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Statica dei fluidi - fenomeni, misconcetti, esperimenti – Luca Lovino

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<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

Indice generale<br />

1. Teoria del cambiamento concettuale pag. 4<br />

1.1 Impianto metodologico pag. 4<br />

1.2 Concettualizzazione nella statica <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> pag. 5<br />

2. Analisi delle rappresentazioni ingenue pag. 6<br />

2.1 Test pag. 6<br />

2.2 Contenuti del test pag. 7<br />

3. Dal modello di fluido alla "pressione" pag. 9<br />

3.1 Nota sul concetto di pressione pag. 9<br />

3.2 L'aria e la pressione pag. 10<br />

3.3 La colonna d'acqua che non cade pag. 10<br />

3.4 Due varianti con la bottiglia pag. 11<br />

3.5 Horror vacui pag. 12<br />

3.6 Gli emisferi di Guericke pag. 13<br />

4. La pressione atmosferica pag. 15<br />

4.1 Misura della densità dell'aria con un barattolo pag. 15<br />

4.2 Definizione e misure di pressione pag. 16<br />

4.3 Torricelli pag. 18<br />

4.4 Misura della pressione atmosferica con una siringa e un secchiello pag. 19<br />

4.5 Un barometro pag. 21<br />

5. Fluidi in equilibrio pag. 22<br />

5.1 Isotropia della pressione pag. 22<br />

5.2 Fluidi in equilibrio: legge di Stevin e Principio di Pascal pag. 23<br />

5.3 Fenomenologia della legge di Stevin pag. 24<br />

5.4 Il principio di Pascal pag. 23<br />

5.5. Moltiplicatore di forze casalingo pag. 26<br />

5.6 Il dentifricio pag. 28<br />

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6. La spinta di Archimede pag. 29<br />

6.1 Zavorre su natanti pag. 29<br />

6.2 Stima della spinta/stime di densità pag. 30<br />

6.3 L'orafo, Gerone e Archimede pag. 32<br />

6.4 Derivazione della legge di Archimede pag. 34<br />

6.5 Un ovetto in soluzione salina pag. 35<br />

6.6 Uova sode pag. 36<br />

6.7 La spinta di Archimede in aria pag. 37<br />

6.8 Fiamme pag. 38<br />

6.9 Mongolfiera: il volo pag. 39<br />

6.10 Stabilità <strong>dei</strong> natanti pag. 41<br />

6.11 Una misura di densità pag. 42<br />

7. Tubi e superfici pag. 44<br />

7.1 L'equazione dell'equilibrio <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> pag. 44<br />

7.2 Fluidi pesanti pag. 45<br />

7.3 Fluido in rotazione pag. 46<br />

7.4 Vasi comunicanti pag. 47<br />

8. La funzione pressione pag. 49<br />

8.1 Paradosso idrostatico pag. 49<br />

8.2 Fluidi comprimibili pag. 51<br />

Appendice A pag. 54<br />

Bibliografia pag. 58<br />

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<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

1. La teoria del cambiamento concettuale<br />

Ciascuno di noi fa propria una concettualizzazione della realtà che è “precedente” all’esperienza scolastica<br />

e che contiene un ampio insieme di codici pre-scientifici e di conoscenze alternative comunemente note<br />

come <strong>misconcetti</strong>.<br />

A tutte le età ed in misura differente, infatti, le persone possiedono concezioni divergenti rispetto a quelle<br />

accreditate presso la comunità scientifica: concezioni definite di “senso comune” o anche “ingenue” che<br />

possono essere il frutto dell’esperienza personale e diretta con la realtà o di idee e convinzioni elaborate<br />

nel corso della propria esperienza fisica e sociale.<br />

Dal punto di vista delle persone, questi sistemi di conoscenze costituiscono un filtro interpretativo di tutti i<br />

<strong>fenomeni</strong> osservabili e possiedono caratteri di adeguatezza, funzionalità ed efficacia. Inoltre, le conoscenze<br />

derivate dall’esperienza quotidiana sono paragonabili a delle autentiche teorie, in quanto sono costituite da<br />

un insieme sistematico e coerente di concezioni utili a interpretare e prevedere il mondo, e che sono state<br />

condivise in passato anche dalla comunità degli scienziati (molte credenze ingenue hanno infatti un<br />

“sapore” aristotelico …).<br />

Ciò che bisogna tenere ben presente nella progettazione di un intervento didattico in fisica è che le<br />

convinzioni ingenue degli studenti sono difficilmente contrastabili, e di solito sono del tutto incompatibili<br />

con le forme scientifiche che si vogliono trasmettere con l’insegnamento.<br />

In fisica, più che in altre discipline, le rappresentazioni ingenue della realtà ne influenzano l’interpretazione<br />

fino a rendere le nostre concettualizzazioni (distorte se non del tutto inappropriate) una quasi-teoria, solida<br />

e completamente alternativa alla visione scientifica delle cose.<br />

1.1 Impianto metodologico<br />

La teoria del cambiamento concettuale offre un valido supporto metodologico nella progettazione di un<br />

percorso didattico in fisica poiché nasce dall’analisi delle rappresentazioni ingenue degli studenti e ne guida<br />

la riorganizzazione concettuale.<br />

Tale teoria, di matrice costruttivista, descrive l’apprendimento come successiva integrazione della<br />

conoscenza comune (cioè il panorama di senso della realtà che tutti costruiamo nel corso dell’esperienza) e<br />

della conoscenza scientifica (cioè un universo chiuso contenutistico e metodologico che si richiama ad un<br />

unico paradigma condiviso da una comunità scientifica).<br />

Le conoscenze ingenue hanno un carattere dominante perché oltre a coinvolgere i nostri sistemi di<br />

conoscenze, mettono in gioco anche i nostri atteggiamenti e le nostre credenze, che sono variabili di tipo<br />

affettivo e metacognitivo.<br />

I <strong>misconcetti</strong> e le credenze pre-scientifiche sono ben radicate in tutti noi e tendono a metterci in una sorta<br />

di “inerzia cognitiva”. In definitiva un misconcetto è sufficientemente elaborato ed esaustivo da rendere<br />

“economico” il processo di apprendimento.<br />

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<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

Quando uno studente deve confrontarsi con il sistema rigido e codificato della scienza è molto probabile<br />

che quest’ultimo venga rigettato: tutti noi tendiamo a proteggere il nostro sistema interpretativo in quanto<br />

è espressione del nostro modo di porci nei confronti della realtà e rischiamo di assimilare il modello<br />

scientifico come un artefatto privo di validità o significato. Nella migliore delle ipotesi, possiamo<br />

accomodare il modello scientifico nella nostra rete di conoscenze utilizzandolo solo a scuola, mentre<br />

restiamo intimamente convinti della sua non-funzionalità (processo di subcategorizzazione). D’altra parte,<br />

la fisica insegnata a scuola si basa su modelli molto spesso astratti (assenza di attriti, corpi puntiformi,<br />

masse trascurabili…) che sono del tutto estranei all’esperienza quotidiana, e da questo punto di vista gli<br />

studenti vengono ben poco agevolati nel superare i limiti della concettualizzazione pre-scientifica.<br />

A questo va aggiunto che le ambiguità e le interferenze semantiche tra il discorso di senso comune e quello<br />

scientifico sono terreno fertile su cui attecchiscono le concezioni alternative (si pensi al classico concetto di<br />

lavoro, o di carica o di energia …).<br />

1.2 Concettualizzazione nella statica <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong><br />

L’idea di questo percorso è di rendere concettualmente interessanti le osservazioni sperimentali in modo<br />

che la spiegazione di <strong>fenomeni</strong> conosciuti faccia di volta in volta emergere o criticare la validità , la<br />

predittività, la longevità e l’affidabilità <strong>dei</strong> sistemi di credenze ingenue favorendone così la consapevole<br />

sostituzione con un modello propriamente scientifico.<br />

Secondo la teoria del cambiamento concettuale, la sostituzione del paradigma di senso comune con uno di<br />

tipo scientifico, e quindi la revisione del proprio sistema di credenze, può avvenire solo se:<br />

1. lo studente è portato in una condizione di insoddisfazione delle proprie idee che appaiono<br />

inadeguate per spiegare un gran numero di <strong>fenomeni</strong> e che mostrano limiti di predittività;<br />

2. la nuova concezione deve essere intelligibile, cioè lo studente deve poterne comprendere il<br />

significato e farsene una rappresentazione coerente;<br />

3. la nuova concezione deve anche essere plausibile in quanto vera e credibile rispetto al sistema<br />

concettuale dello studente; in altre parole non deve apparire in netto contrasto con le sue convinzioni;<br />

4. il nuovo paradigma deve essere vantaggioso, quindi deve dimostrarsi utile a risolvere problemi<br />

rimasti sospesi, a suggerire nuove interpretazioni e a fare previsioni.<br />

Dal punto di vista contenutistico, il percorso qui proposto riguarda l’equilibrio <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong>. In esso vi si trovano<br />

importanti concetti meccanici come la pressione, il vuoto, l’equilibrio, la gravità che da un punto di vista<br />

semantico vengono confusi e sovrapposti nell’ambito di un paradigma ingenuo.<br />

Le attività in esso descritte sono state svolte durante la mia attività di tirocinio presso l’Istituto Tecnico<br />

Industriale “Iannuzzi” di Andria e documentate nella tesi discussa durante l’Esame di Stato con valore<br />

abilitante all’insegnamento della fisica. Le immagini degli strumenti di misura sono state catturate con la<br />

fotocamera nel laboratorio di Fisica e Chimica dello stesso istituto durante le attività.<br />

I contenuti sono qui stati riorganizzati ed ampliati.<br />

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2. Analisi delle rappresentazioni ingenue<br />

Il test che segue è uno spunto per l’analisi delle rappresentazioni ingenue. E’ una batteria di 7 domande in<br />

parte riadattate da test originali di Torosantucci, Vicentini e Meyer [VM] e in parte scritti da me che va<br />

somministrata prima che comincino le attività e ridiscusse al termine dell’intero percorso.<br />

2.1 Test<br />

Questo test contiene argomenti che non hai ancora affrontato a scuola, ma di cui si sente comunemente<br />

parlare: la gravità, il peso e la pressione. Non c’è alcun bisogno che tu vada a studiare questi argomenti o<br />

che tu chieda aiuto a qualcuno più esperto! Infatti, non è importante che tu scelga la risposta giusta,<br />

quanto piuttosto che tu rifletta con molta attenzione su ciascun quesito e che risponda in base alle tue<br />

idee.<br />

1. Sulla Luna[adattamento test [Torosantucci-Vicentini 1991]<br />

Un astronauta sta eseguendo di lavori di riparazione alla sua navicella sulla superficie lunare quando,<br />

accidentalmente, gli sfugge di mano un attrezzo. Cosa accade a questo oggetto?<br />

La chiave non cade perché non c’è aria nell’atmosfera lunare e quindi sul corpo non agisce la forza<br />

di gravità;<br />

La chiave cade a causa della forza di gravità della Luna;<br />

La chiave non può cadere perché sulla Luna manca sia l’aria sia la gravità.<br />

2. Manometri<br />

In quali casi si ha una scala lineare? (segna con una X vicina la/le figure)<br />

3. La cannuccia<br />

Come si riesce a bere da una cannuccia?<br />

Perché un liquido può essere aspirato;<br />

Perché si fa il vuoto nella cannuccia e la forza del vuoto attira il liquido;<br />

Perché si crea una differenza di pressione con l’esterno e l’aria esterna spinge su il liquido;<br />

Perché il liquido sale per capillarità;<br />

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4. Il palloncino<br />

Un palloncino sferico gonfio (O) viene fissato ad una profondità di 4 m in una piscina. Che avviene della sua<br />

forma e dimensione?<br />

Stesso volume ma forma come A o B;<br />

Stessa forma ma volume minore. come in C;<br />

Stessa forma ma volume maggiore come in D;<br />

Cambiano sia forma che volume;<br />

Non cambia nulla come in O;<br />

Scoppia.<br />

5. La ventosa<br />

Spiega con parole semplici come pensi che funzioni una ventosa<br />

6. Il palloncino 2<br />

Spiega perché un palloncino riempito di elio sale verso l’alto se non viene legato a qualche oggetto fisso.<br />

Secondo te il palloncino continuerà a salire sempre o si fermerà? Motiva la tua risposta in entrambi i casi.<br />

7. Due specchi<br />

Prendi due piccoli specchi e lucidane bene le superfici. Quindi, metti a contatto le parti riflettenti e<br />

schiacciali delicatamente l’uno contro. Se ora cerchi di allontanarli senza farli strisciare, gli specchi<br />

oppongono resistenza? Spiega cosa è accaduto.<br />

2.2 Contenuti del test<br />

Il test ha l’obiettivo di verificare l’eventuale presenza di concettualizzazioni distorte che coinvolgono il<br />

concetto di pressione, ed in particolare consentono di accertare l’esistenza di una confusione tra<br />

“pressione” e “gravità”, dell’idea di anisotropia della pressione nei <strong>fluidi</strong> e della convinzione che il vuoto sia<br />

capace di sviluppare forze (“forza del vuoto”).<br />

Due domande riguardano il funzionamento di una ventosa e l’interpretazione di un fenomeno curioso per il<br />

quale, mettendo a contatto due superfici ben levigate, è difficile separarle senza ricorrere a sollecitazioni di<br />

taglio.<br />

I due <strong>fenomeni</strong> hanno la stessa origine, dal momento che in entrambi i casi gli oggetti separano l’ambiente<br />

esterno a pressione atmosferica da un ambiente interno a pressione molto ridotta (zona sottostante la<br />

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gomma per la ventosa e zona tra i due specchi nel secondo caso); l’obiettivo è di verificare se gli studenti<br />

notano questa regolarità, e più in generale se hanno consapevolezza del fatto che questi <strong>fenomeni</strong> si<br />

reggono su differenze di pressioni all’interno di ambienti distinti<br />

L’altra domanda riguarda la possibilità che un palloncino pieno di elio possa salire verso l’alto<br />

indefinitamente; qui sono all’opera più concetti contemporaneamente, che riguardano la spinta di<br />

Archimede, la differenza di pressione tra interno ed esterno del pallone e la rarefazione dell’atmosfera. In<br />

tal caso l’obiettivo è di verificare quale grado di integrazione di questi concetti presentano gli studenti.<br />

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3. Dal modello di fluido alla “pressione”<br />

Il tema della statica <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> segue quello dell’equilibrio meccanico <strong>dei</strong> corpi rigidi e dello studio di alcune<br />

macchine semplici. Nonostante questi temi abbiano una comune radice (l’analisi delle condizioni di<br />

equilibrio di un sistema meccanico), occorre cominciare questo percorso analizzando le caratteristiche <strong>dei</strong><br />

nuovi sistemi fisici cui si farà riferimento.<br />

Il modello di fluido che occorre per cominciare il percorso deve presentare caratteristiche di<br />

incomprimibilità (limitatamente ai liquidi), deve poter scorrere senza attrito (fluido non viscoso), non deve<br />

opporsi a sollecitazioni di taglio e deve trovarsi trovare condizioni di equilibrio (assenza di gradienti di<br />

pressione).<br />

Un buon modo per costruire questo modello è affidarsi al brainstorming sul significato di “fluido”, “liquido”<br />

e “gas”: in questa fase è importante lavorare su un modello che sia il più vicino possibile all’esperienza degli<br />

studenti e che sia per loro denso di significato perché condiviso da tutti.<br />

Orientiamo la discussione in modo che liquidi e gas vengano definiti per somiglianze e differenze con i<br />

corpi solidi, ad esempio in base al loro grado di comprimibilità e all’impossibilità di sostenere sollecitazioni<br />

di taglio o di trazione (solo per gli aeriformi, e in misura limitata per i liquidi).<br />

La proprietà di incomprimiblità <strong>dei</strong> liquidi si può constatare aspirando dell’acqua con una siringa senza ago;<br />

chiediamo ad uno studente di otturare con un dito l’apertura della siringa e di provare a spingere il pistone<br />

e di commentare cosa sta osservando. La stessa prova può essere ripetuta con dell’aria nella stessa siringa.<br />

La mancanza di resistenza alle sollecitazioni di taglio si prova facilmente facendo notare che possiamo<br />

agitare le braccia in aria senza grosso sforzo e che possiamo rimescolare con una mano dell’acqua in una<br />

bacinella.<br />

Facciamo riflettere sul particolare comportamento <strong>dei</strong> liquidi nei confronti di sollecitazioni impulsive<br />

chiedendo: “Vi è mai capitato di fare un tuffo in mare eseguito male?” (ovvero non entrando in acqua con<br />

la testa ma “urtando” sulla superficie con il petto) oppure “Perché una pietra scagliata radente al pelo<br />

dell’acqua del mare rimbalza alcune volte sulla superficie prima di affondare?” o anche “Cosa succede se<br />

immergo lentamente una mano in acqua? Cosa cambia se picchio la superficie dell’acqua con la mano?”.<br />

3.1 Nota sul concetto di pressione<br />

Buona parte di questo percorso ruota attorno al significato di pressione e al ruolo che gli studenti<br />

attribuiscono a questa grandezza per spiegare i <strong>fenomeni</strong> fisici. La pressione non può essere definita solo<br />

come forza per unità di superficie [VM] senza operare una adeguata distinzione concettuale tra la<br />

sollecitazione esterna su un sistema e risposta del sistema alla sollecitazione.<br />

Nel primo caso, la pressione assume il significato di forza distribuita (o forza specifica), con forte carattere<br />

di isotropia; lo stesso concetto può essere utilizzato per descrivere l’interazione solido-solido (es. scarpe-<br />

