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W<br />
a<br />
c<br />
l<br />
A<br />
e<br />
L<br />
n° <strong>19</strong>
The Godfather<br />
Licia<br />
Ambu<br />
Il nostro padrino del mese, uno scrittore raccontato attraverso i<br />
suoi libri e non, Iddio ce ne scampi, la sua autobiografia.<br />
Figlio unico di madre vedova, Neto Anton Finisterre<br />
è nato e tuttora vive a Melipilla.<br />
Scrittore pluripremiato in terra natia, e pressoché<br />
sconosciuto in Italia, odia essere qualificato<br />
come il John Fante cileno. Di lui si dice un<br />
pochino tutto tranne le cose di cui frega meno,<br />
come per esempio il fatto che sia un gran cultore<br />
del fancazzismo, inteso in senso semanticamente<br />
costruttivo ovviamente, ma lui non<br />
manca di sottolinearlo, facendosene un vanto,<br />
non senza motivazione. Della sua infanzia si sa<br />
molto poco se non del suo ottimale rapporto<br />
con lo zio (toscano d’origine), mecenate d’arte<br />
artigianale (a voi un’eloquente e semi legale<br />
interpretazione), grazie al quale ha scoperto la<br />
vita quella vera, fonte inesauribile d’ispirazione<br />
per i suoi libri, ed ha ottenuto il suo primo<br />
lavoro:<br />
“la mia prima occupazione era spegnere i lampioni<br />
pubblici” (n.d.t.).<br />
Sposato due volte, la seconda all’infermiera della<br />
madre malata, e altrettante separato, si è votato<br />
alla libera circolazione degli organi, in pace<br />
con ogni rapporto di presunta fedeltà, impossibilitata<br />
a suo dire dalla genetica.<br />
Ha scritto Burro (forse Perro), di prossima<br />
pubblicazione in Italia, Lampara en el bosque<br />
(prima pubblicazione), Cuchillo y llama, Box<br />
office, Cheele e altri racconti disseminati in<br />
antologie importanti. Lo stile della sua scrittura,<br />
oltre a favorire l’alfabetizzazione, lo rende<br />
nuova e importante voce nel panorama cileno<br />
e scrittore osannato persino dalla critica americana,<br />
alla stregua di quell’altro che beveva e<br />
scopava sempre un po’ come lui; dai quello lì di<br />
post office.<br />
3<br />
Su di lui anche un corto presentato fuori concorso<br />
al festival del cinema di Juan Fernandez<br />
Islands, la cui pellicola risulta smarrita durante<br />
le manovre di spostamento post proiezione.<br />
Il suo pensiero sulla vita, come ama sintetizzare<br />
anzi come ha amato sintetizzare in un momento<br />
di intimità, è: tutto pole esse forché l’omo<br />
pregno. Come dargli torto.<br />
Nota: Tutto quello che avete letto qui sopra è assolutamente<br />
disapprovato dallo scrittore stesso,<br />
il quale preferirebbe daiquiri senza rum piuttosto<br />
che leggere di sé.
Sommario<br />
5<br />
6<br />
7<br />
8<br />
9<br />
10<br />
12<br />
14<br />
16<br />
17<br />
18<br />
20<br />
22<br />
24<br />
26<br />
27<br />
28<br />
30<br />
33<br />
34<br />
Editoriale<br />
Rayuelati<br />
Megaviaggi!<br />
Me lo copre il prezzo?<br />
Mitomania<br />
Le vite ortogonali<br />
Interferenze<br />
Letto e mangiato<br />
Pillole di scienza<br />
Intepretazioni non ufficiali<br />
Eccezioni<br />
Il finzionario<br />
Cruciverboso<br />
La lettera che muore<br />
Scritto da un idiota<br />
La citazione del mese<br />
Devo ancora finirlo<br />
La posta dei lettori<br />
Ghost world<br />
Iperboloser<br />
Ben Speck<br />
Riding The Rails<br />
Continua il supporto fondamentale di Flavio<br />
Lucidi per l’impaginazione e i due Alberti<br />
(Gottardo e Cocchi) per la selezione editoriale<br />
delle immagini, questo mese ancor più curata<br />
e, a mio parere, talmente bella che di <strong>Finzioni</strong><br />
ormai potete guardare anche solo le figure.<br />
Ma invece di guardare anche solo le figure,<br />
guardatevi queste: la nuova rubrica di Andrea<br />
Meregalli che, dopo diciotto biografie edulcorate,<br />
si mette a parlare della Rayuela e di Julio<br />
Cortazar, oltre che di una parola dallo spelling<br />
difficilissimo, cioè Yggdrasill. Poi c’è Megaviaggi<br />
con le sue illustrazioni originali, Letto e Mangiato,<br />
la rubrica retroattivamente copiata da<br />
Benedetta Parodi e un grande e gradito ritorno:<br />
il CRUCIVERBOSO, di Michele Marcon, con<br />
premi e regalie per chi lo risolve per primo.<br />
C’è un Iperboloser in cui si racconta la storia<br />
dell’espressione “l’ho comprato per due lire”,<br />
una citazione gratuita di Nietzsche e la storia<br />
di una coppia di buoi ad Ancona. Se poi avete<br />
anche un tavolo che vi traballa un pochino,<br />
magari quello della cucina che poi è scomodo<br />
tagliarsi la bistecca mentre si muove tutto, questo<br />
<strong>numero</strong> di <strong>Finzioni</strong> è particolarmente ricco,<br />
dunque vi basta stamparlo e mettere un po’ di<br />
cultura sotto i denti, e sotto le gambe.<br />
5<br />
Editoriale<br />
Jacopo<br />
Cirillo<br />
Bentornati al <strong>numero</strong> <strong>19</strong> di <strong>Finzioni</strong>, con un<br />
nuovo anagramma in copertina e un Godfather<br />
d’eccezione in prima pagina. Stiamo parlando<br />
proprio di lui, il John Fante cileno, Neto Anton<br />
Finisterre, che alcuni nostri collaboratori<br />
hanno raggiunto in Sudamerica e di cui hanno<br />
riportato l’intervista sul nostro sito (andatevela<br />
a leggere).<br />
Ben Speck<br />
Riding The Rails
Rayuelati l’ Yggdrasill, una roba serissima<br />
Andrea<br />
Meregalli<br />
Rayuela è una larga parata di citazioni. Qui, cazzodicanicamente,<br />
diagonalmente, ci si omaggia di gran (cit.).<br />
Benvenuti.<br />
Qui, una volta, era tutto ‘Biografie Edulcorate’.<br />
Ora, non più.<br />
Rayuelati è la nuova rubrica: ci scrivo io e ci scrivo<br />
un po’ ciò che mi conviene, ma comunquesia<br />
chiaro, in maniera estremamente diagonale,<br />
circa le situazioni contingenti alla Rayuela, (Il<br />
gioco del mondo, Einaudi, 547 pagine, 14.50<br />
euro), di Julio Cortazar.<br />
Ma no, no che non si tratta di Rayuelando:<br />
Rayuelando è su internet e parla del libro, della<br />
Rayuela, sì. Qui, no. Qui, è tipo, vediamo, aspettate<br />
che apro a caso il tomo, (ah), ecco, pagina<br />
304, capitolo 54, [… riaffiorare in una notte di<br />
Buenos Aires per ripetere nel gioco del mondo<br />
l’immagine medesima di ciò che finalmente<br />
avevano raggiunto, l’ultima casella, il centro del<br />
Mandala, l’Ygdrassil vertiginoso dal quale si<br />
usciva a una spiaggia aperta, a una estensione<br />
sconfinata, a un mondo sotto le palpebre che<br />
gli occhi rovesciati in dentro riconoscevano e<br />
scrutavano].<br />
A leggere Ygdrassil è un attimo. Eppure.<br />
Eppure, questa orgia stonata di consonanti, che,<br />
in verità, Wikipedia chiama Yggdrasill, è, nientepopoblablabla,<br />
reggetevi fortissimo: l’albero<br />
del mondo: l’ultimo dei frassini, o, se preferite,<br />
il primo.<br />
Jawohl meinen Lektoren, secondo la mitologia<br />
norrena, (ah, Borges), l’Yggdrasill è, diciamo, il<br />
tutto: fonte della vita, fonte del sapere e fonte<br />
del destino. Dei gran susseguirsi di nove mondi,<br />
arcobaleni-ponte, giganti, cervi zampettanti,<br />
galli dorati, falchi di vedetta, scoiattoli scattanti,<br />
elfi oscuri, viscere infernali e volte celesti. Il<br />
giusto compromesso tra Il Signore degli Anelli<br />
e Harry Potter? Beh.<br />
Beh, in verità, una roba serissima. Un po’ come<br />
So che un frassino s’erge / Yggdrasill lo chiamano,<br />
alto tronco lambito / d’acqua bianca di argilla.<br />
Di là vengono le rugiade / che piovono nelle valli.<br />
Sempre s’erge verde / su Urðarbrunnr.<br />
Nancyesmith<br />
(Edda Poetica – Profezia della Veggente)<br />
Horacio che ha baciato Talita, ma Talita era la<br />
Maga, un po’ come l’idea di alzarsi per fare una<br />
spremuta a un guardiano, come piegare una<br />
gamba e spingere una pietruzza dalla prima<br />
alla seconda casella, dalla seconda alla terza, un<br />
po’ come entrare in quel qualcosa in cui si poteva<br />
essere in grigio o essere in rosa.<br />
Una menata mica da ridere.<br />
Nancyesmith<br />
Giuditta<br />
Matteucci<br />
Ci sono quelle famiglie dove il babbo è grasso,<br />
la mamma è grassa, i figli sono grassi. Fanno<br />
ridere ed un po’ tenerezza. Me li immagino vivere<br />
delle identiche miserie degli altri, solo più<br />
monotematici. È come in quelle cene in cui si<br />
capita un po’ per caso in mezzo a tanta gente<br />
che parla solo di un argomento (Se è il tuo vai<br />
da dio, sennò sei fottuto). Se poi il menù lascia<br />
a desiderare, beh, allora torna utile l’allenamento<br />
all’attesa fatto negli anni dell’infanzia ricchi<br />
di messe domenicali interminabili e, almeno<br />
a casa mia, obbligatorie. In poche parole sono<br />
capitato ad una cena vegana. Ed ancora non ero<br />
neppure vegetariano. I vegani sono, da definizione,<br />
l’inizio “veg” e la fine “ani” dei vegetariani.<br />
Non mangiano alcun prodotto di deriva-<br />
Veg(etari)ani Megaviaggi!<br />
Dove si aprono i libri per chiudere i giorni e domandarsi ancora:<br />
“ma io cosa leggo a fare?”<br />
7<br />
Alessandro<br />
Pollini<br />
zione animale e sono ghiotti di alimenti come il<br />
seitan, che dal nome potrebbe sembrare un personaggio<br />
di Dragon Ball, ovvero raccogliamo le<br />
sette sfere del drago e rimpinziamoci di seitan<br />
alla pizzaiola.<br />
In Se niente importa, che dovrebbe stare in tutte<br />
le case tra la Bibbia ed il catalogo Ikea, Safran<br />
Foer discute di vegetarianesimo e di consumo<br />
di carne, analizzando non solo l’etica del consumo<br />
ma anche i pro ed i contro del cibarsi di animali.<br />
Un po’ un Bigazzi al contrario, insomma.<br />
Margherita Hack è vegana. In Qualcosa di inaspettato<br />
dichiara: «credo che uccidere qualsiasi<br />
creatura vivente, sia un po’ come uccidere noi<br />
stessi e non vedo differenze tra il dolore di un<br />
animale e quello di un essere umano». Ovvero<br />
dove affonda l’Artusi si erge l’etica. Il Buddhismo<br />
consiglia il vegetarianesimo, il Cristianesimo<br />
non si pronuncia (almeno fino a quando<br />
anche gli animali non verseranno l’otto per<br />
mille), Islam ed Ebraismo considerano alcuni<br />
animali impuri.<br />
Intervistata per Panorama (Preferisco il protone<br />
al paradiso, <strong>19</strong> maggio 2005) Margherita Hack<br />
dichiara che «Le leggi morali non ce le ha date<br />
Dio, ma non per questo sono meno importanti.<br />
Questa dovrebbe essere l’etica dominante, senza<br />
aspettarsi una ricompensa nell’aldilà. Senza<br />
leggi etiche ci sarebbe il branco e non la società.<br />
E andrebbero insegnati valori comuni a credenti<br />
e non, il perdono, non fare del male agli<br />
altri, la solidarietà.<br />
Ma, soprattutto, bisognerebbe imparare a dubitare,<br />
a diventare scettici».
