulla costa. È sera; ogni tanto la luna<br />

appare fra le nubi temporalesche. In fondo un tumulo scuro, scavato <strong>di</strong> fresco”.<br />

Craig <strong>di</strong>ede un semplice fondale <strong>di</strong> veli neri alla scena, costruendo in primo piano una<br />

collinetta grigia che degradava verso i lati ed <strong>il</strong> fondo, in modo da porte i personaggi su <strong>di</strong> un’infinità<br />

<strong>di</strong> piani <strong>di</strong>fferenti.<br />

La nota dominante era l’oscurità, in cui - grazie a una duplice <strong>il</strong>luminazione dall’alto, anteriore<br />

e posteriore - si stagliavano <strong>di</strong> tanto in tanto le figure, ora evidenti, ora evanescenti quasi alla vista.<br />

“...Solo per un istante, quando Hiör<strong>di</strong>s sta in pie<strong>di</strong> per prendere <strong>di</strong> mira e colpire Sigurd, si scorge un<br />

lampo del cuoio verde e dell’acciaio lucente del costume che essa portava nel primo atto”.<br />

Nell’oscurità la sensazione <strong>di</strong> uno spazio preesistente si annullava, nell’ultimo atto come nel primo,<br />

e ogni momento del dramma, con una notazione <strong>di</strong> luci, assumeva la <strong>di</strong>mensione spaziale che più gli<br />

era propria.<br />

<strong>Il</strong> sistema perseguito da Craig nel primo e nell’ultimo atto dei Guerrieri a Helgeland,<br />

dell’oscurità tragica, vide la critica in posizioni contrastanti. Entusiasmò però al solito gli artisti, che<br />

ritrovarono in tutto ciò un carattere tipico dell’arte nor<strong>di</strong>ca, da Dürer a Rembrandt; la realtà, cioè, e<br />

lo spazio come determinati dal movimento drammatico, sorti insieme ad esso e non preesistenti<br />

come fattori oggettivi esterni alla rappresentazione.<br />

L’unico appunto mosso a Craig, da G. B. Shaw - in relazione al sistema dell’oscurità tragica -<br />

fu che non si vedevano in viso gli attori, e a questo si ribellavano per primi gli attori stessi.<br />

The Wikings, nonostante la grande vali<strong>di</strong>tà artistica della messa in scena, finanziariamente si<br />

risolse in un fallimento. In pochi giorni, per rimettere in sesto le precarie finanze della compagnia, si<br />

dovette preparare una ripresa <strong>di</strong> Much Ado Ahout Nothing <strong>di</strong> Shakespeare, in cui Ellen Terry, nella<br />

parte <strong>di</strong> Beatrice, si era rivelata già anni prima la migliore interprete teatrale inglese. Craig <strong>di</strong>segnò per<br />

questo lavoro le scene in tutta fretta, e si valse <strong>di</strong> tutto <strong>il</strong> suo “mestiere” per far risaltare<br />

l’interpretazione <strong>di</strong> Ellen Terry. <strong>Il</strong> suo lavoro non era sorretto però dall’ispirazione e dallo stu<strong>di</strong>o<br />

profondo che avevano caratterizzato I guerrieri a Helgeland e le regie precedenti.<br />

Nel complesso, anche se da un punto <strong>di</strong> vista formale può apparire che le tende e le strutture<br />

cubiche adoperate qui da Craig preludano agli screens, questa messa in scena fu più una<br />

“<strong>di</strong>gressione” nello svolgimento artistico del regista inglese che non un contributo determinante alle<br />

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linee strutturali della sua arte; naturalmente non si vuol <strong>di</strong>re che sia mancato un valore e uno st<strong>il</strong>e<br />

teatrale.<br />

Ancora una volta <strong>il</strong> pubblico, però, non mostrò <strong>di</strong> seguire lo spettacolo, tanto che pochi<br />

giorni dopo la compagnia si dovette sciogliere.<br />

Fu l’ultima regia fatta da Craig in Ingh<strong>il</strong>terra.<br />

L’interesse suscitato fuori d’Ingh<strong>il</strong>terra dal suo nuovo modo <strong>di</strong> concepire <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>, insieme<br />

con le <strong>di</strong>fficoltà incontrate nel proporlo all’ambiente conservatore britannico, indussero Craig ad<br />

accogliere nel 1904 l’invito, fattogli dal famoso mecenate <strong>il</strong> conte Harry Kessler, <strong>di</strong> trasferirsi in<br />

Germania. A Berlino Craig <strong>di</strong>segnò progetti scenici per Otto Brahm (Venezia salvata), per Eleonora<br />

Duse (Elettra) e per Max Reinhardt (The Tempest, Macbeth, Caesar and Cleopatra <strong>di</strong> Shaw), ma<br />

nessuno dei tre progetti fu realizzato in palcoscenico, perché troppo lontani dalla concezione<br />

realistica allora dominante (Brahm), o per ragioni <strong>di</strong> carattere pratico, stante la <strong>di</strong>fficoltà economica<br />

<strong>di</strong> proporre certe soluzioni d’avanguar<strong>di</strong>a nelle strutture commerciali del <strong>teatro</strong> (Duse), o perché<br />

Craig voleva avocare a sé non solo <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> progettare le scene, ma anche quello <strong>di</strong> <strong>di</strong>rigere gli<br />

attori (Reinhardt).<br />

Sempre a Berlino, nel <strong>di</strong>cembre 1904, Craig tenne la prima mostra dei bozzetti per scene teatrali<br />

e costumi; e nel 1905 pubblicò un <strong>di</strong>alogo intitolato The Art of the Theatre, in cui affermava la sua<br />

idea <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>. <strong>Il</strong> libro venne subito tradotto in tedesco, in olandese e in russo, <strong>di</strong>venendo <strong>il</strong> punto <strong>di</strong><br />

riferimento per l’avanguar<strong>di</strong>a teatrale <strong>di</strong> tutta l’Europa, da Mejerchol’d a Reinhardt, da Rouché a<br />

Copeau, da Vachtangov a Tairov.<br />

È <strong>di</strong> questi anni l’incontro con Isadora Duncan e <strong>il</strong> suo sodalizio con la famosa danzatrice, che<br />

lo portò a girare l’intera Europa. Tramite la Duncan, Craig conobbe a Berlino Eleonora Duse; per lei,<br />

abbiamo detto, <strong>di</strong>segnò le scene e i costumi per Elettra <strong>di</strong> Hofmannsthal, che però la Duse non ebbe<br />

modo <strong>di</strong> rappresentare. Lo invitò invece a <strong>di</strong>segnare le scene <strong>di</strong> Rosmerholm <strong>di</strong> Ibsen, da mettere in<br />

scena a Firenze.<br />

Questo spettacolo rimane ancor oggi uno dei “miti” del <strong>teatro</strong> italiano, cui ci si riferisce<br />

spesso per sentito <strong>di</strong>re, ricordando <strong>di</strong> più alcune circostanze <strong>di</strong> sapore scandalistico che non <strong>il</strong> livello<br />

della rappresentazione in sé. Sarà bene pertanto chiarirne la storia. Un singolare documento al<br />

riguardo è costituito dal <strong>di</strong>ario <strong>di</strong> un attore della compagnia <strong>di</strong> Eleonora Duse, Guido Noccioli.<br />

Scriveva <strong>il</strong> Noccioli:<br />

“Firenze, 4 Dicembre 1906. Giornata terrib<strong>il</strong>e. La prova della nuova scena per <strong>il</strong><br />

Rosmersholm, <strong>il</strong> dramma <strong>di</strong> Ibsen. La signora adora questo lavoro. La scena nuova <strong>di</strong> cui parlo è<br />

ideata da un giovane pittore inglese: Gordon Craig, figlio naturale del grande attore Irving. È una<br />

scena strana tutta verde e <strong>il</strong>luminata da 10 riflettori. I mob<strong>il</strong>i sono ver<strong>di</strong>, <strong>di</strong> tela uguale la scena: in<br />

fondo una gran porta a vetri dà su un paesaggio che ricorda stranamente quello dell’Isola dei Morti.<br />

L’altra porta grande è coperta da un velo bleu. Altri veli sono ai fianchi. Un sogno! Piacerà al<br />

pubblico? La signora è entusiasta”.<br />

In soli <strong>di</strong>eci giorni <strong>di</strong> intenso lavoro Craig aveva creato per Rosmersholm un’ampia scena<br />

unica, <strong>di</strong> tinta uniforme, color dell’indaco, molto alta, con due sole quinte laterali, con alla base le<br />

sagome <strong>di</strong>pinte rispettivamente <strong>di</strong> un secrétaire e <strong>di</strong> un altro mob<strong>il</strong>e. Al centro della scena un<br />

tappeto, un ampio tavolo con se<strong>di</strong>e, un <strong>di</strong>vano ed una lampada, sotto <strong>il</strong> cerchio della cui luce si<br />

svolgeva la vita della casa. Nella parete <strong>di</strong> fondo due enormi aperture, chiuse alternativamente da una<br />

tenda, anch’essa color dell’indaco, attraverso l’una delle quali - quella <strong>di</strong> sinistra - si vedeva, <strong>di</strong>pinta<br />

su <strong>di</strong> una tela <strong>di</strong> fondo, una strada in un parco, e attraverso l’altra una lunga scalea. Le luci cadevano<br />

dall’alto, <strong>di</strong>screte, lasciando la scena in leggera penombra. Solo quando si apriva l’ampio vano a<br />

sinistra della parete <strong>di</strong> fondo, la stanza si inondava <strong>di</strong> luce, <strong>di</strong> sole.<br />

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Lo spettacolo andò in scena al Teatro della Pergola, <strong>il</strong> 5 <strong>di</strong>cembre 1906. Enrico Corra<strong>di</strong>ni<br />

scrisse: “...<strong>il</strong> palcoscenico appariva trasformato, veramente trasfigurato, altissimo, con una<br />

architettura nuova, senza più quinte, <strong>di</strong> un solo colore fra <strong>il</strong> verde e <strong>il</strong> c<strong>il</strong>estrino, semplice, misterioso<br />

e affascinante, degno insomma <strong>di</strong> accogliere la vita profonda <strong>di</strong> Rosmer e <strong>di</strong> Rebecca West... La scena<br />

è la rappresentazione <strong>di</strong> uno stato d’animo”.<br />

Anche in questo caso, come già era accaduto per gli spettacoli <strong>di</strong> Craig a Londra, <strong>il</strong> pubblico<br />

nell’insieme rimase del tutto insensib<strong>il</strong>e <strong>di</strong> fronte alla scena, tanto che l’amministratore della<br />

compagnia decise <strong>di</strong> non replicare più lo spettacolo a Firenze.<br />

Non è a <strong>di</strong>re d’altra parte che la Duse provasse per l’arte <strong>di</strong> Craig un entusiasmo<br />

semplicistico, non critico; c’è infatti un biglietto, in cui ella gli scrisse: “Prière! N’oubliez pas que le<br />

2 nd et 3 me acte doit être jour. 1 er soir - et 4 me nuit. N’oubliez pas - et pardonnez le trava<strong>il</strong> fait sans<br />

tout le nécessaire! E. D. Merci, merci”. Dove si vede come anche Eleonora Duse stentasse ad<br />

accettare la luce psicologica, atemporale, posta solo in funzione degli stati d’animo dei protagonisti,<br />

che Craig aveva già dalle sue prime regie sostituito alla luce-tempo: ma su <strong>di</strong> un testo come questo <strong>di</strong><br />

Ibsen la cosa era ben più rivoluzionaria.<br />

Eleonora Duse, che Craig volle vestita <strong>di</strong> bianco in iscena, istintivamente comprese, o meglio<br />

rimase suggestionata dalla potenza emotiva, “<strong>di</strong> natura musicale”, come acutamente la definì<br />

Corra<strong>di</strong>ni, che emanava la scena, e l’indomani, prima che Craig lasciasse Firenze, gli scrisse: “Merci.<br />

C’est ma première parole ce matin. J’ai trava<strong>il</strong>lé hier soir dans le rêve - et lointaine.<br />

“Vous avez trava<strong>il</strong>lé dans des con<strong>di</strong>tions très penibles - et d’autant plus je vous <strong>di</strong>s: Merci.<br />

“J’ai compris hier soir votre aide - et votre force.<br />

“ Encore: Merci.<br />

“J’espère que nous trava<strong>il</strong>lerons encore, et avec Liberté et joie. E.”.<br />

La Duse chiese a Craig <strong>di</strong> <strong>di</strong>segnarle ancora altre scene per i drammi <strong>di</strong> Ibsen, <strong>di</strong>venuto ora la<br />

sua “buona forza”. Secondo gli accor<strong>di</strong> presi, si incontrarono <strong>il</strong> febbraio dell’anno seguente a Nizza,<br />

dove la Duse avrebbe dovuto replicare Rosmersholm.<br />

Craig portò con sé i bozzetti per La donna del mare; alla Duse piacquero molto, ma non fu<br />

presa alcuna decisione al riguardo per motivi <strong>di</strong> carattere economico; pregò soltanto l’artista <strong>di</strong><br />

vedere come erano state montate le sue scene nel <strong>teatro</strong> citta<strong>di</strong>no. Qui Craig si trovò <strong>di</strong> fronte ad uno<br />

spettacolo che lo fece andare su tutte le furie: la scena era parsa troppo alta per <strong>il</strong> palcoscenico <strong>di</strong><br />

quel <strong>teatro</strong>, così ne erano stati tagliati circa settanta centimetri lungo tutta la base, in modo che <strong>il</strong><br />

secrétaire <strong>di</strong>segnato sulla quinta <strong>di</strong> sinistra ed <strong>il</strong> mob<strong>il</strong>e su quella <strong>di</strong> destra risultavano l’uno<br />

completamente senza gambe, e l’altro tagliato a metà nel senso dell’altezza; inoltre le proporzioni<br />

delle due aperture <strong>di</strong> fondo erano state alterate, e i due sfon<strong>di</strong>, del viale nel parco, e della scalea,<br />

anch’essi malamente decurtati, avevano perduto ogni valore prospettico.<br />

Craig, ferito nel suo orgoglio d’artista, scrisse furente a Eleonora Duse:<br />

“Se un uomo rinunciasse all’intera sua vita (quasi fosse un niente) per <strong>il</strong> lavoro - volentieri -,<br />

solo questo potrebbe far rinascere l’Amore per <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>. Null’altro potrà farlo.<br />

“Noi siamo tutti tutti troppo egoisti, vani ed egoisti. Ed è questo che uccide <strong>il</strong> lavoro. Voi<br />

forse siete la più egoista. Penso bene a quel che <strong>di</strong>co. Vi <strong>di</strong>co ciò con sempre tutto l’affetto,<br />

l’ammirazione ed <strong>il</strong> rispetto, però sono furioso oltre ogni <strong>di</strong>re”.<br />

La Duse stessa, pur offesa, non gli seppe dar torto, e rispose dolorosamente con parole<br />

sib<strong>il</strong>line: “Ce qu’on a fait avec votre décor, on le fait depuis des années pour mon art”.<br />

Ma egli non volle più collaborare con lei, ritenendo che la sua opera non fosse stata affatto<br />

compresa.<br />

Pure, l’esperienza <strong>di</strong> Rosmersholm aprì un periodo <strong>di</strong> importanza capitale nella vita artistica<br />

<strong>di</strong> Craig. Qui egli aveva portato all’apice le intense possib<strong>il</strong>ità emotive insite nelle forme figurative<br />

17


più semplici, nel dualismo esistenziale (vita-morte) riportato su scala cromatica (cupo o chiaro, sole<br />

o luna). La sua posizione antidemocratica derivava dal fatto che egli era riuscito a cogliere l’essenza<br />

spaziale attraverso uno stu<strong>di</strong>o rigoroso delle proporzione e della prospettiva scenica. Questo era<br />

ormai per Craig un punto <strong>di</strong> arrivo nella sua ricerca dell’equ<strong>il</strong>ibrio, <strong>di</strong> una nuova intelligenza spaziale,<br />

<strong>di</strong> una sostituzione dello spazio vuoto, libero, a quello affollato da masse <strong>di</strong> oggetti; ed era al tempo<br />

stesso punto <strong>di</strong> partenza per quella ricerca dell’intera realtà poetica e spaziale dell’oggetto al <strong>di</strong> là<br />

delle leggi temporali, che sarebbe stata - <strong>di</strong> lì a poco - una sua scoperta fondamentale nel campo del<br />

<strong>teatro</strong>.<br />

Nel 1907 Craig, trasferitosi a Firenze, iniziò a <strong>di</strong>segnare una serie <strong>di</strong> acqueforti, che<br />

<strong>il</strong>lustravano una nuova idea <strong>di</strong> scenografia totalmente rivoluzionaria: gli screens, le “m<strong>il</strong>le scene in<br />

una”, una scena tri<strong>di</strong>mensionale dalle infinite possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> movimento: visioni <strong>di</strong> rigorose strutture<br />

monolitiche mutevoli, un continuo misurato movimento <strong>di</strong> forme verticali e <strong>di</strong> luci, immagini astratte<br />

<strong>di</strong> stati d’animo, ricor<strong>di</strong>, miti; in questo scenario irreale si muoveva l’utopia dell’attore perfetto,<br />

<strong>di</strong>sincantano, la Supermarionetta.<br />

Da Firenze nel 1908 Craig cominciò a pubblicare una rivista de<strong>di</strong>cata totalmente all’arte del<br />

<strong>teatro</strong>, “The Mask”, attraverso cui <strong>di</strong>ffuse <strong>il</strong> suo credo per oltre 20 anni.<br />

Nello stesso anno fu invitato da Stanislavskij per realizzare la messa in scena <strong>di</strong> Hamlet al<br />

Teatro d’Arte <strong>di</strong> Mosca: fra alterne vicende, in tre anni <strong>di</strong> lavoro, fu costruito uno spettacolo pieno<br />

<strong>di</strong> intuizioni geniali, che rifletteva nel dramma <strong>di</strong> Amleto <strong>il</strong> dramma <strong>di</strong> Craig, l’afasia, l’impossib<strong>il</strong>ità<br />

<strong>di</strong> comunicare al mondo <strong>il</strong> proprio messaggio.<br />

Craig giunse a Mosca l’1 novembre 1908 per prendere i primi contatti con l’ambiente del<br />

Teatro d’Arte e per definire gli accor<strong>di</strong> circa la regia. Qui strinse subito amicizia con Suler*ickij,<br />

assistente e grande amico <strong>di</strong> Stanislavskij, e spiegò come vedeva l’arte del <strong>teatro</strong> e in particolare la<br />

trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Amleto.<br />

“In Hamlet quel che noi vogliamo rivelare al pubblico non è <strong>il</strong> carattere o la psicologia dei<br />

personaggi; noi siamo qui per interpretare un Poema più che un Dramma. Hamlet è un Poema<br />

drammatico più che un Dramma poetico.<br />

“Se mi è permesso adoperare una parola che ha <strong>di</strong>versi significati, Hamlet non è un dramma<br />

‘naturale’, è essenzialmente un dramma ‘non naturale’, se lo paragoniamo agli ultimi drammi <strong>di</strong> Ibsen<br />

e a quelli del vostro maestro Cechov.<br />

“I fatti e i personaggi della storia si muovono secondo linee non naturali. All’inizio del<br />

dramma - o meglio, del poema - siamo condotti proprio in presenza del ‘non naturale’, del<br />

‘soprannaturale’. La storia è narrata in modo ‘non naturale’; i versi prendono <strong>il</strong> posto della prosa,<br />

cioè <strong>il</strong> modo <strong>di</strong> parlare non naturale prende <strong>il</strong> posto <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> ogni giorno. Io lo definirei un parlare<br />

sopra naturale... è la Poesia.<br />

“E per questo sarebbe assurdo pensare <strong>di</strong> tradurla in prosa. Sarebbe un errore recitare i versi<br />

con l’intenzione <strong>di</strong> rivelare í pensieri della vostra mente, o i pensieri della mente <strong>di</strong> Amleto o <strong>di</strong><br />

Orazio. lo penso invece che voi dobbiate recitarli con l’unico intento <strong>di</strong> rivelare la bellezza dell’anima<br />

<strong>di</strong> Shakespeare”.<br />

Le linee generali dell’interpretazione craighiana dell’Hamlet sono riassunte dallo stesso<br />

Stanislavskij nel suo libro <strong>di</strong> memorie La mia vita nell’arte.<br />

“Craig ampliava moltissimo <strong>il</strong> contenuto spirituale <strong>di</strong> Amleto. Per Craig, Amleto era <strong>il</strong><br />

migliore degli uomini che passava come un capro espiatorio attraverso <strong>il</strong> mondo.<br />

“Amleto non era un nevrastenico e ancor meno un pazzo, ma era <strong>di</strong>venuto <strong>di</strong>verso dagli altri<br />

uomini per aver spinto lo sguardo un solo momento al <strong>di</strong> là del muro della vita entro <strong>il</strong> mondo futuro,<br />

dove suo padre soffriva.<br />

18


“Nella mente <strong>di</strong> Amleto la realtà della vita subiva una trasformazione. Egli scrutava a fondo<br />

nella vita terrena per risolvere <strong>il</strong> mistero ed <strong>il</strong> significato dell’esistenza; amore e o<strong>di</strong>o, i<br />

convenzionalismi della vita <strong>di</strong> corte, cominciavano ad assumere per lui significati del tutto <strong>di</strong>versi e i<br />

problemi che gli venivano prospettati dal padre assassinato - troppo ardui per un semplice mortale -<br />

lo portavano alla confusione della mente ed alla <strong>di</strong>sperazione. Se si fosse potuto risolvere tutto con<br />

l’assassinio del nuovo Re, Amleto non avrebbe esitato un momento, ma la questione non si fermava<br />

solo all’assassinio del Re. Per alleviare le sofferenze <strong>di</strong> suo padre, era necessario purificare dal male<br />

tutta la corte, era necessario passare a ferro e fuoco tutto <strong>il</strong> regno, <strong>di</strong>struggere <strong>il</strong> peccato, respingere i<br />

vecchi amici dall’anima corrotta, come Rosencrantz e Gu<strong>il</strong>denstern, salvare i puri <strong>di</strong> cuore come<br />

Ofelia dalla rovina terrena.<br />

“Queste torture inumane facevano <strong>di</strong> Amleto una specie <strong>di</strong> superuomo, agli occhi dei semplici<br />

mortali che vivevano la loto monotona vita <strong>di</strong> corte in mezzo alle piccole preoccupazioni quoti<strong>di</strong>ane;<br />

un uomo <strong>di</strong>verso da tutti gli altri, e perciò pazzo. Allo sguardo <strong>mio</strong>pe dei piccoli uomini che non solo<br />

sono incapaci <strong>di</strong> riconoscere <strong>il</strong> mondo dell’al <strong>di</strong> là, ma che non sono neppure in grado <strong>di</strong> vedere oltre<br />

gli stretti confini delle mura del palazzo, Amleto appare naturalmente anormale. Parlando della corte,<br />

Craig alludeva a tutto <strong>il</strong> mondo”.<br />

Amleto, <strong>di</strong>ceva Craig, “è riuscito semplicemente a portare a termine in due mesi un’impresa<br />

che si è tentato <strong>di</strong> realizzare per secoli in tutte le corti d’Europa: ha deciso <strong>di</strong> purificare la vita sociale<br />

e pubblica dall’oscurità morale e dalla degenerazione. Si è messo al lavoro con un fine preciso e con<br />

l’entusiasmo <strong>di</strong> un uomo giovane, vir<strong>il</strong>e, crudelmente ferito. Le sue idee sono logiche, egli ha<br />

ragionato e me<strong>di</strong>tato ogni movimento e ogni atto, in quel breve momento <strong>di</strong> tempesta e <strong>di</strong> tensione<br />

che finisce nella trage<strong>di</strong>a. Questa è la mia idea <strong>di</strong> Amleto”.<br />

Craig sin dal primo momento aveva deciso <strong>di</strong> adoperare per la messa in scena a Mosca i suoi<br />

screens, con pezzi aggiunti, scale, cubi, parallelepipe<strong>di</strong>, in rigorosa proporzione.<br />

All’inizio dello spettacolo gli screens dovevano formare come una parete, una continuazione<br />

architettonica alla platea. Poi, nella se<strong>mio</strong>scurità, dovevano muoversi, assumendo posizioni<br />

determinate. Delle luci, provenienti dall’alto, avrebbero <strong>il</strong>luminato la scena, secondo un sistema <strong>di</strong><br />

<strong>il</strong>luminazione a “raggi e macchie”. Tale sistema era stato stu<strong>di</strong>ato da Craig proprio per <strong>il</strong> Teatro<br />

d’Arte, e tendeva ad ottenere risultati sim<strong>il</strong>i, ma non ugualmente perfetti, a quelli che egli raggiunse in<br />

seguito con <strong>il</strong> suo Model Stage.<br />

I “raggi” erano prodotti da proiettori mob<strong>il</strong>i, che nella quasi totale oscurità facevano scorrere<br />

una luce <strong>di</strong>retta, radente, sugli angoli degli screens o sui personaggi, creando ombre e guizzi<br />

improvvisi. Le “macchie” erano invece un’<strong>il</strong>luminazione <strong>di</strong>ffusa, con più f<strong>il</strong>tri <strong>di</strong> colore <strong>di</strong> varia<br />

tonalità, che permettevano <strong>di</strong> produrre zone <strong>di</strong> colore o zone scure.<br />

L’artista inglese voleva creare nella rappresentazione uno stridente contrasto fra i due mon<strong>di</strong>,<br />

quello <strong>di</strong> Amleto e quello della corte. Egli vedeva quest’ultimo, nella seconda scena del primo atto,<br />

attraverso gli occhi del Principe Danese: era tutto dorato, dagli screens ai costumi, fino ai volti dei<br />

cortigiani e del Re. Amleto sedeva in primo piano, vestito <strong>di</strong> nero, ma più che seduto era <strong>di</strong>steso, con<br />

le braccia aperte, la testa reclinata sulla spalla, sim<strong>il</strong>e al Cristo deposto dalla croce. E qui aveva la<br />

visione torturante della corte: alle sue spalle, in una marca <strong>di</strong> broccato color oro, si svolgeva, con la<br />

sua chiara impronta <strong>di</strong> corrotta ingenuità, la vita lussuosa del re.<br />

<strong>Il</strong> lavoro in comune <strong>di</strong> Craig e Stanislavskij sulla trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Shakespeare ebbe inizio con una<br />

serie <strong>di</strong> colloqui a tavolino in cui Craig, col testo del dramma alla mano, spiegava a Stanislavskij e<br />

Sulel*ickij, che gli facevano da assistenti, qual era la sua interpretazione <strong>di</strong> Hamlet. Erano lunghi<br />

monologhi <strong>di</strong> Craig, che spesso si trasformavano in <strong>di</strong>aloghi o ad<strong>di</strong>rittura in battibecchi.<br />

19


L’interpretazione dell’Hamlet che Craig delineava a Stanislavskij era senza dubbio alquanto<br />

personale. E vorremmo notare come molte delle sue idee realmente precorrevano i tempi. La calma<br />

nella recitazione - per <strong>di</strong>rlo in termini tecnici: la recitazione s<strong>di</strong>aframmata, priva <strong>di</strong> tensione - è, ad<br />

esempio, uno del car<strong>di</strong>ni del <strong>teatro</strong> epico <strong>di</strong> Brecht. E al <strong>teatro</strong> epico ci richiamano anche le inserzioni<br />

<strong>di</strong> elementi <strong>di</strong>mostrativi <strong>di</strong> straniamento nel dramma, quale l’operaio nella scena <strong>di</strong> Polonio, Laerte e<br />

Ofelia; l’idea craighiana <strong>di</strong> rendere <strong>il</strong> pubblico cosciente <strong>di</strong> trovarsi a <strong>teatro</strong> è poi tipica delle forme<br />

più avanzate <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> oggi esistenti: <strong>il</strong> pubblico dev’essere libero <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>care e <strong>di</strong> gustare ciò che<br />

vede, e non deve abbandonarsi passivamente allo spettacolo. <strong>Il</strong> simbolismo dell’interpretazione<br />

craighiana della trage<strong>di</strong>a si tramuta poi spesso in presentimenti espressionistici, tanto esasperata è la<br />

carica espressiva che ha in sé.<br />

In modo particolarmente originale è svolta da Craig l’idea base del dualismo <strong>di</strong> spirito e<br />

materia, <strong>di</strong> vita e morte della <strong>di</strong>alettica non risolta nella trage<strong>di</strong>a.<br />

“Fin qui abbiamo visto due mon<strong>di</strong>, uno <strong>di</strong> fronte all’altro: quello <strong>di</strong> Amleto e quello della<br />

corte. In primo piano Amleto <strong>di</strong>steso su due cuscini grigi, neri; sembrano quasi una tomba aperta. Un<br />

velo enorme, trasparente, ampio quanto tutto <strong>il</strong> palcoscenico, lo separa dal mondo della corte. <strong>Il</strong><br />

mondo della tirannia e dello splendore è tutto d’oro, con degli sprazzi <strong>di</strong> colori violenti, <strong>di</strong>abolici. È<br />

una scalea, una piramide che ha al vertice <strong>il</strong> re e la regina. Un enorme mantello d’oro e <strong>di</strong> porpora<br />

scende dalle spalle del re, dell’usurpatore, e copre tutta la scena, formando tante onde dorate. Dalle<br />

creste delle onde emergeranno le teste dei cortigiani rivolte in su, verso <strong>il</strong> trono. La corte noi la<br />

ve<strong>di</strong>amo attraverso gli occhi <strong>di</strong> Amleto, e la ascoltiamo attraverso la maschera delle parole. Ma quel<br />

che sentiamo è falso, quel che ve<strong>di</strong>amo è vero.<br />

“Fra le luci offuscate <strong>di</strong> nero guizzeranno i raggi del proiettori, e l’oro luccicherà con riflessi<br />

paurosi; <strong>il</strong> presagio della sventura; si sentiranno musiche stridenti, piene <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssonanze.<br />

“Questa scelleratezza, questa tirannia, questo splendore si deve sentire, è fondamentale!<br />

“Poi, quando si passa al monologo <strong>di</strong> Amleto, tutto quel che è <strong>di</strong>etro le sue spalle <strong>di</strong>venta a<br />

poco a poco più scuro; la corte a poco a poco scompare e si perde in una calda oscurità; le musiche<br />

stridenti e i rumori si attenuano e svaniscono.<br />

“Poi <strong>di</strong> nuovo si sentirà <strong>il</strong> suono delle campane, bello, triste, rotto come un singhiozzo<br />

lontano. <strong>Il</strong> monologo <strong>di</strong> Amleto non è fatto <strong>di</strong> riflessioni; Amleto è sull’orlo della <strong>di</strong>sperazione, tutto<br />

gli danza davanti agli occhi, i pensieri gli sfuggono dalle labbra per la pena che sente...”.<br />

<strong>Il</strong> violento, stridente contrasto fra <strong>il</strong> mondo della corte e <strong>il</strong> mondo <strong>di</strong> Amleto veniva<br />

evidenziato da Craig anche nei singoli personaggi. Ogni cosa era vista attraverso gli occhi del principe<br />

danese: per questo <strong>il</strong> re Clau<strong>di</strong>o è trasformato in un bull-dog, oppure in un essere gonfio, a metà fra <strong>il</strong><br />

serpente e la testuggine.<br />

Lo stesso accade agli altri cortigiani: Rosencrantz e Gu<strong>il</strong>denstern, nella visione paradossale<br />

dell’artista inglese, sono due serpenti; quin<strong>di</strong> vanno vestiti <strong>di</strong> lunghissimi abiti verde screziato, con<br />

uno strascico e un piccolo turbante che fascia loro la testa, privandoli <strong>di</strong> ogni caratteristica umana. La<br />

loro posa abituale è con le braccia conserte, le mani nelle maniche, come i cinesi; così appaiono sim<strong>il</strong>i<br />

a due serpenti rizzati all’impie<strong>di</strong>.<br />

Di questo passo, <strong>il</strong> cortigiano Osric è un camaleonte o un pavone, le guar<strong>di</strong>e <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o degli<br />

orsi, Polonio un rospo...<br />

Solo Orazio è un uomo, vicino ad Amleto.<br />

Poesia, fantasia, <strong>di</strong>vagazione da un lato, e dall’altro realtà, psicologia, razionalità, si<br />

scontravano in modo sempre più insofferente e clamoroso.<br />

Da un lato Stanislavskij era proteso nella ricerca dei sentimenti, delle azioni da leggere fra le<br />

righe del dramma; dall’altro Craig insisteva nella sua idea <strong>di</strong> non fare altro che visualizzare la poesia.<br />

20


Ormai Stanislavskij vedeva svanire la sua speranza <strong>di</strong> convincere Craig a stu<strong>di</strong>are Amleto dal<br />

suo punto <strong>di</strong> vista.<br />

Una volta scartato <strong>il</strong> criterio <strong>di</strong> interpretare <strong>il</strong> dramma secondo i criteri <strong>di</strong> un naturalismo<br />

psicologico, pressoché tutte le obiezioni del <strong>di</strong>rettore del Teatro d’Arte venivano a cadere, e Craig<br />

poteva finalmente sognare in piena libertà <strong>il</strong> suo Amleto ideale.<br />

Finché Craig è a Mosca Stanislavskij si limiterà ad accogliere tutte le sue idee registiche. Non<br />

appena sarà partito però sull’impostazione idealistica craighiana cercherà <strong>di</strong> sovrapporre l’analisi<br />

psicologica dei personaggi, nel suo lavoro con gli interpreti dell’Hamlet, ottenendo naturalmente dei<br />

risultati assai poco unitari.<br />

Uno dei tratti più singolari dell’impostazione registica <strong>di</strong> Craig era l’idea <strong>di</strong> visualizzare, <strong>di</strong><br />

drammatizzare scenicamente i monologhi <strong>di</strong> Amleto. Craig aspirava a creare un luogo ideale, avulso<br />

da ogni realtà contingente, in cui le riflessioni solitarie del principe danese trovassero una <strong>di</strong>mensione<br />

spaziale <strong>di</strong>namica loro propria.<br />

Musica, poesia, luce, architetture essenziali, rigorose, ispirate al primo rinascimento<br />

fiorentino, tutto doveva contribuire a creare un’atmosfera <strong>di</strong> sogno.<br />

A volte, la sua fervida fantasia portava Craig a concepire soluzioni scenografiche fin troppo<br />

ar<strong>di</strong>te che, in gara con le parole stesse <strong>di</strong> Shakespeare, avrebbero dovuto suggerire quei pensieri,<br />

quelle intuizioni che non sono traducib<strong>il</strong>i in parole. Tale, ad esempio, era <strong>il</strong> caso del monologo<br />

“Essere o non essere”, per <strong>il</strong> quale <strong>il</strong> regista inglese proponeva un’interpretazione degna d’interesse,<br />

anche se - ai nostri occhi - viziata dal gusto per un simbolismo assai acceso, che la faceva apparire<br />

ad<strong>di</strong>rittura bizzarra.<br />

“Al centro <strong>il</strong> lungo, enorme corridoio della reggia, che si perde in lontananza, sul fondo. Non è<br />

più luccicante d’oro, ma è opaco, grigio: agli occhi <strong>di</strong> Amleto ha perduto tutto <strong>il</strong> suo inut<strong>il</strong>e<br />

splendore. Sul davanti, ai lati, gli screens formano come due nicchie. Una, che si vede in trasparenza,<br />

<strong>di</strong>etro un velo <strong>di</strong> garza, è <strong>il</strong>luminata: è qui che <strong>il</strong> Re parla con Polonio, Ofelia e la Regina. Egli ha in<br />

viso una maschera e le sue mani sembrano artigli. Nell’altra nicchia, dal lato opposto, si rifugia<br />

Ofelia, mentre dal fondo del corridoio, nell’oscurità, viene Amleto.<br />

“Tutti, tranne Ofelia che è al buio, escono.<br />

“Ve<strong>di</strong>amo attraverso un grande velo <strong>di</strong> garza Amleto che viene dal fondo. Nell’aria si sente<br />

una musica, una musica come quella <strong>di</strong> Bach, una musica grave, che d’ora innanzi deve fare sempre<br />

da sottofondo, piano e forte in alternanza.<br />

“Amleto sente la musica e sorride, ride con lei come in un duetto. Nella parete a sinistra, in<br />

un fascio <strong>di</strong> luce d’oro, appare a tratti e scompare una figura femmin<strong>il</strong>e, sim<strong>il</strong>e al sole. Ma, sulla<br />

parete opposta ora si intravvedono appena delle ombre oscure: le ombre della vita terrena; strisciano,<br />

o<strong>di</strong>ose, dal basso, dall’inferno. Amleto le guarda con terrore: vivere ancora significa soffrire,<br />

torturarsi...<br />

“La figura dorata, splendente, lo chiama dall’altra parte, lo chiama a sé lontano da tutto... È la<br />

Morte. Amleto è sorpreso e felice. Sorride, sente nell’aria la musica e vede l’immagine luminosa della<br />

Morte. La musica è la voce della Morte, che sgorga come una fontana tra le parole <strong>di</strong> Amleto...”.<br />

Amleto e i comme<strong>di</strong>anti: queste, per Craig, erano le due “forze”, i due elementi positivi che<br />

agiscono nel dramma. E l’azione congiunta <strong>di</strong> queste due forze attive aveva luogo nella famosa<br />

“mouse trap scene”, in cui <strong>il</strong> re Clau<strong>di</strong>o assiste alla rappresentazione dei comici. Dinanzi ai suoi<br />

occhi gli attori raffigurano l’assassinio del duca Gonzago, avvelenato dal nipote, che poi sposa la sua<br />

vedova.<br />

<strong>Il</strong> turbamento <strong>di</strong> re Clau<strong>di</strong>o <strong>di</strong> fronte a questa che Amleto chiama “la trappola per topi”<br />

conferma definitivamente al principe danese l’assassinio del padre.<br />

21


È Stanislavskij stesso che, nelle sue memorie, ricorda la realizzazione <strong>di</strong> questa scena: “Craig<br />

qui aveva creato un grande quadro, trasformando <strong>il</strong> proscenio del <strong>teatro</strong> in palcoscenico per lo<br />

spettacolo <strong>di</strong> corte. La parte posteriore della scena, in fondo, rappresentava la platea dei cortigiani. I<br />

comme<strong>di</strong>anti e <strong>il</strong> pubblico della corte erano <strong>di</strong>visi dalla enorme botola che avevamo nel nostro<br />

palcoscenico del Teatro d’Arte.<br />

“Due alti p<strong>il</strong>astri delimitavano ai lati <strong>il</strong> boccascena.<br />

“Dalla scena preparata dai comme<strong>di</strong>anti c’era una <strong>di</strong>scesa, che dava nella botola, mentre sul<br />

lato opposto la scala risaliva più ampia fino all’alto trono, dove sedevano <strong>il</strong> re e la regina. Accanto a<br />

loro, in più f<strong>il</strong>e, sedevano i cortigiani, vestiti anch’essi con costumi dorati e mantelli, che li rendevano<br />

sim<strong>il</strong>i a statue <strong>di</strong> bronzo.<br />

“I comme<strong>di</strong>anti, in costumi <strong>di</strong> gala, dovevano rappresentare <strong>il</strong> loro dramma volgendo la<br />

schiena agli spettatori del Teatro d’Arte, con <strong>il</strong> viso rivolto verso re Clau<strong>di</strong>o, che è immerso, insieme<br />

con la corte, nell’oscurità, rotta <strong>di</strong> tanto in tanto da sprazzi <strong>di</strong> luce sinistra sugli abiti d’oro.<br />

“I costumi dei comme<strong>di</strong>anti sono affatto realistici. Do<strong>di</strong>ci musicisti si esercitano, a sinistra.<br />

“In sottofondo, accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> strumenti musicali”.<br />

Per chiarire a Stanislavskij le idee che aveva dei personaggi, Craig <strong>di</strong>segnò numerosi bozzetti,<br />

dapprima stu<strong>di</strong>ando la singola figura, poi collocandola nella scena. A un solo personaggio, che nella<br />

sua concezione aveva un ruolo determinante nella vita più intima <strong>di</strong> Amleto - cioè lo spettro del<br />

padre ucciso - egli non riusciva a dare una fisionomia scenica definita.<br />

Per Craig lo spettro del padre <strong>di</strong> Amleto deve apparire soprannaturale, ma deve avere delle<br />

sembianze reali. Mi spiego: al pubblico <strong>il</strong> re morto deve apparire vero, <strong>il</strong> pubblico deve credere<br />

realmente nella sua esistenza, però lo spettro al tempo stesso deve essere un’astrazione.<br />

In realtà non era fac<strong>il</strong>e comprendere Craig. Questo accostamento <strong>di</strong> due concezioni in antitesi<br />

esasperata era <strong>il</strong> motivo fondamentale della concezione craighiana dell’Amleto; tutta l’impostazione<br />

della trage<strong>di</strong>a per lui era basata sul concetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssonanza, <strong>di</strong> plurivalenza, <strong>di</strong> tensione poetica.<br />

E questa impostazione per <strong>di</strong>ssonanza può essere definita soltanto con la figura chiave<br />

dell’Oxymoron, cioè con una figura del <strong>di</strong>scorso poetico classico che in<strong>di</strong>ca l’accostamento <strong>di</strong> ciò che<br />

è normalmente inconc<strong>il</strong>iab<strong>il</strong>e. Qui l’accostamento era quello <strong>di</strong> semplicità e complessità, <strong>di</strong><br />

intellettualismo e misticismo, <strong>di</strong> reale e simbolico, <strong>di</strong> naturale e soprannaturale...<br />

Non ci è possib<strong>il</strong>e narrare come Craig voleva realizzare ciascuna scena del dramma, sia perché<br />

la cosa richiederebbe molto tempo, sia perché spesso <strong>il</strong> regista inglese affidava le sue intuizioni, le<br />

sue fervide immaginazioni, più ai <strong>di</strong>segni, agli schizzi, che non alle parole.<br />

È <strong>il</strong> caso <strong>di</strong> alcune fra le scene risolte in modo più originale da Craig - ad esempio quelle sugli<br />

spalti del castello <strong>di</strong> Elsinore, fra Amleto e lo spettro del padre.<br />

In un’atmosfera fredda, livida, l’ombra del padre <strong>di</strong> Amleto appariva e scompariva<br />

nell’oscurità <strong>di</strong>nanzi agli occhi atterriti dei soldati, sdoppiandosi, <strong>di</strong>ssolvendosi e ricomparendo<br />

altrove, quando questi la inseguivano. Poi, nel colloquio con <strong>il</strong> figlio, <strong>il</strong> fantasma si tramutava in<br />

un’immagine <strong>di</strong> danza macabra delle pitture me<strong>di</strong>oevali. Infine l’alba e <strong>il</strong> suono lontano <strong>di</strong> campane<br />

che si rispondono a <strong>di</strong>stanza faceva svanire quest’immagine <strong>di</strong> morte, mentre Amleto prendeva su <strong>di</strong><br />

sé le pene del padre.<br />

Le scene <strong>di</strong> morte, le scene in cui domina la presenza della Morte, erano agli occhi <strong>di</strong> Craig le<br />

più suggestive, le più pregne <strong>di</strong> una dolente poesia. E i <strong>di</strong>segni per la scena del camposanto e i<br />

funerali <strong>di</strong> Ofelia sono certo fra i più belli che egli fece per l’Hamlet. Assai suggestiva, ad esempio, è<br />

l’immagine che egli dà dei due becchini: sono due clown, coi capelli rossi, <strong>il</strong> naso a patata, la bocca<br />

enorme; poi, quando i clown escono, mentre si avvicina la processione funebre per Ofelia,<br />

l’atmosfera <strong>di</strong>viene triste, elegiaca, carica <strong>di</strong> misticismo.<br />

22


La scena dei funerali <strong>di</strong> Ofelia rappresenta una cripta nel cimitero, con altari bianchi alla<br />

morte. È bassa, poco profonda, lunga.<br />

Sugli altari c’è incenso che brucia, vicino agli altari, in alto, sono appese delle lanterne.<br />

In primo piano dei parallelepipe<strong>di</strong> alternati - le tombe - interrotti al centro da una fossa<br />

aperta - la tomba <strong>di</strong> Ofelia.<br />

Dietro <strong>di</strong> essi, lungo le lesene, i p<strong>il</strong>astri e gli altari del fondo, si svolge lenta la processione<br />

funebre.<br />

Tutti hanno in mano una campanella e <strong>di</strong> tanto in tanto la fanno tintinnare, come per caso. Ci<br />

sono tre preti giovani, uno grasso, quattro ragazzi con gli incensieri, e una folla <strong>di</strong> cortigiani, che<br />

riempie tutta la scena.<br />

C’è un coro <strong>di</strong> ragazzi, è un coro semplice, <strong>di</strong> poche voci. Ma quando è giunto sul posto della<br />

sepoltura, smette <strong>di</strong> cantare.<br />

Tutti, uomini e donne, sono a lutto.<br />

Rammentiamo ancora una scena, che in genere, nel rappresentare Hamlet, pochi interpreti<br />

sottolineano: la scena fra Amleto e Orazio, poco prima del duello finale del principe con Laerte.<br />

Anche qui è l’idea della morte, del fato, che colpì la fantasia creatrice <strong>di</strong> Craig: e fin dall’inizio<br />

egli volle giocare tutta la scena, anche l’incontro col cortigiano Osric, sulle variazioni <strong>di</strong> un unico<br />

tema, <strong>il</strong> destino <strong>di</strong> morte.<br />

Questa, per Craig, è la scena più struggente, più profondamente umana del dramma: è la scena<br />

della fatalità che incombe, la scena dell’affetto fra Orazio e Amleto.<br />

<strong>Il</strong> leitmotiv sta nelle parole <strong>di</strong> Amleto a Orazio: “Tu non puoi credere come mi senta male qui<br />

intorno al cuore, ma non importa”.<br />

Quando si leva <strong>il</strong> sipario Amleto è seduto. È sereno. È la calma prima della tempesta. Orazio<br />

gli è accanto, in pie<strong>di</strong>, con un ginocchio appoggiato alla sua se<strong>di</strong>a.<br />

<strong>Il</strong> colloquio fra Amleto e Orazio non è una semplice conversazione: è la confessione <strong>di</strong> un<br />

uomo che sta per essere assassinato. <strong>Il</strong> tono <strong>di</strong> Amleto è <strong>di</strong>staccato, quasi monotono.<br />

“Ora entra Osric, <strong>il</strong> cortigiano: è profumato molto abbondantemente. <strong>Il</strong> suo profumo si<br />

dovrebbe sentire per tutto <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>. Fa un giro intorno a un p<strong>il</strong>astro... senza un perché... Si accorge<br />

che Amleto e Orazio stanno conversando; rimane un po’ in <strong>di</strong>sparte, guarda attraverso l’occhialino -<br />

ne ha <strong>di</strong>versi, che gli penzolano addosso - si aggiusta <strong>il</strong> vestito, si carezza i capelli. Rimette <strong>il</strong><br />

fazzoletto profumato nella manica. Tutt’intorno gli penzolano forbici da unghie, scatole portacipria,<br />

calze piene <strong>di</strong> dolci. Spesso si bacia la punta delle <strong>di</strong>ta...”.<br />

“Amleto non ha sospetti precisi, tuttavia sente dentro <strong>di</strong> sé che la fine è vicina. Egli intuisce<br />

che qualcosa deve accadere durante <strong>il</strong> duello ed è per questo che evita <strong>di</strong> parlare dei dettagli con quel<br />

camaleonte. Poco dopo l’uscita del camaleonte, entra un altro cortigiano: al contrario <strong>di</strong> Osric, questo<br />

è una persona simpatica, dal portamento nob<strong>il</strong>e e sereno. Amleto e Orazio si alzano al suo arrivo.<br />

“Shakespeare fa spesso così: per b<strong>il</strong>anciare le impressioni sgradevoli che ha prodotto, a volte<br />

usa contrapporre un personaggio positivo a uno negativo. Lo strano è che nella prima redazione<br />

dell’Hamlet questo personaggio non esiste; è stato introdotto solo nell’e<strong>di</strong>zione in folio.<br />

“Ma come si spiega, da un punto <strong>di</strong> vista logico, l’ingresso <strong>di</strong> questo secondo cortigiano? In<br />

fin dei conti non fa altro che ripetere quel che ha già detto Osric.<br />

“Le alternative sono due: o Osric, tornato dal re Clau<strong>di</strong>o, lo ha riempito a tal punto <strong>di</strong><br />

chiacchiere da costringerlo a mandare a parlare con Amleto un cortigiano più bravo, oppure lo ha<br />

mandato la Regina.<br />

“Dal punto <strong>di</strong> vista drammatico quest’idea è molto suggestiva: la Regina sospetta qualche<br />

inganno nel duello con Laerte, perciò manda ad Amleto un suo cortigiano fidato per invitarlo a<br />

23


prender tempo, a far pace con Laerte. Infatti <strong>il</strong> cortigiano <strong>di</strong>ce: ‘Sua maestà manda a chiedere se vi è<br />

sempre in piacere <strong>di</strong> battervi con Laerte, o se volete prendere più tempo’.<br />

“E quando Amleto gli risponde: ‘Io sono fedele ai miei propositi’, <strong>il</strong> cortigiano, prima <strong>di</strong><br />

uscire, gli sussurra: ‘La Regina desidera che voi usiate qualche cortesia a Laerte, prima <strong>di</strong> cominciare<br />

a battervi’.<br />

“La Regina vuole che suo figlio e Laerte facciano pace, perché ha paura.<br />

“Ma Amleto è troppo assorto nei suoi pensieri per avvertire quel che sta succedendo intorno<br />

a lui. È Orazio invece che comincia a sospettare qualcosa: forse nel duello c’è un inganno. Ma<br />

quest’idea è così tremenda, così <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e a <strong>di</strong>rsi, che Orazio parla come se scherzasse, seduto sul<br />

bracciolo <strong>di</strong> una poltrona.<br />

“Orazio è pronto a fare qualsiasi cosa per Amleto; è incapace <strong>di</strong> <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>rgli. Perciò accetta<br />

la sua rinuncia, <strong>il</strong> suo abbandono alla fatalità che si sente nell’aria.<br />

“Amleto lo guarda a lungo negli occhi - ora sono seduti sui due braccioli della stessa poltrona:<br />

con uno sguardo si <strong>di</strong>cono tutti quei terrib<strong>il</strong>i pensieri che non hanno espresso a parole - poi escono<br />

insieme, ognuno con un braccio intorno alla spalla dell’altro”.<br />

Per la scena finale Craig aveva <strong>di</strong>sposto una combinazione degli screens che gli valse poi <strong>il</strong><br />

titolo <strong>di</strong> plagiario da parte <strong>di</strong> Simonson, poiché - più nel modello da lui fatto a Firenze che non nel<br />

<strong>di</strong>segno corrispondente e nella scena adoperata a Mosca - è sim<strong>il</strong>e ad un <strong>di</strong>segno pubblicato nel<br />

volume <strong>di</strong> Sabbatini: Pratica <strong>di</strong> fabricar scene e machine ne’ teatri, che invece - a quanto afferma<br />

Craig - egli vide per la prima volta nel 1914.<br />

Craig, dopo aver terminato <strong>di</strong> spiegare a Stanislavskij le sue idee <strong>di</strong> messa in scena, ripartì per<br />

Firenze, nel luglio del 1909.<br />

Giunto a Firenze Craig, che aveva assunto l’impegno <strong>di</strong> lavorare alle scene dell’Hamlet fino<br />

alla fine dell’anno, le <strong>di</strong>segnò e ne fece i modelli al completo all’Arena Goldoni; ma intanto l’idea <strong>di</strong><br />

fondare una scuola, dove poter stu<strong>di</strong>are egli stesso senza dover più lavorare su drammi altrui, si<br />

ra<strong>di</strong>cava sempre più nella sua mente e gli faceva sentire una sorda insofferenza per la preparazione<br />

dello spettacolo per Mosca.<br />

<strong>Il</strong> 20 febbraio 1910 Craig era nuovamente a Mosca, dove era stata costruita su sua richiesta<br />

una scena modello avente le medesime caratteristiche tecniche del Teatro d’Arte, con lo stesso<br />

sistema d’<strong>il</strong>luminazione. Qui furono <strong>di</strong>sposti gli screens e le figure <strong>di</strong> legno e cartone, rappresentanti<br />

i vari personaggi del dramma.<br />

Cominciarono così le prove con gli attori e Stanislavskij. Craig, con l’aiuto <strong>di</strong> un lungo<br />

bastone, mostrava agli attori scena per scena quali movimenti essi avrebbero dovuto fare, spostando<br />

sul Model Stage le figure in legno e cartone.<br />

La cosa si rivelava <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e, perché tutti questi colloqui si svolgevano sempre a mezzo<br />

dell’interprete. Dopo aver spiegato i movimenti <strong>di</strong> ogni screen ai tecnici del Teatro d’Arte, <strong>il</strong> 4<br />

maggio Gordon Craig ripartì per Firenze. Ormai <strong>il</strong> suo lavoro sull’Hamlet era terminato: aveva<br />

consegnato a Stanislavskij e Suler*ickij i modelli e i <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> ogni scena, aveva definito<br />

l’<strong>il</strong>luminazione degli screens, aveva spiegato a <strong>Il</strong>’já Sac come dovevano essere le musiche <strong>di</strong> fondo,<br />

aveva <strong>di</strong>segnato tutti i costumi ed aveva impostato la recitazione degli attori. Per la parte <strong>di</strong> Ofelia<br />

però Stanislavskij non aveva aderito alla sua proposta <strong>di</strong> affidarla a L<strong>il</strong>ina, la moglie del regista russo,<br />

o ad Alice Koorien, ed aveva scelto una giovane attrice. Poco dopo la partenza <strong>di</strong> Craig, Stanislavskij<br />

si ammalò seriamente <strong>di</strong> tifo, e i preparativi per lo spettacolo furono interrotti.<br />

Da questo momento la storia <strong>di</strong> questa messa in scena fu storia interna del Teatro d’Arte. Ma<br />

è bene seguirla per spiegare <strong>il</strong> perché dell’insod<strong>di</strong>sfazione che generò la rappresentazione nei suoi<br />

autori.<br />

24


Stanislavskij de<strong>di</strong>cò gran parte del 1911 alle prove dell’Hamlet, poiché intendeva creare una<br />

recitazione psicologicamente valida, pur rimanendo fedele alle precise in<strong>di</strong>cazioni dei movimenti<br />

fornite da Craig.<br />

In tal modo l’idea <strong>di</strong> Craig <strong>di</strong> creare uno spettacolo essenziale, <strong>di</strong> un simbolismo puro, veniva<br />

contaminata dalle ricerche psicologiche <strong>di</strong> Stanislavskij. Da un lato <strong>il</strong> regista inglese aveva impostato<br />

una recitazione dura, fredda, puramente esteriore - sim<strong>il</strong>e alla recitazione che poi teorizzò Bertolt<br />

Brecht, la recitazione epica - che contribuisse a dare allo spettacolo un ritmo antinaturalistico,<br />

musicale e poetico insieme. Dall’altro <strong>il</strong> regista russo, pur mantenendo intatte le posizioni degli<br />

interpreti, le intonazioni <strong>di</strong> voce, i movimenti fondamentali voluti da Craig, cercava <strong>di</strong> ottenere dai<br />

suoi attori che stu<strong>di</strong>assero le loro parti basandosi sull’introspezione pisologica dei personaggi e sul<br />

pere*ivanie, cioè su <strong>di</strong> un sistema per vivere i sentimenti che ciascun personaggio avrebbe provato<br />

durante lo svolgersi dell’azione drammatica. È chiaro che <strong>il</strong> sistema <strong>di</strong> Stanislavskij, se applicato ed<br />

un dramma <strong>di</strong> Cechov o comunque <strong>di</strong> un autore realistico, poteva dare dei risultati interessanti; ma in<br />

un dramma come quello <strong>di</strong> Shakespeare in cui i sentimenti dei personaggi - secondo l’interpretazione<br />

craighiana - erano mantenuti su <strong>di</strong> un piano affatto estraneo al sentire quoti<strong>di</strong>ano, naturale, degli<br />

interpreti, andava incontro a <strong>di</strong>fficoltà enormi.<br />

Quando si dovettero costruire gli screens in grandezza naturale per lo spettacolo si<br />

presentarono le prime <strong>di</strong>fficoltà: Craig li avrebbe voluti in ferro o in legno o in rame o in sughero, ma<br />

sarebbero risultati eccessivamente pesanti; così <strong>di</strong> comune accordo si decise <strong>di</strong> fabbricarli in tela non<br />

<strong>di</strong>pinta con chassis <strong>di</strong> legno.<br />

Una scena dopo l’altra, inevitab<strong>il</strong>mente, più volte Stanislavskij e Suler*ickij si vedevano<br />

costretti a mo<strong>di</strong>ficare le soluzioni in<strong>di</strong>cate da Craig. Al primo atto vennero mo<strong>di</strong>ficate la scena della<br />

famiglia <strong>di</strong> Polonio e due scene dell’incontro <strong>di</strong> Amleto con lo spettro del padre. Negli altri atti<br />

vennero soppresse - sempre per motivi <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne tecnico - altre sei soluzioni scenografiche<br />

craighiane, e ancora quattro scene furono mo<strong>di</strong>ficate, fra cui quella dei funerali d’Ofelia.<br />

In tutto, dunque, tre<strong>di</strong>ci scene erano state adulterate rispetto ai progetti <strong>di</strong> Craig.<br />

<strong>Il</strong> 21 <strong>di</strong>cembre 1911 Craig tornò a Mosca per sovraintendere alle ultime prove <strong>di</strong> Hamlet. Qui<br />

si trovò <strong>di</strong> fronte alle numerose mo<strong>di</strong>fiche apportate al suoi piani <strong>di</strong> regia. Scena per scena ripercorse<br />

tutto lo spettacolo, fremendo <strong>di</strong> fronte ai cambiamenti operati nella realizzazione delle sue idee. E<br />

alla scena dei funerali d’Ofelia non poté più trattenersi...<br />

Di fronte alla violenta reazione <strong>di</strong> Craig, Suler*ickij - che era <strong>il</strong> maggior responsab<strong>il</strong>e delle<br />

mo<strong>di</strong>fiche - si sentì offeso. Nella sua esaltazione inoltre Craig - ritenendolo responsab<strong>il</strong>e <strong>di</strong> aver<br />

rovinato lo spettacolo - chiese <strong>di</strong> non firmare più la regia, se accanto al suo nome doveva apparire<br />

quello del suo amico <strong>di</strong> un tempo, <strong>di</strong>venuto ora - come egli <strong>di</strong>ceva - “l’assassino del <strong>mio</strong> Amleto”.<br />

Così - ultima peripezia <strong>di</strong> questo travagliato spettacolo - Suler*ickij abbandonò <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> <strong>il</strong><br />

giorno prima della prova generale.<br />

Era una conclusione amara, spiacevole. Ma, nonostante tutto ciò, 1’8 gennaio 1912 <strong>il</strong><br />

pubblicò applaudì a lungo la prima <strong>di</strong> Hamlet. Nemiròvi# Dàn#enko <strong>di</strong>sse poi a Craig in un <strong>di</strong>scorso,<br />

riportato dai giornali: “Siete venuto con nuovi meto<strong>di</strong> per la nostra arte e avete posto in essi tutto <strong>il</strong><br />

vostro genio poetico... aspettiamo ancora dell’altro lavoro da voi per la perfezione della nostra arte”.<br />

Lo spettacolo si presentò agli occhi del pubblico con una gran<strong>di</strong>osità non priva <strong>di</strong> sfarzo, non<br />

corrispondente alla semplicità voluta da Craig. Di essa Stanislavskij scrisse: “Avevamo voluto dare<br />

alla messa in scena una forma quanto più possib<strong>il</strong>e semplice e modesta, eppure essa si era rivelata<br />

straor<strong>di</strong>nariamente sontuosa, elevata e piena d’effetto - ad<strong>di</strong>rittura in modo che la sua bellezza<br />

saltava agli occhi, si spingeva in primo piano e copriva col suo splendore gli attori. In questa maniera<br />

25


si <strong>di</strong>mostrò che quanto più ci si sforza a mantenere semplici le decorazioni, tanto più chiassose esse<br />

<strong>di</strong>ventano, tanto più appaiono pretenziose e sembrano pavoneggiarsi <strong>di</strong> una preme<strong>di</strong>tata primitività.<br />

“La rappresentazione ebbe grande successo: alcuni erano entusiasti, altri criticavano, ma tutti<br />

erano eccitati ed emozionati, contrastavano, tenevano <strong>di</strong>battiti, scrivevano articoli, e alcuni teatri si<br />

appropriarono segretamente delle idee <strong>di</strong> Craig, spacciandole per proprie”.<br />

La stampa inglese recensì ampiamente l’avvenimento.<br />

Nel 1911 e nel 1913 Craig aveva proposto al pubblico <strong>il</strong> suo ideale <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> in due libri<br />

fondamentali: On the Art of the Theatre e Towards a New Theatre.<br />

Nel 1913 aveva dato vita a un laboratorio <strong>di</strong> ricerche <strong>di</strong> arte teatrale, la Scuola <strong>di</strong> Arte del<br />

Teatro, a Firenze. Ma ben presto la guerra lo costrinse a rinunciare alla realizzazione del suo sogno.<br />

Fu una cesura fondamentale nella sua vita artistica. Rinchiuso in un volontario isolamento, sulla<br />

riviera ligure, si de<strong>di</strong>cò soprattutto a scrivere, sotto 64 pseudonimi <strong>di</strong>versi, drammi per marionette,<br />

articoli per “The Mask”, e vari libri: The Theatre Advancing (1919), Scene (1923), in cui proietta in<br />

una <strong>di</strong>mensione storica l’esperienza mitica della Supermarionetta e delle m<strong>il</strong>le scene in una,<br />

rivelandone egli stesso <strong>il</strong> valore <strong>di</strong> utopia assoluta; Woodcuts and Some Words (1924), Nothing or<br />

the Bookplate (1924) e Books and Theatres (1925), tutti in parte autobiografici.<br />

Nel 1926 <strong>di</strong>segnò le scene de I pretendenti alla corona <strong>di</strong> Ibsen per Johannes Poulsen al<br />

Teatro Reale <strong>di</strong> Copenaghen. Nel 1929, dopo anni <strong>di</strong> lavoro, apparve per la Cranach Press <strong>di</strong> Weimar<br />

l’e<strong>di</strong>zione inglese e quella tedesca <strong>di</strong> Hamlet, <strong>il</strong>lustrata con x<strong>il</strong>ografie <strong>di</strong> Craig. Nel 1930 pubblicò <strong>il</strong><br />

libro sul suo maestro Henry Irving. L’anno successivo de<strong>di</strong>cò un libro a sua madre: Ellen Terry and<br />

Her Secret Self.<br />

Trasferitosi poi dall’Italia in Francia, vicino a Parigi, cessò <strong>di</strong> pubblicare “The Mask” e si<br />

de<strong>di</strong>cò sempre più alla storia del <strong>teatro</strong> e alla Gordon Craig Collection, una vastissima collezione<br />

teatrale, che voleva lasciare ai futuri studenti dell’arte del <strong>teatro</strong>.<br />

Dopo la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale - che lo vide anche internato in campo <strong>di</strong> concentramento,<br />

durante l’occupazione tedesca - passò sulla Costa Azzurra, a Vence, dove iniziò la sua autobiografia<br />

incompiuta, Index to the Story of My Days, pubblicata nel 1957.<br />

Mori nel 1966 a novantaquattro anni: fino all’ultimo la sua fantasia era fert<strong>il</strong>e, originale, ricca<br />

d’inventiva, e molti artisti, da Laurence Olivier a Peter Brook a Jean-Louis Barrault, andavano a<br />

trovarlo per sentirlo parlare <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>.<br />

F. M.<br />

26


L’arte del Teatro<br />

Al genio sempre vivente<br />

del più grande tra gli artisti inglesi<br />

WILLIAM BLAKE<br />

e alla chiara memoria<br />

<strong>di</strong> sua moglie<br />

questo libro è de<strong>di</strong>cato<br />

27


Gli artisti del <strong>teatro</strong> dell’avvenire<br />

Saggio de<strong>di</strong>cato alla giovane stirpe <strong>di</strong> atletici lavoratori <strong>di</strong><br />

tutti i teatri.<br />

A pensarci bene, de<strong>di</strong>co queste pagine alla singola,<br />

coraggiosa personalità, che si impadronirà un giorno del<br />

mondo teatrale e lo riplasmerà.<br />

Si <strong>di</strong>ce che ripensarci sia un’ottima cosa. Si <strong>di</strong>ce pure che è bene trarre <strong>il</strong> miglior partito<br />

possib<strong>il</strong>e da un’impresa <strong>di</strong>sperata; ed è proprio per questo, che son costretto a sostituire la prima<br />

de<strong>di</strong>ca, più ottimistica, con la seconda. Ripensarci, dunque, è proprio un’ottima cosa.<br />

Ma com’è triste doverlo ammettere! La giovane stirpe <strong>di</strong> atletici lavoratori, nel <strong>teatro</strong> d’oggi,<br />

non esiste: intorno a noi c’è solo degenerazione, fisica e mentale. E come potrebbe essere altrimenti?<br />

<strong>Il</strong> sintomo più sicuro, forse, è dato proprio dalle continue <strong>di</strong>chiarazioni, da parte <strong>di</strong> coloro che nel<br />

<strong>teatro</strong> lavorano, che tutto va per <strong>il</strong> meglio e che <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> è oggi al vertice del suo sv<strong>il</strong>uppo.<br />

Ma se tutto andasse bene, non sorgerebbe, istintivo, e continuo come ora, un desiderio <strong>di</strong><br />

cambiamento in tutti coloro che frequentano <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> moderno o riflettono su <strong>di</strong> esso; proprio perché<br />

<strong>il</strong> <strong>teatro</strong> versa in una con<strong>di</strong>zione miserevole è necessario che qualcuno parli come faccio io: ma<br />

quando mi guardo intorno e cerco qualcuno a cui parlare, qualcuno che mi ascolti e mi comprenda,<br />

non vedo che schiene voltate, le schiene <strong>di</strong> una stirpe <strong>di</strong> lavoratori senza nerbo. Eppure <strong>il</strong> singolo, <strong>il</strong><br />

giovane o l’uomo coraggioso, si volge verso <strong>di</strong> me. A lui io guardo, e in lui ravviso la forza che creerà<br />

la stirpe a venire. Perciò parlo a lui solo ed è sufficiente che lui mi comprenda. Egli, come <strong>di</strong>ce Blake,<br />

“lascerà padre, madre, casa e terre se ostacolano <strong>il</strong> cammino della sua arte” 1 ; rinuncerà all’ambizione<br />

personale e al successo effimero, non tenderà al guadagno fac<strong>il</strong>e e piacevole, e chiederà in cambio solo<br />

che si ricostituisca la sua famiglia, e la libertà, <strong>il</strong> benessere, <strong>il</strong> potere che le erano propri. È a lui che<br />

parlo.<br />

Sei giovane, sei già stato per alcuni anni in <strong>teatro</strong>, oppure sei figlio <strong>di</strong> gente <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>; o hai<br />

fatto <strong>il</strong> pittore per qualche tempo, ma poi hai sentito <strong>il</strong> desiderio del movimento; oppure sei un<br />

operaio. Forse hai bisticciato coi genitori a <strong>di</strong>ciott’anni, perché volevi darti al <strong>teatro</strong> ed essi erano<br />

contrari. Forse ti hanno chiesto perché volevi darti al <strong>teatro</strong>, e tu non hai potuto fornire una risposta<br />

ragionevole, poiché ciò che volevi fare nessuna risposta ragionevole può spiegarlo: volevi volare.<br />

Forse avresti fatto meglio a <strong>di</strong>re “Voglio volare”, anziché pronunciare quelle parole spaventose:<br />

“Voglio darmi al <strong>teatro</strong>”.<br />

M<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> persone hanno provato lo stesso desiderio, questo desiderio <strong>di</strong> movimento, questo<br />

desiderio <strong>di</strong> volare, <strong>di</strong> confondere se stessi nell’esistenza <strong>di</strong> un’altra creatura; e alcuni senza rendersi<br />

conto che <strong>il</strong> loro non era che <strong>il</strong> desiderio <strong>di</strong> vivere nell’immaginazione, hanno risposto ai genitori:<br />

“Voglio fare l’attore; voglio darmi al <strong>teatro</strong>”.<br />

Ma non è questo quel che essi vogliono; e comincia la trage<strong>di</strong>a. Penso a quando un giovane si<br />

sente turbato da questa inquietu<strong>di</strong>ne che da poco si è destata in lui e <strong>di</strong>ce tra sé “forse voglio fare<br />

l’attore”, ma soltanto in presenza dei genitori corrucciati, spinto dalla <strong>di</strong>sperazione, cambia <strong>il</strong> “forse”<br />

nel definitivo “voglio”.<br />

1 “Chang Fa-Shou, <strong>il</strong> generoso fondatore <strong>di</strong> questo Tempio, Wu Shêng Ssu, fu capace sotto la molteplice rete <strong>di</strong> una<br />

quintupla copertura, <strong>di</strong> rompere i vincoli dell’affetto fam<strong>il</strong>iare e delle cure mondane, ecc.”. Inciso su <strong>di</strong> una stele del<br />

535 a. C. (Cina), ora al South Kensington Museurn.<br />

28


Probab<strong>il</strong>mente questo è anche <strong>il</strong> tuo caso. Vuoi volare, vuoi un altro modo <strong>di</strong> essere, vuoi<br />

inebriarti <strong>di</strong> aria e suscitare negli altri le stesse sensazioni.<br />

Cerca ora <strong>di</strong> toglierti <strong>di</strong> mente l’idea che tu voglia realmente “darti al <strong>teatro</strong>”. Se per <strong>di</strong>sgrazia<br />

sei già sul palcoscenico, evita <strong>di</strong> pensare che vuoi fare l’attore e che questa è la tua suprema<br />

aspirazione. Poniamo che tu sia già un attore, da quattro o cinque anni, e che qualche strano dubbio,<br />

si sia insinuato in te. Non vorrai ammetterlo con nessuno significherebbe ammettere che i tuoi<br />

genitori avevano ragione, non vorrà ammetterlo neppure con te stesso, perché non hai altra via per<br />

farti animo. Ma io cercherò in tutti i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> darti coraggio, così potrai gettare all’aria con<br />

<strong>di</strong>sinvoltura ed entusiasmo quello che vuoi, pur senza perdere nulla <strong>di</strong> ciò a cui tenevi all’inizio.<br />

Potrai rimanere sulla scena, oppure esserle al <strong>di</strong> sopra.<br />

Ti darò la mia esperienza per quel che vale, e forse ti sarà ut<strong>il</strong>e. Cercherò <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere<br />

attentamente ciò che è importante da ciò che non lo è; e se, mentre parlo, vuoi che ti chiarisca<br />

qualche dubbio o che ti precisi meglio qualche concetto o dei particolari, non hai che da chiederlo e<br />

verrò subito in tuo aiuto.<br />

Tanto per cominciare, sei stato scritturato dal <strong>di</strong>rettore del <strong>teatro</strong>. Lo devi servire fedelmente,<br />

non perché ti dà uno stipen<strong>di</strong>o ma perché lavori ai suoi or<strong>di</strong>ni. E con l’obbe<strong>di</strong>enza al tuo <strong>di</strong>rettore<br />

ecco venire <strong>il</strong> primo e più grande problema che incontrerai in tutta la carriera.<br />

Perché non devi semplicemente obbe<strong>di</strong>re alle sue parole, ma anche alle sue intenzioni: senza però<br />

perdere te stesso. Ciò che intendo non è che tu debba salvaguardare la tua personalità - e probab<strong>il</strong>e<br />

infatti che non si sia ancora pienamente formata -: è che non devi perdere <strong>di</strong> vista quello <strong>di</strong> cui sei in<br />

cerca, non devi smarrire quella prima sensazione che provasti quando ti sembrò che i tuoi passi ti<br />

spingessero verso l’alto.<br />

Durante questo primo tirocinio, sta’ attento a tutto quel che <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore ti <strong>di</strong>ce o ti mostra<br />

riguardo al <strong>teatro</strong> e al mestiere dell’attore, e approfon<strong>di</strong>sci da solo quello che lui non ti fa vedere. Va’<br />

a guardare come <strong>di</strong>pingono le scene, va’ dove lavorano gli elettricisti, va’ nel sottopalco e osserva<br />

quelle complicate costruzioni, va’ in palcoscenico e chie<strong>di</strong> come funzionano i tiri contrappesati e i<br />

rocchetti; ma mentre impari tutte queste cose sul <strong>teatro</strong> e sul mestiere ricorda bene che è fuori del<br />

mondo del <strong>teatro</strong> che troverai la più grande ispirazione, e non dentro <strong>di</strong> esso: intendo <strong>di</strong>re nella<br />

natura. Le altre fonti d’ispirazione sono la musica e l’architettura.<br />

Ti do questi suggerimenti, perché so che <strong>il</strong> tuo <strong>di</strong>rettore non te li darà mai. Nel <strong>teatro</strong> ci si basa<br />

solo sul <strong>teatro</strong>. Si prende <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> come fonte d’ispirazione, e se <strong>di</strong> tanto in tanto un attore cerca<br />

aiuto nella natura, si rivolge soltanto a una parte <strong>di</strong> essa, a quella che si manifesta nell’essere umano.<br />

Con Henry Irving non accadeva così, ma ora non posso fermarmi a parlare <strong>di</strong> lui; occorrerebbero<br />

interi volumi per farti capire davvero la sua arte. Ti basti sapere che come attore aveva un intuito<br />

infallib<strong>il</strong>e e che stu<strong>di</strong>ava tutta la natura per trovare simboli adatti a esprimere i suoi pensieri.<br />

Probab<strong>il</strong>mente ti avranno raccontato che quest’uomo, <strong>di</strong> cui ti parlo come <strong>di</strong> un attore<br />

impareggiab<strong>il</strong>e, faceva così e così, in questo e quest’altro modo; e tu dubiterai delle mie parole; ma<br />

con tutto <strong>il</strong> rispetto per <strong>il</strong> tuo attuale <strong>di</strong>rettore, devi stare bene attento al valore da dare a quel che ti<br />

<strong>di</strong>ce e a quel che ti fa vedere, perché è proprio basandosi su una sim<strong>il</strong>e tra<strong>di</strong>zione che <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> è<br />

vissuto ed ha degenerato.<br />

Quel che fece Henry Irving è una cosa, quello che ti racconteranno <strong>di</strong> lui un’altra. Io stesso ho<br />

fatto qualche esperienza in proposito. Ho recitato nel Macbeth con la compagnia <strong>di</strong> Irving; e più<br />

tar<strong>di</strong> mi è capitato <strong>di</strong> sostenere la parte del protagonista in un <strong>teatro</strong> <strong>di</strong> provincia. Mi venne allora <strong>il</strong><br />

desiderio <strong>di</strong> conoscere le impressioni ricevute nel vedere la sua interpretazione da un attore<br />

coscienzioso ed esatto, con i soliti quin<strong>di</strong>ci anni <strong>di</strong> esperienza, e che per <strong>di</strong> più era ammiratore<br />

entusiasta <strong>di</strong> Henry Irving.<br />

29


Gli chiesi <strong>di</strong> mostrarmi come Irving aveva risolto questo o quel passo, cosa aveva fatto e quale<br />

effetto aveva ottenuto, perché mi era uscito <strong>di</strong> mente. Quel bravo attore mi mostrò allora, con <strong>mio</strong><br />

grande stupore, qualcosa <strong>di</strong> così banale, <strong>di</strong> così goffo e privo <strong>di</strong> classe, che cominciai a comprendere<br />

quale valore abbia la tra<strong>di</strong>zione; e <strong>di</strong> esperienze del genere ne ho fatte parecchie.<br />

Un’attrice capace e degna <strong>di</strong> stima mi mostrò una volta come la Siddons recitava la parte <strong>di</strong><br />

Lady Macbeth. Avanzando verso <strong>il</strong> centro della scena cominciava a fare dei movimenti e a lanciare<br />

delle esclamazioni che, secondo lei, erano la riproduzione esatta <strong>di</strong> quel che faceva la Siddons.<br />

Ritengo che avesse davvero ricevuto queste informazioni da qualcuno che la Siddons l’aveva vista.<br />

Ma ciò che mi mostrò era completamente privo <strong>di</strong> valore, perché non aveva la minima unita, sebbene<br />

un’azione qua e là avesse uno sprazzo riflesso del valore originale; fu così che cominciai a toccare<br />

con mano l’inut<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> questo genere d’istruzione, e poiché per natura mi ribello contro chiunque<br />

cerchi d’impormi qualcosa che a me pare non intelligente, non volli aver più nulla a che fare con<br />

questo tipo d’insegnamento.<br />

Non ti consiglio <strong>di</strong> fare altrettanto, ma tu probab<strong>il</strong>mente ignorerai quel che ti <strong>di</strong>co e farai come<br />

ho fatto io, se hai un temperamento vulcanico; però faresti meglio ad ascoltare, accettare e assim<strong>il</strong>are<br />

quel che ti <strong>di</strong>cono, ricordando che questo tuo tirocinio d’attore non è che l’inizio <strong>di</strong> un tirocinio<br />

estremamente lungo <strong>di</strong> artigiano in tutte quelle attività che contribuiscono a formare l’arte.<br />

Quando le avrai stu<strong>di</strong>ate tutte a fondo, ti accorgerai che talune sono <strong>di</strong> grande importanza e<br />

certamente ti renderai conto che l’esperienza <strong>di</strong> attore era necessaria. È raro che <strong>il</strong> pioniere imbrocchi<br />

una strada fac<strong>il</strong>e, e siccome <strong>il</strong> tuo cammino non si esaurisce nel <strong>di</strong>ventare un attore famoso, ma<br />

prosegue non battuto, molto più a lungo e tende a una meta ben <strong>di</strong>versa, avrai tutti i vantaggi e gli<br />

svantaggi del pioniere. Perciò tieni bene a mente quel che ti ho detto: <strong>il</strong> tuo intento non è <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare<br />

un attore famoso, o <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> una cosiddetta compagnia <strong>di</strong> successo o “metteur en scène" <strong>di</strong><br />

comme<strong>di</strong>e complesse <strong>di</strong>-cui-si-parla-tanto; ma è <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare un artista del <strong>teatro</strong>; e, lo ripeto, è<br />

fondamentale che tu porti a compimento <strong>il</strong> tirocinio <strong>di</strong> attore, con fede e bravura. Se dopo cinque<br />

anni <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> sei convinto <strong>di</strong> sapere quale sarà <strong>il</strong> tuo avvenire, se, <strong>di</strong> fatto, hai successo, considerati<br />

pure perduto. A questo mondo le scorciatoie non portano da nessuna parte. Quando ne sentisti<br />

l’impulso e <strong>di</strong>cesti a casa che dovevi darti al <strong>teatro</strong>, pensavi che un desiderio così grande potesse<br />

venir sod<strong>di</strong>sfatto tanto presto? Basta così poco a farti contento? <strong>Il</strong> desiderio è dunque una cosa da<br />

nulla, se una ricerca <strong>di</strong> soli cinque anni basta a paro<strong>di</strong>arlo? No, <strong>di</strong> certo. L’intera tua vita non è<br />

troppo, lunga per questo, e solo alla fine un piccolo atomo <strong>di</strong> quel che hai tanto desiderato verrà a te.<br />

E così sarà sempre giovane, anche quando sarai carico d’anni.<br />

L’attore<br />

È un uomo <strong>di</strong> gran classe, generoso e pieno <strong>di</strong> spirito <strong>di</strong> cameratismo: mi viene in mente un<br />

attore <strong>di</strong> mia conoscenza, che può essere un esempio tipico. Compagno simpatico, che <strong>di</strong>ffonde in<br />

<strong>teatro</strong> <strong>il</strong> senso della comunità, generoso nel dare aiuto agli attori più giovani e meno dotati, parla<br />

continuamente <strong>di</strong> lavoro, vivace nei mo<strong>di</strong>, ab<strong>il</strong>e nel farsi valere in scena anche quando è <strong>di</strong> lato invece<br />

che al centro, dotato <strong>di</strong> una voce che richiama l’attenzione, munito, per finire, <strong>di</strong> una conoscenza<br />

dell’arte pari a quella che un matto può avere delle cose serie. Tutto ciò che va fatto secondo o piani<br />

o <strong>di</strong>segni prestab<strong>il</strong>iti è estraneo alla sua natura; ma la sua bontà gli <strong>di</strong>ce che esistono, oltre a lui, altre<br />

persone in scena, e che ci deve essere un certo collegamento fra i loro pensieri e i suoi; a questo egli<br />

arriva grazie a una specie <strong>di</strong> istinto, non attraverso la riflessione, perciò non produce nulla <strong>di</strong><br />

positivo. L’istinto e l’esperienza gli hanno insegnato alcune cose (non voglio chiamarli trucchi), che<br />

ripete in continuazione. Per esempio ha imparato che l’improvvisa caduta della voce dal forte al<br />

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piano ha <strong>il</strong> potere <strong>di</strong> sottolineare <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso e <strong>di</strong> emozionare <strong>il</strong> pubblico proprio come <strong>il</strong> crescendo<br />

dal piano al forte. Sa pure che la risata può avere parecchi suoni, e non soltanto “ah, ah, ah...”. Sa che<br />

la mitezza è cosa rara in scena e che l’impulsività è sempre benvenuta. Ma quel che ignora è che la<br />

stessa impulsività e tutte le qualità istintive raddoppiano o triplicano <strong>di</strong> efficacia quando sono<br />

guidate da una conoscenza scientifica, cioè dall’arte. Se mi sentisse <strong>di</strong>r questo adesso, rimarrebbe<br />

assai stupito e giu<strong>di</strong>cherebbe le mie parole pedanti, aride e niente affatto importanti per un artista.<br />

Egli pensa infatti che emozione crea emozione, ed o<strong>di</strong>a tutto ciò che ha a che fare col calcolo. Non mi<br />

pare necessario far notare che ogni arte ha a che fare col calcolo, e che l’uomo che ignora ciò può<br />

essere soltanto un mezzo attore. La natura non fornirà mai da sola tutto ciò che da vita a un’opera<br />

d’arte; non è priv<strong>il</strong>egio degli alberi, delle montagne o dei ruscelli creare opere d’arte, o altrimenti ogni<br />

cosa che essi toccano dovrebbe assumere una forma compiuta e bella. Questo speciale potere<br />

appartiene all’uomo soltanto, e solo in virtù della sua intelligenza e della sua volontà. L’amico <strong>di</strong> cui<br />

parlo pensa probab<strong>il</strong>mente che Shakespeare scrisse Otello in una vampata <strong>di</strong> gelosia e che dovette<br />

solo buttar giù le prime parole che gli venivano alle labbra; a parer <strong>mio</strong>, invece - e altri la pensano<br />

come me - quelle parole dovettero prima passare per la testa del nostro autore, e proprio me<strong>di</strong>ante<br />

tale processo, grazie alla qualità della sua immaginazione, alla forza e alla calma della sua mente, la<br />

ricchezza della sua natura fu in grado <strong>di</strong> esprimere se stessa in modo chiaro e completo: né l’autore<br />

poteva arrivare a ciò se non attraverso questo proce<strong>di</strong>mento.<br />

Di conseguenza, l’attore che vuole fare la parte <strong>di</strong> Otello, <strong>di</strong>ciamo, deve possedere non<br />

soltanto le risorse naturali <strong>di</strong> cui servirsi, ma anche la capacità <strong>di</strong> immaginare che cosa produrre, e<br />

quella <strong>di</strong> concepire <strong>il</strong> modo in cui manifestare ciò che ha creato. Pertanto sarà un attore ideale colui<br />

che possiede allo stesso tempo risorse naturali e una grande intelligenza. Quanto alle risorse naturali<br />

non occorre parlarne: esse conterranno ogni cosa. Riguardo all’intelligenza, invece possiamo <strong>di</strong>re che<br />

quanto più è fine, tanto meno potrà sentirsi libera, ricordando fino a che punto <strong>di</strong>pende dalla sua<br />

compagna <strong>di</strong> lavoro, l’Emozione; e tanto meno lascerà libera quest’ultima, sapendo quanto è<br />

importante esercitare su <strong>di</strong> lei <strong>il</strong> controllo più rigoroso. L’intelligenza infine dovrebbe portare se<br />

stessa e le proprie emozioni a un tal punto <strong>di</strong> razionalità, da non giungere mai all’ebollizione - con la<br />

relativa, inquieta esibizione <strong>di</strong> attività - e da costituire al contrario quel calore perfettamente<br />

moderato che essa sa come regolare. Attore perfetto è l’uomo la cui mente è in grado <strong>di</strong> immaginare e<br />

<strong>di</strong> mostrare i perfetti simboli <strong>di</strong> tutto ciò che contiene la sua natura: in Otello, non darà in smanie e<br />

non monterà su tutte le furie, roteando gli occhi e stringendo i pugni, per dar l’impressione della<br />

gelosia, ma chiederà alla mente <strong>di</strong> indagare nelle profon<strong>di</strong>tà più recon<strong>di</strong>te, <strong>di</strong> scoprire quel che vi si<br />

trova, e poi <strong>di</strong> portarsi su <strong>di</strong> un’altra sfera, la sfera dell’immaginazione, in cui dar vita a simboli che,<br />

senza svelare le nude passioni, non<strong>di</strong>meno ce ne parlino con chiarezza.<br />

E l’attore perfetto che agisca in tal modo si accorgerà subito che i simboli vanno creati per lo<br />

più come materiale che si trova al <strong>di</strong> fuori della sua persona. Ma su questo argomento mi soffermerò<br />

più avanti, quando ti farò vedere che l’attore <strong>di</strong> oggi dovrà finalmente pervenire a qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso,<br />

se si vuole che un giorno nel nostro regno del <strong>teatro</strong> compaiano delle opere d’arte 2 .<br />

Intanto non <strong>di</strong>menticare che chi si è avvicinato più <strong>di</strong> ogni altro al tipo dell’attore ideale, con un<br />

perfetto dominio della mente sulla natura, è stato Henry Irving. Su <strong>di</strong> lui ci sono molti libri, ma <strong>il</strong><br />

migliore <strong>di</strong> tutti resta <strong>il</strong> suo volto. Procurati tutti i suoi ritratti, le fotografie, i <strong>di</strong>segni che riesci a<br />

trovare, e prova ad esaminarli. Innanzitutto ti troverai <strong>di</strong> fronte una maschera, e ciò ha un significato<br />

molto importante: non potrai certo <strong>di</strong>re guardandola che da essa traspaiano, ad esempio, delle<br />

debolezze <strong>di</strong> carattere. Immagina quel volto in movimento - un movimento sempre controllato<br />

dall’intelligenza. Non ve<strong>di</strong> allora la bocca muoversi <strong>di</strong>etro <strong>il</strong> comando della mente, e l’“espressione”<br />

creare un pensiero nitido come una linea tracciata su <strong>di</strong> un foglio <strong>di</strong> carta o un accordo musicale? Non<br />

2 Cfr. L’attore e la Supermarionetta, p. 33.<br />

31


ve<strong>di</strong> <strong>il</strong> lento volgere <strong>di</strong> quegli occhi e <strong>il</strong> loro d<strong>il</strong>atarsi? Questi due movimenti contengono da soli una<br />

lezione così grande per l’avvenire dell’arte teatrale, mettono talmente in risalto l’uso esatto<br />

dell’espressione in contrasto con quello errato, che mi sorprende che nessuno si sia reso conto <strong>di</strong> ciò<br />

che accadrà in avvenire. Vorrei aggiungere che <strong>il</strong> volto <strong>di</strong> Henry Irving era la linea <strong>di</strong> passaggio fra<br />

l’espressione spasmo<strong>di</strong>ca e ri<strong>di</strong>cola del volto umano, quale era usato a <strong>teatro</strong> in questi ultimi secoli, e<br />

le maschere che prenderanno <strong>il</strong> suo posto in un prossimo futuro.<br />

Prova a pensare a tutto ciò quando <strong>di</strong>speri <strong>di</strong> riuscire a controllare sufficientemente<br />

l’espressione del viso e della persona. E ricorda: c’è dell’altro, oltre <strong>il</strong> viso e <strong>il</strong> corpo, che puoi usare<br />

e controllare con maggiore fac<strong>il</strong>ità. Sapp<strong>il</strong>o, ma almeno per ora non cercare <strong>di</strong> scoprirlo. Continua a<br />

fare l’attore, continua a imparare tutto ciò che è necessario - i primi elementi per dominare<br />

l’espressione del volto, ad esempio - e alla fine imparerai che non è possib<strong>il</strong>e giungere a un controllo<br />

totale. Ti do questa speranza, così quando verrà <strong>il</strong> momento, non farai come gli altri attori, che<br />

trovandosi <strong>di</strong> fronte a una sim<strong>il</strong>e <strong>di</strong>fficoltà l’hanno aggirata, son scesi a un compromesso, e non<br />

hanno osato affrontare la conclusione cui un artista coerente con se stesso deve giungere: che l’unico<br />

mezzo adatto a rappresentare l’espressione dell’anima me<strong>di</strong>ante l’espressione del volto è la<br />

maschera.<br />

<strong>Il</strong> <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena<br />

Dopo essere stato attore, <strong>di</strong>venterai <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena - titolo alquanto inesatto, perché in<br />

realtà non ti sarà permesso <strong>di</strong> <strong>di</strong>rigere la scena. È un’esperienza tutta particolare, e non potrai che<br />

trarne beneficio, sebbene essa non possa recare a te gran<strong>di</strong> gioie né gran<strong>di</strong> risultati al <strong>teatro</strong> nel quale<br />

lavori. Come suona bene questo titolo: Direttore <strong>di</strong> scena! - vuol <strong>di</strong>re “Maestro della scienza della<br />

scena”.<br />

Ogni <strong>teatro</strong> ha un <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena, però temo che maestri nella scienza della scena non ne<br />

esistano. Forse sei già assistente del <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena. Ricorderai allora la gioia mista a orgoglio che<br />

provasti quando ti mandarono a chiamare e, con parole solenni, ti informarono che <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore aveva<br />

deciso <strong>di</strong> elevarti al grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena, richiamando la tua attenzione sull’importanza del<br />

posto e sui due centesimi <strong>di</strong> aumento che la nuova posizione comportava. Avrai pensato, immagino,<br />

<strong>di</strong> essere arrivato al più bel giorno del tuo sogno, e per una settimana ti sarai anche dato delle arie,<br />

guardando dall’alto <strong>il</strong> vasto mondo che sembrava aprirsi <strong>di</strong>nanzi a te.<br />

Ma poi, cosa è successo? Non ti sei accorto forse che la tua nuova posizione si riduceva solo ad<br />

alzarsi presto la mattina per andare a <strong>teatro</strong> a sorvegliare i macchinisti e badare se i chio<strong>di</strong> erano<br />

messi in or<strong>di</strong>ne e i biglietti coi nomi fissati alle porte dei camerini? Sbaglio se <strong>di</strong>co che sei dovuto<br />

andare in palcoscenico e hai dovuto aspettare lì in giro per vedere se tutto era pronto e se le scene<br />

erano state montate in tempo? La sarta non è venuta a <strong>di</strong>rti piangendo che qualcuno aveva preso un<br />

abito dal suo posto e l’aveva sostituito con un altro? - allora le hai chiesto <strong>di</strong> portarti davanti <strong>il</strong><br />

colpevole in persona; e poi: non hai dovuto destreggiarti con molto tatto per non offendere nessuno<br />

dei due, pur cercando <strong>di</strong> mettere a posto la cosa? E ci sei riuscito, oppure i due se ne sono andati via<br />

covando un o<strong>di</strong>o profondo nei tuoi riguar<strong>di</strong>? Nella migliore delle ipotesi, a uno sei andato a genio, ma<br />

l’altro ha cominciato subito a tramare contro <strong>di</strong> te. Non ti trovavi ancora in palcoscenico, alle <strong>di</strong>eci e<br />

mezzo passate, quando sono arrivati gli attori, con quell’aria <strong>di</strong> non sapere affatto che tu eri lì già da<br />

quattro ore, convinti al contrario che le porte del <strong>teatro</strong> si erano aperte proprio allora, per <strong>il</strong> loro<br />

arrivo? In capo a un quarto d’ora almeno sei <strong>di</strong> loro non sono venuti da te e con un “Senti un po’,<br />

vecchio <strong>mio</strong>” oppure “Guarda qui, carissimo” e non hanno cominciato a chiederti <strong>di</strong> fare qualcosa per<br />

render un po’ più fac<strong>il</strong>e la loro parte? E le richieste non erano contrastanti al punto che aiutare un<br />

32


attore sarebbe equivalso a offendere gli altri cinque? Mentre stavi <strong>di</strong>cendo loro che avresti fatto del<br />

tuo meglio ti è venuto in aiuto, arrivando all’improvviso, <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore del <strong>teatro</strong> (che <strong>di</strong> solito è <strong>il</strong><br />

primo attore); gli sei andato subito incontro con le varie richieste che ti erano state fatte, sperando<br />

che lui, <strong>il</strong> capo, si sarebbe assunto la responsab<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> risolvere ogni cosa. Ma lui per tutta risposta ti<br />

ha detto: “Non starmi a seccare con queste minuzie; fa’ quello che ti pare”. Non ti sei reso conto,<br />

allora, che era solo una farsa, <strong>il</strong> tuo titolo, la posizione, e tutto <strong>il</strong> resto?<br />

Poi cominciano le prove. Si recitano le prime battute; si presentano le prime <strong>di</strong>fficoltà. La<br />

comme<strong>di</strong>a si apre con un <strong>di</strong>alogo tra due signori seduti a un tavolo. Dopo neppure cinque minuti <strong>il</strong><br />

<strong>di</strong>rettore interrompe con una gent<strong>il</strong>e domanda. Chiede se non sia esatto - gli sembra <strong>di</strong> ricordare - che<br />

alle prove <strong>di</strong> ieri Brown si era alzato a questa o quella battuta, scostando la se<strong>di</strong>a con un movimento<br />

improvviso. L’attore, un po’ seccato <strong>di</strong> aver causato <strong>il</strong> primo ritardo nell’or<strong>di</strong>ne del giorno, ma non<br />

volendo addossarsene la responsab<strong>il</strong>ità, chiede con identica cortesia: “Sono queste le se<strong>di</strong>e che<br />

useremo per lo spettacolo?” E <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore, rivolgendosi al <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena, <strong>di</strong> rimando: “Sono<br />

queste le se<strong>di</strong>e che adoperiamo la sera?” “No, commendatore”, risponde costui. Un fugace sguardo <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>sapprovazione, anche se superficiale, passa negli occhi del <strong>di</strong>rettore e si riflette sul viso dei due<br />

attori, e per <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> passa un brivido d’inquietu<strong>di</strong>ne, appena percettib<strong>il</strong>e. È <strong>il</strong> primo, piccolo<br />

intoppo. “Credo che sarebbe meglio usare per le prove le stesse se<strong>di</strong>e che adopereremo la sera”.<br />

“Certamente, commendatore”. <strong>Il</strong> <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena batte le mani e chiama: “Isherwood”. Un ometto<br />

sm<strong>il</strong>zo, dall’aria triste, con una maschera impenetrab<strong>il</strong>e <strong>di</strong> infinita malinconia, si presenta davanti al<br />

seggio dei giu<strong>di</strong>ci. Aspetta esitante. “Nelle prove dobbiamo usare le se<strong>di</strong>e or<strong>di</strong>nate per questa scena”.<br />

“Non sono state or<strong>di</strong>nate se<strong>di</strong>e per questa scena, signore”.<br />

Si alza <strong>il</strong> vento. Un lampo severo passa sulla faccia del <strong>di</strong>rettore e un’improvvisa minaccia <strong>di</strong><br />

tuoni oscura la fronte degli attori. <strong>Il</strong> <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena chiede <strong>di</strong> vedere la lista degli accessori.<br />

Isherwood guarda pateticamente in giro per <strong>il</strong> deserto del palcoscenico in cerca della Prima Attrice,<br />

che però, essendo la moglie del <strong>di</strong>rettore, non ha ritenuto ci fosse motivo <strong>di</strong> arrivare in tempo.<br />

Quando arriverà farà la faccia <strong>di</strong> chi ha dovuto sbrigare cose ben più importanti. Isherwood risponde:<br />

“Mi è stato or<strong>di</strong>nato, commendatore, <strong>di</strong> mettere queste due se<strong>di</strong>e nella scena seconda, perché sono <strong>di</strong><br />

broccato rosa e rosso”. Gran momento per <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore. Fragore <strong>di</strong> tuono. “Chi ti ha dato questi<br />

or<strong>di</strong>ni?” “La signorina Jones”. (La suddetta signorina e la figlia della prima attrice, che a sua volta è la<br />

moglie del <strong>di</strong>rettore. La sua posizione in <strong>teatro</strong> non è ben definita: possiamo <strong>di</strong>re che “assiste sua<br />

madre”). Di qui la mancanza delle se<strong>di</strong>e, l’irritazione <strong>di</strong> tutta la compagnia, lo spreco <strong>di</strong> tempo in<br />

tanti teatri, e <strong>di</strong> qui la per<strong>di</strong>ta dell’arte.<br />

Questo non è che un primo assaggio per <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena, la cui parte è quella del cerchio<br />

piuttosto che quella dell’asse nella ruota. Le prove continuano. <strong>Il</strong> <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena deve star lì tutto<br />

<strong>il</strong> tempo: con possib<strong>il</strong>ità minime <strong>di</strong> controllo, con scarsa voce in capitolo, ma in compenso con la<br />

responsab<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> tutti gli errori; e quando, terminate le prove, gli attori se ne vanno a pranzo, c’è<br />

ancora da andare nel magazzino degli attrezzi, nel laboratorio scenografico, in quello dei macchinisti -<br />

e lì ascoltare un sacco <strong>di</strong> lamentele e constatare che nulla è pronto. Quando poi la compagnia torna in<br />

<strong>teatro</strong> fresca e riposata dopo una pausa <strong>di</strong> un’ora o giù <strong>di</strong> lì, si aspetta <strong>di</strong> trovarlo fresco e <strong>di</strong> buon<br />

umore anche se non ha avuto un solo minuto <strong>di</strong> riposo. Tutto ciò sarebbe fac<strong>il</strong>e e piacevole, se egli<br />

avesse l’autorità propria del suo titolo, cioè se nel contratto ci fosse scritto che ha “<strong>il</strong> completo e<br />

assoluto controllo del palcoscenico e <strong>di</strong> tutto ciò che ha attinenza con la scena”.<br />

Ciò non <strong>di</strong> meno questa è una buona esperienza, anche se strana, perché insegna a chi si<br />

assume queste terrib<strong>il</strong>i responsab<strong>il</strong>ità quanto sia importante stu<strong>di</strong>are la scienza della scena; così<br />

quando a sua volta <strong>di</strong>venterà <strong>di</strong>rettore del <strong>teatro</strong>, potrà fare a meno dei servizi del cosiddetto<br />

“<strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena” ed essere lui stesso <strong>il</strong> vero <strong>di</strong>rettore. Farai bene dunque, dopo essere stato attore<br />

33


per cinque anni, ad assumerti questo <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e compito per un anno o due, in vista degli sv<strong>il</strong>uppi che<br />

potrà avere.<br />

Sul <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena ideale ho scritto altrove, nel <strong>mio</strong> libretto L’Arte del Teatro 3 , e ho<br />

mostrato come la natura stessa della sua posizione debba fare <strong>di</strong> lui la figura più importante <strong>di</strong> tutto<br />

<strong>il</strong> mondo del <strong>teatro</strong>. Cerca dunque <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare un uomo del genere, capace <strong>di</strong> scegliere un lavoro e <strong>di</strong><br />

metterlo in scena da te, <strong>di</strong>rigendo le prove degli attori e spiegando loro ogni movimento, ogni<br />

situazione, <strong>di</strong>segnando le scene e i costumi, e spiegando a quelli che li devono eseguire cosa vuoi<br />

ottenere, lavorando con gli elettricisti e <strong>di</strong>cendo loro con esattezza quel che desideri.<br />

Ora, se non avessi niente <strong>di</strong> meglio da suggerirti, se non avessi da rivelarti un altro ideale,<br />

un’altra verità riguardo alla scena e al tuo avvenire, dovrei concludere che non ho assolutamente nulla<br />

da darti e ti esorterei a non pensare più al <strong>teatro</strong>. Ma, come ti avevo detto all’inizio <strong>di</strong> questa mia<br />

lettera, mi son ripromesso <strong>di</strong> incoraggiarti in ogni modo, perché tu possa avere la fede più assoluta<br />

nella grandezza del compito che hai deciso <strong>di</strong> adempiere, e te lo ricordo ora, perché, una volta<br />

<strong>di</strong>venuto <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore ideale <strong>di</strong> cui ti ho detto, tu non creda <strong>di</strong> aver raggiunto la meta ultima. Non è<br />

così. Leggi quello che ho scritto ne L’Arte del Teatro, e per ora ti basti; ma sta’ sicuro che ho <strong>di</strong> più,<br />

molto <strong>di</strong> più da aggiungere, e che per l’uomo <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> c’è una speranza così alta, che al confronto<br />

neppure quella dei poeti o dei sacerdoti può essere più grande.<br />

Ma torniamo ai doveri del <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena: da quel che ti ho spiegato, o da ciò che hai<br />

sperimentato <strong>di</strong> persona, sappiamo che per questo genere <strong>di</strong> lavoro occorre molto tatto ma poco<br />

talento. Devi stare attento, però, che <strong>il</strong> “tatto” non ti porti a <strong>di</strong>venire un piccolo <strong>di</strong>plomatico, perché<br />

sarebbe veramente dannoso. Non esaurire mai <strong>il</strong> desiderio <strong>di</strong> superare la posizione che hai raggiunto,<br />

e a tal fine stu<strong>di</strong>a in che modo riuscire a dominare i vari materiali con cui dovrai lavorare in seguito,<br />

quando sarai <strong>di</strong>venuto un <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena ideale. Allora avrai un <strong>teatro</strong> tuo, e quello che metterai in<br />

scena sarà opera del tuo cervello, e in buona parte lavoro delle tue mani; non c’è tempo da perdere,<br />

dunque.<br />

La scena e <strong>il</strong> movimento<br />

È tempo ormai <strong>di</strong> <strong>di</strong>rti in che modo potrai <strong>di</strong>ventare un buon <strong>di</strong>segnatore <strong>di</strong> scene e <strong>di</strong><br />

costumi, e come potrai imparare a usare le luci e riuscire ad affiatare gli attori, a porli in armonia con<br />

la scena e, soprattutto, con le idee dell’autore. Hai già stu<strong>di</strong>ato, e continuerai a stu<strong>di</strong>are i testi che<br />

vuoi mettere in scena. Limitiamoci a parlare soltanto delle quattro gran<strong>di</strong> trage<strong>di</strong>e <strong>di</strong> Shakespeare. Nel<br />

momento in cui ti accingi a prepararle per la scena le devi già conoscere perfettamente e <strong>il</strong> lavoro <strong>di</strong><br />

preparazione ti prenderà uno o due anni per dramma; non devi avere più alcun dubbio sull’impressione<br />

che vuoi creare: e sarà tuo compito stu<strong>di</strong>are <strong>il</strong> modo migliore per suscitare tale<br />

impressione.<br />

Sappi fin dall’inizio che la grande, irresistib<strong>il</strong>e impressione prodotta me<strong>di</strong>ante la scena e <strong>il</strong><br />

movimento delle figure è senza dubbio <strong>il</strong> mezzo più valido a tua <strong>di</strong>sposizione. Sono in grado <strong>di</strong><br />

affermarlo soltanto dopo moltissimi dubbi e molte esperienze; tieni sempre presente che io parlo per<br />

mia esperienza personale, e che offrirti quest’esperienza è <strong>il</strong> massimo che posso fare. Sebbene sia<br />

noto che non con<strong>di</strong>vido più l’opinione comune secondo cui <strong>il</strong> testo scritto ha un valore profondo e<br />

duraturo per l’Arte del Teatro, per <strong>il</strong> momento non andremo così lontano da farne a meno. Se dunque<br />

ammettiamo che <strong>il</strong> testo scritto abbia ancora valore, <strong>il</strong> nostro fine non è <strong>di</strong> annullarlo, ma <strong>di</strong> esaltarlo.<br />

Perciò sarà me<strong>di</strong>ante <strong>il</strong> vasto effetto d’insieme, offerto alla vista dello spettatore, che aggiungeremo<br />

valore a ciò che è già valido per opera del grande poeta.<br />

3 Questo libretto è riportato a p. ?? del presente volume.<br />

34


Innanzitutto c’è la scena. È inut<strong>il</strong>e parlare della <strong>di</strong>strazione costituita dalla scenografia,<br />

perché qui non si tratta <strong>di</strong> costruire uno scenario che <strong>di</strong>stragga, ma <strong>di</strong> creare un ambiente che<br />

armonizzi coi pensieri del poeta.<br />

Pren<strong>di</strong>amo <strong>il</strong> Macbeth. Conosciamo bene <strong>il</strong> testo. In che luogo si svolge <strong>il</strong> dramma? Come<br />

deve apparire, alla fantasia innanzi tutto, e poi agli occhi?<br />

Io vedo due cose: vedo una rupe alta e scoscesa, e l’umida nube che ne avvolge la sommità.<br />

Un posto per uomini crudeli e amanti della guerra, un luogo dove si annidano fantasmi. Alla fine la<br />

nube <strong>di</strong>struggerà la rupe, gli spiriti <strong>di</strong>struggeranno gli uomini. Va tutto bene, mi <strong>di</strong>rai, ma come<br />

rendere, come tradurre sulla scena quest’idea? Così: mettici una rupe! Falla salire in alto. Da’<br />

l’impressione che una nebbia ne circon<strong>di</strong> la sommità. Mi sono forse allontanato <strong>di</strong> un m<strong>il</strong>limetro dalla<br />

mia immagine fantastica?<br />

Ma tu mi chie<strong>di</strong> che forma e che colore avrà la rupe. Quali sono le linee che danno<br />

l’impressione dell’altezza, presenti in ogni alto <strong>di</strong>rupo? Va’ a guardarle; poi fa’ uno schizzo: delle<br />

linee e delle loro <strong>di</strong>rezioni, non del <strong>di</strong>rupo. Non temere <strong>di</strong> lasciarle andare troppo in su; non sarà mai<br />

troppo; e ricorda che se su <strong>di</strong> un foglio <strong>di</strong> cinque centimetri puoi fare una linea che sembra elevarsi in<br />

aria migliaia <strong>di</strong> metri, puoi fare lo stesso in scena, perché quel che conta sono le proporzioni, che non<br />

hanno niente a che fare con la realtà.<br />

E i colori? Quali sono i colori che Shakespeare ci ha in<strong>di</strong>cato? Non guardare alla Natura, ma al<br />

dramma del poeta. Sono due: uno per la roccia, l’uomo; uno per la nebbia, lo spirito. Non toccare<br />

nessun altro colore, all’infuori <strong>di</strong> questi due, quando fai i bozzetti della scena e dei costumi, ma non<br />

<strong>di</strong>menticare che ogni colore ha varie gradazioni. Se anche solo per un momento ti sorgono dubbi, se<br />

per<strong>di</strong> la fiducia in te stesso o nelle mie parole, quando la scena sarà terminata non vedrai l’effetto che<br />

avevi costruito nella tua fantasia, guardando l’immagine che Shakespeare ti aveva in<strong>di</strong>cato.<br />

