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MARIA VALTORTA (Il poema dell'Uomo-Dio ... - Io e Medjugorje

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<strong>MARIA</strong> <strong>VALTORTA</strong><br />

(<strong>Il</strong> <strong>poema</strong> <strong>dell'Uomo</strong>-<strong>Dio</strong>)<br />

Nuovo titolo:<br />

L' EVANGELO COME MI E' STATO RIVELATO<br />

Edizione 2000 Rev<br />

Per speciale concessione del<br />

CENTRO EDITORIALE VALTORTIANO 20 % ON LINE<br />

Volume I La preparazione<br />

Volume II <strong>Il</strong> primo anno di vita pubblica<br />

Volume III <strong>Il</strong> secondo anno di vita pubblica: parte prima<br />

Volume IV <strong>Il</strong> secondo anno di vita pubblica: parte seconda<br />

Volume V <strong>Il</strong> terzo anno di vita pubblica: parte prima<br />

Volume VI <strong>Il</strong> terzo anno di vita pubblica: parte seconda<br />

Volume VII <strong>Il</strong> terzo anno di vita pubblica: parte terza<br />

Volume VIII Preparazione alla passione<br />

Volume IX La passione<br />

Volume X La glorificazione<br />

Presentazione da :<br />

'La MADONNA negli scritti di Maria Valtorta'<br />

di P. Gabriele Maria ROSCHINI: Centro Editoriale Valtortiano 1996<br />

[Professore della Pontificia Università Lateranense,<br />

Professore nella Pontificia Facoltà teologica ''Marianum'',<br />

Consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede<br />

Consultore della Congregazione per le Cause dei Santi]<br />

« E' da mezzo secolo che mi occupo di Mariologia: studiando, insegnando,<br />

predicando e scrivendo. Ho dovuto leggere perciò innumerevoli scritti mariani,<br />

d'ogni genere: una vera 'Biblioteca mariana'.<br />

Mi sento però in dovere di confessare candidamente che la Mariologia<br />

quale risulta dagli scritti, editi ed inediti, di Maria Valtorta, è stata per me<br />

una vera rivelazione. Nessun altro scritto mariano, e neppure la somma degli<br />

scritti mariani da me letti e studiati, era stato in grado di darmi, del<br />

Capolavoro di <strong>Dio</strong>, un'idea così chiara, così viva, così completa, così luminosa<br />

e così affascinante: semplice insieme e sublime.<br />

Tra la Madonna presentata da me e dai miei colleghi e la Madonna<br />

presentata da Maria Valtorta, a me sembra trovare la stessa differenza che corre<br />

tra una Madonna di cartapesta e una Madonna viva, tra una Madonna più o meno<br />

approssimativa e una Madonna completa in ogni sua parte, sotto tutti i suoi<br />

aspetti.<br />

. . . . . . .<br />

E' bene inoltre, che si sappia che io non sono stato un facile ammiratore<br />

della Valtorta. Anch'io infatti, sono stato, un tempo, tra coloro che, senza<br />

un'adeguata conoscenza dei suoi scritti, hanno avuto un sorrisino di diffidenza<br />

nei riguardi dei medesimi. Ma dopo averli letti e ponderati, ho dovuto -come<br />

tanti altri- lealmente riconoscere di essere stato troppo corrivo; e ho dovuto<br />

concludere: "Chi vuol conoscere la Madonna (una Madonna in p e r f e t t a<br />

sintonia col Magistero ecclesiastico, particolarmente col Concilio Vaticano II,


con la S.Scrittura e la Tradizione ecclesiastica), legga la Mariologia della<br />

Valtorta!".<br />

A chi poi volesse vedere, in questa mia asserzione, uno dei soliti<br />

iperbolici 'slogan' pubblicitari, non ho da dare che una sola risposta: "Legga,<br />

e poi giudichi..." . »<br />

. . . . . . .<br />

N.B. Nello stesso libro Padre G.M Roschini spiega la differenza tra<br />

'Rivelazioni pubbliche' come l'Antico e il Nuovo Testamento, e<br />

'rivelazioni private'.<br />

Tra queste, nelle 'principali mistiche mariane', elenca, in ordine di<br />

tempo :<br />

1) S. <strong>Il</strong>degarda di Bingen (benedettina 1098-1179)<br />

2) S. Matilde di Hefta (cistercense 1241-1299)<br />

3) S. Geltrude la Grande (cistercense 1256-1302)<br />

4) Beata Angela da Foligno (T. Francescana 'la maestra dei teologi' 1246-1309)<br />

5) S. Brigida di Svezia ('la Mistica del Nord 1309-1373)<br />

6) S. Caterina da Siena (terziaria domenicana 1347-1380; Dottore della Chiesa)<br />

.....<br />

.....<br />

.....<br />

18) Maria Valtorta (terziaria dell'Ordine dei Servi di Maria 1897-1961)<br />

/ / /<br />

Centro coordinamento Volontari: ' volontari.m.valtorta.roma@gmail.com '<br />

Club Amici di Maria Valtorta :<br />

libera associazione on line su Maria Valtorta e le sue opere<br />

moderatore tel: 333 2992852<br />

' clubamicivaltortiani@yahoo.group.com '<br />

http://it.groups.yahoo.com.group/clubamicivaltortiani/<br />

Indice del Volume Primo<br />

NASCITA E VITA NASCOSTA DI <strong>MARIA</strong> E DI GESU' * = in linea *<br />

l. Pensiero d'introduzione. <strong>Dio</strong> volle un seno senza macchia. *<br />

2. Gioacchino e Anna fanno voto al Signore.<br />

3. Alla festa dei Tabernacoli.<br />

Gioacchino e Anna possedevano la Sapienza.<br />

4. Anna con un cantico annunzia di esser madre.<br />

Nel suo seno è l'anima immacolata di Maria.<br />

5. Nascita di Maria.<br />

La sua verginità nell'eterno pensiero del Padre.<br />

6. Purificazione di Anna e offerta di Maria, che è la<br />

Fanciulla perfetta per il regno dei Cieli.


7. La piccola Maria con Anna e Gioacchino.<br />

Sulle sue labbra è già la Sapienza del Figlio.<br />

8. Maria accolta nel Tempio.<br />

Ella, nella sua umiltà, non sapeva di essere la Piena di Sapienza.<br />

9. La morte di Gioacchino e Anna fu dolce,<br />

dopo una vita di sapiente fedeltà a <strong>Dio</strong> nelle prove.<br />

10. Cantico di Maria. Ella ricordava quanto il suo spirito<br />

aveva visto in <strong>Dio</strong>.<br />

11. Maria confida il suo voto al Sommo Sacerdote.<br />

12. Giuseppe prescelto come sposo della Vergine.<br />

13. Sposalizio della Vergine con Giuseppe, istruito dalla<br />

Sapienza ad essere custode del Mistero.<br />

14. Gli Sposi arrivano a Nazareth.<br />

15. A conclusione del Prevangelo.<br />

16. L'Annunciazione.<br />

17. La disubbidienza di Eva e l'ubbidienza di Maria.<br />

18. Maria annuncia a Giuseppe la maternità di Elisabetta<br />

e affida a <strong>Dio</strong> il compito di giustificare la sua.<br />

19. Maria e Giuseppe alla volta di Gerusalemme.<br />

20. Partenza da Gerusalemme. L'aspetto beatifico di Maria.<br />

Importanza della preghiera per Maria e Giuseppe. *<br />

21. L'arrivo di Maria a Ebron e il suo incontro con Elisabetta.<br />

22. Le giornate ad Ebron.<br />

I frutti della carità di Maria verso Elisabetta.<br />

23. Nascita di Giovanni Battista.<br />

Ogni sofferenza si placa sul seno di Maria.<br />

24. Circoncisione di Giovanni Battista.<br />

Maria è Sorgente di Grazia per chi accoglie la Luce.<br />

25. Presentazione di Giovanni Battista al Tempio e partenza di Maria.<br />

La Passione di Giuseppe.<br />

26. Giuseppe chiede perdono a Maria.<br />

Fede, carità e umiltà per ricevere <strong>Dio</strong>.<br />

27. L'editto del censimento.<br />

Insegnamenti sull'amore allo sposo e sulla fiducia in <strong>Dio</strong>.<br />

28. L'arrivo a Betlemme.<br />

29. La nascita di Gesù.<br />

Efficacia salvifica della divina maternità di Maria.<br />

30. L'annuncio ai pastori, che diventano i primi adoratori del<br />

Verbo fatto Uomo.<br />

31. Visita di Zaccaria. La santità di Giuseppe e l'ubbidienza ai sacerdoti.<br />

32. Presentazione di Gesù al Tempio.<br />

La virtù di Simeone e la profezia di Anna.<br />

33. Ninna-nanna della Vergine.<br />

34. Adorazione dei Magi. E' "vangelo della fede".<br />

35. Fuga in Egitto.<br />

Insegnamenti sull'ultima visione legata all'avvento di Gesù.<br />

36. La sacra Famiglia in Egitto. Una lezione per le famiglie.<br />

37. Prima lezione di lavoro a Gesù, che non uscì dalla regola dell'età.<br />

38. Maria maestra di Gesù, Giuda e Giacomo.


39. Preparativi per la maggiore età di Gesù e partenza da Nazareth.<br />

40. L'esame di Gesù maggiorenne al Tempio.<br />

41. La disputa di Gesù nel Tempio coi dottori.<br />

L'angoscia della Madre e la risposta del Figlio.<br />

42. La morte di Giuseppe.<br />

Gesù è la pace di chi soffre e di chi muore.<br />

43. A conclusione della vita nascosta.<br />

PRIMO ANNO DELLA VITA PUBBLICA DI GESU'<br />

44. L'addio alla Madre e partenza da Nazareth.<br />

<strong>Il</strong> pianto e la preghiera della Corredentrice.<br />

45. Predicazione di Giovanni Battista e Battesimo di Gesù.<br />

La manifestazione divina.<br />

46. Gesù tentato da Satana nel deserto.<br />

Come si vincono le tentazioni.<br />

47. L'incontro con Giovanni e Giacomo.<br />

Giovanni di Zebedeo è il puro fra i discepoli.<br />

48. Giovanni e Giacomo riferiscono a Pietro il loro incontro con il Messia.<br />

49. L'incontro con Pietro e Andrea dopo un discorso nella sinagoga.<br />

Giovanni di Zebedeo grande anche nell'umiltà.<br />

50. A Betsaida nella casa di Pietro.<br />

L'incontro con Filippo e Natanaele.<br />

51. Maria manda Giuda Taddeo ad invitare Gesù alle nozze di Cana.<br />

52. Le nozze di Cana.<br />

<strong>Il</strong> Figlio, non più soggetto alla Madre, compie per Lei il primo miracolo.<br />

53. La cacciata dei mercanti dal Tempio.<br />

54. L'incontro con Giuda di Keriot e con Tommaso.<br />

Simone Zelote sanato dalla lebbra.<br />

55. Un incarico affidato a Tommaso.<br />

56. Simone Zelote e Giuda Taddeo uniti nella sorte.<br />

57. A Nazareth con Giuda Taddeo e con altri sei discepoli.<br />

58. Guarigione di un cieco a Cafarnao.<br />

59. L'indemoniato guarito nella sinagoga di Cafarnao.<br />

60. Guarigione della suocera di Simon Pietro.<br />

61. Gesù benefica i poveri dopo aver detto la parabola<br />

del cavallo amato dal re.<br />

62. Gesù cercato dai discepoli mentre prega nella notte.<br />

63. <strong>Il</strong> lebbroso guarito presso Corazim.<br />

64. <strong>Il</strong> paralitico guarito a Cafarnao.<br />

65. La pesca miracolosa e l'elezione dei primi quattro apostoli.<br />

66. Giuda di Keriot al Getsemani diviene discepolo.<br />

67. <strong>Il</strong> miracolo delle lame spezzate alla porta dei Pesci.<br />

68. Gesù, nel Tempio con l'Iscariota, ammaestra.<br />

69. Gesù istruisce Giuda Iscariota.<br />

70. Al Getsemani con Giovanni di Zebedeo.<br />

Un paragone tra il Prediletto e Giuda di Keriot.<br />

71. Giuda Iscariota presentato a Giovanni e a Simone Zelote.<br />

72. Verso Betlem con Giovanni, Simone Zelote e Giuda Iscariota.


73. A Betlem, nella casa di un contadino e nella grotta della Natività.<br />

74. All'albergo di Betlem e sulle macerie della casa di Anna.<br />

75. Gesù ritrova i pastori Elia e Levi.<br />

76. A Jutta dal pastore Isacco. Sara e i suoi bambini.<br />

77. A Ebron nella casa di Zaccaria. L'incontro con Aglae.<br />

78. A Keriot. Morte del vecchio Saul<br />

<strong>MARIA</strong> <strong>VALTORTA</strong><br />

L EVANGELO COME MI E STATO RIVELATO<br />

VOLUME I<br />

<strong>MARIA</strong> <strong>VALTORTA</strong><br />

<strong>Il</strong> <strong>poema</strong> dell’Uomo-<strong>Dio</strong>:<br />

IL VANGELO COME MI E’ STATO RIVELATO<br />

VOLUME I


<strong>MARIA</strong> <strong>VALTORTA</strong><br />

L’ EVANGELO COME MI E’ STATO RIVELATO<br />

VOLUME I<br />

1. Pensiero d’introduzione.<br />

<strong>Dio</strong> volle un seno senza macchia.<br />

"<strong>Dio</strong> mi possedette all’inizio delle sue opere”<br />

(Salomone - Proverbi 8, 22)<br />

22 agosto 1944<br />

Gesù mi ordina: “Prendi un quaderno tutto nuovo. Copia sul primo foglio il dettato del giorno 16<br />

agosto. In questo libro si parlerà di Lei.”<br />

Ubbidisco e copio.<br />

16 agosto 1944<br />

Dice Gesù:<br />

“Oggi scrivi questo solo. La purezza ha un valore tale che un seno di creatura poté contenere<br />

l’Incontenibile, perché possedeva la massima purezza che potesse avere una creatura di <strong>Dio</strong>.<br />

La Ss. Trinità scese con le sue perfezioni, abitò con le sue Tre Persone, chiuse il suo Infinito in<br />

piccolo spazio -né si diminuì per questo, perché l’amore della Vergine e il volere di <strong>Dio</strong> dilatarono<br />

questo spazio sino a renderlo un Cielo- si manifestò con le sue caratteristiche:<br />

il Padre, essendo Creatore nuovamente della Creatura come al sesto giorno ed avendo una ‘figlia’<br />

vera, degna, a sua perfetta somiglianza. L’impronta di <strong>Dio</strong> era stampata in Maria così netta che solo<br />

nel Primogenito del Padre le era superiore. Maria può essere chiamata la ‘secondogenita’ del Padre<br />

perché, per perfezione data e saputa conservare, e per dignità di Sposa e Madre di <strong>Dio</strong> e di Regina<br />

del Cielo, viene seconda dopo il Figlio del Padre e seconda nel suo eterno Pensiero, che ab eterno in<br />

Lei si compiacque;<br />

il Figlio, essendo anche per Lei ‘il Figlio’ e insegnandole, per mistero di grazia, la sua verità e<br />

sapienza quando ancora non era che un Germe che le cresceva in seno;<br />

lo Spirito Santo, apparendo fra gli uomini per una anticipata Pentecoste, per una prolungata<br />

Pentecoste, Amore in ‘Colei che amò’, Consolazione agli uomini per il frutto del suo seno,<br />

Santificazione per la maternità del Santo.<br />

<strong>Dio</strong>, per manifestarsi agli uomini nella forma nuova e completa che inizia l’èra della Redenzione,<br />

non scelse a suo trono un astro del cielo, non la reggia di un potente. Non volle neppure le ali degli<br />

angeli per base del suo piede. Volle un seno senza macchia.<br />

Anche Eva era stata creata senza macchia. Ma spontaneamente volle corrompersi. Maria, vissuta in<br />

un mondo corrotto -Eva era invece in un mondo puro- non volle ledere il suo candore neppure con<br />

un pensiero volto al peccato. Conobbe che il peccato esiste. Ne vide i volti diversi e orribili. Tutti li<br />

vide. Anche il più orrendo: il deicidio. Ma li conobbe per espiarli e per essere, in eterno, Colei che<br />

ha pietà dei peccatori e prega per la loro redenzione.<br />

Questo pensiero sarà la introduzione ad altre sante cose che darò per conforto tuo e di molti”.<br />

2. Gioacchino e Anna fanno voto al Signore.<br />

22 agosto 1944


Vedo un interno di casa. In essa è seduta ad un telaio una donna di età. Direi, nel vederla coi capelli<br />

un tempo certo neri, ora brizzolati, e nel volto non rugoso ma già pieno di quella serietà che viene<br />

con gli anni, che ella possa avere dai cinquanta ai cinquantacinque anni. Non più.<br />

Nell’indicare queste età femminili prendo per base il volto di mia madre, la cui effigie ho più che<br />

mai presente in questi giorni che mi ricordano gli ultimi giorni presso il mio letto... Dopodomani è<br />

un anno che non la vedo più.... Mia mamma era molto


e lo bacia, il bambino gli si avvinghia al collo spettinandogli la barba con le manine e coi baci.<br />

Anche Gioacchino ha il suo dono: leva da dietro alla schiena la mano sinistra e offre una mela così<br />

bella che pare di ceramica, e dice ridendo al bambino che tende le manine avidamente: “Aspetta che<br />

te la faccio a pezzi. Così non puoi. E’ più grossa di te”, e con un coltelluccio che ha alla cintola, un<br />

coltello da potatore, ne fa fette e fettine, e pare imbocchi un uccellino nidiace tanta è la cura con cui<br />

mette i bocconi nella bocchina aperta, che sgrana e sgrana.<br />

“Ma guarda che occhi, Gioacchino! Non sembrano due pezzettini del mar di Galilea quando il vento<br />

della sera spinge un velo di nube sul cielo?” Anna parla tenendo appoggiata una mano sulla spalla<br />

del marito e appoggiandovisi lievemente anche lei, una mossa che rivela un profondo amore di<br />

sposa, un amore intatto dopo i molti anni di coniugio.<br />

E Gioacchino la guarda con amore e annuisce dicendo: “Bellissimi! E quei ricciolini? Non hanno il<br />

colore delle biade che il sole ha seccato? Guarda: e dentro c’è misto oro e rame.”<br />

“Ah! se avessimo avuto un bambino lo avrei voluto così, con questi occhi e questi capelli...” Anna<br />

si è chinata, inginocchiata anzi, e bacia con un sospirone i due occhioni azzurro-grigi.<br />

Gioacchino sospira anche lui. Ma la vuol consolare. Le pone la mano sui capelli cresputi e canuti e<br />

le dice: “Ancora occorre sperare. Tutto può <strong>Dio</strong>. Finché si è vivi, il miracolo può avvenire, specie<br />

quando lo si ama e ci si ama.” Gioacchino calca molto sulle ultime parole.<br />

Ma Anna tace, avvilita, e sta a capo chino per non mostrare due lacrime che scendono e che vede<br />

solo il piccolo Alfeo, il quale, stupito e addolorato che la sua grande amica pianga come fa lui<br />

qualche volta, alza la manina e asciuga quel pianto.<br />

“Non piangere, Anna! Siamo felici lo stesso. <strong>Io</strong>, almeno lo sono perché ho te.”<br />

“Anche io per te. Ma non ti ho dato un figlio... Penso aver spiaciuto al Signore, poiché mi ha<br />

inaridito le viscere...”<br />

“Oh! moglie mia! In che puoi avergli spiaciuto tu, santa? Senti. Andiamo ancora una volta al<br />

Tempio. Per questo. Non solo per i Tabernacoli. Facciamo lunga preghiera... Forse ti avverrà come a<br />

Sara... come ad Anna di Elcana. Molto attesero e si credevano riprovate perché sterili. Invece per<br />

loro, nei Cieli di <strong>Dio</strong>, si maturava un figlio santo. Sorridi, mia sposa. <strong>Il</strong> tuo pianto mi è più dolore<br />

che l’essere senza prole.... Porteremo Alfeo con noi. Lo faremo pregare, lui che è innocente... e <strong>Dio</strong><br />

prenderà la sua e nostra preghiera insieme e ci esaudirà.”<br />

“Sì. Facciamo voto al Signore. Suo sarà il nato. Purché ce lo conceda... Oh! sentirmi chiamare<br />

‘mamma’!”<br />

E Alfeo, spettatore stupito e innocente: “<strong>Io</strong> ti ci chiamo!”<br />

“Sì, gioia cara... ma ce l’hai la mamma tu, e io... io non ho bambino...”<br />

La visione cessa qui.<br />

Comprendo che si è iniziato il ciclo della nascita di Maria. E ne sono molto contenta, perché lo<br />

desideravo tanto. Penso che ne sarà contento anche lei.<br />

Prima che io iniziassi a scrivere, ho sentito la Mamma dirmi: “Figlia, scrivi dunque di me. Ogni tua<br />

pena verrà consolata.” E mentre diceva questo, mi posava la mano sul capo in una carezza soave.<br />

Poi è venuta la visione. Ma sul principio, ossia finché non sentii chiamare la cinquantenne a nome,<br />

non compresi d’esser di fronte alla madre della Mamma e perciò alla grazia della sua nascita.<br />

3. Alla festa dei Tabernacoli. Gioaccino e Anna possedevano la Sapienza.<br />

23 agosto 1944<br />

Prima che venga il seguito faccio una nota.<br />

La casa non mi è parsa quella solita di Nazaret. Almeno l’ambiente è molto diverso. Anche l’ortogiardino<br />

è più vasto, e oltre si vedono i campi. Non molti, ma insomma ci sono. Dopo, quando<br />

Maria è sposa, vi è solo l’orto, vasto ma limitato a orto, e questa stanza, che ho visto, non l’ho mai<br />

vista nelle altre visioni. Non so se pensare che per motivi pecuniari i genitori di Maria si disfecero


di parte del loro avere o se Maria, uscendo dal Tempio, passò in un’altra casa, forse datale da<br />

Giuseppe. Non ricordo se nelle passate visioni e lezioni ebbi mai accenno sicuro che la casa di<br />

Nazareth era la casa natia.<br />

La mia testa è molto stanca. E poi, soprattutto per i dettati, io ne dimentico subito le parole, pur<br />

rimanendomene incisi i comandi e nell’anima la luce. Ma i particolari dileguano immediatamente.<br />

Se dopo un’ora dovessi ripetere quel che udii, tolto una o due frasi principali, non saprei più niente.<br />

Mentre le visioni restano vive alla mente, perché le ho dovute osservare da me. I Dettati li ricevo.<br />

Quelle invece le devo percepire. Restano perciò vive nel pensiero, che ha faticato a notarle nelle<br />

loro fasi.<br />

Speravo ci fosse un dettato sulla visione di ieri. Invece niente.<br />

Comincio a vedere e scrivo.<br />

Fuori delle mura di Gerusalemme, sui colli e fra gli ulivi, vi è gran folla. Pare un enorme mercato.<br />

Ma non ci sono banchi e baracconi. Non vocio di ciarlatani e venditori. Non giuochi. Vi sono tante<br />

tende di lana ruvida, certo impermeabili all’acqua, stese su pioli confitti al suolo, e legate ai pioli<br />

sono frasche verdi che fanno ornamento e frescura. Altre, invece, sono tutte di frasche confitte al<br />

suolo e legate così /\ che fanno delle piccole gallerie verdi. Sotto ognuna, gente di ogni età e<br />

condizione, e un parlare pacato e raccolto, rotto solo da qualche strillo di bambino.<br />

Scende la sera e già le luci di lucernette a olio splendono qua e là per l’accampamento strano.<br />

Intorno alle luci qualche famiglia consuma la cena stando seduta per terra, le madri coi più piccoli<br />

in grembo, e molti di questi, stanchi, si addormentano con ancora il pezzo di pane nelle ditine rosee<br />

e cadono col capino sul petto materno come pulcini sotto la chioccia, e le madri finiscono di<br />

mangiare come possono, con una sola mano libera, mentre l’altra tiene contro il cuore il figliolino.<br />

Altre famiglie, invece, non sono ancora a cena e parlano nel semibuio del crepuscolo, attendendo<br />

che il cibo sia pronto. Dei focherelli sono accesi qua e là, e intorno ad essi si affannano le donne.<br />

Qualche ninna nanna lenta lenta, direi quasi lamentosa, culla un infante che stenta ad<br />

addormentarsi.<br />

In alto un bel cielo sereno, che diviene sempre più azzurro cupo sino a parere un enorme velario di<br />

velluto pastoso d’un nero azzurro, su cui, piano piano, invisibili artefici e decoratori appuntino<br />

gemme e lumini, quali isolati, quali in bizzarre linee geometriche, fra le quali primeggia l’Orsa<br />

maggiore e minore con la sua forma di carro dalla stanga appoggiata al suolo, poi che i buoi furono<br />

staccati dal giogo. La stella polare ride con tutti i suoi bagliori.<br />

Comprendo che è ottobre perché una grossa voce d’uomo lo dice: "Bello questo ottobre come pochi<br />

ci furono!”<br />

Ecco Anna che viene da un fuoco con delle cose fra le mani, stese sul pane che è largo e piatto come<br />

una focaccia delle nostre e fa anche da vassoio. Alle gonnelle ha Alfeo, che ciaramella con la sua<br />

vocetta. Gioacchino, che sulla soglia della sua piccola capanna tutta di frasche parla con un uomo<br />

sui trent’anni -che Alfeo da lontano saluta con uno stridetto dicendo: “Papà”- quando vede<br />

avanzarsi Anna si affretta ad accendere la lucernetta.<br />

Anna passa con il suo incedere regale fra le file delle capanne. Regale e pure umile. Non è altera<br />

con nessuno. Rialza il piccino di una povera, molto povera donna, che le è caduto, inciampando<br />

nella sua corsa sbarazzina, proprio ai piedi e, posto che si è impiastricciato il visetto di terra e<br />

piange, ella lo pulisce e consola e lo rende alla madre accorsa, che si scusa, dicendo: “ Oh! non è<br />

nulla! Sono contenta che non si sia fatto male. E’ un bel bambino. Quanto ha?”<br />

“Tre anni. E’ il penultimo e fra poco ne avrò un altro. Ho sei maschi. Ora vorrei una bambina... Per<br />

la mamma è molto una bambina...”<br />

“L’Altissimo ti ha molto consolata, donna!” Anna sospira.<br />

E l’altra: “Sì. Sono povera, ma i figli sono la nostra gioia e già i più grandicelli aiutano al lavoro. E<br />

tu, signora, (che Anna sia di più elevata condizione tutto lo mostra, e la donna l’ha visto) quanti<br />

bambini hai?”<br />

“Nessuno.”<br />

“Nessuno?! Non è tuo questo?”<br />

“No, di una vicina molto buona. E’ il mio conforto...”


“Ti sono morti o...”<br />

“Non ne ho mai avuti.”<br />

“Oh!” La povera donna la guarda con pietà.<br />

Anna la saluta con un sospirone e va alla sua capanna.<br />

“Ti ho fatto attendere, Gioacchino. Mi ha trattenuta una povera donna madre di sei maschi, pensa!,<br />

e fra poco avrà un altro figlio.”<br />

Gioacchino sospira.<br />

<strong>Il</strong> padre d'Alfeo chiama il suo bimbo, ma questo risponde: “Con Anna resto io. L’aiuto.” Ridono<br />

tutti.<br />

“Lascialo. Non dà noia. Ancora non è tenuto alla Legge. Qui o lì non è che un uccellino che<br />

mangia” dice Anna e siede col bimbo in grembo a cui dà focaccia e, mi pare, pesce arrostito. Vedo<br />

che lavora prima di darlo, forse gli leva la spina. Prima ha servito il marito. Ultima mangia lei.<br />

La notte è sempre più gremita di stelle e i lumi sempre più numerosi nel campo. Poi piano piano<br />

molti lumi si spengono. Sono di quelli che hanno cenato per primi e che ora si mettono a dormire.<br />

Anche il brusio diminuisce lentamente. Voci di bimbo non se ne odono più. Solo qualche lattante fa<br />

sentire la sua vocina di agnellino che cerca il latte della mamma. La notte soffia il suo alito sulle<br />

cose e le persone, e annulla pene e ricordi, speranze e rancori. Anzi, forse questi due sopravvivono,<br />

per quanto attutiti, anche nel sonno, nel sogno.<br />

Anna lo dice al marito, mentre culla Alfeo che comincia a dormirle fra le braccia: “Questa notte ho<br />

sognato che il prossimo anno io verrò alla Città Santa per due feste invece che per una sola. E una<br />

sarà l’offerta al Tempio della mia creatura... Oh! Gioacchino!”<br />

“Spera, spera, Anna. Altro non hai sentito? <strong>Il</strong> Signore nulla ti ha mormorato al cuore?”<br />

“Nulla. Un sogno soltanto...”<br />

“Domani è l’ultimo giorno di preghiera. Già tutte le offerte sono state fatte. Ma le rinnoveremo<br />

domani ancora, solennemente. Vinceremo <strong>Dio</strong> col nostro fedele amore. <strong>Io</strong> penso sempre che ti abbia<br />

ad accadere come ad Anna d’Elcana.”<br />

“Lo voglia <strong>Dio</strong>... e avessi subito chi mi dice: “Và in pace. <strong>Il</strong> <strong>Dio</strong> d’Israele ti ha concesso la grazia<br />

che chiedi!”<br />

“Se la grazia verrà, il tuo bambino te lo dirà rivoltandosi per la prima volta nel tuo seno, e sarà voce<br />

di innocente, perciò voce di <strong>Dio</strong>.”<br />

Ora il campo tace nel buio. Anche Anna riporta Alfeo alla capanna contigua e lo pone da sé sul<br />

giaciglio di fieno presso ai fratellini, che dormono già. E poi si corica a fianco di Gioacchino, e<br />

anche la loro lampadetta si spegne. Una delle ultime stelline della terra. Restano più belle le stelle<br />

del firmamento a vegliare su tutti i dormienti.<br />

Dice Gesù:<br />

“I giusti sono sempre dei sapienti perché, essendo amici di <strong>Dio</strong>, vivono in sua compagnia e sono da<br />

Lui istruiti; da Lui, Infinita Sapienza.<br />

I miei nonni erano giusti e possedevano perciò la sapienza. Potevano dire con verità quanto dice il<br />

Libro, cantando le lodi della Sapienza nel libro di essa: ‘<strong>Io</strong> l’ho amata e ricercata fin dalla<br />

giovinezza e procurai di prenderla in sposa’.<br />

Anna d’Aronne era la donna forte di cui parla l’Avo nostro. E Gioacchino, stirpe del re Davide, non<br />

aveva cercato tanto avvenenza e ricchezza quanto virtù. Anna possedeva una grande virtù. Tutte le<br />

virtù unite come mazzo fragrante di fiori per divenire un’unica bellissima cosa, che era la Virtù.<br />

Una virtù reale, degna di stare davanti al trono di <strong>Dio</strong>.<br />

Gioacchino aveva dunque sposato due volte la sapienza ‘amandola più di ogni altra donna’: la<br />

sapienza di <strong>Dio</strong> chiusa nel cuore della donna giusta. Anna d’Aronne altro non aveva cercato che di<br />

unire la sua vita a quella di un uomo retto, certa che nella rettezza è la gioia delle famiglie. E ad<br />

esser l’emblema della ‘donna forte’ non le mancava che la corona dei figli, gloria della donna<br />

sposata, giustificazione del coniugio, di cui parla Salomone, come alla sua felicità non mancavano<br />

che questi figli, fiori dell’albero che ha fatto un sol uno con l’albero vicino e ne ottiene dovizia di<br />

nuovi frutti, in cui le bontà si fondono in una, perché, per conto dello sposo, mai nessuna delusione


le era venuta.<br />

Ella, ormai volgente a vecchiezza, moglie da più e più lustri a Gioacchino, era sempre per lui ‘la<br />

sposa della sua giovinezza, la sua gioia, la cerva carissima, la graziosa gazzella’, le cui carezze<br />

avevano sempre il fresco incanto della prima sera nuziale e affascinavano dolcemente il suo amore,<br />

tenendolo fresco come fiore che una rugiada irrora e ardente come fuoco che sempre una mano<br />

alimenta. Perciò, nella loro afflizione di senza figli, l’un l’altro si dicevano ‘parole di consolazione<br />

nei pensieri e negli affanni’.<br />

E su loro la Sapienza eterna, quando fu l’ora, dopo averli istruiti nella vita, li illuminò con i sogni<br />

della notte, diana del <strong>poema</strong> di gloria che doveva da essi venire e che era Maria Ss., la Madre mia.<br />

Se la loro umiltà non pensò a questo, il loro cuore però trepidò nella speranza al primo squillo della<br />

promessa di <strong>Dio</strong>. Già è certezza nelle parole di Gioacchino: ‘Spera, spera.... Vinceremo <strong>Dio</strong> col<br />

nostro fedele amore’. Sognavano un figlio: ebbero la Madre di <strong>Dio</strong>.<br />

Le parole del libro della Sapienza paiono scritte per loro: ‘Per lei acquisterò gloria davanti al<br />

popolo.... per essa otterrò l’immortalità e lascerò eterna memoria di me a quelli che dopo me<br />

verranno’. Ma, per ottenere tutto questo, dovettero farsi re di una virtù verace e duratura che nessun<br />

evento lese. Virtù di fede. Virtù di carità. Virtù di speranza. Virtù di castità. La castità degli sposi!<br />

Essi l’ebbero, ché non occorre esser vergini per esser casti. E i talami casti hanno a loro custodi gli<br />

angeli e ad essi scendono figli buoni, che della virtù dei genitori fanno norma della loro vita.<br />

Ma ora dove sono? Ora non si vogliono figli, ma non si vuole però neppure la castità. Onde <strong>Io</strong> dico<br />

che l'amore e il talamo sono profanati"<br />

4. Anna con un cantico annunzia di essere madre. Nel suo seno è l’anima immacolata di Maria.<br />

24 agosto 1944<br />

Rivedo la casa di Gioacchino ed Anna. Nulla è mutato nell’interno, se si toglie i molti rami fioriti,<br />

messi in anfore qua e là, certo frutto delle potature fatte sugli alberi dell’orto che sono tutti in fiore:<br />

una nuvola che varia dal bianco neve al rosso di certi coralli.<br />

Anche il lavoro di Anna è diverso. Su un telaio più piccolo dell’altro ella tesse delle belle tele di<br />

lino, e canta, ritmando il moto del piede sul canto. Canta e sorride... A chi? A se stessa, a qualche<br />

cosa che ella vede nel suo interno.<br />

<strong>Il</strong> lento canto e pur lieto -che ho scritto a parte per seguirlo, perché lo ripete più volte come<br />

beandosi di esso, e lo dice sempre più forte e sicuro, come chi ha ritrovato un ritmo nel suo cuore e<br />

prima lo mormora in sordina e poi, sicuro, va più spedito ed alto di tono- dice (e lo trascrivo<br />

perché, nella sua semplicità, è tanto dolce):<br />

“Gloria al Signore Onnipotente che dei figli di Davide ebbe amore. Gloria al Signore!<br />

La sua suprema grazia dal Ciel m’ha visitata<br />

La vecchia pianta ha messo nuovo ramo, ed io son beata.<br />

Per la Festa delle Luci gettò seme la speranza;<br />

or di nisam la fragranza lo vede germogliar.<br />

Come il mandorlo si infiora la mia carne a primavera.<br />

<strong>Il</strong> suo frutto, sulla sera, essa sente di portar.<br />

Su quel ramo sta una rosa, sta un pomo dei più dolci.<br />

Sta una stella rilucente, sta un pargolo innocente.<br />

Sta la gioia della casa, dello sposo e della sposa.<br />

Lode a <strong>Dio</strong>, al mio Signore, che ebbe pietà di me.<br />

Me lo disse la sua luce: ‘Una stella a te verrà’.<br />

Gloria, gloria! Tuo sarà questo frutto della pianta,<br />

primo e estremo, santo e puro come dono del Signor.<br />

Tuo sarà e per lui venga gioia e pace sulla terra.<br />

Vola, o spola. <strong>Il</strong> filo serra per la tela dell’infante.<br />

Egli nasce! A <strong>Dio</strong> osannante vada il canto del mio cuor.”


Entra Gioacchino quando ella sta per ripetere per la quarta volta il suo canto. “Sei felice, Anna? Mi<br />

sembri un uccello che faccia primavera. Che canto è mai questo? Non l’ho mai udito da nessuno.<br />

Da dove viene?”<br />

“Dal mio cuore, Gioacchino.” Anna si è alzata ed ora si dirige verso lo sposo, tutta ridente. Pare più<br />

giovane e più bella.<br />

“Non ti sapevo poeta” dice il marito, guardandola con palese ammirazione. Non sembrano due sposi<br />

attempati. Nei loro sguardi è una tenerezza da giovani sposi. “Sono venuto dal fondo dell’orto<br />

udendoti cantare. Erano anni che non sentivo la tua voce di tortora innamorata. Vuoi ripetermi quel<br />

canto?”<br />

“Te lo ripeterei anche se tu non lo chiedessi. I figli di Israele hanno sempre affidato al canto i gridi<br />

più veri delle loro speranze, e gioie, e dolori. <strong>Io</strong> ho affidato al canto la cura di dirmi e di dirti una<br />

grande gioia. Sì, anche di dirmela, perché è cosa così grande che, per quanto ne sia certa, ormai, mi<br />

sembra ancora non vera...” e ricomincia il canto, ma arrivata al punto: ‘su quel ramo sta una rosa,<br />

sta un pomo dei più dolci, sta una stella...’ la sua ben tonata voce di contralto si fa prima tremula e<br />

poi si spezza, e con un singhiozzo di gioia ella guarda Gioacchino e, alzando le braccia, grida:<br />

“Sono madre, mio diletto!” e gli si rifugia sul cuore, fra le braccia che egli ha tese e che ora ha<br />

rinserrato intorno alla sua sposa felice. <strong>Il</strong> più casto e felice abbraccio che io abbia visto da quando<br />

sono al mondo. Casto e ardente nella sua castità.<br />

E il dolce rimprovero fra i capelli bianco-neri di Anna: “E non me lo dicevi?”<br />

“Perché volevo esserne certa. Vecchia come sono.... sapermi madre... Non lo potevo credere vero...<br />

e non volevo darti una delusione più amara di tutte. E’ dalla fine del dicembre che io sento farsi<br />

nuove le mie viscere profonde e mettere, come dico, un nuovo ramo. Ma ora su quel ramo è sicuro<br />

il frutto... Vedi? Quella tela è già per quello che verrà.”<br />

“Non è il lino che hai comprato a Gerusalemme in ottobre?”<br />

“Sì. L’ho poi filato mentre attendevo.... e speravo. Speravo perché l’ultimo giorno, mentre pregavo<br />

nel Tempio, il più possibile che sia per una donna presso la Casa di <strong>Dio</strong>, ed era già sera... ricordi che<br />

dicevo: ‘Ancora, ancora un poco’. Non sapevo staccarmi di là senza aver avuto grazia! Ebbene,<br />

nell’ombra che già scendeva, dall’interno del luogo sacro, che io guardavo, con attrazione d’anima<br />

per strappare un assenso dal <strong>Dio</strong> presente, ho visto partire una luce, una scintilla di luce bellissima.<br />

Era candida come luna, eppure aveva in sé tutte le luci di tutte le perle e gemme che sono sulla<br />

terra. Pareva che una delle stelle preziose del Velo, le stelle poste sotto ai piedi dei cherubini, si<br />

staccasse e divenisse splendida di una luce soprannaturale... pareva che oltre il Velo sacro, dalla<br />

Gloria stessa, partisse un fuoco e venisse a me veloce, e nel tagliare l’aria cantasse con voce celeste<br />

dicendo: ‘Ciò che hai chiesto ti venga’. E’ per quello che io canto: ‘Una stella a te verrà’. Che figlio<br />

sarà mai il nostro, che si manifesta come luce di stella nel Tempio e che dice: ‘<strong>Io</strong> sono’ nella Festa<br />

delle Luci? Che tu abbia visto giusto pensandomi una nuova Anna d’Elcana? Come la chiameremo<br />

la creatura nostra, che dolce come un canto d’acque sento parlarmi in seno col suo piccolo cuore<br />

che batte e batte come quello di una tortorina presa fra il cavo delle mani?”<br />

“Se sarà maschio la chiameremo Samuele. Se femmina Stella. La parola che ha fermato il tuo canto<br />

per darmi questa gioia di sapermi padre. La forma che ha preso per manifestarsi fra la sacra ombra<br />

del Tempio.”<br />

“Stella. La nostra Stella, perché, non so, penso, penso sia una bambina. Mi pare che carezze così<br />

dolci non possano venire che da una dolcissima figlia. Perché io non la porto, non ne ho sofferenza.<br />

E’ lei che porta me su un sentiero azzurro e fiorito, come se io fossi sorretta da angeli santi e la terra<br />

fosse già lontana... Ho sempre sentito dalle donne dire che il concepire e il portare è dolore. Ma io<br />

non ho dolore. Mi sento forte, giovane, fresca più di quando ti donai la mia verginità nella<br />

giovinezza lontana. Figlia di <strong>Dio</strong> -poiché è di <strong>Dio</strong> più che nostra questa che nasce da un tronco<br />

inaridito- alla sua mamma non dà pena. Ma solo le porta pace e benedizione: i frutti di <strong>Dio</strong>, suo<br />

vero Padre.”<br />

“Maria allora la chiameremo. Stella del nostro mare, perla, felicità. <strong>Il</strong> nome della prima grande<br />

donna d’Israele. Ma questa non peccherà mai contro il Signore, e a Lui solo darà il suo canto perché


a Lui è offerta, ostia prima di nascere.”<br />

“A Lui è offerta, sì. Maschio o femmina che sia, dopo aver giubilato per tre anni sulla nostra<br />

creatura noi la daremo al Signore. Ostie noi pure con essa, per la gloria di <strong>Dio</strong>.”<br />

Non vedo né odo altro.<br />

Dice Gesù:<br />

“La Sapienza dopo averli illuminati coi sogni della notte scese, Essa, ‘vapore delle virtù di <strong>Dio</strong>,<br />

certa emanazione della gloria dell’Onnipotente’ e divenne Parola per la sterile. Colui che ormai<br />

vedeva prossimo il suo tempo di redimere, <strong>Io</strong>, il Cristo, nipote di Anna, quasi cinquant’anni dopo,<br />

mediante la Parola, opererò miracoli sulle sterili e le malate, sulle ossesse, sulle desolate, su tutte le<br />

miserie della terra.<br />

Ma intanto, per la gioia di avere una Madre, ecco che mormoro arcana Parola nell’ombra del<br />

Tempio che conteneva le speranze d’Israele, del Tempio ormai al limitare della sua vita, perché<br />

nuovo e vero Tempio, non più contenente speranze di un popolo, ma certezza di Paradiso per il<br />

popolo di tutta la terra, e per i secoli dei secoli sino alla fine del mondo, sta per essere sulla terra. E<br />

questa Parola opera il miracolo di render fecondo ciò che infecondo era. E di darmi una Madre, la<br />

quale non ebbe soltanto ottimo naturale, come era sorte lo avesse nascendo da due santi; e, non<br />

avendo soltanto un’anima buona come molti ancor l’hanno, non avendo soltanto continuo<br />

accrescimento di questa bontà per il suo buon volere, non avendo soltanto un corpo immacolato,<br />

ebbe, unica fra le creature, immacolato lo spirito.<br />

Tu hai visto la generazione continua delle anime da <strong>Dio</strong>. Ora pensa quale dovette essere la bellezza<br />

di quest’anima che il Padre aveva vagheggiata da prima che il tempo fosse, di quest’anima che<br />

costituiva le delizie della Trinità, la quale Trinità ardeva di ornarla dei suoi doni per farne dono a Se<br />

stessa. O Tutta Santa, che <strong>Dio</strong> creò per Sé e poi per salute agli uomini! Portatrice del Salvatore, la<br />

prima salvezza tu fosti. Vivente Paradiso, hai col tuo sorriso cominciato a santificare la terra.<br />

L’anima creata per esser anima della Madre di <strong>Dio</strong>! Quando, da un più vivo palpito del Trino<br />

Amore, scaturì questa scintilla vitale, ne giubilarono gli angeli, ché luce più viva mai aveva visto il<br />

Paradiso. Come petalo di empirea rosa, un petalo immateriale e prezioso che era gemma e fiamma,<br />

che era alito di <strong>Dio</strong> che scendeva ad animare una carne ben diversamente che per altre, che<br />

scendeva tanto potente nel suo fuoco che la Colpa non poté contaminarla, essa valicò gli spazi e si<br />

chiuse in un seno santo.<br />

La terra aveva, e non lo sapeva ancora, il suo Fiore. <strong>Il</strong> vero, unico Fiore che fiorisce eterno: giglio e<br />

rosa, mammola e gelsomino, elianto e ciclamino insieme fusi, e con essi tutti i fiori della terra in un<br />

Fiore solo, Maria, nella quale ogni virtù e grazia si aduna.<br />

Nell’aprile la terra di Palestina pareva un enorme giardino, e fragranze e colori davano delizia al<br />

cuore degli uomini. Ma ancora ignota era la più bella Rosa. Ella era già fiorente a <strong>Dio</strong> nel segreto<br />

dell’alvo materno, poiché mia Madre amò da quando fu concepita, ma solo quando la vite dà il suo<br />

sangue per farne vino, e l’odor dei mosti, zuccherino e forte, empie le aie e le nari, Ella avrebbe<br />

sorriso prima a <strong>Dio</strong> e poi al mondo, dicendo col suo superinnocente sorriso: ‘Ecco, la Vite che vi<br />

darà il Grappolo da essere premuto nello strettoio per divenire Medicina eterna al vostro male, è fra<br />

voi’.<br />

Ho detto: ‘Maria amò da quando fu concepita’. Cosa è che dà allo spirito luce e conoscenza? La<br />

Grazia. Cosa è che leva la Grazia? <strong>Il</strong> peccato d’origine e il peccato mortale. Maria, la Senza<br />

Macchia, non fu mai priva del ricordo di <strong>Dio</strong>, della sua vicinanza, del suo amore, della sua luce,<br />

della sua sapienza. Ella potè perciò comprendere e amare quando non era che una carne che si<br />

condensava intorno ad un’anima immacolata che continuava ad amare.<br />

Più avanti ti farò contemplare mentalmente la profondità della verginità di Maria. Ne avrai una<br />

vertigine celeste come quando ti ho fatto considerare la nostra eternità. Intanto considera come il<br />

portare in seno una creatura esente dalla Macchia, che priva di <strong>Dio</strong>, dia alla madre, che pure l’ha<br />

concepita naturalmente, umanamente, una intelligenza superiore e ne faccia un profeta. <strong>Il</strong> profeta<br />

della figlia sua, che ella chiama: ‘Figlia di <strong>Dio</strong>’. E pensa cosa sarebbe stato se dai Primigenitori<br />

innocenti fossero nati innocenti figli, come <strong>Dio</strong> voleva.


Questo, o uomini che dite di avviarvi al ‘superuomo’, e coi vostri vizi vi avviate unicamente al<br />

superdemone, sarebbe stato il mezzo per portare al ‘superuomo’. Saper rimanere senza<br />

contaminazione di Satana per lasciare a <strong>Dio</strong> l’amministrazione della vita, della conoscenza, del<br />

bene, non desiderando più di quanto -ed era poco meno che infinito- <strong>Dio</strong> non vi avesse dato, per<br />

poter generare, in una continua evoluzione verso il perfetto, dei figli che fossero uomini nel corpo e<br />

figli dell’Intelligenza nello spirito, ossia trionfatori, ossia forti, ossia giganti su Satana, che sarebbe<br />

stato atterrato tante migliaia di secoli avanti l’ora in cui lo sarà, e con lui tutto il suo male.”<br />

5. Nascita di Maria. La sua verginità nell’eterno pensiero del Padre.<br />

26 agosto 1944<br />

Vedo Anna uscire dall’orto-giardino. Si appoggia al braccio di una parente certo, perché le somiglia.<br />

E’ molto grossa e pare affaticata forse anche dall’afa, proprio simile a questa che accascia me.<br />

Per quanto l’orto sia ombroso, pure l’aria è rovente, pesante. Un’aria da tagliarsi come una pasta<br />

molle e calda, tanto è densa, sotto uno spietato cielo di un azzurro che la polvere sospesa negli spazi<br />

fa lievemente fosco. Da molto deve esservi siccità, perché la terra, dove non è irrigata, è<br />

letteralmente ridotta a polvere finissima e quasi bianca. Di un bianco lievemente tendente a rosa<br />

sporco, mentre è marrone rosso scuro, per essere bagnata, al piede delle piante o lungo le brevi<br />

aiuole dove crescono filari di ortaggi, e intorno ai rosai, ai gelsomini, ad altri fiori e fioretti, che<br />

sono specie sul davanti e lungo una bella pergola che taglia per metà il brolo sino al principio dei<br />

campi, ormai spogli di biade. Anche l’erba del prato, che segna la fine della proprietà, è arsiccia e<br />

rada. Solo ai margini di esso, là dove è una siepe di biancospino selvatico, già tutto tempestato dei<br />

rubini dei piccoli frutti, l’erba è più verde e folta, e là, in cerca di pastura e d’ombra, sono delle<br />

pecorelle con un piccolo mandriano.<br />

Gioacchino è intorno ai filari e agli ulivi. Ha con lui due uomini che l’aiutano. Ma, per quanto<br />

anziano, è svelto e lavora con gusto. Stanno aprendo delle piccole chiudende ai limiti di un campo,<br />

per dare acqua alle piante assetate; e l’acqua si fa strada gorgogliando fra l’erba e la terra arsa, e si<br />

stende in anelli che per un momento paiono di un cristallo giallastro e poi sono solo anelli scuri di<br />

terra umida, intorno ai tralci e agli ulivi stracarichi.<br />

Lentamente Anna, per la pergola ombrosa, sotto la quale api d’oro ronzano, ghiotte dello zucchero<br />

di acini biondi, va verso Gioacchino, che quando la vede le si affretta incontro.<br />

“Fin qui sei giunta?”<br />

“La casa è calda come un forno.”<br />

“E tu ne soffri.”<br />

“L’unica sofferenza di questa mia ultima ora di gravida. La sofferenza di tutti, uomini e bestie. Non<br />

ti accaldare troppo, Gioacchino.”<br />

“L’acqua, sperata da tanto, e che da tre giorni pareva proprio vicina, non è ancora venuta, e la<br />

campagna brucia. Buon per noi che vi è la sorgente vicina ed è così ricca d’acque. Ho aperto i<br />

canali. Poco sollievo per le piante, che hanno le foglie vizze e coperte di polvere. Ma quel tanto da<br />

tenerle in vita. Se piovesse!...” Gioacchino, con l’ansia di tutti gli agricoltori, scruta il cielo, mentre<br />

Anna, stanca, si sventola con un ventaglio che pare fatto con una foglia secca di palma, intrecciata<br />

con fili multicolori che la tengono rigida.<br />

La parente dice: “Là, oltre il Grande Hermon, sorgono nubi veloci. Vento di settentrione.<br />

Rinfrescherà e forse darà acqua.”<br />

“E’ tre giorni che si leva e poi cade col sorger della luna. Farà così ancora.”. Gioacchino è<br />

sconfortato.<br />

“Torniamo in casa. Anche qui non si respira e poi penso che sia bene tornare...” dice Anna, che<br />

sembra ancor più olivastra per un pallore che le è venuto sul viso.<br />

“Soffri?”<br />

“No. Ma sento quella gran pace che ho sentito nel Tempio quando mi fu fatta grazia, e che ho<br />

sentito ancora quando seppi d’esser madre. E’ come un’estasi. Un dolce sonno del corpo, mentre lo


spirito giubila e si placa in una pace senza paragone umano. Ti ho amato, Gioacchino, e quando<br />

sono entrata nella tua casa e mi sono detta: ‘Sono sposa di un giusto’, ho avuto pace, e così tutte le<br />

volte che il tuo provvido amore aveva cure per la tua Anna. Ma questa pace è diversa. Vedi, io credo<br />

che è una pace come quella che dovette invadere, come olio che si spande e molce, lo spirito di<br />

Giacobbe, nostro padre, dopo il suo sogno d’angeli; e, meglio ancora, simile alla pace gioiosa dei<br />

Tobia dopo che Raffaele si manifestò loro. Se mi vi sprofondo, nel gustarla essa sempre più cresce.<br />

E’ come io salissi per gli spazi azzurri del cielo... e, non so perché, da quando io ho in me questa<br />

gioia pacifica, io ho un cantico in cuore, quello del vecchio Tobia. Mi pare sia stato scritto per<br />

quest’ora... per questa gioia... per la terra d’Israele che la riceve... per Gerusalemme peccatrice e ora<br />

perdonata... ma... -ma non ridete dei deliri di una madre...- ma quando dico: ‘Ringrazia il Signore<br />

per i tuoi beni e benedici il <strong>Dio</strong> dei secoli, affinché riedifichi in te il suo Tabernacolo’, io penso che<br />

colui che riedificherà nella Gerusalemme il Tabernacolo del <strong>Dio</strong> Vero sarà questo che sta per<br />

nascere..., e penso ancora che non più della Città santa, ma della mia creatura sia profetizzata la<br />

sorte quando il cantico dice: ‘Tu brillerai di luce splendida, tutti i popoli della terra a te si<br />

prostreranno, le nazioni verranno a te portando doni, adoreranno in te il Signore e terranno come<br />

santa la tua terra, perché dentro di te invocheranno il Grande Nome. Tu sarai felice nei tuoi figli,<br />

perché tutti saranno benedetti e si riuniranno presso il Signore. Beati quelli che ti amano e gioiscono<br />

della tua pace!...’ e la prima a gioirne sono io, la sua madre beata...”<br />

Anna si trascolora e si accende come cosa portata da luce lunare a gran fuoco e viceversa, nel dire<br />

queste parole. Delle dolci lacrime le scorrono sulle gote, né se ne avvede, e sorride alla sua gioia. E<br />

intanto va verso casa fra lo sposo e la parente, che ascoltano e tacciono commossi.<br />

Si affrettano perché le nubi, spinte da un vento alto, galoppano e crescono per il cielo, e la pianura<br />

si fa scura e abbrividisce per un avviso di temporale. Quando giungono alla soglia di casa, un primo<br />

lampo livido solca il cielo e il rumore del primo tuono pare il rullare di un’enorme grancassa che si<br />

mesca all’arpeggio delle prime gocce sulle foglie arse.<br />

Entrano tutti e Anna si ritira, mentre Giochino, raggiunto dai garzoni, parla sulla porta, di questa<br />

tanto attesa acqua, che è benedizione per la terra sitibonda. Ma la gioia si muta in timore, perché<br />

viene un temporale violentissimo con fulmini e nubi cariche di grandine. “Se la nube rompe, l’uva e<br />

le ulive saranno frante come da mola. Miseri noi!”<br />

Un’altra ansia ha poi Gioacchino, per la sposa a cui è giunta l’ora di dare alla luce il figlio. La<br />

parente lo rassicura che Anna non soffre affatto. Ma egli è in orgasmo, e ogni volta che la parente o<br />

altre donne, fra cui la mamma di Alfeo, escono dalla stanza di Anna per tornarvi con acqua calda e<br />

bacili e lini asciugati alla fiamma che splende ilare sul focolare centrale in un’ampia cucina, va e<br />

chiede, e non si placa per le loro rassicurazioni. Anche l’assenza di gridi da parte di Anna lo<br />

preoccupa. Dice: “<strong>Io</strong> sono uomo e non ho mai visto partorire. Ma mi ricordo d’aver sentito dire che<br />

l’assenza di doglie è fatale...”<br />

Viene la sera, anticipata dalla furia temporalesca che è violentissima. Acqua torrenziale, vento,<br />

fulmini, vi è di tutto, meno la grandine che è andata ad abbattersi altrove.<br />

Uno dei garzoni nota questa violenza e dice: "Sembra che Satana sia uscito coi suoi demoni dalla<br />

Geenna. Guarda che nubi nere! Senti che fiato di zolfo è nell'aria e fischi e sibili e voci di lamento e<br />

maledizione. Se è lui, è furente questa sera!"<br />

L'altro garzone ride e dice: “Gli sarà sfuggita una grande preda, oppure Michele lo ha percosso con<br />

nuova folgore di <strong>Dio</strong>, e lui ne ha corna e coda mozze e arse.”<br />

Passa di corsa una donna e grida: “Gioacchino! Sta per nascere! E tutto fu svelto e felice!” e<br />

scompare con un’anforetta fra le mani.<br />

<strong>Il</strong> temporale cade di colpo, dopo un ultimo fulmine così violento che sbatte contro le pareti i tre<br />

uomini; e sul davanti della casa, nel suolo dell’orto, resta a suo ricordo una buca nera e fumante. E<br />

mentre un vagito, che pare il lamento di una tortorina che per la prima volta non pigoli più ma tubi,<br />

viene da oltre la porta di Anna, un enorme arcobaleno stende la sua fascia a semicerchio su tutta<br />

l’ampiezza del cielo. Sorge, o per lo meno pare sorgere, dalla cima dell’Hermon che, baciata da una<br />

lama di sole, pare di alabastro di un bianco rosa delicatissimo; si alza fino al più terso cielo di<br />

settembre e, valicando per spazi detersi da ogni impurità, sorvola le colline di Galilea e la piana che


appare, fra due alberi di fico, che è a sud, e poi ancora un altro monte; e sembra posare la sua punta<br />

estrema all’estremo orizzonte, là dove un’aspra catena di monti chiude ogni altra veduta.<br />

“Che cosa mai vista!”<br />

“Guardate, guardate!”<br />

“Pare che leghi in un cerchio tutta la terra di Israele, e già, ma guardate, già vi è una stella mentre<br />

ancor non è scomparso il sole. Che stella! Brilla come un enorme diamante!...”<br />

“E la luna, là, è tutta piena, mentre ancor mancano tre giorni al suo esserlo. Ma guardate come<br />

splende!”<br />

Le donne sopraggiungono festanti con un batuffolino roseo fra candide tele.<br />

E’ Maria, la Mamma! Una Maria piccolina che potrebbe dormire fra il cerchio di braccia di un<br />

fanciullo, una Maria lunga al massimo quanto un braccio, una testolina di avorio tinto di rosa tenue,<br />

e delle labbruzze di carminio, che non piangono già più ma fanno l’istintivo atto si succhiare, così<br />

piccine che non si sa come faranno a prendere un capezzolo, un nasetto minuto fra due gotine tonde<br />

e, quando stuzzicandola le fanno aprire gli occhietti, due pezzettini di cielo, due puniti innocenti e<br />

azzurri che guardano, e non vedono, fra ciglia sottili e di un biondo quasi roseo, tanto è biondo.<br />

Anche i capellucci sulla testolina tonda hanno la velatura roseo-bionda di certi mieli che sono quasi<br />

bianchi.<br />

Per orecchie, due conchigliette rosee e trasparenti, perfette. E per manine... cosa sono quelle due<br />

cosine che annaspano per l’aria e poi vanno alla bocca? Chiuse come ora, due bocci di rosa<br />

borraccina che abbiano fenduto il verde dei sepali e sporgano la loro seta di rosa tenue; aperte come<br />

ora, due gioiellini d’avorio appena rosato, di alabastro appena rosato, con cinque pallide granate per<br />

unghiette. Come faranno quelle manine ad asciugare tanto pianto?<br />

E i piedini? Dove sono? Per ora sono solo uno zampettio nascosto fra i lini. Ma ecco che la parente<br />

si siede e la scopre.... Oh! i piedini! Lunghi un quattro centimetri, hanno per pianta una conchiglia<br />

corallata, per dorso una conchiglia di neve venata d’azzurro, per ditine dei capolavori di scultura<br />

lillipuziana, anche loro coronate di piccole scaglie di granata pallida. Ma come si troveranno<br />

sandaletti, quando quei piedini di bambola faranno i primi passi, tanto piccini da poter stare su quei<br />

piedini? E come faranno quei piedini a fare tanto aspro cammino e sorreggere tanto dolore sotto una<br />

croce?<br />

Ma ora questo non si sa, e si ride e sorride del suo annaspare e sgambettare, delle belle gambette<br />

tornite, delle cosce minute che fanno fossette e braccialetti tanto sono grassottelle, della pancina,<br />

una coppa capovolta, del piccolo torace perfetto sotto la cui seta candida si vede il moto del respiro<br />

e certo si ode, se, come fa il padre felice ora, vi si appoggia la bocca ad un bacio, battere un<br />

cuoricino.... Un cuoricino che è il più bello che ha la terra nei secoli dei secoli, l’unico cuore<br />

immacolato di uomo.<br />

E la schiena? Ecco che la rivoltano, e si vede la falcatura delle reni e poi le spalle grassottelle e la<br />

nuca rosea così forte che, ecco, la testolina si alza sull’arco delle vertebre minute, e pare il capino di<br />

un uccello che scruti intorno il mondo nuovo che vede, e ha un gridino di protesta per esser così<br />

mostrata, Lei, la Pura e Casta, agli occhi di tanti, Lei che uomo non vedrà mai più nuda, la Tutta<br />

Vergine, la Santa ed Immacolata. Coprite, coprite questo Boccio di giglio che non sarà mai aperto<br />

sulla terra e che darà, più bello ancor di Lei, il suo Fiore, pur restando boccio. Solo nei Cieli il<br />

Giglio del Trino Signore aprirà tutti i suoi petali. Perché lassù non vi è polvere di colpa che possa<br />

involontariamente profanare quel candore. Perché lassù vi è da accogliere, alla vista di tutto<br />

l’Empireo, il Trino Iddio che ora, fra pochi anni, celato in un cuore senza macchia, sarà in Lei:<br />

Padre, Figlio, Sposo.<br />

Eccola di nuovo fra i lini e fra le braccia del padre terreno, cui Ella somiglia. Non ora. Ora è un<br />

abbozzo d’uomo. <strong>Io</strong> dico che gli somiglia fatta donna. Della madre non ha nulla. Del padre il colore<br />

della pelle e degli occhi, e certo anche dei capelli che, se ora sono bianchi, in gioventù erano certo<br />

biondi come lo dicono le sopracciglia; del padre le fattezze, rese più perfette e gentili per essere Lei<br />

donna, e quella Donna; del padre il sorriso e lo sguardo e il modo di muoversi e la statura. Pensando<br />

a Gesù, come lo vedo, trovo che Anna ha dato la sua statura al Nipote e il colore più avorio carico<br />

della pelle. Mentre Maria non ha quell’imponenza di Anna, una palma alta e flessuosa, ma la


gentilezza del padre.<br />

Anche le donne parlano del temporale e del prodigio della luna, della stella, dell’immenso<br />

arcobaleno, mentre con Gioacchino entrano dalla madre felice e le rendono la creaturina.<br />

Anna sorride ad un suo pensiero: “E’ la Stella” dice. “<strong>Il</strong> suo segno è nel cielo. Maria, arco di pace!<br />

Maria, stella mia! Maria, pura luna! Maria, perla nostra!”<br />

“Maria la chiami?”<br />

“Sì. Maria, stella e perla e luce e pace...”<br />

“Ma vuol dire anche amarezza.... Non temi portarle sventura?”<br />

“<strong>Dio</strong> è con Lei. E’ sua da prima che fosse. Egli la condurrà per le sue vie ed ogni amarezza si<br />

muterà in paradisiaco miele. Or sii della tua mamma.... ancora per un poco, prima di esser tutta di<br />

<strong>Dio</strong>...”<br />

E la visione ha termine sul primo sonno di Anna madre e di Maria infante.<br />

27 agosto 1944<br />

Dice Gesù:<br />

“Sorgi e ti affretta, piccola amica. Ho ardente desiderio di portarti con Me nell’azzurro paradisiaco<br />

della contemplazione della Verginità di Maria. Ne uscirai con l’anima fresca come fossi tu pure<br />

testé creata dal Padre, una piccola Eva che ancora non conosce carne. Ne uscirai con lo spirito pieno<br />

di luce, perché ti tufferai nella contemplazione del capolavoro di <strong>Dio</strong>. Parlare del concepimento di<br />

Maria, la Senza Macchia, vuol dire tuffarsi nell’azzurro, nella luce, nell’amore.<br />

Vieni e leggi le glorie di Lei nel libro dell’Avo: ‘<strong>Dio</strong> mi possedete all’inizio delle sue opere, fin dal<br />

principio, avanti la creazione. Ab eterno fui stabilita, al principio, avanti che fosse fatta la terra, non<br />

erano ancora gli abissi ed io ero già concepita. Non ancora le sorgenti dell’acque rigurgitavano ed i<br />

monti s’erano eretti nella loro grave mole, né le colline eran monili al sole, che io ero partorita. <strong>Dio</strong><br />

non aveva ancora fatto la terra, i fiumi e i cardini del mondo, ed io ero. Quando preparava i cieli, io<br />

ero presente, quando con legge immutabile chiuse sotto la volta l’abisso, quando rese stabile in alto<br />

la volta celeste e vi sospese le fonti delle acque, quando fissava al mare i suoi confini e dava leggi<br />

alle acque, quando dava legge alle acque di non passare il loro termine, quando gettava i fondamenti<br />

della terra, io ero con Lui a ordinare tutte le cose. Sempre nella gioia scherzavo dinanzi a Lui<br />

continuamente, scherzavo nell’universo...’ Le avete applicate alla Sapienza, ma parlan di Lei: la<br />

bella Madre, la santa Madre, la vergine Madre della Sapienza che <strong>Io</strong> sono che ti parlo.<br />

Ho voluto che tu scrivessi il primo verso di questo inno in capo al libro che parla di Lei, perché<br />

fosse confessata e nota la consolazione e la gioia di <strong>Dio</strong>; la ragione della sua costante, perfetta,<br />

intima letizia di questo <strong>Dio</strong> uno e trino, che vi regge e ama e che dall’uomo ebbe tante ragioni di<br />

tristezza; la ragione per cui perpetuò la razza anche quando, alla prima prova, s’era meritata d’esser<br />

distrutta; la ragione del perdono che avete avuto.<br />

Aver Maria che lo amasse. Oh! ben meritava creare l’uomo, e lasciarlo vivere, e decretare di<br />

perdonarlo, per avere la Vergine bella, la Vergine santa, la Vergine immacolata, la Vergine<br />

innamorata, la Figlia diletta, la Madre purissima, la Sposa amorosa! Tanto e più ancora vi ha dato e<br />

vi avrebbe dato Iddio pur di possedere la Creatura delle sue delizie, il Sole del suo sole, il Fiore del<br />

suo giardino. E tanto vi continua a dare per Lei, a richiesta di Lei, per la gioia di Lei, perché la sua<br />

gioia si riversa nella gioia di <strong>Dio</strong> e l’aumenta a bagliori che empiono di sfavillii la luce, la gran luce<br />

del Paradiso, ed ogni sfavillio è una grazia all’universo, alla razza dell’uomo, ai beati stessi, che<br />

rispondono con un loro sfavillante grido di alleluia ad ogni generazione di miracolo divino, creato<br />

dal desiderio del <strong>Dio</strong> trino di vedere lo sfavillante riso di gioia della Vergine.<br />

<strong>Dio</strong> volle mettere un re nell’universo che Egli aveva creato dal nulla. Un re che, per natura della<br />

materia, fosse il primo fra tutte le creature create con materia e dotate di materia. Un re che, per<br />

natura dello spirito, fosse poco men che divino, fuso alla Grazia come era nella sua innocente prima<br />

giornata. Ma la Mente suprema, a cui sono noti tutti gli avvenimenti più lontani nei secoli, la cui<br />

vista vede incessantemente tutto quanto era, è, e sarà; e che, mentre contempla il passato, e osserva<br />

il presente, ecco che sprofonda lo sguardo nell’ultimo futuro e non ignora come sarà il morire<br />

dell’ultimo uomo, senza confusione né discontinuità, non ha mai ignorato che il re da Lui creato per


esser semidivino al suo fianco in Cielo, erede del Padre, giunto adulto al suo Regno dopo aver<br />

vissuto nella casa della madre -la terra con cui fu fatto- durante la sua puerizia di pargolo<br />

dell’Eterno per la sua giornata della terra, avrebbe commesso verso se stesso il delitto di uccidersi<br />

nella Grazia e il ladrocinio di derubarsi del Cielo.<br />

Perché allora lo ha creato? Certo che molti se lo chiedono. Avreste preferito non essere? Non<br />

merita, anche per se stessa, pur così povera e ignuda, e fatta aspra dalla vostra cattiveria, di esser<br />

vissuta, questa giornata, per conoscere e ammirare l’infinito Bello che la mano di <strong>Dio</strong> ha seminato<br />

nell’universo?<br />

Per chi avrebbe fatto questi astri e pianeti che scorrono come saette e frecce, rigando l’arco del<br />

firmamento, o vanno, e paiono lenti, vanno maestosi nella loro corsa di bolidi, regalandovi luci e<br />

stagioni e dandovi, eterni, immutabili e pur mutabili sempre, una nuova pagina da leggere<br />

sull’azzurro, ogni sera, ogni mese, ogni anno, quasi volessero dirvi: ‘Dimenticate la carcere, lasciate<br />

le vostre stampe piene di cose oscure, putride, sporche, velenose, bugiarde, bestemmiatrici,<br />

corruttrici, e elevatevi, almeno con lo sguardo, nella illimitata libertà dei firmamenti, fatevi<br />

un’anima azzurra guardando tanto sereno, fatevi una riserva di luce da portare nella vostra carcere<br />

buia, leggete la parola che noi scriviamo cantando il nostro coro siderale, più armonioso di quello<br />

tratto da organo di cattedrale, la parola che noi scriviamo splendendo, la parola che noi scriviamo<br />

amando, poiché sempre abbiamo presente Colui che ci dette la gioia di essere, e lo amiamo per<br />

averci dato questo essere, questo splendere, questo scorrere, questo esser liberi e belli in mezzo a<br />

questo azzurro soave oltre il quale vediamo un azzurro ancor più sublime, il Paradiso, e del quale<br />

compiamo la seconda parte del precetto d’amore amando voi, prossimo nostro universale, amandovi<br />

col darvi guida e luce, calore e bellezza. Leggete la parola che noi diciamo, ed è quella su cui<br />

regoliamo il nostro canto, il nostro splendere, il nostro ridere: <strong>Dio</strong>’?<br />

Per chi avrebbe fatto quel liquido azzurro, specchio al cielo, via alla terra, sorriso d’acque, voce di<br />

onde, parola anch’essa che con fruscii di seta smossa, con risatelle di fanciulle serene, con sospiri di<br />

vecchi che ricordano e piangono, con schiaffi di violento, e cozzi, e muggiti e boati, sempre parla e<br />

dice: ‘<strong>Dio</strong>’? <strong>Il</strong> mare è per voi, come lo sono il cielo e gli astri. E col mare i laghi e i fiumi, gli<br />

stagni e i ruscelli, e le sorgenti pure, che servono tutti a portarvi, a nutrirvi, a dissetarvi e mondarvi,<br />

e che vi servono, servendo il Creatore, senza uscire a sommergervi come meritate.<br />

Per chi avrebbe fatto tutte le innumerabili famiglie degli animali, che sono fiori che volano<br />

cantando, che sono servi che corrono, che lavorano, che nutrono, che ricreano voi: i re?<br />

Per chi avrebbe fatto le innumerabili famiglie delle piante, e dei fiori che paiono farfalle, che paiono<br />

gemme e immoti uccellini, dei frutti che paiono monili o scrigni di gemme, che son tappeto ai vostri<br />

piedi, riparo alle vostre teste, svago, utile, gioia alla mente, alle membra, alla vista e all'olfatto?<br />

Per chi avrebbe fatto i minerali fra le viscere del suolo e i sali disciolti in algide o bollenti sorgive,<br />

gli zolfi, gli iodi, i bromi, se non perché se li godesse uno che non fosse <strong>Dio</strong> ma figlio di <strong>Dio</strong>? Uno:<br />

l’uomo.<br />

Alla gioia di <strong>Dio</strong>, al bisogno di <strong>Dio</strong> nulla occorreva. Egli si basta a Se stesso. Non ha che<br />

contemplarsi per bearsi, nutrirsi, vivere e riposarsi. Tutto il creato non ha aumentato di un atomo la<br />

sua infinità in gioia, bellezza, vita, potenza. Ma tutto l’ha fatto per la creatura che ha voluto mettere<br />

re nell’opera da Lui fatta: l’uomo.<br />

Per vedere tant’opera di <strong>Dio</strong> e per riconoscenza alla sua potenza che ve la dona, merita di vivere. E<br />

di esser viventi dovete esser grati. L’avreste dovuto anche se non foste stati redenti altro che alla<br />

fine dei secoli, perché, nonostante siate stati nei Primi e lo siate tuttora singolarmente, prevaricatori,<br />

superbi, lussuriosi, omicidi, <strong>Dio</strong> vi concede ancora di godere del bello dell’universo, del buono<br />

dell’universo, e vi tratta come foste dei buoni, dei figli buoni a cui tutto è insegnato e concesso per<br />

rendere loro più dolce e sana la vita. Quanto sapete, lo sapete per lume di <strong>Dio</strong>. Quanto scoprite, lo<br />

scoprite per indicazione di <strong>Dio</strong>. Nel bene. Le altre cognizioni e scoperte, che portano segno di male,<br />

vengono dal Male supremo: Satana.<br />

La Mente Suprema, che nulla ignora, prima che l’uomo fosse sapeva che l’uomo sarebbe stato di se<br />

stesso ladro e omicida. E poiché la Bontà eterna non ha limiti nel suo esser buona, prima che la<br />

Colpa fosse pensò il mezzo per annullare la Colpa. <strong>Il</strong> mezzo: <strong>Io</strong>. Lo strumento per fare del mezzo


uno strumento operante: Maria. E la Vergine fu creata nel Pensiero sublime di <strong>Dio</strong>.<br />

Tutte le cose sono state create per Me, Figlio diletto del Padre. <strong>Io</strong>-Re avrei dovuto avere sotto il mio<br />

piede di Re divino tappeti e gioielli quale nessuna reggia ne ebbe, e canti e voci, e servi e ministri<br />

intorno al mio essere quanti nessun sovrano ne ebbe, e fiori e gemme, tutto il sublime, il grandioso,<br />

il gentile, il minuto è possibile trarre dal pensiero di un <strong>Dio</strong>.<br />

Ma <strong>Io</strong> dovevo esser Carne oltre che Spirito. Carne per salvare carne. Carne per sublimare la carne,<br />

portandola in Cielo molti secoli avanti l’ora. Perché la carne abitata dallo spirito è il capolavoro di<br />

<strong>Dio</strong>, e per essa era stato fatto il Cielo. Per esser Carne avevo bisogno di una Madre. Per esser <strong>Dio</strong><br />

avevo bisogno che il Padre fosse <strong>Dio</strong>.<br />

Ecco allora <strong>Dio</strong> crearsi la Sposa e dirle: ‘Vieni meco. Al mio fianco vedi quanto <strong>Io</strong> faccio per il<br />

Figlio nostro. Guarda e giubila, eterna Vergine, Fanciulla eterna, ed il tuo riso empia questo empireo<br />

e dia agli angeli la nota iniziale, al Paradiso insegni l’armonia celeste. <strong>Io</strong> ti guardo. E ti vedo quale<br />

sarai, o Donna immacolata che ora sei solo spirito: lo spirito in cui <strong>Io</strong> mi beo. <strong>Io</strong> ti guardo e dò<br />

l’azzurro del tuo sguardo al mare e al firmamento, il colore dei tuoi capelli al grano santo, il candore<br />

al giglio e il roseo alla rosa come è la tua epidermide di seta, copio le perle dai tuoi denti minuti,<br />

faccio le dolci fragole guardando la tua bocca, agli usignoli metto in gola le tue note e alle tortore il<br />

tuo pianto. E leggendo i tuoi futuri pensieri, udendo i palpiti del tuo cuore, <strong>Io</strong> ho il motivo di guida<br />

nel creare. Vieni, mia Gioia, abbiti i mondi per trastullo sinché mi sarai luce danzante nel Pensiero, i<br />

mondi per tuo riso, abbiti i serti di stelle e le collane d’astri, mettiti la luna sotto i piedi gentili,<br />

fàsciati nella sciarpa stellare di Galatea. Sono per te le stelle ed i pianeti. Vieni e godi vedendo i<br />

fiori, che saranno giuoco al tuo Bambino e guanciale al Figlio del tuo seno. Vieni e vedi creare le<br />

pecore e gli agnelli, le aquile e le colombe. Siimi presso mentre faccio le coppe dei mari e dei fiumi<br />

e alzo le montagne e le dipingo di neve e di selve, mentre semino le biade e gli alberi e le viti, e<br />

faccio l’ulivo per te, mia Pacifica, e la vite per te, mio Tralcio che porterai il Grappolo eucaristico.<br />

Scorri, vola, giubila, o mia Bella, e il mondo universo, che si crea d’ora in ora, impari ad amarmi da<br />

te, Amorosa, e si faccia più bello per il tuo riso, Madre del mio Figlio, Regina del mio Paradiso,<br />

Amore del tuo <strong>Dio</strong>’. E ancora, vedendo l’Errore e mirando la Senza Errore: ‘Vieni a Me, tu che<br />

cancelli l’amarezza della disubbidienza umana, della fornicazione umana con Satana, e dell’umana<br />

ingratitudine. <strong>Io</strong> prenderò con te la rivincita su Satana.’<br />

<strong>Dio</strong>, Padre Creatore, aveva creato l’uomo e la donna con una legge d’amore tanto perfetta che voi<br />

non ne potete più nemmeno comprendere le perfezioni. E vi smarrite nel pensare a come sarebbe<br />

venuta la specie se l’uomo non avesse ottenuta con l’insegnamento di Satana..<br />

Guardate le piante da frutto e da seme. Ottengono seme e frutto mediante fornicazione, mediante<br />

una fecondazione su cento coniugi? No. Dal fiore maschio esce il polline e, guidato da un<br />

complesso di leggi meteoriche e magnetiche, va all’ovario del fiore femmina. Questo si apre e lo<br />

riceve e produce. Non si sporca e lo rifiuta poi, come voi fate , per gustare il giorno dopo la stessa<br />

sensazione. Produce, e sino alla nuova stagione non si infiora, e quando s’infiora è per riprodurre.<br />

Guardate gli animali. Tutti. Avete mai visto un animale maschio ed uno femmina andare l’un verso<br />

l’altro per sterile abbraccio e lascivo commercio? No. Da vicino o da lontano, volando, strisciando,<br />

balzando o correndo, essi vanno, quando è l’ora, al rito fecondativo, né vi si sottraggono fermandosi<br />

al godimento, ma vanno oltre, alle conseguenze serie e sante della prole, unico scopo che<br />

nell’uomo, semidio per l’origine di Grazia che <strong>Io</strong> ho reso intera, dovrebbe fare accettare l’animalità<br />

dell’atto, necessario da quando siete discesi di un grado verso l’animale.<br />

Voi non fate come le piante e gli animali. Voi avete avuto a maestro Satana, lo avete voluto a<br />

maestro e lo volete. E le opere che fate sono degne del maestro che avete voluto. Ma, se foste stati<br />

fedeli a <strong>Dio</strong>, avreste avuto la gioia dei figli, santamente, senza dolore, senza spossarvi in copule<br />

oscene, indegne, che ignorano anche le bestie, le bestie senz’anima ragionevole e spirituale.<br />

All’uomo e alla donna, depravati da Satana, <strong>Dio</strong> volle opporre l’Uomo nato da Donna<br />

soprasublimata da <strong>Dio</strong>, al punto di generare senza aver conosciuto uomo: Fiore che genera Fiore<br />

senza bisogno di seme, ma per unico bacio del Sole sul calice inviolato del Giglio-Maria.<br />

La rivincita di <strong>Dio</strong>!<br />

Fischia, o Satana, il tuo livore mentre Ella nasce. Questa Pargola ti ha vinto! Prima che tu fossi il


Ribelle, il Tortuoso, il Corruttore, eri già il Vinto e Lei è la tua Vincitrice. Mille eserciti schierati<br />

nulla possono contro la tua potenza, cadono le armi degli uomini contro le tue scaglie, o Perenne, e<br />

non vi è vento che valga a disperdere il lezzo del tuo fiato. Eppure questo calcagno d’infante, che è<br />

tanto roseo da parere l’interno di una camelia rosata, che è tanto liscio e morbido che la seta è aspra<br />

al paragone, che è tanto piccino che potrebbe entrare nel calice di un tulipano e farsi di quel raso<br />

vegetale una scarpina, ecco che ti preme senza paura, ecco che ti confina nel tuo antro. Eppure ecco<br />

che il suo vagito ti fa volgere in fuga, tu che non hai paura degli eserciti, e il suo alito purifica il<br />

mondo dal tuo fetore. Sei vinto,. <strong>Il</strong> suo nome, il suo sguardo, la sua purezza sono lancia, folgore e<br />

pietrone che ti trafiggono, che ti abbattono, che ti imprigionano nella tua tana d’Inferno, o<br />

Maledetto, che hai tolto a <strong>Dio</strong> la gioia d’esser Padre di tutti gli uomini creati!<br />

Inutilmente ormai li hai corrotti, questi che erano stati creati innocenti, portandoli a conoscere e a<br />

concepire attraverso a sinuosità di lussuria, privando <strong>Dio</strong>, nella creatura sua diletta, di essere<br />

l’elargitore dei figli secondo regole che, se fossero state rispettate, avrebbero mantenuto sulla terra<br />

un equilibrio fra i sessi e le razze, atto ad evitare guerre fra popoli e sventure fra famiglie.<br />

Ubbidendo, avrebbero conosciuto l’amore. Anzi, solo ubbidendo avrebbero conosciuto l’amore e<br />

l’avrebbero avuto. Un possesso pieno e tranquillo di questa emanazione di <strong>Dio</strong>, che dal<br />

soprannaturale scende all’inferiore, perché anche la carne ne giubili santamente, essa che è<br />

congiunta allo spirito e creata dallo Stesso che le creò lo spirito.<br />

Ora il vostro amore, o uomini, i vostri amori, che sono? O libidine vestita di amore. O paura<br />

insanabile di perdere l’amore del coniuge per libidine sua e di altri. Non siete mai più sicuri del<br />

possesso del cuore dello sposo o della sposa, da quando libidine è nel mondo. E tremate e piangete e<br />

divenite folli di gelosia, assassini talora per vendicare un tradimento, disperati talaltra, abulici in<br />

certi casi, dementi in altri.<br />

Ecco che hai fatto, Satana, ai figli di <strong>Dio</strong>. Questi, che hai corrotti, avrebbero conosciuto la gioia di<br />

aver figli senza avere il dolore, la gioia di esser nati senza paura del morire. Ma ora sei vinto in una<br />

Donna e per la Donna. D’ora innanzi chi l’amerà tornerà ad essere di <strong>Dio</strong>, superando le tue<br />

tentazioni per poter guardare la sua immacolata purezza. D’ora innanzi, non potendo concepire<br />

senza dolore, le madri avranno Lei per conforto. D’ora innanzi l’avranno le spose a guida e i<br />

morenti a madre, per cui dolce sarà il morire su quel seno che è scudo contro te, Maledetto, e<br />

contro il giudizio di <strong>Dio</strong>.<br />

Maria, piccola voce, hai visto la nascita del Figlio della Vergine e la nascita al Cielo della Vergine.<br />

Hai visto perciò che ai senza colpa è sconosciuta la pena del dare alla vita e la pena nel darsi alla<br />

morte. Ma se alla superinnocente Madre di <strong>Dio</strong> fu riserbata la perfezione dei celesti doni, a tutti, che<br />

nei Primi fossero rimasti innocenti e figli di <strong>Dio</strong>, sarebbe venuto il generare senza doglie, come era<br />

giusto per aver saputo congiungersi e concepire senza lussuria, e il morire senza affanno.<br />

La sublime rivincita di <strong>Dio</strong> sulla vendetta di Satana è stata il portare la perfezione della creatura<br />

diletta ad una superperfezione, che annullasse almeno in una ogni ricordo di umanità, suscettibile al<br />

veleno di Satana, per cui non da casto abbraccio d’uomo ma da divino amplesso, che fa trascolorare<br />

lo spirito nell’estasi del Fuoco, sarebbe venuto il Figlio.<br />

La Verginità della Vergine!...<br />

Vieni. Medita questa verginità profonda, che dà nel contemplarla vertigini d’abisso! Cosa è la<br />

povera verginità forzata della donna che nessun uomo ha sposato? Meno che nulla. Cosa la<br />

verginità di quella che volle esser vergine per esser di <strong>Dio</strong>, ma sa esserlo solo nel corpo e non nello<br />

spirito, nel quale lascia entrare tanti estranei pensieri, e carezza e accetta carezze di umani pensieri?<br />

Comincia ad essere una larva di verginità. Ma ben poco ancora. Cosa è la verginità di una claustrata<br />

che vive solo di <strong>Dio</strong>? Molto. Ma sempre non è perfetta verginità rispetto a quella della Madre mia.<br />

Un coniugio vi è sempre stato, anche nel più santo. Quello di origine fra lo spirito e la Colpa.<br />

Quello che solo il Battesimo scioglie. Scioglie, ma, come di donna separata da morte dallo sposo,<br />

non rende verginità totale quale era quella dei Primi avanti il Peccato. Una cicatrice resta e duole,<br />

facendo ricordare di sé, ed è sempre pronta a rifiorire in piaga, come certi morbi che periodicamente<br />

i loro virus acutizzano. Nella Vergine non vi è questo segno di disciolto coniugio con la Colpa.. La<br />

sua anima appare bella e intatta come quando il Padre la pensò adunando in Lei tutte le grazie.


E’ la Vergine. E’ l'Unica. E’ la Perfetta. E’ la Completa. Pensata tale. Generata tale. Rimasta tale.<br />

Incoronata tale. E’ la Vergine. E’ l’abisso della intangibilità, della purezza, della grazia che si perde<br />

nell’Abisso da cui è scaturito: in <strong>Dio</strong>: Intangibilità, Purezza, Grazia perfettissime.<br />

Ecco la rivincita del <strong>Dio</strong> trino ed uno. Contro alle creature profanate Egli alza questa Stella di<br />

perfezione. Contro la curiosità malsana, questa Schiva, paga solo di amare <strong>Dio</strong>. Contro la scienza<br />

del male, questa sublime Ignorante. In Lei non è solo ignoranza dell’amore che <strong>Dio</strong> aveva dato agli<br />

uomini sposi. Ma più ancora. In Lei è l'ignotanza dei fomiti, eredità del Peccato. In Lei vi è solo la<br />

sapienza gelida e incandescente dell’Amore divino. Fuoco che corazza di ghiaccio la carne, perché<br />

sia specchio trasparente all’altare dove un <strong>Dio</strong> si sposa con una Vergine, e non si avvilisce, perché la<br />

sua Perfezione abbraccia Quella che, come si conviene a sposa, è di solo un punto inferiore allo<br />

Sposo, a Lui soggetta perché Donna, ma senza macchia come Egli è.”<br />

6. Purificazione di Anna e offerta di Maria, che è la Fanciulla perfetta per il<br />

regno dei Cieli.<br />

28 agosto 1944.<br />

Vedo Gioacchino ed Anna, insieme a Zaccaria e Elisabetta, uscire da una casa di Gerusalemme,<br />

certo di amici o parenti, e dirigersi al Tempio per la cerimonia della Purificazione.<br />

Anna ha fra le braccia la Bambina, tutta avvolta nelle fasce e, anzi, tutta stretta in un ampio tessuto<br />

di lana leggera ma che deve essere morbida e calda. E che con cura e amore ella porti e sorvegli la<br />

sua creaturina, sollevando di tanto in tanto il lembo del fine e caldo tessuto, per vedere se Maria<br />

respira bene, e poi raggiustandolo per ripararla dall’aria rigida di una giornata serena ma fredda di<br />

pieno inverno, non è da dire.<br />

Elisabetta ha degli involti fra le mani. Gioacchino trascina con una corda due grossi agnelli<br />

candidissimi, già più montoni che agnelli. Zaccaria non ha nulla. E’ tutto bello nella sua veste di<br />

lino, che un pesante mantello di lana, pure bianca, lascia intravedere. Uno Zaccaria molto più<br />

giovane di quello già visto per la nascita del Battista, nella piena virilità, come Elisabetta è una<br />

donna matura, ma ancora d’apparenza fresca, la quale, ogni volta che Anna guarda la Bambina, si<br />

piega in estasi sul visino dormiente. Anche lei è tutta bella in una veste d’un azzurro tendente al<br />

viola scuro e nel velo che le copre il capo, scendendo poi sulle spalle e sul mantello, scuro più della<br />

veste.<br />

Ma Gioacchino ed Anna, poi, sono solenni nei loro abiti di festa. Contrariamente al solito, egli non<br />

ha la tunica marrone scuro. Ma una lunga veste di un rosso cupissimo, noi diremmo ora ‘rosso<br />

S.Giuseppe’, e le frange messe al suo manto sono nuovissime e belle. In capo ha lui pure una specie<br />

di velo rettangolare, cinto da un cerchio di cuoio. Tutta roba nuova e fine.<br />

Anna, oh! non veste di scuro oggi! Ha una veste di un giallo tenuissimo, quasi color avorio<br />

vecchio, stretta alla vita, al collo e ai polsi da un cinturone che pare d’argento e oro. <strong>Il</strong> suo capo è<br />

velato da un velo leggerissimo e come damascato, pure trattenuto alla fronte da una lamina sottile<br />

ma preziosa. Al collo una collana di filigrana, e braccialetti ai polsi. Pare una regina, anche per la<br />

dignità con cui porta la veste e specie il mantello, di un giallo tenue bordato da una greca in ricamo,<br />

molto bello, tinta su tinta.<br />

“Mi sembra vederti il giorno in cui fosti sposa. Ero poco più che fanciulla, allora, ma ricordo<br />

ancora quanto eri bella e felice” dice Elisabetta.<br />

“Ma ora lo sono di più.... e ho voluto mettere la stessa veste per questo rito. L’avevo sempre tenuta<br />

per questo... e non speravo più metterla per questo.”<br />

“<strong>Il</strong> Signore ti ha molto amata...” dice con un sospiro Elisabetta.<br />

“E’ per questo che io gli dò la cosa più amata. Questo mio fiore.”<br />

“Come farai a strappartelo dal seno quando sarà l’ora?”<br />

“Ricordando che non l’avevo e che <strong>Dio</strong> me lo dette. Sarò sempre più felice ora di allora. Quando la<br />

saprò nel Tempio mi dirò: ‘Prega presso il Tabernacolo, prega il <strong>Dio</strong> d’Israele anche per la sua<br />

mamma’ e ne avrò pace. E più grande pace avrò nel dire: ‘Ella è tutta sua. Quando questi due vecchi


felici che l’ebbero dal Cielo non saranno più, Egli, l’Eterno, le sarà Padre ancora’. Credi, io ne ho la<br />

ferma convinzione, questa piccina non è nostra. Nulla io potevo più fare... Egli l’ha messa nel mio<br />

seno, dono divino per asciugare il mio pianto e confortare le nostre speranze e le nostre preghiere.<br />

Perciò è sua. Noi ne siamo i felici custodi... e di questo ne sia benedetto!”<br />

Le mura del Tempio sono raggiunte.<br />

“Mentre andate alla porta di Nicanore, io vado ad avvertire il sacerdote. E poi verrò io pure” dice<br />

Zaccaria. E scompare dietro ad un arco che immette in un cortilone cinto da portici.<br />

La comitiva continua ad inoltrare per le successive terrazze. Perché, non so se l’ho mai detto, il<br />

recinto del Tempio non è su terreno piano, ma sale, a scaglioni successivi, sempre più in alto. Ad<br />

ogni scaglione si accede mediante gradinate, ed in ogni scaglione sono cortili e portici e portali<br />

lavoratissimi, di marmo, bronzo e oro.<br />

Prima di raggiungere il posto prefisso, si fermano per liberare dagli involti le cose portate, ossia<br />

delle focacce, mi pare, larghe e basse e molto unte, della farina bianca, due colombi in una<br />

gabbiuzza di vimini e delle grosse monete d’argento, certe patacche così pesanti che per fortuna<br />

allora non c’erano tasche. Le avrebbero sfondate.<br />

Ecco la bella porta di Nicanore, tutta un lavoro di ricamo nel bronzo pesante laminato d’argento. Là<br />

è già Zaccaria, a fianco di un sacerdote tutto pomposo nella sua veste di lino.<br />

Anna riceve l’aspersione di un’acqua, suppongo lustrale, poi riceve l’ordine di avanzare verso l’ara<br />

del sacrificio. La Bambina non è più fra le sue braccia. L’ha presa Elisabetta, che resta al di qua<br />

della Porta.<br />

Invece Gioacchino entra dietro la moglie, tirandosi dietro un disgraziato agnello belante. E<br />

io...faccio come per la purificazione di Maria: chiudo gli occhi per non vedere sgozzamenti di sorta.<br />

Ora Anna è purificata.<br />

Zaccaria dice piano qualche parola al collega, il quale annuisce sorridendo. E poi si accosta al<br />

gruppo ricomposto e, felicitandosi con la madre e il padre per la loro gioia e per la loro fedeltà alle<br />

promesse, riceve il secondo agnello e la farina e le focacce.<br />

“Questa figlia è dunque sacra al Signore? La benedizione di Lui sia con lei e con voi. Ecco Anna<br />

che giunge. Sarà una delle sue maestre. Anna di Fanuel, della tribù di Aser. Vieni, donna. Questa<br />

piccina è offerta al Tempio in ostia di lode. Tu le sarai maestra, e santa crescerà sotto di te.”<br />

La già tutta bianca Anna di Fanuel vezzeggia la Bambina, che si è svegliata e guarda coi suoi occhi<br />

innocenti e stupiti tutto quel bianco e quell’oro che il sole accende.<br />

La cerimonia deve essere compiuta. Non ho visto speciale rito per l’offerta di Maria. Forse bastava<br />

dirlo al sacerdote, e soprattutto a <strong>Dio</strong>, presso il luogo sacro.<br />

“Vorrei dare l’offerta al Tempio e andare là dove vidi la luce lo scorso anno.”<br />

Vanno, accompagnati da Anna di Fanuel. Non entrano nel Tempio vero e proprio; si capisce che,<br />

essendo donne e trattandosi di una bambina, non vanno neppure là dove andò Maria per offrire il<br />

Figlio. Ma, da ben presso alla porta spalancata, guardano nell’interno semiscuro, da cui vengono<br />

dolci canti di fanciulle e brillano lumi preziosi che spandono una luce d’oro su due aiuole di<br />

testoline velate di bianco, due vere aiuole di gigli.<br />

“Fra tre anni anche tu sarai là, mio Giglio” promette Anna a Maria che guarda come affascinata<br />

verso l’interno e sorride al canto lento.<br />

“Pare comprenda” dice Anna di Fanuel. “E’ una bella bambina! Mi sarà cara come fosse delle mie<br />

viscere. Te lo prometto, o madre. Se l’età mi concederà di esserlo.”<br />

“Lo sarai, donna” dice Zaccaria. “Tu la riceverai fra le sacre fanciulle. <strong>Io</strong> pure vi sarò. Voglio<br />

esservi quel giorno per dirle di pregare per noi sin dal primo momento....” e guarda la moglie, che<br />

comprende e sospira.<br />

La cerimonia è finita e Anna di Fanuel si ritira, mentre gli altri escono dal Tempio parlando fra loro.<br />

Odo Gioacchino che dice: “Non due e i migliori, ma tutti li avrei dati i miei agnelli per questa gioia<br />

e per dare lode a <strong>Dio</strong>!”<br />

Non vedo altro.<br />

Dice Gesù:


“Salomone fa dire alla Sapienza: ‘Chi è fanciullo venga a me’. E veramente dalla rocca, dalle mura<br />

della sua città, l’eterna Sapienza diceva all’eterna Fanciulla: ‘Vieni a Me’. Ardeva di averla. Più<br />

tardi il Figlio della Fanciulla purissima dirà: ‘Lasciate venire a Me i bambini, poiché il Regno dei<br />

Cieli è loro e chi non diviene simile a loro non avrà parte nel mio Regno’. Le voci si rincorrono e,<br />

mentre la voce dal Cielo grida a Maria piccolina: ‘Vieni a Me’, la voce dell’Uomo dice, e pensa a<br />

sua Madre nel dirlo: ‘Venite a Me se sapete esser fanciulli’.<br />

<strong>Il</strong> modello ve lo do in mia Madre.<br />

Ecco la perfetta Fanciulla dal cuore di colomba semplice e puro, ecco, Quella che anni e contatti di<br />

mondo non inselvatichiscono in una barbarie di spirito corrotto, tortuoso, bugiardo. Perché Ella non<br />

lo vuole. Venite a Me guardando Maria.<br />

Tu che la vedi dimmi: il suo sguardo di infante è molto diverso da quello che le vedesti ai piedi<br />

della Croce, o nel giubilo della Pentecoste, o nell’ora che le palpebre scesero sul suo occhio di<br />

gazzella per l’ultimo sonno? No. Qui è lo sguardo incerto e stupito dell’infante, poi sarà quello<br />

stupito e verecondo dell’Annunciata, e poi quello beato della Madre di Betlemme, e poi quello<br />

adorante della mia prima sublime Discepola, poi quello straziato della Torturata del Golgota, poi il<br />

radioso sguardo della Risurrezione e Pentecoste, poi quello velato dall’estatico sonno dell’ultima<br />

visione. Ma sia che si apra alle prime viste, sia che si chiuda stanco sull’ultima luce, dopo tanto<br />

aver visto di gaudio e di orrore, l’occhio è sereno, puro, placido lembo di cielo che splende sempre<br />

uguale sotto la fronte di Maria. Ira, menzogna, superbia, lussuria, odio, curiosità, non lo sporcano<br />

mai delle loro nubi fumose.<br />

E’ l’occhio che guarda <strong>Dio</strong> con amore, sia che pianga o rida, e che per amore di <strong>Dio</strong> carezza e<br />

perdona e tutto sopporta, e dall’amore per il suo <strong>Dio</strong> è fatto inattaccabile agli assalti del Male, che<br />

tante volte si serve dell’occhio per penetrare nel cuore. L’occhio puro, riposante, benedicente che<br />

hanno i puri, i santi, gli innamorati di <strong>Dio</strong>.<br />

<strong>Io</strong> l’ho detto: ‘Lume del tuo corpo è l’occhio. Se l’occhio è puro, tutto il tuo corpo sarà illuminato.<br />

Ma se l’occhio è torbido, tutta la tua persona sarà nelle tenebre.’ I santi hanno avuto quest’occhio<br />

che è lume allo spirito e salvezza alla carne, perché come Maria non hanno che per tutta la vita<br />

guardato <strong>Dio</strong>. Anzi, più ancora, si sono ricordati di <strong>Dio</strong>.<br />

Ti spiegherò, piccola voce, cosa è il senso di questa mia parola.”


7. La piccola Maria con Anna e Gioacchino. Sulle sue labbra è già la<br />

Sapienza del Figlio.<br />

29 agosto 1944<br />

Vedo ancora Anna. E’ da ieri sera che la vedo così: è seduta all’inizio della pergola ombrosa, intenta<br />

ad un lavoro di cucito. E’ tutta vestita di un color grigio sabbia, un abito molto semplice e sciolto,<br />

forse per il gran caldo che deve fare.<br />

Al termine della pergola si vedono i falciatori segare il fieno. Ma non deve essere, però, maggengo,<br />

perché l’uva è già dietro a colorarsi di d’oro, e un grosso melo mostra fra le foglie scure i suoi frutti<br />

che stanno divenendo di una lucida cera gialla e rossa, e poi il campo a grano non è che stoppia su<br />

cui ondeggiano lievi le fiammelle dei papaveri e si drizzano rigidi e sereni i fiordalisi, raggiati come<br />

una stella e azzurri come il cielo d’oriente.<br />

Dalla pergola ombrosa viene avanti una Maria piccina, ma già svelta e indipendente. <strong>Il</strong> suo breve<br />

passo è sicuro e i sandaletti bianchi non inciampano nei sassolini. Ha già in abbozzo il suo dolce<br />

passo lievemente ondulante di colomba, ed è tutta bianca come una colombina nella vesticciuola di<br />

lino lunga fino ai malleoli e ampia, arricciata al collo da un cordoncino celeste e dalle manichine<br />

corte che lasciano vedere gli avambracci rosei e grassottelli. Coi suoi capellucci serici e biondo<br />

miele, non molto ricci ma tutti a dolci onde che al termine finiscono in un lieve cannolo, gli occhi al<br />

cielo, e il dolce visino lievemente roseo e sorridente, sembra un piccolo angelo. Anche il venticello<br />

che le entra dalle ampie maniche e le gonfia il lino della vesticciola alle spalle, contribuisce a darle<br />

l’aspetto di un piccolo angelo con le ali già socchiuse al volo.<br />

Nelle manine ha papaveri e fiordalisi e altri fioretti che crescono fra i grani, ma dei quali non so il<br />

nome. Va e, quando è prossima alla madre, spicca una breve corsa, gettando una vocina festosa e va,<br />

come una tortorina, a fermare il suo volo contro i ginocchi materni, che si sono un poco aperti per<br />

riceverla, mentre il lavoro è stato posato lì presso perché, Ella non si punga, e le braccia sono state<br />

tese ad abbracciarla.<br />

Fin qui ieri sera, e stamane si ripresenta e continua così.<br />

“Mamma! Mamma!” La tortorina bianca è tutta nel nido delle ginocchia materne, coi piccoli piedi<br />

sull’erba corta e la faccina curva sul grembo materno, e non si vede che l’oro pallido dei suoi<br />

capellucci sulla nuca sottile che Anna si curva a baciare con amore.<br />

Poi la tortorina alza il capino e dà i suoi fioretti. Tutti alla mamma, e di ogni fiore dice una storia<br />

che si è creata.<br />

Questo così azzurro e grande, è una stella che è venuta giù dal cielo per portare il bacio del Signore<br />

alla sua mamma. Ecco, lo baci lì, sul cuore, sul cuore, questo fiorellino celeste, e sentirà che ha<br />

sapore di <strong>Dio</strong>.<br />

Quest’altro, invece che è azzurro più pallido, come sono gli occhi del papà, ha scritto sulle foglie<br />

che il Signore vuole molto bene al papà perché è buono.<br />

E questo, piccino piccino, unico trovato (è un miosotis), è quello che il Signore ha fatto per dire a<br />

Maria che le vuol bene.<br />

E questi rossi, lo sa la mamma che sono? Sono pezzi della veste di re David, intrisi nel sangue dei<br />

nemici d’Israele e seminati sui campi di lotta e di vittoria. Sono nati da quei lembi di eroica veste<br />

regale, stracciata nella lotta per il Signore.<br />

Invece questo, bianco e gentile, che pare fatto di sette coppe di seta che guardino il cielo, piene di<br />

profumi, e che è nato là, presso la sorgente -glielo ha colto papà di fra le spine- è fatto con la veste<br />

che aveva re Salomone quando, nello stesso mese in cui la piccola sua nipote era nata, tanti anni<br />

-oh! quanti! quanti prima!- tanti anni prima, egli, nella pompa candida delle sue vesti, camminò in<br />

mezzo alla moltitudine d’Israele davanti all’Arca e al Tabernacolo, e giubilò per la nuvola tornata a<br />

circondar la sua gloria, e cantò il cantico e la preghiera della sua gioia.<br />

“<strong>Io</strong> voglio esser sempre come questo fiore, e come il re saggio io voglio cantare per tutta la vita<br />

cantico e preghiera davanti al Tabernacolo” termina la piccola bocca di Maria.<br />

“Mia gioia! Come sai queste cose sante? Chi te le dice? <strong>Il</strong> padre tuo?”


“No. Non so chi sia. Mi par di averle sempre sapute. Ma forse è uno che me le dice e che io non<br />

vedo. Forse uno degli angeli che <strong>Dio</strong> manda a parlare agli uomini che son buoni. Mamma, me ne<br />

racconti ancora?...”<br />

“Oh! figlia mia! Quale fatto vuoi sapere?”<br />

Maria pensa; seria e raccolta, è da pitturarsi per eternarne l’espressione. Sul visetto infantile si<br />

riflettono l’ombre dei suoi pensieri. Sorrisi e sospiri, raggi di sole e ombre di nubi, pensando alla<br />

storia d’Israele. Poi sceglie: “Ancora quello di Gabriele a Daniele, in cui è promesso il Cristo.”<br />

E ascolta ad occhi chiusi, ripetendo piano le parole che la madre le dice, come per ricordarsele<br />

meglio. Quando Anna termina, chiede: “Quanto manca ancora ad aver l’Emmanuele?”<br />

“Trent’anni circa, diletta.”<br />

“Quanto ancora! E io sarò nel Tempio... Dimmi, se io pregassi tanto, tanto, tanto, giorno e notte,<br />

notte e giorno, e volessi esser solo di <strong>Dio</strong>, per tutta la vita, per questo scopo, l’Eterno mi farebbe la<br />

grazia di dare prima il Messia al suo popolo?”<br />

“Non lo so, cara. <strong>Il</strong> Profeta dice: ‘Settanta settimane’. Credo che profezia non erri. Ma è tanto<br />

buono il Signore” si affretta ad aggiungere Anna, vedendo imperlarsi di un pianto le ciglia d’oro<br />

della sua bambina, “che io credo che se tu pregherai tanto, tanto, tanto, Egli ti esaudirà”<br />

<strong>Il</strong> sorriso torna sul visetto che è lievemente alzato verso la madre, e un occhiellino di sole che passa<br />

fra due pampini fra brillare le stille del già cessato pianto, come fossero goccioline di rugiada<br />

sospese agli steli esilissimi del musco alpino.<br />

“E allora io pregherò e mi farò vergine per questo.”<br />

“Ma tu sai cosa vuol dire tal cosa?”<br />

“Vuol dire non conoscere amore d’uomo ma solo di <strong>Dio</strong>. Vuol dire non aver altro pensiero che per il<br />

Signore. Vuol dire rimanere bambine nella carne e angeli nel cuore. Vuol dire non avere occhi altro<br />

che per guardare <strong>Dio</strong>, orecchie per udirlo, bocca per lodarlo, mani per offrirsi ostie, piedi per<br />

seguirlo veloci, e cuore e vita per darli a Lui.”<br />

“Te benedetta! Ma allora non avrai mai bambini, tu che ami tanto i bambini e gli agnellini e le<br />

tortorine... Sai? Un bambino per una donna è come un agnellino bianco e ricciuto, è come una<br />

colombina dalle piume si seta e la bocca di corallo che si possono amare, baciare e sentirsi dire:<br />

‘Mamma’.<br />

“Non importa. <strong>Io</strong> sarò di <strong>Dio</strong>. Nel Tempio pregherò. E forse un giorno vedrò l’Emmanuele. La<br />

Vergine che gli deve esser Madre, come dice il gran Profeta, già deve esser nata ed è nel Tempio...<br />

<strong>Io</strong> le sarò compagna... e ancella.... Oh! sì! Se la potessi conoscere, per luce di <strong>Dio</strong>, la vorrei servire,<br />

quella beata! E, dopo, ella mi porterebbe il Figlio, mi porterebbe al suo Figlio, e servirei Lui pure.<br />

Pensa, mamma!... Servire il Messia!!...” Maria è sopraffatta da questo pensiero che la sublima e la<br />

annienta insieme. Con le manine incrociate sul piccolo seno e la testolina un poco curva in avanti e<br />

accesa d’emozione, pare una infantile riproduzione dell’Annunciata che io vidi. Riprende: “Ma me<br />

lo permetterà il Re d’Israele, l’Unto di <strong>Dio</strong>, di servirlo?”<br />

“Non ne aver dubbi. Non dice re Salomone: ‘Sessanta son le regine e ottanta le altre mogli e le<br />

fanciulle son senza numero’? Tu vedi che nella reggia del Re saranno senza numero le fanciulle<br />

vergini che serviranno il Signore.”<br />

“Oh! vedi allora che devo esser vergine? Lo devo. Se Egli per madre vuole una vergine, è segno che<br />

ama sopra ogni cosa la verginità. Voglio mi ami, me, sua serva, per la verginità che mi farà un poco<br />

simile alla sua Madre diletta.... Questo voglio...Vorrei anche esser peccatrice, tanto peccatrice, se<br />

non temessi di offendere il Signore... Dimmi, mamma. Si può esser peccatrici per amore di <strong>Dio</strong>?”<br />

“Ma che dici, tesoro? <strong>Io</strong> non comprendo.”<br />

“Voglio dire: peccare per poter essere amata da <strong>Dio</strong> che diviene Salvatore. Si salva chi è perduto.<br />

Non è vero? <strong>Io</strong> vorrei esser salvata dal Salvatore per avere il suo sguardo d'amore. Per questo vorrei<br />

peccare, ma non fare peccato che lo disgusti. Come potrò salvarmi, se non mi perdo?”<br />

Anna è sbalordita. Non sa più che dire.<br />

La soccorre Gioacchino che, camminando sull’erba, si è avvicinato senza rumore dietro la siepe dei<br />

tralci bassi. “Ti ha salvata avanti, perché sa che tu lo ami e vuoi amare Lui solo. Per questo tu sei<br />

già redenta e puoi esser vergine come tu vuoi” dice Gioacchino.


“Davvero, padre mio?” Maria gli si stringe ai ginocchi e lo guarda con le chiare stelle dei suoi<br />

occhi, così simili a quelli paterni e così felici per questa speranza che il padre le dà.<br />

“In verità, piccolo amore. Guarda. <strong>Io</strong> ti portavo ora questo piccolo passero volato, al suo primo<br />

volo, presso la fonte. Avrei potuto lasciarlo, ma le sue deboli ali e le zampine di seta non avevano la<br />

forza di sollevarsi a nuovo volo o di rattenerlo sulle pietre muscose che scivolano. Sarebbe caduto<br />

nella fonte. Non ho aspettato che avvenisse. L’ho preso e te lo dono. Ne fari ciò che vuoi. <strong>Il</strong> fatto è<br />

che è stato salvato prima di cadere nel pericolo. Lo stesso, <strong>Dio</strong> l’ha fatto con te. Ora dimmi, Maria.<br />

Ho amato più il passero salvandolo prima, o l’avrei amato di più salvandolo poi?”<br />

“Ora l’hai amato, perché non hai permesso si facesse male coll’acqua gelata.”<br />

“E <strong>Dio</strong> ti ha amata di più, perché ti ha salvata avanti che tu peccassi.”<br />

“Ed io allora lo amerò del tutto. Del tutto. Passerino bello, io son come te. <strong>Il</strong> Signore ci ha amati in<br />

modo uguale, dandoci salvezza... Ora io ti alleverò e poi ti lascerò andare. E tu canterai nel bosco e<br />

io nel Tempio le lodi di <strong>Dio</strong>, e diremo: ‘Manda, manda il tuo Promesso a chi attende’. Oh! papà<br />

mio! Quando mi conduci al Tempio?”<br />

“Presto, mia perla. Ma non ti duole lasciare il padre tuo?”<br />

“Tanto! Ma tu verrai... e poi, se non facesse male, che sacrificio sarebbe?”<br />

“E ti ricorderai di noi?”<br />

“Sempre. Dopo la preghiera per l’Emmanuele io pregherò per voi. Che <strong>Dio</strong> vi dia gioia e lunga<br />

vita... sino al giorno in cui Egli sarà Salvatore. Poi dirò che vi prenda per portarvi alla Gerusalemme<br />

del Cielo.”<br />

La visione mi cessa con Maria stretta nel laccio delle braccia paterne...<br />

Dice Gesù:<br />

“Sento già i commenti dei dottori del cavillo: ‘Come può una bambina di non ancora tre anni<br />

parlare così? E’ una esagerazione’. E non riflettono che loro mi fanno mostruoso alterando la mia<br />

infanzia ad atti da adulto.<br />

L’intelligenza non viene a tutti nello stesso modo e tempo. La Chiesa ha fissato la responsabilità<br />

delle azioni a sei anni, perché quella è l’età in cui anche un tardivo può distinguere, almeno<br />

rudimentalmente, il bene e il male. Ma vi sono bambini che molto prima sono capaci di discernere e<br />

intendere e volere con ragione già sufficientemente sviluppata. La piccola Imelde Lambertini, Rosa<br />

da Viterbo, Nellie Organ, Nennolina, vi diano base, o dottori difficili, per credere che mia Madre<br />

potesse pensare e parlare così. Non ho preso che quattro nomi a caso nelle migliaia di santi bambini<br />

che popolano il mio Paradiso, dopo aver ragionato da adulti sulla terra per più o meno anni.<br />

Cosa è la ragione? Un dono di <strong>Dio</strong>. <strong>Dio</strong> la può dunque dare nella misura che vuole, a chi vuole e<br />

quando vuole darla. La ragione è, anzi, una delle cose che più vi fanno somiglianti a <strong>Dio</strong>, Spirito<br />

intelligente e ragionante. La ragione e l’intelligenza furono grazie date da <strong>Dio</strong> all’Uomo nel<br />

Paradiso terrestre. E come erano vive quando la Grazia era viva, ancora intatta e operante nello<br />

spirito dei due Primi!<br />

Nel libro di Gesù Bar Sirac è detto. ‘Ogni sapienza viene dal Signore Iddio ed è stata sempre con<br />

Lui anche avanti i secoli’. Quale sapienza avrebbero perciò avuto gli uomini se fossero rimasti figli<br />

a <strong>Dio</strong>?<br />

Le vostre lacune nell’intelligenza sono il frutto naturale del vostro decadimento nella Grazia e<br />

nell’onestà. Perdendo la Grazia vi siete allontanata, per secoli, la Sapienza. Come meteora che si<br />

nasconde dietro a nebulosità di chilometri, la Sapienza non vi è più giunta coi suoi netti bagliori, ma<br />

attraverso foschie che le prevaricazioni vostre rendevano sempre più gravi.<br />

Poi è venuto il Cristo e vi ha reso la Grazia, dono supremo dell’amore di <strong>Dio</strong>. Ma voi la sapete<br />

custodire, questa gemma, netta e pura? No. Quando non la frantumate con individuale volontà di<br />

peccato, la sporcate con le continue colpe minori, le debolezze, le simpatie al vizio, anche le<br />

simpatie, che, se non sono veri coniugi col vizio settiforme, sono indebolimento della luce della<br />

Grazia e della sua attività. Avete poi, a indebolire la magnifica luce dell’intelligenza che <strong>Dio</strong> aveva<br />

dato ai Primi, secoli e secoli di corruzioni, che si ripercuotono deleterie sul fisico e sulla mente.<br />

Ma Maria era non solo la Pura, la nuova Eva ricreata per gioia di <strong>Dio</strong>: era la super Eva, era il


capolavoro dell’Altissimo, era la Piena di Grazia, era la Madre del Verbo nella mente di <strong>Dio</strong>.<br />

‘Fonte della Sapienza’ dice Gesù Bar Sirac ‘è il Verbo’. <strong>Il</strong> Figlio non avrà, dunque, messo sul labbro<br />

della Madre la sua sapienza?<br />

Se a un Profeta, che doveva dire le parole che il Verbo, la Sapienza, gli affidava per dirle agli<br />

uomini, fu mondata la bocca coi carboni ardenti, non avrà l’Amore, alla sua Sposa infante che<br />

doveva portare la Parola, nettata ed esaltata la favella, perché non più parlasse da bambina e poi da<br />

donna, ma solo e sempre da creatura celeste, fusa alla gran luce e sapienza di <strong>Dio</strong>?<br />

<strong>Il</strong> miracolo non è nell’intelligenza superiore mostrata in puerile età da Maria, come poi da Me. <strong>Il</strong><br />

miracolo è nel contenere la Intelligenza infinita, che vi abitava, negli argini atti a non trasecolare le<br />

folle e a non svegliare l’attenzione satanica.<br />

Ancora parlerò su questo, che rientra nel ‘ricordarsi’ che i santi hanno di <strong>Dio</strong>”.<br />

8. Maria accolta nel Tempio. Ella, nella sua umiltà, non sapeva di essere la<br />

Piena di Sapienza.<br />

30 agosto 1944<br />

Vedo Maria fra mezzo al padre e alla madre camminare per le vie di Gerusalemme.<br />

I passanti si fermano a guardare la bella Bambina, tutta vestita di un bianco di neve e avvolta in un<br />

leggerissimo tessuto che per i suoi disegni, a rami e fiori, più opachi fra il tenue dello sfondo, mi<br />

pare sia lo stesso che aveva Anna il giorno della sua Purificazione. Soltanto che, mentre ad Anna<br />

esso non sorpassava la cintura, a Maria, piccolina, scende fin quasi a terra e l’avvolge in una<br />

nuvoletta leggera e lucida di una vaghezza rara.<br />

<strong>Il</strong> biondo dei capelli sciolti sulle spalle, meglio, sulla nuca gentile, traspare là dove non vi è<br />

damascatura nel velo, ma unicamente il fondo leggerissimo. <strong>Il</strong> velo è trattenuto sulla fronte da un<br />

nastro di un azzurro pallidissimo, su cui, certamente per opera della mamma, sono ricamati in<br />

argento dei piccoli gigli.<br />

L’abito, come ho detto, candidissimo, scende fino a terra, e i piedini appena si mostrano nel passo,<br />

coi loro sandaletti bianchi. Le manine sembrano due petali di magnolia che escano dalla lunga<br />

manica. Tolto il cerchio azzurro del nastro, non vi è altro punto di colore. Tutto è bianco. Maria pare<br />

vestita di neve.<br />

Gioacchino ed Anna sono vestiti, lui con lo stesso abito della Purificazione, e Anna, invece di viola<br />

scurissimo. Anche il mantello, che le copre anche il capo, è viola scuro. Ella se lo tiene molto calato<br />

sugli occhi. Due poveri occhi di mamma, rossi di pianto, che non vorrebbero piangere, e non<br />

vorrebbero, soprattutto, esser visti piangere, ma che non possono non piangere sotto la protezione<br />

del manto. Protezione che serve per i passanti, e anche per Gioacchino, che del resto ha il suo<br />

occhio, sempre sereno, oggi arrossato e opaco di lacrime già scese e ancora scendenti, e che va<br />

molto curvo sotto il suo velo messo a quasi turbante, con le ali laterali che scendono lungo il viso.<br />

Un vecchio affatto, ora, Gioacchino. Chi lo vede deve pensarlo nonno e forse bisnonno della<br />

piccolina che egli ha per mano. La pena di perderla dà al povero padre un passo strascicante, una<br />

lassezza di tutto il portamento che lo invecchia di un vent’anni, e il viso pare quello di un malato<br />

oltre che vecchio, tanto è stanco e triste, con la bocca che ha un leggero tremito fra le due rughe,<br />

che sono così marcate oggi, ai lati del naso.<br />

Cercano i due di celare il pianto. Ma, se possono farlo per molti, non lo possono per Maria, che per<br />

la sua statura li vede dal basso in alto e, alzando il piccolo capo, guarda alternativamente il padre e<br />

la madre. Ed essi si sforzano di sorriderle con la bocca che trema, e aumentano la stretta della loro<br />

mano sulla manina minuta ogni volta che la loro figliolina li guarda e sorride. Devono pensare:<br />

“Ecco. Un’altra volta di meno da vedere questo sorriso.”<br />

Vanno piano. A rilento. Pare vogliano protrarre il più a lungo il loro cammino. Tutto serve a<br />

fermarsi.... Ma una strada deve pur finire! E questa sta per finire. Ecco là, in cima a questo ultimo


pezzo di strada che sale, le mura di cinta del Tempio. Anna ha un gemito e stringe più forte la<br />

manina di Maria.<br />

“Anna, cara, io sono con te!” dice una voce, uscendo dall’ombra di un basso arco gettato su un<br />

incrocio di strade. E Elisabetta, che certo era in attesa, la raggiunge e stringe al cuore. E, posto che<br />

Anna piange, le dice: “Vieni, vieni in questa casa amica per un poco. Poi andremo insieme. Vi è<br />

anche Zaccaria.”<br />

Entrano tutti in una stanza bassa e scura, in cui è lume un vasto fuoco. La padrona, certo amica di<br />

Elisabetta, ma estranea ad Anna, cortesemente si ritira lasciando liberi i sopraggiunti.<br />

“Non credere che io sia pentita, o che dia con mala volontà il mio tesoro al Signore” spiega Anna<br />

fra le lacrime.... “ma è che il cuore... oh! il mio cuore come duole, il mio vecchio cuore che torna<br />

nella sua solitudine di senza figli!... Se sentissi...”<br />

“Lo capisco, Anna mia... Ma tu sei buona e <strong>Dio</strong> ti conforterà nella tua solitudine. Maria pregherà<br />

per la pace della sua mamma. Non è vero?”<br />

Maria carezza le mani materne e le bacia, se le passa sul viso per esserne carezzata, e Anna serra fra<br />

le sue quel visino e lo bacia, lo bacia. Non si sazia di baciare.<br />

Entra Zaccaria e saluta: “Ai giusti la pace del Signore.”<br />

“Sì” dice Gioacchino, “supplicaci pace, perché le nostre viscere tremano nell’offerta come quelle di<br />

padre Abramo mentre saliva il monte, e noi non troveremo altra offerta per riscattare questa. Né lo<br />

vorremmo fare, perché siamo fedeli a <strong>Dio</strong>. Ma soffriamo, Zaccaria. Sacerdote di <strong>Dio</strong>, comprendici e<br />

non ti scandalizzare di noi.”<br />

“Mai. Anzi, il vostro dolore, che sa non soverchiare il lecito e portarvi all’infedeltà, mi è scuola<br />

nell’amare l’Altissimo. Ma fatevi cuore. Anna profetessa avrà molta cura di questo fiore di Davide e<br />

di Aronne. In questo momento è l’unico giglio della sua stirpe santa che Davide abbia nel Tempio, e<br />

sarà curato come perla regale. Per quanto i tempi volgano al termine e dovrebbe esser cura delle<br />

madri della stirpe di consacrare le figlie al Tempio, poiché da una vergine di Davide uscirà il<br />

Messia, pure, per rilassamento di fede, i posti delle vergini sono vuoti. Troppo poche nel Tempio, e<br />

di questa stirpe regale nessuna, dopo che ne uscì sposa, or son tre anni, Sara di Eliseo. Vero che<br />

ancora sei lustri mancano al termine, ma... Ebbene, speriamo che Maria sia la prima di molte<br />

vergini di Davide davanti al Sacro Velo. E poi.... chissà...” Zaccaria non dice altro. Ma guarda<br />

pensoso Maria. Poi riprende: “<strong>Io</strong> pure veglierò su di Lei. Sono sacerdote ed ho il mio potere là<br />

dentro. Lo userò per quest’angelo. E Elisabetta verrà sovente a trovarla....”<br />

“Oh! di certo! <strong>Io</strong> ho tanto bisogno di <strong>Dio</strong> e verrò a dirlo a questa Bambina, perché lo dica<br />

all’Eterno.”<br />

Anna è rinfrancata. Elisabetta, per sollevarla più ancora, chiede: “Non è il tuo velo di sposa questo?<br />

Oppure hai filato del nuovo bisso?”<br />

“E’ quello. Lo consacro con Essa al Signore. Non ho più occhi... E anche le ricchezze sono molto<br />

scemate per tasse e sventure.... Non mi era lecito fare gravi spese. Ho provveduto solo ad un ricco<br />

corredo per il suo tempo nella Casa di <strong>Dio</strong> e per poi... perché penso che non sarò io quella che la<br />

vestirà per le nozze... e voglio sia sempre la mano di sua mamma, anche se fredda e immota, che la<br />

para alle nozze e le fila i lini e le vesti da sposa.”<br />

“Oh! perché pensare così?!”<br />

“Sono vecchia, cugina. Mai come sotto questo dolore me lo sento. L’ultime forze della mia vita le<br />

ho date a questo fiore, per portarlo e nutrirlo, ed ora... ed ora... sulle estreme soffia il dolore di<br />

perderlo e le disperde.”<br />

“Non dire così, per Gioacchino.”<br />

“Hai ragione. Vedrò di vivere per il mio uomo.”<br />

Gioacchino ha fatto mostra di non sentire, intento ad ascoltare Zaccaria, ma ha udito e sospira forte<br />

con gli occhi lucidi di pianto.<br />

“Siamo a mezzo fra terza e sesta. Credo sarebbe bene andare” dice Zaccaria.<br />

Si alzano tutti per rimettersi i mantelli e andare.<br />

Ma prima di uscire Maria si inginocchia sulla soglia a braccia aperte: un piccolo cherubino<br />

implorante: “Padre! Madre! La vostra benedizione!”


Non piange, la piccola forte. Ma le labbruzze tremano e la voce, spezzata da un interno singulto, ha<br />

più che mai il trepido gemito della tortorina. <strong>Il</strong> visetto è più pallido e l’occhio ha quello sguardo di<br />

rassegnata angoscia che, più forte fino a divenire inguardabile senza soffrirne profondamente, le<br />

vedrò sul Calvario e nel Sepolcro.<br />

I genitori la benedicono e la baciano. Una, due, dieci volte. Non se ne sanno saziare... Elisabetta<br />

piange silenziosamente e Zaccaria, per quanto non voglia mostrarlo, è commosso.<br />

Escono. Maria fra il padre e la madre, come prima. Davanti, Zaccaria e la moglie.<br />

Eccoli dentro le mura del Tempio. “Vado dal Sommo Sacerdote. Voi salite sino alla Grande<br />

Terrazza.”<br />

Valicano tre cortili e tre atri sovrapposti. Eccoli ai piedi del vasto cubo di marmo incoronato d’oro.<br />

Ogni cupola, convessa come una mezza arancia enorme, sfolgora al sole che ora, sul mezzodì, cade<br />

a perpendicolo sul vasto cortile che circonda il fabbricato solenne, ed empie il vasto piazzale e<br />

l’ampia scalinata che conduce al Tempio. Solo il portico che fronteggia la scalinata, lungo la<br />

facciata, è in ombra, e la porta altissima di bronzo e oro è ancor più scura e solenne in tanta luce.<br />

Maria pare ancor più di neve fra il gran sole. Eccola ai piedi della scalinata. Fra padre e madre.<br />

Come deve battere il cuore a quei tre! Elisabetta è a fianco di Anna, ma un poco indietro, di un<br />

mezzo passo.<br />

Uno squillio di trombe argentine e la porta gira sui cardini, che pare diano suono di cetra nel girare<br />

sulle sfere di bronzo. Appare l’interno con le sue lampade nel profondo, ed un corteo viene<br />

dall’interno verso l’esterno. Un pomposo corteo fra suoni di trombe argentee, nuvole d’incenso e<br />

luci.<br />

Eccolo sulla soglia. Davanti, colui che deve essere il Sommo Sacerdote. Un vecchio solenne, vestito<br />

di lino finissimo, e sul lino una più corta tunica pure di lino, e su questa una specie di pianeta,<br />

qualcosa fra la pianeta e la veste dei diaconi, multicolore: porpora e oro, violaceo e bianco vi si<br />

alternano e brillano come geme al sole; due gemme vere brillano su esso ancor più vivamente al<br />

sommo delle spalle. Forse sono fibbie con il loro castone prezioso. Sul petto, una larga placca<br />

splendente di gemme, sostenuta da una catena d’oro. E pendagli e ornamenti splendono alla base<br />

della tunica corta, e oro splende sulla fronte al disopra del copricapo, che mi ricorda quello dei preti<br />

ortodossi, la loro mitra fatta a cupola anziché a punta come quella cattolica.<br />

<strong>Il</strong> solenne personaggio viene avanti, da solo, sino al principio della scalinata, nell’oro del sole che lo<br />

fa ancora più splendido. Gli altri attendono stesi a corona fuor dalla porta, sotto il portico ombroso.<br />

A sinistra è un gruppo candido di fanciulle con Anna profetessa e altre anziane, certo maestre.<br />

<strong>Il</strong> Sommo Sacerdote guarda la Piccola e sorride, Le deve parere ben piccina ai piedi di quella<br />

scalinata degna di un tempio egizio! Alza le braccia al cielo in una preghiera. Tutti curvano il capo,<br />

come annichiliti davanti alla maestà sacerdotale in comunione con la Maestà Eterna.<br />

Poi, ecco. Un cenno a Maria. E Lei si stacca dalla madre e dal padre e sale, come affascinata sale. E<br />

sorride. Sorride all’ombra del Tempio, là dove scende il Velo prezioso... E’ in alto della scalinata, ai<br />

piedi del Sommo Sacerdote che le impone le mani sul capo. La vittima è accettata. Quale ostia più<br />

pura aveva mai avuto il Tempio?<br />

Poi si volge e, tenendole la mano sulla spalla come a condurla all’ara, l’Agnellina senza macchia, la<br />

conduce presso la porta del Tempio. Prima di farla entrare chiede: “Maria di David, sai il tuo<br />

voto?”. Al “sì” argentino che gli risponde, egli grida: “Entra, allora. Cammina in mia presenza e sii<br />

perfetta.”<br />

E Maria entra e l’ombra l’inghiotte, e lo stuolo delle vergini e delle maestre, poi quello dei leviti,<br />

sempre più la nascondono, la separano... Non c’è più....<br />

Ora anche la porta gira sui cardini armoniosi. Uno spiraglio sempre più stretto permette vedere il<br />

corteo che inoltra verso il Santo. Ora è proprio un filo. Ora non è più niente. Chiusa.<br />

All’ultimo accordo dei sonori cardini risponde un singhiozzo dei due vecchi ed un grido unico:<br />

“Maria! Figlia!”; e poi due gemiti che invocano: “Anna!”, “Gioacchino!”; e terminano: “Diamo<br />

gloria al Signore, che la riceve nella sua Casa e la conduce sulla sua via.”<br />

E tutto finisce così.


Dice Gesù:<br />

“<strong>Il</strong> Sommo Sacerdote aveva detto: ‘Cammina in mia presenza e sii perfetta’. <strong>Il</strong> Sommo Sacerdote<br />

non sapeva che parlava alla Donna solo a <strong>Dio</strong> inferiore in perfezione. Ma parlava in nome di <strong>Dio</strong> e<br />

perciò sacro era il suo ordine. Sempre sacro, ma specie alla Ripiena di Sapienza.<br />

Maria aveva meritato che la ‘Sapienza la prevenisse le si mostrasse per prima’ perché ‘dal principio<br />

del suo giorno Ella aveva vegliato alla sua porta e, desiderando d’istruirsi, per amore, volle esser<br />

pura per conseguire l’amore perfetto e meritare di averla a maestra’.<br />

Nella sua umiltà non sapeva di possederla da prima d’esser nata e che l’unione con la Sapienza non<br />

era che un continuare i divini palpiti del Paradiso. Non poteva immaginare questo. E quando nel<br />

silenzio del cuore <strong>Dio</strong> le diceva parole sublimi, Ella umilmente pensava fossero pensieri di<br />

orgoglio, e levando a <strong>Dio</strong> un cuore innocente supplicava: ‘Pietà della tua serva, Signore!’<br />

Oh! veramente che la vera Sapiente, la eterna Vergine, ha avuto un sol pensiero sin dall’alba del suo<br />

giorno: ‘Rivolgere a <strong>Dio</strong> il suo cuore sin dal mattino della vita e vegliare per il Signore, pregando<br />

davanti all’Altissimo’, chiedendo perdono per la debolezza del suo cuore, come la sua umiltà le<br />

suggeriva di credere, e non sapeva di anticipare le richieste di perdono dei peccatori, che avrebbe<br />

fatto ai piedi della Croce insieme al Figlio morente.<br />

‘Quando poi il gran Signore lo vorrà, Ella sarà riempita dello Spirito d’intelligenza’ e comprenderà<br />

allora la sua sublime missione. Per ora non è che una pargola, che nella pace sacra del Tempio<br />

allaccia, ‘riallaccia’ sempre più stretti i suoi conversari, i suoi affetti, i suoi ricordi con <strong>Dio</strong>.<br />

Questo è per tutti.<br />

Ma per te, piccola Maria, non ha nulla di particolare da dire il tuo Maestro? ‘Cammina in mia<br />

presenza, sii perciò perfetta’. Modifico lievemente la sacra frase e te la do per ordine. Perfetta<br />

nell’amore, perfetta nella generosità, perfetta nel soffrire.<br />

Guarda una volta di più la Mamma. E medita su quello che tanti ignorano, o vogliono ignorare,<br />

perché il dolore è materia troppo ostica al loro palato e al loro spirito. <strong>Il</strong> dolore. Maria lo ha avuto<br />

dalle prime ore della vita. Esser perfetta come Ella era, era possedere anche una perfetta sensibilità.<br />

Perciò più acuto doveva esserle il sacrificio. Ma per questo più meritorio. Chi possiede purezza<br />

possiede amore, chi possiede amore possiede sapienza, chi possiede sapienza possiede generosità ed<br />

eroismo, perché sa il perché per cui si sacrifica.<br />

In alto il tuo spirito anche se la croce ti curva, ti spezza, ti uccide. <strong>Dio</strong> è con te.”<br />

9. La morte di Gioacchino e Anna fu dolce, dopo una vita di sapiente fedeltà<br />

a <strong>Dio</strong> nelle prove.<br />

31 agosto 1944<br />

Dice Gesù:<br />

“Come un rapido crepuscolo d’inverno, in cui un vento di neve accumuli nubi sul cielo, la vita dei<br />

miei nonni conobbe rapida la notte, dopo che il loro Sole si era fissato a splendere davanti alla Sacra<br />

Cortina del Tempio.<br />

Ma non è detto: ‘La Sapienza ispira vita ai suoi figli, prende sotto la sua protezione quelli che la<br />

cercano... Chi ama lei ama la vita e chi veglia per lei godrà la sua pace. Chi la possiede avrà in<br />

eredità la vita... Chi la serve ubbidirà al Santo e chi l’ama è molto amato da <strong>Dio</strong>... Se crederà in lei<br />

l’avrà in eredità, che sarà confermata ai suoi discendenti perché l’accompagna nella prova. Prima di<br />

tutto lo sceglie, poi manderà sopra di lui timori, paure e prove, lo tormenterà con la sferza della sua<br />

disciplina, finché l’abbia provato nei suoi pensieri e possa fidarsi di lui. Ma poi gli darà stabilità,<br />

tornerà a lui per diritto cammino e lo renderà contento. Scoprirà a lui i suoi arcani, metterà in lui<br />

tesori di scienza e di intelligenza nella giustizia.’?<br />

Sì, è detto questo. I libri sapienziali sono applicabili a tutti gli uomini che in essi hanno uno<br />

specchio dei loro comportamenti e una guida. Ma felici coloro che possono esser ravvisati fra gli<br />

spirituali amanti della Sapienza.<br />

<strong>Io</strong> mi sono circondato di sapienti, nella mia parentela mortale. Anna, Gioacchino, Giuseppe,


Zaccaria, e più ancora Elisabetta, e poi il Battista, non sono forse dei veri sapienti? Non parlo di mia<br />

Madre, in cui la Sapienza aveva dimora.<br />

Dalla giovinezza alla tomba, la sapienza aveva ispirato la maniera di vivere in modo grato a <strong>Dio</strong> ai<br />

nonni miei e, come una tenda che protegge dalle furie degli elementi, ella li aveva protetti dal<br />

pericolo di peccare. <strong>Il</strong> santo timore di <strong>Dio</strong> è base alla pianta della sapienza, la quale da esso si<br />

slancia con tutti i suoi rami per raggiungere col vertice l’amore tranquillo nella sua pace, l’amore<br />

pacifico nella sua sicurezza, l’amore sicuro nella sua fedeltà, l’amore fedele nella sua intensità,<br />

l’amore totale, generoso, attivo dei santi.<br />

‘Chi ama lei ama la vita e avrà in eredità la Vita’ dice l’Ecclesiastico. Ma questo si salda al mio:<br />

‘Colui che perderà la vita per amor mio, la salverà’. Perché non si parla della povera vita di questa<br />

terra ma della eterna, non delle gioie di un’ora ma di quelle immortali.<br />

Gioacchino ed Anna l’hanno in tal senso amata. Ed essa fu seco loro nelle prove.<br />

Quante, voi che per non essere completamente malvagi vorreste non aver mai a piangere e soffrire!<br />

Quante ne ebbero questi giusti che meritarono di avere per figlia Maria! La persecuzione politica<br />

che li cacciò dalla terra di Davide, impoverendoli oltre misura. La tristezza di veder cadere nel nulla<br />

gli anni senza che un fiore dicesse loro: ‘<strong>Io</strong> vi continuo’. E dopo, il trepidare per averlo avuto in età<br />

in cui era certo non vederlo fiorire in donna. E poi, il doverselo strappare dal cuore per deporlo<br />

sull’altare di <strong>Dio</strong>. E, ancora, il vivere in un silenzio ancor più grave, ora che si erano abituati al<br />

cinguettio della loro tortorina, al rumore dei suoi passetti, ai sorrisi e ai baci della loro creatura, e<br />

attendere nei ricordi l’ora di <strong>Dio</strong>. E ancora e ancora. Malattie, calamità di intemperie, prepotenze di<br />

potenti.... tanti colpi di ariete nel debole castello della loro modesta prosperità. E non basta ancora:<br />

la pena di quella creatura lontana, che rimane sola e povera e che, nonostante ogni loro premura e<br />

sacrificio, non avrà che un resto del bene paterno. E come lo troverà se per anni ancora resterà<br />

incolto, chiuso in attesa di Lei? Timori, paure, prove e tentazioni. E fedeltà, fedeltà, fedeltà, sempre,<br />

a <strong>Dio</strong>.<br />

La tentazione più forte: non negarsi il conforto della figlia intorno alla loro vita declinante. Ma i<br />

figli sono di <strong>Dio</strong> prima che dei genitori. E ogni figlio può dire ciò che <strong>Io</strong> dissi alla Madre: ‘Non sai<br />

che <strong>Io</strong> devo fare gli interessi del Padre dei Cieli?’. E ogni madre, ogni padre devono imparare<br />

l’attitudine da tenersi, guardando Maria e Giuseppe al Tempio, Anna e Gioacchino nella casa di<br />

Nazareth, che si fa sempre più spoglia e più triste, ma nella quale una cosa non diminuisce mai, anzi<br />

sempre più cresce: la santità di due cuori, la santità di un coniugio.<br />

Che resta a Gioacchino infermo e che alla sua dolente sposa per luce, nelle lunghe e silenziose sere<br />

di vecchi che si sentono morire? Le piccole vesti, i primi sandaletti, i poveri trastulli della loro<br />

piccina lontana, e i ricordi, i ricordi, i ricordi. E, con questi, una pace che viene dal dire: ‘Soffro, ma<br />

ho fatto il mio dovere d’amore verso <strong>Dio</strong>’.<br />

E allora ecco una gioia sovrumana, che brilla di una luce celeste, ignota ai figli del mondo, e che<br />

non si offusca per cadere di palpebra grave su due occhi che muoiono, ma che nell’ora estrema più<br />

splende, e illumina verità che erano state dentro per tutta la vita, chiuse come farfalle nel loro<br />

bozzolo, e davano segno d’esservi solo per dei movimenti soavi, fatti di lievi bagliori, mentre ora<br />

aprono le loro ali di sole e ne mostrano le parole che le decorano. E la vita si spegne nella<br />

conoscenza di un futuro beato per loro e la loro stirpe, e con una benedizione sul labbro per il loro<br />

<strong>Dio</strong>.<br />

Così la morte dei nonni miei. Come era giusto fosse per la loro santa vita. Per la santità hanno<br />

meritato d’essere i primi custodi della Amata da <strong>Dio</strong>, e solo quando un Sole più grande si mostrò<br />

nel loro vitale tramonto, essi intuirono la grazia che <strong>Dio</strong> aveva loro concessa.<br />

Per la loro santità, ad Anna non tortura di puerpera ma estasi di portatrice di chi è Senza Colpa. Per<br />

ambedue non affanno di agonia ma languore che spegne, come dolcemente si spegne una stella<br />

quando il sole sorge all’aurora. E se non ebbero il conforto di avermi Incarnata Sapienza, come mi<br />

ebbe Giuseppe, <strong>Io</strong> ero, invisibile Presenza che diceva sublimi parole, curvo sul loro guanciale per<br />

addormentarli nella pace in attesa del trionfo.<br />

Vi è che dice: ‘Perché non dovettero soffrire nel generare e nel morire, poiché erano figli di<br />

Adamo?’ A costui rispondo: ‘Se per esser stato avvicinato da Me nel seno della madre, fu


presantificato il Battista, figlio di Adamo e concepito con la colpa d’origine, nulla avrà avuto di<br />

grazia la madre santa della Santa in cui non era Macchia, della Preservata da <strong>Dio</strong> che seco portò <strong>Dio</strong><br />

nel suo spirito quasi divino e nel cuore embrionale, né mai se ne separò da quando fu pensata dal<br />

Padre, fu concepita in un seno e tornò a possedere <strong>Dio</strong> pienamente nel Cielo per una eternità<br />

gloriosa?’. A costui rispondo: ‘La retta coscienza dà morte serena e le preghiere dei santi vi<br />

ottengono tal morte’.<br />

Gioacchino ed Anna avevano tutta una vita di retta coscienza dietro a loro, e questa sorgeva come<br />

placido panorama e faceva loro guida sino al Cielo, e avevano la Santa in orazione davanti al<br />

Tabernacolo di <strong>Dio</strong> per i suoi genitori lontani, posposti a <strong>Dio</strong>, Bene supremo, ma amati, come legge<br />

e sentimento volevano, di un amore soprannaturalmente perfetto.”<br />

10. Cantico di Maria. Ella ricordava quanto il suo spirito aveva visto in <strong>Dio</strong>.<br />

2 settembre 1944.<br />

Soltanto ieri sera, venerdì, mi si è illuminata la mente a vedere. Non ho visto altro che una ben<br />

giovane Maria, una Maria dodicenne al massimo, il cui visetto non ha più quelle rotondità proprie<br />

della puerizia, ma già svela i futuri contorni della donna nell’ovale che si allunga. Anche i capelli<br />

non sono più sciolti sul collo coi loro boccoli lievi, ma stanno raccolti in due pesanti trecce di un<br />

oro pallidissimo -pare mescolato ad argento tanto sono chiari- lungo le spalle e scendono sino ai<br />

fianchi. <strong>Il</strong> viso è più pensoso, più maturo, per quanto sia sempre il viso di una fanciulla, una bella e<br />

pura fanciulla che, tutta vestita di bianco, cuce in una stanzetta piccina piccina e tutta bianca, dalla<br />

cui finestra spalancata si vede l’edificio imponente e centrale del Tempio e poi tutta la discesa delle<br />

gradinate, dei cortili, dei portici e, oltre le mura della cinta, la città colle sue vie e case e giardini e,<br />

in fondo, la cima gibbosa e verde del Monte Uliveto.<br />

Cuce e canta sottovoce:. Non so se sia un canto sacro. Dice:<br />

“Come una stella dentro un’acqua chiara<br />

mi splende una luce in fondo al cuore.<br />

Fin dall’infanzia da me non si separa<br />

e soavemente mi guida con amore.<br />

In fondo al cuore è un canto.<br />

Da dove viene mai?<br />

Uomo, tu non lo sai.<br />

Da dove riposa il Santo.<br />

<strong>Io</strong> guardo la mia stella chiara<br />

né voglio cosa che non sia,<br />

sia pure la cosa più dolce e chiara,<br />

che questa dolce luce che è tutta mia.<br />

Mi hai portata dagli alti Cieli,<br />

Stella, dentro ad un sen di madre.<br />

Ora vivi in me, ma oltre ai veli<br />

ti vedo, o volto glorioso del Padre.<br />

Quando alla tua serva Tu darai l’onore<br />

d’esser umile ancella del Salvatore?<br />

Manda, dal Cielo manda a noi il Messia.<br />

Accetta, Padre Santo, l’offerta di Maria.”<br />

Maria tace, sorride e sospira, e poi si curva a ginocchi in preghiera. <strong>Il</strong> suo visetto è tutto una luce.<br />

Altolevato verso l’azzurro terso di un bel cielo estivo, pare ne aspiri tutta la luminosità e se ne<br />

irradi. O, meglio, pare che dal suo interno un nascosto sole irradi le sue luci ed accenda la neve


appena rosata delle carni di Maria, e si effonda incontro alle cose e al sole che splende sulla terra,<br />

benedicendo e promettendo tanto bene.<br />

Mentre Maria sta per rialzarsi dopo la sua amorosa preghiera, e sul volto le permane una luminosità<br />

d’estasi, entra la vecchia Anna di Fanuel e si arresta stupita, o per lo meno ammirata dell’atto e<br />

dell’aspetto di Maria.<br />

Poi la chiama: “Maria”, e la Fanciulla si volge con un sorriso, diverso ma sempre tanto bello, e<br />

saluta: “Anna, a te pace.”<br />

“Pregavi? Non ti basta mai la preghiera?”<br />

La preghiera mi basterebbe. Ma io parlo con <strong>Dio</strong>. Anna, tu non puoi sapere come io me lo sento<br />

vicino. Più che vicino, in cuore. <strong>Dio</strong> mi perdoni tale superbia. Ma io non mi sento sola. Tu vedi? Là,<br />

in quella casa d’oro e di neve, dietro alla doppia Cortina, è il Santo dei santi. Né mai alcun occhio,<br />

che non sia quello del Sommo Sacerdote, può fissarsi sul Propiziatorio, sul quale riposa la gloria del<br />

Signore. Ma io non ho bisogno di guardare con tutta l’anima venerabonda quel doppio Velo<br />

trapunto, che palpita alle onde dei canti verginali e dei leviti e che odora di preziosi incensi, come<br />

per forarne la compagine e veder tralucere la Testimonianza. Sì che la guardo! Non temere che io<br />

non la guardi con occhio venerabondo come ogni figlio d’Israele. Non temere che l’orgoglio mi<br />

acciechi facendomi pensare ciò che or ti dico. <strong>Io</strong> la guardo, né vi è umile servo nel popolo di <strong>Dio</strong><br />

che guardi più umilmente la Casa del suo Signore come io la guardo, convinta d’esser la più<br />

meschina di tutti. Ma che vedo? Un velo. Che penso oltre il Velo? Un Tabernacolo. Che, in quello?<br />

Ma se mi guardo in cuore, ecco, io vedo <strong>Dio</strong> splendere nella sua gloria d’amore e dirmi: ‘T’amo’, e<br />

io gli dico: ‘T’amo’, e mi liquefò e mi ricreo ad ogni palpito del cuore in questo bacio reciproco...<br />

Sono in mezzo a voi, maestre e compagne care. Ma un cerchio di fiamma mi isola da voi. Entro il<br />

cerchio, <strong>Dio</strong> e io. Ed io vi vedo attraverso al Fuoco di <strong>Dio</strong> e così vi amo... ma non posso amarvi<br />

secondo la carne né mai alcuno potrò amare secondo la carne. Ma solo Questo che mi ama, e<br />

secondo lo spirito. So la mia sorte. La Legge secolare di Israele vuole di ogni fanciulla una sposa e<br />

di ogni sposa una madre. Ma io, pur ubbidendo alla Legge, ubbidisco alla Voce che mi dice: ‘<strong>Io</strong> ti<br />

voglio’, e vergine sono e sarò. Come lo potrò fare? Questa dolce, invisibile Presenza che è meco mi<br />

aiuterà, poiché Essa vuole tal cosa. <strong>Io</strong> non temo. Non ho più padre e madre... e solo l’Eterno sa<br />

come in quel dolore si arse quanto io avevo d’umano. Si arse con dolore atroce. Ora non ho che<br />

<strong>Dio</strong>. A Lui dunque ubbidisco ciecamente... Già l’avrei fatto anche contro padre e madre, perché la<br />

Voce mi istruisce che chi vuol seguirla deve passare oltre padre e madre, amorose guardie di ronda<br />

intorno alle mura del cuore filiale, che vogliono condurre alla gioia secondo le loro vie.... e non<br />

sanno che vi sono altre vie, la cui gioia è infinita... Avrei loro lasciato vesti e mantello, pur di<br />

seguire la Voce che mi dice: ‘Vieni, o mia diletta, o mia sposa’. Tutto avrei lasciato; e le perle delle<br />

lacrime, perché avrei pianto di doverli disubbidire, e i rubini del mio sangue, ché anche la morte<br />

avrei sfidato per seguire la Voce che chiama, avrebbero loro detto che vi è qualcosa di più grande<br />

dell’amore di un padre e una madre, e più dolce, ed è la Voce di <strong>Dio</strong>. Ma ora la sua volontà m’ha<br />

sciolta anche da questo laccio di pietà filiale. Già, laccio non sarebbe stato. Erano due giusti, e <strong>Dio</strong><br />

certo parlava in loro come a me parla. Avrebbero seguito giustizia e verità. Quando io li penso, li<br />

penso nella quiete dell’attesa fra i Patriarchi, e affretto col mio sacrificio l’avvento del Messia per<br />

aprire loro le porte del Cielo. Sulla terra sono io che mi reggo, ossia è <strong>Dio</strong> che regge la sua povera<br />

serva dicendole i suoi comandi. Ed io li compio, poiché compierli è la mia gioia. Quando l’ora sarà,<br />

io dirò allo sposo il mio segreto... ed egli lo accoglierà.”<br />

“Ma, Maria.... quali parole troverai per persuaderlo? Avrai contro l’amore di un uomo, la Legge e la<br />

vita.”<br />

“Avrò con me Iddio... Iddio aprirà alla luce il cuore dello sposo... la vita perderà i suoi aculei di<br />

senso divenendo un puro fiore che ha profumo di carità. La Legge... Anna, non dirmi<br />

bestemmiatrice. <strong>Io</strong> penso che la Legge stia per essere mutata. Da chi, tu pensi, se è divina? Dal solo<br />

che mutare la può. Da <strong>Dio</strong>. <strong>Il</strong> tempo è prossimo più che non pensiate, io ve lo dico. Perché<br />

leggendo Daniele, una gran luce mi si è fatta venendo dal centro del cuore, e la mente ha compreso<br />

il senso delle arcane parole. Abbreviate saranno le settanta settimane per le preghiere dei giusti.<br />

Mutato il numero degli anni? No. Profezia non mente. Ma non il corso del sole, sibbene quello


della luna è la misura del tempo profetico, onde io dico: ‘Prossima è l’ora che udrà vagire il Nato<br />

da una Vergine’. Oh! volesse, questa Luce che mi ama, dirmi, poiché tante cose mi dice, dove è la<br />

felice che partorirà il Figlio a <strong>Dio</strong> e il Messia al suo popolo! Camminando scalza percorrerei la<br />

terra, né freddo e gelo, né polvere e solleone, né fiere e fame mi farebbero ostacolo per giungere a<br />

Lei e dirle: ‘Concedi alla tua serva e alla serva dei servi del Cristo di vivere sotto il tuo tetto. Girerò<br />

la macina e lo strettoio, come schiava alla macina mettimi, come mandriana al tuo gregge, come<br />

colei che deterge i pannilini al tuo Nato, mettimi alle tue cucine, mettimi ai tuoi forni... dove tu<br />

vuoi, ma accoglimi. Che io lo veda! Ne oda la voce! Ne riceva lo sguardo’. E, se non mi volesse,<br />

mendica alla sua porta io vivrei di elemosina e scherni, all’addiaccio e al solleone, pur di udire la<br />

voce del Messia bambino e l’eco delle sue risa, e poi vederlo passare... E forse un giorno riceverei<br />

da Lui l’obolo di un pane... Oh! se la fame mi straziasse le viscere e mi sentissi mancare dopo tanto<br />

digiuno, non mangerei quel pane. Lo terrei come sacchetto di perle contro il cuore e lo bacerei per<br />

sentire il profumo della mano del Cristo, e non avrei più fame né freddo, perché il contatto mi<br />

darebbe estasi e calore, estasi e cibo...”<br />

“Tu dovresti essere la Madre del Cristo, tu che l’ami così! E’ per questo che vuoi rimanere<br />

vergine?”<br />

“Oh! no. <strong>Io</strong> sono miseria e polvere. Non oso alzare lo sguardo verso la Gloria. E’ per questo che più<br />

del doppio Velo, oltre il quale so esser l’invisibile Presenza di Jeovà, io amo guardare entro il mio<br />

cuore. Là è il <strong>Dio</strong> terribile del Sinai. Qua, in me, io vedo il Padre nostro, un’amorosa Faccia che mi<br />

sorride e benedice, perché sono piccola come un uccellino che il vento sorregge senza sentirne il<br />

peso, e debole come stelo del mughetto selvaggio che non sa che fiorire e odorare, e al vento non<br />

oppone altra forza che quella della sua profumata e pura dolcezza. <strong>Dio</strong>, il mio vento d’amore! Non<br />

per questo. Ma perché al Nato da <strong>Dio</strong> e da una Vergine, al Santo del Santissimo non può che piacere<br />

che ciò che nel Cielo ha scelto per Madre e ciò che sulla terra gli parla del Padre celeste: la Purezza.<br />

Se la Legge meditasse questo, se i rabbi, che l’hanno moltiplicata in tutte le sottigliezze del loro<br />

insegnamento, volgendo la mente ad orizzonti più alti si immergessero nel soprannaturale, lasciando<br />

l’umano e l’utile che perseguono dimenticando il Fine supremo, dovrebbero soprattutto volgere il<br />

loro insegnare alla Purezza, perché il Re d’Israele la trovi al suo venire. Con l’ulivo del Pacifico,<br />

colle palme del Trionfatore spargete gigli, e gigli, e gigli... Quanto sangue dovrà spargere per<br />

redimerci, il Salvatore! Quanto! Dalle mille e mille ferite che Isaia vide sull’Uomo dei dolori, ecco<br />

che cade, come rugiada da un vaso poroso, una pioggia di Sangue. Non cada dove è profanazione e<br />

bestemmia, questo Sangue divino, ma in calici di purezza fragrante, che lo accolgano e raccolgano<br />

per poi spargerlo ai malati dello spirito, ai lebbrosi dell’anima, ai morti a <strong>Dio</strong>. Date gigli, gigli date<br />

per asciugare, con la candida veste dei petali puri, i sudori e le lacrime del Cristo! Date gigli, gigli<br />

date per l’ardore della sua febbre di Martire! Oh! dove sarà quel Giglio che ti porta? Dove quello<br />

che ti disseterà l’arsura? Dove quello che si farà rosso del tuo Sangue e morirà per il dolore di<br />

vederti morire? Dove quello che piangerà sul tuo Corpo svenato? Oh! Cristo! Cristo! Sospiro<br />

mio!...”<br />

Maria tace, lacrimante e sopraffatta.<br />

Anna tace per qualche tempo e poi, con la sua voce bianca di vegliarda commossa, dice: “Hai altro<br />

da insegnarmi, Maria?”<br />

Maria si scuote. Deve credere, nella sua umiltà, che la sua maestra la rimproveri e dice: “Oh!<br />

perdono! Tu sei maestra, io sono un povero nulla. Ma questa Voce mi sale dal cuore. <strong>Io</strong> ben la<br />

sorveglio, per non parlare. Ma come fiume che sotto émpito d’onda rompe le dighe, or ecco m’ha<br />

presa ed è straripata. Non far conto delle mie parole e mortifica la mia presunzione. Le arcane<br />

parole dovrebbero stare nell’arca segreta del cuore, che <strong>Dio</strong> nella sua bontà benefica. Lo so. Ma è<br />

tanto dolce questa invisibile Presenza, che io ne sono ebbra... Anna, perdona alla tua piccola serva!”<br />

Anna la stringe a sé, e tutto il vecchio viso rugoso trema e luccica di pianto. Le lacrime si insinuano<br />

fra le rughe come acqua per terreno accidentato che si muta in tremulo acquitrino. Ma la vecchia<br />

maestra non suscita riso, anzi il suo pianto eccita la più alta venerazione.<br />

Maria sta fra le sue braccia, il visetto contro il petto della vecchia maestra, e tutto finisce così.


Dice Gesù:<br />

“Maria si ricordava di <strong>Dio</strong>. Sognava <strong>Dio</strong>. Credeva sognare. Non faceva che rivedere quanto il suo<br />

spirito aveva visto nel fulgore del Cielo di <strong>Dio</strong>, nell’attimo in cui era stata creata per essere unita<br />

alla carne concepita sulla terra. Condivideva con <strong>Dio</strong>, seppure in maniera molto minore, come<br />

giustizia voleva, una delle proprietà di <strong>Dio</strong>. Quella di ricordare, vedere e prevedere per l’attributo<br />

della intelligenza potente e perfetta, perché non lesa dalla Colpa.<br />

L’uomo è creato a immagine e somiglianza di <strong>Dio</strong>. Una delle somiglianze è nella possibilità, per lo<br />

spirito, di ricordare, vedere e prevedere. Questo spiega la facoltà di leggere nel futuro. Facoltà che<br />

viene, per volere di <strong>Dio</strong>, molte volte e direttamente, altre per ricordo che si alza come sole su un<br />

mattino, illuminando un dato punto dell’orizzonte dei secoli già visto dal seno di <strong>Dio</strong>.<br />

Sono misteri che sono troppo alti perché li possiate comprendere in pieno. Ma riflettete.<br />

Quell’Intelligenza suprema, quel Pensiero che tutto sa, quella Vista che tutto vede, che vi crea con<br />

un moto del suo volere e con un alito del suo amore infinito, facendovi suoi figli per l’origine e suoi<br />

figli per la mèta vostra, può forse darvi cosa che sia diversa da Lui? Ve la dà in parte infinitesimale,<br />

perché non potrebbe la creatura contenere il Creatore. Ma quella parte è perfetta e completa nella<br />

sua infinitesimalità.<br />

Quale tesoro di intelligenza non ha dato <strong>Dio</strong> all’uomo, ad Adamo! La colpa l’ha menomato, ma il<br />

mio sacrificio lo reintegra e vi apre i fulgori dell’Intelligenza, i suoi fiumi, la sua scienza. Oh!<br />

sublimità della mente umana, unita per la Grazia a <strong>Dio</strong>, compartecipe della capacità di <strong>Dio</strong> di<br />

conoscere!...Della mente umana unita per la Grazia a <strong>Dio</strong>.<br />

Non c’è altro modo. Lo ricordino i curiosi di segreti ultra umani. Ogni cognizione che non venga<br />

da anima in grazia -e non è in grazia chi è contrario alla Legge di <strong>Dio</strong>, che è ben chiara nei suoi<br />

ordini- non può che venire da Satana, e difficilmente corrisponde a verità, per quanto si riferisce ad<br />

argomenti umani, mai risponde a verità per quanto si riferisce al sopraumano, perché il Demonio è<br />

padre di menzogna e seco trascina su sentiero di menzogna. Non c’è nessun altro metodo, per<br />

conoscere il vero, che quello che viene da <strong>Dio</strong>, il quale parla e dice o richiama a memoria (ossia<br />

desta o sprona la conoscenza di segreti ultra umani), così come un padre richiama a memoria un<br />

figlio sulla casa paterna, e dice: ‘Ricordi quando con Me facevi questo, vedevi quello, udivi<br />

quell’altro? Ricordi quando ricevevi il mio bacio di commiato? Ricordi quando mi vedesti per la<br />

prima volta, il sole folgorante del mio volto sulla tua vergine anima testé creata e ancora monda,<br />

perché appena da Me uscita, dalla tabe che ti ha poi menomata? Ricordi quando comprendesti in un<br />

palpito d’amore cosa è l’Amore? Quale è il mistero del nostro Essere e Procedere?’. E dove la<br />

capacità limitata dell’uomo in grazia non giunge, ecco lo Spirito di scienza che parla e ammaestra.<br />

Ma, per possedere lo Spirito, occorre la Grazia. Ma, per possedere Verità e Scienza, occorre la<br />

Grazia. Ma. per avere seco il Padre, occorre la Grazia. Tenda in cui le Tre Persone fanno dimora,<br />

Propiziatorio su cui posa l’Eterno e parla, non da dentro alla nube, ma svelando la sua Faccia al<br />

figlio fedele. I santi si ricordano di <strong>Dio</strong>. Delle parole udite nella Mente Creatrice e che la Bontà<br />

risuscita nel loro cuore per innalzarli come aquile nella contemplazione del Vero, nella conoscenza<br />

del Tempo.<br />

Maria era la Piena di Grazia. Tutta la Grazia una e trina era in Lei. Tutta la Grazia una e trina la<br />

preparava come sposa alle nozze, come talamo alla prole, come divina alla sua maternità e alla sua<br />

missione. Essa è Colei che conclude il ciclo delle profetesse dell’Antico Testamento e apre quello<br />

dei ‘portavoce di <strong>Dio</strong>’ nel Nuovo Testamento.<br />

Arca vera della Parola di <strong>Dio</strong>, guardando nel suo seno in eterno inviolato, scopriva, tracciate dal<br />

dito di <strong>Dio</strong> sul suo cuore immacolato, le parole di scienza eterna, e ricordava, come tutti i santi, di<br />

averle già udite nell’esser generata col suo spirito immortale da <strong>Dio</strong> Padre creatore di tutto quanto<br />

ha vita. E, se non tutto ricordava della sua futura missione, ciò era perché in ogni perfezione umana<br />

<strong>Dio</strong> lascia delle lacune, per legge di una divina prudenza, che è bontà e che è merito per e verso la<br />

creatura.<br />

Eva seconda, Maria, ha dovuto conquistarsi la sua parte di merito nell’esser la Madre del Cristo con<br />

una fedele, buona volontà, che <strong>Dio</strong> ha voluto anche nel suo Cristo per farlo Redentore.<br />

Lo spirito di Maria era nel Cielo. <strong>Il</strong> suo morale e la sua carne sulla Terra, e dovevano calpestare


terra e carne per raggiungere lo spirito e congiungerlo allo Spirito nell’abbraccio fecondo.”<br />

Nota mia. Tutto ieri mi ero pensata di vedere l’annuncio della morte dei genitori e, chissà perché,<br />

dato da Zaccaria. Così anche mi pensavo a modo mio il come sarebbe stato trattato da Gesù il punto<br />

del ‘ricordo di <strong>Dio</strong> da parte dei santi’. Stamane, quando cominciò la visione, ho detto: “Ecco, ora le<br />

diranno che è orfana” e ne avevo già il cuore piccino perché.... era la mia stessa tristezza di questi<br />

giorni che avrei sentito e visto. Invece non c’è nulla di quanto avevo pensato vedere e udire. Ma<br />

neppure una parola per sbaglio. Questo mi consola, perché mi dice che proprio di mio non c’è nulla,<br />

neppure una onesta suggestione verso un dato punto. Tutto viene proprio da altra fonte. La mia<br />

paura continua cessa... fino alla prossima volta, perché mi accompagnerà sempre questa paura<br />

d’essere ingannata e di ingannare.


11. Maria confida il suo voto al Sommo Sacerdote.<br />

3 settembre 1944.<br />

Che notte d’inferno! Pareva proprio che i demoni fossero a spasso sulla terra. Cannonate, tuoni,<br />

lampi, pericolo, paura, sofferenza per essere su un letto non mio, e in mezzo, come un fiore tutto<br />

bianco e soave fra vampe e triboli, la presenza di Maria, un poco più adulta che non nella visione di<br />

ieri, ma sempre giovinetta, con le sue trecce bionde sulle spalle, il suo abito bianco e il suo mite,<br />

raccolto sorriso, un sorriso interno, volto al mistero glorioso che Ella ha raccolto in cuore. Passo la<br />

notte confrontando il suo aspetto soave con la ferocia che è nel mondo e ripensando le sue parole di<br />

ieri mattina, canto di carità viva, con l’odio che si sbrana...<br />

Stamane ecco che, tornata nel silenzio della mia stanza, assisto a questa scena.<br />

Maria è sempre nel Tempio. E ora esce, fra altre vergini, dal Tempio vero e proprio.<br />

Deve esserci stata qualche cerimonia, perché odore di incensi si sparge per l’aria tutta rossa per un<br />

bel tramonto, che direi di autunno avanzato, perché un cielo già dolcemente stanco, come lo è in un<br />

ottobre sereno, si incurva sui giardini di Gerusalemme, nei quali il giallo ocra delle foglie prossime<br />

a cadere mette delle chiazze biondo-rosse fra il verde-argento degli ulivi.<br />

La schiera, anzi lo sciame candido delle vergini, traversa il cortile posteriore, sale la gradinata,<br />

varca un porticato, entra in un altro cortile meno splendido, quadrato e che non ha altre aperture<br />

fuor da quella a cui si accede in esso. Deve essere quello dedicato ad accogliere le piccole dimore<br />

delle vergini adibite al Tempio, perché ogni fanciulla si dirige alla sua cella come una colombella al<br />

suo nido, e pare proprio uno stormo di colombe che si separi dopo essere stato unito a raccolta.<br />

Molte, potrei dire tutte, parlano fra loro, prima di lasciarsi, a voce bassa ma giuliva. Maria tace.<br />

Soltanto, prima di separarsi dalle altre, le saluta con affetto, e poi si dirige alla sua stanzetta, in un<br />

angolo, a destra.<br />

La raggiunge una maestra, non vecchia come Anna di Fanuel, ma già anziana. “Maria. <strong>Il</strong> Sommo<br />

Sacerdote ti attende.”<br />

Maria la guarda lievemente stupita, ma non fa domande. Risponde soltanto: “Mi affretto a lui.”<br />

Non so se l’ampia sala in cui entra sia della casa del Sacerdote o faccia parte delle dimore delle<br />

donne adibite al Tempio. So che è vasta e luminosa, ben messa, e che in essa, oltre al Sommo<br />

Sacerdote, tutto bello nelle sue vesti, vi è Zaccaria e Anna di Fanuel.<br />

Maria fa un profondo inchino sulla soglia e non avanza finché il Sommo Sacerdote non le dice:<br />

“Avanzati, Maria. Non temere.” Maria rialza persona e viso e viene avanti lentamente, non per<br />

malavoglia ma per un involontario che di solenne, che la fa parere più donna.<br />

Anna le sorride per incoraggiarla e Zaccaria la saluta con un: “La pace a te, cugina.”<br />

<strong>Il</strong> Pontefice la osserva attentamente, e poi a Zaccaria: “E’ palese il lei la stirpe di Davide e Aronne.”<br />

“Figlia, io so la tua grazia e bontà. So che ogni giorno tu crescesti in scienza e grazia agli occhi di<br />

<strong>Dio</strong> e degli uomini. So che la voce di <strong>Dio</strong> mormora al tuo cuore le sue parole più dolci. So che sei il<br />

Fiore del Tempio di <strong>Dio</strong> e che un terzo cherubino è davanti alla Testimonianza da quando tu vi sei.<br />

E vorrei che il tuo profumo continuasse a salire con gli incensi ad ogni nuovo giorno. Ma la Legge<br />

dice altre parole. Tu non sei più una fanciulla ormai, ma una donna. Ed ogni donna deve esser sposa<br />

in Israele per portare il suo maschio al Signore. Tu seguirai l’ordine della Legge. Non temere, non<br />

arrossire. Ho presente la tua regalità. Già te ne tutela la Legge, che ordina che ad ogni uomo sia data<br />

la donna della sua stirpe. Ma, anche ciò non fosse, io lo farei, per non corrompere il tuo magnifico<br />

sangue. Non conosci alcuno della tua stirpe, o Maria, che possa esserti sposo?”<br />

Maria alza un viso tutto rosso di pudore e sul quale, a ciglio delle palpebre, splende un primo brillio<br />

di pianto, e con voce trepida risponde: “ Nessuno.”<br />

“Non può conoscere alcuno, poiché entrò qui nella puerizia, e la stirpe di Davide è troppo percossa<br />

e dispersa per permettere che i diversi rami si riuniscano come fronda a far chioma alla palma<br />

regale” dice Zaccaria.<br />

“Allora daremo a <strong>Dio</strong> la scelta.”<br />

Le lacrime fin lì rattenute sgorgano e cadono sino alla bocca tremante, e Maria getta uno sguardo<br />

supplice alla sua maestra.


“Maria si è promessa al Signore per la sua gloria e la salvezza d’Israele. Non era che una bambina<br />

che compitava appena, e già si era legata da voto...” dice Anna in suo aiuto.<br />

“<strong>Il</strong> tuo pianto è per questo, allora? Non per resistenza alla Legge.”<br />

“Per questo... non altro. <strong>Io</strong> ti ubbidisco, Sacerdote di <strong>Dio</strong>.”<br />

“Questo conferma quanto sempre mi fu detto di te. Da quanti anni sei vergine consacrata a <strong>Dio</strong>?”<br />

“Da sempre, io credo. Non ancora ero in questo Tempio e già al Signore m’ero data.”<br />

“Ma tu non sei la piccola che venisti, or sono dodici inverni, a chiedermi d’entrare?”<br />

“Lo sono.”<br />

“E come, allora, puoi dire che eri già di <strong>Dio</strong> allora?”<br />

“Se guardo indietro io mi ritrovo vergine consacrata... Non mi ricordo dell’ora in cui nacqui, né<br />

come cominciai ad amare la madre mia e a dire al padre: ‘O padre, io son la tua figlia’... Ma<br />

ricordo, né so quando ebbe inizio, d’aver dato a <strong>Dio</strong> il mio cuore. Forse fu col primo bacio che<br />

seppi dare, con la prima parola che seppi pronunciare, col primo passo che seppi fare... Sì, ecco. <strong>Io</strong><br />

credo che il primo ricordo d’amore io lo trovo col mio rimo passo sicuro... La mia casa... la mia<br />

casa aveva un giardino pieno di fiori... aveva un frutteto e dei campi... e una sorgente era là, in<br />

fondo, sottomonte, e sgorgava da una roccia incavata che faceva grotta... era piena di erbe lunghe e<br />

sottili, che piovevano come cascatele verdi da ogni ove e pareva piangessero, perché le fogliettine<br />

leggere, le fronde che parevano un ricamo, avevano tutte una gocciolina d’acqua che cadendo<br />

suonava come un campanellino piccino piccino. E anche la sorgente cantava. E vi erano uccelli<br />

sugli ulivi e i meli che erano sulla costa sopra la sorgente, e colombe bianche venivano a lavarsi<br />

nello specchio limpido della fontana.... Non mi ricordavo più tutto questo, perché avevo messo tutto<br />

il mio cuore in <strong>Dio</strong> e , fuorché il padre e la madre, amati in vita e in morte, ogni altra cosa della<br />

terra si era dileguata dal mio cuore... Ma tu mi vi fai pensare, Sacerdote...Devo cercare quando mi<br />

detti a <strong>Dio</strong>... e le cose dei primi anni tornano... <strong>Io</strong> amavo quella grotta, perché più del canto<br />

dell’acqua e degli uccelli vi udivo una Voce che mi diceva: ‘Vieni, mia diletta’. <strong>Io</strong> amavo quelle<br />

erbe diamantate di gocce sonore, perché in esse vedevo il segno del mio Signore e mi perdevo a<br />

dirmi: ‘Vedi come è grande il tuo <strong>Dio</strong>, anima mia? Colui che ha fatto i cedri del Libano per<br />

l’aquilone, h fatto queste fogliette che piegano sotto il peso di un moscerino per la gioia del tuo<br />

occhio e per riparo al tuo piccolo piede’. <strong>Io</strong> amavo quel silenzio di cose pure: il vento lieve, l’acqua<br />

d’argento, la mondezza delle colombe... amavo quella pace che vegliava sulla grotticella, piovendo<br />

dai meli e dagli ulivi, ora tutti in fiore, ed ora tutti preziosi di frutti... E non so... mi pareva che la<br />

Voce dicesse, a me, proprio a me: ‘Vieni, tu, uliva speciosa; vieni, tu, dolce pomo; vieni, tu, fonte<br />

sigillata; vieni, tu, colomba mia’... Dolce l’amore del padre e della madre... dolce la loro voce che<br />

mi chiamava... ma questa! questa! Oh! nel terrestre Paradiso penso che così l’udisse colei che fu<br />

colpevole, né so come poté preferire un sibilo a questa Voce d’amore, come poté appetire ad altra<br />

conoscenza che non fosse Iddio... Con le labbra che ancora sapevano di materno latte, ma col cuore<br />

ebbro di celeste miele, io ho detto allora: ‘Ecco, io vengo. Tua. Né altro signore avrà la mia carne<br />

fuor di Te, Signore, come altro amore non ha il mio spirito’... E nel dirlo mi pareva di ridire cose già<br />

dette e compire un rito già compiuto, né estraneo m’era lo Sposo prescelto, perché io ne conoscevo<br />

già l’ardore, e la mia vista si era formata alla sua luce e la mia capacità d’amare s’era compiuta fra<br />

le sue braccia. Quando?...Non so. Oltre la vita, direi, perché sento di averlo sempre avuto, e che<br />

Egli mi ha sempre avuta, e che io sono poiché Egli mi ha voluta per la gioia del suo Spirito e del<br />

mio... Ora ubbidisco, Sacerdote. Ma dimmi tu come io devo agire... Non ho padre e madre. Sii tu la<br />

mia guida.”<br />

“<strong>Dio</strong> ti darà lo sposo, e santo sarà poiché a <strong>Dio</strong> ti affidi. Tu gli dirai il tuo voto.”<br />

“E accetterà?”<br />

“Lo spero. Prega, o figlia, che egli possa capire il tuo cuore. Vai, ora. <strong>Dio</strong> ti accompagni sempre.”<br />

Maria si ritira con Anna. E Zaccaria resta col Pontefice.<br />

La visione cessa così.<br />

12. Giuseppe prescelto come sposo della Vergine.


4 settembre 1944<br />

Vedo una ricca sala dal bel pavimento e tende e tappeti e mobili d’intarsio. Deve ancora far parte<br />

del Tempio, perché in essa vi sono sacerdoti, fra cui Zaccaria, e molti uomini di ogni età, ossia da<br />

venti ai cinquant’anni, su per giù.<br />

Parlano fra loro piano ma animatamente. Paiono in ansia per qualche cosa che non so. Sono tutti<br />

vestiti a festa con vesti nuove o almeno molto fresche di lavatura, come fossero parati ad una festa.<br />

Molti si sono levati il telo che fa da copricapo, altri lo hanno ancora, specie gli anziani, mentre i<br />

giovani mostrano le loro teste nude, quali biondo scure, quali morate, alcune nerissime, una sola<br />

rosso-rame. Le capigliature sono per la maggior parte corte, ma ve ne sono di quelle lunghe sino<br />

alle spalle. Non devono conoscersi tutti fra di loro, perché si osservano curiosamente. Ma sembrano<br />

affini, perché si capisce li prema un unico pensiero.<br />

In un angolo vedo Giuseppe. Parla con un vecchiotto rubizzo. Giuseppe è sui trent’anni. Un<br />

bell’uomo dai capelli corti e piuttosto ricci, di un castagno morato come è la barba e i baffi che<br />

ombreggiano un bel mento e salgono le gote brune rosse, non olivastre come in altri bruni. Ha occhi<br />

scuri, buoni e profondi, seri molto, direi quasi un poco tristi. Ma però quando sorride, come fa ora,<br />

divengono lieti e giovanili. E’ tutto vestito di marrone chiaro, molto semplice ma molto ordinato.<br />

Entra un gruppo di giovani leviti e si dispone fra la porta e un tavolo lungo e stretto, che è presso la<br />

parete dove al centro è la porta che resta spalancata. Solo una tenda che pende sino a un venti<br />

centimetri da terra resta tesa a coprire il vano.<br />

La curiosità si acuisce. E più ancora quando una mano scosta la tenda per dare il passo ad un levita,<br />

che porta fra le braccia un fascio di rami secchi, sul quale è posato delicatamente un ramo fiorito.<br />

Una leggera spuma di petali bianchi, che appena si ricordano di una sfumatura di roseo che dal<br />

centro si irradia sempre più tenue sino al sommo dei petali leggeri. <strong>Il</strong> levita posa il fascio di rami sul<br />

tavolo con delicata cura, per non ledere il miracolo di quel ramo in fiore fra tanto seccume.<br />

Un brusio va per la sala. I colli si allungano, gli sguardi si fanno più acuti come per vedere. Anche<br />

Zaccaria, coi sacerdoti, essendo più vicino al tavolo, cerca di vedere. Ma non vede nulla.<br />

Giuseppe, nel suo angolo, dà appena un’occhiata al fascio di rami e, quando il suo interlocutore gli<br />

dice qualcosa, fa un cenno di diniego come chi dice: “Impossibile!”, e sorride.<br />

Uno squillo di trombe oltre la tenda. Tutti si zittiscono e si dispongono in bell’ordine colla faccia<br />

verso l’uscio, che ora appare spalancato, perché anche la tenda è fatta scorrere sui suoi anelli.<br />

Contornato da altri anziani, entra il Sommo Pontefice. Tutti si inchinano profondamente. <strong>Il</strong><br />

Pontefice va al tavolo e parla restando in piedi.<br />

“Uomini della stirpe di Davide, qui convenuti per il mio bando, udite. <strong>Il</strong> Signore ha parlato, sia lode<br />

a Lui! Dalla sua Gloria un raggio è sceso e, come sole di primavera, ha dato vita ad un ramo secco,<br />

e questo ha fiorito miracolosamente mentre nessun ramo della terra è in fiore oggi, ultimo giorno<br />

dell’Encenie, mentre ancor non è sciolta la neve caduta sulle alture di Giuda ed è l’unico candore<br />

che sia tra Sion e Betania. <strong>Dio</strong> ha parlato facendosi padre e tutore della Vergine di Davide, che non<br />

ha altro che Lui a sua tutela. Santa fanciulla, gloria del Tempio e della stirpe, ha meritato la parola<br />

di <strong>Dio</strong> per conoscere il nome dello sposo gradito all’Eterno. Ben giusto deve essere costui per<br />

essere l’eletto del Signore a tutela della Vergine a Lui cara! Per questo il nostro dolore di perderla si<br />

placa, e cessa ogni preoccupazione sul suo destino di sposa. E all’indicato da <strong>Dio</strong> affidiamo con<br />

ogni sicurezza la Vergine sulla quale è la benedizione di <strong>Dio</strong> e la nostra. <strong>Il</strong> nome dello sposo è<br />

Giuseppe di Giacobbe betlemita, della tribù di Davide, legnaiolo a Nazaret di Galilea. Giuseppe,<br />

vieni avanti. <strong>Il</strong> Sommo Sacerdote te lo ordina.”<br />

Molto brusio. Teste che si volgono, occhi e mani che accennano, espressioni deluse ed espressioni<br />

sollevate. Qualcuno, specie tra i vecchi, deve esser stato lieto di non avere questa sorte.<br />

Giuseppe, molto rosso e impacciato, si fa avanti. E’ ora davanti al tavolo, di fronte al Pontefice che<br />

ha salutato reverente.<br />

“Venite e guardate il nome inciso sul ramo. Prenda ognuno la propria verga, per essere sicuro che<br />

non vi è frode.”<br />

Gli uomini ubbidiscono. Guardano il ramo tenuto delicatamente dal Sommo Sacerdote, prendono


ognuno il proprio, e chi lo spezza e chi lo conserva. Tutti guardano Giuseppe. Vi è chi guarda e tace,<br />

e chi si felicita. <strong>Il</strong> vecchiotto col quale egli parlava prima, dice: “Te lo avevo detto, Giuseppe? Chi<br />

meno si sente sicuro è colui che vince la partita!” Ora tutti sono passati.<br />

<strong>Il</strong> Sommo Sacerdote dà a Giuseppe il ramo in fiore, e poi gli pone la mano sulla spalla e dice: “Non<br />

è ricca, e tu lo sai, la sposa che <strong>Dio</strong> ti dona. Ma ogni virtù è in Lei. Siine sempre più degno. Non vi<br />

è fiore in Israele vago e puro al par di Lei. Uscite tutti, ora. Resti Giuseppe. E tu, Zaccaria, parente,<br />

conduci la sposa.”<br />

Escono tutti meno il Sommo Sacerdote e Giuseppe. La tenda viene ricalcata sull’uscio.<br />

Giuseppe sta tutto umile presso il maestoso Sacerdote. Un silenzio, e poi questi gli dice: “Maria ha<br />

da dirti un suo voto. Tu aiuta la tua timidezza. Sii buono con la buona.”<br />

“Metterò la mia virilità al suo servizio e nessun sacrificio mi peserà per Lei. Siine certo.”<br />

Entra Maria con Zaccaria e Anna di Fanuel.<br />

“Vieni, Maria” dice il Pontefice. “Ecco lo sposo che <strong>Dio</strong> ti destina. E’ Giuseppe di Nazareth.<br />

Tornerai perciò alla tua città. Ora vi lascio. <strong>Dio</strong> vi dia la sua benedizione. <strong>Il</strong> Signore vi guardi e<br />

benedica, mostri a voi la sua faccia e abbia pietà di voi sempre. Rivolga a voi il suo volto e vi dia<br />

pace.”<br />

Zaccaria esce, scortando il Pontefice. Anna si felicita con lo sposo e poi esce pure essa pure.<br />

I due promessi sono uno di fronte all’altra. Maria, tutta rossa, sta a capo chino. Giuseppe, pure<br />

colorito, l’osserva e cerca le parole da dire per prime.<br />

Le trova finalmente e un sorriso lo illumina. Dice: “Ti saluto, Maria. Ti ho vista bambina di pochi<br />

giorni...Ero amico del padre tuo ed ho un nipote di mi fratello Alfeo che era tanto amico di tua<br />

madre. <strong>Il</strong> suo piccolo amico, perché ora non ha che diciott’anni, e quando tu non eri ancor nata egli<br />

era affatto un affatto piccolo uomo, e pure rallegrava le tristezze della madre tua che l’amava tanto.<br />

Tu non ci conosci, perché sei venuta qui piccina. Ma a Nazareth tutti ti vogliono bene, e pensano e<br />

parlano della piccola Maria di Gioacchino, la cui nascita fu un miracolo del Signore che fece<br />

rifiorire la sterile... Ed io ricordo la sera in cui sei nata... Tutti la ricordiamo per il prodigio di una<br />

grande pioggia che salvò la campagna, e di un violento temporale nel quale i fulmini non<br />

schiantarono neppure uno stelo d’erica selvaggia, finito con un arcobaleno che più grande e vago<br />

mai più si vide. E poi... chi non ricorda la gioia di Gioacchino? Ti palleggiava mostrandoti ai<br />

vicini... Come tu fossi un fiore venuto dal Cielo, ti ammirava e voleva tutti ti ammirassero, felice e<br />

vecchio padre che morì parlando della sua Maria così bella e buona e dalle parole piene di grazia e<br />

di sapere... Aveva ragione di ammirarti e di dire che non vi è una di te più bella! E tua madre?<br />

Empiva del suo canto l’angolo in cui era la tua casa, e pareva un’allodola a primavera mentre ti<br />

portava e dopo, quando ti aveva al seno. <strong>Io</strong> ti ho fatto la culla. Una cullina tutta a intagli di rose,<br />

perché così la volle tua madre. Forse vi è ancora nella chiusa dimora... Sono vecchio io, Maria.<br />

Quando sei nata facevo i primi lavori. Lavoravo già... Chi me lo avesse detto che io ti avrei avuta a<br />

sposa! Forse sarebbero morti più lieti i tuoi, perché mi erano amici. Ho seppellito il padre tuo<br />

piangendolo con cuor sincero, perché mi era maestro buono nella vita.”<br />

Maria alza piano piano il viso, rinfrancandosi sempre di più, sentendo che Giuseppe le parla così, e<br />

quando accenna alla culla sorride lievemente, e quando Giuseppe dice del padre gli tende una mano<br />

e dice: “Grazie, Giuseppe.” Un ‘grazie’ timido e soave.<br />

Giuseppe prende fra le sue corte e forti mani di legnaiolo la manina di gelsomino, e la carezza con<br />

un affetto che vuole sempre più rassicurare. Forse attende altre parole. Ma Maria tace di nuovo.<br />

Allora riprende lui: “La casa, lo sai, è intatta, meno che nella parte che fu abbattuta per ordine<br />

consolare, per fare del viottolo via ai carriaggi di Roma. Ma la campagna, quella che t’è rimasta,<br />

perché tu sai... la malattia del padre ha consumato molto tuo avere, è un poco trascurata. Sono altre<br />

tre primavere che gli alberi e le viti non conoscono cesoia di ortolano, e la terra è incolta e dura. Ma<br />

gli alberi che ti hanno vista piccina, vi sono ancora e, se me lo permetti, io subito mi occuperò di<br />

loro.”<br />

“Grazie, Giuseppe. Ma tu già lavori...”<br />

“Lavorerò al tuo orto nelle prime e nelle ultime ore del giorno. Ora il tempo di luce si allunga<br />

sempre più. Per la primavera voglio sia tutto in orine per la tua gioia. Guarda, questo è ramo del


mandorlo che sta contro casa. Ho voluto cogliere questo... -si entra per ogni dove dalla siepe<br />

rovinata, ma ora la rifarò solida e forte- ho voluto cogliere questo pensando che, se io fossi stato il<br />

prescelto- non lo speravo perché sono nazareo e ho ubbidito perché ordine di Sacerdote, non per<br />

desiderio di nozze- pensando, dicevo, che tu avresti avuto gioia ad avere un fiore del tuo giardino.<br />

Eccotelo, Maria. Con esso ti dono il mio cuore, che come esso è fiorito sino ad ora solo per il<br />

Signore, ed ora fiorisce per te, sposa mia.”<br />

Maria prende il ramo. E’ commossa e guarda Giuseppe con un viso sempre più sicuro e radioso. Si<br />

sente sicura di lui. Quando poi egli dice: ‘Sono nazareo’, il suo volto si fa tutto luminoso ed Ella si<br />

fa coraggio. “<strong>Io</strong> pure sono tutta di <strong>Dio</strong>, Giuseppe. Non so se il Sommo Sacerdote te l’ha detto...”<br />

“Mi ha detto solo che sei buona e pura, e che hai da dirmi un tuo voto, e d’esser buono con te. Parla,<br />

Maria. <strong>Il</strong> tuo Giuseppe vuole farti felice in ogni tuo desiderio. Non t’amo con la carne. Ti amo con<br />

lo spirito mio, santa fanciulla che <strong>Dio</strong> mi dona! Vedi in me un padre e un fratello, oltre che uno<br />

sposo. E come a padre confidati, come a fratello affidati.”<br />

“Fin dall’infanzia mi sono consacrata al Signore. So che questo non si fa in Israele. Ma io sentivo<br />

una Voce chiedermi la mia verginità in sacrificio d’amore per l’avvento del Messia. Da tanto<br />

l’attende Israele!... Non è troppo rinunciare per questo alla gioia d’esser madre!”<br />

Giuseppe la guarda fissamente come volesse leggerle nel cuore, e poi prende le due manine, che<br />

hanno ancora fra le dita il ramoscello fiorito, e dice: “Ed io unirò il mio sacrificio al tuo, e ameremo<br />

tanto con la nostra castità l’Eterno che Egli darà più presto alla terra il Salvatore, permettendoci di<br />

vedere la sua Luce risplendere nel mondo. Vieni, Maria. Andiamo davanti alla sua Casa e giuriamo<br />

di amarci come gli angeli fra loro. Poi io andrò a Nazareth a preparare tutto per te, nella tua casa se<br />

ami andare in quella, altrove se vuoi altrove.”<br />

“Nella mia casa... Vi era una grotta là in fondo... Vi è ancora?”<br />

“Vi è, ma non è più tua... Ma te ne farò una ove starai fresca e quieta nelle ore più calde. La farò<br />

quanto possibile uguale. E dimmi, chi vuoi con te?”<br />

“Nessuno. Non ho paura. La madre d’Alfeo, che sempre viene a trovarmi, mi farà compagnia un<br />

poco nel giorno, e la notte preferisco esser sola. Nulla mi può accadere di male.”<br />

“E poi ora ci sono io... Quando devo venire a prenderti?”<br />

“Quando tu vuoi, Giuseppe.”<br />

“Allora verrò non appena la casa è ordinata. Non toccherò nulla. Voglio tu trovi come tua madre ha<br />

lasciato. Ma voglio sia piena di sole e ben monda, per accoglierti senza tristezza. Vieni, Maria.<br />

Andiamo a dire all’Altissimo che lo benediciamo.”<br />

Non vedo altro. Ma mi resta in cuore il senso di sicurezza che prova Maria...<br />

13. Sposalizio della Vergine con Giuseppe, istruito dalla Sapienza ad essere<br />

custode del Mistero.<br />

5 settembre 1944.<br />

Come è bella Maria nelle sue vesti di sposa, fra le amiche e maestre festanti! Vi è anche, fra queste,<br />

Elisabetta.<br />

Tutta vestita di candidissimo lino, così setoso e fino che pare una seta preziosa. Una cintura in oro e<br />

argento lavorata a bulino, fatta tutta a medaglioni tenuti insieme da catenelle -e ogni medaglione è<br />

un ricamo di linee d’oro fra il pesante argento che il tempo ha brunito- le cinge la vita sottile e,<br />

forse perché troppo larga per Lei, ancor giovinetta gentile, le pende davanti coi tre ultimi<br />

medaglioni, scendendo fra le pieghe della veste amplissima e lievemente a strascico tanto è lunga.<br />

Ai piedini, sandali di pelle bianchissima con fibbie in argento.<br />

Al collo la veste è tenuta da una catenella a rosette d'oro e di filigrana d'argento, che riprendono in<br />

piccolo il motivo della cintura, e che passa fra larghe asole che sono all'ampia scollatura, riunendola<br />

perciò in crespe che formano come una piccola gala. <strong>Il</strong> collo di Maria emerge da quel candore<br />

pieghettato con la grazia di uno stelo avvolto in una garza preziosa, e pare ancor più esile e bianco,


uno stelo di giglio terminante nel volto liliale, ancor più pallido per l'emozione e più puro. un viso<br />

di ostia purissima.<br />

I capelli non pendono più sulle spalle. Sono vezzosamente disposti a nodo di trecce, e delle preziose<br />

forcine di argento brunito, tutte fatte a ricamo di filigrana nell’arco del sommo, le tengono a posto.<br />

<strong>Il</strong> velo materno è posato su queste trecce e ricade con belle pieghe al di sotto della lamina preziosa,<br />

che stringe la fronte bianchissima. Scende sino ai fianchi, perché Maria non è alta come sua madre e<br />

il velo le sorpassa le anche, mentre ad Anna giungeva alla cintura.<br />

Alle mani, nulla, ai polsi braccialetti. Ma sono così sottili questi polsi, che i pesanti braccialetti<br />

materni le ricadono fin sul dorso e forse, se scuotesse le mani, cadrebbero al suolo.<br />

Le compagne la rimirano in tutti i sensi e l’ammirano. Fanno un gaio cinguettio di passerette con le<br />

loro domande e le loro frasi di ammirazione.<br />

“Son di tua madre?”<br />

“Antichi, vero?”<br />

“Che bella, Sara, questa cintura!”<br />

“E questo velo, Susanna? Ma guarda che finezza! Ma guarda questi gigli tessuti in esso!”<br />

“Fammi vedere i bracciali, Maria! Erano di tua madre?”<br />

“Li portò. Ma sono della madre di Gioacchino mio padre.”<br />

“Oh! guarda! Hanno il sigillo di Salomone intrecciato con esili rametti di palma d’ulivo, e fra questi<br />

son gigli e rose. Oh! chi ha fatto sì perfetto e minuto lavoro?”<br />

“Sono della casa di Davide” spiega Maria “Li mettono da secoli le donne della stirpe che vanno<br />

spose, e restano in retaggio all’erede.”<br />

“Già! Tu sei figlia erede...”<br />

“Ti hanno portato tutto da Nazareth?”<br />

“No. Quando morì mia madre, mia cugina portò il corredo nella sua casa per conservarlo senza<br />

guasto. Ora me lo ha portato.”<br />

“Dove è? dove è? Mostralo alle amiche.”<br />

Maria non sa come fare... Vorrebbe essere cortese, ma vorrebbe anche non smuovere tutta la roba,<br />

disposta in tre pesanti cofani.<br />

In suo aiuto intervengono le maestre: “Lo sposo sta per giungere. Non è tempo di metter<br />

confusione. Lasciatela stare, ché la stancate, e andate a prepararvi.”<br />

Lo sciame garrulo si allontana un po' imbroncio. Maria può godersi in pace le sue maestre, che le<br />

dicono parole di lode e di benedizione.<br />

Anche Elisabetta si è fatta vicina. E poiché Maria, commossa, piange perché Anna di Fanuel la<br />

chiama ‘Figlia’ e la bacia con affetto veramente materno, Elisabetta le dice: “Maria, tua madre non<br />

c’è, ma c’è. <strong>Il</strong> suo spirito esulta presso il tuo. E, guarda, le cose che tu porti ti ridanno la sua<br />

carezza. Vi trovi ancora il sapore dei suoi baci. Un giorno lontano, il giorno in cui tu venisti al<br />

Tempio, ella mi disse: ‘Le ho preparato le vesti e il corredo di sposa, perché voglio esser sempre io<br />

quella che le fila i lini e le fa le vesti di sposa, per non essere assente nel giorno della sua gioia’. E<br />

sai? Negli ultimi tempi, quando io l’assistevo, ella voleva ogni sera carezzare le tue prime vesti e<br />

queste che ora porti, e diceva: ‘Qui sento l’odore di gelsomino della mia piccina, e qui voglio Ella<br />

senta il bacio di sua mamma’. Quanti baci a questo velo che ti ombreggia la fronte! Più baci che<br />

fili!.... E quando metterai le tele da lei tessute, pensa che, più che lo stame, le ha formate l’amor di<br />

tua madre. E questi monili... Anche in ore penose furono salvati dal padre per te, per farti bella,<br />

come a principessa di Davide spetta, in quest’ora. Sii lieta, Maria. Non sei orfana, ché i tuoi sono<br />

teco e hai uno sposo che ti è padre e madre, tanto è perfetto...”<br />

“Oh! sì! Questo è vero! Di lui non mi posso certo rammaricare. In men di due mesi è venuto due<br />

volte, ed oggi viene per la terza, sfidando piogge e tempo ventoso, per prendere ordini da me...<br />

Pensa: ordini! <strong>Io</strong> che sono una povera donna e di lui tanto più giovane! E non mi ha mai negato<br />

nulla. Anzi neppur attende che io chieda. Pare che un angelo gli dica ciò che io desidero, e me lo<br />

dice lui prima che io parli. L’ultima volta ha detto: ‘Maria, io penso che tu preferisca stare nella tua<br />

casa paterna. Dato che sei figlia erede, lo può fare, se credi. <strong>Io</strong> verrò in casa tua. Solo, per osservare<br />

il rito, tu andrai per una settimana in casa di Alfeo, mio fratello. Maria ti ama tanto già. E da là


partirà la sera delle nozze il corteo che ti porterà a casa’. Non è gentile? Non gli è importato<br />

neppure di far dire alla gente che egli non ha una casa che mi piaccia... A me sarebbe sempre<br />

piaciuta, perché vi è lui, tanto buono. Ma certo... preferisco la mia casa... per i ricordi... Oh! è buono<br />

Giuseppe!”<br />

“Che ha detto del voto? Ancora non mi dicesti nulla.”<br />

“Nulla ha opposto. Anzi, saputene le ragioni, ha detto: ‘<strong>Io</strong> unirò il mio sacrificio al tuo’ ”.<br />

“E’ un giovane santo!” dice Anna di Fanuel.<br />

<strong>Il</strong> ‘giovane santo’ entra in questo punto accompagnato da Zaccaria.<br />

E’ letteralmente splendido. Tutto giallo oro, pare un sovrano orientale. Una splendida cintura<br />

sorregge borsa e pugnale, l’una di marocchino a ricami in oro, l’altro in guaina pure di marocchino<br />

a fregi d’oro. In capo ha un turbante, ossia il solito telo messo a cappuccio come ancora lo hanno<br />

certi popoli dell’Africa, i beduini per esempio, tenuto a posto da un cerchio prezioso, un filo d’oro<br />

sottile al quale sono legati mazzetti di mirto. Ha un manto nuovissimo, pieno di frange, nel quale si<br />

drappeggia con maestà, ed è sfolgorante di gioia. Fra le mani ha mazzetti di mirto in fiore.<br />

“Pace a te, sposa mia!” saluta. “Pace a tutti.” E avuto il saluto di risposta dice: “Ho visto la tua gioia<br />

quel giorno che ti ho dato il ramo del tuo orto. Ho pensato portarti il mirto colto presso la grotta a te<br />

tanto cara. Volevo portarti le rose, che già mettono i primi fiori contro la tua casa. Ma le rose non<br />

durano, in più giorni di viaggio... Sarei arrivato con sole spine. Ed io a te, diletta, voglio offrire solo<br />

rose, e di fiori morbidi e profumati spargere il cammino, perché su essi tu posi il piede senza<br />

incontrare sozzura o asprezza.”<br />

“Oh! grazie a te, buono! Come hai potuto farlo giungere fresco così?”<br />

“Ho legato un vaso alla sella e dentro vi ho messo i rami dei fiori in boccio. Lungo il cammino sono<br />

fioriti. Eccoteli, Maria. La tua fronte si inghirlandi di purezza, simbolo della sposa, ma sempre,<br />

sempre tanto minore a quella che t’è in cuore.”<br />

Elisabetta e le maestre ornano Maria della fiorita ghirlandetta che si forma fissando al cerchio<br />

prezioso i ciuffetti candidi del mirto, e intersecano piccole, candide rose, prese da un vaso posto su<br />

un cofano.<br />

Maria fa per prendere il suo ampio manto candido per metterlo puntato sulle spalle. Ma lo sposo la<br />

precede nel gesto e l’aiuta a fissare con due fibbie d’argento l’amplio mantello al sommo delle<br />

spalle. Le maestre dispongono le pieghe con amore e grazia.<br />

Tutto è pronto. Mentre attendono non so che, Giuseppe dice (lo dice appartandosi un poco con<br />

Maria): “Ho pensato in questo tempo al tuo voto. <strong>Io</strong> ti ho detto che lo condivido. Ma più vi penso e<br />

più comprendo che non basta il nazareato temporaneo, sebbene rinnovato più volte. Ti ho compresa,<br />

Maria. Non ancora merito la parola della Luce. Ma un murmure me ne viene. E questo mi fa leggere<br />

il tuo segreto, almeno nelle linee più forti. Sono un povero ignorante, Maria. Sono un povero<br />

operaio. Non so di lettere e non ho tesori. Ma ai tuoi piedi metto il mio tesoro. In perpetuo. La mia<br />

castità assoluta, per essere degno di starti accanto, Vergine di <strong>Dio</strong>, ‘sorella mia sposa, chiuso<br />

giardino, fonte sigillata’ come dice l’Avo nostro, che forse scrisse il Cantico vedendo te... <strong>Io</strong> sarò il<br />

guardiano di questo giardino d’aromi, in cui sono le più preziose frutta e da cui sgorga una polla<br />

d’acqua viva con impeto soave: la tua dolcezza, o sposa che col suo candore mi ha conquiso lo<br />

spirito, o tutta bella. Bella più di un’aurora, sole che splendi poiché ti splende il cuore, o tutta amore<br />

per il tuo <strong>Dio</strong> e per il mondo, a cui vuoi dare il Salvatore col tuo sacrificio di donna. Vieni, mia<br />

amata” e la prende delicatamente per mano guidandola verso la porta.<br />

Li seguono tutti gli altri, e fuori si uniscono le compagne festanti e tutte in bianco e con veli.<br />

Vanno per cortili e portici, fra la folla che osserva, sino ad un punto che non è il Tempio, ma pare<br />

quasi una sala data al culto, perché vi sono lampade e rotoli di pergamena come nelle sinagoghe.<br />

Gli sposi vanno fin contro ad un alto leggio, quasi una cattedra, e attendono. Gli altri si mettono<br />

dietro a loro in bell’ordine. Altri sacerdoti e curiosi si assiepano in fondo.<br />

Entra solenne il Sommo Sacerdote. Brusio fra i curiosi: “E’ lui che sposa?”<br />

“Sì, perché è di casta regale e sacerdotale. Fiore di Davide e Aronne la sposa, e Vergine del Tempio.<br />

Lo sposo è della tribù di Davide.”<br />

<strong>Il</strong> Pontefice mette la destra della sposa in quella dello sposo e li benedice solennemente: “<strong>Il</strong> <strong>Dio</strong>


d’Abramo, Isacco e Giacobbe sia con voi. Egli vi unisca e si adempia in voi la sua benedizione,<br />

dandovi la sua pace e numerosa prosperità con lunga vita e morte beata nel seno d’Abramo”. E poi<br />

si ritira., solenne come è entrato.<br />

La promessa è scambiata. Maria è sposa a Giuseppe.<br />

Tutti escono e, sempre in bell’ordine, vanno in una sala, dove viene steso il contratto di nozze, in<br />

cui si dice che Maria, figlia-erede di Gioacchino di Davide e Anna di Aronne, porta in dote allo<br />

sposo la sua casa e annessi beni e il suo personale corredo e ogni altro bene, che ha dal padre<br />

ereditato.<br />

Tutto è compiuto.<br />

Gli sposi escono nel cortile e da questo passano oltre, verso l’uscita che è presso il quartiere delle<br />

donne adibite al Tempio. Un comodo, pesante carro attende. Su esso è stesa una tenda a riparo e<br />

sono già i pesanti cofani di Maria.<br />

Commiati, baci e lacrime, benedizioni, consigli, raccomandazioni, e poi Maria sale con Elisabetta e<br />

si pone nell’interno del carro, e sul davanti si mettono Giuseppe e Zaccaria. Hanno levato i mantelli<br />

di festa e sono tutti avvolti in un mantellone scuro.<br />

<strong>Il</strong> carro parte al trotto pesante di un cavallone scuro. Le mura del Tempio si allontanano, e poi<br />

quelle della città, ed ecco la campagna, nuova, fresca, fiorita nei primi soli di primavera, coi grani<br />

alti un buon palmo dal suolo e che paiono smeraldi ridotti a foglioline ondeggianti ad una brezza<br />

leggera, che sa di fiori di pesco e melo, che sa di trifogli in fiore e di mentucce selvagge.<br />

Maria piange piano, sotto al suo velo, e ogni tanto scosta la tenda e guarda ancora il Tempio<br />

lontano, la città lasciata...<br />

La visione cessa così.<br />

Dice Gesù:<br />

“Che dice il libro della Sapienza, cantando le lodi di essa? ’Nella sapienza è infatti lo spirito<br />

d’intelligenza, santo, unico, molteplice, sottile’. E continua enumerandone le doti, terminando il<br />

periodo con le parole: ‘... che tutto può, tutto prevede, che comprende tutti gli spiriti, intelligente,<br />

puro, sottile. La sapienza penetra con la sua purezza, è vapore della virtù di <strong>Dio</strong>... per questo nulla<br />

vi è in lei d’impuro... immagine della bontà di <strong>Dio</strong>. Pur essendo unica può tutto, immutabile come è<br />

rinnovella ogni cosa, si comunica alle anime sante e forma gli amici di <strong>Dio</strong>, e i profeti.’<br />

Tu hai visto come Giuseppe, non per cultura umana ma per istruzione soprannaturale, sappia<br />

leggere nel libro sigillato della Vergine intemerata, e come rasenti le profetiche verità col suo<br />

‘vedere’ un mistero soprumano là dove gli altri vedevano unicamente una grande virtù. Impregnato<br />

di questa sapienza, che è vapore della virtù di <strong>Dio</strong> e certa emanazione dell’Onnipotente, si dirige<br />

con spirito sicuro nel mare di questo mistero di grazia che è Maria, si intona con Lei con spirituali<br />

contatti in cui, più che le labbra, sono i due spiriti che si parlano nel sacro silenzio delle anime, dove<br />

ode voci unicamente <strong>Dio</strong> e le percepiscono coloro che a <strong>Dio</strong> sono grati, perché servi a Lui fedeli e<br />

di Lui pieni.<br />

La sapienza del Giusto, che aumenta per l’unione e vicinanza con la Tutta Grazia, lo prepara a<br />

penetrare nei segreti più alti di <strong>Dio</strong> e a poterli tutelare e difendere da insidie d’uomo e di demone. E<br />

intanto lo rinnovella. Del giusto fa un santo, del santo il custode della Sposa e del Figlio di <strong>Dio</strong>.<br />

Senza sollevare il sigillo di <strong>Dio</strong>, egli, il casto, che ora porta la sua castità ad eroismo angelico, può<br />

leggere la parola di fuoco scritta sul diamante virginale dal dito di <strong>Dio</strong>, e vi legge quella che la sua<br />

prudenza non dice, ma che è ben più grande di quel che lesse Mosè sulle tavole di pietra. E perché<br />

occhio profano non sfiori il mistero, egli si pone, sigillo sul sigillo, arcangelo di fuoco sulla soglia<br />

del Paradiso, entro il quale l’Eterno prende le sue delizie ‘passeggiando al rezzo della sera’ e<br />

parlando con Quella che è il suo amore, bosco di gigli in fiore, aura profumata di aromi, venticello<br />

di freschezza mattutina, vaga stella, delizia di <strong>Dio</strong>. La nuova Eva è lì, davanti a lui, non osso delle<br />

sue ossa né carne della sua carne, ma compagna della sua vita, Arca viva di <strong>Dio</strong>, che egli riceve in<br />

tutela e che a <strong>Dio</strong> egli deve rendere pura come l’ha ricevuta.<br />

‘Sposa a <strong>Dio</strong>’ era scritto in quel libro mistico dalle pagine immacolate.... E quando il sospetto,<br />

nell’ora della prova, gli fischiò il suo tormento, egli, come uomo e come servo di <strong>Dio</strong>, soffrì, come


nessuno, per il sospettato sacrilegio. Ma questa fu la prova futura. Ora, in questo tempo di grazia,<br />

egli vede e mette sé al servizio più vero di <strong>Dio</strong>. Dopo verrà la bufera della prova, come per tutti i<br />

santi, per essere provati e resi coadiutori di <strong>Dio</strong>.<br />

Cosa si legge nel Levitico? ‘Dì ad Aronne tuo fratello di non entrare in ogni tempo nel santuario che<br />

è dietro al Velo dinanzi al Propiziatorio che copre l’Arca, per non morire -ché <strong>Io</strong> apparirò nella<br />

nuvola sopra l’oracolo- se prima non avrà fatto queste cose: offrirà un vitello per il peccato e un<br />

montone in olocausto, indosserà la tunica di lino e con brache di lino coprirà la sua nudità’.<br />

E veramente Giuseppe entra, quando <strong>Dio</strong> vuole e quanto <strong>Dio</strong> vuole, nel santuario di <strong>Dio</strong>, oltre il<br />

velo che cela l'Arca sulla quale si libra lo Spirito di <strong>Dio</strong>, e offre sé e offrirà l’Agnello, olocausto per<br />

il peccato del mondo e l’espiazione di esso peccato. E questo fa, vestito di lino e con mortificate le<br />

membra virili per abolirne il senso, che una volta, al principio dei tempi, ha trionfato ledendo il<br />

diritto di <strong>Dio</strong> sull’uomo, e che ora sarà conculcato nel Figlio, nella Madre e nel padre putativo, per<br />

tornare gli uomini alla Grazia e rendere a <strong>Dio</strong> il suo diritto sull’uomo. Fa questo con la sua castità<br />

perpetua.<br />

Non vi era Giuseppe sul Golgota? Vi pare non sia fra i corredentori? In verità vi dico che egli ne fu<br />

il primo e che grande è perciò agli occhi di <strong>Dio</strong>. Grande per il sacrificio, la pazienza, la costanza e<br />

la fede. Quale fede più grande di questa, che credette senza aver visto i miracoli del Messia?<br />

Sia lode al mio padre putativo, esempio a voi di ciò che in voi più manca: purezza, fedeltà e perfetto<br />

amore. Al magnifico lettore del Libro sigillato, istruito dalla Sapienza a saper comprendere i misteri<br />

della Grazia ed eletto a tutelare la Salvezza del mondo contro le insidie di ogni nemico.”<br />

14. Gli Sposi arrivano a Nazareth.<br />

6 settembre 1944.<br />

<strong>Il</strong> più azzurro cielo di un mite febbraio si stende sulle colline di Galilea. Le dolci colline che in<br />

questo ciclo della Vergine fanciulla non ho mai visto, e che mi sono ormai così familiari all’occhio<br />

come se fra esse io fossi nata.<br />

La via maestra, fresca per nuova pioggia caduta forse la notte passata, non ha polvere, ma neppure<br />

ha fango. E’ compatta e pulita, come fosse una via cittadina, e si snoda fra due siepi di biancospini<br />

in fiore. Una nevicata che sa di amarognolo e di bosco, spezzata dalle mostruose agglomerazioni dei<br />

cactus, dalle foglie grasse a paletta, tutte irte di pungiglioni e decorate delle enormi granate dei frutti<br />

bizzarri, nati senza stelo in cima alle foglie che, per colore e forma, evocano sempre in me<br />

profondità marine e boschi di coralli e meduse, o altre bestie dei mari profondi.<br />

Oltre le siepi -la cui funzione è di recingere le proprietà dei singoli, per cui si allungano in ogni<br />

senso, facendo un bizzarro disegno geometrico di curve e di angoli, di rombi, losanghe, quadrati,<br />

semicircoli, triangoli dalle acutezze o ottusità più inverosimili, un disegno tutto spruzzato di bianco,<br />

come un nastro capriccioso che avessero steso così, per gioia, lungo le campagne e sul quale<br />

volano, pigolano, cantano a centinaia uccellini di ogni specie, nella gioia dell’amore e nell’opra dei<br />

nidi da ricostruire- oltre le siepi, la campagna, coi grani in erba, qui già più alti che nelle campagne<br />

di Giudea, e prati tutti in fiore, e su essi -in risposta alle leggere nuvolette del cielo che il tramonto<br />

fa rosee, fa di un lilla tenue, di un viola pervinca, di un opalino tinto di azzurro, di un aranciocorallo-<br />

a cento a cento, le nuvole vegetali degli alberi da frutto, bianche, rosee, rosse, in tutte le<br />

sfumature del bianco, rosa e rosso.<br />

Al lieve vento della sera sfarfallano e cadono i primi petali dagli alberi fioriti, e sembrano sciami di<br />

farfalline in cerca di polline sui fiori del campo. E, fra albero ed albero, festoni di vite ancora nuda,<br />

che solo nei sommi dei festoni, dove più colpisce il sole, hanno uno schiudersi innocente, stupito,<br />

palpitante delle prime foglioline.<br />

<strong>Il</strong> sole tramonta placido nel cielo, così mite nel suo azzurro che la luce fa ancora più chiaro, e<br />

lontano ne brillano le nevi dell’Hermon e di altre cime lontane.<br />

Un carro va per la via. <strong>Il</strong> carro che porta Giuseppe e Maria ed i cugini di Lei. <strong>Il</strong> viaggio è al termine.


Maria guarda con l’occhio ansioso di chi vuol conoscere, anzi riconoscere, ciò che già vide, e non<br />

lo ricorda più, e sorride quando qualche larva di ricordo torna e si appoggia come una luce su questa<br />

o quella cosa, su questo o quel punto. Elisabetta, e con lei Zaccaria e Giuseppe, aiutano questo suo<br />

ricordare, accennando a questa o quella cima, a questa o quella casa. Case, ormai, perché Nazareth<br />

già si mostra, stesa sull’ondulazione della sua collina. Presa da sinistra dal sole occiduo, mostra il<br />

bianco delle sue casette, larghe e basse, che la terrazza sormonta, pennellato di rosa. E alcune,<br />

colpite in pieno, paiono presso ad un incendio, tanto la facciata su fa rossa di sole che accende<br />

anche l’acqua delle gore e dei pozzi bassi, quasi senza parapetto, da cui salgono cigolando le<br />

secchie per la casa o le ghirbe per l’ortaglia.<br />

Bambini e donne si fanno sul ciglio della via, occhieggiando nel carro, e salutano Giuseppe, molto<br />

conosciuto. Ma poi restano perplessi e intimoriti davanti agli altri tre.<br />

Ma, quando proprio si entra nella cittadina, non vi è perplessità e timore. Molta e molta gente di<br />

ogni età è all’inizio del paese sotto un arco rustico di fiori e fronde, e appena il carro spunta, da<br />

dietro il gomito dell’ultima casa di campagna messa di sghembo, è un trillio di voci acute e un<br />

agitar di rami e fiori. Sono le donne, le fanciulle e i bambini di Nazareth, che salutano la sposa. Gli<br />

uomini, più gravi, stanno dietro alla siepe irrequieta e trillante, e salutano con gravità.<br />

Maria, ora che il carro è stato scoperto della sua tenda -l’hanno levata prima di giungere al paese,<br />

perché ormai il sole non dava noia e per permettere a Maria di vedere bene la terra natia- appare<br />

nella sua bellezza di fiore. Bianca e bionda come un angelo, Ella sorride con bontà ai bambini che le<br />

gettano fiori e baci, alle fanciulle della sua età che la chiamano a nome, alle spose, alle madri, alle<br />

vecchie che la benedicono con le loro voci cantanti. Si inchina agli uomini, e specie ad uno che<br />

forse è il rabbino o il maggiorente del paese.<br />

<strong>Il</strong> carro prosegue per la via principale a passo lento, seguito per un buon tratto dalla folla per la<br />

quale l’arrivo è un avvenimento.<br />

“Ecco la tua casa, Maria” dice Giuseppe, accennando con la frusta ad una casetta che è proprio sotto<br />

lo scrimolo di una ondulazione della collina, e che ha sul dietro un bello e vasto orto tutto in fiore,<br />

che termina con un piccolissimo uliveto. Oltre questo, la solita siepe di biancospino e cactee segna<br />

il limite della proprietà. I campi, un tempo di Gioacchino, sono oltre...<br />

“Poco, vedi, ti è rimasto” dice Zaccaria. “La malattia del padre tuo fu lunga e costosa. E costose le<br />

spese per riparare il danno fatto da Roma. Vedi? La strada ha portato via i tre principali ambienti e<br />

la casa si è ridotta, e per farla più ampia, senza spese soverchie, fu presa una parte del monte che fa<br />

grotta. Gioacchino vi teneva le provviste e Anna i suoi telai. Tu farai ciò che credi.”<br />

“Oh! che sia poca cosa non importa! Sempre mi basterà. Lavorerò...”<br />

“No, Maria.” E’ Giuseppe che parla. “<strong>Io</strong> lavorerò. Tu non farai che tessere e cucire le cose della<br />

casa. Sono giovane e forte e sono il tuo sposo. Non mi mortificare col tuo lavoro.”<br />

“Farò come tu vuoi.”<br />

“Sì, in questo io voglio. Per ogni altra cosa ogni tuo desiderio è legge. Ma in questo, no.”<br />

Sono arrivati. <strong>Il</strong> carro si ferma.<br />

Due donne e due uomini, rispettivamente sui quaranta e cinquant’anni, sono sull’uscio, e molti<br />

bambini e giovinetti sono con loro.<br />

“<strong>Dio</strong> ti dia pace, Maria” dice l’uomo più anziano, e una donna si accosta a Maria e l’abbraccia e<br />

bacia.<br />

“E’ mio fratello Alfeo e Maria sua moglie, e questi sono i figli loro. Sono venuti apposta per farti<br />

festa e dirti che la loro casa è tua, se tu vuoi” dice Giuseppe.<br />

“Sì, vieni, Maria, se ti è penoso vivere da sola. La campagna è bella in primavera e la nostra casa è<br />

in mezzo a campi in fiore. Tu sarai il più bel fiore in essi” dice Maria d’Alfeo.<br />

“<strong>Io</strong> ti ringrazio, Maria. Tanto volentieri verrei. E verrò qualche volta, verrò senza fallo per le nozze.<br />

Ma ho tanto desiderio di vedere, di riconoscere la mia casa. L’ho lasciata piccina e ho perduto il suo<br />

volto.... Ora lo ritrovo... e mi pare di ritrovare la mia madre perduta, il padre amato, di ritrovare<br />

l’eco delle loro parole... e il profumo del loro ultimo respiro. Mi pare di non esser più orfana, poiché<br />

ho intorno di nuovo l’abbraccio di quiete mura... Capiscimi, Maria.” Maria ha un poco di pianto<br />

nella voce e sulle ciglia.


Maria di Alfeo risponde: “Come tu vuoi, cara. Voglio che tu mi senta sorella e amica e un poco<br />

anche tua madre, perché di tanto sono più anziana di te.”<br />

L’altra donna si è fatta avanti: “Maria, io ti saluto. Sono Lia, l’amica di tua madre. Ti ho visto<br />

nascere. E questo è Alfeo, nipote d’Alfeo e grande amico della madre tua. Quel che ho fatto per tua<br />

madre farò per te, se vuoi. Vedi? La mia casa è la più vicina alla tua e i tuoi campi sono ora di noi.<br />

Ma se vi vuoi venire, fallo ad ogni ora. Apriremo un varco nella siepe e saremo insieme, pur<br />

essendo ognuna in casa nostra. Questo è mio marito.”<br />

“<strong>Io</strong> vi ringrazio tutti e di tutto. Di tutto il bene che avete voluto ai miei e che mi volete. Ve ne<br />

benedica Iddio Onnipotente.”<br />

Le casse pesanti sono scaricate e portate in casa. Si entra. E riconosco ora la casetta di Nazareth<br />

quale è poi nella vita di Gesù.<br />

Giuseppe prende per mano -il solito gesto- Maria, ed entra così. Sulla soglia le dice: “Ed ora, su<br />

questa soglia, io voglio da te una promessa: Che qualunque cosa ti avvenga o ti occorra, tu non<br />

abbia altro amico, altro aiuto a cui volgerti che Giuseppe, e che per nessun motivo tu ti abbia a<br />

crucciare da sola. <strong>Io</strong> sono tutto per te, ricordalo, e sarà mia gioia farti felice il cammino e, poiché la<br />

felicità non è sempre in nostro potere, almeno fartelo quieto e sicuro.”<br />

“Te lo prometto, Giuseppe.”<br />

Vengono aperte porte e finestre. L’ultimo sole entra curioso.<br />

Maria ora si è levato il manto e il velo, perché, meno i fiori di mirto, ha ancora la veste di nozze.<br />

Esce nell’orto in fiore. E guarda, e sorride e, sempre tenuta per mano da Giuseppe, fa un giro<br />

nell’orto. Pare riprenda possesso del luogo perduto.<br />

E Giuseppe mostra le sue fatiche: “Vedi? Qui ho fatto questo scasso per raccogliere l’acqua<br />

piovana, ché queste viti hanno sempre arsura. A questo ulivo ho risegato e rami più vecchi per<br />

dargli vigore, e ho messo a dimora questi meli perché due erano morti. E poi là ho messo dei fichi.<br />

Quando saranno cresciuti ripareranno la casa dal troppo sole e da sguardi curiosi. La pergola è<br />

quella antica. No ho fatto che cambiare i pali marciti e lavorare di cesoie. Darà molta uva, spero. E<br />

qua, guarda” e la conduce orgoglioso verso la costa che si alza a ridosso della casa e che fa limite al<br />

brolo dal lato di tramontana, “ e qua ho scavato una grotticella e l’ho rinforzata e, quando saranno<br />

attecchite queste piantine, sarà quasi uguale a quella che avevi. Non vi è la sorgente... ma spero<br />

portarne un filo. Lavorerò nelle lunghe sere estive mentre ti verrò a trovare...”<br />

“Ma come?” dice Alfeo. “Non fate nozze quest’estate?”<br />

No. Maria desidera filare i pannilani, uniche cose che mancano al corredo. Ed io sono contento che<br />

sia così. E’ tanto giovane, Maria, che nulla è se si attende un anno e oltre. Intanto si ambienta alla<br />

casa...”<br />

“Mah! Tu sei sempre stato un poco diverso dagli altri e lo sei anche ora. Non so chi non avrebbe<br />

fretta di avere in moglie un fiore come è Maria, e tu ci metti dei mesi fra mezzo!..”<br />

“Gioia lungamente attesa, gioia più intensamente goduta” risponde Giuseppe con un fine sorriso.<br />

<strong>Il</strong> fratello si stringe nelle spalle e chiede: “E allora? Quando conti di pensare alle nozze?”<br />

“Al sedicesimo anno di Maria. Dopo le feste dei Tabernacoli. Saran dolci le sere d’inverno per i<br />

novelli sposi!...” e sorride ancora guardando Maria. Un sorriso d’intesa segreta e soave. Di una<br />

castità fraterna che consola.<br />

Poi riprende il suo giro: “Questo è lo stanzone nel monte. Se credi, ne farò una mia officina quando<br />

verrò. E’ unito, ma non nella casa. Così non darò disturbo di rumori e di disordine. Se però vuoi<br />

diversamente...”<br />

“No, Giuseppe. Va benissimo così.”<br />

Rientrano in casa e si accendono le lampade.<br />

“Maria è stanca” dice Giuseppe. “Lasciamola alla sua quiete, coi cugini.”<br />

Saluti di tutti che se ne vanno. Resta Giuseppe, ancora qualche minuto, e parla con Zaccaria<br />

sottovoce.<br />

“Tuo cugino ti lascia qualche tempo Elisabetta. Sei contenta? <strong>Io</strong> sì. Perché ti aiuterà a... farti una<br />

perfetta donna di casa. Con lei potrai disporre come vuoi le tue cose e i tuoi arredi, ed io verrò ogni<br />

sera ad aiutarti. Con lei potrai acquistare lana e quanto ti occorre. Ed io provvederò alla spesa.


Ricordati che lo hai promesso di venire a me per ogni cosa. Addio, Maria. Dormi il primo sonno di<br />

signora in questa tua casa, e l’angelo di <strong>Dio</strong> te lo renda sereno. <strong>Il</strong> Signore sia sempre con te.”<br />

“Addio, Giuseppe. Anche tu sii sotto l' ali dell’angelo di <strong>Dio</strong>. Grazie, Giuseppe. Di tutto. Per quanto<br />

posso, ti compenserò del tuo amore col mio.”<br />

Giuseppe saluta i cugini ed esce.<br />

E con lui cessa la visione.<br />

15. A conclusione del Prevangelo.<br />

6 settembre 1944.<br />

Dice Gesù:<br />

“<strong>Il</strong> ciclo è terminato. E con questo, così dolce e soave, il tuo Gesù ti ha portato senza scosse fuori<br />

del tumulto di questi giorni. Come un bambino fasciato da morbide lane e posato su soffici cuscini,<br />

tu sei stata fasciata da queste beate visioni, perché non sentissi, avendone terrore, la ferocia degli<br />

uomini che si odiano invece di amarsi. Non potresti più sopportare certe cose, ed <strong>Io</strong> non voglio che<br />

tu ne muoia, perché ho cura del mio ‘portavoce’.<br />

Sta per cessare nel mondo la causa per cui le vittime sono state torturate da tutte le disperazioni.<br />

Anche per te, Maria, cessa perciò il tempo del tremendo soffrire per troppe cause, così in contrasto<br />

col tuo modo di sentire. Non ti cesserà il soffrire: sei vittima. Ma a parte di esso: questa, cessa. Poi<br />

verrà il giorno in cui <strong>Io</strong> ti dirò, come a Maria di Magdala morente: ‘Riposa. Ora è tempo per te di<br />

riposare. Dammi le tue spine. Ora è tempo di rose. Riposa e aspetta. Ti benedico, benedetta.’<br />

Questo ti dicevo, ed era una promessa e tu non l’hai capita, quando veniva il tempo che saresti stata<br />

tuffata, rivoltolata, incatenata, empita, fin nelle latebre più fonde, di spine... Questo ti ripeto ora, con<br />

una gioia qual solo l’Amore che sono può provare quando può far cessare un dolore ad un suo<br />

diletto. Questo ti dico ora che quel tempo di sacrificio cessa. E <strong>Io</strong>, che so, ti dico, per il mondo che<br />

non sa, per l’Italia, per Viareggio, per questo piccolo paese, in cui tu mi hai portato -medita il senso<br />

di queste parole- il grazie che spetta agli olocausti per il loro sacrificio.<br />

Quando ti ho mostrato Cecilia vergine-sposa, ti ho detto che ella si è impregnata dei miei profumi e<br />

dietro ad essi ha trascinato marito, cognato, servi, parenti, amici. Tu hai fatto, e non lo sai, ma <strong>Io</strong> te<br />

lo dico, <strong>Io</strong> che so, la parte di Cecilia in questo mondo impazzito. Ti sei saturata di Me, della mia<br />

parola, hai portato i miei desideri fra le persone, e le migliori hanno compreso e dietro te, vittima,<br />

molte e molte ne sono sorte e, se non è la rovina completa della tua patria e dei luoghi che a te sono<br />

più cari, è perché molte ostie sono state consumate dietro il tuo esempio e il tuo ministero.<br />

Grazie, benedetta. Ma continua ancora. Ho molto bisogno di salvare la Terra. Di ricomprare la<br />

Terra. Le monete siete voi, vittime.<br />

La Sapienza, che ha istruito i santi, e istruisce te con un magistero diretto, ti elevi sempre più nel<br />

comprendere la Scienza di vita e nel praticarla. Drizza anche te la tua piccola tenda presso la casa<br />

del Signore. Ficca, anzi, i pioli della stessa tua dimora nella dimora della Sapienza e dimóravi senza<br />

mai uscirne. Riposerai, sotto la protezione del Signore che ti ama, come un uccello fra i rami fioriti,<br />

ed Egli ti farà riparo da ogni intemperia spirituale e sarai nella luce della gloria di <strong>Dio</strong>, da cui<br />

scenderanno per te parole di pace e verità.<br />

Va' in pace. Ti benedico, benedetta.”<br />

Dice, subito dopo, Maria:<br />

“A Maria il regalo della Mamma per la sua festa. Una catena di regali. E se qualche spina vi sarà<br />

contesta, non lamentarti al Signore che ti ha amata come ben pochi ama.<br />

Ti avevo detto al principio: ‘Scrivi di me. Ogni pena ti verrà consolata’. Lo vedi che fu vero. T’era<br />

serbato questo dono per questo tempo d’orgasmo, perché non abbiamo cura solo dello spirito, ma<br />

sappiamo averne anche per la materia, che non è regina ma ancella utile allo spirito, perché compia<br />

la sua missione.<br />

Sii grata all’Altissimo, che ti è veramente Padre, anche in senso affettuosamente umano, e ti culla


con estasi soavi per celarti ciò che t’è spavento.<br />

Voglimi sempre più bene. Ti ho portata con me nel segreto dei miei primi anni. Ora tutto sai della<br />

Mamma. Voglimi bene da figlia e da sorella nella sorte di vittima. E ama <strong>Dio</strong> Padre, <strong>Dio</strong> Figlio, <strong>Dio</strong><br />

Spirito Santo con perfezione d’amore.<br />

La benedizione del Padre, del Figlio, e dello Spirito passa dalle mie mani, si profuma del mio<br />

materno amore per te, e su te scende e posa. Sii soprannaturalmente beata.”


16. L’Annunciazione.<br />

8 marzo 1944.<br />

Ciò che vedo. Maria, fanciulla giovanissima, quindici anni al massimo all’aspetto, è in una piccola<br />

stanza rettangolare. Una vera stanza di fanciulla. Contro una delle due pareti più lunghe è il<br />

giaciglio: un basso lettuccio senza sponde, coperto di alte stuoie o tappeti. Si direbbe che sono stesi<br />

su una tavola o su un traliccio di canne, perché stanno molto rigidi e senza curve come avviene nei<br />

nostri letti. Contro l’altra parete, una scansia con una lucerna ad olio, dei rotoli di pergamena, un<br />

lavoro di cucito piegato con cura, pare un ricamo.<br />

Di fianco a questa, verso la porta che è aperta sull’orto ma velata da una tenda che palpita ad un<br />

leggero vento, è seduta su uno sgabello basso la Vergine. Fila del lino candidissimo e morbido come<br />

una seta. Le sue piccole mani, solo di poco più scure del lino, prillano sveltamente il fuso. <strong>Il</strong> visetto<br />

giovanile, e tanto tanto bello, è lievemente curvo e lievemente sorridente, come se accarezzasse o<br />

seguisse qualche dolce pensiero.<br />

Vi è molto silenzio nella casetta e nell’orto. Vi è molta pace tanto sul viso di Maria quanto<br />

nell’ambiente che la circonda. Pace e ordine. Tutto è lindo e ordinato, e l’ambiente, umilissimo nel<br />

suo aspetto e nelle suppellettili, quasi nudo come una cella, ha un che di austero e regale per il<br />

grande nitore e la cura con cui sono disposte le stoffe sul lettuccio, i rotoli, il lume, la piccola brocca<br />

di rame presso al lume, con entro un fascio di rami fioriti, rami di pesco o di pero. Non so. Sono<br />

certo di alberi da frutto di un bianco lievemente rosato.<br />

Maria si mette a cantare sottovoce e poi alza lievemente la voce. Non va al gran canto. Ma è già una<br />

voce che vibra nella stanzetta e nella quale si sente una vibrazione d’anima. Non capisco le parole,<br />

dette certo in ebraico. Ma dato che ripete ogni tanto: ‘Jehovà’, intuisco che sia qualche canto sacro,<br />

forse un salmo. Forse Maria ricorda i canti del Tempio. E deve essere un dolce ricordo, perché posa<br />

sul grembo le mani sorreggenti il figlio e il fuso e alza il capo appoggiandolo indietro alla parete,<br />

accesa da un bel rossore nel viso, con gli occhi persi dietro a chissà quale soave pensiero, fatti lucidi<br />

da un’onda di pianto che non trabocca ma che li fa più grandi. Eppure quegli occhi ridono,<br />

sorridono al pensiero che vedono e che l’astrae dal sensibile. <strong>Il</strong> viso di Maria, emergente dalla veste<br />

bianca e semplicissima, così rosato e cinto dalle trecce che porta avvolte come corona intorno al<br />

capo, pare un bel fiore.<br />

<strong>Il</strong> canto si muta in preghiera: “Signore Iddio Altissimo, non tardare oltre a mandare il tuo Servo per<br />

portare la pace sulla terra. Suscita il tempo propizio e la vergine pura e feconda per l’avvento del<br />

tuo Cristo. Padre, Padre santo, concedi alla tua serva di offrire la sua vita a questo scopo.<br />

Concedimi di morire dopo aver visto la tua Luce e la tua Giustizia sulla terra e di aver conosciuto<br />

che la Redenzione è compiuta. O Padre santo, manda sulla terra il Sospiro dei Profeti. Manda alla<br />

tua serva il Redentore. Che nell’ora in cui cessi il mio giorno, si apra per me la tua Dimora, perché<br />

le sue porte sono state già aperte dal tuo Cristo per tutti coloro che hanno sperato in Te. Vieni, vieni,<br />

o Spirito del Signore. Vieni ai tuoi fedeli che ti attendono. Vieni, Principe della Pace!...” Maria resta<br />

assorta così....<br />

La tenda palpita più forte, come se qualcuno dietro ad essa ventilasse con qualcosa o la scuotesse<br />

per scostarla. E una luce bianca di perla fusa ad argento puro fa più chiare le pareti lievemente<br />

gialline, più vivi i colori delle stoffe, più spirituale il volto sollevato di Maria. Nella luce, e senza<br />

che la tenda sia scostata sul mistero che si compie -anzi non palpita più, pende ben rigida contro gli<br />

stipiti, come fosse parete che isola l’interno dall’esterno- si prosterna l’Arcangelo.<br />

Deve necessariamente assumere aspetto umano. Ma è un aspetto trasumano. Di quale carne è<br />

composta questa figura bellissima e sfolgorante? Di quale sostanza l’ha materializzata Iddio per<br />

renderla sensibile ai sensi della Vergine? Solo <strong>Dio</strong> può possedere queste sostanze e usarle in tal<br />

maniera perfetta. E’ un volto, è un corpo, sono occhi, bocca, capelli e mani come le nostre. Ma non<br />

sono la nostra opaca materia. E’ una luce che ha preso colore di carne, di occhi, di chioma, di<br />

labbra, una luce che si muove e sorride e guarda e parla.<br />

“Ave, Maria, piena di Grazia, ave!” La voce è un dolce arpeggio come di perle gettate su un<br />

metallo prezioso.


Maria trasale e abbassa lo sguardo. E più trasale quando vede la fulgida creatura inginocchiata ad<br />

un metro circa di distanza da Lei e che, con le mani incrociate sul petto, la guarda con una<br />

venerazione infinita.<br />

Maria balza in piedi e si stringe alla parete. Diviene pallida e rossa alternativamente. <strong>Il</strong> suo viso<br />

esprime stupore e sgomento. Si stringe inconsciamente le mani sul seno nascondendole sotto le<br />

larghe maniche, si curva quasi per nascondere il più possibile il suo corpo. Un atto di pudore soave.<br />

“No. Non temere. <strong>Il</strong> Signore è teco! Tu sei benedetta fra tutte le donne.”<br />

Ma Maria continua a temere. Da dove è venuto quell’essere straordinario? E’ un messo di <strong>Dio</strong> o<br />

dell’Ingannatore?<br />

“Non temere, Maria!” ripete l’Arcangelo. “<strong>Io</strong> sono Gabriele, l’Angelo di <strong>Dio</strong>. <strong>Il</strong> mio Signore mi ha<br />

mandato a te. Non temere, perché tu hai trovato grazia presso <strong>Dio</strong>. Ed ora tu concepirai nel seno e<br />

partorirai un Figlio e gli porrai nome ‘Gesù’. Questi sarà grande, sarà chiamato Figlio<br />

dell’Altissimo (e tale sarà invero) e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà<br />

in eterno sulla casa di Giacobbe, e il suo Regno non avrà mai fine. Comprendi, o santa Vergine<br />

amata dal Signore, Figlia benedetta di Lui, chiamata ad esser Madre del suo Figlio, quale Figlio tu<br />

genererai.”<br />

“Come può avvenire questo se io non conosco uomo? Forse che il Signore Iddio più non accoglie<br />

l’offerta della sua serva e non mi vuole vergine per amor di Lui? ”.<br />

“Non per opera di uomo sarai Madre, o Maria. Tu sei l’eterna Vergine, la Santa di <strong>Dio</strong>. Lo Spirito<br />

Santo scenderà in te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà. Perciò Santo si chiamerà Colui che<br />

nascerà da te, e Figlio di <strong>Dio</strong>. Tutto può il Signore Iddio nostro. Elisabetta, la sterile, nella sua<br />

vecchiaia ha concepito un figlio che sarà il Profeta del tuo Figlio, colui che ne prepara le vie. <strong>Il</strong><br />

Signore ha levato a questa il suo obbrobrio, e la sua memoria resterà nelle genti congiunta al nome<br />

tuo, come il nome della sua creatura a quello del tuo Santo, e fino alla fine dei secoli le genti vi<br />

chiameranno beate per la Grazia del Signore venuta a voi, ed a te specialmente; venuta alle genti per<br />

mezzo tuo. Elisabetta è nel suo sesto mese ed il suo peso la solleva al gaudio, e più la solleverà<br />

quando conoscerà la tua gioia. Nulla è impossibile a <strong>Dio</strong>, Maria, piena di Grazia. Che devo dire al<br />

mio Signore? Non ti turbi pensiero di sorta. Egli tutelerà gli interessi tuoi se a Lui ti affidi. <strong>Il</strong><br />

mondo, il Cielo, l’Eterno attendono la tua parola!”<br />

Maria, incrociando a sua volta le mani sul petto e curvandosi in un profondo inchino, dice: “Ecco<br />

l’ancella di <strong>Dio</strong>. Si faccia di me secondo la sua parola.”<br />

L’Angelo sfavilla nella gioia. Adora, perché certo egli vede lo Spirito di <strong>Dio</strong> abbassarsi sulla<br />

Vergine curva nell’adesione, e poi scompare senza smuover tenda, ma lasciandola ben tirata sul<br />

Mistero santo.<br />

17. La disubbidienza di Eva e l’ubbidienza di Maria<br />

5 marzo 1944.<br />

Dice Gesù:<br />

“[...].<br />

Non si legge nella Genesi che <strong>Dio</strong> fece l’uomo dominatore su tutto quanto era sulla terra, ossia su<br />

tutto meno che su <strong>Dio</strong> e i suoi angelici ministri? Non si legge che fece la donna perché fosse<br />

compagna all’uomo nella gioia e nella dominazione su tutti i viventi? Non si legge che di tutto<br />

potevano mangiare fuorché dell’albero della scienza del Bene e del Male? Perché? Quale sottosenso<br />

è nella parolae ‘perché domini’? Quale in quello dell’albero della scienza del Bene e del Male? Ve<br />

lo siete mai chiesto, voi che vi chiedete tante cose inutili e non sapete chiedere mai alla vostra<br />

anima le celesti verità?<br />

La vostra anima, se fosse viva, ve lo direbbe, essa che quando è in grazia è tenuta come un fiore fra<br />

le mani dell’angelo vostro, essa che quando è in grazia è come un fiore baciato dal sole e irrorato<br />

dalla rugiada per lo Spirito Santo che la scalda e illumina, che la irriga e la decora di celesti luci.


Quante verità vi direbbe la vostra anima se sapeste conversare con essa, se l’amaste come quella<br />

che mette in voi la somiglianza con <strong>Dio</strong> che è Spirito come spirito è la vostra anima. Quale grande<br />

amica avreste se amaste la vostra anima in luogo di odiarla sino ad ucciderla; quale grande, sublime<br />

amica con la quale parlare di cose di Cielo, voi che siete così avidi di parlare e vi rovinate l’un<br />

l’altro con amicizie che, se non sono indegne (qualche volte lo sono) sono però quasi sempre inutili<br />

e vi si mutano in frastuono vano o nocivo di parole, e parole tutte di terra.<br />

Non ho <strong>Io</strong> detto: ‘Chi mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio l’amerà e verremo presso di lui<br />

e faremo in lui dimora?’ L’anima in grazia possiede l’amore e, possedendo l’amore, possiede <strong>Dio</strong>,<br />

ossia il Padre che la conserva, il Figlio che l’ammaestra, lo Spirito che la illumina. Possiede quindi<br />

la Conoscenza, la Scienza, la Sapienza. Possiede la Luce. Pensate perciò quali conversazioni<br />

sublimi potrebbe intrecciare con voi la vostra anima. Sono quelle che hanno empito i silenzi delle<br />

carceri, i silenzi delle celle, i silenzi degli eremitaggi, i silenzi delle camere degli infermi santi.<br />

Sono quelle che hanno confortato i carcerati in attesa di martirio, i claustrati alla ricerca della Verità,<br />

i romiti anelanti alla conoscenza anticipata di <strong>Dio</strong>, gli infermi alla sopportazione, ma che dico?,<br />

all’amore della loro croce.<br />

Se sapeste interrogare la vostra anima, essa vi direbbe che il significato vero, esatto, vasto quanto il<br />

creato, di quella parola ‘domini’ è questo: ‘Perché l’uomo domini su tutto. Su tutti i suoi tre strati.<br />

Lo strato inferiore, animale. Lo strato di mezzo, morale. Lo strato superiore, spirituale. E tutti e tre<br />

li volga ad un unico fine: possedere <strong>Dio</strong>’. Possederlo meritandolo con questo ferreo dominio, che<br />

tiene soggette tutte le forze dell’io e le fa ancelle di questo unico scopo: meritare di possedere <strong>Dio</strong>.<br />

Vi direbbe che <strong>Dio</strong> aveva proibito la conoscenza del Bene e del Male, perché il Bene lo aveva<br />

elargito alle sue creature gratuitamente, e il Male non voleva che lo conosceste, perché è frutto<br />

dolce al palato ma che, sceso col suo succo nel sangue, ne desta una febbre che uccide e produce<br />

arsione, per cui più si beve di quel succo mendace e più se ne ha sete.<br />

Voi obbietterete: ‘E perché ce l’ha messo?’ E perché! Perché il Male è una forza che è nata da sola,<br />

come certi mali mostruosi nel corpo più sano.<br />

Lucifero era angelo, il più bello degli angeli. Spirito perfetto, inferiore a <strong>Dio</strong> soltanto. Eppure nel<br />

suo essere luminoso nacque un vapore di superbia che esso non disperse. Ma anzi condensò<br />

covandolo. E da questa incubazione è nato il Male. Esso era prima che l’uomo fosse. <strong>Dio</strong> l’aveva<br />

precipitato fuor del Paradiso, l’Incubatore maledetto del Male, questo insozzatore del Paradiso. Ma<br />

esso è rimasto l’eterno Incubatore del Male e, non potendo più insozzare il Paradiso, ha insozzato la<br />

Terra.<br />

Quella metaforica pianta sta a dimostrare questa verità. <strong>Dio</strong> aveva detto all’uomo e alla donna:<br />

‘Conoscete tutte le leggi ed i misteri del creato. Ma non vogliate usurparmi il diritto di essere il<br />

Creatore dell’uomo. A propagare la stirpe umana basterà il mio amore che circolerà in voi, e senza<br />

libidine di senso ma solo per palpito di carità susciterà i nuovi Adami della stirpe. Tutto vi dono.<br />

Solo mi riserbo questo mistero della formazione dell’uomo’.<br />

Satana ha voluto levare questa verginità intellettuale all’uomo, e con la sua lingua serpentina ha<br />

blandito e accarezzato membra ed occhi di Eva, suscitandone riflessi e acutezze che prima non<br />

avevano, perché la Malizia non li aveva intossicati.<br />

Essa ‘vide’. E vedendo volle provare. La carne era destata. Oh! se avesse chiamato <strong>Dio</strong>! Se fosse<br />

corsa a dirgli: ‘Padre! <strong>Io</strong> son malata. <strong>Il</strong> Serpente mi ha accarezzata e il turbamento è in me’. <strong>Il</strong> Padre<br />

l’avrebbe purificata e guarita col suo alito, che, come le aveva infuso la vita, poteva infonderle<br />

nuovamente innocenza, smemorandola del tossico serpentino ed anzi mettendo in lei la ripugnanza<br />

per il Serpente, come è in quelli che un male ha assalito e che, guariti di quel male, ne portano una<br />

istintiva ripugnanza. Ma Eva non va al Padre. Eva torna dal Serpente. Quella sensazione è dolce per<br />

lei. ‘Vedendo che il frutto dell’albero era buono a mangiarsi e bello all’occhio e gradevole<br />

all’aspetto, lo colse e ne mangiò’.<br />

E ‘comprese’. Ormai la malizia era scesa a morderle le viscere. Vide con occhi nuovi e udì con<br />

orecchi nuovi gli usi e le voci dei bruti. E li bramò con folle bramosia. Iniziò sola il peccato. Lo<br />

portò a termine col compagno. Ecco perché sulla donna pesa condanna maggiore. E’ per lei che<br />

l’uomo è divenuto ribelle a <strong>Dio</strong> e ha conosciuto lussuria e morte. E’ per lei che non ha più saputo


dominare i suoi tre regni: dello spirito, perché ha permesso che lo spirito disubbidisse a <strong>Dio</strong>; del<br />

morale, perché ha permesso che le passioni lo signoreggiassero; della carne, perché l’avvilì alle<br />

leggi istintive dei bruti. ‘<strong>Il</strong> Serpente mi ha sedotta’ dice Eva. ‘La donna mi ha offerto il frutto ed io<br />

ne ho mangiato’ dice Adamo. E la cupidigia triplice abbranca da allora i tre regni dell’uomo.<br />

Non c’è che la Grazia che riesca ad allentare le strette di questo mostro spietato. E, se è viva,<br />

vivissima, mantenuta sempre più viva dalla volontà del figlio fedele, giunge a strozzare il mostro ed<br />

a non aver più a temere di nulla. Non dei tiranni interni, ossia della carne e delle passioni; non dei<br />

tiranni esterni, ossia del mondo e dei potenti del mondo. Non delle persecuzioni. Non della morte.<br />

E’ come dice l’apostolo Paolo: ‘Nessuna di queste cose io temo, né tengo alla mia vita più di me,<br />

purché io compia la mia missione ed il ministero ricevuto dal Signore Gesù per rendere<br />

testimonianza al Vangelo della Grazia di <strong>Dio</strong>’.<br />

[...]”.<br />

[8 marzo 1944.]<br />

Dice Maria:<br />

“Nella gioia, poiché quando ho compreso la missione a cui <strong>Dio</strong> mi chiamava fui ripiena di gioia, il<br />

mio cuore si aprì come un giglio serrato e se ne effuse quel sangue che fu zolla al Germe del<br />

Signore.<br />

Gioia di esser madre.<br />

M’ero consacrata a <strong>Dio</strong> dalla prima età, perché la luce dell’Altissimo m’aveva illuminato la causa<br />

del male del mondo ed avevo voluto, per quanto era in mio potere, cancellare da me la traccia di<br />

Satana.<br />

<strong>Io</strong> non sapevo di essere senza macchia. Non potevo pensare di esserlo. <strong>Il</strong> solo pensarlo sarebbe stata<br />

presunzione e superbia, perché, nata da umani genitori, non m’era lecito pensare che proprio io ero<br />

l’Eletta ad esser la Senza Macchia.<br />

Lo Spirito di <strong>Dio</strong> mi aveva istruita sul dolore del Padre davanti alla corruzione di Eva, che aveva<br />

voluto avvilire sé, creatura di grazia, ad un livello di creatura inferiore. Era in me l’intenzione di<br />

addolcire quel dolore riportando la mia carne alla purezza angelica col serbarmi inviolata da<br />

pensieri, desideri, e contatti umani. Solo per Lui il mio palpito d’amore, solo a Lui il mio essere.<br />

Ma, se non era in me arsione di carne, era però ancora il sacrificio di non esser madre.<br />

La maternità, priva di quanto ora la avvilisce, era stata concessa dal Padre Creatore anche ad Eva.<br />

Dolce e pura maternità senza pesantezza di senso! <strong>Io</strong> l’ho provata! Di quanto s’è spogliata Eva<br />

rinunciando a questa ricchezza! Più che dell’immortalità. E non vi paia esagerazione. <strong>Il</strong> mio Gesù, e<br />

con Lui io, sua Madre, abbiamo conosciuto il languore della morte. <strong>Io</strong> il dolce languore di chi<br />

stanco si addormenta, Egli l’atroce dolore di chi muore per la sua condanna. Dunque anche a noi è<br />

venuta la morte. Ma la maternità, senza violazioni di sorta, è venuta a me sola, Eva nuova, perché io<br />

potessi dire al mondo di qual dolcezza fosse la sorte della donna chiamata ad esser madre senza<br />

dolore di carne. E il desiderio di questa pura maternità poteva essere ed era anche nella Vergine tutta<br />

di <strong>Dio</strong>, poiché essa è la gloria della donna. Se voi pensate poi in quale onore era tenuta la donna<br />

madre presso gli israeliti, ancor più potete pensare quale sacrificio avevo compiuto consacrandomi a<br />

questa privazione.<br />

Ora alla sua serva l’Eterno Buono dava questo dono senza levarmi il candore di cui m’ero vestita<br />

per esser fiore al suo trono. Ed io ne giubilavo con la duplice gioia d’esser madre di un uomo e<br />

d’esser Madre di <strong>Dio</strong>.<br />

Gioia d’esser Quella per cui la pace si rinsaldava fra Cielo e terra.<br />

Oh! aver desiderato questa pace per amore di <strong>Dio</strong> e di prossimo, e sapere che per mezzo di me,<br />

povera ancella del Potente, essa veniva al mondo! Dire: ‘Oh! uomini, non piangete più. <strong>Io</strong> porto in<br />

me il segreto che vi farà felici. Non ve lo posso dire, perché è sigillato in me, nel mio cuore, come è<br />

chiuso il Figlio nel seno inviolato. Ma già ve lo porto fra voi, ma ogni ora che passa è più prossimo<br />

il momento in cui lo vedrete e ne conoscerete il Nome santo.’


Gioia d’aver fatto felice Iddio: gioia di credente per il suo <strong>Dio</strong> fatto felice.<br />

Oh! l’aver levato dal cuore di <strong>Dio</strong> l’amarezza della disubbidienza d’Eva! Della superbia d’Eva!<br />

Della sua incredulità.<br />

<strong>Il</strong> mio Gesù ha spiegato di qual colpa si macchiò la Coppia prima. <strong>Io</strong> ho annullato quella colpa<br />

facendo a ritroso, per ascendere, le tappe della sua discesa.<br />

<strong>Il</strong> principio della colpa fu nella disubbidienza: ‘Non mangiate e non toccate di quell’albero’ aveva<br />

detto Iddio. E l’uomo e la donna, i re del creato, che potevano di tutto toccare e mangiare fuor che<br />

di quello, perché <strong>Dio</strong> voleva non renderli che inferiori agli angeli, non tennero conto di quel divieto.<br />

La pianta: il mezzo per provare l’ubbidienza dei figli.<br />

Che è l’ubbidienza al comando di <strong>Dio</strong>? E’ bene, perché <strong>Dio</strong> non comanda che il bene. Che è la<br />

disubbidienza? E’ male, perché mette l’animo nelle disposizioni di ribellione su cui Satana può<br />

operare.<br />

Eva va alla pianta da cui sarebbe venuto il suo bene con lo sfuggirla o il suo male coll’avvicinarla.<br />

Vi va trascinata dalla curiosità bambina di vedere che avesse in sé di speciale, dall’imprudenza che<br />

le fa parere inutile il comando di <strong>Dio</strong>, dato che lei è forte e pura, regina dell’Eden, in cui tutto le<br />

ubbidisce e in cui nulla potrà farle del male. La sua presunzione la rovina. La presunzione è già<br />

lievito di superbia.<br />

Alla pianta trova il Seduttore il quale, alla sua inesperienza, alla sua vergine tanto bella<br />

inesperienza, alla sua maltutelata da lei inesperienza, canta la canzone della menzogna. ‘Tu credi<br />

che qui sia del male? No. <strong>Dio</strong> te l’ha detto, perché vi vuol tenere schiavi del suo potere. Credete<br />

d’esser re? Non siete neppur liberi come lo è la fiera. Ad essa è concesso di amarsi di amor vero.<br />

Non a voi. Ad essa è concesso d’esser creatrice come <strong>Dio</strong>. Essa genererà figli e vedrà crescere a suo<br />

piacere la famiglia. Non voi. A voi negata è questa gioia. A che pro dunque farvi uomo e donna se<br />

dovete vivere in tal maniera? Siate dèi. Non sapete quale gioia è l’esser due in una carne sola, che<br />

ne crea una terza e molte più terze? Non credete alle promesse di <strong>Dio</strong> di avere gioia di posterità<br />

vedendo i figli crearsi nuove famiglie, lasciando per esse padre e madre. Vi ha dato una larva di<br />

vita: la vita vera è di conoscere le leggi della vita. Allora sarete simili a dèi e potrete dire a <strong>Dio</strong>:<br />

‘Siamo tuoi uguali’’.<br />

E la seduzione è continuata, perché non vi fu volontà di spezzarla, ma anzi volontà di continuarla e<br />

di conoscere ciò che non era dell’uomo. Ecco che l’albero proibito diviene, alla razza, realmente<br />

mortale, perché dalle sue rame pende il frutto dell’amaro sapere che viene da Satana. E la donna<br />

diviene femmina e, col lievito della conoscenza satanica in cuore, va a corrompere Adamo. Avvilita<br />

così la carne, corrotto il morale, degradato lo spirito, conobbero il dolore e la morte dello spirito<br />

privato della Grazia, e della carne privata dell’immortalità. E la ferita di Eva generò la sofferenza,<br />

che non si placherà finché non sarà estinta l’ultima coppia sulla terra.<br />

<strong>Io</strong> ho percorso a ritroso le vie dei due peccatori. Ho ubbidito. In tutti i modi ho ubbidito. <strong>Dio</strong><br />

m’aveva ispirato d’esser vergine. Ho ubbidito. Amata la verginità, che mi faceva pura come la<br />

prima delle donne prima di conoscere Satana, <strong>Dio</strong> mi chiese d’esser sposa. Ho ubbidito, riportando<br />

il matrimonio a quel grado di purezza che era nel pensiero di <strong>Dio</strong> quando aveva creato i due Primi.<br />

Convinta d’esser destinata alla solitudine nel matrimonio e allo sprezzo del prossimo per la mia<br />

sterilità santa, ora <strong>Dio</strong> mi chiedeva d’esser madre. Ho ubbidito. Ho creduto che ciò fosse possibile e<br />

che quella parola venisse da <strong>Dio</strong>, perché la pace si diffondeva in me nell’udirla. Non ho pensato:<br />

‘Me lo sono meritato’. Non mi son detta: ‘Ora il mondo mi ammirerà, perchè sono simile a <strong>Dio</strong><br />

creando la carne di <strong>Dio</strong>’. No. Mi sono annichilita nella umiltà.<br />

La gioia mi è sgorgata dal cuore come uno stelo di rosa fiorita. Ma si ornò subito di acute spine e fu<br />

stretta nel viluppo del dolore, come quei rami che sono avvolti dai vilucchi dei convolvoli. <strong>Il</strong> dolore<br />

del dolore dello sposo: ecco la strettoia nel mio gioire. <strong>Il</strong> dolore del dolore del mio Figlio: ecco le<br />

spine del mio gioire.<br />

Eva volle il godimento, il trionfo, la libertà. <strong>Io</strong> accettai il dolore, l’annichilimento, la schiavitù.<br />

rinunciai alla mia vita tranquilla, alla stima dello sposo, alla libertà mia propria. Non mi serbai<br />

nulla. Divenni l’Ancella di <strong>Dio</strong> nella carne, nel morale, nello spirito, affidandomi a Lui non solo<br />

per il verginale concepimento, ma per la difesa del mio onore, per la consolazione dello sposo, per il


mezzo con cui portare egli pure alla sublimazione del coniugio, di modo da fare di noi coloro che<br />

rendono all’uomo e alla donna la dignità perduta.<br />

Abbracciai la volontà del Signore per me, per lo sposo, per la mia Creatura. Dissi: ‘Sì’ per tutti e tre,<br />

certa che <strong>Dio</strong> non avrebbe mentito alla sua promessa di soccorrermi nel mio dolore di sposa che si<br />

vede giudicata colpevole, di madre che si vede generare per dare il Figlio al dolore.<br />

‘Sì’ ho detto. Sì. E basta. Quel ‘sì’ ha annullato il ‘no’ di Eva al comando di <strong>Dio</strong>. 'Sì, Signore, come<br />

Tu vuoi. Conoscerò quel che Tu vuoi. Vivrò come Tu vuoi. Gioirò se Tu vuoi. Soffrirò per quel che<br />

Tu vuoi. Sì, sempre sì, mio Signore, dal momento in cui il tuo raggio mi fe'Madre al momento in<br />

cui mi chiamasti a Te. Sì, sempre sì. Tutte le voci della carne, tutte le passioni del morale sotto il<br />

peso di questo mio perpetuo sì. E sopra, come su un piedistallo di diamante, il mio spirito a cui<br />

mancan l' ali per volare a Te, ma che è signore di tutto l’io domato e servo tuo. Servo nella gioia,<br />

servo nel dolere. Ma sorridi, o <strong>Dio</strong>. E sii felice. La colpa è vinta. E’ levata, è distrutta. Essa giace<br />

sotto il mio tallone, essa è lavata nel mio pianto, distrutta dalla mia ubbidienza. Dal mio seno<br />

nascerà l’Albero nuovo che porterà il Frutto che conoscerà tutto il Male, per averlo patito in Sé, e<br />

darà tutto il Bene. A questo potranno venire gli uomini, ed io sarò felice se ne coglieranno, anche<br />

senza pensare che esso nasce da me. Purché l’uomo si salvi e <strong>Dio</strong> sia amato, si faccia della sua<br />

ancella quel che si fa della zolla su cui un albero sorge: gradino per salire.”<br />

Maria, bisogna sempre saper essere gradino perché gli altri salgano a <strong>Dio</strong>. Se ci calpestano, non fa<br />

niente. Purché riescano ad andare alla Croce. E’ il nuovo albero che ha il frutto della conoscenza del<br />

Bene e del Male, perché dice all’uomo ciò che è male e ciò che è bene perché sappia scegliere e<br />

vivere, e sa nel contempo fare di sé liquore per guarire gli intossicati del male voluto gustare. <strong>Il</strong><br />

nostro cuore sotto ai piedi degli uomini, purché il numero dei redenti cresca e il Sangue del mio<br />

Gesù non sia effuso senza frutto. Ecco la sorte delle ancelle di <strong>Dio</strong>. Ma poi meritiamo di ricevere<br />

nel grembo l’Ostia santa e ai piedi della Croce, intrisa del suo Sangue e del nostro pianto, dire:<br />

‘Ecco, o Padre, l’Ostia immacolata che ti offriamo per la salute del mondo. Guardaci, o Padre, fuse<br />

con Essa, e per i suoi meriti infiniti dacci la tua benedizione.’<br />

Ed io ti do la mia carezza. Riposa, figlia. <strong>Il</strong> Signore è con te.”<br />

Dice Gesù:<br />

“La parola della Madre mia dovrebbe sperdere ogni titubanza di pensiero anche nei più inceppati<br />

nelle formule.<br />

[...].<br />

Ho detto: ‘metaforica pianta’. Dirò ora: ‘simbolica pianta’. Forse capirete meglio. <strong>Il</strong> suo simbolo è<br />

chiaro: dal come i due figli di <strong>Dio</strong> avrebbero agito rispetto ad essa, si sarebbe compreso come era in<br />

loro tendenza al Bene e al Male. Come acqua regia che prova l’oro e bilancia d’orafo che ne pesa i<br />

carati, quella pianta, divenuta una ‘missione’ per il comando di <strong>Dio</strong> rispetto ad essa, ha dato la<br />

misura della purezza del metallo d’Adamo e di Eva.<br />

Sento già la vostra obbiezione: ‘Non è stata soverchia la condanna e puerile il mezzo usato per<br />

giungere a condannarli?’<br />

Non è stato. Una disubbidienza attualmente in voi, che siete gli eredi loro, è meno grave che non<br />

fosse in essi. Voi siete redenti da Me. Ma il veleno di Satana rimane sempre pronto a risorgere,<br />

come certi morbi che non si annullano mai totalmente nel sangue. Essi, i due progenitori, erano<br />

possessori della Grazia senza aver mai avuto sforamento con la Disgrazia. Perciò più forti, sorretti<br />

dalla Grazia, che generava innocenza e amore. Infinito era il dono che <strong>Dio</strong> aveva loro dato. Ben più<br />

grave perciò la loro caduta nonostante quel dono.<br />

Simbolico anche il frutto offerto e mangiato. Era il frutto di una esperienza voluta compiere per<br />

istigazione satanica contro il comando di <strong>Dio</strong>. <strong>Io</strong> non avevo interdetto agli uomini l’amore. Volevo<br />

unicamente che si amassero senza malizia; come <strong>Io</strong> li amavo con la mia santità, essi dovevano<br />

amarsi in santità d’affetti, che nessuna libidine insozza.<br />

Non si deve dimenticare che la Grazia è lume, e chi la possiede conosce ciò che è utile e buono<br />

conoscere. La Piena di Grazia conobbe tutto, perché la Sapienza la istruiva, la Sapienza che è<br />

Grazia, e si seppe guidare santamente. Eva conosceva perciò ciò che le era buono conoscere. Non


oltre, perché è inutile conoscere ciò che non è buono. Non ebbe fede nelle parole di <strong>Dio</strong> e non fu<br />

fedele nella sua promessa di ubbidienza. Credette a Satana, infranse la promessa, volle sapere il non<br />

buono, lo amò senza rimorso, rese l’amore, che <strong>Io</strong> avevo dato così santo, una corrotta cosa, una<br />

avvilita cosa. Angelo decaduto, si rotolò nel fango e sullo strame. mentre poteva correre felice fra i<br />

fiori del Paradiso terrestre e vedersi fiorire intorno la prole, così come una pianta si copre di fiori<br />

senza curvare la chioma nel pantano.<br />

Non siate come i fanciulli stolti che io indico nel Vangelo, i quali hanno udito cantare e si sono<br />

turati gli orecchi, hanno udito suonare e non hanno ballato, hanno udito piangere e hanno voluto<br />

ridere Non siate gretti e non siate negatori. Accettate, accettate senza malizia e cocciutaggine, senza<br />

ironia e incredulità, la Luce. E basta su ciò.<br />

Per farvi capire di quanto dovete esser grati a Colui che è morto per rialzarvi al Cielo e per vincere<br />

la concupiscenza di Satana, ho voluto parlarvi, in questo tempo di preparazione alla Pasqua, di<br />

questo che è stato il primo anello della catena con cui il Verbo del Padre fu tratto alla morte,<br />

l’Agnello divino al macello. Ve ne ho voluto parlare perché ora il novanta per cento fra voi è simile<br />

ad Eva intossicata dal fiato e dalla parola di Lucifero, e non vivete per amarvi ma per saziarvi di<br />

senso, non vivete per il Cielo ma per il fango, non siete più creature dotate d’anima e ragione ma<br />

cani senz’anima e senza ragione. L’anima l’avete uccisa e la ragione depravata. In verità vi dico che<br />

i bruti vi superano nella onestà dei loro amori.”<br />

18. Maria annuncia a Giuseppe la maternità di Elisabetta e affida a <strong>Dio</strong> il<br />

compito di giustificare la sua.<br />

25 marzo 1944.<br />

Mi appare la casetta di Nazareth e Maria è in essa. Maria giovinetta come quando l’Angelo di <strong>Dio</strong><br />

le apparve. <strong>Il</strong> solo vedere mi fa l’anima piena del profumo verginale di quella dimora. Del profumo<br />

angelico che ancora permane nell’ambiente dove l’Angelo ha ventilato le sue ali d’oro. Del<br />

profumo divino che si è tutto concentrato su Maria per fare di Lei una Madre e che ora da Lei si<br />

effonde.<br />

E’ sera, perché le ombre cominciano ad invadere l’ambiente dove prima era scesa tanta luce di<br />

Cielo.<br />

Maria, in ginocchio presso il suo lettuccio, prega con le braccia incrociate sul seno e col volto molto<br />

curvato verso terra. E’ ancora vestita come lo era al momento dell’Annuncio. Tutto è come allora. <strong>Il</strong><br />

ramo fiorito nel suo vaso, le suppellettili nello stesso ordine. Soltanto la rocca e il fuso sono<br />

appoggiati in un angolo, col suo pennacchio di stame l’una, col suo lucido filo avvolto intorno<br />

l’altro.<br />

Maria cessa di pregare e si alza, col volto acceso come da una fiamma. La bocca sorride ma il<br />

pianto fa lucido il suo occhio azzurro. Prende il lume ad olio e con la pietra focaia lo accende.<br />

Guarda che tutto sia ordinato nella cameretta. Raddrizza la coperta del lettuccio, che si era spostata.<br />

Aggiunge acqua nel vaso del ramo fiorito e lo porta fuori, nel fresco della notte. Poi rientra. Prende<br />

il ricamo piegato sul mobile a scansia e il lume acceso, ed esce chiudendo la porta.<br />

Fa pochi passi nell’orticello, costeggiando la casa, e poi entra nella stanzetta dove ho visto avvenire<br />

l’addio di Gesù a Maria. La riconosco, benché manchi ora di qualche suppellettile che vi era allora.<br />

Maria scompare, portando seco il lume, in un altro piccolo ambiente presso a questo, ed io resto lì<br />

con l’unica compagnia del suo lavoro posato sull’angolo del tavolo. Odo il passo leggero di Maria<br />

andare e venire, l’odo smuovere dell’acqua come chi lava qualche cosa, poi rompere dei rametti,<br />

capisco che è legna spezzata dal suono che fa. Sento che accende il fuoco.<br />

Poi torna. Esce nel giardinetto. Rientra con delle mele e delle verdure. Posa le mele sul tavolo, in un<br />

vassoio di metallo inciso, mi pare rame bulinato. Torna in cucina (certo di là è la cucina). Ora la<br />

fiamma del focolare si proietta gioconda dalla porta aperta sin qua dentro e fa una danza d’ombre<br />

sulle pareti.


Passa qualche tempo e Maria torna con un pane piccolo e bruno e una ciotola di latte caldo. Si siede<br />

e bagna delle fettine di pane nel latte. Mangia quieta e adagio. Poi, lasciando metà tazza di latte,<br />

entra di nuovo in cucina e torna con le verdure, sulle quali versa dell’olio, e le mangia col pane. Si<br />

disseta col latte. Poi prende una mela e la mangia. Una cena da bambina.<br />

Maria mangia e pensa, e sorride ad un interno pensiero. Alza e gira gli occhi sulle pareti e pare che<br />

comunichi loro un suo segreto. Ogni tanto però si fa seria, quasi mesta. Ma poi il sorriso torna.<br />

Si ode bussare alla porta. Maria si alza e apre. Entra Giuseppe. Si salutano. Poi Giuseppe siede su<br />

uno sgabello di fronte a Maria, al di là del tavolo.<br />

Giuseppe è un bell’uomo nella pienezza dell’età. Avrà un trentacinque anni al massimo. I suoi<br />

capelli castano scuri e la sua barba, pure castana scura, gli incorniciano un viso regolare con due<br />

dolci occhi di un castano quasi nero. Ha fronte spaziosa e liscia, naso sottile, lievemente arcuato,<br />

guance piuttosto tonde di un bruno non olivastro, ma anzi rosato ai pomelli. Non è molto alto. Ma è<br />

robusto e ben fatto.<br />

Prima di sedere si è levato il mantello che (è il primo che vedo fatto così) è a ruota intera, fermato<br />

alla gola da un gancio o simile, ed ha il cappuccio. E’ di color marrone chiaro e pare di una stoffa<br />

impermeabile di lana grezza. Sembra un mantello da montanaro, adatto a far riparo alle intemperie.<br />

Anche prima di sedere offre a Maria due uova e una pigna d’uva, un poco vizza ma ben conservata.<br />

E sorride dicendo: “Me l’hanno portata da Cana. Le uova me le ha date il Centurione per un lavoro<br />

che ho fatto ad un suo carro. Si era rotto in una ruota e il loro operaio è malato. Sono fresche. Le ha<br />

prese nel suo pollaio. Bevile. Ti faranno bene.”<br />

“Domani, Giuseppe. Ora ho mangiato.”<br />

“Ma l’uva la puoi prendere. E’ buona. Dolce come il miele. L’ho portata piano per non sciuparla.<br />

Mangiala. Ce ne ho ancora. Te la porterò domani in un canestrello. Questa sera non potevo, perché<br />

vengo direttamente da casa del Centurione.”<br />

“Allora non hai ancora cenato.”<br />

“No. Ma non importa.”<br />

Maria si alza subito e va in cucina, e torna con dell’altro latte e delle ulive e formaggio. “Non ho<br />

altro” dice. “Prendi un uovo.”<br />

Giuseppe non lo vuole. Le uova sono per Maria. Mangia con gusto il suo pane e formaggio e beve il<br />

latte ancor tiepido. Poi accetta una mela. La cena è finita.<br />

Maria prende il suo ricamo, dopo aver sbarazzato la tavola delle stoviglie, e Giuseppe l’aiuta e<br />

resta in cucina anche quando Lei torna di qua. Lo sento smuovere riponendo tutto a posto. Riattizza<br />

il fuoco perché la sera è fresca. Quando torna, Maria lo ringrazia.<br />

Parlano fra loro. Giuseppe racconta come ha passato la giornata. Parla dei suoi nipotini. Si interessa<br />

del lavoro di Maria e dei suoi fiori. Promette di portarle dei fiori tanto belli che il Centurione gli ha<br />

promessi. “Sono fiori che noi non abbiamo. Li hanno portati da Roma. Mi ha promesso le piantine.<br />

Ora, quando la luna è propizia, te li pianto. Hanno bei colori e un odore molto buono. Li ho visti<br />

l’estate scorsa, perché fioriscono d’estete. Ti profumeranno tutta la casa. Poi poterò le piante a luna<br />

buona. E’ tempo.”<br />

Maria sorride e ringrazia. Un silenzio. Giuseppe guarda la testa bionda di Maria curva sul suo<br />

ricamo. Uno sguardo di amore angelico. Certo, se un angelo amasse una donna d’amore di sposo, la<br />

guarderebbe così.<br />

Maria, come chi prenda una decisione, posa in grembo il ricamo e dice: “Giuseppe, anche io ho<br />

qualcosa da dirti. Non ho mai nulla, perché tu sai come vivo ritirata. Ma oggi ho una notizia. Ho<br />

avuto notizia che la parente nostra Elisabetta, moglie di Zaccaria, sta per avere un figlio...”<br />

Giuseppe sgrana gli occhi e dice: “A quell’età?”<br />

“A quell’età” risponde sorridendo Maria. “Tutto può il Signore. Ed ora ha voluto dare questa gioia<br />

alla parente nostra.”<br />

“Come lo sai? E’ sicura la notizia?”<br />

“E’ venuto un messaggero. Ed è uno che non può mentire. Vorrei andare da Elisabetta, per servirla e<br />

dirle che giubilo con lei. Se tu lo permetti...”<br />

“Maria, tu sei la mia donna ed io il tuo servo. Tutto quanto fai è ben fatto. Quando vorresti partire?”


“Al più presto. Ma starò via dei mesi.”<br />

“Ed io conterò i giorni aspettandoti. Va' tranquilla. Alla casa e al tuo orticello penserò io. Troverai i<br />

tuoi fiori belli come se tu li avessi curati. Soltanto... aspetta. Devo andare prima della Pasqua a<br />

Gerusalemme per acquistare degli oggetti per il mio lavoro. Se attendi qualche giorno ti<br />

accompagno sin là. Non oltre, perché devo tornare sollecito. Ma fin là possiamo andare insieme.<br />

Sono più quieto se non ti so sola per le strade. Al ritorno, me lo farai sapere, ti verrò incontro.”<br />

“Sei tanto buono, Giuseppe. <strong>Il</strong> Signore ti compensi con le sue benedizioni e tenga lontano da te il<br />

dolore. Lo prego sempre per questo.”<br />

I due casti sposi si sorridono angelicamente. <strong>Il</strong> silenzio si ristabilisce per qualche tempo.<br />

Poi Giuseppe si alza. Si rimette il mantello, alza il cappuccio sul capo. Saluta Maria, che si è pure<br />

alzata, ed esce.<br />

Maria lo guarda uscire, con un sospiro di pena. Poi alza gli occhi al cielo. Prega certo. Chiude la<br />

porta con cura. Piega il ricamo. Va in cucina. Spegne o copre il fuoco. Guarda che tutto sia a posto.<br />

Prende il lume ed esce chiudendo la porta. Fa riparo con la mano alla fiammella che trema al vento<br />

freddino della notte. Entra nella stanza e prega ancora.<br />

La visione cessa così.<br />

Dice Maria:<br />

“Figlia cara, quando, cessata l’estasi che mi aveva fatta piena di inesprimibile gioia, io tornai ai<br />

sensi della terra, il primo pensiero che, pungente come una spina di rose, mi punse il cuore fasciato<br />

nelle rose del Divino Amore, a me Sposo da qualche istante, fu il pensiero di Giuseppe.<br />

<strong>Io</strong> l’amavo, ormai, questo mio santo e previdente custode. Da quando il volere di <strong>Dio</strong>, attraverso la<br />

parola del suo Sacerdote, mi aveva voluta sposata a Giuseppe, io avevo potuto conoscere ed<br />

apprezzare la santità di questo Giusto. Congiunta a lui, avevo sentito cessare il mio smarrimento<br />

d’orfana, né avevo più rimpianto il perduto asilo del Tempio. Egli era dolce come il padre perduto.<br />

Presso a lui mi sentivo sicura come presso il Sacerdote. Ogni titubanza era caduta, non solo caduta.<br />

Ma anche dimenticata, tanto si era allontanata dal mio cuore di vergine, perché avevo capito che<br />

non avevo da titubare, da temere di nulla rispetto a Giuseppe. Più sicura di un bambino nelle<br />

braccia della mamma, era la mia verginità affidata a Giuseppe.<br />

Ora come dirgli che ero Madre? Cercavo le parole per dargli l’annuncio. Difficile ricerca. Ché non<br />

volevo lodarmi del dono di <strong>Dio</strong>, e non potevo in nessuna maniera giustificare la mia maternità senza<br />

dire: “<strong>Il</strong> Signore mi ha amata fra tutte le donne e di me, sua serva, ha fatto la sua Sposa”.<br />

Ingannarlo, celandogli il mio stato, non volevo neppure.<br />

Ma, mentre pregavo, lo Spirito di cui ero piena mi aveva detto: “Taci. Affida a Me il compito di<br />

giustificarti presso lo sposo”. Quando? Come? Non l’avevo chiesto. Mi ero sempre affidata a <strong>Dio</strong><br />

come un fiore si affida all’onda che lo porta. Mai l’Eterno mi aveva fatta rimanere senza il suo<br />

aiuto. La sua mano mi aveva sorretta, protetta, guidata fin qui. Lo avrebbe fatto anche ora.<br />

Figlia mia, come è bella e confortevole la fede nel nostro eterno, buono Iddio! Ci raccoglie nelle sue<br />

braccia come una cuna, ci porta come una barca nel luminoso porto del Bene, ci scalda il cuore, ci<br />

consola, ci nutre, ci dà riposo e letizia, ci dà luce e guida. Tutto è fiducia in <strong>Dio</strong>, e <strong>Dio</strong> tutto dà a chi<br />

ha fiducia in Lui. Dà Se stesso.<br />

Quella sera portai la mia fiducia di creatura alla perfezione. Ora lo potevo fare, perché <strong>Dio</strong> era in<br />

me. Prima avevo avuto la fiducia di povera creatura quale ero. Sempre un nulla, anche se la Tanto<br />

Amata da esser la Senza Macchia. Ma ora avevo la fiducia divina, perché <strong>Dio</strong> era mio: mio Sposo,<br />

mio Figlio! Oh! gioia! Esser Una con <strong>Dio</strong>. Non per mia gloria, ma per amarlo in un’unione totale,<br />

ma per potergli dire: “Tu, Tu solo che sei in me, opera con la tua divina perfezione in tutte le cose<br />

che io faccio.”<br />

Se Egli non mi avesse detto: “Taci!”, avrei forse osato, col volto contro il suolo, dire a Giuseppe:<br />

“Lo Spirito mi ha penetrata ed in me è il Germe di <strong>Dio</strong>”; ed egli mi avrebbe creduto, perché mi<br />

stimava e perché, come tutti coloro che non mentono mai, non poteva credere che altri mentisse. Sì,<br />

pur di non addolorarlo in futuro, avrei vinto la ritrosia di darmi tal lode. Ma ubbidii al divino<br />

comando.


E per dei mesi, da quel momento, ho sentito la prima ferita insanguinarmi il cuore. <strong>Il</strong> primo dolore<br />

della mia sorte di Corredentrice. L’ho offerto e sofferto per riparare e per dare a voi una norma di<br />

vita in momenti analoghi di sofferenza per una necessità di silenzio, per un evento che vi pone in<br />

luce cattiva presso chi vi ama.<br />

Date a <strong>Dio</strong> la tutela del vostro buon nome e dei vostri interessi affettivi. Meritate con una vita santa<br />

la tutela di <strong>Dio</strong>, e poi andate sicuri. Anche tutto il mondo vi fosse contro, Egli vi difenderà presso<br />

chi vi ama e farà emergere la verità.<br />

Riposa ora, figlia. E sii sempre più figlia mia.”


19. Maria e Giuseppe alla volta di Gerusalemme.<br />

27 marzo 1944<br />

Assisto alla partenza per andare da Santa Elisabetta.<br />

Giuseppe è venuto a prendere Maria con due ciuchini grigi: uno per sé, uno per Maria. Le due<br />

bestiole hanno la sella abituale, ma una è aumentata da un bizzarro arnese che poi comprendo esser<br />

fatto per portare il carico: una specie di portabagagli sul quale Giuseppe assicura un piccolo cofano<br />

di legno -un bauletto, diremmo ora- che ha portato a Maria per riporvi i suoi indumenti senza che<br />

l’acqua possa bagnarli.<br />

Sento Maria che ringrazia molto Giuseppe per questo dono previdente, nel quale sistema quanto<br />

leva da un fagotto che aveva prima preparato.<br />

Chiudono la porta di casa e si mettono in cammino. E’ lo spuntare del giorno, perché vedo l’aurora<br />

rosare appena ad oriente. Nazareth dorme ancora. I due mattinieri viaggiatori incontrano<br />

unicamente un mandriano, che spinge avanti le sue pecorelle trotterellanti l’una contro l’altra,<br />

incastrate l'una fra le altre come tanti cunei, e belanti. Gli agnellini belano più di tutti con voce<br />

acuta e sottile, e vorrebbero cercare, anche camminando, la poppa materna. Ma le madri si<br />

affrettano al pascolo e li invitano a trottare loro pure col loro belato più forte.<br />

Maria guarda e sorride e, posto che si è fermata per lasciare passare la mandra, si curva sulla sua<br />

sella e carezza le miti bestiole, che passano rasente al ciuchino. Quando giunge il pastore con un<br />

agnellino appena nato fra le braccia e si ferma a salutare, Maria ride carezzando sul musetto roseo<br />

l’agnellino belante disperatamente, e dice: “Cerca la mamma. Eccola la mamma. Non ti lascia, no,<br />

piccolino.” Infatti la pecora madre si strofina al pastore e si alza in piedi per leccare sul musetto il<br />

suo nato.<br />

La mandra passa con rumore di acqua sulle fronde, e lascia dietro a sé la polvere sollevata dagli<br />

zoccoletti in corsa e tutto un ricamo di pedate sulla terra della via.<br />

Giuseppe e Maria riprendono il cammino. Giuseppe ha il suo mantellone, Maria è avvolta in una<br />

specie di scialle a righe, perché la mattina è molto fresca.<br />

Ormai sono in campagna e vanno l’una vicino all’altro. Parlano raramente. Giuseppe pensa ai suoi<br />

affari e Maria segue i suoi pensieri e, raccolta come è in essi, sorride ad essi e sorride alle cose<br />

quando, uscendo dalla sua concentrazione, gira lo sguardo su quanto la circonda. Di tanto in tanto<br />

guarda Giuseppe, e un velo di serietà mesta le oscura il viso; poi le torna il sorriso anche nel<br />

guardare questo suo sposo previdente, che poco parla, ma che se parla è per chiederle se è comoda e<br />

se non ha bisogno di nulla.<br />

Ora le strade si sono popolate di altre persone, specie nelle vicinanze di qualche paese o dentro allo<br />

stesso. Ma i due non fanno molto caso alle persone che incontrano. Vanno sui loro ciuchini<br />

trotterellanti in un gran rumore di bubboli, e si fermano solo una volta, all’ombra di un boschetto,<br />

per mangiare un poco di pane e ulive e bere ad una fonte che scende da una grotticella, e un’altra<br />

per ripararsi da un acquazzone violento che si abbatte all’improvviso fuori da un nuvolone scuro<br />

scuro.<br />

Si sono messi al riparo del monte, contro una sporgenza del masso che li copre dal più forte<br />

dell’acqua. Ma Giuseppe vuole assolutamente che Maria si metta il suo mantellone di lana<br />

impermeabile, sul quale l’acqua scivola via senza bagnare, e Maria deve cedere alla premurosa<br />

insistenza dello sposo che, per rassicurarla sulla propria immunità, si mette sulla testa e sulle spalle<br />

una piccola coperta bigia che era sulla sella. La coperta del ciuchino, probabilmente. Ora Maria pare<br />

un fraticello, col cappuccio che le incornicia il volto e il mantello marrone che le si chiude alla gola<br />

e la copre tutta.<br />

L’acquazzone rallenta, ma si muta in pioggia noiosa e fine. I due riprendono ad andare per la strada<br />

già tutta fangosa. Ma è primavera, e dopo qualche tempo torna il sole a fare più comodo il<br />

cammino. I due ciuchini zampettano più volentieri sulla via.<br />

Non vedo altro perché la visione cessa qui.