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pavimento) che è equilibrato dagli sforzi legati alle deformazioni prodotte nei solidi ed hanno un forte<br />

carattere direzionale e ne giustificano l’impenetrabilità.<br />

Nel secondo caso essa viene utilizzata per descrivere le proprietà meccaniche di un sistema in risposta a<br />

sollecitazioni esterne. In tal caso, la funzione scalare p(x,y,z) serve per descrivere le proprietà <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong><br />

all’equilibrio, ed è l’unico tipo di funzione che possiamo utilizzare per studiare l’interazione tra <strong>fluidi</strong> o<br />

solido-fluido.<br />

Per questo motivo, è sensato strutturare il percorso didattico studiando l’azione dell’aria sui <strong>fenomeni</strong><br />

legati alla superficie terrestre in modo da riconoscere la necessità di descrivere le proprietà di un sistema di<br />

<strong>fluidi</strong> in termini di pressioni.<br />

3.2 L’aria e la pressione<br />

Per visualizzare l’azione della pressione atmosferica prendiamo un beverino per<br />

pappagallini: esso è un recipiente cilindrico di plastica alto circa 15 cm chiuso da un<br />

tappo che reca un beccuccio cavo. Il tappo può essere svitato per riempire d’acqua il<br />

cilindro; ma quando il tappo viene rimesso a posto, il cilindro si può capovolgere<br />

senza che l’acqua ne fuoriesca. Essa si raccoglie nel beccuccio ed è a disposizione <strong>dei</strong><br />

pappagalli per essere bevuta.<br />

Agli studenti possiamo domandare “sai spiegare perché s’acqua non fuoriesce dal<br />

beccuccio?” o anche “cosa succederebbe se ci fosse un foro sotto il cilindro?” che<br />

dovrebbe portare alla conclusione banale per cui l’acqua deve cadere svuotando il<br />

cilindro. Tuttavia, questo serve per focalizzare l’attenzione non sulla presenza di un<br />

foro, ma sulla sua posizione.<br />

In sostanza, gli studenti devono rendersi conto che c’è “qualcosa” che agisce<br />

dall’esterno sull’acqua e che non le permette di uscire.<br />

Per analogia, proponiamo altre due semplici osservazioni sperimentali:<br />

3.3 La colonna d’acqua che non cade<br />

Un alunno prende una bottiglia di plastica e la riempie completamente d’acqua; poi riempie d’acqua una<br />

bacinella piuttosto ampia e vi capovolge la bottiglia con l’imboccatura completamente immersa ed ostruita<br />

con un dito. Se l’ostruzione viene eliminata si osserva che l’acqua non si versa, così come accade per il<br />

beverino.<br />

Agli studenti chiediamo quali sono le somiglianze con il precedente esperimento (presenza del beccuccio<br />

che qui è sostituito da tutta la superficie dell’acqua; esistenza di una causa esterna che impedisce all’acqua<br />

di cadere, anche se qui è più evidente che l’acqua ha un peso ma non riesce a cadere) e quali le differenze<br />

(dimensioni degli apparati, altezza della colonna d’aria, l’acqua della bacinella che trasmette l’azione<br />

esterna fino all’imboccatura della bottiglia).<br />

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3.4 Due varianti con la bottiglia<br />

Si ottiene una variante dello stesso esperimento non riempiendo completamente la bottiglia, ma<br />

lasciandovi una parte di aria. Tappiamo l’imboccatura con un dito e la si capovolge, facendo segnare ad un<br />

alunno il livello iniziale dell’acqua.<br />

Prima di immergere la bottiglia nella bacinella d’acqua come prima, domandiamo ai ragazzi cosa pensano<br />

che succederà al livello d’acqua nella bottiglia.<br />

p<br />

In questo caso la sacca d’aria dovrebbe espandersi. Infatti, la<br />

parte d’aria si trova inizialmente al di sopra della colonna<br />

A<br />

d’acqua a pressione atmosferica, ma quando capovolgiamo la<br />

bottiglia e attendiamo che si raggiunga l’equilibrio, la pressione<br />

atmosferica che agisce sulla superficie libera dell’acqua (e quindi<br />

h1<br />

sull’imboccatura) deve equilibrare la pressione esercitata dalla<br />

colonna d’acqua nella bottiglia sommata alla pressione dell’aria<br />

residua. Pertanto, questa parte di aria intrappolata deve trovarsi<br />

H1<br />

H2<br />

ad una pressione minore di quella atmosferica e quindi il suo<br />

p<br />

volume deve aumentare (pV = costante in prima<br />

approssimazione).<br />

A<br />

Infatti, in riferimento alla figura, e supponendo che la sezione della bottiglia sia S, la pressione ed il volume<br />

dell’aria presente nella bottiglia sarà:<br />

pressione volume<br />

situazione iniziale p Sh1<br />

situazione finale p-ρgH2 Sh2<br />

Pagina 11<br />

con p pressione atmosferica<br />

Imponendo che il prodotto della pressione per il volume dell’aria resti costante prima e dopo aver<br />

capovolto la bottiglia, si arriva all’equazione: ph1 = ( p - gH2<br />

) h2<br />

da cui<br />

ipotizzato.<br />

gH2h2<br />

h ≡h2<br />

- h1<br />

=<br />

che è positivo e coerente con quanto<br />

p<br />

Una ulteriore variante di questo fenomeno ci permette di sottolineare con<br />

maggiore enfasi il ruolo dell’aria nelle azioni meccaniche di tipo pressione.<br />

Utilizziamo la stessa bottiglia completamente riempita d’acqua ed un<br />

pezzetto di cartoncino bagnato (cartone usato per imballaggi) per mostrare<br />

quanto sia inaspettatamente intensa l’azione esercitata dall’aria.<br />

In questo caso l’alunno capovolge la bottiglia tappandola con il cartoncino e,<br />

per qualche istante, l’acqua non dovrebbe cadere; questa situazione di


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equilibrio si manifesta perché la pressione atmosferica è più che sufficiente per equilibrare la pressione<br />

esercitata sul tappo di cartone dalla colonna d’acqua.<br />

L’equilibrio viene perso perché il cartoncino non aderisce bene alle pareti dell’imboccatura della bottiglia e<br />

non impedisce il passaggio di bolle d’aria all’interno: queste contribuiscono ad aumentare la pressione sul<br />

cartoncino che, ad un certo punto, non può che cadere.<br />

Queste circostanze devono essere tutte esplicitate dagli studenti, e dovremo orientare le loro riflessioni<br />

chiedendo di fare una previsione su ciò che accadrà quando la bottiglia verrà capovolta, sul perché l’acqua<br />

non cade subito ed infine sul motivo dell’estrema instabilità del fenomeno.<br />

3.5 Horror vacui<br />

A conclusione di questa sequenza di osservazioni<br />

qualitative sulla pressione atmosferica, utilizziamo delle<br />

superfici piane ben levigate e pulite poste a contatto;<br />

osserviamo che tali superfici, una volta poste a<br />

contatto, oppongono una certa resistenza a staccarsi<br />

l’una dall’altra.<br />

Lo stesso Galileo interpretava il trascinamento della<br />

superficie inferiore come una manifestazione<br />

dell’idiosincrasia della natura verso il vuoto: infatti, sembrava ragionevole ritenere che l’aria impiegasse un<br />

tempo finito per riempire lo spazio vuoto lasciato dietro di sé dalla superficie superiore. Di conseguenza, la<br />

lastra inferiore avrebbe provveduto a riempire istantaneamente lo spazio restando attaccata a quella<br />

superiore almeno fin quando l’aria non fosse stata in grado<br />

di riempire a sua volta lo spazio lasciato vuoto dal<br />

movimento della lastra.<br />

Noi invece riteniamo che la zona compresa tra le due<br />

superfici sia momentaneamente priva di aria, per cui la<br />

pressione atmosferica che si esercita dall’esterno schiaccia<br />

le superfici l’una contro l’altra; anche in questo caso la<br />

perdita di aderenza è dovuta all’insinuarsi di bolle d’aria<br />

nell’intercapedine tra le superfici a contatto.<br />

Nella foto è illustrato il comportamento di due carte telefoniche inizialmente posate in pila su un tavolo<br />

liscio (di cui è visibile solo quella superiore nei fotogrammi 1-2 da sinistra a destra); un’altra carta è stata<br />

agganciata con una piccola ventosa e con essa si esercita una pressione sulle due carte (fotogrammi 1-6); il<br />

sistema delle tre carte viene trascinato solidalmente con la ventosa (fotogramma 7); dopo qualche frazione<br />

di secondo cade la carta inferiore (fotogramma 8) e poi quella superiore (fotogramma 9).<br />

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3.6 Gli emisferi di Guericke<br />

Ulteriori considerazioni sulla relazione tra vuoto e pressione si ottengono utilizzando una coppia di emisferi<br />

di Guericke 1 . Questo strumento può essere utilizzato per rinforzare l’idea che l’instaurarsi del vuoto tra<br />

superfici in intimo contatto rende difficile la loro separazione a causa della differenza di pressione creata<br />

tra l’interno e l’esterno.<br />

Uno <strong>dei</strong> due emisferi presenta un foro su cui innestare un tubo di gomma da collegare alla pompa a vuoto.<br />

Entrambi gli emisferi recano una maniglia per poter essere maneggiati e inizialmente è facile far vedere che<br />

anche portandoli in contatto è facilissimo riuscire a separarli (infatti la pressione interna ed esterna sono<br />

inizialmente uguali). Ma se riuniamo i due componenti per formare una sfera che colleghiamo alla pompa,<br />

dopo qualche istante diventa già piuttosto difficile separarle e si può notare che, tenendo sospeso il<br />

sistema per un solo manico, l’altro non cade.<br />

Si dimostra che la forza necessaria per separare i due emisferi è data da:<br />

2<br />

F = R p<br />

dove Δp è la differenza di pressione tra interno ed esterno della sfera ed R il suo raggio interno.<br />

Per quantificare queste osservazioni, facciamo valutare forza che occorrerebbe esercitare per separare i<br />

due emisferi nel nostro caso.<br />

Considerando che il raggio interno della sfera da utilizzare è di 10 cm, e supponendo per semplicità che<br />

all’interno ci sia una pressione vicina a zero, la forza necessaria allo scopo sarebbe di circa 3181 Newton;<br />

questo significa che per separare i due emisferi potremmo appenderne uno ad un sostegno ed agganciare<br />

alla maniglia dell’altro una massa di circa 325 kg, ovvero di quasi 6 ragazzi di massa media di 55 kg!<br />

Tutte queste osservazioni devono chiarire il fatto l’aria esercita un’azione distribuita sulle superfici degli<br />

oggetti considerati e che tale azione è tanto intensa da poter contrastare la corrispondente azione<br />

1 Nel 1654 Otto von Guericke dimostrò alla Dieta imperiale, nei pressi di Magdeburgo, che due tiri di 8 cavalli ciascuno non erano in<br />

grado di separare due emisferi di ottone tra i quali era stato praticato il vuoto.<br />

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dell’acqua sulle stesse superfici; inoltre i liquidi possono trasportare questa azione al loro interno e<br />

l’equilibrio nell’interazione tra <strong>fluidi</strong> si esplicita attraverso l’uguaglianza di queste azioni.<br />

Ora ha senso introdurre la parola “pressione” come termine tecnico per referenziare queste azioni<br />

meccaniche ed in particolare per riferirci alla pressione atmosferica [immagine da http://www.magdeburgurlaub.de/kultur/home/persoenlichkeiten].<br />

Il lavoro può continuare a casa con 3 esercizi di tipo concettuale.<br />

“Inserisci una cannuccia di lunghezza L in un alto bicchiere con la<br />

tua bevanda preferita. Metti un dito su un’estremità della<br />

cannuccia in modo da non farvi entrare o uscire aria, quindi<br />

estrai la cannuccia dal liquido. La cannuccia tratterrà il liquido in<br />

modo che la distanza fra il tuo dito e il liquido sia h. L’aria tra il<br />

tuo dito e la superficie del liquido ha una pressione (a) maggiore<br />

(b) uguale o (c) minore della pressione atmosferica esterna?”<br />

Una variante del problema della bottiglia per rinforzare la<br />

comprensione delle osservazioni fatte in laboratorio:<br />

“Riempi a metà un bicchiere con dell’acqua. Inclina un po’ il bicchiere senza far versare l’acqua e<br />

descrivi cosa succede alla sua superficie. Spiega.”<br />

Questo esercizio serve per cominciare a familiarizzare con il comportamento <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> sotto l’azione della<br />

forza peso e per far riconoscere l’identità tra le isobare di un fluido e le linee equipotenziali dl campo<br />

gravitazionale in modo piuttosto semplice e non formale. Inoltre, in questo modo si evidenzia che su<br />

ciascuna porzione di fluido si esercita un’azione diretta perpendicolarmente alla superficie.<br />

“Confronta cosa succede quando premi contro la pelle un ago o la punta di una penna. Stabilisci se il<br />

taglietto procurato sulla pelle è dovuto alla forza effettivamente applicata o alla pressione. Spiega.”<br />

Questo esercizio serve per estendere il concetto di pressione anche all’interazione tra solidi.<br />

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4. La pressione atmosferica<br />

Le precedenti attività preparano la strada alla misura della pressione atmosferica, protagonista invisibile di<br />

tutte le osservazioni già compiute.<br />

Come primo approccio al problema, ricerchiamo su un manuale il valore tabulato della densità dell’aria 2 (<br />

1,205 kg/m 3 ) e si prova a valutare la massa dell’aria presente nell’aula; per questo occorre stimare la<br />

lunghezza degli spigoli dell’ambiente e determinarne il volume. Supponendo che la cubatura di un’aula sia<br />

6mx7mx3m=126 m 3 , dovremmo ottenere una massa pari a Maria=ρV≈151kg, poco più di un quintale e<br />

mezzo!<br />

Poco speso si riflette su questo dato, e questa è un’occasione per stimolare la riflessione degli studenti<br />

ponendo loro alcune domande: “perché non avvertiamo il peso (P=mg) dell’aria che ci schiaccia?”; “Come<br />

mai non subiamo <strong>dei</strong> danni a causa di questa pressione?” e infine “Cosa accade se all’interno di un oggetto<br />

viene praticato il vuoto?”. Queste domande servono per attirare l’attenzione sul fatto che la pressione<br />

dell’aria si esercita nello stesso modo in tutte le direzioni, e che la sua azione si manifesta visivamente solo<br />

se creiamo un gradiente di pressione tra l’interno e l’esterno di un oggetto.<br />

4.1 Misura della densità dell’aria con un barattolo<br />

La densità dell’aria si può misurare con un esperimento [FR] concettualmente molto semplice e realizzabile<br />

con materiale povero. Esso è una variante di una prova sperimentale fornita da Galileo nel “Dialogo sopra i<br />

due massimi sistemi del mondo” (1632).<br />

Per svolgere l’esperienza occorre:<br />

siringa da 60 ml con ago;<br />

bilancia digitale, sensibilità 1/100 g;<br />

acqua;<br />

scotch isolante;<br />

un flacone di soluzione unica per lenti a contatto con<br />

scala graduata.<br />

Si prende il flacone vuoto e lo si tappa ben stretto con la sua<br />

chiusura a vite; si può quindi dire che l’aria contenuta nel flacone<br />

si trova a pressione atmosferica.<br />

Successivamente si aspira dell’ acqua con la siringa, si fora la bottiglia iniettandovi dentro il liquido e si<br />

ripete l’operazione fin quando il recipiente non si riempie a metà (200 ml).<br />

2 il concetto di densità si assume noto, ad esempio derivato dal corso di Chimica.<br />

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In tal caso, l’aria si trova confinata in un volume dimezzato rispetto all’inizio, e supponendo che l’aria non<br />

sia andata persa durante l’esperimento si può affermare che essa si trova alla pressione di 2 atmosfere. Ora<br />

il flacone va pesato sulla bilancia, in modo da ottenere una stima della massa del sistema 200 ml d’acqua +<br />

200 ml d’aria (a 2 atm).<br />

Quindi, con l’ago si fora la bottiglia nella<br />

parte superiore che contiene l’aria e la si<br />

lascia fuoriuscire fino a tornare al valore<br />

di equilibrio di 1atm; se pesiamo<br />

nuovamente il flacone, otteniamo la<br />

massa del sistema 200 ml d’acqua + 200<br />

ml d’aria (ad 1 atm).<br />

La differenza tra i due valori di massa<br />

ottenuti corrisponde quindi alla massa di<br />

200ml di aria.<br />

Questo dato permette di determinare<br />

sperimentalmente la densità dell’aria e di confrontarla quella di altre sostanze.<br />

Per realizzare l’esperimento ho utilizzato un flacone di soluzione unica per lenti a contatto della Schalcon®<br />

che ha un ottimo sistema di chiusura, una notevole rigidità delle pareti ed in più una scala graduata per<br />

facilitare le operazioni di misura. Si consideri che tale flacone ha una capacità misurata di 420ml, per cui<br />

occorre iniettare 220ml d’acqua per avere i 200 ml d’aria di riferimento. Per dimensionare l’esperimento ho<br />

considerato che 200 ml d’aria corrispondono ad una massa di 0.241 g, che la sensibilità della bilancia è del<br />

centesimo di grammo.<br />

Durante le prove per realizzare l’esperimento ho osservato che non conviene riempire il flacone con più di<br />