È questa mancanza <strong>di</strong> coraggio, questa sfiducia nel valore insito nei limiti spaziali, nelle<br />

proporzioni, che rovina tutte le idee buone degli scenografi. Essi vogliono <strong>di</strong>rci venti cose insieme:<br />

non si accontentano <strong>di</strong> parlarci della rupe e della nebbia che la circonda e l’opprime, ma vogliono far<br />

vedere <strong>il</strong> muschio della Scozia del Nord o la pioggia particolare del mese <strong>di</strong> agosto. Non possono fare<br />

a meno <strong>di</strong> mostrarci che conoscono la forma delle felci scozzesi e che le loro ricerche archeologiche su<br />

tutto ciò che riguarda i castelli <strong>di</strong> Glamis e <strong>di</strong> Cawdor sono perfette. Così, per cercare <strong>di</strong> raccontarci<br />

troppo, finiscono col non <strong>di</strong>rci niente; tutto è confuso:<br />

<strong>Il</strong> più sacr<strong>il</strong>ego assassinio ha violato<br />

<strong>il</strong> tempio sacrato del Signore, e vi ha rubato<br />

la vita del santuario 4 .<br />

Perciò fa’ come <strong>di</strong>co. Fa’ degli schizzi in scala ridotta e su grande scala, esercitati coi colori<br />

sulla tela, così potrai constatare che quel che ti <strong>di</strong>co è vero - e se sei inglese, affrettati: altrimenti<br />

all’estero chi leggerà i miei scritti potrà trovarci delle verità tecniche e ti sorpasserà prima che te ne<br />

renda conto.<br />

Ma la rupe e la nebbia non sono le sole cose da considerare. Tieni presente che alla base <strong>di</strong><br />

questa rupe si affollano strane forze terrene e nella nebbia si librano spiriti innumerevoli; per <strong>di</strong>rla in<br />

modo più tecnico, devi tener conto dei sessanta o settanta attori che devono muoversi alla base della<br />

scena, e delle altre figure che evidentemente non possono stare sospese a un f<strong>il</strong>o, eppure devono<br />

risultare nettamente separate dagli esseri umani e corporei.<br />

Bisogna quin<strong>di</strong> creare in scena questa strana sensazione <strong>di</strong> una linea che <strong>di</strong>vida i due mon<strong>di</strong>,<br />

così lo spettatore, anche se guarda soltanto con gli occhi e non con la fantasia, si convincerà che sono<br />

due cose realmente <strong>di</strong>stinte. Ti <strong>di</strong>rò come fare. Come le linee e le proporzioni hanno suggerito la<br />

4 Macbeth, atto II, scena 3.<br />

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sostanza materiale a mo’ <strong>di</strong> rupe, così <strong>il</strong> tono e <strong>il</strong> colore (un solo colore) daranno un’impronta eterea<br />

al vuoto sim<strong>il</strong>e a nebbia. Fa’ scendere questo tono, questo colore, giù, fin quasi a raggiungere <strong>il</strong> livello<br />

del pavimento, stando attento però a far avvenire questo moto <strong>di</strong>scendente lontano dalla sostanza<br />

materiale che simula la rupe.<br />

Vuoi che ti spieghi cosa voglio <strong>di</strong>re tecnicamente? Occupa con la rupe quasi la metà<br />

dell’ampiezza del boccascena: è <strong>il</strong> fianco <strong>di</strong> un’altura scoscesa, attorno a cui serpeggiano molti<br />

sentieri, che si riuniscono in una spianata estesa per metà o forse tre quarti della scena. Qui ci sarà<br />

spazio sufficiente per tutti, uomini e donne. Ora apri la scena da ogni lato; lascia uno spazio vuoto,<br />

<strong>di</strong> sotto e <strong>di</strong> sopra; e in questo spazio fa’ calare la nebbia, lasciando poi che svanisca a poco a poco;<br />

e da questa nebbia fa’ apparire le figure che hai foggiato e che rappresentano gli spiriti. Capisco che<br />

non sei perfettamente convinto a proposito della rupe e della nebbia e che pensi agli “interni” che<br />

interverranno poco dopo nel corso del dramma. Ma, che Dio ti bene<strong>di</strong>ca, non te la prendere!<br />

Ricordati che gli interni <strong>di</strong> un castello son fatti <strong>di</strong> pietre estratte dalle cave. Non hanno forse lo stesso<br />

colore della rupe? I colpi <strong>di</strong> piccone che le ruppero non hanno forse dato loro una struttura sim<strong>il</strong>e a<br />

quella che assume la roccia per effetto della pioggia, dei fulmini, del gelo? Perciò nel corso del<br />

dramma non dovrai cambiare idea o impressione, basterà operare delle variazioni sullo stesso tema, <strong>il</strong><br />

bruno della rupe, <strong>il</strong> grigio della nebbia; e così, meraviglia delle meraviglie, sarai riuscito a mantenere<br />

un’unità. Tutto <strong>di</strong>penderà dalla tua capacità <strong>di</strong> giocare su questi due temi; ma ricordati <strong>di</strong> non<br />

allontanarti mai dal nucleo principale del dramma, in cerca <strong>di</strong> variazioni sceniche.<br />

Coi mezzi offerti dalla scena potrai stu<strong>di</strong>are i movimenti degli attori e, senza aggiungere un<br />

solo uomo ai quaranta o cinquanta che hai, dovrai creare l’impressione <strong>di</strong> una folla più numerosa.<br />

Dovrai quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>sporli in modo da non sprecare nemmeno un in<strong>di</strong>viduo o da <strong>di</strong>minuirne l’efficacia<br />

scenica anche <strong>di</strong> poco. Lo spazio in cui un attore cammina va perciò stu<strong>di</strong>ato con la massima<br />

attenzione; ma quando ti <strong>di</strong>co <strong>di</strong> sfruttare integralmente la presenza scenica <strong>di</strong> ciascun uomo, non<br />

intendo <strong>di</strong>re che devi mostrarlo al pubblico a palmo a palmo.<br />

Per mezzo della suggestione puoi rendere sulla scena <strong>il</strong> senso <strong>di</strong> ogni cosa: la pioggia, <strong>il</strong> sole, <strong>il</strong><br />

vento, la neve, la gran<strong>di</strong>ne, <strong>il</strong> caldo canicolare; ma non cercherai <strong>di</strong> farlo lottando con la Natura, per<br />

impadronirti dei suoi tesori e deporli <strong>di</strong>nanzi agli occhi del pubblico. Me<strong>di</strong>ante <strong>il</strong> movimento puoi<br />

restituire <strong>il</strong> senso delle passioni e i pensieri <strong>di</strong> un gran numero <strong>di</strong> persone, e aiutare anche l’attore a<br />

esprimere le idee e le emozioni del personaggio che interpreta. <strong>Il</strong> realismo, la precisione dei dettagli<br />

sono inut<strong>il</strong>i in scena.<br />

Vuoi ancora qualche consiglio su come <strong>di</strong>ventare <strong>di</strong>segnatore <strong>di</strong> scene belle e - <strong>di</strong>ciamolo<br />

nell’interesse della causa - pratiche e poco costose? Ma temo che per esporre <strong>il</strong> <strong>mio</strong> sistema dovrei<br />

scrivere delle cose che si rivelerebbero più dannose che ut<strong>il</strong>i: infatti sarebbe molto pericoloso imitare<br />

<strong>il</strong> <strong>mio</strong> metodo. Sarebbe ben <strong>di</strong>verso se tu potessi stu<strong>di</strong>are con me, mettendo in pratica per qualche<br />

anno ciò che <strong>di</strong>ciamo. Col tempo impareresti a rifiutare quel che non è consono alla tua natura e, con<br />

una paziente, <strong>di</strong>uturna iniziazione, riterresti soltanto la parte più importante e più valida del <strong>mio</strong><br />

insegnamento. Per ora posso darti alcune idee generali su ciò che potrai fare con profitto e su ciò che<br />

farai bene a lasciare da parte. Ad esempio, per cominciare, non ti affliggere, non tormentarti l’anima,<br />

e - per amor del cielo! - non stare a pensare che l’importante è fare qualcosa, soprattutto qualcosa <strong>di</strong><br />

ingegnoso.<br />

Mi ricordo quanta fatica mi è costato, quando ero un ragazzo <strong>di</strong> ventun anni, fare dei <strong>di</strong>segni<br />

che fossero in carattere con la tra<strong>di</strong>zione, pur senza provare alcuna simpatia per ciò che è<br />

tra<strong>di</strong>zionale; lo considero tempo buttato via. Mi ricordo quando facevo i bozzetti per le scene<br />

dell’Enrico IV. Allora lavoravo sotto la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> un attore-<strong>di</strong>rettore, in un <strong>teatro</strong> in cui le se<strong>di</strong>e, i<br />

tavoli e gli altri oggetti <strong>di</strong> contorno giocavano un ruolo importante, <strong>di</strong> tipo fotografico; e io, non<br />

conoscendo nulla <strong>di</strong> meglio, prendevo tutto per buono. La storia <strong>di</strong> Enrico IV perciò, a parer <strong>mio</strong>,<br />

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consisteva in un ruolo bellissimo, quello del Principe Hal, e in trenta o quaranta altri personaggi<br />

secondari, <strong>di</strong> contorno. C’era <strong>il</strong> solito tavolino con le se<strong>di</strong>e, sulla destra; sul fondo c’era la solita<br />

porta, e io pensavo che era assolutamente originale e audace per quell’epoca, l’aver messo questa<br />

porta appena un po’ fuori centro; c’era la finestra con la spranga e <strong>il</strong> catenaccio, e le ten<strong>di</strong>ne<br />

spiegazzate, per farle sembrare già un po’ logore per l’uso, e all’esterno lo scorcio <strong>di</strong> un panorama<br />

inglese. C’erano dei gran boccali; e naturalmente, al levarsi del sipario, ci doveva essere un bel<br />

trambusto <strong>di</strong> “bravacci” che entravano e uscivano, con relativa chiassata <strong>di</strong> gioviali beoni nella stanza<br />

accanto. C’era pure la musichetta allegra per l’apertura <strong>di</strong> sipario, quel motivetto <strong>di</strong> giga che ci è<br />

tanto fam<strong>il</strong>iare, e c’erano le tre ragazze che passavano <strong>di</strong>etro la finestra, ridendo. Una si affacciava<br />

con un sorriso e una parolina per <strong>il</strong> cocchiere; poi la risata si allontanava e l’orchestra calava <strong>di</strong> tono<br />

all’ingresso dei primi personaggi dopo le comparse, e così via.<br />

Tutto <strong>il</strong> <strong>mio</strong> lavoro, a quell’epoca, era basato su questi stupi<strong>di</strong> e fasti<strong>di</strong>osi dettagli, <strong>di</strong> cui - mi<br />

avevano indotto a credere - poteva esser fatto uno spettacolo; fu solo quando ban<strong>di</strong>i tutto questo dai<br />

miei pensieri, e rinunciai a guardare attraverso gli occhi dei capocomici dell’età <strong>di</strong> Charles Kean, che<br />

cominciai a trovare qualcosa <strong>di</strong> nuovo, qualcosa <strong>di</strong> valido per <strong>il</strong> dramma. Perciò mi è quasi<br />

impossib<strong>il</strong>e <strong>di</strong>rti come fare le tue scene; ti porterebbe senz’altro a dei frainten<strong>di</strong>menti terrib<strong>il</strong>i. Ho<br />

veduto qualche scenario che - <strong>di</strong>cono - è realizzato secondo i miei insegnamenti, ed è da buttar via.<br />

Le mie scene non nascono soltanto sulla base del testo da rappresentare ma muovono da un<br />

ampio procedere <strong>di</strong> pensieri che <strong>il</strong> testo stesso, o anche altre opere del medesimo autore, hanno evocato<br />

in me. Per esempio, v’è un’evidente relazione fra Amleto e Macbeth, e l’un testo può influenzare<br />

l’altro. Tante volte delle persone desiderose <strong>di</strong> ottenere in fretta un po’ <strong>di</strong> successo e un po’ <strong>di</strong><br />

denaro mi hanno chiesto <strong>di</strong> spiegar loro per benino come faccio le mie scene; perché - mi hanno<br />

confidato con <strong>il</strong> più grande candore – “così potrei farne qualcuna anch’io”. Non ci crederai, ma mi<br />

hanno parlato così le persone più insospettab<strong>il</strong>i; e se potessi esser loro ut<strong>il</strong>e senza tra<strong>di</strong>re me stesso<br />

come artista e l’arte in sé, lo farei volentieri. Ma tu ve<strong>di</strong> quanto sarebbe inut<strong>il</strong>e! Spiegar loro in<br />

cinque minuti o in cinque ore o anche in un giorno una cosa per intravedere la quale soltanto ho<br />

impiegato tutta la vita, sarebbe impossib<strong>il</strong>e. Eppure, quando non mi son sentito <strong>di</strong> ridurre a pezzi<br />

quel che ho imparato, per darlo a questa gente, se la sono presa a morte, e talvolta mi hanno fatto del<br />

male.<br />

Come ve<strong>di</strong>, non è che io voglia spiegarti qual è l’ampiezza e la forma dei miei “fondali”, <strong>il</strong><br />

colore che ho adoperato, come son fatti gli spezzati e in che modo si debbano maneggiare, come sono<br />

le luci che li <strong>il</strong>luminano dall’alto, e tutto <strong>il</strong> resto; è solo che, se te lo <strong>di</strong>cessi, questo potrebbe, e vero,<br />

esserti ut<strong>il</strong>e per i prossimi due o tre anni - perché poi saresti in grado <strong>di</strong> inscenare parecchi lavori con<br />

“effetti” a sufficienza, sod<strong>di</strong>sfacendo con ciò la curiosità <strong>di</strong> un certo pubblico - ma, nonostante<br />

questi benefici, ci verresti comunque a perdere, e l’arte avrebbe in me un perfido tra<strong>di</strong>tore. Le<br />

scorciatoie non ci interessano, e neppure ci interessano i lavori d’effetto e <strong>il</strong> denaro: noi vogliamo solo<br />

andare a fondo della cosa, riuscire ad amarla e a comprenderla. Perciò è a questo che devi tendere in<br />

ogni modo, senza lasciarti fuorviare dall’idea della scena, dei costumi, o della messinscena come fine<br />

a se stessa; non perdere <strong>di</strong> vista l’obiettivo finale <strong>di</strong> giungere ad afferrare <strong>il</strong> segreto, segreto che<br />

consiste nel creare un’altra bellezza, e allora tutto andrà bene.<br />

Nel preparare un lavoro, mentre stai pensando alla scenografia, passa <strong>di</strong> colpo a un altro<br />

argomento: la recitazione, <strong>il</strong> movimento, o la voce. Non prendere ancora nessuna decisione e torna a<br />

pensare a un’altra parte <strong>di</strong> quest’insieme unitario. Considera <strong>il</strong> movimento in<strong>di</strong>pendentemente dalla<br />

scena e dai costumi, <strong>il</strong> movimento in sé. Integra in qualche modo <strong>il</strong> movimento singolo al movimento<br />

che con la fantasia ve<strong>di</strong> nella scena. Ora riversa sull’insieme tutti i tuoi colori. Poi togl<strong>il</strong>i. È <strong>il</strong><br />

momento <strong>di</strong> ricominciare daccapo. Considera soltanto le parole, inserisc<strong>il</strong>e in un quadro ampio,<br />

utopistico, e tirale fuori: poi ren<strong>di</strong> possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> quadro attraverso le parole. Compren<strong>di</strong> quel che voglio<br />

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<strong>di</strong>re? Guarda al dramma da ogni punto <strong>di</strong> vista, servendoti <strong>di</strong> ogni mezzo, e non aver furia <strong>di</strong><br />

cominciare <strong>il</strong> lavoro vero e proprio finché uno <strong>di</strong> tali mezzi non si sia imposto e ti abbia costretto a<br />

cominciare. È meglio fidarsi <strong>di</strong> altri influssi che agiscano sulla tua volontà o anche sulla tua mano, che<br />

non sul solo tuo piccolo cervello <strong>di</strong> uomo. <strong>Il</strong> <strong>mio</strong> non potrebbe certo essere un metodo<br />

d’insegnamento adatto per le scuole, perché i risultati che si raggiungono nelle scuole sono entrati<br />

nella tra<strong>di</strong>zione; e la tra<strong>di</strong>zione non è cosa da menar vanto. Se un insegnamento rigoroso, che si<br />

attenga ai fatti, meccanico, può essere ottimo per una classe, può non esserlo altrettanto per <strong>il</strong><br />

singolo in<strong>di</strong>viduo; quando mi rivolgerò a una classe, allora userò più <strong>di</strong>mostrazioni pratiche e meno<br />

parole.<br />

Intanto posso <strong>di</strong>rti una o due cose che farai bene a evitare. Per esempio, non tener conto dei<br />

libri <strong>di</strong> costumi. Quando ti trovi in <strong>di</strong>fficoltà, consultane pure uno, e vedrai quanto poco ti aiuterà a<br />

trarti d’impaccio; ma è meglio non crearti mai delle complicazioni con tutti questi dettagli. Rimani<br />

semplice e spontaneo. Se stu<strong>di</strong> come tracciare una figura, in che modo adattarle una giacca, o<br />

qualcosa per coprire le gambe o la testa, e cerchi <strong>di</strong> vestirla in fogge <strong>di</strong>verse, interessanti, belle o<br />

<strong>di</strong>vertenti, otterrai molto <strong>di</strong> più che non a deliziarti la vista e confonderti le idee consultando Racinet,<br />

Planchet, Hottenroth eccetera. I costumi a colori sono i peggiori; sta’ attento a non farti influenzare,<br />

quando cominci a pensare a quel che hai già visto nei libri, e <strong>di</strong>ffidane in modo assoluto. Se poi, in un<br />

secondo tempo, ti accorgerai che contengono delle cose buone, potrai anche aver ragione, ma se li<br />

accetti <strong>di</strong> primo acchito, perderai qualsiasi idea e l’estro <strong>di</strong> costumista; saprai solo <strong>di</strong>segnare un<br />

costume Racinet o Planchet ed essere un esperto su queste autorità storicamente precise e false al<br />

tempo stesso.<br />

Migliore <strong>di</strong> quelli che ho citato è Viollet le Duc, <strong>il</strong> quale ha molto amore per le piccole verità<br />

che sono alla base del costume e le nota fac<strong>il</strong>mente. Ma anche <strong>il</strong> suo è un libro più adatto a uno<br />

scrittore <strong>di</strong> novelle d’argomento storico, mentre un libro sul costume d’immaginazione attende<br />

ancora chi lo scriva.<br />

Mettiti a <strong>di</strong>segnare una serie <strong>di</strong> costumi <strong>di</strong> fantasia; per esempio, inventa un costume<br />

barbarico; un costume barbarico per un personaggio astuto, che non abbia nulla che si possa <strong>di</strong>re<br />

storico, e tuttavia in<strong>di</strong>chi l’astuzia e la barbarie. Ora <strong>di</strong>segna un altro costume barbarico, per un uomo<br />

ar<strong>di</strong>to ma sensib<strong>il</strong>e. Fanne un terzo per un personaggio laido e ven<strong>di</strong>cativo. Sarà un buon esercizio.<br />

Da principio forse combinerai dei pasticci, perché non è una cosa fac<strong>il</strong>e, ma se perseveri abbastanza<br />

a lungo, son sicuro che ci riuscirai. Continua, cerca <strong>di</strong> <strong>di</strong>segnare le vesti <strong>di</strong> una figura angelica e <strong>di</strong> una<br />

demoniaca: naturalmente saranno stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> costumi in<strong>di</strong>viduali, ma la forza maggiore <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong><br />

lavoro sta nel costume <strong>di</strong> massa. Considerare singolarmente i costumi delle masse è un errore comune<br />

a tutti gli uomini <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>.<br />

Lo stesso accade a proposito dei movimenti collettivi, i movimenti <strong>di</strong> masse. Sta’ attento a<br />

non seguire la maniera tra<strong>di</strong>zionale. Spesso sentiamo <strong>di</strong>re che ogni attore che formava, nella<br />

Compagnia del Duca <strong>di</strong> Meininger, la grande folla del Giulio Cesare recitava una vera e propria<br />

parte. La cosa può essere <strong>di</strong>vertente come curiosità e attrarre <strong>il</strong> pubblico sciocco, che naturalmente<br />

<strong>di</strong>rà: “Oh com’è interessante guardare una comparsa che recita in un angolo un’autentica parte! Che<br />

bello! È proprio come nella vita!”.<br />

Se questo è <strong>il</strong> tuo fine e la tua massima aspirazione non ne parliamo più. Ma sappiamo che<br />

non è così: le masse vanno trattate come tali, come hanno fatto un Rembrandt in pittura e un Bach o<br />

un Beethoven in musica, e <strong>il</strong> particolare non ha nulla a che fare con la massa. Non darai certo<br />

l’impressione <strong>di</strong> una massa mettendo, insieme un’accozzaglia <strong>di</strong> particolari; questo è <strong>il</strong> metodo<br />

seguito da coloro che amano le cose elaborate; e d’altra parte è molto più fac<strong>il</strong>e accozzare una<br />

quantità <strong>di</strong> dettagli che non creare una massa suggestiva e interessante. Quando si vuole creare una<br />

struttura complicata, allora si ricorre imme<strong>di</strong>atamente all’esempio della natura. Cento uomini per<br />

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formare una folla o, ad<strong>di</strong>rittura, tutta Roma, come nel Giulio Cesare: cento uomini e ognuno deve<br />

recitare una sua piccola parte. Ognuno recita da sé, gridando per conto suo; ognuno grida in modo<br />

<strong>di</strong>verso sennonché molti <strong>di</strong> loro copiano le grida <strong>di</strong> maggior effetto, e così in capo a venti sere tutti<br />

gridano allo stesso modo. Ognuno ha la sua azione particolare, che sempre in capo a venti sere si<br />

muta in quella <strong>di</strong> maggior effetto e <strong>di</strong> successo più sicuro; così si può comporre un gruppo<br />

abbastanza decente <strong>di</strong> uomini che si agitano e schiamazzano, e a qualcuno potrà anche fare<br />

l’impressione <strong>di</strong> una gran folla. Ad altri darà piuttosto l’impressione della folla che si accalca alla<br />

stazione.<br />

Evita cose <strong>di</strong> tal genere, evita <strong>il</strong> cosiddetto “naturalismo”, sia nel movimento sia nella scena e<br />

nei costumi. <strong>Il</strong> naturalismo ha preso piede sulla scena perché l’artificiosità era <strong>di</strong>venuta pedante,<br />

insipida; ma non <strong>di</strong>menticare che c’è anche l’artificiosità nob<strong>il</strong>e.<br />

Qualcuno scrivendo sul movimento e <strong>il</strong> gesto naturale ha detto: “Già, da tempo Wagner ha<br />

messo in pratica <strong>il</strong> sistema dell’azione naturale in scena, sperimentato negli anni passati al ‘Théatre<br />

Libre’ <strong>di</strong> Parigi da un attore francese; e questo metodo, per fortuna, tende a essere universalmente<br />

adottato”. È per evitare che si scrivano cose del genere, che tu sei al mondo.<br />

Questa tendenza al naturalismo non ha niente a che fare con l’arte, ed è altrettanto<br />

abominevole nell’arte, quanto lo è l’artificialità nella vita quoti<strong>di</strong>ana. Dobbiamo finalmente capire che<br />

le due cose sono <strong>di</strong>stinte, e bisogna usarle ciascuna a suo luogo; non possiamo certo pretendere <strong>di</strong><br />

sbarazzarci in un momento <strong>di</strong> questa tendenza al “naturale”, <strong>di</strong> questa aspirazione alle scene<br />

“naturali”, e alle voci “naturale”; ma possiamo combatterla efficacemente stu<strong>di</strong>ando le altre arti 5 .<br />

Perciò dobbiamo abbandonare l’idea che esistono azioni naturali o innaturali, e sud<strong>di</strong>videre<br />

invece le azioni in necessarie e inut<strong>il</strong>i. Se un’azione è necessaria a un certo punto, si può <strong>di</strong>re che in<br />

quel momento è l’azione naturale, e se per “naturale” si intende questo, tutto va bene. In quanto è<br />

giusta, in tanto è naturale, d’altronde non dobbiamo metterci in testa che ogni azione casuale, ma<br />

naturale, sia giusta. In realtà è <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e che vi sia un’azione giusta, un’azione naturale. L’azione, <strong>di</strong>ce<br />

Rimbaud, è un mezzo <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione.<br />

Istruire una compagnia d’attori a riprodurre in scena le azioni che si vedono in un salotto, in<br />

un club, in un’osteria o in una soffitta, è né più né meno che roba da matti. <strong>Il</strong> fatto, ben noto, che vi<br />

siano compagnie istruite a questo modo, appare quasi incre<strong>di</strong>b<strong>il</strong>e per la sua puer<strong>il</strong>ità. Come ti ho<br />

detto <strong>di</strong> inventare costumi significativi, così devi trovare una serie <strong>di</strong> azioni significative, tenendo<br />

però a mente la netta <strong>di</strong>visione che esiste fra azione <strong>di</strong> massa e azione in<strong>di</strong>viduale, e ricordando che<br />

non c’è nulla <strong>di</strong> meglio che un’azione misurata.<br />

Ti ho suggerito <strong>di</strong> <strong>di</strong>segnare tre costumi <strong>di</strong> epoca barbarica, ciascuno con un suo particolare<br />

carattere. Fa’ agire le figure che hai creato; immagina per loro azioni significative, limitandoti alle tre<br />

in<strong>di</strong>cazioni che t’ho dato: la scaltrezza, la temerarietà ar<strong>di</strong>mentosa, la laidezza e <strong>il</strong> desiderio <strong>di</strong><br />

vendetta. Mettiti a stu<strong>di</strong>arle, porta con te dei quaderni d’appunti o dei pezzi <strong>di</strong> carta e inventa in<br />

continuazione degli schizzi <strong>di</strong> forme e <strong>di</strong> facce, che <strong>di</strong>ano queste tre impressioni; quando ne hai<br />

messo insieme qualche dozzina, scegli i più belli. Ancora una precisazione: non ho usato a bella<br />

posta la parola “d’effetto”, ma la parola “bello”, come fanno gli artisti, e non come è d’uso fra la<br />

gente <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>.<br />

Non ti aspetterai certo che ti spieghi tutto quel che l’artista intende con la parola “bello”;<br />

essa in<strong>di</strong>ca ciò che ha <strong>il</strong> massimo equ<strong>il</strong>ibrio, che è più giusto e che suona in modo completo e<br />

perfetto. <strong>Il</strong> bello non sempre coincide con ciò che è grazioso o semplice o superbo, o ricco, <strong>di</strong> rado<br />

poi con “ciò che fa effetto” come lo conosciamo in <strong>teatro</strong>. <strong>Il</strong> Bello è, al contrario, un concetto<br />

5 “<strong>Il</strong> <strong>teatro</strong> moderno è rovinato dallo sfoggio realistico della messa in scena che è contraria all’arte pura”. John Ruskin.<br />

[Nota aggiunta dall’Autore per l’e<strong>di</strong>zione francese]<br />

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enormemente vasto e contiene in sé quasi tutto: perfino <strong>il</strong> brutto, che a volte trascende l’accezione<br />

comune; contiene anche cose rozze, ma mai incomplete.<br />

Facciamo che per una volta <strong>il</strong> significato <strong>di</strong> questa parola, <strong>il</strong> Bello, torni ad essere ancora<br />

sentito profondamente in <strong>teatro</strong>, e potremo <strong>di</strong>re che <strong>il</strong> giorno del risveglio è vicino. Cancelliamo per<br />

una volta la parola d’effetto dalla nostra bocca, e saremo pronti a pronunciare la parola Bellezza.<br />

In <strong>teatro</strong>, quando si parla <strong>di</strong> effetto s’intende un qualcosa che giunga alla ribalta. <strong>Il</strong> vecchio attore<br />

<strong>di</strong>ce al principiante <strong>di</strong> alzare la voce, <strong>di</strong> “sputarla fuori” - “Sputala fuori, ragazzo <strong>mio</strong>, falla volare<br />

fino in fondo alla galleria”. Non è un cattivo consiglio, in se stesso; ma l’idea che negli ultimi cinque o<br />

seicento anni non si sia ancora riusciti a impararlo, l’idea che non siamo andati oltre, fa realmente<br />

cadere le braccia! È ovvio che ogni azione e ogni parola in scena debbono innanzitutto farsi vedere e<br />

farsi sentire chiaramente, ed è naturale che ogni azione e ogni <strong>di</strong>scorso importante debbono avere una<br />

forma chiara e <strong>di</strong>stinta, in modo da esser compresi senza <strong>di</strong>fficoltà. Su tutto questo siamo d’accordo.<br />

È lo stesso per tutte le arti, e, come per le altre arti, è un fatto ovvio; ma non è la sola cosa<br />

essenziale, al punto che i vecchi debbono continuamente strombazzarla nelle orecchie alla nuova<br />

generazione che muove i primi passi sul palcoscenico. Così si insegna subito al giovane attore a<br />

<strong>di</strong>ventare un maestro nei trucchi del mestiere, ed è ovvio che poi questi prenda d’istinto la<br />

scorciatoia: sono proprio questi trucchi del mestiere che hanno degradato <strong>il</strong> valore della parola<br />

“teatrale”. Ma bisogna chiarire perché <strong>il</strong> giovane attore quando comincia la sua esperienza scenica si<br />

trova in questa posizione <strong>di</strong> svantaggio: è perché prima non ha avuto modo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are e <strong>di</strong> fare <strong>il</strong> suo<br />

tirocinio.<br />

Non sono <strong>il</strong> tipo che ha tanta fiducia nelle scuole: però ho molta fiducia nella scuola della vita,<br />

ma fra <strong>il</strong> “mondo” che è scuola per l’attore e <strong>il</strong> “mondo” che è scuola per gli altri artisti, che non<br />

frequentano le accademie, c’è una bella <strong>di</strong>fferenza! Un giovane pittore, un giovane musicista, poeta,<br />

architetto, o scultore può non mettere mai piede in un’accademia vita natural durante e può<br />

gironzolare per <strong>il</strong> mondo una decina d’anni - imparando qua e là, sperimentando e lavorando senza<br />

esser veduto e senza che nessuno si accorga dei suoi esperimenti. <strong>Il</strong> giovane attore invece può anche<br />

fare a meno <strong>di</strong> frequentare un’accademia, e può pure girare <strong>il</strong> mondo per <strong>di</strong>eci anni, e fare i suoi<br />

esperimenti come gli altri, ma - qui sta la <strong>di</strong>fferenza sostanziale - tutti i suoi esperimenti li deve fare<br />

<strong>di</strong> fronte al pubblico. Ogni atomo del suo lavoro, dal giorno in cui “passa” in scena fino all’ultimo,<br />

quando ha già un “ruolo”, è esposto e sottoposto al fuoco <strong>di</strong> f<strong>il</strong>a della critica. Ad un uomo che ha<br />

<strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> esperienza in qualsiasi campo, passare attraverso <strong>il</strong> fuoco della critica non potrà che<br />

recare giovamento, a lui e al suo lavoro; perché si è preparato; ha forza, sa quello a cui va incontro.<br />

Ma che un ragazzo o una ragazza siano sottoposti a questo, dal primo anno in cui timidamente si<br />

accingono a sostenere un compito così pesante, non solo è sleale, ma è anche deleterio per l’arte<br />

della scena.<br />

Immaginiamo <strong>di</strong> essere del tutto nuovi a questo tipo <strong>di</strong> lavoro: non stiamo nella pelle per <strong>il</strong><br />

desiderio <strong>di</strong> incominciare; con entusiasmo e con grande coraggio accettiamo una particina - sono solo<br />

otto righe, e stiamo in scena sì e no <strong>di</strong>eci minuti, - siamo felicissimi, anche se in preda al panico.<br />

Un’altra volta sono venti righe. Cre<strong>di</strong> che <strong>di</strong>remo <strong>di</strong> no? Dobbiamo entrare in scena sei volte, pensi<br />

che scapperemo via? Può darsi che non siamo degli dei, però non siamo neppure tanto stupi<strong>di</strong> da<br />

non saper fare un’“entrata”. Ci sembra <strong>il</strong> para<strong>di</strong>so. An<strong>di</strong>amo. La mattina seguente leggi: “è un vero<br />

peccato che <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore abbia affidato a un giovane incapace una parte così importante”.<br />

Non sto a biasimare <strong>il</strong> critico per aver scritto così; non <strong>di</strong>co che in questo modo uccide un<br />

grande artista o ci spezza <strong>il</strong> cuore; <strong>di</strong>co soltanto che la cosa è talmente sleale che poi è naturale<br />

rendere la pariglia abusando in modo scorretto dell’arte che avevamo cominciato ad amare,<br />

cercando l’“effetto” a ogni costo. Abbiamo ricevuto questa critica; avevamo fatto del nostro meglio;<br />

gli altri hanno avuto una critica migliore: noi non ne possiamo più e facciamo come loro, cerchiamo<br />

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l’effetto. Per la maggior parte dei giovani, cinque anni <strong>di</strong> acute sofferenze sono sufficienti a farli<br />

<strong>di</strong>ventare attori “d’effetto”, teatrali. Una critica prematura rovina <strong>il</strong> giovane attore che avrebbe<br />

voluto <strong>di</strong>venire un artista; e lo costringe a <strong>di</strong>venire un tra<strong>di</strong>tore dell’arte che ama. Stacci ben attento,<br />

rinuncia all’effetto; accogli le critiche negative con buona grazia, tenendo a mente che con la pazienza<br />

e l’orgoglio potrai sopravvivere e passare oltre a quelli che ti sono intorno. La critica ha ragione a <strong>di</strong>re<br />

che non sei stato “d’effetto”, o che hai recitato male la parte, anche se la verità è che lavori in scena<br />

solo da tre, quattro o cinque anni, e stai ancora cercando lentamente la tua strada, invece <strong>di</strong> ricorrere<br />

ai trucchi del mestiere. È giusto che i critici parlino così<br />

- <strong>di</strong>cono la verità -, dovresti esserne lieto; ma inconsciamente svelano una verità ben più grande: che<br />

quanto più vale l’artista, tanto più scadente è l’attore.<br />

Perciò pren<strong>di</strong> tutto <strong>il</strong> coraggio e continua, come ti ho detto all’inizio, a fare l’attore finché non<br />

ne puoi più, finché non senti che sei sul punto <strong>di</strong> cedere; allora salta l’ostacolo e fa’ <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong><br />

scena. Qui, ti ho detto, sarai in una situazione migliore, anche se non molto, perché ti vai avvicinando<br />

al punto in cui si trova (sonnecchia, è vero) la musa del <strong>teatro</strong>. Le tue scene, l’allestimento, i costumi<br />

eccetera, che faranno più effetto, saranno naturalmente quelli più teatrali. Ma qui non c’è una<br />

tra<strong>di</strong>zione così forte, e nel tuo nuovo mestiere troverai qualcosa su cui fare affidamento.<br />

<strong>Il</strong> critico non è più indulgente verso chi mette in scena i lavori, però in un modo o nell’altro è<br />

meno propenso a parlare <strong>di</strong> “effetto”, e sembra avere una conoscenza più ampia del bello e del<br />

brutto in questo genere <strong>di</strong> cose. Può darsi che ciò sia dovuto a una tra<strong>di</strong>zione professionale; “la<br />

messa in scena”, come s’intende oggi, non è che un più moderno sv<strong>il</strong>uppo del <strong>teatro</strong>, e <strong>il</strong> critico ha<br />

più libertà <strong>di</strong> <strong>di</strong>re quel che vuole. In ogni modo, come <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena non dovrai più comparire <strong>di</strong><br />

persona sul palcoscenico ogni sera e perciò tutto quel che scrivono sul tuo lavoro puoi non ritenerlo<br />

come una critica <strong>di</strong>retta a te personalmente.<br />

Pensavo adesso <strong>di</strong> <strong>di</strong>rti qualche cosa sull’uso delle luci artificiali; ma è meglio che tu applichi<br />

da solo quel che ti ho detto a proposito, delle scene e dei costumi a quest’altra branca. Qualcosa si<br />

può adattare. Non sarebbe affatto pratico parlarti degli strumenti che usano e <strong>di</strong> come li adoperano<br />

per ottenere buoni risultati. Se hai testa per inventare le scene e i costumi <strong>di</strong> cui ti ho parlato, avrai<br />

anche la capacità <strong>di</strong> trovare da solo <strong>il</strong> sistema <strong>di</strong> usare le luci artificiali <strong>di</strong> cui <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> <strong>di</strong>spone ormai<br />

da anni.<br />

Infine, prima <strong>di</strong> lasciare <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> per qualche altro argomento <strong>di</strong> maggiore importanza, ti faccio<br />

un’ultima raccomandazione: quando hai qualche dubbio, ascolta i consigli <strong>di</strong> un uomo <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>, anche<br />

se è soltanto un vestiarista, piuttosto che dar retta ad un d<strong>il</strong>ettante. Un certo numero <strong>di</strong> pittori,<br />

scrittori e musicisti hanno fatto del nostro <strong>teatro</strong> una specie <strong>di</strong> “secondo lavoro”.<br />

Attenzione a non badare a quel che <strong>di</strong>cono o fanno. Un qualunque macchinista sa molto <strong>di</strong><br />

più sulla nostra arte che non questi d<strong>il</strong>ettanti. <strong>Il</strong> pittore da un po’ <strong>di</strong> tempo a questa parte ha pensato<br />

<strong>di</strong> fare piccole, graziose incursioni proprio sui confini del palcoscenico. Spesso è un uomo <strong>di</strong> gran<strong>di</strong><br />

capacità intellettuali e pieno <strong>di</strong> molte eccellenti teorie, l’antica e bella teoria dell’arte che ognuno sa<br />

coltivare meglio sul proprio pezzo <strong>di</strong> terra; e queste teorie le ha applicate nel suo ramo particolare<br />

d’arte. In <strong>teatro</strong> <strong>di</strong>ventano pura affettazione: è infatti ragionevole supporre che un uomo de<strong>di</strong>to da<br />

quin<strong>di</strong>ci o venti anni a <strong>di</strong>pingere ad olio su delle superfici piane, a incidere su rame o in legno, in<br />

<strong>teatro</strong> farà un’opera <strong>di</strong> carattere pittorico, con qualità pittoriche, non altro. <strong>Il</strong> musicista comporrà<br />

qualcosa <strong>di</strong> musicale. <strong>Il</strong> poeta a sua volta creerà una cosa letteraria. Tutto questo può essere<br />

pittoresco e carino, ma sfortunatamente non ha niente a che fare con l’Arte del Teatro. Guardati da<br />

tali uomini: puoi farne a meno. Praticandoli, finirai col <strong>di</strong>ventare anche tu un d<strong>il</strong>ettante. Se uno <strong>di</strong> loro<br />

desidera parlare con te del <strong>teatro</strong>, chie<strong>di</strong>gli subito per quanto tempo ha effettivamente lavorato in un<br />

<strong>teatro</strong>, prima <strong>di</strong> perdere dell’altro tempo ad ascoltare le sue teorie irrealizzab<strong>il</strong>i.<br />

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E poiché per concludere abbiamo parlato degli artisti, le ultime parole de<strong>di</strong>chiamole al loro<br />

lavoro. La loro opera è cosi bella, essi hanno trovato delle leggi talmente valide e le hanno seguite<br />

così bene, rinunziando ad ogni ambizione mondana per cercare la bellezza, che quando la Natura ti<br />

sembrerà indecifrab<strong>il</strong>e, devi ricorrere imme<strong>di</strong>atamente a questi amici - alla loro opera, intendo <strong>di</strong>re - e<br />

ciò ti aiuterà a superare le tue <strong>di</strong>fficoltà, perché le loro opere sono le più belle e le più sagge <strong>di</strong> tutto <strong>il</strong><br />

mondo.<br />

L’avvenire-una speranza<br />

Ora che ti ho parlato dei compiti del <strong>di</strong>rettore scenico, an<strong>di</strong>amo oltre: ti svelerò le più vaste<br />

possib<strong>il</strong>ità che penso siano in serbo per te.<br />

Ti ho detto come stanno le cose, e spero che supererai questi anni come attore, <strong>di</strong>rettore,<br />

scenografo e allestitore, senza gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà. Per riuscirci con successo, pur conservando durante <strong>il</strong><br />

periodo <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>stato le tue convinzioni personali, non devi parlarne che con te stesso; e ricordati<br />

che non mi aspetto che tu parteggi per la mia opinione o la <strong>di</strong>fenda pubblicamente. Farlo non<br />

porterebbe ad altro che a sminuire <strong>il</strong> cre<strong>di</strong>to che hai, infirmando <strong>il</strong> valore <strong>di</strong> tutto questo periodo <strong>di</strong><br />

preparazione. Non mi importa che la gente sia convinta che tu cre<strong>di</strong> nella vali<strong>di</strong>tà delle mie<br />

affermazioni, delle mie teorie e delle mie esperienze: per me è molto più importante che tu ne sia<br />

convinto. E perché niente ci metta <strong>il</strong> bastone fra le ruote vorrei che tu non corressi rischi; perciò<br />

teniamoci per noi le nostre convinzioni. Non cercare <strong>di</strong> trovarmi dei sostenitori. Non correre <strong>il</strong><br />

rischio <strong>di</strong> dover affrontare l’alternativa <strong>di</strong> essere licenziato o <strong>di</strong> smentire le nostre comuni credenze.<br />

Tanto più che non ce n’è alcun bisogno. Mi son preso già una caterva <strong>di</strong> rimproveri per aver<br />

proclamato ad alta voce la mia fede nella verità della nostra causa, e son pronto a prendermene altri<br />

solo che tu scatti in avanti e ti assicuri un vantaggio, servendoti <strong>di</strong> me come <strong>di</strong> un pretesto.<br />

Apprezzerò l’umorismo, perché c’è un po’ <strong>di</strong> umorismo in tutta la faccenda, e questa sarà la mia<br />

ricompensa. Ricordati che stiamo attaccando un mostro, un nemico potente ed astuto; e quando vuoi<br />

comunicare con me, fallo con mezzi più invisib<strong>il</strong>i del telegrafo senza f<strong>il</strong>i. Io comprenderò ugualmente.<br />

Quando avrai finito <strong>di</strong> fare l’appren<strong>di</strong>stato, cioè dopo sei o <strong>di</strong>eci anni, non ci sarà più bisogno<br />

<strong>di</strong> mantenere <strong>il</strong> segreto: sarai pronto allora a uscire allo scoperto a tua volta, e a spiegare <strong>il</strong> tuo<br />

stendardo; perché sarai sulla frontiera del tuo regno; ed è <strong>di</strong> questo regno che voglio parlare adesso.<br />

Uso la parola “Regno” istintivamente quando parlo del territorio del <strong>teatro</strong>, perché rende<br />

bene quel che voglio <strong>di</strong>re. Forse nei prossimi tre o quattrom<strong>il</strong>a anni la parola Regno scomparirà, e con<br />

essa anche Regalità, Re - ma ne dubito; e se così fosse qualcos’altro <strong>di</strong> ugualmente bello prenderebbe<br />

<strong>il</strong> suo posto. Sarebbe l’identica cosa in abiti <strong>di</strong>fferenti. Non si può inventare niente <strong>di</strong> più bello della<br />

Regalità, dell’idea del Re. Non è che un modo per in<strong>di</strong>care l’in<strong>di</strong>vidualità, la personalità calma,<br />

sagace; e finché dura i1 mondo, la personalità più calma e più sagace sarà sempre quella del Re. A<br />

volte è chiamato Presidente, o anche Papa, e talvolta Generale; ma è la stessa cosa, è inut<strong>il</strong>e negarlo: è<br />

<strong>il</strong> Re. All’artista questo pensiero è molto caro. C’è in esso la sensazione del perfetto equ<strong>il</strong>ibrio. <strong>Il</strong> Re<br />

(per l’artista) è quella parte delicata della b<strong>il</strong>ancia che gli antichi artigiani facevano in oro e a volte<br />

adornavano <strong>di</strong> gemme preziose; quel congegno finemente lavorato senza i1 quale la b<strong>il</strong>ancia non<br />

potrebbe esistere, e su cui si affissa lo sguardo del misuratore. Perciò ho preso queste b<strong>il</strong>ance come<br />

insegna della nostra nuova arte, perché la nostra arte è basata sull’idea del perfetto equ<strong>il</strong>ibrio, <strong>il</strong><br />

risultato del movimento.<br />

Ecco, questa è la cosa che avevo promesso <strong>di</strong> darti, all’inizio. Dopo aver trascorso <strong>il</strong> periodo<br />

d’appren<strong>di</strong>stato senza lasciarti sommergere dalla professione, ora sei degno <strong>di</strong> riceverla. Altrimenti<br />

non saresti in grado <strong>di</strong> vederla. Non ho paura che quel che ti lancio venga afferrato da altre mani,<br />

perché è visib<strong>il</strong>e e tangib<strong>il</strong>e solo per chi è passato attraverso un appren<strong>di</strong>stato come <strong>il</strong> tuo. Per te<br />

42


all’inizio <strong>il</strong> fulcro della cosa era la Personificazione; poi sei passato al concetto <strong>di</strong> Rappresentazione,<br />

e ora giungi all’idea <strong>di</strong> Rivelazione. Quando impersonavi una parte o la rappresentavi, ti servivi <strong>di</strong><br />

quei materiali <strong>di</strong> cui si è sempre fatto uso: la figura umana come è esemplificata nell’attore, i1<br />

<strong>di</strong>scorso come è esemplificato nel poeta per mezzo dell’attore, <strong>il</strong> mondo visib<strong>il</strong>e quale è mostrato<br />

me<strong>di</strong>ante la Scena. Ora potrai rivelare col movimento le cose invisib<strong>il</strong>i, quelle che si vedono dentro -<br />

non “con” gli occhi, per mezzo del potere meraviglioso e <strong>di</strong>vino del Movimento.<br />

C’è una cosa che l’uomo non ha ancora appreso a padroneggiare, che non immaginava<br />

neanche stesse ad attenderlo, che le si accostasse con amore; era invisib<strong>il</strong>e e pur sempre presente a<br />

lui. Una cosa magnifica, che lo seduceva e si ritraeva fugace, aspettando solo che le si avvicinasse<br />

l’uomo giusto, pronto ad innalzarsi a volo con lei per <strong>il</strong> cielo, lontano dalla terra - è <strong>il</strong> Movimento.<br />

È in qualche modo opinione comune che solo me<strong>di</strong>ante le parole si può rivelare la verità.<br />

Anche la sapienza della Cina ha detto: “La verità spirituale è profonda e vasta, <strong>di</strong> eccellenza infinita,<br />

ma <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e comprensione. Senza parole sarebbe impossib<strong>il</strong>e spiegarne la dottrina; senza immagini<br />

la sua forma non potrebbe essere rivelata. Le parole spiegano la legge del due e del sei, l’immagine<br />

delinea la relazione fra <strong>il</strong> quattro e l’otto. Non è profondo, infinito come lo spazio, amab<strong>il</strong>e al <strong>di</strong> là <strong>di</strong><br />

ogni confronto?”<br />

Ma che <strong>di</strong>re <strong>di</strong> quella infinita e stupenda cosa che <strong>di</strong>mora nello spazio: <strong>il</strong> Movimento? Dal<br />

suono è derivata quella meraviglia delle meraviglie che ha nome Musica. La Musica - si può parlare <strong>di</strong><br />

lei come San Paolo parla dell’amore; perché è tutta amore, tutto ciò che - egli <strong>di</strong>ce - dovrebbe essere <strong>il</strong><br />

vero amore. Tollera ogni cosa, ed è gent<strong>il</strong>e; non è vana, non assume atteggiamenti indecorosi, crede in<br />

ogni cosa, spera in ogni cosa - quanto è infinitamente nob<strong>il</strong>e!<br />

E come una sfera è sim<strong>il</strong>e ad un’altra, così <strong>il</strong> Movimento è sim<strong>il</strong>e alla Musica. Mi piace<br />

ricordare che ogni cosa scaturisce dal Movimento, anche la Musica; mi piace pensare che sarà nostro<br />

supremo onore essere i ministri della forza suprema - <strong>il</strong> Movimento. Perché tu ve<strong>di</strong> <strong>il</strong> rapporto che<br />

c’è tra <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> (anche <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> d’oggi, povero, smarrito, desolato) e questo compito. I teatri d’ogni<br />

terra, oriente ed occidente, si sono evoluti (anche se <strong>il</strong> loro sv<strong>il</strong>uppo è degenere) dai movimento, i1<br />

movimento della forma umana. Sappiamo molto in proposito, perché c’è la testimonianza della<br />

tra<strong>di</strong>zione: e prima che l’essere umano si addossasse la grave responsab<strong>il</strong>ità d’usare la propria<br />

persona come strumento attraverso <strong>il</strong> quale rendere la bellezza, c’era un’altra razza più saggia, che<br />

usava altri strumenti.<br />

Nei primissimi tempi <strong>il</strong> danzatore era un sacerdote o una sacerdotessa, e in ogni modo non un<br />

personaggio melanconico; presto è degenerato in qualcosa <strong>di</strong> più sim<strong>il</strong>e all’acrobata, e si è giunti<br />

infine alla <strong>di</strong>stinzione danzatore-ballerino. Per associazione col menestrello è apparso l’attore. Non<br />

sostengo che con la rinascita della danza verrà la rinascita dell’antica arte del <strong>teatro</strong>, perché non<br />

penso che <strong>il</strong> danzatore ideale sia lo strumento perfetto per esprimere quanto c’è <strong>di</strong> più perfetto nel<br />

movimento. <strong>Il</strong> danzatore ideale, uomo o donna che sia, è in grado <strong>di</strong> esprimere con la forza o la grazia<br />

del corpo molta della forza e della grazia che è nella natura umana, ma non la può esprimere tutta, e<br />

neanche la m<strong>il</strong>lesima parte. Perché al danzatore si applica la stessa verità valida per tutti coloro che<br />

usano la propria persona come strumento. Ahimé! <strong>Il</strong> corpo umano si rifiuta <strong>di</strong> essere uno strumento,<br />

sia pure della mente che abita nel corpo stesso. I figli <strong>di</strong> Los 6 si ribellarono ed ancor oggi si ribellano<br />

al loro padre. L’antica, <strong>di</strong>vina unità, i1 <strong>di</strong>vino quadrato; l’incomparab<strong>il</strong>e circolo della nostra natura è<br />

stato crudelmente rotto dai nostri umori, e non più per istinto si <strong>di</strong>segna <strong>il</strong> quadrato o si traccia <strong>il</strong><br />

circolo sul muro grigio <strong>di</strong>nanzi a noi. Ma con gesto significativo costringiamo una volta ancora la<br />

nostra anima trepidante ad avanzare, priva del corpo, su <strong>di</strong> una nuova strada e a riconquistarla. È una<br />

verità che non ammette <strong>di</strong>scussione, una verità che non sminuisce la bellezza che emana dal cantante<br />

o dal danzatore, a noi carissimi, <strong>di</strong> ogni età. I<br />

6 I sensi, secondo la poetica <strong>di</strong> W<strong>il</strong>liam Blake. [N.d.T.]<br />

43


A me sembra che l’uomo faccia un qualcosa<br />

<strong>di</strong> più consono alla sua con<strong>di</strong>zione umana quando inventa uno strumento al <strong>di</strong> fuori della sua<br />

persona, e attraverso questo strumento comunica <strong>il</strong> suo messaggio. Ho un’ammirazione maggiore per<br />

l’organo, per <strong>il</strong> flauto e <strong>il</strong> liuto che non per la voce umana, quando essa è usata come strumento.<br />

Sento che è tanto più ammirevole e più conveniente una macchina fatta per volare che non un uomo<br />

<strong>il</strong> quale applichi a se stesso le ali <strong>di</strong> un uccello. Perché un uomo me<strong>di</strong>ante la propria persona non può<br />

conquistare che piccole cose, ma con la mente può concepire e inventare gli strumenti per raggiungere<br />

ogni traguardo.<br />

Io non credo assolutamente nella magia personale dell’uomo, credo soltanto nella sua magia<br />

impersonale 7 . Credo che non dovremo mai <strong>di</strong>menticare che apparteniamo al periodo che vien dopo,<br />

non prima della Caduta. Io riesco almeno a trarre un sia pur minimo insegnamento dall’antica storia.<br />

Ed anche se, forse, è soltanto una leggenda, sento che è proprio la storia vera per un artista. Nel<br />

grande periodo anteriore a quest’evento ve<strong>di</strong>amo, con gli occhi della mente, l’uomo in uno stato così<br />

perfetto che <strong>il</strong> solo desiderio <strong>di</strong> volare era già per lui poter volare, <strong>il</strong> solo volere ciò che noi<br />

chiamiamo impossib<strong>il</strong>e era già un possederlo. Ce lo immaginiamo che vola nell’aria o che precipita<br />

nel profondo, senza farsi alcun male. Non ve<strong>di</strong>amo stupide vesti, non conosciamo fame e sete. Ma<br />

ora siamo consci che questo “quadrato <strong>di</strong>vino” delle origini è stato rotto, e dobbiamo quin<strong>di</strong> renderci<br />

conto che l’uomo non potrà mai più pretendere o proclamare che la sua persona è <strong>il</strong> mezzo degno e<br />

compiuto per esprimere <strong>il</strong> pensiero perfetto.<br />

Dobbiamo ban<strong>di</strong>re dalla nostra mente qualsiasi intenzione <strong>di</strong> usare la forma umana come<br />

strumento adatto a tradurre quello che noi chiamiamo <strong>il</strong> Movimento. Allora saremo più forti. Non<br />

perderemo più tempo e coraggio in una speranza vana. <strong>Il</strong> nome preciso che porterà quest’arte non<br />

può essere ancora stab<strong>il</strong>ito, ma sarebbe un errore tornare in<strong>di</strong>etro e cercarlo in Cina, in In<strong>di</strong>a o in<br />

Grecia. Abbiamo parole a sufficienza nella nostra lingua, facciamo che una parola della nostra lingua<br />

<strong>di</strong>venti fam<strong>il</strong>iare agli i<strong>di</strong>omi <strong>di</strong> tutte nazioni. Ho scritto altrove e continuerò a scrivere ogni cosa, su<br />

questo argomento, a misura che si precisa in me, e tu, <strong>di</strong> volta in volta, leggerai quel che scriverò. Ma<br />

non ti eviterò le <strong>di</strong>fficoltà, perché proprio da queste potrai trarre piacere: voglio lasciare tutto aperto,<br />

senza creare delle regole che definiscano come e con che mezzi verranno mostrati tali movimenti.<br />

Lasciati <strong>di</strong>re soltanto questo: ho riflettuto e ho cominciato a fare <strong>il</strong> <strong>mio</strong> strumento, e per mezzo <strong>di</strong><br />

esso intendo avventurarmi presto nella ricerca della bellezza. Come posso sapere se giungerò un<br />

giorno a possederla? E perciò come posso fissare definitivamente le prime regole che dovrai<br />

apprendere? Solo e senza aiuto non posso raggiungere risultati definitivi. Occorrerebbe la forza<br />

dell’intera razza umana per tutte le bellezze presenti in questa grande sorgente, in questa nuova<br />

razza <strong>di</strong> artisti a cui tu appartieni. Quando avrò costruito <strong>il</strong> <strong>mio</strong> strumento, e avrò potuto iniziare a<br />

provarlo, cercherò che altri ne facciano <strong>di</strong> sim<strong>il</strong>i. Lentamente, dai principi che li regolano si formerà<br />

uno strumento migliore.<br />

Sono guidato, nel costruire <strong>il</strong> <strong>mio</strong>, solo dalle idee primigenie e più semplici che riesco a<br />

<strong>di</strong>stinguere nel movimento. Le sottigliezze e le bellezze complicate, contenute nel movimento quale<br />

si trova nella Natura, io non le considero; penso che non potrò mai sperare <strong>di</strong> avvicinarmi ad esse.<br />

Pure, questo non mi <strong>di</strong>stoglie dal cercare <strong>di</strong> accostarmi ad alcuni movimenti più piani, più nu<strong>di</strong>, più<br />

semplici; voglio <strong>di</strong>re a quelli che a me sembrano i più semplici, quelli che io posso capire. Dopo<br />

averli messi in atto, ritengo che potrò passare ad altri sim<strong>il</strong>i; ma sono perfettamente conscio che essi<br />

implicheranno solo i ritmi più semplici; i gran<strong>di</strong> movimenti non possono ancora essere catturati, no,<br />

7 Questa mia asserzione richiede dei chiarimenti precisi: ad esempio, se è vero che ciò che c’è <strong>di</strong> impersonale nell’essere<br />

umano sia la parte migliore <strong>di</strong> lui; quello che è personale viene soltanto in secondo piano. A prima vista, sembra che<br />

sia l’elemento personale insito nelle cose a conferir loro un carattere peculiare e a costituirne l’identità; ma, a pensarci<br />

più ponderatamente, vedremo che perdendo la nostra personalità, ci guadagniamo, poiché siamo immersi in una forza<br />

nuova, <strong>di</strong>stinta da ogni altre, superiore ad ogni altra. [Nota aggiunta dall’Autore per 1’e<strong>di</strong>zione francese.]<br />

44


no, per migliaia d’anni. Ma quando questo accadrà, porterà un gran bene, perché saremo più vicini<br />

all’equ<strong>il</strong>ibrio <strong>di</strong> quanto non lo siamo mai stati prima.<br />

Penso che si possano in<strong>di</strong>viduare due tipi <strong>di</strong>stinti <strong>di</strong> movimento: <strong>il</strong> movimento del due e del<br />

quattro, che è <strong>il</strong> quadrato, <strong>il</strong> movimento dell’uno e del tre, che è <strong>il</strong> circolo. Nel quadrato c’è qualcosa<br />

<strong>di</strong> eminentemente vir<strong>il</strong>e, nel circolo qualcosa <strong>di</strong> eminentemente femmin<strong>il</strong>e. Mi sembra quin<strong>di</strong> che non<br />

si scoprirà mai <strong>il</strong> movimento perfetto prima che lo spirito femmin<strong>il</strong>e non rinunci a se stesso per<br />

cercare insieme con lo spirito vir<strong>il</strong>e questo grande tesoro; almeno mi piace immaginare che sia così.<br />

E mi piace supporre che quest’arte che sorgerà dal movimento sarà la prima e ultima fede del<br />

mondo; e mi piace sognare che per la prima volta nel mondo uomini e donne raggiungeranno questo<br />

risultato insieme 8 . Come sarebbe nuovo e bello! E poiché questa è una strada nuova, essa s’apre<br />

<strong>di</strong>nanzi agli uomini e alle donne dei secoli a venire come una possib<strong>il</strong>ità sconfinata. Negli uomini e<br />

nelle donne <strong>il</strong> senso <strong>di</strong> movimento è molto più sv<strong>il</strong>uppato che quello della musica. Può essere che<br />

quest’idea venuta a me ora fiorirà, in un futuro, grazie all’aiuto della donna? - O sarà, come sempre,<br />

l’uomo a dominare tutto ciò da solo? <strong>Il</strong> musicista, <strong>il</strong> costruttore, <strong>il</strong> pittore, <strong>il</strong> poeta sono uomini.<br />

Ora ecco, si presenta l’occasione <strong>di</strong> cambiare tutto. Ma non posso qui insistere ancora su<br />

quest’idea, tu non mi seguiresti.<br />

Pensa a come inventare uno strumento con <strong>il</strong> quale portare <strong>il</strong> movimento <strong>di</strong>nanzi ai nostri<br />

occhi. Quando avrai raggiunto questo grado <strong>di</strong> sv<strong>il</strong>uppo non avrai più bisogno <strong>di</strong> nascondere<br />

timorosamente i tuoi sentimenti e le tue opinioni, ma potrai farti avanti e unirti a me nella ricerca.<br />

Non sarai un rivoluzionario nei riguar<strong>di</strong> del <strong>teatro</strong>, perché ti sarai levato più in alto del <strong>teatro</strong> stesso,<br />

sarai penetrato in qualche cosa che lo supera. Forse proseguirai nella tua ricerca con un metodo<br />

scientifico e ciò ti porterà a risultati molto vali<strong>di</strong>. Ci saranno un centinaio <strong>di</strong> strade che conducono a<br />

questo punto - non una soltanto; e una <strong>di</strong>mostrazione scientifica <strong>di</strong> tutto quel che scoprirai non<br />

potrà certo nuocere.<br />

Bene. Trovi qualche valore in ciò che ti ho dato? Se non a prima vista, certamente lo<br />

riconoscerai a poco a poco. Non mi aspetto che cento in<strong>di</strong>vidui mi comprendano oppure cinquanta,<br />

no, neanche <strong>di</strong>eci. Ma uno? È possib<strong>il</strong>e. E quell’uno capirà che io scrivo qui <strong>di</strong> cose che hanno a che<br />

fare col presente, col domani e coll’avvenire, e starà attento a non confondere questi tre <strong>di</strong>fferenti<br />

perio<strong>di</strong>.<br />

Io credo in ciascun periodo e nella necessità <strong>di</strong> sottostare all’esperienza che ognuno <strong>di</strong> essi<br />

può offrirci.<br />

Io credo nel tempo in cui saremo in grado <strong>di</strong> creare opere d’arte a <strong>teatro</strong> senza l’uso <strong>di</strong> testi<br />

scritti, senza servirci <strong>di</strong> attori; ma credo pure nella necessità del lavoro quoti<strong>di</strong>ano, nelle con<strong>di</strong>zioni<br />

che ci sono offerte oggi.<br />

La parola OGGI è bella, e la parola DOMANI è bella, e la parola AVVENIRE è <strong>di</strong>vina - ma la parola<br />

più perfetta che le unisce e le armonizza tutte è la parola E.<br />

Firenze 1907.<br />

8 Mi piace sognarlo ancora oggi, benché siano trascorsi ormai sei anni dal giorno in cui decisi dentro <strong>di</strong> me che l’uomo<br />

e la donna devono collaborare insieme alle cose più belle, che anche la donna debba conoscere le nostre ore più alte. Ma<br />

che nessuna <strong>di</strong> loro si sogni neppure per un istante che <strong>il</strong> suo ruolo consista nel fare la sciocca - e nello scim<strong>mio</strong>ttare<br />

l’uomo. Qualsiasi donna volesse arrogarsi <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> sputare sentenze, credendo che io l’abbia autorizzata qui a<br />

<strong>di</strong>scutere con gli uomini - alla cui tutela io affido l’idea <strong>di</strong> quest’arte nuova - prenderebbe un bel granchio. <strong>Il</strong> potere<br />

della donna consiste nella perseveranza ad assecondare l’uomo, a seguirlo perfino quando pensa che egli trascini<br />

ambedue alla rovina. Se lui sbaglia, sbaglierà anche lei. La più grande saggezza della donna è obbe<strong>di</strong>re. [Nota aggiunta<br />

dall’Autore per l’e<strong>di</strong>zione francese.]<br />

45


L’Attore e la Supermarionetta 9<br />

De<strong>di</strong>cato con tutto l’affetto ai miei buoni amici<br />

De Vos e Alexander Hevesi.<br />

“Per salvare <strong>il</strong> Teatro, bisogna <strong>di</strong>struggere <strong>il</strong><br />

Teatro, gli attori e le attrici devono tutti morire<br />

<strong>di</strong> peste... Essi rendono l’arte impossib<strong>il</strong>e.”<br />

Eleonora Duse<br />

(Arthur Symons, Stu<strong>di</strong>es in Seven Arts,<br />

Constable, 1900)<br />

È sempre stato argomento <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione se recitare sia un’arte o no, e quin<strong>di</strong> se l’attore sia<br />

un Artista o qualcosa <strong>di</strong> ben <strong>di</strong>verso. Non abbiamo prove per affermare che questo problema abbia<br />

angustiato le menti dei maggiori pensatori <strong>di</strong> ogni epoca, comunque è ragionevole pensare che, se<br />

l’avessero ritenuto degno <strong>di</strong> seria considerazione, vi avrebbero applicato lo stesso metodo <strong>di</strong> ricerca<br />

usato nell’esaminare le altre arti, come la Musica e la Poesia, l’Architettura, la Scultura e la Pittura.<br />

D’altronde, in certi ambienti si sono avute accanite <strong>di</strong>scussioni su questo argomento.<br />

Raramente vi han preso parte degli attori, ancor più raramente dei veri uomini <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>, ma tutti<br />

hanno fatto mostra <strong>di</strong> una grande foga, peraltro ingiustificata, e in compenso <strong>di</strong> una scarsissima<br />

conoscenza della materia. Le argomentazioni <strong>di</strong> chi sostiene che recitare non è un’arte e che perciò<br />

l’attore non è un artista sono così irragionevoli e personali nella loro prevenzione contro l’attore, che<br />

forse proprio per questa ragione gli attori non si son dati pena <strong>di</strong> intervenire nella controversia. Così<br />

ora, regolarmente, ad ogni stagione giunge l’attacco settimanale contro l’attore e <strong>il</strong> suo piacevole<br />

mestiere, attacco che finisce <strong>di</strong> solito con la ritirata del nemico. Di regola quelli che vanno a<br />

ingrossare le f<strong>il</strong>e della parte avversa sono dei letterati o dei semplici privati: forti <strong>di</strong> essere andati a<br />

<strong>teatro</strong> tutta la vita, oppure <strong>di</strong> non esserci andati mai, neppure una volta, muovono all’attacco per<br />

ragioni note solo a loro. Ho seguito questi puntuali attacchi, <strong>di</strong> stagione in stagione, e mi è parso che<br />

per lo più abbiano origine da suscettib<strong>il</strong>ità, inimicizie personali o presunzione. Sono <strong>il</strong>logici dal<br />

principio alla fine: attacchi sim<strong>il</strong>i contro l’attore e <strong>il</strong> suo mestiere non hanno ragione d’esistere. Non è<br />

mia intenzione <strong>di</strong> prendere partito, vorrei soltanto esporvi quella che mi sembra la logica <strong>di</strong> un fatto<br />

strano, e che non credo possa esser messa in <strong>di</strong>scussione.<br />

Recitare non è un’arte; è quin<strong>di</strong> inesatto parlare dell’attore come <strong>di</strong> un artista. Perché tutto<br />

ciò che è accidentale è nemico dell’artista, l’arte è in antitesi assoluta con <strong>il</strong> caos, e <strong>il</strong> caos è creato<br />

dall’accozzaglia <strong>di</strong> molti fatti accidentali. All’arte si giunge unicamente <strong>di</strong> proposito. Quin<strong>di</strong> è chiaro<br />

che per produrre un’opera d’arte qualsiasi, possiamo lavorare soltanto con quei materiali che siamo<br />

in grado <strong>di</strong> controllare. L’uomo non è uno <strong>di</strong> questi materiali.<br />

Tutta la natura umana tende verso la libertà, perciò 1’uomo reca nella sua stessa persona la<br />

prova che, come materiale per <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>, egli è inut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>e. Nel <strong>teatro</strong> moderno, poiché ci si serve<br />

come materiale del corpo <strong>di</strong> uomini e donne, tutto quel che si rappresenta è <strong>di</strong> natura accidentale: le<br />

azioni fisiche dell’attore, l’espressione del suo volto, <strong>il</strong> suono della voce, tutto è in balia dei venti<br />

delle sue emozioni, e se è vero che questi venti spirano in continuazione attorno all’artista<br />

eccitandolo, non ne turbano mai 1’equ<strong>il</strong>ibrio. L’attore invece <strong>di</strong>viene succubo dell’emozione; essa gli<br />

invade le membra, le scuote come vuole. Egli è completamente in suo potere, si muove come uno in<br />

preda al delirio, o come un pazzo, barcollando qua e là; la testa, le braccia, i pie<strong>di</strong>, se pure non sono<br />

del tutto al <strong>di</strong> fuori del controllo, oppongono così poca resistenza al torrente delle passioni, che<br />

9 Mi faccio poche <strong>il</strong>lusioni che questo saggio riesca gra<strong>di</strong>to alle donne del nostro tempo; non spero assolutamente che<br />

possa mai essere <strong>di</strong> loro gusto. Quanto ad amarne l’idea fondamentale, la cosa per <strong>il</strong> momento non è loro possib<strong>il</strong>e.<br />

[Nota aggiunta dall’Autore per l’e<strong>di</strong>zione francese.]<br />

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possono cedere e fargli fare un passo falso da un momento all’altro. È inut<strong>il</strong>e che cerchi <strong>di</strong> ragionare;<br />

le chiare raccomandazioni <strong>di</strong> Amleto agli attori 10 (raccomandazioni da sognatore - sia detto per inciso<br />

- non da logico) sono parole al vento: spesso le membra si rifiutano <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>re alla mente quando<br />

1’emozione si accende, mentre la ragione non fa che alimentare <strong>il</strong> fuoco delle emozioni. Come per <strong>il</strong><br />

movimento, così succede per le espressioni del volto: la mente lottando riesce per un momento a far<br />

muovere gli occhi o i muscoli del volto secondo la propria volontà; ma appena riesce per pochi<br />

istanti a tenere <strong>il</strong> volto in perfetta soggezione, subito viene sopraffatta dall’emozione, che si è<br />

infiammata per azione della mente stessa. In un attimo, come un lampo, prima che la mente abbia <strong>il</strong><br />

tempo <strong>di</strong> gridare e <strong>di</strong> protestare, la passione ardente si è impadronita dell’espressione dell’attore.<br />

Essa si <strong>di</strong>storce, varia, osc<strong>il</strong>la e si agita, è spinta dall’emozione giù per la fronte dell’attore, fra gli<br />

occhi, fino alla bocca; ora egli è completamente alla mercé dell’emozione, e le grida: “Fa’ <strong>di</strong> me quello<br />

che vuoi!”. La sua espressione si perde in un tumulto pazzo, ed ecco! “Nulla nasce dal nulla”. Alla<br />

voce dell’attore accade lo stesso che ai suoi movimenti. L’emozione gliela soffoca, la costringe a<br />

cospirare anch’essa contro la ragione, la altera in modo tale che l’attore dà l’impressione <strong>di</strong><br />

un’emotività <strong>di</strong>scordante. È inut<strong>il</strong>e che mi veniate a <strong>di</strong>re che 1’emozione è l’anima degli dèi e che è<br />

proprio ciò che l’artista aspira a produrre; prima <strong>di</strong> tutto non è vero, e poi, anche se lo fosse, ogni<br />

emozione <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata, ogni sentimento accidentale, non può avere alcun valore. Abbiamo visto<br />

dunque che la mente dell’attore ha minor potere della sua emozione, perché 1’emozione è capace <strong>di</strong><br />

indurre la mente a collaborare alla <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> ciò che essa stessa vorrebbe produrre; e, dal<br />

momento che la mente <strong>di</strong>viene schiava dell’emozione, ne consegue che all’attore debbano capitare<br />

continui inconvenienti. Così siamo arrivati a questo punto: che 1’emozione è la causa che prima crea,<br />

poi <strong>di</strong>strugge. L’arte, come l’abbiamo definita, non può ammettere dei fatti accidentali; quin<strong>di</strong>, quel<br />

che l’attore ci dà non è un’opera d’arte, ma una serie <strong>di</strong> confessioni fortuite 11 . Nei tempi antichi <strong>il</strong><br />

corpo umano non era adoperato come materiale nell’Arte del Teatro: allora le emozioni degli uomini<br />

e delle donne non erano considerate uno spettacolo adatto per la moltitu<strong>di</strong>ne. Un elefante e una tigre<br />

in un’arena sod<strong>di</strong>sfacevano meglio i gusti degli spettatori, quando si voleva eccitarli. La lotta furiosa<br />

fra l’elefante e la tigre dava tutta 1’eccitazione che oggi possiamo ricevere dalla scena moderna, e allo<br />

stato puro. Uno spettacolo del genere non era più brutale, anzi era più delicato e umano: poiché non<br />

c’è nulla <strong>di</strong> più <strong>di</strong>sgustoso che esporre su <strong>di</strong> un palco uomini e donne, facendogli esibire quel che gli<br />

artisti si rifiutano <strong>di</strong> mostrare, se non velatamente e in una forma da essi pre<strong>di</strong>sposta. Come mai<br />

1’uomo abbia deciso <strong>di</strong> prendere <strong>il</strong> posto che fino a quel momento era riservato agli animali, non è<br />

<strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e arguirlo.<br />

L’uomo “<strong>di</strong> cultura” s’incontra con 1’uomo “<strong>di</strong> temperamento” e gli si rivolge press’a poco<br />

in questi termini: “Hai un aspetto davvero superbo: come ti muovi bene! La tua voce è sim<strong>il</strong>e al<br />

canto degli uccelli, e come risplendono i tuoi occhi! Fai proprio una figura magnifica! Somigli quasi a<br />

un <strong>di</strong>o! Secondo me bisognerebbe mostrare a tutti la tua bellezza. Scriverò poche righe, e tu le <strong>di</strong>rai<br />

rivolgendoti alla folla. Ti dovrai mettere in pie<strong>di</strong> <strong>di</strong>nanzi a loro e pronuncerai i miei versi come meglio<br />

ti piacerà. Certamente sarà una cosa perfetta”.<br />

E l’uomo <strong>di</strong> temperamento risponde: “Ma <strong>di</strong>ci sul serio? Veramente <strong>il</strong> <strong>mio</strong> aspetto ti sembra<br />

sim<strong>il</strong>e a quello <strong>di</strong> un <strong>di</strong>o? Non ci avevo mai pensato. E cre<strong>di</strong> proprio che mostrandomi alla folla<br />

potrei farle una bella impressione e la riempirei <strong>di</strong> entusiasmo?”. “No, no, no”, <strong>di</strong>ce l’uomo<br />

intelligente, “se ti fai solo vedere, no; ma se tu hai qualcosa da <strong>di</strong>re, susciterai davvero una grande<br />

impressione”.<br />

10 Amleto, atto III, scena 2.<br />

11 “<strong>Il</strong> bimbo che danza per suo piacere, l’agnello che ruzza, o <strong>il</strong> cerbiatto che gioca, sono degli esseri felici e benedetti,<br />

ma non sono degli artisti. L’artista è colui che si attiene a una regola dura, al fine <strong>di</strong> <strong>di</strong>spensarci una gioia deliziosa”.<br />

John Ruskin [Nota aggiunta dall’Autore per 1’e<strong>di</strong>zione francese.]<br />

47


L’altro risponde: “Credo che avrò qualche <strong>di</strong>fficoltà a pronunciare le tue parole. Mi sarebbe<br />

più fac<strong>il</strong>e mostrarmi soltanto e <strong>di</strong>re qualcosa <strong>di</strong> spontaneo, come: ‘Salute a tutti!’ Sento che facendo<br />

così forse riuscirei meglio a essere me stesso”. “Ottima idea”, risponde <strong>il</strong> tentatore, “questa del<br />

‘Salute a tutti!’. Su questo tema comporrò, <strong>di</strong>ciamo così, cento o duecento versi su misura per essere<br />

declamati. Me l’hai suggerito tu stesso. Salute! Siamo d’accordo, allora, che farai così?”. “Se vuoi”,<br />

risponde l’altro con una ottusità bonaria, lusingato oltre ogni <strong>di</strong>re.<br />

E così comincia la comme<strong>di</strong>a dell’autore e dell’attore. <strong>Il</strong> giovane mostrandosi alla folla,<br />

declamando i versi, fa una magnifica pubblicità all’arte delle lettere. Dopo l’applauso <strong>il</strong> giovane è<br />

presto <strong>di</strong>menticato; <strong>di</strong>menticato perfino <strong>il</strong> modo in cui ha pronunciato i versi, ma l’idea è nuova e<br />

originale, per quei tempi, e l’autore pensa bene <strong>di</strong> approfittarne, seguito ben presto da altri autori<br />

accortisi che ut<strong>il</strong>izzare come strumenti uomini avvenenti e fatui è davvero un’ottima trovata. Che poi<br />

lo strumento sia un essere umano non ha per loro la minima importanza. Pur non conoscendone i<br />

registri, riescono a trarne dei suoni, anche se ru<strong>di</strong>mentali, e trovano comunque che tutto ciò è<br />

veramente ut<strong>il</strong>e.<br />

È così che oggi assistiamo allo strano spettacolo <strong>di</strong> un uomo contento <strong>di</strong> enunciare i pensieri a<br />

cui un altro ha dato forma, mostrando la propria persona al pubblico. Fa questo perché è lusingato; e<br />

la vanità... non ragiona. Ma sempre finché esisterà <strong>il</strong> mondo la natura umana combatterà per la<br />

libertà, e si ribellerà all’essere fatta schiava, semplice veicolo per l’espressione dei pensieri <strong>di</strong> un<br />

altro. Si tratta <strong>di</strong> un problema molto grave, e non lo si può eludere affermando che se l’attore è <strong>il</strong><br />

mezzo <strong>di</strong> espressione dei pensieri <strong>di</strong> un altro, è lui che dà vita alle parole morte <strong>di</strong> un autore. Anche<br />

se ciò fosse vero (<strong>il</strong> che è escluso), anche se l’attore presentasse solo idee proprie, la sua natura<br />

rimarrebbe pur sempre in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> schiavitù; <strong>il</strong> suo corpo dovrebbe <strong>di</strong>venire lo schiavo della<br />

mente; e questo, come ho <strong>di</strong>mostrato, un corpo sano si rifiuta assolutamente <strong>di</strong> farlo. Quin<strong>di</strong> <strong>il</strong> corpo<br />

umano, per le ragioni che ho detto, è per sua natura assolutamente inut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>e come materiale<br />

artistico. Mi rendo pienamente conto del carattere generico <strong>di</strong> quest’affermazione; e, poiché concerne<br />

uomini e donne che sono in vita, e che come classe <strong>di</strong> persone son degni <strong>di</strong> ogni stima, devo<br />

aggiungere qualcosa, per non recar loro un’offesa involontaria. So benissimo che quel che ho detto<br />

non provocherà ancora l’esodo in massa degli attori da tutti i teatri del mondo, non li spingerà a<br />

rinchiudersi entro monasteri, dove irrideranno per <strong>il</strong> resto della loro vita l’arte del <strong>teatro</strong>, <strong>di</strong>venuta<br />

argomento capitale <strong>di</strong> piacevoli conversazioni. Come ho già scritto altrove, <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> continuerà a<br />

sv<strong>il</strong>upparsi e gli attori continueranno per alcuni anni a intralciare la sua evoluzione. Ma vedo uno<br />

spiraglio attraverso <strong>il</strong> quale gli attori potranno evadere in tempo dal servaggio in cui si trovano. Essi<br />

devono creare per se stessi una nuova forma <strong>di</strong> recitazione, consistente essenzialmente in gesti<br />

simbolici. Oggi essi impersonano e interpretano; domani dovranno rappresentare e interpretare; e<br />

dopodomani dovranno creare. In questo modo potrà aversi nuovamente uno st<strong>il</strong>e. Oggi l’attore<br />

impersona. Egli grida al pubblico: “State attenti; ora fingo <strong>di</strong> essere così e così, ed ora simulo questa e<br />

quest’altra azione” e poi si mette a imitare quanto più esattamente possib<strong>il</strong>e quello che ha<br />

annunziato che in<strong>di</strong>cherà. Supponiamo ad esempio che sia Romeo. Dice al pubblico che è<br />

innamorato, quin<strong>di</strong> prende a mostrarlo, baciando Giulietta. Questa, si afferma, è un’opera d’arte: si<br />

pretende che tutto ciò sia un modo intelligente <strong>di</strong> suggerire un pensiero. Ma perché, perché? È<br />

proprio come se un pittore <strong>di</strong>segnasse su <strong>di</strong> un muro un animale con le orecchie lunghe, e poi ci<br />

scrivesse sotto: “Questo è un asino”. Già è abbastanza chiaro, penseremo noi, anche senza<br />

1’iscrizione: qualunque ragazzo <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni sa fare altrettanto. La <strong>di</strong>fferenza fra <strong>il</strong> ragazzo <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci<br />

anni e l’artista è questa: l’artista è colui che tracciando certi segni e certe forme crea l’impressione <strong>di</strong><br />

un asino ed è tanto più grande se riesce a suscitare l’impressione del genere “asino”, della sua<br />

“essenza”.<br />

48


L’attore invece guarda alla vita come una macchina fotografica, e cerca <strong>di</strong> fare un ritratto che<br />

competa con una fotografia. Non immagina neppure che la sua arte sia sim<strong>il</strong>e, ad esempio, all’arte<br />

della musica. Egli si sforza <strong>di</strong> riprodurre la Natura; raramente pensa <strong>di</strong> inventare con l’aiuto della<br />

Natura, e non aspira mai a creare. Come ho detto, <strong>il</strong> meglio che può fare, quando vuole cogliere e<br />

rendere la poesia <strong>di</strong> un bacio, la foga <strong>di</strong> un combattimento, o la quiete della morte, è copiare<br />

fedelmente, fotograficamente - bacia - combatte - giace supino e fa la mimica della morte - ma, se ci<br />

pensate, tutto questo non è pura i<strong>di</strong>ozia? Misera arte e ab<strong>il</strong>ità da quattro sol<strong>di</strong> se non può offrire al<br />

pubblico lo spirito, l’essenza <strong>di</strong> un’idea, se è in grado soltanto <strong>di</strong> esibire una copia priva d’arte, un<br />

fac-sim<strong>il</strong>e della copia stessa! Questo si chiama essere un imitatore, non un artista. Questo è un<br />

proclamarsi parente del ventr<strong>il</strong>oquo 12 .<br />

Secondo un modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re del gergo teatrale, l’attore “entra nella pelle del suo personaggio”.<br />

Meglio sarebbe <strong>di</strong>re che “esce del tutto fuori della pelle del suo personaggio”. “E che”, grida <strong>il</strong><br />

br<strong>il</strong>lante attore <strong>di</strong> sangue caldo, “allora non ci deve essere né carne né sangue in questa monotona arte<br />

del vostro <strong>teatro</strong>? Non ci deve essere vita?”. Dipende da quel che voi chiamate vita, signor <strong>mio</strong>,<br />

quando usate questa parola in rapporto all’idea <strong>di</strong> arte. <strong>Il</strong> pittore intende qualcosa <strong>di</strong> molto <strong>di</strong>fferente<br />

dalla realtà imme<strong>di</strong>ata quando parla <strong>di</strong> vita, ed anche gli altri artisti in genere fanno lo stesso: si<br />

riferiscono a qualcosa <strong>di</strong> essenzialmente spirituale; soltanto l’attore, <strong>il</strong> ventr<strong>il</strong>oquo, o l’impagliatore<br />

d’animali, affermando <strong>di</strong> immettere la vita nel loro lavoro, intendono parlare <strong>di</strong> riproduzione<br />

materiale e fedele, <strong>di</strong> qualcosa che ha un aspetto vistoso e piacevole; per questo io <strong>di</strong>co che sarebbe<br />

meglio se l’attore cercasse <strong>di</strong> uscire completamente dalla pelle del suo personaggio. Se qualche attore<br />

leggerà <strong>il</strong> <strong>mio</strong> scritto, è possib<strong>il</strong>e che io non riesca a fargli intendere l’enorme assur<strong>di</strong>tà del suo<br />

comportamento, <strong>di</strong> questa sua convinzione circa la necessità <strong>di</strong> fare una vera copia, una riproduzione?<br />

Supponiamo adesso che un tale attore sia qui con me, mentre parlo. Inviterò un musicista e<br />

un pittore a unirsi a noi. Ora lasciamoli parlare. Quanto a me ne ho abbastanza <strong>di</strong> fare la parte <strong>di</strong><br />

colui che per motivi banali denigra <strong>il</strong> lavoro dell’attore. Se ho parlato in questo modo, l’ho fatto per<br />

amore del <strong>teatro</strong>, perché spero e ho fiducia che fra non molto uno straor<strong>di</strong>nario rivolgimento farà<br />

sorgere a nuova vita ciò che nel <strong>teatro</strong> è in decadenza, perche sono convinto che l’attore darà<br />

l’apporto del suo coraggio a questa rinascita. <strong>Il</strong> <strong>mio</strong> atteggiamento circa l’intera questione è frainteso<br />

da molti, nel <strong>teatro</strong>. È considerato come un <strong>mio</strong> atteggiamento, esclusivamente <strong>mio</strong>, ai loro occhi io<br />

sembro uno stravagante attaccabrighe, un pessimista, un brontolone: uno che è stanco <strong>di</strong> una cosa e<br />

cerca <strong>di</strong> mandarla in pezzi. Perciò lasciamo parlare gli altri artisti insieme con l’attore, e lasciamo che<br />

sia quest’ultimo a fare <strong>il</strong> <strong>di</strong>fensore della sua causa, in base all’opinione degli altri in materia d’arte.<br />

Se<strong>di</strong>amo qui a conversare, l’attore, <strong>il</strong> musicista, <strong>il</strong> pittore ed io. Io, dato che rappresento un’arte<br />

<strong>di</strong>stinta da tutte queste, me ne starò in s<strong>il</strong>enzio.<br />

Mentre ce ne stiamo seduti, <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso verte dapprima sulla Natura. Siamo circondati da belle<br />

colline declinanti, da alberi, da vaste montagne che si ergono in lontananza, coperte <strong>di</strong> neve; intorno a<br />

noi scorrono le innumerevoli, delicate voci della Natura... la Vita. “Come è bello”, <strong>di</strong>ce <strong>il</strong> pittore,<br />

“come e bella la sensazione che tutto questo ci procura!”. Insegue l’impossib<strong>il</strong>e sogno <strong>di</strong> portare<br />

integralmente sulla tela <strong>il</strong> valore materiale e spirituale <strong>di</strong> quello che lo circonda; eppure <strong>il</strong> suo<br />

atteggiamento è quello che in generale si assume davanti a una cosa molto pericolosa. <strong>Il</strong> musicista<br />

12 “Perciò quando qualcuno <strong>di</strong> questi pantomimi, che sono così ab<strong>il</strong>i ad imitare qualunque cosa, venisse da noi e ci<br />

proponesse <strong>di</strong> far mostra <strong>di</strong> sé e della sua poesia, noi cadremmo in ginocchio e l’adoreremmo, come un essere santo,<br />

meraviglioso e soave; dovremmo però anche informarlo che nel nostro Stato agli esseri come lui non è permesso <strong>di</strong><br />

esistere: le leggi non lo consentono. E così, dopo averlo unto <strong>di</strong> mirra ed incoronato con una ghirlanda <strong>di</strong> lana, lo<br />

dovremmo inviare in un’altra città. Perché inten<strong>di</strong>amo impiegare per la salute della nostra anima i più aspri e severi<br />

poeti e cantori <strong>di</strong> storie, che imiteranno lo st<strong>il</strong>e dei virtuosi soltanto, e seguiranno quei modelli che prescrivemmo da<br />

principio, quando cominciammo 1’educazione dei nostri soldati”. Platone. (Per <strong>il</strong> brano completo, troppo lungo per<br />

essere riportato qui, riman<strong>di</strong>amo <strong>il</strong> lettore a La Repubblica, libro III, p. 395.)<br />

[la citazione <strong>di</strong> Craig non è esatta: <strong>il</strong> passo corrisponde a La Repubblica, libro III, p. 398, A-B. (N.d.T.)]<br />

49


guarda fisso a terra. Quello dell’attore è uno sguardo interiore e personale, rivolto a se stesso.<br />

Inconsciamente egli assapora la sensazione <strong>di</strong> se stesso in atto <strong>di</strong> rappresentare la figura primaria e<br />

centrale in una scena realmente buona. Percorre a gran passi lo spazio fra noi e <strong>il</strong> panorama, girando<br />

in semicerchio, e guarda lo stupendo sfondo senza vederlo, conscio <strong>di</strong> una cosa soltanto: <strong>di</strong> se stesso<br />

e del suo atteggiamento. Naturalmente un’attrice se ne starebbe lì, um<strong>il</strong>e in presenza della Natura.<br />

Essa non è che una piccola cosa, una piccola, pittoresca particella; poiché questo è l’atteggiamento,<br />

la parte, che le conosciamo: quando sospira, pressoché non u<strong>di</strong>ta, comunicando al pubblico e a se<br />

stessa che essa è lì, piccolo “ohimé” in presenza del Dio che la creò, e tutte le altre sfumature del<br />

nonsenso sentimentale. In tal modo noi siamo tutti riuniti qui, e dopo aver preso gli atteggiamenti a<br />

noi naturali, seguitiamo a interrogarci a vicenda. Immaginiamo pure che, una volta tanto, pren<strong>di</strong>amo<br />

realmente interesse a scoprire tutto ciò che riguarda gli altri ed <strong>il</strong> loro lavoro. (Vi garantisco che la<br />

cosa è del tutto inconsueta e che l’egoismo mentale, la più alta forma <strong>di</strong> stupidaggine, rinchiude più<br />

<strong>di</strong> un artista riconosciuto, in un piccolo involucro impermeab<strong>il</strong>e). Ma ammettiamo che qui regni un<br />

generale interesse: che l’attore e <strong>il</strong> musicista desiderino imparare qualcosa sull’arte della pittura; e che<br />

<strong>il</strong> pittore e <strong>il</strong> musicista vogliano sapere dall’attore in che cosa consiste <strong>il</strong> suo lavoro, e se e per quale<br />

motivo egli lo consideri un’arte. Poiché qui essi non racconteranno le cose per metà, ma <strong>di</strong>ranno<br />

quello che pensano. Dal momento che non hanno <strong>di</strong> mira altro che la verità, non hanno nulla da<br />

temere; sono tutti buoni compagni, tutti buoni amici; non hanno la pelle delicata e possono dar colpi<br />

e riceverne. “Dicci un po’”, domanda <strong>il</strong> pittore, “è vero che prima <strong>di</strong> poter recitare bene una parte<br />

devi sentire le emozioni del personaggio che rappresenti?”. “Ebbene, sì e no; <strong>di</strong>pende da quello che<br />

vuoi <strong>di</strong>re”, risponde l’altro. “In un primo momento dobbiamo essere in grado <strong>di</strong> sentire le emozioni<br />

<strong>di</strong> un personaggio, <strong>di</strong> entrare in simpatia con esse e perfino <strong>di</strong> criticarle; osserviamo <strong>il</strong> personaggio da<br />

una certa <strong>di</strong>stanza, prima <strong>di</strong> identificarci con lui: cerchiamo, ut<strong>il</strong>izzando quanto più possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> testo,<br />

<strong>di</strong> richiamare alla mente tutte le forme <strong>di</strong> emozioni atte ad esser evidenziate in questo personaggio.<br />

Dopo aver più volte rior<strong>di</strong>nate e selezionate le emozioni che riteniamo più importanti, ci esercitiamo<br />

a riprodurle <strong>di</strong>nanzi al pubblico; e per far questo dobbiamo sentire solo quel poco che è necessario:<br />

meno sentiamo, infatti, più saldo sarà <strong>il</strong> controllo che avremo sull’espressione facciale e su quella del<br />

corpo”. Col gesto d’impazienza tipico del genio, l’artista si alza e comincia a camminare su e giù.<br />

Non l’ha sorpreso sentir <strong>di</strong>re dal suo amico che le emozioni non hanno eccessiva importanza, e che<br />

egli è in grado <strong>di</strong> controllare <strong>il</strong> volto, i tratti, la voce e così via, proprio come se <strong>il</strong> suo corpo fosse<br />

uno strumento. <strong>Il</strong> musicista si sprofonda sempre più nella sua poltrona. “Ma c’è mai stato un<br />

attore”, chiede l’artista, “che abbia educato <strong>il</strong> suo corpo dalla testa ai pie<strong>di</strong> al punto da ottenere una<br />

totale sottomissione al lavoro della mente senza <strong>il</strong> benché minimo intervento delle emozioni? Senza<br />

dubbio, ci deve essere stato un attore, <strong>di</strong>ciamo uno su <strong>di</strong>eci m<strong>il</strong>ioni, che l’ha fatto...”. “No”, <strong>di</strong>ce con<br />

enfasi l’attore, “mai, mai; non c’è mai stato un attore che abbia raggiunto un tale stato <strong>di</strong> perfezione<br />

meccanica da rendere <strong>il</strong> suo corpo schiavo assoluto della mente. Edmund Kean in Ingh<strong>il</strong>terra, Salvini<br />

in Italia, la Rachel, Eleonora Duse, li ho tutti presenti; eppure ripeto che non è mai esistito un attore<br />

o un’attrice come tu immagini”. E qui l’artista domanda: “Allora tu ammetti che ci potrebbe essere<br />

uno stato <strong>di</strong> perfezione?”. “Perché no? naturalmente. Ma è irrealizzab<strong>il</strong>e, sarà sempre irrealizzab<strong>il</strong>e”,<br />

grida l’attore; e si alza, quasi con un senso <strong>di</strong> sollievo. “È come <strong>di</strong>re che non c’è mai stato un attore<br />

perfetto, che non c’è mai stato un attore che non abbia rovinato la sua parte una, due, <strong>di</strong>eci volte,<br />

talora cento volte in una serata? Che non c’è mai stato un brano <strong>di</strong> recitazione che si possa <strong>di</strong>re<br />

almeno quasi perfetto, e che non ci sarà mai?”. Per tutta risposta l’attore chiede prontamente: “Ma<br />

c’è mai stato un <strong>di</strong>pinto, o un pezzo <strong>di</strong> architettura, o un brano <strong>di</strong> musica che si possa chiamare<br />

perfetto?”. “Senza dubbio”, rispondono gli altri. “Le leggi che governano le nostre arti consentono<br />

una tale possib<strong>il</strong>ità”. “Un quadro, per esempio”, continua l’artista, “può consistere <strong>di</strong> quattro linee,<br />

o <strong>di</strong> quattrocento linee, tirate in certe <strong>di</strong>rezioni; può essere elementare, ma è possib<strong>il</strong>e farlo perfetto.<br />

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Vale a <strong>di</strong>re, io posso innanzitutto scegliere gli strumenti per <strong>di</strong>segnare le linee, posso scegliere <strong>il</strong><br />

materiale su cui <strong>di</strong>sporle, posso, me<strong>di</strong>tare per tutto <strong>il</strong> tempo che voglio, posso cambiare; poi, in uno<br />

stato comunque libero da commozione, da fretta, da <strong>di</strong>sagi e da nervosismo - praticamente in uno<br />

stato scelto da me (perché io preparo, aspetto e scelgo anche questo) - posso buttar giù queste linee<br />

d’un tratto - così - tutto è a posto. Essendo padrone del <strong>mio</strong> materiale, nulla eccetto la mia volontà<br />

può muoverle o mutarle; e, come ho detto, la mia volontà è interamente sotto <strong>il</strong> <strong>mio</strong> controllo. La<br />

linea può essere <strong>di</strong>ritta od ondulata; o, se voglio, può essere curva, e non c’è rischio che se<br />

l’intenzione è fare una linea retta mi riesca curva, e se è <strong>di</strong> farne una curva, mi venga piena <strong>di</strong> angoli.<br />

E quando tutto è pronto - finito - non è suscettib<strong>il</strong>e <strong>di</strong> cambiamenti, tranne quelli che vorrà apportare<br />

<strong>il</strong> tempo, <strong>il</strong> quale alla fine lo <strong>di</strong>struggerà”. “La cosa è piuttosto fuori del comune”, risponde l’attore,<br />

“vorrei che fosse possib<strong>il</strong>e nel <strong>mio</strong> lavoro”. “Sì”, risponde l’artista, “è una cosa davvero<br />

straor<strong>di</strong>naria, ed è questo, io sostengo, che fa la <strong>di</strong>fferenza fra un’affermazione intelligente e una<br />

casuale o accidentale. L’affermazione per eccellenza intelligente è opera d’arte. L’affermazione<br />

accidentale è opera del caso. Quando le affermazioni intelligenti giungono alle forme più elevate<br />

<strong>di</strong>vengono opera d’arte superiore. E per questo ho sempre sostenuto, sebbene possa anche<br />

sbagliarmi, che <strong>il</strong> lavoro <strong>di</strong> voi attori non ha i caratteri dell’arte. Vale a <strong>di</strong>re (e anche tu l’hai detto) che<br />

ogni affermazione fatta nel vostro lavoro è soggetta a tutte le possib<strong>il</strong>i deformazioni che 1’emozione<br />

vuole apportarvi. Quel che immaginate col pensiero, <strong>il</strong> corpo non riesce a realizzarlo a causa della<br />

Natura. Praticamente, <strong>il</strong> corpo, prendendo <strong>il</strong> sopravvento sull’intelligenza, ed è successo spesso sul<br />

palcoscenico, ne ha completamente travisato gli intenti. Alcuni attori sembrano <strong>di</strong>re: ‘Che vantaggio<br />

c’è ad avere belle idee? A che scopo concepire una bella idea, un bel pensiero, se poi <strong>il</strong> corpo, che è<br />

completamente fuori <strong>di</strong> ogni controllo, rovinerà tutto? Tanto vale buttare a mare l’intelligenza, e<br />

lasciare che <strong>il</strong> corpo porti avanti me e lo spettacolo’. A me sembra che ci sia della saggezza nel punto<br />

<strong>di</strong> vista <strong>di</strong> un tale attore; non sta a ging<strong>il</strong>larsi fra le due cose che lottano in lui, una contro l’altra. Non<br />

ha <strong>il</strong> minimo timore del risultato. Lo affronta da uomo, a volte un tantino troppo come un centauro;<br />

butta via ogni scienza, ogni cautela, ogni ragione, ed <strong>il</strong> risultato è <strong>il</strong> buon umore degli spettatori, che<br />

per questo pagano volentieri. Ma noi qui stiamo parlando <strong>di</strong> altre cose, non <strong>di</strong> buon umore, e benché<br />

applau<strong>di</strong>amo l’attore che mette in mostra una personalità <strong>di</strong> questo genere, non dobbiamo<br />

<strong>di</strong>menticare che stiamo applaudendo la sua personalità: è lui che acclamiamo, non quel che sta<br />

facendo o <strong>il</strong> modo in cui lo fa: assolutamente niente a che fare con l’arte, con l’or<strong>di</strong>ne o col<br />

proposito”. “Sei proprio una cara creatura, un amico”, <strong>di</strong>ce l’attore ridendo allegramente “quando mi<br />

<strong>di</strong>ci che la mia attività non è un’arte! Ma credo <strong>di</strong> capire quello che inten<strong>di</strong>. Vuoi <strong>di</strong>re che prima che<br />

io appaia sulla scena, prima che <strong>il</strong> <strong>mio</strong> corpo cominci a entrare in gioco, io sono un artista”. “Ebbene,<br />

sì, tu lo sei, tu per caso lo sei, perché sei un pessimo attore; sulla scena sei abominevole, ma hai idee,<br />

hai immaginazione; sei piuttosto un’eccezione, dovrei <strong>di</strong>re. Ti ho ascoltato mentre mi <strong>di</strong>cevi come<br />

vorresti rappresentare <strong>il</strong> Riccardo III: cosa vorresti fare, che strana atmosfera vorresti creare su tutto<br />

l’insieme; e quello che tu hai veduto in questo lavoro, e quel che hai inventato, le aggiunte che hai<br />

apportato, sono così notevoli, così coerenti nella concezione, così <strong>di</strong>stinte e chiare nella forma, che,<br />

se potessi fare del tuo corpo una macchina o un pezzo <strong>di</strong> materia inerte come l’arg<strong>il</strong>la, e se esso ti<br />

potesse obbe<strong>di</strong>re in ogni movimento per tutto <strong>il</strong> tempo che è davanti al pubblico, e se potessi<br />

mettere da parte <strong>il</strong> poema <strong>di</strong> Shakespeare - saresti in grado <strong>di</strong> creare un’opera d’arte, con quel che è<br />

dentro <strong>di</strong> te. Perché non avresti sognato soltanto; avresti eseguito alla perfezione; e avresti potuto<br />

ripetere la tua esecuzione infinite volte, senza variazioni maggiori <strong>di</strong> quelle che <strong>di</strong>fferenziano due<br />

monetine”. “Ah”, sospira l’attore, “mi esponi un quadro terrib<strong>il</strong>e. Vorresti <strong>di</strong>mostrarmi che non<br />

abbiamo alcuna possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> considerarci artisti. Distruggi <strong>il</strong> nostro sogno più bello, e in cambio non<br />

ci offri nulla”. “No, non sono io che debbo offrire: siete voi che dovete trovare. Esisteranno<br />

certamente delle leggi bas<strong>il</strong>ari nell’Arte del Teatro, così come ce ne sono alla base <strong>di</strong> tutte le arti vere,<br />

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tutto sta a scoprirle, ad impadronirsene per ottenere tutto quel che si desidera, non ti pare?”. “Già,<br />

questa ricerca porterebbe gli attori davanti a un muro”. “Scavalcatelo, allora!”. “È troppo alto”.<br />

“Scalatelo, allora!”. “E come possiamo sapere dove ci porterebbe?”. “Mah, in cima, e dall’altra<br />

parte”. “Sì, ma questo è parlare da pazzi, sono <strong>di</strong>scorsi vuoti”. “Ebbene, questa è la <strong>di</strong>rezione che<br />

voi, compagni, dovete seguire: volare nell’aria, vivere nell’aria. Quando uno <strong>di</strong> voi avrà cominciato,<br />

qualcosa avverrà”. “Penso”, continua <strong>il</strong> pittore, “che presto troverete <strong>il</strong> bandolo della matassa, e<br />

allora che splen<strong>di</strong>do avvenire vi si aprirà <strong>di</strong>nanzi! In realtà, vi invi<strong>di</strong>o. Se la fotografia fosse stata<br />

inventata prima della pittura - a volte credo <strong>di</strong> desiderarlo -, noi <strong>di</strong> questa generazione avremmo<br />

potuto provare l’intensa gioia <strong>di</strong> progre<strong>di</strong>re, mostrando che la fotografia è una cosa valida nel suo<br />

genere, ma che c’è qualcosa <strong>di</strong> meglio!”. “Tu pensi che <strong>il</strong> nostro lavoro sia allo stesso livello della<br />

fotografia?”. “No, davvero, non ha neppure la metà della sua precisione, è meno artistico della stessa<br />

fotografia. Praticamente, tu ed io, che abbiamo parlato tutto questo tempo mentre <strong>il</strong> musicista se ne e<br />

stato seduto in s<strong>il</strong>enzio, sprofondandosi sempre più nella poltrona..., le nostre arti, voglio <strong>di</strong>re, in<br />

confronto alla sua sono scherzi, giochetti, assur<strong>di</strong>tà”. Al che <strong>il</strong> musicista se ne viene fuori a rovinar<br />

ogni cosa, alzandosi e dando via libera a osservazioni prive <strong>di</strong> senso. L’attore imme<strong>di</strong>atamente grida:<br />

“Non trovo proprio che questa sia un’osservazione tanto acuta per un rappresentante dell’unica arte<br />

<strong>di</strong> questo mondo”, al che tutti si mettono a ridere - <strong>il</strong> musicista fra imbarazzato e cosciente della<br />

gaffe. “Mio caro amico, questo accade proprio perché lui è un musicista. Non è nulla fuori del campo<br />

della sua musica. Praticamente, è alquanto limitato, eccetto quando parla in termini <strong>di</strong> note, toni,<br />

semitoni e cose del genere. Egli conosce appena la nostra lingua, conosce appena <strong>il</strong> nostro mondo, e<br />

più grande è <strong>il</strong> musicista, più questo fatto è evidente; è davvero un brutto segno quando ti imbatti in<br />

un compositore che è intelligente. Quanto al musicista intellettuale,... vale, a <strong>di</strong>re un...; ma non<br />

dobbiamo pronunciare <strong>il</strong> suo nome qui: è così popolare, oggi. Che attore sarebbe stato quest’uomo,<br />

che personalità aveva! Capisco che per tutta la vita ha covato <strong>il</strong> desiderio struggente <strong>di</strong> fare l’attore, e<br />

credo che sarebbe stato un eccellente comme<strong>di</strong>ante; mentre invece <strong>di</strong>venne musicista - o autore<br />

drammatico? In ogni modo tutto ciò dette luogo a un gran successo - un successo <strong>di</strong> personalità”.<br />

“Non era un successo artistico?” chiede <strong>il</strong> musicista. “Ma <strong>di</strong> che arte parli? Oh, <strong>di</strong> tutte le arti<br />

combinate insieme”, risponde quello, scioccamente ma con placi<strong>di</strong>tà. “Come può essere? Come<br />

possono tutte le arti combinarsi insieme e fare un’arte sola? Così si può produrre soltanto uno<br />

scherzo - soltanto... un <strong>teatro</strong>. Le cose che lentamente, per legge naturale, si uniscono insieme<br />

possono, nel corso <strong>di</strong> molti anni o <strong>di</strong> molti secoli, acquistare un certo <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> chiedere che la Natura<br />

<strong>di</strong>a alla loro fusione un nome nuovo. Soltanto in questo modo può sorgere un’arte nuova. Non credo<br />

che l’antica Madre approvi i processi forzati; e se mai chiude un occhio, presto si prende la rivincita:<br />

così è delle arti. Non puoi mescolarle e poi proclamare che hai creato un’arte nuova. Se sei in grado<br />

<strong>di</strong> trovare in Natura un materiale nuovo, che non sia mai stato usato dall’uomo per dar forma ai<br />

suoi pensieri, allora puoi <strong>di</strong>re che sei sulla strada buona per creare una nuova arte. Perché hai<br />

trovato ciò con cui la puoi creare. Poi non ti rimane altro che cominciare. <strong>Il</strong> <strong>teatro</strong>, come io lo vedo,<br />

deve ancora scoprire questo materiale”. E qui finisce la conversazione.<br />

Per parte mia, io son d’accordo con l’ultima affermazione dell’artista. Non proverò affatto<br />

piacere nel competere col valente fotografo, e aspirerò sempre a qualcosa <strong>di</strong> completamente opposto<br />

alla vita come la ve<strong>di</strong>amo. Questa vita <strong>di</strong> carne e sangue, che noi tutti amiamo, non è per me qualcosa<br />

in cui frugare e da mettere in mostra davanti al mondo, sia pure in forma convenzionale. Credo che la<br />

nostra aspirazione debba essere piuttosto cogliere una lontana, breve visione <strong>di</strong> quello spirito che<br />

chiamiamo Morte - evocare cose belle dal mondo immaginario; <strong>di</strong>cono che sono fredde, quelle cose<br />

morte, io non so - spesso sembrano più calde e più vive <strong>di</strong> ciò che si ostenta come vita. Ombre -<br />

spiriti mi sembrano essere più belli e vitali che uomini e donne, invischiati in meschinità, oggetti<br />

inumani, enigmatici: geli<strong>di</strong>ssimo gelo, angustissima umanità. Considerando abbastanza a lungo le cose<br />

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della vita, non scopriremo forse che non sono né belle, né misteriose, né tragiche, ma inerti,<br />

melodrammatiche, sciocche, e che cospirano contro la vitalità - contro ogni calore? E da tali cose, a<br />

cui manca <strong>il</strong> sole della vita, non si può trarre ispirazione. Come da quella vita misteriosa, gioiosa, <strong>di</strong><br />

una perfezione estrema, che si chiama Morte - vita d’ombre e d’immagini sconosciute, dove non è<br />

vero che tutto sia oscurità e nebbia, come s’immagina, ma al contrario vivi<strong>di</strong> colori, vivida luce, nitide<br />

forme; popolata <strong>di</strong> figure strane, fiere, solenni, pacate, sospinte verso una meravigliosa armonia <strong>di</strong><br />

movimento: da tutto questo è possib<strong>il</strong>e trovare ispirazione. E tutto questo è qualcosa <strong>di</strong> più che una<br />

semplice realtà effettiva. Da quest’idea della morte che sembra una specie <strong>di</strong> primavera, una fioritura<br />