20. Partenza da Gerusalemme. L’aspetto beatifico di Maria.<br />

Importanza della preghiera per Maria e Giuseppe.<br />

28 marzo 1944.<br />

Siamo a Gerusalemme. La conosco bene, ormai, con le sue strade e le sue porte.<br />

I due sposi si dirigono verso il Tempio per prima cosa. Riconosco lo stallaggio dove Giuseppe ha<br />

lasciato il ciuchino il giorno della Presentazione al Tempio. Anche ora lascia lì i due ciuchi dopo<br />

averli pasturati, e con Maria va ad adorare il Signore.<br />

Poi tornano fuori, e Maria e Giuseppe vanno in una casa di persone conosciute, a quanto pare. E lì si<br />

rifocillano, e Maria riposa finché torna Giuseppe con un vecchietto. “Questo uomo va per la tua<br />

stessa strada. Ben poco avrai da andare da sola per giungere dalla parente. Fidati di lui, ché lo<br />

conosco.”<br />

Rimontano sui ciuchini e Giuseppe accompagna Maria sino alla Porta (non quella per la quale sono<br />

entrati, un’altra) e là si salutano, e Maria va sola col vecchietto che parla per quanto Giuseppe non<br />

parlava e si interessa di mille cose. Maria risponde pazientemente.<br />

Ora ha sul davanti della sua sella il piccolo cofano che prima aveva portato sempre il ciuco di<br />

Giuseppe, e non ha più il mantellone. Non ha più neppure il suo scialle, che è piegato sul cofano, ed<br />

è tutta bella nella sua veste azzurro scura e nel suo velo bianco che la ripara dal sole. Come è bella.!<br />

<strong>Il</strong> vecchietto deve essere un poco sordo, perché per farsi udire Maria ha dovuto parlare ben forte,<br />

Lei che parla sempre a voce bassa. E ora si è stancato. Ha esaurito tutto il suo repertorio di domande<br />

e di notizie e sonnecchia sulla sella, lasciandosi guidare dal ciuco che conosce bene la strada.<br />

Maria approfitta di questa tregua per raccogliersi nei suoi pensieri e per pregare. Deve essere una<br />

preghiera quella che Ella canta a bassa voce, guardando il cielo azzurro e tenendo le braccia sul<br />

seno, con un viso che un'interna emozione fa acceso e beato.<br />

Non vedo altro.<br />

E anche ora che la visione mi si sospende, come ieri, resto con la Mamma presso a me, visibile alla<br />

mia interna vista così nitidamente che le posso descrivere il rosato tenue della guancia, così poco<br />

paffuta ma dolcemente morbida, il rosso vivo della piccola bocca e lo splendore dolce degli occhi<br />

azzurrini fra il biondo scuro delle ciglia.<br />

Le posso dire come i capelli, bipartiti sul sommo del capo, scendano morbidi con tre ondulazioni<br />

per parte sino a coprire a metà le piccole orecchie rosate, e scompaiano col loro oro pallido e<br />

lucente dietro al velo che le copre il capo (poiché la vedo col manto sul capo, vestita della sua veste<br />

di seta paradisiaca e col suo manto sottile come velo, e pure opaco, della stessa stoffa della veste).<br />

Le posso dire che la veste è come stretta al collo da una guaina, nella quale scorre un cordone i cui<br />

capi si annodano sul davanti alla radice del collo, come la veste è raccolta alla vita da un più grosso<br />

cordone, sempre di seta bianca, che scende con due nappe lungo il fianco.<br />

Le posso persino dire che la veste, stretta come è al collo e alla vita, le fa sul petto sette pieghe<br />

rotonde e molli, unico ornamento del suo castissimo abito.<br />

Le posso dire la castità che emana da tutto l’aspetto di Maria, dalle sue forme così delicate e<br />

armoniose, che la fanno tanto angelicamente donna.<br />

E più la guardo e più soffro pensando a quanto l’hanno fatta soffrire, e mi chiedo come hanno<br />

potuto non avere pietà di Lei, così mite e gentile, così delicata nell’aspetto anche fisico. La guardo e<br />

risento tutte le urla del Calvario anche contro di Lei, tutti gli scherni e i lazzi. Tutte le maledizioni a<br />

Lei per essere la Madre del Condannato. La vedo bella e tranquilla, ora. Ma il suo aspetto attuale<br />

non mi annulla il ricordo del suo tragico viso di quelle ore di agonia e quello del suo volto desolato<br />

nella casa di Gerusalemme, dopo la morte di Gesù. E vorrei poterla carezzare e baciare sulla<br />

guancia così delicatamente rosea e morbida, per levare col mio bacio quel ricordo di pianto, che<br />

certo è in Lei come in me.<br />

Non può credere che pace mi dà l’averla vicina. Penso che morire vedendola sia dolce come e più<br />

della più dolce ora di vita. In questo tempo che non la vedevo così, tutta per me, ho sofferto della<br />

sua assenza come per quella di una mamma. Ora risento l’ineffabile gioia che mi fu compagna nel


dicembre e nei primi tempi di gennaio. E sono felice. Felice, nonostante che l’aver visto lo strazio<br />

della Passione getti su ogni mia felicità un velo di dolore.<br />

E’ difficile dire e far capire quello che provo e quello che è avvenuto dall’11 febbraio, dalla sera che<br />

ho visto soffrire Gesù nella sua Passione. E’ stata una vista che mi ha mutata radicalmente. Morissi<br />

ora o fra cent’anni, quella visione rimarrà sempre uguale di intensità e di effetti. Prima pensavo ai<br />

dolori di Cristo. Ora li vivo perché mi basta una parola, un’occhiata su un’immagine, per risoffrire<br />

quanto ho sofferto quella sera e inorridire di quei supplizi e angosciarmi di quel desolato suo patire,<br />

e anche se nulla lo ricorda, il ricordo spasima in me.<br />

Maria comincia a parlare e taccio io.<br />

Dice Maria:<br />

“Poco parlerò perché sei molto stanca, povera figlia.<br />

Richiamo unicamente la tua attenzione e quella di chi legge, sulla abitudine costante di Giuseppe e<br />

mia di dare sempre il primo posto alla preghiera. Stanchezza, fretta, crucci, occupazioni erano cose<br />

che non impedivano la preghiera, ma anzi la aiutavano. Essa era sempre la regina delle nostre<br />

occupazioni. <strong>Il</strong> nostro ristoro, la nostra luce, la nostra speranza. Se nelle ore tristi era conforto, nelle<br />

or felici era canto. Ma era sempre l’amica costante dell’anima nostra. Quella che ci staccava dalla<br />

terra, dall’esilio, e che ci librava in alto verso il Cielo, la Patria.<br />

Non io sola, che ormai avevo dentro di me <strong>Dio</strong> e non avevo che guardare il mio seno per adorare il<br />

Santo dei Santi, ma anche Giuseppe si sentiva unito a <strong>Dio</strong> quando pregava, perché la nostra<br />

preghiera era adorazione vera di tutto l’essere, che si fondeva con <strong>Dio</strong> adorandolo ed essendone<br />

abbracciato.<br />

E, guardate, neppure io, ormai avente in me l’Eterno, mi sono sentita esente dal riverente ossequio<br />

al Tempio. La santità più alta non esime dal sentirsi un nulla rispetto a <strong>Dio</strong>, e dall’umiliare questo<br />

nulla, poiché Egli ce lo permette, in un continuo osanna alla sua gloria.<br />

Siete deboli, poveri, difettosi? Invocate la santità del Signore: “Santo, Santo, Santo!” Chiamatelo<br />

questo Santo benedetto, sulla vostra miseria. Egli verrà trasfondendovi la sua santità. Siete santi e<br />

ricchi di meriti ai suoi occhi? Invocate ugualmente la santità del Signore. Essa, infinita, accrescerà<br />

sempre più la vostra. Gli angeli, esseri superiori alle debolezze dell’umanità, non cessano un istante<br />

di cantare il loro “Sanctus”, e la loro bellezza soprannaturale si aumenta ad ogni invocare la santità<br />

del nostro <strong>Dio</strong>. Imitate gli angeli.<br />

Non spogliatevi mai della protezione della preghiera, contro la quale si spuntano le armi di Satana,<br />

le malizie del mondo e gli appetiti della carne e le superbie della mente. Non deponete mai<br />

quest’arma per la quale i Cieli si aprono e ne piovono grazie e benedizioni.<br />

La terra ha bisogno di un lavacro di preghiere per mondarsi dalle colpe che attirano i castighi di<br />

<strong>Dio</strong>. E, posto che pochi pregano, quei pochi devono pregare come fossero tanti. Moltiplicare le loro<br />

preghiere vive per fare di esse quella somma necessaria per ottenere grazia. Sono vive le preghiere<br />

quando sono condite di vero amore e di sacrificio.<br />

E che tu, figlia, soffra, oltre che per il tuo soffrire, per il soffrire mio e del mio Gesù, è cosa buona.<br />

Gradita a <strong>Dio</strong> e meritoria. Mi è tanto caro il tuo amore compassionevole. Ma mi vuoi baciare? Bacia<br />

le piaghe del mio Figlio. Imbalsamale col tuo amore. <strong>Io</strong> ho sentito spiritualmente lo spasimo dei<br />

flagelli e delle spine e la tortura dei chiodi e della croce. Ma ugualmente sento spiritualmente tutte<br />

le carezze date al mio Gesù, e sono tanti baci dati a me. E poi vieni. Sono la Regina del Cielo. Ma<br />

sono sempre la Mamma...”<br />

E io sono beata.<br />

Indice del Volume Secondo<br />

79. Andando dai pastori. I gioielli di Aglae e una parabola sulla sua conversione.<br />

80. Sul monte del digiuno e al masso della tentazione.


81. Al guado del Giordano con i pastori Simeone, Giovanni e Mattia.<br />

Un piano per liberare il Battista.<br />

82. A Gerico. L'Iscariota racconta come ha venduto i gioielli di Aglae.<br />

83. Gesù soffre a causa di Giuda, che è una lezione vivente per gli apostoli di ogni<br />

tempo.<br />

84. L'incontro con Lazzaro di Betania.<br />

85. Prima di andare al Getsemani, Gesù e lo Zelote salgono al Tempio, dove sta parlando<br />

l'Iscariota.<br />

86. L'incontro con il milite Alessandro alla porta dei Pesci.<br />

87. Con pastori e discepoli presso Doco. Isacco resta in Giudea.<br />

88. Dal pastore Giona nella pianura di Esdrelon.<br />

89. Commiato da Giona e arrivo di Gesù a Nazareth.<br />

90. L'arrivo a Nazareth dei discepoli con i pastori..<br />

91. Prima lezione ai discepoli nell'uliveto presso Nazareth.<br />

92. Seconda lezione ai discepoli presso la casa di Nazareth.<br />

93. Terza lezione ai discepoli nell'orto di Nazareth e un conforto a Giuda d'Alfeo.<br />

94. Guarigione della Bella di Corazim. Gesù parla nella sinagoga di Cafarnao.<br />

95. Giacomo d'Alfeo accolto tra i discepoli. Gesù parla presso il banco di Matteo.<br />

96. Gesù risponde all'accusa di aver guarito in sabato la Bella di Corazim.<br />

97. La chiamata di Matteo.<br />

98. Incontro con la Maddalena sul lago e lezione ai discepoli presso Tiberiade.<br />

99. A Tiberiade nella casa di Cusa.<br />

100. A Nazareth dal vecchio e malato Alfeo. Non è facile la vita dell'apostolo.<br />

101. Gesù interroga la Madre sui discepoli.<br />

102. Incontro con l'ex-pastore Gionata e guarigione di Giovanna di Cusa.<br />

103. Sul Libano dai pastori Beniamíno e Daniele.<br />

104. Aava riconciliata con il marito.<br />

Notizie sulla morte di Alfeo e sul riscatto di Giona.<br />

105. A Nazareth per la morte di Alfeo. Lenta conversione del cugino Simone.<br />

106. Cacciata da Nazareth e conforto alla Madre.<br />

Riflessioni su quattro contemplazioni.<br />

107. Gesù e la Madre da Giovanna di Cusa.<br />

108. Discorso ai vendemmiatori e guarigione di un bambino paralitico.<br />

109. Nei campi di Giocana e in quelli di Doras. Morte di Giona.<br />

110. In casa di Giacobbe presso il lago Meron.<br />

111. Incontro con Salomon al guado del Giordano.<br />

Parabola sulla conversione dei cuori.<br />

112. Da Gerico a Betania. L'incontro con Marta, che parla di Maria.<br />

113. Ritorno a Betania dopo la festa dei Tabernacoli.<br />

114. Al convito di Giuseppe d'Arimatea. Incontro con Gamaliele e Nicodemo.<br />

115. Guarigione del bambino colpito dal cavallo di Alessandro.<br />

Gesù scacciato dal Tempio.<br />

116. Al Getsemani con Gesù, i discepoli parlano dei pagani e della "velata".<br />

<strong>Il</strong> colloquio con Nicodemo.<br />

117.Lazzaro mette a disposizione di Gesù una casetta nella piana dell'Acqua<br />

Speciosa.<br />

118. Inizio di vita in comune all'Acqua Speciosa e discorso di apertura.<br />

119. I discorsi dell'Acqua Speciosa: <strong>Io</strong> sono il Signore <strong>Dio</strong> tuo.<br />

Gesù battezza come Giovanni.<br />

120. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Non ti farai degli dèi nel mio cospetto<br />

121. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Non proferire invano il mio Nome.<br />

La visita di Mannanen.


122. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Onora il padre e la madre.<br />

Guarigione di un ebete.<br />

123.I discorsi dell'Acqua Speciosa: Non fornicare.<br />

L'affronto di cinque notabili.<br />

124. La "velata" viene ospitata nella casetta dell'Acqua Speciosa.<br />

125. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Santìfica la festa.<br />

<strong>Il</strong> bambino dalle gambe fratturate.<br />

126.I discorsi dell'Acqua Speciosa: Non ammazzare.<br />

Morte di Doras.<br />

127. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Non tentare il Signore Iddio tuo.<br />

Testimonianza del Battista.<br />

128. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Non desiderare la donna d'altri.<br />

<strong>Il</strong> giovane lussurioso.<br />

129. La guarigione, all'Acqua Speciosa, di un romano indemoniato<br />

130. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Non dirai falsa testimonianza.<br />

<strong>Il</strong> piccolo Asrael. *<br />

131. I discorsi dell'Acqua Speciosa: Non rubare e non desiderare ciò<br />

che è d'altri. <strong>Il</strong> peccato dì Erode.<br />

132.Discorso conclusivo, all'Acqua Speciosa, prima della festa della<br />

Purificazione.<br />

133. <strong>Il</strong> lavoro nascosto di Andrea. Una lettera della Madre a Gesù,<br />

che deve lasciare l'Acqua Speciosa.<br />

134. La guarigione di Jerusa a Doco.<br />

135. L'arrivo a Betania e il discorso di Gesù ascoltato dalla Maddalena<br />

136. Alla festa delle Encenie, in casa di Lazzaro, viene ricordata la<br />

nascita di Gesù.<br />

137. Gesù torna all'Acqua Speciosa, che però deve abbandonare.<br />

138. Commiato dal fattore dell'Acqua Speciosa<br />

e dal sinagogo Timoneo, che diviene discepolo.<br />

139. Sui monti presso Emmaus.<br />

<strong>Il</strong> carattere di Giuda Iscariota e le qualità dei buoni.<br />

140. A Emmaus, dal sinagogo Cleofa.<br />

Un caso di incesto. *<br />

Fine del primo anno.<br />

SECONDO ANNO DELLA VITA PUBBLICA DI GESU'<br />

141. Andando verso Arimatea con i discepoli e con Giuseppe di Emmaus.<br />

142. Con i dodici verso la Samaria.<br />

143. La samaritana Fotinai.<br />

144. I samaritani invitano Gesù a Sicar.<br />

145. <strong>Il</strong> primo giorno a Sicar.<br />

146. <strong>Il</strong> secondo giorno a Sicar e commiato dai samaritani.<br />

147. Guarigione di una donna di Sicar e conversione di Fotinai.<br />

148. Gesù visita il Battista presso Enon.<br />

149. La visita al Battista è motivo di ammaestramenti ai discepoli.<br />

150. A Nazareth dalla Madre, che dovrà seguire il Figlio.<br />

151. A Cana in casa di Susanna, che diventerà discepola. L'ufficiale regio.<br />

152. Maria Salome viene accolta come discepola.<br />

153. Le donne dei discepoli al servizio di Gesù.


154. Gesù a Cesarea Marittima parla ai galeotti.<br />

Le stanchezze dell'apostolato.<br />

155. Guarigione della piccola romana a Cesarea.<br />

156. Annalia, la prima delle vergini consacrate.<br />

157. Istruzioni alle discepole a Nazareth.<br />

158. Sul lago di Genezaret con Giovanna di Cusa.<br />

159. Discorso a Gherghesa. La risposta sul digiuno ai discepoli del Battista.<br />

IL SECONDO ANNO DI VITA PUBBLICA<br />

<strong>MARIA</strong> <strong>VALTORTA</strong><br />

L’AVANGELO COME MI E’ STATO RIVELATO<br />

Volume 2


131. I discorsi dell’Acqua Speciosa: Non rubare e non desiderare ciò che è<br />

d’altri. <strong>Il</strong> peccato di Erode.<br />

15 marzo 1945.<br />

“<strong>Dio</strong> dà ad ognuno il necessario. Questo è in verità. Cosa è necessario all’uomo? <strong>Il</strong> fasto? <strong>Il</strong> grande<br />

numero di servi? Le terre i cui campi non si possono contare? I banchetti che vedono da un<br />

tramonto sorgere un’aurora? No. Necessario all’uomo è un tetto, un pane, una veste.<br />

L’indispensabile per vivere.<br />

Guardatevi intorno. Chi sono i più allegri ed i più sani? Chi gode di una vecchiezza serena? I<br />

gaudenti? No. Quelli che onestamente vivono, lavorano e desiderano. Essi non hanno veleno di<br />

lussuria e rimangono forti. Non veleno di crapule e rimangono agili. Non veleno di invidie e<br />

rimangono allegri. Mentre chi desidera avere sempre più uccide la sua pace e non gode, ma<br />

precocemente invecchia, arso da livore o da abuso.<br />

Potrei unire il comando del ‘non rubare’ a quello del ‘non desiderare ciò che è d’altri’. Perché infatti<br />

il desiderio eccessivo spinge al furto. Non è che un passo breve, da questo a quello. E’ illecito ogni<br />

desiderio? <strong>Io</strong> non dico questo. <strong>Il</strong> padre di famiglia che, lavorando nel campo o nell’officina,<br />

desidera trarne di che assicurare pane alla prole, non pecca in verità. Anzi ubbidisce al suo dovere di<br />

padre. Ma quello che invece non desidera altro che godere di più, e si appropria di ciò che è d’altri<br />

per giungere a godere di più, costui pecca.<br />

L’invidia! Perché’ che è il desiderio della cosa altrui se non avarizia e invidia? L’invidia separa da<br />

<strong>Dio</strong>, figli miei, e unisce a Satana.<br />

Non pensate che il primo che desiderò la roba d’altri fu Lucifero? Era il più bello degli arcangeli,<br />

godeva di <strong>Dio</strong>. Avrebbe dovuto esser contento di questo. Invidiò <strong>Dio</strong> e volle essere lui <strong>Dio</strong> e<br />

divenne il demonio. <strong>Il</strong> primo demonio.<br />

Secondo esempio: Adamo ed Eva tutto avevano avuto, godevano del terrestre paradiso, godevano<br />

dell’amicizia di <strong>Dio</strong>, beati nei doni di grazia che <strong>Dio</strong> aveva loro dati. Avrebbero dovuto<br />

accontentarsi di questo. Invidiarono a <strong>Dio</strong> la conoscenza del bene e del male e furono cacciati<br />

dall’Eden divenendo i proscritti invisi a <strong>Dio</strong>. I primi peccatori.<br />

Terzo esempio: Caino invidiò Abele per la sua amicizia col Signore. E divenne il primo assassino.<br />

Maria, sorella d’Aronne e Mosè, invidiò il fratello e divenne la prima lebbrosa della storia d’Israele.<br />

Potrei passo passo condurvi per tutta la vita del popolo di <strong>Dio</strong>, e vedreste che il desiderio smodato<br />

fece, di chi lo ebbe, un peccatore, e della nazione un castigo. Perché i peccati dei singoli si<br />

accumulano e provocano i castighi delle nazioni, così come granelli e granelli e granelli di rena,<br />

accumulati in secoli e secoli, provocano una frana che sommerge i paesi e chi è in essi.<br />

Vi ho sovente citato ad esempio i pargoli, perché semplici e fidenti. Oggi vi dico: imitate gli uccelli<br />

nella libertà dai desideri.<br />

Guardate. Ora è inverno. Poco cibo è nei frutteti. Ma si preoccupano essi nell’estate di accumularlo?<br />

No. Fidano nel Signore. Sanno che un vermolino, un granello, una mica, un ragnetto, una moschina<br />

sull’acqua, la potranno sempre catturare per il loro gozzetto. Sanno che un comignolo caldo, o un<br />

bioccolo di lana, ci sarà sempre per il loro rifugio d’inverno, come sanno che, quando verrà il tempo<br />

in cui necessita loro avere fieni per i nidi e maggior pasto per la prole, ci sarà fieno fragrante sui<br />

prati, e succoso cibo nei frutteti e nei solchi, e di insetti sarà ricca l’aria e la terra. E cantano piano:<br />

‘Grazie, Creatore, per quanto ci dai e ci darai’, pronti ad osannare a piena gola quando nell’epoca<br />

degli amori godranno della sposa e si vedranno moltiplicati nella prole.<br />

C’è creatura più lieta dell’uccello? Eppure che è la sua intelligenza rispetto a quella umana? Una<br />

scaglietta di silice rispetto a un monte.. Ma vi insegna. In verità vi dico che possiede la letizia<br />

dell’uccello colui che vive senza desiderio impuro. Egli si fida di <strong>Dio</strong> e lo sente Padre. Egli sorride<br />

al giorno che sorge e alla notte che cala, perché sa che il sole è suo amico e la notte è sua nutrice.<br />

Egli guarda senza rancore gli uomini e non teme le loro vendette, perché non li danneggia in alcun<br />

modo. Egli non trema per la sua salute né per il suo sonno, perché sa che una vita onesta tiene<br />

lontane le malattie e dà dolce riposo. Non teme infine la morte perché sa che, avendo bene agito,<br />

non può che avere il sorriso di <strong>Dio</strong>.


Anche il re muore. Anche il ricco muore. Non è lo scettro che allontana la morte né il denaro che<br />

compera l’immortalità. Come davanti al Re dei re e al Signore dei signori sono cosa risibile le<br />

corone e le monete, ma ha solo valore una vita vissuta nella Legge!<br />

Cosa dicono quegli uomini là in fondo? Non abbiate paura di parlare”.<br />

“Dicevamo: l’Antipa di che peccato è colpevole? Di furto o di adulterio?”<br />

“Non vorrei guardaste gli altri ma i vostri cuori. Però vi rispondo che egli è colpevole di idolatria<br />

adorando la carne più di <strong>Dio</strong>, di adulterio, di furto, di illecito desiderio, e presto di omicidio.”<br />

“Sarà salvato da Te, Salvatore?”<br />

“<strong>Io</strong> salverò coloro che si pentono e tornano a <strong>Dio</strong>. Gli impenitenti non avranno redenzione.”<br />

“Hai detto che è ladro. Ma che ha rubato?”<br />

“La moglie al fratello. <strong>Il</strong> furto non è di solo di denaro. E’ furto anche levare l’onore ad un uomo,<br />

levare la verginità ad una fanciulla, levare ad un marito la moglie, come lo è levare un bue al vicino<br />

o prendere delle sue piante. <strong>Il</strong> furto, poi, aggravato da libidine o da falsa testimonianza, si aggrava<br />

di adulterio, o di fornicazione, o di mendacio.”<br />

“E una donna che si prostituisce che peccato fa?”<br />

“Se è sposata, di adulterio e di furto verso il marito. Se è nubile, di impurità e di furto a se stessa.”<br />

“A se stessa? Ma dà via del suo!!”<br />

“No. <strong>Il</strong> nostro corpo è creato da <strong>Dio</strong> per essere tempio dell’anima che è tempio di <strong>Dio</strong>. Perciò deve<br />

essere conservato onesto, perché altrimenti l’anima viene derubata dell’amicizia di <strong>Dio</strong> e della vita<br />

eterna.”<br />

“Allora una meretrice non può essere che di Satana?”<br />

“Ogni peccato è meretricio con Satana. <strong>Il</strong> peccatore, come una femmina prezzolata, si dà a Satana<br />

per illeciti amori, sperandone sozzi guadagni. Grande, grandissimo il peccato di prostituzione che<br />

rende simili ad animali immondi. Ma credete che non lo è da meno ogni altro peccato capitale. Che<br />

dirò dell’idolatria? Che dell’omicidio? Eppure <strong>Dio</strong> perdonò agli israeliti dopo il vitello d’oro.<br />

Perdonò a Davide dopo il suo peccato, e che era duplice. <strong>Dio</strong> perdona a chi si pente. Sia il<br />

pentimento in proporzione del numero e della grandezza delle colpe, ed <strong>Io</strong> vi dico che a chi più si<br />

pente più sarà perdonato. Perché il pentimento è forma d’amore. Di operante amore. Chi si pente<br />

dice a <strong>Dio</strong> col suo pentimento: ‘Non posso stare col tuo corruccio perché ti amo e voglio essere<br />

amato’. E <strong>Dio</strong> ama chi lo ama. Perciò <strong>Io</strong> dico: più uno ama e più è amato. Chi ama totalmente ha<br />

tutto perdonato. E questa è verità.<br />

Andate. E prima però sappiate che vi è alle porte del paese una vedova, carica di prole, nella fame<br />

più assoluta. Cacciata dalla casa per debiti. E ancora può dire ‘grazie’ al padrone per non averla che<br />

cacciata. Ho usato l’obolo vostro per il loro pane. Ma hanno bisogno di un asilo. La misericordia è<br />

il più gradito dei sacrifici al Signore. Siate buoni ed in suo nome vi assicuro il premio.”<br />

La gente bisbiglia, si consiglia, discute.<br />

Gesù intanto guarisce uno quasi cieco e ascolta una vecchierella venuta da Doco a pregarlo di<br />

andare dalla sua nuora malata. Una lunga storia di lacrime che io, mezza morta come sono oggi, non<br />

trascrivo.<br />

E per fortuna, tutto finisce, perché io non sono proprio in grado di durare ancora con una crisi<br />

cardiaca che dura da tre ore e che mi abbarbaglia anche la vista.


132. Discorso conclusivo, All’Acqua Speciosa, prima della festa della<br />

Purificazione.<br />

17 marzo 1945.<br />

“Figli miei nel Signore, la Festa della Purificazione è ormai imminente e ad essa <strong>Io</strong>, Luce del<br />

mondo, vi mando preparati con quel minimo necessario a ben compierla. <strong>Il</strong> primo lume della festa<br />

da cui trarrete fiamma per tutti gli altri. Perché ben stolto sarebbe colui che pretendesse accendere<br />

molti lumi non avendo come accendere il primo. E ancora più stolto sarebbe colui che pretendesse<br />

iniziare la sua santificazione dalle cose più ardue, trascurando ciò che è la base dell’edificio<br />

immutabile della perfezione: il Decalogo.<br />

Si legge nei Maccabei che Giuda ed i suoi, avendo con la protezione del Signore ripreso il Tempio e<br />

la Città, distrussero gli altari agli dèi stranieri e i tempietti e purificarono il Tempio. Poi alzarono un<br />

altro altare e con le pietre focaie suscitarono il fuoco, offersero i sacrifizi, fecero ardere l’incenso,<br />

posero i lumi e i pani della proposizione e poi, prostrati tutti a terra, supplicarono il Signore a non<br />

farli più peccare o, se per loro debolezza venissero di nuovo al peccato, che venissero trattati con<br />

divina misericordia. E questo avveniva il venticinque del mese di Casleu.<br />

Consideriamo ed applichiamo il racconto a noi stessi, perché ogni parola della storia d’Israele,<br />

essendo il popolo eletto, ha un significato spirituale. La vita è sempre insegnamento. La vita<br />

d’Israele è insegnamento non solo per i giorni terreni, ma per la conquista dei giorni eterni.<br />

‘Distrussero gli altari e i tempietti pagani’.<br />

Ecco la prima operazione. Quella che <strong>Io</strong> vi ho indicato di fare col nominarvi gli dèi individuali che<br />

sostituiscono il <strong>Dio</strong> Vero: le idolatrie del senso, dell’oro, dell’orgoglio, i vizi capitali che portano<br />

alla profanazione e morte dell’anima e del corpo e al castigo do <strong>Dio</strong>.<br />

<strong>Io</strong> non vi ho schiacciati sotto le innumerabili formole che ora opprimono i fedeli, e sono baluardo<br />

alla vera Legge, oppressa, nascosta da cumuli e cumuli di proibizioni tutte esteriori, che con la loro<br />

oppressione conducono il fedele a perdere di vista la lineare, chiara, santa voce del Signore che<br />

dice: ‘Non bestemmiare. Non idolatrare. Non profanare le feste. Non disonorare i genitori. Non<br />

uccidere. Non fornicare. Non rubare. Non mentire. Non invidiare le cose altrui. Non appetire la<br />

moglie altrui’. Dieci ‘non’. E non uno di più. E sono le dieci colonne del tempio dell’anima. Sopra<br />

splende l’oro del precetto santo fra i santi: ‘Ama il tuo <strong>Dio</strong>. Ama il tuo prossimo’. E’ il coronamento<br />

del tempio. E’ la protezione delle fondamenta. E’ la gloria del costruttore. Senza l’amore uno non<br />

potrebbe ubbidire alle dieci regole e cadrebbero le colonne, tutte od alcuna, e il tempio rovinerebbe<br />

o totalmente o parzialmente. Ma sempre sarebbe rovinato e non più atto ad accogliere il Santissimo.<br />

Fate ciò che vi ho detto, abbattendo le tre concupiscenze. Dando un nome schietto al vostro vizio,<br />

così come è schietto <strong>Dio</strong> nel dirvi: ‘Non fare questo e quello’. Inutile sottilizzare sulle forme. Chi ha<br />

un amore più forte di quello che dà a <strong>Dio</strong>, quale che sia questo amore, è un idolatra. Chi nomina<br />

<strong>Dio</strong> professandosi suo servo e poi lo disubbidisce, è un ribelle. Chi per avidità lavora in Sabato è un<br />

profanatore ed è un diffidente e presuntuoso. Chi nega un soccorso ai genitori adducendo pretesti,<br />

anche se dice che sono opere date a <strong>Dio</strong>, è uno in odio a <strong>Dio</strong>, che ha messo o padri e le madri a sua<br />

figura sulla terra. Chi uccide è sempre assassino. Chi fornica è sempre lussurioso. Chi ruba è<br />

sempre ladro. Chi mente è sempre un abbietto. Chi vuole ciò che non è suo, è sempre un ingordo<br />

della più esecrata fame. Chi profana un talamo è sempre un immondo.<br />

Così è. E vi ricordo che dopo l’erezione del vitello d’oro venne l’ira del Signore, dopo l’idolatria di<br />

Salomone lo scisma che divise e indebolì Israele, dopo l’ellenismo accettato, e anzi ben accolto e<br />

introdotto da giudei indegni sotto Antioco Epifane, vennero le nostre attuali sventure di spirito, di<br />

fortuna e di nazionalità. Vi ricordo che Nadab e Abiù, falsi servi di <strong>Dio</strong>, furono percossi da Geovè.<br />

Vi ricordo che non era santa la manna del sabato. Vi ricordo Cam ed Assalonne. Vi ricordo il<br />

peccato di Davide su Uria e quello di Assalonne su Amnon. Vi ricordo la fine di Assalonne e quella<br />

di Amnon. Vi ricordo la sorte di Eliodoro ladro, e Simone e Menelao. Vi ricordo la ignobile fine dei<br />

due rettori falsi che avevano testimoniato con menzogna su Susanna. E potrei continuare senza<br />

trovare fine agli esempi. Ma torniamo ai Maccabei.<br />

‘E purificarono il Tempio’.


Non basta dire: ‘Distruggo’. Occorre dire: ‘Purifico’. Vi ho detto come si purifica l’uomo: col<br />

pentimento umile e sincero. Non vi è peccato che <strong>Dio</strong> non perdoni se il peccatore è realmente<br />

pentito. Abbiate fede nella Bontà divina. Se voi poteste giungere a capire cosa è questa Bontà,<br />

anche fossero su voi tutti i peccati del mondo, non fuggireste da <strong>Dio</strong>, ma anzi correreste ai suoi<br />

piedi, perché solo il Buonissimo può perdonare ciò che l’uomo non perdona.<br />

‘E alzarono un altro altare’.<br />

Oh! non tentate inganno col Signore. Non siate falsi nel vostro agire. Non mescolate <strong>Dio</strong> a<br />

Mammona. Avreste un altare vuoto: quello di <strong>Dio</strong>. Perché inutile alzare un altare nuovo se<br />

permangono anche resti dell’altro. O <strong>Dio</strong> o l’idolo. Scegliete.<br />

‘E suscitarono il fuoco con la pietra e l’esca’.<br />

Pietra è la ferma volontà di essere di <strong>Dio</strong>. Esca è il desiderio di annullare con tutto il restante della<br />

vita anche il ricordo del vostro peccato dal cuore di <strong>Dio</strong>. Ecco allora che si suscita il fuoco: l’amore.<br />

Perché il figlio che cerca di riconfortare l’offeso genitore con tutta una vita onorata, che fa se non<br />

amare il padre, volendolo lieto del figlio suo, già lacrima ed ora gioia? Ora giunti a questo, potete<br />

offrire i sacrifici, ardere gli incensi, porre i lumi e i pani. Non saranno invisi a <strong>Dio</strong> i sacrifici, e grate<br />

saranno le preghiere, veramente illuminato l’altare, ricco del cibo della vostra offerta giornaliera.<br />

Potrete pregare dicendo: ‘Siici protettore’, perché Egli amico vi sarà.<br />

Ma la sua misericordia non ha atteso che voi chiamaste pietà. Ha precorso il vostro desiderio. E vi<br />

ha mandato la Misericordia a dirvi: ‘Sperate. <strong>Io</strong> ve lo dico: <strong>Dio</strong> vi perdona. Venite al Signore’. Un<br />

altare è già fra voi: il nuovo altare. Da esso sgorgano fiumi di luce e di perdono. Come un olio si<br />

spandono, medicano, rinforzano. Credete nella Parola che da esso viene. Piangete con Me sui vostri<br />

peccati. Come il levita che guida il coro, <strong>Io</strong> dirigo le vostre voci a <strong>Dio</strong>, e non sarà respinto il vostro<br />

gemito se è unito alla mia voce. Con voi mi annichilo, Fratello agli uomini nella carne, Figlio al<br />

Padre nello spirito, e dico per voi e con voi: ‘Da questo profondo abisso, dove <strong>Io</strong>-Umanità sono<br />

caduto, grido a Te, Signore. Ascolta la voce di chi si guarda e sospira, e non chiudere il tuo udito<br />

alle mie parole. Orrore è il vedermi, o <strong>Dio</strong>. Orrore io sono anche agli occhi miei! E che sarò agli<br />

occhi tuoi? Non guardare alle mie colpe, o Signore, perché altrimenti io non potrò resistere dinanzi<br />

a Te, ma usa su di me la tua misericordia. Tu l’hai detto: ‘<strong>Io</strong> Misericordia sono’. Ed io credo alla tua<br />

parola. L’anima mia, ferita ed abbattuta, confida in Te, nella tua promessa, e dall’alba a notte, dalla<br />

giovinezza alla vecchiaia io spererò in Te’.<br />

Colpevole di omicidio e di adulterio, riprovato da <strong>Dio</strong>, ben ottiene Davide perdono, dopo aver<br />

gridato al Signore: ‘Abbi pietà non per mio rispetto ma per onore alla tua misericordia, che è<br />

infinita. E per essa cancella il mio peccato. Non vi è acqua che possa lavare il mio cuore se non è<br />

presa nelle acque profonde della tua santa bontà. Con essa lavami dalla iniquità mia e purificami<br />

dalla mia sozzura. Non nego d’aver peccato. Ma anzi confesso il mio delitto e come un testimonio<br />

accusatore la colpa mi è sempre davanti. Ho offeso l’uomo nel prossimo e in me stesso, ma di avere<br />

peccato contro Te particolarmente mi dolgo. E questo ti dica che riconosco che Tu sei giusto nelle<br />

tue parole e temo il tuo giudizio che trionfa su ogni potenza umana. Ma considera, o Eterno, che in<br />

colpa io sono nato e che peccatrice fu chi mi ha concepito, e che pure Tu tanto mi hai amato da<br />

giungere a svelarmi la tua sapienza ed a darmela per maestra nel comprendere i misteri delle tue<br />

sublimi verità. E se tanto hai fatto, devo temere di Te? No. Non temo. Aspergimi coll’amaro del<br />

dolore e sarò purificato. Lavami col pianto e diverrò come neve alpina. Fammi sentire la tua voce<br />

ed esulterà il tuo servo umiliato, perché la tua voce è gioia e letizia anche se rampogna. Volgi il tuo<br />

volto ai miei peccati. <strong>Il</strong> tuo sguardo cancellerà le mie iniquità. <strong>Il</strong> cuore che Tu mi hai dato fu<br />

profanato da Satana e dalla mia debole umanità. Creami un nuovo cuore che sia puro, e distruggi<br />

ciò che è corruzione nelle viscere del tuo servo, perché regni solo, in lui, uno spirito retto. Ma non<br />

mi scacciare dalla tua presenza e non mi levare l’amicizia tua, perché solo la salute che da Te viene<br />

è gioia per l’anima mia, e il tuo spirito sovrano è conforto dell’umiliato. Fa’ che io divenga colui<br />

che va fra gli uomini dicendo: ‘Osservate quanto è buono il Signore. Andate sulle sue vie e sarete<br />

benedetti come io lo sono, io, aborto dell’uomo e che ora torno figlio di <strong>Dio</strong> per la grazia che<br />

rinasce in me’. E a Te si convertiranno gli empi. <strong>Il</strong> sangue e la carne ribollono e urlano in me.<br />

Liberami da essi, o Signore, salvezza dell’anima mia, ed io canterò le tue lodi. Non sapevo. Ma ora


ho compreso. Non un sacrifizio d’arieti Tu vuoi, ma l’olocausto d’un cuore contrito. Un cuore<br />

contrito e umiliato ti è più gradito di arieti e montoni perché Tu per Te ci hai creati, e vuoi che noi di<br />

ciò ci ricordiamo e ti rendiamo ciò che è tuo. Sii a me benigno per la tua grande bontà e riedifica la<br />

mia e la tua Gerusalemme: quella di uno spirito purificato e perdonato sul quale possa venire offerto<br />

il sacrificio, l’oblazione e l’olocausto per il peccato, per il grazie e per la lode. Ed ogni mio nuovo<br />

giorno sia un’ostia di santità consumata sul tuo altare per salire coll’odore del mio amore sino a Te’.<br />

Venite! Andiamo al Signore! <strong>Io</strong> avanti, voi dietro. Andiamo alle acque di salute, andiamo nei pascoli<br />

santi, andiamo nelle terre di <strong>Dio</strong>. Dimenticate il passato. Sorridete al futuro. Non pensate al fango,<br />

ma guardate le stelle. Non dite: ‘Son tenebra’; dite: ‘<strong>Dio</strong> è Luce’. <strong>Io</strong> sono venuto ad annunziarvi la<br />

pace, a dire ai mansueti la Buona Novella, a curare quelli che hanno il cuore infranto da troppe<br />

cose. a predicare la libertà a tutti gli schivi, primi fra tutti quelli di Mammona, a liberare i<br />

prigionieri dalle concupiscenze.<br />

<strong>Io</strong> vi dico: l’anno di grazia è venuto. Non piangete voi tristi della tristezza di chi si sente peccatore,<br />

non lacrimate, esuli dal Regno di <strong>Dio</strong>. <strong>Io</strong> sostituisco la cenere con l’oro, l’olio alle lacrime. A festa<br />

vi vesto per presentarvi al Signore e dire: ‘Ecco le pecorelle che Tu mi mandasti a cercare. <strong>Io</strong> le ho<br />

visitate e radunate, le ho contate, ho cercato le disperse e te le ho portate sottraendole ai nuvoli e<br />

alle caligini. Le ho prese frammezzo a tutti i popoli, le ho riunite da tutte le regioni per condurle alla<br />

Terra non più terra che per esse Tu hai preparato, o Padre Santo, per portarle sulle cime paradisiache<br />

dei tuoi monti opimi dove tutto è luce e bellezza, lungo i rivi delle celesti beatitudini dove si<br />

satollano di Te gli spiriti da Te amati. Sono andato in cerca anche delle ferite, ho guarito le<br />

fratturate, ho ristorato le deboli, non ne ho trascurato una sola. E la più sbranata dagli avidi lupi dei<br />

sensi me la sono messa come un giogo d’amore sulle spalle e te la poso ai piedi, Padre benigno e<br />

santo, perché ella non può più camminare, non sa le tue parole, è una povera anima inseguita dai<br />

rimorsi e dagli uomini, è uno spirito che rimpiange e trema, è come un’onda spinta e respinta dal<br />

flutto sul lido. Viene col desiderio, la respinge la cognizione di sé... Aprile il tuo seno, Padre tutto<br />

amore, perché in esso trovi pace questa creatura smarrita. Dille: ‘Vieni!’ Dille: ‘Sei mia!’. Fu di<br />

tutto un mondo. Ma ne ha nausea e paura. Dice: ‘Ogni padrone è uno sgherro lurido’. Fa’ che possa<br />

dire: ‘Questo mio Re mi ha dato la gioia di essere presa!’ Non sa cosa sia l’amore. Ma se Tu<br />

l’accogli saprà cosa è questo amore celeste che è l’amore nuziale fra <strong>Dio</strong> e lo spirito umano, e come<br />

un uccello liberato dalle gabbie dei crudeli salirà, salirà, sempre più in alto, sino a Te, al Cielo, alla<br />

gioia, alla gloria, cantando: ‘Ho trovato Colui che cercavo. Non ha altro desiderio il mio cuore. In<br />

Te mi poso e giubilo, Signore eterno, nei secoli dei secoli beata!’ ”.<br />

Andate. Con spirito nuovo celebrate la Festa della Purificazione. E la luce di <strong>Dio</strong> si accenda in voi.”<br />

Gesù è stato travolgente nella chiusa del suo discorso. Un volto luminoso dagli occhi raggianti, un<br />

sorriso e delle note che sono di una dolcezza non conosciuta.<br />

La gente ne è quasi affascinata e non si muove sinché Egli ripete: “Andate. La pace sia con voi.”<br />

Allora si inizia la partenza dei pellegrini che parlano fitto fitto tra di loro.<br />

La velata se ne va svelta come sempre col suo passo agile e lievemente ondulante. Pare abbia le ali<br />

per il vento che le gonfia il mantello alle spalle.<br />

“Adesso capirò se è d’Israele” dice Pietro.<br />

“Perché?”<br />

“Perché se sta qui è segno che...”<br />

“...è una povera donna senza casa propria. Nulla di più, ricordatelo, Pietro”.<br />

Gesù cammina verso il paese.<br />

“Sì, Maestro. Ne lo ricorderò... E noi che faremo ora che tutti staranno alle loro case per la festa?”<br />

“Le nostre donne accendono per noi le lampade.”<br />

“Mi spiace... E’ il primo anno che non le vedo accendere nella mia, o che non le accendo...”<br />

“Sei un vecchio bambino! Accenderemo anche noi le lampade. Così non farai più quel viso<br />

imbronciato. E le accenderai proprio tu.”<br />

“<strong>Io</strong>? <strong>Io</strong> no, Signore. Tu sei il Capo della mostra famiglia. Spetta a Te.”<br />

“<strong>Io</strong> sono sempre una lampada accesa... e vorrei che tali foste voi pure. Sono l’Encenie Sempiterna,<br />

Pietro. Lo sai che sono nato proprio il venticinque di casleu?”


“Chissà quanti lumi, eh?” chiede ammirato Pietro.<br />

“Non si potevano contare... Erano tutte le stelle del cielo...”<br />

“No! Non ti hanno fatto festa a Nazaret?”<br />

“Non sono nato a Nazaret. ma in una maceria in Betlemme. Vedo che Giovanni ha saputo tacere. E’<br />

molto ubbidiente Giovanni.”<br />

“E non è curioso. Ma io... lo sono tanto! Mi racconti? Al tuo povero Simone. Se no, come faccio a<br />

parlare di Te? Delle volte la gente chiede e io non so mai cosa dire... Gli altri sanno fare, voglio dire<br />

i tuoi fratelli e Simone, Bartolomeo e Giuda di Simone. E... sì, anche Tommaso sa parlare... sembra<br />

un banditore del mercato... e che venda una merce. Ma riesce a parlare... Matteo... eh! lui va bene!<br />

Usa l’antica sapienza per pelare al suo banco di gabella, per forzare gli altri a dire: ‘Hai ragione’.<br />

Ma io!... Povero Simone di Giona! I pesci che ti hanno insegnato? E che il lago? Due cose... ma non<br />

servono: i pesci a tacere e avere costanza. Loro costanti nel fuggire la rete, io costante per metterli<br />

in essa. E il lago ad avere coraggio e occhio a tutto. E che la barca? A sgobbare senza risparmio di<br />

nessun muscolo e stare ritti anche se se le onde sono agitate e si risica di cadere. Occhio alla polare,<br />

mano ferma al timone, forza, coraggio, costanza, attenzione, ecco ciò che mi ha insegnato la mia<br />

povera vita...”<br />

Gesù gli posa una mano sulla spalla e lo scuote guardandolo con affetto e ammirazione, vera<br />

ammirazione di tanta semplicità, e dice: “E ti pare poco, Simon Pietro? Hai tutto quanto serve ad<br />

essere la mia ‘pietra’. Nulla va messo, nulla va tolto. Sarai il nauta eterno, Simone. E a chi verrà<br />

dopo di te, dirai: ‘Occhio alla polare: Gesù. Mano ferma al timone, forza, coraggio, costanza,<br />

attenzione, sgobbare senza risparmio, avere occhio a tutto, e sapere stare ritti anche su onde<br />

agitate...’ Riguardo al silenzio... via... i pesci non te lo hanno insegnato!”<br />

“Ma per quello che dovrei saper dire sono più muto dei pesci. Le altre parole?... Anche galline<br />

sanno sblaterare come io faccio... Ma, dimmi, Maestro mio. Dài un figli anche a me? Siamo<br />

vecchi... Ma Tu hai detto che il Battista nacque da una vecchia... Ora hai detto: ‘E a chi verrà dopo<br />

di te dirai...’ Chi viene dopo un uomo se non il suo generato?” Pietro ha un viso di preghiera e di<br />

speranza.<br />

“No, Pietro. E non te ne dolere. Sembri proprio il tuo lago quando il sole è nascosto da una nube.<br />

Da ridente si fa cupo. No, mio Pietro. Ma non uno, ma mille e diecimila figli avrai, e in ogni<br />

nazione... Non ti ricordi quando ti ho detto: ‘Sarai pescatore d’uomini’?”<br />

“Oh!... sì... ma... Sarebbe stato così dolce un bambino che mi dicesse ‘padre’!”<br />

“Ne avrai tanti che non li potrai più contare. E ai quali darai la vita eterna. E li ritroverai in Cielo e<br />

me li porterai dicendo: ‘Sono i figli del tuo Pietro e voglio che siano dove io sono’, ed <strong>Io</strong> ti dirò:<br />

‘Sì, Pietro. Come tu vuoi sia. Perché tu tutto hai fatto per Me ed <strong>Io</strong> tutto faccio per te’.” Gesù è<br />

dolcissimo nel dire queste promesse.<br />

Pietro inghiotte saliva fra il pianto per la speranza che muore di una paternità terrena, e il pianto di<br />

un’estasi che già si annuncia. “Oh! Signore!” dice. “Ma per dare la vita eterna bisogna persuadere le<br />

anime al bene. E ... siamo sempre lì: io non so parlare.”<br />

“Saprai parlare, quando sarà l’ora, meglio di Gamaliele.”<br />

“Voglio credere... Ma, fàllo Tu il miracolo, perché se ci devo arrivare da me...”<br />

Gesù ride del suo riso pacato e dice: “Oggi sono tutto tuo. Andiamo per il paese. Da quella vedova.<br />

Ho un obolo segreto. Un anello da vendere. Sai come l’ho avuto? M’è arrivato un sasso ai piedi,<br />

mentre pregavo ai piedi di questo salice. Al sasso era unito un fagottino con una strisciolina di<br />

pergamena. Dentro il fagottino, l’anello. Sul cartiglio la parola: ‘carità’.<br />

“Fai vedere? Oh! bello! Da donna. Che dito piccino! Ma quanto metallo...!”<br />

“Ora tu lo vendi. <strong>Io</strong> non so fare. L’albergatore compera oro. Lo so. <strong>Io</strong> ti aspetto presso il forno. Va’,<br />

Pietro”<br />

“Ma... se non so fare? <strong>Io</strong> l’oro... Non so di oro, io!”<br />

“Pensa che è pane per chi ha fame, e fai del meglio che puoi. Addio.”<br />

E Pietro va verso destra mentre Gesù, più lentamente va verso sinistra, verso il paese che appare in<br />

lontananza relativa da dietro un boschetto che è oltre la casa del fattore.


133. <strong>Il</strong> lavoro nascosto di Andrea.<br />

Una lettera della Madre a Gesù, che deve lasciare l’Acqua Speciosa.<br />

18 marzo 1945.<br />

L’Acqua Speciosa è senza pellegrini. E pare strano vederla così, senza bivacchi di chi sosta una<br />

notte o almeno consuma il suo pasto sull’aia o sotto la tettoia. Non vi è che nitore e ordine oggi,<br />

senza nessuna di quelle tracce che un affollamento lascia di sé.<br />

I discepoli occupano il loro tempo in lavori manuali, chi intrecciando vimini per farne nuove<br />

trappole ai pesci, e chi lavorando intorno a piccoli lavori di sterro e di incalanamento delle acque<br />

dei tetti perché non stagnino sull’aia. Gesù è ritto in mezzo ad un prato e sbriciola del pane ai<br />

passerotti. A perdita d’occhio non un vivente, nonostante la giornata sia serena.<br />

Viene verso Gesù Andrea, di ritorno da qualche incombenza: “Pace a te, Maestro.”<br />

“E a te, Andrea. Vieni qui un poco con Me. Tu puoi stare vicino agli uccellini. Sei come loro. Ma<br />

vedi? Quando essi sanno che chi li avvicina li ama, non temono più. Guarda come sono fiduciosi,<br />

sicuri, lieti. Prima erano quasi ai miei piedi. Ora ci sei tu e stanno all’erta... Ma guarda, guarda...<br />

Ecco quel passero più audace che viene avanti. Ha capito che non c’è nessun pericolo. E dietro lui<br />

gli altri. Vedi come saltellano? Non è uguale di noi, figli del Padre? Egli ci satolla del suo amore. E<br />

quando siamo sicuri di essere amati e di essere invitati alla sua amicizia, perché temere di Lui e di<br />

noi? La sua amicizia deve farci audaci anche presso gli uomini. Credi: solo il malvivente deve avere<br />

paura del suo simile. Non il giusto come tu sei.”<br />

Andrea è rosso e non parla.<br />

Gesù lo attira a Sé e dice ridendo: “Bisognerebbe unire te e Simone in un solo filtro, sciogliervi e<br />

poi riformarvi. Sareste perfetti. Eppure... Se ti dico che, tanto dissimile in principio, sarai<br />

perfettamente uguale a Pietro alla fine della tua missione, lo crederesti?”<br />

“Tu lo dici e certo è. Non mi chiedo neppure come ciò possa essere. Perché tutto quello che Tu dici<br />

è vero. E sarò contento di essere come Simone, fratello mio, perché lui è un giusto e ti fa felice. E’<br />

bravo Simone! <strong>Io</strong> sono tanto contento che egli sia bravo. Coraggioso, forte. Ma anche gli altri!...”<br />

“E tu no?”<br />

“Oh! <strong>Io</strong>!... Solo Tu puoi essere contento di me...”<br />

“E accorgermi che lavori senza rumore e più profondamente degli altri. Perché nei dodici c’è chi fa<br />

tanto rumore per quanto lavora. C’è chi fa molto più rumore di quanto non faccia lavoro, e c’è chi<br />

non fa altro che lavoro. Un lavoro umile, attivo, ignorato... Gli altri possono credere che egli non<br />

faccia nulla. Ma Colui che vede sa. Queste differenze sono perché ancora non siete perfetti. E ci<br />

saranno sempre fra i futuri discepoli, fra quelli che verranno dopo di voi, sino al momento che<br />

l’angelo tuonerà: ‘<strong>Il</strong> tempo non è più’. Sempre ci saranno i ministri del Cristo che saranno pari<br />

nell’opera e nell’attirare su di loro lo sguardo del mondo: i maestri, E vi saranno, purtroppo, quelli<br />

che saranno solo rumore e gesto esteriori, solo esteriori, i falsi pastori dalle pose istrioniche...<br />

Sacerdoti? No: mimi. Nulla di più. Non è il gesto che fa il sacerdote e non lo è l’abito. Non lo è la<br />

sua mondana cultura né le relazioni mondane e potenti che fanno il sacerdote. E’ la sua anima.<br />

Un’anima tanto grande da annullare la carne. Tutto spirito il mio sacerdote... Così lo sogno. Così<br />

saranno i miei santi sacerdoti. Lo spirito non ha voce né ha pose da tragedo. E’ inconsistente perché<br />

spirituale, e perciò non può mettere pepli e maschere. E’ ciò che è: spirito, fiamma, luce, amore.<br />

Parla agli spiriti. Parla con la castità degli sguardi, degli atti, delle parole, delle opere. L’uomo<br />

guarda. E vede un suo simile. Ma oltre e sopra la carne che vede? Qualcosa che lo fa arrestare dal<br />

suo andare frettoloso, meditare e concludere: ‘Quest’uomo, a me simile, ha di uomo solo l’aspetto.<br />

L’anima è di angelo’. E, se miscredente, conclude: ‘Per lui credo che ci sia un <strong>Dio</strong> e un Cielo’. E se<br />

lussurioso dice: ‘Questo mio uguale ha gli occhi di Cielo. Freno il mio senso per non profanarli’. E<br />

se è un avaro, decide: ‘Per l’esempio di costui che non ha attacco di ricchezze, io cesso di essere<br />

avaro’. E se è un iracondo, un feroce, davanti al mite si muta in più pacato essere. Tanto può fare un<br />

sacerdote santo. E, credilo, sempre ci saranno fra i sacerdoti santi quelli che sapranno anche morire


per amore di <strong>Dio</strong> e di prossimo, e sapranno farlo così pianamente, dopo aver esercitato la perfezione<br />

per tutta la vita ugualmente pianamente, che il mondo neppure si accorgerà di loro. Ma se il mondo<br />

non diverrà tutto un lupanare e una idolatria, sarà per questi: gli eroi del silenzio e della operosità<br />

fedele. E avranno il tuo sorriso: puro e timido. Perché ci saranno sempre degli Andrea. Per grazia di<br />

<strong>Dio</strong> e per fortuna del mondo ci saranno!”<br />

“<strong>Io</strong> non credevo di meritare queste parole... Non avevo fatto nulla per suscitarle...”<br />

“Mi hai aiutato ad attirare a <strong>Dio</strong> un cuore. Ed è il secondo che tu conduci verso la Luce.”<br />

“Oh! perché ha parlato? Mi aveva promesso...”<br />

“Nessuno ha parlato. Ma <strong>Io</strong> so. Quando i compagni riposano stanchi, tre sono gli insonni all’Acqua<br />

Speciosa. L’apostolo dal silenzioso e attivo amore verso i fratelli peccatori. La creatura che l’anima<br />

pungola verso la salvezza. E il Salvatore che prega e veglia, che attende e spera... La mia speranza:<br />

che un’anima trovi la sua salute... Grazie, Andrea. Continua e siine benedetto.”<br />

“Oh! Maestro!... Ma non dire nulla agli altri... Da solo a sola, parlando ad una lebbrosa in una<br />

spiaggia deserta, parlando qui ad una di cui non vedo il volto, io ancora so fare un pochino. Ma se<br />

gli altri lo sanno, Simone più di tutti, e vuole venire... io non so fare più nulla... Non venire neppure<br />

Te... Perché di parlare davanti a Te, mi vergogno.”<br />

“Non verrò. Gesù non verrà. Ma lo Spirito di <strong>Dio</strong> è sempre venuto con te. Andiamo a casa. Ci<br />

chiamano per il pasto.”<br />

E tutto ha fine fra Gesù e il mite discepolo.<br />

Stanno ancora mangiando e già hanno acceso le lampade, perché la sera scende rapidissima e anche<br />

la sizza consiglia a tenere chiusa la porta, quando viene bussato all’uscio e la voce allegra di<br />

Giovanni si fa sentire.<br />

“Ben tornati!”<br />

“Avete fatto presto!”<br />

“Che c’è, dunque?”<br />

“Come siete carichi!”<br />

Tutti parlano insieme, aiutando i tre a liberarsi dalle pesantissime sacche che hanno sulle spalle.<br />

“Adagio!”<br />

“Lasciateci salutare il Maestro!”<br />

“Ma un momento!”<br />

Vi è un tumulto allegro, famigliare, per la gioia di essere insieme.<br />

“Vi saluto, amici. <strong>Dio</strong> vi ha dato giornate serene.”<br />

“Sì, Maestro. Ma non serene notizie. Lo prevedevo” dice l’Iscariota.<br />

“Che c’è? Che c’è...” la curiosità è desta.<br />

“Fate prima che siano rifocillati” dice Gesù.<br />

“No, Maestro. Prima ti diamo quanto abbiamo per Te e per gli altri. E per primo... Giovanni, dài la<br />

lettera.”<br />

“L’ha Simone. <strong>Io</strong> temevo di sciuparla nel carico.”<br />

Lo Zelote, che è stato in lotta fino allora con Tommaso che lo voleva servire di acqua per i suoi<br />

piedi stanchi, accorre dicendo: “L’ho qui, nella borsa della cintura.” e apre questa tasca interna della<br />

sua alta cintura di cuoio rosso estraendone un rotolo ormai divenuto piatto.<br />

“E’ tua Madre. Quando siamo stati presso Betania, abbiamo incontrato Gionata che andava da<br />

Lazzaro con la lettera e molte altre cose. Gionata va a Gerusalemme perché Cusa mette in ordine il<br />

suo palazzo.... Forse Erode va a Tiberiade... e Cusa non vuole la moglie presso Erodiade” spiega<br />

l’Iscariota mentre Gesù scioglie i nodi del rotolo e svolge lo stesso.<br />

Gli apostoli bisbigliano mentre Gesù legge con un sorriso beato le parole della Mamma.<br />

“Udite” dice poi. “Vi è anche per i galilei qualche cosa. Mia Madre scrive:<br />

‘A Gesù, mio dolce Figlio e Signore, pace e benedizione.<br />

Gionata, servo del suo Signore, mi ha portato doni gentili da parte di Giovanna che chiede<br />

benedizioni al suo Salvatore su lei, lo sposo e tutta la sua casa. Gionata mi dice che egli per ordine<br />

di Cusa va a Gerusalemme, avendo l’ordine di riaprire il palazzo in Sionne. <strong>Io</strong> benedico Iddio di<br />

questa cosa, perché posso così farti avere le mie parole e le mie benedizioni. Anche Maria d’Alfeo e


Salome mandano ai figli baci e benedizioni. E, poiché Gionata fu buono oltre misura, vi sono anche<br />

i saluti della moglie di Pietro al marito lontano, e così i famigliari di Filippo e Natanaele mandano i<br />

loro. Tutte le vostre donne, o cari uomini lontani, coll’ago e col telaio, e col lavoro dell’orto, vi<br />

mandano vesti per questi mesi d’inverno, e dolce miele, raccomandandovi di prenderlo con acqua<br />

ben calda nelle umide sere. Abbiatevi cura. Questo mi dicono le madri e le spose di dirvi ed io lo<br />

dico. Anche al Figlio mio. Non ci siamo sacrificate per nulla, credetelo. Godete degli umili doni che<br />

noi, discepole dei discepoli di Cristo, diamo ai servi del Signore, e solo dateci la gioia di sapervi<br />

sani.<br />

Ora, amato Figlio mio, io penso che da quasi un anno Tu non sei più tutto mio. E mi sembra di<br />

essere ritornata al tempo in cui sapevo che Tu c’eri già, perché sentivo il tuo piccolo cuore battere<br />

nel mio seno, ma potevo anche dire che non c’eri ancora, perché mi eri separato da una barriera che<br />

mi impediva di carezzare il tuo corpo diletto e solo potevo adorarti lo spirito, o mio caro Figlio e<br />

adorabile Iddio. Anche ora so che ci sei e che il tuo cuore batte col mio, mai diviso da me anche se<br />

diviso, ma non ti posso accarezzare, udire, servire, venerare, Messia del Signore e della sua povera<br />

serva.<br />

Giovanna voleva andassi da lei perché non rimanessi sola nella Festa dei Lumi. <strong>Io</strong> però ho preferito<br />

rimanere qui, con Maria, ad accendere i lumi. Per me e per Te. Ma fossi anche la più grande regina<br />

della terra e potessi accendere mille e diecimila lumi, sarei al buio perché Tu non sei qui. Mentre<br />

ero nella perfetta luce in quella scura grotta, quando ti ebbi sul cuore, mia Luce e Luce del mondo.<br />

Sarà la prima volta che mi dico: ‘<strong>Il</strong> mio Bambino oggi ha un anno di più’ e non ho il mio Bambino.<br />

E sarà più triste del tuo primo genetliaco in Matarea. Ma Tu fai la tua missione ed io la mia. Ed<br />

ambedue facciamo la volontà del Padre e operiamo per la gloria di <strong>Dio</strong>. Questo asciuga ogni<br />

lacrima.<br />

Caro Figlio, comprendo quanto fai da quanto mi viene detto. Come le onde da un aperto mare<br />

portano la voce del largo sino dentro ad un solitario e chiuso golfo, così l’eco del tuo santo lavoro<br />

per la gloria del Signore, giunge nella quieta casetta nostra, alla tua Mamma che ne giubila e ne<br />

trema, perché se tutti parlano di Te, non tutti ne parlano con uguale cuore. Vengono amici e<br />

beneficati a dirmi: ‘Sia benedetto il Figlio del tuo seno’, e vengono nemici tuoi a ferire il mio cuore<br />

dicendo: ‘Anatema a Lui!’. Ma per questi io prego perché sono degli infelici, ancora più dei pagani<br />

che vengono a chiedermi: ‘Dove è il mago, il divino?’ e non sanno dire una grande verità, nel loro<br />

errore, perché veramente Tu sei sacerdote e grande come per l’antica lingua ha senso quella parola,<br />

e divino sei, o mio Gesù. Ed io te li mando dicendo: ‘Egli è a Betania’. Perché così so dover dire<br />

fino a che Tu non ordini in altro modo. E prego per questi che vengono a cercare salute per ciò che<br />

muore, acciò trovino salute per lo spirito eterno. E, te ne prego. Non ti affliggere del mio dolore. E’<br />

compensato da tanta gioia per la salute dei sanati di anima e di carne.<br />

Ma Maria ne ebbe e ne ha un dolore ancora più forte del mio; non a me soltanto si parla. Giuseppe<br />

d’Alfeo vuole che Tu sappia che egli, in un recente suo viaggio per affari a Gerusalemme, fu<br />

fermato e minacciato per causa di Te. Erano uomini del Gran Consiglio. <strong>Io</strong> penso che egli fu loro<br />

segnalato da qualche grande di qui. Perché altrimenti chi poteva conoscere Giuseppe come capo di<br />

famiglia e fratello tuo? <strong>Io</strong> ti dico questo per ubbidienza di donna. Ma per me ti dico: vorrei esserti<br />

vicino. Per darti conforto. Ma poi fa’ Tu, Sapienza del Padre, senza tenere conto del mio pianto.<br />

Simone, tuo fratello, voleva quasi venire, dopo questo fatto. E con me. Ma la stagione lo ha<br />

trattenuto e più la tema di non trovarti, perché ci fu detto, e come una minaccia, che Tu dove sei non<br />

puoi rimanere.<br />

Figlio! Figlio mio! Adorato e santo Figlio mio! Sto con le braccia alzate come Mosè sul monte, per<br />

pregare per Te in battaglia contro i nemici di <strong>Dio</strong> e i nemici tuoi, mio Gesù che il mondo non ama.<br />

Qui è morta la Lia di Isacco. E ne ho avuto pena perché mi fu sempre buona amica. Ma la pena<br />

maggiore sei Tu, lontano e non amato.<br />

<strong>Io</strong> ti benedico, Figlio mio, e come io ti do pace e benedizione, ti prego di darla Tu alla tua<br />

Mamma’.”<br />

“Arrivano fino in quella casa quegli spudorati!” urla Pietro.<br />

E Giuda Taddeo esclama: “Giuseppe... se la poteva tenere per sé la notizia. Ma... non gli è sembrato


vero di poterla dare!”<br />

“Voce di iena non spaventa i vivi” sentenzia Filippo.<br />

“<strong>Il</strong> male è che non sono iene, sono tigri. Cercano preda viva” dice l’Iscariota. E volgendosi allo<br />

Zelote: “Di’ tu quanto abbiamo saputo.”<br />

“Sì, Maestro. Giuda aveva ragione di temere. Siamo andati da Giuseppe d’Arimatea e da Lazzaro.<br />

E lì, come aperti amici tuoi. E poi io e Giuda, come se io fossi un suo amico d’infanzia, da alcuni<br />

suoi amici di Sionne... E... Giuseppe e Lazzaro ti dicono di venire via subito durante queste feste.<br />

Non insistere, Maestro. E’ per tuo bene. Gli amici di Giuda, poi, hanno detto: ‘Guarda che è già<br />

deciso di venire a sorprenderlo per accusarlo. Proprio in questi giorni di feste in cui non c’è popolo.<br />

Si ritiri per qualche tempo. Per deludere queste vipere. La morte di Doras ha aizzato il loro veleno e<br />

la loro paura. Perché hanno paura oltre che odio. E la paura fa loro vedere ciò che non c’è, e l’odio<br />

fa dire anche la menzogna.”<br />

“Tutto, ma tutto sanno di noi! E’ una cosa odiosa! E tutto alterano! E tutto esagerano. E quando<br />

pare loro che non ci sia ancora abbastanza per maledire, inventano. <strong>Io</strong> sono nauseato e accasciato.<br />

Mi viene volontà di esulare, di andare... non so... lontano. Ma via da questo Israele che è tutto un<br />

peccato...”. L’Iscariota è depresso.<br />

“Giuda! Giuda! Una donna per dare al mondo un uomo lavora nove lune. Tu per dare al mondo la<br />

conoscenza di <strong>Dio</strong> vorresti fare più presto? Non nove lune. Ma millenni di lune ci vorranno. E come<br />

sempre la luna nasce e muore ad ogni lunazione, apparendoci neonata, poi piena e poi scema, così<br />

sempre nel mondo, finché sarà, ci saranno fasi crescenti, piene e decrescenti di religione. Ma anche<br />

quando sembrerà morta, essa sarà viva, così come la luna che c’è anche quando pare sia finita. E chi<br />

avrà lavorato a questa religione, ne avrà merito pieno anche se solo una minoranza esigua rimarrà,<br />

sulla terra, di anime fedeli. Su, su! Non facili entusiasmi nei trionfi e non facili depressioni nelle<br />

sconfitte.”<br />

“Ma però... vieni via. Non siamo, noi, forti ancora. E sentiamo che davanti al Sinedrio avremmo<br />

paura. <strong>Io</strong> almeno... Gli altri non so... Ma credo imprudenza tentarlo. Non abbiamo il cuore dei tre<br />

fanciulli della corte di Nabucodonosor.”<br />

“Sì, Maestro. E’ meglio.”<br />

“E’ prudente.”<br />

“Giuda ha ragione.”<br />

“Vedi che anche tua Madre e i parenti...”<br />

“E Lazzaro e Giuseppe.”<br />

“Facciamoli venire per niente.”<br />

Gesù apre le braccia e dice: “Sia fatto come volete. Ma poi si ritorna qui. Voi vedete quanti<br />

vengono. <strong>Io</strong> non forzo e non tento l’anima vostra. Non la sento pronta infatti... Ma vediamo i lavori<br />

delle donne.”<br />

Però, mentre tutti con occhi lieti e voci di gioia estraggono dalle bisacce i pacchi con le vesti, i<br />

sandali e le cibarie delle madri e delle mogli, e tentano interessare Gesù ad ammirare tanta grazia di<br />

<strong>Dio</strong>, Egli resta mesto e distratto. Legge e rilegge la lettera materna. Si è rincantucciato con una<br />

lucernetta nell’angolo più lontano dal tavolo su cui sono vesti, e mele, e vasetti di metallo, e<br />

formaggelle, e con una mano a far visiera agli occhi, pare meditare. Ma soffre.<br />

“Ma guarda, Maestro, la mia sposa, poverina, che bella veste e che mantello col cappuccio mi ha<br />

fatto. Chissà quanto ha faticato, perché non è esperta come tua Madre” dice Pietro, che gongola con<br />

le braccia cariche dei suoi tesori.<br />

“Belli, sì, belli. E’ una brava moglie” dice cortese Gesù. Ma con l’occhio lontano dalle cose<br />

mostrate.<br />

“A noi la mamma ha fatto due vesti tessute doppio. Povera mamma! Ti piacciono, Gesù? E’ un bel<br />

colore, non è vero?” dice Giacomo di Zebedeo.<br />

“Molto bello, Giacomo. Ti starà bene.”<br />

“Guarda. Scommetto che queste cinture le ha fatte tua Madre. E’ Lei che ricama così. E anche<br />

questo doppio velo per riparare dal sole io dico lo ha fatto Maria. E’ uguale al tuo. La veste no. E’<br />

certo la mamma nostra che l’ha tessuta. Povera mamma! Dopo il tanto piangere fatto nell’estate, ci


vede più poco e spesso le si spezza il filo. Cara!” e Giuda d’Alfeo bacia la pesante veste di un rosso<br />

marrone.<br />

“Non sei allegro, Maestro” osserva finalmente Bartolomeo. “Non guardi neppure le cose mandate a<br />

Te.”<br />

“Non può esserlo” ribatte Simone Zelote.<br />

“Penso... Ma... Rifate i pacchi. Mettete tutto a posto. Non è l’ora di essere presi e non lo saremo. A<br />

notte alta, al chiaro di luna, andremo verso Doco. Poi a Betania.”<br />

“Perché Doco?”<br />

“Perché vi è una donna che muore e attende da Me la guarigione.”<br />

“Non passiamo dal fattore?”<br />

“No, Andrea. Da nessuno. Così nessuno ha bisogno di mentire dicendo che non sa dove siamo. Se a<br />

voi preme non essere perseguitati, a Me preme non dare noie a Lazzaro.”<br />

“Ma Lazzaro ti aspetta.”<br />

“E da lui andiamo. O meglio... Simone, mi ospiti nella casa del tuo vecchio servo?”<br />

“Con gioia, Maestro. Tu sai tutto, ormai. Perciò ti posso dire per Lazzaro, per me, e per chi in essa<br />

é: essa è tua.”<br />

“Andiamo. Fate presto. Per essere a Betania prima del sabato.”<br />

E mentre tutti si spargono con lucerne a fare quanto è necessario per l’improvvisa partenza, Gesù<br />

resta solo.<br />

Rientra Andrea, va vicino al suo Gesù e dice: “E quella donna? Mi spiace abbandonarla ora che<br />

pareva prossima a venire... E’ prudente... l’hai visto...”<br />

“Vai a dirle che torneremo fra qualche tempo e che intanto ricordi le tue parole...”<br />

“Le tue, Signore. <strong>Io</strong> ho detto solo le tue.”<br />

“Va’. Fa’ presto. E bada che nessuno ti veda. Invero in questo mondo di cattivi devono prendere<br />

aspetto di perfidi coloro che sono innocenti...”<br />

Tutto mi cessa qui, su questa grande verità.<br />

134. La guarigione di Jerusa a Doco.<br />

19 marzo 1945.<br />

[...].<br />

Vedo: Gesù, nella prima luce di una stentata mattina d’inverno, entra nella cittadina di Doco e ad un<br />

mattiniero passante chiede: “Dove abita Marianna, la vecchia madre dalla nuora morente?”<br />

“Marianna? La vedova di evi? La suocera di Jerusa, moglie di Giosia?”<br />

“Lei.”<br />

“Guarda, uomo. In fondo a questa via vi è una piazza, sull’angolo è una fonte, da lì sono tre strade.<br />

Piglia quella che ha al centro una palma e cammina ancora cento passi. Trovi un fosso. Lo segui<br />

fino al ponte d’assi. Lo passi e vedi una vieta coperta. La fai. Quando non è più via, né coperta,<br />

perché sbocca in una piazza, sei arrivato. La casa di Marianna è color d’oro per vecchiezza. E con le<br />

spese che hanno, non la possono pulire. Non sbagli. Addio. Vieni da lontano?”<br />

“Non molto.”<br />

“Ma sei galileo?”<br />

“Sì”<br />

“E questi? Vieni per la festa?”<br />

“Sono amici. Addio, uomo. La pace sia con te.” Gesù lascia in asso il ciarliero che non ha più fretta.<br />

E va per la sua strada. E gli apostoli dietro.<br />

Giungono alla... piazzetta: uno scampolo di terra molto fangosa con al centro un alto querciolo, che<br />

è cresciuto da padrone e che forse d’estate farà comodo. Per ora fa solo malinconia, così folto e<br />

cupo sulle povere case alle quali leva luce e sole.<br />

La casa di Marianna è la più miserella. Larga e bassa, ma così trascurata! <strong>Il</strong> portone è pieno di toppe


messe sulle scheggiature del legno stravecchio. Una finestrella non ha impannata e mostra il suo<br />

buco nero come un’orbita senza più occhio.<br />

Gesù bussa al portone. Viene una fanciullina sui dieci anni, pallida, spettinata, con gli occhi rossi.<br />

“Sei la nipote di Marianna? Di’ alla vecchia madre che Gesù è qui.”<br />

La bambina ha un grido e fugge via chiamando a gran voce. Corre la vecchia, seguita da sei<br />

bambini oltre la ragazzina di prima. <strong>Il</strong> più grande pare gemello a questa; gli ultimi, due trappolini<br />

scalzi e sparuti, sono attaccati alla veste della vecchia, e appena sanno camminare sufficientemente<br />

bene.<br />

“Oh! sei venuto! Figli, venerate il Messia! Ben giungi alla mia povera casa. La figlia mi è morente...<br />

Non piangete, fanciulli, che non senta! Povere creature! Le bambine sono sfinite dalle veglie,<br />

perché io faccio tutto, ma vegliare non posso più, casco dal sonno in terra. Sono mesi che non tocco<br />

letto. Ora dormo su un sedile, per essere presso lei e alle bambine. Ma esse sono piccole e ne<br />

soffrono. I maschi, questi, vanno a fare legna per tenere il fuoco e la vendono anche, per il pane. Si<br />

sfiniscono, miseri nipoti! Ma ciò che ci uccide non è la fatica, è il vederla morire... Non piangete.<br />

Abbiamo Gesù.”<br />

“Sì, non piangete. La mamma guarirà, il padre tornerà, non avrete più tante spese e non più tanta<br />

fame. Questi sono i due ultimi?”<br />

“Sì, Signore. Quella debole creatura ha sgravato tre volte gemelli... e il petto si è ammalato.”<br />

“A chi troppo e a chi niente” borbotta Pietro fra la barba e poi si prende un piccolino e gli da una<br />

mela per farlo tacere.<br />

E mentre anche l’altro piccolino gliene chiede una e Pietro lo accontenta, Gesù va con la vecchia<br />

oltre l’atrio, nella corte, e sale la scala per entrare in una stanza dove geme una donna giovane ma<br />

scheletrita.<br />

“<strong>Il</strong> Messia, Jerusa. Ora non soffrirai più. Lo vedi che è proprio venuto? Isacco non mente mai. Lo<br />

ha detto. Credi dunque che come è venuto ti possa sanare.”<br />

“Sì, madre buona. Sì, mio Signore. Ma se non mi puoi guarire, fammi almeno morire. Ho i cani nel<br />

petto mio. Le bocche de miei figli, alle quali ho dato dolce latte, mi hanno reso fuoco e amaro.<br />

Soffro tanto, Signore! Costo tanto! <strong>Il</strong> marito lontano per il pane. La vecchia madre che si consuma.<br />

<strong>Io</strong> che muoio!... A chi i figli quando io sarò morta di male e lei di fatica e di stenti?”<br />

“Per gli uccelli c’è <strong>Dio</strong> e così per i piccoli dell’uomo. Ma non morrai. Hai tanto male qui?” Gesù fa<br />

l’atto di posare la mano sul seno avvolto in bende.<br />

“Non mi toccare! Non mi aumentare il dolore!” urla la malata.<br />

Ma Gesù posa delicatamente la sua lunga mano sulla mammella malata: “Hai realmente il fuoco<br />

dentro, povera Jerusa. L’amore materno ti è divenuto fuoco nel seno. Ma tu non hai odio allo sposo<br />

e ai bambini, non è vero?”<br />

“Oh! perché dovrei? Egli è buono e mi ha sempre amata. Con saggio amore ci amammo e l’amore<br />

fiorì in creature... E loro!... Mi angoscio di lasciarli, ma... Signore! Ma il mio fuoco cessa! Madre!<br />

Madre! E’ come un angelo soffiasse l’aria del Cielo sul mio tormento! Oh! che pace! Non levare,<br />

non levare la tua mano, mio Signore! Premila anzi. Oh! che forza, che gioia! I miei figli! Qui i miei<br />

figli! Li voglio! Dina! Osia! Anna! Seba! Melchi! David! Giuda! Qui! Qui! La mamma non muore<br />

più! Oh!...”<br />

La giovane donna si rovescia sui guanciali piangendo di gioia mentre accorrono i figli, e la vecchia<br />

in ginocchio, non trovando altro nella sua gioia, intona il cantico di Azaria nella fornace ardente, e<br />

lo dice tutto con la sua voce tremula di vecchia e di commossa.<br />

“Oh! Signore! Ma che ti posso fare? Non ho nulla per farti onore!” dice infine.<br />

Gesù la rialza e dice: “Lasciami solo sostare per la mia stanchezza. E taci. <strong>Il</strong> mondo non mi ama.<br />

Devo andare via per qualche tempo. Ti chiedo fedeltà a dio e silenzio. A te, alla sposa, ai piccoli.”<br />

“Oh! non temere! Nessuno viene da chi è misero! Puoi stare qui senza tema di esser visto. I farisei,<br />

eh?! Ma... e per mangiare? <strong>Io</strong> non ho che poco pane...”<br />

Gesù chiama l’Iscariota: “Prendi del denaro e va’ a comprare quanto occorre. Mangeremo e<br />

riposeremo presso queste buone. Fino a sera. Va’ e taci.”<br />

Poi si volge alla guarita: “Levati le bende, alzati, aiuta la madre e giubila. <strong>Dio</strong> ti ha fatto grazia per


pietà della tua virtù di sposa. Spezzeremo il pane insieme, perché oggi il Signore altissimo è nella<br />

tua casa e occorre celebrarlo con festa piena.”<br />

E Gesù esce, raggiungendo Giuda che sta per uscire. “Prenderai con abbondanza. Che abbiano<br />

anche per i giorni futuri. A noi non mancherà nulla da Lazzaro.”<br />

“Sì, Maestro. E, se permetti... Ho del denaro mio. Ho fatto voto di offrirlo per la tua salvezza dai<br />

nemici. Lo muto in pane. Meglio a questi fratelli in <strong>Dio</strong>, che nelle gole del Tempio. Permetti? L’oro<br />

mi è sempre stato serpente. Non voglio avere il suo fascino più. Perché sto tanto bene ora che sono<br />

buono. Libero mi sento. E sono felice.”<br />

“Fa’ come vuoi, Giuda. E il Signore ti dia pace.”<br />

Gesù raggiunge i discepoli mentre Giuda esce e tutto ha termine.<br />

[...].<br />

135. L’arrivo a Betania e il discorso di Gesù ascoltato dalla Maddalena.<br />

21 marzo 1945.<br />

Quando Gesù, valicata l’ultima salita, giunge sul pianoro, vede Betania tutta ridente di un sole<br />

decembrino, che rende meno triste la campagna dispogliata e meno cupe le macchie di verde date<br />

dai cipressi, dai quercioli, e dai carrubi che sorgono or qua or là, e sembrano cortigiani intenti ad<br />

inchinare qualche palma altissima, veramente regale e che si drizza solitaria nei giardini più belli.<br />

Perché Betania non ha solo la bella casa di Lazzaro. Ma anche altre dimore di ricchi, forse cittadini<br />

di Gerusalemme che preferiscono vivere qui, presso i loro beni, e che sulle casette dei villici fanno<br />

risaltare le loro ville di ampia e bella mole dai giardini ben curati. E fa strano vedere in un luogo<br />

collinoso ancora qualche palma rievocare l’Oriente, col suo fusto snello e il ciuffo duro e frusciante<br />

dalle foglie dietro al cui verde giada si cerca istintivamente il giallore sconfinato del deserto. Qui<br />

invece sono sfondi di ulivi verd’argento e campi arati, per ora nudi del più piccolo segno di grano, e<br />

scheletrici frutteti dai tronchi scuri e dalle ramaglie intricate come fossero d’anime che si<br />

contorcono in una tortura infernale.<br />

E vede anche subito un servo di Lazzaro messo di sentinella. Costui saluta profondamente e chiede<br />

permesso di portare notizia del suo arrivo al padrone, e avutane licenza va via sollecito.<br />

Intanto contadini e cittadini accorrono a salutare il Rabbi, e da una siepe d’alloro, che cinge del suo<br />

verde profumato una bella casa, si affaccia una giovane donna che non è certo israelita. <strong>Il</strong> suo peplo<br />

o, se ben mi ricordo i nomi, la sua stola (lunga fino a fare un lieve strascico, ampia, di morbida lana<br />

candidissima, ravvivata da una balza ricamata a greca con colori vivi nei quali brillano fili d’oro,<br />

stretta alla vita da una cintura uguale alla balza) e anche la sua acconciatura del capo (che è una<br />

reticella in oro che tiene a posto una complicata pettinatura tutta a ricciolini sul davanti e poi liscia,<br />

per finire in un grosso mazzocchio sulla nuca) mi fanno pensare che sia greca o romana. Guarda<br />

curiosamente perché la tentano a guardare i gridi trillanti delle donne e gli osanna degli uomini. Poi<br />

ha un sorriso sprezzante, vedendo che vanno diretti ad un povero uomo che non ha neppure un<br />

somarello per andare e che cammina fra un gruppo di suoi simili, tutti ancor meno attraenti di lui.<br />

Fa una alzata di spalle e con mossa annoiata si allontana, seguita a mo’ di cani da un drappello di<br />

trampolieri multicolori, nei quali sono candide ibis e multicolori fenicotteri, né mancano due gralle<br />

tutte fuoco con una coroncina tremolante sulla testa che pare d’argento, unico candore della loro<br />

splendida piuma di fiamma dorata.<br />

Gesù la guarda un attimo, poi torna ad ascoltare un vecchione che... vorrebbe non avere la<br />

debolezza nelle gambe che ha. Gesù lo carezza ed esorta ad... avere pazienza, ché fra poco viene la<br />

primavera e col bel sole d’aprile si sentirà più forte.<br />

Sopraggiunge Massimino, che precede Lazzaro di qualche metro. “Maestro... mi ha detto Simone<br />

che... che Tu vai nella sua casa... Dolore per Lazzaro... ma si comprende...”<br />

“Ne parleremo poi. Oh! amico mio!” Gesù si affretta verso Lazzaro che è come imbarazzato, lo<br />

bacia sulla gota. Sono giunti intanto ad un viottolo che conduce ad una casetta sita fra altri frutteti e


quello di Lazzaro.<br />

“Vuoi proprio andare da Simone, allora?”<br />

“Sì, amico mio. Ho con Me tutti i discepoli e preferisco così...”<br />

Lazzaro manda giù male la decisione, ma non ribatte. Solo si volge alla piccola folla che li segue e<br />

dice: “Andate. <strong>Il</strong> Maestro ha bisogno di riposo.”<br />

Vedo qui quanto è potente Lazzaro. Tutti si inchinano alle sue parole e si ritirano, mentre Gesù li<br />

saluta col suo dolce: “Pace a voi. Vi farò dire quando predicherò.”<br />

“Maestro” dice Lazzaro ora che son soli, avanti ai discepoli, che parlano con Massimino qualche<br />

metro indietro. “Maestro... Marta è tutta in lacrime. Per questo non è venuta. Ma poi verrà. <strong>Io</strong> non<br />

piango che nel cuore. Ma diciamo: è giusto. Se avessimo pensato che ella veniva... Ma non viene<br />

mai per le feste... Già... quando mai viene?... <strong>Io</strong> dico: l’ha spinta qua il demonio proprio oggi.”<br />

“<strong>Il</strong> demonio? E perché non il suo angelo per comando di <strong>Dio</strong>? Ma, mi devi credere, anche se ella<br />

non ci fosse stata, <strong>Io</strong> sarei andato in casa di Simone.”<br />

“Perché, mio Signore? Non ricevesti pace nella mia casa?”<br />

“Tanta pace che dopo Nazaret è il luogo a Me più caro. Ma, rispondimi: perché mi hai detto: ‘Vieni<br />

via dall’Acqua Speciosa’? Per l’insidia che si accosta. Non è così? E allora <strong>Io</strong> mi metto nelle terre<br />

di Lazzaro, ma non metto Lazzaro nella condizione di ricevere insulto nella sua casa. Credi che ti<br />

rispetterebbero? Per calpestare Me passerebbero anche sopra l’Arca santa... Lasciami fare. Per ora<br />

almeno. Poi verrò. Del resto nulla mi vieta di prendere pasti da te, e nulla vieta che tu venga da Me.<br />

Ma fai che si dica: ‘E’ in casa di un suo discepolo’. ”<br />

“E io non lo sono?”<br />

“Tu sei l’amico. E’ più che discepolo per il cuore. E’ una cosa diversa per la malizia. Lasciami fare.<br />

Lazzaro, questa casa è tua... ma non è la tua casa. La bella e ricca casa del figlio di Teofilo. E per i<br />

pedanti ciò ha molto valore.”<br />

“Tu dici così... ma è perché... è per lei, ecco. <strong>Io</strong> stavo per persuadermi a perdonare... ma se lei<br />

allontana Te, vivaddio, io l’odierò...”<br />

“E mi perderai del tutto. Deponi questo pensiero, subito, o subito mi perdi... Ecco Marta. Pace a te,<br />

mia dolce albergatrice.”<br />

“Oh! Signore!”. Marta in ginocchio piange. Si è calata il velo, che è posato sulla acconciatura del<br />

capo fatta a diadema, per non mostrare il suo pianto agli estranei. Ma a Gesù non pensa di celarlo.<br />

“Perché questo pianto? In verità che tu sciupi queste lacrime! Vi sono tanti motivi per piangere e per<br />

fare delle lacrime un oggetto prezioso. Ma non piangere per questo motivo! Oh! Marta! Sembra che<br />

tu non sappia più chi <strong>Io</strong> sono! Dell’uomo, lo sai, non ho che la veste. <strong>Il</strong> cuore è divino e da divino<br />

palpita. Su. Alzati e vieni in casa.... e lei... lasciatela fare. Anche mi venisse a deridere, lasciatela<br />

fare vi dico. Non è lei. E’ colui che la tiene e che la fa strumento di turbamento. Ma qui vi è Uno<br />

che è più forte del suo padrone. Ora la lotta passa da Me a lui, direttamente. Voi pregate, perdonate,<br />

pazientate e credete. E nulla più.”<br />

Entrano nella casetta, che è una piccola casa quadrata circondata da un portico che la allarga.<br />

Dentro vi sono quattro stanze divise da un corridoio in forma di croce. Una scala, esterna come<br />

sempre, conduce all’alto del portichetto, che si muta perciò in terrazzo e dà accesso ad una<br />

vastissima stanza larga quanto la casa, un tempo certo adibita alle provviste, ora tutta sgombra e<br />

pulita, ma assolutamente vuota.<br />

Simone, che è a fianco del vecchio servo che sento chiamare Giuseppe, fa gli onori di casa; dice:<br />

“Qui si potrebbe parlare alla gente, oppure prendere i pasti... Come Tu vuoi.”<br />

“Ora penseremo. Intanto và a dire agli altri che dopo il pasto la gente venga pure. Non deluderò i<br />

buoni di qui.”<br />

“Dove dico di andare?”<br />

“Qui. Tiepido è il giorno. Riparato dai venti è il luogo. <strong>Il</strong> frutteto spoglio non avrà danno se in esso<br />

viene gente. Qui, dal terrazzo, <strong>Io</strong> parlerò. Va’ pure.”<br />

Restano soli Lazzaro con Gesù. Marta, nel bisogno di dovere provvedere a tante persone, è tornata<br />

la ‘buona albergatrice’ e coi servi e gli stessi apostoli lavora abbasso a preparare per le mense e per<br />

il riposo.


Gesù passa un braccio intorno alle spalle di Lazzaro e lo conduce fuori dal camerone, a passeggiare<br />

sul terrazzo che circonda la casa, al bel sole che fa tiepido il giorno, e dall’alto osserva il lavoro dei<br />

servi e dei discepoli, e sorride a Marta che va e viene e alza il viso serio ma già meno sconvolto.<br />

Guarda anche il bel panorama che circonda il luogo e nomina con Lazzaro diverse località e diverse<br />

persone, e infine chiede a bruciapelo: “Dunque la morte di Doras fu un bastone agitato nel nido dei<br />

serpi?”<br />

“Oh! Maestro! Mi ha detto Nicodemo che fu di una violenza mai vista, la seduta del Sinedrio!”<br />

“Che ho fatto al Sinedrio per inquietarsi? Doras è morto da sè, alla vista di tutto un popolo, ucciso<br />

dall’ira. Non ho permesso fosse mancato di rispetto al morto. Dunque...”<br />

“Tu hai ragione. Ma essi... Pazzi di paura sono. E... lo sai che hanno detto che occorre trovarti in<br />

peccato per poterti uccidere?”<br />

“Oh! allora sta’ quieto! Avranno da attendere sino all’ora di <strong>Dio</strong>!”<br />

“Ma Gesù! Sai di chi si parla? Sai di che sono capaci farisei e scribi? Sai che anima abbia Anna?<br />

Sai quale è il suo secondo? Sai... ma che dico? Tu sai! E perciò è inutile che ti dica che il peccato lo<br />

inventeranno per poterti accusare.”<br />

“Lo hanno già trovato. Ho già fatto più che non occorra. Ho parlato a romani, ho parlato a<br />

peccatrici... Sì. A peccatrici, Lazzaro. Una, non mi guardare così spaventato, ...una viene sempre ad<br />

udirmi ed è ospitata in una stalla del tuo fattore, per mia preghiera, perché, per starmi vicina, aveva<br />

preso dimora in uno stabbio da porci...”<br />

Lazzaro è la statua dello stupore. Non si muove più. Guarda Gesù come vedesse uno che per la sua<br />

stranezza è strabiliante.<br />

Gesù lo scuote sorridendo. “Hai visto Mammona?” chiede.<br />

“No... La Misericordia, ho visto. Ma... ma io lo capisco. Essi, quelli del Consiglio, no. E dicono che<br />

è peccato. E’ vero dunque! <strong>Io</strong> credevo!... Oh! che hai fatto?”<br />

“<strong>Il</strong> mio dovere, il mio diritto e il mio desiderio: cercare di redimere uno spirito caduto. Tu vedi<br />

perciò che tua sorella non sarà il primo fango che avvicino e sul quale mi chino. E non sarà<br />

l’ultimo. Sul fango <strong>Io</strong> voglio seminare i fiori e farli sorgere: i fiori del bene.”<br />

“Oh! <strong>Dio</strong>! <strong>Dio</strong> mio!... Ma... Oh! mio Maestro, Tu hai ragione. E’ il tuo diritto, è il tuo dovere ed è il<br />

tuo desiderio. Ma le iene non lo comprendono. Loro sono carogne talmente fetide che non sentono,<br />

non possono sentire l’odore dei gigli. E anche dove essi fioriscono, loro, le potenti carogne sentono<br />

odore di peccato; non comprendono che dalla loro sentina esso esce... <strong>Io</strong> te ne prego. Non sostare<br />

più a lungo in un luogo. Va’, gira, senza dare loro modo di raggiungerti. Sii come un fuoco notturno<br />

danzante sugli steli dei fiori, veloce, imprendibile, sconcertante nel suo andare. Fallo. Non per viltà,<br />

ma per amore del mondo che ha bisogno che Tu viva per essere santificato. La corruzione aumenta.<br />

Contrapponile la santificazione... La corruzione!... Hai visto la nuova cittadina di Betania? E’ una<br />

romana sposata ad un giudeo. Lui è anche osservante. Ma ella è idolatra e, non potendo vivere bene<br />

in Gerusalemme, perché sono sorte dispute coi vicini per le sue bestie, è venuta qui. Piena di<br />

animali per noi immondi è la sua casa e... la più immonda è lei perché vive deridendo noi e con<br />

licenze che... <strong>Io</strong> non posso criticare perché... Ma dico che mentre in casa mia non si mette piede<br />

perché c’è Maria che pesa col suo peccato su tutta la famiglia, in casa di quella donna ci vanno<br />

pure. Ma lei è in grazia di Ponzio Pilato e vive senza il marito. Lui a Gerusalemme. Lei qui. E così<br />

si finge, lui e loro, di non profanarsi col venire e di non constatare che si profanano. Ipocrisia! Fino<br />

al collo nell’ipocrisia si vive! E fra poco ci si affogherà. <strong>Il</strong> Sabato è il giorno del festino... E sono<br />

anche del Consiglio! Un figlio di Anna è il più assiduo.”<br />

“L’ho vista. Sì. E lasciala fare. E lasciali fare. Quando un medico prepara un farmaco e mesce le<br />

sostanze, e l’acqua pare si corrompa perché egli le sbatte e l’acqua si fa torbida. Ma poi le parti<br />

morte si depositano, l’acqua torna limpida pur essendo satura dei succhi di quelle sostanze salutari.<br />

Così ora. Tutto si mescola ed <strong>Io</strong> lavoro con tutti. Poi le parti morte si depositeranno e saranno<br />

gettate, e le altre vive rimarranno attive nel gran mare del popolo di Gesù Cristo. Scendiamo. Ci<br />

chiamano.”<br />

... e la visione riprende mentre Gesù torna a salire sul terrazzo per parlare alla gente di Betania e dei<br />

posti vicini, accorsa a sentire.


“Pace a voi.<br />

Quand’anche <strong>Io</strong> tacessi, i venti di <strong>Dio</strong> porterebbero a voi le parole del mio amore e dell’altrui<br />

livore. So che siete agitati perché non vi è ignoto il perché <strong>Io</strong> sono fra voi. Ma non fatene altro che<br />

una agitazione di gioia e con Me benedite il Signore che usa il male per dare una gioia ai suoi figli,<br />

riconducendo sotto il pungolo del male il suo Agnello fra gli agnelli per metterlo in salvo dai lupi.<br />

Vedete come è buono il Signore. Nel luogo dove ero, sono arrivati, come acque ad un mare, un<br />

fiume ed un rivo. Un fiume di amorosa dolcezza, un rivo di bruciante amarezza. <strong>Il</strong> primo era<br />

l’amore di voi, da Lazzaro e Marta all’ultimo del paese, il rivo era l’ingiusto astio di chi, non<br />

potendo venire al Bene che lo invita, accusa il Bene di essere un Delitto. E il fiume diceva: ‘Torna,<br />

torna fra noi. Le nostre onde ti circondino, ti isolino, ti difendano. Ti diano tutto quanto ti nega il<br />

mondo’. <strong>Il</strong> rivo malvagio fischiava minacce e voleva uccidere col suo tossico. Ma che è un rivo<br />

rispetto a un fiume, e che rispetto ad un mare? Nulla. E nulla è divenuto il tossico del rio perché il<br />

fiume del vostro amore lo ha soverchiato, e nel mare del mio amore non si è immessa che la<br />

dolcezza del vostro amore. Anzi, bene ha fatto. Mi ha riportato a voi. Benediciamone il Signore<br />

altissimo.”<br />

La voce di Gesù si espande potente per l’aria calma e silenziosa. Gesù, tutto bello nel sole, gestisce<br />

e sorride calmo dall’alto della terrazza. In basso la gente lo ascolta beata: una fiorita di volti levati<br />

che sorridono all’armonia della sua voce. Lazzaro è vicino a Gesù, e vi è Simone e Giovanni. Gli<br />

altri sono sparsi fra la folla. Sale anche Marta e si siede per terra ai piedi di Gesù, guardando verso<br />

la sua casa che appare oltre il frutteto.<br />

“<strong>Il</strong> mondo è dei cattivi. <strong>Il</strong> Paradiso è dei buoni. Questa è la verità e la promessa. E su questa si<br />

appoggi la vostra sicura forza. <strong>Il</strong> mondo passa. <strong>Il</strong> Paradiso non passa. Se essendo buono uno se lo<br />

conquista, egli in eterno lo gode. E allora? Perché turbarsi di ciò che fanno i cattivi? Ricordate i<br />

lamenti di Giobbe? Sono gli eterni lamenti di chi è buono e oppresso; perché la carne geme, ma<br />

gemere non dovrebbe, e più è conculcata più si dovrebbero alzare le ali dell’anima nel giubilo del<br />

Signore.<br />

Credete voi che siano felici quelli che paiono felici perché col modo lecito e più con l’illecito hanno<br />

pingui granai e colmi i tini, e traboccano d’olio i loro otri? No. Sentono il sapore del sangue e delle<br />

lacrime altrui in ogni loro cibo e il giaciglio pare loro irto di pruni, tanto su esso sentono urlanti i<br />

rimorsi. Depredano i poveri e spogliano gli orfani, derubano il prossimo per fare ammasso,<br />

opprimono chi è da meno di loro in potenza e in perversità. Non importa. Lasciateli fare. <strong>Il</strong> loro<br />

regno è di questo mondo. E alla loro morte che resta? Nulla. Se non si vuole chiamare tesoro il<br />

cumulo di colpe che seco portano e col quale a <strong>Dio</strong> si presentano. Lasciateli fare. Sono i figli delle<br />

tenebre, i ribelli alla Luce e non possono seguire i luminosi sentieri di essa. Quando <strong>Dio</strong> fa brillare<br />

la stella del mattino, essi la chiamano ombra di morte e come tale la credono contaminata e<br />

preferiscono camminare al bagliore sudicio del loro oro e del loro odio, che fiammeggia soltanto<br />

perché le cose d’inferno brillano del fosforo degli eterni laghi di perdizione...”<br />

“Mia sorella, Gesù... oh!” Lazzaro scorge Maria che scivola dietro una siepe del frutteto di Lazzaro<br />

per giungere il più vicino possibile. Va curva. Ma la sua testa bionda brilla come oro contro il bosso<br />

oscuro.<br />

Marta fa per alzarsi. Ma Gesù le preme una mano sulla testa e deve rimanere dove è. Gesù eleva<br />

ancora di più la sua voce.<br />

“Che dire di questi infelici? <strong>Dio</strong> ha dato loro tempo di fare penitenza ed essi se ne abusano per<br />

peccare. Ma non li perde di vista Iddio, anche se pare che lo faccia. E il momento viene in cui, o<br />

perché, come fulmine che penetra anche nel masso, l’amore di <strong>Dio</strong> squarcia il loro duro cuore, o<br />

perché la somma dei delitti porta l’onda del loro fango fin nelle loro fauci e nelle loro nari - ed essi<br />

sentono, oh! che finalmente sentono!, lo schifo di quel sapore e di quel fetore che è ripugnanza agli<br />

altri e che fa colmo il loro cuore - viene il momento che ne hanno nausea e sorge un movimento di<br />

desiderio al bene.<br />

L’anima allora grida: ‘E chi mi darà di ritornare come nei tempi di prima, quando ero in amicizia a<br />

<strong>Dio</strong>? Quando la sua luce splendeva nel mio cuore e al suo raggio io camminavo? Quando, davanti<br />

alla mia giustizia taceva ammirato il mondo, e chi mi vedeva mi diceva beato? <strong>Il</strong> mondo beveva il


mio sorriso e le mie parole erano accolte come parole d’angelo e balzava d’orgoglio il cuore nel<br />

petto dei miei famigliari. Ed ora che sono? Derisione ai giovani, orrore agli anziani, io faccio il<br />

soggetto delle loro canzoni, e lo sputo del loro disprezzo mi riga il volto’. Sì, così parla in certe ore<br />

l’anima dei peccatori, dei veri Giobbe, perché non vi è miseria più grande di questa, di uno che ha<br />

perduto in eterno l’amicizia di <strong>Dio</strong> e il suo Regno. E devono fare pietà. Solo pietà.<br />

Sono povere anime che hanno, per ozio o per sventatezza, perduto l’Eterno Sposo. ‘Di notte, nel<br />

mio letto, cercai l’amor dell’anima mia e non lo trovai’. Infatti nelle tenebre non si può distinguere<br />

lo sposo, e l’anima pungolata dall’amore, irriflessiva perché fasciata dalla notte spirituale, cerca e<br />

vuol trovare un refrigerio al suo tormento. Crede trovarlo con qualunque amore. No. Uno solo è<br />

l’amore dell’anima: è <strong>Dio</strong>. Vanno, queste anime che l’amore di <strong>Dio</strong> pungola, cercando amore.<br />

Basterebbe volessero in loro la luce, e amore avrebbero a loro consorte. Vanno come malate,<br />

cercando a tentoni amore, e trovano tutti gli amori, tutte le sozze cose che l’uomo ha così battezzate,<br />

ma non trovano l’amore; perché l’amore è <strong>Dio</strong> e non l’oro, il senso, il potere.<br />

Povere, povere anime! Se, meno oziose, fossero sorte al primo invito dello Sposo eterno, a <strong>Dio</strong> che<br />

dice: ‘Seguimi’, a <strong>Dio</strong> che dice: ‘Aprimi’, non sarebbero giunte ad aprire l’uscio, coll’impeto del<br />

loro amore destato, quando lo Sposo deluso è già lontano. Scomparso... E non avrebbero profanato<br />

quell’impeto santo di un bisogno di amore, in una fanghiglia che fa schifo all’animale immondo<br />

tanto è inutile e cosparsa di triti triboli, che non erano fiori ma solo aculei che straziano e non<br />

coronano. E non avrebbero conosciuto gli scherni delle guardie di ronda, di tutto il mondo che,<br />

come <strong>Dio</strong>, ma per opposti motivi, non perde di vista il peccatore e lo posteggia per deriderlo e per<br />

criticarlo. Povere anime picchiate, spogliate, ferite da tutto il mondo! Solo <strong>Dio</strong> non si unisce a<br />

questa lapidazione di uno scherno impietoso. Ma fa cadere le sue lacrime per medicare le ferite e<br />

rivestire di diamantina veste la sua creatura. Sempre sua creatura... Solo <strong>Dio</strong>... e i figli di <strong>Dio</strong> col<br />

Padre.<br />

Benediciamo il Signore. Egli ha voluto che per i peccatori <strong>Io</strong> qui avessi a tornare per dirvi:<br />

‘Perdonate. Sempre perdonate. Fate di ogni male un bene. Fate di ogni offesa una grazia’. Non vi<br />

dico ‘fate’ solo. Vi dico: ripetete il mio gesto. <strong>Io</strong> amo e benedico i nemici perché per essi ho potuto<br />

tornare a voi, amici miei.<br />

La pace sia con tutti voi.”<br />

La gente agita veli e ramaglie verso Gesù, e poi si allontana piano piano.<br />

“L’avranno vista quella impudente?”<br />

“No, Lazzaro. Ella era dietro la siepe e ben nascosta. Noi potevamo vederla perché qui in alto. Gli<br />

altri no.”<br />

“Ci aveva promesso di...”<br />

“Perché non doveva venire? Non è una figlia di Abramo ella pure? Voglio da voi, fratelli, e da voi,<br />

discepoli, giuramento di non farle capire nulla. Lasciatela fare. Mi deriderà? Lasciatela fare.<br />

Piangerà? Lasciatela fare. Vorrà rimanere? Lasciatela fare. Vorrà fuggire? Lasciatela fare. E’ il<br />

segreto del Redentore e dei redentori: aver pazienza, bontà, costanza e preghiera. Nulla più. Ogni<br />

gesto è di troppo presso certe malattie... Addio, amici. <strong>Io</strong> resto a pregare. Voi andate ognuno al suo<br />

compito. E <strong>Dio</strong> vi accompagni.”<br />

E tutto ha fine.<br />

136. Alla festa delle Encenie, in casa di Lazzaro, viene ricordata la nascita<br />

di Gesù.<br />

22 marzo 1945.<br />

La già splendida casa di Lazzaro questa sera è splendidissima. Sembra che prenda fuoco per il<br />

numero dei lumi che vi ardono, e la luce si rovescia al di fuori, in questo primo principio di notte,<br />

traboccando dalle sale dell’atrio e da questo nel portico, allungandosi a vestire d’oro le ghiaie dei<br />

sentieri, le erbe ed i cespugli delle aiuole, lottando, e vincendo nei primi metri, col chiaro della luna


col suo giallo e carnale splendore, mentre più oltre tutto diviene angelico per la veste di puro<br />

argento che la luna getta su tutte le cose.<br />

Anche il silenzio che fascia il magnifico giardino, in cui ha voce solo l’arpeggio dello zampillo<br />

della peschiera, pare aumentare la raccolta e paradisiaca pace della notte lunare, mentre presso la<br />

casa voci allegre e numerose, insieme a un gaio rumore di mobili smossi e stoviglie portate sulle<br />

mense, ricordano che l’uomo è uomo e non ancora spirito.<br />

Marta va svelta nella sua ampia veste splendida e pudica di un color viola rosso, e sembra un fiore,<br />

una bella campanula o una farfalla che si agiti contro le pareti purpuree dell’atrio o quelle a minuti<br />

disegni che paiono un tappeto, della sala del convito.<br />

Gesù, invece, passeggia solo e assorto presso la peschiera, e pare venga assorbito alternativamente<br />

dall’ombra scura che proietta un alto alloro, un vero albero gigante, o dalla fosforica luce lunare che<br />

si fa sempre più netta. Così viva che lo zampillo della vasca pare un piumetto d’argento che si<br />

frantumi poi in scaglie di brillanti, che ricadono a perdersi sulla lastra quieta, tutta argento, della<br />

vasca. Gesù guarda e ascolta le parole dell’acqua nella notte. Esse acquistano un suono così<br />

musicale che se ne desta un usignolo nell’alloro folto e risponde all’arpeggio lento delle gocce con<br />

un acuto di flauto, e poi sosta, come per prendere nota e mettersi sull’accordo dell’acqua, e infine<br />

attacca, da re del canto, il suo perfetto, variato, morbido inno di gioia.<br />

Gesù non cammina neppure più per non turbare col fruscio dei passi la serena gioia dell’usignuolo,<br />

e credo anche sua, perché sorride stando a capo chino, di un sorriso di veramente serena gioia.<br />

Quando l’usignolo, dopo una nota purissima tenuta e modulata per tono ascendente, che non so<br />

come possa una così piccola gola sostenerla, cessa di cantare, Gesù esclama: “Te benedetto, Padre<br />

santo, per questa perfezione e per la gioia che mi hai dato!” e riprende la sua lenta passeggiata piena<br />

di chissà quali profondità di meditazione.<br />

Lo raggiunge Simone: “Maestro, Lazzaro ti prega di venire. Tutto è pronto.”<br />

“Andiamo. E così cada anche l’ultimo dubbio che <strong>Io</strong> li ho meno cari per causa di Maria.”<br />

“Quanto pianto, Maestro! Solo un tuo segreto miracolo ha potuto medicare quel dolore. Ma non sai<br />

che Lazzaro fu per fuggire dopo che ella, al loro ritorno, uscì di casa dicendo che lasciava i sepolcri<br />

per la gioia e... altre insolenze? <strong>Io</strong> e Marta lo abbiamo scongiurato a non farlo, anche perché... non<br />

si sa mai la reazione di un cuore. L’avesse trovata, io credo che l’avrebbe punita una volta per tutte.<br />

Avrebbero voluto almeno il silenzio, da lei, su Te...”<br />

“E l’immediato miracolo di Me su lei. E l’avrei potuto fare. Ma non voglio una risurrezione forzata<br />

nei cuori. Forzerò la morte e mi renderà le sue prede. Perché <strong>Io</strong> sono il Padrone della morte e della<br />

vita. Ma sugli spiriti, che non sono materia che senza soffio è priva di vita, ma sono immortali<br />

essenze capaci di risorgere per volontà propria, <strong>Io</strong> non forzo la risurrezione. Do il primo appello e il<br />

primo aiuto, come uno che aprisse un sepolcro dove uno fu chiuso ma vivo e dove morrebbe se a<br />

lungo rimanesse in quelle tenebre asfissianti, e lascio entrare aria e luce... poi attendo. Se lo spirito è<br />

voglioso di uscirne, esce. Se non vuole così, si infosca ancor più e sprofonda. Ma se esce!... Oh! se<br />

esce, in verità ti dico che nessuno sarà più grande del risorto di spirito. Solo l’Innocenza assoluta è<br />

più grande di questo morto che torna vivo per forza di proprio amore e per gioia di <strong>Dio</strong>.. I miei più<br />

grandi trionfi!<br />

Guarda il cielo, Simone. Tu vedi in esso stelle e stelline, e pianeti di diverse grandezze. Tutti hanno<br />

vita e splendore per <strong>Dio</strong> che li ha fatti e per il sole che li illumina, ma non tutti sono ugualmente<br />

splendidi e grandi. Anche nel mio cielo sarà così. Tutti i redenti avranno vita per Me e splendore per<br />

la mia luce. Ma non tutti saranno ugualmente splendidi e grandi. Taluni saranno una semplice<br />

polvere d’astri, come quella che fa lattea Galatea, e saranno quelli, innumerabili, che dal Cristo<br />

avranno avuto, meglio, avranno aspirato solo quel minimo indispensabile per non essere dei<br />

dannati, e soltanto per l’infinita misericordia di <strong>Dio</strong>, dopo lungo purgatorio, verranno al Cielo. Altri<br />

saranno più fulgidi e formati: i giusti che avranno unito la loro volontà - nota: volontà, non buona<br />

volontà - al volere del Cristo e avranno ubbidito, per non dannarsi, alle mie parole. Poi vi saranno i<br />

pianeti, le buone volontà, oh! splendidissimi! Dalla luce di puro diamante o di gemmeo splendore<br />

dai diversi colori - rossi di rubino, violacei d’ametista, biondi di topazio, candidi di perle - gli<br />

innamorati fino alla morte per amore, i penitenti per amore, gli operanti per amore, gli immacolati


per amore.<br />

E ve ne saranno alcuni, di questi pianeti, e saranno le mie glorie di Redentore, che avranno in loro<br />

bagliori di rubino, di ametista, di topazio e di perla, perché tutto saranno per amore. Eroici per<br />

giungere a perdonarsi di non aver saputo amare prima, penitenti per saturasi di espiazione come<br />

Ester prima di presentarsi ad Assuero si saturò di aromi, instancabili per fare in poco, nel poco che<br />

loro resta, quanto non fecero negli anni che spersero nel peccato, puri fino all’eroicità per<br />

dimenticare, anche nelle viscere oltre che nell’anima e nel pensiero, che vi è un senso. Saranno<br />

quelli che attireranno per il loro multiforme splendore gli occhi dei credenti, dei puri, dei penitenti,<br />

dei martiri, degli eroi, degli asceti, dei peccatori, e per ognuna di queste categorie il loro splendore<br />

sarà parola, risposta, invito, assicurazione...<br />

Ma andiamo. Noi parliamo e là ci attendono. ”<br />

“E’ che quando Tu parli si dimentica d’essere vivi. Posso dire tutto questo a Lazzaro? Mi pare che<br />

in esso ci sia una promessa...”<br />

“Lo devi dire. La parola dell’amico può posarsi sulla loro ferita e non arrossiranno di essere arrossiti<br />

davanti a Me... Ti abbiamo fatto attendere, Marta, ma parlavo a Simone di stelle e ci siamo<br />

dimenticati di queste luci. Veramente la tua casa è un firmamento questa sera...”<br />

“Non solo per noi e per i servi, ma anche per Te e per gli ospiti tuoi amici abbiamo acceso. Grazie<br />

di essere venuto per l’ultima sera. Ora la festa è proprio la Purificazione...” Marta vorrebbe dire di<br />

più, ma sente salire il pianto e tace.<br />

“Pace a tutti voi” dice Gesù entrando nell’atrio sfolgorante di decine di lumi di argento, tutti accesi<br />

e posti per ogni dove.<br />

Lazzaro si fa avanti sorridente: “Pace e benedizione a Te, Maestro, e molti anni di santa felicità.” Si<br />

baciano. “Mi hanno detto certi nostri amici che Tu sei nato mentre Betlemme ardeva per una<br />

lontana Encenie. Di averti questa sera noi ed essi giubiliamo. Non chiedi chi sono?”<br />

“Altri amici non ho che non siano i discepoli e i cari di Betania, fuor dei pastori. Sono dunque essi.<br />

Venuti? A che?”<br />

“Ad adorarti, Messia nostro. Lo sapemmo da Gionata, e qui siamo. Coi nostri armenti, ora nelle<br />

stalle di Lazzaro, e coi nostri cuori ora e sempre sotto i tuoi piedi santi.”<br />

Isacco ha parlato per Elia, Levi, Giuseppe e Gionata, che tutti sono prostrati ai suoi piedi: Gionata<br />

nella soffice veste dell’intendente beneamato dal padrone; Isacco nella sua di instancabile<br />

pellegrino, di grossa lana marrone scuro, impermeabile all’acqua; Levi, Giuseppe, Elia in vesti date<br />

da Lazzaro, fresche, monde, per poter assidersi alle mense senza portarvi la povera veste stracciata e<br />

sitente di mandra dei pastori.<br />

“Per questo mi avete mandato nel giardino? <strong>Dio</strong> vi benedica tutti! Non manca che la Madre alla mia<br />

felicità. Alzatevi, alzatevi. E’ il mio primo Natale che <strong>Io</strong> faccio senza la Madre. Ma la vostra<br />

presenza mi solleva dalla tristezza, dalla nostalgia del suo bacio.”<br />

Entrano tutti nella stanza delle mense. Qui i lumi sono per la maggior parte in oro e il metallo si<br />

avviva della luce delle fiamme, e le fiamme sembrano più splendide per il riflesso che dà loro tanto<br />

oro. La tavola è stata messa ad U per dare posto a tanta gente e poterla servire senza ostacolare le<br />

operazioni degli scalchi e dei servi. Oltre a Lazzaro vi sono gli apostoli, i pastori, Massimino, il<br />

vecchio servo di Simone.<br />

Marta sorveglia la disposizione dei posti e vorrebbe stare in piedi. Ma Gesù si impone: “Oggi non<br />

sei l’albergatrice: sei la sorella e ti siedi come mi fossi di sangue. Siamo una famiglia. Cadano le<br />

regole per dare posto all’amore. Qui, al mio lato, e presso te Giovanni. <strong>Io</strong> con Lazzaro. Ma datemi<br />

un lume. Fra Me e Marta vegli una luce... una fiamma, per le assenti e pure presenti: per le amate, le<br />

attese, per le donne care e lontane. Tutte. La fiamma ha parole di luce. L’amore ha parole di fiamma,<br />

e vanno lontano queste parole, sull’onda incorporea degli spiriti che si trovano sempre, oltre monti e<br />

mari, e portano baci e benedizioni... Tutto portano. Non è forse vero?”<br />

Marta posa la lampada dove Gesù vuole, ad un posto che resta vuoto... e, poiché Marta capisce, si<br />

curva a baciare la mano di Gesù, che poi le si posa sulla testa bruna, benedicente e riconfortante.<br />

<strong>Il</strong> pasto ha inizio. Un poco confusi sul principio i tre pastori - mentre Isacco è già più sicuro e<br />

Gionata non mostra disagio - ma si rinfrancano sempre di più, piùil pasto procede, e dopo aver


taciuto parlano. E di che devono parlare se non del loro ricordo?<br />

“Ci eravamo ritirati da poco” dice Levi. “Ed io avevo tanto freddo che mi rifugiai fra le pecore,<br />

piangendo per il desiderio della mamma...”<br />

“<strong>Io</strong> invece pensavo alla giovane Madre che avevo incontrata poco prima e mi dicevo: ‘Avrà trovato<br />

posto?’. Ad averlo saputo che era in una stalla! Nello stabbio l’avrei condotta!... Ma era così gentile<br />

- un giglio delle nostre valli - che mi parve offesa dirle: ‘Vieni fra noi’. Ma pensavo a Lei... e<br />

sentivo ancora più il freddo pensando a quanto la doveva far soffrire. Ti ricordi che luce quella<br />

sera? E la tua paura?”<br />

“Sì,... ma poi... l’angelo... Oh!...” Levi, un poco trasognato, sorride al suo ricordo.<br />

“Oh! sentite un poco, amici. Noi non sappiamo che poco e male. Abbiamo sentito parlare di angeli,<br />

di greppie, di greggi, di Betlemme... E noi sappiamo che Lui è galileo e falegname.... Non è giusto<br />

che non si sappia noi! Al Maestro l’ho chiesto all’Acqua Speciosa... ma poi si parlò d’altro. Costui,<br />

che sa, non mi ha detto nulla... Sì, parlo a te, Giovanni di Zebedeo. Bel rispetto che hai per<br />

l’anziano! Tieni tutto per te e mi lasci crescere da discepolo zuccone. Non lo sono già di mio<br />

abbastanza?”<br />

Ridono per lo sdegno del buon Pietro. Ma lui si volge al suo Maestro: “Ridono. Ma ho ragione” e<br />

poi a Bartolomeo, Filippo, Matteo, Tommaso, Giacomo e Andrea: “Avanti, ditelo anche voi,<br />

protestate con me! Perché non sappiamo nulla noi?”<br />

“Veramente...Dove eravate quando moriva Gioia? e dove sul Libano?”<br />

“Hai ragione. Ma per Giona, io almeno, l’ho creduto delirio di morente, e sul Libano... ero stanco e<br />

assonnato. Perdonami, Maestro, ma è la verità.”<br />

“E sarà la verità di tanti! <strong>Il</strong> mondo degli evangelizzati sovente risponderà al Giudice eterno, per<br />

scusare la sua ignoranza nonostante l’insegnamento dei miei apostoli, risponderà ciò che tu dici:<br />

‘Lo credetti delirio... Ero stanco ed assonnato’. E sovente non ammetterà la verità perché la<br />

scambierà per delirio, e non ricorderà la verità perché sarà stanco ed assonnato per troppe cose<br />

inutili, caduche, peccaminose anche. Una solo cosa è necessaria: conoscere Iddio.”<br />

“Ebbene, ora che ci hai detto quello che ci sta bene, raccontaci le cose come sono state... Al tuo<br />

Pietro. Poi le dico alla gente. Se no.. te l’ho detto: che posso dire? <strong>Il</strong> passato non lo so, le profezie e<br />

il Libro non lo so spiegare, il futuro... oh! povero me! E che evangelizzo, allora?”<br />

“Sì, Maestro. Che si sappia anche noi... Sappiamo che sei il Messia e lo crediamo. Ma, almeno per<br />

mio conto, ho dovuto faticare ad ammettere che da Nazaret potesse venire del buono... Perché non<br />

mi hai subito reso noto il tuo passato?” dice Bartolomeo.<br />

“Per provare la tua fede e la luminosità del tuo spirito. Ma ora vi parlerò, anzi, vi parleremo del mio<br />

passato. <strong>Io</strong> dirò ciò che anche i pastori non sanno, ed essi di ciò che videro. E conoscerete l’alba di<br />

Cristo. Udite.<br />

Essendo venuto il tempo della Grazia, <strong>Dio</strong> si preparò la sua Vergine. Voi bene potete comprendere<br />

come non potesse risiedere <strong>Dio</strong> là dove Satana aveva messo un incancellabile segno. Perciò la<br />

Potenza operò per fare il suo futuro tabernacolo senza macchia. E da due giusti, in vecchiezza e<br />

contro le regole comuni del procreare fu concepita Quella su cui non è macchia veruna.<br />

Chi depose quell’anima nella carne embrionale che rinverdiva il vecchio seno di Anna di Aronne, la<br />

nonna mia? Tu, Levi, hai visto l’Arcangelo di tutti gli annunzi. Puoi dire: è quello. Perché la ‘Forza<br />

di <strong>Dio</strong>’ fu sempre il vittorioso che portò lo squillo di gioia ai santi e ai Profeti, l’indomabile sul<br />

quale la pur grande forza di Satana si spezzò come stelo di musco disseccato, l’intelligente che<br />

stornò con la buona e lucida intelligenza le insidie dell’altro intelligente ma malvagio, rendendo con<br />

prontezza eseguito il comando di <strong>Dio</strong>.<br />

In un grido di giubilo egli, l’Annunziatore che già conosceva le vie della terra per essere sceso a<br />

parlare ai Profeti, raccolse dal Fuoco divino la immacolata scintilla che era l’anima della eterna<br />

Fanciulla e, serrandola in un cerchio di fiamme angeliche, quelle del suo spirituale amore, la portò<br />

sulla terra, in una casa, in un seno. E il mondo, da quel momento, poté guardare un punto della terra<br />

senza averne disgusto. E nacque una creaturina: l’Amata di <strong>Dio</strong> e degli angeli, la Consacrata a <strong>Dio</strong>,<br />

la santamente Amata dai parenti.<br />

‘E Abele dette a <strong>Dio</strong> le primizie del suo gregge’. Oh! che in verità i nonni dell’eterno Abele seppero


dare a <strong>Dio</strong> la primizia del loro bene, tutto il loro bene, morendo per avere dato questo bene a chi lo<br />

aveva loro dato!<br />

Mia Madre fu la Fanciulla del Tempio dai tre ai quindici anni e affrettò la venuta del Cristo con la<br />

forza del suo amare. Vergine avanti il suo concepimento, vergine nelle oscurità d’un seno, vergine<br />

nei suoi vagiti, vergine nei suoi primi passi, la Vergine fu di <strong>Dio</strong>, di <strong>Dio</strong> solo, e proclamò i suo<br />

diritto, superiore al decreto della Legge di Israele, ottenendo dallo sposo a Lei datole da <strong>Dio</strong> di<br />

rimanere inviolata dopo le nozze.<br />

Giuseppe di Nazaret era un giusto. Solo a lui poteva essere dato il Giglio di <strong>Dio</strong> e solo lui lo ebbe.<br />

E, angelo nell’anima e nella carne, egli amò come amarono gli angeli di <strong>Dio</strong>. L’abisso di questo<br />

forte amore, che ebbe tutte le tenerezze coniugali senza sorpassare la barriera di celeste fuoco oltre<br />

la quale era l’Arca del Signore, sarà compreso solo da pochi sulla terra. E’ la testimonianza di ciò<br />

che può un giusto, sol che voglia. Ciò che può, perché anche l’anima, ancor lesa dalla macchia<br />

d’origine, ha forze potenti di elevazione, e ricordi e ritorni alla sua dignità di figlia di <strong>Dio</strong>, e<br />

divinamente opera per amore del Padre.<br />

Ancora era Maria nella sua casa, in attesa della unione con lo sposo, quando Gabriele, l’angelo dei<br />

divini annunzi, tornò sulla terra e chiese alla Vergine d’essere Madre. Già aveva promesso al<br />

sacerdote Zaccaria il Precursore e non era stato creduto. Ma la Vergine credette che ciò potesse<br />

essere per volere di <strong>Dio</strong> e, sublime nella sua ignoranza, chiese solo: ‘Come può ciò avvenire?’<br />

E l’Angelo le rispose: ‘Tu sei la Piena di Grazia, o Maria. Non temere dunque, ché grazia hai<br />

trovato presso il Signore anche per quanto è la tua verginità. Tu concepirai e partorirai un Figlio al<br />

quale metterai nome Gesù, perché Egli è il Salvatore promesso a Giacobbe e a tutti i Patriarchi e<br />

Profeti d’Israele. Egli sarà grande e Figlio vero dell’Altissimo, perché per opera di Spirito Santo<br />

sarà concepito. A Lui il Padre darà il trono di Davide, come è predetto, e regnerà sulla casa di<br />

Giacobbe sino alla fine dei secoli, ma il suo vero Regno non avrà mai fine. Ora il Padre, il Figlio e<br />

lo Spirito Santo attendono la tua ubbidienza per compiere la promessa. Già è il Precursore del<br />

Cristo nel seno di Elisabetta, tua cugina, e se tu consenti lo Spirito Santo scenderà su te, e santo sarà<br />

Colui che da te nascerà e porterà il suo vero nome di Figlio di <strong>Dio</strong>’.<br />

E allora Maria rispose: ‘Ecco l’Ancella del Signore. Si faccia di me secondo la sua parola.’ E lo<br />

Spirito di <strong>Dio</strong> scese sulla sua Sposa e nel primo abbraccio le impartì le sue luci, che sopraperfezionarono<br />

le virtù di silenzio, umiltà, prudenza e carità di cui Ella era pena, ed Ella fu tutt’una<br />

con la Sapienza, e non più fu scindibile dalla Carità, e l’Ubbidiente e Casta si perse nell’oceano<br />

della Ubbidienza che <strong>Io</strong> sono, e conobbe la gioia d’essere Madre senza conoscere il turbamento<br />

d’essere sfiorata. Fu la neve che si concentra in fiore e si offre a <strong>Dio</strong> così...”<br />

“Ma il marito?” chiede sbalordito Pietro?<br />

“<strong>Il</strong> sigillo di <strong>Dio</strong> chiuse le labbra di Maria. E Giuseppe non seppe del prodigio che quando, di<br />

ritorno dalla casa di Zaccaria parente, Maria apparve madre agli occhi dello sposo.<br />

“E che fece lui?”<br />

“Soffrì... e soffrì Maria...”<br />

“Se ero io...”<br />

“Giuseppe era un santo, Simone di Giona. <strong>Dio</strong> sa dove mettere i suoi doni... Acerbamente soffrì e<br />

decise di abbandonarla, addossandosi taccia di ingiusto. Ma l’Angelo scese a dirgli: ‘Non temere di<br />

prendere con te Maria tua sposa. Perché quello che in Lei si forma è il Figlio di <strong>Dio</strong> e per opera di<br />

<strong>Dio</strong> Ella è Madre. E quando il Figlio sarà nato, gli metterai nome Gesù, perché Egli è il Salvatore’.<br />

“Era dotto Giuseppe?” chiede Bartolomeo.<br />

“Come un discendente di Davide.”<br />

“Allora avrà avuto subita luce nel ricordare il Profeta: ‘Ecco una vergine concepirà...’<br />

“Sì. La ebbe. Alla prova successe il gaudio...”<br />

“Se ero io...” torna a dire Simon Pietro “non succedeva, perché prima avrei... Oh! Signore, come è<br />

stato bene che non fossi io! L’avrei spezzata come uno stelo senza darle tempo di parlare. E dopo,<br />

se assassino non fossi stato, avrei avuto paura di Lei... La paura di tutto Israele, da secoli, per il<br />

Tabernacolo...”<br />

“Anche Mosè ebbe paura di <strong>Dio</strong>, e pure fu soccorso e stette con Lui sul monte... Giuseppe andò


dunque nella casa santa della Sposa e provvide ai bisogni della Vergine e del Nascituro. E venendo<br />

per tutti il tempo dell’editto, con Maria andò nella terra dei padri, e Betlemme li respinse perché il<br />

cuore degli uomini è chiuso alla carità. Ora parlate voi.”<br />

“<strong>Io</strong> incontrai verso sera una donna giovane e sorridente a cavallo d’un somarello. Un uomo era con<br />

lei. Mi chiese del latte e informazioni. Ed io dissi ciò che sapevo... Poi venne la notte... e una grande<br />

luce... e uscimmo... e Levi vide un angelo presso lo stabbio. E l’Angelo disse: ‘E’ nato il Salvatore’.<br />

Era la notte piena. E pieno di stelle era il cielo. Ma la luce si perdeva in quella dell’Angelo e di<br />

mille e mille angeli... (Elia piange ancora nel ricordare). E ci disse l’Angelo: ‘Andate ad adorarlo.<br />

E’ in una stalla, in una greppia, fra due animali... Troverete un piccolo Bambino avvolto in poveri<br />

panni...’ Oh! come sfavillava l’angelo dicendo queste parole!... Ma ti ricordi, Levi, le sue ali come<br />

mandavano fiamme quando, dopo essersi inchinato per nominare l Salvatore, disse: ‘...che è il<br />

Cristo Signore’? ”<br />

“Oh! se ricordo! E le voci dei mille? Oh!... ‘Gloria a <strong>Dio</strong> nei Cieli altissimi e pace in terra agli<br />

uomini di buona volontà!’ Quella musica è qui, è qui, e mi porta in Cielo ogni volta che la sento” e<br />

Levi alza un viso estatico su cui luce il pianto.<br />

“E andammo” dice Isacco. “Carichi come bestie da soma, lieti come per nozze, e poi... non seppimo<br />

più far nulla quando udimmo la tua piccola voce e quella della Madre, e spingemmo Levi, fanciullo,<br />

perché guardasse. Noi ci sentivamo lebbrosi presso tanto candore... E Levi ascoltava, e rideva<br />

piangendo, e ripeteva, cosi con voce d’agnello che la pecora di Elia ebbe un belato. E Giuseppe<br />

venne all’apertura e ci fece entrare... Oh! come eri piccino e bello! Un boccio di rosa carnicina sul<br />

ruvido fieno... e piangevi... Poi ridesti per il tepore della pelle di pecora che ti offrimmo e per il latte<br />

che ti mungemmo... <strong>Il</strong> tuo primo pasto... Oh!.. e poi... e poi ti baciammo... Sapevi di mandorla e<br />

gelsomino...e noi non potevamo più lasciarti...”<br />

“Non mi avete lasciato, infatti.”<br />

“E’ vero” dice Gionata. “<strong>Il</strong> tuo viso restò in noi e la tua voce e il tuo sorriso... Crescevi... eri bello<br />

sempre più... <strong>Il</strong> mondo dei buoni veniva a bearsi di Te... e quello dei malvagi non ti vedeva...<br />

Anna... i tuoi primi passi... i tre Sapienti... la stella...”<br />

“Oh! quella notte che luce! <strong>Il</strong> mondo pareva ardere con mille luci. Invece, la sera della tua venuta,<br />

la luce era fissa e di perla... Ora era la danza degli astri, allora l’adorazione degli astri. E noi da<br />

un’altura vedemmo passare la carovana e le andammo dietro per vedere se si fermava... E il giorno<br />

dopo tutta Betlemme vide l’adorazione dei Sapienti. E poi... Oh! non diciamo l’orrore!... Non lo<br />

diciamo!... ”. Elia sbiadisce nel ricordare.<br />

“Sì, non lo dire. Silenzio sull’odio... ”<br />

“<strong>Il</strong> più grande dolore era non avere più Te e non sapere di Te. Neppure Zaccaria ne sapeva. Ultima<br />

nostra speranza... Più niente.”<br />

“Perché, Signore, non hai confortato i tuoi servi?”<br />

“Chiedi il perché, Filippo? Perché era prudenza farlo. Vedi che anche Zaccaria, la cui formazione<br />

spirituale si completò dopo quell’ora, non volle sollevare il velo. Zaccaria...”<br />

“Ma ci hai detto che fu lui ad occuparsi dei pastori. E allora perché lui non disse, a loro prima, a Te<br />

poi, che gli uni cercavano l’Altro?”<br />

“Zaccaria era un giusto tutto uomo. Divenne meno uomo e più giusto nei nove mesi di mutismo, si<br />

perfezionò nei mesi successivi alla nascita di Giovanni, ma divenne uno spirito giusto quando sulla<br />

sua superbia di uomo cadde la smentita di <strong>Dio</strong>. Aveva detto: ‘<strong>Io</strong>, sacerdote di <strong>Dio</strong>, dico che a<br />

Betlemme deve vivere il Salvatore’ e <strong>Dio</strong> gli aveva mostrato come il giudizio, anche sacerdotale, se<br />

non è illuminato da <strong>Dio</strong> è un povero giudizio. Sotto l’orrore del pensiero: ‘Potevo fare uccidere<br />

Gesù per la mia parola’ Zaccaria divenne il giusto, che ora riposa attendendo il Paradiso. E giustizia<br />

gli insegnò prudenza e carità. Carità verso i pastori, prudenza verso il mondo al quale doveva essere<br />

sconosciuto il Cristo. Quando, di ritorno in patria, ci dirigemmo a Nazaret, per la stessa prudenza<br />

che ormai guidava Zaccaria, evitammo Ebron e Betlemme e costeggiando il mare tornammo in<br />

Galilea. Neppure il giorno della mia maggiore età fu possibile vedere Zaccaria, partito il giorno<br />

avanti col suo fanciullo per la stessa cerimonia.<br />

<strong>Dio</strong> vegliava, <strong>Dio</strong> provava, <strong>Dio</strong> provvedeva, <strong>Dio</strong> perfezionava. Avere <strong>Dio</strong> è anche avere sforzo, non


solo avere gioia. E sforzo ebbero il padre mio d’amore, e la Madre mia d’anima e di carne. Anche il<br />

lecito fu vietato, perché il mistero fasciasse d’ombra il Messia fanciullo.<br />

E questo spieghi, a molti che non comprendono, la ragione duplice dell’affanno quando fui smarrito<br />

per tre giorni. Amore di madre, amore di padre per il fanciullo smarrito, tremore ci custodi per il<br />

Messia che poteva essere disvelato anzi tempo, terrore di avere mal tutelato la Salute del mondo e il<br />

grande dono di <strong>Dio</strong>. Questo il motivo dell’insolito grido: ‘Figlio, perché ci hai fatto questo? Tuo<br />

padre ed io, angustiati, ti cercavamo!’. Tuo padre, tua madre.... <strong>Il</strong> velo gettato sul fulgore del divino<br />

Incarnato. E la rassicurante risposta: ‘Perché mi cercavate? Non sapevate che <strong>Io</strong> devo essere attivo<br />

nelle cose del Padre mio?’. Risposta raccolta e compresa dalla Piena di Grazia per quanto essa vale,<br />

ossia: ‘Non abbiate tema. Piccolo sono, un fanciullo. Ma se cresco, secondo umanità, in satura,<br />

sapienza e grazia agli occhi degli uomini, <strong>Io</strong> sono il Perfetto in quanto sono il Figlio del Padre e<br />

perciò so regolarmi con perfezione, servendo il Padre col farne splendere la luce, servendo <strong>Dio</strong> col<br />

conservagli il Salvatore’ . E così feci fino a or è un anno.<br />

Ora il tempo è giunto. Si alzano i veli. E il Figlio di Giuseppe si mostra nella sua natura: il Messia<br />

della Buona Novella, il Salvatore, il Redentore e il Re del secolo futuro.”<br />

“E non vedesti mai più Giovanni?”<br />

“Solo al Giordano, Giovanni mio, quando volli il Battesimo.”<br />

“Sicché Tu non sapevi che Zaccaria aveva fatto del bene a questi?”<br />

“Ti ho detto: dopo il bagno di sangue innocente i giusti divennero santi, gli uomini divennero giusti.<br />

Solo i demoni rimasero quel che erano. Zaccaria imparò a santificarsi con l’umiltà, la carità, la<br />

prudenza, il silenzio.”<br />

“<strong>Io</strong> voglio ricordare tutto questo. Ma lo potrò?” dice Pietro.<br />

“Sta’ buono, Simone. Domani mi faccio ripetere tutto dai pastori. Con pace. Nel frutteto. Uno, due,<br />

tre volte se occorre. <strong>Io</strong> ho buona memoria, esercitata al mio banco, e ricorderò per tutti. Quando<br />

vorrai ti potrò ripetere tutto. Non tenevo neppure le note a Cafarnao, eppure...” dice Matteo.<br />

“Oh! non ti sbagliavi di un didramma!... Me lo ricordo... Bene!... Te lo perdono il passato, ma<br />

proprio di cuore, se ti ricordi questo racconto... e se me lo dici sovente. Voglio mi entri in cuore<br />

come è in questi... come lo ebbe Giona.... Oh! morire dicendo il suo Nome!”<br />

Gesù guarda Pietro e sorride. Poi si alza e lo bacia sul capo brizzolato.<br />

“Perché, Maestro, questo tuo bacio?”<br />

“Perché fosti profeta. Tu morrai dicendo il mio Nome. Ho baciato lo Spirito che parlava in te.”<br />

Poi Gesù intona forte un salmo e tutti, in piedi, fanno eco: ‘Alzatevi e benedite il Signore vostro<br />

<strong>Dio</strong>, di eternità in eternità. Sia benedetto il suo Nome sublime e glorioso con ogni lode e<br />

benedizione. Tu solo sei il Signore. Tu hai fatto il cielo e il cielo dei cieli e tutto il loro esercito, la<br />

terra e tutto quello che contiene ecc (è l’inno cantato dai leviti alla festa della consacrazione del<br />

popolo, cap.IX del II libro di Esdra)” e tutto ha termine con questo lungo canto, che non so se sia<br />

nel rito antico o se Gesù lo dica di suo.<br />

137. Gesù torna all’Acqua Speciosa, che però deve abbandonare.<br />

15 aprile 1945.<br />

Gesù traversa insieme ai suoi apostoli i campi piatti dell’Acqua Speciosa. La giornata è piovosa e il<br />

luogo deserto. Deve essere verso mezzogiorno, perché quella larva di sole che esce ogni tanto da<br />

dietro il sipario bigio delle nuvole, scende a perpendicolo.<br />

Gesù parla con l’Iscariota, al quale dà l’incarico di andare al paese per gli acquisti più urgenti.<br />

Quando resta solo lo raggiunge Andrea e, sempre timido, dice piano: “Mi ascolti, Maestro?”<br />

“Sì. Vieni con Me, avanti” e allunga il passo, seguito dall’apostolo, dilungandosi di qualche metro<br />

dagli altri.<br />

“La donna non c’è più, Maestro!” dice accorato Andrea. E spiega: “L’hanno percossa ed è fuggita.<br />

Era ferita e sanguinava. <strong>Il</strong> fattore l’ha vista. Sono andato avanti dicendo che andavo a vedere se non


c’erano insidie, ma era perché volevo andare subito da lei. Speravo tanto di portarla alla Luce! Ho<br />

tanto pregato in questi giorni per questo!... Ora è fuggita! Si perderà. Sapessi dove è la<br />

raggiungerei... Non direi questo agli altri, ma a Te sì, perché mi capisci. Sai che non c’è senso in<br />

questa ricerca, ma solo desiderio - oh! tanto grande da essere un tormento - di portare in salvo una<br />

mia sorella...”<br />

“Lo so, Andrea, e ti dico: anche così come sono andate le cose, il tuo desiderio si compirà. Non è<br />

mai perduta la preghiera fatta in tal senso. <strong>Dio</strong> la usa ed ella si salverà.”<br />

“Tu lo dici? Oh! il mio dolore si fa più dolce!”<br />

“Non vorresti sapere che ne è di lei? Non ti importa neppure di non essere tu quello che me la<br />

condurrai? Non chiedi come farà?”. Gesù sorride dolcemente, con tutto un brillare di luce nelle<br />

pupille azzurre chinate sull’apostolo che gli cammina al fianco. Uno di quei sorrisi e di quegli<br />

sguardi che costituiscono uno dei segreti di Gesù per conquistare i cuori.<br />

Andrea coi suoi dolci occhi castani lo guarda e dice: “Mi basta sapere che venga a Te. Poi, io o un<br />

altro, che fa? Come farà? Questo Tu lo sai e a me non necessita di saperlo. Ho tutto nella tua<br />

assicurazione e sono felice.”<br />

Gesù gli passa il braccio dietro le spalle e lo attira a Sé in un abbraccio affettuoso che porta<br />

all’estasi il buon Andrea. E parla tenendolo così: “Questo è il dono del vero apostolo. Vedi, amico<br />

mio, la tua vita e quella degli apostoli futuri sarà sempre fatta così. Qualche volta saprete di essere i<br />

‘salvatori’. Ma il più delle volte salverete senza sapere di avere salvato le persone che più vorreste<br />

salvare. Solo in Cielo verrete venirvi incontro, o salire al Regno eterno, i vostri salvati. E il vostro<br />

giubilo di beati aumenterà per ogni salvato. Qualche volta lo saprete dalla terra. Sono le gioie che vi<br />

do per infondervi un vigore ancor maggiore per nuove conquiste. Ma beato che quel sacerdote che<br />

non necessiterà di questi sproni per fare il proprio dovere! Beato quello che non si accascia per non<br />

vedere trionfi e dice: ‘Non faccio più nulla perché non ho soddisfazione!’ La soddisfazione<br />

apostolica, tenuta come unico incentivo al lavoro, mostra non formazione apostolica, avvilisce<br />

l’apostolato, cosa spirituale, a livello di un comune lavoro umano. Non bisogna mai cadere<br />

nell’idolatria del ministero. Non siete voi quelli che devono essere adorati. Ma il Signore Iddio<br />

vostro. A Lui solo la gloria dei salvati. A voi l’opera di salvazione, rimettendo al tempo del Cielo la<br />

gloria di essere stati dei ‘salvatori’. Ma mi dicevi che il fattore l’ha vista. Racconta.”<br />

“Tre giorni dopo che eravamo partiti, sono venuti dei farisei a cercarti. Non ci hanno trovato, è<br />

naturale. Hanno girato il paese e le case della campagna mostrandosi ansiosi di Te. Ma nessuno lo<br />

ha creduto. Si sono messi all’albergo, sbrattandolo superbamente da tutti quelli che c’erano perché,<br />

dicevano, non volevano contatti con estranei ignoti che potevano anche profanarli. E tutti i giorni<br />

andavano alla casa. Dopo qualche giorno hanno trovato la poverina che andava sempre là perché<br />

forse sperava trovarti e avere la sua pace. E l’hanno fatta fuggire, inseguendola fino al suo ricovero<br />

nella stalla del fattore. Subito non l’hanno aggredita, perché egli era venuto fuori coi figli, e armati<br />

di randelli. Ma poi, a sera, quando lei è uscita, sono tornati, ed erano insieme ad altri e, quando ella<br />

fu alla fonte, a sassate l’hanno presa chiamandola ‘meretrice’ e additandola all’obbrobrio del paese.<br />

E poiché lei fuggiva, l’hanno raggiunta, malmenata, le hanno strappato il velo e il mantello perché<br />

tutti la vedessero e ancora l’hanno picchiata, imponendosi con la loro autorità al sinagogo perché la<br />

maledicesse per farla lapidare e maledicesse Te che l’avevi portata in paese. Ma lui non lo ha voluto<br />

fare e ora attende l’anatema del Sinedrio. <strong>Il</strong> fattore l’ha strappata dalle mani di quei manigoldi e l’ha<br />

soccorsa. Ma nella notte lei se ne è andata lasciando un bracciale con una parola scritta su un<br />

brandello di pergamene. Ha scritto: ‘Grazie. Prega per me.’ <strong>Il</strong> fattore dice che è giovane e<br />

bellissima, benché molto pallida e magra. L’ha cercata per le campagne, perché era molto ferita.<br />

Ma non l’ha trovata. E non sa come possa essere andata lontano. Forse è morta così, in qualche<br />

posto... e non si è salvata...<br />

“No.”<br />

“No? Non è morta? O non si è perduta?”<br />

“La volontà di redenzione è già assoluzione. Anche fosse morta, sarebbe perdonata, perché ha<br />

cercato la Verità mettendosi sotto i piedi l’Errore. Ma non è morta. Sale le prime pendici del monte<br />

della redenzione. <strong>Io</strong> la vedo... Curva sotto il suo pianto di pentimento; ma il pianto la fa sempre più


forte, mentre il peso decresce. <strong>Io</strong> la vedo. Procede incontro al Sole. Quando avrà salito tutta la<br />

china, ella sarà nella gloria del Sole-<strong>Dio</strong>. Sale... Aiutala col tuo pregare!”<br />

“Oh! mio Signore!” Andrea è quasi esterrefatto di potere aiutare un’anima alla sua santificazione.<br />

Gesù sorride più dolce ancora. Dice: “Bisognerà aprire le braccia e il cuore al perseguitato sinagogo<br />

e andare a benedire il buon fattore. Andiamo dai compagni. A dirlo loro.”<br />

Ma mentre, rifacendo il cammino già fatto, raggiungono i dieci che si sono fermati in disparte<br />

comprendendo che Andrea è in colloquio segreto col Maestro, viene di corsa l’Iscariota. Pare un<br />

farfallone che corra sul prato, tanto corre veloce col mantello che gli svolazza dietro e facendo con<br />

le braccia una vera giostra di segni.<br />

“Ma che ha?” chiede Pietro. “E’ diventato matto?”<br />

Prima che nessuno possa rispondergli, l’Iscariota, giunto vicino, può gridare col fiato mozzo:<br />

“Ferma, Maestro. Ascoltami prima di andare alla casa.... Insidia c’è. Oh! che vigliacchi!...” e corre.<br />

Eccolo giunto: “O Maestro! Non si può andate là! I farisei sono in paese e tutti i giorni vanno alla<br />

casa. Ti aspettano per nuocerti. Mandano via chi viene a cercarti. Con anatemi orrendi li<br />

spauriscono. Che vuoi fare? Qui saresti perseguitato e la tua opra resa nulla...Uno di loro mi ha<br />

visto e mi ha aggredito. Un brutto vecchio nasuto che mi conosce, perché è uno degli scribi del<br />

Tempio. Perché ci sono anche degli scribi. Mi ha aggredito afferrandomi con le sue zampe unghiute<br />

e insultandomi con la sua voce di falco. Finché ha insultato me e mi ha graffiato, guarda... (e mostra<br />

un polso e una guancia decorati di chiari segni di unghie) l’ho lasciato fare. Ma quando ha sbavato<br />

su di Te, l’ho preso per il collo...”<br />

“Ma Giuda” urla Gesù.<br />

“No, Maestro. Non l’ho strozzato. Gli ho solo impedito di bestemmiarti e poi l’ho lasciato andare.<br />

Ora è là che muore di paura per il pericolo corso.... Ma noi andiamo via, te ne prego. Tanto nessuno<br />

potrebbe più venire a Te...”<br />

“Maestro!”<br />

“Ma è un orrore!”<br />

“Giuda ha ragione!”<br />

“Come iene all’agguato sono!”<br />

“Fuoco del Cielo che scendesti su Sodoma, a che non torni?”<br />

“Ma sai che sei stato bravo, ragazzo? Peccato che non c’ero anche io; ti avrei aiutato.”<br />

“Oh! Pietro! se c’eri anche tu, quel falchetto aveva per sempre perduto le penne e la voce.”<br />

“Ma come hai fatto a ... a non andare fino in fondo?”<br />

“Mah! Un lampo nella mente. il pensiero venuto da chissà qual fondo di cuore: ‘<strong>Il</strong> Maestro<br />

condanna la violenza’, e mi sono fermato, avendone un urto ancor più profondo di quello che<br />

avevo ricevuto dal muro contro cui mi aveva gettato lo scriba quando mi aveva aggredito. Ne ho<br />

avuto i nervi come spezzati... tanto che dopo non avrei avuto più forza di infierire. Che fatica<br />

vincersi!...”<br />

“Sei proprio stato bravo! Vero, Maestro? Non esprimi il tuo pensiero?”<br />

Pietro è tanto felice dell’atto di Giuda che non vede come Gesù sia passato dal luminoso viso di<br />

prima ad un volto severo, che gli scurisce lo sguardo e gli serra la bocca che pare farsi più sottile.<br />

Le apre per dire: “<strong>Io</strong> dico che sono più disgustato del vostro modo di pensare che della condotta dei<br />

giudei. Loro sono dei disgraziati nelle tenebre. Voi, che siete con la Luce, siete duri, vendicativi,<br />

mormoratori, violenti, approvatori dell’atto brutale come loro. Vi dico che mi date la prova di essere<br />

sempre quelli che eravate quando mi vedeste per la prima volta. E ne ho dolore. Riguardo ai farisei<br />

sappiate che Gesù Cristo non fugge. Voi ritiratevi. <strong>Io</strong> li affronto. Non sono un vile. Quando avrò<br />

parlato con loro e non li avrò persuasi, mi ritirerò. Non si deve dire che <strong>Io</strong> non ho cercato con ogni<br />

mezzo di attirarli a Me. Sono essi pure figli di Abramo. <strong>Io</strong> faccio il mio dovere fino in fondo. La<br />

loro condanna deve essere causata unicamente dalla loro mala volontà e non da una mia trascuranza<br />

verso loro.”<br />

E Gesù va verso la casa, che mostra il suo tetto basso oltre la riga degli alberi spogli. Gli apostoli lo<br />

seguono a capo basso, parlando piano fra loro.<br />

Eccoli alla casa. Entrano nella cucina in silenzio. E si dànno da fare intorno al focolare. Gesù si


assorbe nel suo pensiero.<br />

Stanno per prendere il cibo quando un gruppo di persone si mostra alla porta. “Eccoli” bisbiglia<br />

l’Iscariota.<br />

Gesù si alza subito e va verso di loro. E’ imponente tanto che il gruppetto arretra per un attimo. Ma<br />

il saluto di Gesù li rassicura: ‘La pace sia con voi. Che volete?”<br />

Allora i vili credono di poter tutto osare e arrogantemente intimano: “In nome della Legge santa ti<br />

ordiniamo di lasciare questo luogo, Tu, turbatore delle coscienze, violatore della Legge, corruttore<br />

delle tranquille città di Giuda. Non temi la punizione del Cielo, Tu scimmiottatore del Giusto che<br />

battezza al Giordano, Tu che proteggi le meretrici? Via dalla terra santa di Giuda! Che il tuo alito<br />

non giunga da qui entro la cinta della città sacra.”<br />

“<strong>Io</strong> nulla faccio di male. Insegno come rabbi, guarisco come taumaturgo, caccio i demoni come<br />

esorcista. Queste categorie sono pure il Giuda. E <strong>Dio</strong>, che le vuole, le fa rispettare e venerare da voi.<br />

<strong>Io</strong> non chiedo venerazione. Chiedo solo di lasciarmi fare del bene a coloro che hanno infermità<br />

nella carne, nella mente, o nello spirito. Perché me lo vietate?”<br />

“Tu sei posseduto. Vattene”.<br />

“L’insulto non è una risposta. <strong>Io</strong> vi chiedo perché me lo vietate, mentre agli altri lo permettete”.<br />

“Perché sei un posseduto e scacci demoni e fai miracoli con l’aiuto dei demoni.”<br />

“E i vostri esorcisti allora? Con l’aiuto di chi lo fanno?”<br />

“Con la loro vita santa. Tu sei un peccatore. E per aumentare la tua potenza, ti servi delle peccatrici,<br />

perché nel connubio si aumenta il possesso della forza demoniaca. La nostra santità ha purificato la<br />

zona dalla tua complice. Ma non permettiamo che Tu resti qui, per non attirare altre femmine.”<br />

“Ma è casa vostra questa?” chiede Pietro che è venuto vicino al Maestro con aspetto poco<br />

raccomandabile.<br />

“Non è casa nostra. Ma tutto Giuda e tutto Israele è nelle mani sante dei puri di Israele.”<br />

“Che sareste voi!” termina l’Iscariota, venuto anche lui sull’uscio e che termina con una risata<br />

beffarda. E poi chiede: “E l’altro amico vostro dove é? Trema ancora? O vergognosi, andatevene! E<br />

subito. Altrimenti vi farò pentire di...”<br />

“Silenzio, Giuda. E tu, Pietro, torna al tuo posto. Udite voi, farisei e scribi. Per il vostro bene, per<br />

pietà dell’anima vostra, <strong>Io</strong> vi prego di non combattere il Verbo di <strong>Dio</strong>. Venite a Me. <strong>Io</strong> non vi odio.<br />

Capisco la vostra mentalità e la compatisco. Ma vi voglio portare ad una mentalità nuova, santa,<br />

capace di santificarvi e darvi il Cielo. Ma credete che <strong>Io</strong> sia venuto per combattervi? Oh! no! <strong>Io</strong><br />

sono venuto per salvarvi. Sono venuto per questo. Vi prendo sul cuore. Vi chiedo amore e intelletto.<br />

Appunto perché siete i più sapienti in Israele, dovete comprendere più di tutti la verità. Siate anima<br />

e non corpo. Volete che <strong>Io</strong> ve ne supplichi in ginocchio? La posta è tale - l’anima vostra - che sotto i<br />

piedi mi metterei per conquistarla al Cielo, sicuro che il Padre non reputerebbe errore il mio<br />

umiliarmi. Dite! Dite una parola a Me che attendo!”<br />

“Maledizione diciamo.”<br />

“Va bene. E’ detto. Andate pure. <strong>Io</strong> pure andrò.” E Gesù volge le spalle tornando al suo posto.<br />

Curva il capo sul tavolo e piange.<br />

Bartolomeo chiude la porta perché nessuno dei crudeli che lo hanno insultato, e che se ne stanno<br />

andando con minacce e bestemmie al Cristo, veda questo pianto.<br />

Un lungo silenzio, poi Giacomo d’Alfeo carezza sul capo il suo Gesù e dice: “Non piangere. Noi ti<br />

amiamo. Anche per loro.”<br />

Gesù alza il suo volto e dice: “Non piango per Me. Piango per loro che si uccidono, sordi ad ogni<br />

invito.”<br />

“Che faremo ora, Signore?” chiede l’altro Giacomo.<br />

“Andremo in Galilea. Domani mattina partiremo.”<br />

“Non oggi, Signore?”<br />

“No. Devo salutare i buoni del luogo. E voi verrete con Me.”


138. Commiato dal fattore dell’Acqua Speciosa e dal sinagogo Timoneo, che<br />

diviene discepolo.<br />

16 aprile 1945.<br />

“Signore, io non ho fatto che il mio dovere verso <strong>Dio</strong>, verso il mio padrone e verso l’onestà di<br />

coscienza. Quella donna io l’ho sorvegliata in questo tempo che era mia ospite e l’ho vista sempre<br />

onesta. Sarà anche stata una peccatrice. Ora non lo è. Perché devo indagare su un passato sul quale<br />

ella ha messo una cancellatura per annullarlo? <strong>Io</strong> ho figli giovanotti e non brutti. Lei non ha mai<br />

mostrato mai il suo volto, veramente bello, né fatto udire la sua parola. Posso dire che ho sentito il<br />

tono della sua voce d’argento quando urlò per la ferita. Altrimenti ella, quel poco che chiedeva, e<br />

sempre a me o alla moglie mia, lo sussurrava dietro il velo, e così piano che quasi non si capiva.<br />

Vedi anche come fu prudente. Quando temette che la sua presenza potesse nuocere, se ne andò... <strong>Io</strong><br />

le avevo promesso difesa e aiuto. Ma lei non se ne valse. No. Così non fanno le donne perdute! <strong>Io</strong><br />

pregherò per lei, come lei ha chiesto, e anche senza questo ricordo. Tienilo, Signore. Fanne<br />

elemosina, e a suo bene. Fatta da te, le varrà certo pace.”<br />

<strong>Il</strong> fattore parla rispettosamente a Gesù. E’ un bell’uomo dal volto onesto e dal corpo tarchiato.<br />

Dietro a lui sono sei giovinottoni simili al padre, sei volti schietti ed intelligenti, e vi è la moglie,<br />

una donnina sottile e tutta dolcezza, che ascolta il suo uomo come ascolterebbe un dio, annuendo di<br />

continuo col capo.<br />

Gesù prende il bracciale d’oro e lo passa a Pietro dicendo: “Per i poveri.” Poi si rivolge al fattore:<br />

“Non tutti hanno la tua rettezza in Israele. Tu sei sapiente, perché distingui il bene dal male e segui<br />

il bene senza valutare l’utilità umana di farlo. In nome dell’eterno Padre <strong>Io</strong> benedico te, i tuoi figli,<br />

la tua sposa, la tua casa. Conservatevi sempre in queste disposizioni di spirito e il Signore sarà<br />

sempre con voi, e avrete la vita eterna. <strong>Io</strong> ora vado. Ma non è detto che mai più ci si riveda. <strong>Io</strong><br />

tornerò e voi potrete sempre venire a Me. Per quanto avete fatto per Me e per quella povera<br />

creatura, <strong>Dio</strong> vi dia la sua pace.”<br />

<strong>Il</strong> fattore, i figli, ultima la donna, si inginocchiano e baciano i piedi di Gesù, che dopo un ultimo<br />

gesto di benedizione si allontana insieme ai discepoli, dirigendosi verso il paese.<br />

“E se ci sono ancora quei brutti esseri?” chiede Filippo.<br />

“Non si può impedire a nessuno di parlare per le vie della terra” risponde Giuda d’Alfeo.<br />

“No. Ma noi per loro siamo ‘anatema’.”<br />

“Oh! lasciali fare! Te ne preoccupi?”<br />

“<strong>Io</strong> non me ne preoccupo altro che perché il Maestro non vuole le violenze. E loro, che lo sanno, se<br />

ne avvalgono” brontola Pietro fra la barba. E certo crede che Gesù, che parla con Simone e<br />

l’Iscariota, non senta.<br />

Ma Gesù sente e si volta per metà severo, per metà sorridente e dice: “Tu credi che <strong>Io</strong> vincerei<br />

facendo violenza? Ma questo è un povero sistema umano e che serve, temporaneamente, per vittorie<br />

umane. Quanto tempo dura la sopraffazione? Finché da se stessa genera nei sopraffatti delle<br />

reazioni che, riunendosi, formano una violenza maggiore, che abbatte la sopraffazione preesistente.<br />

<strong>Io</strong> non voglio un regno temporaneo. <strong>Io</strong> voglio un regno eterno: il Regno dei Cieli. Quante volte ve<br />

l’ho detto? Quante volte ve lo dovrò dire? Lo capirete mai? Sì. Verrà il momento che lo capirete.”<br />

“Quando, Signor mio? <strong>Io</strong> ho fretta di capire per essere meno ignorante” dice Pietro.<br />

“Quando? Quando sarete macinati come il grano fra le pietre del dolore e del pentimento. Potreste,<br />

anzi dovreste capire prima. Ma per fare tutto questo dovreste spezzare la vostra umanità e lasciare<br />

libero lo spirito. E questa forza su voi stessi non la sapete fare. Ma capirete... capirete. E allora,<br />

anche, capirete che non potevo usare violenza, mezzo umano, a stabilire il Regno dei Cieli: il Regno<br />

dello spirito. Ma intanto non abbiate paura. Quegli uomini che vi dànno pensiero non ci faranno<br />

nulla. A loro basta di avermi cacciato.”<br />

“Ma non era più facile fare avvisare il sinagogo di venire dal fattore, o di attenderci sulla via<br />

maestra?”<br />

“Oh! che uomo prudente è oggi il mio Tommaso! Ma no che non era facile. O meglio: era più facile,<br />

ma non era giusto. Egli ha mostrato eroismo per Me e nella sua casa fu insolentito per causa mia. E’


giusto che <strong>Io</strong>, nella sua casa, lo vada a consolare.”<br />

Tommaso si stringe nelle spalle e non parla più.<br />

Ecco il paese, vasto ma molto rurale con case fra i frutteti, ora spogli, e con molti ovili. Deve essere<br />

un posto atto alla pastorizia, perché vi è un grande belare da tutte le parti per greggi che vanno o<br />

vengono dai pascoli della pianura. La solita crocevia di vie che ha, nel luogo dove si incrocia, la<br />

piazza con la fontana al centro. E lì è la casa del sinagogo.<br />

Apre una donna anziana che ha chiari segni di pianto sul volto. Pure, vedendo il Signore, ha un<br />

moto di gioia e si prostra con una benedizione.<br />

“Alzati, madre. Sono venuto per dirvi addio. Dove è tuo figlio?”<br />

“E’ là...” e accenna una stanza in fondo alla casa. “Sei venuto a consolarlo? <strong>Io</strong> non sono capace...”<br />

“E’ dunque sconsolato? Si duole di avermi difeso?”<br />

“No, Signore. Ma è preso da uno scrupolo. Ma Tu l’udrai. Lo chiamo.”<br />

“No. Vado <strong>Io</strong>. Voi attendete qui. Andiamo, donna.”<br />

Gesù fa i pochi metri del vestibolo, spinge l’uscio, entra nella stanza, si avvicina piano ad un uomo<br />

seduto, curvo verso terra, assorto in dolorose meditazioni.<br />

“La pace a te, Timoneo.”<br />

“Signore! Tu!”<br />

“<strong>Io</strong>. Perché tanto triste?”<br />

“Signore... io... Mi hanno detto che ho peccato. Mi hanno detto che sono anatema. <strong>Io</strong> mi esamino. E<br />

non mi pare d’esserlo. Ma loro sono i santi d’Israele, ed io il povero sinagogo. Certo hanno ragione.<br />

Ora io non oso più alzare lo sguardo al volto corrucciato di <strong>Dio</strong>. E ne avrei tanto bisogno in<br />

quest’ora! <strong>Io</strong> lo servivo con vero amore e cercavo di farlo conoscere. Ora sarò privato di questo<br />

bene, perché il Sinedrio certo mi maledice.”<br />

“Ma il dolore quale é? Di non essere più sinagogo, o di essere impossibilitato a parlare di <strong>Dio</strong>?”<br />

“Ma è questo, Maestro, che mi dà dolore! Penso che Tu dica se mi spiace di non essere sinagogo per<br />

l’utile e l’onore che se ne trae. Di questo non mi curo. Non ho che mia madre e che è nativa di Aera,<br />

dove ha una piccola casa. <strong>Il</strong> tetto per lei, e di che vivere per lei c’è. Per me... sono giovane.<br />

Lavorerò. Ma non oserò mai più parlare di <strong>Dio</strong>, io che ho peccato.”<br />

“Perché hai peccato?”<br />

“Dicono che sono complice del... O Signore! Non mi fare dire!...”<br />

“No. <strong>Io</strong> non lo dico. Non lo dico neppure. <strong>Io</strong> a te sappiamo le loro accuse ed <strong>Io</strong> e te sappiamo che<br />

non sono vere. Perciò tu non hai peccato. <strong>Io</strong> te lo dico.”<br />

“Allora io posso ancora alzare lo sguardo all’Onnipotente? Ti posso...”<br />

“Che, figlio?” Gesù è tutto dolcezza mentre si curva sull’uomo, che si è arrestato bruscamente come<br />

intimorito. “Che? <strong>Il</strong> Padre mio lo cerca il tuo sguardo, lo vuole. Ed <strong>Io</strong> voglio il tuo cuore e il tuo<br />

pensiero. Sì, il Sinedrio ti colpirà. <strong>Io</strong> ti apro le braccia e dico: ‘Vieni’. Vuoi essere un mio<br />

discepolo? <strong>Io</strong> vedo in te quanto è necessario per essere un operaio del Padrone eterno. Vieni alla<br />

mia vigna...”<br />

“Ma dici davvero, Maestro? Madre... ma senti? <strong>Io</strong> sono felice, madre mia! <strong>Io</strong>... benedico questo<br />

dolore perché mi ha dato questa gioia. Oh! facciamo gran festa, madre. E poi andrò col Maestro, e<br />

tu tornerai alla tua casa. Vengo subito, Signor mio, che hai annullato ogni mio timore, e dolore e<br />

paura di <strong>Dio</strong>.”<br />

“No. Tu attenderai la parola del Sinedrio. Con cuore sereno e senza livore. Tu al tuo posto, finché a<br />

quel posto sei lasciato. Poi mi raggiungerai a Nazaret o a Cafarnao. Addio. La pace sia con te e con<br />

la madre tua.”<br />

“Non ti fermi nella mia casa?”<br />

“No. Verrò nella casa di tua madre.”<br />

“E’ paese poco fedele.”<br />

“Gli insegnerò fedeltà. Addio, madre. Sei felice, ora?” Gesù la carezza, come sempre fa con le<br />

donne anziane alle quali, noto, dà quasi sempre il nome di ‘madre’.<br />

“Felice, Signore. Avevo allevato un maschio al Signore. <strong>Il</strong> Signore me lo prende per servo del suo<br />

Messia. Ne sia benedetto il Signore. Benedetto Te che sei il suo Messia. Benedetta l’ora che qui sei


venuto. Benedetta la mia creatura chiamata al tuo servizio.”<br />

Benedetta sia la madre santa come Anna d’Elcana. La pace sia con voi.”<br />

Gesù esce, seguito dai due. Raggiunge i discepoli, saluta ancora e poi incomincia il ritorno verso la<br />

Galilea.


139. Sui monti presso Emmaus.<br />

<strong>Il</strong> carattere di Giuda Iscariota e le qualità dei buoni.<br />

17 aprile 1945.<br />

Gesù coi suoi è in un luogo molto montagnoso. La via è scomoda e aspra e i più anziani fanno una<br />

bella fatica. I giovani, invece, sono tutti lieti intorno a Gesù e salgono agili, chiaccherando tra loro.<br />

I due cugini, i due figli di Zebedeo e Andrea sono esilarati dal pensiero di tornare in Galilea, e la<br />

loro gioia è tale che avvince anche l’Iscariota, che da qualche tempo è nelle migliori disposizioni di<br />

spirito. Si limita a dire: “Però, Maestro, per Pasqua, quando si viene al Tempio... ci torni a Keriot?<br />

Mia madre spera sempre di averti. Me lo ha fatto sapere. E così i miei compaesani...”<br />

“Di certo. Ora, anche volendo, è troppo aspra stagione per mettersi per quelle vie impervie. Vedete<br />

come è faticoso anche qui. E, senza quella imposizione, non avrei intrapreso ora il cammino... Ma<br />

non si poteva più stare...”. Gesù tace, pensieroso.<br />

“E dopo, voglio dire: per Pasqua, si potrà venire? <strong>Io</strong> vorrei mostrare la tua grotta a Giacomo e ad<br />

Andrea” dice Giovanni.<br />

“Ti dimentichi l’amore di Betlem per noi?” chiede l’Iscariota. “Per il Maestro, anzi.”<br />

“No. Ma andrei io con Giacomo e Andrea. Gesù potrebbe stare a Jutta o a casa tua...”<br />

“Oh! questo mi piace. Lo farai, Maestro? Loro vanno a Betlemme, Tu stai con me a Keriot. Proprio<br />

con me solo non ci sei mai stato... e ne ho tanta voglia di averti tutto per me...”<br />

“Geloso sei? Non sai che <strong>Io</strong> vi amo tutti ad un modo? Non credi che <strong>Io</strong> sono con tutti voi, anche<br />

quando pare vi sia lontano?”<br />

“Lo so che ci ami. Se non ci amassi dovresti essere ben più severo, con me almeno. Credo che il tuo<br />

spirito vegli sempre su noi. Ma non siamo tutto spirito. C’è anche l’uomo, coi suoi amori d’uomo, i<br />

suoi desideri, i suoi rimpianti. Gesù mio, io so che non sono quello che più ti fa felice. Ma credo che<br />

Tu sappia come è vivo in me il desiderio di piacerti e il rimpianto per tutte le ore che ti perdo per la<br />

mia miseria...”.<br />

“No, Giuda. Non ti perdo. Ti sono più vicino che agli altri appunto perché conosco chi tu sei.”<br />

“Che sono, mio Signore? Dillo. Aiutami a capire cosa sono. <strong>Io</strong> non mi capisco. Mi pare di essere<br />

una donna turbata da voglie di concepimento. Ho appetiti santi e appetiti depravati. Perché? Che<br />

sono io?”<br />

Gesù lo guarda con uno sguardo indefinibile. E’ mesto, ma di una mestizia infusa di pietà. Tanta<br />

pietà. Sembra un medico che constati lo stato di un malato e sappia che è un malato che non può<br />

guarire... Ma non parla.<br />

“Dillo, Maestro mio. <strong>Il</strong> tuo giudizio sarà sempre il meno severo di tutti sul povero Giuda. E poi...<br />

siamo fra fratelli. Non mi importa che sappiano di che sono fatto. Anzi, sapendolo da Te,<br />

correggeranno il loro giudizio e mi aiuteranno. Non è vero?”<br />

Gli altri sono impacciati e non sanno che dire. Guardano il compagno, guardano Gesù.<br />

Gesù si attira vicino l’Iscariota, al posto dove prima era il cugino Giacomo, e dice: “Tu sei<br />

semplicemente un disordinato. Hai in te tutti gli elementi migliori. Ma non li hai ben fissi. E il<br />

minimo soffio di vento li scompagina. Poco fa siamo passati per quella gola e ci hanno mostrato il<br />

danno fatto, alle povere case di quel paesello, dall’acqua, dalla terra e delle piante. L’acqua, la terra,<br />

le piante sono cose utili e benedette, non è forse vero? Eppure lì sono divenute maledette. Perché?<br />

Perché l’acqua del torrente non aveva un corso ordinato, ma, anche per inerzia dell’uomo, si era<br />

scavata più letti, a seconda del suo capriccio. Ciò era bello finché non c’erano bufere. Allora era<br />

come un lavoro di gioielliere quell’acqua chiara che rigava il monte in piccoli rivi, vezzi di diamanti<br />

o collane di smeraldi a seconda che riflettevano la luce o l’ombra dei boschi. E l’uomo ne godeva<br />

perché erano utili, quelle chiaccherine vene d’acqua, per i suoi campicelli. Così come erano belle le<br />

piante nate, per scherzo dei venti, a capricciosi ciuffi or qua e or là, lasciando radure piene di sole. E<br />

bella era la terra soffice, deposta da chissà quali lontane alluvioni fra ondulazione e ondulazione del<br />

monte, così fertile per le colture. Ma è bastato che venissero le bufere di un mese fa perché le<br />

capricciose righe del torrente si unissero e disordinatamente traboccassero per altra via, travolgendo<br />

le disordinate piante e trascinando a valle i disordinati pezzi di terra. Se le acque fossero state tenute


ordinate, se le piante fossero state regolate in ordinati boschi, se la terra fosse stata ordinatamente<br />

sostenuta con opportuni ripari, ecco che i tre buoni elementi del legno, dell’acqua, del suolo non<br />

sarebbero divenuti rovina e morte per quel paesello. Tu hai intelligenza, ardimento istruzione,<br />

prontezza, prestanza, tante, tante cose hai. Ma sono selvaggiamente disposte in te e tu tali le lasci.<br />

Vedi: tu abbisogni di un lavoro paziente e costante su te stesso per mettere ordine, che è poi anche<br />

robustezza, nelle tue qualità, di modo che quando venga bufera di tentazione il buono che in te hai<br />

non divenga un male per te e per gli altri.”<br />

“Hai ragione, Maestro. Ogni tanto io vengo sconvolto da un vento e tutto si arruffa. E tu dico che io<br />

potrei...”<br />

“La volontà è tutto, Giuda.”<br />

“Ma ci sono tentazioni tanto mordenti... Ci si rintana per paura che il mondo ce lo legga sul volto.”<br />

“Ecco l’errore! Sarebbe proprio quello il momento di non rintanarsi. Ma di cercare il mondo, quello<br />

dei buoni per averne aiuto. Anche il contatto con la pace dei buoni calma la febbre. E cercare anche<br />

il mondo dei criticatori perché, per quell’orgoglio che spinge a nascondersi per non essere ‘letti’ nei<br />

nostri animi tentati, ciò farebbe un reagente alla debolezza morale. E non si cadrebbe.”<br />

“Tu ti sei messo nel deserto...”<br />

“Perché lo potevo fare. Ma guai ai soli se non sono, nella loro solitudine, moltitudine contro<br />

moltitudine.”<br />

“Come? Non capisco.”<br />

“Moltitudine di virtù contro moltitudine di tentazioni. Quando poca è la virtù, occorre fare come<br />

quest’edera molle: afferrarsi ai rami di alberi robusti, per salire.”<br />

“Grazie, Maestro. <strong>Io</strong> mi attacco a Te e ai compagni. Ma aiutatemi tutti. Voi siete tutti migliori di<br />

me.”<br />

“E’ stato migliore l’ambiente parco e onesto in cui siamo cresciuti, amico. Ma ora tu sei con noi, e<br />

noi ti vogliamo bene. Vedrai... Non è per criticare la Giudea, ma credi che in Galilea c’è, almeno nei<br />

nostri paesi, meno ricchezza e meno corruzione. Tiberiade, Magdala, altri luoghi di tripudio, ci sono<br />

vicini. Ma noi viviamo con la ‘nostra’ anima semplice, rozza, se vuoi, ma operosa, santamente<br />

contenta di ciò che da <strong>Dio</strong> ci è concesso” dice Giacomo di Alfeo.<br />

“Ma la mamma di Giuda è una santa donna, sai, Giacomo? Le si vede la bontà scritta sul viso”<br />

obietta Giovanni.<br />

Giuda di Keriot gli sorride felice della lode, e il suo sorriso aumenta quando Gesù conferma: “Hai<br />

detto bene, Giovanni. E’ una santa creatura.”<br />

“Eh! sì! Ma era sogno di mio padre di fare di me un grande del mondo, e mi ha staccato molto<br />

presto e troppo profondamente dalla madre mia...”<br />

“Ma che avete da dire che sempre parlate?” chiede da lontano Pietro. “Fermatevi! Aspettateci. Non<br />

è bello andare così senza pensare che io sono di gambe corte.”<br />

Si fermano finché l’altro gruppo li ha raggiunti.<br />

“Auf! Come ti voglio bene, barchetta mia! Qui si fatica come schiavi... Che dicevate?”<br />

“Dicevamo le qualità per essere buoni” risponde Gesù.<br />

“E a me non le dici, Maestro?”<br />

“Ma sì: ordine, pazienza, costanza, umiltà, carità... Le ho ben dette molte volte!”<br />

“Ma l’ordine no. Che c’entra?”<br />

“<strong>Il</strong> disordine non è mai buona qualità. L’ho spiegato a questi tuoi compagni. Te lo diranno. E l’ho<br />

messo per primo, mentre ho messo per ultima la carità, perché sono i due estremi della retta della<br />

perfezione. Ora tu sai che una retta messa in piano non ha principio e non ha fine. Ambedue gli<br />

estremi possono essere principio e possono essere fine, mentre di una spirale, o di un qualsiasi altro<br />

disegno che non sia chiuso in se stesso, vi è sempre un principio e una fine. La santità è lineare,<br />

semplice, perfetta, e non ha che due estremi, come la retta...”<br />

“E’ facile fare una retta...”<br />

“Lo credi? Ti sbagli. In un disegno, anche complicato, può passare inavvertito qualche difetto. Ma<br />

nella retta subito si vede ogni errore, o di pendenza o di incertezza. Giuseppe, quando mi insegnava<br />

il mestiere, insisteva molto nella dirittura delle tavole e giustamente mi diceva: ‘Vedi, figlio mio?


Può ancora passare una lieve imperfezione in un ornato o in un lavoro di tornio, perché l’occhio,<br />

non espertissimo, se osserva un punto non vede l’altro. Ma se un’asse non è dritta a dovere, neppure<br />

il più semplice lavoro, quale è una povera tavola da contadini, riesce. O pende o imbarca. Non serve<br />

più che al fuoco’. Possiamo dire questo anche per le anime. Per non servire più altro che al fuoco<br />

infernale, ossia per conquistare il Cielo, bisogna essere perfetti come un’asse piallata e squadrata a<br />

dovere. Chi inizia la sua lavorazione spirituale con disordine, cominciando dalle cose inutili,<br />

saltando, come un uccello irrequieto, da questo a quello, finisce che quando vuole riunire le parti<br />

del lavoro non riesce più. Non combinano. Perciò ordine. Perciò carità. Poi, tenendo fisse nelle due<br />

morse questi estremi, che non scappino mai, lavorare a tutto il resto, ornati o intagli che siano. Hai<br />

capito?”<br />

“Ho capito” Pietro si mastica in silenzio la sua lezione e conclude all’improvviso: “Allora mio<br />

fratello è più bravo di me. Lui è proprio ordinato. Un passo dopo l’altro, zitto, calmo. Sembra che<br />

non si muova e invece... <strong>Io</strong> vorrei fare presto e tanto. E non faccio nulla. Chi mi aiuta?”<br />

“<strong>Il</strong> tuo buon desiderio. Non temere, Pietro. Fai anche tu. Ti fai.”<br />

“E io?”<br />

“Anche tu, Filippo.”<br />

“E io? Mi pare di non essere proprio buono a nulla, io”<br />

“No, Tommaso. Anche tu lavori. Tutti, tutti vi lavorate. Siete alberi selvaggi, ma gli innesti vi<br />

cambiano lentamente e sicuramente, ed <strong>Io</strong> ho in voi la mia gioia.”<br />

“Ecco. Siamo tristi e Tu ci consoli. Deboli e ci fortifichi. Paurosi e ci dài coraggio. Per tutti, e per<br />

tutti i casi, hai pronto il consiglio e il conforto. Come fai, Maestro, ad essere sempre pronto e buono<br />

così?”<br />

“Amici miei, sono venuto per questo, sapendo già ciò che avrei trovato e ciò che dovevo fare. Senza<br />

illusioni non si hanno delusioni, non si perde perciò lena. Si va avanti. Ricordatevelo, per quando<br />

voi pure dovrete lavorare l’uomo animale per farne l’uomo spirituale.”


140. A Emmaus, dal sinagogo Cleofa. Un caso di incesto.<br />

Fine del primo anno.<br />

18 aprile 1945.<br />

Giovanni col fratello bussano ad una casa in un paese. Riconosco la casa dove entrarono i due di<br />

Emmaus con Gesù risorto. Quando viene loro aperto, entrano e parlano certo con qualcuno che non<br />

vedo, poi escono e vanno per una via, raggiungendo Gesù che è con gli altri fermo in un luogo<br />

appartato.<br />

“C’è, Maestro. Ed è tutto felice che Tu sia proprio venuto. Ci ha detto: “Andate a dirgli che la mia<br />

casa è sua. Ora vengo io pure.”<br />

“Andiamo, allora.”<br />

Camminano per qualche tempo e poi incontrano il vecchio sinagogo Cleofa visto all’Acqua<br />

Speciosa. Si inchinano a vicenda, ma poi il vecchione - sembra un patriarca - si inginocchia con<br />

venerabondo saluto. Dei cittadini, che vedono, si accostano curiosi.<br />

<strong>Il</strong> vecchio si alza e dice: “Ecco il promesso Messia. Ricordate questo giorno, o cittadini di<br />

Emmaus.”<br />

Chi osserva con curiosità tutta umana e chi ha sguardi di religioso ossequio. Due si fanno largo e<br />

dicono: “La pace sia a Te, Rabbi. C’eravamo noi pure quel giorno.”<br />

“La pace a voi e a tutti. Sono venuto, come me ne aveva pregato il vostro sinagogo.”<br />

“Farai miracoli qui pure?”<br />

“Se vi sono figli di <strong>Dio</strong> che credono e abbisognano del miracolo, certo <strong>Io</strong> lo farò.”<br />

<strong>Il</strong> sinagogo dice: “Coloro che vogliono udire il Maestro vengano alla sinagoga. E così chi ha dei<br />

malati. Posso dire questo, Maestro?”<br />

“Puoi. Dopo l’ora sesta <strong>Io</strong> sarò tutti per voi. Ora sono del buon Cleofa.”<br />

E, seguito da un codazzo di gente prosegue a fianco del vecchio sino alla sua casa.<br />

“Ecco mio figlio, Maestro. E la moglie mia. E la moglie di mio figlio e i piccoli bambini. Molto mi<br />

spiace che l’altro figlio sia, insieme al suocero di mio figlio Cleofa, a Gerusalemme insieme ad un<br />

infelice di qui... Ma ti dirò. Entra, Signore, coi tuoi discepoli.”<br />

Entrano e vengono ristorati con i soliti usi ebraici. Poi si avvicinano al fuoco che arde in un ampio<br />

camino, perché la giornata è umida e fredda.<br />

“Fra poco ci sederemo a mensa, Ho invitato i notabili del luogo. Gran festa, oggi. Non sono tutti<br />

credenti in Te. Ma neppure nemici. Sono solamente indagatori... Vorrebbero credere. Ma siamo stati<br />

delusi troppe volte, in questi ultimi tempi, sul Messia. C’è diffidenza. Basterebbe una parola del<br />

Tempio a sciogliere ogni dubbio. Ma il Tempio... <strong>Io</strong> ho pensato che vedendo Te e udendoti, così,<br />

semplicemente, molto si possa in questo senso. <strong>Io</strong> vorrei darti dei veri amici.”<br />

“Tu ne sei uno.”<br />

“Sono un povero vecchio, io. Fossi più giovane, ti seguirei. Ma gli anni pesano.”<br />

“Mi servi col tuo credere. Mi predichi con la tua fede. Stai quieto, Cleofa. <strong>Io</strong> non ti dimenticherò<br />

nell’ora della Redenzione.”<br />

“Ecco Simone con Erma. Stanno giungendo” avvisa il figlio del sinagogo.<br />

Si alzano tutti mentre entrano due di media età dall’aspetto signorile.<br />

“Questo è Simone, e questo è Erma, Maestro. Sono veri israeliti. Ma sinceri nell’animo loro.”<br />

“<strong>Dio</strong> si svela ai loro animi. La pace intanto scenda su essi. Senza pace non si ode <strong>Dio</strong>.”<br />

“E’ detto anche nel libro dei Re parlando di Elia”<br />

“Sono i tuoi discepoli questi?” chiede quello di nome Simone.<br />

“Sì.”<br />

“Ve ne sono di ogni età e luogo. E Tu sei galileo?”<br />

“Di Nazaret. Ma nato a Betlemme nel tempo del censo.”<br />

“Betlemmita, allora. Ciò conferma la tua figura.”<br />

“E’ una benigna conferma, per la debolezza umana. Ma la conferma è nel sovrumano.”<br />

“Nelle tue opere, vuoi dire” dice Erma.<br />

“In esse e nelle parole che lo Spirito accende sul mio labbro.”


“Mi sono state ripetute da chi ti udì. Veramente grande è la tua sapienza. E con questa intendi<br />

fondare il tuo Regno?”<br />

“Un re deve avere sudditi a conoscenza delle leggi del suo regno.”<br />

“Ma le tue leggi sono tutte spirituali.”<br />

“Lo hai detto, Erma. Tutte spirituali. <strong>Io</strong> avrò un regno spirituale. Ho dunque il codice spirituale.”<br />

“Ma la ricostruzione di Israele, allora?”<br />

“Non cadete nell’errore comune di prendere il nome Israele come quello che ha nel significato<br />

umano. Israele è detto per dire ‘Popolo di <strong>Dio</strong>’. <strong>Io</strong> ricostituirò la libertà e potenza vera di questo<br />

popolo di <strong>Dio</strong> e ricostituirò il medesimo col rendere al Cielo le anime, redente e sapienti degli eterni<br />

veri.”<br />

“Sediamo alle mense. Ve ne prego.” dice Cleofa che prende posto, con Gesù, al centro. Alla destra<br />

di Gesù è Erma e di fianco a Cleofa è Simone, poi il figlio del sinagogo, e agli altri posti i discepoli.<br />

Gesù, pregato dall’ospite, offre e benedice, e ha inizio il pasto.<br />

“Vieni da queste parti, Maestro?” dice Erma.<br />

“No. Vado in Galilea. Qui verrò di passaggio.”<br />

“Come? Lasci l’Acqua Speciosa?”<br />

“Sì, Cleofa.”<br />

“Vi venivano le turbe nonostante fosse inverno. Perché le deludi?”<br />

“Non <strong>Io</strong>. Così vogliono i puri d’Israele.”<br />

“Che? Perché? Che male facevi? La Palestina ha molti rabbi che parlano là dove vogliono. Perché<br />

ciò non è concesso a Te?”<br />

“Non indagare, Cleofa. Sei vecchio e saggio. Non mettere tossico di amara conoscenza nel tuo<br />

cuore.”<br />

“Ma forse Tu dicevi dottrine nuove, ritenute pericolose, oh! certo per errore di valutazione, dagli<br />

scribi e farisei? Quanto di Te sappiamo non ci sembra... vero Simone? Ma forse noi non sappiamo<br />

tutto. In che consiste per Te la Dottrina?” chiede Erma.<br />

“Nella conoscenza esatta del Decalogo. Nell’amore e nella misericordia. L’amore e la misericordia,<br />

questo respiro e questo sangue di <strong>Dio</strong>, sono la norma della mia condotta e della mia dottrina. E <strong>Io</strong><br />

ne faccio l’applicazione in tutti i frangenti della mia giornata.”<br />

“Ma questo non è una colpa! E’ bontà questa”<br />

“E’ giudicata colpa dagli scribi e farisei. Ma <strong>Io</strong> non posso mentire alla mia missione, né disubbidire<br />

a <strong>Dio</strong> che mi ha mandato come ‘Misericordia’ sulla terra. E’ venuto il tempo della Misericordia<br />

piena, dopo secoli di Giustizia. Essa è sorella alla prima. Come due nate da un solo seno; ma mentre<br />

prima era più forte la Giustizia, e l’altra temperava solo il rigore - perché non può <strong>Dio</strong> vietarsi di<br />

amare - ora è regina la Misericordia, e come ne giubila la Giustizia che tanto si doleva di dover<br />

punire! Se voi guardate bene, vedete agevolmente che sempre esse furono da quando l’Uomo<br />

obbligò <strong>Dio</strong> ad essere severo. <strong>Il</strong> sussistere dell’Umanità non è che la riprova di quanto dico. Nella<br />

stessa punizione ad Adamo è mescolata la misericordia. Poteva incenerirli nel loro peccato. Dette<br />

loro l’espiazione, e alla donna causa di ogni male, avvilita per questo esser causa del male, fece<br />

balenare una figura di Donna causa del bene. E ad ambi concesse i figli e le cognizioni della<br />

esistenza. All’uccisore Caino insieme alla giustizia concesse il segno, e che era misericordia, perché<br />

non fosse ucciso. E all’umanità corrotta concesse Noè per conservarla nell’arca, e indi promise il<br />

patto sempiterno di pace. Non più il feroce diluvio. Non più. La Giustizia fu piegata dalla<br />

Misericordia. Volete risalire con Me la sacra Storia fino al momento mio? Vedrete sempre, e sempre<br />

più vaste, ripetersi le onde dell’Amore. Ora è colmo il mare di <strong>Dio</strong>, e ti solleva, o Umanità, sulle sue<br />

acque dolci e serene, ti solleva al Cielo, mondata, bella, e ti dice: ‘Ti rendo al Padre mio’.”<br />

I tre sono assorti nella stupefazione di tanta luce d’amore. Poi Cleofa sospira: “Così è. Ma Tu solo<br />

sei tale! Che ne sarà di Giuseppe? Dovrebbe essere già stato ascoltato? Lo sarà stato?”<br />

Nessuno risponde.<br />

Cleofa si rivolge a Gesù: “Maestro, uno di Emmaus, il cui padre, un tempo, ha ripudiato la moglie,<br />

la quale andò a stabilirsi ad Antiochia con un fratello, proprietario di un emporio, è incorso in colpa<br />

grave. Egli non aveva mai conosciuto quella donna, cacciata, e non indago le cause, dopo pochi


mesi di matrimonio. Nulla aveva saputo di lei perché, naturalmente, il suo nome era proscritto da<br />

quella casa. Divenuto uomo ed ereditati dal padre i commerci e i beni, pensò di accasarsi, e avendo<br />

conosciuto a Joppe una donna, padrona di un ricco emporio, se l’è sposata. Ora, non so come fu<br />

saputo, si è reso noto che quella donna era figlia della moglie del padre di lui. Perciò peccato grave<br />

benché, a mio vedere, sia molto incerta la paternità della donna. Giuseppe, colpito da condanna, ha<br />

avuto distrutto in uno la sua pace di fedele e quella di marito. E, nonostante con grande dolore abbia<br />

ripudiato la moglie, forse sorella, la quale per il dolore fu presa da febbre ed è morta, egli non viene<br />

perdonato. In coscienza io dico che, se non c’erano dei nemici intorno al suo bene, egli non sarebbe<br />

stato così colpito. Tu che faresti?”<br />

“<strong>Il</strong> caso è molto grave, Cleofa. Quando sei venuto da Me, perché non me ne hai parlato?”<br />

“Non volevo allontanarti di qui...”<br />

“Oh! ma <strong>Io</strong> non sono cacciato da queste cose! Ora ascolta. Materialmente c’è incesto. E perciò c’è<br />

punizione. Ma la colpa, per essere moralmente colpa, deve avere a base la volontà di peccare.<br />

Quest’uomo ha scientemente commesso incesto? Tu dici di no. Allora dov’è la colpa? Voglio dire:<br />

la colpa dell’aver potuto peccare? Resta quella della convivenza con una figlia del proprio padre.<br />

Ma tu dici che è incerto se tale ella era. E se anche tale era, la colpa cessa col cessare della<br />

convivenza. Qui la cessazione è sicura non solo per il ripudio, ma per la sopraggiunta morte. Onde<br />

<strong>Io</strong> dico che l’uomo dovrebbe essere perdonato anche dall’apparente peccato. E dico che, posto che<br />

non c’è condanna per l’incesto regale, che dura alla luce del mondo, così si dovrebbe avere pietà di<br />

questo doloroso caso, la cui origine risale alla licenza di ripudio concessa da Mosè per evitare mali,<br />

se non più gravi, più numerosi. Quella licenza che <strong>Io</strong> condanno, perché l’uomo, bene o male che<br />

abbia contratto nozze, eve vivere col coniuge e non ripudiarlo favorendo adulteri e situazioni simili<br />

a questa. Inoltre, ripeto, nell’essere severi, bisogna esserlo con uguale misura con tutti. Prima anzi<br />

con se stessi e con i grandi. Ora, che <strong>Io</strong> mi sappia, nessuno, tolto il Battista, ha alzato la voce contro<br />

il peccato regale. Coloro che condannano sono immuni da colpe simili o peggiori, oppure ad esse<br />

fan da velo il nome e la potenza, così come il pomposo mantello fa da riparo al loro corpo, spesso<br />

malato per vizio?”<br />

“Bene hai detto, Maestro. Così è. Ma Tu, insomma, chi sei...?” chiedono insieme i due amici del<br />

sinagogo.<br />

Gesù non può rispondere perché si apre la porta ed entra Simone suocero di Cleofa figlio”<br />

“Ben tornato. Ebbene?”<br />

La curiosità è così viva, che nessuno pensa più al Maestro.<br />

“Ebbene... condanna assoluta. Neppure accettarono l’offerta del sacrificio. Giuseppe è reciso da<br />

Israele.”<br />

“Dove è?”<br />

“Lì fuori. E piange. Ho cercato di parlare coi più potenti. Mi hanno cacciato come un lebbroso.<br />

Ora... Ma... E’ la rovina di quell’uomo. I beni e l’anima. Che volete che faccia?”<br />

Gesù si alza e si avvia alla porta, senza una parola.<br />

<strong>Il</strong> vecchio Cleofa crede che Egli si sia offeso della trascuranza e dice: “Oh! perdona, Maestro! Ma è<br />

il dolore del fatto che mi turba la mente. Resta, te ne prego!”<br />

“Resto, Cleofa. Solo vado dall’infelice. Venite, se volete, con Me.”<br />

Gesù esce nel vestibolo. La casa ha una striscia di terreno davanti, delle piccole aiuole oltre le quali<br />

è la via. Buttato a terra sulla soglia è un uomo. Gesù gli va vicino a mani tese. Dietro sono tutti gli<br />

altri che cercano vedere.<br />

“Giuseppe, nessuno ti ha perdonato?” Gesù parla con tutta dolcezza.<br />

L’uomo sobbalza, udendo la voce tutta nuova e tutta buona dopo tante voci di condanna. Alza il<br />

volto e lo guarda stupito.<br />

“Giuseppe, nessuno ti ha perdonato?” torna a ripetere Gesù e si china a prendere le mani dell’uomo,<br />

cercando di alzarlo.<br />

“Chi sei?” chiede il disgraziato.<br />

“Sono la Misericordia e la Pace.”<br />

“Per me non c’è più misericordia e pace.”


“Nel seno di <strong>Dio</strong> ve ne è sempre. Quel seno è colmo di queste cose e specie per i figli infelici.”<br />

“Ma la mia colpa è tale che sono un reciso da <strong>Dio</strong>. Lasciami. Tu che certo sei buono, per non<br />

contaminarti.”<br />

“Non ti lascio. Ti voglio portare alla pace.”<br />

“Ma io sono... Tu chi sei?”<br />

“Te l’ho detto: Misericordia e Pace. Sono il Salvatore, Gesù sono. Alzati. <strong>Io</strong> posso ciò che voglio. In<br />

nome di <strong>Dio</strong> ti assolvo dalla involontaria contaminazione. L’altro male non esiste. <strong>Io</strong> sono l’Agnello<br />

di <strong>Dio</strong> che leva i peccati del mondo. A Me è deferito ogni giudizio dall’Eterno. Chi crede alla mia<br />

parola avrà la vita eterna. Vieni, povero figlio d’Israele. Ristorati il corpo stanco e fortifica lo spirito<br />

abbattuto. Ben altre colpe <strong>Io</strong> perdonerò. No. Non verrà da Me la disperazione nei cuori! <strong>Io</strong> sono<br />

l’Agnello senza macchia, ma non fuggo le pecore ferite per paura di contaminarmi. Anzi le cerco e<br />

con Me le conduco. Troppi, troppi sono quelli che vanno a completa rovina per troppa serenità,<br />

ingiusta anche, di giudizio. Guai a coloro che per intransigente rigore conducono uno spirito a<br />

disperare! Non gli interessi di <strong>Dio</strong>, ma quelli di Satana fanno. Ora <strong>Io</strong> vedo una peccatrice ansiosa di<br />

redenzione allontanata dal Redentore, vedo perseguitato un sinagogo perché giusto, vedo colpito<br />

uno inavvertitamente caduto in colpa. Troppe cose vedo fare da là, dove è vizio e menzogna. E<br />

come muro che mattone a mattone si alza e fa parete, così le cose vedute, ed in un anno già troppe<br />

ne ho viste, stanno alzando fra Me ed essi un muro di durezza. Guai a loro quando sarà tutto alzato<br />

con i materiali dati da loro stessi! Tieni: bevi, mangia. Sei esausto. Poi, domani, verrai con Me. Non<br />

temere. Quando sarai tornato in pace di spirito, sarai libero di giudicare sul tuo futuro. Ora non<br />

potresti, e sarebbe pericoloso lasciatelo fare.”<br />

Gesù, che si è portato nella sala l’uomo e lo ha forzato a sedersi al suo posto, lo serve anche e poi si<br />

volge ad Erma e a Simone e dice: “Questa è la mia Dottrina. Questa, e non altra. E non mi limito a<br />

predicarla. Ma la rendo reale. Chi ha sete di verità e di Amore venga a Me.”<br />

Dice Gesù:<br />

“E con questo ha fine il primo anno di evangelizzazione. Tenetene nota. Che dirvi? L’ho dato perché<br />

era mio desiderio fosse conosciuto. Ma, come per i farisei, avviene per questo lavoro. <strong>Il</strong> mio<br />

desiderio di essere amato - conoscere è amare - viene respinto da troppe cose. E questo è un grande<br />

dolore per Me, l’Eterno Maestro imprigionato da voi...”<br />

Maria Valtorta<br />

L'Evangelo come mi è stato rivelato<br />

Indice del Volume Terzo * = in linea<br />

160. Incontro con Gamaliele sulla strada da Neftali a Giscala.<br />

161. Guarigione del nipote del fariseo Eli di Cafarnao.<br />

162. Le conversioni umane del fariseo Eli e di Simone d'Alfeo.<br />

163. A mensa in casa del fariseo Eli di Cafarnao.<br />

164. <strong>Il</strong> ritiro sul monte per l'elezione apostolica.<br />

165. L'elezione dei dodici ad apostoli.<br />

166. I miracoli dopo l'elezione apostolica.<br />

Prima predica di Simone Zelote e di Giovanni.<br />

167. L'incontro con le romane nel giardino di Giovanna di Cusa<br />

168. Aglae in casa di Maria a Nazareth.<br />

169. Primo discorso della Montagna:<br />

la missione degli apostoli e dei discepoli.<br />

170. Secondo discorso della Montagna: il dono della Grazia e le beatitudini. *


171. Terzo discorso della Montagna:<br />

i consigli evangelici che perfezionano la Legge.<br />

172. Quarto discorso della Montagna:<br />

il giuramento, 16 preghiera, il digiuno. <strong>Il</strong> vecchio Ismaele e Sara.<br />

173. Quinto discorso della Montagna:<br />

l'uso delle ricchezze, l'elemosina, la fiducia in <strong>Dio</strong>.<br />

174. Sesto discorso della Montagna:<br />

la scelta tra Bene e Male, l'adulterio, il divorzio.<br />

L'arrivo importuno di Maria di Magdala.<br />

175. <strong>Il</strong> lebbroso guarito ai piedi del Monte. Generosità dello scriba Giovanni.<br />

176. Nella sosta del sabato l'ultimo discorso della Montagna:<br />

amare la volontà di <strong>Dio</strong>.<br />

177. Guarigione del servo del centurione.<br />

178. Tre uomini che vogliono seguire Gesù.<br />

179. La parabola del seminatore. A Corozim con il nuovo discepolo Elia.<br />

180. Disputa nella cucina di Pietro a Betsaida. Spiegazione della<br />

parabola del seminatore. La notizia della seconda cattura del Battista. *<br />

181. La parabola del grano e del loglio.<br />

182. Discorso ad alcuni pastori con il piccolo orfano Zaccaria.<br />

183. La guarigione di un uomo ferito in casa di Maria di Magdala.<br />

184. <strong>Il</strong> piccolo Beniamino di Magdala e due parabole sul regno dei Cieli.<br />

185. La tempesta sedata. Un insegnamento nell'antefatto.<br />

186. I due indemoniati della regione dei Geraseni.<br />

187. Verso Gerusalemme per la Pasqua. Da Tarichea al monte Tabor.<br />

188. A Endor. La spelonca della maga e l'incontro con Felice<br />

chiamato poi Giovanni.<br />

189. A Naim. Resurrezione del figlio di una ve dova.<br />

190. L'arrivo nella piana di Esdrelon al tramonto del venerdì.<br />

191. <strong>Il</strong> sabato a Esdrelon. <strong>Il</strong> piccolo Jabé e la parabola del ricco Epulone.<br />

192. Una predizione a Giacomo d'Alfeo.<br />

L'arrivo ad Engannim dopo una sosta a Mageddo.<br />

193. L'arrivo a Sichem dopo due giorni di cammino.<br />

194. La rivelazione al piccolo Jabé durante il cammino da Sichem a Berot.<br />

195. Una lezione di Giovanni di Endor all'Iscariota e l'arrivo a Gerusalemme.<br />

196. <strong>Il</strong> sabato al Getsemani.<br />

Gesù parla della Madre e degli amori di diverse potenze.<br />

197. Nel Tempio con Giuseppe d'Arimatea. L'ora dell'incenso.<br />

198. L'incontro con la Madre a Betania. Jabé cambia il suo nome in Margziam.<br />

199. Dai lebbrosi di Siloan e di Ben Hinnom.<br />

Pietro ottiene Margziam per mezzo di Maria.<br />

200. Aglae a colloquio con il Salvatore.<br />

201. L'esame della maggiore età di Margziam.<br />

202. Un rimprovero a Giuda Iscariota e l'arrivo dei contadini di Giocana.<br />

203. La preghiera del "Padre nostro".<br />

204. La fede e l'anima spiegate ai pagani con la parabola dei templi.<br />

205. La parabola del figlio prodigo.<br />

206. Con due parabole sul regno dei Cieli termina la sosta a Betania.


207. Alla grotta di Betlemme la Madre rievoca la nascita di Gesù.<br />

208. Maria Ss. rivede il pastore Elia e con Gesù va da Elisa a Betsur.<br />

209. La fecondità del dolore nel discorso di Gesù<br />

presso la casa di Elisa a Betsur.<br />

210. Le inquietudini di Giuda Iscariota durante il cammino verso Ebron.<br />

211. Ritorno ad Ebron, patria del Battista.<br />

212. Un'onda di amore per Gesù, che a Jutta parla dalla casetta di Isacco.<br />

213. A Keriot una profezia di Gesù e l'inizio della predicazione apostolica.<br />

214. La madre di Giuda si confida con la Madre di Gesù,<br />

giunta a Keriot con Simone Zelote.<br />

215. L'albergatore di Betginna e la sua figlia lunatica.<br />

216. Le infedeltà dei discepoli nella parabola del soffione.<br />

217. Le spighe colte nel giorno di sabato.<br />

218. L'arrivo ad Ascalona, città filistea.<br />

219. I diversi frutti della predicazione degli apostoli nella città di<br />

Ascalona.<br />

220. Gli idolatri di Magdalgad e il miracolo sulla partoriente.<br />

221. Le prevenzioni degli apostoli verso i pagani e la parabola del figlio<br />

deforme.<br />

222. Un segreto dell'apostolo Giovanni.<br />

223. Una carovana nuziale evita l'assalto dei predoni dopo un discorso di<br />

Gesù.<br />

224. Nell'apostolo Giovanni opera l'Amore. L'arrivo a Bètér.<br />

225. <strong>Il</strong> paralitico della piscina di Betseida e la disputa sulle opere del<br />

Figlio di <strong>Dio</strong>.


171. Terzo discorsodella Montagna: i consigli evangelici che perfezionano<br />

la Legge.<br />

25 maggio 1945<br />

Continua il Discorso del Monte.<br />

<strong>Il</strong> luogo e l'ora sono sempre gli stessi. La gente è ancora più aumentata. In un angolo, presso un<br />

sentiero, come volesse udire ma non eccitare ripugnanze tra la folla, è un romano. Lo distinguo per<br />

la veste corta e il mantello diverso. Ancora vi sono Stefano e Erma.<br />

E Gesù va lentamente al suo posto e riprende a parlare.<br />

“Con quanto vi ho detto ieri non dovete giungere al pensiero che <strong>Io</strong> sia venuto per abolire la<br />

Legge. No. Solo, poiché sono l'Uomo e comprendo le debolezze dell'uomo, <strong>Io</strong> ho voluto rincuorarvi<br />

a seguirla col dirigere il vostro occhio spirituale non all'abisso nero, ma all'Abisso luminoso. Perchè<br />

se la paura di un castigo può trattenere tre volte su dieci, la certezza di un premio slancia sette volte<br />

su dieci. Perciò più che fa la paura fa la fiducia. Ed <strong>Io</strong> voglio che voi l'abbiate piena, sicura, per<br />

poter fare non sette parti di bene su dieci, ma dieci parti su dieci e conquistare questo santissimo<br />

premio del Cielo.<br />

<strong>Io</strong> non muto un iota della Legge. E chi l'ha data fra i fulmini del Sinai? L'Altissimo. Chi è<br />

l'Altissimo? <strong>Il</strong> <strong>Dio</strong> uno e trino. Da dove l'ha tratta? Dal suo Pensiero. Come l'ha data? Con la sua<br />

Parola. Perché l'ha data? Per il suo Amore. Vedete dunque che la Trinità era presente. Ed il Verbo,<br />

ubbidiente come sempre al Pensiero e all'Amore, parlò per il Pensiero e per l'Amore.<br />

Potrei smentire Me stesso? Non potrei. Ma posso, poiché tutto <strong>Io</strong> posso, completare la Legge,<br />

farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero<br />

completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi,<br />

tratti dal loro pensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a<br />

sotterrare e sterilire la Legge santissima data da <strong>Dio</strong>. Può una pianta sopravvivere se la sommergono<br />

per sempre valanghe, macerie e innondazioni? No. La pianta muore. La Legge è morta in molti<br />

cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture. <strong>Io</strong> sono venuto a levarle tutte e,<br />

disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che <strong>Io</strong> la faccio non più legge ma regina.<br />

Le regine promulgano le leggi. Le leggi sono opera delle regine, ma non sono da più delle regine.<br />

<strong>Io</strong> invece faccio della Legge la regina: la completo, l'incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei<br />

consigli evangelici. Prima era l'ordine. Ora è più dell'ordine. Prima era il necessario. Ora è più del<br />

necessario. Ora è la perfezione. Chi la disposa, così come <strong>Io</strong> ve la dono, all'istante è re perché ha<br />

raggiunto il “perfetto”, perché non è stato soltanto ubbidiente ma eroico, ossia santo, essendo la<br />

santità la somma delle virtù portate al vertice più alto che possa essere raggiunto da creatura,<br />

eroicamente amate e servite col distacco completo da tutto quanto è appetito e riflessione umana<br />

verso qual che sia cosa.<br />

Potrei dire che santo è colui al quale l'amore e il desiderio fanno da ostacolo ad ogni altra vista<br />

che <strong>Dio</strong> non sia. Non distratto da viste inferiori, egli ha le pupille del cuore ferme nello Splendore<br />

Ss. che è <strong>Dio</strong> e nel quale vede, poiché tutto è in <strong>Dio</strong>, agitarsi i fratelli e tendere le mani supplici. E<br />

senza staccare gli occhi da <strong>Dio</strong>, il santo si effonde ai fratelli supplicanti. Contro la carne, contro le<br />

ricchezze, contro le comodità, egli drizza il suo ideale: servire. Povero il santo? Menomato? No. E'<br />

giunto a possedere la sapienza e la ricchezza vere. Possiede perciò tutto. Né sente fatica perché, se è<br />

vero che è un produttore continuo, è pur anche vero che è un nutrito di continuo. Perché se è vero<br />

che comprende il dolore del mondo, è anche vero che si pasce della letizia del Cielo. Di <strong>Dio</strong> si<br />

nutre, in <strong>Dio</strong> si allieta. E' la creatura che ha compreso il senso della vita.<br />

Come vedete, <strong>Io</strong> non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni<br />

di fermentanti teorie umane. Ma la completo. Essa è quello che è, e tale sarà fino all'estremo giorno,<br />

senza che se ne muti una parola o se ne levi un precetto. Ma è incoronata del perfetto. Per avere<br />

salute basta accettarla così come fu data. Per avere immediata unità con <strong>Dio</strong> occorre viverla come<br />

<strong>Io</strong> la consiglio. Ma poiché gli eroi sono l'eccezione, <strong>Io</strong> parlerò per le anime comuni, per la massa<br />

delle anime, acciò non si dica che per volere il perfetto rendo ignoto il necessario. Però di quanto<br />

dico ritenete bene questo: colui che si permette di violare uno tra i minimi di questi comandamenti


sarà tenuto minimo nel Regno dei Cieli. E colui che indurrà altri a violarli sarà tenuto minimo per<br />

lui e per colui che egli indusse alla violazione. Mentre colui che con la vita e le opere, più ancora<br />

che con la parola, avrà persuaso altri all'ubbidienza, costui grande sarà nel Regno dei Cieli, e la sua<br />

grandezza si aumenterà per ognuno di quelli che egli avrà portato ad ubbidire e a santificarsi così.<br />

<strong>Io</strong> so che ciò che sto per dire sarà agro alla lingua di molti. Ma <strong>Io</strong> non poso mentire anche se la<br />

verità che sto per dire mi farà dei nemici.<br />

In verità vi dico che se la vostra giustizia non si ricreerà, distaccandosi completamente dalla<br />

povera e ingiustamente definita giustizia che vi hanno insegnata scribi e farisei; che se non sarete<br />

molto più, e veramente, giusti dei farisei e scribi, che credono di esserlo con l'aumentare delle<br />

formule ma senza mutazione sostanziale degli spiriti, voi non entrerete nel Regno dei Cieli.<br />

Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d'errore. Essi vengono a voi in veste d'agnelli e lupi<br />

rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di <strong>Dio</strong>, dicono di amare la verità e si<br />

pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.<br />

L'uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con esse<br />

accenna. Ma ha anche un'altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti.<br />

E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l'uomo è ladro e fornicatore? E<br />

che sono due occhi che volendo fare gli ispirati si stravolgono in ogni senso, se poi, cessata l'ora<br />

della commedia, si sanno fissare ben avidi sulla femmina, o sul nemico, per lussuria o per omicidio?<br />

E che volete che sia la lingua che sa zufolare la bugiarda canzone delle lodi e sedurvi coi suoi detti<br />

melati, mentre poi alle vostre spalle vi calunnia ed è capace di spergiurare pur di farvi passare per<br />

gente spregevole? Che è la lingua che fa lunghe orazioni ipocrite e poi veloce uccide la stima del<br />

prossimo o seduce la sua buona fede? Schifo è! Schifo sono gli occhi e le mani menzognere. Ma gli<br />

atti dell'uomo, i veri atti, ossia il suo modo di comportarsi in famiglia, nel commercio, verso il<br />

prossimo ed i servi, ecco quello che testimoniano: “Costui è un servo del Signore”. Perché le azioni<br />

sante sono frutto di una vera religione.<br />

Un albero buono non dà frutti malvagi e un albero malvagio non dà frutti buoni. Questi pungenti<br />

roveti potranno mai darvi uva saporita? E quegli ancora più tribolanti cardi potranno mia maturarvi<br />

morbidi fichi? No, che in verità poche e aspre more coglierete dai primi e immangiabili frutti<br />

verranno da quei fiori, spinosi già pur essendo ancora fiori.<br />

L'uomo che non è giusto potrà incutere rispetto con l'aspetto, ma con quello solo. Anche quel<br />

piumoso cardo sembra un fiocco di sottili fili argentei che la rugiada ha decorato di diamanti. Ma se<br />

inavvertitamente lo toccate, vedete che fiocco non è, ma mazzo di aculei, penosi all'uomo, nocivi<br />

alle pecore, per cui i pastori lo sterpano dai loro pascoli e gettano a perire nel fuoco acceso nella<br />

notte perché neppure il seme si salvi. Giusta e previdente misura. <strong>Io</strong> non vi dico: “Uccidete i falsi<br />

profeti e gli ipocriti fedeli”. Anzi vi dico: “Lasciatene a <strong>Dio</strong> il compito”. Ma vi dico: “Fate<br />

attenzione, scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi”.<br />

Come debba essere amato <strong>Dio</strong>, ieri l'ho detto. Insisto a come debba essere amato il prossimo.<br />

Un tempo era detto: “Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico”. No. Non così. Questo è buono<br />

per i tempi in cui l'uomo non aveva il conforto del sorriso di <strong>Dio</strong>. Ma ora vengono i tempi nuovi,<br />

quelli in cui <strong>Dio</strong> tanto ama l'uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo. Ora il Verbo parla. Ed è<br />

già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia<br />

non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare<br />

l'amore di prossimo a perfezione che unifica l'amico al nemico.<br />

Siete calunniati? Amate e perdonate. Siete percossi? Amate e porgete l'altra guancia a chi vi<br />

schiaffeggia pensando che è meglio che l'ira si sfoghi su voi che la sapete sopportare, anziché su un<br />

altro che si vendicherebbe dell'affronto. Siete derubati? Non pensate: “Questo mio prossimo è un<br />

avido”, ma pensate caritativamente: “Questo mio povero fratello è un bisognoso” e dategli anche la<br />

tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché<br />

non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica. Voi dite: “Ma potrebbe essere vizio e non<br />

bisogno”. Ebbene, date ugualmente. <strong>Dio</strong> ve ne compenserà e l'iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e<br />

ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del<br />

peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.


Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano.<br />

Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose<br />

disugualianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane. Pensate sempre: “Ma se io fossi<br />

nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?”, e in base alla risposta del vostro io<br />

agite. Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a<br />

voi.<br />

L'antica parola: “Occhio per occhio, dente per dente”, che non è nei dieci comandi ma che è stata<br />

messa perché l'uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è<br />

annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: “Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita,<br />

giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso,<br />

condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non<br />

criticare, non giudicare”. Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di<br />

soccorso siate generosi, misericordiosi siate. Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e<br />

premuta sarà versata da <strong>Dio</strong> in grembo a chi fu generoso. <strong>Dio</strong> non solo vi darà per quanto avete<br />

dato, ma più e più ancora. Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un<br />

accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore<br />

sulla lingua.<br />

Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e<br />

sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e<br />

fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del<br />

raccolto. Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è<br />

un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo<br />

fanno e anche i gentili. Ma voi amate a somiglianza di <strong>Dio</strong> e amate per rispetto a <strong>Dio</strong>, che è<br />

Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. <strong>Io</strong> voglio in voi la perfezione dell'amore<br />

e perciò vi dico: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli”.<br />

Tanto è grande il precetto d'amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d'amore<br />

verso il prossimo, che <strong>Io</strong> più non vi dico come era detto: “Non uccidete”, perché colui che uccide<br />

sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: “Non vi adirate”, perché un più alto giudizio è su voi e<br />

calcola anche le azioni immateriali. Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma<br />

chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da <strong>Dio</strong>.<br />

Inutile fare offerte all'altare se prima non si è sacrificato nell'interno del cuore i propri rancori per<br />

amore di <strong>Dio</strong> e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare. Perciò se quando stai per<br />

offrire a <strong>Dio</strong> tu ti sovvieni di aver mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua<br />

colpa, lascia la tua offerta davanti all'altare, fa’ prima l'immolazione del tuo amor proprio,<br />

riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all'altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio.<br />

<strong>Il</strong> buon accordo è sempre il migliore degli affari. Precario è il giudizio dell'uomo, e chi ostinato lo<br />

sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all'avversario fino all'ultima moneta o languire in<br />

prigione.<br />

Alzate in tutte le cose lo sguardo a <strong>Dio</strong>. Interrogativi dicendo: “Ho io il diritto di fare ciò che <strong>Dio</strong><br />

non fa con me?”. Perché <strong>Dio</strong> non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo<br />

fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora<br />

non vi mancherà da parte di <strong>Dio</strong>, qui e oltre, la ricompensa.<br />

Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: “Guariscimi”, perché sa che <strong>Io</strong><br />

so i suoi pensieri. Ma <strong>Io</strong> dico. “Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così<br />

ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre”.<br />

Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò ”.<br />

La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene.<br />

Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: “Ma che era? Non è<br />

guarito forse?” e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder<br />

scendere la gente.<br />

Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: “Gli occhi sono guariti. L'anima no. Non può perché<br />

è carica di odio ”.


“Ma chi è? Quel romano forse? ”.<br />

“No. Un disgraziato ”.<br />

“Ma perché lo hai guarito, allora? ” chiede Pietro.<br />

“Dovrei fulminare tutti i tuoi simili? ”.<br />

“Signore... io so che Tu non vuoi che dica: “sì ”, e perciò non lo dico... ma lo penso... ed è lo<br />

stesso...”.<br />

“E' lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora... Oh! quanti cuori pieni di scaglie d'odio<br />

intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall'alto il nostro bel mare di Galilea.<br />

<strong>Io</strong> e te soli ”.<br />

172. Quarto discorso della Montagna: il giuramento, la preghiera, il<br />

digiuno. <strong>Il</strong> vecchio Ismaele e Sara.<br />

26 maggio 1945.<br />

Continua il discorso sulla Montagna.<br />

Lo stesso luogo e la stessa ora. La folla, meno il romano, è la stessa, forse ancora più numerosa<br />

perché molti sono fin sull'inizio dei sentieri che conducono alla valletta.<br />

Gesù parla:<br />

“Uno degli errori facili nell'uomo è la mancanza di onestà anche verso se stesso. E dato che l'uomo<br />

è difficilmente sincero e onesto, ecco che da se stesso si è creato un morso per essere obbligato ad<br />

andare per la via che ha detto. Morso che, del resto, egli, come un cavallo indomito, presto si sposta<br />

modificando a suo piacere l'andare, o si leva del tutto facendo il suo comodo senza più riflessione a<br />

ciò che può ricevere di rimprovero da <strong>Dio</strong>, dagli uomini e dalla propria coscienza. Questo morso è il<br />

giuramento. Ma non è necessario il giuramento tra gli onesti, e <strong>Dio</strong>, di suo, non ve lo ha insegnato.<br />

Anzi vi ha fatto dire. “Non dire falso testimonio” senza altra aggiunta. Perché l'uomo dovrebbe<br />

essere schietto senza bisogno di altro che della fedeltà alla sua parola.<br />

Quando nel Deuteronomio si parla dei voti, anche dei voti che sono una cosa sorta da un cuore che<br />

si pensa fuso a <strong>Dio</strong> o per sentimento di bisogno o per sentimento di riconoscenza, è detto: “La<br />

parola uscita una volta dalle tue labbra la devi mantenere, facendo quanto hai promesso al Signore<br />

Iddio tuo, quanto di tua volontà e di tua bocca hai detto”. Sempre si parla di parola data, senza altro<br />

che la parola.<br />

Colui che sente il bisogno di giurare è perché è già insicuro di se stesso e del concetto del prossimo<br />

a suo riguardo. E chi fa giurare testifica con quell'esigenza che diffida della sincerità e onestà del<br />

giurante. Come vedete, questa abitudine del giuramento è una conseguenza della disonestà morale<br />

dell'uomo. Ed è una vergogna per l'uomo. Doppia vergogna, perché l'uomo non è fedele neppure a<br />

questa cosa vergognosa che è il giuramento e irridendosi di <strong>Dio</strong>, con la stessa facilità con cui si<br />

irride del prossimo, giunge a spergiurare con la massima facilità e tranquillità.<br />

Vi può essere creatura più abbietta dello spergiuro? Costui, usando sovente una formula sacra, e<br />

chiamando perciò a suo complice e mallevadore Iddio, o usando l'invocazione degli affetti più cari -<br />

il padre, la madre, la moglie, i figli, i suoi morti, la sua stessa vita e i suoi organi più preziosi,<br />

invocati ad appoggio del suo bugiardo dire - induce il suo prossimo a credergli. Lo induce perciò in<br />

inganno. E' un sacrilego, un ladro, un traditore, un omicida. Di chi? Ma di <strong>Dio</strong>, perché mescola la<br />

Verità all'infamia della sua menzogna e lo sbeffeggia dicendo: “Colpiscimi, smentiscimi, se puoi. Tu<br />

sei là, io sono qua e me ne rido”.<br />

Oh! sì! Ridete, ridete pure, o mentitori e beffeggiatori! Ma vi sarà un momento che non riderete, e<br />

sarà quando Colui a cui ogni potere è deferito vi apparirà terribile nella sua maestà e solo col suo<br />

aspetto vi farà atterriti e solo coi suoi sguardi vi fulminerà, prima, prima ancora che la sua voce vi<br />

precipiti nel vostro destino eterno marcandovi della sua maledizione.<br />

E' un ladro perché si appropria di una stima che non merita. <strong>Il</strong> prossimo, scosso dal suo giurare,<br />

gliela dona, e il serpente se ne orna fingendosi ciò che non è. E' un traditore perché col giuramento


promette cose che non vuole mantenere. E' un omicida perché, o uccide l'onore di un suo simile<br />

levandogli col falso giuramento la stima del prossimo, o uccide la sua anima, perché lo spergiuro è<br />

un abbietto peccatore egli occhi di <strong>Dio</strong>, i quali, anche se nessun altro vede la verità, la vedono. <strong>Dio</strong><br />

non si inganna né con false parole, né con ipocrite azioni. Egli vede. Non perde per un attimo di<br />

vista ogni singolo uomo. E non vi è munita fortezza, né profonda cantina, ove non possa penetrare il<br />

suo sguardo. Anche nell'interno vostro, la fortezza singola che ogni uomo ha intorno al suo cuore,<br />

penetra Iddio. E vi giudica non per quello che giurate ma per quello che fate.<br />

Perciò <strong>Io</strong>, all'ordine che vi fu dato, quando fu messo in auge il giuramento per mettere freno alla<br />

menzogna e alla facilità di mancare alla parola data, sostituisco un altro ordine. Non dico come gli<br />

antichi: “Non spergiurare, ma anzi mantieni i tuoi giuramenti”, ma vi dico: “Non giurate mai”. Né<br />

per il Cielo che è trono di <strong>Dio</strong>, né per la terra che è sgabello ai suoi piedi, né per Gerusalemme e il<br />

suo Tempio che sono la Città del gran Re e la casa del Signore Iddio nostro.<br />

Non giurate né sulle tombe dei trapassati né sui loro spiriti. Le tombe sono piene di scorie di ciò che<br />

è inferiore nell'uomo e comune col bruto, gli spiriti lasciateli nella loro dimora. Fate che non<br />

soffrano e inorridiscano, se spiriti di giusti che già sono nella precognizione di <strong>Dio</strong>. E per quanto sia<br />

una precognizione, ossia cognizione parziale, perché fino al momento della Redenzione non<br />

possederanno <strong>Dio</strong> nella sua pienezza di splendori, non possono non soffrire del vedervi peccatori. E<br />

se giusti non sono, non aumentate il loro tormento dall'aver ricordato col vostro il loro peccato.<br />

Lasciate, lasciate i morti santi nella loro pace, i morti non santi nelle loro pene. Non levate ai primi,<br />

non aggiungete ai secondi. Perché appellarsi ai morti? Non possono parlare. I santi perché la carità<br />

loro lo vieta: vi dovrebbero smentire troppe volte. I dannati perché l'Inferno non apre le sue porte e i<br />

dannati non aprono le bocche che per maledire, e ogni voce resta soffocata dall'odio di Satana e dei<br />

satana, perché i dannati satana sono.<br />

Non giurate né sul capo del padre né su quello della madre, né su quello della sposa e degli<br />

innocenti figli. Non ne avete diritto. Sono forse una moneta o una merce? Sono una firma su una<br />

carta? Sono più e meno di queste cose. Sono sangue e carne del tuo sangue, uomo, ma sono anche<br />

creature libere e tu non le puoi usare come schiave per avallo di un tuo falso. E sono meno di una<br />

firma tua propria, perché tu sei intelligente, libero e adulto, e non un interdetto o un pargolo che non<br />

sa quello che si fa e che perciò deve essere rappresentato dai parenti. Tu sei tu, un uomo dotato di<br />

ragione e perciò sei responsabile delle tue azioni e devi agire da te, mettendo ad avallo delle tue<br />

azioni e delle tue parole la tua onestà e la tua sincerità, la stima che hai saputo suscitare tu nel<br />

prossimo, non l'onestà la sincerità dei parenti e la stima che essi hanno saputo suscitare. Sono<br />

responsabili i padri dei figli? Sì, ma finché sono minorenni. Dopo, ognuno è responsabile di se<br />

stesso. Non sempre da giusti nascono giusti, né una santa donna è coniugata ad un santo uomo.<br />

Perché allora usare per base di garanzia la giustizia di chi vi è congiunto? Ugualmente, da un<br />

peccatore possono nascere figli santi e, finché innocenti sono, tutti sono santi. Perché allora<br />

invocare un puro per un atto impuro quale è il giuramento che si vuole poi spergiurare?<br />

Non giurate neppure per la vostra testa, i vostri occhi, e lingua e mani. Non ne avete il diritto. Tutto<br />

quanto avete è di <strong>Dio</strong>. Voi non ne siete che i temporanei custodi, i banchieri dei tesori morali o<br />

materiali che <strong>Dio</strong> vi ha concessi. Perché usare allora di ciò che non è vostro? Potete voi aggiungere<br />

un capello al vostro capo o mutarne il colore? E se non potete fare questo, perché allora usate la<br />

vista, la parola, la libertà delle membra, per convalidare un vostro giuramento? Non sfidate <strong>Dio</strong>.<br />

Potrebbe prendervi in parola e seccare i vostri occhi come può seccare i vostri frutteti, o strapparvi i<br />

figli come può svellervi la casa, per ricordarvi che Lui è il Signore e voi i sudditi, e che è maledetto<br />

chi si idolatra al punto da ritenersi da più di <strong>Dio</strong> sfidandolo con la menzogna.<br />

<strong>Il</strong> vostro parlare sia: sì, sì; e no, no. Non di più. <strong>Il</strong> di più ve lo suggerisce il Maligno, e per ridere poi<br />

di voi che, non potendo tutto ritenere, cadete in menzogna e siete sbeffeggiati e conosciuti per<br />

mentitori.<br />

Sincerità, figli. Nella parola e nella preghiera. Non fate come gli ipocriti che quando pregano amano<br />

stare a pregare nelle sinagoghe o sugli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini e lodati<br />

come uomini pii e giusti mentre poi, nell'interno delle famiglie, sono colpevoli verso <strong>Dio</strong> e verso il<br />

prossimo. Non riflettete che questo è come uno spergiuro? Perché voi volete sostenere ciò che vero


non è allo scopo di conquistarvi una stima che non meritate? La orazione ipocrita ha lo scopo di<br />

dire: “In verità io sono un santo. Lo giuro agli occhi di chi mi vede e che non possono mentire di<br />

vedermi pregare”. Velo steso sulla malvagità esistente, la preghiera fatta con simili scopi diviene<br />

una bestemmia.<br />

Lasciate che <strong>Dio</strong> vi proclami santi, e fate che tutta la vostra vita gridi per voi: “Ecco un servo di<br />

<strong>Dio</strong>”. Ma voi, ma voi, per carità di voi, tacete. Non fate della vostra lingua, mossa dalla vostra<br />

superbia, un oggetto di scandalo agli occhi degli angeli. Meglio sarebbe diveniste sull'istante muti<br />

se non avete la forza di comandare all'orgoglio e alla lingua, autoproclamandovi giusti e gradevoli a<br />

<strong>Dio</strong>. Lasciate ai superbi e ai falsi questa povera gloria! Lasciate ai superbi e ai falsi questa effimera<br />

ricompensa. Povera ricompensa! Ma è quale la vogliono, e non ne avranno altra perché più di una<br />

non se ne può avere. O quella vera, del Cielo, e che è eterna e giusta. O quella non vera, della terra,<br />

che dura quanto la vita dell'uomo e anche meno e che poi, essendo ingiusta, è pagata, oltre la vita,<br />

con una ben mortificante punizione.<br />

Udite come dovete pregare e col labbro e col lavoro e con tutto voi stessi, per impulso del cuore che<br />

ama, sì, <strong>Dio</strong>, e Padre lo sente, ma che anche sempre ricorda chi è il Creatore e che è la creatura, e<br />

sta con amore riverenziale al cospetto di <strong>Dio</strong>, sempre, sia che òri o che traffichi, sia che cammini o<br />

riposi, sia che guadagni o che benefichi.<br />

Per impulso del cuore, ho detto. E' la prima ed essenziale qualità. Perché tutto viene dal cuore, e<br />

come è il cuore tale è la mente, tale la parola, lo sguardo, l'azione. L'uomo giusto dal suo cuore di<br />

giusto trae fuori il bene e più ne trae più ne trova, perché il bene fatto procrea novello bene così<br />

come il sangue che si rinnovella nel circolo delle vene e torna al cuore arricchito di sempre nuovi<br />

elementi, tratti dall'ossigeno che ha assorbito e dal succo dei cibi che ha assimilato. Mentre il<br />

perverso dal suo buio cuore pieno di frode e di veleni non può che trarre frode e veleno, che sempre<br />

più si accrescono, corroborati come sono dalle colpe che si accumulano, come nel buono dalle<br />

benedizioni di <strong>Dio</strong> che si accumulano. Credete pure che è l'esuberanza del cuore quella che trabocca<br />

dalle labbra e si rivela nelle azioni.<br />

Voi fatevi un cuore umile e puro, amoroso, fiducioso, sincero; amate <strong>Dio</strong> col pudico amore che ha<br />

una vergine per lo sposo. In verità vi dico che ogni anima è una vergine sposata all'eterno Amatore,<br />

a <strong>Dio</strong> Signor nostro; questa terra è il tempo del fidanzamento nel quale l'angelo dato a custode di<br />

ogni uomo è lo spirituale paraninfo, e tutte le ore della vita e le contingenze della vita altrettante<br />

ancelle che preparano il corredo nuziale. L'ora della morte è l'ora delle nozze compiute e allora<br />

viene la conoscenza, l'abbraccio, la fusione, e con veste di sposa compiuta l'anima può alzare il velo<br />

e gettarsi nelle braccia del suo <strong>Dio</strong> senza che per amare così lo Sposo possa indurre altri allo<br />

scandalo.<br />

Ma per ora, o anime ancora sacrificate nel laccio del fidanzamento con <strong>Dio</strong>, quando volete parlare<br />

allo Sposo, mettetevi nella pace della vostra dimora, e soprattutto nella pace della vostra dimora<br />

interiore, e parlate, angelo di carne fiancheggiato dall'angelo custode, al Re degli angeli. Parlate al<br />

Padre vostro nel segreto del vostro cuore e della vostra stanza interiore. Lasciate fuori tutto quanto è<br />

mondo: e la smania di essere notati e quella di edificare, e gli scrupoli delle lunghe preghiere colme<br />

di parole, parole, parole e monotone, e tiepide e scialbe d'amore.<br />

Per carità! Liberatevi dalle misure nel pregare. In verità vi sono alcuni che sprecano più e più ore in<br />

un monologo ripetuto con le labbra sole, e che è un vero soliloquio perché neppure l'angelo custode<br />

lo ascolta, tanto è rumore vano che egli cerca di rimediare sprofondandosi di suo in ardente<br />

orazione per il suo stolto custodito. In verità vi sono alcuni che non userebbero quelle ore<br />

diversamente neppure se <strong>Dio</strong> apparisse loro dicendo: “La salute del mondo dipende dal tuo lasciare<br />

questa loquela senz'anima per andare, magari, semplicemente ad attingere dell'acqua ad un pozzo ed<br />

a spargere quell'acqua al suolo per amore di Me e dei tuoi simili”. In verità vi sono alcuni che<br />

credono più grande il loro monologo all'atto cortese di accogliere un visitatore o a quello caritativo<br />

di soccorrere un bisognoso. Sono animi caduti nell'idolatria della preghiera.<br />

La preghiera è azione d'amore. E amare si può tanto orando che facendo il pane, tanto meditando<br />

che assistendo un infermo, tanto compiendo pellegrinaggio al Tempio che accudendo alla famiglia,<br />

tanto sacrificando un agnello quanto sacrificando i nostri anche giusti desideri di raccogliersi nel


Signore. Basta che uno intrida tutto se stesso e ogni sua azione nell'amore. Non abbiate paura! <strong>Il</strong><br />

Padre vede. <strong>Il</strong> Padre comprende. <strong>Il</strong> Padre ascolta. <strong>Il</strong> Padre concede. Quante grazie non sono date<br />

anche per un solo, vero, perfetto sospiro d'amore! Quanta abbondanza per un sacrificio intimo fatto<br />

con amore. Non siate simili ai gentili. <strong>Dio</strong> non ha bisogno che gli diciate ciò che deve fare perché<br />

voi ne abbisognate. Ciò possono dirlo i pagani ai loro idoli che non possono intendere. Non voi a<br />

<strong>Dio</strong>, al vero, spirituale Iddio che non è solo <strong>Dio</strong> e Re, ma è Padre vostro e sa, prima ancora che voi<br />

glielo chiediate, di che avete bisogno.<br />

Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve,<br />

chi ceca trova, e verrà aperto a chi picchia. Quando un vostro figlio vi tende la manina dicendovi:<br />

“Padre, ho fame”, gli date forse un sasso? Gli date un serpente se vi chiede un pesce? No, anzi che<br />

date pane e pesce, ma inoltre date carezza e benedizione, perché è dolce ad un padre nutrire la sua<br />

creatura e vederne il sorriso felice. Se dunque voi di imperfetto cuore sapete dare buoni doni ai<br />

vostri figli solo per l'amore naturale, comune anche all'animale verso la prole, quanto più il Padre<br />

vostro che è nei Cieli concederà a coloro che gliele chiedono le cose buone e necessarie al loro<br />

bene. Non abbiate paura di chiedere e non abbiate paura di non ottenere!<br />

Però (ecco che <strong>Io</strong> vi metto in guardia contro un facile errore) però non fate come i deboli nella fede<br />

e nell'amore, i pagani della religione vera - perché anche fra i credenti vi sono pagani la cui povera<br />

religione è un groviglio di superstizioni e di fede, un manomesso edificio in cui si sono infiltrate<br />

erbe parassitarie d'ogni specie, al punto che esso si sgretola e cade in rovina - i quali, deboli e<br />

pagani, sentono morire la fede se non si vedono esauditi.<br />

Voi chiedete. E vi pare giusto chiedere. Infatti per quel momento non sarebbe neanche ingiusta<br />

quella grazia. Ma la vita non termina in quel momento. E ciò che è bene oggi può essere non bene<br />

domani. Voi questo non lo sapete perché voi sapete solo il presente, ed è una grazia di <strong>Dio</strong> anche<br />

questa. Ma <strong>Dio</strong> conosce anche il futuro. E molte volte per risparmiarvi una pena maggiore vi lascia<br />

non esaudita una preghiera.<br />

Nel mio anno di vita pubblica più di una volta ho sentito dei cuori gemere: “Quanto ho sofferto<br />

allora, quando <strong>Dio</strong> non mi ha ascoltato. Ma ora dico: 'Fu bene così perché quella grazia mi avrebbe<br />

impedito di giungere a quest'ora di <strong>Dio</strong>'”. Altri ho sentito dire e dirmi: “Perché, Signore, non mi<br />

esaudisci? A tutti lo fai, e a me no?”. E pure, avendo dolore di veder soffrire, ho dovuto dire: “Non<br />

posso”, perché l'esaudirli avrebbe voluto dire mettere un intralcio al loro volo alla vita perfetta.<br />

Anche il Padre delle volte dice: “Non posso”. Non perché non possa compiere l'atto immediato. Ma<br />

perché non lo vuole compiere per conoscenza delle conseguenze future.<br />

Udite: Un bambino è malato alle viscere. La madre chiama il medico e il medico dice: “Per guarire<br />

occorre digiuno assoluto”. <strong>Il</strong> bambino piange, strilla, supplica, pare languire. La madre, pietosa<br />

sempre, unisce i suoi lamenti a quelli del figlio. Le pare durezza del medico quel divieto assoluto.<br />

Le pare che possa nuocere al figlio quel digiuno e quel pianto. Ma il medico resta inesorabile. Infine<br />

dice: “Donna, io so, tu non sai. Vuoi perdere tuo figlio o vuoi che io te lo salvi?”. La madre urla:<br />

“Voglio che egli viva!”. “E allora” dice il medico “io non posso concedere cibo. Sarebbe la morte”.<br />

Anche il Padre dice così, delle volte. Voi, madri pietose del vostro io, non lo volete sentir piangere<br />

per negata grazia. Ma <strong>Dio</strong> dice: “Non posso. Sarebbe il tuo male”. Viene il giorno, o viene l'eternità,<br />

in cui si giunge a dire: “Grazie, mio <strong>Dio</strong>, di non avere ascoltato la mia stoltezza!”.<br />

Quanto ho detto per l'orazione dico per il digiuno. Quando digiunate non prendete un'aria<br />

melanconica come usano gli ipocriti, che ad arte si sfigurano la faccia acciò il mondo sappia e<br />

creda, anche se vero non è, che essi digiunano. Anche essi hanno già avuto, con la lode del mondo,<br />

la loro mercede e non ne avranno altra. Ma voi, quando digiunate, prendete un'aria lieta, lavatevi a<br />

più acque il volto perché appaia fresco e liscio, ungetevi la barba e profumatevi le chiome, abbiate il<br />

sorriso del ben pasciuto sulle labbra. Oh! che in verità non vi è cibo che pasca quanto l'amore! E chi<br />

fa digiuno con spirito d'amore, di amore si nutre! In verità vi dico che se anche il mondo vi dirà<br />

“vanitosi” e “pubblicani”, il Padre vostro vedrà il vostro segreto eroico e ve ne darà doppia<br />

ricompensa. E per il digiuno, e per il sacrificio di non essere lodati per esso.<br />

Ed ora andate a dare cibo al corpo dopo che l'anima fu nutrita. Quei due poverelli restino con noi.<br />

Saranno gli ospiti benedetti che daranno sapore al nostro pane. La pace sia con voi ”.


E i due poverelli restano. Sono una donna molto scarna e un vecchio molto vecchio. Ma non sono<br />

insieme. <strong>Il</strong> caso li ha riuniti, ed erano rimasti in un angolo avviliti, tendendo inutilmente la mano a<br />

quelli che passavano loro davanti.<br />

Gesù va direttamente verso di loro che non osano venire avanti e li prende per mano portandoli al<br />

centro del gruppo dei discepoli, sotto una specie di tenda che Pietro ha drizzato in un angolo e sotto<br />

la quale forse si ricoverano nella notte e si riuniscono di giorno nelle ore più calde. E' una tettoia di<br />

frasche e di... mantelli. Ma serve allo scopo per quanto sia così bassa che Gesù e l'Iscariota, i due<br />

più alti, si debbano abbassare per entrarvi.<br />

“Ecco il padre ed ecco una sorella. Portate quanto abbiamo. Mentre prendiamo il cibo udremo la<br />

loro storia ”. E personalmente Gesù serve i due vergognosi e ne ascolta la lamentosa narrazione.<br />

Solo il vecchio, dopo che la figlia è andata lontano col marito e si è dimenticata del padre. Sola la<br />

donna, dopo che la febbre le ha ucciso il marito, ed è malata per giunta.<br />

“<strong>Il</strong> mondo ci sprezza perché poveri siamo ” dice il vecchio. “<strong>Io</strong> vado elemosinando per<br />

raggranellare di che compiere la Pasqua. Ho ottant'anni. Ho sempre fatto la Pasqua e può essere<br />

l'ultima questa. Ma non voglio andare in seno ad Abramo con nessun rimorso. Come perdono alla<br />

figlia così spero di essere perdonato. E voglio fare la mia Pasqua ”.<br />

“Lunga è la via, padre ”.<br />

“Più lunga è quella del Cielo, se si manca al rito ”.<br />

“Vai solo? Se ti senti male per via? ”.<br />

“Mi chiuderà le palpebre l'angelo di <strong>Dio</strong> ”.<br />

Gesù lo carezza sulla testa tremula e bianca e chiede alla donna: “E tu? ”.<br />

“<strong>Io</strong> vado cercando lavoro. Se fossi più pasciuta guarirei dalle febbri. E se fossi guarita potrei<br />

lavorare anche ai grani ”.<br />

“Credi che il solo cibo ti guarirebbe? ”.<br />

“No, ci sei anche Tu... Ma io sono una povera cosa, una troppo povera cosa per poter chiedere pietà<br />

”.<br />

“E se ti guarissi, che vorresti dopo? ”.<br />

“Nulla più. Avrei avuto già ben più di quanto possa sperare ”.<br />

Gesù sorride e le dà un pezzo di pane intinto in un poco di acqua e aceto che fa da bevanda. La<br />

donna lo mangia senza parlare e Gesù continua a sorridere.<br />

<strong>Il</strong> pasto cessa presto. Era così parco! Apostoli e discepoli vanno in cerca d'ombra per le pendici, fra<br />

i cespugli. Gesù resta sotto la tenda. <strong>Il</strong> vecchione si è messo contro la parete erbosa e dorme stanco.<br />

Dopo un poco la donna, che pure si era allontanata cercando ombra e riposo, viene verso Gesù che<br />

le sorride per rincuorarla. Lei viene avanti timida e pure lieta, fin quando quasi è presso la tenda, e<br />

poi vince la gioia e fa gli ultimi passi velocemente, cadendo bocconi con un grido soffocato: “Tu mi<br />

hai guarita! Benedetto! E' l'ora del grande brivido ed io non l'ho più... Oh! ” e bacia i piedi di Gesù.<br />

“Sei sicura di essere guarita? <strong>Io</strong> non te l'ho detto. Potrebbe essere un caso...”.<br />

“Oh! no! Ora ho compreso il tuo sorriso nel darmi quel pane. La tua virtù è entrata in me con quel<br />

boccone. <strong>Io</strong> non ho nulla da ricambiarti fuorché il mio cuore. Comanda alla tua serva, Signore, ed<br />

ella ti ubbidirà fino alla morte ”.<br />

“Si. Vedi quel vecchio? E' solo ed è un giusto. Tu avevi un marito e te lo levò la morte. Egli aveva<br />

una figlia e gliela levò l'egoismo. E' peggio. Eppure non impreca. Ma non è giusto che vada solo<br />

nelle sue ultime ore. Siigli figlia ”.<br />

“Si, mio Signore ”.<br />

“Ma guarda che vuol dire lavorare per due ”.<br />

“Sono forte, ora, e lo farò! ”.<br />

“Vai allora là, su quel greppo, e dì all'uomo che riposa là, a quello vestito di bigio, che venga da Me<br />

”.<br />

La donna va sollecita e torna con Simone Zelote.<br />

“Vieni, Simone. Ti devo parlare. Attendi, donna ”.<br />

Gesù si allontana di qualche metro.<br />

“Pensi che Lazzaro avrebbe difficoltà ad accogliere una lavoratrice di più? ”.


“Lazzaro? Ma io credo che non sappia neppure quanti sono i suoi servi! Uno più, uno meno!...Ma<br />

chi è? ”.<br />

“Quella donna. L'ho guarita e...".<br />

“Basta, Maestro. Se Tu l'hai sanata è segno che l'ami. Ciò che Tu ami è sacro a Lazzaro. Mi impegni<br />

per lui ”.<br />

“E' vero. Ciò che <strong>Io</strong> amo è sacro a Lazzaro. Hai detto bene. E per questo Lazzaro diventerà santo,<br />

perché amando ciò che <strong>Io</strong> amo amerà la perfezione. Voglio unire quel vecchio a quella donna e far<br />

fare l'ultima sua Pasqua in letizia a quel patriarca. Voglio molto bene <strong>Io</strong> ai vecchi santi, e se posso<br />

dar loro tramonto sereno sono felice ”.<br />

“Vuoi bene anche ai bambini...”.<br />

“Sì, e ai malati...”.<br />

“E a quelli che piangono...”.<br />

“E a quelli che sono soli...”.<br />

“Oh! mio Maestro! Ma non ti accorgi di voler bene a tutti? Anche ai tuoi nemici?”.<br />

“Non me ne accorgo, Simone. Amare è la mia natura. Ecco che il patriarca si sveglia. Andiamo a<br />

dirgli che farà la Pasqua con una figlia vicino, e senza più bisogno del pane ”.<br />

Tornano alla tenda dove la donna li attende e vanno tutti e tre dal vecchio che si è seduto e si<br />

riallaccia i sandali.<br />

“Che fai, padre? ”.<br />

“Scendo a valle. Spero trovare un ricovero per la notte, e domani mendicherò sulla via, e poi giù,<br />

giù, giù, fra un mese, se non muoio, sarò al Tempio ”.<br />

“No ”.<br />

“Non devo? Perché? ”.<br />

“Perché il buon <strong>Dio</strong> non vuole. Non andrai solo. Questa verrà con te. Ti condurrà dove <strong>Io</strong> dirò e<br />

sarete accolti per amor mio. Farai la tua Pasqua, ma senza fatica. La tua croce l'hai già portata,<br />

padre. Posala adesso. E raccogliti solo in orazione di grazie al buon <strong>Dio</strong> ”.<br />

“Ma perché... ma perché... io... io non merito tanto.... Tu... una figlia.... Più che se mi donassi<br />

vent'anni... E dove, dove mi mandi?...”. <strong>Il</strong> vecchio piange fra il cespuglio del suo barbone.<br />

“Da Lazzaro di Teofilo. Non so se lo conosci ”.<br />

“Oh!... io sono dei confini della Siria e ricordo Teofilo. Ma... ma... oh! Figlio benedetto di <strong>Dio</strong>,<br />

lascia che io ti benedica! ”.<br />

E Gesù, seduto come è sull'erba, di fronte al vecchione, veramente si curva per lasciare che lo stesso<br />

gli imponga, solenne, le mani sul capo, tuonando, con la sua voce cavernosa di vegliardo, l'antica<br />

benedizione: “<strong>Il</strong> Signore ti benedica e custodisca. <strong>Il</strong> Signore ti mostri la sua faccia e abbia di te<br />

misericordia. <strong>Il</strong> Signore volga a te il suo volto e ti dia la sua pace ”.<br />

E Gesù, Simone e la donna rispondono insieme: “E così sia ”.<br />

173. Quinto discorso della Montagna: l’uso delle ricchezze. L’elemosina, la<br />

fiducia in <strong>Dio</strong>.<br />

27 maggio 1945.<br />

Lo steso discorso della Montagna.<br />

La folla aumenta sempre, più i giorni passano. Vi sono uomini, donne, vecchi, bambini, ricchi,<br />

poveri. E' sempre presente la coppia Stefano-Erma, per quanto ancora non aggregata e fusa ai<br />

vecchi discepoli capitanati da Isacco. E ancora vi è la nuova coppia, costituita ieri, del vecchione e<br />

della donna. Sono ben davanti, vicino al loro Consolatore, e i loro aspetti sono molto più sollevati di<br />

ieri. <strong>Il</strong> vecchio, quasi per rifarsi dei molti mesi o anni che fu trascurato dalla figlia, ha messo la sua<br />

mano rugosa sulle ginocchia della donna, e questa gliela carezza per quel bisogno innato della<br />

donna, moralmente sana, di essere materna.<br />

Gesù passa loro vicino per salire al rustico pulpito e nel passare carezza la testa del vecchione, che


lo guarda come lo vedesse già in veste di <strong>Dio</strong>.<br />

Pietro dice qualcosa a Gesù, che gli fa cenno come per dire: “Non importa ”. Ma non capisco quello<br />

che dice l'apostolo, che però resta vicino a Gesù e al quale si uniscono poi Giuda Taddeo e Matteo.<br />

Gli altri si perdono fra la moltitudine.<br />

“La pace sia con tutti voi!<br />

Ieri ho parlato della preghiera, del giuramento, del digiuno. Oggi vi voglio istruire su altre<br />

perfezioni. Sono anche esse preghiera, fiducia, sincerità, amore, religione.<br />

La prima di cui parlo è il giusto uso delle ricchezze, mutate, per buona volontà del servo fedele, in<br />

altrettanti tesori del Cielo. I tesori della terra non durano. Ma i tesori del Cielo sono eterni. Avete in<br />

voi l'amore a ciò che è vostro? Vi fa pena il morire perché non potete più curare i vostri beni e li<br />

dovete lasciare? E allora trasportateli in Cielo! Voi dite: “Nel Cielo non entra ciò che è della terra e<br />

Tu insegni che il denaro è la cosa più lurida della terra. Come possiamo allora trasportarlo in<br />

Cielo?”. No. Non potete portare le monete, materiali quali sono, nel Regno dove tutto è spirito. Ma<br />

potete portare il frutto delle monete.<br />

Quando voi date ad un banchiere il vostro oro, perché lo date? Perché lo faccia fruttare. Non ve ne<br />

private certo, sebbene momentaneamente, perché egli ve lo renda tal quale. Ma volete che su dieci<br />

talenti egli ve ne renda dieci più uno, o più ancora. Allora siete felici e lodate il banchiere.<br />

Altrimenti dite: “Costui è un onesto, ma è uno sciocco”. E se poi, invece dei dieci più uno, ve ne dà<br />

nove, dicendo: “Ho perduto il resto”, lo denunciate e lo gettate in prigione. Cosa è il frutto del<br />

denaro? Semina forse il banchiere i vostri denari e li annaffia per farli crescere? No. <strong>Il</strong> frutto è dato<br />

da un accorto maneggio di affari, in modo che, e con ipoteche e con prestiti a interesse, il denaro si<br />

aumenti dell'aggio giustamente richiesto per il favore dell'oro prestato. Non è così?<br />

Or dunque udite. <strong>Dio</strong> vi dà le ricchezze terrene. A quali molte, a quali appena quante necessitano al<br />

vivere, e vi dice: “Ora a te. <strong>Io</strong> te le ho date. Fai di questi mezzi un fine quale il mio amore lo<br />

desidera per il tuo bene. <strong>Io</strong> te le affido. Ma non perché tu ne faccia un male. Per la stima che ho in<br />

te, per riconoscenza dei miei doni, tu fa' fruttare, e per questa vera Patria, i tuoi beni”.<br />

Ed ecco il metodo per giungere a questo fine.<br />

Non vogliate accumulare i vostri tesori sulla terra, vivendo per essi, essendo crudeli per essi,<br />

essendo maledetti dal prossimo e da <strong>Dio</strong> per essi. Non merita. Sono sempre insicuri quaggiù. I ladri<br />

possono sempre derubarvi. <strong>Il</strong> fuoco può distruggervi le case. Le malattie delle piante o delle<br />

mandrie sterminarvi greggi e frutteti. Quante cose insidiano i beni! Siano essi immobili e<br />

inattaccabili, come le case e l'oro; o siano soggetti ad essere lesi nella loro natura, come tutto quanto<br />

vive, come sono i vegetali e gli animali; e persino siano le stoffe preziose, possono essere soggetti a<br />

menomazione. <strong>Il</strong> fulmine sulle case, e le fiamme e le acque; e i ladri, la ruggine, la siccità, i roditori,<br />

gli insetti sui campi; il capostorno, le febbri, le scosciature, le morve negli animali; le tignole e i<br />

topi nelle stoffe preziose e nei mobili pregiati; l'erosione delle ossidazioni nei vasellami, e lumiere,<br />

e cancelli artistici; tutto, tutto è soggetto a menomazione.<br />

Ma se voi di tutto questo bene terreno fate un bene soprannaturale, ecco che esso è salvo da ogni<br />

lesione del tempo, degli uomini e delle intemperie. Fatevi delle borse in Cielo, là dove non entrano<br />

ladri e dove non accadono sventure. Lavorate con l'amore misericordioso verso tutte le miserie della<br />

terra. Accarezzate, sì, le vostre monete, baciatele anche, se volete, giubilate per le messi che<br />

prosperano, per i vigneti carichi di grappoli, per gli ulivi che si piegano sotto il peso di infinite<br />

ulive, per le pecore dal fecondo seno e dalle turgide mammelle. Fate tutto ciò. Ma non sterilmente.<br />

Non umanamente. Fatelo con amore e ammirazione, con godimento e calcolo soprannaturale.<br />

“Grazie, mio <strong>Dio</strong>, di questa moneta, di queste messi, di queste piante, di queste pecore, di questi<br />

commerci! Grazie, pecore, piante, commerci, che mi servite così bene. Siate benedetti tutti, perché<br />

per la tua bontà, o Eterno, e per vostra bontà, o cose, ecco che io posso fare tanto bene a chi ha<br />

fame, a chi è ignudo, senza tetto, malato, solo... Lo scorso anno feci per dieci. Quest'anno -poiché,<br />

per quanto io abbia dato molto in elemosina, ho maggior denaro e più pingui sono i raccolti e<br />

numerosi i greggi - ecco che io darò due, tre volte, quanto diedi lo scorso anno. Perché tutti, anche i<br />

derelitti di ogni bene loro proprio, godano della mia gioia e benedicano con me, Te, Signore<br />

eterno”. Ecco la preghiera del giusto. Quella preghiera che, unita all'azione, trasporta i vostri beni in


Cielo, e non solo ve li conserva eternamente, ma ve li fa trovare aumentati dei frutti santi<br />

dell'amore.<br />

Abbiate il vostro tesoro in Cielo per avere là il vostro cuore al disopra e al di là del pericolo che non<br />

solo l'oro, le case, i campi, le greggi possano subire sventura, ma che sia insidiato il vostro stesso<br />

cuore e derubato, corroso, bruciato, ucciso dallo spirito del mondo. Se così farete avrete il vostro<br />

tesoro nel vostro cuore perché avrete <strong>Dio</strong> in voi fino al giorno beato in cui sarete in Lui.<br />

Però, per non diminuire il frutto della carità, badate di essere caritatevoli con spirito soprannaturale.<br />

Come ho detto per la preghiera e il digiuno, così dico per la beneficenza e di ogni altra opera buona<br />

che possiate fare.<br />

Conservate il bene che fate dalla violazione del senso del mondo, conservatelo vergine da umana<br />

lode. Non profanate la rosa profumata, vero incensiere di profumi grati al Signore, della vostra<br />

carità e del vostro agire buono. Profana il bene lo spirito di superbia, il desiderio di essere notati nel<br />

fare il bene e la ricerca della lode. La rosa della carità allora viene sbavata e corrosa dai lumaconi<br />

viscidi dell'orgoglio soddisfatto, e nell'incensiere cadono fetide paglie della lettiera su cui il superbo<br />

si crogiola come bestia ben pasciuta.<br />

Oh! quelle beneficenze fatte per essere citati! Ma meglio, meglio non farle affatto! Chi non fa pecca<br />

di durezza. Chi fa, facendo conoscere e la somma data, e il nome di chi l'ha avuta, e mendicando la<br />

lode, pecca di superbia col rendere nota l'offerta, ossia dice: 'Vedete quanto io posso?', pecca di<br />

anticarità perché mortifica il beneficato col rendere noto il suo nome, pecca di avarizia spirituale<br />

volendo accumulare lodi umane... Paglie, paglie, non di più che paglie. Fate che vi lodi <strong>Dio</strong> coi suoi<br />

angeli.<br />

Voi, quando fate elemosina, non suonate la tromba davanti a voi per attirare l'attenzione del<br />

passante ed essere onorato come gli ipocriti, che vogliono l'applauso degli uomini e perciò fanno<br />

elemosina solo là dove possono essere visti da molti. Anche questi hanno già avuto a loro mercede e<br />

non ne avranno altra da <strong>Dio</strong>. Voi non incorrete nella stessa colpa e nella stessa presunzione. Ma<br />

quando fate elemosina non sappia la vostra sinistra quel che fa la destra, tanto nascosta e pudica è la<br />

vostra elemosina, e poi dimenticatevene. Non state a rimirarvi l'atto compiuto, gonfiandovi di esso<br />

come fa il rospo, che si rimira coi suoi occhi velati nello stagno e che, posto che vede riflessi<br />

nell'acqua ferma le nuvole, gli alberi, il carro fermo presso la riva, e vede lui così piccino rispetto a<br />

quelli così grossi, si empie d'aria fino a scoppiare. Anche la vostra carità è un nulla rispetto<br />

all'Infinito che è la Carità di <strong>Dio</strong>, e se voleste divenire simili a Lui e rendere la vostra carità piccina,<br />

grossa, grossa, grossa per uguagliare la sua, vi empireste di vento d'orgoglio e finireste per perire.<br />

Dimenticatevene. Dell'atto stesso dimenticatevene. Vi resterà sempre presente una luce, una voce,<br />

un miele, e vi farà luminoso il giorno, dolce il giorno, beato il giorno. Perché quella luce sarà il<br />

sorriso di <strong>Dio</strong>, quel miele la pace spirituale che è ancora <strong>Dio</strong>, quella voce la voce del Padre-<strong>Dio</strong> che<br />

vi dirà: “Grazie”. Egli vede il male occulto e vede il bene nascosto, e ve ne darà ricompensa. <strong>Io</strong> ve<br />

lo...”<br />

“Maestro, Tu menti alle tue parole! ”.<br />

L'insulto, astioso e improvviso, viene dal centro della folla. Tutti si volgono in direzione della voce.<br />

Vi è della confusione.<br />

Pietro dice: “Te lo avevo detto! Eh! quando c'è uno di quelli lì... non va più bene niente! ”.<br />

Fra la folla partono fischi e mormorii verso l'insultatore. Gesù è il solo che resti calmo. Ha<br />

incrociato le braccia sul petto e sta alto, col sole in fronte, ritto sul suo masso, nel suo abito azzurro<br />

cupo.<br />

L'insultatore continua, incurante della reazione della folla: “Sei un cattivo maestro perché insegni<br />

ciò che non fai e...”.<br />

“Taci! Va' via! Vergognati! ” urla la folla. E ancora: “Vai dai tuoi scribi! A noi ci basta il Maestro.<br />

Gli ipocriti con gli ipocriti! Falsi maestri! Strozzini!...” e continuerebbero, ma Gesù tuona:<br />

“Silenzio! Lasciatelo parlare ” e la gente non urla più, ma bisbiglia i suoi improperi conditi da<br />

occhiate feroci.<br />

“Sì. Tu insegni ciò che non fai. Dici che si deve fare elemosina senza essere visti e ieri, alla<br />

presenza di tutto un popolo, hai detto a due poveri: "Rimanete e vi sfamerò"”.


“Ho detto: “Rimangano i due poverelli. Saranno gli ospiti benedetti e daranno sapore al nostro<br />

pane”. Non di più. Non ho significato di volerli sfamare. Quale è quel povero che almeno non ha un<br />

pane? La gioia era di dar loro amicizia buona”.<br />

“Eh! già! Sei astuto e sai fare l'agnello!...”.<br />

<strong>Il</strong> vecchione si alza, si volta e alzando il suo bastone grida: “Lingua infernale che accusi il Santo,<br />

credi forse di sapere tutto e di potere accusare per ciò che sai? Come ignori chi è <strong>Dio</strong> e chi è Colui<br />

che tu insulti, così ignori le sue azioni. Solo gli angeli e il mio cuore giubilante lo sanno. Udite,<br />

uomini, udite tutti, e sappiate se Gesù è il mentitore e il superbo che questo avanzo del Tempio vuol<br />

dire. Egli...”.<br />

“Taci, Ismaele! Taci per amor mio! Se ti ho fatto felice, fammi felice tacendo ” lo prega Gesù.<br />

“Ti ubbidisco, Figlio santo. Ma lasciami dire questo solo: la benedizione del vecchio israelita fedele<br />

è su di Lui che mi ha beneficato da <strong>Dio</strong>, e <strong>Dio</strong> l'ha messa sulle mie labbra per me e per Sara, mia<br />

figlia novella. Ma sul tuo capo non sarà benedizione. <strong>Io</strong> non ti maledico. Non sporco la mia bocca,<br />

che deve dire a <strong>Dio</strong>: “Accoglimi”, con una maledizione. Non l'ho avuta neppure per chi mi ha<br />

rinnegato, e già ne ho ricompensa divina. Ma ci sarà chi fa le veci dell'Innocente accusato e di<br />

Ismaele, amico di <strong>Dio</strong> che lo benefica ”.<br />

Un coro di urla fa chiusa al discorso del vecchio che si siede di nuovo, e un uomo se la svigna e se<br />

ne va, inseguito da improperi.<br />

E poi la folla grida a Gesù: “Continua, continua, Maestro santo! Noi non ascoltiamo che Te, e Tu<br />

ascolta noi. Non quei corvi maledetti! E' gelosia la loro. Perché ti amiamo più di loro! Ma in Te è<br />

santità, in loro cattiveria. Parla, parla! Vedi che non ci punge più altro desiderio che la tua parola.<br />

Case, commerci? Nulla per udire Te! ”.<br />

“Sì, parlo. Ma non ve la prendete. Pregate per quegl'infelici. Perdonate come <strong>Io</strong> perdono. Perché se<br />

perdonate agli uomini i loro falli, anche il vostro Padre dei Cieli vi perdonerà i vostri peccati. Ma se<br />

avrete rancore e non perdonerete agli uomini, nemmeno il Padre vostro vi perdonerà le vostre<br />

mancanze. E tutti hanno bisogno di perdono.<br />

<strong>Io</strong> vi dicevo che <strong>Dio</strong> vi darà ricompensa anche se voi non gli chiedete premio per il bene fatto. Ma<br />

voi non fate il bene per avere ricompensa, per avere una mallevadoria per il domani. Non fate il<br />

bene misurato e trattenuto dalla tema: “E poi, per me, ne avrò ancora? E se non avrò più nulla chi<br />

mi aiuterà? Troverò chi mi fa ciò che ho fatto? E quando non potrò più dare, sarò ancora amato?”.<br />

Guardate: <strong>Io</strong> ho amici potenti fra i ricchi e amici fra i miseri della terra. E in verità vi dico che non<br />

sono gli amici potenti i più amati. Vado da quelli non per amore di Me e per mio utile. Ma perché da<br />

essi posso avere molto per chi non ha nulla. <strong>Io</strong> sono povero. Non ho nulla. Vorrei avere tutti i tesori<br />

del mondo e mutarli in pane per chi ha fame, in tetto per chi è senza tetto, in vesti per chi è ignudo,<br />

in medicine per chi è malato. Voi direte. “Tu puoi guarire”. Sì. Questo ed altro posso. Ma non<br />

sempre è la fede negli altri, ed <strong>Io</strong> non posso fare ciò che farei e che vorrei fare se trovassi della fede<br />

nei cuori per Me. <strong>Io</strong> vorrei beneficare anche questi che non hanno fede. E posto che non chiedono il<br />

miracolo al Figlio dell'uomo vorrei, da uomo a uomo, dar loro soccorso. Ma non ho nulla. Per<br />

questo <strong>Io</strong> tendo la mano a chi ha e chiedo: “Fammi la carità, in nome di <strong>Dio</strong>”. Ecco perché <strong>Io</strong> ho<br />

amicizie in alto. Domani, quando <strong>Io</strong> non sarò più sulla terra, ancora vi saranno i poveri, ed <strong>Io</strong> non ci<br />

sarò né a compiere miracolo per chi ha fede, né a fare elemosina per portare alla fede. Ma allora i<br />

miei amici ricchi avranno imparato, al mio contatto, come si fa a beneficare, e i miei apostoli<br />

avranno, pure dal mio contatto, imparato a elemosinare per amore dei fratelli. E i poveri avranno<br />

sempre un soccorso.<br />

Ebbene, ieri <strong>Io</strong>, da uno che non ha nulla, ho avuto più di quanto mi hanno dato tutti coloro che<br />

hanno. E' un amico povero quanto Me. Ma mi ha dato una cosa che non si compera con nessuna<br />

moneta e che mi ha fatto felice, riportandomi tante ore serene della mia fanciullezza e giovinezza,<br />

quando ogni sera sul mio capo si imponevano le mani del Giusto ed <strong>Io</strong> andavo al riposo con la sua<br />

benedizione per custode del mio sonno. Ieri questo mio amico povero mi ha fatto re con la sua<br />

benedizione. Vedete che ciò che lui mi ha dato nessuno dei miei amici ricchi me l'ha mai dato.<br />

Perciò non temete. Anche se non avrete più potenza di denaro, solo che abbiate amore e santità,<br />

potrete beneficare chi è povero, stanco o afflitto.