200-250ml d’acqua perché questo comincia a gonfiarsi con il pericolo che scoppi; inoltre, l’iniezione è<br />

fortemente ostacolata dalla crescente pressione interna. Bisogna poi considerare che l’introduzione<br />

dell’acqua deve essere fatta nella parte bassa della superficie laterale del flacone, perché una volta tolto<br />

l’ago l’aria comincia a fuoriuscire e compromette il buon esito dell’esperimento; invece, facendo un foro in<br />

tale posizione, si ha solo una fuoriuscita d’acqua (con un sottilissimo zampillo) senza perdita d’aria. Lo<br />

zampillo può essere bloccato provvisoriamente con un dito o con un pezzetto di scotch durante le<br />

operazioni di misura sulla bilancia (lo scotch sarà presente in entrambe le pesate e quindi non avrà effetti<br />

sulla loro differenza).<br />

Si consideri che l’esperimento è piuttosto delicato e necessita di ripetute prove preventive per ottimizzare i<br />

tempi della sua realizzazione che non può essere affidata agli studenti a causa dell’utilizzo dell’ago; inoltre,<br />

data la sensibilità della bilancia, non si possono tollerare nemmeno piccolissime perdite d’aria. I tentativi<br />

hanno portato ad una massa d’aria in media pari a 0.19 g che danno una stima della densità dell’aria pari a<br />

0.950 kg/m 3 . La valutazione è in difetto, come atteso dal momento che è impossibile impedire<br />

completamente perdite d’aria dall’involucro.<br />

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4.2 Definizione e misure di pressione<br />

Cominciamo con l‘osservare che per i <strong>fluidi</strong> non ha senso parlare di una forza applicata in un punto: ad<br />

esempio, mentre possiamo descrivere gli effetti dell’applicazione di una forza ad un braccio di una leva, non<br />

riusciamo a descrivere correttamente cosa succede se spostiamo dell’acqua con un dito.<br />

Di qui, la necessità di definire una forza distribuita su una superficie; questo porta direttamente ad<br />

esaminare il rapporto tra la forza agente su una superficie e la superficie stessa. Inoltre, dal momento che<br />

avremo già osservato che l’azione di tipo pressione si distribuisce perpendicolarmente alle superfici <strong>dei</strong><br />

recipienti che contengono il fluido (si veda il secondo esercizio concettuale del paragrafo 3.5), dobbiamo<br />

sempre selezionare la componente normale della forza rispetto alla superficie.<br />

A questo punto è possibile definire l’unità di misura del Pascal e fare un esempio numerico per far notare<br />

che tale unità descrive pressioni estremamente piccole. Ad esempio, un limone di massa 100g esercita una<br />

pressione di circa un Pascal su una superficie di 1 m 2 . Di qui la necessità di utilizzate multipli del Pascal o<br />

altre unità utilizzate nella pratica (bar, mbar).<br />

Per lavorare a casa, si possono proporre alcuni esercizi di natura concettuale:<br />

Come fa un sottomarino ad immergersi e ad emergere in mare?<br />

Misura la massa d’aria presente nella tua stanza.<br />

La cannuccia per bibite funziona sfruttando la pressione atmosferica.<br />

Aspirando un po’ d’aria dalla cannuccia si abbassa la pressione al suo interno e la pressione atmosferica<br />

spinge il liquido verso l’alto. Se una cannuccia è immersa in un bicchiere d’acqua, e il tratto tra livello<br />

dell’acqua e bocca è lungo 18 cm, quale differenza di pressione occorre creare per poter bere?<br />

In questo modo si utilizza un autentico problema la cui risoluzione non richiede la giustapposizione d<br />

formule imparate a memoria, ma una approfondita riflessione sulle caratteristiche fisiche del sistema in<br />

esame.<br />

Durante una sfilata, una modella di massa 50 kg posa per qualche attimo poggiandosi completamente su di<br />

un tacco (superficie 0.05 cm 2 ). Confronta la pressione che sta esercitando sul pavimento con quella di un<br />

elefante di 1500kg che poggia su una sola zampa (superficie 800 cm 2 ).<br />

Qual è la pressione e la forza totale che agisce sul fondo di una piscina di 22 m per 12 con una profondità<br />

costante di 2 m?<br />

Quale sarà la pressione sulle pareti della piscina?<br />

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4.3 Torricelli<br />

In ogni manuale di fisica c’è sempre una sezione dedicata<br />

all’esperimento di Torricelli .<br />

L’attenzione degli studenti va focalizzata sul fatto che il materiale<br />

utilizzato per l’esperimento è il mercurio e che altri liquidi disponibili a<br />

temperatura ambiente ma meno densi avrebbero richiesto<br />

apparecchiature eccessivamente ingombranti; ad esempio, chiediamo<br />

di determinare l’altezza della colonna di un liquido a loro scelta<br />

necessario per equilibrare la pressione atmosferica e confrontarla con<br />

quella del mercurio. Per farlo, occorre uguagliare la pressione della<br />

colonna di mercurio dell’esperimento di Torricelli (720 mm) a quella<br />

esercitata da un altro liquido con diversa densità:<br />

<br />

S<br />

HgVHg<br />

XV<br />

X<br />

pmercurio<br />

= p fluido ⇒ =<br />

SHg<br />

S X<br />

Hg<br />

= S<br />

⇒<br />

X<br />

<br />

Pagina 18<br />

Hg hHg<br />

= <br />

per cui se ρX < ρHg l’altezza del fluido incognito sarà maggiore di quella<br />

del mercurio. (l’immagine sulla destra è tratta da http://www.vacuumguide.com/images/museum_torricelli02.gif)<br />

In questo modo gli studenti possono già rendersi conto del fatto che<br />

non è indispensabile conoscere la sezione del tubo utilizzato e che ciò<br />

che conta è l’altezza raggiunta dai due liquidi.<br />

X hX<br />

⇒hX<br />

=<br />

<br />

<br />

Hg<br />

hHg<br />

X<br />

Inoltre, utilizzando la densità dell’acqua, ci si può rendere conto del perché negli <strong>esperimenti</strong> del<br />

precedente incontro l’acqua nella bottiglia non cade pur essendo ostacolata solo da un pezzo di cartoncino<br />

o da altra acqua nella bacinella! (cfr. paragrafo 3.4)


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4.4 Misura della pressione atmosferica con una siringa e un<br />

secchiello<br />

Una misura molto curiosa e divertente della pressione atmosferica si può realizzare con del materiale di<br />

facile reperibilità in casa [FR] . Tale esperimento è al tempo stesso rapido e significativo e richiede al massimo<br />

20 minuti.<br />

Materiale occorrente:<br />

una bottiglia di plastica da 2 l;<br />

forbici;<br />

spago;<br />

bilancia (anche da cucina);<br />

un recipiente;<br />

siringa da 5 ml senza ago;<br />

acqua.<br />

tappato il foro della siringa.<br />

Tagliamo la parte superiore della bottiglia e vi pratichiamo <strong>dei</strong> fori<br />

diametralmente opposti per realizzare un secchiello da sospendere con lo<br />

spago, che poi allacciamo saldamente al pistone della siringa; nel<br />

frattempo riempiamo d’acqua il recipiente e lo teniamo da parte.<br />

Con la siringa aspiriamo una piccola quantità d’acqua (ad esempio, fino a<br />

metà) e la capovolgiamo per espellere eventuali bolle d’aria. A questo<br />

punto, leghiamo la siringa al secchiello e la<br />

manteniamo sospesa in posizione verticale<br />

otturandone il foro con un dito: versiamo<br />

con cautela l’acqua dal recipiente nel<br />

secchiello, avendo cura di tenere ben<br />

Se la forza peso del sistema “secchiello + acqua” è inferiore alla forza<br />

dovuta alla pressione atmosferica sul pistone della siringa, questo non si<br />

muove; continuiamo, quindi, a versare acqua nel secchiello fin quando il<br />

pistone non comincia a scivolare verso il basso.<br />

Questa circostanza segnala che la forza peso del nostro apparato ha appena<br />

uguagliato (e superato) l’azione della pressione atmosferica; misurando la<br />

massa del sistema “secchiello + acqua” possiamo avere una stima del valore<br />

della pressione atmosferica.<br />

Infatti, consideriamo il diagramma di corpo libero del pistone della siringa sotto l’azione della forza peso P<br />

(secchiello+acqua), della forza F dovuta alla pressione atmosferica e alla forza di attrito statico Fa (che si<br />

oppone alla direzione del moto incipiente, e dunque è rivolta verso l’alto).<br />

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Un istante prima che il pistone si metta in moto abbiamo:<br />

mg - FaMAX<br />

pS - mg + FaMAX<br />

= 0⇒p<br />

=<br />

(1)<br />

S<br />

Fa<br />

F=pS<br />

P=mg<br />

sua sezione è di 1.219 cm 2 .<br />

Qui abbiamo 3 problemi sperimentali. Il primo è di determinare la massa del<br />

sistema appeso al pistone con una bilancia (facilmente risolvibile anche con<br />

una bilancia domestica).<br />

Un secondo problema è la stima della sezione della siringa: questa può essere<br />

effettuata dagli studenti partendo dal volume dichiarato e dalla lunghezza della<br />

scala graduata.<br />

Ad esempio, la siringa da 5 ml che ho a disposizione ha un volume di 5 cm 3 e la<br />

scala graduata si estende su 4.1 cm di lunghezza; di conseguenza la stima della<br />

Per dimensionare l’esperimento, ho osservato che, trascurando la forza di attrito, occorre una massa di<br />

d’acqua<br />

pS 101300Pa<br />

-1.<br />

219 •10<br />

m<br />

m = =<br />

≈1.<br />

26kg<br />

g<br />

2<br />

9.<br />

81m<br />

/ s<br />

4<br />

2<br />

ovvero poco più di un litro. Non conviene, quindi, usare siringhe di grande capacità, perché la quantità<br />

d’acqua richiesta aumenta in proporzione alla loro sezione!<br />

Il terzo problema riguarda la misura della forza d’attrito. Questa può essere determinata ripetendo<br />

l’esperimento senza però tappare il foro della siringa, arrestando l’immissione d’acqua nel secchiello non<br />

appena il pistone si muove.<br />

In tal caso, il nuovo diagramma di corpo libero diventa quello in figura e<br />

quindi la misura della massa del sistema appeso al pistone in questa<br />

circostanza permette di risalire ad Fa: Fa=m’g.<br />

Occorre considerare che l’esperimento ha una scarsa sensibilità, legata al fatto che è difficile stabilire con<br />

precisione il momento in cui il pistone comincia a scendere e contestualmente interrompere il flusso<br />

d’acqua nel secchiello. Nelle prove fatte in via preliminare, le masse d’acqua misurate sono risultate<br />

differire anche per 150g rispetto al valore atteso. Pertanto, ritengo superfluo l’uso di una bilancia di<br />

laboratorio (con sensibilità del centesimo di grammo) e sufficiente l’impiego di una comune bilancia da<br />

cucina, che dà la possibilità allo studente di ripetere l’esperimento da solo a casa.<br />

La migliore misura che ho ottenuto è relativa ad una massa d’acqua di 1.4 kg e ad una stima della forza di<br />

attrito di Fa=m’g≈0.09 9.8≈0.88 Newton. Di conseguenza, la mia miglior stima per la pressione atmosferica,<br />

in base alla (1), è di 105.332 Pascal (discrepanza del 3.9% rispetto al valore nominale).<br />

Pagina 20<br />

Fa<br />

P’=m’g


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4.5 Un barometro<br />

Al contrario di quanto si potrebbe pensare, non è troppo complicato costruire un barometro. Tra le tante<br />

varianti di cui è possibile trovare una descrizione, mi piace in particolare quella suggerita da<br />

stuffintheair.com. Per la costruzione occorrono un bicchiere, un righello, una cannuccia , del nastro adesivo<br />

e della gomma da masticare.<br />

Innanzitutto il righello va attaccato con il nastro adesivo all’interno del bicchiere prestando attenzione a<br />

non coprire la scala. Poi riempiamo una metà di bicchiere d’acqua e immergiamo la cannuccia e<br />

attacchiamo anche questa al righello; l’estremità della cannuccia deve essere leggermente più in alto del<br />

fondo del bicchiere.<br />

A questo punto succhiamo con la cannuccia un po’ d’acqua ma non fino a farla arrivare in bocca. Appena<br />

raggiunti, diciamo, i tre quarti d’altezza tappiamo per bene l’estremità superiore della cannuccia con la<br />

gomma da masticare (che nel frattempo avremo masticato …).<br />

Con un pennarello segniamo sulla cannuccia il libello raggiunto dall’acqua. Questo sarà il nostro livello zero<br />

di riferimento.<br />

Supponiamo che la pressione atmosferica aumenti: in tal caso questa azione si propaga all’interno del<br />

bicchiere d’acqua e raggiunge la superficie di base della cannuccia. Ciò determina l’innalzamento del livello<br />

d’acqua nella cannuccia dal momento che la colonnina d’aria in essa presente non può contrastare la<br />

pressione esterna e viene pertanto costretta a ridursi ad un volume minore.<br />

Per utilizzare questo sistema occorre che la temperatura dell’ambiente resti costante, altrimenti la colonna<br />

d’aria presente all’interno della cannuccia può variare il suo volume in conseguenza di una variazione di<br />

temperatura e non di pressione, falsando le osservazioni.<br />

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5. Fluidi in equilibrio<br />

Dopo aver dato la definizione operativa di pressione e aver munito gli alunni degli strumenti per il suo<br />

calcolo occorre cominciare a lavorare con questa grandezza per descrivere il comportamento meccanico <strong>dei</strong><br />

<strong>fluidi</strong> all’equilibrio (che occuperà il resto dl percorso didattico).<br />

5.1 Isotropia della pressione<br />

Sappiamo che per un fluido ideale in equilibrio ha senso parlare di pressione esercitata in un punto, e che<br />

questa risulta essere indipendente dall’orientazione della superficie su cui viene esercitata [SE] . Ciò equivale<br />

a dire che la pressione in questo tipo di sistema è isotropa.<br />

Questa è l’occasione per ricordare agli studenti una domanda proposta nel test per la rilevazione delle<br />

rappresentazioni ingenue che chiedeva di stabilire la forma di un palloncino immerso in acqua. Alcuni autori<br />

[VM] riferiscono che gli studenti ammettono con grande riluttanza le proprietà di isotropia della pressione<br />

nei <strong>fluidi</strong> e affermano che il palloncino subirà deformazioni di varia natura.<br />

La lettura di alcune delle risposte degli studenti e la relativa discussione può servire per mettere in crisi<br />

questo misconcetto; in più, la sfera di Pascal può essere un utile strumento per dimostrare che la pressione<br />

in un fluido è la stessa in tutte le direzioni.<br />

Questo strumento è costituito da una sfera metallica cava con un’apertura<br />

cilindrica sulla sua sommità, all’interno della quale può scorrere un pistone. La<br />

sfera presenta vari fori più piccoli distribuiti su tutta la superficie ai quali sono<br />

connessi <strong>dei</strong> tubicini ad U con un estremo connesso all’interno della sfera e<br />

l’altro libero.<br />

Questi tubi sono parzialmente riempiti d’acqua che, all’equilibrio, si porta allo<br />

stesso livello in entrambi i rami. Se si riempie d’acqua la sfera ed si esercita una<br />

pressione al suo interno con il pistone, si vedrà che l’acqua contenuta nei<br />

tubicini ad U si sposta nel ramo esterno; la cosa interessante è che<br />

l’innalzamento del livello dell’acqua in ciascuno <strong>dei</strong> rami esterni è lo stesso, e ciò<br />

costituisce un’indicazione sull’isotropia con cui la pressione si distribuisce sulle<br />

pareti della sfera.<br />

Infine consideriamo che la mancanza di direzionalità della pressione è una<br />

conseguenza del modello di fluido che abbiamo costruito. Nel momento in cui<br />

ipotizziamo che il fluido non può opporre resistenza allo scorrimento<br />

ammettiamo che non si manifesta alcuna forza di attrito statico tra le sue parti a contatto. Quindi se il<br />

fluido è in quiete, le forze che si manifestano tra tutti gli elementi di fluido devono essere normali alle<br />

superfici a contatto. Data l’arbitrarietà con cui possiamo immaginare di suddividere il fluido, ecco che la<br />

pressione diventa una funzione scalare delle coordinate che dipende solo dal punto nel fluido e non dalla<br />

direzione.<br />

Pagina 22


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5.2 Fluidi in equilibrio: legge di Stevin e Principio di Pascal<br />

Introduciamo la legge di Stevin con un problema concreto: “Calcola la pressione esercitata da una colonna<br />

di fluido di densità ρ ed altezza h”.<br />

Considerando una colonna di forma cilindrica che<br />

contiene un fluido di densità ρ, si può dedurre che il suo<br />

peso sarà dato da: P=mg=ρVg.<br />

Poiché il peso è distribuito sulla superficie di base S, la<br />

gV<br />

pressione che esso esercita sarà: p = = gh<br />

S<br />

L’analisi di questa formula deve portare gli studenti a<br />

considerare che la pressione di una colonna di fluido è<br />

direttamente proporzionale alla sua altezza e non dipende<br />

dalla superficie della sua base.<br />

Per ottenere la forma della legge di Stevin generalizzata<br />

utilizziamo un esercizio in cui gli studenti devono calcolare<br />

“a quale profondità bisogna scendere sottacqua affinché la pressione che si avverte sia doppia di quella<br />

atmosferica”. In questo caso, infatti, oltre al contributo dovuto alla colonna d’acqua, occorre considerare<br />

quello dell’aria (che come si è detto, non è affatto trascurabile).<br />

Quindi, gli studenti possono cominciare ad utilizzare l’espressione p=p0+ρgh dove p0 indica la pressione<br />

atmosferica al livello del mare<br />

Normalmente i libri di testo non tematizzano la generalizzazione della forma della colonna d’acqua,<br />

limitandosi ad affermare che questo stesso risultato si estende ad altre forme possibili, anche a quelle<br />

irregolari. Questo salto concettuale può non essere adeguatamente compreso dagli studenti. I risultati del<br />

test sulle conoscenze ingenue relativi alla “scala lineare” dimostrano, infatti, che gli alunni tendono a<br />

ritenere che le proprietà del principio di Pascal si applichino esclusivamente alle colonne di fluido dalla<br />

forma regolare.<br />

Poniamo loro direttamente la domanda: “Se la forma della colonna fosse diversa, otterremmo la legge di<br />