- da questa contrada e da questa idea può giungere una ispirazione così vasta, che, con risoluta<br />

esultanza, io mi slancio verso <strong>di</strong> lei; e - guardate! - in un attimo, mi trovo le braccia piene <strong>di</strong> fiori.<br />

Non faccio che un passo o due, e <strong>di</strong> nuovo l’abbondanza mi circonda. Traverso senza fatica un mare<br />

<strong>di</strong> bellezza, veleggio dovunque i venti mi portino; là, là non c’è pericolo. Questo è <strong>il</strong> <strong>mio</strong> sogno; ma<br />

tutto <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> del mondo non si identifica con la mia persona, né con un centinaio <strong>di</strong> artisti o attori,<br />

ma con qualcosa <strong>di</strong> assai <strong>di</strong>fferente. Perciò le mie aspirazioni personali contano poco. Tuttavia la<br />

meta cui tende <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> in generale è <strong>di</strong> reintegrare l’arte che gli è propria; bisognerebbe allora cominciare<br />

col ban<strong>di</strong>re dal <strong>teatro</strong> quest’idea dalla personificazione, quest’idea <strong>di</strong> riprodurre la Natura;<br />

poiché, fin tanto che essa rimarrà nel <strong>teatro</strong>, esso non potrà mai <strong>di</strong>ventare libero. Gli attori<br />

dovrebbero educarsi seguendo le norme <strong>di</strong> un insegnamento meno attuale (se i princìpi ancora più<br />

antichi e più belli sono troppo <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>i per iniziare) e così eviteranno quel folle desiderio <strong>di</strong> immettere<br />

vita nel loro lavoro, perché sempre questo vuol <strong>di</strong>re portare sulla scena gesti eccessivi, una mimica<br />

affettata, <strong>di</strong>scorsi altisonanti e una scenografia abbagliante, nella vana e sfrenata <strong>il</strong>lusione che con un<br />

sistema del genere si possa, magicamente, evocare la vitalità. <strong>Il</strong> che in pochi casi, a confermare la<br />

regola, riesce, e solo parzialmente. Riesce imparzialmente alle impetuose personalità della Scena. Per<br />

loro è un vero caso <strong>di</strong> trionfo, malgrado le regole, proprio a <strong>di</strong>spetto delle regole, e noi che<br />

guar<strong>di</strong>amo buttiamo in aria i cappelli e gri<strong>di</strong>amo evviva. Siamo costretti ad agire così; non vogliamo<br />

metterci ad analizzare o a impostare problemi: seguiamo la corrente, ci abbandoniamo<br />

all’ammirazione e alla suggestione. Che questo sia solo una sorta <strong>di</strong> ipnotismo, <strong>il</strong> nostro gusto se ne<br />

infischia: siamo felici d’essere così commossi, e saltiamo letteralmente dalla gioia. La grande<br />

personalità ha avuto ragione contemporaneamente <strong>di</strong> noi e dell’arte. Ma le personalità <strong>di</strong> questo<br />

genere sono estremamente rare, e, se desideriamo vedere una personalità affermarsi in campo teatrale,<br />

e trionfare completamente come attore, dobbiamo nello stesso tempo essere del tutto in<strong>di</strong>fferenti<br />

all’opera rappresentata e agli altri attori, alla bellezza e all’arte.<br />

Quelli che non la pensano come me su tutta questa faccenda sono coloro che adorano,<br />

ammirano, rispettosamente, le personalità della Scena. Essi non tollerano la mia affermazione che la<br />

Scena debba essere ripulita <strong>di</strong> tutti i suoi attori ed attrici, prima <strong>di</strong> poter tornare a vivere <strong>di</strong> nuovo. E<br />

come potrebbero con<strong>di</strong>videre la mia idea? Questo comporterebbe l’esclusione dei loro favoriti - i due<br />

o tre esseri che per loro trasformano la scena da un volgare scherzo in una terra ideale. Ma che cosa<br />

possono temere? Non c’è alcun pericolo per i loro favoriti - perché se pure fosse possib<strong>il</strong>e emanare<br />

una legge che proibisse a tutti, uomini e donne, <strong>di</strong> apparire davanti al pubblico sulla scena <strong>di</strong> un<br />

<strong>teatro</strong>, essa non danneggerebbe in alcun modo quegli uomini e donne <strong>di</strong> grande personalità, a cui <strong>il</strong><br />

pubblico teatrale dà la corona. Supponiamo che alcuni <strong>di</strong> loro fossero nati in un’epoca in cui la Scena<br />

era sconosciuta; forse ciò avrebbe in qualche modo <strong>di</strong>minuito <strong>il</strong> potere - o impe<strong>di</strong>to loro <strong>di</strong><br />

esprimersi? Niente affatto. Le personalità eccezionali trovano sempre i mo<strong>di</strong> e gli strumenti con cui<br />

esprimersi; e la recitazione è soltanto uno - <strong>il</strong> minore, tra quelli <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>i; perciò questi uomini e<br />

donne sarebbero stati comunque famosi in ogni tempo e in ogni attività. Ma se ad alcuni riesce<br />

intollerab<strong>il</strong>e la mia proposta <strong>di</strong> ripulire la Scena <strong>di</strong> TUTTI gli attori e le attrici, nell’intento <strong>di</strong> restaurare<br />

l’Arte del Teatro, ve ne sono altri ai quali tale proposta è gra<strong>di</strong>ta.<br />

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“L’Artista”, <strong>di</strong>ce Flaubert, “dovrebbe essere nel suo lavoro sim<strong>il</strong>e a Dio nella creazione:<br />

invisib<strong>il</strong>e e onnipotente; si dovrebbe sentire la sua presenza dovunque senza vederlo in nessun luogo.<br />

L’Arte dovrebbe essere elevata al <strong>di</strong> sopra degli affetti e delle suscettività nervose 13 . È tempo ormai<br />

<strong>di</strong> darle la perfezione delle scienze fisiche per mezzo <strong>di</strong> un metodo rigoroso”. E ancora: “Io ho<br />

sempre cercato <strong>di</strong> non sminuire l’Arte per sod<strong>di</strong>sfare una personalità isolata”. Egli allude<br />

principalmente all’arte letteraria; ma se la sua opinione è così intransigente riguardo allo scrittore, a<br />

colui cioè che <strong>di</strong> fatto non si vede mai, ma si rivela soltanto per metà attraverso la sua opera,<br />

immaginiamo quale resistenza avrebbe opposto alla presenza effettiva dell’attore - personalità o non<br />

personalità.<br />

Charles Lamb <strong>di</strong>ce: “Assistere alla rappresentazione del Re Lear, vedere un vecchio vac<strong>il</strong>lante<br />

che va in giro con un bastone, cacciato fuori <strong>di</strong> casa dalle figlie, in una notte <strong>di</strong> pioggia, suscita solo<br />

pietà e <strong>di</strong>sgusto, null’altro. Vien voglia <strong>di</strong> offrirgli rifugio, ecco tutto quel che ho sentito, ogni<br />

qualvolta ho assistito ad una rappresentazione <strong>di</strong> Re Lear. <strong>Il</strong> macchinario con cui si fa 1’imitazione<br />

della tempesta, in mezzo a cui egli si trova, per quanto ru<strong>di</strong>mentale è sempre più adatto a<br />

rappresentare l’orrore degli elementi naturali che non un attore a fare la parte <strong>di</strong> Lear. Più agevole<br />

sarebbe <strong>il</strong> proposito <strong>di</strong> portare sulla scena <strong>il</strong> Satana <strong>di</strong> M<strong>il</strong>ton, oppure una delle terrib<strong>il</strong>i figure <strong>di</strong><br />

Michelangelo - quanto a Lear, è essenzialmente impossib<strong>il</strong>e rappresentarlo sulla scena”.<br />

“L’Amleto stesso sembra quasi impossib<strong>il</strong>e da rappresentare”, scrive W<strong>il</strong>liam Hazlitt.<br />

Dante nella Vita Nova ci <strong>di</strong>ce che, in sogno, Amore gli apparve nelle vesti <strong>di</strong> un giovane.<br />

Ragionando <strong>di</strong> Beatrice, Amore <strong>di</strong>ce a Dante: “voglio che tu <strong>di</strong>ca certe parole per rima, ne le quali tu<br />

compren<strong>di</strong> la forza che io tegno sopra te per lei... Queste parole, fa che siano quasi un mezzo, sì che<br />

tu non parli a lei imme<strong>di</strong>atamente, che non è degno” 14 . E ancora: “Avvenne poi che passando per<br />

uno cammino lungo lo quale sen gìa uno rivo chiaro molto, a me giunse tanta volontade <strong>di</strong> <strong>di</strong>re, che io<br />

cominciai a pensare lo modo ch’io tenesse; e pensai che parlare <strong>di</strong> lei non si convenìa che io facesse,<br />

se io non parlasse a donne in seconda persona...” 15 . Ve<strong>di</strong>amo dunque che per uomini <strong>di</strong> tal fatta è<br />

sconveniente che la persona viva si inserisca nel quadro e faccia mostra <strong>di</strong> sé sopra la tela. Essi<br />

considerano tutto ciò sconveniente - indegno.<br />

Abbiamo qui testimoni contrari all’intero sistema del <strong>teatro</strong> moderno. Collettivamente essi<br />

pronunciano la seguente sentenza: è arte deteriore quella che si serve <strong>di</strong> mezzi così violenti, così<br />

commoventi, da far <strong>di</strong>menticare allo spettatore <strong>il</strong> fatto in sé, travolgendolo con la personalità<br />

dell’attore, con la commozione che egli comunica. E ora ecco la testimonianza <strong>di</strong> un’attrice.<br />

Eleonora Duse ha detto: “Per salvare <strong>il</strong> Teatro, bisogna <strong>di</strong>struggere <strong>il</strong> Teatro, gli attori e le attrici<br />

devono tutti morire <strong>di</strong> peste... Essi rendono l’arte impossib<strong>il</strong>e” 16 . Possiamo crederle. Lei vuol <strong>di</strong>re<br />

quello a cui alludevano Flaubert e Dante, sia pure con parole <strong>di</strong>fferenti. E vi sono molte<br />

testimonianze ancora, in <strong>mio</strong> favore, se questa non sembra abbastanza probante. C’è gente che non<br />

va mai a <strong>teatro</strong>, m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> persone, rispetto alle migliaia che ci vanno. Poi abbiamo l’appoggio della<br />

maggior parte degli impresari del <strong>teatro</strong> d’oggi. L’impresario moderno pensa che sulla scena vadano<br />

presentati lavori con scenografie sontuose. Dice che non si deve risparmiare alcun sacrificio pur <strong>di</strong><br />

13<br />

“Pulcinella non ha sentimenti,” borbottava <strong>il</strong> dottor Johnson.<br />

Una sera, mentre Garrick recitava Re Lear, <strong>il</strong> dottor Johnson e <strong>il</strong> drammaturgo Murphy stavano fra le quinte e<br />

conversavano a mezza voce. Garrick, uscendo <strong>di</strong> scena, passò loro vicino e li rimproverò: “Parlate così forte,” <strong>di</strong>sse,<br />

“che <strong>di</strong>sturbate <strong>il</strong> <strong>mio</strong> sentimento”. “Pulcinella non ha sentimenti”, replicò <strong>il</strong> dottore. Questo è vero e non è vero.<br />

Pulcinella non è Garrick, e <strong>il</strong> dottore aveva ragione <strong>di</strong> augurarsi che Garrick arrivasse all’impersonalità <strong>di</strong> Pulcinella.<br />

Senonché Garrick non poteva sottomettersi a ciò che voleva Johnson. “Pulcinella non ha sentimenti, bravo Pulcinella”,<br />

borbottava <strong>il</strong> dottore, vedendo Garrick allontanarsi, “mentre Garrick ne ha, ed è tanto peggio per l’attore”. [Nota<br />

aggiunta dall’Autore per l’e<strong>di</strong>zione francese.]<br />

14<br />

Dante, Vita Nova, cap. XII.<br />

15<br />

Dante, op. cit., cap. XIX.<br />

16<br />

Cfr. Arthur Symons, Stu<strong>di</strong>es in Seven Arts, Constable, 1900.<br />

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dare agli spettatori l’<strong>il</strong>lusione della realtà. Ci fa notare <strong>di</strong> continuo l’importanza che ha tutto questo<br />

sfarzo scenico. Insiste su tutto ciò per parecchi motivi, fra cui <strong>il</strong> seguente non è <strong>il</strong> meno importante:<br />

egli sente che un lavoro semplice e buono rappresenta un grave pericolo; vede che esiste una quantità<br />

<strong>di</strong> gente, contraria a questo spreco <strong>di</strong> decorazioni; sa che c’è stato in Europa un notevole movimento<br />

contro 1’enormità <strong>di</strong> questo sfarzo, e che si è preteso <strong>di</strong>re che i gran<strong>di</strong> lavori ci<br />

guadagnano ad essere rappresentati con <strong>il</strong> più semplice sfondo. Si può provare che questo<br />

movimento d’opinione è potente e <strong>di</strong>ffuso da Cracovia a Mosca, da Parigi a Roma, da Londra a<br />

Berlino e a Vienna. Gli impresari avvertono questo pericolo davanti a loro, intuiscono che se a un<br />

certo momento la gente riuscisse a rendersi conto <strong>di</strong> questo fatto, se una sola volta gli spettatori<br />

gustassero <strong>il</strong> piacere che dà una rappresentazione a scena nuda, allora presto andrebbero oltre e<br />

vorrebbero drammi senza attori, e, alla fine, andrebbero ancora più avanti, e sarebbero loro, in effetti,<br />

non gli impresari, ad aver riformato l’Arte.<br />

Si racconta che Napoleone abbia detto: “Nella vita c’è molto d’indegno, che nell’Arte<br />

dovrebbe essere omesso; molto <strong>di</strong> dubbio e <strong>di</strong> incerto; e tutto questo dovrebbe sparire nella<br />

rappresentazione dell’eroe. Noi dovremmo vederlo come una statua, dove le debolezze o i tremiti<br />

della carne non siano più percettib<strong>il</strong>i”. E non solo Napoleone, ma Ben Jonson, Lessing, Edmund<br />

Scherer, Hans Christian Andersen, Lamb, Goethe, George Sand, Coleridge, Anatole France, Ruskin,<br />

Pater 17 e suppongo tutti gli uomini e le donne intelligenti d’Europa - senza parlare dell’Asia, perché<br />

in Asia persino le persone non dotate sono incapaci <strong>di</strong> comprendere le fotografie, mentre capiscono<br />

l’arte in quanto manifestazione semplice e chiara - hanno protestato contro la riproduzione della<br />

Natura, con <strong>il</strong> suo scialbo realismo fotografico. Hanno protestato contro tutto ciò, e gli impresari si<br />

sono messi a polemizzare con loro: c’è da aspettarsi che al momento buono salti fuori la verità. È<br />

una conclusione ragionevole. Fatela finita con l’albero reale sulla scena, fatela finita con la realtà della<br />

<strong>di</strong>zione, con la realtà dell’azione, e arriverete a farla finita con l’attore. Questo è quanto a suo tempo<br />

dovrà accadere, e mi piace veder gli impresari appoggiare l’idea fin da questo momento. Fatela finita<br />

con l’attore, e i mezzi con i quali si attua e fiorisce un degradante realismo scenico avranno cessato <strong>di</strong><br />

esistere. Non dovrebbe più esserci una figura viva atta solo a confonderci, facendo tutt’uno <strong>di</strong><br />

“quoti<strong>di</strong>ano” e arte; non una figura viva nella quale siano percettib<strong>il</strong>i le debolezze ed i tremiti della<br />

carne 18 .<br />

L’attore deve andarsene, e al suo posto deve intervenire la figura inanimata - possiamo<br />

chiamarla la Supermarionetta, 19 in attesa <strong>di</strong> un termine adeguato. Molto è stato scritto sul burattino,<br />

sulla marionetta. Sono stati de<strong>di</strong>cati loro degli ottimi volumi, e hanno pure ispirato parecchie opere<br />

d’arte. Oggi, che la marionetta attraversa <strong>il</strong> suo periodo meno felice, molta gente la considera come<br />

una bambola <strong>di</strong> tipo un po’ superiore - e pensa che sia una derivazione <strong>di</strong> quest’ultima. <strong>Il</strong> che è<br />

inesatto. La marionetta <strong>di</strong>scende dalle immagini <strong>di</strong> pietra dei templi antichi - e attualmente è una<br />

figura <strong>di</strong> un Dio alquanto degenerata. Anche se resta sempre la più cara amica dei bambini, sa ancora<br />

come scegliere ed attrarre i suoi sostenitori.<br />

17 Sulla scultura Pater scrive: “La sua luce bianca, monda dalle irose sanguigne macchie dell’azione e della passione,<br />

rivela non quel che c’è <strong>di</strong> contingente nell’uomo, ma <strong>il</strong> <strong>di</strong>o che è in lui e si contrappone all’inquieto agitarsi umano”. E<br />

ancora: “La base <strong>di</strong> ogni genio artistico è <strong>il</strong> potere <strong>di</strong> concepire l’umanità in un modo nuovo, sorprendente, gioioso, <strong>di</strong><br />

mettere un proprio mondo felice, una costruzione personale, al posto <strong>di</strong> quello me<strong>di</strong>ocre <strong>di</strong> ogni giorno, <strong>di</strong> creare<br />

intorno a tutto ciò l’atmosfera capace <strong>di</strong> nuove rifrazioni, scegliendo trasformando combinando in modo nuovo le<br />

immagini che essa trasmette, secondo una selezione dell’intelligenza fantastica”. Ancora: “Tutto ciò che è contingente,<br />

tutto quel che <strong>di</strong>stoglie dal semplice effetto che fanno su noi i tipi supremi dell’umano, ogni traccia <strong>di</strong> volgarità in essi,<br />

la scultura gradualmente l’elimina”.<br />

18 Da un altro punto <strong>di</strong> vista, che però non va trascurato o <strong>di</strong>scusso con leggerezza, <strong>il</strong> car<strong>di</strong>nale Manning, inglese, è<br />

particolarmente energico quando parla del mestiere dell’attore come <strong>di</strong> un mestiere che comporta “la prostituzione <strong>di</strong> un<br />

corpo purificato dal battesimo”.<br />

19 Nel testo inglese: Über-Marionette, vocabolo coniato sull’esempio dell’Über-Mensch nietzschiano. [N.d.T.]<br />

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Quando qualcuno <strong>di</strong>segna un pupazzo sulla carta, <strong>di</strong>segna una figura imbalsamata e comica;<br />

costui non ha mai pensato al significato più profondo dell’idea che noi chiamiamo marionetta. Egli<br />

prende per vuota stupi<strong>di</strong>tà e per deformità angolosa la gravità della faccia e l’immob<strong>il</strong>ità del corpo.<br />

Eppure anche i burattini moderni sono cose straor<strong>di</strong>narie. Se gli applausi scrosciano o se al contrario<br />

sono fiacchi, nei loro cuori <strong>il</strong> battito non accelera, né rallenta, i loro gesti non <strong>di</strong>ventano precipitosi o<br />

inesatti e, sebbene inondato da un torrente <strong>di</strong> fiori e d’ammirazione, <strong>il</strong> volto della prima attrice<br />

rimane solenne, bello e remoto, come sempre. C’è qualcosa <strong>di</strong> più che un lampo <strong>di</strong> genio nella<br />

marionetta, c’è qualcosa <strong>di</strong> più del bagliore <strong>di</strong> una personalità ostentata. La marionetta m’appare<br />

come l’ultima eco dell’arte nob<strong>il</strong>e e bella <strong>di</strong> una civ<strong>il</strong>tà passata. Ma, come avviene con tutte le arti che<br />

son cadute in mani rozze e volgari, <strong>il</strong> pupazzo è <strong>di</strong>ventato una cosa indegna. Tutti i burattini non<br />

sono ora che dei bassi comme<strong>di</strong>anti.<br />

Essi imitano i comme<strong>di</strong>anti della scena vivente più grande e più completa. Entrano in scena<br />

soltanto per cadere col sedere a terra. Bevono soltanto per barcollare, e fanno all’amore soltanto<br />

perché la gente rida. Hanno <strong>di</strong>menticato <strong>il</strong> consiglio della loro madre, la Sfinge. I corpi dei burattini<br />

hanno perduto la loro grazia complessa: sono <strong>di</strong>ventati rigi<strong>di</strong>. Gli occhi hanno perduto quella infinita<br />

astuzia del far finta <strong>di</strong> vedere: ora sono soltanto sbarrati. Essi ostentano e fanno tintinnare i loro f<strong>il</strong>i<br />

metallici, e sono <strong>di</strong>ventati eccessivamente tronfi nella loro saggezza <strong>di</strong> legno. Non si ricordano più<br />

che l’arte loro dovrebbe recare in sé lo stesso suggello <strong>di</strong> riservatezza, che ve<strong>di</strong>amo qualche volta nel<br />

lavoro degli altri artisti, e che l’arte più alta è quella che nasconde ogni artificio, non reca più traccia<br />

dell’artefice. Se non sbaglio, è l’antico Viaggiatore greco dell’Ottocento avanti Cristo 20 che,<br />

descrivendo una visita al tempio-<strong>teatro</strong> <strong>di</strong> Tebe, ci racconta come fosse soggiogato dalla bellezza dei<br />

burattini grazie alla loro “nob<strong>il</strong>e artificialità”. “Entrando nella sala delle Visioni io vi<strong>di</strong> in lontananza<br />

la bella bruna Regina seduta sul trono - sulla sua tomba - mi sembrò infatti che fosse l’una e l’altra<br />

cosa. Cad<strong>di</strong> a sedere e mi misi a osservare i suoi movimenti simbolici. Ogni ritmo mutava in lei con<br />

tanta dolcezza trasmettendosi insieme al movimento da un membro all’altro, con tanta evidente<br />

serenità <strong>di</strong>scioglieva i pensieri della sua anima; con tale gravità e bellezza indugiava nell’affermare <strong>il</strong><br />

suo dolore, che mi dette l’impressione <strong>di</strong> essere insensib<strong>il</strong>e a qualsiasi sofferenza; non un tremito<br />

nelle membra o nell’atteggiamento tra<strong>di</strong>va <strong>il</strong> sopravvento delle passioni: queste erano <strong>di</strong> continuo<br />

riafferrate dalle sue mani che ella muoveva soavemente e mirava con tranqu<strong>il</strong>lità. Le braccia e le mani<br />

sembrarono ad un tratto sim<strong>il</strong>i a un sott<strong>il</strong>e caldo getto d’acqua, che s’innalzi, poi frantumandosi cada<br />

con dolci palli<strong>di</strong> rivi sim<strong>il</strong>i a <strong>di</strong>ta come pioggia nel suo grembo. L’avrei considerata una rivelazione<br />

d’arte se non avessi già veduto lo stesso spirito negli altri esempi dell’arte <strong>di</strong> questi Egiziani.<br />

Quest’Arte <strong>di</strong> Rivelare e <strong>di</strong> Velare, com’essi la chiamano, è una loro forza spirituale così grande, da<br />

costituire nella religione la parte preponderante. Da essa possiamo apprendere qualcosa sul potere e<br />

sulla grazia del coraggio, perché è impossib<strong>il</strong>e essere testimone <strong>di</strong> un tale spettacolo senza provare<br />

un senso <strong>di</strong> ristoro fisico e spirituale”. Questo nell’Ottocento avanti Cristo. Chissà che i burattini<br />

non <strong>di</strong>ventino una volta ancora <strong>il</strong> fedele mezzo d’espressione dei pensieri dell’artista. È proibito<br />

forse sperare che <strong>il</strong> futuro ci riporterà ancora l’immagine o creatura simbolica, anch’essa costruita<br />

dalla destrezza dell’artista, consentendoci <strong>di</strong> riconquistare quella “nob<strong>il</strong>e artificialità”, <strong>di</strong> cui parla<br />

l’antico scrittore? Allora non subiremo più la crudele influenza delle sentimentali confessioni <strong>di</strong><br />

debolezza, alle quali la gente assiste ogni sera, e che inducono negli spettatori stessi la debolezza che<br />

mettono in mostra. Per questo dobbiamo cercare <strong>di</strong> ricostruire quelle immagini - e non accontentarci<br />

più del burattino: dobbiamo creare la Supermarionetta. La Supermarionetta non competerà con la<br />

vita - ma piuttosto andrà oltre. <strong>Il</strong> suo ideale non sarà la carne e <strong>il</strong> sangue ma piuttosto <strong>il</strong> corpo in<br />

20 L’antico Viaggiatore greco, a cui Craig allude qui, può essere soltanto Erodoto. Senonché, oltre all’evidente<br />

anacronismo, essendo Erodoto vissuto nel V secolo a. C., <strong>il</strong> brano citato non trova riscontro nel II libro delle “Storie”<br />

erodotee, che ha per argomento l’Egitto. [N.d.T.]<br />

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catalessi: aspirerà a vestire <strong>di</strong> una bellezza sim<strong>il</strong>e alla morte, pur emanando uno spirito <strong>di</strong> vita.<br />

Parecchie volte, nel corso <strong>di</strong> questo saggio, sono timidamente apparse sulla carta alcune parole<br />

intorno alla Morte - dal grido incessante <strong>di</strong> “Vita! Vita! Vita!” che i realisti emettono in<br />

continuazione. Questa può essere fac<strong>il</strong>mente presa per affettazione, specialmente da chi non ha<br />

simpatia o non trova nessun piacere nel potere e nella misteriosa gioia <strong>di</strong> tutte le opere d’arte scevre<br />

<strong>di</strong> passione. Se <strong>il</strong> famoso Rubens e <strong>il</strong> celebre Raffaello non crearono che espressioni appassionate ed<br />

esuberanti, vi furono pero molti artisti, prima e dopo <strong>di</strong> loro, per i quali la moderazione nell’arte fu <strong>il</strong><br />

sogno più prezioso, e questi più <strong>di</strong> tutti gli altri <strong>di</strong>edero prova <strong>di</strong> uno st<strong>il</strong>e veramente vir<strong>il</strong>e. Gli altri<br />

artisti esuberanti o tiepi<strong>di</strong>, le cui opere ed i cui nomi ottengono <strong>il</strong> favore dei moderni, non si<br />

esprimono da uomini, ma gridano piuttosto come animali, o cianciano come donne.<br />

I saggi, i moderati maestri, forti delle leggi, alle quali giurarono <strong>di</strong> restare sempre fedeli - i loro<br />

nomi ignoti - sono i creatori dei gran<strong>di</strong> e piccoli dèi dell’Oriente e dell’Occidente, i guar<strong>di</strong>ani <strong>di</strong> quei<br />

templi più gran<strong>di</strong>: essi protesero i loro pensieri verso 1’ignoto, cercando panorami e armonie in<br />

quella contrada pacifica e amena, per poter innalzare un’immagine <strong>di</strong> pietra o cantare un verso,<br />

imprimendogli quella pace e quella gioia che avevano intravisto lontano e che li compensava della<br />

tumultuosa angoscia terrena.<br />

In America possiamo immaginare i membri <strong>di</strong> quella famiglia <strong>di</strong> maestri, viventi nelle loro<br />

superbe antiche colossali città, che mi piace pensare potessero spostarsi in un sol giorno; città fatte<br />

<strong>di</strong> spaziose tende <strong>di</strong> seta e <strong>di</strong> baldacchini d’oro, sotto cui <strong>di</strong>moravano i loro dèi; abitazioni atte a<br />

sod<strong>di</strong>sfare le esigenze dell’uomo più incontentab<strong>il</strong>e; quelle città nob<strong>il</strong>i che, durante le migrazioni dalle<br />

alture al piano, sopra i fiumi ed in fondo alle valli, somigliavano quasi a gran<strong>di</strong> eserciti <strong>di</strong> pace in<br />

marcia. E in ciascuna città non vi erano solo uno o due uomini, chiamati “artisti”, a cui <strong>il</strong> resto della<br />

popolazione guardava come a dei poltroni buoni a nulla, ma molti, scelti per <strong>il</strong> loro più alto potere <strong>di</strong><br />

percezione. Perché questo è <strong>il</strong> significato <strong>di</strong> “artista”: un uomo che percepisce più dei suoi sim<strong>il</strong>i, e<br />

afferra più <strong>di</strong> quanto ha veduto. E non ultimo fra quegli artisti, c’era <strong>il</strong> maestro delle cerimonie, <strong>il</strong><br />

suscitatore delle visioni, <strong>il</strong> ministro <strong>il</strong> cui dovere era <strong>di</strong> celebrare lo spirito che li guidava - lo spirito<br />

del Movimento.<br />

Anche in Asia i <strong>di</strong>menticati maestri dei templi e <strong>di</strong> tutto ciò che essi contenevano hanno<br />

permeato ogni pensiero, ogni traccia del loro lavoro <strong>di</strong> questo senso <strong>di</strong> tranqu<strong>il</strong>lo movimento,<br />

evocatore della morte - glorificandolo ed esaltandolo. Anche in Africa (che secondo alcuni, comincia<br />

solo adesso a essere civ<strong>il</strong>izzata) <strong>di</strong>morò questo spirito, essenza <strong>di</strong> perfetta civ<strong>il</strong>tà. Là pure vissero i<br />

gran<strong>di</strong> maestri, i quali non erano in<strong>di</strong>vidui ossessionati dall’idea <strong>di</strong> esaltare ciascuno la propria<br />

personalità quasi fosse una cosa preziosa e potente, ma gente paga che una sacra pazienza muovesse<br />

i loro cervelli e le loro <strong>di</strong>ta nella sola <strong>di</strong>rezione permessa dalle leggi - a servizio delle semplici verità.<br />

Quanto la legge fosse severa e come poco 1’artista <strong>di</strong> quei tempi si permettesse <strong>di</strong> far mostra dei<br />

suoi sentimenti personali, si può constatare osservando un qualunque esempio dell’arte egizia.<br />

Guardate ogni membro scolpito dagli Egiziani, frugate dentro quegli occhi intagliati: essi vi<br />

respingeranno fino al giu<strong>di</strong>zio universale. <strong>Il</strong> loro atteggiamento è così s<strong>il</strong>enzioso, che somiglia alla<br />

Morte. Pure c’è una tenerezza, c’è un fascino; sempre la grazia si accompagna alla forza; 1’amore<br />

emana da ogni singola opera; ma 1’esuberanza, 1’emozione, la vanitosa personalità dell’artista? - non<br />

un solo cenno <strong>di</strong> tutto questo. I dubbi angosciosi, <strong>il</strong> travaglio interiore? - assolutamente nulla. La<br />

strenua risolutezza? - non un segno <strong>di</strong> ciò è sfuggito all’artista, nessuna <strong>di</strong> queste confessioni:<br />

stupidaggini. Non l’orgoglio, non timore né comicità, nessun segno che la mente o la mano dell’artista<br />

fossero anche solo per una frazione <strong>di</strong> un attimo fuori del controllo delle leggi che lo <strong>di</strong>sciplinavano.<br />

Che cosa meravigliosa! Questo è essere gran<strong>di</strong> artisti: la quantità <strong>di</strong> effusioni sentimentali <strong>di</strong> oggi e <strong>di</strong><br />

ieri non sono segni <strong>di</strong> suprema intelligenza, vale a <strong>di</strong>re non sono segni <strong>di</strong> arte suprema. Questo<br />

spirito venne in Europa, si librò sulla Grecia, a stento poté essere allontanato dall’Italia, ma<br />

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finalmente fuggì, lasciando un piccolo fiume <strong>di</strong> lacrime - perle - davanti a noi. E noi, dopo averne<br />

calpestate la maggior parte, dopo averle <strong>di</strong>vorate insieme alle ghiande del nostro pasto, siamo andati<br />

oltre e abbiamo mangiato <strong>di</strong> peggio, ci siamo prostrati davanti ai cosiddetti “gran<strong>di</strong> maestri”, ed<br />

abbiamo onorato queste pericolose e sfav<strong>il</strong>lanti personalità. Un giorno infausto pensammo, nella<br />

nostra ignoranza, che essi fossero stati mandati per rappresentarci, che fossero venuti ad esprimere i<br />

nostri pensieri, infine che quanto ispirava la loro architettura e la loro musica in qualche modo ci<br />

riguardasse. E fu così che arrivammo a pretendere <strong>di</strong> poterci riconoscere in tutto ciò a cui avevano<br />

posto mano: dovevamo esser presenti nella loro architettura, nella loro scultura, nella loro musica,<br />

nella pittura e nella poesia; e li incitammo perfino ad invitarci con le parole fam<strong>il</strong>iari: “Venite su, non<br />

vi formalizzate”.<br />

Gli artisti, dopo molti secoli, hanno finito col cedere, e ci hanno dato ciò che chiedevamo. E<br />

avvenne che, quando questa ignoranza ebbe allontanato <strong>il</strong> chiaro spirito che un tempo aveva<br />

governato la mente e la mano dell’artista, uno spirito oscuro prese <strong>il</strong> suo posto: <strong>il</strong> predone insolente<br />

sul trono della legge - vale a <strong>di</strong>re uno stupido spirito al potere; e ognuno cominciò a gridare al<br />

Rinascimento! mentre i pittori, i musicisti, gli scultori, gli architetti gareggiavano senza sosta l’uno<br />

contro l’altro per sod<strong>di</strong>sfare alla richiesta: che ogni cosa fosse fatta in modo che tutti potessero in<br />

qualche modo trovarvi la propria impronta.<br />

Saltarono fuori ritratti con facce congestionate, occhi incavati, bocche contorte, <strong>di</strong>ta rattratte<br />

nell’ansia <strong>di</strong> uscire dalla loro forma, giunture dalle quali sporgevano vene gonfie; tutti i colori alla<br />

rinfusa, tutte le linee in tumulto, sim<strong>il</strong>i ai deliri <strong>di</strong> un pazzo. La forma sconfina nel delirio, <strong>il</strong><br />

bisbigliare tranqu<strong>il</strong>lo e fresco della vita estatica, che un tempo aveva ispirato una speranza così<br />

ineffab<strong>il</strong>e, avvampa in fiamme e si annienta: al suo posto - <strong>il</strong> realismo, l’ottusa affermazione della<br />

vita, una cosa che ognuno accetta e fraintende insieme. Una cosa lontanissima dal fine dell’arte, che<br />

non è quello <strong>di</strong> riflettere i fatti quoti<strong>di</strong>ani <strong>di</strong> questa vita; perché non è proprio dell’artista camminare<br />

<strong>di</strong>etro le cose, avendo al contrario conquistato <strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egio <strong>di</strong> precederle - <strong>di</strong> guidarle. Piuttosto la vita<br />

dovrebbe riflettere la traccia dello spirito, poiché fu lo spirito, che primo scelse l’artista perché<br />

narrasse la sua bellezza 21 . E per una tale pittura, anche prendendo la forma dalla vita per la sua<br />

bellezza e frag<strong>il</strong>ità, <strong>il</strong> colore dev’esser cercato nella sconosciuta terra dell’immaginazione, la quale che<br />

altro è, se non la contrada dove abita ciò che noi chiamiamo Morte? Vedete: non è per leggerezza o<br />

per vanità che io parlo dei burattini e del loro potere <strong>di</strong> trattenere nel volto e nella forma quelle<br />

espressioni belle e lontane, anche quando sono sottoposte a una pioggia <strong>di</strong> lo<strong>di</strong>, a un torrente <strong>di</strong><br />

applausi. Vi sono persone che hanno preso in giro questi burattini. “Burattino” è in genere un<br />

termine spregiativo, sebbene ci sia ancora qualcuno che trova in queste figurine, pure così degenerate,<br />

della bellezza.<br />

Parlare <strong>di</strong> burattini suscita in molti, uomini e donne, un riso insensato. Pensano subito ai f<strong>il</strong>i,<br />

pensano alle mani rigide e ai movimenti irregolari; <strong>di</strong>cono: “È un bamboccio ri<strong>di</strong>colo”. Ma lasciatemi<br />

<strong>di</strong>r loro alcune poche cose intorno a questi burattini. Lasciate ch’io ripeta loro che i fantocci sono i<br />

<strong>di</strong>scendenti <strong>di</strong> una grande e nob<strong>il</strong>e famiglia d’Immagini, immagini che erano davvero “fatte a<br />

somiglianza <strong>di</strong> Dio”; e che molti secoli or sono queste figure avevano un movimento ritmico e non a<br />

scatti. Non avevano bisogno <strong>di</strong> f<strong>il</strong>i metallici che li sostenessero, né parlavano attraverso <strong>il</strong> naso del<br />

manovratore nascosto. (Povero Pulcinella, io non volevo <strong>di</strong>sprezzarti! Tu stai solo, più grande nella<br />

tua <strong>di</strong>sperazione, a guardare in<strong>di</strong>etro nei secoli con le lacrime <strong>di</strong>pinte umide ancora sulle tue gote<br />

antiche, e sembri gridare supplichevolmente al tuo cane: “Sorella Anna, sorella Anna, non viene<br />

nessuno?”. Poi con una delle tue magnifiche bravate volgi l’impeto del nostro riso - e delle mie<br />

lacrime - sopra te stesso con quello str<strong>il</strong>lo acuto che giunge al cuore: “Oh, <strong>il</strong> <strong>mio</strong> naso! Oh, <strong>il</strong> <strong>mio</strong><br />

21 “Tutte le forme sono perfette nella mente del poeta: ma esse non sono tratte fuori dalla Natura o composte a sua<br />

immagine: esse vengono dall’Immaginazione”. W<strong>il</strong>liam Blake.<br />

58


naso! Oh, <strong>il</strong> <strong>mio</strong> naso!”) Voi credete, signore e signori, che questi burattini siano sempre stati delle<br />

cosine alte una spanna?<br />

No davvero! <strong>Il</strong> fantoccio ebbe un tempo una forma più generosa della vostra.<br />

Credete che egli sgambettasse su <strong>di</strong> una piccola piattaforma <strong>di</strong> due metri quadrati, fatta in<br />

modo da somigliare a un teatrino all’antica, e costruita in modo che la testa del burattino giungesse a<br />

sfiorare <strong>il</strong> soffitto del proscenio? E credete che abbia sempre abitato in una casetta con porte e<br />

finestre piccole come quelle <strong>di</strong> una casa <strong>di</strong> bambola, con le persiane <strong>di</strong>pinte <strong>di</strong>vise nel centro, e con i<br />

fiori nel giar<strong>di</strong>netto pieni <strong>di</strong> petali sgargianti gran<strong>di</strong> come la sua testa? Cercate <strong>di</strong> cacciare del tutto<br />

queste idee dalla vostra mente, e lasciate che vi <strong>di</strong>ca qualcosa della sua abitazione.<br />

In Asia si stende <strong>il</strong> suo primo regno. Sulle rive del Gange gli costruirono la sua casa, un vasto<br />

palazzo che fra colonna e colonna si levava nell’aria e si immergeva nell’acqua. Circondata da giar<strong>di</strong>ni<br />

si stendeva calda e ricca <strong>di</strong> fiori e rinfrescata da fontane: giar<strong>di</strong>ni dentro i quali non penetrava alcun<br />

rumore, nei quali quasi nulla si muoveva. Soltanto nelle fresche, segrete camere <strong>di</strong> questo palazzo si<br />

agitavano senza tregua le menti rapide dei servitori. Stavano preparando una festa che gli si<br />

ad<strong>di</strong>cesse, una festa per onorare lo spirito che gli aveva dato la vita. Poi, un giorno, aveva luogo la<br />

cerimonia.<br />

A questa cerimonia egli prendeva parte: l’ennesima celebrazione in lode della Creazione;<br />

l’antico atto <strong>di</strong> grazia, l’evviva all’esistenza, ed insieme <strong>il</strong> più severo inno al priv<strong>il</strong>egio dell’esistenza<br />

futura, che è velata dalla parola Morte. E durante la cerimonia apparivano, davanti agli occhi, dei<br />

bruni adoratori, i simboli <strong>di</strong> tutte le cose esistenti sulla Terra e nel Nirvana. <strong>Il</strong> simbolo dell’albero<br />

bello, <strong>il</strong> simbolo delle colline, i simboli dei ricchi minerali racchiusi nelle colline; <strong>il</strong> simbolo della nube,<br />

del vento, e <strong>di</strong> tutte le cose alate; <strong>il</strong> simbolo del pensiero, del ricordo, più veloce <strong>di</strong> ogni altra cosa; <strong>il</strong><br />

simbolo dell’animale, <strong>il</strong> simbolo <strong>di</strong> Budda e dell’Uomo - ed eccola giungere, la figura, <strong>il</strong> burattino <strong>di</strong><br />

cui voi tutti ridete tanto. Voi oggi ridete <strong>di</strong> lui, perché non gli rimangono che le sue debolezze. Egli le<br />

riflette da voi; ma non avreste riso, se l’aveste veduto all’epoca del suo splendore quando era<br />

chiamato a rappresentare <strong>il</strong> simbolo dell’uomo nella grande cerimonia, quando, nel suo incedere, era<br />

l’immagine stessa della gioia del nostro cuore. Se noi ridessimo ed insultassimo la memoria del<br />

fantoccio, dovremmo ridere della caduta che abbiamo prodotta in noi stessi - ridere delle fe<strong>di</strong> e delle<br />

immagini che abbiamo spezzate 22 . Pochi secoli dopo troviamo la sua casa un po’ più logora per<br />

l’uso. Da un tempio che era è <strong>di</strong>venuta, non <strong>di</strong>rò un <strong>teatro</strong>, ma qualcosa tra <strong>il</strong> tempio e <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>, e in<br />

essa egli va perdendo la sua salute. Qualcosa è nell’aria. I dottori gli <strong>di</strong>cono che deve stare attento.<br />

“Cosa devo temere <strong>di</strong> più?” egli domanda. Gli rispondono: “Temi soprattutto la vanità degli<br />

22 Chiunque comprenda <strong>il</strong> valore della maschera e dei veli e li apprezzi si affianca allo scultore, all’architetto, all’orafo,<br />

al tipografo. Credete che <strong>il</strong> più modesto <strong>di</strong> loro <strong>di</strong>sprezzi la materia che lavora? Credete che <strong>il</strong> proto che compone la sua<br />

pagina non provi alcun sentimento per i suoi servi fedeli, i caratteri <strong>di</strong> stampa? Credete che egli permetta a qualcuno <strong>di</strong><br />

toccare le sue cassette? o che non si affezioni al conio, alla balestra e agli altri suoi collaboratori inanimati? La spada<br />

non è più cara al soldato <strong>di</strong> quanto lo sia <strong>il</strong> compositoio al tipografo. Osservate come lo scultore ama e accarezza la<br />

fredda pietra che collabora con lui alla sua opera. Avete notato come la guarda? L’avete visto scegliere qualche bel<br />

blocco <strong>di</strong> marmo o <strong>di</strong> granito? Egli non lo attacca come fa <strong>il</strong> domatore con una belva non ancora domata; non c’è lotta<br />

per decidere chi vincerà; non c’è zuffa fra animale e animale. Si tratta qui <strong>di</strong> tutt’altra cosa. Lo scultore confida<br />

nell’aiuto che gli verrà dato dalla bella pietra fredda. Trasalisce del più nob<strong>il</strong>e piacere, perché comprende la natura <strong>di</strong>vina<br />

<strong>di</strong> questo aiuto volontario e sicuro - che non è una sottomissione.<br />

Quanto all’architetto, egli ama la Proporzione. Che cos’è la Proporzione? Una semplice faccenda <strong>di</strong> calcolo,<br />

<strong>di</strong>rete voi.. Numeri... Eh, sì, è una fredda equazione, che sta alla base della cattedrale <strong>di</strong> Colonia. Tuttavia guardate <strong>il</strong><br />

fremito d’estasi <strong>di</strong>vina sorto da ciò che vi sembrava insensib<strong>il</strong>e, lettera morta, freddo calcolo. Voi mi <strong>di</strong>rete che si tratta<br />

soltanto <strong>di</strong> Immaginazione, <strong>di</strong> Ispirazione, e ve ne infischierete del calcolo. Notate bene che questa medesima<br />

Immaginazione, questa medesima Ispirazione sono a servizio del <strong>teatro</strong>, eppure l’artista della scena non ne ha mai tratto<br />

una perfezione che stia alla pari con la cattedrale <strong>di</strong> Colonia o <strong>il</strong> Partenone.<br />

No. La colpa è dell’uomo; e ogni uomo che sceglie un materiale bello per <strong>il</strong> suo lavoro, come lo scultore o<br />

l’architetto, deve creare un’opera più nob<strong>il</strong>e <strong>di</strong> quella dell’attore, <strong>il</strong> quale prende soltanto se stesso come materiale per la<br />

propria opera. [Nota aggiunta dall’Autore per l’e<strong>di</strong>zione francese].<br />

59


uomini”. Egli pensa: “Questo è quel che io stesso ho insegnato; questa è la paura che ho previsto per<br />

noi che celebriamo con gioia questa nostra esistenza. È possib<strong>il</strong>e che io, l’unico ad aver rivelato<br />

questa verità, debba essere l’unico a perderne la nozione, debba essere uno dei primi a cadere? È<br />

chiaro che si sta tramando insi<strong>di</strong>osamente contro <strong>di</strong> me. Terrò gli occhi rivolti al cielo”. E congeda i<br />

suoi dottori e me<strong>di</strong>ta su ciò.<br />

E ora lasciatevi <strong>di</strong>re chi fu che venne a turbare l’aria tranqu<strong>il</strong>la che circondava questa singolare<br />

cosa perfetta. Si racconta che molto tempo dopo egli prese <strong>di</strong>mora sulle coste dell’Estremo Oriente,<br />

e qui vennero due donne a guardarlo. Nella cerimonia alla quale esse assistettero, egli fiammeggiò <strong>di</strong><br />

tanto vivo splendore terreno, ma anche <strong>di</strong> una semplicità tanto ultraterrena, che - al contrario delle<br />

altre m<strong>il</strong>lenovecentonovantotto anime che partecipavano alla festa, nelle quali si provocò uno stato<br />

d’estasi che <strong>il</strong>luminava la mente anche se l’ubriacava - in queste due donne si provocò soltanto<br />

un’ubriacatura. Egli non le vide, gli occhi fissi al cielo, ma le riempì <strong>di</strong> un desiderio troppo grande per<br />

essere spento: <strong>il</strong> desiderio <strong>di</strong> assurgere a simbolo <strong>di</strong>retto della <strong>di</strong>vinita nell’uomo. Non frapposero<br />

indugi; vestendosi delle migliori vesti che potevano (“come le sue”, esse pensavano), muovendosi<br />

con dei gesti (“come i suoi”, pensavano), e riuscendo a produrre meraviglia negli animi degli<br />

spettatori (“come fa lui”, gridavano), esse costruirono da sé un tempio (“come <strong>il</strong> suo, come <strong>il</strong> suo”),<br />

e sod<strong>di</strong>sfecero le richieste del pubblico con questa misera paro<strong>di</strong>a.<br />

Questo si racconta. È <strong>il</strong> primo ricordo dell’attore in Oriente. L’attore nasce dalla folle vanità<br />

<strong>di</strong> due donne, che non furono abbastanza forti da guardare <strong>il</strong> simbolo della Divinità senza desiderare<br />

<strong>di</strong> imitarlo; e la paro<strong>di</strong>a si <strong>di</strong>mostrò profittevole. In cinquanta o cent’anni si dovevano costruire se<strong>di</strong><br />

per tali paro<strong>di</strong>e in tutte le parti del mondo.<br />

Le male erbe, si <strong>di</strong>ce, crescono rapidamente, e questo deserto <strong>di</strong> male erbe che è i1 <strong>teatro</strong><br />

moderno spuntò in fretta. L’immagine della marionetta <strong>di</strong>vina attirò sempre meno amatori, e le donne<br />

appunto <strong>di</strong>vennero “la moda”. Con lo svanire del burattino e la progressiva comparsa, al suo posto,<br />

<strong>di</strong> queste donne che facevano mostra <strong>di</strong> sé sul palcoscenico, si impose lo spirito oscuro che ha nome<br />

Caos, e sulla sua traccia <strong>il</strong> trionfo delle personalità turbolente. Vedete ora che cosa mi ha spinto ad<br />

amare, a cominciare ad apprezzare quello che chiamiamo <strong>il</strong> “burattino”, facendomi detestare ciò che<br />

si chiama “vita” nell’arte? Io prego assiduamente per <strong>il</strong> ritorno dell’immagine - la Supermarionetta -<br />

nel <strong>teatro</strong>; e quando essa tornerà, non appena essa verrà veduta, sarà amata a tal segno, che ancora<br />

una volta sarà possib<strong>il</strong>e ai popoli ritrovare nelle cerimonie l’antica gioia - ancora una volta la<br />

Creazione sarà celebrata - sarà tributato omaggio all’esistenza - e sarà fatta <strong>di</strong>vina e felice<br />

intercessione alla Morte 23 .<br />

Firenze, marzo 1907.<br />

23 “L’architettura egiziana, la più antica a noi nota - con i suoi architravi - i suoi monumenti concepiti in linee nob<strong>il</strong>i,<br />

in blocchi massicci - sempre de<strong>di</strong>cati alle Divinità della Morte, pro<strong>di</strong>gi <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>osità, <strong>di</strong> solenne serenità, <strong>di</strong> eterna<br />

durata”. Dr. G. Carotti, Histoire de l’Art. [Nota aggiunta dall’Autore per l’e<strong>di</strong>zione francese].<br />

60


L’Attore e la Supermarionetta 24<br />

De<strong>di</strong>cato con tutto l’affetto ai miei buoni amici<br />

De Vos e Alexander Hevesi.<br />

“Per salvare <strong>il</strong> Teatro, bisogna <strong>di</strong>struggere <strong>il</strong><br />

Teatro, gli attori e le attrici devono tutti morire<br />

<strong>di</strong> peste... Essi rendono l’arte impossib<strong>il</strong>e.”<br />

Eleonora Duse<br />

(Arthur Symons, Stu<strong>di</strong>es in Seven Arts,<br />

Constable, 1900)<br />

È sempre stato argomento <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione se recitare sia un’arte o no, e quin<strong>di</strong> se l’attore sia<br />

un Artista o qualcosa <strong>di</strong> ben <strong>di</strong>verso. Non abbiamo prove per affermare che questo problema abbia<br />

angustiato le menti dei maggiori pensatori <strong>di</strong> ogni epoca, comunque è ragionevole pensare che, se<br />

l’avessero ritenuto degno <strong>di</strong> seria considerazione, vi avrebbero applicato lo stesso metodo <strong>di</strong> ricerca<br />

usato nell’esaminare le altre arti, come la Musica e la Poesia, l’Architettura, la Scultura e la Pittura.<br />

D’altronde, in certi ambienti si sono avute accanite <strong>di</strong>scussioni su questo argomento.<br />

Raramente vi han preso parte degli attori, ancor più raramente dei veri uomini <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>, ma tutti<br />

hanno fatto mostra <strong>di</strong> una grande foga, peraltro ingiustificata, e in compenso <strong>di</strong> una scarsissima<br />

conoscenza della materia. Le argomentazioni <strong>di</strong> chi sostiene che recitare non è un’arte e che perciò<br />

l’attore non è un artista sono così irragionevoli e personali nella loro prevenzione contro l’attore, che<br />

forse proprio per questa ragione gli attori non si son dati pena <strong>di</strong> intervenire nella controversia. Così<br />

ora, regolarmente, ad ogni stagione giunge l’attacco settimanale contro l’attore e <strong>il</strong> suo piacevole<br />

mestiere, attacco che finisce <strong>di</strong> solito con la ritirata del nemico. Di regola quelli che vanno a<br />

ingrossare le f<strong>il</strong>e della parte avversa sono dei letterati o dei semplici privati: forti <strong>di</strong> essere andati a<br />

<strong>teatro</strong> tutta la vita, oppure <strong>di</strong> non esserci andati mai, neppure una volta, muovono all’attacco per<br />

ragioni note solo a loro. Ho seguito questi puntuali attacchi, <strong>di</strong> stagione in stagione, e mi è parso che<br />

per lo più abbiano origine da suscettib<strong>il</strong>ità, inimicizie personali o presunzione. Sono <strong>il</strong>logici dal<br />

principio alla fine: attacchi sim<strong>il</strong>i contro l’attore e <strong>il</strong> suo mestiere non hanno ragione d’esistere. Non è<br />

mia intenzione <strong>di</strong> prendere partito, vorrei soltanto esporvi quella che mi sembra la logica <strong>di</strong> un fatto<br />

strano, e che non credo possa esser messa in <strong>di</strong>scussione.<br />

Recitare non è un’arte; è quin<strong>di</strong> inesatto parlare dell’attore come <strong>di</strong> un artista. Perché tutto<br />

ciò che è accidentale è nemico dell’artista, l’arte è in antitesi assoluta con <strong>il</strong> caos, e <strong>il</strong> caos è creato<br />

dall’accozzaglia <strong>di</strong> molti fatti accidentali. All’arte si giunge unicamente <strong>di</strong> proposito. Quin<strong>di</strong> è chiaro<br />

che per produrre un’opera d’arte qualsiasi, possiamo lavorare soltanto con quei materiali che siamo<br />

in grado <strong>di</strong> controllare. L’uomo non è uno <strong>di</strong> questi materiali.<br />

Tutta la natura umana tende verso la libertà, perciò 1’uomo reca nella sua stessa persona la<br />

prova che, come materiale per <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>, egli è inut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>e. Nel <strong>teatro</strong> moderno, poiché ci si serve<br />

come materiale del corpo <strong>di</strong> uomini e donne, tutto quel che si rappresenta è <strong>di</strong> natura accidentale: le<br />

azioni fisiche dell’attore, l’espressione del suo volto, <strong>il</strong> suono della voce, tutto è in balia dei venti<br />

delle sue emozioni, e se è vero che questi venti spirano in continuazione attorno all’artista<br />

eccitandolo, non ne turbano mai 1’equ<strong>il</strong>ibrio. L’attore invece <strong>di</strong>viene succubo dell’emozione; essa gli<br />

invade le membra, le scuote come vuole. Egli è completamente in suo potere, si muove come uno in<br />

preda al delirio, o come un pazzo, barcollando qua e là; la testa, le braccia, i pie<strong>di</strong>, se pure non sono<br />

del tutto al <strong>di</strong> fuori del controllo, oppongono così poca resistenza al torrente delle passioni, che<br />

24 Mi faccio poche <strong>il</strong>lusioni che questo saggio riesca gra<strong>di</strong>to alle donne del nostro tempo; non spero assolutamente che<br />

possa mai essere <strong>di</strong> loro gusto. Quanto ad amarne l’idea fondamentale, la cosa per <strong>il</strong> momento non è loro possib<strong>il</strong>e.<br />

[Nota aggiunta dall’Autore per l’e<strong>di</strong>zione francese.]<br />

61


possono cedere e fargli fare un passo falso da un momento all’altro. È inut<strong>il</strong>e che cerchi <strong>di</strong> ragionare;<br />

le chiare raccomandazioni <strong>di</strong> Amleto agli attori 25 (raccomandazioni da sognatore - sia detto per inciso<br />

- non da logico) sono parole al vento: spesso le membra si rifiutano <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>re alla mente quando<br />

1’emozione si accende, mentre la ragione non fa che alimentare <strong>il</strong> fuoco delle emozioni. Come per <strong>il</strong><br />

movimento, così succede per le espressioni del volto: la mente lottando riesce per un momento a far<br />

muovere gli occhi o i muscoli del volto secondo la propria volontà; ma appena riesce per pochi<br />

istanti a tenere <strong>il</strong> volto in perfetta soggezione, subito viene sopraffatta dall’emozione, che si è<br />

infiammata per azione della mente stessa. In un attimo, come un lampo, prima che la mente abbia <strong>il</strong><br />

tempo <strong>di</strong> gridare e <strong>di</strong> protestare, la passione ardente si è impadronita dell’espressione dell’attore.<br />

Essa si <strong>di</strong>storce, varia, osc<strong>il</strong>la e si agita, è spinta dall’emozione giù per la fronte dell’attore, fra gli<br />

occhi, fino alla bocca; ora egli è completamente alla mercé dell’emozione, e le grida: “Fa’ <strong>di</strong> me quello<br />

che vuoi!”. La sua espressione si perde in un tumulto pazzo, ed ecco! “Nulla nasce dal nulla”. Alla<br />

voce dell’attore accade lo stesso che ai suoi movimenti. L’emozione gliela soffoca, la costringe a<br />

cospirare anch’essa contro la ragione, la altera in modo tale che l’attore dà l’impressione <strong>di</strong><br />

un’emotività <strong>di</strong>scordante. È inut<strong>il</strong>e che mi veniate a <strong>di</strong>re che 1’emozione è l’anima degli dèi e che è<br />

proprio ciò che l’artista aspira a produrre; prima <strong>di</strong> tutto non è vero, e poi, anche se lo fosse, ogni<br />

emozione <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata, ogni sentimento accidentale, non può avere alcun valore. Abbiamo visto<br />

dunque che la mente dell’attore ha minor potere della sua emozione, perché 1’emozione è capace <strong>di</strong><br />

indurre la mente a collaborare alla <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> ciò che essa stessa vorrebbe produrre; e, dal<br />

momento che la mente <strong>di</strong>viene schiava dell’emozione, ne consegue che all’attore debbano capitare<br />

continui inconvenienti. Così siamo arrivati a questo punto: che 1’emozione è la causa che prima crea,<br />

poi <strong>di</strong>strugge. L’arte, come l’abbiamo definita, non può ammettere dei fatti accidentali; quin<strong>di</strong>, quel<br />

che l’attore ci dà non è un’opera d’arte, ma una serie <strong>di</strong> confessioni fortuite 26 . Nei tempi antichi <strong>il</strong><br />

corpo umano non era adoperato come materiale nell’Arte del Teatro: allora le emozioni degli uomini<br />

e delle donne non erano considerate uno spettacolo adatto per la moltitu<strong>di</strong>ne. Un elefante e una tigre<br />

in un’arena sod<strong>di</strong>sfacevano meglio i gusti degli spettatori, quando si voleva eccitarli. La lotta furiosa<br />

fra l’elefante e la tigre dava tutta 1’eccitazione che oggi possiamo ricevere dalla scena moderna, e allo<br />

stato puro. Uno spettacolo del genere non era più brutale, anzi era più delicato e umano: poiché non<br />

c’è nulla <strong>di</strong> più <strong>di</strong>sgustoso che esporre su <strong>di</strong> un palco uomini e donne, facendogli esibire quel che gli<br />

artisti si rifiutano <strong>di</strong> mostrare, se non velatamente e in una forma da essi pre<strong>di</strong>sposta. Come mai<br />

1’uomo abbia deciso <strong>di</strong> prendere <strong>il</strong> posto che fino a quel momento era riservato agli animali, non è<br />

<strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e arguirlo.<br />

L’uomo “<strong>di</strong> cultura” s’incontra con 1’uomo “<strong>di</strong> temperamento” e gli si rivolge press’a poco<br />

in questi termini: “Hai un aspetto davvero superbo: come ti muovi bene! La tua voce è sim<strong>il</strong>e al<br />

canto degli uccelli, e come risplendono i tuoi occhi! Fai proprio una figura magnifica! Somigli quasi a<br />

un <strong>di</strong>o! Secondo me bisognerebbe mostrare a tutti la tua bellezza. Scriverò poche righe, e tu le <strong>di</strong>rai<br />

rivolgendoti alla folla. Ti dovrai mettere in pie<strong>di</strong> <strong>di</strong>nanzi a loro e pronuncerai i miei versi come meglio<br />

ti piacerà. Certamente sarà una cosa perfetta”.<br />

E l’uomo <strong>di</strong> temperamento risponde: “Ma <strong>di</strong>ci sul serio? Veramente <strong>il</strong> <strong>mio</strong> aspetto ti sembra<br />

sim<strong>il</strong>e a quello <strong>di</strong> un <strong>di</strong>o? Non ci avevo mai pensato. E cre<strong>di</strong> proprio che mostrandomi alla folla<br />

potrei farle una bella impressione e la riempirei <strong>di</strong> entusiasmo?”. “No, no, no”, <strong>di</strong>ce l’uomo<br />

intelligente, “se ti fai solo vedere, no; ma se tu hai qualcosa da <strong>di</strong>re, susciterai davvero una grande<br />

impressione”.<br />

25 Amleto, atto III, scena 2.<br />

26 “<strong>Il</strong> bimbo che danza per suo piacere, l’agnello che ruzza, o <strong>il</strong> cerbiatto che gioca, sono degli esseri felici e benedetti,<br />

ma non sono degli artisti. L’artista è colui che si attiene a una regola dura, al fine <strong>di</strong> <strong>di</strong>spensarci una gioia deliziosa”.<br />

John Ruskin [Nota aggiunta dall’Autore per 1’e<strong>di</strong>zione francese.]<br />

62


L’altro risponde: “Credo che avrò qualche <strong>di</strong>fficoltà a pronunciare le tue parole. Mi sarebbe<br />

più fac<strong>il</strong>e mostrarmi soltanto e <strong>di</strong>re qualcosa <strong>di</strong> spontaneo, come: ‘Salute a tutti!’ Sento che facendo<br />

così forse riuscirei meglio a essere me stesso”. “Ottima idea”, risponde <strong>il</strong> tentatore, “questa del<br />

‘Salute a tutti!’. Su questo tema comporrò, <strong>di</strong>ciamo così, cento o duecento versi su misura per essere<br />

declamati. Me l’hai suggerito tu stesso. Salute! Siamo d’accordo, allora, che farai così?”. “Se vuoi”,<br />

risponde l’altro con una ottusità bonaria, lusingato oltre ogni <strong>di</strong>re.<br />

E così comincia la comme<strong>di</strong>a dell’autore e dell’attore. <strong>Il</strong> giovane mostrandosi alla folla,<br />

declamando i versi, fa una magnifica pubblicità all’arte delle lettere. Dopo l’applauso <strong>il</strong> giovane è<br />

presto <strong>di</strong>menticato; <strong>di</strong>menticato perfino <strong>il</strong> modo in cui ha pronunciato i versi, ma l’idea è nuova e<br />

originale, per quei tempi, e l’autore pensa bene <strong>di</strong> approfittarne, seguito ben presto da altri autori<br />

accortisi che ut<strong>il</strong>izzare come strumenti uomini avvenenti e fatui è davvero un’ottima trovata. Che poi<br />

lo strumento sia un essere umano non ha per loro la minima importanza. Pur non conoscendone i<br />

registri, riescono a trarne dei suoni, anche se ru<strong>di</strong>mentali, e trovano comunque che tutto ciò è<br />

veramente ut<strong>il</strong>e.<br />

È così che oggi assistiamo allo strano spettacolo <strong>di</strong> un uomo contento <strong>di</strong> enunciare i pensieri a<br />

cui un altro ha dato forma, mostrando la propria persona al pubblico. Fa questo perché è lusingato; e<br />

la vanità... non ragiona. Ma sempre finché esisterà <strong>il</strong> mondo la natura umana combatterà per la<br />

libertà, e si ribellerà all’essere fatta schiava, semplice veicolo per l’espressione dei pensieri <strong>di</strong> un<br />

altro. Si tratta <strong>di</strong> un problema molto grave, e non lo si può eludere affermando che se l’attore è <strong>il</strong><br />

mezzo <strong>di</strong> espressione dei pensieri <strong>di</strong> un altro, è lui che dà vita alle parole morte <strong>di</strong> un autore. Anche<br />

se ciò fosse vero (<strong>il</strong> che è escluso), anche se l’attore presentasse solo idee proprie, la sua natura<br />

rimarrebbe pur sempre in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> schiavitù; <strong>il</strong> suo corpo dovrebbe <strong>di</strong>venire lo schiavo della<br />

mente; e questo, come ho <strong>di</strong>mostrato, un corpo sano si rifiuta assolutamente <strong>di</strong> farlo. Quin<strong>di</strong> <strong>il</strong> corpo<br />

umano, per le ragioni che ho detto, è per sua natura assolutamente inut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>e come materiale<br />

artistico. Mi rendo pienamente conto del carattere generico <strong>di</strong> quest’affermazione; e, poiché concerne<br />

uomini e donne che sono in vita, e che come classe <strong>di</strong> persone son degni <strong>di</strong> ogni stima, devo<br />

aggiungere qualcosa, per non recar loro un’offesa involontaria. So benissimo che quel che ho detto<br />

non provocherà ancora l’esodo in massa degli attori da tutti i teatri del mondo, non li spingerà a<br />

rinchiudersi entro monasteri, dove irrideranno per <strong>il</strong> resto della loro vita l’arte del <strong>teatro</strong>, <strong>di</strong>venuta<br />

argomento capitale <strong>di</strong> piacevoli conversazioni. Come ho già scritto altrove, <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> continuerà a<br />

sv<strong>il</strong>upparsi e gli attori continueranno per alcuni anni a intralciare la sua evoluzione. Ma vedo uno<br />

spiraglio attraverso <strong>il</strong> quale gli attori potranno evadere in tempo dal servaggio in cui si trovano. Essi<br />

devono creare per se stessi una nuova forma <strong>di</strong> recitazione, consistente essenzialmente in gesti<br />

simbolici. Oggi essi impersonano e interpretano; domani dovranno rappresentare e interpretare; e<br />

dopodomani dovranno creare. In questo modo potrà aversi nuovamente uno st<strong>il</strong>e. Oggi l’attore<br />

impersona. Egli grida al pubblico: “State attenti; ora fingo <strong>di</strong> essere così e così, ed ora simulo questa e<br />

quest’altra azione” e poi si mette a imitare quanto più esattamente possib<strong>il</strong>e quello che ha<br />

annunziato che in<strong>di</strong>cherà. Supponiamo ad esempio che sia Romeo. Dice al pubblico che è<br />

innamorato, quin<strong>di</strong> prende a mostrarlo, baciando Giulietta. Questa, si afferma, è un’opera d’arte: si<br />

pretende che tutto ciò sia un modo intelligente <strong>di</strong> suggerire un pensiero. Ma perché, perché? È<br />

proprio come se un pittore <strong>di</strong>segnasse su <strong>di</strong> un muro un animale con le orecchie lunghe, e poi ci<br />

scrivesse sotto: “Questo è un asino”. Già è abbastanza chiaro, penseremo noi, anche senza<br />

1’iscrizione: qualunque ragazzo <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni sa fare altrettanto. La <strong>di</strong>fferenza fra <strong>il</strong> ragazzo <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci<br />

anni e l’artista è questa: l’artista è colui che tracciando certi segni e certe forme crea l’impressione <strong>di</strong><br />

un asino ed è tanto più grande se riesce a suscitare l’impressione del genere “asino”, della sua<br />

“essenza”.<br />

63


L’attore invece guarda alla vita come una macchina fotografica, e cerca <strong>di</strong> fare un ritratto che<br />

competa con una fotografia. Non immagina neppure che la sua arte sia sim<strong>il</strong>e, ad esempio, all’arte<br />

della musica. Egli si sforza <strong>di</strong> riprodurre la Natura; raramente pensa <strong>di</strong> inventare con l’aiuto della<br />

Natura, e non aspira mai a creare. Come ho detto, <strong>il</strong> meglio che può fare, quando vuole cogliere e<br />

rendere la poesia <strong>di</strong> un bacio, la foga <strong>di</strong> un combattimento, o la quiete della morte, è copiare<br />

fedelmente, fotograficamente - bacia - combatte - giace supino e fa la mimica della morte - ma, se ci<br />

pensate, tutto questo non è pura i<strong>di</strong>ozia? Misera arte e ab<strong>il</strong>ità da quattro sol<strong>di</strong> se non può offrire al<br />

pubblico lo spirito, l’essenza <strong>di</strong> un’idea, se è in grado soltanto <strong>di</strong> esibire una copia priva d’arte, un<br />

fac-sim<strong>il</strong>e della copia stessa! Questo si chiama essere un imitatore, non un artista. Questo è un<br />

proclamarsi parente del ventr<strong>il</strong>oquo 27 .<br />

Secondo un modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re del gergo teatrale, l’attore “entra nella pelle del suo personaggio”.<br />

Meglio sarebbe <strong>di</strong>re che “esce del tutto fuori della pelle del suo personaggio”. “E che”, grida <strong>il</strong><br />

br<strong>il</strong>lante attore <strong>di</strong> sangue caldo, “allora non ci deve essere né carne né sangue in questa monotona arte<br />

del vostro <strong>teatro</strong>? Non ci deve essere vita?”. Dipende da quel che voi chiamate vita, signor <strong>mio</strong>,<br />

quando usate questa parola in rapporto all’idea <strong>di</strong> arte. <strong>Il</strong> pittore intende qualcosa <strong>di</strong> molto <strong>di</strong>fferente<br />

dalla realtà imme<strong>di</strong>ata quando parla <strong>di</strong> vita, ed anche gli altri artisti in genere fanno lo stesso: si<br />

riferiscono a qualcosa <strong>di</strong> essenzialmente spirituale; soltanto l’attore, <strong>il</strong> ventr<strong>il</strong>oquo, o l’impagliatore<br />

d’animali, affermando <strong>di</strong> immettere la vita nel loro lavoro, intendono parlare <strong>di</strong> riproduzione<br />

materiale e fedele, <strong>di</strong> qualcosa che ha un aspetto vistoso e piacevole; per questo io <strong>di</strong>co che sarebbe<br />

meglio se l’attore cercasse <strong>di</strong> uscire completamente dalla pelle del suo personaggio. Se qualche attore<br />

leggerà <strong>il</strong> <strong>mio</strong> scritto, è possib<strong>il</strong>e che io non riesca a fargli intendere l’enorme assur<strong>di</strong>tà del suo<br />

comportamento, <strong>di</strong> questa sua convinzione circa la necessità <strong>di</strong> fare una vera copia, una riproduzione?<br />

Supponiamo adesso che un tale attore sia qui con me, mentre parlo. Inviterò un musicista e<br />

un pittore a unirsi a noi. Ora lasciamoli parlare. Quanto a me ne ho abbastanza <strong>di</strong> fare la parte <strong>di</strong><br />

colui che per motivi banali denigra <strong>il</strong> lavoro dell’attore. Se ho parlato in questo modo, l’ho fatto per<br />

amore del <strong>teatro</strong>, perché spero e ho fiducia che fra non molto uno straor<strong>di</strong>nario rivolgimento farà<br />

sorgere a nuova vita ciò che nel <strong>teatro</strong> è in decadenza, perche sono convinto che l’attore darà<br />

l’apporto del suo coraggio a questa rinascita. <strong>Il</strong> <strong>mio</strong> atteggiamento circa l’intera questione è frainteso<br />

da molti, nel <strong>teatro</strong>. È considerato come un <strong>mio</strong> atteggiamento, esclusivamente <strong>mio</strong>, ai loro occhi io<br />

sembro uno stravagante attaccabrighe, un pessimista, un brontolone: uno che è stanco <strong>di</strong> una cosa e<br />

cerca <strong>di</strong> mandarla in pezzi. Perciò lasciamo parlare gli altri artisti insieme con l’attore, e lasciamo che<br />

sia quest’ultimo a fare <strong>il</strong> <strong>di</strong>fensore della sua causa, in base all’opinione degli altri in materia d’arte.<br />

Se<strong>di</strong>amo qui a conversare, l’attore, <strong>il</strong> musicista, <strong>il</strong> pittore ed io. Io, dato che rappresento un’arte<br />

<strong>di</strong>stinta da tutte queste, me ne starò in s<strong>il</strong>enzio.<br />

Mentre ce ne stiamo seduti, <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso verte dapprima sulla Natura. Siamo circondati da belle<br />

colline declinanti, da alberi, da vaste montagne che si ergono in lontananza, coperte <strong>di</strong> neve; intorno a<br />

noi scorrono le innumerevoli, delicate voci della Natura... la Vita. “Come è bello”, <strong>di</strong>ce <strong>il</strong> pittore,<br />

“come e bella la sensazione che tutto questo ci procura!”. Insegue l’impossib<strong>il</strong>e sogno <strong>di</strong> portare<br />

integralmente sulla tela <strong>il</strong> valore materiale e spirituale <strong>di</strong> quello che lo circonda; eppure <strong>il</strong> suo<br />

atteggiamento è quello che in generale si assume davanti a una cosa molto pericolosa. <strong>Il</strong> musicista<br />

27 “Perciò quando qualcuno <strong>di</strong> questi pantomimi, che sono così ab<strong>il</strong>i ad imitare qualunque cosa, venisse da noi e ci<br />

proponesse <strong>di</strong> far mostra <strong>di</strong> sé e della sua poesia, noi cadremmo in ginocchio e l’adoreremmo, come un essere santo,<br />

meraviglioso e soave; dovremmo però anche informarlo che nel nostro Stato agli esseri come lui non è permesso <strong>di</strong><br />

esistere: le leggi non lo consentono. E così, dopo averlo unto <strong>di</strong> mirra ed incoronato con una ghirlanda <strong>di</strong> lana, lo<br />

dovremmo inviare in un’altra città. Perché inten<strong>di</strong>amo impiegare per la salute della nostra anima i più aspri e severi<br />

poeti e cantori <strong>di</strong> storie, che imiteranno lo st<strong>il</strong>e dei virtuosi soltanto, e seguiranno quei modelli che prescrivemmo da<br />

principio, quando cominciammo 1’educazione dei nostri soldati”. Platone. (Per <strong>il</strong> brano completo, troppo lungo per<br />

essere riportato qui, riman<strong>di</strong>amo <strong>il</strong> lettore a La Repubblica, libro III, p. 395.)<br />

[la citazione <strong>di</strong> Craig non è esatta: <strong>il</strong> passo corrisponde a La Repubblica, libro III, p. 398, A-B. (N.d.T.)]<br />

64


guarda fisso a terra. Quello dell’attore è uno sguardo interiore e personale, rivolto a se stesso.<br />

Inconsciamente egli assapora la sensazione <strong>di</strong> se stesso in atto <strong>di</strong> rappresentare la figura primaria e<br />

centrale in una scena realmente buona. Percorre a gran passi lo spazio fra noi e <strong>il</strong> panorama, girando<br />

in semicerchio, e guarda lo stupendo sfondo senza vederlo, conscio <strong>di</strong> una cosa soltanto: <strong>di</strong> se stesso<br />

e del suo atteggiamento. Naturalmente un’attrice se ne starebbe lì, um<strong>il</strong>e in presenza della Natura.<br />

Essa non è che una piccola cosa, una piccola, pittoresca particella; poiché questo è l’atteggiamento,<br />

la parte, che le conosciamo: quando sospira, pressoché non u<strong>di</strong>ta, comunicando al pubblico e a se<br />

stessa che essa è lì, piccolo “ohimé” in presenza del Dio che la creò, e tutte le altre sfumature del<br />

nonsenso sentimentale. In tal modo noi siamo tutti riuniti qui, e dopo aver preso gli atteggiamenti a<br />

noi naturali, seguitiamo a interrogarci a vicenda. Immaginiamo pure che, una volta tanto, pren<strong>di</strong>amo<br />

realmente interesse a scoprire tutto ciò che riguarda gli altri ed <strong>il</strong> loro lavoro. (Vi garantisco che la<br />

cosa è del tutto inconsueta e che l’egoismo mentale, la più alta forma <strong>di</strong> stupidaggine, rinchiude più<br />

<strong>di</strong> un artista riconosciuto, in un piccolo involucro impermeab<strong>il</strong>e). Ma ammettiamo che qui regni un<br />

generale interesse: che l’attore e <strong>il</strong> musicista desiderino imparare qualcosa sull’arte della pittura; e che<br />

<strong>il</strong> pittore e <strong>il</strong> musicista vogliano sapere dall’attore in che cosa consiste <strong>il</strong> suo lavoro, e se e per quale<br />

motivo egli lo consideri un’arte. Poiché qui essi non racconteranno le cose per metà, ma <strong>di</strong>ranno<br />

quello che pensano. Dal momento che non hanno <strong>di</strong> mira altro che la verità, non hanno nulla da<br />

temere; sono tutti buoni compagni, tutti buoni amici; non hanno la pelle delicata e possono dar colpi<br />

e riceverne. “Dicci un po’”, domanda <strong>il</strong> pittore, “è vero che prima <strong>di</strong> poter recitare bene una parte<br />

devi sentire le emozioni del personaggio che rappresenti?”. “Ebbene, sì e no; <strong>di</strong>pende da quello che<br />

vuoi <strong>di</strong>re”, risponde l’altro. “In un primo momento dobbiamo essere in grado <strong>di</strong> sentire le emozioni<br />

<strong>di</strong> un personaggio, <strong>di</strong> entrare in simpatia con esse e perfino <strong>di</strong> criticarle; osserviamo <strong>il</strong> personaggio da<br />

una certa <strong>di</strong>stanza, prima <strong>di</strong> identificarci con lui: cerchiamo, ut<strong>il</strong>izzando quanto più possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> testo,<br />

<strong>di</strong> richiamare alla mente tutte le forme <strong>di</strong> emozioni atte ad esser evidenziate in questo personaggio.<br />

Dopo aver più volte rior<strong>di</strong>nate e selezionate le emozioni che riteniamo più importanti, ci esercitiamo<br />

a riprodurle <strong>di</strong>nanzi al pubblico; e per far questo dobbiamo sentire solo quel poco che è necessario:<br />

meno sentiamo, infatti, più saldo sarà <strong>il</strong> controllo che avremo sull’espressione facciale e su quella del<br />

corpo”. Col gesto d’impazienza tipico del genio, l’artista si alza e comincia a camminare su e giù.<br />

Non l’ha sorpreso sentir <strong>di</strong>re dal suo amico che le emozioni non hanno eccessiva importanza, e che<br />

egli è in grado <strong>di</strong> controllare <strong>il</strong> volto, i tratti, la voce e così via, proprio come se <strong>il</strong> suo corpo fosse<br />

uno strumento. <strong>Il</strong> musicista si sprofonda sempre più nella sua poltrona. “Ma c’è mai stato un<br />

attore”, chiede l’artista, “che abbia educato <strong>il</strong> suo corpo dalla testa ai pie<strong>di</strong> al punto da ottenere una<br />

totale sottomissione al lavoro della mente senza <strong>il</strong> benché minimo intervento delle emozioni? Senza<br />

dubbio, ci deve essere stato un attore, <strong>di</strong>ciamo uno su <strong>di</strong>eci m<strong>il</strong>ioni, che l’ha fatto...”. “No”, <strong>di</strong>ce con<br />

enfasi l’attore, “mai, mai; non c’è mai stato un attore che abbia raggiunto un tale stato <strong>di</strong> perfezione<br />

meccanica da rendere <strong>il</strong> suo corpo schiavo assoluto della mente. Edmund Kean in Ingh<strong>il</strong>terra, Salvini<br />

in Italia, la Rachel, Eleonora Duse, li ho tutti presenti; eppure ripeto che non è mai esistito un attore<br />

o un’attrice come tu immagini”. E qui l’artista domanda: “Allora tu ammetti che ci potrebbe essere<br />

uno stato <strong>di</strong> perfezione?”. “Perché no? naturalmente. Ma è irrealizzab<strong>il</strong>e, sarà sempre irrealizzab<strong>il</strong>e”,<br />

grida l’attore; e si alza, quasi con un senso <strong>di</strong> sollievo. “È come <strong>di</strong>re che non c’è mai stato un attore<br />

perfetto, che non c’è mai stato un attore che non abbia rovinato la sua parte una, due, <strong>di</strong>eci volte,<br />

talora cento volte in una serata? Che non c’è mai stato un brano <strong>di</strong> recitazione che si possa <strong>di</strong>re<br />

almeno quasi perfetto, e che non ci sarà mai?”. Per tutta risposta l’attore chiede prontamente: “Ma<br />

c’è mai stato un <strong>di</strong>pinto, o un pezzo <strong>di</strong> architettura, o un brano <strong>di</strong> musica che si possa chiamare<br />

perfetto?”. “Senza dubbio”, rispondono gli altri. “Le leggi che governano le nostre arti consentono<br />

una tale possib<strong>il</strong>ità”. “Un quadro, per esempio”, continua l’artista, “può consistere <strong>di</strong> quattro linee,<br />

o <strong>di</strong> quattrocento linee, tirate in certe <strong>di</strong>rezioni; può essere elementare, ma è possib<strong>il</strong>e farlo perfetto.<br />

65


Vale a <strong>di</strong>re, io posso innanzitutto scegliere gli strumenti per <strong>di</strong>segnare le linee, posso scegliere <strong>il</strong><br />

materiale su cui <strong>di</strong>sporle, posso, me<strong>di</strong>tare per tutto <strong>il</strong> tempo che voglio, posso cambiare; poi, in uno<br />

stato comunque libero da commozione, da fretta, da <strong>di</strong>sagi e da nervosismo - praticamente in uno<br />

stato scelto da me (perché io preparo, aspetto e scelgo anche questo) - posso buttar giù queste linee<br />

d’un tratto - così - tutto è a posto. Essendo padrone del <strong>mio</strong> materiale, nulla eccetto la mia volontà<br />

può muoverle o mutarle; e, come ho detto, la mia volontà è interamente sotto <strong>il</strong> <strong>mio</strong> controllo. La<br />

linea può essere <strong>di</strong>ritta od ondulata; o, se voglio, può essere curva, e non c’è rischio che se<br />

l’intenzione è fare una linea retta mi riesca curva, e se è <strong>di</strong> farne una curva, mi venga piena <strong>di</strong> angoli.<br />

E quando tutto è pronto - finito - non è suscettib<strong>il</strong>e <strong>di</strong> cambiamenti, tranne quelli che vorrà apportare<br />

<strong>il</strong> tempo, <strong>il</strong> quale alla fine lo <strong>di</strong>struggerà”. “La cosa è piuttosto fuori del comune”, risponde l’attore,<br />

“vorrei che fosse possib<strong>il</strong>e nel <strong>mio</strong> lavoro”. “Sì”, risponde l’artista, “è una cosa davvero<br />

straor<strong>di</strong>naria, ed è questo, io sostengo, che fa la <strong>di</strong>fferenza fra un’affermazione intelligente e una<br />

casuale o accidentale. L’affermazione per eccellenza intelligente è opera d’arte. L’affermazione<br />

accidentale è opera del caso. Quando le affermazioni intelligenti giungono alle forme più elevate<br />

<strong>di</strong>vengono opera d’arte superiore. E per questo ho sempre sostenuto, sebbene possa anche<br />

sbagliarmi, che <strong>il</strong> lavoro <strong>di</strong> voi attori non ha i caratteri dell’arte. Vale a <strong>di</strong>re (e anche tu l’hai detto) che<br />

ogni affermazione fatta nel vostro lavoro è soggetta a tutte le possib<strong>il</strong>i deformazioni che 1’emozione<br />

vuole apportarvi. Quel che immaginate col pensiero, <strong>il</strong> corpo non riesce a realizzarlo a causa della<br />

Natura. Praticamente, <strong>il</strong> corpo, prendendo <strong>il</strong> sopravvento sull’intelligenza, ed è successo spesso sul<br />

palcoscenico, ne ha completamente travisato gli intenti. Alcuni attori sembrano <strong>di</strong>re: ‘Che vantaggio<br />

c’è ad avere belle idee? A che scopo concepire una bella idea, un bel pensiero, se poi <strong>il</strong> corpo, che è<br />

completamente fuori <strong>di</strong> ogni controllo, rovinerà tutto? Tanto vale buttare a mare l’intelligenza, e<br />

lasciare che <strong>il</strong> corpo porti avanti me e lo spettacolo’. A me sembra che ci sia della saggezza nel punto<br />

<strong>di</strong> vista <strong>di</strong> un tale attore; non sta a ging<strong>il</strong>larsi fra le due cose che lottano in lui, una contro l’altra. Non<br />

ha <strong>il</strong> minimo timore del risultato. Lo affronta da uomo, a volte un tantino troppo come un centauro;<br />

butta via ogni scienza, ogni cautela, ogni ragione, ed <strong>il</strong> risultato è <strong>il</strong> buon umore degli spettatori, che<br />

per questo pagano volentieri. Ma noi qui stiamo parlando <strong>di</strong> altre cose, non <strong>di</strong> buon umore, e benché<br />

applau<strong>di</strong>amo l’attore che mette in mostra una personalità <strong>di</strong> questo genere, non dobbiamo<br />

<strong>di</strong>menticare che stiamo applaudendo la sua personalità: è lui che acclamiamo, non quel che sta<br />

facendo o <strong>il</strong> modo in cui lo fa: assolutamente niente a che fare con l’arte, con l’or<strong>di</strong>ne o col<br />

proposito”. “Sei proprio una cara creatura, un amico”, <strong>di</strong>ce l’attore ridendo allegramente “quando mi<br />

<strong>di</strong>ci che la mia attività non è un’arte! Ma credo <strong>di</strong> capire quello che inten<strong>di</strong>. Vuoi <strong>di</strong>re che prima che<br />

io appaia sulla scena, prima che <strong>il</strong> <strong>mio</strong> corpo cominci a entrare in gioco, io sono un artista”. “Ebbene,<br />

sì, tu lo sei, tu per caso lo sei, perché sei un pessimo attore; sulla scena sei abominevole, ma hai idee,<br />

hai immaginazione; sei piuttosto un’eccezione, dovrei <strong>di</strong>re. Ti ho ascoltato mentre mi <strong>di</strong>cevi come<br />

vorresti rappresentare <strong>il</strong> Riccardo III: cosa vorresti fare, che strana atmosfera vorresti creare su tutto<br />

l’insieme; e quello che tu hai veduto in questo lavoro, e quel che hai inventato, le aggiunte che hai<br />

apportato, sono così notevoli, così coerenti nella concezione, così <strong>di</strong>stinte e chiare nella forma, che,<br />

se potessi fare del tuo corpo una macchina o un pezzo <strong>di</strong> materia inerte come l’arg<strong>il</strong>la, e se esso ti<br />

potesse obbe<strong>di</strong>re in ogni movimento per tutto <strong>il</strong> tempo che è davanti al pubblico, e se potessi<br />

mettere da parte <strong>il</strong> poema <strong>di</strong> Shakespeare - saresti in grado <strong>di</strong> creare un’opera d’arte, con quel che è<br />

dentro <strong>di</strong> te. Perché non avresti sognato soltanto; avresti eseguito alla perfezione; e avresti potuto<br />

ripetere la tua esecuzione infinite volte, senza variazioni maggiori <strong>di</strong> quelle che <strong>di</strong>fferenziano due<br />

monetine”. “Ah”, sospira l’attore, “mi esponi un quadro terrib<strong>il</strong>e. Vorresti <strong>di</strong>mostrarmi che non<br />

abbiamo alcuna possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> considerarci artisti. Distruggi <strong>il</strong> nostro sogno più bello, e in cambio non<br />

ci offri nulla”. “No, non sono io che debbo offrire: siete voi che dovete trovare. Esisteranno<br />

certamente delle leggi bas<strong>il</strong>ari nell’Arte del Teatro, così come ce ne sono alla base <strong>di</strong> tutte le arti vere,<br />

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tutto sta a scoprirle, ad impadronirsene per ottenere tutto quel che si desidera, non ti pare?”. “Già,<br />

questa ricerca porterebbe gli attori davanti a un muro”. “Scavalcatelo, allora!”. “È troppo alto”.<br />

“Scalatelo, allora!”. “E come possiamo sapere dove ci porterebbe?”. “Mah, in cima, e dall’altra<br />

parte”. “Sì, ma questo è parlare da pazzi, sono <strong>di</strong>scorsi vuoti”. “Ebbene, questa è la <strong>di</strong>rezione che<br />

voi, compagni, dovete seguire: volare nell’aria, vivere nell’aria. Quando uno <strong>di</strong> voi avrà cominciato,<br />

qualcosa avverrà”. “Penso”, continua <strong>il</strong> pittore, “che presto troverete <strong>il</strong> bandolo della matassa, e<br />

allora che splen<strong>di</strong>do avvenire vi si aprirà <strong>di</strong>nanzi! In realtà, vi invi<strong>di</strong>o. Se la fotografia fosse stata<br />

inventata prima della pittura - a volte credo <strong>di</strong> desiderarlo -, noi <strong>di</strong> questa generazione avremmo<br />

potuto provare l’intensa gioia <strong>di</strong> progre<strong>di</strong>re, mostrando che la fotografia è una cosa valida nel suo<br />

genere, ma che c’è qualcosa <strong>di</strong> meglio!”. “Tu pensi che <strong>il</strong> nostro lavoro sia allo stesso livello della<br />

fotografia?”. “No, davvero, non ha neppure la metà della sua precisione, è meno artistico della stessa<br />

fotografia. Praticamente, tu ed io, che abbiamo parlato tutto questo tempo mentre <strong>il</strong> musicista se ne e<br />

stato seduto in s<strong>il</strong>enzio, sprofondandosi sempre più nella poltrona..., le nostre arti, voglio <strong>di</strong>re, in<br />

confronto alla sua sono scherzi, giochetti, assur<strong>di</strong>tà”. Al che <strong>il</strong> musicista se ne viene fuori a rovinar<br />

ogni cosa, alzandosi e dando via libera a osservazioni prive <strong>di</strong> senso. L’attore imme<strong>di</strong>atamente grida:<br />

“Non trovo proprio che questa sia un’osservazione tanto acuta per un rappresentante dell’unica arte<br />

<strong>di</strong> questo mondo”, al che tutti si mettono a ridere - <strong>il</strong> musicista fra imbarazzato e cosciente della<br />

gaffe. “Mio caro amico, questo accade proprio perché lui è un musicista. Non è nulla fuori del campo<br />

della sua musica. Praticamente, è alquanto limitato, eccetto quando parla in termini <strong>di</strong> note, toni,<br />

semitoni e cose del genere. Egli conosce appena la nostra lingua, conosce appena <strong>il</strong> nostro mondo, e<br />

più grande è <strong>il</strong> musicista, più questo fatto è evidente; è davvero un brutto segno quando ti imbatti in<br />

un compositore che è intelligente. Quanto al musicista intellettuale,... vale, a <strong>di</strong>re un...; ma non<br />

dobbiamo pronunciare <strong>il</strong> suo nome qui: è così popolare, oggi. Che attore sarebbe stato quest’uomo,<br />

che personalità aveva! Capisco che per tutta la vita ha covato <strong>il</strong> desiderio struggente <strong>di</strong> fare l’attore, e<br />

credo che sarebbe stato un eccellente comme<strong>di</strong>ante; mentre invece <strong>di</strong>venne musicista - o autore<br />

drammatico? In ogni modo tutto ciò dette luogo a un gran successo - un successo <strong>di</strong> personalità”.<br />

“Non era un successo artistico?” chiede <strong>il</strong> musicista. “Ma <strong>di</strong> che arte parli? Oh, <strong>di</strong> tutte le arti<br />

combinate insieme”, risponde quello, scioccamente ma con placi<strong>di</strong>tà. “Come può essere? Come<br />

possono tutte le arti combinarsi insieme e fare un’arte sola? Così si può produrre soltanto uno<br />

scherzo - soltanto... un <strong>teatro</strong>. Le cose che lentamente, per legge naturale, si uniscono insieme<br />

possono, nel corso <strong>di</strong> molti anni o <strong>di</strong> molti secoli, acquistare un certo <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> chiedere che la Natura<br />

<strong>di</strong>a alla loro fusione un nome nuovo. Soltanto in questo modo può sorgere un’arte nuova. Non credo<br />

che l’antica Madre approvi i processi forzati; e se mai chiude un occhio, presto si prende la rivincita:<br />

così è delle arti. Non puoi mescolarle e poi proclamare che hai creato un’arte nuova. Se sei in grado<br />

<strong>di</strong> trovare in Natura un materiale nuovo, che non sia mai stato usato dall’uomo per dar forma ai<br />

suoi pensieri, allora puoi <strong>di</strong>re che sei sulla strada buona per creare una nuova arte. Perché hai<br />

trovato ciò con cui la puoi creare. Poi non ti rimane altro che cominciare. <strong>Il</strong> <strong>teatro</strong>, come io lo vedo,<br />

deve ancora scoprire questo materiale”. E qui finisce la conversazione.<br />

Per parte mia, io son d’accordo con l’ultima affermazione dell’artista. Non proverò affatto<br />

piacere nel competere col valente fotografo, e aspirerò sempre a qualcosa <strong>di</strong> completamente opposto<br />

alla vita come la ve<strong>di</strong>amo. Questa vita <strong>di</strong> carne e sangue, che noi tutti amiamo, non è per me qualcosa<br />

in cui frugare e da mettere in mostra davanti al mondo, sia pure in forma convenzionale. Credo che la<br />

nostra aspirazione debba essere piuttosto cogliere una lontana, breve visione <strong>di</strong> quello spirito che<br />

chiamiamo Morte - evocare cose belle dal mondo immaginario; <strong>di</strong>cono che sono fredde, quelle cose<br />

morte, io non so - spesso sembrano più calde e più vive <strong>di</strong> ciò che si ostenta come vita. Ombre -<br />

spiriti mi sembrano essere più belli e vitali che uomini e donne, invischiati in meschinità, oggetti<br />

inumani, enigmatici: geli<strong>di</strong>ssimo gelo, angustissima umanità. Considerando abbastanza a lungo le cose<br />

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della vita, non scopriremo forse che non sono né belle, né misteriose, né tragiche, ma inerti,<br />

melodrammatiche, sciocche, e che cospirano contro la vitalità - contro ogni calore? E da tali cose, a<br />

cui manca <strong>il</strong> sole della vita, non si può trarre ispirazione. Come da quella vita misteriosa, gioiosa, <strong>di</strong><br />

una perfezione estrema, che si chiama Morte - vita d’ombre e d’immagini sconosciute, dove non è<br />

vero che tutto sia oscurità e nebbia, come s’immagina, ma al contrario vivi<strong>di</strong> colori, vivida luce, nitide<br />

forme; popolata <strong>di</strong> figure strane, fiere, solenni, pacate, sospinte verso una meravigliosa armonia <strong>di</strong><br />

movimento: da tutto questo è possib<strong>il</strong>e trovare ispirazione. E tutto questo è qualcosa <strong>di</strong> più che una<br />

semplice realtà effettiva. Da quest’idea della morte che sembra una specie <strong>di</strong> primavera, una fioritura<br />

- da questa contrada e da questa idea può giungere una ispirazione così vasta, che, con risoluta<br />

esultanza, io mi slancio verso <strong>di</strong> lei; e - guardate! - in un attimo, mi trovo le braccia piene <strong>di</strong> fiori.<br />

Non faccio che un passo o due, e <strong>di</strong> nuovo l’abbondanza mi circonda. Traverso senza fatica un mare<br />

<strong>di</strong> bellezza, veleggio dovunque i venti mi portino; là, là non c’è pericolo. Questo è <strong>il</strong> <strong>mio</strong> sogno; ma<br />

tutto <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> del mondo non si identifica con la mia persona, né con un centinaio <strong>di</strong> artisti o attori,<br />

ma con qualcosa <strong>di</strong> assai <strong>di</strong>fferente. Perciò le mie aspirazioni personali contano poco. Tuttavia la<br />

meta cui tende <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> in generale è <strong>di</strong> reintegrare l’arte che gli è propria; bisognerebbe allora cominciare<br />

col ban<strong>di</strong>re dal <strong>teatro</strong> quest’idea dalla personificazione, quest’idea <strong>di</strong> riprodurre la Natura;<br />

poiché, fin tanto che essa rimarrà nel <strong>teatro</strong>, esso non potrà mai <strong>di</strong>ventare libero. Gli attori<br />

dovrebbero educarsi seguendo le norme <strong>di</strong> un insegnamento meno attuale (se i princìpi ancora più<br />

antichi e più belli sono troppo <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>i per iniziare) e così eviteranno quel folle desiderio <strong>di</strong> immettere<br />

vita nel loro lavoro, perché sempre questo vuol <strong>di</strong>re portare sulla scena gesti eccessivi, una mimica<br />

affettata, <strong>di</strong>scorsi altisonanti e una scenografia abbagliante, nella vana e sfrenata <strong>il</strong>lusione che con un<br />

sistema del genere si possa, magicamente, evocare la vitalità. <strong>Il</strong> che in pochi casi, a confermare la<br />

regola, riesce, e solo parzialmente. Riesce imparzialmente alle impetuose personalità della Scena. Per<br />

loro è un vero caso <strong>di</strong> trionfo, malgrado le regole, proprio a <strong>di</strong>spetto delle regole, e noi che<br />

guar<strong>di</strong>amo buttiamo in aria i cappelli e gri<strong>di</strong>amo evviva. Siamo costretti ad agire così; non vogliamo<br />

metterci ad analizzare o a impostare problemi: seguiamo la corrente, ci abbandoniamo<br />

all’ammirazione e alla suggestione. Che questo sia solo una sorta <strong>di</strong> ipnotismo, <strong>il</strong> nostro gusto se ne<br />

infischia: siamo felici d’essere così commossi, e saltiamo letteralmente dalla gioia. La grande<br />

personalità ha avuto ragione contemporaneamente <strong>di</strong> noi e dell’arte. Ma le personalità <strong>di</strong> questo<br />

genere sono estremamente rare, e, se desideriamo vedere una personalità affermarsi in campo teatrale,<br />

e trionfare completamente come attore, dobbiamo nello stesso tempo essere del tutto in<strong>di</strong>fferenti<br />

all’opera rappresentata e agli altri attori, alla bellezza e all’arte.<br />

Quelli che non la pensano come me su tutta questa faccenda sono coloro che adorano,<br />

ammirano, rispettosamente, le personalità della Scena. Essi non tollerano la mia affermazione che la<br />

Scena debba essere ripulita <strong>di</strong> tutti i suoi attori ed attrici, prima <strong>di</strong> poter tornare a vivere <strong>di</strong> nuovo. E<br />

come potrebbero con<strong>di</strong>videre la mia idea? Questo comporterebbe l’esclusione dei loro favoriti - i due<br />

o tre esseri che per loro trasformano la scena da un volgare scherzo in una terra ideale. Ma che cosa<br />

possono temere? Non c’è alcun pericolo per i loro favoriti - perché se pure fosse possib<strong>il</strong>e emanare<br />

una legge che proibisse a tutti, uomini e donne, <strong>di</strong> apparire davanti al pubblico sulla scena <strong>di</strong> un<br />

<strong>teatro</strong>, essa non danneggerebbe in alcun modo quegli uomini e donne <strong>di</strong> grande personalità, a cui <strong>il</strong><br />

pubblico teatrale dà la corona. Supponiamo che alcuni <strong>di</strong> loro fossero nati in un’epoca in cui la Scena<br />

era sconosciuta; forse ciò avrebbe in qualche modo <strong>di</strong>minuito <strong>il</strong> potere - o impe<strong>di</strong>to loro <strong>di</strong><br />

esprimersi? Niente affatto. Le personalità eccezionali trovano sempre i mo<strong>di</strong> e gli strumenti con cui<br />

esprimersi; e la recitazione è soltanto uno - <strong>il</strong> minore, tra quelli <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>i; perciò questi uomini e<br />

donne sarebbero stati comunque famosi in ogni tempo e in ogni attività. Ma se ad alcuni riesce<br />

intollerab<strong>il</strong>e la mia proposta <strong>di</strong> ripulire la Scena <strong>di</strong> TUTTI gli attori e le attrici, nell’intento <strong>di</strong> restaurare<br />

l’Arte del Teatro, ve ne sono altri ai quali tale proposta è gra<strong>di</strong>ta.<br />

68


“L’Artista”, <strong>di</strong>ce Flaubert, “dovrebbe essere nel suo lavoro sim<strong>il</strong>e a Dio nella creazione:<br />

invisib<strong>il</strong>e e onnipotente; si dovrebbe sentire la sua presenza dovunque senza vederlo in nessun luogo.<br />

L’Arte dovrebbe essere elevata al <strong>di</strong> sopra degli affetti e delle suscettività nervose 28 . È tempo ormai<br />

<strong>di</strong> darle la perfezione delle scienze fisiche per mezzo <strong>di</strong> un metodo rigoroso”. E ancora: “Io ho<br />

sempre cercato <strong>di</strong> non sminuire l’Arte per sod<strong>di</strong>sfare una personalità isolata”. Egli allude<br />

principalmente all’arte letteraria; ma se la sua opinione è così intransigente riguardo allo scrittore, a<br />

colui cioè che <strong>di</strong> fatto non si vede mai, ma si rivela soltanto per metà attraverso la sua opera,<br />

immaginiamo quale resistenza avrebbe opposto alla presenza effettiva dell’attore - personalità o non<br />

personalità.<br />

Charles Lamb <strong>di</strong>ce: “Assistere alla rappresentazione del Re Lear, vedere un vecchio vac<strong>il</strong>lante<br />

che va in giro con un bastone, cacciato fuori <strong>di</strong> casa dalle figlie, in una notte <strong>di</strong> pioggia, suscita solo<br />

pietà e <strong>di</strong>sgusto, null’altro. Vien voglia <strong>di</strong> offrirgli rifugio, ecco tutto quel che ho sentito, ogni<br />

qualvolta ho assistito ad una rappresentazione <strong>di</strong> Re Lear. <strong>Il</strong> macchinario con cui si fa 1’imitazione<br />

della tempesta, in mezzo a cui egli si trova, per quanto ru<strong>di</strong>mentale è sempre più adatto a<br />

rappresentare l’orrore degli elementi naturali che non un attore a fare la parte <strong>di</strong> Lear. Più agevole<br />

sarebbe <strong>il</strong> proposito <strong>di</strong> portare sulla scena <strong>il</strong> Satana <strong>di</strong> M<strong>il</strong>ton, oppure una delle terrib<strong>il</strong>i figure <strong>di</strong><br />

Michelangelo - quanto a Lear, è essenzialmente impossib<strong>il</strong>e rappresentarlo sulla scena”.<br />

“L’Amleto stesso sembra quasi impossib<strong>il</strong>e da rappresentare”, scrive W<strong>il</strong>liam Hazlitt.<br />

Dante nella Vita Nova ci <strong>di</strong>ce che, in sogno, Amore gli apparve nelle vesti <strong>di</strong> un giovane.<br />

Ragionando <strong>di</strong> Beatrice, Amore <strong>di</strong>ce a Dante: “voglio che tu <strong>di</strong>ca certe parole per rima, ne le quali tu<br />

compren<strong>di</strong> la forza che io tegno sopra te per lei... Queste parole, fa che siano quasi un mezzo, sì che<br />

tu non parli a lei imme<strong>di</strong>atamente, che non è degno” 29 . E ancora: “Avvenne poi che passando per<br />

uno cammino lungo lo quale sen gìa uno rivo chiaro molto, a me giunse tanta volontade <strong>di</strong> <strong>di</strong>re, che io<br />

cominciai a pensare lo modo ch’io tenesse; e pensai che parlare <strong>di</strong> lei non si convenìa che io facesse,<br />

se io non parlasse a donne in seconda persona...” 30 . Ve<strong>di</strong>amo dunque che per uomini <strong>di</strong> tal fatta è<br />

sconveniente che la persona viva si inserisca nel quadro e faccia mostra <strong>di</strong> sé sopra la tela. Essi<br />

considerano tutto ciò sconveniente - indegno.<br />

Abbiamo qui testimoni contrari all’intero sistema del <strong>teatro</strong> moderno. Collettivamente essi<br />

pronunciano la seguente sentenza: è arte deteriore quella che si serve <strong>di</strong> mezzi così violenti, così<br />

commoventi, da far <strong>di</strong>menticare allo spettatore <strong>il</strong> fatto in sé, travolgendolo con la personalità<br />

dell’attore, con la commozione che egli comunica. E ora ecco la testimonianza <strong>di</strong> un’attrice.<br />

Eleonora Duse ha detto: “Per salvare <strong>il</strong> Teatro, bisogna <strong>di</strong>struggere <strong>il</strong> Teatro, gli attori e le attrici<br />

devono tutti morire <strong>di</strong> peste... Essi rendono l’arte impossib<strong>il</strong>e” 31 . Possiamo crederle. Lei vuol <strong>di</strong>re<br />

quello a cui alludevano Flaubert e Dante, sia pure con parole <strong>di</strong>fferenti. E vi sono molte<br />

testimonianze ancora, in <strong>mio</strong> favore, se questa non sembra abbastanza probante. C’è gente che non<br />

va mai a <strong>teatro</strong>, m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> persone, rispetto alle migliaia che ci vanno. Poi abbiamo l’appoggio della<br />

maggior parte degli impresari del <strong>teatro</strong> d’oggi. L’impresario moderno pensa che sulla scena vadano<br />

presentati lavori con scenografie sontuose. Dice che non si deve risparmiare alcun sacrificio pur <strong>di</strong><br />

28<br />

“Pulcinella non ha sentimenti,” borbottava <strong>il</strong> dottor Johnson.<br />

Una sera, mentre Garrick recitava Re Lear, <strong>il</strong> dottor Johnson e <strong>il</strong> drammaturgo Murphy stavano fra le quinte e<br />

conversavano a mezza voce. Garrick, uscendo <strong>di</strong> scena, passò loro vicino e li rimproverò: “Parlate così forte,” <strong>di</strong>sse,<br />

“che <strong>di</strong>sturbate <strong>il</strong> <strong>mio</strong> sentimento”. “Pulcinella non ha sentimenti”, replicò <strong>il</strong> dottore. Questo è vero e non è vero.<br />

Pulcinella non è Garrick, e <strong>il</strong> dottore aveva ragione <strong>di</strong> augurarsi che Garrick arrivasse all’impersonalità <strong>di</strong> Pulcinella.<br />

Senonché Garrick non poteva sottomettersi a ciò che voleva Johnson. “Pulcinella non ha sentimenti, bravo Pulcinella”,<br />

borbottava <strong>il</strong> dottore, vedendo Garrick allontanarsi, “mentre Garrick ne ha, ed è tanto peggio per l’attore”. [Nota<br />

aggiunta dall’Autore per l’e<strong>di</strong>zione francese.]<br />

29<br />

Dante, Vita Nova, cap. XII.<br />

30<br />

Dante, op. cit., cap. XIX.<br />

31<br />

Cfr. Arthur Symons, Stu<strong>di</strong>es in Seven Arts, Constable, 1900.<br />

69


dare agli spettatori l’<strong>il</strong>lusione della realtà. Ci fa notare <strong>di</strong> continuo l’importanza che ha tutto questo<br />

sfarzo scenico. Insiste su tutto ciò per parecchi motivi, fra cui <strong>il</strong> seguente non è <strong>il</strong> meno importante:<br />

egli sente che un lavoro semplice e buono rappresenta un grave pericolo; vede che esiste una quantità<br />

<strong>di</strong> gente, contraria a questo spreco <strong>di</strong> decorazioni; sa che c’è stato in Europa un notevole movimento<br />

contro 1’enormità <strong>di</strong> questo sfarzo, e che si è preteso <strong>di</strong>re che i gran<strong>di</strong> lavori ci<br />

guadagnano ad essere rappresentati con <strong>il</strong> più semplice sfondo. Si può provare che questo<br />

movimento d’opinione è potente e <strong>di</strong>ffuso da Cracovia a Mosca, da Parigi a Roma, da Londra a<br />

Berlino e a Vienna. Gli impresari avvertono questo pericolo davanti a loro, intuiscono che se a un<br />

certo momento la gente riuscisse a rendersi conto <strong>di</strong> questo fatto, se una sola volta gli spettatori<br />

gustassero <strong>il</strong> piacere che dà una rappresentazione a scena nuda, allora presto andrebbero oltre e<br />

vorrebbero drammi senza attori, e, alla fine, andrebbero ancora più avanti, e sarebbero loro, in effetti,<br />

non gli impresari, ad aver riformato l’Arte.<br />

Si racconta che Napoleone abbia detto: “Nella vita c’è molto d’indegno, che nell’Arte<br />

dovrebbe essere omesso; molto <strong>di</strong> dubbio e <strong>di</strong> incerto; e tutto questo dovrebbe sparire nella<br />

rappresentazione dell’eroe. Noi dovremmo vederlo come una statua, dove le debolezze o i tremiti<br />

della carne non siano più percettib<strong>il</strong>i”. E non solo Napoleone, ma Ben Jonson, Lessing, Edmund<br />