E perciò vi dico: non siate troppo solleciti per tema di avere poco. Avrete sempre il necessario. Non<br />

siate troppo preoccupati pensando al futuro. Nessuno sa quanto futuro ha ancora davanti. Non siate<br />

in pensiero per quello che mangerete per sostenervi nella vita, né di che vi vestirete per tenere caldo<br />

il vostro corpo. La vita del vostro spirito è ben più preziosa del ventre e delle membra, vale molto<br />

più del cibo e del vestito, così come la vita materiale è più del cibo e il corpo più della veste. E il<br />

Padre vostro lo sa. Sappiatelo dunque anche voi. Guardate gli uccelli dell'aria: non seminano, non<br />

mietono, non raccolgono in granai, eppure non muoiono di fame perché il Padre celeste li nutre. Voi<br />

uomini, creature predilette del Padre, valete molto più di loro.<br />

Chi di voi, con tutto il suo ingegno, può aggiungere alla sua statura un sol cubito? Se non riuscite ad<br />

alzare la vostra statura neppure di un palmo, come potete pensare di mutare le vostre condizioni<br />

future, aumentando le vostre ricchezze per garantirvi una lunga e prospera vecchiaia? Potete dire<br />

alla morte: “Tu mi verrai a prendere quando io vorrò”? Non potete. A che, allora, preoccuparvi del<br />

domani? E perché avere tanta pena per tema di rimanere senza vesti? Guardate come crescono i<br />

gigli del campo: non faticano, non filano, non vanno dai venditori di panni a fare acquisti. Eppure vi<br />

assicuro che nemmeno Salomone con tutta la sua gloria fu mai vestito come uno di loro. Ora se <strong>Dio</strong><br />

riveste così l'erba del campo, che oggi è e domani serve a scaldare il forno o a pasturare il gregge e<br />

finisce in cenere o sterco, quanto più provvederà voi, figli suoi.<br />

Non siate gente di poca fede. Non vi angosciate per un futuro incerto, dicendo: “Quando sarò<br />

vecchio come mangerò? Che berrò? Com mi vestirò?”. Queste preoccupazioni lasciatele ai gentili<br />

che non hanno l'alata certezza della paternità divina. Voi l'avete e sapete che il Padre sa i vostri<br />

bisogni e che vi ama. Fidate dunque in Lui. Cercate prima le cose veramente necessarie: la fede, la<br />

bontà, la carità, l'umiltà, la misericordia, la purezza, la giustizia, la mansuetudine, le tre o quattro<br />

virtù principali, e tutte, tutte le altre ancora, di modo da essere amici di <strong>Dio</strong> e di avere diritto al suo<br />

Regno. E vi assicuro che tutto il resto vi sarà dato per giunta senza che neppure lo chiediate. Non vi<br />

è ricco più ricco del santo, e sicuro più sicuro di esso. <strong>Dio</strong> è col santo. <strong>Il</strong> santo è con <strong>Dio</strong>. Per il suo<br />

corpo non chiede, e <strong>Dio</strong> lo provvede del necessario. Ma lavora per il suo spirito, ed a questo <strong>Dio</strong> dà<br />

Se stesso, qui, e il Paradiso oltre la vita.<br />

Non mettetevi dunque in pena per ciò che non merita la vostra pena. Affliggetevi di essere<br />

imperfetti, non di essere scarsi di beni terreni. Non crucciatevi per il domani. <strong>Il</strong> domani penserà a se<br />

stesso, e voi ad esso penserete quando lo vivrete. Perché pensarvi da oggi? Non è già abbastanza<br />

piena dei ricordi penosi di ieri, e dei pensieri crucciosi di oggi, la vita, per sentire bisogno di<br />

mettervi anche gli incubi dei “che sarà?” del domani? Lasciate ad ogni giorno il suo affanno! Ve ne<br />

saranno sempre più di quante ne vorremmo di pene nella vita, senza aggiungere pene presenti a<br />

pene future! Dite sempre la grande parola di <strong>Dio</strong>: “Oggi”. Siete suoi figli, creati secondo la sua<br />

somiglianza. Dite dunque con Lui: “Oggi”.<br />

E oggi <strong>Io</strong> vi dò la mia benedizione. Vi accompagni fino all'inizio del nuovo oggi, di domani, ossia<br />

di quando vi darò nuovamente la pace in nome di <strong>Dio</strong> ”.<br />

174. Sesto discorso della Montagna: la scelta tra Bene e Male, l’adulterio, il<br />

Divorzio. L’arrivo importuno di Maria di Magdala.<br />

29 maggio 1945.<br />

In una mattinata splendida, di un nitore d'aria ancora più vivo del solito, per cui pare che le<br />

lontananze si accorcino o che le cose siano viste attraverso una lente oculare che le rende nitide<br />

anche nei più piccoli particolari, si prepara la folla ad ascoltare il Maestro.<br />

Di giorno in giorno la natura si fa più bella, rivestendosi della veste opulenta della piena primavera,<br />

che in Palestina mi pare sia proprio tra marzo e aprile, perché dopo prende già l'aspetto estivo con i<br />

grani maturi e le foglie già folte e complete. Ora è tutto un fiore. Dall'alto del monte, che di suo si è<br />

vestito di fiori anche nei punti apparentemente meno atti a fiorire, si vede la pianura col suo<br />

mareggiare di grani ancora flessuosi al vento, che dà loro moto d'onda verde glauca, appena tinta di


oro pallido sulla cima delle spighe che graniscono fra le reste spinose. Su questo ondulare di messi<br />

al vento lieve, stanno ritti nella loro veste di petali - e sembrano tanti enormi piumini ci cipria<br />

oppure pallottole di garza bianca, rosa tenuissimo, rosa carico, rosso vivo - gli alberi da frutto, e<br />

raccolti nella loro veste di penitenti ascetici gli ulivi pregano, e la loro preghiera già si muta in un<br />

nevicare, per ora ancora incerto, di fiorellini bianchi.<br />

L'Hermon è un alabastro rosa nella cima che il sole bacia, e dall'alabastro scendono due fili di<br />

diamante - da qui sembrano fili - dai quali il sole trae uno scintillio quasi irreale, e poi si affossano<br />

sotto le gallerie verdi dei boschi e non si vedono più altro che a valle, dove formano corsi d'acqua<br />

che certo vanno al lago di Meron, da qui invisibile, e poi ne escono con le belle acque del Giordano<br />

per poi tuffarsi nuovamente nello zaffiro chiaro del mare di Galilea, che è tutto un tremolio di<br />

scaglie preziose alle quali il sole fa da castone e da fiamma. Sembra che le vele scorrenti su questo<br />

specchio, quieto e splendido nella sua cornice di giardini e campagne meravigliose, siano guidate<br />

dalle nuvolette leggiere che veleggiano nell'altro mare del cielo.<br />

Veramente il creato ride in questa giornata di primavera e in quest'ora mattutina.<br />

E la gente affluisce, affluisce, senza posa. Sale da tutte le parti: vecchi, sani, malati, bimbi, sposi<br />

che pensano iniziare la loro vita con la benedizione della parola di <strong>Dio</strong>, mendichi, benestanti che<br />

chiamano gli apostoli e danno loro offerte per chi non ha, e pare si confessino tanto cercano un<br />

posto nascosto per farlo.<br />

Tommaso ha preso una delle loro sacche da viaggio e rovescia in essa tranquillamente tutto questo<br />

tesoro di monete, come fosse del becchime da polli, e poi porta tutto vicino al masso dove Gesù<br />

parla, e ride allegro dicendo: “Godi Maestro! Oggi ne hai per tutti! ”.<br />

Gesù sorride e dice: “E cominceremo subito, perché chi è triste sia subito contento. Tu e i<br />

compagni scegliete i malati e i poveri e portateli qui davanti ”.<br />

Cosa che avviene con un tempo relativamente breve, perché si deve ascoltare i casi di questo e<br />

quello, e durerebbe molto di più senza l'aiuto pratico di Tommaso che col suo vocione potente,<br />

montato su un sasso per essere visto, grida: “Tutti coloro che hanno sofferenze nel corpo vadano a<br />

destra di me, là, dove è ombra ”. Lo imita l'Iscariota, anche lui dotato di una voce non comune in<br />

potenza e bellezza, che a sua volta grida: “E tutti coloro che credono di avere diritto all'obolo<br />

vengano qui, intorno a me. E badate bene di non mentire perché l'occhio del Maestro legge nei cuori<br />

”.<br />

La folla si agita per separarsi così in tre parti: chi è malto, chi è povero, chi è solo desideroso di<br />

dottrina.<br />

Ma fra questi ultimi, due, poi tre, sembrano aver bisogno di qualche cosa che non è salute e non è<br />

denaro, ma che è più necessario di queste cose. Una donna e due uomini. Guardano, guardano gli<br />

apostoli e non osano parlare.<br />

Passa Simone Zelote col suo aspetto severo; passa Pietro indaffarato che arringa una decina di<br />

frugoli, ai quali promette delle ulive se saranno buoni fino alla fine e delle busse se faranno baccano<br />

mentre parla il Maestro; passa Bartolomeo anziano e serio; passa Matteo con Filippo, che portano a<br />

braccia uno storpiato che troppa fatica avrebbe fatto a fendere la folla fitta; passano i cugini del<br />

Signore dando braccio ad un mendicante quasi cieco e ad una poverella di chissà quanti mai anni,<br />

che piange narrando a Giacomo tutti i suoi guai; passa Giacomo di Zebedeo con in braccio una<br />

povera bambina, certo malata, che egli ha preso alla madre, che lo segue affannosa, per impedire<br />

che la folla le faccia del male; ultimi a passare sono gli, potrei dire, indivisibili Andrea e Giovanni,<br />

perché se Giovanni, nella sua serena naturalezza di fanciullo santo, va ugualmente con tutti i<br />

compagni, Andrea, per la sua grande ritenutezza, preferisce andare con l'antico compagno di pesca e<br />

di fede nel Battista. Questi erano rimasti presso l'imbocco dei due sentieri principali, per dirigere<br />

ancora la folla ai suoi posti, ma ora il monte non presenta altri pellegrini sulle sue vie sassose, e i<br />

due si riuniscono per andare dal Maestro con le ultime offerte ricevute.<br />

Gesù è già curvo sui malati, e gli osanna della folla punteggiano i singoli miracoli.<br />

La donna, che pare tutta in pena, osa tirare per la veste Giovanni che parla con Andrea e sorride.<br />

Egli si china e le chiede: “Che vuoi, donna? ”<br />

“Vorrei parlare col Maestro…”


“Hai del male? Povera non sei...”<br />

“Non ho male e non sono povera. Ma ho bisogno di Lui... perché vi sono malati senza febbre e vi<br />

sono miserie senza povertà, e la mia... e la mia...” e piange.<br />

“Senti, Andrea. Questa donna ha una pena nel cuore e vorrebbe dirla al Maestro. Come facciamo? ”<br />

Andrea guarda la donna e dice: “Certo è cosa che addolora farla conoscere...”. La donna assente col<br />

capo. Andrea riprende: “Non piangere... Giovanni, fa' di portarla dietro la nostra tettoia. <strong>Io</strong> porterò<br />

il Maestro ”.<br />

E Giovanni, col suo sorriso, prega di far largo per poter passare, mentre Andrea va in direzione<br />

opposta verso Gesù.<br />

Ma la mossa è osservata dai due uomini afflitti, e uno ferma Giovanni ed uno Andrea, e dopo poco,<br />

ecco, che tanto l'uno che l'altro sono insieme a Giovanni e alla donna dietro il riparo di frasche che<br />

fa da parete alla tenda.<br />

Andrea raggiunge Gesù nel momento che Questo guarisce lo storpiato, che alza le grucce come due<br />

trofei, arzillo come un ballerino, gridando la sua benedizione. Andrea sussurra: “Maestro, dietro la<br />

nostra tettoia vi sono tre che piangono. Ma il loro affanno è di cuore e non può essere noto...”.<br />

“Va bene. Ho ancora questa bambina e questa donna. Poi verrò. Va' a dire loro che abbiano fede ”.<br />

Andrea se ne va mentre Gesù si china sulla bambina che la madre ha ripreso in grembo: “Come ti<br />

chiami? ” le chiede Gesù.<br />

“Maria ”.<br />

“Ed <strong>Io</strong> come mi chiamo? ”.<br />

“Gesù ” risponde la bambina.<br />

“E chi sono? ”.<br />

“<strong>Il</strong> Messia del Signore venuto per dare bene ai corpi e alle anime ”.<br />

“Chi te lo ha detto? ”.<br />

“La mamma e il papà che sperano in Te per la mia vita ”.<br />

“Vivi e sii buona ”.<br />

La bambina, che credo fosse malata alla spina perché, per quanto già sui sette e più anni, non si<br />

muoveva che con le mani ed era tutta stretta in grosse e dure fasce dalle ascelle alle anche - si<br />

vedono perché la madre le ha aperto la vesticciola per mostrarle - sta così come era per qualche<br />

minuto, poi ha un sussulto e scivola dal grembo materno a terra e corre da Gesù, che sta guarendo la<br />

donna di cui non capisco il caso.<br />

I malati sono esauditi tutti e sono quelli che più urlano fra la molta folla che applaude al “Figlio di<br />

Davide, gloria a <strong>Dio</strong> e nostra ”.<br />

Gesù va verso la tettoia.<br />

Giuda di Keriot grida: “Maestro! E questi? ”.<br />

Gesù si volge e dice: “Attendano dove sono. Saranno essi pure consolati ” e va lesto dietro le<br />

frasche, là dove sono, con Andrea e Giovanni, i tre in pena.<br />

“Prima la donna. Vieni con Me fra queste siepi. Parla senza timore ”.<br />

“Signore, mio marito mi abbandona per una prostituta. Ho cinque figli, e l'ultimo ha due anni... <strong>Il</strong><br />

mio dolore è grande... e penso ai figli... Non so se li vorrà lui o li lascerà a me. I maschi, il primo<br />

almeno, lo vorrà... Ed io che l'ho partorito non devo più avere la gioia di vederlo? E che penseranno<br />

essi del padre o di me? Di uno devono pensare male. Ed io non vorrei giudicassero il padre loro...”.<br />

“Non piangere. Sono il Padrone della vita e della morte. Tuo marito non sposerà quella donna. Vai<br />

in pace e continua ad essere buona ”.<br />

“Ma... non ucciderai lui? Oh! Signore, io lo amo! ”.<br />

Gesù sorride: “Non ucciderò nessuno. Ma ci sarà chi farà il suo mestiere. Sappi che il demonio non<br />

è da più di <strong>Dio</strong>. Tornando alla tua città saprai che ci fu chi uccise la creatura malefica e in un modo<br />

tale che tuo marito comprenderà che cosa stava facendo e ti amerà di rinato amore ”.<br />

La donna gli bacia la mano, che Gesù le ha messo sulla testa, e se ne va.<br />

Viene uno degli uomini. “Ho una figlia, Signore. Sventuratamente andò a Tiberiade con delle<br />

amiche e fu come avesse aspirato il tossico. Mi è tornata come ebbra. Vuole andarsene con un<br />

greco... e poi... Ma perché mi è nata? Sua madre è malata di dolore e forse morrà... <strong>Io</strong>... solo le tue


parole, che ho udito l'inverno passato, mi trattengono da ucciderla. Ma, te lo confesso, il mio cuore<br />

l'ha già maledetta ”.<br />

“No. <strong>Dio</strong>, che Padre è, non maledice che a peccato compiuto e ostinato. Che vuoi da Me? ”.<br />

“Che Tu la ravveda ”.<br />

“<strong>Io</strong> non la conosco ed ella, certo, da Me non viene ”.<br />

“Ma Tu puoi cambiarle il cuore anche da lontano! Sai chi mi manda a Te? Giovanna di Cusa. Stava<br />

partendo per Gerusalemme quando io sono andato al suo palazzo per chiedere se le era noto questo<br />

greco infame. Pensavo che ella non lo conoscesse perché ella è buona, pur vivendo a Tiberiade, ma<br />

poiché Cusa avvicina i gentili... Non lo conosce. Ma mi ha detto: “Vai da Gesù. Egli mi ha<br />

richiamato lo spirito da tanto lontano e mi ha guarita, con quella chiamata, dalla mia etisia. Guarirà<br />

anche il cuore a tua figlia. <strong>Io</strong> pregherò e tu abbi fede”. Ce l'ho. Lo vedi. Abbi pietà, Maestro ”.<br />

“Tua figlia entro questa sera piangerà sui ginocchi di sua madre chiedendo perdono. Tu pure sii<br />

buono come la madre: perdona. <strong>Il</strong> passato è morto ”.<br />

“Sì, Maestro. Come Tu vuoi e che Tu sia benedetto ”. Si rivolge per andarsene... ma poi torna sui<br />

suoi passi: “Perdona, Maestro... Ma ho tanta paura... La lussuria è un tal demone! Dammi un filo<br />

della tua veste. Lo metterò nel capezzale di mia figlia. Mentre dorme il demonio non la tenterà ”.<br />

Gesù sorride e crolla il capo... ma accontenta l'uomo dicendo: “Perché tu sia più tranquillo. Ma<br />

credi che quando <strong>Dio</strong> dice: “Voglio” il diavolo se ne va senza bisogno di altro. Vuol dire che terrai<br />

questo per ricordo di Me ” e dà un fiocchetto delle su frange.<br />

Viene il terzo uomo: “Maestro, mio padre è morto. Noi credevamo avesse delle ricchezze in denaro.<br />

Non ne abbiamo trovate. E sarebbe poco male, perché non ci manca il pane fra fratelli. Ma io<br />

vivevo con mio padre, essendo il primogenito. Gli altri due fratelli mi accusano di avere fatto<br />

sparire le monete e mi vogliono fare la causa come ladro. Tu vedi il mio cuore. <strong>Io</strong> non ho rubato un<br />

picciolo. Mio padre teneva i suoi denari in uno scrigno, in una cassetta di ferro. Morto che fu,<br />

aprimmo lo scrigno e la cassetta non c'era più. Loro dicono: “Questa notte, mentre noi dormivamo,<br />

tu l'hai presa”. Non è vero. Aiutami a mettere pace e stima fra noi ”.<br />

Gesù lo guarda ben fisso e sorride.<br />

“Perché sorridi, Maestro? ”.<br />

“Perché il colpevole è tuo padre, una colpa da bambino che nasconde il suo giocattolo per paura che<br />

glielo piglino ”.<br />

“Ma non era avaro. Credilo. Faceva del bene ”.<br />

“Lo so. Ma era molto vecchio... Sono malattie dei vecchi... Voleva preservare per voi, e vi ha<br />

messo in urto, per troppo amore. Ma la cassetta è sotterrata ai piedi della scala della cantina. Te lo<br />

dico perché tu sappia che <strong>Io</strong> so. Mentre ti parlo, per un puro caso, tuo fratello minore, percuotendo<br />

il suolo con ira, l'ha fatta vibrare e l'hanno scoperta, e sono confusi e pentiti di averti incolpato.<br />

Torna a casa sereno e sii buono con loro. Non avere parole per la loro disistima ”.<br />

“No, Signore. E neppure vado. Ti sto a sentire. Andrò domani ”.<br />

“E se ti levano del denaro? ”.<br />

“Tu dici che non bisogna essere avidi. Non lo voglio essere. Mi basta che la pace sia fra noi. Del<br />

resto... non sapevo quanto denaro era nella cassetta e non avrò afflizione per nessuna notizia<br />

disforme al vero. E penso che poteva essere perduto quel denaro... Come sarei vissuto prima vivrò<br />

ora, se me lo negheranno. Mi basta che non mi dicano ladro ”.<br />

“Sei molto avanti nella via di <strong>Dio</strong>. Procedi e la pace sia con te ”.<br />

E anche questo se ne va contento.<br />

Gesù torna verso la folla, verso i poverelli e dà, secondo sue proprie misure, gli oboli. Ora tutti sono<br />

contenti e Gesù può parlare.<br />

“La pace sia sempre con voi.<br />

Quando <strong>Io</strong> vi spiego le vie del Signore, è perché voi le seguiate. Potreste voi seguire il sentiero che<br />

scende a destra e quello che scende a sinistra insieme? Non potreste. Perché se prendete uno dovete<br />

lasciare l'altro. Neppure se fossero due sentieri vicini potreste durare a camminare sempre con un<br />

piede in uno e l'altro nell'altro. Finireste a stancarvi e a sbagliare anche fosse una scommessa. Ma<br />

fra il sentiero di <strong>Dio</strong> e quello di Satana vi è una grande distanza e che sempre più si fa profonda,


proprio come quei due sentieri che sboccano qui, ma che man mano che scendono a valle sono<br />

sempre più lontani l'uno dall'altro, l'uno andando verso Cafarnao, l'altro verso Tolemaide.<br />

La vita è così, scorre a cavaliere fra il passato e il futuro, fra il male e il bene. Al centro è l'uomo,<br />

con la sua volontà e il libero arbitrio; ai termini: da una parte <strong>Dio</strong> e il suo Cielo, dall'altra Satana e il<br />

suo Inferno. L'uomo può scegliere. Nessuno lo forza.<br />

Non mi si dica: “Ma Satana tenta” a scusa delle discese verso il sentiero basso. Anche <strong>Dio</strong> tenta col<br />

suo amore, ed è ben forte; con le sue parole, e sono ben sante; con le sue promesse, e sono ben<br />

seducenti! Perché allora lasciarsi tentare da uno solo dei due, e da colui che è il più immeritevole di<br />

essere ascoltato? Le parole, le promesse, l'amore di <strong>Dio</strong> non sono sufficienti a neutralizzare il<br />

veleno di Satana? Guardate che ciò depone male per voi. Quando uno è fisicamente e fortemente<br />

sano non è immune dai contagi, ma li supera con facilità. Mentre, se uno è già malato e perciò<br />

debole, perisce quasi certamente per una nuova infezione e, se sopravvive, è più malato di prima<br />

perché non ha la forza, nel suo sangue, di distruggere i germi infettivi completamente. Lo stesso è<br />

per la parte superiore. Se uno è moralmente e spiritualmente sano e forte, credete pure che non è<br />

esente da essere tentato, ma il male non attecchisce in lui.<br />

Quando <strong>Io</strong> sento uno dirmi: “Ho avvicinato questo e quello, ho letto questo e quello, ho cercato di<br />

convincere questo e quello al bene, ma in realtà il male era nella mente loro e nel cuore loro, il male<br />

che era nel libro, è entrato in me”. <strong>Io</strong> concludo: “<strong>Il</strong> che dimostra che in te avevi già creato il terreno<br />

favorevole per la penetrazione. <strong>Il</strong> che dimostra che sei un debole privo di nerbo morale e spirituale.<br />

Perché anche dai nostri nemici noi dobbiamo trarre del bene. Osservando i loro errori dobbiamo<br />

imparare a non cadere negli stessi. L'uomo intelligente non diviene zimbello della prima dottrina<br />

che sente. L'uomo saturo di una dottrina non può fare in sé posto per altre. Questo spiega le<br />

difficoltà che si incontrano per cercare di persuadere i convinti di altre dottrine a seguire la vera<br />

Dottrina. Ma se tu mi confessi che muti pensiero al minimo soffio di vento, <strong>Io</strong> vedo che tu sei pieno<br />

di vuoti, hai la tua fortezza spirituale piena di aperture, le dighe del tuo pensiero sono sfondate in<br />

mille punti, ed escono da esse le acque buone e vi entrano le inquinate, e tu sei tanto stolido e<br />

apatico che non te ne accorgi neppure e non provvedi. Sei un disgraziato”.<br />

Perciò sappiate, dei due sentieri, scegliere il buono e proseguire su quello resistendo, resistendo,<br />

resistendo agli allettamenti del senso, del mondo, della scienza e del demonio. Le mezze fedi, i<br />

compromessi, i patti con due, contrari l'uno all'altro, lasciateli agli uomini del mondo. Non<br />

dovrebbero essere neppure fra loro, se gli uomini fossero onesti. Ma voi, voi almeno, uomini di <strong>Dio</strong>,<br />

non abbiateli. Con <strong>Dio</strong> né con Mammona non potreste averli. Non abbiateli però neppure con voi<br />

stessi, perché non avrebbero valore. Le vostre azioni, mescolate di buono e di non buono, non<br />

avrebbero valore alcuno. Quelle completamente buone verrebbero poi annullate dalle non buone.<br />

Quelle malvagie vi porterebbero direttamente in braccio al Nemico. Non fatele perciò. Ma siate leali<br />

nel vostro servire. Nessuno può servire a due padroni di diverso pensiero. O amerà l'uno e odierà<br />

l'altro o viceversa. Non potete essere ugualmente di <strong>Dio</strong> e di Mammona. Lo spirito di <strong>Dio</strong> non può<br />

conciliarsi con lo spirito del mondo. L'uno sale, l'altro scende. L'uno santifica, l'altro corrompe. E se<br />

siete corrotti come potete agire con purezza? <strong>Il</strong> senso si accende nei corrotti, e dietro al senso le<br />

altre fami.<br />

Voi già sapete come si corruppe Eva e come Adamo per lei. Satana baciò l'occhio della donna e lo<br />

stregò così, di modo che ogni aspetto, fino allora puro, prese per lei aspetto impuro e svegliò<br />

curiosità strane. Poi Satana le baciò le orecchie e le fece aperte a parole di una scienza ignota: la<br />

sua. Anche la mente di Eva volle conoscere ciò che non era necessario. Poi Satana all'occhio e alla<br />

mente svegliati al Male mostrò ciò che prima non avevano visto e capito, e tutto in Eva fu desto e<br />

corrotto, e la Donna, andando all'Uomo, rivelò il suo segreto e persuase Adamo a gustare il nuovo<br />

frutto, tanto bello a vedersi e così interdetto fino ad ora. E lo baciò e lo guardò con la bocca e le<br />

pupille in cui già era il torbido di Satana. E la corruzione penetrò in Adamo che vide, e attraverso<br />

l'occhio appetì al proibito, e lo morse con la compagna cadendo da tanta altezza al fango.<br />

Quando uno è corrotto trascina a corruzione, a meno che l'altro non sia un santo nel vero senso della<br />

parola.<br />

Attenti allo sguardo, uomini. Allo sguardo dell'occhio e a quello della mente. Corrotti che siano,


non possono che corrompere il resto. Luce del corpo è l'occhio. Lume del cuore è il tuo pensiero.<br />

Ma se l'occhio tuo non sarà puro - perché per la soggezione degli organi al pensiero i sensi si<br />

corrompono per un pensiero corrotto - tutto in te diverrà offuscato, e nebbie seduttrici creeranno<br />

fantasmi in te. Tutto è puro in chi ha pensiero puro che dà puro sguardo, e la luce di <strong>Dio</strong> scende<br />

padrona dove non è ostacolo di sensi. Ma se per mala volontà tu hai educato l'occhio alle torbide<br />

visioni, tutto in te diverrà tenebre. Inutilmente guarderai anche le cose più sante. Nel buio non<br />

saranno che tenebre e farai opere di tenebre.<br />

Perciò, figli di <strong>Dio</strong>, tutelate voi stessi contro voi stessi. Sorvegliatevi attentamente contro tutte le<br />

tentazioni. Essere tentati non è male. L'atleta si prepara alla vittoria con la lotta. Ma il male è essere<br />

vinti perché impreparati e disattenti. Lo so che tutto serve a tentare. Lo so che la difesa snerva. Lo<br />

so che la lotta stanca. Ma, suvvia, pensate cosa vi acquistano queste cose. E vorreste per un'ora di<br />

piacere, di qual che sia genere, perdere un'eternità di pace? Cosa vi lascia il piacere della carne,<br />

dell'oro e del pensiero? Nulla. Cosa vi acquista il ripudiarli? Tutto. <strong>Io</strong> parlo a peccatori, perché<br />

l'uomo è peccatore. Ebbene, ditemi, in verità: dopo aver appagato il senso, o l'orgoglio, o l'avarizia,<br />

vi siete sentiti più freschi, più contenti, più sicuri? Nell'ora che segue all'appagamento, e che è<br />

sempre ora di riflessione, avete proprio sinceramente sentito di essere felici? <strong>Io</strong> non ho gustato<br />

questo pane del senso. Ma rispondo per voi: “No. Appassimento, scontento, incertezza, nausea,<br />

paura, irrequietezza. Ecco cosa è stato il succo spremuto dell'ora passata”.<br />

Però, ve ne prego. Mentre vi dico: “Non fate mai ciò”, anche vi dico: “Non siate inesorabili con<br />

coloro che sbagliano”. Ricordatevi che siete tutti fratelli, fatti di una carne e un'anima. Pensate che<br />

molte sono le cause per cui uno è indotto a peccare. Siate misericordiosi verso i peccatori e con<br />

bontà rialzateli e conduceteli a <strong>Dio</strong>, mostrando che il sentiero da loro percorso è irto di pericoli per<br />

la carne e per la mente e per lo spirito. Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è<br />

nei Cieli è misericordioso coi buoni e sa dare il centuplo per uno. Onde <strong>Io</strong> vi dico...”.<br />

(E qui Gesù mi dice che lei mi deve copiare la visione-dettato del 12 agosto 1944 B 961, dalla 35 a<br />

riga della visione alla fine della stessa ossia fino alla partenza della Maddalena, alle parole “e ride di<br />

rabbia e di scherno”. Poi continuerà con quanto segue, naturalmente omettendo questa parentesi) .<br />

12 agosto 1944<br />

Dice Gesù: “Guarda e scrivi. E' Vangelo della Misericordia, che do a tutti e specie a quelle che si<br />

riconosceranno nella peccatrice e che invito a seguirla nella redenzione ”.<br />

Gesù in piedi su un masso parla a molta folla. <strong>Il</strong> luogo è alpestre. Una collina solitaria, fra due valli.<br />

La collina ha la vetta in forma di giogo, anzi, è più chiaro, in forma di gobba di cammello, di modo<br />

che a pochi metri dalla cima ha un naturale anfiteatro in cui la voce rimbomba netta come in una<br />

sala da concerti, molto ben costruita. La collina è tutta in fiore. Deve essere buona stagione. Le<br />

messi delle pianure tendono ad imbiondire e a farsi pronte per la falce. A nord un alto monte<br />

splende col suo nevaio al sole. Immediatamente sotto, ad oriente, il mare di Galilea pare uno<br />

specchio spezzato in innumeri scaglie di cui ognuna è uno zaffiro acceso dal sole. Abbacina col suo<br />

tremolio azzurro e oro, su cui non si riflette che qualche nuvola fioccosa che veleggia in un cielo<br />

purissimo e l'ombra fuggente di qualche vela. Oltre il lago di Genezaret vi è un lontanare di pianure<br />

che, per una lieve nebbia terra a terra, forse vaporare di rugiade - perché deve essere ancor mattina e<br />

in sulle prime ore, dato che l'erba montana ha ancora qualche diamante rugiadoso sperso tra i suoi<br />

steli - paiono continuare il lago, ma con tinte quasi d'opale venato di verde, e oltre ancora una<br />

catena montana dalla costa molto capricciosa che fa pensare ad un disegno di nuvole sul cielo<br />

sereno.<br />

La folla è seduta chi sull'erba chi su dei pietroni, altra folla è in piedi. <strong>Il</strong> collegio apostolico non è<br />

completo. Vedo Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo, e sento chiamare gli altri due Natanaele e<br />

Filippo. Poi ve ne è un altro che non è nel gruppo. Forse l'ultimo arrivato: lo chiamano Simone. Gli<br />

altri non ci sono. A meno che io non li veda fra la gran folla.<br />

<strong>Il</strong> discorso è già cominciato da un po’. Capisco che è il discorso della Montagna. Ma le beatitudini<br />

sono già enunciate. Anzi direi che il discorso si avvia alla fine perché Gesù dice: “Fate questo e ne


avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordioso coi buoni e sa dare il centuplo<br />

per uno. Onde <strong>Io</strong> vi dico...”.<br />

Molto movimento avviene fra la folla che si assiepa verso il sentiero che sale al pianoro. Le teste<br />

dei più prossimi a Gesù si voltano. L'attenzione si svia. Gesù sospende di parlare e volge lo sguardo<br />

nella direzione degli altri. E' serio e bello nel suo abito azzurro cupo, con le braccia conserte sul<br />

petto e il sole che lo sfiora sul capo col primo raggio che sormonta il picco orientale del colle.<br />

“Fate largo, plebei ” grida una iraconda voce di uomo. “Fate largo alla bellezza che passa ”... e<br />

vengono avanti quattro bellimbusti tutti azzimati, di cui uno è certo romano perché ha la toga<br />

romana, i quali portano come in trionfo sulle loro mani incrociate a sedile Maria di Magdala, gran<br />

peccatrice ancora.<br />

E lei ride con la sua bellissima bocca, buttando indietro la testa dalla capigliatura d'oro, tutta<br />

intrecci e riccioli trattenuti da forcine preziose e da una lamina d'oro, sparsa di perle, che le fascia il<br />

sommo della fronte come un diadema, dal quale scendono ricciolini lievi a velare gli occhi splendidi<br />

di loro, e resi ancor più grandi e seduttori da un sapiente artificio. <strong>Il</strong> diadema, poi, si perde dietro le<br />

orecchie, sotto la massa delle trecce che pesano sul collo candidissimo e scoperto tutto. Anzi... lo<br />

scoperto va molto oltre il collo. Le spalle sono scoperte sino alle scapole, e il petto molto più<br />

ancora. La veste è trattenuta sulle spalle da due catenelle d'oro. Le maniche non esistono. <strong>Il</strong> tutto è<br />

coperto, per modo di dire, da un velo che ha il solo incarico di riparare la pelle dall'abbronzatura del<br />

sole. La veste è molto leggera e la donna, buttandosi come fa, per vezzo, contro l'uno o l'altro dei<br />

suoi adoratori, è come ci si buttasse addosso nuda. Ho l'impressione che il romano sia il preferito,<br />

perché a lui vanno di preferenza risatine e occhiate e più facilmente riceve riceve il capo di lei sulla<br />

spalla.<br />

“Ecco accontentata la dea ” dice il romano. “Roma a fatto da cavalcatura alla Venere novella. E là è<br />

l'Apollo che hai voluto vedere. Seducilo dunque... Ma lascia anche a noi briciole dei tuoi vezzi ”.<br />

Maria ride e con mossa agile e procace balza a terra, scoprendo i piedini calzati da sandali bianchi<br />

con fibbie d'oro e un bel pezzo di gamba. Poi la veste, che è amplissima, di una lana sottile come<br />

velo e candidissima, trattenuta alla vita, ma molto in basso, verso i fianchi, da un cinturone tutto a<br />

borchie d'oro, snodate, copre tutto. E la donna sta come un fiore di carne, un fiore impuro, sbocciato<br />

per sortilegio sul verde pianoro in cui sono mughetti e narcisi selvatici in grande quantità.<br />

E' bella più che mai. La bocca piccola e porporina pare un garofano che sbocci sul candore della<br />

dentatura perfetta. <strong>Il</strong> volto e il corpo potrebbero accontentare il più incontentabile pittore o scultore,<br />

sia per tinta che per forme. Ampia di petto e di fianchi in misura giusta, con una vita naturalmente<br />

flessuosa e sottile rispetto ai fianchi e al petto, pare una dea, come ha detto il romano, una dea<br />

scolpita in un marmo lievemente rosato, su cui si tende la stoffa lieve sui fianchi per poi ricadere in<br />

una massa di pieghe sul davanti. Tutto è studiato per piacere.<br />

Gesù la guarda fisso. E lei ne sostiene con spavalderia lo sguardo mentre ride e si torce lievemente<br />

per il solletico che il romano le fa scorrendole sulle spalle e sul seno, che ha scoperti, con un<br />

mughetto colto fra l'erba. Maria, con un corruccio studiato e non vero, rialza il velo dicendo:<br />

“Rispetto al mio candore ”, il che fa scoppiare i quattro in una fragorosa risata.<br />

Gesù la continua a fissare. Appena il rumore delle risate si perde, Gesù, come se l'apparizione della<br />

donna avesse riacceso fiamme al discorso che si assopiva nella finale, riprende, e non la guarda più.<br />

Ma guarda i suoi uditori che paiono impacciati e scandalizzati per l'avvenuto.<br />

Gesù riprende:<br />

“Ho detto di essere fedeli alla Legge, umili, misericordiosi, di amare non solo i fratelli di sangue ma<br />

anche chi vi è fratello sol perché nato come voi da uomo. Vi ho detto che il perdono è più utile del<br />

rancore, che il compatimento è migliore dell'inesorabilità. Ma ora vi dico che non si deve<br />

condannare se non si è esenti dal peccato per cui si è portati a condannare. Non fate come gli scribi<br />

e farisei che sono severi con tutti ma non con se stessi. Che chiamano impuro ciò che è esterno, e<br />

può contaminare solo l'esterno, e poi accolgono nel più profondo seno -il cuore - l'impurità.<br />

<strong>Dio</strong> non è con gli impuri. Perché l'impurità corrompe ciò che è proprietà di <strong>Dio</strong>: le anime, e specie<br />

le anime dei piccoli che sono gli angeli sparsi sulla terra. Guai a quelli che strappano loro le ali con<br />

crudeltà di belve demoniache e prostrano questi fiori di Cielo nel fango, facendo loro conoscere il


sapore della materia! Guai!... Meglio sarebbe morissero arsi da un fulmine anziché giungere a tale<br />

peccato!<br />

Guai a voi, ricchi e gaudenti! Perché è proprio fra voi che fermenta la più grande impurità a cui<br />

fanno letto e guanciale ozio e denaro! Ora siete satolli. Fino alla gola vi arriva il cibo delle<br />

concupiscenze e vi strozza. Ma avrete fame. Una fame tremenda, insaziabile e senza addolcimento<br />

in eterno. Ora siete ricchi. Quanto bene potreste fare con la vostra ricchezza! Ve ne fate tanto male<br />

per voi e per gli altri. Conoscerete una povertà atroce in un giorno che non avrà fine. Ora ridete.<br />

Credete d'essere i trionfatori. Ma le vostre lacrime empiranno gli stagni della Geenna. E non<br />

avranno più sosta.<br />

Dove si annida adulterio? Dove corruzione di fanciulle? Chi ha due o tre letti di licenza, oltre il<br />

proprio di sposo, e su essi profonde il suo denaro e la vigoria di un corpo che <strong>Dio</strong> gli ha dato sano<br />

perché lavori per la sua famiglia e non si spossi in luridi connubi che lo mettono al disotto di una<br />

bestia immonda?<br />

Avete udito che fu detto: “Non commettere adulterio”. Ma <strong>Io</strong> vi dico che chi avrà guardato una<br />

donna con concupiscenza, che chi è andata ad un uomo col desiderio, anche solo con questo, ha già<br />

commesso adulterio nel suo cuore. Nessuna ragione giustifica la fornicazione. Nessuna. Non<br />

l'abbandono e il ripudio di un marito. Non la pietà verso una ripudiata. Avete un'anima sola. Quando<br />

essa è congiunta ad un'altra per patto di fedeltà, non menta. Altrimenti il bel corpo per cui peccate<br />

andrà seco voi, anime impure, nelle fiamme inesauste. Mutilatelo piuttosto, ma non l'uccidete in<br />

eterno dannandolo. Tornate uomini, voi ricchi, sentine verminose di vizio, tornate uomini, per non<br />

fare ribrezzo al Cielo...”.<br />

Maria, che ha ascoltato in principio con un viso che era un <strong>poema</strong> di seduzione e di ironia, avendo<br />

di tanto in tanto delle risatine di scherno, sulla fine del discorso si fa nera di corruccio. Capisce che<br />

senza guardarla Gesù parla a lei. <strong>Il</strong> suo corruccio si fa sempre più nero e ribelle e all'ultimo ella non<br />

resiste. Si avvolge dispettosa nel suo velo e, inseguita dalle occhiate della folla che la scherniscono<br />

e dalla voce di Gesù che la persegue, si dà in corsa giù per la china lasciando lembi di veste sui<br />

cardi e sui cespugli di rose canine che sono ai margini del sentiero, e ride di rabbia e di scherno.<br />

Non vedo altro. Ma Gesù dice: "Vedrai ancora."<br />

[29 maggio 1945]<br />

Gesù riprende: “Voi siete sdegnati dell'avvenuto. Sono due giorni che il nostro rifugio, ben alto sul<br />

fango, è turbato dal sibilo di Satana. Non è più dunque un rifugio e noi lo lasceremo. Ma voglio<br />

ultimarvi questo codice del “più perfetto” in quest'ampiezza di luci e di orizzonti. Qui realmente<br />

<strong>Dio</strong> appare nella sua maestà di Creatore, e vedendo le sue meraviglie noi possiamo giungere a<br />

credere fermamente che il Padrone è Lui e non Satana. Non potrebbe il Maligno creare neppure uno<br />

stelo d'erba. Ma <strong>Dio</strong> tutto può. Questo ci conforti. Ma voi siete tutti al sole ormai. E ciò vi nuoce.<br />

Spargetevi allora sulle pendici. Vi è ombra e frescura. Prendete il vostro pasto, se volete. <strong>Io</strong> vi<br />

parlerò sullo stesso argomento. Molti motivi hanno protratto l'ora. Ma non vi rincresca di ciò. Qui<br />

siete con <strong>Dio</strong> ”.<br />

La folla grida: “Sì, sì. Con Te ” e si sposta sotto i boschetti sparsi sul lato orientale, di modo che la<br />

parete e le frasche fanno riparo al sole già troppo caldo.<br />

Gesù dice intanto a Pietro di smontare la sua tettoia.<br />

“Ma... ce ne andiamo proprio? ”.<br />

“Sì ”.<br />

“Perché è venuta lei?...”.<br />

“Sì. Ma non lo dire ad alcuno e specie allo Zelote. Ne rimarrebbe afflitto per Lazzaro. Non posso<br />

permettere che la parola di <strong>Dio</strong> sia fatta scherno di pagani...”.<br />

“Capisco, capisco...”.<br />

“Allora però capisci anche un'altra cosa ”.<br />

“Quale, Maestro? ”.<br />

“La necessità di tacere in certi casi. Mi raccomando. Tu sei tanto caro, ma sei anche talmente<br />

impulsivo da uscire in osservazioni pungenti ”.


“Capisco... non vuoi per Lazzaro e per Simone...”.<br />

“E per altri ancora ”.<br />

“Pensi che ce ne saranno oggi? ”.<br />

“Oggi, domani e dopodomani e sempre. E sempre sarà necessario sorvegliare l'impulsività del mio<br />

Simone di Giona. Vai, vai a afre quanto ti ho detto ”.<br />

Pietro se ne va, chiamando in suo aiuto i compagni.<br />

L'Iscariota è rimasto pensieroso in un angolo. Gesù lo chiama. Tre volte, perché non sente. Infine si<br />

volge. “Mi vuoi, Maestro? ” chiede.<br />

“Sì. Va' tu pure a prendere il tuo cibo e ad aiutare i compagni ”.<br />

“Non ho fame. E neppure Tu ”.<br />

“Neppure <strong>Io</strong>. Ma per opposti motivi. Sei turbato, Giuda? ”.<br />

“No, Maestro. Stanco...”.<br />

“Ora andiamo sul lago e poi in Giudea, Giuda. E da tua madre. Te l'ho promesso...”.<br />

Giuda si rianima. “Vieni proprio con me solo? ”.<br />

“Ma certo. Voglimi bene, Giuda. <strong>Io</strong> vorrei che il mio amore fosse in te al punto da preservarti da<br />

ogni male ”.<br />

“Maestro... sono uomo. Non sono angelo. Ho attimi di stanchezza. E' peccato aver bisogno di<br />

dormire? ”.<br />

“No, se tu dormi sul mio petto. Guarda là la gente come è felice e come è lieto il paesaggio da qui.<br />

Però deve essere molto bella anche la Giudea, in primavera ”.<br />

“Bellissima, Maestro. Solo là, sulle montagne, che sono più alte di qui, è più tardiva. Ma vi sono<br />

fiori bellissimi. I pometi sono uno splendore. <strong>Il</strong> mio, cura particolare della mamma, è uno dei più<br />

belli. E quando ella vi cammina, coi colombi che le corrono dietro per avere grano, credi che è una<br />

vista che placa il cuore ”.<br />

“Lo credo. Se mia Madre non sarà troppo stanca mi piacerebbe portarla dalla tua. Si amerebbero<br />

perché sono due buone ”.<br />

Giuda, sedotto da questa idea, torna sereno e, dimenticandosi di “non aver fame e di essere stanco”,<br />

corre dai compagni ridendo allegro, e, alto come è, slaccia i nodi più alti senza fatica e si mangia il<br />

suo pane e ulive, allegro come un fanciullo.<br />

Gesù lo guarda con compassione, e poi si avvia verso gli apostoli.<br />

“Ecco il pane, Maestro. E un uovo. Me lo sono fatto dare da quel ricco là, vestito di rosso. Gli ho<br />

detto: “Tu ascolti e sei beato. Lui parla ed è sfinito. Dammi uno dei tuoi ovetti. Farà meglio a Lui<br />

che a te””.<br />

“Ma Pietro! ”.<br />

“No, Signore! Sei pallido come un bambino attaccato a un petto vuoto e stai diventando esile come<br />

un pesce dopo gli amori. Lascia fare a me. Non voglio avere rimproveri da farmi. Ora lo metto in<br />

questa cenere calda, sono le fascine che ho arrostite, e Tu te lo bevi. Non lo sai che sono... quanti<br />

sono? settimane certo, che non si mangia che pane e ulive e un poco di latticello.... Uhm!<br />

Sembriamo in purga. E Tu mangi meno di tutti e parli per tutti. Ecco l'uovo. Bevilo tiepido, che fa<br />

bene ”.<br />

Gesù ubbidisce e, vedendo che Pietro mangia solo pane, chiede: “E tu? Le ulive? ”.<br />

“Sss! Mi servono per dopo. Le ho promesse ”.<br />

“A chi? ”.<br />

“A dei bambini. Però se non stanno zitti fino alla fine io mi mangio le ulive e a loro do i noccioli,<br />

ossia schiaffi ”.<br />

“Ma benissimo! ”.<br />

“Eh! non li darò mai. Ma se non si fa così! Ne ho preso tanto anche io, e se mi avessero dovuto dare<br />

tutti quelli che meritavo per le mie monellerie ne avrei dovuto prendere dieci volte di più! Ma fanno<br />

bene. Sono così perché le ho prese ”.<br />

Ridono tutti per la sincerità dell'apostolo.<br />

“Maestro, io ti vorrei dire che oggi è venerdì e che questa gente... non so se potrà procurarsi cibo in<br />

tempo per domani o raggiungere le case ” dice Bartolomeo.


“E' vero! E' venerdì! ” dicono in diversi.<br />

“Non importa. <strong>Dio</strong> provvederà. Ma lo diremo loro ”.<br />

Gesù si alza e va al suo nuovo posto, in mezzo alla folla sparsa fra i boschetti.<br />

“Per prima cosa ricordo che è venerdì. Ora <strong>Io</strong> dico che chi teme di non poter giungere in tempo alle<br />

case e non può giungere a credere che <strong>Dio</strong> darà domani cibo ai suoi figli, può ritirarsi subito, di<br />

modo che il tramonto non lo colga per via”.<br />

Su tutta la folla si alzano una cinquantina di persone.. Tutti gli altri restano dove sono.<br />

Gesù sorride e comincia a parlare.<br />

“Avete udito che fu detto in antico: “Non commettere adulterio”. Chi fra voi mi ha già udito in altri<br />

luoghi sa che più volte <strong>Io</strong> ho parlato su questo peccato. Perché, guardate, per Me è peccato non solo<br />

per uno ma per due e tre persone. E mi spiego. L'adultero pecca per sé, pecca per la sua complice,<br />

pecca portando a peccare la moglie o il marito tradito, il quale o la quale possono giungere a<br />

disperazione o a delitto. Questo per il peccato consumato. Ma <strong>Io</strong> dico di più. <strong>Io</strong> dico: “Non solo il<br />

peccato consumato ma il desiderio di consumerlo è già peccato”.<br />

Cosa è l'adulterio? E' il desiderare febbrilmente colui che non è nostro, o colei che non è nostra. Si<br />

comincia a peccare col desiderio, si continua con la seduzione, si completa con la persuasione, si<br />

corona con l'atto.<br />

Come si incomincia? Generalmente con uno sguardo impuro. E ciò si ricollega a quanto dicevo<br />

prima. L'occhio impuro vede ciò che è nascosto ai puri e per l'occhio entra la sete nelle fauci, la<br />

fame nel corpo, la febbre nel sangue. Sete, fame, febbre carnale. Ha inizio il delirio. Se l'altro, il<br />

guardato, è un onesto, ecco che il delirante resta solo a rivoltolarsi sui suoi carboni ardenti, oppure<br />

giunge a denigrare per vendetta. Se è disonesto anche il guardato, ecco che risponde allo sguardo,<br />

ed ha inizio la discesa nel peccato.<br />

Perciò <strong>Io</strong> vi dico: “Chi ha guardato una donna con concupiscenza ha già commesso adulterio su lei<br />

perché il suo pensiero ha già commesso l'atto del suo desiderio”. Piuttosto che questo, se il tuo<br />

occhio destro ti è stato cagione di scandalo càvalo e gettalo lungi da te. Meglio per te che tu sia<br />

senza un occhio che sprofondare nelle tenebre infernali per sempre. E se la tua mano destra ha<br />

peccato mozzala e gettala via. Meglio per te essere senza un membro piuttosto che essere tutto<br />

dell'inferno. E' vero che è detto che i deformi non possono più servire <strong>Dio</strong> nel Tempio. Ma oltre la<br />

vita, i deformi per nascita, che sino santi, o i deformi per virtù, diverranno belli più degli angeli e<br />

serviranno <strong>Dio</strong>, amandolo nella gioia del Cielo.<br />

Vi è stato anche detto: “Chiunque rimanda la propria moglie le dia il libello di divorzio”. Ma questo<br />

va riprovato. Non viene da <strong>Dio</strong>. <strong>Dio</strong> disse ad Adamo: “Questa è la compagna che ti ho fatto.<br />

Crescete e moltiplicatevi sulla terra, riempitela e fatela a voi soggetta”. E Adamo, pieno<br />

d'intelligenza superiore perché ancora il peccato non aveva offuscato la sua ragione uscita perfetta<br />

da <strong>Dio</strong>, esclamò: “Ecco finalmente l'osso delle mie ossa e la carne della mia carne. Questa sarà<br />

chiamata Virago, ossia altro me, perché tratta dall'uomo. Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua<br />

madre, e i due saranno una sola carne”. E in un accresciuto splendore di luci l'eterna Luce approvò<br />

con un sorriso il detto d'Adamo, che diventò la prima, incancellabile legge. Ora, se per la sempre<br />

crescente durezza dell'uomo, l'uomo legislatore dovette mettere un nuovo codice; se per la sempre<br />

crescente volubilità dell'uomo dovette mettere un freno e dire: 'Se però l'hai ripudiata non la puoi<br />

più riprendere', questo non cancella la prima, genuina legge, nata nel Paradiso terrestre e approvata<br />

da <strong>Dio</strong>.<br />

<strong>Io</strong> vi dico: “Chiunque rimanda la propria moglie, eccetto il caso di provata fornicazione, l'espone<br />

all'adulterio”. Perché, infatti, che farà nel novanta per cento dei casi la donna ripudiata? Passerà ad<br />

altre nozze. Con quali conseguenze? Oh! su questo quanto ci sarebbe da dire! Non sapete che potete<br />

provocare incesti involontari con questo sistema? Quante lacrime sparse per una lussuria! Sì.<br />

Lussuria. Non ha altro nome. Siate schietti. Tutto si può superare quando lo spirito è retto. Ma tutto<br />

si presta a motivo per soddisfare il senso quando lo spirito è lussurioso. Frigidità femminile,<br />

pesantezza di lei, incapacità relativa alle faccende, lingua bisbetica, amore al lusso, tutto si supera,<br />

anche le malattie, anche le irascibilità, se si ama santamente. Ma siccome dopo qualche tempo non<br />

si ama più come il primo giorno, ecco che allora si vede impossibile ciò che è più che possibile, e si


getta una povera donna sulla via e verso la perdizione. Fa adulterio chi la respinge. Fa adulterio chi<br />

la sposa dopo il ripudio.<br />

Solo la morte rompe il matrimonio. Ricordatevelo. E se avete fatto una scelta infelice, portatene le<br />

conseguenze come una croce, essendo due infelici, ma santi, e senza fare maggiori infelici nei figli,<br />

che sono gli innocenti che più soffrono di queste disgraziate situazioni. L'amore dei figli dovrebbe<br />

farvi meditare cento volte e cento, anche nel caso di una morte di coniuge. Oh! se sapeste<br />

accontentarvi di quanto avete avuto e al quale <strong>Dio</strong> ha detto: “Basta”! Se sapeste, voi vedovi e voi<br />

vedove, vedere nella morte non una menomazione ma una elevazione ad una perfezione di<br />

procreatori! Esser madre anche per la madre estinta. Esser padre anche per il padre estinto. Esser<br />

due anime in una, raccogliere l'amore per le creature sul labbro gelato del morente e dire: “Va’ in<br />

pace, senza paura per quelli che da te sono venuti. <strong>Io</strong> continuerò ad amarli, per te e per me, amarli<br />

due volte, sarò padre e madre, e l'infelicità dell'orfano non peserà su loro e neppure sentiranno la<br />

innata gelosia del figlio di coniuge risposato per colui o colei che prende il posto sacro alla madre,<br />

al padre, da <strong>Dio</strong> chiamati ad altra dimora”.<br />

Figli, il mio dire volge alla fine, come sta per volgersi alla fine il giorno che già declina, col sole,<br />

verso occidente. Di questo ritrovo sul monte <strong>Io</strong> voglio ricordiate le parole. Scolpitevele nei cuori.<br />

Rileggetele spesso. Vi siano di guida perenne. E soprattutto siate buoni con chi è debole, Non<br />

giudicate per non essere giudicati. Ricordate che potrebbe venire il momento in cui <strong>Dio</strong> vi<br />

ricordasse: “Così hai giudicato. Perciò sapevi che ciò era male. Hai dunque, con coscienza di quanto<br />

facevi, commesso peccato. Sconta ora la tua pena”.<br />

La carità è già un'assoluzione. Abbiate la carità in voi, per tutti e su tutto. Se <strong>Dio</strong> vi dà tanti aiuti<br />

per mantenervi retti, non inorgoglitevene. Ma cercate di salire per quanto lunga è la scala della<br />

perfezione e porgete la mano agli stanchi, agli ignari, a coloro che sono preda di subite delusioni.<br />

Perché osservare con tanta attenzione il bruscolo nell'occhio del tuo fratello se prima non ti curi di<br />

levare il trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo prossimo: “Lascia che io ti levi dall'occhio<br />

questo bruscolo”, mentre la trave che è nel tuo ti accieca? Non essere ipocrita, figlio. Levati prima<br />

la trave che hai nel tuo e allora potrai levare il bruscolo al fratello senza rovinarlo del tutto.<br />

Ugualmente all'anticarità non abbiate l'imprudenza. <strong>Io</strong> vi ho detto: “Porgete la mano agli stanchi,<br />

agli ignari, a color che sono preda di improvvise delusioni”. Ma se è carità istruire gli ignari,<br />

animare gli stanchi, dare nuove ali a quelli che per molte cose le hanno spezzate, è imprudenza<br />

rivelare la verità eterne agli infetti di satanismo, i quali se ne appropriano per fingersi profeti,<br />

insinuarsi fra i semplici, corrompere, traviare, sporcare sacrilegamente le cose di <strong>Dio</strong>. Rispetto<br />

assoluto, saper parlare e saper tacere, saper riflettere e saper agire, ecco le virtù del vero discepolo<br />

per fare dei proseliti e servire Iddio. Avete una ragione, e se sarete giusti <strong>Dio</strong> vi darà tutte le sue luci<br />

per guidare ancora meglio la vostra ragione. Pensate che le verità eterne sono simili a perle, e mai si<br />

è visto buttare le margarite ai porci, che preferiscono ghiande e broda fetida alle preziose perle e le<br />

pesterebbero senza pietà sotto i piedi per poi, con la furia di chi è stato schernito, rivolgersi a<br />

sbranarvi. Non date cose sante ai cani. Questo per ora e per poi.<br />

Molto vi ho detto, figli miei. Ascoltate le mie parole; chi le ascolta e le mette in pratica è<br />

paragonabile a un uomo riflessivo che, volendo costruire una casa, scelse un luogo roccioso. Certo<br />

faticò a costruire le basi. Dovette lavorare di piccone e di scalpello, incallirsi le mani, stancarsi le<br />

reni. Ma poi potè colare le sue calcine negli spacchi della roccia e mettervi i mattoni serrati come in<br />

una muraglia di fortezza, e la casa crebbe solida come un monte. Vennero le intemperie, i nubifragi,<br />

le piogge fecero traboccare i fiumi, i venti fischiarono, le onde percossero, ma la casa resistette a<br />

tutto. Così è colui che ha una ben fondata fede. Invece chi ascolta con superficialità e non si sforza<br />

di incidersi nel cuore le mie parole, perché sa che per fare ciò dovrebbe fare fatica, provare dolore,<br />

estirpare troppe cose, è simile a chi per pigrizia e stoltezza edifica la sua casa sulla rena. Non<br />

appena vengono le intemperie la casa, presto costruita, presto cade, e lo stolto si guarda desolato le<br />

sue macerie e la rovina del suo capitale. E qui è più che una rovina, riparabile ancora con spesa e<br />

fatica. Qui, crollato l'edificio mal costruito di uno spirito, nulla più vi resta per riedificarlo.<br />

Nell'altra vita non si edifica. Guai a presentarsi là con delle macerie!<br />

Ho finito. Ora <strong>Io</strong> scendo verso il lago e vi benedico nel nome di <strong>Dio</strong> uno e trino. La mia pace sia


con voi ».<br />

Ma la folla urla: «Veniamo con Te. Lasciaci venire! Nessuno ha le tue parole!». E si dànno a seguire<br />

Gesù, che scende non dalla parte presa nel salire ma da quella opposta e che va in direzione diretta<br />

di Cafarnao.<br />

La discesa è più ripida, ma è molto più svelta, e presto giungono ai piedi del monte che si adagia in<br />

una pianura verde e fiorita.<br />

(Gesù dice: «Basta per oggi. Domani...»).<br />

175. <strong>Il</strong> lebbroso guarito ai piedi del Monte. Generosità dello scriba Giovanni.<br />

30 maggio 1945.<br />

[…].<br />

Fra i tanti fiori che profumano il suolo e allietano la vista si drizza l'orrendo spettro di un lebbroso,<br />

piagato, fetente, corroso.<br />

La gente urla di spavento e si rovescia di nuovo sulle prime pendici del monte. Qualcuno afferra<br />

anche selci per tirarli all'imprudente.<br />

Ma Gesù si volge a braccia aperte gridando: «Pace! State dove siete e non abbiate paura. Posate le<br />

pietre. Abbiate pietà del povero fratello. E' lui pure figlio di <strong>Dio</strong> ».<br />

La gente ubbidisce soggiogata dal potere del Maestro. <strong>Il</strong> quale si avanza attraverso le alte erbe in<br />

fiore sino a pochi passi dal lebbroso, che a sua volta, quando ha capito di essere protetto da Gesù, si<br />

è avvicinato.<br />

Giunto vicino a Gesù, si prostra, e l'erba fiorita lo accoglie e sommerge come un'acqua fresca e<br />

profumata. I fiori ondeggiano e si riuniscono quasi facendo velo sulla miseria che in essi si è celata.<br />

Solo la voce che esce lamentosa di là dentro ricorda che un povero essere è presente. Essa dice:<br />

«Signore, se Tu vuoi, puoi mondarmi. Abbi pietà anche di me! ».<br />

Gesù risponde: «Alza il tuo volto e guardami. L'uomo deve sapere guardare il Cielo quando crede in<br />

esso. E tu credi, poiché chiedi ».<br />

Le erbe si scuotono e si aprono di nuovo. Appare, come capo di naufrago che emerga dal mare, il<br />

volto, denudato dei capelli e della barba, del lebbroso. Un capo di teschio non ancora del tutto<br />

spoglio dei resti della carne.<br />

Pure Gesù osa posare la punta delle sue dita su quella fronte, là nel punto dove è netta, ossia senza<br />

piaghe, dove è solo pelle cinerea, scagliosa, fra due marciose erosioni di cui una ha distrutto il cuoio<br />

capelluto e l'altra ha aperto un buco dove era l'occhio destro, di modo che non saprei dire se fra<br />

quell'enorme buco che va dalla tempia al naso scoprendo lo zigomo e la cartilagine nasale, pieno di<br />

lordura, sia ancora il globo oculare o no.<br />

E dice Gesù, tenendo la sua bella mano appoggiata, per la punta, lì: «Lo voglio. Sii mondato ».<br />

E come se l'uomo non fosse corroso e impiagato, ma solo ricoperto di sudiciume e su questo si<br />

riversassero acque detergenti, ecco che la lebbra sparisce. Per prime le piaghe si chiudono, poi torna<br />

chiara la pelle, l'occhio destro riappare fra la rinata palpebra, le labbra si richiudono sui denti<br />

giallastri. Solo i e la barba rimangono assenti, ossia con rari ciuffetti di peli, là dove prima era<br />

ancora un pezzettino di epidermide sana.<br />

La folla urla di stupore. E l'uomo capisce di essere guarito per quelle urla di giubilo. Alza le mani,<br />

fino allora nascoste dalle erbe, e si tocca l'occhio, là dove enorme era il buco; si tocca il capo, là<br />

dove era la grande piaga scoprente l'osso cranico, e sente la nuova pelle. Allora si alza e si guarda il<br />

petto, le anche... Tutto è sano e mondo... L'uomo si riaccascia nel prato fiorito piangendo di gioia.<br />

«Non piangere. Alzati e ascoltami. Torna alla vita secondo il rito e non parlare ad alcuno finché non<br />

lo hai compito. Mostrati al più presto al sacerdote, fa' l'offerta prescritta da Mosè in testimonianza<br />

del miracolo avvenuto della tua guarigione ».<br />

«A Te lo dovrei testimoniare, Signore! ».<br />

«Me lo testimonierai amando la mia dottrina. Va' ».


La folla si è accostata di nuovo e, pur a dovuta distanza, si felicita col miracolato. C'è chi sente<br />

bisogno di dargli un viatico per il viaggio e gli getta delle monete. Altri lanciano pani e cibarie varie<br />

e uno, vedendo che la veste del lebbroso non è che uno sbrendolo sfrangiato che lascia tutto visibile,<br />

si leva il mantello, lo annoda come fosse un fazzolettone e lo getta al lebbroso, che può così<br />

ricoprirsi in maniera decente. Un altro, poiché la carità è contagiosa quando è in comune, non<br />

resiste alla voglia di fornirgli i sandali e se li leva e li getta.<br />

«Ma, e tu? » chiede Gesù che vede l'atto.<br />

«Oh! io sto qui vicino. Posso camminare scalzo. Lui deve fare molta strada ».<br />

«<strong>Dio</strong> benedica te e tutti coloro che hanno beneficato il fratello. Uomo, pregherai per questi ».<br />

«Sì, sì, per essi e per Te, perché il mondo abbia fede in Te ».<br />

«Addio. Va' in pace ».<br />

L'uomo si allontana di qualche metro e poi si volge e grida: “Ma al sacerdote lo posso dire che Tu<br />

mi hai guarito? ».<br />

«Non occorre. Di' solo: “<strong>Il</strong> Signore ha avuto di me misericordia”. C'è tutta le verità e non occorre<br />

altro ».<br />

La gente si stringe al Maestro, un cerchio che non si vuole aprire a nessun costo. Ma intanto il sole è<br />

calato e si inizia il riposo del sabato. I paesi sono lontani. Ma la gente non rimpiange paesi, non<br />

cibi, nulla. Se ne preoccupano però gli apostoli e lo dicono a Gesù. Anche i discepoli anziani sono<br />

in pensiero. Ci sono le donne e i bambini, e se la notte è tiepida, e soffice è l'erba dei prati, le stelle<br />

non sono pane, né si fanno cibarie i sassi delle prode.<br />

Gesù è l'unico che non se la prende. La gente intanto mangia i suoi avanzi come nulla fosse e Gesù<br />

lo fa notare ai suoi: «In verità vi dico che costoro sono da più di voi! Guardate con che<br />

spensieratezza dànno fine a tutto. Ho detto loro: “Chi non può credere che domani <strong>Dio</strong> darà cibo ai<br />

suoi figli si ritiri”, ed essi sono rimasti. <strong>Dio</strong> non smentirà il suo Messia e non deluderà chi spera in<br />

Lui ».<br />

Gli apostoli si stringono nelle spalle e non si occupano d'altro.<br />

La sera scende dopo un gran rosso di tramonto, placida e bella, e il silenzio della campagna si<br />

distende su tutte le cose, dopo l'ultimo coro degli uccelli. Qualche fruscio di vento e poi un primo<br />

volo muto di uccello notturno insieme alla prima stella e al primo gracidare di un ranocchio.<br />

I bambini dormono già. Gli adulti parlano fra loro e ogni tanto qualcuno va dal Maestro a chiedere<br />

qualche schiarimento. Di modo che non fa stupore quando, attraverso ad un sentiero fra due campi<br />

di grano, si vede venire una persona imponente d'aspetto, di abiti e di età. Dietro a lui sono degli<br />

uomini. Tutti si volgono a guardarlo e se lo indicano bisbigliando. <strong>Il</strong> sussurro corre da gruppo a<br />

gruppo, si riaccende e si spegne. I gruppi più lontani si accostano attirati dalla curiosità.<br />

L'uomo di nobile aspetto raggiunge Gesù, che seduto ai piedi di un albero ascolta degli uomini, e lo<br />

saluta profondamente. Gesù si alza subito e risponde con pari rispetto al saluto. I presenti sono tutta<br />

attenzione.<br />

«Ero sul monte e forse Tu hai pensato che io non avessi fede perché me ne andavo per tema di un<br />

digiuno. Ma io me ne andavo per altro motivo. Volevo essere fratello fra i fratelli, il fratello<br />

maggiore. Vorrei dirti il mo pensiero in disparte. Puoi udirmi? Non ti sono nemico, per quanto io sia<br />

uno scriba ».<br />

«Andiamo un poco lungi...» e se ne vanno in mezzo ai grani.<br />

«Volevo provvedere al cibo dei pellegrini e sono sceso per ordinare di panificare per una<br />

moltitudine. Vedi che sono nello spazio legale, poiché questi campi mi appartengono e da qui alla<br />

vetta si può fare in sabato. Sarei venuto domani coi servi. Ma ho saputo che Tu sei qui con la folla.<br />

Ti prego di permettermi di provvedere nel sabato. Altrimenti troppo mi spiacerebbe avere rinunciato<br />

alle tue parole per nulla ».<br />

«Per nulla mai, perché il Padre ti avrebbe compensato con le sue luci. Ma <strong>Io</strong> ti ringrazio e non ti<br />

deludo. Solo ti faccio osservare che la folla è molta ».<br />

«Ho fatto accendere tutti i forni, anche quelli usati per essiccare derrate, e riuscirò ad avere pane per<br />

tutti ».<br />

«Non è per questo. Dico per la quantità di pane...».


«Oh! Non mi scomoda. Lo scorso anno ebbi molto grano. Quest'anno Tu vedi che spighe. Lasciami<br />

fare. Sarà la migliore sicurezza sulla mia campagna. E poi, Maestro... Tu mi hai dato un tal pane<br />

oggi... Tu sì che sei Pane dello spirito!...».<br />

«Sia allora come tu vuoi. Vieni che lo diremo ai pellegrini ».<br />

«No. Tu lo hai detto ».<br />

«E sei scriba? ».<br />

«Sì. Lo sono ».<br />

«<strong>Il</strong> Signore ti porti dove il tuo cuore merita ».<br />

«Comprendo ciò che non dici. Vuoi dire: alla Verità. Perché in noi è molto errore e... e molto<br />

malanimo ».<br />

«Chi sei? ».<br />

«Un figlio di <strong>Dio</strong>. Prega il Padre per me. Addio ».<br />

«La pace sia con te ».<br />

Gesù ritorna lentamente verso i suoi mentre l'uomo se ne va coi suoi servi.<br />

«Chi era? Che voleva? Ti ha detto qualcosa di spiacevole? Ha malati? ». Le domande assalgono<br />

Gesù.<br />

«Chi sia non so. Ossia so che è un animo buono e questo mi...».<br />

«E' Giovanni lo scriba » dice uno della folla.<br />

«Ebbene, <strong>Io</strong> lo so ora perché tu lo dici. Egli voleva semplicemente essere il servo di <strong>Dio</strong> presso i<br />

suoi figli. Pregate per lui, perché domani noi tutti mangeremo per sua bontà ».<br />

«E' un giusto veramente » dice uno.<br />

«Sì. Non so neppure come possa essere amico di altri » commenta un altro.<br />

«Fasciato di scrupoli e di regole come un neonato, ma non è cattivo » termina un terzo.<br />

«Sono i suoi campi, questi? » chiedono in molti non della zona.<br />

«Sì. Credo che il lebbroso fosse uno dei suoi servi o contadini. Ma lo sopportava nelle vicinanze, e<br />

credo lo sfamasse anche ».<br />

La cronaca continua e Gesù se ne astrae chiamando vicino i suoi dodici ai quali chiede: «Ed ora che<br />

vi devo dire per la vostra incredulità? Non ha messo il Padre un pane per noi tutti nelle mani di uno<br />

che, per casta, mi è nemico? Oh! uomini di poca fede!... Ma andate fra i soffici fieni e dormite. <strong>Io</strong><br />

vado a pregare il Padre perché vi apra i cuori e a ringraziarlo per la sua bontà. La pace a voi ».<br />

E se ne va alle prime pendici del monte. Là si siede e si raccoglie nella sua orazione. Alzando gli<br />

occhi vede il gregge delle stelle che gremiscono il cielo, abbassandoli vede il gregge dei dormienti<br />

stesi sui prati. Nient'altro. Ma tale è la gioia che ha nel cuore, che pare trasfigurarsi in luce...<br />

176. Nella sosta del sabato l’ultimo dioscorso della Montagna: amare la<br />

volontà di <strong>Dio</strong>.<br />

1 giugno 1945.<br />

Gesù, nella notte, si è alquanto dilungato risalendo il monte, di modo che l'aurora lo mostra dritto su<br />

uno scrimolo. Pietro,che lo vede, lo accenna ai compagni ed essi salgono verso di Lui.<br />

«Maestro, perché non sei venuto con noi? » chiedono in diversi.<br />

«Avevo bisogno di pregare ».


«Ma hai anche tanto bisogno di riposare ».<br />

«Amici, nella notte una voce è venuta dai Cieli chiedendo preghiera per i buoni e per i malvagi, ed<br />

anche per Me stesso ».<br />

«Perché? Che ne hai bisogno Tu? ».<br />

«Come gli altri. La mia forza si nutre di preghiera e la mia gioia di fare ciò che vuole il Padre mio.<br />

<strong>Il</strong> Padre mi ha detto due nomi di persone, e un dolore per Me. Queste tre cose dette hanno tanto<br />

bisogno di preghiera ».<br />

Gesù è molto triste e guarda i suoi con l'occhio che pare supplichi chiedendo qualcosa, o che<br />

interroghi. Si posa su questo e su quello e in ultimo si posa su Giuda Iscariota fermandovisi.<br />

L'apostolo lo nota e chiede: «Perché mi guardi così? ».<br />

«Non vedevo te. <strong>Il</strong> mio occhio contemplava un'altra cosa...».<br />

«Ed è? ».<br />

«Ed è la natura del discepolo. Tutto il bene e tutto il male che un discepolo può dare, può fare per il<br />

suo maestro. Pensavo ai discepoli dei Profeti ed a quelli di Giovanni. E pensavo ai miei propri. E<br />

pregavo per Giovanni, per i discepoli e per Me...».<br />

«Sei triste e stanco questa mattina, Maestro. Di' a chi ti ama il tuo affanno » invita Giacomo di<br />

Zebedeo.<br />

«Sì. Dillo, e se c'è cosa che si possa fare per sollevarlo noi lo faremo » dice il cugino Giuda.<br />

Pietro parla con Bartolomeo e Filippo, ma non capisco ciò che dicono.<br />

Gesù risponde: «Essere buoni, sforzatevi ad essere buoni e fedeli. Ecco il sollievo. Non c'e ne è<br />

nessun altro, Pietro. Hai inteso? Deponi il sospetto. Vogliatemi e vogliatevi bene, non vi fate sedurre<br />

da chi mi odia, vogliate soprattutto bene alla volontà di <strong>Dio</strong> ».<br />

«Eh! ma se tutto viene da quella, anche i nostri errori verranno da quella! » esclama Tommaso con<br />

aria di filosofo.<br />

«Lo credi? Non è così. Ma molta gente si è destata e guarda qui. Scendiamo. E santifichiamo il<br />

giorno santo con la parola di <strong>Dio</strong> ».<br />

Scendono mentre i dormienti si destano in numero sempre più numeroso. I bambini, allegri come<br />

passerotti, già cinguettano correndo e saltando fra i prati, bagnandosi ben bene di rugiada tanto che<br />

qualche scappellotto vola, con relativo pianto. Ma poi i bambini corrono verso Gesù che li carezza<br />

ritrovando il suo sorriso, quasi rispecchiasse in Sé quelle gaiezze innocenti.<br />

Una bambina gli vuole mettere alla cintura un mazzetto di fiori colto nei prati «perché la veste è più<br />

bella così », dice, e Gesù la lascia fare nonostante che gli apostoli brontolino, anzi Gesù dice: «Ma<br />

siate contenti che essi mi amino! La rugiada leva la polvere dai fiori. L'amore dei bambini leva le<br />

tristezze dal mio cuore ».<br />

Arrivano contemporaneamente, in mezzo ai pellegrini, Gesù venendo dal monte e lo scriba<br />

Giovanni venendo dalla sua casa con molti servi carichi di ceste di pane e altri con ulive,<br />

formaggelle e un agnellino, o caprettino che sia, arrostito per il Maestro.<br />

Tutto viene deposto ai piedi dello Stesso, che ne cura la distribuzione dando ad ognuno un pane e<br />

una fetta di formaggio con un pugno di ulive; ma ad una madre, che ha ancora al petto un grasso<br />

puttino che ride coi suoi dentini novelli, dà col pane un pezzo di agnello arrostito, e così fa con altri<br />

due o tre che gli paiono bisognosi di particolare ristoro.<br />

«Ma è per Te, Maestro » dice lo scriba.<br />

«Ne gusterò, non dubitare. Ma vedi... se <strong>Io</strong> so che la tua bontà è per molti mi si aumenta il sapore ».<br />

La distribuzione finisce e la gente sbocconcella il suo pane, riserbandosene il resto per le altre ore.<br />

Anche Gesù beve un poco di latte, che lo scriba gli vuole versare in una tazza preziosa da una<br />

fiaschetta che porta un servo (pare un orciolo).<br />

«Però mi devi accontentare dandomi la gioia di udirti » dice Giovanni lo scriba, che è stato salutato<br />

da Erma con uguale rispetto e con un rispetto ancora maggiore da Stefano.<br />

«Non te lo nego. Vieni qui contro » e Gesù si addossa al monte e inizia a parlare.<br />

«La volontà di <strong>Dio</strong> ci ha trattenuti in questo luogo perché andare oltre, dopo il già fatto cammino,<br />

sarebbe stato ledere i precetti e dare scandalo. E ciò non sia mai finché il nuovo Patto non sarà<br />

scritto.


E' giusto santificare le feste e lodare il Signore nei luoghi della preghiera. Ma tutto il creato può<br />

essere luogo di preghiera se la creatura sa farlo tale con la sua elevazione al Padre. Fu luogo di<br />

preghiera l'Arca di Noé alla deriva sui flutti, e luogo di preghiera il ventre della balena di Giona. Fu<br />

luogo di preghiera la casa del Faraone quando Giuseppe vi visse e la tenda di Oloferne per la casta<br />

Giuditta. E non era tanto sacro al Signore il luogo corrotto dove viveva schiavo il profeta Daniele,<br />

sacro per la santità del suo servo che santificava il luogo, da meritare le alte profezie del Cristo e<br />

dell'Anticristo, chiave dei tempi d'ora e dei tempi ultimi? Con più ragione santo è questo luogo che<br />

coi colori, coi profumi, con la purezza dell'aria, la ricchezza dei grani, le perle delle rugiade, parla<br />

di <strong>Dio</strong> Padre e Creatore, e dice: “Credo. E voi vogliate credere perché noi testimoniamo Iddio”. Sia<br />

dunque la sinagoga di questo sabato, e leggiamoci le pagine eterne sopra le corolle e le spighe,<br />

avendo a lampada sacra il sole.<br />

Vi ho nominato Daniele. Vi ho detto: “Sia questo luogo la nostra sinagoga”. Ciò richiama il gioioso<br />

“benedicite” dei tre santi fanciulli fra le fiamme della fornace: “Cieli ed acque, rugiade e brine,<br />

ghiacci e nevi, fuochi e colori, luci e tenebre, folgori e nuvole, monti e colline, tutte le cose<br />

germinate, uccelli, pesci e bestie, lodate e benedite il Signore, insieme agli uomini di umile e santo<br />

cuore”. Questo il riassunto del cantico santo che tanto insegna agli umili e santi. Possiamo pregare e<br />

possiamo meritare il Cielo in ogni luogo. Lo meritiamo quando facciamo la volontà del Padre.<br />

Quando il giorno aveva inizio mi fu fatto osservare che, se tutto viene da volontà divina, anche gli<br />

errori degli uomini sono voluti da quella. Questo è errore, e errore molto diffuso. Può mai un padre<br />

volere che il figlio si renda riprovevole? Non lo può. Eppure noi vediamo anche nelle famiglie che<br />

alcuni figli si rendono riprovevoli, pur avendo un padre giusto che prospetta loro il bene da farsi e il<br />

male da sfuggire. E nessun che sia retto accusa il padre di avere spronato il figlio al male.<br />

<strong>Dio</strong> è il Padre, gli uomini i figli. <strong>Dio</strong> indica il bene e dice: “Ecco, <strong>Io</strong> ti metto in questa contingenza<br />

per il tuo bene”, oppure anche, quando il Maligno e gli uomini suoi servi procurano sventure agli<br />

uomini, <strong>Dio</strong> dice: “Ecco, in quest'ora penosa, tu agisci così; e così facendo, servirà questo male ad<br />

un eterno bene”. Vi consiglia. Ma non vi forza. E allora se uno, pur sapendo ciò che sarebbe la<br />

volontà di <strong>Dio</strong>, preferisce fare tutto l'opposto, si può dire che questo opposto sia volontà di <strong>Dio</strong>?<br />

Non si può.<br />

Amate la volontà di <strong>Dio</strong>. Amatela più della vostra e seguitela contro le seduzioni e le potenze delle<br />

forze del mondo, della carne e del demonio. Anche queste cose hanno la loro volontà. Ma in verità<br />

vi dico che è ben infelice chi ad esse si piega. Voi mi chiamate “Messia” e “Signore”. Voi dite di<br />

amarmi e mi osannate. Voi mi seguite e ciò pare amore. Ma in verità vi dico che non tutti fra voi<br />

entreranno meco nel Regno dei Cieli. Anche fra i miei più antichi e prossimi discepoli vi saranno<br />

quelli che non vi entreranno, perché molti faranno la loro volontà o la volontà della carne, del<br />

mondo e del demonio, ma non quella del Padre mio. Non chi mi dice: “Signore! Signore!” entrerà<br />

nel Regno dei Cieli, ma coloro che faranno la volontà del Padre mio. Questi soli entreranno nel<br />

Regno di <strong>Dio</strong>.<br />

Verrà un giorno in cui <strong>Io</strong> che vi parlo, dopo essere stato Pastore, sarò Giudice. Non vi lusinghi<br />

l'aspetto attuale. Ora il mio vincastro aduna tutte le anime disperse ed è dolce per invitarvi a venire<br />

ai pascoli della Verità. Allora il vincastro sarà sostituito dallo scettro del Giudice Re e ben altra sarà<br />

la mia potenza. Non con dolcezza ma con giustizia inesorabile <strong>Io</strong> allora separerò le pecore pasciute<br />

di Verità da quelle che mescolarono Verità ad Errore o si nutrirono solo di Errore. Una prima volta e<br />

poi un ancora <strong>Io</strong> farò questo. E guai a coloro che fra la prima e la seconda apparizione davanti al<br />

Giudice non si saranno purgati, non potranno purgarsi dai veleni. La terza categoria non si purgherà.<br />

Nessuna pena potrebbe purgarla. Ha voluto solo l'Errore e nell'Errore stia.<br />

Eppure allora fra questi vi sarà chi gemerà: «Ma come, Signore? Non abbiamo noi profetato in tuo<br />

nome, e in tuo nome cacciato i demoni, e fatto in tuo nome molti prodigi? ». Ed <strong>Io</strong> allora molto<br />

chiaramente dirò ad essi: “Sì. Avete osato rivestirvi del mio Nome per apparire quali non siete. <strong>Il</strong><br />

vostro satanismo lo avete voluto far passare per vita in Gesù. Ma il frutto delle vostre opere vi<br />

accusa. Dove sono i vostri salvati? Le vostre profezie dove si sono compiute? I vostri esorcismi a<br />

che hanno concluso? I vostri prodigi che compare ebbero? Oh! ben egli è potente il Nemico mio!<br />

Ma non è da più di Me. Vi ha aiutato ma per fare maggior preda, e per opera vostra il cerchio dei


travolti nell'eresia si è allargato. Sì, avete fatto prodigi. Ancor più apparentemente grandi di quelli<br />

dei veri servi di <strong>Dio</strong>, i quali non sono istrioni che sbalordiscono le folle, ma umiltà e ubbidienze che<br />

sbalordiscono gli angeli. Essi, i miei servi veri, con le loro immolazioni non creano i fantasmi, ma li<br />

debellano dai cuori; essi, i miei servi veri, non si impongono agli uomini, ma agli animi degli<br />

uomini mostrano Iddio. Essi non fanno che fare la volontà del Padre e portano altri a farla, così<br />

come l'onda sospinge e attira l'onda che la precede e quella che la segue, senza mettersi su un trono<br />

per dire: 'Guardate'. Essi i miei servi veri, fanno ciò che <strong>Io</strong> dico, senza pensare che a fare, e le loro<br />

opere hanno il mio segno di pace inconfondibile, di mitezza, di ordine. Perciò posso dirvi: questi<br />

sono i miei servi; voi non vi conosco. Andatevene lungi da Me voi tutti, operatori di iniquità”.<br />

Questo <strong>Io</strong> dirò allora. E sarà tremenda parola. Badate di non meritarvela e venite per la via sicura,<br />

benché penosa, dell'ubbidienza verso la gloria del Regno dei Cieli.<br />

Ora godetevi il vostro riposo del sabato lodando <strong>Dio</strong> con tutti voi stessi. La pace sia con tutti voi ».<br />

E Gesù benedice la folla prima che questa si sparga in cerca di ombra, parlando fra gruppo e<br />

gruppo, commentando le parole udite.<br />

Presso Gesù restano gli apostoli e lo scriba Giovanni, che non parla ma medita profondamente,<br />

studiando Gesù in ogni suo atto.<br />

E il ciclo del Monte è finito.<br />

80. Guarigione del servo del centurione.<br />

2 giugno 1945.<br />

Venendo dalla campagna Gesù entra in Cafarnao. Sono con Lui solo i dodici, anzi gli undici<br />

apostoli, perché non c'è Giovanni. I soliti saluti della gente su una gamma molto varia di<br />

espressioni, da quelli che sono tutta semplicità dei bambini, a quelli un poco timidi delle donne, a<br />

quelli estatici dei miracolati, fino a quelli curiosi o ironici. Ce ne sono per tutti i gusti. E Gesù<br />

risponde a tutti, a seconda di come è stato salutato: con carezze ai piccoli, benedizioni alle donne,<br />

sorrisi ai miracolati, e rispetto profondo per gli altri.<br />

Ma questa volta alla serie, si unisce il saluto del centurione del luogo, credo. Lo saluta col suo:<br />

«Salve, Maestro! » al quale Gesù risponde col suo: «<strong>Dio</strong> venga a te ».<br />

<strong>Il</strong> romano prosegue, mentre la folla si accosta curiosa di vedere come va l'incontro: «Sono più<br />

giorni che ti aspetto. Tu non mi riconosci fra gli ascoltatori del Monte. Ero vestito da cittadino. Non<br />

mi chiedi perché ero venuto? ».<br />

«Non te lo chiedo. Che vuoi da Me? ».<br />

«L'ordine è di seguire coloro che tengono assembramenti, perché troppe volte Roma dovette<br />

pentirsi di avere concesso riunioni di apparenza onesta. Ma, vedendo e udendo, ho pensato a Te<br />

come a... come a... Ho un servo malato, Signore. Egli giace nella mia casa, nel suo letto, paralizzato<br />

da un male nelle ossa, e soffre terribilmente. I nostri medici non lo guariscono. I vostri, che ho<br />

invitato a venire perché sono mali che vengono dalle arie corrotte di queste regioni, e voi li sapete<br />

curare con le erbe del suolo febbricoso della sponda dove stagnano le acque prima di essere bevute<br />

dalle arene del mare, si sono rifiutati di venire. Ne ho dolore perché è un servo fedele ».<br />

«<strong>Io</strong> verrò e te lo guarirò ».<br />

«No, Signore. Non chiedo che Tu faccia tanto. Sono pagano, sudiciume per voi. Se i medici ebrei<br />

temono contaminarsi col porre piede nella mia casa, con più ragione essa è contaminazione a Te che<br />

sei divino. <strong>Io</strong> non sono degno che Tu entri sotto il mio tetto. Ma se Tu dici da qui una sola parola il<br />

mio servo guarirà, perché Tu comandi a tutto quanto è. Ora se io che sono un uomo sottoposto a<br />

tante autorità, la prima delle quali è Cesare, per cui devo fare, pensare, agire come mi è comandato,<br />

posso a mia volta comandare ai soldati che ho sotto il mio comando, e se dico ad uno: “Va' ”,<br />

all'altro: “Vieni”, e al servo: “Fa' questo”, uno va dove lo mando, l'altro viene perché lo chiamo, il<br />

terzo fa quello che dico, Tu, che sei Chi sei, sarai tosto ubbidito dalla malattia ed essa se ne andrà ».


«Non è un uomo la malattia...» obbietta Gesù.<br />

«Neppure Tu sei un uomo, ma sei l'Uomo. Puoi dunque comandare anche agli elementi e alle febbri<br />

perché tutto è soggetto al tuo potere ».<br />

Dei maggiorenti di Cafarnao prendono in disparte Gesù e gli dicono: «Egli è romano, ma Tu<br />

ascoltalo perché è uomo dabbene che ci rispetta e ci aiuta. Pensa che ha fatto fabbricare proprio lui<br />

la nostra sinagoga e tiene in rispetto i suoi soldati perché non ci sbeffeggino nei sabati. Fàgli dunque<br />

grazia per amore della tua città, acciò egli non resti deluso ed irritato ed il suo amore si rivolga in<br />

odio per noi ».<br />

E Gesù, ascoltati questi e quello, si volge sorridendo al centurione dicendo: «Va' avanti che vengo ».<br />

Ma il centurione torna a dire: «No, Signore, io l'ho detto: molto onore sarebbe se Tu entrassi sotto il<br />

mio tetto, ma non merito tanto; di' solo una parola e il mio servo sarà guarito ».<br />

«E sia. Va' con fede. In questo istante la febbre lo lascia e la vita torna alle membra. Fa' che alla tua<br />

anima pure venga la Vita. Va' ».<br />

<strong>Il</strong> centurione saluta militarmente e poi si inchina e se ne va.<br />

Gesù lo guarda andare e poi si rivolge ai presenti e dice:<br />

«In verità vi dico che non ho trovato tanta fede in Israele. Oh! è pur vero! “<strong>Il</strong> popolo che<br />

camminava nelle tenebre vide una gran luce. Sopra coloro che abitavano nell'oscura regione di<br />

morte la Luce è spuntata”, e ancora: “<strong>Il</strong> Messia, alzata la sua bandiera sulle nazioni, le riunirà”. Oh!<br />

Regno mio! Veramente a te affluiranno in numero sterminato! Più che tutti i cammelli e i dromedari<br />

di Madian e di Efa, e i portatori d'oro e incenso di Saba, più che tutti i greggi di Cedar e gli arieti di<br />

Nabaiot saranno numerosi coloro che verranno a te, ed il mio cuore si dilaterà di gioia vedendo<br />

venire a Me i popoli del mare e le potenze delle nazioni. Me aspettano le isole per adorarmi, e i figli<br />

degli stranieri edificheranno le mura della mia Chiesa della quale sempre staranno aperte le porte ad<br />

accogliere i re e la forza delle nazioni ed a santificarli in Me. Questo che Isaia ha visto, ecco si<br />

compirà! <strong>Io</strong> vi dico che molti verranno da oriente e occidente e siederanno con Abramo, Isacco e<br />

Giacobbe nel Regno dei Cieli, mentre i figli del Regno saranno gettati nelle tenebre esteriori, dove<br />

sarà pianto e stridor di denti ».<br />

«Tu dunque profetizzi che i gentili saranno pari ai figli d'Abramo? ».<br />

«Non pari: superiori. Non vi rincresca che perché ciò è vostra colpa. Non <strong>Io</strong>, ma i Profeti lo dicono,<br />

ed i segni già lo confermano. Ora alcuno di voi vada verso la casa del centurione per constatare che<br />

il suo servo è guarito come la fede del romano lo meritava. Venite. Forse nella casa vi sono malati<br />

che attendono la mia venuta ».<br />

E Gesù, con gli apostoli e qualche altro, perché i più si precipitano curiosi e schiamazzanti verso la<br />

casa del centurione, si dirige alla solita casa dove sosta nei giorni che è a Cafarnao.<br />

81. Tre uomini che vogliono seguire Gesù.<br />

3 giugno 1945.<br />

Vedo Gesù che si dirige coi suoi undici, perché manca sempre Giovanni, verso la riva del lago.<br />

Molta gente gli si affolla intorno: fra questi sono molti che erano sul Monte, per lo più uomini, che<br />

lo hanno raggiunto a Cafarnao per sentire ancora la sua parola. Vorrebbero trattenerlo.<br />

Ma Egli dice: «<strong>Io</strong> sono di tutti. E vi sono molti che mi devono avere. Tornerò. Mi raggiungerete. Ma<br />

ora lasciatemi andare ».<br />

Stenta molto a camminare fra la folla che si pigia per la vietta stretta. Gli apostoli lavorano di spalle<br />

per fargli largo. Ma è come urtare una sostanza molliccia che subito si riforma come era. Ci si<br />

inquietano anche, ma inutilmente.<br />

Sono già in vista della riva quando, dopo una accanita lotta, un uomo di media età e di civile<br />

condizione si accosta al Maestro e per attirare la sua attenzione lo tocca sulla spalla.<br />

Gesù si volge e si ferma chiedendo: «Che vuoi? ».


«Sono scriba. Ma ciò che c'è nelle tue parole non è paragonabile a quanto è nei nostri precetti. Ed io<br />

ne sono conquistato. Maestro, io più non ti lascio. Ti seguirò ovunque andrai. Quale è la tua via? ».<br />

«Quella del Cielo ».<br />

«Non dico quella. Ti chiedo: dove vai? Dopo questa, quali sono le tue case perché io ti possa<br />

sempre ritrovare? ».<br />

«Le volpi hanno delle tane e gli uccelli i nidi. Ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo.<br />

Mia casa è il mondo, là dovunque vi sono spiriti da istruire, miserie da sollevare, peccatori da<br />

redimere ».<br />

«Da per tutto, allora ».<br />

«Lo hai detto. Potresti tu fare ciò che questi minimi fanno per amor mio, tu, dottore d'Israele? Qui ci<br />

vuole sacrificio e ubbidienza, e carità verso tutti, spirito d'adattamento, su tutto, con tutti. Perché la<br />

condiscendenza attira. Perché chi vuol curare deve curvarsi su ogni piaga. Dopo ci sarà la purezza<br />

del Cielo. Ma qui siamo nel fango e occorre strappare al fango, su cui posiamo i piedi, le vittime già<br />

sommerse. Non rialzare le vesti e scostarsi perché lì è più alto il fango. La purezza deve essere in<br />

noi. Saturi di essa in modo che nulla più possa entrare. Puoi tutto questo? ».<br />

«Lasciami provare, almeno ».<br />

«Prova. <strong>Io</strong> pregherò perché tu ne sia capace ».<br />

Gesù si rimette in moto e, attirato da due occhi che lo guardano, dice ad un giovane alto e robusto<br />

che si è fermato per lasciar passare il corteo, ma che sembra diretto altrove: «Seguimi ».<br />

<strong>Il</strong> giovane sussulta, cambia colore, sbatte gli occhi come abbacinato da una luce e poi apre la bocca<br />

per parlare e non trova subito una risposta da dare. Infine dice: «Ti seguirò. Ma mi è morto il padre<br />

a Corozim e devo seppellirlo. Lascia che io lo faccia e poi verrò ».<br />

«Seguimi. Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Tu sei già aspirato dalla Vita. Lo hai<br />

desiderato, d'altronde. Non piangere il vuoto che la Vita ti ha fatto intorno per averti suo discepolo.<br />

Le mutilazioni dell'affetto sono radici alle ali che nascono dall'uomo mutato in servo della Verità.<br />

Lascia la corruzione alla sua sorte. Alzati verso il Regno dell'incorrotto. Là troverai anche la perla<br />

incorruttibile del padre tuo. <strong>Dio</strong> chiama e passa. Domani non troveresti più il tuo cuore di oggi e<br />

l'invito di <strong>Dio</strong>. Vieni. Va' ad annunziare il Regno di <strong>Dio</strong> ».<br />

L'uomo, addossato ad un muretto, sta con le braccia pendenti da cui pendono le borse, cariche certo<br />

di aromi e di bende; la testa china, pensa, in contrasto fra due amori: di <strong>Dio</strong> e del padre.<br />

Gesù attende e lo guarda, poi afferra un piccolo e se lo stringe al cuore dicendo: «Di' con Me: '<strong>Io</strong> ti<br />

benedico, o Padre, ed invoco la tua luce per coloro che piangono fra le nebbie della vita. <strong>Io</strong> ti<br />

benedico, o Padre, ed invoco la tua forza per chi è come il pargolo bisognoso di chi lo sostenga. <strong>Io</strong><br />

ti benedico, o Padre, e invoco il tuo amore perché smemori da ogni altra cosa, che non sia Te, tutti<br />

coloro che in Te troverebbero, e non sanno crederlo, ogni loro bene, qui e nel Cielo ».<br />

E il bambino, un innocente sui quattro anni, ripete con la sua vocetta le parole sante con le manine<br />

tenute strette in preghiera dalla destra di Gesù, che le tiene al polso grassottello come fossero due<br />

steli di fiore.<br />

L'uomo si decide. Dà ad un compagno i suoi involti e viene a Gesù, che pone a terra il bambino<br />

dopo averlo benedetto e abbraccia il giovane procedendo così, per confortarlo e sostenerlo nel suo<br />

sforzo.<br />

Un altro uomo lo interroga: «<strong>Io</strong> pure vorrei venire come quello. Ma prima di seguirti vorrei<br />

accommiatarmi dai parenti. Me lo permetti? ».<br />

Gesù lo guarda fisso e risponde: «Troppe radici sono conficcate nell'umano. Svellile, e se non ci<br />

riesci recidile. Al servizio di <strong>Dio</strong> si viene con spirituale libertà. Nulla deve fare laccio a chi si dona<br />

».<br />

«Ma, Signore. La carne e il sangue sono sempre carne e sangue! Giungerò lentamente alla libertà<br />

che dici...».<br />

«No. Non lo faresti mai più. <strong>Dio</strong> è esigente così come è infinitamente generoso nel premiare. Se<br />

vuoi essere discepolo, bisogna abbracciare la croce e venire. Altrimenti si sta nel numero dei<br />

semplici fedeli. Non è una via di petali di rose la via del servo di <strong>Dio</strong>. Ed è assoluta nelle sue<br />

esigenze. Nessuno che abbia messo la mano all'aratro, per arare i campi dei cuori e spargervi il


seme della dottrina di <strong>Dio</strong>, può volgersi indietro per osservare ciò che ha lasciato e ciò che ha<br />

perduto, ciò che poteva avere seguendo altra via comune. Chi fa così non è adatto al Regno di <strong>Dio</strong>.<br />

Lavora te stesso. Virilizza te stesso e poi vieni. Non ora ».<br />

La riva è raggiunta. Gesù sale sulla barca di Pietro al quale mormora qualche parola. Vedo che Gesù<br />

sorride e Pietro fa un atto di meraviglia. Ma non dice nulla. Sale anche l'uomo che ha lasciato di<br />

andare a seppellire il padre per seguire Gesù.<br />

82. La parabola del seminatore. A Corozim con il nuovo discepolo Elia.<br />

4 giugno 1945.<br />

Mi dice Gesù mostrandomi il corso del Giordano, meglio, lo sbocco del Giordano nel lago di<br />

Tiberiade, là dove è stesa la città di Betsaida sulla riva destra del fiume, rispetto a chi guarda il<br />

nord: «Ora la città non sembra più sulle rive del lago, ma un poco in dentro nel retroterra. E ciò<br />

sconcerta gli studiosi. La spiegazione si deve cercare nell'interramento del lago da questa parte,<br />

dovuto a venti secoli di terriccio depositato dal fiume e ad alluvioni e frane scese dai colli di<br />

Betsaida. Allora la città era proprio all'imbocco del fiume nel lago, e anzi, le barche più piccole, e<br />

nelle stagioni più ricche d'acque, risalivano per un buon tratto, fino a quasi l'altezza di Corozim, il<br />

fiume stesso, che serviva però sempre da porto e ricovero sulle sue rive, alle barche di Betsaida nei<br />

giorni di burrasca del lago. Questo non per te, alla quale poco importa, ma per i dottori difficili. E<br />

ora va' avanti ».<br />

Le barche degli apostoli, fatto il breve tratto di lago che separa Cafarnao da Betsaida, ammarano in<br />

questa città. Ma altre barche le hanno seguite e molti ne smontano unendosi subito a quelli di<br />

Betsaida venuti a salutare il Maestro, che entra nella casa di Pietro dove... è da capo la moglie, che<br />

suppongo abbia preferito la solitudine al vivere fra i continui lagni della madre verso suo marito.<br />

La gente, fuori, reclama a gran voce il Maestro, cosa che fa inquietare non poco Pietro, che sale<br />

sulla terrazza e arringa cittadini o meno, dicendo che ci vuole rispetto ed educazione. Lui, il suo<br />

Maestro, se lo vorrebbe godere un poco in pace, ora che l'ha nella sua casa, e invece non ha tempo e<br />

soddisfazione di offrirgli neppure un poco di acqua e miele fra le molte cose che ha detto alla<br />

moglie di portare, e brontola.<br />

Gesù lo guarda sorridendo e crolla il capo dicendo: «Sembra che tu non mi veda mai e che sia un<br />

caso essere insieme! ».<br />

«Ma è così! Quando siamo per il mondo siamo forse io e Te? Nemmeno per sogno! Fra Te e me c'è<br />

il mondo coi suoi malati, coi suoi afflitti, coi suoi ascoltatori, coi suoi curiosi, coi suoi calunniatori,<br />

coi suoi nemici, e noi non siamo mai io e Te. Qui invece Tu sei con me, in casa mia, e dovrebbero<br />

capirlo! ». E' proprio inquieto.<br />

«Ma non vedo la diversità, Simone. <strong>Il</strong> mio amore è uguale, la mia parola è la stessa. Che <strong>Io</strong> te la<br />

dica a te in privato, o che la dica per tutti,non è lo stesso? ».<br />

Pietro confessa allora la sua grande pena: «E' che io sono zuccone e mi distraggo con facilità.<br />

Quando Tu parli su una piazza, su un monte, fra tanta folla, io, non so perché, capisco tutto, ma poi<br />

non ricordo più nulla. L'ho detto anche ai compagni e mi hanno dato ragione. Gli altri, voglio dire il<br />

popolo che ti ascolta, ti capisce e ricorda quello che dici. Quante volte abbiamo sentito confessare<br />

da uno: “Non ho più fatto questo perché Tu lo hai detto”, oppure: “Sono venuto perché una volta ti<br />

ho sentito dire quest'altro e mi ha ferito il pensiero”. Noi invece...uhm! è come un corso d'acqua che<br />

passa e non si ferma. La sponda non l'ha più, quell'acqua che è passata. Ne viene dell'altra, sì,<br />

sempre altra, e sempre tanta. Ma passa, passa, passa... E io penso con terrore che, se come Tu dici<br />

sarà, che verrà il momento che Tu non sarai più a fare la parte del fiume e... e io... Che avrò da dare<br />

a chi ha sete, se non serbo neppure una goccia del tanto che mi dai? ».<br />

Anche gli altri appoggiano i lamenti di Pietro, lamentandosi di non ritrovare mai niente di tutto<br />

quello che sentono, quando vorrebbero trovarlo per rispondere ai molti che li interrogano.


Gesù sorride e risponde: «Ma non mi pare. La gente è molto contenta anche di voi...».<br />

«Oh! sì! Per quello che facciamo! Farti largo, e dare delle gomitate per questo, portare i malati,<br />

raccogliere gli oboli, e dire: “Sì, il Maestro è quello!”. Bella roba, in verità! ».<br />

«Non ti denigrare troppo, Simone ».<br />

«Non mi denigro. Mi conosco ».<br />

«E' la più difficile delle sapienze. Ma ti voglio levare questa grande paura. Quando <strong>Io</strong> ho parlato, e<br />

voi non avete potuto tutto comprendere e ritenere, domandate senza timore di apparire noiosi o di<br />

sconfortarmi. Abbiamo sempre delle ore di intimità. In queste ore apritemi il cuore. Do tanto a tanti.<br />

E che non darei a voi che amo come più non potrebbe Iddio? Hai parlato di onda che va e nulla<br />

resta alla riva. Verrà un giorno in cui ti accorgerai che ogni onda ti ha deposto un seme, e che ogni<br />

seme ha fatto pianta. Ti troverai davanti fiori e piante per tutti i casi, ti stupirai di te stesso dicendo:<br />

“Ma che mi ha fatto il Signore?”, perché tu allora sarai redento dalla schiavitù del peccato e le tue<br />

virtù attuali si saranno perfezionate a grande altezza ».<br />

«Tu lo dici, Signore, ed io mi riposo in questa tua parola ».<br />

«Ora andiamo da chi ci attende. Venite. Pace a te, donna. Sarò tuo ospite questa sera ».<br />

Escono e Gesù si dirige al lago per non essere oppresso dalla calca. Pietro è sollecito a staccare la<br />

barca di pochi metri dalla riva di modo che la voce di Gesù sia udita da tutti, ma che uno spazio sia<br />

tra Lui e gli ascoltatori.<br />

«Da Cafarnao a qua <strong>Io</strong> ho pensato quale parola dirvi. E ho trovato indicazione nei fatti del mattino.<br />

Voi avete visto tre uomini venire a Me. L'uno spontaneamente, l'altro perché da Me sollecitato, il<br />

terzo per subito entusiasmo. E avete anche visto che, di questi, due soli <strong>Io</strong> ne ho presi. Perché? Ho<br />

forse visto nel terzo un traditore? No, in verità. Ma un impreparato. All'apparenza pareva più<br />

impreparato questo che ora invece è al mio fianco, diretto prima a seppellire suo padre. Invece il più<br />

impreparato era il terzo. Questo era tanto preparato, a sua stessa insaputa, che ha saputo compiere<br />

un ben eroico sacrificio.<br />

L'eroismo nel seguire Iddio è sempre prova di forte preparazione spirituale. Questo spiega certi<br />

sorprendenti fatti che avvengono intorno a Me. I più preparati a ricevere il Cristo, quale che sia la<br />

loro casta e la loro cultura, vengono a Me con una prontezza e una fede assoluta. I meno preparati<br />

mi osservano come un uomo che esce dal consueto, oppure mi studiano con diffidenza e curiosità,<br />

oppure ancora mi attaccano e mi denigrano accusandomi in vari modi. Le diverse maniere di agire<br />

sono in proporzione della impreparazione degli spiriti.<br />

Nel popolo eletto si dovrebbero trovare da per tutto spiriti pronti a ricevere questo Messia nella cui<br />

attesa si sono consumati d'ansia i Patriarchi e i Profeti, questo Messia venuto finalmente, preceduto<br />

e accompagnato da tutti i segni profetizzati, questo Messia la cui figura spirituale si delinea sempre<br />

più chiara attraverso i miracoli visibili sulle membra e sugli elementi, e i miracoli invisibili sule<br />

coscienze che si convertono e sui gentili che si volgono al <strong>Dio</strong> vero. Invece così non è. E la<br />

prontezza nel seguire il Messia è fortemente ostacolata proprio nei figli di questo popolo e, doloroso<br />

a dirsi, lo è tanto più quanto più si sale nelle classi più alte di esso. Non dico questo per<br />

scandalizzarvi. E' per indurvi a pregare ed a riflettere.<br />

Perché avviene questo? Perché i gentili e i peccatori fanno più strada sulla via mia? Perché essi<br />

accolgono quanto <strong>Io</strong> dico, e gli altri no? Perché i figli d'Israele sono ancorati, anzi, sono incrostati<br />

come ostriche perlifere al banco su cui sono nate. Perché sono saturati, ricolmati, obesi della loro<br />

sapienza e non sanno fare largo alla mia col gettare il superfluo per fare posto al necessario. Gli altri<br />

non hanno questa schiavitù. Sono poveri pagani, o poveri peccatori, disancorati come nave alla<br />

deriva, sono dei poveri che non hanno tesori propri ma solo fardelli di errori o di peccati, dei quali<br />

si spogliano con gioia non appena riescono a comprendere cosa è la Buona Novella e sentono il suo<br />

miele corroborante ben diverso dal disgustoso miscuglio dei loro peccati.<br />

Udite, e forse capirete meglio come possono esservi diversi frutti ad una stessa opera.<br />

Un seminatore andò a seminare. I suoi campi erano molti e di diversa razza. Ce ne erano alcuni che<br />

egli aveva ereditati dal padre, sui quali la sua sbadataggine aveva lasciato proliferare piante spinose.<br />

Altri erano un suo acquisto, li aveva comprati così come erano da un negligente e tali li aveva<br />

lasciati. Altri ancora erano stati intersecati da strade, perché l'uomo era un grande comodista e non


voleva fare molta strada per andare da un luogo all'altro. Infine ce ne erano alcuni, i più prossimi<br />

alla casa, sui quali egli aveva vegliato per avere un aspetto piacevole davanti alla dimora. Questi<br />

erano ben mondi di sassaia, di spine, di gramigne e così via.<br />

L'uomo dunque prese il suo sacchetto di grano da seme, il migliore dei grani, e iniziò la semina. <strong>Il</strong><br />

seme cadde nel buon terreno soffice, arato, mondato, concimato dei campi prossimi alla casa. Cadde<br />

nei campi intersecati da vie e viette, che li spezzettavano tutti portando inoltre bruttura di polvere<br />

arida sulla terra fertile. Altro seme cadde sui campi dove l'inettitudine dell'uomo aveva lasciato<br />

proliferare le pinte spinose. Ora l'aratro le aveva travolte, pareva non ci fossero più, ma c'erano,<br />

perché solo il fuoco, la radicale distruzione delle male piante, impedisce il loro rinascere. L'ultimo<br />

seme cadde sui campi comperati da poco e che egli aveva lasciati così come erano, senza dissodarli<br />

in profondità e mondarli da tutte le pietre sprofondate nel suolo a fare un pavimento duro sul quale<br />

non avevano presa le tenere radici. E poi, sparso tutto il suo seme, se ne tornò a casa e disse: “Oh!<br />

bene! Ora non c'è che da attendere la raccolta”.<br />

E si beava perché, col passare dei mesi, vedeva spuntare fitto il grano nei campi davanti alla casa, e<br />

crescere... oh! che soffice tappeto! e spighire... oh! che mare! e imbiondire e cantre, battendo spiga a<br />

spiga, l'osanna al sole. L'uomo diceva: “Come questi campi, tutti! Prepariamo la falce e i granai.<br />

Quanto pane! Quanto oro!”. E si beava... Segò il grano dei campi più vicini e poi passò a quelli<br />

ereditati dal padre, ma lasciati inselvatichire. E restò di stucco. Grano e grano era nato, perché i<br />

campi erano buoni e la terra bonificata dal padre era grassa e fertile. Ma la sua stessa fertilità aveva<br />

agito anche sulle piante spinose, travolte ma non sterilite. Esse erano rinate ed avevano fatto un vero<br />

soffitto di ramaglie irte di rovi, attraverso le quali il grano non aveva potuto emergere che con le<br />

rare spighe ed era morto soffocato quasi tutto.<br />

L'uomo disse: 'Sono stato negligente in questo posto. Ma altrove non erano rovi, e andrà meglio'.<br />

E passò ai campi di recente acquisto. <strong>Il</strong> suo stupore crebbe in pena. Sottili, e ormai disseccate, foglie<br />

di grano giacevano come fieno secco sparse per ogni dove. Fieno secco. “Ma come? Ma come?”<br />

gemeva l'uomo. “Eppure qui non sono spine! Eppure il grano era lo stesso! Eppure era nato folto e<br />

bello. Lo si vede dalle foglie ben formate e numerose. Perché allora tutto è morto senza fare spiga?”<br />

E con dolore si dette a scavare il suolo per vedere se trovava nidi di talpe o altri flagelli. Insetti e<br />

roditori no, non ce n'erano. Ma quanti, quanti sassi! Una pietraia! I campi erano letteralmente<br />

selciati da scaglie di pietra e la poca terra che li copriva era un inganno. Oh! se avesse approfondito<br />

l'aratro quando era tempo! Oh! se avesse scavato, prima di accettare quei campi e comperarli per<br />

buoni! Oh! se almeno, dopo lo sbaglio fatto di acquistare quanto gli veniva proposto senza<br />

persuadersi della sua bontà, li avesse resi buoni a fatica di reni! Ma ormai era tardi ed era inutile il<br />

rammarichìo.<br />

L'uomo si alzò in piedi avvilito e andò ai campi intersecati di stradette per sua comodità.... E si<br />

strappò le vesti dal dolore. Qui non c'era nulla, assolutamente nulla... La terra scura del campo era<br />

coperta da un leggero strato di polvere bianca... L'uomo si accasciò al suolo gemendo: “Ma qui<br />

perché? Qui non spine e non sassi perché questi sono campi nostri. L'avo, il padre, io, li abbiamo<br />

sempre avuti e in lustri e lustri li abbiamo fatti fertili. <strong>Io</strong> vi ho aperto le strade, avrò levato del<br />

terreno al campo, ma ciò non può averlo fatto sterilire così...” Piangeva ancora quando ebbe risposta<br />

al suo dolore da un fitto sciame d'uccelli che si accanivano dai sentieri sul campo e da questo ai<br />

sentieri per cercare, cercare, cercare semi, semi, semi... <strong>Il</strong> campo, divenuto una rete di stradette sui<br />

bordi delle quali era caduto del grano, aveva attirato molti uccelli, e questi prima avevano mangiato<br />

il grano caduto sulla via e poi quello del campo, fino all'ultimo chicco.<br />

Così il seme, uguale per tutti i campi, aveva dato dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta, dove<br />

il nulla. Chi ha orecchi da intendere intenda. <strong>Il</strong> seme è la Parola: uguale per tutti. I luoghi dove cade<br />

il seme: i vostri cuori. Ognuno applichi e comprenda. La pace sia con voi ».<br />

E poi, rivolgendosi a Pietro, dice: «Risali finché puoi e poi ammara dall'altro lato ».<br />

E mentre le due barche fanno poca via sul fiume per poi fermarsi presso la sponda, Gesù si siede<br />

chiedendo al discepolo novello. «Chi resta, ora a casa tua?».<br />

«Mia madre col fratello maggiore, sposato da cinque anni. Le sorelle sono sparse per la regione.<br />

Mio padre era molto buono. E mia madre lo piange desolatamente ». <strong>Il</strong> giovane si arresta


uscamente, perché sente che un singhiozzo gli monta dal cuore.<br />

Gesù lo afferra per una mano e dice: «Ho conosciuto <strong>Io</strong> pure questo dolore ed ho visto piangere mia<br />

Madre. Ti capisco perciò...».<br />

Lo sfregare della barca sul greto fa sì che il discorso si interrompa per permettere di scendere a<br />

terra. Qui non sono più i colli bassi di Betsaida che quasi tuffano il muso nel lago, ma una pianura<br />

ricca di messi si stende da questa sponda, opposta a Betsaida, verso il nord.<br />

«Andiamo a Meron? » chiede Pietro.<br />

«No. Prendiamo questo sentiero fra i campi ».<br />

I campi, belli e ben tenuti, mostrano le spighe ancora tenere ma già formate; tutte alla stessa altezza,<br />

e col lieve ondeggiare che imprime loro il vento fresco che viene dal nord, sembrano un altro<br />

piccolo lago al quale fanno da vele gli alberi che si drizzano qua e là, pieni di zirli d'uccelli.<br />

«Questi campi non sono come quelli della parabola » osserva il cugino Giacomo.<br />

«No, davvero! Gli uccelli non li hanno devastati, non ci sono spine e non sassi. Un bel grano! Fra<br />

un mese sarà già biondo... e fra due mesi sarà pronto alla falce e al granaio » dice Giuda Iscariota.<br />

«Maestro... io ti ricordo ciò che hai detto in casa mia. Tu hai parlato tanto bene. Ma io comincio ad<br />

avere nella testa delle nuvole scompigliate come quelle lassù...» dice Pietro.<br />

«Questa sera te lo spiegherò. Ora siamo in vista di Corozim ». E Gesù guarda fisso il neo discepolo,<br />

dicendo: «A chi dà è dato. E l'avere non leva il merito del donativo. Conducimi al sepolcro vostro e<br />

alla casa di tua madre ».<br />

<strong>Il</strong> giovane si inginocchia baciando fra le lacrime la mano di Gesù.<br />

«Alzati. Andiamo. <strong>Il</strong> mio spirito ha sentito il tuo pianto. Voglio fortificarti nell'eroismo con il mio<br />

amore ».<br />

«Mi aveva raccontato Isacco l'Adulto quanto eri buono. Isacco, sai? Quello al quale Tu hai risanato<br />

la figlia. E' stato il mio apostolo. Ma vedo che la tua bontà è ancora più grande di quanto mi era<br />

stato detto ».<br />

«Saluteremo anche l'Adulto per ringraziarlo di avermi dato un discepolo ».<br />

Corozim è raggiunta ed è proprio la casa di Isacco la prima che si trova. <strong>Il</strong> vecchio, che sta tornando<br />

in casa, quando vede il gruppo di Gesù coi suoi, e fra essi il giovane di Corozim, alza le braccia,<br />

col suo bastoncello in mano, e resta senza fiato, a bocca aperta. Gesù sorride e il suo sorriso rende<br />

voce al vecchione.<br />

«<strong>Dio</strong> ti benedica, Maestro! Ma come a me quest'onore? ».<br />

«Per dirti “grazie”».<br />

«Ma di che, mio <strong>Dio</strong>? <strong>Io</strong> devo dirtela questa parola. Entra, entra. Oh! che dolore che mia figlia sia<br />

lontana per assistere la suocera! Perché si è sposata, lo sai? Tutte le benedizioni dopo che ti ho<br />

incontrato! Lei guarita, e subito dopo quel ricco parente tornato da lontano, vedovo, con quei piccoli<br />

bisognosi di una madre... Oh! ma te le ho già dette queste cose! La mia testa è vecchia! Perdona! ».<br />

«La tua testa è saggia e dimentica anche di gloriarsi del bene che fa per il suo Maestro. Dimenticarsi<br />

del bene fatto è saggezza. Dimostra umiltà e fiducia in <strong>Dio</strong>».<br />

«Ma io... non saprei...».<br />

«E questo discepolo non l'ho per te? ».<br />

«Oh!... Ma non ho fatto nulla, sai? Solo ho detto la verità... e sono contento che Elia sia con Te ». Si<br />

volge a questo Elia e dice: «Tua madre dopo il primo momento di stupore, ebbe riasciugato il pianto<br />

nel saperti del Maestro. Tuo padre ebbe un degno cordoglio, però. Da poco è nel sepolcro ».<br />

«E mio fratello? ».<br />

«Tace... Sai... gli è stato un po' duro vederti assente... per il paese... Lui pensa ancora così...».<br />

<strong>Il</strong> giovane si volge a Gesù: «Tu lo hai detto. Ma io non vorrei che egli fosse morto... Fa' che divenga<br />

vivo come me, e al tuo servizio ».<br />

Gli altri non capiscono e guardano interrogativamente, ma Gesù risponde: «Non disperare e<br />

persevera ». Poi benedice Isacco e se ne va, nonostante ogni pressione.<br />

Sostano prima presso il sepolcro chiuso e pregano. Poi, attraverso un vigneto ancora semispoglio,<br />

vanno alla casa di Elia.<br />

L'incontro fra i due fratelli è piuttosto sostenuto. <strong>Il</strong> maggiore si sente offeso e lo vuol far rilevare. <strong>Il</strong>


minore si sente umanamente colpevole e non reagisce. Ma l'arrivo della madre, che senza parole si<br />

prostra e bacia l'orlo della veste di Gesù, rasserena l'ambiente e gli animi. Tanto che si vuol fare<br />

onore al Maestro.<br />

<strong>Il</strong> quale però non accetta nulla, ma solo dice: «Siano giusti i vostri cuori, l'uno verso l'altro, come<br />

giusto era colui che piangete. Non date impronta umana al sovrumano: la morte e l'elezione ad una<br />

missione. L'anima del giusto non si è agitata nel vedere che il figlio mancava alla sepoltura del suo<br />

cadavere. Ma si è anzi messa quieta, nella sicurezza del futuro del suo Elia. <strong>Il</strong> pensiero del mondo<br />

non turbi la grazia dell'elezione. Se il mondo ha potuto stupire di non vedere costui presso il feretro<br />

paterno, gli angeli hanno esultato nel vederlo a fianco del Messia. Siate giusti. E tu, madre, sii<br />

consolata da questo. Hai educato con saggezza, e tuo figlio è stato chiamato dalla Sapienza. Vi<br />

benedico tutti. La pace sia con voi ora e sempre ».<br />

Tornano sulla via che riprendono per andare al fiume e da qui a Betsaida. L'uomo, Elia, neppure si è<br />

attardato un istante sulla soglia paterna. Dopo il bacio di addio alla madre ha seguito il Maestro con<br />

la semplicità con cui un bambino segue il suo vero padre.<br />

83. Dispita nella cucina di Pietro a Betsaida. Spiegazione della parabola<br />

del seminatore. La notizia della seconda cattura del Battista.<br />

7 giugno 1945.<br />

Eccoci di nuovo nella cucina di Pietro. La cena deve essere stata abbondante perché i piatti coi resti<br />

di pesce e di carne, di formaggi, di frutta secche o per lo meno avvizzite, di focacce di miele, si<br />

ammucchiano su una specie di credenza che ricorda un poco le nostre madie toscane, e anfore con<br />

calici sono ancora sparsi sulla tavola.<br />

La moglie di Pietro deve aver fatto miracoli per fare contento il marito e deve avere lavorato tutta la<br />

giornata. Ora, stanca ma contenta, sta nel suo angolino e ascolta ciò che dice il suo uomo e ciò che<br />

dicono gli altri. Lo guarda, il suo Simone, che per lei deve essere un grande uomo anche se un poco<br />

esigente, e quando lo sente parlare con parole nuove su quella bocca che prima parlava solo di<br />

barche, di reti, di pesci e di denaro, ha persino uno sbattimento di palpebre come fosse abbagliata da<br />

troppa luce. Pietro, sia per la gioia di avere alla sua tavola Gesù, sia per la gioia dell'abbondante<br />

pasto consumato, è proprio in vena questa sera, e si rivela in lui il futuro Pietro che predica alle<br />

folle.<br />

Non so quale osservazione di un compagno abbia originato la risposta scultorea di Pietro che dice:<br />

«Avverrà loro come ai fondatori della torre di Babele. La loro stessa superbia provocherà il crollo<br />

delle loro teorie e rimarranno schiacciati ».<br />

Al fratello obbietta Andrea: «Ma <strong>Dio</strong> è Misericordia. Impedirà il crollo per dare loro il tempo di<br />

ravvedersi ».<br />

«Non te lo pensare. A coronamento della loro superbia metteranno calunnia e persecuzione. Oh! io<br />

già me lo sento. Persecuzioni su noi per disperderci come testimoni odiosi. E, posto che<br />

attaccheranno con insidia la Verità, <strong>Dio</strong> farà le vendette, ed essi periranno ».<br />

«Avremo noi la forza di resistenza? » chiede Tommaso.<br />

«Ecco... per me non l'avrei. Ma fido in Lui » e Pietro accenna il Maestro, che ascolta e tace stando<br />

un poco a capo chino come per tenere nascosto il suo viso espressivo.<br />

«<strong>Io</strong> penso che <strong>Dio</strong> non ci darà prove superiori alle nostre forze » dice Matteo.<br />

«O per lo meno aumenterà le forze in proporzione delle prove » termina Giacomo d'Alfeo.<br />

«Egli lo fa già. <strong>Io</strong> ero ricco e potente. Se <strong>Dio</strong> non mi avesse voluto conservare per un suo fine, io<br />

sarei perito nella disperazione quando fui perseguitato e lebbroso. Avrei infierito su me stesso...<br />

Invece nel mio crollo completo scese una ricchezza nuova che non avevo mai posseduta prima, la<br />

ricchezza di una persuasione: “<strong>Dio</strong> c'è”. Prima... <strong>Dio</strong>... Sì, ero credente, ero un fedele israelita. Ma<br />

era una fede di formalismi. E mi pareva che il premio della stessa fosse sempre inferiore alle mie<br />

virtù. Mi permettevo di discutere con <strong>Dio</strong> perché mi sentivo ancora qualcosa sulla terra. Simon


Pietro ha ragione. <strong>Io</strong> pure costruivo una torre di Babele con le autolodi e le soddisfazioni del mio io.<br />

Quando tutto mi crollò addosso, e fui un verme schiacciato dal peso di tutto questo inutile umano,<br />

allora non discussi più con <strong>Dio</strong>, ma con me stesso, col mio pazzo me stesso, e finii di demolirlo. E<br />

più lo facevo, facendo strada a ciò che io penso sia il <strong>Dio</strong> immanente sul nostro essere di terrestri,<br />

ecco che raggiungevo una forza, una ricchezza nuova. La certezza che non ero solo e che <strong>Dio</strong><br />

vegliava sull'uomo vinto dall'uomo e dal male ».<br />

«Secondo te, che pensi che sia <strong>Dio</strong>, questo che tu hai detto: “il <strong>Dio</strong> immanente sul nostro essere di<br />

terrestri'? Che vuoi dire? Non ti comprendo e mi pare una eresia. <strong>Dio</strong> è quello che conosciamo<br />

attraverso la Legge ed i Profeti. Non ve ne è un altro » dice un poco severo Giuda Iscariota.<br />

«Se ci fosse Giovanni te lo direbbe meglio di me. Ma io te lo dico come lo so. <strong>Dio</strong> è quello che<br />

conosciamo attraverso la legge e i Profeti. E' vero. Ma in che lo conosciamo? Come? ».<br />

Giuda d'Alfeo scatta: «Poco e male. Ancora lo conoscevano essi, i Profeti che ce lo hanno<br />

descritto. Noi ne abbiamo l'idea confusa che trapela dall'ingombro di tutta una catasta accumulata<br />

dalle sètte...».<br />

«Sètte? Ma come parli? Noi non abbiamo sètte. Noi siamo i figli della Legge. Tutti » dice l'Iscariota<br />

sdegnato, aggressivo.<br />

«I figli delle leggi. Non della Legge. E' una lieve differenza. Dal singolare al plurale. Ma nella sua<br />

realtà ciò è: che siamo figli di ciò che abbiamo creato, e non più di ciò che <strong>Dio</strong> ci ha dato » ribatte il<br />

Taddeo.<br />

«Le leggi sono nate dalla Legge » dice l'Iscariota.<br />

«Anche le malattie nascono dal nostro corpo, e non mi vorrai dire che sono cose buone » replica il<br />

Taddeo.<br />

«Ma lasciatemi sapere cosa è il <strong>Dio</strong> immanente di Simone Zelote». L'Iscariota, che non può<br />

ribattere alla osservazione di Giuda d'Alfeo, cerca di ricondurre la questione al punto di partenza.<br />

Simone Zelote dice: «Ai nostri sensi occorre sempre un termine per afferrare un'idea. Ognuno di<br />

noi, parlo di noi credenti, crede per forza di fede all'Altissimo, Signore e Creatore, eterno Iddio che<br />

sta nel Cielo. Ma anche ogni essere ha bisogno di più di questa nuda fede, vergine, incorporea, atta<br />

e sufficiente agli angeli che vedono ed amano <strong>Dio</strong> spiritualmente, condividendo con Lui la natura<br />

spirituale e avendo capacità di vedere <strong>Dio</strong>. Noi abbiamo bisogno di crearci una 'figura' di <strong>Dio</strong>, la<br />

quale figura è fatta delle qualità essenziali che doniamo a <strong>Dio</strong> per dare un nome alla sua perfezione<br />

assoluta, infinita. Più l'anima si concentra e più riesce a a raggiungere l'esattezza nella cognizione di<br />

<strong>Dio</strong>. Ecco ciò che io dico: il <strong>Dio</strong> immanente. <strong>Io</strong> non sono un filosofo. Forse avrò applicato male la<br />

parola. Ma insomma per me il <strong>Dio</strong> immanente è il sentire, il percepire <strong>Dio</strong> sul nostro spirito, e<br />

sentirlo e percepirlo non più come idea astratta ma come reale presenza datrice di una fortezza e di<br />

una pace nuova ».<br />

«Va bene. Ma insomma come lo sentivi? Quale differenza c'è fra il sentire per fede e sentire per<br />

immanenza? » chiede un poco ironico l'Iscariota.<br />

«<strong>Dio</strong> è sicurezza, ragazzo. Quando tu lo senti come dice Simone, con quella parola che io non<br />

capisco alla lettera ma della quale ho capito lo spirito - e credi che il nostro male è di capire solo la<br />

lettera e non lo spirito delle parole di <strong>Dio</strong> - vuol dire che riesci ad afferrare non solo il concetto della<br />

maestà terribile, ma della paternità dolcissima di <strong>Dio</strong>. Vuol dire che senti che, quando tutto il<br />

mondo ti giudicasse e condannasse con ingiustizia, Uno solo, Lui, l'Eterno che ti è padre, non ti<br />

giudica ma ti assolve e consola. Vuol dire che senti che quando tutto il mondo ti odiasse tu sentiresti<br />

su te un amore più grande di tutto il mondo. Vuol dire che, segregato in una carcere o in un deserto,<br />

tu sentiresti sempre Uno che ti parla e dice: “Sii santo per essere come il Padre tuo”. Vuol dire che<br />

per l'amore vero a questo Padre <strong>Dio</strong>, che finalmente si arriva a sentire tale, si accetta, si opera, si<br />

prende o si lascia senza misure umane, pensando dolo a rendere amore per amore, a copiare il più<br />

possibile <strong>Dio</strong> nelle proprie azioni » dice Pietro.<br />

«Sei superbo! Copiare <strong>Dio</strong>! Non ti è concesso » giudica l'Iscariota.<br />

«Non è superbia. L'amore porta all'ubbidienza. Copiare <strong>Dio</strong> mi sembra ancora una forma di<br />

ubbidienza, perché <strong>Dio</strong> dice di averci fatto a sua immagine e somiglianza » replica Pietro.<br />

«Ci ha fatto. Noi non dobbiamo andar più su ».


«Ma sei un disgraziato se pensi così, caro ragazzo! Tu dimentichi che noi siamo decaduti e che <strong>Dio</strong><br />

ci vuole riportare a ciò che eravamo ».<br />

Gesù prende la parola: «Più ancora, Pietro, Giuda, e voi tutti. Più ancora. La perfezione di Adamo<br />

era ancora suscettibile di aumento mediante l'amore che lo avrebbe portato ad una immagine<br />

sempre più esatta del suo Creatore. Adamo senza la macchia del peccato sarebbe stato un tersissimo<br />

specchio di <strong>Dio</strong>. Per questo <strong>Io</strong> dico. “Siate perfetti come perfetto è il Padre che è nei Cieli”. Come il<br />

Padre. Perciò come <strong>Dio</strong>. Pietro ha detto molto bene. E molto bene Simone. Vi prego ricordare le<br />

loro parole e applicarle alle vostre anime ».<br />

La moglie di Pietro per poco non sviene nella gioia di sentire lodare così suo marito. Piange dentro<br />

il suo velo, quieta e beata.<br />

Pietro sembra gli venga un colpo apoplettico tanto diventa rosso. Resta muto per qualche momento,<br />

e poi dice: «Ebbene, allora dàmmi il premio. La parabola di stamane...».<br />

Anche gli altri si uniscono a Pietro dicendo: «Sì. Lo hai promesso. Le parabole servono bene a far<br />

comprendere il paragone. Ma noi comprendiamo che esse hanno uno spirito superiore al paragone.<br />

Perché parli ad essi in parabole? ».<br />

«Perché a loro non è concesso di intendere più di ciò che spiego. A voi va dato molto di più perché<br />

voi, miei apostoli, dovete conoscere il mistero; e vi è perciò dato intendere i misteri del Regno dei<br />

Cieli. Per questo vi dico. “Domandate se non comprendete lo spirito della parabola”. Voi date tutto,<br />

e tutto vi va dato perché a vostra volta tutto voi possiate dare. Voi tutto date a <strong>Dio</strong>: affetti, tempo,<br />

interessi, libertà, vita. E tutto <strong>Dio</strong> vi dà per compensarvi e per farvi capaci di tutto dare in nome di<br />

<strong>Dio</strong> a chi è dopo di voi. Così a chi ha sarà dato e con abbondanza. Ma a chi non ha dato che<br />

parzialmente o non ha dato affatto, sarà tolto anche quello che ha ».<br />

Parlo loro in parabole perché vedendo vedano solo quello che la loro volontà di aderire a <strong>Dio</strong><br />

illumina, perché udendo, sempre per la stessa loro volontà di adesione, odano e comprendano. Voi<br />

vedete! Molti odono la mia parola, pochi aderiscono a <strong>Dio</strong>. I loro spiriti sono monchi della buona<br />

volontà. In loro si adempie la profezia di Isaia: “Udirete con le orecchie e non intenderete,<br />

guarderete con gli occhi e non vedrete”. Perché questo popolo ha un cuore insensibile; sono duri gli<br />

orecchi e hanno chiusi gli occhi per non vedere e non sentire, per non intendere col cuore e non<br />

convertirsi acciò <strong>Io</strong> li guarisca. Ma voi beati per i vostri occhi che vedono, e i vostri orecchi che<br />

odono, per la vostra buona volontà!<br />

In verità vi dico che molti profeti e molti giusti desiderarono vedere ciò che voi vedete e non lo<br />

videro, e udire ciò che voi udite e non l'udirono. Si consumarono nel desiderio di comprendere il<br />

mistero delle parole, ma spenta la luce della profezia ecco le parole rimanere come carboni spenti,<br />

anche per il santo che le aveva avute.<br />

Solo <strong>Dio</strong> disvela Se stesso. Quando la sua luce si ritrae, terminato il suo scopo di illuminare il<br />

mistero, l'incapacità di intendere fascia, come le bende di una mummia, la regale verità della parola<br />

ricevuta. Per questo <strong>Io</strong> ti ho detto stamane: “Verrà un giorno che ritroverai tutto quanto ti ho dato”.<br />

Ora non puoi ritenere. Ma dopo la luce verrà su te, e non per un attimo ma per un inseparabile<br />

connubio dello Spirito eterno col tuo, onde infallibile sarà il tuo ammaestramento in ciò che è cosa<br />

del Regno di <strong>Dio</strong>. E così come in te, nei tuoi successori, se vivranno di <strong>Dio</strong> come di unico pane.<br />

Ora sentite lo spirito della parabola.<br />

Abbiamo quattro generi di campi: quelli fertili, quelli spinosi, quelli sassosi, quelli pieni di sentieri.<br />

Abbiamo anche quattro generi di spiriti.<br />

Abbiamo gli spiriti onesti, gli spiriti di buona volontà, preparati dalla stessa e dalla buona opera di<br />

un apostolo, di un “vero” apostolo; perché ci sono apostoli che hanno il nome ma non lo spirito di<br />

apostoli, i quali sono più micidiali sulle volontà in formazione degli stessi uccelli, spini e sassi.<br />

Sconvolgono in modo tale, con le loro intransigenze, con le loro frette, con i loro rimproveri, con le<br />

loro minacce, che allontanano per sempre da <strong>Dio</strong>. Altri ve ne sono che, all'opposto, con un<br />

innaffiamento continuo di benignità fuori posto, fanno marcire il seme in un terreno troppo molle.<br />

Devirilizzano con la loro devirilizzazione gli animi che curano. Ma stiamo ai veri apostoli, ossia<br />

agli specchi tersi di <strong>Dio</strong>. Essi sono paterni, misericordiosi, pazienti, e nello stesso tempo forti come<br />

è il loro Signore. Or bene, gli spiriti preparati da questi e dalla loro propria volontà sono


paragonabili ai campi fertili, mondi di pietre e di rovi, netti da gramigne e da logli, in cui prospera<br />

la parola di <strong>Dio</strong>, e ogni parola - un seme - fa cespo e spighe, dando dove il cento, dove il sessanta,<br />

dove il trenta per cento. In questi che mi seguono ce ne sono? Certo. E santi saranno. Fra essi ce ne<br />

sono di tutte le caste e di tutti i paesi, anche gentili ci sono, e che pure daranno il cento per cento per<br />

la loro buona volontà, unicamente per essa, oppure per la loro e quella di un apostolo o discepolo<br />

che me li prepara.<br />

I campi spinosi sono quelli in cui l'incuria ha lasciato penetrare spinosi grovigli di interessi<br />

personali che soffocano il buon seme. Occorre sorvegliarsi sempre, sempre, sempre. Non dire mai:<br />

“Oh! ormai io sono formato, seminato, posso stare tranquillo che darò seme di vita eterna”. Occorre<br />

sorvegliarsi: la lotta fra il Bene e il Male è continua. Avete mai osservato una tribù di formiche che<br />

si insedia in una casa? Eccole sul focolare. La donna non lascia più cibarie lì e le mette sul tavolo; e<br />

loro fiutano l'aria e danno l'assalto al tavolo. La donna le mette nella credenza e loro passano dalla<br />

serratura nella credenza. La donna appende al soffitto le sue provviste e loro fanno un lungo<br />

cammino lungo le pareti e i travicelli, si calano per la fune e mangiano. La donna le brucia, le<br />

scotta, le avvelena. E poi sta tranquilla credendo di averle distrutte. Oh! se non vigila, che sorpresa!<br />

Ecco le nuove nate che escono, e siamo da capo. Così finché si vive; bisogna sorvegliarsi per<br />

estirpare le male piante non appena spuntano. In caso contrario esse fanno un soffitto di rovi e<br />

soffocano il grano. Le cure mondane, l'inganno delle ricchezze creano il groviglio, affogano la<br />

pianta del seme di <strong>Dio</strong> e non le fanno fare spiga.<br />

Ecco ora i campi pieni di sassi. Quanti in Israele! Sono quelli che appartengono ai “figli delle<br />

leggi” come ha detto mio fratello Giuda molto giustamente. In loro non è la pietra unica della<br />

Testimonianza, non vi è la pietra della Legge. Vi è la sassaia delle piccole, povere, umane leggi<br />

create dagli uomini. Tante e tante che col loro peso hanno fatto a scaglie anche la pietra della Legge.<br />

Una rovina che impedisce ogni attecchimento di seme. Non è più nutrita la radice. Non c'è terra,<br />

non c'è succo. L'acqua fa marcire perché stagna sul pavimento di selci, il sole si arroventa su quelle<br />

selci e brucia le pianticine. Sono gli spiriti dei sostitutori delle complicate dottrine umane alla<br />

semplice dottrina di <strong>Dio</strong>. La ricevono anche con gioia, la mia parola. Al momento ne sono scossi e<br />

sedotti. Ma poi... Occorrerebbe l'eroismo di sgobbare a mondare il campo, l'animo e la mente da<br />

tutta la sassaia dei retori. Allora il seme farebbe radica e sarebbe un forte cespo. Così... è nulla.<br />

Basta un timore di rappresaglie umane. Basta una riflessione: “Ma e poi? Che me ne verrà dagli<br />

uomini potenti?” e il povero seme non nutrito langue. Basta che tutta la sassaia si agiti col suono<br />

vano dei suoi cento e cento precetti che si sono sostituiti al Precetto, che ecco che l'uomo perisce col<br />

seme ricevuto... Israele ne è pieno. Questo spiega come il venire a <strong>Dio</strong> vada in ragione inversa della<br />

potenza umana.<br />

Ultimi i campi pieni di strade, polverosi, nudi. Quelli dei mondani, degli egoisti. <strong>Il</strong> loro comodo<br />

è la loro legge, il godimento il loro fine. Non fare fatica, sonnecchiare, ridere, mangiare... Lo spirito<br />

del mondo è re in questi. La polvere della mondanità ricopre il terreno che diviene terriccio. Gli<br />

uccelli, ossia le dissipazioni, si precipitano sui mille sentieri aperti per rendere più facile la vita. Lo<br />

spirito del mondo, ossia del Maligno, becca e distrugge ogni seme che cade su questo terreno aperto<br />

a tutte le sensualità e le leggerezze.<br />

Avete inteso? Avete altro da chiedere? No? Allora possiamo andare a prendere riposo per partire<br />

domani per Cafarnao. Devo andare ancora in un posto prima di incominciare il viaggio verso<br />

Gerusalemme per la Pasqua ».<br />

«Passeremo ancora per Arimatea? » chiede l'Iscariota.<br />

«Non è sicuro. A seconda dei...».<br />

Alla porta viene bussato violentemente.<br />

«Ma chi può essere a quest'ora? » dice Pietro alzandosi per aprire.<br />

Si presenta Giovanni. Stravolto, impolverato, con chiari segni di pianto sul viso.<br />

«Tu qui? » gridano tutti. «Ma che è accaduto? ».<br />

Gesù, che si è alzato, dice solo. «La Madre dove è? ».<br />

E Giovanni, venendo avanti e andando a inginocchiarsi ai piedi del suo Maestro, tendendo le<br />

braccia come per avere soccorso, dice: «La Madre sta bene, ma è in pianto come me, come tanti, e ti


prega di non venire seguendo il Giordano dalla parte nostra. Mi ha mandato indietro per questo,<br />

perché... perché Giovanni tuo cugino è stato preso prigione...». E Giovanni piange mentre molto<br />

subbuglio si solleva fra i presenti.<br />

Gesù impallidisce profondamente ma non si agita. Solamente dice: «Alzati e racconta ».<br />

«Andavo in giù con la Madre e le donne. Anche Isacco e Timoneo erano con noi. Tre donne e tre<br />

uomini. Ho ubbidito al tuo ordine di condurre Maria da Giovanni... ah! Tu lo sapevi che era l'ultimo<br />

addio!... Che doveva essere l'ultimo addio... <strong>Il</strong> temporale di giorni sono ci ha fatto sostare di poche<br />

ore. Ma sono bastate perché Giovanni non potesse più vedere Maria... Noi siamo arrivati all'ora di<br />

sesta e lui era stato catturato al gallicinio...».<br />

«Ma dove? Ma come? Da chi? Nel suo antro? » tutti chiedono, tutti vogliono sapere.<br />

«E' stato tradito!... Si è usato il tuo Nome per tradirlo! ».<br />

«Che orrore! Ma chi è stato? » urlano tutti.<br />

E Giovanni rabbrividendo, dicendolo piano questo orrore che neppur l'aria dovrebbe udire,<br />

confessa: «Da un suo discepolo...».<br />

<strong>Il</strong> subbuglio è al colmo. Chi maledice, chi piange, chi sbalordito resta in posa di statua.<br />

Giovanni si attacca al collo di Gesù e grida: «<strong>Io</strong> ho paura per Te! per Te! per Te! I santi hanno<br />

traditori che per l'oro si vendono, per l'oro e la paura dei grandi, per sete di premio, per... per<br />

ubbidienza a Satana. Per mille, mille cose! Oh! Gesù, Gesù, Gesù! Che dolore! <strong>Il</strong> mio primo<br />

maestro! <strong>Il</strong> mio Giovanni che mi ha dato Te! »<br />

«Buono! Buono! Non mi accadrà nulla per ora ».<br />

«Ma poi? Ma poi? Mi guardo... guardo questi... ho paura di tutti, anche di me. Ci sarà fra noi il tuo<br />

traditore...».<br />

«Ma sei pazzo? E credi che non lo faremo a pezzi? » urla Pietro.<br />

E l'Iscariota: «Oh! pazzo per davvero! <strong>Io</strong> non lo sarò mai. Ma, se mi sentissi indebolito al punto di<br />

poterlo diventare, mi ucciderei. Meglio così che uccisore di <strong>Dio</strong> ».<br />

Gesù si libera dalla stretta di Giovanni e scuote rudemente l'Iscariota dicendo: «Non bestemmiare!<br />

Nulla ti potrà indebolire, se non vuoi. E se ciò fosse, fa' di piangere, e non avere un delitto oltre al<br />

deicidio. Debole diviene chi da sé si svena di <strong>Dio</strong> ».<br />

Poi torna da Giovanni, che piange col suo capo sul tavolo e dice: «Parla con ordine. <strong>Io</strong> pure soffro.<br />

Era il mio sangue ed il mio Precursore ».<br />

«Non ho visto che i discepoli, parte di essi, costernati e furenti contro il traditore. Gli altri hanno<br />

accompagnato Giovanni verso la sua prigione per essergli vicino nella morte ».<br />

«Ma non è ancora morto... l'altra volta potè fuggire » cerca di confortare lo Zelote che vuole molto<br />

bene a Giovanni.<br />

«Non è ancora morto. Ma morirà » risponde Giovanni.<br />

«Sì. Morirà. Egli lo sa come <strong>Io</strong> lo so. Nulla e nessuno lo salverà questa volta. Quando? Non so. So<br />

che vivo non uscirà dalle mani di Erode ».<br />

«Sì, di Erode. Senti. Egli è andato verso quella gola da cui noi pure passammo al ritorno in Galilea,<br />

fra l'Elbal e il Garizim, perché gli fu detto dal traditore: “<strong>Il</strong> Messia è morente per un assalto di<br />

nemici. Ti vuole vedere per affidarti un segreto”. E lui è andato col traditore e con qualche altro.<br />

Nell'ombra del vallone erano gli armati di Erode e lo hanno preso. Gli altri sono fuggiti portando la<br />

notizia ai discepoli rimasti presso Ennon. Erano appena venuti quando giunsi io con la Madre. E<br />

quello che è orribile è che era uno delle nostre città... e che sono stati i farisei di Cafarnao alla testa<br />

del complotto per prenderlo. Erano stati da lui dicendo che Tu eri stato loro ospite e che da lì partivi<br />

per la Giudea... Non sarebbe uscito dal suo rifugio altro che per Te...».<br />

Un silenzio di tomba succede alla narrazione di Giovanni. Gesù sembra svenato, cogli occhi di un<br />

azzurro cupissimo e come appannati. Sta a capo chino, la mano ancora sulla spalla di Giovanni, e la<br />

mano è scossa da un lieve tremito. Nessuno osa parlare.<br />

Gesù rompe il silenzio: «Andremo in Giudea da altra via. Ma domani devo andare a Cafarnao. Al<br />

più presto. Riposate. <strong>Io</strong> salgo fra gli ulivi. Ho bisogno di essere solo ». Ed esce senza aggiungere<br />

altro.<br />

«Va certo a piangere » mormora Giacomo d'Alfeo.


«Seguiamolo, fratello » dice Giuda Taddeo.<br />

«No. Lasciatelo piangere. Solo usciamo piano, in ascolto. Temo insidia da per tutto » risponde lo<br />

Zelote.<br />

«Sì. Andiamo. Noi pescatori sulla riva. Se qualcuno viene dal lago lo vedremo. Voi per gli ulivi. E'<br />

certo al suo solito posto, presso il noce. All'alba prepareremo le barche per andare presto. Quei<br />

serpenti! Eh! l'ho detto io! Di', ragazzo? Ma... la Madre è proprio in sicuro? ».<br />

«Oh! sì! Anche i pastori discepoli di Giovanni sono andati con Lei. Andrea... non lo vedremo più il<br />

nostro Giovanni! ».<br />

«Taci! Taci! Mi sembra il canto del cuculo... Uno precede l'altro e... e...».<br />

«Per l'Arca Santa! Tacete! Se parlate ancora di sventura al Maestro comincio da voi a farvi<br />

assaggiare il sapore del mio remo sulle reni! » urla Pietro inferocito. «Voi » dice poi a quelli che<br />

restano per gli ulivi «prendete dei bastoni, dei grossi rami, là nella legnaia ce ne sono, e spargetevi<br />

armati. <strong>Il</strong> primo che si accosta a Gesù per nuocergli sia morto ».<br />

«Discepoli! Discepoli! Bisogna essere cauti coi nuovi! » esclama Filippo.<br />

<strong>Il</strong> nuovo discepolo si sente ferito e chiede: «Dubiti di me? Egli mi ha scelto e voluto ».<br />

«Non di te. Ma di quelli che sono scribi e farisei e dei loro adoratori. Da lì verrà la rovina, credetelo<br />

».<br />

Escono e si spargono chi per le barche, chi fra gli ulivi delle colline, e tutto ha termine.<br />

Maria Valtorta<br />

L'Evangelo come mi è stato rivelato<br />

Indice del Volume Quarto * = in linea<br />

226. Un buon segno da Maria di Magdala. Morte del vecchio Ismaele. *<br />

227. Un episodio incompiuto<br />

228. Marziam affidato a Porfirea<br />

229. Discorso ai cittadini di Betsaida sul gesto di carità di Simon Pietro.<br />

230. Guarigione dell’emorroissa e resurrezione della figlia di Giairo.<br />

231. A Cafarnao, Gesù e Marta parlano della crisi che tormenta Maria di<br />

Magdala.<br />

232. Guarigione di due ciechi e di un muto indemoniato.<br />

233. La parabola della pecorella smarrita, ascoltata anche da Maria di<br />

Magdala.<br />

234. A commento di tre episodi sulla conversione di Maria di Magdala.<br />

235. Marta ha avuto dalla sorella Maria la certezza della conversione.<br />

236. La cena in casa di Simone il fariseo e l’assoluzione a Maria di<br />

Magdala.<br />

237. La richiesta di operai per la messe e la parabola del tesoro nascosto<br />

nel campo. Marta teme ancora per la sorella Maria.<br />

238. L’arrivo a Cafarnao, sotto un temporale, di Maria Ss. con Maria di<br />

Magdala.<br />

239. La parabola dei pesci, la parabola della perla e il tesoro<br />

degli insegnamenti antichi e nuovi.<br />

240. A Betsaida da Porfirea e Marziam, che insegna alla Maddalena la


preghiera di Gesú. *<br />

241. Vocazione della figlia di Filippo. L’arrivo a Magdala e la<br />

parabola della dramma perduta.<br />

242. Discorso sulla Verità al romano Crispo, unico ascoltatore di Gesù a<br />

Tiberiade.<br />

243. A Cana nella casa di Susanna. Le espressioni, i gesti e la voce di<br />

Gesú. Disputa tra gli apostoli sulle possessioni.<br />

244. Giovanni ripete un discorso di Gesù sul creato e sui popoli che<br />

attendono la Luce.<br />

245. Un’accusa dei nazareni a Gesù, respinta con la parabola del lebbroso<br />

guarito.<br />

246. Un apologo per i cittadini di Nazareth, che restano increduli.<br />

247. Maria Ss. ammaestra la Maddalena sull’orazione mentale.<br />

248. A Betlem di Galilea. Giudizio per un omicidio e parabola delle foreste<br />

pietrificate.<br />

249. Maria Ss. ammaestra Giuda Iscariota sul dovere preminente della fedeltà<br />

a <strong>Dio</strong>.<br />

250. Ai discepoli venuti con Isacco, la parabola del fango che<br />

diviene fiamma. Giovanni di Endor è anima vittima.<br />

251. Ai pescatori siro-fenici, la parabola del minatore<br />

perseverante. Ermasteo di Ascalona.<br />

252. I1 ritorno da Tiro. Miracoli e parabola della vite e dell’olmo.<br />

253. Maria Ss. svela a Maria d’Alfeo il senso della maternità spiritualizzata.<br />

La Maddalena deve temprarsi soffrendo.<br />

254. L’incontro con Sintica, schiava greca, e l’arrivo a Cesarea Marittima.<br />

255. Partenza delle sorelle Marta e Maria con Sintica. Una lezione a Giuda<br />

Iscariota.<br />

256. Parabola sulla virtù della speranza che sorregge la fede e la carità.<br />

257. Gesù e Giacomo d’Alfeo in ritiro sul monte Carmelo.<br />

258. Gesù rivela a Giacomo d’Alfeo quale sarà la sua missione di apostolo.<br />

259. Lezione sulla Chiesa e sui Sacramenti a Giacomo d’Alfeo, che<br />

opera un miracolo.<br />

260. Due parabole di Pietro per i contadini della pianura di Esdrelon.<br />

261. Esortazione ai contadini di Doras, passati alle dipendenze di Giocana.<br />

262. Una figlia indesiderata e il ruolo della donna redenta.<br />

L’Iscariota chiede l’aiuto di Maria.<br />

263. Guarigione dell’uomo dal braccio atrofizzato.<br />

264. Una giornata di Giuda Iscariota a Nazareth.<br />

265. Istruzioni ai dodici apostoli che iniziano il loro ministero.<br />

266. I discepoli del Battista vogliono accertarsi che Gesù è il<br />

Messia. Testimonianza sul Precursore e invettiva contro le città impenitenti.<br />

267. Gesù falegname a Corozim.<br />

268. Lezione sulla carità con la parabola dei nòccioli. <strong>Il</strong> giogo di Gesù è<br />

leggero.<br />

269. La disputa con scribi e farisei a Cafarnao. L’arrivo della Madre e dei<br />

fratelli.<br />

270. La notizia dell’uccisione di Giovanni Battísta.


271. Partenza alla volta di Tarichea con gli apostoli rientrati a Cafarnao.<br />

272. Rincarnazione e vita eterna nel dialogo con uno scriba.<br />

273. La prima moltiplicazione dei pani.<br />

274. Gesù cammina sulle acque. La sua prontezza nel soccorrere chi lo<br />

invoca.<br />

275. Quattro nuovi discepoli. Discorso sulle opere di misericordia<br />

corporale e spirituale.<br />

276. L’uomo avido e la parabola del ricco stolto.<br />

Le inquietudini e la vigilanza nei servi di <strong>Dio</strong>.<br />

277. A Magdala, nei giardini di Maria. L’amore e la correzione tra fratelli.<br />

278. I1 perdono e la parabola del servo iniquo. <strong>Il</strong> mandato a settantadue<br />

discepoli.<br />

279. Incontro con Lazzaro al campo dei Galilei.<br />

280. <strong>Il</strong> ritorno dei settantadue. Profezia sui mistici futuri.<br />

281. Al Tempio nella festa dei Tabernacoli. Le condizioni per<br />

seguire Gesù.<br />

La parabola dei talenti e la parabola del buon samaritano.<br />

282. La delazione al Sinedrio riguardo ad Ermasteo, a Giovanni di Endor e a<br />

Sintica.<br />

283. Sintica parla del suo incontro con la Verità.<br />

284. La casetta donata, da Salomon. Quattro apostoli resteranno in Giudea.<br />

285. Lazzaro offre un rifugio per Giovanni di Endor e Sintica.<br />

Viaggio lieto verso Gerico senza l’Iscariota.<br />

286. A Ramot con il mercante Alessandro Misace.<br />

Lezione a Sintica sul ricordo delle anime.<br />

287. Da Ramot a Gerasa con la carovana del mercante.<br />

288. Discorso ai cittadini di Gerasa e lode di una donna alla Madre di Gesù.<br />

289. <strong>Il</strong> sabato a Gerasa. Lo svago di Marziam e il quesito di Sintica<br />

sulla salvezza dei pagani.<br />

290. L’uomo dagli occhi ulcerati. La sosta alla “fonte del<br />

Cammelliere”. Ancora sul ricordo delle anime.<br />

291. Marziam scopre perché Gesù prega ogni giorno all’ora nona.<br />

292. A Bozra l’insidia di scribi e farisei.<br />

293. I1 discorso e i miracoli a Bozra dopo l’irruzione di due<br />

farisei. <strong>Il</strong> dono della fede ad Alessandro Misace.<br />

294. I1 ricco obolo lasciato dal mercante. Commiato dalla Madre e dalle<br />

discepole.<br />

295. I1 discorso e i miracoli ad Arbela, già evangelizzata da Filippo di<br />

Giacobbe.<br />

Maria Valtorta<br />

L’evangelo<br />

come mi è stato<br />

rivelato<br />

VOLUME QUARTO


Maria Valtorta<br />

L’evangelo<br />

come mi è stato<br />

rivelato<br />

VOLUME QUARTO<br />

226. Un buon segno da Maria di Magdala. Morte del vecchio Ismaele<br />

22 luglio 1945<br />

1 Gesù con la compagnia dello Zelote, giunge al giardino di Lazzaro in un mattino bellissimo<br />

d’estate. Ancora non è terminata l’aurora e perciò tutto è fresco e ridente.<br />

<strong>Il</strong> servo-giardiniere, che accorre a ricevere il Maestro, indica allo stesso un lembo di veste bianca<br />

che scompare dietro una siepe, dicendo: «Lazzaro va alla pergola dei gelsomini con dei rotoli da<br />

leggere. Ora lo chiamo».<br />

«No. Vado <strong>Io</strong>. Da solo».<br />

E Gesù cammina svelto lungo un sentiero bordato da siepi in fiore. L’erbetta che è sul limite della<br />

siepe attutisce il umore dei passi, e Gesù cerca di posare il piede proprio su quella per giungere<br />

all’improvviso davanti a Lazzaro.<br />

Lo sorprende così che, ritto in piedi, coi rotoli appoggiati ad un tavolo di marmo, prega a voce alta.<br />

«Non mi deludere, Signore. Questo filo di speranza che mi è nato nel cuore, fàllo Tu crescere.<br />

Dàmmi ciò che con lacrime ti ho chiesto dieci e centomila volte. Ciò che ti ho chiesto con le azioni,<br />

col perdono, con tutto me stesso. Dàmmelo in cambio della mia vita. Dàmmelo in nome del tuo<br />

Gesù che mi ha promesso questa pace. Può mai Egli mentire? Devo pensare che la sua promessa fu<br />

solo di parole? Che il suo potere è inferiore all’abisso di peccato che è mia sorella? Dimmelo,<br />

Signore, che io mi rassegnerò per tuo amore...».<br />

«Sì, te lo dico!» dice Gesù.


Lazzaro si volge di scatto e grida: «Oh! mio Signore! Ma quando sei venuto?» e si china a baciare<br />

la veste di Gesù.<br />

«Da qualche minuto».<br />

«Solo?»<br />

«Con Simone Zelote. Ma qui, dove eri tu, sono venuto solo. So che mi devi dire una grande cosa.<br />

Dimmela dunque».<br />

«No. Prima rispondi alle domande che io faccio a <strong>Dio</strong>. A seconda della tua risposta, te la dirò».<br />

«Dimmela, dimmela, questa tua grande cosa. La puoi dire...» e Gesù sorride aprendo le braccia in<br />

atto d’invito.<br />

«<strong>Dio</strong> Altissimo! Ma è vero? Tu allora sai che è vero?!» e Lazzaro va fra le braccia di Gesù a<br />

confidare la sua grande cosa.<br />

2 «Maria ha chiamato Marta a Magdala. E Marta è partita in affanno temendo qualche forte<br />

sventura... Ed io qui, con lo stesso timore, solo sono rimasto. Ma Marta, dal servo che l’ha<br />

accompagnata, mi ha mandato una lettera che mi ha empito di speranza. Guarda, l’ho qui sul cuore.<br />

La tengo lì perché mi è più preziosa di un tesoro. Sono poche parole ma le leggo ogni poco per<br />

essere certo che sono proprio state scritte. Guarda...» e Lazzaro leva dalla veste un piccolo rotolo<br />

legato da un nastrino violetto e lo spiega. «Vedi? Leggi, leggi. A voce alta. Letta da Te mi parrà più<br />

certa la cosa».<br />

«“Lazzaro, fratello mio. A te pace e benedizione. Sono giunta presto e bene. E il mio cuore non ha<br />

più palpitato di tema di nuove sciagure perché ho visto Maria, la nostra Maria sana e... te lo devo<br />

dire? E meno frenetica nell’aspetto di prima. Mi ha pianto sul cuore. Un grande pianto... E poi, a<br />

notte, nella stanza dove mi aveva condotto, mi ha chiesto tante e tante cose sul Maestro. Non di più<br />

che questo, per ora. Ma io, che vedo il volto di Maria oltre che sentirne le parole, dico che nel mio<br />

cuore è nata la speranza. Prega, fratello. Spera. Oh! fosse vero! <strong>Io</strong> resto ancora perché sento che elle<br />

mi vuole vicina come per essere difesa dalla tentazione. E per imparare... Che? Ciò che noi già<br />

sappiamo. La bontà infinita di Gesù. Le ho detto di quella donna venuta a Betania... Vedo che<br />

pensa, pensa, pensa... Ci vorrebbe Gesù. Prega. Spera. <strong>Il</strong> Signore sia con te”». Gesù ripiega il rotolo<br />

e lo rende.<br />

«Maestro...»<br />

«Andrò. Hai modo di avvisare Marta che mi venga incontro a Cafarnao fra quindici giorni al<br />

massimo?».<br />

«Ne ho modo, Signore. E io?».<br />

«Tu resti qui. Anche Marta la rimanderò qui.»<br />

«Perché?».<br />

«Perché le redenzioni hanno un pudore profondo. E nulla fa più vergogna dell’occhio di un genitore<br />

o di un fratello. <strong>Io</strong> pure ti dico: “Prega, prega, prega”».<br />

Lazzaro piange sul petto di Gesù... Dopo, quando si è ripreso, racconta ancora del suo orgasmo, dei<br />

suoi scoramenti... «È quasi un anno che spero... che dispero... Come è lungo il tempo della<br />

resurrezione!...» esclama.<br />

3 Gesù lo lascia parlare, parlare, parlare... finché Lazzaro si accorge di mancare ai suoi doveri di<br />

ospitalità, e si alza per condurre Gesù in casa. Per farlo, passano presso una folta siepe di gelsomini<br />

in fiore, sulle cui corolle stellari ronzano api d’oro.<br />

«Ah! mi dimenticavo di dirti... <strong>Il</strong> vecchio patriarca che Tu mi hai mandato, è tornato in grembo ad<br />

Abramo. Lo trovò Massimino, seduto qui, con la testa appoggiata a questa siepe, come se si fosse<br />

addormentato presso gli alveari che egli curava come fossero case piene di bambini d’oro. Egli<br />

chiamava le api così. Pareva le comprendesse e ne fosse compreso. E sul patriarca addormentato<br />

nella pace della buona coscienza, quando Massimino lo trovò, era un velo prezioso di piccoli corpi<br />

d’oro. Tutte le api posate sul loro amico. I servi dovettero lavorare non poco per staccarle da lui. Era<br />

tanto buono che forse sapeva di miele... Era tanto onesto che forse per le api era come una corolla<br />

non contaminata... Ne ho avuto dolore. Avrei voluto averlo più a lungo nella mia casa. Era un<br />

giusto...».<br />

«Non lo rimpiangere, Egli è in pace, e dalla pace prega per te che gli hai resi dolci gli ultimi giorni.


Dove è sepolto?».<br />

«In fondo al verziere. Ancora vicino ai sui alveari. Vieni che ti ci conduco...».<br />

E se ne vanno, per un piccolo bosco di laurocèrasi, verso gli alveari da cui viene un brusio<br />

operoso...<br />

227. Un episodio incompiuto.<br />

23 luglio ore 8 antimeridiane<br />

1È un ben pallido Giuda quello che scende dal carro insieme alla Madonna e alle discepole, ossia<br />

alle Marie, a Giovanna e a Elisa...<br />

...e in grazia alla confusione che ho avuto in casa questa mattina non ho potuto scrivere mentre<br />

vedevo, e perciò, ora che sono le 18, non posso che dire che ho capito e sentito che Giuda<br />

convalescente torna da Gesù, che è al Getsemani, insieme a Maria che lo ha curato e Giovanna che<br />

insiste perché le donne e il convalescente tornino col carro in Galilea. E Gesù aderisce facendo<br />

salire anche il bambino con esse. Invece Giovanna con Elisa restano a Gerusalemme per qualche<br />

giorno, per poi tornare Elisa a Betsur, Giovanna a Bètér.<br />

Ricordo che Elisa dice: «Ora ho coraggio di tornare là perché la mia vita non è più senza scopo. Ti<br />

farò amare dai miei amici». E ricordo che Giovanna aggiunge: «E io lo farò nelle mie terre, finché<br />

Cusa mi lascia qui. Sarà servirti ancora benché preferirei seguirti».<br />

Ricordo anche che Giuda dice che non ha desiderato sua madre neppure nelle ore peggiori della<br />

malattia, perché «tua Madre fu una vera madre per me, soave e amorosa, e non lo dimenticherò<br />

mai» dice.<br />

<strong>Il</strong> resto è confuso (nelle parole) e perciò non lo dico perché sarebbe detto da me e non dalle persone<br />

della visione.<br />

[…].<br />

228. Marziam affidato a Porfirea.<br />

24 luglio 1945<br />

1 Gesù è sul lago di Galilea insieme ai suoi apostoli. È mattina presto. Tutti gli apostoli, perché<br />

anche Giuda, perfettamente guarito, e con un volto fatto più dolce dal male sofferto e dalle cure<br />

avute, è della compagnia. E vi è anche Marziam, un poco impressionato dall’essere sull’acqua per la<br />

prima volta. Non lo vuole far vedere, ma ad ogni beccheggio più forte si aggrappa con un braccio al<br />

collo della pecora, che condivide la sua paura belando lamentosamente, e con l’altro braccio afferra<br />

ciò che può, albero, sedile o remo che sia, o anche la gamba di Pietro o di Andrea o dei garzoni di<br />

barca che passano facendo le loro manovre, e chiude gli occhi, forse convinto di essere alla sua<br />

ultima ora.<br />

Pietro gli dice ogni tanto, dandogli un buffetto sulle guance: «Non hai paura eh? Un discepolo non<br />

deve mai avere paura...», e il bambino dice di no col capo ma, posto che il vento aumenta e l’acqua<br />

si fa più mossa man mano che si avvicina allo sbocco del Giordano nel lago, stringe più forte e<br />

chiede più di sovente gli occhi finché ad un improvviso piegarsi della barca, per un’onda che la<br />

prende di fianco, ha uno strillo di paura.<br />

Chi ride e chi motteggia scherzando Pietro per il fatto di essere divenuto padre di uno che non sa<br />

stare in barca, e chi scherza Marziam che dice sempre di volere andare per terre e per mari a<br />

predicare Gesù e poi ha paura di fare pochi stadi su un lago. Ma Marziam si difende dicendo:<br />

«Ognuno ha paura di qualche cosa che non conosce. <strong>Io</strong>, dell’acqua, Giuda della morte...».<br />

2 Capisco che Giuda deve avere avuto una grande paura di morire, e mi stupisco che non reagisca<br />

all’osservazione ma anzi dica: «Hai detto bene. Si ha paura di quello che non si conosce. Ma ora<br />

stiamo per arrivare. Betsaida è a pochi stadi. E tu sei sicuro di trovarvi amore. Così vorrei essere io<br />

a poca distanza dalla Casa del Padre ed essere sicuro di trovarvi amore!». Lo dice con stanchezza e


mestizia.<br />

«Diffidi di <strong>Dio</strong>?» chiede stupito Andrea.<br />

«No. Di me diffido. In quei giorni di malattia, circondato da tante donne pure e buone, io mi sono<br />

sentito così minimo nello spirito! Quanto ho pensato! Dicevo: “Se esse ancora lavorano per<br />

migliorarsi e acquistare il Cielo, cosa non devo fare io?” Perché esse, e a me parevano tutte già<br />

sante, si sentono ancora peccatrici. E io?... Ci arriverò mai, Maestro?».<br />

«Con la buona volontà si può tutto».<br />

«Ma la mia volontà è molto imperfetta».<br />

«L’aiuto di <strong>Dio</strong> mette ad essa ciò che le manca per diventare completa. La tua umiltà presente è nata<br />

nella malattia. Vedi dunque che il buon <strong>Dio</strong> ha provveduto, mediante un incidente penoso, a darti<br />

una cosa che non avevi».<br />

«È vero, Maestro. Ma quelle donne! Che discepole perfette! Non parlo di tua Madre. Lei si sa. Dico<br />

le altre. Oh! veramente ci hanno superato! <strong>Io</strong> sono stato una delle prime prove del loro futuro<br />

ministero. Ma, credi, Maestro, ti puoi riposare sicuro su loro. <strong>Io</strong> ed Elisa eravamo in loro cura, ed<br />

essa è tornata a Betsur con l’anima rifatta, e io... io spero di rifarmela, ora che esse me l’hanno<br />

lavorata...». Giuda, ancora debole, piange.<br />

Gesù che gli è seduto vicino gli mette una mano sul capo, facendo cenno agli altri di non fare<br />

parola. Ma Pietro e Andrea sono molto occupati delle ultime manovre di approdo, e non parlano, e<br />

lo Zelote, Matteo, Filippo e Marziam non cercano certo di farlo, chi perché distratto dall’ansia<br />

dell’arrivo, e chi perché è prudente di suo.<br />

3La barca infila il corso del Giordano e dopo poco si ferma sul greto. Mentre i garzoni scendono per<br />

assicurarla legandola con una fune ad un macigno e per assicurare un’asse per fare da pontile, e<br />

Pietro si riveste della veste lunga e così fa Andrea, l’altra barca fa la stessa manovra e ne scendono<br />

gli altri apostoli. Anche Gesù e Giuda scendono mentre Pietro mette al bambino la vesticciola, lo<br />

ravvia per presentarlo in ordine alla moglie. Eccoli tutti a terra, pecorelle comprese.<br />

«E ora andiamo» dice Pietro. È proprio emozionato.<br />

Dà la mano al bambino che è a sua volta emozionato, tanto che dimentica le pecorine di cui si<br />

occupa Giovanni e chiede, in un improvviso sorgere di paura: «Ma mi vorrà poi? E mi vorrà bene<br />

proprio?».<br />

Pietro lo rassicura; ma forse la paura gli si contagia e dice a Gesù: «Diglielo Tu, Maestro, a<br />

Porfirea. <strong>Io</strong> credo di non sapere dire bene».<br />

Gesù sorride, ma promette di occuparsene Lui.<br />

4La casa è presto raggiunta seguendo il greto della riva. Dalla porta aperta si sente che Porfirea sta<br />

facendo le sue faccende domestiche.<br />

«La pace a te!» dice Gesù affacciandosi sulla porta della cucina dove la donna sta mettendo in<br />

ordine delle stoviglie.<br />

«Maestro! Simone!». La donna corre a prostrarsi ai piedi di Gesù, e poi a quelli del marito. Poi si<br />

raddrizza, e col suo viso buono, se non bello, dice arrossendo: «Era tanto che vi desideravo! Siete<br />

tutti bene! Venite! Venite! Sarete stanchi...».<br />

«No. Veniamo da Nazaret, dove abbiamo sostato qualche giorno e fummo a Cana per altra sosta. A<br />

Tiberiade erano le barche. Tu ci vedi che non siamo stanchi. Avevamo un bambino con noi, e Giuda<br />

di Simone indebolito da una malattia».<br />

«Un bambino? Un discepolo così piccino?».<br />

«Un orfano che abbiamo raccolto per via».<br />

«Oh! caro! Vieni, tesoro, che ti baci!».<br />

<strong>Il</strong> bambino, che era stato timoroso seminascosto dietro a Gesù, si lascia prendere dalla donna che si<br />

è inginocchiata quasi per essere all’altezza di lui e si lascia baciare senza riluttanza.<br />

«E ora ve lo portate dietro, sempre dietro, così piccino? Si stancherà...». La donna è tutta pietosa. Si<br />

tiene stretto il bambino fra le braccia e tiene la guancia appoggiata a quella del bambino.<br />

«Veramente <strong>Io</strong> avevo un altro pensiero. Quello di affidarlo a qualche discepola, quando andiamo<br />

lontano dalla Galilea, dal lago...».<br />

«A me, Signore? <strong>Io</strong> non ho mai avuto bambini. Ma nipotini sì, e so come si fa coi bambini. Sono la


discepola che non sa parlare, che non ha tanta salute da seguirti come fanno le altre, che... oh! Tu lo<br />

sai! Sarò vile anche, se vuoi. Ma Tu sai in che tenaglia sono. Tenaglia ho detto? No, sono fra due<br />

canapi che mi attirano in direzione opposta, e non ho il coraggio di spezzarne uno. Lascia che<br />

almeno ti serva un pochino, essendo la mamma-discepola di questo bambino. Gli insegnerò tutto<br />

quello che le altre insegnano a tanti... Ad amare Te…».<br />

5 Gesù le pone la mano sul capo, sorride e dice: «<strong>Il</strong> bambino è stato portato qui perché qui avrebbe<br />

trovato una madre e un padre. Ecco. Facciamo la famiglia». E Gesù mette la mano di Marziam in<br />

quelle di Pietro, che ha gli occhi lucidi, e di Porfirea. «E allevatemi santamente questo innocente».<br />

Pietro sa già e perciò non fa che asciugarsi una lacrima col dorso della mano. Ma sua moglie, che<br />

non se lo aspettava, resta per poco muta di stupore. Poi torna ad inginocchiarsi e dice: «Oh! mio<br />

Signore. Tu mi hai levato lo sposo facendomi quasi vedova. Ma ora mi dai un figlio... Tu dunque<br />

rendi tutte le rose alla mia vita, non solo quelle che mi hai prese, ma quelle che non ho mai avute.<br />

Che Tu sia benedetto! Più che se fosse nato dalle mie viscere mi sarà caro questo fanciullo. Perché<br />

questo mi viene da Te». E la donna bacia la veste di Gesù e bacia il bambino, se lo siede poi in<br />

grembo... È felice...<br />

«Lasciamola alle sue espansioni» dice Gesù. «Resta tu pure, Simone. Noi andiamo in città per<br />

predicare. Verremo a sera tardi a chiederti cibo e riposo». E Gesù esce con gli apostoli lasciando in<br />

pace i tre...<br />

Giovanni dice: «Mio Signore, Simone oggi è beato!».<br />

«Vuoi pure tu un bambino?».<br />

«No, vorrei solo un paio di ali per alzarmi fino alle porte dei Cieli ed imparare il linguaggio della<br />

Luce, per ridirlo agli uomini» e sorride.<br />

Sistemano le pecorelle nel fondo dell’orto, presso il camerone delle reti, dànno loro fronde, erba e<br />

acqua del pozzo, e se ne vanno verso il centro della città.<br />

229. Discorso ai cittadini di Betsaida sul gesto di carità di Simon Pietro.<br />

25 luglio 1945.<br />

1Gesù parla dalla casa di Filippo. Molta gente è adunata lì, davanti e Gesù è ritto sulla soglia, che ha<br />

due alti scalini.<br />

La novità del figlio adottivo di Pietro, che è venuto con la sua minuscola ricchezza di tre pecorelle a<br />

chiedere di ritrovare la grande ricchezza di una famiglia, si sparsa come una goccia d’olio su un<br />

tessuto. Tutti ne parlano e bisbigliano con commenti rispondenti ai diversi modi di pensare.<br />

Chi, sincero amico di Simone e Porfirea, è contento per la loro gioia. Chi, malevolo, dice: «Per<br />

farglielo accettare lo ha dovuto corredare di dote». Chi, buono, dice: «Vorremo tutti bene a questo<br />

piccolo che Gesù ama». Chi, maligno, dice: «La generosità di Simone? Sì proprio! Sarà un lucro, se<br />

no!...».<br />

Altri avidi: «Lo avrei fatto anche io se avessi avuto un bambino con delle pecore. Tre, capite!? Un<br />

piccolo gregge. E belle! Lana e latte assicurati, e poi gli agnelli da vendere o tenere! Ricchezze<br />

sono! E il bambino può servire, lavorare...».<br />

Altri dànno sulla voce: «Oh! vergogna! Farsi pagare una buona azione? Simone non ha certo<br />

pensato a questo. Nella sua modesta ricchezza di pescatore lo abbiamo sempre conosciuto generoso<br />

verso i poveri, specie bambini. È giusto, ora che egli non guadagna più nulla colla pesca e gli cresce<br />

una persona in famiglia, che abbia un poco di guadagno in altro nodo».<br />

2Intanto che ognuno commenta, traendo dal proprio cuore ciò che ha di buono o di cattivo e<br />

vestendolo di parole, Gesù ascolta e parla con uno di Cafarnao che è venuto a raggiungerlo per<br />

dirgli di andare al più presto perché la figlia del sinagogo è morente e anche perché da qualche<br />

giorno viene una dama con un’ancella a cercare Lui. Gesù promette di andare la mattina di poi.<br />

Cosa che addolora quelli di Betsaida che vorrebbero averlo lì per più giorni.<br />

«Voi siete meno bisognosi di altri di Me. Lasciatemi andare. Del resto ora, finché dura l’estate, <strong>Io</strong>


starò in Galilea, e molto a Cafarnao. Ci vedremo con facilità. Là vi è un padre e una madre in<br />

angoscia. È carità soccorrerli. Voi approvate la bontà di Simone verso l’orfano. I buoni fra di voi.<br />

Ma solo il giudizio dei buoni ha valore. I non buoni non vanno ascoltati nei loro giudizi sempre<br />

intinti di veleno e di menzogna. Allora voi, buoni, dovete anche approvare la mia bontà di andare a<br />

sollevare un padre ed una madre. E non fate che l’approvazione rimanga sterile, ma bensì vi porti a<br />

imitare.<br />

3 Quanto bene viene da un atto buono lo dicono le pagine della Scrittura. Ricordiamo Tobia. Meritò<br />

che l’arcangelo tutelasse il suo Tobiolo e che gli insegnasse con che rendere la vista al padre. Ma<br />

quanta carità, e senza pensiero di utile, aveva compiuto il giusto Tobia, nonostante i rimproveri<br />

della moglie e i pericoli alla sua vita! E ricordate le parole dell’arcangelo: “Buona cosa è la<br />

preghiera col digiuno e l’elemosina vale più di monti di tesori d’oro, perché l’elemosina libera dalla<br />

morte, purifica dai peccati, fa trovare la misericordia e la vita eterna... Quando tu pregavi fra le<br />

lacrime e seppellivi i morti... io presentai le tue preghiere al Signore”.<br />

<strong>Il</strong> mio Simone, in verità ve lo dico, supererà di molto le virtù del vecchio Tobia. Vi resterà come un<br />

tutore delle vostre anime nella mia Vita, dopo che <strong>Io</strong> me ne sarò andato. Ed ora inizia la sua<br />

paternità di anima per essere domani padre santo di tutte le anime a Me fedeli. Non mormorate<br />

dunque. Ma se un giorno, come uccello caduto dal nido, trovate sulla vostra via un orfano,<br />

raccoglietelo. Non è il boccone spartito con l’orfano quello che impoverisce la mensa dei figli veri.<br />

Ma anzi porta alla casa la benedizione di <strong>Dio</strong>.<br />

Fate questo perché <strong>Dio</strong> è i Padre degli orfani e ve li presenta egli stesso perché li aiutiate rifacendo<br />

ad essi il nido disfatto dalla morte. E fatelo perché così insegna la Legge data da <strong>Dio</strong> a Mosè, che è<br />

il nostro legislatore proprio perché in terra nemica e di idoli trovò sulla sua debolezza di infante un<br />

cuore pietoso che si curvò salvandolo dalla morte, traendolo da essa, fuor dalle acque, fuor dalle<br />

persecuzioni, perché <strong>Dio</strong> aveva destinato che Israele avesse un giorno il suo liberatore. Un atto di<br />

pietà ha ottenuto a Israele il suo duce.<br />

Le ripercussioni di un atto buono sono come onde di suono che si spargono molto lontano dal punto<br />

dove vengono emesse o, se più vi piace, come onde di vento che seco portano molto lontano i semi<br />

rapiti a fertili zolle.<br />

Andate ora. La pace sia con voi».<br />

4 Gesù dice poi: «Qui metterete la visione della resurrezione della figlia di Giairo avuta il giorno 11<br />

marzo 1944».


230. Guarigione dell’emorroissa e resurrezione della figlia di Giairo.<br />

11 marzo 1944.<br />

1 Apparsa mentre prego molto stanca e crucciata e perciò proprio nelle peggiori condizioni per<br />

pensare a simili cose di mio. Ma stanchezza fisica, mentale e cruccio si sono dileguati al primo<br />

apparire del mio Gesù, e scrivo.<br />

Egli è per una strada assolata e polverosa che bordeggia le rive del lago. Si incammina verso il<br />

paese circondato da gran folla che l’attendeva di certo e che gli si pigia attorno nonostante che gli<br />

apostoli lavorino di braccia e di spalle per fargli largo e alzino la voce per indurre la folla a lasciare<br />

un poco di posto.<br />

Ma Gesù non è inquieto per tanta confusione. Più alto di tutta la testa di chi lo circonda, guarda con<br />

un dolce sorriso la turba che gli si stringe intorno, risponde ai saluti, accarezza qualche bambino che<br />

riesce a insinuarsi fra la siepe degli adulti e giunge a venirgli vicino, posa la mano sul capo degli<br />

infanti che le madri sollevano oltre il capo dei presenti perché Egli li tocchi. E cammina intanto.<br />

Lentamente, pazientemente in mezzo a questo vocio, e a queste continue pressioni che<br />

infastidirebbero chiunque.<br />

2 Una voce d’uomo grida «Fate largo, fate largo». È una voce affannata e deve essere conosciuta da<br />

molti e rispettata come quella di persona influente, perché la folla si apre, con molta fatica tanto è<br />

pigiata, e lascia passare un uomo sulla cinquantina tutto coperto da un vestone lungo e sciolto e con<br />

una specie di fazzoletto bianco intorno al capo e ricadente con le falde lungo il viso e il collo.<br />

Giunto davanti a Gesù, si prostra ai suoi piedi e dice: «Oh! Maestro, perché sei stato via tanto<br />

tempo? La mia bambina è tanto malata. Nessuno la può guarire. Tu solo sei la speranza mia e della<br />

madre. Vieni, Maestro. Ti attendevo con un’ansia infinita. Vieni, vieni subito. La mia unica creatura<br />

sta morendo...» e piange.<br />

Gesù posa la mano sul capo dell’uomo piangente, sul capo curvo e scosso dai singhiozzi, e gli<br />

risponde: «Non piangere. Abbi fede. La tua bambina vivrà. Andiamo da lei. Alzati! Andiamo!».<br />

Queste due ultime parole hanno il tono d’imperio. Prima era il Consolatore. Ora è il Dominatore che<br />

parla.<br />

Si rimettono in moto. Gesù ha al fianco il padre piangente e lo tiene per mano. Quando un<br />

singhiozzo più forte scuote il pover’uomo, vedo Gesù che lo guarda e gli stringe la mano. Non fa<br />

altro, ma quanta forza deve rifluire in un’anima quando si sente trattata così da Gesù!<br />

Prima al posto del padre era Giacomo. Ma Gesù gli ha fatto cedere il posto al povero padre. Pietro è<br />

dell’altro lato. Giovanni è di fianco a Pietro e cerca con lo stesso di fare argine alla folla, come fa<br />

Giacomo e l’Iscariota dall’altro lato, dopo il padre piangente. Gli altri apostoli sono parte davanti e<br />

parte dietro a Gesù. Ma ci vuol altro! Specie i tre di dietro, fra cui vedo Matteo, non ce la fanno a<br />

tenere indietro la muraglia viva. Ma quando brontolano un po’ troppo e quasi quasi insultano la<br />

folla indiscreta, Gesù volge il capo e dice dolcemente: «Lasciate fare a questi miei piccoli!…».<br />

3 Ad un certo momento però si volge di scatto, lasciando anche andare la mano del padre, e si ferma.<br />

Si volge non solo col capo. Ma con tutto il corpo. Sembra anche più alto perché ha preso un<br />

atteggiamento da re. Col volto e lo sguardo fatto severo, inquisitore, scruta la folla. I suoi occhi<br />

hanno lampi, non di durezza ma di maestà.<br />

«Chi mi ha toccato?» chiede. Nessuno risponde. «Chi mi ha toccato, ripeto» insiste Gesù.<br />

«Maestro» rispondono i discepoli, «non vedi come la folla ti pigia da ogni lato? Tutti ti toccano,<br />

nonostante i nostri sforzi».<br />

«Chi mi ha toccato per ottenere un miracolo, chiedo. Ho sentito potenza di miracolo uscire da Me<br />

perché un cuore l’invocava con fede. Chi è questo cuore?».<br />

Gli occhi di Gesù si chinano due o tre volte, mentre parla, su una donnetta sulla quarantina, molto<br />

poveramente vestita e molto sciupata nel volto, la quale cerca di eclissarsi nella folla, di farsi<br />

inghiottire dalla calca. Quegli occhi le devono bruciare addosso. Comprende che non può sfuggire e<br />

torna avanti e gli si butta ai piedi, quasi col volto nella polvere, le mani protese che però non osano<br />

toccare Gesù.<br />

«Perdono. Sono io. Ero malata. Dodici anni che ero malata! Sfuggita da tutti! Mio marito mi ha


abbandonata. Ho speso tutto il mio avere per non essere considerata obbrobrio, per vivere come<br />

vivono tutti. Ma nessuno ha potuto guarirmi. Lo vedi, Maestro? Sono una vecchia anzi tempo. La<br />

forza è defluita da me col mio flusso inguaribile, e la mia pace con essa. M’han detto che Tu sei<br />

buono. Me l’ha detto uno che è stato guarito da Te della sua lebbra e che per essere stato tanti anni<br />

sfuggito da tutti non ha avuto schifo di me. Non ho osato dirlo prima. Perdono! Ho pensato che solo<br />

se ti avessi toccato sarei guarita. Ma non ti ho reso immondo. Ho appena sfiorato il lembo della tua<br />

veste là dove striscia al suolo, sulle lordure del suolo... Sono io pure lordura... Ma son guarita, che<br />

Tu sia benedetto! Nel momento che ti ho toccato la veste il mio male è cessato. Sono tornata come<br />

tutte. Non sarò più schivata da tutti. Mio marito, i miei figli, i parenti potranno stare con me, li<br />

potrò accarezzare. Sarò utile alla mia casa. Grazie, Gesù, Maestro buono. Che Tu sia benedetto in<br />

eterno!».<br />

Gesù la guarda con bontà infinita. Le sorride. Le dice: «Va’ in pace, figlia. La tua fede ti ha salvata.<br />

Sii guarita per sempre. Sii buona e felice. Va’».<br />

4 Mentre parla ancora, sopraggiunge un uomo, direi un servo, il quale si rivolge al padre che è stato<br />

tutto quel tempo in una attesa rispettosa ma tormentosa come fosse sulla brace. «Tua figlia è morta.<br />

Inutile importunare più il Maestro. <strong>Il</strong> suo spirito l’ha lasciata e già le donne ne fanno i lamenti. La<br />

madre ti manda a dire ciò e ti prega di venire subito».<br />

<strong>Il</strong> povero padre ha un gemito. Si porta le mani alla fronte e se la stringe comprimendosi gli occhi e<br />

curvandosi come fosse colpito.<br />

Gesù, che pare non debba vedere e udire nulla, intento come è ad ascoltare e rispondere con la<br />

donna, si volge invece e pone la mano sulle spalle curve del povero padre. «Uomo, ti ho detto: abbi<br />

fede. Ti ripeto: abbi fede. Non temere. La tua bambina vivrà. Andiamo da lei». E si incammina<br />

tenendo stretto a Sé l’uomo annichilito.<br />

La folla, davanti a quel dolore e alla grazia già avvenuta, si ferma intimorita, si divide, lascia<br />

camminare speditamente Gesù e i suoi, e poi segue come scia la Grazia che passa.<br />

Si fanno così un cento metri circa, forse più - non sono calcolatrice - e si entra sempre più al centro<br />

del paese.<br />

5 Un affollamento di gente è davanti ad una casa di civile condizione e commenta a voce alta e<br />

stridula l’accaduto, rispondendo a più alti stridi che escono dalla porta spalancata. Sono stridi<br />

trillati, acuti, tenuti su una nota monocorde, e sembrano diretti da una voce più acuta che fa da a<br />

solo, e alla quale rispondono prima un gruppo di voci più esili, poi un altro di voci più piene. Un<br />

baccano da far morire anche chi sta bene.<br />

Gesù ordina ai suoi di sostare davanti all’uscio e chiama con Sé Pietro, Giovanni e Giacomo. Entra<br />

con questi in casa tenendo sempre stretto per un braccio il padre piangente. Sembra voglia<br />

infondergli la certezza che Egli è lì per farlo felice, con quella stretta.<br />

Le... piangenti (io le chiamerei: le urlatrici) nel vedere il capo di casa e il Maestro raddoppiano il<br />

gridio. Battono le mani, scuotono dei tamburelli, percuotono dei triangoli, e su questa... musica<br />

appoggiano i loro lamenti.<br />

«Tacete» dice Gesù. «Non occorre piangere. La fanciulla non è morta, ma dorme».<br />

Le donne gettano gridi più forti e alcune si rotolano per terra, si graffiano, si strappano i capelli (o<br />

meglio: ne fanno mostra) per mostrare che è proprio morta. I suonatori e gli amici scuotono il capo<br />

davanti all’illusione di Gesù. Loro la credono tale.<br />

Ma Egli ripete un: «Tacete!» talmente energico che il baccano, se non cessa del tutto, diviene<br />

brusio. E passa oltre.<br />

6 Entra in una cameretta. Sul letto è stesa una fanciulla morta. Magra, pallidissima, ella giace già<br />

vestita e coi bruni capelli accomodati con cura. La madre piange presso quel lettino dal lato destro e<br />

bacia la cerea manina della morta.<br />

Gesù... come è bello ora! Come poche volte l’ho visto! Gesù si accosta sollecito. Pare che scivoli<br />

sul pavimento, in volo, tanto si affretta a quel letticciuolo. I tre apostoli restano contro la porta che<br />

chiudono in faccia ai curiosi. <strong>Il</strong> padre si ferma ai piedi del letto.<br />

Gesù va alla sinistra del lettuccio, tende la mano sinistra e prende con questa la manina abbandonata<br />

della morticina. La mano sinistra. Ho visto bene. È la mano sinistra tanto di Gesù che della


ambina. Alza il braccio destro portando la mano aperta sino all’altezza della spalla e poi l’abbassa<br />

con l’atto di uno che giura o comanda. Dice: «Fanciulla, <strong>Io</strong> te lo dico. Alzati!».<br />

Un attimo in cui tutti, meno Gesù e la morta, restano sospesi. Gli apostoli allungano il collo per<br />

vedere meglio. <strong>Il</strong> padre e la madre guardano con occhi straziati la loro creatura. Un attimo. Poi un<br />

sospiro alza il petto della morticina. Un lieve colore monta al visetto cereo e ne annulla le lividure<br />

di morte. Un sorriso si disegna sulle labbra pallide prima ancora che gli occhi si aprano, come la<br />

fanciulla facesse un bel sogno. Gesù le tiene sempre la mano nella sua mano. La bambina apre<br />

dolcemente gli occhi, li gira intorno come se si svegliasse allora. Vede per primo il volto di Gesù<br />

che la fissa coi suoi splendidi occhi e le sorride con bontà che incoraggia, e gli sorride.<br />

«Alzati» ripete Gesù. E scosta con la sua mano gli apparati funebri che erano sparsi sul lettuccio e<br />

ai lati (fiori, veli, ecc. ecc.) e l’aiuta a scendere, le fa fare i primi passi tenendola sempre per mano.<br />

«Datele da mangiare, ora» ordina. «Essa è guarita. <strong>Dio</strong> ve l’ha resa. Ringraziatelo. E non dite a<br />

nessuno ciò che è accaduto. Voi sapete che era avvenuto di lei. Avete creduto e avete meritato il<br />

miracolo. Gli altri non hanno avuto fede. Inutile cercare di persuaderli. A chi nega il miracolo <strong>Dio</strong><br />

non si mostra. E tu, fanciulla, sii buana. Addio! La pace sia a questa casa». Ed esce rinchiudendo<br />

l’uscio dietro di Sè.<br />

La visione cessa.<br />

7 Le dirò che i due punti in cui essa mi ha particolarmente letificata sono stati quelli in cui Gesù<br />

cerca nella folla chi l’ha toccato e soprattutto quando, ritto presso la morticina, le prende la mano e<br />

le ordina di alzarsi. La pace, la sicurezza è entrata in me. Non è possibile che un Pietoso suo pari e<br />

un Potente non possa avere pietà di noi e vincere il Male che ci fa morire.<br />

Gesù per ora non commenta, come non dice nulla su altre cose. Mi vede quasi morta e non<br />

giudica opportuno che io stia meglio questa sera. Sia fatto come Egli vuole. Sono felice abbastanza<br />

nell’avere in me la sua visione.


214. A Cafarnao, Gesù e Marta parlano della crisi che tormenta Maria di<br />

Magdala.<br />

27 luglio 1945<br />

1 Accaldato e polveroso, Gesù, con Pietro e Giovanni, rientra nella casa di Cafarnao.<br />

Ha appena messo piede nell’orto, diretto alla cucina, quando il padrone di casa lo chiama<br />

famigliarmente dicendogli: «Gesù è tornata quella dama di cui ti ho parlato a Betsaida, è tornata a<br />

cercarti. Le ho detto di aspettarti e l’ho condotta di sopra, nella stanza alta».<br />

«Grazie, Tommaso, vado subito. Se vengono gli altri trattienili qui». E Gesù sale lesto la scala senza<br />

neppure levarsi il mantello.<br />

Sulla terrazza dove la scala immette vi è ferma Marcella, l’ancella di Marta. «Oh! Maestro nostro!<br />

La mia padrona è là dentro. Ti aspetta da tanti giorni» dice la donna inginocchiandosi a venerare<br />

Gesù.<br />

«Lo immaginavo. Vado subito da lei. <strong>Dio</strong> ti benedica, Marcella».<br />

Gesù alza la tenda messa a fare da riparo alla luce ancora violenta nonostante che il tramonto sia<br />

avanzato e faccia di fuoco l’aria e pare accenda le case bianche di Cafarnao con il riverbero rosso di<br />

un enorme braciere. Nella stanza, tutta velata a avvolta in un mantello, seduta presso una finestra, è<br />

Marta. Forse guarda uno scorcio di lago in cui si tuffa il muso di un colle boscoso. Forse non guarda<br />

che i suoi pensieri. Certo è molto assorta, tanto da non sentire il lieve scalpiccio di Gesù che le sei<br />

avvicina. E ha un sussulto quando Egli la chiama.<br />

«Oh! Maestro!» grida. E scivola in ginocchio a braccia tese, come invocando aiuto, e poi si curva<br />

fino a toccare con la fronte il pavimento e piange.<br />

2 «Ma perché? Su, alzati! Perché questo grande pianto? Hai qualche sventura da dirmi? Sì? Quale<br />

dunque? Sono stato a Betania, lo sai? Sì? E là ho saputo che c’erano buone notizie. Ora tu piangi...<br />

che cosa è avvenuto?» e la forza ad alzarsi facendola sedere sul sedile messo contro la parete e<br />

sedendosi di fronte a lei. «Andiamo, levati il velo e il mantello, come faccio <strong>Io</strong>. Devi soffocare lì<br />

sotto. E poi voglio vedere il viso di questa Marta turbata, per cacciare tutte le nuvole che<br />

l’oscurano».<br />

Marta ubbidisce piangendo sempre, e appare il suo viso arrossato, dagli occhi gonfi.<br />

«Dunque? Ti aiuterò <strong>Io</strong>. Maria ti ha mandato a chiamare. Ha pianto molto, ha voluto sapere molto di<br />

Me, e tu hai pensato che ciò fosse un buon segno, tanto che per compiere il miracolo hai desiderato<br />

Me. E <strong>Io</strong> sono venuto. E ora?…».<br />

«Ora più nulla, Maestro! Mi sono sbagliata! È la troppo viva speranza che fa vedere ciò che non<br />

c’è... Ti ho fatto venire per nulla... Maria è peggio di prima... No! Che dico! Calunnio, mento. Non è<br />

peggio, perché non vuole più uomini d’intorno. È diversa, ma è sempre tanto cattiva. Mi sembra<br />

pazza... <strong>Io</strong> non la capisco più. Prima, almeno, la capivo. Ma ora! Ora chi la capisce più?» e Marta<br />

piange desolatamente.<br />

«Su, mettiti calma e dimmi cosa fa. Perché è cattiva? Uomini, dunque, non ne vuole più intorno.<br />

Suppongo perciò che viva ritirata in casa. È così? Sì? Bene. Ciò è molto bene. L’averti desiderato<br />

vicina come per essere difesa dalla tentazione - sono le tue parole - e lo schivare la tentazione<br />

inibendosi le colpevoli relazioni, o anche semplicemente ciò che potrebbe indurre a colpevoli<br />

relazioni, è segno di volontà buona».<br />

«Dici di sì, Maestro? Proprio lo credi che è così?».<br />

«Ma certo. In che allora ti sembra cattiva? 3 Raccontami cosa fa...».<br />

«Ecco». Marta, un poco rianimata dalla certezza di Gesù, parla con più ordine. «Ecco. Maria da<br />

quando sono venuta non è più uscita dalla casa e dal giardino, neppure per andare sul lago con la<br />

barca. E mi ha detto la sua nutrice che anche prima non usciva quasi più. Dalla Pasqua pare che<br />

abbia avuto inizio questo mutamento. Però prima della mia venuta ancora venivano persone a<br />

trovarla e non sempre lei le respingeva. Delle volte dava l’ordine che nessuno fosse fatto passare. E<br />

pareva un ordine dato per sempre. Poi giungeva a percuotere i servi, presa da un’ira ingiusta se,<br />

accorrendo lei verso il vestibolo per avere sentito la voce dei visitatori, li trovava già partiti. Da<br />

quando sono venuta io, non lo ha fatto più. Mi ha detto la prima notte, e per questo io ho tanto


sperato: “Tienimi, legami magari. Ma non mi lasciare più uscire, non lasciare più che io veda altri<br />

che te e la nutrice. Perché io sono una malata e voglio guarire. Ma quelli che vengono da me, o che<br />

vogliono che io vada da loro, sono come degli stagni di febbre. Mi fanno sempre più ammalare. Ma<br />

sono tanto belli, all’apparenza, sono tanto fioriti e pieni di canti, con frutta d’aspetto piacevole, che<br />

io non so resistere perché sono una disgraziata, una disgraziata sono. La tua sorella è una debole,<br />

Marta. E c’è chi si approfitta della sua debolezza per farle compiere cose infami alle quali un resto<br />

di me non consente. L’unico resto che ho ancora della mamma, della povera mamma mia...” e<br />

piangeva, piangeva. E io l’ho fatto questo. Con dolcezza, nelle ore che lei è più ragionevole; con<br />

fermezza nelle ore che mi sembra una fiera in gabbia. Non si è mai ribellata a me. Anzi, passati i<br />

momenti di maggiore tentazione, viene a piangere ai miei piedi, col capo sul grembo e dice:<br />

“Perdonami, perdonami!” E se io le chiedo: “Ma di che, sorella? Tu non mi hai dato dolore”, lei mi<br />

risponde: “Perché poco fa, o ieri sera, quando tu mi hai detto: ‘Tu non vai fuori di qui’, io nel mio<br />

cuore ti ho odiata, maledetta, e ti ho desiderato la morte”. Non fa pena, Signore? Me è pazza forse?<br />

<strong>Il</strong> suo vizio l’ha resa pazza? Penso che qualche amante le abbia dato un filtro per rendersela schiava<br />

nella lussuria e ciò le sia salito al cervello...».<br />

«No. Niente filtro. Niente pazzia. È un’altra cosa. 4 Ma continua».<br />

«Dunque con me è rispettosa ed ubbidiente. Anche i servi non li ha più maltrattati. Ma però, dopo la<br />

prima sera, non ha più chiesto di sapere nulla di Te. Anzi se io ne parlo devia il discorso. Salvo poi a<br />

stare ore e ore sullo scoglio dove è il belvedere a guardare il lago, fino ad esserne abbacinata, e a<br />

chiedermi, ad ogni barca che vede passare: “Ti pare quella dei pescatori galilei?”. Non dice mai il<br />

tuo Nome, né quello degli apostoli. Ma io so che pensa a loro e a Te nella barca di Pietro. E anche<br />

capisco che pensa a Te perché delle volte alla sera, mentre passeggiamo nel giardino oppure<br />

attendiamo l’ora del riposo, io cucendo, lei stando con le mani in mano, mi dice: “Così dunque<br />

bisogna vivere secondo la dottrina che segui?”. E delle volte piange, altre ride con una risata<br />

sarcastica, da pazza o da demonio. Altre volte invece si scioglie i capelli, sempre così artisticamente<br />

acconciati, e ne fa due trecce, e si mette una delle mie vesti e mi viene davanti con le trecce giù per<br />

le spalle o portate sul davanti, tutta accollata, pudica, fatta giovanetta dall’abito, dalle trecce e<br />

dall’espressione del volto, e dice ancora: “Così dunque dovrebbe divenire Maria?”, e anche lì delle<br />

volte piange baciandosi le sue splendide trecce grosse come braccia, lunghe fino ai ginocchi, tutto<br />

quell’oro vivo che era la gloria di mia madre, e alle volte invece fa quell’orrenda risata oppure mi<br />

dice: “Ma piuttosto, guarda, faccio così, e mi levo di mezzo”, e si annoda le trecce alla gola e<br />

stringe fino a diventare paonazza come per volersi strozzare. Altre volte, si capisce quando più forte<br />

sente la sua... carne, ella si compassiona oppure si malmena. L’ho trovata che si percuoteva<br />

ferocemente il seno, il grembo, e si graffiava la faccia, picchiava la testa contro il muro, e se io le<br />

chiedevo: “Ma perché fai così?”, mi si voltava stravolta, feroce, dicendo: “Per spezzarmi. Me, le<br />

mie viscere e la mia testa. Le cose nocive, maledette, vanno distrutte. Mi distruggo”. E se io le parlo<br />

della misericordia divina, di Te - perché io ne parlo lo stesso, di Te, come se lei fosse la più fedele<br />

delle tue discepole, e ti giuro che delle volte ho ribrezzo di parlarne davanti a lei - lei mi risponde:<br />

“Per me non ci può essere misericordia. Ho passato la misura”. E allora le prende una furia di<br />

disperazione, e grida, percuotendosi a sangue: “Ma perché? Perché a me questo mostro che mi<br />

dilania? Che non mi dà pace. Che mi porta al male con voci di canto e poi mi ci unisce le voci<br />

maledicenti del padre, della mamma, di voi, perché anche tu e Lazzaro mi maledite, e mi maledice<br />

Israele, me le porta per farmi impazzire...”. <strong>Io</strong> allora, quando così dice, rispondo: “Perché pensi a<br />

Israele, un popolo sempre, e non a <strong>Dio</strong>? Ma posto che non hai pensato prima a calpestare tutto,<br />

pensa ora a superare tutto, e a non curarti altro che di quello che non è mondo, ossia di <strong>Dio</strong>, del<br />

padre, della madre. Ed essi non ti maledicono se tu cambi vita, ma ti aprono le braccia...”. E lei mi<br />

ascolta, pensierosa, stupita come io dicessi una favola impossibile, e poi piange... Ma non risponde.<br />

Delle volte invece ordina ai servi vini e droghe, e beve e mangia questi cibi artificiosi e spiega: “Per<br />

non pensare”. Ora da quando sa che Tu sei sul lago, dice a me, tutte le volte che si accorge che<br />

vengo: “Qualche volta vengo anche io” e ridendo di quel riso che è un insulto a se stessa, termina:<br />

“Così almeno l’occhio di <strong>Dio</strong> cadrà anche sul letame”. Ma io non voglio che venga. E ora aspetto a<br />

venire quando lei, stanca di ira, di vini, di pianto, di tutto, dorme spossata. Anche oggi sono fuggita


così, in modo da tornare a notte, prima che lei si ridesti. Questa è la mia vita... e io non spero più...»<br />

e il pianto non più frenato dal pensiero di dire tutto con ordine, riprende più forte di prima.<br />

5 «Ti ricordi, Marta, cosa ti ho detto una volta? “Maria è una malata”. Tu non lo volevi credere. Ora<br />

lo vedi. Tu la chiami pazza. Lei stessa si dice malata di febbri peccaminose. <strong>Io</strong> dico: inferma per<br />

possesso demoniaco. È sempre una malattia. E queste incoerenze, queste furie, questi pianti, e<br />

desolazioni, e aneliti a Me sono le fasi del suo male che, giunto al momento della guarigione, ha le<br />

più violenti crisi. Tu fai bene ad essere buona con lei. Fai bene ad essere paziente. Fai bene a<br />

parlarle di Me. Non averne ribrezzo a dire il mio Nome in sua presenza. Povera anima della mia<br />

Maria! È pure essa uscita dal Padre Creatore, non dissimile dalle altre, dalla tua, da quella di<br />

Lazzaro, da quelle degli apostoli e discepoli. Pure essa è stata inclusa e contemplata fra le anime per<br />

cui <strong>Io</strong> mi sono fatto carne per essere Redentore. Anzi per lei più che per te, per Lazzaro, apostoli e<br />

discepoli, <strong>Io</strong> sono venuto. Povera, cara anima che soffre, della mia Maria! Della mia Maria<br />

avvelenata con sette veleni oltre che col veleno primogenito e universale!” Della mia Maria<br />

prigioniera! Ma lascia che venga a Me! Lascia che respiri il mio respiro, che senta la mia voce, che<br />

incontri il mio sguardo!... Si dice: “letame”... Oh! povera cara, che dei sette demoni ha in sé meno<br />

forte quello della superbia! Ma solo per questo si salverà!».<br />

6 «Ma se poi uscendo trova qualcuno che la devia di nuovo verso il vizio? Lei stessa lo teme...».<br />

«E sempre lo temerà, ora che è giunta ad avere nausea del vizio. Ma non temere. Quando un’anima<br />

ha già questo desiderio di venire al Bene, e ne è trattenuta solo dal Nemico diabolico, che sa di<br />

perdere la preda, e dal nemico personale dell’io, che ragiona ancora umanamente e giudica se stesso<br />

umanamente, applicando a <strong>Dio</strong> il suo giudizio per impedire allo spirito di dominare l’io umano,<br />

allora quell’anima è già forte contro gli assalti del vizio e dei viziosi. Ha trovato la Stella Polare, e<br />

non devia più. E ugualmente non dirle più: “E non hai pensato a <strong>Dio</strong> e invece pensi a Israele?”. È un<br />

rimprovero implicito. Non lo fare. È una uscita dalle fiamme. È tutta una piaga. Non la sfiorare altro<br />

che con balsami di dolcezza, di perdono, di speranza... Lasciala libera di venire. Anzi, devi dirle<br />

quando conti di venire, ma non dirle: “Vieni con me”. Anzi, se riesci a capire che viene, tu non<br />

venire. Torna indietro. Attendila a casa. Ti verrà spezzata dalla Misericordia. Perché <strong>Io</strong> le devo<br />

levare la malvagia forza che ora la tiene, e per qualche ora sarà come una svenata, una a cui un<br />

medico ha levato le ossa. Ma poi starà meglio. Sarà sbalordita. Avrà un grande bisogno di carezze e<br />

di silenzio. Assistila come fossi il suo secondo angelo custode: senza farti sentire. E se la vedrai<br />

piangere, lasciala piangere. E se la udrai farsi domande, lasciala fare. E se la vedrai sorridere, e poi<br />

farsi seria, e poi sorridere con un sorriso mutato, con un occhio mutato, con un volto mutato, non<br />

farle domande, non metterla in soggezione. Soffre più ora, nell’ascendere, che quando discese. E<br />

deve fare da sé, come da sé ha fatto quando è discesa. Non ha sopportato allora i vostri sguardi sulla<br />

sua discesa, perché nei vostri occhi era il rimprovero. Ma ora non può, nella sua vergogna<br />

finalmente risvegliata, sopportare il vostro sguardo. Allora era forte perché aveva in sé Satana che<br />

era il padrone, e la mala forza che la reggeva e poteva sfidare il mondo, eppure non ha potuto essere<br />

vista da voi nel suo peccare. Ora non ha più Satana per padrone. Egli è ospite in lei, ancora, ma è<br />

già tenuto alla gola dal volere di Maria. E non ha ancora me. Perciò è troppo debole. Non può<br />

sostenere neppure la carezza dei tuoi occhi fraterni sulla sua confessione al suo Salvatore. Tutta la<br />

sua energia è volta e consumata a tenere alla gola il suo settemplice demone. Per tutto il resto ella è<br />

indifesa, nuda. Ma <strong>Io</strong> la rivestirò e fortificherò. 7 Va’ in pace, Marta. E domani, con tatto, dille che <strong>Io</strong><br />

parlerò presso il torrente della Fonte, qui a Cafarnao, dopo il vespero. Và in pace! Va’ in pace! Ti<br />

benedico».<br />

Marta è perplessa ancora.<br />

«Non cadere in incredulità, Marta» le dice Gesù che l’osserva.<br />

«No, Signore. Ma penso... Oh! dàmmi qualche cosa che io possa dare a Maria, per darle un poco di<br />

forza... Soffre tanto... e io ho tanta paura che non riesca a trionfare sul demonio!».<br />

«Sei una bambina! Ha Me e te, Maria. Può mai non riuscire? Però vieni e tieni. Dàmmi questa mano<br />

che non ha mai peccato, che ha saputo essere dolce, misericordiosa, attiva, pia. Ha sempre fatto<br />

gesti di amore e di preghiera. Non si è impoltrita nell’ozio. Non si è corrotta mai. Ecco, la tengo fra<br />

le mie per farla più santa ancora. Alzala contro il demonio ed esso non la sopporterà. E prendi


questa mia cintura. Non te ne separare mai. E tutte le volte che la vedrai di’ a te stessa: “Più forte di<br />

questa cintura di Gesù è il potere di Gesù, e con esso tutto si vince: demoni e mostri. Non devo<br />

temere”. Sei contenta ora? La mia pace sia con te. Va’ tranquilla».<br />

Marta lo venera ed esce.<br />

Gesù sorride mentre la vede riprendere posto nel carro, che Marcella ha fatto venire alla porta, e<br />

andare verso Magdala.


232. Guarigione di due ciechi e di un indemoniato<br />

28 luglio 1945<br />

1 Poi Gesù scende nella cucina e, vedendo che Giovanni sta per andare alla fonte, anziché rimanere<br />

nella cucina calda e fumosa preferisce andare con Giovanni, lasciando Pietro alle prese con dei<br />

pesci che hanno portato allora allora i garzoni di Zebedeo per la cena del maestro e degli apostoli.<br />

Non vanno alla fonte sorgiva che è all’estremo del paese, ma a quella sulla piazza e dove certo<br />

l’acqua viene portata ancora da quella bella e abbondante sorgiva che spiccia dalla costa del monte<br />

presso il lago. Sulla piazza è la solita folla dei paesi palestinesi a sera. Donne con le anfore, bambini<br />

che giuocano, uomini che trattano di affari o… di pettegolezzi locali. Passano anche, attorniati da<br />

servi o da clienti, i farisei diretti alle ricche case. Tutti si scansano per farli passare ossequiandoli,<br />

salvo poi, appena passati, maledirli di cuore narrando i loro ultimi soprusi e strozzinaggi.<br />

2 Matteo, in un angolo della piazza, conciona i suoi antichi amici, il che fa dire con sprezzo e a voce<br />

alta il fariseo Uria: «Le famose conversioni! L’affetto al peccato rimane e lo si vede dalle amicizie<br />

che durano. Ah! Ah!».<br />

Al che Matteo si volge risentito rispondendo: «Durano per convertirli».<br />

«Non ce n’è bisogno! Basta il tuo Maestro. Tu stacci lontano, che non ti torni la malattia, ammesso<br />

che tu sia guarito proprio».<br />

Matteo diviene paonazzo nello sforzo di non dirne quattro, ma si limita a rispondere: «Non temere e<br />

non sperare».<br />

«Cosa?».<br />

«Non tenere che io torni ad essere Levi il pubblicano e non sperare che io ti imiti per perdere queste<br />

anime. Le separazioni e gli sprezzi li lascio a te e ai tuoi amici. <strong>Io</strong> imito il mio Maestro e avvicino i<br />

peccatori per portarli alla Grazia».<br />

Uria vorrebbe ribattere, ma sopraggiunge l’altro fariseo, il vecchio Eli, e dice: «Ma non sporcare la<br />

tua purezza e non contaminare la tua bocca, amico. Vieni con me» e prende sotto braccio Uria<br />

portandolo verso la sua casa.<br />

3 Intanto la folla, specie di bambini, si è stretta ancora a Gesù. Vi è fra i bambini la coppia dei<br />

fratellini Giovanna e Tobiolo, quelli che in un giorno lontano si litigavano per i fichi, e dicono a<br />

Gesù, brancicando con le loro manine l’alto corpo di Gesù per richiamare la sua attenzione: «Senti,<br />

senti. Anche oggi siamo stati buoni, sai? Non abbiamo mai pianto. Non ci siamo mai fatti dispetti,<br />

per amore di Te. Ci dai un bacio?».<br />

«Siete stati buoni dunque, e per amor mio! Che gioia mi date. Eccovi il bacio. E domani siate<br />

meglio ancora».<br />

E vi è Giacomo, il piccolo che portava ogni sabato la borsa di Matteo a Gesù. Dice: «Levi non mi<br />

dà più nulla per i poveri del Signore, ma io ho messo via tutti gli spiccioli che mi danno quando<br />

sono buono e ora te li do. Li dai ai poveri per il mio nonno?».<br />

«Certamente. Che ha il nonno?».<br />

«Non cammina più. È tanto vecchio e le gambe non lo reggono più».<br />

«Ti spiace questo?».<br />

«Sì, perché era il mio maestro quando si andava per la campagna. Mi diceva tante cose. Mi faceva<br />

amare il Signore. Anche ora mi dice di Giobbe e mi fa vedere le stelle del cielo, ma dalla sua<br />

sedia… Era più bello prima».<br />

«Verrò da tuo nonno domani. Sei contento?».<br />

E Giacomo è surrogato da Beniamino, non quello di Magdala, il Beniamino di Cafarnao, quello di<br />

una lontana visione. Giunto sulla piazza insieme alla madre e visto Gesù, lascia la mano materna e<br />

si getta con un grido che pare un garrito di rondine fra la piccola calca e, arrivato davanti a Gesù, lo<br />

abbraccia ai ginocchi dicendo: «Anche a me, anche a me una carezza!».<br />

4 Passa in quel momento il fariseo Simone e fa un pomposo inchino a Gesù che glielo ricambia. <strong>Il</strong><br />

fariseo si ferma e, mentre la folla si scansa come intimorita, il fariseo dice: «E a me non daresti una<br />

carezza?» e ha un lieve sorriso.<br />

«A tutti che me lo chiedono. Mi felicito con te, Simone, per la tua ottima salute. Mi avevano detto a


Gerusalemme che eri stato alquanto malato».<br />

«Sì. Molto. Ti ho desiderato per guarire».<br />

«Credevi che <strong>Io</strong> potessi?».<br />

«Non ne ho mai dubitato. Ma ho dovuto guarire da me perché Tu sei stato molto assente. Dove sei<br />

stato?».<br />

«Ai confini di Israele. Così ho occupato i giorni fra Pasqua e Pentecoste».<br />

«Molti successi? Ho saputo dei lebbrosi di Innon e Siloan. Grandioso. Quello solo? No, certo. Ma<br />

ciò si sa per il sacerdote Giovanni. Chi non è prevenuto crede in Te ed è beato».<br />

«E chi non crede perché è prevenuto? Che è di lui, saggio Simone?».<br />

<strong>Il</strong> fariseo si turba un poco… è combattuto fra la voglia di non condannare i suoi troppi amici che<br />

sono prevenuti contro Gesù e quella di ben meritare gli elogi di Gesù. Ma vince questa e dice: «E<br />

chi non vuol credere in Te nonostante le prove che dài è condannato».<br />

«<strong>Io</strong> vorrei che nessuno lo fosse…».<br />

«Tu sì. Noi non ti ricambiamo con la stessa misura di bontà che Tu hai per noi. Troppi non ti<br />

meritano…. Gesù, ti vorrei mio ospite domani…».<br />

«Domani non posso. Facciamo fra due giorni. Accetti?».<br />

«Sempre. Avrò… amici… e li dovrai compatire se…».<br />

«Sì, sì. Verrò con Giovanni».<br />

«Solo lui?».<br />

«Gli altri hanno altre missioni. Eccoli che tornano dalle campagne. La pace a te, Simone».<br />

«<strong>Dio</strong> sia con Te, Gesù».<br />

<strong>Il</strong> fariseo se ne va e Gesù si riunisce agli apostoli.<br />

5Tornano a casa per la cena.<br />

Ma mentre mangiano il pesce arrostito li raggiungono dei ciechi che già avevano implorato Gesù<br />

per la via. Ripetono ora il loro: «Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di noi!».<br />

«Ma andate via! Vi ha detto: “domani”, e domani sia. Lasciatelo mangiare» rimprovera Simon-<br />

Pietro.<br />

«No, Simone. Non li cacciare. Tanta costanza merita un premio. Venite avanti, voi due» dice poi ai<br />

ciechi, e quelli entrano tastando col bastone il suolo e le pareti. «Credete voi che <strong>Io</strong> vi possa rendere<br />

la vista?».<br />

«Oh! sì! Signore! Siamo venuti perché ne siamo certi».<br />

Gesù si alza da tavola, li avvicina, pone i suoi polpastrelli sulle palpebre cieche, alza il volto, prega<br />

e dice: «Siavi fatto secondo la fede che avete». Leva le mani e le palpebre senza moto si muovono<br />

perché la luce colpisce di nuovo le pupille rinate in uno, e si disigillano le palpebre all’altro, e dove<br />

prima era una naturale sutura dovuta certo a ulceri mal curate, ecco che si riforma l’orlo palpebrale<br />

senza difetti e si alza e si abbassa con moto d’ala.<br />

I due cadono in ginocchio.<br />

«Alzatevi e andate. E badate bene che nessuno sappia ciò che vi ho fatto. Portate alle vostre città la<br />

novella della grazia ricevuta, ai parenti, agli amici. Qui non è necessario e non è propizio all’anima<br />

vostra.. Conservatela immune da lesioni alla sua fede così come, ora che sapete cosa è l’occhio, lo<br />

preserverete da lesioni per non accecare di nuovo».<br />

6La cena ha termine. Salgono sulla terrazza dove è un poco di frescura. <strong>Il</strong> lago è tutto un brillio sotto<br />

il quarto di luna.<br />

Gesù si siede sull’orlo del muretto e si astrae a guardare quel lago di argento mosso. Gli altri<br />

parlano fra di loro a voce sommessa per non disturbarlo. Ma lo guardano come affascinati.<br />

Infatti! Come è bello! Tutto aureolato di luna che ne illumina il volto severo e sereno nello stesso<br />

tempo, permettendo di studiarne i più lievi particolari, Egli sta con la testa lievemente riversa,<br />

appoggiata al tralcio ruvido della vite che sale di lì per stendersi poi sulla terrazza. I suoi occhi<br />

lunghi, di un azzurro che nella notte pare quasi color dell’onice, pare riversino onde di pace su tutte<br />

le cose. Qualche volta si alzano verso il cielo sereno, sparso d’astri, talaltra si abbassano sulle<br />

colline, e più giù, sul lago, altre ancora fissano un punto indeterminato e pare che sorridano ad un<br />

loro proprio vedere. I capelli ondeggiano al vento leggero. Con una gamba sospesa a poca distanza


dal suolo, l’altra che al suolo si appoggia, sta così, seduto di sbieco, con le mani abbandonate sul<br />

grembo, e l’abito bianco pare accentuare il suo candore, farsi quasi d’argento per la luce lunare,<br />

mentre le mani lunghe e di un bianco d’avorio sembrano accentuare la loro tinta di vecchio avorio e<br />

la loro bellezza virile e pure affusolata. Anche il volto, dalla fronte alta, dal naso diritto, dall’ovale<br />

sottile delle guance, che la barba biondo rame allunga, sembra, in questa luce lunare, farsi di avorio<br />

vecchio perdendo la sfumatura rosea che nel giorno si nota al sommo delle guance.<br />

«Sei stanco, Maestro?» interroga Pietro.<br />

«No».<br />

«Mi sembri pallido e pensieroso…».<br />

«Pensavo. Ma non credo di essere più pallido del solito. 7 Venite qui… <strong>Il</strong> lume di luna vi fa tutti più<br />

pallidi voi pure. Domani andrete a Corozim. Forse troverete dei discepoli. Parlate loro. E badate di<br />

essere domani al vespero qui. Predicherò presso il torrente».<br />

«Che bella cosa! Lo diremo a quelli di Corozim. Oggi, nel ritorno, abbiamo incontrato Marta e<br />

Marcella. Erano state qui?» chiede Andrea.<br />

«Si».<br />

«A Magdala si faceva un gran parlare di Maria che non esce più, che non dà più feste. Abbiamo<br />

riposato presso la donna dell’altra volta. Beniamino mi ha detto che quando ha voglia di fare il<br />

cattivo pensa a Te e…».<br />

«…e a me, dillo pure, Giacomo» dice l’Iscariota.<br />

«Non lo ha detto».<br />

«Ma lo ha sottinteso dicendo: “Non voglio essere bello ma cattivo, io” e mi ha guardato storto. Non<br />

mi può soffrire…».<br />

«Antipatie senza peso, Giuda. Non ci pensare» dice Gesù.<br />

«Sì, Maestro. Ma è seccante che…».<br />

8 «C’è il Maestro?» grida una voce dalla via.<br />

«C’è. Ma che volete da capo? Non vi basta il giorno quanto è lungo? È questa l’ora da disturbare<br />

dei poveri pellegrini? Tornate domani» ordina Pietro.<br />

«È che abbiamo con noi un muto indemoniato. E per la strada ci è scappato tre volte. Se non era<br />

così si arrivava prima. Siate buoni! Fra poco, quando la luna sarà alta, urlerà forte e spaventerà il<br />

paese. Vedete come già si agita?!».<br />

Gesù si sporge dal muretto dopo aver attraversato tutta la terrazza. Gli apostoli lo imitano. Una<br />

collana di visi curvi su una turba di gente che alza la testa verso quelli che la chinano. In mezzo, con<br />

mosse e mugolio da orso o da lupo incatenato, un uomo ben legato ai polsi perché non fugga.<br />

Mugola dimenandosi con mosse bestiali e come cercando al suolo chissà che. Ma quando alza gli<br />

occhi e incontra lo sguardo di Gesù ha un urlo bestiale, inarticolato, un vero ululato, e cerca di<br />

fuggire. La folla, quasi tutta Cafarnao nei suoi adulti, si scansa impaurita.<br />

«Vieni, per carità! Gli riprende come prima…».<br />

«Vengo subito». E Gesù scende svelto andando di faccia al disgraziato che è più che mai agitato.<br />

«Esci da costui. Lo voglio».<br />

L’ululo chi schianta in una parola: «Pace!».<br />

«Sì, pace. Abbi pace ora che sei liberato».<br />

La folla urla di meraviglia vedendo il subitaneo passaggio dalla furia alla quiete, dalla possessione<br />

alla liberazione, dal mutismo alla favella.<br />

9 «Come avete saputo che ero qui?».<br />

«A Nazaret ci dissero: “È a Cafarnao”. A Cafarnao ce lo confermarono due che si dicevano risanati<br />

negli occhi da Te, in questa casa».<br />

«È vero! È vero! Anche a noi lo dissero!» gridano in molti. E commentano: «Mai si videro cose<br />

simili in Israele!».<br />

«Se non avesse l’aiuto di Belzebù non le farebbe” ghignano i farisei di Cafarnao, fra i quali manca<br />

Simone.<br />

«Aiuto o non aiuto, io sono guarito e i ciechi pure. Voi non lo potreste fare, nonostante le vostre<br />

gran preghiere» rimbecca il muto indemoniato guarito e bacia la veste di Gesù, che non risponde ai


farisei, ma si limita a licenziare la folla col suo: «La pace sia con voi», mentre trattiene il miracolato<br />

e chi lo accompagna offrendo ricovero nella stanza alta per il riposo fino all’alba.<br />

10 …Dice Gesù: «Qui metterete la Parabola della pecorella smarrita, avuta il 12-8-1944».<br />

212. La parabola della pecorella smarrita, ascoltata anche da Maria di<br />

Magdala.<br />

12 agosto 1944<br />

1 Gesù parla alle folle. Montato sul margine arborato di un torrentello, parla a molta gente sparsa su<br />

un campo che ha il grano segato e mostra l’aspetto desolante delle stoppie arse.<br />

È sera. <strong>Il</strong> crepuscolo scende, ma già sale la luna. Una bella e chiara sera di prima estate. Dei greggi<br />

tornano all’ovile e il din-don dei campanacci si mescola ad un gran cantare di grilli o cicale, un<br />

grande gri, gri, gri...<br />

Gesù prende lo spunto dalle mandre che passano. Dice:<br />

«<strong>Il</strong> Padre vostro è come un pastore sollecito.<br />

Che fa il pastore buono? Cerca pascoli buoni per le sue pecorelle, quelli dove non sono cicute e<br />

tossici, ma dolci trifogli, aromatiche mentucce e amari ma salutiferi radicchi. Cerca là dove insieme<br />

al cibo sia fresco e puro ruscello e ombra di piante e non regnino aspidi fra il verde delle zolle. Non<br />

si cura di preferire i pascoli più grassi perché sa che in essi è più facile trovare insidia di colubri e<br />

d’erbe nocive, ma dà le sue preferenze ai pascoli montani, dove le rugiade fan monda e fresca<br />

l’erbetta, ma il sole la pulisce dai rettili, là dove l’aria è mossa e buona e non pesante e malsana<br />

come quella di pianura. <strong>Il</strong> buon pastore osserva una per una le sue pecore. Le cura se sono malate, e<br />

medica se ferite. A quella che si ammalerebbe per troppa ingordigia di cibo dà la voce, all’altra che<br />

prenderebbe un male per rimanere troppo all’umido o troppo al sole dice di venire in altro luogo. E<br />

se una svogliata non mangia, egli le cerca gli steli aciduli e aromatici atti a risvegliarle l’appetito e<br />

glieli porge di sua mano parlandole come a persona amica.<br />

Così fa il Padre buono che è nei Cieli coi suoi figli erranti sulla terra. <strong>Il</strong> suo amore è la verga che li<br />

raduna, la sua voce è la guida, i suoi pascoli la sua Legge, il suo ovile il Cielo.<br />

2 Ma ecco che una pecorella lo lascia. Quanto Egli l’amava! Era giovane, pura, candida, come<br />

nuvola in cielo d’aprile. <strong>Il</strong> pastore la guardava con tanto amore, pensando a quanto bene poteva ad<br />

essa fare e quanto amore riceverne. Ed essa lo abbandona.<br />

È passato, lungo la via che costeggia il pascolo, un tentatore. Non ha la casacca austera, ma veste<br />

una veste di mille colori. Non ha cintura di pelle con l’ascia e il coltello pendenti, ma una cintura<br />

d’oro da cui pendono sonagli argentini, melodiosi come voce di usignolo, e fiale di essenze che<br />

inebbriano… Non ha bordone come il pastore buono col quale radunare e difendere le pecore, e se<br />

non basta il bordone egli è pronto a difenderle con l’ascia e coltello e anche con la vita. Ma, questo<br />

tentatore che passa ha fra le mani un turibolo brillante di gemme, da cui sale un fumo che è lezzo e<br />

profumo insieme, ma che sbalordisce così come lo sfaccettio dei gioielli - oh! quanto falsi! -<br />

abbacina. Egli va cantando e lascia cadere manate di un sale che brilla sulla strada oscura…<br />

Novantanove pecore guardano e stanno. La centesima, più giovane e cara, fa un balzo e scompare<br />

dietro al tentatore. <strong>Il</strong> pastore la chiama. Ma lei non torna. Va più veloce del vento per raggiungere<br />

colui che è passato e, per sorreggersi nella corsa, gusta di quel sale che le scende dentro e la brucia<br />

di un delirio strano per cui anela acque fonde e verdi in un cupo di selve. E nelle selve, dietro il<br />

tentatore, si sprofonda e penetra e sale e scende e cade… una, due, tre volte. E una, due, tre volte<br />

sente intorno al suo collo l’abbraccio viscido dei rettili, e volendo bere beve acque inquinate, e<br />

volendo nutrirsi morde erbe lucide di bave schifose.


3 Che fa intanto il pastore buono? Chiude al sicuro le novantanove fedeli e poi si pone in cammino, e<br />

non resta di andare sinché non trova tracce della perduta. Poiché ella non torna a lui, che pure affida<br />

ai venti le sue parole di richiamo, egli va a lei. E la vede da lungi, ebbra fra le spire dei rettili, tanto<br />

ebbra che non sente nostalgia del volto che l’ama; e lo deride. E la rivede, colpevole di essere<br />

penetrata, ladra, nell’altrui dimora, tanto colpevole che non osa più guardarlo… Eppure il pastore<br />

non si stanca… e va. La cerca, la cerca, la segue, l’incalza. Piangendo sulle tracce della perduta -<br />

lembi di vello: lembi d’anima; tracce di sangue: delitti diversi; lordure: prove della sua lussuria -<br />

egli va e la raggiunge.<br />

Ah! Ti ho trovata, diletta. Ti ho raggiunta! Quanto cammino ho fatto per te. Per riportarti all’ovile.<br />

Non chinare la fronte avvilita. <strong>Il</strong> tuo peccato è sepolto nel mio cuore. Nessuno, fuorché <strong>Io</strong> che ti<br />

amo, lo conoscerà. <strong>Io</strong> ti difenderò dalle critiche altrui, ti coprirò con la mia persona per farti scudo<br />

contro le pietre degli accusatori. Vieni. Sei ferita? Oh! mostrami le tue ferite. Le conosco. Ma<br />

voglio che tu me le mostri con la confidenza che avevi quando eri pura e guardavi a me, tuo pastore<br />

e dio, con occhio innocente. Eccole. Hanno tutte un nome. Come sono profonde! Chi te le ha fatte<br />

tanto profonde queste nel fondo del cuore? <strong>Il</strong> Tentatore, lo so. È lui che non ha bordone né ascia, ma<br />

che colpisce più a fondo col suo morso avvelenato, e dietro a lui colpiscono i gioielli falsi del suo<br />

turibolo: coloro che ti hanno sedotta col loro brillare… E che erano zolfi d’inferno tratti alla luce<br />

per arderti il cuore. Guarda quante ferite! Quanto vello lacerato, quanto sangue, quanti rovi!<br />

4 O povera piccola anima illusa! Ma dimmi: se <strong>Io</strong> ti perdono tu mi ami ancora? Ma dimmi: se <strong>Io</strong> ti<br />

tendo le braccia, tu vi accorri? Ma dimmi: hai sete dell’amore buono? E allora vieni e rinasci. Torna<br />

nei pascoli santi. Piangi. <strong>Il</strong> tuo col mio pianto lavano le tracce del tuo peccato, ed <strong>Io</strong> per nutrirti,<br />

poiché sei consumata dal male che ti ha arsa, mi apro il petto, le vene mi apro, e ti dico: “Pasciti ma<br />

vivi!”. Vieni, che ti prendo sulle braccia. Andremo più solleciti ai pascoli santi e sicuri. Tutto<br />

dimenticherai di quest’ora disperata. E le novantanove sorelle, le buone, giubileranno per il tuo<br />

ritorno perché, <strong>Io</strong> te o dico, mia pecorella smarrita che ho cercato venendo da tanto lontano, che ho<br />

raggiunto, che ho salvato, si fa più festa fra i buoni per uno smarrito che torna, che non per<br />

novantanove giusti che mai si sono allontanati dall’ovile».<br />

5 Gesù non si è mai voltato a guardare sulla via che ha alle spalle e sulla quale è sopraggiunta, fra le<br />

penombre della sera, Maria di Magdala, ancora elegantissima, ma vestita almeno, e ricoperta da un<br />

velo oscuro che ne confonde i tratti e le forme. Ma quando Gesù parla dal punto: «<strong>Io</strong> ti ho trovata,<br />

diletta», Maria porta le mani sotto al velo e piange, piano e continuamente.<br />

La gente non la vede perché ella è di qua dall’argine che borda la via. La vede solo la luna ormai<br />

alta e lo spirito di Gesù…<br />

…il quale mi dice: «<strong>Il</strong> commento è nella visione. Ma te ne parlerò ancora. Ora riposa perché è ora.<br />

Ti benedico, Maria fedele».<br />

234. A commento di tre episodi sulla conversione di Maria di Magdala.<br />

13 agosto 1944<br />

1 Dice Gesù:<br />

«Dal gennaio, da quando ti ho fatto vedere la cena in casa di Simone il lebbroso, tu e chi ti guida<br />

avete desiderato di conoscere di più Maria di Magdala e quali parole ho avuto per lei. Sette mesi<br />

dopo vi scopro queste pagine di passato per fare contenti voi e per dare una norma a quelli che<br />

devono sapersi curvare su queste lebbrose di anima, e una voce che invita a queste infelici che<br />

soffocano nel loro sepolcro di vizio ad uscirne.<br />

2 <strong>Dio</strong> è buono. Con tutti è buono. Non misura con misure umane. Non fa differenze fra peccato e<br />

peccato mortale. <strong>Il</strong> peccato lo addolora, quale che sia. <strong>Il</strong> pentimento lo rende lieto e pronto al<br />

perdono. La resistenza alla Grazia lo rende inesorabilmente severo, perché la Giustizia non può


perdonare all’impenitente che muore tale nonostante tutti gli aiuti avuti perché si convertisse.<br />

Ma delle mancate conversioni, se non la metà almeno i quattro decimi, sono causa prima la<br />

trascuranza dei preposti al convertire, un male inteso e bugiardo zelo che è tenda messa su un reale<br />

egoismo e orgoglio per cui si sta tranquilli nel proprio asilo, senza scendere fra il fango per<br />

strapparne un cuore. “<strong>Io</strong> sono puro, io sono degno di rispetto. Non vado là dove vi è marciume e<br />

dove mi si può mancare di riverenza”. Ma colui che così parla non ha letto il Vangelo dove è detto<br />

che il Figlio di <strong>Dio</strong> andò per convertire pubblicani e meretrici, oltre a onesti che solo erano nella<br />

Legge antica? Ma non pensa costui che l’orgoglio è impurità di mente, che l’anticarità è impurità di<br />

cuore? Sarai vilipeso? <strong>Io</strong> lo fui prima e più di te, ed ero Figlio di <strong>Dio</strong>. Dovrai portare la tua veste<br />

sull’immondezze? Ed <strong>Io</strong> non la toccai con le me mani questa immondezza per metterla in piedi e<br />

dirle: “Cammina su questa nuova via”?<br />

Non ricordate cosa ho detto ai vostri primi predecessori? “In qualunque città o villaggio entrerete<br />

informatevi chi vi sia che lo meriti e dimorate presso di lui”. Questo perché il mondo non mormori.<br />

<strong>Il</strong> mondo troppo facile a vedere il male in tutte le cose. Ma ho aggiunto: “Nell’entrare poi nelle case<br />

- ‘casÈ ho detto, non ‘casa’ - salutatele dicendo: ‘Pace a questa casa’. Se la casa ne è degna la pace<br />

verrà sopra di essa, se non ne è degna tornerà a voi”. Questo per insegnarvi che, sino a prova sicura<br />

di impenitenza, dovete avere per tutti uno stesso cuore. E ho completato l’insegnamento dicendo:<br />

“E se alcuno non vi riceve e non ascolta le vostre parole, uscendo da quelle case e da quelle città<br />

scuotete la polvere che vi è rimasta attaccata alle suole”. La fornicazione, sui buoni che la Bontà<br />

costantemente amata fa come cubo di cristallo liscio, non è che polvere. Polvere che basta scuotere<br />

o soffiarle sopra perché voli via senza lasciare lesione.<br />

Siate veramente buoni. Un blocco solo con la Bontà eterna al centro. E nessuna corruzione potrà<br />

salire a sporcarvi oltre le suole che poggiano al suolo. L’anima è tanto in alto! L’anima di chi è<br />

buono e di chi è tutta una cosa con <strong>Dio</strong>. L’anima è in Cielo. Là non giunge polvere e fango, neppure<br />

se è lanciato con astio contro lo spirito dell’apostolo. Può colpirvi la carne, ferirvi cioè<br />

materialmente e moralmente, perseguitandovi, perché il Male odia il Bene, o offendendovi. E che<br />

perciò? Non fui offeso <strong>Io</strong>? Non fui ferito? Ma incisero quelle percosse e quelle parole oscene sul<br />

mio spirito? Lo turbarono? No. Come sputo su uno specchio o come sasso lanciato contro la<br />

succosa polpa di un frutto, scivolarono senza penetrare, o penetrarono ma solo in superficie, senza<br />

ferire il germe chiuso nel nocciolo, anzi favorendone il germogliare, perché più facile è erompere da<br />

una massa socchiusa che non da una integra. È morendo che il grano germina e l’apostolo produce.<br />

Morendo materialmente talora, morendo quasi giornalmente, nel senso metaforico perché non ne è<br />

che frantumato l’io umano. E questa non è morte, è Vita. Trionfa lo spirito sulla morte dell’umanità.<br />

3 Venuta a Me per capriccio di oziosa che non sa come empire le sue ore d’ozio, alle sue orecchie,<br />

rintronate dai bugiardi ossequi di chi la cullava con gli inni al senso per averla sua schiava, è<br />

suonata, alle sue orecchie, la voce limpida e severa della Verità. Della Verità che non ha paura<br />

d’esser schernita e incompresa e parla le sue parole guardando <strong>Dio</strong>. E come coro di campane a<br />

festa tutte le voci si sono fuse nella Parola. Le voci use a suonare nei cieli, nell’azzurro libero<br />

dell’aria, propagandosi per valli e colline, pianure e laghi, per ricordare le glorie del Signore e le sue<br />

festività.<br />

Non ricordate il doppio di festa che nei tempi di pace faceva tanto lieto il giorno dedicato al<br />

Signore? La campana maggiore dava, col maglio sonoro, il primo squillo in nome della Legge<br />

divina. Diceva: “Parlo in nome di <strong>Dio</strong>: Giudice e Re”. Ma poi le minori campane arpeggiavano:<br />

“che è buono, misericorde e paziente”, sinché la campana più argentina, con voce d’angelo, diceva:<br />

“la cui carità spinge a perdonare e a compatire per insegnarvi che il perdono è più utile del rancore,<br />

e il compatimento dell’inesorabilità. Venite a Chi perdona. Abbiate fede in Chi compatisce”.<br />

Anche <strong>Io</strong>, dopo aver ricordato la Legge, calpestata dalla peccatrice, ho fatto cantare la speranza del<br />

perdono. Come una serica fascia di verde e di azzurro l’ho scossa fra le tinte nere perché vi mettesse<br />

le sue confortevoli parole. <strong>Il</strong> perdono! La rugiada sull’arsione del colpevole. La rugiada non è<br />

grandine che saetta, colpisce, rimbalza e va, senza penetrare, uccidendo il fiore. La rugiada scende<br />

così lieve che il fiore anche più tenue non la sente posarsi sui petali di seta. Ma poi ne beve il fresco<br />

e si ristora. Essa si posa presso le radici, sull’arsa gleba, e va oltre… È un umidore di lacrime,


pianto delle stelle, amoroso pianto di nutrici sui figli che hanno sete, e che scende, esso stesso<br />

ristoro, insieme al latte dolce e fecondo. Oh! i misteri degli elementi che operano anche quando<br />

l’uomo riposa o pecca! <strong>Il</strong> perdono è come questa rugiada. Porta seco non solo mondezza, ma succhi<br />

vitali rapiti non agli elementi, ma ai focolari divini.<br />

Poi dopo la premessa di perdono ecco la Sapienza che parla e dice ciò che è lecito o non lecito, e<br />

richiama e scuote. Non per durezza. Ma per sollecitudine materna di salvare. Quante volte la vostra<br />

selce non si fa ancora più impenetrabile e tagliente verso la Carità che su voi si curva!… Quante<br />

volte fuggite mentre Essa vi parla!… Quante le deridete! Quante la odiate!… Se la Carità usasse<br />

con voi i modi che voi usate con Lei, guai alle vostre anime! Invece, lo vedete? Essa è l’instancabile<br />

Camminatrice che viene alla ricerca vostra. Viene a raggiungervi anche se voi vi intanate in luride<br />

tane.<br />

4 Perché <strong>Io</strong> sono voluto andare in quella casa? Perché non ho operato in essa il miracolo? Per<br />

insegnare agli apostoli come agire, sfidando prevenzioni e critiche per compiere un dovere tanto<br />

alto che è esente da queste cosucce del mondo.<br />

Perché ho detto a Giuda quelle parole? Gli apostoli erano molto uomini. Tutti i cristiani sono molto<br />

uomini, anche i santi della terra lo sono, sebbene in maniera minore. Qualcosa di umano sopravvive<br />

anche nei perfetti. Ma gli apostoli non erano ancora tali. I loro pensieri erano compenetrati di<br />

umano. <strong>Io</strong> li portavo in alto. Ma il peso della loro umanità li riportava in basso. Per farli scendere<br />

sempre meno, dovevo mettere sulla via dell’ascesa delle cose atte ad arrestarne la discesa, di modo<br />

che contro esse si fermassero meditando e riposando, per poi salire più oltre del limite di prima.<br />

Cose che fossero di un tenore atto a persuaderli che <strong>Io</strong> ero un <strong>Dio</strong>. Perciò introspezione d’anime,<br />

perciò vittoria sugli elementi, perciò miracoli, perciò trasfigurazione, risurrezione e ubiquità. <strong>Io</strong> fui<br />

sulla strada di Emmaus mentre ero nel Cenacolo; e l’ora delle due presenze, confrontate fra apostoli<br />

e discepoli, fu una delle ragioni che più li scosse, svellendoli dai loro lacci e scagliandoli nella via<br />

del Cristo. Più che per Giuda, membro che covava in sé già la morte, <strong>Io</strong> parlai per gli altri undici.<br />

Che ero <strong>Dio</strong> dovevo necessariamente farlo loro brillare davanti, non per orgoglio ma per necessità<br />

di formazione. Ero <strong>Dio</strong> e Maestro. Quelle parole mi indicano tale. Mi rivelo in una facoltà<br />

extraumana e insegno una perfezione: non avere discorsi cattivi neppure col nostro interno. Poiché<br />

<strong>Dio</strong> vede, e <strong>Dio</strong> deve vedere un interno puro per potervi scendere e farvi dimora.<br />

Perché non ho operato il miracolo in quella casa? Per fare capire a tutti che la presenza di <strong>Dio</strong> esige<br />

un ambiente puro. Per rispetto alla sua eccelsa maestà. Per parlare, senza parole di labbra ma con<br />

una parola ancor più profonda, allo spirito della peccatrice e dirle: “Lo vedi, infelice? Sei tanto<br />

sozza che tutto intorno a te si fa sozzo. Tanto sozzo che non vi può operare <strong>Dio</strong>. Tu sozza più di<br />

costui. Perché tu ripeti la colpa d’Eva e offri il frutto agli Adami, tentandoli e levandoli al Dovere.<br />

Tu, ministra di Satana”.<br />

Perché però non voglio che sia chiamata “satana” dalla madre angosciata? Perché nessuna ragione<br />

giustifica l’insulto e l’odio. Necessità prima e condizione prima per avere <strong>Dio</strong> con noi è non avere<br />

rancore e saper perdonare. Necessità seconda saper riconoscere anche noi, o chi è nostro, è<br />

colpevole. Non vedere solo le colpe altrui. Necessità terza saper conservarsi grati e fedeli, dopo aver<br />

avuto grazia, per giustizia verso l’Eterno. Infelici quelli che, a grazia ottenuta, sono peggio dei cani<br />

e non si ricordano del loro Benefattore, mentre l’animale se ne ricorda!<br />

5 Non ho detto parola alla Maddalena. Come fosse una statua l’ho guardata un attimo, e poi l’ho<br />

lasciata. Sono tornato ai “vivi” che volevo salvare. Lei, materia morta come e più di un marmo<br />

scolpito, l’ho avvolta di noncuranza apparente. Ma non ho detto parola e fatto atto che non avesse a<br />

principale mira la sua povera anima che volevo redimere. E l’ultima parola: “<strong>Io</strong> non insulto. Non<br />

insultare. Prega per i peccatori. Null’altro”, come ghirlanda di fiori che si compie, si è andata a<br />

saldare con la prima detta sul monte: “<strong>Il</strong> perdono è più utile del rancore e il compatimento<br />

dell’inesorabilità”. E l’hanno chiusa, la povera infelice, in un cerchio vellutato, fresco, profumato di<br />

bontà, facendole sentire come è diversa la amorosa servitù a <strong>Dio</strong> dalla feroce schiavitù di Satana,<br />

come è soave il profumo celeste rispetto al lezzo della colpa e come riposa l’esser amati<br />

santamente, rispetto all’esser posseduti satanicamente.<br />

Vedete come è misurato il Signore nel volere. Non esige conversioni fulminee. Non pretende


l’assoluto da un cuore. Sa attendere. E sa accontentarsi. E mentre attende che la perduta ritrovi la<br />

via, la folla la ragione, si accontenta di quanto le può dare la madre sconvolta. Non le chiedo altro<br />

che: “Puoi perdonare?”. Quante altre cose avrei avuto a chiederle per renderla degna del miracolo,<br />

se avessi giudicato alla stregua umana! Ma <strong>Io</strong> misuro divinamente le forze vostre. Quella povera<br />

madre sconvolta era già molto se giungeva a perdonare. E le chiedo questo soltanto, in quell’ora.<br />

Dopo, resole il figlio, le dico: “Sii santa e fa’ santa la tua casa”. Ma mentre lo spasimo la sconvolge<br />

non le chiedo che perdono per la colpevole. Non si deve esigere tutto da chi poco prima era nel<br />

nulla delle Tenebre. Quella madre sarebbe poi venuta alla luce totale, e con lei la sposa e i bambini.<br />

Sul momento, ai suoi occhi, ciechi di pianto, occorreva far giungere il primo crepuscolo della Luce:<br />

il perdono, l’alba del giorno di <strong>Dio</strong>.<br />

6 Dei presenti uno solo - non conto Giuda, parlo dei cittadini ivi accolti, non dei miei discepoli - uno<br />

solo non sarebbe venuto alla Luce. Queste disfatte sono connesse alle vittorie dell’apostolato. Vi è<br />

sempre qualcuno per cui l’apostolo si affatica invano. Ma non devono, queste sconfitte, far perdere<br />

lena. L’apostolo non deve pretendere di ottenere tutto. Contro di lui sono forze avverse dai molti<br />

nomi, che come tentacoli di piovre riafferrano la preda che egli aveva loro strappato. <strong>Il</strong> merito<br />

dell’apostolo resta ugualmente. Infelice quell’apostolo che dice: “So che là non potrò convertire e<br />

perciò non vado”. Costui è apostolo di ben scarso valore. Occorre andare anche se uno solo su mille<br />

si salverà. La sua giornata apostolica sarà fruttuosa per quell’uno come per mille. Poiché egli avrà<br />

fatto tutto quanto poteva, e <strong>Dio</strong> premia questo. Occorre anche pensare che dove l’apostolo non può<br />

convertire, perché il convertendo è troppo abbrancato da Satana e le forze dell’apostolo sono<br />

inferiori allo sforzo richiesto, può intervenire Iddio. E allora? Chi più da <strong>Dio</strong>?<br />

7 Altra cosa che deve assolutamente praticare l’apostolo è l’amore. Palese amore. Non solo l’amore<br />

segreto dei cuori dei fratelli. Quello basta ai fratelli buoni. Ma l’apostolo è operaio di <strong>Dio</strong> e non<br />

deve limitarsi a pregare, deve agire. Agisca con amore. Grande amore. <strong>Il</strong> rigore paralizza il lavoro<br />

dell’apostolo e il movimento delle anime verso la Luce. Non rigore ma amore. L’amore è la veste<br />

d’amianto che rende incorruttibile al morso delle vampe delle malvagie passioni. L’amore è<br />

saturazione di essenze preservatrici che impediscono alla putredine umano-satanica di penetrare in<br />

voi. Per conquistare un’anima occorre sapere amare. Per conquistare un’anima occorre portarla ad<br />

amare. Amare il Bene ripudiando i suoi poveri amori di peccato.<br />

<strong>Io</strong> volevo l’anima di Maria. E come per te, piccolo Giovanni, non mi sono limitato a parlare dalla<br />

mia cattedra di Maestro. Sono sceso a cercarla per le vie del peccato. L’ho inseguita e perseguitata<br />

col mio amore. Dolce persecuzione! Sono entrato, <strong>Io</strong>-Purezza, dove era ella-impurità. Non ho<br />

temuto scandalo né per Me né per gli altri. Scandalo in Me non poteva entrare perché ero la<br />

Misericordia; e questa piange sulle colpe ma non se ne scandalizza. Infelice quel pastore che si<br />

scandalizza e dietro questo paravento si trincera per abbandonare un’anima! Non sapete che le<br />

anime sono più soggette dei corpi a risorgere, e la parola pietosa e amorosa che dice: “Sorella, sorgi<br />

per tuo bene” opera sovente il miracolo? Non temevo lo scandalo altrui. Davanti all’occhio di <strong>Dio</strong> il<br />

mio operato era giustificato. Davanti all’occhio dei buoni era compreso. L’occhio malevolo in cui<br />

fermenta malizia, evaporando da un interno corrotto, non ha valore. Esso trova colpe anche in <strong>Dio</strong>.<br />

Non vede perfetto che sé. Perciò non lo curavo.<br />

8 Le tre fasi della salvazione di un’anima sono:<br />

Essere integerrimi per poter parlare senza timore d’esser posti a tacere. Parlare a tutta una folla, di<br />

modo che la nostra apostolica parola detta alle turbe che si affollano intorno alla mistica barca vada,<br />

per cerchi d’onda, sempre più lontano, sino alla riva motosa dove sono coricati coloro che stagnano<br />

nel fango e non si curano di conoscere la Verità. Questo è il primo lavoro per rompere la crosta della<br />

dura zolla e prepararla al seme. <strong>Il</strong> più severo per chi lo compie e per chi lo riceve perché la parola<br />

deve, come vomere tagliente, ferire per aprire. E in verità vi dico che il cuore dell’apostolo buono si<br />

ferisce e sanguina per il dolore di dover ferire per aprire. Ma anche questo dolore è fecondo. Col<br />

sangue e il pianto dell’apostolo si fa fertile la zolla incolta.<br />

Seconda qualità: Operare anche là dove uno, men compreso della sua missione, fuggirebbe.<br />

Spezzarsi nello sforzo di strappare zizzania, gramigna e spine per mettere a nudo il terreno arato e<br />

far balenare su esso, come il sole, il potere di <strong>Dio</strong> e la sua bontà, e nello stesso tempo, con modo di


giudice e di medico, essere severo e pur pietoso, fermo in una pausa di attesa per dare tempo alle<br />

anime di superare la crisi, meditare, decidere.<br />

Terzo punto: non appena l’anima che nel silenzio si è pentita, piangendo e pensando sui suoi<br />

trascorsi, osa venire timidamente, paurosa d’esser cacciata, verso l’apostolo, l’apostolo abbia un<br />

cuore più grande del mare, più dolce di un cuore di mamma, più innamorato di un cuore di sposo, e<br />

lo apra tutto per farne fluire onde di tenerezza. Se avrete <strong>Dio</strong> in voi - <strong>Dio</strong> che è Carità - troverete<br />

facilmente le parole di carità da dire alle anime. <strong>Dio</strong> parlerà in voi e per voi e, come miele che scola<br />

da un favo, come balsamo che fluisce da un’ampolla, l’amore andrà alle labbra arse e disgustate,<br />

andrà agli spiriti feriti e sarà sollievo e medicina.<br />

9 Fate che i peccatori vi amino, voi dottori delle anime. Fate che sentano il sapore della carità celeste<br />

e se ne rendano tanto ansiosi da non cercare più altro cibo. Fate che sentano nella vostra dolcezza<br />

un tale sollievo che lo cerchino per tutte le loro ferite. Bisogna che la vostra carità mandi via da loro<br />

ogni timore perché, come dice l’epistola che hai letto oggi: “<strong>Il</strong> timore suppone il castigo, chi teme<br />

non è perfetto nella carità”. Ma non lo è neppure chi fa temere. Non dite: “Che hai fatto?” Non dite:<br />

“Va’ via”. Non dite: “Tu non puoi aver gusto all’amore buono.” Ma dite, dite in mio nome: “Ama ed<br />

io ti perdono”. Ma dite: “Vieni, le braccia di Gesù ti sono aperte”. Ma dite: “Gusta questo pane<br />

angelico e questa Parola e dimentica la pece d’inferno e gli scherni di Satana”. Fatevi soma per le<br />

altrui debolezze. L’apostolo deve portare le sue e quelle altrui, insieme alle croci sue e altrui. E<br />

mentre venite a Me, carichi delle pecore ferite, rassicuratele, queste erranti, dite: “Tutto è<br />

dimenticato di quest’ora”; dite: “Non aver paura del Salvatore. Egli è venuto dal Cielo per te,<br />

proprio per te. <strong>Io</strong> non sono che il ponte per portarti a Lui che ti aspetta, oltre il rio dell’assoluzione<br />

penitenziale, per condurti ai suoi pascoli santi, i cui principi sono qui, sulla terra, ma poi<br />

proseguono, con una bellezza eterna che nutre e bea, nei Cieli”.<br />

10 Ecco il commento. Voi poco vi tocca, voi pecore fedeli al Pastore buono. Ma se a te, piccola sposa,<br />

sarà aumento di fiducia, al Padre sarà ancor più luce nella sua luce di giudice, e per tanti sarà non<br />

pungolo a venire al Bene. Ma sarà la rugiada che penetra e nutre, di cui ti ho parlato, e che fa<br />

rialzare i fiori appassiti.<br />

Alzate il capo. <strong>Il</strong> Cielo è in alto.<br />

Va’ in pace, Maria. <strong>Il</strong> Signore è con te».<br />

235. Marta ha avuto dalla sorella Maria la certezza della conversione.<br />

29 luglio 1944<br />

1 Gesù sta per salire sulla barca, ed è una chiara aurora estiva che sfoglia rose sulla seta crespa del<br />

lago, quando sopraggiunge Marta con la sua ancella.<br />

«Oh! Maestro! Ascoltami per amore di <strong>Dio</strong>».<br />

Gesù scende di nuovo sulla riva e dice agli apostoli: «Andate ad attendermi vicino al torrente.<br />

Preparate intanto tutto per la missione verso Magedan. Anche la Decapoli aspetta la parola.<br />

Andate». E mentre la barca si stacca e prende il largo, Gesù cammina a fianco di Marta seguita<br />

rispettosamente da Marcella.<br />

Si dilungano così dal paese camminando sulla riva che subito dopo una striscia di rena, già sparsa<br />

di erbe selvagge e rade, si copre di vegetazione e perde la linea orizzontale per assumere quella<br />

verticale, dando l’assalto alle coste che si specchiano nel lago.<br />

2 Quando raggiungono un luogo solitario, Gesù dice sorridendo: «Che mi vuoi dire?».<br />

«Oh!, Maestro… questa notte, da poco era terminata la seconda vigilia, è tornata a casa Maria.<br />

Ah! ma mi dimenticavo di dirti che mi aveva detto mentre mangiavamo, a sesta: “Ti dispiacerebbe<br />

prestarmi un tuo abito e un mantello? Saranno un po’ corti. Ma lascerò sciolta la veste e terrò basso<br />

il mantello…”. Le ho detto: “Prendi quello che vuoi, sorella mia” e il cuore mi batteva forte perché<br />

prima, nel giardino, avevo detto, parlando con Marcella: “A vespero bisogna essere a Cafarnao<br />

perché il Maestro parla alla folla questa sera” e avevo visto Maria sussultare, cambiare colore, non


sapere più stare ferma, ma andava e veniva sola, come chi è in pena, in orgasmo, nel punto di<br />

decidere… e non sa ancora quale cosa accettare e quale respingere.<br />

Dopo il pasto è andata nella mia stanza e ha preso la veste più oscura che avessi, la più modesta, se<br />

la è provata e ha pregato la nutrice di abbassare tutto l’orlo perché era troppo corta. Ci si era provata<br />

lei, ma aveva confessato piangendo: “Non sono più capace di cucire. Ho dimenticato tutto ciò che è<br />

utile e buono…” e mi ha gettato le braccia al collo dicendo: “Prega per me”. È uscita sola verso il<br />

tramonto… Quanto ho pregato perché non incontrasse nessuno che la trattenesse dal venire qui,<br />

perché la tua parola fosse compresa da lei, perché ella riuscisse a strozzare definitivamente il mostro<br />

che la fa schiava… Guarda: ho messo alla mia cintura la tua cintura, bene stretta sotto le altre, e<br />

quando sentivo l’oppressione del cuoio duro alla mia vita, non usa a cinture rigide così, dicevo:<br />

“Egli è più forte di tutto”.<br />

Poi - col carro si fa presto - poi siamo venute io e Marcella. Non so se ci hai visto nella folla….<br />

Ma che dolore, che spina nel cuore non vedendo Maria! Pensavo: “Si è pentita. È tornata a casa.<br />

Oppure… oppure è fuggita non potendo più resistere alla dominazione mia, da lei richiesta” Ti<br />

ascoltavo e piangevo sotto il mio velo. Quelle parole parevano proprio per lei… e non le sentiva!<br />

Così pensavo io che non la vedevo. Sono tornata a casa sconfortata. È vero. Ti ho disubbidito<br />

perché mi avevi detto: “Se lei viene, tu attendila a casa”. Ma considera il mio cuore, Maestro! Era<br />

mia sorella che veniva a Te! Potevo non esserci a vedere lei presso Te? E poi!… Tu mi avevi detto:<br />

“Sarà spezzata”. <strong>Io</strong> volevo esserle vicino subito, per sostenerla…<br />

Ero inginocchiata in lacrime e preghiera nella mia stanza, e da molto era terminata la seconda<br />

vigilia, quando lei è entrata. Così piano che non l’ho sentita altro che quando mi si è rovesciata<br />

addosso abbracciandomi stretta e dicendo: “È vero tutto quanto tu dici, sorella benedetta. Anzi, è<br />

molto più di quando tu dici. La sua misericordia è molto più grande. Oh! Marta mia! Non hai più<br />

bisogno di tenermi! Non mi vedrai più cinica e disperata! Non mi sentirai più dire: ‘Per non<br />

pensare!’. Ora voglio pensare. So a che pensare. Alla Bontà fatta carne. Tu pregavi, sorella mia,<br />

certo pregavi per me. Ma tu hai la tua vittoria già in pugno. La tua Maria che non vuole più peccare,<br />

che rinasce ora. Eccola. Guardala bene in faccia. Perché è una Maria nuova, dal volto lavato dal<br />

pianto della speranza e del pentimento. Mi puoi baciare, pura sorella. Non c’è più traccia di<br />

vergognosi amori sul mio volto. Egli ha detto che ama l’anima mia. Perché ad essa parlava, e di<br />

essa. La pecorella smarrita ero io. Ha detto, ascolta se dico bene. Tu lo conosci il modo di parlare<br />

del Salvatore…” e mi ha ripetuto, ma perfettamente, la tua parabola.<br />

È tanto intelligente Maria! Molto più di me. E sa ricordare. Così io ti ho sentito due volte; e se sul<br />

tuo labbro quelle parole erano sante e adorabili, sul suo erano per me sante, adorabili e amabili<br />

perché era un labbro di sorella, della mia sorella ritrovata, ritornata all’ovile familiare che me le<br />

diceva. Stavamo abbracciate insieme, sedute sulla stuoia del pavimento, come quando eravamo<br />

bambine e stavamo così nella camera della mamma o presso al telaio dove ella tesseva o ricamava<br />

le sue splendide stoffe, stavamo così, non più divise dal peccato, e mi pareva che anche la mamma<br />

fosse presente col suo spirito. Piangevamo senza dolore, ma anzi con tanta pace! Ci baciavamo<br />

felici… E poi Maria, stanca del cammino fatto a piedi, dall’emozione, di tante cose, mi si è<br />

addormentata fra le braccia, e con l’aiuto della nutrice l’ho coricata sul mio letto… e l’ho lasciata,<br />

correndo qui…» e Marta bacia le mani di Gesù, beata.<br />

3 «Ti dico <strong>Io</strong> pure ciò che ha detto Maria: “Tu hai la tua vittoria in pugno”. Va’ e sii felice. Va’ in<br />

pace. Segui una condotta tutta dolcezza e prudenza con la rinata. Addio, Marta. Fàllo sapere a<br />

Lazzaro che laggiù si angustia».<br />

«Sì, Maestro. Ma Maria quando verrà con noi discepole?».<br />

Gesù sorride e dice: «<strong>Il</strong> Creatore fece il creato in sei giorni e il settimo riposò».<br />

«Comprendo. Bisogna avere pazienza…».<br />

«Pazienza, sì. Non sospirare. È una virtù anche questa. La pace a voi, donne. Ci rivedremo presto» e<br />

Gesù le lascia andando verso il luogo dove la barca attende presso la riva.<br />

4 Dice Gesù: «Qui metterete la visione della cena in casa del fariseo Simone, avuta il 21-1-44».


236. La cena in casa di Simone il fariseo e l’assoluzione a Maria di Magdala.<br />

21 gennaio 1944.<br />

1 A conforto del mio complesso soffrire, e per farmi dimenticare le cattiverie degli uomini, il mio<br />

Gesù mi concede questa soave contemplazione.<br />

Vedo una ricchissima sala. Un ricco lampadario a molti becchi pende nel centro ed è tutto acceso.<br />

Alle pareti tappeti bellissimi, sedili intarsiati ed incrostati di avorio e di laminature preziose e mobili<br />

pure molto belli.<br />

Nel centro una grande tavola quadrata ma composta di quattro tavole unite. La tavola è certo<br />

apparecchiata in tal modo per i molti convitati (tutti uomini) ed è ricoperta di bellissime tovaglie e<br />

di ricco vasellame. Vi sono anfore e coppe preziose e molti sono i servi che si muovono intorno ad<br />

essa portando pietanze e mescendo vini. Nel centro del quadrato non c’è nessuno. Vedo il<br />

pavimento molto bello su cui si riflette la luce del lampadario ad olio. Dal lato esterno, invece, ci<br />

sono molti letti-sedili, tutti occupati dai commensali.<br />

Mi pare d’essere nell’angolo semibuio posto in fondo alla sala, presso ad una porta che è spalancata<br />

dalla parte esterna, ma che è nello stesso tempo chiusa da un pesante tappeto o arazzo che pende dal<br />

suo architrave.<br />

Nel lato più lontano dalla porta, è il padrone di casa con gli invitati più importanti. È un uomo<br />

vecchiotto, vestito con un’ampia tunica bianca stretta alla vita da una cintura ricamata. La veste ha<br />

anche, al collo e al fondo delle maniche e della veste stessa, dei bordi di ricamo applicato come<br />

fossero nastri ricamati o galloni, se più le piace chiamarli così. Ma il volto di questo vecchiotto non<br />

mi piace. È un volto maligno, freddo, superbo e avido.<br />

Nel lato opposto, di fronte a lui, sta il mio Gesù. <strong>Io</strong> lo vedo di fianco e direi quasi di dietro, alle<br />

spalle. Ha la sua solita veste bianca, i sandali, i capelli bipartiti sulla fronte e lunghi come sempre.<br />

Noto che tanto Lui che tutti i commensali non siedono, come io credevo si sedesse su quei lettisedili,<br />

ossia perpendicolarmente alla tavola, ma parallelamente. Nella visione delle nozze di Cana<br />

non avevo fatto molto caso a questo particolare, avevo visto che mangiavano stando appoggiati sul<br />

gomito sinistro, ma mi pareva che fossero meno adagiati, forse perché i letti erano meno lussuosi e<br />

molto più corti. Questi sono veri letti, paiono i moderni divani alla turca.<br />

Gesù ha vicino Giovanni e, dato che Gesù sta appoggiato col gomito sinistro (come tutti), risulta<br />

che la posizione dei due è così. Insomma Giovanni è incastrato fra la tavola e il corpo del Signore,<br />

giungendo col suo gomito verso l’inguine del Maestro, di modo che non gli ostacola di mangiare,<br />

ma che gli permette anche, se vuole, di appoggiarsi confidenzialmente al suo petto.<br />

Di donne non ce ne è nessuna. Tutti parlano, e il padrone di casa ogni tanto si rivolge, con affetta<br />

condiscendenza e con palese degnazione, a Gesù. È chiaro che vuole dimostrargli, e dimostrare a<br />

tutti i presenti, che gli ha fatto un grande onore ad invitarlo alla sua ricca casa, lui, povero profeta<br />

giudicato anche un poco esaltato… Vedo che Gesù risponde con cortesia, pacatamente. Sorride del<br />

suo lieve sorriso a chi lo interroga, sorride con un sorriso luminoso se chi gli parla, o anche solo lo<br />

guarda, è Giovanni.<br />

2 Vedo alzarsi la ricca tenda che copre il vano della porta ed entrare una donna giovane, bellissima,<br />

riccamente vestita e accuratamente pettinata. La sua abbondantissima chioma bionda le fa sulla testa<br />

un vero ornamento di ciocche intrecciate con arte. Pare porti un elmo d’oro tutto a rilievi, tanto la<br />

chioma splende ed è abbondante. Ha una veste che, se la confronto con quella sempre vista alla<br />

Vergine Maria, direi molto eccentrica e complicata. Fibbie sulle spalle, gioielli per trattenere le<br />

increspature al sommo del petto, catenelle d’oro per delineare il petto stesso, cintura a borchie d’oro<br />

e gemme. Una veste procace che mette in rilievo le linee del bellissimo corpo. Sulla testa un velo<br />

così leggero che… non vela niente. È un’aggiunta ai suoi vezzi e basta. Ai piedi, sandali molto<br />

ricchi con fibbie d’oro, di pelle rossa e con lacci intrecciati sulla caviglia.<br />

Tutti, meno Gesù, si voltano a guardarla. Giovanni la osserva un attimo, poi si volge verso Gesù.<br />

Gli altri la fissano con apparente e maligna golosità. Ma la donna non li guarda per niente e non si


cura del sussurrio che si è destato al suo entrare e dell’ammiccare di tutti i presenti, meno Gesù e il<br />

discepolo. Gesù mostra di non accorgersi di nulla. Continua a parlare terminando il discorso che<br />

aveva intavolato col padrone di casa.<br />

La donna va verso Gesù e si inginocchia presso i piedi del Maestro. Appoggia in terra un vasetto a<br />

forma di anfora molto panciuta, si leva il velo dal capo spuntando lo spillone prezioso che lo<br />

tratteneva puntato ai capelli, si sfila dalle dita gli anelli e posa tutto sul letto-sedile presso i piedi di<br />

Gesù, e poi prende fra le sue mani i piedi, prima il destro, poi il sinistro, e ne slaccia i sandali, li<br />

depone al suolo, poi bacia, con gran scoppio di pianto, quei piedi, vi appoggia contro la fronte, se li<br />

carezza e le lacrime cadono come una pioggia, che luccica alle fiamme del lampadario, che riga la<br />

pelle di quei piedi adorabili.<br />

3Gesù volge lentamente il capo, appena appena, e il suo sguardo azzurro cupo si posa un istante<br />

sulla testa reclina. Uno sguardo che assolve. Poi torna a guardare verso il centro. La lascia libera nel<br />

suo sfogo.<br />

Ma gli altri no. Motteggiano fra loro, ammiccano, ghignano. E il fariseo si mette un momento<br />

seduto per vedere meglio, e ha uno sguardo fra desideroso, crucciato e ironico. Desideroso della<br />

donna. È palese questo sentimento. Crucciato che sia entrata tanto liberamente, cosa che potrebbe<br />

far pensare agli altri che la donna è… ospite frequente della sua casa. Ironico riguardo a Gesù…<br />

Ma la donna non si accorge di niente. Continua a piangere dirottamente, senza gridi. Solo lacrimoni<br />

e rari singulti. Poi si spunta i capelli, traendone le forcine d’oro che sostenevano la complicata<br />

pettinatura, e pone anche queste forcine vicino agli anelli e allo spillone. Le matasse d’oro si<br />

srotolano per le spalle. Ella le prende a due mani, se le porta sul petto e le passa sui piedi bagnati di<br />

Gesù, finché li vede asciutti. Poi immerge le dita nel vasetto e ne trae una pomata lievemente<br />

giallina e odorosissima. Un profumo fra di giglio e tuberosa si spande per tutta la sala. La donna<br />

attinge senza avarizia e stende e spalma e bacia e carezza.<br />

Gesù di tanto in tanto la guarda con tanta amorosa pietà. Giovanni, che si è voltato stupito dallo<br />

scoppio di pianto, non sa distaccare l’occhio dal gruppo di Gesù e della donna. Guarda l’Uno e<br />

l’altra alternativamente. <strong>Il</strong> volto del fariseo è sempre più arcigno.<br />

4Odo qui le note parole del Vangelo, e le odo accompagnate da un tono e da uno sguardo che fanno<br />

abbassare il capo al vecchio astioso.<br />

Odo le parole di assoluzione alla donna, che se ne va lasciando ai piedi di Gesù i suoi gioielli. Ella<br />

si è arrotolato il velo intorno al capo serrando in esso alla bene e meglio le chiome sfatte. Gesù nel<br />

dirle: «Va’ in pace» le pone la mano sulla testa china, per un attimo. Ma con atto dolcissimo.<br />

5 Gesù ora mi dice:<br />

«Quello che ha fatto chinare il capo al fariseo e ai suoi compagni, e che non è riportato nel Vangelo,<br />

sono le parole che il mio spirito, attraverso al mio sguardo, ha dardeggiato e confitto in quell’anima<br />

arida e avida. Ho risposto molto più di quanto non sia detto, perché nulla mi era occulto dei pensieri<br />

degli uomini. Ed egli mi ha capito nel mio muto linguaggio, che era ancor più denso di rimprovero<br />

di quanto non lo fossero le mie parole.<br />

Gli ho detto: “No. Non fare insinuazioni malvagie per giustificare te stesso a te stesso. <strong>Io</strong> non ho la<br />

tua libidine. Costei non viene a Me per attrazione di senso. <strong>Io</strong> non sono te e come sono i tuoi simili.<br />

Ella viene a Me perché il mio sguardo e la mia parola, udita per puro caso, le hanno illuminata<br />

l’anima in cui la lussuria aveva creato la tenebra. E viene perché vuol vincere il senso, e comprende,<br />

povera creatura, che da sola non vi riuscirebbe mai. Essa ama in Me lo spirito, nulla più che lo<br />

spirito che sente soprannaturalmente buono. Dopo tanto male che ha ricevuto da voi tutti, che avete<br />

sfruttato la sua debolezza per i vostri vizi ricambiandola poi con le staffilate dello sprezzo, ella<br />

viene a Me perché sente di aver trovato il Bene, la Gioia, la Pace, inutilmente cercate fra le pompe<br />

del mondo. Guarisci da questa tua lebbra di anima, fariseo ipocrita, sappi vedere giusto nelle cose.<br />

Deponi superbia di mente e lussuria di carne. Queste sono lebbre ben più fetide di quelle della<br />

vostra persona. Di quest’ultima il mio tocco vi può guarire perché per essa mi invocate, ma della<br />

lebbra dello spirito no, perché voi di questa non volete guarire perché vi piace. Costei lo vuole. Ed<br />

ecco che <strong>Io</strong> la mondo, ecco che <strong>Io</strong> la affranco dalle catene della sua schiavitù. La peccatrice è morta.


Essa è là, in quegli ornamenti che ella si vergogna di offrirmi perché <strong>Io</strong> li santifichi usandoli per i<br />

bisogni miei e dei miei discepoli, per i poveri che <strong>Io</strong> soccorro con l’altrui superfluo perché <strong>Io</strong>,<br />

Padrone dell’universo, non possiedo nulla ora che sono il Salvatore dell’uomo. Essa è là in quel<br />

profumo sparso sui miei piedi, avvilito come i suoi capelli, su quella parte del corpo che tu hai<br />

spregiato di rinfrescare con l’acqua del tuo pozzo dopo che ho fatto tanto cammino per venire a<br />

portare luce anche a te. La peccatrice è morta. Ed è rinata Maria, rifatta bella come fanciulla pudica<br />

dal suo vivo dolore, dal suo retto amore. S’è lavata nel suo pianto. In verità ti dico, o fariseo, che fra<br />

costui che m’ama nella sua giovinezza pura e questa che m’ama nella sincera contrizione di un<br />

cuore rinato alla Grazia, <strong>Io</strong> non faccio differenza, e al puro e alla pentita commetto l’incarico di<br />

comprendere il mio pensiero come nessuno, e quello di dare al mio Corpo le estreme onoranze ed il<br />

primo saluto (non conto quello particolare di mia Madre) quando <strong>Io</strong> sarò risorto”.<br />

Ecco quanto volevo dire col mio sguardo al fariseo. 6 Ma a te faccio notare un’altra cosa, a tua gioia<br />

e a gioia di molti.<br />

Anche a Betania Maria ripeté il gesto che segnò l’alba della sua redenzione. Vi sono gesti personali<br />

che si ripetono e denunciano una persona come lo stile della stessa. Gesti inconfondibili. Ma, poiché<br />

era giusto, a Betania il gesto è meno avvilito e più confidenziale nella sua riverente adorazione.<br />

Molto ha camminato Maria da quell’alba di sua redenzione. Molto. L’amore l’ha trascinata come<br />

rapido vento in alto e in avanti. L’amore l’ha arsa come un rogo distruggendo in lei la carne impura<br />

e facendo signore in lei uno spirito purificato. E Maria, diversa nella sua risorta dignità di donna<br />

come diversa nella veste, ora semplice come quella della Madre mia, nell’acconciatura, nello<br />

sguardo, nel contegno, nella parola, nuova, ha un nuovo modo di onorarmi con lo stesso gesto.<br />

Prende l’ultimo dei suoi vasi di profumo, serbato per Me, e me lo sparge sui piedi, senza pianto, con<br />

sguardo che l’amore e la sicurezza d’esser perdonata e salvata fa lieto, e sul capo. Può ben ungermi<br />

e toccarmi il capo, ora, Maria. <strong>Il</strong> pentimento e l’amore l’hanno mondata col fuoco dei serafini ed<br />

ella è un serafino.<br />

7 Dillo a te stessa, o Maria, mia piccola “voce”, dillo alle anime. Va’, dillo alle anime che non osano<br />

venire a Me perché si sentono colpevoli. Molto, molto, molto è perdonato a chi molto mi ama. A chi<br />

molto mi ama. Voi non sapete, povere anime, come vi ama il Salvatore! Non temete di Me! Venite.<br />

Con fiducia. Con coraggio. <strong>Io</strong> vi apro il Cuore e le braccia.<br />

Ricordatelo sempre: “<strong>Io</strong> non faccio differenza fra colui che mi ama con la sua purezza integra e<br />

colui che mi ama nella sincera contrizione d’un cuore rinato alla Grazia”. Sono il Salvatore.<br />

Ricordatelo sempre.<br />

Va’ in pace. Ti benedico».<br />

22 gennaio 1944.<br />

8Quest’oggi ho sempre pensato al dettato di Gesù di ieri sera e a quanto vedevo e comprendevo<br />

anche se non detto.<br />

Intanto, per incidenza, le dico che i discorsi dei commensali, per quelli che capivo, ossia quelli<br />

particolarmente rivolti a Gesù, vertevano su fatti del giorno: i romani, la Legge contrastata da essi, e<br />

poi la missione di Gesù come Maestro di una nuova scuola. Ma sotto l’apparente benevolenza si<br />

capiva che erano domande viziose e capziose, fatte per trarlo in impiccio. Cosa non facile perché<br />

Gesù con poche parole poneva una risposta giusta e conclusiva ad ogni discorso.<br />

Alla domanda, per esempio, di quale particolare scuola o setta si fosse fatto maestro nuovo, rispose<br />

semplicemente: «Della scuola di <strong>Dio</strong>. È Lui che seguo nella sua santa Legge ed è di Lui che mi curo<br />

facendo sì che a questi piccoli (e guardava con amore Giovanni ed in Giovanni guardava tutti i retti<br />

di cuore) venga rinnovata in tutta la sua essenza così come era il giorno che il Signore Iddio la<br />

promulgò sul Sinai. Riporto gli uomini alla Luce di <strong>Dio</strong>».<br />

All’altra su cosa pensasse dell’abuso di Cesare, che s’era fatto dominatore della Palestina, aveva<br />

risposto: «Cesare è ciò che è perché così vuole Iddio. Ricorda il Profeta Isaia. Non chiama egli, per<br />

ispirazione divina, Assur “bastone” della sua collera? La verga che punisce il popolo di <strong>Dio</strong> che<br />

troppo s’è staccato da <strong>Dio</strong> ed ha la finzione per sua veste e per suo spirito? E non dice che, dopo<br />

averlo usato per punizione, lo spezzerà perché esso del suo compito se ne sarà abusato, divenendo


di troppo superbo e feroce?».<br />

Queste sono le due risposte che più mi hanno colpito.<br />

9 Questa sera, poi, il mio Gesù, mi dice sorridendo:<br />

«Ti dovrei chiamare come Daniele. Sei quella dei desideri e quella che mi sei cara perché desideri<br />

tanto il tuo <strong>Dio</strong>. E potrei continuare a dirti ciò che fu detto a Daniele dall’angelo mio: “Non temere<br />

perché fin dal primo giorno in cui applicasti il tuo cuore a comprendere e ad affliggerti nel cospetto<br />

di <strong>Dio</strong>, sono state esaudite le tue preghiere, ed <strong>Io</strong> sono venuto a causa di esse”. Ma qui non è<br />

l’angelo che parla. <strong>Io</strong> sono che ti parlo: Gesù.<br />

Sempre, o Maria, <strong>Io</strong> vengo quando uno “applica il suo cuore a comprendere”. Non sono un <strong>Dio</strong><br />

duro e severo. Sono Misericordia viva. E più rapido del pensiero vengo a chi si volge a Me. 10 Anche<br />

alla povera Maria di Magdala, così immersa nel suo peccare, sono andato veloce, con lo spirito mio,<br />

non appena ho sentito sorgere in lei il desiderio di comprendere. Comprendere la luce di <strong>Dio</strong> e<br />

comprendere il suo stato di tenebre. E mi sono fatto a lei Luce.<br />

Parlavo a molti quel giorno, ma in verità parlavo per lei sola. Non vedevo che lei, che s’era<br />

accostata portata da un empito d’anima che si rivoltava alla carne che la teneva soggetta. Non<br />

vedevo che lei col suo povero volto in tempesta, col suo sforzato sorriso che nascondeva, sotto una<br />

veste di sicurezza e gioia mendace che era una sfida al mondo e a se stessa, tanto interno pianto.<br />

Non vedevo che lei, ben più avvolta nei rovi della pecorella smarrita della parabola, lei che affogava<br />

nel disgusto della sua vita, venuto a galla come quelle ondate profonde che portano seco l’acqua del<br />

fondo.<br />

Non ho detto grandi parole, né ho toccato un argomento indicato per lei, peccatrice ben nota, per<br />

non mortificarla e per non costringerla a fuggire, a vergognarsi o a venire. L’ho lasciata in pace. Ho<br />

lasciato che la mia parola e il mio sguardo scendessero in lei e vi fermentassero per fare di<br />

quell’impulso di un momento il suo glorioso futuro di santa. Ho parlato con una delle più dolci<br />

parabole: un raggio di luce e di bontà effuso proprio per lei. 11 E quella sera, mentre ponevo piede<br />

nella casa del ricco superbo, nel quale la mia parola non poteva fermentare in futura gloria perché<br />

uccisa dalla superbia farisaica, già sapevo che ella sarebbe venuta, dopo aver tanto pianto nella sua<br />

stanza di vizio e, alla luce di quel pianto, già deciso per il suo futuro.<br />

Gli uomini, arsi di lussuria, nel vederla entrare hanno trasalito nella carne e insinuato col pensiero.<br />

Tutti l’hanno desiderata, meno i due “puri” del convito: <strong>Io</strong> e Giovanni. Tutti hanno creduto che ella<br />

venisse per uno di quei facili capricci che, vera possessione demoniaca, la gettavano in improvvise<br />

avventure. Ma Satana era ormai vinto. E tutti hanno, con invidia, pensato, vedendo che ad essi non<br />

si volgeva, che venisse per Me. L’uomo sporca sempre anche le cose più pure, quando è solo uomo<br />

di carne e sangue. Solo i puri vedono giusto perché il peccato non è in loro a fare turbamento al<br />

pensiero.<br />

12 Ma che l’uomo non comprenda, non deve sgomentare, Maria. <strong>Dio</strong> comprende. E basta per il Cielo.<br />

La gloria che viene dagli uomini non aumenta di un grammo la gloria che è sorte degli eletti in<br />

Paradiso. Ricordalo sempre.<br />

La povera Maria di Magdala è sempre stata mal giudicata nei suoi atti buoni. Non lo era stata nelle<br />

sue azioni malvagie perché esse erano bocconi di lussuria offerti alla insaziabile fame dei libidinosi.<br />

Criticata e mal giudicata a Naim, in casa del fariseo, criticata e rimproverata a Betania, in casa sua.<br />

Ma Giovanni, che dice una grande parola, dà la chiave di quest’ultima critica: “Giuda… perché era<br />

ladro…”. <strong>Io</strong> dico: “<strong>Il</strong> fariseo e i suoi amici perché erano lussuriosi.”. Ecco, vedi? L’avidità del<br />

senso, l’avidità del denaro alzano la voce a critica dell’atto buono. I buoni non criticano. Mai.<br />

Comprendono.<br />

Ma, ripeto, non importa della critica del mondo. Importa del giudizio di <strong>Dio</strong>.<br />

[…]».


84. La richiesta di operai per la messe e la parabola del tesoro nascosto nel<br />

campo. Marta teme ancora per la sorella Maria.<br />

29 luglio 1945<br />

1 Gesù si trova sulla via che del lago di Meron, viene verso quello di Galilea. Sono con Lui lo Zelote<br />

e Bartolomeo, e pare attendano presso un torrente, ridotto ad un filo d’acqua che però nutre folte<br />

piante, gli altri che stanno giungendo da due parti diverse.<br />

La giornata è torrida, eppure molta gente ha seguito i tre gruppi che devono aver predicato per le<br />

campagne, convogliando i malati al gruppo di Gesù e riserbandosi di predicare di Lui ai sani. Molti<br />

miracolati fanno un gruppo felice, seduto fra le piante, e in loro la gioia è tale che non sentono<br />

neppure la stanchezza data dal calore, dalla polvere, dalla luce abbacinante, tutte cose che<br />

mortificano non poco tutti gli altri.<br />

Quando il gruppo capitanato da Giuda Taddeo giunge per primo presso Gesù, appare evidente la<br />

stanchezza di tutti quelli che lo formano e lo seguono. Ultimo viene il gruppo capitanato da Pietro,<br />

in cui sono molti di Corozim e di Betsaida.<br />

«Abbiamo fatto, Maestro. Ma bisognerebbe essere molti gruppi… Tu vedi. Camminare a lungo non<br />

si può, per il caldo. E allora come si fa? Sembra che il mondo si allarghi più noi si deve fare, per<br />

sparpagliare i paesi e accrescere le distanze. Non mi ero mai accorto che fosse così grande la<br />

Galilea. Siamo in un angolo di essa, proprio in un angolo, e non si riesce ad evangelizzarla, tanto è<br />

vasta e tanto vasti sono i bisogni e i desideri di Te» sospira Pietro.<br />

«Non è che il mondo cresca, Simone. È che cresce la conoscenza del Maestro nostro» risponde il<br />

Taddeo.<br />

«Sì, è vero. Guarda quanta gente. Ci seguono da questa mattina, taluni. Nelle ore calde ci siamo<br />

rifugiati in un bosco. Ma anche ora che si avvicina la sera è una pena camminare. E questi poveretti<br />

sono molto più lontani da casa di noi. Se sempre tutto cresce così non so come faremo…» dice<br />

Giacomo di Zebedeo.<br />

«In ottobre verranno anche i pastori» conforta Andrea.<br />

«Eh! sì! Pastori, discepoli, belle cose! Ma servono solo per dire: “Gesù è il Salvatore. È là”. Non di<br />

più» risponde Pietro.<br />

«Ma almeno la gente saprà dove trovarlo. Ora invece! Noi si va qui e loro corrono qui; intanto che<br />

loro vengono qui noi si va là, e loro devono correrci dietro. E con bambini e malati non è molto<br />

comodo».<br />

2 Gesù parla: «Hai ragione, Simon-Pietro. Ho anche <strong>Io</strong> compassione di queste anime e di queste<br />

turbe. Per molti non trovarmi in un dato momento può essere causa irreparabile di sventura.<br />

Guardate come sono stanchi e smarriti quelli che ancora non possiedono la certezza della mia<br />

Verità, e come sono affamati quelli che già hanno gustato la mia parola e non sanno più starne<br />

senza, né nessuna altra parola li accontenta più. Sembrano pecore senza pastore che vaghino non<br />

trovando chi li guida e chi li pasce. <strong>Io</strong> provvederò. Ma voi dovete aiutarmi. Con tutte le vostre forze<br />

spirituali, morali e fisiche. Non più a gruppi numerosi, ma a coppie dovete sapere andare. E<br />

manderemo a coppie i discepoli migliori. Perché la messe è veramente grande. Oh! In questa estate<br />

vi preparerò a questa grande missione. Per tamuz saremo raggiunti da Isacco coi migliori discepoli.<br />

E vi preparerò. Non basterete ancora. Perché se ella messe è veramente grande, gli operai in<br />

compenso sono pochi. Pregate dunque il Padrone della terra che mandi molti operai alla sua<br />

messe».<br />

«Sì, mio Signore. Ma non muterà molto la situazione di questi che ti cercano» dice Giacomo<br />

d’Alfeo.<br />

«Perché, fratello?».<br />

«Perché essi cercano non solo dottrina e parola di Vita, ma anche guarigioni ai loro languori, alle<br />

loro malattie, ad ogni menomazione che la vita o Satana portino alla loro parte inferiore o superiore.<br />

E questo lo puoi fare Tu solo, perché in Te è il Potere».<br />

«Coloro che sono uni con Me giungeranno a fare ciò che <strong>Io</strong> faccio, e i poveri saranno soccorsi in


tutte le loro miserie. Ma ancora voi non avete in voi quanto basti per fare questo. Sforzatevi a<br />

superare voi stessi, a calcare la vostra umanità per fare trionfare lo spirito. Assimilate non solo la<br />

mia parola, ma lo spirito di essa, ossia santificatevi per essa e poi tutto potrete. Ed ora andiamo a<br />

dire loro la mia parola, posto che non vogliono andarsene se <strong>Io</strong> non ho dato loro la parola di <strong>Dio</strong>. E<br />

poi ritorneremo a Cafarnao. Anche là ci sarà c chi attende…».<br />

3 «Signore, ma è vero che Maria di Magdala ha chiesto perdono a Te, in casa del fariseo?».<br />

«È vero, Tommaso».<br />

«E Tu glielo hai dato?» chiede Filippo.<br />

«Gliel’ho dato».<br />

«Ma hai fatto male!» esclama Bartolomeo.<br />

«Perché? Era un pentimento sincero e meritava perdono».<br />

«Ma non dovevi farlo in quella casa, pubblicamente…» rimprovera l’Iscariota.<br />

«Ma non vedo in che ho errato».<br />

«In questo: Tu sai chi sono i farisei, quanti cavilli hanno nella testa, come ti sorvegliano, come ti<br />

calunniano, come ti odiano. Uno ne avevi a Cafarnao, di amico, ed era Simone. E Tu chiami in casa<br />

sua una prostituta per profanare la casa e dare scandalo all’amico Simone».<br />

«Non l’ho chiamata <strong>Io</strong>. Vi è venuta. Non era una prostituta. Era una pentita. Ciò cambia molto. Se<br />

non si aveva schifo ad avvicinarla e a desiderarla sempre, anche in mia presenza, anche ora che ella<br />

non è più una carne ma un’anima, non si deve avere schifo di vederla entrare per inginocchiarsi ai<br />

miei piedi e piangere accusandosi, avvilendosi nella pubblica umile confessione che è tutta in quel<br />

pianto. Simone fariseo ha avuto la casa santificata da un miracolo grande: la resurrezione di<br />

un’anima. Sulla piazza di Cafarnao, or sono cinque giorni, mi chiedeva: “Hai fatto quello solo di<br />

miracolo?”, e rispondeva da sé: “No, certo”, avendo molto desiderio di vederne uno. Gliel’ho ho<br />

dato. L’ho scelto per essere il testimone, il paraninfo di questo fidanzamento dell’anima con la<br />

Grazia. Deve esserne fiero».<br />

«Invece ne è scandalizzato. Forse hai perduto un amico».<br />

«Ho trovato un’anima. Merita di perdere un uomo con la sua amicizia, la sua povera amicizia<br />

d’uomo, pur di rendere l’amicizia con <strong>Dio</strong> ad un’anima».<br />

«È inutile. Con Te non si può ottenere una umana riflessione. Siamo sulla terra, Maestro!<br />

Ricordatelo. E vigono le leggi e le idee della terra. Tu agisci col metodo del Cielo, ti muovi nel tuo<br />

Cielo che hai in cuore, vedi tutto attraverso luci di Cielo. Povero Maestro mio! Come sei<br />

divinamente inetto a vivere tra noi perversi!». Giuda Iscariota lo abbraccia, ammirato e desolato,<br />

finendo: «E me ne dolgo, perché Tu ti crei, per troppa perfezione, tanti nemici».<br />

«Non te ne dolere, Giuda. È scritto che così sia. Ma come sai che Simone è offeso?».<br />

«Non ha detto che è offeso. Ma a me e Tommaso ha fatto capire che ciò non andava fatto. Non<br />

dovevi invitarla a casa sua, dove non entrano che persone oneste».<br />

«Bene! Sull’onestà di chi va da Simone piantiamola lì» dice Pietro.<br />

E Matteo: «<strong>Io</strong> potrei dire che il sudore delle prostitute è colato più volte sui pavimenti, sulle mense,<br />

e oltre, di Simone il fariseo».<br />

«Ma non pubblicamente» ribatte l’Iscariota.<br />

«No. Con ipocrisia intesa a celarlo».<br />

«Vedi che allora cambia».<br />

«Cambia anche l’entrata di una prostituta che entra per dire: “Lascio il mio peccato infame” da<br />

quella di una che entra per dire: “Eccomi a te per compiere il peccato insieme”».<br />

«Matteo ha ragione» dicono tutti.<br />

«Sì. Ha ragione. Ma loro non la pensano come noi. E bisogna venire a transazioni con loro, adattarsi<br />

a loro per averli amici».<br />

«Questo mai, Giuda. Nella verità, nell’onestà, nella condotta morale, non ci sono adattamenti e<br />

transazioni» tuona Gesù. E termina: «Del resto <strong>Io</strong> so di avere agito bene e per il bene. E basta.<br />

4Andiamo a congedare questi stanchi».<br />

E va da quelli che, sparsi sotto gli alberi, guardano nella sua direzione con ansia di udirlo.<br />

«La pace a voi tutti che per stadi e solleoni siete venuti ad udire la Buona Novella.


In verità vi dico che voi cominciate a comprendere realmente ciò che è il Regno di <strong>Dio</strong>, quanto sia<br />

prezioso il suo possesso e beato l’appartenervi. Ed ogni fatica perde per voi il valore che per altri<br />

conserva, perché l’animo comanda in voi e dice alla carne: “Giubila che io ti opprima. È per la tua<br />

beatitudine che lo faccio. Quando sarai riunita a me, dopo la finale risurrezione, tu mi amerai per<br />

quanto ti ho conculcata e vedrai in me il tuo secondo salvatore”. Non dice così lo spirito vostro? Ma<br />

sì che lo dice!<br />

Voi ora basate le vostre azioni sull’insegnamento delle mie parabole lontane. Ma ora <strong>Io</strong> vi do altre<br />

luci per sempre più farvi innamorati di questo Regno che vi aspetta e il cui valore non è misurabile.<br />

Udite: Un uomo, andato per caso in un campo per prendere terriccio per portarlo nel suo orticello,<br />

nello scavare faticosamente la terra dura trova, sotto qualche strato di terra, un filone di metallo<br />

prezioso. Che fa allora quell’uomo? Ricopre con la terra la scoperta fatta. Non gli importa di<br />

lavorare più ancora, perché la scoperta merita la fatica. E poi va a casa sua, raggranella tutte le sue<br />

ricchezze in denaro o in oggetti, e queste ultime le vende per avere molto denaro. Poi va dal<br />

padrone del campo e gli dice: “Mi piace il tuo campo. Quanto vuoi per vendermelo?”. “Ma io no lo<br />

vendo” dice l’altro. Ma l’uomo offre somme sempre più forti, sproporzionate al valore del campo, e<br />

finisce col sedurre il padrone di esso, il quale pensa: “Questo uomo è un pazzo! Ma posto che lo è,<br />

io me ne avvantaggio. Prendo la somma che mi offre. Non è uno strozzinaggio perché è lui che me<br />

la vuole dare. Con essa mi comprerò almeno tre altri campi, e più belli” e fa la vendita, convinto di<br />

avere fatto uno splendido affare. Ma invece è l’altro che fa l’affare splendido, perché si priva di<br />

oggetti che possono essere asportati dal ladro o perduti o consumati, e si procura un tesoro che per<br />

essere vero, naturale, è inesauribile. Merita dunque di sacrificare quanto ha per questo acquisto,<br />

rimanendo per qualche tempo col solo possesso del campo, ma in realtà possedendo per sempre il<br />

tesoro celato in esso.<br />

Voi questo lo avete capito e fate come l’uomo della parabola. Lasciate le effimere ricchezze per<br />

possedere il Regno dei Cieli. Le vendete agli stolti del mondo, le cedete ad essi, accettate di essere<br />

derisi per questo che agli occhi del mondo pare stolto modo di agire. Fate così, sempre così, e il<br />

Padre vostro che è nei Cieli, giubilando, vi darà un giorno il vostro posto nel Regno.<br />

Tornate alle vostre case prima che venga il sabato, e nel giorno del Signore pensate alla parabola del<br />

tesoro che è il Regno celeste. La pace sia con voi».<br />

5La gente si sparge lentamente per le vie e i sentieri della campagna mentre Gesù va alla volta di<br />

Cafarnao nella sera che scende.<br />

Vi giunge a notte fatta. Traversano in silenzio la città silenziosa sotto il lume della luna che è<br />

l’unico lume esistente per le viette oscure e malselciate. Entrano pure in silenzio nell’orticello a<br />

fianco della casa, credendo che tutti siano a letto. Ma invece un lume arde nella cucina e tre ombre,<br />

rese mobili per il muoversi della fiammella, si proiettano sul muretto bianco del forno lì vicino.<br />

«C’è gente che ti aspetta, Maestro. Ma così non può andare! Ora vado a dire che sei troppo stanco.<br />

Va’ sulla terrazza, intanto».<br />

«No, Simone. Vado in cucina. Se Tommaso ha trattenuto queste persone segno è che vi è un serio<br />

motivo».<br />

Ma intanto quelli di dentro hanno sentito il bisbiglio e Tommaso, padrone di casa, viene sulla soglia.<br />

«Maestro, vi è la solita dama. Ti attende da ieri al tramonto. È con un servo»; e poi, sottovoce: «È<br />

molto agitata. Piange senza sosta…».<br />

«Sta bene. Dille di venire di sopra. Dove ha dormito?».<br />

«Non voleva dormire. Ma infine si è ritirata per qualche ora, verso l’alba, nella mia camera. <strong>Il</strong> servo<br />

l’ho fatto dormire in uno dei vostri letti».<br />

«Va bene. Dormirà anche questa notte. E tu dormirai nel mio».<br />

«No, Maestro. Andrò sulla terrazza, su delle stuoie. Avrò buon sonno lo stesso».<br />

6Gesù sale sul terrazzo. Ecco Marta che sale lei pure.<br />

«La pace a te, Marta».<br />

Un singhiozzo di risposta.<br />

«Piangi ancora? Ma non sei felice?».<br />

La testa di Marta fa segno di no.