Stevin sempre nella stessa forma?”.<br />

E’ facile osservare che se il prisma che scegliamo è retto, la risposta è certamente affermativa; ma cosa<br />

accade se la colonna è inclinata su un lato? Qui la risposta è meno immediata, ma è notevolmente facilitata<br />

dalle osservazioni sperimentali descritte nel paragrafo seguente.<br />

Pagina 23


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5.3 Fenomenologia della legge di Stevin<br />

Prendiamo una bottiglia di plastica da 2 litri e pratichiamo <strong>dei</strong> fori sulla superficie laterale. Riempiendo la<br />

bottiglia d’acqua e ponendola in posizione verticale, si osserva che dai buchi fuoriescono degli zampilli con<br />

una gittata tanto più grande quanto più si trovano in basso.<br />

E’ opportuno porre agli studenti alcune domande: “Possiamo spiegare questo fenomeno usando la legge di<br />

Stevin? In che modo?”.<br />

“Perché gli zampilli si bloccano se poggiamo il palmo della mano sull’imboccatura della bottiglia?”; “Perché<br />

se teniamo la mano in questa posizione, dopo un po’ vediamo salire delle bollicine d’aria dai fori?”.<br />

Tutte queste domande servono per far esplicitare agli studenti il<br />

ruolo della pressione dell’aria e della colonna di fluido nel<br />

fenomeno; va poi tenuto presente che occorre che i fori della<br />

bottiglia siano tutti della stessa grandezza perché in questo<br />

fenomeno è coinvolta anche la portata del liquido! Può accadere<br />

che se la sezione di un foro posto in alto è più piccola rispetto a<br />

quella di un foro inferiore, la velocità di uscita dell’acqua dal primo<br />

foro può essere<br />

proporzionalmente<br />

più grande (la<br />

portata in un<br />

fluido ideale è<br />

costante<br />

attraverso tutte le sezioni) e portare ad una gittata<br />

maggiore falsificando l’esito dell’osservazione.<br />

Accanto a questa evidenza empirica, gli studenti possono<br />

studiare un sistema di vasi comunicanti da riempire con<br />

acqua. In questo caso occorre richiedere agli studenti di<br />

descrivere ciò che osservano alla luce della legge di Stevin: sarà sufficiente trattare il sistema come un<br />

insieme di tubi ad U riempiti con lo stesso liquido per stabilire che all’equilibrio i livelli dell’acqua raggiunti<br />

nei vari rami del dispositivo devono essere uguali.<br />

E’ importante sottolineare che questo avviene indipendentemente dalla forma del recipiente, in quanto<br />

l’unica grandezza rilevante in questo fenomeno è l’altezza del liquido nei rami.<br />

A questo punto, ricordiamo agli studenti la domanda del test delle rappresentazioni ingenue che riguarda la<br />

scelta della scala lineare in recipienti di varie forme. Grazie a questa dimostrazione dovrebbe essere<br />

chiarito che, nonostante i rami del dispositivo abbiano differenti forme ed orientazioni, le scale fornite da<br />

ciascuno di essi sono equivalenti e sono tutte indifferentemente lineari.<br />

Pagina 24


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5.4 Il principio di Pascal<br />

Per completare il quadro dell’equilibrio nei <strong>fluidi</strong>, ricaviamo il principio di Pascal dalla legge di Stevin. Per<br />

fare questo, osserviamo che quest’ultima permette di affermare che la pressione all’interno di un fluido<br />

può essere pensata come la somma di un contributo esterno pext e di un contributo dovuto al fluido stesso<br />

gh.<br />

La domanda da porre è: “Cosa succede se la pressione esterna varia? Come viene avvertita tale variazione<br />

nei vari punti del fluido?”.<br />

Se fissiamo l’attenzione su un generico punto di un fluido a profondità h rispetto alla sua superficie libera<br />

(che lo separa dall’esterno), la pressione sarà: pi = pext +gh. Se la pressione esterna varia, si avrà che<br />

pf = p’ext +gh e quindi la variazione di pressione in questo punto sarà Δp = pf <strong>–</strong> pi= p’ext - pext = Δpext; come si<br />

vede, la variazione di pressione nel punto considerato non dipende dalla sua posizione, ma unicamente<br />

dalla variazione della pressione esterna. E’ bene far notare che questo risultato discende dall’aver<br />

ipotizzato che la densità del fluido non sia stata modificata, ovvero che i nostro fluido sia incomprimibile<br />

come stabilito nel nostro modello iniziale.<br />

Com’è noto, l’utilità del principio di Pascal, risiede nel suo impiego nella tecnologia per realizzare degli<br />

strumenti che si comportano come moltiplicatori di forza come il torchio idraulico. Esso è costituito da due<br />

serbatoi cilindrici in metallo tra loro collegati con un tubicino che corre sotto la base dello strumento; il<br />

serbatoio con la sezione maggiore è chiuso da un pistone<br />

mobile con la superficie piatta, mentre il serbatoio più piccolo<br />

è chiuso da un pistone mobile collegato ad una leva.<br />

Gli studenti possono agire sulla leva per comprime il pistone<br />

mobile, il quale aspira dell’olio dalla vaschetta sottostante e lo<br />

pompa nel serbatoio con sezione maggiore. Si osserva che<br />

l’olio viene pompato con grande facilità, mentre la piattaforma<br />

sul serbatoio più grande si solleva (ad esempio su di essa si<br />

potrebbero sistemare <strong>dei</strong> pesetti).<br />

Tuttavia diventa estremamente difficile cercare di abbassare il<br />

pistone del serbatoio maggiore; nelle prove preliminari fatte<br />

da me in laboratorio, non c’è stato modo di abbassare il pistone a mani nude e occorre necessariamente far<br />

defluire l’olio nel serbatoio aprendo un rubinetto posto al di sotto della base del sistema per ripristinare il<br />

sistema nella condizione iniziale.<br />

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5.5 “Moltiplicatore” di forze casalingo<br />

Oltre a questo strumento voglio far sperimentare agli studenti gli effetti di un martinetto idraulico che si<br />

può costruire a casa. L’esperimento è relativamente semplice da realizzare e richiede al massimo 15 minuti<br />

per essere preparato e portato a termine.<br />

Materiale occorrente:<br />

una siringa da 5 ml senza ago;<br />

una siringa da 60 ml senza ago;<br />

un pezzetto di tubo per irrigazione di piante d’appartamento;<br />

due aste in legno;<br />

supporti di altezza almeno pari al piatto della bilancia;<br />

bilancia (anche da cucina);<br />

un recipiente;<br />

acqua<br />

Come osserverò tra poco, la sensibilità dell’apparato di misura non è elevata quindi è possibile utilizzare<br />

una semplice bilancia da cucina per apprezzare gli effetti del fenomeno.<br />

Innanzitutto, prepariamo il sistema di misura togliendo il piatto della bilancia e tarando lo strumento con<br />

l’apposita manopola. Ai lati della bilancia sistemiamo due pile di cd di 16 cm ciascuna in modo da superare<br />

di qualche centimetro il livello del piatto della bilancia; su queste due pile vanno poggiate le due aste di<br />

legno. Naturalmente, questi supporti si possono realizzare con qualunque altro oggetto che assicuri una<br />

certa stabilità (ad es. <strong>dei</strong> mattoni).<br />

A parte, aspiriamo dell’acqua con le due siringhe e sistemiamo quella da 60 ml in modo che le sue alette<br />

poggino sulle aste in legno; a questo punto bisogna regolare la quantità di acqua all’interno di questa<br />

siringa in modo che il suo stantuffo tocchi appena il piatto della bilancia senza che quest’ultima segnali uno<br />

spostamento dell’indice dallo zero. Per questo occorre svuotare o riempire gradatamente la siringa fino ad<br />

ottenere la condizione richiesta.<br />

Quindi, colleghiamo le due siringhe con un pezzetto di tubo (della lunghezza massima di 1 cm per evitare<br />

che si pieghi) e teniamo il sistema in posizione verticale, come nella foto.<br />

A questo punto, riempiamo un recipiente d’acqua (300 g sono sufficienti) e poggiamolo sul pistone della<br />

siringa più piccola; l’operazione è abbastanza delicata perché il pistone non comincia a scendere se non<br />

sollecitato. Una volta partito, il pistone scende ed inietta l’acqua nella siringa più grande. Le alette di<br />

quest’ultima vanno tenute ben ferme sulle asticelle di legno, in modo che il pistone si possa abbassare e<br />

premere sul piatto della bilancia perché altrimenti esso tenderà ad innalzare la siringa. Quando la discesa<br />

del recipiente d’acqua si arresta, leggiamo il valore della massa sulla bilancia; dovremmo osservare un<br />

valore maggiore della massa effettiva dell’acqua con il recipiente.<br />

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<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

Gli studenti devono essere<br />

coinvolti nell’analisi del<br />

fenomeno chiedendo loro “di<br />

quanto più grande rispetto alla<br />

massa del recipiente sarà il<br />

valore letto sulla bilancia” ed il<br />

“perché”.<br />

Una volta stabilito che l’origine<br />

del fenomeno risiede nel<br />

principio di Pascal, chiediamo di<br />

confrontare la previsione teorica<br />

con la misura sperimentale.<br />

Dal precedente esperimento<br />

sulla misura della pressione atmosferica si è stimato che la sezione della siringa di 5 ml è pari a 1.219 cm2.<br />

In modo analogo si trovata che la sezione della siringa da 60 ml è pari a<br />

fattore di moltiplicazione della forza peso del recipiente pieno d’acqua sarà<br />

Pagina 27<br />

3<br />

60cm<br />

S = ≈5.<br />

607cm<br />

10.<br />

7cm<br />

2<br />

5.<br />

607cm<br />

2<br />

1.<br />

219cm<br />

≈4.6<br />

Una massa di 300g d’acqua, allora, dovrebbe far deviare l’indice della bilancia intorno a circa 1.4 kg.<br />

.<br />

2<br />

, quindi il<br />

Nelle prove preventivamente effettuate, questo valore si ottiene solo avendo estrema cura nel bloccare la<br />

siringa inferiore (il miglior valore ottenuto è stato di 1.35 kg).<br />

Gli studenti devono essere resi consapevoli di questa circostanza e devono essere guidati alla ricerca delle<br />

cause di questa discrepanza. A mio avviso esse risiedono nella forza di attrito tra i pistoni e le pareti delle<br />

siringhe che impedisce una discesa fluida e senza soluzione di continuità del recipiente riempito d’acqua;<br />

inoltre, il sistema non assicura che il pistone della siringa più grande sia completamente schiacciato sul<br />

piatto della bilancia a meno che non si tengano le alette della siringa legate alle asticelle.


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5.6 Il dentifricio<br />

A questo si può affiancare un esercizio di tipo concettuale, chiedendo di “spiegare quali sono i processi fisici<br />

in atto quando facciamo fuoriuscire del dentifricio fuori dal suo tubetto”.<br />

E’ risaputo che è un’usanza prettamente maschile quella di<br />

far uscire il dentifricio dal tubetto schiacciando<br />

quest’ultimo poco sotto il foro. Nell’immaginario collettivo,<br />

infatti, si ritiene che l’applicazione di una forza nei pressi<br />

del foro di uscita del tubetto, il dentifricio ne fuoriesca<br />

prima e in quantità maggiore. Sempre lo stesso<br />

misconcetto, porta a ritenere che per ottenere lo stesso<br />

risultato schiacciando il tubetto sulla parte posteriore<br />

occorra più tempo e più forza per ottenere lo stesso<br />

risultato.<br />

Questo non è vero. Infatti, poiché la pasta dentifricia è un<br />

fluido pressoché incomprimibile, per esso vale il principio<br />

di Pascal. Pertanto una sollecitazione di tipo pressione applicata in qualunque punto del dentifricio si<br />

propaga uguale a se stessa su tutte le superfici a contatto.<br />

Dunque, non è indispensabile schiacciare il tubetto vicino al foro; anzi questo determina il suo svuotamento<br />

nella parte superiore che bisogna ogni volta compensare facendo risalire il dentifricio dal fondo.<br />

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6. La spinta di Archimede<br />

Impostiamo la discussione sulla spinta di Archimede in modo problematico, partendo dall'osservazione<br />

empirica per poi dedurne la legge. Proponiamo questo problema:<br />

"Una barca si trova in un lago e porta a bordo una pietra. Cosa succede al livello del lago se la pietra viene<br />

buttata in acqua? Cosa succederebbe se al posto della pietra ci fosse un blocco di legno?"<br />

Poiché la risposta a questa domanda non è semplice per la difficoltà di “immedesimarsi” nella situazione e<br />

per la mancanza di riferimenti teorici a sostegno delle tesi ingenue degli alunni è opportuno proporne una<br />

soluzione con un esperimento fatto con materiale povero.<br />

6.1 Zavorre su natanti<br />

Creiamo un modello semplice per schematizzare il sistema fisico, prendendo<br />

una bottiglia alta e stretta che simuli il lago e amplifichi le variazioni di livello di<br />

acqua. Rappresentiamo la barca con un bicchierino da caffè in plastica mentre,<br />

al posto della pietra, sutilizziamo delle monete da 1 euro e in sostituzione del<br />

blocco di legno un tappo di sughero. Dal punto di vista delle condizioni di<br />

galleggiamento, i materiali utilizzati nell'esperimento sono equivalenti a quelli<br />

presenti nel problema: le monete affondano mentre il pezzo di sughero resta a<br />

galla.<br />

Zavorriamo il bicchiere con un certo numero di monete, fin quando il suo<br />

bordo si trova a pelo d'acqua (l'operazione è piuttosto delicata ed occorre<br />

distribuire uniformemente le monete nel bicchiere affinché non si capovolga).<br />

A questo punto occorre prendere nota del livello<br />

raggiunto dall'acqua segnando la bottiglia con un<br />

pennarello; successivamente, si versano in acqua le<br />

monete contenute nel bicchiere e si registra il nuovo<br />

livello. Si noterà che il livello dell'acqua si è abbassato.<br />

Infatti, quando aggiungiamo le monete nel bicchiere, il peso del sistema aumenta e<br />

per restare a galla deve sprofondare per spostare una quantità supplementare<br />

d'acqua. Tale quantità deve avere un peso pari a quello delle monete, e di<br />

conseguenza il volume di liquido spostato dal bicchiere sarà maggiore di quello<br />

della zavorra, dal momento che la densità dell'acqua è inferiore a quella della lega<br />

di cui sono costituite le monete.<br />

Quando le monete vengono buttate in acqua esse vanno a finire sul fondo del<br />

recipiente e spostano un volume d'acqua esattamente uguale al proprio: quindi il<br />

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livello d'acqua nel recipiente si abbassa.<br />

Al contrario, utilizzando il tappo di sughero non si osserva alcuna variazione del livello d'acqua. Infatti,<br />

ripetendo lo stesso ragionamento, il volume d'acqua spostato dal bicchiere avrà un peso uguale a quello del<br />

sughero; tuttavia, il sughero galleggia quando viene messo in acqua e questo vuol dire che sposta ancora un<br />

volume d'acqua con lo stesso suo peso: nulla è cambiato tra le due situazioni e quindi il livello d'acqua non<br />

può variare.<br />

L’esperimento può anche fornire una verifica quantitativa della legge di Archimede. Occorre una bilancia<br />

con sensibilità del centesimo di grammo e un recipiente cilindrico graduato in sostituzione della bottiglia.<br />

Se stimiamo il volume d'acqua spostato (dalla misura della sezione del recipiente e del dislivello registrato<br />

rispetto alla situazione iniziale), possiamo calcolarne il peso sapendo che la densità dell’acqua + di 1 g/cm 3 .<br />

A questo punto pesiamo le monete e confrontiamo questo valore con la stima del peso dell’acqua spostato<br />

e per notare che i due valori sono uguali nei limiti degli errori di mistura.<br />

Più difficile è eseguire la stessa operazione con il sughero perché il dislivello tra situazione iniziale e finale è<br />

meno leggibile, a meno che non si usi un recipiente molto stretto.<br />

In questo modo si ricava sperimentalmente l'uguaglianza tra il modulo della forza peso del galleggiante e<br />

quello della una "forza di spinta" che corrisponde al peso dell’acqua spostata dal bicchiere.<br />