Me lo copre il prezzo? Caro Babbo Natale<br />
Licia<br />
Ambu<br />
me lo copre il prezzo è la più quotata costruzione grammaticale<br />
dopo dica 33. in libreria si dice un sacco. cronache:<br />
Caro Babbo Natale,<br />
quest’anno vorrei un anticipo. Sì insomma, se<br />
tu potessi fare uno strappo alla regola e farmi il<br />
regalo prima no? Così ti pesa anche meno sulla<br />
slitta. Ecco, io vorrei un pacchetto piccolo piccolo,<br />
tipo Smart box per capirci, intitolato Sotto<br />
le feste. Ecco sì, per tre persone (<strong>numero</strong> di<br />
lavoranti probabili in libreria) e guarda, voglio<br />
essere buona, neanche troppe scelte, non <strong>numero</strong>ni<br />
come 310 degustazioni o roba così, ma<br />
proprio solo 1 possibilità: 3 settimane perfette.<br />
Ti dico in sintesi cosa ci vorrei dentro: assegno<br />
regalo valido per 3 persone, una delle quali dedicata<br />
ai pacchetti in modo impeccabile (si capisce<br />
che sia inclusa), e prevede:<br />
- grande afflusso di lettori barra clienti<br />
- i suddetti in modalità molto decisi<br />
Mi sembra tutto per ora, se ho scordato qualcosa<br />
allora vuol dire che le feste dello scorso anno<br />
non hanno avuto conseguenze così nefaste (il<br />
che fa ben sperare per il prossimo). Se poi vuoi<br />
il solito libro per regalo, te lo lasciamo fuori la<br />
porta accanto a una birra. Bada Babbo.. niente<br />
Smart box e ti becchi Eco...<br />
- area circostante il negozio cosparsa di idee<br />
chiare per tutti<br />
- limitato dosaggio di me l’ha coperto il prezzo<br />
- scorte infinite di carta in grado prodursi nei<br />
tagli prestabiliti in modo autonomo<br />
- post it che si incollano davvero sui pacchetti<br />
- <strong>numero</strong> 10 di biro cariche ancorché scriventi<br />
in qualunque declinazione e soprattutto inca<br />
paci di essere smarrite<br />
- un pochino di tempo per parlare dell’ultimo<br />
libro letto o degli ultimi dieci<br />
- pochissime, quando non nulle, richieste dei<br />
libri (al plurale sì, la situazione è precipitata)<br />
della Parodi, la cuoca non la giornalista (per<br />
Vespa avevamo un accordo lo scorso anno, non<br />
fare lo gnorri)<br />
- conti precisi e combacianti impeccabilmente<br />
ad ogni chiusura<br />
- giacenze perfettibili<br />
- ti prego, ti prego, che a nessuno venga in mente<br />
l’idea del secolo circa far uscire il suo ultimo<br />
libro/capolavoro durante le feste.. impedisciglielo<br />
con le cattive, salta le buone che risparmi<br />
tempo<br />
Mi sembra tutto per ora, se ho scordato qualcosa<br />
allora vuol dire che le feste dello scorso anno<br />
non hanno avuto conseguenze così nefaste (il<br />
che fa ben sperare per il prossimo). Se poi vuoi<br />
il solito libro per regalo, te lo lasciamo fuori la<br />
porta accanto a una birra. Bada Babbo.. niente<br />
Smart box e ti becchi Eco...<br />
E per favore, se puoi chiedere alla spettabilissima<br />
maestà J.K.R. di non tirare fuori strane creature<br />
per l’epifania, che lo facesse ad agosto che<br />
qui abbiamo già da fare<br />
In fede,<br />
L<br />
Bruce Davidson<br />
Brooklin Gangs<br />
EDIPO – Una riflessione che non tira in ballo Freud. Mitomania<br />
Ne L’insostenibile leggerezza dell’essere<br />
(M.Kundera, Adelphi, 318 pp., euro 11,00) il<br />
protagonista Tomáš all’indomani del fallimento<br />
della Primavera di Praga e della conseguente<br />
invasione sovietica del paese, se la vede brutta<br />
a causa di un articolo inviato ad un settimanale<br />
alcuni anni prima quando, con al potere il<br />
riformista Dubĉek, si era aperto uno spiraglio<br />
per un libero confronto politico. Lo scritto in<br />
questione s’inseriva nel dibattito circa le responsabilità<br />
della classe dirigente per l’impoverimento<br />
del paese, la perdita della sua indipendenza<br />
e i <strong>numero</strong>si assassinii politici: accuse<br />
che i comunisti rigettavano adducendo giustificazioni<br />
quali l’inconsapevolezza e la buona fede<br />
dei propri atti.<br />
Secondo Tomáš però la questione fondamentale<br />
non era tanto se i politici sapessero o no quel<br />
che stavano facendo mentre lo facevano, piuttosto<br />
se si potevano ora considerare innocenti<br />
per il fatto di non sapere allora.<br />
E fa un paragone con il mito di Edipo: anch’egli<br />
inconsapevolmente uccise il padre e sposò la<br />
madre ma una volta scoperta la verità non poté<br />
fare a meno di cavarsi gli occhi e allontanarsi<br />
da Tebe.<br />
Certo è che ai tempi di Sofocle il significato<br />
di colpa era molto diverso da oggi e anche se,<br />
come nel caso di Edipo, si trattava di una responsabilità<br />
puramente oggettiva andava comunque<br />
scontata perché così volevano gli dèi.<br />
Ed era l’inevitabilità della tragedia che rendeva<br />
sopportabile il susseguirsi di fatti assurdi che<br />
altrimenti sarebbero parsi inaccettabili: proprio<br />
così doveva andare, Edipo non poteva che confermare<br />
il responso degli dèi, non poteva che<br />
accecarsi, così era scritto.<br />
Ma se non esistesse volontà divina? Se l’oracolo<br />
imbrogliasse? Ne La morte della Pizia<br />
(F.Dürrenmatt, Adelphi, 68 pp., euro 8,00) il<br />
Dove si parla delle matte storie inventate dagli<br />
antichi greci e mutuate dai moderni.<br />
9<br />
Viviana<br />
Lisanti<br />
Alec Soth<br />
niagara falls<br />
mito di Edipo è riscritto facendo risalire tutto<br />
ai capricci della Pizia (così era chiamata la<br />
sacerdotessa di Apollo nel santuario di Delfi)<br />
che vaticina a caso inventando di volta in volta<br />
i responsi secondo l’umore, la fantasia o sotto<br />
commissione di qualche indovino corrotto. In<br />
punto di morte riceve la visita di Edipo che le<br />
comunica che il suo oracolo si è avverato: ha<br />
ucciso suo padre e sposato sua madre. La Pizia<br />
è attonita, non riesce a credere che lo scherzo si<br />
sia tramutato in realtà e che sia tutta opera del<br />
caso. E infatti non lo è. Uno dopo l’altro le sfilano<br />
davanti i protagonisti della vicenda (Meneceo,<br />
Laio, Edipo, Giocasta, Tiresia e infine la<br />
Sfinge) pronti a raccontare la propria presunta<br />
verità e rivelare in che modo la profezia si sia<br />
compiuta, anche se sotto una forma inimmaginabile<br />
per i protagonisti e per il lettore stesso<br />
che pagina dopo pagina viene sorpreso dal folle<br />
concatenarsi degli eventi. Si scopre che ogni<br />
personaggio ha in qualche modo contribuito<br />
al tragico epilogo spinto da desideri umani di<br />
ricchezza, potere, sesso, vendetta; resta difficile<br />
però dire in che misura essi abbiano inciso sul<br />
destino di Edipo, quanto abbia contato la cinica<br />
premeditazione di Tiresia, l’estro della Pizia<br />
o ancora l’illogicità del Caso. E riguardo l’influenza<br />
divina «Non si poteva mai sapere quale<br />
fosse la volontà degli dei, spesso non la sapevano<br />
nemmeno loro».
Le vite ortogonali Harry Potter vs Charles Unwin<br />
Jacopo<br />
Donati<br />
Parallelismi e differenze, in odor di Plutarco, tra le vite e le<br />
storie dei personaggi di carta più (o meno) amati da tutti noi.<br />
Plutarco scrisse una serie di 24 biografie che prese il nome di Vite parallele. Per ognuna prese una<br />
figura greca ed una romana, le mise una affianco all’altra e ne cercò le similitudini. Ma qui si parla<br />
di finzione, mica di realtà!, e così i miei grandi saranno i personaggi d’inchiostro dei libri. Lavoro<br />
ben più umile il mio che, oltre a esaminare solo una parte della vita di questi personaggi, ne sottolineerà<br />
le differenze.<br />
Harry Potter<br />
Harry Potter lo conoscono tutti, volenti o<br />
nolenti. Il maghetto dell’omonima serie firmata<br />
da J.K. Rowling ha avuto un successo tale da<br />
rivaleggiare (per notorietà) maestri del fantasy<br />
come J.R.R. Tolkien.<br />
Orfano e bistrattato dagli zii, Harry Potter cresce<br />
inconsapevole delle sue capacità e del mondo<br />
di maghi che non ha fatto altro che parlare di<br />
lui per anni. Cresce ignorando il fatto che i suoi<br />
genitori sono stati assassinati, che il pericolo è<br />
tutt’altro che passato e che solo lui avrà modo di<br />
risolvere la situazione una volta per tutte.<br />
Harry Potter se la cava sempre (spesso per il<br />
rotto della cuffia) grazie ai suoi amici e a qualche<br />
diavoleria magica – toglietegli Ron e Hermione<br />
e l’intera saga finirà dopo dieci pagine<br />
scarse. Per fortuna loro ci sono sempre, e così è<br />
possibile seguire le sue avventure per ben sette<br />
anni; Harry Potter cresce letteralmente sotto gli<br />
occhi del lettore e compie una trasformazione<br />
che ha poco di magico e molto di comune: da<br />
bambino modesto diviene un adolescente odioso.<br />
Dopo tre-quattro libri della serie, le possibilità<br />
che il lettore cominci a tifare per Voldemort<br />
salgono alle stelle.<br />
Charles Unwin<br />
Charles Unwin è un semplice impiegato dell’Agenzia<br />
(una sorta di FBI) che una mattina scopre<br />
di essere stato promosso a detective. Dovrebbe<br />
leggere il Manuale d’investigazione di<br />
Jedediah Berry, ma si ricorda del volumetto<br />
verde quando è ormai troppo tardi.<br />
Il detective Unwin, in principio, fa di tutto per<br />
tornare a essere l’impiegato Unwin, ma sembra<br />
sempre inciampare su misteri nuovi. Fino alla<br />
mattina in cui diventa detective, Unwin va orgoglioso<br />
della sua puntualità e della tecnica da<br />
lui sviluppata per pedalare con l’ombrello aperto<br />
– definirlo sempliciotto è un eufemismo. Eppure<br />
non si lascia prendere dallo sconforto e,<br />
11<br />
ligio all’etica professionale di detective, porta a<br />
termine il caso. I casi, sarebbe meglio dire, perché<br />
grazie a lui verranno a galla crimini e criminali<br />
che si pensava ormai dissolti nel tempo.<br />
Harry Potter finisce sempre per trovarsi nell’unico<br />
posto in cui non sarebbe dovuto essere,<br />
ma soprattutto, se fosse da solo, farebbe sempre<br />
la cosa peggiore. S’intestardisce, non si adatta.<br />
A differenza del maghetto, Unwin capisce che<br />
l’unico modo per eliminare il suo problema e<br />
tornare alla vecchia vita è adattarsi alla nuova<br />
situazione. Prima ci si adatta, prima si troverà<br />
la soluzione.<br />
Diane Arbus<br />
Identical twins
Interferenze Per città<br />
Cristina<br />
Farneti<br />
L’importante è raccontare di storie, di letture e riletture, con l’unico vincolo<br />
della ricerca del filo di Arianna che conduca all’uscita dal labirinto letterario.<br />
Camminavo. Oggi. In un pomeriggio gelato.<br />
Prendevo un tram. Non ci sono dentro persone,<br />
solo ombre. Salgo sul vagone come Chihiro<br />
(la protagonista dell’anime La città incantata),<br />
tra fantasmi di impiegati, in una palude immota.<br />
Sono un’ombra anch’io, oggi.<br />
Anche ieri pioveva. Sono giorni di un inverno<br />
che ha spento la luce. È stato Natale: me ne<br />
sono appena riavuta come da una febbre, forse<br />
per un brindisi di troppo. Dal finestrino appannato<br />
vedo non vedo. Marciapiedi. Scarpe veloci.<br />
Cos’è un’interferenza? Flusso di coscienza,<br />
per dirla in letteratura. Associazione casuale di<br />
idee, in psicanalisi. Un’interferenza è un gioco<br />
di finzioni. Scarpe: il serial killer di Bianca, l’esteta<br />
della morale offesa Nanni Moretti, aveva<br />
una passione per le scarpe. Le guardo anch’io,<br />
dal finestrino, come lui le guardava dalla finestra<br />
del sottoscala, prima di confessare i propri<br />
delitti: «Ogni scarpa, una camminata, ogni<br />
camminata, una diversa concezione del mondo.»<br />
Luigi Ghirri<br />
Marina di Ravenna<br />
Oggi sono andata per città: scriveva Calvino ne<br />
Le città invisibili che una città è una concrezione<br />
di memorie e suggestioni. Viaggio allora tra<br />
metropoli di parole, in un dormiveglia pastoso,<br />
alla ricerca delle mie città nascoste: il piombo di<br />
Milano si apre: c’è il mare. Il mare freddo e calmo<br />
del nord est. È il mare triestino di Senilità,<br />
di Italo Svevo: «Si fermarono a lungo sul terrazzo<br />
di S.Andrea e guardarono verso il mare<br />
calmo e colorito nella notte stellata, chiara ma<br />
senza luna.»<br />
La Trieste di Svevo è una città soprattutto crepuscolare<br />
e notturna, così intrisa della malinconia<br />
dei suoi personaggi. Città del lavoro quando<br />
il lavoro è finito e le formiche tornano nei<br />
propri cunicoli. È una città azzurrognola, non<br />
azzurra. Si lascia guadare solo in penombra o<br />
di scorcio. È la città dell’inganno, dove l’amore<br />
non può nascere se non già minato dal compromesso<br />
e dall’illusione. È un paesaggio senile<br />
anzi tempo. Ora mi ridesto. Non c’è il mare, a<br />