Scherer, Hans Christian Andersen, Lamb, Goethe, George Sand, Coleridge, Anatole France, Ruskin,<br />

Pater 32 e suppongo tutti gli uomini e le donne intelligenti d’Europa - senza parlare dell’Asia, perché<br />

in Asia persino le persone non dotate sono incapaci <strong>di</strong> comprendere le fotografie, mentre capiscono<br />

l’arte in quanto manifestazione semplice e chiara - hanno protestato contro la riproduzione della<br />

Natura, con <strong>il</strong> suo scialbo realismo fotografico. Hanno protestato contro tutto ciò, e gli impresari si<br />

sono messi a polemizzare con loro: c’è da aspettarsi che al momento buono salti fuori la verità. È<br />

una conclusione ragionevole. Fatela finita con l’albero reale sulla scena, fatela finita con la realtà della<br />

<strong>di</strong>zione, con la realtà dell’azione, e arriverete a farla finita con l’attore. Questo è quanto a suo tempo<br />

dovrà accadere, e mi piace veder gli impresari appoggiare l’idea fin da questo momento. Fatela finita<br />

con l’attore, e i mezzi con i quali si attua e fiorisce un degradante realismo scenico avranno cessato <strong>di</strong><br />

esistere. Non dovrebbe più esserci una figura viva atta solo a confonderci, facendo tutt’uno <strong>di</strong><br />

“quoti<strong>di</strong>ano” e arte; non una figura viva nella quale siano percettib<strong>il</strong>i le debolezze ed i tremiti della<br />

carne 33 .<br />

L’attore deve andarsene, e al suo posto deve intervenire la figura inanimata - possiamo<br />

chiamarla la Supermarionetta, 34 in attesa <strong>di</strong> un termine adeguato. Molto è stato scritto sul burattino,<br />

sulla marionetta. Sono stati de<strong>di</strong>cati loro degli ottimi volumi, e hanno pure ispirato parecchie opere<br />

d’arte. Oggi, che la marionetta attraversa <strong>il</strong> suo periodo meno felice, molta gente la considera come<br />

una bambola <strong>di</strong> tipo un po’ superiore - e pensa che sia una derivazione <strong>di</strong> quest’ultima. <strong>Il</strong> che è<br />

inesatto. La marionetta <strong>di</strong>scende dalle immagini <strong>di</strong> pietra dei templi antichi - e attualmente è una<br />

figura <strong>di</strong> un Dio alquanto degenerata. Anche se resta sempre la più cara amica dei bambini, sa ancora<br />

come scegliere ed attrarre i suoi sostenitori.<br />

32 Sulla scultura Pater scrive: “La sua luce bianca, monda dalle irose sanguigne macchie dell’azione e della passione,<br />

rivela non quel che c’è <strong>di</strong> contingente nell’uomo, ma <strong>il</strong> <strong>di</strong>o che è in lui e si contrappone all’inquieto agitarsi umano”. E<br />

ancora: “La base <strong>di</strong> ogni genio artistico è <strong>il</strong> potere <strong>di</strong> concepire l’umanità in un modo nuovo, sorprendente, gioioso, <strong>di</strong><br />

mettere un proprio mondo felice, una costruzione personale, al posto <strong>di</strong> quello me<strong>di</strong>ocre <strong>di</strong> ogni giorno, <strong>di</strong> creare<br />

intorno a tutto ciò l’atmosfera capace <strong>di</strong> nuove rifrazioni, scegliendo trasformando combinando in modo nuovo le<br />

immagini che essa trasmette, secondo una selezione dell’intelligenza fantastica”. Ancora: “Tutto ciò che è contingente,<br />

tutto quel che <strong>di</strong>stoglie dal semplice effetto che fanno su noi i tipi supremi dell’umano, ogni traccia <strong>di</strong> volgarità in essi,<br />

la scultura gradualmente l’elimina”.<br />

33 Da un altro punto <strong>di</strong> vista, che però non va trascurato o <strong>di</strong>scusso con leggerezza, <strong>il</strong> car<strong>di</strong>nale Manning, inglese, è<br />

particolarmente energico quando parla del mestiere dell’attore come <strong>di</strong> un mestiere che comporta “la prostituzione <strong>di</strong> un<br />

corpo purificato dal battesimo”.<br />

34 Nel testo inglese: Über-Marionette, vocabolo coniato sull’esempio dell’Über-Mensch nietzschiano. [N.d.T.]<br />

70


Quando qualcuno <strong>di</strong>segna un pupazzo sulla carta, <strong>di</strong>segna una figura imbalsamata e comica;<br />

costui non ha mai pensato al significato più profondo dell’idea che noi chiamiamo marionetta. Egli<br />

prende per vuota stupi<strong>di</strong>tà e per deformità angolosa la gravità della faccia e l’immob<strong>il</strong>ità del corpo.<br />

Eppure anche i burattini moderni sono cose straor<strong>di</strong>narie. Se gli applausi scrosciano o se al contrario<br />

sono fiacchi, nei loro cuori <strong>il</strong> battito non accelera, né rallenta, i loro gesti non <strong>di</strong>ventano precipitosi o<br />

inesatti e, sebbene inondato da un torrente <strong>di</strong> fiori e d’ammirazione, <strong>il</strong> volto della prima attrice<br />

rimane solenne, bello e remoto, come sempre. C’è qualcosa <strong>di</strong> più che un lampo <strong>di</strong> genio nella<br />

marionetta, c’è qualcosa <strong>di</strong> più del bagliore <strong>di</strong> una personalità ostentata. La marionetta m’appare<br />

come l’ultima eco dell’arte nob<strong>il</strong>e e bella <strong>di</strong> una civ<strong>il</strong>tà passata. Ma, come avviene con tutte le arti che<br />

son cadute in mani rozze e volgari, <strong>il</strong> pupazzo è <strong>di</strong>ventato una cosa indegna. Tutti i burattini non<br />

sono ora che dei bassi comme<strong>di</strong>anti.<br />

Essi imitano i comme<strong>di</strong>anti della scena vivente più grande e più completa. Entrano in scena<br />

soltanto per cadere col sedere a terra. Bevono soltanto per barcollare, e fanno all’amore soltanto<br />

perché la gente rida. Hanno <strong>di</strong>menticato <strong>il</strong> consiglio della loro madre, la Sfinge. I corpi dei burattini<br />

hanno perduto la loro grazia complessa: sono <strong>di</strong>ventati rigi<strong>di</strong>. Gli occhi hanno perduto quella infinita<br />

astuzia del far finta <strong>di</strong> vedere: ora sono soltanto sbarrati. Essi ostentano e fanno tintinnare i loro f<strong>il</strong>i<br />

metallici, e sono <strong>di</strong>ventati eccessivamente tronfi nella loro saggezza <strong>di</strong> legno. Non si ricordano più<br />

che l’arte loro dovrebbe recare in sé lo stesso suggello <strong>di</strong> riservatezza, che ve<strong>di</strong>amo qualche volta nel<br />

lavoro degli altri artisti, e che l’arte più alta è quella che nasconde ogni artificio, non reca più traccia<br />

dell’artefice. Se non sbaglio, è l’antico Viaggiatore greco dell’Ottocento avanti Cristo 35 che,<br />

descrivendo una visita al tempio-<strong>teatro</strong> <strong>di</strong> Tebe, ci racconta come fosse soggiogato dalla bellezza dei<br />

burattini grazie alla loro “nob<strong>il</strong>e artificialità”. “Entrando nella sala delle Visioni io vi<strong>di</strong> in lontananza<br />

la bella bruna Regina seduta sul trono - sulla sua tomba - mi sembrò infatti che fosse l’una e l’altra<br />

cosa. Cad<strong>di</strong> a sedere e mi misi a osservare i suoi movimenti simbolici. Ogni ritmo mutava in lei con<br />

tanta dolcezza trasmettendosi insieme al movimento da un membro all’altro, con tanta evidente<br />

serenità <strong>di</strong>scioglieva i pensieri della sua anima; con tale gravità e bellezza indugiava nell’affermare <strong>il</strong><br />

suo dolore, che mi dette l’impressione <strong>di</strong> essere insensib<strong>il</strong>e a qualsiasi sofferenza; non un tremito<br />

nelle membra o nell’atteggiamento tra<strong>di</strong>va <strong>il</strong> sopravvento delle passioni: queste erano <strong>di</strong> continuo<br />

riafferrate dalle sue mani che ella muoveva soavemente e mirava con tranqu<strong>il</strong>lità. Le braccia e le mani<br />

sembrarono ad un tratto sim<strong>il</strong>i a un sott<strong>il</strong>e caldo getto d’acqua, che s’innalzi, poi frantumandosi cada<br />

con dolci palli<strong>di</strong> rivi sim<strong>il</strong>i a <strong>di</strong>ta come pioggia nel suo grembo. L’avrei considerata una rivelazione<br />

d’arte se non avessi già veduto lo stesso spirito negli altri esempi dell’arte <strong>di</strong> questi Egiziani.<br />

Quest’Arte <strong>di</strong> Rivelare e <strong>di</strong> Velare, com’essi la chiamano, è una loro forza spirituale così grande, da<br />

costituire nella religione la parte preponderante. Da essa possiamo apprendere qualcosa sul potere e<br />

sulla grazia del coraggio, perché è impossib<strong>il</strong>e essere testimone <strong>di</strong> un tale spettacolo senza provare<br />

un senso <strong>di</strong> ristoro fisico e spirituale”. Questo nell’Ottocento avanti Cristo. Chissà che i burattini<br />

non <strong>di</strong>ventino una volta ancora <strong>il</strong> fedele mezzo d’espressione dei pensieri dell’artista. È proibito<br />

forse sperare che <strong>il</strong> futuro ci riporterà ancora l’immagine o creatura simbolica, anch’essa costruita<br />

dalla destrezza dell’artista, consentendoci <strong>di</strong> riconquistare quella “nob<strong>il</strong>e artificialità”, <strong>di</strong> cui parla<br />

l’antico scrittore? Allora non subiremo più la crudele influenza delle sentimentali confessioni <strong>di</strong><br />

debolezza, alle quali la gente assiste ogni sera, e che inducono negli spettatori stessi la debolezza che<br />

mettono in mostra. Per questo dobbiamo cercare <strong>di</strong> ricostruire quelle immagini - e non accontentarci<br />

più del burattino: dobbiamo creare la Supermarionetta. La Supermarionetta non competerà con la<br />

vita - ma piuttosto andrà oltre. <strong>Il</strong> suo ideale non sarà la carne e <strong>il</strong> sangue ma piuttosto <strong>il</strong> corpo in<br />

35 L’antico Viaggiatore greco, a cui Craig allude qui, può essere soltanto Erodoto. Senonché, oltre all’evidente<br />

anacronismo, essendo Erodoto vissuto nel V secolo a. C., <strong>il</strong> brano citato non trova riscontro nel II libro delle “Storie”<br />

erodotee, che ha per argomento l’Egitto. [N.d.T.]<br />

71


catalessi: aspirerà a vestire <strong>di</strong> una bellezza sim<strong>il</strong>e alla morte, pur emanando uno spirito <strong>di</strong> vita.<br />

Parecchie volte, nel corso <strong>di</strong> questo saggio, sono timidamente apparse sulla carta alcune parole<br />

intorno alla Morte - dal grido incessante <strong>di</strong> “Vita! Vita! Vita!” che i realisti emettono in<br />

continuazione. Questa può essere fac<strong>il</strong>mente presa per affettazione, specialmente da chi non ha<br />

simpatia o non trova nessun piacere nel potere e nella misteriosa gioia <strong>di</strong> tutte le opere d’arte scevre<br />

<strong>di</strong> passione. Se <strong>il</strong> famoso Rubens e <strong>il</strong> celebre Raffaello non crearono che espressioni appassionate ed<br />

esuberanti, vi furono pero molti artisti, prima e dopo <strong>di</strong> loro, per i quali la moderazione nell’arte fu <strong>il</strong><br />

sogno più prezioso, e questi più <strong>di</strong> tutti gli altri <strong>di</strong>edero prova <strong>di</strong> uno st<strong>il</strong>e veramente vir<strong>il</strong>e. Gli altri<br />

artisti esuberanti o tiepi<strong>di</strong>, le cui opere ed i cui nomi ottengono <strong>il</strong> favore dei moderni, non si<br />

esprimono da uomini, ma gridano piuttosto come animali, o cianciano come donne.<br />

I saggi, i moderati maestri, forti delle leggi, alle quali giurarono <strong>di</strong> restare sempre fedeli - i loro<br />

nomi ignoti - sono i creatori dei gran<strong>di</strong> e piccoli dèi dell’Oriente e dell’Occidente, i guar<strong>di</strong>ani <strong>di</strong> quei<br />

templi più gran<strong>di</strong>: essi protesero i loro pensieri verso 1’ignoto, cercando panorami e armonie in<br />

quella contrada pacifica e amena, per poter innalzare un’immagine <strong>di</strong> pietra o cantare un verso,<br />

imprimendogli quella pace e quella gioia che avevano intravisto lontano e che li compensava della<br />

tumultuosa angoscia terrena.<br />

In America possiamo immaginare i membri <strong>di</strong> quella famiglia <strong>di</strong> maestri, viventi nelle loro<br />

superbe antiche colossali città, che mi piace pensare potessero spostarsi in un sol giorno; città fatte<br />

<strong>di</strong> spaziose tende <strong>di</strong> seta e <strong>di</strong> baldacchini d’oro, sotto cui <strong>di</strong>moravano i loro dèi; abitazioni atte a<br />

sod<strong>di</strong>sfare le esigenze dell’uomo più incontentab<strong>il</strong>e; quelle città nob<strong>il</strong>i che, durante le migrazioni dalle<br />

alture al piano, sopra i fiumi ed in fondo alle valli, somigliavano quasi a gran<strong>di</strong> eserciti <strong>di</strong> pace in<br />

marcia. E in ciascuna città non vi erano solo uno o due uomini, chiamati “artisti”, a cui <strong>il</strong> resto della<br />

popolazione guardava come a dei poltroni buoni a nulla, ma molti, scelti per <strong>il</strong> loro più alto potere <strong>di</strong><br />

percezione. Perché questo è <strong>il</strong> significato <strong>di</strong> “artista”: un uomo che percepisce più dei suoi sim<strong>il</strong>i, e<br />

afferra più <strong>di</strong> quanto ha veduto. E non ultimo fra quegli artisti, c’era <strong>il</strong> maestro delle cerimonie, <strong>il</strong><br />

suscitatore delle visioni, <strong>il</strong> ministro <strong>il</strong> cui dovere era <strong>di</strong> celebrare lo spirito che li guidava - lo spirito<br />

del Movimento.<br />

Anche in Asia i <strong>di</strong>menticati maestri dei templi e <strong>di</strong> tutto ciò che essi contenevano hanno<br />

permeato ogni pensiero, ogni traccia del loro lavoro <strong>di</strong> questo senso <strong>di</strong> tranqu<strong>il</strong>lo movimento,<br />

evocatore della morte - glorificandolo ed esaltandolo. Anche in Africa (che secondo alcuni, comincia<br />

solo adesso a essere civ<strong>il</strong>izzata) <strong>di</strong>morò questo spirito, essenza <strong>di</strong> perfetta civ<strong>il</strong>tà. Là pure vissero i<br />

gran<strong>di</strong> maestri, i quali non erano in<strong>di</strong>vidui ossessionati dall’idea <strong>di</strong> esaltare ciascuno la propria<br />

personalità quasi fosse una cosa preziosa e potente, ma gente paga che una sacra pazienza muovesse<br />

i loro cervelli e le loro <strong>di</strong>ta nella sola <strong>di</strong>rezione permessa dalle leggi - a servizio delle semplici verità.<br />

Quanto la legge fosse severa e come poco 1’artista <strong>di</strong> quei tempi si permettesse <strong>di</strong> far mostra dei<br />

suoi sentimenti personali, si può constatare osservando un qualunque esempio dell’arte egizia.<br />

Guardate ogni membro scolpito dagli Egiziani, frugate dentro quegli occhi intagliati: essi vi<br />

respingeranno fino al giu<strong>di</strong>zio universale. <strong>Il</strong> loro atteggiamento è così s<strong>il</strong>enzioso, che somiglia alla<br />

Morte. Pure c’è una tenerezza, c’è un fascino; sempre la grazia si accompagna alla forza; 1’amore<br />

emana da ogni singola opera; ma 1’esuberanza, 1’emozione, la vanitosa personalità dell’artista? - non<br />

un solo cenno <strong>di</strong> tutto questo. I dubbi angosciosi, <strong>il</strong> travaglio interiore? - assolutamente nulla. La<br />

strenua risolutezza? - non un segno <strong>di</strong> ciò è sfuggito all’artista, nessuna <strong>di</strong> queste confessioni:<br />

stupidaggini. Non l’orgoglio, non timore né comicità, nessun segno che la mente o la mano dell’artista<br />

fossero anche solo per una frazione <strong>di</strong> un attimo fuori del controllo delle leggi che lo <strong>di</strong>sciplinavano.<br />

Che cosa meravigliosa! Questo è essere gran<strong>di</strong> artisti: la quantità <strong>di</strong> effusioni sentimentali <strong>di</strong> oggi e <strong>di</strong><br />

ieri non sono segni <strong>di</strong> suprema intelligenza, vale a <strong>di</strong>re non sono segni <strong>di</strong> arte suprema. Questo<br />

spirito venne in Europa, si librò sulla Grecia, a stento poté essere allontanato dall’Italia, ma<br />

72


finalmente fuggì, lasciando un piccolo fiume <strong>di</strong> lacrime - perle - davanti a noi. E noi, dopo averne<br />

calpestate la maggior parte, dopo averle <strong>di</strong>vorate insieme alle ghiande del nostro pasto, siamo andati<br />

oltre e abbiamo mangiato <strong>di</strong> peggio, ci siamo prostrati davanti ai cosiddetti “gran<strong>di</strong> maestri”, ed<br />

abbiamo onorato queste pericolose e sfav<strong>il</strong>lanti personalità. Un giorno infausto pensammo, nella<br />

nostra ignoranza, che essi fossero stati mandati per rappresentarci, che fossero venuti ad esprimere i<br />

nostri pensieri, infine che quanto ispirava la loro architettura e la loro musica in qualche modo ci<br />

riguardasse. E fu così che arrivammo a pretendere <strong>di</strong> poterci riconoscere in tutto ciò a cui avevano<br />

posto mano: dovevamo esser presenti nella loro architettura, nella loro scultura, nella loro musica,<br />

nella pittura e nella poesia; e li incitammo perfino ad invitarci con le parole fam<strong>il</strong>iari: “Venite su, non<br />

vi formalizzate”.<br />

Gli artisti, dopo molti secoli, hanno finito col cedere, e ci hanno dato ciò che chiedevamo. E<br />

avvenne che, quando questa ignoranza ebbe allontanato <strong>il</strong> chiaro spirito che un tempo aveva<br />

governato la mente e la mano dell’artista, uno spirito oscuro prese <strong>il</strong> suo posto: <strong>il</strong> predone insolente<br />

sul trono della legge - vale a <strong>di</strong>re uno stupido spirito al potere; e ognuno cominciò a gridare al<br />

Rinascimento! mentre i pittori, i musicisti, gli scultori, gli architetti gareggiavano senza sosta l’uno<br />

contro l’altro per sod<strong>di</strong>sfare alla richiesta: che ogni cosa fosse fatta in modo che tutti potessero in<br />

qualche modo trovarvi la propria impronta.<br />

Saltarono fuori ritratti con facce congestionate, occhi incavati, bocche contorte, <strong>di</strong>ta rattratte<br />

nell’ansia <strong>di</strong> uscire dalla loro forma, giunture dalle quali sporgevano vene gonfie; tutti i colori alla<br />

rinfusa, tutte le linee in tumulto, sim<strong>il</strong>i ai deliri <strong>di</strong> un pazzo. La forma sconfina nel delirio, <strong>il</strong><br />

bisbigliare tranqu<strong>il</strong>lo e fresco della vita estatica, che un tempo aveva ispirato una speranza così<br />

ineffab<strong>il</strong>e, avvampa in fiamme e si annienta: al suo posto - <strong>il</strong> realismo, l’ottusa affermazione della<br />

vita, una cosa che ognuno accetta e fraintende insieme. Una cosa lontanissima dal fine dell’arte, che<br />

non è quello <strong>di</strong> riflettere i fatti quoti<strong>di</strong>ani <strong>di</strong> questa vita; perché non è proprio dell’artista camminare<br />

<strong>di</strong>etro le cose, avendo al contrario conquistato <strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egio <strong>di</strong> precederle - <strong>di</strong> guidarle. Piuttosto la vita<br />

dovrebbe riflettere la traccia dello spirito, poiché fu lo spirito, che primo scelse l’artista perché<br />

narrasse la sua bellezza 36 . E per una tale pittura, anche prendendo la forma dalla vita per la sua<br />

bellezza e frag<strong>il</strong>ità, <strong>il</strong> colore dev’esser cercato nella sconosciuta terra dell’immaginazione, la quale che<br />

altro è, se non la contrada dove abita ciò che noi chiamiamo Morte? Vedete: non è per leggerezza o<br />

per vanità che io parlo dei burattini e del loro potere <strong>di</strong> trattenere nel volto e nella forma quelle<br />

espressioni belle e lontane, anche quando sono sottoposte a una pioggia <strong>di</strong> lo<strong>di</strong>, a un torrente <strong>di</strong><br />

applausi. Vi sono persone che hanno preso in giro questi burattini. “Burattino” è in genere un<br />

termine spregiativo, sebbene ci sia ancora qualcuno che trova in queste figurine, pure così degenerate,<br />

della bellezza.<br />

Parlare <strong>di</strong> burattini suscita in molti, uomini e donne, un riso insensato. Pensano subito ai f<strong>il</strong>i,<br />

pensano alle mani rigide e ai movimenti irregolari; <strong>di</strong>cono: “È un bamboccio ri<strong>di</strong>colo”. Ma lasciatemi<br />

<strong>di</strong>r loro alcune poche cose intorno a questi burattini. Lasciate ch’io ripeta loro che i fantocci sono i<br />

<strong>di</strong>scendenti <strong>di</strong> una grande e nob<strong>il</strong>e famiglia d’Immagini, immagini che erano davvero “fatte a<br />

somiglianza <strong>di</strong> Dio”; e che molti secoli or sono queste figure avevano un movimento ritmico e non a<br />

scatti. Non avevano bisogno <strong>di</strong> f<strong>il</strong>i metallici che li sostenessero, né parlavano attraverso <strong>il</strong> naso del<br />

manovratore nascosto. (Povero Pulcinella, io non volevo <strong>di</strong>sprezzarti! Tu stai solo, più grande nella<br />

tua <strong>di</strong>sperazione, a guardare in<strong>di</strong>etro nei secoli con le lacrime <strong>di</strong>pinte umide ancora sulle tue gote<br />

antiche, e sembri gridare supplichevolmente al tuo cane: “Sorella Anna, sorella Anna, non viene<br />

nessuno?”. Poi con una delle tue magnifiche bravate volgi l’impeto del nostro riso - e delle mie<br />

lacrime - sopra te stesso con quello str<strong>il</strong>lo acuto che giunge al cuore: “Oh, <strong>il</strong> <strong>mio</strong> naso! Oh, <strong>il</strong> <strong>mio</strong><br />

36 “Tutte le forme sono perfette nella mente del poeta: ma esse non sono tratte fuori dalla Natura o composte a sua<br />

immagine: esse vengono dall’Immaginazione”. W<strong>il</strong>liam Blake.<br />

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naso! Oh, <strong>il</strong> <strong>mio</strong> naso!”) Voi credete, signore e signori, che questi burattini siano sempre stati delle<br />

cosine alte una spanna?<br />

No davvero! <strong>Il</strong> fantoccio ebbe un tempo una forma più generosa della vostra.<br />

Credete che egli sgambettasse su <strong>di</strong> una piccola piattaforma <strong>di</strong> due metri quadrati, fatta in<br />

modo da somigliare a un teatrino all’antica, e costruita in modo che la testa del burattino giungesse a<br />

sfiorare <strong>il</strong> soffitto del proscenio? E credete che abbia sempre abitato in una casetta con porte e<br />

finestre piccole come quelle <strong>di</strong> una casa <strong>di</strong> bambola, con le persiane <strong>di</strong>pinte <strong>di</strong>vise nel centro, e con i<br />

fiori nel giar<strong>di</strong>netto pieni <strong>di</strong> petali sgargianti gran<strong>di</strong> come la sua testa? Cercate <strong>di</strong> cacciare del tutto<br />

queste idee dalla vostra mente, e lasciate che vi <strong>di</strong>ca qualcosa della sua abitazione.<br />

In Asia si stende <strong>il</strong> suo primo regno. Sulle rive del Gange gli costruirono la sua casa, un vasto<br />

palazzo che fra colonna e colonna si levava nell’aria e si immergeva nell’acqua. Circondata da giar<strong>di</strong>ni<br />

si stendeva calda e ricca <strong>di</strong> fiori e rinfrescata da fontane: giar<strong>di</strong>ni dentro i quali non penetrava alcun<br />

rumore, nei quali quasi nulla si muoveva. Soltanto nelle fresche, segrete camere <strong>di</strong> questo palazzo si<br />

agitavano senza tregua le menti rapide dei servitori. Stavano preparando una festa che gli si<br />

ad<strong>di</strong>cesse, una festa per onorare lo spirito che gli aveva dato la vita. Poi, un giorno, aveva luogo la<br />

cerimonia.<br />

A questa cerimonia egli prendeva parte: l’ennesima celebrazione in lode della Creazione;<br />

l’antico atto <strong>di</strong> grazia, l’evviva all’esistenza, ed insieme <strong>il</strong> più severo inno al priv<strong>il</strong>egio dell’esistenza<br />

futura, che è velata dalla parola Morte. E durante la cerimonia apparivano, davanti agli occhi, dei<br />

bruni adoratori, i simboli <strong>di</strong> tutte le cose esistenti sulla Terra e nel Nirvana. <strong>Il</strong> simbolo dell’albero<br />

bello, <strong>il</strong> simbolo delle colline, i simboli dei ricchi minerali racchiusi nelle colline; <strong>il</strong> simbolo della nube,<br />

del vento, e <strong>di</strong> tutte le cose alate; <strong>il</strong> simbolo del pensiero, del ricordo, più veloce <strong>di</strong> ogni altra cosa; <strong>il</strong><br />

simbolo dell’animale, <strong>il</strong> simbolo <strong>di</strong> Budda e dell’Uomo - ed eccola giungere, la figura, <strong>il</strong> burattino <strong>di</strong><br />

cui voi tutti ridete tanto. Voi oggi ridete <strong>di</strong> lui, perché non gli rimangono che le sue debolezze. Egli le<br />

riflette da voi; ma non avreste riso, se l’aveste veduto all’epoca del suo splendore quando era<br />

chiamato a rappresentare <strong>il</strong> simbolo dell’uomo nella grande cerimonia, quando, nel suo incedere, era<br />

l’immagine stessa della gioia del nostro cuore. Se noi ridessimo ed insultassimo la memoria del<br />

fantoccio, dovremmo ridere della caduta che abbiamo prodotta in noi stessi - ridere delle fe<strong>di</strong> e delle<br />

immagini che abbiamo spezzate 37 . Pochi secoli dopo troviamo la sua casa un po’ più logora per<br />

l’uso. Da un tempio che era è <strong>di</strong>venuta, non <strong>di</strong>rò un <strong>teatro</strong>, ma qualcosa tra <strong>il</strong> tempio e <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>, e in<br />

essa egli va perdendo la sua salute. Qualcosa è nell’aria. I dottori gli <strong>di</strong>cono che deve stare attento.<br />

“Cosa devo temere <strong>di</strong> più?” egli domanda. Gli rispondono: “Temi soprattutto la vanità degli<br />

37 Chiunque comprenda <strong>il</strong> valore della maschera e dei veli e li apprezzi si affianca allo scultore, all’architetto, all’orafo,<br />

al tipografo. Credete che <strong>il</strong> più modesto <strong>di</strong> loro <strong>di</strong>sprezzi la materia che lavora? Credete che <strong>il</strong> proto che compone la sua<br />

pagina non provi alcun sentimento per i suoi servi fedeli, i caratteri <strong>di</strong> stampa? Credete che egli permetta a qualcuno <strong>di</strong><br />

toccare le sue cassette? o che non si affezioni al conio, alla balestra e agli altri suoi collaboratori inanimati? La spada<br />

non è più cara al soldato <strong>di</strong> quanto lo sia <strong>il</strong> compositoio al tipografo. Osservate come lo scultore ama e accarezza la<br />

fredda pietra che collabora con lui alla sua opera. Avete notato come la guarda? L’avete visto scegliere qualche bel<br />

blocco <strong>di</strong> marmo o <strong>di</strong> granito? Egli non lo attacca come fa <strong>il</strong> domatore con una belva non ancora domata; non c’è lotta<br />

per decidere chi vincerà; non c’è zuffa fra animale e animale. Si tratta qui <strong>di</strong> tutt’altra cosa. Lo scultore confida<br />

nell’aiuto che gli verrà dato dalla bella pietra fredda. Trasalisce del più nob<strong>il</strong>e piacere, perché comprende la natura <strong>di</strong>vina<br />

<strong>di</strong> questo aiuto volontario e sicuro - che non è una sottomissione.<br />

Quanto all’architetto, egli ama la Proporzione. Che cos’è la Proporzione? Una semplice faccenda <strong>di</strong> calcolo,<br />

<strong>di</strong>rete voi.. Numeri... Eh, sì, è una fredda equazione, che sta alla base della cattedrale <strong>di</strong> Colonia. Tuttavia guardate <strong>il</strong><br />

fremito d’estasi <strong>di</strong>vina sorto da ciò che vi sembrava insensib<strong>il</strong>e, lettera morta, freddo calcolo. Voi mi <strong>di</strong>rete che si tratta<br />

soltanto <strong>di</strong> Immaginazione, <strong>di</strong> Ispirazione, e ve ne infischierete del calcolo. Notate bene che questa medesima<br />

Immaginazione, questa medesima Ispirazione sono a servizio del <strong>teatro</strong>, eppure l’artista della scena non ne ha mai tratto<br />

una perfezione che stia alla pari con la cattedrale <strong>di</strong> Colonia o <strong>il</strong> Partenone.<br />

No. La colpa è dell’uomo; e ogni uomo che sceglie un materiale bello per <strong>il</strong> suo lavoro, come lo scultore o<br />

l’architetto, deve creare un’opera più nob<strong>il</strong>e <strong>di</strong> quella dell’attore, <strong>il</strong> quale prende soltanto se stesso come materiale per la<br />

propria opera. [Nota aggiunta dall’Autore per l’e<strong>di</strong>zione francese].<br />

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uomini”. Egli pensa: “Questo è quel che io stesso ho insegnato; questa è la paura che ho previsto per<br />

noi che celebriamo con gioia questa nostra esistenza. È possib<strong>il</strong>e che io, l’unico ad aver rivelato<br />

questa verità, debba essere l’unico a perderne la nozione, debba essere uno dei primi a cadere? È<br />

chiaro che si sta tramando insi<strong>di</strong>osamente contro <strong>di</strong> me. Terrò gli occhi rivolti al cielo”. E congeda i<br />

suoi dottori e me<strong>di</strong>ta su ciò.<br />

E ora lasciatevi <strong>di</strong>re chi fu che venne a turbare l’aria tranqu<strong>il</strong>la che circondava questa singolare<br />

cosa perfetta. Si racconta che molto tempo dopo egli prese <strong>di</strong>mora sulle coste dell’Estremo Oriente,<br />

e qui vennero due donne a guardarlo. Nella cerimonia alla quale esse assistettero, egli fiammeggiò <strong>di</strong><br />

tanto vivo splendore terreno, ma anche <strong>di</strong> una semplicità tanto ultraterrena, che - al contrario delle<br />

altre m<strong>il</strong>lenovecentonovantotto anime che partecipavano alla festa, nelle quali si provocò uno stato<br />

d’estasi che <strong>il</strong>luminava la mente anche se l’ubriacava - in queste due donne si provocò soltanto<br />

un’ubriacatura. Egli non le vide, gli occhi fissi al cielo, ma le riempì <strong>di</strong> un desiderio troppo grande per<br />

essere spento: <strong>il</strong> desiderio <strong>di</strong> assurgere a simbolo <strong>di</strong>retto della <strong>di</strong>vinita nell’uomo. Non frapposero<br />

indugi; vestendosi delle migliori vesti che potevano (“come le sue”, esse pensavano), muovendosi<br />

con dei gesti (“come i suoi”, pensavano), e riuscendo a produrre meraviglia negli animi degli<br />

spettatori (“come fa lui”, gridavano), esse costruirono da sé un tempio (“come <strong>il</strong> suo, come <strong>il</strong> suo”),<br />

e sod<strong>di</strong>sfecero le richieste del pubblico con questa misera paro<strong>di</strong>a.<br />

Questo si racconta. È <strong>il</strong> primo ricordo dell’attore in Oriente. L’attore nasce dalla folle vanità<br />

<strong>di</strong> due donne, che non furono abbastanza forti da guardare <strong>il</strong> simbolo della Divinità senza desiderare<br />

<strong>di</strong> imitarlo; e la paro<strong>di</strong>a si <strong>di</strong>mostrò profittevole. In cinquanta o cent’anni si dovevano costruire se<strong>di</strong><br />

per tali paro<strong>di</strong>e in tutte le parti del mondo.<br />

Le male erbe, si <strong>di</strong>ce, crescono rapidamente, e questo deserto <strong>di</strong> male erbe che è i1 <strong>teatro</strong><br />

moderno spuntò in fretta. L’immagine della marionetta <strong>di</strong>vina attirò sempre meno amatori, e le donne<br />

appunto <strong>di</strong>vennero “la moda”. Con lo svanire del burattino e la progressiva comparsa, al suo posto,<br />

<strong>di</strong> queste donne che facevano mostra <strong>di</strong> sé sul palcoscenico, si impose lo spirito oscuro che ha nome<br />

Caos, e sulla sua traccia <strong>il</strong> trionfo delle personalità turbolente. Vedete ora che cosa mi ha spinto ad<br />

amare, a cominciare ad apprezzare quello che chiamiamo <strong>il</strong> “burattino”, facendomi detestare ciò che<br />

si chiama “vita” nell’arte? Io prego assiduamente per <strong>il</strong> ritorno dell’immagine - la Supermarionetta -<br />

nel <strong>teatro</strong>; e quando essa tornerà, non appena essa verrà veduta, sarà amata a tal segno, che ancora<br />

una volta sarà possib<strong>il</strong>e ai popoli ritrovare nelle cerimonie l’antica gioia - ancora una volta la<br />

Creazione sarà celebrata - sarà tributato omaggio all’esistenza - e sarà fatta <strong>di</strong>vina e felice<br />

intercessione alla Morte 38 .<br />

Firenze, marzo 1907.<br />

38 “L’architettura egiziana, la più antica a noi nota - con i suoi architravi - i suoi monumenti concepiti in linee nob<strong>il</strong>i,<br />

in blocchi massicci - sempre de<strong>di</strong>cati alle Divinità della Morte, pro<strong>di</strong>gi <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>osità, <strong>di</strong> solenne serenità, <strong>di</strong> eterna<br />

durata”. Dr. G. Carotti, Histoire de l’Art. [Nota aggiunta dall’Autore per l’e<strong>di</strong>zione francese].<br />

75


Testi e autori drammatici, <strong>di</strong>pinti e pittori nel <strong>teatro</strong><br />

Dovunque io vada, tra persone più o meno intelligenti, che abbiano letto con più o meno<br />

attenzione quanto ho scritto sul <strong>teatro</strong>, torna sempre a galla l’eterna domanda. A volte<br />

aggressivamente, a volte cortesemente, mi chiedono: “È vero che volete abolire tutti i lavori teatrali<br />

dalla scena? È vero che trovate la poesia fuori posto, in <strong>teatro</strong>? Che cos’è questa strana idea che ciò<br />

che per tanti secoli ci era sembrato buono, oggi tutt’a un tratto deve apparirci cattivo?”. È davvero<br />

molto <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e rispondere a queste domande, ma, appunto perché è molto <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e, cerchiamo <strong>di</strong><br />

farlo.<br />

Naturalmente ai miei occhi tutto <strong>il</strong> problema è così chiaro, che non è un vero e proprio<br />

problema: mi pare ovvio che quando uno si accinge a un lavoro non debba servirsi della mano <strong>di</strong> un<br />

altro, e poi <strong>di</strong>chiarare “è tutta opera mia”.<br />

A me tutto ciò appare così ovvio che, per rispondere ragionevolmente e con esattezza a quelli<br />

a cui non sembra altrettanto ovvio, bisogna che mi astragga dal quadro che ho <strong>di</strong>nanzi a me, e<br />

consideri dettagliatamente <strong>il</strong> loro modo <strong>di</strong> vedere. Così facendo però devo tornare a porre sul tappeto<br />

degli argomenti or<strong>di</strong>nari che sono già evidenti ai più <strong>di</strong> noi; ma forse è inevitab<strong>il</strong>e, se vogliamo<br />

risolvere la questione.<br />

Detesto <strong>di</strong>mostrare a qualcuno che ha torto, specie se si tratta <strong>di</strong> una persona che non<br />

s’intende d’arte. Ho una stima più che profonda per <strong>il</strong> suo buon senso; inoltre non ci tengo affatto a<br />

provare che chi va in platea a vedere <strong>il</strong> Riccardo III fa male ad andarci, a prescindere dalle ragioni che<br />

ve l’hanno spinto.<br />

Pren<strong>di</strong>amo l’intera prima f<strong>il</strong>a <strong>di</strong> una platea lon<strong>di</strong>nese, composta <strong>di</strong> una ventina <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui.<br />

Chie<strong>di</strong>amo loro perché sono venuti a <strong>teatro</strong>. Cinque rispondono: “Vado a veder recitare <strong>il</strong><br />

tale”. Tre rispondono: “<strong>Il</strong> lavoro è così bello; mi piace tanto ascoltarlo”. Due, ridendo scioccamente<br />

ci <strong>di</strong>cono: “Non sappiamo bene perché siamo venuti, ma è così <strong>di</strong>vertente”. Altri due hanno obbe<strong>di</strong>to<br />

a un senso <strong>di</strong> dovere nei riguar<strong>di</strong> degli attori e nei riguar<strong>di</strong> del pubblico; e gli ultimi otto ci daranno<br />

altrettante spiegazioni <strong>di</strong>verse e contrad<strong>di</strong>ttorie per giustificare la loro presenza.<br />

Uno <strong>di</strong>rà che è lo straor<strong>di</strong>nario senso dell’impossib<strong>il</strong>e, la spaventosa assur<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> tutto<br />

l’insieme, che lo affascina (eccellente critico!).<br />

Un secondo vi confesserà, che dopo aver passato la giornata tra gente noiosa e banale, trova<br />

interessante unirsi a un gruppo <strong>di</strong> persone che se ne stanno sedute in s<strong>il</strong>enzio a guardare degli attori e<br />

delle scene che insieme creano una funzione su <strong>di</strong> un palco.<br />

Poi c’è <strong>il</strong> terzo, <strong>il</strong> critico: quello che ha letto che Edmund Kean <strong>il</strong>luminava Shakespeare con<br />

dei lampi <strong>di</strong> genio, che i Kemble erano della “scuola classica”, mentre Charles Fechter era un attore<br />

romantico; quello che ha letto una storia del <strong>teatro</strong>, la quale liquida in due pagine i primi duem<strong>il</strong>a anni<br />

per entrare in particolari solo con l’età shakespeariana. Ebbene, quest’uomo è venuto perché sente in<br />

qualche modo che, senza <strong>di</strong> lui, la rappresentazione sarebbe incompleta; egli è uno <strong>di</strong> “color che<br />

sanno” - non ha forse letto tutto, sull’argomento?<br />

Vicino a costui è seduta una giovane signora, che, con l’intelligenza propria del suo sesso, è<br />

pronta a vedere tutto quel che c’è nella rappresentazione, e anche <strong>di</strong> più (o <strong>di</strong> meno), se occorre: in<br />

generale pero inclina per <strong>il</strong> “più”; anzi è la pala<strong>di</strong>na del “più”, sempreché lo trovi.<br />

Al suo fianco c’è <strong>il</strong> brontolone, quello che va a <strong>teatro</strong> perché “deve” e che, io credo, è sempre<br />

quello che si commuove <strong>di</strong> più <strong>di</strong> fronte a ciò che vede. Tuttavia, appena calato <strong>il</strong> sipario, vi <strong>di</strong>rà che<br />

non era assolutamente questo ciò che si aspettava: “gli attori sono tanti bastoni, non hanno nulla <strong>di</strong><br />

reale”. Poi ci fa osservare che una scena si muoveva, protesta contro la musica <strong>di</strong> fondo che guasta<br />

l’effetto; e polemizza contro tutte queste luci abbaglianti che annullano l’<strong>il</strong>lusione. Quale sia poi<br />

quest’<strong>il</strong>lusione che viene annullata, non lo sa proprio <strong>di</strong>re. Ma, mentre <strong>il</strong> resto della f<strong>il</strong>a <strong>di</strong>ce che la<br />

76


appresentazione era molto bella ed applaude <strong>di</strong> cuore, lui seguita a recriminare e borbottare,<br />

concludendo che, “non era assolutamente questo <strong>il</strong> modo”.<br />

Ve<strong>di</strong>amo così che ciascun in<strong>di</strong>viduo, uomo o donna, è venuto a <strong>teatro</strong> per un motivo <strong>di</strong>verso,<br />

vede le cose sotto un <strong>di</strong>verso aspetto, eppure concorre a costituire ciò che chiamiamo “<strong>il</strong> pubblico”;<br />

cioè un’entità globale - quel pubblico che l’attore considera come una sola persona e che noi<br />

dobbiamo accettare come lo “spettatore ideale”.<br />

Una cosa però è certa: nessuna <strong>di</strong> quelle persone può fare a meno del <strong>teatro</strong>. Bisogna<br />

ammettere poi che su venti <strong>di</strong> loro, quin<strong>di</strong>ci sono venute per vedere qualcosa. Anzi potrei <strong>di</strong>re che<br />

tutte e venti sono venute per vedere, poiché le prime cinque della nostra lista, quelle venute per<br />

ascoltare Shakespeare, ammettono, più o meno esplicitamente, che desideravano vederlo<br />

rappresentato; altrimenti, come tanti, se lo sarebbero letto in s<strong>il</strong>enzio, a casa loro, ascoltando solo<br />

con le orecchie della mente, e integrando la lettura con tutti i meravigliosi e straor<strong>di</strong>nari dettagli dalla<br />

mente immaginati; oppure avrebbero optato, come altri, per una lettura collettiva nelle società<br />

shakespeariane.<br />

Possiamo <strong>di</strong>re quin<strong>di</strong> con sicurezza che tutti desideravano vedere <strong>il</strong> lavoro. E questo desiderio<br />

è <strong>il</strong> più vivo della natura umana. Solo quando vede, l’uomo crede profondamente.<br />

Ci sono un’infinità <strong>di</strong> prove al riguardo, e molte ve ne verranno in mente, senza che io ve le<br />

citi. È dunque ragionevole chiedere che quel che la gente desidera e va a cercare a <strong>teatro</strong>, le venga<br />

dato. Essa vuol vedere qualcosa; bisogna mostrarle qualcosa. Solo così la si contenterà.<br />

Io sostengo pertanto che per sod<strong>di</strong>sfare veramente la vista, e, me<strong>di</strong>ante la vista, l’anima della<br />

persona, non dobbiamo confonderne <strong>il</strong> potere visivo, che è assai delicato, sollecitando<br />

contemporaneamente l’orecchio con musica o parole, turbando la mente con problemi, e scuotendo <strong>il</strong><br />

corpo con passioni.<br />

Pren<strong>di</strong>amo un esempio per chiarire ciò che intendo: quel passo della trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Macbeth, in<br />

cui questi cerca <strong>di</strong> suscitare in sé la forza necessaria per uccidere <strong>il</strong> Re Duncan. Egli vaga qua e là per<br />

gli oscuri corridoi del castello. Dietro a lui, come un’ombra, viene un servo; passano e ripassano<br />

davanti a una finestra. Mi sembra <strong>di</strong> vederlo fermarsi e guardare a lungo, fuori, verso la campagna.<br />

Continua <strong>il</strong> suo vagare da belva, finalmente si siede su <strong>di</strong> un banco <strong>di</strong> pietra. <strong>Il</strong> servo, che tiene un<br />

lume vac<strong>il</strong>lante, lo guarda, e lui a sua volta guarda <strong>il</strong> servo. Ancora una volta comincia a misurare coi<br />

suoi passi <strong>il</strong> corridoio; ha paura d’essere lasciato solo. Pensa alla moglie, ed ha ancora più paura della<br />

solitu<strong>di</strong>ne... “Va’, prega la tua padrona, quando la mia bevanda sarà pronta, <strong>di</strong> suonare la campana”.<br />

<strong>Il</strong> servo parte. Macbeth continua a vagare su e giù. Nella sua agitazione la figura della moglie prende<br />

<strong>il</strong> posto <strong>di</strong> quella del servo. Si sente particolarmente forte; ha un pubblico; sembra prender coraggio,<br />

e la passione insana si infiamma in lui. Sì. Ucciderà <strong>il</strong> Re Duncan. <strong>Il</strong> servo ritorna, lo fa trasalire per<br />

un istante. “Va’ a letto”, gli <strong>di</strong>ce. E guarda la fiamma della torcia che rimpicciolisce, rimpicciolisce<br />

sempre più, giù lungo i gra<strong>di</strong>ni verso <strong>il</strong> sotterraneo; una fiamma dapprima, ora un guizzo soltanto, un<br />

guizzo...<br />

Questo che vedo davanti a me, è un pugnale<br />

l’elsa rivolta verso la mia mano? Su, lasciati prendere:<br />

non ti tengo fra le <strong>di</strong>ta, eppure ti vedo ancora.<br />

Non sei tu dunque, fatale visione, sensib<strong>il</strong>e<br />

al tatto come alla vista? o sei tu solo<br />

un pugnale della fantasia; un’immagine falsa<br />

scaturita dal <strong>mio</strong> cervello in fiamme?<br />

lo ti vedo tuttavia, <strong>di</strong> forma perfettamente uguale<br />

a questo che io ora impugno.<br />

Tu mi in<strong>di</strong>chi la via verso cui mi <strong>di</strong>rigevo,<br />

e sei proprio l’arma che io avrei usata.<br />

I miei occhi son fatti lo zimbello degli altri sensi,<br />

oppure dominano tutti gli altri, da soli. Ti vedo ancora;<br />

77


e sulla tua lama e sull’impugnatura gocce <strong>di</strong> sangue<br />

che prima non c’erano. - Ma no, non ci sono!<br />

È l’atto <strong>di</strong> sangue, che suggestiona<br />

così i miei occhi. - Ora su metà del mondo<br />

la natura sembra morta, e sogni malefici forzano<br />

le cortine del sonno; ora le streghe celebrano<br />

i riti della pallida Ecate; e <strong>il</strong> livido assassino,<br />

svegliato dalla sua sentinella, <strong>il</strong> lupo,<br />

i cui ululati gli avvertono l’ora, così, furtivamente<br />

col passi rapaci <strong>di</strong> Tarquinio, verso la mèta<br />

si <strong>di</strong>rige come uno spettro - Tu, ferma terra che fai eco ai suoni,<br />

non ascoltare i miei passi, per che strada camminano, perché temo<br />

che anche le pietre possano <strong>di</strong>re dove io vado,<br />

e sottrarre quest’attimo orrendo al tempo<br />

che ora è propizio. - Ma finché parlo, egli vive:<br />

le parole soffiano una troppo fredda brezza sul fuoco dell’azione<br />

(suona una campana)<br />

Vado; è fatto; la campana m’invita.<br />

Non u<strong>di</strong>rla, Duncan; perché è un rintocco funebre<br />

che ti chiama in cielo, o all’inferno 39 .<br />

Veniamo ora a quel che <strong>di</strong>cevo. Questa stessa idea, queste stesse figure, queste stesse visioni,<br />

possono essere meglio portate <strong>di</strong>nanzi agli occhi, e in tal modo nell’anima del pubblico, se l’artista<br />

concentra i suoi sforzi a risvegliare <strong>il</strong> nostro potere visivo, piuttosto che ad ingenerare confusione,<br />

stimolando simultaneamente quello intellettivo ed u<strong>di</strong>tivo.<br />

È già <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e leggere questo sol<strong>il</strong>oquio <strong>di</strong> Macbeth lentamente, nella quiete della nostra<br />

stanza, senza alcun rumore o vista estranea, e intendere tutto <strong>il</strong> valore <strong>di</strong> quel che Shakespeare vi ha<br />

messo. R<strong>il</strong>eggendolo tre, quattro o cinque volte, allora soltanto ne potremo afferrare parte del<br />

significato; e dopo averlo letto tre, quattro, cinque volte, se uno continua a leggere l’intera trage<strong>di</strong>a ne<br />

rimarrà affaticato come se avesse camminato per venti miglia. Ma almeno avrà sentito qualcosa <strong>di</strong><br />

quello che Shakespeare voleva fargli sentire, sebbene certamente non tutto. Ebbene, quello che ha<br />

sentito <strong>il</strong> nostro ipotetico lettore, noi non riusciremmo a sentirlo andando a vedere la<br />

rappresentazione a <strong>teatro</strong>.<br />

Quando leggiamo quei versi, non siamo più chiusi entro quattro pareti; seguiamo Macbeth<br />

fino alla sommità del castello, spingiamo lo sguardo entro <strong>il</strong> bosco pieno <strong>di</strong> cornacchie e al <strong>di</strong> là delle<br />

colline; possiamo scendere con lui nei sotterranei, o uscir fuori fra i cespugli che circondano fitti le<br />

scarpate dell’umido castello <strong>di</strong> Glamis. E se in verità andassimo solo così lontano con Shakespeare,<br />

non avrei ragione <strong>di</strong> dolermi per essermi rinchiuso fra le tre pareti che ci circondano in <strong>teatro</strong>: non<br />

sarebbe una grave per<strong>di</strong>ta. Ma, in realtà, quando leggiamo, cavalchiamo con Shakespeare gli invisib<strong>il</strong>i<br />

corsieri dell’aria; la Pietà, sim<strong>il</strong>e a un bimbo appena nato, in<strong>di</strong>feso, sta sospesa <strong>di</strong>nanzi ai nostri<br />

occhi, nell’aria; ve<strong>di</strong>amo la figura del “livido assassino” coi passi rapaci <strong>di</strong> Tarquinio passarci<br />

davanti; ci sembra che vaghi in cerca <strong>di</strong> preda per la nostra stanza tutto <strong>il</strong> tempo che leggiamo.<br />

U<strong>di</strong>amo la campana suonare <strong>il</strong> rintocco funebre alla morte <strong>di</strong> Duncan; <strong>il</strong> suo suono riecheggia più<br />

volte lontano, mentre stiamo leggendo. Più oltre, “Domani e domani e domani; si insinua coi suoi<br />

piccoli passi giorno dopo giorno”. Tutt’intorno alla nostra camera, fuori della finestra, nella stanza<br />

sopra la nostra testa, continuamente si insinua <strong>il</strong> domani e <strong>il</strong> domani. Tutto questo va perduto, in<br />

<strong>teatro</strong>. Ed è una per<strong>di</strong>ta grave.<br />

Non sono persone o cose che ci circondano e ci posseggono, mentre se<strong>di</strong>amo e leggiamo, ma<br />

idee. E quando un’arte è così grande, così perfetta, da poterci donare, alla sola lettura, sensazioni<br />

pervase <strong>di</strong> una magia tanto rara, è per lo meno sacr<strong>il</strong>egio <strong>di</strong>struggere la fonte <strong>di</strong> tali sensazioni,<br />

39 Macbeth, atto II scena 1.<br />

78


confondendo noi stessi e la nostra percezione, chiamando in causa tutti i nostri sensi<br />

contemporaneamente.<br />

Tutto questo dovrebbe riuscire ovvio. Perciò, sebbene pensare ad una totale cessazione della<br />

messa in scena <strong>di</strong> questi drammi sia mera <strong>il</strong>lusione, voglio sperare almeno che raramente essi vengano<br />

rappresentati, dato che, per i motivi che vi ho detto, la scena ce ne fa perdere <strong>il</strong> significato più<br />

profondo.<br />

E c’è un’altra ragione a <strong>mio</strong> favore: quelle stesse idee, quelle stesse impressioni - o se volete,<br />

quella stessa bellezza e f<strong>il</strong>osofia - possono essere portate <strong>di</strong>nanzi agli occhi degli spettatori, senza<br />

confondere, facendo appello agli altri sensi, le idee.<br />

Possiamo vedere un uomo (si può chiamare Macbeth, quantunque sapere <strong>il</strong> suo nome non<br />

abbia alcun valore) che passa attraverso dubbi e timori - una semplice figura in azione; e intorno a lui<br />

altre figure in azione; non potremo certo ricevere la superba impressione che solo un maestro (quale<br />

Shakespeare) ci può dare, ma avremo attraverso gli occhi un’impressione più chiara che non se<br />

fossero sollecitati nello stesso tempo tutti gli altri sensi i quali, anziché aiutarci, creerebbero soltanto<br />

confusione - come sempre avviene.<br />

Supponiamo che si stia guardando <strong>il</strong> famoso quadro <strong>di</strong> Signorelli, che è alla Galleria <strong>di</strong> Berlino.<br />

Non credo proprio che un quartetto d’archi che suonasse lì vicino nello stesso momento gioverebbe<br />

alla nostra vista; né che se uno ci recitasse contemporaneamente La nascita <strong>di</strong> Pan ci farebbe meglio<br />

intendere i pregi del quadro. Ci confonderebbe soltanto.<br />

Supponiamo che si stia ascoltando la Sinfonia pastorale <strong>di</strong> Beethoven. Io non credo che un<br />

panorama <strong>di</strong> conta<strong>di</strong>ni intenti a falciare <strong>il</strong> fieno, o la lettura armoniosa <strong>di</strong> un brano del Shepheards<br />

Calendar <strong>di</strong> Spencer aggiungerebbe niente alla comprensione o al go<strong>di</strong>mento delle bellezze della<br />

Sinfonia. Ci confonderebbe soltanto.<br />

Si è mai fatta una prova del genere? No, davvero! I musicisti hanno <strong>di</strong>feso bene <strong>il</strong> loro<br />

giar<strong>di</strong>no. I pittori hanno fatto altrettanto. Gli uomini <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> invece hanno abbandonato la loro<br />

vigna, che è stata usurpata da chiunque ne abbia voluto far uso. Un tempo se ne servirono gli autori<br />

drammatici: Shakespeare, Molière e gli altri, poi Wagner; e oggi ve<strong>di</strong>amo che <strong>il</strong> pittore sta mettendo<br />

gli occhi sul nostro bel posticino; <strong>il</strong> pittore, che ha migliaia e migliaia <strong>di</strong> acri <strong>di</strong> terreno, dei quali ha<br />

coltivato fino ad oggi, in modo squisito, una piccola parte. Ma ora <strong>il</strong> pittore e <strong>il</strong> musicista, come pure<br />

lo scrittore, non si contentano più dei loro vasti possessi; così l’usurpazione continua.<br />

E io sono qui a <strong>di</strong>rvelo, e a reclamare <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> per quelli che sono nati nel <strong>teatro</strong>. E ci<br />

riusciremo! Oggi o domani, o fra cento anni, ma ci riusciremo! Così, vedete, io non voglio eliminare<br />

ogni testo dalla scena per ostentazione, ma in primo luogo perché ho osservato che i testi a <strong>teatro</strong><br />

vengono rovinati, e in secondo luogo perché i testi e gli autori drammatici rovinano noi, ci privano<br />

cioè della nostra autonomia e della nostra vitalità.<br />

In Germania, in Ingh<strong>il</strong>terra e perfino in Olanda, dove pure a volte sanno essere<br />

particolarmente intelligenti, si afferma che io voglio irragionevolmente gettar fuori i testi e gli autori<br />

drammatici dal <strong>teatro</strong> senza alcun motivo, e si aggiunge che intendo sostituire <strong>il</strong> pittore all’autore.<br />

Quest’opinione ha origine dal fatto che io ho <strong>di</strong>segnato molte scene sulla carta. Ai miei tempi<br />

ho messo in scena molti lavori e nella maggior parte dei casi non usavo fare prima alcun bozzetto; e<br />

se oggi avessi un <strong>teatro</strong> <strong>mio</strong> non traccerei sulla carta i <strong>di</strong>segni che ho in mente, ma li trasporterei<br />

<strong>di</strong>rettamente sul palcoscenico.<br />

Ma poiché questo <strong>teatro</strong> <strong>mio</strong> ancora non lo possiedo, e poiché <strong>il</strong> cervello non mi dà tregua<br />

finché questi <strong>di</strong>segni e queste idee non hanno ricevuto una forma qualsiasi, mi vedo costretto a farne<br />

oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> con i mezzi limitati che ho a <strong>di</strong>sposizione. Così mi si giu<strong>di</strong>ca da quel che <strong>di</strong>segno<br />

sulla carta e mi si acclama come Maler, come pittore, e subito gli incoscienti si mettono a gridare:<br />

79


“Ah! abbiamo scoperto <strong>il</strong> tremendo complotto: quest’uomo non parla che da un punto <strong>di</strong> vista<br />

limitato. Vuole cacciar fuori dal palcoscenico, i nostri testi soltanto per sostituirli coi suoi quadri!”.<br />

Ma, signori miei, vi assicuro, siete caduti in un altro errore. Un errore in verità fac<strong>il</strong>e a<br />

commettersi ed alquanto <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e da evitare, perché naturalmente voi vi chiedete: “Se costui non è un<br />

pittore, allora che cos’è? Non può essere un <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena, perché se così fosse per prima cosa<br />

chiederebbe un autore, mentre invece non ne vuole...”. Comprendo perfettamente <strong>il</strong> vostro<br />

imbarazzo. Come potreste capire quel che ancora non è? come potreste credere in ciò che non avete<br />

ancora veduto? Oh! se ci fosse in tutto <strong>il</strong> mondo un pugno d’uomini che, vedendo con gli occhi della<br />

fantasia, credessero nel più intimo della loro mente a quel che “vedono”! Lasciatevi <strong>di</strong>re ancora una<br />

volta che non soltanto <strong>il</strong> lavoro dello scrittore è inut<strong>il</strong>e a <strong>teatro</strong>. Anche <strong>il</strong> lavoro del musicista lo è, ed<br />

anche quello del pittore. Tutti e tre sono completamente inut<strong>il</strong>i. Che essi rientrino nelle loro riserve,<br />

nei loro regni, e lascino agli Artisti del Teatro <strong>il</strong> possesso dei loro domini! Solo quando questi ultimi<br />

saranno <strong>di</strong> nuovo riuniti, sorgerà un’arte così alta, e così universalmente amata, che - lo profetizzo -<br />

si scoprirà in essa una nuova religione. Una religione senza pre<strong>di</strong>che, fatta <strong>di</strong> rivelazioni. Non ci<br />

mostrerà le immagini definite che lo scultore e <strong>il</strong> pittore ci offrono. Essa svelerà al nostri occhi i<br />

pensieri, s<strong>il</strong>enziosamente - per mezzo dei movimenti - in un susseguirsi <strong>di</strong> visioni.<br />

Così ora vi rendete conto - o, almeno, lo spero - che <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> non ha nulla a che fare con<br />

l’autore drammatico e con la letteratura. Vedete anche che la mia proposta è davvero innocua<br />

(qualcuno <strong>di</strong>rà: davvero insensata) - voglio soltanto reintegrare la nostra Arte antica ed onorevole.<br />

Innocua, perché vedete come io sia completamente libero da ogni prevenzione nei confronti del poeta<br />

o del drammaturgo. Inoltre i miei sentimenti avranno ben poca influenza sul <strong>teatro</strong> moderno. <strong>Il</strong> <strong>teatro</strong><br />

moderno manterrà la sua posizione e continuerà immutato finché <strong>il</strong> pittore non mostrerà un po’ più i<br />

denti, ed allora <strong>di</strong>venterà <strong>teatro</strong> ultra-moderno; poi verrà <strong>il</strong> turno <strong>di</strong> qualche altro artista - forse<br />

dell’architetto; infine questi due se lo contenderanno, sarà una bella piccola baruffa, e noi uomini <strong>di</strong><br />

<strong>teatro</strong>, come <strong>il</strong> terzo cane, scapperemo con l’osso. Eccola!<br />

1908.<br />

80


<strong>Il</strong> <strong>teatro</strong> in Russia, in Germania e in Ingh<strong>il</strong>terra<br />

Due lettere a John Semar<br />

I.<br />

<strong>Il</strong> <strong>teatro</strong> in Germania e in Ingh<strong>il</strong>terra<br />

Caro Semar,<br />

alla mia partenza da Firenze mi avevi chiesto <strong>di</strong> inviarti notizie sui teatri che avrei visto in<br />

Germania, in Ingh<strong>il</strong>terra e in Russia: non ero neppure giunto a Monaco, che già volevo spe<strong>di</strong>rti<br />

notizie sufficienti a riempire tre numeri <strong>di</strong> The Mask.<br />

Arrivato ad Amsterdam volevo mandarti ancora altre notizie; ora che sono in Ingh<strong>il</strong>terra vedo<br />

che è assolutamente necessario non rimandare oltre.<br />

Non intendo scrivere nulla sull’Arte del Teatro, perché essa in realtà non esiste, però si può<br />

scrivere sull’attività o sull’inattività del <strong>teatro</strong>, e se mi chie<strong>di</strong> dove <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> è più attivo, ti devo<br />

rispondere: in Germania. L’attività tedesca non è soltanto impulsiva, ma è sistematica, e questa<br />

combinazione porterà entro vent’anni <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> tedesco al primo posto in tutta Europa. Giu<strong>di</strong>co<br />

secondo quel che ho veduto, non per sentito <strong>di</strong>re; e questo è quel che ho veduto a Monaco.<br />

Ho visto principi dare <strong>il</strong> loro nome e <strong>il</strong> loro denaro per sostenere <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>. Ho veduto un<br />

nuovo <strong>teatro</strong> costruito a Monaco dall’architetto professor Littmann; l’ho visitato, e ti posso assicurare<br />

che è <strong>di</strong> prima categoria. Non ha quella stupida faccenda delle balconate una sull’altra, con<br />

dorature inut<strong>il</strong>i e colonne <strong>di</strong> marmo, con altrettanto inut<strong>il</strong>i drappi felpati o <strong>di</strong> seta, con enormi<br />

lampadari o con i soliti palchi per l’orchestra o <strong>il</strong> solito palcoscenico. È una cosa del tutto fuori<br />

dell’or<strong>di</strong>nario, eppure ve<strong>di</strong> dei principi che sostengono l’impresa, senza chiamarla eccentrica, e - quel<br />

che è più importante - anche <strong>il</strong> popolo l’incoraggia. Ho cercato <strong>di</strong> procurarmi una poltrona per la<br />

rappresentazione della sera stessa, e sebbene si fosse alla fine della stagione, non ci sono riuscito.<br />

Grazie alla cortesia del professor Littmann son potuto salire sul palcoscenico <strong>di</strong> giorno, visitare<br />

l’au<strong>di</strong>torium, e vedere i <strong>di</strong>spositivi scenici quelli per l’<strong>il</strong>luminazione.<br />

Non sono affatto sim<strong>il</strong>i a quelli che ho sempre veduto altrove. Non voglio <strong>di</strong>scutere se siano<br />

tecnicamente migliori o peggiori, ma la cosa su cui desidero richiamare la tua attenzione è che,<br />

sebbene siano completamente nuovi, completamente originali, pure ricevono aiuto, e non un timido<br />

appoggio, ma l’aiuto entusiasta, senza riserve, <strong>di</strong> tutta la città <strong>di</strong> Monaco. Ed ora eccomi in<br />

Ingh<strong>il</strong>terra, e non vedo neanche una città che offra col cuore <strong>il</strong> sia pur minimo appoggio a una<br />

qualsiasi idea originale che venga in mente ai giovani; tutto questo è semplicemente vergognoso. In<br />

Ingh<strong>il</strong>terra abbiamo, io credo, la stessa intelligenza, lo stesso gusto, e forse la stessa genialità, che<br />

nelle altre nazioni. La bellezza, caro Semar, la bellezza dell’Ingh<strong>il</strong>terra è straor<strong>di</strong>naria, la bellezza <strong>di</strong><br />

questo popolo è stupefacente, ma la sua energia sembra, per <strong>il</strong> momento, nulla.<br />

Credo proprio che tutti gli artisti si siano messi a giocare a golf o a tirare ai fagiani. Immagino<br />

che preferiscano vivere all’aria aperta piuttosto che star seduti al chiuso per sentirsi insultare da una<br />

massa <strong>di</strong> ricchi blasonati dormiglioni, ai quali non è mai venuto in mente che ci possa essere qualcosa<br />

<strong>di</strong> meglio da fare, invece che dormire. Prima <strong>di</strong> partire dall’Ingh<strong>il</strong>terra, pensavo che la colpa fosse dei<br />

capocomici e degli uomini <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>; ma i capocomici non son poi da condannare del tutto. <strong>Il</strong> paese è<br />

da biasimare e con esso i ricchi gent<strong>il</strong>uomini d’Ingh<strong>il</strong>terra. Cosa mi dà <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> parlare così? <strong>Il</strong> <strong>mio</strong><br />

soggiorno in Germania <strong>di</strong> circa quattro anni, i miei viaggi in Russia e in Olanda e, per finire,<br />

quest’ultima visita <strong>di</strong> due giorni a Monaco. Uno vede e <strong>di</strong> colpo comprende tutto; dopo aver atteso,<br />

guardato, indagato, chiesto, d’un tratto tutto appare chiaro. A meno che i gent<strong>il</strong>uomini inglesi non si<br />

sveglino e decidano <strong>di</strong> mettere da parte l’abito da snob per indossare un abito la gent<strong>il</strong>uomo, <strong>il</strong> <strong>teatro</strong><br />

81


non risorgerà - finché un giorno non si accorgeranno <strong>di</strong> aver perso tutto <strong>il</strong> loro denaro, finito in mano<br />

<strong>di</strong> una nazione straniera, e non si guarderanno attorno <strong>di</strong>sperati in cerca <strong>di</strong> qualcuno che li aiuti.<br />

Allora vedranno gli artisti e i lavoratori. Non sono un socialista. Mi piace pensare agli eleganti lord<br />

inglesi; ma questi lord eleganti, dai mo<strong>di</strong> sicuri, non esistono più: sono tutti sonnambuli con la faccia<br />

e la barba bianca; vanno su e giù da una città all’altra del Regno, mormorando fra sé “Grazie a Dio,<br />

papà <strong>mio</strong> m’ha lasciato in buone con<strong>di</strong>zioni! Ora non avrò più <strong>di</strong> che affliggermi!”. Ma certamente<br />

avranno ancora molto <strong>di</strong> che dolersi, mi sembra, e in un modo che non s’aspettano. No! Non sono<br />

socialista, caro Semar, non ancora!<br />

Ancora una o due parole sul <strong>teatro</strong> <strong>di</strong> Monaco - <strong>il</strong> Münchner Künstler Theater - cioè <strong>il</strong> Teatro<br />

degli Artisti <strong>di</strong> Monaco. Un certo numero <strong>di</strong> artisti inglesi, forse i migliori, vedono qualcosa <strong>di</strong><br />

allarmante in quel che essi chiamano <strong>teatro</strong> d’Arte, Arte con la A maiuscola. Ma perché quest’Arte<br />

non dovrebbe avere la “A” maiuscola, come ogni altra? Ho visto la parola Guerra con la “G”<br />

maiuscola, cos’è al confronto Arte con la “A” maiuscola?<br />

Non ti posso parlare <strong>di</strong> tutti i lavori che mettono in scena, ma voglio solo ricordare <strong>il</strong> Faust,<br />

che comincia alle sei <strong>di</strong> sera, per poterlo rappresentare integralmente; <strong>il</strong> Teatro delle Meraviglie,<br />

lavoro <strong>di</strong> cui certo pochi avranno sentito parlare, scritto da uno sconosciuto, Cervantes; o anche Die<br />

Deutschen Kleinstädter o La do<strong>di</strong>cesima notte; oltre a questi c’è La Regina <strong>di</strong> Maggio,<br />

Tanzmärchen, Herr Peter Squenz, ed altri lavori <strong>di</strong> grande interesse.<br />

Queste messe in scena sono opera <strong>di</strong> pittori e <strong>di</strong> attori, ma non <strong>di</strong> attori sconosciuti, <strong>di</strong> attori<br />

cosiddetti in<strong>di</strong>pendenti. Sono gli attori del Teatro Reale, cioè quelli che noi chiamiamo attori della<br />

scuola tra<strong>di</strong>zionale. Vien fatto <strong>di</strong> chiedersi se, qualora si trovasse un uomo tanto generoso da<br />

costruire in Ingh<strong>il</strong>terra un <strong>teatro</strong> d’Arte, i teatri più importanti sarebbero <strong>di</strong>sposti a cedere i loro<br />

attori. L’orchestra del piccolo <strong>teatro</strong> <strong>di</strong> Monaco non è un’orchestra <strong>di</strong> fortuna, ma è l’Orchestra della<br />

Società F<strong>il</strong>armonica!<br />

Ora, con un sim<strong>il</strong>e inizio, con un complesso tale <strong>di</strong> attori, musicisti e scenografi (non<br />

parliamo dei <strong>di</strong>rettori <strong>di</strong> scena, che sono quanto <strong>di</strong> meglio si possa desiderare), è lecito attendersi<br />

molto. Anche in Ingh<strong>il</strong>terra si potrebbe sperare altrettanto, con una “troupe” del genere. Sebbene non<br />

abbia potuto vedere lo spettacolo, non dubito che sia stato eccellente, perché affatto completo. Ho<br />

veduto <strong>il</strong> palcoscenico, e te ne voglio parlare.<br />

Era assai piccolo, ma completissimo. Sembrava che niente fosse lasciato al caso. I tiri, le<br />

scene, le luci, tutto sembrava fuori del comune; si aveva l’impressione che ogni cosa fosse riposta<br />

come in un arma<strong>di</strong>o. Le scene in uso erano tutte montate non so <strong>di</strong>rti con quanta perfezione e<br />

ingegnosità. <strong>Il</strong> palcoscenico era preparato per la sera, con le se<strong>di</strong>e e i tavoli coperti. Lo scenario,<br />

sebbene lo si stesse usando già da parecchi mesi, non mostrava alcuna traccia <strong>di</strong> usura; anche gli<br />

angoli, dove si congiungono più pezzi, sembravano nuovi come <strong>il</strong> primo giorno. Ogni cosa era curata<br />

a meraviglia. Ero incantato da ciò che vedevo e che pareva <strong>di</strong>rmi chiaramente: “Noi tedeschi non<br />

siamo in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>re se lo spettacolo sarà un’opera d’arte o no; non possiamo <strong>di</strong>re se stasera verrà a<br />

<strong>teatro</strong> in genio o uno stupido; ma siamo decisi a far trovare - a questo stupido o a questo genio -<br />

tutto in perfetto or<strong>di</strong>ne; e lui non avrà nulla da ri<strong>di</strong>re sulla <strong>di</strong>sposizione materiale delle cose. Se non<br />

avremo pre<strong>di</strong>sposto un meccanismo efficiente (non necessariamente un meccanismo complicato) <strong>il</strong><br />

lavoro non avrà alcuna possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> buona riuscita”.<br />

Sarebbe curioso vedere in che modo i tedeschi intraprendono un compito del genere; sarebbe<br />

molto interessante sapere se è un comitato a organizzare tutto questo sistema, o se è effetto <strong>di</strong><br />

un’educazione nazionale, o se <strong>di</strong>pende dalla personalità <strong>di</strong> uno solo. Secondo me deriva<br />

dall’educazione nazionale. “Dietro front! Avanti march! Fianco destro!”. Qualcosa del genere. Le<br />

macchine <strong>di</strong> scena del <strong>teatro</strong> mi sembrava che provenissero da ogni parte del mondo; la Germania è<br />

caratteristica proprio per questo, perché non rifiuta la minima cosa, se pensa che possa essere ut<strong>il</strong>e.<br />

82


Non ti ho parlato dell’e<strong>di</strong>ficio in se stesso. È molto bello; sarebbe lungo descriverti i suoi<br />

aspetti piacevoli, ma anche qui la bellezza passa in secondo piano, l’essenziale è la praticità e<br />

l’ut<strong>il</strong>ità. Entri nell’e<strong>di</strong>ficio, e subito <strong>di</strong> fronte a te c’è la cassa per i biglietti. Dai due lati ci sono dei<br />

gra<strong>di</strong>ni che portano alle poltrone, persino le in<strong>di</strong>cazioni sul percorso da seguire fanno parte della<br />

decorazione d’insieme: non hanno l’aria, come in Ingh<strong>il</strong>terra, <strong>di</strong> cartelli appesi al muro. C’è molto<br />

ancora da <strong>di</strong>re. Ti scriverò ancora su questo e altri teatri, e speriamo che in Ingh<strong>il</strong>terra ci si decida a<br />

intraprendere un’azione comune per questa faccenda <strong>di</strong> un <strong>teatro</strong> nuovo. Prima <strong>di</strong> tutto è necessario<br />

che i gent<strong>il</strong>uomini inglesi comprendano <strong>il</strong> ruolo che dovranno sostenere; poi che anche gli<br />

organizzatori sappiano la loro parte; e infine che si ricorra all’artista per riempire <strong>di</strong> cose belle un<br />

<strong>teatro</strong> bello e ben strutturato.<br />

P.S. A proposito, passando per la porta <strong>di</strong> scena del <strong>teatro</strong> ho notato questa scritta:<br />

“Sprechen Streng Verboten”, che significa “È severamente proibito parlare”. In un primo momento<br />

ho pensato <strong>di</strong> essere in cielo. Ho pensato: “Finalmente hanno scoperto l’Arte del Teatro”. Invece no,<br />

non sono andati tanto lontano. Che strano! Ma la chiave è proprio in quel Sprechen streng verboten.<br />

Ingh<strong>il</strong>terra, 1908.<br />

Nota. Dopo questo <strong>mio</strong> scritto, i tedeschi, guidati dal loro grande maestro professor Reinhardt, hanno<br />

invaso l’Ingh<strong>il</strong>terra e hanno <strong>di</strong>mostrato che quanto scrivevo nel 1908 era esatto. Hanno dato<br />

all’Ingh<strong>il</strong>terra una bella lezione in fatto <strong>di</strong> amministrazione teatrale e <strong>di</strong> arte teatrale moderna.<br />

II.<br />

<strong>Il</strong> <strong>teatro</strong> in Russia e in Ingh<strong>il</strong>terra<br />

Caro Semar,<br />

avevo intenzione <strong>di</strong> scriverti del <strong>teatro</strong> in Ingh<strong>il</strong>terra. Forse uno <strong>di</strong> questi giorni mi sentirò più<br />

ispirato e ti invierò su <strong>di</strong> una cartolina <strong>il</strong>lustrata le poche righe necessarie a definire quel che penso<br />

del <strong>teatro</strong> in Ingh<strong>il</strong>terra, ma oggi mi mancano le parole.<br />

È che, sai, l’ho veduto or ora, lui e gli allegri compagni che lo compongono: sono davvero<br />

<strong>di</strong>vertenti. Potrei scriverti dei libri su <strong>di</strong> loro e sulle loro geniali amab<strong>il</strong>ità.<br />

Ora sono in Russia, nella vivida città <strong>di</strong> Mosca, ricevuto e festeggiato dagli attori del maggior<br />

<strong>teatro</strong> locale: i più splen<strong>di</strong><strong>di</strong> camerati <strong>di</strong> tutto <strong>il</strong> mondo. Ma non basta: oltre ad essere ospiti perfetti,<br />

sono degli ammirab<strong>il</strong>i attori.<br />

Sulergiskij, Moskwin, Artem, Leonidov, Katscialov, Wischnewsky, Luschki, Balliv,<br />

Adaschev; la signora L<strong>il</strong>ina, deliziosa; la signora Knipper, magnifica, quando vuole; alcuni degli attori<br />

nell’Oiseau bleu sono molto bravi, specialmente la signorina Koonen. Aggiungi a questi i cento altri,<br />

fra attori e attrici, che promettono <strong>di</strong> formare presto un complesso drammatico potente e omogeneo;<br />

quando ti avrò detto che sono tutti intelligenti, entusiasti del loro lavoro, che lavorano su nuovi testi<br />

ogni giorno e su nuove idee ogni minuto, e così via, potrai formartene da solo l’idea che vorrai.<br />

Se, per virtù magica, una tale compagnia potesse sorgere in Ingh<strong>il</strong>terra, Shakespeare<br />

<strong>di</strong>verrebbe ancora una volta una forza viva. Nelle con<strong>di</strong>zioni attuali non è che una mercanzia. <strong>Il</strong><br />

Teatro d’Arte (del quale ti sto scrivendo) è vivo qui, ed ha un carattere e un’intelligenza.<br />

<strong>Il</strong> suo <strong>di</strong>rettore, Constantin Stanislavskij, ha ottenuto l’impossib<strong>il</strong>e: ha costituito con<br />

successo un <strong>teatro</strong> non commerciale. Egli crede nel realismo come mezzo attraverso <strong>il</strong> quale l’attore<br />

può rivelare la psicologia del drammaturgo. Io non ci credo. Ma non è questa la sede per <strong>di</strong>scutere se<br />

questa teoria abbia valore o meno: le perle a volte si possono trovare nella spazzatura; guardando in<br />

basso a volte si può vedere <strong>il</strong> cielo.<br />

83


Tutto ciò che questi russi fanno sulla scena, lo fanno a perfezione. Perdono tempo, denaro,<br />

fatica, cervello e pazienza come prìncipi: da autentici prìncipi non ritengono che spendere gran<strong>di</strong><br />

somme per la scenografia e <strong>il</strong> macchinario esaurisca i loro compiti, non<strong>di</strong>meno non trascurano <strong>di</strong><br />

occuparsene.<br />

Fanno centinaia <strong>di</strong> prove per ogni lavoro, cambiano più volte una scena finché non è in<br />

armonia con le loro idee: provano, provano e provano, inventando dettagli su dettagli con<br />

un’accuratezza e una pazienza perfette, e sempre con un’intelligenza vivida - l’intelligenza russa.<br />

Serietà e carattere, queste due qualità condurranno <strong>il</strong> Teatro d’Arte <strong>di</strong> Mosca a successi senza<br />

fine, in Europa e altrove. <strong>Il</strong> loro <strong>teatro</strong> è nato col cucchiaio d’argento in bocca: ha solo <strong>di</strong>eci anni, per<br />

ora, ma ha un lungo avvenire <strong>di</strong>nanzi a sé: quando sarà cresciuto <strong>di</strong>verrà un’istituzione fondamentale.<br />

Deve stare attento a non fare la corte alla poesia, e non deve sposarla, ma quando sarà giunto all’età<br />

vir<strong>il</strong>e si sveglierà a una nuova coscienza, <strong>di</strong>spiegherà le ali della fantasia e si leverà in alto per quella<br />

strada più vasta e più aperta che non ha nome e non conduce in alcun luogo al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> se stessa.<br />

Ed io mi sento forse più infelice <strong>di</strong> quanto mi sia mai sentito in vita mia, perché mi rendo<br />

conto del torpore senza rime<strong>di</strong>o dell’Ingh<strong>il</strong>terra e della sua scena, della vanità e della follia insanab<strong>il</strong>i<br />

del suo <strong>teatro</strong>; dell’assoluta stupi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> chiunque ha a che fare con le Arti in Ingh<strong>il</strong>terra; del<br />

compiacimento letale con cui Londra stima <strong>di</strong> essere attiva e intelligente in questo campo; dell’i<strong>di</strong>ozia<br />

<strong>di</strong> quella parte della stampa che chiama “eccentrico” ogni coraggioso tentativo <strong>di</strong> rianimare la vita e<br />

l’arte; della mancanza <strong>di</strong> cameratismo a Londra; in una parola, <strong>di</strong> questo desiderio sfrenato <strong>di</strong> cose da<br />

quattro sol<strong>di</strong>. Gli attori inglesi non hanno vie d’uscita: <strong>il</strong> loro sistema <strong>di</strong>rettivo è pessimo: non hanno<br />

modo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are o <strong>di</strong> provare, non osano ribellarsi per non perdere <strong>il</strong> pane e burro quoti<strong>di</strong>ano, così si<br />

godono la vita come meglio possono, cioè amaramente.<br />

Gli attori russi del Teatro <strong>di</strong> Mosca mi hanno dato l’impressione <strong>di</strong> provare durante i loro<br />

spettacoli un piacere intellettuale molto più intenso che non gli altri attori d’Europa. Ogni loro<br />

rappresentazione è ammirevole: sia che si tratti <strong>di</strong> un dramma della vita e dei sentimenti moderni o <strong>di</strong><br />

una fiaba, vi apportano sempre un tratto <strong>di</strong> sicurezza, <strong>di</strong> delicatezza, da maestri. Nulla è lasciato al<br />

caso. Ogni cosa è trattata seriamente. La serietà, come ti ho detto, è la qualità più marcata nel <strong>teatro</strong><br />

russo. Lo zelo non è mai apparente, e a me che vengo dall’Ingh<strong>il</strong>terra e non vivo qui, questa serietà<br />

probab<strong>il</strong>mente appare con più evidenza. In Ingh<strong>il</strong>terra lo spirito <strong>di</strong> derisione ha mantenuto lo stesso<br />

potere che aveva trent’anni or sono, quando E. W. Godwin vi pose l’accento. I <strong>di</strong>rettori e gli attori<br />

non osano essere seri, perché potrebbero venir derisi, e ovviamente hanno paura <strong>di</strong> essere soltanto<br />

zelanti. In Ingh<strong>il</strong>terra ve<strong>di</strong>amo un bravo attore ridere della sua parte e <strong>di</strong> se stesso, strizzare l’occhio<br />

in continuazione al pubblico, terrificato dall’idea <strong>di</strong> venir preso sul serio. Impegnarsi sarebbe più che<br />

un crimine - come <strong>di</strong>ce Alexandre - sarebbe uno sbaglio. Qui a Mosca rischiano lo sbaglio e in<br />

compenso sono riusciti a <strong>di</strong>ventare <strong>il</strong> miglior gruppo <strong>di</strong> attori sulla scena europea. <strong>Il</strong> loro primo<br />

attore, Stanislavskij, ha meno del turbine istintivo <strong>di</strong> Giovanni Grasso, è più intellettuale.<br />

Non fraintendermi: non stare a pensare che come attore sia freddo e compassato. Sarebbe<br />

<strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e trovare una tecnica più semplice, un risultato più umano. Maestro <strong>di</strong> psicologia, la sua<br />

recitazione è totalmente realistica; pure sa evitare tutte le forme brutali; le sue creazioni sono<br />

straor<strong>di</strong>narie per la grazia che hanno. Non posso trovare parola più appropriata.<br />

Più <strong>di</strong> ogni altro spettacolo mi è piaciuto lo Zio Vania, sebbene questa compagnia sia in grado<br />

<strong>di</strong> metter mano a qualunque testo mirab<strong>il</strong>mente.<br />

Nel Nemico del popolo Stanislavskij ci mostra come recitare la parte del dottor Stockmann<br />

senza essere “teatrale” e senza essere comico o stupido. <strong>Il</strong> pubblico sorride tutto <strong>il</strong> tempo che non è<br />

commosso fino alle lagrime, ma non si sentono mai quegli scrosci <strong>di</strong> risate che sono così abituali nel<br />

<strong>teatro</strong> inglese.<br />

84


Mosca, 1908.<br />

85


L’Arte del Teatro<br />

Primo <strong>di</strong>alogo 40<br />

fra un uomo del mestiere - <strong>il</strong> regista<br />

e un frequentatore <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> - lo spettatore<br />

IL REGISTA Ormai abbiamo finito la nostra visita: abbiamo visto la struttura generale del <strong>teatro</strong>, i<br />

macchinari per cambiare le scene, l’apparato delle luci e cento altre cose; vi ho spiegato anche<br />

come funziona tutto <strong>il</strong> meccanismo. Fermiamoci in platea, adesso, e parliamo un po’ del <strong>teatro</strong> e<br />

della sua arte. Sapete che cosa è l’Arte del Teatro?<br />

LO SPETTATORE La recitazione, mi sembra...<br />

IL REGISTA Una sola parte, dunque, è uguale al tutto?<br />

LO SPETTATORE No <strong>di</strong> certo. Voi allora credete che l’Arte del Teatro stia nel testo scritto?<br />

IL REGISTA <strong>Il</strong> testo è un’opera letteraria. Com’è possib<strong>il</strong>e che un’arte sia allo stesso tempo se stessa<br />

e un’altra?<br />

LO SPETTATORE È vero; ma se mi <strong>di</strong>te che né la recitazione, né <strong>il</strong> testo sono l’Arte del Teatro, devo<br />

concludere che lo siano la scenografia e la danza. Non mi <strong>di</strong>rete, spero, che intendete questo.<br />

IL REGISTA No. L’Arte del Teatro non si identifica con la recitazione o con <strong>il</strong> testo, e neppure con la<br />

scenografia o la danza, ma è sintesi <strong>di</strong> tutti gli elementi che compongono quest’insieme: <strong>di</strong> azione,<br />

che è lo spirito della recitazione; <strong>di</strong> parole, che formano <strong>il</strong> corpo del testo; <strong>di</strong> linea e <strong>di</strong> colore, che<br />

sono <strong>il</strong> cuore della scenografia; <strong>di</strong> ritmo, che è l’essenza della danza.<br />

LO SPETTATORE Azione, parole, linea, colore, ritmo! E quale <strong>di</strong> questi elementi è più importante per la<br />

nostra arte?<br />

IL REGISTA L’uno non è più essenziale dell’altro, come un colore non è più importante <strong>di</strong> un altro per<br />

<strong>il</strong> pittore o una nota più <strong>di</strong> un’altra per <strong>il</strong> musicista. Sotto un certo aspetto, forse, l’azione ha la<br />

priorità. Essa è per l’Arte del Teatro quello che <strong>il</strong> <strong>di</strong>segno è per la pittura o la melo<strong>di</strong>a per la<br />

musica. L’Arte del Teatro è nata dall’azione, dal movimento, dalla danza.<br />

LO SPETTATORE Avevo sempre creduto che fosse nata dalla parola e avesse come padre <strong>il</strong> poeta.<br />

IL REGISTA È l’opinione comune, ma riflettete un istante: l’immaginazione del poeta prende corpo in<br />

parole, scelte con arte; egli recita o canta queste parole, ed è fatto. La sua poesia, detta o cantata,<br />

si rivolge all’u<strong>di</strong>to e, attraverso l’u<strong>di</strong>to, alla fantasia. Se poi <strong>il</strong> poeta aggiunge <strong>il</strong> gesto alla <strong>di</strong>zione o<br />

al canto, la cosa non ci è d’aiuto; al contrario, rovina tutto.<br />

LO SPETTATORE D’accordo. Capisco bene che aggiungere <strong>il</strong> gesto a un perfetto poema lirico non può<br />

che produrre un risultato <strong>di</strong>sarmonico. Ma si può <strong>di</strong>re lo stesso della poesia drammatica?<br />

IL REGISTA Senza dubbio. Ricordate che io parlo <strong>di</strong> poema drammatico, non <strong>di</strong> dramma, che sono due<br />

cose <strong>di</strong>stinte. <strong>Il</strong> poema drammatico è composto per essere letto, <strong>il</strong> dramma invece lo si deve<br />

vedere recitato in scena. Quin<strong>di</strong> <strong>il</strong> gesto è necessario al dramma, inut<strong>il</strong>e al poema drammatico. È<br />

assurdo parlare <strong>di</strong> queste due cose, del gesto e della poesia, come se fossero in qualche modo<br />

collegate. Allo stesso modo, non dovete neppure confondere <strong>il</strong> poeta drammatico col<br />

40 Questo Primo Dialogo fu pubblicato nel 1905. Si ristampa qui col suo titolo originale, benché oggi preferirei<br />

intitolarlo “L’Arte del Teatro <strong>di</strong> Domani”; rappresenta bene, infatti, questo <strong>teatro</strong>. <strong>Il</strong> giorno che seguirà al “domani” si<br />

può senz’altro chiamare “avvenire”. Occorrerà allora un <strong>teatro</strong> più nuovo, migliore <strong>di</strong> quello qui in<strong>di</strong>cato, poiché allora<br />

avrete la Supermarionetta e <strong>il</strong> Dramma senza parole. Ma <strong>di</strong> ciò ho scritto altrove, in questo stesso volume.<br />

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drammaturgo. L’uno scrive per <strong>il</strong> lettore o l’ascoltatore, l’altro per <strong>il</strong> pubblico del <strong>teatro</strong>. Sapete<br />

chi è <strong>il</strong> padre del drammaturgo?<br />

LO SPETTATORE Non so... credo <strong>il</strong> poeta drammatico.<br />

IL REGISTA Vi sbagliate. <strong>Il</strong> padre del drammaturgo è <strong>il</strong> danzatore. Ora, mi sapete <strong>di</strong>re con quali mezzi<br />

<strong>il</strong> drammaturgo compose la sua prima opera?<br />

LO SPETTATORE Con le parole, immagino, come <strong>il</strong> poeta lirico.<br />

IL REGISTA Vi sbagliate <strong>di</strong> nuovo; così la pensa tutta la gente che non conosce la natura dell’arte<br />

drammatica. No: <strong>il</strong> drammaturgo compose la sua prima opera servendosi dell’azione, delle parole,<br />

della linea, del colore e del ritmo, facendo appello ai nostri occhi e al nostro orecchio me<strong>di</strong>ante un<br />

ab<strong>il</strong>e uso <strong>di</strong> questi elementi.<br />

LO SPETTATORE E qual è la <strong>di</strong>fferenza fra quest’opera del primo drammaturgo e quella dei<br />

drammaturghi contemporanei?<br />

IL REGISTA I primi drammaturghi erano figli del <strong>teatro</strong>; quelli <strong>di</strong> oggi non lo sono. Essi intuivano<br />

quello che i drammaturghi moderni non hanno ancora compreso. <strong>Il</strong> primo drammaturgo sapeva<br />

che quando compariva con i suoi compagni <strong>di</strong> fronte al pubblico, esso desiderava vedere più che<br />

u<strong>di</strong>re. Sapeva che la vista è <strong>il</strong> più veloce e <strong>il</strong> più acuto fra tutti i sensi dell’uomo. La prima cosa <strong>di</strong><br />

cui aveva la percezione quando compariva <strong>di</strong> fronte al pubblico erano le centinaia <strong>di</strong> occhi bramosi<br />

ed avi<strong>di</strong>. E gli spettatori, seduti tanto lontano da non poter u<strong>di</strong>re tutte le sue parole, sembravano<br />

più vicini per l’intensità e l’ardore con cui lo fissavano. Ad essi, e a tutti, egli si rivolgeva in<br />

poesia o in prosa, ma sempre me<strong>di</strong>ante l’azione: azione poetica, che è la danza, o azione in prosa,<br />

che è <strong>il</strong> gesto.<br />

LO SPETTATORE Interessante. Continuate, vi prego.<br />

IL REGISTA No. Piuttosto facciamo un passo in<strong>di</strong>etro. Vi ho detto che <strong>il</strong> primo drammaturgo era figlio<br />

del danzatore, cioè figlio del <strong>teatro</strong>, non figlio del poeta. Abbiamo visto or ora che <strong>il</strong> poeta<br />

drammatico d’oggi è figlio del poeta e sa giungere solo all’orecchio <strong>di</strong> chi lo ascolta, non altro. E <strong>il</strong><br />

pubblico <strong>di</strong> oggi, ciononostante, continua ad andare a <strong>teatro</strong> per vedere e non per u<strong>di</strong>re, come in<br />

passato. Non fraintendetemi, vi prego. Non voglio <strong>di</strong>re o suggerire che <strong>il</strong> poeta è cattivo autore<br />

drammatico o che esercita un’influenza negativa sul <strong>teatro</strong>. Desidero solo farvi comprendere che <strong>il</strong><br />

poeta non è uomo <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>, non proviene dal <strong>teatro</strong> e non ne può far parte; fra tutti gli scrittori,<br />

solo <strong>il</strong> drammaturgo ha, in virtù della sua origine, qualche <strong>di</strong>ritto, sia pur minimo, sul <strong>teatro</strong>. Ma<br />

an<strong>di</strong>amo avanti: la gente, secondo me, si riunisce ancora per vedere gli spettacoli, non per<br />

ascoltarli. Ma questo che cosa prova? Soltanto che <strong>il</strong> pubblico non è cambiato. È lì con m<strong>il</strong>le paia<br />

<strong>di</strong> occhi, proprio come una volta. La cosa è tanto più strana perché gli autori drammatici sono<br />

cambiati. Ed anche i drammi non sono più un insieme armonioso <strong>di</strong> azioni, parole, danza e scena:<br />

o son tutti parole o tutti scena. I lavori <strong>di</strong> Shakespeare, per esempio, son molto <strong>di</strong>fferenti dai più<br />

antichi misteri me<strong>di</strong>evali, composti esclusivamente per <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>. Amleto non è adatto per sua<br />

natura alla rappresentazione scenica; Amleto e le altre opere shakespeariane hanno una forma così<br />

perfetta alla lettura, che vengono inevitab<strong>il</strong>mente a perdere moltissimo quando ci son presentate<br />

dopo aver subito un trattamento scenico. <strong>Il</strong> fatto che venivano rappresentate ai tempi <strong>di</strong><br />

Shakespeare non prova <strong>il</strong> contrario. Le Mascherate, i Cortei erano allora gli esempi luminosi e<br />

belli <strong>di</strong> Arte del Teatro. Se i testi drammatici fossero stati scritti per essere veduti, leggendoli li<br />

troveremmo incompleti. Ora, non c’è chi, alla lettura, possa trovare Amleto noioso o incompleto,<br />

ma più d’uno, dopo aver assistito alla rappresentazione del lavoro, <strong>di</strong>rà con rammarico: “No, non<br />

è l’Amleto <strong>di</strong> Shakespeare”. Quando non si può aggiungere nulla per migliorare un’opera d’arte,<br />

essa è “finita”, completa. Amleto era finito - completo - quando Shakespeare ne scrisse l’ultima<br />

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parola; aggiungervi gesti, scena, costumi o danza, è come insinuare che è incompleto e che<br />

pertanto ha bisogno <strong>di</strong> essere perfezionato.<br />

LO SPETTATORE Ma allora volete <strong>di</strong>re che Amleto non si dovrebbe mai rappresentare?<br />

IL REGISTA A che scopo rispondere “proprio così”? Amleto sarà rappresentato ancora ed è dovere<br />

dei suoi interpreti <strong>di</strong> fare del loro meglio. Ma non è detto che <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> dovrà basarsi sempre su <strong>di</strong><br />

un testo da mettere in scena; un giorno, vi ho detto, creerà i prodotti autonomi della sua arte.<br />

LO SPETTATORE Un’opera teatrale, dunque, dovrebbe essere incompleta quando è stampata in un libro<br />

o recitata soltanto?<br />

IL REGISTA Sì. Incompleta comunque e sempre, tranne che sulle tavole del palcoscenico. Non può<br />

non essere insod<strong>di</strong>sfacente, priva <strong>di</strong> arte, alla lettura o all’ascolto, perché senza l’azione, senza <strong>il</strong><br />

colore, la linea e <strong>il</strong> ritmo nel movimento e nella scena, è incompleta.<br />

LO SPETTATORE La cosa è interessante, ma allo stesso tempo mi sorprende.<br />

IL REGISTA Forse perché è un po’ fuori dell’or<strong>di</strong>nario? Ditemi: cosa vi stupisce, in modo particolare?<br />

LO SPETTATORE Ebbene, prima <strong>di</strong> tutto <strong>il</strong> fatto che non mi ero mai fermato a considerare in cosa<br />

consista l’Arte del Teatro; per la maggior parte <strong>di</strong> noi non è che un <strong>di</strong>vertimento, uno svago.<br />

IL REGISTA E per voi?<br />

LO SPETTATORE Oh, per me è sempre stata una cosa affascinante, metà <strong>di</strong>vertimento e metà esercizio<br />

intellettuale. Lo spettacolo mi <strong>di</strong>verte sempre, e così l’interpretazione che danno gli attori, spesso<br />

poi contribuisce ad educarmi.<br />

IL REGISTA Difatti è una specie <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfazione incompleta. È <strong>il</strong> risultato che si ottiene quando si<br />

vede o si ascolta qualcosa <strong>di</strong> imperfetto.<br />

LO SPETTATORE Eppure qualche rappresentazione particolare a volte mi ha sod<strong>di</strong>sfatto, così almeno<br />

credo.<br />

IL REGISTA Se un lavoro, ovviamente me<strong>di</strong>ocre, vi ha sod<strong>di</strong>sfatto, non è possib<strong>il</strong>e che abbiate trovato<br />

soltanto qualcosa <strong>di</strong> meno me<strong>di</strong>ocre <strong>di</strong> ciò che vi aspettavate? C’è gente che va a <strong>teatro</strong>, oggi,<br />

aspettandosi <strong>di</strong> morire <strong>di</strong> noia. Ed è naturale, perché hanno insegnato loro a veder solo cose<br />

noiose. Se mi <strong>di</strong>te che uno spettacolo teatrale moderno vi ha sod<strong>di</strong>sfatto, questo prova che non<br />

solo l’arte è degenerata ma anche una parte del pubblico. Ma non vi lasciate scoraggiare, per<br />

questo. Conoscevo un uomo così occupato che non aveva neppure <strong>il</strong> tempo <strong>di</strong> ascoltare della<br />

musica, all’infuori <strong>di</strong> quella dell’organetto in strada. E questa era per lui la musica ideale. Ebbene,<br />

come certo sapete, a questo mondo c’è della musica un po’ migliore... Se vedeste una sola volta<br />

una vera opera d’arte teatrale, non sopportereste più quelle che oggi vi somministrano al suo<br />

posto. Eppure, non vi è dato <strong>di</strong> vederla; e non perché <strong>il</strong> pubblico non lo desideri o perché <strong>il</strong> <strong>teatro</strong><br />

non <strong>di</strong>sponga <strong>di</strong> uomini eccellenti capaci <strong>di</strong> eseguirla, ma perché manca l’artista che la crei -<br />

l’artista <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>, ricordate, non <strong>il</strong> pittore, <strong>il</strong> poeta o <strong>il</strong> musicista. I molti eccellenti uomini del<br />

mestiere, a cui ho accennato, sono tutti più o meno impotenti a cambiare questa situazione; sono<br />

obbligati a fornire al <strong>di</strong>rettore del <strong>teatro</strong> quello che lui chiede, e lo fanno <strong>di</strong> buon grado. L’avvento<br />

dell’artista nel mondo teatrale cambierà tutto. Egli raccoglierà, lentamente ma inevitab<strong>il</strong>mente,<br />

attorno a sé i lavoratori più bravi - ne ho già parlato - e con loro darà nuova vita all’Arte del<br />

<strong>teatro</strong>.<br />

LO SPETTATORE E gli altri?<br />

IL REGISTA Gli altri? <strong>Il</strong> <strong>teatro</strong> moderno è pieno <strong>di</strong> questi altri, <strong>di</strong> questi mestieranti senza pratica e<br />

senza talento. A loro favore si può <strong>di</strong>re una cosa: credo che non si rendano conto della loro<br />

incapacità. Non è ignoranza da parte loro, è ingenuità. Se si rendessero conto una buona volta <strong>di</strong><br />

essere degli artigiani, <strong>di</strong> avere un mestiere in cui far pratica! E non parlo soltanto dei macchinisti,<br />

elettricisti, dei parrucchieri, costumisti, scenografi e attori (questi in realtà sono per molti aspetti<br />

gli artigiani più bravi e più volenterosi): parlo principalmente del regista. Se <strong>il</strong> regista si<br />

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preparasse tecnicamente a interpretare le opere del drammaturgo a tempo debito, con uno<br />

svolgimento progressivo, riuscirebbe a restituire al <strong>teatro</strong> <strong>il</strong> terreno perduto, ed infine me<strong>di</strong>ante <strong>il</strong><br />

suo genio creativo, reintegrerebbe l’Arte del Teatro nella sede che le è propria.<br />

LO SPETTATORE Ma allora voi anteponete <strong>il</strong> regista agli attori?<br />

IL REGISTA Sì; <strong>il</strong> rapporto fra <strong>il</strong> regista e l’attore è proprio identico a quello che intercorre fra <strong>il</strong><br />

<strong>di</strong>rettore d’orchestra e gli orchestrali o fra l’e<strong>di</strong>tore e <strong>il</strong> tipografo.<br />

LO SPETTATORE E considerate <strong>il</strong> regista un artigiano e non un artista?<br />

IL REGISTA Quando interpreta le opere <strong>di</strong> un drammaturgo col concorso degli attori, degli scenografi e<br />

degli altri artigiani, allora anche lui è un operaio - un artigiano capo; quando conoscerà a fondo<br />

l’uso delle azioni, delle parole, della linea, del colore e del ritmo, allora soltanto potrà <strong>di</strong>ventare un<br />

artista. Quel giorno non ci occorrerà più l’aiuto <strong>di</strong> un autore teatrale, perché la nostra arte sarà del<br />

tutto autonoma.<br />

LO SPETTATORE La Rinascita dell’arte secondo voi è intimamente legata alla Rinascita del regista?<br />

IL REGISTA Certo, senz’ombra <strong>di</strong> dubbio. Avevate forse creduto per un momento che io <strong>di</strong>sprezzassi<br />

<strong>il</strong> regista? Io <strong>di</strong>sprezzo piuttosto ogni uomo che venga meno a tutti i suoi doveri <strong>di</strong> <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong><br />

scena.<br />

LO SPETTATORE E quali sono questi doveri?<br />

IL REGISTA Qual è <strong>il</strong> suo mestiere? Ve lo <strong>di</strong>rò io. <strong>Il</strong> suo lavoro come interprete dell’opera del<br />

drammaturgo è press’a poco questo: prende la copia del testo dalle mani dell’autore, e promette<br />

d’interpretarlo, fedelmente, secondo la lettera (ricordate che qui parlo soltanto dei registi più<br />

bravi). Poi legge l’opera e durante la prima lettura tutto <strong>il</strong> colore, <strong>il</strong> tono, <strong>il</strong> movimento e <strong>il</strong> ritmo<br />

che <strong>il</strong> lavoro assumerà, gli appaiono in modo chiaro. Quanto alle <strong>di</strong>rettive sceniche, alle<br />

descrizioni degli ambienti ecc., <strong>di</strong> cui l’autore può avere infiorato <strong>il</strong> testo, non ne terrà alcun<br />

conto, perché, se è padrone del suo mestiere, non gli potranno essere <strong>di</strong> alcuna ut<strong>il</strong>ità.<br />

LO SPETTATORE Non vi capisco bene. Volete <strong>di</strong>re che quando un autore si è dato la pena <strong>di</strong> descrivere<br />

le scene in cui i suoi personaggi dovranno muoversi e parlare, <strong>il</strong> regista non deve prenderne atto? -<br />

in altre parole le deve ignorare?<br />

IL REGISTA Non fa <strong>di</strong>fferenza se le ignora oppure no. Quello a cui deve badare è <strong>di</strong> armonizzare<br />

l’azione e la scena coi versi o con la prosa del testo, con la sua bellezza ed <strong>il</strong> suo senso.<br />

Qualunque sia <strong>il</strong> quadro che <strong>il</strong> drammaturgo vuole mostrarci, egli ci descriverà la scena nel corso<br />

della conversazione fra i personaggi. Pren<strong>di</strong>amo per esempio la prima scena dell’Amleto -<br />

comincia così:<br />

BERNARDO Chi è là?<br />

FRANCESCO No, rispondete a me; fermatevi e svelate chi siete.<br />

BERNARDO Viva <strong>il</strong> re!<br />

FRANCESCO Bernardo?<br />

BERNARDO Lui.<br />

FRANCESCO Giungete proprio alla vostra ora.<br />

BERNARDO Sono suonate ora le do<strong>di</strong>ci; andate a letto, Francesco.<br />

FRANCESCO Vi ringrazio per questo cambio, fa un freddo pungente, ed io ho la morte nel cuore.<br />

BERNARDO Avete avuto una guar<strong>di</strong>a tranqu<strong>il</strong>la?<br />

FRANCESCO Non un topo s’è mosso.<br />

BERNARDO Bene, buona notte. Se incontrate Orazio e Marcello, i compagni della mia veglia, <strong>di</strong>te loro <strong>di</strong><br />

affrettarsi 41 .<br />

C’è quanto basta per guidare <strong>il</strong> regista; da questo <strong>di</strong>alogo si può ricavare che è mezzanotte, che<br />

l’azione si svolge all’aperto, che c’è <strong>il</strong> cambio della guar<strong>di</strong>a in un castello, che la notte è molto<br />

41 Amleto, atto I, scena 1.<br />

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fredda, molto calma e molto buia. Qualunque “<strong>di</strong>rettiva scenica” aggiunta dal drammaturgo non<br />

potrebbe che risultare ovvia.<br />

LO SPETTATORE Secondo voi quin<strong>di</strong> un autore non dovrebbe scrivere alcuna <strong>di</strong>dascalia, e, se lo fa, voi<br />

la considerate un’offesa?<br />

IL REGISTA Ebbene, non è forse un’offesa per un uomo <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>?<br />

LO SPETTATORE In che modo?<br />

IL REGISTA Prima <strong>di</strong>temi qual è la più grande offesa che un attore può fare a un drammaturgo.<br />

LO SPETTATORE Recitare male la sua parte?<br />

IL REGISTA No, questo proverebbe soltanto che l’attore fa male <strong>il</strong> proprio mestiere.<br />

LO SPETTATORE Ditemi voi allora.<br />

IL REGISTA La più grande offesa che un attore può fare a un drammaturgo è <strong>di</strong> tagliare via parole o<br />

versi dal testo, o <strong>di</strong> inserire delle battute improvvisate, i cosiddetti “soggetti”. È un’offesa<br />

calpestare ciò che è proprietà esclusiva dell’autore drammatico. È raro che si aggiungano<br />

“soggetti” in Shakespeare, e quando accade la cosa non passa senza sollevar critiche.<br />

LO SPETTATORE Ma cosa c’entra questo con le <strong>di</strong>rettive sceniche dell’autore, in che modo l’autore<br />

offende <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> quando precisa <strong>il</strong> testo con <strong>di</strong>dascalie?<br />

IL REGISTA Lo offende perché ne invade la sfera <strong>di</strong> competenza. Se aggiungere “soggetti” o tagliare i<br />

versi del poeta è un’offesa, lo è anche immischiarsi nell’arte del <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena.<br />

LO SPETTATORE Allora tutte le <strong>di</strong>dascalie in qualunque testo teatrale sono prive <strong>di</strong> valore?<br />

IL REGISTA Per <strong>il</strong> lettore, no; ma per <strong>il</strong> regista e per l’attore, sì.<br />

LO SPETTATORE Ma Shakespeare...<br />

IL REGISTA Shakespeare dà soltanto raramente delle <strong>di</strong>rettive a chi cura la messa in scena. Guardate<br />