6.2 Stima della spinta/stime di densità<br />

La comune strumentazione di laboratorio permette di operare una verifica<br />

diretta della legge di Archimede e un’analisi della dipendenza della spinta dal<br />

volume del liquido spostato. Il materiale che bisogna predisporre è costituito<br />

da:<br />

un cilindro graduato in plastica;<br />

un dinamometro;<br />

bilancia;<br />

cilindri di materiale diverso (ferro, ottone…) con gancio;<br />

asta rigida per mantenere in verticale dinamometro e pesetti;<br />

acqua.<br />

Le operazioni da svolgere sono estremamente semplici; occorre effettuare una<br />

misura del peso <strong>dei</strong> campioni di materiale a disposizione prima e dopo averli<br />

immersi in acqua e determinarne la differenza.<br />

Nello stesso tempo, bisogna prendere nota della variazione del volume dell’acqua quando il campione<br />

viene immerso e di qui determinarne il peso (assumendo noto il peso specifico dell’acqua). Il confronto tra i<br />

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due valori ottenuti permette di verificare il contenuto del principio di Archimede, entro gli errori<br />

sperimentali.<br />

E’ importante che gli studenti osservino che l’intensità della spinta non dipende dal materiale utilizzato, ma<br />

dal volume d’acqua che esso sposta. Per fare questo si possono scegliere almeno due campioni di materiali<br />

diversi ma con lo stesso volume, e anche selezionare diversi campioni dello stesso materiale con volumi e<br />

forme differenti per avere un riscontro incrociato.<br />

Inoltre, è possibile realizzare un grafico per studiare la dipendenza della spinta di Archimede dal<br />

volume di fluido spostato. Questo si può fare prendendo nota del peso registrato dal dinamometro per vari<br />

gradi di immersione del campione utilizzato, partendo dal peso P in aria del campione (con volume<br />

immerso nullo) fino alla sua completa immersione cui corrisponde la massima spinta. Di qui lo studente<br />

deve determinare il volume di liquido spostato (ovvero il volume del corpo immerso) e il modulo della<br />

spinta di Archimede (per differenza tra il peso in aria ed il peso apparente 3 ). Le coppie sperimentali<br />

(Vimmerso;Papparente) possono essere diagrammate su un grafico cartesiano per verificarne la diretta<br />

proporzionalità. La costante di proporzionalità è naturalmente il peso specifico della sostanza g .<br />

Durante le attività stimoliamo alcune importanti considerazioni: “Osservando il livello dell’acqua ed il<br />

dinamometro, cosa noti quando immergi i pessetti a tua disposizione? Spiega” , “La spinta di Archimede su<br />

due pesetti di materiale diverso con lo stesso volume è la stessa? Perché?; Perché è richiesto che il pesetto<br />

venga completamente immerso in acqua? Cosa cambia se lo immergi solo in parte?; Supponendo che i tuoi<br />

pesetti vengano immersi in olio, la spinta sarebbe più intesa o no? Perché?”<br />

Questa strumentazione permette anche di determinare la densità di alcuni materiali purché si sostituisca il<br />

dinamometro con una bilancia elettronica con sensibilità di 1/100 g.<br />

In questo caso, effettuiamo una misura della massa di ciascun campione a disposizione e successivamente<br />

stimiamo il suo volume per immersione. Dal rapporto tra le due quantità (m/V) otteniamo la stima della<br />

densità del corpo.<br />

Chiediamo agli studenti di stabilire se esiste un modo per determinare la densità <strong>dei</strong> materiali utilizzando i<br />

dati relativi all’esperimento sulla spinta di Archimede ed in che modo questi possono essere utilizzati.<br />

3 il peso apparente è il peso del corpo completamente immerso in acqua<br />

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Infatti, supponendo che la spinta di Archimede che agisce su un corpo immerso sia nota è facile<br />

determinare la densità di quest’ultimo.<br />

Dall’equazione all’equilibrio, infatti si ha:<br />

S<br />

A<br />

gV <br />

materiale<br />

Pagina 32<br />

materiale<br />

S A<br />

<br />

gV<br />

Qui occorre utilizzare la spinta relativa alla totale immersione del corpo, mentre volume del corpo si<br />

determina facilmente con la tecnica dell’immersione.<br />

Così facendo, gli studenti sono guidati ad una maggiore riflessione sul contenuto della legge e sulle<br />

reciproche relazioni tra le densità <strong>dei</strong> materiali utilizzati e il rapporto tra il volume immerso ed emerso de<br />

campioni utilizzati.<br />

Una ulteriore domanda (Considera il campione che ha la densità più vicina a quella del ferro. Puoi essere<br />

assolutamente certo che esso sia costituito solo da ferro? Perché?) servirebbe per chiarire che questa<br />

misura non permette di certificare con sicurezza che i materiali utilizzati siano omogenei (ovvero costituiti<br />

da una sola specie chimica).<br />

6.3 L’orafo, Gerone e Archimede<br />

Si narra che Gerone II, tiranno di Siracusa, fece costruire da un orafo<br />

una corona d'oro, a forma di rami intrecciati, del tipo di quella<br />

riprodotta a lato, per portarla in omaggio alla statua di un dio nel<br />

tempio principale della città.<br />

Tuttavia, quando ricevette la bellissima corona ebbe il sospetto che<br />

l'orafo cui aveva commissionato il lavoro potesse aver sostituito,<br />

all'interno della corona, l'oro con l'argento. Per questo il Tiranno chiese<br />

ad Archimede di determinare se la corona fosse di oro massiccio oppure<br />

se contenesse all'interno dell’argento, che è ovviamente meno pregiato.<br />

Ma poiché la corona, di pregevole fattura, doveva ornare il capo di una<br />

divinità, era essa stessa un oggetto sacro. Quindi il Tiranno pose ad Archimede la condizione che la corona<br />

restasse integra.<br />

Archimede trovò la soluzione mentre stava entrando nella vasca delle terme osservando che,<br />

nell'immergersi, l'acqua traboccava dalla vasca in una quantità direttamente proporzionale al volume del<br />

suo corpo immerso nell’ acqua. Intuendo che materiali differenti di uguale peso occupano volumi differenti,<br />

egli capì come poter risolvere il quesito che il Re gli aveva posto.<br />

Bastava porre in una vasca una quantità d'oro puro di peso pari a quello della corona e poi riempire la vasca<br />

fino all'orlo. Quindi bisognava togliere l'oro e immergervi la corona: se vi fosse stato argento, che a parità di<br />

peso occupa un volume maggiore di quello dell'oro, l'acqua sarebbe traboccata. Archimede fu così felice<br />

della sua scoperta che si alzò repentinamente dalla vasca e corse per Siracusa gridando, appunto, éureka!!!<br />

Come riferisce l'architetto romano Vitruvio nel primo secolo avanti Cristo, Archimede riuscì in questo modo<br />

a scoprire la frode che l'orafo commise nei confronti di Gerone II. Probabilmente, però, Vitruvio ci racconta


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

una versione non del tutto veritiera del modo con cui Archimede giunse a questa straordinaria scoperta.<br />

Vediamo il perché.<br />

Ipotizziamo che la corona abbia massa di 1 kg e che l'orafo ha sostituito il 30% dell'oro con l'argento; inoltre<br />

assumiamo che l’oro abbia densità di 19.300 kg/m 3 e l’argento di 10.500 kg/m 3 .<br />

Immergiamo la corona in un recipiente riempito con 1 litro d’acqua, supponendo che sia un cilindro di base<br />

100 cm 2 e altezza di almeno 10 cm (altrimenti l’acqua trabocca) e svolgiamo delle considerazioni<br />

quantitative.<br />

Calcoliamo il volume occupato inizialmente dall’acqua: 1 litro = 1 dm 3 =1000 cm 3 . Se la corona fosse stata<br />

tutta d’oro, avrebbe occupato un volume pari a VORO= Moro/ρoro=51,81 cm 3 . Di conseguenza il volume<br />

dell’acqua+oro nel recipiente sarebbe diventato: V = 1051,81 cm 3 .<br />

Sapendo che la base del recipiente ha una superficie di 100 cm 2 , possiamo calcolare l’altezza del livello che<br />

l’acqua raggiunge dopo aver immerso la corona: h = Volume/Superficie = 10,52 cm.<br />

Se adesso supponiamo che il 30% dell’oro è stato sostituito con dell’argento, vuol dire che la massa della<br />

corona è costituita da 0,7 kg d’oro e 0,3 kg d’argento. Quindi il volume della corona è costituito da 36,27<br />

cm 3 di oro e da 28,57 cm 3 di argento, ed in totale occupa un volume dato dalla loro somma, ovvero 64,84<br />

cm 3 . Come si può notare, Archimede aveva intuito bene che in questo caso il volume sarebbe stato più<br />

grande rispetto al caso in cui la corona fosse stata tutta d’oro.<br />

Ora il volume dell’acqua con la corona immersa è diventato 1064,84 cm 3 , e facendo lo stesso calcolo visto<br />

prima, il suo livello si è innalzato di 10,65 cm.<br />

Facendo la differenza tra i due livelli, notiamo che essa vale 0,52 cm. Una differenza forse poco<br />

apprezzabile per essere del tutto certi che l’orafo ha imbrogliato il committente…<br />

E’ più probabile che Archimede si servì<br />

di un altro metodo, illustrato in figura,<br />

che fa uso sia della leva (strumento a<br />

lungo studiato dallo scienziato) sia del<br />

Principio che porta il suo nome!<br />

Alle estremità di un un’asta sospesa<br />

per il suo centro vengono appese la corona da studiare e un pezzo d’oro dello stesso peso. Pertanto, il<br />

sistema è inizialmente in equilibrio. Se immergiamo in acqua i due corpi, l’equilibrio non si spezza se essi<br />

occupano lo stesso volume, ovvero se sono effettivamente fatti dello stesso materiale, poiché la spinta di<br />

Archimede sarebbe la stessa per entrambi. Ma se la corona contiene anche altri materiali (meno densi<br />

come l’argento) essa occuperà più volume di un blocco d’oro puro e pertanto riceverà una spinta di<br />

Archimede maggiore. Questo sarebbe chiaramente evidenziato dallo scostamento dell’asta dalla posizione<br />

di equilibrio.<br />

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6.4 Derivazione della legge di Archimede<br />

Determiniamo la connessione esistente tra la legge di Archimede e la legge di Stevin.<br />

Si considera un elemento di fluido in equilibrio a forma di parallelepipedo per<br />

semplicità; gli studenti devono osservare che su ciascuna delle facce laterali di<br />

questo solido agisce la pressione del fluido circostante in misura crescente<br />

verso il basso.<br />

Occorre che gli studenti riconoscano che le forze distribuite su tali superfici<br />

sono tali da equilibrarsi a coppie e che, di conseguenza, all’equilibrio<br />

l’elemento considerato né si sposta né subisce deformazioni.<br />

Al contrario, la forza esercitata sulle superfici di base è diversa; per la legge di<br />

Stevin la differenza di pressione che si manifesta sulle due basi è Δp=ρgh se h<br />

è il dislivello e ρ la densità del fluido.<br />

Per determinare la forza netta che agisce sull’elemento di fluido, basta moltiplicare per l’estensione della<br />

superficie S: F=SΔp=Sρgh=ρgV=mg.<br />

Dunque, all’equilibrio, la risultante delle forze che agiscono sull’elemento di fluido considerato dovute alla<br />

pressione idrostatica è bilanciata dal peso dell’elemento di fluido considerato.<br />

A questo punto, osserviamo che si può sostituire l’elemento di fluido considerato con qualunque altro<br />

materiale della stessa forma. Le considerazioni che devono essere svolte all’equilibrio sono le stesse, ma<br />

non si può più dire che le forze di superficie equilibrano il peso del corpo. Resta vero, tuttavia, che tali forze<br />

hanno modulo uguale al peso del fluido spostato.<br />

Archimede elaborò questa osservazione immaginando di ritagliare una porzione in equilibrio di forma<br />

qualunque. Se tale porzione è in equilibrio vuol dire che il peso fluido che racchiude equilibra la spinta<br />

verso l’alto della parte restante del fluido. Le due forze sono di natura diversa, dal momento che il peso è<br />

una forza di volume che dipende dall’estensione e dal tipo di materiale, mentre la spinta è una forza di<br />

superficie che dipende esclusivamente dalla forma della porzione della sua superficie.<br />

Dunque, immaginando si sostituire alla porzione di fluido un corpo di materiale qualunque della stessa<br />

identica forma, l’unica forza che cambia è il suo peso ma non la spinta verso l’alto che non distingue la<br />

costituzione dell’oggetto immerso. Essa è quindi sempre uguale al peso della porzione di fluido ora<br />

occupato dal corpo.<br />

Pertanto Archimede doveva concludeva che su tutti i corpi immersi in un fluido agisce una forza diretta dal<br />

basso verso l’alto uguale in modulo al peso del fluido spostato dal corpo.<br />

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6.5 Un ovetto in soluzione salina<br />

Il seguente esperimento può servire per analizzare in dettaglio le condizioni di galleggiamento <strong>dei</strong> corpi,<br />

come naturale estensione delle considerazioni sul principio di Archimede.<br />

Per realizzarlo occorre il seguente materiale:<br />

un involucro a chiusura ermetica ( del tipo sorpresa ovetto Kinder);<br />

un bicchiere;<br />

un cucchiaino;<br />

sale fino da cucina;<br />

acqua.<br />

Prendiamo l’involucro chiuso e gettiamolo in acqua. Si osserverà<br />

che esso galleggia con una piccola porzione sommersa; in<br />

questo caso si può chiedere agli studenti di analizzare la<br />

situazione con un diagramma delle forze all’equilibrio, in modo<br />

da stabilire che l’involucro deve spostare solo una piccola<br />

quantità d’acqua per equilibrare il peso del suo guscio e dell’aria<br />

in esso trattenuta. Anzi, si può anche fare una stima<br />

quantitativa della parte sommersa sapendo che esso pesa 3g ed<br />

ha un volume di 50 cm 3 (da valutare sempre con il metodo<br />

dell’immersione). Assumiamo che la densità media<br />

dell’involucro sia 0.06 g/cm 3 , di conseguenza la porzione<br />

sommersa sarà data dalla condizione di equilibrio per il<br />

galleggiamento:<br />

<br />

involucro 0.<br />

06 3<br />

involucro gV = acqua<br />

gVsommrso<br />

⇒V<br />

sommrso = V ≈ 50 ≈3cm<br />

acqua<br />

1<br />

ovvero appena il 6%.<br />

<br />

Ripeschiamo l’involucro, apriamolo e cominciamo a riempirlo di sale.<br />

In questo modo aumentiamo la massa totale dell’involucro e quindi<br />

la sua densità media. Riempiendo una metà del guscio e<br />

rimettendolo in acqua si osserva che esso ancora galleggia, ma la<br />

parte sommersa è tuttavia aumentata.<br />

A questo punto bisogna procedere con estrema cautela, riempiendo<br />

il guscio un po’ oltre la metà a piccole dosi e rimettendolo ogni volta<br />

in acqua.<br />

Quando la massa è di circa 50g si trova che la sua densità media è di<br />

circa 1g/cm 3 quindi vicino a quella dell’acqua entro gli errori<br />

sperimentali.<br />

Pagina 35


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

Se la riempiamo poco di più il guscio scende e si adagia sul fondo;<br />

in questo caso la sua densità media sarà evidentemente più grande<br />

di quella dell’acqua.<br />

In questo modo gli studenti imparano che le condizioni di<br />

galleggiamento sono determinate dal rapporto tra le densità del<br />

fluido che ospita il galleggiante e quella di quest’ultimo. Quindi,<br />

formalizziamo la legge partendo dall’ipotesi di mettere un corpo di<br />

volume V e massa M (peso ρsVg) in un liquido di densità ρL ed<br />

osservando come evolve il sistema verso l’equilibrio.<br />

Il corpo nel liquido è soggetto alla forza peso ed alla spinta di<br />

Archimede, ma non è detto che i moduli di queste forze siano uguali.<br />

Pertanto, distinguiamo tre casi [GI] :<br />

ρsVg< ρLVg, quindi ρs< ρL il corpo sale verso l’alto e resta sommerso solo per una porzione del totale,<br />

dal momento che occorre un minore volume d’acqua da spostare per equilibrare il suo peso;<br />

ρsVg> ρLVg, quindi ρs> ρL, il corpo scende verso il fondo e qui resta in equilibrio sotto l’azione della<br />

spinta di Archimede e della reazione vincolare della base;<br />

ρsVg= ρLVg, quindi ρs = ρL, il corpo resta in equilibrio nel punto in cui è stato messo perché ha<br />

bisogno di spostare un volume d’acqua esattamente pari al suo volume totale per poter restare in<br />

equilibrio.<br />

6.6 Uova sode<br />

A conferma di questa osservazione, possiamo tornare al nostro<br />

bicchiere con il guscio posato sul fondo. Mettiamo due-tre<br />

cucchiaini pieni di sale in acqua e agitiamo vigorosamente in modo<br />

che questo si sciolga: si osserverà che il guscio è tornato a salire e<br />

si trova in equilibrio al centro del bicchiere. Aumentando la<br />

concentrazione di sale nell’acqua (e quindi la sua densità)<br />

tendiamo a portarci nella condizione ρsVg< ρLVg.<br />

Un esercizio curioso da proporre è quello di far calcolare quanto sale occorre aggiungere all’acqua per<br />

cucinare un uovo evitando che si rompa. Da quanto visto in precedenza, è chiaro infatti che possiamo<br />

realizzare una situazione di equilibrio indifferente di un corpo se lo immergiamo in una soluzione con<br />

densità pari alla sua densità media. Di conseguenza, un uovo che cucina sospeso in una soluzione densa ha<br />

meno chance di urtare contro il fondo del recipiente durante l’ebollizione e rischiare di rompersi.<br />

Pagina 36


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

Un uovo di classe A ha massa 73g e volume di 70cm 3 (determinato per immersione); poiché la sua densità è<br />

di 1,04 g/cm 3 esso affonda quando viene immerso in acqua (che ha densità 1 g/cm 3 ).<br />

