Apri versione integrale in pdf del fascicolo e copertina 2011 n° 1

Anno XXI - N. 1/2011 - Poste Italiane S.p.A. - Spediz. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Roma
IL SECONDO RISORGIMENTO
d’Italia
RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE COMBATTENTI DELLA GUERRA DI LIBERAZIONE
INQUADRATI NEI REPARTI REGOLARI DELLE FORZE ARMATE
CENTRO STUDI E RICERCHE STORICHE
SULLA GUERRA DI LIBERAZIONE
FONDAZIONE
LE FORZE ARMATE NELLA
GUERRA DI LIBERAZIONE
1943-1945
STORIA CULTURA ATTUALITÀ

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AI SOCI ED AI LETTORI
CHI DESIDERA RICEVERE LA RIVISTA DEVE FARNE
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(sono presenti on line i numeri di “Il Secondo Risorgimento d’Italia” dal 2006 ad oggi)
Responsabile - Vicepresidente nazionale per l’Esercito, Amb. Alessandro de Bosis
Redazione - Ing. Giorgo Prinzi (per contatti: e mail: giorgioprinzi@libero.it)
Con il numero 32, Anno XXI, 1/2011, la rivista ha completato
il progetto di collegare in modo diretto o indiretto una rubrica a un Blog.
Il Blog completa la rubrica e raccoglie tutti quei contributi
che per varie ragioni non possono essere pubblicati.
La ragione principale è che non vi è spazio a sufficienza.
SAGGI E STUDI
(www.secondorisorgimento.blogspot.com)
NOTE E DISCUSSIONI
(www.museomontelungo.blogspot.com)
FONTI, TESTI E DOCUMENTI
(Biblioteca R. Radoni, www.Fondocoltrinari.blogspot.com)
CULTURA
(www.57sessione.blogspot.com)
MISCELLANEA
(www.coltrinarimarche1944.blogspot.com)
CRONACHE
(www.unucispoleto.blogspot.com)
STORIA IN LABORATORIO
(www.storiainlaboratorio.blogspot.com)
VITA ASSOCIATIVA - Per la Direzione e La Redazione
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IL SECONDO
RISORGIMENTO D’ITALIA
RIVISTA DI STORIA CULTURA ATTUALITÀ
ANNO XXI, n. 1/2011
Roma

ASSOCIAZIONE NAZIONALE COMBATTENTI
della GUERRA di LIBERAZIONE
inquadrati nei Reparti Regolari delle FORZE ARMATE
Sede Centrale: Roma
Presidente Onorario Gen. C.A. M.O.V.M. Alberto Li Gobbi
PRESIDENZA NAZIONALE
Presidente Nazionale Gen. C.A. Senatore Luigi Poli
Presidente Vicario Gen. C.A. Alberto Zignani
Vice Pres. Naz. Esercito Amb. A. Cortese de Bosis
Vice Pres. Naz. Marina Amm. Sq. Giuliano Manzari
Segretario Generale Col. Vittorio Scarlino
IL SECONDO RISORGIMENTO d’Italia
Tribunale Roma Reg. Stampa n. 661 del 28-XI-1991
EDITRICE A.N.C.F.A.R.G.L.
Rappresentante Legale
Gen. Sen. Luigi Poli
DIRETTORE EDITORIALE
Luigi Poli
DIRETTORE RESPONSABILE
Sergio Pivetta
DIRETTORE
Massimo Coltrinari
VICE DIRETTORE
Alberto Marenga
IN REDAZIONE
Edoardo Massimi, Alberto Masetti,
Massimo Baldoni, Francesco Monteleone,
Laura Coltrinari, Vincenzo Cuomo
Direzione Redazione Amministrazione
Roma
CENTRO STUDI E RICERCHE STORICHE
SULLA GUERRA DI LIBERAZIONE
Direttore: Amm. Giuliano Manzari
2
IL SECONDO RISORGIMENTO d’Italia
Approfondimenti
DIRETTORE
Massimo Coltrinari
COMITATO DI REDAZIONE
C. Testa, A. Cortese de Bosis,
S. Pivetta, P. Crociani,
V. Cuomo, A. Brugiavini,
E. Mastrangelo, A. Magro, G. Cecini
EDITING
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La collaborazione è gratuita
ed è aperta a tutti
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Tel. 0643588200 • Fax 064385693
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FONDAZIONE
“LE FORZE ARMATE NELLA
GUERRA DI LIBERAZIONE
1943-1945”

SOMMARIO
Editoriale, Verso il Consiglio Nazionale Aprile 2011............................. Pag. 7
SAGGI E STUDI
(www.secondorisorgimento.blogspot.com)
Massimo Coltrinari, Strategia di Difesa della Repubblica
di Serbia................................................................................................... Pag. 9
NOTE E DISCUSSIONI
(www.museomontelungo.blogspot.com)
Michela Ponzani, La memoria della strage delle Fosse Ardeatine:
il caso del processo Priebke ..................................................................... Pag. 29
FONTI, TESTI E DOCUMENTI
(Biblioteca R. Radoni. www. Fondocoltrinari.blogspot.com)
Giovanni Cecini, Ricordi dell’ex P.O.W. n. 10
Amm. Gino Galuppini............................................................................. Pag. 49
Dini Sesani, Quando l’Accademia Navale fu veramente grande .......... Pag. 67
Alfredo Poggiali, Notte di San Giacinto ................................................. Pag. 71
MISCELLANEA
(www.coltrinarimarche1944.blogspot.com)
Sergio Pivetta, Il tenente “Bocia”............................................................ Pag. 77
Memorialistica, Lettera alla famiglia di un prigioniero ....................... Pag. 80
Emanuele Mastrangelo, Un intervento con precisazioni....................... Pag. 82
Giovanni Cecini, La tragedia sconosciuta degli Italiani in Crimea ..... Pag. 85
Sergio Pivetta, Gli scarponi che ridono.................................................. Pag. 89
Elena Mazzone, Dopo L’ISSMI, quale futuro impiego per i frequentatori
civili.......................................................................................................... Pag. 90
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SOMMARIO
VITA ASSOCIATIVA
Edoardo Vertua, La drugia del signor Mulo Tamburo 1940-1943........ Pag. 95
Vittorio Scarlino, Preavviso Convocazione Consiglio Nazionale........... Pag. 97
Sezione di Bergamo. Monumento alla “Legnano”.................................. Pag. 97
Sezione di Melbourne. Ricordato un capitolo della storia
della Liberazione ..................................................................................... Pag. 98
Odette Braga Galazzo. Attività della Sezione di Sidney ....................... Pag. 98
Politi Francesco, Sezione di Terni. Montelungo 2010............................ Pag. 99
Armand-Pillon Aldo, Sezione di Torino. 67° Anniversario
di Montelungo.......................................................................................... Pag. 99
Poggini Stefano, Sezione di Firenze. Commemorato il sacrificio
di Fulvio Sbarretti MOVM...................................................................... Pag. 100
Pivetta Sergio, Ricordo di Felice Scotti 1922-2004................................ Pag. 103
Sezione di Torino. Commemorato l’anniversario di Montelungo .......... Pag. 105
STORIA IN LABORATORIO
(www.storiainlaboratorio.blogspot.com)
Testimonianze sulla Seconda Guerra Mondiale raccolte
dai nipoti dei protagonisti....................................................................... Pag. 107
• Intervista a Pifano Lucia, mia nonna. Anno di nascita: .15/03/1939
di Mila Celletti..................................................................................... Pag. 107
• Intervista a mia zia Maria Pia e a mia nonna Lucia
di Simona Gili ..................................................................................... Pag. 108
• Intervista a mio nonno
di Mara Brozzi..................................................................................... Pag. 110
• Intervista a mia nonna Silvia
di Massimo Pappalardo ...................................................................... Pag. 111
• L’intervista di mio nonno Sergio e mia nonna Giuseppina
di Desire Silvestri ................................................................................ Pag. 112
• Testimonianza di Adriana Antonetti
di Mattia Musumeci ............................................................................ Pag. 113
• Testimonianza di storia
di Veronica Lustri ................................................................................ Pag. 114
• Intervista a mia nonna Antonia Del Boccio
di Alessio Cavallini ............................................................................. Pag. 115
• Intervista a mio nonno Franco
di Vannucci Federico ........................................................................... Pag. 116
• Mio nonno: una dura prigionia in Germania
di Francesca Preciutti ........................................................................... Pag. 116
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SOMMARIO
• I miei nonni, veri spettatori della Seconda Guerra Mondiale
di Emanuela Cappelli ......................................................................... Pag. 117
• La testimonianza di Agnese Pelli, nata nel 1931
di Giada Guarini.................................................................................. Pag. 119
• Intervista a Silvano Viola
di Stef Romulus ................................................................................... Pag. 120
• Intervista ai nonni Elberardo Attanasi e Margherita Zizzari
di Mattia Rossetti ................................................................................ Pag. 121
RECENSIONI
A cura di Laura Coltrinari ...................................................................... Pag. 123
In questo numero:
Dal Primo al Secondo Risorgimento
Nel giugno 1943 in Italia vi erano due soli poteri: quello rappresentato dalla Monarchia e
quello rappresentato dal Fascismo. E questo era l’asseto del potere statale creato nel 1922 e affermato,
in modo autoritario, che pose fine al regime parlamentare erede del Risorgimento, con
le leggi fascistissime del 3 gennaio 1925.
Senza entrare nel “come”, questo si verificò, a meta settembre 1943, tre mesi dopo, questi due
poteri si erano completamente liquefatti. Il Fascismo, con la decretazione del Gran consiglio
del Fascimo convocato il 24 luglio 1943, decreto la sua fine. L’intervento di Dino Grandi, quadrunviro
della Rivoluzione fascista in questo consesso di soli fascisti, ammise a chiare lettere
che la creazione “dell’uomo fascista” voluto dalla rivoluzione del 1922 era completamente fallito.
Occorreva prendere atto, e ancor più prendere atto del fatto che i fascisti dovevano rimettere
tutto il potere al Re per uscire dalla guerra e fare fronte comune al nemico che stava invadendo
il territorio della Patria. 19 Gerarchi su 25 gli diedero ragione, tanto era evidente la situazione.
Il fascismo con atto collegiale democratico così pose fine ala sua esistenza. La Monarchia,
erede del patto risorgimentale, si assunse l’onere di far uscire dalla guerra l’Italia. Ma in
45 giorni commise tanti di quei errori che la crisi armistiziale del settembre 1943 la portò praticamente
ad essere esautorata. La fuga del re da Roma è il simbolo di questo fallimento. A
Brindisi il suo potere sull’Italia e sugli Italiani era praticamente nullo. Il Risultato pi evidente
ed oggettivo di questa situazione fu chiaro: gli Italiani, che vedevano la loro Patria invasa da
due coalizioni avversarie che la trasformarono in un campo di battaglia si trovarono soli davanti
a loro stessi. Per loro arrivò il momento delle scelte. Svanita l’autorità regia, occorreva
intraprendere nuove strade per avere la possibilità di avere un avvenire. Le scelte degli Italiani
furono individuali e si diede vita a quella stagione che chiamiamo Guerra di Liberazione,
in cui fra gli Italiani si dovette riscrivere un nuovo patto sociale, essendo evidente che quello
stretto nel Risorgimento che porto all’unità d’Italia nel 1861 con Casa Savoia, per colpa di Casa
Savoia, si era ormai sciolto. Le scelte degli Italiani furono convogliate in quei fronti della
Guerra di Liberazione, una guerra non dichiarata, che si combatteva a latere della campagna
d’Italia, che rappresentano il percorso che si dovette percorrere per conquistare la nostra speranza
di essere di nuovo uniti. Una Guerra, quindi, combattuta per una speranza; e come tutte
le guerre questa aveva un nemico: la Coalizione Hitleriana che, se avesse trionfato, sicuramente
non avrebbe permesso una Italia Unità. Già il 15 settembre 1943 questa volontà germanica
di dividere l’Italia si era manifestata con l’incorporazione nel Rechi dell’Istria e del Friuli
5

Orientale e dell’Alto Adige al Reich. La Repubblica Sociale, frutto delle scelte di quei Italiani
che volevano e furono fedeli alla vecchia alleanza, dando vita a quella stagione del fascismo
non più movimento ne regime, ma repubblicano, socializzante ed estremistico, componente consenziente
in questa coalizione del ruolo mutilato dell’Italia ( Udine, ad esempio; era fuori da
ogni sovranità di Salò) combatteva per avere un ruolo subordinato alla Germania. Già Himmler
vedeva il Nord Italia come unico Stato, che doveva servire ai tedeschi come terra di vacanze
e svago, con Venezia, di cui era innamorato, capitale; naturalmente il resto dell’Italia con i restanti
Italiani raccolti in un altro Stato, per non contaminare più di tanto i nordici italiani
servitori dei tedeschi. Erano progetti, ma le intenzioni erano chiari.
Chi combatteva la realizzazione di questo futuro erano quei italiani che non accettavano da
una parte le scelte pro tedesche e dall’altra che si affidavano al destino, combattendo una guerra
che, una volta terminata, non garantiva alcunché, ben consci che il destino dell’Italia sconfitta,
era nelle mai dei vincitori Anglo Americani. Ma questi avevano promesso che il destino dell’Italia
in parte sarebbe anche dipeso dal contributo che gli Italiani avrebbero dato al loro sforzo
per sconfiggere la coalizione Hitleriana. Era una debole speranza, ma sempre una speranza.
E chi scelse di combattere, seguì questa via, in varie maniere, frutto delle scelte individuali.
Chi arruolandosi nelle fila delle forze combattenti ed ausiliare del Regno del Sud, chi partecipando
al movimento ribellistico al Nord, entrando nelle formazioni autonome, gialline, socialiste,
comuniste, cattoliche, chi, all’estero, entrando nei movimento di resistenza locali in Jugoslavia,
Grecia, Albania, chi, Internato in Germania rifiutandosi di aderire alla repubblica
Sociale Italiana, dando ancora una volta ragione a Dino Grandi in merito al fallimento della
creazione dell’”uomo fascista” voluto nel 1922 da Mussolini, e chi, prigioniero, collaborò come
cooperatore allo sforzo angloamericano.
Tutto questo impegno permise di stringere un nuovo patto fra gli Italiani che non accendo pi
intermediari e con il Referendum Istituzionale scelse la forma repubblicana, dando vita alla
Repubblica nata dalla guerra di Liberazione, guerra combattuta per le scelte degli Italiani che
decisero di cercare un futuro migliore di quello che la repubblica Sociale prospettava. Democrazia
e Libertà furono acquisite con il Trattato di pace del 10 febbraio 1947, ed ora questi due
beni sono nelle mani degli Italiani stessi. Possiamo anche rinunciarvi e giocarceli come meglio
vogliamo, così come possiamo anche cercare di creare stati e staterelli, come hanno fatto gli
Jugoslavi che hanno smembrato la loro federazione in otto statarelli regionali di nessun peso,
scelta che non ha portato vantaggi di sorta. Non si sa cosa il futuro ci riserva, ma è un futuro
nelle nostre mani. Ma un dato è certo. La guerra di Liberazione, la guerra degli Italiani, fu un
secondo risorgimento in cui, come nel primo, combattendo uno straniero, affiancato da quei
Italiani che non credono nella Unità nazionale, si creò una Patria comune in cui per ben 150 il
nostro progresso morale, materiale, economico e culturale è stato enorme.
Nella data anniversaria del 17 marzo 1861 questi sono i commenti di chi partecipò e di chi godette
sessanta anni di progresso e prosperità di un Italia trasformata dalla insipienza di pochi
e di chi tradì il patto risorgimentale in quello che prima dell’Unità si compiaceva da chi l’occupare
definire il nostro Paese “una semplice espressione geografica”.
La Rivista “Il Secondo Risorgimento d’Italia” può essere ceduta ai non Soci dietro
versamento di un contributo alle spese di 20 euro o più da versare sul conto
corrente postale n. 37885209 intestato a “Prof. Sergio Pivetta - Via Crivelli C., 20 -
20122 Milano” con la dizione “contributi straordinari alla Rivista”.
I di Copertina: Soci della Sezione di Terni, fieri della attività svolta
IV di Copertina: Una Piazza intitolata alla Battaglia di Montelungo a Terni, a ricordo dei nostri caduti
Il presente numero è stato chiuso in tipografia il 31 marzo 2011
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EDITORIALE DEL PRESIDENTE
Verso il Consiglio Nazionale. Aprile 2011
Luigi Poli
Carissimi Soci,
a grandi passi ci stiamo avviando a vivere giornate del prossimo Consiglio
Nazionale. Saranno giornate molto intense, durante le quali dovremo discutere
su problemi essenziali per il futuro della nostra Associazione e prendere
delle decisioni che incideranno, e molto, sul profilo della medesima per i prossimi
anni.
Si sta lavorando a questo e vogliamo esserci nel miglior modo. Un dato, però, rimane
alla base di ogni discussione: la priorità che devono avere in tutte le risoluzioni
i Combattenti della Guerra di Liberazione. È ovvio che ormai la nostra
età è andata al di là di ogni possibile ragione, ma siamo qui e non ci si può far
niente. Quindi vogliamo essere tolemaicamente al centro di ogni decisione riguardante
la nostra Associazione. Con un po’ di dispiacere ci stiamo accorgendo
che altre Associazioni consorelle stanno imboccando strade che privilegiano la
quantità rispetto alla qualità. Molti dei protagonisti degli anni cruciali 1943-
1945 sono elegantemente messi da parte e sostituiti da “giovani” che propongo
soluzioni ed attività che spesso sono interessanti, ma che non hanno un nesso
con i fini statutari. La questione è difficile, ma credo che riusciremo insieme a
trovare un punto di soluzione ottimale.
Il Calendario Associativo è, spero, giunto a tutti voi. Anche quest’anno propongo
di dedicarlo a noi ex combattenti, a chi si impegnato nella Associazione e a
chi divulga le nostre idee; preferisco questa soluzione a quella di carattere storico.
Vi sono altre attività editoriali della Associazione che curano gli aspetti
storici. Quindi un invito ad inviare materiale delle Sezioni per una più ampia
scelta per questa iniziativa. Come è ormai tradizione del 2000 il calendario sarà
presentato l’8 dicembre a Montelungo.
Sono stati fatti molti sforzi per raccogliere il materiale dedicato alla Vita Associativa.
Le notizie che giungono sono frammentarie, spesso scritte a mano (
questo per noi è un grosso problema in quanto la trasformazione in supporto informatico
assorbe notevole risorse di tempo e di denaro che non abbiamo). Dopo
ampie discussioni abbiamo ottenuto dalla tipografia prezzi accettabili in merito
SECONDO RISORGIMENTO D’ITALIA, n. 1/2011
7

EDITORIALE DEL PRESIDENTE
alle fotografie; questa opportunità la dedichiamo completamente alla Vita Associativa,
in quanto, come mi dicono, il linguaggio iconografico è molto più speditivi
e significativo.
Con molto piacere ho visto arrivare relazioni e documentazioni dalle nostre Sezioni
in Australia. Colgo l’occasione per inviare un calorosissimo saluto e augurio a
tutti i nostri soci in Australia, ai loro familiari e ai loro amici. Aspettiamo sempre
più notizie e resoconti di attività , segno ineluttabile della vostra vitalità.
Ancora da sottolineare l’attività della Sezione “Studenti e Cultori della Materia”,
che rappresenta il momento qualificante della nostra attività di divulgazione
nelle Università. Con piacere posso annunciare che il Socio Dott. Alessandro
Fiorentino si è laureato all’Università “La Sapienza” di Roma, Facoltà di
Scienze Politiche, Sociali e della Comunicazione, Corso di Filosofia Politica. La
tesi di laurea discussa e presentata verteva sul tema “La riorganizzazione dell’Esercito
Italiano per la Guerra di Liberazione, l’attività dei centri raccolta e
riorganizzazione “Cersa” e “Cersetti”.
La tesi è disponibile presso la Presidenza Nazionale. Vivissimi complimenti da
parte dell’Associazione e miei personali al neo laureato.
Di pari passo il progetto Storia in Laboratorio continua la sua prospera attività, coinvolgendo
sempre pi ragazzi e ragazze delle scuole medie e delle scuole superiori.
Cari Soci,
spero di potervi incontrare ai nostri appuntamenti annuali e vivere con voi momenti
di serenità nel ricordo del nostro passato e delle nostre gesta in anni che
solo anagraficamente sono lontani, ma che sono vivissimi nella nostra memoria.
Un saluto a tutti e un augurio di cuore di un buon lavoro associativo.
Sen. Gen. Luigi Poli
8

SAGGI E STUDI
Strategia di Difesa della Repubblica di Serbia 1
Massimo Coltrinari
Nell’area balcanico, il paese che merita più considerazione per tradizioni,
cultura, storia, e modernità è la Serbia. I rapporti con l’Italia sono
stati molto intensi, e spesso, nei momenti di crisi, per superarli, il ricordo va al
1915-1916 quando la Regia Marina, nel corso delle operazioni in Adriatico, mise
in salvo l’Esercito Serbo incalzato dalle armate austro-ungariche.
La Serbia, negli ultimi anni, è profondamente cambiata. Il 7 Giugno 2006 nella
riunione del Collegio del Ministro della Difesa è stata adottata la Bozza della
Nuova Strategia di Difesa della Repubblica di Serbia, la quale rappresenta uno
dei documenti più rilevanti per la pianificazione, programmazione e realizzazione
del processo della riforma del sistema di difesa della Repubblica di Serbia
e delle Forze Armate di Serbia entro il 2015. La Direzione per la Pianificazione
Strategica del Settore per la Politica di Difesa presenta all’opinione pubblica la
forma sintetica del menzionato documento, avviando così un grande dibattito
pubblico sullo stesso, che nel corso dell’autunno dovrebbe trovarsi sull’ordine
del giorno dell’Assemblea popolare della Repubblica di Serbia.
La riforma del sistema di difesa è il cambiamento universale del concetto base
della regolamentazione giuridica, del comportamento e dell’organizzazione per
la protezione più efficace dei valori nazionali e statali nonché per la realizzazione
degli obiettivi dell’impiego nel contrastare tutte le forme di minaccia armata.
La riforma si attua attraverso: la definizione della regolamentazione costituzionale
e legale; l’elaborazione della base dottrinale, progettuale, programmatica
e di pianificazione; il cambiamento dell’organizzazione; la promozione
della modalità di formazione ed addestramento dei quadri; l’ammodernamento
ed equipaggiamento con armamento ed attrezzature moderne; i cambiamenti
nel sistema d’addestramento dei militari, di camandanti, comandi ed unità.
Con i contenuti programmatici menzionati ed altri che vengono realizzati se-
1 Note a margine del viaggio di studio effettuato dal 9° Corso dell’Istituto superiore di Stato Maggiore
Interforze in Serbia. Durante questo viaggio i frequentatori del 9° Corso, grazie ai buoni uffici
dell’Ambasciata d’Italia a Belgrado, hanno scoperto una targa commemorativa come segno di omaggio,
al Cimitero Militare Italiano di Belgrado.
SECONDO RISORGIMENTO D’ITALIA, n. 1/2011
9

MASSIMO COLTRINARI
condo le priorità le Forze Armate, seguendo un processo continuativo, si trasformano
dallo stato attuale in uno nuovo stato qualitativo internazionalmente
e socialmente preferito.
Con il piano dei cambiamenti organizzativi si definiscono le risorse necessarie,
come compromesso soddisfacente tra le possibilità dello Stato e le esigenze operative.
Poiché le esigenze operative superano quasi sempre le possibilità, è necessario
compensare una parte di esigenze di sicurezza con le integrazioni di sicurezza.
Con la riforma del sistema di difesa si influisce in maniera positiva sulla sicurezza
totale della Repubblica di Serbia e si contribuisce all’instaurazione di un
stabile ambiente circostante di sicurezza a livello regionale e globale. Con il
processo di riforma del sistema di difesa finora realizzato sono state creati i
presupposti per un efficace proseguimento dei cambiamenti nel sistema di difesa
della Serbia. Per avere i cambiamenti che provocheranno quanto meno possibile
dolore alla nostra società e che confermeranno in modo massimo la propria
efficacia per il sistema di difesa, è necessario che il processo di riforma si svolga
in maniera organizzata e secondo una determinata dinamica.
Il processo della riforma del sistema di difesa e delle Forze Armate di Serbia ha
un’enorme importanza sociale. L’importanza di un quadro affidabile e istituzionalmente
verificato per il successo di tale processo mette in evidenza chiaramente
il ruolo chiave della “Strategia di Difesa della Repubblica di Serbia”.
L’accettazione della Strategia di Difesa da parte dell’Assemblea Popolare della
Repubblica di Serbia è volta alla creazione di favorevoli condizioni sociali, sistematiche,
normative, finanziarie e di quadri per il conseguimento degli obiettivi
stabiliti della riforma del sistema di difesa e delle FF.AA. entro il 2015. In questo
modo l’applicazione della Strategia di Difesa obbligherà tutti gli organi ed
istituzioni della Repubblica di Serbia.
La Strategia di Difesa comprende quattro parti: (1)Il quadro politico, (2) la visione
delle Forze Armate entro il 2015, (3) lo stato del sistema di difesa e delle
capacità delle FF. AA., (4) le capacità del sistema di difesa necessarie entro il
2012 e le priorità dello sviluppo.
Il Quadro politico
Il mondo in cui viviamo è caratterizzato da continui e veloci cambiamenti. Allo
stesso tempo la dinamica di questi cambiamenti rende complessi tutti gli aspetti
di sicurezza. I sistemi di sicurezza e di difesa creati in precedenza non sono
più una risposta efficace alle sfide, rischi e minacce contemporanee. Per questo,
l’immagine della sicurezza globale diventa sempre più complessa, mentre la parola
sicurezza riceve una nuova dimensione ed acquista una sempre più grande
importanza nei rapporti internazionali. Nel mondo dell’incertezza, la sicurezza
sta diventando un nuovo valore, e quindi il variare dell’approccio strategico alla
sicurezza.
10

STRATEGIA DI DIFESA DELLA REPUBBLICA DI SERBIA
L’incremento dell’interdipendenza tra gli Stati a livello globale riduce il pericolo
dalle tradizionali minacce militari. Le minacce asimmetriche degli attori non
statali diventano dominanti e proprio per una sempre più grande correlazione
globale minacciano, in maniera diretta, gli Stati ed i loro cittadini.
Il carattere transnazionale e asimmetrico nonché l’interdipendenza dei rischi e
minacce moderne hanno imposto una sostanziale indivisibilità della sicurezza.
La base di tale approccio sono la collaborazione tra gli Stati e il congiungimento
degli sforzi delle istituzioni e individui della società civica a raggiungere, salvaguardare
e promuovere la sicurezza come un valore nuovo e moderno.
La sicurezza è completa se viene salvaguardata contemporaneamente a livello
nazionale, regionale e globale. Il concetto di sicurezza euro-atlantica si basa
sulla collaborazione nei settori della difesa, politica, economia ed altri, mentre
l’importanza delle FF.AA. riceve una nuova dimensione sociale, regionale e internazionale.
Nel processo di rafforzamento dell’architettura di sicurezza e di difesa le, Nazioni
Unite, la NATO, L’Unione Europea e l’OSCE hanno un ruolo speciale. I loro
ruolo diventa sempre più importante nella prevenzione, il superamento delle
crisi, l’instaurazione del consolidamento post-conflittuale e democratico dei
Paesi e delle Regioni instabili. Nella Regione dell’Europa Sud orientale si sentono
ancora le conseguenze dei tempi del conflitto, combinate con i processi di
transizione. Per questo l’Europa Sud orientale rappresenta un’area di notevole
sensibilità di sicurezza e, potenzialmente, una delle più instabili parti del continente
europeo. Un’ulteriore minaccia alla stabilità dell’Europa Sud orientale
rappresentano le difficoltà interne degli Stati di questa Regione. Queste difficoltà
sono, innanzitutto; i problemi economici e sociali; le istituzioni di Stato democraticamente
poco sviluppate e non competenti, l’instabilità politica interna.
Nella Repubblica di Serbia avvengono cambiamenti importanti nello sviluppo
politico, economico e sociale. Sono intensificati sia la transizione generale della
società che il processo d’instaurazione degli standard democratici in tutti i settori
della vita sociale. La velocità, intensità e universalità dei cambiamenti sono
molto esigenti per i cittadini e per le istituzioni di questo Paese, e la stabilità
e il sentimento di sicurezza rappresentano la prima condizione elementare
per un efficace progresso dell’intera società.
La svantaggiosa situazione economica e sociale ha un’influenza negativa sulla
stabilità della Repubblica di Serbia, mentre il terrorismo, la criminalità organizzata,
la corruzione, le tensioni su base etnica e religiosa ed altri problemi
che seguono il processo di transizione rappresentano la minaccia reale alla sicurezza
del Paese.
Le riforme del settore di sicurezza e di difesa corrispondono in maniera più
stretta con l’orientamento di politica estera del Paese. Il sistema di difesa modernizzato
e riformato rappresenta un enorme potenziale di politica estera della
Repubblica di Serbia.
11

MASSIMO COLTRINARI
Gli interessi di sicurezza e di difesa rappresentano l’espressione delle esigenze
generali della Repubblica di Serbia di vivere in sicurezza e in pace, di coltivare
e proteggere i valori nazionali, culturali e civili. Gli interessi vitali di sicurezza
e di difesa sono: la difesa della Repubblica di Serbia; la collaborazione e l’adesione
alle integrazioni Euroatlantiche, all’Unione Europea ed altre organizzazioni
ed istituzioni internazionali, la creazione della fiducia, sicurezza e stabilità
nella Regione e l’attuazione della Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite sul Kosovo e Metohija.
La Repubblica di Serbia è decisa a difendere i propri interessi vitali di sicurezza
e di difesa e di partecipare in modo attivo alla creazione e alla protezione dei
valori universali della Comunità Internazionale.
La stima dei rischi e minacce alla sicurezza della Repubblica di Serbia
In base alle analisi dei cambiamenti nell’area circostante geostrategica e nella
politica estera della Repubblica di Serbia ed alle minacce ai suoi interessi vitali
di sicurezza, sono stati identificati i rischi e le minacce alla sicurezza della Repubblica
di Serbia entro il 2015.
I rischi e le minacce alla sicurezza della Repubblica di Serbia possono essere di
natura militare e non militare:
- I rischi e le minacce alla sicurezza militari possono manifestarsi in forma di:
aggressione, conflitti armati, ribellioni armate ed altri controversie risolte con
l’uso della forza armata;
- I rischi e le minacce alla sicurezza non militari possono manifestarsi in forma
di: terrorismo, criminalità organizzata, tensioni etniche, estremismo nazionale
e religioso, migrazioni illegali e calamità naturali, incidenti industriali ed altre
disgrazie e catastrofi.
Si stima che nel primo decennio del 21° secolo non esiste un grande pericolo derivante
dai conflitti armati di carattere globale e regionale. Inoltre, in tale periodo
l’aggressione alla Repubblica di Serbia è poco probabile e si potrebbe mettere
in relazione solamente con gli interessi contrastanti ed i processi d’integrazione
e di transizione incompiuti a livello globale, regionale e locale.
In Europa e nel mondo sono apparse nuove sfide, rischi e minacce alla sicurezza
che sono conseguenze dell’estremismo nazionale e religioso e dei conflitti per i
territori. Nel momento attuale il terrorismo, le ribellioni dei gruppi illegali armati,
l’estremismo nazionale e religioso, la criminalità organizzata, le catastrofi industriali
e naturali rappresentano i rischi e le minacce di alta intensità a livello
globale e regionale. Essi posso esprimere la tendenza di trasferimento da un posto
ad altro e in questo modo minacciare la sicurezza della Repubblica di Serbia.
Nei prossimi anni si può attendere che le ribellioni armate, il terrorismo, la
tensione etnica, l’estremismo nazionale e religioso e la criminalità organizzata
esistono ancora, però con una inferiore intensità. In questo periodo la situazione
di sicurezza nella regione e nella Repubblica di Serbia potrebbe essere ag-
12

STRATEGIA DI DIFESA DELLA REPUBBLICA DI SERBIA
gravata dalla ricerca della soluzione per il futuro status del Kosovo e Metohija,
innanzitutto, dalla risoluzione dei problemi riguardanti la sicurezza generale e
personale della popolazione di nazionalità non albanese e il ritorno delle persone
temporaneamente espatriate ed esiliate.
Il momento chiave di promozione della situazione di sicurezza è rappresentato
dall’adesione della Repubblica di Serbia al Programma NATO “Pfp” e l’instaurazione
di altre forme di collaborazione con la NATO. Questo assicurerà la promozione
della sicurezza totale della Repubblica di Serbia.
Il carattere e l’intensità dei rischi e minacce di sicurezza stimati nel diretto ambiente
circostante impone la necessità di sviluppo del concetto di sicurezza integrata
su piano politico, economico, informativo, tecnologico, di sicurezza e militare
con il pieno coordinamento della Repubblica di Serbia, dei Paesi vicini e
dei più autorevoli soggetti di sicurezza nella regione, nell’Europa e nel mondo.
Per questo è necessario che le FF.AA. sviluppino le capacità di essere impiegate
nei compiti di salvaguardia di sicurezza nazionale ed internazionale. La sensibilità
della sicurezza regionale e i problemi con l’estremismo nazionale e religioso,
la criminalità organizzata, le catastrofi naturali ed artificiali richiedono
anche lo sviluppo di determinate capacità del sistema di difesa per il sostegno
alle autorità civili nel contrastare questi rischi e minacce alla sicurezza.
1.3 L’Approccio strategico alla sicurezza
Nelle circostanze geostrategiche mutate e con una sempre più forte influenza
dei movimenti globali, la politica di difesa della Repubblica di Serbia è basata
sull’approccio integrale e multilaterale ai problemi riguardanti la sicurezza e la
difesa. Le basi della politica di difesa della Repubblica di Serbia sono: il suo
orientamento di politica estera euro-atlantica e l’orientamento riguardante alla
partecipazione attiva nel processo di collaborazione e di attività comune con altri
Stati ed i soggetti dei rapporti internazionali nel creare la sicurezza globale,
regionale e nazionale.
Dagli orientamenti strategici provengono gli obiettivi principali della politica di
difesa della Repubblica di Serbia:
- assicurare le capacità necessarie per la difesa e protezione degli interessi vitali
di sicurezza e di difesa;
- il contributo attivo alla salvaguardia della pace e allo sviluppo di un favorevole
ambiente circostante di sicurezza;
- lo sviluppo e l’incremento dei rapporti da partner con il sistema di sicurezza
collettiva, i Paesi vicini ed altri Stati;
- l’adesione e la partecipazione al Programma NATO “Pfp”;.
È necessario realizzare gli obiettivi stabiliti attraverso l’esecuzione dei compiti
della politica di difesa:
13

MASSIMO COLTRINARI
- la riforma e la creazione dei sistema di difesa capace di rispondere ai rischi e
minacce alla sicurezza attuali e futuri;
- la gestione efficace del sistema di difesa;
- il funzionamento stabile del sistema di difesa;
- il raggiungimento dell’interoperabilità con i sistemi di difesa dei Paesi inseriti
nelle integrazioni europee.
Le missioni e compiti delle FF.AA.
La Forza Armata ha un ruolo importante nell’ottenimento degli interessi di sicurezza
e di difesa e degli obiettivi della politica di difesa. Dal punto di vista
della realizzazione degli interessi di sicurezza a lungo termine, è necessario che
la Repubblica di Serbia prossimamente crei le capacità delle FF.AA. per la realizzazione
delle proprie missioni e compiti.
Missione
Compito
1. La difesa della Repubblica di Ser- 1.1 La risposta alle minacce armate
bia dalle sfide, rischi e minacce alla 1.2 La difesa del territorio
sicurezza militari
1.3 La difesa dello spazio aereo
2. La partecipazione alla creazione e 2.1 La partecipazione alla collabora-
alla salvaguardia della pace nella rezione militare internazionale
gione e nel mondo
2.1 La partecipazione alle operazioni
di pace
2.1 La partecipazione al sistema di sicurezza
collettiva
3.L’appoggio alle autorità civili nel- 3.1 L’appoggio alle autorità civili nell’opporsi
alle minacce alla sicurezza l’opporsi al terrorismo e alla crimina-
non militari
lità organizzata
3.2 L’appoggio alle autorità civili in
caso delle calamità naturali, epidemie,incidenti
industriali ed altre disgrazie
La partecipazione delle Forze Armate alla creazione, mantenimento e stabilizzazione
della pace nonché alle operazioni per offrire aiuto umanitario su piano bilaterale
e multilaterale sarà in conformità con la decisione dell’Assemblea Popolare
della Repubblica di Serbia. Le missioni ed i compiti stabiliti delle FF.AA. insieme
ad altri, innanzitutto fattori economici, determinano la sua grandezza, struttura,
funzionamento e livello di capacità per l’esecuzione dei compiti assegnati.
La visione delle Forze Armate 2015
La visione delle Forze Armate 2015 riportata nella Strategia di Difesa è defini-
14

STRATEGIA DI DIFESA DELLA REPUBBLICA DI SERBIA
ta come l’insieme delle posizioni sulle funzioni, organizzazione e risorse necessarie
nel periodo fino al 2015.
Conformemente alle esigenze e alle possibilità della Repubblica di Serbia e la
risolutezza di assicurare la risposta alle future sfide, rischi e minacce, le FF.AA.
si trasformeranno e svilupperanno in una forza armata che avrà le seguenti caratteristiche:
- sarà capace di agire in maniera attiva e preventiva;
- potrà contribuire al rafforzamento dell’intera sicurezza, fiducia e stabilità istituzionale
della Repubblica di Serbia;
- sarà finanziariamente sostenibile;
- sarà integrata nella comunità di sicurezza euro - atlantica;
- rappresenterà il fattore di potere e sicurezza nella regione;
- potrà sviluppare i potenziali per una permanente trasformazione ed adattamento
delle proprie capacità ai nuovi rischi e minacce alla sicurezza;
- rappresenterà un potenziale in senso scientifico-tecnologico ed economico.
Le basi della struttura organizzativa delle Forze Armate 2015 sarà rappresentata
da battaglioni - divisioni - squadriglie.
I principi fondamentali per lo sviluppo delle forze militari, secondo la visione
delle FF.AA. 2015 sono: la capacità di dislocamento, la sostenibilità, la modularità,
la disponibilità, la protezione e il comando e gestione integrati.
Le funzioni delle FF.AA. 2015 saranno adeguate alle sue missioni ed ai compiti
e si raggrupperanno nelle funzioni operative, derivanti dalle missioni e dai
compiti delle FF.AA..
Le funzioni operative delle FF.AA. 2015 comprendono: le operazioni di difesa
dalla minaccia armata, le operazioni multinazionali e le operazioni di sostegno
alle autorità civili.
L’organizzazione delle FF.AA. 2015 stabilisce: i principi dell’ organizzazione, le
limitazioni per la sua progettazione e la struttura organizzativa.
I principi dell’ organizzazione delle FF.AA. 2015 insieme ai principi di funzionamento
del sistema di difesa della Repubblica di Serbia costituiscono un insieme
unico.
I principi fondamentali dell’ organizzazione delle FF.AA. 2015 sono: la professionalità,
la grandezza standard delle forze, la modularità dell’organizzazione, l’interoperabilità,
le priorità dell’ammodernamento e la sostenibilità finanziaria.
Le FF.AA. saranno professionali, dalla riserva attiva e dalla riserva passiva che
si raggrupperanno in due Forze Armate: Forze Terrestri e l’Aeronautica e la Difesa
Contraerea.
L’impiego sarà realizzato attraverso l’organizzazione delle Forze Armate in tre
componenti: la forza di reazione, le principali forze di difesa e le forze di rafforzamento.
La grandezza standard della formazione delle FF.AA. 2015 in tempo di pace sarà
adeguata alle esigenze e possibilità della Repubblica di Serbia e sarà formata da
15

MASSIMO COLTRINARI
circa 0,2%-0,4% della popolazione (circa 16.000 - 32.000 su circa 8 milioni ab.),
prendendo in considerazione la grandezza delle forze armate dei Paesi vicini.
Rispettando la situazione nell’ambiente circostante, le sfide, rischi e minacce
alla sicurezza e le possibilità generali delle risorse demografiche e materiali
nella Repubblica di Serbia il rapporto tra la formazione delle FF.AA. in tempo
di pace e la formazione in tempo di guerra sarà in proporzione 1:3.
La modularità dell’organizzazione sottintende che le unità delle FF.AA. 2015
saranno organizzate e raggruppate in conformità alle esigenze dei compiti
concreti.
L’interoperabilità delle Forze Armate 2015 dipende direttamente dal suo inserimento
nelle integrazioni di sicurezza, e si riferisce alla sua capacità di partecipare
insieme alle forze armate dei Paesi alleati e dei partner alla realizzazione
delle attività comuni.
La sostenibilità finanziaria sottintende che l’organizzazione delle Forze Armate
2015 si adatterà alle possibilità finanziarie della Repubblica di Serbia, adeguando
le esigenze e le possibilità.
Per la realizzazione delle funzioni delle FF.AA. 2015 è necessario sviluppare il
sistema di gestione delle risorse umane che assicurerà: un’efficace selezione dei
candidati, il controllo e lo sviluppo della carriera, la struttura regolare organizzata
secondo l’anzianità e gradi, lo sviluppo della struttura delle risorse umane
adeguata alle missioni e compiti progettati, l’addestramento del personale per
continuare la carriera fuori dall’ambito delle FF.AA.
Le sfide, rischi e minacce moderni alla sicurezza richiedono una struttura di conoscenza
e capacità notevolmente cambiata che si ottiene con la formazione necessaria
e una permanente istruzione. Con le nuove forme di lavoro è necessario
creare il profilo del soldato professionista che è determinato da tre fattori
importanti:
- il nuovo orientamento di valore - la profilatura con i valori che sono determinati
dal sistema di valore a livello nazionale e globale;
- il nuovo approccio alla fisionomia della guerra moderna - con il trasferimento
del punto centrale di conoscenza dalle azioni frontali alle azioni asimmetriche e
non lineari;
- il nuovo approccio ai conseguimenti scientifico-tecnologici - lo sviluppo delle
capacità per l’uso dei sistemi da combattimento moderni nell’ambiente circostante
di rete centrica.
Per la realizzazione delle funzioni delle FF.AA. 2015 sarà applicato il nuovo sistema
di pianificazione, programmazione e finanziamento che dovrà armonizzare
i piani di sviluppo, di ammodernamento, d’equipaggiamento, i piani d’infrastruttura
e dei quadri e le risorse reali.
La prima condizione base per la realizzazione della visione delle FF.AA. 2015 è
che la percentuale degli stanziamenti di fondi per il sistema di difesa sia circa
2,4 % del prodotto lordo sociale della Repubblica di Serbia.
16

STRATEGIA DI DIFESA DELLA REPUBBLICA DI SERBIA
Per la partecipazione delle FF.AA. alle operazioni multinazionali è necessario
assicurare i mezzi finanziari suppletivi, fuori del budget di difesa.
Lo stato del sistema di Difesa
L’attuale struttura organizzativa del Ministero della Difesa è stata instaurata
nel primo trimestre del 2005. Con l’instaurazione dell’organizzazione attuale
del Ministero della Difesa è assicurato il controllo totale civile e democratico
delle FF.AA. e dei Servizi di Sicurezza Militari, sono accelerati i corsi informatici
ed è eliminata la numerosa coincidenza di funzioni e competenze tra il Ministero
della Difesa e dello Stato Maggiore, ereditata dal periodo precedente.
Nonostante il notevole miglioramento rispetto la struttura precedente, l’attuale
struttura organizzativa è caratterizzata dai determinati difetti.
L’organizzazione delle Forze Armate rappresenta una soluzione transitoria che
dovrà assicurare l’instaurazione di un nuovo modello d’organizzazione e questo
creerà le prime condizioni per un effettivo ed efficace funzionamento. Le mancanze
principali dell’organizzazione attuale delle Forze Armate sono: un grande
numero di appartenenti allo Stato Maggiore e alle formazioni ad esso subordinate,
il dimensionamento sproporzionato delle forze operative delle Forze Terrestri,
la complessità delle relazioni e dei rapporti, l’insuccesso del funzionamento
e una sfavorevole struttura dei quadri.
Le mancanze principali della struttura organizzativa delle Forze Armate sono:
l’inadattabilità agli standard moderni delle istituzioni di informazione e sicurezza,
una divisione non chiara delle competenze e responsabilità, un grande
numero di posti di formazione per i lavori comuni nelle unità organizzative subordinate,
un’insufficiente applicazione della tecnologia moderna, una sfavorevole
struttura dei quadri e un inadeguato appoggio logistico.
L’attività di ricerca scientifica è caratterizzata da un cattivo status delle istituzioni
ed esodo dei quadri giovani. Gli elementi del sistema si trovano in diverse
formazioni organizzative del Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore e
questo rende più complesso la gestione del sistema.
Lo status sociale degli appartenenti professionisti delle Forze Armate è in una
permanente decadenza e influisce notevolmente sul lavoro dei comandi e delle
unità. Oltre a questo, è evidente il problema riguardante il provvedimento di
alloggi per gli appartenenti del sistema di difesa. Tutto questo contribuisce all’incremento
del deflusso dei quadri esperti e alla decadenza della popolarità
della professione militare. Finora non è stata dedicata attenzione necessaria alla
gestione delle risorse umane e in questo settore è necessario creare un sistema
che corrisponderà alle esigenze progettate.
L’attuale stato delle risorse umane è caratterizzato da un grande numero di appartenenti
con l’esperienza e la competenza professionale e questo è una buona
base per la pianificazione dello sviluppo delle risorse umane. Oltre a questo, nel
sistema di difesa esiste un grande numero degli appartenenti il cui impiego non
17