Milano. È stato l’inganno dell’asfalto traslucido<br />
sotto la pioggia e le luci delle strade: « Tangenziale<br />
dell’Ovest, scendi dai tuoi vertici profondi<br />
(...) su queste acque amare non veleggia alcuno...»<br />
(Alda Merini, Tangenziale dell’Ovest).<br />
Il tram sferraglia via dal centro. La distesa calma<br />
del mio viaggio tra le ombre si spezza; non<br />
sono più Chihiro. Il suolo si increspa e si alza in<br />
cemento, come in certi cartoni animati giapponesi<br />
la terra si spacca per lasciar risalire i mostri.<br />
Ora il tram esce dalla città, va verso la suburbia.<br />
È buio, ormai, decisamente fa freddo. Di quella<br />
che doveva essere campagna resta solo il disordine<br />
di un verde sporco e appassito tra cadaveri<br />
di fabbriche e colonne neonate di vetro e cemento.<br />
Sono nell’America di Kafka. Sono Karl,<br />
l’emigrante, il disperso. Il tram ha terminato la<br />
corsa. Ha attraccato. Devo sbarcare. Ma non<br />
trovo più la strada. Com’è grande questa nave e<br />
com’è immensa la città, ora. Ma immensamente<br />
lontana: le case, le strade, si distanziano verso<br />
un orizzonte che si dilata mano a mano che mi<br />
sembra di avvicinarmi con lo sguardo, o d’un<br />
passo, come in uno specchio divergente. L’America<br />
di fronte a me rivela le sue architetture<br />
nascoste sotto il cemento e le sterpaglie: «esistono<br />
città felici nascoste sotto le città infelici»?<br />
Il punto di domanda è mio: il Marco Polo di<br />
Calvino s’illude che ci sia sempre Berenice, la<br />
città ideale: invece questa è<br />
13<br />
«Cloe, la grande città dove si consumano incontri,<br />
seduzioni, amplessi, orge, senza che ci si<br />
scambi una parola, senza che ci si sfiori con le<br />
dita.» Ma la corsa è finita davvero, ora. Scendo<br />
dal tram. Sulla strada, che è solo una strada. E<br />
questa è solo letteratura. Solo un gioco.<br />
O forse la verità è questa che ora vedo con occhi<br />
di Lovecraft: dietro la maschera della città che<br />
è pur sempre ordine, esiste un’altra città, più<br />
vera di tutte le forme, più antica dell’antichità,<br />
prima di ogni origine: è la città del Caos, che<br />
non ha regole né ordine, che non ha spazio né<br />
tempo, che non conosce la geometria euclidea,<br />
dove il sotto è il sopra come in un incubo. Solo<br />
informe disordine del quale la nostra vita è l’apparente<br />
e contingente sforzo di riscatto. Dietro<br />
ogni città esiste solo la spaventosa città morta<br />
di R’lyeh, del dio Cthulhu.<br />
Ma la corsa è finita davvero, ora. Scendo dal<br />
tram. Sulla strada, che è solo una strada. E questa<br />
è solo letteratura. Solo un gioco.<br />
Boogie, Milano
Letto e mangiato<br />
Andrea<br />
Sesta<br />
Fotosintesi artificiale e pancake<br />
Non c’è amore più sincero di quello per il cibo.<br />
(Uomo e Superuomo, George Bernard Shaw)<br />
Mangiare non è solo un ottimo passatempo.<br />
È un modo per affrontare il tempo. Dal punto di<br />
vista della fisica: mangiare ci permette di assumere<br />
quegli elementi di cui il nostro organismo<br />
ha bisogno per generare energia. E l’energia che<br />
produciamo serve ad annullare l’entropia che<br />
noi stessi aumentiamo. Mangiare diminuisce<br />
parte dell’entropia che accresciamo esistendo.<br />
Ovviamente sul breve periodo e limitatamente<br />
al nostro organismo. Sappiamo, purtroppo,<br />
come vanno le cose in giro per l’universo: l’entropia<br />
aumenterà e tutto, inteso come tutto ciò<br />
che esiste, cesserà d’essere.<br />
Il tono apocalittico mi permette di introdurre<br />
Solar, l’ultimo libro di Ian McEwan. Il libro è<br />
un one-man show, con protagonista Michael<br />
Beard. Premio Nobel per la fisica, infedele ed<br />
ingordo, il nostro eroe cerca, trova e sviluppa<br />
un’idea per sopperire al crescente bisogno di<br />
energia e alla costante diminuzione delle fonti<br />
non rinnovabili. Utilizzare lo stesso procedimento<br />
della fotosintesi per separare l’idrogeno<br />
dall’ossigeno grazie i raggio solari: carburante<br />
ed energia a costo zero.<br />
Quando nel 2000 Beard torna a Londra, dopo<br />
un viaggio al circolo polare artico dove per<br />
poco non ha rischiato di congelarsi il pene, incontriamo<br />
un momento topico del romanzo<br />
(niente spoiler). Da quel punto la vita di Beard<br />
cambia rotta. Da scienziato decide di reinventarsi<br />
conferenziere-ambientalista e imprenditore<br />
delle energie rinnovabili. Ora del 2009 il suo<br />
progetto ha trovato i fondi necessari per essere<br />
sviluppato e messo in opera. Non possiamo<br />
concedergli qualche debolezza? In fondo si sta<br />
preoccupando del destino della Terra. Ma l’atmosfera<br />
si fa sempre più surreale: un socio di<br />
Beard inizia a temere che la Terra abbia smesso<br />
di riscaldarsi, ma Beard lo conforta «Fidati,<br />
Toby. È una catastrofe. Ti puoi rilassare.» (pag<br />
260, Einaudi)<br />
Nel frattempo il peso di Beard aumenta: non<br />
riesce a dire di no. Vorrebbe dimagrire, se lo<br />
propone un sacco di volte, ma sono tutte prospettive<br />
disattese: «Arrivò l’antipasto: formaggio<br />
arancione in pastella, impanato, saltato e<br />
fritto, servito con una cremosa salsa verde chiaro.<br />
Il massimo, e in porzione molto abbondante.<br />
[…] La ragazza ritirò la ciotola contenente i<br />
tre cubetti freddi e gli mise di fronte il secondo.<br />
Quattro supreme di pollo, interfogliate con piccole<br />
bistecche, avviluppate nel bacon e coperte<br />
di miele e formaggio. Come contorno: patate<br />
farcite di burro e crema al formaggio ripassata<br />
al forno. Beard fisso il tutto per un bel po’.»<br />
(pag. 330-332, ibidem)<br />
McEwan ci convince che possa scrivere tranquillamente<br />
di scienza, e noi siamo portati a<br />
credergli: molta della comicità di questo libro<br />
sta proprio nello svelamento dei meccanismi<br />
tanto burocratici quanto sociali che soggiacciono<br />
agli ambienti da premi Nobel. Si può essere<br />
divertenti trattando argomenti noiosi e, allo<br />
stesso modo, si può mangiare bene, finanche<br />
gustando piatti particolarmente calorici.<br />
Vi propongo dei pancake: ma fatti a regola d’arte.<br />
Prendete una terrina e mescete della farina<br />
(250 g), lievito e zucchero (due cucchiaini cad.)<br />
e del sale (mezzo cucchiaio). Fate un buco al<br />
centro dell’impasto e versate il latte (250 ml),<br />
due uova e (per chi proprio non sa resistere)<br />
del burro (fuso precedentemente a bagnomaria);<br />
mescolate finché non ottenete un impasto<br />
omogeneo. Preriscaldate una padella oleata, ne<br />
basta poco, la punta di un cucchiaio (preferite<br />
l’olio vegetale al burro, perché quest’ultimo<br />
evapora prima) e versate la pastella un po’ alla<br />
volta fino ad ottenere un diametro di 10cm.<br />
Cambiate il lato del pancake quando i bordi<br />
iniziano a farsi marroni. Mangiateli caldi cospargendoli<br />
con miele o sciroppo d’acero o,<br />
perché no?, Nutella®. La ricetta è un classico, e<br />
ne esistono delle varianti: ma un accorgimento<br />
ne migliora comunque la qualità: non sovrapponeteli,<br />
perché l’umidità li indurisce più velocemente.<br />
L’effetto credo sia dovuto al glutine<br />
contenuto nella farina, ma, cari lettori affamati,<br />
sono un cuoco, non uno scienziato.<br />
Gabriele Coletti<br />
Sun Dance<br />
15
Pillole di scienza<br />
Fabio<br />
Paris<br />
Tira più una coppia di buoi che un grammo di...<br />
Fisica, chimica e biologia non sono mai state così divertenti se, chi le spiega,<br />
ce le racconta come le racconterebbe agli aperitivi dopo dei gran Negroni.<br />
Protagora diceva che l’uomo è misura di tutte<br />
le cose. Verissimo. Infatti nelle unità di misura<br />
si trova tutta la contorsione delle menti umane.<br />
Il sistema metrico decimale è una gran cosa, ma<br />
non tutti lo usano. In america ad esempio il kilometro<br />
è un concetto non amichevole, è ostile.<br />
Loro pensano di essere a posto, di aver stile con<br />
le yarde ma così non è. La lunghezza si misura<br />
infatti in piedi, divisi in dodici pollici a loro vol-<br />
ta divisi in ottavi di pollice. Comodissimo. Tre<br />
piedi fanno una iarda che corrisponde a un millesettecentosessantesimo<br />
(1/1760) di miglio. Le<br />
conversioni diventano assolutamente automatiche.<br />
Ma le unità di misura anglosassoni danno<br />
il meglio quando si parla di temperature. Il<br />
sistema metrico usa il grado centigrado, in cui<br />
si definisce lo zero la temperatura alla quale il<br />
ghiaccio si scioglie (e l’acqua solidifica) e cento<br />
la temperatura a cui l’acqua bolle. La scala Fahrenheit<br />
invece invece definisce lo zero come la<br />
temperatura alla quale si scioglie una miscela<br />
di ghiaccio e sale di ugual peso (i secchioni si<br />
ricorderano dell’abbassamento crioscopico...) e<br />
prese 96 come la temperatura del sangue, prendendo<br />
come standard (la parola “standard” in<br />
questo contesto fa tanto ridere) la temperatura<br />
del sangue di un cavallo adulto e sano.<br />
Inizialmente il buon Gabriel Fahrenheit pensava<br />
di utilizzare solo dodici divisioni tra il suo<br />
zero e la temperatura del sangue, ma non era<br />
molto pratico, per cui moltiplicò per otto per<br />
ottenere un comodissimo 96 come scala principale<br />
di riferimento.<br />
Si vide che la temperatura a cui l’acqua solidifica<br />
è 32 °F mentre bolle a 212 °F. Decisamente<br />
intuitivo. La scala Fahrenheit è attualmente utilizzata<br />
negli Stati Uniti ed in Belize.<br />
Poi ci sono anche le antiche unità di misura in<br />
uso in Italia. Prendiamo come esempio la superficie.<br />
La misura di riferimento in provincia di Ancona<br />
era ad esempio la coppa. Divisa in due tavole<br />
a loro volta divise in due provende. Quattro<br />
coppe fanno un sacco, due sacchi un rubbio. In<br />
Ancona città una coppa valeva 2000 m2. Ma in<br />
provincia di Forlì la superficie si misurava in<br />
tornature. Una tornatura fanno 100 pertiche,<br />
equivalenti a 23,83 are ovvero a 2383 m2. Ovvero,<br />
la superficie di campo che poteva essere<br />
lavorata in un giorno da una coppia di buoi.<br />
Anche a Bologna si usava la tornatura che però<br />
valeva 20,84 are (si sa... i romagnoli lavorano<br />
molto di più degli emiliani...) ed era divisa in<br />
144 tavole, divise a loro volta in 100 piedi a loro<br />
volta divisi in 14 once. Facile, no?<br />
Se questo è un libro Intepretazioni non ufficiali<br />
Foeminae di Irving Wallace<br />
Giustizia alle menti che in via conformazione non stanno di casa!<br />
Una rubrica contro le interpretazioni odorose di muffa.<br />
Questo libro non esiste. Nonostante:<br />
- le moltissime copie vendute dal <strong>19</strong>61, anno<br />
della sua uscita;<br />
- le continue ristampe nel tempo (io stessa l’ho<br />
letto in un’Oscar Mondadori del <strong>19</strong>86, da sette<br />
mila lire);<br />
- l’aver fatto epoca, tanto che oggi le sue edizioni<br />
Longanesi degli anni Sessanta sono introvabili<br />
oggetti da collezione;<br />
- il contributo nella solidificazione di Wallace<br />
come romanziere (prima era uno sceneggiatore<br />
pro guerra);<br />
- sia considerato la storia più profonda e completa<br />
approntata dal caro Irving.<br />
Foeminae è un non pervenuto perché carente<br />
dell’elemento sine qua non di ogni storia, lunga<br />
o corta che sia. L’originalità. Mi chiedo come, in<br />
sua totale assenza, sia possibile legittimare un’opera.<br />
Il come l’abbia potuta legittimare la schiera<br />
di lettori rimane un mistero (o solo superficialità?),<br />
per l’autore invece opterei in favore<br />
della risposta più facile del mondo: profumo di<br />
dollaro.<br />
Foeminae o The Chapman report si basa su<br />
un’indagine, senza spessore reale, svolta da<br />
un’équipe di sessuologi su un gruppo di donne<br />
nel sud della California. Un’idea geniale da<br />
sviluppare narrativamente, se solo alle spalle<br />
non ci fosse stato il celeberrimo Rapporto Kinsey<br />
(Sexual behaviour in the Human Male <strong>19</strong>48;<br />
Sexual behaviour in the Human Female <strong>19</strong>53),<br />
ossia l’atto ufficiale dell’inizio della rivoluzione<br />
sessuale.<br />
Insomma, Irving non ha dovuto inventare poi<br />
molto, concorderete. Ma va bene, ammettiamo<br />
che si possa scrivere un buon libro mutuando la<br />
scelta del soggetto, in questo caso gentilemente<br />
17<br />
Michela<br />
Capra<br />
prestato dagli studi di Kinsey, rimangono dunque<br />
i personaggi. Categoria che qui resta indistinta,<br />
confusa in un insieme di gommosi cliché<br />
rosa privi di forza personale. Come, d’altronde,<br />