«Ma perché mai?»…<br />

Una lunga pausa piena di singhiozzi. Infine un gemito: «Da molte sere Maria non è più tornata. E<br />

non si trova. Non io, non Marcella, non la nutrice la troviamo… Era uscita ordinando il carro. Era<br />

tutta pomposa nelle vesti… Oh! non aveva voluto rimettere la mia!… Non era seminuda, ne ha<br />

anche di quelle, ma era molto procace in questa… E ori e profumi ha preso con sé… e non è più<br />

tornata. Ha licenziato il servo alle prime case di Cafarnao dicendo: “Tornerò con altra compagnia”.<br />

Ma non è più tornata. Ci ha ingannati! Oppure si è sentita sola, forse tentata… o le è accaduto del<br />

male… Non è tornata più…». E Marta scivola in ginocchio, piangendo col capo reclinato<br />

sull’avambraccio messo su un mucchio di sacchi vuoti.<br />

Gesù la guarda e dice lento e sicuro, dominatore: «Non piangere. Maria è venuta da Me tre sere<br />

sono. Mi ha imbalsamato i piedi, mi ha messo ai piedi tutti i suoi gioielli. Si è consacrata così, e per<br />

sempre, prendendo posto tra le mie discepole. Non la denigrare nel tuo cuore. Ti ha superata».<br />

«Ma dove, dove è allora mia sorella?» grida Marta alzando un volto sconvolto. «Perché non è<br />

tornata a casa? È stata forse assalita? Ha preso forse una barca e si è affogata? Oppure qualche<br />

amante respinto l’ha rapita? Oh! Maria! La mia Maria! L’avevo ritrovata e subito l’ho perduta!».<br />

Marta è proprio fuori di sé. Non pensa più che quelli abbasso la possano sentire. Non pensa più che<br />

Gesù può dirle dove è la sorella. Si dispera senza riflettere a nulla.<br />

7 Gesù la prede per i polsi e la costringe a stare ferma, ad ascoltarlo, dominandola con la sua alta<br />

statura e col suo sguardo magnetico. «Basta! Voglio da te fede nelle mie parole. Voglio da te<br />

generosità. Hai capito?». Non la lascia andare altro che quando Marta si quieta un poco. «Tua<br />

sorella è andata a gustarsi la sua gioia, avvolgendosi di una solitudine santa perché è in lei il<br />

supersensibile pudore dei redenti. Te l’ho detto in anticipo. Non può sopportare lo sguardo dolce ma<br />

indagatore dei parenti sulla sua nuova veste di sposa della Grazia. E ciò che <strong>Io</strong> dico è sempre vero.<br />

Mi devi credere».<br />

«Sì, Signore, sì. Ma la mia Maria è troppo, troppo stata del demonio. Egli l’ha ripresa subito,<br />

egli…».<br />

«Egli si vendica su di te della preda perduta per sempre. Devo dunque vedere che tu, la forte,<br />

divieni sua preda per un folle sgomento senza ragione d’essere? Devo vedere che per lei che ora<br />

crede in Me, tu perdi la tua bella fede che sempre ti ho conosciuta? Marta! Guardami bene. Ascolta<br />

Me. Non ascoltare Satana. Non sai che quando è costretto ad abbandonare la preda per una vittoria<br />

di <strong>Dio</strong> su di lui, esso si dà subito da fare, questo instancabile torturatore degli esseri, questo<br />

instancabile ladro dei diritti di <strong>Dio</strong>, per trovare altre prede? Non sai che sono le torture di un terzo,<br />

che resiste agli assalti perché è buono e fedele, quelle che consolidano la guarigione di un altro<br />

spirito? Non sai che nulla è slegato di tutto quanto avviene ed esiste nel creato, ma tutto segue una<br />

legge eterna di dipendenze e di conseguenze, per cui l’atto di uno ha ripercussioni naturali e<br />

soprannaturali vastissime? 8 Tu piangi qui, tu conosci il dubbio atroce, e resti fedele al tuo Cristo<br />

anche in quest’ora di tenebre. Là, in un punto vicino a te ignoto, Maria sente dissolversi l’ultimo<br />

dubbio sulla infinità del perdono avuto, e il suo pianto si muta in sorriso e le sue ombre in luce. È il<br />

tuo tormento che l’ha guidata là dove è pace, là dove si rigenerano le anime presso la Generatrice<br />

senza macchia, presso quella che è tanto Vita da avere ottenuto di avere dato al mondo il Cristo che<br />

è la Vita. Tua sorella è da mia Madre. Oh! Non è la prima che raccoglie le vele in quel porto di pace<br />

dopo che il raggio soave della viva Stella Maria l’ha chiamata a quel seno d’amore per amore, muto<br />

e attivo, del Figlio suo! Tua sorella è a Nazaret».<br />

«Ma come vi è andata se non conosce tua Madre, la tua casa?… Sola… Di notte… Così… Senza<br />

mezzi… In quella veste… Tanta strada… Come?».<br />

«Come? Come va la rondine stanca al nido natio, traversando mari e monti, superando tempeste,<br />

nebbie e venti nemici. Come vanno le rondini nei luoghi di svernamento. Per istinto che le guida,<br />

per tepore che le invita, per sole che le chiama. Anche lei è corsa al raggio che chiama… alla Madre<br />

universale. E la vedremo tornare all’aurora, felice… uscita per sempre dalle tenebre, con una Madre<br />

al fianco, la mia, e per non essere mai più orfana. Puoi credere questo?».<br />

«Sì, mio Signore».<br />

Marta è come affascinata. Infatti Gesù è stato veramente dominatore. Alto, eretto, e pure lievemente


curvato su Marta inginocchiata, ha parlato lentamente, ma incisivamente, quasi per trasfondere Se<br />

stesso nella discepola sconvolta. Poche volte l’ho visto potente così, per persuadere con la parola un<br />

suo ascoltatore. Ma alla fine che luce, che sorriso è sul suo volto! Marta lo riflette con un sorriso e<br />

una luce più pacata nel suo stesso volto.<br />

«E ora vai al riposo. Con pace».<br />

E Marta gli bacia le mani e scende rasserenata…<br />

[…].<br />

85. Cafarnao, sotto un temporale, di Maria Ss. con Maria di<br />

Magdala.<br />

30 luglio 1945.<br />

1 «Forse sarà tempesta oggi, Maestro. Vedi là quelle strisce di piombo avanzarsi di dietro<br />

all’Hermon? E vedi come si corruga il lago? E senti che soffi di tramontana alternati alle larghe<br />

onde calde dello scirocco? Vortice di vento: segno certo di bufera.<br />

«Fra quanto, Simone?».<br />

«Prima che termini l’ora di prima. Guarda come i pescatori si affrettano a tornare. Sentono che il<br />

lago brontola. Fra poco sarà esso pure di piombo, e poi sarà di pece, e poi verrà la furia».<br />

«Ma se sembra così calmo!» dice Tommaso incredulo.<br />

«Tu conosci l’oro io l’acqua. Come dico sarà. Non è neppure una tempesta improvvisa. Si prepara<br />

con chiari segni. L’acqua è calma alla superficie, appena quel crespo che sembra uno scherzo. Ma se<br />

fossi in barca! Sentiresti come migliaia di nocche battere contro la carena e scuotere stranamente la<br />

barca. L’acqua bolle già, di sotto. Aspetta il segnale del cielo e poi vedrai!… Lascia che il<br />

tramontano si annodi allo scirocco! E poi!… Ehi, donne! ritirate ciò che avete steso e riparate le<br />

vostre bestie. Fra poco piovono sassi e secchie d’acqua».<br />

Infatti il cielo si va facendo sempre più verdognolo, con venature di ardesia per l’invasione<br />

continua di lame di nuvole che sembrano eruttate dal grande Hermon. Esse respingono l’aurora da<br />

dove è venuta, come se l’ora retrocedesse verso la notte anziché avanzare verso il meriggio. Solo<br />

una lama di sole persiste a sfuggire obliqua da dietro alla barricata dei nuvoli di pece, e getta una<br />

irreale pennellata di un giallo verde sulla vetta di un colle al sud ovest di Cafarnao. <strong>Il</strong> lago è già<br />

mutato da azzurro in un nero blu, e le prime spume, fra ondetta e ondetta, esili, spezzate, sembrano<br />

di un bianco irreale su quell’acqua scura. Sul lago non è più una barca. Gli uomini si affrettano a<br />

portare sul greto le barche, a riporre reti, ceste, vele e remi, oppure, se contadini, a ritirare derrate,<br />

ad assicurare pali e legami, a chiudere nelle stalle le bestie, e le donne si affrettano alla fonte prima<br />

che piova, oppure racimolano i bambini alzati al primo sole e li spingono in casa e chiudono le<br />

porte, sollecite come chiocce che sentano la grandine prossima.<br />

2 «Simone, vieni con Me. Chiama anche il servo di Marta e chiama Giacomo, mio fratello. Prendi<br />

una grossa tela. Grossa e larga. Due donne sono sulla via, e bisogna andare loro incontro».<br />

Pietro lo guarda, curioso, ma ubbidisce senza perdere tempo. È sulla via, mentre di corsa<br />

attraversano il paese andando verso sud, che Simone chiede: «Ma chi sono?».<br />

«Mia Madre e Maria di Magdala».<br />

La sorpresa è tale che Pietro si arresta un momento come inchiodato al suolo, e dice: «Tua Madre e<br />

Maria di Magdala?!!! Insieme?!!!». Poi riprende a correre perché Gesù non si ferma, e non si<br />

fermano Giacomo e il servo. Ma torna a dire: «Tua Madre e Maria di Magdala! Insieme!… Ma da<br />

quando?».<br />

«Da quando non è più altro che Maria di Gesù. Fa’ presto, Simone. Vengono le prime gocce…».<br />

E Pietro si sforza a stare alla pari con questi suoi compagni, tutti più alti e svelti di lui.<br />

La polvere si alza ora a nuvoli dalla via arsa, per un vento che si fa più forte di attimo in attimo, un


vento che rompe il lago e lo alza in creste d’onde che si frangono con un primo scroscio sul lido.<br />

Quando è possibile vedere il lago, lo si vede mutato in un enorme paiolo nel furore dell’ebollizione.<br />

Onde alte almeno un metro lo corrono in tutti i sensi, si urtano, crescono fondendosi, si separano<br />

correndo in direzioni opposte in cerca di un’altra onda con cui cozzarsi, tutto un duello di spume, di<br />

creste, di gobbe panciute, di scrosci, di muggiti, di schiaffi fin contro le case più prossime alla riva.<br />

Quando le case parano la vista, il lago si tiene presente col suo fragore, che supera il fischio del<br />

vento che piega gli alberi strappandone foglie e facendo cadere frutti, e il boato dei tuoni lunghi,<br />

minacciosi, preceduti da lampi sempre più spessi e potenti.<br />

«Chissà che paura avranno quelle donne!» soffia Pietro col fiato grosso.<br />

«Mia Madre, no. Non so l’altra. Ma certo se non facciamo presto si bagneranno forte».<br />

3 Cafarnao è superata di qualche centinaio di metri quando, fra nuvoli di polvere, in mezzo al primo<br />

scroscio di un acquazzone che scende obliquo e violento, rigando l’aria cupa, divenendo presto<br />

cataratta che si polverizza, che accieca, che mozza il fiato, si vede una coppia di donne correre,<br />

cercando riparo sotto qualche albero folto.<br />

«Eccole! Corriamo!».<br />

Ma per quanto il suo amore per Maria dia ali a Pietro, egli, con le sue gambe corte e non certo da<br />

corridore, giunge quando Gesù e Giacomo, hanno già raccolto le donne sotto un pesante pezzo di<br />

vela.<br />

«Qui non si può stare. C’è pericolo di folgori e fra poco la via sarà un torrente. Andiamo, Maestro.<br />

Almeno alla prima casa» dice Pietro affannato.<br />

Vanno con le donne al centro, tenendo il telo steso sulle loro teste e schiene.<br />

4 La prima parola che Gesù dice alla Maddalena, che è ancora nella veste della sera del convito in<br />

casa di Simone, ma con un mantello di Maria Ss. sulle spalle, è questa: «Hai paura, Maria?».<br />

Questa, che è sempre stata a capo chino sotto il velo delle sue chiome, che nel correre si sono<br />

disfatte, avvampa, china ancora di più la testa, e mormora: «No, Signore».<br />

Anche la Madonna ha perduto le forcine e pare una bambina con le trecce giù per le spalle. Ma<br />

sorride al Figlio che è al suo fianco e gli parla con quel sorriso.<br />

«Sei molto bagnata, Maria» dice Giacomo d’Alfeo toccando il velo e il mantello della Madonna.<br />

«Non fa nulla. E ora non ci bagniamo più. Non è vero, Maria? Egli ci ha salvato anche dalla<br />

pioggia» dice dolcemente Maria alla Maddalena, di cui sente il doloroso imbarazzo. Questa<br />

annuisce col capo.<br />

«Tua sorella sarà contenta di rivederti. È a Cafarnao. Ti cercava» dice Gesù.<br />

Maria alza per un momento il capo e fissa i suoi splendidi occhi in volto a Gesù, che le parla con la<br />

naturalezza che usa con le altre discepole. Ma non dice niente. È strozzata da troppe emozioni.<br />

Gesù termina: «Sono contento di averla trattenuta. Vi lascerò andare dopo avervi benedette».<br />

5 La parola si perde nello schianto secco di un fulmine vicino. La Maddalena ha un atto di spavento.<br />

Si porta le mani al viso e si curva con uno scoppio di pianto.<br />

«Niente paura!» conforta Pietro. «Ormai è passato. E con Gesù non c’è mai da avere paura».<br />

Anche Giacomo, che è al fianco della Maddalena, dice: «Non piangere. Ormai le case sono vicine».<br />

«Non piango di paura… Piango perché Egli mi ha detto che mi benedirà… <strong>Io</strong>… io…» e non può<br />

dire altro.<br />

La Vergine interviene a calmarla dicendo: «Tu, Maria, hai già superato il tuo temporale. Non ci<br />

pensare più. Ora tutto è sereno e pace. Non è vero, Figlio mio?».<br />

«Sì, Madre. È tutto vero. Fra poco tornerà il sole e tutto sarà più bello, mondo, fresco di ieri. Così<br />

per te, Maria».<br />

La Madre riprende, stringendo la mano alla Maddalena: «Dirò a Marta le tue parole. Sono contenta<br />

di poterla vedere subito e dirle quanto la sua Maria sia piena di buona volontà».<br />

Pietro, sguazzando nella fanghiglia e prendendo il diluvio con pazienza, esce da sotto il riparo per<br />

andare verso una casa e chiedere ricovero.<br />

«No, Simone. Preferiamo tutti ritornare nella nostra. Non è vero?» dice Gesù.<br />

Tutti approvano e Pietro torna sotto il telo.<br />

6 Cafarnao è un deserto. Vi regnano padroni il vento, la pioggia, i tuoni, i lampi, e ora la grandine


che suona e rimbalza su terrazzi e facciate. <strong>Il</strong> lago è di una terribilità imponente. Le case vicine ad<br />

esso sono schiaffeggiate dalle onde perché la spiaggetta non esiste più e le barche, assicurate presso<br />

le case, sembrano naufragate tanto sono colme d’acqua, che ogni maroso aumenta facendone<br />

traboccare quella già esistente in esse.<br />

Entrano correndo nell’orto divenuto un’enorme pozzanghera in cui galleggiano detriti sull’acqua<br />

motosa, e da questo nella cucina dove tutti sono radunati.<br />

<strong>Il</strong> gridio di Marta, quando vede la sorella tenuta per mano da Maria, è acuto. Le si stringe al collo,<br />

senza sentire quanto si bagna nel farlo, la bacia, la chiama: «Mirì, Mirì, gioia mia!» Forse è il<br />

vezzeggiativo che usavano per la Maddalena piccina.<br />

Maria piange, curva, col capo sulla spalla fraterna, rivestendo la veste scura di Marta di un pesante<br />

velo d’oro, unica cosa che splenda, nella cucina buia, dove solo è un fuocherello di stipe per<br />

rompere la tenebra che non è sufficiente a vincere una lampadetta accesa.<br />

Gli apostoli sono di stucco, e così lo è il padrone di casa e la padrona che si sono affacciati per lo<br />

strillo di Marta, ma che dopo un momento di curiosità comprensibile si ritirano discreti.<br />

7 Quando la furia degli abbracci si è un poco sedata, Marta si ricorda di Gesù, di Maria, della<br />

stranezza della loro venuta tutti insieme, e chiede alla sorella, alla Madonna, a Gesù, e non saprei<br />

dire a chi più con insistenza: «Ma come? Come tutti insieme?».<br />

«<strong>Il</strong> temporale, Marta, si faceva vicino. Sono andato con Simone, Giacomo e il tuo servo incontro<br />

alle due pellegrine».<br />

Marta è tanto stupita che non riflette al fatto il che Gesù andasse così sicuro incontro a loro e non<br />

chiede: «Ma Tu sapevi?».<br />

È Tommaso che lo chiede a Gesù. Ma non ha risposta perché Marta dice alla sorella: «Ma come eri<br />

con Maria?». La Maddalena china il capo.<br />

La soccorre la Madonna prendendola per mano e dicendo: «È venuta da me come una pellegrina<br />

che vada al luogo dove può esserle detto il cammino da fare per raggiungere la mèta. E mi ha detto:<br />

“Insegnami come devo fare per essere di Gesù”. Oh! poiché in lei è volontà vera e totale, ha subito<br />

compreso e appreso questa sapienza! Ed io l’ho trovata subito pronta per prenderla per mano, così, e<br />

condurla a Te, Figlio mio, a te Marta buona, a voi, fratelli discepoli, e dirvi: “Ecco la discepola e la<br />

sorella che non darà che soprannaturali gioie al suo Signore e ai fratelli suoi”. Vogliatemi credere ed<br />

amarla tutti come Gesù ed io l’amiamo».<br />

8 Allora gli apostoli si avvicinano salutando la nuova sorella. Non è escluso che ci sia della<br />

curiosità… Ma come si fa?! Si è ancora uomini…<br />

È il buon senso di Pietro che dice: «Va bene tutto. Voi le assicurate aiuto e amicizia santa. Ma<br />

bisognerebbe pensare che la Madre e la sorella sono molto bagnate… Lo siamo anche noi<br />

veramente... Ma per esse è peggio. I loro capelli stillano acqua come salici dopo l’uragano, le vesti<br />

sono fangose e bagnate. Facciamo fuoco, chiediamo vesti, prepariamo del cibo caldo…».<br />

Tutti si danno da fare e Marta conduce nella stanza le due inzuppate viaggiatrici, mentre viene<br />

riattivato il fuoco e stesi davanti alla fiamma i mantelli, i veli, le vesti inzuppate. Non so come<br />

provvedano di là… So che Marta, ritrovata la sua energia di ottima donna di casa, va e viene<br />

sollecita, con catini e acqua calda, con tazze di latte fumante, con vesti prestate dalla padrona, per<br />

soccorrere le due Marie…<br />

86. La parabola dei pesci, la parabola della perla e il tesoro degli insegnamenti antichi e nuovi.<br />

31 luglio 1945.<br />

1 Sono tutti riuniti nella vasta stanza superiore. <strong>Il</strong> temporale violento si è risolto in una pioggia


persistente, che ora si fa lieve fin quasi a sospendere e ora infittisce con improvvisa furia. <strong>Il</strong> lago<br />

non è certo azzurro oggi, ma giallastro, con strie di spume nei momenti di vento e acquazzone,<br />

grigio plumbeo con spume bianche nelle soste dell’acquazzone. Le colline, tutte grondanti d’acqua,<br />

con le fronde ancora piegate da tanto che sono molli di pioggia, con qualche ramo che pende<br />

spezzato dal vento e molte foglie strappate dalla grandine, mostrano righe di ruscelli da ogni parte,<br />

acque giallognole che riversano nel lago foglie, sassi, terra rapita alle chine. La luce è rimasta<br />

offuscata, verdognola.<br />

Nella stanza sono, sedute presso una finestra che guarda le colline, Maria con Marta e la<br />

Maddalena, più due altre donne che non so di preciso chi siano. Ma ho l’impressione che siano già<br />

conosciute da Gesù e Maria e dagli apostoli, perché sono a loro agio. Certo più della Maddalena,<br />

che sta ferma ferma, a capo chino, fra la Vergine e Marta.<br />

Gli abiti riasciugati alla fiamma, spazzolati dal fango, sono stati rimessi. Ma dico male. È stato<br />

indossato dalla Vergine il suo di lana azzurro cupo. Ma la Maddalena ha una veste di imprestito,<br />

corta e stretta per lei alta e formosa, e cerca di riparare alle manchevolezze della veste stando<br />

avvolta nel mantello della sorella. Si è raccolta i capelli in due grosse trecce annodandosele sulla<br />

nuca in qualche modo, perché per sostenere quel peso ci vuole ben più delle poche forcine<br />

racimolate lì per lì. Infatti, dopo, io ho sempre visto che la Maddalena aiuta le forcine con un<br />

nastrino che le fa quasi un diadema sottile, perdendosi col suo colore paglia nell’oro dei capelli.<br />

Nell’altro lato della stanza, seduti chi su sgabelli, chi sui davanzali delle finestre, sono Gesù con gli<br />

apostoli e il padrone di casa. Manca il servo di Marta. Pietro e gli altri pescatori studiano il tempo,<br />

facendo pronostici per il domani. Gesù ascolta, oppure risponde a questo e a quello.<br />

«Ad averlo saputo, di questo, avrei detto a mia madre di venire. È bene che la donna sia messa<br />

subito a suo agio con le compagne» dice Giacomo di Zebedeo sbirciando verso le donne.<br />

«Eh! Ad averlo saputo!… 2 Ma perché poi la mamma non è venuta con Maria?» chiede il Taddeo al<br />

fratello Giacomo.<br />

«Non lo so. Me lo chiedo anche io».<br />

«Non si sentirà male?».<br />

«Maria lo avrebbe detto».<br />

«<strong>Io</strong> glielo chiedo», e il Taddeo va dalle donne.<br />

Si sente la voce limpida di Maria rispondere: «Sta bene. Sono stata io che le ho evitato uno<br />

strapazzo con questo caldo. Siamo scappate come due bambine, non è vero, Maria? Maria è venuta<br />

a sera oscura e all’alba siamo partite. Non ho che detto ad Alfeo: “Ecco la chiave. Tornerò presto.<br />

Dillo a Maria”. E sono venuta».<br />

3 «Torneremo insieme, Madre. Non appena il tempo sarà buono e Maria avrà una veste, noi<br />

andremo, tutti insieme, per la Galilea, accompagnando le sorelle fino alla via più sicura. Così<br />

saranno conosciute anche da Porfirea, da Susanna, dalle vostre mogli e figlie, Filippo e<br />

Bartolomeo».<br />

È squisito quel dire: «saranno conosciute», per non dire: «Maria sarà conosciuta»! È forte, anche. E<br />

abbatte tutte le prevenzioni e restrizioni mentali degli apostoli verso la redenta. La impone,<br />

vincendo le riluttanze di loro, le vergogne di lei, tutto. Marta splende nel viso, Maria Maddalena<br />

avvampa e ha uno sguardo supplice, riconoscente, turbato, che so?… Maria Ss. ha il suo sorriso<br />

soave.<br />

«Dove andremo per primo luogo, Maestro?».<br />

«A Betsaida. Poi per Magdala, Tiberiade, Cana, a Nazaret. Di lì per Jafia e Semeron, andremo a<br />

Betlem di Galilea e poi a Sicaminon e a Cesarea…».<br />

Gesù è interrotto da uno scoppio di pianto della Maddalena. Alza il capo, la guarda e poi riprende<br />

come nulla fosse: «A Cesarea troverete il vostro carro. Ho ordinato così al servo, e andrete a<br />

Betania. Ci rivedremo poi, ai Tabernacoli».<br />

Maddalena si riprende presto e non risponde alle domande della sorella, ma esce dalla stanza<br />

ritirandosi forse in cucina per qualche tempo.<br />

«Maria soffre, Gesù, nel sentire che deve venire in certe città. Bisogna capirla… Lo dico più per i<br />

discepoli che per Te, Maestro» dice umile ed affannata Marta.


«È vero, Marta. Ma così deve avvenire. Se ella non affronta subito il mondo e non strozza<br />

quell’orrendo aguzzino del rispetto umano, rimane paralizzata la sua eroica conversione. Subito e<br />

con noi».<br />

4 «Con noi nessuno le dirà nulla. Te lo assicuro, Marta, anche per tutti i compagni miei» promette<br />

Pietro.<br />

«Ma certo! La circonderemo come una sorella. Così ha detto Maria che ella è, e così sarà per noi»<br />

conferma il Taddeo.<br />

«E poi!… Siamo tutti peccatori e il mondo non ci ha risparmiato neppure noi. Comprendiamo<br />

perciò le sue lotte» dice lo Zelote.<br />

«<strong>Io</strong> più di tutti la capisco. Nei posti dove peccammo è molto meritorio vivere. Le persone sanno chi<br />

siamo!… È una tortura. Ma è anche una giustizia e una gloria resistere lì. Appunto perché è palese<br />

in noi la potenza di <strong>Dio</strong>, noi siamo oggetto di conversioni anche senza usare le parole». Dice<br />

Matteo.<br />

«Tu vedi, Marta, che tua sorella è compresa da tutti e amata da tutti. E lo sarà sempre di più. Lei<br />

diverrà un segno indicatore per tante anime colpevoli e pavide. È una grande forza anche per i<br />

buoni. Perché Maria, quando avrà frantumato le ultime catene della sua umanità, sarà un fuoco<br />

d’amore. Non ha che cambiato direzione all’esuberanza del suo sentimento. Ha riportato questa sua<br />

potente facoltà di amare in un piano soprannaturale. E ivi compierà prodigi. Ve lo assicuro. Ora è<br />

ancora turbata. Ma la vedrete giorno per giorno pacificarsi e irrobustirsi nella sua nuova vita. In<br />

casa di Simone ho detto: “Molto le è perdonato perché molto ella ama.” Ora vi dico che in verità<br />

tutto le sarà perdonato perché ella amerà con tutta la sua forza, la sua anima, il suo pensiero, il suo<br />

sangue, la sua carne, fino all’olocausto, il suo <strong>Dio</strong>».<br />

«Lei beata che merita queste parole! Vorrei meritarle anche io» sospira Andrea.<br />

«Tu? Ma tu le meriti già! 5Vieni qui, mio pescatore. Ti voglio raccontare una parabola che pare<br />

pensata proprio per te».<br />

«Maestro, attendi. Vado a prendere Maria. Desidera tanto sapere la tua dottrina!…».<br />

Mentre Marta esce, gli altri dispongono i sedili in modo da fare un semicerchio intorno a quello di<br />

Gesù. Tornano le due sorelle e riprendono posto vicino a Maria Ss.<br />

Gesù inizia a parlare:<br />

«Dei pescatori uscirono al largo e gettarono nel mare la loro rete, e dopo il tempo dovuto la tirarono<br />

a bordo. Con molta fatica compivano così il loro lavoro per ordine di un padrone che li aveva<br />

incaricati di fornire di pesce prelibato la sua città, dicendo loro anche: “Però quei pesci che sono<br />

nocivi o scadenti non state neppure a trasportarli a terra. Ributtateli in mare. Altri pescatori li<br />

pescheranno e, poiché sono pescatori di un altro padrone, li porteranno alla città dello stesso, perché<br />

là si consuma ciò che è nocivo e che rende sempre più orrida la città del mio nemico. Nella mia,<br />

bella, luminosa, santa, non deve entrare nulla di malsano”.<br />

Tirata perciò a bordo la rete, i pescatori iniziarono il lavoro di cernita. I pesci erano molti, di<br />

diverso aspetto, grossezza e colore. Ve ne erano di bell’aspetto, ma con una carne piena di spine, dal<br />

cattivo sapore, dal grosso buzzo pieno di fanghiglia, di vermi, di erbe marce che aumentavano il<br />

sapore cattivo della carne del pesce. Altri invece erano di brutto aspetto, un muso che pareva il ceffo<br />

del delinquente o di un mostro da incubo, ma i pescatori sapevano che la loro carne è squisita. Altri,<br />

per essere insignificanti, passavano inavvertiti. I pescatori lavoravano, lavoravano. Le ceste erano<br />

colme di pesce squisito ormai e nella rete erano i pesci insignificanti. “Ormai basta. Le ceste sono<br />

colme. Gettiamo tutto il resto a mare” dissero molti pescatori.<br />

Ma uno, che poco aveva parlato, mentre gli altri avevano magnificato o deriso ogni pesce che<br />

capitava loro fra le mani, rimase a frugare nella rete e tra la minutaglia insignificante scoperse<br />

ancora due o tre pesci, che mise al di sopra di tutti nelle ceste. “Ma che fai?” chiesero gli altri. “Le<br />

ceste sono complete, belle. Tu le sciupi mettendovi sopra per traverso quel povero pesce lì. Sembra<br />

che tu lo voglia celebrare come il più bello”. “Lasciatemi fare. <strong>Io</strong> conosco questa razza di pesci e so<br />

che rendimento e che piacere danno”.<br />

Questa è la parabola, che finisce con la benedizione del padrone al pescatore paziente, esperto e<br />

silenzioso, che ha saputo discernere fra la massa i migliori pesci.


6 Ora udite l’applicazione di essa.<br />

<strong>Il</strong> padrone della città bella, luminosa e santa è il Signore. La città è il Regno dei Cieli. I pescatori, i<br />

miei apostoli. I pesci del mare, l’umanità nella quale è presente ogni categoria di persone. I pesci<br />

buoni, i santi.<br />

<strong>Il</strong> padrone della città orrida è Satana. La città orrida, l’Inferno. I suoi pescatori, il mondo, la carne,<br />

le passioni malvagie incarnate nei servi di Satana sia spirituali, ossia demoni, sia umani, ossia<br />

uomini che sono i corruttori dei loro simili. I pesci cattivi, l’umanità non degna del Regno dei Cieli:<br />

i dannati.<br />

Fra i pescatori delle anime per la Città di <strong>Dio</strong> ci saranno sempre quelli che emuleranno la capacità<br />

paziente del pescatore che sa perseverare nella ricerca, proprio negli strati dell’umanità, dove altri<br />

suoi compagni, più impazienti, hanno levato solo le bontà che appaiono tali a prima vista. E vi<br />

saranno purtroppo anche pescatori che, per essere troppo svagati e ciarlieri, mentre il lavoro di<br />

cernita esige attenzione e silenzio per udire le voci delle anime e le indicazioni soprannaturali, non<br />

vedranno pesci buoni e li perderanno. E vi saranno quelli che per troppa intransigenza respingono<br />

anche anime che non sono perfette nell’aspetto esteriore ma ottime per tutto il resto.<br />

Che vi importa se uno dei pesci che catturate per Me mostra i segni di lotte passate, presenta<br />

mutilazioni prodotte da tante cause, se poi queste non ledono il suo spirito? Che vi importa se uno<br />

di questi, per liberarsi dal Nemico, si è ferito e si presenta con queste ferite, se il suo interno mostra<br />

la sua chiara volontà di voler essere di <strong>Dio</strong>? Anime provate, anime sicure. Più di quelle che sono<br />

come infanti salvaguardati dalle fasce, dalla cuna e dalla mamma, e che dormono sazi e buoni, o<br />

sorridono tranquilli, ma che però possono in seguito, con la ragione e l’età, e le vicende della vita<br />

che avanzano, dare dolorose sorprese di deviazioni morali.<br />

7 Vi ricordo la parabola del figliuol prodigo. Altre ne udrete perché sempre <strong>Io</strong> mi studierò a<br />

infondervi un retto discernimento nel modo di vagliare le coscienze e di scegliere il modo con cui<br />

guidare le coscienze, che sono singole, ed ognuna, perciò, ha il suo speciale modo di sentire e di<br />

reagire alle tentazioni e agli insegnamenti.<br />

Non crediate facile l’essere cernitore di animi. Tutt’altro. Ci vuole occhio spirituale tutto luminoso<br />

di luce divina, ci vuole intelletto infuso di divina sapienza, ci vuole possesso delle virtù in forma<br />

eroica, prima fra tutte la carità. Ci vuole capacità di concentrarsi nella meditazione, perché ogni<br />

anima è un testo oscuro che va letto e meditato. Ci vuole unione continua con <strong>Dio</strong>, dimenticando<br />

tutti gli interessi egoisti. Vivere per le anime e per <strong>Dio</strong>. Superare prevenzioni, risentimenti,<br />

antipatie. Essere dolci come padri e ferrei come guerrieri. Dolci per consigliare e rincuorare. Ferrei<br />

per dire: “Ciò non è lecito, e non lo farai”. Perché, pensatelo bene, molte anime saranno gettate<br />

negli stagni infernali. Ma non saranno solo anime di peccatori. Anche anime di pescatori evangelici<br />

vi saranno: quelle di coloro che avranno mancato al loro ministero, contribuendo alla perdita di<br />

molti spiriti.<br />

Verrà il giorno - l’ultimo giorno della terra, il primo della Gerusalemme completata e eterna - in cui<br />

gli angeli, come i pescatori della parabola, separeranno i giusti dai malvagi, perché al comando<br />

inesorabile del Giudice i buoni passino al Cielo e i cattivi nel fuoco eterno. E allora sarà resa nota la<br />

verità circa i pescatori ed i pescati, cadranno le ipocrisie e apparirà il popolo di <strong>Dio</strong> quale è, coi<br />

suoi duci e i salvati dai duci. Vedremo allora che tanti, fra i più insignificanti all’esterno o i più<br />

malmenati all’esterno, sono gli splendori del Cielo, e che i pescatori quieti e pazienti sono quelli che<br />

più hanno fatto, splendendo ora di gemme per quanti sono i loro salvati.<br />

La parabola è detta e spiegata».<br />

8 «E mio fratello?!… Oh! ma!… Pietro lo guarda, lo guarda… Poi guarda la Maddalena…<br />

«No, Simone. In quella io non ci ho merito. <strong>Il</strong> Maestro solo ha fatto» dice schietto Andrea.<br />

«Ma gli altri pescatori, quelli di Satana, prendono dunque gli avanzi?» chiede Filippo.<br />

«Tentano di prendere i migliori, gli animi capaci di maggior prodigio di Grazia, ed usano degli<br />

stessi uomini per farlo, oltre che delle loro tentazioni. Ce ne sono tanti nel mondo che per un piatto<br />

di lenticchie rinunciano alla primogenitura!».<br />

«Maestro, l’altro giorno Tu dicevi che molti sono quelli che si lasciano sedurre da cose del mondo.<br />

Sarebbero ancora quelli che pescano per Satana?» chiede Giacomo d’Alfeo.


«Si, fratello mio. In quella parabola l’uomo si lasciò sedurre dal molto denaro che poteva dare<br />

molto godimento, perdendo ogni diritto al Tesoro del Regno. Ma in verità vi dico che su cento<br />

uomini, solo un terzo sa resistere alla tentazione dell’oro o ad altre seduzioni, e di questo terzo solo<br />

la metà sa farlo in maniera eroica. <strong>Il</strong> mondo muore asfissiato per aggravarsi volontariamente dei<br />

lacci del peccato. Vale meglio essere spogli di tutto anziché avere ricchezze irrisorie e illusorie.<br />

Sappiate fare come i saggi gioiellieri, i quali, saputo che in un luogo è stata pescata una perla<br />

rarissima, non si preoccupano di trattenere tante piccole gioie nei loro forzieri, ma di tutto si<br />

liberano per acquistare quella perla meravigliosa».<br />

«Ma allora perché Tu stesso metti delle differenze nelle missioni che dài alle persone che ti<br />

seguono, e dici che noi le missioni le dobbiamo tenere come dono di <strong>Dio</strong>? Allora bisognerebbe<br />

rinunciare anche a queste, perché anche queste sono briciole rispetto al Regno dei Cieli» dice<br />

Bartolomeo.<br />

«Non briciole: mezzi sono. Briciole sarebbero, meglio ancora, sarebbero festuche di paglia sudicia,<br />

se divenissero scopo umano nella vita. Quelli che armeggiano per avere un posto a scopo di utile<br />

umano fanno di quel posto, anche se santo, una festuca di paglia sudicia. Ma fatene una ubbidiente<br />

accettazione, un gioioso dovere, un totale olocausto, e ne farete una perla rarissima. La missione è<br />

un olocausto, se compiuta senza riserva, è un martirio, è una gloria. Gronda lacrime, sudore,<br />

sangue. Ma forma corona di eterna regalità».<br />

9 «Tu sai proprio rispondere a tutto!».<br />

«Ma mi avete capito? Comprendete ciò che <strong>Io</strong> dico con paragoni trovati dalle cose di ogni giorno,<br />

illuminate però da una luce soprannaturale che ne fa spiegazione a cose eterne?».<br />

«Sì , Maestro».<br />

«Ricordatevi allora il metodo per istruire le turbe. Perché questo è uno dei segreti degli scribi e dei<br />

rabbi: ricordare. In verità vi dico che ognuno di voi, istruito nella sapienza di possedere il Regno dei<br />

Cieli, è simile ad un padre di famiglia che trae fuori del suo tesoro ciò che serve alla famiglia,<br />

usando cose antiche o cose nuove, ma tutte per l’unico scopo di procurare il benessere ai propri<br />

figli. L’acqua è cessata. Lasciamo in pace le donne e andiamo dal vecchio Tobia che sta per aprire i<br />

suoi occhi spirituali sulle albe dell’al di là. La pace a voi, donne».<br />

240. A Betsaida da Porfirea e Marziam, che insegna alla Maddalena la<br />

preghiera di Gesù.<br />

1 agosto 1945<br />

1 È tornato il sereno sul mare di Galilea. Tutto anzi è più bello di prima della tempesta perché si è<br />

ripulito dalla polvere. L’atmosfera è di un nitore assoluto e l’occhio, guardando il firmamento, ha<br />

l’impressione che si sia alzato, fatto più leggero… un velario quasi trasparente steso fra la terra e i<br />

fulgori del Paradiso. <strong>Il</strong> lago rispecchia questo azzurro perfetto e ride quieto con le sue acque di<br />

turchese.<br />

È un inizio d’aurora. Gesù con Maria, Marta e Maddalena, sale sulla barca di Pietro. Con Lui sono,<br />

oltre che Pietro e Andrea, anche lo Zelote, Filippo, Bartolomeo. Matteo, Tommaso, i cugini di Gesù,<br />

l’Iscariota, sono invece nell’altra barca di Giacomo e Giovanni. Puntano diritti verso Betsaida. Un<br />

breve tragitto che il vento favorisce. <strong>Il</strong> percorso è fatto in pochi minuti.<br />

Quando stanno per giungere, Gesù dice a Bartolomeo e all’inseparabile Filippo: «Andrete ad<br />

avvisare le vostre donne. Oggi verrò in casa vostra». E fissa i due in maniera eloquente.<br />

«Sarà fatto, Maestro. Non concedi né a me né a Filippo di averti?».<br />

«Non ci tratteniamo che fino al tramonto e non voglio privare Simon Pietro della gioia di godersi<br />

Marziam».<br />

La barca striscia sulla riva e si ferma. Scendono, e Filippo e Bartolomeo si staccano dai compagni<br />

per andare in paese.<br />

«Dove vanno quei due?» chiede Pietro al Maestro, che è sceso per primo ed è al suo fianco.


«Ad avvisare le loro donne».<br />

«Vado anche io ad avvisare Porfirea, allora».<br />

«Non occorre. Porfirea è tanto buona che non occorre prepararla a nulla. <strong>Il</strong> suo cuore non sa che<br />

dare dolcezza».<br />

Simon Pietro splende sentendo la lode della sua sposa e non dice altro.<br />

Sono intanto scese le donne, per le quali è stata messa una tavola a fare da barcarizzo, e vanno a<br />

casa di Simone.<br />

2 Li vede per primo Marziam, che sta uscendo con le sue pecorelle per portarle a brucare l’erba<br />

fresca sulle prime pendici di Betsaida, e con uno strillo di gioia dà l’annuncio, correndo a rifugiarsi<br />

sul petto di Gesù che si è curvato per baciarlo. Poi va da Pietro. Accorre, con le mani infarinate<br />

Porfirea, e si curva nel saluto.<br />

«Pace a te, Porfirea. Non ci attendevi tanto presto, non è vero? Ma ti ho voluto portare mia Madre e<br />

due discepole, oltre che la mia benedizione. Mia Madre desiderava rivedere il bambino… Eccolo là<br />

tra le sue braccia. E le discepole desideravano conoscerti… Questa è la moglie di Simone. La<br />

discepola buona e silenziosa, attiva nella sua ubbidienza più di molti altri. Queste sono Marta e<br />

Maria di Betania. Due sorelle. Vogliatevi bene».<br />

«Quelli che Tu mi conduci mi sono più cari del sangue mio, Maestro. Vieni. La mia casa si fa più<br />

bella ogni volta che Tu vi metti piede».<br />

Maria si avvicina sorridente e abbraccia Porfirea dicendole: «Vedo che in te è veramente viva la<br />

madre. <strong>Il</strong> bambino ha già prosperato ed è felice. Grazie».<br />

«Oh! Donna più di ogni altra benedetta! So che per te io ho avuto la gioia di essere chiamata<br />

mamma. E tu sappi che non ti darò il dolore di non esserlo con tutto il migliore che è in me. Entra,<br />

entra con le sorelle…».<br />

3 Marziam guarda curiosamente la Maddalena. Tutto un lavoro di pensieri si forma nella sua testa.<br />

Infine dice: «Però… a Betania tu non c’eri…».<br />

«Non c’ero. Ma ora ci sarò sempre» dice la Maddalena con un rossore e un accenno di sorriso. E<br />

carezza il bambino dicendo: «Anche se ci conosciamo solo ora, mi vuoi bene?».<br />

«Sì, perché sei buona. Hai pianto, non è vero? È per quello che sei buona. E ti chiami Maria, non è<br />

vero? Anche la mia mamma si chiamava così ed era buona. Tutte le donne che si chiamano Maria<br />

sono buone. Però» termina per non addolorare Porfirea e Marta, «però ce ne sono di buone anche in<br />

quelle di un altro nome. Tua mamma come si chiamava?».<br />

«Eucheria… ed era tanto buona» e due lacrimoni cadono dagli occhi di Maria di Magdala.<br />

«Piangi perché è morta?» chiede il bambino e l’accarezza sulle bellissime mani incrociate sulla<br />

veste scura, certo una di Marta adattata a lei perché mostra l’orlo abbassato. E aggiunge: «Ma non<br />

devi piangere. Non siamo soli, sai? Le nostre mamme ci sono sempre vicine. Lo dice Gesù. E sono<br />

come angeli custodi. Anche questo lo dice Gesù. E se si è buoni ci vengono incontro quando si<br />

muore, e si sale a <strong>Dio</strong> in braccio alla mamma. Ma è vero, sai? Lo ha detto Lui!».<br />

Maria di Magdala abbraccia stretto il piccolo confortatore e lo bacia dicendo: «Prega allora che io<br />

diventi buona così».<br />

«Ma non lo sei? Con Gesù vanno solo quelli buoni… E se non lo sei del tutto lo si diventa, per poter<br />

essere i discepoli di Gesù, perché non si può insegnare se non si sa. Non si può dire: “Perdona”, se<br />

prima non perdoniamo noi. Non si può dire: “Devi amare il tuo prossimo” se prima non lo si ama<br />

noi. 4 La sai la preghiera di Gesù?».<br />

«No».<br />

«Ah! già! sei da poco con Lui. È tanto bella, sai? Dice tutte queste cose. Senti come è bella». E<br />

Marziam dice lentamente il «Pater noster», con sentimento e fede.<br />

«Come la sai bene!» dice ammirata Maria di Magdala.<br />

«Me l’hanno insegnata la mia mamma di notte e la Mamma di Gesù di giorno. Ma se vuoi te la<br />

insegno. Vuoi venire con me? Le pecorelle belano. Hanno fame. Ora le porto al pascolo. Vieni con<br />

me. Ti insegnerò a pregare e diventerai buona del tutto».e le prende la mano.<br />

«Non so se il Maestro vuole…».<br />

«Vai, vai, Maria. Hai un innocente per amico e degli agnellini… Vai pure. Serenamente…».


Maria di Magdala esce col bambino e la si vede allontanare preceduta dalle tre pecorelle. Gesù<br />

guarda… e guardano gli altri.<br />

«Povera sorella mia!» dice Marta.<br />

«Non la compassionare. È un fiore che raddrizza lo stelo dopo l’uragano. Senti?… Ride…<br />

L’innocenza conforta sempre».<br />

Maria Valtorta<br />

L'Evangelo come mi è stato rivelato<br />

Indice del Volume Quinto * = in linea<br />

296. L’arrivo ad Aera sotto la pioggia e la guarigione dei malati in attesa.<br />

297. Con il discorso ad Aera termina il secondo grande viaggio apostolico.<br />

298. <strong>Il</strong> soccorso agli orfanelli Maria a Mattia e gli insegnamenti che ne<br />

derivano.<br />

299. L’affidamento degli orfanelli Maria a Mattia a Giovanna di Cusa.<br />

300. Con scribi a farisei in casa del risuscitato di Naim.<br />

301. Parabola delle fronti detronizzate e spiegazione della parabola<br />

sull’impurità.<br />

302. A Magdala, prima di mandare tutti in famiglia per le Encenie.<br />

303. Gesù dalla Madre a Nazareth.<br />

304. Con Giovanni di Endor, Sintica a Marziam. Maria è Madre e Maestra.<br />

305. Gesù conforta Marziam con la parabola degli uccellini.<br />

306. Anche Simone Zelote è a Nazareth. Lezione sui danni dell’ozio.<br />

307. Nella casa di Nazareth si discute delle colpe dei nazareni.<br />

Lezione sulla tendenza al peccato malgrado la Redenzione.<br />

308. Guarigione del figlio di Simone d’Alfeo.<br />

Marziam è il primo dei bambini discepoli.<br />

309. Sacrificio di Marziam per la guarigione di una bambina.<br />

Ravvedimento di Simone d’Alfeo.<br />

310. Con Pietro, a Nazareth, Gesù organizza la partenza di Giovanni di Endor e<br />

Sintica.<br />

311. La rinuncia di Marziam provoca una lezione sui sacrifici fatti per amore.<br />

312. Gesù comunica a Giovanni di Endor la decisione di mandarlo ad Antiochia.<br />

Fine del secondo anno.<br />

TERZO ANNO DELLA VITA PUBBLICA DI GESÙ<br />

313. Preparativi di partenza da Nazareth dopo la visita di Simone d’Alfeo con<br />

la famiglia. Nel terzo anno Gesù sarà il Giusto.<br />

314. La cena nella casa di Nazareth e la dolorosa partenza.<br />

315. <strong>Il</strong> viaggio verso Jiftael e le riflessioni di Giovanni di Endor.<br />

316. L’addio di Gesù a Giovanni di Endor e a Sintica.<br />

317. La preghiera di Gesù per la salvezza di Giuda Iscariota.<br />

318. In barca da Tolemaide a Tiro.


319. Partenza da Tiro sulla nave del cretese Nicomede.<br />

320. Prodigi sulla nave nel mare in tempesta.<br />

321. Sbarco a Seleucia a commiato da Nicomede.<br />

322. Partenza da Seleucia su un carro a arrivo ad Antiochia.<br />

323. La visita ad Antigonio.<br />

324. I discorsi degli otto apostoli prima di ripartire da Antiochia. L’addio a<br />

Giovanni di Endor e a Sintica.<br />

325. Gli otto apostoli si riuniscono a Gesù presso Aczib.<br />

326. Una sosta ad Aczib.<br />

327. Ai confini della Fenicia. Discorso sulla uguaglianza dei popoli a parabola<br />

del lievito.<br />

328. Ad Alessandroscene, dai fratelli di Ermione.<br />

329. Al mercato di Alessandroscene. La parabola degli operai della vigna.<br />

330. Giacomo a Giovanni “figli del tuono”. Verso Aczib con il pastore Anna.<br />

331. La fede della donna cananea a altre conquiste. Arrivo ad Aczib.<br />

332. La sofferta separazione di Bartolomeo, che con Filippo si ricongiunge al<br />

Maestro.<br />

333. Con dieci apostoli verso Sicaminon.<br />

334. Anche Tommaso e Giuda Iscariota si riuniscono al gruppo apostolico.<br />

335. La falsa amicizia di Ismael ben Fabi e l’idropico guarito in giorno di<br />

sabato.<br />

336. A Nazareth con quattro apostoli. L’amore di Tommaso per Maria Ss.<br />

337. <strong>Il</strong> sabato a Corozim.<br />

Parabola sui cuori inlavorabili e guarigione di una donna curva.<br />

338. Giuda Iscariota perde il potere del miracolo. La parabola del<br />

coltivatore.<br />

339. La notte peccaminosa di Giuda Iscariota.<br />

340. Ravvedimento di Giuda Iscariota e scontro con i rabbi al sepolcro di<br />

Hillele.<br />

341. La mano ferita di Gesù. Guarigione di un sordomuto ai confini sirofenici.<br />

342. A Cédès. <strong>Il</strong> segno chiesto dai farisei e la profezia di Abacuc.<br />

343. <strong>Il</strong> lievito dei farisei. <strong>Il</strong> Figlio dell’uomo. <strong>Il</strong> primato a Simon Pietro.<br />

344. Incontro con i discepoli a Cesarea di Filippo e spiegazione del segno di<br />

Giona.<br />

345. Miracolo al castello di Cesarea Paneade.<br />

346. Primo annuncio della Passione e il rimprovero a Simon Pietro.<br />

347. A Betsaida. Profezia sul martirio degli apostoli e guarigione di un<br />

cieco.<br />

348. Mannaen riferisce su Erode Antipa e da Cafarnao va con Gesù a Nazareth.<br />

Svelate le trasfigurazioni della Vergine.<br />

349. La Trasfigurazione sul monte Tabor e l’epilettico guarito ai piedi del<br />

monte. Un commento per i prediletti.<br />

350. Lezione ai discepoli sul potere di vincere i demoni. *<br />

351. <strong>Il</strong> tributo al Tempio pagato con la moneta trovata in bocca al pesce.<br />

352. Un convertito da Maria di Magdala. Parabola per il piccolo Beniamino<br />

e lezione su chi è grande nel regno dei Cieli.<br />

353. La seconda moltiplicazione dei pani e il miracolo della moltiplicazione<br />

della Parola.


354. <strong>Il</strong> discorso sul Pane del Cielo nella sinagoga di Cafarnao.<br />

355. <strong>Il</strong> nuovo discepolo Nicolai di Antiochia e il secondo annuncio della<br />

Passione.<br />

356. Verso Gadara. Le eresie di Giuda Iscariota e le rinunce di Giovanni che<br />

vuole solo amare.<br />

357. Giovanni a le colpe di Giuda Iscariota. I farisei e la questione del<br />

divorzio.<br />

358. A Pella. <strong>Il</strong> giovinetto Jaia e la madre di Marco di Giosia.<br />

359. Nella capanna di Mattia presso Jabes Galaad.<br />

360. <strong>Il</strong> malumore degli apostoli a il riposo in una grotta.<br />

L’incontro con Rosa di Gerico.<br />

361. I due innesti che trasformeranno gli apostoli. Maria di Magdala avverte<br />

Gesù di un pericolo. Miracolo sul fiume Giordano in piena.<br />

362. La missione delle “voci” nella Chiesa futura.<br />

L’incontro con la Madre e con le discepole.<br />

363. A Rama, in casa della sorella di Tommaso.<br />

Discorso sulla salvezza e apostrofe a Gerusalemme. *


351. <strong>Il</strong> tributo al Tempio pagato con la moneta trovata in bocca al pesce.<br />

5 dicembre 1945.<br />

1Le due barche prese per tornare a Cafarnao scivolano su un lago inverosimilmente quieto, un vero<br />

lastrone di cristallo celeste che si ricompone subito nella sua liscia unità non appena le due barche<br />

sono passate. Non sono però le barche di Pietro e di Giacomo, ma due altre prese a nolo a Tiberiade,<br />

forse. E sento che Giuda un poco si lamenta per essere rimasto senza denaro dopo quest’ultima spesa.<br />

«Agli altri si è pensato. Ma a noi? Come faremo adesso? Speravo che Cusa... Ma niente. Siamo<br />

nelle condizioni di un mendico, uno dei tanti che ora si mettono sulle strade per questuare ai pellegrini»<br />

brontola sottovoce con Tommaso.<br />

Ma questo, bonario, risponde: «Che c’è di male se così è? <strong>Io</strong> non mi preoccupo per niente».<br />

«Già! Ma però all’ora del cibo sei quello che vuoi mangiare più di tutti».<br />

«Sicuro! Ho fame. Sono gagliardo anche in quella. Ebbene, oggi invece di chiedere a chi ministra pane<br />

e pietanza, lo chiederò direttamente a <strong>Dio</strong>».<br />

«Oggi! Oggi! Ma domani saremo nelle stesse condizioni, e dopo domani lo stesso, e andiamo verso la<br />

Decapoli dove siamo sconosciuti, e là sono mezzo pagani. E non c’è solo il pane, ma anche i sandali<br />

che si sciupano, e i poveri che ti annoiano, e ci si potrebbe sentire male e...».<br />

«E se vai avanti ancora, fra poco mi avrai fatto morto e avrai anche da pensare a un funerale. Oh!<br />

quanti pensieri! <strong>Io</strong>... non ne ho proprio nessuno. Sono allegro, tranquillo come uno appena nato».<br />

Gesù, che pareva assorto nei suoi pensieri, seduto a prua, proprio quasi sul bordo, si volge e dice<br />

forte a Giuda che è a poppa, ma lo dice come se parlasse a tutti: «Che si sia senza uno spicciolo è<br />

molto bene. Brillerà di più la paternità di <strong>Dio</strong> anche nelle cose più umili».<br />

«Da un po’ di giorni per Te è tutto bene. Bene che non avvenga miracolo, bene che non si abbiano<br />

offerte, bene avere dato tutto quello che avevamo, tutto è bene, insomma... Ma io mi ci trovo molto a<br />

disagio... Sei un caro Maestro, un santo Maestro, ma per la vita materiale... non vali nulla» dice senza<br />

acredine Giuda, come facesse osservazione ad un fratello buono, della cui bontà improvvida anche si<br />

gloria.<br />

E Gesù, sorridendo, gli risponde: «È il mio pregio migliore essere un uomo che valgo un nulla per la<br />

vita materiale... E ripeto: molto bene essere senza uno spicciolo», e sorride luminosamente.<br />

2La barca strofina sul greto, si ferma. Ne scendono mentre l’altra barca si accosta per fermarsi. Gesù,<br />

con Giuda, Tommaso, Giuda e Giacomo, Filippo e Bartolomeo, si avvia alla casa…<br />

Pietro sbarca dalla seconda con Matteo, i figli di Zebedeo, Simone Zelote e Andrea. Ma mentre tutti si<br />

avviano, Pietro resta sulla riva a parlare coi barcaioli che li hanno condotti e che forse conosce, e poi li<br />

aiuta a partire di nuovo. Indi si riveste della veste lunga e rimonta la spiaggia per andare verso casa.<br />

3Mentre traversa la piazza del mercato, gli vengono incontro due e lo fermano dicendo: «Ascolta, Simone<br />

di Giona».<br />

«Ascolto. Che volete?».<br />

«<strong>Il</strong> tuo Maestro, solo perché è tale, le paga o non le paga le due dramme dovute al Tempio?».<br />

«Certo che le paga! Perché non lo dovrebbe fare?».<br />

«Ma... perché si dice il Figlio di <strong>Dio</strong> e...».<br />

«E lo è» ribatte reciso Pietro, già rosso di sdegno. E termina: «Però, siccome è anche un figlio della<br />

Legge, e il migliore che la Legge abbia, paga come ogni israelita le sue dramme...».<br />

«Non ci risulta. Ci hanno detto che non lo fa e lo consigliamo a farlo».<br />

«Um-m-m» mugola Pietro, che ha già la pazienza prossima ad esaurirsi. «Um-m-m... Non ha bisogno<br />

dei vostri consigli il mio Maestro. Andate in pace e dite a chi vi manda che le dramme saranno pagate<br />

alla prima occasione».<br />

«Pagate alla prima occasione!... Perché non subito? Chi ci assicura che lo farà, se Egli è sempre qua e<br />

là senza mèta?».<br />

«Non subito perché al momento non possiede un briciolo di quattrino. Potreste capovolgerlo e non ne<br />

cascherebbe uno spicciolo. Siamo tutti senza un denaro, perché noi, che non siamo farisei, che non<br />

siamo scribi, che non siamo sadducei, che non siamo ricchi, che non siamo spie, che non siamo aspidi,<br />

usiamo dare ciò che abbiamo ai poveri, per sua dottrina. Capito? E ora abbiamo dato tutto e, finché non


ci pensa l’Altissimo, possiamo morire di fame o metterci a questuare sull’angolo della via. Dite anche<br />

questo a quelli che dicono che Lui è un crapulone. Addio!», e li pianta in asso, andandosene<br />

borbottando e ardendo di irritazione.<br />

4 Entra in casa e sale nella stanza alta, dove è Gesù che ascolta uno che lo prega di andare in una casa<br />

sul monte dietro Magdala, dove c’è uno che muore.<br />

Gesù congeda l’uomo promettendo di andarvi subito e poi, partito questo, si volge a Pietro, che si è<br />

seduto in un angolo pensieroso, e gli dice: «Che ne dici, Simone? Secondo le regole, i re della terra da chi<br />

ricevono i tributi e il censo? Dai propri figli o dagli estranei?».<br />

Pietro ha un sussulto e dice: «Come sai, Signore, ciò che ti dovevo dire?».<br />

Gesù sorride facendo un atto come dire: «Lascia andare»; poi dice: «Rispondi a ciò che ti chiedo».<br />

«Dagli estranei, Signore».<br />

«Dunque i figli ne sono esenti, come infatti è giusto. Perché un figlio è del sangue e della casa del<br />

padre, e non deve pagare al padre che il tributo di amore e di ubbidienza. Dunque <strong>Io</strong>, Figlio del<br />

Padre, non dovrei pagare tributo al Tempio, che è la casa del Padre. Tu hai risposto bene a coloro.<br />

Ma siccome c’è una differenza fra te e loro, ed è questa: che tu credi che <strong>Io</strong> sono il Figlio di <strong>Dio</strong>,<br />

ed essi e chi li ha mandati non lo credono, così, per non scandalizzarli, pagherò il tributo, e<br />

subito, mentre essi sono ancora sulla piazza a riscuotere».<br />

«E con che, se non abbiamo uno spicciolo?» chiede Giuda, che si è avvicinato con gli altri.<br />

«Vedi se è necessario avere qualche cosa?».<br />

«Ce lo faremo prestare dal padrone di casa» dice Filippo.<br />

Gesù fa cenno con la mano di tacere e dice: «Simone di Giona, va’ sulla riva del mare e getta, più<br />

lontano che puoi, una lenza munita di un amo robusto. E non appena il pesce abbocca tira a te la<br />

lenza. Sarà un grosso pesce. Sulla riva aprigli la bocca, vi troverai dentro uno statere. Prendilo,<br />

raggiungi quei due e paga per Me e per te. Poi porta il pesce. Lo arrostiremo e Tommaso ci farà<br />

carità di un poco di pane. Mangeremo e andremo subito da chi sta per morire. Giacomo e Andrea,<br />

preparate le barche, andremo con esse a Magdala, tornando a sera a piedi per non ostacolare la<br />

pesca a Zebedeo e al cognato di Simone».<br />

6 Pietro se ne va, e lo si vede dopo poco sulla riva montare su una barchetta mezza nell’acqua e<br />

gettare una funicella sottile e forte, munita di un piccolo sasso o piombo verso la fine e terminata nel<br />

filo sottile della lenza vera e propria. Le acque del lago si aprono con spruzzi d’argento quando il<br />

peso si sprofonda in esso, e poi tutto torna quieto mentre le acque si placano dopo un lontanarsi<br />

di giri concentrici...<br />

Ma dopo un po’ la funicella, che era molle nelle mani di Pietro, si tende e vibra... Pietro tira, tira,<br />

tira, mentre la corda subisce scosse sempre più energiche. Infine dà uno strattone e la lenza<br />

emerge colla sua preda che volteggia per aria, ad arco sopra la testa del pescatore, e poi si abbatte<br />

sulla rena giallastra, dove si contorce nello spasimo dell’amo che gli fende il palato e dell’asfissia<br />

che incomincia.<br />

È un magnifico pesce, grosso come rombo del peso di almeno tre chili. Pietro gli strappa l’amo dalle<br />

labbra carnose, gli ficca in gola il suo grosso dito e ne estrae una grossa moneta d’argento. La alza<br />

tenendola fra il pollice e l’indice per mostrarla al Maestro, che è al parapetto della terrazza. E poi<br />

raccoglie la funicella, la arrotola, raccoglie il pesce e corre via, verso la piazza.<br />

Gli apostoli sono tutti di stucco... Gesù sorride e dice: «E così avremo levato uno scandalo...».<br />

6 Rientra Pietro: «Stavano per venire qui. E con Eli, il fariseo. Ho cercato di essere gentile come una<br />

fanciulla e li ho chiamati dicendo: “Ehi! messi del Fisco! Prendete. Queste sono quattro dramme,<br />

vero? Due per il Maestro e due per me. E siamo a posto, vero? Arrivederci nella valle di Giosafat,<br />

specie con te, caro amico”. Si sono risentiti perché ho detto “Fisco”. “Siamo del Tempio, non del<br />

Fisco”. “Riscuotete tasse come i gabellieri. Ogni riscuotitore per me è ‘fisco’ ” ho risposto. Ma Eli mi<br />

ha detto: “Insolente! Mi auguri la morte?». “No, amico! Mai più. Ti auguro felice viaggio alla valle di<br />

Giosafat. Non vai per la Pasqua a Gerusalemme? Dunque allora potremo incontrarci per là,<br />

amico”. “Non lo desidero e non voglio che tu ti permetta di dirmi tuo amico”. “Infatti è troppo<br />

onore” ho risposto. E sono venuto via. <strong>Il</strong> bello è che c’era mezza Cafarnao, che ha visto che ho<br />

pagato per Te e per me. E quel vecchio serpente non potrà più dire nulla».


Gli apostoli hanno dovuto ridere tutti per il racconto e la mimica di Pietro. Gesù vuole stare serio. Ma<br />

un lieve sorriso scappa tuttavia dalle sue labbra mentre dice: «Sei peggio della senape», e termina:<br />

«Cuocete il pesce e facciamo presto. Al tramonto voglio essere qui di nuovo».<br />

87. Un convertito da Maria di Magdala. Parabola per il piccolo Beniamino e<br />

lezione su chi è grande nel regno dei Cieli.<br />

6 dicembre 1945.<br />

1 E proprio mentre si incendiano cielo e lago per i fuochi del tramonto, essi ritornano verso Cafarnao.<br />

Sono contenti. Parlano fra di loro. Gesù parla poco, ma sorride. Notano che, se il messaggero fosse<br />

stato più preciso, avrebbero potuto risparmiare della strada. Ma però, anche, dicono che la fatica è<br />

valsa, perché un gruppo di piccoli figli ha avuto il padre guarito quando già raffreddava per la morte<br />

vicina, e anche perché non sono più senza un minimo di denaro.<br />

«Ve lo avevo detto che il Padre avrebbe provveduto a tutto» dice Gesù.<br />

«Ed è un antico amante di Maria di Magdala?» chiede Filippo.<br />

«Pare... A quello che ci hanno detto...» risponde Tommaso.<br />

«A Te, Signore, che disse l’uomo?» chiede Giuda d’Alfeo.<br />

Gesù sorride evasivamente.<br />

«<strong>Io</strong> l’ho visto più di una volta con lei quando andavo a Tiberiade con amici. Questo è certo» asserisce<br />

Matteo.<br />

«Su, fratello, accontentaci... L’uomo ti chiese solo di guarire o di essere perdonato anche?» chiede<br />

Giacomo di Alfeo.<br />

«Che domanda senza ragione! Quando mai il Signore non esige pentimento per concedere grazia?»<br />

dice l’Iscariota con alquanto sdegno per Giacomo d’Alfeo.<br />

«Mio fratello non ha detto una stoltezza. Gesù guarisce o libera e poi dice: “Va’ e non più peccare”» gli<br />

risponde il Taddeo.<br />

«Ma perché vede già il pentimento nei cuori» ribatte l’Iscariota.<br />

«Negli indemoniati non c’è pentimento né volontà di essere liberati. Non uno lo ha dimostrato tutto ciò.<br />

Ricordati ogni caso e vedrai che o fuggivano o si avventavano nemici o, quanto meno, tentavano l’una o<br />

l’altra cosa, e non vi riuscivano solo perché impediti a compierla dai parenti» replica il Taddeo.<br />

«E dal potere di Gesù» aumenta lo Zelote.<br />

«Ma allora Gesù tiene conto del volere dei parenti che rappresentano il volere dell’indemoniato, il quale,<br />

se non fosse impedito dal demonio, vorrebbe liberazione».<br />

«Oh! quante sottigliezze! E per i peccatori allora? Mi pare che usi la stessa formula, anche se non<br />

sono indemoniati» dice Giacomo di Zebedeo.<br />

«A me ha detto: “Seguimi”, e non gli avevo ancora detto una parola io, in merito al mio stato» osserva<br />

Matteo.<br />

«Ma te la vedeva in cuore» dice l’Iscariota, che vuole avere sempre ragione, ad ogni costo.<br />

2 E va bene! Ma quell’uomo, a voce di popolo grande libidinoso e grande peccatore, e non indemoniato, o<br />

meglio non posseduto - perché un demonio, coi suoi peccati, lo doveva avere a maestro se non a<br />

possessore - moribondo, e così via, cosa ha chiesto insomma? Stiamo andando a passeggio fra le<br />

nubi, mi pare... Stiamo alla prima domanda» dice Pietro.<br />

Gesù lo accontenta: «Quell’uomo ha voluto essere solo con Me per potere parlare con libertà. Non ha<br />

esposto subito il suo stato di salute... ma quello dello spirito suo. Ha detto: “Sono morente, ma non<br />

ancora come ho fatto credere per poterti avere con sollecitudine. Ho bisogno del tuo perdono per<br />

guarire. Ma mi basta questo. Se guarire non mi farai, mi rassegnerò. L’ho meritato. Ma fa’ salva<br />

l’anima mia”, e mi ha confessato le sue molte colpe. Una nauseante catena di colpe...». Gesù dice<br />

così, ma il suo viso splende di gioia.<br />

«E Tu ne sorridi, Maestro? Mi fa specie!» osserva Bartolomeo.<br />

«Sì, Bartolmai. Ne sorrido perché esse non sono più, e perché con le colpe ho saputo il nome della


edentrice. L’apostolo fu una donna in questo caso».<br />

«Tua Madre!» dicono in molti.<br />

E altri: «Giovanna di Cusa! Se lui andava a Tiberiade sovente, forse la conosce».<br />

Gesù scrolla il capo.<br />

Gli chiedono: «Chi allora?».<br />

«Maria di Lazzaro» risponde Gesù.<br />

«È venuta qui? Perché non si è fatta vedere da nessuno di noi?».<br />

«Non è venuta. Ha scritto al suo antico compagno di colpa. Ho letto le lettere. Supplicano tutte la<br />

stessa cosa: di ascoltarla, di redimersi come lei si è redenta, di seguirla nel bene come l’aveva seguita<br />

nella colpa, e con parole di lacrime lo pregano di alleggerire l’anima di Maria dal rimorso di avere<br />

sedotto la sua anima. E lo ha convertito. Tanto che si era isolato nella sua campagna per vincere le<br />

tentazioni delle città. La malattia, più di rimorso d’anima che di fisico, ha finito di prepararlo alla<br />

Grazia. Ecco. Siete contenti adesso? Comprendete ora perché sorrido?».<br />

«Sì, Maestro» dicono tutti. E poi, vedendo che Gesù allunga il passo come per isolarsi, si mettono a<br />

bisbigliare fra di loro...<br />

3 Sono già alle viste di Cafarnao quando, allo sbocco della via fatta da loro con quella che costeggia il<br />

lago venendo da Magdala, incrociano i discepoli venuti a piedi, evangelizzando da Tiberiade. Tutti<br />

meno Marziam, i pastori e Mannaen, che sono andati da Nazaret verso Gerusalemme con le donne. E<br />

anzi i discepoli sono aumentati per qualche altro elemento che si è unito a loro di ritorno dalla<br />

missione e che porta seco nuovi proseliti della dottrina cristiana.<br />

Gesù li saluta dolcemente, ma subito si torna ad isolare in una meditazione ed orazione profonda,<br />

avanti di qualche passo da loro.<br />

Gli apostoli invece si imbrancano con i discepoli, specie coi più influenti, ossia Stefano, Erma, il<br />

sacerdote Giovanni, Giovanni lo scriba, Timoneo, Giuseppe di Emmaus, Ermasteo (che da quel che<br />

capisco vola sulla via della perfezione), Abele di Betlemme di Galilea, la cui madre è in fondo alla<br />

turba con altre donne. E discepoli e apostoli si scambiano domande e risposte su quanto è avvenuto<br />

da quando si sono lasciati. Così viene raccontato della guarigione e conversione di oggi, e del miracolo<br />

dello statere nella bocca del pesce... Questo, per le cause che lo hanno originato, suscita un grande<br />

parlare che si propaga da fila a fila come un fuoco appiccato a paglie asciutte...<br />

4 Dice Gesù: «Qui metterete la visione del 7 marzo 1944: “<strong>Il</strong> piccolo Beniamino di Cafarnao”, senza il<br />

commento. E proseguirete con il resto della lezione e della visione. Va’ avanti».<br />

Premetto di omettere l’ultima frase: «La visione mi cessa qui ecc.». Sarebbe fuori luogo ora che la<br />

visione prosegue.<br />

7 marzo 1944.<br />

5 Vedo Gesù che cammina per una strada di campagna, seguito e contornato dai suoi apostoli e discepoli.<br />

<strong>Il</strong> lago di Galilea traluce poco lontano tutto quieto e azzurro sotto un bel sole o di primavera o di<br />

autunno, perché non è un sole violento come quello estivo. Ma direi che è primavera, perché la natura è<br />

molto fresca, senza quei toni dorati e stanchi che si vedono in autunno.<br />

Sembra che, data la sera che si avvicina, Gesù si ritiri nella casa ospitale e si diriga perciò al paese che<br />

si vede già apparire. Gesù, come fa sovente, è qualche passo più avanti dei discepoli. Due o tre, non di<br />

più, ma tanto da poter isolarsi nei suoi pensieri, bisognoso di Silenzio dopo una giornata di<br />

evangelizzazione. Cammina assorto, tenendo nella mano destra un rametto verde, certo colto a<br />

qualche cespuglio, col quale frusta leggermente, soprappensiero, le erbe della proda.<br />

Dietro di Lui i discepoli parlano invece animatamente. Rievocano gli episodi della giornata e non<br />

hanno la mano troppo leggera per pesare i difetti altrui e le altrui cattiverie. Tutti più o meno<br />

criticano il fatto che quelli della riscossione del tributo al Tempio abbiano voluto essere pagati da<br />

Gesù.<br />

Pietro, sempre veemente, definisce ciò un sacrilegio, perché il Messia non è tenuto a pagare il<br />

tributo: «Questo è come volere che <strong>Dio</strong> paghi a Se stesso» dice. «E ciò non è giusto. Se poi<br />

credono che Egli non sia il Messia diventa un sacrilegio».


Gesù si volta un momento e dice: «Simone, Simone, ce ne saranno tanti che dubiteranno di Me!<br />

Anche fra chi crede di esser sicuro e incrollabile nella fede in Me. Non giudicare i fratelli, Simone.<br />

Giudica sempre per primo te stesso».<br />

Giuda, con un sorrisetto ironico, dice all’umiliato Pietro che ha curvato il capo: «Questa è per te.<br />

Perché sei il più anziano vuoi sempre fare il dottore. Non è detto che si vada giudicati nel<br />

merito per età. Fra noi vi è chi ti supera per sapere e per potere sociale».<br />

Si accende una discussione sui rispettivi meriti. E chi vanta d’esser fra i primi discepoli, e chi<br />

appoggia la sua tesi di preferenza al posto influente lasciato per seguire Gesù, e chi dice che<br />

nessuno come lui ha dei diritti perché nessuno come lui ha convertito tanto se stesso passando da<br />

pubblicano a discepolo. La discussione va per le lunghe e, se non temessi di offendere gli<br />

apostoli, direi che assume il tono di una vera lite.<br />

Gesù se ne astrae. Pare non udire più nulla. Intanto si è giunti alle prime case del paese, che<br />

so essere Cafarnao. Gesù prosegue, e gli altri dietro, sempre discutendo.<br />

6 Un bimbetto di un sette, otto anni, corre saltellando dietro a Gesù. Lo raggiunge sorpassando il<br />

gruppo vociferante degli apostoli. È un bel bambino dai capelli castano scuro tutti ricciuti, corti.<br />

Ha due occhietti neri, intelligenti nel visetto bruno. Chiama confidenzialmente il Maestro come lo<br />

conoscesse bene. «Gesù» dice, «mi lasci venire con Te fino a casa tua?».<br />

«La mamma lo sa?» chiede Gesù, guardandolo con un sorriso buono.<br />

«Lo sa».<br />

«In verità?». Gesù, pur sorridendo, guarda con sguardo penetrante.<br />

«Sì, Gesù, in verità».<br />

«Allora vieni».<br />

<strong>Il</strong> bambino fa un salto di gioia e afferra la mano sinistra di Gesù che glie la porge. Con che<br />

amorosa fiducia il bambino mette la sua manina bruna nella lunga mano del mio Gesù! Vorrei fare<br />

altrettanto anche io!<br />

«Raccontami una bella parabola, Gesù» dice il bambino saltellando al fianco del Maestro e<br />

guardandolo da sotto in su con un visetto splendente di gioia.<br />

Anche Gesù lo guarda con un allegro sorriso che gli schiude la bocca ombreggiata di baffi e dalla<br />

barba biondo-rossa, che il sole accende come fosse d’oro. Gli occhi di zaffiro scuro gli ridono di gioia<br />

mentre guarda il bambino.<br />

«Cosa te ne fai della parabola? Non è un giuoco».<br />

«È più bella di un giuoco. Quando vado a dormire me la penso e poi me la sogno e domani me la<br />

ricordo e me la ridico per esser buono. Mi fa esser buono».<br />

«Te la ricordi?».<br />

«Sì. Vuoi che ti dica tutte quelle che mi hai dette?».<br />

«Sei bravo, Beniamino, più degli uomini, che dimenticano. In premio ti dirò la parabola».<br />

<strong>Il</strong> bambino non salta più. Cammina serio e composto come un adulto e non perde una parola, non<br />

un’inflessione di Gesù, che guarda attentamente, senza più occuparsi neppure di dove mette i piedi.<br />

7 «Un pastore molto buono, venuto a conoscenza che in un luogo del creato erano molte pecore<br />

abbandonate da pastori poco buoni, le quali pericolavano su vie perverse e in pascoli nocivi e<br />

andavano sempre più verso burroni privi di luce, venne in quel posto e, sacrificando tutto il suo<br />

avere, acquistò quelle pecore e quegli agnelli. Voleva portarli nel suo regno, perché quel pastore era<br />

anche re come lo sono stati tanti re in Israele. Nel suo regno quelle pecore e quegli agnelli<br />

avrebbero trovato pascoli sani, fresche e pure acque, vie sicure e ripari inabbattibili contro i ladroni<br />

e i lupi feroci. Perciò quel pastore radunò le sue pecore e i suoi agnelli e disse loro: “Sono venuto a<br />

salvarvi, a portarvi dove non soffrirete più, dove non conoscerete più insidie e dolore. Amatemi,<br />

seguitemi perché io vi amo tanto e per avervi mi sono sacrificato in tutti i modi. Ma se mi amerete,<br />

il mio sacrificio non mi peserà. Venitemi dietro e andiamo”. E il pastore davanti, dietro le pecore,<br />

presero il cammino verso il regno della gioia. <strong>Il</strong> pastore ogni momento si volgeva per vedere se lo<br />

seguivano, per esortare le stanche, per rincuorare le sfiduciate, per soccorrere le malate, per<br />

carezzare gli agnelli. Come le amava! Dava loro il suo pane e il suo sale e per primo assaggiava<br />

l’acqua delle fonti e la benediva per sentire se era sana e per renderla santa. Ma le pecore - lo


credi, Beniamino? - le pecore dopo qualche tempo si stancarono. Prima una, poi due, poi dieci, poi<br />

cento, rimasero indietro a brucare l’erba fino ad empirsi senza poter più muoversi, e si sdraiarono<br />

stanche e sazie nella polvere e nel fango. Altre si spenzolarono sui precipizi nonostante il pastore<br />

dicesse: “Non lo fate”; talune, poiché egli si metteva dove era maggior pericolo per impedire a loro<br />

di andarvi, lo urtarono col capo protervo e tentarono di precipitarlo più di una volta. Così molte<br />

finirono nei burroni e morirono miseramente. Altre si azzuffarono fra di loro e, incorna e intesta, si<br />

uccisero fra loro. Solo un agnellino non si distrasse mai. Esso correva, belando, e diceva col suo<br />

belato al pastore: “Ti amo”; correva dietro al pastore buono e, quando giunsero alle porte del suo<br />

regno, non erano che loro due: il pastore e l’agnellino fedele. Allora il pastore non disse: “entra”, ma<br />

disse: “vieni”, e lo prese sul petto, fra le braccia, e lo portò dentro chiamando tutti i suoi sudditi e<br />

dicendo loro: “Ecco. Costui mi ama. Voglio che sia meco in eterno. E voi amatelo perché esso è il<br />

prediletto del mio cuore”. 8 La parabola è finita, Beniamino. Ora mi sai dire: chi è quel pastore<br />

buono?».<br />

«Tu sei, Gesù».<br />

«E quell’agnellino chi è?».<br />

«<strong>Io</strong> sono, Gesù».<br />

«Ma ora <strong>Io</strong> andrò via. Tu ti dimenticherai di Me».<br />

«No, Gesù. Non ti dimenticherò perché ti amo».<br />

«L’amore ti cesserà quando non mi vedrai più».<br />

«Dirò dentro di me le parole che Tu mi hai dette e sarà come Tu fossi presente. Ti amerò e ubbidirò<br />

così. E, dimmi, Gesù: Tu ti ricorderai di Beniamino?».<br />

«Sempre».<br />

«Come farai a ricordarti?».<br />

«Mi dirò che tu mi hai promesso d’amarmi e di ubbidirmi e mi ricorderò così di te».<br />

«E mi darai il tuo Regno?».<br />

«Se sarai buono, sì».<br />

«Sarò buono».<br />

«Come farai? La vita è lunga».<br />

«Ma anche le tue parole sono tanto buone. Se io me le dirò e farò quello che esse dicono di fare, mi<br />

conserverò buono per tutta la vita. E lo farò perché ti amo. Quando si vuol bene non è fatica<br />

essere buoni. A me non è fatica ubbidire alla mamma perché le voglio bene. Non mi sarà fatica<br />

essere ubbidiente a Te perché ti voglio bene».<br />

Gesù si è fermato e guarda il visetto acceso dall’amore più che dal sole. La gioia di Gesù è così<br />

viva che pare un altro sole si sia acceso nella sua anima e irraggi dalle pupille. Si china e bacia<br />

sulla fronte il bambino.<br />

9 Si è fermato davanti ad una casetta modesta con un pozzo sul davanti. Gesù va poi a sedersi<br />

presso il pozzo e là lo raggiungono i discepoli, che ancora stanno misurando le rispettive<br />

prerogative.<br />

Gesù li guarda. Poi li chiama: «Venite qui intorno e udite l’ultimo insegnamento della giornata,<br />

voi che vi fate rochi nella celebrazione dei vostri meriti e pensate di aggiudicarvi un posto in base a<br />

quelli. Vedete questo fanciullo? Egli è nella verità più di voi. La sua innocenza gli da la chiave per<br />

aprire le porte del mio Regno. Egli ha compreso, nella sua semplicità di pargolo, che nell’amore è la<br />

forza per divenire grandi e nell’ubbidienza fatta per amore quella per entrare nel mio Regno. Siate<br />

semplici, umili, amorosi di un amore che non è solo dato a Me ma è scambievole fra di voi,<br />

ubbidienti alle mie parole, a tutte, anche a queste, se volete giungere dove entreranno questi innocenti.<br />

Imparate dai piccoli. <strong>Il</strong> Padre rivela loro la verità come non la rivela ai sapienti».<br />

Gesù parla tenendo ritto contro le sue ginocchia Beniamino, al quale tiene le mani sulle spalle. Ora<br />

il volto di Gesù è pieno di maestà. È serio, non corrucciato, ma è serio. Proprio da Maestro.<br />

L’ultimo raggio di sole gli fa un nimbo di raggi sul capo biondo.<br />

La visione mi cessa qui, lasciandomi piena di dolcezza nei miei dolori.<br />

[6 dicembre 1945].


10Dunque: i discepoli non sono potuti entrare nella casa, è naturale. Per numero e per rispetto. Non<br />

lo fanno mai se non sono invitati a farlo, in massa o in particolare, dal Maestro. Noto sempre un<br />

grande rispetto, un grande ritegno, nonostante l’affabilità del Maestro e la sua lunga<br />

dimestichezza. Anche Isacco, che potrei dire il discepolo primo, nel numero dei discepoli, non si<br />

concede mai libertà di andare a Gesù senza che un sorriso, almeno un sorriso del Maestro, non lo<br />

chiami vicino.<br />

Un po’ diverso, no?, dal modo spicciativo e quasi burlesco con cui molti trattano ciò che è<br />

soprannaturale... Questo è un mio commento, e che sento giusto, perché non mi va giù che la<br />

gente abbia con ciò che è al di sopra di noi i modi che non abbiamo per gli uomini pari a noi, solo<br />

che siano un cincino da più di noi... Mah!... E andiamo avanti...<br />

I discepoli, dunque, si sono sparsi sulla riva del lago a comperare pesce per la cena, pane e quanto<br />

occorre. Torna anche Giacomo di Zebedeo e chiama il Maestro, che è seduto sulla terrazza con<br />

Giovanni accoccolato ai suoi piedi in un dolce e abbandonato colloquio... Gesù si alza e si sporge<br />

dal parapetto.<br />

Giacomo dice: «Quanto pesce, Maestro! Mio padre dice che Tu hai benedetto le reti con la tua<br />

venuta. Guarda: questo è per noi», e mostra una cesta di pesce che sembra d’argento.<br />

«<strong>Dio</strong> gli dia grazie per la sua generosità. Preparatelo, ché dopo cena andremo sulla riva coi<br />

discepoli».<br />

E così fanno. <strong>Il</strong> lago è nero nella notte, in attesa della luna che si alza tardi. E più di vederlo lo si<br />

sente borbottare, sciacquettare fra i sassi del greto. Solo le inverosimili stelle dei paesi d’oriente si<br />

specchiano nelle acque tranquille. Si siedono in cerchio intorno ad una barchetta capovolta, sulla<br />

quale si è seduto Gesù. E i piccoli fanali delle barche, portati qui, al centro del circolo, illuminano<br />

appena i volti più vicini. Quello di Gesù è tutto illuminato da sotto in su per un fanaletto messo ai<br />

suoi piedi, e tutti perciò lo possono vedere bene mentre parla a questo e a quello.<br />

11E sul principio è una conversazione alla buona, famigliare. Ma poi assume il tono di una lezione.<br />

Anzi Gesù lo dice apertamente:<br />

«Venite e ascoltate. Fra poco ci separeremo e voglio ammaestrarvi ancora per formarvi meglio.<br />

Oggi <strong>Io</strong> vi ho sentito discutere e non sempre con carità. Ai maggiori fra voi ho già dato la lezione.<br />

Ma voglio darla a voi pure, né farà male a questi, di voi maggiori, se se la sentono ripetere. Ora il<br />

piccolo Beniamino non è qui contro i miei ginocchi. Dorme nel suo letto e sogna i suoi sogni<br />

innocenti. E forse la sua anima candida è qui fra mezzo a noi lo stesso. Ma fate conto che egli, o<br />

qualche altro fanciullo, sia qui, a vostro esempio.<br />

Voi, in cuor vostro, avete tutti un chiodo fìsso, una curiosità, un pericolo. Questo: essere il primo<br />

nel Regno dei Cieli. Questa: sapere chi sarà questo primo. E infine il pericolo: il desiderio ancora<br />

umano di sentirsi rispondere “tu sei il primo nel Regno dei Cieli” dai compagni compiacenti o dal<br />

Maestro, soprattutto dal Maestro del quale sapete la verità e la conoscenza del futuro. Non è forse<br />

così? Le domande tremano sulle vostre labbra e vivono in fondo al cuore.<br />

<strong>Il</strong> Maestro, per vostro bene, aderisce a questa curiosità per quanto Egli abborra di cedere alle<br />

curiosità umane. <strong>Il</strong> vostro Maestro non è un ciarlatano che si interroga per due spiccioli fra i<br />

frastuoni di un mercato. E non è uno preso dallo spirito pitonico il quale gli procura denaro col fargli<br />

fare l’indovino, per aderire alle ristrette menti dell’uomo che vogliono sapere il futuro per<br />

“regolarsi”. L’uomo non si può regolare da sé. <strong>Dio</strong> lo regola se l’uomo ha fede in Lui! E non serve<br />

sapere, o credere di sapere il futuro, se poi non si ha il mezzo per stornare il futuro profetizzato. <strong>Il</strong><br />

mezzo è uno solo: la preghiera al Padre e Signore perché per sua misericordia ci aiuti. In verità vi<br />

dico che la preghiera fidente può mutare un castigo in benedizione. Ma chi ricorre agli uomini per<br />

potere, da uomo e con mezzi da uomo, deviare il futuro, non sa pregare affatto o sa pregare molto<br />

male. <strong>Io</strong>, questa volta, perché questa curiosità può darvi buon insegnamento, rispondo ad essa, <strong>Io</strong><br />

che abborro le domande curiose e irrispettose.<br />

12Voi vi chiedete: “Chi fra noi è il più grande nel Regno dei Cieli?».<br />

<strong>Io</strong> annullo la limitazione del “fra noi” e allargo i confini a tutto il mondo presente e futuro, e<br />

rispondo: “<strong>Il</strong> più grande nel Regno dei Cieli è il minimo fra gli uomini”. Ossia quello che è<br />

considerato “minimo” dagli uomini. <strong>Il</strong> semplice, l’umile, il fiducioso, l’ignaro. Perciò il fanciullo, o


chi sa rifarsi anima di fanciullo. Non è la scienza, non il potere, non la ricchezza, non l’attività, anche<br />

se buona, quelle che vi faranno “il più grande” nel beato Regno. Ma è l’essere come i pargoli per<br />

amorevolezza, umiltà, semplicità, fede.<br />

Osservate come mi amano i fanciulli, e imitateli. Come credono in Me, e imitateli. Come ricordano<br />

ciò che dico, e imitateli. Come fanno ciò che insegno, e imitateli. Come non insuperbiscono di ciò<br />

che fanno, e imitateli. Come non si ingelosiscono di Me e dei compagni, e imitateli. In verità vi<br />

dico che se non mutate il vostro modo di pensare, di agire e di amare, e non ve lo rifate sul<br />

modello dei pargoli, non entrerete nel Regno dei Cieli. Essi sanno ciò che voi sapete, di<br />

essenziale, nella mia dottrina. Ma con quale differenza praticano ciò che insegno! Voi dite per ogni<br />

atto buono che compite: “<strong>Io</strong> ho fatto”. <strong>Il</strong> fanciullo mi dice: “Gesù, mi sono ricordato di Te oggi, e per<br />

Te ho ubbidito, ho amato, ho trattenuto una voglia di rissa... e sono contento perché Tu, io lo so, sai<br />

quando sono buono e ne sei contento”. E ancora osservate i fanciulli quando mancano. Con che<br />

umiltà mi confessano: “Oggi sono stato cattivo. E mi spiace perché ti ho dato dolore”. Non<br />

cercano scuse. Sanno che <strong>Io</strong> so. Credono. Si dolgono per il mio dolore.<br />

Oh! cari al cuor mio, fanciulli in cui non è superbia, doppiezza, lussuria! <strong>Io</strong> ve lo dico: divenite simili<br />

ai fanciulli se volete entrare nel mio Regno. Amate i fanciulli come l’esempio angelico che ancora<br />

potete avere. Ché come angeli dovreste essere. A vostra scusa potreste dire: “Noi non vediamo gli<br />

angeli”. Ma <strong>Dio</strong> vi da i fanciulli per modelli, e quelli li avete fra voi. E se vedete un fanciullo<br />

abbandonato materialmente, o abbandonato moralmente e che può perire, accoglietelo in mio<br />

Nome, perché essi sono i molto amati da <strong>Dio</strong>. E chiunque accoglie un fanciullo in mio Nome<br />

accoglie Me stesso, perché <strong>Io</strong> sono nell’anima dei fanciulli, che è innocente. E chi accoglie Me,<br />

accoglie Colui che mi ha mandato, il Signore altissimo.<br />

13 E guardatevi dallo scandalizzare uno di questi piccoli il cui occhio vede Iddio. Non si deve mai dare<br />

scandalo a nessuno. Ma guai, tre volte guai, chi sfiora il candore ignaro dei fanciulli! Lasciateli<br />

angeli più che potete. Troppo ripugnante è il mondo e la carne per l’anima che viene dai Cieli! E il<br />

fanciullo, per la sua innocenza, è ancora tutt’anima. Abbiate rispetto all’anima del fanciullo e al<br />

suo stesso corpo, come avete rispetto al luogo sacro. Sacro è anche il fanciullo perché ha <strong>Dio</strong> in<br />

sé. In ogni corpo è il tempio dello Spirito. Ma il tempio del fanciullo è il più sacro e profondo, è oltre<br />

il doppio Velo. Non scuotete neppure le tende della sublime ignoranza della concupiscenza col<br />

vento delle vostre passioni.<br />

<strong>Io</strong> vorrei un fanciullo in ogni famiglia, in mezzo ad ogni accolta di persone, perché fosse di freno alle<br />

passioni degli uomini. <strong>Il</strong> fanciullo santifica, dà ristoro e freschezza solo col raggio dei suoi occhi<br />

senza malizia. Ma guai a coloro che levano santità al fanciullo col loro modo di agire scandaloso!<br />

Guai a coloro che con le loro licenze danno malizie ai fanciulli! Guai a coloro che con le loro parole e<br />

ironie ledono la fede in Me dei fanciulli! Sarebbe meglio che a tutti questi si legasse al collo una<br />

pietra da macina e si gettassero in mare perché affogassero col loro scandalo. Guai al mondo per<br />

gli scandali che dà agli innocenti! Perché se è inevitabile che avvengano scandali, guai all’uomo<br />

che per sua causa li provoca.<br />

Nessuno ha il diritto di fare violenza al suo corpo e alla sua vita. Perché vita e corpo ci vengono da<br />

<strong>Dio</strong>, e solo Lui ha diritto di prenderne delle parti o il tutto. Ma però <strong>Io</strong> vi dico che se la vostra<br />

mano vi scandalizza è meglio che la mozziate, che se il vostro piede vi porta a dare scandalo è<br />

bene che voi lo mozziate. Meglio per voi entrare monchi o zoppi nella Vita che essere gettati nel<br />

fuoco eterno con le due mani e i due piedi. E se non basta avere mozzo un piede o una mano, fate<br />

che vi siano mozzati anche l’altra mano o l’altro piede, per non fare più scandalo e per avere tempo<br />

da pentirvi prima di essere lanciati dove il fuoco non si estingue, e rode come un verme in eterno. E<br />

se è il vostro occhio che vi è cagione di scandalo, cavatevelo. È meglio essere orbi di un occhio che<br />

essere nell’inferno con tutti e due. Con un occhio solo, o anche senz’occhi, giunti al Cielo vedreste<br />

la Luce, mentre coi due occhi scandalosi, tenebre e orrore vedreste nell’inferno. E questo solo.<br />

14 Ricordatevi tutto questo. Non disprezzate i piccoli, non scandalizzateli, non derideteli. Sono da<br />

più di voi, perché i loro angeli vedono sempre Iddio che dice loro le verità da rivelare ai fanciulli e a<br />

quelli dal cuor di fanciullo.<br />

E voi come fanciulli amatevi fra di voi. Senza dispute, senza orgogli. State in pace fra voi. Abbiate


spirito di pace con tutti. Fratelli siete, nel nome del Signore, e non nemici. Non ci sono, non ci<br />

devono essere dei nemici per i discepoli di Gesù. L’unico Nemico è Satana. Di quello siate nemici<br />

acerrimi, scendendo in battaglia contro di lui e contro i peccati che portano Satana nei cuori.<br />

Siate instancabili nel combattere il Male quale che sia la forma che assume. E pazienti. Non c’è<br />

limitazione all’operare dell’apostolo, perché non c’è limitazione all’operare del Male. <strong>Il</strong> demonio<br />

non dice mai: “Basta. Ora sono stanco e mi riposo”. Egli è l’instancabile. Passa agile come il<br />

pensiero, e più ancora, da questo a quell’uomo, e tenta e prende, e seduce, e tormenta, e non dà<br />

pace. Assale proditoriamente e abbatte se non si è più che vigilanti. Delle volte si insedia da<br />

conquistatore per debolezza dell’assalito, altre vi entra da amico, perché il modo di vivere della preda<br />

cercata è già tale da essere alleanza col Nemico. Tal’altra, scacciato da uno, gira e piomba sul migliore,<br />

per farsi vendetta dello smacco avuto da <strong>Dio</strong> o da un servo di <strong>Dio</strong>. Ma voi dovete dire ciò che dice lui:<br />

“<strong>Io</strong> non riposo”. Lui non riposa per popolare l’inferno. Voi non dovete riposare per popolare il Paradiso.<br />

Non dategli quartiere. <strong>Io</strong> vi predìco che più lo combatterete più vi farà soffrire. Ma non dovete tenere<br />

conto di ciò. Egli può scorrere la terra. Ma nel Cielo non penetra. Perciò là non vi darà più noia. E là<br />

saranno tutti quelli che lo hanno combattuto...».<br />

15Gesù si interrompe bruscamente e chiede: «Ma insomma, perché date sempre noia a Giovanni? Che<br />

vogliono da te?».<br />

Giovanni si fa rosso come una fiamma e Bartolomeo, Tommaso, l’Iscariota chinano la testa<br />

vedendosi scoperti.<br />

«Ebbene?» chiede con imperio Gesù.<br />

«Maestro, i miei compagni vogliono che io ti dica una cosa».<br />

«Dilla, dunque».<br />

«Oggi, mentre Tu eri da quel malato, e noi giravamo per il paese come Tu avevi detto, abbiamo visto<br />

un uomo, che non è tuo discepolo e che neppure mai abbiamo notato fra quelli che ascoltano la tua<br />

dottrina, il quale cacciava dei demoni in tuo nome da un gruppo di pellegrini che andavano a<br />

Gerusalemme. E ci riusciva. Ha guarito uno che aveva un tremito che gli impediva ogni lavoro, e ha<br />

reso la favella ad una fanciulla che era stata assalita nel bosco da un demonio in forma di cane che le<br />

aveva legato la lingua. Egli diceva: “Vattene, demonio maledetto, in nome del Signore Gesù il Cristo, Re<br />

della stirpe di Davide, Re d’Israele. Egli è il Salvatore e Vincitore. Fuggi davanti al suo Nome!»., e il<br />

demonio fuggiva realmente. Noi ci siamo risentiti. E glielo abbiamo proibito. Ci ha detto: “Che faccio<br />

di male? Onoro il Cristo liberandogli la via dai demoni che non sono degni di vederlo”. Gli abbiamo<br />

risposto: “Non sei esorcista secondo Israele e non sei discepolo secondo Cristo. Non ti è lecito farlo”. Ha<br />

detto: “Fare il bene è sempre lecito”, e si è ribellato alla nostra ingiunzione dicendo: “E continuerò a<br />

fare ciò che faccio”. Ecco, volevano ti dicessi questo, specie ora che Tu hai detto che in Cielo saranno<br />

tutti quelli che hanno combattuto Satana».<br />

16 «Va bene. Quell’uomo sarà di questi. Lo è. Egli aveva ragione e voi torto. Infinite sono le vie del<br />

Signore e non è detto che solo quelli che prendono la via diretta giungano al Cielo. In ogni luogo e in<br />

ogni tempo, e con mille modi diversi, ci saranno creature che verranno a Me, magari da una strada<br />

inizialmente cattiva. Ma <strong>Dio</strong> vedrà la loro retta intenzione e li attirerà alla via buona. Ugualmente vi<br />

saranno alcuni che per ebbrezza concupiscente e triplice usciranno dalla via buona e prenderanno una<br />

via che li allontana o addirittura li dirotta. Non dovete perciò mai giudicare i vostri simili. Solo <strong>Dio</strong><br />

vede. Fate di non uscire voi dalla via buona, dove, più che la vostra volontà, quella di <strong>Dio</strong> vi ci ha messi.<br />

E quando vedete uno che crede nel mio Nome e per esso opera, non lo chiamate straniero, nemico, sacrilego.<br />

È sempre un mio suddito, amico e fedele, perché crede nel Nome mio, spontaneamente e<br />

meglio di molti fra voi. Per questo il mio Nome sulla sua bocca opera prodigi pari ai vostri e forse<br />

più. <strong>Dio</strong> lo ama perché mi ama, e finirà di portarlo al Cielo. Nessuno che faccia prodigi in mio<br />

Nome mi può essere nemico e dire male di Me. Ma col suo operare dà al Cristo onore e testimonianza di<br />

fede. In verità vi dico che credere al mio Nome è già sufficiente a salvare la propria anima. Perché il<br />

mio Nome è Salvezza. Perciò vi dico: se lo incontrerete ancora, non glielo proibite più. Ma anzi<br />

chiamatelo “fratello” perché tale è, anche se è ancora fuori del recinto del mio Ovile. Chi non è contro di<br />

Me è con Me. Chi non è contro di voi è con voi».<br />

«Abbiamo peccato, Signore?» chiede attrito Giovanni.


«No. Avete agito per ignoranza, ma senza malizia. Perciò non c’è colpa. Però in avvenire sarebbe<br />

colpa, perché ora sapete. Ed ora andiamo alle nostre case. La pace sia con voi».<br />

17 Se crede può mettere, dopo la fine della visione di oggi, il dettato che segue quella del piccolo<br />

Beniamino (7-3-44). A sua facoltà.<br />

[7 marzo 1944].<br />

18 Dice poi Gesù:<br />

«Quello che ho detto al mio piccolo discepolo lo dico anche a voi. <strong>Il</strong> Regno è degli agnelli fedeli<br />

che mi amano e mi seguono senza perdersi in lusinghe, mi amano sino alla fine. E dico a voi ciò che<br />

ho detto ai miei discepoli adulti: “Imparate dai piccoli”.<br />

Non è l’esser dotti, ricchi, audaci quello che vi fa conquistare il Regno dei Cieli. Non è l’esserlo<br />

umanamente. Ma è l’esserlo della scienza dell’amore, che fa dotti, ricchi, audaci soprannaturalmente.<br />

Come illumina l’amore a comprendere la Verità! Come fa ricchi per acquistarla! Come fa audaci per<br />

conquistarla! Che fiducia che ispira! Che sicurezza!<br />

Fate come il piccolo Beniamino, il mio piccolo fiore che m’ha profumato il cuore quella sera ed ha<br />

cantato ad esso una musica angelica, che ha ricoperto l’odore dell’umanità ribollente nei discepoli e il<br />

rumore delle beghe umane.<br />

E tu vuoi sapere che avvenne poi di Beniamino? Rimase il piccolo agnello di Cristo e, perduto il suo<br />

grande Pastore poiché era tornato al Cielo, si fece discepolo di quello che più mi somigliava, prendendo<br />

per sua mano il battesimo e il nome di Stefano primo mio martire. Fu fedele sino alla morte e con lui i<br />

suoi parenti, trascinati alla Fede dall’esempio del loro piccolo apostolo famigliare.<br />

Non è conosciuto? Molti sono gli sconosciuti dagli uomini conosciuti da Me nel mio Regno. E di questo<br />

sono felici. La fama del mondo non aggiunge una scintilla all’aureola dei beati.<br />

Piccolo Giovanni, cammina sempre con la tua mano nella mia. Andrai sicura e, giunta al Regno,<br />

non ti dirò “entra” ma “vieni”, e ti prenderò fra le braccia per posarti là dove il mio Amore t’ha<br />

preparato un posto e il tuo amore lo ha meritato.<br />

Va’ in pace. Ti benedico».<br />

88. La seconda moltiplicazione dei pani e il miracolo della moltiplicazione della<br />

Parola.<br />

28 maggio 1944, ore 2 ant.ne della Pentecoste.<br />

1 Una serena visione. Vedo un posto che non è certo pianura. Non è neppure montagna. Dei monti sono<br />

ad oriente ma lontani alquanto. Poi c’è una valletta e altre elevazioni più basse e piatte. Dei pianori<br />

erbosi. Sembra che siano le prime pendici di un gruppo collinoso. <strong>Il</strong> terreno è piuttosto arsiccio e nudo<br />

d’alberi. Vi è della corta e rada erba sparsa fra un terreno ciottoloso. Qua e là qualche ciuffetto molto<br />

basso di cespugli spinosi. Ad occidente l’orizzonte si allarga ampio e luminoso. Non vedo altro, come<br />

natura. È ancora giorno, ma direi che comincia la sera, perché l’occidente è rosso per il tramonto<br />

mentre i monti a oriente sono già violacei nella luce che diviene crepuscolare. Un principio di<br />

crepuscolo che fa più nere le spaccature profonde e appena violette le parti più elevate.<br />

Gesù è ritto su un grosso pietrone e parla a molta, ma molta folla sparsa sul pianoro. I discepoli lo<br />

circondano. Egli, ancor più alto perché il suo rustico piedestallo lo eleva, domina la folla di tutte le<br />

età e condizioni sociali che gli sta intorno.<br />

Deve aver compito dei miracoli, perché sento che dice: «Non a Me ma a Chi mi ha mandato dovete<br />

offrire lode e riconoscenza. E la lode non è quella che esce come suono di vento da labbra distratte.<br />

Ma è quella che sale dal cuore ed è il sentimento vero del vostro cuore. Questa è gradita a <strong>Dio</strong>. I<br />

guariti amino il Signore di un amore di fedeltà. E lo amino i parenti dei guariti. Del dono della<br />

salute riconquistata non fatene cattivo uso. Più che delle malattie del corpo, abbiate paura di


quelle del cuore. E non vogliate peccare. Perché ogni peccato è una malattia. E ve ne sono tali<br />

che possono dare la morte. Ora dunque, o voi tutti che ora giubilate, non distruggete la<br />

benedizione di <strong>Dio</strong> col peccato. Cesserebbe il giubilo vostro perché le maleazioni levano la pace,<br />

e dove non è pace non è giubilo. Ma siate santi. Siate perfetti come il Padre vostro vuole. Lo vuole<br />

perché vi ama, e a coloro che ama vuol dare un Regno. Ma nel suo Regno santo non entrano che<br />

coloro che la fedeltà alla Legge rende perfetti. La pace di <strong>Dio</strong> sia con voi».<br />

2 E Gesù tace. Incrocia le breccia sul petto e con le braccia così conserte osserva la turba che gli sta<br />

intorno. Poi guarda in giro. Alza gli occhi al cielo sereno e che si fa sempre più scuro per la luce<br />

che decresce. Pensa. Scende dal suo masso. Parla ai discepoli. «Ho pietà di questa gente. Mi segue<br />

da tre giorni. Non ha più provviste seco. Siamo lontani da ogni paese. Temo che i più deboli<br />

soffrano troppo se <strong>Io</strong> li rimando senza nutrirli».<br />

«E come vuoi fare, Maestro? Tu lo dici: siamo lontani da ogni paese. In questo luogo deserto dove<br />

trovare pane? E chi ci darebbe tanto denaro da comperarlo per tutti?».<br />

«Non avete nulla con voi?».<br />

«Abbiamo pochi pesci e qualche pezzo di pane. L’avanzo del nostro cibo. Ma non basta a nessuno.<br />

Se Tu lo dai ai vicini succede una sommossa. Privi noi e non fai del bene a nessuno». È Pietro che<br />

parla.<br />

«Portatemi quanto avete».<br />

Portano una cestella con dentro sette tozzi di pane. Non sono neppure pani intieri. Paiono grosse<br />

fette tagliate da grandi pagnotte. I pesciolini, poi, sono una manciata di povere bestioline<br />

abbruciacchiate dalla fiamma.<br />

«Fate sedere questa folla a cerchi di cinquanta e che stia ferma e zitta se vuol mangiare».<br />

I discepoli, parte salendo su delle pietre e parte circolando fra la gente, si dànno un gran da fare per<br />

mettere l’ordine chiesto da Gesù. Dài e dài, ci riescono. Qualche bambino piagnucola perché ha fame<br />

e sonno, qualche altro frigna perché, per farlo ubbidire, la mamma, o qualche altro parente, gli ha<br />

amministrato uno schiaffo.<br />

3 Gesù prende i pani, non tutti, naturalmente: due, uno per mano, e li offre, e poi li posa e benedice.<br />

Prende i pesciolini, sono così pochi che stanno quasi tutti nel cavo delle sue lunghe mani. Offre essi<br />

pure e poi li posa e benedice essi pure.<br />

«E ora prendete, girate fra la folla e date ad ognuno, con abbondanza».<br />

I discepoli ubbidiscono.<br />

Gesù, ritto in piedi, bianca figura dominante questo popolo di seduti in larghi circoli che coprono<br />

tutto il pianoro, osserva e sorride.<br />

I discepoli vanno e vanno, sempre più lontano. Dànno e dànno. E sempre la cesta è piena di cibo. La<br />

gente mangia mentre la sera cala, e vi è un grande Silenzio e una grande pace.<br />

4 Dice Gesù:<br />

«Ecco un’altra cosa che darà noia ai dottori difficili. L’applicazione che <strong>Io</strong> faccio a questa visione<br />

evangelica. Non ti faccio meditare sulla mia potenza e bontà. Non sulla fede e ubbidienza dei<br />

discepoli. Nulla di questo. Ti voglio far vedere l’analogia dell’episodio con l’opera dello Spirito<br />

Santo.<br />

Vedi: <strong>Io</strong> do la mia parola. Do tutto quanto potete capire e perciò assimilare per farne cibo<br />

all’anima. Ma voi siete tanto resi tardi dalla fatica e dall’inedia che non potete assimilare tutto il<br />

nutrimento che è nella mia parola. Ve ne occorrerebbe molta, molta, molta. Ma non sapete<br />

riceverne molta. Siete tanto poveri di forze spirituali! Vi fa peso senza darvi sangue e forza. Ed ecco<br />

che allora lo Spirito opera il miracolo per voi. <strong>Il</strong> miracolo spirituale della moltiplicazione della<br />

Parola. Ve ne illumina, e perciò la moltiplica, tutti i più riposti significati, di modo che voi, senza<br />

gravarvi di un peso che vi schiaccerebbe senza corroborarvi, ve ne nutrite e non cadete più affranti<br />

lungo il deserto della vita.<br />

Sette pani e pochi pesci!<br />

Ho predicato tre anni e, come dice il mio diletto Giovanni, “se si dovessero scrivere tutte le parole<br />

ed i miracoli che ho detto e compiuto per dare a voi un cibo abbondante, capace di portarvi senza


debolezze sino al Regno, non basterebbe la Terra a contenere i volumi”. Ma se anche ciò fosse stato<br />

fatto, non avreste potuto leggere tale mole di libri. Non leggete neppure, come dovreste, il poco che<br />

di Me è stato scritto. L’unica cosa che dovreste conoscere, come conoscete le parole più necessarie<br />

sin dalla più tenera età.<br />

E allora l’Amore viene e moltiplica. Anche Egli, Uno con Me e col Padre, ha “pietà di voi che morite<br />

di fame” e, con un miracolo che si ripete da secoli, raddoppia, decuplica, centuplica i significati, le<br />

luci, il nutrimento di ogni mia parola. Ecco così un tesoro senza fondo di celeste cibo. Esso vi è<br />

offerto dalla Carità. Attingetene senza paura. Più il vostro amore attingerà in esso e più esso, frutto<br />

dell’Amore, aumenterà la sua onda.<br />

6 <strong>Dio</strong> non conosce limiti nelle sue ricchezze e nelle sue possibilità. Voi siete relativi. Egli no. È<br />

infinito. In tutte le sue opere. Anche in questa di potervi dare in ogni ora, in ogni evento, quelle<br />

luci che vi abbisognano in quel dato istante. E come nel giorno di Pentecoste lo Spirito effuso sugli<br />

apostoli rese la loro parola comprensibile a Parti, Medi, Sciti, Cappadoci, Pontici e Frigi, e simile a<br />

lingua natìa ad Egizi e Romani, Greci e Libici, così ugualmente Esso vi darà conforto se piangete,<br />

consiglio se chiedete, compartecipazione di gioia se gioite, con la stessa Parola.<br />

Oh! che realmente se lo Spirito vi illustra: “Va’ in pace e non voler peccare”, questa frase è premio<br />

per chi non ha peccato, incoraggiamento all’ancora debole che non vuole peccare, perdono al<br />

colpevole che si pente, rimprovero temperato di misericordia a colui che non ha che una larva di<br />

pentimento. E non è che una frase. Delle più semplici. Ma quante non sono nel mio Vangelo!<br />

Quante che, come bocci di fiore che dopo un’acquata e un sole d’aprile si aprono fitti sul ramo<br />

dove prima ve ne era sol uno fiorito e lo coprono tutto, con gioia di chi li mira, si schiudono in noi<br />

col loro spirituale profumo per attirarci al Cielo.<br />

Riposa, ora. La pace dell’Amore sia con te».<br />

89. <strong>Il</strong> discorso sul Pane del Cielo nella sinagoga di Cafarnao.<br />

1 Prima della visione del 7-12 va messa quella della seconda moltiplicazione dei pani, avuta il 28 maggio<br />

1944, col relativo dettato.<br />

7 dicembre 1945.<br />

2 La spiaggia di Cafarnao formicola di gente che sbarca da una vera flottiglia di barche di tutte le<br />

dimensioni. E i primi che sbarcano vanno cercando fra la gente se vedono il Maestro, un apostolo, o<br />

almeno un discepolo. E vanno chiedendo...<br />

Un uomo, finalmente, risponde: «Maestro? Apostoli? No. Sono andati via subito dopo il sabato e non sono<br />

tornati. Ma torneranno perché ci sono dei discepoli. Ho parlato adesso con uno di loro. Deve essere un<br />

grande discepolo. Parla come Giairo! È andato verso quella casa fra i campi, seguendo il mare».<br />

L’uomo che ha interrogato fa correre la voce, e tutti si precipitano verso il luogo indicato. Ma, fatto un<br />

duecento metri sulla riva, incontrano tutto un gruppo di discepoli che vengono verso Cafarnao<br />

gestendo animatamente. Li salutano e chiedono: «<strong>Il</strong> Maestro dove è?».<br />

I discepoli rispondono: «Nella notte, dopo il miracolo, se ne è andato coi suoi, colle barche, al di là del<br />

mare. Vedemmo le vele, al candore della luna, andare verso Dalmanuta».<br />

«Ah! ecco! Noi lo cercammo a Magdala presso la casa di Maria e non c’era! Però... potevano dircelo<br />

i pescatori di Magdala!».<br />

«Non lo avranno saputo. Sarà forse andato sui monti d’Arbela in preghiera. Ci fu già un’altra volta,<br />

lo scorso anno avanti la Pasqua. <strong>Io</strong> l’ho incontrato allora, per somma grazia del Signore al suo povero<br />

servo» dice Stefano.<br />

«Ma non torna qui?».<br />

«Certamente tornerà. Ci deve dare il commiato e gli ordini. Ma che volete?».<br />

«Sentirlo ancora. Seguirlo. Farci suoi».<br />

«Adesso va a Gerusalemme. Lo ritroverete là. E là, nella Casa di <strong>Dio</strong>, il Signore vi parlerà se per voi


è utile il seguirlo. 3 Perché è bene che sappiate che, se Egli non respinge alcuno, noi abbiamo in noi<br />

elementi che sono respingenti la Luce. Ora, chi ne ha tanti da essere non solo saturo di essi - che poco<br />

male sarebbe, perché Egli è Luce e nel divenire lealmente suoi con volontà decisa la sua Luce ci<br />

penetra e vince le tenebre - ma da esserne composto e affezionato ad essi come alla carne della<br />

nostra persona, allora è bene che costui si astenga dal venire, a meno che non si distrugga per<br />

ricrearsi novello. Meditate, dunque, se avete in voi la forza di assumere un nuovo spirito, un<br />

nuovo modo di pensare, un nuovo modo di volere. Pregate per poter vedere la verità sulla vostra<br />

vocazione. E poi venite, se credete. E voglia l’Altissimo, che ha guidato Israele nel “passaggio”,<br />

guidare voi, in questo “pèsac”, a venire sulla scia dell’Agnello, fuori dai deserti, alla Terra<br />

eterna, al Regno di <strong>Dio</strong>» dice Stefano, parlando per tutti i compagni.<br />

«No, no! Subito! Subito! Nessuno fa ciò che Egli fa. Lo vogliamo seguire» dice la folla in tumulto.<br />

Stefano ha un sorriso di molte espressioni. Apre le braccia e dice: «Perché vi ha dato il buono e<br />

abbondante pane volete venire? Credete che vi dia in futuro solo questo? Egli promette ai suoi<br />

seguaci ciò che è sua dote: il dolore, la persecuzione, il martirio. Non rose ma spine, non carezze<br />

ma schiaffi, non pane ma pietre sono pronte per i “cristi”. E così dico senza essere bestemmiatore,<br />

perché i suoi veri fedeli saranno unti coll’olio santo fatto della sua Grazia e del suo patire; e “unti”<br />

noi saremo per essere le vittime sull’altare e i re nel Cielo».<br />

«Ebbene? Ne sei geloso forse? Ci sei tu? Ci vogliamo essere noi pure. <strong>Il</strong> Maestro è di tutti».<br />

«Sta bene. Ve lo dicevo perché vi amo e voglio che sappiate ciò che è essere “discepoli”, onde non<br />

essere poi dei disertori. Andiamo allora tutti insieme ad attenderlo alla sua casa. <strong>Il</strong> tramonto ha<br />

inizio ed ha principio il sabato. Egli verrà per passarlo qui avanti la partenza».<br />

4 E vanno verso la città, parlando. E molti interrogano Stefano ed Erma, che li ha raggiunti, i quali,<br />

agli occhi degli israeliti, hanno una luce speciale perché allievi prediletti di Gamaliele. Molti<br />

chiedono: «Ma che dice Gamaliele di Lui?», altri: «Vi ci ha mandati lui?», e altri ancora: «Non si è<br />

doluto di perdervi?», oppure: «E il Maestro che dice del grande rabbi?».<br />

I due rispondono pazienti: «Gamaliele parla di Gesù di Nazaret come del più grande uomo di<br />

Israele».<br />

«Oh! più grande di Mosè?» dicono quasi scandalizzati.<br />

«Egli dice che Mosè è uno dei tanti precursori del Cristo. Ma non è che il servo del Cristo».<br />

«Allora per Gamaliele questo è il Cristo? Dice così? Se così dice rabbi Gamaliel, la cosa è decisa.<br />

Egli è il Cristo!».<br />

«Non dice ciò. Non riesce ancora a credere questo, per sua sventura. Ma dice che il Cristo è sulla<br />

terra perché egli gli ha parlato molti anni fa. Egli e il saggio <strong>Il</strong>lele. E attende il segno che quel<br />

Cristo gli ha promesso per riconoscerlo» dice Erma.<br />

«Ma come ha fatto a credere che quello era il Cristo? Che faceva quello? <strong>Io</strong> sono vecchio quanto<br />

Gamaliele, ma non ho mai sentito che da noi fossero fatte le cose che il Maestro fa. Se non si<br />

persuade di questi miracoli, che vide mai di miracoloso in quel Cristo per potergli credere?».<br />

«Lo vide unto della Sapienza di <strong>Dio</strong>. Egli dice così» risponde ancora Erma.<br />

«E allora cosa è per Gamaliele questo?».<br />

«<strong>Il</strong> più grande uomo, maestro e precursore di Israele. Quando potesse dire: “È il Cristo”, sarebbe<br />

salva l’anima sapiente e giusta del mio primo maestro» dice Stefano, e termina: «Ed io prego<br />

perché ciò sia, a qualunque costo».<br />

«E se non lo crede il Cristo, perché vi ci ha mandati?».<br />

«Noi volevamo venirci. Egli ci ha lasciati venire dicendo che era bene».<br />

«Forse per poter sapere e riferire al Sinedrio...» dice insinuando uno.<br />

«Uomo, come parli? Gamaliele è un onesto. Non fa la spia a nessuno, e specie ai nemici di un<br />

innocente!» scatta Stefano, e pare un arcangelo tanto è sdegnato e quasi raggiante nel suo sdegno<br />

santo.<br />

«Gli sarà spiaciuto perdervi, però» dice un altro.<br />

«Sì e no. Come uomo che ci voleva bene, sì. Come spirito molto retto, no. Perché ha detto: “Egli<br />

è da più di me e di me più giovane. Perciò io potrò chiudere gli occhi in pace sul vostro futuro<br />

sapendovi del ‘Maestro dei maestri’”».


«E Gesù di Nazaret che dice del grande rabbi?».<br />

«Oh! non ha che parole elette per lui!».<br />

«Non ne è invidioso?».<br />

«<strong>Dio</strong> non invidia» dice severo Erma. «Non fare supposizioni sacrileghe».<br />

«Ma per voi allora è <strong>Dio</strong>? Ne siete certi?».<br />

E i due ad una voce: «Come di essere vivi in questo momento». E Stefano termina: «E vogliate<br />

crederlo pure voi per possedere la vera Vita».<br />

5Sono da capo sulla spiaggia che si muta in piazza e la traversano per andare a casa. Sulla soglia è<br />

Gesù che carezza dei bambini.<br />

Discepoli e curiosi si affollano chiedendo: «Maestro, quando sei venuto?».<br />

«Da pochi momenti». <strong>Il</strong> viso di Gesù ha ancora la maestà solenne, un poco estatica, di quando ha<br />

molto pregato.<br />

«Sei stato in orazione, Maestro?» chiede Stefano a voce bassa per riverenza, così come ha curva la<br />

persona per lo stesso motivo.<br />

«Sì. Da che lo comprendi, figlio mio?» dice Gesù posandogli la mano sui capelli scuri con una<br />

dolce carezza.<br />

«Dal tuo volto d’angelo. Sono un povero uomo, ma è tanto limpido il tuo aspetto che su esso si<br />

leggono i palpiti e le azioni del tuo spirito».<br />

«Anche il tuo è limpido. Tu sei uno di quelli che fanciulli restano...».<br />

«E che c’è sul mio viso, Signore?».<br />

«Vieni in disparte e te lo dirò», e lo prende per il polso portandolo in un corridoio oscuro. «Carità,<br />

fede, purezza, generosità, sapienza; e queste <strong>Dio</strong> te le ha date, e tu le hai coltivate e più lo farai.<br />

Infine, secondo il tuo nome, hai la corona: d’oro puro, e con una grande gemma che splende sulla<br />

fronte. Sull’oro e sulla gemma sono incise due parole: “Predestinazione” e “Primizia”. Sii degno<br />

della tua sorte, Stefano. Va’ in pace con la mia benedizione». E gli posa nuovamente la mano sui<br />

capelli, mentre Stefano si inginocchia per poi curvarsi a baciargli i piedi.<br />

6Tornano dagli altri.<br />

«Questa gente è venuta per sentirti...» dice Filippo.<br />

«Qui non si può parlare. Andiamo alla sinagoga. Giairo ne sarà contento».<br />

Gesù davanti, dietro il corteo degli altri, vanno alla bella sinagoga di Cafarnao; e Gesù, salutato da<br />

Giairo, vi entra, ordinando che tutte le porte restino aperte perché chi non riesce ad entrare possa<br />

sentirlo dalla via e dalla piazza che sono a fianco della sinagoga.<br />

Gesù va al suo posto, in questa sinagoga amica, dalla quale oggi, per buona sorte, sono assenti i<br />

farisei, forse già partiti pomposamente per Gerusalemme. E inizia a parlare.<br />

«In verità vi dico: voi cercate di Me non per sentirmi e per i miracoli che avete veduto, ma per quel<br />

pane che vi ho dato da mangiare a sazietà e senza spesa. I tre quarti di voi per questo mi cercava e<br />

per curiosità, venendo da ogni parte della Patria nostra. Manca perciò nella ricerca lo spirito<br />

soprannaturale, e resta dominante lo spirito umano con le sue curiosità malsane, o per lo meno di una<br />

imperfezione infantile, non perché semplice come quella dei pargoli, ma perché menomata come l’intelligenza<br />

di un ottuso di mente. E con la curiosità resta la sensualità e il sentimento viziato. La sensualità<br />

che si nasconde, sottile come il demonio di cui è figlia, dietro apparenze e in atti apparentemente<br />

buoni, e il sentimento viziato che è semplicemente una deviazione morbosa del sentimento e che,<br />

come tutto ciò che è “malattia”, abbisogna e appetisce a droghe che non sono il cibo semplice, il buon<br />

pane, la buona acqua, lo schietto olio, il puro latte, sufficienti a vivere e a vivere bene. <strong>Il</strong> sentimento<br />

viziato vuole le cose straordinarie per essere scosso e per provare il brivido che piace, il brivido<br />

malato dei paralizzati, che hanno bisogno di droghe per provare sensazioni che li illudano di essere<br />

ancora integri e virili. La sensualità che vuole soddisfare senza fatica la gola, in questo caso, col pane<br />

non sudato, avuto per bontà di <strong>Dio</strong>.<br />

7I doni di <strong>Dio</strong> non sono consuetudine, sono lo straordinario. Non si possono pretenderli, né impigrirsi<br />

dicendo: “<strong>Dio</strong> me li darà”. È detto: “Mangerai il pane bagnato col sudore della tua fronte”, ossia il<br />

pane guadagnato col lavoro. Ché se Colui che è Misericordia ha detto: “Ho compassione di queste<br />

turbe, che mi seguono da tre giorni e non hanno più da mangiare e potrebbero venire meno per via


prima di avere raggiunto Ippo sul lago, o Gamala, o altre città”, e ha provveduto, non è però detto che<br />

Egli debba essere seguito per questo. Per molto di più di un po’ di pane, destinato a divenire sterco<br />

dopo la digestione, <strong>Io</strong> vado seguito. Non per il cibo che empie il ventre ma per quello che nutre<br />

l’anima. Perché non siete soltanto animali che devono brucare e ruminare, o grufolare e ingrassare.<br />

Ma anime siete! Questo siete! La carne è la veste, l’essere è l’anima. È lei che è duratura. La carne,<br />

come ogni veste, si logora e finisce, e non merita curarla come fosse una perfezione alla quale va<br />

data ogni cura.<br />

Cercate dunque ciò che è giusto procurarsi, non ciò che è ingiusto. Cercate di procurarvi non il cibo che<br />

perisce, ma quello che dura per la vita eterna. Questo, il Figlio dell’uomo ve lo darà sempre, quando<br />

voi lo vogliate. Perché il Figlio dell’uomo ha a sua disposizione tutto quanto viene da <strong>Dio</strong>, e può<br />

darlo, Egli padrone, e magnanimo padrone, dei tesori del Padre <strong>Dio</strong>, che ha impresso su di Lui il<br />

suo sigillo perché gli occhi onesti non siano confusi. E se voi avrete in voi il cibo che non perisce,<br />

potrete fare opere di <strong>Dio</strong> essendo nutriti del cibo di <strong>Dio</strong>».<br />

8 «Che dobbiamo fare per fare le opere di <strong>Dio</strong>? Noi osserviamo la Legge ed i Profeti. Perciò già siamo<br />

nutriti di <strong>Dio</strong> e facciamo opere di <strong>Dio</strong>».<br />

«È vero. Voi osservate la Legge. Meglio ancora: voi “conoscete” la Legge. Ma conoscere non è<br />

praticare. Noi conosciamo, ad esempio, le leggi di Roma, eppure un fedele israelita non le pratica<br />

altro che in quelle formule che sono imposte dalla sua condizione di suddito. Per il resto noi, parlo<br />

dei fedeli israeliti, non pratichiamo le usanze pagane dei romani pur conoscendole. La Legge che<br />

voi tutti conoscete ed i Profeti dovrebbero, infatti, nutrirvi di <strong>Dio</strong> e darvi perciò capacità di fare<br />

opere di <strong>Dio</strong>. Ma per fare questo dovrebbero essere divenute un tutt’uno con voi, così come è l’aria<br />

che respirate e il cibo che assimilate, che si mutano entrambi in vita e sangue. Mentre essi<br />

rimangono estranei, pure essendo di casa vostra, così come può esserlo un oggetto della casa, che<br />

vi è noto e utile, ma che, se venisse a mancare, non vi leva l’esistenza. Mentre... oh! provate un<br />

poco a non respirare per qualche minuto, provate a stare senza cibo per giorni e giorni... e vedrete<br />

che non potete vivere. Così dovrebbe sentirsi il vostro io nella denutrizione e nell’asfissia della<br />

Legge e dei Profeti, conosciuti ma non assimilati e fatti tutt’uno con voi. Questo <strong>Io</strong> sono venuto<br />

ad insegnare e a dare: il succo, l’aria della Legge e dei Profeti, per ridare sangue e respiro alle vostre<br />

anime morenti di inedia e di asfissia. Voi siete simili a bambini che una malattia rende incapaci di<br />

conoscere ciò che è atto a nutrirli. Avete davanti dovizie di cibi, ma non sapete che vanno mangiati<br />

per mutarsi in cosa vitale, ossia che vanno veramente fatti nostri, con una fedeltà pura e<br />

generosa alla Legge del Signore che ha parlato a Mosè e ai Profeti per voi tutti. Venire dunque a<br />

Me per avere aria e succo di Vita eterna, è dovere. Ma questo dovere presuppone una fede in voi.<br />

Perché se uno non ha fede, non può credere alle parole mie, e se non crede non viene a dirmi:<br />

“Dàmmi il vero pane”. E se non ha il vero pane non può fare opere di <strong>Dio</strong>, non avendo capacità di<br />

farle. Perciò per essere nutriti di <strong>Dio</strong> e per fare opere di <strong>Dio</strong> è necessario che voi facciate l’operabase,<br />

che è questa: credere in Colui che <strong>Dio</strong> ha mandato».<br />

9 «Ma che miracoli fai Tu dunque perché noi si possa credere in Te come in Mandato da <strong>Dio</strong> e perché si<br />

possa vedere su Te il sigillo di <strong>Dio</strong>? Che fai Tu che già, sebbene in forma minore, non abbiano fatto i<br />

Profeti? Mosè ti ha superato, anzi, perché, non per una volta tanto, ma per quarant’anni, nutrì di<br />

meraviglioso cibo i nostri padri. Così è scritto: che i nostri padri per quarant’anni mangiarono la<br />

manna del deserto, ed è detto che perciò Mosè diede loro da mangiare pane venuto dal cielo, egli che<br />

poteva».<br />

«Siete in errore. Non Mosè ma il Signore poté fare questo. E nell’Esodo si legge: “Ecco: <strong>Io</strong> farò piovere<br />

del pane dal cielo. Esca il popolo e ne raccolga quanto basta giorno per giorno, e così <strong>Io</strong> provi se il popolo<br />

cammina secondo la mia legge. E il sesto giorno ne raccolga il doppio per rispetto al settimo dì che è il<br />

sabato”. E gli ebrei videro il deserto ricoprirsi, mattina per mattina, di quella “cosa minuta come ciò<br />

che è pestato nel mortaio e simile alla brina della terra, simile al seme di coriandolo, e dal buon<br />

sapore di fior di farina incorporata col miele”. Dunque non Mosè, ma <strong>Dio</strong> provvide alla manna. <strong>Dio</strong> che<br />

tutto può. Tutto. Punire e benedire. Privare e concedere. Ed <strong>Io</strong> ve lo dico, delle due cose preferisce<br />

sempre benedire e concedere a punire e privare.<br />

<strong>Dio</strong>, come dice la Sapienza, per amore di Mosè - detto dall’Ecclesiastico “caro a <strong>Dio</strong> e agli uomini, di


enedetta memoria, fatto da <strong>Dio</strong> simile ai santi nella gloria, grande e terribile per i nemici, capace di<br />

suscitare e por fine ai prodigi, glorificato nel cospetto dei re, suo ministro al cospetto del popolo,<br />

conoscitore della gloria di <strong>Dio</strong> e della voce dell’Altissimo, custode dei precetti e della Legge di vita e<br />

di scienza” - <strong>Dio</strong>, dicevo, per amore di questo Mosè, nutrì il suo popolo col pane degli angeli, e dal<br />

cielo gli donò un pane bell’e fatto, senza fatica, contenente in sé ogni delizia ed ogni soavità di sapore.<br />

E - ricordate bene ciò che dice la Sapienza - e poiché veniva dal Cielo, da <strong>Dio</strong>, e mostrava la sua<br />

dolcezza verso i figli, aveva per ognuno il sapore che ognuno voleva, e dava ad ognuno gli effetti<br />

desiderati, essendo utile tanto al pargolo, dallo stomaco ancora imperfetto, come all’adulto,<br />

dall’appetito e digestione gagliardi, alla fanciulla delicata come al vecchio cadente. E anche, per<br />

testimoniare che non era opera d’uomo, capovolse le leggi degli elementi, onde resistè al fuoco, esso,<br />

il misterioso pane che al sorgere del sole si squagliava come brina. O meglio: il fuoco - è sempre la<br />

Sapienza che parla - dimenticò la propria natura per rispetto all’opera di <strong>Dio</strong> suo Creatore e dei<br />

bisogni dei giusti di <strong>Dio</strong>, di modo che, mentre è solito ad infiammarsi per tormentare, qui si fece<br />

dolce per fare del bene a quelli che confidavano nel Signore.<br />

Per questo allora, trasformandosi in ogni maniera, servì alla grazia del Signore, nutrice di tutti,<br />

secondo la volontà di chi pregava l’eterno Padre, affinché i figli diletti imparassero che non è il<br />

riprodursi dei frutti che nutrisce gli uomini, ma è la parola del Signore quella che conserva chi<br />

crede in <strong>Dio</strong>. Infatti non consumò, come poteva, la dolce manna, neppure se la fiamma era alta e<br />

potente, mentre bastava a scioglierla il dolce sole del mattino, affinché gli uomini ricordassero e<br />

imparassero che i doni di <strong>Dio</strong> vanno ricercati dall’inizio del giorno e della vita, e che per averli<br />

occorre anticipare la luce e sorgere, per lodare l’Eterno, dalla prima ora del mattino.<br />

Questo insegnò la manna agli ebrei. Ed <strong>Io</strong> ve lo ricordo perché è dovere che dura e durerà sino alla<br />

fine dei secoli. Cercate il Signore ed i suoi doni celesti senza poltrire fino alle tarde ore del giorno o<br />

della vita. Sorgete a lodarlo prima ancora che lo lodi il sorgente sole, e pascetevi della sua parola<br />

che conserva e preserva e conduce alla Vita vera.<br />

Non Mosè vi diede il pane del Cielo, ma in verità lo diede il Padre Iddio, e ora, in verità delle<br />

verità, è il Padre mio quello che vi dà il vero Pane, il Pane novello, il Pane eterno che dal Cielo<br />

discende, il Pane di misericordia, il Pane di Vita, il Pane che dà al mondo la Vita, il Pane che sazia<br />

ogni fame e leva ogni languore, il Pane che dà, a chi lo prende, la Vita eterna e l’eterna gioia».<br />

10 «Dacci, o Signore, di codesto pane, e noi non morremo più».<br />

«Voi morrete come ogni uomo muore, ma risorgerete a Vita eterna se vi nutrirete santamente di<br />

questo Pane, perché esso fa incorruttibile chi lo mangia. Riguardo a darvelo sarà dato a coloro<br />

che lo chiedono al Padre mio con puro cuore, retta intenzione e santa carità. Per questo ho insegnato<br />

a dire: “Dacci il pane quotidiano”. Ma coloro che se ne nutriranno indegnamente diverranno<br />

brulichio di vermi infernali, come i gomor di manna conservati contro l’ordine avuto. E quel Pane<br />

di salute e vita diverrà per loro morte e condanna. Perché il sacrilegio più grande sarà commesso<br />

da coloro che metteranno quel Pane su una mensa spirituale corrotta e fetida, o lo profaneranno<br />

mescolandolo alla sentina delle loro inguaribili passioni. Meglio per loro sarebbe non averlo mai<br />

preso!».<br />

11 «Ma dove è questo Pane? Come lo si trova? Che nome ha?».<br />

«<strong>Io</strong> sono il Pane di Vita. In Me lo si trova. <strong>Il</strong> suo nome è Gesù. Chi viene a Me non avrà più fame, e chi<br />

crede in Me non avrà mai più sete, perché i fiumi celesti si riverseranno in lui estinguendo ogni<br />

materiale ardore. <strong>Io</strong> ve l’ho detto, ormai. Voi mi avete conosciuto, ormai. Eppure non credete. Non<br />

potete credere che tutto quanto è in Me. Eppure così è. In Me sono tutti i tesori di <strong>Dio</strong>. E a Me tutto<br />

della terra è dato, onde in Me sono riuniti i gloriosi Cieli e la militante terra, e fino la penante e<br />

attendente massa dei trapassati in grazia di <strong>Dio</strong> sono in Me, perché in Me e a Me è ogni potere. Ed<br />

<strong>Io</strong> ve lo dico: tutto quanto il Padre mi dà verrà a Me. Né <strong>Io</strong> scaccerò chi a Me viene, perché sono<br />

disceso dal Cielo non per fare la mia volontà ma quella di Colui che mi ha mandato. E la volontà<br />

del Padre mio, del Padre che mi ha mandato, è questa: che <strong>Io</strong> non perda nemmeno uno di quelli che<br />

mi ha dato, ma che <strong>Io</strong> li risusciti all’ultimo giorno. Ora la volontà del Padre che mi ha mandato è che<br />

chiunque conosce il Figlio e crede in Lui abbia la Vita eterna e <strong>Io</strong> lo possa risuscitare nell’Ultimo<br />

Giorno, vedendolo nutrito della fede in Me e segnato del mio sigillo».


12 Vi è non poco brusìo nella sinagoga e fuori della stessa per le nuove e ardite parole del Maestro. E<br />

questo, dopo avere per un momento preso fiato, volge gli occhi sfavillanti di rapimento là dove più si<br />

mormora, e sono precisamente i gruppi in cui sono dei giudei. Riprende a parlare.<br />

«Perché mormorate fra voi? Sì, <strong>Io</strong> sono il figlio di Maria di Nazaret figlia di Gioacchino della stirpe di<br />

Davide, vergine consacrata nel Tempio e poi sposata a Giuseppe di Giacobbe, della stirpe di Davide. Voi<br />

avete conosciuto, in molti, i giusti che dettero vita a Giuseppe, legnaiuolo regale, e a Maria, vergine erede<br />

della stirpe regale. Ciò vi fa dire: “Come può costui dirsi disceso dal Cielo?», e il dubbio sorge in voi.<br />

Vi ricordo i Profeti nelle loro profezie sull’Incarnazione del Verbo. E vi ricordo come, più per noi<br />

israeliti che per qualsiasi altro popolo, è dogmatico che Colui che non osiamo chiamare non potesse<br />

darsi una Carne secondo le leggi della umanità, e umanità decaduta per giunta. <strong>Il</strong> Purissimo,<br />

l’Increato, se si è mortificato a farsi Uomo per amore dell’uomo, non poteva che eleggere un seno di<br />

Vergine più pura dei gigli per rivestire di Carne la sua Divinità.<br />

<strong>Il</strong> pane disceso dal Cielo al tempo di Mosè è stato riposto nell’arca d’oro, coperta dal propiziatorio,<br />

vegliata dai cherubini, dietro i veli del Tabernacolo. E col pane era la Parola di <strong>Dio</strong>. E giusto era che ciò<br />

fosse, perché sommo rispetto va dato ai doni di <strong>Dio</strong> e alle tavole della sua Ss. Parola. Ma che allora sarà<br />

stato preparato da <strong>Dio</strong> per la sua stessa Parola e per il Pane vero che è venuto dal Cielo? Un’arca più<br />

inviolata e preziosa dell’arca d’oro, coperta dal prezioso propiziatorio della sua pura volontà di<br />

immolazione, vegliata dai cherubini di <strong>Dio</strong>, velata dal velo di un candore verginale, di una umiltà<br />

perfetta, di una carità sublime e di tutte le virtù più sante.<br />

E allora? Non capite ancora che la mia paternità è in Cielo e che perciò <strong>Io</strong> di là vengo? Sì, <strong>Io</strong> sono disceso<br />

dal Cielo per compiere il decreto del Padre mio, il decreto di salvazione degli uomini secondo quanto<br />

promise al momento stesso della condanna e ripeté ai Patriarchi e ai Profeti.<br />

Ma questo è fede. E la fede viene data da <strong>Dio</strong> a chi ha l’animo di buona volontà. Perciò nessuno può<br />

venire a Me se non lo conduce a Me il Padre mio, vedendolo nelle tenebre ma rettamente desideroso<br />

di luce. E scritto nei Profeti: “Saranno tutti ammaestrati da <strong>Dio</strong>”. Ecco. È detto. È <strong>Dio</strong> che li istruisce<br />

dove andare per essere istruiti di <strong>Dio</strong>. Chiunque, dunque, ha udito in fondo al suo spirito retto parlare<br />

Iddio, ha imparato dal Padre a venire a Me».<br />

«E chi vuoi che abbia sentito Iddio o visto il suo Volto?» chiedono in diversi che cominciano a mostrare<br />

segni di irritazione e di scandalo. E terminano: «Tu deliri, oppure sei un illuso».<br />

«Nessuno ha veduto Iddio eccetto Colui che è da <strong>Dio</strong>; questo ha veduto il Padre. E questo <strong>Io</strong> sono.<br />

13 Ed ora udite il “credo” della vita futura, senza il quale non ci si può salvare.<br />

In verità, in verità vi dico che chi crede in Me ha la Vita eterna. In verità, in verità vi dico che <strong>Io</strong> sono il<br />

Pane della Vita eterna.<br />

I vostri padri mangiarono nel deserto la manna e morirono. Perché la manna era un cibo santo ma<br />

temporaneo, e dava vita per quanto necessitava a giungere alla terra promessa da <strong>Dio</strong> al suo popolo.<br />

Ma la Manna che <strong>Io</strong> sono non avrà limitazione di tempo e di potere. È non solo celeste, ma è divina, e<br />

produce ciò che è divino: l’incorruttibilità, l’immortalità di quanto <strong>Dio</strong> ha creato a sua immagine e<br />

somiglianza. Essa non durerà quaranta giorni, quaranta mesi, quaranta anni, quaranta secoli. Ma<br />

durerà finché durerà il tempo, e sarà data a tutti coloro che di essa hanno fame santa e gradita al<br />

Signore, che giubilerà di darsi senza misura agli uomini per cui si è incarnato, onde abbiano la<br />

Vita che non muore.<br />

<strong>Io</strong> posso darmi, <strong>Io</strong> posso transustanziarmi per amore degli uomini, onde il pane divenga Carne e<br />

la Carne divenga Pane per la fame spirituale degli uomini, che senza questo Cibo morirebbero di<br />

fame e di malattie spirituali. Ma se uno mangia di questo Pane con giustizia, egli vivrà in eterno.<br />

<strong>Il</strong> pane che <strong>Io</strong> darò sarà la mia Carne immolata per la vita del mondo, sarà il mio Amore sparso<br />

nelle case di <strong>Dio</strong>, perché alla mensa del Signore vengano tutti coloro che sono amorosi o infelici e<br />

trovino ristoro al loro bisogno di fondersi a <strong>Dio</strong> e di trovare sollievo al loro penare».<br />

14 «Ma come puoi darci da mangiare la tua carne? Per chi ci hai presi? Per belve sanguinarie? Per<br />

selvaggi? Per omicidi? A noi ripugna il sangue e il delitto».<br />

«In verità, in verità vi dico che molte volte l’uomo è più di una belva, e che il peccato fa più che<br />

selvaggi, che l’orgoglio dà sete omicida, e che non a tutti dei presenti ripugnerà il sangue e il<br />

delitto. E anche in futuro l’uomo tale sarà, perché Satana, il senso e l’orgoglio lo fanno belluino. E


perciò con maggior bisogno che mai dovete e dovrà l’uomo sanare se stesso dai germi terribili con<br />

l’infusione del Santo. In verità, in verità vi dico che se non mangerete la Carne del Figlio<br />

dell’uomo e non berrete il suo Sangue, non avrete in voi la Vita. Chi mangia degnamente la mia<br />

Carne e beve il mio Sangue ha la Vita eterna ed <strong>Io</strong> lo risusciterò all’Ultimo Giorno. Perché la mia<br />

Carne è veramente Cibo e il mio Sangue è veramente Bevanda. Chi mangia la mia Carne e beve il<br />

mio Sangue rimane in Me ed <strong>Io</strong> in lui. Come il Padre vivente mi inviò, ed <strong>Io</strong> vivo per il Padre, così<br />

chi mi mangia vivrà anch’egli per Me e anderà dove lo mando, e farà ciò che <strong>Io</strong> voglio, e vivrà<br />

austero come uomo e ardente come serafino, e sarà santo, perché per potersi cibare della mia Carne<br />

e del mio Sangue si interdirà le colpe e vivrà ascendendo per finire la sua ascesa ai piedi<br />

dell’Eterno».<br />

«Ma costui è folle! Chi può vivere in tal modo? Nella nostra religione è solo il sacerdote che deve<br />

essere purificato per offrire la vittima. Qui Egli ci vuole fare, di noi, tante vittime della sua follia.<br />

Questa dottrina è troppo penosa e questo linguaggio è troppo duro! Chi li può ascoltare e praticare?»<br />

sussurrano i presenti, e molti sono discepoli già riputati tali.<br />

15 La gente sfolla commentando. E molto assottigliate appaiono le file dei discepoli quando restano solo<br />

nella sinagoga il Maestro e i più fedeli. <strong>Io</strong> non li conto, ma dico che, ad occhio e croce, sì e no se si<br />

arriva a cento. Perciò ci deve essere stata una bella defezione anche nelle schiere dei vecchi discepoli<br />

ormai al servizio di <strong>Dio</strong>.<br />

Fra i rimasti sono gli apostoli, il sacerdote Giovanni e lo scriba Giovanni, Stefano, Erma, Timoneo,<br />

Ermasteo, Agapo, Giuseppe, Salomon, Abele di Betlemme di Galilea e Abele il già lebbroso di Corozim<br />

col suo amico Samuele, Elia (quello che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù), Filippo di<br />

Arbela, Aser e Ismaele di Nazaret, più altri che non conosco di nome. Questi tutti parlano piano fra<br />

loro commentando la defezione degli altri e le parole di Gesù, che pensieroso sta con le braccia<br />

conserte appoggiato ad un alto leggio.<br />

«E vi scandalizzate di ciò che ho detto? E se vi dicessi che vedrete un giorno il Figlio dell’uomo<br />

ascendere al Cielo dove era prima e sedersi al fianco del Padre? E che avete capito, assorbito, creduto<br />

fino ad ora? E con che avete udito e assimilato? Solo con l’umanità? È lo spirito quello che vivifica e<br />

ha valore. La carne non giova a niente. Le mie parole sono spirito e vita, e vanno udite e capite con lo<br />

spirito per averne vita. Ma ci sono molti fra voi che hanno morto lo spirito perché è senza fede.<br />

Molti di voi non credono con verità. E inutilmente stanno presso a Me. Non ne avranno Vita, ma Morte.<br />

Perché vi stanno, come ho detto in principio, o per curiosità o per umano diletto, o, peggio, per fini<br />

ancora più indegni. Non sono portati qui dal Padre per premio alla loro buona volontà, ma da Satana.<br />

Nessuno può venire a Me, in verità, se non gli è concesso dal Padre mio. Andate pure, voi che vi<br />

trattenete a fatica perché vi vergognate, umanamente, di abbandonarmi, ma avete ancora maggior<br />

vergogna di rimanere al servizio di Uno che vi pare “pazzo e duro”. Andate. Meglio lontani che qui per<br />

nuocere».<br />

E molti altri si ritraggono di fra i discepoli, fra i quali lo scriba Giovanni e Marco, il geraseno<br />

indemoniato, guarito mandando i demoni nei porci. I discepoli buoni si consultano e corrono dietro a<br />

questi fedifraghi tentando di fermarli.<br />

16 Nella sinagoga sono ora Gesù, il sinagogo e gli apostoli...<br />

Gesù si volge ai dodici che, mortificati, stanno in un angolo e dice: «Volete andarvene anche voi?».<br />

Lo dice senza acredine e senza mestizia. Ma con molta serietà.<br />

Pietro, con impeto doloroso, gli dice: «Signore, e dove vuoi che si vada? Da chi? Tu sei la nostra<br />

vita e il nostro amore. Tu solo hai parole di Vita eterna. Noi abbiamo conosciuto che Tu sei il<br />

Cristo, Figlio di <strong>Dio</strong>. Se vuoi, cacciaci. Ma noi, di nostro, non ti lasceremo neppure... neppure se<br />

Tu non ci amassi più...», e Pietro piange senza rumore, con grandi lacrimoni...<br />

Anche Andrea, Giovanni, i due figli di Alfeo, piangono apertamente, e gli altri, pallidi o rossi per<br />

l’emozione, non piangono, ma soffrono palesemente.<br />

«Perché vi dovrei cacciare? Non sono stato <strong>Io</strong> che ho eletto voi dodici?...».<br />

Giairo, prudentemente, si è ritirato per lasciare Gesù libero di confortare o redarguire i suoi<br />

apostoli. Gesù, che ne nota la silenziosa ritirata, dice, sedendosi accasciato come se la rivelazione<br />

che fa gli costasse uno sforzo superiore a quello che Egli può fare, stanco come è, disgustato,


addolorato: «Eppure uno di voi è un demonio».<br />

La parola cade lenta, paurosa, nella sinagoga, nella quale è solo allegra la luce delle molte<br />

lampade... e nessuno osa dire nulla. Ma si guardano l’un l’altro con pauroso ribrezzo e angosciosa<br />

indagine e, con una ancor più angosciosa e intima domanda, ognuno esamina se stesso...<br />

Nessuno si muove per qualche tempo. E Gesù resta solo, sul suo sedile, le mani incrociate sui<br />

ginocchi, il viso basso. Lo alza infine e dice: «Venite. Non sono già un lebbroso! O mi credete<br />

tale?...».<br />

Allora Giovanni corre avanti e gli si avviticchia al collo dicendo: «Con Te, allora, nella lebbra,<br />

mio solo amore. Con Te nella condanna, con Te nella morte, se credi che ciò ti attenda...»; e<br />

Pietro striscia ai suoi piedi e li prende e se li mette sugli omeri e singhiozza: «Qui, premi, calpesta!<br />

Ma non mi fare pensare che Tu diffidi del tuo Simone».<br />

Gli altri, vedendo che Gesù carezza i due primi, si fanno avanti e baciano Gesù sulle vesti, sulle<br />

mani, sui capelli... Solo l’Iscariota osa baciarlo sul viso.<br />

Gesù si alza di scatto, e quasi lo respinge bruscamente tanto lo scatto è improvviso, e dice:<br />

«Andiamo a casa. Domani sera, di notte, partiremo con le barche per Ippo».<br />

355. <strong>Il</strong> nuovo discepolo Nicola di Antiochia e il secondo annuncio della Passione.<br />

9 dicembre 1945.<br />

1 Gesù è tutto solo sulla terrazza della casa di Tommaso di Cafarnao. <strong>Il</strong> paese ozia nel sabato, già<br />

molto ridotto nei suoi abitanti, perché i più zelanti nelle pratiche di fede sono già partiti per<br />

Gerusalemme, e così pure quelli che vi si recano con le famiglie ed hanno bambini che non<br />

possono fare marce lunghe ed obbligano gli adulti a soste e a brevi tragitti. Così manca, nella<br />

giornata già di suo un po’ nuvolosa, la nota d’oro dell’infanzia giuliva.<br />

Gesù è molto pensieroso. Seduto su una panchetta bassa, in un angolo, presso il parapetto, le spalle<br />

alla scala, quasi nascosto da questo parapetto, tiene un gomito sul ginocchio e appoggia la fronte<br />

sulla mano con mossa stanca, quasi di sofferenza.<br />

2 È interrotto nel suo meditare dalla venuta di un fanciullino che vuole salutarlo prima di partire per<br />

Gerusalemme. «Gesù! Gesù!» chiama ad ogni scalino, non vedendo Gesù perché il muretto lo<br />

nasconde alla vista di chi è in basso. E Gesù è così concentrato che non sente la vocetta leggera e il<br />

passo da colombino... di modo che, quando il piccolo arriva sulla terrazza, Egli è ancora in quella<br />

posizione di sofferenza. E il bambino ne resta intimorito. Si ferma sul limitare della terrazza, si<br />

mette un ditino fra le labbra e pensa... poi decide e lentamente viene avanti... ormai è quasi alle<br />

spalle di Gesù... si china per vedere ciò che fa... e dice: «No, bello! Non piangere! Perché? Per quei<br />

brutti omacci di ieri? Lo diceva il padre mio con Giairo che sono indegni di Te. Ma Tu non devi<br />

piangere. <strong>Io</strong> ti voglio bene. E te ne vuole la mia sorellina e Giacomo e Tobiolo, e Giovanna e Maria e<br />

Michea e tutti, tutti i bambini di Cafarnao. Non piangere più...», e gli si stringe al collo,<br />

carezzoso, finendo: «Altrimenti piangerò anche io, e piangerò sempre... per tutto il viaggio...».<br />

«No, David, non piango più. Tu mi hai consolato. Sei solo? Quando partite?».<br />

«Dopo il tramonto. Colla barca fino a Tiberiade. Vieni con noi. <strong>Il</strong> padre mio ti vuole bene, sai?»<br />

«Lo so, caro. Ma devo andare da altri bambini... <strong>Io</strong> ti ringrazio di essere venuto a salutarmi e ti<br />

benedico, piccolo Davide. Diamoci il bacio di addio e poi torna dalla mamma. Lo sa che sei<br />

qui?...».<br />

«No. Sono scappato via perché non ti ho visto coi tuoi discepoli e ho pensato che piangevi».<br />

«Non piango più. Lo vedi. Va’, va’ dalla mamma che forse ti cerca con spavento. Addio. Sta’ attento agli<br />

asini delle carovane. Vedi? Ce ne sono fermi da ogni parte».<br />

«Ma non piangi proprio più?».<br />

«No. Non ho più dolore. Tu me lo hai levato. Grazie, bambino».<br />

<strong>Il</strong> bambino scende saltellando la scaletta e Gesù lo osserva. Poi crolla il capo e torna al suo posto nella<br />

penosa meditazione di prima.


3Passa del tempo. <strong>Il</strong> sole, nelle schiarite di nuvole, si mostra nella sua discesa.<br />

Un passo più pesante sulla scala. Gesù alza il viso. Vede Giairo che sta dirigendosi da Lui. Lo saluta.<br />

Ne è salutato con rispetto.<br />

«Come mai qui, Giairo?».<br />

«Signore! <strong>Io</strong> forse ho sbagliato. Ma Tu che vedi il cuore degli uomini vedrai che nel mio errore non era<br />

malanimo. <strong>Io</strong> non ti ho invitato alla sinagoga per parlare, oggi. Ma ho tanto sofferto per Te, ieri, e tanto<br />

ti ho visto soffrire che... non ho osato. Ho interrogato i tuoi. Mi hanno detto: “Vuole stare solo”... Ma<br />

poco fa è venuto Filippo, padre di Davide, dicendomi che il suo bambino ti ha visto piangere. Ha detto<br />

che Tu lo hai ringraziato di essere venuto da Te. Sono venuto io pure. Maestro, chi ancora è a Cafarnao<br />

sta per adunarsi alla sinagoga. E la sinagoga mia è tua, Signore».<br />

«Grazie, Giairo. Oggi parleranno altri in essa. <strong>Io</strong> verrò come semplice fedele...».<br />

«Né vi saresti tenuto. Tua sinagoga è il mondo. Non vieni proprio, Maestro?».<br />

«No, Giairo. Sto qui col mio spirito davanti al Padre che mi capisce e che non trova colpe in Me». Gesù<br />

ha un brillìo di lacrime nell’occhio mesto.<br />

«<strong>Io</strong> pure non trovo colpe in Te... Addio, Signore».<br />

«Addio, Giairo». E Gesù si siede di nuovo, sempre meditabondo.<br />

4Leggera come una colomba sale, nella sua veste bianca, la figlia di Giairo. Guarda... Chiama piano:<br />

«Salvatore mio!».<br />

Gesù volge il capo, la vede, le sorride, le dice: «Vieni a Me».<br />

«Sì, mio Signore. Ma io vorrei portarti agli altri. Perché deve essere muta la sinagoga, oggi?».<br />

«Vi è tuo padre e tanti altri per empirla di parole».<br />

«Ma sono parole... La tua è la Parola. Oh! mio Signore! Con la tua parola mi hai restituito alla mamma<br />

e al padre mio, ed ero morta. Ma guarda quelli che ora vanno verso la sinagoga! Molti sono più<br />

morti di me allora. Vieni a dare loro la Vita».<br />

«Figlia, tu la meritavi; essi... Nessuna parola può dare vita ad uno che per sé elegge la morte»<br />

«Sì, mio Signore. Ma vieni lo stesso. C’è anche chi vive sempre più, sentendoti... Vieni. Metti la tua<br />

mano nella mia e andiamo. <strong>Io</strong> sono la testimonianza del tuo potere, e sono pronta a testimoniarlo<br />

anche davanti ai tuoi nemici, anche a prezzo che mi venga levata questa seconda vita, che d’altronde<br />

non è più mia. Tu me l’hai data, Maestro buono, per pietà di una madre e di un padre. Ma io...». La<br />

fanciulla, una bella fanciulla già donnina, dai dolci occhioni splendenti nel viso puro e intelligente, si<br />

arresta per un’onda di pianto che la strozza, gocciando dalle lunghe ciglia sulle guance.<br />

«Perché piangi, ora?» chiede Gesù ponendole la mano sui capelli.<br />

«Perché... mi è stato detto che Tu dici che morrai...».<br />

«Tutti si muore, fanciulla».<br />

«Ma non così come Tu dici! <strong>Io</strong>... oh! ora io non avrei voluto essere tornata viva, per non vedere ciò,<br />

per non esserci quando... questo orrore sarà...».<br />

«Allora non ci saresti neppure stata per darmi la consolazione che mi dài ora. Non sai che la parola,<br />

anche una sola, di un puro e di uno che mi ama, leva ogni pena da Me?».<br />

«Sì? Oh! allora Tu non ne devi più avere perché io ti amo più del padre, della madre e della mia<br />

vita!».<br />

«Così è».<br />

«Allora vieni. Non stare solo. Parla per me, per Giairo, per la mamma, per il piccolo Davide, per<br />

quelli che ti amano, insomma. Siamo tanti e saremo più ancora. Ma non stare solo. Viene<br />

malinconia» e, materna d’istinto come ogni donna onesta, termina dicendo: «Con me vicino nessuno<br />

ti farà male. Ed io, del resto, ti difenderò».<br />

Gesù si alza e l’accontenta. La mano nella mano, traversano le vie ed entrano nella sinagoga da una<br />

porta laterale.<br />

5Giairo, che sta leggendo ad alta voce un rotolo, sospende la lettura e dice, inchinandosi<br />

profondamente: «Maestro, te ne prego, per i retti di cuore parla. Preparaci alla Pasqua con la tua<br />

santa parola».<br />

«Stai leggendo dei Re, non è vero?».<br />

«Sì, Maestro. Cercavo di fare riflettere che chi si separa dal <strong>Dio</strong> vero cade in idolatria di vitelli


d’oro».<br />

«Bene hai detto. Nessuno ha da dire nulla?».<br />

Si alza un brusio fra la folla. Chi vuole che parli Gesù e chi urla: «Abbiamo fretta. Si dicano le<br />

preghiere e si cessi l’adunanza. Andiamo a Gerusalemme, d’altronde, e là udremo i rabbi», e chi<br />

urla così sono i molti disertori di ieri, che il sabato ha trattenuto a Cafarnao.<br />

Gesù li guarda con somma mestizia e dice: «Avete fretta. È vero. Anche <strong>Dio</strong> ha fretta di giudicarvi.<br />

Andate pure». Poi, volgendosi a quelli che li rimproverano, dice: «Non li sgridate. Ogni pianta<br />

dà il suo frutto».<br />

«Signore! Ripeti il gesto di Nehemia! Parla contro di loro, Tu, Sacerdote supremo!» grida<br />

sdegnato Giairo, e gli fanno coro gli apostoli, i discepoli fedeli e quelli di Cafarnao.<br />

Gesù apre le braccia a croce e, pallidissimo, un vero viso straziato eppure dolcissimo, grida:<br />

«Ricordati di Me, o mio <strong>Dio</strong>! E in bene! E ricordati pure in bene di loro! <strong>Io</strong> li perdono!».<br />

6 La sinagoga si svuota, rimanendo i fedeli a Gesù...<br />

E vi è uno straniero in un angolo. Un uomo robusto che nessuno osserva, al quale nessuno parla.<br />

Del resto egli pure non parla con nessuno. Guarda solo fissamente Gesù, tanto che il Maestro<br />

volge il suo sguardo in quella direzione, lo vede e chiede a Giairo chi sia.<br />

«Non so. Uno di passaggio certo».<br />

Gesù lo interpella: «Chi sei?».<br />

«Nicolai, proselite di Antiochia, diretto a Gerusalemme per la Pasqua».<br />

«Chi cerchi?».<br />

«Te, Signore Gesù di Nazaret. Ho desiderio di parlarti».<br />

«Vieni». E avutolo vicino esce con lui nell’orto dietro la sinagoga per ascoltarlo.<br />

«Ho parlato ad Antiochia con un tuo discepolo di nome Felice. Ho ardentemente desiderato di<br />

conoscerai. Mi ha detto che luogo di sosta tua è Cafarnao, e hai la Madre a Nazaret. E anche che<br />

vai al Getsemani o a Betania. L’Eterno fa che io ti trovi al primo luogo. C’ero ieri... E ti ero presso<br />

stamane mentre Tu piangevi pregando, presso la fonte... Ti amo, Signore. Perché sei santo e<br />

mite. Credo in Te. Le tue azioni, le tue parole mi avevano già fatto tuo. Ma la tua misericordia di<br />

poco fa, per i colpevoli, mi ha deciso. Signore, accoglimi al posto di chi ti abbandona! Vengo a Te con<br />

tutto quanto ho: la vita e i beni, tutto». Si è inginocchiato dicendo le ultime parole.<br />

Gesù lo guarda fissamente... poi dice: «Vieni. Da oggi sarai del Maestro. Andiamo dai tuoi compagni».<br />

Tornano nella sinagoga, dove è un grande parlare dei discepoli e degli apostoli con Giairo.<br />

«Ecco un nuovo discepolo. <strong>Il</strong> Padre mi consola. Amatelo come un fratello. Andiamo con lui a dividere<br />

il pane e il sale. Poi nella notte voi partirete con lui per Gerusalemme e noi colle barche andremo a<br />

Ippo... E non dite la mia strada a nessuno, onde <strong>Io</strong> non sia trattenuto».<br />

7 Ma intanto il sabato è finito, e quelli che vogliono fuggire Gesù sono in folla sulla spiaggia, per<br />

contrattare i traghetti per Tiberiade. E litigano con Zebedeo che non vuole cedere la sua barca, già<br />

pronta, vicina a quella di Pietro, per la partenza nella notte di Gesù con i dodici.<br />

«<strong>Io</strong> vado ad aiutarlo!» dice Pietro che è irritato.<br />

Gesù, ad evitare urti troppo forti, lo trattiene dicendo: «Andiamo tutti, non tu solo».<br />

E vanno... E gustano l’amarezza di vedere che i fuggenti se ne vanno senza un saluto, tagliando netto<br />

ogni discussione pur di allontanarsi da Gesù... e sentono anche qualche epiteto spregevole e consigli<br />

acri ai fedeli discepoli...<br />

Gesù si volge per tornare a casa dopo che la turba ostile se ne è andata, e dice al nuovo discepolo:<br />

«Li senti? Questo è ciò che ti attende venendo a Me».<br />

«Lo so. Per questo resto. Ti avevo visto in un giorno glorioso fra folla che ti acclamava salutandoti “re”.<br />

Ho scosso le spalle dicendo: “Un altro povero illuso! Un’altra piaga per Israele!”, e non ti ho seguito<br />

perché parevi un re, e neppure a Te pensavo più. Ora ti seguo perché nelle tue parole e nella tua bontà<br />

vedo il promesso Messia».<br />

«In verità tu sei più giusto di molti altri. Però ancora una volta lo dico. Chi spera in Me un re<br />

terreno si ritiri. Chi sente che si vergognerà di Me nel cospetto del mondo accusatore si ritiri. Chi si<br />

scandalizzerà di vedermi trattato da malfattore si ritiri. Ve lo dico mentre ancora potete farlo senza<br />

essere compromessi agli occhi del mondo. Imitate coloro che fuggono su quelle barche, se non vi sentite


di condividere la mia sorte nell’obbrobrio per poterla condividere poi nella gloria. Perché questo<br />

sta per avvenire: il Figlio dell’uomo sta per essere accusato e messo poi nelle mani degli uomini, i<br />

quali lo uccideranno come un malfattore e crederanno averlo vinto. Ma inutilmente avranno fatto<br />

il loro delitto. Perché <strong>Io</strong> risorgerò dopo tre giorni e trionferò. Beati quelli che sapranno essere meco<br />

fino alla fine!».<br />

8 Sono giunti alla casa e Gesù affida ai discepoli il nuovo venuto, salendo da solo dove era prima.<br />

Anzi entra nella stanza superiore e si siede, pensando.<br />

Salgono dopo un poco l’Iscariota con Pietro.<br />

«Maestro, Giuda mi ha fatto riflettere a delle cose giuste».<br />

«Dille».<br />

«Tu prendi questo Nicolai, un proselite, e del quale ignoriamo il passato. Già tante noie abbiamo<br />

avuto... e abbiamo. E ora? Che sappiamo di lui? Possiamo fidarci? Giuda giustamente dice che<br />

potrebbe essere una spia mandata dai nemici».<br />

«Ma sì! Un traditore! Perché non vuole dire da dove viene e chi lo manda? <strong>Io</strong> l’ho interrogato, ma<br />

dice solo: “Sono Nicolai di Antiochia, proselite”. <strong>Io</strong> ho fieri sospetti».<br />

«Ti ricordo che egli viene perché mi vede tradito».<br />

«Può essere menzogna! Può essere un tradimento!».<br />

«Chi dovunque vede menzogna o vede tradimento è anima capace di tali cose, perché si misura<br />

sul proprio modello» dice serio Gesù.<br />

«Signore, Tu mi offendi!» grida Giuda sdegnato.<br />

«Lasciami, dunque, e vai con chi mi abbandona».<br />

Giuda esce sbatacchiando la porta con mal modo.<br />

«Però, Signore, Giuda non ha tutti i torti... E poi non vorrei che... quell’uomo dicesse di Giovanni.<br />

Non può essere che l’uomo di Endor il Felice che ti manda questo...».<br />

«Così è certamente. Ma Giovanni di Endor è prudente ed ha ripreso il suo antico nome. Sta’<br />

tranquillo, Simone. Un uomo che si fa discepolo, perché sente che la mia causa umana è già persa,<br />

non può essere che uno retto di spirito. Ben diverso è quello di colui che ora è uscito, e che è venuto<br />

a Me perché sperava di essere il principe di un re potente... e non si persuade che <strong>Io</strong> sono Re solo<br />

per lo spirito...».<br />

«Sospetti di lui, Signore?».<br />

«Di nessuno. Ma in verità ti dico che dove giungerà Nicolai, discepolo e proselite, Giuda di Simone<br />

apostolo, israelita e giudeo, non giungerà».<br />

«Signore, io avrei voglia di interrogare Nicolai su... Giovanni».<br />

«Non lo fare. Giovanni non gli ha dato incarichi perché è prudente. Non essere tu<br />

l’imprudente».<br />

«No, Signore. Te lo chiedevo soltanto...».<br />

«Scendiamo ad affrettare le cene. A notte alta partiremo... Simone... mi ami tu?».<br />

«Oh! Maestro! Ma che dici?».<br />

«Simone, il mio cuore è più scuro del lago in una notte di tempesta e tanto agitato come<br />

quello...».<br />

«Oh! Maestro mio!... Che ti devo dire, se io sono ancor più... scuro e agitato di Te? Ti dirò: “Ecco il<br />

tuo Simone. E se ti può dare conforto il mio cuore, prenditelo”. Non ho che questo, ma è sincero».<br />

Gesù gli pone per un momento la testa sul petto ampio e robusto e poi si alza e scende, con Pietro.


90. Verso Gadara. Le eresie di Giuda Iscariota e le rinunce di Giovanni che<br />

vuole solo amare.<br />

10 dicembre 1945.<br />

1 Gesù è già nell’Oltre-Giordano. E, da quello che comprendo, è, questa che si vede in alto di una<br />

collina tutta verde, la città di Gadara, e anche è la prima città che toccano dopo essere sbarcati<br />

sulla sponda sud-orientale del lago di Galilea, perché lì sono sbarcati, lasciando di scendere a<br />

Ippo dove erano stati preceduti dalle barche portanti gli ostili a Gesù. Penso siano sbarcati<br />

perciò proprio di fronte a Tarichea, allo sbocco del Giordano dal lago.<br />

«Tu la sai la via più breve per andare a Gadara, non è vero? Te la ricordi?» chiede Gesù.<br />

«E come! Quando saremo alle sorgenti calde sul Yarmoc non avremo che seguire la via» risponde<br />

Pietro.<br />

«E le sorgenti dove le trovi?» chiede Tommaso.<br />

«Oh! basta avere naso per trovarle. Puzzano qualche miglio avanti di esserci!» esclama Pietro<br />

arricciando con disgusto il naso.<br />

«Non sapevo che tu soffrivi di dolori...» osserva Giuda Iscariota.<br />

«Dolori io? E quando mai?».<br />

«Eh! sei così pratico delle sorgenti calde sul Yarmoc che ci devi essere stato».<br />

«Mai avuto bisogno di sorgenti, io, per stare bene! I veleni dalle ossa mi sono usciti colle sudate<br />

dell’onesto lavoro... e del resto, avendo più lavorato che goduto, dei veleni ne sono entrati pochi,<br />

sempre pochi in me...»<br />

«Questa è per me, non è vero? Già! <strong>Io</strong> sono colpevole di tutte le cose!...» dice inquieto Giuda.<br />

«Ma chi ti ha morso? Tu chiedi, io rispondo, a te come avrei risposto al Maestro o a un compagno.<br />

E credo che nessuno di loro, neppure Matteo che... è stato un gaudente, se ne sarebbe avuto a<br />

male».<br />

«Ebbene, io me ne ho a male!».<br />

«Non ti sapevo così delicato. Ma della supposta insinuazione te ne chiedo scusa. Per amore del<br />

Maestro, sai? Del Maestro che ha già tante afflizioni dagli estranei senza avere bisogno di averne<br />

altre da noi. Guardalo, invece di correre dietro alle tue sensibilità, e vedrai che ha bisogno di pace<br />

e di amore».<br />

Gesù non parla. Guarda soltanto Pietro e gli sorride riconoscente.<br />

2 Giuda non risponde in merito all’osservazione giusta di Pietro. È chiuso e inquieto. Vuole mostrarsi<br />

cortese, ma la stizza, il malumore, la delusione che ha in cuore gli trapelano dallo sguardo,<br />

dalla voce, dall’espressione e persino dall’andatura prepotente, che fa un grande sbatacchio di<br />

suole come per sfogarsi, percuotendo con ira il suolo per dare uno sfogo a tutto quello che gli<br />

bolle dentro.<br />

Ma si sforza a parere calmo e a voler fare il cortese, non ci riesce, ma tenta... Chiede a Pietro: «E<br />

allora come conosci questi luoghi? Forse ci sei stato per tua moglie?».<br />

«No, ci sono passato quando nell’etamin siamo venuti in Auranite col Maestro. <strong>Io</strong> ho<br />

accompagnato la Madre e le discepole sino alle terre di Cusa. E perciò, venendo da Bozra, sono<br />

passato di qui» risponde sinceramente e prudentemente Pietro.<br />

«Tu solo eri?» chiede ironico Giuda.<br />

«Perché? Credi che io non valga da solo molti, quando è il caso di valere e c’è un lavoro di<br />

fiducia da fare e lo si fa con amore, per di più?».<br />

«Oh! quanta superbia! Vorrei averti visto!».<br />

«Avresti visto un uomo serio che accompagnava delle donne sante».<br />

«Ma eri proprio solo?» chiede con vero atto da inquisitore Giuda.<br />

«Ero coi fratelli del Signore».<br />

«Ah! Ecco! Cominciano le ammissioni!».<br />

«E cominciano a tirarmi i nervi! Si può sapere che hai?».<br />

«È vero. È una vergogna» dice il Taddeo.


«Ed è ora di finirla» rincara Giacomo di Zebedeo.<br />

«Non ti è lecito schernire Simone» rimprovera Bartolomeo.<br />

«Che, te lo dovresti ricordare, è il capo di noi tutti» termina lo Zelote.<br />

Gesù non parla.<br />

«Oh! <strong>Io</strong> non schernisco nessuno, non ho proprio nulla. Solo mi piace stuzzicarlo un po’...»<br />

«Non è vero! Tu menti! Tu fai domande astute perché vuoi arrivare a stabilire qualcosa. <strong>Il</strong> subdolo<br />

crede tutti subdoli. Qui non ci sono segreti. C’eravamo tutti, abbiamo fatto tutti la stessa cosa:<br />

quella ordinata dal Maestro. E non c’è altro. Lo capisci?» grida proprio irato l’altro Giuda.<br />

«Silenzio. Siete pari a femmine litigiose. Avete tutti torto. E mi vergogno di voi» dice severo Gesù.<br />

3 Si fa un silenzio profondo mentre vanno verso la città sulla collina.<br />

Rompe il silenzio Tommaso dicendo: «Che cattivo odore!».<br />

«Sono le sorgenti. Quello è il Yarmoc e quelle costruzioni le terme dei romani. Oltre quelle è una<br />

bella via tutta lastricata che va a Gadara. I romani vogliono viaggiare bene. Bella è Gadara!» dice<br />

Pietro.<br />

«Sarà anche più bella perché qui non ci troveremo certi… esseri, in abbondanza almeno» brontola<br />

fra i denti Matteo.<br />

Passano il ponte sul fiume fra acri odori di acque solforose. Rasentano le terme, passano fra i<br />

veicoli romani, prendono una bella via, pavimentata a larghi lastroni, che conduce alla città in cima<br />

alla collina, bella fra la sua cinta di mura.<br />

Giovanni si fa presso al Maestro: «È vero che dove sono quelle acque lì è stato in antico precipitato<br />

nelle viscere del suolo un dannato? Mia madre ce lo diceva da piccini, per farci capire che non si<br />

deve peccare, se no l’inferno si apre sotto i piedi del maledetto da <strong>Dio</strong> e lo inghiotte. E poi, per<br />

ricordo e ammonizione, restano delle fessure dalle quali esce odore, calore e acque d’inferno. <strong>Io</strong> avrei<br />

paura a bagnarmi in esse...».<br />

«Di che, fanciullo? Non ne saresti corrotto. Più facile è essere corrotti da quegli uomini che hanno<br />

dentro l’inferno e ne emanano fetore e veleni. Ma si corrompono solo quelli che hanno già tendenza a<br />

farlo da loro».<br />

«Ne potrei essere corrotto io?».<br />

«No. Anche tu fossi in una turba di demoni, no».<br />

«Perché? Cosa ha di diverso dagli altri, lui?» chiede subito Giuda di Keriot.<br />

«Ha che è puro in tutti i modi, e perciò vede <strong>Dio</strong>» risponde Gesù. E Giuda ride malignamente.<br />

Giovanni torna a chiedere: «Allora non sono bocche dell’inferno quelle sorgenti?».<br />

«No. Sono all’opposto cose buone messe dal Creatore per i suoi figli. L’inferno non è chiuso nella<br />

terra. È sulla terra, Giovanni. Nel cuore degli uomini. E oltre si completa».<br />

4 «Ma c’è proprio l’inferno?» chiede l’Iscariota.<br />

«Ma che dici?» gli chiedono i compagni scandalizzati.<br />

«Dico: c’è proprio? <strong>Io</strong>, e non sono solo, non ci credo».<br />

«Pagano!» urlano con orrore.<br />

«No. Israelita. Siamo in molti a non credere certe fole, in Israele».<br />

«Ma allora come fai a credere al Paradiso?», «E alla giustizia di <strong>Dio</strong>?», «Dove metti i peccatori?»,<br />

«Come spieghi Satana?» urlano in tanti.<br />

«Dico quello che penso. Mi è stato rimproverato di essere un mentitore poco fa. <strong>Io</strong> dimostro che sono<br />

sincero anche se questo vi scandalizza di me e mi rende odioso agli occhi vostri. Del resto non sono solo<br />

in Israele, da quando Israele si è progredito nel sapere col contatto degli ellenisti e dei romani, che crede<br />

così. Né il Maestro, l’unico del quale rispetto il giudizio, può rimproverare né me né Israele, Lui che<br />

protegge ed è palesemente amico di greci e romani... <strong>Io</strong> parto da questo concetto filosofico. Se tutto è<br />

controllato da <strong>Dio</strong>, tutto ciò che facciamo è per sua volontà, e perciò ci deve premiare tutti a un modo<br />

perché non siamo che automi mossi da Lui. Noi siamo esseri privi di volontà. Lo dice anche il<br />

Maestro: “La volontà dell’Altissimo. La volontà del Padre”. Ecco l’unica Volontà. Ed è tanto infinita che<br />

schiaccia e annulla la volontà limitata delle creature. Perciò tanto il bene che il male, che sembra<br />

che noi facciamo, lo fa <strong>Dio</strong>, perché ce lo impone. Perciò non ci punirà del male e sarà così esercitata<br />

la sua giustizia, perché le nostre colpe non sono volontarie ma imposte da chi vuole che le facciamo


perché bene e male siano sulla terra. Chi è cattivo è il mezzo espiativo dei meno cattivi. E per sé<br />

soffre di non poter essere considerato buono, e così espia la sua parte di colpa. Gesù l’ha detto.<br />

L’inferno è sulla terra e nel cuore degli uomini. Satana io non lo sento. Non c’è. Lo credevo un<br />

tempo. Ma da qualche tempo sono sicuro che tutto è fola. E credere così è giungere alla pace».<br />

Giuda sciorina queste... teorie con una sicumera talmente formidabile che gli altri restano senza<br />

fiato...<br />

5 Gesù tace. E Giuda lo stuzzica: «Non ho ragione, Maestro?».<br />

«No». <strong>Il</strong> “no” è così secco che pare uno scoppio.<br />

«Eppure io... Satana non lo sento e non ammetto il libero arbitrio, il Male. E tutti i sadducei sono<br />

con me, e con me sono molti altri, d’Israele o meno. No. Satana non c’è».<br />

Gesù lo guarda. Uno sguardo che è così complesso che non si può analizzare. È da giudice e da<br />

medico, da addolorato, da sbalordito... c’è tutto...<br />

Giuda, ormai lanciato, termina: «Sarà perché sono meglio degli altri, più perfetto, che ho<br />

superato il terrore degli uomini per Satana».<br />

E Gesù zitto. E lui stuzzica: «Ma parla! Perché io non ne ho terrore?». Gesù tace. «Non rispondi,<br />

Maestro? Perché? Hai paura?».<br />

«No. Sono la Carità. E la Carità trattiene il suo giudizio fino a che non è obbligata a darlo...<br />

Lasciami e ritirati» dice in ultimo, perché Giuda cerca di abbracciarlo, e termina in un soffio,<br />

stretto per forza fra le braccia del bestemmiatore: «Mi fai ribrezzo! Satana non lo vedi e senti<br />

perché è tutt’uno con te. Va’ via, demonio!».<br />

Giuda, sfrontato, lo bacia e ride, come se il Maestro gli avesse detto in segreto qualche lode.<br />

Torna dagli altri, che si sono fermati esterrefatti, e dice: «Vedete? <strong>Io</strong> so aprire il cuore al Maestro.<br />

E lo faccio felice perché gli mostro la mia confidenza e ne ho lezione. Voi invece!... Mai osate<br />

parlare. Perché siete dei superbi. Oh! io sarò quello che saprà più di tutti di Lui. E potrò<br />

parlare...».<br />

6 «Sono raggiunte le porte della città. Vi entrano tutti insieme perché Gesù li ha attesi. Ma mentre<br />

passano l’androne Gesù ordina: «I miei fratelli e Simone vadano avanti ad adunare la gente».<br />

«Perché non io, Maestro? Non mi dai più delle missioni? Non sono più necessarie ora? Me ne hai<br />

date due di seguito, e lunghe dei mesi...».<br />

«E te ne sei lamentato dicendo che volevo allontanarti. Ora ti lamenti perché ti tengo vicino?».<br />

Giuda non sa che rispondere e tace. Va avanti con Tommaso, lo Zelote, Giacomo di Zebedeo e Andrea.<br />

Gesù si ferma per lasciare passare Filippo, Bartolomeo, Matteo e Giovanni, come volesse stare solo.<br />

Lo lasciano fare.<br />

Ma l’amoroso cuore di Giovanni, che ha avuto più volte un luccicare di lacrime negli occhi durante le<br />

dispute e le bestemmie di Giuda, fa voltare dopo poco l’apostolo, in tempo per vedere che Gesù,<br />

credendosi inosservato nella vietta solitaria e cupa per i continui archivolti che la coprono, si porta<br />

le mani alla fronte con un gesto di dolore, curvandosi come chi soffre tanto. Lascia in asso i<br />

compagni, il biondo Giovanni, e torna dal Maestro suo: «Che hai, Signor mio? Soffri di nuovo tanto,<br />

come quando ti ritrovammo ad Aczib? Oh! mio Signore!».<br />

«Nulla, Giovanni, nulla! Aiutami tu, col tuo amore. E taci con gli altri. Prega per Giuda».<br />

«Sì, Maestro. È molto infelice, non è vero? È nelle tenebre e non sa di esserci. Crede di avere raggiunto<br />

la pace... È pace la sua?».<br />

«È molto infelice» dice Gesù accasciato.<br />

«Non ti accasciare così, Maestro. Pensa a quanti peccatori, induriti nel peccato, sono tornati buoni.<br />

Così farà Giuda. Oh! Tu lo salverai certo! Questa notte la passerò in orazione per questo. Dirò al<br />

Padre di fare di me uno che sa solo amare, non voglio più che questo. Sognavo di dare la vita per Te o<br />

di fare brillare la tua potenza attraverso alle mie opere. Ora non più di questo. Rinuncio a tutto,<br />

scelgo la vita più umile e comune e chiedo al Padre di dare tutto il mio a Giuda... per farlo contento... e<br />

perché così si volga alla santità... Signore... io dovrei dirti delle cose... <strong>Io</strong> credo sapere perché Giuda è<br />

così».<br />

«Vieni questa notte. Pregheremo insieme e parleremo».<br />

«E il Padre mi ascolterà? Accetterà il mio sacrificio?».


«<strong>Il</strong> Padre ti benedirà. Ma ne soffrirai...».<br />

«Oh! no! Basta che veda Te contento... e che Giuda... e che Giuda...».<br />

«Sì, Giovanni. 7 Guarda, ci chiamano. Corriamo».<br />

La vietta diviene una bella via. La via diviene arteria ornata di portici e fontane. E si orna di piazze<br />

l’una più bella dell’altra. Si incrocia con un’altra arteria uguale, e certo nel fondo è un anfiteatro. E<br />

malati diversi sono già radunati in un angolo dei portici in attesa del Salvatore.<br />

Pietro viene incontro a Gesù: «Hanno conservato la fede in ciò che dicemmo di Te in etamin. Sono<br />

venuti subito».<br />

«Ed <strong>Io</strong> subito premierò la loro fede. Andiamo».<br />

E va, nel tramonto avanzato che tinge di rosso i marmi, a sanare coloro che lo attendono con fede.<br />

357. Giovanni e le colpe di Giuda Iscariota. I farisei e la questione del divorziò.<br />

11 dicembre 1945.<br />

1 Le magnifiche stelle di una serena notte di marzo splendono nel cielo d’Oriente, così larghe e vivide<br />

che sembra che il firmamento si sia abbassato come un baldacchino sulla terrazza della casa che ha<br />

accolto Gesù. Una casa molto alta, e messa in uno dei punti più alti della città, di modo che<br />

l’orizzonte infinito si apre davanti e intorno a chi guarda da ogni parte. E se la terra si annulla<br />

nella oscurità della notte non ancora allietata dalla luna, che è nella fase decrescente, il cielo<br />

splende nelle sue mille e mille luci. È veramente la rivincita del firmamento, che espone<br />

vittoriosamente le sue aiuole d’astri, le sue praterie di Galatea, i suoi giganti planetari, i suoi boschi<br />

di costellazioni contro le effimere vegetazioni della terra che, anche se secolari, sono sempre di<br />

un’ora rispetto a queste che sono da quando il Creatore fece il firmamento. E perdendosi a<br />

guardare lassù, passeggiando lo sguardo per i viali splendenti dove sono piante le stelle, pare di<br />

percepire le voci, i canti di quelle selve di splendori, di quell’enorme organo della più sublime delle<br />

cattedrali, nel quale mi piace immaginare facciano da mantici e registri i venti delle corse astrali e<br />

voci le stelle lanciate nelle loro traiettorie. Tanto più pare di percepirlo perché il silenzio notturno<br />

di Gadara dormente è assoluto. Non canta una fonte, non canta un uccello. <strong>Il</strong> mondo dorme, e<br />

dormono le creature. Dormono gli uomini, meno innocenti delle altre creature, i loro sonni, più o<br />

meno quieti, nelle case buie.<br />

2 Ma dalla porta della stanza che sbocca sulla terrazza inferiore, perché ve ne è una superiore sulla<br />

stanza più alta, sbuca un’ombra alta, appena visibile nella notte per il biancore del viso e delle mani<br />

sulla veste oscura, ed è seguita da un’altra più bassa. Camminano in punta di piedi per non destare<br />

quelli che forse dormono nella stanza sottostante, e in punta di piedi salgono la scaletta esterna che<br />

porta all’ultima terrazza. Poi si prendono per mano e vanno così a sedersi su una panca che corre<br />

lungo il parapetto molto alto che cinge la terrazza. La panchetta bassa e il parapetto alto fanno sì<br />

che ogni cosa dispaia dai loro occhi. Anche ci fosse la più chiara luna in cielo, scendente ad<br />

illuminare il mondo, per essi sarebbe un nulla. Perché la città è nascosta tutta, e con essa le ombre più<br />

oscure, nello scuro della notte, dei monti vicini. Solo il cielo si mostra a loro con le sue costellazioni di<br />

primavera e le magnifiche stelle di Orione: di Rigel e Beteigeuze, di Aldebaran, del Perseo, e<br />

Andromeda e Cassiopea e le Pleiadi unite come sorelle. E Venere zaffirea e diamantata, e Marte di pallido<br />

rubino, e il topazio di Giove, sono i re del popolo astrale e palpitano, palpitano come salutando il<br />

Signore, affrettando i loro palpiti di luce per la Luce del mondo.<br />

Gesù alza il capo a guardarle, appoggiandolo contro il muretto alto, e Giovanni lo imita perdendosi a<br />

guardare lassù dove si può ignorare il mondo... Poi Gesù dice: «Ed ora che ci siamo detersi nelle stelle,<br />

preghiamo».<br />

Si alza in piedi e Giovanni lo imita. Una lunga preghiera, silenziosa, pressante, tutt’anima, le braccia<br />

aperte a croce, il viso alzato, volto a oriente dove si annuncia un primo lucore di luna. E poi il Pater<br />

detto insieme, lentamente, non una, ma tre volte, e sempre con un aumento di insistenza nel chiedere,<br />

che è chiaramente denunciato nella voce. Una supplica che separa l’anima dalla carne, lanciandola


sulle vie dell’infinito, tanto è ardente.<br />

Poi Silenzio. Si siedono dove erano prima, mentre la luna inalba sempre più la terra dormiente.<br />

3 Gesù passa un braccio sulle spalle di Giovanni e se lo attira a Sé dicendo: «Dimmi dunque ciò che senti<br />

di dovermi dire. Quali sono le cose che il mio Giovanni ha intuite, con l’aiuto della luce spirituale,<br />

nell’anima tenebrosa del compagno?».<br />

«Maestro... io sono pentito di averti detto questo. Farò due peccati...».<br />

«Perché?».<br />

«Perché ti darò dolore svelandoti anche quello che non sai e... perché... Maestro, è peccato dire il male<br />

che vediamo in un altro? Sì, non è vero? E allora come posso dire questo, ledendo la carità?!...».<br />

Giovanni è angosciato.<br />

Gesù dà luce alla sua anima: «Ascolta, Giovanni. Per te è da più il Maestro o il condiscepolo?».<br />

«<strong>Il</strong> Maestro, Signore. Tu sei il più».<br />

«E che sono <strong>Io</strong> per te?».<br />

«<strong>Il</strong> Principio e la Fine. Sei il Tutto».<br />

«Credi tu che <strong>Io</strong>, essendo Tutto, sappia anche tutto ciò che è?».<br />

«Sì, Signore. Per questo è in me un grande contrasto. Perché penso che Tu sai e soffri. E perché ricordo<br />

che mi hai detto un giorno che talora Tu sei l’Uomo, solo l’Uomo, e perciò il Padre ti fa conoscere ciò che<br />

è essere uomo, che deve guidarsi secondo ragione. E penso anche che <strong>Dio</strong>, per pietà di Te, potrebbe<br />

occultarti queste brutte verità...».<br />

«Attieniti a questo pensiero, Giovanni. E parla. Con confidenza. Confidare, a chi ti è “Tutto”, ciò che<br />

sai, non è peccato. Perché il “Tutto” non si scandalizza né mormora né mancherà di carità, neppure col<br />

pensiero, verso l’infelice. Sarebbe peccato se tu dicessi quello che sai a chi non può essere tutto amore,<br />

ai compagni, ad esempio, che farebbero mormorazioni ed anche assalirebbero il colpevole senza<br />

misericordia, nuocendo a lui e a loro stessi. Perché bisogna avere misericordia, una misericordia sempre<br />

tanto più grande quanto più abbiamo di fronte una povera anima malata di tutti i mali. Un medico, un<br />

pietoso infermiere, oppure una madre, se il male di uno malato è poco, poco si impressionano e poco<br />

lottano per guarirlo. Ma se il figlio oppure l’uomo è molto malato, in pericolo di vita, già cancrena e<br />

paralisi, come lottano, vincendo ripugnanze e fatiche, per guarirlo! Non è così?».<br />

«Così è, Maestro» dice Giovanni, che ha preso la sua posa abituale del braccio allacciato al collo del<br />

Maestro e il capo appoggiato sulla spalla di Lui.<br />

«Ebbene, non tutti sanno avere misericordia per le anime malate. Perciò si deve essere prudenti nel<br />

rendere noti i loro mali, acciò il mondo non le fugga e non nuoccia loro col disprezzo. Un malato che<br />

si vede schernito si incupisce, e si peggiora. Ma se invece è curato con ilare speranza può guarire,<br />

perché l’ilarità fiduciosa dell’assistente entra in lui e aiuta l’opera del farmaco. Ma tu sai che <strong>Io</strong><br />

sono Misericordia e che non mortificherò Giuda. Parla dunque senza scrupoli. Non sei una spia.<br />

Sei un figlio che confida al padre, con amoroso affanno, il male scoperto nel fratello, perché il<br />

padre lo curi. Suvvia...».<br />

4 Giovanni sospira forte, poi curva ancora di più il capo, lasciandolo scivolare sul petto di Gesù, e<br />

dice: «Come è penoso parlare di cose putride!... Signore... Giuda è un impuro... e mi tenta a<br />

impurità. Che egli mi schernisca non me ne importa. Ma mi duole che egli venga a Te sozzo dei<br />

suoi amori. Da quando è tornato mi ha tentato più volte. Quando il caso ci lascia soli - ed egli lo<br />

provoca in tutti i modi - egli non fa che parlare di donne... ed io ne ho il disgusto che avrei essendo<br />

immerso in fetide materie che tentassero filtrarmi in bocca...».<br />

«Ma ne sei turbato nel profondo?».<br />

«Turbato come? L’anima mia freme. La ragione grida contro queste tentazioni... <strong>Io</strong> non voglio<br />

essere corrotto...».<br />

«Ma la tua carne che fa?».<br />

«Si raggriccia di ribrezzo».<br />

«Questo solo?».<br />

«Questo, Maestro, e piango allora perché mi pare che Giuda non potrebbe recare maggior offesa a<br />

chi si è consacrato a <strong>Dio</strong>. Dimmi: ciò farà lesione alla mia offerta?».<br />

«No. Non più di una manata di fango gettata su una lastra di diamante. Non incide la lastra,


non la penetra. Basta una coppa d’acqua pura gettata sopra essa per nettarla. Ed è più bella di<br />

prima».<br />

«Detergimi allora».<br />

«La tua carità ti deterge e il tuo angelo. Nulla resta su te. Sei un altare pulito sul quale scende<br />

Iddio. 5E che altro fa Giùda?».<br />

«Signore, egli... Oh! Signore!». La testa di Giovanni scivola più in basso ancora.<br />

«Che?».<br />

«Egli... Non è vero che siano soldi suoi quelli che ti dà per i poveri. Sono i soldi dei poveri che<br />

egli ruba per sé, per essere lodato di generosità non vera. Tu lo hai inferocito perché nel ritorno dal<br />

Tabor gli hai levato tutti i denari. E a me ha detto: “Ci sono spioni fra noi”. <strong>Io</strong> ho detto: “Spioni di<br />

che? Rubi tu forse?”. “No” mi ha risposto, “ma però uso previdenza e faccio due borse. Qualcuno lo<br />

ha detto al Maestro e Lui mi ha imposto di dare tutto, così forte lo ha imposto che fui come legato<br />

a farlo”.<br />

Ma non è vero, Signore, che faccia ciò per previdenza. Lo fa per avere denaro. Ne potrei deporre<br />

con la quasi certezza di dire il vero».<br />

«Quasi certezza! Questo dubbio, sì, che è lieve colpa. Non puoi accusarlo di essere ladro se non<br />

ne sei assolutamente certo. Le azioni degli uomini hanno talora brutto aspetto, ma sono buone».<br />

«È vero, Maestro. Non lo accuserò più neppure col pensiero. Ma però che abbia due borse, e quella<br />

che dice sua e che ti dà sia ancora tua e lo faccia per essere lodato, è vero. E io questo non lo farei.<br />

Sento che non è bene farlo».<br />

«Hai ragione. 6Che altro devi dire?».<br />

Giovanni alza un viso spaventato, apre la bocca per parlare e poi la chiude e scivola in ginocchio<br />

nascondendo il viso fra la veste di Gesù, che gli mette una mano sui capelli.<br />

«Su, dunque! Potresti aver visto male. <strong>Io</strong> ti aiuterò a vedere bene. Mi devi anche dire ciò che tu<br />

pensi sulle probabili cause del peccare di Giuda».<br />

«Signore, Giuda si sente senza la forza che vorrebbe per fare i miracoli... Tu lo sai che ci ha sempre<br />

ambito... Ti ricordi di Endor? E invece... è quello che ne fa meno. Da quando è tornato, poi, non<br />

riesce più a nulla... e nella notte se ne lamenta anche in sogno, come fosse un incubo e... Maestro,<br />

Maestro mio!».<br />

«Su. Parla. Fino in fondo».<br />

«E impreca... e fa della magia. Questa non è menzogna e non è dubbio. L’ho visto io. Mi sceglie<br />

per compagno perché dormo sodo. Perché dormivo sodo, anzi. Ora, lo confesso, lo sorveglio, e il mio<br />

sonno è meno profondo perché appena si muove io lo sento... Ho fatto male forse. Ma ho finto di<br />

dormire per vedere ciò che faceva. E per due volte l’ho visto e sentito fare cose brutte. <strong>Io</strong> non mi<br />

intendo di magia. Ma quella è tale».<br />

«Solo?».<br />

«No e sì. A Tiberiade io l’ho seguito. È andato in una casa. Ho chiesto dopo chi ci sta. Uno che fa<br />

negromanzia con altri. E quando Giuda è uscito, quasi a mattina, dalle parole dette ho capito che<br />

si conoscono e sono in tanti... e non tutti stranieri. Chiede al demonio la forza che Tu non gli dài. È<br />

per questo che io sacrifico la mia al Padre perché la passi a lui, e lui non sia più peccatore».<br />

«Dovresti dargli la tua anima. Ma questo né il Padre né <strong>Io</strong> lo permetteremmo...».<br />

7Un lungo Silenzio. Poi Gesù dice con voce stanca: «Andiamo, Giovanni. Scendiamo. Riposeremo<br />

in attesa dell’alba».<br />

«Sei più triste di prima, Signore! Ho fatto male a parlare!».<br />

«No. <strong>Io</strong> sapevo già. Ma tu almeno sei più sollevato... e ciò è quello che conta».<br />

«Signore, devo sfuggirlo?».<br />

«No. Non temere. Satana non nuoce ai Giovanni. Li terrorizza, ma non può levare loro la grazia<br />

che <strong>Dio</strong> continuamente fa loro. Vieni. A mattina parlerò e poi andremo a Pella. Occorre fare presto,<br />

perché il fiume è già gonfio per le nevi che sciolgono e per le acque degli scorsi giorni. Presto sarà in<br />

piena, molto più che la luna cerchiata predice piogge abbondanti...».<br />

Scendono e scompaiono nella stanza inferiore alla terrazza.


8 È mattina. Una mattina di marzo. Perciò schiarite e nuvole si alternano nel cielo. Ma le nuvole<br />

soverchiano le schiarite, tendendo ad impossessarsi del cielo. Un’aria calda soffia a respiri<br />

sincopati e fa pesante l’aria, velandola di una polvere venuta forse dalle zone dell’altipiano.<br />

«Se non muta vento, questa è acqua!» sentenzia Pietro uscendo dalla casa con gli altri.<br />

Ultimo esce Gesù, che si accomiata dalle padrone di casa, mentre il padrone si unisce a Lui. Si<br />

dirigono verso una piazza.<br />

Dopo pochi passi li ferma un graduato romano che è insieme a dei militi. «Sei Tu Gesù di Nazaret?».<br />

«Lo sono».<br />

«Che fai?».<br />

«Parlo alle turbe».<br />

«Dove?».<br />

«In piazza».<br />

«Parole sediziose?».<br />

«No. Precetti di virtù».<br />

«Bada! Non mentire. Roma ne ha basta di falsi dèi».<br />

«Vieni tu pure. Vedrai che non mento».<br />

L’uomo che ha ospitato Gesù sente il dovere di interloquire: «Ma da quando tante domande a un<br />

rabbi?».<br />

«Denunzia di uomo sedizioso».<br />

«Sedizioso? Lui? Ma tu prendi abbaglio, Mario Severo! Questo è l’uomo più mite della terra. Te lo<br />

dico io».<br />

<strong>Il</strong> graduato si stringe nelle spalle e risponde: «Meglio per Lui. Ma così ebbe denunzia il<br />

centurione. Vada pure. È avvisato». E si volta tutto di un pezzo, andandosene coi subalterni.<br />

«Ma chi può essere stato? <strong>Io</strong> non capisco!» dicono in diversi.<br />

Gesù risponde: «Lasciate di capire. Non serve. Andiamo mentre molti sono sulla piazza. Poi<br />

partiremo anche di qui».<br />

9 La piazza deve essere una piazza piuttosto commerciale. Non è un mercato ma poco meno, perché<br />

cinta di fondachi in cui sono depositi di merce di ogni genere. E la gente si affolla in essi. Perciò vi è<br />

molta gente sulla piazza e qualcuno ammicca a Gesù e presto un cerchio di gente è intorno al<br />

«Nazareno». Un cerchio composto di ogni genere e classe e nazione. Chi c’è per venerazione, chi per<br />

curiosità.<br />

Gesù fa cenno di parlare.<br />

«Udiamolo!» dice un romano che esce da un magazzino.<br />

«Non ci sarà da sentire una lamentazione?» gli risponde un suo simile.<br />

«Non lo credere, Costanzo. È meno indigesto di uno dei soliti retori nostri».<br />

«A chi mi ascolta, pace! È detto nell’Esdra, nella preghiera di Esdra: “E che diremo ora, o <strong>Dio</strong> nostro,<br />

dopo le cose avvenute? Che, se abbiamo abbandonato i tuoi comandamenti da Te intimati a mezzo dei<br />

tuoi servi...”».<br />

«Fermati, Tu che parli. <strong>Il</strong> soggetto te lo diamo noi» urla un pugno di farisei che si fanno largo fra la<br />

gente. Quasi subito riappare la scorta armata e si ferma all’angolo più vicino. I farisei sono ora di<br />

fronte a Gesù. «Sei Tu il Galileo? Gesù di Nazaret sei?».<br />

«Lo sono!».<br />

«Lode a <strong>Dio</strong> che ti abbiamo trovato!». Veramente hanno certi ceffi così astiosi che non mostrano di<br />

essere in gioia per l’incontro...<br />

<strong>Il</strong> più vecchio parla: «Ti seguiamo da molti giorni, arrivando sempre dopo che Tu sei partito».<br />

«Perché mi seguite?».<br />

«Perché sei il Maestro e vogliamo essere ammaestrati in un punto oscuro della Legge».<br />

«Non vi sono punti oscuri nella Legge di <strong>Dio</strong>».<br />

«In essa no. Ma, eh! eh!... Ma sulla Legge sono venute le “sovrapposizioni”, come Tu dici, eh! eh!... e<br />

hanno fatto oscurità».<br />

«Penembra, al massimo. E basta volgere l’intelletto a <strong>Dio</strong> per distruggere esse pure».<br />

«Non tutti lo sanno fare. Noi, per esempio, rimaniamo in penombra. Tu sei il Rabbi, eh! eh! Aiutaci


dunque».<br />

10 «Che volete sapere?».<br />

Volevamo sapere se è lecito all’uomo ripudiare per un motivo qualsiasi la propria moglie. È una cosa<br />

che spesso avviene, ed ogni volta crea molto rumore là dove avviene. Si rivolgono a noi per sapere se<br />

è lecito. E noi, a seconda del caso, rispondiamo».<br />

«Approvando l’avvenuto nel novanta per cento dei casi. E il dieci per cento che resta disapprovato<br />

è nella categoria dei poveri o dei nemici vostri».<br />

«Come lo sai?».<br />

«Perché così avviene in tutte le cose umane. E unisco nella categoria la terza classe, quella che, se<br />

fosse lecito il divorzio, più ne avrebbe diritto, perché quella dei veri casi penosi, quali una lebbra<br />

incurabile, oppure una condanna a vita, o malattie innominabili... ».<br />

«Allora per Te non è mai lecito?».<br />

«Né per Me, né per l’Altissimo, né per nessuno che sia di animo retto. Non avete letto che il<br />

Creatore, nel principio dei giorni, creò l’uomo e la donna? E li creò maschio e femmina; e non<br />

aveva bisogno di farlo, ché, se avesse voluto, avrebbe potuto, per il re della creazione, fatto a sua<br />

immagine e somiglianza, creare altro modo di procreazione, e ugualmente buono sarebbe stato, pur<br />

essendo dissimile da ogni altro naturale. E disse: “Così per questo l’uomo lascerà il padre e la<br />

madre e si unirà con la moglie e i due saranno una sola carne”. Dunque <strong>Dio</strong> li congiunse in una<br />

sola unità. Non sono dunque più “due” ma “una” sola carne. Ciò che <strong>Dio</strong> ha congiunto, perché vide<br />

che “è buona cosa”, l’uomo non lo divida, perché se così avvenisse cosa non più buona sarebbe».<br />

11 «Ma perché allora Mosè disse: “Se un uomo ha preso una donna con sé, ma essa non ha trovato<br />

grazia ai suoi occhi per qualcosa di turpe, egli scriverà un libello di ripudio, glielo consegnerà in<br />

mano e la manderà via di casa sua”?».<br />

«Lo disse per la durezza del vostro cuore. Per evitare, con un ordine, dei disordini troppo gravi.<br />

Per questo vi permise di ripudiare le mogli. Ma dal principio non fu così. Perché la donna è da più<br />

della bestia, la quale è, a seconda del capriccio del padrone o delle libere circostanze di natura,<br />

sottoposta a questo o a quel maschio, carne senz’anima che si accoppia per riprodurre. Le vostre<br />

mogli hanno un’anima come voi l’avete, e non è giusto che voi la calpestiate senza sentirne<br />

compassione. Ché se è detto nella condanna: “Tu sarai sottoposta alla potestà del marito ed egli ti<br />

dominerà”, ciò deve avvenire secondo giustizia e non con prepotenza che lede i diritti dell’anima<br />

libera e degna di rispetto. Voi, ripudiando, come lecito non vi è, portate offesa all’anima della vostra<br />

compagna, alla carne gemella che alla vostra si è unita, al tutto che è la donna che avete sposata<br />

esigendo la sua onestà, mentre, o spergiuri, andate ad essa disonesti, menomati, talora corrotti, e<br />

continuate ad esserlo, cogliendo ogni occasione per poterla colpire e dare maggior campo alla<br />

libidine insaziabile che è in voi. Prostitutori delle mogli vostre! Per nessun motivo potete separarvi<br />

dalla donna che vi è congiunta secondo la Legge e la Benedizione. Solo nel caso che la grazia vi<br />

tocchi, e comprendiate che la donna non è un possesso ma un’anima, e perciò ha diritti uguali ai<br />

vostri di essere riconosciuta parte dell’uomo e non suo oggetto di piacere, e solo nel caso che sia<br />

tanto duro il vostro cuore da non sapere elevarla a moglie, dopo averla goduta come una prostituta,<br />

solo nel caso di levare questo scandalo di due che convivono senza benedizione di <strong>Dio</strong> sulla loro<br />

unione, voi potete rimandarla. Perché allora la vostra non è unione ma fornicazione, e sovente<br />

senza onore di figli, perché disciolti contro natura o allontanati come vergogna. In nessun altro<br />

caso. In nessun altro. Perché se figli illegittimi avete dalla vostra concubina, avete il dovere di porre<br />

fine allo scandalo sposandola, se liberi siete. Non contemplo il caso dell’adulterio consumato ai<br />

danni della moglie ignara. Per quello sono sante le pietre della lapidazione e le fiamme dello<br />

Sceol. Ma per chi rimanda la propria moglie legittima perché di essa è sazio e ne prende un’altra,<br />

non c’è che una sentenza: costui è adultero. E adultero è chi prende la ripudiata, perché se l’uomo<br />

si è arrogato il diritto di separare ciò che <strong>Dio</strong> ha congiunto, l’unione matrimoniale continua, agli<br />

occhi di <strong>Dio</strong>, e maledetto è chi passa a seconda moglie senza essere vedovo. E maledetto è chi<br />

riprende la donna prima sua e poi, rimandatala per ripudio e abbandonatala alle paure della vita,<br />

onde essa cede a nuove nozze per il suo pane, la riprende se resta vedova del secondo marito.<br />

Perché, anche che vedova sia, ella fu adultera per colpa vostra, e voi raddoppiereste il suo adulterio.


Avete compreso, o farisei che mi tentate?».<br />

Questi se ne vanno scornati, senza rispondere.<br />

12 «Severo è l’uomo. Se fosse a Roma vedrebbe però che il fango ribolle ancor più fetente» dice un<br />

romano.<br />

Anche alcuni di Gadara brontolano: «Dura cosa essere uomini, se bisogna essere casti così!...».<br />

E alcuni più forte: «Se tale è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, meglio stare senza nozze».<br />

E questa ragione ripetono anche gli apostoli mentre ripigliano la via verso la campagna, dopo aver<br />

lasciato quelli di Gadara. Lo dice Giuda con scherno. Lo dice Giacomo di Zebedeo con rispetto e<br />

riflessione; e Gesù risponde all’uno e all’altro:<br />

«Non tutti capiscono questo, né lo capiscono bene. Alcuni infatti preferiscono il celibato per essere liberi<br />

di secondare i vizi. Altri per evitare di poter peccare essendo mariti non buoni. Ma solo alcuni, ai quali è<br />

concesso, comprendono la bellezza di essere scevri di sensualità e di anche onesta fame di donna. E sono<br />

i più santi, i più liberi, i più angelici sulla terra. Parlo di coloro che si fanno eunuchi per il Regno di <strong>Dio</strong>.<br />

Ci sono negli uomini quelli che nascono tali. Altri che tali vengono fatti. I primi sono mostruosità che<br />

devono suscitare compassione, i secondi abusi che vanno repressi. Ma c’è infine la terza categoria:<br />

di eunuchi volontari che, senza usarsi violenza, e perciò con doppio merito, sanno aderire alla richiesta di<br />

<strong>Dio</strong> e vivono da angeli perché l’abbandonato altare della terra abbia ancora fiori e incensi per il<br />

Signore. Costoro negano alla parte inferiore soddisfacimento per crescere la parte superiore, onde<br />

fiorisca in Cielo nelle aiuole più prossime al trono del Re. E in verità vi dico che non sono dei mutilati,<br />

ma sono degli esseri dotati di ciò che manca ai più fra gli uomini. Non oggetto perciò di stolto<br />

scherno, ma anzi di grande venerazione. Comprenda ciò chi deve, e rispetti, se può».<br />

Gli ammogliati fra gli apostoli bisbigliano fra loro.<br />

«Che avete?» chiede Gesù.<br />

«E noi? Noi non sapevamo questo e abbiamo preso donna. Ma ci piacerebbe essere come Tu dici...» dice<br />

per tutti Bartolomeo.<br />

«Né vi è interdetto farlo d’ora in poi. Vivete in continenza, vedendo nella compagna la sorella, e<br />

grande merito ne avrete agli occhi di <strong>Dio</strong>. Ma affrettate il passo. Per essere a Pella prima della<br />

pioggia».<br />

358. A Pella. <strong>Il</strong> giovinetto Jaia e la madre di Marco di Giosia.<br />

12 dicembre 1945.<br />

1 La strada che da Gadara va a Pella corre per una zona fertile, distesa fra due ordini di colli, l’uno più<br />

alto dell’altro. Sembrano due enormi scalini di una scala da giganti favolosi, per salire dalla valle del<br />

Giordano ai monti dell’Auran. Quando la strada si accosta maggiormente allo scaglione di occidente,<br />

l’occhio domina non solo sui monti dell’altra sponda, credo quelli della Galilea meridionale e<br />

certamente quelli della Samaria, ma anche sulla verde bellezza che fa da ala all’azzurro fiume<br />

dall’una parte e dall’altra. Quando se ne scosta, avvicinandosi alle catene di oriente, allora perde di<br />

vista la valle del Giordano, ma ancora vede le cime delle catene di Samaria e di Galilea stagliarsi col loro<br />

verde sul cielo grigio.<br />

In giorno di sole sarebbe un bel panorama, dalle tinte vaghe di bellezza e decise. Oggi che il cielo<br />

è ormai tutto coperto di nuvole basse, ammonticchiate dallo scirocco che cresce sempre e spinge<br />

nuovi ammassi di nuvole pesanti a sovrapporsi a quelli già esistenti, abbassando il cielo con tutta<br />

questa ovatta grigia e arruffata, il panorama perde la luminosità dei verdi, che appaiono smorzati<br />

come per una opacità di nebbia.<br />

Qualche paesello viene raggiunto e sorpassato senza che accada nulla di notevole. L’indifferenza<br />

accoglie e segue il Maestro. Solo gli accattoni non mancano di interessarsi del gruppo di pellegrini<br />

galilei, e vanno chiedendo elemosina. Non mancano i soliti ciechi dagli occhi per lo più distrutti dal<br />

tracoma, o i quasi ciechi che vanno a capo basso, mal soffrendo la luce, rasente ai muri, talora soli,<br />

altre volte uniti ad una donna o ad un bambino. In un paese, dove si interseca la strada per Pella


con quella di Gerasa e Bosra per il lago di Tiberiade, ve ne è tutta una turba, che assalta le<br />

carovane coi suoi lamenti simili ad uggiolii di cani, rotti ogni tanto da veri ululati. Stanno in<br />

ascolto, un gruppo di miseria, di sudiciume e di stracci, addossato alle mura delle prime case,<br />

rosicchiando croste di pane e ulive, oppure sonnecchiano mentre le mosche pascolano a loro<br />

piacere sulle palpebre ulcerate; ma al primo rumore di zoccoli o al primo scalpiccio di numerosi<br />

piedi, sorgono e vanno, simili ad un cencioso coro di tragedia antica, tutti con le stesse parole e gli<br />

stessi gesti, verso i sopravvenienti. Qualche moneta vola e qualche tozzo di pane, e i ciechi o i semiciechi<br />

annaspano nella polvere e nelle lordure per trovare l’obolo.<br />

2Gesù li osserva e dice a Simone Zelote e a Filippo: «Portate loro denaro e pane. <strong>Il</strong> denaro lo ha<br />

Giuda, il pane Giovanni».<br />

I due vanno avanti solleciti a fare quanto è stato ordinato e si fermano a parlare mentre Gesù viene<br />

avanti adagio, ritardato da una fila di asinelli che sbarra la via.<br />

I mendichi sono stupiti del saluto e della grazia con i quali vengono salutati e beneficati dai<br />

sopraggiunti, e chiedono: «Chi siete che avete buona grazia con noi?».<br />

«I discepoli di Gesù di Nazaret, il Rabbi di Israele, Colui che ama i poveri e gli infelici perché è il<br />

Salvatore, e passa annunziando la Buona Novella e facendo miracoli».<br />

«<strong>Il</strong> miracolo è questo» dice uno dalle palpebre atrocemente devastate. E picchia sul suo pezzo di<br />

pane pulito, vero animale che non sente e ammira che le cose materiali.<br />

Una donna, che passa con le brocche di rame e che sente, dice: «Taci là, lurido poltrone». E si<br />

volge ai discepoli dicendo: «Non è del paese. Ed è rissoso e violento coi suoi simili. Bisognerebbe<br />

cacciarlo perché ruba ai poveri del paese. Ma abbiamo paura delle sue vendette»; e piano, proprio<br />

con un filo di voce, mormora: «Si dice che sia un ladrone che per anni ha rubato e ucciso, calando<br />

dai monti di Caracamoab e di Sela, che ora è detta Petra dai dominatori, coloro che fanno le vie dei<br />

deserti. Si dice che è un soldato disertore di quel romano venuto là a... fare conoscere Roma...<br />

Elio, mi pare, e un altro nome ancora... Se lo fate bere racconta... Ora, cieco, è capitato qui... È<br />

quello il Salvatore?» chiede poi accennando Gesù che è passato diritto.<br />

«È quello. Gli vuoi parlare?».<br />

«Oh! no!» dice la donna indifferente.<br />

I due apostoli la salutano e si avviano a raggiungere il Maestro. 3Ma un tumulto avviene fra i ciechi<br />

e vi è un pianto quasi di fanciullo. Si voltano in diversi, e la donna di prima, che è sulla soglia<br />

della sua casa, spiega: «Sarà quel crudele che leva i soldi ai più deboli. Fa sempre così».<br />

Anche Gesù si è voltato a guardare...<br />

Infatti un fanciullo, meglio, un adolescente, esce sanguinando e piangendo dal gruppo e si lamenta:<br />

«Tutto mi ha levato! E la mamma non ha più pane!».<br />

Chi compassiona, chi ride...<br />

«Chi è?» chiede Gesù alla donna.<br />

«Un fanciullo di Pella. Povero. Viene mendicando. Tutti ciechi nella casa, per malattia presa l’uno<br />

dall’altro. <strong>Il</strong> padre è morto. La madre sta in casa. <strong>Il</strong> giovinetto chiede l’obolo ai passanti e ai<br />

contadini».<br />

<strong>Il</strong> ragazzo viene avanti col suo bastoncello, asciugandosi il pianto e il sangue, che gli scende dalla<br />

fronte, con un angolo del suo mantello sdruscito.<br />

La donna lo chiama: «Fermati, Jaia. Ti laverò la fronte e ti darò un pane!».<br />

«Avevo denaro e pane per più giorni! Ora più niente! La mamma mi aspetta per mangiare...», si<br />

lamenta l’infelice mentre si deterge con l’acqua della donna.<br />

4Gesù si fa avanti e dice: «Ti darò quanto ho. Non piangere».<br />

«Ma Signore! Perché? Dove alloggeremo? Che faremo?» dice inquieto Giuda.<br />

«Loderemo <strong>Dio</strong> che ci conserva sani. È già somma grazia».<br />

<strong>Il</strong> ragazzo dice: «Oh! sì che lo è! Ci vedessi! Lavorerei io, per la mamma».<br />

«Vorresti guarire?».<br />

«Sì».<br />

«Perché non vai dai medici?».<br />

«Nessuno ci ha mai guariti. Ci hanno detto che c’è Uno in Galilea che non è medico ma guarisce.


Ma come si fa ad andare da Lui?».<br />

«Va’ a Gerusalemme. Al Getsemani. È un uliveto alle falde del monte degli ulivi presso la via di<br />

Betania. Chiedi di Marco e di Giona. Tutti quelli del sobborgo di Ofel te lo indicheranno. Puoi<br />

unirti a una carovana. Ne passano tante. A Giona chiedi di Gesù di Nazaret...».<br />

«Ecco! È quello il nome! Mi guarirà?».<br />

«Se hai fede, sì».<br />

«E fede ho. Tu dove vai, Tu che sei buono?».<br />

«A Gerusalemme, per la Pasqua».<br />

«Oh! prendimi con Te! Non ti darò noia. Dormirò all’aperto e mi basterà un pezzo di pane!<br />

Andiamo a Pella... Tu vai là, vero? E lo diciamo alla madre, e poi si va... Oh! vederci! Sii buono,<br />

Signore!...». E il giovanotto si inginocchia cercando i piedi di Gesù per baciarli.<br />

«Vieni. Ti condurrò alla luce».<br />

«Te benedetto!».<br />

5 Riprendono a camminare e la mano affusolata di Gesù tiene per un braccio il fanciullo per<br />

guidarlo sollecitamente. E il fanciullo parla.<br />

«Tu chi sei? Un discepolo del Salvatore?».<br />

«No».<br />

«Ma lo conosci, almeno?».<br />

«Sì».<br />

«E credi che mi guarirà?».<br />

«Lo credo».<br />

«Ma... vorrà denaro? Non ne ho. I medici ne vogliono tanto! Alla fame siamo andati per curarci...».<br />

«Gesù di Nazaret non vuole che fede e amore».<br />

«È molto buono, allora. Però anche Tu sei buono» dice il giovinetto, e per prendere e carezzare la<br />

mano che lo conduce palpeggia la manica della veste. «Che bell’abito che hai! Sei un signore! Non<br />

ti vergogni di me, stracciato come sono?».<br />

«Mi vergogno solo delle colpe che disonorano l’uomo».<br />

«<strong>Io</strong> ho quelle di mormorare qualche volta sul mio stato e di desiderare abiti caldi, pane e soprattutto<br />

la vista».<br />

Gesù lo carezza: «Non sono colpe disonoranti queste. Però cerca di non avere neanche queste<br />

imperfezioni e sarai santo».<br />

«Ma se guarisco non le avrò più... Oppure... non guarisco e Tu lo sai, e mi prepari alla mia sorte e<br />

mi istruisci a santificarmi come Giobbe?».<br />

«Tu guarirai. Ma dopo, soprattutto dopo, devi sempre essere contento del tuo stato anche se non<br />

sarà dei più lieti».<br />

Pella è raggiunta. Le ortaglie che sempre precedono le città espongono la fecondità delle loro<br />

aiuole con un verzichio rigoglioso di verdure.<br />

Delle donne intente al lavoro sui solchi, oppure alle conche del bucato, salutano Jaia e gli dicono:<br />

«Torni presto, oggi. Ti è andata bene?», o anche: «Hai trovato un protettore, povero figlio?». Una,<br />

anziana, grida dal fondo di un’ortaglia: «O Jaia! Se hai fame c’è una scodella per te. Se no per<br />

tua madre. Vai a casa? Prendila».<br />

«Vado a dire alla mamma che vado con questo signore buono a Gerusalemme per guarire. Conosce<br />

Gesù di Nazaret e mi ci conduce».<br />

6 La via quasi alle porte di Pella, è piena di folla. Vi sono mercanti, ma vi sono anche pellegrini.<br />

Una donna di buon aspetto, che viaggia su un ciuco, accompagnata da una serva e da un servo, si<br />

volta sentendo parlare di Gesù e poi tira le redini, ferma il ciuco, scende e si dirige da Gesù.<br />

«Tu conosci Gesù di Nazaret? E vai da Lui? <strong>Io</strong> pure ci vado... Per la guarigione di un figlio.<br />

Vorrei parlare col Maestro perché...». Si mette a piangere sotto il fitto velo.<br />

«Che malattia ha tuo figlio? Dove sta?».<br />

«È di Gerasa. Ma ora è verso la Giudea. Va come un invasato... Oh! che ho detto!».<br />

«È indemoniato?».<br />

«Signore, lo era e fu guarito. Ora... è più demonio di prima perché... Oh! posso dire questo solo a


Gesù di Nazaret!».<br />

«Giacomo, prendi il fanciullo fra te e Simone, e andate avanti con gli altri. Mi attenderete di là<br />

della porta. Donna, puoi mandare avanti i servi. Parleremo fra noi».<br />

La donna dice: «Ma Tu non sei il Nazareno! Solo a Lui io voglio parlare. Perché Lui solo può capire e<br />

avere misericordia».<br />

Ormai sono soli, però. Gli altri vanno avanti per conto loro. Gesù attende che la via sia vuota e poi<br />

dice: «Puoi parlare. <strong>Io</strong> sono Gesù di Nazaret».<br />

La donna ha un gemito e fa per cadere in ginocchio.<br />

«No. La gente non deve sapere per ora. Andiamo. Là vi è una casa aperta. Chiederemo riposo e<br />

parleremo. Vieni».<br />

Vanno per una stradella fra due ortaglie ad una casa popolana sulla cui aia ruzzano dei bambini.<br />

«La pace sia con voi. Mi permettete di fare riposare la donna per qualche momento? Devo parlare con<br />

lei. Veniamo da lontano per poterci parlare e <strong>Dio</strong> ci ha uniti prima della mèta».<br />

«Entrate. L’ospite è benedizione. Vi daremo latte e pane, e acqua per i piedi stanchi» dice una<br />

vecchia.<br />

«Non occorre. Ci basta un luogo quieto per poter parlare».<br />

«Venite», e li conduce su una terrazza che si inghirlanda di una vite che sboccia in foglie smeraldine.<br />

7 Restano soli.<br />

«Parla, donna. <strong>Io</strong> l’ho detto: <strong>Dio</strong> ci ha uniti prima della mèta per tuo sollievo».<br />

«Non c’è, non c’è sollievo più per me! Avevo un figlio. Divenne indemoniato. Una belva nei sepolcri.<br />

Nulla lo teneva. Nulla lo guariva. Ti vide. Ti adorò con la bocca del demonio e Tu lo guaristi. Voleva<br />

venire con Te. Tu pensasti alla madre sua e me lo mandasti. A ridarmi vita e ragione che vacillavano<br />

così, per il dolore di un figlio indemoniato. E lo mandasti anche perché ti predicasse, posto che voleva<br />

amarti. <strong>Io</strong>... oh! esser madre di nuovo e di un figlio santo! Di un tuo servo! Ma dimmi, dimmi!<br />

Quando lo hai mandato indietro Tu sapevi che egli era... che sarebbe divenuto un demonio ancora?<br />

Perché è un demonio, che ti lascia dopo tanto bene avuto, dopo averti conosciuto, dopo essere stato<br />

eletto al Cielo... Dimmelo! Lo sapevi? Ma io vaneggio! Parlo e non ti dico perché è un demonio... È<br />

tornato come un folle da qualche tempo, oh! pochi giorni! ma più penosi per me dei lunghi anni in cui<br />

fu posseduto... E allora credevo che mai avrei avuto dolori più grandi di quello... È venuto... e ha<br />

demolito la fede che Gerasa coltivava per Te, per tuo e suo merito, dicendo infamie di Te. E ti precede<br />

verso il guado di Gerico facendoti del male, facendoti del male!».<br />

La donna, che non si è mai levata il velo dietro il quale singhiozza straziantemente, si getta ai piedi di<br />

Gesù supplicando: «Va’ via! va’ via! Non ti fare insultare! <strong>Io</strong> sono partita, d’accordo col marito malato,<br />

pregando <strong>Dio</strong> di trovarti. Mi ha esaudita! Oh! ne sia benedetto! Non voglio, non voglio permettere io<br />

che Tu, Salvatore, sia malmenato per causa di mio figlio! Oh! perché l’ho messo al mondo? Ti ha<br />

tradito, Signore! Riporta male le tue parole. <strong>Il</strong> demonio lo ha ripreso. E... oh! Altissimo e Santo! Pietà di<br />

una madre! E sarà dannato. Mio figlio, mio figlio! Prima non ne aveva colpa di essere pieno di<br />

demoni. Era una sventura capitata a lui. Ma ora! Ma ora che Tu lo avevi graziato, ora che aveva<br />

conosciuto <strong>Dio</strong>, ora che Tu lo avevi istruito! Ora egli ha voluto essere un demonio, e nessuna forza lo<br />

libererà più! Oh! Oh!».<br />

La donna è gettata al suolo, mucchio di vesti e di carni che si agitano nei singhiozzi. E geme: «Dimmi,<br />

dimmi, che devo fare per Te, per mio figlio? Per riparare! Per salvare! No. Riparare! Tu vedi che il mio<br />

dolore è riparazione. Ma salvare! Non posso salvare il rinnegatore di <strong>Dio</strong>. È dannato... E per me,<br />

israelita, cosa è questo? Tormento».<br />

8 Gesù si china. Le posa la mano sulla spalla. «Alzati, calmati! Tu mi sei cara. Ascolta, povera madre».<br />

«Non mi maledici di averlo generato?!».<br />

«Oh! no! Non sei responsabile del suo errore e, sappilo per tuo conforto, puoi invece essere causa della<br />

sua salvezza. Le rovine dei figli possono essere riparate dalle madri. E tu lo farai. <strong>Il</strong> tuo dolore, perché è<br />

buono, non è sterile, ma è fecondo. Per il tuo soffrire sarà salva l’anima che ami. Tu espii per lui, ed<br />

espii con così retta intenzione che tu sei l’indulgenza del figlio tuo. Egli tornerà a <strong>Dio</strong>. Non piangere».<br />

«Ma quando? Quando mai?».<br />

«Quando il tuo pianto si sarà disciolto nel mio Sangue».


«<strong>Il</strong> tuo Sangue? Ma allora è vero ciò che egli dice? Che Tu sarai ucciso perché degno di morte?...<br />

Bestemmia orrenda!».<br />

«È verità vera nella prima parte. <strong>Io</strong> sarò ucciso per farvi degni di Vita. Sono il Salvatore, donna. E<br />

salvezza si dà con la parola, con la misericordia e con l’olocausto. Per tuo figlio questo ci vuole. E questo<br />

darò. Ma tu aiutami. Dàmmi il tuo dolore. Va’ con la mia benedizione. Conservala in te per poter essere<br />

misericorde e paziente presso tuo figlio e ricordargli così che Un altro fu misericorde con lui. Va’, va’ in<br />

pace».<br />

«Ma Tu non parlare a Pella! Non parlare in Perea! Egli te li ha messi contro. E non è solo. Ma io vedo e<br />

parlo solo di lui...».<br />

«Parlerò con un atto. E sarà sufficiente ad annullare l’opera di altri. Va’ in pace alla tua casa».<br />

«Signore, ora che mi hai assolta di averlo generato, vedi il mio volto per conoscere quale è il viso di<br />

una madre quando è straziata», e si scopre il volto dicendo: «Ecco la faccia della madre di Marco di<br />

Giosia, rinnegatore del Messia e torturatore della sua genitrice», e riabbassa poi il fitto velo sul volto<br />

devastato dal pianto gemendo: «Nessun’altra madre d’Israele sarà pari a me nel dolore!».<br />

9Scendono dal luogo ospitale e riprendono la via. Entrano in Pella e si riuniscono: la donna ai servi, Gesù<br />

ai discepoli.<br />

Ma la donna lo segue come affascinata mentre Gesù va dietro al ragazzo che si dirige alla sua casupola,<br />

situata in uno scantinato di una costruzione addossata al fianco del monte, caratteristica di questa<br />

città che sale a scaglioni, di modo che il terreno del lato ovest è il secondo piano del lato est, ma in<br />

realtà è un terreno anche là, perché vi si può accedere dalla via soprastante che è al livello dell’ultimo<br />

piano. Non so se riesco a spiegarmi bene.<br />

<strong>Il</strong> ragazzo chiama forte: «Madre! Madre!».<br />

Dall’antro misero e buio viene avanti una donna ancora giovane, cieca, disinvolta perché cognita<br />

dell’ambiente.<br />

«Già di ritorno, figlio mio? Così numerosi gli oboli da farti tornare mentre è ancora alto il giorno?».<br />

«Mamma, ho trovato uno che conosce Gesù di Nazaret e che dice che mi conduce da Lui per essere<br />

guarito. È molto buono. Mi lasci andare, mamma?».<br />

«Ma sì, Jaia! Anche se resto sola, va’, va’, benedetto, e guardalo anche per me il Salvatore!». L’adesione,<br />

la fede della donna è assoluta.<br />

Gesù sorride. Parla: «Tu non dubiti, donna, né di me, né del Salvatore?».<br />

«No. Se tu lo conosci e gli sei amico, non puoi essere che buono. Lui poi! Va’, va’, figlio! Non<br />

tardare un momento. Diamoci un bacio e va’ con <strong>Dio</strong>».<br />

Si baciano, trovandosi a tentoni.<br />

Gesù pone sulla tavola grezza un pane e delle monete. «Addio, donna. Qui vi è di che procurarti<br />

cibo. La pace sia con te».<br />

10Escono. La comitiva riprende l’andare. Cadono le prime gocce di pioggia.<br />

«Ma non ci fermiamo? Piove...» dicono gli apostoli.<br />

«Ci fermeremo a Jabes Galaad. Camminate».<br />

Si tirano su i mantelli sul capo e Gesù stende il suo sul capo del ragazzo. La madre di Marco di<br />

Giosia lo segue coi servi, sul suo asinello. Sembra non si possa separare da Lui.<br />

Escono da Pella. Si inoltrano per la campagna verde e triste nella giornata piovosa.<br />

Fanno almeno un chilometro, poi Gesù si ferma. Prende il capo del ciechino fra le mani e lo bacia<br />

sugli occhi spenti dicendo: «Ed ora torna indietro. Va’ a dire a tua madre che il Signore premia chi ha<br />

fede, e va’ a dire a quelli di Pella che questo è il Signore». Lo lascia andare e si allontana rapido.<br />

Ma non passano tre minuti che il ragazzo grida: «Ma io ci vedo! Oh! non fuggire! Tu sei Gesù! Fa’<br />

che io veda Te per primo!», e cade in ginocchio sulla via bagnata di pioggia.<br />

La donna gerasena e i servi da una parte, gli apostoli dall’altra, corrono a vedere il miracolo.<br />

Anche Gesù torna, lentamente, sorridente. Si china ad accarezzare il ragazzo. «Va’, va’ dalla<br />

mamma e sappi credere in Me, sempre».<br />

«Sì, Signor mio... Ma alla mamma nulla?! Nel buio lei che crede come me?».<br />

Gesù sorride più luminosamente ancora. Si guarda intorno. Vede sul ciglio della via un ciuffo di<br />

margheritine roride d’acqua. Si china e le coglie, le benedice, le dà al fanciullo.


«Passale sugli occhi di tua madre ed ella vedrà. <strong>Io</strong> non torno indietro. <strong>Io</strong> vado avanti. Chi è buono<br />

mi segua col suo spirito e parli di Me ai dubbiosi. Tu parla di Me a Pella che tituba nella fede. Va’.<br />

<strong>Dio</strong> è con te».<br />

E poi si volge alla donna di Gerasa: «E tu seguilo. Questa è la risposta di <strong>Dio</strong> a tutti coloro che<br />

tentano sminuire la fede degli uomini nel Cristo. E ciò rafforzi la tua fede e quella di Giosia. Va’ in<br />

pace».<br />

Si separano. Gesù riprende la marcia a sud. <strong>Il</strong> fanciullo, la gerasena e i servi, verso nord. <strong>Il</strong> velo<br />

dell’acqua fitta li separa come dietro una tenda fumosa...<br />

359. Nella capanna di Mattia presso Jabes Galaad.<br />

13 dicembre 1945.<br />

1 La valle profonda e boscosa dove sorge Jabes Galaad è sonante per un torrentello molto gonfio che va<br />

spumando al prossimo Giordano. Cupezza di crepuscolo e cupezza di giornata aggravano gli aspetti cupi<br />

delle selve, e perciò il paese appare triste e inospitale fin dal primo momento.<br />

Tommaso, sempre di buon umore nonostante che le sue vesti siano nello stato di un panno levato da<br />

una tinozza, dalla testa ai fianchi e dai fianchi ai piedi fango che cammina, dice: «Uhm! non vorrei<br />

che dopo secoli si vendicasse su di noi, questo paese, della brutta sorpresa avuta da Israele. Basta!<br />

Andiamo a soffrire per il Signore».<br />

Non li accoppano, questo no. Ma li cacciano da ogni luogo, chiamandoli ladroni e peggio ancora, e<br />

Filippo con Matteo devono fare una bella corsa per salvarsi da un grosso cane che un pastore ha<br />

aizzato contro di loro, andati a bussare alla porta dell’ovile chiedendo ricovero per la notte, «almeno<br />

sotto le tettoie delle bestie».<br />

«E ora che facciamo?».<br />

«Non abbiamo pane».<br />

«E non denari. Senza denari non si trova né pane né alloggio!».<br />

«E siamo fradici, gelati, affamati».<br />

«E viene la notte. Saremo belli domani mattina, dopo una notte nel bosco!».<br />

Su dodici che sono, sette brontolano apertamente, tre hanno il malcontento scritto sul viso e, anche se<br />

tacciono, è come parlassero. Simone Zelote va a capo chino, indecifrabile. Giovanni pare sulla brage<br />

accesa e la sua testa si volta veloce dai brontoloni a Gesù, da questo a quelli, con la pena dipinta sul viso.<br />

Gesù continua ad andare personalmente, posto che gli apostoli si rifiutano o lo fanno con timore, a<br />

bussare di casa in casa, percorrendo paziente le stradette mutate in pantani scivolosi e fetidi. Ma<br />

dovunque è respinto.<br />

2 Sono all’estremità del paese, là dove la valle già si allarga nei pascoli della pianura transgiordanica.<br />

Qualche rara casa resta ancora... E sono tutte delusioni...<br />

«Cerchiamo nei campi. Giovanni, riesci tu a salire su quest’olmo? Dall’alto puoi vedere».<br />

«Sì, mio Signore».<br />

«L’olmo è scivoloso di pioggia. <strong>Il</strong> ragazzo non riuscirà e si farà del male. Così, per soprappiù,<br />

avremo anche un ferito» brontola Pietro.<br />

E Gesù, mite: «Salirò <strong>Io</strong>».<br />

«Questo poi no!» urlano in coro. E più di tutti urlano i pescatori, aggiungendo: «Se è pericoloso per noi<br />

che siamo pescatori, cosa vuoi potere Tu che non ti sei mai arrampicato sugli spigoli e sulle corde?».<br />

«Lo facevo per voi. Per cercarvi un ricovero. Per Me è indifferente. Non è l’acqua quella che mi è<br />

penosa...». Quanta tristezza! Quanto richiamo alla pietà per Lui è nella voce!<br />

Qualcuno lo sente e tace. Altri, e questi sono proprio Bartolomeo e Matteo, dicono: «Ormai è troppo<br />

tardi per provvedere. Si doveva pensarci prima».<br />

«Già, e non fare i capricci col volere partire da Pella benché già piovesse. Sei stato caparbio e


imprudente, e ora tutti ne paghiamo lo scotto. Cosa vuoi provvedere, ora? Se avessimo avuto una ben<br />

nutrita borsa, vedi che tutte le case si sarebbero aperte! Ma Tu!... Perché non fai un miracolo, almeno<br />

un miracolo per i tuoi apostoli, Tu che ne fai anche agli indegni?» dice Giuda di Keriot gestendo come<br />

un matto, aggressivo, tanto che gli altri, benché in fondo la pensino in parte come lui, sentono il<br />

bisogno di richiamarlo al rispetto.<br />

Gesù pare già il Condannato che guarda mite i suoi carnefici. E tace. Questo tacere, che si fa sempre più<br />

frequente in Gesù da qualche tempo, preludio al “grande tacere” davanti al Sinedrio, a Pilato e a Erode,<br />

mi fa tanta pena. Mi sembrano quelle pause di silenzio che si sentono nel lamento di un morente, che<br />

non sono calma nei dolori ma preludio della morte. Mi sembra che gridino, questi silenzi di Gesù, più di<br />

ogni parola, col loro tacere, e dicano tutto il dolore di Gesù davanti all’incomprensione degli uomini e<br />

al loro disamore. E la sua mitezza che non reagisce, lo stare così col capo un po’ basso, me lo fanno apparire<br />

già legato, consegnato al livore degli uomini.<br />

«Perché non parli?» gli chiedono.<br />

«Perché direi parole che il vostro cuore non intenderebbe in quest’ora... Andiamo. Cammineremo per<br />

non ghiacciarci... E perdonate...».<br />

Si volta rapido, mettendosi in testa alla comitiva che un po’ lo compassiona, un po’ lo accusa e un po’ dà<br />

la voce ai compagni.<br />

3 Giovanni resta lentamente indietro, fa in modo che non se ne accorga nessuno. Poi va ad un alto<br />

piantone, mi pare un pioppo o un frassino, e, gettati via mantello e veste, si dà a salire seminudo,<br />

faticosamente, finché i primi rami non gli agevolano la salita. Va su, su, su, come un gatto. Talora<br />

scivola, anche, ma si riprende. È quasi in vetta. Scruta l’orizzonte nelle ultime luci, che qui, in<br />

aperta pianura, e per un assottigliamento delle nubi plumbee, sono più chiare che nella valle.<br />

Aguzza lo sguardo in ogni senso. Ed ha infine un atto di gioia. Si lascia scivolare rapidamente a terra, si<br />

riveste, si dà a correre raggiungendo e sorpassando i compagni. Eccolo al fianco del Maestro. Dice col<br />

fiato corto per la fatica fatta e la corsa: «Una capanna, Signore... una capanna verso oriente... Ma<br />

occorre tornare indietro... Sono salito su un albero... Vieni, vieni...».<br />

«<strong>Io</strong> vado con Giovanni da questa parte. Se volete venire venite, altrimenti proseguite sino al prossimo<br />

paese lungo il fiume. Ci troveremo là» dice Gesù serio e deciso.<br />

Lo seguono tutti per i prati ammollati.<br />

«Ma si torna verso Jabes!».<br />

«<strong>Io</strong> non vedo case...».<br />

«Chissà cosa ha visto il ragazzo!».<br />

«Un pagliaio forse».<br />

«O la capanna di un lebbroso».<br />

«Così finiamo di bagnarci. Questi prati sembrano spugne» brontolano gli apostoli.<br />

4 Ma non è una capanna di lebbroso né un pagliaio quello che si disvela da dietro un fitto di tronchi. È<br />

una capanna, questo sì. Larga, bassa, simile ad un povero ovile, col tetto di paglia per metà e i muri<br />

di mota che a fatica tengono a posto i quattro piloni angolari di pietre grezze. Un recinto a palafitte è<br />

intorno alla casupola e dentro vi sono delle verdure stillanti acqua.<br />

Giovanni dà la voce. Si affaccia un vecchio. «Chi è?».<br />

«Pellegrini diretti a Gerusalemme. Un ricovero in nome di <strong>Dio</strong>!» dice Gesù.<br />

«Sempre. È dovere. Ma capitate male. Ho poco spazio e non ho letti».<br />

«Non importa. Avrai fuoco almeno».<br />

L’uomo armeggia alla chiusura e l’apre. «Entrate e la pace sia con voi».<br />

Passano per la minuscola ortaglia. Entrano nell’unica stanza che è cucina e camera da letto. Un fuoco<br />

arde sul focolare. Vi è ordine e povertà. Non un utensile più del necessario.<br />

«Vedete! Non ho che il cuore grande e ornato, io! Ma se vi adattate... Avete pane?».<br />

«No. Un pugno di ulive...».<br />

«<strong>Io</strong> non ho pane per tutti. Ma vi farò una cosa col latte. Ho due pecore. Mi bastano. Vado a<br />

mungerle. Volete darmi i mantelli? Li stenderò nell’ovile, qui dietro. Asciugheranno un poco e<br />

domani con la fiamma faranno il resto».<br />

L’uomo esce carico delle stoffe umide. Tutti sono vicino alla fiamma e si rallegrano del calore.


Torna l’uomo con una rustica stuoia. La stende. «Levatevi i sandali. Li sciacquerò dal fango e li<br />

appenderò, che si asciughino. E vi darò acqua calda per levarvi la mota dai piedi. La stuoia è<br />

rustica ma pulita e alta. Vi potrà fare piacere più del suolo freddo».<br />

Stacca un paiolo colmo di acqua verdastra, perché delle verdure bollono in essa, e versa l’acqua<br />

metà in un catino e metà in una conca. La allunga con acqua fredda e dice: «Ecco. Vi ristorerà.<br />

Lavatevi. Questa è una tela pulita».<br />

E intanto traffica al fuoco, lo avviva, versa il latte in un paiuolo, lo mette al fuoco. E appena<br />

leva il bollore vi cala dei semi che mi sembrano o orzo tritato o miglio sgusciato. E rimesta la sua<br />

pappa.<br />

5 Gesù, che si è lavato fra i primi, gli viene vicino: «<strong>Dio</strong> ti dia grazia per la tua carità».<br />

«Non faccio che rendere ciò che ho avuto da Lui. Ero lebbroso. Dai trentasette ai cinquantuno<br />

lebbroso. Poi sono guarito. Ma al paese ho trovato morti i parenti, la moglie, e devastata la casa.<br />

E poi ero “il lebbroso”... Sono venuto qui. E mi sono fatto il nido. Da me e con l’aiuto di <strong>Dio</strong>. Prima<br />

una capanna di falaschi. Poi una di legno. Poi dei muri... E tutti gli anni una cosa nuova. L’anno<br />

passato ho fatto il luogo delle pecore. Le ho comperate fabbricando stuoie che vendo e stoviglie di<br />

legno. Ho un melo, un pero, un fico, una vite. Dietro ho un campetto d’orzo, davanti le verdure.<br />

Quattro coppie di colombi e due pecore. Fra poco avrò gli agnelli. E speriamo che siano femmine<br />

questa volta. Benedico il Signore e non chiedo di più. E Tu chi sei?».<br />

«Un galileo. Hai prevenzioni?».<br />

«Alcuna, benché di razza giudea. Se avessi avuto figli, avrei potuto averne uno come Te... Faccio da<br />

padre ai colombini... Mi sono abituato a stare solo».<br />

«E per le Feste?».<br />

«Empio le mangiatoie e vado. Prendo a nolo un asino. Corro, faccio, e torno. Mai mi è mancata una<br />

foglia. <strong>Dio</strong> è buono».<br />

«Sì, coi buoni e con i meno buoni. Ma i buoni sono sotto le sue ali».<br />

«Sì. Lo dice anche Isaia... Me, mi ha protetto».<br />

«Sei stato lebbroso però» osserva Tommaso.<br />

«E sono divenuto povero e solo. Ma, ecco, questa è grazia di <strong>Dio</strong>, tornare uomo e avere tetto e pane. <strong>Il</strong><br />

mio modello nella sventura fu Giobbe. Spero di meritare come lui la benedizione di <strong>Dio</strong>, non in<br />

ricchezze ma in grazia».<br />

«L’avrai. Sei un giusto. 6 Come ti chiami?».<br />

«Mattia». E stacca il suo paiolo, lo porta sulla tavola, vi aggiunge burro e miele, fruga, rimette al fuoco e<br />

dice: «Ho solo sei stoviglie fra piatti e scodelle. Farete a turno».<br />

«E tu?».<br />

«Chi ospita si serve per ultimo. Per primi i fratelli che <strong>Dio</strong> manda. Ecco. È pronto. E questo fa<br />

bene». E versa delle ramaiolate di pappa fumante in quattro piatti e due scodelle. I cucchiai di legno<br />

ci sono.<br />

Gesù consiglia i più giovani a mangiare.<br />

«No. Tu, Maestro» dice Giovanni.<br />

«No, no. È bene che si sazi Giuda e veda che c’è sempre cibo per i figli».<br />

L’Iscariota cambia colore ma mangia.<br />

«Sei un rabbi?».<br />

«Sì. Questi sono i miei discepoli».<br />

«<strong>Io</strong> andavo dal Battista, quando era a Betabara. Sai nulla del Messia? Dicono che c’è e che Giovanni<br />

lo ha indicato. Quando vado a Gerusalemme spero sempre di vederlo. Ma non ci sono mai riuscito. <strong>Io</strong><br />

compio il rito e non mi fermo. Per questo sarà che non lo vedo. Qui sono isolato e poi... Gente non<br />

buona in Perea. Ho parlato con dei pastori, vengono qui per i pascoli. Loro sapevano. Mi hanno detto.<br />

Che parole! Chissà poi quando dette da Lui!...».<br />

Gesù non si disvela. È la sua volta di mangiare e lo fa serenamente presso il vecchio buono.<br />

«E ora? Come faremo per il sonno? Vi cedo il letto. Ma è uno solo... <strong>Io</strong> andrò dalle pecore».<br />

«No, ci andremo noi. <strong>Il</strong> fieno è buono per chi è stanco».<br />

La cena è finita e pensano di coricarsi per partire all’aurora. Ma il vecchio insiste e nel suo letto ci va


Matteo, molto costipato.<br />

7Ma l’aurora è un diluvio. Come partire sotto quelle cateratte? Dànno ascolto al vecchio e sostano.<br />

Intanto le vesti vengono spazzolate, asciugate, unti i sandali, riposate le membra. <strong>Il</strong> vecchio<br />

ricuoce orzo nel latte per tutti e poi mette delle mele nella cenere. <strong>Il</strong> loro pasto. E lo stanno<br />

consumando quando viene dal di fuori una voce.<br />

«Un altro pellegrino? Come faremo?» dice il vecchio. Ma si alza ed esce ravvolto in una coperta di<br />

lana grezza, impermeabile.<br />

Nella cucina vi è calore di fuoco, ma non di buon umore. Gesù tace.<br />

Torna il vecchio con gli occhi sbarrati. Guarda Gesù, guarda gli altri. Pare abbia paura... pare sia<br />

incerto e indagatore. Infine dice: «Fra voi c’è il Messia? Ditelo, che quei di Pella lo cercano per<br />

adorarlo, per un grande miracolo fatto da Lui. Hanno bussato da ieri sera a tutte le case fino al<br />

fiume, fino al primo paese... Ora, al ritorno, hanno pensato a me. Qualcuno ha indicato la mia<br />

casa. Sono fuori, coi carri. Tanta gente!».<br />

Gesù si alza. I dodici dicono: «Non ci andare. Se hai detto che era prudente avere evitato di<br />

sostare a Pella, è inutile mostrarti ora».<br />

«Ma allora!... Oh! Benedetto! Benedetto Tu e chi ti ha mandato. E me che ti ho accolto! Tu sei il<br />

Rabbi Gesù, quello... Oh!». L’uomo è in ginocchio, fronte a terra.<br />

«Sono <strong>Io</strong>. Ma lasciami andare da questi che mi cercano. Poi verrò da te, uomo buono». Si libera le<br />

caviglie strette dalle mani del vecchio ed esce nell’ortaglia inondata.<br />

8 «Eccolo! Eccolo! Osanna!». Si gettano dai carri. Sono uomini e donne, e c’è il ciechino di ieri e la<br />

madre, e c’è la gerasena. Incuranti del fango, si inginocchiano e supplicano: «Torna, torna indietro!<br />

Da noi. A Pella».<br />

«No, a Jabes» urlano altri, certo di Jabes. «Ti vogliamo! Siamo pentiti di averti cacciato!»<br />

urlano quelli di Jabes.<br />

«No, da noi. A Pella dove è vivo il tuo miracolo. A loro gli occhi. A noi la luce nell’anima».<br />

«Non posso. Vado a Gerusalemme. Là mi troverete».<br />

«Sei corrucciato perché ti abbiamo scacciato».<br />

«Sei disgustato perché sai che avevamo creduto alle calunnie di un peccatore».<br />

La madre di Marco si copre il viso piangendo.<br />

«Dillo tu, Jaia, a Colui che ti ha amato, di tornare».<br />

«Mi troverete a Gerusalemme. Andate e perseverate. Non siate simili ai venti che vanno in ogni<br />

direzione. Addio».<br />

«No. Vieni. Ti rapiamo con la forza se non vieni».<br />

«Voi non alzerete la mano su Me. Questa è idolatria, non vera fede. La fede crede anche senza<br />

vedere. Persevera anche se combattuta. Cresce anche senza miracoli. Resto da Mattia, che ha<br />

saputo credere senza nulla vedere e che è un giusto».<br />

«Almeno accetta i nostri doni. Denaro, pane. Ci hanno detto che avete dato tutto quanto avevate<br />

a Jaia e a sua madre. Prendi un carro. Anderai con quello. Lo lascerai a Gerico da Timone<br />

alberghiere. Prendilo. Piove e pioverà. Sarai riparato. Farai presto. Mostraci che non ci odii».<br />

Essi al di là della palizzata, Gesù al di qua, si guardano, e quelli di là tumultuano. Dietro a Gesù<br />

il vecchio Mattia in ginocchio, a bocca aperta, e poi, in piedi, gli apostoli.<br />

Gesù tende la mano e dice: «Accetto per i poveri. Ma non accetto il carro. Sono il Povero fra i<br />

poveri. Non insistete. Jaia, donna, e tu di Gerasa, venite, che vi benedica in particolare». E avutili<br />

vicini, poiché Mattia ha aperto la palizzata, li carezza e benedice, e li congeda. Benedice poi gli<br />

altri che si sono affollati sulla soglia, dando agli apostoli monete e viveri, e li congeda.<br />

9Torna in casa...<br />

«Perché non hai parlato loro?».<br />

«Parla il miracolo dei due ciechi».<br />

«Perché non hai preso il carro?».<br />

«Perché è bene andare a piedi». E si volge a Mattia: «Ti avrei ricompensato con le benedizioni.<br />

Ora posso unirvi un poco di denaro per le spese che ti costiamo...».


«No, Signore Gesù... Non lo voglio. Ho fatto ciò di buon cuore. E ora, ora lo faccio servendo il<br />

Signore. Non paga il Signore. Non vi è tenuto. Sono io che ho avuto, non Tu! Oh! questo giorno!<br />

Verrà, col suo ricordo, fino nell’altra vita!».<br />

«Hai detto bene. La tua misericordia verso i pellegrini la troverai scritta in Cielo, e così il tuo<br />

pronto credere... Non appena schiarirà un poco ti lascerò. Essi potrebbero tornare. Insistenti finché<br />

il miracolo li scuote, e poi... torpidi come prima, o nemici. <strong>Io</strong> vado. Fino ad ora ho sostato<br />

cercando convertirli. Ora vengo e passo, senza sostare. Vado al mio destino che mi incalza. <strong>Dio</strong> e<br />

l’uomo mi spronano, e non posso più sostare. Mi pungola l’amore e mi pungola l’odio. Chi mi ama<br />

mi può seguire. Ma il Maestro non corre più dietro alle pecore riottose».<br />

«Non ti amano, Maestro divino?» chiede Mattia.<br />

«Non mi comprendono».<br />

«Cattivi sono».<br />

«Li appesantiscono le concupiscenze».<br />

L’uomo non osa più essere confidenziale come prima. Pare sia di fronte all’altare. Gesù,<br />

all’opposto, ora che non è più lo Sconosciuto, è meno sostenuto e parla al vecchio come a un<br />

parente.<br />

E così passano le ore fino ad un principio di meriggio. La nube, rotta, promette sospensione alla<br />

pioggia. Gesù ordina la partenza. E mentre il vecchio va a prendere i mantelli asciutti, depone in un<br />

cassetto delle monete e fa mettere pani e formaggi in una madia.<br />

Torna il vecchio e Gesù lo benedice. Poi riprende il cammino, volgendosi ancora a guardare la testa<br />

bianca che sporge dalla palizzata oscura.<br />

360. <strong>Il</strong> malumore degli apostoli e il riposo in una grotta.<br />

L’incontro con Rosa di Gerico.<br />

14 dicembre 1945.<br />

1 La pianura del lato orientale del Giordano, per le continue piogge, pare divenuta una laguna, specie<br />

nel luogo ove si trovano adesso Gesù e gli apostoli. Hanno da poco superato un torrente che scende<br />

da una stretta gola delle vicine colline, che sembra facciano tutta una diga ciclopica, dal nord al sud,<br />

lungo il Giordano, rotta qua e là da strette vallate dalle quali sgorga l’inevitabile torrente. Sembra<br />

che una grande smerlettatura di colli sia stata messa da <strong>Dio</strong> a fare contorno alla grande valle del<br />

Giordano, da questa parte. Direi persino una smerlettatura monotona, tanto è uguale nelle<br />

sporgenze, negli aspetti e anche molto nelle altezze. <strong>Il</strong> gruppo apostolico è fra i due ultimi torrenti,<br />

straripanti per giunta presso le rive, e perciò più ampi di letto, specie quello a sud che è imponente<br />

per la massa d’acqua che convoglia dalle montagne e che rumoreggia torbida nell’avviarsi al<br />

Giordano, che si sente a sua volta frusciare forte, specie là dove le curve naturali, quasi potrei dire<br />

le strozzature che ha di continuo, o la confluenza di un suo emissario, producono un ingorgo<br />

d’acque. Orbene, Gesù è fra questo triangolo mozzo, fatto di tre corsi d’acqua in piena, e trarre le<br />

gambe da quel pantano, non è cosa facile.<br />

2 L’umore apostolico è più torbido della giornata. Ed è tutto dire. Tutti vogliono dire la loro. E ogni<br />

cosa detta cela, sotto apparenza di un consiglio, un rimprovero. È l’ora dei: «<strong>Io</strong> lo avevo detto», «Se<br />

si fosse fatto come consigliavo», ecc. ecc., così urtanti per chi ha commesso un errore ed è già<br />

accasciato di averlo fatto.<br />

Qui si dice: «Era meglio passare il fiume all’altezza di Pella, e andare per l’altra parte che è meno<br />

brutta», oppure: «Era bene prenderlo quel carro! Abbiamo fatto i bravi, ma poi…», e anche: «Se<br />

rimanevamo sui monti non c’era questo fango!».<br />

Giovanni dice: «Siete i profeti delle cose fatte. Chi lo prevedeva questo insistere di pioggia?»<br />

«È il suo tempo. Era da prevedersi» sentenzia Bartolomeo.<br />

«Gli altri anni non era così, avanti Pasqua. <strong>Io</strong> venni a voi che il Cedron non era certo pieno, e l’anno<br />

passato ebbimo persino dell’asciuttore.. Voi, che vi lamentate, non ricordate la sete che ebbimo<br />

nella pianura filistea?» dice lo Zelote.<br />

«Eh! È naturale! Parlano i due saggi e ci dànno la voce!» dice ironico Giuda di Keriot.<br />

«Tu taci, per favore. Sai solo criticare. Ma al momento buono, quando c’è da parlare con qualche


fariseo o simile, sei zitto come avessi la lingua legata» gli dice inquieto il Taddeo.<br />

«Sì. Ha ragione. Perché non hai mai ribattuto una parola, all’ultimo paese, a quei tre serpenti? Tu lo<br />

sapevi che siamo stati anche a Giscala e a Meieron, rispettosi ed ossequienti, e che là c’è voluto<br />

andare Lui, proprio Lui che onora i grandi rabbi defunti. Ma non hai parlato! Tu sai come Egli esige<br />

da noi rispetto alla Legge e ai sacerdoti. Ma non hai parlato! Ora parli. Ora, perché c’è da fare della<br />

ironia sui migliori di noi e da fare critiche a ciò che fa il Maestro» incalza Andrea che, di solito<br />

paziente, oggi è proprio nervoso.<br />

«Taci, tu. Giuda ha torto, lui che è amico di molti, di troppi samaritani…» dice Pietro.<br />

«<strong>Io</strong>? Chi sono questi? Fànne il nome se puoi».<br />

«Sì, caro. Tutti i farisei, sadducei, potenti di cui vanti l’amicizia, e che ti conoscano, si vede! Me,<br />

non mi salutano mai. Ma tu, sì!».<br />

«Ne sei geloso! Ma io sono uno del Tempio e tu no».<br />

«Per grazia di <strong>Dio</strong> sono un pescatore. Sì. E me ne vanto».<br />

«Un pescatore tanto stolto che non ha saputo neppure prevedere questo tempo».<br />

«No! L’ho detto: “Luna di nisam e fatta con pioggia vuole acqua che scende a moggia”» sentenzia<br />

Pietro.<br />

«Ah! qui ti ci volevo! E tu che ne dici, Giuda d’Alfeo? E tu, Andrea? Anche Pietro, il Capo, critica<br />

il Maestro!».<br />

«<strong>Io</strong> non critico proprio nessuno. Dico un proverbio».<br />

«Che, a chi lo intende, è critica e rimprovero».<br />

«Sì… Ma tutto ciò non serve ad asciugare la terra, mi pare. Ormai ci siamo e ci dobbiamo stare.<br />

Serbiamo il fiato per sradicare i piedi da questo pantano» dice Tommaso.<br />

3 E Gesù? Gesù tace. Va un poco avanti, sguazzando nella melma, o cercando zolle erbose<br />

emergenti. Ma anche quelle basta calpestarle perché schizzino acqua fino a metà stinco, come se il<br />

piede avesse premuto una vescica invece di una zolla erbosa. Tace, li lascia parlare, malcontenti,<br />

tutt’affatto uomini, niente più che uomini che il minimo disturbo rende irascibili e ingiusti.<br />

Ormai è vicino il più meridionale dei fiumi e Gesù, vedendo passare lungo l’argine inondato un<br />

uomo su un mulo, chiede: «Dove è il ponte?».<br />

«Più su. Ci passo anche io. L’altro, a valle, quello romano, è sott’acqua ormai».<br />

Altro coro di brontolii… Ma si affrettano a seguire l’uomo che parla con Gesù.<br />

«Ti conviene, però, buttarti a monte!» dice. E termina: «Torna in piano quando trovi il terzo fiume<br />

dopo il Yaloc. Allora sarai vicino al guado. Ma fa’ presto. Non sostare. Perché il fiume gonfia d’ora<br />

in ora. Che brutta stagione! <strong>Il</strong> gelo prima, poi l’acqua. E forte così. Un castigo di <strong>Dio</strong>. Ma è giusto!<br />

Quando non si lapidano i bestemmiatori della Legge, <strong>Dio</strong> punisce. E noi ne abbiamo di quelli! Tu<br />

sei galileo, non è vero? Allora conoscerai quello di Nazaret che i buoni abbandonano perché causa<br />

di ogni male. Le folgori attira con la sua parola! I castighi! Bisogna sentire cosa raccontano di Lui<br />

quelli che erano con Lui. Hanno ragione i farisei di perseguitarlo. Chissà che ladrone è! Deve fare<br />

paura come un Belzebù. Mi era venuta voglia di andarlo a sentire, perché prima mi era stato detto<br />

un gran bene di Lui. Ma… erano discorsi di quelli della sua banda. Tutta gente senza scrupoli come<br />

Lui. I buoni lo abbandonano. E fanno bene. <strong>Io</strong>, già, per mio conto, non ci vado più a vederlo. E se il<br />

caso me lo porta vicino, lo prendo a sassate, come è dovere contro i bestemmiatori».<br />

«Lapidami, allora. Sono <strong>Io</strong> Gesù di Nazaret. <strong>Io</strong> non fuggo e non ti maledico. Sono venuto per<br />

redimere il mondo versando il mio Sangue. Eccomi. Sacrificami, ma diventa giusto».<br />

Gesù dice questo aprendo un poco le braccia stese verso terra, lo dice lentamente, mitemente e<br />

mestamente. Ma se avesse maledetto non avrebbe fatto più impressione all’uomo, che tira così<br />

bruscamente le redini che il mulo fa uno scarto e per poco non cade dall’argine nel fiume in piena.<br />

Gesù si abbranca al mulo e trattiene la bestia, in tempo, salvando uomo e mulo.<br />

L’uomo non fa che ripetere: «Tu! Tu!…», e vedendo l’atto che lo salva urla: «Ma ti ho detto che ti<br />

avrei lapidato… Non capisci?».<br />

«Ed <strong>Io</strong> ti dico che ti perdono e che anche per te soffrirò per redimerti. Questo è il Salvatore».<br />

L’uomo lo guarda ancora, dà una tallonata nel fianco del mulo e parte di corsa… Fugge… Gesù<br />

china il capo…


4 Gli apostoli sentono il bisogno di dimenticare il fango e la pioggia e tutte le altre miserie per<br />

consolarlo. Gli si fanno intorno e dicono: «Non ti affliggere! Di briganti non ne abbiamo bisogno. E<br />

quello è tale. Perché solo un malvagio può credere vere le calunnie su Te ed avere paura di Te».<br />

«Però» dicono anche «che imprudenza, Maestro! E se ti faceva del male? Perché dire che eri Tu<br />

Gesù di Nazaret?».<br />

«Perché è la verità.. Andiamo verso i monti come ha consigliato. Perderemo un giorno, ma voi<br />

uscirete dal pantano.»<br />

«Anche Tu» obbiettano.<br />

«Oh! per Me non conta! È il pantano delle anime morte quello che mi affatica», e due lacrime<br />

gocciano dai suo occhi.<br />

«Non piangere, Maestro. Noi brontoliamo, ma ti vogliamo bene. Se possiamo incontrare i tuoi<br />

denigratori! Ne faremo vendetta».<br />

«Voi perdonerete come <strong>Io</strong> perdono. Ma lasciatemi piangere. Sono l’Uomo, infine! E l’essere tradito,<br />

rinnegato, abbandonato, mi dà dolore!».<br />

«Guarda noi, guarda noi. Pochi e buoni. Nessuno di noi ti tradirà né ti abbandonerà. Credilo,<br />

Maestro».<br />

«Neanche dirle, certe cose! È offesa alla nostra anima pensare che noi si possa tradire!» esclama<br />

l’Iscariota.<br />

Ma Gesù è afflitto. Tace, e lente lacrime rotolano sulle gote pallide di un viso stanco e smagrito.<br />

Si avvicinano ai monti.<br />

«Saliremo lassù, o costeggeremo le basi? Vi sono paesi a mezza costa. Guarda. Di qua e di là dal<br />

fiume» gli osservano.<br />

«La sera scende. Cerchiamo di raggiungere un paese. Questo o quello è indifferente».<br />

Giuda Taddeo, che ha occhi molto buoni, scruta le pendici. Va vicino a Gesù. Dice: «All’occorrenza<br />

ci sono spacchi nel monte. Li vedi là? Ci rifugeremo in quelli. Sarà sempre meglio che nel fango».<br />

«Faremo fuoco» conforta Andrea.<br />

«Con la legna umida?» chiede ironico Giuda di Keriot. Nessuno gli risponde.<br />

Pietro mormora: «Benedico l’Eterno che non sono con noi né le donne né Marziam».<br />

5 Passano il ponte, molto preistorico, che è proprio ai piedi della valle, e prendono il lato meridionale<br />

di questa, per una strada mulattiera diretta ad un paese. Le ombre scendono rapide. Tanto che<br />

decidono di rifugiarsi in una vasta grotta per sfuggire ad un piovasco violento. Forse è una grotta<br />

che serve di rifugio ai pastori, perché vi è strame e sudiciume e un rozzo focolare.<br />

«Come letto non serve. Ma per fare del fuoco…» dice Tommaso accennando le ramaglie trite e<br />

sporche che sono sparse al suolo insieme a felci secche e rami di ginepro o altra pianta simile. E le<br />

spinge, con l’aiuto di un bastone, verso il focolare. Le ammucchia e dà fuoco.<br />

Fumo e fetore, insieme ad odore di resine e ginepri, si alzano dal fuoco. Eppure è gradito quel<br />

calore, e tutti fanno semicerchio mangiando, alla luce mobile delle fiamme, pane e formaggio.<br />

«Si poteva però tentare al paese» dice Matteo, che è roco e infreddato.<br />

«Oh! Senti! Per ripetere la storia di tre sere fa? Qui non ci caccia nessuno. Staremo seduti su quelle<br />

legna e faremo fuoco finché potremo. Ora che ci si vede, ce n’è della legna! Guarda, guarda! Anche<br />

paglia!… È proprio un ovile. Certo per l’estate, o per quando trasmigrano. 6 E di qui? Dove si va?<br />

Prendi un ramo acceso, Andrea, ché voglio vedere» ordina Pietro, che gira in vena di scoperte.<br />

Andrea ubbidisce. Si infilano per una stretta fessura che è in una parete della grotta.<br />

«Badate che non ci siano bestie brutte!» urlano gli altri. «O dei lebbrosi» dice il Taddeo.<br />

Dopo un momento viene la voce di Pietro. «Venite! Venite! Qui si sta meglio. C’è pulito e asciutto,<br />

e ci sono panche di legno, e legna per bruciare. Ma è una reggia per noi! Portate dei rami accesi, ché<br />

facciamo subito fuoco».<br />

Deve essere proprio un ricovero di pastori. E questa è la grotta dove quelli in riposo dormono,<br />

mentre nell’altra vegliano quelli di guardia a turno al gregge. È una escavazione nel monte, molto<br />

più piccola e forse fatta dall’uomo, o per lo meno ampliata e solidificata con pali messi a sorreggere<br />

la volta. Una cappa di camino primordiale si spiega a gancio verso la prima grotta per aspirare il<br />

fumo che non avrebbe uscita. Dei pancacci e della paglia sono contro le pareti, nelle quali sono


infissi arpioni per agganciare lucerne e vesti o bisacce.<br />

«Ma va benone! Su, facciamo molto fuoco! Staremo caldi e si asciugheranno i mantelli. Via le<br />

cinture; facciamone funi per stendervi sopra i mantelli» ordina Pietro, e poi aggiusta le panche e le<br />

paglie e dice: «E ora un po’ per uno si dorme e un po’ per uno si tiene vivo il fuoco. Per vederci e<br />

per stare caldi. Che grazia di <strong>Dio</strong>!».<br />

Giuda borbotta fra i denti. Pietro si volta indispettito. «Rispetto alla grotta di Betlemme, dove il<br />

Signore è nato, questa è una reggia. Se c’è nato Lui, potremo starci noi per una notte».<br />

«Anche è più bella delle grotte di Arbela. Là di bello non c’era che il nostro cuore, più buono di<br />

ora» dice Giovanni, e si sperde in un suo mistico ricordo.<br />

«È anche molto migliore di quella che ospitò il Maestro per prepararsi alla predicazione» dice<br />

severo lo Zelote, guardando l’Iscariota come per dirgli di farla finita.<br />

Gesù apre la bocca per ultimo: «Ed è senza misura più calda e comoda di quella in cui feci<br />

penitenza per te, Giuda di Simone, in questo tebet».<br />

«Penitenza per me? Perché? Non ce n’era bisogno!».<br />

«In verità dovremmo <strong>Io</strong> e te passare la vita in penitenza per liberare te da tutto ciò che ti aggrava. E<br />

non basterebbe ancora».<br />

La sentenza, data con pacatezza ma tanto decisa, cade come una folgore nel gruppo sbigottito…<br />

Giuda abbassa il viso e si ritira in un angolo. Non ha l’audacia di reagire.<br />

7 «<strong>Io</strong> resto sveglio. Al fuoco bado <strong>Io</strong>. Dormite voi» ordina Gesù dopo qualche tempo.<br />

E dopo poco allo scoppiettio della legna si unisce il respiro pesante dei dodici stanchi, sdraiati sulle<br />

pancacce fra la paglia. E Gesù, se la paglia cade e li lascia scoperti, si alza e la ridistende sul<br />

dormiente, amoroso come una madre. E pure piange mentre contempla i volti ermetici nel sonno di<br />

taluni, o placidi, o corrucciati. Guarda l’Iscariota che pare ghignare anche nel sonno, torvo, a pugni<br />

stretti… Guarda Giovanni che dorme con una mano sotto la guancia, il viso velato dai capelli<br />

biondi, roseo, sereno come un bimbo in cuna. Guarda il volto onesto di Pietro e quello severo di<br />

Natanaele, quello butterato dello Zelote, quello aristocratico di suo cugino Giuda, e si ferma a lungo<br />

a guardare quello di Giacomo d’Alfeo, che è un Giuseppe di Nazaret molto giovane. Sorride<br />

sentendo i monologhi di Tommaso e di Andrea, che sembra parlino al Maestro. Copre molto Matteo<br />

che respira a fatica, prendendo altra paglia per tenerlo caldo e la stende ai piedi di Matteo dopo<br />

averla scaldata alla fiamma. Sorride sentendo Giacomo proclamare: «Credete nel Maestro ed avrete<br />

la Vita»… e continuare in una predica a personaggi di sogno. E si china a raccogliere una borsa<br />

dove Filippo tiene ricordi cari, mettendogliela piano sotto la testa. E negli intervalli medita e<br />

prega…<br />

8 <strong>Il</strong> primo a destarsi è lo Zelote. Vede Gesù ancora presso il fuoco acceso nella grotta ben calda. E<br />

dal mucchio delle legna, ridotto ad una miseria comprende che sono passate molte ore. Scende dal<br />

suo giaciglio e viene in punta di piedi da Gesù. «Maestro, non vieni a dormire? Veglio io».<br />

«È l’alba, Simone. Sono andato di là poco fa. Ho visto il cielo che già schiarisce».<br />

«Ma perché non ci hai chiamati? Sei stanco Tu pure!».<br />

«Oh! Simone! Avevo tanto bisogno di pensare… e di pregare» e gli appoggia il capo sul petto.<br />

Lo Zelote, ritto presso Lui seduto, lo carezza e sospira. Chiede: «Pensare a che, Maestro? Tu non<br />

hai bisogno di pensare. Tu sai tutto».<br />

«Pensare non a ciò che devo dire. Ma a ciò che devo fare. <strong>Io</strong> sono disarmato contro il mondo astuto,<br />

perché <strong>Io</strong> non ho la malizia del mondo e l’astuzia di Satana. Ed il mondo mi vince… E sono tanto<br />

stanco…».<br />

«E addolorato. E noi contribuiamo a questo, Maestro buono che non meritiamo di avere. Perdona<br />

me ed i compagni. Lo dico per tutti».<br />

«Vi amo tanto… Soffro tanto… Perché così spesso non mi capite?»<br />

9 <strong>Il</strong> loro bisbiglio sveglia Giovanni, che è il più vicino. Apre i suoi occhi celesti, si guarda stupito<br />

intorno, poi ricorda e si alza subito, venendo alle spalle dei due che parlano.<br />

Sente così le parole di Gesù: «Perché tutto l’odio e le incomprensioni divenissero un nulla<br />

sopportabile, mi basterebbe il vostro amore, la vostra comprensione… Invece non mi capite... E


questa è la mia prima tortura. È pesante! Pesante! Ma non ne avete colpa. Siete uomini… Sarà il<br />

vostro dolore non avermi capito quando non potrete più riparare… Per questo, perché allora<br />

espierete la superficialità di ora, le meschinità di ora, le ottusità di ora, <strong>Io</strong> vi perdono ed in anticipo<br />

dico: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno né il dolore che mi dànno”».<br />

Giovanni scivola sul davanti, e in ginocchio, e abbraccia le ginocchia del suo Gesù afflitto, ed è già<br />

prossimo al pianto mentre sussurra: “Oh! Maestro mio!».<br />

Lo Zelote, che ha sempre sul petto la testa di Gesù, si china a baciarlo sui capelli dicendo: «Eppure<br />

ti amiamo tanto! Ma pretenderemmo da Te una capacità di difenderti, di difenderci, di trionfare. Ci<br />

avvilisce vederti uomo, soggetto agli uomini, alle intemperie, alla miseria, alla cattiveria, ai bisogni<br />

della vita… Stolti siamo. Ma così è. Per noi sei il Re, il Trionfatore, il <strong>Dio</strong>. Non riusciamo a capire<br />

la sublimità della tua abnegazione a tanto per amor nostro. Perché Tu solo sai amare. Noi non<br />

sappiamo…».<br />

«Sì, Maestro. Simone dice bene. Non sappiamo amare come ama <strong>Dio</strong>: Tu. E ciò che è infinita bontà,<br />

infinito amore, lo scambiamo per debolezza e ce ne approfittiamo… Aumenta il nostro amore,<br />

aumenta il tuo amore, Tu che ne sei la fonte, fàllo straripare come ora straripano i fiumi, imbevici,<br />

saturaci di esso, così come lo sono i prati lungo la valle. Non necessita sapienza, valore, austerità<br />

per essere perfetti come Tu vuoi. Basta avere l’amore… Signore, io me ne confesso per tutti: non<br />

sappiamo amare.»<br />

«Voi, i due che più capiscono, vi accusate. Siete l’umiltà. Ma l’umiltà è amore. Ma anche gli altri<br />

non hanno che un diaframma per essere come voi. Ed <strong>Io</strong> lo abbatterò. Perché infatti sono Re,<br />

Trionfatore e <strong>Dio</strong>. In eterno. Ma ora sono l’Uomo. La mia fronte pesa già sotto il supplizio della<br />

mia corona. È sempre stata una torturante corona essere l’Uomo… Grazie, amici. Mi avete<br />

consolato. Perché questo ha di buono l’essere uomini: avere una madre che ama e degli amici<br />

sinceri. 10 Ora destiamo i compagni. Non piove più. I manti sono asciutti. I corpi riposati. Mangiate e<br />

partiamo.»<br />

Alza la voce lentamente finché il «partiamo» è un ordine sicuro. Tutti sorgono e si rammaricano di<br />

avere sempre dormito mentre Gesù ha vegliato. Si rassettano, mangiano, prendono i mantelli,<br />

spengono il fuoco ed escono sul sentiero umido iniziando la discesa fino alla mulattiera che segue la<br />

costa, abbastanza in pendenza per non essere un mare di fango. La luce è ancora poca perché non<br />

c’è sole né sereno. Ma sufficiente a vedere.<br />

11 Andrea e i due figli di Alfeo sono avanti a tutti. Ad un certo punto si chinano, guardano e corrono<br />

indietro. «C’è una donna! Pare morta! Sbarra il sentiero!».<br />

«Oh! Che noia! Si comincia male. Come si fa? Ora bisognerà anche purificarsi!». I primi brontolii<br />

del giorno.<br />

«Andiamo a vedere noi se è morta» dice Tommaso a Giuda Iscariota.<br />

«<strong>Io</strong> non ci vengo per niente» risponde l’Iscariota.<br />

«Vengo io con te, Toma» dice lo Zelote e va avanti.<br />

L’avvicinano, si curvano, e Tommaso corre indietro urlando.<br />

«È assassinata, forse» dice Giacomo di Zebedeo.<br />

«Oppure morta di freddo» risponde Filippo.<br />

Ma Tommaso li raggiunge e grida: «Ha la veste scucita dei lebbrosi…», e pare abbia visto il<br />

diavolo, tanto è stranito.<br />

«Ma è morta?» chiedono.<br />

«E chi lo sa? <strong>Io</strong> sono scappato».<br />

Lo Zelote si rialza e viene sollecito verso Gesù. Dice: «Maestro, una sorella lebbrosa. Non so se è<br />

morta. Non direi. Mi sembra che il cuore batta ancora.»<br />

«L’hai toccata?!» dicono in molti, scostandosi.<br />

«Sì. Non ho paura della lebbra da quando sono di Gesù. E ho pietà perché so cosa è l’essere<br />

lebbroso. Forse l’infelice è stata colpita, perché sanguina al capo. Forse era scesa in cerca di cibo. È<br />

tremendo, sapete, morire di fame e dovere sfidare gli uomini per avere un pane».<br />

«È molto sciupata?».<br />

«No. Anzi, non so come è fra i lebbrosi. Non ha scaglie né piaghe, né cancrene. Forse lo è da poco.


Vieni, Maestro. Te ne prego. Come per me, abbi pietà della sorella lebbrosa!».<br />

«Andiamo. Datemi pane, formaggio, e quel poco di vino che ancora abbiamo».<br />

«Non la farai bere dove noi beviamo!» urla terrorizzato l’Iscariota.<br />

«Non temere. Beverà nella mia mano. Vieni, Simone».<br />

12 Vanno avanti… ma la curiosità manda avanti anche gli altri Senza più noia per l’acqua che è fra il<br />

fogliame e che piove sulle teste dai rami scossi, né del musco zuppo, salgono sulla costa per vedere<br />

senza essere vicino alla donna. E vedono che Gesù si china, la prende per le ascelle e la trascina<br />

seduta contro un masso. La testa pende come fosse morta.<br />

«Simone, rovesciale il capo, ché le possa far scendere il gola un po’ di vino».<br />

Lo Zelote ubbidisce senza paura e Gesù, tenendo alta la zucchetta, fa cadere delle stille di vino fra<br />

le labbra socchiuse e livide. E dice: «È gelata, l’infelice! Ed è tutta bagnata!».<br />

«Se non era lebbrosa la potevamo portare dove fummo noi» dice impietosito Andrea.<br />

«Ci mancherebbe altro!» scatta Giuda.<br />

«Ma se non è lebbrosa! Non ha segno di lebbra».<br />

«Ha la veste. Basta quella».<br />

<strong>Il</strong> vino agisce, intanto. La donna ha un sospiro stanco. Gesù gliene cola in bocca un sorso vedendo<br />

che inghiotte. La donna apre due occhi annebbiati e spaventati. Vede degli uomini. Tenta alzarsi e<br />

fuggire gridando: «Sono infetta! Sono infetta!». Ma le forze non la soccorrono. Si copre il volto con<br />

le mani gemendo: «Non mi lapidate! Sono scesa perché ho fame… Sono tre giorni che nessuno mi<br />

getta nulla…».<br />

«Qui c’è pane e formaggio. Mangia. Non avere paura. Bevi un po’ di vino dalla mia mano» dice<br />

Gesù versandosi nel cavo della mano un po’ di vino e dandoglielo.<br />

«Ma non hai paura?» dice l’infelice sbalordita.<br />

«Non ho paura» risponde Gesù. E sorride alzandosi in piedi, ma restando presso la donna che<br />

mangia avida il pane e il formaggio.<br />

Pare una belva affamata. Ansa persino nell’ansia di nutrirsi. 13 Poi, sedata l’animalità delle viscere<br />

vuote, si guarda intorno… Conta a voce alta: «Uno… due… tre… tredici… Ma allora?.. Oh! Chi è<br />

il Nazareno? Tu, non è vero? Solo Tu puoi avere pietà di una lebbrosa, come hai avuto!…». La<br />

donna si pone in ginocchio a fatica per la debolezza.<br />

«Sono <strong>Io</strong>. Sì, che vuoi? Guarire?».<br />

«Anche… Ma prima devo dirti una cosa… <strong>Io</strong> sapevo di Te. Me ne avevano parlato alcuni, passati<br />

tanto tempo fa… Tanto? No. Era l’autunno. Ma per un lebbroso… ogni giorno è un anno… Avrei<br />

voluto vederti. Ma come potevo venire in Giudea, in Galilea? Mi chiamano “lebbrosa”. Ma non ho<br />

che una piaga sul petto, e me l’ha data il marito che mi ha preso vergine e sana, e sano non era. Ma<br />

è un grande… e tutto può. Anche dire che io l’avevo tradito venendo a lui malata, e ripudiarmi così,<br />

per prendere un’altra donna di cui era invaghito. Mi ha denunciata per lebbrosa, e perché volli<br />

scolparmi fui presa a sassate. Era giusto, Signore? Ieri sera un uomo è passato da Betjaboc<br />

avvisando che Tu venivi e dicendo di venirti incontro per cacciarti. <strong>Io</strong> c’ero… Discesa fino alle case<br />

perché avevo fame. Avrei frugato nei letamai per sfamarmi… <strong>Io</strong> che ero la “signora” avrei cercato<br />

strappare al pollame un poco di impasto inacidito…».<br />

Piange… poi riprende: «L’ansia di trovarti, per Te, per dirti: “Fuggi!”; per me, per dirti: “Pietà!”, mi<br />

ha fatto dimenticare che, contrariamente alla legge nostra, cani, porci e polli vivono presso le case<br />

d’Israele, ma che il lebbroso non può scendere a chiedere un pane, neppure se è una che di lebbrosa<br />

ha solo il nome. E mi sono fatta avanti, chiedendo dove eri. Non mi hanno vista subito nell’ombra e<br />

mi hanno detto: “Sale per l’argine del fiume”. Ma poi mi hanno vista e mi hanno dato pietre per<br />

pane. Sono corsa via, nella notte, per venire incontro a Te, per sfuggire i cani. Avevo fame, avevo<br />

freddo, avevo paura. Sono caduta dove mi hai trovata. Qui. Ho creduto di morire. Invece ho trovato<br />

Te. Signore, non sono lebbrosa. Ma questa piaga qui alla mammella mi impedisce di tornare fra i<br />

viventi. <strong>Io</strong> non chiedo di tornare Rosa di Gerico come al tempo del padre mio, ma almeno di vivere<br />

fra gli uomini e seguire Te. Quelli che mi hanno parlato in ottobre hanno detto che Tu hai discepole<br />

e che con loro eri… Ma prima salvati Tu. Non morire, Tu che sei buono!».<br />

«<strong>Io</strong> non morirò finché non è il mio tempo. 14 Va’ là, a quel masso. Vi è una grotta sicura. Riposati e


poi va’ dal sacerdote».<br />

«Perché, Signore?». La donna trema d’ansia.<br />

Gesù sorride: «Torna la Rosa di Gerico che fiorisce nel deserto e che è sempre viva anche se pare<br />

morta. La tua fede ti ha guarita».<br />

La donna socchiude la veste sul petto, guarda e grida: «Più niente! Oh! Signore, mio <strong>Dio</strong>!», e cade<br />

fronte a terra.<br />

«Datele pane e cibi. E tu, Matteo, dàlle un paio dei tuoi sandali. <strong>Io</strong> darò un mantello. Che possa<br />

andare, quando sarà ristorata, dal sacerdote. Dàlle anche l’obolo, Giuda. Per le spese di<br />

purificazione. L’attenderemo al Getsemani per darla a Elisa. Mi ha chiesto una figlia».<br />

«No. Signore. Non riposo. Vado. Subito. Subito».<br />

«Scendi al fiume, allora, lavati, mettiti il manto addosso…».<br />

«Signore, io lo do alla sorella lebbrosa. Lascia che lo faccia ed io la condurrò da Elisa. <strong>Io</strong> guarisco<br />

una seconda volta, vedendo me in lei, felice» dice lo Zelote.<br />

«Sia come vuoi. Dàlle quanto serve. Donna, ascolta bene. Andrai a purificarti e poi andrai a<br />

Betania, cercherai di Lazzaro e dirai che ti ospiti finché <strong>Io</strong> vengo. Va’ in pace».<br />

«Signore! Quando potrò baciarti i piedi?».<br />

«Presto. Va’. Ma sappi che solo il peccato mi fa ribrezzo. E perdona allo sposo perché per suo<br />

mezzo hai trovato Me».<br />

«È vero. Lo perdono. Vado… Oh! Signore! Non ti fermare qui dove ti odiano. Pensa che ho<br />

camminato esausta, per una notte, per venirtelo a dire, e che se invece di Te trovavo altri potevo<br />

essere uccisa a sassate come una serpe.»<br />

«Lo ricorderò. Va’, donna. Brucia la veste. Accompagnala, Simone. Noi vi seguiremo. Al ponte vi<br />

raggiungeremo».<br />

15 Si separano.<br />

«Però ora bisogna purificarsi. Siamo impuri tutti».<br />

«Non era lebbra, Giuda di Simone. <strong>Io</strong> te lo dico».<br />

«Ebbene, io mi purificherò. Non voglio impurità su di me».<br />

«Candido giglio!» esclama Pietro. «Se non si sente impuro il Signore, vuoi sentirtici tu?».<br />

«E per una che Lui dice non lebbrosa? Ma che aveva, Maestro? Tu hai visto la piaga?».<br />

«Sì. Un frutto della lussuria maschile. Ma non era lebbra. E se l’uomo fosse stato onesto non<br />

l’avrebbe scacciata, perché egli era più di lei malato. Ma tutto serve ai lussuriosi per saziare la loro<br />

fame. Tu, Giuda, se vuoi va’ pure. Ci ritroveremo al Getsemani. E purificati! Purificati! Però la<br />

prima delle purificazioni è la sincerità. Tu sei ipocrita, ricordalo. Ma va’ pure».<br />

«No, che resto! Se Tu lo dici, io credo. Non sono perciò impuro e resto con Te. Tu vuoi dire che io<br />

sono lussurioso e che profittavo del fatto per… Ti dimostro che il mio amore sei Tu».<br />

Vanno lesti per la discesa.<br />

15 dicembre.<br />

16 Dice Gesù: «Qui metterete la visione del “Miracolo del Giordano in piena”, avuta il 17<br />

settembre 1944».


351. <strong>Il</strong> tributo al Tempio pagato con la moneta trovata in bocca al pesce.<br />

5 dicembre 1945.<br />

1Le due barche prese per tornare a Cafarnao scivolano su un lago inverosimilmente quieto, un vero<br />

lastrone di cristallo celeste che si ricompone subito nella sua liscia unità non appena le due barche<br />

sono passate. Non sono però le barche di Pietro e di Giacomo, ma due altre prese a nolo a Tiberiade,<br />

forse. E sento che Giuda un poco si lamenta per essere rimasto senza denaro dopo quest’ultima spesa.<br />

«Agli altri si è pensato. Ma a noi? Come faremo adesso? Speravo che Cusa... Ma niente. Siamo<br />

nelle condizioni di un mendico, uno dei tanti che ora si mettono sulle strade per questuare ai pellegrini»<br />

brontola sottovoce con Tommaso.<br />

Ma questo, bonario, risponde: «Che c’è di male se così è? <strong>Io</strong> non mi preoccupo per niente».<br />

«Già! Ma però all’ora del cibo sei quello che vuoi mangiare più di tutti».<br />

«Sicuro! Ho fame. Sono gagliardo anche in quella. Ebbene, oggi invece di chiedere a chi ministra pane<br />

e pietanza, lo chiederò direttamente a <strong>Dio</strong>».<br />

«Oggi! Oggi! Ma domani saremo nelle stesse condizioni, e dopo domani lo stesso, e andiamo verso la<br />

Decapoli dove siamo sconosciuti, e là sono mezzo pagani. E non c’è solo il pane, ma anche i sandali<br />

che si sciupano, e i poveri che ti annoiano, e ci si potrebbe sentire male e...».<br />

«E se vai avanti ancora, fra poco mi avrai fatto morto e avrai anche da pensare a un funerale. Oh!<br />

quanti pensieri! <strong>Io</strong>... non ne ho proprio nessuno. Sono allegro, tranquillo come uno appena nato».<br />

Gesù, che pareva assorto nei suoi pensieri, seduto a prua, proprio quasi sul bordo, si volge e dice<br />

forte a Giuda che è a poppa, ma lo dice come se parlasse a tutti: «Che si sia senza uno spicciolo è<br />

molto bene. Brillerà di più la paternità di <strong>Dio</strong> anche nelle cose più umili».<br />

«Da un po’ di giorni per Te è tutto bene. Bene che non avvenga miracolo, bene che non si abbiano<br />

offerte, bene avere dato tutto quello che avevamo, tutto è bene, insomma... Ma io mi ci trovo molto a<br />

disagio... Sei un caro Maestro, un santo Maestro, ma per la vita materiale... non vali nulla» dice senza<br />

acredine Giuda, come facesse osservazione ad un fratello buono, della cui bontà improvvida anche si<br />

gloria.<br />

E Gesù, sorridendo, gli risponde: «È il mio pregio migliore essere un uomo che valgo un nulla per la<br />

vita materiale... E ripeto: molto bene essere senza uno spicciolo», e sorride luminosamente.<br />

2La barca strofina sul greto, si ferma. Ne scendono mentre l’altra barca si accosta per fermarsi. Gesù,<br />

con Giuda, Tommaso, Giuda e Giacomo, Filippo e Bartolomeo, si avvia alla casa…<br />

Pietro sbarca dalla seconda con Matteo, i figli di Zebedeo, Simone Zelote e Andrea. Ma mentre tutti si<br />

avviano, Pietro resta sulla riva a parlare coi barcaioli che li hanno condotti e che forse conosce, e poi li<br />

aiuta a partire di nuovo. Indi si riveste della veste lunga e rimonta la spiaggia per andare verso casa.<br />

3Mentre traversa la piazza del mercato, gli vengono incontro due e lo fermano dicendo: «Ascolta, Simone<br />

di Giona».<br />

«Ascolto. Che volete?».<br />

«<strong>Il</strong> tuo Maestro, solo perché è tale, le paga o non le paga le due dramme dovute al Tempio?».<br />

«Certo che le paga! Perché non lo dovrebbe fare?».<br />

«Ma... perché si dice il Figlio di <strong>Dio</strong> e...».<br />

«E lo è» ribatte reciso Pietro, già rosso di sdegno. E termina: «Però, siccome è anche un figlio della<br />

Legge, e il migliore che la Legge abbia, paga come ogni israelita le sue dramme...».<br />

«Non ci risulta. Ci hanno detto che non lo fa e lo consigliamo a farlo».<br />

«Um-m-m» mugola Pietro, che ha già la pazienza prossima ad esaurirsi. «Um-m-m... Non ha bisogno<br />

dei vostri consigli il mio Maestro. Andate in pace e dite a chi vi manda che le dramme saranno pagate<br />

alla prima occasione».<br />

«Pagate alla prima occasione!... Perché non subito? Chi ci assicura che lo farà, se Egli è sempre qua e<br />

là senza mèta?».<br />

«Non subito perché al momento non possiede un briciolo di quattrino. Potreste capovolgerlo e non ne<br />

cascherebbe uno spicciolo. Siamo tutti senza un denaro, perché noi, che non siamo farisei, che non<br />

siamo scribi, che non siamo sadducei, che non siamo ricchi, che non siamo spie, che non siamo aspidi,<br />

usiamo dare ciò che abbiamo ai poveri, per sua dottrina. Capito? E ora abbiamo dato tutto e, finché non


ci pensa l’Altissimo, possiamo morire di fame o metterci a questuare sull’angolo della via. Dite anche<br />

questo a quelli che dicono che Lui è un crapulone. Addio!», e li pianta in asso, andandosene<br />

borbottando e ardendo di irritazione.<br />

4 Entra in casa e sale nella stanza alta, dove è Gesù che ascolta uno che lo prega di andare in una casa<br />

sul monte dietro Magdala, dove c’è uno che muore.<br />

Gesù congeda l’uomo promettendo di andarvi subito e poi, partito questo, si volge a Pietro, che si è<br />

seduto in un angolo pensieroso, e gli dice: «Che ne dici, Simone? Secondo le regole, i re della terra da chi<br />

ricevono i tributi e il censo? Dai propri figli o dagli estranei?».<br />

Pietro ha un sussulto e dice: «Come sai, Signore, ciò che ti dovevo dire?».<br />

Gesù sorride facendo un atto come dire: «Lascia andare»; poi dice: «Rispondi a ciò che ti chiedo».<br />

«Dagli estranei, Signore».<br />

«Dunque i figli ne sono esenti, come infatti è giusto. Perché un figlio è del sangue e della casa del<br />

padre, e non deve pagare al padre che il tributo di amore e di ubbidienza. Dunque <strong>Io</strong>, Figlio del<br />

Padre, non dovrei pagare tributo al Tempio, che è la casa del Padre. Tu hai risposto bene a coloro.<br />

Ma siccome c’è una differenza fra te e loro, ed è questa: che tu credi che <strong>Io</strong> sono il Figlio di <strong>Dio</strong>,<br />

ed essi e chi li ha mandati non lo credono, così, per non scandalizzarli, pagherò il tributo, e<br />

subito, mentre essi sono ancora sulla piazza a riscuotere».<br />

«E con che, se non abbiamo uno spicciolo?» chiede Giuda, che si è avvicinato con gli altri.<br />

«Vedi se è necessario avere qualche cosa?».<br />

«Ce lo faremo prestare dal padrone di casa» dice Filippo.<br />

Gesù fa cenno con la mano di tacere e dice: «Simone di Giona, va’ sulla riva del mare e getta, più<br />

lontano che puoi, una lenza munita di un amo robusto. E non appena il pesce abbocca tira a te la<br />

lenza. Sarà un grosso pesce. Sulla riva aprigli la bocca, vi troverai dentro uno statere. Prendilo,<br />

raggiungi quei due e paga per Me e per te. Poi porta il pesce. Lo arrostiremo e Tommaso ci farà<br />

carità di un poco di pane. Mangeremo e andremo subito da chi sta per morire. Giacomo e Andrea,<br />

preparate le barche, andremo con esse a Magdala, tornando a sera a piedi per non ostacolare la<br />

pesca a Zebedeo e al cognato di Simone».<br />

6 Pietro se ne va, e lo si vede dopo poco sulla riva montare su una barchetta mezza nell’acqua e<br />

gettare una funicella sottile e forte, munita di un piccolo sasso o piombo verso la fine e terminata nel<br />

filo sottile della lenza vera e propria. Le acque del lago si aprono con spruzzi d’argento quando il<br />

peso si sprofonda in esso, e poi tutto torna quieto mentre le acque si placano dopo un lontanarsi<br />

di giri concentrici...<br />

Ma dopo un po’ la funicella, che era molle nelle mani di Pietro, si tende e vibra... Pietro tira, tira,<br />

tira, mentre la corda subisce scosse sempre più energiche. Infine dà uno strattone e la lenza<br />

emerge colla sua preda che volteggia per aria, ad arco sopra la testa del pescatore, e poi si abbatte<br />

sulla rena giallastra, dove si contorce nello spasimo dell’amo che gli fende il palato e dell’asfissia<br />

che incomincia.<br />

È un magnifico pesce, grosso come rombo del peso di almeno tre chili. Pietro gli strappa l’amo dalle<br />

labbra carnose, gli ficca in gola il suo grosso dito e ne estrae una grossa moneta d’argento. La alza<br />

tenendola fra il pollice e l’indice per mostrarla al Maestro, che è al parapetto della terrazza. E poi<br />

raccoglie la funicella, la arrotola, raccoglie il pesce e corre via, verso la piazza.<br />

Gli apostoli sono tutti di stucco... Gesù sorride e dice: «E così avremo levato uno scandalo...».<br />

6 Rientra Pietro: «Stavano per venire qui. E con Eli, il fariseo. Ho cercato di essere gentile come una<br />

fanciulla e li ho chiamati dicendo: “Ehi! messi del Fisco! Prendete. Queste sono quattro dramme,<br />

vero? Due per il Maestro e due per me. E siamo a posto, vero? Arrivederci nella valle di Giosafat,<br />

specie con te, caro amico”. Si sono risentiti perché ho detto “Fisco”. “Siamo del Tempio, non del<br />

Fisco”. “Riscuotete tasse come i gabellieri. Ogni riscuotitore per me è ‘fisco’ ” ho risposto. Ma Eli mi<br />

ha detto: “Insolente! Mi auguri la morte?». “No, amico! Mai più. Ti auguro felice viaggio alla valle di<br />

Giosafat. Non vai per la Pasqua a Gerusalemme? Dunque allora potremo incontrarci per là,<br />

amico”. “Non lo desidero e non voglio che tu ti permetta di dirmi tuo amico”. “Infatti è troppo<br />

onore” ho risposto. E sono venuto via. <strong>Il</strong> bello è che c’era mezza Cafarnao, che ha visto che ho<br />

pagato per Te e per me. E quel vecchio serpente non potrà più dire nulla».