MASSIMO COLTRINARI
servirà più e essi dovranno diventare oggetto delle attività con le quali si assicurerà
la sistemazione sociale.
L’analisi delle forze umane della difesa della Repubblica di Serbia comprende
gli indici rilevanti sulla grandezza numerica e sulle caratteristiche qualitative
principali dei quadri nel Ministero della Difesa e nelle Forze Armate. La grandezza
numerica del sistema di difesa è di circa 45 000 appartenenti. Una grandezza
numerica cosi grande è la conseguenza dei fatti che nel sistema di difesa
esistono anche i sub sistemi che qui funzionalmente non appartengono. L’età
degli appartenenti professionisti del sistema di difesa è sfavorevole e non assicura
lo sviluppo delle risorse umane richieste. Questo si riferisce, sopratutto,
agli ufficiali e al personale civile.
L’attuale stato di ripartizione dei gradi è sfavorevole e non è in conformità con
le soluzioni applicate nei sistemi di difesa dei Paesi membri della NATO. È, soprattutto,
evidente una notevole sproporzione tra il numero degli ufficiali che
rivestono i gradi di tenente colonnello e colonnello rispetto i gradi inferiori. Il finanziamento
insufficiente ed irregolare ha causato molte conseguenze negative
che si riferiscono, sopratutto, alle risorse materiali e questo può influire permanentemente
sullo stato delle capacità generali delle forze di difesa. Le Forze Armate
sono dotate di armamento ed equipaggiamento non adeguato.
L’infrastruttura del sistema di difesa rappresenta una parte dell’infrastruttura
ereditata che era dimensionata ed organizzata per uno spazio geografico diverso.
Questo ha come conseguenza che il volume, la superficie e l’uso dello spazio
e delle strutture superano le esigenze reali della struttura delle nuove Forze
Armate .
Le Forze Armate sono lo scheletro delle capacità delle forze di difesa. Le Forze Armate
sono articolate in comandi, unità ed istituzioni a livello strategico, operativo
e tattico. Le Forze Armate sono composte dalle Armi e dai Servizi. Le Forze Armate
sono integrate e rappresentano dei gruppi relativamente autonomi formati
dalle Forze Terrestri e Aeronautiche e dalle unità delle Armi e dei Servizi.
Nelle Forze Armate non esiste un unico sistema di comando e informazione sviluppato
che assicurerebbe un’efficace pianificazione, organizzazione e impiego
delle forze nonché il controllo sull’attuazione delle decisioni. I sistemi di informazione
parziali soddisfano le esigenze di alcune parti del sistema di difesa. Il
livello di organizzazione e di equipaggiamento tecnico del sistema di comando
non soddisfa le condizioni per l’adesione alle strutture di sicurezza euroatlantiche.
Questo problema si nota particolarmente al livello di comando tattico.
Il sistema di comando nelle Forze Armate non è ancora normativamente - legalmente
e tecnicamente adeguato con il sistema di gestione - di comando in altre
istituzioni del settore di sicurezza è questo influisce sostanzialmente sull’esecuzione
dei compiti.
Per promuovere il sistema di comando sono necessarie notevoli cambiamenti
strutturali e funzionali, gli investimenti finanziari e l’ammodernamento del
18

STRATEGIA DI DIFESA DELLA REPUBBLICA DI SERBIA
processo di educazione dei quadri e di addestramento dei comandi a tutti i livelli
di comando.
Le capacità necessarie del sistema di difesa entro il 2015
e le priorità dello sviluppo
In futuro le Forze Armate, oltre alla maggior parte dei compiti, eseguiranno anche
i compiti che sono in conformità con il ruolo delle forze militari nelle operazioni
di pace. Con la previsione del livello di sforzo delle forze militari si creano
i presupposti iniziali per la definizione delle capacità necessarie. Per la realizzazione
dei compiti sono definiti i livelli di prontezza.
I livelli di prontezza rappresentano i parametri di partenza per la definizione
del completamento con il personale in tempo di pace e l’equilibrio del rapporto
tra la formazione attiva, la riserva attiva e la formazione di riserva. Per un’efficace
realizzazione delle missioni e compiti assegnati alle Forze Armate e la risposta
necessaria alle sfide, rischi e minacce alla sicurezza, durante lo sviluppo
delle capacità e strutture militari è necessario rispettare alcuni orientamenti
strategici:
- basare lo sviluppo delle Forze Armate sul controllo civile e democratico;
- prevedere a lunga durata le sfide, rischi e minacce alla sicurezza nonché le capacità
necessarie per una corretta risposta agli stessi;
- assicurare uno stabile finanziamento del sistema della difesa al fine di sostenere
le di forze;
- creare forze flessibili, multiuso, veloci, equipaggiate con mezzi moderni ed
addestrate per l’esecuzione dei compiti nelle diverse condizioni di tempo e di
spazio;
- sviluppare le forze di reazione, le forze di difesa principali e le forze di rafforzamento;
- raggiungere il livello di interoperabilità necessario con le forze armate dei
Paesi membri della NATO e del Programma “PfP”;
- aspirare alla riduzione del numero dei livelli di comando, ottimizzare il numero
dei collegamenti e definire precisamente le competenze e responsabilità di
tutti gli elementi organizzativi;
- gestire la nuova struttura di forze in base ai principi, procedure e metodologia
di pianificazione operativa;
- disporre di strumenti per il rapido avvertimento e la prevenzione delle crisi;
- sviluppare il sistema di gestione di risorse umane che assicurerà la struttura
dei quadri necessaria, lo status necessario degli appartenenti alle FF.AA. e rendere
possibile la loro socializzazione durante il termine del servizio militare
professionale.
In base ai rischi, sfide e minacce alla sicurezza stimati e alle missioni e compiti
delle FF.AA. sono determinate le capacità del sistema di difesa necessarie e le
forze per la realizzazione di queste capacità.
19

MASSIMO COLTRINARI
Fino al 2015 la struttura dell’organizzazione del Ministero della Difesa sarà
cambiata al fine di instaurare la gestione del sistema di difesa più razionale ed
efficace. Particolare attenzione sarà dedicata all’adeguamento funzionale ed
una migliore interconnessione sia con altri ministeri competenti sia con le istituzioni
degli alleati e partner.
La nuova struttura dell’organizzazione sarà instaurata entro il 2007 e dovrà
assicurare il funzionamento più razionale del Ministero. I cambiamenti principali
nell’organizzazione del Ministero della Difesa entro il 2007 sono: l’instaurazione
della struttura funzionale del Ministero della Difesa, la razionalizzazione
dei posti di lavoro e il rapporto equilibrato tra il numero dei militari
e dei civili.
Oltre ai cambiamenti dell’organizzazione nel Ministero della Difesa, entro la fine
del 2007 saranno effettuati dei cambiamenti importanti anche nelle parti
dell’organizzazione che sono subordinate al Ministero. Le Istituzioni Militari
redditizie (alberghi fabbriche di armi) saranno trasformate in società economiche.
I sistemi di istruzione e di sanità saranno dimensionati in conformità con i
criteri negli appositi sistemi della Repubblica di Serbia e criteri che si applicano
nelle Forze Armate dei Paesi nella Regione. Dopo l’instaurazione della nuova
struttura dell’organizzazione, lo stato numerico della parte direttiva del Ministero
della Difesa sarà di circa 650 persone, mentre lo stato numerico delle
parti dell’organizzazione subordinate al Ministero della Difesa, escluso lo Stato
Maggiore, sarà di 6350 persone.
Nel periodo dal 2008 al 2012 il Ministero della Difesa si baserà sulla struttuta
costituita nel 2007. I cambiamenti dell’organizzazione saranno, sopratutto, indirizzati
verso la razionalizzazione del funzionamento del Ministero e delle parti
dell’organizzazione ad esso subordinate la quale si attuerà, prevalentemente,
attraverso la riduzione del numero dei dipendenti. Il cambiamento nell’organizzazione
del sistema di informazione e di sicurezza deve assicurare il funzionamento
più razionale del sistema e il dimensionamento ottimale di tutti i suoi
elementi. La nuova organizzazione del sistema di informazione e di sicurezza
sarà instaurata entro la fine del 2007, mentre la sostanza dei cambiamenti rappresenterà
la riformazione dell’Agenzia di Informazione Militare e dell’Agenzia
di Sicurezza Militare in conformità con le necessità di inserimento nelle integrazioni
euroatlantiche. La struttura e la grandezza numerica degli elementi
del sistema di informazione e di sicurezza saranno determinati dalla competenza
definita dalla Legge nel contrastare i rischi e minacce alla sicurezza della
Repubblica di Serbia.
Nel periodo dal 2008 al 2012 i cambiamenti dell’organizzazione nel sistema di
informazione e di sicurezza saranno prevalentemente indirizzati verso l’integrazione
delle funzioni dell’Agenzia di Informazione Militare e dell’Agenzia di
Sicurezza Militare e la formazione di un unica agenzia di cui la grandezza numerica
sarà circa il 2% di grandezza numerica del sistema di difesa.
20

STRATEGIA DI DIFESA DELLA REPUBBLICA DI SERBIA
Lo sviluppo dell’organizzazione delle Forze Armate
La nuova struttura di macro organizzazione delle Forze Armate, instaurata nel
2007, dovrà assicurare l’esecuzione più efficace e razionale delle missioni e compiti
della Forze Armate nonché un ottimale dimensionalità di tutte le sue formazioni
operative. I cambiamenti principali nell’organizzazione delle Forze Armate
saranno:
- l’instaurazione di una nuova organizzazione dello Stato Maggiore che sarà
adeguata alle esperienze dei Paesi membri della NATO;
- all’interno dello Stato Maggiore sarà formato il Comando operativo congiunto
con il compito principale riguardante il comando alle Forze Armate e il congiungimento
delle attività delle Forze Armate, delle Armi e delle forze per le operazioni
speciali;
- sarà instaurata l’organizzazione della Forza Armata; i comandi delle Forze Armate
eseguiranno il comando funzionale alle proprie formazioni e saranno i responsabili
dell’addestramento e della preparazione per l’uso delle unità;
- la base della struttura dell’organizzazione delle Forze Armate a livello tattico
sarà costituita dalle brigate, le basi e le unità autonome;
sarà instaurato il sistema di sostegno logistico adeguato alla nuova struttura
dell’organizzazione della Forza Armata;
- sarà instaurata la struttura dei quadri adeguata alle esperienze dei Paesi
membri della NATO.
Dopo l’instaurazione della nuova struttura dell’organizzazione, la grandezza
numerica della Forza Armata ammonterà a 27 000 persone. Inoltre, sarà instaurata
anche la nuova struttura dei quadri che sarà formata da: il 15% di ufficiali,
il 25 di sottufficiali, il 45% di militari e il 15% di personale civile.
Nel periodo dal 2008 al 2012 la Forza Armata tratterà la struttura di macro organizzazione
instaurata nel 2007. Il punto centrale dei cambiamenti dell’organizzazione
sarà concentrato sulla creazione delle condizioni per una totale professionalizzazione
della Forza Armata entro la fine del 2012. La grandezza numerica
della Forza Armata alla fine del 2010 ammonterà a 21000 persone.
Con la realizzazione dei cambiamenti dell’organizzazione menzionati sarà instaurata
una struttura della Forza Armata che sarà adeguata alle sfide, rischi
e minacce alla sicurezza attuali nonché alle missioni e compiti stabiliti. Inoltre,
sarà instaurato un rapporto più reale tra la grandezza numerica della Forza
Armata e le possibilità economiche del Paese che assicurerà la struttura delle
spese più favorevole nel sistema di difesa.
Nel periodo fino al 2012 saranno realizzati i cambiamenti importanti nella
struttura dell’organizzazione dell’Esercito. L’obiettivo principale dei cambiamenti
sarà l’instaurazione dell’organizzazione dell’Esercito che sarà adeguata
alle sfide, rischi e minacce alla sicurezza esistenti e futuri nonché alle possibilità
economiche del Paese. Con la struttura dell’organizzazione dell’Esercito instaurata
nel 2007, l’Esercito sarà formato da: Un comando, quattro brigate del-
21

MASSIMO COLTRINARI
l’Esercito, una brigata d’artiglieria mista, la brigata speciale, la compagnia fluviale,
il centro di addestramento e un determinato numero di altre unità direttamente
subordinate al Comando dell’Esercito.
Con la realizzazione dei cambiamenti dell’organizzazione sarà sciolto un notevole
numero delle unità tattiche dell’Esercito. Dato che la nuova organizzazione
assicurerà un notevole miglioramento dell’efficacia ed efficienza nell’esecuzione
dei compiti stabiliti dell’Esercito, la riduzione del numero delle unità e dei posti
di formazione non influirà negativamente sulla prontezza di combattimento totale
dell’Esercito. Dal 2008 al 2012 si continuerà con i cambiamenti nella struttura
dell’organizzazione dell’Esercito. La sostanza di tali cambiamenti rappresenterà
lo scioglimento di alcune unità tattiche e conversione di una parte delle
forze ad un livello di prontezza più basso.
Entro il 2012 nell’Aeronautica Militare e nella Difesa Contraerea saranno realizzate
cambiamenti importanti. L’obiettivo di tali cambiamenti è la creazione
di Forze Aeronautiche e di Difesa Contraerea adeguate, equipaggiate, addestrate
e organizzate meglio, capaci di reagire ed intervenire in modo veloce ed efficace
nonché di partecipare alle operazioni comuni con le Forze dei Paesi alleati
e partner. La nuova struttura dell’organizzazione dell’Aeronautica e della Difesa
Contraerea sarà instaurata nel 2007. L’Aeronautica e la Difesa Contraerea
sarà costituita da : Un comando, due basi aeree, una brigata missilistica di Difesa
Contraerea, un Centro per l’informazione, un Centro di addestramento e
un determinato numero di altre unità direttamente subordinate al Comando
dell’Aeronautica e della Difesa Contraerea. Dal 2008 al 2012 si continuerà con i
cambiamenti qualitativi e quantitativi nell’organizzazione dell’Aeronautica e
della Difesa Contraerea. Questi cambiamenti comprenderanno la riformazione
di due basi aeree e della brigata missilistica della Difesa Contraerea.
Lo sviluppo della logistica
In conformità con la futura riforma del sistema di difesa, sarà instaurato un sistema
di sostegno logistico adeguato all’entità e compiti delle FF.AA..
Le istituzioni sanitarie militari saranno dimensionate in conformità al numero
degli assicurati, agli standard della Repubblica di Serbia e dei Paesi inseriti
nelle integrazioni euroatlantiche nonché alle specificità dell’ esecuzione delle
singole missioni e compiti della Forza Armata. Sarà intensificato e stimolato il
lavoro delle istituzioni sanitarie sul mercato dei servizi sanitari al fine di assicurare
la copertura di una parte delle spese.
Il dislocamento delle unità della Forza Armata sarà basato sulla rete di strutture
militari permanenti generalmente fuori dai grossi agglomerati urbani.
I fondi ricavati dalle vendite e dalla conversione dell’infrastruttura militare,
degli immobili e dei mezzi mobili in eccedenza saranno utilizzati per sostenere
la riforma del sistema di difesa. Il processo delle vendità e conversione si realizzerà
con la collaborazione diretta del Ministero della Difesa con altri Ministeri
22

STRATEGIA DI DIFESA DELLA REPUBBLICA DI SERBIA
competenti del Governo della Repubblica di Serbia, mentre i reditti saranno indirizzati
verso l’ammodernamento dei mezzi e degli equipaggiamenti, la sistemazione
dei complessi militari e agli alloggi .
Dal 2008 al 2012 il sistema della logistica seguirà la riforma del sistema di difesa
con un continuo miglioramento ed ottimizzazione dell’organizzazione e l’adeguamento
della grandezzza numerica delle parti dell’organizzazione.
Lo sviluppo delle risorse umane
Lo sviluppo delle risorse umane sarà basato sul rispetto delle esperienze straniere
e locali. Inoltre saranno rispettate le specificità del sistema di difesa.
Con la proiezione delle forze del sistema di difesa per il 2012 è necessario instaurare
un struttura necessaria e sostenibile nonché il rapporto più uniforme
tra singole categorie dei quadri. La riduzione della grandezza numerica sarà
pianificata, rispettando le esigenze del sistema difesa e interessandosi dei dipendenti.
È necessario pianificare attentamente in base alle categorie, l’intero
processo dell’uscita dei quadri dal sistema di difesa e cercare una soluzione accettabile
di sistemazione sociale. All’atto di riduzione del numero dei sottufficiali
e del personale civile è molto probabile che la Legge prevederà che una
parte di essi, in conformità con le esigenze del servizio, passano nella categoria
dei militari a contratto.
Anno Numero del personale nel sistema di difesa
Ufficiali Sott.li Militari Militari Personale Totale
a contratto di Leva civile
2006 7449 9318 5378 11041 11994 45180
2007 5100 8150 6800 6450 7500 34000
2010 4000 6600 10600 0 5300 26500
Conformemente alle disposizioni della Convenzione sul rispetto dei diritti umani,
la parità dei diritti tra i sessi e le esperienze dei Paesi membri della NATO e
del Programma PfP sarà intensificato il processo della creazione di condizioni
per una maggiore partecipazione delle donne nella struttura degli appartenenti
professionisti della Forza Armata.
Il problema della sistemazione del surplus dei quadri supera le risorse del Ministero
della Difesa ed è necessario che nel processo della risoluzione di tale problema
vengono inseriti altri soggetti e risorse della società. Per un’efficace professionalizzazione
della Forza Armata è necessario instaurare un nuovo sistema
di completamento delle unità e tenere presente alcuni orientamenti strategici:
- definire il profilo, i criteri e le capacità necessarie del militare professionista
in conformità con la nuova struttura delle forze, missioni e compiti;
23

MASSIMO COLTRINARI
- prevedere premi per chi presta il servizio militare con armi, i militari che dopo
il termine della leva rimangono come professionisti nella Forza Armata oppure
in riserva attiva;
- In tale modo sarà assicurata, senza maggiori conseguenze per il sistema di difesa,
una graduale professionalizzazione della Forza Armata e la razionalizzazione
dei mezzi finanziari destinati all’addestramento e all’indennizzo;
- Sarà instaurato un nuovo modello di risoluzione del “problema alloggio” per i
dipendenti nel sistema di difesa. Nel corso di svolgimento del servizio militare
professionale si provvederà agli alloggi di servizio oppure al pagamento delle
spese di affitto per gli ufficiali e sottufficiali. La modalità principale di una permanente
sistemazione “alloggiativa” degli appartenenti al sistema di difesa si
troverà nel sistema di concessione di crediti “allogiativi”sovvenzionati. Per la risoluzione
permanente di un grande numero di richieste da parte degli appartenenti
attivi e pensionati che non dispongono di una abitazione, entro il 2012 si
applicherà anche un modello supplementare di risoluzione del “problema alloggio”
(la concessione dei terreni militari presso le località cittadine periferiche
adatte per una convenzionale costruzione edilizia individuale e collettiva) nonché
la concessione di crediti sovvenzionati.
L’obiettivo principale della riforma del sistema d’istruzione e di specializzazione
è l’adeguamento del programma d’istruzione e specializzazione alle esigenze
del sistema di difesa, l’adeguamento al sistema d’istruzione nella società e l’incremento
dell’efficacia del processo formativo. L’istruzione e la specializzazione
nell’Accademia Militare, oltre all’istruzione tecnico-militare specialistica , devono
assicurare anche l’apprendimento delle conoscenze tecniche e dei titoli che
sono riconosciuti nel ceto cittadino, considerano il fatto che una parte di ufficiali
non terminerà la sua carriera lavorativa nel sistema di difesa.
La riforma del sistema di istruzione e di specializzazione comprenderà l’abbandono
del concetto di istruzione di un anno per sottufficiali. I sottufficiali saranno
formati dai militari a contratto cha hanno frequentato le Scuole superiori civili,
l’addestramento e il corso basico presso i centri di addestramento.
Il quadro di ufficiali potrà crearsi con la formazione presso le Facoltà civili con
un supplementare addestramento per gli incarichi nel sistema di difesa. Inoltre,
al fine di sviluppare le capacità per la partecipazione alle attività comuni
con le Forze degli Alleati e partner , una parte del quadro di ufficiali sarà
istruita e specializzata presso le scuole militari e le accademie all’estero.
A causa delle esigenze riguardanti all’addestramento per un concreto incarico
superiore saranno organizzati gli studi e specializzazioni post laurea. I studi
post laurea saranno organizzati presso l’Accademia Militare e l’Accademia Medica
Militare con adattamento del loro programma alle necessità attuali e future
del sistema di difesa.
La riforma del sistema di difesa richiede anche i cambiamenti notevoli nell’addestramento.
I cambiamenti devono avere come risultato un sistema di adde-
24

STRATEGIA DI DIFESA DELLA REPUBBLICA DI SERBIA
stramento che sarà efficace, funzionale e adattato alle sfide, rischi e minacce alla
sicurezza attuali e future nonché alle missioni e compiti della Forza Armata
e dell’intero sistema di difesa. Inoltre il sistema di difesa deve essere indirizzato
verso il raggiungimento degli standard di interoperabilità che assicurerà l’esecuzione
dei compiti nell’ambito del sistema di sicurezza collettiva oppure in
collaborazione con questi sistemi.
Saranno formati i centri di l’addestramento di base dei militari. Inoltre saranno
formati i centri di addestramento nei quali si svolgerà l’addestramento specialistico
dei militari ed i corsi per i sottufficiali e ufficiali. La dinamica della
professionalizzazione dei quadri rappresenta il fattore importante che influisce
sulla dinamica della riforma del sistema di addestramento. Conformamente
al livello di professionalizzazione della Forza Armata il punto centrale nell’addestramento
sarà spostato dall’addestramento dell’individuo all’addestramento
della unità.
Lo sviluppo del sistema di telecomunicazione e informazione
Per poter soddisfare le esigenze di comando nel tempo reale, la protezione delle
informazioni ed l’implemetazione dei sistemi di comando e informazione, il sistema
di telecomunicazione ed informazione deve subire un notevole ammodernamento
tecnico che richiede l’inserimento dei nuovi sistemi di telecomunicazione
e informazione di tipo modulare nella componente mobile e stazionaria.
L’ammodernamento tecnico della componente mobile richiede un totale equipaggiamento
con i nuovi sistemi, mentre l’ammoderanmento della componente
stazionaria richiede l’ammodernamento dell’infrastruttura attuale a livello di
Forza Armata.
Nel sistema di telecomunicazione e informazione si realizzeranno i cambiamenti
dell’organizzazione il cui obiettivo principale sarà l’integrazione delle componenti
mobili e stazionarie del sistema e la riformazione di altri elementi. Con i
cambiamenti dell’organizzazione si creeranno le prime condizioni per il funzionamento
più razionale del sistema di telecomunicazione e informazione.
Lo sviluppo del sistema dell’attività di ricerca scientifica
Nel periodo fino al 2012 si realizzeranno grandi cambiamenti nel sistema di ricerca
scientifica. L’obiettivo principale dei cambiamenti sarà l’instaurazione
dell’organizzazione che sarà adeguata alle esigenze e alle possibilità del sistema
di difesa, mentre il cambiamento più importante sarà la riunione delle istituzioni
di ricerca scientifica, ovvero delle risorse, al fine di migliorare l’efficacia
e il successo di loro lavoro.
Le priorità dello sviluppo, dell’ammodernamnto e dell’equipaggiamento
con l’equipaggiamento militare
Durante la definizione delle priorità dello sviluppo, rivitalizzazione, ammoder-
25

MASSIMO COLTRINARI
namento ed equipaggiamento con l’equipaggiamento militare entro il 2012 sono
stati presi in considerazione i seguenti fattori:
- la nuova struttura delle forze della Forza Armata;
- la necesità di salvaguardare le capacità attuali e di creare quelle nuove, compresa
la capacità di esecuzione dei compiti nell’ambito delle operazioni di creazione
e salvaguardia della pace nel mondo;
- i mezzi finanziari pianificati;
- l’analisi qualitativa dell’armamento e dell’equipaggiamento militare che sono
attualmente in uso operativo.
Nel periodo fino al 2012 le priorità interesseranno: i sistemi di comando-informazione
di livello tattico dell’Esercito, il centro per il controllo della sovranità
dello spazio aereo ed i nuovi tipi di mezzi micidiali.
Le priorità di rivitalizzazione e ammodernamento fino al 2010 riguarderanno i
velivoli da caccia e da trasporto (Mig-29,An-26), elicotteri da combattimento e
da trasporto, il sistema missilistico della Difesa Contraerea kub, gli obici semoventi
e il munizionamento per i mezzi d’artiglieria. È necessario ammodernizzare
una parte di elicotteri per sviluppare le capacità di volo nelle codizioni
complesse e per poter partecipare al lavoro del servizio di ricerca e salvataggio.
Nel periodo fino al 2010 le priorità nell’acquisto dei nuovi mezzi di equipaggiamento
militare saranno la fornitura dei mezzi e sistemi di telecomunicazione e
informatica, dei sistemi elettronici per l’esplorazione, raccolta, elaborazione e
distribuizione dei dati di informazione, dell’equipaggiamento per la protezione
dei militari e dei mezzi militari per le unità speciali.
I fondi previsti per il finanziamento del sistema di difesa entro il 2012 non rendono
possibile l’acquisto di nuovi velivoli e sistemi missilistici e nemmeno di
equipaggiamento militare per le esigenze delle forze per le operazioni di pace.
Per questo è necessario assicurare i fondi supplementari per poter equipaggiare
le unità dell’Aeronautica e della Difesa Contraerea con i velivoli da combattimento
multiuso, velivoli da trasporto, elicotteri da combattimento e da trasporto
nonchè sistemi missilistici di media gittata nonché le forze per le operazioni
di pace con un necessario numero di veicoli da trasporto e da campo.
La previsione delle spese del sistema di difesa
La previsione delle spese per la struttura del sistema di difesa progettata è stata
fatta secondo il modello che comprende tre categorie di spesa:
- spese personali;
- spese operative;
- spese d’investimento.
Le spese personali comprendono: gli stipendi, il rimborso per il trasporto, l’indennità
di licenziamento o pensionamento, il rimborso supplementare in caso
di svolgimento di un servizio speciale, l’indennità per la vita separata dalla famiglia,
l’indennità per le spese di affitto aumentate, i premi.
26

STRATEGIA DI DIFESA DELLA REPUBBLICA DI SERBIA
Le spese operative comprendono: le spese di addestramento, le spese per gasolio
e lubrificanti, le spese di manutenzione dell’armamento ed equipaggiamento
militare, le spese di vito e alloggio, le spese per l’abbigliamento, le spese di
viaggi di servizio ed altro, le spese di manutenzione delle strutture ed edifici, le
spese di servizi energetici, comunali, di comunicazione, le spese di cambiamenti
dell’organizzazione nei comandi, unità ed istituzioni, le spese di affito dei palazzi,
strutture ed altri beni.
Le spese d’investimento comprendono: le spese di sviluppo del nuovo armamento
ed equipaggiamento, le spese di ammodernamento dell’armamento ed equipaggiamento
attuale, le spese di acquisto di nuovo armamento ed equipaggiamento
e le spese di costruzione degli edifici dell’infrastruttura.
Per assicurare entro il 2012, oltre alla professionalizzazione e alla riduzione
della grandezza numerica, un livello necessario di capacità del sistema di difesa
ed i fondi per il finanziamento del fondo per l’assicurazione sociale dei militari
(SOVO - fondo pensioni), è necessario assicurare i fondi dal budget ad un livello
di minimo il 2,4% del prodotto sociale lordo. Il fondo SOVO sarà costituito come
un fondo pensionistico speciale fuori dal sistema di difesa. Per la partecipazione
delle forze nelle operazioni di pace e per l’esecuzione dei compiti straordinari
nel proprio territorio è necessario che il Governo della Repubblica di Serbia assicuri
i mezzi finanziari supplementari.
La conclusione
I cambiamenti dell’organizzazione nel sistema di difesa saranno svolti in due
fasi. La prima comprendeva il periodo dal 2006 al 2007, mentre la seconda dal
2008 al 2012.
Il periodo dal 2006 al 2007 ha rappresentato la fase critica della riforma del sistema
di difesa, considerano che da una parte sarà caratterizzata dalle condizioni
politiche, di sicurezza e materiale-economiche estremamente complesse e
dall’altra parte dall’universalità e radicalità dei cambiamenti. Con la realizzazione
della prima fase dei cambiamenti dell’organizzazione sarà instaurata la
struttura del sistema di difesa che sarà adeguata alle sfide, rischi e minacce alla
sicurezza attuali nonché alle missioni e compiti della Forza Armata stabiliti.
Inoltre, sarà instaurato un rapporto più favorevole tra le esigenze del sistema
di difesa e le possibilità economiche del Paese.
Nel corso del 2007 si sono creti i presupposti per l’applicazione di un nuovo sistema
di pianificazione e finanziamento adattato alle soluzioni nei Paesi membri
delle integrazioni euroatlantiche.
Il periodo dal 2008 al 2012 rappresenta la fase della riforma del sistema di difesa
nella quale avverà il suo cambiamento sostanziale. Dopo la seconda fase
dei cambiamenti dell’organizzazione, il sistema di difesa funzionerà sulle basi
sostanzialmente diverse che renderanno possibile la realizzazione dei compiti
stabiliti più efficace e proficua. Le sue caratteristiche importanti saranno la
27

MASSIMO COLTRINARI
flessibilità e la parziale interoperabilità con le forze armate dei Paesi alleati e
partner.
La riforma della difesa della Repubblica di Serbia sottintende il cambiamento
universale del sistema di valori, il cambiamento della regolamentazione dottrinale
e normativa nonché della struttura delle forze. L’obiettivo di tali cambiamenti
è una migliore protezione degli interessi della Repubblica di Serbia dalle
forme di minaccia alla sicurezza moderne. In tale senso il contenuto del processo
delle riforme è diretto verso alcune direzioni: (1) le integrazioni euroatlantiche
della Repubblica di Serbia e l’instaurazione di un partenariato strategico,
(2) la definizione della regolamentazione costituzionale, legale e dottrinale nel
settore della difesa, (3) i cambiamenti strutturali e funzionali del sistema di difesa
e delle Forze Armate, (4) il reclutamento l’istruzione del personale, (5)
l’ammodernamento delle Forze Armate ed altre istituzioni del sistema di difesa
e il suo equipaggiamento con l’armamento ed attrezzature moderni, (6) i cambiamenti
nel sistema di addestramento dei militari, capi, comandi e unità, (7)
l’innovamento della preparazione per la difesa e (8) altri diversi programmi che
si realizzano secondo le priorità. Se queste attività saranno realizzati, il sistema
di difesa e le Forze Armate potranno trasformarsi, attraversando un processo
continuativo, in uno nuovo stato qualitativo.
La condizione per un’ efficace implementazione di queste prese riformistiche sostanziali
nel settore della difesa è l’unione degli sforzi di tutte le strutture del
sistema di difesa con appoggio da parte delle strutture dello Stato. Per il successo
del processo di riforma sono necessari un continuo ed efficace “management”
del Ministero della Difesa e un universale impiego delle istituzioni della
Repubblica di Serbia prevalentamente nell’applicazione del programma sociale,
l’ammodernamento, la sistemazione “alloggiativa” degli appartenenti del sistema
di difesa e nell’mettere a disposizione il surplus dei beni militari in funzione
della risoluzione di questi problemi.
28

NOTE E DISCUSSIONI
La memoria della strage delle Fosse Ardeatine:
il caso del processo Priebke
Michela Ponzani
Il 5 maggio del 1994 grazie ad un servizio della televisione americana ABC
News veniva scovato a Bariloche, una cittadina dell’Argentina, l’ex capitano
delle SS Erich Priebke 1 . Data la notizia il governo Berlusconi, mediante il ministro
di Grazia e Giustizia, il liberale Alfredo Biondi, aveva immediatamente richiesto
l’estradizione del criminale di guerra al governo argentino di Carlos Menem
2 . Il governo italiano appena eletto aveva infatti bisogno di un evento che ne
risollevasse l’immagine nell’opinione pubblica, visto che la formazione di un gabinetto
che per la prima volta nella storia repubblicana portava al potere gli ex
fascisti di AN aveva suscitato, e non solo in Italia, accese polemiche.
Berlusconi sperava così di utilizzare il caso Priebke per risollevare la propria immagine
collusa con gli elementi del neofascismo, eredi della politica di Almirante
e responsabili di alcune delle più terribili stragi in Italia negli anni ’60 e ’70.
Tuttavia anche il governo argentino di Menem aveva bisogno di un cambio di
immagine visto “l’atteggiamento sfrontatamente filonazista e antisemita che
aveva caratterizzato decenni di regime totalitario” 3 . Il caso Priebke era dunque
per il capo di governo ex peronista, così come per il nuovo Presidente del Consi-
1 Nel 1993 il governo argentino aveva deciso di aprire gli archivi segreti relativi all’ondata di immigrazione
nazista del dopoguerra e un produttore di Hoolywood, tale Harry Phillips, aveva pensato
ad un possibile scoop mediante interviste ad ex nazisti. Uno dei nomi eccellenti rintracciato fu quello
di Erico Priebke, residente a Bariloche, che risultava essere un ex nazista di una certa importanza,
avendo avuto responsabilità di comando in via Tasso a Roma durante la guerra. Con uno stratagemma
riuscì ad intervistarlo e Priebke ammise senza reticenze la sua identità ed il suo passato.
L’intervista venne mandata in onda il 5 maggio 1994 nella TV Prime Time Line.
2 Tuttavia fin dal 1989 il governo italiano era a conoscenza dell’esistenza di Erich Priebke dato che
i cacciatori di nazisti Serge e Arno Klarsfield avevano riferito al Ministero degli Esteri italiano la
presenza dell’ex tenente delle SS nella cittadina di Bariloche. L’interesse dell’Italia dunque per
quello che avrebbe dovuto essere un processo alla storia del nazismo era del tutto determinato dalle
contingenze politiche del momento
3 R. Katz, Dossier Priebke. Anatomia di un processo, Rizzoli, Milano 1996, p. 83.
SECONDO RISORGIMENTO D’ITALIA, n. 1/2011
29

MICHELA PONZANI
glio Berlusconi, il pretesto per rompere con un imbarazzante passato. Tuttavia
sarebbe passato molto tempo prima dell’inizio del processo contro l’ultimo responsabile
dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, iniziato a Roma presso il Tribunale
militare di viale delle Milizie, l’8 maggio del 1996. Difatti la battaglia per ottenere
l’estradizione durò un anno e mezzo e solo il 2 novembre del 1995, la
Corte suprema argentina accolse la richiesta del governo italiano. Durante i
mesi che avevano preceduto l’estradizione in Italia, su pressione del ministro
della Giustizia Bianco, si era sviluppata una forte campagna a sostegno dell’ex
criminale nazista da parte dei membri della comunità argentina nella quale
egli aveva vissuto per cinquant’anni; molti erano quelli che sostenevano la sua
onestà, la sua aria bonaria, la sua vita da illustre cittadino, impegnato nella vita
della comunità con la fondazione della scuola tedesca argentina. Priebke
avrebbe cercato di sfruttare a suo favore questa campagna di benevolenza, ammettendo
davanti ai giornali di mezzo mondo di non essersi affatto pentito di
ciò che era accaduto il 24 marzo del ’44. Nel maggio del 1996 in una intervista
rilasciata ad un settimanale italiano molto popolare, Priebke avrebbe più volte
sostenuto di non sentirsi affatto un criminale, di avere sempre vissuto tranquillo
e di aver obbedito solo agli ordini di guerra. 4 Riprendendo una tesi molto cara
alla destra italiana, Priebke sostenne fin dall’arrivo nel carcere di Forte Boccea
e per tutto il processo che quella delle Ardeatine era stata una rappresaglia
legittima e che i veri responsabili della strage erano in realtà i partigiani colpevoli
di non essersi costituiti alle autorità tedesche. Questa diceria fu sostenuta
da esponenti della destra estrema, da noti giornalisti e anche da oscuri personaggi
della Roma popolare come la cartomante Mary Pace, detta anche “dama
delle rose rosse” che avrebbe sostenuto l’illustre detenuto durante tutto il periodo
di detenzione, almeno fino alla rottura dei rapporti con l’ex nazista, fino a rivelarsi
la sua peggiore accusatrice. La pietà provata dalla donna nei confronti
dell’ex nazista era dettata dal fatto che “fin da ragazzina aveva provato compassione
per il vinto e quando aveva cominciato a leggere storie della seconda
guerra mondiale si era trovata spesso dalla parte dei tedeschi” 5 .
Il processo all’ultimo criminale di guerra tedesco divenne così l’ennesimo pretesto
per mettere sotto accusa tutta la resistenza attraverso la condanna dell’azione
di via Rasella: vennero riprese tesi note e ormai smentite dai processi che
i gappisti avevano affrontato dopo la guerra, quella della responsabilità dei
partigiani per aver provocato azioni di rappresaglia e quella della inutilità del-
4 Kappler mi ordinò: uccidine un paio anche tu, in “Oggi”, 18 maggio 1996.
5 R. Katz, Dossier Priebke, cit., p. 139. Priebke sostenne la tesi della necessità per un soldato di obbedire
agli ordini anche alla sua amica e sostenitrice che scrisse un libro su di lui dal titolo Erich ed
io. La donna dopo aver saputo delle menzogne che il suo amico le aveva raccontato a proposito della
sua innocenza, decise di rivelare ai giornali che l’avvocato Di Rezze, il difensore di Priebke, le aveva
confidato di essere certo che l’imputato avrebbe ottenuto la libertà, poiché si erano espressi favorevoli
a questa soluzione anche il Presidente del Tribunale militare e il giudice Rocchi.
30

LA MEMORIA DELLA STRAGE DELLE FOSSE ARDEATINE: IL CASO DEL PROCESSO PRIEBKE
l’azione di via Rasella ai fini della liberazione del paese e della vittoria in guerra.
Il giornalista più illustre d’Italia, Indro Montanelli, divenne uno dei maggiori
artefici della campagna di messa in accusa di via Rasella, insieme a tanti
fantomatici storici del periodo della resistenza, promotori della tesi del terrorismo
comunista e di un complotto del PCI volto ad eliminare l’antifascismo non
comunista, 6 tesi quest’ultima sostenuta da Marco Pannella, il leader del Partito
Radicale per il quale “Bentivegna e la Capponi operarono una precisa strategia
politica. L’attentato di via Rasella era stato concepito proprio per far scattare la
rappresaglia” 7 . Nel maggio del 1996 intervenendo a sostegno della proposta del
rabbino capo di Roma, Elio Toaff, che aveva auspicato gli arresti domiciliari per
l’imputato, Montanelli affermava sul più importante quotidiano italiano che
[…] La maggioranza silenziosa, sia ebrea che cristiana, vuole il processo alle Fosse
Ardeatine, ed a ciò che esse hanno rappresentato nel grande Olocausto; non ad
un povero vecchio che non ebbe il coraggio di diventare un eroe opponendo agli
ordini un rifiuto di obbedienza che avrebbe sortito un solo certissimo risultato:
quello di aggiungere alla lista dei 335 massacrandi un altro nome, il suo 8 .
Le dichiarazioni dell’ex tenente colonnello delle SS suscitarono in Italia una vasta
eco, tanto da influenzare un’opinione pubblica ormai stanca di un passato
così ingombrante e per nulla preparata ad affrontare ricordi che mettessero in
crisi la cattiva coscienza di molti. L’assurdo clima di giustificazionismo e di pietà
per un povero vecchio che aveva dovuto obbedire agli ordini in tempo di guerra
sarebbe tornato ad animare il dibattito durante il processo con la ripresa dei
temi di accusa contro la resistenza, questa volta non più frutto della politica accusatoria
della destra missina ma da parte delle firme più note del giornalismo
italiano 9 . Tuttavia viste le difficoltà per le procedure di estradizione nel settembre
del ’94 una delegazione di parenti delle vittime delle Ardeatine 10 rappresentata
dall’ANFIM si era recata in Argentina per sensibilizzare l’opinione pubblica
a non ostacolare quello che avrebbe dovuto essere l’ultimo processo per crimini
di guerra ad un nazista, colpevole non solo della strage delle Ardeatine ma
rappresentante, con la sua arroganza e sfrontatezza, di quel clima di potere e di
razzismo sul quale il regime nazista si era formato. Tuttavia nonostante il Con-
6 Cfr., M. Spataro, Rappresaglia. Via Rasella e le Ardeatine alla luce del caso Priebke, cit., p. 250.
7 Ibidem, p. 203.
8 I. Montanelli, Io sto dalla parte del rabbino Toaff, in “Corriere della Sera”, 18 maggio 1996.
9 Fu proprio durante il processo Priebke che il quotidiano di Vittorio Feltri “Il Giornale” pubblicò
delle false fotografie di via Rasella dopo l’attentato, riprendendo la tesi cara alla propaganda antipartigiana
del dopoguerra degli 11 civili rimasti uccisi nell’attentato. La campagna giornalistica del
quotidiano fu molto suggestiva con le immagini della testa del bambino Pietro Zuccheretti morto
accidentalmente lì il 23 marzo del ’44 e scatenò una campagna accusatoria verso la Resistenza.
10 Della delegazione facevano parte Giulia Spizzichino, che nell’eccidio aveva perso 7 parenti, Marco
Giustiniani, nipote di Antonio Giustiniani e Marcello Gentili, legale delle famiglie per conto dell’ANFIM.
31

MICHELA PONZANI
siglio municipale di Bariloche si dichiarasse a favore dell’estradizione e vicino
agli ideali “giudaico cristiani” dei familiari e nonostante il magistrato argentino
Leonida Moldes avesse accettato la richiesta del governo italiano, la Corte suprema
argentina si dichiarò a favore del procedimento di estradizione solo il 2
novembre 1995, e il 20 Priebke partiva dall’eden che lo aveva ospitato per cinquant’anni
alla volta dell’Italia. Il primo mandato di cattura per l’ex capitano
delle SS, membro della Gestapo di Roma risaliva al 25 novembre del 1946 con
l’accusa di responsabilità diretta nella strage delle Fosse Ardeatine. L’ex nazista
era riuscito a fuggire dal campo di prigionia di Rimini e attraverso il porto
di Genova, tramite la concessione di documenti falsi da parte della Croce Rossa,
aveva lasciato l’Italia. Secondo l’inchiesta aperta dal Procuratore Militare Intelisano,
che avrebbe preso parte al processo Priebke come Pubblico Ministero, e
stando anche alle dichiarazioni di Karl Hass, l’ex maggiore delle SS, nel dopoguerra
non solo gli ex nazisti accusati di crimini di guerra erano riusciti a fuggire
dai paesi che avrebbero voluto processarli, ma molti di loro erano stati assoldati
nei servizi segreti italiani, oltre a quello di Bonn e nella CIA. Nell’immediato
dopoguerra così le ragioni di Stato della guerra fredda non solo avrebbero
impedito di celebrare i processi contro cittadini tedeschi accusati di crimini di
guerra, naturalmente per non mettere in cattiva luce la Germania democratica,
ma avrebbero condotto ad un reclutamento nello spionaggio internazionale di
molti questi criminali in funzione antisovietica. Lo stesso Karl Hass 11 aveva ricevuto
dai servizi italiani un cognome di copertura ed aveva potuto rimanere a
Roma e poi a Milano; sotto questa falsa identità, aveva lavorato in contatto con
gli uomini di Junio Valerio Borghese, ex comandante della X MAS, ai preparativi
di un colpo di Stato da attuarsi in Italia qualora le sinistre e i comunisti
avessero vinto le elezioni del 1948 12 . A rendere possibile la fuga e il reclutamento
degli ex nazisti dai paesi nei quali erano stati accusati di crimini di guerra
era stata l’organizzazione Odessa, creata dal M16, il servizio di controspionaggio
britannico, per salvare dai tribunali alleati alcuni criminali nazisti particolarmente
utili al Regno Unito. Naturalmente il Vaticano aveva appoggiato questa
rete clandestina che dall’Italia, attraverso la Spagna e il Portogallo avrebbe
portato alla fuga di centinaia di nazisti. La “Rat line”, la via dei topi come era
11 Il nome dell’ex maggiore delle SS Karl Hass era stato menzionato dallo stesso Priebke durante
l’interrogatorio nel campo di prigionia alleato di Afragola come uno dei presenti alla strage. Il PM
Intelisano decise pertanto di rintracciarlo come testimone nel processo a carico di Priebke. Il caso
Hass avrebbe portato alla luce una terribile verità sulla storia della Repubblica nata dalla Resistenza,
quella di un paese che per entrare nella NATO non solo aveva rinunciato a processare i criminali
di guerra tedeschi, come voleva la Germania, ma aveva anche utilizzato nei servizi di intelligence
questi individui per fare la guerra alla Russia sovietica.
12 “Liberazione”, 30 aprile 1997. Hass era stato un agente di alto livello nei servizi degli Stati Uniti
ed era stato reclutato dal CIC (Counter Intelligence Corps) che aveva preso parte insieme al movimento
di estrema destra “Ordine Nuovo” ad alcuni dei più gravi attentati dinamitardi in Italia durante
il periodo della strategia della tensione.
32