Amleto, Romeo e Giulietta, Re Lear, Otello, uno qualunque dei suoi capolavori, ed, eccezion fatta<br />

per alcuni drammi storici che contengono descrizioni <strong>di</strong> castelli, <strong>di</strong> tenute ecc., che trovate? Come<br />

sono descritte le scene in Amleto?<br />

LO SPETTATORE La mia e<strong>di</strong>zione riporta una descrizione molto chiara: “Atto I scena I - Elsinore. Una<br />

piattaforma davanti al Castello”.<br />

IL REGISTA Voi avete sotto gli occhi un’e<strong>di</strong>zione recente annotata da un certo Malone, ma<br />

Shakespeare non ha scritto nulla del genere. Egli ha scritto soltanto: “Actus primus, scaena<br />

prima...”. Ed ora ve<strong>di</strong>amo Romeo e Giulietta. Cosa <strong>di</strong>ce <strong>il</strong> vostro libro?<br />

LO SPETTATORE “Atto I scena I - Verona, una piazza pubblica”.<br />

IL REGISTA E la seconda scena?<br />

LO SPETTATORE “Scena II - Una strada”.<br />

IL REGISTA E la terza?<br />

LO SPETTATORE “Scena III - Una stanza nella casa dei Capuleti”.<br />

IL REGISTA Volete sapere adesso quali sono in realtà le <strong>di</strong>rettive sceniche scritte da Shakespeare per<br />

questa trage<strong>di</strong>a?<br />

LO SPETTATORE Sì.<br />

IL REGISTA Solamente “Atto I - scena I”. E non una parola <strong>di</strong> più per nessun atto o scena, in tutto <strong>il</strong><br />

dramma. Passiamo a Re Lear.<br />

LO SPETTATORE No, mi basta. Capisco. Evidentemente Shakespeare contava sull’intelligenza degli<br />

uomini <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> perché completassero le scene secondo le sue implicite in<strong>di</strong>cazioni... Ma<br />

possiamo <strong>di</strong>re lo stesso anche per le azioni? Shakespeare non fornisce delle in<strong>di</strong>cazioni in<br />

proposito? Nell’Amleto, per esempio, c’è: “Amleto salta nella tomba d’Ofelia”, “Laerte lotta con<br />

lui” e più in là: “I presenti li separano, e tutti e due escono dalla fossa”.<br />

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IL REGISTA No, non una parola. Tutte le <strong>di</strong>rettive sceniche, dalla prima all’ultima, sono insipide<br />

invenzioni <strong>di</strong> vari e<strong>di</strong>tori, Malone, Capell, Theobald ed altri, che hanno commesso una vera<br />

indelicatezza intervenendo nel testo, e noi, uomini <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>, ne subiamo gli effetti.<br />

LO SPETTATORE Come mai?<br />

IL REGISTA Perché, se uno <strong>di</strong> noi leggendo Shakespeare immagina delle sequenze <strong>di</strong> movimenti che<br />

non sono in accordo con le “istruzioni” <strong>di</strong> questi signori, e sulla scena presenta le sue idee,<br />

imme<strong>di</strong>atamente qualche “esperto” gli fa la ramanzina, e lo accusa <strong>di</strong> alterare le in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong><br />

Shakespeare o, peggio ancora, <strong>di</strong> falsare le sue vere intenzioni.<br />

LO SPETTATORE Ma questi “esperti” <strong>di</strong> cui parlate non sanno che Shakespeare non ha fornito<br />

in<strong>di</strong>cazioni sceniche?<br />

IL REGISTA C’è da supporre che le cose stiano proprio così, a giu<strong>di</strong>care dalle loro critiche inopportune.<br />

In ogni caso, quel che desideravo mostrarvi è che <strong>il</strong> nostro più grande poeta moderno si era reso<br />

conto che l’aggiungere <strong>di</strong>rettive sceniche era prima <strong>di</strong> tutto inut<strong>il</strong>e, in secondo luogo <strong>di</strong> cattivo<br />

gusto. Perciò possiamo essere certi che Shakespeare aveva ben compreso la natura della funzione<br />

propria dell’operaio del <strong>teatro</strong> - <strong>il</strong> regista - e che tra i vari compiti c’era anche quello <strong>di</strong> creare lo<br />

scenario per <strong>il</strong> dramma.<br />

LO SPETTATORE Mi stavate appunto descrivendo i singoli compiti del <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena.<br />

IL REGISTA Sì. Ora che abbiamo eliminato la convinzione erronea che le <strong>di</strong>dascalie dell’autore siano <strong>di</strong><br />

qualche ut<strong>il</strong>ità, ve<strong>di</strong>amo in che modo <strong>il</strong> regista si deve mettere al lavoro per interpretare<br />

fedelmente l’opera del drammaturgo. Vi ho già detto che egli giura <strong>di</strong> seguire <strong>il</strong> testo alla lettera e<br />

che <strong>il</strong> suo primo lavoro è quello <strong>di</strong> leggere dal principio alla fine <strong>il</strong> dramma e <strong>di</strong> trarne una prima,<br />

acuta impressione; leggendo, <strong>di</strong>cevamo, comincia a vedere <strong>il</strong> colore, <strong>il</strong> ritmo, l’azione dell’insieme.<br />

Poi mette da parte <strong>il</strong> testo per un po’ <strong>di</strong> tempo e mescola sulla tavolozza (per <strong>di</strong>rla nel linguaggio<br />

dei pittori) della sua fantasia i colori che la prima reazione al dramma ha suscitato in lui. Così,<br />

quando riprende in mano <strong>il</strong> testo, lo vede in un ambito che è per lui una vera ipotesi <strong>di</strong> lavoro.<br />

Alla fine della seconda lettura si accorgerà che le impressioni maggiormente marcate son <strong>di</strong>venute<br />

più chiare, più precise, e che invece le altre, quelle più vaghe, sono scomparse. Allora ne prenderà<br />

nota: in quel momento potrà anche cominciare ad abbozzare, con linee e colori, alcune delle scene<br />

e delle idee che ha in testa. Tuttavia sarà meglio che aspetti ad aver r<strong>il</strong>etto <strong>il</strong> lavoro almeno una<br />

dozzina <strong>di</strong> volte.<br />

LO SPETTATORE Io credevo che <strong>il</strong> regista lasciasse sempre allo scenografo <strong>il</strong> compito <strong>di</strong> <strong>di</strong>segnare le<br />

scene.<br />

IL REGISTA Così fa, generalmente. E questo è <strong>il</strong> primo errore del <strong>teatro</strong> moderno.<br />

LO SPETTATORE Perché è un errore?<br />

IL REGISTA Per questo motivo: A ha scritto un lavoro che B promette <strong>di</strong> interpretare fedelmente. In<br />

un processo delicato qual è l’interpretazione <strong>di</strong> una cosa sfuggente come lo spirito <strong>di</strong> un dramma,<br />

qual è, secondo voi, <strong>il</strong> modo più sicuro per preservare l’unità <strong>di</strong> questo spirito? È meglio se B fa<br />

tutto <strong>il</strong> lavoro da sé, oppure è meglio se lo mette nelle mani <strong>di</strong> C, D ed E, ognuno dei quali la<br />

pensa, e quin<strong>di</strong>, vede le cose, in modo <strong>di</strong>fferente da B e da A?<br />

LO SPETTATORE Naturalmente la prima maniera è la migliore. Ma è possib<strong>il</strong>e che un uomo solo faccia <strong>il</strong><br />

lavoro <strong>di</strong> tre persone?<br />

IL REGISTA Non c’è altra scelta, se si vuole ottenere l’unità, che è l’unica cosa vitale per l’opera<br />

d’arte.<br />

LO SPETTATORE Allora <strong>il</strong> regista non deve chiamare uno scenografo e farsi <strong>di</strong>segnare le scene, ma se le<br />

deve <strong>di</strong>segnare da sé?<br />

IL REGISTA Certamente. Ma non basta: egli non deve limitarsi a fare un bozzetto ben <strong>di</strong>segnato o<br />

storicamente esatto, con porte e finestre <strong>di</strong>sposte in modo pittoresco, ma deve innanzi tutto<br />

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scegliere i colori che a suo avviso sono in armonia con lo spirito del testo, scartando quelli che<br />

sono fuori tono; poi deve ideare un oggetto - un arco, una fontana, una balconata, un letto - porlo<br />

al centro del <strong>di</strong>segno e metterci intorno tutto ciò che secondo <strong>il</strong> testo è necessario far vedere. A<br />

tutto questo deve aggiungere, uno per uno, i personaggi del dramma, e, successivamente, i<br />

movimenti dei personaggi e i costumi. Con ogni probab<strong>il</strong>ità commetterà parecchi errori, nel suo<br />

progetto; in questo caso deve <strong>di</strong>sfare <strong>il</strong> <strong>di</strong>segno e correggere l’errore, ammesso che non sia<br />

costretto ad<strong>di</strong>rittura a schizzare da capo <strong>il</strong> bozzetto o a ricominciare <strong>il</strong> progetto ex novo.<br />

Comunque bisogna che, lentamente, armoniosamente, <strong>il</strong> <strong>di</strong>segno si sv<strong>il</strong>uppi in modo da sod<strong>di</strong>sfare<br />

l’occhio dello spettatore. Mentre compone questo progetto figurato, <strong>il</strong> <strong>di</strong>segnatore è guidato tanto<br />

dal suono dei versi o della prosa quanto dal loro senso e dallo spirito del testo. In breve tutto<br />

questo è concluso, e si può cominciare <strong>il</strong> lavoro reale.<br />

LO SPETTATORE Che lavoro reale? M sembra che <strong>il</strong> regista in questo modo abbia fatto una buona parte<br />

<strong>di</strong> quel che si chiama lavoro reale.<br />

IL REGISTA Può darsi, ma le <strong>di</strong>fficoltà sono appena cominciate. Per lavoro reale io intendo quello che<br />

comporta mano d’opera specializzata, come ad esempio <strong>di</strong>pingere le immense tele delle scene e<br />

fare i costumi.<br />

LO SPETTATORE Non mi verrete a <strong>di</strong>re che <strong>il</strong> regista <strong>di</strong>pinge da solo le scene e taglia e cuce i costumi da<br />

sé?<br />

IL REGISTA No, non <strong>di</strong>co che debba farlo in ogni caso e per ogni regia, però deve aver provato a farlo<br />

almeno una volta durante <strong>il</strong> suo appren<strong>di</strong>stato, oppure deve aver stu<strong>di</strong>ato a fondo tutti i lati<br />

tecnici <strong>di</strong> questi mestieri complicati. Allora sarà in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>rigere i suoi operai specializzati nei<br />

singoli lavori. Quando è cominciata la costruzione delle scene e <strong>il</strong> montaggio dei costumi, si<br />

<strong>di</strong>stribuiscono le parti agli attori, che le imparano a memoria prima che abbiano luogo le prove<br />

(Oggi non usa così, come potete fac<strong>il</strong>mente indovinare, però un regista come <strong>di</strong>co io dovrebbe<br />

farlo). Nel frattempo le scene e i costumi son già quasi pronti. Non sto a <strong>di</strong>rvi la mole <strong>di</strong> lavoro,<br />

interessante ma faticoso, che implica portare avanti fino a questo punto la messa in scena. Ma<br />

anche quando le scene sono finalmente montate e gli attori indossano i costumi, le <strong>di</strong>fficoltà da<br />

affrontare sono ancora gravose.<br />

LO SPETTATORE <strong>Il</strong> lavoro del <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena non è ancora finito?<br />

IL REGISTA Finito? Cosa volete <strong>di</strong>re?<br />

LO SPETTATORE Be’, pensavo che, fatte le scene e fatti i costumi, <strong>il</strong> resto fosse solo compito degli<br />

attori.<br />

IL REGISTA No, solo adesso comincia <strong>il</strong> lavoro più interessante del regista. La scena è montata ed i<br />

personaggi sono vestiti: in poche parole, egli ha <strong>di</strong> fronte una specie <strong>di</strong> quadro <strong>di</strong> sogno. Allontana<br />

tutti dal palcoscenico all’infuori <strong>di</strong> quell’uno, due o più personaggi che aprono <strong>il</strong> dramma, e<br />

comincia a stu<strong>di</strong>are lo schema <strong>di</strong> <strong>il</strong>luminazione delle figure e della scena.<br />

LO SPETTATORE Cosa? Questa parte non è lasciata alla <strong>di</strong>screzione del capo elettricista e dei suoi<br />

uomini? 42<br />

IL REGISTA <strong>Il</strong> meccanismo dell’<strong>il</strong>luminazione, sì; ma pre<strong>di</strong>sporre <strong>il</strong> modo in cui impiegare tale<br />

meccanismo è compito del regista. Dato che, come ho detto, egli è dotato <strong>di</strong> intelligenza e <strong>di</strong><br />

preparazione, ha in mente <strong>il</strong> tipo particolare d’<strong>il</strong>luminazione, così come, in modo altrettanto<br />

specifico, ha <strong>di</strong>pinto le scene e ideato i costumi. Se la parola “armonia” non avesse un significato<br />

per lui, naturalmente lascerebbe che fosse <strong>il</strong> primo venuto ad occuparsi delle luci.<br />

42 “Perché perdere tempo a parlare a un uomo così stupido come questo spettatore?” mi ha chiesto un’affascinante<br />

signora - e non si aspetta che io le risponda. La risposta è ovvia: alle persone sagge non si parla... le si ascolta.<br />

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LO SPETTATORE Allora, volete <strong>di</strong>re che ha stu<strong>di</strong>ato così a fondo la natura da poter <strong>di</strong>rigere gli<br />

elettricisti sul come ottenere i più <strong>di</strong>versi effetti: che <strong>il</strong> sole splenda a questa o a quella altezza, o<br />

che la luna inon<strong>di</strong> col suo chiarore, più o meno intenso, l’interno <strong>di</strong> una stanza?<br />

IL REGISTA No, non intendevo questo: <strong>il</strong> <strong>mio</strong> regista non ha mai cercato <strong>di</strong> riprodurre le luci della<br />

natura; né tenterebbe <strong>di</strong> fare una cosa così impossib<strong>il</strong>e. Non riprodurre la natura, ma suggerire<br />

alcuni dei suoi aspetti più belli e più vivi - questo è quel che vuole <strong>il</strong> <strong>mio</strong> regista. Diversamente,<br />

mostrerebbe <strong>di</strong> essere un presuntuoso arrogante con arie da padreterno. Un regista può ben<br />

aspirare ad essere artista, ma l’aspirare ad avere onori celesti gli è nocivo. E può evitare <strong>di</strong><br />

assumere questo atteggiamento non tentando mai <strong>di</strong> imprigionare o <strong>di</strong> copiare la natura, perché la<br />

natura non si lascerà mai imprigionare, né permetterà mai che la si copi con successo.<br />

LO SPETTATORE Allora in che modo si mette al lavoro? Che cosa gli fa da guida nell’<strong>il</strong>luminazione delle<br />

scene e dei costumi?<br />

IL REGISTA Che cosa gli fa da guida? Ma la scena e i costumi, i versi e la prosa e <strong>il</strong> senso del testo!<br />

Tutte queste cose, vi ho già detto, sono ora in armonia l’una con l’altra - tutto procede<br />

dolcemente; non c’è nulla <strong>di</strong> più semplice, ora, che <strong>il</strong> farle continuare così, e <strong>il</strong> regista è l’unico che<br />

sappia come conservare questa armonia che ha creato in embrione.<br />

LO SPETTATORE Volete <strong>di</strong>rmi qualche altra cosa sul sistema attuale d’<strong>il</strong>luminazione della scena e degli<br />

attori?<br />

IL REGISTA Certamente. Cosa volete sapere?<br />

LO SPETTATORE Vorrei sapere perché mettono tutte quelle luci per terra, sul davanti del palcoscenico -<br />

si chiamano luci <strong>di</strong> ribalta o mi sbaglio?<br />

IL REGISTA Sì, luci <strong>di</strong> ribalta.<br />

LO SPETTATORE E perché stanno sul pavimento?<br />

IL REGISTA È quello che si sono chiesti tutti i riformatori del <strong>teatro</strong>, e nessuno ha saputo dare una<br />

risposta sod<strong>di</strong>sfacente, per la semplice ragione che non c’è risposta alcuna, né mai ci sarà. L’unica<br />

cosa da fare è rimuovere tutte le luci <strong>di</strong> ribalta da tutti i teatri al più presto possib<strong>il</strong>e, e non<br />

pensarci più. È una <strong>di</strong> quelle strane faccende che nessuno sa spiegare e che sorprendono sempre i<br />

bambini. Nel 1812 la piccola Nancy Lake andò al <strong>teatro</strong> Drury Lane, e suo padre ci narra che<br />

anche lei rimase meravigliata delle luci <strong>di</strong> ribalta, e <strong>di</strong>sse:<br />

Quella f<strong>il</strong>a <strong>di</strong> lampade, poveri occhi miei!<br />

Come risplendono - Mi domando perché<br />

le hanno messe a terra.<br />

REJECTED ADDRESSES<br />

Questo nel 1812! e noi ancora ce lo doman<strong>di</strong>amo.<br />

LO SPETTATORE Un <strong>mio</strong> amico, un attore, mi ha detto una volta che se non ci fossero le luci <strong>di</strong> ribalta<br />

tutte le facce degli attori sembrerebbero sporche.<br />

IL REGISTA Questa è l’osservazione <strong>di</strong> uno che non capisce che al posto delle luci <strong>di</strong> ribalta si<br />

potrebbe adottare un altro sistema per <strong>il</strong>luminare le facce e le figure. È questo tipo <strong>di</strong> cose, tanto<br />

semplici, che non viene mai in mente alla gente che non de<strong>di</strong>ca un po’ <strong>di</strong> tempo a stu<strong>di</strong>are<br />

neppure alla leggera le altre branche del suo mestiere.<br />

LO SPETTATORE Gli attori non stu<strong>di</strong>ano le <strong>di</strong>verse attività concernenti <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>?<br />

IL REGISTA Di regola, no - e in qualche modo sarebbe proprio contrario alla vera vita dell’attore. Se<br />

un attore intelligente de<strong>di</strong>casse del tempo a stu<strong>di</strong>are tutte le branche dell’arte del <strong>teatro</strong>, a poco a<br />

poco cesserebbe <strong>di</strong> recitare e finirebbe col <strong>di</strong>ventare regista - a tal punto attrae l’arte nel suo<br />

complesso, a confronto del mestiere singolo del recitare.<br />

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LO SPETTATORE <strong>Il</strong> <strong>mio</strong> amico attore mi aveva anche detto che se si togliessero le luci <strong>di</strong> ribalta <strong>il</strong><br />

pubblico non potrebbe vedere la sua faccia.<br />

IL REGISTA Se questo l’avessero detto Henry Irving o Eleonora Duse, l’osservazione potrebbe avere<br />

un senso. Ma la faccia dell’attore or<strong>di</strong>nario o è violentemente espressiva o è del tutto priva<br />

d’espressione; perciò sarebbe una bene<strong>di</strong>zione se <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> fosse non soltanto senza luci <strong>di</strong> ribalta,<br />

ma proprio senza nessun tipo <strong>di</strong> <strong>il</strong>luminazione. Ludovic Celler nel suo libro Les décors, les<br />

costumes et la mise-en-scene au XVII e siècle propone un’ottima teoria sull’origine delle luci <strong>di</strong><br />

ribalta. Naturalmente si usava <strong>il</strong>luminare <strong>il</strong> palcoscenico con dei gran<strong>di</strong> candelieri, circolari o<br />

triangolari, sospesi sopra le teste degli attori e del pubblico; ora secondo Ludovic Celler, <strong>il</strong><br />

sistema delle luci <strong>di</strong> ribalta trova origine nei piccoli teatri popolari che, non potendo affrontare la<br />

spesa dei candelieri, mettevano delle candele <strong>di</strong> sego sul davanti del pavimento della scena. Io<br />

credo che questa teoria sia esatta, perché <strong>il</strong> buon senso non avrebbe mai suggerito un tale errore<br />

artistico, mentre invece con tutta probab<strong>il</strong>ità lo hanno fatto i conti <strong>di</strong> cassa. Quanto poco<br />

sentimento artistico c’è nei conti <strong>di</strong> cassa! Quando avremo tempo vi <strong>di</strong>rò qualche altra cosa su<br />

questo potente usurpatore del trono del <strong>teatro</strong> - la cassetta. Ma torniamo ad argomenti più seri e<br />

più interessanti della mancanza d’espressione e delle luci <strong>di</strong> ribalta. Abbiamo passato in rassegna i<br />

vari compiti del regista - scene, costumi, <strong>il</strong>luminazione - e siamo giunti alla parte più interessante:<br />

come comporre cioè i movimenti e i <strong>di</strong>scorsi dei vari personaggi. Vi ha meravigliato <strong>il</strong> fatto che la<br />

recitazione - <strong>il</strong> modo <strong>di</strong> parlare e <strong>di</strong> agire degli attori - non sia lasciata al loro arbitrio. Ma riflettete<br />

un istante sulla natura <strong>di</strong> questo lavoro. Vorreste che quel che si sta già formando armoniosamente<br />

secondo un principio unico venga compromesso <strong>di</strong> colpo con l’introduzione <strong>di</strong> un elemento<br />

accidentale?<br />

LO SPETTATORE Cosa intendete <strong>di</strong>re? Spiegatemi più esattamente per favore in che modo l’attore può<br />

rovinare tutto l’insieme.<br />

IL REGISTA Ricordate che lo fa inconsciamente! Non intendo assolutamente <strong>di</strong>re che egli voglia essere<br />

in <strong>di</strong>saccordo con quel che lo circonda; se egli agisce così, lo fa innocentemente. Alcuni attori,<br />

sotto questo riguardo, hanno un istinto che li guida efficacemente, altri non lo hanno affatto. Ma<br />

anche quelli che hanno un istinto più acuto non possono fondersi armoniosamente nell’insieme,<br />

se non seguano le in<strong>di</strong>cazioni del regista.<br />

LO SPETTATORE Allora voi non permettete mai all’attore e all’attrice principale <strong>di</strong> muoversi e <strong>di</strong><br />

recitare secondo <strong>il</strong> loro istinto e la loro ragione?<br />

IL REGISTA No, anzi devono essere loro i primi a seguire le istruzioni del regista, proprio perché<br />

molto spesso stanno al centro dell’insieme, sono <strong>il</strong> cuore del <strong>di</strong>segno emotivo.<br />

LO SPETTATORE E loro capiscono e con<strong>di</strong>vidono tutto questo?<br />

IL REGISTA Sì, ma solo quando si convincono e al tempo stesso apprezzano che <strong>il</strong> testo e<br />

un’interpretazione esattamente adeguata sono la cosa più importante del <strong>teatro</strong> moderno. Volete<br />

un esempio? C’è da mettere in scena Romeo e Giulietta: abbiamo stu<strong>di</strong>ato <strong>il</strong> testo, preparato le<br />

scene, i costumi, lo schema dell’<strong>il</strong>luminazione, ed ora cominciamo le prove con gli attori. <strong>Il</strong> primo<br />

movimento della grande cerchia dei turbolenti citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Verona, che si azzuffano, bestemmiano<br />

e si uccidono l’un l’altro, ci spaventa. Ci fa orrore l’idea che in questa piccola bianca città <strong>di</strong> rose,<br />

<strong>di</strong> canti e d’amore, covi un o<strong>di</strong>o tremendo e detestab<strong>il</strong>e, pronto a <strong>di</strong>vampare proprio davanti alle<br />

porte della chiesa, o nel mezzo della festa <strong>di</strong> maggio, o sotto le finestre della casa <strong>di</strong> una bambina<br />

appena nata. Subito dopo quest’immagine, mentre ancora ricor<strong>di</strong>amo la perfi<strong>di</strong>a che spirava dalle<br />

facce dei Capuleti e dei Montecchi, ecco che viene, vagando per le strade, <strong>il</strong> figlio del Montecchi,<br />

Romeo, che presto <strong>di</strong>verrà l’amante riamato <strong>di</strong> Giulietta. Quin<strong>di</strong>, qualunque attore venga scelto a<br />

fare la parte <strong>di</strong> Romeo, si dovrà muovere e parlare come una parte, un componente dell’insieme -<br />

<strong>di</strong> questo insieme che, vi ho già detto, ha una sua forma definita. Egli deve apparire ai nostri occhi<br />

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in un dato modo, passando per un certo punto della scena, sotto una certa luce, con la testa<br />

inclinata secondo un certo angolo, gli occhi, i pie<strong>di</strong>, tutto <strong>il</strong> corpo, in accordo col resto. Perché i<br />

suoi pensieri (per quanto belli possano essere) possono non combaciare con lo spirito o col<br />

<strong>di</strong>segno così attentamente preparato dal <strong>di</strong>rettore.<br />

LO SPETTATORE <strong>Il</strong> regista dovrebbe allora controllare i movimenti <strong>di</strong> chi fa la parte <strong>di</strong> Romeo, anche se<br />

è un bravo attore?<br />

IL REGISTA Senza alcun dubbio; e quanto più bravo è l’attore, tanto più gran<strong>di</strong> saranno la sua<br />

intelligenza e <strong>il</strong> suo gusto, e quin<strong>di</strong> sarà più fac<strong>il</strong>e controllarlo. In realtà vi sto parlando <strong>di</strong> un<br />

<strong>teatro</strong> particolare, dove tutti gli attori sono persone raffinate ed <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore un uomo <strong>di</strong> talento<br />

eccezionale.<br />

LO SPETTATORE Ma non state chiedendo a questi attori intelligenti quasi <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare dei burattini?<br />

IL REGISTA Non siate suscettib<strong>il</strong>e! Una domanda sim<strong>il</strong>e me la sarei aspettata da un attore incerto dei<br />

mezzi a sua <strong>di</strong>sposizione. Attualmente un burattino è soltanto una bambola, abbastanza<br />

piacevole per uno spettacolo <strong>di</strong> marionette. Ma per un <strong>teatro</strong> ci vuole qualcosa <strong>di</strong> più <strong>di</strong> un<br />

burattino. Eppure questi sono i sentimenti <strong>di</strong> molti attori nei riguar<strong>di</strong> del regista: hanno<br />

l’impressione <strong>di</strong> essere manovrati con i f<strong>il</strong>i, se ne risentono e si mostrano feriti, insultati.<br />

LO SPETTATORE Lo capisco...<br />

IL REGISTA E non comprendete allora che dovrebbero essere contenti <strong>di</strong> venir controllati? Pensate un<br />

momento alle relazioni gerarchiche degli uomini su <strong>di</strong> una nave, e comprenderete come io consideri<br />

quelle esistenti fra la gente <strong>di</strong> un <strong>teatro</strong>. Chi forma l’equipaggio <strong>di</strong> una nave?<br />

LO SPETTATORE Di una nave? C’è <strong>il</strong> capitano, ossia <strong>il</strong> comandante, <strong>il</strong> primo, <strong>il</strong> secondo e <strong>il</strong> terzo<br />

ufficiale, l’ufficiale <strong>di</strong> rotta e così via fino alla ciurma.<br />

IL REGISTA E chi <strong>di</strong>rige la nave?<br />

LO SPETTATORE <strong>Il</strong> timone...<br />

IL REGISTA Sì, e chi altro?<br />

LO SPETTATORE <strong>Il</strong> timoniere che manovra la ruota del timone.<br />

IL REGISTA E ancora chi?<br />

LO SPETTATORE L’uomo che controlla <strong>il</strong> timoniere.<br />

IL REGISTA E chi è costui?<br />

LO SPETTATORE L’ufficiale <strong>di</strong> rotta.<br />

IL REGISTA E chi controlla l’ufficiale <strong>di</strong> rotta?<br />

LO SPETTATORE <strong>Il</strong> capitano.<br />

IL REGISTA E si obbe<strong>di</strong>sce agli or<strong>di</strong>ni che non provengono dal capitano, o che non sono impartiti con<br />

la sua autorizzazione?<br />

LO SPETTATORE No, non si dovrebbe.<br />

IL REGISTA E la nave può seguire con sicurezza la sua rotta senza capitano?<br />

LO SPETTATORE Di solito, no.<br />

IL REGISTA E l’equipaggio obbe<strong>di</strong>sce al capitano e agli ufficiali?<br />

LO SPETTATORE Sì, <strong>di</strong> regola.<br />

IL REGISTA Di buon grado?<br />

LO SPETTATORE Sì.<br />

IL REGISTA E questa non si chiama forse <strong>di</strong>sciplina?<br />

LO SPETTATORE Sì.<br />

IL REGISTA E la <strong>di</strong>sciplina, che risultati porta?<br />

LO SPETTATORE L’obbe<strong>di</strong>enza precisa e volontaria alla regola e ai princìpi.<br />

IL REGISTA <strong>Il</strong> primo <strong>di</strong> questi princìpi è l’obbe<strong>di</strong>enza stessa, no?<br />

LO SPETTATORE Senz’altro.<br />

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IL REGISTA Bene. Non vi sarà <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e allora comprendere che un <strong>teatro</strong>, in cui lavorano centinaia <strong>di</strong><br />

persone, è per molti aspetti sim<strong>il</strong>e a una nave, e necessita <strong>di</strong> un comando. Capirete anche<br />

fac<strong>il</strong>mente che <strong>il</strong> minimo segno <strong>di</strong> <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza potrebbe essere <strong>di</strong>sastroso. In marina si è<br />

provveduto a prevenire ogni ammutinamento, non così a <strong>teatro</strong>. La marina è stata ben attenta a<br />

precisare, in modo chiaro e senza possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> equivoci, che <strong>il</strong> capitano del bastimento è <strong>il</strong> re e<br />

per <strong>di</strong> più un re <strong>di</strong>spotico. L’ammutinamento a bordo viene giu<strong>di</strong>cato dalla corte marziale e punito<br />

con pene molto severe, <strong>il</strong> carcere o l’allontanamento dal servizio.<br />

LO SPETTATORE Non vorreste mica suggerire una cosa del genere per <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>?<br />

IL REGISTA <strong>Il</strong> <strong>teatro</strong>, a <strong>di</strong>fferenza della nave, non è fatto per scopi bellici, e così per ragioni<br />

inspiegab<strong>il</strong>i la <strong>di</strong>sciplina non è ritenuta d’importanza vitale, mentre dovrebbe avere lo stesso<br />

valore che in ogni altro campo. Quello che vi voglio <strong>di</strong>mostrare è che fin quando a <strong>teatro</strong> non si<br />

capirà che la <strong>di</strong>sciplina è obbe<strong>di</strong>enza volontaria e assoluta al <strong>di</strong>rettore o capitano, non si potranno<br />

mai realizzare gran<strong>di</strong> imprese.<br />

LO SPETTATORE Ma gli attori, gli uomini <strong>di</strong> scena e gli altri, non fanno forse volentieri <strong>il</strong> loro lavoro?<br />

IL REGISTA Mio caro amico, non sono mai esistite creature con un’indole migliore della gente <strong>di</strong><br />

<strong>teatro</strong>. Sono sempre pieni <strong>di</strong> zelo e <strong>di</strong> entusiasmo, ma a volte la loro <strong>di</strong>scriminazione è imperfetta,<br />

e si rivelano altrettanto pronti all’in<strong>di</strong>sciplina come all’obbe<strong>di</strong>enza, ad ammainare la ban<strong>di</strong>era<br />

come ad issarla. Quanto a fissare la ban<strong>di</strong>era all’albero se lo sognano raramente; perché gli ufficiali<br />

della marina teatrale pre<strong>di</strong>cano <strong>il</strong> compromesso e la corrotta dottrina del venire a patti col nemico.<br />

I nostri nemici sono la pompa volgare, l’opinione del basso pubblico e l’ignoranza. A questi i<br />

nostri “ufficiali” vogliono che ci arren<strong>di</strong>amo. Quel che la gente <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> non ha ancora compreso<br />

bene è <strong>il</strong> valore <strong>di</strong> un alto ideale e <strong>di</strong> un <strong>di</strong>rettore che lo serva fedelmente.<br />

LO SPETTATORE E questo <strong>di</strong>rettore, perché non dovrebbe essere un attore o uno scenografo?<br />

IL REGISTA Voi andreste a prendere <strong>il</strong> vostro capo dai ranghi, lo innalzereste al grado <strong>di</strong> capitano, per<br />

poi metterlo <strong>di</strong> nuovo a manovrare i cannoni e le funi? No, <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> un <strong>teatro</strong> deve essere un<br />

uomo al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> ciascun mestiere. Deve essere un uomo che conosce le funi, ma non le manovra<br />

più.<br />

LO SPETTATORE Rimane però un fatto che molti <strong>di</strong>rettori <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> ben conosciuti sono stati attori e<br />

<strong>di</strong>rettori al tempo stesso.<br />

IL REGISTA Sì, è vero. Ma non vi sarà fac<strong>il</strong>e convincermi che non ci sono stati segni <strong>di</strong> ammutinamento<br />

sotto <strong>il</strong> loro governo. Al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> questa faccenda <strong>di</strong> gerarchia, c’è quella dell’arte, del lavoro. Se un<br />

attore assume la <strong>di</strong>rezione della scena, e se è più bravo dei suoi compagni, un istinto naturale lo<br />

porterà a far <strong>di</strong> se stesso <strong>il</strong> centro <strong>di</strong> tutto. Avrà l’impressione che, agendo <strong>di</strong>versamente, <strong>il</strong> lavoro<br />

apparirà debole, lacunoso. Farà più attenzione al suo personaggio che non al testo, e in ultima<br />

analisi cesserà a poco a poco <strong>di</strong> guardare al proprio lavoro come a un insieme, a un tutto. E <strong>il</strong> suo<br />

lavoro ne verrà a soffrire. Non è questo <strong>il</strong> modo <strong>di</strong> presentare un’opera d’arte a <strong>teatro</strong>.<br />

LO SPETTATORE Ma non è possib<strong>il</strong>e trovare un grande attore che sia insieme anche grande artista?<br />

Tanto grande che, nel lavoro <strong>di</strong> regia, non incorra nell’errore che voi denunciate, ma si limiti, al<br />

contrario, a trattare se stesso quale attore, allo stesso modo in cui adopera ogni altro materiale?<br />

IL REGISTA Tutto è possib<strong>il</strong>e; ma, in primo luogo, questo sarebbe contro la natura <strong>di</strong> un attore, in<br />

secondo luogo recitare in scena è contrario alla natura del regista, e in terzo luogo è contro ogni<br />

natura <strong>il</strong> fatto che un uomo occupi allo stesso tempo due posti. Ora <strong>il</strong> posto dell’attore è sulla<br />

scena, in una certa posizione, pronto a suggerire per mezzo del suo cervello certe emozioni,<br />

circondato da determinate scene e persone; e <strong>il</strong> posto del regista è <strong>di</strong> fronte a tutto questo, in<br />

modo da averne una veduta d’insieme. Così vedete che se anche trovassimo <strong>il</strong> vostro “perfetto<br />

attore” che fosse un perfetto regista, pure non potrebbe stare in due luoghi nello stesso tempo.<br />

Naturalmente a volte si vede <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> una piccola orchestra suonare anche come primo<br />

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violino, ma non <strong>di</strong> sua scelta, e con risultati non molto felici; né d’altra parte questa è la<br />

consuetu<strong>di</strong>ne delle gran<strong>di</strong> orchestre.<br />

LO SPETTATORE A quel che ho capito, nessuno, secondo voi, può <strong>di</strong>rigere in scena all’infuori del<br />

regista?<br />

IL REGISTA La natura stessa del lavoro non lo permette a nessun altro.<br />

LO SPETTATORE Neppure allo stesso autore del dramma?<br />

IL REGISTA Soltanto se l’autore ha praticato ed ha stu<strong>di</strong>ato <strong>il</strong> mestiere dell’attore, dello scenografo,<br />

del costumista, dell’elettricista e del danzatore; altrimenti no. Ma l’autore, che non è vissuto in<br />

<strong>teatro</strong>, in genere sa poco <strong>di</strong> questi mestieri. Goethe, <strong>il</strong> cui amore per <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> rimase sempre vivo,<br />

fu per molti versi uno dei più gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>rettori <strong>di</strong> scena. Ma, quando si legò al <strong>teatro</strong> <strong>di</strong> Weimar,<br />

<strong>di</strong>menticò <strong>di</strong> fare quello che invece fu ben presente al grande musicista che gli succedette. Goethe<br />

permise che nel <strong>teatro</strong> esistesse un’autorità maggiore <strong>di</strong> lui, <strong>il</strong> proprietario del <strong>teatro</strong> stesso.<br />

Wagner ebbe l’accortezza <strong>di</strong> impossessarsi lui stesso del <strong>teatro</strong>, e <strong>di</strong>venne una specie <strong>di</strong> barone<br />

feudale nel suo castello.<br />

LO SPETTATORE <strong>Il</strong> fallimento <strong>di</strong> Goethe come <strong>di</strong>rettore teatrale fu dovuto a questo?<br />

IL REGISTA È naturale; perché se Goethe avesse avuto le chiavi delle porte quel piccolo impudente<br />

can barbone non sarebbe mai arrivato fino ai camerini, la prima attrice non avrebbe mai reso se<br />

stessa ed <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> immortalmente ri<strong>di</strong>coli, a Weimar sarebbe stata risparmiata la tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> aver<br />

perpetrato <strong>il</strong> più grave errore che si possa commettere in un <strong>teatro</strong>.<br />

LO SPETTATORE A vedere la maggior parte degli annali teatrali non pare che gli artisti siano tenuti in<br />

grande considerazione sulla scena.<br />

IL REGISTA Sarebbe fac<strong>il</strong>e fare un’ampia requisitoria contro <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> e la sua ignoranza dell’arte. Ma<br />

non si deve dare addosso a uno che è a terra, se non, forse, con la speranza che lo “shock” lo<br />

rimetta <strong>di</strong> nuovo in pie<strong>di</strong>. E <strong>il</strong> nostro <strong>teatro</strong> occidentale è decisamente a terra. L’Oriente vanta<br />

ancora un <strong>teatro</strong>. <strong>Il</strong> nostro, qui in Occidente, è al lumicino. Ma io attendo una Rinascita.<br />

LO SPETTATORE E come avverrà?<br />

IL REGISTA Me<strong>di</strong>ante l’avvento <strong>di</strong> qualcuno che riunirà in sé tutte le qualità che fanno <strong>di</strong> un uomo un<br />

maestro del <strong>teatro</strong>, e me<strong>di</strong>ante la riforma del <strong>teatro</strong> in quanto strumento. Quando questa sarà<br />

compiuta, quando <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> sarà <strong>di</strong>venuto un capolavoro <strong>di</strong> meccanica, quando avrà inventato una<br />

sua tecnica, senza alcuno sforzo genererà una propria arte creativa. Ma tutta la questione dello<br />

sv<strong>il</strong>uppo del “mestiere” e della sua trasformazione in un’arte creativa autosufficiente è troppo<br />

lunga per poterla approfon<strong>di</strong>re adesso. Ci sono già alcuni uomini <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> che lavorano alla<br />

costruzione <strong>di</strong> nuovi e<strong>di</strong>fici teatrali, altri che mo<strong>di</strong>ficano la recitazione, altri ancora la scenografia.<br />

E tutti questi tentativi hanno un loro piccolo valore. Ma bisogna innanzitutto rendersi conto che<br />

si otterranno solo dei risultati minimi o nulli riformando un singolo mestiere teatrale, senza<br />

cercare al tempo stesso e nel medesimo <strong>teatro</strong> <strong>di</strong> riformare anche tutti gli altri. L’intera Rinascita<br />

dell’Arte del Teatro <strong>di</strong>pende dall’ampiezza del piano su cui verrà realizzata. L’Arte del Teatro,<br />

come vi ho già detto, comprende tanti mestieri <strong>di</strong>versi: la recitazione, la scenografia, i costumi,<br />

l’<strong>il</strong>luminazione, le macchine, <strong>il</strong> canto, la danza ecc., e bisogna rendersi conto fin dall’inizio che<br />

occorre una riforma RADICALE, non PARZIALE; che nel <strong>teatro</strong> ciascun mestiere è in <strong>di</strong>retta relazione<br />

con ogni altro, e che non ci si può attendere niente da una riforma <strong>di</strong>scontinua, irregolare; solo una<br />

progressione sistematica darà dei risultati. Perciò la riforma dell’Arte del Teatro potrà essere<br />

realizzata soltanto da quegli uomini che hanno stu<strong>di</strong>ato e praticato ogni mestiere attinente al<br />

<strong>teatro</strong>.<br />

LO SPETTATORE Cioè a <strong>di</strong>re dal vostro regista ideale.<br />

IL REGISTA Sì. Ricorderete che all’inizio della nostra conversazione vi avevo detto che la mia fiducia<br />

nella Rinascita dell’Arte del Teatro si basa sulla fiducia nella Rinascita del regista, e che quando<br />

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costui avrà compreso esattamente come servirsi degli attori, della scena, dei costumi,<br />

dell’<strong>il</strong>luminazione, della danza, e si sarà impadronito <strong>di</strong> tutti i mestieri necessari<br />

all’interpretazione, a poco a poco raggiungerà <strong>il</strong> pieno dominio dell’azione, della linea, del colore,<br />

del ritmo, delle parole, quest’ultima forza che scaturisce da tutte le altre... Allora l’Arte del<br />

Teatro, <strong>di</strong>cevo, riconquisterà tutti i suoi <strong>di</strong>ritti, sarà autosufficiente come ogni arte creativa, e non<br />

si limiterà più ad essere una tecnica d’interpretazione.<br />

LO SPETTATORE Sì, ma allora non avevo capito bene quel che volevate <strong>di</strong>re, e sebbene adesso<br />

comprenda a che cosa mirate, non riesco a figurarmi la scena senza poeta.<br />

IL REGISTA Che? Mancherà qualcosa quando <strong>il</strong> poeta non scriverà più per <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>?<br />

LO SPETTATORE Mancherà <strong>il</strong> testo.<br />

IL REGISTA Ne siete sicuro?<br />

LO SPETTATORE Certamente: <strong>il</strong> testo non esisterà più se non ci sarà <strong>il</strong> poeta o l’autore drammatico a<br />

scriverlo.<br />

IL REGISTA Non ci sarà più <strong>il</strong> testo nel senso in cui l’intendete oggi.<br />

LO SPETTATORE Ma voi vi proponete <strong>di</strong> presentare qualcosa al pubblico, ed io presumo che, prima <strong>di</strong><br />

poterglielo presentare, dovrete pure averlo in mano.<br />

IL REGISTA Certamente; non potevate fare un’osservazione più giusta. Dove invece vi sbagliate è nel<br />

dare per certo, come se fosse una legge per i Me<strong>di</strong> e i Persiani, che questo qualcosa debba esser<br />

fatto <strong>di</strong> parole.<br />

LO SPETTATORE Allora cos’è questo qualcosa che non è fatto <strong>di</strong> parole, ma va presentato al pubblico?<br />

IL REGISTA Prima <strong>di</strong> tutto, <strong>di</strong>temi: un’idea non è qualcosa?<br />

LO SPETTATORE Sì, ma le manca una forma.<br />

IL REGISTA Ebbene, non è possib<strong>il</strong>e dare a un’idea una qualsiasi forma scelta dall’artista?<br />

LO SPETTATORE Sì.<br />

IL REGISTA Ed è un crimine imperdonab<strong>il</strong>e da parte dell’artista <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> usare un materiale <strong>di</strong>fferente<br />

da quello del poeta?<br />

LO SPETTATORE No.<br />

IL REGISTA Allora ci è permesso tentare <strong>di</strong> dar forma ad un’idea con qualunque materiale troviamo o<br />

inventiamo, purché si tratti <strong>di</strong> un materiale non ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>e per uno scopo migliore?<br />

LO SPETTATORE Sì.<br />

IL REGISTA Benissimo; seguitemi dunque attentamente in quel che vi <strong>di</strong>rò nei prossimi cinque minuti,<br />

poi andatevene a casa e pensateci un po’ sopra. Dal momento che avete consentito con me in<br />

tutto ciò che vi ho chiesto <strong>di</strong> ammettere come vero, vi <strong>di</strong>rò con quali materiali un artista del <strong>teatro</strong><br />

dell’avvenire creerà i suoi capolavori. Con l’AZIONE, la SCENA, la VOCE. Non è molto semplice? E<br />

quando <strong>di</strong>co azione, intendo gesto e danza, prosa e poesia del movimento.<br />

Quando <strong>di</strong>co scena, mi riferisco a tutto ciò che è visib<strong>il</strong>e, tanto all’<strong>il</strong>luminazione e ai costumi,<br />

quanto allo scenario.<br />

Quando <strong>di</strong>co voce, alludo alle parole parlate e a quelle cantate, in opposizione alle parole da<br />

leggersi, perché le parole scritte per venire pronunciate e quelle scritte per esser lette sono due<br />

cose del tutto <strong>di</strong>fferenti.<br />

Ed ora, sebbene non abbia fatto altro che ripetere quello che vi avevo detto all’inizio della<br />

conversazione, vedo con piacere che non sembrate più così sbalor<strong>di</strong>to.<br />

Berlino, 1905.<br />

98


L’Arte del Teatro<br />

Secondo <strong>di</strong>alogo<br />

fra un frequentatore <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> e un regista<br />

LO SPETTATORE Mi fa piacere rivedervi dopo una così lunga assenza. Dove siete stato?<br />

IL REGISTA All’estero.<br />

LO SPETTATORE E che avete fatto tutto questo tempo?<br />

IL REGISTA Sono stato a caccia.<br />

LO SPETTATORE Raccontatemi: dove siete stato a caccia? Che cosa avete preso?<br />

IL REGISTA Niente, perché l’animale che io seguivo non si cattura come i conigli o le lepri, ed è più<br />

furbo <strong>di</strong> una volpe. D’altra parte lo sport non consiste nell’uccidere la bestia, ma nel superare le<br />

<strong>di</strong>fficoltà per sorprenderla, e non c’è alcun pericolo quando l’hai stanata. Io sono stato a caccia <strong>di</strong><br />

un Mostro favoloso.<br />

LO SPETTATORE E quale? La Chimera, l’Idra o l’Ippogrifo?<br />

IL REGISTA Tutti assieme. Sono le tre parti che compongono un mostro assurdo, chiamato <strong>il</strong><br />

"Teatrale” 43 . Ho braccato questo essere terrib<strong>il</strong>e nelle sue m<strong>il</strong>le e una tana, e l’ho vinto.<br />

LO SPETTATORE Lo avete abbattuto?<br />

IL REGISTA Sì. Siamo <strong>di</strong>ventati amici.<br />

LO SPETTATORE E occorreva andare all’estero solo per fare questo pezzo <strong>di</strong> controscena?<br />

IL REGISTA Certamente, perché soltanto all’estero mi son potuto rendere conto dei punti deboli del<br />

povero mostro. Mi ero davvero spaventato in Ingh<strong>il</strong>terra, a sentire i suoi ruggiti; e i racconti che<br />

mi facevano della sua tana, popolata <strong>di</strong> scheletri, erano proprio terrificanti. Ma all’estero ho<br />

cominciato la caccia con molta prudenza, e un giorno ho scoperto <strong>il</strong> mostro mentre danzava, un<br />

altro mentre mi faceva l’imitazione, <strong>il</strong> terzo giorno è stato lui stesso a invitarmi nella sua tana.<br />

Naturalmente ho accettato l’invito e subito mi sono reso conto della situazione. Adesso potrei<br />

abbatterlo, se volessi; solo che lui, povero caro, non me lo perdonerebbe mai, e io me ne farei una<br />

colpa per sempre.<br />

LO SPETTATORE Non so <strong>di</strong> che cosa stiate parlando, ma immagino che sia tutto giusto. Tuttavia mi<br />

<strong>di</strong>vertirebbe molto <strong>di</strong> più se voi rimaneste a casa a mettere in scena qualcosa, invece <strong>di</strong> andarvene<br />

in giro per l’Europa facendo finta <strong>di</strong> cacciare.<br />

IL REGISTA Perché non l’avete detto qualche anno fa? Non mi sarei sognato <strong>di</strong> andare in terra straniera<br />

se soltanto mi aveste fatto capire che desideravate che rimanessi a casa. “Uno deve pur vivere”,<br />

come ha detto <strong>il</strong> critico drammatico del Times alla censura, uno non può campare soltanto sul<br />

bottino che altri hanno portato dalla guerra; e per questo mi son messo a fare dello sport e fino ad<br />

ora non ho avuto neppure una delusione.<br />

LO SPETTATORE Io invece non mi sono mai sentito così deluso.<br />

IL REGISTA Perché, qual è <strong>il</strong> motivo?<br />

LO SPETTATORE O<strong>di</strong>o <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>.<br />

IL REGISTA Su, che esagerato; un tempo l’amavate. Ricordo che una volta mi faceste un sacco <strong>di</strong><br />

domande sull’Arte del Teatro, e non la finivamo più <strong>di</strong> parlare.<br />

LO SPETTATORE Adesso lo o<strong>di</strong>o. Non vado più in un <strong>teatro</strong>, e le cronache, gli articoli, gli annunci e le<br />

interviste mi fanno ridere.<br />

IL REGISTA E perché?<br />

43 Cfr. nota a p. ???.<br />

99


LO SPETTATORE È quello che vorrei sapere.<br />

IL REGISTA Oh, volete che <strong>di</strong>venti <strong>il</strong> vostro me<strong>di</strong>co? Siete affamato <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> e non lo potete mandar<br />

giù così com’è: occorre un rime<strong>di</strong>o. Purtroppo non vi posso curare, perché non posso cambiare <strong>il</strong><br />

<strong>teatro</strong> in un giorno né in una vita, ma se volete sapere cosa accadrà un giorno del vostro antico<br />

amore, <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>, ve lo <strong>di</strong>rò.<br />

LO SPETTATORE Me lo avete già raccontato molto tempo fa, ed è servito solo a rendermi più scontento.<br />

IL REGISTA È proprio quello che speravo; però adesso, se avete un po’ <strong>di</strong> pazienza, credo <strong>di</strong> poter fare<br />

qualcosa per voi.<br />

LO SPETTATORE Non voglio sentire più niente che riguar<strong>di</strong> l’Arte, o i Templi in cui essa si celebrerà, o i<br />

suoi tre componenti: l’Azione, la Scena, e la Voce. Per me tutto ciò è più terrib<strong>il</strong>e <strong>di</strong> quanto a voi<br />

non sia apparso quel mostro Chimera Ippogrifo; tutto è così smisurato: troppo enorme,<br />

impossib<strong>il</strong>e. Dovranno passare 6000 anni prima che le vostre parole si realizzino, dovrò cambiare<br />

tutte le mie opinioni e i miei costumi - perciò non ne parliamo più, ve ne prego.<br />

IL REGISTA D’accordo. Non una parola su questo terrib<strong>il</strong>e argomento mi uscirà <strong>di</strong> bocca - fino a che<br />

voi non me lo permetterete.<br />

LO SPETTATORE Oh, mi sento già meglio. Non so com’è, ma non appena vi vedo venire una grande<br />

paura si impadronisce <strong>di</strong> me; sento che i denti cominciano a battere, gli occhi a d<strong>il</strong>atarsi: ogni<br />

speranza m’abbandona. “Comincerà?" penso; "attaccherà a parlarmi sull’Arte del Teatro<br />

dell’Avvenire?". Vedete, non è che io non creda a tutto quello che <strong>di</strong>te, ma è la vostra flemma che<br />

mi soffoca. Vorrei tanto aiutarvi nella realizzazione del vostro sogno, ma non vedo da dove si<br />

possa cominciare, e sembra che voi pensiate che col mettermi a parte della vostra idea sia già tutto<br />

fatto - non lasciate agli altri nulla da realizzare.<br />

IL REGISTA Non intendevo <strong>di</strong>r questo.<br />

LO SPETTATORE Può anche darsi; però questa è l’impressione che mi avete lasciato.<br />

IL REGISTA Vi chiedo scusa; ma ora che vi ho promesso <strong>di</strong> non parlare dell’Arte del Teatro, propongo<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>vertirci con gli affari del <strong>teatro</strong>. Stasera prenderemo due poltrone per una comme<strong>di</strong>a musicale.<br />

LO SPETTATORE Sono due anni che non metto piede in un <strong>teatro</strong>, grazie all’ultima conversazione che<br />

abbiamo avuto, ed ora mi proponete <strong>di</strong> tornare a vedere <strong>il</strong> Varietà.<br />

IL REGISTA Proprio così. Teatro <strong>di</strong> Varietà, due poltrone, terza f<strong>il</strong>a, laterali.<br />

E ora cominciamo; cercate <strong>di</strong> non interrompermi fino a che non abbia finito. Qualche anno fa<br />

accennai con voi a un lavoro da giganti; vi parlai del <strong>teatro</strong>, e le proporzioni dei miei suggerimenti<br />

vi spaventarono. Vi mostrai troppe cose. E dopo ve ne ho mostrate altre ancora. Tutto questo vi<br />

ha spaventato. Ora ve ne mostrerò <strong>di</strong> meno, e più piccole. Non avrete più da lamentarvi <strong>di</strong> me.<br />

Quando vi parlai l’altra volta, lo feci da artista - e gli artisti hanno la stessa stoffa degli aviatori:<br />

volano. Ma ora, <strong>di</strong> nuovo coi pie<strong>di</strong> in terra, vi parlerò come un normale regista, che è più<br />

amministratore che artista; per farla breve, anche a rischio <strong>di</strong> annoiarvi, <strong>mio</strong> buon amico, vi<br />

parlerò da un punto <strong>di</strong> vista pratico.<br />

Voi amate <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>. Ne è prova <strong>il</strong> fatto che non ci andate da un paio d’anni. Avevate un ideale<br />

nuovo, e non lo avete mai visto realizzato sulle scene: per poter essere realizzato aveva bisogno<br />

d’artisti, e a <strong>teatro</strong> non ce n’erano. Voi amate ancora <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>; dareste la testa pur <strong>di</strong> avere un<br />

buon motivo per ritornarci. <strong>Il</strong> motivo c’è: è <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> che ha bisogno <strong>di</strong> voi.<br />

LO SPETTATORE Può darsi: ma a me <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> non interessa più. Non vi posso spiegare le mie ragioni<br />

senza recare offesa a molti <strong>di</strong> quelli che tempo ad<strong>di</strong>etro apprezzavo.<br />

IL REGISTA Per esempio?<br />

LO SPETTATORE Se <strong>di</strong>co che l’attore che ora recita al Lyceum è un comme<strong>di</strong>ante, si offenderà; se trovo<br />

volgare lo spettacolo che danno all’Elyseum, offendo <strong>il</strong> regista, che conosco personalmente. E<br />

inoltre, per quanto io protesti, l’attore e <strong>il</strong> regista sono incapaci <strong>di</strong> cambiare i loro sistemi. Non<br />

100


posso più applau<strong>di</strong>re come facevo prima, e non posso protestare come sto facendo con voi; e per<br />

questo, vi ho già detto, non ho più alcun interesse.<br />

IL REGISTA Se potessi eliminare la causa del vostro malcontento, l’interesse vi tornerebbe?<br />

LO SPETTATORE Imme<strong>di</strong>atamente.<br />

IL REGISTA Ditemi, <strong>di</strong> che cosa siete insod<strong>di</strong>sfatto? Io non sono né l’attore né <strong>il</strong> regista in questione.<br />

LO SPETTATORE No; <strong>il</strong> solo <strong>di</strong>chiararlo in modo definitivo mi farebbe sentire come un tra<strong>di</strong>tore nei<br />

riguar<strong>di</strong> <strong>di</strong> quelli che un tempo amavo.<br />

IL REGISTA Ah, allora siete cambiato voi, non <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>.<br />

LO SPETTATORE Forse, forse.<br />

IL REGISTA Ed avete sv<strong>il</strong>uppato <strong>il</strong> vostro senso estetico. Può darsi quin<strong>di</strong> che io abbia <strong>di</strong>nanzi a me lo<br />

spettatore ideale in persona - che voi siate entrato a far parte <strong>di</strong> quel pubblico che per tanto<br />

tempo Londra ha cercato <strong>di</strong> "educare”?<br />

LO SPETTATORE No, no; non sono “ideale” come pensate; ma forse avete ragione a <strong>di</strong>re che mi sono<br />

evoluto. <strong>Il</strong> repertorio e gli attori non possono essere cambiati in due anni così ra<strong>di</strong>calmente come<br />

invece può essere accaduto ad un punto <strong>di</strong> vista personale.<br />

IL REGISTA Ora tutto quel che vedete sulle scene vi sembra “noioso, vieto, insipido e inut<strong>il</strong>e”, come <strong>il</strong><br />

mondo ad Amleto. Ma siate pratico, vi prego. Guardate le cose con buon senso. Ammettete che<br />

la scena non è cambiata, ma che siete soltanto voi ad aver subìto un mutamento. Bene! Subitene<br />

un altro ancora: non per tornare come prima ma per andare avanti.<br />

LO SPETTATORE Cosa volete <strong>di</strong>re?<br />

IL REGISTA Avete guardato al <strong>teatro</strong> da due punti <strong>di</strong> vista: sollevatevi ora ad un terzo livello, superiore<br />

agli altri due, e guardate ciò che dovete guardare.<br />

LO SPETTATORE La cosa mi interessa.<br />

IL REGISTA Seguitemi, allora. Al presente <strong>il</strong> vostro interesse per <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> è su piccola scala, analogo a<br />

quello che ogni inglese ha per le cose del suo paese. Siete nella posizione <strong>di</strong> quello che <strong>di</strong>sapprova<br />

l’attuale governo, e basta. Nel <strong>teatro</strong> ci sono tanti partiti, come in Parlamento. Abbiamo<br />

l’equivalente dei conservatori, dei liberali, dei progressisti, dei ra<strong>di</strong>cali, dei socialisti, dei laburisti,<br />

e contiamo anche delle suffragette fra <strong>di</strong> noi.<br />

Questi partiti si prendono molto sul serio a vicenda, e questo non è un male. Ma al <strong>di</strong> sopra e al<br />

<strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> tutti i partiti ci sono gli imperialisti, chiamiamoli così, o, se volete, gli idealisti. Un<br />

imperialista è un idealista. Voi una volta avete fatto parte <strong>di</strong> questo o quel partito teatrale.<br />

Diciamo che eravate conservatore. Vi proclamavate tale, ma in realtà <strong>il</strong> conservatorismo in se<br />

stesso non lo conoscevate troppo bene, e ben presto avete cominciato a seccarvi dei sistemi dei<br />

vostri capi. Naturalmente non avendo intenzione <strong>di</strong> fare <strong>il</strong> girella, cadete in uno stato <strong>di</strong><br />

abbattimento, e non sapete cosa fare.<br />

LO SPETTATORE Non posso forse o virare <strong>di</strong> bordo o passare al partito opposto?<br />

IL REGISTA Certamente no. Non potete entrare a far parte onorevolmente <strong>di</strong> un’altra corrente. Non<br />

potete cercare un’altra <strong>di</strong>s<strong>il</strong>lusione. Ma nulla vi impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare imperialista. Tenete a<br />

mente che io uso questa parola per esprimere l’ideale più alto, benché non sappia affatto quale<br />

accezione voi <strong>di</strong>ate al termine; perciò accettatelo (in mancanza <strong>di</strong> meglio) come <strong>il</strong> nome più bello<br />

che si possa dare a quel partito, o fratellanza, universale, composto <strong>di</strong> gente che sostiene o tollera<br />

molti <strong>di</strong>fferenti e opposti punti <strong>di</strong> vista.<br />

LO SPETTATORE Va bene, allora <strong>di</strong>venterò imperialista. Ditemi cosa devo fare.<br />

IL REGISTA Mio caro amico, state tornando ad essere voi stesso. Cominciate a <strong>di</strong>mostrarvi già più<br />

interessato. Faremmo meglio ad andare a cercare subito i biglietti per <strong>il</strong> Varietà.<br />

LO SPETTATORE No, stiamo qui e parliamo. Ditemi come si fa a <strong>di</strong>ventare imperialista.<br />

101


IL REGISTA Ebbene, prendete una poltrona per La do<strong>di</strong>cesima notte al His Majesty’s Theatre, una per<br />

la messa in scena <strong>di</strong> Sansone Agonista alla Elizabethan Stage Society, un posto <strong>di</strong> seconda galleria<br />

per l’ultima novità <strong>di</strong> Sir Arthur Pinero al St. James e uno <strong>di</strong> platea per vedere L’altra isola <strong>di</strong><br />

John Bull al Court Theatre. Stasera al Varietà, domani sera a sentire la Passione <strong>di</strong> Bach a St.<br />

Paul, dopodomani all’Empire, e nel pomeriggio al cinematografo in Oxford Street. E non vi<br />

<strong>di</strong>menticate <strong>di</strong> andare nei sobborghi a vedere la nostra grande attrice nella parte <strong>di</strong> Porzia, o <strong>di</strong><br />

assistere ad uno degli spettacoli della British Empire Shakespeare Society. Potete fare tutto in<br />

<strong>di</strong>eci sere, e <strong>di</strong> giorno se avete tempo, potreste sentire una delle letture sul dramma <strong>di</strong> Henry<br />

Arthur Jones, o andare, se vi procurate l’invito, a un incontro dell’Associazione degli Attori, o a<br />

una prova al Drury Lane. Per farla breve, guardate <strong>il</strong> meglio e <strong>il</strong> peggio <strong>di</strong> ogni cosa; guardate <strong>il</strong><br />

<strong>teatro</strong> sotto ogni aspetto, e vi assicuro che comincerete ad amarlo un’altra volta.<br />

LO SPETTATORE Arrivederci. Lo sapevo che non eravate in grado <strong>di</strong> aiutarmi. Sapevo che mi avreste<br />

raccomandato <strong>di</strong> fare così. Ma, signor <strong>mio</strong>, l’ho già fatto due anni or sono!<br />

IL REGISTA Siete proprio in cattive con<strong>di</strong>zioni.<br />

LO SPETTATORE Sì, ma non vi accorgete che devo ringraziare voi <strong>di</strong> questo? Alcuni anni or sono mi<br />

avete fatto intravedere un quadro fantastico <strong>di</strong> cosa sarebbe <strong>di</strong>venuto <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>, con i suoi templi,<br />

con un’arte ammirevole... e tutto <strong>il</strong> resto; e così, con quell’immagine da un lato, e <strong>il</strong> <strong>teatro</strong><br />

moderno dall’altro, mi sono trovato fra l’alto mare e <strong>il</strong> <strong>di</strong>avolo. Non posso gustare nessuno dei<br />

due; perciò li evito entrambi.<br />

IL REGISTA Venite all’estero. Vi posso far vedere un <strong>teatro</strong> nel nord della Russia che vi incanterà.<br />

LO SPETTATORE Perché pensate che mi incanterà?<br />

IL REGISTA Perché senza essere un tempio e nessun’altra <strong>di</strong> quelle cose che tanto vi spaventano nel<br />

<strong>mio</strong> programma, è <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> meglio organizzato d’Europa. È un esempio <strong>di</strong> quali risultati può dare<br />

in un <strong>teatro</strong> una riforma sistematica.<br />

Testi drammatici, attori, attrici, <strong>di</strong>rettori, scenari, luci <strong>di</strong> ribalta, riflettori, binocoli, realismo: c’è<br />

tutto, proprio come in ogni altro <strong>teatro</strong>, con la sola <strong>di</strong>fferenza che questo <strong>teatro</strong> batte tutti gli altri<br />

nel loro stesso gioco.<br />

Ci sono due generi <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> possib<strong>il</strong>e, quello naturale e quello artificiale. I teatri europei sono<br />

artificiali, e anche questo <strong>teatro</strong> del nord è artificiale, dal momento che si serve dello stesso<br />

materiale artificiale che adoperano l’Opera <strong>di</strong> Parigi o l’His Majesty <strong>di</strong> Londra. La <strong>di</strong>fferenza sta<br />

nell’uso che ne fa. Inoltre la sua amministrazione è <strong>di</strong>fferente da quella degli altri teatri europei.<br />

Gli amministratori sono uomini, proprio come in Ingh<strong>il</strong>terra, eppure si arriva a risultati <strong>di</strong>versi,<br />

perché questi uomini tengono a mente qualcosa che i nostri amministratori non hanno mai<br />

imparato.<br />

LO SPETTATORE Smettetela <strong>di</strong> darmi delle notizie vaghe su questo <strong>teatro</strong> e raccontatemi<br />

dettagliatamente qualcosa sul metodo che segue.<br />

IL REGISTA Con piacere. Questo <strong>teatro</strong> è migliore degli altri sia per <strong>il</strong> lavoro scenico, sia per <strong>il</strong> sistema<br />

d’amministrazione.<br />

LO SPETTATORE In che cosa <strong>di</strong>fferisce <strong>il</strong> lavoro scenico? Mi avete detto che non usano un materiale<br />

<strong>di</strong>verso da quello impiegato dagli altri teatri.<br />

IL REGISTA No, è lo stesso. Adoperano attori che si truccano <strong>il</strong> volto, scene <strong>di</strong>pinte su tela con<br />

strutture <strong>di</strong> legno, luci <strong>di</strong> ribalta e altre luci artificiali, versi sciolti, fonografi e così via; ma si<br />

servono <strong>di</strong> ogni cosa con gusto.<br />

LO SPETTATORE E nessuno degli altri teatri d’Europa fa così?<br />

IL REGISTA Gli altri teatri d’Europa fanno solo uno stu<strong>di</strong>o saltuario <strong>di</strong> queste strane materie artificiali,<br />

perciò non sono in grado <strong>di</strong> esprimersi con alcun carattere specifico, e le tele e le pitture sono<br />

nient’altro che tele e pitture, cose che in se stesse non riescono interessanti.<br />

102


LO SPETTATORE Allora non esiste un altro <strong>teatro</strong> in cui si usi tutto ciò con gusto?<br />

IL REGISTA No.<br />

LO SPETTATORE Immagino che i collaboratori <strong>di</strong> questo <strong>teatro</strong> russo siano in grado <strong>di</strong> usare con più<br />

gusto <strong>il</strong> loro materiale perché hanno una maggior preparazione tecnica.<br />

IL REGISTA Sì, ma non capisco perché mi doman<strong>di</strong>ate una cosa tanto ovvia. Cosa intendete <strong>di</strong>re? Se<br />

invece <strong>di</strong> uno stu<strong>di</strong>o saltuario essi rivolgono al loro materiale uno stu<strong>di</strong>o serio e approfon<strong>di</strong>to, va<br />

da sé che la loro tecnica è più perfetta.<br />

LO SPETTATORE Ma pren<strong>di</strong>amo gli spettacoli dei principali teatri <strong>di</strong> Londra, per esempio. Non fanno<br />

mostra <strong>di</strong> tecnica nell’uso <strong>di</strong> questo materiale?<br />

IL REGISTA Se così fosse non vi avrei detto <strong>di</strong> no. Ma vi voglio dare un esempio <strong>di</strong> cosa intendo.<br />

Prendete, <strong>di</strong>ciamo, la questione dei meccanismi scenici.<br />

Ci sono almeno nove o <strong>di</strong>eci maniere professionali per far vedere la luna in scena. Sappiamo in che<br />

modo la compagnia Bottom e Quince ha introdotto la luna; sappiamo come la “sontuosa scuola”<br />

<strong>di</strong> rinnovamento la raffigura in Ingh<strong>il</strong>terra; sappiamo come la raffigurano all’opera e come la<br />

raffigura <strong>il</strong> professor Herkomer. Tutti questi sistemi <strong>di</strong>fferiscono in ragione <strong>di</strong>retta del fatto che<br />

un inventore è stato più trascurato <strong>di</strong> un altro nello stu<strong>di</strong>are <strong>il</strong> modo esatto in cui la luna gioca <strong>il</strong><br />

suo ruolo.<br />

Ora, dopo che i collaboratori del Teatro <strong>di</strong> Constan hanno stu<strong>di</strong>ato con attenzione <strong>di</strong>eci <strong>di</strong>fferenti<br />

maniere, ne troveranno ancora altre sei, ne scarteranno cinque ed adopereranno la sesta, che sarà la<br />

migliore. E questo sesto sistema sarà <strong>di</strong> gran lunga superiore a tutti gli altri mai visti in Europa.<br />

Parlo naturalmente da un punto <strong>di</strong> vista tecnico, perché, è ovvio, l’arte non ha niente a che fare<br />

con la riproduzione delle lune sulle scene, e l’arte non è quello <strong>di</strong> cui stiamo parlando qui. Ma in<br />

qualunque altra maniera questa luna sarà più vicina alla realtà <strong>di</strong> ogni altra luna veduta da secoli<br />

nel <strong>teatro</strong> europeo.<br />

LO SPETTATORE Come potete fare una sim<strong>il</strong>e affermazione? Non avete neppure cinquant’anni.<br />

IL REGISTA No; ma quando a <strong>teatro</strong> si trova una buona idea, specialmente se riguarda la riproduzione<br />

<strong>di</strong> effetti naturali, non la si <strong>di</strong>mentica mai. Son cose, queste, a cui si è data la più grande<br />

importanza. Ricordate bene: io non sostengo assolutamente la causa del Teatro <strong>di</strong> Constan, se<br />

non per la rappresentazione <strong>di</strong> lavori in cui si vogliano introdurre effetti realistici; e affermo che<br />

per la prima volta si sono veramente realizzati effetti del genere, che non si tratta <strong>di</strong> un lavoro<br />

trasandato e che non si sono aggirate le <strong>di</strong>fficoltà facendo "come l’ultima volta”.<br />

LO SPETTATORE In ogni modo, avete soltanto <strong>di</strong>mostrato che essi sono più in<strong>di</strong>pendenti e più liberi nel<br />

rifiutare i trucchi tra<strong>di</strong>zionali; non avete <strong>di</strong>mostrato che ciò che fanno sia più <strong>di</strong> buon gusto.<br />

IL REGISTA Bene; non vi posso <strong>di</strong>re altro se non che è più vicino alla Natura. A parer vostro è in<strong>di</strong>zio<br />

<strong>di</strong> più buon gusto essere vicini alla Natura o essere vicini al <strong>teatro</strong>?<br />

LO SPETTATORE Certamente essere vicini alla Natura.<br />

IL REGISTA Perfetto. Questa allora è la risposta alla vostra domanda.<br />

LO SPETTATORE Ma come arrivano i collaboratori <strong>di</strong> questo <strong>teatro</strong> a un grado tale <strong>di</strong> perfezione tecnica<br />

che li rende capaci <strong>di</strong> adoperare <strong>il</strong> loro materiale con tanto gusto?<br />

IL REGISTA Come si arriva alla conoscenza tecnica <strong>di</strong> qualsiasi cosa?<br />

LO SPETTATORE Con lo stu<strong>di</strong>o, naturalmente. Ma sono forse questi gli unici lavoratori del <strong>teatro</strong> che<br />

stu<strong>di</strong>ano in tutta Europa?<br />

IL REGISTA Stiamo parlando <strong>di</strong> perfezione tecnica, se non erro, non <strong>di</strong> conoscenza superficiale del<br />

proprio mestiere. C’è una massa <strong>di</strong> gente che stu<strong>di</strong>a, ma che stu<strong>di</strong>a male. Quelli del Teatro <strong>di</strong><br />

Constan stu<strong>di</strong>ano e fanno esperimenti con più cura degli altri.<br />

LO SPETTATORE Forse hanno anche maggior talento?<br />

IL REGISTA Può darsi. E <strong>il</strong> talento, come ben sapete, è una qualità che si sv<strong>il</strong>uppa con lo stu<strong>di</strong>o.<br />

103


LO SPETTATORE Quelli <strong>di</strong> Constan hanno a <strong>di</strong>sposizione qualcosa che somigli a una scuola dove<br />

stu<strong>di</strong>are?<br />

IL REGISTA Sì, <strong>il</strong> loro <strong>teatro</strong> è una scuola. Stanno in <strong>teatro</strong> da mattina a sera, tutto l’anno, eccettuate<br />

poche settimane <strong>di</strong> vacanza durante l’estate. In Ingh<strong>il</strong>terra, entrando in un <strong>teatro</strong> raramente vi<br />

capiterà <strong>di</strong> trovarvi anima viva, all’infuori dei macchinisti, del <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena e <strong>di</strong> pochi altri<br />

impiegati. <strong>Il</strong> Teatro <strong>di</strong> Constan è sempre affollato, giorno e notte, e se c’è una prova, gli studenti<br />

sono lì ad assistere; e non per ridacchiare o per fare gli sciocchi, ma per osservare ogni movimento<br />

e per sentire ogni parola.<br />

LO SPETTATORE A chi intendete alludere, <strong>di</strong>cendo “studenti"?<br />

IL REGISTA A chiunque. Tutti sono studenti. Per cominciare, ci sono i due <strong>di</strong>rettori (i1 terzo <strong>di</strong>rettore<br />

si occupa soltanto della parte amministrativa); e questi due <strong>di</strong>rettori sono studenti né più né meno<br />

<strong>di</strong> qualsiasi altro: stu<strong>di</strong>ano tutto <strong>il</strong> tempo. Poi vengono gli attori e le attrici principali. Ce ne sono<br />

circa do<strong>di</strong>ci, ognuno all’altezza <strong>di</strong> qualsiasi astro europeo. Ma che <strong>di</strong>co? Ognuno <strong>di</strong> loro è attore o<br />

attrice <strong>di</strong> molto superiore ai più gran<strong>di</strong> astri d’Europa. Ci sono poi circa ventiquattro attori e<br />

attrici per le cosiddette "parti secondarie”. Parecchi <strong>di</strong> questi sono abbastanza capaci da rientrare<br />

nella prima categoria; soltanto che <strong>il</strong> loro tirocinio non si è ancora protratto per un tempo<br />

sufficiente.<br />

LO SPETTATORE Che <strong>di</strong>te? Se un attore mostra <strong>di</strong> possedere un talento speciale, non viene promosso<br />

subito al primo rango?<br />

IL REGISTA No, no <strong>di</strong> certo, finché non sia passato attraverso la stessa esperienza degli altri. Può avere<br />

quanto talento vuole: non ha importanza. Poi, oltre quelli che ho nominato, ci sono degli studenti<br />

giovanissimi; in numero <strong>di</strong> venti circa. Sono per la maggior parte universitari, maschi e femmine; e<br />

le ragazze non vengono scelte perché hanno un aspetto grazioso, ma - come anche i ragazzi - per<br />

le loro capacità.<br />

LO SPETTATORE Non accade la stessa cosa in altri paesi?<br />

IL REGISTA No, assolutamente. Nei teatri inglesi metà delle ragazze vengono scelte perché sono carine.<br />

LO SPETTATORE Ma l’aspetto fisico è certo una cosa importante per un’attrice.<br />

IL REGISTA Sì, molto importante e dovrebbe costituire una parte dei suoi stu<strong>di</strong>. Ma alle attrici inglesi<br />

non è mai venuto in mente che <strong>il</strong> rendersi carine sia una parte del loro lavoro, e una parte che<br />

richiede grande talento e molta applicazione. In Ingh<strong>il</strong>terra, alcune delle attrici <strong>di</strong> maggiore talento<br />

non sono assolutamente quello che si <strong>di</strong>ce belle ragazze. Sarebbe a <strong>di</strong>re: i loro lineamenti sono<br />

tutt’altro che perfetti, <strong>il</strong> loro colorito non è fresco come quello <strong>di</strong> una ragazza irlandese dei laghi,<br />

ma hanno talento, e con questo riescono ad assumere l’atteggiamento o l’aspetto che vogliono.<br />

Esattamente come fa parte del talento e dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un attore la capacità <strong>di</strong> trasformare <strong>il</strong><br />

proprio volto in una maschera grottesca, così fa parte del talento e dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un’attrice<br />

riuscire ad apparire bella quando lo vuole. Quando questo si sarà raggiunto in pieno, le ragazze la<br />

smetteranno <strong>di</strong> mettere innanzi la loro bellezza fisica come argomento adatto a ottenere una<br />

scrittura, e la scena sarà meno ma meglio popolata.<br />

Ma torniamo ora al numero delle persone che lavorano nel Teatro <strong>di</strong> Constan. Eravamo arrivati<br />

agli studenti. Accanto e al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> essi ci sono gli allievi in prova.<br />

LO SPETTATORE E chi sono?<br />

IL REGISTA Sono dei giovani che chiedono <strong>di</strong> essere ammessi al <strong>teatro</strong> come scolari. Si <strong>di</strong>ce loro che<br />

dovranno lavorare per un certo tempo - credo uno o due anni - per poter domandare l’ammissione<br />

definitiva alla scuola. Poi, dopo un esame sostenuto davanti ai <strong>di</strong>rettori, ai registi e agli attori,<br />

alcuni <strong>di</strong> loro vengono scelti e accolti nella scuola.<br />

LO SPETTATORE A che specie <strong>di</strong> esame vengono sottoposti?<br />

104


IL REGISTA Ogni can<strong>di</strong>dato prepara una poesia e un racconto da recitare. E l’esame dei can<strong>di</strong>dati, in<br />

questo <strong>teatro</strong>, <strong>di</strong>mostra in maniera inequivocab<strong>il</strong>e che sono eccezionali proprio i <strong>di</strong>rettori del<br />

<strong>teatro</strong>, e non i russi; perché questi can<strong>di</strong>dati non hanno nulla <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso <strong>di</strong> qualsiasi altro aspirante<br />

alla scena, per quel che riguarda la loro attitu<strong>di</strong>ne all’espressione drammatica. Differiscono dagli<br />

altri studenti solo in questo, che sono più istruiti degli altri aspiranti artisti, perché alcuni <strong>di</strong> loro<br />

hanno una notevole conoscenza della letteratura, delle lingue straniere, dell’arte, e delle scienze.<br />

Superato l’esame, vengono ammessi alla scuola, dove lavorano <strong>di</strong> giorno per un certo numero <strong>di</strong><br />

anni: la sera può accadere che venga loro richiesto <strong>di</strong> sostenere le cosiddette “parti mute”. Così<br />

per tutto <strong>il</strong> tempo dello stu<strong>di</strong>o nella scuola, quasi ogni sera, sono in mezzo alla rappresentazione;<br />

e in capo a pochi anni è possib<strong>il</strong>e, se non proprio sicuro, che <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> in cui lavorano offra loro<br />

una piccola scrittura. In questo modo, capite, si viene ad avere una compagnia stab<strong>il</strong>e <strong>di</strong> circa<br />

cento persone.<br />

LO SPETTATORE Cosa intendete per compagnia stab<strong>il</strong>e?<br />

IL REGISTA La stessa cosa che si intende per esercito permanente.<br />

LO SPETTATORE Ma allora gli attori non se ne vanno, per cercarsi qualche scrittura migliore?<br />

IL REGISTA No, perché non ci può essere scrittura migliore. Ogni attore in Russia ambisce ad essere<br />

membro del Teatro d’Arte <strong>di</strong> Constan.<br />

LO SPETTATORE Un attore <strong>di</strong> talento <strong>di</strong> un altro <strong>teatro</strong> chiederebbe <strong>di</strong> entrare a far parte <strong>di</strong> questa<br />

compagnia?<br />

IL REGISTA Forse; ma gli ci vorrebbe un certo tempo per entrare nella particolare atmosfera che questa<br />

compagnia ha creato e per riuscirci dovrebbe probab<strong>il</strong>mente accontentarsi <strong>di</strong> parti molto piccole,<br />

per cominciare.<br />

LO SPETTATORE Dunque <strong>il</strong> lavoro qui è completamente <strong>di</strong>verso da quello degli altri teatri, e chiunque vi<br />

entrasse si sentirebbe come un pesce fuor d’acqua.<br />

IL REGISTA Esattamente.<br />

LO SPETTATORE Tutti gli scolari si preparano a <strong>di</strong>ventare attori?<br />

IL REGISTA Sì.<br />

LO SPETTATORE Allora, non si preparano a <strong>di</strong>ventare registi?<br />

IL REGISTA Prima <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare regista bisogna essere stato attore. I loro registi sono gli ultimi a<br />

formarsi. Dopo essere stati attori per parecchi anni, può darsi che l’uno o l’altro riveli qualche<br />

attitu<strong>di</strong>ne alla regia. A questa attitu<strong>di</strong>ne viene data occasione <strong>di</strong> manifestarsi e <strong>di</strong> sv<strong>il</strong>upparsi nel<br />

modo che ora <strong>di</strong>rò.<br />

Alla fine <strong>di</strong> ogni stagione la scuola rappresenta un certo numero <strong>di</strong> scene tolte da <strong>di</strong>eci o un<strong>di</strong>ci<br />

lavori <strong>di</strong>versi. Nel 1909, fra i lavori scelti dagli studenti c’erano: Elga e Hannele <strong>di</strong> Hauptmann,<br />

una comme<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Sudermann, Quando noi morti ci destiamo <strong>di</strong> Ibsen, La locan<strong>di</strong>era <strong>di</strong> Goldoni,<br />

La città morta <strong>di</strong> D’Annunzio, L’avaro <strong>di</strong> Molière, e tre o quattro lavori <strong>di</strong> autori russi.<br />

Queste scene sono rappresentate ciascuna da membri <strong>di</strong>versi della scuola, e per ciascuna viene<br />

scelto un <strong>di</strong>verso regista. La rappresentazione ha luogo <strong>di</strong> pomeriggio. Si invitano i parenti degli<br />

allievi, sono presenti anche i <strong>di</strong>rettori del Teatro, insieme con la compagnia; e la rappresentazione<br />

offre a un talento <strong>di</strong> regista o <strong>di</strong> attore, che può essere latente, la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> rivelarsi. Le<br />

attitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong>mostrate nel 1909 non furono, a <strong>mio</strong> avviso, prive <strong>di</strong> r<strong>il</strong>ievo. Ogni regista ha a sua<br />

<strong>di</strong>sposizione tutto ciò che <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> può offrirgli; naturalmente non può <strong>di</strong>pingere nuove scene,<br />

tuttavia può ugualmente mostrare <strong>il</strong> suo talento servendosi <strong>di</strong> quel che ha sotto mano.<br />

LO SPETTATORE Una volta, molto tempo fa, mi avete parlato <strong>di</strong> un regista ideale: un uomo che<br />

dovrebbe riunire in sé tutte le capacità; che sia stato attore, scenografo e costumista; che s’intenda<br />

<strong>di</strong> <strong>il</strong>luminazione, <strong>di</strong> coreografia, e che abbia <strong>il</strong> senso del ritmo; che sia in grado <strong>di</strong> seguire gli attori<br />

105


che provano la parte; che possa, insomma, col suo solo cervello, completare l’opera che, ai fini<br />

della scena, <strong>il</strong> poeta ha lasciato incompiuta. Ne trovate qualcuno del genere a Constan?<br />

IL REGISTA Qualcuno che gli si avvicina molto, sì. C’è ben poco che i régisseurs <strong>di</strong> là non sappiano<br />

fare.<br />

LO SPETTATORE Molti <strong>di</strong>rebbero che, dopo tutto, non c’è nulla <strong>di</strong> essenzialmente <strong>di</strong>verso tra questo<br />

<strong>teatro</strong> e gli altri, se non la sua maggiore completezza.<br />

IL REGISTA Cercherò allora <strong>di</strong> farvi vedere in che cosa consiste la <strong>di</strong>fferenza essenziale. Fin qui sono<br />

riuscito a spiegarvi qualcosa del sistema. Ho cercato <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrarvi quanto <strong>il</strong> metodo russo sia<br />

superiore a qualsiasi altro, ma non mi <strong>il</strong>ludo ancora che compren<strong>di</strong>ate a fondo quello che intendo,<br />

e ammetto che sarebbe del tutto impossib<strong>il</strong>e spiegare la ragione fondamentale della superiorità <strong>di</strong><br />

questo <strong>teatro</strong> finché non verrete a contatto con gli uomini che vi si sono formati, e soprattutto<br />

con l’uomo che li ha formati, <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore. Qui sta <strong>il</strong> segreto; un segreto che scenderà nella tomba<br />

con lui. Capireste quello che vi ho detto, se lo aveste veduto; ma neppure in questo caso potreste<br />

ancora scoprire <strong>il</strong> suo segreto fino al punto <strong>di</strong> trarne un vantaggio pratico.<br />

LO SPETTATORE Voi che lo avete visto, comprendete <strong>il</strong> suo segreto?<br />

IL REGISTA Sì, lo comprendo; ma non potrei farlo capire ad altri per <strong>il</strong> solo motivo che si tratta <strong>di</strong> una<br />

<strong>di</strong> quelle cose semplici che nessuna forza <strong>di</strong> persuasione può far nascere, nessuna violenza <strong>di</strong><br />

antagonismo <strong>di</strong>struggere, nessun cumulo <strong>di</strong> spiegazioni chiarire.<br />

LO SPETTATORE Ma <strong>di</strong> che si tratta, dunque?<br />

IL REGISTA Di amore appassionato per <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>; e posso <strong>di</strong>rvi senza timore <strong>di</strong> essere considerato un<br />

profano: "Nessuna creatura nutre un amore più grande <strong>di</strong> quello, in nome del quale un uomo<br />

sacrifica la vita per <strong>il</strong> suo lavoro”.<br />

LO SPETTATORE Ma negli altri teatri non si ama la scena a questo modo?<br />

IL REGISTA No, assolutamente no. Ci sono altre cose per le quali gli uomini darebbero la propria vita<br />

molto più volentieri che per <strong>il</strong> loro lavoro: per un successo sociale, per un successo finanziario.<br />

Sono <strong>di</strong>sposti a sacrificare la loro vita se possono ricevere in cambio una <strong>di</strong> queste cose. A<br />

Constan hanno un solo desiderio, <strong>di</strong> fare <strong>il</strong> lavoro migliore. Credete che io sia severo nei confronti<br />

degli altri teatri?<br />

Non lo sono affatto. Sono pronto a in<strong>di</strong>care gli obiettivi a cui mira ogni <strong>teatro</strong> e a mettere in chiaro<br />

la <strong>di</strong>fferenza che intercorre tra <strong>il</strong> loro fine e quello del Teatro <strong>di</strong> Constan. Richiamo alla mia<br />

memoria i migliori teatri d’Europa e vedo chiaramente a che cosa aspirano. È senz’altro possib<strong>il</strong>e<br />

che esistano molti teatri a me sconosciuti e che in questi teatri ci siano uomini a cui io faccio torto<br />

includendoli in questa requisitoria; ma io parlo solo dei teatri che conosco. Si <strong>di</strong>ce comunemente<br />

che siano i primi teatri d’Europa. A parer <strong>mio</strong>, invece sono proprio gli ultimi.<br />

Eppure sarebbe possib<strong>il</strong>e per gli altri teatri essere buoni quanto <strong>il</strong> Teatro d’Arte <strong>di</strong> Constan, cioè<br />

<strong>di</strong> prima categoria, solo che fossero pervasi anch’essi dal medesimo amore appassionato per <strong>il</strong><br />

<strong>teatro</strong>.<br />

E ora vi <strong>di</strong>rò qualcosa della parte amministrativa.<br />

LO SPETTATORE È proprio quello che desideravo sentire.<br />

IL REGISTA Tanto per cominciare, le questioni finanziarie sono nelle mani <strong>di</strong> un consiglio<br />

d’amministrazione. C’è un presidente, cinque membri del consiglio, un segretario, e cinque <strong>di</strong><br />

queste sette persone sono artisti. <strong>Il</strong> capitale è investito in una società per azioni, composta <strong>di</strong><br />

impren<strong>di</strong>tori della città <strong>di</strong> Constan, e, come in ogni altra società per azioni, <strong>il</strong> denaro e gli affari<br />

sono affidati alla cura <strong>di</strong> un consiglio d’amministrazione.<br />

LO SPETTATORE Fin qui non c’è <strong>di</strong>fferenza dagli altri teatri.<br />

IL REGISTA No? È frequente, allora, che in un consiglio d’amministrazione gli artisti costituiscano la<br />

maggioranza? Credo che abbiate trascurato questo particolare. Ma ora <strong>di</strong>temi voi. Io non sono<br />

106


affatto pratico <strong>di</strong> affari. Supponiamo che riponga in me tanta fiducia da investire cinquantam<strong>il</strong>a<br />

sterline per la costituzione <strong>di</strong> un Teatro d’Arte in Ingh<strong>il</strong>terra; quale sarebbe lo stato d’animo degli<br />

azionisti, se l’ultimo giorno dell’anno si leggesse loro un resoconto da cui risulti che non c’è un<br />

centesimo per i <strong>di</strong>viden<strong>di</strong>?<br />

LO SPETTATORE Gli azionisti esaminerebbero i ren<strong>di</strong>conti, e, una volta constatato che le uscite sono<br />

superiori alle entrate, cambierebbero probab<strong>il</strong>mente la <strong>di</strong>rezione e consiglierebbero <strong>di</strong><br />

rappresentare lavori più accessib<strong>il</strong>i al pubblico, che procurino maggiori profitti.<br />

IL REGISTA E perché farebbero così?<br />

LO SPETTATORE Perché hanno investito <strong>il</strong> loro denaro nel <strong>teatro</strong> con l’idea <strong>di</strong> farlo fruttare.<br />

IL REGISTA Immaginate <strong>di</strong> essere voi stesso un azionista e che io vi avverta che per uno, due, o<br />

ad<strong>di</strong>rittura tre anni questo capitale probab<strong>il</strong>mente non renderà; che cosa <strong>di</strong>reste sapendo che c’è<br />

stato un deficit <strong>il</strong> primo anno?<br />

LO SPETTATORE Chiederei <strong>di</strong> esaminare molto a fondo la situazione.<br />

IL REGISTA Ah, dunque voi non vi ritirereste definitivamente?<br />

LO SPETTATORE Prima vorrei andare a fondo della questione.<br />

IL REGISTA Dovrei supporre, allora, che siate entrato nella società <strong>di</strong> azionisti perché eravate<br />

interessato alla cosa in se stessa, non solo al suo aspetto finanziario.<br />

LO SPETTATORE Sì; ma essendo io un uomo d’affari, <strong>il</strong> <strong>mio</strong> obiettivo principale sarebbe pur sempre<br />

quello <strong>di</strong> far danaro.<br />

IL REGISTA Ma pensate che sarebbe un buon investimento dal vostro punto <strong>di</strong> vista continuare a<br />

sostenere un <strong>teatro</strong> del genere, dal momento che non fornisce alcun <strong>di</strong>videndo per i primi tre,<br />

quattro o cinque anni?<br />

LO SPETTATORE No, non lo penso affatto.<br />

IL REGISTA Bene, allora spiegatemi da uomo d’affari come si siano potuti trovare nella città <strong>di</strong> Constan<br />

degli uomini d’affari <strong>di</strong>sposti ad aspettare <strong>di</strong>eci anni per vedere <strong>il</strong> primo red<strong>di</strong>to del loro danaro.<br />

LO SPETTATORE Per me è una cosa inspiegab<strong>il</strong>e. Ma suppongo che <strong>il</strong> far danaro debba essere stata per<br />

loro una questione <strong>di</strong> secondo piano <strong>di</strong> fronte al progresso dell’arte. E in realtà, io stesso, se fossi<br />

un uomo straricco, considererei questo un lusso o un hobby, e mi farei un vanto <strong>di</strong> coltivarlo.<br />

IL REGISTA Bene; mi avete detto che state perdendo l’interesse al <strong>teatro</strong> e che siete ricco. Ecco un<br />

modo per ravvivare <strong>il</strong> vostro interesse. Entrate in rapporto con un <strong>teatro</strong> come questo. Voglio<br />

ricordarvi una cosa: poco tempo fa vi ho detto che i1 <strong>teatro</strong> aveva bisogno <strong>di</strong> voi. Ora mi rendo<br />

conto più chiaramente che voi siete proprio l’uomo <strong>di</strong> cui ha bisogno. Ma prima <strong>di</strong> tutto ve<strong>di</strong>amo<br />

se prendendo una decisione così affascinante voi non possiate guadagnarci in ogni caso. Torniamo<br />

al Teatro <strong>di</strong> Constan e osserviamo che cosa e avvenuto là.<br />

LO SPETTATORE Sì, ma <strong>di</strong>temi una cosa: quando fu versato <strong>il</strong> primo <strong>di</strong>videndo?<br />

IL REGISTA Dopo <strong>di</strong>eci anni.<br />

LO SPETTATORE Questo però può accadere in qualsiasi <strong>teatro</strong>: <strong>il</strong> fatto che alcuni affari siano andati<br />

male, questo dato non inficia la vali<strong>di</strong>tà dell’iniziativa.<br />

IL REGISTA Senz’altro. Ma <strong>il</strong> fatto che dopo <strong>di</strong>eci anni troviamo la lista degli azionisti immutata, e non<br />

solo immutata ma accresciuta, è piuttosto insolito, non vi pare? Certo è molto incoraggiante. Non<br />

siete d’accordo?<br />

LO SPETTATORE Sì, è una cosa che incoraggia e aiuta a capire. Penso proprio che quel che mi <strong>di</strong>te è<br />

davvero straor<strong>di</strong>nario. Ma la stessa cosa sarebbe possib<strong>il</strong>e altrove?<br />

IL REGISTA Avete delle buone ragioni per pensare che non sia possib<strong>il</strong>e?<br />

LO SPETTATORE C’è <strong>il</strong> fatto che in Ingh<strong>il</strong>terra iniziative analoghe sono fallite.<br />

IL REGISTA L’esperimento è stato sempre portato fino in fondo?<br />

107


LO SPETTATORE Probab<strong>il</strong>mente no, perché dubito che in Ingh<strong>il</strong>terra si possa trovare un solo uomo del<br />

tipo <strong>di</strong> quelli che, secondo le vostre parole, formano le societa per azioni <strong>di</strong> Constan.<br />

IL REGISTA Dunque gli inglesi non hanno occhi, mani, viscere, peso, sensi, passioni, affetti? Sono certo<br />

che sbagliate a <strong>di</strong>re quel che <strong>di</strong>te...<br />

LO SPETTATORE Non credo; perché in Ingh<strong>il</strong>terra, e così in America, <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> è <strong>di</strong>ventato semplicemente<br />

uno dei mo<strong>di</strong> commerciali per far danaro.<br />

IL REGISTA Così stanno le cose anche in Russia, in tutta l’Europa. Ma se riuscite a trovare trenta o<br />

quaranta uomini del genere in Russia, altrettanti ne potete trovare <strong>di</strong> sicuro in Ingh<strong>il</strong>terra.<br />

D’altronde, pensate, <strong>il</strong> Teatro Nuovo <strong>di</strong> New York non è forse un <strong>teatro</strong> <strong>di</strong> questo tipo? Credete<br />

che i suoi fondatori aspirino ad un red<strong>di</strong>to del loro danaro nei primi due anni?<br />

LO SPETTATORE Aspetteranno due o tre anni prima <strong>di</strong> ricevere un <strong>di</strong>videndo, meno probab<strong>il</strong>e è che ne<br />

aspettino <strong>di</strong>eci, benché io non creda che far danaro sia <strong>il</strong> loro obiettivo principale.<br />

IL REGISTA E a che scopo, allora, pensate che questi m<strong>il</strong>ionari abbiano investito i loro capitali in<br />

questo <strong>teatro</strong>?<br />

LO SPETTATORE Perché si sono resi conto, credo, che bisognava fare qualcosa per <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> in America e,<br />

trovandosi in uno stato <strong>di</strong> preminenza, hanno avuto la sensazione che questo fosse compito loro.<br />

IL REGISTA E se allo scadere, <strong>di</strong>ciamo, <strong>di</strong> cinque anni, <strong>il</strong> pubblico riconosce che <strong>il</strong> lavoro svolto in<br />

questo <strong>teatro</strong> è perfetto, mentre i <strong>di</strong>rettori r<strong>il</strong>evano che non c’è stato nessun red<strong>di</strong>to,<br />

continueranno essi a sostenerlo o <strong>di</strong>ranno che <strong>il</strong> lavoro è meno perfetto perché <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> non ha<br />

dato dei <strong>di</strong>viden<strong>di</strong>?<br />

LO SPETTATORE Se sono certi che <strong>il</strong> pubblico è sod<strong>di</strong>sfatto, continueranno. Ma, <strong>di</strong>temi, se <strong>il</strong> pubblico è<br />

rimasto sod<strong>di</strong>sfatto, non significa forse che <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> era esaurito ogni sera?<br />

IL REGISTA Non proprio, ma potrebbe significare che era abbastanza pieno ogni sera. Tuttavia non<br />

dovete <strong>di</strong>menticare che le spese per far funzionare un <strong>teatro</strong> sim<strong>il</strong>e sono ingenti. <strong>Il</strong> Teatro d’Arte<br />

<strong>di</strong> Constan, per esempio, ha fatto quasi <strong>il</strong> "tutto esaurito” per circa <strong>di</strong>eci anni, ma le spese<br />

eccedevano le entrate.<br />

LO SPETTATORE E questo non lo chiamate un cattivo affare?<br />

IL REGISTA Non sono in grado <strong>di</strong> esprimere un’opinione in campo d’affari. Lasciate che vi spieghi la<br />

cosa più chiaramente e poi starà a voi decidere. Questo <strong>teatro</strong> russo ha fatto <strong>il</strong> tutto esaurito, ha<br />

messo in scena lavori che <strong>il</strong> pubblico ha <strong>di</strong>chiarato perfetti; è <strong>il</strong> primo <strong>teatro</strong> del paese; ha<br />

realizzato ciò che si era proposto <strong>di</strong> fare. Non chiamate questo un buon affare?<br />

LO SPETTATORE Indubbiamente.<br />

IL REGISTA E poi, essersi fatto una fama che non è seconda a nessun’altra in Europa, poter contare su<br />

un vasto pubblico e sull’entusiastico appoggio <strong>di</strong> azionisti sicuri: tutto questo non lo chiamereste<br />

un buon affare?<br />

LO SPETTATORE Credo proprio <strong>di</strong> sì.<br />

IL REGISTA Non siete d’accordo che gli azionisti hanno in mano un mezzo con cui realizzare, ora,<br />

quanto danaro vogliono?<br />

LO SPETTATORE In che modo?<br />

IL REGISTA Costruendo un secondo <strong>teatro</strong>, un <strong>teatro</strong> grande, e facendo delle tournées in giro per <strong>il</strong><br />

mondo.<br />

LO SPETTATORE Ma dove andranno a prendere <strong>il</strong> danaro, se <strong>di</strong>te che solo adesso hanno cominciato a<br />

realizzare un magro <strong>di</strong>videndo?<br />

IL REGISTA <strong>Il</strong> danaro si trova. Mi chiedete come? Ebbene, non posso far altro che richiamare la vostra<br />

attenzione sul lavoro degli ultimi <strong>di</strong>eci anni. I lavoratori <strong>di</strong> questo <strong>teatro</strong> non si lasciavano<br />

scoraggiare da nulla e non c’era nulla che sembrasse <strong>di</strong>stoglierli dall’attuare i loro propositi. Essi<br />

108


costruiranno questo <strong>teatro</strong>, continueranno a presentare al pubblico le opere migliori nella maniera<br />

migliore e serviranno d’esempio al resto d’Europa.<br />

LO SPETTATORE Un esempio piuttosto costoso, <strong>di</strong>rei.<br />

IL REGISTA Meno costoso <strong>di</strong> quel che vi sembra, se ci pensate un momento. In Europa regna la<br />

convinzione che in Russia la gente si interessi all’arte meno <strong>di</strong> ogni altro popolo. In questo campo<br />

godono <strong>di</strong> una fama analoga a quella degli inglesi. È anche opinione <strong>di</strong>ffusa che essi siano una<br />

specie <strong>di</strong> razza selvaggia, mentre con la prova che hanno dato nel loro <strong>teatro</strong> d’arte si è <strong>di</strong>mostrato<br />

che non sono nulla <strong>di</strong> sim<strong>il</strong>e. Da un certo punto <strong>di</strong> vista questo è realmente un <strong>teatro</strong> nazionale nel<br />

senso migliore della parola, perché gli azionisti hanno a cuore gli interessi della loro nazione.<br />

Questo <strong>teatro</strong>, come ho detto, girerà, senza dubbio, per i centri d’Europa, e a ogni tappa <strong>il</strong> gusto,<br />

la cultura, <strong>il</strong> coraggio della Russia avranno modo <strong>di</strong> farsi conoscere. In poche parole, è un colpo<br />

commerciale molto ab<strong>il</strong>e, su scala molto ampia, e gli inglesi non farebbero male a seguire <strong>il</strong> loro<br />

esempio. <strong>Il</strong> danaro investito in questo <strong>teatro</strong> non è danaro sprecato, e fra non molto se ne<br />

vedranno i frutti. Non siete d’accordo?<br />

LO SPETTATORE Sì, ma considerando la cosa sotto questa luce, ci allontaniamo del tutto dal <strong>teatro</strong><br />

commerciale.<br />

IL REGISTA Su questo non c’è dubbio. Io stavo parlando del <strong>teatro</strong> come proprietà nazionale.<br />

LO SPETTATORE Davvero? Ebbene presto avremo un Teatro nazionale in Ingh<strong>il</strong>terra.<br />

IL REGISTA Neanche per sogno. Presto avremo un Teatro <strong>di</strong> società. Esattamente quello che è, a parer<br />

<strong>mio</strong>, <strong>il</strong> Teatro Nuovo in America - un <strong>teatro</strong> per la buona società. Ora, nessuno sente bisogno <strong>di</strong><br />

un <strong>teatro</strong> del genere, e meno <strong>di</strong> ogni altro le dame del gran mondo e i gent<strong>il</strong>uomini che sono<br />

obbligati ad andarvi, a star seduti nei loro palchi e a non muoversi, a costo <strong>di</strong> annoiarsi a morte.<br />

Teatri dell’alta società come questi te<strong>di</strong>ano e avv<strong>il</strong>iscono ogni città d’Europa. A Parigi c’è<br />

l’Opera, a Berlino, a Monaco, a Vienna lo Schauspielhaus. Ma questi non sono teatri nazionali<br />

nel vero senso della parola. Le persone che vogliono fondare un Teatro nazionale in Ingh<strong>il</strong>terra<br />

appartengono alla stessa categoria <strong>di</strong> quelle che lo hanno fondato in Russia. Viste le spese che<br />

comportano, non devono essere una noia, questi teatri. <strong>Il</strong> cosiddetto Teatro “nazionale" che si<br />

progetta per Londra sarà tale solo <strong>di</strong> nome. Non ha un programma preciso; eppure proprio<br />

facendosi forte <strong>di</strong> un programma, va alla ricerca <strong>di</strong> sottoscrizioni. <strong>Il</strong> comitato estorce con la forza<br />

le sottoscrizioni, ma non c’è costrizione che possa produrre l’ingegno, ed è l’ingegno e <strong>il</strong> buon<br />

gusto che noi richie<strong>di</strong>amo al nostro Teatro. Ora, i russi, per creare <strong>il</strong> loro <strong>teatro</strong> nazionale<br />

cominciano col fondare prima <strong>di</strong> tutto un <strong>teatro</strong> d’arte e saggiano per <strong>di</strong>eci anni l’onestà delle sue<br />

intenzioni. Quale vi sembra <strong>il</strong> metodo migliore per arrivare alla realizzazione <strong>di</strong> un <strong>teatro</strong><br />

nazionale bene organizzato, l’inglese o <strong>il</strong> russo? Qual è <strong>il</strong> più economico, <strong>il</strong> più regolare? Quale vi<br />

sembra <strong>il</strong> più giusto? Insomma, se voi aveste un <strong>teatro</strong>, quale metodo seguireste?<br />

LO SPETTATORE <strong>Il</strong> metodo russo, se avessi a <strong>di</strong>sposizione lo stesso tipo <strong>di</strong> persone e mi mettessi dal<br />

loro stesso punto <strong>di</strong> vista.<br />

IL REGISTA <strong>Il</strong> loro punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong>fferisce assai poco da quello <strong>di</strong> qualsiasi amministrazione inglese:<br />

non abbiamo ragione <strong>di</strong> non credere ai <strong>di</strong>rettori inglesi quando ci assicurano che <strong>il</strong> loro fine è <strong>di</strong><br />

fare <strong>il</strong> miglior lavoro possib<strong>il</strong>e. Forse gli uomini sono <strong>di</strong> una razza <strong>di</strong>versa. Ma potreste trovare<br />

anche qui dei giovani altrettanto intelligenti ed entusiasti; e se c’è meno cor<strong>di</strong>alità, minore<br />

prontezza nell’intuire l’uno i desideri dell’altro, in compenso tra gli inglesi c’è maggiore senso <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>sciplina.<br />

LO SPETTATORE Allora si potrebbe fondare qui un <strong>teatro</strong> sim<strong>il</strong>e al Teatro d’Arte <strong>di</strong> Constan?<br />

IL REGISTA Senz’altro: anche due o tre <strong>di</strong> questi teatri.<br />

LO SPETTATORE Sarebbe un’ottima cosa.<br />

IL REGISTA E anche una cosa pratica, non vi pare?<br />

109


LO SPETTATORE Estremamente pratica, <strong>di</strong>rei.<br />

IL REGISTA Ah, come siete pronto a convenirne, ora che questo è una realtà compiuta! Ma se ve<br />

l’avessi proposto solo come idea personale, un’idea per la quale nutro una fede assoluta, vi avrei<br />

convinto fino al punto <strong>di</strong> credere alla possib<strong>il</strong>ità della sua attuazione? Voi siete una carissima<br />

persona, ma, per Giove, se vi si chiede <strong>di</strong> credere in una cosa che non esiste ancora, vi <strong>di</strong>mostrate<br />

ritroso come se foste una donna. <strong>Il</strong> Teatro d’Arte <strong>di</strong> Constan esiste da più <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni: ecco<br />

perché credete in esso e proclamate che è "assolutamente pratico”.<br />

LO SPETTATORE Ma non lo è forse? E come potete chiedere a qualcuno, che abbia buon senso, <strong>di</strong><br />

credere a un progetto mai sperimentato?<br />

IL REGISTA La prudenza non è mai male: è abitu<strong>di</strong>ne inglese <strong>di</strong> essere fin troppo prudenti. Ma questo<br />

vezzo uccide molte, molte iniziative coraggiose, che avrebbero bisogno soltanto <strong>di</strong> un opportuno<br />

appoggio per essere condotte al livello della realizzazione pratica. E gli inglesi non eccedono in<br />

prudenza solo nel rifiutare un appoggio finanziario: quello che spesso manca è <strong>il</strong> loro appoggio<br />

morale, <strong>il</strong> che sta a in<strong>di</strong>care che in faccende del genere è <strong>il</strong> coraggio morale che talvolta fa <strong>di</strong>fetto. E<br />

<strong>di</strong>temi ancora: trovate che <strong>il</strong> metodo russo sia perfettamente pratico?<br />

LO SPETTATORE Sì, lo considero tale.<br />

IL REGISTA Ammesso che questo sia un metodo assai pratico per portare avanti un <strong>teatro</strong> moderno,<br />

che deve aprire le porte al pubblico regolarmente ogni sera, che ne <strong>di</strong>reste voi, se io affermassi che<br />

esiste un metodo ancora più pratico per continuare lo stu<strong>di</strong>o dell’Arte del Teatro?<br />

LO SPETTATORE Direi... Ma prima spiegatemi meglio cosa intendete <strong>di</strong>re.<br />

IL REGISTA Intendo questo: <strong>il</strong> fine <strong>di</strong> tutti i Teatri Ideali - e dei loro <strong>di</strong>rettori - è <strong>di</strong> eccellere nell’arte<br />

che hanno <strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egio <strong>di</strong> servire. Devono perseguire senza posa <strong>il</strong> loro ideale, devono aspirare ad<br />

andare avanti, e perciò devono essere molto, molto lungimiranti. Ho ragione?<br />

LO SPETTATORE Penso <strong>di</strong> sì; i <strong>di</strong>rettori <strong>di</strong> Constan non sono lungimiranti?<br />

IL REGISTA Molto lungimiranti quando si tratta del loro <strong>teatro</strong>, molto meno quando si tratta dell’arte.<br />