La domanda da porre è: “quanto sale dobbiamo aggiungere a 500 ml d’acqua per evitare che l’uovo si<br />

rompa?”<br />

La risposta risiede nella densità della soluzione acqua+sale. Considerando che la massa d’acqua a<br />

disposizione è di 500 g (500 cm 3 ) e che la densità del sale da cucina è di 2,17 g/cm 3 , occorrerà aggiungere<br />

tanto sale fin quando la densità della soluzione non è almeno pari a 1,04 g/cm 3 , che è poco più grande della<br />

densità dell’acqua marina (ρ≈1.025 g/cm 3 , in cui sono disciolti in media 35 g di sale per litro).<br />

E’ possibile realizzare un semplice esame empirico mettendo un uovo in acqua e ponendo un recipiente<br />

pieno di sale su una bilancia. L’alunno deve prelevare piccole quantità di sale da mescolare nella soluzione,<br />

fermandosi solo quando l’uovo anziché adagiarsi sul fondo resta sospeso in equilibrio. A questo punto si<br />

può stimare la massa di sale utilizzata constatando la quantità di sale rimasta nel recipiente. La bilancia<br />

digitale del laboratorio è in grado di apprezzare questa massa; nelle prove preliminari l’uovo si è staccato<br />

dal fondo dopo aver sciolto in acqua 19.96 g di sale.<br />

6.7 La spinta di Archimede in aria<br />

In quello che segue viene descritta la costruzione di una mongolfiera rudimentale per evidenziare l’effetto<br />

della spinta di Archimede per corpi immersi nell’aria.<br />

Gli studenti, infatti, hanno la tendenza a credere che tale forza si manifesti solo quando un corpo è<br />

immerso in un liquido, ed in effetti i libri di testo non aiutano a superare questo misconcetto dal momento<br />

che offrono svariati spunti di riflessione sul comportamento <strong>dei</strong> natanti, ma ben pochi sulla spinta di<br />

Archimede dovuta all’aria.<br />

Un buon inizio potrebbe essere quello di determinare la spinta che agisce sul nostro corpo; è molto<br />

interessante vedere in che modo gli studenti provano a modellizzare se stessi per stimare il proprio volume<br />

ed il calcolo permette di avere una stima della spinta di Archimede per corpi immersi in aria.<br />

Ad esempio, io sono alto 178 cm ed ho un punto vita di 56 cm. Posso quindi schematizzarmi come un<br />

cilindro di raggio 8.9 cm e altezza 178 cm (anche se questo porta ad una sovrastima del mio volume perché<br />

… non sono un cilindro…). Il mio volume complessivo sarebbe di circa 44727 cm 3 , e considerando che l’aria<br />

ha una densità di 1,205 10 -3 g/cm 3 , posso stimare che su di me agisce in ogni istante una forza diretta verso<br />

l’alto di circa 0,53 N, del tutto trascurabile rispetto ai 735 N del mio peso!<br />

Confrontiamo questo risultato con la spinta che riceveremmo stando completamente immersi in acqua<br />

dolce (ρ=1.000 g/cm 3 ). e in mare (ρ=1.025 g/cm 3 ). Facendo riferimento allo schema del proprio volume in<br />

entrambi i casi il modulo della spinta sarà data da ρacquagV.<br />

Questo può aiutare alla riflessione sul perché spesso si dice<br />

che è più facile “restare galla “ in mare che non in un lago.<br />

Pagina 37<br />

Spinta in un lago 438.32 N<br />

Spinta nel mare 449.27 N<br />

Spinta in aria 0,53 N


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

Una maggiore evidenza dell’esistenza della spinta di Archimede anche sui corpi immersi in aria è dato da<br />

una bilancia all’interno di una campana a vuoto.<br />

Esso è costituito da una sfera di vetro appesa ad uno <strong>dei</strong> bracci di una bilancia che in condizioni normali ha<br />

l’indice perfettamente verticale che punta sullo zero di una scala graduata. All’altra estremità della bilancia<br />

c’è un peso che può essere traslato per realizzare la condizione di equilibrio. L’ampolla è corredata di una<br />

campana di vetro che può essere accomodata su un piatto della pompa a vuoto delle stesse dimensioni (la<br />

stessa campana viene utilizzata per gli <strong>esperimenti</strong> sulla conduzione del suono nell’aria).<br />

Si pone la bilancia con l’ampolla sul piatto della pompa e si ricopre tutto con la campana, quindi si comincia<br />

ad estrarre l’aria dall’interno e contestualmente si osserva che la sfera si porta verso il basso rompendo<br />

l’equilibrio iniziale.<br />

Ciò accade perché inizialmente la sfera è in equilibrio a causa dell’uguaglianza <strong>dei</strong> momenti delle forze che<br />

agiscono sui due bracci della bilancia. Il peso della sfera è di pochissimo più grande di quello che equilibra il<br />

sistema perché la spinta di Archimede sulla sfera è opposta alla sua forza peso.<br />

Quando l’aria viene estratta, la spinta di Archimede diminuisce in modo più sensibile sulla sfera che non sul<br />

pesetto equilibrante (che ha un volume minore), e questa piccola diminuzione è sufficiente per far<br />

sbilanciare il sistema.<br />

6.8 Fiamme<br />

Spesso non ci rendiamo conto del fatto che anche nelle più piccole cose che ci accadono sotto gli occhi c’è<br />

un contenuto fisico interessante: “Vi siete mai domandati perché una fiamma ha sempre una forma<br />

allungata?”.<br />

Non è del tutto immediato immaginare che il motivo sia legato alla legge di Archimede.<br />

Se accendiamo una candela la sua fiamma sale sempre verso l’alto qualunque sia l’inclinazione che le si dà;<br />

la fiamma riscalda l’aria nelle sue vicinanze e la rende meno densa rispetto alla parte diaria più lontana. A<br />

Pagina 38


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6.9 Mongolfiera: il volo<br />

causa della spinta di Archimede si crea una corrente ascensionale di aria<br />

calda che trascina con sé tutte le particelle derivanti dalla combustione<br />

(carbonio vaporizzato, idrogeno…) per cui la forma della fiamma tende<br />

ad allungarsi. Se non ci fosse la gravità questo effetto non si<br />

manifesterebbe, in quanto tutto si gioca sul diverso peso di uguali<br />

volumi di aria calda e fredda; ma questa differenza verrebbe annullata in<br />

caso di assenza di gravità (o in presenza di gravità molto debole gli<br />

effetti sarebbero meno visibili) e la fiamma non avrebbe una direzione<br />

privilegiata lungo la quale allungarsi. Infatti la forma della fiamma, in<br />

questo caso, sarebbe sferica.<br />

Dopo aver fatto queste considerazioni, si può procedere all’analisi delle condizioni per il volo di una<br />

mongolfiera rudimentale. per realizzarla occorrono:<br />

cannucce da bibita sottili;<br />

carta velina;<br />

colla liquida;<br />

alcune piccole candele (ad esempio quelle per compleanno)<br />

fiammiferi.<br />

Ho costruito la mongolfiera a casa e ne ho testato preventivamente il<br />

funzionamento. Occorrono 12 cannucce da bibita sottili per costruire un<br />

cubo di spigolo 22 cm; per realizzarlo ho incollato 2 gruppi di 4 cannucce<br />

per realizzare 2 quadrati e, successivamente, ho incollato con molta cura<br />

gli altri spigoli per ottenere un solido il più possibile stabile e regolare.<br />

Quindi, ho ritagliato <strong>dei</strong> pezzi di carta velina su misura e li ho saldati con<br />

un velo di colla alle cannucce,<br />

Su uno <strong>dei</strong> pezzi di carta velina ho ritagliato un quadrato di circa 10 cm di<br />

lato da cui introdurre le candele all’interno del cubo; questa faccia<br />

costituirà la “base” della mongolfiera.<br />

La costruzione è piuttosto laboriosa e non priva di difficoltà a causa della<br />

non perfetta tenuta della colla e <strong>dei</strong> lunghi tempi di attesa per comporre<br />

le varie parti. Inoltre, è consigliabile utilizzare la minor quantità di colla<br />

possibile per non appesantire la struttura e distribuirla in modo uniforme<br />

per non sbilanciare un lato rispetto ad un altro. Alla fine, comunque, si<br />

ottiene un buon risultato con un cubo del volume 10684 cm 3 e massa di circa 6 g.<br />

Pagina 39


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

Per far volare la mongolfiera c’è bisogno di una sorgente di calore che faccia salire la temperatura dell’aria<br />

all’interno del cubo e ne faccia diminuire la densità. Per questo, si dispongono le candeline sul tavolo di<br />

lavoro e si sistema la mongolfiera in modo che esse possano entrare per una parte della loro altezza<br />

all’interno del cubo. Ad esempio, si potrebbero poggiare due lati della base su <strong>dei</strong> supporti distanziati in<br />

modo da lasciare libero il foro centrale.<br />

Per far volare la mongolfiera ho fatto ricorso alle seguenti considerazioni. Il sistema ha una massa data dalla<br />

somma della massa dell’aria contenuta nel cubo e della massa della struttura; la massa d’aria si può stimare<br />

intorno a m=ρV≈12,83 10 -3 kg mentre la struttura ha una massa di circa 6 10 -3 kg. Conseguentemente, il<br />

peso del sistema della mongolfiera è dato da P=(Maria+Mstruttura)g≈185 10 -3 N.<br />

Inizialmente il sistema è in equilibrio sotto l’azione della forza peso (verso il basso) e della reazione<br />

vincolare e della spinta di Archimede (verso l’alto); in particolare, la spinta di Archimede è proprio pari al<br />

peso del volume d’aria nella mongolfiera, dunque circa 125 10 -3 N.<br />

Quando le candeline vengono accese, la temperatura all’interno del cubo aumenta; in virtù della legge di<br />

Boyle, la pressione dovrebbe aumentare, ma ciò non accade perché il sistema non è isolato dall’esterno a<br />

causa del foro praticato sulla base da cui l’aia può fuoriuscire Questo, provoca una diminuzione della<br />

densità dell’aria all’interno del cubo secondo la relazione<br />

<br />

<br />

finale<br />

iniziale<br />

T<br />

=<br />

T<br />

iniziale<br />

finale<br />

e di riflesso una diminuzione del peso dell’intero sistema (si può<br />

ipotizzare che ρiniziale=1.205 kg/m 3 e Tiniziale=293 K). Questa<br />

situazione deve perdurare almeno fin quando la spinta di<br />

Archimede (che ovviamente non cambia durante il processo) non<br />

eguaglia il peso del sistema: da questo momento in poi la<br />

mongolfiera può volare. Affinché ciò avvenga, l’aria all’interno<br />

della mongolfiera deve subire una diminuzione della sua massa<br />

complessiva pari a 6 g (proprio uguale alla massa della struttura!)<br />

e questo comporta in base alla relazione (1) che occorre<br />

raggiungere una temperatura di almeno 550 K (temperatura di un<br />

forno ben caldo).<br />

Con un po’ di pazienza e un po’ di attenzione, alla fine la<br />

mongolfiera in effetti vola.<br />

Pagina 40


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6.10 Stabilità <strong>dei</strong> natanti<br />

Con del materiale povero è possibile eseguire delle interessanti osservazioni sulla stabilità <strong>dei</strong> natanti,<br />

ovvero sulle condizioni di equilibrio <strong>dei</strong> corpi che galleggiano. In questa sequenza di operazioni, lo studente<br />

usa un guscio di noce per simulare il comportamento di una barca in acqua.<br />

Il materiale è, anche in questo caso, facilmente reperibile in qualunque casa:<br />

metà guscio di noce vuoto;<br />

2 bastoncini in legno (del tipo usato per spiedini);<br />

uno stuzzicadenti;<br />

cera;<br />

un recipiente con base larga;<br />

acqua.<br />

Versiamo alcune gocce di cera nel guscio vuoto per farne un piccolo mucchietto raccolto il più possibile al<br />

centro del guscio stesso; quindi, poggiamo il guscio sulla superficie dell’acqua preventivamente versata<br />

nella bacinella.<br />

Si osserva che il guscio galleggia, e se il bordo viene toccato questo comincia ad oscillare senza rovesciarsi.<br />

Le oscillazioni si smorzano rapidamente e tutto il sistema torna in quiete. A questo punto, spezzettiamo<br />

uno <strong>dei</strong> due lunghi bastoncini di legno e distribuisce i frammenti sul fondo del guscio, evitando di zavorrare<br />

troppo il natante per non farlo affondare; anche in questo caso il sistema resta in equilibrio a galla e se<br />

viene mosso da tale posizione, esso vi ritorna dopo un certo numero di oscillazioni.<br />

La situazione è ben diversa se, dopo aver svuotato il guscio <strong>dei</strong> frammenti di legno, si conficca lo<br />

stuzzicadenti nella cera. In questo caso è un po’ più complicato lasciare il sistema in equilibrio sulla<br />

superficie dell’acqua e comunque, pur riuscendoci, il sistema è meno stabile rispetto alle sollecitazioni<br />

esterne, perché rischia di capovolgersi con molta più facilità se toccato sul bordo.<br />

Questa circostanza diventa ancora più evidente se al posto dello stuzzicadenti viene messo l’altro<br />

bastoncino lungo: in questo caso si osserva che non c’è verso di tenere il sistema in equilibrio, in quanto<br />

questo si capovolge non appena poggiato in acqua. Invece il sistema è estremamente stabile rispetto alle<br />

sollecitazioni se lo capovolgiamo completamene in acqua.<br />

Pagina 41


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

Focalizziamo l’attenzione sulle situazioni di non equilibrio; sappiamo che le condizioni di equilibrio per corpi<br />

solidi si ottengono imponendo nulli la risultante delle forze e <strong>dei</strong> momenti sul. Per questo, l’individuazione<br />

della causa del ribaltamento del natante deve partire da domande del tipo “Quali forze agiscono sul<br />

guscio?”; “In quale punto è applicata la spinta di Archimede?”; “Dove si trova il baricentro?”; “Questi due<br />

punti coincidono sempre?”; “Perché?”.<br />

In questo modo si arriva a stabilire che esistono situazioni in cui il baricentro ed il centro di spinta non sono<br />

sulla stessa verticale e che questo determina il<br />

manifestarsi di una coppia di forze che a sua volta<br />

S<br />

determina la rotazione del galleggiante attorno ad un<br />

asse orizzontale rispetto alla superficie del mare.<br />

S G<br />

Ciò accade perché quando spostiamo il galleggiante<br />

G<br />

dalla sua posizione di equilibrio, la forma del volume<br />

del liquido spostato cambia e ciò determina un<br />

cambiamento di posizione del suo centro di massa S’ (che è proprio il centro di spinta).<br />

La verticale per S’ e la retta GS si incontrano un punto M chiamato metacentro la cui posizione determina le<br />

caratteristiche di stabilità del natante. Per piccole oscillazioni, la posizione del metacentro non dipende<br />

dall’ampiezza delle oscillazioni, per cui tutto procede come se il natante fosse vincolato ad oscillare attorno<br />

ad M; se il baricentro del natante si trova sotto ad M la coppia tende a riportare il sistema in equilibrio,<br />

altrimenti il natante si ribalta.<br />

Per sostenere meglio questa tesi chiediamo agli studenti se hanno mai usato l’accorgimento di tenere il<br />

corpo basso quando salgono su una barca: ciò serve, in sostanza per tenere basso il baricentro del sistema<br />

corpo+barca ed evitare che questo scenda al di sotto del metacentro.<br />

6.11 Una misura di densità<br />

Le considerazioni fatte sulla stabilità <strong>dei</strong> natanti possono essere utilizzate per eseguire la stima della<br />

densità di un corpo, ipotizzando che essa sia inferiore a quella dell’acqua e che quindi possa galleggiare.<br />

Da un punto di vista teorico, questo metodo è più complesso della misura di densità tramite<br />

immersione già proposta ma ha il vantaggio di essere praticabile con del materiale povero anche a casa.<br />

Per eseguire l’esperimento occorrono:<br />

un’asta di legno di densità sconosciuta;<br />

una bacinella;<br />

acqua;<br />

un perno;<br />

una riga ed un pennarello<br />

Vincoliamo l’asta ad un estremo tramite il perno agganciato alla bacinella in modo che sia libera di ruotare<br />

attorno all’asse del perno. Poggiamo l’altro estremo dell’asta nella bacinella e cominciamo a versare<br />

Pagina 42


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

dell’acqua. Dobbiamo versarne fin quando non osserviamo che l’asta di legno non comincia a galleggiare<br />

staccando l’estremità libera dal fondo.<br />

Quando il sistema si porta in equilibrio il momento della forza peso eguaglia il momento della spinta di<br />

Archimede, entrambi calcolati prendendo come polo la posizione del perno.<br />

Per calcolarli esplicitamente, si consideri che la forza peso è applicata al baricentro dell’asta, mentre la<br />

spinta di Archimede è applicata al centro di spinta (baricentro della parte immersa). Chiamiamo L la<br />

lunghezza dell’asta, D la lunghezza della parte emersa, S la sua sezione e l’angolo che all’equilibrio forma<br />

con la verticale.<br />

L<br />

LSg sen<br />

2<br />

M peso legno<br />

M Archimede acqua<br />

L D<br />

sen<br />

2<br />

L DSg<br />

<br />

Imponendo la condizione di equilibrio ed invertendo per legno si ottiene:<br />

<br />

legno<br />

<br />

acqua<br />

L<br />

2<br />

D<br />

L<br />

2<br />

2<br />

Dunque, misurando la lunghezza dell’asta e la lunghezza della parte emersa si può ottenere una stima della<br />

sua densità. Per determinare D si può tracciare un segno con un pennarello nei pressi del pelo dell’acqua,<br />

dove l’asta si immerge e poi misurarne la lunghezza.<br />

Pagina 43


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7. Tubi e superfici<br />

Un’osservazione molto elementare ci porta a concludere che dell’acqua contenuta in un recipiente si<br />

dispone all’equilibrio in modo che la sua superficie sia sempre perfettamente orizzontale. E questo accade<br />

qualunque sia la forma, la dimensione e l’inclinazione del recipiente che la contiene.<br />

Ma perché?<br />

volume data da<br />

FV<br />

<br />

K x<br />

7.1 L’equazione dell’equilibrio <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong><br />

dV<br />

Consideriamo un pezzetto infinitesimo di fluido di forma cubica. Lungo una delle<br />

tre direzioni si manifesta una differenza di pressione data da:<br />

c<br />

Essa dà origine ad una forza di superficie valutabile con<br />

F S<br />

x, y,<br />

z<br />

px,<br />

y,<br />

z<br />

dxdS dV<br />

p<br />

<br />

x<br />

Pagina 44<br />

x<br />

Se il volumetto considerato contiene la massa, su di esso agisce una forza di<br />

Dove K ha le dimensioni di un’accelerazione (forza per unità di massa) lungo la direzione x.<br />

Sotto l’azione di queste due forze l’elemento di fluido è in equilibrio, per cui:<br />

x, y z<br />

p ,<br />

x<br />

<br />

K x <br />

Se estendiamo il ragionamento a tutte e tre le direzioni del nostro riferimento, si ottiene l’equazione<br />

dell’equilibrio <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong>:<br />

x, y z<br />

K<br />

p ,<br />

<br />

Questa relazione stabilisce che se su un elemento di fluido agisce una forza di volume, la pressione non può<br />

essere costante dappertutto. Infatti, la forza di volume tende a spostare l’elemento di fluido determinando<br />

così la reazione del fluido sotto forma di variazione di pressione. Tale variazione è positiva nel verso della<br />

forza di volume, cosicché il gradiente di pressione è opposto ad essa e determina così l’equilibrio di ogni<br />

porzione di fluido.<br />

Il gradiente di pressione può essere nullo (e la pressione costante in tutto lo spazio) solo se 0<br />

come ad<br />

esempio negli aeriformi molto rarefatti. Ma in realtà questa circostanza può manifestarsi solo se l’aeriforme<br />

.