LA MEMORIA DELLA STRAGE DELLE FOSSE ARDEATINE: IL CASO DEL PROCESSO PRIEBKE
stata chiamata in codice, era stata organizzata fin dalla liberazione di Roma
dal vescovo di Genova Giuseppe Siri, un uomo di fiducia di Pio XII, in stretto
collegamento con 22 prelati del servizio segreto Vaticano, su istruzione di padre
Felix Morlion, fondatore del centro di informazione “Pro Deo” 13 . I nazisti venivano
nascosti in vari conventi con l’aiuto dei buoni uffici dell’OSS, che si sarebbe
occupato anche del reclutamento degli ex Repubblichini di Salò. 14 La realizzazione
del piano di fuga di centinaia di criminali di guerra tedeschi avveniva
attraverso il Consolato argentino di Trieste dal quale arrivavano i passaporti
falsi procurati dalla CRI. Un agente dell’OSS dava per buoni questi documenti
falsi e forniva le carte d’imbarco per l’America latina. L’obbiettivo di Odessa era
articolato in cinque parti: riabilitare gli ex membri delle SS nelle professioni
della RFT, infilarsi all’interno dei partiti politici, corrompere giudici e legali per
evitare la condanna di elementi utili al reclutamento nei servizi di intelligence
e propagandare nel popolo tedesco l’idea che i soldati delle SS non fossero altro
che elementi scelti e patriottici dell’esercito sconfitto 15 . Dell’aiuto dell’organizzazione
avrebbe approfittato anche Annelise Kappler per organizzare la fuga
del marito dall’ospedale militare del Celio 16 . Fu lo stesso Hass a dichiarare ad
un giornale romano che dopo la fuga del 15 agosto 1977 Kappler si era incontrato
a Soltau, nella Bassa Sassonia con lui, Schutz, Clemens Domizlaff, Quapp
e Priebke, ribattezzati dal PM Intelisano i “ragazzi del coro”, coloro che erano
responsabili di avere eseguito materialmente la strage delle Ardeatine. Secondo
le dichiarazioni del PM Intelisano dunque nel dopoguerra avevano lavorato per
la Repubblica italiana, nata dalla resistenza, bande di torturatori e di assassini
arruolati nei servizi di intelligence in funzione antisovietica. Del resto il capo
dell’OSS in Italia dal ’43 al ’47, il capitano James Jesus Angleton, aveva favorito
l’introduzione di esponenti dei corpi speciali e delle forze armate della RSI
nel servizio di sicurezza della CIA dato il piano di creare un vero e proprio esercito
clandestino anticomunista con il compito di vegliare le sorti della politica
italiana e di intervenire con brusche alzate di testa ogni qual volta le sinistre
minacciassero di andare al potere. Difatti nel dopoguerra i servizi segreti americani
erano preoccupati delle sorti della fragile politica italiana, che all’interno
della propria compagine aveva la presenza del più forte partito comunista d’Europa.
La maggior preoccupazione, per il controspionaggio americano, era che l’Italia
subisse le sorti dei paesi dell’est data la presenza dei comunisti che in virtù
della loro partecipazione alla lotta di liberazione rivendicavano un posto nella
politica di governo del paese. In una informativa ricevuta dal comando di Angleton,
gli ufficiali dell’OSS avevano dichiarato l’utilità dei neofascisti nella
13 La strada del topo: Odessa e il soccorso nero, in “Avvenimenti”, 3 luglio 1996.
14 Ivi.
15 Ivi.
16 W. Settimelli, Spie naziste al soldo dei servizi segreti italiani. Ora c’è un’inchiesta, in “la Repubblica”,
15 giugno 1996.
33

MICHELA PONZANI
guerra al comunismo definendoli “elementi ai quali si doveva permettere di rientrare
nella vita politica italiana per continuare a dare il loro contributo per la
sconfitta del comunismo” 17 . I servizi di intelligence operanti in Italia proponevano
dunque al governo americano di “entrare in trattativa con i neofascisti e
sostenerli ricevendone in cambio il completo controllo della situazione politica
italiana” 18 .
Insomma la strategia dello Stay Behind offrì agli ex criminali di guerra la possibilità
di fuggire ai processi che li avrebbero condannati a pene severe e favorì
la verità su molti dei retroscena del processo Priebke, capo della sezione del
controspionaggio della Gestapo nel ’44. Secondo le prime ipotesi che iniziarono
a circolare con l’inizio del processo infatti la fuga dei nazisti all’estero era stata
una specie di interscambio tra il capo delle SS in Italia Wolff e Pio XII: esisteva
infatti un accordo che avrebbe garantito la fuga dei criminali di guerra se il comando
delle SS avesse rilasciato alcune persone, i cui nomi erano parte di una
lista fornita dal Vaticano allo stesso Wolff. 19 Era questa la ragione per la quale
al momento della fuga da via Tasso, con l’arrivo degli alleati a Roma, Kappler
aveva deciso di lasciare nella prigione alcune persone e di caricarne sui camion
altre. Solo i 14 fucilati alla Storta furono portati al massacro dato che secondo
le spiegazioni ufficiali erano stati inclusi nelle liste di coloro che avrebbero dovuto
essere deportati in Germania, data la loro attività nel controspionaggio alleato.
Dopo la fuga di Roma Priebke si era trasferito prima a Verona e poi a
Brescia come comandante della sezione locale della Gestapo. Il 19 marzo del ’45
si era trasferito a Vipiteno con la moglie e di figli ma era stato arrestato dalla
polizia alleata e rinchiuso in un campo di prigionia a Rimini, fino al 31 dicembre
del ’46 da dove era stato tradotto a Roma per essere coimputato nel processo
contro Kappler e gli altri ex ufficiali nazisti. Ma era fuggito grazie all’aiuto di
padre Pancrazio Pfeiffer e si era stabilito a San Carlos de Bariloche nel 1954
con la moglie ed i figli, una cittadina della Patagonia nella quale era presente
una grande comunità di ex criminali nazisti dove l’ex capitano grazie ai suoi
gradi militari era riuscito ad emergere, tanto da diventare Presidente dell’associazione
culturale tedesca argentina. Bariloche era dunque […] una piccola
Germania, puntigliosamente ricostruita; un paradiso per uomini e donne fuggi-
17 Decima Mas contro i rossi. Il piano USA dopo la guerra, in “la Repubblica”, 9 febbraio 2003.
18 Ivi. Tuttavia già dal 1945 Angleton aveva strappato dalle mani della giustizia partigiana il comandante
della X MAS Junio Valerio Borghese che era stato trasportato fino a Roma su mezzi di
trasporto americani travestito da soldato americano. I documenti dell’OSS che testimoniano il recupero
nei servizi americani degli ex fascisti e nazisti, citati nell’articolo, si troverebbero negli Archivi
nazionali degli Stati Uniti, nel Maryland.
19 Cfr., G. Angelozzi Gariboldi, Pio XII, Hitler e Mussolini, cit., pp. 251-254. Secondo l’autore l’incontro
tra Wolff e Pio XII era stato combinato da Virginia Agnelli, vedova di Edoardo Agnelli, su
suggerimento di Dollmann, nel tentativo di salvare i tedeschi dalla ritirata. L’incontro era stato auspicato
dallo stesso Hitler, il quale sperava in un intervento del papa presso le potenze occidentali
per un accordo di pace.
34

LA MEMORIA DELLA STRAGE DELLE FOSSE ARDEATINE: IL CASO DEL PROCESSO PRIEBKE
ti dalle ceneri del Reich Millenario, e dove, si dice, il compleanno di Hitler continua
a essere festeggiato dietro porte ben chiuse, e uniformi della Gestapo pendono
come nuove accanto agli scheletri in molti armadi 20 .
Secondo le affermazioni di Jorge Camarasa, autore di un libro sull’organizzazione
Odessa, questa non era nient’altro che una delle 750 organizzazioni naziste
sparse in tutto il mondo, che attraverso un itinerario chiamato “catena dei
conventi” aveva favorito la via di fuga per migliaia di nazisti, tra i quali Martin
Bormann, segretario di Hitler, e Adolf Eichmann. Il 21 novembre 1995 Erich
Priebke arrivava in Italia per essere sottoposto a processo e data l’accusa di crimine
di guerra fu deciso di sottoporlo a giudizio di un Tribunale militare. Difatti
il processo non poteva tenersi avanti ad una Corte d’Assise con l’imputazione
di crimini contro l’umanità perché la legislatura relativa al genocidio era stata
introdotta in Italia solo nel 1967 e non poteva pertanto essere applicata retroattivamente.
Durante l’interrogatorio avvenuto subito dopo l’estradizione in Italia
da parte del Giudice per le indagini preliminari (GUP), Giuseppe Mazzi, il 7
dicembre del ’95, Priebke era stato sottoposto ad un confronto con le dichiarazioni
fatte durante il periodo di detenzione al campo di prigionia alleato di Afragola:
l’ex nazista dichiarò di essere arrivato in Argentina nel 1948, di essere venuto
a Roma nel 1980 con il suo nome e di essersi incontrato con Hass 21 . Riguardo
le sue competenze all’interno dell’Aussenkommando dichiarò di essere
stato inviato da Berlino nel 1941 come ufficiale di collegamento all’ambasciata
tedesca di Roma, per aiutare Kappler nel suo lavoro di tipo amministrativo. Dopo
l’8 settembre l’ambasciata aveva chiuso e si era formato il comando di via
Tasso. Priebke sosteneva di essere entrato nella polizia politica nel dicembre
del 1936, presso l’Ufficio stampa, come traduttore e nel marzo-aprile del ’37 di
essere stato trasferito nell’ufficio polizia stranieri e ufficiali di collegamento, su
idea di Heydrich capo della polizia tedesca, che voleva porre un ufficiale di collegamento
in tutte le ambasciate tedesche sottoposte all’occupazione militare 22 .
Secondo queste dichiarazioni Priebke negava di aver fatto carriere nella polizia
politica delle SS, di essere stato il braccio destro di Kappler e di aver partecipato
alle torture nel carcere di via Tasso, dato che secondo l’imputato, far parte
dell’ufficio di collegamento significava svolgere un lavoro amministrativo e protocollare.
Stando al suo racconto Priebke non aveva avuto alcun addestramento
di polizia e solo dopo essere stato trasferito a Roma, aveva frequentato un corso
per ufficiali della durata di nove mesi che gli aveva permesso di entrare nelle
SS con il titolo di commissario di prova, con il grado di tenente. Il corso di 9 mesi
che l’ex tenente aveva tenuto permetteva così di iniziare la carriera da uffi-
20 “Avvenimenti”, 18 luglio 1996.
21 Verbale dell’interrogatorio ad Erich Priebke da parte del Giudice per le indagini preliminari, in
Archivio ANFIM.
22 Verbale dell’interrogatorio ad Erich Priebke nel campo di prigionia ad Afragola, in Archivio AN-
FIM.
35

MICHELA PONZANI
ciale o funzionario di grado più alto come commissario di polizia 23 . Tuttavia le
dichiarazioni di Priebke furono smentite, dopo la clamorosa sentenza di assoluzione,
dallo storico Lutz Klinkhammer secondo il quale Priebke non era affatto
il soldato qualunque che aveva dichiarato di essere ma aveva svolto il lavoro
più delicato di tutto il comando delle SS di Roma, l’ufficiale addetto allo schedario
dei nemici ideologici 24 . Il lavoro di Priebke consisteva infatti nell’aggiornare
la mappa della resistenza a Roma e dintorni. Secondo alcuni documenti americani
citati dallo storico l’ex nazista aveva fatto parte della IV sezione dell’SD, il
controspionaggio delle SS, ipotesi convalidata anche dal testimone Peter Tompkins,
membro dell’OSS nel ’44 e dallo storico Walter Leszl. Il comando di Roma
aveva sei sezioni: la prima e la seconda si occupavano di logistica, la terza era il
reparto informazioni, la IV detta anche Gestapo era il reparto operativo, di controspionaggio
che teneva le liste dei nemici ideologici, mentre la V era la polizia
criminale, la VI distaccata a Villa Wolkonski, faceva dello spionaggio. Questa
sua presenza nella IV sezione inoltre si conciliava perfettamente con il lavoro di
interprete e di ufficiale di collegamento. La storia di Erich Priebke e della sua
adesione ad una organizzazione spietata come quella delle SS rimane, secondo
lo storico, piena di misteri data la sua formazione: difatti “in genere gli ufficiali
delle SS erano tutti laureati. Lui no, faceva il cameriere prima di entrare nella
polizia. Una carriera strana quasi straordinaria” 25 tanto da far supporre che
fosse entrato prestissimo nella polizia politica a Berlino, simbolo di assoluta fedeltà
ai principi del nazismo. Pertanto il fatto di appartenere alla sezione del
controspionaggio nella polizia di Roma era segno di una funzione importante
all’interno del sistema. Riguardo la strage delle Ardeatine le dichiarazioni di
Afragola avrebbero costituito durante il processo la tesi della difesa: a cinquant’anni
di distanza dall’eccidio Priebke sosteneva ancora di aver dovuto obbedire
ad un ordine militare proveniente dallo stesso Hitler, e data la particolare benevolenza
che la teoria dello stato di necessità di obbedienza agli ordini godeva
nell’ambiente militare, questa tesi avrebbe influenzato la corte circa una possibile
assoluzione dell’imputato in base ad alcune attenuanti.
La prima sentenza del processo Priebke, nell’agosto del ’96, riprese lo stesso impianto
di quella del 20 luglio 1948, che aveva dichiarato la criminosità della
strage delle Ardeatine, ma aveva condannato il solo Kappler per aver egli superato
la proporzione stabilita nella rappresaglia aggiungendo 10 persone in più
rispetto a quelle 320 previste da Mälzer, ed aveva assolto i coimputati nel processo
per aver eseguito ordini superiori. Quella sentenza aveva dichiarato legale
23 Priebke era addetto al servizio di sicurezza di Roma, presso il comando di Kappler. In base alle
sue dichiarazioni aveva contatti con il Ministero dell’interno e con l’ambasciata
24 Nazi !, CD ROM, “Il Manifesto”, numero speciale gennaio 1997.
25 Intervista rilasciata da Lutz Klinkhammer alla redazione de “Il Manifesto” per la realizzazione
del CD ROM Nazi!. La seconda guerra mondiale, il caso Priebke e le Fosse Ardeatine.“Il Manifesto”,
numero speciale gennaio 1997.
36

LA MEMORIA DELLA STRAGE DELLE FOSSE ARDEATINE: IL CASO DEL PROCESSO PRIEBKE
e legittima la rappresaglia delle Ardeatine perché “pur dichiarando che l’azione
partigiana era stata opera di una formazione militare sancita dal legittimo governo
italiano, i giudici militari reputarono che nel contesto di allora i partigiani
dovevano necessariamente operare nell’ambito della illegalità” 26 . La tesi difensiva
di Priebke si basava sulla sua estraneità alla compilazione delle liste dei condannati
a morte, opera esclusiva dello stesso Kappler e di Schutz, anche se in
base alle dichiarazioni dei testimoni intervenuti al processo Kappler risultava
che Priebke avesse partecipato anche alla preparazione delle liste e non solo all’esecuzione
della rappresaglia il pomeriggio del 24 marzo. Le dichiarazioni rese
davanti al GUP poco prima del processo del ’96, e quella resa davanti al GIP il
21 novembre del ’45 in vista del processo Kappler 27 , erano in netta contraddizione
anche con la sua testimonianza resa il 17 maggio del ’46 nel campo di prigionia
alleato di Afragola, durante il quale aveva confessato di aver lavorato per
tutta la notte del 23 marzo alla compilazione delle liste. Come già durante il processo
di Norimberga la tesi difensiva offerta dai nazisti alle corti internazionali
che li imputavano di crimini di guerra era stata quella di dover obbedire alla
legge dell’obbedienza, una legge militare dura che prevedeva la punizione del
soldato macchiatosi di un comportamento disonorevole e della sua famiglia. Secondo
quanto espresso da Priebke, la minaccia era stata ribadita poco prima dell’inizio
della carneficina alle Ardeatine da un discorso di Schutz, il quale aveva
dichiarato che chiunque si fosse rifiutato di prendere parte ad un ordine proveniente
dallo steso comando generale di Hitler avrebbe dovuto mettersi al posto
dei condannati 28 . Il processo dunque avrebbe riportato all’attenzione pubblica la
questione della legalità degli ordini militari provenienti dall’alto in tempo di
guerra e quello della necessità dell’obbedienza a tali ordini criminali. Durante il
processo oltre al problema giurisdizionale già citato, e cioè se per il processo
Priebke doveva ritenersi competente la Corte di Assise in quanto le imputazioni
riguardavano crimini contro l’umanità, o il Tribunale Militare trattandosi di un
crimine commesso da un militare straniero in zona di guerra, vi era il problema
della partecipazione al processo dei familiari delle vittime, che durante l’udienza
preliminare del 7 dicembre 1995 avevano avanzato la richiesta di potersi costituire
parte civile, nonostante l’articolo n. 270 del codice militare non lo consen-
26 R. Katz, Dossier Priebke, cit., p. 69.
27 Dopo essere stato trasferito a Roma in vista del processo Kappler, Priebke aveva sostenuto di non
aver mai preso parte alla compilazione delle liste dei Todeskandidaten e di essersi limitato ad eseguire
l’ordine della rappresaglia, di fronte al quale non c’era possibilità alcuna di rifiuto, pena la morte.
28 Secondo le dichiarazioni dei coimputati al processo del 1948 era stato lo stesso Kappler ad impartire
l’ordine di effettuare la rappresaglia e a minacciare la condanna a morte in caso di rifiuto. Tuttavia
come si è già visto la minaccia della condanna a morte era del tutto falsa e lo stesso Kappler
aveva dichiarato in un intervista di aver inventato la tesi della punizione militare in caso di mancata
attuazione di un ordine, per creare un precedente giuridico in modo che i suoi compagni non fossero
condannati.
37

MICHELA PONZANI
tisse, poiché vi era la consapevolezza che quella fosse un’occasione straordinaria,
forse l’ultima per rendere giustizia alle 335 vittime delle Fosse Ardeatine. Fu necessario
un intervento della Corte Costituzionale che abrogò l‘articolo citato, una
norma definita relativa e viziata da illegittimità costituzionale, per aprire le porte
alla partecipazione al processo per tutti coloro che “avevano subito un danno
materiale e morale dai fatti dei quali l’imputato doveva rispondere” 29 . Solo dopo
aver risolto questi problemi il 4 aprile del ’96 si procedeva al rinvio a giudizio
dell’imputato davanti al Tribunale Militare di Roma fino all’8 maggio del ’96
quando il processo aveva finalmente inizio.
Il processo si sarebbe svolto in una piccola e angusta sala del Tribunale di viale
delle Milizie che non avrebbe permesso che il processo fosse pubblico, così come
stabilito dalla legge, e che avesse la rilevanza che un processo per crimini di
guerra richiedeva. Il PM Intelisano aveva avvertito il Presidente del Tribunale
militare, Agostino Quistelli, della rilevanza internazionale del caso e della eccezionalità
di celebrare un processo per crimini di guerra, vista l’entità di quelli
dibattuti dalla giustizia militare negli ultimi 28 anni di attività, riguardanti
per lo più furti fuori dalle caserme o provvedimenti disciplinari per militari. Il
processo infatti sarebbe stato seguito dal mondo intero poiché si proponeva “a
conclusione di una lunga serie di processi istruiti contro i nazisti nel periodo
postbellico”, e per questo “sarebbe stato recepito come un momento culminante
di questa seconda metà del secolo” 30 .
Tuttavia il Presidente Quistelli si oppose alla pubblicità del processo tanto da non
permettere la ripresa televisiva nell’aula 31 e non consentì neppure di fronte alla
oggettiva impossibilità di celebrare il processo nella sede da lui preposta data la
mancanza di spazio, di spostare il dibattimento in un altro luogo più adatto. Questa
ostilità dimostrata per un processo che avrebbe visto salire sul banco degli
imputati un criminale accusato di omicidio pluriaggravato e continuato aveva
tutta l’aria di essere una chiara presa di posizione politica a favore dell’imputato
stesso, oltre che una chiara incapacità morale e culturale di capire l’importanza
storica di un tale processo. L’impressione era quella che il Collegio giudicante volesse
limitare la risonanza del processo, dato che ormai era passato tanto tempo
da quel crimine e che il giudizio aveva il compito non di scrivere una pagina di
storia ma di capire se l’imputato fosse colpevole o meno del reato ascrittogli, e in
ogni caso se si potesse mettere in discussione il principio dell’obbedienza di un
soldato ad un ordine militare nonostante il reato di […] concorso in violenza con
omicidio continuato di cittadini italiani per avere, quale appartenente alle forze
29 S. Di Lascio, Il processo a Erich Priebke. Una pagina di vita lunga cinquant’anni, in ANFIM, La
geografia del dolore, cit., p. 251.
30 R. Katz, Dossier Priebke, cit., p. 102.
31 Le riprese del processo furono consentite solo alle telecamere dell’Esercito, che l’ANFIM ha poi
inserito nel suo archivio audiovisivo.
38

LA MEMORIA DELLA STRAGE DELLE FOSSE ARDEATINE: IL CASO DEL PROCESSO PRIEBKE
armate tedesche, in concorso con Herbert Kappler ed altri militari tedeschi, col
medesimo disegno criminoso ed agendo con crudeltà, cagionato la morte di 335
persone per lo più italiani, militari e civili […] con premeditata esecuzione a mezzo
di arma da fuoco in Roma, località Cave Ardeatine, il 24 marzo 1944 32 .
La vicenda Priebke dunque riportò all’attenzione della pubblica opinione alcune
delle questioni più importanti dibattute fin dal processo di Norimberga riguardo
crimini di guerra: il problema della legittimità della rappresaglia, in
parte già chiarito dalla sentenza Kappler, il confine tra l’obbligo previsto dalla
disciplina militare di obbedire ad un ordine e la responsabilità morale per l’attuazione
di un crimine come l’eccidio delle Ardeatine, se le SS andassero considerate,
nella questione delle responsabilità militari, al pari dei soldati dell’esercito
tedesco ed infine se fosse giusto dal punto di vista giuridico processare un
uomo dopo 50 anni trascorsi dal delitto commesso e davanti ad un Tribunale
militare, dato che le SS non avevano mai fatto parte della Wehrmacht 33 . Secondo
l’interessante tesi di Leszl tanto il processo Kappler che quello Priebke non
avrebbero dovuto essere celebrati davanti ad un Tribunale militare perché né il
primo né il secondo erano soldati appartenenti alla Wehrmacht ma membri di
una formazione paramilitare di partito come le SS. Difatti secondo l’articolo
103 della Costituzione italiana si stabilisce che i Tribunali militari in tempo di
pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti
alle forze armate e visto che le SS così come la Gestapo erano dei corpi di polizia
la competenza del giudizio riguardo ad essi non spettava certo alle corti militari.
34 Il 10 luglio del ’96 con il processo in corso la questione della legittimità
della corte militare a giudicare un reato per crimine di guerra, commesso da un
ex appartenente ai corpi di polizia speciali del nazismo, fu avanzata dal legale
della Comunità ebraica di Roma, l’avvocato Bisazza Terracini e dagli altri avvocati
delle parti civili, dopo la deposizione a favore della pubblica accusa dello
storico e maggiore dell’esercito tedesco Gehrard Schreiber. Il 3 giungo 1996
questi infatti saliva sul banco dei testi per smontare tutto l’impianto della difesa
dell’imputato. Secondo le ricerche che lo storico aveva fatto presso l’archivio
di Friburgo risultava non solo che Priebke era divenuto membro delle SS il 20
settembre 1937, quattro mesi dopo il decreto di Himmler sulla possibilità di far
questo passaggio, ma che il principio da lui adottato del Füehrernenbelf era del
32 Atti del Processo Priebke, in Archivio ANFIM.
33 La differenza tra la Wehrmacht e le SS, riguardo la loro natura e la divisione dei compiti nei territori
occupati sono state già illustrate nel capitolo precedente. La testimonianza dello storico tedesco
Gehrard Schreiber avrebbe chiarito ulteriormente questa differenza che però non aveva impedito
ai membri delle SS di sottostare allo stesso codice penale militare tedesco che prevedeva la possibilità
di disobbedire ad un ordine anche a coloro che appartenevano a corpi speciali. L’applicazione
della stessa legge era dovuta alla possibilità posta fin dal 1943 di garantire ad un membro dell’esercito
di trasferirsi nelle SS.
34 Cfr., W. Leszl, Priebke anatomia di un processo, cit., pp. 190-191.
39

MICHELA PONZANI
tutto falso. Lo storico citò in aula molti casi di rifiuto di obbedienza individuale e
collettiva ad un ordine impartito dall’alto, secondo quanto era previsto nel paragrafo
47 del codice penale militare tedesco, che Priebke conosceva benissimo dato
che secondo la testimonianza di un ufficiale della seconda guerra mondiale, raccolta
da Schreiber,“tutti gli ufficiali, fino al capo di un plotone, dovevano teoricamente
avere conoscenza di questo paragrafo” 35 . Lo storico citò poi i casi 36 di alcuni
membri delle SS che si erano rifiutati di eseguire ordini criminali, mettendo in
crisi il concetto del Befehlsnotstand, il principio per il quale un militare tedesco si
trovava costretto ad eseguire l’ordine per non mettere in pericolo la propria vita.
Dalle carte dell’archivio di Ludwigsburg risultava che un certo Karl Erny, membro
dell’ufficio della polizia di sicurezza dell’SD a Trieste nel ’43, che si era rifiutato
di partecipare ad una rappresaglia contro i partigiani non era incorso in nessun
procedimento disciplinare. Secondo Schreiber non esisteva, riguardo la strage
delle Ardeatine, neppure un ordine proveniente da Hitler che giustificasse la
rappresaglia, né tanto meno l’obbligo di obbedire a tale ordine perché la proposta
di fucilare 10 italiani per ogni tedesco era venuta da Roma, era stata approvata
da Hitler ed eseguita a Roma. Dunque non c’era nessun Führerbefehl 37 . Un’altra
questione che si presentò durante il dibattimento in aula fu quella relativa alla
ricusazione del Presidente del Tribunale Quistelli da parte del PM Intelisano. Difatti
trapelò la notizia che nel giugno del ’96, subito dopo l’inizio del processo e
quindi senza ancora gli elementi per poter emettere un giudizio, il Presidente
Quistelli avesse dichiarato in via confidenziale al generale dei carabinieri Francesco
Mosetti che tutto quel baccano introno al processo Priebke era quanto mai
inutile perché si poteva trattare tutt’al più di un omicidio colposo plurimo e che i
fatti del 24 marzo erano ormai scomparsi dalla memoria collettiva occupata in altre
questioni. Il fatto fu molto grave e portò il PM Intelisano ad esprimere una
istanza di ricusazione a Quistelli, dato che se un giudice esprime un giudizio sulla
natura del reato prima ancora che questo abbia avuto inizio viene a mancare la
certezza dell’imparzialità perché chi è chiamato da emettere un giudizio deve essere
assolutamente imparziale. Il Presidente non considerò neppure la richiesta e
la stessa Corte d’Appello militare con una ordinanza del 3 luglio del ’96 giudicò
ingiustificata la ricusazione 38 . Il processo dunque continuò con l’ammissione da
parte del Tribunale di una gran quantità di testimoni dell’accusa e delle parti civili,
la maggior parte dei quali avrebbero riferito sulla loro esperienza nel carcere
di via Tasso dove Priebke aveva operato, ritenuta dalla corte sostanzialmente
35 Processo Priebke, C. Dal Maso, S. Micheli (a cura di), cit., p. 143.
36 Schreiber riportò l’articolo di un americano che aveva esaminato 85 casi di ufficiali che si erano rifiutati
di obbedire ad esecuzioni capitali e in nessun caso il loro rifiuto aveva portato alla pena di morte.
37 Testimonianza di Schreiber al processo Priebke, udienza del 3 giugno 1996, in Archivio Audiovisivo
ANFIM.
38 S. Di Lascio, Il processo a Erich Priebke. Una pagina di vita lunga cinquant’anni, in ANFIM, La
geografia del dolore, cit., p. 252.
40

LA MEMORIA DELLA STRAGE DELLE FOSSE ARDEATINE: IL CASO DEL PROCESSO PRIEBKE
estranea al processo 39 . I testimoni della difesa furono quattro ma solo uno venne
ascoltato, l’avvocato Giorgio Angelozzi Gariboldi che aveva difeso la nipote di Pio
XII al processo contro Robert Katz. Non venne invece ammesso quello che forse
poteva ritenersi il testimone più importante: il colonnello Dietrich Beelitz, capo
operazioni di Kesselring, che avrebbe potuto riferire su come era stata decisa la
rappresaglia. Secondo la corte le testimonianze dei testi non fornirono grandi rivelazioni
rispetto a quello che già si sapeva poiché i testimoni indugiavano a descrivere
l’atmosfera di via Tasso e riferivano di un Priebke torturatore come le altre
SS, senza rivelare alcun particolare riguardo la presenza dell’imputato sul
luogo dell’eccidio delle Ardeatine. Il super teste dell’accusa, Riccardo Mancini, ex
partigiano socialista, riferì di schiaffi, pugni e calci, definiti dalla difesa dell’imputato
roba di ordinaria Questura. Priebke arrivò addirittura a smentire le dichiarazioni
del teste rivelando ad un giornale che se il Mancini, allora partigiano
accusato di gravi reati, fosse stato realmente presente in via Tasso, il 24 marzo
1943 sarebbe stato fucilato alle Ardeatine 40 . Secondo la Corte tuttavia accertare
che Priebke fosse stato o meno un torturatore, non poteva avere alcuna importanza
ai fini processuali, salvo che per delineare la personalità dell’imputato. Difatti
l’assurda teoria della Corte era che questi non era sotto processo per ciò che aveva
fatto in via Tasso, bensì per l’uccisione di 335 ostaggi alle Cave Ardeatine, come
se avere avuto una diretta responsabilità nelle torture commesse in quel luogo
non fosse già un crimine, come se la sua appartenenza alle SS non rendesse
uguale il suo lavoro sia nelle sevizie fisiche e psicologiche ai detenuti di quel posto
sia nelle esecuzioni alle Ardeatine. Meno che mai era sotto processo il nazismo,
come il Pubblico Ministero aveva sottolineato ad apertura del dibattimento,
bensì l’ufficiale tedesco che aveva, in concorso con altri, eseguito la rappresaglia.
Il processo subì una svolta quando il P.M. Intelisano riuscì, dopo svariate peripezie
41 , a far testimoniare l’ottantatreenne maggiore Hass, nel ‘44 superiore di
Priebke e compartecipe della rappresaglia. Hass dopo la guerra era stato contattato
dai servizi segreti, americani prima ed italiani dopo, e con essi aveva collaborato.
Infine si era trasferito a Roma dove aveva vissuto per 30 anni sotto falso nome.
Poi si era trasferito ad Albiate e qui aveva ripreso il suo vero nome senza mai
essere disturbato. Hass aveva ammesso in un’intervista ad un giornale romano 42
39 I testimoni dell’accusa furono Riccardo Mancini, ex partigiano socialista che accusò Priebke di
averlo torturato con mezzi chimici e fisici, Elvira Paladini vedova di Arrigo Paldini detenuto a via
Tasso, i supertestimoni Gehrard Schreiber e Peter Tompkins.
40 “Oggi”, 18 maggio 1996.
41 La sera prima della sua deposizione Karl Hass inspiegabilmente si buttò dalla finestra dell’albergo
nel quale risiedeva, fratturandosi il bacino. Interrogato dal PM Intelisano all’ospedale militare
de il Celio ritrattò tutte le accuse che aveva fatto contro Priebke circa la sua partecipazione alla
compilazione delle liste dei Todeskandidaten, e riguardo la sua responsabilità sia nel conteggio delle
vittime sul luogo dell’eccidio, sia nell’esecuzione di queste.
42 “Il Messaggero”,4 giugno 1996.
41

MICHELA PONZANI
di aver partecipato all’esecuzione e di aver eseguito personalmente, come gli altri
ufficiali, due esecuzioni. Durante l’interrogatorio del PM però ribadì di non aver
partecipato alla stesura delle liste, perché era addetto all’ambasciata, ma che
questa era stata compilata da Kappler con l’aiuto di qualcuno, senza specificare
chi fossero o quanti fossero i suoi aiutanti. Riferì ancora della minaccia di Kappler
di mettere al muro chiunque si fosse rifiutato di obbedire all’ordine di fucilare
i Todeskandidaten e che Priebke aveva avuto il controllo della lista dalla quale
aveva depennato i nomi di quelli che scendevano dai camion e che venivano avviati
alla fucilazione. Confermò, quello che tutti sapevano, che cinque uomini non
risultavano inseriti nelle liste e vennero messi da parte. Questa testimonianza
parve ad alcuni decisiva per incolpare Priebke della morte di queste 5 persone ma
in realtà fu utilizzata dall’accusa per definire la responsabilità di Kappler e l’obbedienza
di Priebke ad un ordine. Del resto Hass non poteva sapere per diretta
cognizione se Priebke fosse rimasto fino all’ultimo perché era andato via dal luogo
delle esecuzioni molto prima. Di sicuro si sapeva che Priebke aveva messo da parte
chi non era compreso nella lista e che Kappler li aveva fatti fucilare. Quindi
non si trattò di errore, come risultava al processo Kappler, ma di deliberato proposito.
Ma in tutto questo non si evidenzia una responsabilità specifica di Priebke,
salvo quella, di aver eseguito un ordine. Il 1° agosto del l996 il Tribunale Militare
di Roma pronunciava la sentenza mediante la quale l’imputato Erich Priebke
veniva ritenuto colpevole dei reati ascrittigli ma, ritenute le attenuanti prevalenti
sulle aggravanti, dichiarava doversi ritenere prescritto il reato. Le attenuanti,
erano costituite dalla buona condotta tenuta successiva ai fatti e l’aver
ubbidito ad un ordine superiore. Priebke era di nuovo un uomo libero. Alla lettura
della sentenza per la prima volta sul volto dell’imputato appariva un sorriso
mentre fuori dall’aula, nel corridoio si levavano le urla dei parenti delle vittime
per la decisione di un “Tribunale inadatto a giudicare la storia” 43 . L’imputato, il
suo difensore e le parti civili rimanevano bloccati nell’aula per motivi di sicurezza.
Priebke attendeva impassibile su una sedia il momento della sua liberazione
assediato da una folla inferocita che gridava giustizia, incalzato dalle domande
dei giornalisti che gli chiedevano quale sarebbe stato ora il suo futuro 44 . Ma la
protesta animata da un folla davanti al Tribunale militare avrebbe impedito l’ennesima
fuga del criminale di guerra . L’avvocato Di Rezze uscito dall’aula era stato
subito preso a bersaglio dalla rabbia di coloro che per mesi avevano sperato di
ottenere giustizia per le 335 vittime delle Ardeatine, ed era stato preso di mira
dai ragazzi dei centri sociali con lancio di oggetti ed insulti. I ragazzi giunti in
soccorso dei familiari delle vittime avevano cercato di forzare il cordone delle forze
di polizia a difesa di Priebke e della Corte militare, un cordone che avrebbe
avuto il coraggio di reprimere una folla di donne, anziani che mostravano i segni
43 “l’Unità”, 2 agosto 1996.
44 “la Repubblica”, 2 agosto 1996.
42

LA MEMORIA DELLA STRAGE DELLE FOSSE ARDEATINE: IL CASO DEL PROCESSO PRIEBKE
impressi per sempre di quei campi di sterminio che gli uomini come Priebke avevano
contribuito a realizzare 45 . La polizia ebbe il coraggio di caricare in modo violento per
circa un’ora all’interno di corridoi del Tribunale i parenti delle vittime, i tanti giovani
accorsi lì dopo aver saputo della sentenza, gli avvocati a parte civile e molte persone
anziane, quasi tutti figli delle 335 vittime dell’eccidio 46 . Uno dei familiari delle vittime
disse ad uno dei tanti giornalisti intervenuti nella notte che quella manifestazione
di dissenso anche violenta era dovuta all’arrivo di una sentenza compromissoria e
che i familiari volevano solo giustizia, non vendetta poiché “la giustizia non è vendetta
ma in casi come questi serve a far chiarezza su un fatto storico che cinquant’anni
fa travolse l’Europa” 47 . L’assedio durò tutta la notte mentre la polizia e Intelisano
cercavano di intavolare delle trattative con i familiari delle vittime. Dall’altro lato
della transenna i carabinieri un po’ imbarazzati erano impietriti dalle imprecazioni
degli ebrei del ghetto, i quali urlavano che se ne sarebbero andati via solo da morti.
Intanto il sindaco di Roma Francesco Rutelli accorreva davanti al Tribunale per portare
la sua solidarietà alla folla ed esprimeva parole molto dure contro la sentenza,
che nei giorni seguenti la città avrebbe avuto modo di ribadire nelle tante manifestazioni
di piazza: […] Fino a ieri potevo pensare che se qui sotto, a viale Giulio Cesare,
se avessi incontrato Mengele potevo chiamare un carabiniere e farlo arrestare, consegnarlo
ad un processo e ad una certa condanna. Ora non lo penso più. E se vedessi
Mengele, sarebbe inutile dopo questa sentenza, chiamare un carabiniere perché è
possibile commettere delle stragi, essere riconosciuti colpevoli ma sfuggire alla giustizia
e ritornare liberi cittadini. È un gran brutto giorno per la città di Roma. Disporrò
che si spengano le luci dei monumenti di Roma 48 .
Durante la notte la città di Roma fu vestita al lutto: il Colosseo, i Fori Imperiali,
le piazze di Montecitorio e del Quirinale, rimasero al buio per tutta la notte
mentre l’assedio continuava nella rabbia e nel dolore di coloro che non solo vedevano
uccisi per la seconda volta i loro familiari ma chiedevano giustizia per
essere stati a loro volta delle vittime, vittime perché per anni nella notte si erano
risvegliati all’improvviso dal rumore di passi, vittime perché avevano atteso
invano una giustizia che non era mai arrivata. “Lo Stato ci ha traditi” 49 , fu la
frase più comune pronunciata dagli abitanti del ghetto ebraico di Roma in quei
giorni. Il giorno dopo furono le istituzioni e le forze politiche ad insorgere per la
prima volta nella storia della Repubblica contro una sentenza di Tribunale. Il
Presidente del Consiglio, Romano Prodi, la sera stessa della sentenza si recò al-
45 L’immagine mandata in onda da tutti i telegiornali del giorno dopo era quella di un uomo che durante
le udienze aveva sempre mostrato al passaggio di Priebke il braccio con il numero impresso
sopra, il marchio dell’orrore del nazismo.
46 Testimonianza di Nicoletta Leoni, nipote di Nicola Ugo Stame fucilato alle Ardeatine, resa all’autrice
il 19 novembre 2002.
47 “la Repubblica”, 2 agosto 1996.
48 Ivi.
49 “la Repubblica”, 2 agosto 1996.
43

MICHELA PONZANI
le Ardeatine per chiedere perdono a quei martiri per una scelta della magistratura
che “mette in imbarazzo l’Italia di fronte ai governi e all’opinione pubblica
internazionale”. 50 Nel governo si alzò la voce di Veltroni, che recatosi in visita
alla comunità ebraica aveva dichiarato nella Sinagoga che “il mondo non deve
comunque avere dubbi sul fatto che l’Italia non sorvola sul passato, non cancella
le responsabilità, non dimentica la lezione della memoria” 51 . Il deputato Armando
Cossutta disse durante il dibattito alla Camera che il delitto commesso
da Priebke non sarebbe mai caduto in prescrizione nella coscienza di tutti gli
italiani, e Massimo D’Alema denunciava la vergogna per l’Italia che si era attivata
per l’estradizione di Priebke preso il governo argentino e che, con un esito
già annunciato nei mesi precedenti, aveva dichiarato che un responsabile di
omicidio continuato non fosse punibile 52 . Il dibattito sulla sentenza passava
dalla folla inferocita davanti al tribunale al parlamento dove il sottosegretario
alla Difesa, Massimo Brutti, si spinse nella proposta di abolire i Tribunali militari,
secondo quanto avanzato da una proposta di legge in parlamento dai capi
gruppo di Camera e Senato 53 dopo l’assurda sentenza. Difatti secondo l’articolo
103 della Costituzione italiana era previsto che i Tribunali militari in tempo di
pace avessero giurisdizione soltanto per i reati di militari appartenenti alle forze
armate. Era venuto il momento di rompere con una giustizia antiquata e
“adatta più a giudicare casi di nonnismo o assenze ingiustificate nelle caserme
che un crimine di guerra come quello commesso da Priebke” 54 . Il giorno dopo la
vergognosa sentenza la città di Roma si svegliava in un’insolita calma, quasi in
un momento di riflessione per quelle povere vittime ancora una volta offese. Il 3
agosto 1996, giorno del 16° anniversario della strage di Bologna, fu ricordato in
memoria delle vittime delle Ardeatine, con la rabbia di chi si opponeva alla sentenza
che voleva cancellare la storia. In quell’occasione il Presidente della Camera
Luciano Violante ricordò le “otto stragi degli ultimi trent’anni, i circa
13000 attentati e gli oltre 500 morti e che l’Italia era la patria moderna dell’omicidio
politico” 55 . Il Presidente della Repubblica Scalfaro parlando al Quirinale,
contro una sentenza che “aveva riaperto le piaghe di una ferita contro l’umanità
e contro tutto il popolo italiano” 56 , davanti alla delegazione delle famiglie in
50 Ivi.
51 Ivi.
52 Ivi.
53 I capi gruppo erano, rispettivamente per Camera e Senato, Fabio Mussi e Cesare Salvi entrambi
del Partito dei Democratici di Sinistra.
54 “l’Unità”, 3 agosto 1996. Secondo Massimo Brutti circa il 70% dei casi perseguiti dalla giurisdizione
militare riguardava l’assenza o il rifiuto del servizio militare, mancanza alla chiamata, diserzioni.
Inoltre solo 6 nazioni al mondo avevano mantenuto in vita organi della giustizia militare: il
Brasile, la Repubblica Dominicana, il Messico, la Turchia, il Belgio e l’Olanda. Mentre in Austria e
Germania la giustizia militare era stata vietata dalla Costituzione.
55 Bologna, 2 agosto per le Ardeatine, in “l’Unità”, 3 agosto 1996.
56 Ivi.
44

LA MEMORIA DELLA STRAGE DELLE FOSSE ARDEATINE: IL CASO DEL PROCESSO PRIEBKE
rappresentanza dei parenti delle vittime delle Fosse Ardeatine e della comunità
ebraica di Roma 57 disse che […] il diritto è a difesa dell’uomo, a rispetto della persona
umana ed a difesa e rispetto della storia in quanto vicenda della persona umana.
Quando una manifestazione, qualunque siano le implicazioni giuridiche non attiene
e non rispetta la persona umana, i suoi valori e la sua storia, non è diritto 58 .
Tullia Zevi, la presidente delle comunità israelitiche d’Italia, che aveva dato
sfogo al suo orrore recandosi alle Ardeatine a deporre garofani rossi e bianchi
davanti ai cancelli del Mausoleo, disse che quel Tribunale si era verificato inadatto
a giudicare la storia, che aveva dimostrato di “non avere la preparazione
storica, politica ed umana per esaminare un fatto così grave per la storia del
paese” 59 . Quel giorno a prendere le distanze dal Tribunale della vergogna recandosi
in visita alle Ardeatine erano andati anche Veltroni, Piero Badaloni,
precedente della Regione Lazio, il sindaco Rutelli, il precedente della camera
Violante, il segretario del PDS D’Alema. Il 5 agosto il sindaco Rutelli avrebbe
chiamato la cittadinanza di Roma ad un raduno in piazza del Campidoglio per
ricordare insieme quelle vittime e vivere nella collettività il momento drammatico
del ricordo di quel terribile 24 marzo del 1994. In quell’occasione il sindaco
chiese grazie a Roma, alla città che in un calda serata d’agosto aveva presentato
all’Italia il suo volto più nobile, “grazie per la risposta di forza e compostezza
che la nostra comunità intera ha dato nei momenti più concitati e drammatici
che hanno seguito la sentenza del Tribunale militare[…] grazie per il pellegrinaggio
civile di migliaia e migliaia di persona alle Fosse Ardeatine” 60 . Tuttavia
vi furono anche delle opinioni contro le manifestazioni violente che si erano
avute davanti al Tribunale militare subito dopo la lettura della sentenza che
dava la libertà a Priebke: addirittura vi fu chi definì le manifestazioni della
notte del 1 agosto una intollerabile gazzarra animata non da un senso di giustizia
ma dalla rabbia e dalla sede di vendetta da parte dei familiari delle vittime.
Dimostrazioni che avevano offeso dignità della giustizia e della magistratura
italiana, dato che la sentenza era stata “calpestata e vanificata a furor di teppa
e da interventi politici di stile terzomondista […] dalle esibizioni notturne di
due o trecento teppisti consacrati dalle Tv come rabbia dei romani e grazie a
una classe politica in cerca di facili consensi” 61 . Le polemiche da parte della destra
riguardarono anche la decisione del ministro della Giustizia Giovanni Maria
Flick di ordinare un nuovo arresto dell’imputato appena assolto in base alla
richiesta di estradizione pervenuta da parte della Germania per poter processa-
57 Tra i rappresentanti dei familiari delle vittime delle Ardeatine e della comunità ebraica di Roma
vi erano Tullia Zevi, Giovanni Gigliozzi e Claudio Fano
58 Ivi.
59 “la Repubblica”, 3 agosto 1996.
60 Discorso del Sindaco di Roma Francesco Rutelli, il 5 agosto 1996 a Piazza del Campidoglio a Roma,
in Archivio ANFIM.
61 M. Spataro, Rappresaglia, cit., pp. 247-248.
45

MICHELA PONZANI
re il criminale di guerra. La polemica giuridica riguardo la sentenza derivava
dal fatto che secondo l’opinione di molti giuristi l’eccidio delle Fosse Ardeatine
doveva essere giudicato dalla magistratura ordinaria e non da giudici militari.
Difatti questi ultimi erano competenti per i fatti di violenza derivanti dai casi di
guerra, comunque assimilabili ad operazioni militari, mentre erano di competenza
della magistratura ordinaria le violenze occasionali della guerra, ma estranee
alle operazioni militari, commesse per motivi di persecuzione politica o razziale.
Questi principi infatti erano stati affermati da una sentenza della Sezioni Unite
della Cassazione del 1973 62 , che aveva stabilito la competenza dell’autorità giudiziaria
ordinaria per le stragi della Risiera di San Saba, ove le SS avevano istituito
un campo di concentramento e di eliminazione per ebrei ed oppositori politici.
La strage delle Ardeatine pertanto non poteva essere processata davanti ad
un Tribunale militare, se non altro perché l’imputato non era un soldato ma un
membro delle SS, un civile in divisa che aveva aderito ad una organizzazione
criminale dove era perfettamente possibile che fossero emanati ordini contrari
ad ogni norma di civiltà e perché la stessa magistratura argentina nel concedere
l’estradizione aveva definito la strage un crimine contro l’umanità, un genocidio.
La sentenza che aveva imputato Priebke di “concorso in violenza con omicidio
continuato in danno di cittadini italiani per avere, quale appartenente alle forze
armate tedesche, nemiche dello Stato italiano, […] cagionato la morte di 335 persone”,
63 era stata così viziata dalla logica del diritto militare per il quale “era irrilevante
sentire come testimoni i partigiani seviziati e i parenti delle vittime. A
quei giudici importava solo stabilire se gli ordini impartiti a Priebke erano legittimi
o meno, e se questi era stato determinato a commettere la strage per ordini di
superiori o aveva agito di sua iniziativa” 64 . Dunque la sentenza riportava in auge
il tema già affrontato dal Tribunale internazionale di Norimberga, la responsabilità
dei singoli nella Germania nazista, una responsabilità che Priebke portava
su di sé in tutta la sua gravità non essendo capitato per caso nella condizione
di dovere obbedire ad ordini criminali ma avendo richiesto di entrare in una organizzazione
come le SS da volontario. Nel regime infatti esisteva una responsabilità
dei singoli distinta tra chi si trovava nella condizione di subire la politica del
nazismo e chi sceglieva di servirlo in prima linea collaborando attivamente con
esso. Secondo lo storico Leszl esisteva una certa distinzione tra chi collaborava
con il regime all’interno di organizzazioni statali preesistenti ad esso e chi aderiva
a quelle create dal regime perché in quest’ultimo caso era evidente che chi entrasse
a far parte di organizzazioni come le SS o la Gestapo, avesse pienamente
previsto di mettersi nella condizione di obbedire a ordini che non avevano nulla a
che fare con la finalità della guerra ma che rispondevano solo al compimento di
62 “l’Unità”, 3 agosto 1996.
63 Sentenza del Processo Priebke, 11 agosto 1996, in Archivio ANFIM.
64 Ivi.
46