Devono tenere aperto <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> ogni sera; è una <strong>di</strong>fficoltà con cui lottano in continuazione. Se<br />

potessero chiudere <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> per cinque anni e impiegare <strong>il</strong> loro tempo solo in esperimenti,<br />

potrebbero de<strong>di</strong>carsi con maggior efficacia a quell’Ideale, che abbiamo posto come fine <strong>di</strong> tutti i<br />

teatri modello.<br />

LO SPETTATORE Sarebbe un provve<strong>di</strong>mento molto impegnativo chiudere un <strong>teatro</strong> sim<strong>il</strong>e per cinque<br />

anni.<br />

IL REGISTA Molto serio, sì; tanto quanto lo richiedono le circostanze. In Europa molti teatri<br />

potrebbero chiudere i battenti a tempo indeterminato, per la durata <strong>di</strong> quaranta o cinquant’anni e<br />

fare in continuazione esperimenti, senza raggiungere risultati tangib<strong>il</strong>i. Ma questo Teatro <strong>di</strong><br />

Constan è un’eccezione e con un provve<strong>di</strong>mento del genere potrebbe scoprire proprio <strong>il</strong> bandolo<br />

della matassa. Credo che dovremmo essere tanto lungimiranti da vedere in tutta la sua gravità<br />

l’attuale situazione del <strong>teatro</strong>.<br />

LO SPETTATORE Ma nessuno ha la facoltà <strong>di</strong> spingere lo sguardo oltre l’orizzonte del momento; e<br />

questo è <strong>il</strong> limite al <strong>di</strong> là del quale, a parer nostro, non sa spingersi lo sguardo <strong>di</strong> qualche <strong>di</strong>rettore:<br />

è la portata massima del suo campo visivo.<br />

IL REGISTA Esattissimo. Ma ricordatevi che ad ogni passo avanti la posizione dell’orizzonte si sposta<br />

e così possiamo continuamente vedere più lontano <strong>di</strong> prima.<br />

LO SPETTATORE Questo è vero.<br />

IL REGISTA Ecco perché <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore artistico <strong>di</strong> un <strong>teatro</strong>, che si sforzi <strong>di</strong> superare l’ultimo risultato<br />

raggiunto, terrà lo sguardo fisso a questo punto estremo e, in tal modo, potrà sod<strong>di</strong>sfare<br />

incessantemente, sempre <strong>di</strong> più, <strong>il</strong> suo desiderio <strong>di</strong> progre<strong>di</strong>re, restando se stesso e al tempo<br />

110


stesso mutando. Che tutto ciò si svolga con lentezza, non ha importanza. Siete d’accordo con<br />

me?<br />

LO SPETTATORE Senz’altro.<br />

IL REGISTA Ora, che cos’è che gli riesce ut<strong>il</strong>e, praticamente?<br />

LO SPETTATORE Tutto quello che si trova <strong>di</strong>nanzi a lui e che rientra nel suo campo visivo.<br />

IL REGISTA E se avanza <strong>di</strong> cinque passi vede <strong>di</strong> meno <strong>di</strong> quanto vedrebbe avanzando <strong>di</strong> cento?<br />

LO SPETTATORE Certo, venti volte <strong>di</strong> meno.<br />

IL REGISTA E se avanza <strong>di</strong> cinquecento passi vedrà cento volte <strong>di</strong> più che se avanzasse <strong>di</strong> cinque<br />

soltanto?<br />

LO SPETTATORE Non c’è dubbio.<br />

IL REGISTA Dunque potrà fare cento progressi <strong>di</strong> più che se avanzasse <strong>di</strong> cinque passi.<br />

LO SPETTATORE Verissimo.<br />

IL REGISTA Parlando praticamente, non ci sono limiti al suo progresso, purché - come premessa - si<br />

spinga abbastanza avanti. E per vedere molto lontano, deve aver proceduto press’a poco fino al<br />

punto a cui arriva <strong>il</strong> suo potere visivo. Si <strong>di</strong>ce che l’arte è lunga e la vita breve. Credete allora che<br />

ci sia molto tempo da sprecare in d<strong>il</strong>azioni, oppure consigliereste a quelli che mirano al progresso,<br />

<strong>di</strong> andare avanti senza esitare?<br />

LO SPETTATORE Consiglierei <strong>di</strong> fare questo, ma con cautela.<br />

IL REGISTA Sì, con cautela e con risolutezza. Ma ricordatevi che abbiamo stab<strong>il</strong>ito come <strong>il</strong> progresso <strong>di</strong><br />

un uomo sia sicuro a con<strong>di</strong>zione che egli avanzi verso quello che rientra nel suo campo visivo.<br />

Dobbiamo ora considerare quale sia per noi <strong>il</strong> metodo migliore per raggiungere un punto visib<strong>il</strong>e.<br />

Credete che ci si arrivi andando all’in<strong>di</strong>etro?<br />

LO SPETTATORE No, <strong>di</strong> certo. Come potrebbe essere?<br />

IL REGISTA O forse andando <strong>di</strong> lato?<br />

LO SPETTATORE No, naturalmente.<br />

IL REGISTA Oppure girando in cerchio, per misura <strong>di</strong> sicurezza?<br />

LO SPETTATORE No. Nessuno <strong>di</strong> questi sistemi servirebbe a nulla.<br />

IL REGISTA E perché no?<br />

LO SPETTATORE Perché sarebbero assur<strong>di</strong>. Se si è visto qualcosa, la via migliore per raggiungerla è<br />

puntare <strong>di</strong>ritti su <strong>di</strong> essa.<br />

IL REGISTA Questo metodo è stato mai messo in pratica con buon esito?<br />

LO SPETTATORE Certo, quasi sempre.<br />

IL REGISTA Su cento casi quante volte <strong>di</strong>reste che ha avuto esito favorevole?<br />

LO SPETTATORE Direi in novanta casi su cento.<br />

IL REGISTA Penso che abbiate ragione e sarei anzi portato a <strong>di</strong>re che in novantanove casi su cento un<br />

uomo può raggiungere ciò che vede seguendo la via che porta <strong>di</strong>rettamente all’oggetto. Per quel<br />

che riguarda la centesima volta cedo i <strong>di</strong>ritti alla Dea Fortuna: merita questo riconoscimento. È<br />

lecito supporre che, agendo in questo modo, <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore - come <strong>di</strong>cevamo - guadagni molto tempo.<br />

LO SPETTATORE Anche questo è vero. Ma, vi prego, <strong>di</strong>temi cosa c’entra questo col <strong>teatro</strong>?<br />

IL REGISTA Devo pregarvi a mia volta <strong>di</strong> seguirmi e <strong>di</strong> ritornare in<strong>di</strong>etro, al <strong>teatro</strong>; un punto che<br />

abbiamo visto in linea retta e senza esitazioni. Ditemi: gli occhi si usano <strong>di</strong> solito per vedere?<br />

LO SPETTATORE Ma sì, naturalmente.<br />

IL REGISTA E <strong>di</strong>reste che, al fine <strong>di</strong> vedere, sia più pratico aprire gli occhi o chiuderli?<br />

LO SPETTATORE Mi sembra più assennata la prima soluzione.<br />

IL REGISTA Non avete risposto alla mia domanda. È cosa pratica, dunque?<br />

LO SPETTATORE E come no?<br />

111


IL REGISTA E che ve ne pare: fissando lo sguardo nella <strong>di</strong>rezione in cui si è visto un oggetto qualche<br />

tempo prima si hanno buone probab<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> rivederlo ancora? Direste che questo è pratico?<br />

LO SPETTATORE Sì.<br />

IL REGISTA E quando si arriva all’oggetto visto e se ne scorge un altro più lontano, è pratico continuare<br />

a procedere nella stessa <strong>di</strong>rezione fino a raggiungerlo?<br />

LO SPETTATORE Sì, senza dubbio.<br />

IL REGISTA Benissimo, allora. Mi avete detto quello che ho sempre sospettato fosse vero. Avete detto<br />

che un artista dotato <strong>di</strong> fantasia è giustificato ed è su un piano perfettamente pratico, se procede<br />

verso ciò che una volta ha visto nella sua immaginazione. Perciò, amico <strong>mio</strong> caro, non vi resta<br />

ormai che una cosa da <strong>di</strong>rmi.<br />

LO SPETTATORE Quale?<br />

IL REGISTA Dovete <strong>di</strong>rmi se è possib<strong>il</strong>e che tutti vedano la stessa cosa.<br />

LO SPETTATORE È piuttosto inverosim<strong>il</strong>e.<br />

IL REGISTA Dunque, se io ho visto una cosa, può darsi benissimo che altri non l’abbiano veduta;<br />

inoltre se questa cosa ha destato <strong>il</strong> <strong>mio</strong> interesse, è molto probab<strong>il</strong>e che altri siano curiosi <strong>di</strong><br />

vederla anche loro.<br />

LO SPETTATORE Di solito succede così.<br />

IL REGISTA A voi capita, per esempio?<br />

LO SPETTATORE Sì.<br />

IL REGISTA Pensate che mi sia permesso <strong>di</strong> mostrarvi questa cosa se ne sono capace?<br />

LO SPETTATORE Sicuramente.<br />

IL REGISTA Se io non ve la mostrassi, probab<strong>il</strong>mente non la vedreste mai; cosicché, per <strong>di</strong>rla in termini<br />

semplici, finché non ve la mostro, si può <strong>di</strong>re che essa appartiene a me.<br />

LO SPETTATORE Ammettiamolo.<br />

IL REGISTA Dunque, appartiene a me. E poiché è verosim<strong>il</strong>e che io desideri mostrarvi una cosa che mi<br />

appartiene nel suo stato migliore, dovrò stu<strong>di</strong>are bene <strong>il</strong> metodo per trasferirla <strong>di</strong> fronte a voi.<br />

Devo usare un metodo pratico?<br />

LO SPETTATORE Sì, essenzialmente pratico, se volete evitare ogni incidente.<br />

IL REGISTA Cosa intendete per "pratico”?<br />

LO SPETTATORE La parola "pratico" significa "ciò che è suscettib<strong>il</strong>e <strong>di</strong> attuazione”.<br />

IL REGISTA Esatto. E c’è un solo modo per attuare qualcosa?<br />

LO SPETTATORE No, in genere ce n’è più d’uno. Perché me lo chiedete?<br />

IL REGISTA Vi prego <strong>di</strong> perdonare la mia presunzione, ma volevo essere certo che non confondeste<br />

l’espressione “modo pratico" con “modo comune”, o ad<strong>di</strong>rittura con “modo banale”.<br />

LO SPETTATORE Niente affatto.<br />

IL REGISTA Scusatemi ancora; ma ultimamente è <strong>di</strong>ventata un’abitu<strong>di</strong>ne fraintendere <strong>il</strong> significato della<br />

parola “pratico”, specialmente quando si parla <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>. An<strong>di</strong>amo avanti. Dicevo che se io avessi<br />

qualcosa che mi appartiene e volessi mostrarvela, dovrei fare molta attenzione a portarvela<br />

davanti senza rovinarla in alcun modo.<br />

LO SPETTATORE Sì.<br />

IL REGISTA Supponiamo che io non abbia la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> farvela vedere: molte cose si trovano in<br />

questa situazione. <strong>Il</strong> Polo Nord, per esempio... oppure un’idea. E in rapporto a qualsiasi fine <strong>il</strong><br />

Polo Nord non è né più né meno che un’idea. Se vi <strong>di</strong>co, per esempio, <strong>di</strong> aver veduto <strong>il</strong> Polo<br />

Nord, questo non vi <strong>il</strong>lumina <strong>di</strong> più che se vi <strong>di</strong>cessi <strong>di</strong> aver visto <strong>il</strong> Para<strong>di</strong>so.<br />

LO SPETTATORE Verissimo.<br />

IL REGISTA Invece se vi <strong>di</strong>co <strong>di</strong> aver visto <strong>il</strong> campan<strong>il</strong>e <strong>di</strong> una chiesa, vi trovate <strong>di</strong> fronte a qualcosa <strong>di</strong><br />

fam<strong>il</strong>iare da cui partire per costruirvi un’immagine rispondente alla realtà. <strong>Il</strong> Polo Nord o un’idea<br />

112


sono cose alle quali non posso farvi accostare senza uno sforzo considerevole sia da parte vostra<br />

che da parte mia. Non posso comunicarvi un’idea, o una prova che <strong>il</strong> Polo Nord esiste in un dato<br />

punto del globo. Dovrò comunicarvelo - come abbiamo convenuto - con molta cautela. Per<br />

esempio, devo rendervi completamente chiara la mia prova dell’esistenza del Polo Nord, e benché<br />

questo non implichi <strong>il</strong> minimo sforzo da parte vostra, a me ne costerà esattamente <strong>il</strong> doppio che<br />

se anche voi aveste partecipato alla ricerca delle prove.<br />

LO SPETTATORE Come si spiega questo?<br />

IL REGISTA Ricordate una cosa: abbiamo riconosciuto <strong>di</strong> comune accordo che <strong>il</strong> semplice raccontarvi<br />

<strong>di</strong> aver visto <strong>il</strong> Polo Nord non è prova sufficiente che io <strong>di</strong>ca la verità, laddove <strong>il</strong> <strong>di</strong>rvi<br />

semplicemente che ho veduto <strong>il</strong> campan<strong>il</strong>e <strong>di</strong> una chiesa lo è 44 . Ora, che cosa basterebbe a<br />

provarvi che io ho visto <strong>il</strong> Polo Nord?<br />

LO SPETTATORE Dovreste provarlo alla presenza <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> esperti e <strong>di</strong> scienziati per mezzo <strong>di</strong><br />

determinate osservazioni eccetera.<br />

IL REGISTA Questo proverebbe la verità delle mie asserzioni?<br />

LO SPETTATORE Suppongo <strong>di</strong> sì; in base alle vostre <strong>di</strong>chiarazioni gli esperti darebbero, o meno, una<br />

conferma.<br />

IL REGISTA E non potrei provarlo a voi personalmente?<br />

LO SPETTATORE Eh, no; io, vedete, non sono in grado <strong>di</strong> comprendervi. Per me esisterebbe un’unica<br />

possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> accettare <strong>il</strong> vostro racconto: quella cioè <strong>di</strong> rimettermi alle persone competenti,<br />

<strong>di</strong>nanzi alle quali abbiate presentato le vostre prove.<br />

IL REGISTA Ma <strong>il</strong> <strong>mio</strong> racconto avrebbe un qualche interesse per voi? Potreste sentirvi attratto da<br />

qualcosa che non capite?<br />

LO SPETTATORE Oh, sì. Però sembra strano, a pensarci.<br />

IL REGISTA Non molto strano; eppure più strano <strong>di</strong> quanto immaginiate. <strong>Il</strong> lato più curioso <strong>di</strong> tutto<br />

questo è che all’umanità possano far tanto <strong>di</strong>fetto l’istinto e <strong>il</strong> coraggio morale. Se avessimo<br />

conservato l’uno e l’altro, non pretenderemmo prove concrete, ma avremmo più fede nelle gran<strong>di</strong><br />

verità e maggiore attitu<strong>di</strong>ne a comprenderle. A ogni modo, la cosa in sé è <strong>di</strong>vertente. Dove non<br />

compren<strong>di</strong>amo non cre<strong>di</strong>amo, <strong>di</strong>pen<strong>di</strong>amo come bambini da quelli che sono in grado sia <strong>di</strong> credere<br />

che <strong>di</strong> capire - una conseguenza inevitab<strong>il</strong>e, stando le cose come stanno.<br />

LO SPETTATORE Posso chiedervi...<br />

IL REGISTA Suvvia, an<strong>di</strong>amo avanti. Per credere all’idea che io vi propongo (questa del Polo Nord) voi<br />

vi rimetterete dunque al giu<strong>di</strong>zio dei competenti, <strong>di</strong>nanzi ai quali io avrò esposto le mie prove.<br />

Queste prove costituiscono una piccola <strong>di</strong>fficoltà. Per fare osservazioni e sondaggi, per poter<br />

portare, ritornando, i minerali, gli uccelli, le piante o altre cose atte a convalidare <strong>il</strong> <strong>mio</strong> racconto,<br />

dovrò darmi molto da fare, essere assai bene equipaggiato e assistito. Intraprendere un viaggio in<br />

terre sconosciute significa andare in cerca <strong>di</strong> <strong>di</strong>sgrazie, e sono pochi quelli che possono<br />

provvedere al loro equipaggiamento senza organizzarsi con la massima cura. Perciò, la nave, la<br />

ciurma, gli strumenti, tutto questo viene scelto solo dopo matura riflessione. Di ogni cosa non si<br />

deve portare né troppo né troppo poco. Durante un viaggio sim<strong>il</strong>e attraverso un paese ignoto e in<br />

un ambiente le cui con<strong>di</strong>zioni naturali sono eccezionalmente sfavorevoli, dove la Natura sembra<br />

<strong>di</strong>ffidarci dal violare la profon<strong>di</strong>tà del suo mistero, bisogna prendere precauzioni atte a superare<br />

qualsiasi imprevisto. Anche se abbiamo provveduto a tutto con la cura più scrupolosa, qualche<br />

incidente potrà sempre minacciare la sicurezza della spe<strong>di</strong>zione. Ci occorrerà, <strong>di</strong> ogni cosa, una<br />

44 Chieder prove <strong>di</strong> ogni cosa grande o piccola è sempre in<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> mente ristretta. Ma chiedere prove delle cose gran<strong>di</strong><br />

soltanto e accettare invece le piccole, è segno <strong>di</strong> intelligenza limitatissima. Se la <strong>di</strong>mostrazione come tale è valida, lo<br />

deve essere in maniera assoluta. Le prove sono dunque prive <strong>di</strong> valore? <strong>Il</strong> problema non è mai stato risolto.<br />

113


quantità sufficiente ma non eccessiva. Non è quin<strong>di</strong> una questione <strong>di</strong> danaro, per quanto una certa<br />

quantità <strong>di</strong> danaro sarà certo necessaria.<br />

LO SPETTATORE Ma che c’entra questo col <strong>teatro</strong>?<br />

IL REGISTA Abbiate un po’ <strong>di</strong> pazienza e vedrete.<br />

Provve<strong>di</strong>amo a tutto questo dopo aver fatto <strong>il</strong> nostro piano. Qui sta la parte più <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e<br />

dell’impresa, perché, una volta organizzato <strong>il</strong> programma, dobbiamo seguirlo fino in fondo,<br />

profittando allo stesso tempo delle occasioni impreviste, man mano che si presentano.<br />

Ora che siamo pronti per la partenza, considerate per un momento ciò a cui ci stiamo accingendo.<br />

Ci <strong>di</strong>sponiamo ad intraprendere una spe<strong>di</strong>zione pericolosa e <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>issima verso l’ignoto, per<br />

riportare, al nostro ritorno, poche prove visib<strong>il</strong>i del mondo che avremo conosciuto. Non<br />

riporteremo con noi l’idea in se stessa, bensì soltanto la sua parte più marginale, <strong>di</strong>ciamo la<br />

frangia dell’idea; perché ritornare dall’ignoto con l’idea in sé e per sé ci indurrebbe certamente a<br />

pensare che siamo pazzi, mentre <strong>il</strong> riportare con noi gli in<strong>di</strong>zi tangib<strong>il</strong>i <strong>di</strong> essa vi assicura della<br />

nostra sanità mentale.<br />

LO SPETTATORE Che strano paradosso!<br />

IL REGISTA Ebbene, accettiamolo. Voi volete la graziosa piccola frangia. L’avrete, anche se proprio<br />

questa frangia costa tanto a conquistarsi da rappresentare tutta la <strong>di</strong>fficoltà dell’impresa. E ora<br />

veniamo al <strong>teatro</strong>. Ma prima una domanda.<br />

LO SPETTATORE Quale domanda?<br />

IL REGISTA Mi avete chiesto <strong>di</strong> non parlare più <strong>di</strong> templi o dell’arte del <strong>teatro</strong>, <strong>di</strong> cui una volta vi <strong>di</strong>ssi<br />

che era perduta, quell’arte che un valente poeta mi descrisse efficacemente <strong>di</strong>cendo che "giace<br />

sepolta sotto le basi delle Pirami<strong>di</strong> da duem<strong>il</strong>a anni, tanto è solenne”. Permettetemi <strong>di</strong> parlarne ancora<br />

una volta.<br />

LO SPETTATORE Ne parlerete per qualche fine pratico?<br />

IL REGISTA Soltanto a tal fine.<br />

LO SPETTATORE Non vi limiterete, spero, a <strong>di</strong>rmi che cosa quest’arte significava per noi un tempo, e<br />

che cosa dovrebbe significare adesso? Mi in<strong>di</strong>cherete una via pratica per farla rivivere fra noi? -<br />

IL REGISTA La mia intenzione è proprio questa.<br />

LO SPETTATORE Non proporrete <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere tutti gli attuali teatri del mondo, per arrivare a una<br />

soluzione pratica? In tal caso non potrei darvi ascolto, perché <strong>il</strong> vostro progetto cesserebbe <strong>di</strong><br />

avere un valore pratico.<br />

IL REGISTA Non ci penso neppure. Quanto mi fa piacere sentirvi esprimere <strong>il</strong> desiderio che non si<br />

tocchino i teatri esistenti! Ciò mi <strong>di</strong>mostra che <strong>il</strong> vostro interesse per essi si va risvegliando e che<br />

vi ho giù quasi guarito. Ricordatevi, <strong>il</strong> Varietà alle otto!<br />

LO SPETTATORE Non l’ho <strong>di</strong>menticato. Ma insomma, questo vostro progetto pratico?<br />

IL REGISTA <strong>Il</strong> <strong>mio</strong> proposito è <strong>di</strong> scoprire o riscoprite l’arte perduta del <strong>teatro</strong>, con una spe<strong>di</strong>zione<br />

pratica, condotta rapidamente e senza inut<strong>il</strong>i spese nei regni in cui quell’arte giace sepolta.<br />

LO SPETTATORE Una buona intenzione. E qual metodo intendete seguire?<br />

IL REGISTA <strong>Il</strong> più semplice. Si basa sui meto<strong>di</strong> usati dagli esploratori artici. La scoperta <strong>di</strong> quest’arte è<br />

esattamente <strong>il</strong> parallelo della scoperta del Polo Nord.<br />

L’una e l’altro sono nella stessa situazione: immersi nell’ignoto. Per ambedue abbiamo degli in<strong>di</strong>zi<br />

atti a farci scoprire dove si trovino. Sono avvolti entrambi in un fitto arcano; i loro domini sono<br />

identici, a quel che si <strong>di</strong>ce: <strong>il</strong> regno del mistero e della bellezza.<br />

Per i preparativi della prima spe<strong>di</strong>zione (perché contiamo <strong>di</strong> farne parecchie) adotteremo <strong>il</strong><br />

metodo usato da Nansen. Innanzitutto prenderemo tempo - impiegheremo cioè tre o quattro anni<br />

a prepararci. Quanto al progetto, <strong>il</strong> suo stu<strong>di</strong>o sarà iniziato almeno sei anni prima.<br />

Così fece Nansen col suo piano <strong>di</strong> spe<strong>di</strong>zione.<br />

114


Se permettete, vi leggerò un estratto dal suo Estremo Nord, che ho appena finito <strong>di</strong> leggere: esso<br />

contiene una relazione sui progetti e sui preparativi per la spe<strong>di</strong>zione del 1893:<br />

“Se poniamo attenzione alla lunga lista delle precedenti spe<strong>di</strong>zioni e ai loro equipaggiamenti, ci<br />

colpisce molto <strong>il</strong> particolare che non sia stata quasi mai costruita una sola nave fatta apposta per<br />

la spe<strong>di</strong>zione; in realtà, la maggior parte degli esploratori non si è servita neppure <strong>di</strong> navi<br />

destinate fin dall’origine alla navigazione glaciale.<br />

"La cosa sorprende ancora più se si ripensa alle somme <strong>di</strong> danaro <strong>di</strong>ssipate per l’equipaggiamento<br />

<strong>di</strong> alcune <strong>di</strong> queste spe<strong>di</strong>zioni. Sta <strong>di</strong> fatto che per lo più avevano tanta fretta <strong>di</strong> partire che<br />

mancava <strong>il</strong> tempo per preparare l’equipaggiamento con una certa cura. In molti casi, infatti, i<br />

preparativi si iniziavano soltanto pochi mesi prima che la spe<strong>di</strong>zione partisse. Questa nostra<br />

spe<strong>di</strong>zione, comunque, non ha potuto venir equipaggiata in un tempo così breve, e se <strong>il</strong> viaggio in<br />

se stesso ha richiesto tre anni, i preparativi non ne hanno richiesti <strong>di</strong> meno, mentre <strong>il</strong> piano era<br />

stato concepito nove anni prima.<br />

"Archer fece piani su piani per <strong>il</strong> progetto della nave; un modello dopo l’altro fu approntato e<br />

abbandonato.<br />

"Si apportavano continuamente nuove migliorìe. <strong>Il</strong> tipo che alla fine adottammo può sembrare<br />

tutt’altro che bello a molta gente, ma la nostra spe<strong>di</strong>zione ha mostrato, credo, che esso<br />

corrisponde appieno agli scopi cui si mirava”.<br />

Vedete qui la lunga e scrupolosa preparazione che precedette la partenza degli esploratori.<br />

LO SPETTATORE Sì, e ci volle anche molto danaro, come credo ci vorrà per <strong>il</strong> piano vostro.<br />

IL REGISTA Certamente avremo bisogno <strong>di</strong> aiuto, sia finanziario che morale, ma lo troveremo.<br />

LO SPETTATORE Come lo sapete?<br />

IL REGISTA Un po’ <strong>di</strong> pazienza. Verrò alla questione del danaro quando sarà <strong>il</strong> momento. Non appena<br />

avremo trovato dei vali<strong>di</strong> appoggi per <strong>il</strong> nostro progetto - cinquem<strong>il</strong>a sterline all’anno, assicurate<br />

per cinque anni, è quanto chie<strong>di</strong>amo - potremo mettere in atto <strong>il</strong> piano seguente.<br />

Costruiremo e allestiremo una scuola, corredandola <strong>di</strong> tutto <strong>il</strong> necessario.<br />

Essa dovrà contenere due teatri: uno all’aperto e l’altro al chiuso. Queste due scene, chiusa e<br />

aperta, sono necessarie per i nostri esperimenti; ogni teoria dovrà venire sperimentata sull’una o<br />

sull’altra, talvolta su ambedue, e si provvederà a una documentazione dei risultati.<br />

Tale documentazione verrà fatta: per iscritto, con <strong>di</strong>segni o fotografie, con registrazione<br />

cinematografica o fonografica, in vista <strong>di</strong> una relazione futura. Ma non sarà resa pubblica e l’uso<br />

ne sarà riservato ai membri della scuola.<br />

Si acquisteranno anche apparecchi per lo stu<strong>di</strong>o dei suoni naturali e della luce, insieme ad altri per<br />

la loro riproduzione artificiale; con tali apparecchi riusciremo a migliorare le nostre nozioni in<br />

questo campo, e saremo validamente stimolati all’invenzione <strong>di</strong> strumenti migliori, atti a<br />

riprodurre in modo più perfetto la bellezza del suono e della luce. Inoltre acquisteremo<br />

apparecchi per lo stu<strong>di</strong>o del movimento; alcuni, anzi, verranno inventati <strong>di</strong> proposito per<br />

quest’uso. A questo corredo aggiungeremo una macchina tipografica, ogni specie <strong>di</strong> attrezzi <strong>di</strong><br />

falegnameria, una biblioteca ben fornita e tutti gli accessori dei teatri moderni. Con questi materiali<br />

e con questi strumenti intraprenderemo lo stu<strong>di</strong>o della Scena come al giorno d’oggi, nell’intento <strong>di</strong><br />

scoprire i punti deboli che l’hanno portata alla sua <strong>di</strong>sgraziata con<strong>di</strong>zione attuale. In una parola,<br />

faremo degli esperimenti anatomici sul corpo del <strong>teatro</strong> moderno nel nostro <strong>teatro</strong> coperto (vi<br />

rammento che ne abbiamo due), esattamente come i chirurghi e i loro allievi fanno esperimenti<br />

anatomici sui corpi <strong>di</strong> persone e animali morti.<br />

Nella scelta del criterio <strong>di</strong> amministrazione la scuola seguirà l’antico esempio della Natura. Ci sarà<br />

un capo, un corpo e le sue membra; <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore sarà designato per elezione. Sarà molto più fac<strong>il</strong>e<br />

decidere per i componenti dell’esecutivo, perché <strong>il</strong> loro compito è senza dubbio meno gravoso.<br />

115


Nella scuola non vi saranno complessivamente più <strong>di</strong> trenta persone. Non ci saranno donne. Vi<br />

sono chiari, ora, questi due punti? Primo: che avremo una scuola sperimentale, per lo stu<strong>di</strong>o delle<br />

tre fonti naturali dell’arte, suono, luce e movimento, o, come le ho definite altrove, voce, scena,<br />

azione.<br />

Secondo: che conteremo in tutto trenta collaboratori, i quali - singolarmente e collettivamente - si<br />

applicheranno allo stu<strong>di</strong>o dei tre elementi suddetti e degli altri esperimenti necessari a saggiare i<br />

principi del <strong>teatro</strong> moderno. Vi è chiaro?<br />

LO SPETTATORE Chiarissimo. Ma in che senso <strong>il</strong> vostro metodo è analogo a quello degli esploratori<br />

artici?<br />

IL REGISTA Ora ve lo <strong>di</strong>rò. Dovremo scegliere un centro da cui verranno mandati in varie <strong>di</strong>rezioni dei<br />

<strong>di</strong>staccamenti <strong>di</strong> ricerca, dacché <strong>il</strong> nostro obiettivo è <strong>di</strong> esplorare, entro limiti ragionevoli, ogni<br />

angolo <strong>di</strong> quel mondo teatrale che ci è sconosciuto. Al tempo stesso esamineremo gran parte del<br />

terreno già battuto, spinti dalla convinzione che l’indagine non sia stata condotta a fondo. Non c’è<br />

molta speranza <strong>di</strong> trovarvi qualche cosa <strong>di</strong> grande valore, ma una ricognizione è necessaria. Al più<br />

presto possib<strong>il</strong>e ci spingeremo avanti, puntando sull’ignoto. Come i reparti <strong>di</strong> esplorazione<br />

vengono mandati in <strong>di</strong>rezioni determinate con l’incarico <strong>di</strong> fare sondaggi e r<strong>il</strong>ievi, per ritornare poi<br />

al punto scelto come base, così i nostri investigatori spingeranno le loro ricerche entro<br />

determinate regioni, dalle quali - dopo averle esaurientemente esplorate e aver raccolto<br />

informazioni sufficienti - ritorneranno al punto in cui si erano separati da noi, per comunicare i<br />

risultati delle osservazioni fatte.<br />

Se <strong>il</strong> lavoro verrà attuato con la rapi<strong>di</strong>tà che ci auguriamo, nello spazio <strong>di</strong> un anno avanzeremo su<br />

<strong>di</strong> una nuova posizione in cui fisseremo la nostra base. In caso contrario, se la cosa si rivelerà<br />

troppo <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e, rimarremo sulla base <strong>di</strong> partenza. Desidero soprattutto sottolineare questo<br />

punto: che non si avrà spostamento <strong>di</strong> base finché ognuno non sarà pienamente convinto che la<br />

nuova posizione sia vantaggiosa.<br />

È chiaro che l’avanzamento della base serve per fac<strong>il</strong>itare le comunicazioni, nel caso che i nostri<br />

reparti <strong>di</strong> esploratori si portassero lontano, penetrando nelle zone dell’ignoto. Con questo<br />

metodo e con l’aiuto <strong>di</strong> mezzi sufficienti, possiamo moltiplicare i nostri tentativi per raggiungere<br />

la meta finale. È l’unico metodo che mi viene in mente e non saprei immaginarne uno migliore:<br />

ricordate che la recitazione impostata su basi sim<strong>il</strong>i assicura successi continui <strong>di</strong> vario genere.<br />

Pensate a quante osservazioni, a quante relazioni importanti sono state fatte, non solo da quelli<br />

che hanno raggiunto le regioni estreme del Nord, ma anche da coloro che hanno limitato le loro<br />

ricerche a quelle latitu<strong>di</strong>ni già esplorate da altri viaggiatori.<br />

In capo a un anno i nostri annali registreranno resoconti <strong>di</strong> cose finora sconosciute, tempi e<br />

risultati <strong>di</strong> esperimenti <strong>di</strong> valore incalcolab<strong>il</strong>e, non solo per noi in vista degli sforzi futuri, ma<br />

anche per chi riprenderà la ricerca quando noi saremo costretti ad abbandonarla.<br />

LO SPETTATORE Ritenete probab<strong>il</strong>e dunque che i vostri sforzi non abbiano tutto quel successo che voi<br />

auspicate?<br />

IL REGISTA Al contrario - credo che si possa contare con certezza su <strong>di</strong> un successo eccezionale; ma<br />

quanto ad un successo definitivo, è raro raggiungerlo, perché probab<strong>il</strong>mente al momento non esiste<br />

nulla <strong>di</strong> definitivo. Ditemi ora: <strong>il</strong> <strong>mio</strong> progetto e <strong>il</strong> metodo che suggerisco per attuarlo vi sembrano<br />

buoni?<br />

LO SPETTATORE Cercherò <strong>di</strong> <strong>di</strong>rvi quello che penso. II progetto è ideale, e poiché voi andate alla ricerca<br />

dell’ideale esso è in armonia con quelli che sono i vostri fini. Ma troverete poi degli appoggi?<br />

Tanto per cominciare, avrete l’appoggio dei massimi rappresentanti della Professione Teatrale?<br />

IL REGISTA A chi alludete?<br />

116


LO SPETTATORE Per parlare franco alludo a Herbert Tree, a Charles Wyndham, a Arthur Bourchier, a<br />

Weedon Grossmith, a Cyr<strong>il</strong> Maude...<br />

IL REGISTA Agli attori-impresari, insomma.<br />

LO SPETTATORE Sì. Ma non ho esaurito la mia lista: essa comprende non solo tutti quelli che in<br />

Ingh<strong>il</strong>terra sono in rapporto con le arti ed alcune persone che hanno a che fare con lo Stato, ma<br />

anche certi artisti stranieri. Per esempio, vi appoggerà <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> d’Europa, <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> francese, sia la<br />

Comé<strong>di</strong>e Française che uno dei teatri più piccoli, ma significativi, come quelli <strong>di</strong>retti da Sarah<br />

Bernhardt e da Antoine? Vi darà qualche appoggio <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> tedesco? I teatri <strong>di</strong> Stato, o Reinhardt,<br />

per esempio, o <strong>il</strong> Teatro d’Arte <strong>di</strong> Monaco? E l’Olanda, cosa farà l’Olanda? E la Svezia, la Russia<br />

o l’Italia? <strong>Il</strong> Teatro d’Arte <strong>di</strong> Constan, <strong>di</strong> cui mi avete parlato, o Eleonora Duse, dei cui ideali ho<br />

tanto sentito parlare? E gli americani? Vorrei sapere, vedete, su chi fate affidamento per avere<br />

aiuto, perché questo è l’elemento principale per la realizzazione del vostro progetto.<br />

IL REGISTA È fac<strong>il</strong>e rispondere alla domanda che mi fate. Avete nominato or ora alcune delle<br />

personalità più note del mondo teatrale. Se la scuola che noi progettiamo <strong>di</strong> fondare è in contrasto<br />

con tutti i loro interessi, non la appoggeranno. Ma riflettete se questo può essere <strong>il</strong> caso. Per<br />

esempio, fra quelli che avete nominato ci sono probab<strong>il</strong>mente alcuni idealisti convinti. I <strong>di</strong>rettori<br />

del Teatro d’Arte <strong>di</strong> Constan sono tra questi, senz’ombra <strong>di</strong> dubbio. Credo che sul loro appoggio<br />

si possa contare. Eleonora Duse? Credo che <strong>il</strong> suo aiuto non lo rifiuterebbe mai. Poi c’è Reinhardt<br />

<strong>di</strong> Berlino. Un progetto come <strong>il</strong> <strong>mio</strong> non è certo in contrasto con i suoi interessi. Ed è molto più<br />

probab<strong>il</strong>e che <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> Herbert Beerbohm-Tree compaia a fianco <strong>di</strong> questi che non <strong>di</strong> certi<br />

signori abulici che hanno perduto l’amore dell’avventura. Sarah Bernhardt e Antoine è più che<br />

verosim<strong>il</strong>e che accoglierebbero con entusiasmo <strong>il</strong> nostro programma e lo sosterrebbero come un<br />

progetto attuab<strong>il</strong>e se ne venissero a conoscenza e lo capissero.<br />

LO SPETTATORE E tutti questi si limiterebbero a darvi <strong>il</strong> loro appoggio morale?<br />

IL REGISTA Che cosa possono dare <strong>di</strong> più? Essi sono strenui lavoratori in una professione assai<br />

<strong>di</strong>versa, e si è già sfruttata fin troppo spesso la generosità <strong>di</strong> cui godono fama. Se ci danno la<br />

mano e ci augurano buona fortuna, è <strong>il</strong> massimo che mai ci sogneremmo <strong>di</strong> chiedere loro.<br />

LO SPETTATORE Sì, ma <strong>il</strong> vostro capitale dove andrete a pescarlo? Un cumulo <strong>di</strong> auguri è una bella cosa,<br />

ma <strong>di</strong> nessuna ut<strong>il</strong>ità pratica.<br />

IL REGISTA Può darsi che abbiate ragione; tuttavia non si valuta ogni cosa dai vantaggi pratici che può<br />

dare. Noi speriamo <strong>di</strong> ricevere aiuti concreti dallo Stato.<br />

LO SPETTATORE La vostra fiducia mi porta a credere che abbiate ragione. Ma ci sono due cose che<br />

dovrete provare allo Stato perché vi conceda <strong>il</strong> suo appoggio.<br />

IL REGISTA Quali sono?<br />

LO SPETTATORE Prima <strong>di</strong> tutto, dovrete <strong>di</strong>mostrare chiaramente che lo Stato ne avrebbe un beneficio; in<br />

secondo luogo, che <strong>il</strong> vantaggio sarà superiore alla spesa.<br />

IL REGISTA È giusto. Ve<strong>di</strong>amo dunque per prima cosa quale potrebbe essere <strong>il</strong> beneficio per lo Stato.<br />

II <strong>teatro</strong> agisce sul pubblico in due maniere <strong>di</strong>verse: o istruisce o <strong>di</strong>verte. Ci sono vari mo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

istruire e <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertire. Ora, cosa <strong>di</strong>te che sia più istruttivo: ascoltare o vedere?<br />

LO SPETTATORE Vedere, a parer <strong>mio</strong>.<br />

IL REGISTA E che cosa vi sembra più fac<strong>il</strong>e da comprendere: <strong>il</strong> bello o <strong>il</strong> brutto, <strong>il</strong> nob<strong>il</strong>e o <strong>il</strong> volgare?<br />

LO SPETTATORE Se <strong>il</strong> nostro fine è <strong>di</strong> istruire, è più fac<strong>il</strong>e comprendere <strong>il</strong> bello e <strong>il</strong> nob<strong>il</strong>e, perché è<br />

proprio questo che cerchiamo <strong>di</strong> cogliere; se invece miriamo al <strong>di</strong>vertimento, è probab<strong>il</strong>e che <strong>il</strong><br />

grossolano e <strong>il</strong> brutto abbiano effetti più imme<strong>di</strong>ati.<br />

IL REGISTA E non sono invece più <strong>di</strong>vertenti <strong>il</strong> bello e <strong>il</strong> nob<strong>il</strong>e?<br />

LO SPETTATORE Credo proprio <strong>di</strong> no.<br />

117


IL REGISTA Eppure, qual è quella cosa che a vederla e a u<strong>di</strong>rla, vi dà la sensazione <strong>di</strong> essere tutto un<br />

sorriso da capo a pie<strong>di</strong>?<br />

LO SPETTATORE La bellezza - la verità - oh, un qualche cosa che va al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> ogni possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong><br />

definizione.<br />

IL REGISTA Penso lo stesso anch’io. Ma in questo non c’è qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertente? Perché noi<br />

sorri<strong>di</strong>amo; e <strong>il</strong> sorriso è un ridere sommesso.<br />

LO SPETTATORE È vero.<br />

IL REGISTA Non è <strong>il</strong> caso <strong>di</strong> chiamare questa la parte indubbiamente migliore del <strong>di</strong>vertimento?<br />

LO SPETTATORE Possiamo chiamarla così, per amore <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione.<br />

IL REGISTA Ed è legata, come abbiamo visto, al bello e al nob<strong>il</strong>e; quin<strong>di</strong> la parte migliore del<br />

<strong>di</strong>vertimento è parente stretta della parte migliore dell’istruzione.<br />

LO SPETTATORE A quanto pare...<br />

IL REGISTA Ora, abbiamo detto che <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> o istruisce o <strong>di</strong>verte. D’altronde ve<strong>di</strong>amo che talvolta<br />

agisce in ambedue i sensi; in una parola, istruisce e <strong>di</strong>verte contemporaneamente se è nob<strong>il</strong>e e<br />

bello al massimo grado.<br />

LO SPETTATORE Verissimo.<br />

IL REGISTA E vi pare che quella sensazione che, in mancanza della parola esatta, ho chiamato "sorriso<br />

da capo a pie<strong>di</strong>”, sia una sensazione buona o cattiva?<br />

LO SPETTATORE Direi che è la sensazione migliore.<br />

IL REGISTA Praticamente: se voi vedeste in un pubblico foltissimo centinaia <strong>di</strong> facce <strong>il</strong>luminate dal<br />

sorriso, non <strong>di</strong>reste che gli spettatori sono più felici che se quelle stesse facce avessero<br />

un’espressione tesa o annoiata?<br />

LO SPETTATORE Certamente.<br />

IL REGISTA E <strong>di</strong>temi, se voi foste un re, preferireste vedere dei volti felici come quelli che vi ho<br />

descritti, o piuttosto delle facce tetre?<br />

LO SPETTATORE Preferirei vedere dei volti felici, naturalmente.<br />

IL REGISTA Un’altra domanda: preferireste vederli sorridenti o pensosi?<br />

LO SPETTATORE Sorridenti o pensosi? Un volto pensoso non deve essere a tutti i costi tetro, ma<br />

comunque preferirei vederli sorridenti.<br />

IL REGISTA Perché lo preferireste?<br />

LO SPETTATORE Perché mi sentirei anch’io spinto a sorridere.<br />

IL REGISTA Buona risposta. Ora, mi avete detto poco fa che vedere istruisce più che non sentire. Devo<br />

interpretare così: che, secondo voi, ciò che si vede si comprende più rapidamente e con maggiore<br />

fac<strong>il</strong>ità?<br />

LO SPETTATORE Sì, intendo <strong>di</strong>re proprio questo.<br />

IL REGISTA Facciamo un esempio. Noi ve<strong>di</strong>amo un cavallo <strong>di</strong> razza lasciato libero in un campo. Esso<br />

salta, inarca <strong>il</strong> collo, volge attorno gli occhi superbamente. Se non avessimo mai visto prima un<br />

cavallo, nessuna descrizione ce ne darebbe l’impressione giusta così rapidamente come <strong>il</strong> vederlo.<br />

LO SPETTATORE Sì, è vero.<br />

IL REGISTA E una descrizione verbale del cavallo, che ci venisse fatta nel momento stesso in cui esso ci<br />

si presenta davanti agli occhi, ci aiuterebbe a comprendere meglio quel che ve<strong>di</strong>amo?<br />

LO SPETTATORE No; credo che ci confonderebbe, perché saremmo del tutto occupati a fissare l’animale.<br />

IL REGISTA Dunque, non sareste <strong>di</strong>sposto a u<strong>di</strong>re qualcosa su <strong>di</strong> lui, mentre lo vedete?<br />

LO SPETTATORE No, mi urterebbe anziché aiutarmi.<br />

IL REGISTA Eppure si <strong>di</strong>ce che l’u<strong>di</strong>to è un mezzo <strong>di</strong> istruzione efficace quanto la vista.<br />

LO SPETTATORE Sì, ma è probab<strong>il</strong>e che le due impressioni si <strong>di</strong>sturbino a vicenda quando vengono<br />

prodotte simultaneamente.<br />

118


IL REGISTA Allora impostiamo la questione in maniera <strong>di</strong>versa. Supponete che <strong>il</strong> cavallo saltando<br />

davanti a noi esprima la sua gioia e <strong>il</strong> suo orgoglio con dei nitriti - e allora?<br />

LO SPETTATORE Ah, sì, è vero. Questo ci aiuterebbe a comprendere; sarebbe una gioia per i nostri<br />

sensi.<br />

IL REGISTA <strong>Il</strong> nitrito <strong>di</strong> un cavallo, allora, è più <strong>il</strong>luminante <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso preparato? Sorridereste<br />

nell’u<strong>di</strong>rlo?<br />

LO SPETTATORE Molto probab<strong>il</strong>mente, sì.<br />

IL REGISTA Direste allora <strong>di</strong> aver avuto una percezione perfetta, per aver visto qualcosa <strong>di</strong> nob<strong>il</strong>e e<br />

aver colto un’espressione gioiosa proveniente da ciò che vi sembrava così nob<strong>il</strong>e; e fareste un<br />

sorriso d’intelligenza. Non <strong>di</strong>verreste pensoso, nevvero?<br />

LO SPETTATORE No, no; rimarrei incantato.<br />

IL REGISTA Proprio così: e questo è esattamente lo stato d’animo a cui si arriva in un <strong>teatro</strong> come<br />

quello a cui accennavo, dove istruzione e <strong>di</strong>vertimento scaturiscono insieme dalla contemplazione<br />

visiva e u<strong>di</strong>tiva della bellezza. Rimarreste incantato. L’istruzione <strong>di</strong>sgiunta dal <strong>di</strong>vertimento<br />

provocherebbe in voi una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> spirito più meschina; ne uscireste solamente più istruito.<br />

Allo stesso modo eserciterebbe un effetto meschino su <strong>di</strong> voi <strong>il</strong> <strong>di</strong>vertimento non congiunto<br />

all’istruzione.<br />

Ricordatevi che ho parlato sempre <strong>di</strong> vero <strong>di</strong>vertimento e <strong>di</strong> vera istruzione, nel senso più elevato<br />

della parola; cioè ne ho parlato come <strong>di</strong> due cose che è possib<strong>il</strong>e e desiderab<strong>il</strong>e congiungere tra<br />

loro. Perciò ho precisato che sono molto affini e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>mente separab<strong>il</strong>i.<br />

LO SPETTATORE Eppure sono <strong>di</strong>stinte, perché i teatri <strong>di</strong> varietà risuonano <strong>di</strong> grida e <strong>di</strong> risate, mentre al<br />

Lyceum le facce degli spettatori, durante la rappresentazione <strong>di</strong> Re Lear o <strong>di</strong> Amleto, sono molto<br />

tese.<br />

IL REGISTA Sì, era proprio <strong>di</strong> questo che volevo parlare. <strong>Il</strong> <strong>di</strong>vario è veramente troppo grande, specie<br />

in Ingh<strong>il</strong>terra; in Germania, invece, si sentono molto meno risate grossolane nei teatri <strong>di</strong> varietà, e<br />

durante la rappresentazione <strong>di</strong> una trage<strong>di</strong>a le facce sono meno tese e più pensose. Un <strong>teatro</strong><br />

perfetto non dovrebbe né tendere né allentare i muscoli facciali, non dovrebbe contrarre né le<br />

cellule del cervello né le fibre del cuore. Tutto dovrebbe farci sentire a nostro agio. <strong>Il</strong> compito del<br />

Teatro e della sua Arte è proprio questo: <strong>di</strong> procurare al pubblico uno stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>stensione<br />

mentale e fisica.<br />

LO SPETTATORE Ma un <strong>teatro</strong> perfetto non è realizzab<strong>il</strong>e.<br />

IL REGISTA Cosa sento? Che <strong>di</strong>te? Siamo in Ingh<strong>il</strong>terra, no? Voi siete un inglese, credo - o mi sbaglio? -<br />

e spero che ritirerete subito questa vostra affermazione.<br />

LO SPETTATORE Sembrate tale e quale <strong>il</strong> cavallo che avete descritto; bisogna che cerchi <strong>di</strong> evitare i vostri<br />

calci.<br />

IL REGISTA Meno male! E ora che abbiamo riconosciuto <strong>di</strong> comune accordo la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> creare un<br />

<strong>teatro</strong> perfetto qui in Ingh<strong>il</strong>terra, ve<strong>di</strong>amo come si possa farlo. Secondo voi, dobbiamo <strong>di</strong>mostrare<br />

che lo Stato ne avrà un beneficio, per poter sperare nel suo appoggio. Sta bene: <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> che noi<br />

offriremo allo Stato è <strong>il</strong> più perfetto del mondo, e questo non è forse un beneficio? Questo <strong>teatro</strong><br />

vedrà la luce dopo alcuni anni <strong>di</strong> lavoro 45 , seguendo <strong>il</strong> metodo <strong>di</strong> ricerca a cui ho accennato.<br />

LO SPETTATORE Ma non mi avete <strong>di</strong>mostrato che le spese <strong>di</strong> questa "spe<strong>di</strong>zione” saranno inferiori al<br />

vantaggio che ne deriverà allo Stato, <strong>il</strong> quale ne trarrà un beneficio solo se <strong>il</strong> guadagno risulterà<br />

superiore al capitale impiegato.<br />

IL REGISTA Ve lo <strong>di</strong>mostrerò <strong>il</strong> più concisamente possib<strong>il</strong>e, certo non posso, nel corso <strong>di</strong> una breve<br />

conversazione, portarvi tutte le prove relative ai vari punti. Lo potrei invece se la cosa venisse<br />

45 <strong>Il</strong> Teatro d’Arte <strong>di</strong> Constan, che è <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> più perfettamente organizzato e <strong>di</strong>retto d’Europa, ha impiegato <strong>di</strong>eci anni<br />

per raggiungere la sua attuale perfezione e soltanto al decimo ha cominciato a rendere un <strong>di</strong>videndo.<br />

119


<strong>di</strong>scussa, ai fini <strong>di</strong> un’indagine più approfon<strong>di</strong>ta da un comitato incaricato <strong>di</strong> esaminare <strong>il</strong> <strong>mio</strong><br />

progetto.<br />

Le spese per i primi cinque anni ammonterebbero, come ho detto prima, a venticinquem<strong>il</strong>a<br />

sterline. Ora, può darsi che venticinquem<strong>il</strong>a sterline vi sembrino una somma enorme. Ve<strong>di</strong>amo,<br />

comunque, a che cosa corrisponde in realtà questa somma.<br />

Corrisponde alle spese sostenute da F. Nansen per la sua Spe<strong>di</strong>zione polare del 1893-96.<br />

Corrisponde al prezzo <strong>di</strong> un quadro della Galleria Nazionale.<br />

Corrisponde all’incirca alla somma necessaria per mettere in scena da tre a cinque<br />

rappresentazioni all’His Majesty Theatre o al Drury Lane.<br />

Corrisponde press’a poco alle spese sostenute in Ingh<strong>il</strong>terra nel 1908 per l’allestimento <strong>di</strong> un<br />

solo Corteo.<br />

Corrisponde a un quarto del guadagno realizzato da Sarah Bernhardt con la sua tournée in Francia,<br />

negli anni 1880-81.<br />

Corrisponde agli incassi me<strong>di</strong> <strong>di</strong> cento teatri <strong>di</strong> Londra in una serata.<br />

Corrisponde circa ad un terzo della somma che si pagava nel 1634 per un solo Trionfo 46 .<br />

Corrisponde a meno <strong>di</strong> metà della somma spesa per ampliare e abbellire <strong>il</strong> Teatro Lyceum nel<br />

1881.<br />

Corrisponde a un quinto dell’incasso <strong>di</strong> un’unica tournée <strong>di</strong> Irving in America 47 .<br />

Ora <strong>di</strong>temi, credete che venticinquem<strong>il</strong>a sterline siano una grossa somma per coprire le spese <strong>di</strong><br />

un lavoro importante come <strong>il</strong> nostro, per cinque anni?<br />

LO SPETTATORE Dopo quel che m’avete detto, non lo penso più.<br />

IL REGISTA Pensate ora anche quanto deve pagare <strong>il</strong> pubblico per i tanti esperimenti teatrali che si<br />

fanno ogni anno. Si può <strong>di</strong>re che oggigiorno quasi ogni rappresentazione, a Londra e in provincia,<br />

è un esperimento - onesto, anche se incompleto e privo <strong>di</strong> metodo - inteso a migliorare <strong>il</strong> mestiere<br />

del lavoro scenico.<br />

<strong>Il</strong> pubblico e portato a credere che questi esperimenti siano altrettante opere d’arte perfette,<br />

mentre non sono neanche per sogno opere d’arte, bensì soltanto dei pasticci, messi su con<br />

intenzioni onestissime, ma realizzati in una maniera orrip<strong>il</strong>ante.<br />

Ora, non sarebbe meno costoso per <strong>il</strong> pubblico, se qualcuno - lo Stato, un m<strong>il</strong>ionario, o anche <strong>il</strong><br />

pubblico stesso - pagasse l’esigua somma <strong>di</strong> venticinquem<strong>il</strong>a sterline che ho in<strong>di</strong>cato, per coprire<br />

la spesa <strong>di</strong> un esperimento serio e positivo, che duri cinque anni e sia fatto da persone<br />

competenti, piuttosto che continuare in eterno ad alleggerirsi ogni anno <strong>di</strong> due m<strong>il</strong>ioni e mezzo <strong>di</strong><br />

sterline, come sta facendo ora, per degli esperimenti fatti in fretta e senza metodo?<br />

LO SPETTATORE È così r<strong>il</strong>evante la somma che <strong>il</strong> pubblico spende ogni anno?<br />

IL REGISTA Ve<strong>di</strong>amo se <strong>il</strong> <strong>mio</strong> conto è esatto. In Ingh<strong>il</strong>terra ci sono, <strong>di</strong>ciamo, cento teatri 48 . Poniamo<br />

che ognuno <strong>di</strong> questi cento teatri incassi dal pubblico duecentocinquanta sterline la sera 49 , e che<br />

questo avvenga per cento serate <strong>di</strong> rappresentazione all’anno 50 .<br />

Anche facendo un calcolo minimo, si arriva lo stesso al totale macroscopico <strong>di</strong> due m<strong>il</strong>ioni e<br />

mezzo <strong>di</strong> sterline portati via al pubblico, nel corso <strong>di</strong> un anno per della robaccia. Ho risposto così<br />

alla vostra seconda domanda?<br />

LO SPETTATORE Veramente, no. Io vi chiedevo se <strong>il</strong> guadagno che ne ricaverà lo Stato sarà superiore alle<br />

spese. Voi mi avete soltanto fatto vedere che <strong>il</strong> costo è estremamente basso in confronto ad altre<br />

46 <strong>Il</strong> Trionjo della Pace. Cfr. Symonds, Skakespeare’s Predecessors, p. 27.<br />

47 Brereton, Life of Irving, p. 312.<br />

48 Ce ne sono più <strong>di</strong> sei volte tanti.<br />

49 <strong>Il</strong> Lyceum nel 1881 ne poté incassare trecentoventotto in una sola sera.<br />

50 I teatri rimangono aperti per oltre duecento sere all’anno.<br />

120


spese statali o private, ma dovete ancora <strong>di</strong>mostrarmi che lo Stato ricaverà un ut<strong>il</strong>e dalle sue<br />

venticinquem<strong>il</strong>a sterline.<br />

IL REGISTA Riesaminiamo un’altra volta la faccenda. Lo Stato riceverà dalla scuola, alla fine dei cinque<br />

anni, i frutti delle sue fatiche. Questi comprenderanno:<br />

1) la <strong>di</strong>mostrazione pratica del miglior metodo da usare per la costruzione e la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> un<br />

Teatro nazionale, secondo un modello ideale e in una maniera ritenuta fino ad ora impossib<strong>il</strong>e;<br />

2) la semplificazione e <strong>il</strong> conseguente miglioramento <strong>di</strong> molte macchine teatrali della scena<br />

moderna;<br />

3) l’addestramento <strong>di</strong> registi e del personale addetto a cambiare le scene,<br />

4) l’addestramento degli attori, che comprende lo stu<strong>di</strong>o della <strong>di</strong>zione e del movimento, le due<br />

<strong>di</strong>fficoltà maggiori per l’attore me<strong>di</strong>o;<br />

5) l’addestramento <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> scenografi originali, <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> uomini perfettamente<br />

esercitati ad eseguire qualsiasi or<strong>di</strong>ne relativo alle luci <strong>di</strong> scena. Se oggi si va ad assistere a una<br />

prova particolare d’<strong>il</strong>luminazione, in qualsiasi <strong>teatro</strong> <strong>il</strong> personale addetto a questo compito è<br />

sempre in grave imbarazzo.<br />

I tre motivi essenziali <strong>di</strong> questo sono: primo, che <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena non sa quel che vuole, non<br />

conosce i nomi e gli usi delle macchine che si adoperano o delle loro parti, non sa che cosa se ne<br />

possa ricavare, ed è completamente all’oscuro <strong>di</strong> come giungere a un risultato preciso. Lascia<br />

tutto al caso e all’"effetto” fortuito. <strong>Il</strong> secondo motivo è che la gran maggioranza degli uomini che<br />

fanno funzionare le macchine durante le rappresentazioni serali <strong>di</strong> giorno vengono impiegati per<br />

un altro lavoro e hanno ricevuto soltanto istruzioni molto sommarie su come svolgere <strong>il</strong> loro<br />

servizio. <strong>Il</strong> terzo motivo è che le macchine vengono progettate senza che si sappia a che uso<br />

dovranno servire. Inoltre, bisogna ammettere che gli elettricisti si trovano a dover lottare con<br />

molte <strong>di</strong>fficoltà inut<strong>il</strong>i, che si potrebbero eliminare se si riprendesse a stu<strong>di</strong>are da capo nel suo<br />

complesso <strong>il</strong> mestiere della scena moderna, con l’idea <strong>di</strong> dare nuovamente un or<strong>di</strong>ne alle parti <strong>di</strong><br />

cui è composto. C’è un solo uomo in cui riponiamo le nostre speranze a tal fine: <strong>il</strong> regista.<br />

Senonché <strong>il</strong> regista ha poco tempo <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>e per lo stu<strong>di</strong>o, perché è occupato a seguire e a<br />

risolvere situazioni imbarazzanti, che troppo spesso ven gono create dal <strong>di</strong>rettore del<br />

<strong>teatro</strong>, dagli attori, dalle attrici e dalle comparse. Se fa un tentativo <strong>di</strong> migliorare qualcosa, tutti<br />

perdono la testa. Quando <strong>il</strong> regista avrà <strong>il</strong> tempo <strong>di</strong> imparare e quando poi gli sarà data<br />

l’autorità e la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> istruire <strong>il</strong> suo personale, i teatri faranno un piccolo passo avanti nella<br />

<strong>di</strong>rezione giusta. Una scuola è l’unico luogo in cui sia possib<strong>il</strong>e ricevere e dare un addestramento<br />

del genere. Insomma. quello che noi potremmo offrire allo Stato in cambio del suo appoggio,<br />

sarebbe <strong>il</strong> nucleo <strong>di</strong> un Teatro Ideale, fondato su basi pratiche, con una scuola in cui si formerà <strong>il</strong><br />

personale futuro, dal regista fino agli elettricisti, uniti tutti nell’aspirazione <strong>di</strong> raggiungere un<br />

livello ideale che non si dovrebbe abbassare assolutamente per nessuna ragione.<br />

Vedete dunque che la scuola, pur con l’occhio fisso al futuro e con i suoi ideali saldamente<br />

stab<strong>il</strong>iti, avrebbe mani e pie<strong>di</strong> impegnati nel presente. Per andare alla ricerca della perduta Arte del<br />

Teatro, bisogna passare prima attraverso le regioni in cui è situato <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> moderno.<br />

Percorrendole ristab<strong>il</strong>iremo l’or<strong>di</strong>ne. Ora comprendete?<br />

LO SPETTATORE Mi avete davvero chiarito le idee. E adesso, ancora una domanda. Sarete voi a capo <strong>di</strong><br />

questa scuola?<br />

IL REGISTA No. <strong>Il</strong> capo, o <strong>di</strong>rettore, come vi <strong>di</strong>cevo, sarà eletto dai membri della scuola stessa.<br />

LO SPETTATORE E voi non porrete la vostra can<strong>di</strong>datura? Che farà la scuola senza <strong>di</strong> voi?<br />

IL REGISTA Qualsiasi cosa. Con me, nulla.<br />

LO SPETTATORE Cosa intendete <strong>di</strong>re? Non vorrete mica abbandonare <strong>il</strong> progetto che avete ideato<br />

proprio voi?<br />

121


IL REGISTA No, non abbandonerò mai la scuola, ma non avrò mai funzioni né <strong>di</strong> capo, né <strong>di</strong> corpo, né<br />

<strong>di</strong> membro.<br />

LO SPETTATORE E che volete fare allora?<br />

IL REGISTA Io creerò la scuola e poi chiederò che mi si conceda libero accesso ad essa perché possa<br />

andare a stu<strong>di</strong>are là quando ne ho voglia. Ho molte ragioni per desiderare questo: ci vorrebbero<br />

molti anni per spiegarvelo esaurientemente. Ma potete dare per scontato che non sono ragioni<br />

oziose. Mi sentirei ben onorato <strong>di</strong> far parte <strong>di</strong> una scuola sim<strong>il</strong>e.<br />

LO SPETTATORE Ma voi farete <strong>di</strong> più, farete voi stesso degli esperimenti e darete all’impresa <strong>il</strong><br />

contributo del vostro talento.<br />

IL REGISTA <strong>Il</strong> <strong>mio</strong> talento non è grande e non può essere prestato. Certo, farei volentieri degli<br />

esperimenti, se mi venisse chiesto <strong>di</strong> farli; ma credo <strong>di</strong> poter essere più ut<strong>il</strong>e alla scuola tenendomi<br />

un po’ a <strong>di</strong>stanza che non legandomi ad essa.<br />

LO SPETTATORE E questo è <strong>il</strong> modo me<strong>di</strong>ante <strong>il</strong> quale suggerite <strong>di</strong> riscoprire quest’arte perduta, che voi<br />

conoscete probab<strong>il</strong>mente più <strong>di</strong> qualsiasi altro?<br />

IL REGISTA Ne conosco ben poco, ma può darsi che sappia meglio degli altri dove si trova. Posso<br />

in<strong>di</strong>care la <strong>di</strong>rezione giusta, e per questo motivo credo <strong>di</strong> poter appoggiare validamente gli sforzi<br />

della scuola. Nella ricerca, negli esperimenti sarò sempre con loro, ma non li <strong>di</strong>rigerò e non bisogna<br />

attendersi che io li segua. Sarò a loro <strong>di</strong>sposizione in qualunque momento mi chiamino, ma non<br />

per un’occupazione stab<strong>il</strong>e.<br />

LO SPETTATORE Voi mi togliete un po’ <strong>il</strong> respiro. Mi <strong>di</strong>mostrate <strong>di</strong> sapere <strong>di</strong> questa Terza Arte, come<br />

l’avete chiamata, quanto <strong>il</strong> resto del mondo, se non <strong>di</strong> più, e me ne parlate per ore ed ore; per essa<br />

rinunciate a tutto nella vita, vi offrite <strong>di</strong> avviare una scuola, e poi cedete ad un altro scuola, idea,<br />

progetto. Non temete che la cosa cambi aspetto <strong>di</strong> molto, una volta che non l’abbiate più in mano<br />

voi?<br />

IL REGISTA Cambierà certamente, la sua esistenza <strong>di</strong>pende da questo; ma non ho timori in proposito.<br />

LO SPETTATORE Ma personalmente non avete alcuna aspirazione nei riguar<strong>di</strong> della scuola? Non vi<br />

addolorerà un poco vederla muoversi in una <strong>di</strong>rezione sbagliata?<br />

IL REGISTA Non c’è questo pericolo. La calamita dell’ideale è fissata; <strong>il</strong> suo potere <strong>di</strong> attrazione ha già<br />

cominciato ad agire; sarà proprio resistendo a questo potere che faremo le nostre scoperte. Ci<br />

saranno con noi degli uomini che <strong>di</strong> tanto in tanto si sentiranno depressi e stanchi, ed è probab<strong>il</strong>e<br />

che allora si commettano degli errori, ma assieme agli errori verranno le scoperte. Tuttavia gli<br />

errori non si commetteranno mai a bella posta, per motivi egoistici: potranno essere soltanto la<br />

conseguenza <strong>di</strong> un eccesso <strong>di</strong> tensione. E queste resistenze, come <strong>di</strong>cevo, avranno come unico<br />

effetto quello <strong>di</strong> guidarci verso <strong>il</strong> nostro ideale.<br />

LO SPETTATORE Ma <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> moderno che voi <strong>di</strong>chiarate <strong>di</strong> <strong>di</strong>sprezzare oppone resistenza<br />

all’attrazione dell’ideale.<br />

IL REGISTA Ah, questa è tutt’altra cosa. Quello resiste per paura; noi resisteremo per coraggio. Noi ci<br />

sentiremo attratti e trascinati e andremo avanti con decisione, ma lentamente, continuando a fare<br />

scoperte lungo la via. Alla fine scopriremo quello che cercavamo e che ci attraeva, e allora...<br />

LO SPETTATORE E allora?<br />

IL REGISTA Qui sta <strong>il</strong> punto. Per parte mia sono pienamente convinto che <strong>il</strong> nostro viaggio non avrà<br />

mai fine. Noi non cesseremo mai <strong>di</strong> subire quel potere <strong>di</strong> attrazione, esso non muterà mai. E noi ci<br />

sentiremo sempre chiamati, con parole e con cenni, e spinti a procedere innanzi.<br />

1910.<br />

122


Gli spettri nelle trage<strong>di</strong>e <strong>di</strong> Shakespeare<br />

Un’in<strong>di</strong>cazione singolare riguardo al modo in cui i registi dovrebbero realizzare le trage<strong>di</strong>e <strong>di</strong><br />

Shakespeare è costituita dall’apparizione, in queste trage<strong>di</strong>e, <strong>di</strong> spettri o spiriti.<br />

<strong>Il</strong> fatto stesso della loro presenza esclude la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> trasposizione realistica.<br />

Shakespeare ne ha fatto <strong>il</strong> centro dei suoi sogni sconfinati, <strong>il</strong> punto che, come avviene in una figura<br />

geometrica circolare, controlla e con<strong>di</strong>ziona in ogni minimo particolare la circonferenza.<br />

Questi spiriti determinano la chiave in cui, come per la musica, ogni nota della composizione va<br />

armonizzata; sono parte integrante del dramma, non estranea ad esso; sono i simboli visualizzati del<br />

mondo soprannaturale che serra quello naturale, ed esercitano sull’azione qualcosa <strong>di</strong> sim<strong>il</strong>e<br />

all’influenza che, nella "scienza dei suoni” compete ai "toni parziali, ai quali, anche se impercettib<strong>il</strong>i<br />

all’u<strong>di</strong>to, si deve la <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> suono che passa fra <strong>il</strong> più misero strumento e la nota suprema del<br />

violino"; come avviene per essi, “così nella scienza della vita, nella strada affollata o sulla piazza del<br />

mercato o a <strong>teatro</strong>, o dovunque vi sia vita, esistono dei toni parziali, presenze invisib<strong>il</strong>i. Fianco a<br />

fianco, con la folla umana, c’è una folla <strong>di</strong> forme invisib<strong>il</strong>i... Principati, Potenze e Possib<strong>il</strong>ità... Non si<br />

vedono, ma si sentono. Entrano nelle case degli esseri umani visib<strong>il</strong>i, e alcune <strong>di</strong> esse vengono<br />

completamente rinnovate per accoglierli; <strong>di</strong>morano là, e l’ultima ora <strong>di</strong> quegli esseri umani è raggiante<br />

<strong>di</strong> una luce <strong>di</strong>vina, vibrante <strong>di</strong> un amore più intenso; ma può accadere, al contrario, che, visitati da<br />

spiriti più malvagi <strong>di</strong> loro stessi, l’ultima ora <strong>di</strong> tali esseri umani sia peggiore della vita passata: essi<br />

soggiacciono ad una violenza e a una tirannia orrenda a loro stessi; inafferrab<strong>il</strong>e e inevitab<strong>il</strong>e, ai<br />

confini della <strong>di</strong>sperazione” 51 .<br />

Proprio me<strong>di</strong>ante l’alchimia <strong>di</strong> questi “toni parziali", mettendo in gioco influenze sentite<br />

anche se non vedute, a volte impalpab<strong>il</strong>i come "l’ombra <strong>di</strong> un’ombra”, eppure percepite perfino<br />

allora come forze dominanti, talvolta malefiche, talvolta benefiche, Shakespeare perviene a risultati<br />

che trascendono quelli dei suoi contemporanei, anche quando essi trattano temi sim<strong>il</strong>ari, come<br />

Middleton nella sua Strega.<br />

Perché, quando Shakespeare scrisse "entra lo spettro <strong>di</strong> Banquo”, non aveva in mente<br />

soltanto un comme<strong>di</strong>ante avvolto in una pezza <strong>di</strong> mussola. Altrimenti, se si fosse preoccupato cioè<br />

della mussola e delle luci <strong>di</strong> ribalta, non avrebbe mai creato lo spettro in Amleto; perché lo spettro del<br />

padre <strong>di</strong> Amleto, che scosta i veli all’inizio della grande trage<strong>di</strong>a, non è uno scherzo; non è un<br />

teatrante con l’armatura, non è una figura da farsa. È una visualizzazione momentanea delle forze<br />

invisib<strong>il</strong>i che dominano l’azione ed è un chiaro comando che Shakespeare dà agli uomini <strong>di</strong> <strong>teatro</strong><br />

perché destino la loro immaginazione e lascino inattiva la loro razionalità.<br />

Le apparizioni <strong>di</strong> tutti questi spiriti nelle trage<strong>di</strong>e non sono invenzioni <strong>di</strong> un <strong>di</strong>rettore<br />

pantomimo; sono le nob<strong>il</strong>issime creazioni <strong>di</strong> un nob<strong>il</strong>e poeta e servono a in<strong>di</strong>carci nel modo più<br />

chiaro possib<strong>il</strong>e quali fossero le idee <strong>di</strong> Shakespeare riguardo alla scena.<br />

“L’elemento suggestivo dovrà predominare, perché tutti i quadri scenici che pretendono <strong>di</strong><br />

darci l’<strong>il</strong>lusione della realtà necessariamente falliscono <strong>il</strong> loro effetto o causano una <strong>di</strong>s<strong>il</strong>lusione. I<br />

drammi <strong>di</strong> Shakespeare sono creazioni poetiche e vanno presentati ed eseguiti come tali” 52 ; consiglio<br />

questo <strong>di</strong> cui dovrebbero, soprattutto, far tesoro coloro che intraprendono la realizzazione <strong>di</strong> quelle<br />

trage<strong>di</strong>e <strong>di</strong> Shakespeare nelle quali è presente l’elemento soprannaturale.<br />

51 Shorthouse.<br />

52 Hevesi.<br />

123


Così se un uomo <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> vuol mettere in scena Macbeth, Amleto, Riccardo III, Giulio<br />

Cesare, Antonio e Cleopatra, La Tempesta o Sogno <strong>di</strong> una notte <strong>di</strong> mezza estate nel modo in cui<br />

andrebbero rappresentate, deve innanzi tutto polarizzare <strong>il</strong> suo interesse sugli spiriti <strong>di</strong> questi<br />

drammi; fino a quando non li avrà compresi con tutto se stesso, porterà sulla scena una cosa fatta<br />

solo <strong>di</strong> cenci e <strong>di</strong> stracci. Quando invece si sarà compenetrato in questi spiriti, nel momento in cui<br />

avrà veduto le loro proporzioni e avrà imparato a muoversi secondo <strong>il</strong> loro ritmo, allora egli <strong>di</strong>verrà<br />

un maestro nell’arte del mettere in scena una trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Shakespeare. Ma <strong>di</strong> questo <strong>il</strong> regista non<br />

sembra affatto rendersi conto, altrimenti adotterebbe un sistema del tutto <strong>di</strong>fferente nell’interpretare<br />

quelle scene in cui compaiono gli spettri. Che cosa fa apparire tanto deboli e poco convincenti sulla<br />

scena gli spettri <strong>di</strong> Shakespeare che pure sono così significativi ed impressionanti quando leggiamo i<br />

suoi drammi?<br />

È che in scena l’apparizione è improvvisa, l’atmosfera giusta non è stata ben pre<strong>di</strong>sposta.<br />

Entra lo spettro, e imme<strong>di</strong>atamente panico fra gli attori, e le luci, la musica <strong>di</strong> fondo e tutto <strong>il</strong><br />

pubblico sembrano impazzire. Lo spettro esce - e tutto <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> tira un sospiro <strong>di</strong> sollievo. In realtà<br />

quando lo spettro esce <strong>di</strong> scena, <strong>il</strong> pubblico in qualche modo sente che si è taciuto qualcosa <strong>di</strong> cui<br />

“era meglio non parlare”. Così <strong>il</strong> problema immane, che è alle ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> tutto <strong>il</strong> mondo, <strong>il</strong> problema<br />

della vita e della morte, questo tema sott<strong>il</strong>e che produce sempre tanta bellezza e su cui Shakespeare<br />

tesse le sue trame, è sorvolato, evitato con un colpetto <strong>di</strong> tosse apologetico.<br />

Noi siamo dei bambini in questo campo, pensiamo che uno spauracchio vada bene. Ri<strong>di</strong>amo<br />

scioccamente quando ci chiedono <strong>di</strong> rappresentare l’idea <strong>di</strong> un qualcosa <strong>di</strong> spirituale, perché non<br />

sappiamo nulla degli spiriti, dal momento che non cre<strong>di</strong>amo in essi. Ridacchiamo come bambini, ci<br />

avvolgiamo in una tovaglia e <strong>di</strong>ciamo “Uh, uh, uh”. Ma considerate dei lavori come Amleto, Macbeth,<br />

Riccardo III. Che cos’è che dà loro quel senso <strong>di</strong> mistero e <strong>di</strong> terrore supremo, che li eleva al <strong>di</strong> sopra<br />

<strong>di</strong> semplici trage<strong>di</strong>e <strong>di</strong> ambizione, assassinio, follia e sconfitta? Non è proprio quell’elemento<br />

soprannaturale che domina l’azione dal principio alla fine; quella mescolanza <strong>di</strong> mistico e <strong>di</strong><br />

materiale; quella sensazione <strong>di</strong> figure che rimangono sospese, intangib<strong>il</strong>i come la morte, <strong>di</strong> volti<br />

misteriosi, informi, dei quali ci pare <strong>di</strong> intravedere qualcosa guardandoli <strong>di</strong> lato, ma che, non appena<br />

ci voltiamo, scompaiono? Nel Macbeth l’aria è densa <strong>di</strong> mistero, tutta l’azione è regolata da una<br />

potenza invisib<strong>il</strong>e; e sono proprio quelle parole che non si sentono mai, proprio quelle figure che<br />

raramente prendono una forma più definita dell’ombra <strong>di</strong> una nuvola, a dare al testo la misteriosa<br />

bellezza, lo splendore, la profon<strong>di</strong>tà, l’immensità che lo <strong>di</strong>stinguono; in questo consiste l’elemento<br />

tragico primario.<br />

Fate che <strong>il</strong> regista concentri la sua attenzione e quella del pubblico sulle cose visib<strong>il</strong>i,<br />

temporali, e <strong>il</strong> testo verrà spogliato <strong>di</strong> metà della sua magnificenza e <strong>di</strong> tutto <strong>il</strong> suo significato. Fate<br />

invece che introduca, senza travisarlo, l’elemento soprannaturale; che elevi l’azione dai puri dati<br />

materiali a quelli psicologici, e renda u<strong>di</strong>b<strong>il</strong>i alle orecchie dell’animo, se non a quelle del corpo, “<strong>il</strong><br />

solenne, ininterrotto sussurrare dell’uomo e del suo destino”, che in<strong>di</strong>chi "gli incerti, dolorosi passi<br />

dell’essere umano, mentre si avvicina - o si <strong>di</strong>scosta smarrito - alla sua verità, alla sua bellezza e al<br />

suo Dio”, che ci mostri come alla base <strong>di</strong> Re Lear, <strong>di</strong> Macbeth e <strong>di</strong> Amleto stia "<strong>il</strong> mormorare<br />

dell’eternità all’orizzonte" 53 ; solo allora egli adempirà le intenzioni del poeta invece <strong>di</strong> trasformare i<br />

suoi spiriti maestosi in in<strong>di</strong>vidui dalla voce sepolcrale, con la faccia imbiancata e le vesti <strong>di</strong> mussola.<br />

Considerate, ad esempio, più dettagliatamente la trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Macbeth, in cui “la pressione<br />

opprimente del fattore soprannaturale urge sul vortice della passione umana con raddoppiata<br />

violenza" 54 . <strong>Il</strong> successo della rappresentazione <strong>di</strong>pende interamente dalla capacità del regista <strong>di</strong><br />

53 Maeterlinck.<br />

54 Hazlitt.<br />

124


suggerire questa forza soprannaturale e dalla capacità dell’attore <strong>di</strong> abbandonarsi al vortice della<br />

trage<strong>di</strong>a, a quel misterioso magnetismo animale che domina Macbeth e la sua "truppa <strong>di</strong> amici”.<br />

Mi sembra <strong>di</strong> vederlo, nei primi quattro atti della trage<strong>di</strong>a, come un uomo ipnotizzato, che si<br />

muove raramente ma, quando lo fa, è sim<strong>il</strong>e a un sonnambulo. Più in là le posizioni sono invertite ed<br />

<strong>il</strong> sonnambulismo <strong>di</strong> Lady Macbeth è come un’eco truce, ironica <strong>di</strong> tutta la vita <strong>di</strong> Macbeth,<br />

un’acuta, lacerante eco che si va perdendo, si va perdendo, e svanisce.<br />

Nell’ultimo atto Macbeth si desta. Sembra quasi che sia un nuovo personaggio. Non è più un<br />

sonnambulo che si trascina pesantemente, è un uomo comune che si sveglia <strong>di</strong> soprassalto da un<br />

sogno e vede che <strong>il</strong> sogno è <strong>di</strong>venuto realtà. Non è l’uomo che alcuni attori ci mostrano, <strong>il</strong> codardo<br />

scellerato, preso in trappola; ma non è neppure, a parer <strong>mio</strong>, quel temerario coraggioso e scellerato<br />

che altri vorrebbero. Egli è un condannato a morte che è stato svegliato all’improvviso la mattina<br />

stessa dell’esecuzione, e, nella brutalità <strong>di</strong> questo risveglio, riesce a comprendere solo i fatti che gli<br />

sono davanti, ed anche <strong>di</strong> questi afferra soltanto <strong>il</strong> significato esterno. Vede un esercito <strong>di</strong> fronte a sé:<br />

combatterà - si prepara - ma intanto continua a lambiccarsi <strong>il</strong> cervello sul significato del sogno. Di<br />

tanto in tanto ricade nel suo stato <strong>di</strong> sonnambulismo. Fino a che sua moglie era in vita, egli non era<br />

consapevole della propria con<strong>di</strong>zione, era un mero strumento nelle sue mani, e lei a sua volta fungeva<br />

da “me<strong>di</strong>um” con gli spiriti <strong>il</strong> cui compito è sempre quello <strong>di</strong> mettere a prova <strong>il</strong> vigore degli uomini,<br />

esercitando la loro forza sulla debolezza femmin<strong>il</strong>e.<br />

Nietzsche, dove parla del Macbeth, vede soltanto la pazza ambizione dell’uomo, la passione<br />

terrena dell’ambizione; e ci <strong>di</strong>ce che questa visione, invece <strong>di</strong> allontanarci irresistib<strong>il</strong>mente dalla<br />

malvagia ambizione che è in noi, l’aumenta. Forse è vero; però sembra che <strong>di</strong>etro a tutto ciò ci sia<br />

molto <strong>di</strong> più che l’ambizione malvagia e l’idea dell’eroe e dello scellerato.<br />

Dietro a tutto questo mi sembra <strong>di</strong> percepire le forze invisib<strong>il</strong>i <strong>di</strong> cui si è già parlato; questi<br />

spiriti, che Shakespeare amava sempre far intravedere, si trovano <strong>di</strong>etro a tutte le cose terrene, le<br />

muovono, e le muovono manifestamente verso gran<strong>di</strong> azioni, verso <strong>il</strong> conseguimento del bene o del<br />

male.<br />

Nel Macbeth esse si chiamano, come nei racconti della nonna, le Tre Streghe; è un nome<br />

elastico, che <strong>il</strong> pubblico del <strong>teatro</strong> può prendere sul serio o per ischerzo, come vuole.<br />

Ora, quando parlo dell’influsso ipnotico <strong>di</strong> questi spiriti come <strong>di</strong> una cosa completamente<br />

nuova, lo faccio unicamente in rapporto all’interpretazione scenica <strong>di</strong> Shakespeare, e non da<br />

semplice stu<strong>di</strong>oso. So che gli stu<strong>di</strong>osi hanno scritto su questi spiriti, paragonandoli a certe figure<br />

della trage<strong>di</strong>a greca, e hanno detto <strong>di</strong> loro cose molto più profonde <strong>di</strong> quanto possa <strong>di</strong>re io. Ma i loro<br />

commenti sono per chi legge Shakespeare, per chi lo vede recitare, non per coloro che prendono<br />

parte alla messa in scena dei suoi drammi. Non mi interessa in questo momento se questi testi furono<br />

composti per la scena o no, e se ci guadagnano oppure ci perdono a venir rappresentati. Però se mi<br />

chiedessero <strong>di</strong> mettere in scena <strong>il</strong> Macbeth, io gli darei un significato del tutto <strong>di</strong>fferente da quello che<br />

gli attribuisce lo stu<strong>di</strong>oso, <strong>il</strong> quale ha da tener presente solo se stesso, leggendo <strong>il</strong> testo in privato.<br />

Voi potete sentire la presenza <strong>di</strong> queste streghe, mentre leggete la trage<strong>di</strong>a, ma chi <strong>di</strong> voi ha mai<br />

sentito la loro presenza nel vederla recitata? In questo consiste <strong>il</strong> fallimento del regista e dell’attore.<br />

Nel Macbeth, a parer <strong>mio</strong>, è durante i momenti ipnotici che noi dobbiamo sentire la forza<br />

schiacciante <strong>di</strong> questi fattori invisib<strong>il</strong>i; e come farlo sentire, come renderlo chiaro, ma non reale,<br />

attuale, questo è <strong>il</strong> problema del regista. A me sembra che questo dramma non sia ancora stato<br />

rappresentato in modo esatto perché non abbiamo mai sentito gli spiriti agire me<strong>di</strong>ante la donna<br />

sull’uomo. Certo, questo è uno dei compiti più <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>i che si possano proporre al regista, ma non<br />

certo per la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> procurarsi la mussola che sia sufficientemente trasparente, per la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong><br />

trovare macchinari che siano in grado <strong>di</strong> sollevare da terra gli spettri, o per qualche altra ragione del<br />

genere. La principale <strong>di</strong>fficoltà sta nella recitazione dei due interpreti <strong>di</strong> Lady Macbeth e <strong>di</strong> Macbeth,<br />

125


perché se si ammette che l’elemento spirituale, che Shakespeare designa col nome <strong>di</strong> Streghe e <strong>di</strong><br />

Spettri, è in qualche modo connesso con la sofferenza <strong>di</strong> questi due esseri umani, Macbeth e la sua<br />

Lady, allora questi due personaggi lo devono mostrare al pubblico.<br />

Ma riuscire a portare questi spiriti e i loro strumenti ad un’armonia effettiva non <strong>di</strong>pende<br />

solo dagli interpreti delle due parti principali: <strong>di</strong>pende anche dagli interpreti delle streghe, e<br />

soprattutto dal regista.<br />

Gli spiriti non compaiono mai sul palcoscenico durante le scene <strong>di</strong> Lady Macbeth, né noi<br />

siamo consapevoli del loro influsso; eppure quando leggiamo la trage<strong>di</strong>a, non solo siamo consapevoli<br />

dell’influsso <strong>di</strong> queste "sostanze invisib<strong>il</strong>i”, ma siamo anche consapevoli in qualche modo della loro<br />

presenza. La percepiamo, così come nel romanzo <strong>di</strong> Shorthouse, La Contessa Eva, sentiamo la<br />

presenza dell’abate francese.<br />

Non ci sono nella trage<strong>di</strong>a dei momenti, in cui sembra che uno dei tre spiriti abbia, con la sua<br />

mano scarna, tappato la bocca <strong>di</strong> Lady Macbeth, ed abbia risposto invece <strong>di</strong> lei? E chi fu, se non uno<br />

<strong>di</strong> loro, che la trascinò per <strong>il</strong> polso, quando ella entrò nella stanza del vecchio re con i due pugnali in<br />

mano? Chi le spinse <strong>il</strong> gomito quando macchiò <strong>di</strong> sangue i volti dei palafrenieri? E ancora, cos’è <strong>il</strong><br />

pugnale che Macbeth vede nell’aria? Con che f<strong>il</strong>o è tenuto sospeso? chi lo fa penzolare? e <strong>di</strong> chi è la<br />

voce che egli sente mentre torna dalla stanza del re assassinato?<br />

MACBETH Ho fatto <strong>il</strong> <strong>mio</strong> dovere. Non hai u<strong>di</strong>to un rumore?<br />

LADY MACBETH Ho u<strong>di</strong>to la civetta gridare e i gr<strong>il</strong>li stridere. Ma tu non hai parlato?<br />

MACBETH Quando?<br />

LADY MACBETH Ora.<br />

MACBETH Mentre scendevo? 55<br />

Chi hanno sentito parlare mentre egli scendeva?<br />

E chi sono le tre misteriose figure che danzano gaiamente senza fare alcun rumore intorno alla<br />

miserab<strong>il</strong>e coppia che <strong>di</strong>scute nelle tenebre fosche, dopo aver compiuta l’orrib<strong>il</strong>e azione? Non lo<br />

sappiamo bene, mentre leggiamo; lo scor<strong>di</strong>amo del tutto quando ve<strong>di</strong>amo la trage<strong>di</strong>a rappresentata<br />

sulla scena. Qui ve<strong>di</strong>amo soltanto l’uomo debole istigato dalla donna ambiziosa che assume le<br />

maniere della cosiddetta “Regina da trage<strong>di</strong>a"; ed in altre scene troviamo lo stesso uomo <strong>il</strong> quale,<br />

accortosi che la stessa donna ambiziosa non lo aiuta, chiama alcune streghe ed ha un colloquio con<br />

loro in una caverna.<br />

Ciò che dovremmo vedere è un uomo in quello stato ipnotico che può essere allo stesso<br />

tempo terrib<strong>il</strong>e e bello vedere. Dovremmo renderci conto che questo stato d’ipnotismo gli è<br />

trasmesso per mezzo <strong>di</strong> sua moglie, e dovremmo riconoscere le streghe come spiriti, più terrib<strong>il</strong>i<br />

perché più belle <strong>di</strong> quanto possiamo concepirle; ciò che non accade quando invece le rappresentiamo<br />

terrificanti. Le dovremmo vedere non come le immagina Hazlitt, quali “megere del male, oscene<br />

mezzane dell’iniquità, malvagie per la loro incapacità <strong>di</strong> godere, amanti della <strong>di</strong>struzione, perché esse<br />

stesse sono irreali, aborti, semi-esistenze, che <strong>di</strong>vengono sublimi per <strong>il</strong> loro essere avulse da ogni<br />

simpatia umana e per <strong>il</strong> <strong>di</strong>sprezzo che nutrono verso tutte le cose terrene"; ce le dovremmo figurare<br />

così come ci immaginiamo <strong>il</strong> Cristo m<strong>il</strong>itante, che flagella i mercanti, gli sciocchi che lo rinnegano. Qui<br />

abbiamo l’idea del Dio supremo, del supremo Amore, ed è questo che va introdotto<br />

nell’interpretazione scenica <strong>di</strong> Macbeth. Ve<strong>di</strong>amo in questo caso <strong>il</strong> Dio della Forza, esemplificato<br />

nelle tre streghe, che getta due frammenti d’umanità sull’incu<strong>di</strong>ne e li schiaccia, perché non furono<br />

abbastanza duri da resistere; che li consuma perché non hanno sopportato <strong>il</strong> fuoco: che offre alla<br />

donna una corona per <strong>il</strong> suo uomo, la lusinga oltre misura, le sussurra che ella è la più forte, la più<br />

intelligente; che sussurra a lui che è <strong>il</strong> più coraggioso.<br />

55 Macbeth, atto II, scena 2.<br />

126


Ecco con quanta forza <strong>di</strong> persuasione gli spiriti possono agire sull’uomo o sulla donna,<br />

quando essi sono separati e soli! ascoltate <strong>il</strong> fluire delle loro parole; essi sono ubriacati dalla forza <strong>di</strong><br />

questi spiriti, anche se ne ignorano la presenza.<br />

Ma notate <strong>il</strong> momento in cui i due s’incontrano. L’uno sul volto dell’altra vedono qualcosa <strong>di</strong><br />

così straor<strong>di</strong>nario che sembrano colpiti come da un ricordo perduto. “Dove ho veduto o sentito<br />

prima, quel che ora vedo?”. Ognuno <strong>di</strong>viene furtivo, si mette in allarme, sta timoroso sulla <strong>di</strong>fensiva,<br />

non ci sono effusioni verbali, <strong>il</strong> loro incontro è sim<strong>il</strong>e al cauto avvicinarsi <strong>di</strong> due animali.<br />

Cos’è che vedono? lo spirito che si avvolge ai loro pie<strong>di</strong> o è sospeso sulle loro teste, o, come<br />

nei quadri dell’antico Dürer, bisbiglia loro nell’orecchio? Ma perché, ci si chiede, questi spiriti<br />

dovrebbero apparire così orrib<strong>il</strong>i, quando proprio un momento fa abbiamo parlato <strong>di</strong> loro come <strong>di</strong><br />

creature <strong>di</strong>vine, sim<strong>il</strong>i al Cristo m<strong>il</strong>itante? E la risposta appare ovvia. Non può forse lo spirito<br />

assumere altrettante forme quante <strong>il</strong> corpo, altrettante forme quante la mente? Questi spiriti sono le<br />

molte anime della natura, inesorab<strong>il</strong>i verso <strong>il</strong> debole, ma obbe<strong>di</strong>enti a quelli che si sottomettono ad<br />

una <strong>di</strong>sciplina.<br />

Veniamo ora all’apparizione <strong>di</strong> Banquo durante la festa.<br />

Tutta la trage<strong>di</strong>a si incentra su questo punto, e trae origine la esso. È qui che vengono<br />

pronunciate le parole più terrib<strong>il</strong>i, è qui che si offre alla vista l’impressione più tremenda. E per<br />

giungere a questo momento con decoro, con intelligenza, vale a <strong>di</strong>re, artisticamente, le figure non<br />

devono passeggiare per terra nei primi due atti e poi improvvisamente mettersi a camminare sui<br />

trampoli nel terzo atto, perché allora una grande verità apparirebbe come un’enorme bugia, e lo<br />

spettro <strong>di</strong> Banquo come un nulla.<br />

Bisogna aprire la trage<strong>di</strong>a in un’atmosfera più elevata <strong>di</strong> quella in cui <strong>di</strong> solito brancoliamo,<br />

l’atmosfera del quoti<strong>di</strong>ano; perché qui siamo sul piano delle fantasie, sul piano <strong>di</strong> quella cosa<br />

stranamente <strong>di</strong>sprezzata che è l’immaginazione: su <strong>di</strong> un piano spirituale.<br />

Dovremmo esser coscienti che lo spirito vuol vedere la donna annientarsi da sé e non cedere<br />

all’influsso me<strong>di</strong>ante <strong>il</strong> quale egli la mette alla prova. Dovremmo vedere l’orrore che prova lo spirito<br />

nell’accorgersi del trionfo <strong>di</strong> questo suo influsso.<br />

Invece, <strong>di</strong> tutto questo sulla scena non si vede niente. Non sappiamo perché le streghe<br />

tormentano questi due in<strong>di</strong>vidui; abbiamo la sensazione che la cosa sia alquanto spiacevole. Ma non<br />

è questo <strong>il</strong> sentimento che dovrebbe sorgere in noi. Ve<strong>di</strong>amo gli spauracchi e i <strong>di</strong>avoletti del<br />

calderone, e i forconi, e le figure sim<strong>il</strong>i a zanzare dei pantomimi, ma non <strong>il</strong> Dio, lo Spirito, che<br />

dovremmo invece vedere; lo spirito bello, quel genio paziente e severo che chiede all’eroe <strong>di</strong> dare<br />

infine prova d’eroismo.<br />

I personaggi <strong>di</strong> Shakespeare spesso non sono che esseri deboli; Lady Macbeth è forse la più<br />

debole <strong>di</strong> tutti, e se questa è la bellezza del dramma - ed è grande senza dubbio - è bellezza morbosa,<br />

non bellezza suprema.<br />

Dopo aver letto <strong>di</strong> questi personaggi, restiamo abbandonati a noi stessi, alle nostre riflessioni,<br />

e ciascuno completerà le sue sensazioni entro <strong>il</strong> margine che Shakespeare ha lasciato al lettore. A chi<br />

legge è permessa una grande libertà, perché molte cose sono taciute, benché quasi tutto sia stato<br />

in<strong>di</strong>cato; per un cervello immaginoso questi spiriti sono chiaramente impliciti e, d’altro canto, da chi<br />

non ha fantasia i frutti dell’immaginazione son sempre bene accolti per <strong>di</strong>vorarli come Eva deve aver<br />

<strong>di</strong>vorato <strong>il</strong> frutto proibito.<br />

Perciò quando accade che un regista ha immaginazione, egli deve presentare al pubblico i<br />

frutti della sua fantasia.<br />

Ma guardate che materiale ingombrante gli vien messo davanti! Cosa può fare con della<br />

robaccia come gli scenari, i costumi, le figure in movimento che deve spingere qua e là e mettere sotto<br />

questa o quella luce? È forse materiale adatto per una cosa sott<strong>il</strong>e qual è l’immaginazione? Può anche<br />

127


darsi; forse non è peggio del marmo o dei materiali usati per costruire una cattedrale; forse tutto<br />

<strong>di</strong>pende dal modo in cui li si usa.<br />

Ebbene, ammesso ciò, <strong>il</strong> regista può tornare al suo materiale e scuotere via tutta la polvere<br />

accumulatasi, fino a risvegliarlo alla vita reale, vale a <strong>di</strong>re alla vita dell’immaginazione. Perché c’è una<br />

sola vita reale in arte, e questa è la vita dell’immaginazione. <strong>Il</strong> fantastico è <strong>il</strong> reale in arte, e in nessun<br />

dramma si può osservare la verità <strong>di</strong> questa affermazione meglio che nel Macbeth.<br />

Per certe persone è comodo <strong>di</strong>re che Shakespeare viveva in un’età stranamente superstiziosa<br />

e che traeva i suoi soggetti da un’epoca e da un paese imbevuti <strong>di</strong> superstizioni.<br />

Giusto cielo! ma è così strana l’idea <strong>di</strong> uno spettro, l’idea <strong>di</strong> uno spirito? Allora tutto<br />

Shakespeare è strano e innaturale e bisognerebbe dare in fretta alle fiamme la maggior parte delle sue<br />

opere, perché noi non vogliamo nulla che si possa chiamare strano e innaturale, nel secolo ventesimo.<br />

Noi vogliamo cose che si possano comprendere chiaramente, e questi drammi, come ci sono<br />

presentati sulla scena, non sono comprensib<strong>il</strong>i in modo chiaro: l’apparizione grottesca <strong>di</strong> un<br />

fantasma non è cosa molto intelligib<strong>il</strong>e, sebbene io creda che la reale presenza degli spiriti intorno a<br />

noi sia un fatto che ogni intelligenza me<strong>di</strong>a dovrebbe me<strong>di</strong>tare.<br />

Eppure come è possib<strong>il</strong>e mostrare in modo adeguato una tale idea se pren<strong>di</strong>amo come punto<br />

primario e centrale delle nostre considerazioni Macbeth e sua moglie, Banquo e <strong>il</strong> suo cavallo, i troni<br />

e le tavole, e lasciamo che queste cose ci impe<strong>di</strong>scano <strong>di</strong> intendere l’esito reale del dramma? Se non<br />

ve<strong>di</strong>amo questi spiriti prima <strong>di</strong> iniziare <strong>il</strong> nostro lavoro, dopo non li vedremo più. Credete forse che<br />

si possa vedere uno spirito <strong>di</strong>etro al sipario durante un intervallo? No, l’uomo che voglia<br />

rappresentare questi drammi come Shakespeare, forse, avrebbe voluto, deve inserirne ogni<br />

frammento in un senso <strong>di</strong> spiritualità; e per far questo deve evitare completamente quel che è<br />

materiale, semplice razionalità, o meglio ciò che rivela soltanto <strong>il</strong> proprio involucro materiale,<br />

altrimenti lo spettatore si troverebbe <strong>di</strong> fronte qualcosa <strong>di</strong> opaco e <strong>di</strong> impenetrab<strong>il</strong>e e dovrebbe<br />

tornare perciò a quel ritmo cadenzato che fluisce non solo nelle parole <strong>di</strong> Shakespeare, ma nel suo<br />

stesso respiro, nel sott<strong>il</strong>e aroma che fluttua intorno ai suoi drammi.<br />

Ma per concludere in modo più concreto.<br />

Se io dovessi insegnare a un giovane, che ci si voglia avventurare, come giungere<br />

all’interpretazione <strong>di</strong> cui abbiamo parlato, agirei nel modo seguente: lo condurrei attraverso ciascun<br />

brano del dramma, e da ogni atto, ogni scena, ogni pensiero, azione o suono, estrarrei uno spirito, lo<br />

spirito che è in esso. E sui volti degli attori, sui loro costumi e sulle scene, me<strong>di</strong>ante la luce, la linea, <strong>il</strong><br />

colore, <strong>il</strong> movimento, la voce ed ogni altro mezzo a nostra <strong>di</strong>sposizione, trasferirei alla scena<br />

incessantemente tutti quegli elementi atti a evocare la presenza <strong>di</strong> questi spiriti: in tal modo, quando<br />

durante la festa compare lo spettro <strong>di</strong> Banquo, lungi dal farci ridacchiare, esso apparirà ai nostri<br />

occhi logico e terrib<strong>il</strong>e; dovremmo trovarci in uno stato d’attesa così vivo, dovremmo essere immersi<br />

nell’atmosfera della sua venuta a tal punto da sentire la sua presenza anche prima <strong>di</strong> vederlo.<br />

Questa sarebbe l’acme naturale, la conclusione logica. E da quel momento fino alla fine della<br />

trage<strong>di</strong>a, farei sparire ad uno ad uno gli spiriti dai volti, dagli abiti, dagli scenari, finché nulla rimanga<br />

sulla scena fuorché <strong>il</strong> corpo <strong>di</strong> Macbeth, una manciata <strong>di</strong> cenere lasciata lungo <strong>il</strong> passaggio dal fuoco<br />

<strong>di</strong>struttore.<br />

In tal maniera verrebbe evitato <strong>il</strong> sentimento <strong>di</strong> scherno che l’apparizione <strong>di</strong> uno spettro fa<br />

sorgere in noi; e prima che <strong>il</strong> pubblico se ne renda conto, <strong>il</strong> mondo degli spiriti <strong>di</strong>verrebbe ancora una<br />

volta possib<strong>il</strong>e, le nostre menti sarebbero <strong>di</strong> nuovo pronte a ricevere la rivelazione dell’invisib<strong>il</strong>e; e<br />

sentiremmo la verità delle parole d’Amleto:<br />

"Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, <strong>di</strong> quante ci si sogni nella tua f<strong>il</strong>osofia”.<br />

1910.<br />

128


I drammi <strong>di</strong> Shakespeare<br />

Nel <strong>mio</strong> saggio sull’Arte del Teatro, pubblicato nel 1905, osai aderire all’opinione <strong>di</strong> coloro<br />

che ritengono che i drammi <strong>di</strong> Shakespeare siano stati scritti per <strong>il</strong> lettore, e non per la scena. Sembra<br />

che molte persone siano <strong>di</strong> questo avviso. Pure fu una sod<strong>di</strong>sfazione per me quando più tar<strong>di</strong> mi<br />

capitò <strong>di</strong> leggere, fra gli scritti <strong>di</strong> Goethe, queste ed altre affermazioni:<br />

"Shakespeare appartiene <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto alla storia della poesia; nella storia del <strong>teatro</strong> appare<br />

soltanto per caso”.<br />

"Tutto <strong>il</strong> modo che Shakespeare ha <strong>di</strong> condurre i suoi drammi ne rende, in certa misura,<br />

irrealizzab<strong>il</strong>e l’esecuzione sulla scena attuale”.<br />

"La ristrettezza stessa della scena gli impone delle limitazioni”.<br />

Goethe giunge a questa conclusione non all’inizio della sua vita, ma alla fine, dopo che la sua<br />

esperienza personale a <strong>teatro</strong> gli ha mostrato che letteratura e scena sono, e devono essere,<br />

in<strong>di</strong>pendenti l’una dall’altra 56 . Io rimango sempre della stessa opinione: che i drammi <strong>di</strong> Shakespeare<br />

non sono fatti per la scena, proprio perché io stesso lavoro in questo momento a parecchie<br />

rappresentazioni shakespeariane ed ho quin<strong>di</strong> occasione <strong>di</strong> passare in rassegna le varie "e<strong>di</strong>zioni”,<br />

come si usa chiamarle, del nostro autore, specialmente le e<strong>di</strong>zioni per la scena. Un fatto mi ha<br />

colpito: e cioè che la gente la quale sostiene che Shakespeare era un maestro d’arte teatrale taglia via<br />

dai suoi drammi versi, passi, anzi intere scene: e sono parole, brani e scene che, a detta loro, furono<br />

scritte per <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>.<br />

Dire che una cosa è perfetta e poi mut<strong>il</strong>arla è alquanto strano. Se un <strong>di</strong>rettore vuole tagliare un<br />

testo, <strong>di</strong>cendo che in tal modo esso sarà più comprensib<strong>il</strong>e al pubblico, è cosa ammissib<strong>il</strong>e, purché<br />

non <strong>di</strong>ca al tempo stesso che Shakespeare era un maestro perfetto <strong>di</strong> arte drammatica.<br />

Se mai ci fu un’arte per <strong>il</strong> popolo questa è <strong>il</strong> dramma, e se Shakespeare non è riuscito a farsi<br />

comprendere dalle folle <strong>di</strong> ogni epoca, <strong>il</strong> capocomico non migliorerà certo la situazione tagliando<br />

ampi brani del testo.<br />

Nell’Amleto <strong>di</strong> solito i <strong>di</strong>rettori tolgono quel lungo passo che comincia con: "Ora tutte le<br />

circostanze portano l’accusa contro <strong>di</strong> me" 57 , con <strong>il</strong> pretesto che “non aiuta <strong>il</strong> dramma”. È uno stato<br />

<strong>di</strong> cose tutt’affatto straor<strong>di</strong>nario, che i <strong>di</strong>rettori siano in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> <strong>di</strong>re quel che "aiuta o non<br />

aiuta" i drammi <strong>di</strong> Shakespeare, dopo che l’autore stesso ha preso al riguardo le sue decisioni.<br />

Tagliate <strong>il</strong> <strong>di</strong>alogo fra Ofelia e Amleto nell’atto III, scena II, quando egli giace ai pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> lei, e <strong>il</strong><br />

personaggio <strong>di</strong> Amleto sarà privato <strong>di</strong> gran parte della sua forza. Ofelia, invece <strong>di</strong> essere una donna<br />

intelligente, <strong>di</strong>venta una debuttante del primo periodo vittoriano, e Amleto, invece <strong>di</strong> essere un uomo<br />

del suo tempo ed evocare un’epoca che era qualcosa <strong>di</strong> più che un’epoca <strong>di</strong> belle maniere, <strong>di</strong>venta<br />

una specie <strong>di</strong> curato pre<strong>di</strong>catore. Naturalmente <strong>il</strong> censore potrà fare delle obiezioni a questo e ad altri<br />

brani <strong>di</strong> Shakespeare, nel qual caso avrebbe perfettamente ragione perché questi testi non sono stati<br />

scritti per le scene, bensì per essere letti. Ma se volete recitarli, recitateli per intero oppure non<br />

fatene niente 58 . Dire che l’omissione <strong>di</strong> un piccolo passo non nuoce ad una tale opera è ri<strong>di</strong>colo<br />

56 Ci sono però nei drammi <strong>di</strong> Shakespeare dei passi essenzialmente scenici e concepiti in funzione della scena: sono le<br />

parti lasciate all’improvvisazione, quelle stesse che inducono tanti a <strong>di</strong>re che questi drammi sono dei capolavori teatrali.<br />

Bisognerebbe riesaminare tutta l’opera <strong>di</strong> Shakespeare e separare in essa <strong>il</strong> testo letterario dalle improvvisazioni verbali<br />

degli attori. Bisognerebbe inoltre confrontare fra loro le <strong>di</strong>verse e<strong>di</strong>zioni: r<strong>il</strong>eggere Amleto nel testo del 1603 e in quello<br />

del 1604. <strong>Il</strong> primo è la trage<strong>di</strong>a rude e frusta destinata al popolo, <strong>il</strong> secondo l’opera rifinita alla perfezione, destinata ai<br />

lettori seduti in poltrona. [Brano aggiunto dall’Autore nell’e<strong>di</strong>zione francese.]<br />

Questa teoria è stata ripresa e più ampiamente sv<strong>il</strong>uppata da Craig nel suo volume The Theatre Advancing,<br />

Boston 1919 e Londra 1921, a proposito <strong>di</strong> Molto rumore per nulla. [N. d. T.]<br />

57 Amleto, atto IV, scena 4.<br />

58 “...Vedo con vivo piacere che posso senz’altro avallare l’opinione <strong>di</strong> Tieck, là dove egli mostra <strong>di</strong> essere un fiero<br />

<strong>di</strong>fensore dell’unità, dell’in<strong>di</strong>visib<strong>il</strong>ità e dell’inviolab<strong>il</strong>ità dei drammi <strong>di</strong> Shakespeare, ed insiste sul fatto che devono<br />

essere rappresentati integralmente, senza revisioni o mo<strong>di</strong>ficazioni <strong>di</strong> sorta”. Goethe.<br />

129


quanto <strong>il</strong> sostenere che <strong>il</strong> portar via una piccola parte <strong>di</strong> un corpo, soltanto un occhio, non danneggia<br />

l’intero in<strong>di</strong>viduo.<br />

Prendersi libertà del genere con i gran<strong>di</strong> drammi non è segno <strong>di</strong> civ<strong>il</strong>tà, anzi è estremamente<br />

barbaro. Un’altra argomentazione portata per giustificare questi tagli è che uno spettacolo non può<br />

durare più <strong>di</strong> un dato tempo. Ma <strong>il</strong> tempo non ha nulla a che fare con la rappresentazione: se è bella<br />

non ci interessa quanto dura; se è brutta è meglio tagliar corto. Perciò insistere sul fattore tempo<br />

significa solo che <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore ha paura che <strong>il</strong> lavoro sarà rappresentato male. Si può forse esser sazi <strong>di</strong><br />

una cosa bella? Allora è possib<strong>il</strong>e rappresentare un dramma <strong>di</strong> Shakespeare per intero in una sera,<br />

purché gli apparecchi per i cambiamenti <strong>di</strong> scena non siano così assurdamente complessi da<br />

richiedere venti minuti per atto, e purché gli attori non facciano delle pause troppo lunghe su ogni<br />

s<strong>il</strong>laba, ma esercitino i loro cervelli a pensare un pochino più in fretta. È questa <strong>di</strong>zione lenta dei<br />

versi <strong>di</strong> Shakespeare che lo ha reso noioso a tanta gente. Nei drammi <strong>di</strong> Shakespeare ci sono delle<br />

scene appassionate oltremodo stupende, più ardenti <strong>di</strong> quelle del <strong>teatro</strong> italiano, eppure noi le<br />

annacquiamo e le strascichiamo e poi restiamo sorpresi quando un Giovanni Grasso viene in<br />