i sottointrecci a cui danno vita.<br />
È stato comunque d’obbligo domandarmi criticamente<br />
se per caso la mia interpretazione dissonante<br />
dalla lettura media che si è sempre fatta<br />
di questo libro, sia stata viziata da uno iato temporale<br />
ampio, ancora di più se lo si considera<br />
sotto l’aspetto culturale. Ma la risposta rimane<br />
NO! Negli anni Sessanta la gente non era mica<br />
stupida o priva di capacità comparative. Credo<br />
si accorgessero se qualcuno si approfittava di un<br />
tema caldo per ricamarci su, tra l’altro in modo<br />
non incisivo. E se oggi uno dei tanti mediocri<br />
libri sui vampiri uscito dopo la saga di Stephanie<br />
Meyer diventasse un best seller, consacrasse<br />
l’autore e continuasse a venire stampato, come<br />
ve lo spieghereste?<br />
Certo fa tristezza vedere a che paragone bisogna<br />
ricorrere per emblematizzare la cultura<br />
contemporanea, per lo meno Kinsey fu davvero<br />
un grande.<br />
Ma quella era non letteratura e tale sarebbe dovuta<br />
rimanere.<br />
Martina Colombari<br />
Autoritratto
Eccezioni Salman Rushdie, I versi satanici<br />
Filippo<br />
Pennacchio<br />
Libri deformi, rifiutati, maledetti e (ovviamente) trascurabili,<br />
da dimenticare non appena letti.<br />
Lo scorso ottobre, sulle pagine de Il Giornale,<br />
appariva un breve e provocatorio articolo<br />
a firma Luigi Mascheroni in cui si sosteneva<br />
che «Leggere fa male, molto male», ovvero che<br />
«contrariamente a quello che pensa la maggior<br />
parte della gente, i libri sono pericolosi. Non<br />
soltanto spesso sono inutili, ma addirittura possono<br />
fare danni, persino peggiori di quelli prodotti<br />
dall’ignoranza». A riprova di questa ipotesi<br />
apparentemente singolare, su cui peraltro<br />
<strong>Finzioni</strong> aveva già detto la sua in un post on-line<br />
«da leggersi ad alta voce con spiccato accento<br />
tedesco», veniva inoltre fornito un apparato<br />
probatorio consistente in stralci estratti da Sulla<br />
lettura e sui libri, testo in cui Arthur Schopenauer<br />
sosterrebbe che – cito Mascheroni che a<br />
sua volta cita il filosofo tedesco – «Tanto più si<br />
legge, tanto meno ciò che si è letto lascia tracce<br />
nello spirito», e da un breve pamphlet edito nel<br />
2008 da Stampa Alternativa, Non leggete i libri,<br />
fateveli raccontare, in cui Luciano Bianciardi<br />
suggerisce la possibilità – cito sempre via Mascheroni<br />
– di diventare «un uomo di successo<br />
nel mondo della cultura» anche senza cultura.<br />
Letture polemicamente tendenziose, ovvio,<br />
eppure, a ben vedere, la tesi mascheroniana<br />
a me pare sia tutt’altro che cestinabile. Voglio<br />
dire che la storia della letteratura offre un’ampia<br />
casistica circa i malsani rapporti che i lettori<br />
possono intrattenere con certi libri genericamente<br />
etichettabili come maledetti. Lasciamo<br />
perdere i ridicoli e in fin dei conti innocui fan<br />
di Rimbaud, Baudelaire e Lautréamont e concentriamoci<br />
piuttosto sulle schiere di giovani<br />
lettori trovati morti nella Germania di fine Ottocento<br />
con indosso pantaloni gialli e panciotto<br />
azzurro come il loro giovane idolo Wether,<br />
o semmai, circa un secolo più tardi, su quelle<br />
giovani signore della provincia parigina a tal<br />
punto traumatizzate dalle tragiche vicende occorse<br />
alla signora Bovary da darsi la morte alla<br />
maniera della loro tragica eroina. Lettori e lettrici<br />
sprovveduti e inclini a investire nella lettura<br />
romanzesca capitali immaginativi per noi<br />
oggi impensabili, certo: ma anche case studies<br />
esemplari che suggeriscono come la letteratura<br />
possa effettivamente rivelarsi nociva, al limite<br />
mortale . D’altra parte, Umberto Eco non ha<br />
forse mostrato come la leggenda dell’ebreo errante<br />
messa in circolazione dai romanzi, tra gli<br />
altri, di Eugène Sue abbia alimentato un mito su<br />
cui i nazisti avrebbero poi largamente costruito<br />
la loro propaganda antisemita?<br />
Non che le cose, oggi, siano radicalmente mutate,<br />
beninteso. Pochi anni fa, durante un tour<br />
promozionale, Chuck Palahniuk si divertiva a<br />
collezionare svenimenti tra il pubblico leggendo<br />
un suo racconto particolatmente macabro<br />
e sgradevole, diciamo viscerale. E similmente,<br />
William T. Vollmann dichiarò di avere compreso<br />
il potere della letteratura solo quando un<br />
ascoltatore svenne durante la lettura pubblica<br />
di un suo brano.<br />
<strong>19</strong><br />
Ma al di là di simili effetti vertiginosi, il recente<br />
caso di Roberto Saviano non ci invita forse<br />
a riflettere sul fatto che talvolta, e per davvero,<br />
l’atto stesso di leggere possa implicare effetti<br />
collaterali particolarmente spiacevoli? Lo si<br />
poteva d’altronde intuire, il caso Saviano essendo<br />
esemplato su quello di Salman Rushdie,<br />
che nel <strong>19</strong>89 diede alle stampe un romanzo, I<br />
versi satanici, eccezionale perlomeno per un<br />
paio di motivi inerenti la tematica qui discussa,<br />
e cioè per il fatto che sul suo autore pende<br />
a oggi una fatwa in attesa di essere eseguita e<br />
che, nel frattempo, il suo traduttore giapponese<br />
è stato ucciso, il collega italiano di quest’ultimo<br />
pugnalato e l’editore norvegese del libro ferito a<br />
colpi d’arma da fuoco. Ma anche, anzi soprattutto<br />
perché chiunque – qualsiasi lettore, dico<br />
– è oggi liberissimo di leggerlo e di leggerci ciò<br />
che vuole: cioè di esercitarsi in ciò che a <strong>Finzioni</strong><br />
siamo soliti definire come un atto di lettura<br />
creativa.
Il finzionario<br />
Edoardo<br />
Lucatti<br />
Hereafter. La laicità del dopo e la pochezza del<br />
cinema parrocchiale.<br />
Non sempre a pagina giunge lo scritto. Ci son letterature che non sanno<br />
d’esserlo e fuor del libro fan nido. Staniamole!<br />
Qui e ora, radicarsi nel presente, odorare tutto<br />
quanto e riempirsi di meraviglia per la paffutosa<br />
ghirlandanza che l’universo ci sbudella<br />
addosso senza posa. E sti cazzi. Altrimenti c’è<br />
sempre Là e dopo, demandarsi al più totemico<br />
altrove, immagine regolatrice che trasfigura<br />
il presente in funzione di una metafisica della<br />
morte, o di una vita al di là della morte rispetto<br />
alla quale possiamo solo incrociare le dita,<br />
avere fede e trattenere il fiato. E sti cazzi un’altra<br />
volta. Perché dunque non provare con “qui<br />
e dopo”? È il caso di Hereafter, ultimo film di<br />
Clint Eastwood, tentativo interessante di caricare<br />
l’aldilà nell’aldiqua e, quindi, di sottrarre il<br />
dopo alla metafisica del dopo, fornendone un<br />
pensiero sostanzialmente laico.<br />
Si può entrare in contatto con i morti ma l’orizzonte<br />
non è mai un oltre-vita, bensì un’ultra e<br />
altra vita che insiste nel vivere stesso. La parola<br />
del morto diventa così una dritta sottobanco,<br />
un piccolo doping di know how per cavarsela<br />
meglio quaggiù, più qua – anzi – che giù. L’aldilà<br />
frega l’intenzione traguardante della teologia<br />
spogliandosi di ogni determinazione figurativa,<br />
cristiana, pagana. Si riduce a una cassa di<br />
risonanza in cui galleggiano le cose che certe<br />
persone avrebbero voluto dirci prima di andarsene,<br />
cose radicate in una prossimità assoluta e<br />
proprio per questo immane, aldilà dell’aldiqua<br />
e, a un tempo, aldiqua dell’aldilà. Qui e dopo,<br />
allora. Ma anche là e ora.<br />
Non è il caso di raccontarvi il film, primo perché<br />
di cinema ne capisco il giusto, secondo perché<br />
alla mia ragazza – che l’ha visto con me –<br />
ha fatto un po’ cacare e quindi può anche darsi<br />
che non sia sta gran meraviglia e terzo perché<br />
ero un po’ alticcio e un sacco di cose non me<br />
le ricordo proprio. Vi invito perciò non già a<br />
una visione, ma a una sensazione, che mi sono<br />
particolarmente divertito a provare. La sensazione,<br />
in definitiva, che la resurrezione, l’unica<br />
resurrezione in cui davvero valga la pena di<br />
credere, non è quella dei morti.<br />
Per il vecchio Clint sono proprio i vivi a tentare<br />
le resurrezioni più importanti, nuotando nella<br />
liquidità del loro tempo in cui si muore a se<br />
stessi e ai propri progetti con la stessa frequenza<br />
con la quale si respira, si beve il caffè e ci si<br />
lamenta del tempo. Risorgere, allora, non è tornare<br />
a un punto originario, alla vita che più non<br />
era, né partecipare alla VITA maiuscolata di un<br />
qualche Dio. Risorgere è un po’ come trovare<br />
la punta di cannella che andava in quel dolce<br />
che stavi preparando e che in quel solo preciso<br />
modo diventa fantastico. Risorgere è capire<br />
dove diavolo va quel pezzo del mosaico un secondo<br />
prima di perdere la pazienza e rovesciare<br />
tutto quanto sul pavimento. Risorgere non<br />
è niente. È solo un altro modo per raccontarsi<br />
che non c’è aria diversa da questa e che solo un<br />
naso più fico, imparato e scaltro può aspirarne<br />
l’ebbrezza che fin ora non siamo riusciti a suggere.<br />
In Hereafter risorgere non è rivivere. È vivere<br />
per la prima volta. Qui e dopo. Là e ora. In tutto<br />
questo il lutto finisce per emanciparsi dalla sua<br />
elaborazione perché l’assente entra in circuitazione<br />
con il presente e si confonde con esso. I<br />
morti non mancano più e proprio per questo<br />
viene meno la necessità di un mercante-sacerdote<br />
che ci venda la ricetta per raggiungerli.<br />
I morti non mancano, i morti ammancano,<br />
sono cioè l’ammanco cogente che opera su di<br />
noi per altre vie. Solo i vivi, del resto, possono<br />
davvero mancare. E infattti solo i vivi, nel<br />
film, mancano realmente, aiutati dai morti a<br />
rattopparsi e a rimettersi in sesto. Il sacerdote<br />
si fa cadavere, cioè, proprio mentre il cadavere<br />
si fa sacerdote, ma non è un semplice scambio<br />
di ruoli. Il rito stesso cambia e alla fede subentra<br />
l’affondo, la mossa vincente, la botta di culo,<br />
vita da raccontare a chi verrà qui e dopo.<br />
In una pregnante parabola mimetica, il film<br />
sull’aldilà l’ho visto in un cinema parrocchiale<br />
bolognese, assolutamente disastroso. Chiunque<br />
voglia sapere quale sia non ha che da chiedermelo<br />
e sarà mia personale cura farne la peggiore<br />
delle pubblicità possibili. Schermo minuscolo,<br />
platea di scorreggioni (giuro) e luci<br />
che si accendono durante la proiezione, senza<br />
più spegnersi. Esco dalla sala a metà del primo<br />
tempo e raggiungo la cassa: “Oh, si sono<br />
accese le luci. Spegnetele, Dio Santo”. Risposta<br />
della cassiera parrocchiale, ben protetta dal<br />
parrocchiale vetro di protezione parrocchiale:<br />
“Mi spiace. Ogni tanto capita e non sappiamo<br />
perché. Prima o poi si spegneranno”. Come tutto,<br />
ho pensato. Hereafter, mia cara, hereafter. Ti<br />
aspetto fuori, insomma.<br />
21<br />
Damon Winter<br />
Eastwood
Cruciverboso<br />
Michele<br />
Marcon<br />
Cari lettori, dite, quanto vi è mancato il cruciverboso?<br />
Sono passati esattamente 18 mesi dal torrido luglio del 2008 (<strong>Finzioni</strong> n.4), quando uscì il primo<br />
pantagruelico esemplare delle parole crociate più difficili di sempre: quasi 400 definizioni, tutte<br />
verbosissime, in grado di mettere alla prova il più erudito dei nostri lettori.<br />
Ora, con il nuovo anno, il cruciverbso torna – in forma ridotta – e vi accompagnerà mensilmente<br />
senza ulteriori pause lunghe come un doppio concepimento. Ah, e la cosa più importante è che il<br />
primo che lo risolve e ci manda le soluzione all’indirizzo redazione@finzionimagazie.it vince un<br />
libro aggratis. Buona fortuna!<br />
ORIZZONTALI<br />
1. Debutto alla regia di Darren Aronofsky<br />
3. L’ultimo Nobel per la letteratura italiano<br />
5. Avverbio di tempo caro ai rinunciatari<br />
10. Magistrato “vigilantes” spartano<br />
15. Palindromo ornitologico<br />
16. Anonimo in filologia<br />
18. Rapper americano che ha avuto a che fare<br />
con Fatboy Slim<br />
<strong>19</strong>. Storico greco del IV secolo a.C.<br />
21. È composta da elettroliti, acidi organici, amminoacidi<br />
e proteine<br />
24. Solido cavo chiuso a sezione costante in forma<br />
ed area<br />
25. Chinua, scrittore nigeriano (iniziali)<br />
27. Nora, autrice di più di 150 romanzi rosa (iniziali)<br />
28. La congiunzione del dubbioso<br />
29. Un volo con apocope<br />
30. Evariste, morto in duello per una tabaccaia<br />
33. Parava il culo a Marat<br />
36. Il francese accanto<br />
39. Figura retorica “abusiva”<br />
41. Raffaelli, esperto di fumetti e animazione<br />