LA MEMORIA DELLA STRAGE DELLE FOSSE ARDEATINE: IL CASO DEL PROCESSO PRIEBKE
operazioni di polizia 65 . Per un membro delle SS rifiutarsi di obbedire ad un ordine
era possibile nei limiti indicati da Schreiber ma era impossibile dal punto di vista
di quella “etica professionale perversa” 66 che faceva della fedeltà al Führer l’onore
stesso di un membro delle SS. Il motto della SS italiana nata all’indomani dell’8
settembre del ’43 riprendeva i concetti tipici di quella tedesca e nella formula del
giuramento diceva così: […] Difendiamo l’idea di un mondo nuovo rivoluzionato fin
dalle fondamenta come da un fuoco purificatore degli spiriti troppo proni di fronte
alla materia. Siamo volontari. Ci è stata offerta cioè la via dell’onore e questa abbiamo
accettato e seguiamo con i fatti eroici e oscuri. Siamo soldati politici. Non
vediamo cioè il nostro dovere come un giogo impostici dal destino o dalla volontà di
uno o più uomini che ci asserviscano ai loro interessi. Ci incita e ci anima la forza
di un’idea politica, che in noi trova la più piena e vitale manifestazione 67 . La responsabilità
di Priebke fu dunque quella di essere entrato a far parte delle SS il 30
settembre del 1937, cioè in un momento in cui l’organizzazione paramilitare del
partito nazista non era stata ancora integrata nelle forze di polizia. Pertanto la
sua affiliazione alle SS non era stata affatto determinata dal fatto di essere un
membro della polizia, ma corrispondeva ad un scelta personale, probabilmente
presa in considerazione delle grandi possibilità di carriera che dava l’affiliazione
ad uno dei corpi speciali nel regime nazista 68 . Qui si spiegherebbe la possibilità
per Priebke di fare carriera nonostante i suoi bassi titoli di studio. Dunque Priebke
non fu una vittima del sistema, né tanto meno una pedina nelle mani dei suoi
superiori ai quali doveva obbedienza, come era stato sostenuto al processo, poiché
la sua responsabilità individuale era quella di una persona che, anche qualora fosse
stato coinvolta in certi crimini per obbedienza ad ordini superiori, aveva compiuto
senza alcun obbligo e con sufficiente consapevolezza, delle scelte precedenti
(in particolare quella di adesione prima alla Gestapo poi anche alle SS e insieme
allo SD) che l’avevano portata a trovarsi in quella condizione. 69 Nell’emettere la
sentenza i giudici erano rimasti di nuovo, come già nel caso di Kappler, prigionieri
della logica del reato militare, e avevano dimenticato di trovarsi di fronte alla responsabilità
di giudicare i responsabili di una delle più atroci stragi naziste in Italia,
ritenendo che le aggravanti della crudeltà e della premeditazione, che comportavano
la pena imprescrittibile dell’ergastolo, fossero annullate dalle attenuanti
previste dal codice militare di aver obbedito a un ordine di un superiore e dalle attenuanti
generiche, come la buona condotta, il buon comportamento dell’imputato.
Secondo il noto giurista Paolo Barile tuttavia il problema dell’obbedienza agli ordi-
65 Cfr. W. Leszl, Priebke. Anatomia di un processo, cit., pp. 125-128.
66 Ivi.
67 Fondo Susmel, B. S. y. 7. 95. La nostra SS italiana
68 Essere membri delle SS significava tra l’altro anche essere esenti dal sevizio militare, evitare di
combattere sul fronte
69 W. Leszl, Priebke. Anatomia di un processo, cit., p. 136.
47

MICHELA PONZANI
ni era stato largamente superato perché […] Priebke partì volontario e chi s’arruola
volontario, come sa ogni mafioso che accetta le regole del clan, sa che prima o
poi gli toccherà anche sparare e uccidere[…] lo scandalo è che hanno considerato
Priebke un militare quando invece non lo era affatto. Le SS erano civili in camicia
bruna. Nulla a che fare con l’esercito tedesco in divisa grigioverde. 70
Il 15 ottobre 1996 la Iª sezione della Cassazione penale accoglieva il ricorso del PM
Intelisano e delle parti civili contro l’ordinanza di rigetto della dichiarazione di ricusazione
del Presidente Quistelli ed in virtù di questa decisione la sentenza del
Tribunale Penale Militare del 1 agosto del ‘96 veniva annullata. Iniziava un nuovo
processo che questa volta avrebbe visto come imputati sia Priebke che Hass, che si
sarebbe concluso con la condanna all’ergastolo di entrambi poiché il Tribunale non
riconobbe nessuna tra le possibili attenuanti, neppure quelle generiche. Fu di nuovo
un Tribunale militare a giudicarli, un Tribunale presieduto dal dott. Luigi Flamini
che aveva come giudici a latere il dott. Antonio Lepore ed il Maggiore A.M.
Fabio Pesce 71 .La difesa di Erich Priebke, nel nuovo processo che avrebbe avuto come
sede l’aula bunker di Rebibbia, questa volta fu affidata agli avvocati Bruno
Giosuè Naso e Carlo Taormina. Con la sentenza di condanna del 22 luglio 1997 i
due ex nazisti venivano condannati ad una pena ritenuta dai familiari delle vittime
piuttosto mite, una pena che condannava Hass ad 8 mesi e Priebke a 15
anni 72 . La sentenza suscitò vive polemiche perché pur affermando la responsabilità
di entrambi gli imputati, e l’imprescrittibilità del reato, poiché “l’entità della pena
poteva far pensare ai carnefici come agli autori di un furto di galline” 73 . Si arrivò
fino al giudizio di appello per avere la sentenza che tutti si aspettavano e cioè
l’ergastolo per entrambi gli imputati, giudizio confermato anche dalla Cassazione,
alla quale sia il Priebke che Hass avevano fatto ricorso che confermò la sentenza.
Finiva così l’ultimo processo per l’eccidio delle Fosse Ardeatine: […] Le vittime
hanno chiesto giustizia e, finalmente gli uomini hanno risposto. Giustizia non vendetta.
E Giustizia è stata. Si spengono, così, le luci di un passato rivissuto con sofferenza
e raccapriccio, di fronte al quale nulla ha potuto il tempo, se non ricordarci
che abbiamo il dovere di non dimenticare, non per vendetta che fugge il cuore dei
giusti, ma per quell’opera di educazione ai principi immortali di umanità e pietà,
che non possono essere immolati a nessuna ideologia, fede politica o guerra 74 .
70 Doveva giudicarlo un tribunale civile, in “la Repubblica”, 2 agosto 1996.
71 ANFIM, Il processo a Erich Priebke, in Geografia del dolore, cit., p. 253. Il Tribunale Militare,
nella sua nuova composizione, con la sentenza del 4/12/96 d’ufficio, dichiarava il proprio difetto di
giurisdizione, ritenendo competente a decidere sul caso il Tribunale ordinario. Questo con provvedimento
del 31/12/96, ritenendosi a sua volta incompetente, trasmetteva gli atti alla Suprema Corte
di Cassazione perché risolvesse il conflitto. La Corte con sentenza del 10/2/97 dichiarò competente a
giudicare il Tribunale Militare.
72 Dieci anni vengono condonati e Karl Hass fu liberato.
73 ANFIM, Il processo Priebke, in Geografia del dolore, cit., p. 253.
74 Ibidem, p. 254. Testimonianza dell’avvocato di parte civile al processo Priebke, Sebastiano Di Lascio.
48

FONTI, TESTI, DOCUMENTI
Ricordi dell’ex P.O.W. n° 10
Amm. Gino Galuppini
a cura di Giovanni Cecini
Per coloro che “non sanno” P.O.W. è la sigla delle parole inglesi “Prisoner
of war” e il numero 10 è il “Numero di Matricola” che fu assegnato “tardivamente”,
come si dirà, allo scrivente.
In questi miei ricordi di eventi avvenuti dai 65 ai 60 anni or sono 1 tratterò dei
seguenti argomenti:
1) La cattura
2) La visita del delegato della Croce Rossa
3) Il numero di matricola
4) Il rimpatrio
5) La visita del capitano Zammit
1 - La cattura (come fu affondato il R. Incrociatore Bartolomeo Colleoni)
Sul “Notiziario della Marina Militare” del mese di settembre 2002 2 è stato pubblicato
un articolo della signora Rita Rango, figlia del Capo Cannoniere Rino
Rango, classe 1914, sull’affondamento del Regio Incrociatore Giovanni dalle
Bande Nere, silurato dal sommergibile inglese Urge alle ore 9 del 1 aprile 1942
mentre si trasferiva da Messina a La Spezia, scortato dai Cacciatorpediniere
Aviere e Libra per andare ai lavori.
Affondò a 11 miglia per 144° dall’isola di Stromboli.
La redazione del Notiziario ha aggiunto all’articolo della signora Rango una in-
1 Il presente lavoro è stato scritto nel 2005 dallo stesso Galuppini. Il curatore si è limitato ad apporre
modifiche al testo, esclusivamente esplicitando le sigle meno diffuse, uniformando la parte grafica,
correggendo i refusi, aggiungendo le note come ausilio per il lettore, lasciando completamente
inalterato il contenuto del racconto [ndc].
2 R. Rango, L’affondamento del Bande Nere, Notiziario della Marina, settembre 2002, pag. 43 – Ricordi
[ndc].
SECONDO RISORGIMENTO D’ITALIA, n. 1/2011
49

GIOVANNI CECINI
tera pagina, una fotografia della nave e un trafiletto dal titolo “Per saperne di
più” contenente la storia dell’attività del Bande Nere nei mesi di guerra prima
dell’affondamento.
In particolare in questa “storia” si legge:
“Alle ore 0607 del giorno 19 luglio, in vista di Capo Spada, (isola di Creta)
l’unità avvistò l’incrociatore inglese Sydney [non era inglese ma australiano]
3 e cinque cacciatorpediniere [inglesi].
Le unità italiane [non specifica quali, ma erano il Bande Nere e il Colleoni]
impegnarono combattimento, al tiro inglese si rivelò subito ben
centrato. Aperto il fuoco alle ore 0730 il Bande Nere incassò subito un
colpo che scoppiò presso la porta poppiera dell’aviorimessa; un secondo
colpo giunse a bordo alle 0850.
Rotto il contatto l’incrociatore diresse per Bengasi, raggiungendo poi
Tripoli. Durante lo scontro l’incrociatore Sydney ed il caccia Havock
avevano riportato danni di lieve entità.” 4
Per la precisione storica il Cacciatorpediniere Havock non fu colpito dal tiro del
Bande Nere, ma da bombe di aerei italiani giunti sul porto “a cose fatte” circa
un’ora e mezzo dopo il “disimpegno” del Bande Nere.
I redattori del Notiziario nel riportare la “cronaca” dell’evento hanno dimenticato
un particolare “senza importanza” e cioè che a quello scontro navale aveva
partecipato anche il R. Incrociatore Bartolomeo Colleoni il quale, mentre il
Bande Nere filava a tutto vapore per Bengasi, era immobile e disarmato in attesa
di essere affondato dal nemico, così come riportato nel Capitolo VI del volume
“Le azioni navali nel Mediterraneo” pag. 175:
“[...] fu visto il Colleoni fermarsi [...] esso [...] procedeva faticosamente,
essendo stato colpito in macchina o caldaia ... Il Bande Nere [...] diresse
verso sud a tutta velocità ....” 5
Probabilmente Capo Rango non hai mai raccontato alla figlia questo “particolare”
in quanto i fatti del 19 luglio 1940 erano per lui decisamente poco interessanti
ed altrettanto poco interessanti li hanno ritenuti i redattori del “Notiziario”
nello scrivere il “Per saperne di più”.
Quel 19 luglio 1940 alle ore 04:00 ero montato di guardia nella macchina di
prora, a quell’epoca si faceva “Quattro e Quattro” cioè 4 ore di guardia e 4 di ri-
3 In parentesi quadra i commenti dello stesso Galuppini [ndc].
4 Per saperne di più, Notiziario della Marina, settembre 2002, pag. 44 [ndc].
5 Ufficio Storico della Marina Militare, La Marina italiana nella seconda guerra mondiale - Volume IV,
Le azioni navali in Mediterraneo, dal 10 giugno 1940 al 31 marzo 1941, Roma 1970, pag. 175 [ndc].
50

RICORDI DELL’EX P.O.W. N° 10 AMM. GINO GALUPPINI
poso, quindi ero smontato solo 4 ore prima, ed avevo dormicchiato poco più di 3
ore e mezzo in un camerino che sembrava un forno crematorio.
Nel 1940 le navi della Regia Marina non erano dotate di condizionatori d’aria, sul
Colleoni, però, esisteva un condizionatore di aria di costruzione inglese, comperato
durante la permanenza in Cina, e sistemato nell’alloggio del Comandante.
Come risulta dal volume dell’Ufficio Storico, le unità della 2ª Divisione Navale
che zigzagavano a 25 nodi presso l’isola di Creta, avvistarono alle 06:07 un
gruppo di Cacciatorpediniere inglesi, contro il quale fu aperto il fuoco. Il contatto
fu interrotto alle ore 06:48.
Sottolineo “un gruppo di cacciatorpediniere” ma non il Sydney.
Ovviamente chi stava in macchina non sapeva niente, ma poi si seppe che era
stato battuto il “posto di combattimento” e la velocità fu aumentata a 30 nodi.
Mentre il Capo Rango era un puntatore e “vedeva” quello che accadeva al Bande
Nere, io non “vedevo”, ma ad ogni salva delle torri da 152 la nave tremava tutta,
ed un sottile polverino cadeva sulle nostre teste, dovuto allo sbriciolarsi della coibentazione
in amianto dei vari collettori di vapore che correvano a cielo nel locale.
All’epoca non si era ancora scoperto che l’amianto era pericoloso per la salute,
quindi l’amianto regnava sovrano nei locali apparato motore, ed anche in altri.
Circa alle ore 07:00 andai in coperta a preparare la catapulta per lanciare l’aereo,
mio compito come ufficiale allo scafo. L’aereo però non fu lanciato perché,
come da ordine di operazioni, la esplorazione aerea doveva essere fatta da aerei
della Regia Aeronautica di base a Lero, aerei che non si fecero vedere.
Alle ore 07:00 i due incrociatori italiani vennero a trovarsi sotto il tiro dell’incrociatore
australiano Sydney, non visibile per la posizione del sole, ma che, viceversa,
poteva benissimo vedere le navi italiane. Iniziò un duello a cannonate,
un colpo italiano colpì un fumaiolo del Sydney, come documentato da fotografia,
non posso dire quante salve furono, ma circa alle ore 08:25 un tremito più violento
fece capire che la nave era stata colpita.
Colpita anche assai vicino al locale dove mi trovavo, perché il colpo giunse nel
locale caldaia 2, che si trovava immediatamente a proravia del locale macchina.
Il manometro del vapore scese vertiginosamente a zero, la luce si spense e tutti
i macchinari si fermarono.
Che cosa era accaduto?
Secondo le teorie dell’epoca, l’apparato motore non era “frazionabile” cioè suddiviso
in modo che l’avaria a un gruppo di caldaie non provocasse la messa fuori
uso di tutto l’apparato motore.
Esisteva invece “l’anello di vapore” che metteva in comunicazione tra loro tutte
le caldaie e i gruppi di turbine, nonché le turbodinamo della centrale elettrica.
Per conseguenza un solo colpo del Sydney aveva immobilizzato la nave e, si sottolinea,
la mancanza di corrente elettrica aveva bloccato il funzionamento delle
torri dell’artiglieria principale, nonché gli elevatori di munizioni dei cannoni secondari
manovrati a mano.
51

GIOVANNI CECINI
La nave era quindi ferma e impotente a reagire, così come lo fu il Pola a Capo
Matapan.
Poco tempo dopo la scomparsa della luce, una voce dall’alto dell’osteriggio ci ordinò
di lasciare il locale “senza passare per il corridoio perché invaso dal vapore”.
Attraverso l’osteriggio salimmo in coperta: preciso ci dovemmo arrampicare ai
vari appigli perché non c’erano scale, ed io condussi il personale al “Posto di abbandono
nave” che, come dalle esercitazioni, sapevo essere a poppa-sinistra, accanto
alla torre n. 3.
Giunti sul posto trovammo una spiacevole sorpresa: mentre nelle esercitazioni sulla
battagliola erano allineati tanti bei salvagente, quel giorno di salvagente non ne
trovammo nemmeno uno: certamente altri “di coperta” si erano serviti prima di noi!
A un certo momento vidi che a centro nave tutti si buttavano in acqua, ritenendo che
fosse stato dato l’ordine di “abbandono nave” dissi alla mia gente di buttarsi in mare.
“A posteriori” seppi che il comandante Capitano di Vascello Umberto Novaro, benché
ferito non voleva lasciare la nave, ma che fu buttato in mare dal Tenente di
Vascello Bellini (Direttore del Tiro) e dal Capitano del G. N. 6 Cristofanetti (Capo
7° - 8° Reparto). Morì tre giorni dopo in ospedale ad Alessandria e gli inglesi gli tributarono
gli onori militari come ad un Capitano di Vascello della loro Marina.
Una fotografia del funerale fu pubblicata in prima pagina dal Times di Londra.
In mare mi allontanai dietro la poppa e potei vedere distintamente il Cacciatorpediniere
Ilex lanciare i suoi siluri contro il facile bersaglio, ma benché “facile”
il bersaglio fu sbagliato perché, forse ritenendo la nave ancora in lento moto, un
siluro passò di prora e l’altro colpì la nave solo asportando parte della prora, come
visibile in molte fotografie.
L’attacco fu ripetuto dal Cacciatorpediniere Havock che diede il colpo di grazia
a centro nave: lo scafo si capovolse e, mentre ancora galleggiava con le eliche e
il timone in aria, vidi distintamente un paio di persone correre disperatamente
sullo scafo che stava affondando, infilandosi con la prora.
Udii in lontananza il grido di “Viva l’Italia!” e “Viva il Re!”.
I caccia inglesi Ilex, Havock e Hyperion si disposero a semicerchio ed iniziarono
il ricupero dei naufraghi.
Alle pagg. 175-176 del citato volume dell’Ufficio Storico si legge:
“Mentre i naufraghi venivano recuperati, gli Italiani eseguirono colla loro
aviazione bombardamenti, che vennero successivamente diretti contro
l’Havock. Nel secondo di questi attacchi una bomba da 250 libbre
esplose sott’acqua e le sue schegge entrarono nella caldaia n. 2, che venne
esclusa. Tuttavia, perdette solo 55 minuti e quindi proseguì a 24 nodi
per Alessandria.” 7
6 Genio Navale [ndc].
7 Ufficio Storico della Marina Militare, La Marina italiana ..., pagg. 175-176 [ndc].
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RICORDI DELL’EX P.O.W. N° 10 AMM. GINO GALUPPINI
Poiché erano ormai le 11:30 e il Colleoni era stato affondato alle 08:00 il salvataggio
dei naufraghi era praticamente ultimato.
Quanti rimasero in mare per la interruzione del salvataggio non si sa: essi sono
compresi nei 121 morti “ufficialmente” mentre i superstiti furono 525.
La costa di Capo Spada era a circa 2 miglia dal luogo dell’affondamento e ben 7
marinai la raggiunsero a nuoto. Essi erano:
- Sottocapo Cannoniere Armaiolo Giuseppe Manni
- Sottocapo Radiotelegrafista Augusto Nelli
- Nocchiero Antonio Pandolfo
- Marinaio Giuseppe Daniele
- Marinaio Cosimo Macera
- Marinaio Aldo Caramelli
- Marinaio Mario Piccinini
che furono internati dai greci e rientrarono in Italia nel giugno 1941 dopo l’occupazione
italo-tedesca della Grecia.
Il mare portò alla riva alcuni cadaveri che furono sepolti.
Ritornando alla mia storia, mi avvicinai al Cacciatorpediniere Hyperion e mi
arrampicai su una di quelle reti di cavo che erano state calate ai lati dello scafo.
Fui “smistato” a prora dove erano riuniti i naufraghi sotto la guardia di marinai
armati con “baionette in canna”.
Poco dopo qualcuno chiese se nel gruppo vi fossero degli ufficiali.
Ovviamente poiché la maggior parte dei naufraghi si era spogliata prima di
buttarsi in mare, i distintivi di grado non erano visibili.
Io, viceversa, non mi ero spogliato ma avevo conservato addosso la tenuta di
macchina di tela grigia sulla quale non portavo distintivi di grado.
Inoltre all’epoca non parlavo inglese, ma tale lingua era ben conosciuta da quasi
tutto il personale del Colleoni reduce da due anni di permanenza in Cina.
Fui quindi indicato come ufficiale (unico sull’Hyperion).
Mi separarono dai marinai e mi accompagnarono in quadrato ufficiali. Mi tolsero
la tenuta di macchina bagnata e mi diedero una camicia e un paio di pantaloni
“borghesi” nonché un paio di scarpe, perché prima di buttarmi in mare mi
ero tolto quelle che indossavo.
Poco dopo, sapendo che ero ufficiale di macchina, venne a parlare con me il Direttore
di Macchina con il quale ci intendemmo in francese.
Mangiai a tavola in quadrato (non ci fu una vera e propria mensa ma gli ufficiali
vennero alla spicciolata a mangiare) e dormii su un divano.
Il mattino successivo mi ridettero la tuta, restituii il vestiario ma mi lasciarono
le scarpe e così “azzimato” e in ordine sbarcai ad Alessandria raggiungendo sulla
banchina il gruppo degli altri ufficiali sbarcati dai due precedenti caccia.
La mia assenza era stata notata ed ero già dato per morto, ma quando mi videro
arrivare pulito, con una tenuta di macchina impeccabile e persino con le
scarpe, grande fu la loro meraviglia perché loro erano ancora per la maggior
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GIOVANNI CECINI
parte in mutande (o quasi), sporchi di nafta e scalzi, in quanto la presenza di
molti naufraghi, anche se ufficiali, su un cacciatorpediniere, non aveva permesso
un trattamento “signorile” come quello da me ricevuto, quindi tutti gli altri
ufficiali del Colleoni erano nudi, scalzi, sporchi di nafta come quando erano stati
recuperati dal mare.
A piedi, attraverso le strade di Alessandria, fummo portati nella Caserma Mustafà,
dando la possibilità ai fotografi di riprendere il gruppo in marcia, così come
il gruppo di ufficiali sulla banchina del porto. Fotografie in possesso dell’Ufficio
Storico.
Gli stessi fotografi, due giorni dopo rifotografarono la colonna dei prigionieri,
questa volta rivestiti e muniti di scarpe, che dalla Caserma Mustafà si recavano
alla stazione per prendere il treno che li avrebbe trasportati a Geneifa, prima
tappa per tutti i prigionieri di guerra italiani del fronte libico.
2 - La Visita del Delegato della Croce Rossa
Dopo essere stato ospitato nel campo di Geneifa dal 22/7/40 al 7/8/40 fui trasferito
in india insieme ad un gruppo di 29-30 ufficiali e circa 480 sottufficiali e
marinai praticamente tutti del Colleoni.
In India non esistevano campi per prigionieri di guerra, ma, sin dal 1939 vi erano
campi per gli internati civili, prima tedeschi, poi anche italiani, e qui, in “Wing” separato
furono ospitati anche i citati prigionieri di guerra provenienti dall’Egitto.
Il campo si trovava ad Ahmednaghar, località situata nella “zona” di Bombay,
ma non trovata nell’Atlante del Touring Club d’Italia.
A titolo di cronaca, gli inglesi avevano internato persino il Delegato Apostolico e
moltissimi sacerdoti missionari, ragione per la quale la “Assistenza spirituale” ai
prigionieri fu fatta da missionari; ricordo i padri salesiani Ferrero e Balocco, perché
il cappellano del Colleoni in base alle convenzioni internazionali fu rimpatriato
insieme al Capitano Medico Romeo di Tuosto e al sottotenente Sanseverino.
La permanenza nel campo di Ahmednaghar durò solo pochi mesi, perché dopo
la “Prima ritirata” delle truppe italiane sul fronte libico-egiziano 8 il numero dei
prigionieri di guerra italiani aumentò in maniera “esponenziale” e le Autorità
inglesi li smistarono: parte in India, parte in Australia, parte in Sud-Africa.
In India furono costruiti molti campi per P.O.W. dei quali uno a Ramghar, uno a
Bhopal, uno a Dhera Dun, quest’ultimo inizialmente solo per i generali, poi anche
per gli ufficiali.
Anche la località di Ramghar non è stata trovata sull’Atlante del Touring Club
d’Italia, sul quale furono sepolti i deceduti.
8 Dicembre 1940 / gennaio 1941 [ndc].
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RICORDI DELL’EX P.O.W. N° 10 AMM. GINO GALUPPINI
La permanenza nel campo di Ahmednagnar durò solo pochi mesi, cioè dall’agosto
al novembre, o primi dicembre 1940 e da un campo di Internati Civili fummo
trasferiti in un campo per prigionieri di guerra.
Mentre Ahmednaghar si trovava nella “zona” di Bombay, cioè sulla parte occidentale
della penisola indiana, Ramghar si trovava quasi nella parte opposta
della penisola indiana ed il viaggio di trasferimento per ferrovia durò ben 5
giorni (e 4 notti).
Il detto trasferimento fu effettuato con un treno “militare” i cui vagoni avevano
sedili di strisce di legno, come nelle natiche “terze classi” delle ferrovie italiane,
tali sedili si trasformavano per la notte in tre “posti letto”: uno sul sedile, uno
sullo schienale opportunamente alzato, e uno, cioè il portabagagli, inoltre ogni
vagone era provvisto delle necessarie sistemazioni igieniche.
Mentre nel campo di Ahmednaghar la sistemazione era in tende a 2 posti per
gli ufficiali e a 8 posti per sottufficiali e truppa, nel campo di Ramghar la sistemazione
era in baracche per circa 40 persone per baracca. Dette baracche erano
munite di tettoie laterali dove si poteva sostare nelle ore più calde in relativa
frescura.
I “Servizi igienici” erano “a bugliolo” ripuliti da un indiano alacrissimo a ritirare
il bugliolo, pulirlo, metterci un pò di creolina e rimetterlo a posto. Si noti “un
indiano” e non un “uomo bianco”.
Nel nuova campo il piccolo gruppo di ufficiali provenienti da Ahmednaghar fu
“fagocitato” dall’immenso numero di ufficiali dell’esercito già sistemati perché
arrivati nel campo alcuni giorni prima.
Tuttavia il gruppo di Ahmednaghar sia per gli ufficiali che per i sottufficiali o
marinai non fu “smembrato” ma rimase unito nella sistemazione nelle nuova
baracche.
A titolo di cronaca, dopo qualche tempo la Regia Marina prese in mano la organizzazione
del campo: in cucina presero servizio i cuochi del Colleoni (Ricordo
Disciullo e Pavia) nella mensa fu destinato il “maestro” degli ufficiali Piccinetti,
in macelleria il marinaio Godina, in dispensa il “dispensiere” Cipollina. Solo
per fare il caffè furono impegnati una Guardia di Finanza: il finanziere Mata,
cui si associò un marinaio del Colleoni: Camedda suo compaesano e amico d’infanzia.
Il sottoscritto fu nominato Direttore di mensa.
Nel campo di Ramghar oltre ai prigionieri provenienti del fronte libico, ne giunsero
molti provenienti dall’Africa Orientale (Etiopia) e specialmente fra questi
si verificarono molti decessi, così che ebbe inizio la “cerimonia funebre” per dare
l’ultimo saluto a questi compagni di sventura.
L’autocarro portante il feretro veniva fatto transitare a lento moto sulla strada
esistente fra i campi, e di prigionieri si schieravano lungo i reticolati in muto
raccoglimento.
La salma del caduto veniva accompagnata al più vicino cimitero cattolico da un
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GIOVANNI CECINI
gruppo di commilitoni, se si trattava di un sottufficiale o soldato, anche da un
ufficiale.
Giunti al cimitero cattolico di Ranchi, un picchetto di soldati indiani rendeva
gli onori militari (3 salve di fucileria) e la bara veniva calata nella fossa.
Il sottoscritto fu “comandato” ad uno di questi funerali, alla fine del quale dovette
firmare la “ricevuta” per lo scarico del defunto dall’organico del campo.
Dimenticavo di dire che, a differenza di quanto accadde ai medici e cappellani
del Colleoni, i medici e cappellani catturati sul fronte libico, in barba alla convenzione
di Ginevra, non furono rimpatriati ma rimasero a fornire i loro servizi
ai colleghi “combattenti”.
Quindi nel campo di Ramghar vi era un ospedale “italiano” e l’assistenza spirituale
era fatta da cappellani militari e non più da missionari come ad Ahmednaghar.
La situazione climatica nella zona di Ramghar era “tropicale” così che gli inglesi
“passavano” ogni giorno tre grosse barre di ghiaccio all’infermeria di ogni
campo, da impegnarsi in caso di colpo di calore.
Tuttavia questo ghiaccio veniva impiegato per ben altro uso!
Già serviva per tenere in fresco le bevande per medici e infermieri, ma, oltre a
ciò, il sottoscritto che, come ho detto, esplicò le funzioni di Direttore di mensa,
(sulle quali tornerò a parlare) si faceva dare il ghiaccio per raffreddare le bottiglie
d’acqua da mettere sulle tavole della mensa, le quali venivano messe in un
grande cassone foderato di zinco e coperte di ghiaccio.
Come ho detto, in qualità di Direttore di mensa, andavo ogni mattina alla Sussistenza
a ritirare la “razione” e quindi uscivo dal campo e venivo in contatto
col “mondo esterno”, quindi fui io a portare la notizia dell’entrata in guerra del
Giappone e della incursione aerea su Pearl Harbor 9 .
Veniamo ora al Delegato della Croce Rossa.
La visita di questo funzionario, unica da me ricordata nei 5 anni di prigionia, fu
pre-avvisata, alcuni giorni prima, quindi nel campo si creò uno stato di “agitazione”
degli ufficiali che volevano essere “messi a rapporto” o “consegnare memoriali”
o per altre richieste varie.
Il giorno 28 maggio 1941 giunse la notizia: il 29 maggio sarebbe arrivato il Delegato
della Croce Rossa.
Ma il 29 maggio 1941 di notizie ne venne una di ben diverso tono: il Delegato
della Croce Rossa era deceduto per colpo di calore!
Quindi niente di tutto quello che i prigionieri ritenevano di poter fare o di ottenere!
A distanza di 63 anni da questo evento tramite l’Ufficio Storico ho potuto avere
dalla Croce Rossa Internazionale una succinta relazione dalla quale si stralcia:
9 7 dicembre 1941 per gli Stati Uniti, 8 dicembre 1941 per il Giappone [ndc].
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RICORDI DELL’EX P.O.W. N° 10 AMM. GINO GALUPPINI
DIPARTIMENTO FEDERALE DI POLITICA
Berna 20 Agosto 1941
Al Comitato Internazionale della Croce Rossa - Ginevra
Signor Presidente e Signori,
con riferimento al nostro telegramma del 29 maggio scorso, abbiamo l’onore
di farvi sapere che il nostro Consolato Generale a Bombay ci ha riferito
in dettaglio, dopo di allora, sulle circostanze che hanno accompagnato
il decesso del signor ERNST BAUER, vostro Delegato per l’Italia.
Troverete qui allegato un estratto della lettera inviataci dal signor
SONDEREGGER, pochi giorni dopo il triste avvenimento.
“Ho appreso la notizia in primo luogo da un telegramma del nostro Consolato
Generale di Calcutta (come si è detto Ramghar era nella “zona” di
Calcutta) che mi fornisce i seguenti dettagli con lettera in data 31 maggio.
Il signor BAUER partì in auto da Dhanbad il mattino del 28 maggio diretto
al campo dei prigionieri di guerra di Ramghar, distante circa 120 miglia.
Giunto a Ramgahr alle 9.30, sembra abbia immediatamente iniziato un giro
di ispezione, accompagnato dal Comandante del campo generale Sanders.
La temperatura era elevata (circa 115° F all’ombra) ed il calore opprimente.
Dopo aver camminato per il campo per circa un’ora e mezzo o due, il signor
BAUER improvvisamente svenne. Fu immediatamente sistemato su
una barella, e poiché le sue condizioni erano così gravi che il trasporto ad
un ospedale fu ritenuto troppo pericoloso, fu ricoverato in una vicina baracca
del campo stesso, dove ricevette immediate cure mediche.
Furono fatti tutti gli sforzi possibili per cercare di salvargli la vita, tre o
quattro medici erano quasi continuamente al suo capezzale, ma malgrado
queste cure il signor BAUER morì alle 5 del mattino del 29 maggio.”
Come risulta da questa relazione del Consolato generale di Calcutta il povero
delegato della Croce Rossa non sopportò il clima equatoriale del campo di Ramghar
e perdette la vita nell’espletare la sua missione.
A differenza del Delegato della Croce Rossa, la quasi totalità dei prigionieri italiani
sopportò senza conseguenze la temperatura della zona, ci furono, per la
verità, diversi decessi, con relativo funerale, di prigionieri provenienti dall’Africa
Orientale, cioè dalla Eritrea e dalla Abissinia, che però, si presume, non provocati
dalle condizioni climatiche.
Forse in seguito a questo “incidente” le autorità inglesi decisero di costruire un
nuovo campo in una zona presso Amristar, non lontana da Lahore, a Yol nella valle
del Kangra, ai piedi della catena della Himalaya dove le condizioni climatiche
erano decisamente più sopportabili, dove addirittura in ogni cameretta delle baracche
era sistemata una stufa (che non funzionò mai) e “nientemeno” un giorno
fu persino vista la neve a una quota di 300 / 400 metri al disopra del campo.
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3 - Il Numero di Matricola
GIOVANNI CECINI
Le autorità inglesi assegnarono ad ogni prigioniero di guerra un numero di matricola,
che, a conoscenza del sottoscritto, era normalmente un numero di 5 cifre,
come tutte le “Matricole” dei colleghi prigionieri in Italia.
Perché allora il Tenente Galuppini ebbe per matricola il numero 10?
Come detto nel precedente paragrafo sulla visita del Delegato della Croce Rossa
a metà agosto 1940 un gruppo di prigionieri, praticamente tutti di Marina fu
trasferito da Geneifa ad Ahmednaghar in India.
Oltre agli ufficiali del Colleoni, a Geneifa vi erano anche gli ufficiali del sommergibile
Uebi Scebeli affondato il 29 giugno 1940 dopo un combattimento con i
3 Cacciatorpediniere Dainty, Ilex e Defender, e precisamente il Tenente di Vascello
Zani Bruno, comandante, il Tenente di Vascello Manfredi Gian Giacomo,
il Sottotenente di Vascello Rupil ed il Tenente D. M. 10 Uttieri. Il Tenente di Vascello
Patané Luca ed il Capitano G. N. Tosti Croce Gaetano del Liuzzi affondato
alle ore 20:00 del 27 giugno 1940.
Inoltre vi erano il Tenente di Vascello Giangrande, catturato come passeggero
sulla motonave Rodi, mentre rimpatriava da Rodi diretto in Italia ed il Maggiore
Generale del genio Lastrucci Romolo unico ufficiale dell’Esercito.
Nel viaggio sul piroscafo inglese da Suez a Bombay, il sottoscritto era alloggiato
in una cabina a quattro posti con il Tenente di Vascello Manfredi e altri due di cui
non ricordo i nomi. (Per inciso nel corridoio antistante le cabine dei “prigionieri”
vi era di sentinella un marinaio inglese con giberne, fucile e baionetta innestata).
Quando passammo davanti a Massaua, il Tenente di Vascello Manfredi disse:
“in questa notte passiamo in una zona pericolosa perché qui c’è “il Pelo” (così
chiamava il comandante Pelosi) comandante del sommergibile Torricelli, dislocato
a Massaua e di cui il Manfredi temeva un attacco notturno al convoglio.
Ma il buon Manfredi ignorava che il “Pelo” ci aveva preceduti ad Ahmednaghar
e ci accolse in perfetta divisa, sul cancello di ingresso del campo.
Per inciso, all’arriva a Bombay il generale Lastrucci fu separato dagli altri diretti
ad Ahmednaghar e inviato a Dhera Dun, dove fu poi creato un “Campo Generali”
per ospitare quelli provenienti dall’Africa Orientale.
Come già detto, nel Central Internement Camps erano già ospitati ufficiali e marinai
dei sommergibili catturati in Mar Rosso nei primi giorni di guerra e precisamente:
1) Sommergibile Galilei catturato il 19 giugno 1940 con la morte di quasi tutti
gli ufficiali. Guardiamarina Mazzucchi, Magri e Sottotenente D. M. Sperduto.
2) Sommergibile Galvani affondato il 24 giugno 1940 dal Cacciatorpediniere
Falmsuth. Tenente di Vascello Spano, Tenente di Vascello Mondaini, Guardiamarina
Car, Tenente D.M. Neri.
10 Direzione Macchina [ndc].
58

3) Sommergibile Torricelli autoaffondato il 25 giugno 1940 presso l’isola 7 Frattelli
dopo un combattimento con i Cacciatorpediniere Kandar, Kingston, Khartum e le
cannoniere Indo e Shoreham. Capitano di Corvetta Pelosi, Tenente di Vascello Neri,
Sottotenente di Vascello Aracci, Tenente del G. N. Porzio, Sottotenente D.M. Veo.
A questo primo gruppo di prigionieri del Mar Rosso e quelli del Colleoni due del
Liuzzi, affondato a sud di Creta il 27 giugno 1940: Tenente di Vascello Patané e
Capitano del G. N. Tosti Croce non fu dato numero di matricola.
Quando, nell’anno 1942, dopo il trasferimento a Yol, le autorità inglesi se ne accorsero,
diedero a questi prigionieri i numeri iniziali “per ordine alfabetico”.
Così il Sottotenente di Vascello Adrower del Colleoni ebbe il n. 1, il Guardiamarina
Albenga del Colleoni il n. 2 e così via quindi al sottoscritto Tenente del Genio
Navale Galuppini il n. 10.
4 - Il rimpatrio
RICORDI DELL’EX P.O.W. N° 10 AMM. GINO GALUPPINI
Dopo l’armistizio del 8 settembre 1943 le condizioni dei prigionieri di guerra in
India, a memoria dello scrivente, non cambiarono per alcuni mesi.
Viceversa quello che cambiò e fu causa di deplorevoli episodi di violenza fu il
senso di cameratismo che esisteva fra i prigionieri di tutti i gradi e tutti i campi.
Così come nella lontana Italia vi era un “Regno del Sud” ed una “Repubblica
Sociale” nel Nord, anche fra i prigionieri vi erano i “monarchici” che si consideravano
appartenenti al “Regno del Sud” ed i “Repubblicani” o “Fascisti” che si
ritenevano appartenenti alla Repubblica Sociale, e questo portava, inizialmente,
a lunghissimo diatribe, trasformatisi poi in scontri violenti con “cazzottature”
e indicibili torture inflitte a chi non la pensava come si voleva.
Purtroppo nei campi per la truppa sono avvenuti episodi vergognosi di violenza
sui quali è opportuno stendere un pietoso velo di silenzio.
Le autorità inglesi, venute a conoscenza della situazione, decisero di separare
coloro che la pensavano in un modo da coloro che la pensavano nell’altro. Nei
campi di Yol i favorevoli alla Repubblica Sociale Italiana “a domanda” furono riuniti
nel Campo 25, gli altri rimasero nei loro campi 26, 27 e 28 e Campo Colonnelli.
Ovviamente gli “sfrattati” dal Campo 25 furono ripartiti fra gli altri campi.
Tuttavia in questa “spartizione” vi furono i “casi speciali” cioè coloro che nel
campo 25 per non abbandonare il loro orticello, si dichiararono fascisti, e coloro
che per il timore di essere rimandati sul fronte si dichiararono “Fascisti”.
Fra coloro che avevano optato per il Regno del Sud furono reclutati i “collaboratori”
cioè coloro che intendevano lavorare per l’ex nemico.
La situazione in India era del tutto particolare perché “da secoli” gli inglesi avevano
difeso gli “uomini bianchi” ai quali non era consentito svolgere determinati
lavori, come ad esempio i lavori agricoli, o altri.
Si ricorda che nei campi di Ahmednaghar e Ramgahr dove i “gabinetti” erano “a
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GIOVANNI CECINI
bugliolo” lo svuotamento di detti buglioli non era fatto dai prigionieri “uomini
bianchi” ma da indiani. Ricordo che a Ramghar vi era un barbuto indiano che
era talmente sollecito nell’espletamento del suo compito che talvolta portava
via il bugliolo prima della fine “dell’uso”.
Questo “stato di fatto” fece sì che coloro che nei campi truppa chiesero di collaborare
furono in gran parte trasferiti in Inghilterra per essere adibiti a lavori agricoli.
In India, mi risulta, furono impiegati esclusivamente marinai della categoria
Meccanici o Motoristi navali in officine di costruzione e riparazione navali.
Anche per gli ufficiali i collaboratori furono prevalentemente ufficiali di Marina,
in particolare quelli del Genio Navale, che in numero notevole furono impiegati
nei cantieri navali di Bombay e di altre città portuali.
Questa “collaborazione allo sforzo bellico” ebbe inaspettate conseguenze perché
portò a matrimoni (ovviamente celebrati dopo il rimpatrio e successivo ritorno)
sia di ufficiali che di soldati e marinai “collaboratori”.
A titolo di esempio ricordo che in India il Sottotenente di Vascello Bertoli Giovanni,
osservatore di uno degli incrociatori di Ratapan, conobbe a Bombay una “signorina”
Bata, appartenente ad una delle famiglie più ricche dell’India che, dopo la fine della
guerra, sposò, divenendo poi alto dirigente della Compagnia aerea Air India.
Un altro esempio è quello di un segnalatore del Colleoni che, inviato in Inghilterra
per lavori agricoli, vi ritornò per sposare la ragazza che aveva conosciuto
come “collaboratore” e dove tutt’ora risiede, col quale ancora ci scambiamo gli
auguri di Natale. Lo stesso, come ufficiale del Genio Navale feci domanda per
andare a lavorare come collaboratore ma non fui esaudito.
Ritengo di dovere essere rimasto nel campo al fatto che mi occupavo delle paghe
per gli ufficiali.
Nel paragrafo “Visita del delegato della Croce Rossa” ho detto che nel campo di
Ramghar feci il Direttore di mensa per circa 20 mesi.
Quando fui trasferito a Yol, questa fama mi aveva seguito, così che il comandante
del campo 28/2 (P.O.W. Camp 28 Wing 2) maggiore Vento, mi convocò e
mi propose di riprendere tale incarico, ma io declinai l’invito e mi misi a fare
l’ufficiale commissario del Wing, occupandomi delle paghe degli ufficiali, dei “rientri
di cassa” degli introiti della Cooperativa, dei pagamenti ai fornitori, ecc.
Debbo a questo punto aprire una parentesi per spiegare che il trasferimento da Ramghar
a Yol non avvenne assieme agli altri ufficiali di Marina di Ramghar, ma alcuni giorni più
tardi, perché il Capitano di Corvetta Pelosi che tentò di poter rimanere nei campi “Truppa”,
mi chiese se volevo aggregarmi nel tentativo ed io accettai. Purtroppo il tentativo fallì
e fummo trasferiti a Yol qualche giorno più tardi, quindi mentre gli “altri” erano finiti
nel Campo 26, io e Pelosi finimmo nel Campo 28. Il comandante Pelosi riuscì poi a farsi
trasferire al 26 e riunirsi agli altri del gruppo “marina”; io invece rimasi al 28.
Una seconda spiegazione richiede il fatto che i Maggiori nelle Forze Armate italiani
sono “Ufficiali Superiori” mentre nelle Forze Armate inglesi “Ufficiali Inferiori”,
quindi nei campi insieme a Capitani, Tenenti e Sottotenenti.
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RICORDI DELL’EX P.O.W. N° 10 AMM. GINO GALUPPINI
Viceversa i Tenenti Colonnelli e Colonnelli, ufficiali superiori, erano in un campo
a parte, come pure a parte era il campo dei Generali, non a Yol, ma Dhera Dun.
Ritornando alla storia, ritengo che il non aver potuto andare a collaborare a
Bombay, sia stato per l’opposizione del sergente inglese di cui sbrigavo l’incarico
di “Commissario”.
Dopo l’armistizio, in base a convenzioni internazionali, iniziò il rimpatrio di alcuni
prigionieri definiti “ammalati”, quindi per tali ufficiali bisognava “chiudere il conto”.
Il sergente inglese, che, come ho detto, avrebbe dovuto tenere questa contabilità,
veniva nella baracca “Comando” dove era l’ufficio e mi diceva:
“Chiudi il conto di XXX perché rimpatria”.
Un giorno del settembre 1944 entrò nell’ufficio con un sorriso particolare e mi
disse: “Chiudi il tuo conto perché rimpatri”.
Debbo spiegare che, mentre come ho detto per gli ammalati esistevano convenzioni
internazionali, per i “comuni” prigionieri non esistevano norme analoghe;
tuttavia la Regia Marina aveva stabilito diremo “amichevoli contatti” con la
Royal Navy per i quali fu ottenuto il rimpatrio del De La Penne, Marceglia e
Martellotta nel marzo 1944, ed il mio, o meglio, “il nostro” nell’agosto-settembre
1944.
In Italia, dopo l’8 settembre le cooperazioni con l’ex nemico era iniziata, in particolare
a Taranto dove aveva preso sede il Ministero della marina del “Regno
del Sud” e vi era anche la sede dei più alti comandi della Marina inglese:
- Flag Officer Liason Italy (F.O.L.I.) con rango di Comandante di Dipartimento
- Flag Officer Taranto Area Liason Italy (F.O.T.A.L.I.) assimilabile a Comandante
di Piazza
Pertanto si erano stabilite relazioni direi quasi “cordiali” con gli alti ufficiali
della Royal Navy e si ha ragione di supporre che “qualcuno” abbia richiesto il
rimpatrio di prigionieri di guerra della Marina, come i suddetti De La Penne,
Marceglia e Martellotta.
Non si conosce chi abbia compilato l’elenco dei nomi dei rimpatriandi perché vi
erano ufficiali dei più disparati gradi e Corpi.
Ovviamente, come per i 3 di Alessandria, vi era il Comandante di Corvetta Pelosi
comandante del Torricelli, poi decorato di Medaglia d’oro, e altri sommergibilisti
di Massaua. Vi erano poi “i vecchi” come il colonnello del Genio Navale
Ciro NASTRI (nato il 13/9/87) di MARISUPAO 11 e MARIMIST 12 Massaua; il
Colonnello Commissario Enrico ZILLI (nato il 11/1/892) di MARICOMMI 13
Massaua; il Capitano del C.R.E.M. 14 PIEVE Alfredo (nato il 23/3/90) di MARI-
NA Tobruck. Vi erano ben 4 Maggiori di MARIGENIMIL 15 tra cui il Maggiore
Sciarretta Ugo di MARIGENIMIL Tobruck, il Maggiore Di Dato Alberto.
11 MARISUPAO: Comando Superiore della Regia Marina in Africa Orientale [ndc].
12 MARIMIST: Officina mista della Marina Militare [ndc].
13 MARICOMMI: Direzione Commissariato Militare Marittimo [ndc].
14 C.R.E.M.: Corpo Reale Equipaggi Marittimi, oggi trasformato in C.E.M.M. [ndc].
15 MARIGENIMIL: Direzione Genio Militare per la Marina [ndc].
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GIOVANNI CECINI
Numerosi, poi, gli ufficiali del Colleoni dei gradi più bassi: Guardiamarina Albenga
e Launaro, Sottotenente di Vascello Adrewer, Tenenti G. N. Galuppini e
Geradis, ma anche il Capitano del Genio Navale Siena, Direttore di Macchina,
e il Capitano Commissario Del Corso Ugo. Altri “giovani” erano i Guardiamarina
Rouger Gillo e Bausi Luciano. La memoria non ricorda molti altri.
Questo gruppo di circa 30 ufficiali, in prevalenza di Marina, partì da Yol nel settembre
1944 e raggiunse Bombay dopo 2 giorni di treno, e prese imbarco su un
grande transatlantico, trasformato in trasporto militari e famiglie, quindi già
“pieno” di ufficiali di tutte le armi, con mogli e figli che rientravano in patria.
Su questo transatlantico circa metà del gruppo fu sistemato in una cabina di 1 a
classe, trasformata in alloggio per 14 persone, ma avevamo persino il bagno con
due lavandini e la doccia!
Mangiavamo alla mensa insieme agli inglesi, ovviamente in un tavolo separato
ma con trattamento identico a quello degli altri passeggeri inglesi, eravamo liberi
di passeggiare, sostare e persino conversare con gli altri passeggeri.
Inoltre il Comando Militare della nave organizzò dei “gruppi di conversazione”
costituito da un ufficiale italiano e alcuni ufficiali inglesi per dimostrare tangibilmente
la nuova situazione in cui si trovavano gli ex prigionieri.
L’autore di questo scritto per tutta la durata della prigionia, ha sempre cercato
di indossare l’uniforme bianca con pantaloncini corti, portando un distintivo
di grado costituito da due galloni con occhio di panno giallo, sulla sinistra
del petto. Con tale tipo di uniforme è stato scambiato più volte per inglese,
come più volte sulla detta nave. Viceversa quasi la totalità degli altri
ufficiali di Marina, dopo un breve periodo “passarono” al kaki ben più idoneo
alle circostanze.
Questo “assaggio” di libertà fu però di breve durata.
Infatti all’arrivo a Suez per qualche ignoto inconveniente sul programma, fummo
sbarcati ed inviati in un campo di prigionieri “collaboratori”!
Detto campo, inoltre, non era un campo ufficiali, ma un campo “truppa” quindi
le sistemazione logistiche erano alquanto diverse da quelle di Yol, se ben ricordo,
però eravamo alloggiati in baracche e non in tende.
Il povero maresciallo dell’Esercito “Capo Campo” fu molto turbato nel dovere
ospitare una ventina di ufficiali.
Un primo problema da risolvere fu come mangiare.
Infatti ci fu chiesto: “Avete gamellino e posate?”
Noi che fino al giorno prima avevamo mangiato serviti da camerieri nella sala
ristorante di un transatlantico, ovviamente non ne eravamo forniti, per questo
motivo per alcuni giorni (non ricordo quanti) dovemmo aspettare che un soldato
finisse di mangiare per poi “passarci” il necessario!
Questo inconveniente durò pochi giorni, ma subito se ne manifestò un altro: il
clima d Suez era alquanto diverso da quello, direi “tropicale” di Yol; così che nei
mesi invernali, ed eravamo in novembre-dicembre 1944, faceva freddo. Quindi
62