Ingh<strong>il</strong>terra e ci mostra come dovremmo parlare, recitare e rivelare la subitaneità ed <strong>il</strong> furore della<br />

passione. Sembra che noi ci scor<strong>di</strong>amo che la passione è una specie <strong>di</strong> follia, la riduciamo a un<br />

atteggiamento logico e la esprimiamo con la voce del giu<strong>di</strong>ce o del matematico: l’impressione è che si<br />

stia facendo un’operazione d’aritmetica. Così, sulle nostre scene, è un bottegaio, non Otello, che sta<br />

strangolando Desdemona. Gli attori inglesi <strong>di</strong> temperamento non potranno sentirsi in pace con se<br />

stessi finché non si saranno svegliati e avranno spazzato via dalla scena e dal <strong>teatro</strong> tutti questi attori<br />

impassib<strong>il</strong>i e in<strong>di</strong>gesti.<br />

Fatto questo, i drammi <strong>di</strong> Shakespeare verranno interpretati come si dovrebbe? No, non<br />

credo. Neppure se gli attori più bravi e <strong>di</strong> maggior temperamento del mondo intero si riunissero per<br />

cercare <strong>di</strong> recitare l’Amleto ne potrebbero dare un’interpretazione corretta, perché temo che<br />

rappresentare bene Amleto sia impossib<strong>il</strong>e.<br />

1908.<br />

Nota. Da quando ho scritto questo saggio, e dalla prima pubblicazione <strong>di</strong> questo libro nel 1911, ho<br />

cercato io stesso <strong>di</strong> mettere in scena Amleto - l’Amleto <strong>di</strong> Shakespeare - a Mosca. Perché ho cercato<br />

<strong>di</strong> farlo, sapendo che la cosa era impossib<strong>il</strong>e? Per molte ragioni: volevo rafforzarmi nella mia<br />

opinione; volevo che la gente si rendesse conto della verità, volevo anche affrontare le critiche, e<br />

volevo esercitare le mie qualità <strong>di</strong> regista (perché da parecchi anni non mettevo in scena un lavoro).<br />

E inoltre desideravo fare quel che i miei amici mi chiedevano.<br />

Son rimasto sod<strong>di</strong>sfatto? Sì. Ora sono più che mai convinto che i drammi <strong>di</strong> Shakespeare<br />

non sono recitab<strong>il</strong>i - che sulla scena sono una noia - ma anche che la folla non ama niente più che<br />

una buona confusione <strong>di</strong> princìpi a <strong>teatro</strong>, come la ama in architettura e in musica. Se chiedete se <strong>il</strong><br />

Teatro d’Arte <strong>di</strong> Mosca ha svolto bene <strong>il</strong> suo compito, vi <strong>di</strong>rò: molto, molto bene; quanto però ad<br />

attenersi fedelmente ai princìpi che governano la nostra arte... non è proprio <strong>il</strong> caso <strong>di</strong> parlarne. Se<br />

avesse rispettato questi princìpi avrebbe chiuso le porte tre anni or sono, quando io spiegai ai suoi<br />

impresari che questa era l’unica strada giusta che gli restava. Ciononostante è pur sempre <strong>il</strong> primo<br />

<strong>teatro</strong> d’Europa: regna nell’Inferno.<br />

1912.<br />

130


<strong>Il</strong> Realismo e l’attore<br />

Mi chiedete se io ritengo che <strong>il</strong> Realismo nella recitazione sia un modo sincero <strong>di</strong><br />

rappresentare la natura umana. Lo attestano gli scrittori e i pittori moderni me<strong>di</strong>ante quel che<br />

scrivono o <strong>di</strong>pingono, e con <strong>il</strong> modo in cui lo fanno. Proprio perché i realisti si sforzano <strong>di</strong><br />

rappresentare sinceramente la Natura (usando <strong>di</strong> una schiettezza che chiamano verità, e che<br />

generalmente sconfina nella brutalità), e perché questa sincerità non è <strong>il</strong> frutto o <strong>il</strong> fiore <strong>di</strong> una nuova<br />

pianta, ma soltanto la ra<strong>di</strong>ce, io credo che mai l’attore pretenderà <strong>di</strong> avere la stessa libertà degli<br />

scrittori o dei pittori <strong>di</strong> oggi, sì da poter fare “la presentazione contraffatta” <strong>di</strong> queste brutalità con<br />

tutta la cura possib<strong>il</strong>e dei particolari.<br />

Non riesco a ricordare alcun attore così privo d’intelligenza da voler presentare in tutta la sua<br />

crudezza <strong>il</strong> momento della morte come i realisti moderni lo hanno <strong>di</strong>pinto o descritto nelle loro<br />

opere, o quello dell’amore, come è espresso da questi stessi maestri sinceri e terrib<strong>il</strong>mente ciechi.<br />

I realisti vi <strong>di</strong>ranno che a loro non interessa tanto <strong>il</strong> soggetto in se stesso, quanto <strong>il</strong> modo in<br />

cui lo trattano. Se è così, allora è un fatto davvero straor<strong>di</strong>nario che i realisti si interessino soltanto a<br />

cose deformi o brutali, e proprio a quelle che gli idealisti si son sempre dati cura <strong>di</strong> velare.<br />

La domanda che avete <strong>di</strong>menticato <strong>di</strong> rivolgermi è se <strong>il</strong> pubblico permetterebbe mai all’attore<br />

<strong>di</strong> rivelare quegli stessi sentimenti e casi che tanto gli scrittori idealisti quanto quelli realisti hanno<br />

<strong>di</strong>ritto, in un modo o nell’altro, <strong>di</strong> esprimere.<br />

Qual è la <strong>di</strong>fferenza che intercorre fra pittura, parola e realtà viva e palpitante? Anche <strong>il</strong><br />

pubblico che siede a <strong>teatro</strong> la percepisce e perciò si rifiuta <strong>di</strong> permettere che l’attore riveli quel che a<br />

M<strong>il</strong>ton e a Rabelais concede <strong>di</strong> svelare. Quin<strong>di</strong> come ci può essere ombra <strong>di</strong> dubbio sul fatto che non<br />

solo all’attore non dovrebbe esser permessa la stessa libertà dello scrittore o del pittore, ma che <strong>di</strong><br />

fatto tale libertà non gli è concessa?<br />

<strong>Il</strong> Realismo è un modo d’esprimersi volgare, buono per i ciechi. Ecco <strong>il</strong> chiaroveggente che<br />

canta: "Bellezza è Verità, Verità Bellezza - questo è tutto ciò che al mondo si può sapere, tutto ciò<br />

che è necessario sapere”. <strong>Il</strong> cieco gracchia: “Bellezza è Realismo, Realismo Bellezza - questo è tutto<br />

quel che so al mondo, tutto quel che mi interessa sapere!”<br />

La <strong>di</strong>fferenza è tutta una questione <strong>di</strong> amore. Chi ama <strong>il</strong> mondo vede la bellezza ovunque: è<br />

un Dio che rende complete con la conoscenza le cose incomplete. Guarisce gli storpi e i malati,<br />

infonde coraggio agli stanchi, e giunge anche a ridare la vista ai ciechi. Questo è <strong>il</strong> potere che ha<br />

sempre avuto l’Artista, colui che, a <strong>mio</strong> avviso, <strong>di</strong>rige <strong>il</strong> mondo. Probab<strong>il</strong>mente <strong>il</strong> Realismo può<br />

andare a genio al pubblico in un dato periodo, e in un altro no. Al pubblico non interessa la ricerca<br />

della conoscenza e neppure della saggezza, questo semplice atomo quoti<strong>di</strong>ano <strong>di</strong> verità, che rimane,<br />

non veduto, dovunque, eternamente. Al pubblico interessa la conquista del denaro, e, col denaro, <strong>di</strong><br />

quella greve e brutale capacità <strong>di</strong> vendetta che esso comporta: la capacità <strong>di</strong> dare come una dama una<br />

stretta <strong>di</strong> mano quando un bacio è troppo poco; la capacità <strong>di</strong> dare, con l’aria da gran signore, <strong>di</strong>eci<br />

sterline un “povero <strong>di</strong>avolo”, un po’ <strong>di</strong> carità, là dove solo l’amore potrebbe bastare. Fino a quando<br />

<strong>il</strong> pubblico sarà composto da questa categoria <strong>di</strong> gente mostruosamente me<strong>di</strong>ocre, che scambia la<br />

metà o i tre quarti per <strong>il</strong> tutto, esso amerà <strong>il</strong> Realismo, che non è altro, per l’artista, se non misura<br />

scarsa, meschinità.<br />

In ogni modo, i frequentatori del <strong>teatro</strong> non hanno <strong>di</strong> che preoccuparsi; non c’è motivo perché<br />

si sentano depressi; che siano furiosi, va bene, ma depressi? Non ce n’è davvero ragione: poiché quel<br />

numero limitato <strong>di</strong> spettatori che amano la Bellezza e detestano <strong>il</strong> Realismo è solo una piccola<br />

minoranza <strong>di</strong> circa sei m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> anime. Sono <strong>di</strong>spersi qua e là per <strong>il</strong> mondo. Vanno <strong>di</strong> rado, se pure ci<br />

vanno, al <strong>teatro</strong> moderno.<br />

131


Per questo li amo, e voglio unirmi ad essi.<br />

Forte dei Marmi, 1908.<br />

132


I teatri all’aperto<br />

Mi sembra che <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> abbia aspirato quasi sempre ad essere “naturale”, che autori, attori e<br />

scenografi si siano sforzati quasi sempre <strong>di</strong> evitare la "teatralità”. Persino nel secolo <strong>di</strong>ciottesimo,<br />

un’età in cui la maggior parte delle cose si ammantava <strong>di</strong> un’artificiosità sontuosa, luccicante <strong>di</strong><br />

argento dorato, appare un maestro che tenta <strong>di</strong> riportare tutto al "naturale"; eppure, oggi le<br />

comme<strong>di</strong>e <strong>di</strong> Molière ci sembrano tutt’altro che naturali e <strong>il</strong> loro sistema antiquato <strong>di</strong><br />

rappresentazione ci colpisce proprio in quanto artificioso.<br />

Non per uno, ma per svariati secoli gli uomini hanno portato in trionfo i loro autori migliori,<br />

perché erano più “naturali” degli altri. Eppure i drammi <strong>di</strong> Shakespeare non ci fanno più l’effetto <strong>di</strong><br />

drammi “naturali”; persino Robertson e i suoi Caste e Ours, che erano considerati naturalissimi<br />

pochi anni fa, e <strong>il</strong> loro modo <strong>di</strong> rappresentazione quanto mai aderente alla vita, ci appaiono oggi<br />

antiquati e artificiosi.<br />

Alcuni si spingono fino al punto <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che sono <strong>di</strong>ventati artificiosi i primi lavori <strong>di</strong> Arthur<br />

Pinero e gli ultimi <strong>di</strong> Shaw.<br />

Lo stesso vale per la decorazione delle scene. Cent’anni fa Clarkson Stanfield <strong>di</strong>pingeva in<br />

Ingh<strong>il</strong>terra degli scenari che sbalor<strong>di</strong>vano i critici per <strong>il</strong> loro aspetto “naturale”, e questo anche dopo<br />

aver conosciuto l’opera <strong>di</strong> de Loutherbourg; ma ben presto Stanfield fu considerato non naturale,<br />

perché Telbin <strong>il</strong> Vecchio offrì qualcosa che, secondo loro, era la Natura stessa; non avevano finito <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>rlo che già si rimangiavano le proprie parole, voltavano la schiena a Telbin, e scoprivano la vera<br />

Natura in Hawes Craven, solo per mettere anche lui in <strong>di</strong>sparte poco dopo e sostituirlo con Harker<br />

che "finalmente ci dà, <strong>di</strong>pingendo, l’immagine della Natura”.<br />

Le cose non vanno meglio quando si tratta della recitazione. I Kemble col loro st<strong>il</strong>e<br />

superbamente artificioso dovevano cedere <strong>il</strong> posto a Edmund Kean, a cui trent’anni dopo veniva<br />

negata ogni naturalezza; non era forse “più naturale” Macready? Nello spazio <strong>di</strong> pochi anni tutti<br />

questi attori ci apparvero affettati e artificiosi, quando fece la sua comparsa Henry Irving.<br />

Oggigiorno parliamo dell’artificiosità <strong>di</strong> Irving, mettendola a confronto con la recitazione naturale <strong>di</strong><br />

Antoine. “È la Natura in persona”, gridano i critici, e fra non molto la recitazione naturale <strong>di</strong> Antoine<br />

<strong>di</strong>venterà mero artificio in confronto a quella <strong>di</strong> Stanislavskij.<br />

Allora, sono queste tutte manifestazioni <strong>di</strong> una medesima “Natura”?<br />

Secondo me, prese una per una e tutte assieme, sono né più né meno che altrettanti aspetti <strong>di</strong><br />

una nuova artificiosità, quella del naturalismo.<br />

Drammaturghi, attori, artisti della scena, sono vittime <strong>di</strong> un sort<strong>il</strong>egio - vi ricordate la storia<br />

della Bella Addormentata? - e bisogna rompere l’incantesimo perché si risveglino. Romperlo sarà al<br />

tempo stesso molto <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e e molto fac<strong>il</strong>e, molto <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e per coloro che sono nati per dormire;<br />

molto fac<strong>il</strong>e per chi è nato per essere sveglio; ma è assolutamente certo che, finché l’incanto non sarà<br />

rotto, completamente e ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>strutto, tutti i lavori, le recitazioni e le scene d’Europa sono e<br />

continueranno ad essere teatrali 59 .<br />

Non credo sia giunto <strong>il</strong> momento <strong>di</strong> darvi un’in<strong>di</strong>cazione sul modo <strong>di</strong> rompere questo<br />

incantesimo che grava sul <strong>teatro</strong> europeo. D’altronde, <strong>il</strong> <strong>mio</strong> intento qui è <strong>di</strong> porre un problema, non<br />

<strong>di</strong> dare una risposta. Si potrebbe r<strong>il</strong>evare che vi ho posto <strong>il</strong> problema, senza tenere alcun conto <strong>di</strong><br />

59 Bisogna riconoscere qui che c’è un certo fascino (ed è l’essenza stessa e <strong>il</strong> riflesso <strong>di</strong> quel Mondo fantastico che ci<br />

colpisce nei Libri...) nella leggiadra o pavoneggiante artificiosità del “Teatrale”. La gran parte <strong>di</strong> noi ama <strong>il</strong><br />

<strong>di</strong>vertimento della finzione, ammira la festosità degli orpelli, la cipria e <strong>il</strong> rossetto; ma tutti noi uomini <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> - a<br />

cominciare dal primo attore del regno fino all’ultimo buttafuori <strong>di</strong> provincia - aneliamo con tutto <strong>il</strong> cuore a questo: che<br />

lo spirito della Natura, nella sua interezza, s’impossessi <strong>di</strong> questa nostra casa che amiamo.<br />

133


quel che si <strong>di</strong>ce <strong>il</strong> suo “lato pratico”, e che le risposte devono venir formulate con lo stesso spirito.<br />

C’è sempre nell’uomo un desiderio più che naturale (che nasce da una sana prudenza) <strong>di</strong> mantenere<br />

le cose su <strong>di</strong> un piano pratico, e quando <strong>di</strong>scutiamo <strong>di</strong> questioni economiche o igieniche conviene<br />

essere pratici quanto più è possib<strong>il</strong>e.<br />

Ma quando <strong>il</strong> problema ci pone al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> questo contesto, quando <strong>di</strong>scutiamo <strong>di</strong> cose che<br />

provengono dallo spirito, come le arti e la f<strong>il</strong>osofia, faremo bene a considerarle nella maniera ideale<br />

che ad esse si ad<strong>di</strong>ce; più tar<strong>di</strong> potremo ritornare sulla terra e tentare <strong>di</strong> tradurle in simboli. <strong>Il</strong><br />

problema che pongo è questo: ritenete che <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> all’aperto sia <strong>il</strong> luogo adatto per presentare al<br />

pubblico quella che noi chiamiamo l’Arte del Teatro, o vi pare che sia più idoneo <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> coperto? <strong>Il</strong><br />

primo vi offre delle con<strong>di</strong>zioni naturali, <strong>il</strong> secondo delle con<strong>di</strong>zioni artificiali.<br />

1909.<br />

134


<strong>Il</strong> simbolismo<br />

"È per mezzo dei Simboli che l’uomo, consapevolmente o<br />

inconsciamente, vive, lavora ed ha un suo modo d’essere:<br />

più nob<strong>il</strong>i poi sono ritenute quelle età che hanno meglio<br />

compreso <strong>il</strong> valore del Simbolo, e più l’hanno apprezzato.”<br />

Carlyle<br />

<strong>Il</strong> simbolismo 60 è realmente più adatto; è sensato, ben or<strong>di</strong>nato ed è impiegato<br />

universalmente. Non lo si può <strong>di</strong>re teatrale, se per teatrale si intende qualcosa <strong>di</strong> vistoso, pure è<br />

l’essenza vera e propria del <strong>teatro</strong>, se vogliamo includere l’Arte del Teatro fra le arti superiori.<br />

<strong>Il</strong> simbolismo non è qualcosa <strong>di</strong> cui si debba aver paura, è la delicatezza stessa; è compreso<br />

fac<strong>il</strong>mente tanto dal conta<strong>di</strong>no o dal marinaio quanto dai re o dagli uomini d’alto rango. Alcuni<br />

temono <strong>il</strong> simbolismo, ma è <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e scoprire perché, e questi tali a volte si offendono e vogliono far<br />

credere che la ragione per cui non amano <strong>il</strong> simbolismo è che in esso c’è qualcosa <strong>di</strong> morboso e <strong>di</strong><br />

nocivo. “Viviamo in un’epoca realistica", è la scusa che mettono avanti. Ma non sanno spiegare<br />

come mai essi stessi siano costretti a servirsi <strong>di</strong> simboli per negarli, né come mai per tutta la vita<br />

abbiano fatto uso proprio <strong>di</strong> questa cosa che trovano tanto incomprensib<strong>il</strong>e.<br />

Perché <strong>il</strong> simbolismo è alle ra<strong>di</strong>ci non soltanto <strong>di</strong> ogni arte, ma <strong>di</strong> ogni vita, è solo per mezzo<br />

dei simboli che la vita <strong>di</strong>viene possib<strong>il</strong>e; li adoperiamo sempre.<br />

Le lettere dell’alfabeto sono simboli, usati quoti<strong>di</strong>anamente dai popoli civ<strong>il</strong>i. I numeri sono<br />

simboli, e la chimica e la matematica li adoperano. Tutte le monete del mondo sono simboli, e gli<br />

uomini d’affari ne hanno fiducia. La corona e lo scettro dei re e la tiara dei papi sono simboli. Le<br />

opere dei poeti e dei pittori, degli architetti e degli scultori, sono piene <strong>di</strong> simbolismo; i cinesi, gli<br />

egizi, i greci, i romani e gli artisti moderni dall’età <strong>di</strong> Costantino hanno compreso e apprezzato nel<br />

suo valore <strong>il</strong> simbolo. La musica <strong>di</strong>viene intelligib<strong>il</strong>e solo me<strong>di</strong>ante l’impiego dei simboli, ed è<br />

simbolica nella sua essenza. Tutte le forme <strong>di</strong> saluto e <strong>di</strong> congedo sono simboliche, e si servono dei<br />

simboli, e l’estremo atto <strong>di</strong> pietà verso i nostri morti è <strong>di</strong> erigere un simbolo sopra <strong>di</strong> essi.<br />

Credo che nessuno debba mai biasimare <strong>il</strong> simbolismo, né temerlo.<br />

1910.<br />

60 “Simbolismo: un uso sistematico <strong>di</strong> simboli; un simbolo; un segno visib<strong>il</strong>e <strong>di</strong> un’idea”. Webster.<br />

135


Lo squisito e <strong>il</strong> prezioso<br />

I porci non apprezzano le perle. Questo è ormai un fatto universalmente riconosciuto che<br />

trova d’accordo la maggior parte della gente.<br />

La maggior parte della gente che noi conosciamo apprezza certamente le perle; perciò si può<br />

<strong>di</strong>re che i più apprezzano ciò che è al tempo stesso squisito e prezioso.<br />

Non mi interessa se le perle vengono apprezzate per la loro rarità e per <strong>il</strong> loro prezzo - tanto<br />

meglio - o per la loro bellezza. L’una ragione come l’altra è buona, dal momento che <strong>il</strong> risultato è<br />

sempre lo stesso: le perle suscitano meraviglia ed eccitazione, vengono <strong>di</strong> certo maneggiate con<br />

delicatezza, e chi le porta probab<strong>il</strong>mente avrà un aspetto più affascinante. Così ve<strong>di</strong>amo che ad<br />

essere vicini a ciò che è prezioso e squisito si <strong>di</strong>viene più squisiti, più preziosi noi stessi.<br />

È un vero peccato che <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> non sia né squisito né prezioso.<br />

Io vorrei, al posto <strong>di</strong> espressioni violente <strong>di</strong> violente emozioni ed idee, più squisite<br />

espressioni <strong>di</strong> più preziose emozioni ed idee.<br />

Al posto dei materiali volgari, quali la prosa, le grossolane tavole <strong>di</strong> legno, le tele <strong>di</strong>pinte, la<br />

cartapesta e la polvere, mi piacerebbe adoperare materiali più preziosi: la Poesia, o ancora <strong>il</strong> S<strong>il</strong>enzio,<br />

tanto più prezioso - l’ebano e l’avorio, l’argento e l’oro, e legni pregiati d’alberi rari, sete squisite <strong>di</strong><br />

colori inusitati, marmo e alabastro - e belle intelligenze.<br />

<strong>Il</strong> pubblico non è così sciocco: non valuterà un pezzo <strong>di</strong> carbone più <strong>di</strong> un <strong>di</strong>amante; preferirà<br />

sempre la seta e l’avorio al legno e alla tela. <strong>Il</strong> critico che neghi ciò non è che un ven<strong>di</strong>tore <strong>di</strong> fumo.<br />

Per questo, signori, vi chiedo <strong>di</strong> considerare <strong>il</strong> giglio falso del <strong>teatro</strong> e <strong>di</strong> paragonarlo a quelle<br />

specie più preziose, i gigli <strong>di</strong> campo.<br />

E ringraziandovi per le vostre critiche passate, vi chiedo <strong>di</strong> fare con equità la critica del<br />

materiale presente del <strong>teatro</strong> moderno. Così facendo, anche se sarete indulgenti, risveglierete in noi<br />

tutti una con<strong>di</strong>zione assai vicina all’ira più squisita; ma farete onore al <strong>teatro</strong>, l’onore <strong>di</strong> credere che<br />

esso è ancora degno <strong>di</strong> una nob<strong>il</strong>e critica, ancora meritevole <strong>di</strong> un giu<strong>di</strong>zio basato sui suoi dati<br />

essenziali, e non soltanto su fatti marginali.<br />

Se una pianta <strong>di</strong> fico producesse car<strong>di</strong>, critichereste i suoi frutti spinosi? Perdereste <strong>il</strong> vostro<br />

tempo a protestare contro la qualità dei car<strong>di</strong>, a farne una descrizione negativa e a chiederne <strong>di</strong><br />

migliori?<br />

E allora perché criticate i falsi prodotti della nostra nob<strong>il</strong>e arte?<br />

Vi prego <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are la natura dell’Arte del Teatro, in modo che col vostro aiuto si scopra<br />

ancora una volta che i suoi fiori e i suoi frutti sono squisiti e preziosi.<br />

1910.<br />

136


Per un nuovo <strong>teatro</strong><br />

Disegni per scene teatrali<br />

con note critiche dell’inventore Edward Gordon Craig<br />

Roma non fu costruita<br />

in un sol giorno<br />

Agli<br />

ITALIANI<br />

con rispetto, affetto, e gratitu<strong>di</strong>ne;<br />

ai loro vecchi e nuovi attori,<br />

sempre i migliori d’Europa,<br />

i <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> questo libro<br />

sono de<strong>di</strong>cati<br />

137


Sulla verità e l’errore<br />

La verità ha sempre bisogno <strong>di</strong> essere ripetuta, perché l’errore è<br />

pre<strong>di</strong>cato continuamente e incessantemente, e non solo da voci<br />

isolate, ma dalla moltitu<strong>di</strong>ne. Nei giornali, nelle enciclope<strong>di</strong>e, nelle<br />

scuole e nelle università, ovunque l’errore ha <strong>il</strong> posto d’onore; è a<br />

suo agio con la maggioranza che ne assume la <strong>di</strong>fesa.<br />

Goethe, Conversazioni con Eckermann, 1822-1832.<br />

138


I<br />

C’è ancora molto da spiegare sul <strong>teatro</strong> 61 , e sull’Arte del Teatro, a quanto sembra, prima che<br />

<strong>il</strong> mondo abbia delle idee chiare in proposito.<br />

Quando si in<strong>di</strong>ca una nuova <strong>di</strong>rezione, si corre sempre un gran pericolo, perfino se si in<strong>di</strong>ca<br />

un oggetto fam<strong>il</strong>iare; tanto maggiore poi è <strong>il</strong> pericolo se l’oggetto ci è estraneo. La gente si mette a<br />

gridare "Dov’è, dov’è” ed è felice quando posa lo sguardo sulla prima cosa che capita. Tutto sta a<br />

riuscire a vedere in lontananza e nei minimi particolari.<br />

Per esempio, se in<strong>di</strong>co una montagna molto <strong>di</strong>stante, un bambino seduto nel prato leverà gli<br />

occhi a guardare gli alti f<strong>il</strong>i d’erba che gli stanno davanti al naso e applicherà ciò che mi sente <strong>di</strong>re<br />

sulla <strong>di</strong>stanza alle punte <strong>di</strong> quei f<strong>il</strong>i d’erba. Una donna vicino a me, invece <strong>di</strong> guardare nella <strong>di</strong>rezione<br />

in<strong>di</strong>cata, probab<strong>il</strong>mente si metterà a guardare me. Un uomo invece si sforzerà <strong>di</strong> guardare più lontano<br />

possib<strong>il</strong>e. Ma scommetto che <strong>il</strong> suo sguardo sarà attratto da un oggetto lontano un centinaio <strong>di</strong> metri,<br />

o anche un migliaio, o magari da un uccello che spicca <strong>il</strong> volo da un cespuglio e si allontana<br />

volteggiando. Ed ecco sparito ogni interesse per la montagna. Può darsi anche che scambi un castello<br />

su una collina per una montagna, mentre qualcuno, dopo aver scrutato attentamente l’orizzonte,<br />

potrebbe ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong>re che la montagna non esiste.<br />

Ciò che sto in<strong>di</strong>cando è una montagna, un altopiano: è la montagna del Teatro. Se fosse<br />

qualcos’altro la chiamerei con un altro nome. Ma per ora non mi viene in mente nessun altro nome<br />

appropriato. Continuiamola quin<strong>di</strong> a chiamare Teatro, e vi prego <strong>di</strong> credermi se vi <strong>di</strong>co che è una<br />

montagna, non è una collina, né un gruppo <strong>di</strong> colline, né un miraggio <strong>di</strong> colline: è la montagna più<br />

grande che abbia mai visto. Nessuno finora è riuscito a scalarne le vette: è evidente che la montagna<br />

nasconde qualcosa <strong>di</strong> molto strano. Se fosse stata fac<strong>il</strong>mente accessib<strong>il</strong>e, sarebbe stata scalata da<br />

tutte le parti; non vi sembra dunque che c’è qualcosa <strong>di</strong> strano? La gente ci ha girovagato intorno per<br />

migliaia <strong>di</strong> anni e nessuno è mai arrivato sulla vetta, e molti non vogliono nemmeno credere che abbia<br />

una vetta, ma io che l’ho vista desidero contrad<strong>di</strong>rli con tutte le mie forze. Ho veduto la vetta da<br />

lontano: ed è più bella del Fuji-iama.<br />

Mi sento attratto da questa montagna e penso <strong>di</strong> essermici avvicinato un po’ da quando,<br />

venticinque anni fa, mi son messo in cammino.<br />

Lungo <strong>il</strong> viaggio ho incontrato gente stranissima, ho incontrato persone che tornavano al<br />

punto da cui io ero partito, e nel passarmi davanti mi <strong>di</strong>cevano che andavano verso la montagna.<br />

Alcuni, che le voltavano le spalle, asserivano <strong>di</strong> esserci appena stati ma che "tutto sommato, non era<br />

poi un gran che”. Avevano un’aria delusa. Altri me la descrivevano così: "è alta esattamente<br />

seim<strong>il</strong>acinquantadue pie<strong>di</strong> e mezzo; è un vulcano spento, e la classe me<strong>di</strong>a ne occupa la sommità. <strong>Il</strong><br />

clima è molto secco; <strong>il</strong> commercio <strong>di</strong> ceneri è molto attivo"; ma avevano sbagliato montagna. Altri che<br />

giurano <strong>di</strong> esserci stati <strong>di</strong>cono che è retta dalle donne e... ma <strong>il</strong> seguito è troppo ri<strong>di</strong>colo.<br />

Ora, tutto ciò va benissimo per le cronache dei giornali ma non corrisponde alla verità.<br />

Nessuno ha scalato la vetta; nessuno può quin<strong>di</strong> riferire notizie esatte. Ognuno mente, perché<br />

ognuno parla d’una cosa <strong>di</strong>versa.<br />

Io non mento. Non vi <strong>di</strong>co <strong>di</strong> aver scoperto <strong>il</strong> luogo esatto: <strong>di</strong>co solo che ci sto andando. Non<br />

vi <strong>di</strong>co che sto andando verso un nuovo tempio, perché anche questa sarebbe una bugia. Sto andando<br />

verso un nuovo Teatro, e questo libro è un <strong>mio</strong> contributo per <strong>il</strong> nuovo Teatro. Tutto quello che ho<br />

messo nel libro, l’ho già lasciato alle spalle. L’ho trovato in pianura, nemmeno sui primi pen<strong>di</strong>i, e<br />

61 Teatro. Secondo <strong>il</strong> professor Skeat, è una parola francese, derivante dal latino; la parola latina deriva a sua volta dal<br />

greco. Francese me<strong>di</strong>oevale, theatre: Cotgrave’s Dictionary ed. 1660. Dal latino Theatrum, che viene dal greco<br />

θεατρον, luogo <strong>di</strong> spettacoli, da θεαοµαι: vedo. Cfr. θεα: una vista; cfr. Prellwitz. Nota: non una parola sul fatto<br />

che si tratta <strong>di</strong> un luogo dove si ascoltano blaterare 30.000 parole in due ore.<br />

139


perciò non è <strong>il</strong> caso che vi eccitiate per qualche piccola scoperta, perché ora ci aspettano scoperte<br />

più importanti, e infine le gran<strong>di</strong> scoperte.<br />

Ci saranno molti teatri prima del Teatro, proprio come ci sono tanti altipiani su una<br />

montagna. Per questo ho intitolato <strong>il</strong> libro “Per un nuovo Teatro" e non "Verso <strong>il</strong> nuovo Teatro”.<br />

Se avessi parlato del nuovo Teatro, alcuni <strong>di</strong> voi avrebbero pensato al nuovo <strong>teatro</strong> che sarà<br />

aperto fra tre o quattro anni, e siccome scrivo in inglese, avreste sicuramente pensato che alludessi al<br />

nuovo <strong>teatro</strong> inglese, e vi sareste detti “II <strong>teatro</strong> inglese è <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>”. La prima cosa che devono fare gli<br />

inglesi è togliersi <strong>di</strong> testa la convinzione che <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> esiste solo in Ingh<strong>il</strong>terra, e ricordarsi che c’è un<br />

<strong>teatro</strong> in Francia, uno in Germania, ci sono teatri in Russia, in Italia, in Spagna, in Ungheria, in<br />

Svezia, in Norvegia e Danimarca e perfino in Svizzera e in Finlan<strong>di</strong>a e non penso così <strong>di</strong> aver<br />

elencato tutti i teatri, perché esiste un <strong>teatro</strong> al <strong>di</strong> là del Caucaso, un <strong>teatro</strong> in Oriente, e un <strong>teatro</strong><br />

perfino in America e in Africa.<br />

A quali <strong>di</strong> questi teatri è rivolto <strong>il</strong> <strong>mio</strong> contributo? A nessuno <strong>di</strong> loro: c’è un altro nuovo Teatro<br />

che sta sorgendo e a esso offro <strong>il</strong> <strong>mio</strong> libro. Non lo offro come fosse pane <strong>di</strong> cui nutrirsi, ma solo<br />

come semplice avvertimento. Non c’è niente in questo libro che possa avere un’ut<strong>il</strong>ità pratica, a<br />

parte l’avvertimento in sé; e per carità verso voi stessi e verso <strong>il</strong> Teatro ideale, non saltate addosso al<br />

libro nella speranza <strong>di</strong> cavarne qualcosa 62 che possa avere un’ut<strong>il</strong>ità pratica imme<strong>di</strong>ata, o con la<br />

convinzione che vi porti più vicino al vostro ideale (al più potrebbe portarvi 10.000 sterline all’anno,<br />

se avrete ben lavorato - ma non sarebbe affatto pratico, a <strong>mio</strong> avviso, perché le 10.000 sterline sono<br />

sì e no <strong>il</strong> valore <strong>di</strong> una canzone - e bisognerebbe imparare a rifiutare tali somme meschine, se si ha<br />

una concezione seria dei gran<strong>di</strong> ideali dell’Arte).<br />

Come ho già detto, in questo libro ho scritto quello che ho già lasciato alle spalle. Dateci<br />

un’occhiata, se volete rendetegli <strong>il</strong> dovuto omaggio, provando spavento e traendone d<strong>il</strong>etto, spero.è<br />

In <strong>teatro</strong> c’è sempre un matto <strong>di</strong> tipo particolare che gent<strong>il</strong>mente si chiede: “perché non<br />

dovrei usare un’idea se è buona?”. Così <strong>di</strong> certo ci sarà qualcuno che, adocchiando un’<strong>il</strong>lustrazione<br />

del libro, penserà “Questa sì che è una buona idea. Cosa mi impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> rubarla?”. Vero è che può<br />

arrivare perfino ad aggiungere (ma è molto improbab<strong>il</strong>e): “Beninteso, menzionerò pubblicamente, nel<br />

programma, o dove che sia, la fonte da cui l’ho presa”. I matti <strong>di</strong> questa specie non si accorgono che<br />

agendo così indeboliscono se stessi e <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> che si presume servano con intelligenza. Ecco perché<br />

raccomando a voi e a loro <strong>di</strong> temere l’influsso del <strong>mio</strong> libro.<br />

A entrambi suggerisco (nel caso trovaste delle idee che vi pare <strong>di</strong> poter applicare con<br />

successo alla vostra messa in scena) <strong>di</strong> seguire <strong>il</strong> consiglio <strong>di</strong> Punch: "Non fatelo”. Se invece, volete<br />

esercitare le vostre capacità <strong>di</strong> scenografo, non per un profitto imme<strong>di</strong>ato, ma per perfezionarvi, <strong>il</strong><br />

<strong>mio</strong> libro è al vostro servizio. Non fatene mostra però: evitate <strong>il</strong> pericolo <strong>di</strong> esibire quel che non vi<br />

appartiene ancora.<br />

Un’idea ha valore soltanto in rapporto alla vita che la fa nascere, e solo una vibrazione<br />

originale può darle nuovamente vita. E perfino in questo caso sarà <strong>di</strong>versa, seppure <strong>di</strong> poco. Così se<br />

oggi un Autolycus 63 del <strong>teatro</strong> europeo riprendesse una mia idea con l’intenzione <strong>di</strong> porla in pratica,<br />

non approderebbe a niente <strong>di</strong> sim<strong>il</strong>e perché c’è un’enorme <strong>di</strong>fferenza tra una cosa e la sua immagine<br />

riflessa nello specchio. È tutta questione <strong>di</strong> vita; inoltre è spregevole copiare un’idea, dal momento<br />

che con una modesta attività dell’anima e del corpo potete voi stessi generare un’idea e aggiungere<br />

così vita alla vita; ma, se invece non avete idee vostre, non vergognatevi <strong>di</strong> ammetterlo.<br />

62 Mi viene in mente quella piccola satira, così nota e gaia, opera <strong>di</strong> un maestro conosciuto, sull’arte <strong>di</strong> cavar fuori, che<br />

fa così: “Horner Giovannino stava in un angolino / a mangiare una torta <strong>di</strong> Natale, / ci tuffò <strong>il</strong> <strong>di</strong>tino, una prugna fuori<br />

ne tirò / e ‘Che bravo ragazzo sono io!’ esclamò”.<br />

63 Mitico figlio <strong>di</strong> Ermete, che ere<strong>di</strong>tò dal padre l’estrema ab<strong>il</strong>ità nei furti.<br />

140


Quel che non sopportiamo sono le idee morte, le copie; tutti dovrebbero protestare contro le<br />

continue mistificazioni del <strong>teatro</strong> inglese, che vogliono far passare per originali idee che non lo sono.<br />

Uno degli errori dei critici inglesi, secondo me, è che perfino i migliori si entusiasmano per idee<br />

copiate, ignorando l’esistenza dell’originale; o, anche se ne sono a conoscenza, criticano la copia<br />

nello stesso modo in cui avrebbero criticato l’originale 64 .<br />

In conclusione, questo libro rappresenta i miei primi sforzi in un settore <strong>di</strong> una fase dell’arte<br />

teatrale attraverso cui sono passato. Come ho scritto nel <strong>mio</strong> libro L’Arte del Teatro, gli artisti del<br />

<strong>teatro</strong> dell’avvenire creeranno i loro capolavori servendosi dell’azione, della scena e della voce. Era <strong>il</strong><br />

1905, e <strong>il</strong> futuro a cui mi riferivo ci è ancora davanti; perciò ogni persona capace <strong>di</strong> affrontare <strong>il</strong><br />

problema meglio <strong>di</strong> me è ancora libera <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare quanto ho detto e <strong>di</strong> mostrare che si può creare<br />

con altri mezzi... più belli, più semplici. Ne parlo qui per richiamare ancora una volta la vostra<br />

attenzione su un fatto che ogni tanto qualcuno trascura, nel parlare del <strong>mio</strong> lavoro. E cioè, <strong>il</strong> fatto che<br />

non mi interesso solo alla parte "scenica” dell’arte. Ricordate che ho detto chiaramente che azione e<br />

voce sono le altre due parti cui è <strong>di</strong>retto <strong>il</strong> <strong>mio</strong> stu<strong>di</strong>o. Ma, mentre dell’azione e della voce non si può<br />

trattare in modo sod<strong>di</strong>sfacente con <strong>il</strong> solo mezzo <strong>di</strong> libri o <strong>di</strong> <strong>di</strong>agrammi, questo è possib<strong>il</strong>e, in un<br />

certo senso, per la scena. Perciò questo libro riguarda solo <strong>il</strong> settore scena.<br />

II<br />

Un tempo la scenografia era architettura. Più tar<strong>di</strong> <strong>di</strong>venne imitazione dell’architettura; più<br />

tar<strong>di</strong> ancora imitazione dell’architettura artificiale.<br />

Allora perse la testa, <strong>di</strong>ventò pazza e da quel momento si trova in manico<strong>mio</strong>. Un giorno,<br />

quando ci sarà la mia scuola, pubblicheremo un libro su questo avvenimento storico. E avrò cura che<br />

si faccia giustizia del <strong>mio</strong> lavoro <strong>di</strong> scenografo (temo però che se ne salverà solo una piccolissima<br />

parte), ma ora non è <strong>il</strong> momento per bistrattarlo troppo, anche se forse potrei farlo meglio <strong>di</strong> alcuni<br />

miei critici.<br />

I <strong>di</strong>segni che vedrete qui appresso rappresentano <strong>il</strong> lavoro che ho svolto tra <strong>il</strong> 1900 e <strong>il</strong> 1910.<br />

Lavoro che appartiene ormai al passato, e benché possa riguardarlo con interesse, non lo amo molto,<br />

proprio perché è <strong>mio</strong>. Anche se non è del tutto privo <strong>di</strong> significato e <strong>di</strong> buon gusto, ciò non giustifica<br />

ai miei occhi <strong>il</strong> fatto che non è abbastanza valido da un punto <strong>di</strong> vista scenografico, e che non<br />

potrebbe sostenere <strong>il</strong> confronto con gli scenari più nob<strong>il</strong>i dell’epoca in cui <strong>il</strong> palcoscenico era in<br />

con<strong>di</strong>zioni più elevate. Nel periodo più nob<strong>il</strong>e si parlava poco <strong>di</strong> “semplicità”, meno ancora <strong>di</strong><br />

<strong>il</strong>lusione, e <strong>il</strong> pittore <strong>di</strong> scene era assolutamente sconosciuto. In quel tempo si costruivano i teatri per<br />

i drammi e non i drammi per i teatri e nei teatri. Si recitava <strong>di</strong> giorno, mentre <strong>il</strong> sole <strong>il</strong>luminava attori e<br />

u<strong>di</strong>torio in egual misura, senza indulgere ai cosiddetti "effetti <strong>di</strong> luce" 65 , senza sprecare tanto tempo<br />

nel tentativo <strong>di</strong> ottenere quel dato colore falso che sarebbe apparso vero con la luce artificiale, e<br />

64 È un piccolo errore che potrebbe fac<strong>il</strong>mente essere evitato se ai critici inglesi si desse l’opportunità <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>ate i lavori<br />

che si rappresentano nelle altre città delle isole britanniche e del continente. Bisognerebbe che i ricchi giornali inglesi<br />

inviassero i critici a Parigi, a Berlino, a Krakau e a Budapest. <strong>Il</strong> pubblico merita <strong>di</strong> sapere cosa si dà in questi e in altri<br />

luoghi. Chi, ad esempio, aveva sentito nominare Strindberg, prima che morisse; e se non fosse stato per W<strong>il</strong>liam<br />

Archer, che andava così spesso in Norvegia, in Ingh<strong>il</strong>terra chi avrebbe sentito parlare <strong>di</strong> lbsen? E, per venire ai nostri<br />

giorni, i giornali ci hanno forse informati sulla rinascita dell’arte dell’improvvisazione sotto Hevesi nei teatri d’Italia e<br />

d’Ungheria? Forse che qualcuno sa qualcosa su Wyspiansky e la sua scuola? Ma chi non conosce gli imitatori più<br />

scadenti <strong>di</strong> tutti costoro? La stampa lon<strong>di</strong>nese è presa dall’isteria per i peggiori imitatori, mentre spetta agli e<strong>di</strong>tori<br />

provvedere a darci notizie precise sull’origine delle imitazioni.<br />

65 A Letchworth, nell’autunno del 1912, ebbi la fortuna <strong>di</strong> assistere a uno spettacolo che si svolgeva all’aperto, e in cui<br />

erano ban<strong>di</strong>te le luci artificiali. L’Ingh<strong>il</strong>terra è proprio <strong>il</strong> paese ideale per gli spettacoli all’aperto e alla luce del sole.<br />

Nell’Europa del Sud, <strong>il</strong> caldo è insopportab<strong>il</strong>e; in Ingh<strong>il</strong>terra invece fa fresco; e la pioggia fa sempre da legislatore<br />

naturale e impe<strong>di</strong>sce un numero esagerato <strong>di</strong> feste superflue. Le feste van bene in primavera; e un mese basta.<br />

141


senza nemmeno <strong>di</strong>pingersi la faccia <strong>di</strong> cremisi e giallo ocra, per aver l’aria <strong>di</strong> essere arrivati freschi<br />

freschi dalla campagna.<br />

Se però ci si asteneva dal fare certe cose, non era per sembrare più naturali, ma per essere più<br />

veri. È <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e che <strong>il</strong> lettore comprenda cosa intendo con "più veri”, e in fondo non ha molta<br />

importanza, purché lo comprenda l’artista <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>.<br />

Ma torniamo ai miei <strong>di</strong>segni: come ho detto più volte, essi rappresentano i miei tentativi in<br />

un settore <strong>di</strong> una fase dell’arte teatrale - una fase che ho attraversato. Raffrontateli con lo scenario<br />

dei Greci, e vi renderete conto <strong>di</strong> quanto perdano al confronto. Raffrontateli con <strong>il</strong> secondo scenario<br />

per <strong>il</strong> Dramma, così solenne, lo scenario dei Cristiani, e vi sembreranno già meglio. Raffrontateli con<br />

quelli del terzo periodo (cioè del XVI secolo) quando si cominciarono a portare sui teatri <strong>il</strong>luminati<br />

con luci artificiali delle imitazioni dell’architettura, e vi sembreranno buoni. Credo che avrebbero<br />

fatto la loro bella figura accanto ai <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> Peruzzi, Serlio, Palla<strong>di</strong>o ecc.; e che comunque siano<br />

migliori degli scenari rococò <strong>di</strong> Bibiena; inut<strong>il</strong>e <strong>di</strong>re, infine, che credo che i miei <strong>di</strong>segni siano <strong>di</strong> gran<br />

lunga superiori alla o<strong>di</strong>erna scenografia, per parecchi tipi <strong>di</strong> spettacoli. Ma non è <strong>il</strong> caso <strong>di</strong><br />

soffermarsi sull’argomento: parliamo invece dei vari perio<strong>di</strong> della scenografia, senza però sfoggiare<br />

troppi nomi o date.<br />

Quando <strong>il</strong> Dramma si trasferì al coperto, morì; e quando <strong>il</strong> Dramma si trasferì al coperto, vi si<br />

trasferirono anche gli scenari: come noi per vivere abbiamo bisogno del sole, così anche <strong>il</strong> Dramma e<br />

l’Architettura hanno bisogno del sole per non morire. <strong>Il</strong> Dramma poteva esistere all’aperto e al sole<br />

perché era una festa rara, non <strong>il</strong> <strong>di</strong>vertimento <strong>di</strong> ogni sera. Si è detto che era una festa religiosa, ma<br />

forse è sbagliato sottolinearlo, perché la parola "religioso” oggi ha assunto un significato <strong>di</strong>verso da<br />

quello che aveva nell’antichità. Come descrivere che cosa era un tempo? Ecco: se vi trovaste in una<br />

piazza - a Piazza San Marco, per esempio, o in Trafalgar Square - in una giornata <strong>di</strong> sole, e vedeste<br />

centinaia <strong>di</strong> piccioni volare intorno alla piazza, battere le ali, d<strong>il</strong>ettarsi così <strong>di</strong>vinamente, potreste<br />

rendervi conto <strong>di</strong> che cosa era una festa greca. Vi è mai capitato che la gente nella piazza proseguisse<br />

per i fatti suoi, senza accorgersi <strong>di</strong> quel che accadeva? No: perfino l’in<strong>di</strong>viduo più insensib<strong>il</strong>e,<br />

passando per strada, si fermerà a osservare lo spettacolo.<br />

Vi <strong>di</strong>ranno che <strong>il</strong> dramma greco aveva successo perché mostrava le passioni umane, o perché<br />

c’erano delle belle ragazze che danzavano (c’è sempre della gente che immagina che nei drammi greci<br />

danzassero belle ragazze) o perché faceva presa sul pubblico per la sua penetrante tensione<br />

intellettuale, e così via. Niente <strong>di</strong> tutto questo. Tutto <strong>di</strong>pendeva dal fatto che i Greci avevano carpito<br />

molti segreti della natura dagli uccelli, dagli alberi, dalle nuvole, e non temevano <strong>di</strong> porre tali semplici<br />

segreti a servizio della religione. E <strong>il</strong> segreto più importante ch’essi avevano colto era una piccola<br />

parte del segreto del movimento. Era <strong>il</strong> movimento del coro che commoveva gli astanti. Era <strong>il</strong><br />

movimento del sole sull’architettura che commoveva l’u<strong>di</strong>torio.<br />

Un critico, in Italia, parlando <strong>di</strong> uno spettacolo dato in un <strong>teatro</strong> all’aperto, in cui<br />

l’architettura era <strong>il</strong> solo scenario, ha descritto l’emozione che dava <strong>il</strong> passaggio del sole durante lo<br />

spettacolo. Non era capace <strong>di</strong> descriverla esattamente (credo che pochi potrebbero farlo, o meglio,<br />

solo un poeta) ma <strong>di</strong>ceva che si aveva davvero l’impressione <strong>di</strong> vedere <strong>il</strong> tempo muoversi.<br />

Guardando 66 , si aveva la sensazione del movimento.<br />

Dopo <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> greco è venuto quello cristiano - la Chiesa Cristiana. <strong>Il</strong> tema del dramma, se<br />

non più tragico <strong>di</strong> quello greco, era forse più triste. Lo scenario era ancora architettura e si può<br />

vedere ancor oggi <strong>il</strong> palcoscenico nei cori e negli altari delle chiese cristiane primitive. Ci sono<br />

palcoscenici a <strong>di</strong>verse altezze, finestre situate in modo da <strong>il</strong>luminarli, ingressi <strong>di</strong>sposti in modo che i<br />

movimenti dei singoli e dei gruppi risaltino. Ci sono i posti per i musici, si vede proprio <strong>il</strong> luogo in<br />

cui stavano gli attori principali (possiamo realmente chiamarli attori), la <strong>di</strong>rezione in cui si volgevano<br />

66 Ricordate a questo proposito l’etimologia della parola “<strong>teatro</strong>”. Cfr. nota 1.<br />

142


e perfino quel che facevano. Tutto ciò è documentato. <strong>Il</strong> dramma cristiano si chiama Messa 67 . La<br />

<strong>di</strong>fferenza fondamentale fra <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> greco e quello cristiano è che quest’ultimo si svolgeva al chiuso<br />

anche se ci si serviva ancora della luce del giorno, e in particolare <strong>di</strong> quella del sole.<br />

La gente faceva ressa nei teatri religiosi come api in un alveare; non comprendeva neppure<br />

una parola <strong>di</strong> quel che <strong>di</strong>cevano, perché parlavano in latino, ma ciononostante affollava le chiese.<br />

Indovinate perché? Costava loro soltanto l’obolo che erano <strong>di</strong>sposti a dare. Forse la ragione è questa.<br />

In ogni modo, non preoccupiamoci; torniamo alla scenografia.<br />

Di fronte allo sfondo architettonico c’erano decorazioni in oro, e gioielli e sete e velluti e altri<br />

materiali preziosi. Mi chiedo se la gente ci sarebbe andata lo stesso tanto volentieri, se tutto fosse<br />

stato <strong>di</strong> cartone e <strong>di</strong> roba falsa. Sarei curioso <strong>di</strong> sapere se una croce <strong>di</strong> cartapesta avrebbe suscitato lo<br />

stesso senso <strong>di</strong> eccitazione e <strong>di</strong> terrore sacro.<br />

Cosa fu a causare <strong>il</strong> fallimento <strong>di</strong> questo meraviglioso <strong>teatro</strong>, dopo qualche secolo? Null’altro<br />

che un’esibizione <strong>di</strong> braccia e gambe in un circo. Era troppo per la gente. Non poteva resistere. È<br />

comprensib<strong>il</strong>e, ma non è altrettanto comprensib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> criterio dei sovrani che furono così pazzi da far<br />

vedere tali spettacoli a un’Europa non ancora matura. Portare un popolo giovane a vedere un<br />

mucchio <strong>di</strong> ragazzi e ragazze danzare nu<strong>di</strong> in un circo, <strong>di</strong>stogliendolo da quel dramma stupendo che<br />

era la Messa, è come portare dei bambini a vedere Sheherazade. A quel tempo infatti i popoli<br />

d’Europa erano innocenti come bambini. Si <strong>di</strong>rà che era giunto <strong>il</strong> momento che si decidessero a<br />

<strong>di</strong>ventare adulti. Ma pensate come lo sono <strong>di</strong>ventati. Mi si obietterà che non è esatto quel che <strong>di</strong>co e<br />

che nei fanciulli c’è tanta stupi<strong>di</strong>tà quanta <strong>di</strong>vinità. Sono d’accordo. Ma se ve ne è in egual misura,<br />

perché farsi un dovere <strong>di</strong> incoraggiare la stupi<strong>di</strong>tà? Direte che <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> religioso era <strong>di</strong>ventato insulso<br />

e l’altro rappresentava un sollievo. Fa tanto "Europa”, questo “sollievo"; la degenerazione moderna<br />

sembra basarsi tutta sulla parola "sollievo”. Nell’antichità, quando un gla<strong>di</strong>atore aveva la peggio e<br />

ormai rantolava, non si parlava <strong>di</strong> sollievo. Mi sembra che uno dei meto<strong>di</strong> usati fosse <strong>di</strong> trafiggerlo<br />

con un punteruolo. Ora tutto è sollievo. Ma torniamo alla scenografia.<br />

Dopo la scomparsa del <strong>teatro</strong> greco e cristiano, venne alla luce <strong>il</strong> primo <strong>teatro</strong> falso. I poeti si<br />

misero a scrivere drammi elaborati e noiosi, per i quali ci si servì <strong>di</strong> scenari che erano una specie <strong>di</strong><br />

imitazione dello sfondo architettonico. Si modellavano o si <strong>di</strong>pingevano su tela palazzi e strade, e per<br />

un po’ <strong>di</strong> tempo <strong>il</strong> pubblico li sopportò. Tali drammi venivano rappresentati in palazzi signor<strong>il</strong>i, e <strong>il</strong><br />

popolo, poiché non poteva darci nemmeno un’occhiata, pensò <strong>di</strong> creare un <strong>teatro</strong> per conto suo e<br />

decise <strong>di</strong> farne nello stesso tempo un trattenimento per l’aristocrazia. Nacque così la grande<br />

Comme<strong>di</strong>a dell’Arte.<br />

Come sfondo presero le case e i palazzi <strong>di</strong> una strada, non palazzi <strong>di</strong>pinti, non case <strong>di</strong>pinte,<br />

ma le vere case, fuori, nella strada. Di nuovo architettura. Di nuovo all’aperto. Di nuovo al sole. E<br />

questo <strong>teatro</strong> sopravvisse per circa tre secoli. Fu culla a Shakespeare e a Molière, e <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> <strong>di</strong><br />

Shakespeare è fra gli ultimi teatri fioriti all’aria aperta.<br />

Finita anche la stagione del <strong>teatro</strong> shakespeariano, la luce del giorno fu ban<strong>di</strong>ta per sempre. Si<br />

accesero lampade a olio, lampade a gas, lampade elettriche, e lo scenario, invece <strong>di</strong> essere<br />

architettonico, <strong>di</strong>venne pittorico. Anzi, non si può nemmeno chiamarla pittura, perché la pittura è<br />

un’arte basata solo su due <strong>di</strong>mensioni, e penso che Leonardo da Vinci o Cézanne sarebbero<br />

d’accordo con me nel <strong>di</strong>re che la scenografia non è pittura. Eppure ogni giorno si sente parlare della<br />

scenografia come se fosse pittura, e i pittori hanno perfino la temerarietà <strong>di</strong> venire in <strong>teatro</strong> a<br />

piazzare sul palcoscenico <strong>il</strong> frutto dei loro stu<strong>di</strong>. Sono tutti <strong>di</strong>scendenti <strong>di</strong> Bibiena e spero che ne<br />

vadano orgogliosi. Niente piace loro <strong>di</strong> più che l’artificio del <strong>teatro</strong> moderno, e si “servono” del<br />

palcoscenico pur <strong>di</strong>sprezzandone, allo stesso tempo, i trucchi. Amano tanto <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> moderno<br />

67 “<strong>Il</strong> rito centrale e più solenne del culto cristiano era la Messa, una commemorazione essenzialmente drammatica dei<br />

momenti più critici della vita del Redentore”. E. K. Chambers, The Me<strong>di</strong>eval Stage, vol. II, t. III, p. 3.<br />

143


perché non sanno nulla della bellezza del <strong>teatro</strong> antico. Ma non è questo <strong>il</strong> modo <strong>di</strong> avvicinarsi a un<br />

<strong>teatro</strong> nob<strong>il</strong>e, né a una scenografia nob<strong>il</strong>e. Mi sembra invece che ad esso si avvicinino, se pure <strong>di</strong><br />

poco, molte mie scene, tra cui quelle qui riprodotte.<br />

Quando ho cominciato a lavorare, non esisteva nessuna scuola <strong>di</strong> arte teatrale, non c’era<br />

nessuno a <strong>di</strong>rmi quel che vi ho detto; ed è solo ora, dopo molti anni <strong>di</strong> lavoro, che mi son reso conto<br />

della <strong>di</strong>rezione in cui noi tutti stiamo andando. E la mia meta non è <strong>di</strong> tornare in<strong>di</strong>etro verso i Greci,<br />

verso la Chiesa cristiana, verso qualunque altro <strong>teatro</strong> nob<strong>il</strong>e del passato; né vi incito a ricostruirlo.<br />

No, non m’importa del passato, ma solo del futuro; ma l’insegnamento proveniente dalle cose più<br />

belle del passato è identico a quello delle cose più belle del futuro; ed è per raggiungere questo<br />

vecchio, nuovo ideale - e chissà?, perfino per sorpassarlo, col tempo - che vado verso un nuovo<br />

Teatro.<br />

Amleto<br />

Ve<strong>di</strong> tavola 1.<br />

SPETTRO Sono lo spettro <strong>di</strong> tuo padre<br />

dannato a camminare <strong>di</strong> notte<br />

e <strong>di</strong> giorno a <strong>di</strong>giunare tra i fuochi,<br />

fino a quando gli orren<strong>di</strong> delitti compiuti nei miei giorni <strong>di</strong> uomo<br />

non saranno bruciati e purgati. Se non mi fosse vietato<br />

<strong>di</strong> raccontare i segreti della mia prigione,<br />

ti svelerei una storia la cui più lieve parola<br />

ti strazierebbe l’anima, ti gelerebbe <strong>il</strong> giovane sangue;<br />

i tuoi due occhi, come stelle, schizzerebbero via dalle loro orbite,<br />

le tue ciocche annodate e folte si <strong>di</strong>viderebbero,<br />

ogni capello ti si rizzerebbe in testa<br />

come gli aghi dell’irrequieto porcospino:<br />

ma quest’eterno bando non è<br />

per orecchie <strong>di</strong> carne e <strong>di</strong> sangue. Ascolta, ascolta, oh, ascolta<br />

se mai amasti <strong>il</strong> tuo caro padre...<br />

AMLETO O Dio!<br />

SPETTRO Ven<strong>di</strong>ca <strong>il</strong> suo orrendo e snaturato delitto.<br />

“L’arrivo ”<br />

Ve<strong>di</strong> tavola 2.<br />

Questo <strong>di</strong>segno non è stato fatto per un dramma particolare, ma per quel che, secondo me, è<br />

<strong>il</strong> vero dramma. L’arrivo è una specie <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> scena. Si tratta, come si desume dal titolo, <strong>di</strong><br />

un’azione che sta per compiersi, non <strong>di</strong> parole da pronunciare; ed è proprio <strong>il</strong> fatto <strong>di</strong> non sapere chi<br />

arriva e perché arrivi o che aspetto avrà che la rende drammatica ai miei occhi. “E insod<strong>di</strong>sfacente"<br />

aggiungerete. Dipende se siete più o meno interessati alla fine, al centro o all’inizio. Quanto più si<br />

rinvia la fine, tanto più la vita <strong>di</strong>venta emozionante. Mi sembra stupido affrettarsi ad aprire le porte<br />

d’oro per trovare solo gran<strong>di</strong> stelle lucenti; e dover ammettere "che dentro non c’è para<strong>di</strong>so”. Purché<br />

non apriate le porte, non lo saprete mai, e questo è <strong>il</strong> para<strong>di</strong>so. Certo Maeterlinck sostiene che<br />

conoscere <strong>il</strong> posto in cui se<strong>di</strong>amo è come trovare <strong>il</strong> para<strong>di</strong>so, ma per me non è così.<br />

Secondo me i drammi non dovrebbero mai <strong>di</strong>re nulla. Non intendo che non dovreste sentir<br />

<strong>di</strong>re mai una parola (benché sarebbe una bene<strong>di</strong>zione del cielo, se così fosse), ma le azioni, i<br />

144


sentimenti suscitati, non dovrebbero mai avere una conclusione, dovrebbero rimanere un mistero; e <strong>il</strong><br />

mistero un attimo dopo la conclusione non esiste più; <strong>il</strong> mistero muore appena toccate l’essenza<br />

delle cose o appena la vedete con chiarezza. Che assur<strong>di</strong>tà, quin<strong>di</strong>, parlare del mistero <strong>di</strong> questa o<br />

quella comme<strong>di</strong>a, dal momento che si tratta <strong>di</strong> comme<strong>di</strong>e alquanto misteriose, ma comprensib<strong>il</strong>i fino<br />

in fondo. “Magari lo fossi tu un po’ più comprensib<strong>il</strong>e” mi sembra <strong>di</strong> sentirvi <strong>di</strong>re. Se volessi esserlo,<br />

<strong>di</strong>rei quel che ho detto <strong>di</strong>eci anni fa, “datemi un <strong>teatro</strong>”, e allora sareste come <strong>il</strong> cieco Gloucester e<br />

potreste "vedere con <strong>il</strong> sentimento”.<br />

LEAR Leggi.<br />

GLOUCESTER Come, con gli occhi in questo stato?<br />

LEAR Oh, oh, sei tu qui con me? Senza occhi nella testa, senza sol<strong>di</strong> nella borsa? I tuoi occhi sono in grave stato, la tua<br />

borsa in uno leggero; eppure ve<strong>di</strong> come va <strong>il</strong> mondo.<br />

GLOUCESTER Lo vedo con <strong>il</strong> sentimento.<br />

Ma non voglio più un <strong>teatro</strong> - non abbiamo più bisogno <strong>di</strong> teatri. Prima <strong>di</strong> tutto abbiamo<br />

bisogno <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare padroni dell’arte. Torniamo dunque ai nostri stu<strong>di</strong> con tutta la serietà rimastaci<br />

dopo secoli <strong>di</strong> finzione.<br />

Wapping Old Stairs<br />

Ve<strong>di</strong> tavola 3.<br />

Al tempo <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>segno, vivevo in un piccolo stu<strong>di</strong>o da qualche parte nel centro <strong>di</strong><br />

Londra, e o<strong>di</strong>avo perfino la vista degli uomini, tranne nei giorni in cui riuscivo ad andare in autobus a<br />

Hampton Court. In quel periodo scrivevo uno strano tipo <strong>di</strong> mimodramma, lo progettavo da capo a<br />

fondo <strong>di</strong>segnandone le scene e stab<strong>il</strong>endone tutti i movimenti. S’intitolava “Fame”. Era spaventoso.<br />

Mi proposero <strong>di</strong> metterlo in scena a Berlino; ma nel frattempo mi ero rifugiato in una graziosa,<br />

incoraggiante città, e pensai che non era più <strong>il</strong> caso. In quel mimo avevo messo insieme tutte quelle<br />

meschine indolenti ma “rispettab<strong>il</strong>i” signore, che hanno duem<strong>il</strong>a sterline al collo, gonne fruscianti, e<br />

un aspetto <strong>di</strong>sgustoso. Le o<strong>di</strong>avo così <strong>di</strong> cuore che le coprivo <strong>di</strong> fango in ogni pagina; evidentemente<br />

non mi ero ancora accorto che non sono proprio così antipatiche come sembrano. Erano loro la causa<br />

per cui un’intera famiglia moriva sulla scena in quella faccenda tragicomica che era "Fame”. C’era<br />

anche un re, una grande, grossa figura, che veniva portato su una se<strong>di</strong>a a rotelle, sim<strong>il</strong>e a una grande<br />

rana; era una specie <strong>di</strong> re del denaro, gonfio per i troppi pasti consumati al Savoy. Non un vero re,<br />

naturalmente - una bestia <strong>di</strong> re - e ricordo che quel che mi piaceva soprattutto era <strong>il</strong> suo ingresso, su<br />

un trono da invalido che sembrava un mare <strong>di</strong> cuscini; a spingerlo erano i primi gent<strong>il</strong>uomini della<br />

Corte. La loro avanzata avveniva così: prima quattro scalini, dopo <strong>di</strong> che svenivano quasi tutti <strong>di</strong><br />

fatica; uno sventolio, un profumo <strong>di</strong> sali durante una pausa, s<strong>il</strong>enzio, ed ecco una minuta, stridula<br />

voce proveniente dalla profon<strong>di</strong>tà dei cuscini che chiedeva aiuto. Poi un altro ar<strong>di</strong>to sforzo: quattro<br />

scalini più su e un’altra pausa, con la stessa scenetta <strong>di</strong> prima. Così alla fine giungevano alla meta.<br />

Questo dramma non mi <strong>di</strong>ce più nulla; per lo meno, fino a quando non mostrerò <strong>il</strong> rovescio della<br />

medaglia. La fame del povero, l’ho descritta abbastanza bene, ma non così la fame del ricco. Direi che<br />

è altrettanto tragica. Nello stesso periodo preparavo un secondo mimo-dramma che doveva<br />

intitolarsi “Londra”. Non l’ho mai finito, ma ricordo che cominciava in Persia o in Arabia. In una<br />

grande sala, inondata <strong>di</strong> luce, che non lasciava capire in che paese ci si trovasse, un f<strong>il</strong>osofo e un<br />

poeta me<strong>di</strong>tavano (e in Oriente non me<strong>di</strong>tano come se fossero nelle nuvole), e <strong>il</strong> poeta era <strong>il</strong> poeta <strong>di</strong><br />

Blake che vede attraverso gli occhi, e <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo vedeva con gli occhi. E poiché <strong>il</strong> poeta non voleva<br />

145


credere tutte le cose che <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo gli <strong>di</strong>ceva <strong>di</strong> Londra, era portato via dall’Arabia e dal sole fino a<br />

Wapping Old Stairs. Qui sentiva <strong>di</strong>re che Londra è <strong>il</strong> luogo dove confluiscono tutte le anime dei<br />

morti: lì giunte, sono costrette a prendere un mestiere miserab<strong>il</strong>e come quello dello str<strong>il</strong>lone o del<br />

lustrascarpe e ad andare a lavorare. E ricordo che arrivavano tutte in gran<strong>di</strong> barche lungo lo scuro<br />

Tamigi, e venivano scaricate come sacchi <strong>di</strong> carbone e buttate sugli scalini, mentre uno spirito<br />

infernale urlava i loro nomi o numeri notandoli su un foglio. Disegnai un’altra scena per questo<br />

dramma, e poi basta.<br />

In questo <strong>di</strong>segno, le due figure, o meglio la prima sembra che stia per raggiungere la sommità.<br />

Non credo che assomigli molto al vero Wapping Old Stairs <strong>di</strong> oggi, ma forse chiuderete un occhio.<br />

Venezia salvata<br />

Ve<strong>di</strong> tavola 4.<br />

È improbab<strong>il</strong>e che qualcuno <strong>di</strong> voi abbia letto Venezia salvata <strong>di</strong> Otway; sappiate comunque<br />

che l’azione si svolge a Venezia, com’è preve<strong>di</strong>b<strong>il</strong>e: una Venezia inventata da Otway, che forse la<br />

conosceva poco e se ne curava meno ancora, ma che seguiva la moda del tempo, e usava Venezia<br />

come sfondo per <strong>il</strong> suo dramma passionale. Hugo von Hoffmansthal <strong>di</strong> Vienna ha adattato più o<br />

meno liberamente <strong>il</strong> capolavoro <strong>di</strong> Otway per <strong>il</strong> <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> un <strong>teatro</strong> tedesco, e io fui invitato nel<br />

1904 ad andare a Berlino per <strong>di</strong>segnare le scene e i costumi e per sovrintendere all’allestimento. Feci<br />

del <strong>mio</strong> meglio, date le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong> cui darò un esempio. <strong>Il</strong> <strong>di</strong>rettore in precedenza era<br />

stato critico letterario; in seguito aveva stu<strong>di</strong>ato per pochi anni <strong>teatro</strong>, e nemmeno da artista ma da<br />

“uomo <strong>di</strong> lettere”. Quando gli feci vedere <strong>il</strong> <strong>di</strong>segno qui accanto per la penultima scena lo guardò con<br />

aria sospettosa e mi chiese dove fosse la porta. Dissi: "Non c’è porta, c’è un passaggio per entrare e<br />

uscire”. “D’accordo”, rispose, “ma non vedo né la maniglia né la serratura. Non si può fare una porta<br />

senza maniglia”. E io <strong>di</strong> nuovo: "Non c’è porta, c’è un passaggio per entrare e uscire”. Stava già per<br />

montare su tutte le furie, ma appena lo informai che era stato copiato nei minimi particolari da un<br />

antico manoscritto italiano, cambiò espressione, si rasserenò e fu tutto contento. Lascio indovinare al<br />

lettore se l’avevo copiato davvero o no. II male è, e sarà sempre, che molti importanti uomini <strong>di</strong><br />

<strong>teatro</strong> non hanno immaginazione. Non pretendevo che quel caro, vecchio gent<strong>il</strong>uomo immaginasse<br />

una porta, ma solo che intuisse che la porta non era necessaria; ci son riuscito soltanto assicurandolo<br />

che era l’esatta riproduzione d’una cosa reale. Ma fu peggio per lui se rese impossib<strong>il</strong>e, con la sua<br />

mancanza <strong>di</strong> immaginazione, ogni altra collaborazione tra noi, perché in tre o quattro anni perse ogni<br />

prestigio presso <strong>il</strong> suo pubblico che si riversò nel <strong>teatro</strong> rivale. Quest’ultimo era <strong>di</strong>retto da un <strong>mio</strong><br />

amico che aveva <strong>il</strong> buon senso, per così <strong>di</strong>re, <strong>di</strong> servirsi delle mie vecchie idee (così mi riferirono) e<br />

fece traboccare <strong>di</strong> gente <strong>il</strong> suo <strong>teatro</strong> 68 .<br />

Ogni tanto bisogna <strong>di</strong>rle queste cose, ed è più fac<strong>il</strong>e quando non si ha più a che fare con<br />

impresari, o speculatori teatrali che <strong>di</strong>r si voglia.<br />

Amleto<br />

Atto I, Scena 5<br />

Ve<strong>di</strong> tavola 5.<br />

68 L’“amico” cui Craig allude è Max Reinhardt, <strong>il</strong> famoso regista. [N.d.T.]<br />

146


Sia questo <strong>di</strong>segno, del 1904, che quello fatto per la stessa scena nel 1907, rispecchiano<br />

fedelmente le mie idee sull’attore e i suoi poteri. Nel primo, non è certo fac<strong>il</strong>e dominare la scena dal<br />

punto in cui si trova l’attore; nel secondo, poi, solo un eroe ne sarebbe capace.<br />

Perché metto l’attore in un <strong>teatro</strong> <strong>di</strong> burattini?<br />

Se, come <strong>di</strong>cono tutti, è un fantoccio, per Roscio, sarà ben un fantoccio superiore. La scena<br />

avrà proporzioni altissime rispetto alle sue, eppure egli la dominerà. Privato del volto, continuerà a<br />

dominarla con l’azione. Privato perfino del movimento, messo in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>sperata, continuerà a<br />

dominarla con l’unica cosa che gli sarà rimasta: una maschera. Ma ciò è possib<strong>il</strong>e solo a prezzo <strong>di</strong><br />

enormi sacrifici, per <strong>il</strong> bene del <strong>teatro</strong>. Perché sacrifici? Perché, a meno che ne conosciate uno voi,<br />

non è stato ancora scoperto altro modo, né si scoprirà mai, probab<strong>il</strong>mente. Mi chiedete perché?<br />

Quando avrete risposto a tutte le domande del poeta sul fiore nella spaccatura del muro, ne saprete<br />

molto più <strong>di</strong> me, e non avrete più bisogno <strong>di</strong> farmi domande. Se non ci fossero misteri nella vita, la<br />

vita sarebbe priva <strong>di</strong> valore; ogni cosa per piccola che sia è un grande mistero, e ogni cosa per piccola<br />

che sia dovrebbe essere considerata tale.<br />

Allora sì che potremo migliorare e dominare <strong>il</strong> mondo e quella cosa tanto più <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e... noi<br />

stessi. Allora saremo davvero ATTORI<br />

Elettra. Sofocle<br />

Ve<strong>di</strong> tavola 6.<br />

Spesso penso che un ingresso gran<strong>di</strong>oso, imponente, sia comunque lo sfondo migliore per una<br />

trage<strong>di</strong>a; eppure quando l’archeologo, che trova d<strong>il</strong>etto nei giorni secchi e polverosi del passato, mi<br />

<strong>di</strong>ce che la gran<strong>di</strong>osità e nob<strong>il</strong>tà delle linee non hanno importanza e che un piccolo palcoscenico <strong>di</strong><br />

legno e delle tende alte dai due metri e mezzo ai tre, purché <strong>di</strong> buon gusto, possono far benissimo al<br />

caso, mi trovo d’accordo con lui tanto da chiedermi se quelle gran<strong>di</strong> porte e quei vasti spazi, quelle<br />

ombre e quegli sprazzi improvvisi <strong>di</strong> luce non siano fuori posto. È chiaro che tutto sta a vedere se<br />

siete venuti a <strong>teatro</strong> per <strong>il</strong> dramma o per la letteratura. Se venite per <strong>il</strong> dramma, bisogna che esso viva<br />

nella sua integrità: non solo per la mente, ma anche per l’occhio e per l’orecchio.<br />

Se venite per un trattenimento letterario... è meglio che pren<strong>di</strong>ate <strong>il</strong> primo tram verso casa e<br />

confessiate <strong>di</strong> aver commesso uno sbaglio.<br />

Entra Cesare in vestaglia.<br />

CESARE Né cielo né terra sono stati in pace stanotte;<br />

tre volte Calpurnia ha gridato nel sonno<br />

"Aiuto! uccidono Cesare!”. Chi è là?<br />

Entra un servo.<br />

SERVO Signore?<br />

Giulio Cesare<br />

Atto II, Scena 2 - I<br />

Ve<strong>di</strong> tavola 7.<br />

147


CESARE Va’ a or<strong>di</strong>nare ai sacerdoti <strong>di</strong> far subito sacrifici<br />

e portami i loro responsi.<br />

SERVO Vado, Signore.<br />

Entra Calpurnia.<br />

CALPURNIA Che intenzione avete, Cesare? Di uscire?<br />

Non dovete lasciare la casa, oggi.<br />

CESARE Cesare uscirà: i pericoli mi hanno minacciato<br />

solo alle spalle: appena scorgeranno <strong>il</strong> volto <strong>di</strong> Cesare<br />

svaniranno.<br />

CALPURNIA Cesare, non ho mai dato importanza ai presagi<br />

ma ora ne sono atterrita. Vi è uno <strong>di</strong> là,<br />

oltre quello che abbiamo u<strong>di</strong>to e visto,<br />

che racconta le cose più orride che le guar<strong>di</strong>e abbiano visto.<br />

Una leonessa ha partorito nella strada;<br />

tombe si sono aperte a rendere i loro morti;<br />

feroci infuocati guerrieri han combattuto sulle nuvole<br />

in f<strong>il</strong>e e squadroni e schieramento <strong>di</strong> guerra,<br />

e <strong>il</strong> loro sangue è piovuto sul Campidoglio;<br />

l’aria era agitata dal clamore della battaglia,<br />

cavalli nitrivano, uomini moribon<strong>di</strong> gemevano,<br />

spiriti gridavano e stridevano per le strade.<br />

O Cesare, queste cose sono al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> ogni consuetu<strong>di</strong>ne<br />

e io ne ho paura.<br />

CESARE Si può forse evitare <strong>il</strong> compimento<br />

<strong>di</strong> qualcosa se è voluto dagli dèi potenti?<br />

Pure Cesare uscirà: perché questi presagi<br />

sono per tutto <strong>il</strong> mondo come per Cesare.<br />

CALPURNIA Quando muoiono i men<strong>di</strong>canti non si vedono comete;<br />

i cieli stessi danno <strong>il</strong> segnale della morte dei prìncipi<br />

CESARE I codar<strong>di</strong> muoiono più volte prima della loro morte;<br />

i coraggiosi provano la morte una volta sola.<br />

Di tutte le meraviglie che ho conosciuto<br />

la più strana mi sembra la paura degli uomini,<br />

visto che la morte, mèta ineluttab<strong>il</strong>e,<br />

verrà quando verrà.<br />

<strong>Il</strong> Foro.<br />

Giulio Cesare. <strong>Il</strong> Foro<br />

Atto III, Scena 2<br />

Ve<strong>di</strong> tavola 8.<br />

In questo <strong>di</strong>segno ve<strong>di</strong>amo Marc’Antonio parlare a mezza Roma. Egli si sporge allontanandosi<br />

da noi, verso centom<strong>il</strong>a citta<strong>di</strong>ni che appaiono sullo sfondo. U<strong>di</strong>amo la sua voce acuta e forte. Di<br />

fronte, nel punto più vicino a noi, regna <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio: i cospiratori sono in attesa.<br />

Non vi sono richiami all’architettura romana, prima <strong>di</strong> tutto perché Shakespeare non tiene alla<br />

precisione dei particolari; e poi, chissà com’era davvero <strong>il</strong> Foro! Perché tentare <strong>di</strong> essere precisi nelle<br />

cose del passato dal momento che è impossib<strong>il</strong>e?<br />

Ciò che ritengo essenziale in questa scena è la folla, e i due gruppi, e ho voluto che<br />

apparissero <strong>di</strong>visi in modo da far avvertire nettamente una separazione. In <strong>di</strong>stanza si scorge <strong>il</strong><br />

popolo: se è vero che centom<strong>il</strong>a voci possono sommergerne una, pure, le stesse centom<strong>il</strong>a formano<br />

148


uno sfondo ottimo per la voce d’una grande personalità d’attore. Del pari, non ho mai saputo che un<br />

tuono lontano, per quanto forte, abbia interrotto una conversazione.<br />

Colui che sta facendo opera <strong>di</strong> persuasione sulla folla si trova a metà strada.<br />

Quelli contro <strong>di</strong> cui parla stanno in primo piano.<br />

E si può sentire <strong>il</strong> loro s<strong>il</strong>enzio.<br />

La scala I<br />

Primo stato d’animo<br />

Ve<strong>di</strong> tavola 9.<br />

<strong>Il</strong> dramma, ci insegna Maeterlinck, non è solo quella parte della vita che tratta dei sentimenti<br />

buoni o cattivi degli in<strong>di</strong>vidui: la vita in sé è molto drammatica anche senza l’intervento dei delitti,<br />

della gelosia e delle gran<strong>di</strong> passioni. <strong>Il</strong> dramma, così concepito, ci conduce a una fontana o in un<br />

bosco, ci porta davanti a una fresca corrente, fa cantare un gallo e ci fa vedere quanto tutte queste<br />

cose siano drammatiche. So bene che Shakespeare ce lo ha mostrato qualche secolo prima, ma averlo<br />

ripetuto è un gran bene e non un danno. Maeterlinck doveva aggiungere però che esistono due tipi <strong>di</strong><br />

dramma, nettamente <strong>di</strong>stinti. Potrei chiamarli <strong>il</strong> Dramma <strong>di</strong> Parole e <strong>il</strong> Dramma del S<strong>il</strong>enzio, e credo<br />

che i suoi alberi, le fontane, le correnti e tutto <strong>il</strong> resto appartengano al Dramma del S<strong>il</strong>enzio: drammi,<br />

cioè, in cui la parola <strong>di</strong>venta gretta e inadeguata. Ma, oltre alle opere della Natura, molti altri elementi<br />

son propri del Dramma del S<strong>il</strong>enzio, e tra questi un posto importante lo occupa la più nob<strong>il</strong>e delle<br />

attività umane: l’Architettura. Che sensazione struggente, come <strong>di</strong> presenza umana, mi dà una grande<br />

città <strong>di</strong> notte, quando in giro non c’è un’anima viva e tutto è s<strong>il</strong>enzio! Passeggiare allora è triste e<br />

angoscioso; all’alba, invece, <strong>di</strong>venta eccitante. Ma <strong>di</strong> tutti i sogni che l’architetto ha calato nella realtà<br />

nessuno è più meraviglioso per me <strong>di</strong> quei voli <strong>di</strong> scale, che salgono e scendono. L’interesse per<br />

l’architettura, proprio della mia arte, mi ha portato a riflettere al modo in cui farli vivere (non<br />

parlare) come elementi drammatici. Spinto da questo desiderio, mi son messo a <strong>di</strong>segnare drammi in<br />

cui la scena era architettonica. <strong>Il</strong> primo e stato appunto Le scale.<br />

È composto <strong>di</strong> quattro <strong>di</strong>segni che rappresentano sempre lo stesso luogo; cambiano solo le<br />

persone, a seconda dello stato d’animo. <strong>Il</strong> primo <strong>di</strong>segno è pieno <strong>di</strong> luce e <strong>di</strong> spensieratezza: tre<br />

bambini giocano, sim<strong>il</strong>i a degli uccelli svolazzanti sul dorso <strong>di</strong> un grande ippopotamo addormentato<br />

nelle acque <strong>di</strong> un fiume africano. Ho segnato da qualche parte che cosa fanno <strong>di</strong> preciso; ma ora non<br />

lo ricordo e comunque non ha importanza: è un particolare tecnico e non ha valore, se non lo si vede.<br />

Cercate invece <strong>di</strong> evocare dentro <strong>di</strong> voi <strong>il</strong> lieve calpestio dei conigli, <strong>il</strong> tintinnio <strong>di</strong> minute campane<br />

d’argento, e intuirete quel che ho voluto esprimere, e vedrete con l’immaginazione i bizzarri rapi<strong>di</strong><br />

piccoli movimenti. E passiamo al prossimo.<br />

La scala II<br />

Secondo stato d’animo<br />

Ve<strong>di</strong> tavola 10.<br />

149


È la stessa scala, ma ora sembra assopirsi. In una terrazza piatta e profonda ragazzi e ragazze<br />

saltellano sim<strong>il</strong>i a lucciole. In primo piano, nel punto più <strong>di</strong>stante dalla terrazza, la terra risponde ai<br />

loro movimenti.<br />

La terra è fatta per danzare.<br />

La scala III<br />

Terzo stato d’animo<br />

Ve<strong>di</strong> tavola 11.<br />

C’è qualcosa <strong>di</strong> più vecchio, ora, sulla scala. È sera inoltrata. <strong>Il</strong> movimento inizia con <strong>il</strong><br />

passaggio <strong>di</strong> una sola figura: un uomo. S’incammina lungo un percorso del labirinto tracciato per<br />

terra. Non riesce a raggiungere <strong>il</strong> centro. In cima alla scala appare un’altra figura: una donna. Scende<br />

lentamente verso l’uomo, che ora è immob<strong>il</strong>e. Non saprei <strong>di</strong>re se arriverà a lui o no; quando ho fatto<br />

<strong>il</strong> <strong>di</strong>segno, speravo <strong>di</strong> sì. Insieme potrebbero tentare un altro percorso. Ma, sebbene anche loro mi<br />

interessino, la cosa che più mi sta a cuore è la scala: è sempre presente e le figure la dominano solo<br />

per un momento. Credo che un giorno riuscirò a penetrare <strong>il</strong> segreto <strong>di</strong> tali misteri; comunque posso<br />

<strong>di</strong>rvi fin d’ora che è già molto emozionante indagare. Se la scala fosse una cosa morta, come sarebbe<br />

scialba! Invece vibra <strong>di</strong> una vita grande, più grande <strong>di</strong> quella dell’uomo e della donna.<br />

La scala IV<br />

Quarto stato d’animo<br />

Ve<strong>di</strong> tavola 12.<br />

Questa volta la scala deve sopportare un peso maggiore. È notte fonda. Prima <strong>di</strong> tutto,<br />

nascondete con le mani i prof<strong>il</strong>i luminosi che si stagliano sul suolo; coprite anche le fontane ricurve in<br />

cima alla scalinata. Inoltre, la figura che si appoggia da questa parte, immaginatela dall’altra parte<br />

della scala, cioè all’ombra. Grava su <strong>di</strong> lui una inut<strong>il</strong>e angoscia, perché l’angoscia è sempre inut<strong>il</strong>e, e<br />

lo vedete agitarsi <strong>di</strong> qua e <strong>di</strong> là in questa scalinata del mondo. Ben presto assume la posizione che ha<br />

nel <strong>di</strong>segno. La testa allora gli cade sul petto e rimane immob<strong>il</strong>e.<br />

Ed ecco che le cose cominciano ad animarsi; dapprima con grande lentezza, poi con crescente<br />

rapi<strong>di</strong>tà. In alto, sopra lui sorge la cresta <strong>di</strong> una fontana come sorge la luna nelle malinconiche serate<br />

d’autunno. S’innalza più e più ancora con grande empito a tratti ma più spesso gradatamente. Ora<br />

appare un’altra fontana: insieme versano <strong>il</strong> loro essere in s<strong>il</strong>enzio. Quando gli zamp<strong>il</strong>li sono alla loro<br />

massima altezza, ha inizio l’ultimo movimento. Per terra si staglia in una luce calda <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o <strong>di</strong> due<br />

gran<strong>di</strong> finestre, e al centro <strong>di</strong> una <strong>di</strong> queste l’ombra <strong>di</strong> un uomo e <strong>di</strong> una donna - la figura sulla scala<br />

leva <strong>il</strong> capo. <strong>Il</strong> dramma è finito.<br />

Macbeth e Rosmersholm<br />

Ve<strong>di</strong> tavole 13 e 14.<br />

150


Parlerò <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>segno e <strong>di</strong> quello successivo contemporaneamente. Sono destinati a due<br />

tipi <strong>di</strong> dramma completamente opposti: Shakespeare e Ibsen. <strong>Il</strong> primo è per la scena del<br />

sonnambulismo in Macbeth e <strong>il</strong> secondo per la stanza in Rosmersholm.<br />

<strong>Il</strong> primo è per una nob<strong>il</strong>e trage<strong>di</strong>a classica, <strong>il</strong> secondo per un moderno dramma domestico. In<br />

entrambi i casi la catastrofe investe un’intera casa, la casa <strong>di</strong> Macbeth e <strong>di</strong> Rosmer, ed è provocata da<br />

una donna. Quel che non riesco a spiegarmi è perché la bellezza, <strong>il</strong> mistero e la forza <strong>di</strong> Ibsen<br />

vengono eclissati dal mistero e dalla forza ben più gran<strong>di</strong> <strong>di</strong> Shakespeare. Vicino a lui Ibsen, che<br />

paragonato a un autore moderno sembra un gigante, sparisce. Dove? Nella sua particolare, piccola<br />

casa; mentre Shakespeare sale sempre più in alto.<br />

In che cosa consiste dunque lo straor<strong>di</strong>nario <strong>di</strong>vario tra i due scrittori? Non basta qualche<br />

secolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza per spiegarlo. Per Ibsen si tratta <strong>di</strong> questo: Shakespeare era un artista, Ibsen non<br />

lo è. Ibsen è un uomo straor<strong>di</strong>nario, uno degli uomini più straor<strong>di</strong>nari del XIX secolo; risolve<br />

problemi che gli altri non possono o non vogliono risolvere; pone domande che nessun altro ha mai<br />

posto, eppure, messo in confronto con Shakespeare, perde ogni importanza; sembra timoroso, in un<br />

certo senso, <strong>di</strong> essere banale, or<strong>di</strong>nario, quel che noi chiamiamo semplice; e questo perché non è un<br />

artista. Non bisogna fare paragoni, <strong>di</strong>cono, ma io non ne sono così sicuro; credo anzi che sia<br />

necessario e ut<strong>il</strong>e. Se non si fissa per la letteratura drammatica un punto <strong>di</strong> riferimento a cui riportare<br />

le varie opere, <strong>il</strong> mondo accoglierà lavori <strong>di</strong> decima invece che <strong>di</strong> prima qualità - e la prima qualità non<br />

è Shakespeare ma Esch<strong>il</strong>o. Esch<strong>il</strong>o però si rifiuta <strong>di</strong> entrare in un <strong>teatro</strong> chiuso, con la luce artificiale,<br />

e si rifiuta <strong>di</strong> essere capito a fondo se non dai greci - da quei greci che sono morti. Ma è molto anche<br />

quello che possiamo capire noi inglesi: cioè che <strong>il</strong> nostro miglior punto <strong>di</strong> riferimento è quel misto <strong>di</strong><br />

arte letteraria e teatrale che Shakespeare ci ha dato sotto forma <strong>di</strong> dramma. Per questo, non ho mai<br />

osato ancora <strong>di</strong>segnare una scena per Esch<strong>il</strong>o, benché abbia letto la sua Tr<strong>il</strong>ogia sa <strong>il</strong> cielo quante<br />

volte. Oggi rappresentano le sue trage<strong>di</strong>e in teatri chiusi: si pavoneggiano, gesticolano e azzardano<br />

perfino a recitarle in greco. Perché non lasciare in pace <strong>il</strong> vecchio monumento? Sta sgretolandosi;<br />

meglio non toccarlo, meglio costruire da un’altra parte, prendendolo come punto <strong>di</strong> riferimento.<br />

Schermi<br />

Ve<strong>di</strong> tavola 15.<br />

"Lo spettacolo ha senza dubbio grande efficacia sull’animo degli<br />

spettatori, ma non ha niente a che fare con la trage<strong>di</strong>a e nemmeno<br />

con l’arte della poesia in generale. Perché <strong>il</strong> fine proprio della<br />

trage<strong>di</strong>a è conseguib<strong>il</strong>e anche senza rappresentazione scenica e senza<br />

attori e inoltre <strong>il</strong> produrre degli effetti spettacolari <strong>di</strong>pende più<br />

dall’arte del macchinista che non da quella del poeta”.<br />

Aristotele, Poetica, VI.i.19<br />

Quando leggiamo queste parole dobbiamo tener presente che Aristotele apre <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso<br />

affermando che l’arte è imitazione. È chiaro che si tratta <strong>di</strong> un’esagerazione, tant’è vero che si<br />

potrebbe sostenere proprio <strong>il</strong> contrario. Aristotele esagera anche a proposito dello spettacolo, e se<br />

non è certo un cattivo scrittore per questo, tuttavia scrittori che desiderano essere considerati gran<strong>di</strong><br />

devono star attenti a scegliere la parola esatta 69 . Qui Aristotele parla delle scene in cui vengono<br />

rappresentate trage<strong>di</strong>e o drammi. Perché allora usa la parola "Spettacolo”? Perché parla anche <strong>di</strong><br />

effetti spettacolari? In questo modo ci dà l’impressione <strong>di</strong> trattare una cosa banale e volgare, mentre<br />

69 Forse la colpa è dei traduttori <strong>di</strong> Aristotele.<br />

151


sappiamo che la scena può essere bella e non soltanto per gli effetti spettacolari. Le scene <strong>di</strong><br />

Taormina pervenuteci sono belle. Forse Aristotele si riferisce a una forma degenerata <strong>di</strong> spettacolo,<br />

ma perché scegliere proprio un brutto esempio <strong>di</strong> arte scenica per raffrontarla con la bella arte<br />

poetica? È possib<strong>il</strong>e che Aristotele non si comporti lealmente? Certo è che era meglio allora parlare<br />

dello spettacolo come <strong>di</strong> un nemico dell’arte poetica, e della poesia come <strong>di</strong> un nemico dell’arte dello<br />

spettacolo; ma collocare su un pie<strong>di</strong>stallo l’arte della poesia, e affermare che quel collega volgare<br />

dello spettacolo non ha niente a che fare con un così elevato personaggio è assurdo e parziale<br />

insieme.<br />

Cosa c’entri tutto ciò con i <strong>di</strong>segni qui a lato, mi sfugge del tutto; ma dal momento che sulla<br />

scena non compaiono figure, non si svolge nessun’azione, nessun <strong>di</strong>scorso, suppongo che quando lo<br />

eseguii sentivo <strong>di</strong> aver allontanato lo spettacolo o la scena dal regno della poesia, e <strong>di</strong> aver prevenuto<br />

quin<strong>di</strong> una futura contaminazione con l’arte poetica.<br />

Ricordo. Me lo stavo proprio <strong>di</strong>menticando. I nemici vi faranno sempre <strong>di</strong>menticare gli amici<br />

per un momento.<br />

<strong>Il</strong> <strong>mio</strong> amico W. B. Yeats <strong>di</strong>ce che la scena non è affatto staccata dall’arte poetica. Cosa si<br />

deve fare per questa scena <strong>di</strong>sgraziata, dal momento che Aristotele minaccia e Yeats ne fa <strong>il</strong> gesto? Si<br />

è mai visto uno spettacolo sim<strong>il</strong>e a quello che per secoli ha dato questa poverina? Ho attraversato<br />

Londra senza trovare un’altra donna così misera, caduta così in basso. E per questa ragione, intendo<br />

fare tutto <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e per portarla più in alto <strong>di</strong> qualsiasi altra.<br />

Macbeth<br />

Ve<strong>di</strong> tavola 16.<br />

Nelle Conversazioni con Eckermann, Goethe <strong>di</strong>ce a un certo punto: i<br />

"La tinta dello scenario dovrebbe <strong>di</strong> norma accordarsi con i costumi degli attori; lo scenario <strong>di</strong><br />

Beuther, per esempio, tende sempre più o meno allo scuro e fa risaltare in tutta la loro vivacità le<br />

stoffe dei vestiti”.<br />

"Se invece lo scenografo è obbligato a rinunciare a questa tonalità indefinita che va bene con<br />

tutto, e a <strong>di</strong>pingere una sala rossa o gialla, una tenda bianca, un giar<strong>di</strong>no verde, in questo caso sono gli<br />

attori che devono prendere la precauzione <strong>di</strong> non indossare costumi degli stessi colori. Se un attore<br />

con giacca rossa e pantaloni ver<strong>di</strong> cammina in una stanza rossa, la parte superiore del corpo sparisce<br />

e restano solo le gambe; se cammina in un giar<strong>di</strong>no verde, scompaiono le gambe e resta solo <strong>il</strong> busto.<br />

Ho visto un attore con giacca bianca e pantaloni molto scuri, visib<strong>il</strong>e metà per volta, a seconda che si<br />

trovasse <strong>di</strong> fronte a una tenda bianca o a uno sfondo scuro. Comunque lo scenografo, anche quando<br />

rappresenta una stanza rossa o gialla, o dell’erba, dovrebbe sempre attenersi a tinte piuttosto deboli<br />

ed evanescenti, in modo che i costumi possano intonarsi e risaltare”.<br />

Faremmo bene a stu<strong>di</strong>are a fondo questi suggerimenti, a provarli in palcoscenico e a osservare<br />

i risultati. Non occorre un grande sforzo per capire che contro uno sfondo nero sta bene un costume<br />

bianco, e contro uno sfondo chiaro, uno nero. Questo se si vuol far risaltare la figura; ma se vogliamo<br />

che si immerga, o ad<strong>di</strong>rittura si perda nella scena? Macbeth che vaga <strong>di</strong> notte intorno al suo castello<br />

sembra formare tutt’uno con esso; ricordo che, quando Irving lo interpretava, aveva indosso un<br />

costume quasi sim<strong>il</strong>e a quello delle pareti. Irving andava contro <strong>il</strong> consiglio <strong>di</strong> Goethe eppure aveva<br />

ragione. Ma nemmeno Goethe aveva torto: poiché in verità c’è qualcosa da imparare da ogni maestro;<br />

e anche se l’uno contrad<strong>di</strong>ce l’altro, tutti hanno una parte <strong>di</strong> ragione. La lezione da trarre è che non<br />

152


isogna mai essere troppo sicuri; in un caso sim<strong>il</strong>e, conviene affidarsi al proprio istinto, solo però se<br />

si conosce tutto lo scib<strong>il</strong>e sull’argomento. La cultura non fa male e non rende l’istinto meno<br />

penetrante. La conoscenza è <strong>il</strong> vero nutrimento dell’istinto.<br />

Vorrei potervi offrire qualcosa <strong>di</strong> più che briciole, ma la scenografia non vale molto più del<br />

pane secco, nel migliore dei casi.<br />

Macbeth<br />

Atto I, Scena 1<br />

Ve<strong>di</strong> tavole 17 e 18.<br />

Questo <strong>di</strong>segno è stato eseguito per la stessa scena e rappresenta lo stesso soggetto del<br />

<strong>di</strong>segno precedente, pur <strong>di</strong>fferendo in alcuni particolari. Un attore-<strong>di</strong>rettore, <strong>di</strong> cui non <strong>di</strong>rò <strong>il</strong> nome,<br />

quando glielo mostrai lo fissò come se gli avessi fatto vedere un fantasma e mi chiese che roba era.<br />

Gli risposi che era un <strong>di</strong>segno per la prima scena del primo atto <strong>di</strong> Macbeth, che le tre streghe si<br />

sarebbero raccolte ai pie<strong>di</strong> del p<strong>il</strong>astro, e così via. Non gli <strong>di</strong>ssi che quel p<strong>il</strong>astro <strong>di</strong>ritto doveva dare<br />

agli spettatori, all’inizio del dramma, la stessa impressione che Beethoven dà all’inizio della Eroica.<br />

Sentii che per lui ci voleva qualcosa <strong>di</strong> più concreto e infatti me lo <strong>di</strong>mostrò subito. “Avreste la<br />

gent<strong>il</strong>ezza <strong>di</strong> spiegarmi”, domandò, “cosa vorrebbe rappresentare?". Una sì cortese domanda richiede<br />

naturalmente un’altrettanto cortese risposta: perciò gli <strong>di</strong>ssi che c’era un’unica ragione per cui quel<br />

p<strong>il</strong>astro si trovava lì: rappresentava la pietra <strong>di</strong> Scone presso cui venivano incoronati i re <strong>di</strong> Scozia.<br />

“Molto interessante” fu <strong>il</strong> suo commento allora. Per accontentarlo, insomma, ho dovuto sfornargli lì<br />

per lì un fatto storico come sfondo a un <strong>di</strong>segno ispirato unicamente alla fantasia e<br />

all’immaginazione. Ormai ho fatto l’abitu<strong>di</strong>ne a queste cose, e ho sempre una risposta stupida per<br />

una domanda stupida. Brutto affare per un giovane <strong>di</strong> ventun anni se si fosse lasciato convincere da<br />

un uomo famoso a dare rima e ragione a cose che non sono state fatte per aver rima e ragione. A onor<br />

del vero, l’attore-<strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> cui ho parlato non è affatto un caso unico; <strong>di</strong>rei anzi che è in buona<br />

compagnia, tant’è che un altro tipo sim<strong>il</strong>e l’ho conosciuto io stesso a Berlino.<br />

Amleto<br />

Ve<strong>di</strong> tavola 19.<br />

È la seconda scena del I atto dell’Amleto messo in scena da me, con la collaborazione <strong>di</strong><br />

Stanislavskij, nell’inverno del 1911 al Teatro d’Arte <strong>di</strong> Mosca. Vedete <strong>il</strong> palcoscenico <strong>di</strong>viso da una<br />

barriera. Da una parte siede Amleto immerso in un sogno, dall’altra parte vedete <strong>il</strong> suo sogno. È<br />

come se lo vedeste con la fantasia <strong>di</strong> Amleto. Ciò che gli sta <strong>di</strong>etro assomiglia a oro fuso. È la Corte<br />

del Re e della Regina <strong>di</strong> Danimarca. È la caricatura grottesca <strong>di</strong> una specie <strong>di</strong> v<strong>il</strong>e regalità. <strong>Il</strong> Re parla<br />

come se fosse un automa; morde le parole con le mascelle e le emette con un grugnito feroce.<br />

Leggetele e vi accorgerete che sono una vera caricatura, e dovrebbero essere pronunciate come tali.<br />

Non è una cosa reale: è una visione. Non importa come è fatta la barriera che <strong>di</strong>vide Amleto dalla<br />

Corte; quel che importa è che a lui appare come le tombe, avvolte nei sudari, delle sue speranze: in<br />

mezzo a esse giace <strong>il</strong> corpo del padre - assassinato.<br />

153


RE Per quanto <strong>il</strong> ricordo della morte del nostro caro fratello Amleto<br />

sia ancora acerbo e ben s’ad<strong>di</strong>ca<br />

ai nostri cuori <strong>il</strong> cordoglio<br />

e che tutto <strong>il</strong> regno si contragga<br />

in una sola espressione <strong>di</strong> angoscia,<br />

tuttavia tanto ha lottato la temperanza con la natura<br />

che con più rassegnato dolore pensiamo a lui,<br />

in modo da non <strong>di</strong>menticare noi stessi.<br />

Pertanto la nostra sorella, un giorno,<br />

ora regina, l’imperiale erede <strong>di</strong> questo stato guerriero<br />

abbiamo presa in moglie, con gioia <strong>di</strong>sperata, per così <strong>di</strong>re,<br />

con un occhio lieto e uno lacrimoso,<br />

con letizia nei funerali, e lutto nel matrimonio,<br />

pesando esattamente d<strong>il</strong>etto e duolo;<br />

ma non per questo abbiamo messo da parte i vostri<br />

saggi consigli, che ci sono stati sempre accanto<br />

in questo negozio. Grazie <strong>di</strong> tutto.<br />

Orbene, come sapete, <strong>il</strong> giovane Fortebraccio<br />

con scarsa considerazione del nostro valore<br />

o pensando che la morte del nostro caro fratello<br />

abbia messo in subbuglio o <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne <strong>il</strong> nostro stato,<br />

preso da un sogno <strong>di</strong> rivalsa,<br />

non ha mancato <strong>di</strong> infasti<strong>di</strong>rci con un messaggio<br />

che reclama la consegna <strong>di</strong> quelle terre<br />

perdute da suo padre, nella forma più legale,<br />

e acquistate dal nostro valoroso fratello. Di lui non<br />

c’è altro da <strong>di</strong>re.<br />

Schermi<br />

Disposizione che avevano nell’ultimo atto <strong>di</strong> Amleto<br />

Ve<strong>di</strong> tavola 20.<br />

La fine <strong>di</strong> un libro e l’inizio d’un nuovo capitolo della Scenografia. Spero <strong>di</strong> vedere <strong>il</strong> giorno in<br />

cui <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> sarà <strong>di</strong> nuovo e davvero <strong>teatro</strong>. Per <strong>il</strong> momento lo pretende soltanto, perciò ogni<br />

pretendente è <strong>il</strong> benvenuto nella cittadella <strong>di</strong> cartone, e solo la simulazione è ritenuta genuina. Tutto<br />

cospira contro l’arte, contro la verità, e in favore della simulazione. Le emozioni sono finte, sono<br />

scim<strong>mio</strong>ttate, non trasformate dalla magia dell’artista in forme e in <strong>di</strong>segni compiuti e belli, in poemi.<br />

Vengon prese così come sono, riflesse in uno specchio tenuto piuttosto basso (perché le braccia<br />

cominciano a stancarsi) e questo riflesso lo chiamano arte; ma è la più vana simulazione d’arte che ci<br />

possa essere; e quel che è peggio, è una simulazione a una paro<strong>di</strong>a della vita stessa.<br />

Sottoposta a questa forma moderna <strong>di</strong> tirannia la vita è <strong>di</strong>ventata una cosa <strong>di</strong> nessuna<br />

importanza che si scim<strong>mio</strong>tta fac<strong>il</strong>mente, che si mette e si leva come un paio <strong>di</strong> scarpe da tennis.<br />

E oggi <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> documenta per le età future, per i figli dei nostri figli e per i loro figli, le cause<br />

della nostra infermità: Immaginazione ster<strong>il</strong>e, Emozioni fiacche; mani goffe e voci fievoli.<br />

Non manca chi considera proprio dovere sollevare <strong>il</strong> morale della nostra epoca e ci assicura<br />

che tutto è come dovrebbe essere e che se l’Immaginazione e le Emozioni sono deboli, l’arte deve<br />

documentarlo fedelmente per le età future. Sorprendente punto <strong>di</strong> vista. L’arte viene a essere come<br />

un occhio che indugia sull’orlo della <strong>di</strong>struzione; sim<strong>il</strong>e a Narciso, corteggia se stesso e le proprie<br />

insulsaggini e si esalta nella stupida riflessione <strong>di</strong> una più stupida realtà.<br />

L’Immaginazione e le Emozioni non devono servire per imitare, ma per creare.<br />

L’Immaginazione e le Emozioni che possono creare un’epoca, tramite l’arte, si abbasserebbero<br />

dunque a imitarla? L’arte è inut<strong>il</strong>e, se resta <strong>di</strong>etro agli avvenimenti: deve precederli, deve crearli.<br />

Quando scegliamo un re, lo facciamo con una certa arte, quando lo incoroniamo, no. <strong>Il</strong> resoconto<br />

154


dell’Incoronazione è compito dei giornalisti: schierati in prima linea, imbastiscono con false emozioni<br />

e senza un briciolo d’immaginazione la cronaca vera <strong>di</strong> un avvenimento tanto puer<strong>il</strong>e quanto<br />

inadeguato. Mettete in prima linea l’Immaginazione invece e vedrete che la cerimonia sarà tale da<br />

ispirare lo stesso re e la cronaca ispirerà <strong>il</strong> popolo.<br />

Quando costruiamo una città non teniamo conto dell’arte; i documenti fotografici e calligrafici<br />

che pren<strong>di</strong>amo alla fine, saranno lo zimbello delle genti future, e serviranno loro da ammonimento.<br />

Saranno la prova <strong>di</strong> quanto sia stolto prima sbagliare e poi, quand’è troppo tar<strong>di</strong>, pentirsene<br />

immensamente; la testimonianza <strong>di</strong> come non abbiamo <strong>il</strong> coraggio <strong>di</strong> affrontare la realtà delle nazioni,<br />

delle città, dei popoli, e persino delle nostre vite - per l’unica ragione che ci sembra troppo caro - e<br />

come alla fine siamo costretti a pagare un prezzo m<strong>il</strong>le volte maggiore solo perché non ci siamo<br />

affidati in tempo all’Immaginazione e alle Emozioni.<br />

Spero che gli uomini <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>, se non gli altri, ne siano capaci; a loro ricordo che l’Arte del<br />

Teatro è l’unica che ancora sia parte della nostra vita; non solo è profondamente ra<strong>di</strong>cata nel cuore<br />

della gente, ma <strong>il</strong> suo cuore immaginativo, <strong>il</strong> suo cuore universale è <strong>il</strong> cuore della gente.<br />

“Popolare” è una parola che ha perso oggi <strong>il</strong> suo significato - o vuol <strong>di</strong>re soltanto volgare -<br />

ma noi siamo sicuri che <strong>il</strong> suo vero senso implichi <strong>il</strong> concetto <strong>di</strong> un Ideale.<br />

Ne siamo sicuri. Altrimenti, non avremmo forse abbandonato la partita della vita, secoli fa?<br />

L’Ideale, l’Ideale popolare del <strong>teatro</strong> popolare, dovrebbe essere quello <strong>di</strong> ricreare una vera<br />

scena, una vita in grado <strong>di</strong> infondere nel popolo rinnovate energie che solo l’Immaginazione e gli<br />

uomini <strong>di</strong> Immaginazione possono risvegliare: le pre<strong>di</strong>che non servono a niente.<br />