Gli apostoli hanno dovuto ridere tutti per il racconto e la mimica di Pietro. Gesù vuole stare serio. Ma<br />

un lieve sorriso scappa tuttavia dalle sue labbra mentre dice: «Sei peggio della senape», e termina:<br />

«Cuocete il pesce e facciamo presto. Al tramonto voglio essere qui di nuovo».<br />

91. Un convertito da Maria di Magdala. Parabola per il piccolo Beniamino e<br />

lezione su chi è grande nel regno dei Cieli.<br />

6 dicembre 1945.<br />

1 E proprio mentre si incendiano cielo e lago per i fuochi del tramonto, essi ritornano verso Cafarnao.<br />

Sono contenti. Parlano fra di loro. Gesù parla poco, ma sorride. Notano che, se il messaggero fosse<br />

stato più preciso, avrebbero potuto risparmiare della strada. Ma però, anche, dicono che la fatica è<br />

valsa, perché un gruppo di piccoli figli ha avuto il padre guarito quando già raffreddava per la morte<br />

vicina, e anche perché non sono più senza un minimo di denaro.<br />

«Ve lo avevo detto che il Padre avrebbe provveduto a tutto» dice Gesù.<br />

«Ed è un antico amante di Maria di Magdala?» chiede Filippo.<br />

«Pare... A quello che ci hanno detto...» risponde Tommaso.<br />

«A Te, Signore, che disse l’uomo?» chiede Giuda d’Alfeo.<br />

Gesù sorride evasivamente.<br />

«<strong>Io</strong> l’ho visto più di una volta con lei quando andavo a Tiberiade con amici. Questo è certo» asserisce<br />

Matteo.<br />

«Su, fratello, accontentaci... L’uomo ti chiese solo di guarire o di essere perdonato anche?» chiede<br />

Giacomo di Alfeo.<br />

«Che domanda senza ragione! Quando mai il Signore non esige pentimento per concedere grazia?»<br />

dice l’Iscariota con alquanto sdegno per Giacomo d’Alfeo.<br />

«Mio fratello non ha detto una stoltezza. Gesù guarisce o libera e poi dice: “Va’ e non più peccare”» gli<br />

risponde il Taddeo.<br />

«Ma perché vede già il pentimento nei cuori» ribatte l’Iscariota.<br />

«Negli indemoniati non c’è pentimento né volontà di essere liberati. Non uno lo ha dimostrato tutto ciò.<br />

Ricordati ogni caso e vedrai che o fuggivano o si avventavano nemici o, quanto meno, tentavano l’una o<br />

l’altra cosa, e non vi riuscivano solo perché impediti a compierla dai parenti» replica il Taddeo.<br />

«E dal potere di Gesù» aumenta lo Zelote.<br />

«Ma allora Gesù tiene conto del volere dei parenti che rappresentano il volere dell’indemoniato, il quale,<br />

se non fosse impedito dal demonio, vorrebbe liberazione».<br />

«Oh! quante sottigliezze! E per i peccatori allora? Mi pare che usi la stessa formula, anche se non<br />

sono indemoniati» dice Giacomo di Zebedeo.<br />

«A me ha detto: “Seguimi”, e non gli avevo ancora detto una parola io, in merito al mio stato» osserva<br />

Matteo.<br />

«Ma te la vedeva in cuore» dice l’Iscariota, che vuole avere sempre ragione, ad ogni costo.<br />

2 E va bene! Ma quell’uomo, a voce di popolo grande libidinoso e grande peccatore, e non indemoniato, o<br />

meglio non posseduto - perché un demonio, coi suoi peccati, lo doveva avere a maestro se non a<br />

possessore - moribondo, e così via, cosa ha chiesto insomma? Stiamo andando a passeggio fra le<br />

nubi, mi pare... Stiamo alla prima domanda» dice Pietro.<br />

Gesù lo accontenta: «Quell’uomo ha voluto essere solo con Me per potere parlare con libertà. Non ha<br />

esposto subito il suo stato di salute... ma quello dello spirito suo. Ha detto: “Sono morente, ma non<br />

ancora come ho fatto credere per poterti avere con sollecitudine. Ho bisogno del tuo perdono per<br />

guarire. Ma mi basta questo. Se guarire non mi farai, mi rassegnerò. L’ho meritato. Ma fa’ salva<br />

l’anima mia”, e mi ha confessato le sue molte colpe. Una nauseante catena di colpe...». Gesù dice<br />

così, ma il suo viso splende di gioia.<br />

«E Tu ne sorridi, Maestro? Mi fa specie!» osserva Bartolomeo.<br />

«Sì, Bartolmai. Ne sorrido perché esse non sono più, e perché con le colpe ho saputo il nome della


edentrice. L’apostolo fu una donna in questo caso».<br />

«Tua Madre!» dicono in molti.<br />

E altri: «Giovanna di Cusa! Se lui andava a Tiberiade sovente, forse la conosce».<br />

Gesù scrolla il capo.<br />

Gli chiedono: «Chi allora?».<br />

«Maria di Lazzaro» risponde Gesù.<br />

«È venuta qui? Perché non si è fatta vedere da nessuno di noi?».<br />

«Non è venuta. Ha scritto al suo antico compagno di colpa. Ho letto le lettere. Supplicano tutte la<br />

stessa cosa: di ascoltarla, di redimersi come lei si è redenta, di seguirla nel bene come l’aveva seguita<br />

nella colpa, e con parole di lacrime lo pregano di alleggerire l’anima di Maria dal rimorso di avere<br />

sedotto la sua anima. E lo ha convertito. Tanto che si era isolato nella sua campagna per vincere le<br />

tentazioni delle città. La malattia, più di rimorso d’anima che di fisico, ha finito di prepararlo alla<br />

Grazia. Ecco. Siete contenti adesso? Comprendete ora perché sorrido?».<br />

«Sì, Maestro» dicono tutti. E poi, vedendo che Gesù allunga il passo come per isolarsi, si mettono a<br />

bisbigliare fra di loro...<br />

3 Sono già alle viste di Cafarnao quando, allo sbocco della via fatta da loro con quella che costeggia il<br />

lago venendo da Magdala, incrociano i discepoli venuti a piedi, evangelizzando da Tiberiade. Tutti<br />

meno Marziam, i pastori e Mannaen, che sono andati da Nazaret verso Gerusalemme con le donne. E<br />

anzi i discepoli sono aumentati per qualche altro elemento che si è unito a loro di ritorno dalla<br />

missione e che porta seco nuovi proseliti della dottrina cristiana.<br />

Gesù li saluta dolcemente, ma subito si torna ad isolare in una meditazione ed orazione profonda,<br />

avanti di qualche passo da loro.<br />

Gli apostoli invece si imbrancano con i discepoli, specie coi più influenti, ossia Stefano, Erma, il<br />

sacerdote Giovanni, Giovanni lo scriba, Timoneo, Giuseppe di Emmaus, Ermasteo (che da quel che<br />

capisco vola sulla via della perfezione), Abele di Betlemme di Galilea, la cui madre è in fondo alla<br />

turba con altre donne. E discepoli e apostoli si scambiano domande e risposte su quanto è avvenuto<br />

da quando si sono lasciati. Così viene raccontato della guarigione e conversione di oggi, e del miracolo<br />

dello statere nella bocca del pesce... Questo, per le cause che lo hanno originato, suscita un grande<br />

parlare che si propaga da fila a fila come un fuoco appiccato a paglie asciutte...<br />

4 Dice Gesù: «Qui metterete la visione del 7 marzo 1944: “<strong>Il</strong> piccolo Beniamino di Cafarnao”, senza il<br />

commento. E proseguirete con il resto della lezione e della visione. Va’ avanti».<br />

Premetto di omettere l’ultima frase: «La visione mi cessa qui ecc.». Sarebbe fuori luogo ora che la<br />

visione prosegue.<br />

7 marzo 1944.<br />

5 Vedo Gesù che cammina per una strada di campagna, seguito e contornato dai suoi apostoli e discepoli.<br />

<strong>Il</strong> lago di Galilea traluce poco lontano tutto quieto e azzurro sotto un bel sole o di primavera o di<br />

autunno, perché non è un sole violento come quello estivo. Ma direi che è primavera, perché la natura è<br />

molto fresca, senza quei toni dorati e stanchi che si vedono in autunno.<br />

Sembra che, data la sera che si avvicina, Gesù si ritiri nella casa ospitale e si diriga perciò al paese che<br />

si vede già apparire. Gesù, come fa sovente, è qualche passo più avanti dei discepoli. Due o tre, non di<br />

più, ma tanto da poter isolarsi nei suoi pensieri, bisognoso di Silenzio dopo una giornata di<br />

evangelizzazione. Cammina assorto, tenendo nella mano destra un rametto verde, certo colto a<br />

qualche cespuglio, col quale frusta leggermente, soprappensiero, le erbe della proda.<br />

Dietro di Lui i discepoli parlano invece animatamente. Rievocano gli episodi della giornata e non<br />

hanno la mano troppo leggera per pesare i difetti altrui e le altrui cattiverie. Tutti più o meno<br />

criticano il fatto che quelli della riscossione del tributo al Tempio abbiano voluto essere pagati da<br />

Gesù.<br />

Pietro, sempre veemente, definisce ciò un sacrilegio, perché il Messia non è tenuto a pagare il<br />

tributo: «Questo è come volere che <strong>Dio</strong> paghi a Se stesso» dice. «E ciò non è giusto. Se poi<br />

credono che Egli non sia il Messia diventa un sacrilegio».


Gesù si volta un momento e dice: «Simone, Simone, ce ne saranno tanti che dubiteranno di Me!<br />

Anche fra chi crede di esser sicuro e incrollabile nella fede in Me. Non giudicare i fratelli, Simone.<br />

Giudica sempre per primo te stesso».<br />

Giuda, con un sorrisetto ironico, dice all’umiliato Pietro che ha curvato il capo: «Questa è per te.<br />

Perché sei il più anziano vuoi sempre fare il dottore. Non è detto che si vada giudicati nel<br />

merito per età. Fra noi vi è chi ti supera per sapere e per potere sociale».<br />

Si accende una discussione sui rispettivi meriti. E chi vanta d’esser fra i primi discepoli, e chi<br />

appoggia la sua tesi di preferenza al posto influente lasciato per seguire Gesù, e chi dice che<br />

nessuno come lui ha dei diritti perché nessuno come lui ha convertito tanto se stesso passando da<br />

pubblicano a discepolo. La discussione va per le lunghe e, se non temessi di offendere gli<br />

apostoli, direi che assume il tono di una vera lite.<br />

Gesù se ne astrae. Pare non udire più nulla. Intanto si è giunti alle prime case del paese, che<br />

so essere Cafarnao. Gesù prosegue, e gli altri dietro, sempre discutendo.<br />

6 Un bimbetto di un sette, otto anni, corre saltellando dietro a Gesù. Lo raggiunge sorpassando il<br />

gruppo vociferante degli apostoli. È un bel bambino dai capelli castano scuro tutti ricciuti, corti.<br />

Ha due occhietti neri, intelligenti nel visetto bruno. Chiama confidenzialmente il Maestro come lo<br />

conoscesse bene. «Gesù» dice, «mi lasci venire con Te fino a casa tua?».<br />

«La mamma lo sa?» chiede Gesù, guardandolo con un sorriso buono.<br />

«Lo sa».<br />

«In verità?». Gesù, pur sorridendo, guarda con sguardo penetrante.<br />

«Sì, Gesù, in verità».<br />

«Allora vieni».<br />

<strong>Il</strong> bambino fa un salto di gioia e afferra la mano sinistra di Gesù che glie la porge. Con che<br />

amorosa fiducia il bambino mette la sua manina bruna nella lunga mano del mio Gesù! Vorrei fare<br />

altrettanto anche io!<br />

«Raccontami una bella parabola, Gesù» dice il bambino saltellando al fianco del Maestro e<br />

guardandolo da sotto in su con un visetto splendente di gioia.<br />

Anche Gesù lo guarda con un allegro sorriso che gli schiude la bocca ombreggiata di baffi e dalla<br />

barba biondo-rossa, che il sole accende come fosse d’oro. Gli occhi di zaffiro scuro gli ridono di gioia<br />

mentre guarda il bambino.<br />

«Cosa te ne fai della parabola? Non è un giuoco».<br />

«È più bella di un giuoco. Quando vado a dormire me la penso e poi me la sogno e domani me la<br />

ricordo e me la ridico per esser buono. Mi fa esser buono».<br />

«Te la ricordi?».<br />

«Sì. Vuoi che ti dica tutte quelle che mi hai dette?».<br />

«Sei bravo, Beniamino, più degli uomini, che dimenticano. In premio ti dirò la parabola».<br />

<strong>Il</strong> bambino non salta più. Cammina serio e composto come un adulto e non perde una parola, non<br />

un’inflessione di Gesù, che guarda attentamente, senza più occuparsi neppure di dove mette i piedi.<br />

7 «Un pastore molto buono, venuto a conoscenza che in un luogo del creato erano molte pecore<br />

abbandonate da pastori poco buoni, le quali pericolavano su vie perverse e in pascoli nocivi e<br />

andavano sempre più verso burroni privi di luce, venne in quel posto e, sacrificando tutto il suo<br />

avere, acquistò quelle pecore e quegli agnelli. Voleva portarli nel suo regno, perché quel pastore era<br />

anche re come lo sono stati tanti re in Israele. Nel suo regno quelle pecore e quegli agnelli<br />

avrebbero trovato pascoli sani, fresche e pure acque, vie sicure e ripari inabbattibili contro i ladroni<br />

e i lupi feroci. Perciò quel pastore radunò le sue pecore e i suoi agnelli e disse loro: “Sono venuto a<br />

salvarvi, a portarvi dove non soffrirete più, dove non conoscerete più insidie e dolore. Amatemi,<br />

seguitemi perché io vi amo tanto e per avervi mi sono sacrificato in tutti i modi. Ma se mi amerete,<br />

il mio sacrificio non mi peserà. Venitemi dietro e andiamo”. E il pastore davanti, dietro le pecore,<br />

presero il cammino verso il regno della gioia. <strong>Il</strong> pastore ogni momento si volgeva per vedere se lo<br />

seguivano, per esortare le stanche, per rincuorare le sfiduciate, per soccorrere le malate, per<br />

carezzare gli agnelli. Come le amava! Dava loro il suo pane e il suo sale e per primo assaggiava<br />

l’acqua delle fonti e la benediva per sentire se era sana e per renderla santa. Ma le pecore - lo


credi, Beniamino? - le pecore dopo qualche tempo si stancarono. Prima una, poi due, poi dieci, poi<br />

cento, rimasero indietro a brucare l’erba fino ad empirsi senza poter più muoversi, e si sdraiarono<br />

stanche e sazie nella polvere e nel fango. Altre si spenzolarono sui precipizi nonostante il pastore<br />

dicesse: “Non lo fate”; talune, poiché egli si metteva dove era maggior pericolo per impedire a loro<br />

di andarvi, lo urtarono col capo protervo e tentarono di precipitarlo più di una volta. Così molte<br />

finirono nei burroni e morirono miseramente. Altre si azzuffarono fra di loro e, incorna e intesta, si<br />

uccisero fra loro. Solo un agnellino non si distrasse mai. Esso correva, belando, e diceva col suo<br />

belato al pastore: “Ti amo”; correva dietro al pastore buono e, quando giunsero alle porte del suo<br />

regno, non erano che loro due: il pastore e l’agnellino fedele. Allora il pastore non disse: “entra”, ma<br />

disse: “vieni”, e lo prese sul petto, fra le braccia, e lo portò dentro chiamando tutti i suoi sudditi e<br />

dicendo loro: “Ecco. Costui mi ama. Voglio che sia meco in eterno. E voi amatelo perché esso è il<br />

prediletto del mio cuore”. 8 La parabola è finita, Beniamino. Ora mi sai dire: chi è quel pastore<br />

buono?».<br />

«Tu sei, Gesù».<br />

«E quell’agnellino chi è?».<br />

«<strong>Io</strong> sono, Gesù».<br />

«Ma ora <strong>Io</strong> andrò via. Tu ti dimenticherai di Me».<br />

«No, Gesù. Non ti dimenticherò perché ti amo».<br />

«L’amore ti cesserà quando non mi vedrai più».<br />

«Dirò dentro di me le parole che Tu mi hai dette e sarà come Tu fossi presente. Ti amerò e ubbidirò<br />

così. E, dimmi, Gesù: Tu ti ricorderai di Beniamino?».<br />

«Sempre».<br />

«Come farai a ricordarti?».<br />

«Mi dirò che tu mi hai promesso d’amarmi e di ubbidirmi e mi ricorderò così di te».<br />

«E mi darai il tuo Regno?».<br />

«Se sarai buono, sì».<br />

«Sarò buono».<br />

«Come farai? La vita è lunga».<br />

«Ma anche le tue parole sono tanto buone. Se io me le dirò e farò quello che esse dicono di fare, mi<br />

conserverò buono per tutta la vita. E lo farò perché ti amo. Quando si vuol bene non è fatica<br />

essere buoni. A me non è fatica ubbidire alla mamma perché le voglio bene. Non mi sarà fatica<br />

essere ubbidiente a Te perché ti voglio bene».<br />

Gesù si è fermato e guarda il visetto acceso dall’amore più che dal sole. La gioia di Gesù è così<br />

viva che pare un altro sole si sia acceso nella sua anima e irraggi dalle pupille. Si china e bacia<br />

sulla fronte il bambino.<br />

9 Si è fermato davanti ad una casetta modesta con un pozzo sul davanti. Gesù va poi a sedersi<br />

presso il pozzo e là lo raggiungono i discepoli, che ancora stanno misurando le rispettive<br />

prerogative.<br />

Gesù li guarda. Poi li chiama: «Venite qui intorno e udite l’ultimo insegnamento della giornata,<br />

voi che vi fate rochi nella celebrazione dei vostri meriti e pensate di aggiudicarvi un posto in base a<br />

quelli. Vedete questo fanciullo? Egli è nella verità più di voi. La sua innocenza gli da la chiave per<br />

aprire le porte del mio Regno. Egli ha compreso, nella sua semplicità di pargolo, che nell’amore è la<br />

forza per divenire grandi e nell’ubbidienza fatta per amore quella per entrare nel mio Regno. Siate<br />

semplici, umili, amorosi di un amore che non è solo dato a Me ma è scambievole fra di voi,<br />

ubbidienti alle mie parole, a tutte, anche a queste, se volete giungere dove entreranno questi innocenti.<br />

Imparate dai piccoli. <strong>Il</strong> Padre rivela loro la verità come non la rivela ai sapienti».<br />

Gesù parla tenendo ritto contro le sue ginocchia Beniamino, al quale tiene le mani sulle spalle. Ora<br />

il volto di Gesù è pieno di maestà. È serio, non corrucciato, ma è serio. Proprio da Maestro.<br />

L’ultimo raggio di sole gli fa un nimbo di raggi sul capo biondo.<br />

La visione mi cessa qui, lasciandomi piena di dolcezza nei miei dolori.<br />

[6 dicembre 1945].


10Dunque: i discepoli non sono potuti entrare nella casa, è naturale. Per numero e per rispetto. Non<br />

lo fanno mai se non sono invitati a farlo, in massa o in particolare, dal Maestro. Noto sempre un<br />

grande rispetto, un grande ritegno, nonostante l’affabilità del Maestro e la sua lunga<br />

dimestichezza. Anche Isacco, che potrei dire il discepolo primo, nel numero dei discepoli, non si<br />

concede mai libertà di andare a Gesù senza che un sorriso, almeno un sorriso del Maestro, non lo<br />

chiami vicino.<br />

Un po’ diverso, no?, dal modo spicciativo e quasi burlesco con cui molti trattano ciò che è<br />

soprannaturale... Questo è un mio commento, e che sento giusto, perché non mi va giù che la<br />

gente abbia con ciò che è al di sopra di noi i modi che non abbiamo per gli uomini pari a noi, solo<br />

che siano un cincino da più di noi... Mah!... E andiamo avanti...<br />

I discepoli, dunque, si sono sparsi sulla riva del lago a comperare pesce per la cena, pane e quanto<br />

occorre. Torna anche Giacomo di Zebedeo e chiama il Maestro, che è seduto sulla terrazza con<br />

Giovanni accoccolato ai suoi piedi in un dolce e abbandonato colloquio... Gesù si alza e si sporge<br />

dal parapetto.<br />

Giacomo dice: «Quanto pesce, Maestro! Mio padre dice che Tu hai benedetto le reti con la tua<br />

venuta. Guarda: questo è per noi», e mostra una cesta di pesce che sembra d’argento.<br />

«<strong>Dio</strong> gli dia grazie per la sua generosità. Preparatelo, ché dopo cena andremo sulla riva coi<br />

discepoli».<br />

E così fanno. <strong>Il</strong> lago è nero nella notte, in attesa della luna che si alza tardi. E più di vederlo lo si<br />

sente borbottare, sciacquettare fra i sassi del greto. Solo le inverosimili stelle dei paesi d’oriente si<br />

specchiano nelle acque tranquille. Si siedono in cerchio intorno ad una barchetta capovolta, sulla<br />

quale si è seduto Gesù. E i piccoli fanali delle barche, portati qui, al centro del circolo, illuminano<br />

appena i volti più vicini. Quello di Gesù è tutto illuminato da sotto in su per un fanaletto messo ai<br />

suoi piedi, e tutti perciò lo possono vedere bene mentre parla a questo e a quello.<br />

11E sul principio è una conversazione alla buona, famigliare. Ma poi assume il tono di una lezione.<br />

Anzi Gesù lo dice apertamente:<br />

«Venite e ascoltate. Fra poco ci separeremo e voglio ammaestrarvi ancora per formarvi meglio.<br />

Oggi <strong>Io</strong> vi ho sentito discutere e non sempre con carità. Ai maggiori fra voi ho già dato la lezione.<br />

Ma voglio darla a voi pure, né farà male a questi, di voi maggiori, se se la sentono ripetere. Ora il<br />

piccolo Beniamino non è qui contro i miei ginocchi. Dorme nel suo letto e sogna i suoi sogni<br />

innocenti. E forse la sua anima candida è qui fra mezzo a noi lo stesso. Ma fate conto che egli, o<br />

qualche altro fanciullo, sia qui, a vostro esempio.<br />

Voi, in cuor vostro, avete tutti un chiodo fìsso, una curiosità, un pericolo. Questo: essere il primo<br />

nel Regno dei Cieli. Questa: sapere chi sarà questo primo. E infine il pericolo: il desiderio ancora<br />

umano di sentirsi rispondere “tu sei il primo nel Regno dei Cieli” dai compagni compiacenti o dal<br />

Maestro, soprattutto dal Maestro del quale sapete la verità e la conoscenza del futuro. Non è forse<br />

così? Le domande tremano sulle vostre labbra e vivono in fondo al cuore.<br />

<strong>Il</strong> Maestro, per vostro bene, aderisce a questa curiosità per quanto Egli abborra di cedere alle<br />

curiosità umane. <strong>Il</strong> vostro Maestro non è un ciarlatano che si interroga per due spiccioli fra i<br />

frastuoni di un mercato. E non è uno preso dallo spirito pitonico il quale gli procura denaro col fargli<br />

fare l’indovino, per aderire alle ristrette menti dell’uomo che vogliono sapere il futuro per<br />

“regolarsi”. L’uomo non si può regolare da sé. <strong>Dio</strong> lo regola se l’uomo ha fede in Lui! E non serve<br />

sapere, o credere di sapere il futuro, se poi non si ha il mezzo per stornare il futuro profetizzato. <strong>Il</strong><br />

mezzo è uno solo: la preghiera al Padre e Signore perché per sua misericordia ci aiuti. In verità vi<br />

dico che la preghiera fidente può mutare un castigo in benedizione. Ma chi ricorre agli uomini per<br />

potere, da uomo e con mezzi da uomo, deviare il futuro, non sa pregare affatto o sa pregare molto<br />

male. <strong>Io</strong>, questa volta, perché questa curiosità può darvi buon insegnamento, rispondo ad essa, <strong>Io</strong><br />

che abborro le domande curiose e irrispettose.<br />

12Voi vi chiedete: “Chi fra noi è il più grande nel Regno dei Cieli?».<br />

<strong>Io</strong> annullo la limitazione del “fra noi” e allargo i confini a tutto il mondo presente e futuro, e<br />

rispondo: “<strong>Il</strong> più grande nel Regno dei Cieli è il minimo fra gli uomini”. Ossia quello che è<br />

considerato “minimo” dagli uomini. <strong>Il</strong> semplice, l’umile, il fiducioso, l’ignaro. Perciò il fanciullo, o


chi sa rifarsi anima di fanciullo. Non è la scienza, non il potere, non la ricchezza, non l’attività, anche<br />

se buona, quelle che vi faranno “il più grande” nel beato Regno. Ma è l’essere come i pargoli per<br />

amorevolezza, umiltà, semplicità, fede.<br />

Osservate come mi amano i fanciulli, e imitateli. Come credono in Me, e imitateli. Come ricordano<br />

ciò che dico, e imitateli. Come fanno ciò che insegno, e imitateli. Come non insuperbiscono di ciò<br />

che fanno, e imitateli. Come non si ingelosiscono di Me e dei compagni, e imitateli. In verità vi<br />

dico che se non mutate il vostro modo di pensare, di agire e di amare, e non ve lo rifate sul<br />

modello dei pargoli, non entrerete nel Regno dei Cieli. Essi sanno ciò che voi sapete, di<br />

essenziale, nella mia dottrina. Ma con quale differenza praticano ciò che insegno! Voi dite per ogni<br />

atto buono che compite: “<strong>Io</strong> ho fatto”. <strong>Il</strong> fanciullo mi dice: “Gesù, mi sono ricordato di Te oggi, e per<br />

Te ho ubbidito, ho amato, ho trattenuto una voglia di rissa... e sono contento perché Tu, io lo so, sai<br />

quando sono buono e ne sei contento”. E ancora osservate i fanciulli quando mancano. Con che<br />

umiltà mi confessano: “Oggi sono stato cattivo. E mi spiace perché ti ho dato dolore”. Non<br />

cercano scuse. Sanno che <strong>Io</strong> so. Credono. Si dolgono per il mio dolore.<br />

Oh! cari al cuor mio, fanciulli in cui non è superbia, doppiezza, lussuria! <strong>Io</strong> ve lo dico: divenite simili<br />

ai fanciulli se volete entrare nel mio Regno. Amate i fanciulli come l’esempio angelico che ancora<br />

potete avere. Ché come angeli dovreste essere. A vostra scusa potreste dire: “Noi non vediamo gli<br />

angeli”. Ma <strong>Dio</strong> vi da i fanciulli per modelli, e quelli li avete fra voi. E se vedete un fanciullo<br />

abbandonato materialmente, o abbandonato moralmente e che può perire, accoglietelo in mio<br />

Nome, perché essi sono i molto amati da <strong>Dio</strong>. E chiunque accoglie un fanciullo in mio Nome<br />

accoglie Me stesso, perché <strong>Io</strong> sono nell’anima dei fanciulli, che è innocente. E chi accoglie Me,<br />

accoglie Colui che mi ha mandato, il Signore altissimo.<br />

13 E guardatevi dallo scandalizzare uno di questi piccoli il cui occhio vede Iddio. Non si deve mai dare<br />

scandalo a nessuno. Ma guai, tre volte guai, chi sfiora il candore ignaro dei fanciulli! Lasciateli<br />

angeli più che potete. Troppo ripugnante è il mondo e la carne per l’anima che viene dai Cieli! E il<br />

fanciullo, per la sua innocenza, è ancora tutt’anima. Abbiate rispetto all’anima del fanciullo e al<br />

suo stesso corpo, come avete rispetto al luogo sacro. Sacro è anche il fanciullo perché ha <strong>Dio</strong> in<br />

sé. In ogni corpo è il tempio dello Spirito. Ma il tempio del fanciullo è il più sacro e profondo, è oltre<br />

il doppio Velo. Non scuotete neppure le tende della sublime ignoranza della concupiscenza col<br />

vento delle vostre passioni.<br />

<strong>Io</strong> vorrei un fanciullo in ogni famiglia, in mezzo ad ogni accolta di persone, perché fosse di freno alle<br />

passioni degli uomini. <strong>Il</strong> fanciullo santifica, dà ristoro e freschezza solo col raggio dei suoi occhi<br />

senza malizia. Ma guai a coloro che levano santità al fanciullo col loro modo di agire scandaloso!<br />

Guai a coloro che con le loro licenze danno malizie ai fanciulli! Guai a coloro che con le loro parole e<br />

ironie ledono la fede in Me dei fanciulli! Sarebbe meglio che a tutti questi si legasse al collo una<br />

pietra da macina e si gettassero in mare perché affogassero col loro scandalo. Guai al mondo per<br />

gli scandali che dà agli innocenti! Perché se è inevitabile che avvengano scandali, guai all’uomo<br />

che per sua causa li provoca.<br />

Nessuno ha il diritto di fare violenza al suo corpo e alla sua vita. Perché vita e corpo ci vengono da<br />

<strong>Dio</strong>, e solo Lui ha diritto di prenderne delle parti o il tutto. Ma però <strong>Io</strong> vi dico che se la vostra<br />

mano vi scandalizza è meglio che la mozziate, che se il vostro piede vi porta a dare scandalo è<br />

bene che voi lo mozziate. Meglio per voi entrare monchi o zoppi nella Vita che essere gettati nel<br />

fuoco eterno con le due mani e i due piedi. E se non basta avere mozzo un piede o una mano, fate<br />

che vi siano mozzati anche l’altra mano o l’altro piede, per non fare più scandalo e per avere tempo<br />

da pentirvi prima di essere lanciati dove il fuoco non si estingue, e rode come un verme in eterno. E<br />

se è il vostro occhio che vi è cagione di scandalo, cavatevelo. È meglio essere orbi di un occhio che<br />

essere nell’inferno con tutti e due. Con un occhio solo, o anche senz’occhi, giunti al Cielo vedreste<br />

la Luce, mentre coi due occhi scandalosi, tenebre e orrore vedreste nell’inferno. E questo solo.<br />

14 Ricordatevi tutto questo. Non disprezzate i piccoli, non scandalizzateli, non derideteli. Sono da<br />

più di voi, perché i loro angeli vedono sempre Iddio che dice loro le verità da rivelare ai fanciulli e a<br />

quelli dal cuor di fanciullo.<br />

E voi come fanciulli amatevi fra di voi. Senza dispute, senza orgogli. State in pace fra voi. Abbiate


spirito di pace con tutti. Fratelli siete, nel nome del Signore, e non nemici. Non ci sono, non ci<br />

devono essere dei nemici per i discepoli di Gesù. L’unico Nemico è Satana. Di quello siate nemici<br />

acerrimi, scendendo in battaglia contro di lui e contro i peccati che portano Satana nei cuori.<br />

Siate instancabili nel combattere il Male quale che sia la forma che assume. E pazienti. Non c’è<br />

limitazione all’operare dell’apostolo, perché non c’è limitazione all’operare del Male. <strong>Il</strong> demonio<br />

non dice mai: “Basta. Ora sono stanco e mi riposo”. Egli è l’instancabile. Passa agile come il<br />

pensiero, e più ancora, da questo a quell’uomo, e tenta e prende, e seduce, e tormenta, e non dà<br />

pace. Assale proditoriamente e abbatte se non si è più che vigilanti. Delle volte si insedia da<br />

conquistatore per debolezza dell’assalito, altre vi entra da amico, perché il modo di vivere della preda<br />

cercata è già tale da essere alleanza col Nemico. Tal’altra, scacciato da uno, gira e piomba sul migliore,<br />

per farsi vendetta dello smacco avuto da <strong>Dio</strong> o da un servo di <strong>Dio</strong>. Ma voi dovete dire ciò che dice lui:<br />

“<strong>Io</strong> non riposo”. Lui non riposa per popolare l’inferno. Voi non dovete riposare per popolare il Paradiso.<br />

Non dategli quartiere. <strong>Io</strong> vi predìco che più lo combatterete più vi farà soffrire. Ma non dovete tenere<br />

conto di ciò. Egli può scorrere la terra. Ma nel Cielo non penetra. Perciò là non vi darà più noia. E là<br />

saranno tutti quelli che lo hanno combattuto...».<br />

15Gesù si interrompe bruscamente e chiede: «Ma insomma, perché date sempre noia a Giovanni? Che<br />

vogliono da te?».<br />

Giovanni si fa rosso come una fiamma e Bartolomeo, Tommaso, l’Iscariota chinano la testa<br />

vedendosi scoperti.<br />

«Ebbene?» chiede con imperio Gesù.<br />

«Maestro, i miei compagni vogliono che io ti dica una cosa».<br />

«Dilla, dunque».<br />

«Oggi, mentre Tu eri da quel malato, e noi giravamo per il paese come Tu avevi detto, abbiamo visto<br />

un uomo, che non è tuo discepolo e che neppure mai abbiamo notato fra quelli che ascoltano la tua<br />

dottrina, il quale cacciava dei demoni in tuo nome da un gruppo di pellegrini che andavano a<br />

Gerusalemme. E ci riusciva. Ha guarito uno che aveva un tremito che gli impediva ogni lavoro, e ha<br />

reso la favella ad una fanciulla che era stata assalita nel bosco da un demonio in forma di cane che le<br />

aveva legato la lingua. Egli diceva: “Vattene, demonio maledetto, in nome del Signore Gesù il Cristo, Re<br />

della stirpe di Davide, Re d’Israele. Egli è il Salvatore e Vincitore. Fuggi davanti al suo Nome!»., e il<br />

demonio fuggiva realmente. Noi ci siamo risentiti. E glielo abbiamo proibito. Ci ha detto: “Che faccio<br />

di male? Onoro il Cristo liberandogli la via dai demoni che non sono degni di vederlo”. Gli abbiamo<br />

risposto: “Non sei esorcista secondo Israele e non sei discepolo secondo Cristo. Non ti è lecito farlo”. Ha<br />

detto: “Fare il bene è sempre lecito”, e si è ribellato alla nostra ingiunzione dicendo: “E continuerò a<br />

fare ciò che faccio”. Ecco, volevano ti dicessi questo, specie ora che Tu hai detto che in Cielo saranno<br />

tutti quelli che hanno combattuto Satana».<br />

16 «Va bene. Quell’uomo sarà di questi. Lo è. Egli aveva ragione e voi torto. Infinite sono le vie del<br />

Signore e non è detto che solo quelli che prendono la via diretta giungano al Cielo. In ogni luogo e in<br />

ogni tempo, e con mille modi diversi, ci saranno creature che verranno a Me, magari da una strada<br />

inizialmente cattiva. Ma <strong>Dio</strong> vedrà la loro retta intenzione e li attirerà alla via buona. Ugualmente vi<br />

saranno alcuni che per ebbrezza concupiscente e triplice usciranno dalla via buona e prenderanno una<br />

via che li allontana o addirittura li dirotta. Non dovete perciò mai giudicare i vostri simili. Solo <strong>Dio</strong><br />

vede. Fate di non uscire voi dalla via buona, dove, più che la vostra volontà, quella di <strong>Dio</strong> vi ci ha messi.<br />

E quando vedete uno che crede nel mio Nome e per esso opera, non lo chiamate straniero, nemico, sacrilego.<br />

È sempre un mio suddito, amico e fedele, perché crede nel Nome mio, spontaneamente e<br />

meglio di molti fra voi. Per questo il mio Nome sulla sua bocca opera prodigi pari ai vostri e forse<br />

più. <strong>Dio</strong> lo ama perché mi ama, e finirà di portarlo al Cielo. Nessuno che faccia prodigi in mio<br />

Nome mi può essere nemico e dire male di Me. Ma col suo operare dà al Cristo onore e testimonianza di<br />

fede. In verità vi dico che credere al mio Nome è già sufficiente a salvare la propria anima. Perché il<br />

mio Nome è Salvezza. Perciò vi dico: se lo incontrerete ancora, non glielo proibite più. Ma anzi<br />

chiamatelo “fratello” perché tale è, anche se è ancora fuori del recinto del mio Ovile. Chi non è contro di<br />

Me è con Me. Chi non è contro di voi è con voi».<br />

«Abbiamo peccato, Signore?» chiede attrito Giovanni.


«No. Avete agito per ignoranza, ma senza malizia. Perciò non c’è colpa. Però in avvenire sarebbe<br />

colpa, perché ora sapete. Ed ora andiamo alle nostre case. La pace sia con voi».<br />

17 Se crede può mettere, dopo la fine della visione di oggi, il dettato che segue quella del piccolo<br />

Beniamino (7-3-44). A sua facoltà.<br />

[7 marzo 1944].<br />

18 Dice poi Gesù:<br />

«Quello che ho detto al mio piccolo discepolo lo dico anche a voi. <strong>Il</strong> Regno è degli agnelli fedeli<br />

che mi amano e mi seguono senza perdersi in lusinghe, mi amano sino alla fine. E dico a voi ciò che<br />

ho detto ai miei discepoli adulti: “Imparate dai piccoli”.<br />

Non è l’esser dotti, ricchi, audaci quello che vi fa conquistare il Regno dei Cieli. Non è l’esserlo<br />

umanamente. Ma è l’esserlo della scienza dell’amore, che fa dotti, ricchi, audaci soprannaturalmente.<br />

Come illumina l’amore a comprendere la Verità! Come fa ricchi per acquistarla! Come fa audaci per<br />

conquistarla! Che fiducia che ispira! Che sicurezza!<br />

Fate come il piccolo Beniamino, il mio piccolo fiore che m’ha profumato il cuore quella sera ed ha<br />

cantato ad esso una musica angelica, che ha ricoperto l’odore dell’umanità ribollente nei discepoli e il<br />

rumore delle beghe umane.<br />

E tu vuoi sapere che avvenne poi di Beniamino? Rimase il piccolo agnello di Cristo e, perduto il suo<br />

grande Pastore poiché era tornato al Cielo, si fece discepolo di quello che più mi somigliava, prendendo<br />

per sua mano il battesimo e il nome di Stefano primo mio martire. Fu fedele sino alla morte e con lui i<br />

suoi parenti, trascinati alla Fede dall’esempio del loro piccolo apostolo famigliare.<br />

Non è conosciuto? Molti sono gli sconosciuti dagli uomini conosciuti da Me nel mio Regno. E di questo<br />

sono felici. La fama del mondo non aggiunge una scintilla all’aureola dei beati.<br />

Piccolo Giovanni, cammina sempre con la tua mano nella mia. Andrai sicura e, giunta al Regno,<br />

non ti dirò “entra” ma “vieni”, e ti prenderò fra le braccia per posarti là dove il mio Amore t’ha<br />

preparato un posto e il tuo amore lo ha meritato.<br />

Va’ in pace. Ti benedico».<br />

92. La seconda moltiplicazione dei pani e il miracolo della moltiplicazione della<br />

Parola.<br />

28 maggio 1944, ore 2 ant.ne della Pentecoste.<br />

1 Una serena visione. Vedo un posto che non è certo pianura. Non è neppure montagna. Dei monti sono<br />

ad oriente ma lontani alquanto. Poi c’è una valletta e altre elevazioni più basse e piatte. Dei pianori<br />

erbosi. Sembra che siano le prime pendici di un gruppo collinoso. <strong>Il</strong> terreno è piuttosto arsiccio e nudo<br />

d’alberi. Vi è della corta e rada erba sparsa fra un terreno ciottoloso. Qua e là qualche ciuffetto molto<br />

basso di cespugli spinosi. Ad occidente l’orizzonte si allarga ampio e luminoso. Non vedo altro, come<br />

natura. È ancora giorno, ma direi che comincia la sera, perché l’occidente è rosso per il tramonto<br />

mentre i monti a oriente sono già violacei nella luce che diviene crepuscolare. Un principio di<br />

crepuscolo che fa più nere le spaccature profonde e appena violette le parti più elevate.<br />

Gesù è ritto su un grosso pietrone e parla a molta, ma molta folla sparsa sul pianoro. I discepoli lo<br />

circondano. Egli, ancor più alto perché il suo rustico piedestallo lo eleva, domina la folla di tutte le<br />

età e condizioni sociali che gli sta intorno.<br />

Deve aver compito dei miracoli, perché sento che dice: «Non a Me ma a Chi mi ha mandato dovete<br />

offrire lode e riconoscenza. E la lode non è quella che esce come suono di vento da labbra distratte.<br />

Ma è quella che sale dal cuore ed è il sentimento vero del vostro cuore. Questa è gradita a <strong>Dio</strong>. I<br />

guariti amino il Signore di un amore di fedeltà. E lo amino i parenti dei guariti. Del dono della<br />

salute riconquistata non fatene cattivo uso. Più che delle malattie del corpo, abbiate paura di


quelle del cuore. E non vogliate peccare. Perché ogni peccato è una malattia. E ve ne sono tali<br />

che possono dare la morte. Ora dunque, o voi tutti che ora giubilate, non distruggete la<br />

benedizione di <strong>Dio</strong> col peccato. Cesserebbe il giubilo vostro perché le maleazioni levano la pace,<br />

e dove non è pace non è giubilo. Ma siate santi. Siate perfetti come il Padre vostro vuole. Lo vuole<br />

perché vi ama, e a coloro che ama vuol dare un Regno. Ma nel suo Regno santo non entrano che<br />

coloro che la fedeltà alla Legge rende perfetti. La pace di <strong>Dio</strong> sia con voi».<br />

2 E Gesù tace. Incrocia le breccia sul petto e con le braccia così conserte osserva la turba che gli sta<br />

intorno. Poi guarda in giro. Alza gli occhi al cielo sereno e che si fa sempre più scuro per la luce<br />

che decresce. Pensa. Scende dal suo masso. Parla ai discepoli. «Ho pietà di questa gente. Mi segue<br />

da tre giorni. Non ha più provviste seco. Siamo lontani da ogni paese. Temo che i più deboli<br />

soffrano troppo se <strong>Io</strong> li rimando senza nutrirli».<br />

«E come vuoi fare, Maestro? Tu lo dici: siamo lontani da ogni paese. In questo luogo deserto dove<br />

trovare pane? E chi ci darebbe tanto denaro da comperarlo per tutti?».<br />

«Non avete nulla con voi?».<br />

«Abbiamo pochi pesci e qualche pezzo di pane. L’avanzo del nostro cibo. Ma non basta a nessuno.<br />

Se Tu lo dai ai vicini succede una sommossa. Privi noi e non fai del bene a nessuno». È Pietro che<br />

parla.<br />

«Portatemi quanto avete».<br />

Portano una cestella con dentro sette tozzi di pane. Non sono neppure pani intieri. Paiono grosse<br />

fette tagliate da grandi pagnotte. I pesciolini, poi, sono una manciata di povere bestioline<br />

abbruciacchiate dalla fiamma.<br />

«Fate sedere questa folla a cerchi di cinquanta e che stia ferma e zitta se vuol mangiare».<br />

I discepoli, parte salendo su delle pietre e parte circolando fra la gente, si dànno un gran da fare per<br />

mettere l’ordine chiesto da Gesù. Dài e dài, ci riescono. Qualche bambino piagnucola perché ha fame<br />

e sonno, qualche altro frigna perché, per farlo ubbidire, la mamma, o qualche altro parente, gli ha<br />

amministrato uno schiaffo.<br />

3 Gesù prende i pani, non tutti, naturalmente: due, uno per mano, e li offre, e poi li posa e benedice.<br />

Prende i pesciolini, sono così pochi che stanno quasi tutti nel cavo delle sue lunghe mani. Offre essi<br />

pure e poi li posa e benedice essi pure.<br />

«E ora prendete, girate fra la folla e date ad ognuno, con abbondanza».<br />

I discepoli ubbidiscono.<br />

Gesù, ritto in piedi, bianca figura dominante questo popolo di seduti in larghi circoli che coprono<br />

tutto il pianoro, osserva e sorride.<br />

I discepoli vanno e vanno, sempre più lontano. Dànno e dànno. E sempre la cesta è piena di cibo. La<br />

gente mangia mentre la sera cala, e vi è un grande Silenzio e una grande pace.<br />

4 Dice Gesù:<br />

«Ecco un’altra cosa che darà noia ai dottori difficili. L’applicazione che <strong>Io</strong> faccio a questa visione<br />

evangelica. Non ti faccio meditare sulla mia potenza e bontà. Non sulla fede e ubbidienza dei<br />

discepoli. Nulla di questo. Ti voglio far vedere l’analogia dell’episodio con l’opera dello Spirito<br />

Santo.<br />

Vedi: <strong>Io</strong> do la mia parola. Do tutto quanto potete capire e perciò assimilare per farne cibo<br />

all’anima. Ma voi siete tanto resi tardi dalla fatica e dall’inedia che non potete assimilare tutto il<br />

nutrimento che è nella mia parola. Ve ne occorrerebbe molta, molta, molta. Ma non sapete<br />

riceverne molta. Siete tanto poveri di forze spirituali! Vi fa peso senza darvi sangue e forza. Ed ecco<br />

che allora lo Spirito opera il miracolo per voi. <strong>Il</strong> miracolo spirituale della moltiplicazione della<br />

Parola. Ve ne illumina, e perciò la moltiplica, tutti i più riposti significati, di modo che voi, senza<br />

gravarvi di un peso che vi schiaccerebbe senza corroborarvi, ve ne nutrite e non cadete più affranti<br />

lungo il deserto della vita.<br />

Sette pani e pochi pesci!<br />

Ho predicato tre anni e, come dice il mio diletto Giovanni, “se si dovessero scrivere tutte le parole<br />

ed i miracoli che ho detto e compiuto per dare a voi un cibo abbondante, capace di portarvi senza


debolezze sino al Regno, non basterebbe la Terra a contenere i volumi”. Ma se anche ciò fosse stato<br />

fatto, non avreste potuto leggere tale mole di libri. Non leggete neppure, come dovreste, il poco che<br />

di Me è stato scritto. L’unica cosa che dovreste conoscere, come conoscete le parole più necessarie<br />

sin dalla più tenera età.<br />

E allora l’Amore viene e moltiplica. Anche Egli, Uno con Me e col Padre, ha “pietà di voi che morite<br />

di fame” e, con un miracolo che si ripete da secoli, raddoppia, decuplica, centuplica i significati, le<br />

luci, il nutrimento di ogni mia parola. Ecco così un tesoro senza fondo di celeste cibo. Esso vi è<br />

offerto dalla Carità. Attingetene senza paura. Più il vostro amore attingerà in esso e più esso, frutto<br />

dell’Amore, aumenterà la sua onda.<br />

6 <strong>Dio</strong> non conosce limiti nelle sue ricchezze e nelle sue possibilità. Voi siete relativi. Egli no. È<br />

infinito. In tutte le sue opere. Anche in questa di potervi dare in ogni ora, in ogni evento, quelle<br />

luci che vi abbisognano in quel dato istante. E come nel giorno di Pentecoste lo Spirito effuso sugli<br />

apostoli rese la loro parola comprensibile a Parti, Medi, Sciti, Cappadoci, Pontici e Frigi, e simile a<br />

lingua natìa ad Egizi e Romani, Greci e Libici, così ugualmente Esso vi darà conforto se piangete,<br />

consiglio se chiedete, compartecipazione di gioia se gioite, con la stessa Parola.<br />

Oh! che realmente se lo Spirito vi illustra: “Va’ in pace e non voler peccare”, questa frase è premio<br />

per chi non ha peccato, incoraggiamento all’ancora debole che non vuole peccare, perdono al<br />

colpevole che si pente, rimprovero temperato di misericordia a colui che non ha che una larva di<br />

pentimento. E non è che una frase. Delle più semplici. Ma quante non sono nel mio Vangelo!<br />

Quante che, come bocci di fiore che dopo un’acquata e un sole d’aprile si aprono fitti sul ramo<br />

dove prima ve ne era sol uno fiorito e lo coprono tutto, con gioia di chi li mira, si schiudono in noi<br />

col loro spirituale profumo per attirarci al Cielo.<br />

Riposa, ora. La pace dell’Amore sia con te».<br />

93. <strong>Il</strong> discorso sul Pane del Cielo nella sinagoga di Cafarnao.<br />

1 Prima della visione del 7-12 va messa quella della seconda moltiplicazione dei pani, avuta il 28 maggio<br />

1944, col relativo dettato.<br />

7 dicembre 1945.<br />

2 La spiaggia di Cafarnao formicola di gente che sbarca da una vera flottiglia di barche di tutte le<br />

dimensioni. E i primi che sbarcano vanno cercando fra la gente se vedono il Maestro, un apostolo, o<br />

almeno un discepolo. E vanno chiedendo...<br />

Un uomo, finalmente, risponde: «Maestro? Apostoli? No. Sono andati via subito dopo il sabato e non sono<br />

tornati. Ma torneranno perché ci sono dei discepoli. Ho parlato adesso con uno di loro. Deve essere un<br />

grande discepolo. Parla come Giairo! È andato verso quella casa fra i campi, seguendo il mare».<br />

L’uomo che ha interrogato fa correre la voce, e tutti si precipitano verso il luogo indicato. Ma, fatto un<br />

duecento metri sulla riva, incontrano tutto un gruppo di discepoli che vengono verso Cafarnao<br />

gestendo animatamente. Li salutano e chiedono: «<strong>Il</strong> Maestro dove è?».<br />

I discepoli rispondono: «Nella notte, dopo il miracolo, se ne è andato coi suoi, colle barche, al di là del<br />

mare. Vedemmo le vele, al candore della luna, andare verso Dalmanuta».<br />

«Ah! ecco! Noi lo cercammo a Magdala presso la casa di Maria e non c’era! Però... potevano dircelo<br />

i pescatori di Magdala!».<br />

«Non lo avranno saputo. Sarà forse andato sui monti d’Arbela in preghiera. Ci fu già un’altra volta,<br />

lo scorso anno avanti la Pasqua. <strong>Io</strong> l’ho incontrato allora, per somma grazia del Signore al suo povero<br />

servo» dice Stefano.<br />

«Ma non torna qui?».<br />

«Certamente tornerà. Ci deve dare il commiato e gli ordini. Ma che volete?».<br />

«Sentirlo ancora. Seguirlo. Farci suoi».<br />

«Adesso va a Gerusalemme. Lo ritroverete là. E là, nella Casa di <strong>Dio</strong>, il Signore vi parlerà se per voi


è utile il seguirlo. 3 Perché è bene che sappiate che, se Egli non respinge alcuno, noi abbiamo in noi<br />

elementi che sono respingenti la Luce. Ora, chi ne ha tanti da essere non solo saturo di essi - che poco<br />

male sarebbe, perché Egli è Luce e nel divenire lealmente suoi con volontà decisa la sua Luce ci<br />

penetra e vince le tenebre - ma da esserne composto e affezionato ad essi come alla carne della<br />

nostra persona, allora è bene che costui si astenga dal venire, a meno che non si distrugga per<br />

ricrearsi novello. Meditate, dunque, se avete in voi la forza di assumere un nuovo spirito, un<br />

nuovo modo di pensare, un nuovo modo di volere. Pregate per poter vedere la verità sulla vostra<br />

vocazione. E poi venite, se credete. E voglia l’Altissimo, che ha guidato Israele nel “passaggio”,<br />

guidare voi, in questo “pèsac”, a venire sulla scia dell’Agnello, fuori dai deserti, alla Terra<br />

eterna, al Regno di <strong>Dio</strong>» dice Stefano, parlando per tutti i compagni.<br />

«No, no! Subito! Subito! Nessuno fa ciò che Egli fa. Lo vogliamo seguire» dice la folla in tumulto.<br />

Stefano ha un sorriso di molte espressioni. Apre le braccia e dice: «Perché vi ha dato il buono e<br />

abbondante pane volete venire? Credete che vi dia in futuro solo questo? Egli promette ai suoi<br />

seguaci ciò che è sua dote: il dolore, la persecuzione, il martirio. Non rose ma spine, non carezze<br />

ma schiaffi, non pane ma pietre sono pronte per i “cristi”. E così dico senza essere bestemmiatore,<br />

perché i suoi veri fedeli saranno unti coll’olio santo fatto della sua Grazia e del suo patire; e “unti”<br />

noi saremo per essere le vittime sull’altare e i re nel Cielo».<br />

«Ebbene? Ne sei geloso forse? Ci sei tu? Ci vogliamo essere noi pure. <strong>Il</strong> Maestro è di tutti».<br />

«Sta bene. Ve lo dicevo perché vi amo e voglio che sappiate ciò che è essere “discepoli”, onde non<br />

essere poi dei disertori. Andiamo allora tutti insieme ad attenderlo alla sua casa. <strong>Il</strong> tramonto ha<br />

inizio ed ha principio il sabato. Egli verrà per passarlo qui avanti la partenza».<br />

4 E vanno verso la città, parlando. E molti interrogano Stefano ed Erma, che li ha raggiunti, i quali,<br />

agli occhi degli israeliti, hanno una luce speciale perché allievi prediletti di Gamaliele. Molti<br />

chiedono: «Ma che dice Gamaliele di Lui?», altri: «Vi ci ha mandati lui?», e altri ancora: «Non si è<br />

doluto di perdervi?», oppure: «E il Maestro che dice del grande rabbi?».<br />

I due rispondono pazienti: «Gamaliele parla di Gesù di Nazaret come del più grande uomo di<br />

Israele».<br />

«Oh! più grande di Mosè?» dicono quasi scandalizzati.<br />

«Egli dice che Mosè è uno dei tanti precursori del Cristo. Ma non è che il servo del Cristo».<br />

«Allora per Gamaliele questo è il Cristo? Dice così? Se così dice rabbi Gamaliel, la cosa è decisa.<br />

Egli è il Cristo!».<br />

«Non dice ciò. Non riesce ancora a credere questo, per sua sventura. Ma dice che il Cristo è sulla<br />

terra perché egli gli ha parlato molti anni fa. Egli e il saggio <strong>Il</strong>lele. E attende il segno che quel<br />

Cristo gli ha promesso per riconoscerlo» dice Erma.<br />

«Ma come ha fatto a credere che quello era il Cristo? Che faceva quello? <strong>Io</strong> sono vecchio quanto<br />

Gamaliele, ma non ho mai sentito che da noi fossero fatte le cose che il Maestro fa. Se non si<br />

persuade di questi miracoli, che vide mai di miracoloso in quel Cristo per potergli credere?».<br />

«Lo vide unto della Sapienza di <strong>Dio</strong>. Egli dice così» risponde ancora Erma.<br />

«E allora cosa è per Gamaliele questo?».<br />

«<strong>Il</strong> più grande uomo, maestro e precursore di Israele. Quando potesse dire: “È il Cristo”, sarebbe<br />

salva l’anima sapiente e giusta del mio primo maestro» dice Stefano, e termina: «Ed io prego<br />

perché ciò sia, a qualunque costo».<br />

«E se non lo crede il Cristo, perché vi ci ha mandati?».<br />

«Noi volevamo venirci. Egli ci ha lasciati venire dicendo che era bene».<br />

«Forse per poter sapere e riferire al Sinedrio...» dice insinuando uno.<br />

«Uomo, come parli? Gamaliele è un onesto. Non fa la spia a nessuno, e specie ai nemici di un<br />

innocente!» scatta Stefano, e pare un arcangelo tanto è sdegnato e quasi raggiante nel suo sdegno<br />

santo.<br />

«Gli sarà spiaciuto perdervi, però» dice un altro.<br />

«Sì e no. Come uomo che ci voleva bene, sì. Come spirito molto retto, no. Perché ha detto: “Egli<br />

è da più di me e di me più giovane. Perciò io potrò chiudere gli occhi in pace sul vostro futuro<br />

sapendovi del ‘Maestro dei maestri’”».


«E Gesù di Nazaret che dice del grande rabbi?».<br />

«Oh! non ha che parole elette per lui!».<br />

«Non ne è invidioso?».<br />

«<strong>Dio</strong> non invidia» dice severo Erma. «Non fare supposizioni sacrileghe».<br />

«Ma per voi allora è <strong>Dio</strong>? Ne siete certi?».<br />

E i due ad una voce: «Come di essere vivi in questo momento». E Stefano termina: «E vogliate<br />

crederlo pure voi per possedere la vera Vita».<br />

5Sono da capo sulla spiaggia che si muta in piazza e la traversano per andare a casa. Sulla soglia è<br />

Gesù che carezza dei bambini.<br />

Discepoli e curiosi si affollano chiedendo: «Maestro, quando sei venuto?».<br />

«Da pochi momenti». <strong>Il</strong> viso di Gesù ha ancora la maestà solenne, un poco estatica, di quando ha<br />

molto pregato.<br />

«Sei stato in orazione, Maestro?» chiede Stefano a voce bassa per riverenza, così come ha curva la<br />

persona per lo stesso motivo.<br />

«Sì. Da che lo comprendi, figlio mio?» dice Gesù posandogli la mano sui capelli scuri con una<br />

dolce carezza.<br />

«Dal tuo volto d’angelo. Sono un povero uomo, ma è tanto limpido il tuo aspetto che su esso si<br />

leggono i palpiti e le azioni del tuo spirito».<br />

«Anche il tuo è limpido. Tu sei uno di quelli che fanciulli restano...».<br />

«E che c’è sul mio viso, Signore?».<br />

«Vieni in disparte e te lo dirò», e lo prende per il polso portandolo in un corridoio oscuro. «Carità,<br />

fede, purezza, generosità, sapienza; e queste <strong>Dio</strong> te le ha date, e tu le hai coltivate e più lo farai.<br />

Infine, secondo il tuo nome, hai la corona: d’oro puro, e con una grande gemma che splende sulla<br />

fronte. Sull’oro e sulla gemma sono incise due parole: “Predestinazione” e “Primizia”. Sii degno<br />

della tua sorte, Stefano. Va’ in pace con la mia benedizione». E gli posa nuovamente la mano sui<br />

capelli, mentre Stefano si inginocchia per poi curvarsi a baciargli i piedi.<br />

6Tornano dagli altri.<br />

«Questa gente è venuta per sentirti...» dice Filippo.<br />

«Qui non si può parlare. Andiamo alla sinagoga. Giairo ne sarà contento».<br />

Gesù davanti, dietro il corteo degli altri, vanno alla bella sinagoga di Cafarnao; e Gesù, salutato da<br />

Giairo, vi entra, ordinando che tutte le porte restino aperte perché chi non riesce ad entrare possa<br />

sentirlo dalla via e dalla piazza che sono a fianco della sinagoga.<br />

Gesù va al suo posto, in questa sinagoga amica, dalla quale oggi, per buona sorte, sono assenti i<br />

farisei, forse già partiti pomposamente per Gerusalemme. E inizia a parlare.<br />

«In verità vi dico: voi cercate di Me non per sentirmi e per i miracoli che avete veduto, ma per quel<br />

pane che vi ho dato da mangiare a sazietà e senza spesa. I tre quarti di voi per questo mi cercava e<br />

per curiosità, venendo da ogni parte della Patria nostra. Manca perciò nella ricerca lo spirito<br />

soprannaturale, e resta dominante lo spirito umano con le sue curiosità malsane, o per lo meno di una<br />

imperfezione infantile, non perché semplice come quella dei pargoli, ma perché menomata come l’intelligenza<br />

di un ottuso di mente. E con la curiosità resta la sensualità e il sentimento viziato. La sensualità<br />

che si nasconde, sottile come il demonio di cui è figlia, dietro apparenze e in atti apparentemente<br />

buoni, e il sentimento viziato che è semplicemente una deviazione morbosa del sentimento e che,<br />

come tutto ciò che è “malattia”, abbisogna e appetisce a droghe che non sono il cibo semplice, il buon<br />

pane, la buona acqua, lo schietto olio, il puro latte, sufficienti a vivere e a vivere bene. <strong>Il</strong> sentimento<br />

viziato vuole le cose straordinarie per essere scosso e per provare il brivido che piace, il brivido<br />

malato dei paralizzati, che hanno bisogno di droghe per provare sensazioni che li illudano di essere<br />

ancora integri e virili. La sensualità che vuole soddisfare senza fatica la gola, in questo caso, col pane<br />

non sudato, avuto per bontà di <strong>Dio</strong>.<br />

7I doni di <strong>Dio</strong> non sono consuetudine, sono lo straordinario. Non si possono pretenderli, né impigrirsi<br />

dicendo: “<strong>Dio</strong> me li darà”. È detto: “Mangerai il pane bagnato col sudore della tua fronte”, ossia il<br />

pane guadagnato col lavoro. Ché se Colui che è Misericordia ha detto: “Ho compassione di queste<br />

turbe, che mi seguono da tre giorni e non hanno più da mangiare e potrebbero venire meno per via


prima di avere raggiunto Ippo sul lago, o Gamala, o altre città”, e ha provveduto, non è però detto che<br />

Egli debba essere seguito per questo. Per molto di più di un po’ di pane, destinato a divenire sterco<br />

dopo la digestione, <strong>Io</strong> vado seguito. Non per il cibo che empie il ventre ma per quello che nutre<br />

l’anima. Perché non siete soltanto animali che devono brucare e ruminare, o grufolare e ingrassare.<br />

Ma anime siete! Questo siete! La carne è la veste, l’essere è l’anima. È lei che è duratura. La carne,<br />

come ogni veste, si logora e finisce, e non merita curarla come fosse una perfezione alla quale va<br />

data ogni cura.<br />

Cercate dunque ciò che è giusto procurarsi, non ciò che è ingiusto. Cercate di procurarvi non il cibo che<br />

perisce, ma quello che dura per la vita eterna. Questo, il Figlio dell’uomo ve lo darà sempre, quando<br />

voi lo vogliate. Perché il Figlio dell’uomo ha a sua disposizione tutto quanto viene da <strong>Dio</strong>, e può<br />

darlo, Egli padrone, e magnanimo padrone, dei tesori del Padre <strong>Dio</strong>, che ha impresso su di Lui il<br />

suo sigillo perché gli occhi onesti non siano confusi. E se voi avrete in voi il cibo che non perisce,<br />

potrete fare opere di <strong>Dio</strong> essendo nutriti del cibo di <strong>Dio</strong>».<br />

8 «Che dobbiamo fare per fare le opere di <strong>Dio</strong>? Noi osserviamo la Legge ed i Profeti. Perciò già siamo<br />

nutriti di <strong>Dio</strong> e facciamo opere di <strong>Dio</strong>».<br />

«È vero. Voi osservate la Legge. Meglio ancora: voi “conoscete” la Legge. Ma conoscere non è<br />

praticare. Noi conosciamo, ad esempio, le leggi di Roma, eppure un fedele israelita non le pratica<br />

altro che in quelle formule che sono imposte dalla sua condizione di suddito. Per il resto noi, parlo<br />

dei fedeli israeliti, non pratichiamo le usanze pagane dei romani pur conoscendole. La Legge che<br />

voi tutti conoscete ed i Profeti dovrebbero, infatti, nutrirvi di <strong>Dio</strong> e darvi perciò capacità di fare<br />

opere di <strong>Dio</strong>. Ma per fare questo dovrebbero essere divenute un tutt’uno con voi, così come è l’aria<br />

che respirate e il cibo che assimilate, che si mutano entrambi in vita e sangue. Mentre essi<br />

rimangono estranei, pure essendo di casa vostra, così come può esserlo un oggetto della casa, che<br />

vi è noto e utile, ma che, se venisse a mancare, non vi leva l’esistenza. Mentre... oh! provate un<br />

poco a non respirare per qualche minuto, provate a stare senza cibo per giorni e giorni... e vedrete<br />

che non potete vivere. Così dovrebbe sentirsi il vostro io nella denutrizione e nell’asfissia della<br />

Legge e dei Profeti, conosciuti ma non assimilati e fatti tutt’uno con voi. Questo <strong>Io</strong> sono venuto<br />

ad insegnare e a dare: il succo, l’aria della Legge e dei Profeti, per ridare sangue e respiro alle vostre<br />

anime morenti di inedia e di asfissia. Voi siete simili a bambini che una malattia rende incapaci di<br />

conoscere ciò che è atto a nutrirli. Avete davanti dovizie di cibi, ma non sapete che vanno mangiati<br />

per mutarsi in cosa vitale, ossia che vanno veramente fatti nostri, con una fedeltà pura e<br />

generosa alla Legge del Signore che ha parlato a Mosè e ai Profeti per voi tutti. Venire dunque a<br />

Me per avere aria e succo di Vita eterna, è dovere. Ma questo dovere presuppone una fede in voi.<br />

Perché se uno non ha fede, non può credere alle parole mie, e se non crede non viene a dirmi:<br />

“Dàmmi il vero pane”. E se non ha il vero pane non può fare opere di <strong>Dio</strong>, non avendo capacità di<br />

farle. Perciò per essere nutriti di <strong>Dio</strong> e per fare opere di <strong>Dio</strong> è necessario che voi facciate l’operabase,<br />

che è questa: credere in Colui che <strong>Dio</strong> ha mandato».<br />

9 «Ma che miracoli fai Tu dunque perché noi si possa credere in Te come in Mandato da <strong>Dio</strong> e perché si<br />

possa vedere su Te il sigillo di <strong>Dio</strong>? Che fai Tu che già, sebbene in forma minore, non abbiano fatto i<br />

Profeti? Mosè ti ha superato, anzi, perché, non per una volta tanto, ma per quarant’anni, nutrì di<br />

meraviglioso cibo i nostri padri. Così è scritto: che i nostri padri per quarant’anni mangiarono la<br />

manna del deserto, ed è detto che perciò Mosè diede loro da mangiare pane venuto dal cielo, egli che<br />

poteva».<br />

«Siete in errore. Non Mosè ma il Signore poté fare questo. E nell’Esodo si legge: “Ecco: <strong>Io</strong> farò piovere<br />

del pane dal cielo. Esca il popolo e ne raccolga quanto basta giorno per giorno, e così <strong>Io</strong> provi se il popolo<br />

cammina secondo la mia legge. E il sesto giorno ne raccolga il doppio per rispetto al settimo dì che è il<br />

sabato”. E gli ebrei videro il deserto ricoprirsi, mattina per mattina, di quella “cosa minuta come ciò<br />

che è pestato nel mortaio e simile alla brina della terra, simile al seme di coriandolo, e dal buon<br />

sapore di fior di farina incorporata col miele”. Dunque non Mosè, ma <strong>Dio</strong> provvide alla manna. <strong>Dio</strong> che<br />

tutto può. Tutto. Punire e benedire. Privare e concedere. Ed <strong>Io</strong> ve lo dico, delle due cose preferisce<br />

sempre benedire e concedere a punire e privare.<br />

<strong>Dio</strong>, come dice la Sapienza, per amore di Mosè - detto dall’Ecclesiastico “caro a <strong>Dio</strong> e agli uomini, di


enedetta memoria, fatto da <strong>Dio</strong> simile ai santi nella gloria, grande e terribile per i nemici, capace di<br />

suscitare e por fine ai prodigi, glorificato nel cospetto dei re, suo ministro al cospetto del popolo,<br />

conoscitore della gloria di <strong>Dio</strong> e della voce dell’Altissimo, custode dei precetti e della Legge di vita e<br />

di scienza” - <strong>Dio</strong>, dicevo, per amore di questo Mosè, nutrì il suo popolo col pane degli angeli, e dal<br />

cielo gli donò un pane bell’e fatto, senza fatica, contenente in sé ogni delizia ed ogni soavità di sapore.<br />

E - ricordate bene ciò che dice la Sapienza - e poiché veniva dal Cielo, da <strong>Dio</strong>, e mostrava la sua<br />

dolcezza verso i figli, aveva per ognuno il sapore che ognuno voleva, e dava ad ognuno gli effetti<br />

desiderati, essendo utile tanto al pargolo, dallo stomaco ancora imperfetto, come all’adulto,<br />

dall’appetito e digestione gagliardi, alla fanciulla delicata come al vecchio cadente. E anche, per<br />

testimoniare che non era opera d’uomo, capovolse le leggi degli elementi, onde resistè al fuoco, esso,<br />

il misterioso pane che al sorgere del sole si squagliava come brina. O meglio: il fuoco - è sempre la<br />

Sapienza che parla - dimenticò la propria natura per rispetto all’opera di <strong>Dio</strong> suo Creatore e dei<br />

bisogni dei giusti di <strong>Dio</strong>, di modo che, mentre è solito ad infiammarsi per tormentare, qui si fece<br />

dolce per fare del bene a quelli che confidavano nel Signore.<br />

Per questo allora, trasformandosi in ogni maniera, servì alla grazia del Signore, nutrice di tutti,<br />

secondo la volontà di chi pregava l’eterno Padre, affinché i figli diletti imparassero che non è il<br />

riprodursi dei frutti che nutrisce gli uomini, ma è la parola del Signore quella che conserva chi<br />

crede in <strong>Dio</strong>. Infatti non consumò, come poteva, la dolce manna, neppure se la fiamma era alta e<br />

potente, mentre bastava a scioglierla il dolce sole del mattino, affinché gli uomini ricordassero e<br />

imparassero che i doni di <strong>Dio</strong> vanno ricercati dall’inizio del giorno e della vita, e che per averli<br />

occorre anticipare la luce e sorgere, per lodare l’Eterno, dalla prima ora del mattino.<br />

Questo insegnò la manna agli ebrei. Ed <strong>Io</strong> ve lo ricordo perché è dovere che dura e durerà sino alla<br />

fine dei secoli. Cercate il Signore ed i suoi doni celesti senza poltrire fino alle tarde ore del giorno o<br />

della vita. Sorgete a lodarlo prima ancora che lo lodi il sorgente sole, e pascetevi della sua parola<br />

che conserva e preserva e conduce alla Vita vera.<br />

Non Mosè vi diede il pane del Cielo, ma in verità lo diede il Padre Iddio, e ora, in verità delle<br />

verità, è il Padre mio quello che vi dà il vero Pane, il Pane novello, il Pane eterno che dal Cielo<br />

discende, il Pane di misericordia, il Pane di Vita, il Pane che dà al mondo la Vita, il Pane che sazia<br />

ogni fame e leva ogni languore, il Pane che dà, a chi lo prende, la Vita eterna e l’eterna gioia».<br />

10 «Dacci, o Signore, di codesto pane, e noi non morremo più».<br />

«Voi morrete come ogni uomo muore, ma risorgerete a Vita eterna se vi nutrirete santamente di<br />

questo Pane, perché esso fa incorruttibile chi lo mangia. Riguardo a darvelo sarà dato a coloro<br />

che lo chiedono al Padre mio con puro cuore, retta intenzione e santa carità. Per questo ho insegnato<br />

a dire: “Dacci il pane quotidiano”. Ma coloro che se ne nutriranno indegnamente diverranno<br />

brulichio di vermi infernali, come i gomor di manna conservati contro l’ordine avuto. E quel Pane<br />

di salute e vita diverrà per loro morte e condanna. Perché il sacrilegio più grande sarà commesso<br />

da coloro che metteranno quel Pane su una mensa spirituale corrotta e fetida, o lo profaneranno<br />

mescolandolo alla sentina delle loro inguaribili passioni. Meglio per loro sarebbe non averlo mai<br />

preso!».<br />

11 «Ma dove è questo Pane? Come lo si trova? Che nome ha?».<br />

«<strong>Io</strong> sono il Pane di Vita. In Me lo si trova. <strong>Il</strong> suo nome è Gesù. Chi viene a Me non avrà più fame, e chi<br />

crede in Me non avrà mai più sete, perché i fiumi celesti si riverseranno in lui estinguendo ogni<br />

materiale ardore. <strong>Io</strong> ve l’ho detto, ormai. Voi mi avete conosciuto, ormai. Eppure non credete. Non<br />

potete credere che tutto quanto è in Me. Eppure così è. In Me sono tutti i tesori di <strong>Dio</strong>. E a Me tutto<br />

della terra è dato, onde in Me sono riuniti i gloriosi Cieli e la militante terra, e fino la penante e<br />

attendente massa dei trapassati in grazia di <strong>Dio</strong> sono in Me, perché in Me e a Me è ogni potere. Ed<br />

<strong>Io</strong> ve lo dico: tutto quanto il Padre mi dà verrà a Me. Né <strong>Io</strong> scaccerò chi a Me viene, perché sono<br />

disceso dal Cielo non per fare la mia volontà ma quella di Colui che mi ha mandato. E la volontà<br />

del Padre mio, del Padre che mi ha mandato, è questa: che <strong>Io</strong> non perda nemmeno uno di quelli che<br />

mi ha dato, ma che <strong>Io</strong> li risusciti all’ultimo giorno. Ora la volontà del Padre che mi ha mandato è che<br />

chiunque conosce il Figlio e crede in Lui abbia la Vita eterna e <strong>Io</strong> lo possa risuscitare nell’Ultimo<br />

Giorno, vedendolo nutrito della fede in Me e segnato del mio sigillo».


12 Vi è non poco brusìo nella sinagoga e fuori della stessa per le nuove e ardite parole del Maestro. E<br />

questo, dopo avere per un momento preso fiato, volge gli occhi sfavillanti di rapimento là dove più si<br />

mormora, e sono precisamente i gruppi in cui sono dei giudei. Riprende a parlare.<br />

«Perché mormorate fra voi? Sì, <strong>Io</strong> sono il figlio di Maria di Nazaret figlia di Gioacchino della stirpe di<br />

Davide, vergine consacrata nel Tempio e poi sposata a Giuseppe di Giacobbe, della stirpe di Davide. Voi<br />

avete conosciuto, in molti, i giusti che dettero vita a Giuseppe, legnaiuolo regale, e a Maria, vergine erede<br />

della stirpe regale. Ciò vi fa dire: “Come può costui dirsi disceso dal Cielo?», e il dubbio sorge in voi.<br />

Vi ricordo i Profeti nelle loro profezie sull’Incarnazione del Verbo. E vi ricordo come, più per noi<br />

israeliti che per qualsiasi altro popolo, è dogmatico che Colui che non osiamo chiamare non potesse<br />

darsi una Carne secondo le leggi della umanità, e umanità decaduta per giunta. <strong>Il</strong> Purissimo,<br />

l’Increato, se si è mortificato a farsi Uomo per amore dell’uomo, non poteva che eleggere un seno di<br />

Vergine più pura dei gigli per rivestire di Carne la sua Divinità.<br />

<strong>Il</strong> pane disceso dal Cielo al tempo di Mosè è stato riposto nell’arca d’oro, coperta dal propiziatorio,<br />

vegliata dai cherubini, dietro i veli del Tabernacolo. E col pane era la Parola di <strong>Dio</strong>. E giusto era che ciò<br />

fosse, perché sommo rispetto va dato ai doni di <strong>Dio</strong> e alle tavole della sua Ss. Parola. Ma che allora sarà<br />

stato preparato da <strong>Dio</strong> per la sua stessa Parola e per il Pane vero che è venuto dal Cielo? Un’arca più<br />

inviolata e preziosa dell’arca d’oro, coperta dal prezioso propiziatorio della sua pura volontà di<br />

immolazione, vegliata dai cherubini di <strong>Dio</strong>, velata dal velo di un candore verginale, di una umiltà<br />

perfetta, di una carità sublime e di tutte le virtù più sante.<br />

E allora? Non capite ancora che la mia paternità è in Cielo e che perciò <strong>Io</strong> di là vengo? Sì, <strong>Io</strong> sono disceso<br />

dal Cielo per compiere il decreto del Padre mio, il decreto di salvazione degli uomini secondo quanto<br />

promise al momento stesso della condanna e ripeté ai Patriarchi e ai Profeti.<br />

Ma questo è fede. E la fede viene data da <strong>Dio</strong> a chi ha l’animo di buona volontà. Perciò nessuno può<br />

venire a Me se non lo conduce a Me il Padre mio, vedendolo nelle tenebre ma rettamente desideroso<br />

di luce. E scritto nei Profeti: “Saranno tutti ammaestrati da <strong>Dio</strong>”. Ecco. È detto. È <strong>Dio</strong> che li istruisce<br />

dove andare per essere istruiti di <strong>Dio</strong>. Chiunque, dunque, ha udito in fondo al suo spirito retto parlare<br />

Iddio, ha imparato dal Padre a venire a Me».<br />

«E chi vuoi che abbia sentito Iddio o visto il suo Volto?» chiedono in diversi che cominciano a mostrare<br />

segni di irritazione e di scandalo. E terminano: «Tu deliri, oppure sei un illuso».<br />

«Nessuno ha veduto Iddio eccetto Colui che è da <strong>Dio</strong>; questo ha veduto il Padre. E questo <strong>Io</strong> sono.<br />

13 Ed ora udite il “credo” della vita futura, senza il quale non ci si può salvare.<br />

In verità, in verità vi dico che chi crede in Me ha la Vita eterna. In verità, in verità vi dico che <strong>Io</strong> sono il<br />

Pane della Vita eterna.<br />

I vostri padri mangiarono nel deserto la manna e morirono. Perché la manna era un cibo santo ma<br />

temporaneo, e dava vita per quanto necessitava a giungere alla terra promessa da <strong>Dio</strong> al suo popolo.<br />

Ma la Manna che <strong>Io</strong> sono non avrà limitazione di tempo e di potere. È non solo celeste, ma è divina, e<br />

produce ciò che è divino: l’incorruttibilità, l’immortalità di quanto <strong>Dio</strong> ha creato a sua immagine e<br />

somiglianza. Essa non durerà quaranta giorni, quaranta mesi, quaranta anni, quaranta secoli. Ma<br />

durerà finché durerà il tempo, e sarà data a tutti coloro che di essa hanno fame santa e gradita al<br />

Signore, che giubilerà di darsi senza misura agli uomini per cui si è incarnato, onde abbiano la<br />

Vita che non muore.<br />

<strong>Io</strong> posso darmi, <strong>Io</strong> posso transustanziarmi per amore degli uomini, onde il pane divenga Carne e<br />

la Carne divenga Pane per la fame spirituale degli uomini, che senza questo Cibo morirebbero di<br />

fame e di malattie spirituali. Ma se uno mangia di questo Pane con giustizia, egli vivrà in eterno.<br />

<strong>Il</strong> pane che <strong>Io</strong> darò sarà la mia Carne immolata per la vita del mondo, sarà il mio Amore sparso<br />

nelle case di <strong>Dio</strong>, perché alla mensa del Signore vengano tutti coloro che sono amorosi o infelici e<br />

trovino ristoro al loro bisogno di fondersi a <strong>Dio</strong> e di trovare sollievo al loro penare».<br />

14 «Ma come puoi darci da mangiare la tua carne? Per chi ci hai presi? Per belve sanguinarie? Per<br />

selvaggi? Per omicidi? A noi ripugna il sangue e il delitto».<br />

«In verità, in verità vi dico che molte volte l’uomo è più di una belva, e che il peccato fa più che<br />

selvaggi, che l’orgoglio dà sete omicida, e che non a tutti dei presenti ripugnerà il sangue e il<br />

delitto. E anche in futuro l’uomo tale sarà, perché Satana, il senso e l’orgoglio lo fanno belluino. E


perciò con maggior bisogno che mai dovete e dovrà l’uomo sanare se stesso dai germi terribili con<br />

l’infusione del Santo. In verità, in verità vi dico che se non mangerete la Carne del Figlio<br />

dell’uomo e non berrete il suo Sangue, non avrete in voi la Vita. Chi mangia degnamente la mia<br />

Carne e beve il mio Sangue ha la Vita eterna ed <strong>Io</strong> lo risusciterò all’Ultimo Giorno. Perché la mia<br />

Carne è veramente Cibo e il mio Sangue è veramente Bevanda. Chi mangia la mia Carne e beve il<br />

mio Sangue rimane in Me ed <strong>Io</strong> in lui. Come il Padre vivente mi inviò, ed <strong>Io</strong> vivo per il Padre, così<br />

chi mi mangia vivrà anch’egli per Me e anderà dove lo mando, e farà ciò che <strong>Io</strong> voglio, e vivrà<br />

austero come uomo e ardente come serafino, e sarà santo, perché per potersi cibare della mia Carne<br />

e del mio Sangue si interdirà le colpe e vivrà ascendendo per finire la sua ascesa ai piedi<br />

dell’Eterno».<br />

«Ma costui è folle! Chi può vivere in tal modo? Nella nostra religione è solo il sacerdote che deve<br />

essere purificato per offrire la vittima. Qui Egli ci vuole fare, di noi, tante vittime della sua follia.<br />

Questa dottrina è troppo penosa e questo linguaggio è troppo duro! Chi li può ascoltare e praticare?»<br />

sussurrano i presenti, e molti sono discepoli già riputati tali.<br />

15 La gente sfolla commentando. E molto assottigliate appaiono le file dei discepoli quando restano solo<br />

nella sinagoga il Maestro e i più fedeli. <strong>Io</strong> non li conto, ma dico che, ad occhio e croce, sì e no se si<br />

arriva a cento. Perciò ci deve essere stata una bella defezione anche nelle schiere dei vecchi discepoli<br />

ormai al servizio di <strong>Dio</strong>.<br />

Fra i rimasti sono gli apostoli, il sacerdote Giovanni e lo scriba Giovanni, Stefano, Erma, Timoneo,<br />

Ermasteo, Agapo, Giuseppe, Salomon, Abele di Betlemme di Galilea e Abele il già lebbroso di Corozim<br />

col suo amico Samuele, Elia (quello che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù), Filippo di<br />

Arbela, Aser e Ismaele di Nazaret, più altri che non conosco di nome. Questi tutti parlano piano fra<br />

loro commentando la defezione degli altri e le parole di Gesù, che pensieroso sta con le braccia<br />

conserte appoggiato ad un alto leggio.<br />

«E vi scandalizzate di ciò che ho detto? E se vi dicessi che vedrete un giorno il Figlio dell’uomo<br />

ascendere al Cielo dove era prima e sedersi al fianco del Padre? E che avete capito, assorbito, creduto<br />

fino ad ora? E con che avete udito e assimilato? Solo con l’umanità? È lo spirito quello che vivifica e<br />

ha valore. La carne non giova a niente. Le mie parole sono spirito e vita, e vanno udite e capite con lo<br />

spirito per averne vita. Ma ci sono molti fra voi che hanno morto lo spirito perché è senza fede.<br />

Molti di voi non credono con verità. E inutilmente stanno presso a Me. Non ne avranno Vita, ma Morte.<br />

Perché vi stanno, come ho detto in principio, o per curiosità o per umano diletto, o, peggio, per fini<br />

ancora più indegni. Non sono portati qui dal Padre per premio alla loro buona volontà, ma da Satana.<br />

Nessuno può venire a Me, in verità, se non gli è concesso dal Padre mio. Andate pure, voi che vi<br />

trattenete a fatica perché vi vergognate, umanamente, di abbandonarmi, ma avete ancora maggior<br />

vergogna di rimanere al servizio di Uno che vi pare “pazzo e duro”. Andate. Meglio lontani che qui per<br />

nuocere».<br />

E molti altri si ritraggono di fra i discepoli, fra i quali lo scriba Giovanni e Marco, il geraseno<br />

indemoniato, guarito mandando i demoni nei porci. I discepoli buoni si consultano e corrono dietro a<br />

questi fedifraghi tentando di fermarli.<br />

16 Nella sinagoga sono ora Gesù, il sinagogo e gli apostoli...<br />

Gesù si volge ai dodici che, mortificati, stanno in un angolo e dice: «Volete andarvene anche voi?».<br />

Lo dice senza acredine e senza mestizia. Ma con molta serietà.<br />

Pietro, con impeto doloroso, gli dice: «Signore, e dove vuoi che si vada? Da chi? Tu sei la nostra<br />

vita e il nostro amore. Tu solo hai parole di Vita eterna. Noi abbiamo conosciuto che Tu sei il<br />

Cristo, Figlio di <strong>Dio</strong>. Se vuoi, cacciaci. Ma noi, di nostro, non ti lasceremo neppure... neppure se<br />

Tu non ci amassi più...», e Pietro piange senza rumore, con grandi lacrimoni...<br />

Anche Andrea, Giovanni, i due figli di Alfeo, piangono apertamente, e gli altri, pallidi o rossi per<br />

l’emozione, non piangono, ma soffrono palesemente.<br />

«Perché vi dovrei cacciare? Non sono stato <strong>Io</strong> che ho eletto voi dodici?...».<br />

Giairo, prudentemente, si è ritirato per lasciare Gesù libero di confortare o redarguire i suoi<br />

apostoli. Gesù, che ne nota la silenziosa ritirata, dice, sedendosi accasciato come se la rivelazione<br />

che fa gli costasse uno sforzo superiore a quello che Egli può fare, stanco come è, disgustato,


addolorato: «Eppure uno di voi è un demonio».<br />

La parola cade lenta, paurosa, nella sinagoga, nella quale è solo allegra la luce delle molte<br />

lampade... e nessuno osa dire nulla. Ma si guardano l’un l’altro con pauroso ribrezzo e angosciosa<br />

indagine e, con una ancor più angosciosa e intima domanda, ognuno esamina se stesso...<br />

Nessuno si muove per qualche tempo. E Gesù resta solo, sul suo sedile, le mani incrociate sui<br />

ginocchi, il viso basso. Lo alza infine e dice: «Venite. Non sono già un lebbroso! O mi credete<br />

tale?...».<br />

Allora Giovanni corre avanti e gli si avviticchia al collo dicendo: «Con Te, allora, nella lebbra,<br />

mio solo amore. Con Te nella condanna, con Te nella morte, se credi che ciò ti attenda...»; e<br />

Pietro striscia ai suoi piedi e li prende e se li mette sugli omeri e singhiozza: «Qui, premi, calpesta!<br />

Ma non mi fare pensare che Tu diffidi del tuo Simone».<br />

Gli altri, vedendo che Gesù carezza i due primi, si fanno avanti e baciano Gesù sulle vesti, sulle<br />

mani, sui capelli... Solo l’Iscariota osa baciarlo sul viso.<br />

Gesù si alza di scatto, e quasi lo respinge bruscamente tanto lo scatto è improvviso, e dice:<br />

«Andiamo a casa. Domani sera, di notte, partiremo con le barche per Ippo».<br />

355. <strong>Il</strong> nuovo discepolo Nicola di Antiochia e il secondo annuncio della Passione.<br />

9 dicembre 1945.<br />

1 Gesù è tutto solo sulla terrazza della casa di Tommaso di Cafarnao. <strong>Il</strong> paese ozia nel sabato, già<br />

molto ridotto nei suoi abitanti, perché i più zelanti nelle pratiche di fede sono già partiti per<br />

Gerusalemme, e così pure quelli che vi si recano con le famiglie ed hanno bambini che non<br />

possono fare marce lunghe ed obbligano gli adulti a soste e a brevi tragitti. Così manca, nella<br />

giornata già di suo un po’ nuvolosa, la nota d’oro dell’infanzia giuliva.<br />

Gesù è molto pensieroso. Seduto su una panchetta bassa, in un angolo, presso il parapetto, le spalle<br />

alla scala, quasi nascosto da questo parapetto, tiene un gomito sul ginocchio e appoggia la fronte<br />

sulla mano con mossa stanca, quasi di sofferenza.<br />

2 È interrotto nel suo meditare dalla venuta di un fanciullino che vuole salutarlo prima di partire per<br />

Gerusalemme. «Gesù! Gesù!» chiama ad ogni scalino, non vedendo Gesù perché il muretto lo<br />

nasconde alla vista di chi è in basso. E Gesù è così concentrato che non sente la vocetta leggera e il<br />

passo da colombino... di modo che, quando il piccolo arriva sulla terrazza, Egli è ancora in quella<br />

posizione di sofferenza. E il bambino ne resta intimorito. Si ferma sul limitare della terrazza, si<br />

mette un ditino fra le labbra e pensa... poi decide e lentamente viene avanti... ormai è quasi alle<br />

spalle di Gesù... si china per vedere ciò che fa... e dice: «No, bello! Non piangere! Perché? Per quei<br />

brutti omacci di ieri? Lo diceva il padre mio con Giairo che sono indegni di Te. Ma Tu non devi<br />

piangere. <strong>Io</strong> ti voglio bene. E te ne vuole la mia sorellina e Giacomo e Tobiolo, e Giovanna e Maria e<br />

Michea e tutti, tutti i bambini di Cafarnao. Non piangere più...», e gli si stringe al collo,<br />

carezzoso, finendo: «Altrimenti piangerò anche io, e piangerò sempre... per tutto il viaggio...».<br />

«No, David, non piango più. Tu mi hai consolato. Sei solo? Quando partite?».<br />

«Dopo il tramonto. Colla barca fino a Tiberiade. Vieni con noi. <strong>Il</strong> padre mio ti vuole bene, sai?»<br />

«Lo so, caro. Ma devo andare da altri bambini... <strong>Io</strong> ti ringrazio di essere venuto a salutarmi e ti<br />

benedico, piccolo Davide. Diamoci il bacio di addio e poi torna dalla mamma. Lo sa che sei<br />

qui?...».<br />

«No. Sono scappato via perché non ti ho visto coi tuoi discepoli e ho pensato che piangevi».<br />

«Non piango più. Lo vedi. Va’, va’ dalla mamma che forse ti cerca con spavento. Addio. Sta’ attento agli<br />

asini delle carovane. Vedi? Ce ne sono fermi da ogni parte».<br />

«Ma non piangi proprio più?».<br />

«No. Non ho più dolore. Tu me lo hai levato. Grazie, bambino».<br />

<strong>Il</strong> bambino scende saltellando la scaletta e Gesù lo osserva. Poi crolla il capo e torna al suo posto nella<br />

penosa meditazione di prima.


3Passa del tempo. <strong>Il</strong> sole, nelle schiarite di nuvole, si mostra nella sua discesa.<br />

Un passo più pesante sulla scala. Gesù alza il viso. Vede Giairo che sta dirigendosi da Lui. Lo saluta.<br />

Ne è salutato con rispetto.<br />

«Come mai qui, Giairo?».<br />

«Signore! <strong>Io</strong> forse ho sbagliato. Ma Tu che vedi il cuore degli uomini vedrai che nel mio errore non era<br />

malanimo. <strong>Io</strong> non ti ho invitato alla sinagoga per parlare, oggi. Ma ho tanto sofferto per Te, ieri, e tanto<br />

ti ho visto soffrire che... non ho osato. Ho interrogato i tuoi. Mi hanno detto: “Vuole stare solo”... Ma<br />

poco fa è venuto Filippo, padre di Davide, dicendomi che il suo bambino ti ha visto piangere. Ha detto<br />

che Tu lo hai ringraziato di essere venuto da Te. Sono venuto io pure. Maestro, chi ancora è a Cafarnao<br />

sta per adunarsi alla sinagoga. E la sinagoga mia è tua, Signore».<br />

«Grazie, Giairo. Oggi parleranno altri in essa. <strong>Io</strong> verrò come semplice fedele...».<br />

«Né vi saresti tenuto. Tua sinagoga è il mondo. Non vieni proprio, Maestro?».<br />

«No, Giairo. Sto qui col mio spirito davanti al Padre che mi capisce e che non trova colpe in Me». Gesù<br />

ha un brillìo di lacrime nell’occhio mesto.<br />

«<strong>Io</strong> pure non trovo colpe in Te... Addio, Signore».<br />

«Addio, Giairo». E Gesù si siede di nuovo, sempre meditabondo.<br />

4Leggera come una colomba sale, nella sua veste bianca, la figlia di Giairo. Guarda... Chiama piano:<br />

«Salvatore mio!».<br />

Gesù volge il capo, la vede, le sorride, le dice: «Vieni a Me».<br />

«Sì, mio Signore. Ma io vorrei portarti agli altri. Perché deve essere muta la sinagoga, oggi?».<br />

«Vi è tuo padre e tanti altri per empirla di parole».<br />

«Ma sono parole... La tua è la Parola. Oh! mio Signore! Con la tua parola mi hai restituito alla mamma<br />

e al padre mio, ed ero morta. Ma guarda quelli che ora vanno verso la sinagoga! Molti sono più<br />

morti di me allora. Vieni a dare loro la Vita».<br />

«Figlia, tu la meritavi; essi... Nessuna parola può dare vita ad uno che per sé elegge la morte»<br />

«Sì, mio Signore. Ma vieni lo stesso. C’è anche chi vive sempre più, sentendoti... Vieni. Metti la tua<br />

mano nella mia e andiamo. <strong>Io</strong> sono la testimonianza del tuo potere, e sono pronta a testimoniarlo<br />

anche davanti ai tuoi nemici, anche a prezzo che mi venga levata questa seconda vita, che d’altronde<br />

non è più mia. Tu me l’hai data, Maestro buono, per pietà di una madre e di un padre. Ma io...». La<br />

fanciulla, una bella fanciulla già donnina, dai dolci occhioni splendenti nel viso puro e intelligente, si<br />

arresta per un’onda di pianto che la strozza, gocciando dalle lunghe ciglia sulle guance.<br />

«Perché piangi, ora?» chiede Gesù ponendole la mano sui capelli.<br />

«Perché... mi è stato detto che Tu dici che morrai...».<br />

«Tutti si muore, fanciulla».<br />

«Ma non così come Tu dici! <strong>Io</strong>... oh! ora io non avrei voluto essere tornata viva, per non vedere ciò,<br />

per non esserci quando... questo orrore sarà...».<br />

«Allora non ci saresti neppure stata per darmi la consolazione che mi dài ora. Non sai che la parola,<br />

anche una sola, di un puro e di uno che mi ama, leva ogni pena da Me?».<br />

«Sì? Oh! allora Tu non ne devi più avere perché io ti amo più del padre, della madre e della mia<br />

vita!».<br />

«Così è».<br />

«Allora vieni. Non stare solo. Parla per me, per Giairo, per la mamma, per il piccolo Davide, per<br />

quelli che ti amano, insomma. Siamo tanti e saremo più ancora. Ma non stare solo. Viene<br />

malinconia» e, materna d’istinto come ogni donna onesta, termina dicendo: «Con me vicino nessuno<br />

ti farà male. Ed io, del resto, ti difenderò».<br />

Gesù si alza e l’accontenta. La mano nella mano, traversano le vie ed entrano nella sinagoga da una<br />

porta laterale.<br />

5Giairo, che sta leggendo ad alta voce un rotolo, sospende la lettura e dice, inchinandosi<br />

profondamente: «Maestro, te ne prego, per i retti di cuore parla. Preparaci alla Pasqua con la tua<br />

santa parola».<br />

«Stai leggendo dei Re, non è vero?».<br />

«Sì, Maestro. Cercavo di fare riflettere che chi si separa dal <strong>Dio</strong> vero cade in idolatria di vitelli


d’oro».<br />

«Bene hai detto. Nessuno ha da dire nulla?».<br />

Si alza un brusio fra la folla. Chi vuole che parli Gesù e chi urla: «Abbiamo fretta. Si dicano le<br />

preghiere e si cessi l’adunanza. Andiamo a Gerusalemme, d’altronde, e là udremo i rabbi», e chi<br />

urla così sono i molti disertori di ieri, che il sabato ha trattenuto a Cafarnao.<br />

Gesù li guarda con somma mestizia e dice: «Avete fretta. È vero. Anche <strong>Dio</strong> ha fretta di giudicarvi.<br />

Andate pure». Poi, volgendosi a quelli che li rimproverano, dice: «Non li sgridate. Ogni pianta<br />

dà il suo frutto».<br />

«Signore! Ripeti il gesto di Nehemia! Parla contro di loro, Tu, Sacerdote supremo!» grida<br />

sdegnato Giairo, e gli fanno coro gli apostoli, i discepoli fedeli e quelli di Cafarnao.<br />

Gesù apre le braccia a croce e, pallidissimo, un vero viso straziato eppure dolcissimo, grida:<br />

«Ricordati di Me, o mio <strong>Dio</strong>! E in bene! E ricordati pure in bene di loro! <strong>Io</strong> li perdono!».<br />

6 La sinagoga si svuota, rimanendo i fedeli a Gesù...<br />

E vi è uno straniero in un angolo. Un uomo robusto che nessuno osserva, al quale nessuno parla.<br />

Del resto egli pure non parla con nessuno. Guarda solo fissamente Gesù, tanto che il Maestro<br />

volge il suo sguardo in quella direzione, lo vede e chiede a Giairo chi sia.<br />

«Non so. Uno di passaggio certo».<br />

Gesù lo interpella: «Chi sei?».<br />

«Nicolai, proselite di Antiochia, diretto a Gerusalemme per la Pasqua».<br />

«Chi cerchi?».<br />

«Te, Signore Gesù di Nazaret. Ho desiderio di parlarti».<br />

«Vieni». E avutolo vicino esce con lui nell’orto dietro la sinagoga per ascoltarlo.<br />

«Ho parlato ad Antiochia con un tuo discepolo di nome Felice. Ho ardentemente desiderato di<br />

conoscerai. Mi ha detto che luogo di sosta tua è Cafarnao, e hai la Madre a Nazaret. E anche che<br />

vai al Getsemani o a Betania. L’Eterno fa che io ti trovi al primo luogo. C’ero ieri... E ti ero presso<br />

stamane mentre Tu piangevi pregando, presso la fonte... Ti amo, Signore. Perché sei santo e<br />

mite. Credo in Te. Le tue azioni, le tue parole mi avevano già fatto tuo. Ma la tua misericordia di<br />

poco fa, per i colpevoli, mi ha deciso. Signore, accoglimi al posto di chi ti abbandona! Vengo a Te con<br />

tutto quanto ho: la vita e i beni, tutto». Si è inginocchiato dicendo le ultime parole.<br />

Gesù lo guarda fissamente... poi dice: «Vieni. Da oggi sarai del Maestro. Andiamo dai tuoi compagni».<br />

Tornano nella sinagoga, dove è un grande parlare dei discepoli e degli apostoli con Giairo.<br />

«Ecco un nuovo discepolo. <strong>Il</strong> Padre mi consola. Amatelo come un fratello. Andiamo con lui a dividere<br />

il pane e il sale. Poi nella notte voi partirete con lui per Gerusalemme e noi colle barche andremo a<br />

Ippo... E non dite la mia strada a nessuno, onde <strong>Io</strong> non sia trattenuto».<br />

7 Ma intanto il sabato è finito, e quelli che vogliono fuggire Gesù sono in folla sulla spiaggia, per<br />

contrattare i traghetti per Tiberiade. E litigano con Zebedeo che non vuole cedere la sua barca, già<br />

pronta, vicina a quella di Pietro, per la partenza nella notte di Gesù con i dodici.<br />

«<strong>Io</strong> vado ad aiutarlo!» dice Pietro che è irritato.<br />

Gesù, ad evitare urti troppo forti, lo trattiene dicendo: «Andiamo tutti, non tu solo».<br />

E vanno... E gustano l’amarezza di vedere che i fuggenti se ne vanno senza un saluto, tagliando netto<br />

ogni discussione pur di allontanarsi da Gesù... e sentono anche qualche epiteto spregevole e consigli<br />

acri ai fedeli discepoli...<br />

Gesù si volge per tornare a casa dopo che la turba ostile se ne è andata, e dice al nuovo discepolo:<br />

«Li senti? Questo è ciò che ti attende venendo a Me».<br />

«Lo so. Per questo resto. Ti avevo visto in un giorno glorioso fra folla che ti acclamava salutandoti “re”.<br />

Ho scosso le spalle dicendo: “Un altro povero illuso! Un’altra piaga per Israele!”, e non ti ho seguito<br />

perché parevi un re, e neppure a Te pensavo più. Ora ti seguo perché nelle tue parole e nella tua bontà<br />

vedo il promesso Messia».<br />

«In verità tu sei più giusto di molti altri. Però ancora una volta lo dico. Chi spera in Me un re<br />

terreno si ritiri. Chi sente che si vergognerà di Me nel cospetto del mondo accusatore si ritiri. Chi si<br />

scandalizzerà di vedermi trattato da malfattore si ritiri. Ve lo dico mentre ancora potete farlo senza<br />

essere compromessi agli occhi del mondo. Imitate coloro che fuggono su quelle barche, se non vi sentite


di condividere la mia sorte nell’obbrobrio per poterla condividere poi nella gloria. Perché questo<br />

sta per avvenire: il Figlio dell’uomo sta per essere accusato e messo poi nelle mani degli uomini, i<br />

quali lo uccideranno come un malfattore e crederanno averlo vinto. Ma inutilmente avranno fatto<br />

il loro delitto. Perché <strong>Io</strong> risorgerò dopo tre giorni e trionferò. Beati quelli che sapranno essere meco<br />

fino alla fine!».<br />

8 Sono giunti alla casa e Gesù affida ai discepoli il nuovo venuto, salendo da solo dove era prima.<br />

Anzi entra nella stanza superiore e si siede, pensando.<br />

Salgono dopo un poco l’Iscariota con Pietro.<br />

«Maestro, Giuda mi ha fatto riflettere a delle cose giuste».<br />

«Dille».<br />

«Tu prendi questo Nicolai, un proselite, e del quale ignoriamo il passato. Già tante noie abbiamo<br />

avuto... e abbiamo. E ora? Che sappiamo di lui? Possiamo fidarci? Giuda giustamente dice che<br />

potrebbe essere una spia mandata dai nemici».<br />

«Ma sì! Un traditore! Perché non vuole dire da dove viene e chi lo manda? <strong>Io</strong> l’ho interrogato, ma<br />

dice solo: “Sono Nicolai di Antiochia, proselite”. <strong>Io</strong> ho fieri sospetti».<br />

«Ti ricordo che egli viene perché mi vede tradito».<br />

«Può essere menzogna! Può essere un tradimento!».<br />

«Chi dovunque vede menzogna o vede tradimento è anima capace di tali cose, perché si misura<br />

sul proprio modello» dice serio Gesù.<br />

«Signore, Tu mi offendi!» grida Giuda sdegnato.<br />

«Lasciami, dunque, e vai con chi mi abbandona».<br />

Giuda esce sbatacchiando la porta con mal modo.<br />

«Però, Signore, Giuda non ha tutti i torti... E poi non vorrei che... quell’uomo dicesse di Giovanni.<br />

Non può essere che l’uomo di Endor il Felice che ti manda questo...».<br />

«Così è certamente. Ma Giovanni di Endor è prudente ed ha ripreso il suo antico nome. Sta’<br />

tranquillo, Simone. Un uomo che si fa discepolo, perché sente che la mia causa umana è già persa,<br />

non può essere che uno retto di spirito. Ben diverso è quello di colui che ora è uscito, e che è venuto<br />

a Me perché sperava di essere il principe di un re potente... e non si persuade che <strong>Io</strong> sono Re solo<br />

per lo spirito...».<br />

«Sospetti di lui, Signore?».<br />

«Di nessuno. Ma in verità ti dico che dove giungerà Nicolai, discepolo e proselite, Giuda di Simone<br />

apostolo, israelita e giudeo, non giungerà».<br />

«Signore, io avrei voglia di interrogare Nicolai su... Giovanni».<br />

«Non lo fare. Giovanni non gli ha dato incarichi perché è prudente. Non essere tu<br />

l’imprudente».<br />

«No, Signore. Te lo chiedevo soltanto...».<br />

«Scendiamo ad affrettare le cene. A notte alta partiremo... Simone... mi ami tu?».<br />

«Oh! Maestro! Ma che dici?».<br />

«Simone, il mio cuore è più scuro del lago in una notte di tempesta e tanto agitato come<br />

quello...».<br />

«Oh! Maestro mio!... Che ti devo dire, se io sono ancor più... scuro e agitato di Te? Ti dirò: “Ecco il<br />

tuo Simone. E se ti può dare conforto il mio cuore, prenditelo”. Non ho che questo, ma è sincero».<br />

Gesù gli pone per un momento la testa sul petto ampio e robusto e poi si alza e scende, con Pietro.


94. Verso Gadara. Le eresie di Giuda Iscariota e le rinunce di Giovanni che<br />

vuole solo amare.<br />

10 dicembre 1945.<br />

1 Gesù è già nell’Oltre-Giordano. E, da quello che comprendo, è, questa che si vede in alto di una<br />

collina tutta verde, la città di Gadara, e anche è la prima città che toccano dopo essere sbarcati<br />

sulla sponda sud-orientale del lago di Galilea, perché lì sono sbarcati, lasciando di scendere a<br />

Ippo dove erano stati preceduti dalle barche portanti gli ostili a Gesù. Penso siano sbarcati<br />

perciò proprio di fronte a Tarichea, allo sbocco del Giordano dal lago.<br />

«Tu la sai la via più breve per andare a Gadara, non è vero? Te la ricordi?» chiede Gesù.<br />

«E come! Quando saremo alle sorgenti calde sul Yarmoc non avremo che seguire la via» risponde<br />

Pietro.<br />

«E le sorgenti dove le trovi?» chiede Tommaso.<br />

«Oh! basta avere naso per trovarle. Puzzano qualche miglio avanti di esserci!» esclama Pietro<br />

arricciando con disgusto il naso.<br />

«Non sapevo che tu soffrivi di dolori...» osserva Giuda Iscariota.<br />

«Dolori io? E quando mai?».<br />

«Eh! sei così pratico delle sorgenti calde sul Yarmoc che ci devi essere stato».<br />

«Mai avuto bisogno di sorgenti, io, per stare bene! I veleni dalle ossa mi sono usciti colle sudate<br />

dell’onesto lavoro... e del resto, avendo più lavorato che goduto, dei veleni ne sono entrati pochi,<br />

sempre pochi in me...»<br />

«Questa è per me, non è vero? Già! <strong>Io</strong> sono colpevole di tutte le cose!...» dice inquieto Giuda.<br />

«Ma chi ti ha morso? Tu chiedi, io rispondo, a te come avrei risposto al Maestro o a un compagno.<br />

E credo che nessuno di loro, neppure Matteo che... è stato un gaudente, se ne sarebbe avuto a<br />

male».<br />

«Ebbene, io me ne ho a male!».<br />

«Non ti sapevo così delicato. Ma della supposta insinuazione te ne chiedo scusa. Per amore del<br />

Maestro, sai? Del Maestro che ha già tante afflizioni dagli estranei senza avere bisogno di averne<br />

altre da noi. Guardalo, invece di correre dietro alle tue sensibilità, e vedrai che ha bisogno di pace<br />

e di amore».<br />

Gesù non parla. Guarda soltanto Pietro e gli sorride riconoscente.<br />

2 Giuda non risponde in merito all’osservazione giusta di Pietro. È chiuso e inquieto. Vuole mostrarsi<br />

cortese, ma la stizza, il malumore, la delusione che ha in cuore gli trapelano dallo sguardo,<br />

dalla voce, dall’espressione e persino dall’andatura prepotente, che fa un grande sbatacchio di<br />

suole come per sfogarsi, percuotendo con ira il suolo per dare uno sfogo a tutto quello che gli<br />

bolle dentro.<br />

Ma si sforza a parere calmo e a voler fare il cortese, non ci riesce, ma tenta... Chiede a Pietro: «E<br />

allora come conosci questi luoghi? Forse ci sei stato per tua moglie?».<br />

«No, ci sono passato quando nell’etamin siamo venuti in Auranite col Maestro. <strong>Io</strong> ho<br />

accompagnato la Madre e le discepole sino alle terre di Cusa. E perciò, venendo da Bozra, sono<br />

passato di qui» risponde sinceramente e prudentemente Pietro.<br />

«Tu solo eri?» chiede ironico Giuda.<br />

«Perché? Credi che io non valga da solo molti, quando è il caso di valere e c’è un lavoro di<br />

fiducia da fare e lo si fa con amore, per di più?».<br />

«Oh! quanta superbia! Vorrei averti visto!».<br />

«Avresti visto un uomo serio che accompagnava delle donne sante».<br />

«Ma eri proprio solo?» chiede con vero atto da inquisitore Giuda.<br />

«Ero coi fratelli del Signore».<br />

«Ah! Ecco! Cominciano le ammissioni!».<br />

«E cominciano a tirarmi i nervi! Si può sapere che hai?».<br />

«È vero. È una vergogna» dice il Taddeo.


«Ed è ora di finirla» rincara Giacomo di Zebedeo.<br />

«Non ti è lecito schernire Simone» rimprovera Bartolomeo.<br />

«Che, te lo dovresti ricordare, è il capo di noi tutti» termina lo Zelote.<br />

Gesù non parla.<br />

«Oh! <strong>Io</strong> non schernisco nessuno, non ho proprio nulla. Solo mi piace stuzzicarlo un po’...»<br />

«Non è vero! Tu menti! Tu fai domande astute perché vuoi arrivare a stabilire qualcosa. <strong>Il</strong> subdolo<br />

crede tutti subdoli. Qui non ci sono segreti. C’eravamo tutti, abbiamo fatto tutti la stessa cosa:<br />

quella ordinata dal Maestro. E non c’è altro. Lo capisci?» grida proprio irato l’altro Giuda.<br />

«Silenzio. Siete pari a femmine litigiose. Avete tutti torto. E mi vergogno di voi» dice severo Gesù.<br />

3 Si fa un silenzio profondo mentre vanno verso la città sulla collina.<br />

Rompe il silenzio Tommaso dicendo: «Che cattivo odore!».<br />

«Sono le sorgenti. Quello è il Yarmoc e quelle costruzioni le terme dei romani. Oltre quelle è una<br />

bella via tutta lastricata che va a Gadara. I romani vogliono viaggiare bene. Bella è Gadara!» dice<br />

Pietro.<br />

«Sarà anche più bella perché qui non ci troveremo certi… esseri, in abbondanza almeno» brontola<br />

fra i denti Matteo.<br />

Passano il ponte sul fiume fra acri odori di acque solforose. Rasentano le terme, passano fra i<br />

veicoli romani, prendono una bella via, pavimentata a larghi lastroni, che conduce alla città in cima<br />

alla collina, bella fra la sua cinta di mura.<br />

Giovanni si fa presso al Maestro: «È vero che dove sono quelle acque lì è stato in antico precipitato<br />

nelle viscere del suolo un dannato? Mia madre ce lo diceva da piccini, per farci capire che non si<br />

deve peccare, se no l’inferno si apre sotto i piedi del maledetto da <strong>Dio</strong> e lo inghiotte. E poi, per<br />

ricordo e ammonizione, restano delle fessure dalle quali esce odore, calore e acque d’inferno. <strong>Io</strong> avrei<br />

paura a bagnarmi in esse...».<br />

«Di che, fanciullo? Non ne saresti corrotto. Più facile è essere corrotti da quegli uomini che hanno<br />

dentro l’inferno e ne emanano fetore e veleni. Ma si corrompono solo quelli che hanno già tendenza a<br />

farlo da loro».<br />

«Ne potrei essere corrotto io?».<br />

«No. Anche tu fossi in una turba di demoni, no».<br />

«Perché? Cosa ha di diverso dagli altri, lui?» chiede subito Giuda di Keriot.<br />

«Ha che è puro in tutti i modi, e perciò vede <strong>Dio</strong>» risponde Gesù. E Giuda ride malignamente.<br />

Giovanni torna a chiedere: «Allora non sono bocche dell’inferno quelle sorgenti?».<br />

«No. Sono all’opposto cose buone messe dal Creatore per i suoi figli. L’inferno non è chiuso nella<br />

terra. È sulla terra, Giovanni. Nel cuore degli uomini. E oltre si completa».<br />

4 «Ma c’è proprio l’inferno?» chiede l’Iscariota.<br />

«Ma che dici?» gli chiedono i compagni scandalizzati.<br />

«Dico: c’è proprio? <strong>Io</strong>, e non sono solo, non ci credo».<br />

«Pagano!» urlano con orrore.<br />

«No. Israelita. Siamo in molti a non credere certe fole, in Israele».<br />

«Ma allora come fai a credere al Paradiso?», «E alla giustizia di <strong>Dio</strong>?», «Dove metti i peccatori?»,<br />

«Come spieghi Satana?» urlano in tanti.<br />

«Dico quello che penso. Mi è stato rimproverato di essere un mentitore poco fa. <strong>Io</strong> dimostro che sono<br />

sincero anche se questo vi scandalizza di me e mi rende odioso agli occhi vostri. Del resto non sono solo<br />

in Israele, da quando Israele si è progredito nel sapere col contatto degli ellenisti e dei romani, che crede<br />

così. Né il Maestro, l’unico del quale rispetto il giudizio, può rimproverare né me né Israele, Lui che<br />

protegge ed è palesemente amico di greci e romani... <strong>Io</strong> parto da questo concetto filosofico. Se tutto è<br />

controllato da <strong>Dio</strong>, tutto ciò che facciamo è per sua volontà, e perciò ci deve premiare tutti a un modo<br />

perché non siamo che automi mossi da Lui. Noi siamo esseri privi di volontà. Lo dice anche il<br />

Maestro: “La volontà dell’Altissimo. La volontà del Padre”. Ecco l’unica Volontà. Ed è tanto infinita che<br />

schiaccia e annulla la volontà limitata delle creature. Perciò tanto il bene che il male, che sembra<br />

che noi facciamo, lo fa <strong>Dio</strong>, perché ce lo impone. Perciò non ci punirà del male e sarà così esercitata<br />

la sua giustizia, perché le nostre colpe non sono volontarie ma imposte da chi vuole che le facciamo


perché bene e male siano sulla terra. Chi è cattivo è il mezzo espiativo dei meno cattivi. E per sé<br />

soffre di non poter essere considerato buono, e così espia la sua parte di colpa. Gesù l’ha detto.<br />

L’inferno è sulla terra e nel cuore degli uomini. Satana io non lo sento. Non c’è. Lo credevo un<br />

tempo. Ma da qualche tempo sono sicuro che tutto è fola. E credere così è giungere alla pace».<br />

Giuda sciorina queste... teorie con una sicumera talmente formidabile che gli altri restano senza<br />

fiato...<br />

5 Gesù tace. E Giuda lo stuzzica: «Non ho ragione, Maestro?».<br />

«No». <strong>Il</strong> “no” è così secco che pare uno scoppio.<br />

«Eppure io... Satana non lo sento e non ammetto il libero arbitrio, il Male. E tutti i sadducei sono<br />

con me, e con me sono molti altri, d’Israele o meno. No. Satana non c’è».<br />

Gesù lo guarda. Uno sguardo che è così complesso che non si può analizzare. È da giudice e da<br />

medico, da addolorato, da sbalordito... c’è tutto...<br />

Giuda, ormai lanciato, termina: «Sarà perché sono meglio degli altri, più perfetto, che ho<br />

superato il terrore degli uomini per Satana».<br />

E Gesù zitto. E lui stuzzica: «Ma parla! Perché io non ne ho terrore?». Gesù tace. «Non rispondi,<br />

Maestro? Perché? Hai paura?».<br />

«No. Sono la Carità. E la Carità trattiene il suo giudizio fino a che non è obbligata a darlo...<br />

Lasciami e ritirati» dice in ultimo, perché Giuda cerca di abbracciarlo, e termina in un soffio,<br />

stretto per forza fra le braccia del bestemmiatore: «Mi fai ribrezzo! Satana non lo vedi e senti<br />

perché è tutt’uno con te. Va’ via, demonio!».<br />

Giuda, sfrontato, lo bacia e ride, come se il Maestro gli avesse detto in segreto qualche lode.<br />

Torna dagli altri, che si sono fermati esterrefatti, e dice: «Vedete? <strong>Io</strong> so aprire il cuore al Maestro.<br />

E lo faccio felice perché gli mostro la mia confidenza e ne ho lezione. Voi invece!... Mai osate<br />

parlare. Perché siete dei superbi. Oh! io sarò quello che saprà più di tutti di Lui. E potrò<br />

parlare...».<br />

6 «Sono raggiunte le porte della città. Vi entrano tutti insieme perché Gesù li ha attesi. Ma mentre<br />

passano l’androne Gesù ordina: «I miei fratelli e Simone vadano avanti ad adunare la gente».<br />

«Perché non io, Maestro? Non mi dai più delle missioni? Non sono più necessarie ora? Me ne hai<br />

date due di seguito, e lunghe dei mesi...».<br />

«E te ne sei lamentato dicendo che volevo allontanarti. Ora ti lamenti perché ti tengo vicino?».<br />

Giuda non sa che rispondere e tace. Va avanti con Tommaso, lo Zelote, Giacomo di Zebedeo e Andrea.<br />

Gesù si ferma per lasciare passare Filippo, Bartolomeo, Matteo e Giovanni, come volesse stare solo.<br />

Lo lasciano fare.<br />

Ma l’amoroso cuore di Giovanni, che ha avuto più volte un luccicare di lacrime negli occhi durante le<br />

dispute e le bestemmie di Giuda, fa voltare dopo poco l’apostolo, in tempo per vedere che Gesù,<br />

credendosi inosservato nella vietta solitaria e cupa per i continui archivolti che la coprono, si porta<br />

le mani alla fronte con un gesto di dolore, curvandosi come chi soffre tanto. Lascia in asso i<br />

compagni, il biondo Giovanni, e torna dal Maestro suo: «Che hai, Signor mio? Soffri di nuovo tanto,<br />

come quando ti ritrovammo ad Aczib? Oh! mio Signore!».<br />

«Nulla, Giovanni, nulla! Aiutami tu, col tuo amore. E taci con gli altri. Prega per Giuda».<br />

«Sì, Maestro. È molto infelice, non è vero? È nelle tenebre e non sa di esserci. Crede di avere raggiunto<br />

la pace... È pace la sua?».<br />

«È molto infelice» dice Gesù accasciato.<br />

«Non ti accasciare così, Maestro. Pensa a quanti peccatori, induriti nel peccato, sono tornati buoni.<br />

Così farà Giuda. Oh! Tu lo salverai certo! Questa notte la passerò in orazione per questo. Dirò al<br />

Padre di fare di me uno che sa solo amare, non voglio più che questo. Sognavo di dare la vita per Te o<br />

di fare brillare la tua potenza attraverso alle mie opere. Ora non più di questo. Rinuncio a tutto,<br />

scelgo la vita più umile e comune e chiedo al Padre di dare tutto il mio a Giuda... per farlo contento... e<br />

perché così si volga alla santità... Signore... io dovrei dirti delle cose... <strong>Io</strong> credo sapere perché Giuda è<br />

così».<br />

«Vieni questa notte. Pregheremo insieme e parleremo».<br />

«E il Padre mi ascolterà? Accetterà il mio sacrificio?».


«<strong>Il</strong> Padre ti benedirà. Ma ne soffrirai...».<br />

«Oh! no! Basta che veda Te contento... e che Giuda... e che Giuda...».<br />

«Sì, Giovanni. 7 Guarda, ci chiamano. Corriamo».<br />

La vietta diviene una bella via. La via diviene arteria ornata di portici e fontane. E si orna di piazze<br />

l’una più bella dell’altra. Si incrocia con un’altra arteria uguale, e certo nel fondo è un anfiteatro. E<br />

malati diversi sono già radunati in un angolo dei portici in attesa del Salvatore.<br />

Pietro viene incontro a Gesù: «Hanno conservato la fede in ciò che dicemmo di Te in etamin. Sono<br />

venuti subito».<br />

«Ed <strong>Io</strong> subito premierò la loro fede. Andiamo».<br />

E va, nel tramonto avanzato che tinge di rosso i marmi, a sanare coloro che lo attendono con fede.<br />

357. Giovanni e le colpe di Giuda Iscariota. I farisei e la questione del divorziò.<br />

11 dicembre 1945.<br />

1 Le magnifiche stelle di una serena notte di marzo splendono nel cielo d’Oriente, così larghe e vivide<br />

che sembra che il firmamento si sia abbassato come un baldacchino sulla terrazza della casa che ha<br />

accolto Gesù. Una casa molto alta, e messa in uno dei punti più alti della città, di modo che<br />

l’orizzonte infinito si apre davanti e intorno a chi guarda da ogni parte. E se la terra si annulla<br />

nella oscurità della notte non ancora allietata dalla luna, che è nella fase decrescente, il cielo<br />

splende nelle sue mille e mille luci. È veramente la rivincita del firmamento, che espone<br />

vittoriosamente le sue aiuole d’astri, le sue praterie di Galatea, i suoi giganti planetari, i suoi boschi<br />

di costellazioni contro le effimere vegetazioni della terra che, anche se secolari, sono sempre di<br />

un’ora rispetto a queste che sono da quando il Creatore fece il firmamento. E perdendosi a<br />

guardare lassù, passeggiando lo sguardo per i viali splendenti dove sono piante le stelle, pare di<br />

percepire le voci, i canti di quelle selve di splendori, di quell’enorme organo della più sublime delle<br />

cattedrali, nel quale mi piace immaginare facciano da mantici e registri i venti delle corse astrali e<br />

voci le stelle lanciate nelle loro traiettorie. Tanto più pare di percepirlo perché il silenzio notturno<br />

di Gadara dormente è assoluto. Non canta una fonte, non canta un uccello. <strong>Il</strong> mondo dorme, e<br />

dormono le creature. Dormono gli uomini, meno innocenti delle altre creature, i loro sonni, più o<br />

meno quieti, nelle case buie.<br />

2 Ma dalla porta della stanza che sbocca sulla terrazza inferiore, perché ve ne è una superiore sulla<br />

stanza più alta, sbuca un’ombra alta, appena visibile nella notte per il biancore del viso e delle mani<br />

sulla veste oscura, ed è seguita da un’altra più bassa. Camminano in punta di piedi per non destare<br />

quelli che forse dormono nella stanza sottostante, e in punta di piedi salgono la scaletta esterna che<br />

porta all’ultima terrazza. Poi si prendono per mano e vanno così a sedersi su una panca che corre<br />

lungo il parapetto molto alto che cinge la terrazza. La panchetta bassa e il parapetto alto fanno sì<br />

che ogni cosa dispaia dai loro occhi. Anche ci fosse la più chiara luna in cielo, scendente ad<br />

illuminare il mondo, per essi sarebbe un nulla. Perché la città è nascosta tutta, e con essa le ombre più<br />

oscure, nello scuro della notte, dei monti vicini. Solo il cielo si mostra a loro con le sue costellazioni di<br />

primavera e le magnifiche stelle di Orione: di Rigel e Beteigeuze, di Aldebaran, del Perseo, e<br />

Andromeda e Cassiopea e le Pleiadi unite come sorelle. E Venere zaffirea e diamantata, e Marte di pallido<br />

rubino, e il topazio di Giove, sono i re del popolo astrale e palpitano, palpitano come salutando il<br />

Signore, affrettando i loro palpiti di luce per la Luce del mondo.<br />

Gesù alza il capo a guardarle, appoggiandolo contro il muretto alto, e Giovanni lo imita perdendosi a<br />

guardare lassù dove si può ignorare il mondo... Poi Gesù dice: «Ed ora che ci siamo detersi nelle stelle,<br />

preghiamo».<br />

Si alza in piedi e Giovanni lo imita. Una lunga preghiera, silenziosa, pressante, tutt’anima, le braccia<br />

aperte a croce, il viso alzato, volto a oriente dove si annuncia un primo lucore di luna. E poi il Pater<br />

detto insieme, lentamente, non una, ma tre volte, e sempre con un aumento di insistenza nel chiedere,<br />

che è chiaramente denunciato nella voce. Una supplica che separa l’anima dalla carne, lanciandola


sulle vie dell’infinito, tanto è ardente.<br />

Poi Silenzio. Si siedono dove erano prima, mentre la luna inalba sempre più la terra dormiente.<br />

3 Gesù passa un braccio sulle spalle di Giovanni e se lo attira a Sé dicendo: «Dimmi dunque ciò che senti<br />

di dovermi dire. Quali sono le cose che il mio Giovanni ha intuite, con l’aiuto della luce spirituale,<br />

nell’anima tenebrosa del compagno?».<br />

«Maestro... io sono pentito di averti detto questo. Farò due peccati...».<br />

«Perché?».<br />

«Perché ti darò dolore svelandoti anche quello che non sai e... perché... Maestro, è peccato dire il male<br />

che vediamo in un altro? Sì, non è vero? E allora come posso dire questo, ledendo la carità?!...».<br />

Giovanni è angosciato.<br />

Gesù dà luce alla sua anima: «Ascolta, Giovanni. Per te è da più il Maestro o il condiscepolo?».<br />

«<strong>Il</strong> Maestro, Signore. Tu sei il più».<br />

«E che sono <strong>Io</strong> per te?».<br />

«<strong>Il</strong> Principio e la Fine. Sei il Tutto».<br />

«Credi tu che <strong>Io</strong>, essendo Tutto, sappia anche tutto ciò che è?».<br />

«Sì, Signore. Per questo è in me un grande contrasto. Perché penso che Tu sai e soffri. E perché ricordo<br />

che mi hai detto un giorno che talora Tu sei l’Uomo, solo l’Uomo, e perciò il Padre ti fa conoscere ciò che<br />

è essere uomo, che deve guidarsi secondo ragione. E penso anche che <strong>Dio</strong>, per pietà di Te, potrebbe<br />

occultarti queste brutte verità...».<br />

«Attieniti a questo pensiero, Giovanni. E parla. Con confidenza. Confidare, a chi ti è “Tutto”, ciò che<br />

sai, non è peccato. Perché il “Tutto” non si scandalizza né mormora né mancherà di carità, neppure col<br />

pensiero, verso l’infelice. Sarebbe peccato se tu dicessi quello che sai a chi non può essere tutto amore,<br />

ai compagni, ad esempio, che farebbero mormorazioni ed anche assalirebbero il colpevole senza<br />

misericordia, nuocendo a lui e a loro stessi. Perché bisogna avere misericordia, una misericordia sempre<br />

tanto più grande quanto più abbiamo di fronte una povera anima malata di tutti i mali. Un medico, un<br />

pietoso infermiere, oppure una madre, se il male di uno malato è poco, poco si impressionano e poco<br />

lottano per guarirlo. Ma se il figlio oppure l’uomo è molto malato, in pericolo di vita, già cancrena e<br />

paralisi, come lottano, vincendo ripugnanze e fatiche, per guarirlo! Non è così?».<br />

«Così è, Maestro» dice Giovanni, che ha preso la sua posa abituale del braccio allacciato al collo del<br />

Maestro e il capo appoggiato sulla spalla di Lui.<br />

«Ebbene, non tutti sanno avere misericordia per le anime malate. Perciò si deve essere prudenti nel<br />

rendere noti i loro mali, acciò il mondo non le fugga e non nuoccia loro col disprezzo. Un malato che<br />

si vede schernito si incupisce, e si peggiora. Ma se invece è curato con ilare speranza può guarire,<br />

perché l’ilarità fiduciosa dell’assistente entra in lui e aiuta l’opera del farmaco. Ma tu sai che <strong>Io</strong><br />

sono Misericordia e che non mortificherò Giuda. Parla dunque senza scrupoli. Non sei una spia.<br />

Sei un figlio che confida al padre, con amoroso affanno, il male scoperto nel fratello, perché il<br />

padre lo curi. Suvvia...».<br />

4 Giovanni sospira forte, poi curva ancora di più il capo, lasciandolo scivolare sul petto di Gesù, e<br />

dice: «Come è penoso parlare di cose putride!... Signore... Giuda è un impuro... e mi tenta a<br />

impurità. Che egli mi schernisca non me ne importa. Ma mi duole che egli venga a Te sozzo dei<br />

suoi amori. Da quando è tornato mi ha tentato più volte. Quando il caso ci lascia soli - ed egli lo<br />

provoca in tutti i modi - egli non fa che parlare di donne... ed io ne ho il disgusto che avrei essendo<br />

immerso in fetide materie che tentassero filtrarmi in bocca...».<br />

«Ma ne sei turbato nel profondo?».<br />

«Turbato come? L’anima mia freme. La ragione grida contro queste tentazioni... <strong>Io</strong> non voglio<br />

essere corrotto...».<br />

«Ma la tua carne che fa?».<br />

«Si raggriccia di ribrezzo».<br />

«Questo solo?».<br />

«Questo, Maestro, e piango allora perché mi pare che Giuda non potrebbe recare maggior offesa a<br />

chi si è consacrato a <strong>Dio</strong>. Dimmi: ciò farà lesione alla mia offerta?».<br />

«No. Non più di una manata di fango gettata su una lastra di diamante. Non incide la lastra,


non la penetra. Basta una coppa d’acqua pura gettata sopra essa per nettarla. Ed è più bella di<br />

prima».<br />

«Detergimi allora».<br />

«La tua carità ti deterge e il tuo angelo. Nulla resta su te. Sei un altare pulito sul quale scende<br />

Iddio. 5E che altro fa Giùda?».<br />

«Signore, egli... Oh! Signore!». La testa di Giovanni scivola più in basso ancora.<br />

«Che?».<br />

«Egli... Non è vero che siano soldi suoi quelli che ti dà per i poveri. Sono i soldi dei poveri che<br />

egli ruba per sé, per essere lodato di generosità non vera. Tu lo hai inferocito perché nel ritorno dal<br />

Tabor gli hai levato tutti i denari. E a me ha detto: “Ci sono spioni fra noi”. <strong>Io</strong> ho detto: “Spioni di<br />

che? Rubi tu forse?”. “No” mi ha risposto, “ma però uso previdenza e faccio due borse. Qualcuno lo<br />

ha detto al Maestro e Lui mi ha imposto di dare tutto, così forte lo ha imposto che fui come legato<br />

a farlo”.<br />

Ma non è vero, Signore, che faccia ciò per previdenza. Lo fa per avere denaro. Ne potrei deporre<br />

con la quasi certezza di dire il vero».<br />

«Quasi certezza! Questo dubbio, sì, che è lieve colpa. Non puoi accusarlo di essere ladro se non<br />

ne sei assolutamente certo. Le azioni degli uomini hanno talora brutto aspetto, ma sono buone».<br />

«È vero, Maestro. Non lo accuserò più neppure col pensiero. Ma però che abbia due borse, e quella<br />

che dice sua e che ti dà sia ancora tua e lo faccia per essere lodato, è vero. E io questo non lo farei.<br />

Sento che non è bene farlo».<br />

«Hai ragione. 6Che altro devi dire?».<br />

Giovanni alza un viso spaventato, apre la bocca per parlare e poi la chiude e scivola in ginocchio<br />

nascondendo il viso fra la veste di Gesù, che gli mette una mano sui capelli.<br />

«Su, dunque! Potresti aver visto male. <strong>Io</strong> ti aiuterò a vedere bene. Mi devi anche dire ciò che tu<br />

pensi sulle probabili cause del peccare di Giuda».<br />

«Signore, Giuda si sente senza la forza che vorrebbe per fare i miracoli... Tu lo sai che ci ha sempre<br />

ambito... Ti ricordi di Endor? E invece... è quello che ne fa meno. Da quando è tornato, poi, non<br />

riesce più a nulla... e nella notte se ne lamenta anche in sogno, come fosse un incubo e... Maestro,<br />

Maestro mio!».<br />

«Su. Parla. Fino in fondo».<br />

«E impreca... e fa della magia. Questa non è menzogna e non è dubbio. L’ho visto io. Mi sceglie<br />

per compagno perché dormo sodo. Perché dormivo sodo, anzi. Ora, lo confesso, lo sorveglio, e il mio<br />

sonno è meno profondo perché appena si muove io lo sento... Ho fatto male forse. Ma ho finto di<br />

dormire per vedere ciò che faceva. E per due volte l’ho visto e sentito fare cose brutte. <strong>Io</strong> non mi<br />

intendo di magia. Ma quella è tale».<br />

«Solo?».<br />

«No e sì. A Tiberiade io l’ho seguito. È andato in una casa. Ho chiesto dopo chi ci sta. Uno che fa<br />

negromanzia con altri. E quando Giuda è uscito, quasi a mattina, dalle parole dette ho capito che<br />

si conoscono e sono in tanti... e non tutti stranieri. Chiede al demonio la forza che Tu non gli dài. È<br />

per questo che io sacrifico la mia al Padre perché la passi a lui, e lui non sia più peccatore».<br />

«Dovresti dargli la tua anima. Ma questo né il Padre né <strong>Io</strong> lo permetteremmo...».<br />

7Un lungo Silenzio. Poi Gesù dice con voce stanca: «Andiamo, Giovanni. Scendiamo. Riposeremo<br />

in attesa dell’alba».<br />

«Sei più triste di prima, Signore! Ho fatto male a parlare!».<br />

«No. <strong>Io</strong> sapevo già. Ma tu almeno sei più sollevato... e ciò è quello che conta».<br />

«Signore, devo sfuggirlo?».<br />

«No. Non temere. Satana non nuoce ai Giovanni. Li terrorizza, ma non può levare loro la grazia<br />

che <strong>Dio</strong> continuamente fa loro. Vieni. A mattina parlerò e poi andremo a Pella. Occorre fare presto,<br />

perché il fiume è già gonfio per le nevi che sciolgono e per le acque degli scorsi giorni. Presto sarà in<br />

piena, molto più che la luna cerchiata predice piogge abbondanti...».<br />

Scendono e scompaiono nella stanza inferiore alla terrazza.


8 È mattina. Una mattina di marzo. Perciò schiarite e nuvole si alternano nel cielo. Ma le nuvole<br />

soverchiano le schiarite, tendendo ad impossessarsi del cielo. Un’aria calda soffia a respiri<br />

sincopati e fa pesante l’aria, velandola di una polvere venuta forse dalle zone dell’altipiano.<br />

«Se non muta vento, questa è acqua!» sentenzia Pietro uscendo dalla casa con gli altri.<br />

Ultimo esce Gesù, che si accomiata dalle padrone di casa, mentre il padrone si unisce a Lui. Si<br />

dirigono verso una piazza.<br />

Dopo pochi passi li ferma un graduato romano che è insieme a dei militi. «Sei Tu Gesù di Nazaret?».<br />

«Lo sono».<br />

«Che fai?».<br />

«Parlo alle turbe».<br />

«Dove?».<br />

«In piazza».<br />

«Parole sediziose?».<br />

«No. Precetti di virtù».<br />

«Bada! Non mentire. Roma ne ha basta di falsi dèi».<br />

«Vieni tu pure. Vedrai che non mento».<br />

L’uomo che ha ospitato Gesù sente il dovere di interloquire: «Ma da quando tante domande a un<br />

rabbi?».<br />

«Denunzia di uomo sedizioso».<br />

«Sedizioso? Lui? Ma tu prendi abbaglio, Mario Severo! Questo è l’uomo più mite della terra. Te lo<br />

dico io».<br />

<strong>Il</strong> graduato si stringe nelle spalle e risponde: «Meglio per Lui. Ma così ebbe denunzia il<br />

centurione. Vada pure. È avvisato». E si volta tutto di un pezzo, andandosene coi subalterni.<br />

«Ma chi può essere stato? <strong>Io</strong> non capisco!» dicono in diversi.<br />

Gesù risponde: «Lasciate di capire. Non serve. Andiamo mentre molti sono sulla piazza. Poi<br />

partiremo anche di qui».<br />

9 La piazza deve essere una piazza piuttosto commerciale. Non è un mercato ma poco meno, perché<br />

cinta di fondachi in cui sono depositi di merce di ogni genere. E la gente si affolla in essi. Perciò vi è<br />

molta gente sulla piazza e qualcuno ammicca a Gesù e presto un cerchio di gente è intorno al<br />

«Nazareno». Un cerchio composto di ogni genere e classe e nazione. Chi c’è per venerazione, chi per<br />

curiosità.<br />

Gesù fa cenno di parlare.<br />

«Udiamolo!» dice un romano che esce da un magazzino.<br />

«Non ci sarà da sentire una lamentazione?» gli risponde un suo simile.<br />

«Non lo credere, Costanzo. È meno indigesto di uno dei soliti retori nostri».<br />

«A chi mi ascolta, pace! È detto nell’Esdra, nella preghiera di Esdra: “E che diremo ora, o <strong>Dio</strong> nostro,<br />

dopo le cose avvenute? Che, se abbiamo abbandonato i tuoi comandamenti da Te intimati a mezzo dei<br />

tuoi servi...”».<br />

«Fermati, Tu che parli. <strong>Il</strong> soggetto te lo diamo noi» urla un pugno di farisei che si fanno largo fra la<br />

gente. Quasi subito riappare la scorta armata e si ferma all’angolo più vicino. I farisei sono ora di<br />

fronte a Gesù. «Sei Tu il Galileo? Gesù di Nazaret sei?».<br />

«Lo sono!».<br />

«Lode a <strong>Dio</strong> che ti abbiamo trovato!». Veramente hanno certi ceffi così astiosi che non mostrano di<br />

essere in gioia per l’incontro...<br />

<strong>Il</strong> più vecchio parla: «Ti seguiamo da molti giorni, arrivando sempre dopo che Tu sei partito».<br />

«Perché mi seguite?».<br />

«Perché sei il Maestro e vogliamo essere ammaestrati in un punto oscuro della Legge».<br />

«Non vi sono punti oscuri nella Legge di <strong>Dio</strong>».<br />

«In essa no. Ma, eh! eh!... Ma sulla Legge sono venute le “sovrapposizioni”, come Tu dici, eh! eh!... e<br />

hanno fatto oscurità».<br />

«Penembra, al massimo. E basta volgere l’intelletto a <strong>Dio</strong> per distruggere esse pure».<br />

«Non tutti lo sanno fare. Noi, per esempio, rimaniamo in penombra. Tu sei il Rabbi, eh! eh! Aiutaci


dunque».<br />

10 «Che volete sapere?».<br />

Volevamo sapere se è lecito all’uomo ripudiare per un motivo qualsiasi la propria moglie. È una cosa<br />

che spesso avviene, ed ogni volta crea molto rumore là dove avviene. Si rivolgono a noi per sapere se<br />

è lecito. E noi, a seconda del caso, rispondiamo».<br />

«Approvando l’avvenuto nel novanta per cento dei casi. E il dieci per cento che resta disapprovato<br />

è nella categoria dei poveri o dei nemici vostri».<br />

«Come lo sai?».<br />

«Perché così avviene in tutte le cose umane. E unisco nella categoria la terza classe, quella che, se<br />

fosse lecito il divorzio, più ne avrebbe diritto, perché quella dei veri casi penosi, quali una lebbra<br />

incurabile, oppure una condanna a vita, o malattie innominabili... ».<br />

«Allora per Te non è mai lecito?».<br />

«Né per Me, né per l’Altissimo, né per nessuno che sia di animo retto. Non avete letto che il<br />

Creatore, nel principio dei giorni, creò l’uomo e la donna? E li creò maschio e femmina; e non<br />

aveva bisogno di farlo, ché, se avesse voluto, avrebbe potuto, per il re della creazione, fatto a sua<br />

immagine e somiglianza, creare altro modo di procreazione, e ugualmente buono sarebbe stato, pur<br />

essendo dissimile da ogni altro naturale. E disse: “Così per questo l’uomo lascerà il padre e la<br />

madre e si unirà con la moglie e i due saranno una sola carne”. Dunque <strong>Dio</strong> li congiunse in una<br />

sola unità. Non sono dunque più “due” ma “una” sola carne. Ciò che <strong>Dio</strong> ha congiunto, perché vide<br />

che “è buona cosa”, l’uomo non lo divida, perché se così avvenisse cosa non più buona sarebbe».<br />

11 «Ma perché allora Mosè disse: “Se un uomo ha preso una donna con sé, ma essa non ha trovato<br />

grazia ai suoi occhi per qualcosa di turpe, egli scriverà un libello di ripudio, glielo consegnerà in<br />

mano e la manderà via di casa sua”?».<br />

«Lo disse per la durezza del vostro cuore. Per evitare, con un ordine, dei disordini troppo gravi.<br />

Per questo vi permise di ripudiare le mogli. Ma dal principio non fu così. Perché la donna è da più<br />

della bestia, la quale è, a seconda del capriccio del padrone o delle libere circostanze di natura,<br />

sottoposta a questo o a quel maschio, carne senz’anima che si accoppia per riprodurre. Le vostre<br />

mogli hanno un’anima come voi l’avete, e non è giusto che voi la calpestiate senza sentirne<br />

compassione. Ché se è detto nella condanna: “Tu sarai sottoposta alla potestà del marito ed egli ti<br />

dominerà”, ciò deve avvenire secondo giustizia e non con prepotenza che lede i diritti dell’anima<br />

libera e degna di rispetto. Voi, ripudiando, come lecito non vi è, portate offesa all’anima della vostra<br />

compagna, alla carne gemella che alla vostra si è unita, al tutto che è la donna che avete sposata<br />

esigendo la sua onestà, mentre, o spergiuri, andate ad essa disonesti, menomati, talora corrotti, e<br />

continuate ad esserlo, cogliendo ogni occasione per poterla colpire e dare maggior campo alla<br />

libidine insaziabile che è in voi. Prostitutori delle mogli vostre! Per nessun motivo potete separarvi<br />

dalla donna che vi è congiunta secondo la Legge e la Benedizione. Solo nel caso che la grazia vi<br />

tocchi, e comprendiate che la donna non è un possesso ma un’anima, e perciò ha diritti uguali ai<br />

vostri di essere riconosciuta parte dell’uomo e non suo oggetto di piacere, e solo nel caso che sia<br />

tanto duro il vostro cuore da non sapere elevarla a moglie, dopo averla goduta come una prostituta,<br />

solo nel caso di levare questo scandalo di due che convivono senza benedizione di <strong>Dio</strong> sulla loro<br />

unione, voi potete rimandarla. Perché allora la vostra non è unione ma fornicazione, e sovente<br />

senza onore di figli, perché disciolti contro natura o allontanati come vergogna. In nessun altro<br />

caso. In nessun altro. Perché se figli illegittimi avete dalla vostra concubina, avete il dovere di porre<br />

fine allo scandalo sposandola, se liberi siete. Non contemplo il caso dell’adulterio consumato ai<br />

danni della moglie ignara. Per quello sono sante le pietre della lapidazione e le fiamme dello<br />

Sceol. Ma per chi rimanda la propria moglie legittima perché di essa è sazio e ne prende un’altra,<br />

non c’è che una sentenza: costui è adultero. E adultero è chi prende la ripudiata, perché se l’uomo<br />

si è arrogato il diritto di separare ciò che <strong>Dio</strong> ha congiunto, l’unione matrimoniale continua, agli<br />

occhi di <strong>Dio</strong>, e maledetto è chi passa a seconda moglie senza essere vedovo. E maledetto è chi<br />

riprende la donna prima sua e poi, rimandatala per ripudio e abbandonatala alle paure della vita,<br />

onde essa cede a nuove nozze per il suo pane, la riprende se resta vedova del secondo marito.<br />

Perché, anche che vedova sia, ella fu adultera per colpa vostra, e voi raddoppiereste il suo adulterio.


Avete compreso, o farisei che mi tentate?».<br />

Questi se ne vanno scornati, senza rispondere.<br />

12 «Severo è l’uomo. Se fosse a Roma vedrebbe però che il fango ribolle ancor più fetente» dice un<br />

romano.<br />

Anche alcuni di Gadara brontolano: «Dura cosa essere uomini, se bisogna essere casti così!...».<br />

E alcuni più forte: «Se tale è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, meglio stare senza nozze».<br />

E questa ragione ripetono anche gli apostoli mentre ripigliano la via verso la campagna, dopo aver<br />

lasciato quelli di Gadara. Lo dice Giuda con scherno. Lo dice Giacomo di Zebedeo con rispetto e<br />

riflessione; e Gesù risponde all’uno e all’altro:<br />

«Non tutti capiscono questo, né lo capiscono bene. Alcuni infatti preferiscono il celibato per essere liberi<br />

di secondare i vizi. Altri per evitare di poter peccare essendo mariti non buoni. Ma solo alcuni, ai quali è<br />

concesso, comprendono la bellezza di essere scevri di sensualità e di anche onesta fame di donna. E sono<br />

i più santi, i più liberi, i più angelici sulla terra. Parlo di coloro che si fanno eunuchi per il Regno di <strong>Dio</strong>.<br />

Ci sono negli uomini quelli che nascono tali. Altri che tali vengono fatti. I primi sono mostruosità che<br />

devono suscitare compassione, i secondi abusi che vanno repressi. Ma c’è infine la terza categoria:<br />

di eunuchi volontari che, senza usarsi violenza, e perciò con doppio merito, sanno aderire alla richiesta di<br />

<strong>Dio</strong> e vivono da angeli perché l’abbandonato altare della terra abbia ancora fiori e incensi per il<br />

Signore. Costoro negano alla parte inferiore soddisfacimento per crescere la parte superiore, onde<br />

fiorisca in Cielo nelle aiuole più prossime al trono del Re. E in verità vi dico che non sono dei mutilati,<br />

ma sono degli esseri dotati di ciò che manca ai più fra gli uomini. Non oggetto perciò di stolto<br />

scherno, ma anzi di grande venerazione. Comprenda ciò chi deve, e rispetti, se può».<br />

Gli ammogliati fra gli apostoli bisbigliano fra loro.<br />

«Che avete?» chiede Gesù.<br />

«E noi? Noi non sapevamo questo e abbiamo preso donna. Ma ci piacerebbe essere come Tu dici...» dice<br />

per tutti Bartolomeo.<br />

«Né vi è interdetto farlo d’ora in poi. Vivete in continenza, vedendo nella compagna la sorella, e<br />

grande merito ne avrete agli occhi di <strong>Dio</strong>. Ma affrettate il passo. Per essere a Pella prima della<br />

pioggia».<br />

358. A Pella. <strong>Il</strong> giovinetto Jaia e la madre di Marco di Giosia.<br />

12 dicembre 1945.<br />

1 La strada che da Gadara va a Pella corre per una zona fertile, distesa fra due ordini di colli, l’uno più<br />

alto dell’altro. Sembrano due enormi scalini di una scala da giganti favolosi, per salire dalla valle del<br />

Giordano ai monti dell’Auran. Quando la strada si accosta maggiormente allo scaglione di occidente,<br />

l’occhio domina non solo sui monti dell’altra sponda, credo quelli della Galilea meridionale e<br />

certamente quelli della Samaria, ma anche sulla verde bellezza che fa da ala all’azzurro fiume<br />

dall’una parte e dall’altra. Quando se ne scosta, avvicinandosi alle catene di oriente, allora perde di<br />

vista la valle del Giordano, ma ancora vede le cime delle catene di Samaria e di Galilea stagliarsi col loro<br />

verde sul cielo grigio.<br />

In giorno di sole sarebbe un bel panorama, dalle tinte vaghe di bellezza e decise. Oggi che il cielo<br />

è ormai tutto coperto di nuvole basse, ammonticchiate dallo scirocco che cresce sempre e spinge<br />

nuovi ammassi di nuvole pesanti a sovrapporsi a quelli già esistenti, abbassando il cielo con tutta<br />

questa ovatta grigia e arruffata, il panorama perde la luminosità dei verdi, che appaiono smorzati<br />

come per una opacità di nebbia.<br />

Qualche paesello viene raggiunto e sorpassato senza che accada nulla di notevole. L’indifferenza<br />

accoglie e segue il Maestro. Solo gli accattoni non mancano di interessarsi del gruppo di pellegrini<br />

galilei, e vanno chiedendo elemosina. Non mancano i soliti ciechi dagli occhi per lo più distrutti dal<br />

tracoma, o i quasi ciechi che vanno a capo basso, mal soffrendo la luce, rasente ai muri, talora soli,<br />

altre volte uniti ad una donna o ad un bambino. In un paese, dove si interseca la strada per Pella


con quella di Gerasa e Bosra per il lago di Tiberiade, ve ne è tutta una turba, che assalta le<br />

carovane coi suoi lamenti simili ad uggiolii di cani, rotti ogni tanto da veri ululati. Stanno in<br />

ascolto, un gruppo di miseria, di sudiciume e di stracci, addossato alle mura delle prime case,<br />

rosicchiando croste di pane e ulive, oppure sonnecchiano mentre le mosche pascolano a loro<br />

piacere sulle palpebre ulcerate; ma al primo rumore di zoccoli o al primo scalpiccio di numerosi<br />

piedi, sorgono e vanno, simili ad un cencioso coro di tragedia antica, tutti con le stesse parole e gli<br />

stessi gesti, verso i sopravvenienti. Qualche moneta vola e qualche tozzo di pane, e i ciechi o i semiciechi<br />

annaspano nella polvere e nelle lordure per trovare l’obolo.<br />

2Gesù li osserva e dice a Simone Zelote e a Filippo: «Portate loro denaro e pane. <strong>Il</strong> denaro lo ha<br />

Giuda, il pane Giovanni».<br />

I due vanno avanti solleciti a fare quanto è stato ordinato e si fermano a parlare mentre Gesù viene<br />

avanti adagio, ritardato da una fila di asinelli che sbarra la via.<br />

I mendichi sono stupiti del saluto e della grazia con i quali vengono salutati e beneficati dai<br />

sopraggiunti, e chiedono: «Chi siete che avete buona grazia con noi?».<br />

«I discepoli di Gesù di Nazaret, il Rabbi di Israele, Colui che ama i poveri e gli infelici perché è il<br />

Salvatore, e passa annunziando la Buona Novella e facendo miracoli».<br />

«<strong>Il</strong> miracolo è questo» dice uno dalle palpebre atrocemente devastate. E picchia sul suo pezzo di<br />

pane pulito, vero animale che non sente e ammira che le cose materiali.<br />

Una donna, che passa con le brocche di rame e che sente, dice: «Taci là, lurido poltrone». E si<br />

volge ai discepoli dicendo: «Non è del paese. Ed è rissoso e violento coi suoi simili. Bisognerebbe<br />

cacciarlo perché ruba ai poveri del paese. Ma abbiamo paura delle sue vendette»; e piano, proprio<br />

con un filo di voce, mormora: «Si dice che sia un ladrone che per anni ha rubato e ucciso, calando<br />

dai monti di Caracamoab e di Sela, che ora è detta Petra dai dominatori, coloro che fanno le vie dei<br />

deserti. Si dice che è un soldato disertore di quel romano venuto là a... fare conoscere Roma...<br />

Elio, mi pare, e un altro nome ancora... Se lo fate bere racconta... Ora, cieco, è capitato qui... È<br />

quello il Salvatore?» chiede poi accennando Gesù che è passato diritto.<br />

«È quello. Gli vuoi parlare?».<br />

«Oh! no!» dice la donna indifferente.<br />

I due apostoli la salutano e si avviano a raggiungere il Maestro. 3Ma un tumulto avviene fra i ciechi<br />

e vi è un pianto quasi di fanciullo. Si voltano in diversi, e la donna di prima, che è sulla soglia<br />

della sua casa, spiega: «Sarà quel crudele che leva i soldi ai più deboli. Fa sempre così».<br />

Anche Gesù si è voltato a guardare...<br />

Infatti un fanciullo, meglio, un adolescente, esce sanguinando e piangendo dal gruppo e si lamenta:<br />

«Tutto mi ha levato! E la mamma non ha più pane!».<br />

Chi compassiona, chi ride...<br />

«Chi è?» chiede Gesù alla donna.<br />

«Un fanciullo di Pella. Povero. Viene mendicando. Tutti ciechi nella casa, per malattia presa l’uno<br />

dall’altro. <strong>Il</strong> padre è morto. La madre sta in casa. <strong>Il</strong> giovinetto chiede l’obolo ai passanti e ai<br />

contadini».<br />

<strong>Il</strong> ragazzo viene avanti col suo bastoncello, asciugandosi il pianto e il sangue, che gli scende dalla<br />

fronte, con un angolo del suo mantello sdruscito.<br />

La donna lo chiama: «Fermati, Jaia. Ti laverò la fronte e ti darò un pane!».<br />

«Avevo denaro e pane per più giorni! Ora più niente! La mamma mi aspetta per mangiare...», si<br />

lamenta l’infelice mentre si deterge con l’acqua della donna.<br />

4Gesù si fa avanti e dice: «Ti darò quanto ho. Non piangere».<br />

«Ma Signore! Perché? Dove alloggeremo? Che faremo?» dice inquieto Giuda.<br />

«Loderemo <strong>Dio</strong> che ci conserva sani. È già somma grazia».<br />

<strong>Il</strong> ragazzo dice: «Oh! sì che lo è! Ci vedessi! Lavorerei io, per la mamma».<br />

«Vorresti guarire?».<br />

«Sì».<br />

«Perché non vai dai medici?».<br />

«Nessuno ci ha mai guariti. Ci hanno detto che c’è Uno in Galilea che non è medico ma guarisce.


Ma come si fa ad andare da Lui?».<br />

«Va’ a Gerusalemme. Al Getsemani. È un uliveto alle falde del monte degli ulivi presso la via di<br />

Betania. Chiedi di Marco e di Giona. Tutti quelli del sobborgo di Ofel te lo indicheranno. Puoi<br />

unirti a una carovana. Ne passano tante. A Giona chiedi di Gesù di Nazaret...».<br />

«Ecco! È quello il nome! Mi guarirà?».<br />

«Se hai fede, sì».<br />

«E fede ho. Tu dove vai, Tu che sei buono?».<br />

«A Gerusalemme, per la Pasqua».<br />

«Oh! prendimi con Te! Non ti darò noia. Dormirò all’aperto e mi basterà un pezzo di pane!<br />

Andiamo a Pella... Tu vai là, vero? E lo diciamo alla madre, e poi si va... Oh! vederci! Sii buono,<br />

Signore!...». E il giovanotto si inginocchia cercando i piedi di Gesù per baciarli.<br />

«Vieni. Ti condurrò alla luce».<br />

«Te benedetto!».<br />

5 Riprendono a camminare e la mano affusolata di Gesù tiene per un braccio il fanciullo per<br />

guidarlo sollecitamente. E il fanciullo parla.<br />

«Tu chi sei? Un discepolo del Salvatore?».<br />

«No».<br />

«Ma lo conosci, almeno?».<br />

«Sì».<br />

«E credi che mi guarirà?».<br />

«Lo credo».<br />

«Ma... vorrà denaro? Non ne ho. I medici ne vogliono tanto! Alla fame siamo andati per curarci...».<br />

«Gesù di Nazaret non vuole che fede e amore».<br />

«È molto buono, allora. Però anche Tu sei buono» dice il giovinetto, e per prendere e carezzare la<br />

mano che lo conduce palpeggia la manica della veste. «Che bell’abito che hai! Sei un signore! Non<br />

ti vergogni di me, stracciato come sono?».<br />

«Mi vergogno solo delle colpe che disonorano l’uomo».<br />

«<strong>Io</strong> ho quelle di mormorare qualche volta sul mio stato e di desiderare abiti caldi, pane e soprattutto<br />

la vista».<br />

Gesù lo carezza: «Non sono colpe disonoranti queste. Però cerca di non avere neanche queste<br />

imperfezioni e sarai santo».<br />

«Ma se guarisco non le avrò più... Oppure... non guarisco e Tu lo sai, e mi prepari alla mia sorte e<br />

mi istruisci a santificarmi come Giobbe?».<br />

«Tu guarirai. Ma dopo, soprattutto dopo, devi sempre essere contento del tuo stato anche se non<br />

sarà dei più lieti».<br />

Pella è raggiunta. Le ortaglie che sempre precedono le città espongono la fecondità delle loro<br />

aiuole con un verzichio rigoglioso di verdure.<br />

Delle donne intente al lavoro sui solchi, oppure alle conche del bucato, salutano Jaia e gli dicono:<br />

«Torni presto, oggi. Ti è andata bene?», o anche: «Hai trovato un protettore, povero figlio?». Una,<br />

anziana, grida dal fondo di un’ortaglia: «O Jaia! Se hai fame c’è una scodella per te. Se no per<br />

tua madre. Vai a casa? Prendila».<br />

«Vado a dire alla mamma che vado con questo signore buono a Gerusalemme per guarire. Conosce<br />

Gesù di Nazaret e mi ci conduce».<br />

6 La via quasi alle porte di Pella, è piena di folla. Vi sono mercanti, ma vi sono anche pellegrini.<br />

Una donna di buon aspetto, che viaggia su un ciuco, accompagnata da una serva e da un servo, si<br />

volta sentendo parlare di Gesù e poi tira le redini, ferma il ciuco, scende e si dirige da Gesù.<br />

«Tu conosci Gesù di Nazaret? E vai da Lui? <strong>Io</strong> pure ci vado... Per la guarigione di un figlio.<br />

Vorrei parlare col Maestro perché...». Si mette a piangere sotto il fitto velo.<br />

«Che malattia ha tuo figlio? Dove sta?».<br />

«È di Gerasa. Ma ora è verso la Giudea. Va come un invasato... Oh! che ho detto!».<br />

«È indemoniato?».<br />

«Signore, lo era e fu guarito. Ora... è più demonio di prima perché... Oh! posso dire questo solo a


Gesù di Nazaret!».<br />

«Giacomo, prendi il fanciullo fra te e Simone, e andate avanti con gli altri. Mi attenderete di là<br />

della porta. Donna, puoi mandare avanti i servi. Parleremo fra noi».<br />

La donna dice: «Ma Tu non sei il Nazareno! Solo a Lui io voglio parlare. Perché Lui solo può capire e<br />

avere misericordia».<br />

Ormai sono soli, però. Gli altri vanno avanti per conto loro. Gesù attende che la via sia vuota e poi<br />

dice: «Puoi parlare. <strong>Io</strong> sono Gesù di Nazaret».<br />

La donna ha un gemito e fa per cadere in ginocchio.<br />

«No. La gente non deve sapere per ora. Andiamo. Là vi è una casa aperta. Chiederemo riposo e<br />

parleremo. Vieni».<br />

Vanno per una stradella fra due ortaglie ad una casa popolana sulla cui aia ruzzano dei bambini.<br />

«La pace sia con voi. Mi permettete di fare riposare la donna per qualche momento? Devo parlare con<br />

lei. Veniamo da lontano per poterci parlare e <strong>Dio</strong> ci ha uniti prima della mèta».<br />

«Entrate. L’ospite è benedizione. Vi daremo latte e pane, e acqua per i piedi stanchi» dice una<br />

vecchia.<br />

«Non occorre. Ci basta un luogo quieto per poter parlare».<br />

«Venite», e li conduce su una terrazza che si inghirlanda di una vite che sboccia in foglie smeraldine.<br />

7 Restano soli.<br />

«Parla, donna. <strong>Io</strong> l’ho detto: <strong>Dio</strong> ci ha uniti prima della mèta per tuo sollievo».<br />

«Non c’è, non c’è sollievo più per me! Avevo un figlio. Divenne indemoniato. Una belva nei sepolcri.<br />

Nulla lo teneva. Nulla lo guariva. Ti vide. Ti adorò con la bocca del demonio e Tu lo guaristi. Voleva<br />

venire con Te. Tu pensasti alla madre sua e me lo mandasti. A ridarmi vita e ragione che vacillavano<br />

così, per il dolore di un figlio indemoniato. E lo mandasti anche perché ti predicasse, posto che voleva<br />

amarti. <strong>Io</strong>... oh! esser madre di nuovo e di un figlio santo! Di un tuo servo! Ma dimmi, dimmi!<br />

Quando lo hai mandato indietro Tu sapevi che egli era... che sarebbe divenuto un demonio ancora?<br />

Perché è un demonio, che ti lascia dopo tanto bene avuto, dopo averti conosciuto, dopo essere stato<br />

eletto al Cielo... Dimmelo! Lo sapevi? Ma io vaneggio! Parlo e non ti dico perché è un demonio... È<br />

tornato come un folle da qualche tempo, oh! pochi giorni! ma più penosi per me dei lunghi anni in cui<br />

fu posseduto... E allora credevo che mai avrei avuto dolori più grandi di quello... È venuto... e ha<br />

demolito la fede che Gerasa coltivava per Te, per tuo e suo merito, dicendo infamie di Te. E ti precede<br />

verso il guado di Gerico facendoti del male, facendoti del male!».<br />

La donna, che non si è mai levata il velo dietro il quale singhiozza straziantemente, si getta ai piedi di<br />

Gesù supplicando: «Va’ via! va’ via! Non ti fare insultare! <strong>Io</strong> sono partita, d’accordo col marito malato,<br />

pregando <strong>Dio</strong> di trovarti. Mi ha esaudita! Oh! ne sia benedetto! Non voglio, non voglio permettere io<br />

che Tu, Salvatore, sia malmenato per causa di mio figlio! Oh! perché l’ho messo al mondo? Ti ha<br />

tradito, Signore! Riporta male le tue parole. <strong>Il</strong> demonio lo ha ripreso. E... oh! Altissimo e Santo! Pietà di<br />

una madre! E sarà dannato. Mio figlio, mio figlio! Prima non ne aveva colpa di essere pieno di<br />

demoni. Era una sventura capitata a lui. Ma ora! Ma ora che Tu lo avevi graziato, ora che aveva<br />

conosciuto <strong>Dio</strong>, ora che Tu lo avevi istruito! Ora egli ha voluto essere un demonio, e nessuna forza lo<br />

libererà più! Oh! Oh!».<br />

La donna è gettata al suolo, mucchio di vesti e di carni che si agitano nei singhiozzi. E geme: «Dimmi,<br />

dimmi, che devo fare per Te, per mio figlio? Per riparare! Per salvare! No. Riparare! Tu vedi che il mio<br />

dolore è riparazione. Ma salvare! Non posso salvare il rinnegatore di <strong>Dio</strong>. È dannato... E per me,<br />

israelita, cosa è questo? Tormento».<br />

8 Gesù si china. Le posa la mano sulla spalla. «Alzati, calmati! Tu mi sei cara. Ascolta, povera madre».<br />

«Non mi maledici di averlo generato?!».<br />

«Oh! no! Non sei responsabile del suo errore e, sappilo per tuo conforto, puoi invece essere causa della<br />

sua salvezza. Le rovine dei figli possono essere riparate dalle madri. E tu lo farai. <strong>Il</strong> tuo dolore, perché è<br />

buono, non è sterile, ma è fecondo. Per il tuo soffrire sarà salva l’anima che ami. Tu espii per lui, ed<br />

espii con così retta intenzione che tu sei l’indulgenza del figlio tuo. Egli tornerà a <strong>Dio</strong>. Non piangere».<br />

«Ma quando? Quando mai?».<br />

«Quando il tuo pianto si sarà disciolto nel mio Sangue».


«<strong>Il</strong> tuo Sangue? Ma allora è vero ciò che egli dice? Che Tu sarai ucciso perché degno di morte?...<br />

Bestemmia orrenda!».<br />

«È verità vera nella prima parte. <strong>Io</strong> sarò ucciso per farvi degni di Vita. Sono il Salvatore, donna. E<br />

salvezza si dà con la parola, con la misericordia e con l’olocausto. Per tuo figlio questo ci vuole. E questo<br />

darò. Ma tu aiutami. Dàmmi il tuo dolore. Va’ con la mia benedizione. Conservala in te per poter essere<br />

misericorde e paziente presso tuo figlio e ricordargli così che Un altro fu misericorde con lui. Va’, va’ in<br />

pace».<br />

«Ma Tu non parlare a Pella! Non parlare in Perea! Egli te li ha messi contro. E non è solo. Ma io vedo e<br />

parlo solo di lui...».<br />

«Parlerò con un atto. E sarà sufficiente ad annullare l’opera di altri. Va’ in pace alla tua casa».<br />

«Signore, ora che mi hai assolta di averlo generato, vedi il mio volto per conoscere quale è il viso di<br />

una madre quando è straziata», e si scopre il volto dicendo: «Ecco la faccia della madre di Marco di<br />

Giosia, rinnegatore del Messia e torturatore della sua genitrice», e riabbassa poi il fitto velo sul volto<br />

devastato dal pianto gemendo: «Nessun’altra madre d’Israele sarà pari a me nel dolore!».<br />

9Scendono dal luogo ospitale e riprendono la via. Entrano in Pella e si riuniscono: la donna ai servi, Gesù<br />

ai discepoli.<br />

Ma la donna lo segue come affascinata mentre Gesù va dietro al ragazzo che si dirige alla sua casupola,<br />

situata in uno scantinato di una costruzione addossata al fianco del monte, caratteristica di questa<br />

città che sale a scaglioni, di modo che il terreno del lato ovest è il secondo piano del lato est, ma in<br />

realtà è un terreno anche là, perché vi si può accedere dalla via soprastante che è al livello dell’ultimo<br />

piano. Non so se riesco a spiegarmi bene.<br />

<strong>Il</strong> ragazzo chiama forte: «Madre! Madre!».<br />

Dall’antro misero e buio viene avanti una donna ancora giovane, cieca, disinvolta perché cognita<br />

dell’ambiente.<br />

«Già di ritorno, figlio mio? Così numerosi gli oboli da farti tornare mentre è ancora alto il giorno?».<br />

«Mamma, ho trovato uno che conosce Gesù di Nazaret e che dice che mi conduce da Lui per essere<br />

guarito. È molto buono. Mi lasci andare, mamma?».<br />

«Ma sì, Jaia! Anche se resto sola, va’, va’, benedetto, e guardalo anche per me il Salvatore!». L’adesione,<br />

la fede della donna è assoluta.<br />

Gesù sorride. Parla: «Tu non dubiti, donna, né di me, né del Salvatore?».<br />

«No. Se tu lo conosci e gli sei amico, non puoi essere che buono. Lui poi! Va’, va’, figlio! Non<br />

tardare un momento. Diamoci un bacio e va’ con <strong>Dio</strong>».<br />

Si baciano, trovandosi a tentoni.<br />

Gesù pone sulla tavola grezza un pane e delle monete. «Addio, donna. Qui vi è di che procurarti<br />

cibo. La pace sia con te».<br />

10Escono. La comitiva riprende l’andare. Cadono le prime gocce di pioggia.<br />

«Ma non ci fermiamo? Piove...» dicono gli apostoli.<br />

«Ci fermeremo a Jabes Galaad. Camminate».<br />

Si tirano su i mantelli sul capo e Gesù stende il suo sul capo del ragazzo. La madre di Marco di<br />

Giosia lo segue coi servi, sul suo asinello. Sembra non si possa separare da Lui.<br />

Escono da Pella. Si inoltrano per la campagna verde e triste nella giornata piovosa.<br />

Fanno almeno un chilometro, poi Gesù si ferma. Prende il capo del ciechino fra le mani e lo bacia<br />

sugli occhi spenti dicendo: «Ed ora torna indietro. Va’ a dire a tua madre che il Signore premia chi ha<br />

fede, e va’ a dire a quelli di Pella che questo è il Signore». Lo lascia andare e si allontana rapido.<br />

Ma non passano tre minuti che il ragazzo grida: «Ma io ci vedo! Oh! non fuggire! Tu sei Gesù! Fa’<br />

che io veda Te per primo!», e cade in ginocchio sulla via bagnata di pioggia.<br />

La donna gerasena e i servi da una parte, gli apostoli dall’altra, corrono a vedere il miracolo.<br />

Anche Gesù torna, lentamente, sorridente. Si china ad accarezzare il ragazzo. «Va’, va’ dalla<br />

mamma e sappi credere in Me, sempre».<br />

«Sì, Signor mio... Ma alla mamma nulla?! Nel buio lei che crede come me?».<br />

Gesù sorride più luminosamente ancora. Si guarda intorno. Vede sul ciglio della via un ciuffo di<br />

margheritine roride d’acqua. Si china e le coglie, le benedice, le dà al fanciullo.


«Passale sugli occhi di tua madre ed ella vedrà. <strong>Io</strong> non torno indietro. <strong>Io</strong> vado avanti. Chi è buono<br />

mi segua col suo spirito e parli di Me ai dubbiosi. Tu parla di Me a Pella che tituba nella fede. Va’.<br />

<strong>Dio</strong> è con te».<br />

E poi si volge alla donna di Gerasa: «E tu seguilo. Questa è la risposta di <strong>Dio</strong> a tutti coloro che<br />

tentano sminuire la fede degli uomini nel Cristo. E ciò rafforzi la tua fede e quella di Giosia. Va’ in<br />

pace».<br />

Si separano. Gesù riprende la marcia a sud. <strong>Il</strong> fanciullo, la gerasena e i servi, verso nord. <strong>Il</strong> velo<br />

dell’acqua fitta li separa come dietro una tenda fumosa...<br />

359. Nella capanna di Mattia presso Jabes Galaad.<br />

13 dicembre 1945.<br />

1 La valle profonda e boscosa dove sorge Jabes Galaad è sonante per un torrentello molto gonfio che va<br />

spumando al prossimo Giordano. Cupezza di crepuscolo e cupezza di giornata aggravano gli aspetti cupi<br />

delle selve, e perciò il paese appare triste e inospitale fin dal primo momento.<br />

Tommaso, sempre di buon umore nonostante che le sue vesti siano nello stato di un panno levato da<br />

una tinozza, dalla testa ai fianchi e dai fianchi ai piedi fango che cammina, dice: «Uhm! non vorrei<br />

che dopo secoli si vendicasse su di noi, questo paese, della brutta sorpresa avuta da Israele. Basta!<br />

Andiamo a soffrire per il Signore».<br />

Non li accoppano, questo no. Ma li cacciano da ogni luogo, chiamandoli ladroni e peggio ancora, e<br />

Filippo con Matteo devono fare una bella corsa per salvarsi da un grosso cane che un pastore ha<br />

aizzato contro di loro, andati a bussare alla porta dell’ovile chiedendo ricovero per la notte, «almeno<br />

sotto le tettoie delle bestie».<br />

«E ora che facciamo?».<br />

«Non abbiamo pane».<br />

«E non denari. Senza denari non si trova né pane né alloggio!».<br />

«E siamo fradici, gelati, affamati».<br />

«E viene la notte. Saremo belli domani mattina, dopo una notte nel bosco!».<br />

Su dodici che sono, sette brontolano apertamente, tre hanno il malcontento scritto sul viso e, anche se<br />

tacciono, è come parlassero. Simone Zelote va a capo chino, indecifrabile. Giovanni pare sulla brage<br />

accesa e la sua testa si volta veloce dai brontoloni a Gesù, da questo a quelli, con la pena dipinta sul viso.<br />

Gesù continua ad andare personalmente, posto che gli apostoli si rifiutano o lo fanno con timore, a<br />

bussare di casa in casa, percorrendo paziente le stradette mutate in pantani scivolosi e fetidi. Ma<br />

dovunque è respinto.<br />

2 Sono all’estremità del paese, là dove la valle già si allarga nei pascoli della pianura transgiordanica.<br />

Qualche rara casa resta ancora... E sono tutte delusioni...<br />

«Cerchiamo nei campi. Giovanni, riesci tu a salire su quest’olmo? Dall’alto puoi vedere».<br />

«Sì, mio Signore».<br />

«L’olmo è scivoloso di pioggia. <strong>Il</strong> ragazzo non riuscirà e si farà del male. Così, per soprappiù,<br />

avremo anche un ferito» brontola Pietro.<br />

E Gesù, mite: «Salirò <strong>Io</strong>».<br />

«Questo poi no!» urlano in coro. E più di tutti urlano i pescatori, aggiungendo: «Se è pericoloso per noi<br />

che siamo pescatori, cosa vuoi potere Tu che non ti sei mai arrampicato sugli spigoli e sulle corde?».<br />

«Lo facevo per voi. Per cercarvi un ricovero. Per Me è indifferente. Non è l’acqua quella che mi è<br />

penosa...». Quanta tristezza! Quanto richiamo alla pietà per Lui è nella voce!<br />

Qualcuno lo sente e tace. Altri, e questi sono proprio Bartolomeo e Matteo, dicono: «Ormai è troppo<br />

tardi per provvedere. Si doveva pensarci prima».<br />

«Già, e non fare i capricci col volere partire da Pella benché già piovesse. Sei stato caparbio e


imprudente, e ora tutti ne paghiamo lo scotto. Cosa vuoi provvedere, ora? Se avessimo avuto una ben<br />

nutrita borsa, vedi che tutte le case si sarebbero aperte! Ma Tu!... Perché non fai un miracolo, almeno<br />

un miracolo per i tuoi apostoli, Tu che ne fai anche agli indegni?» dice Giuda di Keriot gestendo come<br />

un matto, aggressivo, tanto che gli altri, benché in fondo la pensino in parte come lui, sentono il<br />

bisogno di richiamarlo al rispetto.<br />

Gesù pare già il Condannato che guarda mite i suoi carnefici. E tace. Questo tacere, che si fa sempre più<br />

frequente in Gesù da qualche tempo, preludio al “grande tacere” davanti al Sinedrio, a Pilato e a Erode,<br />

mi fa tanta pena. Mi sembrano quelle pause di silenzio che si sentono nel lamento di un morente, che<br />

non sono calma nei dolori ma preludio della morte. Mi sembra che gridino, questi silenzi di Gesù, più di<br />

ogni parola, col loro tacere, e dicano tutto il dolore di Gesù davanti all’incomprensione degli uomini e<br />

al loro disamore. E la sua mitezza che non reagisce, lo stare così col capo un po’ basso, me lo fanno apparire<br />

già legato, consegnato al livore degli uomini.<br />

«Perché non parli?» gli chiedono.<br />

«Perché direi parole che il vostro cuore non intenderebbe in quest’ora... Andiamo. Cammineremo per<br />

non ghiacciarci... E perdonate...».<br />

Si volta rapido, mettendosi in testa alla comitiva che un po’ lo compassiona, un po’ lo accusa e un po’ dà<br />

la voce ai compagni.<br />

3 Giovanni resta lentamente indietro, fa in modo che non se ne accorga nessuno. Poi va ad un alto<br />

piantone, mi pare un pioppo o un frassino, e, gettati via mantello e veste, si dà a salire seminudo,<br />

faticosamente, finché i primi rami non gli agevolano la salita. Va su, su, su, come un gatto. Talora<br />

scivola, anche, ma si riprende. È quasi in vetta. Scruta l’orizzonte nelle ultime luci, che qui, in<br />

aperta pianura, e per un assottigliamento delle nubi plumbee, sono più chiare che nella valle.<br />

Aguzza lo sguardo in ogni senso. Ed ha infine un atto di gioia. Si lascia scivolare rapidamente a terra, si<br />

riveste, si dà a correre raggiungendo e sorpassando i compagni. Eccolo al fianco del Maestro. Dice col<br />

fiato corto per la fatica fatta e la corsa: «Una capanna, Signore... una capanna verso oriente... Ma<br />

occorre tornare indietro... Sono salito su un albero... Vieni, vieni...».<br />

«<strong>Io</strong> vado con Giovanni da questa parte. Se volete venire venite, altrimenti proseguite sino al prossimo<br />

paese lungo il fiume. Ci troveremo là» dice Gesù serio e deciso.<br />

Lo seguono tutti per i prati ammollati.<br />

«Ma si torna verso Jabes!».<br />

«<strong>Io</strong> non vedo case...».<br />

«Chissà cosa ha visto il ragazzo!».<br />

«Un pagliaio forse».<br />

«O la capanna di un lebbroso».<br />

«Così finiamo di bagnarci. Questi prati sembrano spugne» brontolano gli apostoli.<br />

4 Ma non è una capanna di lebbroso né un pagliaio quello che si disvela da dietro un fitto di tronchi. È<br />

una capanna, questo sì. Larga, bassa, simile ad un povero ovile, col tetto di paglia per metà e i muri<br />

di mota che a fatica tengono a posto i quattro piloni angolari di pietre grezze. Un recinto a palafitte è<br />

intorno alla casupola e dentro vi sono delle verdure stillanti acqua.<br />

Giovanni dà la voce. Si affaccia un vecchio. «Chi è?».<br />

«Pellegrini diretti a Gerusalemme. Un ricovero in nome di <strong>Dio</strong>!» dice Gesù.<br />

«Sempre. È dovere. Ma capitate male. Ho poco spazio e non ho letti».<br />

«Non importa. Avrai fuoco almeno».<br />

L’uomo armeggia alla chiusura e l’apre. «Entrate e la pace sia con voi».<br />

Passano per la minuscola ortaglia. Entrano nell’unica stanza che è cucina e camera da letto. Un fuoco<br />

arde sul focolare. Vi è ordine e povertà. Non un utensile più del necessario.<br />

«Vedete! Non ho che il cuore grande e ornato, io! Ma se vi adattate... Avete pane?».<br />

«No. Un pugno di ulive...».<br />

«<strong>Io</strong> non ho pane per tutti. Ma vi farò una cosa col latte. Ho due pecore. Mi bastano. Vado a<br />

mungerle. Volete darmi i mantelli? Li stenderò nell’ovile, qui dietro. Asciugheranno un poco e<br />

domani con la fiamma faranno il resto».<br />

L’uomo esce carico delle stoffe umide. Tutti sono vicino alla fiamma e si rallegrano del calore.


Torna l’uomo con una rustica stuoia. La stende. «Levatevi i sandali. Li sciacquerò dal fango e li<br />

appenderò, che si asciughino. E vi darò acqua calda per levarvi la mota dai piedi. La stuoia è<br />

rustica ma pulita e alta. Vi potrà fare piacere più del suolo freddo».<br />

Stacca un paiolo colmo di acqua verdastra, perché delle verdure bollono in essa, e versa l’acqua<br />

metà in un catino e metà in una conca. La allunga con acqua fredda e dice: «Ecco. Vi ristorerà.<br />

Lavatevi. Questa è una tela pulita».<br />

E intanto traffica al fuoco, lo avviva, versa il latte in un paiuolo, lo mette al fuoco. E appena<br />

leva il bollore vi cala dei semi che mi sembrano o orzo tritato o miglio sgusciato. E rimesta la sua<br />

pappa.<br />

5 Gesù, che si è lavato fra i primi, gli viene vicino: «<strong>Dio</strong> ti dia grazia per la tua carità».<br />

«Non faccio che rendere ciò che ho avuto da Lui. Ero lebbroso. Dai trentasette ai cinquantuno<br />

lebbroso. Poi sono guarito. Ma al paese ho trovato morti i parenti, la moglie, e devastata la casa.<br />

E poi ero “il lebbroso”... Sono venuto qui. E mi sono fatto il nido. Da me e con l’aiuto di <strong>Dio</strong>. Prima<br />

una capanna di falaschi. Poi una di legno. Poi dei muri... E tutti gli anni una cosa nuova. L’anno<br />

passato ho fatto il luogo delle pecore. Le ho comperate fabbricando stuoie che vendo e stoviglie di<br />

legno. Ho un melo, un pero, un fico, una vite. Dietro ho un campetto d’orzo, davanti le verdure.<br />

Quattro coppie di colombi e due pecore. Fra poco avrò gli agnelli. E speriamo che siano femmine<br />

questa volta. Benedico il Signore e non chiedo di più. E Tu chi sei?».<br />

«Un galileo. Hai prevenzioni?».<br />

«Alcuna, benché di razza giudea. Se avessi avuto figli, avrei potuto averne uno come Te... Faccio da<br />

padre ai colombini... Mi sono abituato a stare solo».<br />

«E per le Feste?».<br />

«Empio le mangiatoie e vado. Prendo a nolo un asino. Corro, faccio, e torno. Mai mi è mancata una<br />

foglia. <strong>Dio</strong> è buono».<br />

«Sì, coi buoni e con i meno buoni. Ma i buoni sono sotto le sue ali».<br />

«Sì. Lo dice anche Isaia... Me, mi ha protetto».<br />

«Sei stato lebbroso però» osserva Tommaso.<br />

«E sono divenuto povero e solo. Ma, ecco, questa è grazia di <strong>Dio</strong>, tornare uomo e avere tetto e pane. <strong>Il</strong><br />

mio modello nella sventura fu Giobbe. Spero di meritare come lui la benedizione di <strong>Dio</strong>, non in<br />

ricchezze ma in grazia».<br />

«L’avrai. Sei un giusto. 6 Come ti chiami?».<br />

«Mattia». E stacca il suo paiolo, lo porta sulla tavola, vi aggiunge burro e miele, fruga, rimette al fuoco e<br />

dice: «Ho solo sei stoviglie fra piatti e scodelle. Farete a turno».<br />

«E tu?».<br />

«Chi ospita si serve per ultimo. Per primi i fratelli che <strong>Dio</strong> manda. Ecco. È pronto. E questo fa<br />

bene». E versa delle ramaiolate di pappa fumante in quattro piatti e due scodelle. I cucchiai di legno<br />

ci sono.<br />

Gesù consiglia i più giovani a mangiare.<br />

«No. Tu, Maestro» dice Giovanni.<br />

«No, no. È bene che si sazi Giuda e veda che c’è sempre cibo per i figli».<br />

L’Iscariota cambia colore ma mangia.<br />

«Sei un rabbi?».<br />

«Sì. Questi sono i miei discepoli».<br />

«<strong>Io</strong> andavo dal Battista, quando era a Betabara. Sai nulla del Messia? Dicono che c’è e che Giovanni<br />

lo ha indicato. Quando vado a Gerusalemme spero sempre di vederlo. Ma non ci sono mai riuscito. <strong>Io</strong><br />

compio il rito e non mi fermo. Per questo sarà che non lo vedo. Qui sono isolato e poi... Gente non<br />

buona in Perea. Ho parlato con dei pastori, vengono qui per i pascoli. Loro sapevano. Mi hanno detto.<br />

Che parole! Chissà poi quando dette da Lui!...».<br />

Gesù non si disvela. È la sua volta di mangiare e lo fa serenamente presso il vecchio buono.<br />

«E ora? Come faremo per il sonno? Vi cedo il letto. Ma è uno solo... <strong>Io</strong> andrò dalle pecore».<br />

«No, ci andremo noi. <strong>Il</strong> fieno è buono per chi è stanco».<br />

La cena è finita e pensano di coricarsi per partire all’aurora. Ma il vecchio insiste e nel suo letto ci va


Matteo, molto costipato.<br />

7Ma l’aurora è un diluvio. Come partire sotto quelle cateratte? Dànno ascolto al vecchio e sostano.<br />

Intanto le vesti vengono spazzolate, asciugate, unti i sandali, riposate le membra. <strong>Il</strong> vecchio<br />

ricuoce orzo nel latte per tutti e poi mette delle mele nella cenere. <strong>Il</strong> loro pasto. E lo stanno<br />

consumando quando viene dal di fuori una voce.<br />

«Un altro pellegrino? Come faremo?» dice il vecchio. Ma si alza ed esce ravvolto in una coperta di<br />

lana grezza, impermeabile.<br />

Nella cucina vi è calore di fuoco, ma non di buon umore. Gesù tace.<br />

Torna il vecchio con gli occhi sbarrati. Guarda Gesù, guarda gli altri. Pare abbia paura... pare sia<br />

incerto e indagatore. Infine dice: «Fra voi c’è il Messia? Ditelo, che quei di Pella lo cercano per<br />

adorarlo, per un grande miracolo fatto da Lui. Hanno bussato da ieri sera a tutte le case fino al<br />

fiume, fino al primo paese... Ora, al ritorno, hanno pensato a me. Qualcuno ha indicato la mia<br />

casa. Sono fuori, coi carri. Tanta gente!».<br />

Gesù si alza. I dodici dicono: «Non ci andare. Se hai detto che era prudente avere evitato di<br />

sostare a Pella, è inutile mostrarti ora».<br />

«Ma allora!... Oh! Benedetto! Benedetto Tu e chi ti ha mandato. E me che ti ho accolto! Tu sei il<br />

Rabbi Gesù, quello... Oh!». L’uomo è in ginocchio, fronte a terra.<br />

«Sono <strong>Io</strong>. Ma lasciami andare da questi che mi cercano. Poi verrò da te, uomo buono». Si libera le<br />

caviglie strette dalle mani del vecchio ed esce nell’ortaglia inondata.<br />

8 «Eccolo! Eccolo! Osanna!». Si gettano dai carri. Sono uomini e donne, e c’è il ciechino di ieri e la<br />

madre, e c’è la gerasena. Incuranti del fango, si inginocchiano e supplicano: «Torna, torna indietro!<br />

Da noi. A Pella».<br />

«No, a Jabes» urlano altri, certo di Jabes. «Ti vogliamo! Siamo pentiti di averti cacciato!»<br />

urlano quelli di Jabes.<br />

«No, da noi. A Pella dove è vivo il tuo miracolo. A loro gli occhi. A noi la luce nell’anima».<br />

«Non posso. Vado a Gerusalemme. Là mi troverete».<br />

«Sei corrucciato perché ti abbiamo scacciato».<br />

«Sei disgustato perché sai che avevamo creduto alle calunnie di un peccatore».<br />

La madre di Marco si copre il viso piangendo.<br />

«Dillo tu, Jaia, a Colui che ti ha amato, di tornare».<br />

«Mi troverete a Gerusalemme. Andate e perseverate. Non siate simili ai venti che vanno in ogni<br />

direzione. Addio».<br />

«No. Vieni. Ti rapiamo con la forza se non vieni».<br />

«Voi non alzerete la mano su Me. Questa è idolatria, non vera fede. La fede crede anche senza<br />

vedere. Persevera anche se combattuta. Cresce anche senza miracoli. Resto da Mattia, che ha<br />

saputo credere senza nulla vedere e che è un giusto».<br />

«Almeno accetta i nostri doni. Denaro, pane. Ci hanno detto che avete dato tutto quanto avevate<br />

a Jaia e a sua madre. Prendi un carro. Anderai con quello. Lo lascerai a Gerico da Timone<br />

alberghiere. Prendilo. Piove e pioverà. Sarai riparato. Farai presto. Mostraci che non ci odii».<br />

Essi al di là della palizzata, Gesù al di qua, si guardano, e quelli di là tumultuano. Dietro a Gesù<br />

il vecchio Mattia in ginocchio, a bocca aperta, e poi, in piedi, gli apostoli.<br />

Gesù tende la mano e dice: «Accetto per i poveri. Ma non accetto il carro. Sono il Povero fra i<br />

poveri. Non insistete. Jaia, donna, e tu di Gerasa, venite, che vi benedica in particolare». E avutili<br />

vicini, poiché Mattia ha aperto la palizzata, li carezza e benedice, e li congeda. Benedice poi gli<br />

altri che si sono affollati sulla soglia, dando agli apostoli monete e viveri, e li congeda.<br />

9Torna in casa...<br />

«Perché non hai parlato loro?».<br />

«Parla il miracolo dei due ciechi».<br />

«Perché non hai preso il carro?».<br />

«Perché è bene andare a piedi». E si volge a Mattia: «Ti avrei ricompensato con le benedizioni.<br />

Ora posso unirvi un poco di denaro per le spese che ti costiamo...».


«No, Signore Gesù... Non lo voglio. Ho fatto ciò di buon cuore. E ora, ora lo faccio servendo il<br />

Signore. Non paga il Signore. Non vi è tenuto. Sono io che ho avuto, non Tu! Oh! questo giorno!<br />

Verrà, col suo ricordo, fino nell’altra vita!».<br />

«Hai detto bene. La tua misericordia verso i pellegrini la troverai scritta in Cielo, e così il tuo<br />

pronto credere... Non appena schiarirà un poco ti lascerò. Essi potrebbero tornare. Insistenti finché<br />

il miracolo li scuote, e poi... torpidi come prima, o nemici. <strong>Io</strong> vado. Fino ad ora ho sostato<br />

cercando convertirli. Ora vengo e passo, senza sostare. Vado al mio destino che mi incalza. <strong>Dio</strong> e<br />

l’uomo mi spronano, e non posso più sostare. Mi pungola l’amore e mi pungola l’odio. Chi mi ama<br />

mi può seguire. Ma il Maestro non corre più dietro alle pecore riottose».<br />

«Non ti amano, Maestro divino?» chiede Mattia.<br />

«Non mi comprendono».<br />

«Cattivi sono».<br />

«Li appesantiscono le concupiscenze».<br />

L’uomo non osa più essere confidenziale come prima. Pare sia di fronte all’altare. Gesù,<br />

all’opposto, ora che non è più lo Sconosciuto, è meno sostenuto e parla al vecchio come a un<br />

parente.<br />

E così passano le ore fino ad un principio di meriggio. La nube, rotta, promette sospensione alla<br />

pioggia. Gesù ordina la partenza. E mentre il vecchio va a prendere i mantelli asciutti, depone in un<br />

cassetto delle monete e fa mettere pani e formaggi in una madia.<br />

Torna il vecchio e Gesù lo benedice. Poi riprende il cammino, volgendosi ancora a guardare la testa<br />

bianca che sporge dalla palizzata oscura.<br />

360. <strong>Il</strong> malumore degli apostoli e il riposo in una grotta.<br />

L’incontro con Rosa di Gerico.<br />

14 dicembre 1945.<br />

1 La pianura del lato orientale del Giordano, per le continue piogge, pare divenuta una laguna, specie<br />

nel luogo ove si trovano adesso Gesù e gli apostoli. Hanno da poco superato un torrente che scende<br />

da una stretta gola delle vicine colline, che sembra facciano tutta una diga ciclopica, dal nord al sud,<br />

lungo il Giordano, rotta qua e là da strette vallate dalle quali sgorga l’inevitabile torrente. Sembra<br />

che una grande smerlettatura di colli sia stata messa da <strong>Dio</strong> a fare contorno alla grande valle del<br />

Giordano, da questa parte. Direi persino una smerlettatura monotona, tanto è uguale nelle<br />

sporgenze, negli aspetti e anche molto nelle altezze. <strong>Il</strong> gruppo apostolico è fra i due ultimi torrenti,<br />

straripanti per giunta presso le rive, e perciò più ampi di letto, specie quello a sud che è imponente<br />

per la massa d’acqua che convoglia dalle montagne e che rumoreggia torbida nell’avviarsi al<br />

Giordano, che si sente a sua volta frusciare forte, specie là dove le curve naturali, quasi potrei dire<br />

le strozzature che ha di continuo, o la confluenza di un suo emissario, producono un ingorgo<br />

d’acque. Orbene, Gesù è fra questo triangolo mozzo, fatto di tre corsi d’acqua in piena, e trarre le<br />

gambe da quel pantano, non è cosa facile.<br />

2 L’umore apostolico è più torbido della giornata. Ed è tutto dire. Tutti vogliono dire la loro. E ogni<br />

cosa detta cela, sotto apparenza di un consiglio, un rimprovero. È l’ora dei: «<strong>Io</strong> lo avevo detto», «Se<br />

si fosse fatto come consigliavo», ecc. ecc., così urtanti per chi ha commesso un errore ed è già<br />

accasciato di averlo fatto.<br />

Qui si dice: «Era meglio passare il fiume all’altezza di Pella, e andare per l’altra parte che è meno<br />

brutta», oppure: «Era bene prenderlo quel carro! Abbiamo fatto i bravi, ma poi…», e anche: «Se<br />

rimanevamo sui monti non c’era questo fango!».<br />

Giovanni dice: «Siete i profeti delle cose fatte. Chi lo prevedeva questo insistere di pioggia?»<br />

«È il suo tempo. Era da prevedersi» sentenzia Bartolomeo.<br />

«Gli altri anni non era così, avanti Pasqua. <strong>Io</strong> venni a voi che il Cedron non era certo pieno, e l’anno<br />

passato ebbimo persino dell’asciuttore.. Voi, che vi lamentate, non ricordate la sete che ebbimo<br />

nella pianura filistea?» dice lo Zelote.<br />

«Eh! È naturale! Parlano i due saggi e ci dànno la voce!» dice ironico Giuda di Keriot.<br />

«Tu taci, per favore. Sai solo criticare. Ma al momento buono, quando c’è da parlare con qualche


fariseo o simile, sei zitto come avessi la lingua legata» gli dice inquieto il Taddeo.<br />

«Sì. Ha ragione. Perché non hai mai ribattuto una parola, all’ultimo paese, a quei tre serpenti? Tu lo<br />

sapevi che siamo stati anche a Giscala e a Meieron, rispettosi ed ossequienti, e che là c’è voluto<br />

andare Lui, proprio Lui che onora i grandi rabbi defunti. Ma non hai parlato! Tu sai come Egli esige<br />

da noi rispetto alla Legge e ai sacerdoti. Ma non hai parlato! Ora parli. Ora, perché c’è da fare della<br />

ironia sui migliori di noi e da fare critiche a ciò che fa il Maestro» incalza Andrea che, di solito<br />

paziente, oggi è proprio nervoso.<br />

«Taci, tu. Giuda ha torto, lui che è amico di molti, di troppi samaritani…» dice Pietro.<br />

«<strong>Io</strong>? Chi sono questi? Fànne il nome se puoi».<br />

«Sì, caro. Tutti i farisei, sadducei, potenti di cui vanti l’amicizia, e che ti conoscano, si vede! Me,<br />

non mi salutano mai. Ma tu, sì!».<br />

«Ne sei geloso! Ma io sono uno del Tempio e tu no».<br />

«Per grazia di <strong>Dio</strong> sono un pescatore. Sì. E me ne vanto».<br />

«Un pescatore tanto stolto che non ha saputo neppure prevedere questo tempo».<br />

«No! L’ho detto: “Luna di nisam e fatta con pioggia vuole acqua che scende a moggia”» sentenzia<br />

Pietro.<br />

«Ah! qui ti ci volevo! E tu che ne dici, Giuda d’Alfeo? E tu, Andrea? Anche Pietro, il Capo, critica<br />

il Maestro!».<br />

«<strong>Io</strong> non critico proprio nessuno. Dico un proverbio».<br />

«Che, a chi lo intende, è critica e rimprovero».<br />

«Sì… Ma tutto ciò non serve ad asciugare la terra, mi pare. Ormai ci siamo e ci dobbiamo stare.<br />

Serbiamo il fiato per sradicare i piedi da questo pantano» dice Tommaso.<br />

3 E Gesù? Gesù tace. Va un poco avanti, sguazzando nella melma, o cercando zolle erbose<br />

emergenti. Ma anche quelle basta calpestarle perché schizzino acqua fino a metà stinco, come se il<br />

piede avesse premuto una vescica invece di una zolla erbosa. Tace, li lascia parlare, malcontenti,<br />

tutt’affatto uomini, niente più che uomini che il minimo disturbo rende irascibili e ingiusti.<br />

Ormai è vicino il più meridionale dei fiumi e Gesù, vedendo passare lungo l’argine inondato un<br />

uomo su un mulo, chiede: «Dove è il ponte?».<br />

«Più su. Ci passo anche io. L’altro, a valle, quello romano, è sott’acqua ormai».<br />

Altro coro di brontolii… Ma si affrettano a seguire l’uomo che parla con Gesù.<br />

«Ti conviene, però, buttarti a monte!» dice. E termina: «Torna in piano quando trovi il terzo fiume<br />

dopo il Yaloc. Allora sarai vicino al guado. Ma fa’ presto. Non sostare. Perché il fiume gonfia d’ora<br />

in ora. Che brutta stagione! <strong>Il</strong> gelo prima, poi l’acqua. E forte così. Un castigo di <strong>Dio</strong>. Ma è giusto!<br />

Quando non si lapidano i bestemmiatori della Legge, <strong>Dio</strong> punisce. E noi ne abbiamo di quelli! Tu<br />

sei galileo, non è vero? Allora conoscerai quello di Nazaret che i buoni abbandonano perché causa<br />

di ogni male. Le folgori attira con la sua parola! I castighi! Bisogna sentire cosa raccontano di Lui<br />

quelli che erano con Lui. Hanno ragione i farisei di perseguitarlo. Chissà che ladrone è! Deve fare<br />

paura come un Belzebù. Mi era venuta voglia di andarlo a sentire, perché prima mi era stato detto<br />

un gran bene di Lui. Ma… erano discorsi di quelli della sua banda. Tutta gente senza scrupoli come<br />

Lui. I buoni lo abbandonano. E fanno bene. <strong>Io</strong>, già, per mio conto, non ci vado più a vederlo. E se il<br />

caso me lo porta vicino, lo prendo a sassate, come è dovere contro i bestemmiatori».<br />

«Lapidami, allora. Sono <strong>Io</strong> Gesù di Nazaret. <strong>Io</strong> non fuggo e non ti maledico. Sono venuto per<br />

redimere il mondo versando il mio Sangue. Eccomi. Sacrificami, ma diventa giusto».<br />

Gesù dice questo aprendo un poco le braccia stese verso terra, lo dice lentamente, mitemente e<br />

mestamente. Ma se avesse maledetto non avrebbe fatto più impressione all’uomo, che tira così<br />

bruscamente le redini che il mulo fa uno scarto e per poco non cade dall’argine nel fiume in piena.<br />

Gesù si abbranca al mulo e trattiene la bestia, in tempo, salvando uomo e mulo.<br />

L’uomo non fa che ripetere: «Tu! Tu!…», e vedendo l’atto che lo salva urla: «Ma ti ho detto che ti<br />

avrei lapidato… Non capisci?».<br />

«Ed <strong>Io</strong> ti dico che ti perdono e che anche per te soffrirò per redimerti. Questo è il Salvatore».<br />

L’uomo lo guarda ancora, dà una tallonata nel fianco del mulo e parte di corsa… Fugge… Gesù<br />

china il capo…


4 Gli apostoli sentono il bisogno di dimenticare il fango e la pioggia e tutte le altre miserie per<br />

consolarlo. Gli si fanno intorno e dicono: «Non ti affliggere! Di briganti non ne abbiamo bisogno. E<br />

quello è tale. Perché solo un malvagio può credere vere le calunnie su Te ed avere paura di Te».<br />

«Però» dicono anche «che imprudenza, Maestro! E se ti faceva del male? Perché dire che eri Tu<br />

Gesù di Nazaret?».<br />

«Perché è la verità.. Andiamo verso i monti come ha consigliato. Perderemo un giorno, ma voi<br />

uscirete dal pantano.»<br />

«Anche Tu» obbiettano.<br />

«Oh! per Me non conta! È il pantano delle anime morte quello che mi affatica», e due lacrime<br />

gocciano dai suo occhi.<br />

«Non piangere, Maestro. Noi brontoliamo, ma ti vogliamo bene. Se possiamo incontrare i tuoi<br />

denigratori! Ne faremo vendetta».<br />

«Voi perdonerete come <strong>Io</strong> perdono. Ma lasciatemi piangere. Sono l’Uomo, infine! E l’essere tradito,<br />

rinnegato, abbandonato, mi dà dolore!».<br />

«Guarda noi, guarda noi. Pochi e buoni. Nessuno di noi ti tradirà né ti abbandonerà. Credilo,<br />

Maestro».<br />

«Neanche dirle, certe cose! È offesa alla nostra anima pensare che noi si possa tradire!» esclama<br />

l’Iscariota.<br />

Ma Gesù è afflitto. Tace, e lente lacrime rotolano sulle gote pallide di un viso stanco e smagrito.<br />

Si avvicinano ai monti.<br />

«Saliremo lassù, o costeggeremo le basi? Vi sono paesi a mezza costa. Guarda. Di qua e di là dal<br />

fiume» gli osservano.<br />

«La sera scende. Cerchiamo di raggiungere un paese. Questo o quello è indifferente».<br />

Giuda Taddeo, che ha occhi molto buoni, scruta le pendici. Va vicino a Gesù. Dice: «All’occorrenza<br />

ci sono spacchi nel monte. Li vedi là? Ci rifugeremo in quelli. Sarà sempre meglio che nel fango».<br />

«Faremo fuoco» conforta Andrea.<br />

«Con la legna umida?» chiede ironico Giuda di Keriot. Nessuno gli risponde.<br />

Pietro mormora: «Benedico l’Eterno che non sono con noi né le donne né Marziam».<br />

5 Passano il ponte, molto preistorico, che è proprio ai piedi della valle, e prendono il lato meridionale<br />

di questa, per una strada mulattiera diretta ad un paese. Le ombre scendono rapide. Tanto che<br />

decidono di rifugiarsi in una vasta grotta per sfuggire ad un piovasco violento. Forse è una grotta<br />

che serve di rifugio ai pastori, perché vi è strame e sudiciume e un rozzo focolare.<br />

«Come letto non serve. Ma per fare del fuoco…» dice Tommaso accennando le ramaglie trite e<br />

sporche che sono sparse al suolo insieme a felci secche e rami di ginepro o altra pianta simile. E le<br />

spinge, con l’aiuto di un bastone, verso il focolare. Le ammucchia e dà fuoco.<br />

Fumo e fetore, insieme ad odore di resine e ginepri, si alzano dal fuoco. Eppure è gradito quel<br />

calore, e tutti fanno semicerchio mangiando, alla luce mobile delle fiamme, pane e formaggio.<br />

«Si poteva però tentare al paese» dice Matteo, che è roco e infreddato.<br />

«Oh! Senti! Per ripetere la storia di tre sere fa? Qui non ci caccia nessuno. Staremo seduti su quelle<br />

legna e faremo fuoco finché potremo. Ora che ci si vede, ce n’è della legna! Guarda, guarda! Anche<br />

paglia!… È proprio un ovile. Certo per l’estate, o per quando trasmigrano. 6 E di qui? Dove si va?<br />

Prendi un ramo acceso, Andrea, ché voglio vedere» ordina Pietro, che gira in vena di scoperte.<br />

Andrea ubbidisce. Si infilano per una stretta fessura che è in una parete della grotta.<br />

«Badate che non ci siano bestie brutte!» urlano gli altri. «O dei lebbrosi» dice il Taddeo.<br />

Dopo un momento viene la voce di Pietro. «Venite! Venite! Qui si sta meglio. C’è pulito e asciutto,<br />

e ci sono panche di legno, e legna per bruciare. Ma è una reggia per noi! Portate dei rami accesi, ché<br />

facciamo subito fuoco».<br />

Deve essere proprio un ricovero di pastori. E questa è la grotta dove quelli in riposo dormono,<br />

mentre nell’altra vegliano quelli di guardia a turno al gregge. È una escavazione nel monte, molto<br />

più piccola e forse fatta dall’uomo, o per lo meno ampliata e solidificata con pali messi a sorreggere<br />

la volta. Una cappa di camino primordiale si spiega a gancio verso la prima grotta per aspirare il<br />

fumo che non avrebbe uscita. Dei pancacci e della paglia sono contro le pareti, nelle quali sono


infissi arpioni per agganciare lucerne e vesti o bisacce.<br />

«Ma va benone! Su, facciamo molto fuoco! Staremo caldi e si asciugheranno i mantelli. Via le<br />

cinture; facciamone funi per stendervi sopra i mantelli» ordina Pietro, e poi aggiusta le panche e le<br />

paglie e dice: «E ora un po’ per uno si dorme e un po’ per uno si tiene vivo il fuoco. Per vederci e<br />

per stare caldi. Che grazia di <strong>Dio</strong>!».<br />

Giuda borbotta fra i denti. Pietro si volta indispettito. «Rispetto alla grotta di Betlemme, dove il<br />

Signore è nato, questa è una reggia. Se c’è nato Lui, potremo starci noi per una notte».<br />

«Anche è più bella delle grotte di Arbela. Là di bello non c’era che il nostro cuore, più buono di<br />

ora» dice Giovanni, e si sperde in un suo mistico ricordo.<br />

«È anche molto migliore di quella che ospitò il Maestro per prepararsi alla predicazione» dice<br />

severo lo Zelote, guardando l’Iscariota come per dirgli di farla finita.<br />

Gesù apre la bocca per ultimo: «Ed è senza misura più calda e comoda di quella in cui feci<br />

penitenza per te, Giuda di Simone, in questo tebet».<br />

«Penitenza per me? Perché? Non ce n’era bisogno!».<br />

«In verità dovremmo <strong>Io</strong> e te passare la vita in penitenza per liberare te da tutto ciò che ti aggrava. E<br />

non basterebbe ancora».<br />

La sentenza, data con pacatezza ma tanto decisa, cade come una folgore nel gruppo sbigottito…<br />

Giuda abbassa il viso e si ritira in un angolo. Non ha l’audacia di reagire.<br />

7 «<strong>Io</strong> resto sveglio. Al fuoco bado <strong>Io</strong>. Dormite voi» ordina Gesù dopo qualche tempo.<br />

E dopo poco allo scoppiettio della legna si unisce il respiro pesante dei dodici stanchi, sdraiati sulle<br />

pancacce fra la paglia. E Gesù, se la paglia cade e li lascia scoperti, si alza e la ridistende sul<br />

dormiente, amoroso come una madre. E pure piange mentre contempla i volti ermetici nel sonno di<br />

taluni, o placidi, o corrucciati. Guarda l’Iscariota che pare ghignare anche nel sonno, torvo, a pugni<br />

stretti… Guarda Giovanni che dorme con una mano sotto la guancia, il viso velato dai capelli<br />

biondi, roseo, sereno come un bimbo in cuna. Guarda il volto onesto di Pietro e quello severo di<br />

Natanaele, quello butterato dello Zelote, quello aristocratico di suo cugino Giuda, e si ferma a lungo<br />

a guardare quello di Giacomo d’Alfeo, che è un Giuseppe di Nazaret molto giovane. Sorride<br />

sentendo i monologhi di Tommaso e di Andrea, che sembra parlino al Maestro. Copre molto Matteo<br />

che respira a fatica, prendendo altra paglia per tenerlo caldo e la stende ai piedi di Matteo dopo<br />

averla scaldata alla fiamma. Sorride sentendo Giacomo proclamare: «Credete nel Maestro ed avrete<br />

la Vita»… e continuare in una predica a personaggi di sogno. E si china a raccogliere una borsa<br />

dove Filippo tiene ricordi cari, mettendogliela piano sotto la testa. E negli intervalli medita e<br />

prega…<br />

8 <strong>Il</strong> primo a destarsi è lo Zelote. Vede Gesù ancora presso il fuoco acceso nella grotta ben calda. E<br />

dal mucchio delle legna, ridotto ad una miseria comprende che sono passate molte ore. Scende dal<br />

suo giaciglio e viene in punta di piedi da Gesù. «Maestro, non vieni a dormire? Veglio io».<br />

«È l’alba, Simone. Sono andato di là poco fa. Ho visto il cielo che già schiarisce».<br />

«Ma perché non ci hai chiamati? Sei stanco Tu pure!».<br />

«Oh! Simone! Avevo tanto bisogno di pensare… e di pregare» e gli appoggia il capo sul petto.<br />

Lo Zelote, ritto presso Lui seduto, lo carezza e sospira. Chiede: «Pensare a che, Maestro? Tu non<br />

hai bisogno di pensare. Tu sai tutto».<br />

«Pensare non a ciò che devo dire. Ma a ciò che devo fare. <strong>Io</strong> sono disarmato contro il mondo astuto,<br />

perché <strong>Io</strong> non ho la malizia del mondo e l’astuzia di Satana. Ed il mondo mi vince… E sono tanto<br />

stanco…».<br />

«E addolorato. E noi contribuiamo a questo, Maestro buono che non meritiamo di avere. Perdona<br />

me ed i compagni. Lo dico per tutti».<br />

«Vi amo tanto… Soffro tanto… Perché così spesso non mi capite?»<br />

9 <strong>Il</strong> loro bisbiglio sveglia Giovanni, che è il più vicino. Apre i suoi occhi celesti, si guarda stupito<br />

intorno, poi ricorda e si alza subito, venendo alle spalle dei due che parlano.<br />

Sente così le parole di Gesù: «Perché tutto l’odio e le incomprensioni divenissero un nulla<br />

sopportabile, mi basterebbe il vostro amore, la vostra comprensione… Invece non mi capite... E


questa è la mia prima tortura. È pesante! Pesante! Ma non ne avete colpa. Siete uomini… Sarà il<br />

vostro dolore non avermi capito quando non potrete più riparare… Per questo, perché allora<br />

espierete la superficialità di ora, le meschinità di ora, le ottusità di ora, <strong>Io</strong> vi perdono ed in anticipo<br />

dico: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno né il dolore che mi dànno”».<br />

Giovanni scivola sul davanti, e in ginocchio, e abbraccia le ginocchia del suo Gesù afflitto, ed è già<br />

prossimo al pianto mentre sussurra: “Oh! Maestro mio!».<br />

Lo Zelote, che ha sempre sul petto la testa di Gesù, si china a baciarlo sui capelli dicendo: «Eppure<br />

ti amiamo tanto! Ma pretenderemmo da Te una capacità di difenderti, di difenderci, di trionfare. Ci<br />

avvilisce vederti uomo, soggetto agli uomini, alle intemperie, alla miseria, alla cattiveria, ai bisogni<br />

della vita… Stolti siamo. Ma così è. Per noi sei il Re, il Trionfatore, il <strong>Dio</strong>. Non riusciamo a capire<br />

la sublimità della tua abnegazione a tanto per amor nostro. Perché Tu solo sai amare. Noi non<br />

sappiamo…».<br />

«Sì, Maestro. Simone dice bene. Non sappiamo amare come ama <strong>Dio</strong>: Tu. E ciò che è infinita bontà,<br />

infinito amore, lo scambiamo per debolezza e ce ne approfittiamo… Aumenta il nostro amore,<br />

aumenta il tuo amore, Tu che ne sei la fonte, fàllo straripare come ora straripano i fiumi, imbevici,<br />

saturaci di esso, così come lo sono i prati lungo la valle. Non necessita sapienza, valore, austerità<br />

per essere perfetti come Tu vuoi. Basta avere l’amore… Signore, io me ne confesso per tutti: non<br />

sappiamo amare.»<br />

«Voi, i due che più capiscono, vi accusate. Siete l’umiltà. Ma l’umiltà è amore. Ma anche gli altri<br />

non hanno che un diaframma per essere come voi. Ed <strong>Io</strong> lo abbatterò. Perché infatti sono Re,<br />

Trionfatore e <strong>Dio</strong>. In eterno. Ma ora sono l’Uomo. La mia fronte pesa già sotto il supplizio della<br />

mia corona. È sempre stata una torturante corona essere l’Uomo… Grazie, amici. Mi avete<br />

consolato. Perché questo ha di buono l’essere uomini: avere una madre che ama e degli amici<br />

sinceri. 10 Ora destiamo i compagni. Non piove più. I manti sono asciutti. I corpi riposati. Mangiate e<br />

partiamo.»<br />

Alza la voce lentamente finché il «partiamo» è un ordine sicuro. Tutti sorgono e si rammaricano di<br />

avere sempre dormito mentre Gesù ha vegliato. Si rassettano, mangiano, prendono i mantelli,<br />

spengono il fuoco ed escono sul sentiero umido iniziando la discesa fino alla mulattiera che segue la<br />

costa, abbastanza in pendenza per non essere un mare di fango. La luce è ancora poca perché non<br />

c’è sole né sereno. Ma sufficiente a vedere.<br />

11 Andrea e i due figli di Alfeo sono avanti a tutti. Ad un certo punto si chinano, guardano e corrono<br />

indietro. «C’è una donna! Pare morta! Sbarra il sentiero!».<br />

«Oh! Che noia! Si comincia male. Come si fa? Ora bisognerà anche purificarsi!». I primi brontolii<br />

del giorno.<br />

«Andiamo a vedere noi se è morta» dice Tommaso a Giuda Iscariota.<br />

«<strong>Io</strong> non ci vengo per niente» risponde l’Iscariota.<br />

«Vengo io con te, Toma» dice lo Zelote e va avanti.<br />

L’avvicinano, si curvano, e Tommaso corre indietro urlando.<br />

«È assassinata, forse» dice Giacomo di Zebedeo.<br />

«Oppure morta di freddo» risponde Filippo.<br />

Ma Tommaso li raggiunge e grida: «Ha la veste scucita dei lebbrosi…», e pare abbia visto il<br />

diavolo, tanto è stranito.<br />

«Ma è morta?» chiedono.<br />

«E chi lo sa? <strong>Io</strong> sono scappato».<br />

Lo Zelote si rialza e viene sollecito verso Gesù. Dice: «Maestro, una sorella lebbrosa. Non so se è<br />

morta. Non direi. Mi sembra che il cuore batta ancora.»<br />

«L’hai toccata?!» dicono in molti, scostandosi.<br />

«Sì. Non ho paura della lebbra da quando sono di Gesù. E ho pietà perché so cosa è l’essere<br />

lebbroso. Forse l’infelice è stata colpita, perché sanguina al capo. Forse era scesa in cerca di cibo. È<br />

tremendo, sapete, morire di fame e dovere sfidare gli uomini per avere un pane».<br />

«È molto sciupata?».<br />

«No. Anzi, non so come è fra i lebbrosi. Non ha scaglie né piaghe, né cancrene. Forse lo è da poco.


Vieni, Maestro. Te ne prego. Come per me, abbi pietà della sorella lebbrosa!».<br />

«Andiamo. Datemi pane, formaggio, e quel poco di vino che ancora abbiamo».<br />

«Non la farai bere dove noi beviamo!» urla terrorizzato l’Iscariota.<br />

«Non temere. Beverà nella mia mano. Vieni, Simone».<br />

12 Vanno avanti… ma la curiosità manda avanti anche gli altri Senza più noia per l’acqua che è fra il<br />

fogliame e che piove sulle teste dai rami scossi, né del musco zuppo, salgono sulla costa per vedere<br />

senza essere vicino alla donna. E vedono che Gesù si china, la prende per le ascelle e la trascina<br />

seduta contro un masso. La testa pende come fosse morta.<br />

«Simone, rovesciale il capo, ché le possa far scendere il gola un po’ di vino».<br />

Lo Zelote ubbidisce senza paura e Gesù, tenendo alta la zucchetta, fa cadere delle stille di vino fra<br />

le labbra socchiuse e livide. E dice: «È gelata, l’infelice! Ed è tutta bagnata!».<br />

«Se non era lebbrosa la potevamo portare dove fummo noi» dice impietosito Andrea.<br />

«Ci mancherebbe altro!» scatta Giuda.<br />

«Ma se non è lebbrosa! Non ha segno di lebbra».<br />

«Ha la veste. Basta quella».<br />

<strong>Il</strong> vino agisce, intanto. La donna ha un sospiro stanco. Gesù gliene cola in bocca un sorso vedendo<br />

che inghiotte. La donna apre due occhi annebbiati e spaventati. Vede degli uomini. Tenta alzarsi e<br />

fuggire gridando: «Sono infetta! Sono infetta!». Ma le forze non la soccorrono. Si copre il volto con<br />

le mani gemendo: «Non mi lapidate! Sono scesa perché ho fame… Sono tre giorni che nessuno mi<br />

getta nulla…».<br />

«Qui c’è pane e formaggio. Mangia. Non avere paura. Bevi un po’ di vino dalla mia mano» dice<br />

Gesù versandosi nel cavo della mano un po’ di vino e dandoglielo.<br />

«Ma non hai paura?» dice l’infelice sbalordita.<br />

«Non ho paura» risponde Gesù. E sorride alzandosi in piedi, ma restando presso la donna che<br />

mangia avida il pane e il formaggio.<br />

Pare una belva affamata. Ansa persino nell’ansia di nutrirsi. 13 Poi, sedata l’animalità delle viscere<br />

vuote, si guarda intorno… Conta a voce alta: «Uno… due… tre… tredici… Ma allora?.. Oh! Chi è<br />

il Nazareno? Tu, non è vero? Solo Tu puoi avere pietà di una lebbrosa, come hai avuto!…». La<br />

donna si pone in ginocchio a fatica per la debolezza.<br />

«Sono <strong>Io</strong>. Sì, che vuoi? Guarire?».<br />

«Anche… Ma prima devo dirti una cosa… <strong>Io</strong> sapevo di Te. Me ne avevano parlato alcuni, passati<br />

tanto tempo fa… Tanto? No. Era l’autunno. Ma per un lebbroso… ogni giorno è un anno… Avrei<br />

voluto vederti. Ma come potevo venire in Giudea, in Galilea? Mi chiamano “lebbrosa”. Ma non ho<br />

che una piaga sul petto, e me l’ha data il marito che mi ha preso vergine e sana, e sano non era. Ma<br />

è un grande… e tutto può. Anche dire che io l’avevo tradito venendo a lui malata, e ripudiarmi così,<br />

per prendere un’altra donna di cui era invaghito. Mi ha denunciata per lebbrosa, e perché volli<br />

scolparmi fui presa a sassate. Era giusto, Signore? Ieri sera un uomo è passato da Betjaboc<br />

avvisando che Tu venivi e dicendo di venirti incontro per cacciarti. <strong>Io</strong> c’ero… Discesa fino alle case<br />

perché avevo fame. Avrei frugato nei letamai per sfamarmi… <strong>Io</strong> che ero la “signora” avrei cercato<br />

strappare al pollame un poco di impasto inacidito…».<br />

Piange… poi riprende: «L’ansia di trovarti, per Te, per dirti: “Fuggi!”; per me, per dirti: “Pietà!”, mi<br />

ha fatto dimenticare che, contrariamente alla legge nostra, cani, porci e polli vivono presso le case<br />

d’Israele, ma che il lebbroso non può scendere a chiedere un pane, neppure se è una che di lebbrosa<br />

ha solo il nome. E mi sono fatta avanti, chiedendo dove eri. Non mi hanno vista subito nell’ombra e<br />

mi hanno detto: “Sale per l’argine del fiume”. Ma poi mi hanno vista e mi hanno dato pietre per<br />

pane. Sono corsa via, nella notte, per venire incontro a Te, per sfuggire i cani. Avevo fame, avevo<br />

freddo, avevo paura. Sono caduta dove mi hai trovata. Qui. Ho creduto di morire. Invece ho trovato<br />

Te. Signore, non sono lebbrosa. Ma questa piaga qui alla mammella mi impedisce di tornare fra i<br />

viventi. <strong>Io</strong> non chiedo di tornare Rosa di Gerico come al tempo del padre mio, ma almeno di vivere<br />

fra gli uomini e seguire Te. Quelli che mi hanno parlato in ottobre hanno detto che Tu hai discepole<br />

e che con loro eri… Ma prima salvati Tu. Non morire, Tu che sei buono!».<br />

«<strong>Io</strong> non morirò finché non è il mio tempo. 14 Va’ là, a quel masso. Vi è una grotta sicura. Riposati e


poi va’ dal sacerdote».<br />

«Perché, Signore?». La donna trema d’ansia.<br />

Gesù sorride: «Torna la Rosa di Gerico che fiorisce nel deserto e che è sempre viva anche se pare<br />

morta. La tua fede ti ha guarita».<br />

La donna socchiude la veste sul petto, guarda e grida: «Più niente! Oh! Signore, mio <strong>Dio</strong>!», e cade<br />

fronte a terra.<br />

«Datele pane e cibi. E tu, Matteo, dàlle un paio dei tuoi sandali. <strong>Io</strong> darò un mantello. Che possa<br />

andare, quando sarà ristorata, dal sacerdote. Dàlle anche l’obolo, Giuda. Per le spese di<br />

purificazione. L’attenderemo al Getsemani per darla a Elisa. Mi ha chiesto una figlia».<br />

«No. Signore. Non riposo. Vado. Subito. Subito».<br />

«Scendi al fiume, allora, lavati, mettiti il manto addosso…».<br />

«Signore, io lo do alla sorella lebbrosa. Lascia che lo faccia ed io la condurrò da Elisa. <strong>Io</strong> guarisco<br />

una seconda volta, vedendo me in lei, felice» dice lo Zelote.<br />

«Sia come vuoi. Dàlle quanto serve. Donna, ascolta bene. Andrai a purificarti e poi andrai a<br />

Betania, cercherai di Lazzaro e dirai che ti ospiti finché <strong>Io</strong> vengo. Va’ in pace».<br />

«Signore! Quando potrò baciarti i piedi?».<br />

«Presto. Va’. Ma sappi che solo il peccato mi fa ribrezzo. E perdona allo sposo perché per suo<br />

mezzo hai trovato Me».<br />

«È vero. Lo perdono. Vado… Oh! Signore! Non ti fermare qui dove ti odiano. Pensa che ho<br />

camminato esausta, per una notte, per venirtelo a dire, e che se invece di Te trovavo altri potevo<br />

essere uccisa a sassate come una serpe.»<br />

«Lo ricorderò. Va’, donna. Brucia la veste. Accompagnala, Simone. Noi vi seguiremo. Al ponte vi<br />

raggiungeremo».<br />

15 Si separano.<br />

«Però ora bisogna purificarsi. Siamo impuri tutti».<br />

«Non era lebbra, Giuda di Simone. <strong>Io</strong> te lo dico».<br />

«Ebbene, io mi purificherò. Non voglio impurità su di me».<br />

«Candido giglio!» esclama Pietro. «Se non si sente impuro il Signore, vuoi sentirtici tu?».<br />

«E per una che Lui dice non lebbrosa? Ma che aveva, Maestro? Tu hai visto la piaga?».<br />

«Sì. Un frutto della lussuria maschile. Ma non era lebbra. E se l’uomo fosse stato onesto non<br />

l’avrebbe scacciata, perché egli era più di lei malato. Ma tutto serve ai lussuriosi per saziare la loro<br />

fame. Tu, Giuda, se vuoi va’ pure. Ci ritroveremo al Getsemani. E purificati! Purificati! Però la<br />

prima delle purificazioni è la sincerità. Tu sei ipocrita, ricordalo. Ma va’ pure».<br />

«No, che resto! Se Tu lo dici, io credo. Non sono perciò impuro e resto con Te. Tu vuoi dire che io<br />

sono lussurioso e che profittavo del fatto per… Ti dimostro che il mio amore sei Tu».<br />

Vanno lesti per la discesa.<br />

15 dicembre.<br />

16 Dice Gesù: «Qui metterete la visione del “Miracolo del Giordano in piena”, avuta il 17<br />

settembre 1944».<br />

Maria Valtorta<br />

L’Evangelo come mi è stato rivelato<br />

Indice del Volume Sesto<br />

364. Al Tempio. Preghiera universale e parabola del figlio vero a dei figli bastardi. *


365. L’insidia dell’Iscariota all’innocenza di Marziam. Un nuovo discepolo, fratello di latte di<br />

Gesù. A Betania, da Lazzaro malato.<br />

366. Anastatica tra le discepole. Le lettere da Antiochia.<br />

367. Giovedì avanti Pasqua. Preparativi nel Getsemani.<br />

368. Giovedì avanti Pasqua. A Gerusalemme a nel Tempio.<br />

369. Giovedì avanti Pasqua. Parabola della lebbra delle case.<br />

370. Giovedì avanti Pasqua. A1 convito dei poveri nel palazzo di Cusa.<br />

371. Giovedì avanti Pasqua. A sera nel palazzo di Lazzaro.<br />

372. Giorno di Parasceve. <strong>Il</strong> risveglio nel palazzo di Lazzaro.<br />

373. Giorno di Parasceve. Al Tempio.<br />

374. Giorno di Parasceve. Per le vie di Gerusalemme a nel sobborgo di Ofel.<br />

375. La cena rituale in casa di Lazzaro e il banchetto sacrilego in casa di Samuele.<br />

376. Lezione sulla salvezza operata dai santi e condanna per il Tempio corrotto.<br />

377. Parabola dell’acqua a del giunco per Maria di Magdala, che ha scelto la parte<br />

migliore.<br />

378. La parabola degli uccelli, contestata da giudei nemici che tendono un<br />

tranello.<br />

379. Una premonizione dell’apostolo Giovanni.<br />

380. L’amore degli apostoli dalla contemplazione all’azione. *<br />

381. La parabola del fattore infedele e accorto. Ipocrisia dei farisei e conversione<br />

di un esseno.<br />

382. Una sosta in casa di Niche.<br />

383. Discorso sulla morte presso il guado del Giordano.<br />

384. <strong>Il</strong> vecchio Anania, custode della casetta di Salomon.<br />

385. Parabola del quadrivio e miracoli presso il paese di Salomon.<br />

386. Verso la sponda occidentale del Giordano.<br />

387. A Galgala. <strong>Il</strong> mendico Ogla e gli scribi tentatori. Gli apostoli paragonati alle<br />

dodici pietre del prodigio di Giosuè.<br />

388. Esortazione a Giuda Iscariota che andrà a Betania con Simone Zelote.<br />

389. Arrivo ad Engaddi con dieci apostoli.<br />

390. La fede di Abramo d’Engaddi e la parabola del seme di palma.<br />

391. Guarigione del lebbroso Eliseo d’Engaddi.<br />

392. L’ostilità di Masada, città-fortezza.<br />

393. Nella casa di campagna di Maria di Keriot.<br />

394. Parabola delle due volontà e commiato dai cittadini di Keriot.<br />

395. Le due madri infelici di Keriot. Addio alla madre di Giuda.<br />

396. A Jutta, con i bambini. La mano risanatrice di Gesù.<br />

397. Commiato dai fedeli di Jutta.<br />

398. Discorso di commiato a Ebron e le illusioni di Giuda Iscariota.<br />

399. Discorso di commiato a Betsur e amore materno di Elisa.<br />

400. A Bétèr da Giovanna di Cusa, che parla del danno provocato dall’Iscariota<br />

presso Claudia.<br />

401. Pietro e Bartolomeo a Bétèr per un grave motivo. Estasi della scrittrice.<br />

402. Giuda Iscariota si sente scoperto nel discorso di commiato a Bétèr.<br />

403. Simone di Giona in una sua lotta e vittoria spirituale.<br />

404. In cammino verso Emmaus della pianura.<br />

405. <strong>Il</strong> riposo in un fienile e il discorso presso Emmaus della pianura.<br />

<strong>Il</strong> piccolo Micael.<br />

406. A Joppe. Predica inutile a Giuda di Keriot e dialogo sull’anima con alcuni<br />

Gentili.<br />

407. Nelle campagne di Nicodemo. La parabola dei due figli.


408. Moltiplicazione del grano nelle campagne di Giuseppe d’Arimatea.<br />

409. <strong>Il</strong> dramma familiare del sinedrista Giovanni.<br />

410. Provocazioni di Giuda Iscariota nel gruppo apostolico.<br />

411. Una lezione tratta dalla natura e spigolatura miracolosa per una vecchietta.<br />

Come aiutare chi si ravvede.<br />

412. Elogio del giglio delle convalli, simbolo di Maria, e sacrificio di Pietro per il<br />

bene di Giuda.<br />

413. Arrivo a Gerusalemme per la Pentecoste e disputa con i dottori nel Tempio.<br />

414. Invettiva contro farisei e dottori al convito in casa del sinedrista Elchia.<br />

415. Breve sosta a Betania.<br />

416. Un mendico samaritano sulla via di Gerico.<br />

417. Storia di Zaccaria lebbroso 2 conversione di Zaccheo pubblicano.<br />

418. Guarigione del discepolo Giuseppe, ferito al capo e ricoverato nella casetta di<br />

Salomon.<br />

419. Guarigioni in un paesello della Decapoli. Parabola dello scultore e delle<br />

statue.<br />

420. Guarigione di un indemoniato completo. La vocazione della donna all’amore.<br />

421. L’indemoniato guarito, i farisei e la bestemmia contro lo Spirito Santo.<br />

422. Malumori dell’Iscariota, che provoca la lezione sui doveri e sui servi inutili.<br />

423. Partenza dell’Iscariota, che provoca la lezione sull’amore a sul perdono.<br />

424. Pensieri di gloria a di martirio alla vista della costa mediterranea.<br />

425. A Cesarea Marittima. Romani gaudenti e parabola dei figli che hanno sorti<br />

diverse.<br />

426. Con le romane a Cesarea Marittima. Profezia in Virgilio. La giovane<br />

schiava salvata.<br />

427. Aurea Galla istruita da Bartolomeo.<br />

428. Parabola della vigna e del vignaiolo, figure dell’anima e del libero arbitrio.<br />

429. Con Giuda Iscariota nella pianura di Esdrelon.<br />

430. <strong>Il</strong> nido caduto e lo scriba crudele. La lettera e lo spirito della Legge.<br />

431. Tommaso prepara l’incontro di Gesù con i contadini di Giocana.<br />

432. Con i contadini di Giocana, presso Sefori.<br />

Maria Valtorta<br />

L’evangelo<br />

come mi è stato<br />

rivelato<br />

Volume sesto


Maria Valtorta<br />

L’evangelo<br />

come mi è stato<br />

rivelato<br />

VOLUME SESTO<br />

364. Al Tempio. Preghiera universale e parabola del figlio vero e dei figli<br />

bastardi.<br />

1° gennaio 1946 - ore 6,35 antimeridiane.<br />

1 Dice Gesù:<br />

«Alzati, Maria. Santifichiamo il giorno con una pagina di Vangelo. Perché la mia Parola è<br />

santificazione. Vedi, Maria. Perché vedere i giorni di Cristo sulla terra è santificazione. Scrivi,<br />

Maria. Perché scrivere del Cristo è santificazione, perché ripetere ciò che dice Gesù è<br />

santificazione, perché predicare Gesù è santificazione, perché istruire i fratelli è santificazione. Ti<br />

sarà data grande ricompensa per questa carità».<br />

2 Gesù ha lasciato Rama (visione del 17-12-45) ed è già in vista di Gerusalemme. Procede, come lo<br />

scorso anno, cantando i salmi prescritti. Molti, sulla strada affollata, si voltano a guardare il gruppo<br />

apostolico che passa. Chi saluta reverente; chi si limita a sogguardare, sorridendo con venerazione,<br />

e queste sono per lo più donne; chi osserva soltanto; chi ha un sorrisetto ironico e sprezzante; e chi,<br />

infine, passa con sussiego e con palese malanimo. Gesù va tranquillo nella sua veste pulita e buona.<br />

Come tutti, anche Lui si è mutato per entrare in ordine e, direi, in eleganza nella città santa.<br />

Anche Marziam quest’anno è all’altezza del momento nelle sue vesti nuove e cammina a fianco di<br />

Gesù, cantando a tutta gola con la sua voce in verità un poco aspretta perché non ancora virile. Ma<br />

il suo tono imperfetto si perde nel coro pieno delle voci dei compagni, e solo emerge limpido come<br />

tinnulo d’argento negli acuti che egli emette ancora con voce bianca e sicura. È felice, Marziam…<br />

In una pausa dei canti, mentre, già in vista della porta di Damasco - perché entrano di lì per andare<br />

subito al Tempio - sostano in attesa che passi una pomposa carovana che tiene tutta la via e fa<br />

ingorgo, di modo che chi è prudente si ferma ai margini della strada, Marziam chiede: «Signor mio,<br />

non dirai un’altra bella parabola per il tuo figlio lontano? Vorrei unirla agli altri scritti che ho;<br />

perché certo troveremo a Betania i suoi messi e le sue notizie. Ed io mi struggo di dare a lui una<br />

gioia, secondo che gli ho promesso e che il suo cuore ed il mio cuore vogliamo...».<br />

«Sì, figlio mio. Certo che te la darò».<br />

«Una proprio che lo consoli, che gli dica che egli è sempre il tuo amato…».<br />

«Così dirò. E ne avrò gioia perché sarà verità detta».<br />

«Quando la dirai, Signore?».<br />

«Subito. Andremo subito al Tempio come è dovere, e là parlerò prima che mi si impedisca di farlo».<br />

«E parlerai per lui?».<br />

«Sì, figlio mio».<br />

«Grazie, Signore! Deve essere doloroso tanto essere separato così…» dice Marziam, che ha quasi<br />

un luccichio di pianto negli occhi neri.


Gesù gli pone la mano sui capelli 3 e si volta ad accennare ai dodici di accostarsi per riprendere la<br />

marcia. I dodici, infatti, si erano fermati ad ascoltare alcuni, non so se credenti nel Maestro o<br />

desiderosi di conoscerlo, che si erano fermati anche loro per la stessa causa che aveva arrestato<br />

Gesù e i suoi.<br />

«Veniamo, Maestro. Ascoltavamo costoro, fra i quali sono proseliti venuti da lontano, i quali<br />

chiedevano dove ti avrebbero potuto avvicinare» dice Pietro accorrendo.<br />

«Per quale motivo lo desiderano?».<br />

E Pietro, ora al fianco di Gesù che riprende il cammino, dice: «Per volontà di udire la tua parola e<br />

per essere guariti da alcuni malanni. Vedi quel carro coperto, dopo il loro? Vi sono proseliti della<br />

Diaspora, venuti per mare o con lungo viaggio, spinti dalla fede in Te, oltre che dal rispetto alla<br />

Legge, a fare questo viaggio. Ve ne sono di Efeso, Perge e Iconio, e ve ne è uno, povero, di<br />

Filadelfia, che essi, ricchi mercanti per lo più, hanno accolto nel carro per pietà, pensando<br />

propiziarsi il Signore».<br />

«Marziam, va’ a dire loro di seguirmi nel Tempio. E avranno questo e quello: salute all’anima con la<br />

parola e salute ai corpi se sapranno aver fede».<br />

<strong>Il</strong> giovinetto se ne va svelto. Ma dai dodici sale un coro di disapprovazioni per «l’imprudenza» di<br />

Gesù che vuole mettersi in evidenza nel Tempio…<br />

«Andiamo apposta per mostrare loro che non ho paura. Per mostrare che nessuna minaccia mi può<br />

fare disubbidire al precetto. Ma non avete ancora capito il loro giuoco? Tutte queste minacce, tutti<br />

questi, solo in apparenza, amichevoli consigli, sono volti all’intento di farmi peccare, per poter<br />

avere un elemento vero di accusa. Non siate vili. Abbiate fede. Non è la mia ora».<br />

«Ma perché non vai prima a rassicurare tua Madre? Ti attende…» dice Giuda Iscariota.<br />

«No. Prima vado al Tempio, che, fino al momento segnato dall’Eterno per la nuova epoca, è la Casa<br />

di <strong>Dio</strong>. Mia Madre soffrirà meno, attendendomi, di quello che non soffrirebbe sapendomi a<br />

predicare nel Tempio. E in tal modo <strong>Io</strong> onorerò il Padre e la Madre, dando al Primo la primizia delle<br />

mie ore pasquali e alla seconda tranquillità. Andiamo, non temete. Del resto, chi ha paura vada al<br />

Getsemani a covare la sua paura fra le donne».<br />

Gli apostoli, sferzati da questa ultima osservazione, non parlano più. Si rimettono in fila, a file di tre<br />

per tre, e solo in quella dove è Gesù, la prima, sono in quattro, finché non viene Marziam a renderla<br />

di cinque, tanto che il Taddeo e lo Zelote si mettono dietro a Gesù lasciandolo al centro fra Pietro e<br />

Marziam.<br />

4 Alla porta di Damasco vedono Mannaen. «Signore, ho pensato che era meglio farmi vedere per<br />

levare ogni dubbio sulla situazione. Ti assicuro che non c’è nulla, tolto il malanimo dei farisei e<br />

scribi, di pericoloso per Te. Puoi andare sicuro».<br />

«Lo sapevo, Mannaen. Ma ti sono grato. Vieni con Me al Tempio. Se non ti è di peso…».<br />

«Di peso? Ma per Te sfiderei tutto il mondo! Farei ogni fatica!».<br />

L’Iscariota borbotta qualcosa. Mannaen si volta risentito. Dice con voce sicura: «No, uomo. Non<br />

sono “parole”. Prego il Maestro di provare la mia sincerità».<br />

«Non ce ne è bisogno, Mannaen. Andiamo».<br />

Procedono fra l’ingorgo della folla e, giunti ad una casa amica, si liberano dalle sacche che<br />

Giacomo, Giovanni e Andrea depositano per tutti in un atrio lungo e oscuro, raggiungendo poi i<br />

compagni.<br />

5 Entrano nel recinto del Tempio passando presso l’Antonia. I soldati romani guardano, ma non si<br />

muovono. Parlottano fra di loro. Gesù li osserva per vedere se c’è alcuno di sua conoscenza. Ma<br />

non vede ne Quintilliano né il milite Alessandro.<br />

Eccoli nel Tempio. Fra il brulichio poco sacro dei primi cortili dove sono mercanti e cambiavalute.<br />

Gesù guarda e freme. Impallidisce e pare alzarsi più ancora di statura, tanto è solenne il suo<br />

incedere severo.<br />

L’Iscariota lo tenta: «Perché non ripeti il gesto santo? Lo vedi? Se ne sono dimenticati… e la<br />

profanazione è di nuovo nella Casa di <strong>Dio</strong>. Non te ne accori? Non sorgi a difesa?». <strong>Il</strong> viso bruno e<br />

bello, ma ironico e falso nonostante ogni studio di Giuda per non farlo apparire tale, è persino<br />

volpino mentre, un poco curvo, come per venerabondo ossequio, dice queste parole a Gesù,


scrutandolo da sotto in su.<br />

«Non è l’ora. Ma tutto ciò sarà purificato. E per sempre!...» dice reciso Gesù.<br />

Giuda ride lievemente e commenta: «<strong>Il</strong> “per sempre” degli uomini!! Molto precario, Maestro! Tu lo<br />

vedi!...».<br />

Gesù non gli risponde, intento come è a salutare da lontano Giuseppe d’Arimatea che passa avvolto<br />

nei suoi paludamenti, seguito da altri.<br />

Fanno le preghiere di rito e poi tornano al cortile dei Gentili, sotto i cui portici si affolla la gente.<br />

6 I proseliti, incontrati per via, hanno sempre seguito Gesù. Hanno trascinato i loro malati con loro<br />

ed ora li adagiano all’ombra, sotto i portici, vicino al Maestro. Le loro donne, che li hanno attesi<br />

qui, si accostano piano piano. Tutte velate. Ma una è già seduta, forse perché malata, e le compagne<br />

la conducono presso gli altri malati. Altra gente si affolla intorno a Gesù. Vedo che c’è dello stupore<br />

e del disorientamento nei gruppi rabbinici e sacerdotali per l’aperta venuta e predicazione di Gesù.<br />

«La pace sia con voi, o voi tutti che ascoltate!<br />

La Pasqua santa riconduce i figli fedeli nella Casa del Padre. Sembra, questa nostra Pasqua<br />

benedetta, una madre sollecita del bene dei figli, la quale li appelli a gran voce perché vengano,<br />

vengano da ogni dove, lasciando in sospeso ogni cura per una cura più grande. L’unica veramente<br />

grande ed utile. Quella di onorare il Signore e Padre. Da questo si capisce come siamo fratelli; e da<br />

questo, con testimonianza soave, sorge l’ordine e l’impegno di amare il prossimo come se stessi.<br />

Non ci siamo mai visti? Ci ignoravamo? Sì. Ma se qui siamo, perché figli di un unico Padre che ci<br />

vuole nella sua Casa al banchetto pasquale, ecco che, se non coi sensi materiali, certo con la parte<br />

superiore, noi sentiamo di essere uguali, fratelli, venuti da Un solo, e ci amiamo perciò come<br />

fossimo cresciuti insieme. Anticipo, questa nostra unione di amore, dell’altra più perfetta che<br />

godremo nel Regno dei Cieli, sotto lo sguardo di <strong>Dio</strong>, tutti abbracciati dal suo Amore: <strong>Io</strong> Figlio di<br />

<strong>Dio</strong> e dell’uomo, con voi, uomini figli di <strong>Dio</strong>; <strong>Io</strong>, Primogenito, con voi, fratelli amati oltre ogni<br />

umana misura, sino a farmi Agnello per i peccati degli uomini.<br />

Ma noi, che godiamo al momento presente la nostra fraterna unione nella Casa del Padre,<br />

ricordiamoci anche dei lontani, che pure ci sono fratelli: nel Signore o nell’origine. Abbiamoli in<br />

cuore. Portiamoli nel nostro cuore, essi, gli assenti, davanti all’altare santo. Preghiamo per loro,<br />

raccogliendo con lo spirito le loro voci lontane, le loro nostalgie di essere qui, i loro aneliti. E come<br />

raccogliamo questi aneliti coscienti degli israeliti lontani, raccogliamo anche quelli delle anime che<br />

appartengono a uomini che neppur sanno di avere un’anima e di essere figli di Un solo. Tutte le<br />

anime del mondo gridano nelle prigioni dei corpi verso l’Altissimo. In buia carcere gemono verso la<br />

Luce. Noi, che nella luce della fede vera siamo, abbiamo misericordia di loro. 7 Oriamo:<br />

Padre nostro che sei nei Cieli, sia santificato da tutta l’umanità il tuo Nome! Conoscerlo è avviarsi<br />

alla santità. Fa’ che i gentili e i pagani conoscano questa tua esistenza, o Padre santo, e come i tre<br />

saggi di un tempo, ormai lontano ma non inerte, perché nulla è inerte di ciò che ha attinenza<br />

coll’avvento della Redenzione nel mondo, vengano a <strong>Dio</strong>, a Te, Padre, guidati dalla Stella di<br />

Giacobbe, dalla Stella del Mattino, dal Re e Redentore della stirpe di Davide, dal tuo Unto, già<br />

offerto e consacrato per essere Vittima per i peccati del mondo.<br />

Venga il tuo Regno in ogni luogo della terra dove ti si conosce e ama, dove ancora non ti si conosce.<br />

E venga soprattutto a quelli, i tre volte peccatori, che pur conoscendoti non ti amano nelle tue opere<br />

e manifestazioni di luce, e cercano respingere e soffocare la Luce venuta nel mondo, perché sono<br />

anime di tenebre che preferiscono le opere di tenebre, e non sanno che voler soffocare la Luce del<br />

mondo è fare offesa a Te stesso, perché Tu sei Luce Ss. e Padre di tutte le luci, cominciando da<br />

quella che si è fatta Carne e Parola per portare la tua luce a tutti gli animi di buona volontà.<br />

Sia fatta, Padre Ss., la tua volontà da ogni cuore che è nel mondo, si salvi cioè ogni cuore, e per<br />

nessuno sia senza frutto il sacrificio della Gran Vittima, perché questa è la tua volontà: che l’uomo<br />

si salvi e goda di Te, Padre santo, dopo il perdono che sta per essere dato.<br />

Dàcci i tuoi aiuti, o Signore; tutti i tuoi aiuti. E dàlli a tutti quelli che attendono, a quelli che non<br />

sanno di attendere, dàlli ai peccatori col pentimento che salva, dàlli ai pagani con la ferita della tua<br />

chiamata che scuote, dàlli agli infelici, dàlli ai reclusi, agli esiliati, ai malati di corpo o di spirito,<br />

dàlli a tutti, Tu che sei il Tutto, perché il tempo della Misericordia è venuto.


Perdona, o Padre buono, i peccati dei tuoi figli. Di quelli del tuo popolo, che sono i più gravi, di<br />

quelli dei colpevoli di voler stare nell’errore, mentre il tuo amore di predilezione proprio a questo<br />

popolo ha dato la Luce. E dà il perdono a quelli che abbrutisce un paganesimo corrotto che insegna<br />

il vizio, e che affogano nella idolatria di questo paganesimo pesante e mefitico, mentre fra essi sono<br />

anime di prezzo esse pure, e che Tu ami avendole create. Noi perdoniamo, <strong>Io</strong> per primo perdono<br />

perché Tu possa perdonare, e sulla debolezza delle creature invochiamo la tua protezione perché<br />

liberi dal Principio del Male, dal quale vengono tutti i delitti, tutte le idolatrie, tutte le colpe,<br />

tentazioni e errori, i tuoi creati. Liberali, o Signore, dal Principe orrendo, perché possano venire alla<br />

Luce eterna».<br />

8 La gente ha seguito attenta questa solenne orazione. Si sono accostati rabbi famosi, fra i quali,<br />

tenendosi pensosamente il mento barbuto, è anche Gamaliele... E si sono accostate un gruppo di<br />

donne, tutte avvolte in mantelli con una specie di cappuccio che ne vela i volti. E i rabbi si sono<br />

scostati sdegnosi… E sono accorsi, attirati dalla notizia che il Maestro è giunto, molti discepoli<br />

fedeli, fra i quali Erma, Stefano, il sacerdote Giovanni. E poi Nicodemo e Giuseppe, inseparabili, e<br />

altri amici loro che mi pare di avere già visto.<br />

Nella pausa che succede all’orazione del Signore, che si raccoglie in Sé, solennemente austero, si<br />

sente Giuseppe d’Arimatea dire: «Ebbene, Gamaliele? Non ti pare questa, ancora non ti pare<br />

questa, parola del Signore?».<br />

«Giuseppe, mi fu detto: “Queste pietre fremeranno al suono delle mie parole”» risponde Gamaliele.<br />

Stefano, irruente, grida: «Compi il prodigio, o Signore! Ordina, ed esse si scardineranno! Crollasse<br />

l’edifizio, ma sorgessero nei cuori le muraglie della tua Fede, grande dono sarebbe! Fàllo al mio<br />

maestro!».<br />

«Bestemmiatore!» urla un gruppo rabbioso di rabbi e di allievi degli stessi.<br />

«No» grida a sua volta Gamaliele. «<strong>Il</strong> mio discepolo parla dicendo parola ispirata. Ma noi non<br />

possiamo accettarla perché l’angelo di <strong>Dio</strong> non ci ha ancora mondati dal passato col carbone* tolto<br />

all’Altare di <strong>Dio</strong>... E forse, neppure se il grido della sua voce» e accenna a Gesù «scrollasse i<br />

cardini di queste porte, noi sapremmo ancora credere…». Si rialza un lembo dell’ampio mantello<br />

candidissimo e se ne incappuccia, velandosi quasi il volto, e se ne va.<br />

Gesù lo guarda andare… 9 Poi riprende la parola rispondendo ad alcuni che borbottano fra loro e che<br />

appaiono scandalizzati e che, per fare più esplicito il loro scandalo, lo scaricano su Giuda di Keriot<br />

con una sequela di querimonie che l’apostolo sorbisce senza reagire, stringendosi nelle spalle con<br />

un volto per nulla soddisfatto.<br />

Gesù dice:<br />

«In verità, in verità vi dico che coloro che paiono bastardi sono figli veri, e quelli che sono figli veri<br />

divengono bastardi. Udite, voi tutti, una parabola.<br />

Un tempo ci fu un uomo il quale, per alcuni suoi impegni, dovette assentarsi per lungo tempo da<br />

casa lasciando dei figli ancora poco più che fanciulli. Dal luogo in cui si trovava scriveva lettere ai<br />

suoi figli maggiori per tenerli sempre nel rispetto del padre lontano e per ricordare loro i suoi<br />

insegnamenti. L’ultimo, nato quando egli era partito, era ancora a balia presso una donna lontana di<br />

lì, dei paesi della moglie, che non era della sua razza. La moglie venne a morire mentre<br />

______________<br />

*l’angelo di <strong>Dio</strong> non ci ha ancora mondati… è immagine presa da Isaia 6, 6-7.<br />

questo figlio era ancora piccolo e lontano da casa. I fratelli dissero: “Lasciamolo là dove è, presso i<br />

parenti di nostra madre. Forse il padre se ne scorderà e noi ne avremo utile, avendo a dividere con<br />

uno di meno, quando nostro padre verrà a morte”. E così fecero. In questa maniera il fanciullo<br />

lontano visse allevato dai parenti materni, ignorando gli insegnamenti del padre, ignorando di avere<br />

un padre e dei fratelli, o peggio conoscendo l’amarezza della riflessione: “Essi tutti mi hanno<br />

ripudiato come fossi un bastardo”, e giunse persino a credere di esserlo, tanto si sentiva reietto dal<br />

padre.<br />

<strong>Il</strong> caso volle che, fatto uomo e messosi ad un impiego - perché, inasprito come era dai pensieri<br />

sopraddetti, aveva preso in odio anche la famiglia di sua madre, che riputava colpevole di adulterio<br />

- questo giovane andasse nella città dove era il padre suo. E senza sapere chi fosse lo avvicinò ed


ebbe modo di sentirlo parlare. L’uomo era un saggio. Non avendo soddisfazioni dai figli lontani -<br />

che ormai facevano da sé, mantenendo solo rapporti convenzionali col padre lontano, tanto per<br />

ricordargli che essi erano i “suoi” figli e che perciò se ne ricordasse nel testamento - si occupava<br />

molto di dare retti consigli ai giovani che aveva modo di avvicinare nella terra dove era. <strong>Il</strong> giovane<br />

fu attratto da quella rettezza, che era paterna verso tanti giovani, e non solo si accostò a lui ma fece<br />

tesoro di ogni sua parola, facendo buono il suo animo inasprito. L’uomo si ammalò, dovette<br />

decidersi a tornare in patria. E il giovane gli disse: “Signore, tu solo mi hai parlato con giustizia,<br />

elevando l’animo mio. Lascia che io ti segua come servo. Non voglio ricadere nel male di prima”.<br />

“Vieni con me. Starai al posto di un figlio di cui non ho più potuto avere notizia”. E tornarono<br />

insieme alla casa paterna.<br />

Né il padre, né i fratelli, né lo stesso giovane, intuirono che il Signore aveva riunito di nuovo quelli<br />

di un sangue sotto un unico tetto. Ma il padre ebbe molto a piangere per i figli a lui noti, perché li<br />

trovò dimentichi dei suoi insegnamenti, avidi, duri di cuore, non più con la fede in <strong>Dio</strong> ma sibbene<br />

con molte idolatrie in cuore: superbia, avarizia e lussuria erano i loro dèi, e non volevano sentire di<br />

altro che utile umano non fosse. Lo straniero, invece, sempre più si accostava al Signore, si faceva<br />

giusto, buono, amoroso, ubbidiente. I fratelli lo odiavano perché il padre amava quello straniero.<br />

Egli perdonava e amava perché aveva capito che nell’amore è la pace.<br />

<strong>Il</strong> padre, un giorno, disgustato dalla condotta dei figli, disse: “Voi vi siete disinteressati dei parenti<br />

di vostra madre e persino del fratello vostro. Mi ricordate la condotta dei figli di Giacobbe verso il<br />

loro fratello Giuseppe*. Voglio andare a quelle terre per sapere di lui. Può darsi che lo ritrovi e che<br />

ne abbia conforto”. E si accomiatò tanto dai figli noti come dal giovane sconosciuto, dando a questo<br />

viatico di denaro perché potesse tornare al luogo da dove era venuto e mettervi un piccolo<br />

commercio.<br />

________________<br />

*la condotta dei figli di Giacobbe verso il loro fratello Giuseppe è narrata in Genesi 37, 3-28.<br />

Giunto alle terre della moglie morta, i parenti di essa gli raccontarono che il figlio abbandonato, dal<br />

nome primitivo di Mosè era passato a quello di Manasse*, perché realmente egli col suo nascere<br />

aveva fatto dimenticare al padre di essere giusto avendolo abbandonato.<br />

“Non fatemi torto! Mi era stato detto che del fanciullo si erano perdute le tracce, e neppure speravo<br />

trovare più alcun di voi. Ma ditemi di lui. Come è? È cresciuto forte? Assomiglia alla mia amata<br />

sposa che si esaurì nel darmelo? È buono? Mi ama?”.<br />

“Forte è forte, e bello è come la madre sua, solo che ha gli occhi di un nero schietto. Ma persino<br />

della madre ha preso la voglia di carruba sul fianco. Di te invece ha la pronuncia lievemente blesa.<br />

Andò da adulto via di qui, inasprito della sua sorte, avendo dubbi sull’onestà della madre, e per te<br />

avendo del rancore. Buono sarebbe stato se non avesse avuto questo rancore nell’anima. Andò oltre<br />

monti e fiumi fino a Trapezius per…”.<br />

“Trapezius dite? Nel Sinopio? Oh! dite! <strong>Io</strong> là ero e vidi un giovane che era lievemente bleso, solo e<br />

triste, e buono tanto sotto la sua crosta di durezza. È lui? Dite!”.<br />

“Forse lui sarà. Ricercalo. Sul fianco destro ha la carruba rilevata e scura come l’aveva la moglie<br />

tua”.<br />

L’uomo partì a precipizio, sperando ritrovare ancora lo straniero alla sua casa. Era partito per<br />

tornare verso la colonia di Sinopio. E l’uomo dietro… Lo trovò. Lo fece venire per scoprirgli il<br />

fianco. Lo riconobbe. Cadde in ginocchio lodando Iddio per avergli reso il figlio, e buono più degli<br />

altri che sempre più imbestiavano mentre questo, nei mesi che erano intercorsi, si era sempre più<br />

fatto santo. E al figlio buono disse: “Tu avrai la parte dei fratelli perché tu, senza amore da parte di<br />

alcuno, ti sei fatto giusto più di ogni altro”.<br />

E non era giustizia? Sì che lo era. In verità vi dico che sono veri figli del Bene coloro che reietti dal<br />

mondo e spregiati, odiati, vilipesi, abbandonati come bastardi, reputati obbrobrio e morte, sanno<br />

superare i figli cresciuti nella casa ma ribelli alle leggi di essa. Non è essere d’Israele che dà diritto<br />

al Cielo. Né è essere farisei, scribi o dottori che assicura la sorte. È avere buona volontà e venire<br />

generosamente alla Dottrina di amore, farsi nuovi in essa, farsi per essa figli di <strong>Dio</strong> in spirito e


verità.<br />

Voi tutti che udite, sappiate che molti, che si credono sicuri in Israele, saranno soppiantati da coloro<br />

che per essi sono pubblicani, meretrici, gentili, pagani e galeotti. <strong>Il</strong> Regno dei Cieli è di chi sa<br />

rinnovarsi accogliendo la Verità e l’Amore».<br />

10Gesù si volge e va verso il gruppo dei malati proseliti. «Sapete voi credere in quanto ho detto?»<br />

chiede forte.<br />

_________________<br />

*Manasse, nel significato di Genesi 41, 51.


«Sì, o Signore!» rispondono in coro.<br />

«Volete voi accogliere Verità e Amore?».<br />

«Sì, o Signore».<br />

«Non vi dessi che queste, sareste contenti?».<br />

«Signore, Tu sai ciò che più ci abbisogna. Dàcci soprattutto la tua pace e la vita eterna».<br />

«Alzatevi e andate a lodare il Signore! Siete guariti nel Nome santo di <strong>Dio</strong>».<br />

E rapido si dirige alla prima porta che trova, mescolandosi nella folla che satura Gerusalemme,<br />

prima ancora che l’orgasmo e lo stupore che è nel cortile dei Pagani possa mutarsi in ricerca<br />

osannante di Lui…<br />

Gli apostoli, disorientati, lo perdono di vista. Solo Marziam, che non ha mai lasciato di tenergli un<br />

lembo del mantello, gli corre a lato felice dicendo: «Grazie, grazie, grazie, Maestro! Per Giovanni,<br />

grazie! Ho scritto tutto mentre parlavi. Non ho che da aggiungere il miracolo. Oh! è bello! Proprio<br />

per lui! Egli ne sarà felice tanto!».<br />

213. L’insidia dell’Iscariota all’innocenza di Marziam. Un nuovo discepolo, fratello di latte di<br />

Gesù. A Betania, da Lazzaro malato.<br />

3 gennaio 1946.<br />

1 Gesù entra nel verde placido dell’orto degli Ulivi.<br />

Marziam è sempre al suo fianco e ride pensando alla corsa affannosa che certo farà Pietro per<br />

raggiungerli. Dice: «Oh! Maestro! Chissà quante ne dice! Se poi Tu avessi proseguito per Betania<br />

senza fermarti qui, sarebbe proprio in uno stato desolato».<br />

Gesù sorride anche Lui guardando il giovinetto e risponde: «Sì. Mi seppellirà sotto i lamenti. Ma gli<br />

servirà per un’altra volta. A stare più attento. <strong>Io</strong> parlavo, lui si distraeva a ciarlare con questo e<br />

quello...».<br />

«Lo interrogavano, Signore» scusa Marziam non ridendo più.<br />

«Con buona grazia si fa cenno che si risponderà dopo, quando la Parola del Signore tace.<br />

2 Ricòrdatelo, per la tua vita futura. Per quando sarai sacerdote. Esigi il massimo rispetto nelle ore di<br />

istruzione e nei luoghi di istruzione».<br />

«Ma allora sarà il povero Marziam, Signore, quello che parlerà…».<br />

«Non importa. È sempre <strong>Dio</strong> che parla sulle labbra dei suoi servi, nelle ore del loro ministero. E<br />

come tale va udito con silenzio e rispetto».<br />

Marziam fa una smorfietta significativa a commento di un suo interno ragionamento.<br />

Gesù, che lo osserva, dice: «Non ne sei persuaso? Perché quell’espressione? Parla, figlio, senza<br />

timore».<br />

«Signor mio, mi chiedevo se <strong>Dio</strong> è anche sulle labbra e nel cuore dei suoi sacerdoti di ora… e…<br />

con terrore mi dicevo se saranno uguali quelli futuri… E concludevo dicendo che… fanno fare una<br />

brutta figura al Signore molti sacerdoti… Ho certo peccato… Ma sono così cattivi ed esosi, così<br />

aridi… che…».<br />

«Non giudicare. Ma ricorda però questo senso di disgusto. Abbilo presente nel futuro. E con tutte le<br />

tue forze mira a non essere quali sono quelli che ti disgustano. E che non lo siano quelli che<br />

dipenderanno da te. Fa’ servire al bene anche il male che vedi. Ogni azione e ogni cognizione deve<br />

essere mutata in bene passando da un giudizio e da una volontà retta».<br />

«Oh! Signore! Prima di entrare nella casa che già si vede, rispondimi ancora ad una cosa! Tu non<br />

neghi che l’attuale sacerdozio sia manchevole. Dici a me di non giudicare. Ma Tu giudichi. E lo<br />

puoi fare. E giudichi con giustizia. Ora ascolta, Signore, il mio pensiero. Quando gli attuali<br />

sacerdoti parlano di <strong>Dio</strong> e della religione, essendo quali sono nella maggioranza, ed io parlo ora dei<br />

più cattivi fra essi, vanno ancora ascoltati come verità?».<br />

«Sempre, figlio mio. Per rispetto alla loro missione. Quando fanno atti del loro ministero non sono


più l’uomo Anna, o l’uomo Sadoc, e così via. Ma sono “il sacerdote”. Scindi sempre la povera<br />

umanità dal ministero».<br />

«Ma se fanno male anche questo…».<br />

«<strong>Dio</strong> sopperirà. 3E poi!… Ascolta, Marziam! Non c’è nessun uomo completamente buono e nessuno<br />

completamente malvagio. E nessuno è così completamente buono da essere in diritto di giudicare i<br />

fratelli per completamente malvagi. Bisogna tenere presenti i nostri difetti, contrapporre ad essi le<br />

doti buone di chi vogliamo giudicare, e allora avremmo una misura giusta di caritatevole giudizio.<br />

<strong>Io</strong> non ho ancora trovato un uomo completamente malvagio».<br />

«Neppure Doras, Signore?».<br />

«Neppure lui, perché è marito onesto e padre amoroso».<br />

«Neppure il padre di Doras?».<br />

«Egli pure era marito onesto e padre amoroso».<br />

«Ma non era che quello, però!».<br />

«Non era che quello. Ma in quello non era malvagio. Perciò non era completamente malvagio».<br />

«E neanche Giuda è malvagio?».<br />

«No».<br />

«Ma non è buono, però».<br />

«Non è totalmente buono come non è totalmente malvagio. Non sei persuaso di ciò che dico?».<br />

«Sono persuaso che Tu sei totalmente buono e che sei assolutamente privo di malvagità. Questo sì.<br />

Lo sei tanto che non trovi mai accusa per nessuno…».<br />

«Oh! figlio mio! Se <strong>Io</strong> dicessi la prima sillaba di una parola di accusa, voi tutti vi scagliereste come<br />

belve sull’accusato!… <strong>Io</strong> evito che voi vi macchiate di peccato di giudizio col fare così. Capiscimi,<br />

Marziam. Non è che <strong>Io</strong> non veda il male là dove è. Non è che <strong>Io</strong> non veda il miscuglio di male e<br />

bene che è in alcuni. Non è che <strong>Io</strong> non capisca quando un’anima sale o scende dal livello dove l’ho<br />

portata. Non è nulla di tutto questo, figlio mio. Ma è prudenza per evitare le anticarità in voi. E farò<br />

sempre così. Anche nei secoli futuri, quando dovrò pronunciarmi su una creatura. Non lo sai, figlio,<br />

che talora vale più una parola di lode, di incoraggiamento, a mille rimproveri? Non sai che su cento<br />

casi pessimi, indicati come relativamente buoni, almeno la metà divengono realmente buoni perché<br />

non manca allora, dopo la mia benevola parola, l’aiuto dei buoni che altrimenti fuggirebbero<br />

dall’individuo indicato come pessimo? Bisogna sorreggerle le anime. Non accasciarle. Ma se <strong>Io</strong><br />

non sono il primo a sorreggere, a velare le parti brutte, a sollecitare in voi benignità e aiuto per esse,<br />

mai voi vi dareste ad esse con attiva misericordia. Ricordalo, Marziam…».<br />

«Sì, Signore… (un gran sospirone). Lo ricorderò… (altro sospirone)… Ma è molto difficile davanti<br />

a certe evidenze…».<br />

4Gesù lo guarda fissamente. Ma del giovinetto non vede che il sommo della fronte perché egli<br />

abbassa molto il viso.<br />

«Marziam, alza il volto. Guardami. E rispondimi. Quale è l’evidenza che è difficile trascurare?».<br />

Marziam si confonde… Si fa rosso sotto il brunetto della pelle… Risponde: «Ma… sono tante,<br />

Signore…».<br />

Gesù incalza: «Perché hai nominato Giuda? Perché è una “evidenza”. Forse quella che ti è più<br />

difficile superare… Che ti ha fatto Giuda? In che ti ha scandalizzato?», e Gesù pone le mani sulle<br />

spalle del giovanetto, che ora è tutto di porpora cupa tanto è arrossito.<br />

Marziam lo guarda ad occhi lustri e poi si svincola e scappa gridando: «È un profanatore, Giuda!...<br />

Ma non posso dire... Rispettami, Signore!...», e si imbosca piangendo, invano chiamato da Gesù che<br />

ha un atto di sconfortato dolore.<br />

5La sua voce ha però attirato l’attenzione di quelli della casa del Getsemani. E sulla soglia della<br />

cucina appare Giona e poi la Madre di Gesù e dietro le discepole: Maria di Cleofa, Maria Salome e<br />

Porfirea. Vedono Gesù e si dànno a camminare alla sua volta.<br />

«La pace a voi tutti! Eccomi, Mamma!».<br />

«Solo? Perché?».<br />

«Sono corso avanti. Gli altri li ho lasciati al Tempio… Ma ero con Marziam…».<br />

«E dove è ora il figlio mio, che non lo vedo?» chiede Porfirea un poco inquieta.


«È salito lassù… Ma ora verrà. Avete cibo per tutti? Fra poco verranno gli altri».<br />

«No, Signore. Avevi detto che andavi a Betania…».<br />

«Già… Ma ho pensato essere bene di fare così. Andate svelte a prendere quanto occorre, e svelte<br />

tornate. <strong>Io</strong> resto con la Madre mia».<br />

Le discepole ubbidiscono senza discutere.<br />

6 Restano soli Gesù con Maria e passeggiano lenti sotto l’intrico delle ramaglie, dalle quali filtrano<br />

aghi di sole a mettere cerchiolini d’oro sull’erbetta verde e fiorita.<br />

«Andrò dopo il pasto a Betania. Con Simone».<br />

«Simone di Giona?».<br />

«No. Con Simone Zelote. E porterò meco Marziam…». Gesù tace pensieroso.<br />

Maria l’osserva. Poi chiede: «Hai dispiaceri da Marziam?».<br />

«No, Mamma. Tutt’altro! Perché lo pensi?».<br />

«Perché sei pensieroso?… Perché lo chiamavi con imperio? E perché lui ti ha lasciato? Perché si è<br />

staccato da Te come vergognoso? Neppure è venuto a salutare sua madre e me!».<br />

«<strong>Il</strong> fanciullo è fuggito per una mia domanda».<br />

«Oh!…», Lo stupore di Maria è profondissimo. Tace per un poco e poi mormora, come parlando a<br />

se stessa: «I due nel terrestre Paradiso* fuggirono, dopo il peccato, udendo la voce di <strong>Dio</strong>... Ma, o<br />

Figlio mio, bisogna avere pietà del fanciullo. Comincia ad essere uomo… e forse… Figlio mio,<br />

Satana morde tutti gli uomini...». Maria è tutta pietosa e supplichevole…<br />

Gesù la guarda e le dice: «Come sei madre! Come sei “la Madre”! Ma non credere che il fanciullo<br />

abbia peccato. Anzi devi credere che soffra per la scottatura di una rivelazione. È molto puro. È<br />

molto buono... Lo porterò con Me, oggi. Per fargli capire, senza parole, che lo capisco. Ogni parola<br />

sarebbe di troppo… e non ne troverei una per scusare il violatore di un’innocenza». Gesù è severo<br />

in queste ultime parole.<br />

«Oh! Figlio! A questo siamo! Non ti chiedo nomi. Ma se uno ci fu capace, fra noi, di turbare il<br />

fanciullo, uno solo può essere stato… Che demonio!».<br />

7 «Andiamo a cercare Marziam, Mamma. Egli non fuggirà davanti a te».<br />

Vanno e lo scovano dietro un cespuglio di biancospini.<br />

«Coglievi dei fiori per me, figlio mio?» chiede Maria andandogli davanti ed abbracciandolo…<br />

«No. Ma ti desideravo» dice Marziam con ancora delle lacrime sul viso.<br />

«Ed io sono venuta. Su, presto! Che oggi devi andare col mio Gesù a Betania! E devi essere<br />

ravviato come si conviene».<br />

Marziam splende nel viso, già sviato dal suo turbamento di prima, e dice: «<strong>Io</strong> solo con Lui?».<br />

«E con Simone Zelote».<br />

Marziam, molto fanciullo ancora, fa un salto di gioia e corre fuori dal suo nascondiglio andando a<br />

cadere sul petto di Gesù… Si trova confuso.<br />

________________<br />

* I due nel terrestre Paradiso… è citazione di Genesi 3, 8.<br />

Ma Gesù ride e lo eccita dicendo: «Corri a vedere se è venuto, tuo padre». E mentre Marziam parte<br />

di corsa, Gesù osserva: «È un vero fanciullo pur essendo già assennato nel pensiero. Turbargli il<br />

cuore è un gran delitto. Ma provvederò», e intanto cammina verso casa con Maria.<br />

Ma non fanno a tempo ad arrivare che vedono Marziam che galoppa indietro. «Maestro… Madre…<br />

Ci sono persone… persone di quelle che erano nel Tempio… I proseliti… C’è una donna… Una<br />

donna che vuole vedere te, o Madre… Dice che ti ha conosciuta a Betlemme… Si chiama Noemi».<br />

«Ne ho conosciute tante, allora! Ma andiamo…».<br />

8 Giungono al piazzaletto dove è la casa. Un gruppo di persone attende e, appena vede Gesù, si<br />

prostra. Ma subito una donna si alza e corre a gettarsi ai piedi di Maria salutandola a nome.<br />

«Chi sei? <strong>Io</strong> non ti ricordo. Alzati».<br />

La donna si alza e sta per parlare quando giungono trafelati gli apostoli.


«Ma Signore! Ma perché? Abbiamo corso come pazzi per Gerusalemme. Ti credevamo andato da<br />

Giovanna o da Annalia… Perché non ti sei fermato?» domandano e informano confusamente.<br />

«Ora siamo insieme. Inutile spiegare il perché. Lasciate che questa donna parli in pace».<br />

Tutti si affollano ad ascoltare.<br />

«Tu non ti ricordi di me, o Maria di Betlemme. Ma io da trentuno anni ricordo il tuo nome e il tuo<br />

viso come quello della pietà. Ero venuta anche io da lontano, da Perge, per l’Editto. Ed ero gravida.<br />

Ma speravo tornare in tempo. <strong>Il</strong> marito si ammalò per via, e a Betlemme languì fino a morire. <strong>Io</strong><br />

avevo partorito da venti giorni quando egli morì. E le mie grida forarono il cielo e mi seccarono il<br />

latte o lo fecero veleno. <strong>Io</strong> mi coprii di pustole e di pustole si coprì il figlio mio… E fummo gettati<br />

in una spelonca a morire… Ebbene… Tu, tu sola venisti, guardinga, ogni poco per tutta una luna,<br />

portandomi cibo e medicando le mie piaghe, piangendo con me, dando latte alla mia creatura che è<br />

viva per te, per te sola… Hai rischiato di essere uccisa a colpi di pietra, perché mi chiamavano “la<br />

lebbrosa”… Oh! mia stella soave! Non ho dimenticato questo. Sono partita dopo la guarigione. E ho<br />

saputo della strage a Efeso. Ti ho cercata tanto! Tanto! Tanto! Non potevo crederti uccisa col Figlio<br />

nella notte tremenda. Ma non ti ho mai trovata. Nella scorsa estate uno di Efeso udì tuo Figlio,<br />

seppe chi era, lo seguì alcun tempo, fu con altri al suo seguito ai Tabernacoli... E tornando ha detto.<br />

<strong>Io</strong> sono venuta per vederti, o Santa, prima di morire. Per benedirti tante volte quante sono le stille<br />

del latte che hai dato al mio Giovanni, levandolo al Figlio tuo benedetto…». La donna piange,<br />

stando in posa riverente, un poco curva, con le mani strette alle braccia di Maria…<br />

«<strong>Il</strong> latte non si nega mai, sorella. E…».<br />

«Oh! no. <strong>Io</strong> non sorella tua! Tu, Madre del Salvatore; io, povera donna sperduta, lontana dalla sua<br />

casa, vedova con un figlio al seno, al seno arido come torrente in estate... Senza te sarei morta. Tu<br />

tutto mi hai dato, ed ho potuto tornare dai fratelli miei, mercanti ad Efeso, per te».<br />

«Eravamo due madri, due povere madri, con due bambini, per il mondo. E tu avevi il tuo dolore di<br />

vedova, io quello di dover essere trafitta nel mio Figlio, come diceva nel Tempio il vecchio<br />

Simeone. Non ho fatto che il mio dovere di sorella dandoti ciò che tu non avevi più. 9 E il figlio tuo<br />

vive?».<br />

«Egli è là. E il tuo Figlio santo me lo ha guarito questa mattina. Che ne sia benedetto!». E la donna<br />

si prostra al Salvatore gridando: «Vieni, Giovanni, a ringraziare il Signore».<br />

Viene avanti, lasciando i compagni, un uomo dell’età di Gesù, robusto, dal volto leale se non bello.<br />

Di bello ha l’espressione degli occhi profondi.<br />

«La pace a te, fratello di Betlem. Di che ti ho guarito?».<br />

«Dalla cecità, Signore. Un occhio perduto, l’altro prossimo a perdersi. Ero sinagogo, ma non potevo<br />

più leggere i sacri rotoli».<br />

«Ora li leggerai con maggior fede».<br />

«No, Signore. Ora leggerò Te. Voglio rimanere come discepolo. E senza vantare diritti per le gocce<br />

del latte succhiate al seno dove Tu ti nutrivi. Non sono niente i giorni di una luna per creare un<br />

legame. Ma tutto è la pietà di tua Madre, allora, e la tua di questa mattina».<br />

Gesù si volge alla donna: «E tu che ne pensi?».<br />

«Che mio figlio ti appartiene per due volte. Accettalo, Signore. E il sogno della povera Noemi sarà<br />

compiuto».<br />

«Sta bene. Sarai del Cristo. A voi: ricevete il compagno in nome del Signore» dice volgendosi agli<br />

apostoli.<br />

I proseliti sono esaltati di emozione. Gli uomini vorrebbero subito rimanere. Tutti. Ma Gesù<br />

fermamente dice: «No. Voi restate ciò che siete. Tornate alle vostre case conservando la fede e<br />

attendendo l’ora della chiamata. E il Signore sia sempre con voi. Andate».<br />

«Potremo trovarti ancora qui?» chiedono.<br />

«No. Come un uccello che vola di ramo in ramo, <strong>Io</strong> andrò senza sosta. Non mi troverete qui. Non<br />

ho itinerario e dimora. Ma, se giusto sarà, ci vedremo e mi udrete. Andate. Resti la donna col nuovo<br />

discepolo».<br />

Ed entra in casa seguito dalle donne e dagli apostoli, che commentano commossi l’episodio<br />

ignorato fino ad allora e la carità profonda di Maria.


10 E Gesù, con passo sollecito, va a Betania. Sono ai suoi lati Simone Zelote e Marziam. Felici di<br />

essere loro due i prescelti per questa visita.<br />

Marziam, completamente rasserenato, fa mille domande sulla donna venuta da Efeso, chiede se<br />

Gesù sapeva questo fatto, e cosi via.<br />

«Non lo sapevo. Le bontà di mia Madre sono infinite e fatte con cosi mite silenzio che restano per<br />

lo più ignote».<br />

«È molto bello, però, l’episodio» dice lo Zelote.<br />

«Sì. Tanto che lo voglio far sapere a Giovanni di Endor. Che dici, Maestro? Troveremo sue lettere a<br />

Betania?».<br />

«Ne sono quasi certo».<br />

«Dovremmo trovare anche la donna guarita dalla lebbra» osserva lo Zelote.<br />

«Sì. Ha osservato con fedeltà i precetti. Ma ormai il tempo della purificazione deve essere<br />

compiuto».<br />

11 Betania appare sul suo pianoro. Passano davanti alla casa dove un tempo erano i pavoni,<br />

fenicotteri e gralle. Ora è abbandonata e chiusa. Simone lo nota.<br />

Ma la sua osservazione è interrotta dal giulivo saluto di Massimino che sbuca fuor dal cancello.<br />

«Oh! Maestro santo! Che felicità in tanto dolore!».<br />

«Pace a te. Perché dolore?».<br />

«Perché Lazzaro spasima per le sue gambe ulcerate. E non sappiamo che fare per sollevare quella<br />

pena. Ma vedendo Te starà meglio, di spirito almeno».<br />

Entrano nel giardino e, mentre Massimino corre avanti, loro procedono adagio verso la casa.<br />

Corre fuori Maria di Magdala col suo grido adorante: «Rabbomi!», e la segue più calma Marta.<br />

Sono entrambe pallide come chi ha sofferto e vegliato.<br />

«Alzatevi. Andiamo subito da Lazzaro».<br />

«Oh! Maestro! Maestro che puoi tutto, guariscimi il fratello mio!» supplica Marta.<br />

«Sì, Maestro buono! Egli soffre più che non possa! Si emunge, geme. Certo morirà se così dura.<br />

Abbi pietà di lui, Signore!» incalza Maria.<br />

«Ho tutta la pietà. Ma non è per lui ora di miracolo. Sia forte, e voi con lui. Sostenetelo a fare la<br />

volontà del Signore».<br />

«Ah! Tu vuoi dire che egli deve morire?!» geme e chiede Marta in lacrime.<br />

E Maria, con gli occhi nuotanti nel pianto e la passione, la duplice passione per Gesù e per il<br />

fratello, nella voce: «Oh! Maestro, ma così facendo mi impedisci di seguirti e servirti, e impedisci al<br />

fratello di godere della mia risurrezione. Non vuoi dunque che in casa di Lazzaro si giubili per una<br />

risurrezione?».<br />

Gesù la guarda con un sorriso buono e arguto, e dice: «Per una? Una sola? Suvvia! Mi credete ben<br />

poca cosa, se credete che possa una cosa sola! Siate buone e forti. Andiamo. E non piangete così. Lo<br />

accascereste di penosi sospetti». E si avvia per il primo.<br />

12 Lazzaro, per comodità di assistenza di certo, è stato portato in una sala presso la biblioteca, di<br />

fronte alla sala maggiore dedicata ai conviti. Massimino indica la porta, ma lascia che Gesù entri<br />

solo.<br />

«La pace a te, Lazzaro, amico mio!».<br />

«Oh! Maestro santo! La pace a Te. Per me, nelle mie membra, non c’è più pace. E accasciato è lo<br />

spirito mio. Soffro tanto, Signore! Dàmmi il caro comando: “Lazzaro, vieni fuori”, ed io sorgerò<br />

guarito, per servirti…».<br />

«Te lo darò, Lazzaro. Ma non ora» risponde Gesù abbracciandolo.<br />

Lazzaro è molto magro, giallognolo, cogli occhi incavati. Palesemente molto malato e molto<br />

indebolito. Piange come un bambino nel mostrare le sue gambe gonfie, bluastre, con piaghe che<br />

direi varicose, aperte in più punti. Forse spera che, mostrando a Gesù quella rovina, Gesù si<br />

commuova e faccia miracolo. Ma Gesù si limita a ricomporre con delicatezza i lini sparsi di<br />

balsamo sulle piaghe.<br />

«Sei venuto per fermarti?» chiede Lazzaro deluso.