RICORDI DELL’EX P.O.W. N° 10 AMM. GINO GALUPPINI
gli inglesi ci distribuirono una divisa da “collaboratori” cioè un “Battle Dress”
inglese tinto di colore rosso-fegato.
Questo capo di corredo mi fu molto utile dopo il rimpatrio, perché, opportunamente
ritinto di nero, costituì la “divisa numero 2” per bordo, in quanto prima di
poter ottenere una divisa di panno dal Commissariato, dovevo indossare la sahariana
di tela kaki confezionata in India, con regolari controspalline da Tenente
del Genio Navale, ma non adatta né per divisa da uscita, né per divisa da lavoro.
Per inciso, questa sahariana confezionata con tela inglese, era di aspetto e soprattutto
“considerata” ben diversa da quelle che possedevano gli altri ufficiali,
e ne ricevevo i complimenti, nonché la richiesta della sartoria che me la aveva
confezionata!
I giorni passavano, ma di rientro in Italia non se ne parlava. Avvenne pertanto
che a metà dicembre fummo “sorpassati” da un gruppo di “ammalati” provenienti
da Yol che sostarono un paio di giorni nel campo, proseguendo poi per l’Italia.
Come ho avuto occasione di dire precedentemente, dopo l’armistizio vennero
rimpianti alcuni prigionieri che, a seguito di visita medica, erano considerati in
condizioni di salute tali da poter rientrare in Italia.
Per inciso, nel gruppo vi era il generale Lastrucci, generale con il quale nell’agosto
1940 avevamo fatto il viaggio da Geneifa a Bombay e che non avevo più
rivisto perché mandato a Dera Dhum.
Passò Natale 1944, passò il Capodanno 1945, ma la Befana ci fece l’atteso regalo:
il giorno 7 gennaio fummo imbarcati su un treno in vagoni a noi riservati.
A Porto Said fummo imbarcati su una nave di cui non ricordo né nome né bandiera,
ricordo che sullo scalandrone di accesso, ebbi a lamentarmi con Signor
Pieve che mi precedeva, e che, data la sua età, procedeva con una certa lentezza.
Dopo una breve navigazione, una notte e un giorno, alla sera del giorno 9 gennaio
la nave diede fondo in Mar Grande a Taranto.
E qui incomincia il bello!
Nessuno aveva avvertito gli Italiani del nostro arrivo, così che con una imbarcazione
della nave, circa alle ore 23 del 9 gennaio, fummo scaricati sulla banchina
“petroli” di Maricommi al Chiapparo, oggi “Nuova Stazione Navale”.
Come ho detto, nessuno aveva avvisato le autorità italiane del nostro arrivo,
quindi rimanemmo “abbandonati” dagli Inglesi, ma non attesi dagli Italiani.
Dopo un breve “consiglio di guerra” il Comandante Pelosi decise di telefonare
all’Ufficio di servizio di MARIDIPART 16 .
Il problema era come trovare un telefono.
“Qualcuno” si mise in cammino per andare a trovare la più vicina sentinella per
farsi indicare dove fosse il Corpo di Guardia per poter telefonare.
Finalmente la “macchina” si mise in moto, arrivò un camion, e nel “cassone” di
detto camion arrivammo a MARIDIPART.
16 MARIDIPART: Comando in Campo del Dipartimento Militare Marittimo [ndc].
63

Ricordo che quella notte dormii in una camera “a due” nell’ammezzato dell’edificio
di MARIDIPART.
Il giorno successivo fui trasferito in un appartamento “dormitorio” situato in
una delle palazzine di via di Palma, di fronte all’Arsenale. In detto appartamento
erano sistemati 3 o 4 letti per ogni camera e vi erano ospitati circa 20-25
ufficiali di varie destinazioni.
Per mangiare si andava in una trattoria trasformata in mensa, sita circa a metà di via
Cavour, dove prendevamo i pasti ufficiali e sottufficiali destinati ad Enti, sprovvisti di
mensa. Non ricordo se mi fosse dato un titolo per usufruire di tale mensa. Ricordo invece
che siccome nella razione era compreso il “quartino” di vino, questa bevanda ebbe
il suo bravo effetto su un organismo che non ne era più abituato da circa 5 anni.
Tale effetto sparì in brevissimo tempo.
Dopo circa una decina di giorni si arrivò alla destinazione a MARISCUOLA-
SOM 17 , quindi mi trasferii alla Caserma Sommergibili per vitto e alloggio. Nella
Caserma sommergibili, pur avendo il grado di Tenente, ebbi un alloggio da
Capitano, cioè una camera singola, e nel servizio di guardia facevo il servizio
con i Tenenti di Vascello. Nella mensa, invece, fui assegnato a quella dei mono e
bigallonati, o meglio degli ufficiali inferiori. Sottolineo che nella Caserma sommergibili
vi erano tre mense distinte: quelle dei Comandanti di sommergibili,
quella per Tenenti di Vascello e Capitani, e quella per gli ufficiali dei gradi inferiori
della quale, per la mia anzianità, divenni presidente.
La destinazione sui sommergibili era dovuta al fatto che MARIPERS 18 doveva
provvedere a breve data alla sostituzione degli equipaggi dei sommergibili Da Procida,
Speri, Onice e Atropo inviati alle Bermude per collaborare con la Marina degli
Stati Uniti sin dalla fine del 1943-inizi del 1944 e che bisognava far rimpatriare.
Nell’ottobre 1946 da direttore di macchina del Sommergibile Giada passai a fare
il direttore di macchina del veliero Cristoforo Colombo.
5 - La visita del Capitano ZAMMIT
GIOVANNI CECINI
Uno dei problemi che le autorità inglesi dovevano affrontare per trattare con i
prigionieri era la lingua, infatti per la grande maggioranza i prigionieri non
parlavano inglese e i “carcerieri” non parlavano italiano.
A titolo informativo ricordo che nelle scuole medie italiane “ai nostri tempi” si
studiavano come lingue il francese e il tedesco; l’inglese, di norma, era insegnato
solo negli Istituti Nautici, ma non nei licei e altri Istituti superiori.
Anche nella Regia Accademia Navale la lingua più importante insegnata era il
17 MARISCUOLASOM: Scuola Sommergibili della Marina [ndc].
18 Sigla di MARIna PERSonale che nel vecchio ordinamento della Marina Militare Italiana indicava
la Direzione Generale del Personale Militare della Marina militare [...]. Il Dizionario Militare di
Riccardo Busetto, Zanichelli - 2004, pag. 531 [ndc].
64

RICORDI DELL’EX P.O.W. N° 10 AMM. GINO GALUPPINI
francese: ricordo che l’insegnante, professor Bertucciali, ci faceva scrivere, nientemeno,
che le desinenze dei verbi irregolari e compiva un elenco di 20 verbi
che i malcapitati dovevano tradurre “a mente”, ed ogni errore era un voto in
meno, pertanto molto spesso si finiva sotto il 10 e quindi, come conseguenza,
nella “Lettura dei Castighi” dell’assemblea delle ore 13:00, il Brigadiere leggeva
“N.N. per aver riportato deficienze in correttezza un turno di consegna”.
Viceversa per l’inglese le lezioni del Professor Dente non ci fecero imparare
quasi niente, quindi io di inglese ne masticavo assai poco. Difetto comune a tutti,
o quasi tutti, gli Italiani.
Nell’interrogatorio subito ad Alessandria il 22 luglio 1940 erano presenti numerosi interpreti
inglesi ed egiziani che traducevano le domande e le risposte mie e di molti altri.
Nel campo di Geneifa fu di estrema utilità la presenza del Sottotenente Orlandi
(o D’Orlandi) che era il figlio del medico personale dello Faruk che avendo vissuto
e studiato in Egitto, parlava perfettamente inglese e francese.
Ricordo che il sottotenente Orlandi era uno dei personaggi delle motonave
Rodi, fatto prigionieri a Malta mentre rientrava in Italia.
Il problema della lingua si ripresentò nel campi P.O.W. in India, e venne risolto
per almeno due anni (1940-1942) da Italiani “di buona volontà”.
Io stesso mi misi a studiare l’inglese ad Ahmendnaghar; ebbi come insegnante
il missionario Padre Ferrero e Padre Balocco, poi da solo, così che nel Campo
28/2 di Yol, oltre ad occuparmi di amministrazione, venivo chiamato dal capitano
inglese comandante del campo quando doveva comunicare col comandante
italiano, Maggiore Vento, che non parlava inglese.
Non ricordo esattamente la data, ma a Yol arrivarono interpreti che rivestivano
il grado di Capitano dell’Esercito inglese.
Questi interpreti erano dei maltesi reclutati allo scopo o insigniti del “temporary
Rank” di capitano. Fra questi, destinati al Campo 28 vi era il capitano Zammit.
È qui opportuno ricordare che a Malta, benché colonia inglese, la lingua ufficiale
era l’italiano, mentre la lingua parlata era un dialetto di origine araba con
aggiunta di parole italiane, o di radice italiana, per le moderne necessità.
Nell’anno 1922/23, il Governatore Lord Strickland ordinò l’abolizione della lingua
italiana e l’adozione, in sua vece, della lingua inglese, rimanendo le lingua
parlata il citato dialetto.
Per quanto riguardava la lingua italiana e la sua sostituzione con quella inglese,
la prestigiosa Enciclopedia Treccani dedica due intere pagine alle due lingue
maltese ed italiano parlate nell’isola.
In particolare nella riga 6 e seguenti della 2 a colonna di pag. 44 è detto:
La lingua ufficiale dell’Ordine era l’Italiano [... ] nel 1769 fu fondata l’Università
di Malta, ancora esistente, Italiana era la lingua d’insegnamento,
italiani e maltesi erano i professori, l’introduzione dello inglese
tra le lingue ausiliarie data solo il 1880 [...]
65

GIOVANNI CECINI
A titolo di curiosità si ricorda che se le parole di uso corrente erano di origine
araba, senza dubbio erano di origine italiana quelle di una targhetta applicata
sugli autobus che leggeva: “CAXA TAL BILJETI UZATI”.
Ritornando al 1922, poiché all’epoca esistevano già le emittenti e nella capitale
Valletta fu istituito un servizio di filodiffusione che trasmetteva due programmi:
uno in lingua inglese e uno in lingua maltese.
Chi scrive, quando risiedette a Malta negli anni 1954/56, aveva nella propria abitazione
l’attacco per la “REDIFUSION” ancora in vigore dopo oltre 30 anni dall’adozione.
La ragione per la quale era vietato ai maltesi di possedere un apparecchio radioricevente
era per non poter sentire le trasmissioni della Radio italiana, asservita al regime fascista,
e alla sua propaganda (nella quale si parlava “anche” della italianità di Malta).
Come si è detto la legge del 1923 vietava ai maltesi di possedere apparecchi radioriceventi,
ma essendo una legge del 1923 non parlava di televisione, quindi
nell’anno 1954/56 quando il sottoscritto abitò a Malta, non c’era una famiglia
maltese che non possedesse un televisore, che, ovviamente, trasmetteva i programmi
delle emittenti italiane.
Per tale ragione la maggior parte dei maltesi capisce, anche se non parla, la lingua
italiana.
Ma nel 1940 non c’era ancora la televisione, tuttavia molti maltesi conoscevano
perfettamente l’italiano e fra questi furono arruolati gli ufficiali interpreti da
inviare nei campi dei prigionieri in India e negli altri paesi.
Ritornando al capitano Zammit, egli prese servizio nel campo 28 di Yol nell’autunno
1943, ed ebbe occasione di conoscermi nell’esercizio delle sue funzioni.
Dopo il mio rimpatrio nel gennaio 1945 ripresa la carriera nella Marina italiana
(non più Regia Marina) nell’anno 1957 sono stato designato all’allora Comando
delle Forse Alleate del Mediterraneo (in sigla HAFMED 19 ) che aveva sede
a Malta, ancora colonia britannica.
Per misteriose ragioni il capitano Zammit, ridiventato signor Zammit, venne a
sapere che l’ex prigioniero di guerra tenente Galuppini era nell’isola e prestava
servizio al HAFMED.
Pertanto un giorno il sergente della polizia maltese che esplicava il servizio di
guardia all’edificio del Comando, venne nel mio ufficio annunciando: “c’è il signore
che la vuole salutare” (in italiano).
Alquanto stupito perché non avevo mai ricevuto visite, gli dissi di farlo entrare e,
con mia grande sorpresa, mi vidi davanti il “capitano Zammit” di Yol in abiti civili.
Si stringemmo la mano e ci intrattenemmo per una ventina di minuti in amichevole
colloquio in una situazione ben diversa da quella di 13/14 anni prima a Yol.
Per misteriose ragioni forse qualcuno dei “capitani” maltesi di Yol doveva avermi
visto in giro per la città, ed avendomi riconosciuto, lo aveva detto all’ex collega
Zammit, che ritenne amichevolmente di venirmi a salutare.
19 HAFMED: Headquarters Allied Forces Mediterranean [ndc].
66

FONTI, TESTI, DOCUMENTI
Quando l’Accademia Navale
fu veramente grande
Dino Sesani
A Livorno, all’interno dell’Accademia Navale una lapide di marmo reca
incise queste parole:
“per eventi di guerra e nel triennio agosto 1943 - giugno1946 l’Accademia Navale
in continuità operosa trasmigrata a Venezia prima a Brindisi dopo, qui a Livorno
risorgendo da rovine appena rimosse nell’estate del 1946 tenacemente affermava
volontà e attività ricostruttrici esempio nel presente auspicio per l’avvenire
della Patria”.
A Livorno i bombardamenti che ne avevano colpito e in parte distrutto gli edifici
non consentivano un regolare svolgimento delle attività dell’ Istituto, e così
l’Accademia Navale si era trasferita all’Hotel Excelsior, al Lido di Venezia, utilizzando
anche gli splendidi locali del Casinò.
Fra la fine di luglio ed i primi di agosto arrivarono, in questa bizzarra sede, gli
allievi destinati a diventare il Corso che di lì a qualche mese si sarebbe chiamato
“Vedette” mentre gli “Argonauti” – gli anziani – erano in Alto Adriatico, imbarcati
sulla Divisione Navi Scuola, costituita da Vespucci e Colombo. Gli anzianissimi
– Le Raffiche – erano parcheggiati a Colle Isarco, in provincia di Bolzano,
da dove raggiunsero Venezia poco prima della fine di agosto. I Corsi di
complemento erano stati sistemati a Brioni, non lontano da Pola.
L’Excelsior era ed è, uno splendido luogo dove trascorrere romantiche vacanze,
ma come Accademia Navale, aveva un sacco di inconvenienti. Molti allievi dell’epoca
ricordano ancora con terrore la mostruosa quantità di scale che dovevano
salire e scendere sempre di corsa più volte al giorno dal quarto piano dell’Hotel
dove avevano il loro alloggio al quarto piano del Casino dove erano le aule.
Venne l’8 settembre e il Comando dell’Accademia decise, nel giro di poche ore,
di imbarcare allievi, insegnanti, istruttori, famigli, marinai e tutto quanto poteva
essere rapidamente trasportato, a bordo del Saturnia, noto transatlantico
superstite della flotta mercantile italiana appena uscito dal bacino di carenaggio,
in porto a Venezia, mentre il gemello Vulcania salpava, diretto a Brioni, per
prelevare gli Allievi dei Corsi di Complemento: missione purtroppo, drammati-
SECONDO RISORGIMENTO D’ITALIA, n. 1/2011
67

DINO SESANI
camente fallita con la cattura da parte dei Tedeschi dei 739 giovani ed il loro internamento
in un campo di prigionia.
Essi rifiutarono tutti di collaborare con i nazisti ed i repubblichini. Per questo
loro atteggiamento pagarono un altissimo prezzo in termini di vite umane, di
stenti e di malattie che ne hanno segnato successivamente l’esistenza.
L’imbarco e la partenza da Venezia ebbero aspetti da “esodo biblico controllato”
che varrebbe la pena di raccontare, ma è abbastanza indicativa anche la pura e
semplice sequenza degli eventi.
8 settembre 1943: si va a scuola e si svolgono le esercitazioni programmate.
Poco prima delle 20 si sparge la notizia dell’armistizio;
9 settembre: a metà pomeriggio siamo tutti a bordo del Saturnia, che salpa
verso le 20, a luci oscurate. Fuori del porto ci sono due motosiluranti tedesche
in grado di farci la festa e così rientriamo a Venezia.
10 settembre: si salpa intorno alle 14 si dirige verso sud, zigzagando, incontro
ad una limpida notte di luna piena, che mette sgradevolmente in risalto l’imponente
sagoma della nave . Tutti gli Allievi passano la notte in coperta, indossando
il salvagente.
11 settembre: verso le 15 siamo all’altezza di Brindisi ed emerge vicino a noi
un sommergibile che alza bandiera polacca. Ci fermiamo : uno dei nostri Ufficiali
va a bordo del sommergibile e rientra poco dopo. Rimettiamo in moto e, dopo
alcune ore, siamo incagliati sotto costa, poco a sud di Brindisi.
12 settembre: si sbarca dal Saturnia su alcuni rimorchiatori che, nella solita
atmosfera di esodo biblico controllato, ci portano al Collegio Navale di Brindisi.
Nel frattempo a due miglia circa dall’imboccatura del porto di Venezia , le motosiluranti
tedesche attaccano e affondano dopo un furioso combattimento, il cacciatorpediniere
“Quintino Sella” provocando la morte di oltre un centinaio di marinai.
A Brindisi non ci sono né Alleati né Tedeschi. Ci sono il Re, la Regina, il Principe
Ereditario che sono alloggiati all’Ammiragliato. A loro gli Allievi forniscono
un servizio di guardia armata e sicurezza. In serata il Ministro della Marina,
Ammiraglio De Courten, visita l’Accademia e parla agli Allievi.
13-14 settembre: sono i giorni del “facchinaggio”. Tutti concorrono al trasferimento
al Collegio Navale del materiale salvato da Venezia.
Il 14 arrivano a Brindisi il Vespucci ed il Colombo con a bordo il secondo corso ,
dopo una drammatica rischiosissima navigazione attraverso l’Adriatico.
15 settembre: alle 8,30 “colpo” (il segnale di tromba per l’inizio o la fine delle
lezioni) . Si torna a scuola nelle aule del Collegio e gli insegnanti sono in grado
di esordire affermando: “Come si diceva la settimana scorsa a Venezia…”
Incomincia così la vera trasferta dell’Accademia Navale che durerà fino al giugno
del 1946.
Nei giorni e mesi che seguirono successe di tutto, sia pure con un trend abbastanza
rapido verso una relativa normalizzazione, peraltro sempre lontanissima
dagli standard livornesi.
68

QUANDO L’ACCADEMIA NAVALE FU VERAMENTE GRANDE
Nei primissimi giorni mancava l’acqua potabile e si facevano lunghe file per
averne un bicchiere. In mancanza d’altro veniva distribuita una scatoletta di
carne e si sperimentò quanto fosse difficile utilizzarla senza un apriscatole, ma
solo con l’aiuto della baionetta.
Gli Allievi, per tutta la durata della guerra di liberazione, su pressante loro richiesta,
accolta senza difficoltà dal Comando, imbarcavano a turno sul naviglio
di superficie impegnato in missioni di guerra per la scorta ai convogli alleati,
nei sommergibili e sulle motosiluranti che operavano sbarchi di sabotatori ed
informatori nelle zone occupate dai tedeschi.
Quattro di essi del terzo corso, Miele, Del Soldato, Maritati e Rossini non sono
più tornati.
In questo contesto così lontano dal consueto, ciò che non subì la minima variazione,
il più piccolo cedimento; ciò che, come si dice, “non fece una piega” furono
le regole della vita d’Accademia.
Quel “colpo di tromba” del 15 settembre del 1943, ripristinò stabilmente tutte le
norme in vigore. L’orario, la ginnastica mattinale, il rapporto , l’assemblea, le
punizioni, lo studio, gli esercizi militari, il compito di nautica del sabato pomeriggio.
Ma, soprattutto, la disciplina, il rispetto reciproco, la lealtà come requisito
primario, il dovere dell’impegno: in una parola tutto il patrimonio educativo
e formativo di sempre.
Grande davvero questa Accademia Navale in trasferta: alle prese con decisioni ad altissimo
rischio, con responsabilità enormi e problemi assolutamente nuovi come, ad esempio,
quello di assistere molti che avevano rinunciato ad andare avanti o non avevano superato
gli esami, ma non potevano rientrare nelle loro famiglie, al di là del fronte.
Un’Accademia forte soltanto della sua tradizione e della qualità e dedizione degli
uomini che la incarnavano in quei giorni difficili.
Essi vanno ricordati tutti con un rispetto ed una gratitudine che sono diventati
più forti e motivati col passare del tempo.; l’Ammiraglio Comandante che decise,
in poche ore, di trasferirci, assumendosi le responsabilità delle nostre vite e
naturalmente, anche tutti gli altri, nei loro diversi ruoli: gli Ufficiali, i Sottufficiali,
gli Insegnanti, i famigli.
Non vi fu in alcuno di loro e di noi allievi nessuna esitazione, alcun ripensamento
circa il dovere da compiere, vale a dire l’obbedienza all’ordine impartito
alla Marina di raggiungere con qualsiasi mezzo il territorio occupato dagli Alleati,
reagendo con la forza, laddove i mezzi a disposizione lo consentissero, ad
ogni attacco, da qualsiasi provenienza.
Di quel periodo sono anche da ricordare le particolari condizioni psicologiche in
cui vivevano tutti, almeno fino al 1945: la gran parte non aveva notizie della famiglia,
mentre aveva quotidiane notizie dei bombardamenti che colpivano le
nostre città un po’ dappertutto.
Il mondo, al di fuori della miracolosa cittadella dell’Accademia, era contraddittorio,
violento, totalmente diverso dagli schemi secondo cui eravamo cresciuti.
69

DINO SESANI
Non si possono chiudere queste note senza ricordare il contributo di sangue dei
nostri compagni di corso, arruolatisi volontari nei reparti del 1° raggruppamento
motorizzato dell’Esercito, che ebbero il battesimo del fuoco a Montelungo l’8
Dicembre 1943 sul fronte tenuto dalla 5° Armata americana.
Cinque di essi caddero combattendo e riposano ora nel sacrario di Montelungo:
Giovanni Battista Bornaghi, Roberto Morelli, Dario Sibilia, Ludovico Luraschi.
A loro va il nostro commosso ricordo.
Dino Sesani del Corso Vedette
Questo scritto è la sintesi di un articolo pubblicato dalla Rivista “Marinai d’Italia”
qualche tempo fa redatto e firmato dall’Ammiraglio Giorgio Porciani recentemente
scomparso.
70

Com è duro esser vecchi!
sai un c’è verso
pensare al futuro è vanitoso
allora non rimane che il passato
nei venuti al mondo
negli anni venti o giù di lì
di ricordi si trabocca
sia allegri e quegli dolorosi
allora ne voglio raccontare
uno dei più tristi
desidero che mio nipote sappia
cosa avvenne quella notte
nelle stanze dove oggi egli vive
mio padre moribondo in una stanza
La città divisa
di là d’Arno gli Alleati
di qua d’Arno i tedeschi
l’Arno, il Terzolle, il Mugnone
FONTI, TESTI, DOCUMENTI
Memorialistica della Guerra di Liberazione
I nostri soci raccontano le loro esperienze
Notte di San Giacinto
Firenze, 17 agosto 1944
Alfredo Poggiali
Siamo a Firenze nell’agosto 1944. Le avanguardie alleate sono entrate nei
sobborghi della città, mentre le retroguardie tedesche si ritirano gradualmente
seminando morte e distruzione coadiuvate da elementi della banda di Alessandro
Pavolini. Imperversano gli odiosi franchi tiratori e si consumano altre tragedie
come questa, di cui il tempo non è riuscito a scalfirne la drammaticità.
71
eran linee di difesa dei tedeschi
verso Alleati e partigiani
un moribondo senza un medico ne
medicine
la febbre tifoide devastante
assistito da mia madre che niente
potea
solo ascoltare il rumore dei mortai
i colpi cadevano poco lontani
toccando il suolo esplodean
con un gran botto
spargendo micidiali schegge
seminando rovina e morte
un colpo di questi
esplose nella finestra
della stanza accanto
crollarono muro e solaio
non fece vittime
SECONDO RISORGIMENTO D’ITALIA, n. 1/2011

perché la stanza era disabitata
odore acre della esplosione
la polvere dei calcinacci invase tutto
togliendo anche il respiro
altri colpi caddero poco lontani
poi una lunga pausa
la casa fa fronte fra due strade
una era ed è una arteria la Faentina
da cui una finestra si potea vedere
una grande colombaia
era sul tetto della colombaia
entro la quale si era appostato
per sparare sulla gente inerme
un franco tiratore
gente senza scrupoli al soldo fascista
comandati dal Gerarca Pavolini
sparavano in vari punti della città
seminando terrore e morte
colpi di mortaio in abbondanza
se uscivi ti sparavano
ora dopo ora il peggio veniva
mancava tutto perfino l’acqua
la giornata del 16 si concluse
si fece notte e buio pesto
far luce avrebbe segnalato
la nostra presenza
il tempo passava il malato peggiorava
la voce della mamma mi disse
tenta di arrivare al convento
posto dall’altra parte della strada
domanda se hanno qualcosa
per alleviar la febbre
uscii e strisciando lungo il muro
arrivando al grande portone
ALFREDO POGGIALI
72
bussando con forza facendomi
riconoscere
attraverso una fessura parlai
con una suora un fil di voce mi
rispose
aspetti vengo con lei
la suora la conoscevo era suor Sabina
avea l’incarico di infermiera
il portone si aprì e lei uscì
ci incamminammo a schiena bassa
appoggiati verso il muro della strada
al solo chiarore delle stelle
non incontrammo ostacoli di sorta
entrò subito in casa chiedendo
un po’ d’acqua e si lavò le mani
al morente gli fece una inizione
che poco dopo gli procurò sollievo
rimanemmo tutti in silenzio
l’attesa era lunga senza parola
dalle fessure di una finestra
entravano le prime luci dell’alba
misi subito occhio alla fessura
da cui vedevo la bianca strada
da un'altra fessura vedevo la
colombaia
tutto ad un tratto intravidi
due soldati che avanzavan
lentamente
schiena bassa fucile in mano
giunti al portone un sibilo un boato
era un colpo di mortaio
le schegge dell’ordigno colpirono
mortalmente i due soldati
il primo cadde pesantemente a terra
l’altro barcollando entrò nell’andito

feci a tempo a sorreggerlo
spirò fra le mie braccia
mi resi conto che era un sergente
dell’8ª Armata inglese
dall’andito non poteo essere visto
dal cecchino appostato in colombaia
così potei sistemare i due morti
gli deposi l’uno accanto all’altro
in poco tempo il loro sangue fece pozza
altri soldati non arrivavano
sentii un colpo secco di fucile
fu facile capire chi sparava
mi trovavo in preda allo sconforto
sentivo una ribeglione con me stesso
d’istinto raccolsi il fucile del soldato
me lo appoggiai alla spalla
dalla fessura della finestra
feci partire una raffica verso la
colombaia
rimasi incerto sul da farsi
il tempo passava nessun colpo
dalla colombaia
l’attesa di altri soldati o partigiani
era snervante il tempo era lento
udivo in distanza i boati dello scoppio
dei cannoni degli Alleati
il mortaio non aveva più sparato
stavano arrivando le ombre della sera
la tragedia era appena iniziata
due soldati morti nell’andito
un morente in camera da letto
solo con due donne
avevo più sete che fame ero stanco
l’acqua di scorta era alla fine
NOTTE DI SAN GIACINTO
73
stava ritornando il buio della notte
mi allontanai dalla fessura
mia madre ad alta voce mi chiamava
dicendomi vieni tuo padre è morto
intanto si era fatto buio pesto
accesi l’ultima candela
il suo chiarore era un pericolo
necessario per sistemar la salma
appena avemmo fatto la spensi
l’attesa di eventi era snervante
i soliti colpi in lontananza
la monaca giustamente era agitata
volea rientare al convento
difficile farle capire il rischio
diceva che il suo aiuto era finito
al convento potean aver bisogno
mia madre mi disse accompagnala
non misi tempo in mezzo
toccando il muro come un cieco
faceo strada alla generosa suora
strisciavamo contro i muri
la distanza non era tanta
in quel frangente era un viaggio
non appena arrivati bussai alla porta
la suora si fece riconoscere
e subito aprirono
sentii il dovere di abbracciarla
lei rientrò fra le consorelle
ristrisciando contro il muro
al chiarore delle stelle
tentavo il rientro a casa ci riuscii
prima che il giorno sorgesse
dovevo avvertire di quello che era
avvenuto a cavallo della notte

i Padri missionari della Chiesa
distante due isolati che eran tanti
quei morti mi davano coraggio
uscii in strada a schiena bassa
presi cammino titubante faceo sosta
per sentir rumori
poi sempre piegato ripartivo
all’orizzonte i bagliori del cannone
c’è la feci ad arrivare alla Chiesa
chiamai il Padre a fil di voce
subito aprì la porta
chiedendomi cosa fosse successa
in breve gli raccontai l’accaduto
senza far parola si incamminò
velocemente io lo seguivo a fatica
appena giunto entro nel portone
alla vista dei soldati morti
si buttò pesantemente in ginocchio
pregando gli unse benedicendoli
stessa cosa fece con mio padre
abbracciò mia madre facendole
coraggio
pregava di continuo
un fil di luce entrò dalla finestra
rivolgendosi a me mi disse
questi morti bisogna darle sepoltura
al cimitero della Parrocchia
le fosse sono già state fatte
lo informai che nella colombaia
si era appostato un franco tiratore
l’ho visto io da dove spara
e gli ho sparato anch’io
fece una pausa dicendomi
si è visto scoperto se n’è andato
ALFREDO POGGIALI
74
udimmo un rumore di passi cadenzati
potea essere anche tedeschi
poi un rumore di un motore
era un cingolato inglese
che proteggeva i soldati
che tentavano di avanzare
in inglese ad alata voce il Padre
gli avvertì della morte degli altri
subito si attestarono a difesa
piazzando una mitraglia
il cecchino non aveva più sparato
anche i colpi di mortaio eran cessati
il Padre mi disse di aspettarlo
fece ritorno con un barroccino
sfidando ogni rischio dispose
sul pianale del carretto
le tre salme coprendole con
un candido lenzuolo
il capo pattuglia Inglese
tolse le piastrine ai due morti
autorizzò il Padre per la sepoltura
ci avviammo verso la Chiesa
nel contempo era arrivata una
pattuglia di partigiani
ad uno di loro gli chiesi da bere
avea la borraccia
bevvi avidamente poi in cammino
il Padre alle stanghe io di lato
agitante un cencio bianco
come segnale di riconoscimento
il sole era già alto ma avevo freddo
giunti al cimitero sistemammo
i morti nelle fosse già scavate
per far la cassa quattro assi

le coprimmo di terra poi il Padre
benedisse le tombe leggendo orazioni
poco lontana una scarica di fucileria
forse uno scontro fra pattuglie
dalla Badia Fiesolana il mortaio
sparava i suoi colpi micidiali
noi eravamo nella terra di nessuno
esposti fra i due fuochi
salutai il padre e presi cammino
verso casa portone dopo portone
facevo soste per meglio orientarmi
un colpo di mortaio esplose vicino
intanto i primi Inglesi si
accasermarono in casa
il rancio c’era anche per noi
il fronte era fermo
nessuno avea voglia di avanzare
forse avea l’ordine di temporeggiare
i tedeschi a San Domenico
avean fatto linea di difesa
da lassù dominavan tutta la piana
gli scontri continuavano
la Brigata partigiana Lanciotto
era la più attiva
infatti dopo tre giorni riuscirono
ad arrivare ai piedi del colle
pesante fu il numero dei caduti
anche degli Inglesi
il piccolo cimitero di Lapo
nella sua terra accolse altri morti
NOTTE DI SAN GIACINTO
75
il barroccino del Padre era
l’ambulanza
spinto da volontari
con il suo carico di feriti
sventolando una grande bianca
bandiera
tentavano di arrivare all’ospedale
di via Giusti
ora mi rivolgo a te caro nipote
se leggerai questa storia avrò
piacere
ma dimenticala subito ti auguro
di non conoscer mai l’atrocità della
guerra
la finestra che ho raccontato
oggi fa parte della tua casa
da lì osserva la colombaia
oggi abitazione di pregio
ma in quella lontana notte da lì
un infame distribuiva colpi mortali
fra la inerme gente in cerca di
un po’ di acqua
testimone fu quella Madonna del
Tabernacolo
sull’angolo della strada
che raffigura la Madonna dei sette
dolori
anch’essa sfregiata da una scheggia
quello sfregio è un altro dolore
dato alla madre nostra
dall’atrocità della guerra.
La testimonianza è stata scritta di getto in quartine libere per non inficiare
l’efficacia e la spontaneità emergenti dalla drammaticità del racconto.

ALFREDO POGGIALI
76

MISCELLANEA
Il Tenente “Bocia”
Sergio Pivetta
Quando, a Iesi, era arrivato il decreto ministeriale con la nomina sul
campo, per meriti speciali, a S. Tenente (e con la nomina ad ufficiale
una licenza premio di 10 giorni), avevo tirato un respiro di sollievo.
Ero giù di corda perché, nell’attacco sulle colline di S. Maria di Iesi, Enrico ci
aveva rimesso un occhio e Mimmo la pelle. A me e Pino era andata bene, ma
avevamo entrambi un magone così. E la licenza era arrivata al momento giusto.
Decisi entrambi a trascorrerla il più lontano possibile dal fronte, dove non si
udisse nemmeno lontanamente il brontolio del cannone, avevamo scelta come
meta io L’Aquila, Pino le Puglie.
Poi, al ritorno, la legnata. Pino restava al Btg. Piemonte che andava a riposo, io
trasferito al Btg. Monte Granero che rimaneva in linea per un altro mese. Ero
proprio a terra. Per fortuna, a tirarmi su il morale, ci fu l’accoglienza che mi riservò,
quando mi presentai alla 706a Compagnia, il Capitano Enzio Campanella,
un molisano tutto d’un pezzo, uno splendido comandante.
Ma non fu l’unica lieta sorpresa. Abituato con gli alpini del btg. Piemonte, formidabili
in combattimento e quando eravamo in prima linea, ma anarchici è
dire poco quando eravamo di rincalzo, una ne pensavano e dieci ne combinavano,
rimasi di stucco quando i disciplinatissimi “grigi” del Monte Granero - erano
tutti richiamati delle classi 1907-1908-1909-1910, perciò uomini dai 35 ai
38 anni (ed io ne avevo 22) mi accolsero con un rispetto che rasentava la devozione
e mi metteva nell’imbarazzo. Abituato com’ero ad arrangiarmi, lavarmi
la gavetta, piantarmi la tenda, rifarmi, la sera,il giaciglio, vedermi al centro
del loro rispetto e delle loro attenzioni mi procurava non poco disagio. Mi trattavano
come un figlio e nello stesso tempo mi rispettavano come un padre. Decisi
perciò di accettare il mio destino e di rimanere con loro. E se il Btg. “Piemonte”
andava a riposo e a me toccava di restare in linea, pazienza, i “vecchi”
del “Monte Granero” meritavano tutto il mio entusiasmo di sottotenentino di
prima nomina.
Con loro venni spedito in Sicilia. Ufficialmente per … combattere contro l’EVIS,
Esercito Volontario per l’Indipendenza Siciliana, che ebbe il buon senso di restarsene
sulle Madonie mentre noi, a Palermo, eravamo accantonati in una ca-
SECONDO RISORGIMENTO D’ITALIA, n. 1/2011
77

SERGIO PIVETTA
serma di carabinieri. Per cui una guerra ci fu, ma tutto sommato piacevole, con
le ragazze da marito che l’allora comandante dell’EVIS cercava di collocare invitando
ai suoi ricevimenti gli ufficiali “continentali” dell’Esercito nemico. E
qualcuno, di noi, quando il battaglione venne sciolto, ritornò tra le sue montagne
con una sposa siciliana.
Di fatto, comunque, fummo impiegati in operazioni anti-banditismo, di supporto
ai carabinieri; noi circondavamo i paesi, loro perquisivano le abitazioni alla
ricerca del bandito Giuliano, senza prenderlo mai.
La nostra vita procedeva perciò tranquilla. Io con il mio plotone ero di guardia
a Villa Pallavicino. Di notte mi alzavo alle ore più diverse per ispezionare senza
preavviso le postazioni dove avevo sistemato le sentinelle e fare intendere ai
mafiosi, mitra alla mano, che non avrei esitato a fare fuoco. La domenica facevo
il giro di Palermo con l’autocarretta, caricavo ragazzi e ragazze siciliani con i
quali avevo fatta amicizia e andavo a trascorrere la giornata alla spiaggia di
Mondello.
Ogni quattro sere, quand’ero di giornata, l’impegno maggiore era quello di far
rientrare in caserma gli alpini della mia compagnia. E siccome le compagnie
alpine, a quei tempi, arrivavano a quasi 300 uomini, significava dover “fare”,
ogni quattro sere, non meno di una quindicina di bar e di osterie. Con il risultato
che, rientrato in caserma l’ultimo alpino, ero completamente ciucco e in
quel momento entrava in scena l’attendente, il cui compito era di caricarmi su
di una carrozzella ed accompagnarmi ai quattro canti di città, dove avevo la
camera.
Gli alpini erano bravi e buoni, ma per ottenerne l’obbedienza bisognava lasciar
correre su qualche bicchiere di troppo.
Una sera mi vengono a chiamare d’urgenza. Tenente, c’è l’alpino Nane B. che
sta minacciando chiunque cerchi di avvicinarglisi. L’Alpino era un marcantonio
alto un paio di metri che, richiamato in modo un po’ troppo perentorio da due
poliziotti, aveva tirato fuori un paio di bombe a mano e si era piantato in mezzo
alla strada facendo il vuoto attorno a se’. Mi vede mentre gli vado incontro e mi
ferma con un perentorio alto là in friulano “cui isal? chi sei?”. Come chi sono,
“sono il tuo tenente, soi il tenent”. Inizia un dialogo a distanza, in un friulano
condito dalle imprecazioni più svariate mentre mi avvicino lentamente replicando
in friulano fino a che riesco ad avvicinarlo e mentre continua a sacramentare
“tenent, me mi a rovinat la nae, tenente, mi ha rovinato la naja” riesco
prima a farmi consegnare le due bombe a mano, poi a prenderlo sottobraccio e
riportarlo in caserma. Missione compiuta.
Un po’ meno bene andò qualche sera dopo. Un agente, imponendo ad un
gruppo di alpini di lasciare il locale nel quale stavano bevendo e di rientrare
immediatamente “un attimo, finiamo il bicchiere e rientriamo” … “no, niente
bicchiere,, filare in caserma, subito” punta il moschetto contro gli alpini. Non
l’avesse mai fatto. Gli spaccano il calcio sulla testa, l’agente finisce all’ospe-
78