(iniziali)<br />
42. Writer milanese con la fissa di Arnold<br />
44. Io allo specchio<br />
45. Personaggio dei cartoni inventato da Johanna<br />
Spyri<br />
48. Bernard che ha scritto Il commesso<br />
50. Charlie, ha composto le musiche della prima<br />
serie di Lupin III<br />
53. Numero di colpi sufficienti per andare in<br />
buca<br />
54. Invincibile guerriero di alcuni b-movies<br />
anni ’80<br />
55. L’idioma di Camilleri<br />
56. Radio detection and ranging<br />
59. Regione della Germania occidentale<br />
60. Non v’è ebook senza...<br />
23<br />
VERTICALI<br />
1. Lo dico (scherzando) al mio amico riccone<br />
2. Noto anche come serpente giavellotto<br />
3. Musica popolare portoghese<br />
4. Insieme ai sonetti di Foscolo<br />
5. Fattorie di grande tradizione casearia<br />
6. Relazioni pubbliche<br />
7. Federico, scrittore da Punizioni!<br />
8. Autore di Sostiene Pereira (iniziali)<br />
9. Il primo nome del portale online Libero<br />
11. Lo era il west dei cowboy<br />
12. Scrive odi in Inghilterra<br />
13. Er mejo der colosseo<br />
14. Con “qui” fa una locuzione esistenzialista<br />
15. @ in lettere<br />
17. Eugène, pittore romantico francese (iniziali)<br />
20. International Baccalaureate<br />
22. Catena montuosa del Sud America<br />
23. Libro di Ballard, film di Cronenberg<br />
26. Celato, occulto<br />
29. La “città delle campane” in Tolkien<br />
31. L’antenato della noia<br />
32. Il manga-maniaco giapponese<br />
34. New Italian Epic<br />
35. Così i libri di Scerbanenco<br />
37. Il teorico del cut-up<br />
38. Ente italiano della montagna<br />
40. La Rasmussen modella, attrice e regista<br />
43. Aldo, scrittore bresciano dalla non celata<br />
omosessualità<br />
46. Il re dei tablet<br />
47. Di solito va in coppia col ricevere<br />
49. Il Chaney “uomo dalle cento facce”<br />
51. Si vede spesso negli stadi<br />
52. Institute for Religious Research<br />
57. Unite fanno un dittongo<br />
58. Uno dei Blues Brothers (iniziali)
La lettera che muore Inferno<br />
Michele<br />
Marcon<br />
Riflessioni sugli stati liminari e liminali della letteratura.<br />
E questa non è l’unica cosa che non capirete.<br />
Pensate a quanto tempo ci è voluto, a quanto<br />
sudore della fronte per inventare la lettera. Pensate<br />
a quando l’uomo cominciò a scalfire infantili<br />
segni sulle pareti delle caverne per comunicare<br />
la sua presenza al mondo. Dopo millenni<br />
(millenni!) di vani tentativi protratti con i più<br />
rudimentali mezzi mnemonici – come cordicelle<br />
annodate o tacche sui bastoni – ecco che<br />
nel 3.500 a.c. vengono lasciate in eredità le tavolette<br />
di Uruk, ad oggi la prima testimonianza<br />
certa della scrittura, ossia di un sistema di segni<br />
grafici condiviso per riportare il linguaggio.<br />
Certo, si trattava di pittogrammi, cioè dei disegni<br />
estremamente semplici che rappresentavano<br />
in maniera stilizzata le “cose” a cui si riferivano,<br />
ma da lì al nostro alfabeto il passo è breve.<br />
La nostra “A” deriva dal fenicio aleph, che per<br />
il principio acrofonico rappresentava schematicamente<br />
la testa di un bue capovolta, giacché<br />
bue in fenicio si diceva per l’appunto aleph (che<br />
suonava più o meno come un colpo di glottide).<br />
Pensate a quando per la prima volta ci si rese<br />
conto che con le neonate lettere si potevano fissare<br />
e “salvare” per (quasi) sempre tutte quelle<br />
storie che da tempo immemore venivano tramandate<br />
solo oralmente.<br />
Pensate a tutte le storie immortali che sono state<br />
scritte da allora fino ai nostri giorni. E dopo<br />
centinaia di migliaia di storie raccontate sulle<br />
pagine dei grandi scrittori di ogni tempo, la<br />
lettera si trova oggi imprigionata tra le righe<br />
di romanzi tremendi dove viene utilizzata alla<br />
rinfusa, quasi senza senno: letteratura di mezza<br />
tacca la cui funzione comunicativa primaria e<br />
finanche quella estetica sono andate, per usare<br />
un eufemismo, a farsi un giretto. Ma come sempre<br />
si dice il peccato, non il peccatore, e lascerò<br />
che ognuno di voi si immagini la letteratura di<br />
mezza tacca che si merita.<br />
Sia chiaro, il problema non è strettamente legato<br />
all’attualità. Ci sono casi esemplari di autori<br />
poco autorevoli anche nei secoli passati.<br />
Nell’Inghilterra del XVIII secolo, per esempio,<br />
vi fu uno smisurato aumento della richiesta letteraria,<br />
tanto che ogni suddito della regina (del<br />
re, a quel tempo) che voleva intascarsi qualche<br />
quattrino poteva improvvisarsi uno scrittore.<br />
Il proliferare di carta stampata fu tale da reggere<br />
il paragone con l’attuale “democratizzazione”<br />
della scrittura che avviene nel Web. In<br />
quel periodo videro la luce un’enormità di libri<br />
d’etichetta contenenti spicce istruzioni morali,<br />
sermoni e strane profezie, per non parlare del<br />
fenomeno dell’amatory fiction, un genere di<br />
letteratura sensuale scritta da donne per donne<br />
che fa capo a scrittrici dimenticate e dimenticabili<br />
come Eliza Haywood e Aphra Behn (qui<br />
faccio i nomi, poiché i morti, come si sa, non<br />
querelano).<br />
Insomma, un vero e proprio inferno per la<br />
povera lettera abituata a muoversi tra i versi<br />
di Dante, di Leopardi, nella prosa intelligente<br />
di Dickens o, per tornare ai giorni nostri, del<br />
compianto D.F. Wallace. Ma se un tempo questo<br />
inferno era meno spaventoso perché aveva<br />
una data di scadenza che coincideva con il totale<br />
deterioramento del supporto della scrittura,<br />
oggi quest’inferno si è fatto ancora più – se vogliamo<br />
– infernale.<br />
Secondo il concetto di transmedialità, i libri<br />
possono diventare ebook, circolare nel Web<br />
dove generano discussioni in cui altre lettere<br />
vengono mal spese, e poi magari convergere su<br />
uno smartphone o in chissà quale altra diavoleria<br />
tecnologica dove le storie di mezza tacca<br />
possono continuare ad essere raccontate e lette.<br />
Alcune di queste storie finiscono addirittura al<br />
cinema. Se una volta il supporto poteva perire,<br />
e perendo avrebbe finalmente lasciato la lettera<br />
libera di vagare verso testi migliori, oggi la<br />
replicazione di una storia su vari supporti (ipoteticamente<br />
infiniti e non deperibili) tiene le<br />
lettere imprigionate ad un tristissimo destino<br />
di mezza tacca, che sia fatto di cellulosa o di<br />
MByte.<br />
Che vertigine. Certo che se fossi una lettera mi<br />
metterei insieme ad un gruppetto di altre lettere<br />
giusto giusto per dire: «Porco diavolo, che<br />
inferno!».<br />
25
Scritto da un idiota Una questione di principio<br />
Michela<br />
Capra<br />
Immaginate di dare in pasto uno dei vostri libri preferiti a un<br />
perfetto idiota. Qui la versione estrema di ciò che dirà.<br />
Il dio delle piccole cose di Arundhati Roy<br />
Visto che me l’ha prestato quella supponente<br />
di una laureata in lettere – sai che fatica –,<br />
questo libro lo devo finire. Certo che se capivo<br />
che parlava di India, le dicevo no a prescindere,<br />
perché non che io sia razzista o cosa, ma certe<br />
zone proprio non mi attirano.<br />
Ogni libro che le dico che leggo storce il naso,<br />
poi vai a guarare e viene fuori che tutto quello<br />
che leggo io è in classifica e fa parlare tutti,<br />
mentre lei leggerà libri polverosi che non si calcola<br />
nessuno. Quanto se la tira.<br />
In questo libro non si capisce niente: inizia con<br />
degli adulti, uno è tipo muto, poi sembra che<br />
si torni indietro, a quando erano bambini, ma<br />
non è che la cosa mi convinca molto. Ma, l’ho<br />
detto, vado avanti a leggerlo a carrarmato, lo<br />
devo finire cascasse il mondo. Poi la bambina<br />
indiana col nome e cognome inglese mi stona<br />
tantissimo. La stessa Sophie Mol che muore ma<br />
non so se per davvero, perché poi la vedono<br />
fare capriole nella bara. Probabilmente l’avranno<br />
seppellita viva, in quei posti fanno delle torture<br />
tremende, soprattutto alle femmine. Già<br />
l’amante della mamma dei bambini lo aveva<br />
fatto fuori la polizia in un pestaggio.<br />
Però non quadra niente nemmeno qui, se era<br />
della casta degli Intoccabili, perché i gendarmi<br />
si sono abbassati a massacrarlo di botte? La<br />
donna, la madre, ora non è che abbia tanto da<br />
vestirsi da santa.<br />
Passi la sfortuna di avere un marito ubriacone e<br />
violento (che anche lì, dico, ce ne si può accorgere<br />
prima) però è già tanto che quando lo molli<br />
i genitori ti riprendano e tu vai a sfidarli ancora<br />
facendo i tuoi porci comodi con uno sguattero?<br />
Un po’ la gente se le cerca, poi si lamentano e<br />
ci scrivono i libri. D’accordo, tutto è permesso,<br />
siamo o non siamo in un mondo libero?<br />
Comunque se si rimettono insieme i vari pezzi<br />
della trama ne esce una storia come tante, ora<br />
di libri tipo storie vere, strappalacrime, piene di<br />
sopprusi ne escono a bizzeffe, fanno notizia. E<br />
alla fine penso proprio che siamo in quel filone<br />
lì con questo che mi sto obbligando a finire, che<br />
se fosse per me era già volato dalla finestra, mi<br />
darebbe pure fastidio tenerlo lì sul comodino a<br />
prendere polvere tanto è triste e sconclusionato.<br />
A ogni modo, lei continua a decantarmelo<br />
come un libro unico, un gioiello contemporaneo,<br />
visto che lei di contemporaneo legge poco<br />
o niente, non farà intellettuale essere aggiornati<br />
su quello che va per la maggiore oggi. Alla faccia<br />
del contemporaneo poi, è uscito 14 anni fa.<br />
Se questo è contemporaneo, allora Fabio Volo<br />
cos’è? Non lo so io!<br />
Henry Cartier<br />
Bresson, India<br />
Quello che c’era fin dal principio lo si può<br />
rivelare soltanto a una svolta della sua<br />
evoluzione.<br />
Friedrich Wilhelm Nietzsche<br />
Per capire profondamente un periodo storico<br />
bisogna che sia finito, si dice. Ci vuole una<br />
rottura per comprendere da cosa ci si è distaccati,<br />
altrimenti si fa più fatica. Altrimenti non si<br />
sente, un po’ come i bambini nati dopo il 2001.<br />
Loro non ricordano la lira, non hanno difficoltà<br />
a fare i conti e non inorridiscono pensando che<br />
i cinquanta centesimi che adesso non raccolgo<br />
neanche da terra sono in realtà mille lire. E non<br />
lamentano, fuori dai locali al freddo a fumare le<br />
paglie, che una volta si poteva fare tutto dentro<br />
e sì, tornavi a casa con i vestiti che puzzavano,<br />
ma almeno senza il naso che colava.<br />
Un po’ come noi precari, che facciamo fatica a<br />
barcamenarci tra l’affitto alla fine del mese e la<br />
birrina del venerdì, ma che il nostro ingresso<br />
nel mondo del lavoro l’abbiamo fatto quando il<br />
mondo del lavoro era già così, il posto fisso non<br />
l’abbiamo mai neanche concepito e dunque, mi<br />
viene da pensare, stiamo meno peggio di chi, a<br />
quarant’anni, ha visto che si poteva e poi non si<br />
è potuto più.<br />
Georges Duroy, il barone Prosper-Georges Du<br />
Roy, Bel-Ami per gli amici, nel romanzo omonimo<br />
di Maupassant, era uno di noi, però nel<br />
milleottocento e ottanta. Faticava ad arrivare<br />
alla fine del mese, non poteva fumare nei locali<br />
(per la verità neanche fuori, visto che non poteva<br />
permettersi le sigarette) e faceva un lavoro<br />
“flessibile” per due franchi e senza nessuna<br />
sicurezza. Mentre passeggia per la capitale gli<br />
La citazione del mese<br />
Gli aforismi e le battute più dimenticate della storia della cultura mondiale<br />
illustrate in modo pretestuoso con libri che non c’entrano nulla.<br />
27<br />
Jacopo<br />
Cirillo<br />
Antonio Zambardino<br />
Rome<br />
si avvicina un suo vecchio commilitone che gli<br />
propone un lavoretto come free lance a un giornale,<br />
“La Vie Française”. Insomma, Bel-Ami entra<br />
con le bazze in redazione, prova a scrivere<br />
un articoletto e aspetta, la mattina dopo, l’uscita<br />
del giornale in edicola.<br />
In poche ore, dall’imbrunire all’alba, l’esaltazione,<br />
la smania semplice e fiduciosa, l’entusiasmo<br />
ingenuo – in contrasto stridente con l’incredibile<br />
scalata sociale che anima e conclude il libro<br />
– sono descritti magistralmente, e sembrano<br />
proprio le nostre reazioni, di ventisettottonovetrentenni<br />
con la prima pubblicazione su un<br />
giornale on-line, o il primo colloquio andato<br />
bene, o il primo mentore che ti dice “farai strada”,<br />
anche se poi non è vero. Tutti prodromi,<br />
questi, di un futuro forse ancora incerto ma<br />
che, grazie a quei pochi momenti di felicità,<br />
sembra – ancora per un po’ – più lontano.