«No. Ma verrò sovente».<br />

«Come? Neppure quest’anno fai la Pasqua con me? Mi sono fatto portare qui apposta. Mi avevi<br />

promesso ai Tabernacoli che saresti stato tanto con me, dopo le Encenie…».<br />

«E ci starò. Ma non ora. Ti do noia a sedermi qui, sulla sponda del tuo letto?».<br />

«Oh! no. Anzi, la frescura della tua mano pare mitigare l’ardore della mia febbre. Perché non resti,<br />

Signore?».<br />

«Perché, come tu sei tormentato dalle piaghe, <strong>Io</strong> lo sono dai nemici. Per quanto Betania sia<br />

considerata nei termini per la Cena, e per tutti, per Me si considererebbe peccato consumare la<br />

Pasqua qui. Tutto è cammello e trave di ciò che <strong>Io</strong> faccio, per il Sinedrio e i farisei…».<br />

«Ah! i farisei! È vero! Ma in una mia casa, allora… Questo almeno!».<br />

«Questo sì. Ma lo dirò all’ultima ora. Per prudenza».<br />

«Oh! sì. Non ti fidare. 13 Ti è andata bene con Giovanni. Sai? Ieri è venuto Tolmai con altri e mi ha<br />

portato lettere per Te. Le hanno le sorelle. Ma dove sono rimaste Marta e Maria? Non provvedono a<br />

farti onore?». Lazzaro è inquieto come molti malati.<br />

«Sta’ buono. Sono fuori con Simone e Marziam. Sono venuto con loro. E non abbisogno di nulla.<br />

Ora li chiamo». E infatti chiama quelli che, prudenti, erano rimasti fuori.<br />

Marta esce e torna con due rotoli che dà a Gesù. Maria riferisce intanto che il servo di Nicodemo ha<br />

detto che precede il padrone che viene con Giuseppe d’Arimatea. E contemporaneamente Lazzaro si<br />

sovviene di una donna «giunta ieri a tuo nome», dice.<br />

«Ah! Sì! Sai chi è?».<br />

«Ce lo ha detto. È figlia di un ricco di Gerico andato in Siria da anni, da giovane. L’ha chiamata<br />

Anastasica* in ricordo del fior del deserto. Non ha voluto rivelare il nome del marito, però» spiega<br />

Marta.<br />

«Non occorre. L’ha ripudiata e perciò ella è unicamente “la discepola”. Dove è?».<br />

«Dorme stanca. In questi giorni e notti è vissuta molto male. Se vuoi la chiamo»,<br />

«No. Lasciala dormire. Provvederò domani».<br />

14 Lazzaro guarda Marziam ammirato. E Marziam è sulle spine, Vorrebbe sapere ciò che è nei rotoli.<br />

Gesù lo comprende e li apre. Lazzaro dice: «Come? Egli sa?».<br />

______________________<br />

* Anastasica (più correttamente Anastatica, come in 366.1) è la Rosa di Gerico incontrata in<br />

360.13/14. I due nomi, appartenenti alla stessa persona, sono di una pianta che qui viene chiamata<br />

fior del deserto.<br />

«Sì. Egli e gli altri meno Natanaele, Filippo, Tommaso e Giuda…».<br />

«Bene hai fatto a tenerlo celato a lui!» prorompe Lazzaro. «<strong>Io</strong> ho molti sospetti…».<br />

«Non sono imprudente, amico» lo interrompe Gesù, e legge i rotoli riferendo poi le notizie<br />

principali, ossia che i due si sono acclimatati, che la scuola prospera e che, senza il declinare di<br />

Giovanni, tutto andrebbe bene. 15 Ma non può dire di più perché si annuncia la venuta di Nicodemo<br />

e Giuseppe.<br />

«<strong>Dio</strong> ti salvi, o Maestro! Sempre, come stamane!».<br />

«Grazie, Giuseppe. E tu, Nicodemo, non c’eri?».<br />

«No. Ma, saputo che eri giunto, ho pensato venire da Lazzaro, quasi certo di trovarti. E Giuseppe si<br />

è unito a me».<br />

Parlano dei fatti del mattino intorno al letto di Lazzaro, che tanto se ne interessa da parere sollevato<br />

dal suo soffrire.<br />

«Ma quel Gamaliele, Signore! Hai sentito?» dice Giuseppe d’Arimatea.<br />

«Ho sentito».<br />

Nicodemo dice: «<strong>Io</strong> invece dico: ma quel Giuda di Keriot, Signore! Dopo la tua partenza lo trovai<br />

vociante come un demonio in mezzo a un gruppo di allievi dei rabbi. Ti accusava e difendeva<br />

insieme. E sono certo che era convinto di non fare che bene. Essi volevano trovarti in colpa, certo<br />

aizzati in ciò dai maestri. Egli controbatteva le accuse con una foga accorata dicendo: “Solo una


colpa ha il Maestro mio! Di fare troppo poco risaltare la sua potenza. Lascia fuggire l’ora buona.<br />

Stanca i buoni con la sua eccessiva mitezza. Re è! E da re deve agire. Voi lo trattate da servo perché<br />

Egli è mite. Ed Egli si rovina per non essere che mite. Per voi, vili e crudeli, non c’è che la sferza di<br />

un potere assoluto e violento. Oh! perché non posso fare di Lui un violento Saulle?».<br />

Gesù crolla il capo senza parlare.<br />

«Eppure, a modo suo ti ama» osserva Nicodemo.<br />

«Che uomo sconcertante!» esclama Lazzaro.<br />

«Sì. Hai detto bene. <strong>Io</strong> non lo capisco ancora, dopo due anni che gli sto vicino» conferma lo Zelote.<br />

Maria di Magdala si alza con un’imponenza da regina, e con la sua splendida voce proclama: «<strong>Io</strong><br />

l’ho capito più di tutti: è l’obbrobrio vicino alla Perfezione. E non c’è altro da dire», ed esce per<br />

qualche incombenza, portando con sé Marziam.<br />

«Forse Maria ha ragione» dice Lazzaro.<br />

«Lo penso io pure» dice Giuseppe.<br />

16 «E Tu, Maestro, che dici?».<br />

«Dico che Giuda è “l’uomo”. Come lo è Gamaliele. L’uomo limitato presso <strong>Dio</strong> infinito. L’uomo è<br />

così ristretto nel suo pensiero, finché non dà ad esso respiro soprannaturale, che può accogliere una<br />

sola idea, incrostarla in sé, o incrostarsi in essa, e stare lì. Anche contro l’evidenza. Cocciuto.<br />

Ostinato. Per fede, magari, alla cosa che più lo ha colpito. In fondo Gamaliele ha una fede, come<br />

pochi in Israele, nel Messia da lui intravisto e riconosciuto in un fanciullo. Ed è fedele alle parole di<br />

quel fanciullo... E così Giuda. Saturo dell’idea messianica quale il più d’Israele la coltiva,<br />

confermato in essa dal mio primo manifestarsi a lui, vede, vuol vedere nel Cristo il re. <strong>Il</strong> re<br />

temporale e potente… ed è fedele a questo suo concetto. Oh! quanti, anche in futuro, si rovineranno<br />

per una concezione di fede sbagliata, testarda ad ogni ragione! Ma che credete voi? Che sia facile<br />

seguire la verità e la giustizia in tutte le cose? Che credete voi? Che sia facile salvarsi solo perché si<br />

è un Gamaliele e un Giuda apostolo? No. In verità, in verità vi dico che è più facile si salvi un<br />

fanciullo, un comune fedele, che uno elevato a carica speciale e a speciale missione. Generalmente<br />

entra, nei vocati a sorte straordinaria, la superbia della loro vocazione, e questa superbia apre le<br />

porte a Satana, cacciando <strong>Dio</strong>. Le cadute delle stelle sono più facili di quelle dei sassi. <strong>Il</strong> Maledetto<br />

cerca di spegnere gli astri e si insinua, si insinua tortuoso a far da leva agli eletti per poterli<br />

ribaltare. Se cadono nei comuni errori mille e diecimila uomini, la loro caduta non travolge che loro<br />

stessi. Ma se cade uno eletto a straordinaria sorte, e diviene strumento di Satana anziché di <strong>Dio</strong>, sua<br />

voce anziché “mia” voce, suo discepolo anziché “mio” discepolo, allora la rovina è ben più grande e<br />

può dare origine persino ad eresie profonde che ledono un numero senza numero di spiriti. <strong>Il</strong> bene<br />

che <strong>Io</strong> do ad uno darà molto bene se cade su terreno umile e che sa rimanere tale. Ma se cade su<br />

terreno superbo o che diventa tale per il dono avuto, allora da bene diviene male. A Gamaliele fu<br />

concessa una delle prime epifanie del Cristo. Doveva essere la sua precoce chiamata al Cristo. È la<br />

ragione della sua sordità alla mia voce che lo chiama. A Giuda fu concesso di essere apostolo, uno<br />

dei dodici apostoli fra le migliaia di uomini di Israele. Doveva questo essere la sua santificazione.<br />

Ma che sarà?… Amici miei, l’uomo è l’eterno Adamo… Aveva tutto Adamo. Tutto meno una cosa.<br />

Volle quella. E purché l’uomo resti Adamo! Ma ben sovente diviene Lucifero. Ha tutto meno la<br />

divinità*. Vuole quella. Vuole il soprannaturale per stupire, per essere acclamato, temuto,<br />

conosciuto, celebrato… E per avere qualcosa di ciò che solo <strong>Dio</strong> può dare gratuitamente si abbranca<br />

a Satana, il quale è la Scimmia di <strong>Dio</strong> e dà simulazioni di doni soprannaturali. Oh! che orrenda sorte<br />

quella di questi insatanassati! 17 Vi lascio, amici. Mi ritiro alquanto. Ho bisogno di raccogliermi in<br />

<strong>Dio</strong>...».<br />

Gesù, molto turbato, esce… I rimasti: Lazzaro, Giuseppe, Nicodemo e lo Zelote, si guardano.<br />

«Hai visto come si era turbato?» chiede sottovoce Giuseppe a Lazzaro.<br />

«Ho visto. Pareva vedesse uno spettacolo orrendo».<br />

«Che avrà nel cuore?» chiede Nicodemo.<br />

«Solo Lui e l’Eterno lo sanno» risponde Giuseppe.<br />

«Tu sai nulla, Simone?».<br />

«No. Certo è che da mesi Egli è molto angosciato».


«<strong>Dio</strong> lo salvi! Ma certo è che l’odio cresce».<br />

_______________________<br />

*Ha tutto meno la divinità. Così spiega una nota di MV su una copia dattiloscritta: L’uomo è<br />

divinizzato dalla Grazia, ma non è <strong>Dio</strong>. Diventa simile a <strong>Dio</strong> per partecipazione ma non per natura<br />

uguale.<br />

«Sì, Giuseppe. L’odio cresce… <strong>Io</strong> credo che presto l’odio vincerà l’Amore».<br />

«Non lo dire, Simone! Se così deve essere, non chiederò più di essere guarito! Meglio morire<br />

anziché assistere al più orrendo degli errori».<br />

«Dei sacrilegi, devi dire, Lazzaro…».<br />

«Eppure… Israele è capace di questo. È maturo a ripetere il gesto di Lucifero muovendo guerra al<br />

Signore benedetto» sospira Nicodemo.<br />

Un silenzio penoso si forma, come una morsa che strozzi ogni gola… La sera scende nella stanza<br />

dove quattro onesti pensano ai delinquenti futuri.<br />

366. Anastatica tra le discepole. Le lettere da Antiochia.<br />

22 gennaio 1946.<br />

1 Gesù ha lasciato Betania insieme a quelli che erano con Lui, ossia Simone Zelote e Marziam. Ma<br />

ad essi si è aggiunta Anastatica che, tutta velata, cammina di fianco a Marziam, mentre Gesù è un<br />

poco indietro con Simone. Le due coppie camminano parlando. Ognuna per conto proprio, e di ciò<br />

che più gli sta a cuore.<br />

Dice Anastatica a Marziam, continuando un discorso già avviato: «Non vedo l’ora di conoscerla».<br />

Forse la donna parla di Elisa di Betsur. «Credi che non ero così commossa quando andai a nozze o<br />

fui dichiarata lebbrosa. Come la saluterò?».<br />

E Marziam con un sorriso dolce e serio nello stesso tempo: «Oh! col suo vero nome! Mamma!».<br />

«Ma io non la conosco! Non è troppa confidenza? Chi sono, infine, io rispetto a lei?».<br />

«Ciò che ero io lo scorso anno. Anzi tu molto più di me sei! <strong>Io</strong> ero un povero orfanello sporco,<br />

spaurito, rozzo. Eppure lei mi ha sempre chiamato figlio, dal primo momento, e una vera madre mi<br />

è stata. L’anno passato ero io che tremavo d’orgasmo in attesa di vederla. Ma poi, solo a vederla,<br />

non ho tremato più. Cessato del tutto quello spavento che m’era restato nel sangue da quando avevo<br />

visto con i miei occhi di bimbo, prima le furie della natura che avevano tutto distrutto della mia casa<br />

e della famiglia mia, e poi… e poi, con questi miei occhi di bimbo avevo potuto, dovuto vedere<br />

come l’uomo è fiera più crudele dello sciacallo e del vampiro... Tremare sempre… piangere<br />

sempre… sentire un nodo qui, stretto, duro, doloroso di paura, di pena, di odio, di tutto… In pochi<br />

mesi ho conosciuto tutto il male e il dolore e la ferocia che è nel mondo… E non potevo più credere<br />

che ci fosse la bontà ancora, l’amore ancora, la protezione ancora…».<br />

«Ma come! Quando il Maestro ti ha preso?!… E quando sei stato fra quei suoi discepoli, così<br />

buoni!?» .<br />

«Ho tremato ancora, sorella… e ho odiato ancora. Oh! c’è voluto del tempo per persuadermi di non<br />

avere paura… E ancor di più ce ne è voluto per giungere a non odiare chi aveva fatto soffrire<br />

l’anima mia mettendola a conoscenza di ciò che può essere un uomo: un demone in veste di belva.<br />

Non si è sofferto senza conseguenze lunghe, specie quando si è bambini… Resta il segno, perché il<br />

nostro cuore è ancora tenero e tiepido dei baci della mamma, affamato di baci più che di pane. E in<br />

luogo di baci vede dare percosse…».<br />

«Povero bambino!».<br />

«Sì. Povero. Tanto povero! Non avevo più neppure la speranza in <strong>Dio</strong> né il rispetto per l’uomo…<br />

Avevo paura dell’uomo. Anche vicino a Gesù, anche in braccio a Pietro avevo paura… Dicevo:<br />

“Possibile? Oh! non durerà così. Anche essi si stancheranno d’essere buoni…”. E sospiravo di<br />

giungere a Maria. Una mamma è sempre mamma, non è vero? E infatti, quando l’ho vista, quando<br />

sono stato fra le sue braccia, non ho più temuto. Ho capito che proprio tutto il passato era finito e


che dall’inferno ero passato al paradiso… L’ultimo dolore fu vedere che mi dimenticavano in<br />

disparte… Ero sospettoso sempre di male. E ho pianto forte. Oh! allora! Con che amore mi ha<br />

preso! No. Non ho più pianto la mamma mia da quel momento, non ho più tremato… Maria è la<br />

dolcezza e la pace degli infelici…».<br />

«E di dolcezza e pace ho bisogno anche io…» sospira la donna.<br />

«E fra poco l’avrai. Vedi quel verde laggiù? È nascosta là dentro la casa del Getsemani».<br />

«E ci sarà anche Elisa? Ma che dirò loro? Che mi diranno?».<br />

«Se Elisa ci sia non so. Era malata».<br />

«Oh! non morirà?! Chi mi prenderebbe per figlia, allora?».<br />

«Non temere. Egli ha detto: “Avrai madre e casa”. E così sarà. Andiamo avanti un poco più svelti.<br />

<strong>Io</strong> non so frenarmi quando sono prossimo a Maria».<br />

Affrettano il passo e non sento più il loro parlare.<br />

2Lo Zelote li vede quasi correre sulla via affollata e osserva a Gesù: «Sembrano fratelli. Guarda<br />

come sono buoni amici».<br />

«Marziam sa stare con tutti. È una virtù difficile e tanto necessaria per la sua missione futura. Ho<br />

cura di aumentare in lui questa felice disposizione perché molto gli servirà» .<br />

«Questo te lo modelli a tuo gusto. Vero, Maestro?».<br />

«Sì. L’età me lo permette».<br />

«Eppure anche il vecchio Giovanni Felice hai potuto modellare…».<br />

«Sì. Ma perché si è lasciato distruggere e ricreare completamente da Me».<br />

«È vero. Ho notato che i più grandi peccatori quando si convertono superano nella giustizia noi,<br />

uomini di relativa colpevolezza. Perché mai?».<br />

«Perché la contrizione in loro è in proporzione al loro peccato. Immensa. Perciò li stritola sotto la<br />

macina del dolore e dell’umiltà. “<strong>Il</strong> mio peccato è sempre contro di me” dice il salmista*. Ciò tiene<br />

umile lo spirito. È un ricordo buono, quando è ricordo unito a speranza e a fiducia nella<br />

Misericordia. Le mezze perfezioni, o anche meno di mezze, molte volte si arrestano perché non<br />

hanno il<br />

___________________<br />

* dice il salmista, in Salmo 51, 5.<br />

pungolo del rimorso di aver peccato gravemente e di dover riparare a farle procedere verso la<br />

perfezione vera. Stagnano come acque chiuse. Si sentono soddisfatte di essere limpide. Ma anche<br />

l’acqua più limpida, se non si depura nel moto delle particelle di polvere, dei detriti che il vento<br />

porta in essa, finisce per divenire melmosa e corrotta».<br />

3 «E le imperfezioni che noi lasciamo esistere e persistere in noi sono polvere e detriti?».<br />

«Sì, Simone. Siete troppo stagnanti ancora. Avete un moto quasi impercettibile verso la perfezione.<br />

Non sapete che il tempo è rapido? Non pensate che nello spazio che resta dovreste sforzarvi di<br />

divenire perfetti? Se non possederete la forza della perfezione, conquistata con una volontà decisa<br />

in questo tempo che avanza, come potrete resistere alla tempesta che Satana e i suoi figli scatenerà<br />

contro il Maestro e la sua Dottrina? Un giorno verrà che, sbalorditi, vi chiederete: “Ma come<br />

potemmo essere travolti, noi che fummo con Lui per tre anni?”. Oh! la risposta è in voi, nel vostro<br />

modo di agire! Chi più si sforzerà a divenire perfetto in questo tempo che resta, colui più sarà<br />

capace di essere fedele».<br />

«Tre anni… Ma allora… Oh! mio Signore!… Dunque la primavera prossima ti perderemo?».<br />

«Queste piante hanno i frutticini ed <strong>Io</strong> li gusterò maturi. Ma mai più gusterò, dopo i frutti di<br />

quest’anno, nuovi raccolti… Non ti desolare, Simone. La desolazione è sterile. Sappi e provvedi a<br />

corroborarti in giustizia per poter essere fedele al momento tremendo».<br />

«Sì. Lo farò. Con tutte le mie forze. Posso dire questo agli altri? Perché si preparino essi pure?».<br />

«Puoi dirlo. Ma solo chi avrà forte volontà vorrà».<br />

«E gli altri? Perduti?».<br />

«No. Ma duramente provati dal loro atto. Saranno come uno che si credeva forte e si trova atterrato<br />

e vinto. Sbalorditi. Avviliti. Umili, finalmente! Perché, credilo Simone, se non c’è umiltà non si


procede. L’orgoglio è la pietra su cui ha piedestallo Satana. Perché tenerla nel cuore? È maestro<br />

gradevole questo orrido essere?».<br />

«No, Maestro».<br />

«Eppure tenete nel cuore il punto di appoggio, la cattedra per le sue lezioni. Siete impastati di<br />

orgoglio. Ne avete per tutto e per tutti i motivi. Anche l’essere “miei” vi è orgoglio. Ma, o stolti,<br />

non vi guarisce il confronto di ciò che siete con Colui che vi ha eletti? Non è perché vi ho chiamati<br />

che sarete santi. È per il modo come sarete divenuti dopo la mia chiamata. La santità è fabbrica che<br />

ognuno eleva da se stesso. La Sapienza può indicargliene il metodo e il disegno. Ma l’opera<br />

materiale spetta a voi».<br />

«È vero. Allora, però, non ci perderemo? Dopo la prova saremo più santi perché umili?…».<br />

«Sì». <strong>Il</strong> sì è breve e severo.<br />

«Così lo dici, Maestro?».<br />

«Così lo dico».<br />

«Vorresti da noi santità avanti la prova…».<br />

«Vorrei così. E per tutti».<br />

«Per tutti! Non saremo uguali nella prova?».<br />

«Non uguali né prima, né durante, né dopo di essa. Eppure a tutti ho dato la stessa parola…».<br />

«E lo stesso amore, Maestro. Siamo dei grandi colpevoli verso di Te…».<br />

Gesù sospira…<br />

4 Lo Zelote, dopo un silenzio piuttosto lungo, sta per parlare. Ma quasi di corsa vengono loro<br />

incontro gli apostoli e i discepoli che hanno incontrato Marziam alle prime pendici del Getsemani, e<br />

Simone tace mentre Gesù risponde ai saluti di tutti procedendo poi a fianco di Pietro verso l’uliveto<br />

e la casa.<br />

Pietro informa che erano alle vedette dall’alba, che Elisa è ancora sofferente in casa di Giovanna,<br />

che la sera avanti erano venuti dei farisei, che… che… che… un fastello di notizie arruffate<br />

alquanto, dalle quali finalmente esce la domanda: «E Lazzaro?», alla quale Gesù risponde<br />

esaurientemente. Pietro, molto curioso, non sa trattenersi dal chiedere: «E… nulla, Signore?<br />

Nessuna… notizia…».<br />

«Sì. A suo tempo le saprai. Dove è Marziam con la donna? Già alla casa?».<br />

«Oh, no! La donna non ha osato andare avanti. È seduta su un ciglio e ti aspetta. Marziam…<br />

Marziam… mi è scomparso. Sarà corso in casa».<br />

«Affrettiamo il passo».<br />

Ma, per quanto lo affrettino, non giungono alla casa prima che Maria con la cognata, Salome,<br />

Porfirea e le mogli di Bartolomeo e Filippo ne siano uscite venerando. Gesù le saluta da lontano e si<br />

dirige al luogo dove Anastasica sta dimessa, la prende per mano conducendola verso la Madre e le<br />

donne.<br />

«Ecco, questo è il fiore di questa Pasqua, Madre. Uno solo quest’anno. Ma ti sia soave perché <strong>Io</strong> te<br />

lo conduco».<br />

La donna si è inginocchiata. Maria si curva e la solleva dicendo: «Le figlie stanno sul cuore, non ai<br />

piedi delle mamme. Vieni, figlia. Conosciamoci nel volto come già i nostri spiriti si conoscono.<br />

Ecco le sorelle presenti. Altre ne verranno. E sia una dolce famiglia tutta amore fra i suoi membri e<br />

tutta santità per la gloria di <strong>Dio</strong>».<br />

Si scambiano fra discepole il bacio di amore e si scrutano a vicenda. Entrano in casa salendo sulla<br />

terrazza circondata dal glauco di centinaia di ulivi. I gruppi si separano. Gesù con gli uomini. Le<br />

donne a parte intorno alla nuova venuta. Torna Susanna, andata in città col marito. Viene Giovanna<br />

coi bambini. Col suo viso d’angelo appare Annalia; e Giairo, che era mescolato ai discepoli mentre<br />

correvano da Gesù, torna con sua figlia che va nel gruppo delle donne, vicina a Maria che la<br />

carezza.<br />

Pace e amore è nell’accolta di persone. Poi il sole cala e, prima di congedare chi torna alle proprie<br />

case o a quelle ospitali, Gesù li riunisce tutti in preghiera e li benedice. Poi li congeda rimanendo<br />

con quelli che preferiscono pigiarsi nella casa del Getsemani o pernottare sotto gli ulivi piuttosto<br />

che allontanarsi di lì. Restano perciò Maria, Maria d’Alfeo, Salome, Anastatica, Porfirea, delle


donne; e Gesù, Pietro, Andrea, Giacomo e Giuda d’Alfeo, Giacomo e Giovanni di Zebedeo, Simone<br />

Zelote, Matteo, Marziam, degli uomini.<br />

5La cena è presto consumata. E, dopo, Gesù invita sua Madre e Maria d’Alfeo ad andare con Lui e<br />

con i discepoli per l’uliveto silenzioso. Forse le altre tre donne andrebbero volentieri esse pure. Ma<br />

Gesù non le chiama, e anzi dice a Salome e Porfirea: «Fate sante parole con la nuova sorella e poi<br />

coricatevi senza attenderci. La pace sia con voi». E le tre si rassegnano al loro destino.<br />

Pietro è un poco imbronciato e tace, mentre tutti parlano mentre in gruppo vanno proprio verso il<br />

futuro masso dell’agonia. Si siedono sul ciglio avendo di fronte Gerusalemme, che si quieta<br />

lentamente dopo la confusione della giornata.<br />

«Accendi dei rami, Pietro» ordina Gesù.<br />

«Perché?».<br />

«Perché voglio leggervi ciò che scrivono Giovanni e Sintica. Per questo, tu che sei malcontento<br />

sappilo, per questo non ho fatto venire le tre donne».<br />

«Ma mia moglie c’era quella sera!…».<br />

«Ma escludere soltanto Salome, delle vecchie discepole, sarebbe stato brutto… Del resto ciò ti darà<br />

modo di sfogare la tua lingua narrando alla tua moglie prudente ciò che ora senti».<br />

Pietro, gongolante per l’elogio dato a Porfirea e per la concessione di poterla mettere al corrente del<br />

segreto, perde il broncio di colpo e si dà da fare ad accendere un allegro falò, dal quale si alzano<br />

fiamme diritte, ferme nell’aria calma.<br />

6Gesù si leva dalla cintura le due lettere, le svolge e legge nel mezzo del cerchio attento di undici<br />

volti.<br />

«“A Gesù di Nazaret onore e benedizione. A Maria di Nazaret benedizione e pace. Ai fratelli santi<br />

pace e salute. A Marziam beneamato pace e carezze.<br />

Lacrime e sorrisi sono nel mio cuore e sul mio volto mentre mi siedo per scrivere questa lettera per<br />

voi tutti. Ricordi, nostalgie, speranze e pace del dovere compiuto sono in me. Tutto il passato che<br />

per me ha valore, ossia quello iniziato dodici mesi sono, mi è davanti, e un salmo di riconoscenza a<br />

<strong>Dio</strong>, troppo pietoso per il colpevole, mi sgorga dal cuore. Che Tu sia benedetto, e con Te la Santa<br />

che ti ha dato al mondo, e l’altra madre che mi ricordo come la compassione incarnata, e con Te<br />

benedetti Pietro, Giovanni, Simone, Giacomo e Giuda, e l’altro Gia-como, e Andrea e Matteo, e<br />

infine, preso sul cuore per benedirlo, Marziam carissimo, per tutto quanto mi avete dato, dal<br />

momento che vi conobbi a quello che vi lasciai! Oh! non per mio volere! <strong>Dio</strong> perdoni coloro che<br />

hanno strappato me a voi! <strong>Dio</strong> li perdoni. E aumenti in me la capacità di farlo, di mio. Per ora, col<br />

suo aiuto, insieme a Lui lo posso fare. Ma da solo, no, ancora non potrei, perché troppo rovente è la<br />

ferita che essi mi hanno fatto con lo strapparmi alla mia vera Vita, a Te, Santissimo. Troppo rovente<br />

ancora nonostante i tuoi conforti siano una pioggia continua e balsamica su me…”».<br />

7Gesù scorre molte righe senza leggerle. E riattacca: «“La mia vita…”»; ma Pietro, che per aiutare il<br />

Maestro a vedere ha preso un ramo fiammeggiante e lo tiene alzato, stando presso il Maestro e<br />

allungando il collo per vedere lo scritto, dice: «No, no, non è così! Perché non leggi, Maestro? C’è<br />

dell’altro in mezzo! Bestia sono, ma non tanto da non saper leggere piano. <strong>Io</strong> leggo: “Le tue<br />

promesse hanno superato le mie speranze…”».<br />

«Ma sei terribile! Peggio di un ragazzo!» dice Gesù sorridendo.<br />

«Sicuro! Sono un vecchio a momenti! Perciò ho più malizia di un fanciullo».<br />

«Dovresti anche avere più prudenza».<br />

«È buona per i nemici. Qui siamo fra amici. Qui Giovanni dice delle belle cose di Te. Voglio<br />

saperle. Per regolarmi anche io per quando Tu mi spedissi come una mercanzia altrove. Su, leggi<br />

tutto! Madre, diglielo tu che non è giusto darci le notizie sceverate come tanti pesciolini. Fuori!<br />

Fuori! Alghe, mota, pesce minuto e pesce prelibato. Tutto! Aiutatemi voi! Sembrate tante statue! Mi<br />

fate stizza! E ridono!».<br />

Non ridere è difficile davanti all’agitazione di Pietro, che salta qua e là come un puledro imbizzito,<br />

scuotendo il suo ramo fiammeggiante senza curarsi delle scintille che gli piovono addosso.<br />

Gesù deve cedere per calmarlo e potere andare avanti nella lettura.<br />

«“Le tue promesse hanno superato le mie speranze nelle tue promesse. Oh! Maestro santo! Quando


in quella triste mattina d’inverno Tu mi hai promesso che Tu saresti venuto a consolare il tuo triste<br />

discepolo, io non ho capito il vero valore della tua promessa. <strong>Il</strong> dolore e la relatività dell’uomo<br />

opprimevano le facoltà dello spirito, ed esso era ottuso nel capire la portata della tua promessa.<br />

Che Tu sia benedetto, spirituale visitatore delle mie notti, che perciò non sono desolazione e dolore<br />

come mi prevedevo, ma attesa di Te, o gioioso incontro con Te. La notte, orrore dei malati, degli<br />

esiliati, dei soli, dei colpevoli, per me, veramente Felice di fare il tuo volere e di servirti, si è fatta<br />

‘l’attesa delle vergini sagge per l’arrivo dello sposo’. La povera anima mia ha anzi più ancora. Ha la<br />

beatitudine di essere la sposa che attende il suo Amore, che viene nella stanza nuziale per darle ogni<br />

volta la gioia del primo incontro e l’estasi fortificante della fusione.<br />

Oh! mio Maestro e Signore, mentre ti benedico del tanto che mi dài, ti prego di ricordarti le due<br />

altre promesse che mi hai fatto. La più importante, per il troppo debole uomo che sono, è di non<br />

lasciarmi in vita per l’ora del tuo dolore. Tu conosci la mia debolezza! Non fare che colui che per il<br />

tuo amore si è spogliato dall’odio debba, per l’odio verso gli uomini tuoi carnefici, tornare a vestire<br />

le spinose e brucianti divise dell’odio. La seconda è per il tuo povero discepolo, anche esso troppo<br />

debole e incompiuto nella perfezione. Siimi presso, come hai detto, nell’ora del mio morire. Ora che<br />

so come per Te non esistono distanze, e mari, monti, fiumi e volere degli uomini non ti impediscono<br />

di dare a chi ti ama il conforto della tua sensibile presenza, non dubito più di poterti avere al mio<br />

spirare. Vieni, Signore Gesù! E vieni presto ad introdurmi nella pace.<br />

8 Ed ora che ti ho parlato dello spirito, ti darò notizie del mio lavoro.<br />

Ho molti allievi, di ogni razza e paese. Per non urtare questi o quelli, ho diviso i giorni e alterno un<br />

dì ai pagani, uno ai fedeli, con molto profitto, data l’assenza qui di pedagoghi. <strong>Il</strong> guadagno lo do ai<br />

poveri e così li attiro al Signore. Ho ripreso il mio antico nome non perché lo ami, ma per prudenza.<br />

Nelle ore che sono del mondo, sono ‘Felice’. Nelle ore che sono di Gesù solo, sono ‘Giovanni’: la<br />

grazia di <strong>Dio</strong>. Ho spiegato a Filippo che il vero nome era Felice e che Giovanni ero detto solo per<br />

distinguermi fra i fratelli. E nessuno stupore ha creato la cosa, data la facilità con cui cambiamo<br />

nomi o chiamiamo per soprannomi.<br />

Spero di fare qui molto lavoro, per preparare la via ai fratelli santi. Se avessi più forze vorrei<br />

spingermi per queste campagne a rendere noto il tuo Nome. Ma forse lo potrò nella prima estate o<br />

per le frescure di autunno. E solo che possa, lo farò. L’aria pura di Antigonio, questi giardini così<br />

placidi e belli, i fiori, i fanciulli, le gallinelle, l’affetto dei giardinieri, e soprattutto quello grande,<br />

saggio, figliale di Sintica, mi giovano molto. Direi che sono migliorato. Così non la pensa Sintica,<br />

benché questo suo pensiero si palesi solo dalle sollecite e continue cure che ha di me, per il mio<br />

cibo, per il mio riposo, perché io non prenda freddo… Ma io mi sento meglio. Questa non è forse<br />

sensazione che viene dal dovere eroicamente compiuto? Così dice Sintica. E vorrei sapere se dice<br />

bene. Perché il dovere è cosa morale, mentre la malattia è cosa carnale.<br />

E anche vorrei sapere se Tu vieni realmente o se mi appari soltanto ai sensi spirituali, ma così<br />

perfettamente da non lasciarmi distinguere dove finisce la realtà materiale della tua Presenza.<br />

Maestro caro e benedetto, il tuo Giovanni si inginocchia chiedendoti benedizione. Alla Madre, a<br />

Maria, ai fratelli santi, pace e benedizione. A Marziam un bacio perché si ricordi di mandare le sante<br />

parole, pane agli esuli che sono operai nella vigna del Signore”.<br />

Questa è la lettera di Giovanni… Che ne dite?».<br />

Un incrociarsi di impressioni… Ma più forte di tutte è quella sulla presenza di Gesù. Lo tempestano<br />

di domande… sul come può essere, se può essere, e se Sintica vede ecc. ecc.<br />

9 Gesù fa un gesto di silenzio e apre il rotolo di Sintica. Legge:<br />

«“Sintica al Signore Gesù con tutto l’amore di cui è capace. Alla Madre benedetta venerazione e<br />

lode. Ai fratelli nel Signore riconoscenza e benedizione. A Marziam l’abbraccio della sorella<br />

lontana.<br />

Giovanni ti ha detto, o Maestro, la nostra vita. Molto sinteticamente ti ha detto ciò che egli fa e che<br />

io, donnescamente, faccio. Ho la mia scuoletta piena di fanciulle e molto guadagno spiritualmente<br />

perché te le guadagno, o mio Signore, parlando del vero <strong>Dio</strong> attraverso allo stesso lavoro. Qui, in<br />

questa regione dove tante razze si sono mescolate, è una matassa arruffata di religioni. Tanto<br />

arruffata che… non sono più che impraticabili religioni, filacce di religioni che non servono più a


nulla. In mezzo, rigida e intransigente, la fede degli israeliti che col suo peso spezza i già logori fili<br />

delle altre senza ottenere nulla.<br />

Giovanni, avendo alunni, deve agire con prudenza. <strong>Io</strong>, con le fanciulle, vado più liberamente. Essere<br />

donne è sempre una inferiorità, tanto che alle famiglie di diverse religioni non importa se le<br />

fanciulle si mescolano in un’unica scuola. Basta che imparino la fruttuosa arte del ricamo. E sia<br />

benedetto il concetto dispregioso che il mondo ha di noi donne, perché mi permette così di allargare<br />

sempre più il mio cerchio di azione. I ricami vanno a ruba, la fama si estende, vengono dame da<br />

lontano. A tutte ho modo di parlare di <strong>Dio</strong>… Oh! come anche i fili, che di-vengono fiori, animali,<br />

stelle sul telaio o sulla tela, servono, sol che si voglia, ad indirizzare le anime alla Verità. Avendo<br />

conoscenza di diverse lingue posso usare il greco coi greci, il latino coi romani, l’ebraico con gli<br />

ebrei. Anzi, in questo sempre più mi miglioro con l’aiuto di Giovanni.<br />

Altro mezzo di penetrazione è l’unguento di Maria. Ne ho fatto molto, di novello, con le essenze qui<br />

esistenti, e ad esso ho mescolato una particella di quello originario, per santificarlo. Ulceri e dolori,<br />

ferite e mal di petto scompaiono. Vero è che io, mentre spalmo e fascio, non faccio che dire i due<br />

Nomi santi: Gesù-Maria. Anzi, giocando sul nome greco di Cristo, ho chiamato questo balsamo:<br />

‘Unto Mirra’. Non è forse così? Non c’è in esso l’essenza salutifera della Mirra di <strong>Dio</strong> che ti ha<br />

generato, o prezioso Olio che ci fai re? Devo stare molte volte alzata per poterne preparare sempre<br />

di nuovo, e pregherei la Santa di prepararne ancora e mandarmelo per i Tabernacoli, per poterlo<br />

mescolare all’altro fatto dalla infima serva di <strong>Dio</strong>. Però, se facessi male a fare così, dillo, Signore. E<br />

mai più lo farò.<br />

10<strong>Il</strong> caro Giovanni mi loda molto. E che dovrei dire io di lui, allora? Soffre acutamente, ma è di una<br />

fortezza meravigliosa. Non sapessi il suo segreto ne stupirei. Ma da quella notte che tornando da un<br />

malato l’ho scoperto estatico e trasfigurato, ed ho sentito le sue parole, e prostrata mi sono, intuendo<br />

che Tu eri presente al tuo servo, io non posso più stupirmi. Forse qualche fratello stupirà invece<br />

sentendo che non mi rammarico di non aver visto io pure. Perché dovrei farlo? Tutto è bene, tutto è<br />

sufficiente di ciò che Tu dài. Ognuno riceve la parte che merita e che gli è necessaria. Bene dunque<br />

è se Giovanni ha Te visibile ed io ti ho solo nello spirito.<br />

Sono io felice? Come donna ho rimpianti del tempo che fui con Te e Maria. Ma come anima<br />

felicissima sono, perché solo ora io ti servo, mio Signore. Penso che il tempo è un nulla. Penso che<br />

l’ubbidienza è moneta per entrare nel tuo Regno. Penso che darti aiuto è grazia che supera ciò che la<br />

povera schiava poteva sognare anche in ora di delirio, e che Tu mi hai concesso di aiutarti. Penso<br />

che, separata ora, ti avrò infine per tutta l’eternità. E canto la canzone di Giovanni come fa una<br />

calandra a primavera sui campi d’oro dell’Ellade. Le mie fanciulle la cantano perché dicono che è<br />

bella. <strong>Io</strong> le lascio cantare sul ritmo del telaio, così simile a quello del remo in quel giorno lontano,<br />

perché penso che dire il tuo nome, o Madre, sia predisporsi alla Grazia.<br />

Giovanni mi prega di aggiungere la notizia che ti ha mandato un ottimo cittadino di Antiochia.<br />

Nicolai è il suo nome. La sua prima conquista per il tuo gregge. Molto speriamo che Nicolai non<br />

deluda il concetto che di lui abbiamo in cuore.<br />

Benedici la tua serva, Signore. Benedicila, o Madre, beneditemi tutti, o voi, santi, e tu, fanciullo<br />

benedetto che cresci in sapienza presso il Signore”.<br />

Così scrive Sintica. E ha aggiunto una postilla all’insaputa di Giovanni. Dice in essa: “Giovanni non<br />

grandeggia e rinforza che nello spirito. <strong>Il</strong> resto declina nonostante ogni cura. Molto conta nel primo<br />

dell’estate. <strong>Io</strong> penso che non potrà fare ciò che dice. Penso che l’inverno soffochi la sua larva di<br />

vita… Ma è in pace. E si santifica con le opere e con la sofferenza. Mantienigli la forza con la tua<br />

presenza, o mio Signore! Ti chiedo di sottoporre me ad ogni pena in cambio di questo dono per il<br />

tuo discepolo. Mandando queste da Tolmai a Lazzaro, ti supplico di volere dire a lui e alle sorelle<br />

che ricordiamo le loro bontà per noi, e per loro costantemente e ardentemente preghiamo”».<br />

Tutti si scambiano nuove impressioni.<br />

11Andrea si curva per chiedere qualcosa a Maria e resta stupefatto a vedere delle lacrime sul suo<br />

volto. «Piangi?» chiede.<br />

«Perché piange? Ma come? Madre!» dicono in molti.<br />

«<strong>Io</strong> lo so perché piange» dice Marziam.


«Perché, allora?».<br />

«Perché Giovanni ha ricordato la morte del Signore».<br />

«Già. È vero! E come lo sa se non c’era più quando Tu l’hai predetta?».<br />

«Perché da Me l’ha saputo per suo conforto».<br />

«Uhm! Conforto!…».<br />

«Sì, conforto. La promessa che non attenderà molto ad avere il Regno. Egli lo merita perché vi ha<br />

superati nella volontà e nell’ubbidienza. Torniamo a casa. Prepareremo le risposte per darle a<br />

Tolmai, e tu, Marziam, unirai i tuoi libri».<br />

«Ah! capisco! capisco! Scriveva per loro!…».<br />

«Sì. Andiamo. Domani andremo al Tempio…».<br />

367. Giovedì avanti Pasqua. Preparativi nel Getsemani.<br />

23 gennaio 1946.<br />

1 È appena un principio di aurora. Ma già gli uomini emulano gli uccelli che si agitano nei primi voli<br />

e nei primi lavori e canti del giorno. La casa del Getsemani si desta piano piano e si trova prevenuta<br />

dal Maestro, che già torna dalla preghiera fatta alle prime luci dell’alba, seppure non rientra dopo<br />

una intera notte di preghiera.<br />

Si ridesta lentamente il vicino campo dei Galilei sul pianoro del monte Uliveto, e grida e richiami<br />

vanno per l’aria serena, attutiti dalla distanza, ma abbastanza netti per fare comprendere che i pii<br />

pellegrini colà radunati stanno per riprendere le cerimonie pasquali, interrotte la sera avanti.<br />

Si ridesta la città, giù, in basso, iniziando il clamore che la fa piena, in questi giorni di<br />

sopraffollamento, con i ragli dei somarelli degli ortolani e dei venditori di agnelli, che si pigiano<br />

alle porte per entrare, e col pianto così commovente di centinaia di agnellini che, su carri, su basti,<br />

su bastoni o su spalle, vanno al loro tragico destino e chiamano la madre, piangono la sua<br />

lontananza non sapendo che dovrebbero piangere la vita giunta al termine così precocemente. Poi<br />

sempre più il rumore cresce in Gerusalemme, per lo scalpiccio di passi nelle vie, per i richiami da<br />

terrazza a terrazza e da queste alla via o viceversa. E il rumore giunge, come quello di un flutto<br />

marino, attutito dalla lontananza, sino alla serena conca del Getsemani.<br />

2 Un primo raggio di sole sciabola diretto su di una cupola preziosa del Tempio e la accende tutta<br />

come fosse un sole sceso sulla terra, un piccolo sole posato su di un candido piedestallo, ma tanto<br />

bello, pur nella sua piccolezza.<br />

I discepoli e le discepole guardano ammirate quel punto d’oro. È la Casa del Signore! È il Tempio!<br />

Per capire cosa era questo luogo per gli israeliti, basta vedere i loro sguardi nel fissarlo. Sembra che<br />

vedano, fra il rutilare dell’oro acceso dal sole, balenare la Faccia Ss. di <strong>Dio</strong>. Adorazione e amor di<br />

patria, santo orgoglio di essere ebrei, sono palesi in quegli sguardi più che se le labbra parlassero.<br />

Porfirea, che non è più stata a Gerusalemme da tanti anni, ha persino lacrime di commozione negli<br />

occhi mentre, inconsapevolmente, stringe il braccio del suo uomo che le indica non so che con la<br />

mano, e si abbandona un poco sopra di lui, simile ad una sposa novella, innamorata dello sposo,<br />

ammirata di lui, beata di essere da lui istruita.<br />

Intanto le altre donne parlano piano, appena a monosillabi, per chiedersi ciò che è da fare nel<br />

giorno, e Anastasica, non ancora pratica e un poco spaesata, sta lievemente discosta, assorta nei suoi<br />

pensieri.<br />

3 Maria, che parlava con Marziam, la vede e va da lei passandole un braccio intorno alla vita. «Ti<br />

senti un poco sola, figlia mia? Ma oggi andrà meglio. Vedi? Mio Figlio sta ordinando agli apostoli<br />

di andare alle case delle discepole per avvertirle di radunarsi e di attenderlo nel pomeriggio in casa<br />

di Giovanna. Vuole certo parlare a noi, proprio a noi donne, e certo in precedenza ti avrà già data<br />

una madre. Buona, sai? La conosco da quando ero al Tempio. Era una madre fino da allora per le<br />

più piccole fra le vergini. E comprenderà il tuo cuore perché anche ella ha molto pianto. Mio Figlio<br />

la guarì l’anno scorso da una malinconia mortale che l’aveva presa dopo la morte dei suoi due figli.


Tanto ti dico perché tu sappia chi è colei che d’ora in poi ti amerà e tu amerai. Però, come l’anno<br />

scorso dissi a Simon Pietro che riceveva Marziam per figlio, ora dico a te: “Che questo affetto non<br />

ti illanguidisca il cuore nella sua volontà di servire Gesù”. Se così fosse, il dono di <strong>Dio</strong> ti sarebbe<br />

pernicioso più della lebbra, perché spegnerebbe in te la volontà buona che ti darà un giorno il<br />

possesso del Regno».<br />

«Non temere, o Madre. Per quanto sta in me, di questo affetto farò una fiamma per sempre più<br />

accendere me stessa al servizio del Salvatore. Non mi appesantirò in esso e non appesantirò Elisa,<br />

ma insieme, anzi, sorreggendoci e spronandoci, in santa gara voleremo, con l’aiuto del Signore, per<br />

la sua via».<br />

4 Mentre parlano, dal campo dei Galilei, dalla città, da case sparse per le pendici e dalla frazione, o<br />

borgatella che sia, che è appena fuori città, su una delle due vie che da Gerusalemme vanno a<br />

Betania e, per specificare, sulla via più lunga che Gesù fa raramente, sopraggiungono discepoli<br />

antichi e recenti, e ultimi ad arrivare sono Filippo con la famiglia, Tommaso solo, Bartolomeo con<br />

la moglie.<br />

«Dove sono i figli di Alfeo, Simone e Matteo?» chiede Tommaso che non li vede.<br />

Gesù gli risponde*: «Sono andati avanti. I due ultimi a Betania ad avvisare le sorelle di essere nel<br />

pomeriggio in casa di Giovanna. I due primi dalla stessa e da Annalia, per dire loro che nel<br />

pomeriggio sarò da Giovanna. Ci troveremo all’ora di terza alla Porta Dorata. Andiamo intanto a<br />

dare l’obolo ai mendicanti e ai lebbrosi. Bartolomeo vada con Andrea avanti, a comperare cibarie<br />

per essi. Noi li seguiremo lentamente fermandoci al sobborgo di Ofel, presso la porta, per andare<br />

poi dai poveri lebbrosi».<br />

«Tutti?» dicono alcuni poco entusiasti.<br />

«Tutti e tutte. La Pasqua, quest’anno, ci riunisce come mai fu possibile. Insieme facciamo ciò che<br />

saranno i doveri futuri di uomini e donne operanti nel mio Nome. 5 Ecco Giuda di Simone che viene<br />

di fretta. Ne ho piacere perché voglio sia lui pure con noi».<br />

Infatti Giuda viene trafelato. «In ritardo, Maestro? Colpa di mia madre. È venuta, contrariamente al<br />

solito e a ciò che le avevo detto. L ‘ho trovata ieri sera presso un amico di casa nostra. E questa<br />

mattina mi ha trattenuto in discorsi… Voleva venire con me. Ma non ho voluto».<br />

«Perché? Maria di Simone non merita forse di stare dove tu stai? Anzi molto più di te lo merita. Va’<br />

perciò di corsa a prenderla e raggiungici al Tempio, alla Porta Dorata».<br />

Giuda va via senza obbiettare. Gesù si mette in cammino, davanti, con gli apostoli e i discepoli. Le<br />

donne, con Maria al centro, dietro agli uomini.<br />

368. Giovedì avanti Pasqua. A Gerusalemme e nel Tempio.<br />

24 gennaio 1946.<br />

1 Non vedo la distribuzione di cibi ai lebbrosi di Hinnon, e di essi sento solo parlare. Ma non mi pare<br />

siano avvenuti miracoli fra essi, perché Simone Pietro dice: «La solitudine atroce non ha dato loro<br />

la grazia di credere e conoscere dove è la Salute».<br />

______________________<br />

Gesù gli risponde è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.<br />

Poi la città li accoglie dalla Porta che mette nel chiassoso o popolato sobborgo di Ofel.<br />

Dopo qualche metro, da una porta di casa socchiusa balza fuori tutta festosa Annalia, che venera il<br />

Maestro dicendo: «Ho licenza dalla madre di stare fino a sera con Te, Signore».<br />

«Non se ne dispiacerà Samuele?».<br />

«Non c’è più Samuele nella mia vita, Signore. E l’Altissimo ne abbia grazie. Solo mi conceda che,<br />

come ha lasciato me, non lasci Te, o mio <strong>Dio</strong>». La bocca giovanile sorride eroicamente, mentre un<br />

luccicore di pianto splende negli occhi casti.<br />

Gesù la guarda fissamente e le dice, per tutta risposta: «Unisciti alle discepole», e riprende il


cammino.<br />

Ma la vecchia madre di Annalia, più vecchia per i dolori che per l’età, si avvicina a sua volta, tutta<br />

curvata in venerabondo e accasciato saluto, e dice: «La pace a Te, Maestro. Quando ti potrei<br />

parlare? Ho tanto affanno!…».<br />

«Subito, donna». E volgendosi a chi è con Lui ordina: «Sostate qui fuori. <strong>Io</strong> entro un poco in questa<br />

casa», e fa per avviarsi dietro alla donna.<br />

Ma Annalia, dal gruppo delle discepole, lo richiama con una sola parola: «Maestro!», ma quanto c’è<br />

in essa! E congiunge le mani nel dirla, come supplicasse…<br />

«Non temere. Sta’ in pace. La tua causa è nelle mie mani e così il tuo segreto» la rassicura Gesù. E<br />

poi, rapido, entra nella porta socchiusa.<br />

Fuori si commenta sul fatto, e curiosità maschili e femminili sono in gara per sapere… sapere…<br />

sapere…<br />

2 Dentro si ascolta e si piange. Gesù ascolta. Appoggiato con le spalle alla porta, che ha chiuso da Sé<br />

non appena entrato, con le braccia conserte sul petto, ascolta la madre della fanciulla che piangendo<br />

gli narra della volubilità del promesso sposo, che ha colto un pretesto per sciogliersi del tutto dal<br />

legame… «Dimodoché Annalia è come una ripudiata e mai più avrà nozze, perché ella ha dichiarato<br />

che Tu non approvi chi dopo il ripudio torna a sposarsi. Ma così non è. Ella è fanciulla ancora! Ella<br />

non vende se stessa ad altro uomo, perché di nessun uomo è stata. Ed egli colpevole è di crudeltà. E<br />

più. Perché in lui è venuta volontà d’altre nozze, ma sarà mia figlia che apparirà colpevole, e il<br />

mondo la deriderà. Provvedi, o Signore, perché per Te questo avviene».<br />

«Per Me, donna? In che ho peccato?».<br />

«Oh! Tu non hai peccato. Ma egli dice che Annalia ti ama. E finge gelosia. Ieri sera venne, ed essa<br />

era da Te. Si infuriò e fece giuramento di non volerla più per moglie, e Annalia, sopraggiunta allora,<br />

gli rispose: “Bene fai. Solo mi spiace che tu abbia a vestire la verità di menzogna e di calunnia. Tu<br />

sai che Gesù non si ama che con l’anima. Ma è la tua anima che ormai si è corrotta e lascia la Luce<br />

per la carne, mentre io lascio la carne per la Luce. Non potremmo più essere un sol pensiero come<br />

due sposi devono essere. Va’, dunque, e <strong>Dio</strong> vegli su te”. Non una lacrima, capisci? Nulla che abbia<br />

toccato il cuore dell’uomo! Le mie speranze deluse! Ella… oh! certo per leggerezza, causa la sua<br />

rovina. 3 Chiamala, Signore. Parlale. Piegala alla ragione. Cerca Samuele. È da Abramo suo parente,<br />

alla terza casa dopo la Fonte del fico. Aiutami! Ma prima parla a lei, subito…».<br />

«Parlare, parlerò. Ma dovresti ringraziare <strong>Dio</strong> che scioglie un legame umano che, chiaro è, non dava<br />

affidamento buono. L’uomo è volubile e ingiusto verso <strong>Dio</strong> e verso la donna sua…».<br />

«Sì, ma è atroce che il mondo pensi lei colpevole, Te colpevole, solo perché ella ti è discepola».<br />

«<strong>Il</strong> mondo accusa e poi dimentica. <strong>Il</strong> Cielo invece è eterno. Tua figlia sarà fiore del Cielo».<br />

«Allora perché l’hai fatta vivere? Sarebbe stata fiore senza aver avuto la lapidazione delle calunnie.<br />

Oh! Tu che sei <strong>Dio</strong>, chiamala, fàlla ragionare e poi fa’ riflettere Samuele…».<br />

«Ricordati, donna, che neppure Iddio può opprimere la volontà e la libertà dell’uomo. Essi, Samuele<br />

e tua figlia, hanno diritto di seguire ciò che sentono essere bene per loro. Specie Annalia ne ha<br />

diritto…».<br />

«Ma perché?».<br />

«Perché più di Samuele essa è amata da <strong>Dio</strong>. Perché più che a Samuele essa dà amore a <strong>Dio</strong>. È di<br />

<strong>Dio</strong> tua figlia!».<br />

«No. In Israele ciò non è. La donna deve essere sposa… È mia la figlia… <strong>Il</strong> suo sponsale mi dava<br />

pace di giorni futuri…».<br />

«Tua figlia era del sepolcro da un anno se <strong>Io</strong> non agivo. Chi sono <strong>Io</strong> per te?».<br />

«<strong>Il</strong> Maestro e <strong>Dio</strong>».<br />

«E come <strong>Dio</strong> e Maestro dico che l’Altissimo ha diritto più di ogni altro sui suoi figli, e che molto<br />

sta per mutarsi nella Religione, e sarà d’ora in poi possibile alle vergini di esser tali in eterno per<br />

amore di <strong>Dio</strong>. 4 Non piangere, o madre. Lascia la tua casa e vieni con noi, oggi. Vieni! Là fuori è la<br />

Madre mia e altre eroiche madri che hanno dato i figli al Signore. Unisciti ad es-se…».<br />

«Parla ad Annalia… Prova, Signore!» geme la donna fra i singhiozzi.<br />

«Sta bene. Farò come tu vuoi» dice Gesù. E aperta la porta chiama: «Madre, vieni con Annalia».


Le due chiamate vanno leste. Entrano.<br />

«Fanciulla, tua madre vuole che <strong>Io</strong> ti dica di riflettere ancora. Vuole che lo parli a Samuele. Che<br />

devo fare? Che risposta mi dai?».<br />

«Parla pure a Samuele. Anzi io pure ti supplico di farlo. Ma solo perché vorrei che, udendo Te,<br />

giusto si facesse. Riguardo a me, Tu sai. Ti prego dare a mia madre la risposta più vera».<br />

«Senti, donna?».<br />

«Quale è dunque la risposta?» chiede con voce spezzata la vecchia, che in sul primo delle parole<br />

della figlia credeva ad una resipiscenza della stessa e che poi ha compreso che così non è.<br />

«La risposta è che da un anno tua figlia è di <strong>Dio</strong>, e il voto è perenne finché duri la vita».<br />

«Oh! misera me! Quale madre più di me infelice?!».<br />

Maria lascia la mano della fanciulla per prendere fra le braccia la donna e dirle dolcemente: «Non<br />

peccare col tuo pensiero e con la tua lingua. Non è infelicità dare a <strong>Dio</strong> un figlio, ma gloria ben<br />

grande. Mi hai detto un giorno che il tuo dolore era di non avere avuto che una figlia, perché avresti<br />

amato avere il maschio sacro al Signore. Non un maschio ma un angelo, un angelo che precederà il<br />

Salvatore nel suo trionfo tu hai. E vuoi dirti infelice? Mia madre spontaneamente mi consacrò al<br />

Signore dal primo palpito che udì nel seno di me, concepita in tarda età. E non mi ebbe che per tre<br />

anni. Né io l’ebbi che nel cuore. Eppure la sua pace nel morire fu l’avermi data a <strong>Dio</strong>… Suvvia,<br />

vieni al Tempio a cantare la lode a Colui che tanto ti ama da scegliere la tua fanciulla a sua sposa.<br />

Abbi una vera sapienza nel cuore. Vera sapienza è non porre limiti alla propria generosità verso il<br />

Signore».<br />

La donna non piange più. Ascolta… Poi si decide. Prende il manto e vi si avvolge. Ma passando<br />

davanti alla figlia sospira: «Prima la malattia, poi il Signore… Ah! non dovevo averti! …».<br />

«No, mamma. Non dire così! Mai come ora mi hai. Tu e <strong>Dio</strong>. <strong>Dio</strong> e tu. Voi soli, fino alla morte…»,<br />

e l’abbraccia dolcemente chiedendo: «Una benedizione, madre! Una benedizione… perché ho tanto<br />

sofferto per doverti far soffrire. Ma <strong>Dio</strong> mi voleva così…».<br />

Si baciano, piangendo. Poi escono, precedute da Gesù e Maria, e chiudono la casa accodandosi alle<br />

discepole…<br />

5…«Perché entriamo di qui, Signore? Non era meglio entrare dall’altra parte?» chiede Giacomo di<br />

Zebedeo.<br />

«Perché, passando di qui, passiamo davanti all’Antonia».<br />

«E Tu speri… Sta’ attento, Maestro!… <strong>Il</strong> Sinedrio ti spia» dice Tommaso.<br />

«Come lo sai?» gli chiede Bartolomeo.<br />

«Basta riflettere all’interessamento dei farisei per capire. Mi dite che con mille scuse vengono<br />

continuamente ad osservare ciò che facciamo!… Per che scopo, se non per trovare in colpa il<br />

Maestro?».<br />

«Hai ragione. Non passiamo allora dall’Antonia, Maestro. Se i romani non ti vedono, tanto di<br />

meglio».<br />

«E in questa ragione non tanto premura per Me quanto schifo per essi è contenuto, non è vero,<br />

Bartolmai? Come saresti sapiente se levassi dal tuo cuore queste miserie!» risponde Gesù, che<br />

procede però per la sua via senza ascoltare nessuno.<br />

Per andare all’Antonia devono passare per il Sisto, dove è il palazzo di Giovanna e quello di Erode,<br />

poco lontano l’uno dall’altro. E Gionata è sulla porta del palazzo di Cusa e, non appena vede Gesù,<br />

dà la voce a quelli di casa. Esce subito Cusa e si inchina. Lo segue Giovanna, già pronta per unirsi<br />

al gruppo delle discepole.<br />

Cusa parla: «Ho udito che oggi sei da Giovanna. Concedi al tuo servo di averti ospite in un<br />

convito».<br />

«Sì. Ma purché tu mi conceda di fare, di esso, convito di carità per i poveri e gli infelici» .<br />

«Come credi, Signore. Ordina e farò ciò che Tu vuoi».<br />

«Grazie. La pace sia con te, Cusa» .<br />

Giovanna chiede: «Hai ordini per Gionata? Egli è a tua disposizione».<br />

«Li darò dopo essere stato al Tempio. Andiamo, perché siamo attesi».<br />

Passano dopo poco presso il bello e crudele palazzo di Erode. Ma è chiuso come fosse senza


abitanti. Passano presso l’Antonia. I militi osservano il piccolo corteo del Nazareno.<br />

6Entrano nel Tempio; e mentre le donne si fermano nella parte inferiore, gli uomini proseguono per<br />

il luogo ad essi concesso. Giungono così al luogo dove vengono presentati i fanciulli e purificate le<br />

donne. Un piccolo gruppetto di gente accompagna una giovane madre e si ferma ad osservare le<br />

cerimonie del rito.<br />

«Un piccolo sacro al Signore, Maestro!» dice Andrea che osserva la scena.<br />

«È, se non erro, la donna di Cesarea di Filippo*, quella del castello. Mi è passata davanti mentre ti<br />

aspettavamo alla Porta Dorata» dice Giacomo d’Alfeo.<br />

«Sì. C’è anche la suocera e l’intendente di Filippo. Non ci hanno visti. Ma noi abbiamo visto loro»<br />

aggiunge il Taddeo.<br />

E Matteo aggiunge: «Noi due abbiamo invece visto Maria di Simone con un vecchio. Ma Giuda non<br />

c’era. Pareva molto triste la donna. Si guardava intorno con affanno».<br />

«La cercheremo poi. Ora preghiamo. E tu, Simone di Giona, fa’ l’offerta al gazofilacio**. Per tutti».<br />

Pregano a lungo, molto notati dalla gente che si indica il Maestro.<br />

7Un breve alterco, nel quale emerge la nota acuta di una voce femminile, fa volgere il capo agli<br />

oranti meno raccolti.<br />

«Se qui sono stata per offrire il maschio a <strong>Dio</strong>, posso rimanervi un altro poco per offrirlo a Chi lo ha<br />

salvato al Signore» dice la voce acuta.<br />

E voci nasali d’uomo insistono: «Non è lecito alla donna fermarsi qui dopo il rito. Va’ via».<br />

«Vi andrò. Ma dietro a Lui».<br />

«Chiamalo, allora, e vattene con Lui».<br />

«Piano! Piano! Lasciate che la donna parli e dica come può dire che il Nazareno ha salvato a <strong>Dio</strong> il<br />

fanciullo» dice una strascicata voce di uomo.<br />

«E che te ne preme, Gionata di Uziel?».<br />

«Se me ne preme!? Qui certo è un nuovo peccato. Una nuova prova. Odimi, o donna. Come<br />

quell’uomo ti salvò il figlio? Vuoi dirlo ai cercatori tenaci della verità?» chiede mellifluo questo<br />

fariseo che non mi è nuovo.<br />

_____________________<br />

* la donna di Cesarea di Filippo è Dorca, incontrata in 345.3/5; questo fariseo che non mi è<br />

nuovo, di dodici capoversi più sotto, è Gionata di Uziel, incontrato in 217.2/4.<br />

** <strong>Il</strong> gazofilacio era, nel recinto del Tempio, il luogo in cui i fedeli deponevano le offerte in denaro.<br />

«Oh! sì. Con gratitudine lo dico. Ero disperata perché il bambino m’era nato morto. Vedova sono, e<br />

questa creatura è tutto per me. Egli venne e gli dette vita».<br />

«Quando? Dove?».<br />

«A Cesarea di Filippo. Sono del castello di Cesarea».<br />

«La vita! Sarà stato solo un mancamento del fanciullo…».<br />

«No. Era morto. La madre mia lo può dire. E dire lo può l’intendente del castello. Egli venne e gli<br />

alitò in bocca, e il bimbo si agitò e vagì».<br />

«E tu dove eri?».<br />

«In letto, signore. Avevo partorito allora».<br />

«Oh! orrore!».<br />

«Ah! Anatema».<br />

«Impuro!».<br />

«Sacrilego!».<br />

«Vedete se avevo ragione di interrogare?».<br />

«Sapiente sei, Gionata di Uziel! Come intuisti?».<br />

«Conosco l’uomo. Lo vidi violare il sabato nelle mie terre della pianura per saziare la sua fame».<br />

«Cacciamolo di qua!».<br />

«Riferiamo ai Principi dei sacerdoti».<br />

«No. Interroghiamolo se si è purificato. Non possiamo accusare senza sapere…».<br />

«Taci là, Eleazar. Non ti sporcare con una stolta difesa».


La giovane Dorca, presa in mezzo, causa di tanto parapiglia, dà uno scoppio di pianto e grida: «Oh!<br />

per mia causa non gli nuocete!».<br />

8Ma alcuni scalmanati hanno raggiunto il Signore e imperiosamente gli dicono: «Vieni qui e<br />

rispondi».<br />

Gli apostoli e i discepoli sono agitati da ira e da timore. Gesù calmo e solenne segue chi lo chiama.<br />

«Riconosci questa donna?» urlano spingendolo nel mezzo del cerchio che si è fatto intorno a Dorca<br />

e additandola come fosse una lebbrosa.<br />

«Sì. È una giovane vedova e madre di Cesarea di Filippo. E quella è la suocera sua. E quello è<br />

l’intendente del castello. Ebbene?».<br />

«Ella ti accusa di essere entrato da lei mentre ancora il parto avveniva».<br />

«Non è vero, Signore! <strong>Io</strong> non l’ho detto. Ho detto che mi hai rianimato il figlio. E non di più!<br />

Volevo farti onore e ti faccio del male. Oh! perdono! perdono!».<br />

L’intendente di Filippo interviene in suo aiuto e dice: «Non è vero. Voi mentite. La donna così non<br />

ha detto ed io ne sono testimone, pronto a giurare questo, e anche che il Rabbi non entrò nella<br />

stanza, ma dalla soglia operò il miracolo».<br />

«Taci tu, servo».<br />

«No. Non tacerò. E lo dirò a Filippo che venera il Rabbi più di voi, falsi devoti del <strong>Dio</strong> altissimo».<br />

L’alterco scivola dalla donna al terreno religioso e politico. Gesù tace. Dorca piange.<br />

9Eleazar, l’ospite giusto del banchetto in casa di Ismaele, dice: «Credo che sia chiarito il dubbio e<br />

cada l’accusa, e il Rabbi, giustificato, possa essere libero d’andare».<br />

«No. Voglio sapere se si è purificato dall’aver toccato il morto. Lo giuri su Jeovè!» urla Gionata di<br />

Uziel.<br />

«Non mi sono purificato perché il fanciullo non era morto, ma solo stentava a respirare».<br />

«Ah! ti fa comodo ora dire che non risuscitò, eh?» urla un fariseo.<br />

«Perché non ti vanti come facesti a Cedes?» chiede un altro.<br />

«Ma non perdiamo tempo in parole! Cacciamolo e portiamo la nuova accusa al Sinedrio. Un mazzo<br />

d’accuse!».<br />

«Quale altra?» chiede Gesù.<br />

«Quale? E l’aver toccato la lebbrosa senza poi purificarti? Puoi negarlo? E l’avere bestemmiato a<br />

Cafarnao tanto che i più giusti ti hanno abbandonato? Puoi negarlo?».<br />

«Non nego nulla. Ma sono senza peccato perché tu, Sadoc, che accusi, sai dal marito di Anastasica<br />

che ella non era lebbrosa, tu lo sai, tu pronubo dell’adulterio di Samuele, tu mentitore davanti al<br />

mondo con lui per favorire la libidine del sozzo, dando il nome di lebbra a ciò che non era lebbra, e<br />

condannando una donna a quella tortura che è l’esser detti “lebbrosi” in Israele, solo perché sei<br />

complice del colpevole marito».<br />

Lo scriba Sadoc, uno di quelli che erano a Giscala e poi a Cedes, colpito in pieno, se la svigna senza<br />

più parlare. La gente gli urla dietro beffarda.<br />

«Silenzio! <strong>Il</strong> luogo è sacro» dice Gesù. E ordina alla donna e a chi è con lei: «Andiamo. Venite con<br />

Me dove sono atteso». E si avvia severo e maestoso, seguito dai suoi.<br />

10La donna intanto, interrogata da molti, racconta e racconta, ripetendo ogni volta: «Mio figlio è suo<br />

e a Lui lo consacro».<br />

L’intendente, invece, si accosta a Gesù e dice: «Maestro, ho detto a Filippo il miracolo. Egli mi ha<br />

mandato per dirti che egli ti ama. Tienilo presente nelle insidie di Erode… e degli altri. Ma vorrebbe<br />

vedere lui pure, e udirti. Non verrai oggi alla sua casa? Ti terrebbe volentieri, anche nella<br />

Tetrarchia».<br />

«Non sono un istrione né un mago. Sono il Maestro della Verità. Venga alla Verità ed <strong>Io</strong> non lo<br />

respingerò».<br />

Sono nel cortile delle donne. «Eccolo! Eccolo!» dicono le discepole a Maria che è in pena per il<br />

ritardo.<br />

Si riuniscono, e Gesù vorrebbe congedare quelli di Cesarea per andare alla ricerca di Maria madre<br />

di Giuda, ma Dorca si inginocchia e dice: «Ti cercavo io prima di lei, di questa che Tu cerchi e che<br />

è madre di un discepolo. Ti cercavo per dirti: “Questo figlio è tuo. Maschio unigenito, io te lo


consacro. Tu sei il <strong>Dio</strong> vivente. Sia egli il tuo servo”».<br />

«Sai cosa vuoI dire questo? Vuol dire consacrare tuo figlio al dolore, perderlo come madre e<br />

acquistarlo come martire in Cielo. Ti senti d’essere martire nella tua creatura?».<br />

«Sì, mio Signore. Martire mi avrebbe fatto la sua morte, e di un martirio di povera donna madre. Per<br />

Te lo sarò in maniera perfetta, gradita al Signore».<br />

«E così sia!… 11 Oh! Maria di Simone, quando sei venuta?».<br />

«Ora. Con Anania, mio parente… <strong>Io</strong> pure ti cercavo, Signore…».<br />

«Lo so. E ho mandato Giuda a dirti di venire. Non è venuto?».<br />

La madre di Giuda china il capo e mormora: «Sono uscita subito dopo di lui per venire al<br />

Getsemani. Ma Tu eri partito di là… Sono corsa al Tempio… Ora ti trovo… In tempo per sentire<br />

questa fanciulla, già madre e così felice!… Oh! come vorrei potere dirti come lei, Signore, e di un<br />

Giuda neonato… dolce, dolce… come uno di questi agnellini…», e piangendo indica i belanti<br />

agnelli che vanno verso il sacrificatore. Si avvolge nel manto per celare il suo pianto.<br />

«Vieni con Me, madre. Parleremo nella casa di Giovanna. Qui non è il luogo».<br />

Le discepole prendono in mezzo Maria, madre di Giuda, mentre il parente Anania si mescola ai<br />

discepoli. Anche Dorca e la suocera vanno fra le discepole, e Maria d’Alfeo e Salome vanno in<br />

estasi nel vezzeggiare il piccino.<br />

Si avviano all’uscita. Ma prima di giungervi ecco uno schiavo romano portare una tavoletta cerata a<br />

Giovanna, che la legge e risponde: «Dirai che sì. Nel pomeriggio da me, a palazzo».<br />

E poi è il trillo di Jaia e sua madre vedendo il Salvatore: «Eccolo, eccolo il Datore della luce!<br />

Benedetto Te, Luce di <strong>Dio</strong>!», e sono a fronte a terra, felici.<br />

La gente si accalca, chiede, comprende, osanna.<br />

E poi è il vecchio Mattia, l’uomo che ospitò nella notte tempestosa Gesù e i suoi presso Jabes<br />

Galaad, che venera e benedice.<br />

E poi è il nonno di Marziam e gli altri contadini ai quali Gesù, dopo avere parlato con Giovanna,<br />

dice: «Venite con Me», come lo ha detto già a Dorca, a Jaia, a Mattia.<br />

12 Ma presso la Porta Dorata ecco Marco di Giosia, il discepolo fedifrago, che parla animatamente<br />

con Giuda Iscariota. Giuda vede venire il Maestro e lo dice al compagno. Questo si volta quando ha<br />

già Gesù alle spalle. Gli sguardi si intrecciano. Che sguardo quello del Cristo! Ma l’altro ormai è<br />

sordo ad ogni santo potere. Per fuggire più presto, quasi getta Gesù contro una colonna. E Gesù, per<br />

tutta reazione, dice: «Marco, fermati. Per pietà della tua anima e di tua madre!».<br />

«Satana!» grida l’altro. E se ne va.<br />

«Orrore!» gridano i discepoli. «Ma maledicilo, Signore!». E il primo a dirlo è l’Iscariota.<br />

«No. Non sarei più Gesù… Andiamo».<br />

«Ma come, come ha potuto diventare così? Era così buono!» dice Isacco, che pare trapassato da una<br />

freccia tanto è accorato del mutamento di Marco.<br />

«È un mistero. Una inspiegabile cosa!» dicono in molti.<br />

E Giuda di Keriot: «Sì. Lo facevo parlare. Tutta un’eresia. Ma come detta! Quasi ti persuade. Non<br />

era sapiente tanto, quando era giusto».<br />

«Devi dire che non era folle tanto, quando era indemoniato presso Gamala!» dice Giacomo di<br />

Zebedeo.<br />

E Giovanni chiede: «Perché, Signore, quando era indemoniato ti nuoceva meno di ora? Non potresti<br />

guarirlo perché non ti nuoccia?».<br />

«Perché adesso ha accolto in sé un demonio intelligente. Prima egli era albergo preso di forza da<br />

legione di demoni. Ma mancava in lui il consenso ad averli. Ora la sua intelligenza ha voluto<br />

Satana, e Satana ha messo in lui una forza demoniaca intelligente. Contro questa seconda<br />

possessione nulla posso. Dovrei violentare la volontà libera dell’uomo».<br />

«Tu soffri, Maestro?!».<br />

«Sì. Sono le mie angosce… le mie sconfitte… E me ne accoro perché sono anime che si perdono.<br />

Per questo solo. Non per il male che fanno a Me».<br />

13 Fermi come sono, in attesa di avere la via sgombra da un ingorgo di gente e di cavalcature, sono<br />

tutti in crocchio. E lo sguardo della madre di Giuda è di una tale potenza che suo figlio le chiede:


«Ma insomma? Che hai? Vedi il mio volto per la prima volta? In verità tu sei malata e devo farti<br />

curare…».<br />

«Non sono malata, figlio! E non ti vedo per la prima volta!».<br />

«E allora?».<br />

«E allora… nulla. Vorrei solo che tu non meritassi mai quelle parole dal Maestro».<br />

«<strong>Io</strong> non lo abbandono e non lo accuso. Sono il suo apostolo io!».<br />

Riprendono a camminare fino a che Gesù si ferma per salutare Giovanna e le discepole che vanno<br />

con Giovanna alla casa di questa. Gli uomini, invece, vanno tutti al Getsemani.<br />

«Potevamo andare tutti là. Avrei voluto vedere ciò che diceva Elisa» brontola fra i denti Pietro*.<br />

«Lo vedrai. Perché solo oggi ella saprà, e da Me, che le affido Anastasica».<br />

«E questa sera convito?».<br />

«Sì. Ho detto a Giovanna ciò che deve fare».<br />

«Che deve fare? Quando lo hai detto?» chiedono in più d’uno.<br />

«Lo vedrete. Prima di lasciarla. Mentre la salutavo. Andiamo presto per essere presto al giardino di<br />

Giovanna».<br />

_________________<br />

* brontola fra i denti Pietro e, alcune righe più sotto, chiedono in più d’uno, sono due aggiunte di<br />

MV su una copia dattiloscritta.<br />

369. Giovedì avanti Pasqua. Parabola della lebbra delle case.<br />

25 gennaio 1946.<br />

l E nella via del ritorno verso la casa di Giovanna, mentre sono un poco isolati fra la gente che si<br />

pigia nelle vie e che separa l’un dall’altro i molti della compagnia che segue Gesù, Pietro, che è col<br />

Maestro e con i due figli di Alfeo, domanda: «Ecco, Signore. Adesso che possiamo parlare un poco<br />

fra noi, mi dici una cosa che da ieri sera penso?».<br />

«Sì, Simone. Dimmi che cosa è, ed <strong>Io</strong> risponderò».<br />

«È da ieri sera che penso alla grande grazia che Tu concedi a Giovanni ad Antigonio. Ma sai che è<br />

ben grande?! Una cosa unica. Fatta solamente a lui! Eppure anche Sintica merita tanto… E infine<br />

c’è tanta brava gente che… meriterebbe di vederti… e che non ti vede altro che quando ti è vicina.<br />

Noi, per esempio, come saremmo stati consolati quando ci hai mandati per il mondo! E delle volte<br />

si è stati in momenti che una tua parola ci avrebbe levati dall’incertezza… Ma Tu, a noi, non vieni<br />

mai… Perché questa differenza?».<br />

«Concludendo, tu, Simone mio, sei un poco geloso?.».<br />

«Noooh! Ma… Insomma vorrei sapere tre cose: perché a Giovanni di Endor; se a lui solo; e se non<br />

c’è il caso che un giorno avvenga anche a noi, a me, per esempio, di vederti miracolosamente e di<br />

sapere da Te come regolarmi».<br />

«Ed lo ti rispondo. A Giovanni perché è uno spirito volonterosissimo ma che, per le sue avventure<br />

passate, ha delle debolezze, più fisiche che altro, che potrebbero far rovinare l’edificio che egli ha<br />

costruito della sua elevazione a <strong>Dio</strong>. 2 Vedi, amico mio? <strong>Il</strong> passato, stato per tanto tempo su noi come<br />

una crosta penetrata fin nel profondo, ha inciso segni indelebili, non solo, ma lascia tendenze<br />

indelebili in ogni uomo. Guarda ad esempio quella casupola costruita sotto il monte. Le acque del<br />

suolo, quelle che scolano dal monte durante le piogge, l’hanno penetrata lentamente. Ora c’è sole<br />

caldo, per mesi ci sarà. Ma le muffe che hanno penetrato la calcina saranno sempre presenti come<br />

macchie di lebbra. La casa è abbandonata perché dichiarata lebbrosa. In altri tempi, meno irridenti,<br />

la casa sarebbe stata demolita del tutto, secondo la legge*. Perché è avvenuto questo disastro alla<br />

povera casa? Perché i proprietari di essa non hanno provveduto a tenere scavati fossatelli intorno ad


essa per non fare stagnare le acque alla base, per derivare lontano dal lato che si appoggia al monte<br />

le acque scendenti dallo stesso. Ora la casa non solo è brutta, ma è minata dall’umido. Se un<br />

volonteroso pensasse a quei lavori e poi la ripulisse, raschiando le mura e cambiando i mattoni<br />

imporriti con altri nuovi, essa potrebbe essere usata ancora. Però presenterebbe sempre debolezze<br />

tali che in un terremoto sarebbe la prima a crollare. Giovanni è stato penetrato per anni dai veleni<br />

del male del mondo. Ha provveduto con la volontà a reciderli dalla sua anima tornata viva. Ma<br />

nella base nascosta nella carne, nella<br />

____________________<br />

* secondo la legge sulla lebbra delle case, che è in Levitico 14, 33-57.<br />

parte inferiore, sono rimaste debolezze… Lo spirito è forte, ma la sua carne è debole, e la carne<br />

sprigiona pure tempeste quando i suoi fomiti si congiungono ad elementi del mondo, capaci di<br />

scuotere l’io. Giovanni!… Che rimuovere di particelle del passato ha causato quanto è accaduto! <strong>Io</strong><br />

ne aiuto la resistenza, la depurazione, la vittoria sul risorgere del passato, do conforto al suo troppo<br />

soffrire come posso. Perché egli lo merita. Perché è giusto aiutare una volontà santa contro cui si è<br />

lanciata in assalto tutta la nequizia del mondo. 3 Sei persuaso?».<br />

«Sì, Maestro. E… a lui solo ti mostri?».<br />

Gesù sorride guardando Pietro, che lo guarda dal basso e pare un bambino che osservi il volto del<br />

padre. Risponde: «Non a lui solo. Anche ad altri che sono lontani a costruirsi la loro santità,<br />

faticosamente e da soli».<br />

«Chi sono?».<br />

«Ciò non è necessario sapere».<br />

Giacomo d’Alfeo chiede: «E a noi, per esempio, quando saremo soli e chissà come tormentati dal<br />

mondo?… Non ci aiuterai della tua presenza?».<br />

«Voi avrete il Paraclito con le sue luci».<br />

«Va bene… Ma io… non lo conosco… e… penso che non riuscirò mai a capirlo. Tu invece… Dirò:<br />

“Oh! ecco il Maestro” e ti chiederò cosa fare, con sicurezza che sei Tu…» dice Pietro. E termina:<br />

«<strong>Il</strong> Paraclito! Troppo eccelso per il povero pescatore! Chissà come parla difficile e come è…<br />

leggero: un soffio che passa… Chi se ne accorge? <strong>Io</strong> ho bisogno di uno scrollone, di un urlo, perché<br />

la mia zucca si svegli e possa capire. Ma Tu, se mi appari, ti vedo, e allora!… Promettimi, anzi,<br />

promettici che ci apparirai anche a noi. Ma così, eh?! Così di carne e sangue. Che ti si veda bene e ti<br />

si senta meglio».<br />

«E se venissi a rimproverare?».<br />

«Non importa! Ma almeno - vero, voi due? - almeno sapremo ciò che c’è da fare!».<br />

I due figli di Alfeo annuiscono.<br />

«Ebbene, ve lo prometto. Per quanto, credetelo, il Paraclito saprà farsi capire dalle vostre anime. Ma<br />

verrò <strong>Io</strong> a dirvi: “Giacomo, fa’ questo e quello. Simon Pietro, non sta bene che tu faccia quest’altro.<br />

Giuda, fortificati per essere pronto a questo o a quest’altro”».<br />

«Oh! molto bene. Ora sono più quieto. E vieni sovente, sai? Perché io sarò come un povero<br />

bambino sperduto e che non fa che piangere e… fare cose non buone…». E quasi quasi Pietro ci<br />

piange da ora…<br />

4 Giuda Taddeo chiede: «Non potresti farlo per tutti, da ora? Voglio dire: per i dubitosi, per i<br />

colpevoli, per i rinnegatori. Forse un miracolo…».<br />

«No, fratello. <strong>Il</strong> miracolo fa molto bene, il miracolo di tal genere specialmente, quando è dato a<br />

tempo e luogo, a persone non maliziosamente colpevoli. Dato a persone maliziosamente colpevoli,<br />

aumenta la loro colpevolezza perché aumenta la loro superbia. <strong>Il</strong> dono di <strong>Dio</strong> lo prendono per<br />

debolezza di <strong>Dio</strong> che supplica loro, gli orgogliosi, di permettergli di amarli. <strong>Il</strong> dono di <strong>Dio</strong> lo<br />

prendono per un prodotto dei loro grandi meriti. Si dicono: “<strong>Dio</strong> si umilia con me perché io sono<br />

santo”. È la rovina completa, allora. La rovina di un Marco di Giosia, ad esempio, e con lui di<br />

altri… Guai, guai a chi prende questa via satanica. <strong>Il</strong> dono di <strong>Dio</strong> si muta in esso in veleno di<br />

Satana. È la prova più grande e più sicura del grado di elevazione e di volontà santa in un uomo<br />

essere beneficato di doni straordinari. Molto sovente l’uomo se ne inebbria umanamente, e da


spirituale diviene tutto umanità, e poi scende e diviene satanicità».<br />

«E allora perché <strong>Dio</strong> li concede? Sarebbe meglio non li concedesse!».<br />

«Simone di Giona, per farti imparare a camminare tua madre ti ha sempre tenuto nelle fasce e sulle<br />

braccia?».<br />

«No. Mi metteva per terra e a gambe libere».<br />

«Ma sarai caduto?».<br />

«Oh! infinite volte! Molto più che ero molto… Insomma fin da piccolo avevo pretesa di fare da me<br />

e di fare tutto bene».<br />

«Ma ora non caschi più?».<br />

«Ci mancherebbe altro! Ora so che andare in cima ad una spalliera di sedia è pericoloso, che<br />

pretendere di usare delle grondaie per scendere dal tetto alla corte è errore, che volere volare dal<br />

fico dentro la casa, come fossimo uccelli, è da matto. Ma da piccino non lo sapevo. E se non mi<br />

sono ammazzato è proprio un mistero. Però pian piano ho imparato a fare buon uso delle gambe e<br />

anche del cervello».<br />

«Allora <strong>Dio</strong> ha fatto bene a darti gambe e cervello, e tua madre a lasciarti imparare a tue spese?».<br />

«Certo!».<br />

«Così fa <strong>Dio</strong> con le anime. Dà loro i doni e, come una madre, avverte e insegna. Ma poi ognuno<br />

deve da sé ragionare a come usarli».<br />

«E se è ebete?».<br />

«<strong>Dio</strong> non dà i doni agli ebeti. Questi li ama perché sono infelici, ma non dà ciò che non<br />

comprenderebbero di avere».<br />

«Ma se li desse e loro li usassero male?».<br />

«<strong>Dio</strong> li tratterebbe da quel che sono: incapaci, e perciò irresponsabili. Non li giudicherebbe».<br />

«E se uno, intelligente quando li riceve, poi diviene stolto o folle?».<br />

«Se è per malattia, non è colpevole di non usare il dono avuto».<br />

«Ma… uno di noi, per esempio? Giosia… o… o un altro, ecco?!».<br />

«Oh! allora! Meglio per lui non esser nato! Ma così si separano i buoni dai malvagi… Penosa<br />

operazione, ma giusta».<br />

5 «Ma che dite di buono? Nulla per noi?» chiedono altri apostoli che, data la larghezza della via,<br />

possono riunirsi a Gesù.<br />

«Parlavamo di tante cose. Gesù mi ha detto una parabola sulla lebbra delle case. Ve la dirò poi»<br />

risponde Pietro.<br />

«Che superstizioni, però! Proprio degne di quel tempo. I muri non prendono lebbra. Gli antichi,<br />

stolti, applicavano a vesti e mura proprietà animali. Cose ridicole e che ci fanno ridicoli» sdottora<br />

l’Iscariota.<br />

«Non sono come dici, Giuda. Sotto l’apparenza, che era quale era necessaria per le menti di quel<br />

tempo, è un grande scopo, che è formato da sante previdenze. Come tanti altri precetti del vecchio<br />

Israele. Precetti volti alla salute del popolo. Conservare un popolo sano è dovere dei legislatori, è<br />

onorare <strong>Dio</strong> e servirlo, perché il popolo è fatto di creature di <strong>Dio</strong>. Non va dunque trascurato mentre<br />

non si trascurano le bestie e le piante. Le case definite lebbrose non hanno, è vero, la malattia<br />

carnale della lebbra. Ma hanno difetti di costruzione e di ubicazione che le fanno malsane e che si<br />

palesano con le macchie definite “lebbra delle mura”. A lungo andare divengono non solo malsane<br />

all’uomo, ma pericolose perché facili al crollo. Perciò bene prescrive la Legge, e ne impone<br />

l’abbandono e il rifacimento e anche la distruzione se, ricostruite, tornano ad apparire malate».<br />

«Oh! ma un poco d’umido! Che fa? Si asciuga con dei bracieri».<br />

«E l’umido non apparisce all’esterno, l’inganno aumenta. L’umido cresce nel profondo e rode, e un<br />

bel giorno crolla la casa e seppellisce chi è in essa. Giuda, Giuda! Meglio avere eccessiva<br />

sorveglianza che essere imprudenti!».<br />

«<strong>Io</strong> non sono una casa».<br />

«Sei la casa della tua anima. Non lasciare che nella casa si infiltri il male e sgretoli… Veglia alla<br />

incolumità della tua anima. Vegliate tutti».<br />

«Veglierò, Maestro. Ma, dimmi con verità, sei impressionato delle parole di mia madre? Quella


donna è malata. Vede delle ombre. La devo far curare. Guariscimela Tu, Maestro».<br />

«<strong>Io</strong> le darò conforto. Ma solo tu la puoi guarire, calmando il suo affanno».<br />

«Affanno senza fondamento. Credilo, Signore».<br />

«Meglio così, Giuda. Meglio così. Ma tu, con condotta sempre più giusta, vedi di annullarlo. Se è<br />

sorto, ci sarà stato un movente. Annulla anche il ricordo di esso, e tua madre ed <strong>Io</strong> ti benediremo» .<br />

6 «Maestro, temi che mi accordassi con Marco di Giosia?».<br />

«Non temo nulla».<br />

«Ah! bene! Perché io proprio cercavo di convincerlo. E credo che fosse il mio dovere. Nessuno lo<br />

fa! Ho zelo per le anime, io!».<br />

«Sta’ attento che non ti avvenga male» dice Pietro bonariamente.<br />

«Che vuoi dire?» aggredisce Giuda.<br />

«Niente più che questo: che per toccare ciò che brucia va preso un che di isolante».<br />

«E che, nel nostro caso?».<br />

«Che? Una grande santità».<br />

«E io non ce l’ho, non è vero?».<br />

«Né tu, né io, né nessuno fra noi. Perciò… potremmo scottarci e rimanere segnati».<br />

«E allora chi si occuperà delle anime?».<br />

«Per ora il Maestro. Dopo, quando, secondo la sua promessa, avremo i mezzi per poterlo fare, noi».<br />

«Ma io voglio fare prima. Mai troppo presto si lavora per il Signore».<br />

«Ecco, io penso che dici bene. Ma penso che il primo lavoro per il Signore va fatto in noi. Andare a<br />

predicare santità agli altri prima che a noi stessi…».<br />

«Sei egoista».<br />

«No affatto».<br />

«Sì».<br />

«No».<br />

La disputa ha inizio. Interviene Gesù: «Pietro ha ragione per buona parte. Tu pure hai un poco di<br />

ragione. Perché la predicazione deve appoggiarsi sui fatti. Perciò santificarsi per poter dire: “Fate<br />

ciò che io dico perché giusto”. E ciò appoggia ciò che dice Pietro. Però anche il lavorare sugli spiriti<br />

altrui serve a formare i propri, perché ci obbliga a migliorarci per non sentirci fare osservazioni dai<br />

convertendi. Ma eccoci alla casa di Giovanna… Entriamo a godere dell’amore di essere fra operai<br />

del Signore, e a predicare, coi fatti, il tempo futuro».<br />

370. Giovedì avanti Pasqua. Al convito dei poveri nel palazzo di Cusa.<br />

26 gennaio 1946.<br />

1 «La pace sia a questa casa e su tutti i presenti» saluta Gesù entrando nell’ampio vestibolo molto<br />

fastoso, tutto illuminato nonostante sia giorno.<br />

Né sono superflue le lampade. Perché, se è vero che è giorno, è anche vero che fuori il sole è<br />

abbacinante nelle vie e sulle facciate bianche di calcina, mentre qui, nell’ampio ma soprattutto<br />

lungo corridoio vestibolo, che deve tagliare tutta la casa, dal portone massiccio al giardino il cui<br />

verde pieno di sole appare là in fondo - e pare lontano per un giuoco di prospettiva - vi deve essere<br />

abitualmente una penombra che è ombra del tutto per chi viene da fuori, con gli occhi abbacinati dal<br />

gran sole. Perciò Cusa ha provveduto acciò le ampie e numerose padelle di rame sbalzato, infisse a<br />

distanze regolari sulle due pareti del vestibolo, siano tutte accese, e cosi pure il lampadario centrale,<br />

un’ampia conca di alabastro rosa con incastrati, nella levità carnea dell’alabastro, dei diaspri e altre<br />

scaglie preziose e multicolori che, per la luce accesa nell’interno, splendono come tante stelle,<br />

gettando arcobaleni sulle pareti tinte in azzurro cupo, sui volti, sul pavimento di marmo cipollino. E<br />

sembra che minute stelle si posino sulle pareti, sui volti, sul suolo, minute e mobili stelline<br />

multicolori, perché il lampadario ondeggia lievemente per la corrente d’aria che percorre il<br />

vestibolo, e perciò lo sfaccettio delle scaglie preziose si sposta di continuo.


«La pace a questa casa» ripete Gesù, inoltrandosi, mentre senza sosta benedice i servi curvi fino a<br />

terra, gli ospiti stupiti di essere lì raccolti, a contatto con il Rabbi, in un palazzo principesco…<br />

2Gli ospiti! <strong>Il</strong> pensiero di Gesù si delinea chiaramente. <strong>Il</strong> convito d’amore che ha voluto in casa<br />

della buona discepola è una pagina del Vangelo tradotta in azione. Sono mendicanti, storpi, ciechi,<br />

orfani, vecchi, giovani vedove con i piccoli attaccati alle vesti o succhianti lo scarso latte della<br />

madre denutrita. La ricchezza di Giovanna ha già provveduto a sostituire le vesti cenciose con vesti<br />

modeste ma pulite e nuove. Ma se le chiome ravviate, in provvidenziale misura di pulizia, e se le<br />

vesti monde dànno a questi infelici, che i servi allineano o sorreggono per portarli al posto, un<br />

aspetto meno miserabile certo di quello che avevano quando Giovanna li mandò a raccogliere negli<br />

angiporti, ai crocicchi, sulle carraie che conducono a Gerusalemme, là dove la loro miseria si celava<br />

vergognosa oppure si esponeva per avere elemosina, in compenso restano visibili gli stenti sui volti,<br />

le infermità nelle membra, le sventure, le solitudini negli sguardi…<br />

Gesù passa e benedice. Ogni infelice riceve la sua benedizione e, se la destra è alzata a benedire, la<br />

sinistra si abbassa ad accarezzare tremule e canute teste di vegliardi o innocenti testoline di bimbi.<br />

Percorre così in su e in giù il vestibolo, per benedire tutti, anche quelli che entrano mentre Egli già<br />

benedice e, ancora cenciosi, si nascondono con timore e soggezione in un angolo finché i servi, con<br />

atti gentili, li portano altrove per essere, come coloro che li hanno preceduti, lavati e vestiti di vesti<br />

monde.<br />

3Passa una giovane vedova con la sua chiocciata di bambini… Che miseria! <strong>Il</strong> più piccolo nudo<br />

affatto, stretto nello stracciato velo della madre… i più grandicelli con appena quel tanto da salvare<br />

la decenza. Solo il maggiore, un allampanato fanciullo, ha un abito che può dirsi tale, ma in<br />

compenso è scalzo.<br />

Gesù osserva e chiama la donna dicendo: «Da dove vieni?».<br />

«Dal piano di Saron, Signore. Levi mi è divenuto maggiorenne… E l’ho dovuto accompagnare al<br />

Tempio… io… posto che non ha più padre», e la donna piange senza rumore, il pianto muto di chi<br />

ha troppo pianto.<br />

«Quando ti è morto l’uomo?».<br />

«Fu un anno a scebat. Ero incinta di due lune…», e inghiotte i singhiozzi per non turbare,<br />

curvandosi tutta sul piccolino.<br />

«<strong>Il</strong> pargolo ha dunque otto mesi?».<br />

«Sì, Signore».<br />

«Che faceva tuo marito?».<br />

La donna mormora così piano che Gesù non capisce. Si curva per sentire dicendo: «Ripeti senza<br />

timore».<br />

«Faceva il fabbro in una mascalcia… Ma fu malato molto… perché aveva ferite che marcivano». E<br />

termina pianissimo: «Era un soldato di Roma».<br />

«Ma tu sei d’Israele?».<br />

«Sì, Signore. Non mi scacciare per immonda come fecero i miei fratelli quando sono andata ad<br />

implorare pietà dopo la morte di Cornelio…».<br />

«Non avere paure di tal genere! Che fai ora di lavoro?».<br />

«La serva, se mi vogliono, la spigolatrice, la follatrice di panni, batto la canapa… di tutto… per<br />

sfamare questi. Levi ora farà il contadino… se lo vorranno, perché… bastardo nella razza».<br />

«Confida nel Signore!».<br />

«Non avessi confidato, mi sarei uccisa con tutti loro, Signore».<br />

«Va’, donna. Ci vedremo ancora», e la congeda.<br />

4Giovanna intanto è accorsa e sta in ginocchio in attesa che il Maestro la veda. Egli si volge, infatti,<br />

e la vede.<br />

«Pace a te, Giovanna. Mi hai ubbidito a perfezione».<br />

«Ubbidirti è la mia gioia. Ma non sono stata la sola a procurarti “la corte” come Tu volevi. Cusa mi<br />

ha aiutata in ogni maniera, e Marta e Maria anche. Ed Elisa con loro. Chi mandando i servi loro a<br />

prendere ciò che occorreva e ad aiutare i servi miei a radunare gli ospiti, chi aiutando le ancelle e i<br />

servi dei bagni a rendere mondi i “beneamati”, come Tu li chiami. Ora, con tua licenza, darò a tutti


un po’ di cibo, perché non siano esausti in attesa delle mense».<br />

«Fa’, fa’ pure. Dove sono le discepole?».<br />

«Sulla terrazza superiore dove faccio preparare le mense. Ho pensato giusto?».<br />

«Sì, Giovanna. Lassù staranno quieti, e noi con loro».<br />

«Sì, ho pensato io pure così. D’altronde in nessuna sala avrei potuto allestire per così tanti… E non<br />

volevo fare separazioni per non creare gelosie e dolore. Gli infelici hanno una sensibilità così acuta,<br />

una dolorabilità, anzi!… Sono tutti una ferita, e basta uno sguardo a farli soffrire».<br />

«Sì, Giovanna. Tu hai l’anima pietosa e comprendi. <strong>Dio</strong> ti dia bene per la tua pietà. 5 Ci sono molte<br />

discepole?».<br />

«Oh! Tutte quelle presenti in Gerusalemme!… Ma… Signore… io forse ho peccato… Vorrei dirti<br />

una cosa in segreto».<br />

«Conducimi in luogo solitario».<br />

Vanno loro due soli in una stanza che, per i balocchi sparsi dovunque, si intuisce luogo di giuochi di<br />

Maria e Mattia.<br />

«Ebbene, Giovanna?».<br />

«O mio Signore, io certo sono stata imprudente… Ma mi è venuto così spontaneo l’atto, così<br />

impetuoso! Cusa me ne ha rimproverata. Ma ormai… Al Tempio venne uno schiavo di Plautina con<br />

una tavoletta. Ella e le compagne chiedevano se era possibile vederti. Ho risposto: “Sì. Nel<br />

pomeriggio a casa mia”. E verranno… Ho fatto male? Oh! non per Te!… Ma per gli altri, per quelli<br />

che sono tutti Israele… e non sono amore come Te. Se ho mancato, provvederò a riparare… Ma<br />

desidero tanto che il mondo, tutto il mondo, ti ami, che… che non ho riflettuto che nel mondo Tu<br />

solo sei Perfezione e troppo pochi cercano di assomigliarti» .<br />

«Hai fatto bene. Oggi <strong>Io</strong> predico a voi tutti con le opere. E la presenza dei gentili fra i credenti in<br />

Gesù Salvatore sarà una delle cose da farsi in futuro dai miei credenti. I bambini dove sono?».<br />

«Da per tutto, Signore» sorride Giovanna tranquillizzata, e termina: «La festa li esalta e corrono qua<br />

e là come uccellini felici».<br />

Gesù la lascia, torna nel vestibolo, fa un cenno agli uomini che erano con Lui, e si avvia verso il<br />

giardino per poi salire alla vasta terrazza.<br />

6 Una lieta operosità empie la casa dalle cantine al tetto. Chi va, chi viene con cibi e suppellettili, con<br />

fasci di vesti, con sedili, accompagnando ospiti, rispondendo a chi interroga, tutti con letizia e<br />

amore. Gionata, solenne nella sua funzione di intendente, dirige, sorveglia, consiglia instancabile.<br />

La vecchia Ester, felice di vedere Giovanna così animata e prospera, ride in mezzo ad un cerchio di<br />

poveri bambini, ai quali distribuisce focacce mentre narra novelle meravigliose. Gesù si ferma un<br />

momento ad ascoltare la conclusione splendida di una di esse, in cui è detto che «alla buona Alba di<br />

maggio, che mai si ribellava al Signore per i dolori che erano venuti alla sua casa, <strong>Dio</strong> concesse<br />

molti aiuti, per cui Alba di maggio fu salvezza e bene anche dei fratellini suoi. Gli angeli empivano<br />

la piccola madia, finivano il lavoro sul telaio per aiutare la buona fanciulla dicendo: “È nostra<br />

sorella perché ama il Signore e il suo prossimo. Va aiutata da noi”».<br />

«<strong>Dio</strong> ti benedica, Ester! Quasi mi fermo <strong>Io</strong> pure ad ascoltare le tue parabole! Mi vuoi?» dice Gesù<br />

sorridendo.<br />

«Oh! mio Signore! <strong>Io</strong> devo ascoltare Te! Ma per i piccoli basto anche io, povera vecchia stolta!».<br />

«La tua anima giusta serve anche agli adulti. Continua, continua, Ester…», e le sorride<br />

andandosene.<br />

7 Per il vasto giardino ormai sono sparsi gli ospiti e consumano il loro primo spuntino guardandosi<br />

intorno e guardandosi l’un l’altro con stupefazione. Parlano scambiandosi commenti sulla insperata<br />

fortuna. Ma vedendo passare Gesù si alzano, solo che possano farlo, e si curvano adorando.<br />

«Mangiate, mangiate. State in libertà e benedite il Signore» dice Gesù passando, diretto alle stanze<br />

dei giardinieri, dalle quali ha inizio la scala che per un’aerea rampa conduce alla vasta terrazza.<br />

8 «Oh! Rabboni mio!» grida la Maddalena, che corre fuori da una stanza con le braccia cariche di<br />

fasce e camiciole per i pargoli. E la sua voce vellutata d’organo d’oro empie il viale ombroso sotto<br />

cui sono festoni di rose.<br />

«Maria, <strong>Dio</strong> sia con te. Dove vai così di fretta?».


«Oh! ho dieci pargoli da vestire! Li ho lavati e ora li vesto, e poi te li porterò, freschi come fiori.<br />

Fuggo, Maestro, perché… li senti? sembrano dieci agnellini belanti…», e corre via ridendo,<br />

splendida e serena nella sua semplice e signorile veste di candido lino, stretta alla vita da una<br />

cintura sottile d’argento, coi capelli stretti in un semplice nodo sulla nuca, sorretti da un nastro<br />

bianco che si annoda alla fronte.<br />

«Come è diversa da quella che era sul monte delle Beatitudini!» esclama Simone Zelote.<br />

9 Nella prima rampa di scale incrociano la figlia di Giairo e Annalia, che scendono così svelte che<br />

sembra che volino.<br />

«Maestro!», «Signore!» esclamano.<br />

«<strong>Dio</strong> sia con voi. Dove andate?».<br />

«A prendere tovaglie. Ci manda l’ancella di Giovanna. Parli, Maestro?».<br />

«Certamente!».<br />

«Oh! allora corri, Mirjam! Facciamo presto!» dice Annalia.<br />

«Avete tutto il tempo di fare ciò che dovete. Attendo altre persone. Ma da quando, fanciulla, ti<br />

chiami Mirjam?» dice guardando la figlia di Giairo.<br />

«Da oggi. Da ora. Me lo ha dato tua Madre il nome. Perché… vero, Annalia? Oggi è un grande<br />

giorno per quattro vergini…».<br />

«Oh! sì. Lo diremo al Signore o lasciamo a Maria di dirlo?».<br />

«A Maria, a Maria. Va’, va’, Signore. La Madre ti parlerà», e corrono via leggere, nel primo fiorire<br />

della gioventù, umane nelle belle forme, angeliche nello sguardo radioso…<br />

10 Sono alla terza rampa quando incrociano Elisa di Betsur, che scende gravemente insieme alla<br />

moglie di Filippo.<br />

«Ah! Signore!» grida quest’ultima. «A chi togli, a chi dài!… Ma che Tu sia benedetto lo stesso!».<br />

«Di che parli, donna?».<br />

«Ora lo saprai… Che pena e che gloria, Signore! Tu mi mutili e mi incoroni».<br />

Filippo, che è vicino a Gesù, dice: «Che dici? Di che parli? Tu mi sei moglie e ciò che ti avviene mi<br />

tocca…».<br />

«Oh! lo saprai, Filippo. Va’, va’ col Maestro».<br />

Gesù intanto chiede a Elisa se è ben guarita. E la donna, alla quale il grande dolore dei tempi passati<br />

ha dato una maestà di regina dolente, dice: «Sì, mio Signore. Ma soffrire con la pace nel cuore non<br />

è spasimo. Ed io ora ho la pace in cuore» .<br />

«E presto avrai più ancora».<br />

«Che, Signore?».<br />

«Va’ e torna, e lo saprai».<br />

11 «C’è Gesù! C’è Gesù!» trillano i due bambini che hanno il visetto appoggiato contro la rabescata<br />

ringhiera, che limita la terrazza dai due lati che guardano sul giardino, e dalla quale scendono rami<br />

in fiore di rose e gelsomini, perché il terrazzo è un vasto giardino pensile sul quale, in quest’ora di<br />

sole, è steso un velario multicolore.<br />

Tutte le persone che si agitano in preparativi sulla terrazza si volgono al grido di Maria e Mattia e,<br />

lasciando in tronco ciò che facevano, vengono incontro a Gesù, alle cui ginocchia già sono<br />

avviticchiati i due fanciulli.<br />

Gesù saluta le donne, numerose, che si affollano. Fra le vere e proprie discepole o mogli, figlie,<br />

sorelle di apostoli e discepoli, sono mescolate altre meno note, meno intime, quali la moglie del<br />

cugino Simone, le madri degli asinai di Nazaret, la madre di Abele di Betlemme di Galilea, Anna di<br />

Giuda (casa presso il lago Meron), Maria di Simone madre di Giuda di Keriot, Noemi di Efeso, Sara<br />

e Marcella da Betania (Sara è la donna che Gesù guarì sul monte delle Beatitudini e mandò da<br />

Lazzaro col vecchio Ismaele. Ora sembra ancella di Maria di Lazzaro); poi la madre di Jaia, la<br />

madre di Filippo d’Arbela, Dorca la giovane madre di Cesarea di Filippo e sua suocera, la madre di<br />

Annalia, Maria di Bozra la miracolata di lebbra venuta col marito a Gerusalemme, e altre, altre, non<br />

nuove allo sguardo ma non menzionabili dalla mente con nome proprio.<br />

Gesù si inoltra sulla vasta terrazza rettangolare, che da un lato si affaccia sul Sisto, e va a mettersi<br />

presso la stanza che è sbocco alla scala interna, credo, e che è simile ad un cubo basso messo


nell’angolo settentrionale della terrazza. Gerusalemme si mostra tutta, e con essa i suoi immediati<br />

dintorni. Una vista stupenda. Tutte le discepole, tutte le donne anzi, lasciano di occuparsi delle<br />

mense per stringersi intorno a Lui. I servi proseguono il loro lavoro.<br />

12 Maria è presso al Figlio. Nella luce dorata che filtra dal grande velario steso su buona parte della<br />

terrazza, e che poi diviene luce delicatamente smeraldina là dove, per giungere ai visi, deve filtrare<br />

da un intrico di gelsomini e rosai messi a fare pergola, Ella pare ancor più giovane e snella; una<br />

sorella delle più giovani discepole, appena di poco maggiore, e bella, bella come la più splendida<br />

delle rose fiorite nel giardino pensile, nelle capaci vasche messe tutt’intorno ad esso a contenere<br />

rosai, gelsomini, mughetti, gigli e altre piante gentili.<br />

«Madre, mia moglie ha parlato in un certo modo… Che è avvenuto perché mia moglie possa dirsi<br />

mutilata e incoronata insieme?» chiede Filippo, che brucia nella voglia di sapere.<br />

Maria sorride dolcemente mentre lo guarda e, Lei così restia a confidenze, gli prende la mano<br />

dicendo: «Saresti capace tu di dare al mio Gesù la cosa a te più cara? Veramente dovresti… perché<br />

Egli a te dà il Cielo e la via per andarvi».<br />

«Ma certo, Madre, che saprei… specie se ciò che darei avesse potere di farlo felice».<br />

«Lo ha. Filippo, anche la tua altra figlia si consacra al Signore. Lo ha detto poco fa a me e alla<br />

madre, alla presenza di molte discepole…».<br />

«Tu!? Tu?!» chiede Filippo sbalordito, puntando l’indice sulla gentile fanciulla che si stringe a<br />

Maria quasi per esserne protetta. L’apostolo inghiotte male questo secondo colpo che lo priva per<br />

sempre da speranza di nipoti. Si asciuga il sudore improvviso che la notizia gli ha dato… gira lo<br />

sguardo sui volti che gli sono intorno. Lotta… Soffre.<br />

La figlia geme: «Padre… il tuo perdono… e la tua benedizione...», e gli scivola ai piedi.<br />

Filippo la carezza macchinalmente sui capelli castani e si schiarisce la gola stretta in un nodo. Infine<br />

parla: «Si perdonano i figli che peccano… Tu non pecchi consacrandoti al Maestro… e… e… e il<br />

tuo povero padre non può che dirti… che dirti: “che tu sia benedetta”… Ah! figlia! figlia mia!…<br />

Come è soave e tremendo il volere di <strong>Dio</strong>!», e si china, la alza, l’abbraccia, la bacia sulla fronte, sui<br />

capelli, piangendo… e poi, tenendola ancora fra le braccia, va verso Gesù e gli dice: «Ecco. <strong>Io</strong> l’ho<br />

generata, ma Tu sei il suo <strong>Dio</strong>… <strong>Il</strong> tuo diritto è più del mio… Gra-zie… grazie, Signore, della…<br />

della gioia che…»; non può più proseguire. Cade a ginocchi ai piedi di Gesù e si curva a baciarne i<br />

piedi gemendo: «Mai, mai più nipoti!… <strong>Il</strong> mio sogno!… <strong>Il</strong> sorriso della mia vecchiaia!… Perdona<br />

questo pianto, mio Signore… Sono un povero uomo…».<br />

«Alzati, amico mio. E sii lieto di dare le primizie alle aiuole angeliche. 13 Vieni. Vieni qui fra Me e<br />

mia Madre. Sentiamo da Lei come avvenne la cosa, perché, te lo assicuro, per la mia parte <strong>Io</strong> non ne<br />

ho né colpa né merito».<br />

Maria spiega: «Poco so io pure. Parlavamo fra noi donne e, come spesso avviene, mi interrogavano<br />

sul mio voto verginale. Mi interrogavano ancora sul come saranno le vergini future, quali uffici,<br />

quali glorie prevedevo per esse. <strong>Io</strong> rispondevo come so… E per il futuro prevedevo per esse vita di<br />

orazione e di con-solazione alle sofferenze che il mondo darà a Gesù mio. Dicevo: “Saranno le<br />

vergini quelle che sostengono gli apostoli, quelle che laveranno il mondo insozzato vestendolo della<br />

loro purezza, di essa profumandolo, saranno gli angeli che canteranno le laudi per coprire le<br />

bestemmie. E Gesù ne sarà felice, e grazie darà al mondo, e darà misericordia per queste agnelle<br />

sparse fra i lupi…”, e altre cose dicevo. Fu allora che la figlia di Giairo mi disse: “Dammi un nome,<br />

o Madre, per il mio futuro di vergine, perché io non posso concedere che un uomo goda il corpo che<br />

fu rianimato da Gesù. Di Lui solo è questo mio corpo fino a che sarà la carne del sepolcro e l’anima<br />

del Cielo”; e Annalia disse: “<strong>Io</strong> pure così ho sentito di fare. E oggi sono più allegra di rondine<br />

perché ogni legame è spezzato”. E fu anche allora che tua figlia, o Filippo, disse: “Anche io sarò<br />

come voi. Vergine in eterno!”. La madre, ecco che viene, le fece considerare che così non si può<br />

prendere tanta decisione. Ma ella non mutò parere. E a chi le chiedeva se era antico pensiero diceva<br />

“no”, e a chi le chiedeva come le era venuto diceva: “Non so. Come una freccia di luce mi ha<br />

squarciato il cuore e ho capito di che amore amo Gesù”».<br />

La moglie di Filippo chiede al marito: «Udisti?».<br />

«Sì, donna. La carne geme… e dovrebbe cantare perché è la sua glorificazione questa. Essa, la


nostra pesante carne, ha generato due angeli. Non piangere, donna. Tu l’hai detto avanti: Egli ti ha<br />

incoronata… La regina non piange quando riceve il serto…».<br />

Ma piange anche Filippo, 14 e piangono in molti, sia uomini che donne, ora che tutti sono raccolti<br />

quassù. Maria di Simone piange a dirotto in un angolo… Maria di Magdala piange in un altro,<br />

tormentando il lino della sua veste alla quale strappa macchinalmente i fili della bordura che l’orna.<br />

Anastasica lacrima tentando celare con la mano il volto lacrimoso.<br />

«Perché piangete?» chiede Gesù.<br />

Nessuno risponde.<br />

Gesù chiama Anastasica e l’interroga di nuovo, e lei: «Perché, Signore, per una gioia nauseabonda,<br />

avuta per una notte sola, ho perduto d’essere una tua vergine».<br />

«Ogni stato è buono, se in esso si serve il Signore. Nella Chiesa futura occorreranno vergini e<br />

matrone. Tutte utili al trionfo del Regno di <strong>Dio</strong> nel mondo e al lavoro dei fratelli sacerdoti. 15 Elisa di<br />

Betsur, vieni qua. Consola questa quasi fanciulla…». E mette di sua mano Anastasica fra le braccia<br />

di Elisa.<br />

Le osserva mentre Elisa la carezza e l’altra si abbandona fra quelle braccia di madre, e poi chiede:<br />

«Elisa, conosci la sua storia?».<br />

«Sì, Signore. E mi fa tanta pena, povera colomba senza nido».<br />

«Elisa, ami tu questa sorella?».<br />

«Amarla? Tanto. Ma non come sorella. Ella mi può essere figlia. E ora che la tengo fra le braccia mi<br />

pare di tornare ad essere la madre felice del tempo passato. A chi affiderai questa dolce gazzella?».<br />

«A te, Elisa» .<br />

«A me?». La donna slega il cerchio delle braccia per guardare il Signore, incredula…<br />

«A te. Non la vuoi?».<br />

«Oh! Signore! Signore! Signore!»… Elisa in ginocchio striscia da Gesù e non sa, non sa come, cosa<br />

dire, cosa fare per esprimere la sua gioia.<br />

«Alzati e siile santamente madre, ed ella ti sia santamente figlia, e ambedue procedete nella via del<br />

Signore. 16 Maria di Lazzaro, perché piangi, tu, tanto ilare poc’anzi? Dove sono i dieci fiori che mi<br />

volevi portare?…».<br />

«Dormono sazi nel nitore, Maestro… E io piango perché mai più avrò il nitore delle vergini, e<br />

l’anima mia sempre piangerà, mai sazia perché… perché ho peccato…».<br />

«<strong>Il</strong> mio perdono e il pianto tuo ti fanno più monda di essi. Vieni qui. Non piangere più. Lascia il<br />

pianto a chi ha da vergognarsi di qualcosa. Su. Va’ a prendere i tuoi fiori; andate anche voi, spose e<br />

vergini. Andate a dire agli ospiti di <strong>Dio</strong> di salire. Occorre congedarli avanti la chiusura delle porte,<br />

perché molti di essi stanno sparsi per la campagna».<br />

Vanno ubbidienti, rimanendo solo sul terrazzo Gesù, al suo posto, che carezza Maria e Mattia; Elisa<br />

e Anastasica che poco più là si tengono per mano guardandosi negli occhi con un sorriso intriso di<br />

un pianto felice; Maria di Simone sulla quale si curva pietosa Maria Ss.; e Giovanna che sulla porta<br />

della stanza guarda incerta un poco dentro, un poco fuori, verso Gesù. Gli apostoli e discepoli sono<br />

scesi insieme alle donne per aiutare i servi a trasportare gli storpi, ciechi, zoppi, rattratti, vecchi, per<br />

la lunga scala.<br />

17 Gesù alza il capo che aveva chino sui due fanciulli e vede Maria curva sulla madre di Giuda. Si<br />

alza e va da loro. Posa la mano sulla testa brizzolata di Maria di Simone: «Perché piangi donna?».<br />

«Oh! Signore! Signore! <strong>Io</strong> ho partorito un demonio! Nessuna madre in Israele sarà pari a me nel<br />

dolore!».<br />

«Maria, un’altra madre, e per lo stesso motivo che è tuo, mi ha detto e dice queste parole. Povere<br />

madri!…».<br />

«O mio Signore, vi è dunque un altro che come Giuda mio sia un perfido e scellerato verso di Te?<br />

Oh! non può essere! Egli, che ha Te, si è dato a pratiche immonde. Egli, che respira il tuo alito, è<br />

libidinoso e ladro, forse diverrà omicida. Egli… oh! Menzogna è il suo pensiero! Febbre la sua vita.<br />

Fàllo morire, Signore! Per pietà! Fàllo morire!».<br />

«Maria, il tuo cuore te lo mostra peggio che non sia. La paura ti fa folle. Ma calmati e ragiona. Che<br />

prove hai del suo agire?».


«Verso Te nulla. Ma è una valanga che scende. L’ho sorpreso, e non ha potuto nascondere le prove<br />

che… Eccolo… Per pietà, taci! Mi guarda. Sospetta. È il mio dolore. Nessuna madre più infelice di<br />

me in Israele!…».<br />

Maria sussurra: «<strong>Io</strong>… Perché al mio unisco il dolore di tutte le madri infelici… Perché il mio<br />

dolore è dato dall’odio non di uno, ma di tutto un mondo».<br />

18 Gesù, chiamato da Giovanna, va da lei; intanto Giuda viene verso la madre, che è ancora<br />

confortata da Maria, e l’apostrofa: «Hai potuto dire i tuoi deliri? Calunniarmi? Sei lieta ora?».<br />

«Giuda! Così parli a tua madre?» chiede severa Maria. È la prima volta che la vedo così…<br />

«Sì. Perché sono stanco della sua persecuzione».<br />

«Oh! figlio mio, non è una persecuzione! È amore. Tu mi dici malata. Ma tu sei il malato! Tu dici<br />

che io ti calunnio e che ascolto tuoi nemici. Ma tu ti fai torto, ma tu segui e coltivi esseri nefasti che<br />

ti travolgeranno. Perché tu sei debole, figlio mio, ed essi se ne sono accorti… Da’ retta a tua madre.<br />

Ascolta Anania, vecchio e saggio. Giuda! Giuda! Pietà di te, di me! Giuda!!! Dove vai, Giuda?!».<br />

Giuda, che traversa quasi di corsa la terrazza, si volta e grida: «Dove sono utile e venerato», e<br />

scende a precipizio la scala mentre l’infelice madre, sporgendosi dal parapetto, gli grida: «Non<br />

andare! Non andare! Essi vogliono la tua rovina! Figlio! Figlio! Figlio mio!…».<br />

Giuda è giunto in basso e gli alberi lo nascondono alla vista della madre. Riappare per un momento<br />

in uno spazio vuoto prima di entrare nel vestibolo.<br />

«È andato!… La superbia lo divora!» geme sua madre.<br />

«Preghiamo per lui, Maria. Preghiamo noi due insieme…» dice la Vergine, tenendo per mano la<br />

triste madre del futuro deicida.<br />

19 Intanto cominciano a salire gli ospiti… e Gesù parla con Giovanna. «Va bene. Vengano pure.<br />

Molto meglio se si sono messe vesti ebree per non urtare le prevenzioni di molti. Le attendo qui. Va’<br />

a chiamarle», e addossato allo stipite osserva l’afflusso dei convitati, che apostoli, discepoli e<br />

discepole guidano con amorevolezza alle tavole secondo un ordine prestabilito. Al centro è la tavola<br />

bassa dei fanciulli, poi, di qua e di là, tutte le altre, parallele.<br />

Ma mentre ciechi, zoppi, rattratti, storpi, vecchi, vedove, mendichi si dispongono con le loro storie<br />

di dolori impresse sui volti, ecco che, gentili come cesti di fiori, vengono portati dei cestoni mutati<br />

in cuna, persino dei piccoli cofani, nei quali, adagiati su cuscini, dormono sazi i poppanti presi alle<br />

madri mendiche. E Maria di Madgala, rasserenata, corre da Gesù dicendo: «Sono giunti i fiori.<br />

Vieni a benedirli, mio Signore».<br />

Ma nello stesso tempo Giovanna emerge dalle scale interne dicendo: «Maestro, ecco le discepole<br />

pagane». Sono sette donne, vestite di oscure e dimesse vesti simili a quelle delle ebree. Un velo è<br />

sul volto di tutte e un mantello le copre fino ai piedi. Due sono alte e maestose, le altre di media<br />

statura. Ma quando, dopo aver venerato il Maestro, si levano il mantello è facile riconoscere<br />

Plautina, Lidia, Valeria; la liberta Flavia, quella che ha scritto le parole di Gesù nel giardino di<br />

Lazzaro; e poi vi sono tre sconosciute. Una dallo sguardo uso al comando e che pure si inginocchia<br />

dicendo al Signore: «E con me Roma si prostri ai tuoi piedi», e poi una formosa matrona sui<br />

cinquant’anni, e infine una giovinetta esile e serena come un fior di campo.<br />

Maria di Magdala riconosce le romane, nonostante le loro vesti ebree, e mormora: «Claudia!!!», e<br />

resta ad occhi sgranati.<br />

«<strong>Io</strong>. Basta di udire per altrui parola! La Verità e la Sapienza vanno attinte alla fonte diretta».<br />

«Credi che ci riconosceranno?» chiede Valeria a Maria di Magdala.<br />

«Se non vi tradite col nominarvi, non credo. Del resto vi metterò in luogo sicuro».<br />

«No, Maria. Alle tavole, a servire i mendichi. Nessuno potrà pensare che le patrizie siano serve ai<br />

poveri, agli infimi del mondo ebraico» dice Gesù.<br />

«Bene sentenzi, o Maestro. Perché la superbia è innata in noi».<br />

«E l’umiltà è il segno più netto della mia dottrina. Chi mi vuole seguire deve amare la Verità, la<br />

Purezza e l’Umiltà, avere carità per tutti ed eroismo per sfidare l’opinione degli uomini e le<br />

pressioni dei tiranni. Andiamo».<br />

«Perdona, o Rabbi. Questa fanciulla è una schiava figlia di schiavi. L’ho riscattata perché di origine<br />

israelita e Plautina con sé la tiene. Ma io te l’offro, pensando che bene è farlo. <strong>Il</strong> suo nome è Egla.


Ti appartiene».<br />

«Maria, accoglila. Poi penseremo… Grazie, donna».<br />

20 Gesù va sul terrazzo a benedire i fanciulli. Molta curiosità destano le dame. Ma così vestite e<br />

pettinate all’ebrea, in vesti quasi povere, non destano sospetti. Gesù va al centro della terrazza,<br />

presso la tavola dei fanciulli, e prega, offrendo per tutti il cibo al Signore, benedice e dà ordine di<br />

iniziare il pasto. Apostoli, discepoli, discepole, dame, sono i servi dei poveri, e Gesù ne dà<br />

l’esempio rimboccandosi le larghe maniche della veste rossa e occupandosi dei suoi bambini,<br />

aiutato da Mirjam di Giairo e da Giovanni. Le bocche di tanti denutriti lavorano egregiamente, ma<br />

gli occhi sono tutti rivolti al Signore. La sera scende e viene levato il velario mentre lumi, ancora<br />

superflui, vengono portati dai servi.<br />

Gesù circola fra le tavole. Non lascia nessuno senza conforti di parole e di aiuto. Sfiora così più<br />

volte le regali Claudia e Plautina, che dimesse spezzano il pane o portano il vino alle labbra dei<br />

ciechi, dei paralitici, dei monchi; sorride alle sue vergini che si occupano delle donne, alle madri<br />

discepole tutte pietose presso gli infelici, a Maria di Magdala che si prodiga a una tavolata di<br />

vecchioni, la più triste di tutte, piena di tossi, di tremiti, di mascelle sdentate che biasciano e di<br />

bocche che sbavano; e aiuta Matteo che palleggia un infante, che si è fatto andare per traverso una<br />

mollica di focaccia che succhiava e mordeva coi dentini novelli; complimenta Cusa che,<br />

sopraggiunto al principio del pasto, scalca le carni e serve come un servo provetto.<br />

<strong>Il</strong> pasto ha termine. Nei volti coloriti, negli occhi più lieti, è palese la soddisfazione dei miseri.<br />

21 Gesù si curva su un vecchione scosso da un tremito e dice: «Che pensi, o padre, che sorridi?».<br />

«Penso che non è proprio un sogno. Fino a poco fa credevo di dormire e sognare. Ma ora sento che<br />

è proprio vero. Ma chi ti fa così buono, che fai buoni così i tuoi discepoli? Viva Gesù!» grida per<br />

ultimo.<br />

E tutte le voci di questi miseri, e sono centinaia, gridano: «Viva Gesù!».<br />

Gesù va di nuovo al centro e apre le braccia, facendo cenno di tacere e di stare fermi, e inizia a<br />

parlare stando seduto con un fanciullino sulle ginocchia.<br />

«Viva, sì, viva Gesù, non perché <strong>Io</strong> sono Gesù. Ma perché Gesù vuol dire l’amore di <strong>Dio</strong> fatto carne<br />

e sceso fra gli uomini per essere conosciuto e per far conoscere l’amore che sarà il segno della<br />

nuova èra. Viva Gesù perché Gesù vuoI dire “Salvatore”. Ed <strong>Io</strong> vi salvo. Vi salvo tutti, ricchi e<br />

poveri, fanciulli e ve-gliardi, israeliti e pagani, tutti, purché voi vogliate darmi la volontà di essere<br />

salvati*. Gesù è per tutti. Non è per questo o quello. Gesù è di tutti. Di tutti gli uomini e per tutti gli<br />

uomini. Per tutti sono l’Amore misericorde e la Salvezza sicura. Cosa è necessario fare per essere di<br />

Gesù, e perciò per avere salvezza? Poche cose. Ma grandi cose. Non grandi perché cose difficili<br />

come quelle che fanno i re. Ma grandi perché vogliono che l’uomo si rinnovelli per farle e per<br />

divenire di Gesù. Perciò amore, umiltà, fede, rassegnazione, compassione. Ecco. Voi, che discepoli<br />

siete, cosa avete fatto oggi di grande? Direte: “Nulla. Abbiamo servito un pasto”. No. Avete servito<br />

l’amore. Vi siete umiliati. Avete trattato da fratelli gli sconosciuti di tutte le razze, senza chiedere<br />

chi sono, se sono sani, se sono buoni. E lo avete fatto in nome del Signore. Forse speravate grandi<br />

parole da Me, per la vostra istruzione. Vi ho fatto fare grandi fatti. Abbiamo iniziato il giorno con la<br />

preghiera, abbiamo sovvenuto lebbrosi e mendichi, abbiamo adorato l’Altissimo nella sua Casa,<br />

abbiamo iniziato le agapi fraterne e la cura dei pellegrini e dei poveri, abbiamo servito perché<br />

servire per amore è essere simile a Me che sono Servo dei servi di <strong>Dio</strong>, Servo fino ad<br />

annichilimento di morte per ministrare a voi salvezza…».<br />

22 Un vocìo e uno scalpiccìo interrompe Gesù. Un gruppo scalmanato di israeliti sale di corsa le<br />

scale. Le romane più note, ossia Plautina, Claudia, Valeria e Lidia, si ritirano nell’ombra calando il<br />

velo. I disturbatori irrompono sul terrazzo e pare cerchino chissà che.<br />

Cusa, offeso, va loro davanti e chiede: «Che volete?».<br />

«Nulla che ti riguardi. Cerchiamo Gesù di Nazaret e non te».<br />

«Eccomi. Non mi vedete?» chiede Gesù posando a terra il fanciullino e alzandosi imponente.<br />

____________________<br />

* Vi salvo tutti, …purché voi vogliate darmi la volontà di essere salvati. Questa affermazione, il<br />

cui concetto si trova spesso illustrato nell’Opera, spiega in sintesi certe espressioni d’impotenza da


parte di Gesù, a cominciare da quella incontrata in 95.6, fino alla più recente che è in 368.12. Anche<br />

quando non è in ballo la salvezza (come in 455.9, ultime righe) Gesù può non esercitare la propria<br />

onnipotenza divina se manca l’adesione della libera volontà dell’uomo.<br />

«Che fai qui?».<br />

«Lo vedete. Faccio ciò che insegno e insegno ciò che va fatto: l’amore ai più poveri. Che vi era<br />

stato detto?».<br />

«Furono uditi gridi sediziosi. E siccome dove sei Tu là è sedizione, siamo venuti a vedere».<br />

«Là dove <strong>Io</strong> sono è pace. <strong>Il</strong> grido era: “Viva Gesù”».<br />

«Appunto. Fu pensato, tanto al Tempio che al palazzo d’Erode, che qui si congiurasse contro…».<br />

«Chi? Contro chi? Chi è re in Israele? Non il Tempio, non Erode. Roma domina, e folle è chi pensa<br />

a farsi re là dove essa , impera».<br />

«Tu dici d’esser re».<br />

«Re sono. Ma non di questo regno. Troppo meschino per Me! Troppo meschino è anche l’impero.<br />

Re <strong>Io</strong> sono del Regno santo dei Cieli, del Regno dell’Amore e dello Spirito. Andate in pace. O<br />

restate, se volete, e imparate come si accede a questo mio Regno. I miei sudditi eccoli: i poveri, gli<br />

infelici, gli oppressi, e poi i buoni, gli umili, i caritatevoli. Restate, unitevi ad essi».<br />

«Però Tu sei sempre ai conviti in case fastose, fra belle donne e…».<br />

«Basta! Non si insinua e non si offende il Rabbi in casa mia. Uscite!» tuona Cusa.<br />

23 Ma dalla scala interna balza sul terrazzo una figuretta snella di fanciulla velata. Corre leggera<br />

come una farfalla fino a Gesù e là getta velo e manto, cadendogli ai piedi e tentando baciarglieli.<br />

«Salomè!» grida Cusa, e con lui altri.<br />

Gesù si è ritirato così violentemente, per sfuggire il contatto, che il suo sedile si rovescia ed Egli ne<br />

approfitta per metterlo fra sé e Salomè come separazione. I suoi occhi fanno paura tanto sono<br />

fosforescenti, terribili.<br />

Salomè, leggera e sfrontata, tutta moine, dice: «Sì, io. L’acclamazione è giunta al Palazzo. Erode<br />

manda ambasceria a dirti che ti vuol vedere. Ma io l’ho prevenuta. Vieni con me, Signore. <strong>Io</strong> ti amo<br />

tanto e ti desidero tanto! Sono io pure carne d’Israele».<br />

«Va’ alla tua casa».<br />

«La Corte ti attende per darti onore».<br />

«La mia Corte è questa. Non ne conosco altra né altri onori», e colla mano indica i poveri seduti alle<br />

tavole.<br />

«Ti porto doni per essa. Ecco i miei monili».<br />

«Non li voglio».<br />

«Perché li rifiuti?».<br />

«Perché sono immondi e dati per immondo scopo. Va’ via!».<br />

Salomè si rialza interdetta. Guarda di sfuggita il Terribile, il Purissimo che la fulmina col braccio<br />

teso e lo sguardo di fuoco. Guarda furtiva tutti, e vede beffa o nausea sui volti. I farisei sono<br />

pietrificati e osservano la scena potente. Le romane osano farsi avanti per vedere meglio.<br />

Salomè tenta un’ultima prova. «Avvicini anche i lebbrosi…» dice sommessa e supplichevole.<br />

«Sono dei malati. Tu sei un’impudica. Va’ via!».<br />

L’ultimo «va’ via!» è talmente potente che Salomè raccoglie velo e manto e, curva, strisciando, si<br />

dirige alle scale.<br />

«Bada, Signore!… Ella è potente… Potrebbe nuocerti» sussurra Cusa sottovoce.<br />

Ma Gesù risponde a voce fortissima, ché tutti possano sentire, la scacciata per prima: «Non importa.<br />

Preferisco essere ucciso ad avere alleanze con il vizio. Sudore di donna lasciva e oro di meretrice<br />

sono veleni d’inferno. Alleanza di viltà coi potenti è colpa. <strong>Io</strong> sono Verità, Purezza e Redenzione. E<br />

non muto. Va’. Accompagnala…».<br />

«Punirò i servi che l’hanno lasciata passare».<br />

«Non punirai nessuno. Una sola va punita. Lei. E lo è. E sappia, e sappiate che il suo pensiero mi è<br />

noto e che ne ho ribrezzo. Torni la serpe nel suo covo. L’Agnello torna ai suoi giardini».<br />

Si siede. Suda. Tace. 24 Poi dice: «Giovanna, da’ ad ognuno l’obolo perché meno triste sia per<br />

qualche giorno la vita… Che altro vi devo fare, figli del dolore? Che volete che <strong>Io</strong> vi possa dare?


Leggo nei cuori. Ai malati che sanno credere, pace e salute!».<br />

Un attimo di sosta e poi un grido… e sono molti e molti che sorgono guariti. I giudei venuti a<br />

sorprendere se ne vanno sbalorditi e trascurati nel delirio generale di acclamazioni per il miracolo e<br />

per la purezza di Gesù.<br />

Gesù sorride baciando i bambini. Poi congeda gli ospiti trattenendo le vedove e parla con Giovanna<br />

in loro favore. Giovanna prende nota e le invita per il domani. Poi esse pure vanno. Ultimi vanno i<br />

vecchi…<br />

Restano apostoli, discepoli, discepole e le romane. Gesù dice: «Così è e deve essere l’unione futura.<br />

Non ci sono parole. I fatti parlino agli spiriti e alle menti colla loro evidenza. La pace sia con voi».<br />

Si dirige verso le scale interne e scompare seguito da Giovanna e poi dagli altri.<br />

25 Alla base delle scale scontra Giuda: «Maestro, non andare al Getsemani! Ti cercano là dei nemici.<br />

E tu, madre, che dici ora? Tu che mi accusi! Se non fossi andato, non avrei saputo l’insidia tesa al<br />

Maestro. In un’altra casa! In un’altra casa andiamo!».<br />

«Nella nostra, allora. In casa di Lazzaro non entra che chi è amico di <strong>Dio</strong>» dice Maria di Magdala.<br />

«Sì. Quelli che ieri erano al Getsemani vengano con le sorelle al palazzo di Lazzaro. Domani<br />

provvederemo».


214. Giovedì avanti Pasqua. A sera nel palazzo di Lazzaro.<br />

27 gennaio 1946.<br />

1 Non brillano certo per il loro eroismo i seguaci di Gesù! La notizia portata da Giuda è simile<br />

all’apparizione di uno sparviero su un’aia piena di pulcini, o di un lupo sul ciglio prossimo ad un<br />

gregge! Spavento, o per lo meno orgasmo, sono su almeno nove decimi dei volti presenti, e specie<br />

dei volti maschili. <strong>Io</strong> credo che molti hanno già l’impressione del filo della spada o del flagello<br />

contro l’epidermide, e il meno che pensano è di avere a provare le segrete delle carceri in attesa di<br />

processo. Le donne sono meno agitate. Più che agitate, sono impensierite per i figli o i mariti e<br />

consigliano questi e quelli di squagliarsi a piccoli gruppi spargendosi nelle campagne.<br />

Maria di Magdala insorge contro quest’onda di timore esagerato: «Oh! quante gazzelle sono in<br />

Israele! Non vi fa vergogna tremare così? Vi ho detto che nel mio palazzo sarete più sicuri che in<br />

una fortezza. Venite dunque! E sulla mia parola vi assicuro che non vi accadrà nulla di nulla. Se<br />

oltre ai designati da Gesù ve ne sono altri che pensano essere sicuri nella mia casa, vengano. Ci<br />

sono letti e lettucci per una centuria. Andiamo, decidete, in luogo di basire di paura! Soltanto prego<br />

Giovanna di farci seguire dai servi con delle cibarie. Perché in palazzo non ce n’è per tanti, ed è<br />

sera ormai. Un buon pasto è la miglior medicina per rinfrancare i pusilli». E non è solo imponente<br />

nella sua veste bianca, ma è abbastanza ironica negli occhi splendidi mentre, dall’alto della sua<br />

statura, guarda il gregge spaurito che si pigia nel vestibolo di Giovanna.<br />

«Provvederò subito. Andate pure, che Gionata vi seguirà coi servi, ed io con lui, perché mi concedo<br />

la gioia di seguire il Maestro, e senza paura, ve lo assicuro, tanto senza paura che porto con me i<br />

bambini» dice Giovanna.<br />

Si ritira a dare ordini, mentre le prime avanguardie dello spaurito esercito mettono caute la testa<br />

fuori dal portone e, vedendo che non c’è nulla di pauroso, osano uscire nella via e avviarsi seguiti<br />

dagli altri.<br />

<strong>Il</strong> gruppo verginale è al centro, immediatamente dopo Gesù che è nelle prime file. Dietro, oh!,<br />

dietro alle vergini le donne; e poi i più... vacillanti nel coraggio, che hanno le spalle protette da<br />

Maria di Lazzaro che si è unita alle romane, decise a non staccarsi da Gesù tanto presto. Ma poi<br />

Maria di Lazzaro corre avanti a dire qualcosa alla sorella, e le sette romane restano con Sara e<br />

Marcella, rimaste esse pure alla retroguardia per ordine di Maria e nell’intento di far passare ancor<br />

più inosservate le sette romane.<br />

Sopraggiunge a passo svelto Giovanna coi bambini per mano, e dietro a lei è Gionata coi servi<br />

carichi di borse e ceste, che si mettono in coda alla piccola turba che, in verità, nessuno nota, perché<br />

le vie formicolano di gruppi che vanno alle case o agli accampamenti, e la penombra rende meno<br />

riconoscibili i volti. Adesso Maria di Magdala insieme a Giovanna, Anastasica e Elisa, è proprio in<br />

prima fila e guida, per viette secondarie, i suoi ospiti al palazzo.<br />

2 Gionata cammina quasi a pari delle romane, alle quali rivolge la parola come a serve delle<br />

discepole più ricche. Ne approfitta Claudia per dirgli: «Uomo, ti prego di andare a chiamare il<br />

discepolo che ha portato la notizia. Digli che venga qui. E dillo in maniera da non attirare<br />

l’attenzione. Va’!». La veste è dimessa, ma il modo è involontariamente potente, di chi è uso al<br />

comando. Gionata sbarra gli occhi cercando vedere, attraverso il velo calato, chi è che gli parla così.<br />

Ma non riesce che a vedere il balenio di due occhi imperiosi. Però deve intuire che non è una serva<br />

la donna che gli parla, e prima di ubbidire si inchina.<br />

Raggiunge Giuda di Keriot, che parla animatamente con Stefano e con Timoneo, e lo tira per la<br />

veste.<br />

«Che vuoi?».<br />

«Ti devo dire una cosa».<br />

«Dilla».<br />

«No. Vieni indietro con me. Ti vogliono, per una elemosina, credo…».<br />

La scusa è buona ed è accettata con pace dai compagni di Giuda e con entusiasmo da Giuda, che<br />

torna indietro svelto insieme a Gionata.<br />

Eccolo alla fila ultima. «Donna, ecco l’uomo che volevi» dice Gionata a Claudia.<br />

«Grata ti sono per avermi servito» risponde questa, stando sempre velata. E poi, volgendosi a


Giuda: «Ti piaccia sostare un momento per ascoltarmi».<br />

Giuda, che sente un modo di parlare molto raffinato e vede due occhi splendidi attraverso il velo<br />

sottile, e che forse si sente prossimo ad una grande avventura, acconsente senza ostacolo.<br />

3 <strong>Il</strong> gruppo delle romane si separa. Restano, con Claudia, Plautina e Valeria; le altre proseguono.<br />

Claudia si guarda intorno. Vede solitaria la vietta in cui sono rimasti fermi, e con la mano bellissima<br />

getta da parte il velo, scoprendo il viso.<br />

Giuda la riconosce e, dopo un attimo di sbalordimento, si curva salutando con un misto di atti<br />

giudei e di parola romana: «Domina!».<br />

«Sì. <strong>Io</strong>. Alzati e ascolta. Tu ami il Nazareno. Del suo bene ti preoccupi. Bene fai. È un virtuoso e va<br />

difeso. Noi lo veneriamo come grande e giusto. I giudei non lo venerano. Lo odiano. So. Ascolta. E<br />

intendi bene, e bene ricorda e applica. <strong>Io</strong> lo voglio proteggere. Non come la lussuriosa di poc’anzi.<br />

Con onestà e virtù. Quando il tuo amore e la tua sagacia ti lasceranno capire che vi è insidia per Lui,<br />

vieni o manda. Claudia tutto può su Ponzio. Claudia otterrà protezione per il Giusto. Intendi?».<br />

«Perfettamente, domina. <strong>Il</strong> nostro <strong>Dio</strong> ti protegga. Verrò, solo che possa, verrò io, personalmente.<br />

Ma come passare da te?».<br />

«Chiedi sempre di Albula Domitilla. È una seconda me stessa, ma nessuno si stupisce se parla con<br />

giudei, essendo quella che si occupa delle mie liberalità. Ti crederanno un cliente. Forse ti umilia?».<br />

«No, domina. Servire il Maestro e ottenere la tua protezione è onore».<br />

«Sì. Vi proteggerò. Una donna sono. Ma sono dei Claudi. Posso più di tutti i grandi in Israele perché<br />

dietro me è Roma. Tieni, intanto. Per i poveri del Cristo. <strong>Il</strong> nostro obolo. Però… vorrei essere<br />

lasciata fra i discepoli questa sera. Procurami questo onore e tu sarai protetto da Claudia».<br />

Su un tipo come l’Iscariota le parole della patrizia operano prodigiosamente. Egli va al settimo<br />

cielo!… Osa chiedere: «Ma tu veramente lo aiuterai?».<br />

«Sì. <strong>Il</strong> suo Regno merita di essere fondato, perché è regno di virtù. Ben venga, in opposizione alle<br />

laide onde che coprono i regni attuali e che schifo mi fanno. Roma è grande, ma il Rabbi è ben più<br />

grande di Roma. Noi abbiamo le aquile sulle nostre insegne e la superba sigla. Ma sulle sue saranno<br />

i Geni e il santo suo Nome. Grande sarà, veramente grande Roma, e la Terra, quando metteranno<br />

quel Nome sulle loro insegne e il suo segno sarà sui labari e sui templi, sugli archi e le colonne».<br />

Giuda è trasecolato, sognante, estatico. Palleggia la pesante borsa che gli è stata data, e lo fa<br />

macchinalmente, e dice col capo di sì, di sì, di sì, a tutto…<br />

«Or dunque andiamo a raggiungerli. Alleati siamo, non è vero? Alleati per proteggere il tuo Maestro<br />

e il Re degli animi onesti».<br />

Cala il velo e rapida, snella, va quasi di corsa a raggiungere il gruppo che l’ha preceduta, seguita<br />

dalle altre e da Giuda, che ha il fiato grosso non tanto per la corsa quanto per ciò che ha sentito. <strong>Il</strong><br />

palazzo di Lazzaro sta inghiottendo le ultime coppie dei discepoli quando lo raggiungono. Entrano<br />

svelti, e il portone ferrato si chiude con grande sferragliare di chiavistelli messi dal custode.<br />

4 Una solitaria lampada, sorretta dalla moglie del custode, a mala pena rischiara il quadrato vestibolo<br />

tutto bianco del palazzo di Lazzaro. Si capisce che la casa non è abitata, per quanto sia ben custodita<br />

e tenuta in ordine. Maria e Marta guidano gli ospiti in un vasto salone, certo adibito ai conviti, dalle<br />

fastose pareti coperte di stoffe preziose, che disvelano i loro rabeschi man mano che vengono accesi<br />

i lampadari e posati i lumi sulle credenze, sui cofani preziosi, messi intorno alle pareti, o sulle<br />

tavole addossate ad un lato, pronte ad essere usate, ma certo da tempo inservibili. Ma Maria ordina<br />

siano portate al centro della sala e preparate per la cena coi viveri che i servi di Giovanna<br />

estraggono da borse e ceste e mettono sulle credenze.<br />

Giuda prende da parte Pietro e gli dice qualcosa all’orecchio.<br />

Vedo Pietro che sgrana gli occhi e scuote una mano come si fosse scottato le dita, mentre esclama:<br />

«Fulmini e cicloni! Ma che dici?».<br />

«Sì. Guarda. E pensa! Non aver più paura! Non essere più così angustiati!».<br />

«Ma è troppo bello! Troppo! Ma come ha detto? Proprio che ci protegge? Che <strong>Dio</strong> la benedica! Ma<br />

quale è?».<br />

«Quella vestita di color tortora selvatica, alta, snella. Ecco, ci guarda…».<br />

Pietro guarda l’alta donna dal volto regolare e serio, dagli occhi dolci eppure imperiosi.


«E… come hai fatto a parlarle? Non hai avuto…».<br />

«No, affatto».<br />

«Eppure tu odiavi i contatti con loro! Come me, come tutti…».<br />

«Sì. Ma li ho superati per amor del Maestro. Come ho superato il desiderio di troncarla cogli antichi<br />

compagni del Tempio... Oh! tutto per il Maestro! Voi tutti, e mia madre con voi, credete che io sia<br />

ambiguo. Tu, di recente, mi hai rimproverato le amicizie che ho. Ma se non le mantenessi, e con<br />

forte pena, non saprei tante cose. Non è bene mettersi bende agli occhi e cera nelle orecchie per<br />

paura che il mondo entri in noi per occhi e orecchi. Quando si è in una impresa pari alla nostra,<br />

occorre vegliare a occhi e orecchi più che liberi. Vegliare per Lui, per il suo bene, per la sua<br />

missione, per la fondazione di questo benedetto regno...».<br />

Molti degli apostoli e qualche discepolo si sono avvicinati e ascoltano, approvando col capo.<br />

Perché, infatti, non si può dire che Giuda parli male!<br />

Pietro, onesto e umile, lo riconosce e dice: «Hai proprio ragione! Perdona i miei rimproveri. Tu vali<br />

più di me, sai fare. Oh! andiamolo adire al Maestro, a sua Madre, alla tua! Era tanto angustiata!».<br />

«Perché male lingue hanno insinuato... Ma per ora taci. Dopo, più tardi. Vedi? Si siedono a mensa e<br />

il Maestro ci fa cenno di andare…».<br />

5 …La cena è rapida. Anche le romane, sedute al tavolo delle donne, mescolate ad esse di modo che<br />

proprio Claudia è seduta fra Porfirea e Dorca, mangiano in silenzio ciò che viene loro messo<br />

davanti, e fra loro e Giovanna e Maria di Magdala corrono misteriose parole fatte di sorrisi e di<br />

ammicchi. Sembrano scolarette in vacanza.<br />

Gesù, dopo la cena, ordina di formare un quadrato di sedili e di prendervi posto per ascoltarlo. Egli<br />

si mette al centro e inizia a parlare in mezzo ad un quadrato attento di volti, nei quali sono chiusi<br />

solo gli occhietti innocenti del figliolino di Dorca, dormente in seno alla madre, e stanno velandosi<br />

di sonno quelli di Maria, seduta sulle ginocchia di Giovanna, e di Mattia, che si è accoccolato sui<br />

ginocchi di Gionata.<br />

«Discepoli e discepole qui radunati in nome del Signore, o qui attratti per desiderio di Verità,<br />

desiderio che viene ancora da <strong>Dio</strong> che vuole luce e verità in tutti i cuori, udite.<br />

Questa sera ci è concesso, e proprio la nequizia che ci vuole dispersi lo procura, di essere tutti uniti.<br />

Né, voi di sensi limitati, sapete quanto è profonda e vasta questa unione, vera aurora delle future che<br />

saranno quando il Maestro non sarà più fra voi, carnalmente, ma sarà in voi col suo spirito. Allora<br />

saprete amare. Allora saprete praticare. Per ora siete come bambini ancora al seno. Allora sarete<br />

come adulti che potrete gustare ogni cibo senza che vi nuoccia. Allora saprete, come <strong>Io</strong> dico, dire:<br />

“Venite a me voi tutti, perché tutti fratelli siamo, e per tutti Egli si è immolato”.<br />

6 Troppe prevenzioni in Israele! Queste sono tante frecce lesive alla carità. Parlo a voi, fedeli,<br />

apertamente, perché fra voi non sono i traditori, né i saturi di preconcetti che separano, che si<br />

mutano in incomprensione, in caparbietà, in odio per Me che vi indico le vie del futuro. <strong>Io</strong> non<br />

posso parlare diversamente. E d’ora in poi parlerò più poco, perché vedo che inutili o quasi sono le<br />

parole. Ne avete avute da santificarvi e ammaestrarvi in maniera perfetta. Ma poco avete proceduto,<br />

specie voi, uomini fratelli, perché vi piace la parola ma non la mettete in atto. D’ora in poi, e con<br />

misura sempre più stringente, vi farò fare ciò che dovrete fare quando il Maestro sarà tornato al<br />

Cielo dal quale è venuto. Vi farò assistere a ciò che è il Sacerdote futuro. Più che le parole,<br />

osservate i miei atti, ripeteteli, imparateli, uniteli all’insegnamento. Allora diverrete discepoli<br />

perfetti.<br />

Che ha fatto e che vi ha fatto fare e praticare oggi il Maestro? La carità nelle sue multiformi forme.<br />

La carità verso <strong>Dio</strong>. Non la carità di preghiera, vocale, di rito soltanto. Ma la carità attiva, che<br />

rinnovella nel Signore, che spoglia dallo spirito del mondo, dalle eresie del paganesimo, il quale<br />

non è solo nei pagani, ma che è anche in Israele con le mille consuetudini che si sono sostituite alla<br />

vera Religione, santa, aperta, semplice come tutto ciò che da <strong>Dio</strong> viene. Non atti buoni, o<br />

apparentemente tali, per essere lodati dagli uomini, ma azioni sante per meritare la lode di <strong>Dio</strong>.<br />

Chi è nato muore. Lo sapete. Ma non finisce la vita con la morte. Essa prosegue in altra forma e per<br />

l’eternità con un premio a chi fu giusto, con un castigo a chi fu malvagio. Questo pensiero di certo<br />

giudizio non sia paralisi durante il vivere e nell’ora del morire. Ma sia pungolo e freno, pungolo che


sprona al bene, freno che trattiene da male passioni. Siate perciò veramente amanti del <strong>Dio</strong> vero,<br />

agendo nella vita sempre col fine di meritarlo nella vita futura.<br />

O voi che amate le grandezze, quale grandezza più grande di divenire figli di <strong>Dio</strong>, dèi perciò? O voi<br />

che temete il dolore, quale sicurezza di non più soffrire, quale quella che vi attende nel Cielo? Siate<br />

santi. Volete fondare un regno anche sulla terra? Vi sentite insidiati e temete non riuscirvi? Se<br />

agirete da santi riuscirete. Perché la stessa autorità che ci domina non potrà impedirlo, nonostante le<br />

sue coorti, perché voi persuaderete le coorti a seguire la dottrina santa così come <strong>Io</strong>, senza violenza,<br />

ho persuaso le donne di Roma che qui è Verità...».<br />

«Signore!...» esclamano le romane, vedendosi scoperte.<br />

«Sì, donne. 7 Ascoltate e ricordate. <strong>Io</strong> dico ai miei seguaci d’Israele, <strong>Io</strong> dico a voi, non d’Israele ma<br />

di animo giusto, lo statuto del Regno mio.<br />

Non rivolte. Non servono. Santificare l’autorità impregnandola della nostra santità. Sarà un lungo<br />

lavoro, ma sarà vittorioso. Con mitezza e pazienza, senza frette stolte, senza deviazioni umane,<br />

senza rivolte inutili, ubbidendo là dove l’ubbidire non nuoce alla propria anima, voi perverrete a<br />

fare dell’autorità, che ora ci domina paganamente, una autorità protettrice e cristiana. Fate il vostro<br />

dovere di sudditi verso l’autorità, come fate quello di fedeli verso <strong>Dio</strong>. Vogliate vedere in ogni<br />

autorità non un oppressore ma un elevatore, perché vi dà il modo di santificarlo e di santificarvi con<br />

l’esempio e l’eroismo.<br />

Vogliate essere, come siete buoni fedeli e buoni cittadini, dei buoni mariti, delle buone mogli, santi,<br />

casti, ubbidienti, amorosi l’un dell’altro, uniti per allevare i figli nel Signore, per essere paterni e<br />

materni anche coi servi e con gli schiavi, che essi pure hanno anima e carne, sentimenti e affetti<br />

come voi li avete. Se la morte vi leva il compagno o la compagna, non siate, potendolo, vogliosi di<br />

nuove nozze. Amate gli orfani anche per il compagno scomparso. E voi, servi, siate sommessi ai<br />

padroni, e se sono imperfetti santificateli col vostro esempio. Grande merito ne avrete agli occhi del<br />

Signore. In futuro nel mio Nome non saranno più padroni e servi, ma fratelli. Non saranno più<br />

razze, ma fratelli. Non saranno più oppressi e oppressori che si odiano, perché gli oppressi<br />

chiameranno fratelli i loro oppressori.<br />

Amatevi voi di una fede, dando l’un l’altro aiuto così come oggi vi ho fatto fare. Ma non limitate<br />

l’aiuto ai poveri, ai pellegrini, ai malati della vostra razza. Aprite le braccia a tutti, così come la<br />

Misericordia le apre a voi. Chi più ha, dia a chi non ha o ha poco. Chi più sa, insegni a chi non sa o<br />

sa poco, e insegni con pazienza e umiltà, ricordando che, in verità, prima della mia istruzione nulla<br />

sapevate. Ricercate la Sapienza non per lustro, ma per aiuto nel procedere nelle vie del Signore.<br />

Le donne maritate amino le vergini, e queste le coniugate, e ambe diano affetto alle vedove. Tutte<br />

siete utili nel Regno del Signore. I poveri non invidino, i ricchi non creino odi con la mostra di<br />

ricchezze e la durezza di cuore. Abbiate cura degli orfani, dei malati, dei senza dimora. Aprite il<br />

cuore prima ancora della borsa e della casa, perché se anche date, ma con mal garbo, non fate onore<br />

ma offesa a <strong>Dio</strong> che è presente in ogni infelice.<br />

In verità, in verità vi dico che non è difficile servire il Signore. Basta amare. Amare il <strong>Dio</strong> vero,<br />

amare il prossimo quale che sia. In ogni ferita o febbre che curerete <strong>Io</strong> sarò. In ogni sventura che<br />

soccorrerete <strong>Io</strong> sarò. E tutto quello che farete a Me nel prossimo, se è bene, sarà a Me fatto; se male,<br />

anche a Me sarà fatto. Volete farmi soffrire? Volete perdere il Regno di pace, il divenire dèi, soltanto<br />

per non esser buoni col prossimo vostro?<br />

8 Mai più saremo tutti così uniti. Verranno altre Pasque... e non potremo essere insieme per molte<br />

cause; le prime: quelle di una prudenza santa in parte e in parte eccessiva, ed ogni eccesso è colpa,<br />

per cui dovremo stare divisi; le altre Pasque ancora perché <strong>Io</strong> non sarò più fra voi... Ma ricordate<br />

questa giornata. Fate in futuro, e non per la sola Pasqua ma per sempre, ciò che vi ho fatto fare.<br />

Non vi ho mai lusingato sulla facilità di appartenermi. Appartenermi vuol dire vivere nella Luce e<br />

Verità, ma mangiare anche il pane della lotta e delle persecuzioni. Ora, però, più voi sarete forti<br />

nell’amore e più sarete forti nella lotta e nella persecuzione.<br />

Credete in Me. Per quello che sono realmente: Gesù Cristo, il Salvatore, il cui Regno non è di<br />

questo mondo, la cui venuta indica pace ai buoni, il cui possesso vuol dire conoscere e possedere<br />

<strong>Dio</strong>, perché veramente chi ha Me in sé ed ha se stesso in Me è in <strong>Dio</strong>, e possiede <strong>Dio</strong> nel suo spirito


per averlo poi nel Regno celeste in eterno.<br />

La notte è discesa. Domani è Parasceve. Andate. Purificatevi, meditate, compite una Pasqua santa.<br />

Donne di altra razza, ma di retto spirito, andate. La buona volontà che vi anima vi sia via per venire<br />

alla Luce. In nome dei poveri che sono Me stesso, <strong>Io</strong> vi benedico per l’obolo generoso e vi benedico<br />

per le vostre buone intenzioni verso l’Uomo che è venuto a portare amore e pace sulla Terra.<br />

Andate! E tu, Giovanna, e quanti altri non temono più insidie, andate pure».<br />

9Un brusio di stupore scorre l’assemblea mentre le romane - riposte le tavolette cerate, che Flavia ha<br />

scritto mentre Gesù parlava, in una borsa - ridotte a sei, perché Egla resta presso Maria di Magdala,<br />

escono dopo un saluto collettivo. Tanto è lo stupore che nessuno dei presenti, meno Giovanna,<br />

Gionata e i servi di Giovanna che portano in braccio i piccoli dormenti, si muove. Ma quando il<br />

rumore cupo del portone che si chiude dice che le romane sono partite, un clamore succede al<br />

brusio.<br />

«Ma chi sono?».<br />

«Come fra noi?».<br />

«Che hanno fatto?».<br />

E su tutti grida Giuda: «Come sai, Signore, dell’obolo opimo che mi hanno dato?».<br />

Gesù seda il tumulto col gesto e dice: «Claudia e le sue dame sono. E mentre le alte dame di Israele,<br />

tementi l’ira dei consorti, o con lo stesso pensiero e cuore dei consorti, non osano divenire le mie<br />

seguaci, le sprezzate pagane, con astuzie sante, sanno venire ad apprendere la Dottrina che, anche se<br />

accettata per ora umanamente, è sempre elevatrice... E questa fanciulla, già schiava, ma di razza<br />

giudea, è il fiore che Claudia offre alle schiere di Cristo, rendendola alla libertà e dandola alla fede<br />

di Cristo. Riguardo a sapere dell’obolo... oh! Giuda! Tutti meno te potrebbero farmi questa<br />

domanda! Tu sai che <strong>Io</strong> vedo nei cuori».<br />

«Allora vedrai che ho detto il vero dicendo che c’era insidia e che io l’ho sventata andando a far<br />

parlare… esseri colpevoli?».<br />

«È vero».<br />

«Dillo allora ben forte, che mia madre lo senta... Madre, un ragazzo sono, ma non un ribaldo...<br />

Madre, facciamo la pace. Comprendiamoci, amiamoci, uniti nel servizio a Gesù nostro».<br />

E Giuda va umile e amoroso ad abbracciare la madre che dice: «Sì, figliuolo! Sì, Giuda mio!<br />

Buono! Buono! Sempre buono sii, o mia creatura! Per te, per il Signore! Per la tua povera<br />

mamma!».<br />

10lntanto la sala è piena di agitazioni e commenti, e molti definiscono imprudente l’avere accolto le<br />

romane e rimproverano Gesù.<br />

Giuda sente. Lascia la madre e accorre in difesa del Maestro. Racconta il suo colloquio con Claudia<br />

e termina: «Non è spregevole aiuto. Anche senza averla ricevuta avanti fra noi, non abbiamo evitato<br />

persecuzione. Lasciamola fare. E, ricordatevelo bene, è meglio tacere con chicchessia. Pensate che,<br />

se è pericoloso per il Maestro, non lo è di meno per noi essere amici di pagani. <strong>Il</strong> Sinedrio che, in<br />

fondo, è trattenuto da paura verso Gesù per un superstite timore di alzare la mano sull’Unto di <strong>Dio</strong>,<br />

non avrebbe tanti scrupoli ad ammazzarci come cani, noi che siamo poveri uomini qualunque. In<br />

luogo di fare quelle facce scandalizzate, ricordate che poco fa eravate come tante passere spaurite, e<br />

benedite il Signore di aiutarci, con mezzi impensati, illegali se volete, ma tanto forti, a fondare il<br />

Regno del Messia. Tutto potremo se Roma ci difende! Oh! io non temo più! Grande giorno è oggi!<br />

Più che per tutte le altre cose, per questa... Ah! quando Tu sarai il Capo! Che potere dolce, forte,<br />

benedetto! Che pace! Che giustizia! <strong>Il</strong> Regno forte e benevolo del Giusto! E il mondo che viene<br />

lentamente ad esso!... Le profezie che si avverano! Turbe, nazioni... il mondo ai tuoi piedi! Oh!<br />

Maestro! Maestro mio! Tu Re, noi tuoi ministri... In terra pace, in Cielo gloria... Gesù Cristo di<br />

Nazaret, Re della stirpe di Davide, Messia Salvatore, io ti saluto e ti adoro!»; e Giuda, che pare<br />

rapito in un’estasi, termina prostrandosi: «In terra, in Cielo e fino negli Inferni è noto il tuo Nome, è<br />

infinito il tuo potere. Quale forza può resisterti, o Agnello e Leone, Sacerdote e Re, Santo, Santo,<br />

Santo?»; e resta curvo fino a terra nella sala che è muta di stupore.


372. Giorno di Parasceve. <strong>Il</strong> risveglio nel palazzo di Lazzaro.<br />

30 gennaio 1946.<br />

1 <strong>Il</strong> palazzo di Lazzaro, tramutato in dormitorio per quella notte, mostra corpi d’uomini dormienti<br />

sparsi per ogni dove. Le donne non si vedono. Forse sono state condotte nelle stanze superiori.<br />

L’alba chiara inalba lentamente la città, penetra nei cortili del palazzo, desta i primi cinguettii timidi<br />

fra il fogliame degli alberi, messi a fare ombria in essi, e i primi tubamenti dei colombi che<br />

dormono nell’incassatura del cornicione. Ma gli uomini non si destano. Stanchi e sazi di cibo e di<br />

emozioni, dormono e sognano...<br />

Gesù esce senza rumore nel vestibolo e da esso passa nel cortile d’onore. Si lava ad una fonte chiara<br />

che canta al centro di esso, fra un quadrato di mortella al cui piede sono dei piccoli gigli molto<br />

simili ai cosiddetti mughetti francesi. Si ravvia e, sempre senza fare rumore, torna là dove è la scala<br />

che porta ai piani superiori e alla terrazza sulla casa. Sale sino lassù, a pregare, a meditare...<br />

Passeggia lentamente avanti e indietro, egli unici che lo vedono sono i colombi che, allungando il<br />

collo e sgrugolando, sembra si chiedano l’un l’altro: «Chi è costui?». Poi si appoggia al muretto e<br />

sta raccolto in Se stesso, immobile. Infine alza il capo, forse richiamato dal primo apparire del sole<br />

che si alza da dietro i colli che celano Betania e la valle del Giordano, e guarda il panorama che è ai<br />

suoi piedi.<br />

2 <strong>Il</strong> palazzo di Lazzaro è certo su una delle tante elevazioni del suolo che fanno delle vie di<br />

Gerusalemme un sali e scendi continuo, specie nelle meno belle. Quasi al centro della città, ma<br />

lievemente spinto verso sud ovest. Collocato su una bella strada che sfocia sul Sisto, formando con<br />

essa un T, domina la città bassa, avendo di fronte Bezeta, Moria e Ofel, e dietro ad essi la catena<br />

dell’Uliveto; sul dietro, e già appartenente al posto dove sorge*, il monte Sion, mentre ai due<br />

fianchi l’occhio spazia a sud verso i colli meridionali, mentre al nord Bezeta nasconde molta parte<br />

di panorama. Ma, oltre la valle di Gihon, la testa calva del Golgota emerge giallastra nella luce<br />

rosea dell’aurora, lugubre sempre anche in questa luce lieta.<br />

Gesù la guarda... <strong>Il</strong> suo sguardo, benché più virile e più pensoso, mi ricorda quello della lontana<br />

visione di Gesù dodicenne nella visione della disputa coi dottori. Ma ora, come allora, non è uno<br />

sguardo di terrore. No. È un dignitoso sguardo di eroe che guarda il suo campo di estrema battaglia.<br />

Poi si volta a guardare i colli a meridione della città e dice: «La casa di Caifa!», e con lo sguardo<br />

segna come tutto un itinerario da quel punto al Getsemani, e poi al Tempio, e poi ancora guarda<br />

oltre la cinta della città, verso il Calvario...<br />

<strong>Il</strong> sole intanto è sorto del tutto e la città si accende di luce…<br />

3 Al portone del palazzo, dei colpi vigorosi vengono dati senza mettere sosta fra l’uno e l’altro. Gesù<br />

si sporge per vedere, ma il cornicione molto sporgente, mentre il portone è molto rientrante nelle<br />

pareti massicce, gli impediscono di vedere chi bussa.<br />

In compenso sente subito il vocìo dei dormenti che si destano, mentre il portone, aperto da Levi,<br />

viene richiuso con fragore. E poi sente il suo Nome gridato da tante voci di uomo e di donna... Si<br />

affretta a scendere dicendo: «Eccomi. Che volete?».<br />

Coloro che lo chiamavano, non appena lo sentono, prendono d’assalto la scala salendo di corsa e<br />

vociando. Sono gli apostoli e i discepoli più antichi, e fra mezzo a loro è Giona, il conduttore del<br />

Getsemani. Parlano tutt’insieme e non si capisce nulla.<br />

Gesù deve imporre con violenza che si fermino dove sono e facciano silenzio, per poterli calmare.<br />

Li raggiunge dicendo subito: «Che avviene?».<br />

Altro subbuglio fragoroso, inutile perché incomprensibile. Dietro agli urlanti si affacciano volti<br />

mesti o stupefatti di donne e di discepoli...<br />

«Parli uno per volta. Tu, Pietro, per primo».<br />

«È venuto Giona... Ha detto che erano in tanti e che ti hanno cercato da per tutto. Lui è stato male<br />

tutta la notte, e poi all’apertura delle porte è andato da Giovanna e ha saputo che eri qui. Ma come<br />

facciamo? La Pasqua la dobbiamo pur fare!».<br />

Giona del Getsemani rinforza la notizia dicendo: «Sì, mi hanno anche maltrattato. <strong>Io</strong> ho detto che<br />

non sapevo dove eri, che forse non tornavi. Ma hanno visto le vostre vesti e hanno capito che


tornate al Getsemani. Non mi fare del male, Maestro! <strong>Io</strong> ti ho sempre ospitato con amore, e questa<br />

notte ho patito per Te. Ma… ma…».<br />

_____________________<br />

* dove sorge sottintende, come soggetto, il palazzo di Lazzaro.<br />

«Non avere paura! Non ti metterò più in pericolo d’ora in poi. Non sosterò più in casa tua. Mi<br />

limiterò a venire di passaggio, nella notte, a pregare… Non me lo puoi vietare…». Gesù è<br />

dolcissimo verso lo spaurito Giona del Getsemani.<br />

4 Ma la voce d’oro di Maria di Magdala prorompe veemente: «Da quando, o uomo, ti dimentichi che<br />

sei servo e che la condiscendenza nostra ti fa usare modi da padrone? Di chi la casa e l’uliveto?<br />

Solo noi possiamo dire al Rabbi: “Non andare a fare danno ai nostri beni”. Ma non lo diciamo.<br />

Perché sommo bene sempre sarebbe se anche per cercare Lui i nemici del Cristo distruggessero<br />

piante, mura, e persino facessero franare le balze. Perché tutto sarebbe distrutto per avere ospitato<br />

l’Amore, e l’Amore darebbe amore a noi suoi fedeli amici. Ma vengano! Distruggano! Calpestino!<br />

E che fa? Basta che Egli ci ami e sia illeso!».<br />

Giona è preso fra la paura dei nemici e quella dell’ardente padrona, e mormora: «E se mi fanno del<br />

male al figlio?...».<br />

Gesù lo conforta: «Non temere, ti dico. Non sosterò più. Puoi dire a chi te lo chiede che il Maestro<br />

non abita più al Getsemani... No, Maria! Così è bene fare. E lasciami fare! <strong>Io</strong> ti sono grato della tua<br />

generosità... Ma non è la mia ora, non è ancora la mia ora! Suppongo fossero farisei...».<br />

«E sinedristi, e erodiani, e sadducei… e soldati di Erode… e… tutti… tutti… Non mi levo il tremito<br />

della paura… Però lo vedi, Signore? Sono corso ad avvisarti… da Giovanna… poi qui…». L’uomo<br />

ci tiene a far notare che a rischio della sua pace ha fatto il suo dovere verso il Maestro.<br />

Gesù sorride con compatimento e bontà e dice: «Lo vedo! Lo vedo! <strong>Dio</strong> te ne compensi. Ora va’ in<br />

pace a casa tua. Ti manderò a dire dove mandare le borse, o manderò a ritirarle <strong>Io</strong> stesso».<br />

L’uomo se ne va, e nessuno, meno Gesù e Maria Ss., lo risparmia di rimproveri o scherni. Salato è<br />

quello di Pietro, salatissimo quello dell’Iscariota, ironico quello di Bartolomeo, Giuda Taddeo non<br />

parla ma lo guarda in un tal modo! E il mormorio e gli sguardi di rimprovero lo accompagnano<br />

anche fra le file delle donne, terminando nel razzo finale di Maria di Magdala, la quale all’inchino<br />

del servo-contadino risponde: «Riferirò a Lazzaro che per il convito di festa venga a procurarsi polli<br />

ben ingrassati nelle terre del Getsemani».<br />

«Non ho pollaio, padrona».<br />

«Tu, Marco e Maria: tre magnifici capponi!».<br />

Ridono tutti per l’uscita inquieta e… significativa di Maria di Lazzaro, che è furente di vedere la<br />

paura nei suoi dipendenti e per il disagio del Maestro, privato del quieto nido del Getsemani.<br />

«Non ti inquietare, Maria! Pace! Pace! Non tutti hanno il tuo cuore!».<br />

«Oh! no, purtroppo! Avessero tutti il mio cuore, Rabboni! Neppure le lance e le frecce a me dirette<br />

mi farebbero separare da Te!».<br />

Un mormorio fra gli uomini… Maria lo raccoglie e risponde pronta: «Sì. Lo vedremo! E speriamo<br />

presto, se questo può servire a insegnarvi il coraggio. Niente mi farà paura se io posso servire il mio<br />

Rabbi! Servire! Sì! Servire! E si serve nelle ore pericolose, fratelli! Nelle altre… Oh! nelle altre non<br />

è servire! È godere!… E il Messia non va seguito per godere!».<br />

Gli uomini chinano il capo, punti da queste verità.<br />

5 Maria fende le file e viene di fronte a Gesù. «Che decidi, Maestro? È Parasceve.* Dove la tua<br />

Pasqua? Ordina… e, se tanto ho trovato grazia presso di Te, concedimi di offrirti un mio cenacolo,<br />

di pensare a tutto…».<br />

«Grazia hai trovato presso il Padre dei Cieli, grazia perciò presso il Figlio del Padre al quale è sacro<br />

ogni movimento del Padre. Ma se accetterò il cenacolo, lascia che al Tempio, a sacrificare l’agnello,<br />

vada <strong>Io</strong>, da buon israelita…».<br />

«E se ti prendono?» dicono in molti.<br />

«Non mi prenderanno. Nella notte, nell’oscurità, come usano i ribaldi, possono osarlo. Ma in mezzo<br />

alle turbe che mi venerano, no. Non diventatemi vili!…».


«Oh! poi ora c’è Claudia!» grida Giuda. «<strong>Il</strong> Re e il Regno non sono più in pericolo!…».<br />

«Giuda, te ne prego! Non farli crollare in te! In te non insidiarli. <strong>Il</strong> mio Regno non è di questo<br />

mondo. <strong>Io</strong> non sono un re come quelli che sono sui troni. <strong>Il</strong> mio Regno è dello spirito. Se tu lo<br />

avvilisci alla meschinità di un regno umano, tu in te lo insidi e lo fai crollare».<br />

«Ma Claudia!...».<br />

«Ma Claudia è una pagana. Non può perciò sapere il valore dello spirito. Molto è se intuisce e<br />

appoggia Colui che per lei è un Saggio… Molti in Israele neppure come saggio mi giudicano!… Ma<br />

tu non sei pagano, amico mio! <strong>Il</strong> provvidenziale tuo incontro con Claudia non fare che ti si volga in<br />

danno, così come non fare che ogni dono di <strong>Dio</strong> per raffermare la tua fede e la tua volontà di servire<br />

il Signore ti divenga sciagura spirituale».<br />

«E come lo potrebbe, mio Signore?».<br />

«Facilmente. Non in te soltanto. Se un dono dato per soccorrere la debolezza dell’uomo, in luogo di<br />

fortificarlo e sempre più farlo voglioso di bene soprannaturale, o anche semplicemente morale,<br />

servisse ad appesantirlo di appetiti umani e a trarlo lontano dalla via retta, su vie in discesa, allora il<br />

dono diverrebbe danno. Basta la superbia a fare di un dono un danno. Basta il disorientamento<br />

provocato da una cosa che esalta, per cui si perde di mira il Fine supremo e buono, per fare di un<br />

dono un danno. Ne sei persuaso? La venuta di Claudia deve darti solo la forza di una<br />

considerazione. Questa: che se una pagana ha sentito la grandezza della mia dottrina e la necessità<br />

che essa trionfi, tu, e con te tutti i discepoli, con ancora più grande potenza dovete sentire tutto ciò<br />

e, di conseguenza, darvi tutti a ciò. Ma sempre spiritualmente. Sempre… 6 Ed ora decidiamo. Dove<br />

dite essere bene consumare la Pasqua. Voglio che siate in pace di spirito per questa Cena di rito, per<br />

sentire <strong>Dio</strong> che non si sente nel turbamento. Siamo molti. Ma mi<br />

______________________<br />

* Parasceve era la preparazione che si faceva per il sabato, nel quale tutte le attività erano proibite,<br />

anche quella di preparare il cibo. Conformemente a Marco 15, 42 l’Opera valtortiana chiama<br />

parasceve il giorno prima del sabato, il nostro venerdì.<br />

sarebbe dolce stare tutti insieme per potervi far dire: “Consumammo una Pasqua con Lui”. Scegliete<br />

dunque un luogo dove, suddividendoci secondo il rituale, di modo da formare gruppi sufficienti a<br />

consumare ognuno il proprio agnello, si possa però dire: “Eravamo uniti, e l’uno sentiva la voce<br />

dell’altro fratello”».<br />

Chi nomina questo e chi quel luogo. Ma le sorelle di Lazzaro la vincono. «Oh! Signore! Qui!<br />

Manderemo a prendere il fratello nostro. Qui! Molte sono le sale e le stanze. Saremo insieme, e<br />

secondo il rito. Accetta, Signore! <strong>Il</strong> palazzo ha stanze atte per almeno duecento persone divise per<br />

gruppi di venti. E tanti non siamo. Fàcci liete, Signore! Per Lazzaro nostro così triste… così<br />

malato…». Le due sorelle piangono finendo: «…che non si può pensare che mangi un’altra<br />

Pasqua…».<br />

«Che dite? Che pensate concedere alle sorelle buone?» dice Gesù interpellando tutti.<br />

«<strong>Io</strong> direi che sì» dice Pietro.<br />

«<strong>Io</strong> pure» dice l’Iscariota, e molti altri.<br />

Chi non parla, assente.<br />

«Provvedete, allora. E noi andiamo al Tempio, a mostrare che chi è sicuro di ubbidire all’Altissimo<br />

non ha paura e non è vile. Andiamo. A chi resta, la mia pace».<br />

E Gesù scende il resto di scala, traversa il vestibolo ed esce coi discepoli nella via piena di folla.<br />

215. Giorno di Parasceve. Al Tempio.<br />

31 gennaio 1946.<br />

1 Gesù entra nel Tempio. E dai primi passi che fa in esso è facile capire l’umore degli animi verso il<br />

Nazareno. Occhiatacce; ordini alle guardie del Tempio di sorvegliare il «conturbatore», e dati<br />

palesemente, perché tutti vedano e sentano; parole di sprezzo per chi è con Lui; anche urtoni,


volontariamente dati a discepoli... Insomma l’odio è tale che gli splendidi farisei, scribi e dottori<br />

assumono pose e atti da facchini o da peggio ancora, e non pensano, tanto sono accecati dal livore,<br />

che si avviliscono molto, anche come uomini, facendo così.<br />

Gesù passa tranquillo, come neppure lo riguardassero quegli atti! È il primo a salutare non appena<br />

vede qualche personaggio che per grado sacro o per potenza è un «superiore» del mondo ebraico. E<br />

se quello non risponde al saluto dignitoso che Gesù gli rivolge, non per questo Gesù muta<br />

atteggiamento. Certo che il suo viso, quando si volge da uno di questi superbi a uno o a più dei tanti<br />

umili - e molti sono i mendichi e malati poveri che ieri Egli ha raccolto e che, per l’impensata<br />

fortuna avuta, possono fare una Pasqua quale forse da anni non facevano, e che riuniti in gruppi, in<br />

piccole società formatesi spontaneamente, vanno a comperare gli agnelli da immolare, felici di<br />

essere, loro, i derelitti, pari agli altri nelle vesti e nelle possibilità - il suo volto diviene dolcissimo di<br />

sorriso. E si ferma benigno ad ascoltarli nei loro propositi, nelle loro narrazioni stupefatte, nelle loro<br />

benedizioni... Vecchi, bambini, vedove, infermi ieri, ora guariti, miserevoli ieri, stracciati, affamati,<br />

derelitti, oggi rivestiti, e nella felicità di essere uomini come gli altri nelle giornate della grande<br />

festa d’Azzimi!<br />

Le voci, così varie, da quelle d’argento dei piccoli a quelle tremule dei vecchi e, in mezzo a questi<br />

due estremi, le voci trepide delle donne, salutano, accompagnano, seguono Gesù. I baci piovono<br />

sulle sue vesti, sulle sue mani. E Gesù sorride e benedice mentre i suoi nemici, lividi di stizza per<br />

quanto Lui è luminoso di pace, si rodono d’ira impotente.<br />

2 Afferro brani di discorsi...<br />

«Dici bene tu! Ma facessimo un atto, essi (e un fariseo indica il popolo che si stringe a Gesù) ci<br />

farebbero a pezzi».<br />

…«Pensate! Ci ha raccolti, sfamati, vestiti, guariti, e molti hanno trovato lavoro e assistenza per<br />

mezzo dei ricchi discepoli. Ma in verità tutto è venuto per Lui, che <strong>Dio</strong> lo salvi sempre!» dice un<br />

uomo che forse ieri era infermo e mendico.<br />

…«Sfido io! Compera la plebe così, il sedizioso, per gettarcela contro!» arrota fra i denti uno scriba<br />

parlando con un collega.<br />

«Una sua discepola ha preso il mio nome e mi ha detto di andare da lei dopo la Pasqua, ché mi<br />

conduce nelle sue campagne a Bétèr. Capisci, donna? <strong>Io</strong> e i figli. Lavorerò. Ma cosa è lavorare con<br />

protezione e sicurezza? Gioia è! E il mio Levi non si spezzerà nel lavoro dei grani. Perché la<br />

discepola che ci prende lo mette ai roseti... Un giuoco, ti dico! Ah! L’Eterno dia gloria e bene al suo<br />

Messia!» dice la vedova del piano di Saron ad una israelita benestante che la interroga.<br />

«Oh! e io non potrei?… Siete tutti a posto, ormai, voi che ieri ha raccolti?» dice la donna ricca<br />

israelita.<br />

«No, donna. Ci sono ancora altre vedove con figli, e altri uomini».<br />

«Vorrei dirgli se mi dà grazia di aiutarlo».<br />

«Chiamalo!».<br />

«Non oso».<br />

«Va’ tu, Levi mio, a dirgli che una donna gli vuoI parlare…».<br />

<strong>Il</strong> fanciullo va lesto e riferisce a Gesù.<br />

3 Intanto un sadduceo malmena un vecchio che pontifica in mezzo ad una turba venuta da Oltre<br />

Giordano e che tesse l’elogio del Maestro di Galilea.<br />

<strong>Il</strong> vecchio si difende dicendo: «Che faccio di male? Volevi essere lodato tu? Non avevi che fare ciò<br />

che Egli fa. Ma tu, che <strong>Dio</strong> ti perdoni, alla canizie e alla miseria dai sprezzo e non amore, falso<br />

israelita che non rispetti il Deuteronomio avendo pietà per i poveri» .<br />

«Sentite? Ecco il frutto della dottrina del sobillatore! Insegna alla plebe ad offendere i santi<br />

d’Israele».<br />

Gli risponde un sacerdote del Tempio: «Ma di noi è la colpa, se ciò avviene! Non facciamo che<br />

minacce senza tradurle in atto!».<br />

…Gesù dice intanto alla donna d’Israele: «Se ti impegni veramente di essere madre agli orfani e<br />

sorella alle vedove, vai al palazzo di Cusa, al Sisto. Di’ a Giovanna che <strong>Io</strong> ti mando. Va’ e ti<br />

fruttifichi il suolo come quello dell’Eden per la tua pietà. E più ti fruttifichi il cuore nell’amore


sempre più vasto al prossimo tuo».<br />

Vede intanto le guardie trascinare il vecchio che aveva parlato prima. Grida: «Che fate al vecchio?<br />

E che ha fatto?».<br />

«Ha insultato gli strategoi che lo redarguivano».<br />

«Non è vero. Un sadduceo mi ha malmenato perché parlavo di Te a quei pellegrini. E avendo alzato<br />

su me la mano, perché vecchio e povero, gli ho detto che è un falso israelita che calpesta le parole<br />

del Deuteronomio».<br />

«Rilasciate quel vecchio. È con Me. La verità fu sulla sua bocca. Non la sincerità: la Verità. <strong>Dio</strong>, se<br />

parla sulle labbra dei fanciulli, parla pure* sulle labbra dei vecchi. È detto: “Non disprezzare<br />

l’uomo nella sua vecchiaia, perché sono dei nostri quelli che invecchiano”. E ancora: “Non<br />

disprezzare le parole dei vecchi saggi ma abbi famigliari le loro massime, perché da loro tu<br />

imparerai la sapienza e gli insegnamenti dell’intelligenza”, e ancora: “Dove sono dei vecchi non<br />

parlare molto”. Se lo ricordi Israele, quella parte d’Israele che vuol dirsi perfetta, perché altrimenti<br />

l’Altissimo ha modo di smentirla. Padre, vieni al mio fianco».<br />

<strong>Il</strong> vecchione va da Gesù, mentre i sadducei, colpiti dal rimprovero, se ne vanno con ira.<br />

4 «Sono una donna ebrea della Diaspora, o Re atteso. Potrei servirti come quella donna che mandasti<br />

da Giovanna?» dice una donna che mi pare tutta quella che, di nome Niche, asciugò** il volto di<br />

Gesù sul Golgota, ottenendo il Sudario. Ma le ebree sono molto somiglianti fra di loro, e potrei, a<br />

distanza di mesi da quella visione, sbagliare.<br />

Gesù la guarda. Vede una donna sui quarant’anni, una ben vestita, franca di modi. Le chiede: «Sei<br />

vedova, non è vero?».<br />

«Sì. E senza figli. Sono tornata di recente e ho preso terre a Gerico. Per essere vicina alla città santa.<br />

Ma ora vedo che più grande di essa Tu sei. E ti seguo. E ti prego di avermi per serva. Conosco di Te<br />

da discepoli. Ma Tu superi i loro racconti».<br />

«Va bene. Ma che vuoi di preciso?».<br />

«Aiutarti nei poveri e, come posso, farti amare e conoscere. Conosco molti delle colonie della<br />

Diaspora, avendo seguito il marito nei commerci. Ho mezzi. Ma mi basta poco. Posso fare molto,<br />

perciò. E molto voglio fare per tuo amore e per<br />

___________________________<br />

* pure, invece di pure anche, è la corretta trascrizione dattiloscritta. Seguono tre citazioni da<br />

Siracide 8,6; 8,8; 32,9, come annota MV su una copia dattiloscritta.<br />

** asciugò, in quanto riferito ad un episodio già “visto” e scritto, deve intendersi asciugherà, in<br />

quanto quell’episodio è posteriore e lo incontreremo nella “Passione”.<br />

suffragare lo spirito di colui che mi prese vergine vent’anni or sono e che mi fu compagno amabile<br />

fino all’estremo sospiro. Lo diceva nel morire. Pareva profetasse: “Morto che io sia, consegna la<br />

carne che ti amò alla tomba e va’ nella patria nostra. Troverai il Promesso. Oh! tu lo vedrai!<br />

Cercalo. Seguilo. Egli è il Redentore e Risuscitatore e mi aprirà le porte della Vita. Sii buona per<br />

aiutarmi ad esser pronto quando Egli aprirà i Cieli a coloro che non hanno più debiti verso la<br />

Giustizia, e sii buona per meritare di incontrarlo presto. Giura che lo farai e che muterai le sterili<br />

lacrime di una vedovanza in fortezza operosa. Abbi Giuditta* a tuo esempio, o sposa, e tutte le<br />

nazioni conosceranno il tuo nome”. Povero sposo mio! <strong>Io</strong> chiedo soltanto che Tu mi conosca...».<br />

«Ti conoscerò per discepola buona. Va’ tu pure da Giovanna, e <strong>Dio</strong> sia con te»...<br />

5 …Noiosi come pecchie tornano all’assalto i nemici di Gesù, mentre Egli, immolato l’agnello e<br />

atteso che fossero immolati quelli presi dai discepoli per averne quanti erano necessari per tanti,<br />

ritorna verso la cinta del Tempio.<br />

«Quando fai conto di finirla con le tue pose da re? Tu non sei re! Tu non sei profeta! Fino a quando<br />

abusi della nostra bontà, uomo peccatore, ribelle, causa di male ad Israele? Quante volte ti<br />

dobbiamo dire che non hai diritto di fare il rabbi qui dentro?».<br />

«Sono venuto ad immolare l’agnello. Non me lo potete impedire. Ma, del resto, vi ricordo Adonia e<br />

Salomone».<br />

«Che c’entrano? Che vuoi dire? Sei Tu Adonia?».


«No. Adonia con frode si fece re, ma la Sapienza vegliava e consigliava, e re fu soltanto Salomone.<br />

<strong>Io</strong> non sono Adonia. Salomone sono».<br />

«E Adonia chi è?».<br />

«Voi tutti».<br />

«Noi? Come parli?».<br />

«Con verità e giustizia».<br />

«Noi osserviamo la Legge, in ogni punto, crediamo ai profeti e...».<br />

«No. Non credete ai profeti. Essi mi nominano, e voi in Me non credete. No. Non osservate la<br />

Legge. Essa consiglia atti giusti. Voi non li fate. Anche quelle offerte che venite a compiere non<br />

sono rette.<br />

È detto**: “Immonda è l’offerta di chi sacrifica roba di mal’acquisto”. È detto: “L’Altissimo non<br />

accetta i doni degli iniqui, non volge l’occhio sulle loro oblazioni, né sarà propizio ai loro peccati<br />

per il gran numero dei loro sacrifizi”. È detto: “Chi offre sacrifizio con la roba dei poveri è come<br />

chi sgozza un figlio sotto gli occhi del padre”. Questo è detto, o Giocana!<br />

_____________________<br />

* Di Giuditta si parla in Giuditta 8-16; di Adonia e Salomone in 1 Re, da 1,1 a 2,25.<br />

** È detto introduce una serie di citazioni, non tutte testuali. Ne raggruppiamo i riferimenti biblici<br />

annotati da MV su una copia dattiloscritta: Siracide 34, 18-22; Levitico 21; 20,9; 20,6.<br />

È detto: “<strong>Il</strong> pane dei bisognosi è la vita dei poveri, chi lo toglie loro è un assassino”. Questo è detto,<br />

o Ismael!<br />

È detto: “Chi toglie il pane del sudore è come se uccidesse il povero”. Questo è detto, o Doras figlio<br />

di Doras.<br />

È detto: “Chi sparge il sangue e chi defrauda la mercede all’operaio sono fratelli”. Questo è detto, o<br />

Giocana, Ismael, Chanania, Doras, Gionata. E ricordate anche che è detto “Chiunque chiude i suoi<br />

orecchi alle grida del povero griderà anch’egli ma non sarà ascoltato”.<br />

E tu, Eleazar ben Anna, ricordati e ricorda a tuo padre che è detto: “I miei sacerdoti siano santi e<br />

non si contaminino per nessuna ragione”.<br />

E tu, Cornelio, sappi che è detto: “Chi avrà maledetto padre e madre sia punito di morte”, e morte<br />

non è soltanto quella che dà il carnefice. Una più grande attende i peccatori contro i parenti, eterna,<br />

tremenda.<br />

E tu, Tolmè, ricorda che è detto: “Chi esercita magia è sterminato da Me”.<br />

E tu, Sadoc, scriba d’oro, ricorda che fra l’adultero e il suo paraninfo nell’adulterio non c’è<br />

differenza agli occhi di <strong>Dio</strong>, ed è detto che colui che giura il falso è preda delle fiamme senza fine.<br />

E di’ a colui che l’ha dimenticato che chi prende una vergine, e sazio la recide da sé mentendo<br />

accuse, va condannato. Oh! non qui. Nell’altra vita, e per la menzogna, il falso giuramento, il danno<br />

fatto alla moglie, e per l’adulterio.<br />

E che? Fuggite? Davanti all’inerme che dice parole non sue ma di quelli che voi citate per santi in<br />

Israele, e perciò non potete dire che l’inerme è un bestemmiatore, perché dicendolo direste<br />

bestemmiatori i libri sapienziali e quelli mosaici che da <strong>Dio</strong> sono dettati? Davanti all’inerme voi<br />

fuggite? Sono forse pietre le mie parole? O vi destano, picchiando sul bronzo duro del vostro duro<br />

cuore, la coscienza, ed essa sente che ha il dovere di purificarsi, essa, non le membra soltanto, in<br />

questa Parasceve, per potere consumare senza peccato di immondezza l’agnello santo? Oh! se così<br />

è, lode al Signore! Perché vera sapienza, o voi che volete essere lodati per saggi, è conoscere se<br />

stessi, riconoscere i propri errori, pentirsene e andare ai riti con “vera” devozione. Ossia con culto e<br />

rito dell’anima, e non rito esteriore…<br />

Sono andati! E noi pure andiamo a dar pace a chi ci attende…».


374. Giorno di Parasceve. Per le vie di Gerusalemme e nel sobborgo di Ofel.<br />

2 febbraio 1946.<br />

lEscono dal Tempio, brulicante di folla, per immergersi nel brulichio delle vie dove tutti corrono,<br />

indaffarati negli ultimi preparativi pasquali, e i ritardatari cercano affannosamente una stanza, un<br />

vestibolo, un purché sia, per mutarlo in cenacolo per consumarvi l’agnello.<br />

È facile così incontrarsi, ed è facile anche non riconoscersi, nel pigia pigia continuamente agitato<br />

che fa passare sotto gli occhi volti di tutte le età, di tutte le regioni dove sono israeliti, e dove il<br />

sangue puro di Israele ha contratto, per mescolanze di sangue o anche semplicemente per<br />

mimetismo, somiglianze con altre razze. Cosicché si vedono ebrei che sembrano egiziani e anche<br />

che, per i labbri sporgenti, i nasi camusi e l’angolo facciale, sembrano incroci coi nubiani; altri che<br />

per i visi taglienti, minuti, le membra snelle, gli sguardi arguti, denunciano di essere delle colonie<br />

greche, o mescolanze con greci; mentre dei robusti e alti uomini, dal viso piuttosto squadrato,<br />

parlano chiaramente di essere non del tutto estranei coi latini; e ve ne sono anche molti che noi<br />

moderni diremmo circassi o persiani, con già un ricordo di occhi mongolici o indiani nei visi<br />

bianchissimi dei primi, nei visi olivastri dei secondi. Un bel caleidoscopio di volti e di vesti!<br />

L’occhio ne resta stanco, tanto che è facile finisca a guardare senza vedere. Ma ciò che sfugge a uno<br />

viene notato dall’altro. È dunque comprensibile che ciò che sfugge al Maestro, sempre un poco<br />

assorto in Se stesso quando lo lasciano in pace, senza interrogarlo, è notato da questo o quello di chi<br />

è con Lui. E gli apostoli, i più vicini a Gesù, si indicano ciò che vedono e parlottano fra di loro con<br />

commenti... molto umani per le persone indicate.<br />

2Uno di questi commenti salati, su un ex discepolo che passa con sussiego fingendo di non vederli,<br />

viene afferrato da Gesù: «A chi dite quelle parole?» interroga.<br />

«A quel barbagianni là» accenna Giacomo di Zebedeo. «Ha finto di non vederci, e non è il solo a<br />

fare così. Però quando Tu lo dovevi guarire e ti cercava, allora sapeva vederci! Gli venga la pustola<br />

maligna!».<br />

«Giacomo!! Con questi sentimenti sei al mio fianco e ti prepari a consumare l’agnello? In verità tu<br />

sei più incoerente di lui. Lui si è separato con franchezza quando ha sentito di non poter fare ciò che<br />

dicevo. Tu resti, ma non fai ciò che <strong>Io</strong> dico. Non sei forse più peccatore di lui?».<br />

Giacomo diventa rosso fino alla congestione e si ritira dietro ai compagni, mortificato.<br />

«È che fa male vederli fare così, Maestro!» dice Giovanni per aiutare il fratello che è stato<br />

rimproverato. «<strong>Il</strong> nostro amore si ribella a vedere il loro disamore...».<br />

«Già. Ma credete di portarli all’amore facendo così? Sgarbi, male parole, insulti, non hanno mai<br />

portato al punto dove si vorrebbe portare un rivale o uno di altro pensiero. È la dolcezza, la<br />

pazienza, la carità, perseveranti nonostante ogni ripulsa, che finiscono ad ottenere. <strong>Io</strong> capisco e<br />

compatisco il vostro cuore che soffre nel non vedermi amato. Ma vorrei sapervi, vedervi più<br />

soprannaturali negli atti e nei mezzi per farmi amare. Suvvia, Giacomo, vieni qui. Non è per<br />

mortificarti che ho parlato. Comprendiamoci, amiamoci almeno fra di noi, amici miei... C’è già<br />

tanta incomprensione e dolore per il Figlio dell’uomo!».<br />

Giacomo, rasserenato, gli torna al fianco.<br />

3Camminano qualche tempo in silenzio, poi Tommaso esplode in una tonante esclamazione: «Però è<br />

proprio una vergogna!».<br />

«Che cosa?» chiede Gesù.<br />

«Ma la viltà di tanti! Maestro, non vedi in quanti fingono di non conoscerti?».<br />

«E che perciò? Muterà un iota di ciò che è scritto di Me il loro modo di fare? No. Solo per loro si<br />

muta ciò che potrebbe essere scritto. Perché nei libri eterni poteva essere detto di loro: “I discepoli


uoni”, mentre si scriverà: “Coloro che non furono buoni, coloro per i quali fu nulla la venuta del<br />

Messia”. Parola tremenda, sapete? Peggiore a quella di: “Adamo, con Eva, peccò”. Perché <strong>Io</strong> posso<br />

annullare quel peccato. Ma non potrò annullare questo di rinnegare il Verbo Salvatore... 4 Pieghiamo<br />

da questa parte. <strong>Io</strong> mi fermerò coi fratelli, con Simon Pietro e Giacomo nel sobborgo di Ofel. Giuda<br />

di Simone rimarrà pure. Ma Simone Zelote, Giovanni e Tommaso andranno al Getsemani a<br />

prendere le borse...».<br />

«Sì, così Giona inghiottirà per dritto il suo agnello» dice ancora inquieto Pietro. Gli altri ridono...<br />

«Buono, buono! Non ti stupire se ha paura. Domani potresti averla tu».<br />

«<strong>Io</strong>, Maestro? È più facile che il mar di Galilea si muti in vino che non io avere paura» asserisce<br />

sicuro Pietro.<br />

«Eppure... l’altra sera... Oh! Simone! Non parevi molto coraggioso sulle scale del palazzo di Cusa»<br />

morde Giuda di Keriot, senza molta ironia ma... con sempre sufficiente sarcasmo, capace di pungere<br />

Pietro.<br />

«È perché... temevo per il Signore che ero agitato, io! Non per altro».<br />

«Bene! Bene! Auguriamoci di non avere mai... paura per non fare brutte figure, eh!» risponde Giuda<br />

di Keriot battendogli una mano sulla spalla, protettore e maligno... In altri momenti il suo modo di<br />

fare avrebbe scatenato una reazione. Ma Pietro, dalla sera avanti, è in stato di... ammirazione per<br />

Giuda e lo sopporta in tutto.<br />

Gesù dice: «Filippo e Natanaele con Andrea e Matteo vadano al palazzo di Lazzaro, a dire che<br />

stiamo venendo».<br />

Si separano questi ultimi, e gli altri procedono con Gesù. I discepoli, meno Stefano e Isacco, vanno<br />

con gli apostoli mandati al palazzo.<br />

Al sobborgo di Ofel nuova separazione. Quelli inviati al Getsemani vanno lesti insieme a Isacco.<br />

Stefano resta con Gesù, i figli di Alfeo, Pietro, Giacomo e l’Iscariota, e, per non stare fermi al<br />

crocicchio, vanno lentamente nella stessa direzione di quelli andati al Getsemani. Fanno proprio la<br />

stradetta che nella notte del giovedì santo sarà percorsa da Gesù fra i suoi torturatori. Ora, sul<br />

mezzodì, è vuota di popolo. Una piccola piazzetta, con una fonte ombreggiata da un fico che apre le<br />

foglie tenerelle sullo specchio dell’acqua cheta, si trova dopo pochi passi.<br />

5 «Ecco là Samuele di Annalia» dice Giacomo d’Alfeo che lo deve conoscere bene. <strong>Il</strong> giovane sta per<br />

entrare in casa con l’agnello... È carico anche di altre cibarie.<br />

«Provvede alla cena pasquale anche per il parente» osserva Giuda di Alfeo.<br />

«Ma ora si è stabilito qui? Non era via?» dice Pietro.<br />

«Sì. Si è stabilito qui. Si dice che amoreggi con la figlia di Cleofa il sandalaio. È denarosa...».<br />

«Ah! e allora perché dice che Annalia lo ha abbandonato?» chiede l’Iscariota. «Ciò è menzogna!».<br />

«L’uomo di essa si serve con facilità. E non sa che così facendo si mette sulla via del male. Basta il<br />

primo passo, un passo, per non potersi poi più liberare... È un vischio... è un labirinto... è una<br />

trappola. Una trappola in discesa...» dice Gesù a Giuda di Keriot.<br />

«Peccato! L’uomo pareva così buono lo scorso anno!» dice Giacomo di Zebedeo.<br />

«Sì. <strong>Io</strong> credevo proprio che avrebbe imitato la sposa nel darsi tutto a Te e fare una coppia di sposi<br />

angeli e tuoi servi. Ci avrei giurato!...» dice Pietro.<br />

«Simone mio! Non giurare mai sul futuro di un uomo. È la cosa più incerta che ci sia. Nessun<br />

elemento, presente al momento del giuramento, può essere mallevadoria di sicuro giuramento. Ci<br />

sono delinquenti che diventano santi, e ci sono giusti, o dall’apparenza di giusti, che divengono<br />

delinquenti» gli risponde Gesù.<br />

6 Samuele, intanto, dopo essere entrato in casa, ne è uscito di nuovo per andare ad attingere alla<br />

fonte acqua pura... Vede così Gesù. Lo guarda con palese sprezzo e lancia un insulto di certo, ma è<br />

detto in ebraico e non lo capisco.<br />

L’Iscariota si getta in avanti di scatto, lo prende per un braccio, scrollandolo come una pianta dalla<br />

quale si vuole far cadere le frutta mature: «Così parli al Maestro, o peccatore? Giù, in ginocchio!<br />

Subito. Chiedigli perdono, lingua sporca di lordura di porco! Giù! O ti spezzo!». È terribile nella<br />

violenza subitanea il bel Giuda! <strong>Il</strong> suo viso si altera paurosamente. Inutilmente Gesù cerca di<br />

calmarlo. Finché non vede inginocchiato nella terra fangosa che è intorno alla fonte il


estemmiatore, non rallenta la pressione.<br />

«Perdono» dice fra i denti il malcapitato, che deve essere torturato dalla tenaglia delle dita di Giuda.<br />

Ma lo dice male. Proprio perché vi è forzato.<br />

Gesù risponde: «Non ho rancore. Tu sì, nonostante quello che dici. La parola è inutile se è<br />

scompagnata dal moto del cuore. Tu nel cuore mi bestemmi ancora. E con doppia colpa. Perché mi<br />

accusi e mi odi per un motivo che la tua coscienza, nel suo profondo, ti dice non vero. E perché tu,<br />

tu solo sei quello che ha mancato, non Annalia, non <strong>Io</strong>. Ma di tutto ti perdono. Va’ e fa’ di tornare<br />

onesto e gradito a <strong>Dio</strong>. Lascialo, Giuda».<br />

«Vado. Ma ti odio! Mi hai traviato Annalia, e ti odio...».<br />

«Ti consoli però con Rebecca, figlia del sandalaio. E te ne consoli da quando ancora Annalia ti era<br />

sposa e, malata, pensava a te solo...».<br />

«Ero vedovo... pensavo di esserlo già... e mi cercavo moglie... Ora sono tornato a Rebecca perché...<br />

perché... Annalia non mi vuole» si scusa Samuele, che si vede scoperto nelle sue marachelle.<br />

Giuda Iscariota termina: «...e perché Rebecca è molto ricca. Brutta come un sandalo scalcagnato... e<br />

vecchia come una suola perduta su un sentiero... ma ricca, oh! ricca!...», e ride sarcastico, mentre<br />

l’altro fugge.<br />

«Come lo sai?» chiede Pietro.<br />

«Oh!... è facile sapere dove sono vergini e denari!».<br />

«Bene! Andiamo per la stradetta, Maestro? Questa piazza è un forno da pane. Là c’è ombra e<br />

ventilazione» supplica Pietro che suda.<br />

7Vanno, adagio, in attesa degli altri di ritorno. La stradetta è deserta.<br />

Una donna si stacca da una porta e viene a prostrarsi ai piedi di Gesù piangendo.<br />

«Che hai?».<br />

«Maestro!... Ti sei già purificato?».<br />

«Sì. Perché lo chiedi?».<br />

«Perché volevo dirti... Ma non lo puoi avvicinare. È tutto un marciume... <strong>Il</strong> medico lo dice infetto.<br />

Dopo la Pasqua chiamerò il sacerdote... e... e Hinnon lo accoglierà. Non mi dire colpevole. <strong>Io</strong> non<br />

lo sapevo... Ha lavorato a Joppe per molti mesi e mi è tornato così, dicendo che si era ferito. Ho<br />

usato i balsami e i lavaggi con gli aromi... Ma non giovavano. Ho interrogato un semplicista. Mi ha<br />

dato polveri per il sangue... Ho separato i figli... ho separato il letto... perché... cominciavo a capire.<br />

È peggiorato. Ho chiamato il medico. Mi ha detto: “Donna, tu sai il tuo dovere e io il mio. Ciò è<br />

ferita di lussuria. Recidilo da te. <strong>Io</strong> lo reciderò dal popolo. <strong>Il</strong> sacerdote da Israele. Doveva pensarci<br />

quando offendeva <strong>Dio</strong>, te e se stesso. Ora espii”. Ho ottenuto il silenzio suo fino al dì dopo gli<br />

Azzimi. Ma se Tu avessi pietà del peccatore, e di me che l’amo ancora, e dei cinque figli<br />

innocenti...».<br />

«Che vuoi che <strong>Io</strong> ti faccia? Non pensi che chi peccò è giusto che espii?».<br />

«Sì, o Signore! Ma Tu sei la Misericordia vivente!». Tutta la fede di cui una donna è capace è nella<br />

voce, nello sguardo, nell’atto della donna inginocchiata, a braccia protese verso il Salvatore.<br />

«Ed egli che ha in cuore?».<br />

«Avvilimento... Che vuoi altro che abbia, o Signore?».<br />

«Basterebbe un movimento soprannaturale di pentimento, di giustizia, per ottenere pietà...».<br />

«Giustizia?».<br />

«Sì. Dire: “Ho peccato. La colpa mia merita questo e ben altro, ma a coloro che ho offeso chiedo<br />

pietà”».<br />

«<strong>Io</strong> gliel’ho già data. Tu, <strong>Dio</strong>, dagliela. Non posso dirti: entra... Vedi che non ti tocco neppure io...<br />

8Ma se vuoi lo chiamo, e dal terrazzo lo faccio parlare».<br />

«Sì».<br />

La donna, con la testa dentro l’uscio di casa, chiama forte: «Giacobbe! Giacobbe! Sali sul tetto.<br />

Affacciati. Non temere».<br />

L’uomo, dopo qualche momento, si mostra al parapetto del terrazzo. Un viso giallastro, gonfio, la<br />

gola fasciata, una mano fasciata... un rudere d’uomo corrotto... Guarda con gli occhi acquosi del<br />

malato di ignobili malattie. Chiede: «Chi mi vuole?».


«Giacobbe, c’è il Salvatore!...». La donna non dice di più, ma pare voglia ipnotizzare il malato,<br />

trasfondergli il suo pensiero...<br />

L’uomo, sia che senta questo pensiero di lei, sia che abbia un moto spontaneo, tende le braccia e<br />

dice: «Oh! liberami! <strong>Io</strong> credo in Te! È orribile morire così!».<br />

«È orribile mancare al proprio dovere. A questa non pensavi? Non ai figli?».<br />

«Pietà, Signore... Per essi, per me... Perdono! Perdono!». E si abbatte sul muretto piangendo, le<br />

mani fasciate sporgenti con tutto il braccio, che resta scoperto per la manica che sale in alto,<br />

chiazzato già delle prossime pustole, gonfio, repellente... L’uomo, così come è messo, pare un<br />

burattino macabro, una salma gettata lì, già in procinto di decomporsi. Fa pena e nausea insieme.<br />

La donna piange, sempre fra la polvere, in ginocchio.<br />

Gesù pare attendere una parola ancora... Finalmente essa scende, fra i singhiozzi: «Gemo a Te nella<br />

contrizione del cuore! Dammi almeno promessa che essi non patiranno la fame... e poi... me ne<br />

andrò rassegnato all’espiazione. E Tu fa’ salva l’anima mia, Salvatore benedetto! Questa almeno!<br />

Questa almeno!».<br />

«Sì. Ti guarisco. Per gli innocenti. Per darti modo di mostrarti giusto. Comprendi? Ricordalo che il<br />

Salvatore ti ha guarito. <strong>Dio</strong>, dal modo come tu risponderai a questa grazia, ti assolverà delle tue<br />

colpe. Addio. La pace a te, donna». E se ne va quasi di corsa incontro a quelli che vengono dal<br />

Getsemani. Neppure i gridi dell’uomo, che si sente e vede guarire, lo fermano, e non quelli della<br />

moglie...<br />

«Pieghiamo da questo vicolo, per non passare di nuovo di là» dice Gesù dopo essersi ricongiunto<br />

con gli altri.<br />

9 Prendono un vicolo miserabile, così stretto che a mala pena due vi passano di fianco e, se un asino<br />

lo percorre con un basto, non c’è che schiacciarsi al muro come francobolli. Vi è penombra per i<br />

tetti che quasi si toccano, solitudine, silenzio e cattivo odore. Vanno in fila come tanti frati finché<br />

dura il chiassuolo miserevole. Poi, ad una piazzetta piena di ragazzi, si riuniscono.<br />

«Perché hai detto quelle parole a quell’uomo? Non le usi mai...» chiede curioso Pietro.<br />

«Perché quell’uomo sarà uno dei miei nemici. E questa colpa futura aggraverà quella che già ha».<br />

«E lo hai guarito?!» chiedono tutti, stupefatti.<br />

«Sì. Per i piccoli innocenti».<br />

«Umh! Tornerà ad ammalarsi...».<br />

«No. Per la vita del corpo, dopo lo spavento e la sofferenza avuta, avrà cura. Non si ammalerà più».<br />

«Ma peccherà contro Te, dici. <strong>Io</strong> lo facevo morire».<br />

«Tu sei un uomo peccatore, Simone di Giona».<br />

«E Tu sei troppo buono, Gesù di Nazaret» replica Pietro.<br />

Una via centrale li assorbe e non vedo più niente.<br />

10 Nota mia.<br />

Tanto l’uomo guarito come Samuele li riconosco. <strong>Il</strong> primo è quello che nella Passione colpisce con<br />

un sasso Gesù al capo. Riconosco, più che lui, la moglie, dolente ora come allora, e la casa che ha<br />

una caratteristica porta alta su tre gradini. E così, nella maschera d’odio che lo trasforma, riconosco<br />

in Samuele il giovane che uccide la madre con un calcio per poter andare a colpire il Maestro con<br />

un randello. Per conto mio metterò queste note ai piedi della pag. N… della Passione.<br />

95. La cena rituale in casa di Lazzaro e il banchetto sacrilego in casa di<br />

Samuele.<br />

3 febbraio 1946.<br />

1 Quando Gesù entra nel palazzo, lo vede invaso da una turba di servi venuti da Betania, i quali si<br />

affrettano nei preparativi. Lazzaro, sdraiato su un lettuccio e molto sofferente, saluta con un pallido<br />

sorriso il suo Maestro, che si affretta verso di lui e che si china tutto amore sul lettuccio chiedendo:<br />

«Hai molto sofferto, non è vero, amico mio?, con le scosse del carro».<br />

«Molto, Maestro» risponde Lazzaro, sfinito tanto che solo a rievocare ciò che ha provato ha da capo


negli occhi le lacrime.<br />

«Per colpa mia! Perdonami!».<br />

Lazzaro prende una delle mani di Gesù e se la porta al viso, ci strofina contro la guancia scarnita, la<br />

bacia e mormora: «Oh! non per colpa tua, Signore! E sono tanto contento che Tu faccia con me la<br />

Pasqua... la mia ultima Pasqua!...».<br />

«Se <strong>Dio</strong> vorrà, nonostante ogni cosa, tu ne farai molte ancora, Lazzaro. E sempre il tuo cuore sarà<br />

con Me».<br />

«Oh! io sono finito! Tu mi conforti... ma è finita. E mi spiace...». Piange.<br />

«Lo vedi, Signore? Lazzaro non fa che piangere» dice pietosa Marta. «Digli che non lo faccia. Si<br />

sfinisce!».<br />

«La carne ha anche i suoi diritti. La sofferenza è penosa, Marta, e la carne piange. Ha bisogno di<br />

questo sfogo. Ma l’anima è rassegnata, non è vero, amico mio? La tua anima di giusto fa volentieri<br />

la volontà del Signore...».<br />

«Sì... Ma io piango perché Tu, essendo così perseguitato, non potrai assistermi nella morte... Ho<br />

ribrezzo, ho paura di morire... Se ci fossi Tu, non l’avrei tutto ciò. Mi rifugerei nelle tue braccia... e<br />

mi addormenterei così... Come farò? Come farò a morire senza avere moti contro l’ubbidienza a<br />

questa tremenda volontà?».<br />

«Suvvia! Non pensare a queste cose! Vedi? Fai piangere le sorelle... <strong>Il</strong> Signore ti aiuterà così<br />

paternamente che tu non avrai paura. Paura devono averla i peccatori...».<br />

«Ma Tu, se puoi venire, ci vieni alla mia agonia? Prometti- melo!».<br />

«Te lo prometto. Questo e più ancora».<br />

«Mentre preparano, raccontami ciò che hai fatto questa mattina...».<br />

E Gesù, seduto sull’orlo del lettuccio, una delle scarne mani di Lazzaro nelle sue, racconta per filo e<br />

per segno tutto quanto è accaduto, finché Lazzaro, sfinito, si assopisce, e Gesù non lo lascia neppure<br />

allora. Sta immobile per non turbare quel sonno riparatore, facendo segno che si faccia il meno<br />

rumore possibile, tanto che Marta, dopo avere portato un ristoro a Gesù, si ritira in punta di piedi<br />

calando la tenda pesante e chiudendo la porta massiccia. <strong>Il</strong> rumore della casa, tutta in moto, si<br />

attutisce così in un brusio appena sensibile. Lazzaro dorme. Gesù prega e medita.<br />

2 Passano le ore così, finché Maria di Magdala viene a portare una lampadetta, perché la sera scende<br />

e vengono chiuse le finestre. «Dorme ancora?» sussurra.<br />

«Sì. È molto quieto. Gli farà bene».<br />

«Da mesi non dormiva tanto... Credo che molto lo tenesse agitato il timore della morte. Con Te<br />

vicino non c’è paura... di nulla... Lui fortunato!».<br />

«Perché, Maria?».<br />

«Perché lui potrà averti vicino nel morire. Ma io...».<br />

«Perché tu no?».<br />

«Perché Tu vuoi morire... e presto. E io chissà quando morirò. Fammi morire prima di Te,<br />

Maestro!».<br />

«No, tu mi devi servire per tanto ancora».<br />

«E allora ho ragione di dire che Lazzaro è fortunato!».<br />

«I beneamati saranno tutti fortunati come lui, più di lui».<br />

«Chi sono? I puri, vero?».<br />

«Coloro che sanno totalmente amare. Tu, per esempio, Maria».<br />

«Oh! mio Maestro!». Maria scivola a terra, sulla stuoia multicolore che copre il pavimento di questa<br />

stanza, e sta lì, in adorazione del suo Gesù.<br />

Marta, cercandola, mette dentro il capo. «Vieni, dunque! Dobbiamo parare la sala rossa per la cena<br />

del Signore».<br />

«No, Marta. Quella la darete ai più umili, ai contadini di Giocana, ad esempio».<br />

«Ma perché, Maestro?».<br />

«Perché i poveri sono tanti Gesù ed <strong>Io</strong> sono in essi. Onorate sempre il povero che nessuno ama, se<br />

volete essere perfette. Per Me preparerete nell’atrio. Tenendo aperte le porte delle molte stanze che<br />

dànno in esso, tutti mi vedranno ugualmente ed lo tutti vedrò».


Marta, non troppo soddisfatta, obbietta: «Ma Tu in un vestibolo!... Non è degno di Te!...».<br />

«Va’, va’. Fa’ ciò che ti dico. È degnissimo fare ciò che il Maestro consiglia».<br />

Marta e Maria escono senza fare rumore e Gesù resta paziente a vegliare l’amico che riposa.<br />

3 Le cene sono in pieno svolgimento. Con poco giusta distribuzione degli ospiti, secondo il punto di<br />

vista umano, ma con una superiore vista tesa a dare onore e amore a quelli che il mondo solitamente<br />

trascura.<br />

Così nella splendida, regale sala rossa, la cui volta è sorretta da due colonne di porfido rosso, fra le<br />

quali è stata messa la lunga tavola, sono seduti i contadini di Giocana insieme a Marziam e a Isacco<br />

più altri discepoli, fino a compire il numero* adatto. Nella sala dove ebbe luogo la cena della sera<br />

avanti sono altri discepoli fra i più umili. Nella sala bianca - un sogno di candore - sono le discepole<br />

vergini e con esse, che sono solo quattro, sono le sorelle di Lazzaro e Anastasica e altre giovani, ma<br />

la regina della festa è Maria, la Vergine per eccellenza. Nella stanza vicina, che forse è una<br />

biblioteca perché è tappezzata di alti scrigni oscuri che forse contengono dei rotoli, o ne<br />

contenevano, sono le vedove e le mogli, e ne sono direttrici Elisa di Betsur e Maria d’Alfeo. E così<br />

via.<br />

Ma ciò che colpisce è vedere Gesù nell’atrio marmoreo. Vero è che il gusto signorile delle due<br />

sorelle di Lazzaro ha fatto del quadrato vestibolo un vero salone luminoso, fiorito, splendido più di<br />

una sala. Ma è sempre il vestibolo! Gesù è coi dodici, ma al suo fianco è Lazzaro. E con Lazzaro è<br />

anche Massimino.<br />

Le cene proseguono secondo il rito... e Gesù sfavilla nella letizia di essere al centro di tutti i suoi<br />

discepoli fedeli.<br />

4 Terminate le cene, consumato l’ultimo calice, cantato l’ultimo salmo, tutti quelli che erano nelle<br />

diverse sale affluiscono nell’atrio. Ma non vi stanno, data la presenza della tavola che ingombra non<br />

poco.<br />

«Andiamo nella sala rossa, Maestro. Spingeremo la tavola contro la parete e staremo tutti intorno a<br />

Te» suggerisce Lazzaro facendo cenno ai servi di eseguire.<br />

Ora Gesù, seduto al centro, fra le due preziose colonne, sotto il rutilante lampadario, alto su un<br />

piedistallo fatto di due sedili-lettucci usati per la cena, pare proprio un re seduto sul trono in mezzo<br />

ai suoi cortigiani. La sua veste di lino, messa avanti la cena, splende come fosse di fili preziosi, e<br />

sembra ancor più bianca, messa a confronto con il rosso opaco delle pareti e con quello lucido delle<br />

colonne. E il suo viso è veramente divino e regale mentre parla o ascolta chi gli è intorno. Anche i<br />

più umili, che Egli ha voluto molto vicino, sentendosi amati fraternamente dagli altri, parlano con<br />

sicurezza, dicendo speranze e affanni con semplicità e fede.<br />

5 Ma il più beato fra tanti beati è il nonno di Marziam! Non si separa dal nipote neppure per un<br />

momento e si bea di guardarlo, di ascoltarlo... Ogni tanto, stando seduto presso Marziam che è in<br />

piedi, curva il capo canuto sul petto del nipote che lo carezza.<br />

Gesù vede quest’atto più volte e interpella il vecchio: «Padre, il tuo cuore è felice?».<br />

_________________<br />

* il numero adatto può riferirsi, insieme con le analoghe espressioni incontrate in 372,6, alla<br />

prescrizione di Esodo 12,4 nel contesto del rituale per la celebrazione della Pasqua, per la quale<br />

rimandiamo a: Esodo 12; 13,1-16; 23,14-19; 34,10-28; Levitico 23,5-8; Numeri 9,1-14; 28,16-<br />

25; Deuteronomio 16,1-8; Ezechiele 45,18-24.<br />

«Oh! ben felice, mio Signore! Non mi sembra neppure vero. Non ho più che un desiderio...».<br />

«Quale?».<br />

«Quello che ho detto al figlio mio. Ma egli non lo approva».<br />

«Che desiderio è?».<br />

«È che vorrei morire, possibilmente in questa pace. Presto almeno. Perché ormai il massimo bene<br />

l’ho avuto. Non di più può averne creatura sulla terra. Andarmene... non penare più... Andare...<br />

Come hai detto bene nel Tempio, o Signore! “Chi offre sacrifizi con la roba dei poveri è come chi<br />

sgozza un figlio sotto gli occhi del padre”. Solo il timore di Te trattiene Giocana da emulare Doras.<br />

Gli sta passando il ricordo di ciò che avvenne all’altro, i campi suoi prosperano ed egli li feconda<br />

col nostro sudore. <strong>Il</strong> sudore non è forse la roba del povero, il suo se stesso che si spreme in fatiche


superiori alle sue forze? Non ci picchia, ci dà tanto da tenerci forti al lavoro. Ma non ci sfrutta più<br />

del bue? Ditelo voi, compagni miei...».<br />

I contadini vecchi e nuovi di Giocana annuiscono.<br />

«Uhm! Credo che... Sì, che le tue parole lo facciano più vampiro che mai; e su questi... Perché le hai<br />

dette, Maestro?» chiede Pietro.<br />

«Perché egli le meritava già. Non è vero, voi dei campi?».<br />

«Oh, sì! I primi mesi... andò bene. Ma ora... peggio di prima» asserisce Michea.<br />

«La secchia del pozzo per il suo stesso peso discende» sentenzia il sacerdote Giovanni.<br />

«Sì, e il lupo presto si stanca di apparire agnello» rincara Erma.<br />

Le donne sussurrano fra loro, impietosite. Gesù, con gli occhi fatti dilatati dalla pietà, guarda i<br />

poveri contadini, afflitto di essere impotente a sollevarli.<br />

Lazzaro dice: «Avevo offerto somme pazze per avere quei campi e dare loro pace. Ma non sono<br />

riuscito ad averli. Doras mi odia, simile in tutto a suo padre».<br />

«Ebbene... morremo così. È la nostra sorte. Ma verrà bene il riposo in seno ad Abramo!» esclama<br />

Saulo, altro contadino di Giocana.<br />

«In seno a <strong>Dio</strong>, figlio! In seno a <strong>Dio</strong>. La Redenzione sarà compiuta, i Cieli aperti, e voi al Cielo<br />

andrete e...».<br />

8Al portone vengono dati colpi vigorosi che rimbombano forte. Vi è allarme fra i convenuti.<br />

«Chi è?».<br />

«Chi gira in sera di Pasqua?».<br />

«Milizie?».<br />

«Farisei?» .<br />

«Soldati di Erode?».<br />

Ma mentre l’orgasmo si estende appare Levi, il custode del palazzo: «Perdona, o Rabbi» dice, «vi è<br />

un uomo che ti vuole. È nell’ingresso. Pare molto afflitto. È vecchio, e mi sembra popolano. Vuole<br />

Te. E presto».<br />

«Oh! là là! Non è sera di miracoli questa! Torni domani...» dice Pietro.<br />

«No. Ogni sera è ora di miracoli e di misericordia» dice Gesù, alzandosi e scendendo dal suo seggio<br />

per andare verso l’atrio.<br />

«Vai solo? Vengo anch’io» dice Pietro.<br />

«No. Tu stai dove ti trovi». Esce al fianco di Levi.<br />

In fondo, presso il pesante portone, nell’atrio semioscuro perché sono state spente le lampade che lo<br />

illuminavano prima, è un vecchio molto agitato. Gesù gli si accosta.<br />

«Fermati, Maestro. Forse io ho toccato un morto e non voglio contaminarti. Sono il parente di<br />

Samuele, lo sposo di Annalia. Consumavamo la cena e Samuele beveva, beveva... come non è lecito<br />

fare. Ma il giovane mi sembra folle da qualche tempo. È il rimorso, Signore! Mezzo ebbro, diceva<br />

nel bere di nuovo: “Così non mi ricordo più di avergli detto che lo odio. Perché io, sappiatelo, ho<br />

maledetto il Rabbi”. E mi pareva Caino, perché ripeteva: “La mia iniquità è troppo grande. Non<br />

merito perdono! Bere devo! Bere per non ricordare. Perché è detto che chi maledice il suo <strong>Dio</strong><br />

porterà il suo peccato ed è reo di morte”. Delirava già così quando entrò nella casa un parente della<br />

madre di Annalia per chiedere ragione del ripudio. Samuele, semi ebbro, reagì con male parole e<br />

l’uomo lo minacciò di portarlo dal magistrato per il danno che fa all’onore della famiglia. Samuele<br />

lo schiaffeggiò per il primo. Si presero... io vecchio sono, e vecchia è mia sorella, vecchio il servo e<br />

la servente. Che potevamo fare noi quattro e che le due fanciulle, sorelle di Samuele? Gridare<br />

potevamo! Cercare di dividerli potevamo! Nulla più... E Samuele, presa la scure con cui avevamo<br />

preparato le legna per l’agnello, la dette nel capo dell’altro... Non gli aperse la testa perché colpì col<br />

ceppo, non colla lama. Ma l’altro barcollò gorgogliando e cadde... Non abbiamo gridato più... per...<br />

per non attirare gente... Ci siamo barricati in casa... Atterriti... Speravamo che l’uomo rinvenisse<br />

gettandogli acqua sul capo. Ma gorgoglia, gorgoglia. Certo muore. A momenti pare già morto. <strong>Io</strong><br />

sono fuggito a chiamarti in un momento di questi. Domani... forse prima, i parenti cercheranno<br />

l’uomo. E da noi, perché certo sanno che è venuto. E lo troveranno morto... E Samuele, secondo la<br />

Legge, sarà ucciso... Signore! Signore! <strong>Il</strong> disonore è già su noi... Ma questo no! Per mia sorella


pietà, Signore! Egli ti ha maledetto... Ma la madre ti ama... Che dobbiamo fare?».<br />

«Attendimi qui. Vengo <strong>Io</strong>», e Gesù torna nella sala chiamando dalla porta: «Giuda di Keriot, vieni<br />

con Me».<br />

«Dove, Signore?» dice Giuda ubbidendo subito.<br />

«Lo saprai. Voi tutti state con pace e amore. Saremo presto di ritorno».<br />

7Escono dalla sala, dal vestibolo, dalla casa. Le vie, deserte e oscure, sono presto percorse.<br />

Giungono alla casa fatale.<br />

«La casa di Samuele?! Perché...».<br />

«Silenzio, Giuda. Ti ho preso perché ho fiducia nel tuo buon senso».<br />

<strong>Il</strong> vecchio si è fatto riconoscere. Entrano. Salgono alla stanza del cenacolo, dove hanno trascinato il<br />

colpito.<br />

«Un morto?! Ma Maestro! Ci contaminiamo!».<br />

«Non è morto. Lo vedi che respira e lo senti che rantola. Ora <strong>Io</strong> lo sanerò...».<br />

«Ma è colpito al capo! Qui c’è stato un delitto! Chi è stato?... E nel giorno dell’agnello!». Giuda è<br />

esterrefatto.<br />

«Lui è stato» dice Gesù indicando Samuele che è gettato in un angolo, in un gomitolo, più morente<br />

dello stesso morente, rantolante di terrore come l’altro d’agonia, col lembo del mantello sul capo<br />

per non vedere e non essere visto, guardato con orrore da tutti fuorché dalla madre, che all’orrore<br />

per l’omicida unisce lo strazio per il figlio colpevole e condannato in anticipo dalla ferrea legge<br />

d’Israele. «Lo vedi a che porta un primo peccato? A questo, o Giuda! Ha cominciato ad essere<br />

spergiuro alla donna, poi a <strong>Dio</strong>; indi si è fatto calunniatore, mentitore, bestemmiatore, poi si è dato<br />

al vino, ed ora è omicida. Così si diviene di Satana, o Giuda. Abbilo sempre presente...». Gesù è<br />

terribile mentre col braccio teso indica Samuele.<br />

Ma poi guarda la madre che, aggrappata ad un’imposta, si regge a stento, scossa da un tremito, e<br />

pare prossima a morte, e con mestizia dice: «E così, o Giuda, vengono uccise, senz’altra arma che<br />

quella del delitto del figlio, le povere madri!... Per essa ho pietà. Ho pietà delle madri, <strong>Io</strong>! <strong>Io</strong>, il<br />

Figlio che non vedrà pietà per la Madre sua...». Gesù piange... Giuda lo guarda sbalordito...<br />

8Gesù si china sul morente e gli posa la mano sul capo. Prega. L’uomo apre gli occhi. Pare un poco<br />

ebbro. Stupito... Ma presto torna in sé.<br />

Si siede puntando i pugni al suolo. Guarda Gesù. Chiede: «Chi sei?».<br />

«Gesù di Nazaret».<br />

«<strong>Il</strong> Santo! Perché presso a me? Dove sono? Dove è mia sorella e sua figlia? Che è accaduto?».<br />

Cerca di ricordare.<br />

«Uomo, tu mi chiami santo. Mi credi dunque tale?».<br />

«Sì, Signore. Tu sei il Messia del Signore».<br />

«La mia parola ti è dunque sacra?».<br />

«Sì, o Signore».<br />

«Allora...». Gesù si alza in piedi. È imponente: «Allora <strong>Io</strong>, come Maestro e Messia, ti ordino di<br />

perdonare. Qui venisti e fosti insultato...».<br />

«Ah! Samuele! Sì!... La scure! Lo denun...» dice alzandosi.<br />

«No. Perdona in nome di <strong>Dio</strong>. Ti ho sanato per questo. Tu hai a cuore la madre di Annalia perché ha<br />

sofferto. Questa di Samuele soffrirebbe più ancora. Perdona».<br />

L’uomo tergiversa alquanto. Guarda il feritore con chiaro rancore. Guarda la madre angosciata.<br />

Guarda Gesù che lo domina... Non si sa decidere.<br />

Gesù gli apre le braccia e lo attira sul petto dicendo: «Per amor mio!».<br />

L’uomo si dà a piangere... Essere così fra le braccia del Messia, sentire il suo alito fra i capelli e un<br />

bacio che scende dove era a percossa!... Piange, piange...<br />

Gesù dice: «Sì, non è vero? Tu perdoni per mio amore? Oh! beati i misericordiosi! Piangi, piangi<br />

sul mio cuore. Esca col pianto ogni rancore! Tutto nuovo! Tutto puro! Ecco, così! Mite, oh! mite<br />

come deve esserlo un figlio di <strong>Dio</strong>...».<br />

E l’uomo alza il viso e fra le lacrime dice: «Sì, sì. <strong>Il</strong> tuo amore è tanto dolce! Ha ragione Annalia!<br />

Ora la comprendo... Donna! Non piangere più! <strong>Il</strong> passato è passato. Nessuno saprà nulla dalla mia


occa. Godi del figlio tuo, ammesso che egli ti possa dare gioia. Addio, donna. Torno alla mia<br />

casa», e fa per uscire.<br />

Gesù gli dice: «Vengo con te, uomo. Addio, madre. Addio, Abramo. Addio, fanciulle». Non una<br />

parola a Samuele, che non trova una parola a sua volta.<br />

La madre gli strappa il mantello dal capo e, nella reazione di ciò che ha passato, si avventa sul<br />

figlio: «Ringrazia il tuo salvatore, anima dura! Ringrazialo, uomo indegno che sei!...».<br />

«Lascialo, lascialo, donna. Non avrebbe valore la sua parola. <strong>Il</strong> vino lo fa stolto e la sua anima è<br />

chiusa. Prega per lui... Addio».<br />

9 Scende le scale, raggiunge sulla via Giuda e l’altro, si libera dal vecchio Abramo che gli vuole<br />

baciare le mani e si dà a camminare rapido nel primo raggiare di luna.<br />

«Stai lontano?» chiede all’uomo.<br />

«Ai piedi del Moria».<br />

«Allora dobbiamo separarci».<br />

«Signore, Tu mi hai serbato ai figli, alla sposa, alla vita. Che devo fare per Te?».<br />

«Essere buono, perdonare e tacere. Mai, per nessuna ragione, devi dire parola su quanto è avvenuto.<br />

Lo prometti?».<br />

«Lo giuro sul sacro Tempio! Per quanto mi dolga non potere dire che Tu mi hai salvato...».<br />

«Sii un giusto ed <strong>Io</strong> ti salverò l’anima. E questo lo potrai dire. Addio, uomo. La pace sia con te».<br />

L’uomo si inginocchia, saluta. Si separano.<br />

«Che cose! Che cose!» dice Giuda, ora che sono soli.<br />

«Sì. Orrende. Giuda, tu pure non parlerai».<br />

«No, Signore. Ma perché hai voluto me con Te?».<br />

«Non sei contento della mia fiducia?».<br />

«Oh! tanto! Ma...».<br />

«Ma perché volevo che tu meditassi a che può condurre la menzogna, l’avidità di denaro, la crapula<br />

e le pratiche inerti di una religione non più sentita e praticata spiritualmente. E che era il banchetto<br />

simbolico per Samuele? Nulla! Una crapula. Un sacrilegio. E in esso divenne omicida. Molti in<br />

futuro saranno come esso, e col sapore dell’Agnello sulla lingua, e non dell’agnello nato da pecora,<br />

ma dell’Agnello divino, andranno al delitto. Perché ciò? Come ciò? Non te lo chiedi? Ma <strong>Io</strong> te lo<br />

dico lo stesso: perché avranno preparato quell’ora con molti antefatti, commessi per sbadataggine<br />

all’inizio, per cocciutaggine poi. Ricordalo, Giuda».<br />

«Sì, Maestro. E che diremo agli altri?».<br />

«Che c’era uno molto grave. È verità».<br />

Scantonano svelti per una strada e li perdo di vista.<br />

96. Lezione sulla salvezza operata dai santi e condanna per il Tempio<br />

corrotto.<br />

4 febbraio 1946.<br />

1Molti discepoli e discepole si sono congedati, tornando alle case ospitali o riprendendo le vie dalle<br />

quali erano venuti.<br />

Nel pomeriggio splendido di questo inoltrato aprile restano nella casa di Lazzaro i discepoli veri e<br />

propri, e particolarmente i più votati alla predicazione. Ossia i pastori, Erma e Stefano, il sacerdote<br />

Giovanni, Timoneo, Ermasteo, Giuseppe d’Emmaus, Salomon, Abele di Betlemme di Galilea,<br />

Samuele e Abele di Corozim, Agapo, Aser e Ismaele di Nazaret, Elia di Corozim, Filippo d’Arbela,<br />

Giuseppe barcaiolo di Tiberiade, Giovanni d’Efeso, Nicolai d’Antiochia. Delle donne restano, oltre<br />

le note discepole, Annalia, Dorca, la madre di Giuda, Mirta, Anastasica, le figlie di Filippo. Non<br />

vedo più Miryam di Giairo, né Giairo stesso. Forse è tornato dove era ospitato.<br />

Passeggiano lentamente nei cortili, oppure sul terrazzo della casa, mentre intorno a Gesù, che è<br />

seduto presso il lettuccio di Lazzaro, sono quasi tutte le donne e tutte le vecchie discepole.


Ascoltano Gesù che parla con Lazzaro, descrivendo paesi attraversati nelle ultime settimane avanti<br />

il viaggio pasquale.<br />

2 «Sei arrivato proprio in tempo per salvare il piccolino» commenta Lazzaro dopo il racconto del<br />

castello di Cesarea di Filippo, accennando al poppante che dorme beato fra le braccia materne. E<br />

Lazzaro aggiunge: «È un bel bambino! Donna, me lo fai vedere da vicino?».<br />

Dorca si alza e silenziosamente, ma trionfalmente, porge il suo nato all’ammirazione del malato.<br />

«Un bel bambino! Proprio bello! <strong>Il</strong> Signore te lo protegga e lo faccia crescere sano e santo».<br />

«E fedele al suo Salvatore. Così non avesse a divenire, lo vorrei morto, anche ora. Tutto, ma non<br />

che il salvato sia ingrato al Signore!» dice Dorca fermamente, tornando al suo posto.<br />

«<strong>Il</strong> Signore giunge sempre in tempo per salvare» dice Mirta, madre di Abele di Betlemme. «<strong>Il</strong> mio<br />

non era meno prossimo a morte, e a che morte!, del piccolo di Dorca. Ma Egli è giunto... e ha<br />

salvato. Che ora tremenda!...». Mirta impallidisce ancora nel ricordo...<br />

«Allora verrai in tempo anche per me, non è vero? Per darmi pace...» dice Lazzaro carezzando la<br />

mano di Gesù.<br />

«Ma non stai un poco meglio, fratello mio?» chiede Marta. «Da ieri mi sembri più sollevato...».<br />

«Sì. E me ne stupisco io stesso. Forse Gesù...».<br />

«No, amico. È che <strong>Io</strong> verso in te la mia pace. La tua anima ne è satura, e ciò sopisce il soffrire delle<br />

membra. È decreto di <strong>Dio</strong> che tu soffra».<br />

«E muoia. Dillo pure. Ebbene... sia fatta la sua volontà, come Tu insegni. Da questo momento non<br />

chiederò più guarigione né sollievo. Ho tanto avuto da <strong>Dio</strong> (e guarda involontariamente Maria, sua<br />

sorella) che è giusto che ricambi il tanto avuto con la mia sommissione...».<br />

3 «Fa’ di più, amico mio. Già molto è essere rassegnati e subire il dolore. Ma tu da’ ad esso un valore<br />

maggiore».<br />

«Quale, mio Signore?».<br />

«Offrilo per la redenzione degli uomini».<br />

«Sono un povero uomo io pure, Maestro. Non posso aspirare ad essere un redentore».<br />

«Tu lo dici. Ma sei in errore. <strong>Dio</strong> si è fatto Uomo per aiutare gli uomini. Ma gli uomini possono<br />

aiutare <strong>Dio</strong>. Le opere dei giusti saranno unite alle mie nell’ora della Redenzione. Dei giusti morti da<br />

secoli, viventi o futuri. Tu uniscivi le tue, da ora. È così bello fondersi alla Bontà infinita,<br />

aggiungervi ciò che possiamo dare della nostra bontà limitata e dire: “<strong>Io</strong> pure coopero, o Padre, al<br />

bene dei fratelli”. Non ci può essere amore più grande, per il Signore e per il prossimo, di questo di<br />

saper patire e morire per dare gloria al Signore e salvezza eterna ai fratelli nostri. Salvarsi per se<br />

stessi? E poco. E un “minimo” di santità. Bello è salvare. Darsi per salvare. Spingere l’amore fino a<br />

farsi rogo immolatore per salvare. Allora l’amore è perfetto. E grandissima sarà la santità del<br />

generoso» .<br />

«Come è bello tutto ciò, non è vero, sorelle mie?» dice Lazzaro con un sorriso sognante nel volto<br />

affilato.<br />

Marta annuisce col capo, commossa.<br />

4Maria, che è seduta su un cuscino, ai piedi di Gesù, nella sua posa abituale di umile e ardente<br />

adoratrice, dice: «Forse che io costo queste sofferenze al fratello mio? Dimmelo, Signore, perché la<br />

mia ambascia sia completa!...».<br />

Lazzaro esclama: «No, Maria, no. <strong>Io</strong>... dovevo morire di ciò. Non metterti frecce nel cuore».<br />

Ma Gesù, sincero fino all’estremo, dice: «Certo che sì! <strong>Io</strong> l’ho sentito il buon fratello nelle sue<br />

preghiere, nei suoi palpiti. Ma questo non ti deve dare ambascia che appesantisce. Bensì volontà di<br />

divenire perfetta, per ciò che costi. E giubila! Giubila perché Lazzaro, per averti strappata al<br />

demonio...».<br />

«Non io! Tu, Maestro».<br />

«...per averti strappata al demonio, ha meritato da <strong>Dio</strong> un premio futuro, per cui di lui parleranno le<br />

genti e gli angeli. E come per Lazzaro, di altri, e specie di altre, che hanno strappato a Satana la<br />

preda col loro eroismo».<br />

«Chi sono? Chi sono?» chiedono curiose le donne, e forse tutte sperano di essere loro, una per una.<br />

5Maria di Giuda non parla. Ma guarda, guarda il Maestro... Gesù pure la guarda. Potrebbe illuderla.


Non lo fa. Non la mortifica, ma non la illude. Risponde a tutte: «Lo saprete in Cielo».<br />

La sempre angosciata madre di Giuda chiede: «E se una non riuscisse, pur volendo? Quale la sua<br />

sorte?».<br />

«Quale la sua anima buona la merita».<br />

«<strong>Il</strong> Cielo? Ma, o Signore, una moglie, una sorella, od una madre che... che non riuscisse a salvare<br />

quelli che ama e li vedesse dannati, potrebbe avere il Paradiso, pur essendo nel Paradiso? Non credi<br />

Tu che ella non avrà mai gioia perché... la carne della sua carne e il sangue del suo sangue avranno<br />

meritato condanna eterna? <strong>Io</strong> penso che non potrà godere vedendo l’amato in atroce pena...».<br />

«Sei in errore, Maria. La vista di <strong>Dio</strong>, il possesso di <strong>Dio</strong> sono fonti di una beatitudine così infinita<br />

che non sussiste pena per i beati. Operosi e attenti per aiutare ancora coloro che possono essere<br />

salvati, non soffrono più per i recisi da <strong>Dio</strong>, e perciò da loro stessi, che sono in <strong>Dio</strong>. La comunione<br />

dei santi è per i santi».<br />

«Ma se aiutano coloro che possono ancora essere salvati è segno che questi aiutati non sono ancora<br />

santi» obbietta Pietro.<br />

«Ma hanno volontà, almeno passiva, di esserlo. I santi in <strong>Dio</strong> aiutano anche nei bisogni materiali<br />

per fare passare costoro da una volontà passiva ad una attiva. Mi comprendi?».<br />

«Sì e no. Ecco, per esempio, se io fossi in Cielo e vedessi, per un supposto, un movimento<br />

fuggevole di bontà in... Eli il fariseo, diciamo, che farei?».<br />

«Coglieresti tutti i mezzi per aumentare i suoi movimenti buoni».<br />

«E se non giovasse a nulla? Dopo?».<br />

«Dopo, quando egli fosse dannato, te ne disinteresseresti».<br />

«E se, come lo è ora, fosse tutt’affatto degno di dannazione, ma mi fosse caro - cosa che non sarà<br />

mai - che dovrei fare?».<br />

«Anzitutto sappi che pericoli di dannarti tu col dire che non lo hai né avrai caro; poi sappi che se<br />

fossi in Cielo, tutt’uno con la Carità, pregheresti per lui, per la sua salvezza, fino al momento del<br />

suo giudizio. Ci saranno spiriti salvati nell’ultimo momento dopo tutta una vita di preghiere per<br />

loro».<br />

6 Entra un servo dicendo: «È venuto Mannaen. Vuole vedere il Maestro».<br />

«Venga. Certo vuole parlare di cose serie».<br />

Le donne, discrete, si ritirano e i discepoli le seguono. Ma Gesù richiama Isacco, il sacerdote<br />

Giovanni, Stefano ed Erma, e Mattia e Giuseppe dei pastori discepoli. «È bene che sappiate anche<br />

voi che siete discepoli» spiega.<br />

Entra Mannaen, che si inchina.<br />

«La pace a te» saluta Gesù.<br />

«La pace a Te, Maestro. <strong>Il</strong> sole tramonta. <strong>Il</strong> primo passo dopo il sabato per Te, mio Signore».<br />

«Avesti buona Pasqua?».<br />

«Buona!! Nulla di buono può esservi dove è Erode ed Erodiade! Confido di aver mangiato per<br />

l’ultima volta l’agnello con essi. A costo della morte non rimarrò più a lungo con loro!».<br />

«Credo che tu faccia un errore. Puoi servire il Maestro restando...» obbietta l’Iscariota.<br />

«Questo è vero. Ed è quello che mi ha finora trattenuto. Ma che nausea! Potrebbe sostituirmi<br />

Cusa...».<br />

Bartolomeo gli osserva: «Cusa non è Mannaen. Cusa è... Sì. Egli barcamena. Non denuncerebbe<br />

mai il padrone. Tu sei più schietto».<br />

«Ciò è vero. E vero è ciò che dici. Cusa è il cortigiano. Subisce il fascino della regalità... Regalità!<br />

Che dico!? Del fango regale! Ma gli pare di essere re per essere col re... E trema dello sfavore reale.<br />

L’altra sera era come un veltro bastonato quando, quasi strisciando, è apparso davanti ad Erode che<br />

lo aveva chiamato dopo avere ascoltato le lamentele di Salomè, scacciata da Te. Cusa era in un ben<br />

aspro momento. <strong>Il</strong> desiderio di salvarsi, ad ogni costo, magari accusando Te, dandoti torto, era<br />

scritto sul suo volto. Ma Erode!... Voleva solo ridere alle spalle della fanciulla, di cui ha nausea<br />

ormai, così come ha nausea della madre di essa. E rideva come un folle sentendo ripetere da Cusa le<br />

tue parole. Ripeteva: “Troppo, troppo dolci ancora per questa giovane... (e disse una parola così<br />

sconcia che non te la ripeto). La doveva calpestare sul seno smanioso... Ma si sarebbe


contaminato!” e rideva. Poi facendosi serio disse: “Però... l’affronto, meritato per la femmina, non<br />

va permesso per la corona. <strong>Io</strong> sono magnanimo (è la sua fissazione di esserlo e, posto che nessuno<br />

glielo dice, se lo dice da sé) e perdono al Rabbi, anche perché ha detto a Salomè ciò che è vero. Ma<br />

però voglio che Egli venga a Corte per perdonarlo del tutto. Voglio vederlo, sentirlo e farlo operare<br />

miracoli. Che venga, e io mi farò suo protettore”. Così diceva l’altra sera. E Cusa non sapeva che<br />

dire. No, al monarca non voleva dirlo. Sì, non poteva. Perché Tu non puoi certo accedere alle voglie<br />

di Erode. Oggi ha detto a me: “Tu certo vai da Lui... Digli la mia volontà”. La dico. Ma... so già la<br />

risposta. Però dimmela, che io possa trasmetterla».<br />

«No!». Un “no” che pare un fulmine.<br />

«Non te ne farai un nemico troppo forte?» chiede Tommaso.<br />

«Anche un carnefice. Ma non posso che rispondere: “no”».<br />

«Ci perseguiterà...».<br />

«Oh! fra tre giorni non se ne ricorderà più» dice Mannaen scrollando le spalle. E aggiunge: «Gli<br />

hanno promesso delle... mime... Giungeranno domani... Ed egli dimenticherà tutto!...».<br />

7Torna il servo: «Padrone, ci sono Nicodemo, Giuseppe, Eleazaro e altri farisei e capi del Sinedrio.<br />

Vogliono salutarti».<br />

Lazzaro guarda Gesù interrogativamente. Gesù capisce: «Che vengano! Li saluterò volentieri».<br />

Dopo poco entrano Giuseppe, Nicodemo, Eleazaro (quello giusto del banchetto di Ismael),<br />

Giovanni (quello del lontano banchetto del d’Arimatea), un altro che sento chiamare Giosuè, uno<br />

Filippo, uno Giuda e l’ultimo Gioachino. I saluti non finiscono più. Meno male che la stanza è<br />

ampia, se no come facevano a farci entrare tanti inchini e sbracciamenti e paludamenti? Ma, per<br />

quanto ampia, si fa tanto colma che i discepoli se la filano. Restano soltanto Lazzaro con Gesù.<br />

Forse anche non pare loro vero di non essere sotto il fuoco di tante pupille sinedrali!<br />

«Sappiamo che sei a Gerusalemme, o Lazzaro. E siamo venuti!» dice quello di nome Gioachino.<br />

«Me ne fo stupore e gioia. A momenti non ricordavo più il tuo viso...» dice un poco ironico<br />

Lazzaro.<br />

«Ma... sai... Sempre si voleva venire. Ma... Tu eri scomparso...».<br />

«E non pareva vero che lo fossi! Molto difficile, infatti, è venire da un infelice!».<br />

«No! Non lo dire! Noi... rispettavamo il tuo desiderio. Ma ora che... ora che... vero, Nicodemo?».<br />

«Si, Lazzaro. Gli antichi amici tornano. Anche per desiderio di sentire tue notizie e di venerare il<br />

Rabbi».<br />

«Che notizie mi portate?».<br />

«Umh!... Ecco... Le solite cose... <strong>Il</strong> mondo... Già...». Sbirciano Gesù che sta rigido sul suo sedile, un<br />

poco assorto.<br />

8 «Come mai tutti uniti oggi che è appena finito il sabato?».<br />

«Ci fu adunanza straordinaria».<br />

«Oggi?! Quale ragione mai tanto urgente? ...».<br />

I convenuti sogguardano Gesù significativamente. Ma Egli è assorto... «Molti motivi...» rispondono<br />

poi.<br />

«E non riguardano il Rabbi?».<br />

«Sì, Lazzaro. Anche Lui. Ma anche un grave fatto fu giudicato, mentre le feste ci hanno tutti adunati<br />

in città...» spiega Giuseppe d’Arimatea.<br />

«Un grave fatto? Quale?».<br />

«Un... un errore di... gioventù... Uhm! Già! Una brutta discussione, perché... Rabbi, dàcci ascolto.<br />

Sei fra onesti. Se anche non ti siamo discepoli, non siamo però tuoi nemici. In casa di Ismaele Tu mi<br />

hai detto che non sono lontano dalla giustizia» dice Eleazaro.<br />

«È vero. E lo confermo».<br />

«E io ti ho difeso al banchetto di Giuseppe contro Felice» dice Giovanni.<br />

«È vero anche questo».<br />

«E questi la pensano come noi. Oggi noi siamo stati chiamati a decidere... e non siamo contenti di<br />

ciò che si decise. Perché la vinsero i più contro di noi. Tu, saggio più di Salomone, ascolta e<br />

giudica».


Gesù li trivella col suo occhio profondo. Poi dice: «Parlate».<br />

«Siamo sicuri di non essere uditi? Perché è... cosa orrenda...» dice quello di nome Giuda.<br />

«Chiudi porta e tenda, e saremo in un sepolcro» gli risponde Lazzaro.<br />

9 «Maestro, ieri mattina Tu hai detto a Eleazaro di Anna di non contaminarsi per nessuna ragione.<br />

Perché lo hai detto?» chiede Filippo.<br />

«Perché andava detto. Egli si contamina. Ma non <strong>Io</strong>, i libri sacri lo dicono».<br />

«È vero. Ma come sai che si contamina? La fanciulla, forse, ti parlò avanti la morte?» chiede<br />

Eleazaro.<br />

«Quale fanciulla?».<br />

«Quella che è morta dopo la violenza e con lei la madre, né si sa se fu il dolore a ucciderle, o se si<br />

uccisero, o se furono uccise con veleno perché non parlassero più».<br />

«<strong>Io</strong> non so nulla di questo. Vedevo l’anima corrotta del figlio di Anna. Ne sentivo il fetore. Ho<br />

parlato. Altro non sapevo ne vedevo».<br />

«Ma che è stato?» chiede Lazzaro con interesse.<br />

«È stato che Eleazaro di Anna vide una fanciulla, figlia unica di una vedova, e... l’attrasse con la<br />

scusa di ordinarle del lavoro, poiché per vivere facevano lavori per le vesti, e... ne abusò. La<br />

fanciulla è morta... tre giorni dopo, e con lei la madre. Ma prima di morire, nonostante le minacce<br />

avute, hanno detto tutto all’unico parente... E lui è andato da Anna, a portare l’accusa, e non<br />

contento l’ha detto a Giuseppe, a me, ad altri... Anna lo ha fatto prendere e gettare in carcere. Da lì<br />

passerà alla morte, o non sarà mai più libero. Oggi Anna ha voluto sapere come la pensiamo» dice<br />

Nicodemo.<br />

«Non lo avrebbe fatto se non avesse saputo che noi sapevamo già» brontola fra i denti Giuseppe.<br />

«Sì... Insomma con una larva di votazione, con una simulazione di giudizio fu deciso dell’onore e<br />

della vita di tre infelici e della punizione per il colpevole» termina Nicodemo.<br />

«Ebbene?».<br />

«Ebbene! È naturale! Noi che votammo per la libertà dell’uomo e la punizione di Eleazaro fummo<br />

minacciati e scacciati come ingiusti. Tu che dici?».<br />

«Che Gerusalemme mi fa ribrezzo e che in Gerusalemme il bubbone più fetido è il Tempio» dice<br />

lento e terribile Gesù. E termina: «Riportatelo pure a quelli del.Tempio».<br />

«E Gamaliele che fece?» chiede Lazzaro.<br />

«Non appena sentito il fatto, si coperse il volto e uscì dicendo: “Venga presto il nuovo Sansone a far<br />

perire i filistei corrotti”».<br />

«Ha detto bene! Ma presto verrà».<br />

Un silenzio.<br />

10 «E di Lui non è stato parlato?» chiede Lazzaro indicando Gesù.<br />

«Oh, sì! Prima di ogni cosa. Ci fu chi riportò che Tu hai detto “meschino” il regno d’Israele. E<br />

perciò bestemmiatore sei stato detto. Sacrilego, anzi. Perché il regno d’Israele è da <strong>Dio</strong>».<br />

«Ah, sì?! E come fu chiamato dal Pontefice il violatore di una vergine? L’insozzatore del suo<br />

ministero? Rispondete!» chiede Gesù.<br />

«Egli è il figlio del Sommo Sacerdote. Perché è sempre Anna il vero re là dentro» dice, intimorito<br />

dall’imponenza di Gesù, Gioachino, che lo ha di fronte, alto, in piedi, col braccio teso...<br />

«Sì. <strong>Il</strong> re della corruzione. E volete che non dica “meschino” un Paese in cui abbiamo un Tetrarca<br />

sozzo e omicida, un Sommo Sacerdote complice di un violatore e di un assassino?...».<br />

«Forse la fanciulla si uccise o morì di dolore» sussurra Eleazaro.<br />

«Assassinata sempre dal suo violatore... E ora non si fa la terza vittima nel parente imprigionato<br />

perché non parli? E non si profana l’altare accostandovisi con tanti delitti? E la giustizia non viene<br />

soffocata con imporre silenzio ai giusti, troppo rari, del Sinedrio? Sì, venga presto il novello<br />

Sansone e abbatta questo luogo profanato, stermini per risanare!... <strong>Io</strong>, al vomito per la nausea che<br />

sento, non solo dico meschino questo infelice Paese. Ma mi allontano dal suo cuore marcioso, pieno<br />

di delitti senza nome, speco di Satana... Vado. Non per paura della morte. Vi dimostrerò che non ho<br />

paura. Ma vado perché non è la mia ora e non do perle ai porci d’Israele, ma le porto agli umili<br />

sparsi per i tuguri, i monti, le valli dei poveri paesi. Là dove ancora si sa credere e amare, se c’è chi


lo insegni. Là dove sono degli spiriti sotto le rozze vesti, mentre qua le tuniche e i manti sacri, e più<br />

ancora l’efod e il razionale*, servono a coprire immonde carogne e a contenere armi omicide. Dite<br />

loro che in nome del <strong>Dio</strong> vero <strong>Io</strong> li consacro alla loro condanna, e novello Micael li caccio dal<br />

Paradiso. E per sempre. Essi che vollero essere dèi, e demoni sono. Non c’è bisogno che siano morti<br />

per essere giudicati. Lo sono già. E senza remissione».<br />

11 Gli imponenti sinedristi e farisei sembrano divenire piccoli, tanto si rincantucciano davanti all’ira<br />

tremenda del Cristo che pare, invece, farsi un gigante, tanto è sfolgorante di sguardi e violento negli<br />

atti.<br />

Lazzaro geme: «Gesù! Gesù! Gesù!»...<br />

Gesù lo sente e, cambiando tono e aspetto, dice: «Che hai, amico mio?».<br />

«Oh! non terribile così! Non sei più Tu! Come avere speranza nella misericordia se Tu ti mostri così<br />

terribile?».<br />

«Eppure così, e più ancora, sarò quando giudicherò le dodici tribù d’Israele. Ma fa’ cuore, Lazzaro.<br />

Chi crede nel Cristo è già giudicato...». Si siede di nuovo.<br />

Un silenzio.<br />

Finalmente Giovanni chiede: «E noi, per avere preferito gli improperi a mentire nella giustizia,<br />

come saremo giudicati?».<br />

«Con giustizia. Perseverate e perverrete dove Lazzaro già è: nell’amicizia di <strong>Dio</strong>».<br />

Si alzano.<br />

«Maestro, ci ritiriamo. La pace a Te. E a te, Lazzaro».<br />

«La pace a voi».<br />

«Che ciò che fu detto, qui resti» supplicano in diversi.<br />

«Non temete! Andate. <strong>Dio</strong> vi guidi in ogni nuovo atto».<br />

Escono.<br />

Restano soli Gesù e Lazzaro. Dopo un poco, questo dice: «Che orrore!».<br />

_____________________<br />

* l’efod e il razionale facevano parte dell’abbigliamento sacerdotale, descritto in Esodo 28; 39, 1-<br />

32. <strong>Il</strong> razionale era un pettorale a forma di tasca quadrata, fissato all’efod, che era una veste. L’efod<br />

era il nome anche di uno strumento divinatorio come in Giudici 8, 24-27.<br />

«Sì. Che orrore!... Lazzaro, vado a predisporre la partenza da Gerusalemme. Sarò tuo ospite a<br />

Betania fino alla fine degli Azzimi*». Ed esce...<br />

97. Parabola dell’acqua e del giunco per Maria di Magdala, che ha scelto la<br />

parte migliore.<br />

14 agosto 1944.<br />

1 Comprendo subito che si è ancora intorno alla figura della Maddalena, perché la vedo per prima<br />

cosa in una semplice veste di un rosa lilla come è il fiore della malva. Nessun ornamento prezioso, i<br />

capelli sono semplicemente raccolti in trecce sulla nuca. Sembra più giovane di quando era tutta un<br />

capolavoro di toletta. Non ha più l’occhio sfrontato di quando era la «peccatrice», e neppure lo<br />

sguardo avvilito di quando ascoltava la parabola della pecorella, e quello vergognoso e lucido di<br />

pianto di quando era nella sala del Fariseo... Ora ha un occhio quieto, tornato limpido come quello<br />

di un bambino, e un riso pacato vi risplende.<br />

Ella è appoggiata ad un albero presso il confine della proprietà di Betania e guarda verso la via.<br />

Attende. Poi ha un grido di gioia. Si volge verso la casa e grida forte per essere udita, grida con la<br />

sua splendida voce vellutata e passionale, in- confondibile: «Giunge!... Marta, ci hanno detto giusto.


<strong>Il</strong> Rabbi è qui!», e corre ad aprire il pesante cancello che stride. Non dà tempo ai servi di farlo e<br />

esce sulla via a braccia tese, come fa un bambino verso la mamma, e con un grido di gioia amorosa:<br />

«O Rabboni** mio!» (io scrivo “Rabboni” perché vedo che il Vangelo porta cosi. Ma tutte le volte<br />

che ho sentito la Maddalena chiamarlo, mi è parso dicesse “Rabbomi”, con l’emme e non l’enne), e<br />

si prostra ai piedi di Gesù, baciandoglieli fra la polvere della via.<br />

«Pace a te, Maria. Vengo a riposare sotto il tuo tetto».<br />

«O Maestro mio!» ripete Maria levando il volto con una espressione di riverenza e d’amore che dice<br />

tanto... È ringraziamento, è benedizione, è gioia, è invito ad entrare, è giubilo perché Egli entra...<br />

Gesù le ha messo la mano sul capo e pare l’assolva ancora.<br />

2 Maria si alza e, a fianco di Gesù, rientra nel recinto della proprietà. Sono corsi intanto servi e<br />

Marta. I servi con anfore e coppe. Marta col suo solo amore. Ma è tanto.<br />

_____________________<br />

* degli Azzimi, cioè della festa degli Azzimi, che iniziava con la Pasqua e durava una settimana,<br />

durante la quale era permesso mangiare solo pane azzimo, cioè non lievitato, come è prescritto in<br />

Esodo 12, 15-20, 13, 3-7.<br />

** Le parole che abbiamo riportato tra parentesi sono state scritte da MV in calce alla pagina<br />

autografa del quaderno, come nota che rimanda con una crocetta alla parola Rabbonì.<br />

Gli apostoli, accaldati, bevono le fresche bevande che i servi mescono. Vorrebbero darla a Gesù per<br />

il primo. Ma Marta li ha prevenuti. Ha preso una coppa piena di latte e l’ha offerta a Gesù. Deve<br />

sapere che gli piace molto.<br />

Dopo che i discepoli si sono ristorati, Gesù dice loro: «Andate ad avvertire i fedeli. A sera parlerò<br />

loro».<br />

Gli apostoli si sparpagliano in diverse direzioni non appena fuori dal giardino.<br />

Gesù inoltra fra Marta e Maria.<br />

«Vieni, Maestro» dice Marta. «Mentre giunge Lazzaro, riposa e prendi ristoro».<br />

Mentre pongono piede in una fresca stanza che dà sul portico ombroso, ritorna Maria che si era<br />

allontanata a passo rapido. Torna con una brocca d’acqua, seguita da un servo che porta un bacile.<br />

Ma è Maria che vuole lavare i piedi di Gesù. Ne slaccia i sandali polverosi e li dà al servo, perché li<br />

riporti puliti insieme al mantello, pure dato perché fosse scosso dal polverume. Poi immerge i piedi<br />

nell’acqua, che qualche aroma fa lievemente rosea, li asciuga, li bacia. Poi cambia l’acqua e ne offre<br />

di monda a Gesù, per le mani. E mentre attende il servo coi sandali, accoccolata sul tappeto ai piedi<br />

di Gesù, glieli accarezza e, prima di mettergli i sandali, li bacia ancora dicendo: «Santi piedi che<br />

avete tanto camminato per cercarmi!».<br />

Marta, più pratica nel suo amore, va all’utile umano e chiede: «Maestro, oltre i tuoi discepoli chi<br />

verrà?».<br />

E Gesù: «Non so ancora di preciso. Ma puoi preparare per altri cinque oltre gli apostoli».<br />

Marta se ne va.<br />

3 Gesù esce nel fresco giardino ombroso. Ha semplicemente la sua veste azzurro cupo. <strong>Il</strong> mantello,<br />

ripiegato con cura da Maria, resta su una cassapanca della stanza. Maria esce insieme a Gesù.<br />

Vanno per vialetti ben curati, fra aiuole fiorite, sin verso la peschiera che pare uno specchio caduto<br />

fra il verde. L’acqua limpidissima è appena rotta, qua e là, dal guizzo argenteo di qualche pesce e<br />

dalla pioggiolina dello zampillo esilissimo, alto e centrale. Dei sedili sono presso l’ampia vasca che<br />

pare un laghetto e dalla quale partono piccoli canali di irrigazione. Credo anzi che uno sia quello<br />

che alimenta la peschiera e gli altri, più piccoli, quelli di scarico adibiti ad irrigare.<br />

Gesù siede su un sedile messo proprio contro il margine della vasca. Maria gli si siede ai piedi,<br />

sull’erba verde e ben curata. In principio non parlano. Gesù gode visibilmente del silenzio e del<br />

riposo nel fresco del giardino. Maria si bea di guardarlo.<br />

Gesù gioca con l’acqua limpida della vasca. Vi immerge le dita, la pettina separandola in tante<br />

piccole scie e poi lascia che tutta la mano sia immersa in quella pura freschezza. «Come è bella<br />

quest’acqua limpida!» dice.<br />

E Maria: «Tanto ti piace, Maestro?».


«Sì, Maria. Perché è tanto limpida. Guarda. Non ha una traccia di fango. Vi è acqua, ma è tanto pura<br />

che pare non vi sia nulla, quasi non fosse elemento ma spirito. Possiamo leggere sul fondo le parole<br />

che si dicono i pesciolini...».<br />

«Come si legge in fondo alle anime pure. Non è vero, Maestro?», e Maria sospira con un rimpianto<br />

segreto.<br />

4Gesù sente il sospiro represso e legge il rimpianto velato da un sorriso, e medica subito la pena di<br />

Maria.<br />

«Le anime pure dove le abbiamo, Maria? È più facile che un monte cammini che non una creatura<br />

sappia mantenersi pura delle tre purità. Troppe cose intorno ad un adulto si agitano e fermentano. E<br />

non sempre si può impedire che penetrino nell’interno. Non vi sono che i bambini che abbiano<br />

l’anima angelica, l’anima preservata, dalla loro innocenza, dalle cognizioni che possono mutarsi in<br />

fango. Per questo li amo tanto. Vedo in loro un riflesso della Purezza infinita. Sono gli unici che<br />

portino seco questo ricordo dei Cieli.<br />

La Mamma mia è la Donna dall’anima di bambino. Più ancora. Ella è la Donna dall’anima di<br />

angelo. Quale era Eva uscita dalle mani del Padre. Lo pensi, Maria, cosa sarà stato il primo giglio<br />

fiorito nel terrestre giardino? Tanto belli anche questi che fanno guida a quest’acqua. Ma il primo,<br />

uscito dalle mani del Creatore! Era fiore o era diamante? Erano petali o fogli d’argento purissimo?<br />

Eppure mia Madre è più pura di questo primo giglio che ha profumato i venti. E il suo profumo di<br />

Vergine inviolata empie Cielo e Terra, e dietro ad esso andranno i buoni nei secoli dei secoli. <strong>Il</strong><br />

Paradiso è luce*, profumo e armonia. Ma se in esso non si beasse il Padre nel contemplare la Tutta<br />

Bella che fa della Terra un paradiso, ma se il Paradiso dovesse in futuro non avere il Giglio vivo nel<br />

cui seno sono i tre pistilli di fuoco della divina Trinità, luce, profumo e armonia, letizia del Paradiso<br />

sarebbero menomati della metà. La purezza della Madre sarà la gemma del Paradiso.<br />

Ma è sconfinato il Paradiso! Che diresti di un re che avesse una gemma sola nel suo tesoro? Anche<br />

fosse la Gemma per eccellenza? Quando <strong>Io</strong> avrò aperto le porte del Regno dei Cieli... - non<br />

sospirare, Maria, per questo <strong>Io</strong> son venuto - molte anime di giusti e di pargoli entreranno, scia di<br />

candore, dietro alla porpora del Redentore. Ma saranno ancora pochi per popolare di gemme i Cieli<br />

e formare i cittadini della Gerusalemme eterna. E dopo... dopo che la Dottrina di verità e<br />

santificazione sarà conosciuta dagli uomini, dopo che la mia Morte avrà ridato la Grazia agli<br />

uomini, come potrebbero gli adulti conquistare i Cieli, se la povera vita umana è continuo fango che<br />

rende impuri? Sarà dunque allora il mio Paradiso solo dei pargoli? Oh! no! Come pargoli occorre<br />

saper divenire. Ma anche agli adulti è aperto il Regno. Come pargoli... Ecco la purezza.<br />

___________________<br />

* <strong>Il</strong> Paradiso è luce... Riteniamo che tutti gli elementi del discorso, considerati nel loro contesto,<br />

non possano portare che alla seguente interpretazione: <strong>Il</strong> Paradiso senza la Vergine sarebbe<br />

menomato della metà, non nella beatitudine (che consiste nel possesso e nella contemplazione di<br />

<strong>Dio</strong>, e in quanto tale è inalterabile), bensì nella preziosità del popolo dei beati, che sono come<br />

altrettante gemme le quali, tutte insieme, valgono quanto la gemma per eccellenza: la Vergine Ss.<br />

Vedi quest’acqua? Pare tanto limpida. Ma osserva: basta che <strong>Io</strong> con questo giunco ne smuova il<br />

fondale che ecco si intorbida. Detriti e fango affiorano. <strong>Il</strong> suo cristallo si fa giallognolo e nessuno ne<br />

beverebbe più. Ma se <strong>Io</strong> levo il giunco, la pace ritorna e l’acqua torna poco a poco limpida e bella.<br />

<strong>Il</strong> giunco: il peccato. Così delle anime. <strong>Il</strong> pentimento, credilo, è ciò che depura...».<br />

5Sopraggiunge Marta affannata: «Ancora qui sei, Maria? Ed io che mi affanno tanto!... L’ora passa.<br />

I convitati presto verranno e vi è tanto da fare. Le serve sono al pane, i servi scuoiano e cuociono le<br />

carni. <strong>Io</strong> preparo stoviglie, mense e bevande. Ma ancora sono da cogliere le frutta e preparare<br />

l’acqua di menta e miele...».<br />

Maria ascolta sì e no le lamentele della sorella. Con un sorriso beato continua a guardare Gesù,<br />

senza muoversi dalla sua posizione.<br />

Marta invoca l’aiuto di Gesù: «Maestro, guarda come sono accaldata. Ti pare giusto che sia io sola a<br />

sfaccendare? Dille Tu che mi aiuti». Marta è veramente inquieta.<br />

Gesù la guarda con un sorriso per metà dolce e per metà un poco ironico, meglio, scherzoso.<br />

Marta ci si inquieta un poco: «Dico sul serio, Maestro. Guardala come ozia mentre io lavoro. Ed è


qui che vede…».<br />

Gesù si fa più serio: «Non è ozio, Marta. È amore. L’ozio era prima. E tu hai tanto pianto per<br />

quell’ozio indegno. <strong>Il</strong> tuo pianto ha messo ancor più ala al mio andare per salvarmela e rendertela al<br />

tuo onesto affetto. Vorresti tu contenderla di amare il suo Salvatore? La preferiresti allora lontana di<br />

qui per non vederti lavorare, ma lontana anche da Me? Marta, Marta! Devo dunque dire che costei<br />

(e Gesù le pone la mano sul capo), venuta da tanto lontano, ti ha sorpassata nell’amore? Devo<br />

dunque dire che costei, che non sapeva una parola di bene, è ora dotta nella scienza dell’amore?<br />

Lasciala alla sua pace! È stata tanto malata! Ora è una convalescente che guarisce bevendo le<br />

bevande che la fortificano. È stata tanto tormentata... Ora, uscita dall’incubo, guarda intorno a sé e<br />

in sé, e si scopre nuova e scopre un mondo nuovo. Lascia che se ne faccia sicura. Con questo suo<br />

“nuovo” deve dimenticare il passato e conquistarsi l’eterno… Non sarà conquistato questo<br />

unicamente col lavoro, ma anche con l’adorazione. Avrà ricompensa chi avrà dato un pane<br />

all’apostolo e al profeta. Ma doppia ne avrà chi avrà dimenticato anche di cibarsi per amarmi,<br />

perché più grande della carne avrà avuto lo spirito, il quale avrà avuto voci più forti di quelle degli<br />

anche leciti bisogni umani. Tu ti affanni di troppe cose, Marta. Costei di una sola. Ma è quella che<br />

basta al suo spirito e soprattutto al suo e tuo Signore. Lascia cadere le cose inutili. Imita tua sorella.<br />

Maria ha scelto la parte migliore. Quella che non le sarà mai più tolta. Quando tutte le virtù saranno<br />

superate, perché non più necessarie ai cittadini del Regno, unica resterà la carità. Essa resterà<br />

sempre. Unica. Sovrana. Ella, Maria, ha scelto questa, e questa si è presa per suo scudo e bordone.<br />

Con questa, come su ali d’angelo, verrà nel mio Cielo».<br />

6 Marta abbassa la testa mortificata e se ne va.<br />

«Mia sorella ti ama molto e si cruccia per farti onore…» dice Maria per scusarla.<br />

«Lo so, e ne sarà ricompensata. Ma ha bisogno di esser depurata, come si è depurata quest’acqua,<br />

del suo pensare umano. Guarda, mentre parlavamo, come è tornata limpida. Marta si depurerà per le<br />

parole che le ho detto. Tu… tu per la sincerità del tuo pentimento…».<br />

«No, per il tuo perdono, Maestro. Non bastava il mio pentirmi a lavare il mio grande peccato...».<br />

«Bastava e basterà alle tue sorelle che ti imiteranno. A tutti i poveri infermi dello spirito. <strong>Il</strong><br />

pentimento sincero è filtro che depura; l’amore, poi, è sostanza che preserva da ogni nuova<br />

inquinazione. Ecco perciò che coloro che la vita fa adulti e peccatori potranno tornare innocenti<br />

come pargoli ed entrare come essi nel Regno mio. Andiamo ora alla casa. Che Marta non resti<br />

troppo nel suo dolore. Portiamole il nostro sorriso di Amico e di sorella».<br />

7 Dice Gesù:<br />

«<strong>Il</strong> commento non occorre. La parabola dell’acqua è commento all’operazione del pentimento nei<br />

cuori.<br />

Hai così il ciclo della Maddalena* completo. Dalla morte alla Vita. È !a più grande risorta del mio<br />

Vangelo. È risorta da sette morti. È rinata. L’hai vista, come pianta da fiore, alzare dal fango lo stelo<br />

del suo nuovo fiore sempre più in alto, e poi fiorire per Me, olezzare per Me, morire per Me. L’hai<br />

vista peccatrice, poi assetata che si accosta alla Fonte, poi pentita, poi perdonata, poi amante, poi<br />

pietosa sul Corpo ucciso del suo Signore, poi serva della Madre, che ama perché Madre mia; infine<br />

penitente sulle soglie del suo Paradiso.<br />

Anime che temete, imparate a non temere di Me leggendo la vita di Maria di Magdala. Anime che<br />

amate, imparate da lei ad amare con serafico ardore. Anime che avete errato, imparate da lei la<br />

scienza che rende pronti al Cielo.<br />

Vi benedico tutti per darvi aiuti a salire. Va’ in pace».


* il ciclo della Maddalena, detto anche Vangelo della Misericordia, è costituito dagli episodi che<br />

sono elencati in una nota messa all’inizio del ciclo, in 174.11.<br />

98. La parabola degli uccelli, contestata da giudei nemici che tendono un<br />

tranello.<br />

1 Far precedere dalla visione del 14-8-44: la pecorella nell’ovile ai piedi del buon Pastore.<br />

6 febbraio 1946.<br />

2 Gesù a Betania, tutta ubertosa e fiorita in questo bel mese di nisam, sereno, puro, come se il creato<br />

fosse dilavato da ogni sozzura. Ma le turbe, che certo lo hanno cercato a Gerusalemme e che non<br />

vogliono partire senza averlo sentito, per potere portare seco, nel cuore, la sua parola, lo<br />

raggiungono. Numerose tanto che Gesù ordina di adunarle perché Egli possa ammaestrarle. E i<br />

dodici coi settantadue, che si sono ricomposti in tale numero, o giù di lì, coi nuovi discepoli<br />

aggregatisi ad essi in questi ultimi tempi, si spargono per ogni dove per eseguire l’ordine avuto.<br />

Intanto Gesù, nel giardino di Lazzaro, si accomiata dalle donne, e specie dalla Madre, che per suo<br />

ordine tornano in Galilea scortate da Simone d’Alfeo, Giairo, Alfeo di Sara, Marziam, lo sposo di<br />

Susanna e Zebedeo. Vi sono saluti e lacrime. Vi sarebbe molta volontà anche di non ubbidire. Una<br />

volontà data ancora dall’amore al Maestro. Ma più forte ancora è la forza dell’amore perfetto,<br />

perché tutto soprannaturale, per il Verbo Ss., e questa forza le fa ubbidire accettando la penosa<br />

separazione.<br />

Quella che meno parla è Maria, la Madre. Ma il suo sguardo dice più di tutto quanto dicono tutte le<br />

altre messe insieme. Gesù interpreta quello sguardo e la rassicura, la consola, la sazia di carezze, se<br />

si può mai saziare una madre, e specie quella Madre, tutt’amore e tutt’ambascia per il Figlio<br />

perseguitato. E le donne se ne vanno, infine, volgendosi, rivolgendosi a salutare il Maestro, a<br />

salutare i figli e le fortunate discepole giudee che restano ancora col Maestro.<br />

«Hanno sofferto ad andare...» osserva Simone Zelote.<br />

«Ma è bene che siano andate, Simone».<br />

«Prevedi giorni tristi?».<br />

«Agitati per lo meno. Le donne non possono sopportare le fatiche come noi. Del resto, ora che ne<br />

ho un numero quasi pari di giudee e di galilee, è bene siano divise. A turno mi avranno, avendo a<br />

turno la gioia di servirmi, esse; e il conforto del loro affetto santo, <strong>Io</strong>».<br />

3 La gente intanto aumenta sempre più. <strong>Il</strong> frutteto posto fra la casa di Lazzaro e quella che era dello<br />

Zelote formicola di folla. Ve ne è di tutte le caste e condizioni, né mancano farisei di Giudea,<br />

sinedristi e donne velate.<br />

Dalla casa di Lazzaro escono in gruppo, stretti intorno ad una lettiga su cui viene trasportato lo<br />

stesso, i sinedristi che il sabato pasquale erano in visita da Lazzaro a Gerusalemme, e altri ancora.<br />

Lazzaro, passando, fa un gesto ed ha un sorriso felice per Gesù. E Gesù glielo ricambia mentre si<br />

accoda al piccolo corteo per andare là dove la gente attende.<br />

Gli apostoli si uniscono a Lui, e Giuda Iscariota, che è trionfante da qualche giorno, in una fase<br />

felicissima, getta qua e là gli sguardi dei suoi occhi nerissimi e scintillanti, e annuncia all’orecchio<br />

di Gesù le scoperte che fa.<br />

«Oh! guarda! Ci sono anche dei sacerdoti!... Ecco, ecco! C’è anche Simone sinedrista. E c’è Elchia.<br />

Guarda che bugiardo! Solo pochi mesi fa’ diceva inferno di Lazzaro e ora lo ossequia come fosse un<br />

dio!... E là Doro l’Anziano e Trisone. Vedi che saluta Giuseppe? E lo scriba Samuele con Saulo... E<br />

il figlio di Gamaliele! E là c’è un gruppo di quelli di Erode... E quel gruppo di donne così velate<br />

sono certo le romane. Stanno appartate, ma vedi come osservano dove ti dirigi per potersi spostare e<br />

sentirti? Riconosco le loro persone nonostante i mantelloni. Vedi? Due alte, una più larga che alta, le


altre di media statura, ma in proporzione giusta. Vado a salutarle?».<br />

«No. Esse vengono come sconosciute. Come anonime che desiderano la parola del Rabbi. Tali le<br />

dobbiamo considerare».<br />

«Come vuoi, Maestro. Facevo per... ricordare a Claudia la promessa...».<br />

«Non ce n’è bisogno. E anche ce ne fosse, non diveniamo mai dei questuanti, Giuda. Non è vero?<br />

L’eroismo della fede deve formarsi fra le difficoltà».<br />

«Ma era per... per Te, Maestro».<br />

«E per la tua idea perenne di un trionfo umano. Giuda, non ti creare illusioni. Né sul mio modo di<br />

agire futuro, né sulle promesse avute. Tu credi a ciò che ti dici da te stesso. Ma nulla potrà mutare il<br />

pensiero di <strong>Dio</strong>, ed esso è che <strong>Io</strong> sia Redentore e Re di un regno spirituale».<br />

Giuda non ribatte nulla.<br />

Gesù è al suo posto, fra il cerchio degli apostoli. Quasi ai suoi piedi è Lazzaro sul suo lettuccio.<br />

Poco lontano da Lui sono le discepole giudee, ossia le sorelle di Lazzaro, Elisa, Anastasica,<br />

Giovanna coi bambinelli, Annalia, Sara, Marcella, Niche. Le romane, o almeno quelle che Giuda ha<br />

dette tali, sono più indietro, quasi nel fondo, mescolate ad un mucchio di popolani. Sinedristi,<br />

farisei, scribi, sacerdoti sono, è inevitabile, in prima fila. Ma Gesù li prega di fare largo a tre<br />

barelline, dove sono dei malati che Gesù interroga ma non guarisce subito.<br />

4 Gesù, per prendere l’idea del suo discorso, richiama l’attenzione dei presenti sul gran numero di<br />

uccelli che si annidano fra le fronde del giardino di Lazzaro ed il frutteto dove sono radunati gli<br />

ascoltatori.<br />

«Osservate. Ve ne sono di indigeni e di esotici, di ogni razza e dimensione. E quando scenderanno<br />

le ombre, ad essi si sostituiranno gli uccelli della notte, essi pure qui numerosi, per quanto sia quasi<br />

possibile dimenticarli solo per il fatto che non li vediamo. Perché tanti uccelli dell’aria qui? Perché<br />

trovano di che vivere felici. Qui sole, qui quiete, qui pasto abbondante, ricoveri sicuri, fresche<br />

acque. Ed essi si adunano venendo da oriente e occidente, da mezzogiorno e settentrione se sono<br />

migratori, rimanendo fedeli a questo luogo se indigeni. E che? Vedremo dunque che gli uccelli<br />

dell’aria sono superiori in sapienza ai figli dell’uomo? Quanti, fra questi uccelli, sono figli di uccelli<br />

ora morti, ma che lo scorso anno, o più lontano ancora nel tempo, qui nidificarono trovandovi<br />

sollievo! Essi lo hanno detto ai loro nati, avanti di morire. Hanno indicato questo posto, ed essi, i<br />

nati, sono venuti ubbidienti. <strong>Il</strong> Padre che è nei Cieli, il Padre degli uomini tutti, non ha forse detto ai<br />

suoi santi le sue verità, dato tutte le indicazioni possibili per il benessere dei suoi figli? Tutte le<br />

indicazioni. Quelle rivolte al bene della carne e quelle rivolte al bene dello spirito. Ma che vediamo<br />

noi? Vediamo che, mentre ciò che fu insegnato per la carne - dalle tuniche di pelli, che Egli fece ai<br />

progenitori, ormai denudati ai loro occhi della veste dell’innocenza che il peccato aveva lacerata,<br />

alle ultime scoperte che per lume di <strong>Dio</strong> l’uomo ha fatte - sono ricordate, tramandate, insegnate,<br />

l’altro, quello che fu insegnato, comandato, indicato per lo spirito, non viene conservato e insegnato<br />

e praticato».<br />

Molti del Tempio bisbigliano. Ma Gesù li calma col gesto.<br />

5 «I1 Padre, buono come l’uomo non può lontanamente pensare, manda il suo Servo a ricordare il<br />

suo insegnamento, a radunare gli uccelli nei luoghi di salute, a dare loro esatta conoscenza di ciò<br />

che è utile e santo, a fondare il Regno dove ogni angelico uccello, ogni spirito, troverà grazia e<br />

pace, sapienza e salute. E in verità, in verità vi dico che, come gli uccelli nati in questo luogo a<br />

primavera diranno ad altri di altri luoghi: “Venite con noi, ché vi è un luogo buono dove gioirete<br />

della pace e dell’abbondanza del Signore”, e così si vedrà, l’anno novello, novelli uccelli qui<br />

affluire, nello stesso modo, da ogni parte del mondo, così come è detto dai profeti, vedremo affluire<br />

spiriti e spiriti alla Dottrina venuta da <strong>Dio</strong>, al Salvatore fondatore del Regno di <strong>Dio</strong>. Ma agli uccelli<br />

diurni sono mescolati in questo luogo uccelli notturni, predatori, disturbatori, capaci da gettare<br />

terrore e morte fra gli uccelletti buoni. E sono gli uccelli che da anni, da generazioni, sono tali, e<br />

nulla li può snidare perché le loro opere si fanno nelle tenebre e in luoghi impenetrabili da parte<br />

dell’uomo. Questi, col loro occhio crudele, col loro volo muto, con la loro voracità, con la loro<br />

crudeltà, nelle tenebre lavorano, e immondi seminano immondezza e dolore. A chi li paragoneremo<br />

noi? A quanti in Israele non vogliono accettare la Luce venuta ad illuminare le tenebre, la Parola


venuta ad ammaestrare, la Giustizia venuta a santificare. Per essi inutilmente sono venuto. Anzi per<br />

essi sono cagione di peccato, perché mi perseguitano e perseguitano i miei fedeli. Che allora dirò?<br />

Una cosa che già ho detto altre volte: “Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno con<br />

Abramo e Giacobbe nel Regno dei Cieli. Ma i figli di questo regno saranno gettati nelle tenebre<br />

esteriori”».<br />

6 «I figli di <strong>Dio</strong> nelle tenebre? Tu bestemmi!» urla uno dei sinedristi contrari. È il primo spruzzo<br />

della bava dei rettili, stati troppo tempo zitti, e che non possono più tacere perché affogherebbero<br />

nel loro veleno.<br />

«Non i figli di <strong>Dio</strong>» risponde Gesù.<br />

«L’hai detto Tu! Hai detto: “I figli di questo regno saranno gettati nelle tenebre esteriori”».<br />

«E lo ripeto. I figli di questo regno. Del regno dove la carne, il sangue, l’avarizia, la frode, la<br />

lussuria, il delitto sono padroni. Ma questo non è il mio Regno. <strong>Il</strong> mio è il Regno della Luce. Questo<br />

vostro è il regno delle tenebre. Al Regno della Luce verranno da oriente e occidente, mezzogiorno e<br />

settentrione gli spiriti retti, anche quelli per ora pagani, idolatri, spregevoli ad Israele. E vivranno in<br />

santa comunione con <strong>Dio</strong>, avendo in sé accolta la luce di <strong>Dio</strong>, in attesa di salire alla vera<br />

Gerusalemme, dove non è più lacrima e dolore e soprattutto non è la menzogna. La menzogna che<br />

ora regge il mondo delle tenebre e satura i figli di esso, al punto che in essi non cape una briciola di<br />

luce divina. Oh! vengano i figli nuovi al posto dei figli rinnegatori! Vengano! E, quale che sia la<br />

loro provenienza, <strong>Dio</strong> li illuminerà ed essi regneranno nei secoli dei secoli!».<br />

«Hai parlato per insultarci!» gridano i giudei nemici.<br />

«Ho parlato per dire la verità».<br />

«I1 tuo potere sta nella lingua con la quale, novello serpente, seduci le folle e le travii».<br />

«I1 mio potere sta nella potenza che mi viene dall’essere uno col Padre mio».<br />

«Bestemmiatore!» urlano i sacerdoti.<br />

«Salvatore! 7 O tu che giaci ai miei piedi, di che soffri?».<br />

«Ebbi rotta la spina da fanciullo, e da trenta anni sto sul dorso».<br />

«Sorgi e cammina! E tu, donna, di che soffri?».<br />

«Pendono inerti le mie gambe da quando questo, che col marito mio mi porta, vide la luce», e<br />

accenna ad un giovanetto di almeno sedici anni.<br />

«Tu pure sorgi e loda il Signore. E quel fanciullo perché non va da solo?».<br />

«Perché è nato ebete, sordo, cieco, muto. Un pezzo di carne che respira» dicono quelli che sono<br />

coll’infelice.<br />

«Nel nome di <strong>Dio</strong> abbi intelletto, parola, vista e udito. Lo voglio!».<br />

E, compiuto il terzo miracolo, si volge agli ostili e dice: «E che dite?».<br />

«Dubbi miracoli. Perché non guarisci il tuo amico e difensore, allora, se tutto puoi?».<br />

«Perché <strong>Dio</strong> vuole altrimenti».<br />

«Ah! Ah! Già! <strong>Dio</strong>! Comoda scusa! Se ti portassimo noi un malato, anzi due, li guariresti?».<br />

«Sì. Se lo meritano».<br />

«Attendici, allora», e vanno lesti, ghignando.<br />

«Maestro, bada! Ti tendono qualche tranello!» dicono in diversi.<br />

Gesù fa un gesto, come dire: «Lasciateli fare!», 8 e si china ad accarezzare dei fanciulli che piano<br />

piano si sono accostati a Lui lasciando i parenti. Alcune madri li imitano, portandogli quelli che<br />

sono ancora troppo incerti nel passo o poppanti del tutto.<br />

«Benedici le nostre creature, Tu, benedetto, perché siano amanti della Luce!» dicono le madri.<br />

E Gesù impone le mani, benedicendo. Ciò origina tutto un movimento fra la folla. Tutti quelli che<br />

hanno fanciulli vogliono la stessa benedizione e spingono e urlano per farsi largo. Gli apostoli, parte<br />

perché sono innervositi dalle solite cattiverie degli scribi e farisei, parte per pietà di Lazzaro, che<br />

rischia di essere travolto dalla ondata dei parenti che portano i piccoli alla divina benedizione, si<br />

inquietano e urlano sgridando questo e quello, respingendo questo e quello, specie i fanciullini<br />

venuti lì da soli.<br />

Ma Gesù, dolce, amoroso, dice: «No, no! Non fate così! Non impedite mai ai fanciulli di venire a<br />

Me, né ai loro parenti di portarmeli. Proprio di questi innocenti è il Regno. Essi saranno innocenti


del gran delitto e cresceranno nella mia fede. Lasciate dunque che ad essa <strong>Io</strong> li consacri. Sono i loro<br />

angeli che a Me li conducono».<br />

Gesù ora è in mezzo ad una siepe di fanciulli che lo guardano estatici: tanti visetti alzati, tanti occhi<br />

innocenti, tante boccucce sorridenti...<br />

Le donne velate hanno approfittato della confusione per girare dietro alla folla e venire alle spalle di<br />

Gesù, come se la curiosità le spronasse a questo.<br />

9Tornano i farisei, scribi ecc. ecc. con due che paiono molto sofferenti. Uno specialmente geme,<br />

nella sua barellina, stando tutto coperto dal mantello. L’altro è, in apparenza, meno grave, ma certo<br />

è molto malato perché è scheletrito e ansimante.<br />

«Ecco i nostri amici. Guariscili. Questi sono veramente malati. Questo soprattutto!», e indicano il<br />

gemente.<br />

Gesù abbassa gli occhi sui malati, poi li rialza sui giudei. Dardeggia i suoi nemici con uno sguardo<br />

terribile. Ritto dietro la siepe innocente dei fanciulli che non gli raggiungono l’inguine, pare alzarsi<br />

da un cespo di purezza per essere il Vendicatore, come se da questa purezza traesse forza per<br />

esserlo. Apre le braccia e grida: «Mentitori! Costui non è malato! <strong>Io</strong> ve lo dico. Scopritelo! O<br />

realmente sarà morto fra un istante per la truffa tentata a <strong>Dio</strong>».<br />

L’uomo balza fuori dalla barella urlando: «No, no! Non mi colpire! E voi, maledetti, tenete le vostre<br />

monete!», e getta una borsa ai piedi dei farisei fuggendo a gambe levate…<br />

La folla mugola, ride, fischia, applaude…<br />

L’altro malato dice: «E io, Signore? <strong>Io</strong> sono stato preso dal mio letto per forza ed è da questa<br />

mattina che subisco disturbo… Ma io non sapevo d’essere in mano ai tuoi nemici...».<br />

«Tu, povero figlio, guarisci e sii benedetto!», e gli impone le mani fendendo la siepe viva dei<br />

fanciulli.<br />

L’uomo alza un attimo la coperta stesa sul suo corpo, guarda non so che… Poi si alza in piedi. Così<br />

appare nudo dalle cosce in giù. E urla, urla fino ad essere roco: «I1 mio piede! <strong>Il</strong> mio piede! Ma chi<br />

sei, ma chi sei che rendi le cose perdute?», e cade ai piedi di Gesù e poi sorge, salta in bilico sul<br />

lettuccio e grida: «I1 male mi rodeva le ossa. <strong>Il</strong> medico mi aveva strappato le dita, arsa la carne,<br />

aperto tagli fino all’osso del ginocchio. Guardate! Guardate i segni. E morivo lo stesso. E ora…<br />

Tutto guarito! <strong>Il</strong> mio piede! <strong>Il</strong> mio piede ricomposto!… E non più dolore! E forza, e benessere… <strong>Il</strong><br />

petto libero!… <strong>Il</strong> cuore sano!… Oh! mamma! Mamma mia! Vengo a darti la gioia!».<br />

Fa per correre via. Ma poi la riconoscenza lo ferma. Torna da Gesù di nuovo e bacia, bacia i piedi<br />

benedetti finché Gesù non gli dice, accarezzandolo sui capelli: «Va’! Va’ da tua madre e sii buono».<br />

10E poi guarda i suoi nemici scornati e tuona: «E ora? Che vi dovrei fare? Che dovrei fare, o turbe,<br />

dopo questo giudizio di <strong>Dio</strong>?».<br />

La folla urla: «Alla lapidazione gli offensori di <strong>Dio</strong>! A morte! Basta di insidiare il Santo! Che siate<br />

maledetti!», e dànno di piglio a zolle di terra, a rami, a ciottoletti, pronti a iniziare una sassaiola.<br />

Li ferma Gesù. «Questa è la parola della folla. Questa è la sua risposta. La mia è diversa. <strong>Io</strong> dico:<br />

andate! Non mi sporco a colpirvi. L’Altissimo si incarichi di voi. Egli è la mia difesa contro gli<br />

empi».<br />

I colpevoli, in luogo di tacere, pur avendo paura della plebe, non hanno ritegno di offendere il<br />

Maestro e spumanti d’ira urlano: «Noi siamo giudei e potenti! Noi ti ordiniamo di andartene. Ti<br />

proibiamo di ammaestrare. Ti cacciamo. Va’ via! Basta di Te. Noi abbiamo il potere nelle mani e lo<br />

usiamo; e sempre più lo faremo, perseguitandoti,o maledetto, o usurpatore, o...».<br />

Stanno per dire altro fra un tumulto di grida, di pianti, di fischi, quando, venuta avanti fino a<br />

mettersi fra Gesù e i suoi nemici con mossa rapida e imperiosa, con sguardo e voce ancor più<br />

imperiosa, la donna velata più alta scopre il viso e, tagliente, sferzante più di una frusta sui galeotti<br />

e di una scure sul collo, cade la sua frase: «Chi dimentica di essere schiavo di Roma?». È Claudia.<br />

Riabbassa il velo. Si inchina lievemente al Maestro. Torna al suo posto.<br />

Ma è bastato. I farisei si calmano di colpo. Solo uno, a nome di tutti, e con un servilismo strisciante,<br />

dice: «Domina, perdona! Ma Egli turba il vecchio spirito di Israele. Tu, potente, dovresti impedirlo,<br />

farlo impedire dal giusto e prode Proconsole, vita e lunga salute a lui!».<br />

«Questo non ci riguarda. Sufficiente è che non turbi l’ordine di Roma. E non lo fa!» risponde


sdegnosa la patrizia; poi dà un ordine secco alle compagne e si allontana, andando verso un folto<br />

d’alberi in fondo al sentiero, dietro il quale scompare, per poi ricomparire sul cigolante carro<br />

coperto del quale fa abbassare tutte le tende.<br />

11 «Sei contento di averci fatto insultare?» chiedono tornando all’attacco i giudei, i farisei, scribi e<br />

compagni.<br />

La folla urla, presa da sdegno. Giuseppe, Nicodemo e tutti quelli che si sono mostrati amici - e con<br />

questi, senza unirvisi ma con uguali parole, è il figlio di Gamaliele - sentono il bisogno di<br />

intervenire rimproverando gli altri di passare la misura. La disputa passa dai nemici contro Gesù ai<br />

due gruppi opposti, lasciando fuori della disputa il più interessato in essa.<br />

E Gesù tace, a braccia conserte, ascoltando, mentre credo sprigioni una forza per trattenere la folla,<br />

e specie gli apostoli che vedono rosso dall’ira.<br />

«Noi dobbiamo difenderci e difendere» urla un giudeo scalmanato; «Basta di vedere le turbe<br />

affascinate dietro di Lui» dice un altro; «Noi siamo i potenti! Noi soli! E solo noi andiamo ascoltati<br />

e seguiti» strepita uno scriba; «Vada via di qua! Gerusalemme è nostra!» sbraita un sacerdote rosso<br />

come un tacchino.<br />

«Siete dei perfidi!»; «Più che ciechi siete!»; «Le turbe vi abbandonano perché voi lo meritate»;<br />

«Siate santi se volete essere amati. Non è commettendo soprusi che si conserva il potere, che si<br />

fonda sulla stima del popolo in chi lo governa!», urlano alla loro volta quelli del partito opposto e<br />

molti della folla.<br />

«Silenzio!» impone Gesù. E quando esso si fa, dice: «La tirannia e le imposizioni non possono<br />

mutare gli affetti e le conseguenze del bene ricevuto. <strong>Io</strong> raccolgo ciò che ho dato: amore. Voi col<br />

perseguitarmi non fate che aumentare questo amore che mi vuole compensare del vostro disamore.<br />

Non sapete, con tutta la vostra sapienza, che perseguitare una dottrina non serve che ad<br />

accrescerne il potere, specie quando questa corrisponde nei fatti a ciò che insegna? Udite una mia<br />

profezia, o voi d’Israele. Quando più perseguiterete il Rabbi di Galilea e i suoi seguaci, tentando di<br />

annullare con la tirannia la sua dottrina, che è divina, e tanto più la farete prospera ed estesa nel<br />

mondo. Ogni stilla del sangue dei martiri fatti da voi, sperando trionfare e regnare con le vostre<br />

corrotte, ipocrite leggi e precetti, non più rispondenti alla Legge di <strong>Dio</strong>, ogni lacrima dei santi<br />

conculcati, sarà seme di futuri credenti. E voi sarete vinti quando crederete di essere trionfatori.<br />

Andate. <strong>Io</strong> pure vado. Coloro che mi amano mi cerchino ai confini della Giudea e nell’Oltre<br />

Giordano, o mi attendano in essi, perché come lampo che da oriente scorre a occidente, ratto così<br />

sarà l’andare del Figlio dell’uomo fino a quando salirà sull’altare e sul trono, Pontefice e Re nuovo,<br />

e vi starà, ben fermo al cospetto del mondo, del creato e dei Cieli, in una delle sue tante epifanie che<br />

solo i buoni sanno comprendere».<br />

12I farisei ostili e i loro compagni se ne sono andati. Restano gli altri. <strong>Il</strong> figlio di Gamaliele lotta in<br />

se stesso per venire a Gesù, ma poi se ne va, senza parlare…<br />

«Maestro, Tu non ci odierai perché siamo delle stesse loro caste?» chiede Eleazaro.<br />

«<strong>Io</strong> non colpisco mai di anatema il singolo perché la classe è rea. Non temere» risponde Gesù.<br />

«Ora ci odieranno...» mormora Gioachino.<br />

«Onore per noi l’esserlo!» esclama Giovanni sinedrista.<br />

«<strong>Dio</strong> fortifichi i vacillanti e benedica i forti. <strong>Io</strong> tutti benedico in nome del Signore», e aperte le<br />

braccia dà la benedizione mosaica a tutti i presenti.<br />

Poi si accomiata da Lazzaro e dalle sorelle, da Massimino, dalle discepole, e inizia il suo andare…<br />

Le verdi campagne che costeggiano la via diretta a Gerico lo accolgono nel loro verde che si<br />

arrossa per un tramonto fastoso.<br />

379. Una premonizione dell’apostolo Giovanni.<br />

7 febbraio 1946.