IL TENENTE “BOCIA”
dale, e al Colonnello Talmone arriva una denuncia. Il Colonnello, identificato
il gruppo dei responsabili “fuori il colpevole o tutti in prigione”. Tutti in prigione,
il colpevole non viene fuori. “Tenente, faccia una indagine!” Il Tenente
affronta gli alpini. “Fuori il responsabile …” “Noi a chiel, a Lei, il nome di
chi è stato possiamo anche dirlo, ma Lei tiene la bocca chiusa e va a dire al
Signor Colonnello che noi ci facciamo tutti un mese di rigore, ma il nome non
salta fuori”.
Così sono fatti gli alpini. E tu che assieme a loro sei andato all’assalto e li hai
guidati e ti hanno difeso in combattimento, non puoi tradirli adesso.
E quando i militari di un altro reparto (non puoi rivelare quale, te lo sei dimenticato)
si ammutinano (unico episodio, credo, nella loro storia) - minacciando
armi alla mano i propri ufficiali e il loro comandante, non sapendo
quali pesci pigliare, chiama te, perché gli ufficiali degli alpini hanno una marcia
in più, e tu entri, pistola in pugno, nella loro camerata, li affronti spavaldamente
patteggiando con loro, “se si arrendono, parola di alpino, l’impunità”
e ti rispondono che sì, alla parola di un ufficiale degli Alpini ci credono e tu ritorni
dal loro comandante “Rivolta domata a condizione che Lei mi dia la sua
parola di metterci una pietra sopra e di non prendere provvedimenti” “Mah
…” “Niente mah, Sig. Colonnello, o così o va a disarmarseli Lei”, - finisce tutto
bene: rivolta domata.
Riprende il tran tran di tutte le settimane. Ogni tanto all’alba, e talvolta anche
di notte, tutti sugli autocarri “si va a circondare un paese. Ordine di sparare a
vista a chi scappa”. “Tenente, sparargli alle spalle?” “Certamente, se tagliano la
corda: due colpi in aria, a verbale bersaglio fallito. E se si girano, se sono armati,
sempre due colpi, il primo al corpo, il secondo in aria”.
Ma per fortuna, scappano saltando come camosci e non ci danno nemmeno il
tempo di prendere la mira.
Così per diversi mesi.
Finché un bel giorno, a compagnia schierata, il “tenente bocia”, afferrato per le
due braccia ed una gamba dai tre subalterni della compagnia, e dall’altra dall’attendente,
volò in aria due o tre volte davanti agli alpini che, imperturbabili,
approvavano perché gli alpini debbono rispetto al loro tenente ma il tenente deve
non minor rispetto ai suoi colleghi “anziani”.
E, per finire in bellezza, un bel mattino , il tenente bocia - capocordata il tenente
Murtula, che nella vita sarà poi un celebre avvocato del foro di Genova, al
centro l’universitario palermitano Beppe Gristina, che poi diventerà ufficiale
degli alpini e noto professionista - si fanno, in prima assoluta, partendo dalla
Favorita, la scalata a picco della parte verticale di Monte Pellegrino fino al Castello
Utveggio, raggiungibile fronte mare da una comoda strada asfaltata, dove
trovano ad accoglierli, festanti, gli altri ufficiali del battaglione ed i soci del
C.A.I. di Palermo.
E anche questa è naja.
79

MISCELLANEA
Memorialistica
Lettera alla famiglia di un prigioniero
Firenze 11.5.45
Preg.ma Famiglia Danesi,
la lettera presente Voi l’aspettavate da tempo ed io lo so. Mi perdonerete, ma il
coraggio mi mancava e la forza di scrivervi pure. Ho sempre sperato di trovare
uno di voi per raccontarvi a voce ciò che sto per scrivervi. Mi sarebbe stato più
facile e avrei sofferto volentieri insieme a Voi come ho sofferto dolore prima per
il vostro caro Millo che insieme abbiamo trascorsi parecchi anni. In questi anni
dal 1940 al 1944, insieme a lui ho passato bei giorni e insieme a lui anche quelli
brutti sin alla fine Sua. Feci sapere la triste notizia al figlio di Gelli perchè a
me era impossibile raggiungervi a casa. Rassegnatevi e con coraggio sopportate
questo peso che è il più doloroso. E dispiacerebbe se la narrazione della sua vita
dopo l ‘ otto settembre 1943, vi cagionasse più dolore ancora e immagino che la
vorrete sapere; eccovi così.
Il 10/9/1943 fuggimmo sui monti della Grecia. Per vivere dovemmo lavorare
presso i contadini. Io mi ammalai e ritornai in Patrasso, dove la mia fidanzata
mi teneva nascosto e mi curava. Nel mese di novembre anche Millo ritornò, dopo
aver vagato per le montagne parecchio tempo. Una famiglia di Sua conoscenza
gli dava da mangiare e da dormire; (sempre in Patrasso). Era una vita piena
di pericoli, e si correva il rischio sempre di essere arrestati dai Tedeschi.
Esistevano parecchie spie le quali davano una mano ai Tedeschi.
1l 15 novembre i Tedeschi emisero un”bando” che tutti gli italiani dovevamo
presentarsi, pena di ricorrere alle leggi di guerra, e pena di morte ai cittadini
che tenevano nascosti italiani. Io ritornai in montagna e così il. povero Millo.
Poi la mia salute toccata forte, dovetti ritornare in città e vivere nascosto di
nuovo. Millo, non potendo anch’egli stare in montagna scese di nuovo. Nel mese
di Gennaio, dietro falsa propaganda del consolato italiano, il quale diceva che
chi si presentava veniva rimpatriato, Millo si presentò,e con altri Italiani furono
portati in un campo di concentramento in Atene.
Dopo quei fatti, a noi che non ci eravamo presentati ci fecero una caccia spietata.
Il 18 gennaio io venni arrestato dai Tedeschi; fu così che ci ritrovammo in Atene
nel campo di concentramento smistamento”Marginot”.
Il 28 gennaio 1944 ci fecero partire in 1150, chiusi e sigillati nei vagoni.
Ci portarono a lavorare in una miniera su di un monte a 2.000 (mila) metri di
altezza a Maskatica -Serbia, Jugoslavia. Si passò un terribile inverno, freddo e
fame. Voi gli mandaste qualche pacco, immaginate quanto gli fecero bene. Millo
nell’inverno lavorò poco, perchè non aveva le scarpe. Io mi ammalai, e senza
medicinali così malconcio dovevo lavorare sotto lo sguardo incessante delle sen-
80

MISCELLANEA
tinelle e dei cani poliziotto. Inutile sarebbe stato tentare la fuga.. Molti provarono
e furono ammazzati dalle sentinelle. Un nostro compagno carabiniere di
Gorizia morì nel mese di maggio un anno fa. Millo come salute stava bene. Un
secondo carabiniere di Arezzo, lo portarono via nello stesso mese perché tubercoloso.
L’estate passò meglio, il caldo soprattutto ci aiutava.
Allora lavoravamo tutti 12 ore al giorno, In settembre precisamente l’8 del 1944
ci portarono via di qui in seguito alla travolgente avanzata russa e il colpo di
stato della Bulgaria..
Ci portarono qui a Beljo Polje a una cinquantina di Km. L’intenzione dei Tedeschi
era di portarci in Germania. Questa strada si percorreva naturalmente a
piedi.
Nella notte del 9 i Tedeschi furono circondati e rimasero assediati. Anche quella
notte io e Millo distendemmo la coperta e si dormì insieme. Egli aveva un po’ di
febbre ed io come potevo, cercavo di aiutarlo.. Dopo pochi giorni Millo stava bene
e i Tedeschi non potevano portarci via, Noi vedevamo vicino la grande liberazione.
Ma quegli assassini di Tedeschi animati dall’odio e dalla ferocia rabbiosa
non mancarono di mietere nuove vittime fra gli Italiani. Essi si erano fortificati
e i partigiani di Tito non riuscivano a sopraffarli. Per fortificarsi i Tedeschi obbligavano
a noi Italiani a lavorare sotto il fuoco dei cannoni e dei bombardamenti
aerei. In quel periodo io e Millo avevamo preso dai magazzini Tedeschi,
farina,fagioli e piselli, tanto che si facevano cuocere e si mangiava riuscendo a
sfamarsi.
Un giorno Millo saltò fino ai reticolati per andare a prendere uva, pannocchie di
granturco e zucchini freschi. Dopo diceva: “Ero già fuori. Perché non sono fuggito?
Potevo scappare insieme ai Partigiani “
Ma io dico che il destino agisce su di noi con la forza crudele!
Passarono pochi giorni. Subimmo un forte bombardamento aereo dai Russi e
Bulgari. Essi tiravano alla fabbrica, dove proprio eravamo in 1.500 prigionieri.
Millo si sentiva spesso la febbre e io mi interessai per farlo ricoverare in Infermeria.
Una sera egli mi disse: “io non riesco a ritornare in Patria”. Cercavo di
calmarlo e gli sgridai di pensare a certe idee, :proprio allora che eravamo alla
fine. Difatti poco dopo guarì. Io una sera tentai a scappare, ma di sei quattro li
fucilarono; noi due facemmo in tempo a rientrare in baracca. Millo diceva che
non voleva scappare, così quando seppe del mio scampato pericolo e dell’altro
amico, fu lui a sgridarmi a me e di rischiare così la vita negli ultimi giorni.
Decidemmo di attendere la liberazione 8 (otto) ottobre 1944. I Bulgari con le artiglierie,
gli Italiani coi mortai, le truppe di Tito con armi leggere, iniziarono
l’attacco che doveva portarci poi la liberazione.
Nonostante sapessero che nella fabbrica c’erano tutti Italiani le artiglierie tiravano
sopra ad essa. In poche ore, centinaia di proiettili bucarono il tetto. Molti
Italiani pagarono con la vita. Fu così che alle ore 18 di quella triste domenica
dell’8 ottobre che......oh perdonate!.....anche il nostro povero Millo pose fine alla
81

MISCELLANEA
sua esistenza. Stava davanti alla cucina per mangiare,(sempre nell’interno della
fabbrica), quando un proiettile da 75/13 bucò due muri e scoppiò al centro
della fabbrica. Molti furono i feriti . Una piccola ferita al cuore è bastata per…..
Io arrivai tardi; era presente un carabiniere siciliano, Lo Faro, seppi così che le
sue ultime parole furono: “Addio a tutti, addio mamma, papà -Viva l’Italia”.
I combattimenti continuarono per altri quattro giorni e altri Italiani pagarono
con la vita.
In un piccolo cimitero, in questa località Beljo Polje (Serbia) vi sono parecchie
croci che segnano dolorosamente il cammino dei prigionieri Italiani nelle mani
dei Tedeschi, e fra queste una fossa racchiude otto salme dove assieme dorme il
sonno eterno il nostro Millo. Avrei voluto risparmiarvi questo racconto, perché
il vostro dolore fosse minore, ma sento ora un sollievo per avere compiuto un
dovere verso Lui che forse di lassù prega per noi. Con voi mi unisco al medesimo
dolore e prima ancora vi dico:l’ho compianto e non l’ho potuto dimenticare
ancora. Ricevete l ’ e mie più vive condoglianze.
Mi dico devotissimo,
Livio Ferrari
Un intervento con precisazioni
Emauele Mastrangelo
Caro Direttore,
apprendo ora - con colpevole ritardo - della polemica aperta da un vostro lettore,
Paolino Orlandini, contro il mio saggio sulle diserzioni durante la RSI che pubblicaste
nel 2004. Chi sia questo signore io non so: dalle sole 13 pagine di internet
che parlano di lui apprendo che è presidente di sezione provinciale dell’ Istituto
Nastro Azzurro di Ancona, che un comunicato dell’ANPI lo chiama “compagno Orlandini”
e che ha scritto un articolo per la tua rivista sulla questione delle foibe
che ha toni giustificazionisti se non negazionisti, e certamente anti-italiani. Non
mi risulta sia uno storico nè un ricercatore, nè che sia “del mestiere”: però lungi da
me il voler fare una qualunque questione di casta: risponderò puntualmente alle
obbiezioni di Orlandini, ancorchè sarebbe sempre cosa buona che ogni persona prima
d’occuparsi di qualcosa, si documentasse appena il minimo indispensabile.
Di cosa mi accusa Orlandini nel mio saggio? Sostanzialmente di aver dato della
situazione della Guerra Civile italiana un quadro asettico e non filo-resistenziale,
di aver usato come principali fonti Renzo De Felice e Giorgio Pisanò, di aver
“accomunato partigiani e banditi”, di aver taciuto dell’annessione strisciante
delle province nordorientali alla Germania.
Sul primo punto, niente da eccepire. Per Orlandini, fotografare una situazione
tentando di essere oggettivi e di sfuggire alle trappole e alle illusioni della reto-
82

MISCELLANEA
rica è evidentemente un reato. Probabilmente Orlandini appartiene a quella
schiera - fortunatamente sempre più esigua - di idealisti che ritiene la Resistenza
un mito intoccabile, rivelato ad alcuni depositari (e gendarmi) della Memoria
e al di fuori d’ogni discussione, ricerca, revisionismo. La Resistenza fu il
Bene Assoluto (contrapposto al Male Assoluto), fu composta solo da uomini senza
macchia e senza paura, combattè con sincero patriottismo per la libertà d’Italia
e per cacciare fuori lo straniero tedesco invasore. Inoltre su di essa si basa
la nostra Repubblica, e mettere in discussione anche solo per sbaglio questo pilastro
significa attentare allo Stato e alla Costituzione. Ma siccome alle favole
ho smesso di credere da bambino, anche a questa favola ho da lungo tempo fatto
il funerale, senza fiori ma con opere di bene. La Resistenza - come ogni altro
avvenimento storico - è stata un fenomeno complicato, complesso, stratificato,
tutt’altro che lineare. Con luci ed ombre. Con aspetti disinteressati e patriottici
che convivevano accanto a contingenze, opportunismi e ipoteche ideologiche.
Accanto alla resistenza, inoltre, convisse un ampio movimento tutt’altro che
limpido fatto di pura e semplice delinquenza e che alla “venticinquesima ora” si
rifece una verginità grazie ad un bracciale tricolore messo al momento giusto. E
non sono io a dirlo, nè qualche “sporco revisionista” (come revisionista ci tengo
a dire che mi lavo quotidianamente), ma autori dall’insospettabile curriculum
politico come Claudio Pavone - che per primo sdoganò la locuzione prima impronunciabile
e blasfema di “guerra civile” - e Guido Crainz. D’altronde di quanta
scrematura fu necessaria nel dopoguerra per distinguere i veri partigiani dai
sedicenti tali, lecarte delle varie commissioni istituite alla bisogna parlano
chiaro.
Inoltre Orlandini mi accusa di avere il doppio fine di voler in qualche misura
denigrare la Resistenza attraverso queste constatazioni. Tuttavia, se avesse
avuto l’accortezza di leggere il saggio togliendosi i paraocchi ideologici, avrebbe
constatato come ogni discorso sulla Resistenza è assolutamente incidentale, ed
è relativo a quanto interessa il fenomeno delle diserzioni nella RSI. Per capire
questo fenomeno noi abbiamo bisogno di comprendere il punto di vista e la percezione
che i militi repubblicani avevano della loro situazione, e come essi si
rapportavano con la Resistenza e col fenomeno più vasto del banditismo. Ogni
ragionamento a latere sulla Resistenza, su come essa fosse o meno da distinguersi
dal volgare banditismo, è del tutto accessorio e pletorico in quella sede.
Certamente un discorso interessantissimo e meritevole d’ogni approfondimento,
ma fuori tema nella fattispecie del mio saggio.
Poi Orlandini passa alle fonti. Da come accomuna De Felice e Pisanò (il primo
uno storico del tutto apolitico, il secondo un giornalista fascista mai rinnegato)
si capisce che Orlandini soffre di pregiudizi ideologici fortissimi. Tanto da costringerlo
a non vedere come di autori ne abbia citati diversi altri (fra cui anche
Deakin - per quello che vale - Ilari, Utili, Klinkhammer e Pansa prima
maniera) e che sulle fonti ho fatto una lunga premessa sia sul metodo che nel
83

MISCELLANEA
merito. In sintesi l’unico storico che approfondisce scientificamente il problema
delle diserzioni è De Felice. E la storia delle FFAA della RSI più approfondita è
quella di Pisanò: è forse strano che le due fonti principali di un lavoro su questo
argomento si poggino essenzialmente su questi due autori?
Su Albertazzi e sul fatto che io non direi la verità, Orlandini delira: intanto io
non sono entrato nel merito dei fatti riguardanti Albertazzi (che per Orlandini
ha la colpa d’essere “spocchioso”... vabbè...) e soprattutto non ho parlato del suo
coinvolgimento nell’esecuzione del partigiano Ferruccio Mannini. Ho parlato
dell’episodio nel quale Albertazzi fu comandato dal suo superiore Zuccari a giustiziare
alcuni ragazzi che si erano allontanati arbitrariamente dal reparto. Un
episodio dolorosissimo anche perchè i giovani si erano ripresentati spontaneamente.
E un episodio che è paradigmatico del conflitto interiore fra doveri militari
e desideri individuali, fra umana pietà e fredde necessità di mantenere disciplina
ed ordine in un reparto in giorni di caos e di disfacimento generale.
Dunque non vedo dove sia la mia “menzogna”, nè quale sia la necessità di tirare
in ballo altre storie.
Per quanto riguarda la questione dei partigiani e dei banditi non mi dilungo oltre,
ma due parole voglio spendere sul fatto che io non avrei detto “una parola
delle diserzioni avvenute tra le fila repubblicane schifati per come veniva condotta
la rappresaglia contro inermi”. Se non sbaglio credo di aver affermato in
almeno tre passaggi differenti che il coinvolgimento dei reparti repubblicani
nella spirale delle rappresaglie e controrappresaglie abbia rappresentato uno
dei motivi principali di crollo del morale dei soldati della RSI. Forse a Orlandini
è sfuggito. O forse non ho usato i toni retorici a cui sembra essere avvezzo.
Me ne scuso, ma il mio è un lavoro con (modestissime) pretese di scientificità e
non un alato pistolotto da pronunciarsi durante l’apposizione di corone d’alloro.
Non ho detto nulla sulla “vigliaccheria dei suoi amici [sic!] della Decima quando
venivano catturati dai nostri soldati del Gruppo di Combattimento Cremona”
semplicemente perchè non fa parte del tema in questione. Infatti se Orlandini
nota non ho parlato nemmeno del Campionato del Mondo di calcio del 1986,
della diatriba sul fatto che Elvis possa essere stato rapito dagli alieni e del dibattito
sull’uso di guanciale o pancetta nell’amatriciana. Spero per questo di
non aver offeso nessuno, ma ho cercato di mantenermi strettamente sul tema e
di non uscire dal seminato.
Concludo infine con un cenno al lungo sproloquio di Orlandini sulle terre orientali
d’Italia e sull’occupazione tedesca: Orlandini qui dimostra di non avere la
minima contezza di ciò di cui parla, laddove afferma che “quelle terre furono cedute,
senza alcuna protesta, alla Germania da parte della Repubblica di Salò”.
Ora, come tutti gli studi scientifici sull’argomento hanno ampiamente dimostrato
(e cito ancora De Felice, poi Cospito e Neulen, Carnier e Di Giusto tanto
per fare qualche nome), la RSI non “cedette” un bel nulla, ma anzi lottò con tutte
le forze contro il fatto compiuto della creazione delle Zone di Operazioni tede-
84

MISCELLANEA
sche nel Triveneto. Inoltre le carte conservate negli Archivi di Stato italiano ed
americano parlano chiaro su quali e quanti sforzi siano stati compiuti dal governo
italiano per arginare la tracotanza tedesca e le politiche annessionistiche
o neo-austriacanti portate avanti (senza coerenza alcuna) dai gauleiter, dalle
SS, da Goebbels e dalle autorità militari tedesche nell’area.
Nel saggio del 2004 io concludevo con queste parole: “Come affermato in principio,
le fonti consultate hanno in molti casi dei vizi all’origine per parzialità e
partigianeria, e pertanto offro al Lettore che ha avuto la pazienza di arrivare
fin qui la mia totale disponibilità a rivedere parte o l’intero lavoro alla luce di
documenti, dati o fatti da me ignorati o male interpretati”. Credevo fosse una
necessaria postilla dovuta al fatto che il revisionismo scientifico non è ancora
condiviso da molte persone, e voleva essere una mano tesa verso tutti coloro i
quali vogliano discutere e studiare. Evidentemente non è stato sufficiente, poichè
ci sono ancora persone come Orlandini per le quali non si deve fare revisionismo,
ma si deve recitare il Confiteor a memoria. Ebbene, queste persone sbagliano,
e a dar retta a loro quattro secoli di metodo scientifico, da Valla a Galileo,
da Darwin a Einstein, dovrebbero essere buttati al cesso. Con questo spirito
noi oggi ancora terremmo per vera la Donazione di Costantino oppure dovremmo
pensare che attorno a Giove non ci sono altre lune poichè tutto deve girare
attorno alla Terra e dunque il cannocchiale è uno strumento diabolico e fallace.
A Orlandini non farà piacere sapere che su quel saggio ho continuato a lavorare
e che ora è confortato anche da una cospicua serie di documenti d’archivio (ACS
e USSME) che hanno confermato grandissima parte di quanto avevo scritto cinque
anni fa e che verrà presto ripubblicato sotto forma di E-Book da parte di
“Storia in Rete”. Non è la verità, ma è un modello interpretativo, aperto e soggetto
ad ogni possibile revisionismo a sua volta. E il revisionismo si fa coi documenti,
con i dati, con l’oggettività. Se ad Orlandini piacerà misurarsi su questo
campo, sarò ben lieto di dibattere con lui, sennò lo invito caldamente a risparmiarsi
altre menate ingiuriose e calunniose come quella che mi ha spinto a scriverti
con tanta veemenza. Ti ringrazio per l’ospitalità che vorrai darmi sulle pagine
della tua rivista e mi scuso fin da ora per i guai che questa ospitalità ti potrà
causare con i tanti - troppi - nemici del revisionismo scientifico che ancora
sono in circolazione.
La tragedia sconosciuta degli Italiani in Crimea
Giovanni Cecini
La storia, in quanto narrazione e interpretazione di fatti più o meno tragici
dell’esistenza umana, è soggetta in modo ricorrente ad un variegato e forse
inevitabile uso politico. Questa debolezza non appare quindi una novità, an-
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MISCELLANEA
che se nei suoi risvolti - di massima negativi - può favorire dibattiti e ricerche
di un certo rilievo, non fosse altro per riaffermare una missione più indipendente
della ricerca e dell’approfondimento. Con queste parole Antonello Biagini,
prorettore dell’Università “La Sapienza” e ordinario di Storia dell’Europa
orientale, ha stemperato i toni di una tavola rotonda piccante e permeata da
influssi politici.
Questo argomento ha fatto da cornice al convegno/presentazione del volume
“La tragedia sconosciuta degli Italiani di Crimea” di Giulio Vignoli, svoltasi
presso la raffinata sede della Fondazione italiani nel mondo a Roma il 17 novembre
2009.
L’occasione ha dato l’opportunità di affrontare alcuni temi, ma anche di inserirsi
in vecchie polemiche incrociate, ricorrenti nel dibattito culturale italiano. L’apertura
dei lavori è da subito stata molto pungente, perché Gian Luigi Ferretti,
rappresentante della Fondazione organizzatrice, ha ricordato i molti silenzi intercorsi
dalla fine della Seconda guerra mondiale da una parte politica italiana
sulle azioni violente esercitate dall’Unione Sovietica e dai movimenti a lei fedeli
nei confronti di nostri connazionali.
Un esempio ricordato è stato quello della visita nel 1997 in Kazakistan degli allora
Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e ministro della Giustizia
Piero Fassino, durante la quale la risposta dei due politici a proposito della triste
sorte di molti italiani deportati e uccisi da Stalin, fu che il periodo non era
ancora adatto per affrontare con serenità questi temi.
Con la speranza che al più presto possa essere accordata la piena giustizia ai
pochi superstiti e ai discendenti dei connazionali perseguitati in terra sovietica,
Ferretti ha menzionato alcune proposte legislative finalizzate al riconoscimento
della cittadinanza e alla memoria di questi nefasti avvenimenti.
La parola è quindi passata al già citato Biagini. Questi ha dapprima introdotto
l’argomento dell’emigrazione italiana, fenomeno che ha investito il nostro Paese
per almeno due secoli. Le motivazioni che hanno spinto (e che in parte spingono
ancora oggi) molti italiani a intraprendere la via d’oltre confine furono molteplici:
fuga dalla fame e dalla povertà, ricerca di fortuna, spirito d’avventura, ricerca
di vantaggiosi mercati per i commerci.
Di massima, anche nelle generazioni successive, un legame con la Madrepatria
tende a durare senza soluzione di continuità. Se non sempre figli e nipoti accolgono
lo studio della lingua degli avi, tuttavia essi possono offrire un contributo
alla Nazione. Dopo diverse generazioni un certo interesse rimane acceso, anche
grazie all’opportunità di saldare con l’Italia nuove relazioni politiche e societarie
oppure rapporti commerciali.
Questi riflessi positivi e di successo, perlopiù minoritari, se da una parte sono
fonte di orgoglio, di riflesso marginalizzano quell’ampia parte di concittadini,
che non sono riusciti a sollevarsi dalla povertà o che nel frattempo hanno subito
discriminazioni o sopraffazioni.
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MISCELLANEA
Tali considerazioni impongono quindi di esaminare il problema dell’oblio, già
anticipato da Ferretti. Secondo Biagini, il poco interesse mostrato dalla Repubblica
italiana verso le tragedie in Unione Sovietica o in Jugoslavia si spiegherebbe
dal contesto internazionale in cui si venne a trovare l’Italia all’indomani
della Seconda guerra mondiale. La condizione di vinta e l’obbligo di firmare il
trattato di pace non permetteva alcuna possibilità di recriminazione verso i vincitori,
forti anche del torto fascista di aver portato loro la guerra.
Solo a partire dagli anni Settanta, una volta che la situazione internazionale
Est-Ovest si era quasi normalizzata, in Italia si poté iniziare a fare ricerca sui
deportati in Siberia o sulle morti dei civili nella Venezia Giulia. Ecco quindi che
non si potrebbe parlare di silenzio politico strumentale su questi fatti, ma di
inevitabile necessità di dover soprassedere (girare la testa dall’altra parte dice
Biagini) perché il fascismo aveva spinto l’Italia verso una situazione delicata e
di riflesso responsabile anche dei torti subiti.
Caustica a questo proposito fu la risposta che Kruscev rivolse alla delegazione
italiana nel 1960 alla ricerca dei dispersi dell’Armir. Il Cremlino piangeva ancora
i suoi 20 milioni di morti durante la guerra d’invasione nazi-fascista, cosa
poteva importargli di qualche migliaio di militari italiani?
Il discorso è proseguito con l’intervento di Giulio Vignoli, già ordinario di materie
giuridiche all’università di Genova. Egli ha illustrato le tappe della presenza
italiana in Crimea a partire dalla metà dell’800. La città portuale di Kerc fu
il centro geografico e d’affari per una comunità italiana consolidatasi in ondate
successive, con emigrati pugliesi, veneti, campani e liguri, tanto da raggiungere
il 3% della popolazione locale. L’autore del volume presentato ha spiegato inoltre
come nella regione essi si siano fatti ben volere, attraverso le proprie capacità
agricole e come addetti alla marineria ittica, mercantile o in collaborazione
con quella militare zarista.
La situazione di benessere e di cordialità con gli autoctoni si consolidò e perdurò,
fino all’arrivo del regime comunista, che vide negli stranieri un pericolo da
temere e un nemico da combattere. Nel 1939 molti italiani tornarono in Patria
senza averi, una volta requisiti ed espropriati i loro beni. Quelli che rimasero
furono una minoranza, all’incirca un migliaio che iniziarono a subire vessazioni
e tribolazioni. La loro esperienza si andò a confondere così con quella degli antifascisti
provenienti dall’Italia, in genere comunisti, che invece trovarono cordiale
asilo in terra bolscevica, ma che a parere di Vignoli appartengono di fatto a
una nazionalità diversa, perché indifferenti della sorte degli emigrati italiani
ormai prigionieri nei gulag.
L’aspra critica, che pone l’autore a questo punto della sua narrazione, è sull’ignavia
di alcuni esponenti di spicco del Partito comunista italiano come Gian
Carlo Pajetta e Paolo Robotti, che presenti in Russia in quel periodo avrebbero
taciuto, anche dopo la guerra, sulla situazione dei connazionali in mano di
Stalin.
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MISCELLANEA
Vignoli conclude poi il suo intervento facendo una considerazione sui pochi
scampati, a cui non furono risparmiate le più atroci privazioni e a cui ancora
oggi lo Stato italiano non ha convenuto un riconoscimento. Una volta tornati a
Kerc essi non trovarono più nulla di quello che avevano lasciato. Perché rassegnati,
una volta richiesto un timido aiuto all’ambasciata d’Italia a Mosca, non
seppero dimostrare la loro italianità, visto che a suo tempo erano stati privati
dai comunisti dei documenti e delle carte anagrafiche.
Proprio questo biasimo verso le istituzioni della Repubblica ha posto le basi per
l’amaro commento di Augusto Sinagra, docente di diritto delle Comunità europee.
Questi ha espresso il suo più alto rammarico verso tutti quegli italiani che
hanno patito in terra straniera, senza alcuna minima considerazione da parte
dello Stato, che si sarebbe distinto solo per pietosi atti di vago ricordo. Rivendicando
ancora oggi l’italianità dei lidi dalmati ed istriani, Sinagra ha inoltre
commentato l’ingiustizia dell’opinione pubblica nazionale che da un lato esalta i
“migliori” italiani nel mondo (facendo dell’ironia sulla dirigenza del Pci) e dall’altro
nasconde i tanti Sacco e Vanzetti, sfortunati e disgraziati uomini comuni,
che hanno pagato con la vita la colpa di essere italiani all’estero.
Tale sfiducia è stata raccolta da Nicola Paolo Di Girolamo, vice presidente della
Fondazione italiani nel mondo, nonché senatore del Popolo delle Libertà,
impegnato nelle tematiche legate all’emigrazione nazionale. Questi, sulla scia
del (l’ambiguo) principio dello jus sanguinis, ha chiuso il convegno, testimoniando
la necessità di massima apertura verso gli italiani e i loro discendenti
residenti oltre confine, offrendo loro nel più breve tempo possibile l’opportunità
di ottenere la cittadinanza italiana. Il parlamentare inoltre ha posto l’accento,
in coerenza con lo spirito dell’incontro, su tutti coloro che hanno vissuto
l’esperienza tragica della deportazione e della prigionia in Crimea. Suo impegno
quello di garantire per loro e per le rispettive famiglie un riconoscimento
ufficiale da parte dello Stato, anche in memoria di tutti quelli che sono morti
in modo così tragico.
Il convegno è stato di sicuro un interessante palcoscenico per affermare l’esperienza
di persone perseguitate e uccise ingiustamente, tuttavia a ben saper
leggere tra le righe ha mostrato anche un senso di rivalsa, come a cavalcare
una crociata tra un tradizionale e forse desueto jus sanguinis in contrapposizione
a un emergente jus solis, affermato invece dalla seconda o terza generazione
di immigrati che a buon diritto si sentono italiani, anche se originari
di paesi lontani. È fuori discussione che nelle vene di molti cittadini argentini
o australiani scorra ancora sangue italiano, ma probabilmente se un
vecchio adagio britannico recitava che i diritti civili sono prerogativa di chi
paga le tasse, forse la cittadinanza italiana spetta più a chi vive e lavora in
modo stabile nella Penisola, versando tributi e ricevendone in cambio scarsi
servizi, piuttosto di chi identifica il Bel Paese con la pizza, Elisabetta Canalis
o Francesco Totti.
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MISCELLANEA
Gli scarponi che ridono
Sergio Pivetta
Venerdì 24.4.09 stavo recandomi in treno nel Friuli, dove la Sezione A.N.A. cui
ero iscritto appena congedatomi, nel 1946, a guerra finita, mi aveva invitato
per la celebrazione del 25 Aprile come oratore ufficiale.
E mentre ripensavo a quello che avrei detto e cioè che la guerra 43 - 45 non l’hanno
vinta gli italiani e men che meno i partigiani ma gli anglo - americani
che per “liberare” le nostre città le bombardavano e distruggevano (mi è buona
testimone la montagnetta di S. Siro, nata ammonticchiando le macerie dei palazzi
distrutti dai bombardamenti) mi capitò tra le mani l’ultimo numero de
“L’Alpin del Domm”. Scorrendolo, l’occhio mi cadde sull’articolo dello “Scarponcino
modello 1912” di Abbi.
Li avevo indossati anch’io, quegli scarponcini, quando ero stato chiamato alle
armi per frequentare il corso A.U.C. E, per alcuni mesi, avevano funzionato a
dovere, soprattutto le suole le quali, grazie ai chiodi, si conservavano bene. Il
guaio è però che, a lungo andare, si erano staccate dalla tomaia. E anche le calze,
sia quelle della naja, sia quelle della mamma, erano ridotte a brandelli. Cosicchè,
per un paio di mesi, mi dovetti arrangiare infilando le mie povere estremità
avvolte alla meglio nelle “pezze da piedi” negli scarponi ben… arieggiati,
aperti a bocca di pesce sulle punte - come nelle caricature, per intenderci - “gli
scarponi che ridono.”
Debbo precisare ad onor del vero che quando - rispondendo all’appello dell’Esercito
che cercava volontari da impiegare in prima linea - chiesi ed ottenni d’essere
inviato tra la mia gente, gli Alpini, e venni assegnato col grado di Sergente
A.U.C. al btg. Piemonte, me li sostituirono con un paio di robusti stivaletti nuovi
fiammanti. E mi consegnarono anche due paia di calzettoni di buona lana.
Perché, come ripeteva il mio alpino Buzzetti rifiutandosi di salire sull’autocarro
che ci avrebbe portato al fronte “in guerra, con le calze rotte, non ci si può proprio
andare”.
La divisa no, quella no. Indossavamo ancora la vecchia onorata divisa grigioverde
che, in cima a Monte Marrone, bianco di neve, era il bersaglio ideale per i
Gebirgsiäger che venivano all’assalto in tuta mimetica bianca. A noi le tute
bianche arrivarono a maggio, quando di neve non ce n’era più. “Anche la naja
americana - fu il commento degli alpini - è sempre naja”.
I piedi comunque, almeno quelli, erano abbastanza protetti, anche se quattro
ore di sentinella, la notte, a quasi 1800 metri di quota e al fresco dei 10-15 sotto
zero, si facevano sentire. La guerra sarà forse bella - come hanno scritto Monelli
e Novello - ma è di certo un po’ scomoda. Anche se le quattro ore, con l’aiuto
della borraccia piena di anice della naja - non sapevamo allora che l’alcool è un
vasodilatatore - sembravano un po’ meno lunghe.
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MISCELLANEA
Per fortuna quando attaccammo, a fine maggio, faceva caldo anche lassù. E gli
scarponi li facemmo fuori nei quattro mesi successivi tallonando - sempre con
l’autoscarpa - i tedeschi in ritirata dalla linea Gustav alla linea Gotica, lungo la
dorsale Adriatica, a fianco dei polacchi. O meglio, davanti. Perché all’assalto
andavamo noi italiani e loro ci seguivano sugli “Shermann” che spesso, quando
c’era in vista un “Tigre” tedesco, tagliavano la corda.
Dopo l’ISSMI, quale futuro impiego per i frequentatori civili?
Elena Mazzone
Inserito all’interno del Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze, che si
svolge ogni anno presso il Centro Alti Studi per la Difesa, sito in Palazzo Salviati
a Roma, è il master in Studi Internazionali strategico militari, organizzato
dalle università di Roma, LUISS Guido Carli, e la statale di Milano, assieme al
CASD. Al master partecipano studenti provenienti dai suddetti istituti, che per
tutto l’anno accademico sono affiancati dagli ufficiali delle quattro Forze Armate
italiane e da quelli della Guardia di Finanza ed anche da ufficiali stranieri.
Da parte dei frequentatori civili è profuso durante l’anno un notevole impegno
per affrontare al meglio il master, per nulla semplice. Ma soprattutto vi è la
speranza che esso possa essere, una volta concluso, non solo un “bel ricordo”,
bensì che possa aprire nuove strade da intraprendere in ambito lavorativo.
Innanzitutto bisogna evidenziare come il master presenti delle lacune, prima
tra tutte il fatto che lo si voglia considerare un master di primo livello; in realtà
esso non ha nulla che lo possa minimamente far assomigliare ad un corso di
questo tipo. Al di fuori del Centro Alti Studi per la Difesa, e più precisamente in
ambito universitario, un master di primo livello implicherebbe un impegno nettamente
inferiore, una frequenza, a livello di ore giornaliere e settimanali dedicate
alle lezioni frontali, certamente minore ed un carico di lavoro, tra studio
individuale ed esami, meno gravoso. Insomma, per farla breve, ci troviamo di
fronte ad un master che dovrebbe essere elevato, per l’impegno necessario, almeno
al secondo livello, se non al terzo o quarto qualora esistesse una simile
classificazione.
Da evidenziare poi che i master che implicano una così consistente mole di lavoro,
incluso nel pagamento della quota di iscrizione, dovrebbero quanto meno
garantire uno stage obbligatorio, presso un’azienda e/o un ente che abbia attinenza
con gli argomenti oggetto del corso, che attualmente presso l’ISSMI non
è previsto e non se ne comprende il motivo.
L’Istituto è, infatti, in contatto con tutti i Ministeri e le più note Organizzazioni
Internazionali e/o Enti Governativi e non, basti vedere i conferenzieri che di
volta in volta si succedono nell’ambito delle conferenze organizzate nel corso e
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MISCELLANEA
alle quali i frequentatori civili, assieme al personale militare, partecipano. Di
contro anche l’Università LUISS Guido Carli, attraverso la quale alcuni civili si
iscrivono al master, gode di una certa notorietà ed ha contatti con grandi organizzazioni,
quali ad esempio Confindustria. Lo stage o tirocinio che, dovrebbe
essere previsto, lo si potrebbe far svolgere in uno dei suddetti enti e/o imprese.
Inoltre, è noto a tutti che i frequentatori civili partecipano attivamente a tutti i
lavori di gruppo, che vengono svolti in collaborazione con il personale militare,
acquisendo sempre maggiori conoscenze e dando il proprio contributo con dei
pareri personali, venendo tenuti in debita considerazione, almeno questa è l’impressione.
Altro elemento che è opportuno sottolineare è che la preparazione che il personale
civile ha alla fine del corso, sulle materie fatte, può quasi essere paragonata
a quella del personale militare.
Certo è vero, che gli ufficiali hanno alle spalle circa venti anni di esperienza sul
campo e che nelle materie attinenti agli aspetti operativi sono, a ragione, più
preparati, ma c’è da dire che proprio questo fatto dovrebbe giocare a favore dei
civili per un futuro impiego, a stretto contatto con loro. Per meglio dire, se per
circa 10 mesi si lavora e si studia a stretto contatto con ufficiali delle quattro
Forze Armate italiane (Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri) e della
Guardia di Finanza, appositamente scelti tra i migliori per frequentare il Corso
Superiore di Stato Maggiore Interforze, e si acquisiscono anche solo alcune delle
conoscenze che hanno e ci si confronta con loro giornalmente esercitandosi a
lavorare sotto stress ed in un’ottica joint ed interagency, pianificando missioni
fuori area ed imparando preventivamente come si pianifica in ambito NATO,
per quale motivo poi non si viene tenuti in considerazione per un possibile impiego
a stretto contatto con i militari, una volta concluso il Master?
O ancora perché le Università non hanno pensato assieme all’ISSMI, di fornire
ai frequentatori civili dei contatti diretti con alcuni enti che collaborano attivamente
col Ministero della Difesa?
Basterebbe anche essere segnalati a questi istituti/istituzioni, facendo sapere
loro che all’interno dell’ISSMI vi è personale civile, giovane, pronto all’impiego
che frequenta il master lavorando ed esercitandosi su determinate materie a
stretto contatto con ufficiali delle Forze Armate italiane e straniere e che ha acquisito
delle conoscenze che lo possano rendere adatto a svolgere lavori di cooperazione
civile-militare.
Perché in realtà tutto questo all’ISSMI avviene, ma nessuno all’esterno lo viene
a sapere, anche perché altrimenti non si spiega come la maggior parte di coloro
che hanno frequentato il master negli anni precedenti non è riuscita ancora ad
avere un lavoro stabile o quanto meno attinenti agli studi fatti.
Si è dell’avviso che il master dia una buona preparazione e una conoscenza del
mondo militare che potrebbe essere utile per quei civili che intendono restare,
anche dopo il corso, a contatto con quest’ambiente o addirittura entrare a farne
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MISCELLANEA
parte. Inoltre, il corso “addestra” a lavorare sotto stress, a ritmi serrati, per otto
ore giornaliere, il che si ritiene essere una “buona palestra” per prepararsi al
mondo lavorativo.
La cosa più importante è che la collaborazione e la convivenza nel corso fa capire
come un militare ragiona ed agisce e questo potrebbe essere un buon punto
di partenza per realizzare la tanto auspicata e sperata cooperazione interagency
di cui all’interno dell’ISSMI si sente tanto parlare.
Molte sono, infatti, le lamentele ed anche i moniti da parte degli ufficiali, soprattutto
di coloro che hanno avuto esperienze in teatro operativo, sul fatto che
bisogna collaborare attivamente tra civili e militari, in particolare nelle missioni
fuori area ed avere buoni contatti col Ministero degli Affari Esteri e con le altre
Organizzazioni che lavorano a contatto con la popolazione civile.
È necessario se non indispensabile far sì che i militari vengano accolti e non rifiutati
e che possano lavorare per stabilizzare e ricostruire le zone devastate
avendo il supporto della popolazione locale.
E perché per far questo non si impiega personale civile che sappia qualcosa su
come lavora un militare e/o che sia stato a stretto contatto con loro?
Seppure la conclusione del master non fornisca ai frequentatori civili tutte le
conoscenze necessarie per essere impiegati in missioni così delicate come quelle
in zone di crisi, ciò potrebbe costituire un’ottima base di partenza da cui iniziare
ad approfondire la collaborazione, attraverso anche lo svolgimento di uno
stage, negli enti e/o organizzazioni giuste, che possa poi permettere di mettere
in pratica le conoscenze teoriche acquisite.
Un’altra pecca che emerge è che in realtà l’ISSMI è un corso per Ufficiali di
Stato Maggiore e tutto al suo interno si incentra e concentra su di loro ai fini
della loro preparazione verso questo scopo. Ma allora perché si inserisce un master
al suo interno, sostenendo che i civili possono essere considerati un “valore
aggiunto” e quindi utili anche ai militari per avere un punto di vista diverso
nelle varie situazioni non tenendo, poi, in considerazione le loro esigenze? Sarebbe
forse meglio lasciare il master al di fuori del Corso di Stato Maggiore Interforze
e dargli la giusta valenza? L’attuale configurazione del master fa pensare
che negli anni che verranno il numero delle iscrizioni civili al corso dell’IS-
SMI potrebbe calare sempre più.
Difatti tra i civili si è già diffusa la notizia che il master non fornisce reali possibilità
d’impiego, tanto che qualora si potesse pensare di avere un occhio di riguardo,
vista la passata esperienza a contatto con gli Ufficiali, in concorsi quali
quello di accesso per nomina diretta come Ufficiali, nell’Esercito, nell’Aeronautica,
nella Marina Militare, nell’Arma dei Carabinieri e nella Guardia di Finanza,
o di essere considerati “privilegiati” nel momento in cui ci si iscrivesse alla Riserva
Selezionata, si resterebbe fortemente delusi. Perché chiunque abbia volontà
e propensione per tali carriere può provarci, senza aver mai frequentato l’IS-
SMI. In sintesi i candidati sono tutti nelle medesime condizioni “titolati” e non.
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MISCELLANEA
Il master potrebbe, poi, essere una via d’accesso a carriere all’interno dell’Amministrazione
Difesa, dove è presente una sezione denominata PERSOCIV, che,
però, emana concorsi solo ed esclusivamente per professori, al fine di ottenere
delle docenze negli istituti di formazione militari e niente altro. Non vi è nulla
su possibili concorsi per lavorare all’interno di PERSOCIV in qualità di funzionario,
dirigente o altro; gli unici concorsi di questo tipo sono concorsi interni per
cambi di ruolo.
Non esiste alcun tipo di reclutamento per esterni, e la colpa viene data alla crisi
economica, ai tagli al budget che non consentono di assumere altro personale.
La realtà è che non vi è un reale interesse ad inserire nuovo personale, giovane,
nell’Amministrazione Difesa, né fornirgli dei link per accedere ad organizzazione
internazionali, ONG o un enti governativi che operano a stretto contatto con
il personale militare nelle zone di crisi, dove c’è bisogno del massimo livello di
cooperazione e soprattutto di coordinamento tra le forze, militari e civili.
Un ulteriore ambito di interesse potrebbe essere il lavoro di reporter per qualche
testata giornalistica ed anche un ruolo nel contesto della Pubblica Informazione
a contatto con le truppe nelle zone di guerra, monitorando la situazione
dal punto di vista giornalistico, sia nella fase di pianificazione sia nella fase di
condotta.
Infine, anche gli incarichi di: analista politico, mediatore culturale, Legal Advisor
(LEGAD) e Political Advisor (POLAD), nell’ambito delle operazioni di stabilizzazione
e ricostruzione, potrebbero essere tratte, dopo un adeguato periodo di
specializzazione, da un bacino in cui potrebbero essere inseriti i frequentatori
civili che hanno conseguito il master presso l’ISSMI. Ciò consentirebbe di usufruire
di candidati che già possiedono un background tecnico-operativo di base
nell’ambito delle relazioni politiche ed internazionali.
In sostanza, si ravvisa la carenza di comunicazioni e link privilegiati con le
principali istituzioni, enti, organismi ed organizzazioni che costituiscono lo
strumento della politica estera nazionale nelle aree di crisi, e l’assenza di un
database di specialisti che faciliti la ricerca di personale all’atto di una crisi/emergenza.
Di tali strumenti dovrebbero essere dotati i frequentatori civili
del master presso l’ISSMI.
Per concludere è bene evidenziare innanzitutto, che il master dell’ISSMI non riconosce
e valorizza le potenzialità del personale civile che lo frequenta. I frequentatori
non militari sono infatti scarsamente seguiti e costretti ad adattarsi
ai ritmi del personale militare, in quanto il master, come già ricordato, è inserito
nel Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze, e quindi calibrato sulle esigenze
specifiche delle Forze Armate “combattenti” (Esercito, Marina, Aeronautica).
A riprova di ciò, si ravvisa, seppur con minore incidenza lo stesso disagio,
anche da parte di frequentatori delle specialità e dei corpi meno “militarizzati”,
quali la Guardia di Finanza ed i medici in genere. Inoltre, seppur esiste una figura
di collegamento tra l’ISSMI e le Università per questioni di carattere bu-
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MISCELLANEA
rocratico e didattico, sarebbe necessario un vero e proprio tutor per i frequentatori
civili, che sia costantemente presente per monitorare l’andamento del corso
e per supportare le esigenze che di volta in volta risulti opportuno gestire. Tale
figura, tempestivamente coinvolta nella didattica, risulterebbe utile ai fini della
raccolta di feedback per correggere le criticità e migliorare la gestione del
corso per il futuro.
Talvolta, sussistono occasioni ed eventi in cui si dà un certo peso alla presenza
dei civili, attraverso il loro diretto coinvolgimento in manifestazioni culturali di
interesse, ma purtroppo, sono frutto delle iniziative personali di alcune voci isolate
all’interno dell’istituto, che ritengono importante puntare sui giovani. Ciò
inserito in un sistema che risulta orientato esclusivamente ovvero prioritariamente
ai frequentatori militari.
In tale contesto è doveroso sottolineare l’impegno e il supporto fornito, anche ai
frequentatori civili, da parte dei tutor dell’ISSMI (personale militare), che con
volontà e passione cercano di sostenere e risolvere i problemi dei frequentatori
civili andando ben oltre i compiti del loro mandato.
Ciò che è emerso anche a seguito di discussioni informali con frequentatori civili
dell’ISSMI di anni passati è il fatto che sia le Università che il CASD non aiutano
nell’inserimento nel mondo del lavoro. È quindi personale premura del frequentatore
civile andare alla ricerca di un impiego, scontrandosi con numerose
difficoltà, che potrebbero essere mitigate da segnalazioni e contatti presso organizzazioni
ed aziende con cui, sia le Università sia il CASD, intrattengono intensi
rapporti.
Chi più del personale civile dell’ISSMI potrebbe lavorare a stretto contatto con
il personale militare, dato che già lo fa, anche una volta concluso il master?
Perché non dare loro la possibilità di un ulteriore esperienza di stage presso un
ente collegato alla Difesa, ognuno in base alla propria formazione pregressa?
Molte migliorie potrebbero essere apportate al master, basterebbe un po’ di buona
volontà da parte dei vertici, che dovrebbero capire che la tanto auspicata collaborazione
interagency è possibile. Anzi, è più vicina di quanto pensino sarebbe
sufficiente continuare a formare i civili, sempre attraverso il corso, e poi, però,
fargli fare esperienze concrete di attività a contatto con i militari, attività lavorative
vere e proprie, si intende, e non semplici esercitazioni (come quelle fatte
nell’ambito del master).
Infine è prioritario sottolineare che l’intento di questo lavoro non è la sterile
critica o la polemica, bensì quello di evidenziare gli aspetti negativi con una
prospettiva costruttiva affinché si possa migliorare la gestione del master. Sarebbe,
infatti, davvero disdicevole per un istituto così prestigioso, come il
CASD, non cogliere l’opportunità di accrescere il consenso all’esterno delle Forze
Armate, e soprattutto tra coloro che costituiscono il futuro dell’expertise in
ambito politico-strategico: i giovani studenti delle università italiane.
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VITA ASSOCIATIVA
La drugia guerra del signor Mulo Tamburo 1940-1943
Compagnia Comando Battaglione Finestrelle
3° Reggimento Alpini
Divisione Taurinense
PM200
Edoardo Vertua
Per i tipi Bellavite Editore in Missaglia è uscito questo bellissimo volume di
Edoardo Vertua, il terzo, dopo Due Alpini Due guerre di Liberazione 1915-1918;
1943-1945 (2005) e Nulla è cambiato. Jugoslavia 1043-1944, che narra la storia
di pace e di guerra del Mulo Tamburo, il simbolo della fedeltà, della costanza,
della tenacia e della determinazione delle nostre truppe alpine. È praticamente
impossibile riassumere in poche righe la descrizione degli avvenimenti, che si
snodano nel particolare e nel quotidiano. Se da una parte questo può essere un
po’ cronachistico, dall’altra il volume, ed è questo il vero pregio, fa rivivere un
epoca e momenti ormai passati alla storia, sia come costume nazionale sia come
aspetto militare. I grandi avvenimenti che si snodarono dagli anni precedenti la
dichiarazione di guerra del 1940, la guerra stessa e la sua amara quando inevitabile
tragica conclusione, sono vissuti dal basso, dall’’equino di strada”. Leggendo
queste pagine, via via che si fa conoscenza con il Mulo Tamburo, si entra
in confidenza con lui, lo si comprende, lo si apprezza. Si prende conoscenza degli
immensi sacrifici che si dovettero affrontare “per il bene superiore” e che poi
risultano vani, sperati da elementi che pensavano solo al loro tornaconto personale.
E le considerazioni che si fanno intorno al Mulo Tamburo, spesso ti portano
a vedere le decisioni dei “vertici” con una analisi critica serrata, che fatalmente
fanno concludere che tutta la nostra guerra mondiale, 39 mesi di sacrifici
e combattimenti, sono stati vani non per loro incapacità, ma perché si perseguivano
interessi non generali ma particolari, confondendo strategia con politica,
ruolo dei militari e ruolo dei politici, con un capo che tutti voleva fare essendo
il capo, che si credeva infallibile, ma che non riuscì a generare altro che confusione
e superficialità, madri dirette di sconfitte e di tragedie. Ed il Mulo Tam-
SECONDO RISORGIMENTO D’ITALIA, n. 1/2011
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VITA ASSOCIATIVA
buro ne esce splendido, meraviglioso, granitico. Lo si riuscì perfino a chiamare
“camerata Mulo Tamburo”. Parole altisonanti in una autoesaltazione che era
tutto apparenza e poca sostanza; e la sostanza veniva messa da coloro che erano
via via sempre più vicini alla base che al vertice, in una certezza: a prescindere
da quello che poteva succedere, questa equazione permetteva di pensare al
futuro in modo migliore. I vertici, travolti dalle loro sconfitte e disfatte, passano,
gli uomini, gli Italiani, anche il Mulo Tamburo, rimangono a tenere in piedi
questa Patria che non è riuscita, ad esprimere una classe dirigente del suo pari.
Ieri come oggi, e certamente ci dovremo interrogare più spesso di questo strano
fenomeno. Gli altri popoli hanno governanti che li portano su posizioni e situazioni
veramente degne di nota; noi dobbiamo guardarci dai governanti nostri
per le loro cialtronerie. E per fortuna che siamo in una democrazia, quanto mai
sgangherata, ma sempre democrazia, ed abbiamo la possibilità di ricambiare
questi rappresentanti a cadenza temporale. Ma queste considerazioni non possono
essere di interesse a Mulo Tamburo. Lui è superiore a queste cose e lascia
queste ambascie a noi poveri uomini.
Edoardo Vertua ci da queste ennesima testimonianza, che è segno di amor patria,
virtù civiche e dedizione alla Patria. Per dirla con Macchiavelli, ha indossato
i panni curiali e ci offre queste pagine veramente esaltanti di come un Italiano
sia un Italiano. Ed è buona cosa citare la sua avventura in grigioverde. Chiamato
alle armi nel 1941, viene destinato al centro di mobilitazione del Battaglione
Morbegno, in Lecco, poi destinato alla Scuola Militare di Alpinismo di Aosta,
per frequentare il corso di sottufficiale. Nominato sergente nel giugno è destinato
al 5° Reggimento Alpini, Battaglione Edolo e Val Canonica; indi trasferito a
frequentare il corso allievi ufficiali alpini presso la Scuola Allievi Ufficiali di
Complemento di Avellino. Nominato sottotenente con anzianità 5 marzo 1942, è
desinato al 3° Reggimento Alpini, Battaglione Finestrelle; nell’agosto successivo
è in Bosnia Erzegovina, ed in Montenegro; dopo l’8 settembre 1943 partecipa con
il Battaglione Taurinense facente parte dei reparti regolari della Divisione Taurinense,
poi denominati “Garibaldi”, a fianco dell’Esercito Garibaldi, alle operazioni
contro i tedeschi (sesta offensiva) sino all’aprile successivo. Rientrato in
Italia chiede di essere assegnato al Battaglione Piemonte facente parte del Corpo
di Liberazione Italiano, poi, all’arrivo in Sardegna, è destinato al Battaglione
Monte Granero partecipando con essi a tutte le operazioni belliche per la liberazione
dell’Abruzzo e delle Marche, da Chieti ad Urbino; successivamente entra a
far parte del Reggimento di fanteria speciale del Gruppo di Combattimento Legnano,
con il quale termina il conflitto contro gli occupatori a Sondrio. Insignito
di una medaglia di bronzo al valor militare, di tre croci di guerra e della croce di
guerra dell’EPLJ. Nella vita civile è avvocato e dottore commercialista.
Il volume può essere richiesto alla Associazione Nazionale Alpini, Sezione di
Lecco, Gruppo Di Vederlo Inferiore, Via del 3 Re 31, alla attenzione del Capogruppo
Ambrogio Motta, 23979 Verderio Inferiore Lecco. (Massimo Coltrinari)
96