Devo ancora finirlo Non l’ho iniziato Micah<br />
simone<br />
rossi<br />
Devo ancora finirlo, come suggerisce il nome, è una rubrica che parla<br />
di un libro che simone rossi sta leggendo, ma deve ancora finirlo.<br />
“La porta della mia stanza non si chiudeva<br />
del tutto, così che colavano via gli ululati delle<br />
ambulanze e potevo pure sentire le donne<br />
delle pulizie sussurrare di chi fossero i soldi<br />
che avevano fregato, quanti e da quale stanza.<br />
(...) Attaccata alla porta, mal fissata alla parete,<br />
una catenella che si poteva introdurre nella<br />
sicura così che potessi sentirmi più o meno<br />
salvo; anche se alla fine ero sicuro che qualcuno,<br />
chiunque, avrebbe potuto forzare l’entrata<br />
mentre dormivo o fumavo sigarette nella vasca.<br />
Quella stanza era diventata la mia casa. Per non<br />
dimenticare le molte persone che avevo conosciuto,<br />
pendevano dalle pareti un fracco di foto<br />
e pagine scritte. La maggior parte erano foto<br />
di paesaggi, macchiate di caffè. (...) Erano un<br />
paio di mesi che vivevo per strada quando alla<br />
fine, divenuto un impasto informe, mi sono<br />
trasferito nel motel. Una settimana mi costava<br />
qualcosa come cinquecento dollari, e allora mi<br />
toccava lavorare duro per averci un tetto sulla<br />
testa. Era comodo. Lercio, ma molto meglio<br />
delle viuzze o dei ponti bassi sotto i quali m’era<br />
toccato di dormire.”<br />
Un libro che inizia così, io se lo vedo in libreria<br />
lo richiudo e lo lascio lì e scappo a gambe levate,<br />
che di Kerouac dopo tre anni ne aveva i maroni<br />
pieni anche Kerouac, che infatti nel <strong>19</strong>60 è<br />
scappato due mesi nella capanna di Ferlinghetti<br />
a Big Sur, ci hanno fatto pure il documentario,<br />
è un po’ noioso però si vedono dei gran reduci<br />
beat che giocano a stecca, ma questo non c’entra,<br />
e poi sono gusti miei, poi magari questo libro<br />
lo finisco e mi piace.<br />
In ogni caso, hai appena letto l’incipit di No voy<br />
a salir de aquí, il primo romanzo del cantautore<br />
americano Micah P. Hinson di cui abbiamo<br />
parlato pure sul sito (a questo punto dovresti<br />
andare su finzionimagazine.it e fare una ricer-<br />
ca, o forse magari vuoi leggerne un altro pezzo,<br />
dai, va bene, te ne metto un altro pezzo).<br />
“Credevo sul serio che Apple fosse pazza. Una<br />
notte mi svegliai e se n’era andata. Dopo aver<br />
passato in rassegna tutta la stanza, notai che la<br />
porta era socchiusa. Uscii e me la trovai sulla<br />
neve, tutta accoccolata ad una ceppaia, con le<br />
sue mutandine azzurre e un cappello peloso inculcato<br />
sulle orecchie. Si stava mangiando una<br />
brioscia. Le gridai di tornare dentro. Le dissi<br />
che sarebbe morta se se ne fosse rimasta là fuori,<br />
che le ceppaie innevate non erano il miglior<br />
rifugio per i taglialegna mezzinudi. Non disse<br />
nulla, se ne rimase accoccolata. Non tremava<br />
neppure. La raggiunsi e la presi in braccio.<br />
La sua pelle non era fredda. Sorrideva, con lo<br />
sguardo fisso, la brioscia in mano.”<br />
Questo è meglio, no? Il bianco l’azzurro la brioscia<br />
e di Apple un po’ ti innamori già, mentre<br />
il giovane zingarello disadattato ha smesso di<br />
essere un narratore empatico dai tempi di, ehm,<br />
Tom Sawyer.<br />
In ogni caso, No voy a salir de aquí, il primo<br />
romanzo di Micah P. Hinson è inedito in Italia,<br />
ma noi ce lo siamo procurato dalle mani gialle<br />
dell’autore cantautore e l’abbiamo dato da tradurre<br />
a Fabrizio Gabrielli (http://rossopesce.<br />
blogspot.com), pirotènnico scrittore di Civitavecchia<br />
che se ci fai una gara di Cortázar vince<br />
sicuramente lui. Fabbrì ha letto il romanzetto e<br />
ci ha detto in tutta sincerità che Boh, sì, carino,<br />
c’è qualche idea in un mare di luoghi comuni.<br />
Poi c’è l’ispagnuolo che è una lingua formidabile<br />
e “socchiuso”, com’era socchiusa la porta<br />
della stanza, si dice “entreabierto. Ch’e una parola<br />
d’una positività assoluta, secondo me, entreabierto,<br />
una parola da spiraglio, da bicchiere<br />
mezzo pieno, da speranza, mica da bicchiere<br />
mezzovuoto, come invece è socchiuso”.<br />
E pure la brioscia, dai, lo so che ti ha fatto ridere.<br />
Ecco, però, con il cuore piangente, tocca dire<br />
che a occhio e croce questo romanzetto sarà abbastanza<br />
banalotto, però devo ancora finirlo.<br />
Anzi, devo ancora iniziarlo, appena Fabrizio<br />
finisce di tradurlo. Facciamo che ne riparliamo,<br />
Micah. Intanto, zitti zitti, abbiamo messo su<br />
carta un pezzo in italiano del primo romanzo in<br />
spagnolo di un cantautore americano e tu l’hai<br />
appena letto e ora sai che esiste, anche se ancora<br />
non esiste, vuoi mettere la soddisfazione?<br />
29<br />
Robert Frank<br />
Parade Hob
La posta dei lettori di Matteo Bettoli<br />
Matteo<br />
Bettoli<br />
Risposte (inventate) a lettere (verissime) inviate a Matteo Bettoli<br />
da una schiera di lettori avidi di conoscenza.<br />
Caro Carissimo,<br />
mio figlio fa le scuole primarie ed io, che lavoravo<br />
fino a poco tempo fa come antennista,<br />
non ho mai potuto aiutarlo più di tanto col<br />
compito a casa (un po’ perchè a casa non c’ero<br />
mai, un po’ perchè mi trovavo in difficoltà<br />
nel risintonizzare la testa con la matematicità<br />
in me sopita, abbandonata alle scuole primarie<br />
di Castel Rolloni). Quando tornavo a casa<br />
esausto dopo aver messo a punto 37 decoder<br />
digitali terrestri ed esser salito su 24 tetti,<br />
spesso ripidissimi o con parvenze di pericolosi<br />
materiali tossici, trovavo mio figlio che strillava<br />
come una bestia da soma che suda e che<br />
scalcia, implorante d’aiuto con le OPERAZIO-<br />
NI IN COLONNA. Io allora deponevo i ferri<br />
del mestiere, cavi scart e cacciaviti, mi mettevo<br />
lì con lui, gonfio di tenerezza ma anche un<br />
po’ con le palle piene, e mi confrontavo con<br />
quegli astrusi calcoli fatti su fogli pigna a quadretti<br />
grandi con penna bic nera e rossa. Mi si<br />
intrecciavano gli occhi, non riuscivo a continuare,<br />
e mio figlio mi guardava con lo sguardo<br />
spento del mulo, spento perchè annebbiato<br />
dalla fatica e dalla malinconia. La mia spina<br />
nel fianco? Le divisioni. Lei si chiederà perchè<br />
ho usato il passato in questa garbata lettera.<br />
La ragione è che per merito delle operazioni<br />
in colonna sono ricco, e lei non può ignorare<br />
il mio Innovare le operazioni in colonna, edito<br />
da Gunis, in testa alle classifiche in questo<br />
inizio 2011.<br />
Lorenzo Retobaldi, Castel Rolloni (Pordenone)<br />
Caro Lorenzo,<br />
ammetto che la tua lettera mi ha incuriosito<br />
tanto da spingermi a correre in libreria e chiedere<br />
il tuo Innovare le operazioni in colonna, che<br />
a quanto scrivi ti ha cambiato la vita e donato la<br />
serenità. Ammetto -anche- che la prima reazione<br />
dell’amico libraio, alla mia richiesta, suonava<br />
simile a un “ma che davvero vuoi quella cagata?”<br />
ed un po’ mi ha spiazzato. Tornato a casa<br />
ho dato una letta veloce al tuo libro, tenendo<br />
una vecchia calcolatrice scientifica Casio fx82<br />
vicina a me nel caso in cui mi sentissi troppo<br />
cretino e necessitassi di un ritorno alla ragione.<br />
La pretesa di considerare la “graficità” della divisione<br />
in colonna come un’antenna di vecchia<br />
generazione è convincente di primo acchito,<br />
ma non sono riuscito a capire perchè invece<br />
di dividere una cifra ed aggiungere un “1” alla<br />
precedente dovrei risintonizzare la frequenza<br />
orizzontale del 3 e mettere la scart alla decina<br />
di sinistra. L’ultimo capitolo poi è puro nonsense:<br />
la moltiplicazione non può e non dove<br />
essere utilizzata come se fosse un tetto di tegole<br />
di coccio, la sottrazione non va paragonata -nel<br />
meccanismo- alla propensione a sottrarre euri<br />
ad anziani smarriti che chiedono di aggiustare<br />
la tv quando c’è solo un cavetto staccato. Fanno<br />
50 euro, per la chiamata, certo, ma l’addizione<br />
di voci astruse ed inventate (“il cavo d’oro indiano<br />
hdmi e tvtb”) sa più da truffa bella e buona.<br />
Retobaldi, grazie ma “no grazie”.<br />
Caro Bettoli,<br />
in questi tempi di crisi degli alloggi e di abbondanza<br />
di pubblicazioni residuali e di fatto<br />
inutili la mia idea di usare libri smessi per<br />
costruire alloggi di varia fattura sembra aver<br />
colpito nel segno. So che quanto sto per raccontarle<br />
assomiglia a quelle storie di pazzoidi<br />
che si rinchiudono in un hangar, investono<br />
una vita e costruiscono riproduzioni di Ferrari<br />
utilizzando fiammiferi oppure yacht con<br />
bottiglie di plastica (ricevendo in cambio solo<br />
una manciata di pacche sulle spalle, un invito<br />
a farsi una doccia e sorrisi di compatimento),<br />
ma non è così. Nel cervello che alberga nel<br />
mio cranio, sin da giovane, c’era la convinzione<br />
che sarei stato veramente libero se avessi<br />
potuto abitare la cultura. Confesso di aver iniziato<br />
con gli animali, un po’ come i sovietici<br />
che nello spazio disperdevano le scimmie, prima<br />