1 «Dove andiamo, che la sera scende?» chiedono fra loro gli apostoli. E parlottano su quanto è<br />

successo. Ma non dicono nulla di forte per non accasciare il Maestro, che è visibilmente molto<br />

pensieroso.<br />

La sera scende mentre vanno, sempre dietro al Maestro pensieroso. Ma un villaggio si mostra ai<br />

piedi di una catena di monti molto frastagliati.<br />

«Fermiamoci qui a pernottare» ordina Gesù. «Anzi, fermatevi qui. <strong>Io</strong> vado a pregare su quei<br />

monti...».<br />

«Da solo? Ah! no! Sull’Adomin da solo non ci vai! Con tutti quei ladroni che ti insidiano, no, che<br />

non ci vai!...» dice ben deciso Pietro.<br />

«E che vuoi che mi facciano? Non ho nulla!».<br />

«Hai... Te stesso. <strong>Io</strong> parlo dei ladroni più veri, di quelli che ti odiano. E a quelli basta la tua vita. Tu<br />

non devi essere ucciso come… come… così, ecco, in una imboscata vile. Per dare modo ai tuoi<br />

nemici di inventare chissà che per allontanare le turbe anche dalla tua dottrina» ribatte Pietro.<br />

«Simone di Giona ha ragione, Maestro. Sarebbero capaci di fare sparire il tuo corpo e dire che sei<br />

fuggito sapendoti smascherato. Oppure di… magari portarti in luoghi di mal’affare, in casa di una<br />

meretrice, per poter dire: “Vedete dove e come è morto? In rissa per una meretrice”. Tu hai detto<br />

bene: “Perseguitare una dottrina vuol dire accrescerne la potenza”, e ho notato, perché non l’ho<br />

perduto mai di vista, che il figlio di Gamaliele approvava col capo mentre Tu lo dicevi. Ma però è<br />

anche detto bene se si dice che coprire di ridicolo un santo e la sua dottrina è l’arma più sicura per<br />

farla cadere e per levare la stima delle turbe nel santo» dice Giuda Taddeo.<br />

«Sì. E ciò di Te non deve avvenire» termina Bartolomeo.<br />

«Non ti prestare al giuoco dei tuoi nemici. Pensa che non Tu soltanto, ma la Volontà che ti ha<br />

mandato sarebbe resa nulla da questa imprudenza e si vedrebbe così che i figli delle Tenebre sono<br />

stati, almeno momentaneamente, vincitori sulla Luce» aggiunge lo Zelote.<br />

«Ma sì! Tu dici sempre, e ci trafiggi il cuore col dirlo, che devi essere ucciso. Ricordo il tuo<br />

rimprovero a Simon Pietro e non ti dico: “Ciò non sia mai”. Ma credo di non essere Satana se dico:<br />

“Almeno ciò sia in modo che sia glorificazione per Te, inequivocabile sigillo al tuo Essere santo e<br />

condanna sicura ai tuoi nemici. Che le turbe sappiano, possano avere elementi per distinguere e<br />

credere”. Questo almeno, o Maestro. La missione santa dei Maccabei* mai tanto apparve per tale<br />

come quando Giuda, figlio di Matatia, morì da eroe e salvatore sul campo di battaglia. Vuoi andare<br />

sull’Adomin? E noi con Te. Siamo i tuoi apostoli! Dove Tu Capo, noi tuoi ministri» dice Tommaso,<br />

e poche volte l’ho sentito parlare con tanta solenne eloquenza.<br />

____________________<br />

* La missione santa dei Maccabei è narrata in 1 Maccabei 9, 1-22.<br />

«È vero! È vero! E se ti assalgono, noi devono assalire per primi!» dicono in diversi.<br />

«Oh! non ci assaliranno tanto facilmente! Stanno medicandosi il bruciore delle parole di Claudia e...<br />

sono astuti, tanto, troppo! Non trascurano di riflettere che Ponzio saprebbe chi colpire per la tua<br />

morte. Si sono troppo traditi, e agli occhi di Claudia, e lo mediteranno, studiando tranelli più sicuri<br />

di una volgare aggressione. Forse la nostra paura è stolta. Non siamo più i poveri ignoti di prima.<br />

Ora c’è Claudia!» dice l’Iscariota.<br />

«Bene, bene... Ma non mettiamoci a cimento. 2 Cosa vuoi fare, poi, sull’Adomin?» chiede Giacomo<br />

di Zebedeo.<br />

«Pregare e cercare un posto per pregare tutti, nei giorni futuri, per prepararci alle nuove e sempre<br />

più accanite lotte».<br />

«Dei nemici?».<br />

«Anche del nostro io. Ha molto bisogno di essere fortificato».<br />

«Ma non hai detto che vuoi andare ai confini della Giudea e nell’Oltre Giordano?».<br />

«Sì. E vi andrò. Ma dopo la preghiera. Andrò ad Acor e poi, per Doc, a Gerico».<br />

«No, no, Signore! Posti infausti per i santi d’Israele. Non ci andare, non ci andare. <strong>Io</strong> te lo dico, io<br />

lo sento! È qualcosa che lo dice in me. Non ci andare! In nome di <strong>Dio</strong> non ci andare!» grida<br />

Giovanni che pare prossimo ad uscire dai sensi, come preso da un senso d’estasi paurosa…


Tutti lo guardano stupefatti, perché così non lo hanno visto mai. Ma nessuno lo schernisce. Hanno<br />

tutti la percezione di essere di fronte ad un fatto soprannaturale e, rispettosi, conservano il silenzio.<br />

Anche Gesù tace, finche non vede Giovanni ricomporsi nell’aspetto abituale e dire: «O mio<br />

Signore! Come ho sofferto!».<br />

«Lo so. Andremo al Carit. Che dice il tuo spirito?». Mi colpisce profondamente il rispetto con cui<br />

Gesù si rivolge all’ispirato...<br />

«A me lo chiedi, o Signore? Al povero fanciullo stolto, Tu, Sapienza Ss.?».<br />

«A te. Sì. <strong>Il</strong> più piccolo è il più grande quando, con umiltà, comunica col suo Signore per il bene<br />

dei fratelli. Parla...».<br />

«Sì, Signore. Andiamo al Carit. Vi sono gole sicure per raccogliersi in <strong>Dio</strong>, e prossime sono le<br />

strade di Gerico e per la Samaria. Noi scenderemo per riunire chi ti ama e in Te spera, e te li<br />

condurremo, o condurremo Te ad essi, e poi ancora ci nutriremo di preghiera... E scenderà il<br />

Signore a parlare ai nostri spiriti... ad aprire le nostre orecchie che sentono il Verbo ma non lo<br />

capiscono interamente... a invadere soprattutto i nostri cuori con i suoi fuochi. Perché solo se<br />

arderemo sapremo resistere ai martìri della terra. Perché solo se prima avremo subito il dolce<br />

martirio del completo amore potremo essere pronti a subire quelli dell’odio umano... Signore... che<br />

ho detto?».<br />

«Le mie parole, Giovanni. Non temere. Allora sostiamo qui, e domani all’alba andremo sui monti».<br />

380. L’amore degli apostoli dalla contemplazione all’azione.<br />

9 febbraio 1946.<br />

l Da un gruppo montagnoso, che pare occupato e preoccupato di elevarsi sempre più - ed ogni, dirò<br />

cosi, fase del suo sforzo è segnata da un’aspra catena di colline rocciose, dalle coste dirupate, a<br />

picco, tagliate da valli strette come tagli giganteschi, incoronate da creste selvagge - si possono*<br />

intravvedere incidentalmente squarci di mar Morto, messo a sud est del luogo dove sono gli apostoli<br />

col Maestro. <strong>Il</strong> Giordano e la sua vallata fertile e pacifica non si vedono, e non si vede Gerico né<br />

altre città. Solo monti e monti che si alzano in direzione del- la Samaria, e il cupo mar Morto fra<br />

due squarci pontuti di monte. In basso, un torrente in direzione ovest-est, che va certo al Giordano.<br />

Grande stridere di falchi e gracchiare di corvi nel cielo di un azzurro vivo. Grande cinguettio di<br />

uccelli fra le fronde delle pendici selvagge. Un flautare di venti per le gole, portanti odori e rumori<br />

lontani, oppure soverchianti anche quelli vicini, a seconda che sono lievi o intensi. Qualche rumore<br />

di sonagli che sale dalla strada che certo è a valle. Qualche belato di pecora che pascola sui pianori.<br />

Qualche rumore d’acque che stillano e che scrosciano da rocce e da torrenti. Ma la stagione è<br />

buona, asciutta, tiepida, le pendici sono tutte uno smalto di fiori sullo smeraldo dell’erba, e ancora<br />

fiori, a grappoli e festoni, pendono dai tronchi e dalle fronde, e lieto è l’aspetto del luogo.<br />

Lietissimi, di una letizia soprannaturale, sono i volti dei tredici lì raccolti. <strong>Il</strong> mondo è stato<br />

dimenticato. È lontano... Gli spiriti hanno ripreso l’equilibrio scosso da tanti urti, hanno potuto<br />

rientrare nell’alone di <strong>Dio</strong>, ossia della pace. E pace si legge sui volti.<br />

2 Ma la sosta è finita e Gesù ne parla. E Pietro ripete la sua preghiera del Tabor: «Oh! perché non<br />

rimaniamo qui? È bello stare qui con Te!».<br />

«Perché il lavoro ci attende, Simone di Giona. Non possiamo essere soltanto dei contemplativi. <strong>Il</strong><br />

mondo ci aspetta per essere ammaestrato. Non possono sostare gli operai del Signore finche ci sono<br />

campi da seminare».<br />

«Ma allora... io, che divento un poco buono solo quando mi isolo così, non potrò mai... <strong>Il</strong> mondo è<br />

tanto grande! Come potremo lavorarlo tutto e prima di morire riuscire a raccogliersi** in Te?».<br />

«Non lo lavorerete certo tutto. Secoli e secoli ci vorranno. E quando una parte sarà lavorata, Satana<br />

vi entrerà a sciupare il fatto. Sarà perciò un lavoro continuo fino alla fine dei secoli».<br />

«Oh! allora come potrò prepararmi a morire?». Pietro è proprio sconsolato.<br />

______________________<br />

* si possono, invece di si può, è correzione di C.<br />

** riuscire a raccogliersi, espressione troppo immediata, starebbe per riuscire a farlo raccogliere.


Gesù lo rassicura abbracciandolo e dicendo: «Ne avrai il tempo. Non occorre molto. Basta un<br />

attimo di raccoglimento perfetto per prepararsi a comparire davanti a <strong>Dio</strong>. Ma tu ne avrai tutto il<br />

tempo. Del resto, sappi che la esecuzione del volere di <strong>Dio</strong> è sempre preparazione alla morte in<br />

santità. Se <strong>Dio</strong> ti vuole attivo e tu ubbidisci, tu ti prepari meglio nell’azione ubbidiente che se ti<br />

chiudessi fra le rocce più solitarie a pregare e contemplare. Ne sei persuaso?».<br />

«Certo! Lo dici Tu! Allora che dobbiamo fare?».<br />

«Spargervi per le vie delle valli. Radunare chi sarà ad attendermi, predicare il Signore e la Fede<br />

finche <strong>Io</strong> verrò».<br />

«Resti solo?».<br />

«Ma sì. Non temete. 3 Vedete che il male serve al bene qualche volta. Qui Elia fu sfamato dai corvi*.<br />

Noi possiamo dire che gli avvoltoi feroci ci sfamarono».<br />

«Pensi che sia stato un movimento di conversione?».<br />

«No. Ma la carità, sia pure mossa dal pensiero che usando generosità ci avrebbero messi in<br />

condizioni di non tradirli...».<br />

«Ma noi non li avremmo traditi!» esclama Andrea.<br />

«No. Ma essi, gli infelici ladroni, non lo sanno. Nulla di spirituale opera in loro, carichi come sono<br />

di delitti».<br />

«Signore, Tu dicevi che la carità... Che volevi dire?» chiede Giovanni.<br />

«Volevo dire: la carità che ci hanno usata non sarà senza ricompensa, almeno nei migliori. La<br />

conversione, non avvenuta ora, può operarsi lentamente, ma può venire. È per questo che vi ho<br />

detto: “Non respingeteli nelle loro offerte”. E le ho accettate benché mi sapessero fetore di<br />

peccato».<br />

«Ma Tu neppure ne hai mangiato...».<br />

«Ma non ho mortificato i peccatori col respingerli. Avevano un movimento iniziale di bontà. Perché<br />

distruggerlo? Quel torrente là in fondo non ha inizio dalla sorgiva che goccia da quel dirupo?<br />

Ricordatevelo sempre. È lezione per la vostra vita futura. Per quando <strong>Io</strong> non sarò più fra voi. Se<br />

troverete sulle vie dei vostri viaggi apostolici dei delinquenti, non siate come i farisei, i quali<br />

sprezzano tutti e non si curano di sprezzare per primi se stessi, corrotti come sono. Ma avvicinateli<br />

con amore grande. Vorrei poter dire con “infinito amore”. Lo dico, anzi. Ed è possibile che ciò<br />

avvenga anche se l’uomo è “finito, limitato” nei suoi atti e azioni.<br />

4 Sapete come l’uomo può possedere infinito amore? Essendo talmente unito a <strong>Dio</strong> da essere<br />

tutt’uno con <strong>Dio</strong>. Allora veramente, scomparendo la creatura nel Creatore, opera il Creatore, il quale<br />

è infinito. E così, uni col loro <strong>Dio</strong> per potenza di amore che tanto si stringe all’Origine da fondersi<br />

ad essa, devono essere gli apostoli miei. Non sarà per come parlerete, ma per come amerete che<br />

convertirete i cuori. Troverete peccatori? Amateli. Soffrirete per discepoli che si traviano? Cercate<br />

di salvarli con l’amore. Ricordate la parabola della pecorella smarrita. Oh! per secoli e secoli essa<br />

sarà il richiamo dolcissimo lanciato ai peccatori. Ma sarà anche l’ordine sicuro dato ai sacerdoti<br />

miei. Con ogni arte, con ogni sacrificio,<br />

________________________<br />

* Qui Elia fu sfamato dai corvi, come è detto in 1 Re 17, 2-6.<br />

anche a costo di perdere la vita nel tentativo di salvare un’anima, con ogni pa-zienza, voi dovrete<br />

andare cercando gli smarriti per riportarli all’Ovile. L’amore vi darà gaudio. Vi dirà: “Non temere”.<br />

Vi darà un potere di espansione nel mondo quale <strong>Io</strong> stesso non ebbi.<br />

Non deve più l’amore dei giusti futuri essere messo come un segno esteriore sul cuore e sul braccio,<br />

come dice il Cantico dei Cantici*. Ma deve essere messo nel cuore. Deve essere la leva che spinge<br />

l’anima ad ogni azione. E ogni azione deve essere sovrabbondanza della carità che non si appaga<br />

più di amare <strong>Dio</strong> o il prossimo soltanto mentalmente, ma scende nell’agone, in lotta con i nemici di<br />

<strong>Dio</strong>, per amare <strong>Dio</strong> e prossimo anche contingentalmente, in azioni anche materiali, vie ad azioni più<br />

vaste e perfette che terminano alla redenzione e santificazione dei fratelli. Per la contemplazione si


ama <strong>Dio</strong>, ma per l’azione si ama il prossimo; né i due amori sono scissi perché uno solo è l’amore, e<br />

amando il prossimo amiamo <strong>Dio</strong> che ci comanda questo amore e che il prossimo ci ha dato per<br />

fratello.<br />

5 Non potrete voi, e non potranno dire i sacerdoti futuri, di essere miei amici se la carità vostra e di<br />

loro non si volgerà tutta alla salvezza delle anime per le quali <strong>Io</strong> mi sono incarnato e per le quali<br />

patirò. <strong>Io</strong> vi do l’esempio di come si ama. Ma ciò che <strong>Io</strong> faccio, voi, e quelli che verranno dopo di<br />

voi, dovete fare. <strong>Il</strong> nuovo tempo viene. Quello dell’amore. <strong>Io</strong> sono venuto a gettare questo fuoco nei<br />

cuori, ed esso crescerà ancora dopo la mia Passione e Ascensione e vi incendierà quando l’Amore<br />

del Padre e del Figlio scenderà a consacrarvi al ministero.<br />

Divinissimo Amore! A che tardi a consumare la Vittima e ad aprire gli occhi e le orecchie, a<br />

sciogliere le lingue e le membra a questo mio gregge, onde vada fra i lupi e insegni che <strong>Dio</strong> è Carità<br />

e che chi non ha in sé carità non è che un bruto e un demone? Oh! vieni, Spirito dolcissimo e<br />

fortissimo, e incendia la terra, non per distruggerla ma per purificarla. Incendia i cuori! Fànne degli<br />

altri Me, dei Cristi, ossia degli unti dall’amore, operanti per amore, santi e santificanti per amore.<br />

Beati coloro che amano perché saranno amati, e non cesserà un momento la loro anima di cantare a<br />

<strong>Dio</strong> insieme agli angeli fino a che canteranno l’eterna gloria nella luce dei Cieli. Così sia di voi,<br />

amici miei. Ora andate e fate con amore ciò che vi ho detto».<br />

_____________________<br />

* come dice il Cantico dei Cantici, in 8, 6.<br />

Maria Valtorta<br />

L'Evangelo come mi è stato rivelato<br />

INDICE DEL VOLUME SETTIMO<br />

Terzo anno della Vita pubblica di Gesù.<br />

(continuazione) * = in linea *<br />

433. Arrivo a Nazareth. Lodi alla Vergine. Guarigione di Aurea.<br />

434. Lavori manuali a Nazareth e parabola del legno verniciato.<br />

435. Inizio del terzo sabato a Nazareth e arrivo di Pietro con altri apostoli.<br />

436. Svelato il costo della Redenzione ad apostoli e discepole nell’orto di<br />

Nazareth.<br />

437. Gesù e la Madre a colloquio.<br />

438. Maria Ss. con Maria d’Alfeo a Tiberiade per farsi cedere Aurea.<br />

Un incontro con Giuda Iscariota.<br />

439. Maria Ss. riferisce sulla missione compiuta a Tiberiade.<br />

Aurea impara a fare la volontà di <strong>Dio</strong>.<br />

440. Un altro sabato a Nazareth. Ostinatezza di Giuseppe d’Alfeo.<br />

441. Un dono di Tommaso alla Vergine E partenza da Nazareth.<br />

Miracolo su un incendio che diventa il tema di due parabole.<br />

442. Giuda Iscariota a Nazareth da Maria.


443. La morte del nonno di Marziam.<br />

444. Elogio di Marziam. Lezione sull’unico precetto dell’amore, sulla salvezza<br />

dei pagani virtuosi e sui meriti dell’Uomo-<strong>Dio</strong>.<br />

445. A Tiberiade, durante una tempesta, il ritorno dell’Iscariota e due<br />

parabole.<br />

L’arrivo di Maria Ss., che intercede per Samuele di Ester.<br />

446. Arrivo e accoglienze a Cafarnao.<br />

447. Discorso sulla misericordia nella sinagoga di Cafarnao.<br />

Un affronto di Eli il fariseo, minacciato dal centurione.<br />

448. Raduno di barche sul lago e parabola provocata da Pietro, che subisce un<br />

giudizio.<br />

449. <strong>Il</strong> piccolo Alfeo disamato dalla madre.<br />

450. Miracoli nel borgo presso Ippo e guarigione del lebbroso Giovanni.<br />

451. Discorso, nel borgo presso Ippo, sui doveri dei coniugi e dei figli.<br />

452. L’ex-lebbroso Giovanni diventa discepolo. Parabola dei dieci monumenti.<br />

453. Arrivo a Ippo e discorso in favore dei poveri che vengono sanati.<br />

Guarigione dello schiavo Aquila.<br />

454. Maria Ss. e il suo amore di fusione con <strong>Dio</strong>. Ira dell’Iscariota contro il<br />

piccolo Alfeo.<br />

455. Affidamento della Chiesa alla maternità di Maria. Discorso, presso Gamala,<br />

in favore dei forzati.<br />

456. Commiato da Gamala e arrivo ad Afeca. Monito alla vedova Sara e miracolo<br />

nella sua casa.<br />

457. Discorso, ad Afeca, dopo una disputa tra credenti e non credenti.<br />

Sara diviene discepola.<br />

458. Una guarigione spirituale a Gherghesa e lezione sull’uso dei doni di <strong>Dio</strong>.<br />

Rientro a Cafarnao.<br />

459. <strong>Il</strong> perdono a Samuele di Nazareth e lezione sulle cattive amicizie.<br />

460. Farisei a Cafarnao con Giuseppe a Simone d’Alfeo.<br />

Gesù non nasconderà alla Madre l’ora del Sacrificio.<br />

461. Un complotto per l’elezione di Gesù a re. <strong>Il</strong> greco Zenone e la lettera di<br />

Sintica con la notizia della morte di Giovanni di Endor.<br />

462. Discorso e guarigioni alle sorgenti termali di Emmaus di Tiberiade.<br />

463. A Tarichea, discorso sulla natura del regno messianico e conversione di una<br />

meretrice. Gesù cede ad un invito di Cusa vincendo l’opposizione di<br />

Pietro.<br />

464. Nella casa di campagna di Cusa la tentata elezione di Gesù a re.<br />

La testimonianza del Prediletto.<br />

465. A Betsaida per un incarico segreto a Porfirea e partenza affrettata da<br />

Cafarnao.<br />

466. La sosta presso gli anziani coniugi Giuda e Anna.<br />

467. Parabola della distribuzione delle acque. Perdono condizionato per il<br />

contadino Giacobbe. Avvertimenti agli apostoli mentre vanno a Corozim.<br />

468. Un ravvedimento di Giuda Iscariota e gli episodi che illustrano la sua<br />

figura.<br />

469. Commiato dai pochi fedeli di Corozim.<br />

470. Lezione sul matrimonio ad una suocera che è scontenta della nuora.<br />

471. Filippo si esalta pensando all’èra messianica. Respinto l’invito ad andare<br />

a Giscala, Gesù illustra la nozione del peccato al levita Giuseppe detto


Barnaba.<br />

472. La nuova Legge e la richiesta insidiosa di un giudizio su un fatto<br />

accaduto a Giscala.<br />

473. Guarigione di un bambino cieco di Sidone e un insegnamento per le mogli di<br />

oggi.<br />

474. Una visione che si perde in un rapimento d’amore.<br />

475. Un sospetto di Pietro e digressione sugli ebrei.<br />

La pietà di Abele di Betlemme per i propri nemici.<br />

476. Lezione sul modo di curare le anime e il perdono ai due peccatori divenuti<br />

lebbrosi.<br />

477. A colloquio con la Madre nel bosco di Matatia. Le sofferenze morali di<br />

Gesù e di Maria.<br />

478. A colloquio con Giuseppe a Simone d’Alfeo che vanno alla festa dei<br />

Tabernacoli.<br />

479. Con Giovanni presso la torre di Jezrael in attesa dei contadini di Giocana.<br />

480. Partenza da Jezrael dopo la visita notturna dei contadini di Giocana.<br />

481. Arrivo ad Engannim. Macchinazioni di Giuda Iscariota per sventare<br />

un’insidia.<br />

482. In cammino con un pastore samaritano la cui fede viene premiata.<br />

483. Gli apostoli discutono sull’odio dei giudei. I dieci lebbrosi guariti in<br />

Samaria.<br />

484. Sosta obbligata presso Efraim e parabola della melagrana.<br />

485. L’arrivo con gli apostoli a Betania, dove sono già alcuni discepoli con<br />

Marziam. Astuzie dell’Iscariota. *<br />

486. Al Tempio per la festa dei Tabernacoli. Discorso sulla natura del Regno.<br />

487. Al Tempio per la festa dei Tabernacoli. Discorso sulla natura del Cristo.<br />

488. Al Tempio per la festa dei Tabernacoli. Partenza segreta per Nobe dopo<br />

la preghiera.<br />

489. A Nobe. Parabola del re incompreso dai sudditi e miracolo sul vento.<br />

490. Al campo dei Galilei con i cugini apostoli.<br />

Dubbi sull’Iscariota e conversione del levita Zaccaria.<br />

491. Al Tempio nell’ultimo giorno della festa dei Tabernacoli.<br />

Discorso sull’Acqua viva.<br />

492. A Betania viene ricordato Giovanni di Endor.<br />

493. Discorso presso la fonte di En Rogel, che fu luogo di sosta dei tre Savi.<br />

494. La donna adultera e l’ipocrisia dei suoi accusatori. Vari insegnamenti.<br />

495. Lezione sulla misericordia in risposta alle obiezioni sul perdono<br />

all’adultera.<br />

Congedo ai discepoli sulla via di Betania.<br />

496. Turbamento improvviso di Giuda Iscariota durante una sosta nella casetta di<br />

Salomon.<br />

497. Un’ora di sconforto di Simon Pietro.<br />

498. Esortazione al Taddeo e a Giacomo di Zebedeo a seguito di un diverbio con<br />

l’Iscariota.<br />

499. Fuga da Esebon e incontro con un mercante di Petra.<br />

500. Riflessioni di Bartolomeo e Giovanni dopo un ritiro sul monte Nebo.<br />

(continua il “Terzo anno” nel volume ottavo) *


Maria Valtorta<br />

L’EVANGELO<br />

COME MI E STATO<br />

RIVELATO<br />

VOLUME SETTIMO<br />

Capitoli 433-500<br />

Terzo anno della Vita pubblica di Gesù.<br />

(continuazione)<br />

386. Verso la sponda occidentale del Giordano.<br />

17 febbraio 1946.<br />

1Gesù è di nuovo in cammino. Volte le spalle al nord, costeggia i meandri del fiume per cercare chi<br />

lo traghetti. I suoi gli sono tutti intorno e rievocano gli avvenimenti dei pochi giorni passati nel<br />

paesello di Salomon e nella sua casa. Da quanto comprendo, sono rimasti fino a che non si è sparsa<br />

presso ambienti nemici la voce della presenza colà del Maestro, e quando questo è avvenuto se ne<br />

sono andati, lasciando a custodia della casetta riordinata il vecchio Anania, sereno nella sua povertà<br />

non più desolata.<br />

«Speriamo che lo stato degli animi duri come al presente» dice Bartolomeo.<br />

«Se andremo e verremo, come il Maestro dice, li terremo in quelle disposizioni» risponde Giuda<br />

d’Alfeo.<br />

«Piangeva, povero vecchio! Si era affezionato…» dice ancora commosso Andrea.<br />

2 «E mi è piaciuto il suo ultimo discorso. Vero, Maestro, che parlò da saggio?» dice Giacomo di<br />

Zebedeo.<br />

«Da santo parlò, io dico!» esclama Tommaso.<br />

«Sì. E terrò presente il suo desiderio» risponde Gesù.<br />

«Ma che ha detto di preciso? <strong>Io</strong> ero via con Giovanni per dire alla madre di Micael di ricordarsi di<br />

fare ciò che il Maestro ha detto, e non so di preciso» dice l’Iscariota.<br />

«Ha detto: “Signore, se passerai dal paese di mia nuora, dille che io non le serbo rancore e che sono<br />

contento di essere non più un derelitto, perché in tal modo meno grande sarà per lei il giudizio di<br />

<strong>Dio</strong>. Dille che cresca i nipoti nella fede del Messia, ché così li avrò con me in Cielo, e appena sarò<br />

nella pace pregherò per loro e per la loro salute”. E lo dirò. Cercherò la donna e lo dirò, perché è<br />

bene così» dice Gesù.<br />

«Non una parola di rimprovero! Anzi si felicita che, non più morendo di fame e di derelizione,<br />

diminuisca il peccato della donna. È ammirevole!» osserva Giacomo d’Alfeo.<br />

«Ma agli occhi di <strong>Dio</strong> sminuirà proprio la colpa della nuora? Questo è da sapersi!» dice Giuda<br />

d’Alfeo.<br />

I pareri sono contrari. Matteo si rivolge a Gesù: «Tu che giudichi, Maestro? Le cose resteranno<br />

come erano prima o muteranno?».<br />

«Muteranno…».<br />

«Lo vedi che ho ragione io…» trionfa Tommaso.<br />

Ma Gesù fa cenno di lasciarlo parlare e dice: «Muteranno per il vecchio, così in Cielo come<br />

mutarono in terra per la sua dolcezza indulgente. Per la donna non muteranno. La sua colpa grida<br />

sempre agli occhi di <strong>Dio</strong>. Solo se si pentisse potrebbe mutarsi il giudizio severo. E glielo dirò».<br />

3 «Dove abita?».<br />

«A Masada, presso i fratelli».<br />

«E vuoi andare fino là?».<br />

«Anche quelli sono luoghi da evangelizzare…».


«E a Keriot?».<br />

«Risaliremo a Keriot da Masada e andremo a Jutta, Ebron, Betsur, Betèr, per essere di nuovo a<br />

Gerusalemme per la Pentecoste» .<br />

«Masada è luogo d’Erode…».<br />

«Che importa? È fortezza. Ma egli non vi è. E anche vi fosse!… Non sarà la presenza di un uomo<br />

che potrà impedirmi di essere il Salvatore».<br />

«Ma dove passiamo il fiume?».<br />

«Verso Galgala. Di lì costeggeremo seguendo i monti. Le notti sono fresche e la nuova luna di ziv è<br />

luminosa nel cielo sereno».<br />

«Se andiamo per quei luoghi, perché non si va al monte dove digiunasti? È giusto che tutti lo si<br />

abbia a conoscere bene» dice Matteo.<br />

«Andremo anche là. Ma ecco una barca. Contrattate il traghetto perché si possa passare dall’altra<br />

parte».<br />

216. A Galgala. <strong>Il</strong> mendico Ogla e gli scribi tentatori.<br />

Gli apostoli paragonati alle dodici pietre del prodigio di Giosuè.<br />

18 febbraio 1946.<br />

1 Non so come sia ora Galgala. Al momento che ci entra Gesù è una comune città palestinese,<br />

abbastanza popolosa, sita su un colle poco alto, coperto di vigneti e ulivi per lo più. Ma il sole vi è<br />

così padrone che anche le biade possono trovarvi posto, seminate a casaccio sotto le piante o tra i<br />

filari. E maturano nonostante le fronde, perché sono arrostite a dovere dal sole che già risente del<br />

deserto vicino.<br />

Polvere, vocio, sudiciume, confusione di giorno di mercato. E, inesorabili come il destino, i soliti<br />

zelanti e non convinti farisei e scribi, che con grandi gesti discutono e sdottorano nell’angolo<br />

migliore della piazza e che fingono di non vedere Gesù o di non conoscerlo.<br />

Gesù tira diritto, andando a consumare il suo pasto in una piazzetta secondaria, quasi alla periferia,<br />

tutta ombrosa per un intreccio di rami fatto da piante d’ogni genere. Ho l’impressione che sia un<br />

pezzo di monte da poco incluso nell’abitato e conservante ancora quel ricordo del suo stato naturale.<br />

2 <strong>Il</strong> primo ad accostarsi a Gesù, che mangia pane e ulive, è un uomo cencioso. Chiede un po’ di pane.<br />

Gesù gli passa il suo con tutte le ulive che ha in mano.<br />

«E Tu? Non abbiamo quattrini, lo sai…» osserva Pietro. «Abbiamo lasciato tutto ad Anania...».<br />

«Non importa. Non ho fame. Sete, questa sì...».<br />

<strong>Il</strong> mendico dice: «Qui dietro è un pozzo. Ma perché mi hai dato tutto? Potevi darmi metà del tuo<br />

pane… Se non hai ribrezzo a riprenderlo…».<br />

«Mangia, mangia. <strong>Io</strong> posso stare senza. Ma per levarti il sospetto che <strong>Io</strong> abbia schifo di te, dàmmi<br />

con le tue mani un sol boccone e lo mangerò per essere tuo amico…».<br />

L’uomo, un volto triste e senza luce, si abbella in un sorriso stupito e dice: «Oh! è la prima volta, da<br />

quando sono il povero Ogla, che uno mi dice di volermi essere amico!», e dà il boccone di pane a<br />

Gesù. E chiede: «Chi sei? Come ti chiami?».<br />

«Sono Gesù di Nazaret, il Rabbi di Galilea».<br />

«Ah!… Ho sentito da altri parlare di Te… Ma… non sei il Messia?…».<br />

«Lo sono».<br />

«E Tu, Messia, sei così buono coi mendichi? <strong>Il</strong> Tetrarca ci fa battere dai servi se ci vede sulla sua


via...».<br />

«<strong>Io</strong> sono il Salvatore. Non batto, ma amo».<br />

L’uomo lo guarda fisso fisso. Poi si mette a piangere lentamente.<br />

«Perché piangi?».<br />

«Perché… vorrei essere salvato… 3 Non hai più sete, Signore? Ti condurrei al pozzo e ti parlerei…».<br />

Gesù intuisce che l’uomo vuole confessare qualcosa e si alza dicendo: «Andiamo».<br />

«Vengo anche io!» scatta Pietro.<br />

«No. Torno subito, d’altronde… E bisogna avere stima di chi si pente».<br />

Va con l’uomo dietro una casa oltre la quale è la campagna.<br />

«Lì è il pozzo… Bevi e poi ascoltami».<br />

«No, uomo. Versa prima tu in Me il tuo affanno e poi… berrò <strong>Io</strong>. E forse avrò una fonte ancor più<br />

dolce dell’acqua del suolo per la mia sete».<br />

«Quale, Maestro?».<br />

«<strong>Il</strong> tuo pentimento. Andiamo sotto quelle piante. Qui le donne ci osservano. Vieni» , e gli pone la<br />

mano sulla spalla e lo spinge avanti in un folto d’ulivi.<br />

«Come sai che io sono colpevole e che sono pentito?».<br />

«Oh!… Ma parla. E non avere paura di Me».<br />

4 «Signore… Eravamo sette fratelli di un solo padre, ma io ero nato dalla donna che mio padre aveva<br />

sposata nella vedovanza. Ed ero odiato dagli altri sei. <strong>Il</strong> padre, morendo, lasciò a tutti in uguale<br />

misura. Ma morto che fu, corrompendo i giudici, i sei mi tolsero ogni bene e cacciarono me e la<br />

madre con accuse infami. Ella morì che io avevo sedici anni... e morì di stenti… E da allora io non<br />

ho più avuto nessuno che mi amasse…»; piange con molto affanno.<br />

Si riprende e continua: «I sei, ricchi e felici, prosperavano anche col mio, e io morivo di fame<br />

perché mi ero ammalato assistendo la madre consunta... Ma <strong>Dio</strong> uno per uno li percosse. Li ho tanto<br />

maledetti, tanto odiati, che il malocchio fu su loro. Facevo male? Certo. Lo so. E lo sapevo. Ma<br />

come non poterli odiare e maledire? L ‘ultimo, che in realtà era il terzogenito, resisteva a tutte le<br />

maledizioni, anzi prosperava coi beni degli altri cinque che si era presi legittimamente per i tre più<br />

piccoli, morti senza moglie, e sposando la moglie del primogenito morto senza figli, e<br />

fraudolentemente per il secondo, alla vedova e agli orfani del quale aveva con raggiri e prestiti<br />

preso molta parte del padre. E quando mi incontrava per caso ai mercati dove andavo, servo di un<br />

ricco, a vendere derrate, mi insultava e bastonava… Una sera l’ho incontrato… Ero solo. Era solo.<br />

Era un poco ebbro di vino lui... E io ero ebbro di ricordi e di odio… Erano dieci anni dal giorno che<br />

m’era morta la madre… Mi insultò, insultando la morta… La chiamò “cagna immonda” e chiamò<br />

me “figlio della iena...”. Signore… non mi avesse toccato la madre… avrei sopportato. Ma me l’ha<br />

insultata… L’ho preso per il collo. Abbiamo lottato... Lo volevo solo percuotere… Ma è scivolato a<br />

terra… e la terra era coperta di erba scivolosa, in pendio… e sotto c’era un burrone e un torrente…<br />

È rotolato, ebbro come era, ed è caduto… Lo cercano ancora dopo tanti anni… Ma è sepolto fra i<br />

pietroni e le sabbie di uno dei torrenti del Libano. <strong>Io</strong> non sono più tornato dal padrone. E lui non è<br />

più tornato a Cesarea Paneade. <strong>Io</strong> sono andato senza pace... Ah! La maledizione di Caino! Paura di<br />

vivere… e paura di morire… Mi sono ammalato… E poi… ho sentito di Te… Ma avevo paura…<br />

Dicevano che vedevi nel cuore dell’uomo. E sono così cattivi i rabbi d’Israele!… Non conoscono la<br />

pietà… Tu, Rabbi dei rabbi, eri il mio terrore… E scappavo davanti a Te. Eppure vorrei essere<br />

perdonato…». Piange accasciato al suolo…<br />

5 Gesù lo guarda e mormora: «E prendiamo su Me anche questi peccati!… Figlio! Ascolta. <strong>Io</strong> sono<br />

la Pietà, non il terrore. Anche per te <strong>Io</strong> sono venuto. Non vergognarti di Me… Sono il Redentore.<br />

Vuoi essere perdonato? Di che?».<br />

«Del mio delitto. Me lo chiedi? Ho ucciso mio fratello».<br />

«Hai detto: “Lo volevo solo percuotere”, perché in quel momento eri offeso e irato. Ma quando<br />

odiavi e maledivi, non uno ma sei fratelli, non eri offeso e irato. Lo facevi come il respiro.<br />

Spontaneamente. L’odio e la maledizione, il giubilo di vederli colpiti era il tuo pane spirituale, non è<br />

vero?».<br />

«Sì, Signore. Per dieci anni il mio pane».


«Ebbene, in realtà il più grande delitto tu lo hai iniziato dal momento che hai odiato e maledetto. Sei<br />

omicida dei fratelli sei volte».<br />

«Ma Signore, essi mi avevano rovinato e odiato... E la madre mi è morta di fame…».<br />

«Vuoi dire che avevi ragione di farti vendetta».<br />

«Sì. Lo voglio dire».<br />

«Non hai ragione. <strong>Dio</strong> c’era per punire. Tu dovevi amare. E <strong>Dio</strong> ti avrebbe benedetto in terra e in<br />

Cielo».<br />

«Non mi benedirà dunque mai?».<br />

«<strong>Il</strong> pentimento riporta la benedizione. Ma quanto dolore, quanto affanno ti sei dato! Molto più di<br />

quanto ti davano i fratelli, ti sei dato col tuo odio!…».<br />

«È vero! È vero! Un orrore che dura da ventisei anni. Oh! perdonami in nome di <strong>Dio</strong>. Tu vedi che<br />

ho dolore della colpa in me! <strong>Io</strong> non chiedo nulla per la mia vita. Mendico sono e malato. Ma tale<br />

voglio restare, soffrire, espiare. Ma dàmmi la pace di <strong>Dio</strong>! Ho fatto dei sacrifici al Tempio soffrendo<br />

la fame per accumulare la somma per l’olocausto. Ma non potevo dire il mio delitto, e non so se<br />

sarà stato accetto il sacrificio».<br />

«Nullo. Anche se ogni giorno ne avessi consumato uno, a che ti giovava quando con menzogna<br />

l’immolavi? Rito superstizioso e inutile è quello non preceduto da sincera confessione della colpa.<br />

Colpa aggiunta alla colpa, e perciò ancor più che inutile. Sacrilega offerta. Che dicevi tu al<br />

sacerdote?».<br />

«Dicevo: “Ho peccato per ignoranza facendo cose dal Signore proibite e voglio espiare”. <strong>Io</strong><br />

pensavo: “<strong>Io</strong> so in che ho peccato, e <strong>Dio</strong> lo sa. Ma all’uomo non posso dire con chiarezza. <strong>Dio</strong>, che<br />

è onniveggente, sa che io penso al mio peccato”».<br />

«Restrizioni mentali, scappatoie indegne. L’Altissimo le odia. Quando si pecca, si espia. Non lo fare<br />

più».<br />

«No, Signore. E sarò perdonato? O devo andare a confessare ogni cosa? Pagare con la vita la vita<br />

che ho presa? Mi basta morire col perdono di <strong>Dio</strong>».<br />

«Vivi per espiare. Non potresti rendere il marito alla vedova e il padre ai figli... Prima di uccidere,<br />

prima di lasciare che l’odio diventi il nostro padrone, occorrerebbe pensare! Ma sorgi e cammina<br />

per la nuova via. Troverai, andando, dei discepoli miei. I monti della Giudea, se da Tecua vai a<br />

Betlemme e oltre verso Ebron, sono certo percorsi da essi. Di’ loro che Gesù ti manda e dice che<br />

avanti la Pentecoste Egli risalirà verso Gerusalemme passando da Betsur e Betèr. Cerca di Elia,<br />

Giuseppe, Levi, Mattia, Giovanni, Beniamino, Daniele, Isacco. Ricorderai questi nomi? Rivolgiti a<br />

loro particolarmente. Ora andiamo…».<br />

«E non bevi?».<br />

«Ho bevuto il tuo pianto. Un’anima che torna a <strong>Dio</strong>! Non c’è nulla di più ristorante per Me».<br />

«Perdonato sono, allora?! Tu dici: “Torna a <strong>Dio</strong>”…».<br />

«Sì. Sei perdonato. E non odiare mai più».<br />

L’uomo si china di nuovo, poiché si era alzato in piedi, e bacia i piedi di Gesù.<br />

6 Tornano dagli apostoli e li trovano in disputa con alcuni scribi.<br />

«Eccolo il Maestro. Egli vi può rispondere e dire che voi siete peccatori».<br />

«Cosa c’è?» chiede Gesù, il cui saluto deferente non ha risposta.<br />

«Maestro, ci vessano con domande e scherni…».<br />

«Sopportare le molestie è opera di misericordia».<br />

«Ma offendono Te. Ti fanno oggetto di scherno… e la gente tituba. Lo vedi? Eravamo riusciti a<br />

radunare persone… Ora chi resta? Due o tre donne…».<br />

«Oh! no! Avete anche un uomo, un lurido uomo! È fin troppo per voi! Soltanto, o Maestro, non ti<br />

pare di contaminarti troppo, Tu che sempre dici che le brutture ti fanno ribrezzo?» motteggia un<br />

giovane scriba, accennando al mendico che è di fianco a Gesù.<br />

«Questo non è bruttura. Non è la bruttura che mi ripugna. Questo è “il povero”. <strong>Il</strong> povero non fa<br />

ribrezzo. La sua miseria deve solo aprire l’anima a sentimenti di pietà fraterna. <strong>Io</strong> ho ribrezzo delle<br />

miserie morali, dei cuori fetidi, delle anime a brandelli, degli spiriti piagati».<br />

«E sai se egli non è tale?».


«So che egli crede e spera in <strong>Dio</strong> e nella sua misericordia, ora che l’ha conosciuta».<br />

«Conosciuta? Dove abita? Dillo, che noi pure vi andiamo per vederne il volto. Ah! Ah! <strong>Il</strong> <strong>Dio</strong><br />

terribile, che Mosè non ardiva guardare, deve aver una ben terribile faccia anche nella misericordia,<br />

anche fosse ammollito, dopo tanti secoli, il suo rigore!» ribatte il giovane scriba, e ride di un riso<br />

negatore più di una bestemmia.<br />

«<strong>Io</strong> sono che ti parlo la Misericordia di <strong>Dio</strong>!» grida Gesù, eretto, e sfolgorante potenza dagli occhi e<br />

dal gesto.<br />

Non so come l’altro non abbia paura… Però, se anche non fugge, non osa più fare sarcasmi e tace,<br />

mentre un altro lo surroga: «Oh! quante parole inutili! Noi vorremmo soltanto poter credere. Non<br />

chiederemmo di meglio. Ma per credere bisogna avere delle prove. 7 Maestro, sai Tu cosa è Galgala<br />

per noi?».<br />

«E stolto mi credi?» dice Gesù. E prendendo il tono di salmo, lento, un poco strascicato, inizia: «“E<br />

Giosuè*, alzatosi avanti giorno, levò il campo. Partiti da Setim, egli e tutti i figli d’Israele<br />

arrivarono al Giordano ove si fermarono tre<br />

_______________________<br />

* “E Giosuè…” è citazione da Giosuè 3, 1-4, come annota MV su una copia dattiloscritta,<br />

mettendo però solo i versetti 3-4.<br />

giorni, alla fine dei quali gli araldi percorsero il campo gridando: ‘Quando vedrete l’arca<br />

dell’alleanza del Signore <strong>Dio</strong> vostro, portata dai sacerdoti della stirpe di Levi, partite anche voi e<br />

seguiteli, ma tra voi e l’arca sia un intervallo di duemila cubiti, affinché possiate vedere da lontano<br />

e distinguere la via per la quale dovete camminare, non essendoci mai passati e…’ ”».<br />

«Basta, basta! La lezione la sai. Orbene, noi vorremmo da Te, per credere, un miracolo uguale. Al<br />

Tempio, nella Pasqua, fummo rintronati dalla notizia portata da un barcaiolo che Tu hai fermato il<br />

fiume in piena*. Or dunque, se per un uomo qualunque hai fatto tanto, per noi, tanto più di un<br />

uomo, fa’ quello di scendere nel Giordano coi tuoi e di passarlo a piedi asciutti come Mosè al mar<br />

Rosso e Giosuè a Galgala. Suvvia! I sortilegi non servono che per gli ignoranti. Ma noi non saremo<br />

sedotti dalla tua negromanzia, benché Tu, è noto, conosca i segreti d’Egitto e le formule magiche».<br />

«Non ne ho bisogno».<br />

«Scendiamo al fiume e crederemo in Te».<br />

«È detto: “Non tentare il Signore Iddio tuo”!».<br />

«Tu non sei <strong>Dio</strong>! Sei un povero folle. Sei uno che sovverti le folle ignoranti. Con quelle è facile,<br />

poiché Belzebù è con Te. Ma con noi, ornati dei segni d’esorcismo, sei men che nulla» morde uno<br />

scriba.<br />

«Non lo offendere! Pregalo di accontentarci. Così come fai, si avvilisce e perde il potere. Su, Rabbi<br />

di Nazaret! Dàcci una prova e noi ti adoreremo» dice serpentino un vecchio scriba, ed è più nemico<br />

nella sua tortuosa blandizia che non gli altri con l’aperta ferocia.<br />

Gesù lo guarda. Poi si volge verso sud-ovest e apre le braccia protendendole in avanti. Dice: «Là è<br />

il deserto di Giuda e là mi fu detto dallo Spirito del Male di tentare il Signore mio <strong>Dio</strong>. Ed <strong>Io</strong> ho<br />

risposto: “Va’ via, Satana! È detto che solo <strong>Dio</strong> va adorato, non tentato. E va seguito al di sopra<br />

della carne e sangue”. Così dico a voi».<br />

«A noi dài nome di Satana? A noi? Ah! maledetto!», e più simili a monellacci che a dottori della<br />

Legge, dànno di mano alle pietre sparse al suolo per colpirlo e urlano: «Va’ via! Va’ via! Maledetto<br />

Te in eterno!».<br />

Gesù li guarda, senza paura. Li paralizza nel gesto sacrilego, raccoglie il mantello e dice:<br />

«Andiamo! Uomo, procedi avanti di Me», e torna verso il pozzo, verso l’uliveto della confessione,<br />

vi si addentra… E china il capo accasciato con due lacrime intenibili che rotolano dalle ciglia sul<br />

volto pallido.<br />

8 Giungono ad una via. Si ferma Gesù e dice al mendico: «Darti denaro non posso. Non ne ho. Ti<br />

benedico. Addio. Fa’ ciò che ti ho detto». Si separano…<br />

Gli apostoli sono afflitti. Non parlano. Si guardano sottecchi…<br />

________________________


* hai fermato il fiume in piena, in 361.11/12.<br />

Gesù rompe il silenzio riprendendo il tono di salmo interrotto dallo scriba: «“E il Signore* disse a<br />

Giosuè: ‘Prendi dodici uomini, uno per tribù, e fa’ loro prendere di mezzo al letto del Giordano,<br />

dove si sono fermati i piedi dei sacerdoti, dodici durissime pietre che erigerete nel luogo degli<br />

accampamenti, dove pianterete le tende questa notte’. E Giosuè, chiamati a se dodici uomini scelti<br />

fra i figli d’Israele, uno per tribù, disse loro: ‘Andate davanti all’arca del Signore <strong>Dio</strong> vostro in<br />

mezzo al Giordano e togliete di là sulle vostre spalle una pietra per ciascuno, secondo il numero dei<br />

figli d’Israele, per farne un monumento fra voi. E quando in futuro i vostri figli vi chiederanno,<br />

dicendo: che significano queste pietre?, risponderete loro: le acque del Giordano sparirono davanti<br />

all’arca dell’alleanza del Signore che le traversava, e queste pietre furono poste come eterno<br />

monumento dei figli d’Israele’ “».<br />

Alza il capo che teneva dimesso. Gira lo sguardo sui dodici che lo guardano. Dice con altra voce, la<br />

sua dei momenti di maggior mestizia: «E l’Arca fu nel fiume. E non le acque ma i cieli si apersero<br />

per rispetto al Verbo, che in esse stava a santificarle più che sante non fossero per l’Arca ferma nel<br />

letto del fiume. E il Verbo si è scelto dodici pietre. Durissime. Perché devono essere durature sino<br />

alla fine del mondo. E perché devono essere fondamenta al Tempio nuovo e alla Gerusalemme<br />

eterna. Dodici. Ricordatevelo. Questo deve essere il numero. E poi altre dodici le scelse a seconda<br />

testimonianza. I primi discepoli pastori e Abele lebbroso e Samuele storpio, i primi guariti... e<br />

riconoscenti… Durissime anche perché dovranno resistere ai colpi di Israele che odia <strong>Dio</strong>!… Che<br />

odia <strong>Dio</strong>!…». Che voce straziata, affievolita, quasi bianca ha Gesù mentre piange sulla durezza di<br />

Israele.<br />

Riprende: «Nel fiume i secoli e l’uomo sparpagliarono le pietre ricordo… Sulla terra l’odio<br />

sparpaglierà i miei dodici. Sulle sponde del fiume i secoli e gli uomini hanno distrutto l’altare<br />

ricordo… Le prime e le seconde pietre, servite a tutti gli usi per astio dei demoni che non sono solo<br />

nell’inferno ma anche dentro agli uomini, non si riconoscono più. Talune servirono anche per<br />

uccidere. E chi mi dice che nelle selci alzate contro Me non ci fossero schegge delle pietre<br />

durissime scelte da Giosuè? Durissime! Nemiche! Oh! durissime! Anche fra i miei vi saranno i<br />

dispersi che faranno da marciapiede ai demoni marcianti su Me… e selce si faranno per colpirmi... e<br />

non saranno più le pietre scelte… ma i satana… Oh! Giacomo, fratello mio! Durissimo è Israele col<br />

suo Signore!»; e, cosa mai vista, Gesù, sopraffatto da non so quale imponente sconforto, si piega<br />

sulla spalla di Giacomo di Alfeo e lo abbraccia piangendo...<br />

___________________<br />

* “E il Signore…” è citazione da Giosuè 4, 1-7, come annota MV su una copia dattiloscritta.<br />

388. Esortazione a Giuda Iscariota che andrà a Betania con Simone Zelote.<br />

19 febbraio 1946.<br />

1 Devono aver proseguito nella notte lunare, sostato in qualche caverna per delle ore e ripreso il<br />

cammino all’alba. E sono visibilmente stanchi per il cammino difficile su rocce sminuzzate, fra<br />

arbusti spinosi e liane che strisciano impigliando i piedi. Guida la marcia Simone Zelote, che pare<br />

molto pratico del luogo e che si scusa del difficile cammino, come se la difficoltà di esso dipendesse<br />

da lui.<br />

«Ora, quando saremo di nuovo sui monti che vedete, andremo meglio e vi prometto miele selvatico<br />

in abbondanza e acque pure in abbondanza…».<br />

«Acque? Mi ci butto dentro! La sabbia mi ha roso i piedi come avessero camminato sul sale, e la


pelle mi brucia tutta. 2 Che luoghi maledetti! Oh! si sente, sì, si sente che siamo vicini ai luoghi<br />

puniti col fuoco del Cielo! C’è rimasto nel vento, nella terra, nelle spine. In tutto!» esclama Pietro.<br />

«Eppure qui c’era bello un tempo, non è vero, Maestro?».<br />

«Bellissimo. Nei primi secoli del mondo un piccolo Eden erano questi luoghi. Fertilissimo il suolo,<br />

ricco di sorgenti atte a tanti usi. Ma ordinate a non dare che del bene. Poi… il disordine degli<br />

uomini parve prendere gli elementi. E fu la rovina. I saggi del mondo pagano spiegano in molti<br />

modi il castigo terribile. In modi di uomo, però, talora con superstizioso terrore. Ma, credete, fu solo<br />

il volere di <strong>Dio</strong>* che levò l’ordine dagli elementi; e quelli del cielo chiamarono quelli del profondo,<br />

si scossero, si avventarono l’un contro l’altro per una ridda malefica, le folgori incendiarono il<br />

bitume che le vene aperte del suolo avevano sparso disordinatamente, e fuoco dalle viscere della<br />

terra e fuoco sulla terra, e fuoco dal cielo ad alimentare quello terrestre e ad aprire, con le spade dei<br />

fulmini, nuove ferite nella terra tremante nella convulsione spaventosa, bruciò, distrusse, corrose<br />

stadi e stadi di un luogo che era prima un paradiso, facendone l’inferno che vedete e nel quale non<br />

può essere vita».<br />

Gli apostoli ascoltano attentamente...<br />

Bartolomeo chiede: «Tu credi che, se si potesse prosciugare il velo delle acque spesse, in fondo al<br />

mar Grande troveremmo resti delle città punite?».<br />

«Certamente. E quasi intatte, perché lo spessore delle acque fa da calcina alle città sepolte. Ma<br />

molta sabbia ha sparso su esse il Giordano. E sepolte due volte sono, perché non risorgano più,<br />

simbolo di coloro che, ostinati nella colpa, sono inesorabilmente sepolti dalla maledizione di <strong>Dio</strong> e<br />

dalla prepotenza di Satana, che con tanta ansia hanno servito nella loro vita».<br />

«E qui si rifugiò Matatia** di Giovanni di Simeone, il giusto asmoneo che è gloria, coi figli, di tutto<br />

Israele?».<br />

_______________________<br />

* il volere di <strong>Dio</strong> nella distruzione di Sodoma e Gomorra risulta dal passo di Genesi 19, 23-25,<br />

richiamato da MV su una copia dattiloscritta.<br />

** E qui si rifugiò Matatia…, come è detto nel passo di 1 Maccabei 2, 28, richiamato da MV su<br />

una copia dattiloscritta e al cui contesto si riferiscono le allusioni che seguono.<br />

«Qui. Fra monti e deserti, e qui riordinò popolo e esercito, e <strong>Dio</strong> fu con lui».<br />

«Però, almeno… A lui fu più facile, perché gli Assidei furono più giusti che non i farisei con Te!».<br />

«Oh! essere più giusti dei farisei è pur facile! Più facile ancora che pungere per questo spino che mi<br />

si è attaccato alle gambe… Guardate qui!» dice Pietro che, nell’ascoltare, non ha guardato per terra<br />

ed è stato avvolto in un groviglio spinoso che lo fa sanguinare nei polpacci.<br />

«Sui monti ce ne sono di meno. Vedi come diminuiscono già?» conforta Simone Zelote.<br />

«Uhm! Sei molto pratico…».<br />

«Ci sono vissuto proscritto e perseguitato…».<br />

«Ah! Allora!…».<br />

3 Infatti i monticelli si fanno verdi di un verde meno tormentoso, benché siano poco ombrosi e con<br />

erbette poco alte ma in compenso odorosissime e sparse di fiori come un tappeto di colori. Api e api<br />

vi si satollano, e poi vanno alle caverne di cui i fianchi montuosi sono dotati e là, sotto pendule<br />

tendine di edere e caprifogli, depositano il miele in alveari naturali.<br />

Simone Zelote va ad una caverna e ne esce con favi di miele d’oro, e a un’altra, e a un’altra ancora<br />

finché ne ha per tutti, e offre al Maestro e agli amici che mangiano volentieri il dolce e filante miele.<br />

«Se ci fosse del pane! Come è buono!» dice Tommaso.<br />

«Oh! anche senza è buono! Meglio delle spighe filistee. E… si spera che nessun fariseo venga a<br />

dirci che non se ne può mangiare!» dice Giacomo di Zebedeo.<br />

Vanno mangiando così e raggiungono una cisterna in cui si riversano le acque di alcuni ruscelli,<br />

convogliate poi non so dove. L’acqua che supera esce dal bacino ed è fresca, cristallina, essendo<br />

protetta, dal sole e dall’inquinamento, dalla volta del roccione in cui è scavata la cisterna, e cadendo<br />

fa come un laghetto minuscolo nella roccia siliceo-nerastra. Con palese piacere gli apostoli si<br />

spogliano e a turno si immergono nella vasca inaspettata. Ma prima hanno voluto che ne godesse


Gesù, «per essere poi santificati nelle membra» dice Matteo.<br />

Riprendono la marcia, ristorati, sebbene più affamati di prima, e i più affamati, oltre a mangiare il<br />

miele, rosicchiano steli di finocchio selvatico e altri virgulti mangerecci di cui non so il nome.<br />

La vista è bella dai pianori di questi bizzarri monti, che sembrano avere avuto la vetta decapitata da<br />

un colpo di spada. Squarci d’altri monti verdi e di pianure fertili si vedono al sud, e anche qualche<br />

sfondo sul mar Morto, che invece è visibile a oriente, coi monti lontani dell’altra sponda, sfumanti<br />

in una nebbia di nuvole leggere, sorgenti da sud est; al nord, quando si mostra fra creste di monti, si<br />

vede il verde lontano della pianura giordanica, a ovest i monti alti della Giudea.<br />

<strong>Il</strong> sole comincia a scottare e Pietro sentenzia che «quelle nubi sui monti di Moab sono segno di<br />

calore forte».<br />

«Ora scenderemo nella valle del Cedron. È ombrosa…» dice Simone.<br />

«<strong>Il</strong> Cedron!? Oh, come si è fatto a venire così presto al Cedron?».<br />

«Sì, Simone di Giona. È stata via aspra, ma come ha abbreviato il percorso! Andando per la sua<br />

valle presto si giunge a Gerusalemme» spiega lo Zelote.<br />

«E a Betania... 4 <strong>Io</strong> dovrei mandare alcuni di voi a Betania, per dire alle sorelle di condurre Egla da<br />

Niche. Me ne ha tanto pregato. Ed è giusta preghiera. La vedova senza figli avrà essa pure un santo<br />

amore, e la fanciulla senza genitori una madre veramente israelita, che la crescerà nella fede nostra<br />

antica e nella mia. Vorrei venire <strong>Io</strong> pure… Un riposo di pace per lo spirito amareggiato… Nella casa<br />

di Lazzaro il cuore del Cristo non trova che amore… Ma lungo è il viaggio che voglio compiere<br />

avanti la Pentecoste!».<br />

«Manda me, Signore. E con me qualcuno di gamba buona. Andremo a Betania e poi io risalirò a<br />

Keriot e là ci incontreremo» dice l’Iscariota entusiasta. Gli altri, invece, in attesa di essere scelti per<br />

quel viaggio che li separerebbe dal Maestro, non sono per niente entusiasti.<br />

Gesù pensa. E nel pensare guarda Giuda. È incerto se acconsentire.<br />

Giuda incalza: «Sì, Maestro! Di’ di sì. Fammi contento!…».<br />

«Sei il meno adatto di tutti, o Giuda, ad andare a Gerusalemme!».<br />

«Perché, Signore? La conosco più di ogni altro!».<br />

«È ben per questo!… Essa non solo ti è nota, ma penetra in te più che in ogni altro» .<br />

«Maestro, ti do la mia parola che non mi fermerò a Gerusalemme e non vedrò nessuno d’Israele, per<br />

mia volontà… Ma lasciami andare. Ti precederò a Keriot e…».<br />

«E non farai pressioni per darmi onori umani?».<br />

«No, Maestro. Lo prometto».<br />

Gesù pensa ancora.<br />

«Perché, Maestro, titubi tanto? Così forte diffidi di me?».<br />

«Tu sei un debole, Giuda. E come ti allontani dalla Forza, cadi! Sei così buono da qualche tempo!<br />

Perché vuoi turbarti e darmi dolore?».<br />

«Ma no, Maestro, che non voglio queste cose! Dovrò bene un giorno essere senza di Te! E allora?<br />

Come farò, se non mi sarò preparato?».<br />

«Giuda ha ragione» dicono in diversi.<br />

«E va bene!… Vai. Vai con Giacomo mio fratello».<br />

Gli altri respirano di sollievo. Giacomo sospira di pena, ma docilmente dice: «Sì, Signor mio.<br />

Benedicici e partiremo».<br />

Simone Zelote ha pietà della sua pena e dice: «Maestro, i padri si sostituiscono volentieri ai figli per<br />

dare loro una gioia. Costui io l’ho preso per figlio* insieme a Giuda. <strong>Il</strong> tempo è passato, ma il mio<br />

pensiero è sempre lo stesso. Accogli la mia preghiera… Manda me con Giuda di Simone. Sono<br />

vecchio, ma resistente come un giovane, e Giuda non avrà a lamentarsi di me».<br />

___________________________<br />

* Costui io l’ho preso per figlio, in 100.8.<br />

«No, non è giusto che tu ti sacrifichi allontanandoti dal Maestro in mia vece. Certo ti è dolore non<br />

andare con Lui…» dice Giacomo d’Alfeo.<br />

«<strong>Il</strong> dolore si tempera nella gioia di lasciare te col Maestro. Mi racconterai poi ciò che faceste…


D’altronde… io vado volentieri a Betania...» termina lo Zelote quasi per sminuire il valore della sua<br />

offerta.<br />

«Va bene. Andrete voi due. 5 Intanto proseguiamo sino a quel paesello. Chi sale a cercarvi pane in<br />

nome di <strong>Dio</strong>?».<br />

«<strong>Io</strong>! <strong>Io</strong>!». Vogliono andare tutti.<br />

Ma Gesù trattiene Giuda di Keriot. Quando tutti si sono allontanati, Gesù gli prende le mani e gli<br />

parla proprio viso a viso. Sembra voglia trasfondergli il suo pensiero, suggestionarlo sino al punto<br />

che Giuda non possa avere altri pensieri che non siano quelli che Gesù vuole. «Giuda... Non ti fare<br />

del male! Non ti fare del male, Giuda mio! Non ti senti più calmo e felice da qualche tempo, libero<br />

dalle piovre del tuo io peggiore, di quell’io umano che è cosi facile zimbello di Satana e del mondo?<br />

Sì, che ti senti così! Orbene, preserva la tua pace, il tuo benessere. Non nuocerti, Giuda. <strong>Io</strong> leggo in<br />

te. Sei in un momento così buono! Oh! potessi, potessi, a costo di tutto il mio Sangue, mantenerti<br />

così, distruggere anche l’ultimo<br />

baluardo in cui si annida un grande nemico per te, e farti tutto spirito, intelletto di spirito, amore di<br />

spirito, spirito, spirito!».<br />

Giuda, petto a petto, viso a viso con Gesù, le mani nelle mani, è quasi sbalordito. Mormora:<br />

«Nuocermi? Ultimo baluardo? Quale mai...».<br />

«Quale?! Tu lo sai. Lo sai con che ti nuoci! Col tuo coltivare pensieri di grandezza umana e<br />

amicizie che supponi utili a darti questa grandezza. Non ti ama Israele, credilo. Ti odia come odia<br />

Me e come odia chiunque può avere aspetto di trionfatore probabile. E tu, proprio perché non celi il<br />

tuo pensiero di voler essere tale, sei odiato. Non credere alle loro bugiarde parole, non alle loro false<br />

domande, fatte con la scusa di interessarsi al tuo pensiero per aiutarti. Ti circuiscono per nuocere,<br />

per sapere e nuocere. E non ti prego per Me. Ma per te, per te solo. <strong>Io</strong>, se sono fatto segno a<br />

nequizia, sarò sempre il Signore. Potranno torturare la carne, ucciderla. Non più di così. Ma tu, ma<br />

tu! A te l’anima ucciderebbero… Fuggi la tentazione, amico mio! Dimmi che la fuggirai! Da’ al tuo<br />

povero Maestro perseguitato, affannato, questa parola di pace!».<br />

Lo ha preso fra le braccia, ora, e gli parla gota a gota presso l’orecchio, e i capelli d’oro cupo di<br />

Gesù si mescolano ai pesanti ricci bruni di Giuda.<br />

«<strong>Io</strong> lo so che devo patire e morire. So che la mia corona sarà solo quella del martire. So che la mia<br />

porpora sarà solo quella del mio Sangue. Per questo sono venuto. Perché per questo martirio <strong>Io</strong><br />

redimerò l’Umanità, e amore mi sprona da un tempo senza limiti a questa azione. Ma vorrei che<br />

nessuno dei miei si perdesse. Oh! tutti cari gli uomini, perché in essi è l’immagine e somiglianza del<br />

Padre mio, è l’anima immortale che Egli ha creato. Ma voi, voi diletti e prediletti, voi sangue del<br />

mio sangue, pupilla del mio occhio, no, no, perduti no! Oh! che non ci sarà tortura pari a questa -<br />

fosse pure Satana che infiggesse in Me le sue armi ardenti di zolfi infernali e mi mordesse, mi<br />

avvinghiasse, lui, il Peccato, l’Orrore, il Ribrezzo - non ci sarà tortura pari a questa, per Me, di un<br />

mio eletto che si perde… Giuda, Giuda, Giuda mio! Ma vuoi che chieda al Padre di patire tre volte<br />

la mia Passione orrenda, e di queste tre, due siano per salvare te solo? Dimmelo, amico, e <strong>Io</strong> lo farò.<br />

<strong>Io</strong> dirò di moltiplicare all’infinito le mie sofferenze per questo. Ti amo, Giuda, tanto ti amo. E<br />

vorrei, vorrei darti Me stesso, farti Me stesso, per salvarti da te stesso…».<br />

«Non piangere, non dire così, Maestro. <strong>Io</strong> anche ti amo. <strong>Io</strong> pure darei me stesso per vederti forte,<br />

rispettato, temuto, trionfante. Non ti amerò con perfezione. Non penserò con perfezione. Ma tutto<br />

ciò che sono lo uso, e forse ne abuso, per ansia di vederti amato. Ma ti giuro, su Jeovè ti giuro, che<br />

non avvicinerò né scribi, né farisei, né sadducei, né giudei, né sacerdoti. Diranno che sono pazzo.<br />

Ma non importa. Mi basta che Tu non abbia affanno per me. Sei contento? Un bacio, Maestro, un<br />

bacio per tua benedizione, per tua protezione».<br />

6 Si baciano e si separano, mentre gli altri tornano di corsa giù dal colle agitando delle larghe focacce<br />

e delle formaggelle fresche. Si siedono sull’erba verde delle rive e spartiscono il cibo raccontando<br />

che ebbero buona accoglienza, perché nelle poche case vi è gente che conosce i pastori-discepoli ed<br />

è propizia al Messia.<br />

«Non abbiamo detto che c’eri, perché se no…» termina Tommaso.<br />

«Cercheremo di passare di qui qualche volta. Non bisogna trascurare alcuno» risponde Gesù.


<strong>Il</strong> pasto ha termine. Gesù si alza e benedice i due che vanno a Betania e che non attendono la sera<br />

per riprendere il cammino, dato che la valle è ombrosa e fresca d’acque. Gesù e i dieci che restano<br />

si sdraiano invece sull’erba e riposano, in attesa del tramonto per tornare verso la strada di Engaddi<br />

e Masada, come sento dire dai rimasti.<br />

389. Arrivo ad Engaddi con dieci apostoli.<br />

20 febbraio 1946.<br />

1 I pellegrini, per quanto siano stanchi da una lunga marcia, fatta forse in due tappe dal tramonto a<br />

questa aurora, su sentieri non certo facili, non possono trattenersi dall’avere una esclamazione di<br />

ammirazione quando, superato l’ultimo pezzo di strada su una costa che si accende di diamanti al<br />

primo sole del mattino, si trovano aperto davanti il panorama completo del mar Morto nelle sue due<br />

sponde.*<br />

_______________________<br />

* nelle sue due sponde. Segue, sul manoscritto originale, lo schizzo di MV, con al centro il mar<br />

Morto, sulla cui sponda occidentale è Engaddi in un quadratino rosso; e sempre ad ovest è il<br />

deserto (scritto due volte).<br />

Mentre quella occidentale lascia un piccolo spazio pianeggiante fra il mar Morto e la linea dei<br />

monticelli che, poco alti come sono, paiono l’ultima onda delle catene di monti della Giudea - onda<br />

spintasi avanti, sul lido desolato, e rimasta là, bella di vegetazione, dopo aver messo il deserto nudo<br />

fra sé e la più prossima catena giudea - la riva orientale ha invece i monti che scoscendono quasi a<br />

picco nel bacino del mar Morto. Si ha proprio l’impressione che il terreno, in una spaventosa<br />

catastrofe tellurica, sia franato così, a taglio netto, lasciando delle crepe verticali al lago dalle quali<br />

scendono torrenti più o meno ricchi d’acque, destinate a evaporarsi in sale nelle acque cupe,<br />

maledette, del mar Morto. Dietro, oltre il lago e la prima cornice di monti, altri e altri monti, belli<br />

nel sole mattutino. A nord l’imboccatura verd’azzurra del Giordano, a sud monti a far da cornice al<br />

lago.<br />

Uno spettacolo di grandezza solenne, triste, ammonitrice, in cui si fondono i vaghi aspetti dei monti<br />

e quello cupo del mar Morto che sembra ricordare, col suo aspetto, ciò che può il peccato e ciò che<br />

può l’ira del Signore. Perché è tremendo un così vasto specchio d’acqua senza una vela, una barca,<br />

un uccello, un animale, che lo solchi o sorvoli, o beva sulle sue sponde! E, a contrasto dell’aspetto<br />

punitivo del mare, i miracoli del sole sui monticelli e sulle dune, fin sulle sabbie del deserto, dove i<br />

cristalli del sale prendono l’aspetto di diaspri preziosi sparsi sulla rena, sui<br />

sassi, sugli steli rigidi delle piante desertiche, mutando tutto in bellezza per la spolveratura<br />

diamantifera che ricopre ogni cosa. E, ancor più miracoloso, il fertile aspetto di un pianoro alto un<br />

cento-centocinquanta metri sul mare, splendido di palmizi e di piante e vigne di ogni genere, sul<br />

quale scorrono acque azzurre e si estende una bella città circondata dalle lussureggianti campagne.<br />

Sembra, nel passare lo sguardo dal cupo aspetto del mare, da quello tormentato della riva orientale<br />

che mostra una mesta pace solo in una lingua di terra bassa e verde che si spinge a sud-est nel mare,<br />

da quello desolato del deserto di Giuda, da quello severo dei monti giudei, a questo, così dolce,<br />

ridente, fiorito, che si spezzi un sogno d’incubo febbrile e si muti in una soave visione di pace.<br />

2 «Quella è Engaddi, cantata dai poeti della nostra Patria. Ammirate come è bella la regione<br />

alimentata da acque di grazia frammezzo a tanta desolazione! Scendiamo a tuffarci nei suoi giardini,<br />

perché tutto è giardino qui, e il prato, e il bosco, e il vigneto. Questa è l’antica Asason Tamar, dal<br />

nome indicatore dei suoi belli palmizi, sotto cui più bello ancora era drizzare le capanne e coltivare<br />

la terra, amarsi, crescere i figli e i greggi al fruscio cantante del fogliame delle palme. Questa è<br />

l’oasi ridente, superstite fra le terre dell’eden punito da <strong>Dio</strong>, circondata, come perla in castone, dai<br />

sentieri praticabili solo alle caprette e ai caprioli, come è detto nei Re, nei quali sentieri si aprono


per i perseguitati, gli stanchi e i derelitti, caverne ospitali. Ricordate Davide, re nostro, e ricordate la<br />

sua bontà per Saul suo nemico.* Questa è Asasontamar, che è Engaddi, la fontana, la<br />

benedetta, la<br />

_______________________<br />

* la sua bontà per Saul suo nemico. Per questa citazione e per le altre che seguono MV annota, su<br />

una copia dattiloscritta, i rispettivi rinvii biblici: 1 Samuele 24, 1-23; 2 Cronache 20, 1-23; Cantico<br />

dei Cantici 1, 13 (meglio 1,14); Ezechiele 47, 10.<br />

bellezza, dalla quale mossero i nemici contro re Giosafat e i figli del popolo suo, che, sbigottiti,<br />

furono da Jaasiel, figlio di Zaccaria, confortati, parlando in lui lo Spirito di <strong>Dio</strong>. E grande vittoria<br />

ebbero, perché ebbero fede nel Signore e meritarono aiuto per la penitenza e la preghiera con le<br />

quali precedettero la battaglia. Questa è la cantata da Salomone come paragone alle bellezze della<br />

Bella fra le belle. Questa la nominata da Ezechiele come una delle alimentate dalle acque del<br />

Signore… Scendiamo! Andiamo a portare l’Acqua viva, che dal Cielo discende, alla gemma<br />

d’Israele».<br />

E inizia quasi a corsa la discesa per un sentiero rompicollo, tutto a svolte e a zig-zag nella roccia<br />

calcarea rossastra che, nei punti che più si accosta al mare, va proprio sul termine del monte che fa<br />

cornice ad esso. Un sentiero da dare il capogiro anche ai più destri montanari. Gli apostoli stentano<br />

a stargli dietro, e i più anziani sono assolutamente distanziati dal Maestro quando Questo si ferma<br />

alle prime palme e vigne del fertile pianoro cantante d’acque cristalline e di uccelli d’ogni specie.<br />

Pecore bianche pascolano sotto il frusciante tetto dei palmizi, delle mimose, delle piante da balsami,<br />

degli alberi di pistacchi e di altri che esalano aromi sottili o acuti che si fondono a quelli dei roseti,<br />

dello spigonardo in fiore, della cannella,<br />

cinnamomo, mirra, incenso, zafferano, gelsomini, gigli, mughetti, e del fior dell’aloe che qui è<br />

gigante, e dei garofani e benzoini che lacrimano insieme ad altre resine dai tagli incisi nei tronchi.<br />

Veramente questo è «l’orto chiuso, la fonte di giardino», e frutta e fiori, fragranze, bellezza sorgono<br />

da ogni parte! Ancora non avevo visto in Palestina* un luogo bello come questo, nella sua vastità e<br />

naturalezza. Comprendo ora molte pagine di poeti d’Oriente, quando cantano le bellezze delle oasi<br />

come quelle di paradisi spersi sulla terra.<br />

3 Gli apostoli, sudati, ma ammirati, si riuniscono al Maestro e insieme scendono per una strada ben<br />

tenuta verso la riva, che si raggiunge dopo aver superato successivi terrapieni tutti coltivati, dai<br />

quali, con cascatelle ridenti, scendono acque benefiche ad alimentare tutte le colture fino alla<br />

pianura che termina poi sul lido. E a mezza costa entrano nella città bianca, frusciante per i palmizi,<br />

odorosa di roseti e di mille fiori dei suoi giardini, e cercano alloggio, in nome di <strong>Dio</strong>, alle prime<br />

case. E le case, benigne come la natura, si aprono senza incertezze, mentre gli abitanti di esse<br />

chiedono chi è «il profeta che sembra re Salomone vestito di lino e raggiante bellezza»...<br />

Gesù, con Giovanni e Pietro, entra in una casetta dove è una vedova con un figlio. Gli altri si<br />

spargono qua e là, dopo la benedizione del Maestro e l’intesa di riunirsi al tramonto sulla piazza più<br />

grande.<br />

_____________________<br />

* Ancora non avevo visto in Palestina e il successivo Comprendo ora sono stati corretti da MV,<br />

sia sul manoscritto originale che sulla copia dattiloscritta, in Non c’è in Palestina e in Si<br />

comprende guardandolo.<br />

390. La fede di Abramo d’Engaddi e la parabola del seme di palma.<br />

21 febbraio 1946.<br />

1 Gesù, verso il tramonto, un tramonto di fuoco che arrossa le case bianchissime d’Engaddi e dà<br />

sfaccettature di madreperla nera al mar Morto, si avvia verso la piazza principale. E con Lui il<br />

giovane che lo ha ospitato e che lo guida per i meandri della città, veramente orientale nella sua<br />

architettura.<br />

A difesa del sole - che deve essere molto forte in questi luoghi così aperti di fronte alla lastra


pesante del mar Salato, dal quale mi fa l’impressione che debbano nei mesi estivi uscire soffi<br />

infocati, così isolati come sono in mezzo al deserto brullo su cui il sole deve battere spietato<br />

arroventando il terreno - gli abitanti di Engaddi hanno costruito strade strette, che paiono ancor più<br />

tali per le grondaie e i cornicioni delle case che sono molto sporgenti, di modo che alzando gli occhi<br />

si vede una strisciolina sola di cielo, di un azzurro violento, apparire lassù.<br />

Le case sono alte, quasi tutte a due piani, sormontate da una terrazza sulla quale, nonostante<br />

l’altezza, si sono arrampicate e distese le viti a fare ombra e a dare diletto di grappoli che devono, a<br />

maturazione compiuta sotto il sole sovrano,<br />

fra il riverbero delle muraglie e del suolo del terrazzo, essere dolci come zibibbo appassito. E le viti<br />

gareggiano, a dare ristoro agli uomini e ai numerosissimi uccelli che, dal passero al colombo,<br />

nidificano in Engaddi, con palme svettanti, nate per ogni dove, e con piante da frutto di un’opulenza<br />

magnifica, che si alzano nei cortili, nei giardini chiusi fra le case, e si affacciano sui chiassuoli, e<br />

traboccano giù dai muri bianchi con i loro rami già carichi di frutta che matura al sole giocondo, e<br />

superano gli archivolti numerosissimi che formano delle vere gallerie in certi posti, interrotte qua e<br />

là da esigenze architettoniche, e salgono verso il cielo azzurro, così unito, così pastoso nel colore da<br />

dare l’impressione che, se fosse possibile toccarlo, sarebbe come* toccare un velluto grave o un<br />

cuoio liscio, dipinti e tinti da un artefice sapiente con quella tinta perfetta, più carica di un turchese,<br />

meno carica di uno zaffiro, bellissima, indimenticabile.<br />

E acque... Quante fontane e fontanelle devono gorgogliare nei cortili e giardini delle case, fra il<br />

verde di mille piante! Passando per le viuzze ancora deserte, perché gli abitanti sono o ai lavori o<br />

nelle case, se ne sente il gocciare, il chioccolare, il frusciare, come tante note d’arpa tratte da<br />

un’arpista nascosta. E ad aumentarne il fascino, gli archivolti, gli angoli continui delle vie<br />

raccolgono quelle voci d’acque, le amplificano, le aumentano di numero per echi, ne fanno tutto un<br />

arpeggiare.<br />

E palme, palme, palme. Dove è una piazzetta, magari larga quanto una comune stanza, ecco i fusti<br />

snelli, altissimi, sfrecciare verso il cielo e avere appena un moto di oscillazione lassù, nel ciuffo<br />

delle foglie sonanti, stretto a pennello in cima al fusto, e l’ombra, che certo nel meriggio cade a<br />

perpendicolo sulla piazza minuscola<br />

______________________<br />

* sarebbe come, invece di dovrebbe dare l’impressione di, è correzione di MV su una copia<br />

dattiloscritta.<br />

e la copre tutta, ora si riflette bizzarramente sui muretti delle terrazze più alte.<br />

Però la città è pulita rispetto alle città palestinesi. Forse le case, così strette le une contro le altre, o<br />

l’avere tutte cortili e giardini coltivati, hanno contribuito ad insegnare agli abitanti a non gettare<br />

tutte le immondizie sulle vie, a raccogliere, anzi, queste e le lordure degli animali in appositi<br />

letamai per concimare gli alberi e le aiuole, oppure è un... molto raro caso di ordine. Le viette sono<br />

pulite, asciugate dal sole, e non si riscontrano quelle poco leggiadre esposizioni di verdure scartate,<br />

sandali rotti, cenci sudici, escrementi e simili, che si vedono nella stessa Gerusalemme, nelle vie<br />

appena appena un poco periferiche.<br />

2 Ecco il primo coltivatore che torna dal lavoro cavalcando un ciuchino grigio. A difesa dalle mosche<br />

l’uomo ha messo un’intera gualdrappa di rami di gelsomino al suo asinello, che se ne va<br />

trotterellando e scuotendo le orecchie e i sonagli in mezzo all’ondulante e profumata cortina di<br />

rami. L’uomo guarda e saluta. <strong>Il</strong> giovane dice: «Vieni alla piazza grande. Sentirai il Rabbi che è da<br />

me».<br />

Ecco una mandra di pecorelle che invade la via, incanalandosi in essa da una piazzetta oltre la quale<br />

si vede uno sfondo di campagna. Vanno incastrate una all’altra, mettendo gli zoccoletti dove l’altra<br />

li mette, tutte a testa china, come se le<br />

teste fossero troppo pesanti per il collo sottile rispetto al corpo obeso, trotterellando col loro passo<br />

strano e i loro corpi grassi che paiono fagotti appoggiati su quattro stecchi… Gesù, Giovanni e<br />

Pietro imitano l’uomo che è con loro e si addossano al muro caldo di una casa per lasciarle passare.<br />

Un uomo e un fanciullo seguono la mandra. Guardano e salutano. <strong>Il</strong> giovane dice: «Mettete le<br />

pecore nel chiuso e venite nella piazza grande, con i parenti. Fra noi è il Rabbi di Galilea. Ci parla».


Ecco la prima donna che esce, attorniata da una nidiata di figli, per andare chissà dove. <strong>Il</strong> giovane<br />

dice: «Vieni con Giovanni e i figli a udire il Rabbi che chiamano Messia».<br />

Le case si aprono poco a poco nella sera che viene e lasciano intravvedere sfondi verdi di giardini, o<br />

quieti cortili nei quali i colombi fanno l’ultimo pasto. <strong>Il</strong> giovane mette dentro la testa in ognuna<br />

delle porte aperte e grida: «Venite a sentire il Rabbi, il Signore».<br />

3 Sbucano infine in una via diritta, l’unica diritta in questa città che non si è costruita come avrebbe<br />

voluto, ma come hanno voluto le palme o i potenti alberi da pistacchi, certo centenari e rispettati<br />

come notabili dai cittadini, che devono ad essi di non morire d’insolazione. Ecco in fondo una<br />

piazza in cui fanno da colonne i fusti di numerosi palmizi. Sembra una di quelle sale ipostili dei<br />

templi e delle regge antichissime, fatte di un vasto ambiente empito di colonne messe a distanze<br />

regolari a fare una foresta di pietra sorreggente il soffitto. Qui le palme fanno da colonne e, fitte<br />

come sono, formano, con le foglie che si baciano, un soffitto di smeraldo alla piazza bianca, in<br />

mezzo alla quale è una alta e quadrata fontana colma d’acque cristalline, che sgorgano da una<br />

colonnetta al centro del bacino e ricadono in vasche più basse, alle quali possono abbeverarsi gli<br />

animali. In questo momento i colombi, domestici, pacifici, l’hanno presa d’assalto e bevono o<br />

minuettano con le zampette rosa sul bordo più alto, oppure si spruzzano le piume, che brillano<br />

aumentando il loro cangiante per le gocce d’acqua sospese per un momento alle barbe delle penne.<br />

Vi è gente. E vi sono gli otto apostoli che erano andati qua e là in cerca d’alloggio, e ognuno ha<br />

racimolato i suoi fedeli, desiderosi di sentire Colui che l’apostolo ha indicato come il Messia<br />

promesso. Gli apostoli si affrettano ad accorrere da ogni parte verso il Maestro e come tante comete<br />

si trascinano dietro i gruppetti delle loro conquiste.<br />

4 Gesù alza la mano a benedire i discepoli e quelli di Engaddi.<br />

Giuda d’Alfeo parla per tutti: «Ecco, Maestro e Signore. Abbiamo fatto ciò che ci hai detto e<br />

costoro sanno che oggi la Grazia di <strong>Dio</strong> è fra di loro. Ma essi vogliono anche la Parola. Molti ti<br />

conoscono per sentito dire. Alcuni per averti incontrato a Gerusalemme. Tutti, le donne in specie,<br />

desiderano conoscerti, e con essi, primo fra tutti, il sinagogo. Eccolo. Vieni avanti, Abramo».<br />

L’uomo, molto, molto vecchio, viene avanti. È commosso. Vorrebbe dire, dire, e nell’emozione non<br />

trova più una parola di quelle che si era preparate. Si curva per inginocchiarsi, appoggiandosi al suo<br />

bastone, ma Gesù glielo impedisce e lo abbraccia per il primo, dicendo: «Pace al vecchio e giusto<br />

servo di <strong>Dio</strong>!»; e l’altro, sempre più commosso, non sa che rispondere: «Lode a <strong>Dio</strong>! I miei occhi<br />

hanno visto il Promesso! E che più devo io chiedere a <strong>Dio</strong>?», e alzando le braccia, con posa ieratica,<br />

intona il salmo di Davide* (34°): “Ho aspettato ansiosamente il Signore ed Egli a me si è rivolto”.<br />

Ma non lo dice tutto. Lo dice nei punti più adatti all’evento:<br />

«“Ha ascoltato il mio grido e mi ha tratto dall’abisso della miseria e dal fango del pantano...<br />

Mi ha messo in bocca un cantico nuovo.<br />

Beato l’uomo che ha posto la sua speranza nel Signore.<br />

Molte cose meravigliose hai fatte, o Signore mio <strong>Dio</strong>, ne c’è chi ti eguagli nei tuoi disegni. Vorrei<br />

enunziarli, parlarne, ma la loro moltitudine sorpassa ogni numero.<br />

Non hai voluto sacrifizio, né oblazione, ma mi hai aperto le orecchie... (si commuove sempre più).<br />

È detto che devo fare la tua volontà… La tua legge mi sta in mezzo al cuore.<br />

Ho annunziato la tua giustizia alla grande assemblea. Ecco, io non ho tenuto chiuse le labbra, Tu lo<br />

sai, o Signore.<br />

Non ho tenuto nascosta dietro di me la tua giustizia, ho proclamato la tua verità e la salvezza che da<br />

Te viene…<br />

Ma Tu, o Signore, non allontanare da me la tua compassione…<br />

Disgrazie senza numero (e piange proprio del tutto, dicendo le parole con voce ancor più vecchia e<br />

tremula per il pianto) mi sono venute addosso…<br />

<strong>Io</strong> son mendico e bisognoso, ma il Signore ha cura di me. Tu sei il mio aiuto, il mio protettore, o<br />

mio <strong>Dio</strong>, non tardare!…”.<br />

______________________<br />

* il salmo di Davide, che viene in parte riportato, non è il 34° ma è i1 40° (39° nella volgata).<br />

Questo è il salmo, mio Signore, e aggiungo di mio: dimmi “Vieni” ed io ti dirò ciò che il salmo


dice: “Ecco, io vengo!”».<br />

E tace, piangendo, con tutta la fede raccolta negli occhi offuscati dagli anni.<br />

5 La gente spiega: «Gli è morta la figlia lasciandogli dei piccoli nipoti. La moglie gli è divenuta<br />

cieca ed ebete per i molti dolori, e dell’unico maschio non se ne sa nulla. È scomparso così,<br />

dall’oggi al domani…».<br />

Gesù posa la mano sulla spalla del vecchio e gli dice: «Le sofferenze dei giusti hanno la rapidità di<br />

una rondine rispetto alla durata del premio eterno. Ma renderemo alla tua Sarai i suoi occhi di un<br />

tempo e la mente dei suoi vent’anni, perché conforti la tua vecchiaia».<br />

«Si chiama Colomba» avverte uno del popolo…<br />

«Per lui è la sua principessa*. Ma ora udite la parabola che vi propongo…».<br />

«Non libererai prima dalle tenebre gli occhi e la mente della moglie mia perché possa ella pure<br />

gustare la Sapienza?» chiede ansioso il vecchio sinagogo.<br />

«Puoi credere che <strong>Dio</strong> può tutto e che da uno all’altro mondo scorre il suo potere?».<br />

«Sì, o Signore. 6 <strong>Io</strong> ricordo una sera di molti anni fa. Allora ero felice, ma credente anche nella gioia.<br />

Perché così è! L’uomo, finché è felice, può anche dimenticarsi di <strong>Dio</strong>. <strong>Io</strong> credevo in <strong>Dio</strong> anche in<br />

quel tempo di gioia, in cui giovane e sana era la moglie e mi cresceva Elisa, giovinetta bella come<br />

una palma, già promessa sposa, e Eliseo l’uguagliava in bellezza e superava in fortezza come ad<br />

uomo si conviene… Ero andato col fanciullo alle fonti presso le vigne che sono dote di Colomba,<br />

lasciando la moglie e la figlia ai telai su cui si tesseva il corredo nuziale... Ma forse ti annoio? <strong>Il</strong><br />

misero sogna la passata gioia ricordando… ma agli altri non interessa…».<br />

«Parla, parla!».<br />

«Ero andato col fanciullo... Le fonti… Se sei venuto dalla via d’occidente sai dove sono… Le fonti<br />

erano al limite del luogo benedetto, e guardando si vedeva, oltre, il deserto, e la via biancheggiante<br />

per le pietre romane, allora ancora ben visibili nelle sabbie di Giuda... Dopo… finito anche quel<br />

segno! E nulla è che un segno si sperda nelle arene! Male è che si sia disfatto il segno di <strong>Dio</strong>,<br />

mandato a indicarti, negli spiriti d’Israele. In troppi spiriti!<br />

<strong>Il</strong> mio maschio disse: “Padre! Guarda! Una grande carovana, e cavalli, e cammelli, e servi e signori<br />

alla volta d’Engaddi. Forse vengono alle fonti prima che la sera cali...”. Alzai gli occhi dai tralci che<br />

curavo, stanchi dopo l’abbondante vendemmia, e vidi… Gli uomini venivano proprio alle fonti. E<br />

scesero e mi videro e chiesero se potevano accamparsi in quel luogo per una notte.<br />

“Engaddi ha case ospitali, e vicina è” risposi.<br />

“No. Vegliamo per essere pronti a fuggire, perché ci ricerca Erode. Le guardie da qui vedranno ogni<br />

via, e facile sarà fuggire a chi ci ricerca”.<br />

_______________________<br />

* principessa è il significato del nome Sarai (o Sara).<br />

“Quale peccato avete commesso?” chiesi stupito e pronto ad indicare le caverne dei nostri monti,<br />

come è sacro nostro costume verso i perseguitati. E aggiunsi: “Stranieri siete e di luoghi diversi…<br />

<strong>Io</strong> non so come possiate aver peccato contro Erode…”.<br />

“Abbiamo adorato il Messia che è nato a Betlem di Giuda e al quale ci ha guidati la stella del<br />

Signore. Erode lo cerca, e perciò ci cerca perché noi si indichi dove si trova. E lo cerca per dargli<br />

morte. Noi forse morte avremo, nei deserti, per lunga e ignota via, ma non denunceremo il Santo<br />

sceso dai Cieli!”.<br />

<strong>Il</strong> Messia! <strong>Il</strong> sogno di ogni vero israelita! <strong>Il</strong> mio sogno! Ed era al mondo! Ed era a Betlemme di<br />

Giuda secondo il predetto!... Chiesi, tenendomi sul cuore il mio<br />

fanciullo, notizie e notizie, dicendo: “Ascolta, Eliseo! Ricorda! Tu certo lo vedrai!”. <strong>Io</strong> avevo già<br />

cinquant’anni e più non speravo vederlo… né speravo campare tanto da vederlo uomo… Eliseo…<br />

non lo può più adorare...».<br />

<strong>Il</strong> vecchio piange di nuovo. Ma si riprende. Dice: «I tre sapienti parlarono con dolcezza paziente e ti<br />

hanno descritto nella tua santità infante, e la Madre, e il padre… Avrei fatto la notte con loro… Ma<br />

Eliseo mi si addormiva in seno. Salutai i tre sapienti dando promessa di tacere per non permettere*<br />

possibili delazioni a loro danno. Ma a Colomba, nella stanza nuziale, narrai tutto, e questo fu il sole


nelle nostre successive sventure. Poi si seppe l’eccidio… e per anni ho ignorato se Tu eri salvo. Ora<br />

lo so. Ma io soltanto, perché Elisa è morta, Eliseo non c’è, e Colomba non può intendere la notizia<br />

felice… Ma la fede nel potere di <strong>Dio</strong>, già viva, si fece perfetta da quella sera lontana in cui tre<br />

uomini, di razza diversa, testimoniarono la potenza di <strong>Dio</strong> col loro essere uniti, per voce d’astri e<br />

d’anime, sulla via di <strong>Dio</strong>, per adorare il suo Verbo».<br />

«E premio avrà la tua fede. 7 Ora udite.<br />

Cosa è la fede? Pari ad un duro seme di palma è talora minuscola, formata di una breve frase: “<strong>Dio</strong><br />

c’è”, nutrita di una sola asserzione: “<strong>Io</strong> l’ho visto”. Così come fu quella di Abramo in Me per le<br />

parole dei tre saggi d’Oriente. Così come fu quella del nostro popolo, dai più lontani patriarchi,<br />

trasmessa l’un l’altro, da Adamo ai posteri, da Adamo, peccatore, ma che fu creduto quando disse:<br />

“<strong>Dio</strong> c’è, e noi ci siamo perché Egli ci ha creati. Ed io l’ho conosciuto”. Così come fu quella,<br />

sempre più perfetta perché sempre più rivelata, che venne in seguito, e ci è retaggio, fulgente di<br />

manifestazioni divine, di apparizioni angeliche, di luci dello Spirito. Sempre semi minuscoli rispetto<br />

all’Infinito. Minuscoli semi. Ma gettando radici, fendendo la scorza dura della animalità coi suoi<br />

dubbi e le sue tendenze, trionfando sulle erbe nocive delle passioni, dei peccati, sulle muffe degli<br />

avvilimenti, sui tarli dei vizi, su tutto, si alza nei cuori, cresce, si slancia al sole, al cielo, sale, sale…<br />

finché si libera dalla restrizione della carne e si fonde a <strong>Dio</strong>, nella sua conoscenza perfetta, nel<br />

completo possesso, oltre la vita e la morte, nella vera Vita.<br />

_____________________<br />

* permettere, invece di mettere, è correzione di MV su una copia dattiloscritta.<br />

Chi possiede la fede possiede la via della Vita. Chi sa credere non erra. Vede, riconosce, serve il<br />

Signore ed ha salvezza eterna. Per lui è vitale il Decalogo, e ogni ordine di esso è una gemma di cui<br />

si orna la sua futura corona. Per lui è salute la promessa del Redentore. Morto è già il credente da<br />

avanti che <strong>Io</strong> fossi sulla terra? Non importa. La sua fede lo eguaglia a quelli che ora mi avvicinano<br />

con amore e fede. I giusti trapassati presto giubileranno, perché la loro fede sta per avere il premio.<br />

<strong>Io</strong> andrò, dopo aver compiuto la volontà del Padre mio, e dirò: “Venite!”, e tutti coloro che sono<br />

morti nella fede saliranno con Me nel Regno del Signore.<br />

Imitate nella fede le palme delle vostre terre, nate da piccolo seme, ma così forti nel voler crescere,<br />

e nel crescere così diritte, dimentiche del suolo ma innamorate del sole, degli astri, del cielo.<br />

Abbiate fede in Me. Sappiate credere ciò che troppo pochi in Israele credono, ed <strong>Io</strong> vi prometto il<br />

possesso del Regno celeste, per il perdono della colpa d’origine e per la giusta ricompensa a tutti<br />

coloro che praticano la mia dottrina, che è la dolcissima perfezione del perfetto Decalogo di <strong>Dio</strong>.<br />

8 <strong>Io</strong> resterò fra voi oggi e domani, che è il sabato sacro, e partirò all’alba del giorno dopo il sabato.<br />

Chi è afflitto venga a Me! Chi è dubbioso venga a Me! Chi vuole la Vita venga a Me! Senza timore,<br />

perché <strong>Io</strong> sono la Misericordia e l’Amore».<br />

E Gesù fa un ampio gesto di benedizione per congedare i suoi ascoltatori onde possano andare al<br />

pasto serale e al riposo, e fa per avviarsi quando una vecchierella, fino allora nascosta dall’angolo di<br />

una vietta, fende la folla che ancora vuole stare col Maestro e, fra il gridio stupito della stessa folla,<br />

si va ad inginocchiare ai piedi di Gesù gridando: «Te benedetto! E l’Altissimo che ti manda! E le<br />

viscere che ti hanno generato, che più che di donna sono se hanno potuto portare Te!».<br />

Un grido d’uomo si fonde al suo: «Colomba! Colomba! Oh! Tu vedi! Tu intendi! Tu parli con<br />

sapienza riconoscendo il Signore! Oh! <strong>Dio</strong>! <strong>Dio</strong> dei miei padri! <strong>Dio</strong> di Abramo, Isacco e Giacobbe!<br />

<strong>Dio</strong> dei profeti! <strong>Dio</strong> di Giovanni, il profeta! <strong>Dio</strong>! <strong>Dio</strong> mio! Figlio del Padre! Re come il Padre!<br />

Salvatore in ubbidienza al Padre! <strong>Dio</strong> come il Padre, e <strong>Dio</strong> mio, <strong>Dio</strong> del tuo servo! Che Tu sia<br />

benedetto, amato, seguito, adorato in eterno!».<br />

E il vecchio sinagogo scivola in ginocchio di fianco alla sua vecchietta e, abbracciandola con il<br />

braccio sinistro, stringendosela al cuore, si curva e la fa curvare per baciare i piedi del Salvatore,<br />

mentre un gridio di gioia di tutta la gente fa vibrare i tronchi, tanto è vivo, e spaurire i colombi che,<br />

già posati ai loro nidi, si rialzano a volo, rotando su Engaddi come a spargere a tutti i luoghi della<br />

città buona la novella che il Salvatore è fra le sue mura.


391. Guarigione del lebbroso Eliseo d’Engaddi.<br />

22 febbraio 1946.<br />

1 Devono, forse per consiglio degli stessi abitanti di Engaddi, avere anticipato la partenza, perché è<br />

assolutamente notte e la luna, che si avvia al plenilunio, illumina di una luce vivissima la città. Le<br />

stradette sono nastri d’argento fra i cubi delle case e le muraglie dei giardini, che sembra mutino la<br />

calcina in marmo scultoreo per l’effetto del magico raggio lunare. Le palme e gli altri alberi<br />

prendono un fantomatico aspetto, avvolti nella fosforescenza della luna. Le fontane, i piccoli rivoli<br />

d’acque, sono cascatelle e collane di diamanti. E dai fogliami gli usignoli sfilano collane di note<br />

d’oro, unendo i loro prodigi alle voci delle acque, che nella notte sembrano sempre più nette nel<br />

loro suono.<br />

La città dorme. Ma qualcuno è con Gesù che parte. E sono gli uomini delle case dove erano ospitati<br />

Gesù e gli apostoli, e qualche altro abitante si è unito a questi. <strong>Il</strong> sinagogo cammina al fianco di<br />

Gesù. Oh! non vuole rinunciare ad accompagnarlo neppure quando Gesù lo prega di farlo, prima di<br />

inoltrarsi nella aperta campagna. E vanno, diretti alla via che conduce a Masada, non la strada<br />

bassa, quella che costeggia il mar Morto e che sento definire malsana e pericolosa a farsi di notte,<br />

ma alla via dell’interno, tagliata nella costa, quasi sulla cresta dei colli che bordeggiano il lago.<br />

Splendida l’oasi nella notte lunare! Sembra di camminare in un paese di sogno. Poi l’oasi, la vera<br />

oasi, cessa, e diradano i palmizi. Ed è il monte vero e proprio, coi suoi alberi d’alto fusto, i suoi<br />

prati, i suoi fianchi spaccati da caverne come quasi tutti i monti palestinesi. Ma qui direi che<br />

spesseggiano, e le loro bocche strane, quali longitudinali e quali piatte, quali diritte e quali sbieche,<br />

quali rotonde e mezza costa, quali ridotte a fessura, hanno paurosi aspetti al chiaro di luna.<br />

2 «Abramo, la strada è più in basso. Perché torni a salire, allungando la via e prendendo questo<br />

sentiero impraticabile?» ammonisce uno di Engaddi.<br />

«Perché ho da mostrare al Messia una cosa e chiedergli di fare ancora una cosa da unirsi ai grandi<br />

benefici che ha fatto per noi. Ma se siete stanchi, tornate a casa o attendetemi qui. Andrò da solo»<br />

risponde il vecchio sinagogo, che arranca ansando sul sentiero difficile ed erto.<br />

«Oh! no! Veniamo con te. Ma ci fa pena la tua fatica. <strong>Il</strong> tuo cuore affanna...».<br />

«Oh! non è il sentiero!… È un’altra cosa! È una spada che mi si rigira nel cuore… è una speranza<br />

che lo gonfia. Venite, figli miei, e conoscerete quanto dolore, quanto dolore era nel cuore di quello<br />

che confortava ogni vostro dolore! Quanta… non disperazione, questo no, ma… ammissione che<br />

non c’era da illu-dersi d’avere mai più gioia, era in quello che sempre vi diceva di sperare nel<br />

Signore che tutto può… Vi ho insegnato a credere nel Messia… Vi ricordate come, quando potevo<br />

ormai farlo senza dargli danno, parlavo sicuro di Lui? Voi dicevate: “Ma la strage di Erode?”. Eh!<br />

sì! Una grande spina in cuore! Ma mi apprendevo con tutto me stesso alla speranza… Dicevo: “Se<br />

<strong>Dio</strong> a tre, neppur d’Israele, mandò la stella per invitarli ad adorare il Fanciullo Messia e li guidò con<br />

essa alla povera casa che ignoravano i rabbi d’Israele, i principi dei sacerdoti e gli scribi, se con un<br />

sogno li avvertì di non ripassare da Erode, per salvare il Fanciullo, non avrà, con ancor maggior<br />

potenza, avvisato il padre e la Madre di fuggire, portando in salvo la speranza di <strong>Dio</strong> e dell’uomo?”.<br />

E la fede nella sua salvezza cresceva, invano at-taccata dal dubbio umano e dalle parole di altri… 3 E<br />

quando… e quando il più grande dolore di un padre mi prese… quando dovetti condurre ad un<br />

sepolcro un vivente… e dirgli… e dirgli… “Sta’ qui finché durerà la tua vita… e pensa che, se amor<br />

di materne carezze o altro motivo ti spingesse verso le case, io dovrei maledirti, colpirti per il<br />

primo, e relegarti dove neppur più il mio desolato amore ti potrebbe dare soccorso”, quando dovetti<br />

far questo… ancor più mi abbrancai alla fede in <strong>Dio</strong>, Salvatore del suo Salvatore, e dire a me e al<br />

figlio mio... al figlio mio lebbroso… capite?, lebbroso… dire… “Chiniamo il capo alla volontà del<br />

Signore e crediamo nel suo Messia! <strong>Io</strong> Abramo… tu Isacco, immolato dal male, non dal fuoco,<br />

offriamo il dolore per avere il miracolo…”. E ogni mese, ad ogni neomenia… nel venire qui di<br />

nascosto, carico di cibarie... di vesti… di amore… che dovevo deporre lontano dalla mia creatura…<br />

perché dovevo tornare presso di voi… miei figli... e presso l’acciecata sposa, l’inebetita sposa, fatta<br />

cieca ed ebete dal tremendo dolore… tornare nella mia casa senza più figli... senza più pace di<br />

reciproco consapevole amore… nella mia sinagoga e parlarvi di <strong>Dio</strong>... delle sue grandezze… delle


sue bellezze sparse nel creato… e avevo negli occhi l’aspetto corroso del mio maschio… e neppure<br />

potevo difenderlo quando coglievo mormorazioni a suo carico, in cui era detto che era un ingrato, o<br />

un delinquente fuggito di casa..., e ogni mese, dicevo, nel fare questo pellegrinaggio di padre al<br />

sepolcro del figlio vivo, a lui, per sostenergli il cuore ripetevo: “C’è il Messia. Verrà. Ti guarirà…”.<br />

Lo scorso anno, alla Pasqua a Gerusalemme, mentre ti cercavo, nel breve tempo che stavo lontano<br />

dalla moglie cieca, mi fu detto: “C’è proprio. Era qui ieri. Ha guarito anche dei lebbrosi. Gira tutta<br />

la Palestina guarendo, consolando, ammaestrando”. Oh! tornai così lesto che parevo un giovane che<br />

vada alle nozze! Neppure ho sostato a Engaddi, ma sono venuto qui e ho chiamato il mio fanciullo,<br />

il mio maschio, il mio seme che muore, dicendogli: “Egli verrà!”. 4 Signore,… Tu hai fatto ogni<br />

bene nella città nostra. Parti non lasciando uno che sia malato ancora… Persino le piante e gli<br />

animali ci hai benedetto… E non vorrai… Mi hai già guarito la moglie... ma non avrai pietà del<br />

frutto delle sue viscere?… Un figlio alla madre! Rendi un figlio alla madre, Tu, il Figlio perfetto<br />

della Madre d’ogni grazia! In nome di tua Madre, abbi pietà di me, di noi!…».<br />

Piangono tutti insieme al vecchio che è stato potente e straziante nel suo dire…<br />

E Gesù lo raccoglie fra le braccia, mentre egli singhiozza, e gli dice: «Non piangere più! Andiamo<br />

dal tuo Eliseo. La tua fede, la tua giustizia, la tua speranza meritano questo e più ancora. Non<br />

piangere, o padre! E non tardiamo oltre a liberare dall’orrore una creatura».<br />

«La luna cala. Difficile è il sentiero. Non potremmo attendere l’aurora?» dicono alcuni.<br />

«No. Le piante da resina sono folte intorno a noi. Coglietene dei rami, accendeteli e andiamo»<br />

ordina Gesù.<br />

Salgono ancora per un sentiero stretto e penoso; sembra il letto disseccato di qualche acqua<br />

alluvionale. Le torce crepitano fumose e rossastre, mandando un grande odore di resine per l’aria.<br />

5 Una caverna stretta di apertura, quasi celata da macchioni ubertosi, nati presso i margini di una<br />

sorgente, si mostra al di là di uno stretto pianoro, spaccato in mezzo da un crepaccio in cui si riversa<br />

la sorgente.<br />

«Là è Eliseo, da anni… in attesa della morte o della grazia di <strong>Dio</strong>...» dice il vecchio sottovoce,<br />

indicando lo speco.<br />

«Chiama la tua creatura. Confortalo. Che non abbia paura, ma fede»…<br />

E Abramo chiama forte: «Eliseo! Eliseo! Figlio mio!», e ripete il grido, tremando di paura per il<br />

silenzio che solo gli risponde.<br />

«È morto forse?» dicono alcuni.<br />

«No! Morto, ora, no! Al termine della tortura! Senza una gioia, no! Oh! il mio maschio!» geme il<br />

padre…<br />

«Non piangere. Chiama ancora».<br />

«Eliseo! Eliseo! Perché non rispondi al…».<br />

«Padre! Padre mio! Come vieni fuori del tempo solito? Forse la madre è morta, e tu me lo vieni<br />

a...». La voce, prima lontana, si è avvicinata, e uno spettro sposta i rami che occultano la soglia, un<br />

orrendo spettro, uno scheletro, seminudo, corroso… il quale, vedendo tanta gente con fiaccole e<br />

bastoni, chissà cosa crede e arretra gridando: «Padre, perché mi hai tradito? <strong>Io</strong> non sono mai uscito<br />

di qui… Perché mi porti i lapidatori?!». La voce si allontana, mentre dell’apparizione non resta per<br />

ricordo che i rami che ondeggiano.<br />

«Confortalo! Digli che qui è il Salvatore!» incita Gesù.<br />

Ma l’uomo non ha più forza… Piange desolato…<br />

6 Gesù parla Lui: «Figlio di Abramo e del Padre dei Cieli, ascolta. Si compie ciò che il giusto tuo<br />

padre ti profetizzava. Qui è il Salvatore, e con Lui sono i tuoi amici d’Engaddi e gli apostoli del<br />

Messia, venuti a godere della tua risurrezione. Vieni senza paura! Vieni avanti fino al crepaccio, ed<br />

<strong>Io</strong> pure verrò, e ti toccherò, e sarai mondato. Vieni senza timore al Signore che ti ama!».<br />

I rami tornano a scostarsi e il lebbroso guarda fuori spaurito. Guarda Gesù, forma bianca che<br />

cammina sull’erba del pianoro e che si ferma ai limiti del crepaccio… Guarda gli altri... e specie il<br />

vecchio padre che, come affascinato, segue Gesù a braccia tese, con gli occhi fissi sul volto del<br />

figlio lebbroso. Viene avanti, rassicurato. Zoppica forte per le piaghe ai piedi... stende le braccia con<br />

le mani corrose… Viene di fronte a Gesù… Lo guarda… E Gesù protende le sue bellissime mani,


alza gli occhi al cielo, raccoglie, pare raccogliere in Sé tutta la luce delle infinite stelle e raggiarne<br />

lo splendore purissimo sulle carni impure, marciose, cadenti, che le fiaccole, agitate perché<br />

facciano più luce, fanno apparire ancor più tremende nella luce rossa dei rami accesi.<br />

Gesù si sporge sul crepaccio, tocca col sommo delle sue dita il sommo delle dita lebbrose e dice:<br />

«Voglio!», e lo dice con un sorriso di una bellezza non descrivibile. Ripete: «Voglio!» altre due<br />

volte. Prega e comanda con quella parola…<br />

Poi si stacca, si arretra di un passo aprendo le braccia a croce e dice: «E quando sarai purificato<br />

predica il Signore, perché a Lui appartieni. Ricorda che <strong>Dio</strong> ti ha amato perché fosti un buon<br />

israelita e un figlio buono. Abbi una sposa e dei figli e crescili al Signore. Ecco che è annullata<br />

l’amarissima amarezza tua. Benedicine Iddio e sii beato!».<br />

Poi si volge e dice: «Voi, delle torce! Venite avanti e vedete ciò che può il Signore per coloro che lo<br />

meritano». Abbassa le braccia che, così aperte e impaludate dal manto, facevano osta colo alla<br />

visione del lebbroso, e si scosta.<br />

7 <strong>Il</strong> primo grido è quello del vecchio, inginocchiato dietro a Gesù: «Figlio! Figlio! Figlio quale eri<br />

nei tuoi vent’anni! Bello come allora! Sano come allora! Bello, oh! bello più di allora!... Oh! una<br />

tavola, un ramo, qualcosa per venire da te!», e fa per lanciarsi.<br />

Ma Gesù lo trattiene: «No! La gioia non ti faccia violare la Legge. Prima deve purificarsi.<br />

Guardalo! Bacialo con gli occhi e il cuore, forte ora come lo fosti per tanti anni. E sii felice...».<br />

Infatti questo è un miracolo completo. Non è solo guarigione, ma restaurazione di ciò che il male<br />

aveva distrutto, e l’uomo, sui quarant’anni, è intatto come nulla mai avesse avuto; soltanto resta di<br />

una forte magrezza che gli dà un aspetto ascetico di una bellezza non comune e soprannaturale. Ed<br />

egli agita le braccia, si inginocchia, benedice… non sa che fare per dire a Gesù che lo ringrazia.<br />

Infine vede dei fiori fra l’erba, li coglie, li bacia e li getta oltre il crepaccio ai piedi del Salvatore.<br />

8 «Andiamo! Voi di Engaddi rimanete col vostro sinagogo. Noi proseguiamo verso Masada».<br />

«Ma non sapete… Non ci vedete…».<br />

«So, so la via. Tutto so! E le strade della terra e quelle dei cuori per le quali passano <strong>Dio</strong> e il<br />

Nemico di <strong>Dio</strong>, e vedo chi accoglie questo o Quello. State! State con la mia pace! D’altronde fa<br />

presto giorno e con rami accesi faremo luce fino all’alba. Abramo, vieni, che ti dia il bacio di addio.<br />

<strong>Il</strong> Signore sia sempre con te, come lo fu fino ad ora, e coi tuoi, e con la tua città buona».<br />

«Non tornerai più in essa, Signore? Per vedere la mia casa felice?».<br />

«No. La mia strada sta per giungere alla sua mèta. Ma in Cielo tu sarai con Me e i tuoi con te.<br />

Amatemi e crescete i piccoli nella fede del Cristo… Addio a tutti. Pace e benedizione a tutti i<br />

presenti e alle loro famiglie. Pace a te, Eliseo. Sii perfetto per riconoscenza al Signore. Venite voi,<br />

miei apostoli...».<br />

E si mette in testa del piccolo corteo che alza rami accesi e procede, e gira un masso sporgente e<br />

scompare con la sua veste bianca; poi scompaiono uno per uno gli apostoli, si allontana il loro<br />

scalpiccio, si dilegua il rossastro dei rami fiammeggianti...<br />

Restano sul pianoro padre e figlio, seduti sui margini del crepaccio, in contemplazione l’uno<br />

dell’altro... E dietro, in gruppo, con bisbigli ammirati, quelli di Engaddi... Attendono l’alba per<br />

tornare al paese con la notizia della prodigiosa guarigione.<br />

392. L’ostilità di Masada, città-fortezza.<br />

25 febbraio 1946.<br />

1 Stanno salendo per una salita da capre ad una città che pare un nido d’aquila su un picco alpino. E<br />

questo - che così faticosamente assalgono, venendo da occidente verso oriente, volgendo le spalle<br />

ad una catena continua di monti che fanno già parte del sistema montagnoso giudeo, e che, con una<br />

propaggine poderosa simile al contrafforte di una colossale muraglia, si protende verso il mar Morto<br />

nel suo lato occidentale estremo, ossia verso il termine sud del mare Morto - è proprio un picco alto,<br />

solitario, diruto, quale lo amano le aquile per i loro regali amori, disdegnosi di testimoni e di


comunanze.<br />

«Che strada, mio <strong>Dio</strong>!» geme Pietro.<br />

«Peggiore ancora a quella di Jiftael» conferma Matteo.<br />

«Però qui non piove, non c’è umido, non si scivola. È già qualche cosa...» osserva Giuda Taddeo.<br />

«Eh! sì! Questo conforto c’è... Ma non c’è che questo. Va’ pur là che te non ti pigliano i nemici! Se<br />

non ti scoscende un terremoto, tu, per opera d’uomo, non cadi!» dice Pietro parlando alla cittàfortezza,<br />

serrata nell’anello stretto delle sue difese, con le case pigiate, strette l’una all’altra come i<br />

semi di una melagrana nello scrigno della grossa buccia.<br />

«Lo credi, Pietro?» interroga Gesù.<br />

«Se lo credo? Lo vedo! Ed è di più!».<br />

Gesù crolla il capo e non ribatte nulla.<br />

«Forse era meglio venire dalla parte del mare. Se c’era Simone... lui è pratico di questi luoghi»<br />

sospira Bartolomeo, che non ne può più.<br />

«Quando saremo in città e vedrete l’altra via, mi ringrazierete di avere scelto questa. Di qui può a<br />

fatica salire un uomo. Sull’altra a fatica sale una capra» risponde Gesù.<br />

«Come lo sai? Te ne ha parlato qualcuno, o...?».<br />

«So. E d’altronde da questa parte sta la nuora di Anania. Voglio, per prima cosa, parlarle».<br />

«Maestro… non ci saranno pericoli lassù?… Perché... qui non si può uscire con sveltezza, e se ci<br />

inseguono... a casa non si torna più. Guarda che precipizi! E che pietre taglienti!...» dice Tommaso.<br />

«Non abbiate paura. Non troveremo un’Engaddi. Di Engaddi ce ne sono ben poche in Israele. Ma<br />

non ci accadrà del male».<br />

«È perché… Lo sai che è fortezza di Erode?…».<br />

«Ebbene? Ma non temere, Toma! Finché non è l’ora, nulla accade di veramente grave».<br />

2Vanno, vanno e giungono presso le mura arcigne che il sole è ormai alto. Ma l’altezza tempera il<br />

calore.<br />

Entrano in città passando sotto l’arco di una porta stretta, cupa. Le muraglie dei bastioni sono<br />

potenti, con spesse torri e strette aperture.<br />

«Che trappola da selvaggina!» dice Matteo.<br />

«<strong>Io</strong> penso a quei disgraziati che hanno portato qui i materiali, questi blocchi, questi lastroni di<br />

ferro…» dice Giacomo d’Alfeo.<br />

«Amor santo di patria e di indipendenza fece leggeri i pesi agli uomini di Gionata Maccabeo*.<br />

Amore malvagio di se stesso e terrore dell’ira del popolo impose il giogo pesante, non a sudditi ma<br />

a peggio che schiavi, per volere di Erode il Grande. E di sangue e lacrime battezzata, nel sangue e<br />

nelle lacrime perirà, quando sarà l’ora della punizione divina».<br />

«Maestro, ma che c’entrano gli abitanti?».<br />

«Nulla. E tutto. Perché quando i sudditi emulano i capi nelle colpe o nei meriti, dei capi hanno lo<br />

stesso premio o castigo. 3Ma ecco la casa, che è la terza della seconda strada e col pozzo davanti.<br />

Andiamo…».<br />

Gesù bussa alla porta chiusa di una casa alta e stretta. Apre un fanciullo.<br />

«Sei parente di Anania?».<br />

«Ne porto il nome perché è padre di mio padre».<br />

«Chiama tua madre. Dille che vengo dal paese dove è Anania e il sepolcro dello sposo estinto».<br />

<strong>Il</strong> fanciullo va e torna. «Ha detto che non le importa di sapere nulla del vecchio. Che puoi andare».<br />

Gesù fa il volto molto severo. «Non anderò altro che dopo averle parlato. Fanciullo, va’ e dille che<br />

Gesù di Nazaret, in cui credeva il marito suo, è qui e le vuole parlare. Dille che non tema. <strong>Il</strong> vecchio<br />

non c’è…».<br />

<strong>Il</strong> ragazzo torna ad andare. L’attesa è lunga. Della gente si è fermata ad osservare e qualcuno<br />

interroga i discepoli. Ma vi è un’atmosfera dura o indifferente o ironica… Gli apostoli cercano di<br />

essere cortesi, ma sono visibilmente impressionati. E finiscono d’esserlo quando sopraggiungono i<br />

notabili del paese e degli armigeri. Gli uni e gli altri con certi visi da… galera che non danno punto<br />

fiducia.<br />

Gesù, sulla soglia, addossato allo stipite, a braccia conserte, attende paziente, assorto.


___________________<br />

* ...agli uomini di Gionata Maccabeo, in 1 Maccabei 9, 62, come annota MV su una copia<br />

dattiloscritta.<br />

4 Finalmente ecco la donna. Alta, bruna, con l’occhio duro, il profilo tagliente. Non è brutta né<br />

vecchia, ma l’espressione la fa parere vecchia e brutta. «Che vuoi? Fa’ presto, che ho da fare» dice<br />

altezzosa.<br />

«Nulla voglio. Nulla. Rassicurati. Soltanto ti porto il perdono di Anania, il suo affetto, la sua<br />

preghiera…».<br />

«Non lo riprendo! Inutile pregare. Non voglio vecchi lamentosi. Tutto è finito fra noi. E, del resto,<br />

presto io vado a nuove nozze e non posso imporre in casa di un ricco il rozzo contadino che egli è.<br />

Ne ho avuto abbastanza del mio errore di avere accettato di sposare suo figlio! Ma allora ero una<br />

stolta fanciulla e guardai solo la bellezza dell’uomo. Sciagura a me! Sciagura a me! Sia maledetto il<br />

motivo che lo portò sui miei passi! Sia anatema anche il ricordo di…». Pare una macchina…<br />

«Basta! Rispetta i vivi e i morti che non meritavi di avere, donna arida più della selce. Sciagura a te!<br />

Sì! Sciagura! Perché in te non è amor di prossimo, e perciò Satana è in te. Ma trema, o donna!<br />

Trema che le lacrime del vecchio, che quelle dello sposo, che certo hai oppresso col tuo disamore,<br />

non divengano pioggia di fuoco su quanto ti è caro. Hai figli, o donna!…».<br />

«Figli! Magari non li avessi! Sarebbe spento anche l’ultimo legame! E del resto non voglio sentire<br />

nulla. Non voglio sentirti. Va’ via! Sono in casa mia, in casa di mio fratello. Non ti conosco. Non<br />

voglio ricordare il vecchio. Non…». Strilla come una gazza spennata viva. Una vera arpia…<br />

«Bada!» dice Gesù.<br />

«Mi minacci?».<br />

«Ti richiamo a <strong>Dio</strong>, alla sua Legge, per pietà della tua anima. Che figli vuoi educare con questi<br />

sentimenti? Non temi il giudizio di <strong>Dio</strong>?».<br />

«Oh! basta. Saul, va’ a chiamare mio fratello e digli che venga con Gionata. Ti farò vedere! Ti…».<br />

«Oh! no. Non occorre. La tua anima non sarà forzata da <strong>Dio</strong>. Addio». E Gesù se ne va, fendendo la<br />

gente.<br />

5 La strada è stretta, fra alte case. Ma la città, atta a difesa, ha il cuore della stessa difesa nella parte<br />

orientale, là dove tutto strapiomba per centinaia di metri e dove il nastro esile di un sentiero<br />

serpeggiante, di una ripidità veramente impressionante, sale dalla pianura, dalle rive del mare, alla<br />

cima del picco.<br />

Gesù va proprio là, dove è una piazzuola per le macchine di guerra, e inizia a parlare, ripetendo per<br />

una nuova volta il suo invito al Regno dei Cieli, del quale dà le linee schematiche.<br />

E sta per illustrarle quando, aprendosi un varco fra la piccola folla che è curiosa più che credente, si<br />

fanno avanti dei notabili che vociano fra di loro. Non appena sono di fronte a Gesù, intimano,<br />

confusamente perché parlano tutti insieme, concordi soltanto nel cacciare Gesù: «Va’ via! Qui<br />

bastiamo noi a educare i figli d’Israele»; «Via! Le nostre donne non hanno bisogno di essere<br />

rimproverate da Te, galileo!»; «Via, offensore! Come ti permetti di offendere la donna di un<br />

erodiano, in una delle città predilette dal grande Erode? Usurpatore, dalla nascita, dei suoi sovrani<br />

diritti! Via di qua!».<br />

Gesù li guarda, specie questi ultimi, e dice una sola parola: «Ipocriti!».<br />

«Via! Via!».<br />

Un vero tumulto di voci discordi, le quali, ognuna per suo conto, accusano, o difendono la loro<br />

casta. Non si capisce più nulla. Nella piazzetta stretta, delle donne strillano e svengono, dei bimbi<br />

piangono, degli armati cercano farsi largo uscendo dalla vera e propria fortezza, e per farsi largo<br />

fanno del male ai pigiati nella piazza che reagiscono imprecando a Erode e ai suoi soldati, al Messia<br />

e ai suoi seguaci. Un bel baccano! Gli apostoli, stretti intorno a Gesù, unici che lo difendano più o<br />

meno coraggiosamente, urlano a loro volta improperi salati, e ne hanno per tutti.<br />

Gesù li richiama dicendo: «Usciamo di qua. Gireremo dietro alla città e ce ne andremo…».<br />

«E per sempre, sai? E per sempre!» urla Pietro paonazzo d’ira.<br />

«Sì, per sempre…».


Sfilano uno dopo l’altro e l’ultimo, nonostante ogni pressione dei suoi, è Gesù. Le guardie, pur<br />

beffeggiando il «profeta beffato», come dicono facendo lazzi di ogni specie, hanno tanto buon senso<br />

da affrettarsi a chiudere il portello delle mura e addossarcisi contro, con le armi volte verso la<br />

piazza.<br />

6 Gesù cammina per un sentierino che costeggia le mura, un sentiero largo due palmi, sotto il quale è<br />

il vuoto, la morte. Gli apostoli lo seguono evitando di guardare l’abisso pauroso. Eccoli di nuovo<br />

presso la porta dalla quale sono entrati. Gesù, senza sostare, procede per la discesa. La città ha la<br />

porta chiusa anche da questo lato…<br />

A molti metri dalla città Gesù si arresta e pone la mano sulla spalla di Pietro, che dice asciugandosi<br />

il sudore: «L’abbiamo scampata bella! Maledetta città! E maledetta donna! Oh! povero Anania!<br />

Quella è peggio di mia suocera!… Che serpente!».<br />

«Sì. Ha il cuore freddo delle serpi… Simone di Giona, che ne dici? Nonostante tutte le difese, ti<br />

pare sicura questa città?».<br />

«No, Signore! Non ha <strong>Dio</strong> in sé. <strong>Io</strong> dico che avrà sorte comune con Sodoma e Gomorra».<br />

«Bene hai detto, Simone di Giona! Essa sta accumulando contro di sé le folgori dell’ira divina. E<br />

non tanto per avermi cacciato, quanto perché in essa il Decalogo è violato in tutti i suoi comandi.<br />

Andiamo ora. Una grotta ci accoglierà nella sua ombra fresca, in queste ore di sole. E al tramonto<br />

andremo verso Keriot, finché la luna lo permette…».<br />

«Maestro mio!» geme Giovanni in un improvviso scoppio di pianto.<br />

«Ma che hai?» chiedono tutti.<br />

Giovanni non si spiega. Piange con le mani sul volto, un poco curvo… Pare già lo straziato<br />

Giovanni della giornata di Passione…<br />

«Non piangere! Vieni qui... Abbiamo ancora ore dolci davanti a noi» dice Gesù attraendolo a Sé.<br />

Cosa che, se consola il cuore, fa anche aumentare il pianto.<br />

«Oh! Maestro! Maestro mio! Come farò?! Come farò?!».<br />

«Ma a che, fratello?», «A che, amico?», chiedono Giacomo e gli altri.<br />

Giovanni stenta a dire; poi, alzando il viso e gettando le braccia al collo di Gesù e obbligandolo a<br />

curvarsi sul suo viso straziato, grida, e risponde a Gesù invece che a quelli che l’hanno interrogato:<br />

«A vederti morire!».<br />

«<strong>Dio</strong> ti soccorrerà, fanciullo suo diletto! Non ti mancherà il suo aiuto. Non pianger più. Andiamo!<br />

Andiamo…», e Gesù cammina tenendo per mano l’acciecato dalle lacrime...<br />

393. Nella casa di campagna di Maria di Keriot.<br />

26 febbraio 1946.<br />

1 Giungono alla casa di campagna di Giuda in una fresca e splendida mattina. I pometi sono roridi di<br />

rugiada e l’erba ai loro piedi è un tappeto di fiori sui quali ronzano le api. La casa è già con le<br />

finestre spalancate. Colei che la dirige, la forte donna che tempera la sua padronanza con una<br />

grande bontà, sta impartendo ordini ai servi e ai contadini e distribuisce di sua mano il cibo prima di<br />

mandare ognuno al suo lavoro. Dall’ampia porta spalancata della vasta cucina la si vede passare e<br />

ripassare nella sua veste scura, parlando con questo e quello, facendo le parti a seconda dei bisogni<br />

del lavoratore. Una schiera di colombi attendono, sgrugolando davanti alla porta, di avere essi pure<br />

la loro parte.<br />

Gesù si avanza sorridendo ed è quasi sulla porta quando, con un sacchetto di granaglie in mano,<br />

Maria di Simone si affaccia dicendo: «E ora a voi, colombini. Ecco il primo pasto, poi andate felici,<br />

al sole, a lodare il Signore. Buoni, buoni! Ce ne è per tutti senza necessità di beccarvi…». E sparge<br />

il grano, gettandolo in ogni senso per impedire risse violente fra gli ingordi colombi. Non vede<br />

Gesù, perché sta a testa china, e si curva anche ad accarezzare dei volatili che le sbeccuzzano le dita<br />

dei piedi per vezzo d’amore. Maria ne prende uno fra le mani e se lo carezza. Poi lo posa e sospira.<br />

Gesù fa un passo avanti dicendo: «La pace a te, Maria, e alla tua casa!».


«<strong>Il</strong> Maestro!» esclama la donna, lasciando cadere il sacchetto che teneva sotto il braccio, e corre<br />

incontro a Gesù mettendo in fuga i colombi, che però si posano subito di nuovo al suolo 1avorando<br />

accaniti intorno alla cordicella del sacchetto, alla sua tela, per scioglierla, per diradarla e soddisfare<br />

la loro voracità. «O Signore! Che giorno santo e felice!», e fa per inginocchiarsi a baciare i piedi di<br />

Gesù.<br />

Ma Egli lo impedisce dicendo: «Le madri dei miei apostoli e le israelite sante non devono avvilirsi<br />

come schiave al mio cospetto. Mi hanno dato il loro spirito fedele e il loro figlio. <strong>Io</strong> do ad esse un<br />

amore di predilezione».<br />

La madre di Giuda, commossa, gli bacia allora le mani mormorando: «Grazie, Signore!».<br />

2 Poi alza il capo e guarda il gruppetto degli apostoli che si è arrestato alle ultime piante e, stupita di<br />

non vedere venirle incontro suo figlio, osserva meglio il gruppo. <strong>Il</strong> suo volto si fa pallido di<br />

sgomento. Ha quasi un grido per chiedere: «Mio figlio dove è?», e guarda con paura e con pena<br />

Gesù.<br />

«Non temere, Maria. <strong>Io</strong> l’ho mandato con Simone Zelote alla casa di Lazzaro per una missione. Se<br />

mi fossi potuto fermare Masada quanto avevo deciso, lo avrei trovato qui. Ma non ho potuto<br />

fermarmi. La città, ostile, mi ha scacciato. E <strong>Io</strong> sono venuto qui sollecitamente per trovare conforto<br />

presso una madre e per darle il conforto di sapere che suo figlio serve il Signore» dice Gesù,<br />

sottolineando le ultime parole per dare ad esse più ampio significato.<br />

Maria è come un fiore appassito che si ristora. Le torna il colore sulle guance, le torna la luce nello<br />

sguardo. Chiede: «Davvero, Signore? Egli è buono? Ti fa contento? Sì? Oh! gioia! Gioia del cuor<br />

della madre! Ho tanto pregato! Tanto! Ho fatto tante elemosine! Tante! E penitenze… tante… E che<br />

non farei per fare di mio figlio un santo? Grazie, Signore! Grazie di amarlo tanto. Perché è il tuo<br />

amore che lo salva, il mio Giuda…».<br />

«Sì. È il “nostro” amore che lo… sostiene…».<br />

«<strong>Il</strong> nostro amore! Come sei buono, Signore! Mettere il mio povero amore vicino, unito al tuo,<br />

divino!… Oh! quale parola mi hai detta! Quanta sicurezza! Quanto conforto e pace mi dài con essa!<br />

Finché era il mio povero amore, poco utile poteva averne Giuda. Ma Tu, col tuo perdono... perché<br />

Tu le sai le sue colpe, Tu col tuo infinito amore che sembra cresca più egli ne ha bisogno dopo una<br />

colpa, oh! Tu… Giuda mio vincerà se stesso, infine, per sempre. Non è vero, Maestro?». La donna<br />

lo guarda fisso coi suoi occhi seri e profondi, le mani congiunte in preghiera.<br />

Gesù… oh! Gesù, che non può dirle di sì e che non le vuole negare quest’ora di pace, di dispersione<br />

dei suoi timori, trova una parola che non è menzogna, che non è promessa, ma che la donna può<br />

accogliere con sollievo. Dice: «La sua buona volontà congiunta al nostro amore può fare dei veri<br />

miracoli, Maria. Abbi pace nel cuore pensando sempre che <strong>Dio</strong> ti ama. Molto. Ti comprende. Molto.<br />

E ti sarà amico sempre».<br />

Maria gli bacia di nuovo le mani per ringraziarlo. E poi dice: «Entra allora nella mia casa, in attesa<br />

di Giuda. Qui è amore e pace, benedetto Maestro».<br />

E Gesù, chiamati i suoi, entra nella casa a prendere ristoro e riposo.<br />

3 È la sera. La notte cala lentamente sulla campagna. I rumori cessano uno ad uno e non resta che il<br />

vento leggero fra le fronde a mettere una voce nel silenzio. Poi ecco il primo grillo nei campi di<br />

messi mature. Un altro,… un altro. E tutta la campagna frinisce nel canto monotono… finché un<br />

usignolo lancia il primo interrogativo canoro alle stelle... tace in ascolto e poi riprende. Tace di<br />

nuovo… Che attende?… Forse il primo raggio di luna?… Bisbiglia piano, si deve essere messo sul<br />

folto noce presso la casa, forse ci ha il nido. Sembra che parlotti con la compagna che forse è alla<br />

cova... Un belato insistente, poco lontano. Un rumore di sonagli sulla via che porta a Keriot. Poi<br />

silenzio.<br />

Gesù è seduto vicino a Maria sui sedili messi davanti alla casa. Riposa in serenità fra i suoi e la<br />

servitù della casa. L’ora è dolce, placida. I corpi e gli spiriti ne hanno sollievo. Gesù parla poco, a<br />

larghi intervalli*. Lascia che gli apostoli narrino di Engaddi, del vecchio sinagogo, del miracolo.<br />

Maria e i servi ascoltano attenti.<br />

Qualche cosa si muove fra i fusti dei meli. Ma se qui, nella piazzuola che è davanti alla casa, ancora


un poco ci si vede per le chiare stelle che gremiscono il cielo, là, sotto il folto fogliame, non c’è luce<br />

affatto, e solo il rumore di qualcosa che si muove giunge all’orecchio.<br />

«Qualche animale notturno? Qualche pecora dispersa?» si chiedono in diversi. E il ricordare una<br />

pecora riconduce al pensiero di molti la pecora che si lamenta perché le è stato levato l’agnello per<br />

ucciderlo.<br />

«Non si dà pace quella bestia!» dice il fattore. «Temo che si impietri il latte. Da stamane non<br />

mangia e bela, bela… Sentitela!...».<br />

«Le passerà… Figliano perché noi si mangi l’agnello» dice filosoficamente un servo.<br />

«Ma non tutte sono uguali. Questa è meno stolta e soffre di più. Senti? Non pare proprio un pianto?<br />

Non dirmi stolta, Maestro… Ne ho pena come fosse un pianto di donna che ha perduto suo<br />

figlio...».<br />

«Invece tu lo trovi, o madre, tuo figlio!» dice Giuda di Keriot apparendo alle loro spalle insieme a<br />

Simone e facendo sobbalzare tutti per la sorpresa. «Maestro! La tua benedizione al ritorno come ce<br />

la desti alla partenza».<br />

«Sì, Giuda», e Gesù abbraccia i due di ritorno.<br />

«La tua, mamma...». Anche Maria bacia e abbraccia suo figlio.<br />

4 «Non credevamo trovarti già qui, Maestro. Abbiamo camminato instancabili, quasi sempre per<br />

scorciatoie per evitare di essere trattenuti. Ma abbiamo incontrato dei discepoli e abbiamo avvisato<br />

Giovanna ed Elisa che presto ci vedranno» spiega Simone.<br />

«Sì. E Simone camminava come un giovane. Maestro, abbiamo fatto l’ambasciata. Lazzaro sta<br />

molto male. <strong>Il</strong> caldo lo fa soffrire più ancora. Si raccomanda di andare presto da lui… Maestro,<br />

meno che all’Antonia, per fare carità a Egla che prima di partire per Gerico voleva ringraziare<br />

Claudia, io non sono andato in nessun luogo. Non è vero, Simone?».<br />

«È vero. E all’Antonia siamo andati nell’ora di sesta, in una giornata d’afa che consigliava tutti a<br />

stare nelle case. Mentre Giuda parlava con Claudia, che Albula Domitilla aveva chiamata nel<br />

giardino, io ero interrogato dalle altre dame. Non credo di aver fatto male a spiegare come potevo<br />

ciò che volevano sapere».<br />

______________________<br />

* a larghi intervalli, invece di dentro per dentro, è correzione di MV su una copia dattiloscritta.<br />

«Hai fatto bene. È in loro vera volontà di conoscere la Verità».<br />

«E in Claudia è vera volontà di aiutarti. Ha congedato Egla che è andata a salutare Plautina e le<br />

altre, e mi ha fatto molte domande. Se bene ho compreso, ella vuole persuadere Ponzio a non<br />

credere alle calunnie farisee, sadducee e così via. Ponzio si fida fino ad un certo punto dei suoi<br />

centurioni, buoni per le battaglie ma poco buoni per le ambascerie. E molto si serve della moglie,<br />

che deve essere intelligente fino all’astuzia, per sapere le cose con sicurezza. In verità il Proconsole<br />

è Claudia. Lui deve essere una nullità che sta su perché lei è lei come potenza e come consigliera.<br />

Ci hanno voluto dare del denaro per i tuoi poveri. Eccolo».<br />

«Quando siete arrivati? Non parete stanchi e polverosi» chiede Giacomo di Zebedeo.<br />

«All’ora fra terza e sesta. Andammo a Keriot per vedere se là era mia madre e per avvisare del tuo<br />

arrivo. Ma sono stato come Tu vuoi, Maestro. Non mi sono lasciato tentare da desideri umani. Non<br />

è vero, Simone?».<br />

«È vero».<br />

«Hai fatto bene. Ubbidisci sempre e ti salverai».<br />

«Sì, Maestro. Oh! ora che so che Claudia è con noi, non ho più le mie stolte frette. Tutte amore,<br />

però. Ne devi convenire. Disordinato amore… Disordinato perché si sentiva senza protezione, senza<br />

aiuto per raggiungere il suo scopo, che è quello di farti amato, rispettato come meriti, come deve<br />

essere. Ora sono più calmo. Non temo più. E mi è dolce anche attendere…». Giuda sogna ad occhi<br />

aperti.<br />

«Non ti abbandonare ai sogni, Giuda. Sta’ nella verità. <strong>Io</strong> sono la Luce del mondo e la luce sarà<br />

sempre invisa alle tenebre...» ammonisce Gesù.<br />

La luna si è alzata. <strong>Il</strong> suo biancore bagna la campagna, fa pallidi i volti, inargenta case e piante. <strong>Il</strong><br />

noce ne è tutto fasciato ad oriente. L’usignolo raccoglie l’invito lunare e scioglie il canto, lungo,


melodioso, che teneva in serbo, per salutare la notte e la luna.<br />

394. Parabola delle due volontà e commiato dai cittadini di Keriot.<br />

27 febbraio 1946.<br />

1 Gesù parla nell’interno della sinagoga di Keriot che è stipata inverosimilmente. Sta rispondendo a<br />

questo e a quello, che lo interrogano per consigli intimi, in disparte. Poi, fattili tutti contenti, inizia a<br />

parlare a voce alta.<br />

«Genti di Keriot, udite la mia parabola di addio. Daremo ad essa il nome di: “Le due volontà”.<br />

Un padre perfetto aveva due figli. Amati ambedue di uguale sapiente amore. Indirizzati ambedue su<br />

vie buone. Nessuna differenza nel modo di amare e di dirigere. Eppure, sensibile differenza era nei<br />

due figli. Uno, il primogenito, era umile, ubbidiente, senza discutere faceva la volontà paterna,<br />

sempre ilare e contento del suo lavoro. L’altro, benché minore, era sovente malcontento e aveva<br />

discussioni col padre e col suo proprio io. Sempre meditava, e con molto umana meditazione, sui<br />

consigli e sugli ordini che riceveva. E in luogo di eseguirli così come venivano dati, si permetteva<br />

di modificarli in tutto o in parte, come se chi lo comandava fosse uno stolto. <strong>Il</strong> maggiore gli diceva:<br />

“Non fare così. Dài pena al padre!”. Ma egli rispondeva: “Sei uno stolto. Grande e grosso come sei,<br />

e primogenito per giunta, adulto ormai, oh! io non vorrei rimanermene al rango dove il padre ti ha<br />

messo. Ma vorrei fare di più. Impormi ai servi. Che capiscano che io sono il padrone. Sembri un<br />

servo tu pure, con la tua perpetua mansuetudine. Non vedi come in fondo passi inosservato con tutta<br />

la tua primogenitura? Qualcuno ti deride persino…”. <strong>Il</strong> secondogenito, tentato - più che tentato,<br />

allievo di Satana, di cui con attenzione metteva in pratica le insinuazioni - tentava il primogenito.<br />

Ma costui, fedele al Signore nel rispetto della Legge, si manteneva fedele anche verso il padre suo,<br />

che onorava con la sua condotta perfetta.<br />

Passarono gli anni e il secondogenito, seccato di non poter regnare come sognava, dopo avere<br />

pregato il padre più volte: “Da’ a me il comando di fare in tuo nome, per il tuo onore, in luogo di<br />

mantenerlo a quello stolto che è più mite di una pecorella”, dopo aver tentato di spingere il fratello a<br />

fare più che il padre non comandasse per imporsi sui servi, sui concittadini e confinanti, disse a se<br />

stesso: “Oh! basta! Qui ci va di mezzo anche il nostro buon nome! Posto che nessuno vuoI fare, farò<br />

io”. E si mise a fare cose di sua testa, abbandonandosi alla superbia e alla menzogna e disubbidendo<br />

senza scrupoli. <strong>Il</strong> padre gli diceva: “Figlio mio, sta’ sotto al primogenito. Egli sa ciò che fa”.<br />

Diceva: “Mi dicono che hai fatto questo. È vero?”. E il secondogenito diceva, scrollando le spalle,<br />

all’una e all’altra parola paterna: “Sa, sa! È troppo timido, titubante. Perde le occasioni di trionfo”.<br />

Diceva: “<strong>Io</strong> non l’ho fatto”. <strong>Il</strong> padre diceva: “Non andare in cerca di aiuti da questo e quello. Chi<br />

vuoi che ti aiuti meglio di noi a dare lustro al nome nostro? Sono falsi amici, che ti aizzano per<br />

ridere poi alle tue spalle”. E il secondogenito diceva: “Sei geloso che sia io quello che ho iniziativa?<br />

Del resto, io so di fare bene”.<br />

Passò ancora del tempo. Sempre più il primo cresceva in giustizia e l’altro nutriva le male passioni.<br />

Infine il padre disse: “È l’ora di finirla. O ti pieghi a ciò che è detto, o perdi il mio amore”. E il<br />

ribelle andò a dirlo ai falsi amici. “Te la prendi per questo? Ma no! C’è modo di porre il padre<br />

nell’impossibilità di preferire un figlio all’altro. Metticelo nelle nostre mani e noi ci penseremo. Tu<br />

sarai senza colpa materiale, e il possesso dei beni rifiorirà perché, levato di mezzo il troppo buono,<br />

tu potrai dargli gran lustro. Non sai che è meglio un atto forte, anche se dà dolore, all’inerzia che è<br />

danno del possesso?” risposero loro. E il secondogenito, ormai saturo di malavolontà, aderì<br />

all’indegno complotto.<br />

Ora ditemi. Si può forse incolpare il padre di avere dato due sistemi di educazione ai due figli? Si<br />

può dire che egli è complice? No. E come, allora, mentre un figlio è santo, l’altro è malvagio? La<br />

volontà dell’uomo è forse, in anticipo, data in due modi? No. Data è in un’unica maniera. Ma<br />

l’uomo a suo pro’ la muta; e chi è buono, buona fa la sua volontà; chi malvagio, malvagia.<br />

2 <strong>Io</strong> vi esorto, o voi di Keriot - e sarà l’ultima volta che vi esorto a seguire vie di sapienza - a seguire


unicamente la buona volontà. Quasi al termine del mio ministero, <strong>Io</strong> vi dico le parole cantate sul<br />

mio nascere: “Pace è per gli uomini di buona volontà”. Pace! Ossia riuscita, ossia vittoria in terra e<br />

in Cielo, perché <strong>Dio</strong> è con chi ha buona volontà di ubbidirlo. <strong>Dio</strong> non guarda tanto le opere<br />

altisonanti che l’uomo fa di sua iniziativa, quanto l’umile ubbidienza, pronta, fedele, alle opere che<br />

Egli propone.<br />

Vi ricordo due episodi* della storia d’Israele. Due dimostrazioni che <strong>Dio</strong> non è dove l’uomo vuole<br />

fare da sé, calpestando l’ordine ricevuto.<br />

Vediamo i Maccabei. È detto in essi che, mentre Giuda Maccabeo con Gionata andava a combattere<br />

in Galaad mentre Simone andava a liberare gli altri di Galilea, era stato ordinato a Giuseppe di<br />

Zaccaria e ad Azaria, capi del popolo, di rimanere in Giudea per difenderla. E Giuda disse loro:<br />

“Abbiate cura di questo popolo e non attaccate battaglia con le nazioni fino al nostro ritorno”. Ma<br />

Giuseppe e Azaria, sentendo le grandi vittorie dei Maccabei, vollero fare anche loro, dicendo:<br />

“Facciamoci anche noi un nome e andiamo a combattere contro le nazioni che ci stanno intorno”. E<br />

furono vinti e percossi e “grande fu la fuga del popolo, perché essi non avevano dato retta a Giuda e<br />

ai suoi fratelli credendo di agire da eroi”. La superbia e la disubbidienza.<br />

E che si legge nei Re? Si legge che Saul fu riprovato per una e una volta, e la seconda fu tanto<br />

riprovato per avere disubbidito da eleggere in suo luogo Davide. Per avere disubbidito! Ricordate!<br />

Ricordate! “Vuol forse il Signore degli olocausti o delle vittime, o non piuttosto che s’ubbidisca alla<br />

voce del Signore? L’ubbidienza vale più dei sacrifici, il dar retta più che l’offrire il grasso dei<br />

montoni; perché la ribellione è come un reato di magia, il non volere assoggettarsi è come un delitto<br />

d’idolatria. Ora, siccome tu hai rigettato la parola del Signore, il Signore ti ha rigettato per non farti<br />

essere più re”.<br />

Ricordate! Ricordate! Quando Samuele, ubbidiente, riempì il suo corno d’olio e andò da Isai<br />

Betlemita, perché là il Signore si era provveduto un altro re, entrato Isai coi figli al convito, dopo il<br />

sacrificio, vennero presentati a Samuele questi figli. Per primo Eliab, bello di volto, età e statura.<br />

Ma il Signore disse a Samuele: “Non badare al suo volto né all’altezza della sua statura, perché <strong>Io</strong><br />

l’ho scartato. <strong>Io</strong> non giudico secondo le vedute umane. Perché l’uomo mira le cose che vedono i<br />

suoi occhi, ma il Signore vede il cuore”. E Samuele non volle prendere per re Eliab. Gli fu<br />

presentato Abinadab. Ma Samuele disse: “<strong>Il</strong> Signore non ha eletto neppur questo”. E Isai gli<br />

presentò Samma. Ma Samuele disse: “Neppur questo è l’eletto del Signore”. E così per tutti i sette<br />

figli di Isai, presenti al convito. Ma Samuele disse: “Son tutti qui i tuoi figli?”. “No” rispose Isai.<br />

“Resta uno, fanciullo ancora, che pasce le pecore”. “Fallo venire, perché non ci metteremo a tavola<br />

altro che quando egli è arrivato”. E venne Davide, biondo e bello, un fanciullo. E il Signore<br />

_______________________<br />

* due episodi, in 1 Maccabei 5, 17-61 e in 1 Samuele 13, 1-14; 15; 16, 1-13, come annota MV su<br />

una copia dattiloscritta.<br />

disse: “Ungilo. È lui il re”. Perché, sappiatelo sempre, <strong>Dio</strong> sceglie chi vuole e leva a chi demerita<br />

avendo corrotta la sua volontà con superbie e disubbidienze.<br />

3 <strong>Io</strong> non tornerò più fra voi, dopo questa volta. <strong>Il</strong> Maestro sta per compiere il suo ministero. Dopo<br />

sarà più che Maestro. Preparate l’animo per quell’ora, perché ricordate che, come la mia nascita fu<br />

salute per coloro che ebbero buona volontà, altrettanto la mia assunzione sarà salute a quelli che<br />

saranno stati di buona volontà nel seguirmi come Maestro nella mia dottrina, e a quelli che mi<br />

seguiranno in essa dopo, anche dopo la mia assunzione.<br />

Addio, uomini, donne, fanciulli di Keriot! Addio! Guardiamoci bene negli occhi! Facciamo che i<br />

cuori, il mio e i vostri, si fondano in abbraccio d’amore e di commiato, e che l’amore resti, sempre<br />

vivo, anche quando <strong>Io</strong> non sarò più, mai più fra voi... Qui, la prima volta che venni, un giusto spirò*<br />

nel bacio del suo Salvatore, in una visione di gloria… Qui, nell’ultima volta che vengo, vi benedico<br />

con l’amore…<br />

Addio!... <strong>Il</strong> Signore vi dia fede, speranza e carità in misura perfetta. Vi dia amore, amore, amore.<br />

Per Lui, per Me, per i buoni, per gli infelici, per i colpevoli, per coloro che portano il peso di una<br />

colpa non loro…<br />

Ricordatevi. Siate buoni. Non siate ingiusti. Ricordate che <strong>Io</strong> ho sempre perdonato non solo ai


colpevoli ma ho avvolto di amore tutto Israele. Tutto Israele che è composto di buoni e di non<br />

buoni, così come in una famiglia ci sono i buoni e i non buoni, e ingiustizia sarebbe dire che tutta<br />

una famiglia è cattiva perché uno di essa lo è.<br />

4<strong>Io</strong> vado… Se ancora qualcuno di voi ha da parlarmi, venga entro sera alla casa di campagna di<br />

Maria di Simone».<br />

Gesù alza la mano e benedice, poi esce svelto dalla porticina secondaria, seguito dai suoi.<br />

La gente bisbiglia:<br />

«Non torna più!».<br />

«Che ha voluto dire?».<br />

«Aveva lacrime nell’addio...».<br />

«Avete sentito? Dice che sarà assunto».<br />

«Allora ha proprio ragione Giuda! Certo che dopo, come re, non sarà più fra noi come ora…».<br />

«Ma io ho parlato con i fratelli suoi. Essi dicono che non sarà re come noi pensiamo. Ma Re di<br />

redenzione, come dicono i profeti. Sarà il Messia, ecco!».<br />

«<strong>Il</strong> Re Messia, certo!».<br />

«Ma no! <strong>Il</strong> Re Redentore. L’uomo dei dolori».<br />

«Sì».<br />

«No»...<br />

Gesù intanto va lesto verso la campagna.<br />

________________<br />

* un giusto spirò…, in 78.8.<br />

395. Le due madri infelici di Keriot. Addio alla madre di Giuda.<br />

28 febbraio 1946.<br />

l «Signore, non verresti con me, con me sola, da una madre infelice? Questo è ciò che desidero più di<br />

ogni altra cosa» dice Maria di Simone, stando rispettosamente di fronte a Gesù mentre, dopo il<br />

pasto di mezzodì, gli apostoli si sono sparsi per il riposo prima di riprendere il cammino, a sera.<br />

Gesù, invece, è al rezzo dei meli gremiti di meline verdi che si avviano a maturare, e sembra che<br />

Maria riprenda un discorso fatto prima.<br />

«Sì, donna. <strong>Io</strong> pure ho desiderio di stare con te, soli in queste ultime ore come nelle prime che fui<br />

qui. Andiamo». E rientrano in casa per prendere Gesù il mantello, Maria il velo e il mantello.<br />

Vanno per delle vie fra i campi, fra pometi e altri alberi d’alto fusto. Fa ancora caldo. Dai campi dei<br />

grani maturi vengono aliti ardenti. Ma il vento della montagna tempera il calore che in pianura<br />

sarebbe insopportabile.<br />

«Mi spiace farti camminare in questo caldo. Ma dopo… non potremmo più. E ho tanto desiderato<br />

questa cosa, senza mai osare di chiedertela. Poco fa Tu mi hai detto: “Maria, per mostrarti che ti<br />

amo come tu mi fossi madre, ti dico: chiedimi ciò che desideri ed <strong>Io</strong> ti accontenterò”, e allora ho<br />

osato. 2 Signore, sai dove andiamo?».<br />

«No, donna».<br />

«Andiamo alla casa di quella che doveva essere la suocera di Giuda… (Maria sospira con dolore).<br />

Doveva... Non lo è né sarà mai, perché Giuda ha abbandonato la fanciulla che è morta di dolore... e<br />

la madre ha rancore con me e col figlio mio. Lo maledice sempre... Giuda è tanto… è tanto… tanto<br />

debole al Male, che di sole benedizioni ha bisogno!… <strong>Io</strong> vorrei che Tu le parlassi… Tu la puoi<br />

persuadere… dirle che è stata una grazia il non essere avvenute le nozze… dirle che io non ne ho<br />

colpa… dirle che muoia senza rancore; perché la donna muore lentamente, e con questo nodo<br />

nell’anima. lo vorrei che fra noi fosse pace… perché io ne ho sofferto, e con vergogna, di quanto è<br />

accaduto, e con dolore vedo spezzata un’amicizia con una che mi era compagna da quando io venni<br />

qui sposa. Insomma Tu sai, Signore…».<br />

«Sì, non avere affanno. Giusta è la tua richiesta, ed <strong>Io</strong> compirò l’incarico che è buono».<br />

Salgono, dopo aver superato una valletta, ad un’altra elevazione su cui è un paesello.<br />

«Anna sta qui da quando è successa la morte di sua figlia. Nei suoi poderi. Prima stava a Keriot.


Ma, finché ci viveva e ci si incontrava, i suoi rimproveri mi straziavano il cuore».<br />

3 Piegano per un sentiero poco prima del paese e giungono ad una casa bassa, fra i campi.<br />

«Ecco! Oh! mi trema il cuore ora che qui sono! Non mi vorrà vedere… mi caccerà… si inquieterà, e<br />

il suo povero cuore soffrirà più ancora… Maestro…».<br />

«Sì, vado <strong>Io</strong>. Tu resta finché ti chiamo. E prega per aiutarmi».<br />

E Gesù va avanti, da solo, fino alla porta spalancata della casa, dove entra salutando col suo dolce<br />

saluto.<br />

Accorre una donna: «Che vuoi? Chi sei?».<br />

«Vengo a dare sollievo alla tua padrona. Conducimi da lei».<br />

«Un medico? Non giova! Non c’è più speranza. <strong>Il</strong> suo cuore sta morendo».<br />

«C’è ancora l’anima da curare. Sono il Rabbi».<br />

«Non servi neppure come questo. Ella è inquieta con l’Eterno e non vuole sentire prediche. Lasciala<br />

stare».<br />

«È perché è in tale stato che sono venuto. Lasciami passare ed ella sarà meno infelice nei suoi<br />

ultimi giorni».<br />

La donna si stringe nelle spalle e dice: «Entra!».<br />

4 Un corridoio semibuio e fresco, delle porte. In fondo, l’ultima è socchiusa e ne escono lamenti. La<br />

donna va là ed entra dicendo: «Padrona mia, c’è un rabbi che ti vuole parlare».<br />

«Perché?… Per dirmi che sono maledetta? Che non avrò pace neppure nell’altra vita?» dice<br />

ansando, inquieta, la malata.<br />

«No. Per dirti che la tua pace sarà completa, sol che tu voglia, e beata sarai con la tua Joanna, in<br />

eterno» dice Gesù apparendo sulla soglia.<br />

La malata, gialla, gonfia, ansante sul lettuccio, appoggiata a molti guanciali, lo guarda e dice: «Oh!<br />

Che parole! È la prima volta che un rabbi non mi rimprovera… Che speranza!… La mia Joanna…<br />

con me… in beatitudine… non più il dolore… il dolore dato da un maledetto… non impedito da<br />

colei che lo ha generato… e che mi ha tradita… dopo avermi lusingata… Infelice figlia mia...».<br />

Ansa sempre più forte.<br />

«Lo vedi? La fai stare male. Lo sapevo. Vieni via».<br />

«No. Va’ via tu. Lasciami solo…».<br />

La donna esce crollando il capo.<br />

Gesù si avvicina al letto lentamente. Asciuga con bontà il sudore della malata, che stenta a farlo con<br />

le sue mani gonfie inverosimilmente, le fa vento con un ventaglio di palma. Le dà da bere, posto<br />

che lei cerca refrigerio nella bevanda che è su un tavolino. Sembra un figlio presso la madre<br />

inferma. E poi si siede, dolcemente ma fermamente deciso di compiere la sua missione.<br />

5 La donna lo osserva, mentre si calma, e con un sorriso sofferente dice: «Sei bello e sei buono. Chi<br />

sei, o rabbi? Hai la delicatezza della figlia mia diletta nel darmi conforto».<br />

«Sono Gesù di Nazaret!».<br />

«Tu?! Tu?!… Da me?… Perché?…».<br />

«Perché ti amo. Ho una madre anche io, e in ogni madre vedo la mia, e nelle lacrime delle madri<br />

vedo quelle della mia…».<br />

«Perché? Piange tua madre? Perché? Le è morto un altro figlio?».<br />

«Non ancora… Sono il suo unigenito e vivo ancora. Ma Ella piange già perché sa che <strong>Io</strong> devo<br />

morire».<br />

«Oh! Oh! Infelice! Sapere avanti che un figlio deve morire! Ma come lo sa? Sei sano. Sei forte. Sei<br />

buono. <strong>Io</strong> mi sono illusa fino a che m’è morta, ed era tanto malata!… Come può tua madre sapere<br />

che Tu devi morire?».<br />

«Perché <strong>Io</strong> sono il Figlio dell’uomo, predetto dai profeti. Sono l’Uomo dei dolori visto da Isaia, il<br />

Messia cantato da Davide e descritto nelle sue torture di Redentore. Sono il Salvatore, il Redentore,<br />

o donna. E la morte mi aspetta, orrenda… e mia Madre assisterà ad essa… e mia Madre sa, da<br />

quando nacqui, che il suo cuore sarà aperto come il mio dal dolore… Non piangere… Col mio<br />

morire aprirò le porte del Paradiso alla tua Joanna…».<br />

«Anche a me! Anche a me!».


«Sì. A suo tempo. Ma prima devi imparare ad amare e a perdonare. A tornare ad amare. Ad essere<br />

giusta. E a perdonare… Altrimenti non potrai andare in Cielo, con Joanna, con Me…».<br />

La donna piange con affanno. Geme: «Amare… Amare quando gli uomini ci hanno insegnato ad<br />

odiare… quando <strong>Dio</strong> ci ha disamato non usandoci pietà, è difficile… Come amare, quando gli<br />

uomini ci hanno torturato, e le amiche ferito, e <strong>Dio</strong> ci ha abbandonato?…».<br />

«No. Non abbandonato. <strong>Io</strong> sono qui. A dirti promesse celesti. Ad assicurarti che il tuo dolore finirà<br />

in gaudio sol che tu voglia. 6 Anna, ascoltami… Tu piangi per delle nozze annullate, le fai causa di<br />

ogni tuo dolore, accusi di assassinio un uomo per questo e di complice la sua madre infelice.<br />

Ascolta, Anna. Non passeranno che pochi mesi che tu vedrai che fu grazia del Cielo che Joanna non<br />

sia stata moglie di Giuda…».<br />

«Non lo nominare!» grida la donna.<br />

«Lo nomino. E per dirti che devi ringraziare il Signore, e lo ringrazierai fra pochi mesi…».<br />

«Sarò presto morta…».<br />

«No. Sarai viva e mi ricorderai, e comprenderai che ci sono dolori più grandi del tuo…».<br />

«Più grandi? Non è possibile!».<br />

«Dove metti quello della Madre mia che mi vedrà morire in croce?». Gesù si è alzato. È imponente.<br />

«E dove quello della madre del traditore di Gesù Cristo, del Figlio di <strong>Dio</strong>? Pensa, o donna, a quella<br />

madre…Tu… Tutta Keriot, e le campagne e oltre, ti hanno compianta nel tuo dolore! Di esso hai<br />

potuto gloriartene come di una corona di martire. Ma quella madre! Come Caino, senza essere<br />

Caino, ma essendo l’Abele - la vittima del figlio suo traditore, uccisore di <strong>Dio</strong>, sacrilego, maledetto<br />

- ella non potrà sopportare sguardo d’uomo, perché ogni sguardo sarà come una pietra di<br />

lapidazione, e in ogni voce d’uomo, in ogni parola, le parrà di sentire una maledizione, un<br />

improperio, e non troverà rifugio sulla terra, mai, fino alla morte, fino a quando <strong>Dio</strong>, che è giusto,<br />

non prenderà con Sé la martire, smemorandola di essere la madre dell’uccisore di <strong>Dio</strong> col darle il<br />

possesso di <strong>Dio</strong>… Non è più grande dolore, questo, di questa madre?».<br />

«Oh! immenso dolore!…».<br />

«Tu vedi… Sii buona, Anna. Riconosci che <strong>Dio</strong> fu buono nel suo agire…».<br />

«Ma mia figlia è morta! Giuda me l’ha fatta morire per cercare maggior dote… Sua madre lo ha<br />

approvato».<br />

«No. Questo no. <strong>Io</strong> te lo dico, <strong>Io</strong> che vedo nei cuori. Giuda - è mio apostolo, ma lo dico - ha agito<br />

male e ne avrà punizione. Ma la madre è innocente. Ti ama, vorrebbe che tu l’amassi… Anna, siete<br />

due madri infelici. Ma tu ti glori della tua fanciulla morta, innocente, pura, che il mondo celebra con<br />

onore… Maria di Simone non può gloriarsi di suo figlio. Le sue azioni sono biasimate dagli<br />

uomini».<br />

«Ciò è vero. Ma se avesse sposato Joanna non sarebbe biasimato».<br />

«Ma fra poco vedresti morire di dolore Joanna, perché Giuda perirà di morte violenta».<br />

«Che dici? Oh! infelice Maria! Quando? Dove?».<br />

«Presto. E in maniera orrenda… 7 Anna! Anna! Tu sei buona! Tu sei madre! Tu conosci cosa è il<br />

dolore di una madre! Anna, torna ad essere amica di Maria! <strong>Il</strong> dolore vi accomuni come doveva<br />

accomunarvi la gioia. Lasciami partire contento di sapere che ella avrà un’amica, una sola, una<br />

almeno…».<br />

«Signore… amarla… Vuol dire perdonarla… È molto penoso… Mi sembra di seppellire di nuovo<br />

mia figlia… Di ucciderla io pure…».<br />

«Pensieri che vengono dalle Tenebre! Non li ascoltare. Ascolta Me, Luce del mondo. La Luce ti<br />

dice che meno amara è stata la sorte di Joanna morendo vergine che morendo vedova di Giuda.<br />

Credimi, Anna. E pensa che, più di te, infelice è Maria di Simone…».<br />

La donna pensa, pensa, lotta, piange, dice: «Ma io l’ho maledetta, lei e il frutto delle sue viscere!<br />

Ho peccato…».<br />

«E <strong>Io</strong> te ne assolvo. E più l’amerai, più sarai assolta in Cielo».<br />

«Ma se le sarò amica… incontrerò Giuda. Non posso, Signore, fare questo!…».<br />

«Non lo incontrerai più. <strong>Io</strong> non tornerò mai più a Keriot e Giuda nemmeno. Abbiamo già salutato i<br />

cittadini…».


«Oh! hai detto…».<br />

«Che non tornerò più. Giuda ha detto che non potrà più venire fino a dopo la mia assunzione. Ma<br />

egli crede di vedermi salire su un trono. E invece mi attende la morte di croce. E crede di diventare<br />

un mio ministro. Invece lo attende la morte. Ma tu non dirai questo. Mai. Che la madre ignori<br />

finché tutto sarà compiuto. Tu lo hai detto: “Infelice! Sapere avanti che il figlio deve morire”. Ma se<br />

le sofferenze di mia Madre, anche per questo, vanno già ad aumentare i meriti del mio sacrificio,<br />

per Maria di Simone è pietoso il silenzio. Tu non parlerai».<br />

«No, Signore. Lo giuro in nome della mia Joanna».<br />

«Voglio un’altra promessa! Grande! Santa! Tu sei buona. Mi ami già…».<br />

«Sì. Tanto. Sono in pace da quando sei qui…».<br />

«Quando Maria di Simone non avrà più figlio e il mondo la coprirà di… scherno, tu, tu sola le<br />

aprirai casa e cuore. Me lo prometti? In nome di <strong>Dio</strong> e di Joanna. Ella lo avrebbe fatto, perché<br />

Maria era sempre per lei la madre del sempre amato» incalza Gesù.<br />

«…Sì!», e un pianto…<br />

«<strong>Dio</strong> ti benedica, o donna, e ti dia pace… e salute… 8 Vieni, andiamo incontro a Maria, a darle il<br />

bacio di pace…».<br />

«Ma… Signore… <strong>Io</strong> non posso camminare. Ho gonfie e immobili le gambe. Vedi? Sto qui, vestita,<br />

ma non sono che un tronco…».<br />

«Lo eri. Vieni!», e le porge la mano, invitante.<br />

La donna, cogli occhi fissi in quelli di Lui, sposta le gambe, le sporge dal lettuccio, posa a terra i<br />

piedi scalzi, si alza, cammina… Pare affascinata. Non si accorge neppure della guarigione<br />

avvenuta… Esce, sempre per mano a Gesù, nel corridoio semi scuro… Va verso l’uscita. Vi è quasi<br />

giunta quando incontra la servente di prima, che dà un grido di gioioso spavento… Accorrono altri<br />

servi, temendo sia segno di morte, i quali vedono che la padrona, dianzi morente e col rancore per<br />

Maria di Simone, ora va lesta, a braccia tese, avendo lasciato Gesù, verso la avvilita Maria, e la<br />

chiama, e l’accoglie sul cuore, piangendo ambedue…<br />

9 …E nel ritorno verso la sua casa, dopo il commiato di pace, Maria di Simone ringrazia il suo<br />

Signore e chiede: «Quando verrai a fare altro bene?».<br />

«Mai più, o donna. L’ho già detto ai cittadini. Ma il mio cuore sarà sempre con te. Ricorda, ricorda<br />

sempre che ti ho amata e che ti amo. Ricorda che <strong>Io</strong> so che sei buona, e che <strong>Dio</strong> ti ama per questo.<br />

Ricordalo sempre. Anche quando saranno ore tremende. Non ti prenda mai il pensiero che <strong>Dio</strong> ti<br />

giudichi come colpevole. Agli occhi suoi la tua anima appare e apparirà sempre ornata delle gemme<br />

delle tue virtù e delle perle del tuo soffrire. Maria di Simone, madre di Giuda, <strong>Io</strong> ti voglio benedire,<br />

lo ti voglio abbracciare e baciare perché il tuo bacio materno, sincero, fedele, mi compensi di ogni<br />

altro… perché il mio bacio ti compensi da ogni dolore. Vieni, madre di Giuda. E grazie, grazie per<br />

tutto quanto mi hai dato di amore e di onore», e la abbraccia e bacia sulla fronte, come fa con Maria<br />

d’Alfeo.<br />

«Ma ci vedremo ancora! Verrò alla Pasqua…».<br />

«No. Non venire. Te ne supplico. Vuoi farmi felice? Non venire. Le donne alla Pasqua prossima,<br />

no!».<br />

«Ma perché?…».<br />

«Perché… ci sarà una tremenda sommossa a Gerusalemme la prossima Pasqua. Non è luogo di<br />

donne! Anzi… Maria, <strong>Io</strong> ordinerò al tuo parente di raggiungerti. State insieme. Ne hai bisogno<br />

perché… Giuda d’ora in poi non potrà più aiutarti, né venire…».<br />

«Farò come Tu dici… Dunque mai più, mai più vedrò il tuo volto in cui è riflessa la pace del Cielo?<br />

Quanta pace hai riversato dai tuoi occhi nel mio cuore doloroso!…». Maria piange.<br />

«Non piangere. La vita è breve. Dopo mi vedrai per sempre nel mio Regno».<br />

«Allora Tu pensi che la tua umile serva vi entri?…».<br />

«Vedo già il tuo posto nella schiera delle martiri e delle corredentrici. Non temere, o Maria. <strong>Il</strong><br />

Signore sarà il tuo eterno compenso. Andiamo. La sera scende ed è ora di porsi in cammino…».<br />

E rifanno la strada fra i campi e i pometi, fino alla casa dove gli apostoli attendono.<br />

Gesù abbrevia gli addii, benedice, si pone alla testa dei suoi… Se ne va… Maria piange, in


ginocchio…<br />

396. A Jutta, con i bambini. La mano risanatrice di Gesù.<br />

7 febbraio 1944, ore 18.<br />

1 La mia gioia d’oggi.<br />

Vedo un luogo di montagna. Dove sia non lo so*. Vi è una gola di monti che entrano ed escono con<br />

le loro propaggini da una valle, nel cui letto scorre un fiumiciattolo torrentizio tutto a balzi e spume.<br />

È stretto, ma come tutti i corsi d’acqua montani è rapido, tutto cascatelle sonanti. Va in direzione<br />

sud rispetto a me. Altri monti più lontani sono oltre un altro scoscendere di costa, oltre un’altra<br />

valle.<br />

Comprendo d’essere in un gruppo di monti, non eccessivamente alti, ma già monti, non colline.<br />

Così come è il nostro Appennino in tanti luoghi, come per esempio nella valle della Magra o verso<br />

Porretta. La vegetazione è più atta alla pastorizia che ad altre colture. Vedo prati verdi digradare o<br />

salire su e giù per i greppi che, nell’ora che mi sembra volgente al tramonto, sembrano farsi, nelle<br />

parti più basse, d’un viola indaco. La stagione deve essere di un principio d’estate, perché l’erba è<br />

bella. Già alta ma non ancora arsa dal sole.<br />

Vedo, dal punto in cui mi trovo, una strada mulattiera salire verso un paese ed entrare fra le case<br />

dello stesso. Una caratteristica strada di montagna, ciottolosa e a dislivelli continui. Sale da sud a<br />

nord (sempre rispetto a me) di modo che io la vedo entrare in quella direzione nel paese e correre<br />

incontro al fiumiciattolo che va in direzione opposta, ma non nel paese: giù nella valle.<br />

Vi è anche un’altra stradetta che dalla valle si inerpica su questo sperone dove è annidato il paese.<br />

Una stradetta che è più un sentiero che una stradetta e che costeggia proprio il crinale del monte.<br />

Giù, oltre essa, la montagna degrada ripidamente con dei pascoli verdi fino al torrentello<br />

spumeggiante, oltre il quale sono altri pascoli che dànno l’assalto ad altri monti che si aggruppano<br />

ad est.<br />

2 Dal sentiero sale Gesù insieme ai discepoli. Non tutti. Vedo Pietro e Andrea, Giovanni e Giuda<br />

Iscariota. Non vedo gli altri. Gesù è vestito di bianco ed è avvolto in un manto azzurro cupo, più blu<br />

mare che azzurro. È a testa nuda e sale agilmente, solo. Dietro, in gruppo, i quattro apostoli che<br />

parlano fra loro. Gesù, che li precede di qualche metro, non parla. Pensa. Si guarda intorno ma non<br />

parla mai.<br />

______________________<br />

* Dove sia non lo so. La presente visione, infatti, è anteriore a quelle delle due precedenti visite di<br />

Gesù a Jutta, scritte nel 1945 ma riportate nei capitoli 76 e 212.<br />

Ad un certo punto la stradina costeggia un muretto a secco che delimita (almeno mi pare) una<br />

proprietà, come per impedire che la terra di questa frani a valle. Gesù entra in questa proprietà dai<br />

pascoli molto ben curati, sui quali sono sparsi alberi di melo e noci e fichi. Tutti molto ben tenuti e,<br />

già pieni di frutti.<br />

Gesù si ferma un istante proprio sul punto dove lo sperone del monte forma come un triangolo<br />

pontuto, simile al tagliamare di una nave. Si appoggia al muretto e guarda giù, su, intorno a Sé.<br />

Attende gli apostoli che salgono, specie Pietro, piuttosto lentamente. Poi, quando sono insieme, dice<br />

loro qualche parola che non afferro. Lo vedo curvarsi lievemente per parlare, perché Egli è molto<br />

più alto di loro. Non capisco le parole ma intuisco il loro significato, perché vedo l’Iscariota<br />

dirigersi sveltamente verso una casa che sorge al termine del muretto.<br />

È una casa molto diversa da quella di Cana. Questa non ha terrazza sul tetto, ma è sormontata da<br />

una specie di cupola ricurva, forse per impedire alle nevi invernali di stagnare sul tetto, perché, data<br />

la località, l’inverno deve essere certo nevoso, o per lo meno molto piovoso. In cambio della<br />

terrazza che manca, ha un’ala sporgente da un lato, ala in cui sbocca la scala, esterna sempre ma<br />

riparata come da un tetto sporgente. Quest’ala è, al terreno, un portico e, sopra, un loggiato coperto.


La casa è tutta bianca e spicca sul verde che la circonda. Ha sul davanti un largo spiazzo erboso con<br />

al centro un pozzo circondato da alberi da frutto, messi già con pretesa di fare un giardino, perché<br />

dei fioretti sono seminati intorno ad essi formando tonde aiuole. Ho l’impressione sia casa di<br />

persone benestanti e più raffi- nate che non quelle della casa di Cana.<br />

La strada mulattiera passa sul davanti della casa, di modo che si può accedere a questa tanto dalla<br />

scorciatoia che dalla mulattiera. La siepe di rovi non è una barriera insormontabile, molto più che i<br />

due rustici cancelli che si aprono in essa sono appena accostati.<br />

3 Giuda entra liberamente in casa, come se conoscesse molto bene chi vi abita. Ne esce subito una<br />

fiorente mamma circondata da tre bambini e con in braccio il più piccino. Essa va sorridendo<br />

incontro a Gesù, che nel frattempo è venuto fin verso il pozzo.<br />

Noto che questa donna è molto bruna e formosa, sulla trentina. Ha i capelli, nerissimi e piuttosto<br />

ricci, stretti in due trecce che le circondano il capo. Anche gli occhi sono neri e grandi, naso<br />

aquilino, bocca dalle labbra piuttosto grosse e molto rosse. È alta e ben fatta. Noto anche che è<br />

vestita diversa da come vestono* Maria e le altre donne viste a Cana. Ha anche lei una lunga veste<br />

di un azzurro quasi bianco, ma poi è tutta avvolta in una specie di scialle azzurro cupo che le si<br />

stringe addosso modellandola. Esso passa sotto le ascelle, da tutte e due le parti, e un lembo, quello<br />

superiore, gira poi dietro la spalla sinistra e sale sul capo che vela colla punta frangiata sino sulla<br />

fronte. <strong>Il</strong> tutto mi fa pensare che non sia galilea,<br />

________________________<br />

vestono, invece di veste, e, otto righe più sotto, sono differenti, invece di è differente, sono<br />

correzioni di C.<br />

perché i caratteri somatici e la veste sono differenti da quelli notati nelle donne galilee.<br />

<strong>Il</strong> piccolino che ha in braccio, un morettino come lei, avrà un due anni al massimo. È un bel<br />

bambino vestito di una specie di camicina di lana bianca. Gli altri bambini sono una fanciullina di<br />

un sei anni circa, tutta riccia, di un biondo castano, vestita di un rosa pallido, e due maschietti più<br />

piccoli, anche loro con due tunichette di lana azzurrina come la mamma. Devono conoscere molto<br />

bene Gesù, perché gli si affollano intorno ridenti.<br />

4 La giovane mamma lo saluta: «Entra, Maestro, che la mia casa è tua», e sorride.<br />

Gesù le risponde: «<strong>Il</strong> Signore ti compensi», e poi allunga il braccio destro - il sinistro è piegato sul<br />

petto e tiene con la mano raccolto un lembo del manto - a carezzare il piccino. Vedo la bella mano<br />

del mio Gesù toccare la fronte del piccolino, che fa il vezzoso e che nasconde la testina, ridendo,<br />

contro il collo della mamma, e da quel nido guarda Gesù e ride, ride per invitarlo a ripetere la<br />

carezza.<br />

Presso il pozzo, sotto un albero di melo, carico di frutta che cominciano a maturare, vi è un banco di<br />

pietra, un sedile. Gesù si siede lì mentre la donna entra in casa e ne esce con una brocca. Gesù le<br />

dice di dargli il piccino e se lo siede in grembo, mentre la donna attinge l’acqua e poi torna con una<br />

coppa colma di acqua e una di latte e le dà a Gesù, e gli sceglie delle mele, mature, fra le altre<br />

ancora acerbe, e gli offre anche queste, mettendo tutto su un vassoio posto sul banco, a fianco di<br />

Gesù. Si capisce che già altre volte ha fatto così. Sa ciò che piace a Gesù.<br />

Gli apostoli hanno seguito Giuda e bevono loro pure sotto al porticato.<br />

Gesù beve prima l’acqua; ha sempre il piccino in grembo e ride perché questo gli prende i capelli e<br />

la barba. Gli altri tre sono intorno a Gesù. Gesù prende le mele e ne dà una per una ai tre più grandi,<br />

e per ultimo ne prende e mangia una Lui pure. Al piccino dà invece da bere del latte che è nella<br />

coppa e poi beve Lui pure. È contento Gesù. Ride come non l’ho mai visto ridere.<br />

La bambina gli va fin contro i ginocchi e confidenzialmente gli mette la testolina in grembo. Gesù<br />

la carezza sui ricci. I due maschietti, che s’erano allontanati correndo, tornano uno con un<br />

colombino stretto sul petto, l’altro trascinando per un orecchio un agnellino di pochi giorni che bela<br />

disperatamente. Mostrano a Gesù i loro tesori.<br />

Gesù si interessa ma, impietosito della condizione delle due povere bestie, si fa dare il colombino e,<br />

dopo averlo ammirato, lo lascia volare al suo nido, e alza l’agnellino sul sedile carezzandolo e<br />

tenendolo al sicuro finché la mamma dei bambini torna e lo riporta al suo posto.


La bambina, che non possiede altro, si curva e fa un mazzetto di fiori e lo dà a Gesù.<br />

5 I1 Maestro è maestro anche con questi piccini e, sempre tenendo in braccio il più piccolo, parla ai<br />

più grandi dei fiori «tanto belli fatti dal Padre celeste, dai più grandi ai più piccoli, i fiori che sono<br />

agli occhi di <strong>Dio</strong> belli come i bambini quando sono buoni. E per essere buoni bisogna essere come i<br />

fiori, che non fanno del male a nessuno, ma anzi a tutti dànno profumo e letizia e fanno sempre la<br />

volontà del Signore nel nascere dove Egli vuole, nel fiorire quando Egli vuole, nel lasciarsi cogliere<br />

se a Lui così piace».<br />

Parla dei colombi «così fedeli al loro nido e così puliti che non si posano mai sulle cose brutte, che<br />

ricordano sempre la loro casa e che <strong>Dio</strong> ama perché sono fedeli e puri. Anche i figli di <strong>Dio</strong> devono<br />

essere così: come tortorelle che amano la casa del Signore ed in essa fanno il loro nido d’amore e<br />

che per essere degni di essa sanno conservarsi puri».<br />

Parla degli agnellini «così miti, così pazienti, così rassegnati, che dànno lana e latte e carne e si<br />

lasciano immolare per il nostro bene, dandoci tanto esempio di amore e di mansuetudine. Gli<br />

agnellini così tanto amati da <strong>Dio</strong> che Egli chiamerà “Agnello” il Figlio suo. <strong>Il</strong> buon <strong>Dio</strong> ama come<br />

figli prediletti coloro che sanno conservare anima d’agnello sino alla morte».<br />

Mentre Gesù parla, altri bambini entrano nel recinto e si affollano. E non bambini soltanto. Ma<br />

anche adulti che ascoltano. Vi sono altre mamme che offrono i più piccini e alcuni sofferenti a Gesù<br />

perché li carezzi, li prenda in grembo un momento. I più grandicelli ci pensano da loro.<br />

6 Gesù è circondato da una nidiata di bambini. Ne ha davanti, ai fianchi, alle spalle, fra le gambe.<br />

Non può muoversi. Ma ride in mezzo a quella siepe irrequieta e anche un po’ rissosa.<br />

Tutti vorrebbero il primo posto, e i padroncini di casa non intendono cederlo, cosa che dà modo a<br />

Gesù d’esser maestro una volta ancora: «Non bisogna essere egoisti neppure nel bene. <strong>Io</strong> lo so che<br />

mi amate e ne ho gioia. Anche <strong>Io</strong> vi amo, ma vi amerò di più se ora lascerete gli altri venire a Me.<br />

Un poco per uno. Da buoni fratelli. Siete tutti fratelli e uguali agli occhi di <strong>Dio</strong> e miei. Tutti uguali.<br />

Anzi, coloro che sono ubbidienti e amorosi verso i loro compagni, sono i più amati da Me e da<br />

<strong>Dio</strong>».<br />

Lo sciame, per mostrare che… è ubbidiente e amoroso, si allontana di colpo. Sono tutti buoni (!).<br />

Gesù ride.<br />

Ma poi torna lo sciame innocente. Torna a dispetto delle mamme che non vorrebbero tanta<br />

invadenza irrispettosa, e soprattutto dei discepoli. L’Iscariota è il più intransigente, Giovanni il<br />

meno. Si è seduto sull’erba e ride anche lui, circondato di bambini. Ma Giuda fa gli occhiacci e<br />

brontola. Anche Pietro si lamenta.<br />

Ma i bambini, stretti intorno a Gesù, non se ne curano. Guardano con sfida i brontoloni e solo il<br />

rispetto di Gesù li trattiene da fare qualche smorfia ai due. Si sentono protetti da Gesù, che ha aperto<br />

le braccia e attratto a Sé quanti più bambini poteva: un mazzo di fiori vivi.<br />

Vi sono dei bambini che mostrano a Gesù dei giocattoli… rotti. E Gesù, con un pezzetto di ramo,<br />

rimette l’asse alle ruote di un carrettino e aggiusta, con una cordicella e il rinforzo di un legno, la<br />

gamba ad un cavallino di legno che un morettino gli mostra. Vi sono pastorelli che, lasciato un<br />

momento il gregge sulla via - ormai la sera scende - si accostano a Gesù che li carezza e benedice.<br />

Uno gli porta una agnellina ferita e Gesù, che non vuole che il suo piccolo amico sia sgridato dal<br />

padrone, stagna il sangue dell’agnellina e la rende.<br />

7 Entra una mamma e si fa largo. Ha in braccio un bambino malato. È molto ammalato. Sta tutto<br />

abbandonato sul petto della madre. Gesù, che ha già toccato altri bambini malaticci che le madri gli<br />

avevano presentato, apre le braccia e prende in grembo il quasi morticino. La madre si raccomanda<br />

piangendo.<br />

Gesù l’ascolta e la guarda. Poi guarda la povera creaturina scarna ed esangue. La carezza e la bacia<br />

ninnandola un poco perché piange. <strong>Il</strong> bambino, o bambina - non capisco che sia perché ha i<br />

capellucci lunghi sino alle orecchie - apre gli occhi e guarda Gesù con un triste sorriso. Gesù gli<br />

parla piano. Non capisco ciò che gli dice perché è sussurrato. <strong>Il</strong> malatino sorride ancora.<br />

Gesù lo rende alla mamma piangente e la fissa coi suoi occhi dominatori: «Donna, abbi fede.<br />

Domani mattina il tuo bambino giuocherà insieme a questi. Va’ in pace». E traccia ancora un segno<br />

di benedizione sulla faccina cerea.


8 E qui, o Padre! E qui mi pare di accostarmi al mio Gesù e di dirgli: «Maestro, che c’è nella tua<br />

mano che tutto si aggiusta o guarisce o muta aspetto quando la tocchi?».<br />

Domanda molto sciocca, in verità, ma alla quale il mio Gesù risponde con divina bontà: «Nulla,<br />

figlia, fuorché il fluido del mio immenso amore. Guarda la mia mano, osservala». E mi porge la<br />

destra.<br />

La prendo con venerazione, con la punta delle dita, sulla punta delle dita. Non oso di più mentre il<br />

cuore mi batte forte forte. Non ho mai toccato Gesù. Ne sono stata toccata, ma io non avevo mai<br />

osato. Ora lo tocco. Sento il tepore delle sue dita. Sento la sua epidermide liscia, le unghie molto<br />

lunghe (lunghe non in sporgenza, in forma sull’ultima falange). Vedo le lunghe dita sottili, la palma<br />

fortemente concava, noto che il metacarpo è molto più corto delle dita, osservo all’inizio del polso il<br />

ricamo delle vene.<br />

Gesù mi lascia la sua mano con benignità. Ora si è alzato in piedi ed io sono in ginocchio. Non lo<br />

vedo perciò in volto, ma sento che sorride perché il sorriso è nella sua voce:<br />

«Lo vedi, anima che amo, che non vi è nulla. I miei anni di lavoro mi hanno lasciato capacità di<br />

aggiustare i giocattoli dei bambini, ed uso di questa mia capacità perché anche essa serve ad attirare<br />

a Me le creature che prediligo: i bambini. La mia umanità, che si ricorda d’esser stata operaia, opera<br />

in questo. La mia divinità opera in quest’altro di guarire i bambini malati, così come guarisco i<br />

giocattoli malati e gli agnellini. Non ho nulla fuorché il mio amore ed il mio potere di <strong>Dio</strong>. E su<br />

nessuno lo effondo con pari gioia come su questi innocenti che vi do a modello per entrare nel<br />

Regno dei Cieli. Mi riposo in mezzo ad essi. Sono semplici e schietti. Ed <strong>Io</strong> che sono il Tradito*, ed<br />

ho ribrezzo di chi tradisce, trovo pace<br />

_______________________<br />

* Ed <strong>Io</strong> che sono il Tradito… In calce alla pagina autografa MV annota: qui, quella intuizione<br />

interna mi fa capire che Gesù dice “sono”, e più oltre “sarò”, perché il tradimento di Giuda<br />

fermentava già dagli inizi e Cristo lo sapeva.<br />

presso questi che non sanno tradire; ed <strong>Io</strong> che sarò Colui di cui tanti diffideranno, trovo gioia presso<br />

questi che non sanno diffidare. Ed <strong>Io</strong> che sarò rinnegato da chi, con riflessione di adulto, penserà a<br />

mettersi al sicuro in ore di burrasca, trovo conforto presso questi che credono in Me senza pensare<br />

se da questo credere può loro venire un bene o un male. Credono perché mi amano. Sii tu pure<br />

come una bambina. Come una di queste, e avrai il Regno dei Cieli che si apre sotto la spinta<br />

impaziente di Gesù, che arde di avere presso di sé quelli che più ha amato perché l’hanno più<br />

amato. Va’ in pace, ora. Ti carezzo come uno di questi piccini per farti felice. Va’ in pace».<br />

9 Noti che la visione è venuta mentre, disgustata da una risposta sgarbata - non la prima di oggi -<br />

piangevo sconfortata e desolata e piena di rimpianto e di disgusto per le constatazioni che faccio<br />

dell’altrui animo. La visione m’ha calmata sin dal suo inizio e poi m’ha rallegrata. Ma quando poi<br />

ho potuto avere la gioia di sentire le dita di Gesù, io ho sentito il dolce dell’estasi soverchiare ogni<br />

amarezza.<br />

Mi guardo la mano che scrive* e che conserva la sensazione di aver toccato quella di Gesù, e mi<br />

pare santa come cosa che ha toccato una reliquia. Che il mio Gesù sia benedetto!<br />

397. Commiato dai fedeli di Jutta.<br />

5 marzo 1946.<br />

1 Gesù parla in una quieta mattina al popolo di Jutta. Oh! si può proprio dire che tutta Jutta è ai suoi<br />

piedi. Anche i pastorelli, di solito sparsi per i dossi dei monti, sono lì, ai margini della folla con le<br />

loro pecorelle. Anche quelli che di solito vanno altrove, ai campi, ai boschi, ai mercati, sono lì. E lì<br />

sono i vecchi cadenti, e lì, proprio intorno a Gesù, i piccoli ridenti, e lì le fanciulle, e lì le spose<br />

novelle, e lì le prossime a dare alla luce una creatura, e lì quelle che l’hanno al seno. Tutta Jutta.<br />

Lo sperone di monte che si protende verso il sud è l’anfiteatro che accoglie questa serena accolta di


gente. Seduti sull’erba o a cavalcioni del muretto a secco, con l’ampio orizzonte intorno, il cielo<br />

sconfinato sopra, il torrente in basso, che ride e scintilla al sole mattutino, la bellezza dei monti<br />

erbosi, boschivi, che sorgono da ogni lato, essi, quei di Jutta, ascoltano il Maestro che parla, ritto in<br />

piedi, addossato ad un noce altissimo, bianco nella veste di lino contro il tronco scuro, sorridente<br />

nel volto, gli occhi accesi della gioia d’essere amato, i capelli accesi dal<br />

_________________<br />

* la mano che scrive, cioè la mano destra, alla morte della scrittrice resterà candida e bella, a<br />

differenza della sinistra illividita.<br />

sole che lo carezza da oriente. In un silenzio riverente, attento, rotto solo dai canti degli uccelli e<br />

dalla voce del torrente là in basso, le sue parole scendono lente nei cuori, e la voce perfetta empie<br />

l’aria tranquilla della sua musicalità.<br />

Sta ripetendo, mentre io scrivo, ancora una volta la necessità di ubbidire al Decalogo, perfezionato,<br />

nella sua applicazione nei cuori, dalla sua dottrina d’amore «per edificare negli spiriti la dimora<br />

dove il Signore abiterà fino al giorno in cui coloro che hanno vissuto fedeli alla Legge andranno ad<br />

abitare in Lui nel Regno dei Cieli». Così dice. E prosegue:<br />

«Perché così è. La inabitazione di <strong>Dio</strong> negli uomini e degli uomini in <strong>Dio</strong> si fa con l’ubbidienza alla<br />

sua Legge, che si inizia con un comando d’amore e che è tutta amore dal primo all’ultimo precetto<br />

del Decalogo. Questa è la vera casa che <strong>Dio</strong> vuole, in cui <strong>Dio</strong> abita, e il premio del Cielo, avuto per<br />

l’ubbidienza alla Legge, è la vera casa in cui voi abiterete con <strong>Dio</strong>, in eterno. Perché - ricordate<br />

Isaia nel suo 56° capo* - <strong>Dio</strong> non ha dimora sulla terra, che è sgabello, solo sgabello alla sua<br />

immensità, e ha per suo trono il cielo che è sempre piccolo, un nulla, a contenere l’Infinito, ma l’ha<br />

nel cuore degli uomini.<br />

Solo la perfettissima bontà del Padre di ogni amore può concedere ai suoi figli di accoglierlo; ed è<br />

infinito mistero, che sempre più si perfeziona, questo potere essere il <strong>Dio</strong> uno e trino, il purissimo<br />

triniforme Spirito, nel cuore degli uomini. Oh! quando, quando, o Padre santo, Tu mi darai di fare,<br />

di questi che ti amano, non più, non più solo un tempio allo Spirito nostro, ma, per la tua perfezione<br />

d’amore e di perdono, un tabernacolo, facendo di ogni cuore fedele l’arca in cui sia il vero Pane del<br />

Cielo, come lo fu nel seno della Benedetta fra tutte le donne?<br />

2 Oh! amatissimi discepoli di Jutta che mi fu preparata da un giusto, abbiate alla mente il profeta e<br />

ciò che dice, ed è il Signore che parla, rivolgendosi a coloro che edificano vuoti templi di pietra, in<br />

cui non è giustizia e amore, e non sanno edificare in sé il trono del loro Signore coll’ubbidienza ai<br />

suoi comandi. Dice il profeta: “Che è questa casa che voi mi edificherete, e che è questo luogo del<br />

mio riposo?”. E vuoI dire: “Credete di avermi perché mi erigete delle povere mura? Credete di<br />

darmi gioia con le menzognere pratiche alle quali non fa riscontro santità di vita?”. No. <strong>Dio</strong> non si<br />

ha per delle esteriorità che celano piaghe e vuoto, come il manto d’oro gettato su un lebbroso o su<br />

una statua d’argilla vuota nel suo interno, senza la vita dell’anima. E dice il Signore confessando,<br />

Egli, il Padrone del mondo, la sua povertà di Re con troppi pochi sudditi, di Padre di troppi figli<br />

fuggiaschi dalla sua dimora: “A chi volgerò lo sguardo se non al poverello, al contrito di cuore che<br />

trema alla mia parola?”. Perché trema? Per sola paura di <strong>Dio</strong>? No. Per profondo rispetto, per vero<br />

amore. Per umiltà di suddito, di figlio, che dice, che riconosce, che il Signore è il Tutto ed egli<br />

il nulla, e trema di emozione<br />

______________________<br />

* Isaia nel suo 56° capo: il discorso sembra invece richiamarsi al capitolo 66 fin dal suo inizio, che<br />

corrisponde a Isaia 66, 1-2. Più sotto MV annota, su una copia dattiloscritta, due rinvii al libro di<br />

Isaia: il primo, alle parole “Mostri il Signore la sua gloria…”, lo mette errato come 46 (invece di<br />

66), 5 e seguenti; il secondo, alle parole “Voi la succhierete…”, lo mette esatto come 66, 11-13 ecc.<br />

sentendosi amato, perdonato, sovvenuto dal Tutto.<br />

Oh! non cercate <strong>Dio</strong> fra i superbi! Là non c’è. Non cercatelo fra i duri di cuore. Là non c’è. Non<br />

cercatelo fra gli impenitenti. Là non c’è. Egli è nei semplici, nei puri, nei misericordiosi, nei poveri<br />

di spirito, nei miti, in quelli che piangono senza imprecare, nei cercatori di giustizia, nei<br />

perseguitati, nei pacifici. Là è <strong>Dio</strong>. Ed è in coloro che si pentono e vogliono perdono e chiedono


espiazione. E non fanno, tutti questi, il sacrificio di un bue o di una pecora, l’oblazione di questo o<br />

quello, per essere applauditi, per superstizioso terrore di un castigo, per superbia di apparire perfetti.<br />

Ma fanno il sacrificio del loro cuore contrito e umiliato, se peccatori; del loro cuore ubbidiente fino<br />

all’eroismo, se giusti. Ecco ciò che il Signore gradisce. Ecco per quali offerte si dona coi suoi<br />

ineffabili tesori d’amore e di delizie soprannaturali. Agli altri non si dona. Essi hanno già le loro<br />

povere delizie nelle abominazioni, ed è inutile che <strong>Dio</strong> li chiami per le sue vie, posto che essi hanno<br />

già scelta la loro. A loro non manderà che abbandono, spavento e punizione, perché non hanno<br />

risposto al Signore, non hanno ubbidito, hanno fatto il male sotto gli occhi di <strong>Dio</strong> con scherno e con<br />

scelta malvagia.<br />

3 Ma voi, voi, miei diletti di Jutta, voi che tremate d’amore nella conoscenza di <strong>Dio</strong>, voi che per Me<br />

siete scherniti come stolti dai potenti, e persistete ad amarmi nonostante gli scherni, voi che siete<br />

respinti, e più, sempre più lo sarete per causa del mio Nome e di Me, ripudiati come bastardi<br />

d’Israele, come bastardi di <strong>Dio</strong>, mentre proprio in voi e in chi è come voi è innestato il tralcio della<br />

Vite eterna, di Colui che ha radice nel Padre, e perciò di <strong>Dio</strong> siete parte, di <strong>Dio</strong>, del suo succo<br />

vivete, voi che si vorrebbe persuadere che siete in errore, ai cui occhi, semplici ma illuminati dalla<br />

Grazia, ci si vorrebbe giustificare per non apparire sacrileghi e malfattori, voi a cui è detto: “Mostri<br />

il Signore la sua gloria e lo riconosceremo con la vostra stessa gioia”, voi soli avrete la gioia. Essi<br />

saranno confusi.<br />

Oh! <strong>Io</strong> già sento, dopo la confusione che li schiaccerà ma non li farà più buoni, <strong>Io</strong> già sento le<br />

vipere che non cessano di esser nocive altro che quando è loro schiacciato il capo esecrando, e<br />

mordono e uccidono anche se spezzate in due, anche se emergenti solo con la testa da una<br />

schiacciante manifestazione di <strong>Dio</strong>, già le sento gridare: “Come può avere partorito il Signore, di un<br />

subito, il nuovo suo popolo, se noi, da tanto tempo portati nel suo seno, ancora non siamo nati alla<br />

Luce? Può una partorire senza che il suono delle doglie empia la casa? Prima del tempo ha mai<br />

potuto partorire il Signore? Può mai la terra partorire in un sol giorno e può mai essere partorito<br />

tutto insieme un popolo?”.<br />

<strong>Io</strong> rispondo, e ricordatela questa risposta per darla a coloro che vi perseguiteranno schernendovi:<br />

“Mai avrebbero potuto essere nati alla Luce coloro che sono frutto morto nel seno di <strong>Dio</strong>, frutto che<br />

s’è seccato perché si è staccato dalla matrice rimanendo inerte, come male nascosto nel seno<br />

anziché come embrione che si completa. E per espellere il seme morto dal suo seno e avere figli,<br />

onde non muoia il suo Nome sulla terra, <strong>Dio</strong> si è reso fecondo di nuovi figli, segnati del suo Tau, e<br />

nel segreto, nel silenzio, onde Satana e i satana che servono Lucifero non potessero nuocere, con<br />

anticipo dato da ardore d’amore, ha partorito il suo Maschio e partorisce insieme il nuovo suo<br />

popolo, perché tutto può il Signore”. Oh! Egli lo dice per bocca del profeta Isaia: “E che forse non<br />

potrò partorire <strong>Io</strong> che faccio partorire gli altri? <strong>Io</strong>, che concedo agli altri fecondità, sarò sterile?”.<br />

Rallegratevi con la Gerusalemme dei Cieli, esultate con lei, voi tutti che amate il Signore!<br />

Rallegratevi con lei di vera gioia, voi che attendete, voi che sperate, voi che soffrite!<br />

4 Oh! tornate, tornate a Me, parole! Parole venute dal Verbo di <strong>Dio</strong>. Parole dette dal portavoce di<br />

<strong>Dio</strong>, Isaia, suo profeta. Venite, tornate alla Fonte, o parole eterne, per esser sparse su questa aiuola<br />

di <strong>Dio</strong>, su questo gregge, su questa prole! Oh! Venite! Questa è una delle ore e delle adunanze per le<br />

quali siete state date, o profetiche parole, o suono d’amore, o voci di verità! Ecco che vengono!<br />

Ecco che tornano a Chi le ha ispirate! Ecco che <strong>Io</strong>, in nome del Padre, del mio Essere, e dello<br />

Spirito, le dico a questi amati da <strong>Dio</strong>, gli scelti fra il gregge di <strong>Dio</strong>, che tutto d’agnelli doveva<br />

essere, e s’è corrotto con arieti e bestie anche più immonde. Voi succhierete e sarete saziati alle<br />

mammelle della Consolazione divina e trarrete abbondanti delizie dalla molteplice gloria di <strong>Dio</strong>.<br />

Ecco! Vi dice il Signore: <strong>Io</strong> riverserò su di voi come un fiume di pace e, come un torrente che<br />

inonda, su voi sarà molto più che la gloria delle nazioni. La gloria del Cielo vi inonderà. Voi la<br />

succhierete, portati sul suo seno, e sulle sue ginocchia sarete accarezzati. Sì, come una madre<br />

accarezza il bambino, come <strong>Io</strong> accarezzo questo pargolo a cui ho messo il mio nome (e realmente<br />

Gesù prede il piccolo Jesai dalle braccia della madre, che è quasi ai suoi piedi fra i suoi tre figli),<br />

così <strong>Io</strong> consolerò voi che mi amate e continuerete ad amarmi, e presto sarà che voi siate consolati<br />

per sempre nel mio Regno. Voi lo vedrete e il vostro cuore sarà nella gioia, e le vostre ossa come


erba rinverdiranno, o liberi da ogni paura perché a Me fedeli, quando il Signore verrà nel fuoco,<br />

sopra un cocchio simile al turbine, a guidare nel fuoco dell’amore e della giustizia, e a punire o ad<br />

esaltare, dividendo gli agnelli dai lupi, ossia da quelli che credevano santificarsi e farsi puri e invece<br />

idolatri si facevano.<br />

<strong>Il</strong> Signore, che ora parte, verrà, e beati quelli che troverà perseveranti sino alla fine. Questo il mio<br />

addio e con esso la mia benedizione. Inginocchiatevi, che <strong>Io</strong> vi fortifichi con essa. <strong>Il</strong> Signore vi<br />

benedica e vi custodisca. <strong>Il</strong> Signore vi mostri la sua faccia e abbia di voi misericordia. <strong>Il</strong> Signore vi<br />

dia la sua pace. Andate! Lasciate che lo mi accomiati dai buoni fra i buoni di Jutta».<br />

5 La gente se ne va a malincuore. Ma quando un fanciullo per primo dice: «Signore, lascia che io ti<br />

baci la mano», e Gesù consente, tutti vogliono dare un bacio sulle carni sante dell’Agnello di <strong>Dio</strong>, e<br />

anche chi è già avviato verso il paese torna indietro, e baci di fanciulli sul volto, e baci di vecchi<br />

sulle mani, e baci di donne sui piedi nudi fra l’erba, cadono, con lacrime e parole di addio e di<br />

benedizione. Gesù paziente li accoglie e ha per tutti un particolare saluto.<br />

Finalmente tutti sono accontentati… Resta la famiglia ospitale... E si stringe a Gesù. E Sara dice:<br />

«Non tornerai proprio più?».<br />

«No, donna. Mai più. Ma non saremo divisi. <strong>Il</strong> mio amore sarà sempre con te, con voi, e il vostro<br />

con Me. Non mi dimenticherete, lo so. Ma vi dico: anche nelle ore più tremende, che verranno, non<br />

accogliete la Menzogna neppure come ospite di passaggio o come invasore improvviso… Dàmmi il<br />

fanciullino, Sara».<br />

La donna gli dà Jesai e Gesù si siede sull’erba col piccolo in grembo e parla col viso curvo sui<br />

capellucci del piccolo: «Ricordatevi sempre che <strong>Io</strong> sono l’Agnello che Isacco vi ha fatto amare<br />

anche prima che mi conosceste. E che un agnello è sempre innocente, come questo fanciullino,<br />

anche se viene coperto di pelle di lupo per farlo passare per malfattore. Ricordate che <strong>Io</strong> sono ancor<br />

più innocente di questo pargolo… che, lui beato! per la sua innocenza e puerizia non potrà<br />

comprendere la calunnia degli uomini sul suo Signore e perciò non ne sarà turbato… e continuerà<br />

ad amarmi così,… come ora… Abbiate il suo cuore, abbiatelo per l’Agnello, per l’Amico, per<br />

l’Innocente, per il Salvatore, che vi ama e benedice in maniera tutta speciale. Addio, Maria! Vieni a<br />

darmi un bacio… Addio, Emanuele! Vieni tu pure… Addio, Jesai, agnellino dell’Agnello... Siate<br />

buoni… Amatemi...».<br />

«Tu piangi, Signore!?» chiede stupita la bimba, vedendo brillare una lacrima fra i capellucci di<br />

Jesai.<br />

«Piange?» chiede il marito di Sara.<br />

«Tu piangi, o Maestro! Perché?» chiede la donna.<br />

«Non vi dolete del mio pianto. È amore e benedizione. Addio, Sara. Addio, uomo. Venite, come gli<br />

altri, a baciare il vostro Amico che parte…»; e, ricevuto sulle mani il bacio dei due sposi, rimette il<br />

piccolo nelle braccia della madre, benedice ancora, e poi svelto inizia la discesa per la stessa<br />

stradetta usata per venire.<br />

Le voci di addio dei rimasti lo seguono: profonda quella dell’uomo, commossa quella della donna,<br />

trillanti quelle dei fanciulli, fino al basso del colle. Poi è solo il torrente, risalito verso nord, quello<br />

che saluta ancora il Maestro che lascia per sempre la terra di Jutta.<br />

398. Discorso di commiato a Ebron e le illusioni di Giuda Iscariota.<br />

7 marzo 1946.<br />

1 Ed ecco Ebron fra i suoi monti selvosi e prativi. L’entrata di Gesù in essa è salutata con gridi di<br />

osanna dai primi che lo vedono e che, in parte, corrono via a darne l’annuncio per tutto il paese.<br />

Accorre il sinagogo, accorrono i miracolati dell’anno avanti, accorrono i notabili. Ognuno vuole<br />

ospite il Signore.<br />

Ma Gesù, ringraziando tutti, dice: «No, non sosto che il tempo di parlarvi… Andiamo perciò alla<br />

povera, santa casa del Battista. Che <strong>Io</strong> saluti anche quella... È terra di miracolo. Voi non sapete».


«Oh! sappiamo, Maestro. I guariti colà sono fra noi!…» dicono in molti.<br />

«Molto prima di or è un anno fu terra di miracolo. Lo fu trentatré anni fa’ per la prima volta, quando<br />

la grazia del Signore rinverdì le seccate viscere per farle albero al dolce pomo del Precursore mio.<br />

Lo fu trentadue anni sono, quando, per opera misteriosa, <strong>Io</strong> lo presantificai, essendo <strong>Io</strong> e lui due<br />

frutti che maturavano in profondo seno. E poi quando al padre di Giovanni <strong>Io</strong> sciolsi la favella<br />

legata. Ma, alle segrete operazioni dell’Incarnato non ancor nato, or sono due anni si allaccia un<br />

grande miracolo che voi tutti ignorate. Ricordate la donna che abitava là dentro?…».<br />

«Chi? Aglae?» chiedono in molti.<br />

«Essa. <strong>Io</strong> l’ho rinverdita, non nelle viscere ma nell’anima essiccata dal paganesimo e dal peccato, e<br />

l’ho fatta feconda di giustizia, liberandola da ciò che la teneva, aiutato dalla sua buona volontà. E ve<br />

la propongo a modello. Non vi scandalizzate. In verità vi dico che ella è da citarsi ad esempio e da<br />

imitarsi, perché pochi in Israele hanno fatto tanta via quanto la pagana e peccatrice per raggiungere<br />

le fonti di <strong>Dio</strong>».<br />

«Noi la credevamo fuggita con altri amanti… C’era chi diceva che era mutata, che era buona… Ma<br />

dicevamo: “È un capriccio!”. C’era anche chi diceva che era venuta da Te per… peccare…» spiega<br />

il sinagogo.<br />

«È venuta infatti da Me. Ma per essere redenta».<br />

«Abbiamo peccato di giudizio...».<br />

«Per questo <strong>Io</strong> dico: “Non giudicate”».<br />

«E dove è ora?».<br />

«Solo <strong>Dio</strong> lo sa. In aspra penitenza certo. Pregate per sostenerla... Ti saluto, o casa santa dal mio<br />

Parente e Precursore! La pace a te! Per quanto ora tu sia sola e desolata, sempre la pace a te, o santa<br />

dimora di pace e di fede!».<br />

Gesù pone piede, benedicendo, nel giardino divenuto selvaggio, e si inoltra fra le erbe invadenti e<br />

costeggiando quelle che una volta erano pergole od ordinate spalliere di lauri e bossi, e che ora sono<br />

una scapigliata famiglia di piante fasciate di edere, di vitalbe, di convolvoli che le opprimono; va in<br />

fondo, ai resti di ciò che era il sepolcro, e sosta là. 2 La gente si pigia, ordinata e silenziosa, in<br />

cerchio intorno a Lui.<br />

«Figli di <strong>Dio</strong>, popolo di Ebron, ascolta!<br />

Perché voi non siate turbati e tratti in inganno di giudizio sul vostro Salvatore, come lo foste per la<br />

peccatrice, <strong>Io</strong> vengo a confermarvi e fortificarvi nella fede. Vengo a darvi il viatico della mia parola,<br />

perché essa resti luminosa in voi nell’ora delle tenebre e non vi faccia Satana smarrire la via del<br />

Cielo.<br />

Presto verranno ore in cui i vostri cuori gemeranno le parole del salmo* di Asaf cantore profetico, e<br />

direte: “Perché, o <strong>Dio</strong>, ci hai rigettati per sempre? Perché il tuo furore divampa contro le pecorelle<br />

da Te pascolate?”; e veramente potrete allora alzare, come un diritto di protezione, la redenzione<br />

ormai compiuta e gridare:<br />

______________________<br />

*<strong>Il</strong> salmo nella volgata è il 73° (numero che MV aggiunge posteriormente sul manoscritto) e<br />

corrisponde all’attuale Salmo 74.<br />

“Questo è tuo popolo e Tu lo redimesti!” per invocare protezioni contro i nemici, che ogni male<br />

avranno fatto nel vero Santuario dove <strong>Dio</strong> è come in Cielo, nel Cristo del Signore, e, abbattuto il<br />

Santo per prima cosa, cercheranno poi di abbattere le mura di esso, i suoi fedeli. Veri profanatori e<br />

persecutori di <strong>Dio</strong>, più di Nabucodonosor e di Antioco, più dei futuri, essi alzano già le mani ad<br />

abbattermi nella loro superbia senza limiti, che non vuole esser convertita, che non vuole aver fede,<br />

carità, giustizia e che, come lievito in un mucchio di farina, gonfia e trabocca dal Santuario,<br />

divenuto cittadella dei nemici di <strong>Dio</strong>.<br />

Figli, ascoltate! Quando sarete perseguitati per avermi amato, fortificate il cuore pensando che<br />

prima di voi <strong>Io</strong> fui il Perseguitato. Ricordate che essi hanno già nella strozza l’ululo delle loro grida<br />

di trionfo e preparano le bandiere perché sventolino in un’ora di vittoria, e su ogni bandiera sarà una<br />

menzogna contro di Me, che sembrerò il Vinto, il Malfattore, il Maledetto.<br />

3 Scuotete il capo? Non credete? <strong>Il</strong> vostro amore vi è ostacolo al credere… Grande cosa l’amore!


Grande forza… e grande pericolo! Sì, pericolo. L’urto della realtà nell’ora delle tenebre sarà<br />

violento in maniera sovrumana nei cuori che l’amore, non ancora ordinato in perfezione, fa ciechi.<br />

Non potete credere che <strong>Io</strong>, il Re, il Potente, possa essere dato in balìa dei nulla. Non lo potrete<br />

credere soprattutto allora, e sorgerà il dubbio: “Era proprio Lui? E se lo era, come poté essere<br />

vinto?”.<br />

Rafforzate il cuore per quell’ora! Sappiate che se “in un momento” i nemici del Santo hanno<br />

spezzato le porte, atterrando ogni cosa, e dato fuoco d’odio al Santo di <strong>Dio</strong>, se hanno abbattuto e<br />

atterrato il Tabernacolo del Nome Ss., dicendo in cuor loro: “Facciamo cessare sulla terra tutte le<br />

feste di <strong>Dio</strong>”, perché è festa avere <strong>Dio</strong> fra voi, dicendo: “Non si vedano più le sue insegne, non ci<br />

sia più alcun profeta che ci conosca per quello che siamo”, presto, più presto ancora, Colui che ha<br />

dato saldezza al mare e stritolato nelle acque le immonde teste dei coccodrilli sacri e dei loro<br />

adoratori, Colui che ha fatto scaturire fonti e torrenti e seccare fiumi perenni, Colui di cui è il giorno<br />

e la notte, l’estate e la primavera, la vita e la morte, tutto, farà risorgere, come è detto, il suo Cristo,<br />

e Re sarà. Re in eterno. E coloro che saranno stati fermi nella fede con Lui regneranno in Cielo.<br />

Questo ricordate. E quando mi vedrete innalzato e vilipeso, non vacillate. E quando sarete innalzati<br />

e vilipesi, non vacillate.<br />

4 Oh! Padre! Padre mio! <strong>Io</strong>, a nome di questi che ti sono e mi sono cari, ti prego. Esaudisci il tuo<br />

Verbo, ascolta il Propiziatore! Non abbandonare alle bestie le anime di quelli che ti lodano<br />

amandomi, non dimenticare per sempre le anime dei tuoi piccoli. Abbi riguardo, o <strong>Dio</strong> buono, al tuo<br />

patto, perché i luoghi oscuri della terra sono covi di iniquità dai quali esce il terrore per sgomentare<br />

i tuoi piccoli. Padre! Oh! Padre mio! L’umile che spera in Te non torni via confuso! <strong>Il</strong> povero e il<br />

bisognoso dian lode al tuo Nome per l’aiuto che Tu darai loro! Sorgi, o <strong>Dio</strong>! Per quell’ora, per<br />

quelle ore, ti prego! Sorgi, o <strong>Dio</strong>! Per il sacrificio di Giovanni e la santità dei tuoi patriarchi e<br />

profeti! Per il sacrificio mio, o Padre, difendi questo tuo e mio gregge! Dàgli luce nelle tenebre,<br />

fede e fortezza contro i seduttori! Dàgli Te, o Padre! Dàgli Noi, ora, domani e sempre, fino<br />

all’entrata nel tuo Regno! Noi nel loro cuore fino all’ora in cui dove Noi siamo essi siano nei secoli<br />

dei secoli. E così sia».<br />

E Gesù, posto che non ci sono miracoli da compiere, passa fra le file della folla quasi estatica e<br />

benedice, uno per uno, i suoi ascoltatori. E riprende ad andare, sotto il sole già alto che gli alberi<br />

fronzuti e l’aria montanina rendono sopportabile.<br />

5 Dietro, in gruppo, parlano gli apostoli. Parlano fitto fitto.<br />

«Che discorsi! Fanno fremere!» dice Bartolomeo.<br />

«Ma come sono tristi! Fanno piangere!» sospira Andrea.<br />

«Eh! è il suo commiato. Ho ragione io. Egli va proprio verso il trono» esclama Giuda Iscariota.<br />

«Trono? Uhm! Mi pare che parlino di persecuzioni invece che di onori!» osserva Pietro.<br />

«Macché! <strong>Il</strong> tempo delle persecuzioni è finito! Ah! io sono felice!» grida l’Iscariota.<br />

«Buon per te! <strong>Io</strong> vorrei essere ancora ai giorni in cui eravamo ignoti, due anni fa… o all’Acqua<br />

Speciosa… <strong>Io</strong> tremo dei giorni futuri…» dice Giovanni.<br />

«Perché sei un cuor di cerbiatto… Ma io! <strong>Io</strong> vedo già nel futuro… Cortei!… Cantori!… Popolo<br />

prostrato!… Onori di altre nazioni!… Oh! è l’ora! Veramente i cammelli di Madian e le turbe di<br />

ogni dove verranno… e non saranno i tre poveri Magi… ma una moltitudine... Israele grande come<br />

Roma. Più di Roma… Superate le glorie dei Maccabei, di Salomone… tutte le glorie… Egli, il Re<br />

dei re… e noi i suoi amici… Oh! <strong>Dio</strong> altissimo! Chi mi darà forza per quell’ora?… Se ci fosse mio<br />

padre ancora!…». Giuda è esaltato. Splende evocando il futuro che sogna di vivere…<br />

6 Gesù è molto avanti. Ma si ferma, il futuro re secondo Giuda, e, assetato, fa giumella delle mani<br />

per attingere acqua a un ruscelletto e bere… come l’uccello del bosco o l’agnello pascolante, e poi<br />

si volge e dice: «Qui vi sono dei frutti selvatici. Cogliamone per la nostra fame…».<br />

«Hai fame, Maestro?» chiede lo Zelote.<br />

«Sì» confessa umilmente Gesù.<br />

«Sfido io! Ieri sera hai dato tutto a quel miserello!» esclama Pietro.<br />

«Ma perché non hai poi voluto sostare a Ebron?» chiede Filippo.<br />

«Perché <strong>Dio</strong> mi chiama altrove. Voi non sapete».


Gli apostoli si stringono nelle spalle e si danno a cogliere frutticini ancora acerbi da piante<br />

selvatiche sparse sui dossi montani. Sembrano meline selvatiche. E il Re dei re se ne nutre insieme<br />

ai compagni, che fanno boccacce per l’asprezza del frutto selvatico e acerbo. Gesù, assorto, mangia<br />

e sorride.<br />

«Mi fai quasi rabbia!» esclama Pietro.<br />

«Perché ?».<br />

«Perché potevi stare bene e fare felici quelli di Ebron, e invece ti sciupi ventre e denti su questo<br />

veleno amaro e acido più dell’erba vetriola!».<br />

«Oh! Ho voi che mi amate! Quando sarò innalzato e avrò sete e fame, penserò con desiderio a<br />

quest’ora, a questo cibo, a voi che ora siete con Me e che allora…».<br />

«Ma allora non avrai né sete, né fame! Un re ha di tutto! E noi ti saremo più ancora vicini!» esclama<br />

l’Iscariota.<br />

«Tu lo dici».<br />

«E Tu pensi che ciò non sarà, Maestro?» chiede Bartolomeo.<br />

«No, Bartolmai. Quando ti ho visto sotto al fico, i suoi frutti erano tanto acerbi che chi li avesse<br />

colti ne avrebbe avuto arse lingua e fauci… Ma più dolci di favo di miele sono gli acerbi frutti del<br />

fico o di questi alberi rispetto a ciò che sarà per Me la mia assunzione… Andiamo…». E si rimette<br />

in marcia per primo, avanti a tutti, meditabondo, mentre dietro i dodici bisbigliano, bisbigliano.<br />

399. Discorso di commiato a Betsur e amore materno di Elisa.<br />

9 marzo 1946.<br />

1 È appena fatto giorno quando gli infaticabili camminatori giungono alle viste di Betsur. Stanchi,<br />

sgualciti nelle vesti per un riposo certo molto scomodo nei boschi, guardano con gioia la cittadina<br />

ormai prossima, dove sono certi di trovare ospitalità.<br />

I contadini che si recano ai loro lavori sono i primi ad incontrare Gesù, e pensano sia bene lasciare<br />

in asso i lavori per tornare in città ad ascoltare il Maestro. E così fanno dei pastori dopo avere<br />

chiesto se si trattiene o se non lo fa.<br />

«Lascerò Betsur a sera» risponde Gesù.<br />

«E parlerai, Maestro?».<br />

«Certamente» .<br />

«Quando?».<br />

«Subito».<br />

«Noi abbiamo i greggi… Non potresti parlare qui, nelle campagne? Le pecore brucherebbero l’erba<br />

e noi non perderemmo la tua parola».<br />

«Seguitemi. Lo farò sui pascoli a settentrione. Devo prima vedere Elisa».<br />

I pastori col loro bastone fanno volgere le pecore, e dietro agli uomini si mettono loro e le loro<br />

pecore belanti. Traversano il paese.<br />

2 Ma la notizia è già arrivata alla casa di Elisa. Ed è sulla piazza, che sta davanti alla casa, che Elisa<br />

con Anastasica rendono il loro omaggio di discepole al Maestro che le benedice.<br />

«Entra nella mia casa, Signore. Tu l’hai liberata dal dolore, ed essa ti vuole essere conforto in ogni<br />

suo abitante e suppellettile» dice Elisa.<br />

«Sì, Elisa. Ma vedi quanto popolo ci segue? Ora parlerò a tutti e poi, dopo l’ora di terza, verrò e<br />

sosterò nella tua casa per ripartire a sera. E parleremo fra noi…» promette per consolare Elisa, che<br />

sperava un più lungo soggiorno e che fa un viso deluso sentendo le intenzioni di Gesù.<br />

Ma Elisa è buona discepola e non fa obbiezioni. Chiede solo licenza di dare ordine ai servi prima di<br />

andare con gli altri dove Gesù si dirige. E lo fa sollecita, ben diversa dalla inerte donna dello scorso<br />

anno…<br />

Gesù è già fermo in un vasto prato su cui scherza il sole filtrando dalle fronde leggere di alberi<br />

d’alto fusto, che, se non erro, sono frassini, e sta guarendo un bambino e un vecchio, malato il


primo di qualche malattia interna, l’altro agli occhi. Non ci sono altri malati e Gesù benedice i<br />

piccoli che le madri gli offrono, attendendo paziente che Elisa lo raggiunga insieme ad Anastasica.<br />

Eccole, infine.<br />

3 Gesù inizia subito a parlare.<br />

«Popolo di Betsur, ascolta. Lo scorso anno vi ho detto cosa occorre fare per guadagnare il Regno di<br />

<strong>Dio</strong>. Ora ve lo confermo perché non abbiate a perdere ciò che avete guadagnato. È l’ultima volta<br />

che il Maestro vi parla cosi, ad un’assemblea nella quale non manca alcuno. Dopo potrò incontrarvi<br />

ancora, per caso, ad uno ad uno, o a piccoli gruppi, sulle vie della nostra patria terrena. Dopo, più<br />

tardi ancora, potrò vedervi nel mio Regno. Ma non sarà mai più come ora.<br />

In futuro tante cose vi verranno dette di Me, contro di Me, di voi e contro di voi. Vi vorranno<br />

terrorizzare. <strong>Io</strong> con Isaia vi dico*: non temete, perché <strong>Io</strong> vi ho redento e vi ho chiamato a nome.<br />

Solo coloro che vorranno abbandonarmi avranno ragione di temere. Non coloro che, essendo fedeli,<br />

sono miei. Non temete! Siete miei ed <strong>Io</strong> sono vostro. Né le acque dei fiumi, né le fiamme dei roghi,<br />

né le pietre, né le spade, potranno separarvi da Me se in Me perseverate, anzi sempre più le fiamme,<br />

le acque, le spade e le pietre, a Me vi uniranno, e altri Me sarete e il mio premio avrete. <strong>Io</strong> sarò con<br />

voi nelle ore dei tormenti, con voi nelle prove, con voi fino alla morte; e dopo, nulla più ci potrà<br />

separare.<br />

Oh! popolo mio! Popolo che lo ho chiamato e radunato, e chiamerò e radunerò più ancora quando<br />

sarò innalzato, traendoti tutto a Me, o popolo scelto, popolo santo, non temere, perché lo sono e sarò<br />

teco e tu mi annuncerai, popolo mio, e perciò voi che lo componete sarete detti i miei ministri e a<br />

voi darò, do fin da ora l’ordine di dire al settentrione, all’oriente, all’occidente e al mezzogiorno, di<br />

rendere i figli e le figlie del <strong>Dio</strong> Creatore, anche quelli degli estremi confini del mondo, perché tutti<br />

mi conoscano per loro Re e mi invochino secondo il mio vero Nome, ed abbiano quella gloria per<br />

cui sono stati creati e siano la gloria di chi li ha fatti e formati.<br />

Isaia lo dice che le tribù e le nazioni per credere invocheranno dei testimoni della mia gloria. E dove<br />

troverò dei testimoni se il Tempio e la Reggia, se le caste potenti mi odiano e mentono per non voler<br />

dire che <strong>Io</strong> sono chi sono? Dove li troverò? Eccoli, o <strong>Dio</strong>, i miei testimoni! Questi che ho istruiti<br />

nella Legge, questi che ho guariti nel corpo e nello spirito, questi che erano ciechi e ora vedono,<br />

sordi e ora odono, muti e ora sanno dire il tuo Nome, questi che erano oppressi e sono liberati, tutti,<br />

tutti questi ai quali il tuo Verbo è stato Luce, Verità, Via, Vita. Voi<br />

___________________<br />

* con Isaia vi dico: il discorso che segue sembra basarsi su Isaia 43.<br />

siete i miei testimoni, i servi da Me eletti affinché conosciate e crediate e comprendiate che sono<br />

proprio <strong>Io</strong>.<br />

4 Sono <strong>Io</strong> il Signore, il Salvatore. Credetelo per vostro bene. All’infuori di Me non vi è altro<br />

salvatore. Sappiate credere questo contro ogni umana o satanica insinuazione. Dimenticate ogni<br />

altra cosa che vi sia stata detta da bocca che non è la mia e che sia disforme alla mia parola.<br />

Respingete ogni altra cosa che vi possa essere detta nel futuro. Dite, a chiunque vorrà farvi abiurare<br />

il Cristo, dite: “Le sue opere parlano al nostro spirito”, e siate perseveranti nella fede.<br />

Molto ho fatto per darvi una fede intrepida. Ho curato i vostri malati e sollevato i vostri dolori,<br />

come un Maestro buono vi ho istruiti, e come un Amico ascoltati, ho spezzato con voi il pane e<br />

spartita la bevanda. Ma queste sono ancora opere di santo e profeta. Altre ne farò, e tali da levare<br />

ogni dubbio che le tenebre possano suscitare come il turbine suscita nuvole di tempesta nel sereno<br />

di un cielo estivo. Lasciate passare il nembo stando fermi nella carità per il vostro Gesù, per questo<br />

Gesù che ha lasciato il Padre per venire a salvarvi e che lascerà la vita per darvi la salute.<br />

Voi, voi che ho amato ed amo ben più di Me stesso, perché non c’è amore più grande di quello di<br />

immolarsi per il bene di coloro che si ama, non vogliate essere inferiori a coloro che nella profezia<br />

d’Isaia sono detti bestie selvatiche, dragoni e struzzi, ossia gentili, idolatri, pagani, immondi, i quali,<br />

quando da Me stesso avrò testimoniato la potenza del mio amore e della mia Natura, vincendo da<br />

solo anche la Morte - che è cosa che si può constatare e che nessuno, che non sia menzogna, potrà<br />

negare - diranno: “Egli era il Figlio di <strong>Dio</strong>!”, e vincendo ostacoli, in apparenza insormontabili, di


secoli e secoli di paganesimo immondo, di tenebre, di vizio, verranno alla Luce, alla Fonte, alla<br />

Vita. Non siate, non siate come troppo Israele che non m’offre olocausto, che non mi onora con le<br />

vittime, ma anzi mi dà pena con le sue iniquità e mi fa vittima del suo animo duro, e al mio amore<br />

che perdona risponde con l’odio sotterraneo che mi scalza il terreno per farmi cadere, onde poter<br />

dire: “Vedete? È caduto perché <strong>Dio</strong> l’ha fulminato”.<br />

Cittadini di Betsur, siate forti. Amate la mia Parola perché è vera e il mio Segno perché è santo. <strong>Il</strong><br />

Signore sia sempre con voi, e voi siate con i servi del Signore, tutti uniti, perché ognun di voi sia là<br />

dove <strong>Io</strong> vado e sia fatta un’eterna dimora in Cielo per tutti quelli che, superata la tribolazione e<br />

vinta la battaglia, muoiono nel Signore e nel Signore risorgono, in eterno!».<br />

5 «Signore, ma che hai voluto dire? Gridi di trionfo e gridi di dolore sono stati nel tuo parlare!»<br />

dicono alcuni cittadini.<br />

«Sì. Sei simile a colui che si sa attorniato da nemici» dicono altri.<br />

«E quasi ci dici che noi pure lo saremo», e altri.<br />

«Che c’è nel tuo domani, o Signore?», e altri ancora.<br />

«La gloria!» grida Giuda di Keriot.<br />

«La morte!» sospira Elisa piangendo.<br />

«La Redenzione. <strong>Il</strong> compimento della mia missione. Non temete. Non piangete. Amatemi. <strong>Io</strong> sono<br />

felice di essere il Redentore. Vieni, Elisa. Andiamo alla tua casa…», e si avvia per il primo<br />

fendendo la gente che è turbata da opposte emozioni.<br />

«Ma perché, Signore, sempre questi discorsi?!» brontola, interrogando e rimproverando, Giuda. E<br />

aggiunge: «Non sono da re».<br />

Gesù non gli risponde. Risponde invece a suo cugino Giacomo, che gli chiede con l’occhio lucido<br />

di pianto: «Perché, o fratello, citi sempre brani del Libro nei tuoi commiati?».<br />

«Onde chi mi accusa non dica che <strong>Io</strong> farnetico e bestemmio, e onde chi non si vuole arrendere alla<br />

realtà delle cose capisca che da sempre la Rivelazione mi ha mostrato Re di un regno non umano,<br />

che si disegna, si costruisce e cementa coll’immolazione della Vittima, dell’unica Vittima che può<br />

ricreare il Regno dei Cieli, distrutto da Satana e dai progenitori. Superbia, odio, menzogna, lussuria,<br />

disubbidienza, hanno distrutto. Umiltà, ubbidienza, amore, purezza, sacrificio, ricostruiranno… Non<br />

piangere, donna. Coloro che ami e che attendono, sospirano l’ora della mia immolazione...».<br />

6Entrano in casa e, mentre ancora gli apostoli si occupano di ristorarsi membra e stomaco, Gesù va<br />

nel giardino, ordinato, fiorito, e, solo con Elisa, l’ascolta parlare.<br />

«Maestro, io sola so che Giovanna ti vuole parlare, in segreto. Mi ha mandato Gionata. Ha detto:<br />

“Per cose molto gravi”. Neppure la figlia che Tu mi hai dato - e che Tu ne sia benedetto - lo sa.<br />

Giovanna ha mandato servi in ogni direzione a cercarti. Ma non ti hanno trovato…».<br />

«Ero molto lontano, e sarei andato ancor più lontano se non mi avesse spronato lo spirito a<br />

tornare… Elisa, tu verrai con Me e con lo Zelote da Giovanna. Gli altri rimarranno qui per due<br />

giorni in riposo e poi verranno a Bétèr. Tu ritornerai con Gionata».<br />

«Sì, mio Signore…». Elisa lo guarda, materna, lo scruta… Non sa trattenere una parola: «Tu<br />

soffri?».<br />

Gesù crolla il capo senza un vero cenno di diniego ma con chiaro sconforto.<br />

«Sono una madre… Tu sei il mio <strong>Dio</strong>... ma… Oh! mio Signore! Che pensi che voglia Giovanna?<br />

Parlavi di morte ed io l’ho capito, perché nel Tempio le vergini molto leggevano le Scritture dove<br />

parlano di Te Salvatore, e mi ricordo quelle parole. Parlavi di morte e il tuo viso splendeva di gioia<br />

celeste… Ora non splende il tuo volto… Maria mi fu come una figlia... e Tu sei il Figlio di Lei...<br />

Perciò, se non è peccato dirlo, ti vedo un poco come figlio mio... Tua Madre è lontana… Ma una<br />

madre è al tuo fianco. Benedetto di <strong>Dio</strong>, non posso sollevare la tua pena?».<br />

«Già la sollevi perché mi ami. Che penso su quanto Giovanna ha da dirmi? La mia vita è come<br />

questo roseto. Le rose siete voi, discepole buone. Ma, levate le rose, che restano? Spine…».<br />

«Ma noi ti resteremo fino alla morte».<br />

«È vero. Fino alla morte! Ed il Padre vi benedirà per il conforto che mi darete. Entriamo in casa.<br />

Riposiamo. Al tramonto partiremo per Bétèr».


99. A Bétèr da Giovanna di Cusa, che parla del danno provocato<br />

dall’Iscariota presso Claudia.<br />

12 marzo 1946.<br />

1 Gesù, seguito dallo Zelote che conduce per la briglia l’asinello cavalcato da Elisa, batte alla porta<br />

del guardiano di Bétèr. Non hanno fatto la strada dell’altra volta e sono giunti ai possedimenti di<br />

Giovanna dal paesello sparso per le chine occidentali del monte su cui sorge il castello.<br />

<strong>Il</strong> guardiano, che riconosce il Signore, si affretta a spalancare il cancello che è a fianco della sua<br />

casetta e che immette nel giardino che precede l’abitazione, e che costituisce il principio di quel<br />

luogo di sogno che sono i giardini a roseto di Giovanna. Un intenso odore di rose fresche e di<br />

essenza di rose stagna nell’aria calda del crepuscolo, e quando il primo vento della sera, venendo da<br />

oriente, passa, facendo ondulare i roseti in fiore, più acuto si fa il profumo, più fresco, più vero,<br />

perché veniente dai poggi messi a roseto e vincente il pesante profumo dell’essenza, che esce da<br />

una bassa e larga tettoia posta contro il muraglione occidentale del possesso.<br />

<strong>Il</strong> guardiano spiega: «La mia padrona è là. Ogni sera va là, dove a quest’ora si raccolgono i coglitori<br />

e gli essenzieri, e parla loro, li interroga, li medica, li conforta. Oh! è buona la nostra padrona. Lo è<br />

sempre stata. Ma da quando poi è tua discepola!… Ora la chiamo… Sono tempi di molto lavoro<br />

questi, e i coglitori abituali non bastano, benché siano da Pasqua aumentati coi nuovi servi e serve<br />

che ella ha preso. Attendimi, o Signore…».<br />

«No, vado <strong>Io</strong> da lei. <strong>Dio</strong> ti benedica e ti dia pace» dice Gesù alzando la mano a benedire il vecchio<br />

guardiano che, fino allora, ha ascoltato parlare pazientemente. E, lasciatolo, se ne va verso la bassa<br />

e larga tettoia.<br />

2 Ma il rumore dei passi sulla terra dura del sentiero fa sporgere il capo a Mattia, curiosetto alquanto,<br />

e con uno strillo il bambino si precipita fuori, a braccia già aperte e alte, in invito e desiderio di<br />

abbraccio. «C’è Gesù! C’è Gesù!» grida correndo. E quando egli è già fra le braccia del Signore che<br />

lo bacia, si affaccia Giovanna in mezzo ai suoi servi.<br />

«<strong>Il</strong> Signore!» grida a sua volta, e cade in ginocchio per venerarlo subito, dal luogo dove si trova. Si<br />

prostra e poi si alza, con un volto che l’emozione tinge di un porporino simile a petalo di rosa<br />

accesa. E poi viene verso Gesù. E si prostra ancora a baciarne i piedi.<br />

«La pace a te, Giovanna. Mi volevi? Sono venuto».<br />

«Ti volevo… Sì, Signore…». Giovanna torna pallida e seria.<br />

Gesù lo nota. «Alzati, Giovanna. Cusa sta bene?».<br />

«Sì, mio Signore».<br />

«E la piccola Maria, che non vedo qui?».<br />

«Anche, Signore… È andata con Ester a portare medicamenti ad un servo malato».<br />

«Per questo servo mi hai chiamato?».<br />

«No, Signore… Per… Te». Giovanna, è ben visibile, non vuole parlare alla presenza di tutti, che si<br />

sono affollati intorno.<br />

Gesù lo comprende e dice: «Va bene. Andiamo a vedere i tuoi roseti…».<br />

«Sarai stanco, Signore. Dovrai mangiare… Avrai sete…».<br />

«No. Abbiamo sostato nelle ore calde in una casa di discepoli dei pastori. Non sono stanco…».<br />

«Allora andiamo... Gionata, preparerai tutto per il Signore e per chi è con Lui… Scendi, Mattia…»<br />

ordina all’intendente, che le sta presso rispettoso, e al piccolo, che si è fatto un nido fra le braccia di<br />

Gesù e, carezzoso, tiene la testolina bruna nell’incavo del collo di Gesù, come un tortorino sotto<br />

l’ala paterna. <strong>Il</strong> bambino ha un sospirone di pena, però si appresta a ubbidire.<br />

Ma Gesù dice: «No. Verrà con noi e non darà noia. Sarà il piccolo angelo davanti al quale non può<br />

esser fatto atto o parola scandalosa, e che impedirà che il più lieve sospetto sorga nei cuori.<br />

Andiamo…».<br />

«Maestro, io ed Elisa entriamo in casa, o ci vuoi vicini?» chiede lo Zelote.<br />

«Andate pure».<br />

3 Giovanna conduce Gesù per il largo viale che divide il giardino, dirigendosi ai roseti che scendono<br />

e risalgono le chine opposte che costituiscono i possessi fioriti della discepola. E prosegue,


Giovanna. Quasi voglia proprio isolarsi là dove soltanto sono roseti e piante, e uccellini fra i rami,<br />

nelle ultime risse per trovare un posto per il sonno, o nelle ultime cure ai nidiaci. Le rose, questa<br />

sera ancora in boccio socchiuso, e che domani, sbocciate, cadranno sotto le cesoie, olezzano<br />

fortemente prima di riposare sotto le rugiade. Si fermano in una valletta fra due rughe di terreno, su<br />

cui a festoni ridono da una parte rose carnicine, dall’altra rose rosse come macchie di sangue che<br />

stia rapprendendo. Vi è lì un masso a far da sedile, o da appoggio ai cesti dei coglitori. Rose e petali<br />

sgualciti sono fra l’erba e sul masso, testimonianza del lavoro del giorno.<br />

Giovanna, con la mano inanellata, spazza via quegli scarti dal sedile e dice: «Siedi, Maestro. Ti<br />

devo parlare… a lungo».<br />

Gesù si siede e Mattia si pone a correre qua e là sull’erbetta, finché trova un grande interesse<br />

nell’inseguire un grosso rospo venuto a prendere il fresco della sera, e si allontana con gridi e salti<br />

di gioia, andando, venendo, dietro al povero rospo, finché lo distrae la tana di un grillo dentro la<br />

quale si pone a frugare con uno steccolino.<br />

«Giovanna, <strong>Io</strong> sono qui per ascoltarti… Non parli?» chiede Gesù dopo qualche tempo di silenzio, e<br />

lascia di osservare il bambino per guardare la discepola che gli sta ritta davanti seria e silenziosa.<br />

«Sì, Maestro. Ma… è molto difficile… e credo sia penoso ad udirsi…».<br />

«Parla con semplicità e fiducia…».<br />

4 Giovanna si lascia scivolare sull’erba e, semiseduta sui calcagni, in basso rispetto a Gesù che è<br />

seduto più in alto, sul suo sedile, austero e rigido nella posa, distante come uomo più che se fosse<br />

separato da metri e metri e da ostacoli e ostacoli, vicino come <strong>Dio</strong> e Amico per la bontà dello<br />

sguardo e del sorriso. E lo guarda, lo guarda Giovanna, nel crepuscolo dolce della sera di maggio.<br />

Infine parla: «Mio Signore… prima di parlare… io ho bisogno di interrogarti… di conoscere il tuo<br />

pensiero… di comprendere se io mi sono sempre sbagliata nel comprendere le tue parole… Sono<br />

donna, una stolta donna… forse ho sognato… e solo ora io so realmente le cose… le cose come le<br />

hai dette, come le hai preparate, come le vuoi per il tuo Regno... Forse ha ragione Cusa… e io<br />

torto…».<br />

«Cusa ti ha rimproverata?».<br />

«Sì e no, Signore. Soltanto mi ha detto, con possanza di marito, che se è come i fatti ultimi lo fanno<br />

pensare, io devo lasciarti perché egli, dignitario di Erode, non può permettere che sua moglie cospiri<br />

contro Erode».<br />

«E quando mai fosti cospiratrice? Chi pensa di danneggiare Erode? <strong>Il</strong> suo povero trono, così sozzo,<br />

è inferiore a questo sedile fra i roseti. Qui mi siedo, là non mi sederei. Si rassicuri Cusa! Non il<br />

trono di Erode, ma neppur quello di Cesare mi suscitano voglia. Non sono questi i miei troni, né<br />

questi i miei regni».<br />

«Oh! Sì, Signore?! Te benedetto! Quanta pace mi dài! Sono giorni che soffro per questo! Maestro<br />

mio, santo e divino, il mio caro Maestro, il mio Maestro di sempre quale ti ho capito, visto, amato,<br />

quale ti ho creduto, così alto, così alto sopra la terra, così… così divino, o mio Signore e Re<br />

celeste!», e Giovanna, presa la mano di Gesù, ne bacia rispettosamente il dorso stando a ginocchi,<br />

come in adorazione.<br />

«Ma che, dunque, è avvenuto? Cosa, che <strong>Io</strong> ignoro, capace di turbarti così, di offuscare in te la<br />

limpidità della mia figura morale e spirituale? Parla!».<br />

«Che? Maestro, i fumi dell’errore, della superbia, della avidità, della cocciutaggine si sono elevati<br />

come da fetidi crateri e ti hanno offuscato nel concetto di alcuni, di alcune… e tentavano fare lo<br />

stesso in me. Ma io sono la tua Giovanna, la tua grazia, o <strong>Dio</strong>. E non mi sarei perduta. Almeno lo<br />

spero, conoscendo quanto è buono Iddio. Ma chi non è che un embrione di anima che lotta per<br />

formarsi può ben morire per un disinganno. Ma chi non è che uno che da mare fangoso, turbato da<br />

correnti violente, tenta raggiungere il lido, il porto, purificarsi, conoscere altri luoghi di pace, di<br />

giustizia, può ben essere sopraffatto da stanchezza, se perde la fiducia in questo lido, in questi<br />

luoghi, e lasciarsi riprendere dalle correnti, dal fango. Ed io di questa rovina di anime, per le quali<br />

impetro la tua luce, mi dolevo, mi torturavo. Le anime che formiamo alla Luce eterna ci sono ancor<br />

più care dei corpi che diamo alla luce terrena. Ora lo comprendo cosa è essere madri di una carne e<br />

madri di un’anima. Si piange per la creaturina nostra che muore. Ma è solo nostro dolore. Per uno


spirito che abbiamo cercato di crescere nella tua luce e che muore, si soffre non per noi sole. Ma<br />

con Te, con <strong>Dio</strong>… perché nel nostro dolore per la morte spirituale di un’anima è anche il tuo dolore,<br />

infinito dolore di <strong>Dio</strong>… Non so se mi spiego bene…».<br />

«Oh! molto bene. 5 Ma racconta con ordine, se vuoi che <strong>Io</strong> ti consoli».<br />

«Sì, Maestro. Tu hai mandato Simone Zelote e Giuda di Keriot a Betania, non è vero? Per quella<br />

fanciulla ebrea che le romane ti hanno dato e che Tu hai mandata a Niche…».<br />

«Sì. Ebbene?…».<br />

«Ed essa volle salutare le buone padrone, e Simone e Giuda l’accompagnarono all’Antonia. Lo<br />

sai?».<br />

«Lo so. Ebbene?».<br />

«Maestro… ti devo dare un dolore… Maestro, Tu proprio non sei che un Re dello spirito? Non<br />

pensi a regni terreni?».<br />

«Ma no, Giovanna! Come lo puoi ancora pensare?».<br />

«Maestro, per riavere la gioia di vederti divino, solo divino. Ma a Te, proprio perché sei tale, devo<br />

dare un dolore… Maestro, l’uomo di Keriot non ti capisce, e non capisce chi ti rispetta come<br />

sapiente, come grande filosofo, come Virtù sulla terra, ma solo per questo ti ammira e ti si professa<br />

protettrice. È strano che delle pagane comprendano ciò che un tuo apostolo non comprende, dopo<br />

essere con Te da tanto…».<br />

«Lo acceca l’umanità, l’amore umano».<br />

«Tu lo scusi… Ma ti nuoce, Maestro. Mentre Simone parlava con Plautina, Lidia e Valeria, Giuda<br />

ha parlato con Claudia, in tuo nome, come tuo ambasciatore. Le voleva strappare promesse per una<br />

restaurazione del regno d’Israele. Claudia lo ha molto interrogato… Egli molto ha parlato. Certo<br />

pensa di essere alle soglie del suo folle sogno, là dove il sogno si muta in realtà. Maestro, Claudia si<br />

è sdegnata di questo. È figlia di Roma… Ha l’impero nel sangue… Vuoi mai che ella, proprio lei,<br />

figlia dei Claudi, vada contro Roma? Ne ha avuto un urto così profondo che ha dubitato di Te e<br />

della santità della tua dottrina. Ella ancora non può concepire, capire la santità della tua origine...<br />

Ma vi perverrà, perché in lei è la buona volontà. Vi perverrà quando si sarà rassicurata su di Te. Per<br />

ora le appari come ribelle, usurpatore, avido, falso… Plautina e le altre hanno cercato di<br />

rassicurarla… Ma lei vuole una risposta immediata, da Te».<br />

6 «Dille che non tema. <strong>Io</strong> sono il Re dei re, Colui che li creo e li giudico, ma non avrò altro trono che<br />

non sia quello di Agnello, immolato prima e poi trionfante in Cielo. Faglielo sapere subito».<br />

«Sì, Maestro. Andrò io, personalmente. Prima che lascino Gerusalemme, perché Claudia è tanto<br />

sdegnata che non resta oltre all’Antonia... per non… vedere i nemici di Roma, dice».<br />

«Chi ti ha detto ciò?».<br />

«Plautina e Lidia. Sono venute… e Cusa era presente… e dopo… mi ha posto il dilemma. O Tu sei<br />

il Messia spirituale o lasciarti per sempre».<br />

Gesù ha un sorriso stanco sul volto, che è impallidito di dolore per il racconto di Giovanna, e dice:<br />

«Cusa non viene qui?».<br />

«Domani è sabato e vi sarà».<br />

«Ed <strong>Io</strong> lo rassicurerò. Non temere. Nessuno tema. Non Cusa per il suo posto a Corte, non Erode per<br />

eventuali usurpazioni, non Claudia per amore di Roma, non tu per tema di esserti ingannata, di<br />

poter essere separata… Nessuno tema… <strong>Io</strong> solo devo temere… e soffrire…».<br />

«Maestro, questo dolore non te lo avrei voluto dare. Ma tacere sarebbe stato inganno… Maestro,<br />

come ti comporterai con Giuda?… <strong>Io</strong> ho paura delle sue reazioni... per Te, sempre per Te…».<br />

«Con verità. Facendogli capire che so e che disapprovo il suo atto e la sua caparbietà».<br />

«Mi odierà perché capirà che per me Tu sai…».<br />

«Te ne duoli?».<br />

«<strong>Il</strong> tuo odio mi darebbe dolore. Non il suo. Sono donna. Ma più virile di lui nel servirti. Ti servo<br />

perché t’amo, non per avere onori da Te. Se domani per Te perdessi ricchezze, amore di sposo e<br />

anche libertà e vita, ti amerei più ancora. Perché allora non avrei che Te da amare e ad amarmi» dice<br />

Giovanna, con impeto, alzandosi in piedi.<br />

7 Anche Gesù si alza, e dice: «Sii benedetta, Giovanna, per questa parola. E sta’ in pace. Né l’odio né


l’amore di Giuda possono alterare ciò che è scritto in Cielo. La mia missione sarà compiuta come è<br />

deciso. Non avere rimorsi, mai. Sii tranquilla come il piccolo Mattia, che dopo aver lavorato a fare<br />

una casa, secondo lui più bella, al suo grillo, si è addormentato con la fronte contro dei petali di<br />

rosa, e sorride… credendo averla sulle rose. Perché bella è la vita quando si è innocenti. Anche <strong>Io</strong><br />

sorrido, anche se la mia vita umana non ha fiori, ma petali sfogliati, appassiti. Ma in Cielo avrò tutte<br />

le rose dei salvati… Vieni. La notte scende. Fra poco non vedremmo più il sentiero».<br />

Giovanna fa per prendere il bimbo in braccio.<br />

«Lascia… Lo prendo <strong>Io</strong>. Guarda come sorride! Certo sogna il Cielo. La mamma. E te… Anche <strong>Io</strong>,<br />

nelle mie pene di ogni ora, sogno il Cielo, la Mamma e le buone discepole».<br />

E lentamente si avviano verso la casa…<br />

Maria Valtorta<br />

L'Evangelo come mi è stato rivelato<br />

INDICE DEL VOLUME OTTAVO<br />

Terzo anno della Vita pubblica di Gesù.<br />

(continuazione e fine) * = in linea<br />

501. Parabola dei figli lontani. Guarigione dei due figli ciechi dell’uomo di<br />

Petra.<br />

502. Altro sconforto di Pietro e lezione sulle possessioni, sia divine che<br />

diaboliche.<br />

503. Gli apostoli indagano sul Traditore. Un sadduceo e l’infelice moglie di un<br />

negromante. Saper distinguere il soprannaturale dall’occulto.<br />

504. Marziam preparato al distacco. Ritorno al villaggio di Salomon e morte di<br />

Anania.<br />

505. Nel Tempio, una grazia ottenuta con la preghiera incessante e la parabola<br />

del giudice e della vedova.<br />

506. Nel Tempio, il contestato discorso che rivela in Gesù la Luce del mondo.<br />

507. La grande disputa con i Giudei e fuga dal Tempio con l’aiuto del levita<br />

Zaccaria.<br />

508. Giovanni sarà la luce del Cristo fino alla fine dei tempi. <strong>Il</strong> piccolo<br />

Marziale-Manasse accolto da Giuseppe di Sefori.<br />

509. <strong>Il</strong> vecchio sacerdote Matan, accolto con gli apostoli e i discepoli fuggiti<br />

dal Tempio. <strong>Il</strong> piccolo Marziale e la nuova circoncisione.<br />

510. La guarigione di un cieco nato, provocata da una manovra di Giuda<br />

Iscariota.<br />

511. In casa di Giovanni di Nobe, ancora una lode alla Corredentrice.<br />

Menzogne di Giuda Iscariota.<br />

512. Profezia dinanzi ad un paese distrutto.<br />

513. A Emmaus Montana, una parabola sulla vera sapienza e un monito ad<br />

Israele.<br />

514. Consigli sulla santità ad un giovane indeciso. Rimprovero ai cittadini di<br />

Beteron dopo la guarigione di un romano e di una giudea.<br />

515. Le ragioni del dolore salvifico di Gesù. Elogio dell’ubbidienza e lezione<br />

sull’umiltà.<br />

516. A Gabaon, miracolo del mutolino ed elogio della sapienza come amore a


<strong>Dio</strong>.<br />

517. Verso Nobe, resipiscenza di Giuda Iscariota dopo una discussione.<br />

518. A Gerusalemme, l’incontro con il cieco guarito e il discorso che rivela in<br />

Gesù il buon Pastore.<br />

519. Inspiegabile assenza di Giuda Iscariota e sosta a Betania, da Lazzaro che<br />

non è lebbroso.<br />

520. Discorsi sull’Iscariota assente e arrivo a Tecua con il vecchio Elianna.<br />

521. A Tecua, commiato dai cittadini e dal vecchio Elianna, il primo dei<br />

perseguitati per causa di Gesù.<br />

522. Arrivo a Gerico. L’amore terreno della folla e l’amore soprannaturale del<br />

convertito Zaccheo.<br />

523. A Gerico. La richiesta a Gesù di giudicare su una donna. La parabola del<br />

fariseo e del pubblicano dopo un paragone tra peccatori e malati.<br />

524. A Gerico. In casa di Zaccheo con i peccatori convertiti.<br />

525. Profezie di Sabea di Betlechi e giudizio su di lei.<br />

526. Guarigioni presso il guado di Betabara e discorso nel ricordo di Giovanni<br />

Battista.<br />

527. Ignoranze e tentazioni nella natura umana del Cristo.<br />

528. A Nobe, il conforto materno di Elisa e il ritorno inquietante di Giuda<br />

Iscariota.<br />

529. Ammaestramenti agli apostoli mentre fanno lavori manuali in casa di<br />

Giovanni di Nobe.<br />

530. Un’altra notte di peccato di Giuda Iscariota.<br />

531. A Nobe, malati e pellegrini da ogni regione. Valeria e il divorzio.<br />

Guarigione del piccolo Levi.<br />

532. Preparativi per le Encenie. Una prostituta mandata a tentare Gesù, che<br />

lascia Nobe.<br />

533. Verso Gerusalemme con Giuda Iscariota, che sembra prendere una<br />

decisione.<br />

534. Ammaestramenti e guarigioni nella sinagoga dei liberti romani. Un<br />

mandato per i Gentili.<br />

535. Giuda Iscariota chiamato a riferire in casa di Caifa.<br />

536. Guarigione di sette lebbrosi e arrivo a Betania con gli apostoli riuniti.<br />

Marta e Maria preparate da Gesù alla morte di Lazzaro.<br />

537. Al Tempio nella festa della Dedicazione, Gesù si manifesta ai Giudei, che<br />

tentano di lapidarlo.<br />

538. Gesù orante nella grotta della Natività, contemplato dai discepoli<br />

ex-pastori.<br />

539. La perfezione spiegata a Giovanni di Zebedeo che si è accusato di colpe<br />

inesistenti.<br />

540. Giovanni sarà “figlio” per la Madre di Gesù. Incontro con Mannaen e<br />

lezione sull’amore per gli animali. Conclusione del terzo anno. *<br />

Preparazione alla Passione di Gesù.<br />

541. Giudei in visita a Betania.<br />

542. I giudei nella casa di Lazzaro.<br />

543. Marta manda un servo a chiamare il Maestro.<br />

544. Delirio e morte di Lazzaro.


545. <strong>Il</strong> servo di Betania riferisce a Gesù il messaggio di Marta. Predizione a<br />

Simon Pietro su Roma cristiana.<br />

546. <strong>Il</strong> giorno dei funerali di Lazzaro.<br />

547. Gesù decide di andare a Betania.<br />

548. La risurrezione di Lazzaro.<br />

549. Seduta del Sinedrio e udienza da Pilato.<br />

550. Euforia tra gli apostoli. Missione d’amore per Lazzaro e di<br />

contemplazione assoluta per la sorella Maria. Gesù deve fuggire in<br />

Samaria.<br />

551. Gli apostoli informati, dopo una sosta da Niche, del bando emesso dal<br />

Sinedrio. L’arrivo ai confini della Giudea.<br />

552. Preparativi e accoglienze ad Efraim.<br />

553. Inizio del sabato ad Efraim. I ladroni dell’Adomin e il soccorso a tre<br />

bambini.<br />

554. <strong>Il</strong> sabato ad Efraim, su un’isoletta nel torrente. <strong>Il</strong> peccato originale<br />

spiegato in parabola ai tre bambini.<br />

555. A Nobe, malati e pellegrini da ogni regione. Valeria e il divorzio. *<br />

Guarigione del piccolo Levi.<br />

Maria Valtorta<br />

L’evangelo<br />

come mi è stato<br />

rivelato<br />

VOLUME OTTAVO


Preparazione alla Passione di Gesù.<br />

541. Giudei in visita a Betania.<br />

18 dicembre 1946.<br />

1 Un folto e pomposo gruppo di giudei su cavalcature di lusso entra in Betania. Sono scribi e farisei,<br />

nonché qualche sadduceo ed erodiano già visto altra volta, se non erro al banchetto in casa di Cusa<br />

per tentare Gesù a proclamarsi re. Sono seguiti da servi a piedi.<br />

La cavalcata traversa lentamente la cittadina, e gli zoccoli suonanti sul terreno duro, il tintinnio<br />

delle bardature, le voci degli uomini attirano fuori dalle porte gli abitanti, che guardano e con palese<br />

sbigottimento si curvano in saluti profondi per poi rialzarsi e riunirsi in crocchi bisbiglianti.<br />

«Avete visto?».<br />

«Tutti i sinedristi di Gerusalemme».<br />

«No. Giuseppe l’Anziano, Nicodemo e altri non c’erano».<br />

«E i farisei più noti».<br />

«E gli scribi».<br />

«E quello sul cavallo chi era?».<br />

«E certo vanno da Lazzaro».<br />

«Deve essere per morire».<br />

«Non so capire perché il Rabbi non sia qui».<br />

«E come vuoi, se lo cercano a morte quei di Gerusalemme?».<br />

«Hai ragione. Anzi, certo quei serpenti che sono passati vengono per vedere se il Rabbi è qui».<br />

«Sia lode a <strong>Dio</strong> che non c’è!».<br />

2 «Sai che hanno detto al mio sposo, ai mercati di Gerusalemme? Di stare pronti, che presto Egli si<br />

proclamerà re e dovremo tutti aiutarlo a fare... Come hanno detto? Mah! Una parola che voleva dire<br />

come se io dicessi che mando via tutti di casa e mi faccio io padrona».<br />

«Un complotto?... Una congiura?... Una rivolta?...», chiedono e suggeriscono.<br />

Un uomo dice: «Sì. Lo hanno detto anche a me. Ma non ci credo».<br />

«Ma sono discepoli del Rabbi che lo dicono!...».<br />

«Uhm! Che il Rabbi usi violenza e destituisca i Tetrarca, usurpando un trono che, con giustizia o no,<br />

è degli erodei, non lo credo. Faresti bene a dire a Gioacchino a non credere a tutte le voci...».<br />

«Ma sai che chi lo aiuterà sarà premiato in Terra e in Cielo? <strong>Io</strong> sarei ben contenta che mio marito lo<br />

fosse. Sono piena di figli, e la vita è difficile. Se si potesse avere un posto fra i servi del Re<br />

d’Israele!».<br />

«Senti, Rachele, io penso che sia meglio guardare il mio orto e i miei datteri. Se me lo dicesse Lui,<br />

oh! allora lascerei tutto per seguirlo. Ma detto da altri!...».<br />

«Ma sono discepoli suoi».<br />

«Non li ho mai visti con Lui e poi... No. Si fingono agnelli, ma hanno certe facce ribalde che non mi<br />

persuadono».<br />

«È vero. 3 Da qualche tempo succedono fatti strani, e sempre si dice che sono i discepoli del Rabbi<br />

che li fanno. L’ultimo dì avanti il sabato, alcuni di questi malmenarono una donna che portava uova<br />

ai mercati e dissero: “Le vogliamo in nome del Rabbi galileo”».<br />

«Ti pare che possa essere Lui a volere queste cose? Lui che dà e non prende? Lui che potrebbe<br />

vivere fra i ricchi e preferisce stare fra i poveri, e levarsi il mantello, come diceva a tutti quella<br />

lebbrosa guarita che ha incontrato Giacobbe?».<br />

Un altro uomo, che si è accostato al gruppo e ha ascoltato, dice: «Hai ragione. E quell’altra cosa che<br />

si dice, allora? Che il Rabbi ci farà succedere dei grandi guai perché i romani puniranno tutti noi per<br />

i suoi eccitamenti alla gente? Ci credete voi? <strong>Io</strong> dico - e non sbaglierò, perché sono vecchio e saggio<br />

- io dico che tanto quelli che ci dicono, a noi povera gente, che il Rabbi vuol prendere con violenza<br />

il trono e cacciare via anche i romani - così fosse! se fosse possibile farlo! - come chi fa violenze in<br />

nome suo, come chi ci eccita alla ribellione con promesse di utile futuro, come chi ci vorrebbe far


odiare il Rabbi come individuo pericoloso che ci porterà ai guai, sono tutti nemici del Rabbi, che<br />

cercano di rovinarlo per trionfare loro. Non ci credete! Non ci credete ai falsi amici della povera<br />

gente! Vedete come sono passati superbi? A me per poco non mi danno una legnata, perché stentavo<br />

a far entrare le pecore e impedivo, a loro, di andare... Amici nostri quelli lì? Mai. Sono i nostri<br />

vampiri e, non lo voglia il Signore, vampiri anche di Lui».<br />

4 «Tu che stai vicino ai campi di Lazzaro, sai se è morto?».<br />

«No. Non è morto. È lì, fra morte a vita... Ne ho chiesto a Sara, che coglieva foglie d’aromi per le<br />

lavande».<br />

«E allora perché quei là sono venuti?».<br />

«Mah! Hanno girato intorno alla casa, sul dietro, sui lati, intorno all’altra casa del lebbroso, e poi<br />

sono andati via verso Betlemme».<br />

«Ma se l’ho detto io! Sono venuti a vedere se c’era il Rabbi! Per fargli del male. Sai cosa era per<br />

loro potergli fare del male? E proprio in casa di Lazzaro? Di’ tu, Natan. Quell’erodiano non era<br />

quello che un tempo era l’amante di Maria di Teofilo?».<br />

«Era. Voleva forse vendicarsi in quel modo su Maria...».<br />

Arriva un ragazzetto di corsa. Grida: «Quanta gente in casa di Lazzaro! Venivo dal ruscello con<br />

Levi, Marco e Isaia, e abbiamo visto. I servi hanno aperto il cancello e preso le cavalcature. E<br />

Massimino è corso incontro ai giudei e altri sono corsi con grandi inchini. E sono uscite dalla casa<br />

Marta e Maria con le loro ancelle, a salutare. E si voleva vedere di più, ma hanno chiuso il cancello<br />

e sono andati tutti nella casa». <strong>Il</strong> fanciullo è tutto emozionato per le notizie che porta, per ciò che ha<br />

visto...<br />

Gli adulti commentano fra loro.<br />

542. I giudei nella casa di Lazzaro.<br />

19 dicembre 1946.<br />

1 Per quanto affranta di dolore e di fatica, Marta è sempre la signora che sa accogliere e ospitare,<br />

dando onore con quella signorilità perfetta della vera signora. Così, ora, dopo avere condotto in una<br />

delle sale la comitiva, impartisce ordini perché siano portati quei rinfreschi che sono d’uso e gli<br />

ospiti abbiano quanto può essere di conforto.<br />

I servi circolano mescendo bevande calde o vini pregiati e offrendo frutta bellissime, datteri biondi<br />

come topazi, uva secca, una specie del nostro zibibbo, di una perfezione di grappoli fantastica,<br />

miele filante, tutto in anfore, calici, piatti, vassoi preziosi. E Marta sorveglia attenta perché nessuno<br />

resti trascurato, ma anzi, a seconda dell’età, e forse anche dell’individuo, i cui umori le sono ben<br />

noti, regola l’offerta dei servi. Così ella ferma un servo, che si dirige ad Elchia con un’anfora colma<br />

di vino e un calice, e gli dice: «Tobia, non vino, ma acqua di miele e succo di datteri». E a un altro:<br />

«Certo Giovanni preferisce il vino. Offrigli il bianco dell’uva passita». E personalmente al vecchio<br />

scriba Canania offre latte caldo, che abbondantemente dolcifica con il biondo miele dicendo:<br />

«Gioverà alla tua tosse. Ti sei sacrificato per venire, sofferente come sei, e nella rigida giornata.<br />

2 Sono commossa di vedervi così premurosi».<br />

«Dovere nostro, Marta. Eucheria era della nostra stirpe. Una vera giudea che ha onorato noi tutti».<br />

«L’onore alla venerata memoria della madre mia mi tocca il cuore. Ripeterò a Lazzaro queste<br />

parole.<br />

«Ma noi vogliamo salutarlo. Un così buon amico!», dice, falso come sempre, Elchia che si è<br />

avvicinato.<br />

«Salutarlo? Non è possibile. È sfinito troppo».<br />

«Oh! non lo disturberemo. Non è vero, voi tutti? Ci basta solo un addio, dalla soglia della sua<br />

camera», dice Felice.<br />

«Non posso, non posso proprio. Nicomede si oppone ad ogni fatica ed emozione».<br />

«Uno sguardo all’amico morente non lo può uccidere, Marta», dice Callascebona. «Troppo ci<br />

dorrebbe non averlo salutato!».<br />

Marta è agitata, titubante. Guarda verso la porta, forse per vedere se Maria viene a darle aiuto. Ma


Maria è assente.<br />

I giudei osservano questa sua agitazione, e Sadoc, lo scriba, lo osserva a Marta: «Si direbbe che la<br />

nostra venuta ti agita, donna».<br />

«No. No, affatto. Compatite al mio dolore. Sono mesi che vivo presso chi muore e... non so più...<br />

non so più muovermi come un tempo nelle feste...».<br />

«Oh! non è una festa! Non volevamo neppure che tu ci onorassi così! Ma forse... Forse ci vuoi<br />

celare qualche cosa, e per questo non ci mostri Lazzaro e ci interdici la sua camera. Eh! Eh! Si sa!<br />

Ma non temere! La camera di un malato è asilo sacro a chiunque, credilo...», dice Elchia.<br />

3 «Non vi è nulla da celare in camera di nostro fratello. Nulla vi è nascosto. Essa accoglie soltanto un<br />

morente al quale sarebbe pietà risparmiare ogni ricordo penoso. E tu, Elchia, e tutti voi siete ricordi<br />

penosi per Lazzaro», dice Maria con la sua splendida voce d’organo, apparendo sulla soglia e<br />

tenendo scostata la tenda porpurea con la mano.<br />

«Maria!», geme Marta supplichevole, per frenarla.<br />

«Nulla, sorella. Lasciami dire...». Si rivolge agli altri: «E per levarvi ogni dubbio, un di voi - sarà un<br />

solo ricordo del passato che torna a dar dolore - venga meco, se la vista di un morente non lo<br />

disgusta e il fetore delle carni che muoiono non lo nausea».<br />

«E tu non sei un ricordo che dà dolore?», dice ironico l’erodiano, che ho già visto non so dove,<br />

lasciando il suo angolo e mettendosi di fronte a Maria.<br />

Marta ha un gemito. Maria ha uno sguardo d’aquila inquieta. I suoi occhi balenano. Si raddrizza<br />

altera, dimenticando la stanchezza e il dolore che le curvavano la persona, e con una espressione di<br />

regina offesa dice: «Sì. <strong>Io</strong> pure sono un ricordo. Ma non di dolore come tu dici. Sono il ricordo della<br />

Misericordia di <strong>Dio</strong>. E, me vedendo, Lazzaro muore con pace, perché sa di rendere il suo spirito<br />

nelle mani dell’infinita Misericordia».<br />

«Ah! Ah! Ah! Non erano queste le parole di un tempo! La tua virtù! A chi non ti conosce potresti<br />

porla in vista...».<br />

«Ma non a te, non è vero? Invece proprio a te la pongo sotto gli occhi, per dirti che si diventa come<br />

coloro che si praticano. Allora, sventuratamente, io avvicinavo te ed ero come te. Ora avvicino il<br />

Santo e divengo onesta».<br />

«Cosa distrutta non si ricostruisce, Maria».<br />

«Infatti il passato, tu, voi tutti, non potete più ricostruirlo. Non potete ricostruire ciò che avete<br />

distrutto. Non tu che mi fai ribrezzo. Non voi che avete offeso, al tempo del dolore, il mio fratello,<br />

ed ora, per bieco scopo, volete mostrare che siete i suoi amici».<br />

«Oh! Sei audace, donna. <strong>Il</strong> Rabbi ti avrà scacciato molti demoni, ma mite non ti ha fatta!», dice uno<br />

sui quarant’anni.<br />

«No, Gionata ben Anna. Non mi ha fatta debole. Ma più forte, dell’audacia di chi è onesto, di chi ha<br />

voluto tornare onesto e ha distrutto ogni legame col passato per farsi una nuova vita. 4 Avanti! Chi<br />

viene da Lazzaro?». È imperiosa come una regina. Li domina tutti con la sua franchezza, spietata<br />

anche contro se stessa. Marta, invece, è angosciata, con le lacrime negli occhi che fissano<br />

supplichevoli Maria perché stia zitta.<br />

«Verrò io!», dice con un sospiro di vittima Elchia, falso come una serpe. Escono insieme.<br />

Gli altri si volgono a Marta: «Tua sorella!... Sempre quel carattere. Non dovrebbe. Ha tanto da farsi<br />

perdonare», dice Uriel, il rabbi visto a Giscala, quello che là ha colpito* con sassi Gesù.<br />

__________________________<br />

* ha colpito, con Sadoc ed altri, in 340.8.<br />

Marta, sotto la sferza di queste parole, ritrova la sua forza e dice: «L’ha perdonata Iddio. Ogni altro<br />

perdono non ha valore dopo quello. E la sua vita attuale è d’esempio al mondo». Ma l’audacia di<br />

Marta presto cade e si muta in pianto. Geme fra le lacrime: «Siete crudeli! Verso lei... e verso me...<br />

Non avete pietà né del dolore passato, né del dolore attuale. Perché siete venuti? Per offendere e<br />

dare dolore?».<br />

«No, donna. No. Unicamente per salutare il grande giudeo che muore. Non per altro! Non per altro!<br />

Non devi prendere a male le rette intenzioni nostre. Abbiamo saputo da Giuseppe e Nicodemo<br />

dell’aggravamento e siamo venuti... come essi, i due grandi amici del Rabbi e di Lazzaro. Perché


volete trattarci in maniera diversa, noi che amiamo il Rabbi e Lazzaro come essi? Non siete giuste.<br />

Puoi forse dire che essi, con Giovanni, Eleazar, Filippo, Giosuè e Gioachino, non sono venuti a<br />

sentire di Lazzaro, e che anche Mannaen non è venuto?...».<br />

«Non dico nulla. Ma stupisco che voi sappiate tutto cosi bene. Non pensavo che anche l’interno<br />

delle case fosse sorvegliato da voi. Non sapevo che vi fosse un precetto nuovo oltre i<br />

seicentotredici: quello di indagare, di spiare nell’intimo delle famiglie... 5 Oh! scusate! <strong>Io</strong> vi offendo!<br />

<strong>Il</strong> dolore mi dissenna e voi lo acuite».<br />

«Oh! ti comprendiamo, donna! E perché vi pensiamo dissennate, siamo venuti a darvi un consiglio<br />

buono. Mandate a chiamare il Maestro. Anche ieri sette lebbrosi vennero a lodare il Signore perché<br />

il Rabbi li ha guariti. Chiamatelo anche per Lazzaro».<br />

«Non è lebbroso mio fratello», grida Marta convulsa. «Per questo lo avete voluto vedere? Per<br />

questo siete venuti? No. Non è lebbroso! Guardate le mie mani. <strong>Io</strong> lo curo da anni e non è lebbra su<br />

me. Ho la pelle arrossata dagli aromi, ma non ho lebbra. Non ho...».<br />

«Pace! Pace, donna. E chi ti dice che Lazzaro è lebbroso? E chi sospetta in voi un peccato così<br />

orrendo come quello di occultare un lebbroso? E credi tu che, nonostante la vostra potenza, non vi<br />

avremmo colpiti se aveste peccato? Anche sul corpo del padre e della madre e della sposa e dei figli<br />

noi siamo capaci di passare, pur di far ubbidire ai precetti. <strong>Io</strong> te lo dico. <strong>Io</strong>, Gionata di Uziel».<br />

«Ma certo! Così è! E ora ti diciamo, per il bene che ti vogliamo, per l’amore che avevamo a tua<br />

madre, per quello che abbiamo a Lazzaro: chiamate il Maestro. Scuoti il capo? Vuoi dire che è tardi<br />

ormai? Come? Non hai fede in Lui, tu, Marta, discepola fedele? È grave ciò! Cominci tu pure a<br />

dubitare?», dice Archelao.<br />

«Tu bestemmi, o scriba. <strong>Io</strong> credo nel Maestro come al <strong>Dio</strong> vero».<br />

«E allora perché non vuoi provare? Egli ha risuscitato i morti... Almeno così si dice... Forse non sai<br />

dove è? Se vuoi, te lo cerchiamo noi, ti aiutiamo noi», insinua Felice.<br />

«Ma no! Certo in casa di Lazzaro si sa dove è il Rabbi. Dillo con schiettezza, o donna, e noi<br />

partiremo a cercartelo e te lo condurremo, e staremo presenti al miracolo per gioire con te, con voi<br />

tutti», dice tentatore Sadoc.<br />

Marta è titubante, quasi tentata a cedere. Gli altri incalzano mentre lei dice: «Dove sia non so... Non<br />

so proprio... È partito giorni or sono e ci ha salutate come chi va via per lungo tempo... Mi sarebbe<br />

conforto sapere dove è... Almeno saperlo... Ma non so, in verità...».<br />

«Povera donna! Ma noi ti aiuteremo... Te lo condurremo», dice Cornelio.<br />

6 «No! Non occorre. <strong>Il</strong> Maestro... Voi parlate di Lui, non è vero? <strong>Il</strong> Maestro ha detto che dobbiamo<br />

sperare oltre lo sperabile, e in <strong>Dio</strong> solo. E noi lo faremo», tuona Maria che torna con Elchia, che la<br />

lascia subito chinandosi a parlare con tre farisei.<br />

«Ma egli muore, a quel che sento!», dice uno di essi, che è Doras.<br />

«E con ciò? Muoia! <strong>Io</strong> non ostacolerò il decreto di <strong>Dio</strong> e non disubbidirò al Rabbi».<br />

«E che vuoi sperare oltre la morte, o dissennata?», deride l’erodiano.<br />

«Che? La Vita!». La voce è un grido di fede assoluta.<br />

«La Vita? Ah! Ah! Sii sincera. Tu sai che davanti ad un vero morire nullo è il suo potere, e nel tuo<br />

stolto amore per Lui non vuoi che ciò appaia».<br />

«Uscite tutti! Toccherebbe a Marta di farlo. Ma essa vi teme. <strong>Io</strong> temo soltanto di offendere <strong>Dio</strong> che<br />

mi ha perdonata. E lo faccio perciò in luogo di Marta. Uscite tutti. Non vi è posto in questa casa per<br />

quelli che odiano Gesù Cristo. Fuori! Alle vostre tane tenebrose! Fuori tutti! O vi farò cacciare dai<br />

servi come una mandra di pezzenti immondi».<br />

È imponente nella sua ira. I giudei se la svignano, vili all’estremo, davanti alla donna. Vero è che<br />

quella donna pare un arcangelo irato...<br />

La sala si sgombra e gli sguardi di Maria, man mano che uno varca la soglia passandole davanti,<br />

creano una immateriale forca caudina sotto la quale deve abbassarsi la superbia dei vinti giudei. La<br />

sala resta vuota finalmente.<br />

7 Marta si accascia sul tappeto in uno scoppio di pianto.<br />

«Perché piangi, sorella? Non ne vedo la ragione...».<br />

«Oh! tu li hai offesi... ed essi ti hanno, ci hanno offese... e ora si vendicheranno... e...».