VITA ASSOCIATIVA
Preavviso convocazione Consiglio Nazionale -
FIRENZE - aprile 2011
Vittorio Scarlino
1. Allo scopo di consentire alla Presidenza Nazionale di poter pianificare in
tempo utile tutte le attività logistico-amministrative connesse con il Consiglio
Nazionale e l’aggiornamento della situazione contabile delle Sezioni e Sottosezioni,
comunico quanto segue:
a. Nella 1ª decade del mese di aprile 2011, si svolgerà a Firenze, nei locali della
Foresteria Unificata, via della Scala n. 68, la seduta del Consiglio Nazionale
2011, secondo le modalità previste dallo Statuto dell’Associazione.
b. Prego vivamente tutti i Signori in indirizzo di voler presenziare.
In particolare, rammento ai Presidenti di Sezione e Sottosezione, che è loro preciso
dovere, in caso di assoluta impossibilità ad intervenire, di farsi rappresentare
con delega scritta, da un loro Delegato (possibilmente Vicepresidente o
Membro del Consiglio di Sezione).
c. Entro il 10 marzo 2011 gradirei avere da tutti conferma scritta.
Prego, inoltre, i Presidenti di Sezione e Sottosezione, di comunicarmi:
- il nominativo del probabile Delegato, che lo sostituirà nel caso di assoluta impossibilità
a partecipare al Consiglio;
- eventuali argomenti che ritengono opportuno discutere in sede di Consiglio
Nazionale;
- la restituzione della Relazione allegata (entro il 25 febbraio 2011), debitamente
completa, specificando il numero dei Soci in regola con il pagamento della
quota sociale al 31/12/2010 (in ottemperanza a quanto tassativamente prescritto
dal secondo comma dell’articolo 28 dello Statuto).
Sezione di Bergamo
Monumento alla Legnano
Alla Basella di Urgnago presso Bergamo, è stato inaugurato il monumento dedicato
ai Caduti della “Legnano” nella Guerra di Liberazione 1943-1945.
L’iniziativa è stata assunta dal socio ANCFARGL e consigliere comunale di Urgnago
, Michele Galante con il supporto del presidente della sezione di Bergamo
Cav.Uff. Edoardo Cristofari.
Il monumento da tempo accarezzato dal suo realizzatore ha voluto sugellare una vicenda
storica legata alla storia di Urgnago dove a seguito di rappresaglie avvenute
dopo il 1943 da parte di alcuni partigiani ai danni di alcuni avversari politici del
luogo, la data del 25 aprile non è stata mai festeggiata in questa località della bergamasca,
né dalle associazioni d’arma, né da parte dell’amministrazione comunale.
97

VITA ASSOCIATIVA
La realizzazione del monumento è stata il pretesto per porre fine a questa situazione
dopo oltre 60 anni.
Alla cerimonia dell’inaugurazione ha partecipato il Gen. Fiore già comandante
della “Legnano”, e numerose autorità locali con una folta partecipazione di popolo.
Sezione di Melbourne
Ricordato un capitolo della storia della Liberazione
La sezione ANFARGL di Melbourne unitamente alla sezione locale dell’Associazione
Nazionale Reduci della prigionia hanno ricordato presso la sede del Vizzini
Social Club la battaglia di Montelungo e celebrato il 30ª anniversario della
sezione. Per questa speciale occasione è pervenuto ed è stato letto il messaggio
inviato dal presidente nazionale Gen.Sen. Luigi Poli.
Il presidente della sezione Pietro Pasquini ha ringraziato le associazioni di ex
combattenti e d’arma che hanno partecipato a questa storica commemorazione
resa più importante nel suo significato patriottico, in quanto alla vigilia delle
celebrazioni nazionali per il 150ª anniversario dell’Unità d’Italia.
La riunione ha visto la partecipazione di numerosi presidenti e rappresentanti di gruppi
sociali della comunità italiana ed ha posto in evidenza lo spirito di solidarietà che
esiste all’interno delle associazioni d’arma ed ex combattenti degli italiani all’estero.
In precedenza, il 30-31 ottobre u.s. vi era stato il 27ª raduno degli Alpini d’Australia
presso la casa d’Abruzzo di Epping dove centinaia di partecipanti si sono
ritrovati per incontrare il presidente dell’ANA Gen. Perona ed il vicepresidente
Sebastiano Favero giunti appositamente dall’Italia.
Anche in questa occasione erano presenti numerosi rappresentanti di varie associazioni
d’arma ed ex combattenti tra cui l’ANCFARGL con l’alpino Pietro
Pasquini. Alla manifestazione hanno presenziato anche rappresentanti delle
autorità locali che hanno messo in evidenza l’impegno deglio alpini a favore della
comunità australiana. Il raduno si è concluso con la deposizione di una corona
d’alloro ai piedi del monumento all’alpino. (a.m.)
Attività della Sezione di Sidney
su corrispondenza di Odette Braga Galazzo, Segretaria ANCFARGL
La commemorazione del 25 aprile in occasione del 65ª anniversario della liberazione
si è svolta presso al chiesa St Fiacre in Leichardt su iniziativa della sezione
ANCFARGL ed ha richiamato la presenza di rappresentanti della varie associazioni
d’arma con i loro familiari come è consuetudine tra gli italiani di Australia.
La cerimonia ha avuto inizio con la deposizione con una corona floreale ai piedi
del cippo del milite ignoto da parte del veterano alpino Agostino Peruch e del
presidente dell’associazione Marinai Mario Barone.
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VITA ASSOCIATIVA
Il console generale d’Italia Benedetto Latteri , dopo il silenzio d’ordinanza ha ribadito
l’importanza della celebrazione quale momento significativo per la storia
del nostro Paese nel ricordo dei caduti di tutte le guerre.
È stata poi letta la preghiera dell’alpino e la lettera inviata dal presidente Nazionale
ANCFARGL Gen. Sen. Luigi Poli. Analogo omaggio è stato reso al monumento
dedicato alla Marina prima che il gruppo di partecipanti si trasferisse
presso la chiesa di St Fiacre dove è stata celebrata una messa di suffragio per
tutti i caduti e per tutti i presidenti delle associazioni scomparsi.
La segretaria ANCFARGL Odette Braga Galazzo che ha coordinato tutta la cerimonia
ha quindi ringraziato tutti gli intervenuti anche a nome degli anziani
soci che non sono potuti intervenire.
Nel novero delle iniziative avutesi c’è a registrare anche la consegna di 21 medaglie
d’onore da parte del console avvenuta il 1ª settembre u.s. a favore di ex
prigionieri in Germania. (a.m.)
Sezione di Terni
Montelungo 2010
La nostra sezione ANCFARGL cerchiamo di tenerla attiva allo scopo di ricordare
i “Tanti” che trovandosi abbandonati a sè stessi nel marasma della guerra si
unirono alle Forze Alleate di liberazione pronti a donare la loro vita per sconfiggere
gli invasori della nostra Italia.
Era il giorno 8 dicembre 1943 quando sferrarono la prima offensiva a Monte
Lungo, nelle vicinanze di Cassino. Il primo impatto fu cruento, dovettero ritirarsi;
le perdite furono pesanti ma non mancò loro il coraggio: ci riprovarono e
furono premiati.
Per questo, l’8 dicembre è una data alla quale non può mancare il nostro ricordo
e la nostra presenza.
Siamo rammaricati perché la nostra età non ci permette di partecipare a questa
commemorazione nel luogo deputato per eccellenza . Son due anni quindi che
viene svolta una piccola cerimonia a Terni nella piazza dedicata ai caduti di
Montelungo dopo aver partecipato ad una messa di suffragio nella vicina chiesa
di Santa Maria. Anche quest’anno il nostro omaggio non è mancato!
Cav. Francesco Politi
Sezione di Torino
Commemorato l’anniversario di Montelungo
Il 15 dicembre la Sezione di Torino ha celebrato nella Caserma “Morelli di Popolo”
il 67° Anniversario delle battaglie di Montelungo: erano presenti con il
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VITA ASSOCIATIVA
Gonfalone della Città di Torino, decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare,
l’Assessore al Comune Giovanni Maria Ferraris, un consigliere della Regione
Piemonte, il Presidente nazionale dell’ANCFARGL Gen. Sen. Luigi Poli, il Presidente
della Sez. di Torino Avv. Belardinelli, il Vice Presidente Gen. Laghi e alcuni
reduci della Guerra di Liberazione. La cerimonia ha inizio con una Messa
officiata dal Cappellano del Comando delle scuole Militari in suffragio degli 82
caduti della prima battaglia, seguono i discorsi Ufficiali.
Il Presidente della sezione di Torino, Avv. Belardinelli, tra la commozione generale,
ha ricordato un caro amico caduto a Montelungo.
Il Presidente Nazionale, Gen. Sen. Luigi Poli ha ricordato che quando noi attaccammo
a Montelungo, monte sacro della patria, eravamo pochi e non capiti e
nella prima battaglia l’8 dicembre fummo respinti dai panzer granatier e decimati.
Il Gen. Clark, Comandante della 5ª Armata USA, il giorno dopo la battaglia
ci venne a trovare per saggiare di persona il nostro morale, si convinse che
nonostante tutto eravamo ancora validi combattenti e ci disse lasciandoci: “Riattaccherete
tra pochi giorni lo stesso obiettivo meglio appoggiati”.
Così avvenne ed il 16 dicembre sulla vetta conquistata di Montelungo sventolarono
assieme la bandiera italiana e quella degli Stati Uniti; significativa immagine
della iniziata cobelligeranza.
Montelungo dimostrò agli Alleati e a noi stessi di essere ancora soldati meritevoli di
considerazione e di fiducia, perché capaci di battersi ripetutamente per un ideale.
Per il suo valore morale la battaglia di Montelungo non appartiene alla cronaca
quotidiana della guerra, ma alla storia d’Italia: per questo motivo non è stata e
non deve essere dimenticata.
Aldo Armand-Pilon
Sezione di Firenze
Commemorato il sacrificio di Fulvio Sbarretti M.O.V.M.
Il sacrificio del carabiniere Fulvio Sbarretti M.O.V.M. è stato ricordato nel corso
di una cerimonia svoltasi lo scorso 25 settembre presso il Comando della Stazione
Carabinieri di Sesto Fiorentino che ne riporta il nome. Egli a soli 22 anni
il 12 agosto 1944 insieme ad altri due colleghi: i carabinieri Alberto La Rocca e
Vittorio Marandola furono trucidati dai tedeschi per salvare la vita a dieci cittadini
fiesolani che fatti prigionieri dai nazisti rischiavano di essere fucilati
laddove i tre militari non si fossero presentati alle autorità tedesche.
La M.O.V.M.. Fulvio Sbarretti
Fulvio Sbarretti nasce a Nocera Umbra (PG) il 22 settembre 1922 da famiglia
che conduceva una vita umile e modesta. Il giovane Fulvio passava i suoi giorni
100

VITA ASSOCIATIVA
facendo il pastorello ad un piccolo gregge che i suoi genitori erano riusciti ad acquistare
dopo una vita di stenti. Frequentava con assiduità l’oratorio della Parrocchia
ove venne indirizzato verso una vita generosa e autentica conseguendo
con profitto la licenza elementare. Tra gli altri ragazzi si distingueva come ragazzo
di animo tenero, umile, generoso e forte. Durante la sua fanciullezza recepì
dall’ambiente semplice e sano in cui aveva vissuto, un forte patrimonio morale
e spirituale che lo portarono nella sua età matura di Carabiniere, ad offrire
la propria vita per salvare quella degli altri.
Fulvio Sbarretti si arruolò nel gennaio 1942 e fu destinato al 226ª Reggimento
Fanteria “Arezzo” sul fronte greco; successivamente, nel gennaio 1943 passò
nell’Arma come carabiniere ausiliario distaccato alla Legione di Milano. Dopo
l’armistizio fu destinato alla Legione di Firenze e precisamente alla Stazione di
Fiesole cercando di rimanere in costante contatto con la famiglia al fine di proteggerla
da eventuali possibili rappresaglie.
A Fiesole incontra: i carabinieri Vittorio Marandola e Alberto La Rocca con i
quali avrebbe poi condiviso la sorte, il carabiniere Pasquale Ciofini e il vicebrigadiere
Amico comandante della stazione, tutti impiegati nella resistenza toscana.
Le vicende di cui Egli fu compartecipe ne faranno un eroe.
Siamo nell’estate del 1944; Firenze è uno degli obiettivi principali dell’avanzata
delle forze alleate che puntano a liberare al più presto il capoluogo toscano. Poco
lontane da questa, le colline di Fiesole costituiscono per i nazisti una zona nevralgica
per tentare di contrastare la manovra alleata. La difesa della cittadina viene
affidata al tenente Hans Hiesserich che si insedia a Villa Martini. Il presidio nazista
ha il compito di vigilare sulle strade di accesso a postazioni difensive, causando
non pochi problemi agli occupanti. A prendere parte attiva alla lotta partigiana
della zona, si unirono anche i Carabinieri di stanza a Fiesole. Infatti al vicebrigadiere
Giuseppe Amico comandante della stazione locale dei carabinieri, è
affidato il comando di una delle otto squadre d’azione della Vª Brigata che opera
nella IV zona “Marte-San Domenico”. Un’ attività dissimulata che convive col
consueto servizio d’ordine svolto nelle vie della cittadina occupata dai nazisti.
Il 28 luglio 1944 i carabinieri Ciofini e Pandolfo vengono incaricati di accompagnare
un giovane di 19 anni che deve consegnare degli ordini destinati alla Brigata
Rosselli.
Il gruppetto ha un conflitto a fuoco con una pattuglia nazista in seguito al quale
il carabiniere Pandolfo e la giovane staffetta vengono fatti prigionieri.
I due dopo essere stati interrogati e torturati vengono fucilati nei giorni successivi.
Nel comando di Fiesole c’è dolore e preoccupazione: la cattura di Pandolfo rischia
di far scoprire l’attività dei militari a fianco dei partigiani. Il vicebrigadiere
Amico viene convocato dai tedeschi e viene interrogato dal tenente Hiesserich.
Amico ha sentore che uno dei suoi sottoposti, Ciofini, che aveva partecipato
al conflitto a fuoco, è stato individuato e lo allontana pertanto dalla stazione
con il pretesto di un permesso di convalescenza.
101

VITA ASSOCIATIVA
Siamo agli inizi di agosto: la pressione su Firenze da parte delle forze alleate è
ormai insostenibile.
A Fiesole un bando ordina l’immediata presentazione di tutti gli uomini validi
di età compresa tra i 17 e i 45 anni che saranno destinati a compiti di supporto
civile all’esercito occupante.
Le donne, i vecchi e gli stessi Carabinieri aiutano come possono i renitenti portando
loro vettovaglie nei nascondigli improvvisati.
Il 6 agosto Amico viene arrestato ed inviato in un campo di prigionia dal quale
riuscirà a fuggire per unirsi ai partigiani. In questa intemperie i nazisti arrestano
dieci cittadini di Fiesole. Un’azione preventiva tesa a scoraggiare atti ostili.
I carabinieri Fulvio Sbarretti, Vittorio Marandola e Alberto La Rocca seppur
privi del loro comandante, non cessano la loro attività clandestina alla quale,
come sempre, si affiancano i compiti istituzionali.
Il vicebrigadiere Amico, dalla clandestinità riesce a fa pervenire un messaggio
in cui ordina loro di abbandonare la stazione per raggiungerlo a Firenze travestendosi
da “fratelli della Misericordia”, una confraternita che aveva piena libertà
di movimento per i loro compiti di assistenza sia ai civili italiani che ai
soldati tedeschi. I tre carabinieri fanno quanto loro ordinato e raggiungono la
sede della confraternita. Troppo tardi però: i posti di blocco tedeschi sono stati
chiusi a tutti compresi i membri della confraternita.
I tre decidono di rifugiarsi nella zona archeologica di Fiesole luogo che si prestava
in maniera ottimale ad una successiva fuga, consentendo di eludere i posti
di blocco tedeschi.
Il tenente Hiesserich viene informato della scomparsa dei carabinieri. Convoca
due funzionari del comune e li sottopone ad un vero e proprio interrogatorio. Il
comandante tedesco urla ai due che i carabinieri si devono consegnare pena
l’uccisione di dieci ostaggi.
Il segretario comunale informa quindi dell’accaduto il vescovo, Monsignor Giovanni
Georgis. Il segretario della curia, Monsignor Turini sa dove si trovano i carabinieri
ed incarica il custode della confraternita della Misericordia, di rintracciarli.
La situazione è drammatica; l’ultimatum dei tedeschi è chiaro, ma i tre carabinieri
sono liberi di fare quello che meglio credono. Tutta Fiesole è con il fiato sospeso. Tutti
conoscono quei carabinieri che tanto si sono prodigati per loro. È il primo pomeriggio
del 12 agosto quando i carabinieri informano Monsignor Turini della loro decisione.
Subito dopo si avviano al comando tedesco. Verso sera escono dal comando con
destinazione l’albergo Aurora.
Dopo una brevissima detenzione, sono condotti in un giardino attiguo e fucilati.
Sono le 20.30 quando i tre carabinieri rendono il loro ultimo servizio all’Arma e
all’Italia.
Firenze di lì a poco sarà liberata. (M.llo Stefano Poggini)
* * *
102

VITA ASSOCIATIVA
Alla cerimonia commemorativa di Sesto Fiorentino si è voluto ricordare non solo il
sacrificio di Fulvio Sbarretti e dei suoi tre commilitoni, ma anche tutti i militari dell’Arma
che in pace ed in guerra hanno tenuto fede al loro giuramento alle istituzioni.
Hanno presenziato il Sindaco della città, Gianni Gianassi con il gonfalone della
città; il gen.sen. Luigi Poli Presidente nazionale dell’ANCFARGL; il gen. Marcello
Panzanelli; il gen Calogero Cirneco della sezione UNUCI di Firenze; il
cap. Claudio Montesi comandante della compagnia di Signa, oltre ai rappresentanti
di varie associazioni d’arma.
Nel suo intervento il sindaco ha esaltato i valori civili e morali che hanno spinto
il carabiniere Fulvio Sbarretti all’ultimo sacrificio. Ad esso si è associato il gen.
Cirneco, ed infine il gen. Panzanelli Presidente della sezione ANCFARGL di Firenze
che si è prodigato con tutte le sue forze per l’ottima riuscita della cerimonia
insieme al suo vice, Comandante Massimo Lisi. (a.m.)
Ricordo di Felice Scotti
1922-2004
Felice Scotti l’8 settembre 1943 era inquadrato nel 52ªbtg. d’Istruzione, con il
quale stava frequentando il Corso Allievi Ufficiali di Complemento, classe1922.
Arruolatosi volontario, ha prestato servizio prima presso il 67ª e presso il 68ª
Reggimento Fanteria “Legnano”, poi nel battaglione Alpini “L’Aquila” con il
quale ha partecipato alla 2° Guerra Mondiale, campagna d’Italia 1943-45, guadagnando
la promozione sul campo a S.Tenente per meriti speciali, tre Croci di
Guerra ed un Encomio Solenne.
Nel 1995 è stato nominato Tenente Colonnello a titolo onorifico.
Nella vita civile, nella sua professione di dirigente , è stato Amministratore
aziendale e Presidente di gruppi farmaceutici internazionali.
Nell’ambito della CEE, è stato impiegato quale esperto comunitario per i problemi
ospedalieri, coordinatore per l’assistenza farmaceutica alla Somalia, e
consulente per la realizzazione del progetto dell’Istituto Farmaceutico Somalo.
Nel settore pubblico è stato consigliere del Ministro per la programmazione sanitaria.
È stato coordinatore organizzativo per i servizi sanitari delle Olimpiadi di Roma
e per quelli della neve di Cortina d’Ampezzo.
In campo assicurativo è stato Presidente, vice Presidente e Consigliere del comitato
Interassociativo per le attività sanitarie della Confindustria.
Ha fatto parte del consiglio di sezione dell’UNUCI di Milano, quale Consigliere
Anziano, era inoltre Vice Presidente del Nastro Azzurro.
Con la collaborazione di Sergio Pivetta ha praticamente ricostruita la Sezione
ANCFARGL di Milano che si stava spegnendo e ne è stato il brillante Presidente
fino al doloroso giorno della dipartita.
103

VITA ASSOCIATIVA
Va ascritta a suo merito la collocazione di tre lapidi a memoria del contributo dei
combattenti Milanesi alla Guerra di Liberazione, nel Cimitero Maggiore, nel Cimitero
Monumentale, nel famedio del Sacrario di S.Ambrogio e l’inserimento al
campo della gloria del Cimitero Maggiore di tutti i nomi dei 203 militari milanesi
Caduti nei reparti operativi al fianco degli alleati in territorio metropolitano.
Il Ten. Col. Scotti è stato insignito delle onorificenze di Commendatore per meriti
in missioni CEE, di Grand’Ufficiale per benemerenze acquisite nel settore
industriale, di Maestro del Lavoro, dell’Ambrogino d’Oro, gli è stata inoltre conferita
la cittadinanza onoraria di sette comuni per fatti d’arme.
Colpito da inesorabile male ci ha lasciati all’inizio dell’estate 2004.
Ha lasciato il ricordo della propria operosità ed un gran vuoto nel cuore dei suoi
amici.
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VITA ASSOCIATIVA
Torino - Dicembre 2010
67° ANNIVERSARIO BATTAGLIA DI MONTELUNGO
Melbourne - Dicembre 2010
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STORIA IN LABORATORIO
Testimonianze sulla Seconda Guerra Mondiale
Raccolte dai nipoti dei protagonisti
Intervista a Pifano Lucia, mia nonna
Anno di nascita: 15/03/1939
Mila Celletti 1
Ero ancora una bambina quando gli Americani arrivarono nel mio paese, ma ricordo
molte cose.
Mi ricordo, per esempio, che mio padre con i miei fratelli avevano costruito un rifugio
dove prima c’era un ruscello, per nascondersi dai bombardamenti degli aerei tedeschi.
Il rifugio era coperto da un’ enorme siepe piena di spine. Quando sentivamo il rumore
degli aerei, io con i miei fratelli, mia madre e mio padre, correvamo verso il rifugio.
Se per caso un aereo si avvicinava e noi non eravamo ancora arrivati al rifugio,
mio fratello urlava: “Faccia a terra! Faccia a terra!”, in modo tale che noi, capendo
che stavano arrivando, ci buttavamo per terra e fingevamo di essere
morti. Quando poi gli aerei erano ormai lontani, correvamo verso il rifugio.
La gente, in quel periodo, era abbastanza tranquilla perchè sapeva che c’erano
gli Americani e quindi pensavano di essere protetti.
Noi avevamo un terreno con una piccola casa su una collina, e vedevo, in un
campo di olivi vicino casa mia, tanti camion e tanti militari, che avevano allestito
lì il loro campo militare.
Ogni mattina, per circa un mese, due Americani venivano a casa nostra, si mettevano
sul muro di casa e, alternandosi, si allenavano sparando a dei fustini di
latta per l’olio vuoti.
Mentre un militare sparava, l’altro mi prendeva in braccio e cominciava a pettinarmi,
anche per ore, e, forse perchè avevo i capelli biondi, gli ricordavo la loro famiglia.
Capivo che queste persone in quel momento soffrivano e quindi, anche se mi
dava fastidio che mi pettinava, non mi spostavo.
Mia madre non mi togleva mai lo sguardo di dosso perchè non aveva fiducia in
loro, anche se essi cercavano di rassicurarla un tutti i modi, dicendole che anche
loro in America avevano famiglia e io, per loro, raprresentavo qualcosa di
caro che avevano lasciato, quindi non mi avrebbero mai fatto del male.
1 Anni 16, Alunna, Classe III E, Liceo Scientifico Tecnologico “Colomba Antonietti” Roma.
SECONDO RISORGIMENTO D’ITALIA, n. 1/2011
107

STORIA IN LABORATORIO
Comunque mia madre, anche se non si fidava ciecamente, li trattava come figliom
preparando loro il caffè o il latte caldo, avendo le mucche, perchè sapeva
cosa voleva dire perdere qualcuno in guerra, infatti aveva perso il fratello maggiore,
trascinato via da un fiume.
All’improvviso, un giorno, gli americani chiesero a mia madre il permesso di
portarmi al campo militare con loro perchè tutti gli altri militari volevano vedermi,
ma mia madre, non avendo ancora tutta questa fiducia nei loro confronti,
disse ad uno dei miei fratelli (eravamo una famiglia molto numerosa, 14 fratelli)
di accompagnarmi.
Mio fratello allora prese un grande bastone nelle mani e iniziò a camminare accanto
al militare che mi portava in braccio. Dopo un pò che camminavamo il
militare si fermò e cercò di rassicurare mio fratello, dicendogli che non mi sarebbe
successo nulla, ma mio fratello non capiva l’americano e continuò a camminare
con il bastone in mano fino al campo militare.
Al campo, si radunarono i militari e fecero una specie di passamano prendendomi
in braccio, abbracciandomi e baciandomi sulla testa. Dopo di che, presero
due scatole di biscotti, i Galletti, li diedero a mio fratello e ci salutarono con
tanto affetto.Mi ricordo che uno dei due americani, quando mi abbracciò e mi
lasciò a mio fratello, si mise a piangere. Dopo tornammo a casa, sulla collina
dove abitavamo e non li vedemmo più. Sentii la loro mancanza dopo che se ne
furono andati, ma da una parte ero contenta perchè non sarei più stata costretta
a farmi pettinare i capelli.
Io e la mia famiglia ci riteniamo molto fortunati, in quanto non abbiamo mai sentito
neanche una bomba. Le guerre sono molto brutte. Vedi persone piangere per
non avere notizie del marito o del figlio che sta combattendo, o ricevere la notizia
che un loro caro è morto, si distruggono vite umane senza scrupolo. Le guerre ti
toccano profondamente e questo ricordo te lo porti avanti per tutta la vita. Io, come
mia nonna, penso che le guerre siano inutili e terribili perchè causano la morte
di tante vite umane.Sono stati anni duri e brutti e spero di tutto cuore che questi
tristi ricordi facciano ragionare le persone sulla crudeltà e l’inutilità della guerra.
Intervista a mia zia Maria Pia e a mia nonna Lucia
Simona Gili 2
Testimonianza di Cappellini Maria Pia abitante a Fontignano (Perugia),
zia della sottoscritta
“Della seconda guerra mondiale non ricordo assolutamente nulla, poiché in quel
2 Anni 15, Alunna, Classe III S, Liceo Scientifico Tecnologico “Colomba Antonietti” Roma.
108