La gente sa... non c’è bisogno <strong>di</strong> mentire, c’è ancora meno bisogno <strong>di</strong> sprecare m<strong>il</strong>ioni per<br />

mentire a noi stessi. Ci sono giornali, gran<strong>di</strong> e potenti, che ci van ripetendo ogni giorno le stesse<br />

menzogne: che sono potenti e che guidano <strong>il</strong> popolo.<br />

In realtà sono <strong>il</strong> suo zimbello - che lo sappiano finalmente. È una pia <strong>il</strong>lusione credere che <strong>il</strong><br />

popolo, che ha sempre o<strong>di</strong>ato ogni forma <strong>di</strong> tirannia, sia tanto sciocco da accettare questa solo<br />

perché è a buon mercato.<br />

Oggi, come sempre in passato, c’è un unico potere che conta. È <strong>il</strong> Potere dell’Immaginazione,<br />

ed è davvero Sovrano. E potere dell’Immaginazione tiene in pugno <strong>il</strong> Re come <strong>il</strong> Popolo, <strong>il</strong> Ricco<br />

come <strong>il</strong> Povero, perché per lui son tutti alla pari, tutti suoi figli; non ha preferenze, se non e sempre<br />

per la bellezza. Punisce, perdona, anzi perdona sempre, anche se punisce. È l’unico potere davvero<br />

buono. Ognuno ne ha una porzione - una porzione eguale - ma mentre alcuni l’hanno serbata più<br />

gelosamente dell’oro, altri l’hanno venduta per una parte <strong>di</strong> miniera. I primi tuttavia son più<br />

numerosi e sono legati tra loro dai vincoli più forti e in<strong>di</strong>ssolub<strong>il</strong>i che siano mai esistiti. Lunga vita al<br />

Re dei Re.<br />

Conclusione<br />

L’aver reso popolare la Bruttezza, l’aver calunniato la Bellezza, questi sono i risultati del<br />

Teatro Realistico. I miei <strong>di</strong>segni vogliono essere una protesta contro <strong>il</strong> Teatro Realistico e la sua<br />

anarchia.<br />

<strong>Il</strong> moderno Teatro Realistico, <strong>di</strong>mentico <strong>di</strong> tutte le leggi dell’Arte, <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> riflettere i tempi; in<br />

realtà li riflette solo in parte: tira <strong>il</strong> sipario e ci fa vedere una confusa, grossolana e o<strong>di</strong>osa caricatura<br />

dell’Uomo e della Vita.<br />

155


Lo scopo dell’arte non è mai stato quello <strong>di</strong> riflettere e rendere più brutte le cose brutte, ma<br />

quello <strong>di</strong> trasformare e <strong>di</strong> abbellire ancor più le cose belle; e, insieme, <strong>il</strong> suo dolce influsso ci protegge<br />

dalle oscure angosce della nostra debolezza.<br />

<strong>Il</strong> Teatro Realistico concorre a <strong>di</strong>ffondere l’irrequietezza, nemica <strong>di</strong> ogni cosa.<br />

<strong>Il</strong> Teatro (inteso come Arte e come Istituzione) deve infondere calma e riflessione negli<br />

uomini, deve ispirarli con la sua bellezza.<br />

<strong>Il</strong> Realismo Fotografico e quello Fonografico, con la loro grottesca e falsa rappresentazione<br />

della vita esteriore, visib<strong>il</strong>e, priva <strong>di</strong> essenza <strong>di</strong>vina, <strong>di</strong> spirito, <strong>di</strong> bellezza, offendono l’intelligenza<br />

umana.<br />

All’artista non importa <strong>il</strong> soggetto da trattare; <strong>il</strong> suo piacere consiste nell’<strong>il</strong>luminare tutto quel<br />

che tocca in modo da farlo br<strong>il</strong>lare e risplendere. Basta uno sguardo alle opere dei Maestri per<br />

rendersene conto.<br />

Ma <strong>il</strong> moderno Teatro Realistico non paga lo scotto ai Maestri, anche se è a conoscenza<br />

dell’esistenza delle loro opere.<br />

<strong>Il</strong> Realismo contiene i germi della Rivolta e se <strong>il</strong> cuore dell’uomo può provare pietà verso<br />

coloro <strong>il</strong> cui fato sembra compiersi inesorab<strong>il</strong>mente, l’arte, con la sua terrib<strong>il</strong>e influenza, non deve<br />

prestarsi in alcun modo alla <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> quel giusto Equ<strong>il</strong>ibrio, che l’umanità aspira a creare e a<br />

serbare. Non vi è veleno più rapido <strong>di</strong> quello che corrode la mente, e <strong>il</strong> Realismo - spergiuro, tra<strong>di</strong>tore<br />

dell’Immaginazione, promotore dell’idolatria della bruttezza - è un veleno.<br />

Apparve per la prima volta a Parigi, ma solo dopo <strong>il</strong> 1789. La folla ci godeva, ma le persone<br />

intelligenti ne erano <strong>di</strong>sgustate.<br />

Da lì passò in Russia, in Germania, in Portogallo e in altre terre irrequiete; non si spinse in<br />

Ingh<strong>il</strong>terra, né in America e nemmeno in Islanda, forse perché in questi paesi <strong>il</strong> Teatro non ha<br />

bisogno del Realismo per essere volgare.<br />

Temerario e pericoloso, è una Rivolta contro le Leggi più vere dell’arte del Teatro.<br />

Temerario perché è impossib<strong>il</strong>e riprodurre la natura.<br />

Pericoloso perché è una minaccia contro l’or<strong>di</strong>ne costituito. <strong>Il</strong> Teatro del Realismo riecheggia<br />

qualunque bisbiglio <strong>di</strong> rivolta; le espressioni torve, i movimenti trasandati, le scene oscure, al chiuso,<br />

le esclamazioni spasmo<strong>di</strong>che degli attori, quell’atmosfera stranamente smorzata, ogni suo elemento<br />

insomma contribuisce a dare un’impressione sinistra.<br />

Ma tutto questo è falso e indegno del <strong>teatro</strong>, sia come Istituzione che come Arte.<br />

La nostra unica speranza è riposta nella Libertà del <strong>teatro</strong>.<br />

Solo con la libertà <strong>di</strong> scegliere e <strong>di</strong> trattare i propri temi, lontano dalle imposizioni delle altre<br />

arti, <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> può riprendersi.<br />

156


Scena<br />

Al vecchio BACH<br />

157


L’arte adopera i propri materiali non per travestire i pensieri ma per esprimerli<br />

1. Poiché le parole hanno perduto sì gran parte del loro significato - sei <strong>di</strong>verse parole<br />

in<strong>di</strong>cano spesso la stessa cosa, una parola talvolta in<strong>di</strong>ca sei <strong>di</strong>verse cose - è più che naturale che<br />

questo mondo abbia dovuto accettare per vero <strong>il</strong> detto sorto verso <strong>il</strong> <strong>di</strong>ciottesimo secolo, che Voltaire<br />

espresse br<strong>il</strong>lantemente: “<strong>il</strong>s n’emploient les paroles, que pour déguiser leurs pensées”.<br />

<strong>Il</strong> mondo non poteva farci niente - <strong>il</strong> linguaggio era ancora una cosa troppo graziosa, troppo<br />

fac<strong>il</strong>e, troppo piccola. Perfino i bambini se ne servono subito per <strong>di</strong>re bugie... eppure alla parola si<br />

crede.<br />

Ma né i fanciulli né gli uomini saggi sono capaci <strong>di</strong> mentire in modo altrettanto fac<strong>il</strong>e e<br />

grazioso con i gesti. Forse <strong>il</strong> piccolo animale si è impadronito, molto tempo fa, <strong>di</strong> tale sott<strong>il</strong>e<br />

astuzia... la natura è sempre un incanto e una sorpresa ma l’uomo ancora no.<br />

Per l’uomo, le parole sono lo strumento più fac<strong>il</strong>e e imme<strong>di</strong>ato per mentire. Così ora, in questo<br />

ventesimo secolo, quasi ogni frase è una menzogna. Non vorrei spingermi fino a dover ammettere per<br />

scherzo che una frase del genere sia un’arte. Sarei più propenso a chiamarla una porcheria. :<br />

Un giorno una cosa puramente naturale <strong>di</strong>ventò arte; ma quando superò i termini naturali<br />

della sua esistenza, esaurite tutte le sue riserve <strong>di</strong> fiato, si fece nera in volto; l’argento del linguaggio<br />

venne grattato via e arrivammo al piombo che stava sotto, e dentro al piombo... c’erano le bugie.<br />

***<br />

Così ora che desidero parlarvi degli elementi che si mettono sul palcoscenico per<br />

rappresentare <strong>il</strong> luogo 70 nel quale si suppone debba avvenire <strong>il</strong> dramma, mi trovo imbarazzato dalla<br />

mancanza <strong>di</strong> parole esatte con cui descriverli, perciò ognuno comprenderà, oltre tutto, quel che io<br />

non intendo <strong>di</strong>re.<br />

Se io uso una sola, fra le <strong>di</strong>verse parole, tre <strong>di</strong> voi intenderanno una cosa, tre <strong>di</strong> voi un’altra, e<br />

altri tre... ma sono troppo ottimista, i miei lettori non arriveranno certo a nove.<br />

Perché se è vero, purtroppo, che scriviamo e adoperiamo le parole soltanto per mascherare i<br />

pensieri, d’altra parte le leggiamo con precisione per la ragione contraria, cioè per apprendere cose<br />

che non abbiamo veduto e per u<strong>di</strong>re cose <strong>di</strong> cui non abbiamo sentito parlare da coloro che hanno<br />

veduto e u<strong>di</strong>to.<br />

Ecco perché leggiamo; a meno che non siamo dei piccoli, ri<strong>di</strong>coli uomini che si fanno<br />

calpestare assai presto e che piangono troppo presto; vecchi piccoli uomini, che desiderano essere<br />

padroni dei loro vicini, <strong>di</strong> se stessi, della loro vita, della natura, ma non ne sono capaci; però, oh<br />

quanto sono persuasi (l’antica aria ce lo racconta con la chiarezza <strong>di</strong> uno squ<strong>il</strong>lante fischio <strong>di</strong> treno<br />

“stiamo attraversando un tunnel”)... persuasi che tutta la vita non è che cenere... l’uomo un mulo o<br />

un porco, la donna un gatto o una gallina, e la prima regola della natura umana <strong>il</strong> desiderio <strong>di</strong><br />

mangiare.<br />

Ma sei uomini e donne, <strong>di</strong>ciamo tre per sesso, leggeranno quel che scrivo e udranno qualcosa<br />

che non è travestito. È per questi sei che voglio tentare. Però debbono accontentarsi; parleremo <strong>di</strong><br />

argomenti secondari, l’argomento più importante è nei <strong>di</strong>segni... e questi debbon parlare da sé, perché<br />

io non ne parlerò.<br />

***<br />

70 “Un luogo piacevole”, <strong>di</strong>sse un <strong>mio</strong> caro vecchio amico guardando <strong>il</strong> modello <strong>di</strong> palcoscenico che descriverò<br />

appresso; ho sempre pensato che le parola più appropriata, molto migliore <strong>di</strong> scena, sia luogo, se sembra reale. Scena va<br />

bene se sembra falsa.<br />

158


2. <strong>Il</strong> luogo, in cui si suppone si svolga <strong>il</strong> dramma davanti ai vostri occhi, può essere Atene nel<br />

100 a. C., o una strada in Atene nel 400 d. C., Roma nel 100 d. C., o una casa in Roma nel 456 d.C.;<br />

può essere Roma oggi, nel 1922.<br />

Oppure può essere una cabina <strong>di</strong> un bastimento sul mare o nel porto, può essere un canale a<br />

Venezia, una brughiera nello Yorkshire; oppure può essere l’ufficio <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>tore, o una chiesa a<br />

Oxford, una casa sulle colline lungo lo Yang-Tse-Kiang, una foresta <strong>di</strong> cedri vicino Pisa, una stanza in<br />

Rue de Bagnolet nel 1752... e m<strong>il</strong>le e m<strong>il</strong>le altri luoghi.<br />

Può essere qualsiasi luogo: potrebbe essere persino un luogo fuori del mondo - come, ad<br />

esempio nel Faust <strong>di</strong> Goethe, nel Manfred <strong>di</strong> Byron, nella Tempesta <strong>di</strong> Shakespeare. Può essere un<br />

quartiere popolare, un palazzo, o <strong>il</strong> Cielo o l’Inferno (benché in tal caso bisogna esser molto cauti<br />

per non offendere gli scettici).<br />

Abbiamo dato un nome a questo Luogo; e qui cominciano i guai, perché sembra che un solo<br />

nome non sia sufficiente, quin<strong>di</strong> gli abbiamo dato più nomi, e la confusione depone un’altra corona<br />

sulla tomba dell’or<strong>di</strong>ne. La confusione depone sempre corone del genere: che fantasma... con quei<br />

gesti ironici e quel ghigno... proprio come la morte in persona.<br />

Abbiamo chiamato questo Luogo: Scena, Scenario, Décors, Decorazioni. A me, e forse anche<br />

a voi, sembra che tutte queste parole bisticcino fra loro.<br />

Tutta questa confusione è sorta perché gente <strong>di</strong>versa aveva una nozione <strong>di</strong>versa <strong>di</strong> che cosa<br />

fosse <strong>il</strong> Dramma e comunque desiderava cambiarlo.<br />

Soffermiamoci un momento a riflettere su questi mutamenti: ma in fretta, quasi fossero <strong>il</strong><br />

prologo <strong>di</strong> una vecchia comme<strong>di</strong>a.<br />

<strong>Il</strong> prologo<br />

Primo Dramma. Classico (Greco o Romano). Pagano.<br />

Un luogo - un tempo - un’azione.<br />

(Unità <strong>di</strong> luogo, <strong>di</strong> tempo e <strong>di</strong> azione - non <strong>di</strong> scena, tempo e azione.)<br />

All’aria aperta: ampi teatri: lo stesso Dramma è per la Massa e per i Pochi. È Sacro o Profano -<br />

Trage<strong>di</strong>a o Comme<strong>di</strong>a - Dramma non “comodo”.<br />

Danza - Canto - Linguaggio - Maschere - Architettura convengono in questo Dramma. Me<strong>di</strong>tato<br />

- progettato con gran<strong>di</strong>osità.<br />

<strong>Il</strong> linguaggio usato è quello che può essere compreso da tutti nel <strong>teatro</strong>.<br />

Percorre tutto <strong>il</strong> mondo conosciuto.<br />

Secondo Dramma. Me<strong>di</strong>evale. Cristiano.<br />

L’unità <strong>di</strong> luogo, tempo e azione è scomparsa.<br />

Di solito viene rappresentato nelle chiese.<br />

<strong>Il</strong> sacro e <strong>il</strong> profano cominciano a fondersi.<br />

Ancora un Dramma non “comodo”.<br />

Gli stessi elementi - Danza - Canto - Linguaggio - Maschere e Architettura convergono nel<br />

crearlo. Me<strong>di</strong>tato - progettato con gran<strong>di</strong>osità.<br />

<strong>Il</strong> linguaggio usato è quello che non può essere compreso dalle masse ignoranti che affollano<br />

l’e<strong>di</strong>ficio.<br />

Domina l’Europa.<br />

Terzo Dramma. Italiano. Comme<strong>di</strong>a dell’Arte. Crede in tutto.<br />

159


Ritorna l’unità <strong>di</strong> luogo, tempo e azione ed è considerata preziosa.<br />

Viene rappresentato nelle strade.<br />

È una Comme<strong>di</strong>a Profano-Grottesca.<br />

Ancora un Dramma non “comodo”.<br />

Gli stessi elementi concorrono a formarlo, ma in un modo spontaneo, niente <strong>di</strong> me<strong>di</strong>tato, poco <strong>di</strong><br />

progettato; improvvisazione.<br />

<strong>Il</strong> linguaggio è quello dell’uomo della strada.<br />

Si propaga come un fuoco in tutta Europa.<br />

Quarto Dramma ..........? Non crede in nulla.<br />

<strong>Il</strong> terzo Dramma è <strong>di</strong>venuto stab<strong>il</strong>e - si è seduto - comincia a essere “comodo”.<br />

Gli stessi elementi <strong>di</strong> prima eccetto l’Architettura: scene <strong>di</strong>pinte la sostituiscono.<br />

Ambiente interno.<br />

Luce artificiale per la prima volta.<br />

3. E col cambiamento del Dramma venne <strong>il</strong> cambio della scena. <strong>Il</strong> cambiamento nel Dramma<br />

era avvenuto per ragioni climatiche.<br />

<strong>Il</strong> Dramma era andato al chiuso nella stagione fredda, perché l’uomo, sempre tanto<br />

impaziente <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertirsi nella stagione sbagliata, non poteva attendere l’arrivo della stagione calda.<br />

L’errore non era dell’artista: era dovuto al cattivo governo.<br />

<strong>Il</strong> Dramma, si <strong>di</strong>ce - ed è fac<strong>il</strong>e crederlo -, sbocciò da alcuni spontanei giochi e risate durante i<br />

mesi br<strong>il</strong>lanti dell’anno nei paesi del Sud.<br />

È probab<strong>il</strong>e, perché vi è un significato nell’estasi che si genera con un tempo sim<strong>il</strong>e, all’aria<br />

aperta, si prova un desiderio <strong>di</strong> fare qualcosa, cantare e danzare, <strong>di</strong>nanzi agli Dèi ai quali allora si<br />

attribuivano tutti questi benefizi: <strong>il</strong> caldo, l’allegria dei cuori, l’affetto degli amici, le vittorie sui<br />

nemici, l’acqua!... l’acqua!... <strong>il</strong> sole <strong>il</strong> cielo e le notti fresche... <strong>il</strong> vino!... <strong>il</strong> grano!... e l’abbondanza.<br />

A quei liberi uomini dei nostri padri non era mai capitato <strong>di</strong> starsene seduti egoisticamente a<br />

scrivere le proprie memorie per spiegare al pubblico che <strong>il</strong> grano, <strong>il</strong> vino, l’acqua e tutto <strong>il</strong> resto non<br />

erano altro che <strong>il</strong> risultato della loro prudenza e della loro energia; secondo loro c’erano sempre uno o<br />

due Dèi che avevano fatto tutto. Lode, allora, e allegria <strong>di</strong> fronte al Dio.<br />

(Ora pensate un momento a Strindberg, a Becque, a Shaw o a qualsiasi altro moderno! Sono o<br />

non sono un progresso sugli antichi?<br />

Questi badano al popolo: si mettono a <strong>di</strong>scutere con la gente, le danno colpetti sulla schiena,<br />

sono scrittori per famiglia, i nostri progenitori invece guidavano <strong>il</strong> popolo).<br />

Così la scena <strong>di</strong> quei primi Drammi fu posta all’aria aperta.<br />

Fatta <strong>di</strong> quella dura materia che sola è capace <strong>di</strong> competere vittoriosamente con <strong>il</strong> sole, <strong>il</strong><br />

vento, la pioggia e le ingiurie del tempo... la Pietra.<br />

L’intero Teatro era <strong>di</strong> pietra - l’intero Teatro era la Scena. Una parte conteneva gli spettatori,<br />

un’altra gli attori; ma tutto l’insieme era Scena - <strong>il</strong> Luogo per <strong>il</strong> Dramma 71 .<br />

La separazione fra attore e spettatore non era messa in risalto - era osservata reciprocamente<br />

- in s<strong>il</strong>enzio.<br />

Non c’era sipario. <strong>Il</strong> luogo chiamato Skene (scena) era <strong>il</strong> più lontano dagli spettatori - ed era <strong>il</strong><br />

muro posteriore dell’intero Luogo o Teatro.<br />

71 “Era <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e che una città greca fosse tanto piccola o tanto sperduta da non avere un <strong>teatro</strong> e delle feste<br />

drammatiche”. Flickinger.<br />

160


Gli attori non entravano in scena né uscivano lungo questo muro come se fossero piatti,<br />

<strong>di</strong>pinti su quei loro inimitab<strong>il</strong>i vasi: non entravano come gatti bianchi in una stanza s<strong>il</strong>enziosa, senza<br />

essere né visti né u<strong>di</strong>ti, venivano <strong>di</strong>rettamente verso gli spettatori, proprio al centro, vicino a loro; e<br />

cantavano, saltavano, rendevano percettib<strong>il</strong>i insomma le tre <strong>di</strong>mensioni del luogo.<br />

La loro Skene fu davvero la Scena per la prima, e (penso) per l’ultima volta nella Storia del<br />

Mondo.<br />

Senza scenario, senza décors. Pietra: bianca, rossa, gialla, bruna, nera, blu, verde... chissà che<br />

colore 72 ; perché i greci non avevano certo <strong>di</strong>menticato <strong>il</strong> colore. Ma non era <strong>il</strong> colore che si porta col<br />

secchio - quello che usa <strong>il</strong> pittore da cavalletto <strong>di</strong>soccupato, perché i pittori greci erano sempre<br />

occupati in Grecia, sempre al loro posto... fuori del Teatro.<br />

La loro Scena era una cosa genuina, un’opera <strong>di</strong> architettura inalterab<strong>il</strong>e eccetto che per dei<br />

particolari insignificanti; eccetto per l’eterno mutamento che passava sul suo volto da un mattino<br />

all’altro come passavano <strong>il</strong> sole e la luna.<br />

<strong>Il</strong> loro Dramma era trionfante... trapassò trionfalmente senza contorcimenti.<br />

4. La scena che appare successivamente in Europa è anch’essa architettonica - perché anche <strong>il</strong><br />

dramma che appare ora è <strong>di</strong> tipo religioso, e noi Europei, essendo a quel tempo giovani nei<br />

sentimenti, avevamo l’antico piacere <strong>di</strong> fare le cose come si deve.<br />

Questo vecchio principio del fare le cose come si deve è stato nostro finché abbiamo avuto<br />

qualcuno o qualcosa al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> noi per cui farle.<br />

Un Dio - ecco la realtà per cui potevamo perdere la consapevolezza <strong>di</strong> noi stessi - aveva<br />

annullato ogni egoismo, per questo eravamo nella con<strong>di</strong>zione adatta per fare qualcosa <strong>di</strong> degno.<br />

Tale con<strong>di</strong>zione mi sembra l’unica in cui un uomo o una nazione possano esprimere un’arte<br />

davvero grande.<br />

Questa seconda scena architettonica che apparve in Europa era la Chiesa.<br />

Non era soltanto una piattaforma innalzata - una scena in fondo alla chiesa: era l’intera<br />

chiesa.<br />

La Chiesa era Teatro e Palcoscenico. Luogo per gli spettatori e per gli attori, e spettatori e<br />

attori insieme erano uniti come adoratori - gioiosi - eccitati - ardenti <strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne verso qualcosa al<br />

<strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> loro.<br />

Perché andare in chiesa - perché andare ad assistere a un dramma sia esso tragico o gaio, se<br />

non ci andate con gioia come bambini che corrono a dar baci alla mamma?<br />

Non vado più in chiesa o a <strong>teatro</strong> se non c’è una sim<strong>il</strong>e eccitazione.<br />

Eppure continuo ad andare nelle chiese e nei teatri.<br />

In questa Chiesa-Teatro che noi Europei facemmo per ringraziare Dio, tutto era davvero<br />

stupendo, davvero lussuoso: gioielli, argento, e oro... una festa <strong>di</strong> tutto: musica... un mare <strong>di</strong> musica;<br />

travagliato, ma tuttavia trionfante. Si parlava latino... nessuno comprendeva eccetto i pochi. Tutto<br />

era genuino - ancora genuino - animato <strong>di</strong> realtà.<br />

72 Avete mai visto le mura della chiesa <strong>di</strong> S. Marco a Venezia?<br />

A sessanta passi danno l’impressione <strong>di</strong> essere ornate con morbi<strong>di</strong> drappeggi <strong>di</strong> seta, dai <strong>di</strong>segni elaborati.<br />

Da vicino ci si accorge che si tratta <strong>di</strong> lastre piane <strong>di</strong> pietra - ma che pietra: come selezionata, come intagliata, come<br />

<strong>di</strong>slocata.<br />

<strong>Il</strong> miracolo è lo st<strong>il</strong>e, non la pietra.<br />

Altrettanto splen<strong>di</strong>do e, non ne dubito, perfino <strong>di</strong> più era l’archetipo dei Greci dai quali Venezia ha appreso tutto.<br />

161


Tutto bene ancora per <strong>il</strong> Dramma e per la Scena 73 .<br />

5. Anche la terza scena europea era genuina.<br />

Era <strong>il</strong> muro liscio <strong>di</strong> una strada, o la parete <strong>di</strong> una cantina; la loggia della piazza citta<strong>di</strong>na,<br />

oppure una facciata minore o l’ala <strong>di</strong> un palazzo.<br />

Tutto va ancora bene. Non è la rivoluzione - è l’inizio. Abbiamo fatto delle concessioni, ma<br />

abbiamo aperto altre possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong>nanzi a noi.<br />

I toni, i movimenti, gli sguar<strong>di</strong> tormentosi entrati a forza nel Dramma nel suo ultimo sv<strong>il</strong>uppo<br />

erano <strong>di</strong>ventati una fatica per i nervi. Crescevamo irritab<strong>il</strong>i e tormentati. Non avevamo <strong>di</strong>menticato <strong>il</strong><br />

trionfante “Tollite portas”... ma rabbrivi<strong>di</strong>vamo perché... abbiamo timore perfino <strong>di</strong> <strong>di</strong>rlo... <strong>il</strong> volto sanguinante e<br />

Vogliamo uscir fuori, tentiamo <strong>di</strong> cercare la porta, usciamo..., siamo usciti: l’aria fresca...<br />

“grazie a Dio”.<br />

E per un certo tempo facciamo a meno del vecchio tragico Dramma: nessuna preoccupazione<br />

- <strong>di</strong>mentichiamolo pure... tutto era troppo terrib<strong>il</strong>e da ricordare... era <strong>di</strong>venuto troppo terrib<strong>il</strong>e da<br />

vedere. Nient’altro - la cerimonia stessa, un tempo così severa e nob<strong>il</strong>e e così austeramente<br />

presentata, ci dava una profonda emozione - ma poi subentrò <strong>il</strong> compromesso nel modo <strong>di</strong><br />

rappresentarla... e arrivederci.<br />

E ora, stando seduti alla porta <strong>di</strong> casa, al sole, un giorno ve<strong>di</strong>amo per strada, <strong>di</strong> fronte a un<br />

muro grigio chiaro, tre strane figure - le fissiamo attentamente facendoci ombra agli occhi.<br />

Assomigliano proprio a... no, è stata solo un’orrib<strong>il</strong>e fantasticheria, <strong>di</strong>mentichiamola... e torniamo<br />

dentro.<br />

<strong>Il</strong> giorno dopo la stessa cosa - con risate, e la gente che guarda e ride. Esco, mi accosto <strong>di</strong> più.<br />

Le stesse tre strane figure che si <strong>di</strong>menano e gesticolano... in realtà non sono affatto sim<strong>il</strong>i a quelle<br />

immagini con i volti straziati e le ginocchia spezzate e ora che sono ancora più vicino vedo quanto<br />

fosse assurda la mia idea... ridono continuamente. La miseria e l’agonia non ridono... soltanto i<br />

vincitori ridono - eppure quando dormo mi sembra <strong>di</strong> avere la visione dolorosa <strong>di</strong> un martire.<br />

Questi sono i nuovi attori, noi i nuovi spettatori, atterriti e sghignazzanti insieme; <strong>il</strong> nostro<br />

<strong>teatro</strong> la strada; la nostra scena <strong>il</strong> cumulo <strong>di</strong> terra <strong>di</strong> fronte al muro grigio chiaro; i nostri sed<strong>il</strong>i... i<br />

nostri stessi calcagni o una pietra.<br />

Era nata la Comme<strong>di</strong>a dell’Arte.<br />

6. La Quarta Scena.<br />

“Bisogna fare qualcosa, mi pare” gridò <strong>il</strong> Duca accorgendosi un pomeriggio che la piazza<br />

principale era affollata da tutti i suoi seguaci, dagli amici, dalla sua stessa famiglia “non hanno<br />

nemmeno dei sed<strong>il</strong>i” - e tutti stavano a guardare cinque gran<strong>di</strong> attori che recitavano su una nuda<br />

piattaforma... “bisogna proprio fare qualcosa”; e procurò i sed<strong>il</strong>i per <strong>il</strong> giorno dopo. Così sorse la<br />

73 Non menziono i teatri inut<strong>il</strong>i e le scene <strong>di</strong> quest’età che furono concepiti per <strong>di</strong>sperazione - un’assurda <strong>di</strong>sperazione<br />

che scaturì da una fatale ostinazione, da una rivolta. I palcoscenici per le moralità e per i "misteri” si trovavano fuori<br />

della chiesa -e fuori posto. II lavoro che vi si svolgeva sopra era un tipo <strong>di</strong> lavoro puer<strong>il</strong>e; <strong>il</strong> linguaggio volgare ululato<br />

o blaterato, mentre <strong>il</strong> bel latino cantato e recitato era stato respinto da alcuni rivoluzionari in una chiesa non perfetta, ma<br />

sempre molto più perfetta <strong>di</strong> quella che avrebbero trovato dopo... un palcoscenico, una scena, un Dramma <strong>di</strong> gran lunga<br />

più perfetti.<br />

E. K. Chambers - <strong>il</strong> cui primo capitolo del secondo volume <strong>di</strong> The Me<strong>di</strong>eval Stage non finisce <strong>di</strong> eccitarmi, sebbene<br />

sia storia della più spoglia - ci racconta con chiarezza che cosa fossero questo solenne gaio Dramma, <strong>il</strong> palcoscenico e la<br />

scena. Fin dal 1903, quando <strong>il</strong> suo libro apparve per la prima volta in Ingh<strong>il</strong>terra, ho contratto con lui un debito <strong>di</strong><br />

gratitu<strong>di</strong>ne che ripago rivolgendomi <strong>di</strong> nuovo e continuamente, almeno tre o quattro volte all’anno, al suo libro. È <strong>il</strong><br />

miglior lavoro inglese esistente oggi sull’argomento.<br />

162


quarta scena con un bel palcoscenico con <strong>il</strong> tetto sopra e tutti i tipi <strong>di</strong> macchinari e ogni protezione<br />

possib<strong>il</strong>e offerta a Donna Bianca della Bella.<br />

<strong>Il</strong> Duca ci rimise tutto <strong>il</strong> tempo libero... e alcuni m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> ducati... “che cosa?” <strong>di</strong>sse, “o si fa<br />

bene, o non si fa per niente”. Che bella cosa!<br />

Questo quarto palcoscenico con la sua Scena era <strong>il</strong> riconoscimento da parte dell’aristocrazia<br />

dell’esistenza <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> attori - ed era un regalo per <strong>il</strong> popolo.<br />

Una scena più sontuosa non sarebbe concepib<strong>il</strong>e. Non nob<strong>il</strong>e come la scena greca, non così<br />

scostante come <strong>di</strong>venne la scena nelle chiese, non tragicomica come la scena nelle strade dei<br />

grotteschi comici sbrindellati: era una improvvisazione positiva, me<strong>di</strong>tata, br<strong>il</strong>lante e piena <strong>di</strong> <strong>di</strong>fetti.<br />

I migliori architetti, pittori, poeti e ingegneri furono fatti venire dal Duca da ogni parte d’Italia; e se <strong>il</strong><br />

principe <strong>di</strong>morava in Francia, come Enrico IV, venivano chiamati dall’Italia; e se, come F<strong>il</strong>ippo,<br />

<strong>di</strong>morava in Spagna, dovevano andare in Spagna.<br />

Non aveva fatto a tempo <strong>il</strong> primo Duca a comportarsi da Duca che subito altri sei o sette si<br />

misero a imitarlo; e poi un Car<strong>di</strong>nale, uno o due Re, e infine un Imperatore. D’un tratto si andò<br />

<strong>di</strong>ffondendo questa idea <strong>di</strong> comportarsi da Duca, da Re, finché ogni Corte ebbe uno, due, e a volte<br />

quattro teatri. Come a Parma nel 1690, quando <strong>il</strong> Duca Farnese aveva due teatri nel palazzo, due nei<br />

giar<strong>di</strong>ni e due nella città, e tra <strong>il</strong> 20 e <strong>il</strong> 25 maggio vi furono spettacoli in quattro teatri 74 .<br />

Se dubitate che questa Quarta Scena sia stata davvero così splen<strong>di</strong>da non avete che da visitare<br />

Parma e ve ne convincerete. La città è in tutto uguale a quella <strong>di</strong> una volta. Non avete che da guardare<br />

le opere del Serlio, del Palla<strong>di</strong>o, dell’Arnal<strong>di</strong>, del Sirigatti e dei loro seguaci per trovare le parti<br />

mancanti.<br />

L’Italia ci ha dato <strong>il</strong> terzo e quarto Palcoscenico e le loro Scene.<br />

L’idea <strong>di</strong> durata non sopravvisse ai suoi stessi inventori. La richiesta comune era: cambiare, e<br />

si provvide a cambiare.<br />

Cambiamento <strong>di</strong> luogo, e perciò cambiamento <strong>di</strong> scena. E anche cambiamento <strong>di</strong> tempo...<br />

Portate <strong>il</strong> mare sui nostri palcoscenici... <strong>il</strong> mondo... le stelle e i venti...<br />

Adesso cambia - presto... <strong>il</strong> mondo sotterra.<br />

Adesso le <strong>di</strong>more degli Dèi...<br />

Adesso <strong>il</strong> palazzo <strong>di</strong> Xaxiemes, Imperatore <strong>di</strong> Troia...<br />

Adesso la sorgente del fiume Tevere...<br />

E non occorre più che <strong>il</strong> tutto sembri svolgersi in un giorno o in quattro ore. L’azione copre<br />

sei giorni e più; si lascia un anno d’intervallo fra le scene (Shakespeare).<br />

Questo quarto palcoscenico in genere era costruito in legno.<br />

A volte gli altri muri dell’e<strong>di</strong>ficio erano costruiti <strong>di</strong> solida pietra o mattone, ma all’interno<br />

spesso non vi era che legno - o tela - o materiale <strong>di</strong>struttib<strong>il</strong>e. Ma una virtù antica è così tenace che<br />

gli uomini <strong>di</strong> allora non riuscirono a evitare che le loro cose più deboli fossero <strong>di</strong> gran lunga più forti e<br />

più durevoli dei nostri migliori tentativi.<br />

Naturalmente <strong>il</strong> Palcoscenico e la Scena shakespeariani sono un’unica cosa, senza relazione<br />

alcuna con questo quarto palcoscenico. <strong>Il</strong> <strong>teatro</strong> elisabettiano era opera <strong>di</strong> un costruttore molto<br />

pratico e preparato. Gli architetti inglesi non avevano avuto né tempo né modo <strong>di</strong> interessarsi alla<br />

74 Dal 20 al 25 maggio <strong>il</strong> duca Ranuccio II presentò quattro opere nel modo più gran<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> cui si abbia notizia per<br />

quei tempi. Una, <strong>Il</strong> Favore degli Dei, venne data <strong>di</strong> sera sul palcoscenico del Teatro Farnese nel Palazzo. Questo <strong>teatro</strong><br />

conteneva 4.500 posti a sedere, ed esiste ancora. La seconda opera venne data <strong>di</strong> giorno su <strong>di</strong> un palcoscenico costruito<br />

su <strong>di</strong> un grande bacino d’acqua chiamato “la Grande Peschiera”. <strong>Il</strong> pubblico sedeva in un <strong>teatro</strong> appositamente costruito<br />

- presenti <strong>di</strong>ecim<strong>il</strong>a spettatori - fu rappresentata La Gloria d’Amore. Le altre due opere, L’Età dell’Oro e L’Idea <strong>di</strong><br />

Tutte le Perfezioni, furono rappresentate nel Teatrino Farnese. Questo piccolo <strong>teatro</strong> conteneva 2.000 spettatori.<br />

163


progettazione dei teatri come in Italia, e così Shakespeare, arrivando tutto d’un tratto, non trovò un<br />

vero Teatro, quale avremmo voluto preparargli se solo ci avesse avvertito in tempo.<br />

Se un architetto inglese si fosse interessato a un tal lavoro, mentre Shakespeare era in vita o<br />

subito dopo la morte, adesso probab<strong>il</strong>mente avremmo dei nob<strong>il</strong>i e<strong>di</strong>fici come quelli costruiti in Italia<br />

dal Palla<strong>di</strong>o, dall’Alliotti e dallo Scamozzi, e un tipo <strong>di</strong> costruzione che ci avrebbe in<strong>di</strong>cato come<br />

Shakespeare voleva che fossero rappresentati i suoi drammi. John Thyme e John Shute erano vivi ed<br />

entrambi capaci, immagino, <strong>di</strong> ideare e costruire un e<strong>di</strong>ficio teatrale; o se non loro, Robert Adams o<br />

John Smithson, e anche Inigo Jones. Avevamo gli architetti, ma affidammo <strong>il</strong> lavoro a dei costruttori<br />

che ci dettero una costruzione in legno, eccellente, ma anonima, qualcosa <strong>di</strong> sim<strong>il</strong>e al cort<strong>il</strong>e <strong>di</strong> una<br />

locanda o a una arena per gli spettacoli degli orsi, che non era inadatta, ma non era nemmeno<br />

all’altezza <strong>di</strong> quel particolare unico tipo <strong>di</strong> dramma del quale eravamo appena entrati in possesso.<br />

“Una pubblica autorità male alloggiata viene male stimata” ha detto <strong>di</strong> recente un nostro Sovrano,<br />

parlando dell’architettura civ<strong>il</strong>e in relazione alla vita pubblica - <strong>il</strong> dramma <strong>di</strong> Shakespeare oggi viene<br />

stimato ad<strong>di</strong>rittura meno che male da parte del pubblico.<br />

Senza dubbio, la semplice e chiara intelligenza <strong>di</strong> uno stu<strong>di</strong>oso può considerare la capanna <strong>di</strong><br />

fango dell’uomo primitivo un’abitazione più degna, per un uomo nob<strong>il</strong>e o un nob<strong>il</strong>e pensiero, <strong>di</strong><br />

quanto non lo sia un palazzo costruito con un materiale più prezioso dal Bramante o dal Palla<strong>di</strong>o.<br />

È probab<strong>il</strong>e che i palazzi italiani, i templi in<strong>di</strong>ani, <strong>il</strong> Partenone, <strong>il</strong> Teatro <strong>di</strong> Dioniso, non siano<br />

abbastanza semplici per le gran<strong>di</strong> menti.<br />

Eppure sarebbe stupendo trovare un maestro inglese che ideasse un e<strong>di</strong>ficio ancor più nob<strong>il</strong>e<br />

e semplice, per <strong>il</strong> nostro Dramma shakespeariano.<br />

A Durham, Lincoln e Canterbury gli architetti hanno costruito reliquari per i nostri libri sacri,<br />

ma per <strong>il</strong> nostro libro umano non è stata fatta nessuna <strong>di</strong>mora acconcia.<br />

I lettori <strong>di</strong> Shakespeare dovrebbero essere in grado <strong>di</strong> decidere con esattezza che tipo <strong>di</strong> casa<br />

richiedano i suoi libri, ma leggere Lear e La tempesta ed essere ancora balbuzienti è un vero peccato.<br />

Forse, se vi prestassimo maggiore attenzione troveremmo le giuste misure, le proporzioni<br />

adeguate e creeremmo una forma che potrebbe reggere per sempre <strong>il</strong> paragone con la più nob<strong>il</strong>e delle<br />

forme.<br />

Non so, ma posso solo <strong>di</strong>re che non è possib<strong>il</strong>e parlare della scarsa importanza del<br />

palcoscenico e della scena creati nel se<strong>di</strong>cesimo secolo per <strong>il</strong> nostro grande inglese, e mi si deve<br />

scusare se <strong>il</strong> <strong>mio</strong> amore costante e la mia reverenza per <strong>il</strong> Dramma inglese mi spingono a priori a<br />

richiedere in suo favore i migliori teatri d’Europa, e a rifiutare ogni ripiego.<br />

In questo quarto <strong>teatro</strong> del se<strong>di</strong>cesimo secolo venne sulla scena la Prospettiva. La Prospettiva<br />

era stata scoperta <strong>di</strong> recente in Italia 75 da Paolo Uccello intorno al 1450, o dal suo maestro o dal<br />

maestro del suo maestro. .-,4<br />

Scoperta allora o no, nel 1500-1550 <strong>di</strong>venne un trucco <strong>di</strong> grande effetto molto usato sul<br />

palcoscenico... nuovo per molti, che l’osservavano allora per la prima volta.<br />

I costruttori <strong>di</strong> scene se ne impadronirono quasi fosse un bel gioco e l’ostentarono a destra e a<br />

manca, e continuarono a giocarci fino a ieri.<br />

Ebbene, cosa l’aveva resa così popolare? cosa impedì a noi tutti <strong>di</strong> fischiarla? Fu Sua Altezza<br />

Serenissima <strong>il</strong> Duca.<br />

In ogni <strong>teatro</strong> costruito in quei giorni c’era sempre un punto (e uno solo) dal quale la scena<br />

prospettica sembrava azzeccata, una realtà perfetta.<br />

75 Così afferma Vasari. Io, però, ho visto molte singolari Prospettive Teatrali a Pompei; e lì ho cominciato a<br />

comprendere, seppure oscuramente, quale doveva essere l’aspetto <strong>di</strong> un Teatro Romano, del suo palcoscenico e della sua<br />

scena.<br />

164


Non era un punto fisso... ma era unico, e l’architetto (che era anche scenografo) costruiva<br />

l’au<strong>di</strong>torio, sistemava i palchi, le balconate, i sed<strong>il</strong>i, in modo da lasciargli uno spazio libero intorno.<br />

Gli sistemava sopra una pedana, senza badare dove capitava, la trascinava in avanti, la spingeva<br />

in<strong>di</strong>etro, finché non trovava <strong>il</strong> punto perfetto da cui guardare la prospettiva.<br />

Una volta trovato <strong>il</strong> punto, inchiodava, come previsto, la pedana per terra e ci piazzava un<br />

seggio per <strong>il</strong> Duca... per l’uomo che aveva reso possib<strong>il</strong>e tutte quelle splen<strong>di</strong>de feste...<br />

La scenografia prospettica, dunque, è sorta esclusivamente allo scopo <strong>di</strong> far gustare<br />

all’Autorità lo spettacolo in modo conveniente e piacevole.<br />

In nessun altro punto del <strong>teatro</strong> era possib<strong>il</strong>e ottenere una veduta così perfetta: bastava che<br />

uno si spostasse leggermente sulla destra o sulla sinistra, avanti o in<strong>di</strong>etro, e l’effetto cominciava a<br />

sembrare un po’ strano; se si spingeva un po’ più lontano, nord sud est o ovest, appariva un po’<br />

troppo originale; ancora più lontano, appariva eccentrico e alla fine <strong>di</strong>ventava ad<strong>di</strong>rittura ri<strong>di</strong>colo.<br />

Ma <strong>il</strong> potere dell’idea <strong>di</strong> Regalità, <strong>il</strong> potere personale del Sovrano e l’innata cortesia dei<br />

sud<strong>di</strong>ti erano così gran<strong>di</strong> che, se pure c’erano uno o due persone tanto abiette da rimanerci male, la<br />

popolazione intera era convinta che tutto andasse per <strong>il</strong> meglio.<br />

Si mormorava in giro: “<strong>Il</strong> Duca non ha mai visto come ve<strong>di</strong>amo noi - <strong>il</strong> suo punto <strong>di</strong> vista è<br />

perfetto”; gli artisti dettero le spiegazioni al popolo e i padroni le dettero ai servi, saltaron fuori<br />

perfino dei giocattoli che mostravano quel punto... “tieni <strong>il</strong> giocattolo così e vedrai dallo stesso<br />

punto del Duca” “Ah lui vede così?” “Si!” “Allora tutto va bene”. Sapevano che lui non si lamentava<br />

e tanto bastava.<br />

Sapevano che i loro <strong>di</strong>versi punti <strong>di</strong> vista non erano come <strong>il</strong> suo; che dai loro sed<strong>il</strong>i tutta<br />

l’architettura appariva contorta: colonne, archi, scale, era tutto spostato: ma non avevano niente in<br />

contrario, purché <strong>il</strong> Duca fosse contento; erano <strong>di</strong>sposti a non accorgersi <strong>di</strong> niente, a non <strong>di</strong>re niente.<br />

Così italiani, così spiritosi, in<strong>di</strong>fferenti, gran<strong>di</strong>.<br />

Una patata, o un pendolo (e conosco uomini <strong>di</strong> tal fatta) pensano forse che tutto questo è<br />

stupido, e non grande; ma costoro devono ancora <strong>di</strong>scutere la cosa con la razza umana, perché la mia<br />

idea <strong>di</strong> felicità non è quella <strong>di</strong> una patata o <strong>di</strong> un meccanismo. Sono contento della gioia <strong>di</strong> un altro,<br />

purché voglia bene all’altro. Se <strong>il</strong> Duca non si <strong>di</strong>verte davvero nel <strong>teatro</strong> che gli abbiamo costruito, io<br />

e i miei amici non siamo contenti; tu patata, e tu macchina, lo siete: meno male! 76<br />

E per qualche secolo tutti vissero felici e contenti.<br />

E in verità se gli Architetti e i Duchi fossero rimasti quelli che erano, forse la scena<br />

prospettica non sarebbe <strong>di</strong>venuta quella che <strong>di</strong>venne venti anni dopo.<br />

Ma, intorno all’anno 1789, una certa agitazione a Parigi ha cominciato a turbare la vista degli<br />

europei - e ora un buon scenario prospettico, quella quarta scena, praticamente non esiste più.<br />

Sento <strong>di</strong>re che <strong>il</strong> Popolo <strong>di</strong>venta più forte <strong>di</strong> anno in anno. Non sono mai riuscito a capire<br />

esattamente cosa significhi, perché non mi sono mai accorto che i popoli della Grecia, dell’Italia,<br />

dell’Egitto, <strong>di</strong> Roma, della Francia, fossero tanto deboli nei tempi antichi.<br />

Tuttavia, se <strong>di</strong>ventano più forti, mi è <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e resistere all’idea che debbano, nello stesso<br />

tempo, <strong>di</strong>ventare più buoni; allora ricorderanno certamente che l’ultimo Teatro, con la sua Scena, era<br />

un regalo del Duca, e nella loro forza <strong>di</strong> recente acquisita troveranno certamente la grazia <strong>di</strong> regalare <strong>il</strong><br />

prossimo Teatro all’intera Aristocrazia.<br />

Perché, in parole povere, non ci sono stati che quattro Teatri, quattro Scene, quattro Drammi,<br />

in Europa.<br />

76 In italiano nel testo. [N.d.T.]<br />

165


<strong>Il</strong> primo era <strong>il</strong> migliore <strong>di</strong> tutti, ma l’ultimo era pur sempre tanto bello... e i due nel mezzo,<br />

immensi 77 .<br />

7. Quattro <strong>di</strong>segni qui accanto vi mostreranno i quattro palcoscenici uno vicino all’altro” 78 .<br />

Infinite variazioni su questi quattro temi esistono nelle collezioni pubbliche e private <strong>di</strong> libri,<br />

stampe e <strong>di</strong>segni, e lo stu<strong>di</strong>oso, se ne ha la pazienza, potrà vederne altre.<br />

<strong>Il</strong> <strong>mio</strong> scopo non è quello <strong>di</strong> addentrarmi nell’argomento come uno storico - non ne sarei<br />

nemmeno capace, del resto. Desidero solo attrarre la vostra attenzione su questi quattro <strong>di</strong>segni,<br />

perché possiate vedere la cosa come la vede un uomo <strong>di</strong> <strong>teatro</strong>, non come un uomo <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> <strong>di</strong> una<br />

scuola ristretta o particolare, ma come un uomo <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> qualunque, che è arrivato a comprendere,<br />

dopo trent’anni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> esperienze teatrali, che ogni palcoscenico ha un suo posto, e che ogni<br />

palcoscenico, ogni scena, è ammirevole nel suo posto, ma fuori <strong>di</strong> esso è semplicemente nulla.<br />

Qualche volta <strong>il</strong> palcoscenico ha offeso <strong>il</strong> gusto, ma, in ultima analisi, trovo che non lo ha<br />

offeso più della pittura, della scultura, della musica, dell’architettura e delle lettere. Tutte le arti e<br />

ogni parte dell’arte, quando sono fuor <strong>di</strong> posto, offendono <strong>il</strong> gusto. Ogni opera d’arte deve stare al<br />

suo giusto posto, deve apparire al momento giusto, deve avere una ragione per apparire, e tutto va<br />

bene...<br />

E dovrebbe essere un piacere per chi lavora nell’Arte Drammatica vedere che niente è fuori <strong>di</strong><br />

posto... e nessuno è fuor <strong>di</strong> posto.<br />

Dovrebbe essere un piacere e un dovere per tutti rimettere <strong>di</strong> nuovo in or<strong>di</strong>ne <strong>il</strong> Dramma, e <strong>il</strong><br />

Maestro del Dramma al suo posto - in testa a tutti.<br />

8. E chi è questo Maestro e quali sono i suoi compiti?<br />

Egli è <strong>il</strong> migliore.<br />

Ebbene, <strong>il</strong> migliore nel Dramma deve essere <strong>il</strong> migliore nei Teatri e nelle Rappresentazioni.<br />

Una volta è Molière, l’attore-scrittore. Un’altra volta Sofocle, danzatore-attore-scrittore. La<br />

terza volta è Andreini, soltanto attore. La quarta è Shakespeare, attore-scrittore. In ogni epoca <strong>il</strong><br />

77 Fu in questo Teatro del Duca e per questa quarta scena che cominciarono a essere impiegati i macchinari; non per la<br />

prima volta, perché dei meccanismi erano stati usati nel Teatro greco e nella Chiesa. Ma sembra che i loro macchinari<br />

venissero trasportati in scena e poi portati via; non erano infissi... mentre nel se<strong>di</strong>cesimo e <strong>di</strong>ciassettesimo secolo le<br />

macchine <strong>di</strong>vennero fisse.<br />

I macchinari fissi, che impe<strong>di</strong>scono la mob<strong>il</strong>ità della scena, dovevano essere una male<strong>di</strong>zione per <strong>il</strong> Dramma.<br />

Furono adoperati nel <strong>di</strong>ciottesimo secolo per fac<strong>il</strong>itare le cose, per rendere più fac<strong>il</strong>i i cambiamenti <strong>di</strong> scena. Li hanno<br />

resi solo più <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>i. Ebbero un tale effetto sul nostro lavoro <strong>di</strong> palcoscenico che durante l’Ottocento non si poteva<br />

cambiare niente... tutto <strong>di</strong>venne una ripetizione. Wagner, che si suppone abbia riformato ogni cosa, agì come tutti i<br />

riformatori... accettò le cose come erano e fece piccole innovazioni.<br />

I macchinari controllavano ancora la scena.<br />

Alexander Hevesi ha in<strong>di</strong>cato nel macchinista <strong>il</strong> nemico del Teatro: lui e <strong>il</strong> realista. Dovremmo riuscire a<br />

comprendere la verità delle sue parole. Ci sono altri e migliori campi d’azione per <strong>il</strong> macchinista. L’arte dovrebbe<br />

escludere ogni meccanismo.<br />

78 II <strong>di</strong>segno che vi do della Prima Scena è <strong>il</strong> migliore che son riuscito a trovare. Perché migliore? perché mostra le<br />

mura del palcoscenico in pietra: è architettonico.<br />

Naturalmente fra <strong>il</strong> palcoscenico greco e quello romano - che sono parti de1la Prima Scena - sussistevano delle<br />

<strong>di</strong>fferenze, ma si trattava per lo più <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> elaborazione. Le cose essenziali erano le stesse: <strong>il</strong> luogo, <strong>il</strong> fatto che<br />

<strong>il</strong> <strong>teatro</strong> era tutto <strong>di</strong> pietra, che era architettotico, che la “Scena” era congiunta alle altre due parti: “l’Orchestra” e<br />

“l’Arena”.<br />

Nel suo Saggio intorno al Teatro dei Greci, a proposito <strong>di</strong> questa scena, Robustiano Gironi <strong>di</strong>ce:<br />

“... La scena dei Greci era perfettamente sim<strong>il</strong>e a quella dei Romani”.<br />

Può essere stata e può non essere stata "perfettamente” sim<strong>il</strong>e.<br />

Nessuno potrebbe giurarlo - neppure <strong>il</strong> grande tedesco Dörpfeld - perché sembra che nessuno si sia imbattuto nella<br />

vera Scena Greca in funzione.<br />

Perciò io vi do questo <strong>di</strong>segno della scena Classica “par excellence”.<br />

166


migliore come vedete era sempre attore. Dicono che Molière non fosse un buon attore; cosa vogliano<br />

<strong>di</strong>re, non so; che Shakespeare non fosse un grande attore, che abbia recitato soltanto in parti<br />

secondarie... può darsi. Sia l’uno che l’altro erano in un <strong>teatro</strong>; ognuno in un solo <strong>teatro</strong>... non<br />

saltavano da una compagnia all’altra... <strong>di</strong>edero al tempo e alla natura la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> sv<strong>il</strong>upparsi;<br />

crebbero come le piante, fiorirono, produssero frutti.<br />

Tutti costoro pensavano in termini <strong>di</strong> palcoscenico, vivevano <strong>il</strong> <strong>teatro</strong>; portarono l’uomo, i<br />

monti, le passioni, <strong>il</strong> sole, la luce, i sogni, i fantasmi nel <strong>teatro</strong>, non soltanto me<strong>di</strong>ante le parole, ma<br />

con tutti i mezzi che riuscirono a inventare - e così sarà sempre fino alla fine dei tempi.<br />

E se un giorno accadesse che uno che ha talento <strong>di</strong> attore fosse anche architetto (come lo<br />

furono Albergati nel 1480 e Ariosti nel 1530), costui potrebbe unire le sue due qualità nel creare <strong>il</strong><br />

Dramma in una maniera sua particolare - sì, anche rompendo le piccole tra<strong>di</strong>zioni. È permesso.<br />

E se fosse attore o pittore o scrittore, potrebbe anch’egli usare queste tre qualità per creare <strong>il</strong><br />

Dramma... e una quarta, se la possiede. Ma nessuno che non sia in primo luogo attore può sperare <strong>di</strong><br />

creare <strong>il</strong> Dramma.<br />

Questo è ciò che intendo <strong>di</strong>re quando parlo del Maestro del Dramma come <strong>di</strong> un uomo <strong>di</strong><br />

<strong>teatro</strong>.<br />

Anche altri possono scrivere comme<strong>di</strong>e, e spesso perfino eccellenti, come lo sono She Stoops<br />

to Conquer o On ne ba<strong>di</strong>ne pas avec l’amour, ma sono comme<strong>di</strong>e prive del tocco genuino del<br />

Drammaturgo <strong>di</strong> razza pura 79 . Non sosterrei mai che un pittore o uno scrittore siano in grado <strong>di</strong><br />

essere dei veri Drammaturghi, usando i poteri che hanno sul Disegno e sulle Parole e questi soltanto.<br />

Non l’ho mai affermato. E se mi hanno presentato come un propugnatore <strong>di</strong> tali idee, è perché mi<br />

hanno sempre frainteso.<br />

Ho u<strong>di</strong>to perfino un grande comme<strong>di</strong>ografo <strong>di</strong>re pubblicamente che io sono un pittore... e che<br />

i miei <strong>di</strong>segni sono tutto quello che mi interessa.<br />

Ho fatto delle scene, perché ne vedo la necessità; ho del talento, per <strong>di</strong>segnare <strong>il</strong> Luogo o la<br />

Scena in cui si deve svolgere <strong>il</strong> dramma.<br />

Ma io sono stato e sono innanzitutto un attore: e so anche scrivere un po’. E non considero<br />

tempo perso quello trascorso nel qualificarmi come maestro (anche se forse solo un piccolo maestro)<br />

<strong>di</strong> Teatro - e così, forse, del Dramma. Ciò basti per scusarmi delle mie manchevolezze.<br />

9. E ora passeremo a considerare quali sono i compiti del Maestro del Dramma e del Teatro.<br />

Oggi sono: innanzitutto, riconoscere che <strong>il</strong> Teatro come luogo <strong>di</strong> lavoro - con <strong>il</strong> palcoscenico,<br />

le scene, gli attori e gli altri assistenti - è a <strong>di</strong>r poco una faccenda ingombrante, <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata e assai<br />

poco pratica, e poi (a <strong>mio</strong> parere) mettersi al lavoro per semplificarlo e per rielaborarlo, ma sempre<br />

con la massima precauzione. Per semplificare una faccenda del genere è necessario del tempo. Non lo<br />

si può fare in un mese - né in <strong>di</strong>eci mesi, e forse neppure in <strong>di</strong>eci anni.<br />

E per semplificare <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> bisogna prima che impariate a conoscerlo assai bene, in modo da<br />

non buttar via una parte essenziale del meccanismo quando procedete all’eliminazione.<br />

La semplificazione della scena è stato <strong>il</strong> lavoro a cui mi sono de<strong>di</strong>cato durante gli ultimi<br />

venticinque anni.<br />

E penso <strong>di</strong> aver fatto quel che mi ero proposto <strong>di</strong> fare 80 .<br />

79<br />

Le eccezioni non finiranno mai <strong>di</strong> confermare la regola e così abbiamo in Goldoni, Rossini e pochi altri, in<strong>di</strong>vidui i<br />

cui lavori teatrali sembrano fatti da attori.<br />

80<br />

Semplificare <strong>il</strong> palcoscenico: con questo non intendo la macchineria, la scenografia o le luci. Intendo l’intero<br />

palcoscenico, dagli attori e dalle scene fino ai programmi e ai guardaroba. Questo è <strong>il</strong> palcoscenico: niente meno <strong>di</strong><br />

questo. Nessuna parte per me è più importante <strong>di</strong> un’altra. Ognuna, a tempo debito, dev’essere messa a posto per far<br />

funzionare l’intero meccanismo.<br />

E quando ho sistemato la scena - anche mettendoci qualche anno - devo ancora mostrarla agli attori e questi devono<br />

imparare a usarla. Fatta per gli attori, essa desidera da loro un’uguale deferenza e simpatia. Gli attori non possono essere<br />

167


Rimane da vedere ora se mi resta <strong>il</strong> tempo <strong>di</strong> fare quel che avevo ancora in programma.<br />

Dunque, ciò che ho semplificato non sono stati soltanto particolari scenici, effetti <strong>di</strong> luce,<br />

pezzi <strong>di</strong> costume e commenti musicali.<br />

Ho semplificato le possib<strong>il</strong>ità del Dramma.<br />

Nessuna scena a cui ho lavorato è stata strutturata come se fosse fine a se stessa. Ho tenuto<br />

presente sempre e soltanto <strong>il</strong> movimento del Dramma... degli attori... dei passaggi drammatici... quei<br />

lunghi, lenti movimenti e quei “raggi improvvisi” (Coleridge). Andando avanti, ho visto che le cose<br />

possono, e quin<strong>di</strong> devono, recitare un proprio ruolo come le persone: che esse si accordano con gli<br />

attori e offrono loro <strong>il</strong> destro <strong>di</strong> servirsene, come testimoniano le se<strong>di</strong>e nelle comme<strong>di</strong>e <strong>di</strong> Molière.<br />

Non sono soltanto tre o quattro se<strong>di</strong>e morte, poste al centro del palcoscenico. Tuttavia non mancano<br />

scrittori che ci invitano a osservare la povertà del suo palcoscenico: soltanto tre se<strong>di</strong>e, <strong>di</strong>cono. Son<br />

forse matti costoro? Non sanno come Molière le fece recitare, quanto esse siano vive, e come<br />

lavorino insieme agli attori?<br />

Le se<strong>di</strong>e e le tavole nelle comme<strong>di</strong>e moderne, <strong>di</strong> cui si lamenta la grande attrice italiana, sono<br />

morte: ce ne possono essere sei o anche se<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> più, o sei <strong>di</strong> meno, tutto rimane come prima... una<br />

scena morta... una male<strong>di</strong>zione per gli attori e per la recitazione.<br />

Una stanza cosiddetta “autentica”: ecco quel che presentiamo sulla scena al giorno d’oggi...<br />

autentica e tuttavia inesorab<strong>il</strong>mente morta, senza espressione, incapace <strong>di</strong> recitare.<br />

Le se<strong>di</strong>e <strong>di</strong> Molière, le tavole, gli accessori d’ogni genere, erano pochi; egli aveva imparato<br />

dall’Italia che dovevano essere pochi per essere ascoltati; e che ciascuno <strong>di</strong> loro doveva parlare al<br />

momento giusto.<br />

Anche gli accessori shakespeariani potevano parlare, sebbene Cromwell e i suoi puritani<br />

abbiano deturpato <strong>il</strong> loro linguaggio e ci abbiano quasi snaturato l’intero dramma shakespeariano.<br />

La tra<strong>di</strong>zione, una volta perduta, non ha mai più riacquistato la sua forza originaria.<br />

Così dunque, la creazione <strong>di</strong> un palcoscenico più semplice è <strong>il</strong> primo dovere <strong>di</strong> un Maestro del<br />

Dramma.<br />

Ma non bisogna eliminare l’elettricità a causa dei suoi <strong>di</strong>fetti, non bisogna ritornare alle<br />

candele <strong>di</strong> sego; non bisogna ritornare alle maschere; non bisogna evitare niente; non bisogna ritornare<br />

a niente: bisogna fare così:<br />

Bisogna passare in rivista tutte le cose del <strong>teatro</strong> conosciute o note un tempo, che possono<br />

essere ut<strong>il</strong>i in palcoscenico... provarle in privato, buttar via quelle che sembrane vuote e inut<strong>il</strong>i, e<br />

trattenere tutte quelle che superano la prova.<br />

Che prova? - La prova se sono capaci o no <strong>di</strong> esprimere. Questo e nulla più. Dobbiamo<br />

chiederci:<br />

Una candela <strong>di</strong> cera serve a esprimere <strong>il</strong> sorgere del sole? Se sì, allora usatela. Non serve?<br />

Buttatela via. Ma provatela prima, non scartate nulla finché non l’avete provato. Una maschera<br />

serve a esprimere questa o quella emozione umana? Se serve, usatela, se no, gettatela via. <strong>Il</strong> canto<br />

fermo serve a qualche scopo? Se sì, a quale scopo? ha un valore? Allora serbatelo: in caso contrario<br />

buttatelo via.<br />

Questo o quel tipo <strong>di</strong> gestire serve? conservatelo o tralasciatelo. Si può insegnare agli attori?<br />

fino a che punto? Quale palcoscenico è adatto per una comme<strong>di</strong>a <strong>di</strong> un certo tipo, qual è <strong>il</strong> migliore,<br />

qual è <strong>il</strong> meno buono? Scegliete <strong>il</strong> migliore. Non esiste? Costruitelo. Qualunque sia la risposta,<br />

“semplicemente lasciati liberi” nella mia scena... non più <strong>di</strong> quanto possono essere lasciati liberi <strong>di</strong> recitare i versi come<br />

fossero prosa. <strong>Il</strong> lasciar libera una parte <strong>di</strong> questa macchina significa rovinarla. Non un solo ingranaggio deve essere<br />

fuori posto... non un bullone deve mancare... non si deve perdere neanche un chiodo. E per vedere che tutto sia in<br />

or<strong>di</strong>ne e che resti in or<strong>di</strong>ne prima dell’inizio e durante <strong>il</strong> lavoro, <strong>il</strong> maestro <strong>di</strong> questa nave drammatica deve essero <strong>il</strong><br />

solo comandante. Un giorno si arriverà a capirlo, per <strong>il</strong> momento non ancora.<br />

168


egolatevi in conseguenza. Queste e cento altre cognizioni, speranze, timori, vanno tutti esaminati<br />

per semplificare quel meccanismo che ha nome Teatro 81 . Tutto ciò sarà assai caro - immaginate forse<br />

voi. Non si può fare affidamento sulle fantasticherie, i fatti son più sicuri, e i fatti mostrano che<br />

evitare <strong>di</strong> provare ogni cosa è <strong>il</strong> metodo più caro.<br />

Ma ora riflettete: supponete che una maschera vada bene in un dramma e non in un altro.<br />

Vada bene in una comme<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Shaw e non in una trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Sofocle; stupendamente bene in una<br />

nuova forma <strong>di</strong> dramma e abbastanza bene in Ibsen.<br />

Vi chiedo solo <strong>di</strong> supporlo.<br />

Bene: dobbiamo allora respingere e accettare insieme la Maschera; e questa scoperta ci<br />

mostra che non c’è niente che si possa respingere del tutto. Dobbiamo accettare tutto, ma non<br />

accettarlo in<strong>di</strong>scriminatamente. Così ci ren<strong>di</strong>amo conto inoltre che non esiste un’accettazione o una<br />

negazione completa a cui bisogna aderire, ma un or<strong>di</strong>ne, uno sv<strong>il</strong>uppo, una crescita. <strong>Il</strong> nostro Teatro,<br />

ripeto, è come un organismo che si sv<strong>il</strong>uppa.<br />

Bisogna soltanto far or<strong>di</strong>ne una volta <strong>di</strong> più nelle nostre scene, mettere insieme tutte le sei<br />

parti del rompicapo che sono state confuse in un modo o nell’altro in una scatola, e dopo possiamo<br />

<strong>di</strong>re <strong>di</strong> essere pronti a servire <strong>il</strong> Pubblico.<br />

Ebbene, se avete pratica <strong>di</strong> organizzazione saprete che non la si può attuare in fretta (a meno<br />

che non siate un riformatore), e che non la si può portare a termine sulla carta con penna e calamaio<br />

benché questo possa essere un modo per cominciare. Io l’ho iniziata venticinque anni or sono. Ciò<br />

che ho cominciato può essere completato soltanto sotto la mia <strong>di</strong>rezione, in scuole che si de<strong>di</strong>chino<br />

all’esame <strong>di</strong> tutto questo materiale, da uomini che si interessino e che siano pratici dei <strong>di</strong>versi rami<br />

dell’Arte Drammatica <strong>di</strong> tutto <strong>il</strong> mondo.<br />

Questo lavoro non può essere cominciato da un uomo, per poi essere ripreso e tradotto in<br />

pratica da un altro senza che perda tutto <strong>il</strong> suo valore essenziale. Non si può fare così. Lo sv<strong>il</strong>uppo<br />

<strong>di</strong> un’idea o <strong>di</strong> un piano, per avere un valore, deve venir completato sotto la supervisione<br />

dell’ideatore. Ma sembra che questo principio non sia sufficientemente chiaro, a tutt’oggi.<br />

<strong>Il</strong> Maestro del Teatro e del Dramma, dopo aver semplificato <strong>il</strong> suo progetto, deve ora<br />

decidere quale via seguire per consegnare la merce alla gente.<br />

Ci sono due vie: la vecchia e la nuova.<br />

La più vecchia (spero ancora che sia la più giovane) è <strong>di</strong> mettere ogni scoperta al servizio <strong>di</strong><br />

un Sovrano 82 o più Sovrani. (Patrono era <strong>il</strong> vecchio e rispettato titolo).<br />

<strong>Il</strong> Sovrano o i Sovrani si accorgeranno che tali scoperte offerte al popolo infine vanno anche a<br />

vantaggio loro. Uomini del genere sono esistiti, ma non molto frequentemente. Più spesso invece<br />

81 Ma quel che io chiedo e quel che l’arte chiede e quel che <strong>il</strong> Popolo della Nazione che paga per i Teatri ha <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />

chiedere è che <strong>il</strong> maestro della scena sia la sola voce in capitolo... e che le decisioni su cosa si debba fare non siano<br />

prese da un certo numero <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>ani casuali del palcoscenico, ma soltanto dal maestro... sicuro, neanche dalla maestra.<br />

Vi sfido a creare un lavoro d’arte in <strong>teatro</strong> quando non vi sia una sola mente e una sola voce a comandare.<br />

La mia è la vecchia idea, non mia soltanto. Se voi avete 100 lavoratori sotto <strong>di</strong> voi, o se ne avete 1000, teneteli<br />

sempre occupati. Date loro agio <strong>di</strong> scoprire <strong>il</strong> lavoro che ciascuno può far meglio, e assegnateglielo. È l’unico che gli<br />

possa far piacere. Chi lavora oggi nei teatri non sempre fa ciò che gli piace. Egli ama <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> - <strong>di</strong> questo siamo sicuri -<br />

ma non sempre ama <strong>il</strong> suo lavoro. Quando io avrò un <strong>teatro</strong>, intendo scoprire se l’attore sia bravo in qualche altra cosa<br />

oltre che nella recitazione e, se c’è qualcosa in cui riesce meglio e che gli piaccia, sarà esonerato dalla recitazione e si<br />

metterà a fare ciò che lo interessa. Così potrà <strong>di</strong>ventare un gran nome mentre prima (come attore) poteva solo <strong>di</strong>ventare<br />

un fallito. Quando avrò un <strong>teatro</strong> non intendo entrarci armato con un piano meccanicamente prestab<strong>il</strong>ito. <strong>Il</strong> <strong>teatro</strong> è<br />

come un giar<strong>di</strong>no - le cose vi debbono crescere in accordo con le leggi della natura aiutate dalla modesta ab<strong>il</strong>ità dei<br />

giar<strong>di</strong>nieri.<br />

82 Mussolini si è recato a far visita a Eleonora Duse per <strong>di</strong>scutere con lei la maniera migliore per ottenere che <strong>il</strong> <strong>teatro</strong><br />

italiano rappresenti la vita spirituale della nazione. “Da<strong>il</strong>y journal”, 4 <strong>di</strong>cembre 1922.<br />

169


sono <strong>di</strong> ostacolo per <strong>il</strong> Maestro teatrale e gli impongono <strong>il</strong> loro pesante e sciocco egoismo. È fatale,<br />

perché <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> costa troppo. Allora si apre un’altra strada, che consiste nel semplice affare.<br />

E - spiacente doverlo ammettere - mi sembra che sia la migliore.<br />

Non è detto che gli affari corrompano l’arte; non hanno nessun <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> cambiarla, non è<br />

compito dell’uomo d’affari cambiare l’arte: è compito dell’artista. Se chiarisce con fermezza la sua<br />

posizione fin dall’inizio, e se rifiuta con<strong>di</strong>zioni nocive per l’arte, gli uomini d’affari assennati<br />

comprenderanno e consentiranno.<br />

Ma se così non fosse, non per questo l’artista deve corrompere la propria arte: può infatti<br />

<strong>di</strong>ventare lui stesso uomo d’affari, dopo aver finito <strong>il</strong> suo lavoro d’artista.<br />

Così <strong>il</strong> Maestro <strong>di</strong> Arte Teatrale ha una chiara visione del compito che l’aspetta dopo:<br />

portare <strong>il</strong> <strong>teatro</strong> al popolo senza alcun aiuto. Vi sono dei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> fare ciò che ci appaiono chiari solo<br />

dopo che abbiamo affermato <strong>il</strong> nostro <strong>di</strong>ritto a riconoscerci primi nel nostro campo.<br />

Essere primi in questo campo a possedere i Beni significa essere maestri della Scena.<br />

10. Fin qui le nostre ricerche sullo sv<strong>il</strong>uppo della Scena ci hanno fatto vedere che ci sono stati<br />

quattro perio<strong>di</strong> <strong>di</strong>stinti... Ora ci in<strong>di</strong>cano <strong>il</strong> quinto periodo.<br />

E che periodo.<br />

È questo un periodo <strong>di</strong> internazionalismo: ogni tipo <strong>di</strong> scena è “sul mercato”.<br />

Dobbiamo accettarlo, semplificarlo, come ho detto.<br />

Sarebbe inut<strong>il</strong>e andare in giro per gli otto o novecento teatri esistenti per richiedere ai <strong>di</strong>rettori<br />

delle riforme.<br />

Io non sono mai stato un riformatore, ma molti <strong>di</strong>rettori lo sono. Alcuni sono giustamente<br />

famosi per le loro riforme: Stanislawskij, Reinhardt, Rouché, Copeau, Barker, Gessner, Antoine,<br />

Scan<strong>di</strong>ani, e altri prima <strong>di</strong> loro... Irving, <strong>il</strong> Duca <strong>di</strong> Meiningen, Barnay, Talma, e un’altra dozzina.<br />

Sono stati tutti dei riformatori.<br />

Ma tutto ciò concerne <strong>il</strong> loro cre<strong>di</strong>to personale come <strong>di</strong>rettori: non potrà mai essere versato<br />

sul loro conto <strong>di</strong> artisti. La questione riguarda i fini che ciascuno ha; al più, rivela le singole capacità<br />

<strong>di</strong> afferrare al volo le cose.<br />

Gli artisti che hanno istinto creativo non riformano mai le cose... le creano. Le riforme<br />

sembrano loro una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> tempo. Perché perdere un’ora a <strong>di</strong>panare una matassa <strong>di</strong> stringhe<br />

quando in cinque minuti l’artista può farne una nuova balla?<br />

E ora, col vostro permesso, voglio giungere alla quinta scena: la scena creata da me 83 .<br />

La scena <strong>di</strong> cui vi parlerò non è quella che appare nei <strong>di</strong>segni riprodotti in questo libro * , ma è<br />

scaturita da essi.<br />

Poiché questo libro non sarà pubblicato in una e<strong>di</strong>zione popolare, e quin<strong>di</strong> andrà in mano solo<br />

a coloro che conoscono altri miei libri e hanno avuto <strong>il</strong> tempo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>arli, non tenterò <strong>di</strong> spiegare<br />

questi <strong>di</strong>segni più <strong>di</strong> quanto chiedereste a un musicista <strong>di</strong> spiegare una “fuga” da lui composta. Li ho<br />

fatti nel 1907 mentre scrivevo <strong>il</strong> <strong>mio</strong> libro L’Arte del Teatro, quel libro che contiene <strong>il</strong> saggio<br />

“L’attore e la Supermarionetta” e “Gli artisti del Teatro dell’Avvenire”.<br />

A questo posso aggiungere che questi <strong>di</strong>segni Sono UNA scena, non venti scene: una scena.<br />

Non vi sono palcoscenici fatti <strong>di</strong> tela e legno e <strong>il</strong>luminati artificialmente da lampade e riflettori. Sono<br />

<strong>il</strong>luminati dal sole. Sono reali, non artificiali.<br />

83 Ho costruito questa scena (che è stata detta “Le M<strong>il</strong>le scene in Una”) per <strong>il</strong> <strong>mio</strong> <strong>teatro</strong>.<br />

Non sono, ahimé, un fornitore <strong>di</strong> scenari per altra gente.<br />

Non lo sono proprio.<br />

* Parzialmente riprodotti nelle tavole 21-26.<br />

170


Se avessero ritenuto che valeva la pena <strong>di</strong> venirmi in aiuto fra <strong>il</strong> 1900 e <strong>il</strong> 1904, quando<br />

allestivo i miei primi lavori scenici a Londra - <strong>di</strong>ressi, <strong>di</strong>segnai e provai cinque complete messe in<br />

scena per Londra - ora avrei realizzato praticamente le scene che qui appaiono nei <strong>di</strong>segni. Sono<br />

veramente addolorato <strong>di</strong> potervi offrire così poco quando desideravo proprio offrirvi tanto... tutto.<br />

Non è colpa <strong>di</strong> nessuno, se non mia e vostra. Mia, che non sono nato russo o spagnolo, vostra che<br />

avete imparato ad abbandonare i vostri artisti. Non ci si può far niente, tutto è immutab<strong>il</strong>e e tutto è<br />

giusto così com’è; dovunque, in Europa e in America, l’insegnamento <strong>di</strong> trascurare i beni propri è<br />

inculcato nel genere umano. Qualche altro ne spiegherà <strong>il</strong> perché. Gli italiani un giorno impararono a<br />

non sostenere <strong>il</strong> loro Marconi; noi in Ingh<strong>il</strong>terra fummo i primi ad aiutarlo. Darwin portò agli inglesi<br />

una semplicissima scoperta - che avanza come semplice ipotesi - e imme<strong>di</strong>atamente tutti impararono<br />

a farla a pezzi con i denti e con le unghie. Giunge Wagner con le mani colme <strong>di</strong> cose meravigliose ed è<br />

respinto dalla Germania. Nietzsche in Germania aprì la bocca profetica: e <strong>di</strong> colpo un pugno <strong>di</strong> ferro<br />

gli chiuse la strozza. Respingere Byron e accettare Wordsworth-Southey è costato molto alla nostra<br />

nazione. In cifre tonde è costato quasi una corona. Perseguitare Voltaire e vezzeggiare Beaumarchais<br />

è costato più <strong>di</strong> un franco - più <strong>di</strong> ottanta m<strong>il</strong>ioni - e costato la vita dell’ancien régime. Respingere<br />

all’ingrosso <strong>il</strong> genuino e accettare <strong>il</strong> falso senza alcuna <strong>di</strong>scriminazione, come si fa al giorno d’oggi, è<br />

un’imprudenza.<br />

L’errore è <strong>di</strong> andare da un estremo all’altro, anche per quanto riguarda ciò che è genuino;<br />

perché <strong>il</strong> fardello finisce poi per ricadere sulla nazione e chi ci rimette è <strong>il</strong> popolo. Sarebbe meglio<br />

prendere delle vie <strong>di</strong> mezzo.<br />

Insomma, vi avrei dato la cosa in se stessa, nella sua realtà, non la sua immagine soltanto, se<br />

solo fossi stato ut<strong>il</strong>izzato dopo aver mostrato cos’ero capace <strong>di</strong> fare. Eppure, a <strong>di</strong>spetto <strong>di</strong> tanta<br />

in<strong>di</strong>fferenza sono stato in grado <strong>di</strong> portare <strong>il</strong> lavoro un passo avanti verso la realtà, portandolo un<br />

passo in<strong>di</strong>etro.<br />

Così. Queste acqueforti le possiamo chiamare <strong>il</strong> lavoro-genitrice da cui è nato un altro lavoro.<br />

Più piccolo, con minori ambizioni, minori pretese, eppure somigliante in un certo modo alla sua<br />

genitrice.<br />

È nato come prodotto secondario dei venti <strong>di</strong>segni.<br />

Questa scena minore, “Le M<strong>il</strong>le scene in Una”, l’ho adoperata una volta in un <strong>teatro</strong> a Mosca<br />

per rappresentare l’Amleto 84 , ed è stata ut<strong>il</strong>izzata da W. B. Yeats, al quale sono stato orgoglioso <strong>di</strong><br />

offrirla, per alcuni spettacoli nel suo vecchio Abbey Theatre.<br />

Ma, sebbene in totale sia stata adoperata per cinquecento spettacoli circa, suppongo non è<br />

mai stata adoperata secondo i miei desideri, tranne che per due gran<strong>di</strong> palcoscenici-modello che ho<br />

costruito a Firenze.<br />

84<br />

Shakespeare e i Drammi più poetici, per essere recitati, hanno <strong>il</strong> massimo bisogno <strong>di</strong> una scena <strong>di</strong> natura<br />

particolare... una scena con <strong>il</strong> volto mob<strong>il</strong>e.<br />

A ben pensarci, Shakespeare non ha ancora avuto una scena speciale per le sue opere.<br />

Ho tentato <strong>di</strong> farne una: una scena per <strong>il</strong> Dramma poetico, <strong>di</strong> qualunque argomento esso tratti.<br />

Spesso si è detto e si continuerà ancora a <strong>di</strong>re che Shakespeare creava le sue scene da solo, adoperando le parole per<br />

evocare <strong>di</strong>nanzi alla nostra immaginazione delle scene.<br />

Ma se è così, egli usa le parole anche per evocare <strong>di</strong>nanzi a noi i personaggi, i loro costumi e tutto <strong>il</strong> resto.<br />

Dobbiamo dunque rifiutare <strong>di</strong> rendere visib<strong>il</strong>e tutto?<br />

Dobbiamo serbare Shakespeare per leggerlo in s<strong>il</strong>enzio a casa? Se è così allora egli non è più adatto per le scene e<br />

tutto è a posto. Ma se viene rappresentato da attori, non soltanto a parole, in costumi veri che in<strong>di</strong>chino un certo<br />

periodo - allora lasciateci circondarli <strong>di</strong> una scena che suggerisca <strong>il</strong> luogo. O soltanto parole, o tutto dev’esser reso<br />

visib<strong>il</strong>e.<br />

Questa è l’unica conclusione logica del problema.<br />

171


Su questi palcoscenici le ho dato modo <strong>di</strong> vivere, e si è comportata bene. A Mosca o a<br />

Dublino invece non è stata davvero libera <strong>di</strong> essere se stessa, e non posso credere che sia andata<br />

bene.<br />

Questa scena infatti ha una propria vita... non una vita che in qualche modo vada contro alla<br />

vita del Dramma. L’ho creata proprio perché serva <strong>il</strong> Dramma, e così fa: serve l’intero Dramma<br />

poetico, e forse un giorno scoprirò che può persino rendersi più ut<strong>il</strong>e.<br />

La chiamo la quinta scena perché va incontro alle esigenze dello spirito moderno: lo spirito<br />

dell’incessante mutamento. Gli scenari che abbiamo usato in <strong>teatro</strong> per secoli erano soltanto i vecchi<br />

statici scenari fatti per essere cambiati. Tutt’altra cosa quin<strong>di</strong> da una scena che per sua natura sia<br />

mob<strong>il</strong>e.<br />

Tale scena ha inoltre un volto (io lo chiamo così), un volto espressivo. La sua superficie<br />

riceve la luce, e, a seconda che la luce cambi posizione, compia altri mutamenti, e la scena stessa vari<br />

le sue posizioni - la luce e la scena si muovono <strong>di</strong> concerto come in un duetto, ed eseguono delle<br />

figurazioni come in una danza - <strong>il</strong> suo volto esprime ogni emozione che io desidero farle esprimere.<br />

Sempre conscia che, come sfondo al dramma, o alla recitazione, deve svolgere <strong>il</strong> proprio ruolo in<br />

modo <strong>di</strong>screto, mentre <strong>di</strong> tanto in tanto può farsi avanti e recitare una parte più importante (spero <strong>di</strong><br />

essere artista quanto basta per capire quand’è <strong>il</strong> momento).<br />

Basta così.<br />

Spero che non sia troppo poco o troppo.<br />

11. Non è necessario abbassare <strong>il</strong> sipario durante lo spettacolo per passare dalla prima scena<br />

alla seconda, poi alla terza fino a raggiungere la se<strong>di</strong>cesima.<br />

La scena si regge da sola, ed è monocroma. <strong>Il</strong> colore è dato esclusivamente dalla luce; a volte<br />

ho ottenuto tanti <strong>di</strong> quei colori che nessuna tavolozza potrà mai produrre. Potrei <strong>di</strong>re <strong>di</strong> non aver mai<br />

visto ottenere in nessuna scena <strong>di</strong> nessun <strong>teatro</strong> colori così ricchi...<br />

Mi soffermo su questo punto perché i <strong>di</strong>ciannove <strong>di</strong>segni in bianco e nero della<br />

scena-genitrice <strong>di</strong> questo libro possono indurvi a supporre che io inizi e finisca col bianco, col grigio<br />

e col nero.<br />

Ripren<strong>di</strong>amo <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso, questa è la quinta scena, una scena <strong>di</strong> forma e colore, priva <strong>di</strong> pittura<br />

e <strong>di</strong> <strong>di</strong>segni, una scena semplificata a cui è aggiunta la mob<strong>il</strong>ità.<br />

E ora una parola sulla parola “semplificata”... Lasciatemi spiegare cosa intendo esattamente.<br />

Una volta <strong>il</strong> mondo adoperava penne <strong>di</strong> canna, poi penne d’oca, infine penne <strong>di</strong> ferro. Queste<br />

ultime le intinsero in boccette d’inchiostro. Bisognava intingere più volte la penna nell’inchiostro per<br />

poter scrivere una pagina intera.<br />

Qualcuno allora inventò la penna st<strong>il</strong>ografica. Ora si può scrivere una lettera intera senza mai<br />

intingere la penna.<br />

<strong>Il</strong> mondo inventò allora la macchina da scrivere.<br />

Vorrei paragonare la mia scena alla penna st<strong>il</strong>ografica e non alla macchina da scrivere.<br />

Non è una rotella <strong>di</strong> un meccanismo; è un semplice congegno dalla forma <strong>di</strong> schermo, angolare,<br />

piano.<br />

Perché questa forma? perché schermi o pannelli o muri uniformi, lisci?<br />

Ve lo <strong>di</strong>rò. Immaginate che davanti a voi io faccia rapidamente quel che ho messo tanti lunghi<br />

anni a fare. Immaginatemi dunque alla ricerca della forma essenziale dell’abitazione umana, così da<br />

poter costruire poi l’abitazione-palcoscenico per l’uomo del palcoscenico.<br />

Eseguo rapidamente 250 modelli delle sue varie abitazioni su tutta la terra. Ne faccio due<br />

come quelle che usava nel 5000 a. C., tre nel 2000 a. C., cinque nel 500 a. C., <strong>di</strong>eci nel 100 a. C.,<br />

172


venti nel 100 d. C., trenta nel 1000 d. C., sessanta nel 1500 d. C., cinquanta nel 1700 d. C., settanta<br />

nel 1900 d. C.<br />

Le metto in f<strong>il</strong>a, le stu<strong>di</strong>o.<br />

<strong>Il</strong> <strong>mio</strong> scopo è <strong>di</strong> gettar via ogni parte <strong>di</strong> ogni abitazione che non si trovi in tutte le altre.<br />

Perché?<br />

Per scoprire le parti che dall’anno uno tutti gli uomini hanno considerato essenziali.<br />

Perché?<br />

Per costruire una scena.<br />

Perché?<br />

Perché <strong>il</strong> costruire scene è un’attività artistica e non un fabbricar giocattoli.<br />

Non voglio la confusione <strong>di</strong> un as<strong>il</strong>o infant<strong>il</strong>e nel <strong>mio</strong> <strong>teatro</strong>.<br />

Non voglio perdere ogni anno migliaia <strong>di</strong> sterline nel solito bric-à-brac del <strong>teatro</strong> moderno.<br />

È una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> denaro, <strong>di</strong> legno, <strong>di</strong> tela, e io non voglio <strong>di</strong>sperdere le forze e la caratteristica<br />

dello spettatore in quanto spettatore e le capacità dell’artista in quanto artista. L’artista deve parlare<br />

agli spettatori attraverso la scena, non deve ostentare <strong>di</strong> fronte al pubblico una grande casa <strong>di</strong><br />

bambole.<br />

Dopo aver eliminato in duecentocinquanta modelli ogni particolare che non si ritrova in tutti<br />

gli altri, adesso ha solo le parti essenziali che formano l’abitazione dell’uomo. Rimangono le pareti.<br />

<strong>Il</strong> pavimento.<br />

II soffitto... e nient’altro.<br />

E che forma hanno?<br />

Ci sono colonne sopra o vicino? protuberanze? nel soffitto, per esempio? qualche cornice,<br />

qualche bordo? ci sono porte, finestre, rialzi, e così via? No. Perché non ne ho trovati in tutti i<br />

modelli... Ho trovato che le uniche cose presenti in tutte le abitazioni umane sono un pavimento<br />

piano, mura piane, un soffitto piano.<br />

<strong>Il</strong> soffitto piano è l’unica parte dell’abitazione umana che ha cominciato subito a cambiare.<br />

Ora capite dunque com’è che i miei schermi, la mia SCENA, è composta <strong>di</strong> pareti piane,<br />

uniformi. Desideravo ridurre la scena alle sue parti essenziali e ho visto che si è ridotta da sola. Ho<br />

fatto solo quello che la scena stessa richiedeva.<br />

Fu allora che vi aggiunsi la mob<strong>il</strong>ità.<br />

Perché?<br />

In primo luogo perché la richiedeva, in secondo luogo perché continuava a richiederla. La<br />

richiedeva a favore dell’attore. La mob<strong>il</strong>ità gli permette <strong>di</strong> muoversi in scene <strong>di</strong> forme <strong>di</strong>verse, ogni<br />

sera, fin quando vuole. Supponete che non si senta a suo agio in questa forma, può cambiarla e<br />

ricambiarla. Come se avesse cento paia <strong>di</strong> guanti: può trovare con fac<strong>il</strong>ità un paio adatto e che gli<br />

piaccia.<br />

Essendo un congegno e non un’abitazione reale, la scena richiedeva che la facessi in modo da<br />

sembrare ora l’interno ora l’esterno <strong>di</strong> ogni abitazione conosciuta al mondo: capanna <strong>di</strong> fango o<br />

tempio, Palais de Versa<strong>il</strong>les o bottega <strong>di</strong> Mr. Harrod.<br />

Può essere questi quattro luoghi <strong>di</strong>versi?<br />

Può sembrare sim<strong>il</strong>e a tutti e quattro... può sembrare sim<strong>il</strong>e ad altri quattrocento; ha anzi una<br />

grande rassomiglianza con quattrocento luoghi.<br />

Non voglio <strong>di</strong>re con questo che ogni volta vi mostrerò la carta da parati dell’ufficio <strong>di</strong> Mr.<br />

Harrod... o gli ori del Palais de Versa<strong>il</strong>les, o i marmi del tempio o <strong>il</strong> fango della capanna... No; vi darò<br />

la forma <strong>di</strong> questi quattro luoghi, la luce tipica <strong>di</strong> ognuno <strong>di</strong> essi e tre o quattro particolari - qui una<br />

173


porta in più, un paravento e lì un’alcova - che vi faranno credere <strong>di</strong> vedere quel che desidero farvi<br />

vedere.<br />

E se non ve<strong>di</strong>amo quel che tu vuoi? mi chiederete.<br />

Ci saranno trenta su ottanta che non vedranno come gli altri cinquanta: non posso farci<br />

niente... è sempre stato così.<br />

Diverse persone, vedendo Irving nella parte <strong>di</strong> Mathias in The Bells o Coquelin nella parte <strong>di</strong><br />

Jourdain, vedono Mathias e Jourdain.<br />

Poche altre vedono soltanto Coquelin e Irving. Ma se, da vero amatore, andate a <strong>teatro</strong> per<br />

vedere ciò che vogliamo mostrarvi, vedrete se siamo o no bravi operai del Teatro.<br />

Cosa fa questo strano congegno?<br />

Come funziona?<br />

Così: si muove in parte o completamente per ricevere <strong>il</strong> gioco della luce 85 .<br />

In queste parole è sintetizzato tutto.<br />

È tutta una faccenda <strong>di</strong> luce?<br />

Cerchiamo <strong>di</strong> non essere così frettolosi con <strong>il</strong> solito “è tutta una faccenda <strong>di</strong>...”. Temo <strong>di</strong> non<br />

poter <strong>di</strong>re che tutto è una faccenda <strong>di</strong> un qualche cosa.<br />

La semplicità e la perfezione non si raggiungono con un proce<strong>di</strong>mento più rapido <strong>di</strong> quello<br />

con cui un corridore o un nuotatore perfetto raggiungono la semplicità e la perfezione necessaria per<br />

superare gli altri... e per <strong>il</strong> corridore e <strong>il</strong> nuotatore non è tutta una faccenda <strong>di</strong> questo o <strong>di</strong> quello... al<br />

contrario, si tratta <strong>di</strong> badare a cento cose nello stesso tempo.<br />

An<strong>di</strong>amo avanti. Nel creare una scena per un Dramma degno <strong>di</strong> essere visto e ascoltato, non<br />

dobbiamo mai <strong>di</strong>menticare che cosa richiedono gli spettatori.<br />

Una delle prime esigenze del pubblico è <strong>di</strong> vedere e u<strong>di</strong>re l’attore che recita, e <strong>di</strong> vederne<br />

specialmente <strong>il</strong> volto (o la maschera), le mani e la persona.<br />

Perciò ogni teoria che tenti <strong>di</strong> stab<strong>il</strong>ire l’uso della luce in relazione alla scena, senza stab<strong>il</strong>ire <strong>il</strong><br />

rapporto luce-recitazione, è priva <strong>di</strong> valore 86 .<br />

A questo punto ci sono dei princìpi generali che sarà ut<strong>il</strong>e ricordare.<br />

***<br />

1. Potete vedere un volto, una mano, un vaso, una statua, meglio su uno sfondo piatto e<br />

incolore che su uno sfondo su cui sia <strong>di</strong>pinto o scolpito un modello colorato o qualche altro oggetto.<br />

***<br />

2. L’ombra <strong>di</strong> una cosa (volto, mano, o statua) è visib<strong>il</strong>e senza <strong>di</strong>fficoltà e senza che ci si<br />

<strong>di</strong>stragga, pur essendo visib<strong>il</strong>e come la cosa stessa.<br />

***<br />

85<br />

Non ha nulla a che vedere con la pittura: quel che sui vecchi scenari è <strong>di</strong>pinto, io lo <strong>di</strong>pingo con la luce: senza<br />

servirmi affatto <strong>di</strong> colori.<br />

86<br />

Poiché l’attore e la scena sono una cosa sola, <strong>di</strong> fronte a noi debbono apparire come una sola cosa, altrimenti vedendo<br />

due cose che si sovrappongono non apprezzeremmo più né l’una né l’altra. <strong>Il</strong> loro valore consiste nell’essere un tutto<br />

unico.<br />

Essendo un tutto unico, <strong>il</strong> Dramma, l’Attore, la Scena, debbono essere visti e u<strong>di</strong>ti come un tutto unico, altrimenti<br />

guarderemo ora l’uno ora l’altro rovinando <strong>il</strong> tutto.<br />

174


3. Quando <strong>il</strong> volto, la mano, o la statua vengono rimossi, uno schermo piano è una cosa inerte<br />

da guardare. L’occhio si stanca.<br />

***<br />

4. L’occhio non può guardare due oggetti nello stesso istante. Quando ascoltiamo uno che<br />

parla, sia esso in una stanza o in una sala o in un <strong>teatro</strong>, ve<strong>di</strong>amo una cosa sola: <strong>il</strong> suo volto.<br />

***<br />

5. A <strong>teatro</strong> i nostri occhi seguono colui che parla; perciò quando sono in due a parlare, <strong>di</strong><br />

solito è bene che siano <strong>il</strong> più vicino possib<strong>il</strong>e l’uno all’altro.<br />

***<br />

6. È essenziale che vadano d’accordo nel loro lavoro. Ogni frattura verrebbe imme<strong>di</strong>atamente<br />

avvertita, e non guarderemmo più nessuno dei due attori: i nostri pensieri vagherebbero sullo<br />

scenario.<br />

***<br />

7. Lo schermo su cui un attore è meglio visib<strong>il</strong>e è quello bianco, perché lo si può scurire fino a<br />

qualsiasi tono <strong>di</strong> grigio, lo si può colorare <strong>di</strong> tutti i colori, fino al nero; e senza variare <strong>il</strong> colore del<br />

volto, delle mani o della figura dell’attore.<br />

***<br />

8. <strong>Il</strong> volto dell’attore non ha alcun bisogno <strong>di</strong> essere relegato nell’ombra e <strong>di</strong> <strong>di</strong>minuire le sue<br />

capacità espressive fino a renderle quasi nulle... Tanto varrebbe allora eliminarle del tutto.<br />

***<br />

9. Fino al giorno in cui l’attore non perse la capacità <strong>di</strong> esprimersi e <strong>di</strong> recitare e non cominciò<br />

a <strong>di</strong>sprezzare <strong>il</strong> buon uso della scena e della luce, non c’era mai stato bisogno <strong>di</strong> dare allo scenario<br />

un’eccessiva preponderanza.<br />

***<br />

10. L’uso della luce è fatto per aiutare l’attore e collaborare con lui, se egli vuol prenderlo in<br />

considerazione. Perché la luce può essere usata in molti mo<strong>di</strong> drammatici, spetta all’attore arrivare a<br />

conoscerne una cinquantina e più al giorno. Al giorno d’oggi egli ne conosce sei all’incirca.<br />

***<br />

11. L’uso della luce per l’attore va stu<strong>di</strong>ato solo dall’attore stesso, che osserverà come la luce<br />

recita la sua <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e parte nella realtà della vita. Se l’osserverà, si renderà conto che l’<strong>il</strong>luminazione<br />

175


scenica può essere <strong>il</strong> miglior amico sul lavoro. Come aus<strong>il</strong>io alle sue osservazioni <strong>il</strong> trattato sulla luce<br />

<strong>di</strong> Leonardo da Vinci può aiutare un attore che sia già avanti con gli stu<strong>di</strong>.<br />

***<br />

Definito un certo uso della luce nei rapporti con l’attore, passiamo a definire i rapporti <strong>di</strong> luce<br />

e scena.<br />

La scena si muove per ricevere <strong>il</strong> gioco della luce.<br />

La scena e la luce, come ho detto, sono sim<strong>il</strong>i a due danzatori o a due cantanti in perfetto<br />

accordo tra loro.<br />

La scena offre la forma più semplice che si possa ottenere con angoli e pareti piane e la luce<br />

scorre ovunque.<br />

Non bisogna semplicemente montare la scena sul palcoscenico (sebbene essa si regga<br />

comunque da sola), senza pensare come debba essere <strong>di</strong>sposta e non bisogna <strong>il</strong>luminarla senza prima<br />

pensare quale luce darle, e da dove farla venire, e che compito darle.<br />

La <strong>di</strong>fficoltà consiste nel piazzare la scena, nell’eseguire i movimenti perché riceva la luce, nel<br />

piazzare e nel <strong>di</strong>rigere la luce.<br />

D’altra parte, <strong>il</strong> rapporto della luce con questa scena è molto sim<strong>il</strong>e a quello dell’archetto col<br />

violino, o della penna con la carta.<br />

Perché la luce si muove sopra la scena; non sta sempre ferma in un punto fisso... muovendosi<br />

produce una musica visiva. Durante l’intero svolgersi del Dramma la luce ora accarezza ora colpisce,<br />

d<strong>il</strong>uvia o goccia, non è mai immob<strong>il</strong>e, anche se spesso i suoi movimenti non sono in<strong>di</strong>viduab<strong>il</strong>i fino<br />

alla fine dell’atto, quando ci accorgiamo che la luce è totalmente cambiata.<br />

Dunque la scena e la luce si muovono.<br />

Nella mia scena posso <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> tanti pannelli e <strong>di</strong> tante lampade quante voglio.<br />

Per <strong>il</strong> momento immaginiamo una scena con cinque pannelli e <strong>di</strong>eci lampade.<br />

Dopo averne provate un certo numero sul palcoscenico-modello nella mia stanza mi reco al<br />

<strong>mio</strong> <strong>teatro</strong> che ha schermi più gran<strong>di</strong> e tutte le lampade. Dispongo gli schermi nella prima posizione.<br />

Passo quin<strong>di</strong> al vaglio ogni schermo, per meglio <strong>di</strong>re, saranno otto o <strong>di</strong>eci manipolatori <strong>di</strong> schermi a<br />

provarli per vedere se sono snodab<strong>il</strong>i e se ogni pannello è in perfetto stato. Fatto questo mi reco <strong>di</strong><br />

persona alla cabina elettrica per provare ogni interruttore, ogni lampada, la forza della luce, la<br />

scorrevolezza delle pulegge, delle ruote, delle scanalature ecc...<br />

Quando mi sono ben assicurato che schermi e lampade sono perfettamente a posto, comincio<br />

le prove.<br />

<strong>Il</strong> testo viene letto allo stesso ritmo in cui sarà recitato e a ogni parola prestab<strong>il</strong>ita si muove<br />

un elemento semplice o doppio delle schermo; contemporaneamente una delle lampade comincerà a<br />

far luce a una intensità data, da una certa posizione, in una <strong>di</strong>rezione prestab<strong>il</strong>ita.<br />

A ogni parola uno o più elementi si muovono, avanzano, retrocedono, si ripiegano o si<br />

spiegano, impercettib<strong>il</strong>mente, o, a volte, in modo più marcato, mentre contemporaneamente altre<br />

lampade cominceranno a funzionare, a cambiare posizione, intensità, <strong>di</strong>rezione 87 .<br />

I miei schermi possono passare da un punto all’altro del palcoscenico e niente ostacola <strong>il</strong> loro<br />

passaggio.<br />

La luce può passare da una posizione all’altra in aria o sul palcoscenico e posarsi su qualsiasi<br />

punto io voglia.<br />

Come si possano realizzare queste due semplici cose ve lo mostrerò, con <strong>di</strong>agrammi ben<br />

chiari, l’anno dopo che li avrò in esecuzione in <strong>di</strong>verse comme<strong>di</strong>e 88 .<br />

87 Posso insegnarvi quest’arte, ma non in fretta, poiché io ho speso degli anni per arrivarci.<br />

176


Mi <strong>di</strong>spiace moltissimo non poterveli mostrare qui, ora... ma se lo facessi <strong>il</strong> <strong>mio</strong> sistema<br />

d’<strong>il</strong>luminazione col suo semplice congegno sarebbe imme<strong>di</strong>atamente captato da qualche sempre-vig<strong>il</strong>e<br />

<strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> o da un suo assistente, che ve lo presenterebbe rimanipolato in una forma ben<br />

accetta ai baggiani <strong>di</strong> cui parla Shakespeare, ma che certamente non potrebbe piacere a voi.<br />

Questo è uno degli accorgimenti che adopererò per farvi un favore fino a quando non potremo<br />

avere un <strong>teatro</strong> in cui voi verrete come spettatori e io lavorerò “al vostro servizio” come artista.<br />

Basti aggiungere che posso <strong>il</strong>luminare <strong>il</strong> volto, le mani e la persona <strong>di</strong> un dato attore, in<br />

qualsiasi parte del palcoscenico egli sia, senza <strong>il</strong>luminare la scena, e che posso <strong>di</strong>pingere con la luce<br />

ogni punto della scena senza mettere da parte l’attore neppure per un attimo.<br />

E questo non avrei potuto affermarlo otto anni fa.<br />

Ve lo posso <strong>di</strong>re ora perché è negli ultimi quattro anni che ho scoperto come ottenerlo.<br />

Quanto all’altro problema, se sia desiderab<strong>il</strong>e e necessario <strong>il</strong>luminare sempre con la stessa<br />

intensità <strong>di</strong> luce l’attore a ogni momento della rappresentazione, credo sia uno <strong>di</strong> quei problemi che<br />

oggi si possono risolvere solo insieme con l’attore... nessuno è più ragionevole <strong>di</strong> lui quando <strong>il</strong> <strong>teatro</strong><br />

funziona e tutto va liscio.<br />

Una piccola aggiunta ancora e ho finito.<br />

Posso colorare i miei schermi o la figura dell’attore con lo stesso grado <strong>di</strong> luminosità e con la<br />

stessa intensità e qualità <strong>di</strong> luce che un pittore adopera per i suoi quadri. Io uso soltanto la luce... lui<br />

usa i pennelli.<br />

Io sono limitato dal <strong>mio</strong> mezzo come lui dal suo; tutti e due dobbiamo obbe<strong>di</strong>re agli strumenti e<br />

ai materiali che adoperiamo. Lui non può fare altro che <strong>di</strong>pingere coi colori su <strong>di</strong> una superficie liscia.<br />

Io non posso far altro che proiettare la luce sui miei schermi e sulle figure.<br />

La <strong>di</strong>fferenza è che mentre lui si è trovato la materia e gli strumenti già belli e scoperti e ha<br />

avuto un metodo tra<strong>di</strong>zionale come maestro, io ho dovuto cercarmi la materia e gli strumenti adatti e<br />

sono stato costretto a inventare un sistema per ut<strong>il</strong>izzarli.<br />

Perciò se non ho ancora un sistema perfetto come <strong>il</strong> suo nell’adoperare i miei strumenti, e se<br />

non riuscirò a raggiungerlo prima <strong>di</strong> esser costretto a smettere <strong>il</strong> lavoro, altri a cui affiderò i miei<br />

progetti e i miei esperimenti devono proseguire dopo <strong>di</strong> me la mia opera e scoprire meto<strong>di</strong> migliori,<br />

se ne saranno capaci.<br />

È per questa ragione fondamentale, per salvare, per non <strong>di</strong>sperdere le mie scoperte, che spero<br />

con tutto <strong>il</strong> cuore <strong>di</strong> avere un laboratorio e degli assistenti che possano portare avanti <strong>il</strong> lavoro dopo<br />

la mia morte. A nessun altro affiderò quel che spero <strong>di</strong> non essere stato troppo presuntuoso nel<br />

considerare non privo <strong>di</strong> valore.<br />

Quanto ho scritto rimane a testimoniare che ho reso pubblico <strong>il</strong> <strong>mio</strong> bisogno <strong>di</strong> aiuto e <strong>di</strong><br />

mezzi per salvare le mie scoperte per quelli che verranno dopo <strong>di</strong> me.<br />

O forse servirà a testimoniare <strong>il</strong> contrario.<br />

Gordon Craig<br />

1922<br />

88 Dovrete imparare la natura <strong>di</strong> questa scena... <strong>il</strong> modo in cui si può muovere e <strong>il</strong> modo in cui non può, le sue<br />

possib<strong>il</strong>ità, le sue limitazioni. Dovrete apprendere la posizione migliore per la luce solare o elettrica; i mezzi migliori<br />

per far recitare la luce sulla scena, colorandola, controllandola.<br />

Ecco quel che posso insegnarvi, perché è ciò che ho sperimentato giorno per giorno, per impararlo io stesso.<br />

Dopo che sarà accettata questa piccola scena <strong>di</strong> schermi con <strong>il</strong> suo piccolo sistema <strong>di</strong> <strong>il</strong>luminazione, mi metterò a<br />

sv<strong>il</strong>uppare questa scena più grande che vi ho mostrato nelle acqueforti. È un’impresa molto più <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e, ma chiedere <strong>di</strong><br />

vederla attuata quando la versione più piccola <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> sim<strong>il</strong>e attende ancora <strong>di</strong> esser realizzata nel <strong>teatro</strong> inglese -<br />

e in un <strong>teatro</strong> <strong>mio</strong> - è guardare un po’ troppo lontano.<br />

177


In<strong>di</strong>ce<br />

Pagina 000 Introduzione<br />

000 L’itinerario <strong>di</strong> Gordon Craig<br />

000 L’Arte del Teatro<br />

000 Gli artisti del <strong>teatro</strong> dell’avvenire<br />

L’attore. - <strong>Il</strong> <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena. - La scena e <strong>il</strong> movimento. -<br />

L’avvenire - una speranza<br />

000 L’Attore e la Supermarionetta<br />

000 Di alcune cattive tendenze del <strong>teatro</strong> moderno<br />

000 Testi e autori drammatici, <strong>di</strong>pinti e pittori nel <strong>teatro</strong><br />

000 <strong>Il</strong> <strong>teatro</strong> in Russia, in Germania e in Ingh<strong>il</strong>terra. Due lettere a John Semar.<br />

I. <strong>Il</strong> <strong>teatro</strong> in Germania e in Ingh<strong>il</strong>terra. - II. <strong>Il</strong> <strong>teatro</strong> in Russia e in Ingh<strong>il</strong>terra<br />

000 L’Arte del Teatro<br />

Primo <strong>di</strong>alogo fra un uomo del mestiere - <strong>il</strong> regista, e un frequentatore <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> -<br />

lo spettatore<br />

000 L’Arte del Teatro<br />

Secondo <strong>di</strong>alogo fra un frequentatore <strong>di</strong> <strong>teatro</strong> e un regista<br />

000 Gli spettri nelle trage<strong>di</strong>e <strong>di</strong> Shakespeare<br />

000 1 drammi <strong>di</strong> Shakespeare<br />

000 <strong>Il</strong> Realismo e l’attore<br />

000 I teatri all’aperto<br />

000 <strong>Il</strong> simbolismo<br />

000 Lo squisito e <strong>il</strong> prezioso<br />

000 Per un nuovo <strong>teatro</strong><br />

000 Scena<br />

178

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