di disperderci -comunque- anche decine<br />
di sovietici. Ho costruito una cuccia per il mio<br />
cane, amante della lettura, con vent’anni di<br />
raccolte di Mondo Cane (rilegate in brossura).<br />
Sin dal principio, nella sua nuova dimora, l’ho<br />
sentito abbaiare mooolto meno. Questo mi ha<br />
dato coraggio e mi ha spinto ad essere tematico,<br />
ma -sia chiaro- non monotematico o monotono.<br />
Ho costruito case sugli alberi ricavate<br />
da romanzi d’avventura, sale operatorie per<br />
appendiciti ricavate da romanzi d’appendice,<br />
castelli ricavati da libri di fiabe, garage ricavati<br />
da libri appartenuti al Ministero del Tesoro<br />
ed elencanti i maggiori evasori fiscali, casotti<br />
per apicoltura ricavati da libri di Vespa. Tutto<br />
questo e molto altro in Abitare la cultura, edito<br />
da Sparagnozzi e in vendita a 13 euro in una<br />
bella edizione grossa e cartonata, pronta per<br />
essere riutilizzata come mattoncino.<br />
Gagliardo, Ravona<br />
Caro Gagliardo,<br />
la sua idea mi affascina e mi solletica il pensiero<br />
di poter dare nuova vita alle migliaia di numeri<br />
di <strong>Finzioni</strong> che occupano casa del Direttore<br />
costruendo, chessò, una sala lettura in Piazza<br />
Duomo, a Milano. Il freddo non rappresenterebbe<br />
un problema, perchè si potrebbe bruciare<br />
senza problemi qualche annata, e la noia nep-<br />
31<br />
pure, perchè dove c’è un discorso su un libro c’è<br />
il librarsi nel ciel di una mente fervida, come diceva<br />
Kafka sul letto di morte (letto ricavato da<br />
suoi libri non letti, pare). In tempi di compost,<br />
di riciclo perpetuo e di raccolta differenziata, il<br />
considerare i libri per quello che sono nello spazio,<br />
cioè oggetti solidi (soventemente accompagnati<br />
da discorsi sui libri capaci di impregnarli,<br />
a dispetto della legge sull’impenetrabilità dei<br />
corpi), ci concede una boccata di aria fresca<br />
fresca che ci rinfranca. Diversi autori sembrano<br />
aver fiutato la tendenza e presentano i propri<br />
libri in fabbricati prefabbricati con le proprie<br />
opere, opera di studenti di lettere convertiti alla<br />
manovalanza per una giusta causa. Sembrerebbe<br />
-in aggiunta- che i volumi più voluminosi,<br />
come i dizionari cartacei ormai destinati all’oblio,<br />
godano di una seconda giovinezza per la<br />
loro affidabilità nel costituire muri portanti. In<br />
attesa di abitare la cultura foss’anche una cuccia,<br />
la saluto e la ringrazio.
Gentile posta,<br />
sono un sedicente quindicenne molto vispo -a<br />
sentire i miei parenti- e molto introspettivo, a<br />
sentire la mia Prof. di lettere. Sempre alla ricerca<br />
di nuovi stimoli nei libri (i miei coetanei<br />
sono noiosi), mi sono dato alla lettura di tutto<br />
ciò che è mitteleuropeo o estremorientale, un<br />
po’ perchè fa figo, un po’ perchè c’è dentro il<br />
disagio. L’ultimo interessante volume che la<br />
catastrofe di bibliotecario non è riuscito ad<br />
okkultarmi è Proiezioni dimensionali nell’incontro<br />
con una donna, di Kaspar Lioljini da<br />
Ekaterinburg, Russia. Capace di creare un<br />
universo nuovo e indipendente per ogni storia<br />
(fallita) con una donna, spesso di grosse<br />
dimensioni e manesca, il protagonista dipinto<br />
da Lioljini apre il cuore alle giovini che incontra<br />
stordendole con poesie avvolgenti (4 o<br />
5 me le sono già rigiocate via sms con le tipe<br />
della mia classe, risposte ricevute: una, dalla<br />
più brutta) e mostrandoci come la vita possa<br />
cambiare in modi differenti a seconda di chi si<br />
incontra e di chi ci accoglie. Ma le chiedo: chi<br />
mi accoglierà, a me? Troverò mai una ragazza<br />
almeno moderatamente attraente capace<br />
di cambiarmi la vita, in meglio si intende? Lo<br />
spero. Nel frattempo continuo a leggere, sperando<br />
di non finire già prima dei 30 anni nella<br />
rubrica Iperboloser di <strong>Finzioni</strong>.<br />
Silverio, Roma sud<br />
Caro Silverio,<br />
grazie per averci ricordato le ragioni per cui<br />
-prevalentemente- anche noi leggevamo a 15<br />
anni (trovare materiale utile per lettere melliflue,<br />
ripigliarci dall’ultima delusione sentimentale,<br />
svergognare i nostri zii con una cultura<br />
assolutamente superficiale ed ostentata). Il libro<br />
di Lioljini merita un passaggio per diverse<br />
ragioni, prima tra le quali citerei la naturalezza<br />
nel costruire realtà parallele in cui il protagonista,<br />
irrimediabilmente sfigato in tutte le realtà,<br />
esplora l’amore fisico e pensato, l’amarezza e la<br />
dolcezza, l’asprezza e la stucchevolezza, terminando,<br />
sempre, seduto su una panchina a fare<br />
il frignone infelice (la ribadita supremazia di<br />
ciò che è scritto nel destino?). Scampoli di tenerezza,<br />
certo, sono quelli che il protagonista<br />
di Lioljini regala alla giovanotta russa di turno,<br />
abbracciando il passato che questa porta con sè<br />
e -seppure a fatica, data la stazza- abbracciando<br />
pure la giovanotta. Nei 16 universi paralleli<br />
nati dall’incontro con le 16 ragazzotte, seppur<br />
in diverse dosi, Lioljini incontra sempre l’entusiasmo<br />
degli esordi, seguito dall’abitudine, dalla<br />
tristezza e dalla noia così ben dipinta da tanti.<br />
In sintesi, un libro buono per ricavarne 4-5 frasi<br />
da dedicare a una ragazza (ma solo entro i primi<br />
7 giorni dall’incontro, che dopo a scrivere<br />
ste robe si passa per nerd).<br />
Lost Girls<br />
di Alan Moore & Melinda Gebbie Ghost World<br />
Ghost World è una rubrica che parla di fumetti. Il tipo che inizia e<br />
finisce in un albo solo e dunque si chiama “graphic novel”, o così pare.<br />
Era inevitabile che “Lost Girls” fosse condannato<br />
a restare un lavoro minore di Alan Moore,<br />
e io stessa non ricordo esattamente le circostanze<br />
in cui mi è capitato sotto gli occhi, o perché.<br />
Comunque, sono felice che sia successo, perché<br />
il libro (tre albi disponibili in Italia, separatamente,<br />
da Magic Press o in volume unico, versione<br />
originale tipo Absolute, da Top Shelf) è<br />
bellissimo sotto tutti i punti di vista e funziona<br />
su due livelli. Forse tre. O dieci. Ma limitiamoci<br />
ai primi due, i più semplici, e denotativi: così,<br />
senza sovraintepretare, che rischiamo di non<br />
vederne la fine, come sempre succede quando<br />
di mezzo c’è un gigante folle e geniale come<br />
Moore.<br />
Il primo livello è, com’è giusto che sia, testuale.<br />
E corrisponde alla domanda: ma che accidenti<br />
è questo “Lost Girls” e perché nonostante venga<br />
dal ceppo di “Watchmen” e “V for Vendetta”<br />
non ne ho mai sentito parlare? Com’è che nel<br />
2011 nessuno ne ha fatto un film? POSSIBILE?”.<br />
Orbene, la risposta è semplice. Come gli stessi<br />
autori hanno detto più volte con ammirevole<br />
candore, si tratta di un albo pornografico. Moore<br />
e Gebbie lo hanno descritto in questi termini<br />
per lanciare una provocazione, ma, come<br />
dire, nell’affermazione c’è del vero. E fin qui,<br />
ok. I manga hanno una tradizione consolidata<br />
di fumetti erotici, c’è la nota trilogia di Crepax,<br />
e ovviamente c’è Manara. E chissà quanti altri.<br />
Il punto è un altro. Da un lato, infatti, l’oggetto<br />
e le protagoniste del libro (le ragazze perdute<br />
del titolo, appunto) sono tre titolari di favole:<br />
Wendy Darling di “Peter Pan”, Alice Fairchild<br />
di “Alice nel Paese delle Mervaglie” e Dorothy<br />
Gale del “Mago di Oz”; dall’altro, tutto ciò che<br />
c’è di sovrannaturale nelle rispettive storie viene<br />
epurato e a un certo punto – immancabile vista<br />
la vicenda carrolliana – compare anche il tema<br />
della pedofilia. Fortemente e debitamente san-<br />
33<br />
Marina<br />
Pierri<br />
zionato, certo, ma compare. E in maniera anche<br />
piuttosto grafica.<br />
Il secondo livello è paratestuale, o quasi, perché<br />
questo è il libro che, attraverso una stesura durata<br />
niente meno che sedici anni, ha avvicinato<br />
Moore e la Gebbie al punto che i due si sono<br />
sposati, a cose fatte, nel 2007 (lo avevano, dunque,<br />
iniziato nel <strong>19</strong>91).<br />
Fatta questa dovuta distinzione, e soddisfatta<br />
così la vostra curiosità, passerò a dirvi perché,<br />
nonostante la devastante quantità di amplessi<br />
etero ed omosessuali che passa attraverso tutto<br />
questo mattone, alla fine proprio questi ultimi<br />
scompaiano nella memoria per lasciare spazio<br />
alla formidabile macchina narrativa messa su<br />
dai suoi creatori: leggendo, scoprirete una chiave<br />
di intepretazione diversa, eppure del tutto<br />
calzante, degli avvenimenti di tre fiabe celeberrime<br />
che, se guardate senza moralismo, vi mostreranno<br />
un tipo “altro” di magia e sveleranno<br />
la natura di innesto del racconto sui racconti<br />
originali.<br />
Inoltre, i fan più hardcore dei fumetti saranno<br />
felici di imbattersi in un vero e proprio crossover:<br />
tre (super)eroine diverse, con alcuni tratti<br />
fondamentali in comune, si incontrano in uno<br />
spazio intertesuale o un metaspazio, un luogo<br />
di nessuno in cui sentirsi libere di sperimentare.<br />
Ok, si: in tutti i sensi.