STORIA IN LABORATORIO
periodo avevo pochi mesi, tuttavia custodisco ancora il ricordo di alcuni racconti
di mia madre.
Abitavo in una casa colonica con la mia famiglia composta da tredici persone. I
bombardamenti tedeschi erano esageratamente frequenti e mia madre con altri
compaesani fuggivano al riparo in delle grotte. Per evitare che il mio pianto rivelasse
al nemico il nostro nascondiglio mia madre mi teneva stretta al petto in
modo che il suo calore mi tranquillizzasse. Tuttavia mamma era solita sottolineare
che non tutti i tedeschi erano cattivi. Solitamente raccontava di un ragazzo
tedesco di nome Paolo di appena diciannove anni, con i tipici caratteri germanici
quali occhi azzurri,capelli biondi, alto, bellissimo. Egli si era affezionato alla
mia famiglia, specialmente a mia madre, e spesso ci portava del cibo, delle coperte
per riscaldarci. Raccontava che lui era stato obbligato ad andare in guerra,
che aveva paura di combattere, che voleva tornare a casa dalla sua famiglia, da
sua madre. Anche mamma era rimasta particolarmente legata a questo giovane
ragazzo, spinta magari da un terribile sentimento di compassione.
L’ ultimo ricordo che ha di questo ragazzo e’ il giorno prima della sua partenza.
Egli infatti era stato richiamato dall’ esercito tedesco per combattere presso
Montecassino al fine di bloccare l’ avanzata degli alleati. Piangeva, piangeva
ininterrottamente poiché era consapevole che probabilmente in uno scontro del
genere sarebbe sicuramente morto. Tra le lacrime promise a mia madre: “se riesco
a salvarmi tornerò da te e dalla tua famiglia”.
Nessuno seppe mai nulla di questo ragazzo, che non fece mai più ritorno presso
la mia famiglia. Non era stato trattato da tedesco, era stato trattato da figlio.
Testimonianza di Lucia Cuomo, nonna della sottoscritta
Zio Berardino, ragazzo di 21 anni, era stato chiamato alle armi. Egli faceva la
guardia alla polveriera, depositi di polveri da sparo. L’ 8 settembre i tedeschi,
fatto prigioniero, l’ hanno brutalmente deportato in Germania in un campo di lavoro
in condizioni disumane. Per giorni fu sottoposto a maltrattamenti e a duro
lavoro, fin quando un giorno un ufficiale tedesco chiese se tra i prigionieri ci fosse
qualcuno capace di fare il pane. Egli astutamente si offrì volontario, poiché
pensò che con questo lavoro avrebbe potuto procurarsi facilmente del cibo, magari
anche solo delle briciole. Così egli fu condotto presso un panificio appartenente
a una famiglia tedesca. Racconta di aver ricevuto un trattamento eccezionale,
non da italiano prigioniero ma da figlio. Dormiva e mangiava con loro e gli
volevano davvero molto bene, specie la moglie del principale. Arrivò il Natale.
Per la prima volta in vita sua egli vide un albero decorato con motivi natalizi e
dei pacchetti accuratamente incartati ai suoi piedi. C’ era un regalo anche per
lui: una sciarpa di lana. Era la prima volta in vita sua che riceveva un regalo di
Natale. Purtroppo il destino volle che fosse chiamato a combattere in Russia e a
lasciare questa accogliente famiglia. Il proprietario aveva promesso che a guerra
finita sarebbe venuto in Italia a trovare lui e la sua famiglia, come d’ altra parte
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STORIA IN LABORATORIO
anche lui aveva garantito che qualora fosse tornato salvo dalla guerra sarebbe
tornato a cercarli. Della Russia ricorda solo di aver patito tanto freddo, al quale
però riuscì fortunatamente a sopravvivere. Tornò alla panetteria nella quale
aveva lavorato per un anno con la convinzione di trovare la sua seconda famiglia,
ma della panetteria e della casa il muro più alto non superava i 20 cm.
Avrete certamente notato che queste due testimonianze sono molto simili tra loro,
un tedesco che viene accolto da una famiglia italiana, e un italiano in veste
di prigioniero che viene benevolmente ospitato da una famiglia tedesca. Entrambi
i protagonisti hanno ricevuto un’ ospitalità magnifica da entrambe le famiglie,
nonostante il periodo difficile in cui sono ambientate le due vicende. Infatti
nel testo emergono espressioni fondamentali quali “ non era stato trattato
da tedesco, era stato trattato da figlio” oppure “ racconta di aver ricevuto un
trattamento eccezionale, non da italiano prigioniero, ma da figlio”.
Credo che oramai siamo tutti pienamente consapevoli delle atrocità inflitte da
parte dei nazisti all’ umanità, tra le quali senza dubbio emerge il disastroso eccidio
degli ebrei nei campi di concentramento nazisti. Da non dimenticare anche
l’ uccisione di malati, persone portatrici di handicap e di prigionieri politici,
o comunque la sofferenza, la povertà e il clima di instabilità sociale che hanno
provocato in tutto il mondo.
Tuttavia spesso la figura del tedesco viene completamente associata ad una
persona crudele, spietata.
Con queste due testimonianze invece ho voluto in qualche modo sottolineare
che, nonostante i tedeschi siamo stati i maggiori responsabili della guerra, non
tutti erano stati favorevoli al governo nazista e alle sue conseguenza, come nel
caso di Paolo,di tanti altri ragazzi giovanissimi costretti a combattere e di altre
famiglie tedesche, come quella nella quale era stato ospitato Berardino, che dovettero
rinunciare ai propri figli perché partiti per lottare per delle ideologie
che magari non condividevano.
Intervista a mio Nonno
Mara Brozzi 3
Questo è ciò che mi ha raccontato mio nonno Carlo che viveva a Roma all’inizio
della seconda guerra mondiale. Cara nipotina, anche se è passato tanto tempo
dalla fina della guerra, oltre sessanta anni, non sono riuscito a dimenticare le
varie traversie della guerra. Vedi, usare il termine traversie è una cosa molto
facile e semplice, mentre nulla realtà, sono una cosa bruttissima è terribile per
3 Anni 16, Alunna, Classe III S, Liceo Scientifico Tecnologico “Colomba Antonietti” Roma.
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STORIA IN LABORATORIO
chi le ha vissute. Io, ragazzo nel periodo della guerra, avevo dai nove ai tredici
anni, ho conosciuto la morte, la fame, la violenza, la sofferenza e quanto di più
brutto si può trovare in questo mondo.
Ho visto le case crollare sotto le bombe che venivano lanciate in qualsiasi momento,
senza preavviso, dagli aeroplani. Ad esse si aggiungevano le cannonate
degli eserciti contrapposti.
I primi due anni la guerra era abbastanza lontana da noi ma poi si è avvicinata
così tanto che ci siamo dovuti abituare ad essa. Abbiamo vissuto la guerra da
alleati dei tedeschi di Hitler, poi, all’improvviso, abbiamo sofferto la guerra da
parte di quelli che prima erano nostri amici e questo forse è stato il periodo peggiore.
Bisogna capire che avevamo in casa i nemici e i nuovi alleati, che per liberarci
ci bombardavano. Il primo anno di guerra l’ho vissuto a Roma, e poi per
stare meglio siamo andati in Umbria, a Orvieto, dove sono nato. Lì pensavamo
di stare tranquilli, invece abbiamo passato dei momenti molto brutti. Un bel
giorno la guerra (non ancora finita) ha superato la città dove stavamo e, nonostante
le ferite non ancora rimarginate, eravamo più tranquilli e sereni.
Per raccontarti tutti gli episodi della guerra, potrei parlare ore ed ore, ma nella
vita fortunatamente, si cerca di dimenticare le cose brutte e ricordare solo le cose
belle.
Secondo me, la guerra è sempre molto dolorosa, perchè può causare la perdita dei
propri cari, e anche la persone che sopravvivono restano scioccate per sempre.
Durante la guerra la gente del popolo prova fame e sofferenza, che sono difficili
da dimenticare.
Mi ritengo fortunata ad essere nata in un periodo in cui la guerra non è mai
stata a casa nostra.
Intervista a mia nonna Silvia
Massimo Pappalardo 4
Silvia ha 75 anni e vive a Roma. All’epoca della guerra era una bambina di 7
anni: era il 1942 e viveva in un paese in provincia di Perugia. Pieve, con la sua
famiglia. Lei e i suoi fratelli andavano a scuola, la mamma si occupava dei campi
e il papà era stato congedato perché malato.
La loro vita cambiò all’improvviso: arrivarono i bombardieri e sganciarono bombe
per colpire la Flaminia e la stazione ferroviaria. Il paese, che si trovava in
mezzo, fu attaccato e tutti fuggirono verso le campagne. Dopo qualche giorno
arrivarono i tedeschi che si stabilirono in un paese vicino.
4 Anni 18, Alunno, Classe III S, Liceo Scientifico Tecnologico “Colomba Antonietti” Roma.
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STORIA IN LABORATORIO
Silvia e la sua famiglia trovarono rifugio in una grande stalla, dove vivevano
con altre 8 famiglie. Il contadino era molto ricco e tutti guadagnavano da mangiare
lavorando per lui; per vestirsi usavano le cose che avevano e, a volte, tornavano
di nascosto nelle loro case per prendere quello che serviva.
Silvia ricorda molto bene quel periodo e racconta tanti episodi: di quando, ad
esempio, la contadina gli regalò una pagnotta di pane in cambio di piccoli lavori
di nascosto al marito; oppure di quando il cugino era stato catturato dai tedeschi
e riuscì a scappare ad Ancona; dell’aiuto che si davano gli sfollati tra di
loro. Silvia racconta ancora della paura dei tedeschi che si erano stabiliti a Foligno
e che catturavano soprattutto uomini e ragazzi per farli lavorare al loro
servizio e che per rappresaglia alcuni erano stati costretti a scavare la propria
fossa e poi uccisi. Alcuni paesani di nascosto controllavano i movimenti dei tedeschi
avvertendo tutti quando c’era pericolo. Silvia spiega che si seppe così
anche della fine della guerra: all’improvviso si diffuse la notizia che i tedeschi
stavano preparando qualcosa di importante. Aumentò la paura, ma poi si scoprì
che stavano scappando facendo saltare i ponti dietro di loro. La guerra era
finita. Chi poteva ritornò nella propria casa. Silvia e la sua famiglia avevano
la casa distrutta e dovettero rimanere per tre anni nella stalla. Finalmente nel
1948 ebbero una casa popolare: non era bella come la loro, ma sufficiente. Tutti
avevano da fare qualcosa per tornare alla normalità: c’era il campo e poi Silvia
e i fratelli tornarono a scuola, anche se solo fino alla 4°elementare. A Silvia
la scuola mancò molto e infatti prese il diploma di scuola media da adulta, pochi
anni fa. Questa testimonianza, secondo me, racconta la difficoltà di vivere
in guerra. Non è la storia di “eroi” come nei film, ma mi sembra un racconto
del passato, come un ritorno all’età feudale dove le famiglie scappavano nelle
campagne e si mettevano al servizio dei feudatari per sopravvivere. Inoltre,
dopo la guerra, tutti dovevano collaborare per ripristinare il territorio e uscire
dalla miseria.
L’intervista di mio nonno Sergio e mia nonna Giuseppina
Desire Silvestri 5
Queste sono le storie dei miei nonni.
Mio nonno si chiama Sergio ed ha 75 anni;quando scoppiò la seconda guerra
mondiale mio nonno aveva 5 anni e perciò non ricorda molto bene ciò che successe
a quell’epoca. Nel 1944 iniziarono i bombardamenti a Roma e san Lorenzo
fu quasi distrutta da parte dei tedeschi. Nello stesso anno i tedeschi bombarda-
5 Anni 15, Alunna, Classe III S, Liceo Scientifico Tecnologico “Colomba Antonietti” Roma.
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STORIA IN LABORATORIO
rono il palazzo dove viveva mio nonno. Alle ore 10:00 i tedeschi lanciarono delle
bombe sull’abitazione e mio nonno rimase intrappolato con i suoi amici sotto le
macerie. Rimase lì per 7 ore. Mio nonno cercava di liberarsi , di uscire fuori dalle
macerie per aiutare i suoi amici ma non ci riusciva perché i massi che aveva
sopra di sé erano troppo pesanti. Verso le 17:00 lo zio di mio nonno che faceva il
pompiere riuscì a liberare lui e i suoi amici. Il giorno più bello per mio nonno fu
quando gli americani cacciarono dall’Italia i tedeschi perché dentro di sé sentiva
che finalmente il peggio era passato.
Mia nonna invece si chiama Giuseppina ed ha 73 anni.
Ella abitava in campagna a Montecassino e da lì lei riusciva a vedere le case
che venivano distrutte dai bombardamenti. La casa in cui mia nonna abitava
con la sua famiglia non era sicura e così loro si rifugiavano nelle grotte. Una
sera mentre mia nonna dormiva dei tedeschi entrarono nella grotta in cui si
erano rifugiati e la zia di mia nonno che era una bambina fu violentata davanti
agli occhi di tutti. Quando gli americani arrivarono in Italia per combattere
contro i tedeschi mia nonna ricevette tanti giocattoli e dei vestiti nuovi
da indossare. Io penso che la guerra è una cosa molto dolorosa che segna la
vita di ogni persona io sono stata molto fortunata a non viverla a differenza
dei miei nonni che purtroppo hanno dovuto affrontare questa esperienza molto
dolorosa.
Testimonianza di Adriana Antonetti
Mattia Musumeci 6
Sono Mattia Musumeci della classe III S del Liceo Scientifico Tecnologico Colomba
Antonietti. La testimonianza che vi sto per riportare è di mia nonna paterna,
si chiama Adriana Antonetti ed è nata il 19 Maggio del 1927. Mia nonna
al tempo della guerra era un’adolescente, aveva 15 anni, più o meno la mia
stessa età. Nonostante fosse già grande non si ricorda molte cose, un po’ per la
sua anziana età, un po’ perchè ha fatto di tutto per cercare di rimuovere dalla
propria memoria quei brutti ricordi, tuttavia sono riuscito a farmi raccontare
qualcosa.
Mia nonna viveva con la sua famiglia nel loro vigneto a Velletri. Mi ha raccontato
che ha vissuto i bombardamenti della sua città e che una bomba ha colpito
parte della terra dedicata alla coltivazione creando una fossa grande quanto la
sua cucina, mi ha anche raccontato che i tedeschi sono venuti a perquisirle casa
cercando sotto i letti per vedere se nascondevano qualcuno. Questa vicenda
6 Anni 16, Alunno, Classe III S, Liceo Scientifico Tecnologico “Colomba Antonietti” Roma.
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STORIA IN LABORATORIO
purtroppo è finita in una tragedia perché suo zio, convinto che i tedeschi fossero
andati via e che per loro il peggio era passato, era uscito dirigendosi nei monti
verso Lariano e non trovando nessuno decise di tornare per la via principale ma
sfortunatamente ha incontrato un gruppo di tedeschi che lo hanno catturato.
Mia nonna mi ha raccontato con un po’ di tristezza che non ha avuto più notizie
di suo zio e che ancora oggi non sa che fine abbia fatto. Dopo questo triste avvenimento
mia nonna si trasferì con la sua famiglia a Roma utilizzando un carretto,
ma il loro viaggio non fu per niente comodo, e soprattutto non riuscirono
ad arrivare a destinazione poiché un altro gruppo di tedeschi li fermò e li portò
in un campo di concentramento alla Garbatella dove vennero messi in enormi
camerate per circa due settimane. Purtroppo mia nonna non si ricorda molto
della guerra, forse ha cercato di rimuovere i suoi ricordi ed è anche per questo
che non mi ha saputo dire nulla di mio nonno oramai defunto, non avendo mai
toccato questo argomento con lui. La storia di mia nonna comunque finisce dove
era cominciata, a Velletri. Infatti dopo esser stata ospite di alcuni loro amici di
famiglia a Roma una volta finita la guerra tornò nella sua vecchia casa,dove
ora alloggiano i suoi fratelli. Vedere mia nonna così triste e sentire la sua voce
mentre mi raccontava quel poco che ricordava mi ha fatto riflettere molto e mi
ha fatto capire che sono davvero molto fortunato ad essere nato in questo periodo,
mia nonna aveva praticamente la mia età durante la guerra e sinceramente
non riesco nemmeno ad immaginarmi in quelle condizioni di vita, spero veramente
che non risucceda mai più una catastrofe simile e di non dover raccontare
ai miei nipoti storie simili. Vedere mia nonna così triste mi ha fatto capire
quanto ha sofferto in quel periodo e mi ha fatto capire che io non posso veramente
lamentarmi di nulla se penso a quello che ha passato lei.
Testimonianza di storia
Veronica Lustri 7
Mi chiamo Veronica Lustri e sono una ragazza di 17 anni.
Ho intervistato mia nonna , Verdenelli Franca, nata a Roma il 14 febbraio 1934
, per conoscere gli eventi che hanno caratterizzato la sua vita , e quella dei suoi
familiari, durante la Seconda guerra mondiale.
Nonna, nata e cresciuta a Via Ercole Bombelli e ultima di nove figli, ricorda
giorni in cui il fratello maggiore, Gino Verdenelli, all’età di 25 anni, fu catturato
dai tedeschi e deportato nel campo di concentramento tedesco di Auschwitz .
Fortunatamente, però, mio zio non fece la tragica fine di molti uomini, infatti,
7 Anni 17, Alunna, Classe III S, Liceo Scientifico Tecnologico “Colomba Antonietti” Roma.
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STORIA IN LABORATORIO
lo liberarono a distanza di molto tempo quando pesava 35 Kg, ed era un uomo
alto 1.70 cm.
Un episodio ricordato da mia nonna è l’eccidio delle Fosse Ardeatine ossia il
massacro compiuto a Roma dalle truppe di occupazione della Germania nazista
il 24 marzo 1944 , ai danni di 335 civili e militari italiani , come atto di rappresaglia
in seguito ad un attacco partigiano contro le truppe tedesche avvenute il
giorno prima in Via Rasella .
Le Fosse Ardeatine , antiche cave di pozzolana site nei pressi della Via Ardeatina
, sono diventate , ora , un monumento a ricordo dell’accaduto.
Da quanto mi ha raccontato mia nonna , e da come me lo ha raccontato , ho capito
che le nostre generazioni sono molto fortunate ad essere nate e a vivere in
pace e che debbano fare di tutto perchè questa pace venga goduta anche dalle
generazioni future .
Mentre nonna raccontava , notavo in lei dolore , sofferenza e questo ha provocato
in me uno stato di sconforto e disagio ; mi è dispiaciuto farle rivivere le terribili
esperienze che ogni persona , vissuta durante le grandi guerre , vorrebbe rimuovere
.
Intervista a mia nonna Antonia Del Boccio
Alessio Cavallini 8
Nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, nonna era soltanto una ragazzina,
viveva in una casetta di paese nei pressi di Sulmona, con sette fratelli dei quali
due più grandi si occupavano delle faccende domestiche quando i genitori erano
assenti. Un giorno, mentre nonna era seduta accanto al camino, venne a farle
visita un tedesco alquanto affamato. Precedentemente il tedesco era stato informato
da una famiglia del vicinato sulla presenza di alimenti nell’abitazione dove
viveva mia nonna.
Il soldato tedesco chiese con arroganza lo speck, uno dei vari alimenti prodotti
dalla famiglia di mia nonna, la sorella maggiore, però, non capiva con esattezza
cosa desiderasse il soldato, a causa del suo accento tedesco. Inizialmente gli offrirono
uno specchio, pensando che la sua unica necessità in quel momento fosse
di specchiarsi. Successivamente,però,si recarono a casa di mia nonna suo padre
ed un amico di famiglia, in grado di parlare la lingua del nemico. Entrati in casa
notarono subito il tedesco che oramai si era appropriato della casa. L’amico di famiglia
lo incitò ad abbandonare la casa ed una volta ottenuto ciò lo portò lontano
dalla zona e lo abbandonò a se stesso nelle gole situate nei pressi del paese.
8 Anni 15, Alunno, Classe III S, Liceo Scientifico Tecnologico “Colomba Antonietti” Roma.
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STORIA IN LABORATORIO
Intervista a mio nonno Franco
Vannucci Federico 9
Quando infuriava la II guerra mondiale, mio nonno Vannucci Franco era un
bambino. Aveva infatti 8 anni, e della guerra non si ricorda molto, però mi ha
raccontato quello che ricorda. Mio nonno abitava all’Isola d’ Elba; quando iniziò
la guerra dovette abbandonare la sua casa in paese dove abitava e si rifugiò dai
suoi nonni, i quali abitavano in campagna su una collina, da cui si poteva vedere
ciò che accadeva in città. Mio nonno mi ha raccontato che aveva molta paura
dei bombardamenti aerei e temeva che una bomba potesse colpire la loro casa.
Inoltre, c’era poco da mangiare, o almeno c’era solo quello che poteva offrire la
loro terra. Mio nonno, nonostante la guerra, si divertiva a vedere esplodere le
bombe in acqua, che lui osservava dalla cima della collina. La guerra è una cosa
che non si dovrebbe fare perchè porta solo distruzione e paura, e quasi sempre
viene mascherata con altri motivi, ma quello che mi stupisce è il fatto che la
guerra con tutte le sue atrocità sembra quasi essere un gene della razza umana,
e nonostante tutti dicano di volerla fermare ancora non si è fatto niente.
Testimonianza di storia
Mio nonno: una dura prigionia in Germania
Francesca Preciutti 10
Mio nonno è stato prigioniero in Germania ed è rimasto per sette anni sotto le armi.
Purtroppo non gli posso parlare perchè ora non c’è più .I fatti della guerra me
li racconta mia nonna che all’epoca frequentava la seconda elementare, e i suoi ricordi
sono un pò vaghi. Ricorda che sentiva le pallottole fischiare sopra la testa.
Un episodio che ricorda con paura è quando di notte un aereo, chiamato “Pipetta”,
si vedeva nel cielo e si accingeva a bombardare, allora si spengevano tutte le
luci per non far vedere che la casa era abitata. Un altro ricordo è quasi come un
gioco: suo nonno aveva scavato una buca nel terreno sopra la quale aveva messo
dei pali di legno, e lei con i suoi fratelli si rifugiavano lì dentro quando c’erano i
bombardamenti: per loro era un divertimento, ma la realtà era drammatica. Durante
la guerra vi era scarsità di cibo, e quel poco che c’era era razionato.
Ricorda che molte persone che abitavano in città venivano in campagna per trovare
il cibo e mangiare qualcosa, con la speranza di trovare frutta e farina così
9 Anni 16, Alunno, Classe III S, Liceo Scientifico Tecnologico “Colomba Antonietti” Roma.
10 Anni 17, Alunno, Classe III S, Liceo Scientifico Tecnologico “Colomba Antonietti” Roma.
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STORIA IN LABORATORIO
si poteva fare il pane e cuocerlo. Lì in campagna il cibo, anche se non abbondante,
non mancava, era apprezzato quel poco che c’era.
Mi è dispiaciuto molto far rivivere a mia nonna quei momenti così tristi e difficoltosi
per lei e la sua famiglia, vedevo nel volto di mia nonna tanta sofferenza, faceva
molta fatica a raccontarmi questi episodi tragici della sua vita, con qualche lacrima
e un pò di sorrisi forzati è riuscita a farmi rivivere quegli attimi intensi.
Spero che la mia generazione non debba conoscere la guerra e che tutto il mondo
si impegni per la pace.
Testimonianze dei miei nonni,
veri spettatori della Seconda Guerra Mondiale
Emanuela Cappelli 11
Il mio nome é Cappelli Emanuela, frequento la classe 3° S del liceo scientifico
tecnologico romano Colomba Antonietti , anno scolastico 2010-2011, e sono lieta
di raccontare la storia dei miei nonni, i quali hanno vissuto in prima persona la
Seconda Guerra Mondiale.
I miei nonni, fortunatamente, hanno sempre vissuto una vita agiata, al contrario
della maggior parte della popolazione che viveva quegli anni, ma nonostante
ciò sono riuscita a capire molto bene il sentimento di sconforto e di disperazione
che caratterizzava la quotidianità dei loro giorni.
Mio nonno, Vella Rocco, nato il 19-03-1919 vive in una cittadina del sud della Sicilia
chiamata Gela, e si ricorda molto bene questo periodo che stiamo prendendo in
considerazione, dato che aveva più o meno 25 anni; la maggior parte dei suoi racconti
sono alquanto divertenti, considerando il fatto che amava cacciarsi nei guai e
come al solito uscirne fuori illeso, sempre con una storia divertente da raccontare.
Ciò che gli rimase più impresso fu lo sbarco degli Americani, poiché avvenne
proprio a Gela, il paese dove i miei nonni vivevano e vivono ancora:
lo stupore fu grande da parte di tutti, alcuni avevano paura, ma mio nonno confessa
di non aver mai avuto paura, e che al contrario si fidava di loro.
Sbarcati gli Americani al porto di Gela, mio nonno iniziò a guardarsi intorno,
quando il suo sguardo venne rapito da due cose molto importanti: la prima era
il cinema all’aperto oramai diventato luogo di prigionia degli italiani da parte
dei tedeschi, e la seconda riguarda il fatto che molti militari Americani erano in
borghese, così con la paura di essere catturato al posto di un militare Americano
scappò , e in men che non si dica si ritrovò a casa. La curiosità lo fece tornare,
arrivato il primo pomeriggio, al centro della città, da dove si vedeva il mare
11 Anni 17, Alunno, Classe III S, Liceo Scientifico Tecnologico “Colomba Antonietti” Roma.
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STORIA IN LABORATORIO
con le navi Americane; tutto d’un tratto arrivarono due squadre tedesche, con il
compito di abbattere le navi nemiche; una delle due navi riuscì ad allontanarsi,
l’altra non ce la fece e venne bombardata sotto gli occhi di quei poveri abitanti
che avevano visto in loro una luce di speranza, sentimento che veniva sempre
meno con il passare del tempo.
I genitori di mio nonno possedevano molti terreni a quei tempi, ed egli vi si recava
spesso per lavorarli, e arrivato ai campi gli capitava molto spesso di incontrare
soldati americani poiché avevano la loro postazione molto vicino a dove lavorava
mio nonno; i soldati con mio nonno e con gli altri che lavoravano le terre
erano molto pacifici, tantochè una volta mio nonno prese un’anguria, la tagliò
in tante fettine uguali e la mangiò insieme agli americani, anche se questi molto
diffidenti, aspettarono che mio nonno mangiasse per primo la sua fetta assicurandosi
che non li stesse traendo in inganno.
Un altro racconto riguarda la richiesta di un passaggio da parte del mio sfrontato
nonno agli americani, questi accettarono, e mio nonno salì sulla loro auto.
Questa “mancanza di paura”, se così vogliamo definirla, penso sia stata una
conseguenza dello sconforto comune che caratterizzava quegli anni cupi, poiché
ormai nessuno aveva più nulla da perdere; il popolo sentiva che la loro vita dipendeva
dalle scelte di qualcun altro, per cui i loro comportamenti non avevano
più un senso, non esisteva più un perché dietro le loro mosse, il rischio ormai
faceva parte della loro vita, l’altra possibilità era la rassegnazione, la popolazione
poteva rischiare qualcosa per poter in futuro stare meglio, anche se per una
frazione minima di tempo, o poteva rassegnarsi, aspettando, semplicemente
aspettando, che qualcosa cambiasse; se cambiava positivamente si riusciva a
intravedere quasi un sorriso nei loro volti, se cambiava negativamente lo sconforto
aumentava facendo rassegnare la popolazione ancora di più.
Ritornando alla testimonianza di mio nonno, si ritrova nell’auto dei soldati americani:
iniziano a parlare, per sciogliere un po’ di tensione, ma tra una chiacchiera
e l’altra si sente uno dei soldati americani esclamare: “ Che brutto tempo, probabilmente
arriverà un acquazzone” , ma la cosa divertente è che lo disse con il
tipico dialetto usato a Gela. Mio nonno allora chiese il perché riuscisse a parlare
così bene questo dialetto, e il soldato rispose con orgoglio che i suoi nonni erano
di Gela, e che aveva deciso di partire volontario per questa missione poiché
avrebbero dovuto liberare la città di Gela dalla dominazione Tedesca.
Anche se mio nonno fu sempre fortunato e non si cacciò mai nei guai, molti dei
suoi amici e parenti morirono: il fratello di mio nonno è tuttora un disperso,
non si riuscì mai a ritrovare il suo corpo, e per la disperazione sei mesi dopo i
genitori di mio nonno morirono, lasciando il figlio in una condizione di desolazione
e di sconforto che neanche l’arrivo degli americani riuscirà a colmare.
Purtroppo qualunque guerra , lunga o breve, porta sofferenze e desolazioni, e
nessuna guerra riesce a migliorare un paese poiché i danni che provoca sono
sempre più grandi di quelli che un semplice uomo può immaginare.
118

STORIA IN LABORATORIO
Mia nonna invece, Favitta Emanuela, nata il 3-08-29, ricorda molto poco, ma
ricorda alcuni avvenimenti molto importanti. Quando era piccola, vedeva le
persone con in mano una tessera, che formavano una lunghissima fila. Lei
non sapeva perfettamente cosa volesse significare quella tessera, ma capiva
che chi la possedeva non viveva di certo la vita benestante di mia nonna; allora
lei tutti i giorni, quando andava a scuola, divideva la sua pagnotta con il
resto della classe. Arrivata alla quinta elementare mia nonna dovette smettere
di frequentare la sua amata scuola per paura che una bomba potesse uccidere
tutti quanti,o che qualche soldato potesse fare irruzione e distruggere
tutto, paura alimentata dal racconto di un vicino di casa, il quale possedeva
un terreno che stava lavorando con le sue figlie, quando arrivarono due soldati
Americani che cercarono di violentare le povere ragazze. Il padre delle due
teneva un fucile carico per una qualsiasi evenienza e fu costretto a usarlo, uccidendo
uno dei due soldati.
Questo povero uomo, che fu sempre giusto e rispettoso, andò dai carabinieri dove
confessò tutto, e con suo stupore il maresciallo dei carabinieri lo fece tornare
indietro dicendogli: “hai fatto bene, lo avrei fatto anche io”.
Con i pochi ricordi dei miei nonni mi sono fatta un’idea un pò diversa da quella
che narrano i libri di storia, immedesimandomi nelle persone protagoniste di
quei giorni bui.
Mi sono resa conto di quanto una guerra possa distruggere non solo case, monumenti
o strade, ma soprattutto l’animo umano, privando le persone dei loro
sogni e rassegnandole a vivere vite che il destino non aveva assegnato a loro.
La testimonianza di Agnese Pelli, nata nel 1931
Giada Guarini 12
Pochi giorni fa sono andata in un centro anziani insieme a mia madre per fare
un’ intervista sulla seconda guerra mondiale così ho intervistato una donna di
nome Agnese, che ha vissuto nel periodo della guerra. Cosa ricorda della seconda
guerra mondiale?
Quando ha avuto inizio la seconda guerra mondiale, erano gli anni ‘40 ed io
avevo solo nove anni, nonostante ciò questo avvenimento ha segnato la mia vita
e ricordo molto bene quei tristi giorni.
Ricordo che in osteria c’era una radio, dove si sentiva il discorso del duce che
avvertiva il popolo dell’inizio di questa guerra. Noi bambini eravamo felici, perchè
pensavamo fosse una bella cosa tanto che corsi subito da mia madre per
12 Anni 17, Alunno, Classe III S, Liceo Scientifico Tecnologico “Colomba Antonietti” Roma.
119

STORIA IN LABORATORIO
dirglielo, così lei non riuscendo a trattenere le lacrime mi disse che molto presto
mi sarei resa conto di quanto sarebbe stata brutta questa guerra.
È cambiato qualcosa nella vostra vita da quel giorno?
Si, i primi miei due fratelli partirono così nessuno portava nemmeno più soldi a
casa, oltretutto dopo poco tempo partì anche il mio terzo fratello, perchè aveva
compiuto diciotto anni. E così la vita non era piu la stessa, vivevamo tutti nella
paura. Per mangiare usavamo dei bollini che consentivano di prendere un panino
al giorno, per non parlare dei vestiti che avevamo a disposizione, sempre gli stessi
stracci. Poi arrivò anche l’armistizio e gli italiani si allearono con gli americani
Quando ebbe fine tutto ciò?
Il 25 aprile arrivarono gli americani. Io ero in salumeria, e vidi i tedeschi mangiare
vicino ai camion. Dopo pochi secondi scapparono perchè videro arrivare i
nostri alleati. I tedeschi furono presi alla sprovvista e non fecero resistenza al
Po e sulle Torricelle. Tutti felici andarono incontro agli americani che arrivarono
con grandi carri armati. Per circa tre notti rimanemmo però in un rifugio
per paura della resistenza così appendemmo anche un lenzuolo bianco come segno
di pace.
Intervista a Silvano Viola
Stef Romulus 13
L’argomento di questa intervista è tratto dalla testimonianza di mio nonno che
ha assistito personalmente ai fatti che io vi scriverò. Durante la seconda guerra
mondiale abbiamo vissuto un periodo critico in Italia, perchè era invasa dalle
forze nemiche tedesche e dagli americani che bombardavano senza tregua città
e punti strategici.
Un giorno, un medico e un partigiano di Roccalvecce decisero di partire per prestare
servizio di assistenza medica in un paesino vicino.Strada facendo, per la
loro sfortuna, incontrarono alcuni soldati tedeschi. Furono fermati e trucidati
sul posto in quanto riconosciuti dalla pattuglia tedesca come partigiani. Nel frattempo,
passò mio nonno,che in quell’epoca aveva nove anni, insieme a suo zio e
al loro asino, con il quale portavano una bara per la sepoltura di un familiare.
Mio nonno, avendo riconosciuti i cadaveri, insieme a suo zio, informarono i familiari
delle vittime. Loro si erano salvati perchè i tedeschi li avevano lasciati
andare per il rispetto della perdita di un loro familiare. La guerra è un atto talmente
crudele che non ha rispetto neanche per i bambini, tanto è vero che mio
nonno ha assistito a un episodio molto tragico e crudele.
13 Anni 17, Alunno, Classe III S, Liceo Scientifico Tecnologico “Colomba Antonietti” Roma.
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STORIA IN LABORATORIO
Intervista ai nonni
Elberardo Attanasi e Margherita Zizzari
Mattia Rossetti 14
Mio nonno negli anni ‘40 aveva undici anni e ci racconta sempre che durante la
guerra, quando di notte i bombardieri americani ed inglesi sorvolavano il paese,
lui saliva sul tetto di casa per vedere i lampi delle bombe che cadevano sull’aeroporto
militare di Galatina e sul porto di Gallipoli che si trovano vicino Soleto,
il suo paese che si trova in Puglia e precisamente in
provincia di Lecce.
Gli anni di guerra furono terribili per tutte le famiglie italiane. Iniziarono a
scarseggiare generi alimentari di prima necessità e medicine, gli alimenti erano
razionati ed ognuno aveva la sua tessera annonaria con la quale poteva ritirare
giornalmente ciò che gli spettava, molte volte si tornava al baratto scambiando
merci, come i pescatori del luogo che scambiavano il pesce in cambio di altri alimenti
, oppure bisognava acquistare i generi indispensabili al “mercato nero”,
quindi di contrabbando, pagando prezzi esorbitanti. Certo in un paesino come
Soleto la guerra non è stata sentita come nelle grandi città sottoposte a bombardamenti.
Mio nonno in quel periodo studiava in un seminario a Otranto, e
ricorda che gli veniva proibito di addentrarsi in lunghi corridoi bui e stanze isolate,
dove lui crede, tuttora, fossero nascoste alcune famiglie ebree perseguitate
dai tedeschi, e che se fossero state trovate sarebbero state deportate nei “lager”
quindi costrette a lavori forzati o condannate a morire nelle camere a gas.
Mia nonna aveva un anno in meno di mio nonno e viveva nel suo stesso paese,
quindi i ricordi sono più o meno gli stessi anche se la sua vita durante gli anni
di guerra è stata più dura perché faceva parte di una famiglia molto numerosa,
lei infatti era la prima di cinque sorelle e di altri due fratelli. Un episodio che
mi ha raccontato è quello accaduto ad un gruppo di bambini, tra cui due sue sorelle
e un suo fratello, che giocando in campagna trovarono una piccola scatola
di legno con cui cominciarono a giocare. Pensando si trattasse di un salvadanaio
dell’epoca, cercarono di forzarlo e ad un tratto questo oggetto esplose e uno
di questi bambini morì mentre le sue sorelle e il fratello rimasero feriti, chi agli
occhi, chi al viso, chi alle mani. Questi bambini avevano solo 5, 7 e 10 anni. Mia
nonna studiò fino al terzo anno di avviamento al lavoro, perché essendo la più
grande, doveva dare una mano alla madre per accudire i fratelli.
Entrambi, tutti i sabati dovevano, vestiti da “balilla” e “giovane italiana”, recarsi
presso la piazza del municipio dove con tutti gli altri bambini del paese venivano
addestrati a sfilare e a fare saggi ginnici.
14 Anni 16, Alunno, Classe III S, Liceo Scientifico Tecnologico “Colomba Antonietti” Roma.
121

STORIA IN LABORATORIO
Mio nonno, quindi, ha trascorso il periodo bellico spensieratamente e forse anche
un po’ incoscientemente, mentre mia nonna ha sofferto molto in quegli anni
di stenti e ristrettezze. Questa esperienza è rimasta impressa nelle loro menti e
questo si capisce dai loro occhi lucidi mentre mi raccontavano questi fatti.
I racconti dei miei nonni mi hanno fatto capire la differenza tra leggere della
guerra su di un libro e viverla realmente, assistere a bombardamenti ed uccisioni,
provare la fame, la povertà e attendere anno dopo anno il ritorno della
pace. Spero di non trovarmi mai nella loro situazione perché non so se la nostra
generazione sarebbe capace di superare, come hanno fatto loro, quei momenti
di paura e di privazioni.
122

Angelozzi Gariboldi Giorgio, IL VATICA-
NO NELLA SECONDA GUERRA
MONDIALE, Prefazione di Giulio Andreotti,
280 pp. + 32 pp. ill. b/n fuori testo
- brossura - rist. 2007, Mursia - Testimonianze
fra cronaca e storia (1939-1945: Seconda
Guerra Mondiale) € 18.00
Sin dalla sua prima pubblicazione, nel
1992, questo volume ha provocato un vivace
dibattito per la quantità e la qualità dei
documenti che vi sono raccolti e che mettono
in luce la complessa trama della diplomazia
vaticana durante la Seconda guerra
mondiale.La Chiesa avrebbe potuto fare
qualcosa per salvare la pace e per prevenire
le persecuzioni, le deportazioni e i massacri
nazifascisti? L’Autore spiega in modo
esauriente quali furono le problematiche e
i condizionamenti che limitarono la libertà
d’azione del pontefice nei sei anni del conflitto.
Le pressioni degli anglo-americani
per ottenere la condanna di papa Pacelli
contro i crimini nazisti; i retroscena dei
bombardamenti su Roma; il ruolo della
Santa Sede per la pace negoziata tra Germania
e Inghilterra; i rapporti diplomatici
con Berlino. Questo libro, considerato da
molti un contributo fondamentale alla riabilitazione
di Pio XII, è ancora oggi un
punto di riferimento per chiunque voglia
capire il ruolo della Chiesa nella Seconda
guerra mondiale.
Cecchini Ezio, DIZIONARIO DELLA
SECONDA GUERRA MONDIALE, 647
pp. - ril. con sovracc. a colori - ed. 2007,
SME - Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio
Storico, Roma, € 15.00
RECENSIONI
A cura di Laura Coltrinari
SECONDO RISORGIMENTO D’ITALIA, n. 1/2011
123
L’opera descrive con meticolosità ed in ordine
alfabetico battaglie e uomini, politici
ed eroi, navi, aerei e mezzi da combattimento
impiegati dalle Forze Armate italiane
durante la seconda guerra mondiale.
Una sorta di “nomenclatore” di facile consultazione
corredato da un’appendice contenente
una cronologia della guerra e dei
gradi militari delle principali nazioni belligeranti
Della Volpe Nicola, ESERCITO E PRO-
PAGANDA NELLA SECONDA GUER-
RA MONDIALE, 410 pp. - 152 tavole a
colori e 90 in b/n - ril. con sovracc. a colori
- ed. 1998, SME - Stato Maggiore dell’Esercito,
Ufficio Storico, Roma € 30,99
Esauriente quadro sull'attività propagandistica
di carattere militare messa in atto
dal regime fascista nel 1940-43 per sostenere
lo sforzo bellico della Nazione con
particolare interesse all'organizzazione del
servizio di censura della posta militare. Il
volume rappresenta una ulteriore opera
dell’Autore, volta a mettere a disposizione
dei ricercatori e studiosi il materiale di
propaganda disponibile presso l’Ufficio
Storico dell’Esercito; una opera veramente
interessante ed esaustiva che permette di
penetrare il tempo preso in esame attraverso
le fonti documentali ed archivistiche.
Fracassi Claudio, QUATTRO GIORNI A
TEHERAN 1943: I TRE GRANDI, HIT-
LER, UN AGGUATO - 372 pp. - ril. con
sovracc. - ed. 2007, Mursia - Testimonianze
fra cronaca e storia (1939-1945: Seconda
Guerra Mondiale) € 19.00

Teheran, novembre 1943. Churchill, Roosevelt
e Stalin si incontrano per decidere
come sconfiggere la Germania di Hitler.
La svastica nazista sventola su quasi tutta
l’Europa. Ma non c’è ancora accordo, fra
i Tre Grandi, sull’“operazione Overlord”: lo
sbarco in Normandia, previsto per la primavera
del 1944. Fra i leader alleati –
aspramente divisi da vicende politiche e
personali, ma visceralmente uniti dalla comune
lotta contro il nazismo – si svolge,
nei quattro giorni della Conferenza di Teheran
una partita a scacchi fatta di colloqui,
di intrighi, di duri e appassionati confronti
persino durante i pranzi ufficiali.
Venuto a conoscenza dell’incontro segreto,
il vertice nazista ha progettato l’assassinio
dei Tre Grandi: un colpo che segnerebbe le
sorti della guerra e i destini del mondo.
Nella metropoli asiatica si svolgono così,
in quei giorni d’autunno, due vicende
parallele – una politico-diplomatica, l’altra
criminale – destinate fatalmente a intrecciarsi.
Il libro ne segue ora per ora gli
sviluppi, col ritmo di una spy story, ma
con una totale e rigorosa aderenza alla documentazione
storica e d’archivio: i verbali
americani e sovietici (recentemente desecretati)
e le memorie dei protagonisti.
Di Luzio Giulio, IL DISUBBIDIENTE.
IL POLIZIOTTO CHE SALVÒ GLI
EBREI, Prefazione di Tullia Zevi
208 pp. - brossura - ed. 2008 € 16.00, Mursia
- Testimonianze fra cronaca e storia
(Libri per non dimenticare)
Nel 1936 Giovanni Palatucci, giovane funzionario
di polizia, giunge alla Questura
di Genova. Ma i suoi forti sentimenti di
giustizia e di fede si scontrano subito con
la burocrazia dell’apparato amministrativo.
Viene così mandato a dirigere l’Ufficio
Stranieri della Questura di Fiume. È il
1938, anno di promulgazione delle leggi
razziali e Palatucci, nel suo nuovo incarico,
sceglie di “disubbidire” e di seguire la
sua coscienza di uomo libero. Insieme ad
alcuni fidati collaboratori costruisce una
rete di soccorso grazie alla quale riuscirà a
salvare migliaia di profughi, perseguitati e
oppositori del regime, prima di essere arre-
RECENSIONI
124
stato da Herbert Kappler e deportato nel
lager di Dachau, dove morirà a 36 anni.
Lo Stato di Israele lo ha riconosciuto “Giusto
tra le Nazioni”. È in corso la Causa di
Beatificazione da parte della Chiesa.
Gandolfi Andrea e Giuliano, SULLE OR-
ME DI MIO PADRE, IN MY FATHER’S
FOXHOLES AND FOOTSTEPS. La
campagna d’Italia della 10a Divisione da
Montagna statunitense nelle foto del soldato
Cruz F. Rios, 1944-1945, 160 pp. - ill.
a colori - ril. - ed. 2006 - testo bilingue inglese-italiano,
Re Enzo Editrice € 35.00
Illustrato con foto a colori di ottima qualità
e grande formato, corredate da didascalie
in italiano e inglese, questo volume offre
una testimonianza del quotidiano sia
dei soldati che della popolazione incontrata,
attraverso gli occhi di un uomo che ha
rischiato tutti i giorni la vita in una terra
straniera.L’idea del volume è nata nel corso
di una delle periodiche visite in Italia
dei Veterani della 10a Divisione di Montagna,
avvenuta nel maggio 2006 nei territori
dove combatterono oltre sessant’anni fa
tra Fanano, Vidiciatico di Lizzano in Belvedere,
Gaggio Montano, Iola di Montese e
Castel D’Aiano. La testimonianza è resa
unica dalle immagini a colori, rare per
quel tempo soprattutto in Italia e dal calori
che i particolari riescono a trasmettere.
Mainardis Luigi, UN ADOLESCENTE
SULLA LINEA GOTICA, Volontario nel
Battaglione Forlì, 128 pp. - 30 ill. b/n -
brossura - ed. 2006, Ritter, Milano € 18.00
Quali sono le motivazioni che spingono un
ragazzo friulano di tredici anni a scappare
di casa, lasciando nella disperazione la
sua famiglia, per raggiungere la Brigata
Nera di Padova? La voglia di dimostrare a
quanti sbrigativamente avevano accetatto
l'armistizio con eccessiva rassegnazione,
che vi era ancora chi era capace di sacrificarsi
per la patria. Il fortuito incontro con
dei militi del "Forlì" lo porta, mentendo
sulla sua età, ad arruolarsi in codesta unità,
e dopo un breve addestramento al fronte
sulla Linea Gotica, dove partecipa alle
ultime fasi del conflitto.

Bottaro Alighiero, IL VENTO DEL DE-
SERTO, AFRICA SETTENTRIONALE
1942-1945, A cura di Maurizio Pagliano,
182 pp. - brossura - ed. 2008 € 16.00, Mursia
- Testimonianze fra cronaca e storia
(1939-1945: Seconda Guerra Mondiale)
Questo è il diario scritto da un giovane ufficiale
italiano che, dopo aver frequentato
l’Accademia di artiglieria e genio di Torino,
viene assegnato al 26° reggimento
d’artiglieria della divisione “Pavia” schierata
in Africa settentrionale. Nell’estate
del 1942 raggiunge il fronte di El Alamein
e partecipa ai violenti combattimenti dell’ottobre-novembre
contro le forze britanniche.
Fatto prigioniero, viene rinchiuso
nel campo di Geneifa, Laghi Amari, poi a
Heiwan, a sud del Cairo. Nel febbraio del
1945 evade e vive in clandestinità ad Alessandria.
In maggio riesce a imbarcarsi su
un incrociatore della marina italiana all’ancora
nella rada e raggiunge Napoli. La
guerra è finita, ma le autorità d’occupazione
inglesi continuano a cercarlo perché
per loro è ancora un evaso. Affronta un
nuovo periodo di clandestinità tra Roma e
Silvi Marina, che termina con la firma del
trattato di pace di Parigi del febbraio
1947. L’autore descrive le vicende di cui è
stato protagonista con realismo e ironia,
usando un linguaggio semplice e diretto.
Questa è una storia vera di guerra, prigionia,
evasione e sopravvivenza, in territorio
nemico.
Cavallaro Livio, CASSINO 1944. LE BAT-
TAGLIE PER LA LINEA GUSTAV. 12
GENNAIO-18 MAGGIO 1944, 326 pp. -
ill. a colori e b/n - brossura - grande formato
- ed. 2004 Mursia - Testimonianze fra
cronaca e storia (1939-1945: Seconda Guerra
Mondiale) € 24.00
La precisa ricostruzione dei violenti combattimenti
che opposero forze tedesche e alleate
nel settore di Cassino durante la Seconda
guerra mondiale. Nel gennaio del 1944 l’avanzata
degli Alleati lungo la penisola italiana
fu bloccata dalle truppe germaniche
attestate sulla poderosa Linea Gustav.
Per oltre quattro mesi Cassino e l’Abbazia
di Montecassino si trovarono al centro di
RECENSIONI
125
aspri scontri. Per superare Cassino e raggiungere
Roma gli Alleati persero circa
105.000 uomini tra morti, feriti e dispersi,
i tedeschi circa 80.000. Numerose le vittime
anche tra la popolazione civile.
Questa approfondita ricerca, condotta sia
negli archivi delle nazioni belligeranti sia
con lunghi e minuziosi sopralluoghi, da
terra e dal cielo, sui campi di battaglia,
descrive con competenza e realismo tutte le
fasi delle operazioni. Le numerose cartine
inserite nel libro, pubblicato in occasione
delle celebrazioni per i sessant’anni da
quei tragici eventi bellici, lo trasformano
anche in una dettagliata e utile guida per
chi vuole visitare i campi di battaglia di
Cassino.
De Felice Renzo. IL FASCISMO. LE IN-
TERPRETAZIONI DEI CONTEMPO-
RANEI E DEGLI STORICI. Prefazione
di Sabbatucci Giovanni. 880 pp. - brossura
con sovracc. - ed. 2008 - Editori Laterza -
Collana Biblioteca Storica € 26.00
I testi raccolti e presentati in questo volume
offrono al lettore un panorama di come
il fascismo è stato visto e giudicato dai
suoi contemporanei immediati prima e dagli
studiosi delle più varie discipline e formazioni
poi, sia - all’inizio - come fenomeno
soprattutto italiano sia - in un secondo
tempo - come fenomeno europeo, per alcuni
addirittura mondiale, ‘epocale’ persino.
Chi scrive è convinto che, per giungere a
una spiegazione in termini effettivamente
storici del fenomeno fascista in genere e
dei vari fascismi in particolare, sia necessario
tenere presenti e contemperare tra di
loro tutte le interpretazioni sin qui prospettate.
Pubblicato per la prima volta nel 1970 e
poi aggiornato - postumo - nel 1998 a cura
di Giovanni Sabbatucci, sulla base delle
indicazioni lasciate dallo stesso De Felice,
questo libro è senza dubbio la più ampia e
autorevole antologia delle interpretazioni
del fascismo, un classico indispensabile
per comprendere origini, sviluppo e declino
di un fenomeno storico che ha dominato e
marchiato indelebilmente la prima metà
del ventesimo secolo.

Carloni Fabrizio, IL CORPO DI SPEDI-
ZIONE FRANCESE IN ITALIA 1943-
1944, 256 pp. - ill. b/n - brossura - ed. 2006
€ 19.00, Mursia - Testimonianze fra cronaca
e storia (1939-1945: Seconda Guerra
Mondiale)
Nous sommes ici pour faire la guerre.” Alla
fine del 1943 gli Alleati, a corto di uomini e
impegnati nella difficile risalita della Penisola,
trasferirono in Italia le prime truppe
coloniali nordafricane da impiegare contro
i tedeschi. I marocchini, gli algerini e i tunisini
del corpo di spedizione francese
(CEF), erano considerati dagli statunitensi,
a cui erano aggregati, truppe di qualità
scadente. Si dimostrarono in realtà soldati
di primo livello, soprattutto nei combattimenti
sul terreno montagnoso della Ciociaria.
Furono i coloniali francesi, compresi i
senegalesi, alle dipendenze del generale
Juin, infatti, a rompere il fronte di Cassino
a metà maggio del 1944. I nordafricani attraversarono
poi i monti Aurunci, Ausoni e
Lepini, aggirarono la Città Eterna e continuarono
l’avanzata verso la Toscana. Nel
luglio del 1944, tutti i reparti furono ritirati
per prepararsi allo sbarco nella Francia
meridionale. Alle spalle lasciarono una
scia di sangue e di dolore, considerato che
oltre ai tedeschi uccisi in combattimento
assassinarono civili italiani, stuprando migliaia
di donne di ogni età, oltre che uomini,
vecchi e bambini.
Ganganelli Roberto., ORO, DENARO E
MISTERI NELLA SECONDA GUERRA
MONDIALE, 120 pp. - 24 tavole ill. b/n e
a colori - brossura - ed. 2006, Gruppo Editoriale
Olimpia € 14.00
Oro e denaro: due armi strategiche nello
scenario della seconda guerra mondiale.
Oro conteso, razziato, occultato nei caveau
delle grandi banche come nei più impro-
RECENSIONI
126
babili nascondigli. Denaro contraffatto a
scopo di propaganda, per incitare il nemico
alla diserzione e distruggerne il morale,
ma anche denaro falsificato con l'obiettivo
di far crollare, sotto un mare di cartamoneta
senza valore, le economie degli avversari.
E infine monete, intere collezioni
pubbliche e private di incalcolabile valore
trafugate e disperse per l'Europa. Dalle
peripezie della raccolta di Vittorio Emanuele
III al tristemente noto "tesoro di
Dongo", dalle false sterline dell'Operazione
Bernhard alla cartamoneta stampata
per il lager "modello" di Terezin. Senza dimenticare
l'oro razziato da Kappler agli
ebrei romani, il recupero dei lingotti affondati
nel Mare di Barents e il ritrovamento
del "nazi gold" nelle miniere di
Merkers. Un affascinante viaggio tra storia
e numismatica, spionaggio e propaganda,
negli anni drammatici che tra il
1939 e il 1945 hanno ridisegnato l'assetto
politico del pianeta.
Ottolenghi Gustavo, TARANTO: LA
PEARL HARBOR ITALIANA, 280 pp. -
ill. b/n - brossura - ed. 2003, Sugarco Edizioni
€ 20.00
Analizzando attentamente le analogie tattico-strategiche
che accomunano, per molti
versi, gli attacchi britannici sul porto
italiano di Taranto (11.11.1940) e giapponese
su quello americano di Pearl Harbor
(7.12.1941), l’Autore evidenzia quanto furono
simili i comportamenti dei vari belligeranti
nelle due circostanze e quanto la
seconda azione fu debitrice della prima.
In particolare l’Operazione “Taranto” si
può considerare come la prima importante
azione aeronavale della storia e come tale
merita particolare attenzione fra le vicende
belliche della marineria mondiale.
(con il contributo di Alberto Marenga)

RECENSIONI
127

RECENSIONI
128

SOMMARIO
Editoriale, Verso il Consiglio Nazionale Aprile 2011
SAGGI E STUDI
Massimo Coltrinari, Strategia di Difesa della Repubblica di Serbia
NOTE E DISCUSSIONI
Michela Ponzani, La memoria della strage delle Fosse Ardeatine: il
caso del processo Priebke
FONTI, TESTI E DOCUMENTI
Giovanni Cecini, Ricordi dell’ex P.O.W. n. 10 Amm. Gino Galuppini
Dini Sesani, Quando l’Accademia Navale fu veramente grande
Alfredo Poggiali, Notte di San Giacinto
MISCELLANEA
Sergio Pivetta, Il tenente “Bocia”
Memorialistica, Lettera alla famiglia di un prigioniero
Emanuele Mastrangelo, Un intervento con precisazioni
Giovanni Cecini, La tragedia sconosciuta degli Italiani in Crimea
Sergio Pivetta, Gli scarponi che ridono
Elena Mazzone, Dopo L’ISSMI, quale futuro impiego per i frequentatori civili
VITA ASSOCIATIVA
Edoardo Vertua, La drugia del signor Mulo Tamburo 1940-1943
Vittorio Scarlino, Preavviso Convocazione Consiglio Nazionale
Sezione di Bergamo. Monumento alla “Legnano”
Sezione di Melbourne. Ricordato un capitolo della storia della Liberazione
Odette Braga Galazzo. Attività della Sezione di Sidney
Politi Francesco, Sezione di Terni. Montelungo 2010
Armand-Pillon Aldo, Sezione di Torino. 67° Anniversario di Montelungo
Poggini Stefano, Sezione di Firenze. Commemorato il sacrificio di Fulvio Sbarretti MOVM
Pivetta Sergio, Ricordo di Felice Scotti 1922-2004
Sezione di Torino. Commemorato l’anniversario di Montelungo
STORIA IN LABORATORIO
Testimonianze sulla Seconda Guerra Mondiale raccolte dai nipoti dei protagonisti
• Intervista a Pifano Lucia, mia nonna. Anno di nascita: 15/03/1939 di Mila Celletti
• Intervista a mia zia Maria Pia e a mia nonna Lucia di Simona Gili
• Intervista a mio nonno di Mara Brozzi
• Intervista a mia nonna Silvia di Massimo Pappalardo
• L’intervista di mio nonno Sergio e mia nonna Giuseppina di Desire Silvestri
• Testimonianza di Adriana Antonetti di Mattia Musumeci
• Testimonianza di storia di Veronica Lustri
• Intervista a mia nonna Antonia Del Boccio di Alessio Cavallini
• Intervista a mio nonno Franco di Vannucci Federico
• Mio nonno: una dura prigionia in Germania di Francesca Preciutti
• I miei nonni, veri spettatori della Seconda Guerra Mondiale di Emanuela Cappelli
• La testimonianza di Agnese Pelli, nata nel 1931 di Giada Guarini
• Intervista a Silvano Viola di Stef Romulus
• Intervista ai nonni Elberardo Attanasi e Margherita Zizzari di Mattia Rossetti
RECENSIONI
A cura di Laura Coltrinari