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Marzo 2009 - Unioni Ispettoria ICP

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Bertolaso, l’uomo in tuta<br />

che accusa (e piace)<br />

È l’unico politico in tuta. Dalla Cambogia<br />

di Pol Pot agli argini del Tevere, mai<br />

una cravatta, sempre in tenuta da emergenza.<br />

Con giubbino e stivaloni, anche per<br />

lo tsunami svoltosi a seimila miglia di distanza:<br />

pure allora Guido Bertolaso apparve<br />

in tv, a dire non solo che non si trovava<br />

più Emilio Fede, incautamente in vacanza<br />

agli antipodi, ma si accettavano donazioni<br />

via sms. Bertolaso è tornato su tutti<br />

gli schermi, stavolta per un’emergenza<br />

sottocasa, con lo stile di sempre, preoccupato<br />

ma baldanzoso: «L’Aniene cresce però<br />

non è un problema», «stiamo monitorando<br />

le acque, solo qualche rigurgito al ponte<br />

Mammolo»; l’unico vero pericolo sono<br />

gli «imbecilli» che hanno attraccato male le<br />

loro barche. Un Masaniello d’ordine, a volte<br />

amatissimo dalle folle, talora detestato:<br />

così i terremotati di San Giuliano lo abbracciano<br />

piangendo, ma in Irpinia gli<br />

prendono a calci la macchina. Interventista.<br />

Un dannunziano tecnologico.<br />

Figlio di un ufficiale dell’Aeronautica,<br />

«il primo a collaudare l’F104. Ero ragazzino,<br />

mia madre mi portò all’aeroporto, e papà ci<br />

passò sopra con quell’uccello di ferro che<br />

urlava». Un politico – oltre che capo della<br />

Protezione civile è sottosegretario del governo<br />

Berlusconi –, però sui generis: si è<br />

fatto un nome con i disastri, ma nessuno<br />

ha mai osato definirlo, come fece Gasparri<br />

con il precedessore Franco Barberi, «sottosegretario<br />

alla Sfiga». «Sono assolutamente<br />

bipartisan – racconta al telefonino dalla<br />

riva del Tevere in piena –. Non è questione<br />

di destra e sinistra; il mio compito è servire<br />

il Paese, e in particolare i suoi cittadini<br />

13<br />

Un Exallievo di razza<br />

che soffrono e sono in pericolo. Da ragazzo<br />

sognavo di fare il medico dei negletti, degli<br />

ultimi. Il mio mito era Albert Schweitzer, il<br />

Nobel che aprì il suo ospedale in Gabon.<br />

Dopo la laurea, e il master in malattie tropicali<br />

a Liverpool, nel ’77, a 27 anni, parto<br />

per l’Africa. Dove c’è un’epidemia di colera<br />

arrivo io: Mali, Senegal, Burkina Faso, Niger,<br />

Somalia. Poi, dopo l’invasione vietnamita<br />

e la caduta di Pol Pot, mi mandano in<br />

Cambogia, ad amministrare il nuovo ospedale<br />

nella giungla. Arrivo e scopro che l’ospedale<br />

non c’è. Lo costruisco. L’Unicef mi<br />

offre il posto di direttore in Somalia. Ma<br />

arriva la chiamata dalla Farnesina: responsabile<br />

dell’assistenza sanitaria ai Paesi in<br />

via di sviluppo».<br />

È l’82, e alla Farnesina c’è Andreotti.<br />

«Uomo straordinario, di grandissima sensibilità,<br />

anche se tra i personaggi che lo<br />

circondavano qualcuno gli ha creato gravi

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