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

non occupa grandi spazi, altrimenti il termine delle forze di volume non è trascurabile (si pensi alla<br />

pressione atmosferica).<br />

Di particolare rilievo è il caso in cui la forza per unità di massa K è conservativa. In tal caso essa si esprime<br />

come l’opposto del gradiente di una funzione energia potenziale per unità di massa:<br />

x, y z<br />

K <br />

U<br />

,<br />

In tal caso l’equazione dell’equilibrio del fluido diventa:<br />

x, y,<br />

z<br />

Ux,<br />

y z<br />

p ,<br />

ovvero il gradiente di pressione è antiparallelo al gradiente di energia potenziale per unità di massa.<br />

Da questa relazione consegue un’importante proprietà <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> in equilibrio sotto l’azione di forze di<br />

volume conservative: le superfici isobariche (a pressione costante) coincidono con le superfici<br />

equipotenziali.<br />

Se immaginiamo di spostarci perpendicolarmente da una superficie isobara (o equipotenziale) ad una<br />

immediatamente vicina si ottiene un’altra importante conclusione.<br />

Nello spostamento dn lungo la normale alla superficie isobara, la pressione varia secondo la seguente<br />

relazione:<br />

x, y,<br />

z<br />

px,<br />

y,<br />

z<br />

dn Ux, y,<br />

z<br />

dn dUx,<br />

y z<br />

dp ,<br />

La relazione<br />

dp x, y,<br />

z<br />

dUx,<br />

y,<br />

z<br />

ci dice che, siccome le variazioni di pressione e di energia<br />

potenziale non dipendono dalla scelta del punto iniziale, la densità deve essere costante su tutta la<br />

superficie isobarica.<br />

Dunque le superfici equipotenziali sono anche isobariche e su di esse la densità del fluido è costante.<br />

Eventuali variazioni di pressione ed energia potenziale sono automaticamente accompagnate da variazioni<br />

di densità.<br />

7.2 Fluidi pesanti<br />

Se la forza di volume è la forza peso, l’equazione dell’equilibrio <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> diventa:<br />

x, y,<br />

z<br />

gz<br />

p <br />

Poiché l’energia potenziale gravitazionale dipende solo dalla quota z:<br />

dp d<br />

<br />

<br />

dz dz<br />

gz dpz<br />

gdz<br />

Integrando su z si ottiene tra la superficie libera del fluido (z=0, dove p=p0 pressione atmosferica) e un<br />

generico punto a profondità z si ottiene:<br />

Pagina 45


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

z p gz<br />

p 0 <br />

ovvero, la legge di Stevin:<br />

z p gz<br />

p 0 <br />

Di conseguenza, sul piano z = costante la pressione è la stessa, pertanto il fluido è in equilibrio solo se la<br />

superficie libera si dispone orizzontalmente rispetto al pavimento.<br />

7.3 Fluido in rotazione<br />

Ci sarà certamente capitato, magari assaggiando del buon vino in un calice, di notare che se agitiamo il<br />

bicchiere facendogli compiere piccole rotazioni attorno al suo asse di simmetria, il liquido prende a<br />

muoversi in un caratteristico vortice con una forte depressione nel centro di rotazione.<br />

Il profilo di questa superficie può essere determinato utilizzando l’equazione dell’equilibrio <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong><br />

ricavata poco più sopra. Sebbene il fluido sia in moto, possiamo affermare che a regime esso è in equilibrio<br />

dinamico sotto l’azione della forza peso, delle forze di pressione che forniscono a ciascun elemento di fluido<br />

la forza centripeta per rimanere in rotazione attorno all’asse verticale del calice.<br />

Lungo la verticale, l’equazione dell’equilibrio è ancora<br />

p<br />

g<br />

z<br />

Ma in questo caso la pressione ha anche una dipendenza radiale, dal momento che la sua componente<br />

perpendicolare all’asse di rotazione deve fornire la necessaria forza centripeta per la rotazione del fluido,<br />

pertanto:<br />

p<br />

2<br />

r<br />

r<br />

Questo implica che in un liquido in rotazione la pressione aumenta radialmente.<br />

Dunque possiamo scrivere che:<br />

p<br />

p<br />

1 <br />

p <br />

,<br />

r<br />

z<br />

r<br />

2 z<br />

2<br />

2 2<br />

r, z<br />

r g<br />

r gz Ur<br />

z<br />

1 2 2<br />

Dove l’energia potenziale è Ur,<br />

z<br />

r gz<br />

.<br />

2<br />

Dal momento che le superfici isobariche coincidono con quelle equipotenziali, esse saranno date<br />

dall’equazione<br />

1 2<br />

2<br />

<br />

r gz cos t<br />

2<br />

Pagina 46


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

Per determinarne l’espressione, notiamo che per r=0 z=h (distanza del punto dal fondo del recipiente) e<br />

quindi:<br />

1 2 2<br />

r gz gh<br />

2<br />

Invertendo per z:<br />

1 2<br />

z h r<br />

2<br />

2<br />

che è l’equazione di un paraboloide di rotazione.<br />

7.4 Vasi comunicanti<br />

Il principio <strong>dei</strong> vasi comunicanti è una<br />

conseguenza di quanto presentato nel<br />

paragrafo 7.1: dal momento che le<br />

isobare <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> pesanti coincidono con<br />

le superfici equipotenziali, il livello del<br />

fluido si dispone orizzontalmente.<br />

Inoltre, se più vasi sono riempiti con lo<br />

stesso fluido e messi in comunicazione,<br />

essi all’equilibrio si portano allo stesso<br />

livello. Se così non fosse, a livelli diversi<br />

corrisponderebbero energie potenziali (e<br />

pressioni) diverse e il sistema tenderebbe<br />

a riportarsi all’equilibrio compiendo<br />

lavoro a spese dell’energia gravitazionale<br />

in eccesso. Questa circostanza è ben messa in evidenza dai vasi comunicanti illustrati nella foto. Nonostante<br />

le forme di ciascun recipiente siano le più diverse, il livello raggiunto dall’acqua è lo stesso in tutti e 5 i rami.<br />

Questo risultato è valido solo se la larghezza di ciascun ramo è sufficientemente grande da non indurre<br />

<strong>fenomeni</strong> di capillarità. Ad esempio, l’acqua tende a bagnare la superficie del solido a contatto e se il tubo<br />

che la contiene è sufficientemente stretto essa di<br />

fatto lo risale. Nel cuneo in figura è evidente che<br />

l’acqua si insinua tra le due pareti solo quando<br />

esse si avvicinano fin quasi a toccarsi. In questo<br />

caso il principio <strong>dei</strong> vasi comunicanti non può<br />

essere soddisfatto.<br />

Nel caso in cui in uno <strong>dei</strong> rami del sistema vi sia<br />

un fluido non miscibile con l’altro (ad esempio,<br />

acqua e olio) le altezze raggiunte nei singoli rami<br />

non sono necessariamente le stesse. Per<br />

Pagina 47


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

semplicità consideriamo un tubo ad U (solo 2 vasi comunicanti).<br />

Poiché l’olio è meno denso dell’acqua (infatti vi galleggia) occorre che la sua colonna sia più alta; con<br />

riferimento alla figura, consideriamo una superficie equipotenziale sulla quale poniamo nulla l’energia del<br />

sistema. All’equilibrio, tale superficie è anche isobarica, pertanto la pressione esercitata dalla colonna di<br />

olio deve uguagliare la pressione della colonna di acqua (si immagina ovviamente che la pressione<br />

atmosferica sia la stessa in entrambi i rami).<br />

Dunque:<br />

gz <br />

OLIO<br />

da cui:<br />

z<br />

z<br />

ACQUA<br />

OLIO<br />

OLIO<br />

<br />

<br />

<br />

OLIO<br />

ACQUA<br />

ACQUA<br />

gz<br />

ACQUA<br />

livello dell’olio<br />

livello di zero<br />

Da questa relazione si deduce che le altezze raggiunte dai liquidi non possono essere le stesse se essi hanno<br />

diversa densità. In particolare, le altezze raggiunte da ciascun liquido sono inversamente proporzionali alle<br />

densità stesse. Dunque, conoscendo la densità di uno <strong>dei</strong> due liquidi, e misurando le altezze raggiunte nei<br />

rami rispetto ad un comune livello di riferimento si può ottenere una stima della densità dell’altro liquido<br />

(sempre che non sia miscibile).<br />

Naturalmente, riotteniamo il principio <strong>dei</strong> vasi comunicanti quando le densità sono uguali (il fluido è<br />

omogeneo ovunque) perché da questo consegue che le altezze nei vari rami sono necessariamente le<br />

stesse.<br />

Pagina 48<br />

livello dell’acqua


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

8. La funzione pressione<br />

Tutte le osservazioni sin qui compiute permettono di caratterizzare la pressione come una funzione con<br />

due notevoli proprietà formali:<br />

nei <strong>fluidi</strong> pesanti dipende solo dalla profondità e non dalla sezione del recipiente;<br />

nei <strong>fluidi</strong> incomprimibili è isotropa.<br />

Queste due caratteristiche sono contenute nelle espressioni formali della legge di Stevin e nel principio di<br />

Pascal, rispettivamente. Tuttavia, i libri di testo si occupano solo in modo piuttosto marginale <strong>dei</strong> alcune<br />

conseguenze paradossali cui quegli enunciati sembrano portare.<br />

8.1 Paradosso idrostatico<br />

Il paradosso idrostatico viene presentato sui testi scolastici in varie forme, ma raramente si riesce a ricavare<br />

una spiegazione esauriente, cosicché alla fine si resta con la sensazione di non aver compreso in cosa<br />

consiste esattamente il “paradosso”.<br />

Facciamo riferimento alla classica forma in cui vengono esaminati recipienti di forma diversa con lo stesso<br />

livello di liquido: in questa versione, il paradosso viene generato dal fatto che la pressione alla base di tutti i<br />

recipienti deve essere la stessa per la legge di Stevin pur contendo differenti quantità di liquido. In questo<br />

caso, la legge di Stevin non è sufficiente per risolvere la contraddizione perché non analizza le forze in gioco<br />

sulle pareti <strong>dei</strong> recipienti.<br />

Più efficace, invece, potrebbe essere la versione in cui il<br />

peso del liquido versato nei recipienti è lo stesso (e<br />

quindi le altezze raggiunte sono diverse) perché ciò<br />

costringe ad analizzare congiuntamente l’effetto delle<br />

forze di pressione sul fondo del recipiente e delle<br />

reazioni alla pressione idrostatica da parte delle pareti.<br />

I tre recipienti di figura hanno forme diverse ma basi uguali cosicché, pur contenendo la stessa quantità di<br />

liquido (di peso mg), i livelli in essi sono diversi.<br />

Fissiamo l’attenzione su uno <strong>dei</strong> recipienti (per semplicità supponiamo che la massa del recipiente sia<br />

trascurabile rispetto a quella del liquido ); per garantire l’equilibrio del sistema si deve applicare una<br />

risultante di delle forze pari a -mg: cosi se uno qualunque recipienti viene posato sopra il piatto di una<br />

bilancia, il peso misurato sarà appunto mg. Nel caso (a) la pressione alla base dovuta alla colonna<br />

sovrastante di liquido è ρgh per garantire l’equilibrio del recipiente si deve applicare alla base una forza<br />

diretta verso l’alto di intensità ρgSh=ρgV=mg cioè opposta al peso mg; nel caso (b) la pressione alla base<br />

dovuta al liquido sovrastante è ρgh1 e quindi si potrebbe pensare che la forza sia ρgSh1


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

Infatti, si deve tener presente che sulle pareti laterali del recipiente il liquido esercita una pressione ρgz<br />

crescente con la distanza dalla superficie del liquido, se il recipiente è rigido, all’attaccatura tra parete e<br />

fondo si devono sviluppare delle forze che tengono ferma la parete. Nel caso (a) lo forze agenti sulle pareti<br />

laterali sono orizzontale e le forze d cui la base risente sono anch’esse orizzontali; nel caso (b) le forze sulle<br />

pareti laterali hanno una componente verticale diretta verso il basso che si somma al peso della colonna di<br />

liquido ρgSh1 per dare una risultante proprio pari ad mg; nell’ultimo caso, invece, le forze sulle pareti<br />

presentano una componente verso l’alto ce stavolta si sottrae al peso del liquido ρgSh2 per dare ancora una<br />

risultante pari ad mg!<br />

Con un esperimento ideale siamo quindi riusciti a risolvere l’apparente paradosso. Per chi invece ha<br />

bisogno di una evidenza sperimentale, si può servire dello strumento di Pellat per la misura delle pressioni<br />

sul fondo di recipienti normalmente in dotazione ai laboratori di fisica.<br />

Questo strumento è costituito da un cilindro di metallo su cui si possono avvitare bulbi in vetro di diverse<br />

forme; Al di sotto del cilindro si trova una piccola asta vincolata ad un perno che funziona da leva.<br />

Un braccio è collegato ad un pistone che scorre nel cilindro in metallo, mentre l’altro braccio viene usato<br />

come indice mobile su una scala graduata. Quando si versa dell’acqua nel bulbo, essa preme sul pistone che<br />

causa l’abbassamento del braccio della leva ed il conseguente innalzamento dell’indice. In sostanza, se lo<br />

strumento venisse tarato, potrebbe essere usato per misurare la pressione di una colonna di fluido.<br />

Per verificare che la pressione esercitata alla base di un recipiente dipende solo dall’altezza del liquido<br />

rispetto alla base e non dalla quantità di liquido versata si procede così: si tara lo strumento sul livello di<br />

zero e si sceglie un bulbo.<br />

Dopo averlo avvitato ed aver versato dell’acqua, si prende nota del livello raggiunto con un’asta scorrevole<br />

e della deviazione dell’indice sulla scala graduata (con un cursore mobile). Quindi, si cambia il bulbo e si<br />

versa nuovamente dell’acqua fino al livello registrato inizialmente verificando che la deviazione dell’indice<br />

sulla scala è sempre lo stesso.<br />

Pagina 50


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

8.2 Fluidi comprimibili<br />

Il modello di fluido sin qui utilizzato contiene l’ipotesi di in comprimibilità che è caratteristico <strong>dei</strong> liquidi per<br />

ampi intervalli di pressione ma non di certo per gli aeriformi. Questa ipotesi è alla base della legge di Stevin<br />

che ha una forma particolarmente semplice proprio perché possiamo assumere che la densità del fluido<br />

resti costante in tutto il recipiente che lo contiene.<br />

Ma un modello fisico comporta sempre delle approssimazioni che sono accettabili fin quando accettiamo<br />

l’esistenza di un bilancio positivo tra la semplicità dell’analisi di un sistema e la correttezza della sua<br />

descrizione. Vale quindi la pena domandarsi cosa accade se l’ipotesi di in comprimibilità viene<br />

abbandonata.<br />

Si può cominciare chiedendo: “Per quanti km si estenderebbe l‘atmosfera se l’aria avesse densità uniforme<br />

uguale a quella sul livello del mare. Dal risultato ottenuto cosa si può arguire?”.<br />