Iperboloser<br />
Jacopo<br />
Cirillo<br />
Racconti gonfiati di storie vere, o racconti veri di storie gonfiate.<br />
In entrambi i casi è subito simpatia verso chi perde per costituzione.<br />
Ci sono due modi per raccontare storie: la noiosa verità e la mirabolante esagerazione dei fatti. L’esagerazione<br />
dei fatti, o iperbole, è bella perché è una caricatura.<br />
Wittgenstein (yawn) diceva che fare una caricatura non è altro che privilegiare e mettere l’accento<br />
su una parte in rapporto con il tutto, creando dunque, dico io, una sproporzione. O meglio, un’asimmetria.<br />
L’asimmetria fa ridere e fa pensare, perché non è regolare, dunque buffa, e va messa a posto<br />
gestalticamente con la propria testa.<br />
L’iperbole, la storia esagerata, segue esattamente questa dinamica: è divertente e fa lavorare il cervello.<br />
Fa ridere e fa pensare. Ci sono poi due ruoli che si alternano nelle storie: la banalità dei vincitori<br />
e il sorprendente spessore dei perdenti. Le storie dei vincitori sono retroattivamente incastrate nel<br />
rasoio di Occam: la soluzione è spesso la più semplice e ovvia. Quando le leggi, sembra che tutto<br />
sia andato liscio, che sia successo quello che doveva succedere e niente altro. L’eroe ha vinto perché è<br />
buono, la soluzione più semplice è che vinca. Non si scappa.<br />
Paul Mohan<br />
Under 17 UEFA Championship<br />
Le storie dei perdenti invece sono più belle perché i perdenti, per tirare acqua al loro mulino, si raccontano<br />
in modo più personale, più soggettivo, si guardano dentro non potendo ovviamente aggrapparsi<br />
alla rassicurazione dei fatti oggettivi. Trovano la verità dentro di sé, non fuori, come Karate<br />
Kid. Solo che loro perdono per costituzione.<br />
E la verità soggettiva è infinitamente più interessante: come diceva qualcuno (quel qualcuno era<br />
Kierkegaard ma avevo paura di annoiarvi ancora di più), con soggettivo non si intende un attributo<br />
relativistico ma una appropriazione della verità in termini esistenziali. La verità per me. Negli<br />
Iperboloser accoppieremo felicemente questi due fenomeni, raccontando storie esagerate di grandi<br />
sfortunati. Quel ganzo di Walter Benjiamin ha detto che la storia è il bottino dei vincitori. L’iperbole,<br />
allora, è la risorsa, forse l’ultima, dei perdenti.<br />
La famiglia Belloni non è mai stata fortunata<br />
sul lavoro. Il padre, Gentilio, si era appena fatto<br />
un nome a Pizzighettone (CR) come addestratore<br />
di cavalli per carrozze quando inventarono<br />
l’automobile, i cui cavalli erano più difficili da<br />
domare, e dovette ritirarsi in pensione anticipata.<br />
Il figlio, Gaetano, fu allora mandato a fare l’apprendista<br />
in una manifattura tessile, dove si era<br />
appena fatto un nome quando perse il pollice<br />
e l’indice della mano destra per una celia con i<br />
colleghi di lavoro.<br />
Visto che, causa menomazione, non fu chiamato<br />
al fronte per la prima guerra mondiale, il giovane<br />
pensò: dai va là, che finalmente qualcosa<br />
gira per il verso giusto, vedi mai che provo a<br />
fare il ciclista e divento un campione.<br />
35<br />
Provò a fare il ciclista e diventò effettivamente<br />
un campione vincendo anche un Giro d’Italia,<br />
ma solo perché tutti i maschi abili erano arruolati<br />
e lui gareggiava contro giovani collegiali e<br />
vecchi matusalemme. Quando Girardengo e<br />
tutti gli altri sopravvissuti tornarono in forma<br />
smagliante e iniziarono a correre sul serio, il<br />
povero Gaetano Belloni collezionò 100 secondi<br />
posti lungo il resto della sua carriera.<br />
L’unica volta che arrivò davanti a Girardengo,<br />
in una irrilevante tappa del Giro, venne premiato<br />
con un quadro che vendette subito dopo<br />
per due lire (è da qui che viene l’espressione<br />
“per due lire”). Bene, quel quadro era dell’allora<br />
sconosciuto Pablo Picasso e in un paio d’anni<br />
aumentò così tanto di valore che Belloni si ritirò<br />
a vita privata, tornando alla ribalta nelle cronache<br />
mondane grazie al suo inserimento nel<br />
database del sito www.ilbrocco.com.<br />
Alexander Taran<br />
Sambo World Champsionship
Jacopo Cirillo non è mai riuscito a spiegare<br />
a sua nonna cosa fa nella vita. Prima per<br />
colpa della semiotica, adesso per colpa di<br />
una casa editrice. Ha cofondato questa rivista<br />
solo per poterle dire: faccio il co-fondatore<br />
di una rivista.<br />
E anche, ma secondariamente, per poter<br />
dire quello che gli pare sui libri che legge.<br />
Carlo Zuffa nelle ultime due decadi non ha<br />
raggiunto traguardi degni di nota e ritiene<br />
che la sua infanzia sia stata traviata dal finale<br />
di “Marcellino Pane e Vino”.<br />
Ora, di notte nel buio della sua cameretta,<br />
studia piani segreti per i COBRA, i quali<br />
gentilmente gli hanno concesso un pò di<br />
tempo libero per co-fondare <strong>Finzioni</strong>.<br />
Licia Ambu pensa che avere una sola personalità<br />
sia uno spreco di spazio. In fase di<br />
definizione a ciclo continuo, ama in ordine<br />
sparso (e intercambiabile) un sacco di cose.<br />
Attualmente la posizione più quotata per<br />
guardare il mondo le sembra a testa in giù.<br />
Matteo Bettoli nasce in epoca reaganiana<br />
su un carro di bovini, dal quale eredita la<br />
passione per la dinamicità. A 21 anni controlla<br />
i principali media di casa: 3 televisioni,<br />
2 computer, l’abbonamento all’Espresso<br />
e la radio ricevuta in regalo per la cresima.<br />
Decide allora di trasferirsi. Studia a Bologna.<br />
Passa diverse giornate in Sud Africa,<br />
Austria e Belgio.<br />
L’acronino di questi tre paesi è SAAB, che<br />
non a caso produce automobili brutte ed è<br />
sull’orlo del fallimento. Abita a Roma e si<br />
sveglia presto.<br />
Michela Capra, She lives on Love Street, lingers<br />
long on Love Street… Nata in provincia<br />
di Varese nell’aprile <strong>19</strong>83, ha trascorso<br />
gran parte dell’infanzia sulle spiaggie liguri.<br />
Ha frequentato il liceo linguistico, dove<br />
ha iniziato a conoscere e amare la letteratura<br />
americana.<br />
Alla facoltà di Lettere Moderne ha incontrato<br />
la letteratura francese, innamorandosi<br />
della sua poesia. Laureata in Filologia<br />
Romanza, è appassionata lettrice di ogni<br />
forma di scrittura medievale. Compone<br />
racconti sin da<br />
piccina e vive immersa nel verde insieme<br />
CONTRIBUTI DA:<br />
al marito e ai suoi tre gatti.<br />
Jacopo Donati studia Filosofia estetica a<br />
Bologna. La sua carriera universitaria gli<br />
permetterà, al massimo, di suonare l’organetto<br />
per strada: conscio di ciò, per non<br />
pensarci, passa buona parte del suo tempo<br />
a scrivere, a leggere e a inseguire innumerevoli<br />
passioni che, per lo più, svaniscono<br />
nel giro di pochi giorni lasciando il posto a<br />
nuove manie.<br />
Stefano Fanti è fuggito da Milano e ora<br />
vive nella bucolica provincia alessandrina.<br />
Scribacchino per varie testate online e<br />
non, si occupa principalmente di musica,<br />
letteratura ed ambiente. Soffre di una grave<br />
dipendenza da serie tv che lo porta a confondere<br />
Randy Hickey con Randy Marsh.<br />
Ama, tra le altre cose, fantascienza, horror<br />
e grindcore.<br />
Alex Grotto è la conseguenza di un’adolescenza<br />
sbagliata fatta di TV spazzatura, fumetti<br />
spinti e musica sgangherata. Un eterno<br />
precario del buon gusto che ancora non<br />
sa come trasformare la sua colta apatia in<br />
denaro e affitti pagati, ma cerca di ovviare<br />
al problema abitando in una stanza rancida<br />
di provincia e scrivendo di musica su Vitaminic.<br />
E’ sovrappeso, si veste malissimo<br />
ed ha occhiali grandi per darsi un tono che<br />
non può permettersi.<br />
Viviana Lisanti è laureata in scienze storiche<br />
e studia cultura editoriale all’Università<br />
Statale di Milano.<br />
Momentaneamente si guadagna da vivere<br />
spacciandosi per grafica nonostante non<br />
possa vantare alcuna conoscenza in merito.<br />
Nessuno fin’ora se ne è ancora accorto,<br />
quando verrà smascherata sarà costretta a<br />
far fruttar una laurea a detta di molti “inutile”.<br />
Edoardo Lucatti. Edo. Ode. Deo. Un essere<br />
flesso nell’edibile, nella lirica e in un<br />
soprannaturale deodorante. Performer di<br />
incauta protervia, aruspice della significazione<br />
e calciapalle di poca morale. Semiònte<br />
per alcuni, semiòta per altri, è una piccola<br />
fucina di omaggi al vostro personale<br />
sconcerto teoretico.<br />
Michele Marcon ama così irrazionalmente<br />
le lettere da aver avuto la leggerezza di<br />
confessare in famiglia una certa velleità<br />
letteraria. Il giorno dopo il padre si presenta<br />
a casa con una maglietta del Milan<br />
autografa: “Allo scrittore Michele, Kakà”.<br />
Nonostante incertezze sull’autenticità, Michele<br />
si sente fregato: gli tocca diventare<br />
uno scrittore, non è più un affare privato.<br />
Per ora è un abile lettore, ma la cosa triste<br />
è che tifa Juve praticamente dalla nascita.<br />
Andrea Meregalli è un pensatore di quasi<br />
venticinque anni. In questo istante medesimo<br />
si arrovella su quesiti del tipo: “Cosa<br />
farò da grande?”. Assiduo frequentatore<br />
di autostrade nonché massimo esperto<br />
in campo internazionale di prodotti quali<br />
friggitrici, scalda patate, piastre per panini<br />
e salamandre, ama molto abbinare correttamente<br />
i boxer con le calze. Passa buona<br />
parte della sua giornata a leggere le scritte<br />
oscene sulle porte dei cessi nei centri commerciali.<br />
Fabio Paris nasce impagliato, e così finirà,<br />
per evitare che gli amici ballino sulla sua<br />
tomba. Zingaro, in accezione monicelliana,<br />
ha studiato chimica, seguendo la sua<br />
passione per la geopolitica. Dopo un passato<br />
da sedicente esperto di nanotecnologie<br />
ora gira il mondo andando di miniera<br />
in miniera. Le sue miniere preferite sono<br />
quelle di litio.<br />
Filippo Pennacchio, già in tenera età plagiato<br />
dalla figura di Lee Harvey Oswald, a<br />
tutt’oggi suo eroe personale, vive a Milano,<br />
dove studia, fa la spesa alla Pam, frequenta<br />
concerti di dubbio gusto e beve dei gran<br />
birroni.<br />
Quando non sa che fare, ammortizza i<br />
propri desideri<br />
nel sapere, manco fosse un personaggio<br />
delilliano, leggendo libri dalle cinquecento<br />
pagine e oltre. Di conseguenza, alle volte<br />
si annoia tantissimo.<br />
Alessandro Pollini ingrassa a vista d’occhio.<br />
Vive con il cane Plauto che dorme<br />
sotto alla libreria.<br />
37<br />
Giuditta Matteucci è romagnola ma le sarebbe<br />
piaciuto nascere in un piccolo paese<br />
molto impronunciabile degli Stati Uniti<br />
per poter crescere dondolandosi su una<br />
veranda suonando tristi canzoni d’amore<br />
folk. Malata di narcolessia e di allucinazioni<br />
diurne fatica a contestualizzarsi nella<br />
vita quotidiana e quando ci riesce probabilmente<br />
sta ridendo. Si occupa di comunicazione<br />
e disegna con la penna perché è<br />
povera. Vi vuole bene.<br />
Marina Pierri ha 28 anni e vive a Milano,<br />
dopo dieci gloriosi anni passati a studiare/<br />
lavorare/fare radio/ fare la dj in quel di Bologna.<br />
Si occupa a tempo pieno del portale<br />
musicale Vitaminic.it ma scrive anche su<br />
Rolling Stone, PIG Magazine e Blow Up.<br />
Ascolta una media di tre nuovi dischi al<br />
giorno, legge, guarda un sacco di film e serie<br />
televisive americane.<br />
Simone Rossi vive alla Casa del Cuculo,<br />
“un posto dove ci piove dentro” (cit.). Di<br />
giorno scrive, di sera suona, di notte dorme.<br />
Tutti e tre troppo poco. Il suo primo<br />
libro si chiama La luna è girata strana<br />
(Zandegù, 2008). Il suo secondo libro si<br />
chiama sbriciolu(na)glio per ragioni che<br />
potete pure chiedergliele, ma tanto vi risponde<br />
a caso. Il suo gatto invece si chiama<br />
Chomsky, ma non si vedono da un<br />
po’. Sta abbastanza su internet: tutte le sue<br />
cose, sbriciolu(na)glio compreso, sono su:<br />
http://simone-rossi.it<br />
Andrea Sesta ha capito che gli piaceva scrivere<br />
quel giorno che alle elementari ha<br />
trovato un modulo per il presito dei libri<br />
della biblioteca della scuola, e l’ha riempito<br />
di tutte le parolacce che conosceva. La situazione<br />
è andata peggiorando quando gli<br />
hanno detto che su internet poteva avere<br />
un blog tutto suo. C’è chi dice che le suppliche<br />
di sua madre affinché mantenesse un<br />
qualche residuo di contegno abbiano funzionato.<br />
Continua a studiare, e si è anche<br />
un po’ laureato.<br />
La redazione dichiara che le immagini contenute in questa<br />
pubblicazione sono immagini già pubblicate in internet .<br />
In caso di violazioni, non esitate a contattarci all’indirizzo<br />
redazione@finzionimagazine.it: provvederemo immediatamente<br />
alla rimozione.