Se utilizziamo la legge di Stevin per la pressione di una colonna d’aria di altezza h (p=p0-ρgh), possiamo<br />

immaginare che la pressione atmosferica nel punto in cui la colonna d’aria si è “esaurita” sia nulla: p(h)=0.<br />

Da questa condizione si ricava che ciò avverrebbe ad un’altezza di circa 8578 km.<br />

Tuttavia, è noto che i soli strati più interni dell’atmosfera (troposfera + stratosfera) si estendono fino a 50<br />

km d’altezza e che considerando i gusci più esterni si arriva fino a 100 km di altezza dal suolo!<br />

Questa situazione va presentata agli studenti in modo che si<br />

chiarisca che la nostra assunzione per cui l’aria si comporta<br />

come un fluido ideale è certamente da rivedere.<br />

Una prima correzione si può ottenere ipotizzando che l’aria<br />

obbedisca alla legge di Boyle per qui, ritenendo che la<br />

temperatura dell’aria resti essenzialmente invariata con<br />

l’altezza 4 si può scrivere: p0V0=p(h)V(h) dove il pedice 0 indica i<br />

valori di pressione e volume al livello del mare. La figura [VI] in<br />

realtà dimostra che questa assunzione non è corretta e che la<br />

temperatura varia in modo molto irregolare con la quota.<br />

Conserviamo, tuttavia, questa ipotesi semplificativa.<br />

Da qui possiamo ricavare la relazione funzionale che lega la<br />

densità alla pressione:<br />

p0 p(<br />

h)<br />

0<br />

= ⇒(<br />

h)<br />

= p(<br />

h)<br />

(<br />

h)<br />

p<br />

0<br />

e sostituendo nella legge di Stevin, si ha:<br />

0<br />

p<br />

= ( h)<br />

gh ⇒p<br />

= p(<br />

h)<br />

gh<br />

p<br />

0<br />

0<br />

4 anche questa è un’assunzione forte perché non è affatto vero che la temperatura resta invariata su lunghe distanza<br />

Pagina 51


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

Passando ai differenziali ed integrando la funzione p(h) tra 0 ed h otteniamo la ben nota espressione<br />

p(<br />

h)<br />

= p0e<br />

h<br />

-<br />

A<br />

.<br />

p0<br />

A = ≈8578m<br />

g<br />

0<br />

Se gli studenti non possono integrare per trovare la soluzione dell’equazione differenziale, si può<br />

permettere loro di trovare una risposta almeno per via grafica applicando un metodo di iterazione.<br />

quest’ultima per 100 m diviso A e così via.<br />

Infatti, tale relazione può essere riscritta come:<br />

p ( h h)<br />

- p(<br />

h)<br />

<br />

1<br />

- p(<br />

h)<br />

h<br />

A<br />

Sul foglio di lavoro di Excel, basta riempire una colonna<br />

con le quote rispetto al suolo (ad esempio con passo di<br />

100 m) ed inserire nella colonna accanto il valore della<br />

pressione atmosferica che corrisponde alla quota nulla<br />

come valore iniziale per l’iterazione.<br />

Per ricavare la pressione al primo passo (cioè a 100m)<br />

basta sottrarre alla pressione atmosferica al livello del<br />

mare il prodotto di tale pressione per la quota h diviso la<br />

quantità A (che sarà fissa). Per ottenere la pressione a<br />

200 m si sottrae alla pressione a 100 m il prodotto di<br />

Alla fine, i dati possono essere utilizzati per visualizzare la funzione p vs h. Nel grafico seguente, la pressione<br />

(in unità Pascal) è diagrammata in funzione dell’altezza (centinaia di metri)<br />

120000<br />

100000<br />

80000<br />

60000<br />

40000<br />

20000<br />

0<br />

grafico di p(h)<br />

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39 41 43<br />

Va notato che anche questo modello ha <strong>dei</strong> limiti, poiché nella troposfera la temperatura non resta<br />

costante ma diminuisce linearmente e ciò ha un effetto anche sulla densità dell’aria. Al di fuori della<br />

Pagina 52


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

troposfera (circa 10 km) il modello si rivela in disaccordo con i dati sperimentali, dal momento che la<br />

pressione anziché decrescere con continuità crolla molto rapidamente. Si veda la figura a prima proposta<br />

per la dipendenza della temperatura dall’altezza [VI] .<br />

Pagina 53


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

Appendice A<br />

L’analisi che segue illustra le risposte fornite dagli studenti al test sulle rappresentazioni ingenue e<br />

costituisce, quindi, un’importante spunto per riflettere sulle concettualizzazioni distorte presenti prima<br />

dell’intervento didattico.<br />

Un astronauta sta eseguendo di lavori di riparazione alla sua navicella sulla superficie<br />

lunare quando, accidentalmente, gli sfugge di mano un attrezzo. Cosa accade<br />

a questo oggetto?<br />

La chiave non cade perché non c’è aria nell’atmosfera lunare e quindi sul corpo non<br />

agisce la forza di gravità<br />

8<br />

La chiave cade a causa della forza di gravità della Luna 16<br />

La chiave non può cadere perché sulla Luna manca sia l’aria sia la gravità 72<br />

Nessuna risposta 4<br />

Nel primo caso lo studente interpreta la forza di gravità come unica causa della caduta <strong>dei</strong> corpi; tuttavia in<br />

mancanza di aria, la gravità si annulla e la conseguenza è che il corpo non può cadere.<br />

Nel terzo caso, che raccoglie i ¾ <strong>dei</strong> consensi, le cause della caduta <strong>dei</strong> corpi sono sia la gravità, sia la<br />

pressione dell’aria. L’assenza di aria annienta l’effetto dell’atmosfera e annulla la forza di gravità: di nuovo,<br />

non c’è alcun motivo per cui il corpo dovrebbe cadere.<br />

Il 16% degli alunni risponde correttamente dicendo che la chiave cade perché sulla luna esiste un campo<br />

gravitazionale (debole, ma non per questo nullo…) che non ha alcuna connessione con l’assenza di aria.<br />

In quali casi si ha una scala lineare?<br />

Tubo a V 14<br />

Tubo a U 68<br />

Tubo irregolare 4<br />

Tubo ad U e V 6<br />

Tutti e tre 4<br />

Nessuna risposta 4<br />

Questa domanda riguarda il comportamento<br />

idrostatico di recipienti di forma diversa. La nozione<br />

comune di pressione, intesa come rapporto tra peso<br />

di un corpo e superficie di appoggio, fa focalizzare<br />

l’attenzione degli studenti sul peso variabile della<br />

colonna di fluido nei rami <strong>dei</strong> tubi proposti più che<br />

sulla loro altezza. Di conseguenza, solo il tubo<br />

perfettamente simmetrico (ad U) può dare una scala<br />

lineare o tutto al più il tubo a V che ha le pareti prive di irregolarità (alcuni studenti, infatti hanno optato<br />

per il tubo ad U e a V insieme). E’ quasi impossibile che il tubo irregolare possa dare una scala lineare.<br />

Come si riesce a bere da una cannuccia?<br />

%<br />

Perché un liquido può essere aspirato 32<br />

Perché si fa il vuoto nella cannuccia e la forza del vuoto attira il liquido 24<br />

C’è una differenza di pressione con l’esterno e l’aria esterna spinge su il liquido 28<br />

Pagina 54<br />

%<br />

%


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

Perché il liquido sale per capillarità 12<br />

Nessuna risposta 4<br />

La prima risposta identifica solo una proprietà <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> e non può essere presa come spiegazione fisica del<br />

meccanismo alla base dell’aspirazione dalla cannuccia.<br />

La seconda risposta rimanda ad una visione aristotelica del mondo fisico ed in particolare dell’horror vacui.<br />

In questo caso è all’opera una forza del vuoto che è capace di attirare a sé il liquido; il vuoto creato nella<br />

cannuccia è una cosa che la natura non può ammettere, quindi, per evitare che esista uno spazio privo di<br />

materia, il liquido è costretto a risalire la cannuccia.<br />

Se la risposta non è così ovvia, allora alcuni studenti invocano <strong>fenomeni</strong> più particolari come la capillarità,<br />

della quale non si ha un’esperienza quotidiana e che può essere utilizzata per spiegare <strong>fenomeni</strong> come<br />

questo, quando ogni altra interpretazione fallisce.<br />

La risposta corretta viene data solo da ¼ degli studenti: il liquido sale a causa del gradiente di pressione<br />

creato tra la superficie libera della bevanda e la parte superiore della cannuccia, laddove la suzione ha<br />

eliminato buona parte dell’aria.<br />

Un palloncino sferico gonfio viene fissato ad una profondità di 4 m in una piscina.<br />

Che avviene della sua forma e dimensione?<br />

Stesso volume ma forme allungate/schiacciate 28<br />

Stessa forma ma volume minore 12<br />

Stessa forma ma volume maggiore 0<br />

Cambiano sia forma che volume 8<br />

Non cambia nulla 4<br />

Scoppia 32<br />

Nessuna risposta 8<br />

Qui sono all’opera <strong>misconcetti</strong> molto simili a quelli manifestati nella domanda 2; la forma allungata del<br />

palloncino rispecchierebbe la sua tensione a risalire verso la superficie, mentre l’appiattimento segnala una<br />

confusione sulla natura non vettoriale della pressione, che qui invece vene identificata con il peso della<br />

colonna di liquido che quindi schiaccia il pallone. In entrambi i casi (assieme alla quarta risposta) è all’opera<br />

un forte misconcetto sull’anisotropia della pressione nei liquidi.<br />

Il fatto che il palloncino possa aumentare di volume (risposta 3) o addirittura scoppiare (risposta 6)<br />

segnalano che il ragazzo ha consapevolezza di una differenza di pressione tra dentro e fuori l’involucro del<br />

pallone, ma attribuisce erroneamente la pressione maggiore all’interno. E’ molto interessante notare che la<br />

risposta corretta, ovvero che le dimensioni del pallone diminuisce, è stata data solo da uno studente su<br />

dieci!<br />

Le domande a riposta aperta sono foriere di ulteriori informazioni sullo stato delle conoscenze ingenue del<br />

concetto di vuoto e pressione.<br />

Quando si chiede di descrivere il funzionamento della ventosa, tutti gli studenti sono concordi nel<br />

riconoscere che esso si basa su una ridotta presenza di aria all’interno della parte gommata, ma con molta<br />

difficoltà ne esprimono le conseguenze.<br />

Pagina 55<br />

%


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

“Esercitando una pressione esterna su una ventosa essa viene attirata da una qualsiasi superficie dato che<br />

c’è il vuoto al suo interno”.<br />

Ad esempio, qui l’attrazione è esercitata dalla superficie sulla parte gommata della ventosa attraverso il<br />

vuoto; più in dettaglio, qui il vuoto appare come mezzo attraverso cui si esplica l’attrazione.<br />

Anche in queste risposte il vuoto gioca un ruolo determinante:<br />

“La ventosa si attacca perché all’interno di essa si forma il vuoto”<br />

“Funziona in modo che spingendolo contro un corpo si crei il vuoto e che quindi il corpo viene attirato”.<br />

con la differenza che qui esso rappresenta direttamente la causa che genera l’attrazione tra le superfici a<br />

contatto. Come ulteriore esempio, si consideri la seguente risposta: “La ventosa appiccicandola al muro<br />

viene schiacciata e manda fuori la pressione, cioè secondo me nella ventosa appiccicata non c’è pressione”.<br />

Sebbene qui il vuoto non venga chiamato in causa , questo è presente con un altro nome: “mancanza di<br />

pressione”. Tuttavia è curioso notare che la pressione viene trattata come un attributo di cui un corpo può<br />

liberarsi (la pressione viene “mandata fuori”) e non come una variabile di stato. Non viene fatta alcuna<br />

menzione dell’aria compresa tra la superficie e la ventosa, né viene approfondita la circostanza per cui c’è<br />

una differenza di pressione tra interno ed esterno della ventosa stessa.<br />

Nella domanda che riguarda la sorte di un palloncino pieno di elio abbandonato in aria, tutti gli studenti<br />

concordano sul fatto che esso tenderà a salire, ma variegate sono le conclusioni circa il perdurare di questa<br />

salita.<br />

“Secondo me, il palloncino continuerà a salire, perché non c’è forza di gravità”<br />

In questa risposta è all’opera un pesante fraintendimento circa la causa che fa salire il palloncino: ho<br />

ipotizzato che l’alunno si riferisse al fatto che l’attrazione gravitazionale diminuisce con la quota, ma anche<br />

in questo caso la salita del palloncino non sarebbe interpretabile. Come nel caso della domanda 1, poiché la<br />

causa della caduta di corpi è la gravità, se questa manca il corpo non può che salire.<br />

In quest’altra risposta, la causa della salita è attribuita ad una sorta di “richiamo” dell’atmosfera (che in un<br />

primo momento era stata attribuita ad una forza di tipo pressione diretta verso l’alto, ma poi ritrattata…).<br />

Non c’è alcun riferimento alle caratteristiche dell’elio e dell’aria o considerazioni sul peso del palloncino; in<br />

più, lo studente ci tiene a precisare che il pallone deve scoppiare perché dapprima risente della sola<br />

pressione verso l’alto (la pressione ha natura vettoriale?!) che è la causa della salita, e poi di una pressione<br />

isotropa che ne causa lo scoppio (anche se è stato interessante osservare che l’alunno, durante la lettura<br />

della sua risposta, afferma che il palloncino non implode, come avevo intuito all’inizio, ma al contrario<br />

esplode).<br />

Queste due rispose,invece, sono meno ingenue e fanno esplicito riferimento al peso dell’aria.<br />

Pagina 56


<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

“Il palloncino sale perché il gas elio è più leggero degli altri gas che compongono l’aria. Si fermerà se trova<br />

un gas più leggero”.<br />

“Un palloncino sale perché è più leggero dell’aria. Secondo me si fermerà man mano che l’aria è più<br />

rarefatta e che se salisse sempre sarebbe sempre più leggero dell’aria ”.<br />

Anche se sarebbe corretto esprimersi in termini di densità <strong>dei</strong> materiali, entrambi dimostrano di tenere in<br />

debita considerazione la relazione tra le differenti caratteristiche fisiche dell’aria e del palloncino. La<br />

possibilità che il palloncino si fermi dipende dal fatto che tali differenze si annullino all’aumentare della<br />

quota.<br />

Per la domanda che riguarda la persistenza dell’aderenza tra due superfici ben levigate, non c’è accordo<br />

unanime. Alcuni studenti rispondono che c’è “attrazione” tra le superfici a contatto ma non chiariscono in<br />

che modo questa si esplichi. Altri (e non sono pochi) liquidano la domanda così: “Secondo me non viene<br />

opposta nessuna resistenza perché non c’è nessuna forza che agisce”, probabilmente perché intuiscono che<br />

lavorando con superfici comuni (un foglio, un quaderno, un banco…) questo fenomeno non è praticamente<br />

osservabile.<br />

Quando c’è un tentativo di interpretazione, le spiegazioni sono piuttosto ingenue; si passa da <strong>fenomeni</strong> di<br />

natura pseudo-elettrostatica: “Fra i due specchi c’è stato l’effetto dello strofinio, per questo hanno opposto<br />

più resistenza” al coinvolgimento di forme di energia non meglio specificate, ma che dati gli attributi di<br />

“positivo” e “negativo”, ritengo si possano ricondurre alla stessa origine elettrostatica: “Perché il primo si è<br />

caricato di energia positiva, l’altro di energia negativa”.<br />

La risposta più curiosa che ho trovato è stata la seguente: “Perché tra i due specchi c’è una forza magnetica<br />

e si attirano tra loro”.<br />

Accade spesso, infatti, che di fronte ad un fenomeno nuovo o inspiegabile vengano invocate cause<br />

“misteriose” o “strane” ma che non hanno alcuna pertinenza con il caso in questione. Il campo magnetico<br />

è, nell’immaginario collettivo, qualcosa che presiede alla spiegazione di <strong>fenomeni</strong> “magici” (oggetti che si<br />

muovono per telecinesi) e che viene spesso associato a situazioni di rischio (onde elettromagnetiche). In<br />

pochi casi è stato fatto esplicito riferimento alla momentanea assenza di aria tra le superfici a contatto e<br />

nessuno ha attribuito il fenomeno a differenze di pressione tra interno ed esterno del sistema.<br />

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<strong>Statica</strong> <strong>dei</strong> <strong>fluidi</strong> - <strong>fenomeni</strong>, <strong>misconcetti</strong>, <strong>esperimenti</strong> <strong>–</strong> <strong>Luca</strong> <strong>Lovino</strong><br />

Bibliografia<br />

[AA] A. B. Arons, Guida all’insegnamento della fisica, Bologna, Zanichelli, 1996.<br />

[CP] C. Pontecorvo, Manuale di psicologia dell’educazione, Bologna, Il Mulino, 1999.<br />

[FR] A. Frova, La fisica sotto il naso , Milano, B.U.R., 2001.<br />

[GI] D. C. Giancoli, Fisica, principi ed applicazioni, Milano, Ambrosiana, 2004,<br />

[SE] D. Sette, Lezioni di fisica Vol. 1, Milano, Veschi, 1993,<br />

[VI] O. Vittori , L’atmosfera del pianeta terra <strong>–</strong>Struttura e <strong>fenomeni</strong>, Bologna, Zanichelli, 1992.<br />

[VM] M. Vicentini, M. Mayer, Didattica della Fisica , Milano, La Nuova Italia, 2000.<br />

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