«Ma taci, stolta femmina! Su chi vuoi che si vendichino? Su Lazzaro? Prima devono deliberare, e<br />

avanti che decidano... Oh! su un gulal* non ci si vendica! Su noi? E abbiamo bisogno del loro pane<br />

per vivere? Gli averi non ce li toccheranno. Si proietta su essi l’ombra di Roma. E su che allora? E<br />

se anche fosse che potessero, non siamo noi due giovani e forti? Non potremo lavorare? Non è forse<br />

povero Gesù? Non è forse stato operaio Gesù nostro? Non saremmo più simili a Lui, essendo<br />

povere e lavoratrici? Ma glòriati di divenirlo! Speralo! Chiedilo a <strong>Dio</strong>!».<br />

«Ma ciò che ti hanno detto...».<br />

______________________________<br />

* gulal (o golal, come in 583.4), parola che MV fa seguire da un punto interrogativo, come se si<br />

chiedesse cosa significa, starebbe ad indicare qualcosa da rigettare, simile allo sterco menzionato in:<br />

1 Re 14, 10.<br />

«Ah! Ah! Ciò che mi hanno detto! È la verità. Me la dico io pure. Sono stata una immonda. Ora<br />

sono l’agnella del Pastore! E il passato è morto. Su, vieni da Lazzaro».<br />

543. Marta manda un servo a chiamare il Maestro.<br />

20 dicembre 1946.<br />

1 Mi trovo ancora nella casa di Lazzaro e vedo che Marta e Maria escono nel giardino<br />

accompagnando un uomo piuttosto anziano, molto dignitoso nell’aspetto e direi non ebreo, perché<br />

ha il volto completamente rasato come lo hanno i romani.<br />

Allontanate che sono un poco dalla casa, Maria gli chiede: «Ebbene, Nicomede? Che ci dici di<br />

nostro fratello? Noi lo vediamo molto... malato... Parla».<br />

L’uomo apre le braccia con un gesto di commiserazione e di costatazione dell’ineluttabilità del<br />

fatto, e dice fermandosi: «È molto malato... <strong>Io</strong> non vi ho mai ingannate sin dai primi tempi che l’ho<br />

preso in cura. Ho tentato di tutto, voi lo sapete. Ma non è servito. Ho anche... sperato, sì, ho sperato<br />

che almeno potesse vivere reagendo all’estenuazione della malattia con il buon nutrimento e i<br />

cordiali che gli preparavo. Ho tentato anche con veleni atti a preservare il sangue dalla corruzione e<br />

a sostenere le forze, secondo le vecchie scuole dei grandi maestri della medicina. Ma il male è più<br />

forte dei mezzi per curare il male. Sono come corrosioni queste malattie. Distruggono. E quando<br />

appaiono all’esterno, l’interno delle ossa ne è già invaso, e come la linfa in un albero dall’imo si<br />

alza alla vetta così qui dal piede la malattia si è estesa a tutto il corpo...».<br />

«Ma ha le gambe malate, quelle sole...», geme Marta.<br />

«Sì. Ma la febbre distrugge là dove voi non pensate esservi che sanità. Guardate questo ramicello<br />

caduto da quell’albero. Pare tarlato qua, presso la frattura. Ma, ecco... (lo sbriciola fra le dita).<br />

Vedete? Sotto la scorza ancor liscia è la carie sino in cima, dove ancora sembra esservi vita perché<br />

vi sono ancora delle foglioline. Lazzaro ormai è... morente, povere sorelle! <strong>Il</strong> <strong>Dio</strong> dei vostri padri, e<br />

gli dèi e semidèi della nostra medicina, nulla hanno potuto fare... o voluto fare. Parlo del vostro<br />

<strong>Dio</strong>... E perciò... sì, prevedo ormai prossima la morte anche per l’aumento della febbre, sintomo<br />

della corruzione entrata nel sangue, per i moti disordinati del cuore, e per la mancanza di stimoli e<br />

reazioni nel malato e in tutti i suoi organi. Voi vedete! Non si nutre più, non ritiene il poco che<br />

prende e non assimila ciò che ritiene. È la fine... E - credete ad un medico che è riconoscente a voi<br />

ricordando Teofilo - e la cosa più da desiderarsi ormai è la morte... Sono mali tremendi. Da migliaia<br />

di anni distruggono l’uomo, e l’uomo non riesce a distruggere loro. 2 Soltanto gli dèi potrebbero<br />

se...». Si arresta, le guarda sfregandosi con le dita il mento rasato. Pensa. Poi dice: «Perché non<br />

chiamate il Galileo? È vostro amico. Egli può perché tutto Egli può. <strong>Io</strong> ho controllato persone che<br />

erano condannate e che<br />

potrebbero se…». Si arresta, le guarda sfregandosi con le dita il mento rasato. Pensa. Poi dice:<br />

«Perché non chiamate il Galileo? È vostro amico. Egli può perché tutto Egli può. <strong>Io</strong> ho controllato<br />

persone che erano condannate e che sono guarite. Una forza strana esce da Lui. Un fluido<br />

misterioso che rianima e raduna le disperse reazioni e impone loro di voler guarire... Non so. So che


l’ho seguito anche, stando mescolato nella folla, e ho visto cose meravigliose... Chiamatelo. <strong>Io</strong> sono<br />

un gentile. Ma onoro il Taumaturgo misterioso del vostro popolo. E sarei felice se Egli potesse ciò<br />

che io non ho potuto».<br />

«Egli è <strong>Dio</strong>, Nicomede. Perciò può. La forza che tu chiami fluido è il suo volere di <strong>Dio</strong>», dice<br />

Maria.<br />

«Non derido la vostra fede. Anzi la sprono a crescere sino all’impossibile. Del resto... Si legge che<br />

gli dèi sono scesi sulla Terra qualche volta. <strong>Io</strong>... non ci avevo creduto mai... Ma, con scienza e<br />

coscienza di uomo e di medico, devo dire che così è, perché il Galileo opera guarigioni che solo un<br />

dio può operare».<br />

«Non un dio, Nicomede. <strong>Il</strong> vero <strong>Dio</strong>», insiste Maria.<br />

«E va bene. Come tu vuoi. E io lo crederò e diventerò suo seguace se vedrò che Lazzaro... risorge.<br />

Perché ormai, più che di guarigione, di risurrezione è d’uopo parlare. Chiamatelo, dunque, e con<br />

urgenza... perché, se stolto non sono divenuto, al massimo entro il terzo tramonto da questo egli<br />

morrà. Ho detto “al massimo”. Potrebbe essere anche prima, ormai».<br />

«Oh! potessimo! Ma non sappiamo dove sia...», dice Marta.<br />

«<strong>Io</strong> lo so. Me lo ha detto un suo discepolo che andava a raggiungerlo accompagnandogli dei malati,<br />

e due erano dei miei. È oltre il Giordano, presso il guado. Così ha detto. Voi forse sapete meglio il<br />

luogo».<br />

«Ah! in casa di Salomon, certo!», dice Maria.<br />

«Lontano molto?».<br />

«No, Nicomede».<br />

«E allora mandate subito un servo a dirgli che venga. <strong>Io</strong> più tardi ritorno e resto qui per vedere la<br />

sua azione su Lazzaro. Salve, domine. E... fatevi cuore a vicenda». Le inchina e se ne va verso<br />

l’uscita, là dove un servo lo attende per tenergli il cavallo e aprirgli il cancello.<br />

3 «Che facciamo, Maria?», chiede Marta dopo aver visto partire il medico.<br />

«Ubbidiamo al Maestro. Egli ha detto di mandarlo a chiamare dopo la morte di Lazzaro. E noi lo<br />

faremo».<br />

«Ma, morto che sia..., che giova avere più qui il Maestro? Per il nostro cuore sì, sarà utile. Ma per<br />

Lazzaro!... <strong>Io</strong> mando un servo a chiamarlo».<br />

«No. Tu distruggeresti il miracolo. Egli ha detto di saper sperare e credere contro ogni realtà<br />

contraria. E se lo faremo noi avremo il miracolo, ne sono sicura. Se non lo sapremo fare, <strong>Dio</strong> ci<br />

lascerà con la nostra presunzione di voler fare meglio di Lui e non ci concederà nulla».<br />

«Ma non lo vedi quanto soffre Lazzaro? Non senti come, nei momenti che è in sé, desidera il<br />

Maestro? Non hai cuore tu a volergli negare l’ultima gioia al povero fratello nostro!... Povero<br />

fratello nostro! Povero fratello nostro! Fra poco non avremo più fratello! Più padre, più madre, più<br />

fratello! La casa distrutta, e noi sole come due palme in un deserto». Viene presa da una crisi di<br />

dolore, direi anche da una crisi di nervi tutta orientale, e si agita, percuotendosi il viso, spettinandosi<br />

i capelli.<br />

Maria l’afferra. Le impone: «Taci! Taci, ti dico! Egli può sentire. <strong>Io</strong> lo amo più e meglio di te, e so<br />

dominarmi. Tu sembri una femmina malata. Taci, dico! Non è con queste smanie che si cambiano le<br />

sorti, a neppure che si commuovono i cuori. Se lo fai per commuovere il mio, ti sbagli. Pensalo<br />

bene. <strong>Il</strong> mio si schianta nell’ubbidienza. Ma resiste in essa».<br />

Marta, dominata dalla forza della sorella e dalle sue parole, si calma alquanto, ma nel suo dolore,<br />

più calmo ora, geme invocando la madre: «Mamma! oh! mamma mia, consolami. Più pace in me da<br />

quando tu sei morta. Se fossi qui, madre! Se i dolori non ti avessero uccisa! Se ci fossi, ci guideresti<br />

e noi ti ubbidiremmo, per il bene di tutti... Oh!...».<br />

Maria muta di colore e, senza far del rumore, piange con un volto angosciato e torcendosi le mani<br />

senza parlare.<br />

Marta la guarda a dice: «Nostra madre, quando fu per morire, mi fece promettere che sarei stata una<br />

madre per Lazzaro. Se ella fosse qui...».<br />

«Ubbidirebbe al Maestro perché era una donna giusta. Inutilmente cerchi di commuovermi. Dimmi<br />

pure che io sono stata l’assassina di mia madre per i dolori che le ho dato. Ti dirò: “Hai ragione”.


Ma se vuoi farmi dire che hai ragione a volere il Maestro, io ti dico: “No”. E sempre dirò: “No”. E<br />

sono certa che dal seno di Abramo ella mi approva e benedice. Andiamo in casa».<br />

«Più nulla! Più nulla!».<br />

«Tutto! Tutto devi dire! In verità tu ascolti il Maestro e sembri attenta mentre Egli parla, ma poi non<br />

ricordi ciò che Egli dice. Non ha Egli sempre detto che amare e ubbidire ci fa figli di <strong>Dio</strong> e eredi del<br />

suo Regno? E allora come puoi dire che rimarremo senza nulla più, se avremo <strong>Dio</strong> e possederemo il<br />

Regno per la nostra fedeltà? Oh! che in verità bisogna essere assolute come io lo fui nel male, anche<br />

per poter essere, e sapere, e volere essere assolute nel bene, nell’ubbidienza, nella speranza, nella<br />

fede, nell’amore!...».<br />

«Tu permetti che i giudei deridano e facciano insinuazioni sul Maestro. Li hai sentiti ieri l’altro...».<br />

«E pensi ancora al gracchiare di quelle cornacchie, allo squittìo di quegli avvoltoi? Ma lasciali<br />

sputare ciò che hanno dentro! Che ti importa del mondo? Che è il mondo rispetto a <strong>Dio</strong>? Guarda:<br />

meno di questo lurido moscone intirizzito, o avvelenato dall’aver succhiato sozzure, che io calpesto<br />

così», a dà un energico colpo di tallone ad un tardo tafano che cammina lentamente sulla ghiaia del<br />

viale. Poi prende Marta per un braccio, dicendo: «Su. Vieni in casa e...».<br />

«Facciamoglielo almeno sapere al Maestro. Mandiamogli a dire che è morente, senza dirgli di<br />

più...».<br />

«Come avesse bisogno di saperlo da noi! No, ho detto. È inutile. Egli ha detto: “Quando sarà morto<br />

fatemelo sapere”. E lo faremo. Non prima di allora».<br />

«Nessuno, nessuno ha pietà del mio dolore! Tu meno di tutti...».<br />

«E smettila di piangere così. Non lo posso sopportare...». Nel suo dolore si morde le labbra per dare<br />

forza alla sorella e non piangere essa pure.<br />

4Marcella corre fuori dalla casa, seguita da Massimino: «Marta! Maria! Correte! Lazzaro sta male.<br />

Non risponde più...».<br />

Le due sorelle corrono via rapide entrando in casa... e dopo poco si sente la voce forte di Maria dare<br />

ordini per i soccorsi del caso, e si vedono correre servi con cordiali e catini fumanti d’acque<br />

bollenti, e si sentono bisbigli e si vedono gesti di dolore...<br />

Subentra pian piano la calma dopo tanta agitazione. Si vedono i servi parlottare fra loro, meno<br />

agitati ma con atti di grande sconforto a punteggiatura del loro dire. Chi scuote il capo, chi lo alza al<br />

cielo allargando le braccia come per dire: «Così è», chi piange e chi ancora vuole sperare in un<br />

miracolo.<br />

5Ecco Marta di nuovo. Pallida come una morta. Si guarda dietro le spalle per vedere se è seguita.<br />

Guarda i servi che le si stringono intorno ansiosi. Torna a guardare se dalla casa esce qualcuno a<br />

seguirla. Poi dice ad un servo: «Tu! Vieni con me».<br />

<strong>Il</strong> servo si stacca dal gruppo e la segue verso la pergola dei gelsomini e dentro la stessa. Marta parla,<br />

sempre tenendo d’occhio la casa, che si può vedere attraverso il folto intreccio dei rami: «Ascolta<br />

bene. Quando tutti i servi saranno rientrati, ed io darò loro ordini perché siano occupati nella casa,<br />

tu andrai alle scuderie, prenderai un cavallo dei più rapidi, lo sellerai... Se per caso alcuno ti vede,<br />

di’ che vai per il medico... Non menti tu e non ti insegno a mentire io, perché veramente ti mando<br />

dal Medico benedetto... Prendi con te biada per la bestia e cibo per te e questa borsa per tutto quanto<br />

ti possa occorrere. Esci dal piccolo cancello e, passando per i campi arati, che non dànno rumore<br />

sotto lo zoccolo, ti allontani dalla casa. Poi prendi la via di Gerico e galoppi senza fermarti mai,<br />

neppure a notte. Hai capito? Senza fermarti mai. La luna novella ti illuminerà la via se viene il buio<br />

mentre ancora galoppi. Pensa che la vita del tuo padrone è nelle tue mani e nella tua sveltezza. Mi<br />

fido di te».<br />

«Padrona, io ti servirò come uno schiavo fedele».<br />

«Vai al guado di Betabara. Passi e vai al paese oltre Betania d’Oltre-Giordano. Sai? Dove in<br />

principio battezzava Giovanni».<br />

«Lo so. Ci andai anche io a purificarmi».<br />

«In quel paese c’è il Maestro. Tutti ti indicheranno la casa dove è ospitato. Ma se tu, in luogo della<br />

via maestra, segui le sponde del fiume, è meglio. Sei meno visto e trovi da te la casa. È la prima<br />

dell’unica via del paesello che dalla campagna va al fiume. Non puoi sbagliare. Una casa bassa,


senza terrazzo né camera alta, con l’orto che si trova, venendo dal fiume, prima della casa, un orto<br />

chiuso da un cancelletto di legno e una siepe di spinalbe, credo, una siepe insomma. Hai capito?<br />

Ripeti».<br />

<strong>Il</strong> servo ripete pazientemente.<br />

«Va bene. Chiedi di parlare con Lui, con Lui solo, a gli dici che le tue padrone ti mandano a dirgli<br />

che Lazzaro è molto malato, che sta per morire, che noi non resistiamo più, che egli lo vuole e che<br />

venga subito, subito, per pietà. Hai capito bene?».<br />

«Ho capito, padrona».<br />

«E dopo torna subito indietro, di modo che nessuno noti molto la tua assenza. Prendi un fanale con<br />

te, per le ore buie. Va’, corri, galoppa, stronca il cavallo, ma torna presto con la risposta del<br />

Maestro».<br />

«Lo farò, padrona».<br />

«Va’! Va’! Vedi? Sono già tutti rientrati in casa. Va’ subito. Nessuno ti vedrà fare i preparativi. <strong>Io</strong><br />

stessa ti porterò il cibo. Va’! Te lo metterò alla soglia del piccolo cancello. Va’! E <strong>Dio</strong> sia con te.<br />

Va’!...».<br />

Lo spinge, ansiosa, e poi corre in casa rapida e guardinga, e dopo poco sguscia fuori da una porta<br />

secondaria, sul lato sud, con un piccolo sacco fra le mani, rasenta una siepe sino alla prima apertura,<br />

svolta, scompare...<br />

544. Delirio e morte di Lazzaro.<br />

21 dicembre 1946.<br />

1Hanno aperto tutte le porte e le finestre nella stanza di Lazzaro per rendergli meno difficile la<br />

respirazione. E intorno a lui, che è assente, in coma - un coma pesante, simile a morte, dalla quale<br />

differisce unicamente per il movimento del respiro - sono le due sorelle, Massimino, Marcella e<br />

Noemi, intenti ad ogni minimo atto del morente.<br />

Ogni volta che una contrazione di spasimo altera la bocca, e pare che essa si atteggi a parlare, o che<br />

gli occhi si scoprono per un socchiudersi di palpebra, le due sorelle si chinano per afferrare una<br />

parola, uno sguardo... Ma è inutile. Non sono che atti incoordinati, indipendenti dalla volontà e<br />

dall’intelligenza, che sono ambedue, ormai, inerti, perdute. Atti che vengono dalla sofferenza della<br />

carne, come da essa viene il sudore che fa lucido il volto del morente, e il tremito che ad intervalli<br />

scuote le dita scheletrite e dà ad esse una contrazione di artiglio. Anche lo chiamano le due sorelle,<br />

con tutto l’amore nella loro voce. Ma il nome e l’amore cozzano contro le barriere dell’insensibilità<br />

intellettiva, ed è, a risposta del loro chiamare, il silenzio che hanno le tombe.<br />

Noemi, piangente, continua a mettere contro i piedi, certo gelati, mattoni avvolti in strisce di lana.<br />

Marcella tiene fra le mani un calice nel quale pesca un lino sottile, che Marta usa per bagnare le<br />

labbra aride del fratello. Maria con un altro lino asciuga l’abbondante sudore, che scende a strisce<br />

dal volto scheletrito e che bagna le mani del morente. Massimino, appoggiato ad uno stipo alto e<br />

scuro, presso il letto del morente, osserva stando in piedi dietro le spalle di Maria che è curva sul<br />

fratello. Nessun altro. <strong>Il</strong> massimo silenzio, come fossero in una casa vuota, in un luogo deserto. Le<br />

ancelle che portano i mattoni caldi hanno i piedi scalzi e non fanno rumore sul pavimento<br />

marmoreo. Sembrano apparizioni.<br />

2Maria ad un dato momento dice: «Mi sembra che nelle mani torni il calore. Guarda, Marta, è meno<br />

pallido nelle labbra».<br />

«Sì. Anche il respiro è più libero. Lo guardo da qualche tempo», osserva Massimino.<br />

Marta si china e chiama piano, ma con accento intenso: «Lazzaro! Lazzaro! Oh! Guarda, Maria! Ha<br />

avuto come un sorriso e un battere di palpebra. Migliora, Maria! Migliora! Che ora abbiamo?».<br />

«Abbiamo oltrepassato di un tempo il vespero».<br />

«Ah!», e Marta si raddrizza stringendo le mani sul petto, alzando gli occhi verso l’alto in un visibile<br />

atto di muta ma fiduciosa preghiera. Un sorriso le rischiara il volto.


Gli altri la guardano stupiti e Maria le dice: «Non vedo perché l’essere oltre il vespero ti debba fare<br />

felice...», e la scruta, sospettosa, ansiosa.<br />

Marta non risponde, ma si riprende nella posa che aveva prima.<br />

Entra un’ancella con dei mattoni che passa a Noemi. Maria le ordina: «Porta due lumi. La luce<br />

decresce e io voglio vederlo». La serva esce senza rumore e torna presto con due lucerne accese,<br />

che depone una sullo stipo, contro il quale è Massimino, e l’altra su un tavolo ingombro di bende e<br />

anforette, posto all’altro lato del letto.<br />

«Oh! Maria! Maria! Guarda! È proprio meno pallido».<br />

«E di aspetto meno finito. Si rianima!», dice Marcella.<br />

«Dategli ancora qualche stilla di quel vino con gli aromi che ha preparato Sara. Gli ha fatto bene»,<br />

suggerisce Massimino.<br />

Maria prende dal piano dello stipo un’anforetta dal collo esilissimo, a becco d’uccello, e con<br />

precauzione fa scendere qualche goccia di vino fra le labbra socchiuse.<br />

«Va’ adagio, Maria. Che egli non soffochi!», consiglia Noemi.<br />

«Oh! inghiotte! Lo cerca! Guarda, Marta! Guarda! Sporge la lingua cercando...».<br />

Tutti si chinano a guardare, e Noemi lo chiama: «Tesoro! Guarda la tua nutrice, anima santa!», e si<br />

fa avanti a baciarlo.<br />

«Guarda! Guarda, Noemi, beve la tua lacrima! Gli è caduta presso le labbra ed egli ha sentito, e l’ha<br />

cercata e assorbita».<br />

«Oh! gioia mia! Avessi ancora il latte di una volta, te lo spremerei goccia goccia in bocca, mio<br />

agnellino, dovessi spremermi il cuore e morire poi!». Intuisco che Noemi, nutrice di Maria, sia stata<br />

anche nutrice di Lazzaro.<br />

3 «Padrone, è tornato Nicomede», dice un servo apparendo sulla soglia.<br />

«Che venga! Che venga! Ci aiuterà a farlo migliorare».<br />

«Osservate! Osservate! Apre gli occhi, muove le labbra», dice Massimino.<br />

«A me stringe le dita con le sue dita!», grida Maria. E si china dicendo: «Lazzaro! Mi senti? Chi<br />

sono?».<br />

Lazzaro apre proprio gli occhi e guarda, uno sguardo incerto, velato, ma è sempre uno sguardo.<br />

Muove a fatica le labbra e dice: «Mamma!».<br />

«Maria sono. Maria! Tua sorella!».<br />

«Mamma!».<br />

«Non ti riconosce. E chiama sua madre. I morenti. Sempre così», dice Noemi con il volto lavato di<br />

pianto.<br />

«Ma parla. Dopo tanto parla. È già molto... Poi starà meglio. Oh! mio Signore, premia la tua<br />

serva!», dice Marta con ancora quell’atto di fervida e fiduciosa preghiera.<br />

«Ma che ti è accaduto? Forse hai visto il Maestro? Ti è apparso? Dimmelo, Marta! Levami<br />

d’angoscia!», dice Maria.<br />

4 L’entrata di Nicomede impedisce la risposta. Tutti si volgono a lui, raccontando come dopo la sua<br />

partenza Lazzaro si fosse aggravato tanto da giungere a morte, e morto già lo avevano creduto, e<br />

poi, con dei soccorsi, avevano potuto farlo rinvenire, ma al respiro soltanto. E come da poco, dopo<br />

che una delle loro donne aveva preparato un vino con aromi, aveva ripreso calore e aveva<br />

inghiottito, cercando di bere, e anche aveva aperto gli occhi e parlato... Parlano tutti insieme, con le<br />

loro speranze riaccese, gettate contro la pacatezza alquanto scettica del medico, che li lascia parlare<br />

senza dire una parola.<br />

Finalmente hanno finito ed egli dice: «Va bene. Lasciatemi vedere». E li scansa, accostandosi al<br />

letto a ordinando di avvicinare i lumi e chiudere la finestra, volendo scoprire il malato. Si china su<br />

lui, lo chiama, lo interroga, fa passare la lucerna davanti al volto di Lazzaro, che ora ha gli occhi<br />

aperti e sembra come stupito di tutto; poi lo scopre, ne studia il respiro, i battiti del cuore, il calore e<br />

la rigidità delle membra... Tutti sono ansiosi in attesa della sua parola. Nicomede ricopre il malato,<br />

lo guarda ancora, pensa. Poi si volta a guardare gli astanti e dice: «È innegabile che ha ripreso<br />

vigore. Attualmente è migliorato da quando lo vidi. Ma non vi illudete. Non è che il fittizio<br />

miglioramento della morte. Ne sono tanto certo, come certo ero che è alla fine, che, come vedete,


sono tornato, dopo essermi liberato da ogni impegno, per rendergli meno penosa la morte, per<br />

quanto mi è concesso di farlo... o per vedere il miracolo se... 5 Avete provveduto?».<br />

«Sì, sì, Nicomede», lo interrompe Marta. E, per impedirgli altre parole, dice: «Ma non avevi detto<br />

che... entro tre giorni... <strong>Io</strong>...». Piange.<br />

«Ho detto. Sono un medico. Vivo fra agonie e pianti. Ma l’abitudine a viste di dolore non mi ha<br />

ancora dato cuore di pietra. E oggi... vi ho preparate... con un termine abbastanza lungo... e vago...<br />

Ma la mia scienza mi diceva che era più sollecita la soluzione, ed il mio cuore mentiva per un<br />

pietoso inganno... Su! Siate forti... Uscite fuori... Non si sa mai sino a qual punto i morenti<br />

intendano...». Le spinge fuori in lacrime, ripetendo: «Siate forti! Siate forti! ».<br />

Presso il morente resta Massimino... Anche il medico si allontana per preparare dei medicamenti atti<br />

a rendere meno angosciosa l’agonia che, dice, «prevedo dolorosa molto».<br />

«Fallo vivere! Fallo vivere sino a domani. È quasi notte. Lo vedi, o Nicomede. Cosa è per la tua<br />

scienza tener desta una vita per men di un giorno? Fallo vivere!».<br />

«Domina, io faccio ciò che posso. Ma quando lo stame è finito non c’è nulla che mantenga la<br />

fiamma!», risponde il medico a se ne va.<br />

Le due sorelle si abbracciano, piangendo desolate, e chi piange di più, ora, è Maria. L’altra ha la sua<br />

speranza in cuore...<br />

6 La voce di Lazzaro viene dalla stanza. Forte, imperiosa. E le fa trasalire, perché inaspettata in tanto<br />

languore. Le chiama: «Marta! Maria! Dove siete? Voglio alzarmi. Vestirmi! Dire al Maestro che<br />

sono guarito! Devo andare dal Maestro. Un carro! Subito. E un cavallo veloce. Certo è Lui che mi<br />

ha guarito...».<br />

Parla veloce, scandendo le parole, seduto sul letto, acceso di febbre, cercando di gettarsi dal letto,<br />

trattenuto dal farlo da Massimino, che dice alle donne che entrano correndo: «Delira!».<br />

«No! Lascialo andare. <strong>Il</strong> miracolo! <strong>Il</strong> miracolo! Oh! sono felice di averlo suscitato! Appena Gesù ha<br />

saputo! <strong>Dio</strong> dei padri, sii benedetto e lodato per la tua potenza e per il tuo Messia...». Marta, caduta<br />

in ginocchio, è ebbra di gioia.<br />

Intanto Lazzaro continua, sempre più preso dalla febbre, che Marta non comprende essere causa di<br />

tutto: «È venuto tante volte da me malato. È giusto che io vada da Lui a dirgli: “Son guarito”.<br />

Guarito sono! Non ho più dolori! Sono forte. Voglio alzarmi. Andare. <strong>Dio</strong> ha voluto provare la mia<br />

rassegnazione. Sarò detto il novello Giobbe...». Prende un tono ieratico gestendo a larghi gesti: «“<strong>Il</strong><br />

Signore si commosse della penitenza di Giobbe... e gli rese il doppio di quanto aveva avuto. E il<br />

Signore benedisse gli ultimi anni di Giobbe più ancora dei primi... ed egli visse sino a...”. Ma no<br />

che non sono Giobbe*! Ero fra le fiamme e me ne ha tratto, ero nel ventre del mostro e torno alla<br />

luce. Dunque sono Giona, e i tre fanciulli di Daniele sono...».<br />

7 Sopraggiunge il medico, chiamato da qualcuno. Lo osserva: «È il delirio. Me lo attendevo. La<br />

corruzione del sangue accende il cervello». Si sforza a riadagiarlo e raccomanda di tenerlo e torna<br />

fuori, ai suoi decotti.<br />

Lazzaro un poco si inquieta di esser tenuto e un poco piange come un bambino, alternativamente.<br />

«È proprio in delirio», geme Maria.<br />

«No. Nessuno capisce nulla. Non sapete credere. Ma già! Non sapete... A quest’ora il Maestro sa<br />

che Lazzaro è morente. Sì. L’ho fatto, Maria! L’ho fatto senza dirti nulla...».<br />

«Ah! sciagurata! Hai distrutto il miracolo!», grida Maria.<br />

«Ma no! Egli, lo vedi, ha iniziato a migliorare all’ora che Giona ha raggiunto il Maestro. Delira...<br />

Certo... È debole e ha ancora il cervello annebbiato dalla morte che già lo teneva. Ma non delira<br />

come il medico crede. Sentilo! Sono parole di delirio, queste?».<br />

____________________________<br />

* non sono Giobbe, dopo aver ricordato quanto è detto in: Giobbe 42, 10-17; sono Giona, secondo<br />

il racconto di: Giona 2; i tre fanciulli, nel racconto di: Daniele 3.<br />

Infatti Lazzaro dice: «Ho chinato il capo al decreto di morte e ho gustato quanto sia amaro il morire,<br />

ed ecco che <strong>Dio</strong> si è detto pago della mia rassegnazione e mi rende alla vita e alle sorelle. Potrò


ancora servire il Signore e santificarmi insieme a Marta e Maria... A Maria! 8 Cosa è Maria? Maria è<br />

il dono di Gesù al povero Lazzaro. Me lo aveva detto... Quanto tempo da allora! “<strong>Il</strong> vostro perdono<br />

farà più di tutto. Mi aiuterà”. Me lo aveva promesso: “Ella sarà la tua gioia”. E quel giorno che ero<br />

inquieto perché ella aveva portato la sua vergogna qui, presso il Santo, che parole per invitarla al<br />

ritorno! La Sapienza e la Carità si erano unite per toccare il cuore a lei... E l’altro, che mi trovò che<br />

mi offrivo per lei, per la sua redenzione?... Voglio vivere per godere di lei redenta! Voglio con lei<br />

lodare il Signore! Fiumi di lacrime, affronti, vergogna, amarezza... tutto mi ha penetrato e ucciso la<br />

vita per causa di lei... Ecco il fuoco, il fuoco della fornace! Ritorna, col ricordo... Maria di Teofilo e<br />

di Eucheria, mia sorella, la prostituta. Poteva essere regina e si è fatta fango che anche il porco<br />

calpesta. E mia madre che muore. E il non poter più andare fra la gente senza dover sopportare i<br />

suoi scherni. Per lei! Dove sei, sciagurata? Ti mancava il pane, forse, per venderti come ti sei<br />

venduta? Cosa hai succhiato dal capezzolo della nutrice? Tua madre che ti ha insegnato? Lussuria<br />

una? Peccato l’altra? Va’ via! Disonore della nostra casa!». La voce è un urlo. Sembra pazzo.<br />

Marcella e Noemi si affrettano a chiudere ermeticamente le porte e a ricalare le tende pesanti per<br />

attutire le risonanze, mentre il medico, tornato nella stanza, si sforza inutilmente di calmare il<br />

delirio che diventa sempre più furioso. Maria, gettata a terra come uno straccio, singhiozza sotto<br />

l’inesorabile accusa del morente che prosegue:<br />

«Uno, due, dieci amanti. L’obbrobrio d’Israele passava da braccia a braccia... Sua madre moriva,<br />

essa fremeva nei suoi amori sconci. Belva! Vampiro! Hai succhiato la vita a tua madre. Hai distrutto<br />

la nostra gioia. Marta sacrificata per te. Non si sposa la sorella di una meretrice. <strong>Io</strong>... Ah! io!<br />

Lazzaro, cavaliere, figlio di Teofilo... Su me sputavano i monelli di Ofel!! “Ecco il complice di<br />

un’adultera e di una immonda”, dicevano scribi e farisei e scuotevano le vesti per significare che<br />

respingevano il peccato di cui ero sozzo per il suo contatto! “Ecco il peccatore! Colui che non sa<br />

colpire il colpevole è colpevole come lo stesso”, urlavano i rabbi quando salivo al Tempio, ed io<br />

sudavo sotto il fuoco delle pupille sacerdotali... <strong>Il</strong> fuoco. Tu! Tu vomitavi il fuoco che dentro avevi.<br />

Perché sei un demonio, Maria. Lurida sei. Sei l’anatema. <strong>Il</strong> tuo fuoco si apprendeva a tutti, perché il<br />

tuo fuoco era di molti fuochi fatto, e ce ne era per i lussuriosi, che parevano pesci presi al tramaglio<br />

quando tu passavi... Perché non ti ho uccisa? Brucerò nella Geenna per averti lasciata vivere<br />

rovinando tante famiglie, dando scandalo a mille... Chi dice: “Guai a colui per il quale avviene lo<br />

scandalo”? Chi lo dice? Ah! il Maestro! Voglio il Maestro! Lo voglio! Perché mi perdoni. Voglio<br />

dirgli che non la potevo uccidere perché l’amavo... Maria era il sole della casa nostra... Voglio il<br />

Maestro! Perché non è qui? Non voglio vivere! Ma avere perdono dello scandalo che ho dato<br />

lasciando vivere lo scandalo. Sono già nelle fiamme. È il fuoco di Maria. Mi ha preso. Tutti<br />

prendeva. Per dare lussuria per lei, odio per noi, e bruciare le carni a me. Via queste coperte, via<br />

tutto! Sono nel fuoco. Carne e spirito mi ha preso. Sono perduto in causa di lei. Maestro! Maestro!<br />

<strong>Il</strong> tuo perdono! Non viene. Non può venire nella casa di Lazzaro. È un letamaio per causa di lei.<br />

Allora... voglio dimenticare. Tutto. Non sono più Lazzaro. Datemi del vino. Lo dice* Salomone:<br />

“Date del vino a quelli dal cuore straziato, che bevano a dimentichino la loro miseria, e non si<br />

ricordino più del loro dolore”. Non voglio più ricordare. Dicono tutti: “Lazzaro è ricco, è l’uomo<br />

più ricco di Giudea”. Non è vero! È tutta paglia. Non è oro. E le case? Nuvole. I vigneti, le oasi, i<br />

giardini, gli uliveti? Nulla. Inganni. <strong>Io</strong> sono Giobbe. Non ho più nulla. Avevo una perla. Bella! Di<br />

infinito valore. Era il mio orgoglio. Si chiamava Maria. Non l’ho più. Sono povero. <strong>Il</strong> più povero di<br />

tutti. Di tutti il più ingannato... Anche Gesù mi ha ingannato. Perché mi aveva detto che me<br />

l’avrebbe resa, e invece essa... Dove è essa? Eccola là. Pare una etera pagana la donna d’Israele,<br />

figlia di una santa! Seminuda, ubbriaca, folle... E intorno... cogli occhi fissi sul corpo nudo di mia<br />

sorella, la muta dei suoi amanti... E lei ride di essere ammirata e bramata così. <strong>Io</strong> voglio riparare al<br />

mio delitto. Voglio andare per Israele dicendo: “Non andate presso la casa di mia sorella. La sua<br />

casa è la via dell’inferno e discende negli abissi della morte”. E poi voglio andare da lei e<br />

calpestarla, perché è detto**: “Ogni donna impudica sarà calpestata come sterco nella via”. Oh! Hai<br />

il coraggio di mostrarti a me che muoio disonorato, distrutto da te? A me che ho offerto la mia vita<br />

per riscatto della tua anima, e senza scopo? Come ti volevo, dici? Come ti volevo per non morire<br />

così? Ecco come ti volevo: come Susanna, la casta. Dici che ti hanno tentata? E non avevi un


fratello a difenderti? Susanna, da sola, rispose***: “Meglio è per me cadere nelle vostre mani che<br />

peccare nel cospetto del Signore”, e <strong>Dio</strong> fece rilucere il suo candore. <strong>Io</strong> le avrei dette le parole<br />

contro i tuoi tentatori e ti avrei difesa. Ma tu! Tu te ne sei andata. Giuditta era vedova e viveva nella<br />

stanza appartata, col cilicio ai fianchi e in digiuno, ed era in grandissima stima presso tutti perché<br />

temeva il Signore, e di lei si canta****: “Tu sei gloria di Gerusalemme, letizia d’Israele, onore del<br />

nostro popolo, perché hai agito virilmente e il tuo cuore è stato forte, perché hai amato la castità e<br />

dopo il tuo matrimonio non hai conosciuto altro uomo. Per questo la mano del Signore ti ha resa<br />

forte e sarai benedetta in eterno”.<br />

_________________________<br />

* dice, in: Proverbi 31, 6-7.<br />

** è detto, in: Ecclesiastico 9, 10 secondo la volgata (poiché il versetto è stato espunto dal libro del<br />

Siracide della neo-volgata).<br />

*** rispose, come si legge in: Daniele 13, 23.<br />

**** si canta, in: Giuditta 15, 10-11 della volgata (poiché il testo è stato ridotto e modificato in<br />

Giuditta 15, 9-10 della neo-volgata).<br />

Se Maria fosse stata come Giuditta, il Signore mi avrebbe guarito. Ma non ha potuto per via di lei.<br />

Per questo non ho chiesto di guarire. Non può essere miracolo dove lei è. Ma morire, soffrire, nulla<br />

è. Dieci e dieci volte di più, e una e una morte, purché ella si salvi. Oh! Altissimo Signore! Tutte le<br />

morti! Tutto il dolore! Ma Maria salva! Godere di lei un’ora, un’ora sola! Di lei tornata santa, pura<br />

come nella fanciullezza! Un’ora di questa gioia! Gloriarmi di lei, il fiore d’oro della mia casa, la<br />

gazzella gentile dai dolci occhi, l’usignolo in sulla sera, l’amorosa colomba... Voglio il Maestro per<br />

dirgli che questo voglio: Maria! Maria! Vieni! Maria! Quanto dolore ha tuo fratello, Maria! Ma se tu<br />

vieni, se ti redimi, il mio dolore dolce si fa. Cercate Maria! 9 Sono in fine! Muoio! Maria! Fate luce!<br />

Aria... <strong>Io</strong>... Soffoco... Oh! che cosa sento!...».<br />

<strong>Il</strong> medico fa un gesto e dice: «È la fine. Dopo il delirio, il sopore e poi la morte. Ma può avere un<br />

ritorno all’intelligenza. Fatevi accosto. Tu in specie. Ne avrà gioia», e riadagiato Lazzaro, sfinito<br />

dopo tanta agitazione, va da Maria, che ha sempre pianto là in terra gemendo: «Fatelo tacere!» . La<br />

alza e la conduce al letto.<br />

Lazzaro ha chiuso gli occhi. Ma deve soffrire atrocemente. È tutto un fremito e una contrazione. <strong>Il</strong><br />

medico cerca di soccorrerlo con delle pozioni... Passano del tempo così.<br />

Lazzaro apre gli occhi. Pare smemorato di ciò che è stato prima, ma è in sé. Sorride alle sorelle e<br />

cerca prendere le loro mani, rispondere ai loro baci. Impallidisce mortalmente. Geme: «Ho<br />

freddo...», e batte i denti cercando di coprirsi sino alla bocca. Geme: «Nicomede, non resisto più ai<br />

dolori. I lupi mi scarnano le gambe e mi divorano il cuore. Quanto dolore! E se così è l’agonia, che<br />

sarà la morte? Come farò? Oh! se avessi qui il Maestro! Perché non me lo avete portato? Sarei<br />

morto felice sul suo seno...», piange.<br />

Marta guarda Maria severamente. Maria comprende quell’occhiata e, ancora accasciata dal delirio<br />

del fratello, viene presa dal rimorso e curvandosi, inginocchiata come è contro il letto, a baciare la<br />

mano del fratello, geme: «Sono io la colpevole. Marta voleva farlo da due giorni già. <strong>Io</strong> non ho<br />

voluto. Perché Egli ci aveva detto di avvisarlo soltanto dopo la tua morte. Perdonami! Tutto il<br />

dolore della vita io te l’ho dato... Eppure ti ho amato e ti amo, fratello. Dopo il Maestro, te amo più<br />

che tutti, e <strong>Dio</strong> vede se mento. Dimmi che mi assolvi del passato, dammi pace...».<br />

«Domina!», richiama il medico. «<strong>Il</strong> malato non ha bisogno di commozioni».<br />

«È vero... Dimmi che mi perdoni di averti negato Gesù...».<br />

«Maria! Per te Gesù è venuto qui... e ci viene per te... perché tu hai saputo amare... più di tutti... Mi<br />

hai amato più di tutti... Una vita... di delizie non mi avrebbe... non mi avrebbe dato la... gioia che ho<br />

goduto per te... Ti benedico... Ti dico... che bene hai fatto... a ubbidire a Gesù... Non sapevo... So...<br />

Dico... è bene... 10 Aiutatemi a morire!... Noemi... tu eri capace di... farmi dormire... un tempo...<br />

Marta... benedetta... pace mia,... Massimino... con Gesù. Anche... per me... La mia parte... ai


poveri,... a Gesù... per i poveri... E perdonate... a tutti... Ah! che spasimi!... Aria!... Luce!... Tutto<br />

trema... Avete come una luce intorno a voi e mi abbacina se... vi guardo... Parlate... forte...». Ha<br />

messo la sinistra sulla testa di Maria e ha abbandonato la destra nelle mani di Marta. Anela...<br />

Lo sollevano con precauzione aggiungendo guanciali, e Nicomede gli fa sorbire ancora gocce di<br />

pozioni. La povera testa affonda e spenzola in un abbandono mortale. Tutta la vita è nel respiro.<br />

Pure apre gli occhi e guarda Maria che gli sorregge il capo, e le sorride dicendo: «La mamma! È<br />

tornata... Mamma! Parla! La tua voce... Tu sai... il segreto... di <strong>Dio</strong>... Ho servito... il Signore?...».<br />

Maria, con una voce fatta bianca dalla pena, sussurra: «<strong>Il</strong> Signore ti dice: “Vieni con Me, servo<br />

buono e fedele, perché tu hai ascoltato ogni mia parola e amato il Verbo che ho mandato”».<br />

«Non sento! Più forte!».<br />

Maria ripete più forte...<br />

«È proprio la mamma!...», dice soddisfatto Lazzaro e abbandona il capo sulla spalla della sorella...<br />

Non parla più. Solo gemiti e tremiti di spasimo, solo sudore e rantolo. Insensibile ormai alla terra,<br />

agli affetti, sprofonda nel buio sempre più assoluto della morte. Le palpebre calano sugli occhi<br />

invetrati, nei quali luccica l’ultima lacrima.<br />

«Nicomede! Si appesantisce! Raffredda!...», dice Maria.<br />

«Domina, è un sollievo la morte per lui».<br />

«Tienilo in vita! Domani è certo qui Gesù. Sarà partito subito. Forse ha preso il cavallo del servo o<br />

un’altra cavalcatura», dice Marta. E rivolta alla sorella: «Oh! se tu mi avessi lasciato mandare<br />

prima!». Poi al medico: «Fallo vivere!», impone convulsa.<br />

<strong>Il</strong> medico allarga le braccia. Prova con dei cordiali. Ma Lazzaro non inghiotte più. <strong>Il</strong> rantolo<br />

cresce... cresce... È straziante...<br />

«Oh! non si può più sentire!», geme Noemi.<br />

«Sì. Ha una lunga agonia...», annuisce il medico.<br />

Ma non ha ancora finito di dirlo che, con una convulsione di tutta la persona che si inarca e poi si<br />

abbandona, Lazzaro esala l’ultimo respiro.<br />

11Le sorelle gridano... vedendo quello spasimo, gridano vedendo quell’abbandono. Maria chiama il<br />

fratello, baciandolo. Marta si aggrappa al medico che si curva sul morto e che dice: «È spirato.<br />

Ormai è troppo tardi per attendere il miracolo. Non c’è più attesa. Troppo tardi!... <strong>Io</strong> mi ritiro,<br />

domine. Non c’è ragione più che io resti. Siate sollecite nei funerali, perché già è decomposto».<br />

Abbassa le palpebre sugli occhi del morto e dice ancora, osservandolo: «Sventura! Era un uomo<br />

virtuoso e intelligente. Non doveva morire!». Si volge alle sorelle, si inchina, saluta: «Domine!<br />

Salve!», a se ne va.<br />

I pianti empiono la stanza. Maria non ha più forza, ormai, e si rovescia sul corpo del fratello<br />

gridando i suoi rimorsi, invocando il suo perdono. Marta piange fra le braccia di Noemi.<br />

Poi Maria grida: «Non hai avuto fede! Non ubbidienza. <strong>Io</strong> l’ho ucciso prima, tu ora; io col mio<br />

peccare, tu col tuo disubbidire». È come folle. Marta la solleva, la abbraccia, si scusa.<br />

Massimino, Noemi, Marcella cercano indurre tutte e due alla ragione e alla rassegnazione. E vi<br />

pervengono ricordando Gesù... <strong>Il</strong> dolore diviene più ordinato e, mentre la stanza si affolla di servi<br />

piangenti, ed entrano quelli preposti alla preparazione della salma, le due sorelle vengono condotte<br />

altrove a piangere il loro dolore.<br />

Massimino, che le conduce, dice: «È spirato al finire del secondo tempo della notte».<br />

E Noemi: «Entro domani occorrerà seppellirlo e presto, avanti il tramonto, perché viene il sabato.<br />

Avete detto che il Maestro vuole grandi onori...».<br />

«Sì, Massimino. A te ogni cura. <strong>Io</strong> sono stolta», dice Marta.<br />

«Vado a mandare servi ai lontani e vicini, e a dare ogni altro ordine», dice Massimino e si ritira.<br />

Le due sorelle piangono abbracciate. Non si rimproverano più a vicenda. Piangono. Cercano di<br />

confortarsi...<br />

12Passano le ore. <strong>Il</strong> morto è preparato nella sua stanza. Una lunga forma avvolta in bende sotto il<br />

sudario.<br />

«Perché già così coperto!», esclama Marta rimproverando.<br />

«Padrona... Puzzava forte dal naso, e nel muoverlo ha gettato sangue corrotto», si scusa un vecchio


servo.<br />

Le sorelle piangono forte. Lazzaro è già più lontano sotto quelle bende... Un altro passo nella<br />

lontananza della morte.<br />

Lo vegliano con lacrime sino all’alba, al ritorno del servo dall’Oltre-Giordano. Del servo che resta<br />

esterrefatto, ma che riferisce dicendo della corsa veloce fatta per portare la risposta che Gesù viene.<br />

«Ha detto che viene? Non ha rimproverato?», chiede Marta.<br />

«No, padrona. Ha detto: “Verrò. Di’ loro che verrò e che abbiano fede”. E prima aveva detto: “Di’<br />

loro che stiano tranquille. Questa non è infermità di morte. Ma è gloria di <strong>Dio</strong>, affinché la sua<br />

potenza sia glorificata nel Figlio suo”».<br />

«Proprio così ha detto? Ne sei sicuro?», chiede Maria.<br />

«Padrona, per tutta la strada ho ripetuto le parole!».<br />

«Vai, vai. Sei stanco. Tu hai fatto tutto bene. Ma è troppo tardi, ormai!...», sospira Marta. E ha uno<br />

scoppio clamoroso di pianto non appena resta con la sorella.<br />

«Marta! Perché?...».<br />

«Oh! oltre che la morte, la delusione! Maria! Maria! Non rifletti che il Maestro questa volta ha<br />

sbagliato? Guarda Lazzaro. È ben morto! Abbiamo sperato oltre il credibile e non è giovato.<br />

Quando l’ho mandato a chiamare, avrò certo sbagliato, egli era già più morto che vivo. E la nostra<br />

fede non ha avuto frutto e premio. E il Maestro manda a dire che non è infermità di morte! <strong>Il</strong><br />

Maestro allora non è più la Verità? Non è più... Oh! Tutto! Tutto! Finito tutto!».<br />

Maria si tormenta le mani. Non sa che dire. La realtà è realtà... Ma non parla. Non dice parola<br />

contro il suo Gesù. Piange. Veramente spossata.<br />

Marta ha come un chiodo fisso in cuore, quello di avere tardato troppo: «È per colpa tua»,<br />

rimprovera. «Egli voleva provare la nostra fede così. Ubbidire sì. Ma anche disubbidire per fede e<br />

dimostrargli che credevamo che Lui solo poteva e doveva fare il miracolo. Povero fratello mio! E lo<br />

ha desiderato tanto! Almeno questo: vederlo! Povero Lazzaro nostro! Povero! Povero!». E il pianto<br />

si muta in ululo, al quale fanno eco oltre la porta gli ululi delle ancelle e dei servi, secondo la<br />

consuetudine orientale...<br />

100. <strong>Il</strong> servo di Betania riferisce a Gesù il messaggio di Marta.<br />

Predizione a Simon Pietro su Roma cristiana.<br />

22 dicembre 1946.<br />

1 È già l’imbrunire quando il servo, risalendo le boschive del fiume, sprona il cavallo fumante di<br />

sudore a superare il dislivello che in quel punto è fra il fiume e la via del paese. La povera bestia<br />

palpita nei fianchi per la corsa veloce e lunga. <strong>Il</strong> mantello nero è tutto marezzato di sudore e la<br />

spuma del morso ha spruzzato il petto di bianco. Sbuffa inarcando il collo e scuotendo il capo.<br />

Eccolo nella vietta. La casa è presto raggiunta. <strong>Il</strong> servo balza al suolo, lega il cavallo alla siepe, dà<br />

la voce.<br />

Dal dietro della casa si sporge la testa di Pietro, e la sua voce un po’ aspra chiede: «Chi chiama? <strong>Il</strong><br />

Maestro è stanco. Sono molte ore che non ha pace. È quasi notte. Tornate domani».<br />

«Non voglio nulla dal Maestro, io. Sono sano e non ho che da dirgli una parola».<br />

Pietro viene avanti dicendo: «E da parte di chi, se si può chiederlo? Senza riconoscimento sicuro, io<br />

non faccio passare nessuno, e specie chi puzza di Gerusalemme come te». È venuto avanti<br />

lentamente, più insospettito della bellezza del morello riccamente bardato che dell’uomo. Ma<br />

quando gli è viso a viso ha un atto di stupore: «Tu? Ma non sei un servo di Lazzaro, tu?».<br />

<strong>Il</strong> servo non sa che dire. La padrona gli ha detto di parlare soltanto con Gesù. Ma l’apostolo sembra<br />

ben deciso a non farlo passare. <strong>Il</strong> nome di Lazzaro, egli lo sa, è potente presso gli apostoli. Si decide


a dire: «Sì. Sono Giona, servo di Lazzaro. Devo parlare al Maestro».<br />

«Sta male Lazzaro? È lui che ti manda?».<br />

«Sta male, sì. Ma non mi fare perdere tempo. Devo tornare indietro al più presto». E per decidere*<br />

Pietro dice: «Ci furono i sinedristi a Betania...».<br />

«I sinedristi!!! Passa! Passa!», e apre il cancello dicendo: «Ritira il cavallo. Gli daremo da bere e<br />

dell’erba, se vuoi».<br />

«Ho la biada. Ma un poco d’erba non farà male. L’acqua dopo, prima gli farebbe male.<br />

2 Entrano nello stanzone dove sono i lettucci e legano la bestia in un angolo per tenerla riparata<br />

dall’aria; il servo la copre con la coperta che era legata alla sella, gli dà la biada e l’erba che Pietro<br />

ha preso non so dove. E poi tornano fuori e Pietro guida il servo nella cucina e gli dà una tazza di<br />

latte caldo, preso da un paiolino che è presso il fuoco acceso, in luogo dell’acqua che il servo aveva<br />

chiesto.<br />

Mentre il servo beve e si ristora al fuoco, Pietro, che è eroico nel non fare domande curiose, dice:<br />

«<strong>Il</strong> latte è meglio dell’acqua che volevi. E posto che ce lo abbiamo! Hai fatto tutta una tappa?».<br />

«Tutta una tappa. E così farò al ritorno».<br />

«Sarai stanco. E il cavallo ti resiste?».<br />

«Lo spero. E poi, al ritorno, non galopperò come nel venire».<br />

«Ma presto è notte. Comincia già ad alzarsi la luna... Come farai al fiume?».<br />

«Spero arrivarci prima che essa tramonti. Altrimenti sosterò nel bosco sino all’alba. Ma arriverò<br />

prima».<br />

«E dopo? Lunga è la via dal fiume a Betania. E la luna cala presto. È ai suoi primi giorni».<br />

«Ho un buon fanale. Lo accenderò e andrò piano. Per piano che vada, mi avvicinerò sempre a<br />

casa».<br />

«Vuoi del pane a formaggio? Ne abbiamo. E anche pesce. L’ho pescato io. Perché oggi sono rimasto<br />

qui, io e Toma. Ma ora Toma è andato a prendere il pane da una donna che ci aiuta».<br />

«No. Non ti privare di nulla. Ho mangiato per via, ma avevo sete e anche bisogno di cose calde. Ora<br />

sto bene. Ma vuoi andare dal Maestro? C’è in casa?».<br />

«Sì, sì. Se non ci fosse stato te lo avrei detto subito. È di là che riposa. Perché viene tanta gente<br />

qui... Ho persino paura che la cosa faccia chiasso e vengano a disturbare i farisei. Prendi ancora un<br />

po’ di latte. Tanto dovrai lasciar mangiare il cavallo... e farlo riposare. I suoi fianchi sbattevano<br />

come una vela mal tesa...».<br />

«No. <strong>Il</strong> latte vi occorre. Siete tanti».<br />

«Sì. Ma, meno il Maestro che parla tanto da avere stanco il petto, e i più vecchi, noi robusti<br />

mangiamo cose che fanno lavorare il dente. Prendi. È quello<br />

_______________________<br />

* decidere è qui nel significato (raro ma non errato) di convincere, persuadere, far decidere; allo<br />

stesso modo non è errato, in 567.3, risarciscimi nel significato di risanami. Per i verbi abbiamo<br />

sempre conservato accezioni, forme e costrutti sintattici non più di uso corrente ma che sono ancora<br />

nel vocabolario della lingua italiana, che li riporta come “rari”, o “antiquati”, o “toscani”. In più,<br />

abbiamo lasciato qualche “licenza” della scrittrice purché accettabile (come, per esempio, l’uso<br />

improprio del verbo traghettare in 576.1).<br />

delle pecorine lasciate dal vecchio. La donna, quando siamo qui, ce lo porta. Ma, se ne vogliamo di<br />

più, tutti ce lo danno. Ci vogliono bene, qui, e ci aiutano. 3 E... di’ un po’: erano tanti i sinedristi?».<br />

«Oh! quasi tutti e con loro altri: sadducei, scribi, farisei, giudei di alto censo, qualche erodiano...».<br />

«E che era venuta a fare quella gente a Betania? C’era Giuseppe con loro? Nicodemo c’era?».<br />

«No. Erano venuti giorni prima. E anche Mannaen era venuto. Questi non erano di quelli che amano<br />

il Signore».<br />

«Eh! lo credo! Sono così pochi nel Sinedrio che lo amano! Ma che volevano di preciso?».<br />

«Salutare Lazzaro, dissero nell’entrare...».


«Uhm! Che amore strano! Lo hanno sempre scansato per tante ragioni!... Bene!... Crediamo pure...<br />

Ci sono stati molto?».<br />

«Alquanto. E sono partiti inquieti. <strong>Io</strong> non sono servo di casa e non servivo perciò alle mense. Ma gli<br />

altri che erano dentro a servire dicono che hanno parlato con le padrone e voluto vedere Lazzaro. Ci<br />

è andato Elchia da Lazzaro e...».<br />

«Buona pelle!...», mormora fra le labbra Pietro.<br />

«Che hai detto?».<br />

«Niente, niente! Continua. E ha parlato con Lazzaro?».<br />

«Credo. C’è andato con Maria. Ma poi, non so perché... Maria si è inquietata e i servi, pronti ad<br />

accorrere dalle stanze vicine, dicono che li ha cacciati come cani...».<br />

«Viva lei! Quel che ci vuole! E ti hanno mandato a dirlo?».<br />

«Non mi far perdere altro tempo, Simone di Giona».<br />

«Hai ragione. Vieni».<br />

4Lo guida verso una porta. Bussa. Dice: «Maestro, c’è un servo di Lazzaro. Ti vuol parlare».<br />

«Entri», dice Gesù.<br />

Pietro apre l’uscio, fa entrare il servo, chiude e si ritira, meritoriamente, presso il fuoco a<br />

mortificare la sua curiosità.<br />

Gesù, seduto sulla sponda del suo lettuccio, nel piccolo ambiente dove c’è appena spazio per il<br />

lettuccio e la persona che lo abita, e che certo era prima un ripostiglio di viveri perché ha ancora<br />

ganci alle pareti e assi su cavicchi, guarda sorridendo il servo che si è inginocchiato e lo saluta: «La<br />

pace sia con te». Poi soggiunge: «Che nuove mi porti? Alzati e parla».<br />

«Mi mandano le mie padrone a dirti di andare subito da loro, perché Lazzaro è molto ammalato e il<br />

medico dice che morrà. Marta e Maria te ne supplicano e mi hanno mandato a dirti: “Vieni, perché<br />

Tu solo lo puoi risanare”».<br />

«Di’ loro che stiano tranquille. Questa non è infermità da morirne, ma è gloria di <strong>Dio</strong> affinché la sua<br />

potenza sia glorificata nel Figlio suo».<br />

«Ma è molto grave, Maestro! La sua carne cade in cancrena ed egli non si nutre più. Ho sfiancato il<br />

cavallo per giungere più in fretta...».<br />

«Non importa. È come <strong>Io</strong> dico».<br />

«Ma verrai?».<br />

«Verrò. Di’ loro che verrò e che abbiano fede. Che abbiano fede. Una fede assoluta. Hai capito? Va’.<br />

La pace a te e a chi ti manda. Ti ripeto: “Che abbiano fede. Assoluta”. Va’».<br />

<strong>Il</strong> servo saluta e si ritira.<br />

5Pietro gli corre incontro: «Hai fatto presto a dire. Credevo un discorso lungo...». Lo guarda, lo<br />

guarda... La voglia di sapere trasuda da tutti i pori del volto di Pietro. Ma si frena...<br />

«<strong>Io</strong> vado. Vuoi darmi acqua per il cavallo? Dopo partirò» .<br />

«Vieni. Acqua!... Abbiamo tutto un fiume per dartela, oltre al pozzo per noi», e Pietro, armato di un<br />

lume, lo precede e dà l’acqua richiesta.<br />

Fanno bere il cavallo. <strong>Il</strong> servo leva la coperta, osserva i ferri, il sottopancia, le redini, le staffe.<br />

Spiega: «Ho corso tanto! Ma tutto è a posto. Addio, Simon Pietro, e prega per noi».<br />

Conduce fuori il cavallo. Tenendolo per le briglie, esce nella via, mette un piede nella staffa, fa per<br />

balzare in sella.<br />

Pietro lo trattiene, mettendogli una mano sul braccio e dicendo: «Questo solo voglio sapere: c’è<br />

pericolo per Lui a stare qui? Questa minaccia hanno fatto? Volevano sapere dalle sorelle dove<br />

eravamo? Dillo, in nome di <strong>Dio</strong>!».<br />

«No, Simone. No. Questo non è stato detto. Per Lazzaro sono venuti... Fra noi si sospetta per vedere<br />

se c’era il Maestro e se Lazzaro era lebbroso, perché Marta urlava forte che lebbroso non è, e<br />

piangeva... Addio, Simone. La pace a te».<br />

«E a te a alle tue padrone. <strong>Dio</strong> ti accompagni nel ritorno a casa...».<br />

Lo guarda partire... scomparire presto in fondo alla via, perché il servo preferisce prendere la via<br />

maestra, chiara nel bianco di luna, anziché il sentiero oscuro del bosco lungo il fiume. Resta<br />

pensieroso. Poi chiude il cancello e torna in casa.


6 Va da Gesù, che è sempre seduto sul lettuccio, le mani puntate sulla sponda e assorto. Ma si scuote<br />

sentendosi vicino Pietro, che lo guarda interrogativamente. Gli sorride.<br />

«Sorridi, Maestro?».<br />

«Ti sorrido, Simone di Giona. Siedi qui vicino a Me. Sono tornati gli altri?».<br />

«No, Maestro. Neppure Tommaso. Avrà trovato da parlare».<br />

«Ciò è bene».<br />

«Bene che parli? Bene che tardino gli altri? Lui parla fin troppo. È sempre allegro lui! E gli altri? <strong>Io</strong><br />

sto sempre in agitazione finché non tornano. Ho sempre paura io».<br />

«E di che, Simone mio? Non avviene nulla di male per ora, credilo. Mettiti in pace e imita Toma,<br />

che è sempre allegro. Tu, invece, sei molto triste da qualche tempo.<br />

«Sfido chiunque che ti ami a non esserlo! <strong>Io</strong> sono vecchio ormai, e rifletto più dei giovani. Perché<br />

anche essi ti amano, ma sono giovani e pensano meno... Ma se ti piaccio di più allegro, lo sarò, mi<br />

sforzerò ad esserlo. Ma per poterlo essere dammi almeno un “che” che mi dia motivo di esserlo.<br />

Dimmi il vero, mio Signore. Te lo chiedo in ginocchio (e scivola infatti in ginocchio). Che ti ha<br />

detto il servo di Lazzaro? Che ti cercano? Che ti vogliono nuocere? Che...».<br />

Gesù pone la mano sul capo di Pietro: «Ma no, Simone! Nulla di questo. È venuto a dirmi che<br />

Lazzaro è molto aggravato, e nulla più che di Lazzaro si è parlato».<br />

«Proprio, proprio?».<br />

«Proprio, Simone. E ho risposto di aver fede».<br />

«Ma a Betania ci sono stati quelli del Sinedrio, lo sai?».<br />

«Cosa naturale! La casa di Lazzaro è una grande casa. E l’uso nostro contempla questi onori dati ad<br />

un potente che muore. Non ti agitare, Simone».<br />

«Ma credi proprio che non abbiano preso questa scusa per...».<br />

«Per vedere se ero là. Ebbene, non mi hanno trovato. Su, non essere così spaventato come se già mi<br />

avessero preso. Torna qui, al mio fianco, povero Simone che assolutamente non vuole persuadersi<br />

che a Me nulla può accadere di male sino al momento decretato da <strong>Dio</strong>, e che allora... nulla varrà a<br />

difendermi dal Male...».<br />

Pietro gli si avvinghia al collo e gli tappa la bocca baciandolo su di essa e dicendo: «Taci! Taci! Non<br />

mi dire queste cose! Non le voglio sentire!».<br />

Gesù riesce a svincolarsi tanto da poter parlare e mormora: «Non le vuoi sentire! Questo è l’errore!<br />

Ma ti compatisco... 7 Senti, Simone. Giacché tu solo eri qui, di quanto è accaduto <strong>Io</strong> e te soli<br />

dobbiamo saperlo. Mi intendi?».<br />

«Sì, Maestro. Non parlerò con nessuno dei compagni».<br />

«Quanti sacrifici, non è vero, Simone?».<br />

«Sacrifici? Quali? Qui si sta bene. Abbiamo il necessario».<br />

«Sacrifici di non chiedere, di non parlare, di sopportare Giuda... di stare lontano dal tuo lago... Ma<br />

di tutto <strong>Dio</strong> ti darà compenso».<br />

«Oh! se è di questo che vuoi dire!... Per il lago ho il fiume e... me lo faccio bastare. Per Giuda... ho<br />

Te che mi compensi a misura piena... E per le altre cose!... Inezie! E mi servono a diventare meno<br />

rozzo e più simile a Te. Come sono felice di essere qui con Te! Fra le tue braccia! La reggia di<br />

Cesare non mi parrebbe più bella di questa casa, se io potessi sempre starvi così, fra le tue braccia».<br />

«Che ne sai tu della reggia di Cesare? L’hai forse vista?».<br />

«No, e non la vedrò mai. Ma non ci tengo. Però la penso grande, bella, piena di cose belle... e di<br />

sozzura. Come tutta Roma, immagino. Non ci starei anche se mi coprissero d’oro!».<br />

«Dove? Nel palazzo di Cesare, o a Roma?».<br />

«In tutti a due i luoghi. Anatema!».<br />

«Ma appunto perché sono tali vanno evangelizzati».<br />

«E che vuoi fare a Roma?! È tutto un lupanare! Nulla da fare là, a meno che non ci venga Tu.<br />

Allora!...».<br />

«<strong>Io</strong> ci verrò. Roma è capo del mondo. Conquistata Roma, è conquistato il mondo».<br />

«Andiamo a Roma? Ti proclami re, là! Misericordia e potenza di <strong>Dio</strong>! Questo è un miracolo! ».<br />

Pietro si è alzato in piedi e sta a braccia alte davanti a Gesù, che sorride e che gli risponde: «<strong>Io</strong> ci


andrò nei miei apostoli. Voi me la conquisterete. Ed <strong>Io</strong> sarò con voi. Ma di là c’è qualcuno.<br />

Andiamo, Pietro».<br />

546. <strong>Il</strong> giorno dei funerali di Lazzaro.<br />

23 dicembre 1946.<br />

1 La notizia della morte di Lazzaro deve aver fatto l’effetto di un bastoncino agitato nell’interno di<br />

un alveare. Tutta Gerusalemme ne parla. Notabili, mercanti, popolo minuto, poveri, gente della<br />

città, delle campagne vicine, forestieri di passaggio ma non affatto nuovi del luogo, stranieri che<br />

sono lì per la prima volta e che domandano chi è questo tale la cui morte è cagione di tanto<br />

sommovimento, romani, legionari, addetti agli uffici, e leviti e sacerdoti che si radunano e si<br />

sciolgono continuamente correndo qua a là... Capannelli di gente che con diverse parole ed<br />

espressioni parlano del fatto. E chi loda, chi piange, chi si sente più mendico del solito ora che è<br />

morto il benefattore, chi geme: «Non avrò più, mai più un padrone simile a lui», chi enumera i suoi<br />

meriti e chi illustra il suo censo e la sua parentela, i servizi e le cariche del padre e la bellezza e<br />

ricchezza della madre e la sua nascita «da regina», e chi, purtroppo, rievoca anche pagine famigliari<br />

sulle quali sarebbe bello calare un velo, specie quando vi è di mezzo un morto che di esse ha<br />

sofferto...<br />

2 Le notizie più disparate sulla causa della morte, sul luogo del sepolcro, sull’assenza di Cristo dalla<br />

casa del suo grande amico e protettore proprio in quella circostanza, fanno parlare i gruppetti. E le<br />

opinioni che prevalgono sono due: una è quella che questo è avvenuto, anzi, è stato prodotto dal<br />

cattivo contegno dei giudei, sinedristi, farisei e loro simili verso il Maestro; l’altra, che il Maestro,<br />

avendo di fronte una vera malattia mortale, se l’è squagliata perché qui non sarebbero riuscite le sue<br />

frodi. Anche senza essere astuti, è facile capire da che fonte viene questa ultima opinione, che<br />

invelenisce molti che rimbeccano: «Sei anche tu fariseo? Se lo sei bada a te, perché con noi non si<br />

bestemmia il Santo! Maledette vipere partorite dalle iene in connubio col Leviatan! Chi vi paga per<br />

bestemmiare il Messia?».<br />

Battibecchi, insulti, qualche pugno anche, e salati improperi agli impaludati farisei e scribi che<br />

passano con aria di dèi, senza degnare di uno sguardo la plebe che vocifera pro e contro loro, pro e<br />

contro il Maestro, risuonano per le vie. E accuse! Quante di queste!<br />

«Costui dice che il Maestro è un falso! È certo uno che ha messo su quel ventre con i denari dati da<br />

quei serpenti testé passati».<br />

«Coi loro denari? Coi nostri, devi dire! Ci spolpano per questi begli scopi! Ma dove è costui, ché lo<br />

voglio vedere se è un di quelli che ieri son venuti a dirmi...».<br />

«È fuggito. Ma, viva <strong>Dio</strong>! Qui si deve unirsi ed agire. Sono troppo impudenti».<br />

Altro colloquio: «Ti ho sentito e ti conosco. Dirò a chi di dovere come parli del supremo<br />

Tribunale!».<br />

«Sono del Cristo, e bava di demonio non mi nuoce. Dillo anche ad Anna e Caifa, se vuoi, e ciò giovi<br />

a farli più giusti».<br />

E più là: «A me? A me spergiuro e bestemmiatore perché seguo il <strong>Dio</strong> vivo? Tu spergiuro e<br />

bestemmiatore, che lo offendi e perseguiti. Ti conosco, sai? Ti ho visto e sentito. Spia! Venduto!<br />

Correte a prender questo...», e intanto comincia a stampargli in faccia certi schiaffoni che fan<br />

diventare rosso il viso ossuto e verdastro di un giudeo.<br />

«Cornelio, Simeone, guardate! Mi malmenano», dice un altro più là, rivolgendosi ad un gruppo di<br />

sinedristi.<br />

«Sopporta per la fede e non ti insozzare labbra e mani nella vigilia di un sabato», risponde uno dei<br />

chiamati senza neppure voltarsi a guardare il malcapitato, sul quale un gruppo di popolani<br />

esercitano una rapida giustizia...<br />

Le donne strillano, richiamando i mariti con suppliche perché non si compromettano.<br />

I legionari girano in pattuglie, facendo largo a suon di colpi d’asta e minacciando arresti e


punizioni.<br />

La morte di Lazzaro, il fatto principale, è lo spunto per passare a fatti secondari, sfogo alla lunga<br />

tensione che è nei cuori... I sinedristi, gli anziani, gli scribi, i sadducei, i giudei potenti, passano<br />

indifferenti, sornioni, come se tutto quell’esplodere di piccole ire, di vendette personali, di<br />

nervosismo, non avesse radice in loro. E più passano le ore e più il ribollire cresce e i cuori si<br />

accendono.<br />

«Dicono questi, sentite un po’, che il Cristo non può guarire i malati. <strong>Io</strong> ero lebbroso e ora sono<br />

sano. Li conoscete voi costoro? <strong>Io</strong> non sono di Gerusalemme, ma mai li ho visti fra i discepoli del<br />

Cristo da due anni a questa parte».<br />

«Costoro? Fammi vedere quel di mezzo! Ah! ribaldo ladrone! Questo è quello che alla passata luna<br />

mi è venuto a offrir denaro in nome del Cristo, dicendo che Egli assolda uomini per impadronirsi<br />

della Palestina. E ora dice... Ma perché lo hai lasciato scappare?».<br />

«Capito, eh! Che malandrini! E per poco io ci cadevo! Aveva ragione mio suocero! 3 Ecco là<br />

Giuseppe l’Anziano, con Giovanni e Giosuè. Andiamo a chieder loro se è vero che il Maestro vuol<br />

farsi degli eserciti. Essi sono giusti e sanno». Corrono in massa verso i tre sinedristi ed espongono<br />

la loro domanda.<br />

«Andate a casa, uomini. Per le vie si pecca e ci si nuoce. Non questionate. Non allarmatevi. Badate<br />

ai vostri affari e alle vostre famiglie. Non ascoltate gli agitatori di illusi e non fatevi illudere. <strong>Il</strong><br />

Maestro è un maestro, non un guerriero. Voi lo conoscete. E ciò che pensa dice. Non vi avrebbe<br />

mandato altri a dirvi di seguirlo come guerrieri, se Egli vi avesse voluti tali. Non nuocete a Lui, a<br />

voi e alla nostra Patria. A casa, uomini! A casa! Non fate di ciò che è già una sventura, la morte di<br />

un giusto, un seguito di sventure. Tornate alle case e pregate per Lazzaro, a tutti benefico», dice il<br />

d’Arimatea, che deve essere molto amato e ascoltato dal popolo che lo conosce giusto.<br />

Anche Giovanni (quello che era geloso*) dice: «Egli è uomo di pace, non di guerra. Non ascoltate i<br />

falsi discepoli. Ricordate come erano diversi gli altri che si dicevano Messia. Ricordate,<br />

confrontate, e la vostra giustizia vi dirà che quelle insinuazioni alla violenza non possono venire da<br />

Lui! A casa! A casa! Dalle donne che piangono e dai bambini impauriti. È detto: “Guai ai violenti e<br />

a quelli che favoriscono le risse”».<br />

Un gruppo di donne si accosta in lacrime ai tre sinedristi e una dice: «Gli scribi hanno minacciato il<br />

mio uomo. Ho paura! Giuseppe, parla tu ad essi».<br />

«Lo farò. Ma che tuo marito sappia tacere. Credete di giovare al Maestro con queste agitazioni e di<br />

fare onore al morto? Vi sbagliate. Nuocete all’Uno e all’altro», risponde Giuseppe 4 e le lascia per<br />

andare incontro a Nicodemo che, seguito dai servi, viene da una via: «Non speravo vederti,<br />

Nicodemo. <strong>Io</strong> stesso non so come ho potuto. <strong>Il</strong> servo di Lazzaro è venuto, finito il gallicinio, a dirmi<br />

la sciagura».<br />

«E a me più tardi. Sono subito partito. Sai se a Betania c’è il Maestro?».<br />

«No. Non c’è. <strong>Il</strong> mio intendente di Bezeta fu là all’ora di terza e mi disse che non c’è».<br />

«<strong>Io</strong> non capisco come... A tutti il miracolo e non a lui!», esclama Giovanni.<br />

«Forse perché alla casa ha già dato più che una guarigione: ha redento Maria e reso pace e onore...»,<br />

dice Giuseppe.<br />

«Pace e onore! Dei buoni ai buoni. Perché molti... non hanno reso e non rendono onore neppur ora<br />

che Maria... Voi non sapete... Tre dì da oggi furono là Elchia e molti altri... e non fecero onore. E<br />

Maria li scacciò. Me lo dissero furenti, ed io ho lasciato dire per non scoprire il mio cuore...», dice<br />

Giosuè.<br />

«E ora vanno ai funerali?», chiede Nicodemo.<br />

«Ebbero l’avviso e si adunarono a discutere al Tempio. Oh! i servi ebbero molto da correre questa<br />

mattina all’aurora!».<br />

«Perché così affrettato il funerale? Subito dopo sesta!...».<br />

«Perché Lazzaro era corrotto già quando morì. Mi disse il mio intendente che, nonostante le resine<br />

che ardono per le stanze e gli aromi profusi sul morto, il puzzo del cadavere si sente sino dal portico<br />

della casa. E poi al tramonto si inizia il sabato. Non era possibile fare diversamente».<br />

5 «E dici che si adunarono al Tempio? Perché?».


«Ecco... veramente era già indetta l’adunanza per discutere su Lazzaro. Vogliono dire che fosse<br />

lebbroso...», dice Giosuè.<br />

______________________<br />

* quello che era geloso, come è narrato nel capitolo 409.<br />

«Questo no. Egli per primo si sarebbe isolato secondo la legge», difende Giuseppe. E aggiunge:<br />

«Ho parlato col loro medico. Egli me lo ha assolutamente escluso. Era malato di una consunzione<br />

putrida».<br />

E allora di che hanno discusso, posto che Lazzaro era già morto?», chiede Nicodemo.<br />

«Sull’andare o meno ai funerali dopo che Maria li ha cacciati. Chi voleva sì e chi no. Ma chi voleva<br />

andare erano i più e per tre motivi. Vedere se c’è il Maestro, prima ragione e comune a tutti. Vedere<br />

se fa il miracolo, seconda ragione. Terza, il ricordo di recenti parole del Maestro agli scribi presso il<br />

Giordano in quel di Gerico», spiega ancora Giosuè.<br />

«<strong>Il</strong> miracolo! Quale, se ormai è morto?», chiede con un’alzata di spalle Giovanni e termina: «I soliti<br />

sempre!... Cercatori dell’impossibile!».<br />

«<strong>Il</strong> Maestro ha risuscitato altri morti», osserva Giuseppe.<br />

«È vero. Ma se avesse voluto tenerlo vivo non lo avrebbe lasciato morire. La tua ragione di prima è<br />

giusta. Essi hanno già avuto».<br />

«Sì. Ma Uziel si è ricordato, e con lui Sadoc, di una sfida avuta molte lune or sono. <strong>Il</strong> Cristo ha<br />

detto che darà la prova di saper ricomporre anche un corpo disfatto. E Lazzaro è tale. E ancor dice<br />

Sadoc lo scriba che, presso il Giordano, il Rabbi, di suo, gli ha detto che alla nuova luna vedrebbe<br />

compiersi metà della sfida. Questa: di uno disfatto che rivive, e senza più sfacimento e malattia. E<br />

hanno vinto loro. Se ciò avviene, certo è perché c’è il Maestro. E, anche, se ciò avviene non c’è più<br />

dubbio su di Lui».<br />

«Purché ciò non sia male...», mormora Giuseppe.<br />

«Male? Perché? Gli scribi e farisei si persuaderanno...».<br />

«O Giovanni! Ma sei uno straniero per poter dire questo? Non conosci i tuoi concittadini? Quando<br />

mai la verità li ha fatti santi? Non ti dice nulla il fatto che nella mia casa non sia stato portato<br />

l’invito all’adunanza?».<br />

«Neppure nella mia fu portato. Dubitano di noi e ci lasciano fuori sovente», dice Nicodemo. E<br />

chiede: «C’era Gamaliele?».<br />

«Suo figlio. E lui verrà anche per il padre, che è sofferente a Gamala di Giudea» .<br />

«E che diceva Simeone?».<br />

«Nulla. Nulla affatto. Ha ascoltato. Se ne è andato. Poco fa è passato con dei discepoli del padre<br />

suo, diretto a Betania».<br />

Sono quasi alla porta che apre sulla via di Betania. E Giovanni esclama: «Guarda! È presidiata.<br />

Perché mai? E fermano chi esce».<br />

«C’è agitazione in città...».<br />

«Oh! Non è poi delle più forti...».<br />

6 Giungono alla porta e sono fermati come tutti gli altri.<br />

«La ragione di questo, o milite? <strong>Io</strong> sono noto a tutta l’Antonia, né di me potete dire male. Vi rispetto<br />

e rispetto le vostre leggi», dice Giuseppe d’Arimatea.<br />

«Ordine del Centurione. <strong>Il</strong> Preside sta per entrare in città e vogliamo sapere chi esce dalle porte, e<br />

specie da questa che dà sulla via di Gerico. Ti conosciamo. Ma conosciamo anche il vostro umore<br />

per noi. Tu e i tuoi passate. E se avete voce sul popolo dite che è bene per esso stare calmo. Ponzio<br />

non ama mutar le sue abitudini per dei sudditi che adombrano... e potrebbe esser severo troppo. Un<br />

consiglio leale a te, che leale sei».<br />

Passano...<br />

«Sentito? Prevedo giorni pesanti... Bisognerà consigliare gli altri, più che il popolo...», dice<br />

Giuseppe.<br />

7 La via per Betania è affollata di gente che va tutta in una direzione: a Betania. Tutta gente che va ai<br />

funerali. Si vedono sinedristi e farisei mescolati a sadducei e scribi, e questi ai contadini, servi,


intendenti delle diverse case e poderi che Lazzaro ha in città e nelle campagne; e più ci si avvicina a<br />

Betania, più da tutti i sentieri e le vie altra gente sbocca in questa che è la principale.<br />

Ecco Betania. Betania in lutto intorno al suo più grande cittadino. Tutti gli abitanti, con le vesti<br />

migliori, sono già fuori delle case che sono serrate come nessuno fosse in esse. Ma ancora non sono<br />

nella casa del morto. La curiosità li trattiene presso il cancello, lungo la via. Osservano chi passa<br />

degli invitati e si scambiano nomi a impressioni.<br />

«Ecco Natanael Ben Faba. Oh! il vecchio Matatia parente di Giacobbe! <strong>Il</strong> figlio di Anna! Guardalo<br />

là con Doras, Callascebona e Archelao. Uh! come hanno fatto a venire quelli di Galilea? Ci sono<br />

tutti. Guarda: Eli, Giocana, Ismael, Uria, Gioachino, Elia, Giuseppe... <strong>Il</strong> vecchio Canania con<br />

Sadoc, Zaccaria e Giocana sadducei. C’è anche Simeone di Gamaliele. Solo. <strong>Il</strong> rabbi non c’è. Ecco<br />

Elchia con Nahum, Felice, Anna lo scriba, Zaccaria, Gionata di Uziel! Saul con Eleazaro, Trifone e<br />

Joazar. Buoni questi! Un altro dei figli di Anna. <strong>Il</strong> più piccolo. Parla con Simone Camit. Filippo con<br />

Giovanni l’Antipatride. Alessandro, Isacco, e Giona di Babaon. Sadoc. Giuda, discendente degli<br />

Assidei, l’ultimo, credo, della classe. Ecco gli intendenti dei diversi palazzi. Non vedo gli amici<br />

fedeli. Quanta gente!».<br />

Davvero! Quanta gente! Tutta sussiegata, parte con un viso di circostanza o con i segni del vero<br />

dolore sul volto. <strong>Il</strong> cancello spalancato inghiotte tutti, e vedo passare tutti quelli che in successive<br />

riprese ho visto benevoli o nemici intorno al Maestro. Tutti, meno Gamaliele e meno il sinedrista<br />

Simone. E vedo altri ancora che non ho mai visto, o che avrò visto senza saperne il nome, nelle<br />

dispute intorno a Gesù... Passano rabbi coi loro discepoli, e scribi a gruppi serrati. Passano giudei<br />

dei quali sento enumerare le ricchezze... <strong>Il</strong> giardino è pieno di gente che, dopo essere andata a dire<br />

parole di condoglianza alle sorelle - che, sarà l’usanza, forse, sono sedute sotto il portico, e perciò<br />

fuori della casa - tornano a spargersi per il giardino in un continuo confondersi di colori e in un<br />

continuo sprofondarsi in saluti.<br />

Marta e Maria sono disfatte. Si tengono per mano come due bambine, spaurite del vuoto che si è<br />

fatto nella loro casa, del nulla che empie la loro giornata ora che non c’è più da curare Lazzaro.<br />

Ascoltano le parole dei visitatori, piangono coi veri amici, coi dipendenti fedeli, si inchinano ai<br />

gelidi, imponenti, rigidi sinedristi venuti più per mettersi in mostra che per onorare il defunto,<br />

rispondono, stanche di ripetere le stesse cose centinaia di volte, a chi le interroga sugli ultimi<br />

momenti di Lazzaro.<br />

Giuseppe, Nicodemo, gli amici più fidi, si mettono al loro fianco con poche parole, ma con una<br />

amicizia che conforta più di ogni parola.<br />

8Torna Elchia coi più intransigenti, coi quali ha parlato a lungo, e chiede: «Non potremmo osservare<br />

il morto?».<br />

Marta si passa con pena la mano sulla fronte e chiede: «Quando mai ciò si fa in Israele? Già è<br />

preparato...», e lacrime lente le scendono dagli occhi.<br />

«Non si usa, è vero. Ma noi lo desideriamo. Gli amici più fedeli hanno ben diritto di vedere<br />

un’ultima volta l’amico».<br />

«Anche noi sorelle avremmo avuto questo diritto. Ma fu necessità imbalsamarlo subito... E, tornate<br />

che fummo nella stanza di Lazzaro, non vedemmo più che la forma fra le fasce...».<br />

«Dovevate dare ordini chiari. Non potevate e non potreste levare il sudario al volto?».<br />

«Oh! è corrotto già... E l’ora dei funerali è venuta».<br />

Giuseppe interloquisce: «Elchia, mi sembra che noi... per eccesso di amore, procuriamo pena.<br />

Lasciamo in pace le sorelle...».<br />

Si avanza Simeone figlio di Gamaliele a impedire la risposta di Elchia: «Mio padre verrà appena<br />

che possa. <strong>Io</strong> lo rappresento. Egli apprezzava Lazzaro. Ed io con lui».<br />

Marta si inchina rispondendo: «L’onore del rabbi al fratello nostro sia compensato da <strong>Dio</strong>».<br />

Elchia, essendo lì il figlio di Gamaliele, si scosta senza insistere oltre e discute con altri, che gli<br />

fanno osservare: «Ma non senti il fetore? Vuoi dubitarlo? Del resto vedremo se murano il sepolcro.<br />

Non si vive senz’aria».<br />

Un altro gruppo di farisei si avvicina alle sorelle. Sono quasi tutti quelli di Galilea. Marta, ricevute<br />

le loro attestazioni, non si può trattenere dal dire il suo stupore per la loro presenza.


«Donna, il Sinedrio siede in deliberazioni di somma importanza a noi siamo nella città per questo»,<br />

spiega Simone di Cafarnao, e guarda Maria della quale certo ricorda la conversione. Ma si limita a<br />

guardarla.<br />

9 Ecco farsi avanti Giocana, Doras figlio di Doras e Ismael con Canania e Sadoc, e altri che non so<br />

chi siano. Parlano, già prima di parlare, coi loro volti viperini. Ma aspettano che Giuseppe si<br />

allontani con Nicodemo per parlare a tre giudei, per poter ferire. È il vecchio Canania che, con la<br />

sua voce chioccia di vecchio cadente, dà la pugnalata.<br />

«Che ne dici, Maria? <strong>Il</strong> vostro Maestro è l’unico assente dei molti amici di tuo fratello. Singolare<br />

amicizia! Tanto amore finché Lazzaro stava bene! E indifferenza quando era l’ora di amarlo! Tutti<br />

hanno miracoli da Lui. Ma qui non c’è miracolo. Che ne dici, donna, di simile cosa? Ti ha ingannata<br />

molto, molto il bel Rabbi galileo, eh! eh! Non dicesti che ti aveva detto di sperare oltre lo sperabile?<br />

Non hai dunque sperato, o non giova sperare in Lui? Speravi nella Vita, hai detto. Già! Egli si dice<br />

“la Vita”, eh! eh! Ma là dentro è tuo fratello morto. E là è aperta già la bocca del sepolcro. E il<br />

Rabbi non c’è. Eh! Eh!».<br />

«Egli sa dare la morte, non la vita», dice con un ghigno Doras.<br />

Marta china il volto fra le mani e piange. La realtà è ben questa. La sua speranza è ben delusa. <strong>Il</strong><br />

Rabbi non c’è. Non è neppur venuto a confortarle. Eppure avrebbe potuto essere là, ormai. Marta<br />

piange. Non sa più che piangere.<br />

Anche Maria piange. Anche essa ha la realtà davanti. Ha creduto, ha sperato oltre il credibile... ma<br />

nulla è accaduto, e i servi già hanno levato la pietra alla bocca del sepolcro perché si inizia la<br />

discesa del sole, e il sole scende presto in inverno, ed è venerdì, e tutto deve esser fatto in tempo e<br />

in modo che gli ospiti non abbiano a trasgredire alle leggi del sabato che fra poco ha inizio. Ha<br />

sperato tanto, sempre, troppo sperato. Ha consumato le sue capacità in questa speranza. Ed è delusa.<br />

Canania insiste: «Non mi rispondi? Ti persuadi adesso che Egli è un impostore che vi ha sfruttate e<br />

schernite? Povere donne!», e scrolla il capo fra i suoi simili, che lo imitano dicendo essi pure:<br />

«Povere donne!».<br />

10 Massimino si accosta: «È l’ora. Date l’ordine. Tocca a voi».<br />

Marta si accascia al suolo e, soccorsa, viene portata via a braccia fra l’ululo dei servi, che<br />

comprendono essere venuta l’ora della deposizione nel sepolcro e intonano i lamenti.<br />

Maria stringe le mani, convulsa. Supplica: «Ancora un poco! Ancora un poco! E mandate servi sulla<br />

via verso Ensemes e la fontana, su ogni via. Servi a cavallo. Che vedano se viene...».<br />

«Ma speri ancora, o infelice? Ma che ci vuole a persuaderti che Egli vi ha tradite e illuse? Odiate vi<br />

ha, e schernite...».<br />

È troppo! Col volto lavato dal pianto, torturata eppur fedele, nel semicerchio di tutti gli ospiti che si<br />

sono radunati per veder uscire la salma, Maria proclama: «Se Gesù di Nazaret così ha fatto, bene è,<br />

ed è grande amore il suo per noi tutti di Betania. Tutto a gloria di <strong>Dio</strong> e sua! Egli lo ha detto che da<br />

questo verrà gloria al Signore, perché la potenza del suo Verbo splenderà completa. Eseguisci,<br />

Massimo. <strong>Il</strong> sepolcro non è ostacolo al potere di <strong>Dio</strong>...».<br />

Si scosta, sorretta da Noemi che è accorsa, e fa un cenno... La salma, nelle sue fasce, esce dalla<br />

casa, traversa il giardino fra due ali di gente, fra l’urlio del cordoglio. Maria vorrebbe seguirla, ma<br />

vacilla. Si accoda quando già tutti sono verso il sepolcro. E giunge in tempo per vedere scomparire<br />

la lunga forma immota nell’interno buio del sepolcro, nel quale rosseggiano le torce tenute alte dai<br />

servi per illuminare la scala a quelli che scendono col morto. Perché il sepolcro di Lazzaro è<br />

piuttosto interrato, forse per fruire di strati di roccia sotterranea.<br />

Maria grida... È allo strazio... Grida... E col nome del fratello è quello di Gesù. Pare le strappino il<br />

cuore. Ma non dice che quei due nomi, e li ripete sinché il pesante rumore della chiusura rimessa<br />

alla bocca della tomba non le dice che Lazzaro non è più sulla terra neppure col corpo. Allora cede e<br />

perde la conoscenza di tutto. Si abbatte su chi la sostiene e sospira ancora, mentre sprofonda nel<br />

nulla dello svenimento: «Gesù! Gesù!». Viene portata via.<br />

11 Resta Massimino a licenziare gli ospiti e a ringraziarli per tutta la parentela. Resta per<br />

sentirsi dire da tutti che torneranno per il cordoglio ogni giorno...<br />

Sfollano lentamente. Gli ultimi a partire sono Giuseppe, Nicodemo, Eleazaro, Giovanni,


Gioacchino, Giosuè. E sul cancello trovano Sadoc con Uriel che ridono, cattivi, dicendo: «La sua<br />

sfida! E l’abbiamo temuta!».<br />

«Oh! è ben morto. Come puzzava nonostante gli aromi! Non c’è dubbio, no! Non necessitava levare<br />

il sudario. <strong>Io</strong> credo che sia già verminoso». Sono felici.<br />

Giuseppe li guarda. Uno sguardo così severo che tronca parole e risate. Tutti si affrettano al ritorno<br />

per essere in città avanti la fine del tramonto.<br />

547. Gesù decide di andare a Betania.<br />

24 dicembre 1946.<br />

1 La luce non è già più luce nell’orticello della casa di Salomon, e le piante, i contorni delle case<br />

oltre la via, e specie il fondo della via stessa, là dove la stradetta si annulla nella boschina del fiume,<br />

perdono sempre più i loro contorni netti, unificandosi in un’unica linea di ombre più o meno chiare,<br />

più o meno scure, nell’ombra della sera che cresce sempre più. Più che colori, le cose sparse sulla<br />

terra sono suoni, ormai. Voci di bimbi dalle case, richiami di madri, incitamenti di uomini alle<br />

pecore o all’asinello, qualche ultimo cigolare di carrucole nei pozzi, fruscio di foglie nel vento della<br />

sera, urti secchi, come di legnetti urtati fra loro, dei nocchi sparsi per la boschina. In alto il primo<br />

palpitare delle stelle, ancora incerto perché permane un ricordo di luce e perché la prima<br />

fosforescenza della luna comincia già a diffondersi nel cielo.<br />

«<strong>Il</strong> resto lo direte domani. Ora basta. È notte. E ognuno vada a casa. La pace a voi. La pace a voi.<br />

Sì... Sì... Domani. Eh? Che dici? Hai uno scrupolo? Dormici sopra sino a domani e poi, se non ti è<br />

passato, verrai. Ci mancherebbe altro! Anche gli scrupoli per affaticarlo di più! Anche gli smaniosi<br />

di guadagno! E le suocere che vogliono far rinsavire le spose, e le spose che vogliono far meno<br />

acide le suocere, e fra queste e quelle meriterebbero d’aver mozza la lingua tutte e due. E che c’è<br />

d’altro? Tu? Che dici? Oh! questo sì, poverino! Giovanni, conduci questo bambino dal Maestro. Ha<br />

la mamma malata e lo manda a dire a Gesù che preghi per lei. Poverino! È rimasto indietro perché<br />

piccino. E viene da lontano. Come farà a tornare a casa? Ehi! voi tutti! Invece di stare qui per<br />

godere di Lui, non potreste mettere in pratica ciò che il Maestro vi ha detto: di aiutarsi l’un l’altro, e<br />

i più forti di dare aiuto ai più deboli? Su! Chi accompagna a casa il fanciullo? Potrebbe, <strong>Dio</strong> non<br />

voglia, trovar morta la madre... Che almeno la veda. Asini ce ne avete... È notte? E cosa c’è di più<br />

bello della notte? <strong>Io</strong> ho lavorato per più lustri al lume delle stelle e sono sano e robusto. Lo conduci<br />

tu a casa? <strong>Dio</strong> ti benedica, Ruben. Ecco il fanciullo. Ti ha consolato il Maestro? Sì. Allora va’, e sii<br />

felice. Ma bisognerà dargli del cibo. È forse dal mattino che non mangia».<br />

«<strong>Il</strong> Maestro gli ha dato del latte caldo e pane e frutta; li ha nella tunichella», dice Giovanni.<br />

«Allora vai con quest’uomo. Ti porta a casa coll’asino».<br />

Finalmente la gente se ne è andata tutta, e Pietro può riposarsi insieme a Giacomo, Giuda, l’altro<br />

Giacomo e Tommaso, che lo hanno aiutato a mandare alle case i più ostinati.<br />

«Chiudiamo. Che non ci sia chi si pente e torna indietro, come quei due là. Auf! Ma il giorno dopo<br />

il sabato è ben faticoso!», dice ancora Pietro entrando nella cucina e chiudendo la porta: «Oh! ora<br />

staremo in pace».<br />

2 Guarda Gesù che è seduto presso la tavola, col gomito su essa e il capo sorretto dalla mano,<br />

pensieroso, astratto. Gli va vicino, gli posa la mano sulla spalla e gli dice: «Sei stanco, eh! Tanta<br />

gente! Vengono da tutte le parti nonostante la stagione».<br />

«Sembra che abbiano paura di perderci presto», osserva Andrea che sta sventrando dei pesci. Anche<br />

gli altri si danno da fare a preparare il fuoco per arrostirli, o a rimestare delle cicorie in un paiolo<br />

che bolle. Le loro ombre si proiettano sulle pareti scure che il fuoco, più del lume, rischiara.<br />

Pietro cerca una tazza per dare del latte a Gesù, che sembra molto stanco. Ma non trova il latte e ne<br />

chiede conto agli altri.<br />

«Lo ha bevuto il bambino l’ultimo latte che avevamo. <strong>Il</strong> resto lo ebbe quel vecchio mendico e la<br />

donna dal marito infermo», spiega Bartolomeo.


«E il Maestro è rimasto senza! Non dovevate dare tutto».<br />

«Ha voluto così Lui...».<br />

«Oh! Lui vorrebbe sempre così. Ma non si deve lasciarlo fare. Lui dà via le vesti, Lui dà via il suo<br />

latte, Lui dà via Se stesso e si consuma...». Pietro è malcontento.<br />

«Buono, Pietro! Dare è meglio che ricevere», dice Gesù quietamente uscendo dalla sua astrazione.<br />

«Già! E Tu dài, dài e ti consumi. E più ti fai vedere disposto a tutte le generosità, e più gli uomini se<br />

ne approfittano».<br />

E intanto, con delle foglie ruvide e sprigionanti un odore misto di mandorla amara e di crisantemo,<br />

struscia il tavolo, lo rende ben netto per deporvi sopra il pane, l’acqua, e mette una coppa davanti a<br />

Gesù. Gesù si versa subito da bere come se avesse una grande sete. Pietro mette un’altra coppa<br />

sull’altro lato del tavolo, presso un piatto con delle ulive e degli steli di finocchio selvatico.<br />

Aggiunge il vassoio dei radicchi che Filippo ha già conditi, e insieme ai compagni porta degli<br />

sgabelli molto primitivi in aggiunta alle quattro sedie che sono nella cucina, insufficienti a tredici<br />

persone.<br />

Andrea, che ha sorvegliato la cottura del pesce arrostito sulle braci, colloca il pesce su un altro<br />

piatto e con degli altri pani va verso la tavola. Giovanni leva la lucerna dal luogo dove era e la mette<br />

in mezzo al tavolo.<br />

Gesù si alza, mentre tutti si avvicinano alla tavola per la cena, e prega ad alta voce, offrendo il pane<br />

e benedicendo poi la mensa. Si siede imitato dagli altri e distribuisce il pane e i pesci, ossia depone i<br />

pesci sulle forme basse e larghe del pane, in parte fresco, in parte stantio, che ognuno si è messo<br />

davanti. Poi gli apostoli si servono dei radicchi usando del forchettone di legno infisso nei<br />

medesimi. Anche per la verdura il pane fa da piatto. Soltanto Gesù ha davanti un piatto di metallo<br />

largo e piuttosto malandato, e lo usa per dividere il pesce, dando ora a questo e ora a quello un<br />

boccone prelibato. Sembra un padre fra i suoi figli, sempre padre anche se Natanaele, Simone<br />

Zelote e Filippo sembrano padri a Lui, e Matteo e Pietro possono parere suoi fratelli più anziani.<br />

3 Mangiano e parlano degli avvenimenti del giorno, e Giovanni ride di gusto per lo sdegno di Pietro<br />

verso quel pastore dei monti di Galaad, che pretendeva che Gesù andasse lassù dove era il gregge<br />

per benedirlo e fargli guadagnare molto denaro per la dote da darsi alla figlia.<br />

«C’è poco da ridere. Finché ha detto: “Ho le pecore malate e se muoiono io sono rovinato”, l’ho<br />

compatito. È come se a noi pescatori si tarlasse la barca. Non si può più pescare e mangiare. E di<br />

mangiare tutti si ha diritto. Ma quando ha detto: “E le voglio sane perché voglio farmi ricco e<br />

sbalordire il paese per la dote che farò a Ester e per la casa che mi costruirò”, allora mi sono fatto<br />

brutto. Gli ho detto: “E per questo hai fatto tanta strada? Non hai a cuore che la dote e le ricchezze e<br />

le pecore tu? Non ci hai un’anima?”. Mi ha risposto: “Per quella c’è tempo. Ora mi premono più le<br />

pecore e le nozze, perché è un buon partito ed Ester comincia a invecchiare”. Allora, ecco, se non<br />

era che mi ricordavo che Gesù dice che si deve essere misericordiosi con tutti, stava fresco l’uomo!<br />

Gli ho parlato proprio fra tramontana e scirocco*...».<br />

«E pareva che tu non avessi più a finire. Non prendevi fiato. Ti eran venute le vene del collo gonfie<br />

e sporgenti come due bastoni», dice Giacomo di Zebedeo.<br />

«Era già via da un pezzo il pastore e tu continuavi a predicare. Meno male che dici che non sai<br />

parlare alla gente!», aggiunge Tommaso. E lo abbraccia dicendo: «Povero Simone! Che grossa ira<br />

che ha preso!».<br />

«Ma non avevo ragione forse? Cosa è il Maestro? <strong>Il</strong> facitor di fortune di tutti gli stolti di Israele? <strong>Il</strong><br />

paraninfo delle altrui nozze, forse?».<br />

«Non ti inquietare, Simone. Ti fa male il pesce se lo mangi con quel veleno», stuzzica bonario<br />

Matteo.<br />

«Hai ragione. Ci sento in tutto il sapore che hanno i banchetti in casa dei farisei, quando mi mangio<br />

pane con timore e carne con ira».<br />

Ridono tutti. Gesù sorride e tace.<br />

4 Sono alla fine del pasto. Sazi, soddisfatti di cibo e di calore, stanno, un poco imprigriti, intorno alla<br />

tavola. Parlano anche meno, alcuni sonnecchiano. Tommaso si diverte a disegnare col coltello un<br />

rametto di fiori sul legno del tavolo.


__________________________<br />

* fra tramontana e scirocco, cioè con l’impetuosità dello spirare di due venti di direzione opposta.<br />

Li scuote la voce di Gesù che, disserrando le braccia che teneva conserte sull’orlo del tavolo e<br />

sporgendo le mani come fa il sacerdote quando dice “Dominus vobiscum*”, dice: «Eppure bisogna<br />

andare!».<br />

«Dove, Maestro? Da quello delle pecore?», chiede Pietro.<br />

«No, Simone. Da Lazzaro. Torniamo in Giudea».<br />

«Maestro, ricordati che i giudei ti odiano! », esclama Pietro.<br />

«Volevano lapidarti or non è molto», dice Giacomo d’Alfeo.<br />

«Ma, Maestro, questa è un’imprudenza! », esclama Matteo.<br />

«Non ti importa di noi?», chiede l’Iscariota.<br />

«Oh! Maestro e fratello mio, io te ne scongiuro in nome di tua Madre, e in nome anche della<br />

Divinità che è in Te, non permettere che i satana mettano le mani sulla tua persona, a strozza della<br />

tua parola. Sei solo, troppo solo contro tutto un mondo che ti odia e che è, sulla Terra, potente», dice<br />

il Taddeo.<br />

«Maestro, tutela la tua vita! Che sarebbe di me, di tutti, se non ti avessimo più?». Giovanni,<br />

sconvolto, lo guarda con occhi dilatati di bambino spaventato e addolorato.<br />

Pietro, dopo la prima esclamazione, si è voltato a parlare concitatamente con i più anziani e con<br />

Tommaso e Giacomo di Zebedeo. Sono tutti del parere che Gesù non deve tornare presso<br />

Gerusalemme, almeno fintanto che il tempo pasquale non faccia più sicura la permanenza colà,<br />

perché, dicono, la presenza di un numero stragrande di seguaci del Maestro, venuti per le feste<br />

pasquali da ogni parte della Palestina, sarà una difesa per il Maestro. Nessuno di quelli che lo<br />

odiano oserà toccarlo quando tutto un popolo sarà stretto intorno a Lui con amore... E glielo dicono,<br />

affannosamente, quasi prepotentemente... L’amore li fa parlare.<br />

5 «Pace! Pace! Non è forse di dodici ore la giornata? Se uno cammina di giorno non inciampa perché<br />

vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte inciampa perché non ci vede. <strong>Io</strong> so quello<br />

che mi faccio, perché la Luce è in Me. Voi lasciatevi guidare da chi ci vede. E poi sappiate che,<br />

sinché non è l’ora delle tenebre, nulla di tenebroso potrà avvenire. Quando poi sarà quell’ora,<br />

nessuna lontananza e nessuna forza, neppure le armate di Cesare, potranno salvarmi dai giudei.<br />

Poiché ciò che è scritto deve avvenire, e le forze del male già operano in occulto per compiere la<br />

loro opera. Perciò lasciatemi fare. E fare del bene sinché sono libero di farlo. Verrà l’ora in cui non<br />

potrò più muovere un dito né dire una parola per operare il miracolo. <strong>Il</strong> mondo sarà vuoto della mia<br />

forza. Ora tremenda di castigo per l’uomo. Non per Me. Per l’uomo che non mi avrà voluto amare.<br />

Ora che si ripeterà, per volontà dell’uomo che avrà respinto la Divinità sino a far di sé un senza <strong>Dio</strong>,<br />

un seguace di Satana e del suo figlio maledetto. Ora che verrà quando sarà prossima la fine di<br />

questo mondo. La non-fede imperante renderà nulla la mia potenza di miracolo. Non perché <strong>Io</strong> la<br />

possa perdere. Ma perché il<br />

______________________________<br />

* Dominus vobiscum, cioè “il Signore sia con voi”, è il saluto che il sacerdote rivolge ai fedeli<br />

durante la celebrazione della Messa, che ai tempi della scrittrice si diceva in latino.<br />

miracolo non può essere concesso là dove non è fede e volontà di ottenerlo, là dove del miracolo si<br />

farebbe un oggetto di scherno e uno strumento di male, usando il bene avuto per fare un maggior<br />

male. Ora posso ancora fare il miracolo, e farlo per dare gloria a <strong>Dio</strong>. 6 Andiamo, dunque, dal nostro<br />

amico Lazzaro che dorme. Andiamo a svegliarlo da questo sonno, perché sia fresco e pronto a<br />

servire il suo Maestro».<br />

«Ma se dorme è bene. Finirà di guarire. <strong>Il</strong> sonno è già un rimedio. Perché svegliarlo?», gli<br />

osservano.<br />

«Lazzaro è morto. Ho atteso che fosse morto per andare là, non per le sorelle e per lui. Ma per voi.<br />

Perché crediate. Perché cresciate nella fede. Andiamo da Lazzaro».<br />

«E va bene! Andiamo pure! Moriremo tutti come è morto lui e come Tu vuoi morire», dice<br />

Tommaso rassegnato fatalista.


«Tommaso, Tommaso, e voi tutti che nell’interno avete critiche e brontolii, sappiate che chi vuol<br />

seguire Me deve avere per la sua vita la stessa cura che ha l’uccello per la nuvola che passa.<br />

Lasciarla passare a seconda che il vento la porta. <strong>Il</strong> vento è la volontà di <strong>Dio</strong>, il quale può darvi o<br />

levarvi la vita a suo piacere, né voi ve ne avete a rammaricare, come non se ne rammarica l’uccello<br />

della nube che passa, ma canta ugualmente, sicuro che dopo tornerà il sereno. Perché la nuvola è<br />

l’incidente, il cielo è la realtà. <strong>Il</strong> cielo resta sempre azzurro anche se le nuvole sembrano farlo<br />

grigio. È e resta azzurro oltre le nubi. Così è della Vita vera. È e resta, anche se la vita umana cade.<br />

Chi vuole seguirmi non deve conoscere ansia della vita e paura per la vita. Vi mostrerò come si<br />

conquista il Cielo. Ma come potrete imitarmi se avete paura di venire in Giudea, voi a cui nulla sarà<br />

fatto di male, ora? Avete scrupolo a mostrarvi con Me? Siete liberi di abbandonarmi. Ma, se volete<br />

restare, dovete imparare a sfidare il mondo con le sue critiche, le sue insidie, le sue derisioni, i suoi<br />

tormenti, per conquistare il Regno mio.<br />

7 Andiamo, dunque, a trarre da morte Lazzaro che dorme da due giorni nel sepolcro, essendo morto<br />

la sera che venne qui il servo da Betania. Domani all’ora di sesta, dopo aver licenziato chi attende il<br />

domani per avere da Me ristoro e premio alla sua fede, partiremo di qui a passeremo il fiume,<br />

sostando la notte in casa di Niche. Poi all’aurora partiremo per Betania, facendo la strada che passa<br />

per Ensemes. Saremo a Betania avanti sesta. E vi sarà molta gente. Ed i cuori resteranno scossi.<br />

L’ho promesso e lo mantengo...».<br />

«A chi, Signore?», chiede quasi timoroso Giacomo d’Alfeo.<br />

«A chi mi odia e a chi mi ama, ambedue in maniera assoluta. Non ricordate la disputa* a Cédès con<br />

gli scribi? Potevano ancora dirmi mendace per avere risuscitato una fanciulla appena morta e uno<br />

morto da un giorno. Hanno detto: “Ancor non hai saputo ricomporre uno sfatto”. Infatti soltanto<br />

Iddio può dal fango trarre un uomo e dalla putredine rifare un corpo intatto e vivente. Ebbene,<br />

<strong>Io</strong> lo<br />

___________________________<br />

* la disputa, in 342.6; ho ricordato, in 525.16.<br />

farò. Alla luna di casleu, alle sponde del Giordano, ho ricordato <strong>Io</strong> stesso agli scribi questa sfida e<br />

ho detto: “Alla nuova luna si compirà”. Questo per chi mi odia. Alle sorelle, poi, che mi amano in<br />

maniera assoluta, ho promesso di premiare la loro fede se esse avessero continuato a sperare contro<br />

il credibile. Le ho molto provate e molto afflitte, e <strong>Io</strong> solo conosco le sofferenze dei loro cuori in<br />

questi giorni e il loro perfetto amore. In verità vi dico che meritano gran premio perché, più che del<br />

non vedere risorto il fratello, si angosciano che <strong>Io</strong> possa essere schernito. Vi parevo assorto, stanco e<br />

triste. Ero presso di loro col mio spirito e sentivo i loro gemiti e numeravo le loro lacrime. Povere<br />

sorelle! Ora <strong>Io</strong> ardo di ricondurre un giusto sulla Terra, un fratello fra le braccia delle sorelle, un<br />

discepolo fra i miei discepoli. Tu piangi, Simone? Sì. Tu e <strong>Io</strong> siamo i più grandi amici di Lazzaro, e<br />

nel tuo pianto è il dolore per il dolore di Marta e Maria e l’agonia dell’amico, ma è anche già la<br />

gioia di saperlo presto reso al nostro amore. 8 Alziamoci, per preparare le sacche e andare al riposo<br />

per alzarci all’alba e riordinare qui dove... non è sicuro il ritorno. Bisognerà distribuire ai poveri<br />

quanto abbiamo e dire ai più attivi di trattenere i pellegrini dal cercarmi sinché non sarò in altro<br />

luogo sicuro. Bisognerà ancora dire loro di avvisare i discepoli che mi cerchino presso Lazzaro.<br />

Tante cose da fare. Saranno tutte fatte prima che giungano i pellegrini... Su. Spegnete il fuoco e<br />

accendete i lumi e ognuno vada a fare ciò che deve e al riposo. La pace a voi tutti».<br />

Si alza. Benedice e si ritira nella sua stanzetta...<br />

«È morto da più giorni!», dice lo Zelote.<br />

«Questo è un miracolo!», esclama Tommaso.<br />

«Voglio vedere cosa trovano poi per dubitare!», dice Andrea.<br />

«Ma quando è venuto il servo?», chiede Giuda Iscariota.<br />

«La sera avanti il venerdì», risponde Pietro.<br />

«Sì? E perché non lo hai detto?», chiede ancora l’Iscariota.<br />

«Perché il Maestro mi aveva detto di tacere», ribatte Pietro.<br />

«Dunque... quando noi si arriva là... sarà da quattro dì nel sepolcro?».


«Certo, eh! Sera di venerdì un giorno, sera del sabato due giorni, questa sera tre giorni, domani<br />

quattro... Quattro dì e mezzo, dunque... Potenza eterna! Ma sarà già in pezzi!», dice Matteo.<br />

«Sarà già in pezzi... Voglio vedere anche questo e poi...».<br />

«Che, Simon Pietro?», chiede Giacomo d’Alfeo.<br />

«E poi, se Israele non si converte, neppure Jeovè fra i fulmini lo può convertire».<br />

Se ne vanno parlando così.<br />

548. La risurrezione di Lazzaro.<br />

26 dicembre 1946.<br />

1 Gesù viene verso Betania da Ensemes. Devono aver fatto una marcia veramente faticosa su per i<br />

sentieri rompicollo dei monti Adomin. Gli apostoli, sfiatati, stentano a seguire Gesù che va<br />

rapidamente, come l’amore lo portasse sulle sue ali di fuoco. Gesù ha un sorriso radioso mentre<br />

procede avanti a tutti, a testa alta sotto i raggi tiepidi del sole meridiano.<br />

Prima che giungano alle prime case di Betania, lo vede un ragazzetto scalzo che va verso la fonte<br />

presso il paese con una brocca di rame vuota. Dà un grido. Posa la brocca in terra e via di corsa, con<br />

tutta la velocità delle sue gambette, verso l’interno del paese.<br />

«Certo va ad avvisare che Tu giungi», osserva Giuda Taddeo dopo aver sorriso come tutti della<br />

risoluzione... energica del ragazzino, che ha abbandonato anche la sua brocca alla mercé del primo<br />

che passa.<br />

2 La cittadina, vista così da presso la fonte, che è un poco più in alto del paese, appare quieta,<br />

come deserta. Solo il fumo bigio che si alza dai camini indica che nelle case sono le donne intente a<br />

preparare il pasto meridiano, e qualche grossa voce di uomo fra gli ulivi e i frutteti vasti e silenziosi<br />

avverte che gli uomini sono al lavoro. Ciononostante, Gesù preferisce prendere una viottola che<br />

passa alle spalle del paese per poter giungere da Lazzaro senza attirare l’attenzione dei cittadini.<br />

Sono quasi a mezzo tragitto quando si sentono alle spalle il ragazzetto di prima, che li sorpassa<br />

correndo e poi si punta in mezzo alla via a guardare Gesù, pensieroso...<br />

«La pace a te, piccolo Marco. Hai avuto paura di Me che sei fuggito?», chiede Gesù carezzandolo.<br />

«<strong>Io</strong> no, Signore, che non ho avuto paura. Ma siccome per molti giorni Marta e Maria hanno<br />

mandato servi sulle strade che vengono qui a vedere se venivi, ora che ti ho visto sono corso per<br />

dire che venivi...» .<br />

«Hai fatto bene. Le sorelle si prepareranno il cuore a vedermi».<br />

«No, Signore. Le sorelle non si prepareranno nulla perché non sanno nulla. Non hanno voluto che lo<br />

dicessi. Mi hanno preso quando ho detto, entrando nel giardino: “C’è il Rabbi”, e mi hanno cacciato<br />

fuori dicendo: “Sei un bugiardo o uno stolto. Egli ormai non viene più perché ormai è certo che non<br />

può più fare il miracolo”. E perché io dicevo che eri proprio Tu, mi hanno dato due schiaffoni come<br />

ancora non ne avevo presi mai... Guarda qui che guance rosse. Mi bruciano! E mi hanno spinto via<br />

dicendo: “Questo per purificarti di aver guardato un demonio”. E io ti guardavo per vedere se eri<br />

diventato un demonio. Ma non lo vedo... Sei sempre il mio Gesù, bello come gli angeli che la<br />

mamma mi dice».<br />

Gesù si china a baciarlo sulle gotine schiaffeggiate dicendo: «Così ti passa il pizzicore. Ne ho<br />

dolore che per Me tu abbia sofferto...».<br />

«<strong>Io</strong> no, Signore, perché quegli schiaffi mi hanno fatto dare due baci da Te», e gli si attacca alle<br />

gambe sperandone altri.<br />

«Di’ un po’, Marco. Chi è che ti ha cacciato? Quei di Lazzaro?», chiede il Taddeo.<br />

«No. I giudei. Vengono per il cordoglio tutti i giorni. Sono tanti! Sono in casa e nel giardino.<br />

Vengono presto, vanno via tardi. Sembrano i padroni loro. Maltrattano tutti. Vedi che non c’è


nessuno per le vie? I primi giorni si stava a vedere... ma poi... Ora solo noi bambini si gira per... Oh!<br />

la mia brocca! La mamma che aspetta l’acqua... Ora mi picchierà anche lei!...».<br />

Sorridono tutti della sua desolazione davanti alla prospettiva di altri schiaffi, e Gesù dice: «Vai<br />

allora svelto...».<br />

«È che... volevo entrare con Te e vederti fare il miracolo...», e termina: «...e vedere le loro facce...<br />

per vendicarmi degli schiaffi...».<br />

«Questo no. Non devi desiderare vendetta. Essere buono e perdonare devi... Ma la mamma aspetta<br />

l’acqua...».<br />

«Vado io, Maestro. So dove sta Marco. Spiegherò alla donna e ti raggiungerò...», dice Giacomo di<br />

Zebedeo correndo via.<br />

Si rimettono in cammino lentamente e Gesù tiene per mano il bambino gongolante...<br />

3 Eccoli alla cancellata del giardino. La costeggiano. Molte cavalcature stanno legate ad essa,<br />

sorvegliate dai servi dei singoli proprietari. <strong>Il</strong> bisbiglio che si leva da essi attira l’attenzione di<br />

qualche giudeo, che si volge verso il cancello aperto proprio nel momento che Gesù pone piede sul<br />

limitare del giardino.<br />

«<strong>Il</strong> Maestro!», dicono i primi che lo vedono, e questa parola scorre come un fruscio di vento da<br />

gruppo a gruppo, si propaga, va come un’onda, venuta da lontano a spezzarsi sulla riva, sin contro i<br />

muri della casa e vi penetra, certo portata dai molti giudei presenti, o da qualche fariseo, rabbi o<br />

scriba o sadduceo, sparsi qua a là.<br />

Gesù si inoltra molto lentamente mentre tutti, pur accorrendo da ogni parte, si scansano dal viale sul<br />

quale Egli cammina. E dato che nessuno lo saluta, Egli non saluta nessuno, come neppure<br />

conoscesse molti dei lì radunati a guardarlo con l’ira e l’odio negli sguardi, meno i pochi che,<br />

essendogli discepoli occulti, o per lo meno essendo di retto cuore anche se non lo amano come<br />

Messia, lo rispettano come un giusto. E questi sono Giuseppe, Nicodemo, Giovanni, Eleazaro,<br />

l’altro Giovanni scriba, visto per la moltiplicazione dei pani, e l’altro Giovanni ancora, che sfamò i<br />

discesi dal monte delle beatitudini, Gamaliele col figlio suo, Giosuè, Gioacchino, Mannaen, lo<br />

scriba Gioele di Abia, incontrato al Giordano nell’episodio di Sabea, Giuseppe Barnaba discepolo di<br />

Gamaliele, Cusa che guarda Gesù da lontano, un poco intimidito di rivederlo dopo lo sbaglio fatto,<br />

o forse preso dal rispetto umano che lo trattiene dal farsi avanti come amico. Certo è che né gli<br />

amici, o osservatori senz’astio, né i nemici salutano. E Gesù non saluta. Si è limitato ad un generico<br />

inchino mettendo piede sul viale. Poi ha proceduto diritto, come estraneo alla molta folla che ha<br />

d’intorno. <strong>Il</strong> ragazzetto gli cammina sempre al fianco nelle sue vesti di contadinello e coi piedini<br />

scalzi di bimbo povero, ma col viso luminoso di chi è in festa, gli occhietti neri, vispi, ben aperti a<br />

tutto vedere... e a sfidare tutti...<br />

4 Marta esce dalla casa fra un gruppo di giudei visitatori, fra i quali sono mescolati Elchia e Sadoc.<br />

Si fa solecchio con la mano per aiutare gli occhi stanchi di pianto, ai quali è penosa la luce, a vedere<br />

dove è Gesù. Lo vede. Si stacca da chi l’accompagna e corre verso Gesù, che è a pochi passi dalla<br />

vasca che brilla di bagliori, colpita come è dal sole. Si getta ai piedi di Gesù dopo il primo inchino e<br />

glieli bacia, mentre dice fra un grande scoppio di pianto: «La pace a te, Maestro!».<br />

Anche Gesù le ha detto, non appena l’ha vista vicina: «La pace a te!», ed ha alzato la mano a<br />

benedire lasciando andare quella del bambino, che viene preso per mano da Bartolomeo e tirato un<br />

poco indietro.<br />

Marta prosegue: «Ma pace per la tua serva non c’è più». Alza il viso verso Gesù stando ancora in<br />

ginocchio e con un grido di dolore, che si sente bene nel silenzio che si è fatto, esclama: «Lazzaro è<br />

morto! Se Tu fossi stato qui, egli non sarebbe morto. Perché non sei venuto prima, Maestro?». Ha<br />

un involontario tono di rimprovero nel fare questa domanda. Poi torna al tono accasciato di chi non<br />

ha più forza per rimproverare e ha l’unico conforto del poter ricordare gli ultimi atti e desideri di un<br />

parente, al quale si è cercato di dare ciò che desiderava, e non c’è rimorso perciò in cuore: «Ti ha<br />

tanto chiamato, Lazzaro, il fratello nostro!... Ora vedi! <strong>Io</strong> sono dolente e Maria piange e non sa darsi<br />

pace. Ed egli non è più qui. Tu sai se lo amavamo! Speravamo tutto da Te!...».<br />

Un mormorio di compassione per la donna e di rimprovero per Gesù, un assentire al sottinteso<br />

pensiero: «e potevi esaudirci, perché noi lo meritiamo per l’amore che abbiamo per Te, e Tu invece


ci hai delusi», scorre da gruppo a gruppo fra scuotii di teste o sguardi derisori. Solo i pochi occulti<br />

discepoli sparsi fra la folla presente hanno sguardi di compassione per Gesù che ascolta, molto<br />

pallido e mesto, la dolente che gli parla. Gamaliele, le braccia conserte al petto nella sua ampia e<br />

ricca veste di lana finissima ornata di fiocchi azzurri, un poco in disparte fra un gruppo di giovani in<br />

cui è suo figlio e Giuseppe Barnaba, guarda fissamente Gesù, senza odio e senza amore.<br />

Marta, dopo essersi asciugata il volto, riprende a parlare: «Ma anche ora io spero, perché so che<br />

qualunque cosa Tu chiederai al Padre ti sarà concessa». Una dolorosa, eroica professione di fede,<br />

detta con la voce che trema di pianto, con l’ansia che trema nello sguardo, con l’ultima speranza che<br />

trema nel cuore.<br />

«Tuo fratello risorgerà. Alzati, Marta».<br />

Marta si alza, rimanendo curva in venerazione davanti a Gesù al quale risponde: «Lo so, Maestro.<br />

Egli risorgerà all’ultimo giorno».<br />

«<strong>Io</strong> sono la Risurrezione e la Vita. Chiunque crede in Me, anche se morto, vivrà. E chi crede e vive<br />

in Me non morrà in eterno. Credi tu tutto questo?». Gesù, che prima aveva parlato con voce<br />

piuttosto bassa, unicamente a Marta, per dire queste frasi in cui proclama la sua potenza di <strong>Dio</strong> alza<br />

la voce, e il perfetto timbro di essa echeggia come uno squillo d’oro nel vasto giardino. Un fremito<br />

quasi di spavento scuote gli astanti. Ma poi alcuni ghignano scuotendo il capo.<br />

Marta, alla quale Gesù pare volere trasfondere speranza sempre più forte tenendole la mano<br />

appoggiata sulla spalla, alza il viso che teneva curvo. Lo alza verso Gesù fissando i suoi occhi<br />

addolorati nelle luminose pupille di Cristo e, stringendo le mani sul petto con un’ansia diversa,<br />

risponde: «Sì, Signore. <strong>Io</strong> credo questo. Credo che Tu sei il Cristo, il Figlio di <strong>Dio</strong> vivo, venuto nel<br />

mondo. E che puoi tutto ciò che vuoi. Credo. 5 Ora vado ad avvertire Maria», e va via lesta<br />

scomparendo nella casa.<br />

Gesù resta dove è. Ossia, fa qualche passo avanti e si accosta all’aiuola che circonda la vasca, aiuola<br />

tutta imbrillantata, da quel lato, dal pulviscolo acqueo dello zampillo, che un lieve vento fa<br />

inclinare, come fosse un piumetto d’argento, verso quel lato; e pare perdersi, Gesù, nel contemplare<br />

i guizzi dei pesci sotto il velo dell’acqua limpida, i loro giuochi che mettono virgole d’argento e<br />

riflessi d’oro nel cristallo delle acque percosse dal sole.<br />

I giudei lo osservano. Si sono involontariamente separati in gruppi ben distinti. Da un lato, di fronte<br />

a Gesù, tutti quelli che gli sono nemici, divisi solitamente fra loro per spirito settario, ora concordi<br />

per osteggiare Gesù. Al suo fianco, dietro gli apostoli, ai quali si è riunito Giacomo di Zebedeo,<br />

Giuseppe, Nicodemo e gli altri di spirito benevolo. Più là, Gamaliele, sempre al suo posto e nella<br />

stessa posa, e solo, perché il figlio e i discepoli si sono separati da lui dividendosi fra i due gruppi<br />

principali per essere più vicini a Gesù.<br />

6 Col suo grido abituale: «Rabboni!», Maria esce dalla casa correndo a braccia tese verso Gesù e<br />

gettandoglisi ai piedi, che bacia singhiozzando forte. Diversi giudei, che erano in casa con lei e che<br />

l’hanno seguita, uniscono i loro pianti, di dubbia sincerità, a quelli di lei. Anche Massimino,<br />

Marcella, Sara, Noemi hanno seguito Maria e così tutti i servi, e i lamenti sono forti e alti. <strong>Io</strong> credo<br />

che nella casa non sia rimasto nessuno. Marta, vedendo piangere cosi Maria, piange forte lei pure.<br />

«La pace a te, Maria. Alzati! Guardami! Perché questo pianto simile a quello di chi non ha<br />

speranza?». Gesù si curva per dire piano queste parole, gli occhi negli occhi di Maria, che stando in<br />

ginocchio, rilassata sui calcagni, tende a Lui le mani in gesto di invocazione e non può parlare tanto<br />

è il suo singhiozzare. «Non ti ho detto di sperare oltre il credibile per vedere la gloria di <strong>Dio</strong>? È<br />

forse mutato il tuo Maestro per aver ragione di angosciarsi così?».<br />

Ma Maria non raccoglie le parole, che la vogliono già preparare alla gioia troppo forte dopo tanta<br />

angoscia, e grida, finalmente padrona della sua voce: «Oh! Signore! Perché non sei venuto prima?<br />

Perché ti sei tanto allontanato da noi? Lo sapevi che Lazzaro era malato! Se Tu fossi stato qui, non<br />

sarebbe morto il fratello mio. Perché non sei venuto? <strong>Io</strong> dovevo mostrargli ancora che lo amavo.<br />

Egli doveva vivere. <strong>Io</strong> dovevo mostrargli che perseveravo nel bene. Tanto l’ho angustiato il fratello<br />

mio! E ora! Ora che potevo farlo felice, mi è stato tolto! Tu me lo potevi lasciare. Dare alla povera<br />

Maria la gioia di consolarlo dopo avergli dato tanto dolore. Oh! Gesù! Gesù! Maestro mio! Mio<br />

Salvatore! Speranza mia!», e si riabbatte, la fronte sui piedi di Gesù, che vengono di nuovo lavati


dal pianto di Maria, e geme: «Perché hai fatto questo, o Signore?! Anche per quei che ti odiano e<br />

che godono di quanto avviene... Perché hai fatto questo, Gesù?!». Ma non è rimprovero nel tono di<br />

Maria come lo ha avuto Marta, ma ha solo l’angoscia di chi, oltre il suo dolore di sorella, ha anche<br />

quello di discepola che sente sminuito nel cuore di molti il concetto sul suo Maestro.<br />

Gesù, molto curvo per raccogliere queste parole mormorate con la faccia al suolo, si rialza e dice<br />

forte: «Maria, non piangere! Anche il tuo Maestro soffre per la morte dell’amico fedele... per averlo<br />

dovuto lasciar morire...».<br />

Oh! che sogghigno e che sguardi di livido giubilo sono sui volti dei nemici di Cristo! Lo sentono<br />

vinto e gioiscono, mentre gli amici si fanno sempre più tristi.<br />

Gesù dice ancor più forte: «Ma <strong>Io</strong> ti dico: non piangere. Alzati! Guardami! Credi tu che <strong>Io</strong>, che ti ho<br />

tanto amata, abbia fatto questo senza motivo? Puoi credere che <strong>Io</strong> ti abbia dato questo dolore<br />

inutilmente? Vieni. 7 Andiamo da Lazzaro. Dove lo avete posto?». Gesù, più che Maria e Marta, che<br />

non parlano, prese come sono da un pianto più forte, interroga tutti gli altri, specie quelli che, usciti<br />

di casa con Maria, sembrano i più turbati. Forse sono parenti più anziani, non so.<br />

E questi rispondono a Gesù, visibilmente afflitto: «Vieni e vedi», e si avviano verso il luogo del<br />

sepolcro che è ai termini del frutteto, là dove il suolo ha delle ondulazioni e delle vene di roccia<br />

calcarea che affiorano dal suolo.<br />

Marta, al fianco di Gesù che ha forzato Maria ad alzarsi e che la guida, perché essa è accecata dal<br />

gran pianto, indica con la mano a Gesù dove è Lazzaro, e quando sono presso al luogo dice anche:<br />

«È lì, Maestro, che il tuo amico è sepolto», e accenna alla pietra posta obliquamente sulla bocca del<br />

sepolcro.<br />

Gesù, per andare là, seguito da tutti, è dovuto passare davanti a Gamaliele. Ma né Lui né Gamaliele<br />

si sono salutati. Gamaliele si è poi unito agli altri, fermandosi, come tutti i più rigidi farisei, a<br />

qualche metro dal sepolcro, mentre Gesù va avanti, molto vicino ad esso, insieme alle sorelle,<br />

Massimino e quelli che forse sono i parenti. Gesù contempla la pesante pietra, che fa da porta al<br />

sepolcro e da ostacolo pesante fra Lui e l’amico estinto, e piange. <strong>Il</strong> pianto delle sorelle aumenta, e<br />

così quello degli intimi e famigliari.<br />

8 «Levate quella pietra», grida Gesù ad un tratto, dopo aver asciugato il suo pianto.<br />

Tutti hanno un movimento di stupore, e un mormorio scorre per l’assembramento, che si è<br />

aumentato di alcuni betaniti che sono entrati nel giardino e si sono accodati agli ospiti. Vedo alcuni<br />

farisei che si toccano la fronte scuotendo il capo come per dire: «È pazzo!».<br />

Nessuno eseguisce l’ordine. Anche nei più fedeli vi è della titubanza, della ripulsione a farlo. Gesù<br />

ripete più forte il suo ordine, facendo sbigottire più ancora la gente che, presa da due sentimenti<br />

opposti, ha un movimento come per fuggire e, subito dopo, uno di accostarsi di più per vedere,<br />

sfidando il prossimo fetore del sepolcro che Gesù vuole aperto.<br />

«Maestro, non è possibile», dice Marta sforzandosi di trattenere il pianto per parlare. «Già da<br />

quattro giorni è là sotto. E Tu sai di che male è morto! Solo il nostro amore lo poteva curare... Ora<br />

certo egli puzza già fortemente nonostante gli unguenti... Che vuoi vedere? La sua putredine?... Non<br />

si può... anche per l’impurità della corruzione e...».<br />

«Non ti ho detto che se crederai vedrai la gloria di <strong>Dio</strong>? Levate quella pietra. Lo voglio!». È un<br />

grido di volere divino...<br />

Un «oh!» sommesso esce da tutti i petti. I volti sbiadiscono. Qualcuno trema come se fosse passato<br />

su tutti un vento gelido di morte.<br />

Marta fa un cenno a Massimino, e questo ordina ai servi di prendere gli arnesi atti a smuovere la<br />

pietra pesante.<br />

I servi vanno via lesti per tornare con picconi e leve robuste. E lavorano, insinuando le punte dei<br />

picconi lucenti fra la roccia e la pietra, e poscia sostituendo i picconi con le leve robuste, e infine<br />

sollevando attenti la pietra facendola scivolare da un lato e strascicandola poi cautamente contro la<br />

parete rocciosa. Un fetore ammorbante esce dal cunicolo oscuro, facendo arretrare tutti.<br />

Marta chiede sottovoce: «Maestro, vuoi scendere là? Se sì, occorrono torce...». Ma è livida al<br />

pensiero di doverlo fare.<br />

9 Gesù non le risponde. Alza gli occhi al cielo, apre le braccia a croce e prega con voce fortissima,


scandendo le parole: «Padre! <strong>Io</strong> ti ringrazio di avermi esaudito. Lo sapevo che Tu mi esaudisci<br />

sempre. Ma l’ho detto per questi che sono qui presenti, per il popolo che mi circonda, perché<br />

credano in Te, in Me, e che Tu mi hai mandato!».<br />

Resta ancora così qualche momento, e pare rapito in una estasi tanto è trasfigurato, mentre senza più<br />

suono dice altre segrete parole di preghiera o di adorazione. Non so. Quello che so è che è così<br />

trasumanato che non lo si può guardare senza sentirsi tremare il cuore in petto. Sembra farsi, da<br />

corpo, luce, spiritualizzarsi, alzarsi di statura e anche da terra. Pur conservando i suoi colori di<br />

capelli, occhi, pelle, vesti, non come durante la trasfigurazione del Tabor, durante la quale tutto<br />

divenne luce e candore abbagliante, pare emanare luce e tutto di Lui divenire luce. La luce pare<br />

fargli un alone intorno, specie intorno al volto levato al cielo, rapito in contemplazione certo del<br />

Padre.<br />

Sta così qualche tempo, poi torna Lui, l’Uomo, ma di una maestà potente. Si avanza sino alla soglia<br />

del sepolcro. Sposta le braccia - che sino a quel momento aveva tenuto aperte a croce, a palme volte<br />

al cielo - in avanti, a palme verso terra, e le mani sono perciò già dentro al cunicolo del sepolcro e<br />

biancheggiano nella nerezza che colma il cunicolo. Egli sprofonda il fuoco azzurro dei suoi occhi, il<br />

cui bagliore di miracolo è oggi insostenibile, in quella nerezza muta, e con voce potente, con un<br />

grido più forte di quando sul lago comandò al vento di cadere, con una voce quale in nessun<br />

miracolo gli ho sentito, grida: «Lazzaro! Vieni fuori!». La voce si ripercuote per eco nel cavo<br />

sepolcrale e si spande uscendone poi per tutto il giardino, si ripercuote contro i dislivelli delle<br />

ondulazioni di Betania, io credo che vada sino alle prime balze collinose oltre i campi e di là torni,<br />

ripetuta e sommessa, come comando che non può cadere. Certo è che da infinite parti si riode:<br />

«fuori! fuori! fuori!».<br />

Tutti hanno un più intenso brivido e, se la curiosità inchioda tutti ai loro posti, i volti sbiancano e gli<br />

occhi si spalancano, mentre le bocche si socchiudono involontariamente, con l’urlo dello stupore<br />

già nella strozza.<br />

Marta, un poco indietro e di fianco, è come affascinata a guardare Gesù. Maria cade in ginocchio,<br />

lei che non si è mai scostata dal suo Maestro, cade in ginocchio sul limitare del sepolcro, una mano<br />

sul petto a frenare i palpiti del cuore, l’altra che inconsciamente e convulsamente tiene un lembo del<br />

mantello di Gesù, e si capisce che trema perché il mantello ha lievi scosse impresse dalla mano che<br />

lo tiene.<br />

10 Un che di bianco pare emergere dal fondo profondo del cunicolo. Prima è appena una piccola linea<br />

convessa, poi si muta in un che di ovale, poi all’ovale si sottopongono linee più ampie, più lunghe,<br />

sempre più lunghe. E il già morto, stretto nelle sue fasce, viene avanti lentamente, sempre più<br />

visibile, fantomatico, impressionante.<br />

Gesù arretra, arretra, insensibilmente ma continuamente, più quello avanza. La distanza fra i due è<br />

perciò sempre uguale.<br />

Maria è costretta a lasciare il lembo del manto, ma non si muove da dove è. La gioia, l’emozione,<br />

tutto, l’inchiodano al posto dove era.<br />

Un «oh!» sempre più netto esce dalle gole chiuse prima da uno spasimo di attesa, da sussurro<br />

appena distinto si muta in voce, da voce in un grido potente.<br />

Lazzaro è ormai sul limitare e si ferma là rigido, muto, simile ad una statua di gesso appena<br />

sbozzata, perciò informe, una lunga cosa, sottile nel capo, sottile nelle gambe, più larga nel tronco,<br />

macabra come la morte stessa, spettrale nel biancore delle fasce contro lo sfondo scuro del sepolcro.<br />

Al sole che lo investe, le fasce appaiono qua e là già colanti putredine.<br />

Gesù grida forte: «Scioglietelo e lasciatelo andare. Dategli vesti e cibo».<br />

«Maestro!...», dice Marta e vorrebbe forse dire di più, ma Gesù la guarda fisso, soggiogandola col<br />

suo fulgido sguardo, e dice: «Qui! Subito! Portate una veste. Vestitelo alla presenza di tutti e dategli<br />

da mangiare». Ordina, e non si volge mai a guardare chi ha alle spalle e intorno. <strong>Il</strong> suo occhio<br />

guarda soltanto Lazzaro, Maria che è vicina al risorto, incurante del ribrezzo che dànno a tutti le<br />

bende marciose, e Marta che ansima come le scoppiasse il cuore e non sa se gridare la sua gioia o se<br />

piangere...<br />

11 I servi si affrettano ad eseguire. Noemi corre via per prima, e per prima torna con le vesti che tiene


a cavalcioni del braccio. Alcuni slegano i lacci delle fasce dopo essersi rimboccate le maniche e<br />

cinte le vesti perché non tocchino la putredine colante. Marcella e Sara tornano con anfore di odori,<br />

seguite da servi, chi con catini e brocche fumanti d’acque calde e chi con vassoi, tazze colme di<br />

latte, e vino, frutta, focacce coperte di miele.<br />

Le bende basse e lunghissime, di lino, mi pare, con le cimosse ai due lati, certo tessute per<br />

quell’uso, si srotolano come rotoli di fettucce da una grande bobina e si accumulano al suolo,<br />

pesanti di aromi e di marciume. I servi le scansano usando dei bastoni. Hanno iniziato dal capo,<br />

eppure anche là è marciume, certo scolato dal naso, dalle orecchie, dalla bocca. <strong>Il</strong> sudario messo sul<br />

volto è tutto zuppo di questi scoli e il volto di Lazzaro, che appare pallidissimo, scheletrito, con gli<br />

occhi tenuti chiusi dalle manteche messe nelle orbite, coi capelli appiccicati e così pure la barbetta<br />

rada sul mento, ne è bruttato. Cade lentamente il lenzuolo, la sindone messa intorno al corpo, man<br />

mano che le bende scendono, scendono, scendono, liberando il tronco che avevano costretto per dei<br />

giorni e rendendo forma umana a ciò che prima avevano reso simile ad una grande crisalide. Le<br />

spalle ossute, le braccia scheletrite, le coste appena coperte di pelle, il ventre infossato appaiono<br />

lentamente. E man mano che le bende cadono, le sorelle, Massimino, i servi, si affannano a levare il<br />

primo strato di sudiciume e di balsami, e insistono sinché, con acque sempre mutate e rese<br />

detergenti dagli aromi aggiunti alle acque, la pelle non appare netta.<br />

12 Lazzaro, quando gli liberano il volto e può guardare, dirige il suo sguardo a Gesù prima ancora<br />

che alle sorelle, e si smemora e astrae da tutto ciò che avviene nel guardare, con un sorriso d’amore<br />

sulle labbra pallide e un luccichio di pianto nelle occhiaie fonde, il suo Gesù. Anche Gesù gli<br />

sorride ed ha una lucentezza di pianto nell’angolo dell’occhio, ma senza parlare dirige lo sguardo di<br />

Lazzaro al cielo, e Lazzaro comprende e muove le labbra in una silenziosa preghiera.<br />

Marta crede che voglia dire qualcosa e ancor non abbia voce e chiede: «Che mi dici, Lazzaro<br />

mio?».<br />

«Nulla, Marta. Ringraziavo l’Altissimo». La pronuncia è sicura, forte la voce. La gente ha un nuovo<br />

«oh!» di stupore.<br />

Ormai lo hanno liberato sino ai fianchi, liberato e pulito. E possono rivestirlo della tunica corta, una<br />

specie di camiciola che supera l’inguine ricadendo sulle cosce.<br />

Lo fanno sedere per slegargli e lavargli le gambe. Come esse appaiono, Marta e Maria gridano forte<br />

accennando le gambe e le fasce. E, se sulle fasce strette alle gambe e sulla sindone posta sotto le<br />

fasce gli scoli putridi sono tanto abbondanti da far rivoli sulle tele, le gambe appaiono cicatrizzate<br />

affatto. Solo le cicatrici rosso-cianotiche sono a indicare dove erano le cancrene.<br />

La gente, tutta, grida più forte di stupore; Gesù sorride, e sorride Lazzaro che si guarda per un<br />

attimo le gambe guarite, e poi si torna ad astrarre guardando Gesù. Pare che non si possa saziare di<br />

vederlo. I giudei, farisei, sadducei, scribi, rabbi, si fanno avanti, cauti per non contaminarsi le vesti.<br />

Guardano ben da vicino Lazzaro. Guardano ben da vicino Gesù. Ma né Lazzaro né Gesù si<br />

occupano di loro. Si guardano. E tutto il resto è nulla.<br />

13 Ecco che vengono messi i sandali a Lazzaro. Egli si alza in piedi, agile, sicuro. Prende la veste che<br />

Marta gli porge, da sé se l’infila, si lega la cintura, si aggiusta le pieghe. Eccolo, magro e pallido,<br />

ma uguale a tutti. Si lava ancora le mani e le braccia sino al gomito, rimboccandosi le maniche. E<br />

poi, con nuova acqua, di nuovo il volto e il capo, sinché non si sente affatto netto. Si asciuga capelli<br />

e volto, rende l’asciugatoio al servo e va diritto da Gesù. Si prostra. Gli bacia i piedi.<br />

Gesù si curva, lo rialza, lo stringe al cuore dicendogli: «Ben tornato, amico mio. La pace sia teco e<br />

la gioia. Vivi per compiere la tua felice sorte. Alza il tuo volto, che <strong>Io</strong> ti dia il bacio di saluto». E lo<br />

bacia, ricambiato da Lazzaro, sulle guance.<br />

Soltanto dopo aver venerato e baciato il Maestro, Lazzaro parla alle sorelle e le bacia, e poi bacia<br />

Massimino e Noemi che piangono di gioia, e alcuni di quelli che credo siano imparentati con la casa<br />

o amici intimissimi. Poi bacia Giuseppe, Nicodemo, Simone Zelote e qualche altro.<br />

Gesù va personalmente da un servo, che ha sulle braccia un vassoio con del cibo, e prende una<br />

focaccia con del miele, una mela, una coppa di vino e le offre a Lazzaro, dopo averle offerte e<br />

benedette, perché se ne ristori. E Lazzaro mangia col sano appetito di uno che sta bene. Tutti hanno<br />

ancora un «oh!» di stupore.


14 Gesù sembra che non veda che Lazzaro, ma in realtà osserva tutto e tutti, e vedendo che con gesti<br />

d’ira Sadoc con Elchia, Canania, Felice, Doras e Cornelio e altri stanno per allontanarsi, dice forte:<br />

«Attendi un momento, o Sadoc. Devo dirti una parola. A te a ai tuoi». Quelli si fermano con un<br />

ceffo da delinquenti. Giuseppe d’Arimatea ha un atto di sgomento e fa cenno allo Zelote di<br />

trattenere Gesù.<br />

Ma Egli sta già andando verso il gruppo astioso e già dice forte: «Ti basta, o Sadoc, quanto hai<br />

visto? Mi hai detto un giorno che per credere avevi bisogno, tu e i tuoi uguali, di vedere ricomporsi<br />

un morto disfatto in sanità. Sei sazio della putredine vista? Sei capace di confessare che Lazzaro era<br />

morto e che ora è vivo e sano come non era da anni? Lo so. Voi siete venuti qui a tentare costoro, a<br />

mettere in loro maggior dolore e il dubbio. Voi siete venuti qui a cercarmi, sperando trovarmi<br />

nascosto nella stanza del morente. Voi siete venuti qui non per sentimento di amore e desiderio di<br />

onorare l’estinto, ma per assicurarvi che Lazzaro era realmente morto, e avete continuato a venire<br />

giubilando sempre più, più il tempo passava. Se le cose fossero andate come speravate, come ormai<br />

credevate che andassero, avreste avuto ragione di giubilare. L’Amico che guarisce tutti, ma non<br />

guarisce l’amico. <strong>Il</strong> Maestro che premia tutte le fedi, ma non quelle dei suoi amici di Betania. <strong>Il</strong><br />

Messia impotente davanti alla realtà di una morte. Questo era ciò che vi dava ragione di giubilare.<br />

Ma ecco. <strong>Dio</strong> vi ha risposto. Nessun profeta ha mai potuto riunire ciò che era sfatto, oltre che morto.<br />

<strong>Dio</strong> lo ha fatto. Ecco là la testimonianza viva di ciò che <strong>Io</strong> sono. Un giorno fu che <strong>Dio</strong> prese del<br />

fango e ne fece una forma e vi alitò lo spirito vitale e l’uomo fu. <strong>Io</strong> ero a dire: “Si faccia l’uomo a<br />

nostra immagine e somiglianza”. Perché <strong>Io</strong> sono il Verbo del Padre. Oggi, <strong>Io</strong>, Verbo, ho detto a ciò<br />

che è ancor meno del fango, alla corruzione: “Vivi”, e la corruzione si è tornata a comporre in<br />

carne, e in carne integra, viva, palpitante. Eccola là che vi guarda. E alla carne ho ricongiunto lo<br />

spirito giacente da giorni nel seno d’Abramo. L’ho richiamato col mio volere perché tutto <strong>Io</strong> posso,<br />

<strong>Io</strong> il Vivente, <strong>Io</strong> il Re dei re cui sono soggette tutte le creature e le cose. Or che mi rispondete?».<br />

È davanti a loro, alto, sfolgorante di maestà, veramente Giudice e <strong>Dio</strong>. Essi non rispondono.<br />

Egli incalza: «Non vi basta ancora per credere, per accettare l’ineluttabile?».<br />

«Non hai mantenuto che una parte della promessa. Questo non è il segno di Giona...», dice aspro<br />

Sadoc.<br />

«Avrete anche quello. L’ho promesso e lo mantengo», dice il Signore. «E un altro qui presente, che<br />

attende un altro segno, lo avrà. E poiché è un giusto, lo accetterà. Voi no. Voi rimarrete ciò che<br />

siete».<br />

15 Fa un mezzo giro su Se stesso e vede Simone, il sinedrista figlio di Elianna. Lo fissa. Lo fissa.<br />

Lascia in asso quelli di prima e, giunto viso a viso con lui, gli dice, a voce bassa ma incisiva: «Buon<br />

per te che Lazzaro non ricordi il suo soggiorno fra i morti! Che ne hai fatto di tuo padre, o Caino?».<br />

Simone fugge con un grido di paura, che poi si muta in un urlo di maledizione: «Che Tu sia<br />

maledetto, o Nazareno!», al che Gesù risponde: «La tua maledizione sale al Cielo a dal Cielo<br />

l’Altissimo te la riscaglia. Sei segnato del marchio, o sciagurato!».<br />

Torna indietro fra i gruppi stupiti, spaventati quasi. Incontra Gamaliele che si dirige verso la via. Lo<br />

guarda, e Gamaliele guarda Lui. Gesù gli dice senza fermarsi: «Stai pronto, o rabbi. <strong>Il</strong> segno presto<br />

verrà. Non mento mai».<br />

16 <strong>Il</strong> giardino si svuota lentamente. I giudei sono sbalorditi, ma i più sprizzano ira da ogni poro. Se<br />

gli sguardi potessero incenerire, Gesù sarebbe da molto polverizzato. Parlano, discutono fra loro,<br />

andandosene, così ormai sconvolti dalla sconfitta avuta da non saper più celare sotto una ipocrita<br />

apparenza di amicizia lo scopo della loro presenza qui. Se ne vanno senza salutare né Lazzaro né le<br />

sorelle.<br />

Restano indietro alcuni che sono conquistati al Signore dal miracolo. Fra questi è Giuseppe<br />

Barnaba, che si getta in ginocchio davanti a Gesù e lo adora. Un altro è lo scriba Gioele di Abia, che<br />

fa la stessa cosa prima di partire a sua volta. E altri ancora che non conosco, ma che devono essere<br />

influenti.<br />

Lazzaro intanto, circondato dai suoi più intimi, si è ritirato in casa. Giuseppe, Nicodemo e gli altri<br />

buoni salutano Gesù e se ne vanno. Partono, con profondi saluti, i giudei che stavano presso Marta e<br />

Maria. I servi chiudono il cancello. La casa torna in pace.


17 Gesù si guarda intorno. Vede fumare e rosseggiare in fondo al giardino, là verso il sepolcro. Gesù,<br />

solo, ritto in mezzo ad un sentiero, dice: «La putredine che viene annullata dal fuoco... La putredine<br />

della morte... Ma quella dei cuori... di quei cuori nessun fuoco l’annullerà... Neppure il fuoco<br />

dell’Inferno. Sarà eterna... Che orrore!... Più della morte... Più della corruzione... E... Ma chi ti<br />

salverà, o Umanità, se tanto ami essere corrotta? Vuoi essere corrotta. E <strong>Io</strong>... <strong>Io</strong> ho strappato al<br />

sepolcro un uomo con una parola... E con un mare di parole... e uno di dolori non potrò strappare al<br />

peccato l’uomo, gli uomini, milioni di uomini». Si siede e si copre il volto con le mani, accasciato...<br />

Lo vede un servo che passa. Va in casa. Dopo poco esce di casa Maria. Va da Gesù, leggera come<br />

non toccasse il suolo. L’avvicina, dice piano: «Rabboni, sei stanco... Vieni, o mio Signore. I tuoi<br />

apostoli stanchi sono andati nell’altra casa, tutti meno Simone lo Zelote... Piangi, Maestro?<br />

Perché?...».<br />

Si inginocchia ai piedi di Gesù... l’osserva... Gesù la guarda. Non risponde. Si alza e si dirige verso<br />

la casa, seguito da Maria.<br />

18 Entrano in una sala. Lazzaro non c’è, e non c’è lo Zelote. Ma Marta c’è, felice, trasfigurata di<br />

gioia. Si volge a Gesù spiegando: «Lazzaro è andato al bagno. Per purificarsi ancora. Oh! Maestro!<br />

Maestro! Che dirti?». Lo adora con tutta se stessa. Nota la tristezza di Gesù e dice: «Sei triste,<br />

Signore? Non sei felice che Lazzaro...». Le viene un sospetto: «Oh! Tu sei serio con me. Ho<br />

peccato. È vero».<br />

«Abbiamo peccato, sorella», dice Maria.<br />

«No. Tu no. Oh! Maestro, Maria non ha peccato. Maria ha saputo ubbidire. <strong>Io</strong> sola ho disubbidito.<br />

<strong>Io</strong> ti ho mandato a chiamare perché... perché non potevo più sentire che essi insinuassero che Tu<br />

non eri il Messia, il Signore... e non potevo più vedere quel soffrire... Lazzaro ti voleva tanto. Ti<br />

chiamava tanto... Perdonami, Gesù».<br />

«E tu non parli, Maria?», interroga Gesù.<br />

«Maestro... io... <strong>Io</strong> non ho sofferto allora altro che come donna. Soffrivo perché... Marta, giura,<br />

giura qui, davanti al Maestro, che mai, mai dirai a Lazzaro il suo delirio... Maestro mio... io ti ho<br />

conosciuto del tutto, o divina Misericordia, nelle ultime ore di Lazzaro. Oh! mio <strong>Dio</strong>! Ma come mi<br />

hai amata Tu, Tu che mi hai perdonata, Tu, <strong>Dio</strong>, Tu, Puro, Tu..., se mio fratello, che pur mi ama, che<br />

però è uomo, soltanto uomo, non ha in fondo al cuore perdonato tutto?! No. Dico male. Non ha<br />

dimenticato il mio passato e, quando la debolezza del morire ha ottuso in lui la sua bontà che io<br />

credevo dimenticanza del passato, egli ha urlato il suo dolore, il suo sdegno per me... Oh!...». Maria<br />

piange...<br />

«Non piangere, Maria. <strong>Dio</strong> ti ha perdonata e ha dimenticato. L’anima di Lazzaro pure ha perdonato<br />

e ha dimenticato, ha voluto dimenticare. L’uomo non ha potuto tutto dimenticare. E quando la carne<br />

ha dominato col suo spasimo estremo la volontà illanguidita, l’uomo ha parlato».<br />

«Non ne ho sdegno, Signore. Mi ha servito ad amarti di più e ad amare ancor più Lazzaro. È stato<br />

da quel momento però che io pure ti ho desiderato... perché era troppo angoscioso pensare Lazzaro<br />

morto senza pace per causa mia... e dopo, dopo, quando ti ho visto schernito dai giudei... quando ho<br />

visto che Tu non venivi neppur dopo la morte, neppur dopo che io ti avevo ubbidito sperando oltre<br />

il credibile, sperando fin quando il sepolcro si aprì a riceverlo, allora anche il mio spirito ha<br />

sofferto. Signore, se avevo da espiare, e certo lo avevo, io ho espiato, Signore...».<br />

«Povera Maria! Conosco il tuo cuore. Tu hai meritato il miracolo, e ciò ti affermi nel saper sperare e<br />

credere».<br />

«Mio Maestro, io spererò e crederò sempre ormai. <strong>Io</strong> non dubiterò più, mai più, Signore. <strong>Io</strong> vivrò di<br />

fede. Tu mi hai dato la capacità di credere l’incredibile<br />

«E tu, Marta? Tu hai imparato? No. Non ancora. Sei la mia Marta. Ma non sei ancora la mia perfetta<br />

adoratrice. Perché agisci e non contempli? È più santo. Tu vedi? La tua forza, perché troppo volta a<br />

cose terrene, ha ceduto alla constatazione dei fatti terreni che sembrano talora senza rimedio. In<br />

verità non hanno rimedio le terrene cose se <strong>Dio</strong> non interviene. La creatura per questo ha bisogno di<br />

saper credere e contemplare. Di amare sino all’estremo delle forze di tutto l’uomo, con il pensiero,<br />

l’anima, la carne, il sangue; con tutte de forze dell’uomo, ripeto. <strong>Io</strong> ti voglio forte, Marta. <strong>Io</strong> ti<br />

voglio perfetta. Non hai saputo ubbidire perché non hai saputo credere e sperare completamente, e


non hai saputo credere e sperare perché non hai saputo amare totalmente. Ma <strong>Io</strong> te ne assolvo. Ti<br />

perdono, Marta. Ho risuscitato Lazzaro oggi. Ora ti do un cuore più forte. A lui ho reso la vita. A te<br />

infondo la forza dell’amare, credere e sperare perfettamente. Ora siate felici e in pace. Perdonate a<br />

chi vi ha offese in questi giorni...».<br />

«Signore, in questo io ho peccato. Poco fa, al vecchio Canania che ti aveva schernito gli altri giorni,<br />

ho detto: “Chi ha trionfato? Tu o <strong>Dio</strong>? <strong>Il</strong> tuo scherno o la mia fede? Cristo è il Vivente ed è la Verità.<br />

<strong>Io</strong> lo sapevo che la sua gloria sarebbe rifulsa più grande. E tu, vecchio, rifatti l’anima, se non vuoi<br />

conoscere la morte”».<br />

«Hai detto bene. Ma non contendere coi malvagi, Maria. E perdona. Perdona se mi vuoi imitare...<br />

19 Ecco Lazzaro. Ne sento la voce».<br />

Infatti Lazzaro entra, rivestito di nuovo e tutto rasato sulle guance, coi capelli regolati a odorosi di<br />

essenze. Con lui sono Massimino e lo Zelote.<br />

«Maestro!». Lazzaro si inginocchia, ancora adorando.<br />

Gesù gli pone la mano sul capo e sorride dicendo: «La prova è superata, amico mio. Per te e le<br />

sorelle. Ora siate felici e forti a servire il Signore. Che ti ricordi, amico, del passato? Voglio dire<br />

delle tue ore estreme?».<br />

«Un grande desiderio di vederti ed una grande pace fra l’amor delle sorelle».<br />

«E che ti doleva più di lasciare morendo?».<br />

«Te, Signore, e le sorelle. Te per non poterti servire, esse perché mi hanno dato ogni gioia... ».<br />

«Oh! io, fratello! », sospira Maria.<br />

«Tu più di Marta. Tu mi hai dato Gesù e la misura di ciò che è Gesù. E Gesù ti ha data a me. Tu sei<br />

il dono di <strong>Dio</strong>, Maria».<br />

«Lo dicevi anche morendo...», dice Maria e studia il volto del fratello.<br />

«Perché è il mio costante pensiero».<br />

«Ma io ti ho dato tanto dolore...».<br />

«Anche la malattia ha dato dolore. Ma per essa spero avere espiato le colpe del vecchio Lazzaro e<br />

d’essere risorto, purificato per essere degno di <strong>Dio</strong>. Tu ed io, i due risorti per servire il Signore, e<br />

Marta fra noi, lei che fu sempre la pace della casa».<br />

«Lo senti, Maria? Lazzaro dice parole di sapienza a verità. Ora <strong>Io</strong> mi ritiro e vi lascio alla vostra<br />

gioia...».<br />

«No, Signore. Tu resti. Con noi. Qui. Resti a Betania e nella mia casa. Sarà bello...».<br />

«Resterò. Ti voglio compensare di tutto quanto hai patito. Marta, non essere triste. Marta pensa di<br />

avermi addolorato. Ma la mia pena non è per voi quanto per coloro che non si vogliono redimere.<br />

Essi odiano sempre più. Hanno il veleno nel cuore... Ebbene... perdoniamo».<br />

«Perdoniamo, Signore», dice Lazzaro col suo mite sorriso...<br />

E su questa parola tutto ha fine.<br />

20 In margine* alla risurrezione di Lazzaro e in rapporto a una frase di S. Giovanni. Dice Gesù:<br />

«Nel Vangelo di Giovanni, così come lo si legge ormai da secoli, è scritto: “Gesù non era ancora<br />

entrato nel villaggio di Betania” (Giov. c. 11** v. 30). A prevenire possibili obiezioni faccio notare<br />

che fra questa frase e quella dell’Opera, che <strong>Io</strong> incontrai Marta a pochi passi dalla vasca nel<br />

giardino di Lazzaro, non ci sono contraddizioni di fatto ma solo di traduzione e descrizione. Betania<br />

era per tre quarti di Lazzaro. Così come Gerusalemme era per molta parte sua. Ma parliamo di<br />

Betania. Essendo per tre quarti di Lazzaro, poteva dirsi: Betania di Lazzaro. Perciò non sarebbe<br />

sbagliato il testo se anche <strong>Io</strong> avessi incontrato Marta nel villaggio o alla fonte, come alcuni vogliono<br />

dire. Ma in verità <strong>Io</strong> non ero entrato nel villaggio per evitare l’accorrere dei betaniti, tutti ostili a<br />

quelli del Sinedrio. Ero passato alle spalle di Betania per raggiungere la casa di Lazzaro, che era<br />

all’estremo opposto di chi entrava in Betania da Ensemes. Giustamente perciò Giovanni dice che<br />

Gesù non era entrato ancora nel villaggio. E ugualmente giusto dice il piccolo Giovanni dicendo che<br />

mi ero fermato presso la vasca (fonte per gli ebrei) già nel giardino di Lazzaro, ma molto lontano<br />

ancora dalla casa. Considerino inoltre che, durando il tempo del lutto e dell’impurità (ancora non


era il settimo dì dopo la morte), le sorelle non uscivano dalla casa. Perciò nel recinto della stessa<br />

loro proprietà è avvenuto l’incontro. Notare che il piccolo Giovanni dice della venuta dei betaniti<br />

nel giardino solo quando <strong>Io</strong> già ordino di levare la pietra. Prima Betania non sapeva che ero a<br />

Betania, e solo quando se ne sparse la voce accorsero da Lazzaro».<br />

21 Dice Gesù: «Può essere messo qui il dettato del 23-3-44 a commento della risurrezione di<br />

Lazzaro» (fascicolo r pag. 20).<br />

_______________________<br />

* In margine... fino a ...accorsero da Lazzaro» è stato scritto da MV, senza indicazione di data,<br />

sulle due facciate di un foglietto, messo poi tra le pagine autografe del quaderno.<br />

** c.11, invece di c.9, è correzione nostra. Probabilmente la scrittrice, che ha aggiunto poi il<br />

riferimento tra parentesi, aveva letto IX invece di XI sulla Bibbia che lei consultava, dove i capitoli<br />

sono contrassegnati con i numeri romani.<br />

23 marzo 1944.<br />

22 Dice Gesù:<br />

«Avrei potuto intervenire in tempo per impedire la morte di Lazzaro. Ma non lo volli fare. Sapevo<br />

che questa risurrezione sarebbe stata un’arma a doppio taglio, perché avrebbe convertito i giudei di<br />

retto pensiero e reso sempre più astiosi quelli di pensiero non retto. Da questi, e sotto quest’ultimo<br />

colpo del mio potere, sarebbe venuta la mia sentenza di morte. Ma ero venuto per questo, e l’ora era<br />

ormai matura perché ciò si compisse. Avrei anche potuto accorrere subito. Ma avevo bisogno di<br />

persuadere, con la risurrezione da una putredine già avanzata, gli increduli più ostinati. E anche i<br />

miei apostoli che, destinati a portare la mia fede nel mondo, avevano bisogno di possedere una fede<br />

temprata da miracoli di prima grandezza.<br />

Negli apostoli era tanta umanità. L’ho già detto*. Non era questo un ostacolo insormontabile, era<br />

anzi una logica conseguenza della loro condizione di uomini chiamati ad esser miei in età già<br />

adulta. Non si cambia una mentalità, una forma mentis dall’oggi al domani. Né <strong>Io</strong>, nella mia<br />

sapienza, volli scegliere ed educare dei bambini e crescerli secondo il mio pensiero per fare di essi i<br />

miei apostoli. Lo avrei potuto fare. Non lo volli fare, perché le anime non mi rimproverassero di<br />

aver sprezzato coloro che non sono innocenti e portassero a loro discolpa e scusante che <strong>Io</strong> pure<br />

avevo significato con la mia scelta che coloro che sono già formati non possono mutare. No. Tutto<br />

si può mutare, se si vuole. E infatti <strong>Io</strong> di pusillanimi, di rissosi, di usurai, di sensuali, di increduli<br />

feci dei martiri e dei santi, degli evangelizzatori del mondo. Solo colui che non volle non mutò.<br />

23 <strong>Io</strong> ho amato e amo le piccolezze e le debolezze - tu ne sei un esempio - purché in esse ci sia la<br />

volontà di amarmi e di seguirmi, e di questi “nulla” faccio i miei prediletti, i miei amici, i miei<br />

ministri. Tuttora me ne servo, ed è un miracolo continuo che opero, per portare gli altri a credere in<br />

Me, a non uccidere le possibilità di miracolo. Come è languente ora questa possibilità! Come lume a<br />

cui manca l’olio, essa agonizza e muore, uccisa dalla scarsa o dalla mancante fede nel <strong>Dio</strong> del<br />

miracolo.<br />

Vi sono due forme di prepotenza nel chiedere il miracolo. Ad una <strong>Dio</strong> si piega con amore. All’altra<br />

volge le spalle sdegnato. La prima è quella che chiede, come ho insegnato a chiedere, senza sfiducia<br />

e stanchezza, e che non ammette che <strong>Dio</strong> non la possa ascoltare, perché <strong>Dio</strong> è buono e chi è buono<br />

esaudisce, perché <strong>Dio</strong> è potente e tutto può. Questa è amore, e <strong>Dio</strong> concede a chi ama. L’altra è la<br />

prepotenza dei ribelli che vogliono che <strong>Dio</strong> sia loro servo e che alle loro cattiverie umilii Se stesso e<br />

dia quello che loro non danno a Lui: amore e ubbidienza. Questa forma è una offesa che <strong>Dio</strong><br />

punisce col negare le sue grazie.<br />

_____________________<br />

* già detto, il 13 febbraio 1944, in 106.12.


Vi lamentate che <strong>Io</strong> non compio più i miracoli collettivi. Come li potrei compire? Dove sono le<br />

collettività che credono in Me? Dove i veri credenti? Quanti i veri credenti in una collettività?<br />

Come superstiti fiori in un bosco arso da un incendio, ne vedo uno ogni tanto di spiriti credenti. <strong>Il</strong><br />

resto l’ha arso Satana con le sue dottrine. E sempre più lo arderà.<br />

24 Vi prego, per vostra regola soprannaturale, a tenere presente la mia risposta a Tommaso*. Non si<br />

può essere miei veri discepoli se non si sa dare alla vita umana quel peso che merita, di mezzo per<br />

conquistare la Vita vera, e non di fine. Colui che vorrà salvare la sua vita in questo mondo perderà<br />

la Vita eterna. L’ho detto e lo ripeto. Che sono le prove? La nuvola che passa. <strong>Il</strong> Cielo resta e vi<br />

attende oltre la prova.<br />

<strong>Io</strong> ho conquistato il Cielo per voi con il mio eroismo. Voi dovete imitarmi. L’eroismo non è solo<br />

serbato a coloro che devono conoscere il martirio. La vita cristiana è un perpetuo eroismo, perché è<br />

una perpetua lotta contro il mondo, il demonio e la carne. <strong>Io</strong> non vi forzo a seguirmi. Vi lascio<br />

liberi. Ma ipocriti non vi voglio. O con Me e come Me, o contro Me. Già non mi potete ingannare.<br />

Me non mi potete ingannare. Ed <strong>Io</strong> non addivengo ad alleanze col Nemico. Se voi lo preferite a Me,<br />

non potete pensare di avere contemporaneamente Me per Amico. O lui o <strong>Io</strong>. Scegliete.<br />

25 <strong>Il</strong> dolore di Marta è diverso da quello di Maria per la diversa psiche delle due sorelle e per la<br />

condotta diversa avuta dalle stesse. Felici coloro che si conducono in modo da non avere rimorso di<br />

aver addolorato uno che ora è morto e che non si può più consolare del dolore datogli. Ma come più<br />

felice chi non ha il rimorso di avere addolorato il suo <strong>Dio</strong>, Me, Gesù, e non teme il mio incontro, ma<br />

anzi lo sospira come gioia ansiosamente sognata per tutta la vita e infine raggiunta.<br />

<strong>Io</strong> sono il vostro Padre, Fratello, Amico. Perché dunque tante volte mi ferite? Sapete voi quanto<br />

ancora vi resta da vivere? Vivere per riparare? Non lo sapete. E allora, ora per ora, giorno per<br />

giorno, agite bene. Sempre bene. Mi farete sempre felice. E se anche il dolore verrà a voi, perché il<br />

dolore è santificazione, è la mirra che preserva dalla putredine della carnalità, avrete sempre in voi<br />

la certezza che <strong>Io</strong> vi amo - e che vi amo anche in quel dolore - e la pace che viene dal mio amore.<br />

Tu, piccolo Giovanni, lo sai se <strong>Io</strong> so consolare anche nel dolore.<br />

26 Nella mia preghiera al Padre è ripetuto quanto ho detto in principio: era necessario scuotere con un<br />

miracolo principale l’opacità dei giudei e del mondo in genere. E la risurrezione di uno sepolto da<br />

quattro giorni e sceso nella tomba dopo lunga, cronica, ripugnante, conosciuta malattia, non era<br />

cosa da lasciare indifferenti e neppure dubbiosi. L’avessi sanato mentre viveva, o infuso in lui lo<br />

spirito appena spirato, l’acredine dei nemici avrebbe potuto creare dei dubbi sulla entità del<br />

miracolo. Ma il fetore del cadavere, il marciume delle bende, la lunga<br />

_______________________<br />

* la mia risposta a Tommaso, in 547.6.<br />

degenza nel sepolcro, non lasciavano dubbi. E, miracolo nel miracolo, ho voluto che Lazzaro fosse<br />

sciolto e mondato alla presenza di tutti, perché si vedesse che non solo la vita ma l’integrità delle<br />

membra era tornata là dove prima la carne ulcerata aveva sparso nel sangue i germi di morte. Nel<br />

mio fare grazia do sempre più di quanto chiedete.<br />

27 Ho pianto davanti alla tomba di Lazzaro. E si è dato a questo pianto tanti nomi. Intanto sappiate<br />

che le grazie si ottengono col dolore misto a sicura fede nell’Eterno. Ho pianto non tanto per la<br />

perdita dell’amico e per il dolore delle sorelle, quanto perché, come fondale che si sommuove, sono<br />

affiorate in quell’ora, più vive che mai, tre idee che, come tre chiodi, mi avevano sempre confitto la<br />

loro punta nel cuore.<br />

La constatazione di quale rovina aveva portato Satana all’uomo col suo sedurlo al Male. Rovina la<br />

cui condanna umana era il dolore e la morte. La morte fisica, emblema e metafora viva della morte<br />

spirituale, che la colpa dà all’anima sprofondandola, essa regina destinata a vivere nel regno della<br />

Luce, nelle tenebre infernali.<br />

La persuasione che neppure questo miracolo, messo quasi a corollario sublime di tre anni di


evangelizzazione, avrebbe convinto il mondo giudaico sulla Verità di cui ero stato il Portatore. E<br />

che nessun miracolo avrebbe fatto del mondo avvenire un convertito al Cristo. Oh! dolore d’esser<br />

prossimo a morire per così pochi!<br />

La visione mentale della mia prossima morte. Ero <strong>Dio</strong>. Ma anche Uomo ero. E per essere Redentore<br />

dovevo sentire il peso dell’espiazione. Perciò anche l’orrore della morte e di tale morte. Ero un<br />

vivo, un sano che si diceva: “Presto sarò morto, sarò in un sepolcro come Lazzaro. Presto l’agonia<br />

più atroce sarà la mia compagna. Devo morire”. La bontà di <strong>Dio</strong> vi risparmia la conoscenza del<br />

futuro. Ma a Me essa non fu risparmiata.<br />

Oh! credetelo, voi che vi lamentate della vostra sorte. Nessuna fu più triste della mia, ché ebbi la<br />

costante prescienza di tutto quanto mi doveva accadere, unita alla povertà, ai disagi, alle acredini<br />

che mi accompagnarono dalla nascita alla morte. Non lamentatevi, dunque. E sperate in Me.<br />

Vi do la mia pace».<br />

549. Seduta del Sinedrio e udienza da Pilato.<br />

27 dicembre 1946.<br />

1 Se la notizia della morte di Lazzaro aveva scosso e agitato Gerusalemme e buona parte della<br />

Giudea, la notizia della sua risurrezione finisce di scuotere e di penetrare anche là dove non aveva<br />

dato agitazione la notizia della morte.<br />

Forse i pochi farisei e scribi, ossia i sinedristi presenti alla risurrezione, non ne avranno parlato al<br />

popolo. Ma certo i giudei ne hanno parlato, e la nuova s’è sparsa in un baleno, e da casa a casa, da<br />

terrazzo a terrazzo, voci di donne se la ripetono, mentre in basso il popolino la diffonde con un<br />

giubilo grande per il trionfo di Gesù e per Lazzaro. La gente ripopola le strade correndo qua e là,<br />

credendo di arrivare sempre prima a dare la notizia, ma resta delusa perché essa si sa in Ofel come<br />

in Bezeta, in Sion come al Sisto. Si sa nelle sinagoghe e negli empori, nel Tempio e nel palazzo di<br />

Erode. Si sa all’Antonia e dall’Antonia dilaga, o viceversa, ai posti di guardia alle porte. Empie i<br />

palazzi come i tuguri: «<strong>Il</strong> Rabbi di Nazaret ha risuscitato Lazzaro di Betania, che è morto il dì<br />

avanti il venerdì ed è stato messo nel sepolcro avanti l’inizio del sabato ed è risorto all’ora di sesta<br />

di oggi». Le acclamazioni ebraiche al Cristo e all’Altissimo si intrecciano agli svariati «Per Giove!<br />

Per Polluce! Per Libitina!» ecc. ecc. dei romani.<br />

2 Gli unici che non vedo nella folla che parla nelle vie sono quelli del Sinedrio. Non ne vedo neppure<br />

uno, mentre vedo Cusa e Mannaen uscire da uno splendido palazzo, e sento Cusa dire: «Grande!<br />

Grande! Ho mandato subito la notizia a Giovanna. Egli è realmente <strong>Dio</strong>!»; e Mannaen gli risponde:<br />

«Erode, venuto da Gerico ad ossequiare... il padrone, Ponzio Pilato, pare pazzo nella reggia, mentre<br />

Erodiade è frenetica e lo incalza perché egli ordini l’arresto del Cristo. Essa trema del suo potere.<br />

Egli dai rimorsi. Batte i denti dicendo ai più fidi di difenderlo... dagli spettri. Si è ubbriacato per<br />

darsi coraggio e il vino gli turbina nel capo illuminandogli fantasime. Urla dicendo che il Cristo ha<br />

risuscitato anche Giovanni, il quale ora gli urla vicino le maledizioni di <strong>Dio</strong>. <strong>Io</strong> sono fuggito da<br />

quella Geenna. M’è bastato di dirgli: “Lazzaro è risorto per opera di Gesù Nazareno. Bada a te di<br />

toccarlo, perché Egli è <strong>Dio</strong>”. Gli mantengo quella paura perché non ceda alle voglie omicide di lei».<br />

«<strong>Io</strong> ci dovrò andare, invece... Ci devo andare. Ma prima ho voluto passare da Eliel e Elcana. Vivono


a sé, ma sono sempre grandi voci in Israele! E Giovanna è contenta che io li onori. E io...».<br />

«Una buona protezione per te. È vero. Ma non mai quale l’amore del Maestro. Quella è l’unica<br />

protezione che abbia valore...».<br />

Cusa non ribatte parola. Pensa... Li perdo di vista.<br />

3 Da Bezeta viene avanti Giuseppe d’Arimatea tutto frettoloso. Lo fermano. Sono un gruppo di<br />

cittadini, incerti ancora se la notizia è da credersi. E lo chiedono a lui.<br />

«Vera. Vera. Lazzaro è risorto ed è guarito anche. Ho visto coi miei occhi».<br />

«Ma allora... Egli è proprio il Messia!».<br />

«Le sue opere sono tali. La sua vita è perfetta. I tempi son quelli. Satana lo combatte. Ognuno<br />

concluda in cuor suo ciò che è il Nazareno», dice, prudente e nello stesso tempo giusto, Giuseppe.<br />

Saluta e se ne va.<br />

Quelli discutono e finiscono per concludere: «Egli è proprio il Messia».<br />

4 Un gruppo di legionari parla: «Se domani posso, vado a Betania. Per Venere e Marte, i miei dèi<br />

preferiti! Potrò girare l’Orbe dai deserti ardenti alle gelate terre germaniche, ma trovarmi dove uno,<br />

morto da giorni, risuscita, non mi accadrà più. Lo voglio vedere come è uno che torna da morte.<br />

Sarà nero dell’onda dei fiumi d’oltre tomba...».<br />

«Se era virtuoso sarà livido, avendo bevuto all’onda cerula dei Campi Elisi. Non c’è soltanto lo<br />

Stige, là...».<br />

«Ci dirà come sono i prati d’asfodelo dell’Ade... Ci vengo io pure...».<br />

«Se Ponzio vorrà...».<br />

«Oh! che vuole! Ha subito spedito un corriere a Claudia, ché venga. Claudia ama queste cose. L’ho<br />

sentita più di una volta, con le altre e coi suoi liberti greci, discutere d’anima e d’immortalità».<br />

«Claudia crede nel Nazareno. Per lei è maggiore a ogni altro uomo».<br />

«Sì. Ma per Valeria è più che uomo. <strong>Dio</strong> è. Una specie di Giove e di Apollo per potenza e bellezza,<br />

dicono, ed è più sapiente di Minerva. L’avete visto voi? <strong>Io</strong> sono venuto con Ponzio per la prima<br />

volta qui, e non so...».<br />

«Credo che sei giunto in tempo per vedere molte cose. Poco fa Ponzio urlava come Stentore<br />

dicendo: “Qui si deve tutto cambiare. Devono comprendere che Roma comanda, e che essi, tutti,<br />

sono servi. E più grandi sono, più servi sono, perché più pericolosi”. Credo fosse per quella<br />

tavoletta che gli era stata portata dal servo di Anna...».<br />

«Già. Non li vuole ascoltare... E ci cambia tutti perché... non vuole amicizie fra noi e loro».<br />

«Fra noi e loro? Ah! Ah! Ah! Con quei nasuti che san di becco? Ponzio digerisce male il troppo<br />

porco che mangia. Se mai... l’amicizia è con qualche donna che non disdegna il bacio di bocche<br />

rasate...», ride uno malizioso.<br />

«<strong>Il</strong> fatto è che, dopo le turbolenze dei Tabernacoli, ha chiesto e ottenuto il cambio di tutte le milizie,<br />

e che a noi ci tocca andare...».<br />

«Ciò è vero. Già era segnalato a Cesarea l’arrivo della galera che porta Longino e la sua centuria.<br />

Graduati nuovi, milizie nuove... e tutto per quei coccodrilli del Tempio. <strong>Io</strong> ci stavo bene qui».<br />

«<strong>Io</strong> stavo meglio a Brindisi... Ma mi abituerò», dice quello da poco arrivato in Palestina.<br />

Si allontanano essi pure.<br />

5 Delle guardie del Tempio passano con delle tavolette cerate. La gente li osserva e dice: «<strong>Il</strong> Sinedrio<br />

si raduna di urgenza. Che vorrà fare?».<br />

Uno risponde: «Saliamo al Tempio a vediamo...».<br />

Si avviano verso la via che va al Moria.<br />

<strong>Il</strong> sole scompare dietro alle case di Sion e ai monti occidentali. Cala la sera, che presto sgombra le<br />

strade dai curiosi. Quelli che sono saliti al Tempio ne scendono inquieti, perché sono stati cacciati<br />

via anche dalle porte, dove si erano attardati per vedere passare i sinedristi.<br />

6 L’interno del Tempio, vuoto, deserto, avvolto nella luce della luna, pare immenso. I sinedristi si<br />

radunano lentamente nella sala del Sinedrio. Ci sono tutti, come per la condanna di Gesù, però non<br />

sono presenti quelli che allora* facevano come da scrivani. Non ci sono che i sinedristi, parte ai loro<br />

posti, parte a crocchi presso le porte.<br />

Entra Caifa con la sua faccia e il suo corpo da rospo obeso e cattivo, e va al suo posto.


Cominciano subito a discutere sui fatti avvenuti, e tanto li appassiona la cosa che presto la seduta<br />

diviene movimentata. Lasciano i seggi, scendono nello spazio vuoto gesticolando e parlando forte.<br />

Qualcuno consiglia la calma e di ben ponderare prima di prendere delle decisioni.<br />

Altri rimbeccano: «Ma non avete sentito quelli venuti qui dopo nona? Se perdiamo i giudei più<br />

importanti, che ci serve più accumulare le accuse? Più Egli vive e meno saremo creduti se lo<br />

accusiamo».<br />

«E questo fatto non lo si può negare. Non si può dire ai molti che erano là: “Avete visto male. È una<br />

finzione. Eravate ebbri”. <strong>Il</strong> morto era morto. Putrido. Sfatto. <strong>Il</strong> morto era deposto nel chiuso<br />

sepolcro, e il sepolcro era ben murato. <strong>Il</strong> morto era sotto le bende e i balsami da più giorni. <strong>Il</strong> morto<br />

era legato. Eppure è uscito dal suo posto, è venuto da solo senza camminare sino all’apertura. E<br />

liberato che fu, nel suo corpo non era più morte. Respirava. Non c’era più corruzione. Mentre<br />

prima, da vivo, era piagato, e da morto era tutto corrotto».<br />

«Avete sentito i più influenti giudei, quelli che avevamo spinto là per conquistarli a noi del tutto?<br />

Sono venuti a dirci: “Per noi è il Messia”. Quasi tutti sono venuti! <strong>Il</strong> popolo poi!...».<br />

«E questi maledetti romani pieni di fole! Dove li mettete? Per essi Egli è Giove Massimo. E se<br />

entrano in quell’idea! Ci hanno fatto conoscere le loro storie, e fu maledizione. Anatema su chi<br />

volle l’ellenismo** in noi e per adulazione ci profanò con costumi non nostri! Ma però ciò serve<br />

anche a conoscere. E conosciamo che presto fa il romano ad abbattere e ad innalzare con congiure e<br />

colpi di stato. Ora, se alcuno, qui, di questi folli, si entusiasma del Nazareno e lo proclama Cesare, e<br />

perciò divino, chi più lo tocca?».<br />

______________________<br />

* allora, perché MV aveva già scritto (nel marzo 1945) l’episodio della condanna, che sarà<br />

riportato al capitolo 604.<br />

** chi volle l’ellenismo, come si narra in: 1 Maccabei 1, 10-15; 2 Maccabei 4, 7-20; 6, 1-11. Altri<br />

accenni all’ellenismo in: 84.6 - 132.2 - 272.3 - 283.6 - 356.4 - 596.14.<br />

«Ma no! Ma chi vuoi che faccia questo? Essi se ne ridono di Lui e di noi. Per grande che sia ciò che<br />

compie, per essi è sempre “un ebreo”. Perciò un miserabile. La paura ti fa stolto, o figlio di Anna! ».<br />

«La paura? Hai sentito come ha risposto Ponzio all’invito di mio padre? Egli è scosso, ti dico. Egli è<br />

scosso da quest’ultimo fatto e teme il Nazareno. Miseri noi! Quell’uomo è venuto per nostra<br />

rovina!».<br />

7 «Almeno non fossimo andati là, e là non avessimo quasi comandato che andassero i più potenti<br />

giudei! Se Lazzaro fosse risorto senza testimoni...».<br />

«Ebbene? Che mutava? Non potevamo certo farlo sparire per far credere che fosse sempre morto!».<br />

«Questo no. Ma potevamo dire che era stata una falsa morte. Testimoni pagati per dire il falso se ne<br />

trovano sempre».<br />

«Ma perché tanto agitati? Non ne vedo la ragione! Egli ha forse fatto atto di eccitazione contro il<br />

Sinedrio e il Ponteficato? No. Si è limitato a compiere un miracolo».<br />

«Si è limitato?! Ma sei stolto, o venduto a Lui, Eleazaro? Non ha eccitato contro il Sinedrio e il<br />

Ponteficato? E che vuoi di più? La gente...».<br />

«La gente può dire ciò che vuole, ma le cose sono come le dice Eleazaro. <strong>Il</strong> Nazareno non ha che<br />

fatto un miracolo».<br />

«Ecco l’altro che lo difende! Non sei più un giusto, Nicodemo! Non sei più un giusto! Questo è un<br />

atto contro di noi. Contro di noi, capisci? Nessuna cosa più persuaderà la folla. Ah! miseri noi! <strong>Io</strong><br />

oggi fui beffato da alcuni giudei. <strong>Io</strong> beffato! <strong>Io</strong>! ».<br />

«E taci là, Doras! Tu non sei che un uomo. Ma è l’idea che è colpita! Le nostre leggi! Le nostre<br />

prerogative!».<br />

«Bene dici, Simone, e occorre difenderle».<br />

«Ma come?».<br />

«Offendendo, distruggendo le sue!» .<br />

«Presto detto, Sadoc. Ma con che le distruggi se non sai, di tuo, far rivivere un moscerino? Qui ci


vorrebbe un miracolo più grande del suo. Ma nessuno di noi lo può fare, perché...». Colui che parla<br />

non sa dire perché.<br />

Giuseppe d’Arimatea termina la frase: «Perché noi siamo uomini, soltanto uomini».<br />

Gli si avventano contro chiedendo: «Ed Egli chi è, allora?».<br />

<strong>Il</strong> d’Arimatea risponde sicuro: «Egli è <strong>Dio</strong>. Se ne avessi avuto ancora dei dubbi...».<br />

«Ma non li avevi i dubbi. Lo sappiamo, Giuseppe. Lo sappiamo. Dillo pure apertamente che tu lo<br />

ami! ».<br />

8 «Nulla di male se Giuseppe lo ama. <strong>Io</strong> stesso lo riconosco come il più grande Rabbi d’Israele».<br />

«Tu! Tu, Gamaliele, dici questo?».<br />

«Lo dico. E di essere... detronizzato da Lui mi onoro, perché sin qui io avevo conservato la<br />

tradizione dei grandi rabbi, l’ultimo dei quali fu <strong>Il</strong>lele, ma dopo me non avrei saputo chi poteva<br />

raccogliere la sapienza dei secoli. Ora me ne vado contento, perché so che essa non morrà, ma anzi<br />

diventerà più grande, perché aumentata dalla sua, alla quale certo è presente lo Spirito di <strong>Dio</strong>».<br />

«Ma che dici, Gamaliele?».<br />

«La verità. Non è chiudendosi gli occhi che si può ignorare ciò che noi siamo. Noi non siamo più<br />

sapienti, perché principio della sapienza è il timor di <strong>Dio</strong>, e noi siamo peccatori senza timore di <strong>Dio</strong>.<br />

Se avessimo questo timore, non conculcheremmo il giusto e non avremmo la stolta ingordigia per le<br />

ricchezze del mondo. <strong>Dio</strong> dà e <strong>Dio</strong> toglie. A seconda dei meriti e dei demeriti. E se <strong>Dio</strong> ora ci leva<br />

ciò che ci aveva dato, per darlo ad altri, sia benedetto, perché santo è il Signore e sante sono tutte le<br />

sue azioni».<br />

«Ma noi parlavamo di miracoli e volevamo dire che nessuno di noi li può fare perché con noi non è<br />

Satana».<br />

«No. Perché con noi non è <strong>Dio</strong>. Mosè separò le acque e aprì la rupe, Giosuè fermò il sole, Elia<br />

risuscitò il fanciullo e fece cadere la pioggia, ma con essi era <strong>Dio</strong>. Vi ricordo* che sei sono le cose<br />

che <strong>Dio</strong> odia, ed esecra la settima: gli occhi superbi, la lingua bugiarda, le mani che spargono<br />

sangue innocente, il cuore che medita disegni malvagi, i piedi che corrono rapidi al male, il falso<br />

testimonio che dice menzogne e colui che mette discordie tra i fratelli. Noi facciamo tutte queste<br />

cose. Noi, dico. Ma voi solo le fate. Perché io me ne astengo dal gridare “Osanna” e dal gridare<br />

“Anatema”. 9<strong>Io</strong> attendo».<br />

«<strong>Il</strong> segno! Già! Tu attendi il segno! Ma quale segno attendi da un povero folle, se proprio vogliamo<br />

dargli tutti i perdoni?».<br />

Gamaliele alza le mani e, le braccia in avanti, gli occhi chiusi, il capo lievemente chinato, ieratico<br />

quanto mai, parla lentamente e con voce lontana: «Ho interrogato ansiosamente il Signore perché<br />

mi indicasse la verità, ed Egli mi ha illuminato le parole di Gesù figlio di Sirac. Queste**: “<strong>Il</strong><br />

Creatore di tutte le cose mi parlò e mi diede i suoi ordini, e Colui che mi creò riposò nel mio<br />

Tabernacolo e mi disse: ‘Abita in Giacobbe, tuo retaggio sia in Israele, getta le tue radici tra i miei<br />

eletti’ ”... E ancora mi illuminò queste, e le ho riconosciute: “Venite a me, voi tutti che mi bramate,<br />

e saziatevi dei miei frutti, perché il mio spirito è più dolce del miele e il mio retaggio più del favo. <strong>Il</strong><br />

ricordo di me durerà nelle generazioni dei secoli. Chi mi mangia avrà di me fame e chi beve di me<br />

avrà di me sete, e chi mi ascolta non avrà da arrossire e chi lavora per me non pecca, e chi mi<br />

illustra avrà la vita eterna”. E la luce di <strong>Dio</strong> crebbe sul mio spirito mentre leggevano i miei occhi<br />

queste parole: “Tutte queste cose contiene il libro della Vita, il testamento dell’Altissimo, la dottrina<br />

della Verità... <strong>Dio</strong> promise a Davide di far nascere da lui il Re potentissimo, che deve stare assiso in<br />

eterno sul trono della gloria. Egli ridonda di sapienza come il Fison e il Tigri al tempo dei<br />

nuovi frutti, come<br />

________________________<br />

* Vi ricordo ciò che è detto in: Proverbi 6, 16-19.<br />

** Queste, che si leggono in: Siracide 24, 8.18-26.28-32.<br />

l’Eufrate ridonda d’intelligenza e cresce come il Giordano al tempo della messe. Egli diffonde la<br />

sapienza come la luce... Egli per primo l’ha perfettamente conosciuta”. Questo mi ha fatto<br />

illuminare <strong>Dio</strong>! Ma, ahi! che dico, che la Sapienza che è fra noi è troppo grande perché noi la si


comprenda e si accolga ciò che è pensiero più vasto dei mari e consiglio più profondo del grande<br />

abisso. E noi lo sentiamo gridare: “<strong>Io</strong> come canale d’acque immense sgorgai dal Paradiso e dissi:<br />

‘Inaffierò il mio giardino’, ed ecco il mio canale divenire fiume, e il fiume mare. Come l’aurora io<br />

irraggio a tutti la mia dottrina, e la farò conoscere ai più lontani. Penetrerò nelle parti più basse,<br />

getterò lo sguardo sui dormenti, illuminerò quelli che sperano nel Signore. E ancor spanderò la mia<br />

dottrina come profezia e la lascerò a quelli che cercano la sapienza, non cesserò d’annunziarla sino<br />

al secolo santo. Non ho lavorato per me soltanto, ma per tutti quelli che cercano la verità”. Questo<br />

mi ha fatto leggere Jeovè, l’Altissimo», e riabbassa le braccia alzando il capo.<br />

«Ma allora per te è il Messia?! Dillo!».<br />

«Non è il Messia».<br />

«Non è? E allora cosa è per te? Demonio, no. Angelo, no. Messia, no...».<br />

«È colui che è».<br />

«Tu deliri! <strong>Dio</strong> è? <strong>Dio</strong> è per te, quel folle?».<br />

«È colui che è. <strong>Dio</strong> sa ciò che Egli è. Noi vediamo le sue opere. <strong>Dio</strong> vede anche i suoi pensieri. Ma<br />

non è il Messia, perché per noi Messia vuol dire Re. Egli non è, non sarà re. Ma è santo. E le sue<br />

opere sono da santo. E noi non possiamo alzare la mano sull’innocente, a meno di non commettere<br />

peccato. <strong>Io</strong> non sottoscriverò al peccato».<br />

«Ma con quelle parole tu quasi lo hai detto l’Atteso!».<br />

«L’ho detto. Finché durò la luce dell’Altissimo, io lo vidi tale. Poi... non tenendomi più la mano del<br />

Signore alto levato nella luce sua, io tornai uomo, l’uomo d’Israele, e le parole non furono più che<br />

parole alle quali l’uomo d’Israele, io, voi, quelli prima di noi e, <strong>Dio</strong> non lo permetta, quelli dopo di<br />

noi, danno il significato del loro, del nostro pensiero, non il significato che hanno nel Pensiero<br />

eterno che le ha dettate al suo servo».<br />

10 «Noi parliamo, divaghiamo, perdiamo tempo. Ed il popolo intanto si agita», gracchia Canania.<br />

«Bene dici! Occorre decidere e fare per salvarsi e trionfare».<br />

«Voi dite che Pilato non ci ha voluti ascoltare quando chiedevamo il suo aiuto contro il Nazareno.<br />

Ma se noi gli facessimo sapere... Avete detto prima che, se le milizie si esaltano, possono<br />

proclamarlo Cesare... Eh! Eh! Buona idea! Andiamo a prospettare al Proconsole questo pericolo.<br />

Avremo onori come a fedeli servi di Roma e... se egli interverrà noi saremo sbarazzati del Rabbi.<br />

Andiamo, andiamo! Tu, Eleazaro di Anna, che gli sei più di tutti amico, sii nostro duce», ride<br />

serpentino Elchia.<br />

Vi è un poco di titubanza, ma poi un gruppo dei più fanatici esce per recarsi all’Antonia. Resta<br />

Caifa insieme agli altri.<br />

«A quest’ora! Non saranno ricevuti», obbietta uno.<br />

«No, anzi! È la migliore. Ponzio è sempre di buon umore quando ha bevuto e mangiato come beve e<br />

mangia un pagano...».<br />

11 Li lascio là a discutere e mi si illumina la scena dell’Antonia.<br />

<strong>Il</strong> breve tragitto è presto fatto e senza difficoltà, tanto è limpida la luna che fa gran contrasto con la<br />

luce rossa dei lumi accesi nel vestibolo del palazzo pretorio.<br />

Eleazaro riesce a farsi annunciare a Pilato, e vengono fatti passare in una sala grande e vuota.<br />

Assolutamente vuota. Vi è soltanto una sedia pesante, bassa di spalliera, coperta di un drappo<br />

porpureo, che spicca vivamente nel candore assoluto della sala. Stanno raggruppati, un poco<br />

timorosi, infreddoliti, ritti sul marmo candido del pavimento. Non viene nessuno. <strong>Il</strong> silenzio è<br />

assoluto. Però, a intervalli, una musica lontana rompe questo silenzio.<br />

«Pilato è a mensa. Certo è con amici. Questa musica è suonata nel triclinio. Ci saranno danze in<br />

onore degli ospiti», dice Eleazaro di Anna.<br />

«Corrotti! Domani mi purificherò. La lussuria trasuda da queste pareti», dice con ribrezzo Elchia.<br />

«Perché ci sei venuto, allora? Tu lo hai proposto», gli ribatte Eleazaro.<br />

«Per l’onore di <strong>Dio</strong> e il bene della Patria so fare qualsiasi sacrificio. E questo è grande! Mi ero<br />

purificato per aver avvicinato Lazzaro... e ora!... Giornata tremenda, oggi!...».<br />

Pilato non viene. <strong>Il</strong> tempo passa. Eleazaro, pratico del luogo, tenta le porte. Sono tutte chiuse. Lo<br />

spavento si impadronisce dei presenti. Paurose storie riaffiorano. Rimpiangono di essere venuti. Si


sentono già perduti.<br />

12 Finalmente ecco, nel lato opposto al loro, che sono presso la porta dalla quale sono entrati, e<br />

perciò presso l’unica sedia dell’ambiente, ecco aprirsi una porta ed entrare Pilato, candido nella sua<br />

veste come è candida la sala. Entra parlando con dei convitati. Ride. Si volge ad ordinare ad uno<br />

schiavo, che tiene sollevata la tenda oltre l’uscio, di gettare essenze in un braciere e di portare<br />

profumi e acque per le mani, che uno schiavo venga con specchio e pettini. Degli ebrei non si cura,<br />

come non ci fossero. Quelli si arrovellano, ma non osano gesti...<br />

Laggiù, intanto, vengono portati i bracieri, sparse le resine sui fuochi e versate acque profumate<br />

sulle mani romane. E uno schiavo, con mosse esperte, ravvia i capelli secondo la moda dei ricchi<br />

romani del tempo. E gli ebrei si arrovellano.<br />

I romani ridono fra loro e scherzano, guardando ogni tanto il gruppo che attende là in fondo, e uno<br />

parla a Pilato che non si è mai voltato a guardare; ma Pilato scrolla le spalle facendo un gesto<br />

annoiato e batte le mani per chiamare uno schiavo, al quale ordina a voce alta di portare dolciumi e<br />

di far entrare le danzatrici. Gli ebrei fremono d’ira e di scandalo. Pensare ad un Elchia costretto a<br />

vedere delle danzatrici! <strong>Il</strong> suo volto è un <strong>poema</strong> di sofferenza e di odio.<br />

Vengono gli schiavi coi dolciumi in coppe preziose, e dietro essi le danzatrici incoronate di fiori e<br />

appena coperte da tele così leggere da parere veli. Le carni bianchissime traspaiono dalle vesti<br />

leggere, tinte di rosa e di azzurro, quando esse passano davanti ai bracieri ardenti e ai molti lumi<br />

messi là in fondo. I romani ammirano la grazia dei corpi e delle movenze, e Pilato chiede ancora un<br />

passo di danza che gli è particolarmente piaciuto. Elchia - e i suoi compari lo imitano - si volge<br />

sdegnato contro al muro per non vedere le danzatrici trasvolare come farfalle fra un ondeggiare di<br />

vesti scomposte.<br />

Finita la breve danza, Pilato le congeda, mettendo in mano di ognuna la coppa colma di dolciumi,<br />

nella quale getta con noncuranza un bracciale. 13 E finalmente si degna di voltarsi a guardare gli<br />

ebrei, e dice agli amici con voce annoiata: «E ora... dovrò dal sogno passare alla realtà... dalla<br />

poesia alla... ipocrisia... dalla grazia alle laide cose della vita. Miserie dell’esser Proconsole!...<br />

Salve, amici, e abbiate compassione di me».<br />

Resta solo e lentamente si avvicina agli ebrei. Si siede, si osserva le mani ben curate e scopre<br />

qualche cosa che non va sotto un’unghia. Se ne occupa e preoccupa traendo fuor dalla veste un<br />

sottile e aureo bastoncino, col quale rimedia al gran danno di un’unghia imperfetta...<br />

Poi, bontà sua, gira il capo lentamente. Sogghigna vedendo gli ebrei ancora curvi in un inchino<br />

servile, e dice: «Voi! Qui! E siate brevi. Non ho tempo da sciupare in cose senza valore».<br />

Gli ebrei si avvicinano sempre servili nell’atto, finché un: «Basta! Non troppo vicini» li inchioda al<br />

suolo. «Parlate! E state diritti, ché solo degli animali è stare piegati verso il suolo», e ride. Gli ebrei<br />

si raddrizzano sotto lo scherno e stanno impettiti.<br />

«Dunque? Parlate! Avete voluto venire per forza. Ora che siete qui, parlate».<br />

«Volevamo dirti... Ci risulta... Noi siamo servi fedeli di Roma...».<br />

«Ah! Ah! Ah! Servi fedeli di Roma! Lo farò sapere al divo Cesare e ne sarà felice! Felice sarà!<br />

Parlate, buffoni! E svelti!».<br />

I sinedristi fremono, ma non reagiscono. 14 Elchia prende la parola per tutti: «Devi sapere, o Ponzio,<br />

che oggi in Betania è stato risuscitato un uomo...».<br />

«Lo so. Per dirmi questo siete venuti? Lo sapevo già da molte ore. Felice lui, che già sa cosa è il<br />

morire e cosa è l’altro mondo! E che ci posso fare se Lazzaro di Teofilo è risorto? Forse mi ha<br />

portato un messaggio dall’Ade?». È ironico.<br />

«No. Ma la sua risurrezione è un pericolo...».<br />

«Per lui? Certo! Pericolo di dover morire di nuovo. Operazione poco gradevole. Ebbene? Che ci<br />

posso fare? Sono Giove io?».<br />

«Pericolo non per Lazzaro. Ma per Cesare».<br />

«Per?... Domine! Ma forse ho bevuto! Avete detto: per Cesare? E che può nuocere Lazzaro a<br />

Cesare? Forse temete che il puzzo del suo sepolcro possa corrompere l’aria che respira<br />

l’Imperatore? Datevi pace! Troppo lontano!».<br />

«Non questo. È che Lazzaro risorgendo può far detronizzare l’Imperatore».


«Detronizzare? Ah! Ah! Ah! Questa è più grande del mondo! Ma allora l’ebbro non sono io, ma voi<br />

siete ebbri. Forse lo spavento vi ha sconvolto la mente. Vedere risorgere... Credo, credo che possa<br />

turbare. Andate, andate a letto. Un buon riposo. E un bagno caldo. Molto caldo. Salutare contro i<br />

deliri».<br />

«Non deliriamo, Ponzio. Ti diciamo che, se non provvedi, tu passerai ore tristi. Sarai punito certo,<br />

se anche non sarai ucciso dall’usurpatore. Fra poco il Nazareno sarà proclamato re, re del mondo,<br />

capisci? I tuoi legionari stessi lo faranno. Essi sono sedotti dal Nazareno, e il fatto di oggi li ha<br />

esaltati. Che servo sei di Roma se non ti preoccupi della sua pace? Vuoi dunque vedere l’Impero<br />

sconvolto e diviso in causa della tua inerzia? Vuoi vedere vinta Roma e abbattute le insegne, ucciso<br />

l’Imperatore, tutto distrutto...».<br />

«Silenzio! Parlo io. E vi dico: siete dei pazzi! Più ancora. Siete dei mentitori. Dei malandrini siete.<br />

Meritereste la morte. Uscite di qui, laidi servi del vostro interesse, del vostro odio, della vostra<br />

bassezza. Servi voi. Non io. <strong>Io</strong> sono cittadino romano, e i cittadini romani non sono servi a nessuno.<br />

<strong>Io</strong> sono il funzionario imperiale e lavoro per le patrie fortune. Voi... siete i soggetti. Voi... voi siete i<br />

dominati. Voi... voi siete i galeotti legati alle bancate e fremete inutilmente. La sferza del capo vi sta<br />

sopra. <strong>Il</strong> Nazareno!... Vorreste che io uccidessi il Nazareno? Vorreste che lo imprigionassi? Per<br />

Giove! Se per la salute di Roma e del divo Imperatore io dovessi imprigionare i soggetti pericolosi,<br />

o ucciderli qui dove io governo, il Nazareno e i suoi seguaci, solo essi, dovrei lasciare liberi e vivi.<br />

Andate. Sgombrate e non tornatemi mai più davanti. Turbolenti! Sobillatori! Ladri e manutengoli di<br />

ladri! Non uno dei vostri armeggii mi è ignoto. Sappiatelo. E sappiate anche che armi fresche e<br />

legionari novelli hanno servito e scoprire le vostre trappole e i vostri strumenti. Strillate per le<br />

imposte romane. Ma quanto vi è costato Melchia di Galaad, e Giona di Scitopoli, e Filippo di Soco,<br />

e Giovanni di Betaven e Giuseppe di Ramaot, e tutti gli altri che presto saranno presi? E non andate<br />

verso le grotte della valle, perché vi sono più legionari che pietre, e la legge e la galera sono uguali<br />

per tutti. Per tutti! Capite? Per tutti. E spero di vivere tanto da vedervi tutti in catene, schiavi fra<br />

schiavi sotto il tallone di Roma. Uscite! Andate e riferite - anche tu, Eleazar di Anna, che non<br />

desidero vedere più nella mia casa - che il tempo della clemenza è finito, e che io sono il Proconsole<br />

e voi i sudditi. I sudditi. E io comando. In nome di Roma. Uscite! Serpi notturne! Vampiri! E il<br />

Nazareno vi vuole redimere? Se Egli fosse <strong>Dio</strong>, fulminarvi dovrebbe! E dal mondo sarebbe sparita<br />

la macchia più schifosa. Via! E non osate fare congiure, o conoscerete il gladio e il flagello».<br />

Si alza e se ne va sbatacchiando la porta davanti agli allibiti sinedristi, che non hanno tempo di<br />

rinvenire, perché entra un drappello armato che li caccia fuori dalla sala e dal palazzo come tanti<br />

cani.<br />

15 Ritornano all’aula del Sinedrio. Raccontano. L’agitazione è somma. La notizia dell’arresto di<br />

molti ladroni e delle battute nelle grotte per prendere gli altri turba fortemente tutti i rimasti. Perché<br />

molti, stanchi di attesa, se ne sono andati.<br />

«Eppure non possiamo lasciarlo vivere», urlano dei sacerdoti.<br />

«Non possiamo lasciarlo fare. Egli fa. Noi non facciamo. E giorno per giorno perdiamo terreno. Se<br />

lo lasciamo libero ancora, Egli continuerà a fare miracoli e tutti crederanno in Lui. E i romani<br />

finiranno a venirci contro e a distruggerci del tutto. Ponzio dice così. Ma se la folla lo acclamasse<br />

re, oh! allora Ponzio ha il dovere di punirci, tutti. Non lo dobbiamo permettere», strilla Sadoc.<br />

«Va bene. Ma come? La via... legale romana è fallita. Ponzio è sicuro sul Nazareno. La via... legale<br />

nostra è... resa impossibile. Egli non pecca...», obbietta uno.<br />

«Si inventa la colpa, se colpa non c’è», insinua Caifa.<br />

«Ma è peccato fare questo! Giurare il falso! Far condannare un innocente! È... troppo!...», dicono<br />

con orrore i più. «È un delitto, perché sarà la morte per Lui».<br />

«Ebbene? Ciò vi spaventa? Siete degli stolti e non vi intendete di nulla. Dopo ciò che è avvenuto,<br />

Gesù deve morire. Non riflettete voi tutti che è meglio per noi che muoia un uomo anziché molti<br />

uomini? Perciò Egli muoia per salvare il suo popolo, onde non perisca tutta la nostra nazione. Del<br />

resto... Egli lo dice di essere il Salvatore. Perciò si sacrifichi per salvare tutti», dice Caifa ributtante<br />

di odio freddo e astuto.<br />

«Ma Caifa! Rifletti! Egli...».


«Ho detto. Lo Spirito del Signore è su me, Sommo Sacerdote. Guai a chi non rispetta il Pontefice<br />

d’Israele. Le folgori di <strong>Dio</strong> su lui! Basta di attesa! Basta di orgasmi! Ordino e decreto che chiunque<br />

sappia dove si trova il Nazareno venga e ne denunci il luogo, e anatema su chi non ubbidirà alla mia<br />

parola».<br />

«Ma Anna...», obbiettano alcuni.<br />

«Anna mi ha detto: “Tutto ciò che farai sarà santo”. Leviamo la seduta. Venerdì, fra terza e sesta,<br />

tutti qui per deliberare. Tutti, ho detto. Fatelo sapere agli assenti. E siano chiamati tutti i capi delle<br />

famiglie e delle classi, tutto il fior di Israele. <strong>Il</strong> Sinedrio ha parlato. Andate».<br />

E si ritira per il primo da dove è venuto, mentre gli altri se ne vanno da altre parti, e parlando a voce<br />

sommessa escono dal Tempio andando alle loro case.<br />

550. Euforia tra gli apostoli. Missione d’amore per Lazzaro e di<br />

contemplazione assoluta per la sorella Maria.<br />

Gesù deve fuggire in Samaria.<br />

30 dicembre 1946.<br />

1 È bello stare così, in riposo, fra l’amore degli amici e presso il Maestro nelle giornate solari che già<br />

risentono di un primo precoce sorridere di primavera, guardando i campi che aprono le loro zolle ad<br />

un verzicare innocente di grani che spuntano, guardando i prati che rompono il verde uniforme<br />

dell’inverno con i primi fioretti multicolori, guardando le siepi che nei posti più solari hanno già dei<br />

sorrisi di gemme che si schiudono, guardando i mandorli che già spumano nelle cime per i primi<br />

fiori che sbocciano. E Gesù ne gode, e ne godono gli apostoli, e ne godono i tre amici di Betania.<br />

Sembra così lontano il malanimo, il dolore, la tristezza, la malattia, la morte, l’odio, l’invidia, tutto<br />

quanto è pena, tormento, preoccupazione sulla Terra.<br />

Gli apostoli, tutti, sono gongolanti e lo dicono. Dicono la loro persuasione - oh!, così certa, così<br />

trionfante! - che ormai Gesù ha vinto tutti i nemici, che la sua missione procederà ormai senza<br />

ostacoli, che Egli sarà riconosciuto per Messia anche dai più tenaci a negarlo. E parlano, un poco<br />

esaltati, ringiovaniti tanto sono felici, facendo progetti per l’avvenire, sognando... sognando tanto...<br />

e umanamente.<br />

2 <strong>Il</strong> più esaltato, per la sua psiche che lo porta sempre agli estremi, è Giuda di Keriot. Si felicita di<br />

aver saputo attendere e di aver saputo fare, si felicita della sua lunga fede nel trionfo del Maestro, si<br />

felicita di avere sfidato le minacce del Sinedrio... È tanto esaltato che finisce col dire anche quello<br />

che ha sempre tenuto celato sin qui, fra lo stupore attonito dei compagni.<br />

«Sì. Mi volevano comperare, sedurre mi volevano con blandizie e, vedendo che non servivano<br />

queste, con minacce. Se sapeste! Ma io! <strong>Io</strong> li ho pagati con uguale moneta. Ho finto amore a loro<br />

come essi a me. Li ho lusingati come essi mi lusingavano e li ho traditi come essi mi volevano<br />

tradire... Perché questo volevano. Farmi credere che con spirito buono provavano il Maestro per<br />

poterlo proclamare solennemente il Santo di <strong>Dio</strong>. Ma io li conosco! <strong>Io</strong> li conosco. E in tutte le cose<br />

che essi mi dicevano di voler fare mi destreggiavo in modo che la santità di Gesù veramente<br />

apparisse più lucente del sole meridiano in un cielo senza nubi... Un giuoco pericoloso il mio! Se lo<br />

avessero capito! Ma ero pronto a tutto, anche alla morte, per servire <strong>Dio</strong> nel mio Maestro. E così<br />

sapevo tutto... Eh! delle volte vi sarò sembrato pazzo, cattivo, scontroso. Se aveste saputo! <strong>Io</strong> solo<br />

so le mie notti, le cure che dovevo avere per fare del bene senza dare nell’occhio a nessuno! Tutti<br />

sospettaste un poco di me. Lo so. Ma non ve ne ho rancore. <strong>Il</strong> mio modo di fare... sì... poteva dar<br />

luogo a sospetti. Ma il fine era buono, e io non mi preoccupavo che di quello. Gesù non sa nulla.<br />

Ossia credo che Egli pure sospetti di me. Ma saprò tacere senza esigere una sua lode. E tacete anche<br />

voi. Un giorno, ai primi tempi che ero con Lui - e tu, Simone Zelote, e tu, Giovanni di Zebedeo,<br />

eravate con me - Egli mi rimproverò perché mi ero vantato di avere il senso pratico. Da allora io...<br />

non gliel’ho mai fatta risaltare questa qualità, ma l’ho continuata ad usare, per suo bene. Ho fatto<br />

come una madre per il suo bambino inesperto. Ella gli leva gli ostacoli dal cammino, gli curva il


amo senza spine e alza quello che può ferire, o con atti avveduti lo porta a fare ciò che deve saper<br />

fare e a schivare ciò che è male senza che neppure il figlio se ne avveda. Anzi, il figlio crede di<br />

esserci arrivato da sé a camminare senza inciampare, a cogliere il bel fiore per la mamma, a fare<br />

questo e quello spontaneamente. <strong>Io</strong> ho fatto uguale col Maestro. Perché la santità non basta in un<br />

mondo di uomini e di satana. Bisogna anche combattere con armi pari, almeno da uomini... e<br />

qualche volta... anche un pizzico di furbizia d’inferno non è male mettercela fra le altre armi. È la<br />

mia idea. Ma Lui non la vuole sentire... È troppo buono... Bene. <strong>Io</strong> capisco tutto e tutti, e scuso tutti<br />

dei mali pensieri che potete aver avuto su di me. Ora sapete. Ora ci amiamo da buoni compagni,<br />

tutto per suo amore e a sua gloria», e accenna a Gesù che passeggia molto più lontano in un viale<br />

pieno di sole parlando con Lazzaro, che lo ascolta con un sorriso d’estasi sul viso.<br />

3Gli apostoli si allontanano verso la casa di Simone. Gesù si avvicina invece con l’amico. Li<br />

ascolto.<br />

Dice Lazzaro: «Sì. Lo avevo capito che c’era un grande scopo, e certo di bontà, nel lasciarmi<br />

morire. Pensavo che fosse per risparmiarmi la vista della persecuzione che ti fanno. E, Tu sai se<br />

dico il vero, ero contento di morire per non vederla. Mi inasprisce. Mi turba. Vedi, Maestro. <strong>Io</strong> ho<br />

perdonato tante cose a quelli che sono i capi del nostro popolo. Ho dovuto perdonare sino agli<br />

ultimi giorni... Elchia... Ma la morte e la risurrezione hanno, annullato ciò che era prima di esse. A<br />

che ricordare le loro ultime azioni per darmi dolore? <strong>Io</strong> ho perdonato tutto a Maria. Ella sembra<br />

dubitarne. Anzi, non so perché, da quando sono risorto ha preso con me un atteggiamento così... non<br />

so come definirlo. È di una dolcezza e di una sommissione così strana nella mia Maria... Neppure<br />

nei primi momenti in cui tornò qui, redenta da Te, era così... Anzi, forse Tu sai e me ne puoi dire<br />

qualcosa, perché Maria tutto ti dice... Sai se quelli che sono qui venuti l’hanno forse rimproverata<br />

troppo. <strong>Io</strong> ho sempre cercato di sminuire il ricordo del suo fallo, quando la vedevo assorta nel<br />

pensiero del passato, per medicare il suo soffrire. Non se ne sa dare pace. Sembra così... al di sopra<br />

di ciò che potrebbe essere avvilimento. A certuni potrà parere anche poco pentita... Ma io<br />

comprendo... <strong>Io</strong> so. Tutto fa per espiare. <strong>Io</strong> credo che faccia grandi penitenze, di ogni specie. Non<br />

mi stupirei che sotto le vesti avesse il cilicio e che le sue carni conoscessero il morso dei flagelli...<br />

Ma l’amore fraterno che ho io, e che la vuole sorreggere facendo velo fra il passato e il presente,<br />

non ce 1’hanno gli altri... Sai se, forse, ella fu maltrattata da chi non sa perdonare... ed è così<br />

bisognevole di perdono?»:<br />

«Non so, Lazzaro. Maria non me ne ha parlato. Mi ha detto solo di aver molto sofferto sentendo<br />

l’insinuazione dei farisei che <strong>Io</strong> non ero il Messia perché non ti guarivo o non ti risuscitavo».<br />

«E... non ti ha detto nulla di me? Sai... Avevo tanto male... Ricordo che mia madre nelle ultime ore<br />

svelò cose che erano passate inosservate a Marta e a me. Fu come se il fondo della sua anima e del<br />

suo passato rigalleggiassero negli ultimi sommovimenti del cuore. <strong>Io</strong> non vorrei... Ha tanto sofferto<br />

il mio cuore per Maria... e ha fatto tanto sforzo per non darle mai la sensazione di ciò che per lei ho<br />

sofferto... Non vorrei averla colpita ora che è buona mentre, per amore di fratello prima, per tuo<br />

amore poi, non l’ho mai colpita nel tempo infame, quando era un obbrobrio. Che ti ha detto di me,<br />

Maestro?».<br />

«<strong>Il</strong> suo dolore di avere avuto troppo poco tempo per darti il suo santo amore di sorella e<br />

condiscepola. Nella tua perdita ha misurato tutta l’estensione dei tesori di affetto che ella aveva<br />

calpestato un tempo... ed ora è felice di poterti dare tutto l’amore che ella vuole darti, per dirti che<br />

tu per lei sei il santo, amato fratello».<br />

«Ah! ecco! Lo avevo intuito! Di questo ne godo. Ma temevo di averla offesa... Da ieri penso,<br />

penso... mi sforzo a ricordare... ma non ci riesco...».<br />

«Ma perché vuoi ricordare? Hai davanti il futuro. <strong>Il</strong> passato è rimasto nella tomba. Anzi, neppure è<br />

rimasto là. È stato bruciato insieme alle funebri bende. Ma se ti deve dar pace, ti dico le ultime<br />

parole che tu avesti per le sorelle. Per Maria in specie. Hai detto che per Maria <strong>Io</strong> sono venuto qui e<br />

ci vengo, perché Maria sa amare più di tutti. È vero. Le hai detto che ella ti ha amato più di tutti<br />

quelli che ti hanno amato. Anche questo è vero, perché ella ti ha amato rinnovandosi per amore di<br />

<strong>Dio</strong> e tuo. Le hai detto, giustamente, che tutta una vita di delizie non ti avrebbe dato la gioia che hai<br />

goduto per merito di lei. E le hai benedette, come un patriarca benediceva le sue più amate creature.


Hai benedetto ugualmente Marta, che dicevi tua pace, e Maria, che dicevi tua gioia. Sei in pace,<br />

ora?».<br />

«Ora sì, Maestro. Sono in pace».<br />

«E allora, poiché la pace dà misericordia, perdona anche ai capi del popolo che mi perseguitano.<br />

Poiché questo volevi dire: che tu tutto puoi perdonare, ma non il male che fanno a Me».<br />

«Così, Maestro».<br />

«No, Lazzaro. <strong>Io</strong> li perdono. Tu li devi perdonare se vuoi essere simile a Me».<br />

«Oh! Simile a Te! Non posso. Sono un semplice uomo!».<br />

«L’uomo è rimasto là sotto. L’uomo! <strong>Il</strong> tuo spirito... 4 Tu sai che cosa avviene alla morte<br />

dell’uomo...».<br />

«No, Signore. Non ricordo nulla* di ciò che m’avvenne», interrompe veemente Lazzaro.<br />

Gesù sorride a risponde: «Non parlavo del tuo personale sapere, della tua particolare esperienza.<br />

Parlavo di ciò che ogni credente sa che gli avviene quando muore».<br />

«Ah! <strong>Il</strong> giudizio particolare. So. Credo. L’anima si presenta a <strong>Dio</strong>, e <strong>Dio</strong> la giudica».<br />

«È così. E il giudizio di <strong>Dio</strong> è giusto e inviolabile. Ed ha un infinito valore. Se l’anima giudicata è<br />

colpevole mortalmente, diviene anima dannata. Se essa è lievemente colpevole, è mandata al<br />

Purgatorio. Se essa è giusta, va nella pace del Limbo in attesa che <strong>Io</strong> apra le porte dei Cieli.<br />

Dunque, <strong>Io</strong> ti ho richiamato lo spirito dopo che esso era già giudicato da <strong>Dio</strong>. Se tu fossi stato un<br />

dannato, non ti avrei potuto richiamare alla vita, perché facendolo avrei annullato il giudizio del<br />

Padre mio. Per i dannati non ci sono mutazioni più. Sono giudicati in eterno. Dunque tu eri del<br />

numero di quelli che dannati non erano. Perciò, o della classe dei beati, o di quella che saranno beati<br />

dopo la purificazione. Ma rifletti, amico mio. Se la sincera volontà di pentimento che può avere<br />

l’uomo essendo ancora uomo, ossia carne e anima, ha valore di purificazione; se un simbolico rito<br />

di battesimo nelle acque, voluto per spirito di contrizione, dalle sozzure contratte nel mondo e per la<br />

carne, ha per noi ebrei valore di purificazione; che valore avrà il pentimento, più reale e perfetto,<br />

molto più perfetto, di un’anima liberata dalla carne, conscia di ciò che è<br />

___________________________<br />

* Non ricordo nulla, come in 548.15, 562.5, 585.2, 587.5 e, per il risuscitato di Naim, in 300.4. Un<br />

altro caso in 632.47.<br />

<strong>Dio</strong>, illuminata sulla gravità dei suoi errori, illuminata sulla vastità della gioia che si è allontanata<br />

per ore, per anni, o per secoli: la gioia della pace limbale, che presto sarà la gioia del raggiunto<br />

possesso di <strong>Dio</strong>; che sarà la purificazione duplice, triplice, del pentimento perfetto, dell’amore<br />

perfetto, del bagno nell’ardore delle fiamme accese dall’amore di <strong>Dio</strong> e dall’amore degli spiriti, nel<br />

quale e dal quale gli spiriti si spogliano da ogni impurità ed emergono belli come serafini, coronati<br />

da ciò che non corona neppure i serafini: il loro martirio terreno e ultraterreno contro i vizi e per<br />

l’amore? Che sarà? Dillo, dunque, amico mio».<br />

«Ma... non so... una perfezione. Meglio... una ricreazione».<br />

«Ecco. Hai detto la giusta parola. L’anima ne viene come ricreata. L’anima diviene simile a quella<br />

di un infante. È nuova. Tutto il passato non è più. <strong>Il</strong> suo passato d’uomo. Quando cadrà la colpa<br />

d’origine, l’anima, senza più macchia e ombra di macchie, sarà supercreata e sarà degna del<br />

Paradiso. <strong>Io</strong> ho richiamato la tua anima che già si era ricreata per la volontà al Bene, per<br />

l’espiazione della sofferenza e della morte, e per il tuo perfetto pentimento e perfetto amore<br />

raggiunti oltre la morte. Tu hai dunque l’anima tutt’affatto innocente di un pargolo nato da poche<br />

ore. E se sei un fanciullino neonato, perché vuoi indossare su questa fanciullezza spirituale le grevi,<br />

pesanti vesti dell’uomo adulto? I fanciulli hanno ali e non catene al loro spirito ilare. Essi mi<br />

imitano con facilità, perché non hanno ancora preso nessuna personalità. Si fanno come <strong>Io</strong> sono,<br />

perché sulla loro anima vergine di impronte si può imprimere senza confusione di linee la mia<br />

figura e la mia dottrina. Hanno l’anima priva di umani ricordi, di risentimenti, di preconcetti. Non<br />

c’è nulla. E ci posso essere <strong>Io</strong>, perfetto, assoluto come sono in Cielo. Tu, che sei come rinato, un<br />

nato novellamente, perché nella tua vecchia carne il potere motore è nuovo, senza passato, mondo,<br />

senza tracce di ciò che fu, tu che sei tornato per servirmi, solo per questo, devi essere come <strong>Io</strong> sono,<br />

più di tutti. Guardami. Guardami bene. Specchiati in Me, e in te riflettimi. Due specchi che si


guardano per riflettere uno nell’altro la figura di ciò che amano. Tu sei uomo e sei bambino. Sei<br />

uomo per età, sei bambino per mondezza di cuore. Hai sui bambini il vantaggio di conoscere già il<br />

Bene e il Male, e di aver già saputo scegliere il Bene anche prima del battesimo nelle fiamme<br />

dell’amore. Ebbene, <strong>Io</strong> ti dico, a te, uomo dallo spirito mondo dalla purificazione avuta: “Sii<br />

perfetto come lo è il Padre nostro dei Cieli e come <strong>Io</strong> lo sono. Sii perfetto, ossia sii simile a Me, che<br />

ti ho amato tanto da andare contro a tutte le leggi della vita e della morte, del Cielo e della Terra, per<br />

riavere sulla Terra un servo di <strong>Dio</strong> e un vero amico mio, e in Cielo un beato, un grande beato”. Lo<br />

dico a tutti: “Siate perfetti”. Ed essi, i più, non hanno il cuore che tu avevi, degno del miracolo,<br />

degno di essere preso per strumento ad una glorificazione di <strong>Dio</strong> nel suo Figliuolo. Ed essi non<br />

hanno il tuo debito d’amore verso <strong>Dio</strong>... Lo posso dire, lo posso esigere da te. E per prima cosa lo<br />

esigo nel non avere rancore per chi ti ha offeso e mi offende. Perdona, perdona, Lazzaro. Sei stato<br />

immerso nelle fiamme accese dall’amore. Devi essere “amore” per non conoscere mai più altro che<br />

l’amplesso di <strong>Dio</strong>».<br />

«E così facendo compirò la missione per la quale Tu mi hai risuscitato?».<br />

«Così facendo la compirai».<br />

«Basta così, Signore. Non ho bisogno di chiedere e di sapere di più. Servirti era il mio sogno. Se ti<br />

ho servito anche nel nulla che può fare il malato e il morto, e se potrò servirti nel molto che può fare<br />

il risanato, il mio sogno è compiuto e non chiedo di più. Che Tu sia benedetto, Gesù, Signore e<br />

Maestro mio! E con Te benedetto Colui che ti ha mandato».<br />

«Benedetto sempre il Signore Iddio onnipotente».<br />

5 Vanno verso la casa, fermandosi ogni tanto ad osservare il risveglio degli alberi, e Gesù alza un<br />

braccio e coglie, alto come è, un ciuffettino di fiori da un mandorlo che si scalda al sole contro il<br />

muro meridionale della casa.<br />

Esce Maria, che li vede e si avvicina a sentire ciò che Gesù dice: «Vedi, Lazzaro? Anche a questi il<br />

Signore ha detto: “Venite fuori”. Ed essi hanno ubbidito per servire il Signore».<br />

«Che mistero la germinazione! Pare impossibile che dal tronco duro o dal duro seme possano uscire<br />

petali così fragili e steli così teneri e mutarsi in frutta o piante. È sbagliato, Maestro, dire che la linfa<br />

o il germe è come l’anima della pianta o del seme?».<br />

«Non è sbagliato, poiché è la parte vitale. In essi non eterna, creata per ogni specie nel primo giorno<br />

che piante e biade furono. Nell’uomo eterna, somigliante al suo Creatore, creata di volta in volta per<br />

ogni novello uomo che è concepito. Ma è per essa che la materia vive. È per questo che <strong>Io</strong> dico che<br />

solo per l’anima l’uomo vive. Non soltanto qui vive. Ma oltre. Vive per la sua anima. Noi ebrei non<br />

facciamo disegni sui sepolcri come li fanno i gentili. Ma, se li facessimo, dovremmo sempre<br />

disegnare non la face spenta, la clessidra vuota o altro simbolo di fine, sibbene il seme gettato nel<br />

solco che fiorisce in spiga. Perché è la morte della carne che libera l’anima dalla scorza e la fa<br />

fruttificare nelle aiuole di <strong>Dio</strong>. <strong>Il</strong> seme. La scintilla vitale che <strong>Dio</strong> ha messo nella nostra polvere e<br />

che diviene spiga se noi sappiamo con la volontà, e anche col dolore, far fertile la zolla che la serra.<br />

<strong>Il</strong> seme. <strong>Il</strong> simbolo della vita che si perpetua... Ma Massimino ti chiama...».<br />

«Vado, Maestro. Saranno venuti degli intendenti. Tutto era fermo in questi ultimi mesi. Ora essi si<br />

affrettano a rendermi i conti...».<br />

«Che tu approvi in anticipo, perché sei un buon padrone».<br />

«E perché essi sono dei buoni servi».<br />

«<strong>Il</strong> buon padrone fa i buoni servi».<br />

«Allora certo io diventerò un buon servo, perché ho Te per perfetto Padrone», e se ne va sorridendo,<br />

agile, così diverso dal povero Lazzaro che era da anni.<br />

6 Maria resta con Gesù.<br />

«E tu, Maria, diventerai una buona serva del tuo Signore?».<br />

«Tu lo puoi sapere, Rabboni. <strong>Io</strong>... io so soltanto di essere stata una grande peccatrice».<br />

Gesù sorride: «Hai visto Lazzaro? Egli pure era un grande malato, eppure non ti sembra che ora sia<br />

ben sano?».<br />

«Così è, Rabboni. Tu lo hai guarito. Ciò che Tu fai è sempre totale. Lazzaro non è mai stato così<br />

forte e allegro come da quando è uscito dal sepolcro».


«Tu lo hai detto, Maria. Ciò che <strong>Io</strong> faccio è sempre totale. Perciò anche la tua redenzione è totale<br />

perché <strong>Io</strong> l’ho compiuta».<br />

«È vero, mio amato Salvatore, Redentore, Re, <strong>Dio</strong>. È vero. E se Tu lo vorrai, sarò io pure una buona<br />

serva del mio Signore. <strong>Io</strong> per la mia parte lo voglio, Signore. Non so se Tu lo vuoi».<br />

«Lo voglio, Maria. Una mia buona serva. Oggi più di ieri. Domani più di oggi. Sino a che <strong>Io</strong> ti dirò:<br />

“Basta, Maria. È l’ora del tuo riposo”».<br />

«È detto, Signore. <strong>Io</strong> vorrei che Tu mi chiamassi, allora. Come hai chiamato mio fratello fuor dal<br />

sepolcro. Oh! chiamami Tu fuori dalla vita!».<br />

«No, fuori dalla vita no. Ti chiamerò alla Vita, alla vera Vita. Ti chiamerò fuori dal sepolcro che è la<br />

carne e la terra. Ti chiamerò alle nozze della tua anima col tuo Signore».<br />

«Le mie nozze! Tu ami i vergini, Signore...».<br />

«<strong>Io</strong> amo quelli che mi amano, Maria».<br />

«Tu sei divinamente buono, Rabboni! Per questo non sapevo darmi pace di sentirti dire cattivo<br />

perché non venivi. Era come se tutto crollasse. Che fatica dire a me stessa: “No. No! Non devi<br />

accettare questa evidenza. Questa che ti pare evidenza è un sogno. La realtà è la potenza, la bontà,<br />

la divinità del tuo Signore”. Ah! quanto ho sofferto! Tanto il dolore per la morte di Lazzaro e per le<br />

sue parole... Te ne ha detto nulla? Non ricorda? Dimmi il vero...».<br />

«Non mento mai, Maria. Egli teme di aver parlato e di aver detto ciò che era stato il dolore della sua<br />

vita. Ma <strong>Io</strong> l’ho rassicurato, senza mentire, ed egli ora è tranquillo».<br />

«Grazie, Signore. Quelle parole... mi hanno fatto bene. Sì. Come fa bene la cura di un medico che<br />

mette a nudo le radici di un male e le brucia. Esse hanno finito di distruggere la vecchia Maria.<br />

Avevo ancora un troppo alto concetto di me. Ora... misuro il fondo della mia abbiezione e so che<br />

devo fare molta strada per risalirlo. Ma la farò, se Tu mi aiuti».<br />

«Ti aiuterò, Maria. 7 Anche quando me ne sarò andato, ti aiuterò».<br />

«Come, mio Signore?».<br />

«Aumentando il tuo amore a misura incalcolabile. Per te non c’è altra via che questa».<br />

«Troppo dolce per quello che ho da espiare! Tutti si salvano con l’amore. Tutti acquistano il Cielo.<br />

Ma ciò che è sufficiente per i puri, i giusti, non è sufficiente per la grande colpevole».<br />

«Non c’è altra via per te, Maria. Perché, quale che sia la via che prenderai, essa sarà sempre amore.<br />

Amore se benefichi in mio Nome. Amore se evangelizzi. Amore se ti isoli. Amore se ti martirizzi.<br />

Amore se ti farai martirizzare. Tu non sai che amare, Maria. È la tua natura. Le fiamme non possono<br />

che ardere. Sia che striscino al suolo bruciando dello strame, sia che salgano come un abbraccio di<br />

splendori intorno ad un tronco, ad una casa, o ad un altare per lanciarsi al cielo. A ognuno la sua<br />

natura. La sapienza dei maestri di spirito sta nel saper sfruttare le tendenze dell’uomo indirizzandole<br />

alla via per la quale possono svilupparsi in bene. Anche nelle piante e negli animali è questa legge, e<br />

sarebbe stolto voler pretendere che una pianta da frutto desse soltanto fiori, o desse frutti diversi da<br />

ciò che la sua natura comporta, o un animale compisse funzioni che sono proprie di un’altra specie.<br />

Potresti tu pretendere che quell’ape destinata a fare del miele divenisse uccellino che canta fra le<br />

fronde delle siepi? O che questo rametto di mandorlo che ho fra le mani, insieme a tutto il mandorlo<br />

dal quale l’ho colto, in luogo di mandorle colasse dalla scorza resine odorifere? L’ape lavora,<br />

l’uccello canta, il mandorlo dà frutto, la pianta da resine dà aromi. E tutti servono per il loro ufficio.<br />

Così le anime. Tu hai l’ufficio di amare».<br />

«Allora ardimi, Signore. Te lo chiedo in grazia».<br />

«Non ti basta la forza d’amore che possiedi?».<br />

«È troppo poca, Signore. Poteva servire per amare degli uomini. Non per Te che sei il Signore<br />

infinito».<br />

«Ma, appunto perché sono tale, sarebbe allora necessario un amore senza limiti...».<br />

«Sì, mio Signore. Questo voglio. Che Tu metta in me un amore senza limiti».<br />

«Maria, l’Altissimo, che sa cosa è l’amore, ha detto all’uomo: “Mi amerai con tutte le tue forze”.<br />

Non esige di più. Perché sa che è già martirio amare con tutte le forze...».<br />

«Non importa, mio Signore. Dammi un amore infinito per amarti come vai amato, per amarti come<br />

non ho amato nessuno».


«Mi chiedi una sofferenza simile ad un rogo che brucia e consuma, Maria. Brucia e consuma<br />

lentamente... Pensaci».<br />

«È tanto che lo penso, mio Signore. Ma non osavo chiedertelo. Ora so quanto mi ami. Proprio ora lo<br />

so in che misura mi ami, e oso chiedertelo. Dammi questo amore infinito, Signore».<br />

Gesù la guarda. Ella gli è davanti, ancora smagrita dalle veglie e dal dolore, dimessa e semplice<br />

nella veste e nell’acconciatura dei capelli, come una fanciulla senza malizie, col viso pallido che si<br />

accende dal desiderio, gli occhi supplici eppure già brillanti di amore, già più serafino che donna. È<br />

veramente la contemplatrice che chiede il martirio della contemplazione assoluta.<br />

Gesù dice una sola parola, dopo averla ben guardata quasi per misurarne la volontà: «Sì».<br />

«Ah! mio Signore! Che grazia morire d’amore per Te!», cade in ginocchio baciando i piedi di Gesù.<br />

«Alzati, Maria. Tieni questi fiori. Saranno quelli delle tue nozze spirituali. Sii dolce come il frutto<br />

del mandorlo, pura come il suo fiore e luminosa come l’olio, che da questi frutti si estrae, quando<br />

viene acceso, e profumata come quest’olio quando, saturo di essenze, lo si sparge nei conviti o sulle<br />

teste dei re, profumata dalle tue virtù. Allora veramente tu spargerai sul tuo Signore il balsamo che<br />

Egli gradirà infinitamente».<br />

Maria prende i fiori, ma non si alza da terra, e anticipa i balsami dell’amore coi suoi baci e le sue<br />

lacrime sparse sui piedi del suo Maestro.<br />

8 Li raggiunge Lazzaro: «Maestro, c’è un fanciullino che ti vuole. Era andato nella casa di Simone a<br />

cercarti e ha trovato là soltanto Giovanni, che lo ha condotto qui. Ma non vuole parlare altro che<br />

con Te».<br />

«Va bene. Accompagnamelo. <strong>Io</strong> andrò sotto la pergola dei gelsomini».<br />

Maria rientra in casa con Lazzaro. Gesù va sotto la pergola. Torna Lazzaro avente per mano quel<br />

bambino che ho visto* in casa di Giuseppe di Sefori. Gesù lo riconosce subito e lo saluta: «Tu,<br />

Marziale? La pace sia con te. Come qui?».<br />

«Mi mandano a dirti una cosa...», e guarda Lazzaro che capisce e fa per andar via.<br />

«Resta, Lazzaro. Questo è Lazzaro, amico mio. Puoi parlare davanti a lui, fanciullo, perché <strong>Io</strong> non<br />

ho altro amico più fedele di lui».<br />

<strong>Il</strong> fanciullo si rassicura. Dice: «Mi manda Giuseppe l’Anziano, perché ora io sto con lui, a dirti di<br />

andare subito, subito a Betfage presso la casa di Cleante. Ti deve parlare subito. Ma proprio subito.<br />

E ha detto di venire da solo. Perché ti deve parlare con gran segreto».<br />

«Maestro! Che avviene?», chiede Lazzaro impressionato.<br />

«Non so, Lazzaro. Non ci resta che andare. Vieni con Me».<br />

«Subito, Signore. Possiamo andare col fanciullo».<br />

«No, signore. <strong>Io</strong> vado via da solo. Giuseppe me lo ha raccomandato. Ha detto: “Se sai fare da solo e<br />

bene, ti amerò come un padre”, e io voglio essere amato come figlio da Giuseppe. <strong>Io</strong> vado via<br />

subito, e corro. Tu vieni dopo. Salve, Signore. Salve, uomo».<br />

«La pace a te, Marziale».<br />

<strong>Il</strong> bimbo frulla via come una rondine.<br />

«Andiamo, Lazzaro. Portami il mantello. <strong>Io</strong> vado avanti perché, come vedi, il fanciullino non riesce<br />

ad aprire il cancello e certo non vuol chiamare nessuno».<br />

Gesù va svelto al cancello, Lazzaro svelto in casa. <strong>Il</strong> primo apre le ferree chiusure al fanciullino, che<br />

va via veloce. <strong>Il</strong> secondo porta il mantello a Gesù e, al fianco di Gesù, cammina sulla via verso<br />

Betfage.<br />

9 «Che mai vorrà Giuseppe? Per mandare con tanto segreto un fanciullo...».<br />

«Un fanciullo sfugge a chi può sorvegliare», risponde Gesù.<br />

«Tu credi che... Sospetti che... Ti senti in pericolo, Signore?».<br />

«Ne sono certo, amico».<br />

«Come? Anche ora? Ma prova più grande non potevi averla data!...».<br />

«L’odio cresce sotto il pungolo delle realtà» .<br />

«Oh! Per mia causa, allora! <strong>Io</strong> ti ho nuociuto!... La mia pena è senza pari!», dice Lazzaro veramente<br />

addolorato.<br />

«Non per causa tua. Non darti pene senza motivo. Tu sei stato il mezzo, ma la causa è stata la


necessità, comprendi, la necessità di dare al mondo la prova della<br />

_____________________<br />

* ho visto, in 508.4/5.<br />

mia natura divina. Se non eri tu, un altro sarebbe stato, perché <strong>Io</strong> dovevo provare al mondo che, da<br />

<strong>Dio</strong> quale sono, posso tutto ciò che voglio. E rendere in vita uno morto da giorni e già corrotto non<br />

può essere opera che di <strong>Dio</strong>».<br />

«Ah! Tu mi vuoi consolare. Ma per me la gioia, tutta la mia gioia è dileguata... <strong>Io</strong> soffro, Signore».<br />

Gesù fa un gesto come dire: «Mah!», e tacciono poi entrambi.<br />

Vanno lesti. La distanza è breve fra Betania e Betfage, e presto vi giungono.<br />

10 Giuseppe passeggia avanti e indietro per la via all’inizio del paese. Ha le spalle voltate quando<br />

Gesù e Lazzaro sbucano da un viottolo nascosto da una siepe. Lazzaro lo chiama.<br />

«Oh! La pace a voi. Vieni, Maestro. Ti ho atteso qui per vederti subito, ma andiamo nell’uliveto.<br />

Non voglio che ci vedano...».<br />

Li conduce dietro le case in un folto d’ulivi, che con le loro fronde folte e scapigliate che velano le<br />

pendici è un comodo rifugio per parlare senza essere notati.<br />

«Maestro. Ho mandato il fanciullo, che è sveglio e ubbidiente e mi ama molto, perché dovevo<br />

parlarti e non dovevo essere visto. Ho fatto il Cedron per venire qui... Maestro, Tu devi andartene,<br />

subito, di qui. <strong>Il</strong> Sinedrio ha decretato la tua cattura e domani nelle sinagoghe sarà letto il bando.<br />

Chiunque sa dove Tu sei, ha il dovere di denunciarlo. Non occorre che ti dica, o Lazzaro, che la tua<br />

casa sarà la prima ad essere sorvegliata. <strong>Io</strong> sono uscito a sesta dal Tempio e ho subito fatto; perché,<br />

mentre essi parlavano, avevo già fatto il mio piano. Sono andato a casa, ho preso il fanciullo. Sono<br />

uscito a cavallo dalla porta di Erode come per lasciare la città. Poi ho traversato il Cedron e l’ho<br />

seguito. Ho lasciato l’asino al Getsemani, ho mandato di corsa il fanciullo, che già sapeva la via per<br />

essere venuto con me a Betania. Va’ via subito, Maestro. In luogo sicuro. Sai dove andare? Hai dove<br />

andare?».<br />

«Ma non basta che si allontani di qui? Dalla Giudea al massimo?».<br />

«Non basta, Lazzaro. Essi sono furenti. Bisogna che vada dove essi non vanno...».<br />

«Ma vanno da per tutto, loro! Non vorrai già che il Maestro lasci la Palestina!...», dice Lazzaro<br />

agitato.<br />

«Mah! Che ti devo dire?! <strong>Il</strong> Sinedrio lo vuole...».<br />

«Per causa mia, non è vero? Dillo!».<br />

«Uhm! Sssì! Per causa tua... ossia per causa che tutti si convertono a Lui, e loro... non vogliono<br />

questo».<br />

«Ma è un delitto! È un sacrilegio... È...».<br />

Gesù, pallido ma calmo, alza la mano imponendo silenzio e dice: «Taci, Lazzaro. Ognuno fa il suo<br />

lavoro. Tutto è scritto. <strong>Io</strong> ti ringrazio, Giuseppe, e ti assicuro che me ne vado. Va’, va’, Giuseppe.<br />

Che non notino la tua assenza... <strong>Dio</strong> ti benedica. Da Lazzaro ti farò sapere dove sono. Va’. Benedico<br />

te, Nicodemo e tutti i giusti di cuore».<br />

Lo bacia e si separano, tornando Gesù con Lazzaro, per l’uliveto, verso Betania, mentre Giuseppe<br />

va verso la città.<br />

11 «Che farai, Maestro?», chiede angosciato Lazzaro.<br />

«Non so. A giorni vengono le discepole con mia Madre. Avrei voluto attenderle...».<br />

«Per questo... io le accoglierei in tuo nome e te le potrei condurre. Ma Tu intanto dove vai? In casa<br />

di Salomon non mi pare... E neppure in case di discepoli noti. Domani!... Devi andare via subito! ».<br />

«<strong>Io</strong> avrei il posto. Ma vorrei attendere mia Madre. La sua angoscia avrebbe inizio troppo presto se<br />

non mi trovasse...».<br />

«Dove andresti, Maestro?».<br />

«A Efraim».<br />

«In Samaria?».<br />

«In Samaria. I samaritani sono meno samaritani di molti altri e mi amano. Efraim è di confine...».<br />

«Oh! e per fare dispetto ai giudei ti faranno onore e difesa. Ma... attendi! Tua Madre non può che<br />

venire per la via di Samaria o per quella del Giordano. Andrò io coi servi da una e Massimino con


altri servi dall’altra, e l’uno o l’altro la troverà. Non torneremo che con loro. Tu sai che nessuno<br />

della casa di Lazzaro può tradire. Tu andrai intanto a Efraim. Subito. Ah! era destino che non<br />

potessi godere di Te! Ma verrò. Per i monti di Adomin. Sono sano ora. Posso fare ciò che voglio.<br />

Anzi! Sì. Farò credere che per la via di Samaria vado a Tolemaide per prendere naviglio per<br />

Antiochia. Tutti sanno che là ho terre... Le sorelle resteranno a Betania... Tu... Sì. Ora farò preparare<br />

due carri e andrete a Gerico con essi. Poi, all’alba di domani, riprenderete a piedi il cammino. Oh!<br />

Maestro! Mio Maestro! Salvati! Salvati!». Dopo l’eccitazione del primo momento, Lazzaro cade in<br />

tristezza e piange.<br />

Gesù sospira, ma non dice nulla. Che deve dire?...<br />

12 Eccoli alla casa di Simone. Si separano. Gesù entra nella casa. Gli apostoli, già stupiti che il<br />

Maestro sia andato senza dir nulla, si stringono a Lui che dice: «Prendete le vesti. Fate le sacche.<br />

Dobbiamo subito partire di qui. Fate presto. E raggiungetemi in casa di Lazzaro».<br />

«Anche le vesti bagnate? Non possiamo riprenderle tornando?», chiede Tommaso.<br />

«Non torneremo. Prendete tutto».<br />

Gli apostoli se ne vanno parlandosi con gli sguardi.<br />

Gesù va a prendere le sue cose nella casa di Lazzaro e saluta le sorelle costernate...<br />

I carri sono presto pronti. Carri pesanti, coperti, tirati da robusti cavalli. Gesù si accomiata da<br />

Lazzaro, da Massimino, dai servi che sono accorsi. Montano sui carri che attendono ad una uscita<br />

posteriore. I conducenti frustano le bestie, e il viaggio ha inizio per la stessa via per la quale Gesù è<br />

venuto a risuscitare Lazzaro solo pochi giorni avanti.


101. Gli apostoli informati, dopo una sosta da Niche, del bando emesso dal<br />

Sinedrio. L’arrivo ai confini della Giudea.<br />

2 gennaio 1947.<br />

1Nella fresca e limpida prima aurora, i campi intorno alla casa di Niche sono tutti un<br />

verdeggiare di grani novelli, alti pochi centimetri, delicati nel colore come un chiarissimo smeraldo.<br />

Più vicino alla casa, il frutteto, ancora spoglio, pare ancor più scuro e massiccio in confronto alla<br />

delicatezza degli steli e all’aereo cielo di una serenità paradisiaca. La casa bianca sotto al primo sole<br />

si incorona del volo dei colombi.<br />

Niche è già alzata e, solerte, provvede a che i partenti abbiano quanto può confortarli nel cammino.<br />

Licenzia per primi i due servi di Lazzaro, che ha trattenuto per quella notte e che, rifocillati, se ne<br />

vanno mettendo i loro cavalli al trotto. Poi rientra nella cucina, dove le serve preparano latte e<br />

vivande e dei grandi fuochi. E versa da una grande olla dell’olio in due olle più piccole, e del vino<br />

in piccoli otri di pelle. Sollecita una servente, che prepara forme di pane basse come focacce, perché<br />

le porti subito al forno già pronto. Sceglie da larghe tavole, sulle quali si essiccano i formaggi nel<br />

caldo della cucina, le forme più belle. Prende del miele e lo fa scendere in piccoli recipienti dal<br />

tappo sicuro. Poi forma degli involti con tutte queste cibarie, e uno è di un intero caprettino o<br />

agnellino, che la servente sfila dallo spiedo su cui si arrosolava. Un altro è di mele rosse come<br />

coralli. Un altro di ulive già pronte all’uso. Un terzo di uva seccata. Uno di orzo mondo.<br />

2Sta chiudendo questo nel sacchetto quando entra in cucina Gesù e saluta tutte le presenti.<br />

«Maestro, la pace a Te. Già alzato?».<br />

«Avrei dovuto esserlo prima. Ma erano così stanchi i miei discepoli che li ho lasciati dormire<br />

ancora. Che fai, Niche?».<br />

«Preparo... Non peseranno, vedi? Dodici carichi. E ho calcolato le forze dei portatori».<br />

«E <strong>Io</strong>?».<br />

«Oh! Maestro! Tu hai già il tuo peso...», e negli occhi di Niche si forma un bagliore di pianto.<br />

«Vieni fuori, Niche. Parleremo con pace».<br />

Escono a si allontanano dalla casa.<br />

«<strong>Il</strong> mio cuore piange, Maestro...».<br />

«Lo so. Ma bisogna essere forti. Forti, pensando che non mi si è dato dolore...».<br />

«Oh! questo mai! Ma io mi ero creduta poterti stare vicino, e per questo ero venuta a Gerusalemme.<br />

Altrimenti sarei stata qui, dove ho le campagne...».<br />

«Anche Lazzaro, Maria e Marta credevano di potere stare con Me. E tu lo vedi!...».<br />

«Lo vedo, sì, lo vedo. A Gerusalemme io non torno più, ora che Tu non ci sei. Sarò sempre più<br />

vicina a Te stando qui, e potrò aiutarti».<br />

«Hai già dato tanto...».<br />

«Nulla ho dato. Vorrei poterti portare, dove vai, la mia casa. Ma verrò, certo che verrò a vedere di<br />

che manchi. Ora giusto è ciò che mi hai detto di fare. Starò qui sinché si sono persuasi che Tu qui<br />

non sei. Ma poi...».<br />

«È via lunga e penosa per una donna, e insicura».<br />

«Oh! Non ho paura. Sono troppo vecchia per piacere come donna e non porto tesori per essere<br />

desiderata come preda. I ladroni sono migliori di molti che si credono santi e che ladri sono e<br />

vogliono rubarti la pace e la libertà...».<br />

«Non li odiare, Niche».<br />

«Questo è più faticoso per me di ogni altra cosa. Ma cercherò di non odiare per tuo amore... Ho<br />

pianto tutta la notte, Signore!».<br />

«Ti sentivo andare e venire per la casa, instancabile come un’ape. E mi parevi una mamma in pena<br />

per il figlio perseguitato... Non piangere. Piangere devono i colpevoli. Non tu. <strong>Dio</strong> è buono col suo<br />

Messia. Nelle ore più tristi mi fa sempre trovare vicino un cuore materno...».<br />

«E come farai con tua Madre? Mi avevi detto che presto sarebbe venuta...».<br />

«Verrà ad Efraim... Lazzaro pensa ad avvertirla. 3Ecco Simone di Giona e i miei fratelli...».<br />

«Sanno?».


«Nulla ancora, Niche. Lo dirò quando saremo lontani...».<br />

«E io dirò a Te, venendo, ciò che avviene qui e in Gerusalemme».<br />

Si riuniscono agli apostoli, che escono uno dopo l’altro dalla casa alla ricerca di Gesù.<br />

«Venite, fratelli. Rifocillatevi avanti di partire. È pronto tutto».<br />

«Niche per noi non ha dormito questa notte. Ringraziate la buona discepola», dice Gesù entrando<br />

nella vasta cucina dove su una tavola da refettorio, tanto è grande, fumano ciotole colme di latte e<br />

emanano fragranza le focacce appena sfornate, sulle quali Niche spalma burro e miele con<br />

generosità, dicendo che sono cibi fortificanti per chi deve fare lungo cammino in quelle ore ancor<br />

molto fresche.<br />

Presto il pasto è finito. Niche ha intanto fatto gli ultimi involti col pane sfornato, che crocchia e<br />

odora. Ogni apostolo prende il suo carico, legato in modo da essere portato senza soverchia noia.<br />

È l’ora di andare. Gesù saluta e benedice. Gli apostoli salutano. Ma Niche li vuole ancora<br />

accompagnare sino ai limiti dei suoi campi e poi torna lentamente indietro piangendo nel suo velo,<br />

mentre Gesù coi suoi si allontana per una strada secondaria che Niche gli ha indicato.<br />

4 Le campagne sono ancora deserte. La viottola passa per campi di grano novello e per vigneti<br />

spogli. Perciò mancano anche i pastori, perché essi non portano i greggi nei terreni coltivati. <strong>Il</strong> sole<br />

scalda un poco l’aria mattutina. I primi fioretti sulle prode brillano come gemme sotto il velo della<br />

rugiada che il sole accende. Gli uccelli cinguettano i primi canti d’amore. Viene la bella stagione.<br />

Tutto si abbella e rinasce, tutto ama... E Gesù va nell’esilio che precede la morte voluta dall’odio.<br />

Gli apostoli non parlano. Sono pensierosi. La subita partenza li ha disorientati. Erano così sicuri di<br />

essere a posto, ormai! Procedono più curvi di quello che il peso relativo delle loro sacche e delle<br />

provviste di Niche abbiano potere di farli curvare. Li curva la delusione, la constatazione di ciò che<br />

è il mondo e gli uomini.<br />

Gesù invece, sebbene non sia sorridente, non è né triste né accasciato. Va a testa alta, davanti a tutti,<br />

senza spavalderia, ma anche senza timore. Va come chi sa bene dove deve andare e cosa deve fare.<br />

Va da forte, da eroe che nulla scuote e sgomenta.<br />

La strada secondaria finisce nella via maestra. Gesù procede per la via maestra sempre in direzione<br />

di settentrione. E gli apostoli dietro, senza parlare. Questa essendo la strada che viene dalla Galilea,<br />

per la Decapoli e la Samaria, verso la Giudea, vi sono dei viandanti su essa. Più che altro, carovane<br />

di mercanti.<br />

L’ora passa e il sole ristora sempre di più, quando Gesù lascia la strada maestra per riprendere<br />

un’altra viottola che, per campi di grano, si dirige verso le prime colline.<br />

Gli apostoli si guardano fra di loro. Forse cominciano a capire che non vanno verso la Galilea per la<br />

via nella valle del Giordano, ma vanno verso la Samaria. Ma non parlano ancora.<br />

Gesù, giunto ai primi boschi sui colli, dice: «Sostiamo e riposiamo mangiando. <strong>Il</strong> sole segna la metà<br />

del giorno».<br />

Sono presso un torrentello che ha poche acque, perché da tempo non piove. Ma quelle che ha sono<br />

limpide sul greto sassoso, e le sue rive sono sparse di pietroni che possono fare da tavola e da<br />

sedile. Si siedono, dopo che Gesù ha benedetto e offerto il cibo, e mangiano in silenzio e come<br />

soprappensiero.<br />

5 Gesù li scuote dicendo: «Non mi chiedete dove andiamo? La preoccupazione del domani vi fa<br />

muta la lingua, o non vi sembro più il vostro Maestro?».<br />

I dodici alzano il capo. Sono dodici volti afflitti, o almeno sbalorditi, che si volgono verso il volto<br />

tranquillo di Gesù, ed è un unico «Oh!» che esce dalle dodici bocche. E all’esclamazione di tutti fa<br />

seguito la risposta di Pietro, che parla per tutti: «Maestro, Tu lo sai che Tu sei per noi sempre<br />

quello. Ma è che da ieri siamo come coloro che hanno ricevuto un grosso colpo sulla testa. E tutto ci<br />

sembra che sia un sogno. E Tu, lo vediamo e sappiamo che sei Tu, ma Tu ci sembri... già come<br />

lontano. Un poco ci è rimasta questa sensazione da quando hai parlato col Padre tuo prima di<br />

chiamare Lazzaro, e da quando Tu lo hai tratto di là, così legato, col solo mezzo del tuo volere, e<br />

l’hai fatto vivo con la sola forza del tuo potere. Quasi ci fai paura. Parlo per me... ma credo che sia<br />

così per tutti... Ora poi... Noi... Questa partenza... così pronta e così misteriosa!».<br />

«Avete doppia paura? Sentite più incombente il pericolo? Non avete, sentite di non avere forza di


affrontare e superare le ultime prove? Ditelo con la massima libertà. Siamo ancora in Giudea.<br />

Siamo prossimi alle strade basse per la Galilea. Ognuno può andare, se vuole, e andare in tempo per<br />

non essere in odio al Sinedrio...».<br />

Gli apostoli si agitano a queste parole. Chi, da quasi sdraiato sull’erba tiepida di sole, si siede. Chi<br />

da seduto sorge in piedi.<br />

Gesù prosegue: «Perché da oggi <strong>Io</strong> sono il Perseguitato legale. Sappiatelo. A quest’ora sta per essere<br />

letto nelle cinquecento e più sinagoghe di Gerusalemme, e in quelle delle città che hanno potuto<br />

ricevere il bando emesso ieri a sesta, che <strong>Io</strong> sono il Grande Peccatore, e chiunque sa dove <strong>Io</strong> sono<br />

ha il dovere di denunciarmi al Sinedrio perché esso mi catturi...».<br />

Gli apostoli gridano come già lo vedessero preso. Giovanni gli si attacca al collo, gemendo: «Ah!<br />

L’ho sempre previsto!», e singhiozza forte. Chi impreca al Sinedrio, chi invoca la giustizia divina,<br />

chi piange, chi è come una statua.<br />

«Tacete. 6 Ascoltate. <strong>Io</strong> non vi ho mai ingannati. Vi ho sempre detto la verità. Se ho potuto, vi ho<br />

difeso e tutelato. La vostra vicinanza mi è stata amabile come quella di figli. Non vi ho neppure<br />

nascosto la mia ultima ora... i miei pericoli... la mia passione. Ma quelle erano cose mie,<br />

esclusivamente mie. Ora sono i vostri pericoli, la vostra sicurezza, quella delle vostre famiglie che<br />

sono da considerarsi. Vi prego di farlo. Con libertà assoluta. Non considerateli attraverso l’amore<br />

che avete per Me, attraverso alla vostra elezione fatta da Me. Fate conto, poiché <strong>Io</strong> vi sciolgo da<br />

ogni obbligo verso <strong>Dio</strong> e il suo Cristo, fate conto di esserci incontrati qui, ora, per la prima volta, e<br />

che voi, dopo avermi ascoltato, vi misuriate se vi convenga o meno seguire lo Sconosciuto le cui<br />

parole vi hanno commossi. Fate conto di sentirmi e vedermi per la prima volta e che <strong>Io</strong> vi dica:<br />

“Badate che <strong>Io</strong> sono perseguitato e odiato, e che chi mi ama e segue è perseguitato e odiato come<br />

Me, nella persona, negli interessi, negli affetti. Badate che la persecuzione può finire anche nella<br />

morte e nella confisca dei beni di famiglia”. Pensate, decidete. E <strong>Io</strong> vi amerò ugualmente, anche se<br />

mi direte: “Maestro, io non posso più venire con Te”. Vi rattristate? No. Non dovete. Siamo buoni<br />

amici, che decidono con pace e con amore il da farsi, con compatimento reciproco. <strong>Io</strong> non posso<br />

lasciarvi andare incontro al futuro senza farvi riflettere. Non ho disistima di voi. Vi amo tutti. Ma <strong>Io</strong><br />

sono il Maestro. <strong>Il</strong> Maestro è ovvio che conosca i discepoli. <strong>Io</strong> sono il Pastore, e il Pastore è ovvio<br />

che conosca i suoi agnelli. <strong>Io</strong> so che i miei discepoli, portati ad una prova senza esserne preparati<br />

sufficientemente, non soltanto nella sapienza che viene dal Maestro, e che perciò è buona e perfetta,<br />

ma anche nella riflessione che deve venire da loro, potrebbero fallire o quanto meno non trionfare<br />

come degli atleti in uno stadio. Misurarsi e misurare è saggia misura, sempre. Nelle piccole e nelle<br />

grandi cose. <strong>Io</strong>, Pastore, devo dire ai miei agnelli: “Ecco, ora <strong>Io</strong> mi inoltro in paese di lupi e di<br />

beccai. Avete voi forza per andare fra essi?”. Potrei anche già dirvi chi non avrà forza di sostenere la<br />

prova, per quanto vi possa rassicurare e assicurare che nessuno di voi cadrà per mano dei carnefici<br />

che sacrificheranno l’Agnello di <strong>Dio</strong>. La mia cattura è di tal valore che basterà ad essi... Pure vi<br />

dico: “Riflettete”. Un tempo vi dicevo: “Non temete quelli che uccidono”. Vi dicevo: “Colui che,<br />

messa la mano all’aratro, si volge a considerare il passato e ciò che può perdere o acquistare, non è<br />

atto alla mia missione”. Ma erano norme per darvi la misura di ciò che era essere i discepoli, e<br />

norme per il futuro che verrà quando <strong>Io</strong> non sarò più il Maestro, ma saranno maestri i miei fedeli.<br />

Erano date a darvi un’anima forte. Ma anche questa fortezza, che è innegabile che abbiate raggiunta<br />

rispetto al nulla che eravate - parlo del vostro spirito - è ancora troppo poca rispetto alla grandezza<br />

della prova. Oh! non pensate in cuor vostro: “<strong>Il</strong> Maestro si fa scandalo di noi!”. Non mi faccio<br />

scandalo. Anzi vi dico che neppure voi dovete, e dovrete, scandalizzarvi della vostra debolezza. In<br />

tutti i tempi avvenire, fra i membri della mia Chiesa, sia agnelli che pastori, vi saranno persone che<br />

saranno inferiori alla grandezza della loro missione. Vi saranno epoche in cui i pastori idoli e i<br />

fedeli idoli saranno più dei veri pastori e dei veri fedeli. Epoche di eclissi dello spirito di fede nel<br />

mondo. Ma l’eclissi non è morte di un astro. È unicamente momentaneo oscuramento più o meno<br />

parziale dell’astro. Dopo, la sua bellezza riappare e sembra più luminosa. Così sarà del mio Ovile.<br />

Vi dico: “Riflettete”. Ve lo dico come Maestro, Pastore e Amico. <strong>Io</strong> vi lascio in piena libertà di<br />

discutere fra voi. Vado là, in quel folto, a pregare. Uno per uno mi verrete a dire il vostro pensiero.<br />

E <strong>Io</strong> benedirò la vostra onestà sincera, quale che sia. E vi amerò per quanto già sin qui mi avete


dato. Addio». Si alza a se ne va.<br />

7 Gli apostoli sono esterrefatti, perplessi, commossi. Sul principio non sanno neppure parlare.<br />

Poi Pietro per il primo dice: «Mi inghiotta l’inferno se io lo voglio lasciare! <strong>Io</strong> sono sicuro di me.<br />

Neanche se mi venissero contro tutti i demoni che sono nella Geenna, col Leviatan in testa, io mi<br />

scosterei da Lui per paura!».<br />

«Ed io neppure. Devo essere inferiore alle mie figlie, io?», dice Filippo.<br />

«<strong>Io</strong> sono sicuro che non gli faranno nulla. <strong>Il</strong> Sinedrio minaccia, ma lo fa per persuadersi di esistere<br />

ancora. Lo sa esso per il primo che nulla è se Roma non vuole. Le sue condanne! È Roma quella<br />

che condanna!», dice l’Iscariota spavaldo.<br />

«Ma per cose religiose è ancora il Sinedrio», osserva Andrea.<br />

«Hai forse paura, fratello? Bada che vigliacchi in famiglia non ce ne sono mai stati», ammonisce<br />

minaccioso Pietro, che si sente in cuore uno spirito molto bellicoso.<br />

«Non ho paura e spero di poterlo dimostrare. Ma dico il mio pensiero a Giuda».<br />

«Hai ragione. Ma lo sbaglio del Sinedrio è di voler usare l’arma politica per non voler dire e non<br />

volersi sentir dire che essi hanno alzato le mani sul Cristo. Lo so di sicuro. Vorrebbero, ossia<br />

avrebbero voluto fare cadere Cristo in peccato per renderlo oggetto di disprezzo alle folle. Ma<br />

ucciderlo! Loro! Eh! no! Hanno paura! Una paura senza confronti umani, perché è paura di anima.<br />

Lo sanno bene, loro, che Egli è il Messia! Lo sanno. Tanto lo sanno che sentono che per loro è<br />

finita, perché viene il tempo nuovo. E lo vogliono abbattere. Ma abbatterlo loro!? No. Perciò<br />

cercano la ragione politica perché sia il Preside, perché sia Roma che lo abbatte. Ma il Cristo non<br />

nuoce a Roma, e Roma non nuocerà a Lui, e il Sinedrio ulula invano».<br />

«Allora tu resti con Lui?».<br />

«Ma certo. Più di tutti!».<br />

«<strong>Io</strong> nulla ho da perdere o da guadagnare restando o andando. Ho solo il dovere di amarlo. E lo<br />

farò», dice lo Zelote.<br />

«<strong>Io</strong> lo riconosco per il Messia e perciò lo seguo», dice Natanaele.<br />

«<strong>Io</strong> pure. Lo credo tale dal momento che Giovanni il Battista me lo ha indicato per tale», dice<br />

Giacomo di Zebedeo.<br />

«Noi siamo i suoi fratelli. Alla fede uniamo l’amore del sangue. Non è vero, Giacomo?», dice il<br />

Taddeo.<br />

«Egli è il mio sole da anni. Ne seguo il corso. Se Egli cadrà nell’abisso scavato dai nemici, io lo<br />

seguirò» , risponde Giacomo d’Alfeo.<br />

«Ed io? Posso dimenticarmi che mi ha redento?», chiede Matteo.<br />

«Mio padre mi maledirebbe sette volte e sette se io lo lasciassi. E, del resto, non fosse che solo per<br />

amor di Maria, io non mi separerò mai da Gesù», dice Tommaso.<br />

8 Giovanni non parla. Sta a capo chino, accasciato. Gli altri prendono il suo atteggiamento per<br />

debolezza e lo interrogano in molti. «E tu? Tu solo te ne vuoi andare?».<br />

Giovanni alza il suo volto, così puro anche negli atteggiamenti e sguardi, e fissando quelli che lo<br />

interrogano coi suoi limpidi occhi azzurri dice: «<strong>Io</strong> pregavo per tutti noi. Perché noi vogliamo fare e<br />

dire e presumiamo di noi, e non ci accorgiamo, facendolo, di mettere in dubbio le parole del<br />

Maestro. Se Egli ci dice impreparati, segno è che lo siamo. Se non siamo in tre anni divenuti<br />

preparati, non lo diventeremo in pochi mesi...».<br />

«Che dici? In pochi mesi? E che sai tu? Sei forse profeta?». Lo investono, quasi rimproverando.<br />

«Nulla io sono».<br />

«E allora? Che sai? Egli te lo ha detto forse? Tu sai sempre i suoi segreti...», dice con invidia Giuda<br />

di Keriot.<br />

«Non mi odiare, amico, se io so capire che il sereno è finito. Quando sarà? Non so. So che sarà. Egli<br />

lo dice. Quante volte lo ha detto! Noi non vogliamo credere. Ma l’odio degli altri è conferma alle<br />

sue parole... E allora io prego. Perché non c’è altro da fare. Pregare <strong>Dio</strong> che ci faccia forti. Non ti<br />

ricordi, o Giuda, quando ci disse* che Egli pregò il Padre per avere forza nelle tentazioni? Ogni<br />

forza viene da <strong>Dio</strong>. <strong>Io</strong> imito il mio Maestro, come è giusto di fare...».<br />

«Ma insomma tu resti?», chiede Pietro.


«E dove vuoi che vada se non resto con Lui che è la mia vita e il mio bene? Ma poiché sono un<br />

povero fanciullo, il più misero di tutti, chiedo tutto a <strong>Dio</strong>, Padre di Gesù e nostro».<br />

«È detto. Tutti restiamo, dunque! 9 Andiamo da Lui. Certo è triste. La nostra fedeltà lo farà<br />

contento», dice Pietro.<br />

_________________________<br />

* ci disse, in 80.10.<br />

Gesù è prostrato in preghiera. Volto a terra, fra l’erbe, certo supplica il Padre suo. Ma si alza al<br />

fruscio dei passi e guarda i suoi dodici. Li guarda con un serietà un po’ mesta.<br />

«Sii contento, Maestro. Nessuno di noi ti abbandona», dice Pietro.<br />

«Avete deciso troppo presto e...».<br />

«Ore o secoli non muteranno il nostro pensiero», dice Pietro.<br />

«Né le minacce il nostro amore», professa l’Iscariota.<br />

Gesù cessa di guardarli in massa e li fissa uno per uno. Un lungo sguardo, sostenuto senza paura da<br />

tutti. <strong>Il</strong> suo sguardo si attarda specialmente sull’Iscariota, che lo guarda più sicuro di tutti. Apre le<br />

braccia con atto di rassegnazione e dice: «Andiamo. Voi, tutti, avete segnato il vostro destino».<br />

Torna al posto di prima, raccoglie la sua sacca. Ordina: «Prendiamo la via che va ad Efraim, quella<br />

che ci hanno insegnata».<br />

«In Samaria?!!». Lo stupore è enorme.<br />

«In Samaria. Ai confini, per lo meno, della stessa. Anche Giovanni andò a quei luoghi per vivere<br />

sino all’ora segnata per la sua predicazione del Cristo».<br />

«Ma non fu salvo per questo!», obbietta Giacomo di Zebedeo.<br />

«Non cerco di salvarmi. Ma di salvare. E salverò nell’ora segnata. Alle pecore più infelici va il<br />

Pastore perseguitato. Perché esse, le derelitte, abbiano la loro parte di sapienza e prepararle al tempo<br />

nuovo».<br />

Va con passo svelto, dopo la sosta che ha servito a riposare e a rispettare il sabato, volendo arrivare<br />

prima che la notte renda impraticabili i sentieri.<br />

10 Quando giungono al torrentello che viene da Efraim e va verso il Giordano, Gesù chiama Pietro e<br />

Natanaele a dà loro una borsa dicendo: «Andate avanti. E cercate di Maria di Giacobbe. Ricordo<br />

che Malachia* me la disse la più povera del luogo, nonostante la sua grande casa, ora che non ha<br />

più in essa figli e figlie. Staremo da lei. Datele buona moneta, perché ci ospiti subito senza fare<br />

discorsi con mille. La casa la sapete. Quella grande, ombreggiata dai quattro melograni, che è quasi<br />

al ponte sul torrente».<br />

«Lo sappiamo, Maestro. Faremo come dici». Se ne vanno solleciti e Gesù li segue con gli altri a<br />

passo lento.<br />

Dalla conca, che il torrente divide in due semiconche, si vede biancheggiare il paese alle estreme<br />

luci del giorno e ai primi candori lunari. Non c’è in giro un’anima quando giungono alla casa già<br />

tutta bianca di luna. Solo il torrente ha voce nel silenzio della sera. Volgendosi indietro e guardando<br />

l’orizzonte, si vede un grande spazio di cielo stellato curvarsi su una grande vastità di terreni, che<br />

divallano verso il piano deserto che scende al Giordano. Una pace profonda regna sulla terra.<br />

__________________________<br />

* Malachia è il nome del capo della sinagoga di Efraim, come vedremo in 552.5 e<br />

successivamente. Potrebbe essere il notabile incontrato in 484.1/2, il quale potrebbe aver parlato di<br />

Maria di Giacobbe a Gesù quando si incamminò con Lui, come è detto in 484.7.<br />

Bussano alla porta. Pietro apre: «Tutto fatto, Signore. La vecchia ha pianto vedendosi dare le<br />

monete. Non aveva un picciolo più. Le ho detto: “Non piangere, donna. Dove è Gesù di Nazaret<br />

non è più dolore”. Mi ha risposto: “Lo so. Ho sofferto per tutta la mia vita e ora ero proprio al limite<br />

del soffrire. Ma il Cielo si è aperto per me sulla mia sera e mi porta la Stella di Giacobbe a darmi<br />

pace”. Ora è di là che prepara le stanze chiuse da tanto tempo. Uhm! C’è molto poco. Ma la donna<br />

pare molto buona. Eccola! 11 Donna! <strong>Il</strong> Rabbi è qui!».


Viene avanti una vecchierella rinsecchita, dai miti occhi pieni di malinconia. Si ferma confusa a<br />

qualche passo da Gesù. È intimidita.<br />

«La pace a te, donna. Non ti darò molto disturbo».<br />

«<strong>Io</strong>... vorrei... vorrei che mi camminassi sul cuore per farti più dolce l’entrata nella mia povera casa.<br />

Entra, Signore, e <strong>Dio</strong> entri con Te». Ha ripreso fiato e ardimento sotto la luce dello sguardo di Gesù.<br />

Entrano tutti. Chiudono la porta. La casa è vasta come un albergo e vuota come un luogo di<br />

abbandono. Soltanto la cucina è allegra per un fuoco che fiammeggia sul focolare al centro della<br />

stanza.<br />

Bartolomeo, che stava alimentando il fuoco, si volge e sorride dicendo: «Conforta la donna,<br />

Maestro. È afflitta perché non ti può onorare».<br />

«Mi basta il tuo cuore, donna. Non ti preoccupare di nulla. Domani provvederemo. Sono un povero<br />

<strong>Io</strong> pure. Portate le provviste. Fra poveri si divide il pane e il sale senza vergogna e con amore<br />

fraterno. Per te è figliale, donna. Perché mi potresti essere madre. Ed <strong>Io</strong> ti onoro per tale...».<br />

La donna lacrima silenziose lacrime di vecchia afflitta, asciugandosi gli occhi, al suo velo, e<br />

mormora: «Avevo tre maschi e sette fanciulle. Un maschio me lo portò via il torrente e uno la<br />

febbre. <strong>Il</strong> terzo mi ha abbandonata. Le fanciulle presero in cinque il male del padre e morirono, la<br />

sesta morì di parto e la settima... Quel che non fece la morte fece il peccato. Nella mia vecchiaia io<br />

non ho onore dai figli e mi fa così... Nel paese sono buoni... Ma alla povera donna. Tu sei buono<br />

alla madre...».<br />

«Ho una madre anche io. E in ogni donna che è madre onoro la mia. Ma non piangere. <strong>Dio</strong> è buono.<br />

Abbi fede, e i figli che restano potranno tornarti ancora. Gli altri sono in pace...».<br />

«<strong>Io</strong> lo penso un castigo, perché sono di questi luoghi...».<br />

«Abbi fede. <strong>Dio</strong> è più giusto degli uomini...».<br />

Tornano gli apostoli che erano andati con Pietro nelle stanze. Portano le cibarie. Scaldano al fuoco<br />

l’agnellino arrostito da Niche. Lo portano in tavola. Gesù offre e benedice e vuole che la vecchietta<br />

stia con loro, non nel suo angolino a mangiare i poveri radicchi della sua cena...<br />

L’esilio ai confini di Giudea ha avuto inizio...<br />

552. Preparativi e accoglienze ad Efraim.<br />

8 gennaio 1947.<br />

1 «Maestro, la pace a Te», dicono Pietro e Giacomo di Zebedeo che tornano in casa carichi di<br />

brocche piene d’acqua.<br />

«La pace a voi. Da dove venite?».<br />

«Dal torrente. Abbiamo preso l’acqua, e ancor ne prenderemo, per le nostre pulizie. Già che<br />

sostiamo... E non è giusto che la vecchia faccia fatiche per noi. È di là che fa una fiammata per<br />

scaldare le acque. Mio fratello è andato nel bosco a prendere legna. Non piove da tempo e arde<br />

come fosse erica», spiega Giacomo di Zebedeo.<br />

«Già. Ma è che, per quanto fosse appena giorno, ci hanno visti e al torrente e nel bosco. E pensare<br />

che ero andato al torrente per non andare alla fonte...», dice Pietro.<br />

«E perché, Simone di Giona?».<br />

«Perché alla fonte c’è sempre gente e potevano riconoscerci e correre qui...».<br />

Mentre parlano, sono entrati nel lungo corridoio che divide la casa i due figli d’Alfeo, Giuda di<br />

Keriot e Tommaso. Perciò anche essi sentono le ultime parole di Pietro e la risposta di Gesù: «Ciò<br />

che non sarebbe avvenuto nelle prime ore di oggi, certo sarebbe avvenuto più tardi, domani al<br />

massimo, perché noi si rimane qui...».<br />

«Qui? Ma... <strong>Io</strong> credevo che si sostasse soltanto...», dicono in diversi.<br />

«Non è una sosta di riposo. È la sosta. Di qui non partiremo che per tornare a Gerusalemme per la<br />

Pasqua».


«Oh! io avevo creduto che Tu, parlando di paese di lupi e di beccai, volessi parlare di questa regione<br />

nella quale volevi passare, come già altre volte facesti, per andare in altri luoghi senza fare le vie<br />

più battute dai giudei e dai farisei...», dice Filippo che è sopraggiunto, e altri dicono: «<strong>Io</strong> pure ho<br />

creduto così».<br />

«Avete compreso male. Non è questo il paese di lupi e di beccai, per quanto sui suoi monti si<br />

annidino i veri lupi. Ma <strong>Io</strong> non parlo dei lupi animali...».<br />

«Oh! questo si era capito!», esclama Giuda di Keriot alquanto ironico. «Per Te che ti chiami<br />

Agnello è da capirsi che sono lupi gli uomini. Non siamo stolti del tutto».<br />

«No. Non siete stolti altro che in quello che non volete capire. Ossia sulla mia natura e missione, e<br />

sul dolore che mi date non lavorando assiduamente a prepararvi al futuro. È per vostro bene che <strong>Io</strong><br />

parlo e vi ammaestro con atti e con parole. Ma voi rigettate ciò che disturba la vostra umanità con<br />

presagi di dolore o con richiesta di sforzi contro il vostro io. 2Ascoltate, prima che ci siano estranei.<br />

Ora <strong>Io</strong> vi dividerò in due gruppi di cinque e andrete sotto la guida del capo di ogni gruppo per le<br />

terre vicine, come nei primi tempi che vi mandavo. Ricordatevi tutto quanto ho detto allora e<br />

mettetelo in pratica. Unica eccezione è che ora passerete annunciando prossimo il giorno del<br />

Signore anche ai samaritani, perché siano pronti quando esso sarà e più facile sia per voi la<br />

conversione di questi all’unico <strong>Dio</strong>. Siate pieni di carità e di prudenza, privi di prevenzioni. Voi<br />

vedete, e più vedrete, che ciò che ci è negato in altri luoghi qui ci è concesso. Perciò siate buoni con<br />

questi che scontano, innocenti, le colpe dei padri. Pietro sarà capo di Giuda d’Alfeo, Tommaso,<br />

Filippo e Matteo. Giacomo d’Alfeo sarà capo di Andrea, Bartolomeo, Simone Zelote e Giacomo di<br />

Zebedeo*. Giuda di Keriot e Giovanni restano con Me. Così da domani. Oggi riposeremo, facendo<br />

ciò che è preparativo ai giorni futuri. <strong>Il</strong> sabato lo passeremo uniti. Fate perciò di essere qui avanti il<br />

sabato, per ripartire poi, trascorso quello. Sarà il giorno dell’amore fra noi, dopo aver amato il<br />

prossimo nel gregge uscito dal paterno ovile. Andate ognuno alle vostre incombenze».<br />

Resta solo e si ritira in una stanza in fondo al corridoio.<br />

La casa risuona di passi e di voci, sebbene tutti siano nelle stanze e non si veda alcuno fuor della<br />

vecchierella, che traversa più volte il corridoio andando alle sue faccende, delle quali certo una è il<br />

pane, perché ha farina sui capelli e le mani coperte di pasta.<br />

3Gesù esce dopo qualche tempo e sale sul terrazzo della casa. Passeggia meditando lassù e guarda<br />

ogni tanto ciò che lo circonda.<br />

Viene raggiunto da Pietro e da Giuda di Keriot, non molto allegri, veramente. Forse a Pietro è pena<br />

separarsi da Gesù.<br />

Forse all’Iscariota è pena non poterlo fare e non poter andare** a mettersi in vista per le città. Certo<br />

è che sono molto seri quando salgono al terrazzo.<br />

«Venite qui. Guardate che bel panorama da qui». E indica l’orizzonte variato nei suoi aspetti. A<br />

nord-ovest monti alti, selvosi, che si allungano come una spina dorsale da nord a sud. Uno, alle<br />

spalle di Efraim, è proprio un gigante verde che domina sugli altri. A nord-est e a sud-est un<br />

ondulare di colli più dolci. <strong>Il</strong> paese è in una conca verde con sfondi lontani, pianeggianti fra le due<br />

catene più alte e più basse, che dal centro della regione scendono alla pianura giordanica. Per uno<br />

spacco fra i monticelli più bassi si intravede questa pianura verde oltre la quale è il Giordano<br />

azzurro. In primavera piena questo deve essere un luogo bellissimo, tutto verde e fertile. Per ora i<br />

vigneti e i frutteti interrompono del loro colore oscuro il verde dei campi a cereali, che gettano i<br />

teneri steli fuor dalle zolle, e dei pascoli nutriti dal suolo ferace.<br />

Se ciò che è oltre Efraim viene detto deserto*** da Giovanni, segno è che ben dolce era il deserto di<br />

Giudea, almeno in questa zona, o per lo meno era deserto unicamente perché privo di paesi, tutto<br />

boschi e pascoli fra lieti torrentelli, ben diverso dalle terre presso il mar Morto, che con giusto nome<br />

possono già essere dette «deserto», perché aride, nude di vegetazione, se si eccettuano i ciuffetti<br />

bassi,<br />

________________________<br />

* Giacomo di Zebedeo, invece di Andrea (nome altrimenti ripetuto), è correzione nostra.<br />

** non poter andare, invece di andare, è correzione di MV su una copia dattiloscritta.


*** viene detto deserto in: Giovanni 11, 54.<br />

spinosi, contorti, sparsi di sale, delle poche piante desertiche nate fra i pietroni sparsi e le arene<br />

cariche di sali. Ma questo dolce deserto, che è oltre Efraim, per ancor lungo spazio si decora di<br />

vigneti e di ulivi e frutteti, e ora i mandorli sorridono al sole, sparsi a ciuffi bianco-rosa qua e là,<br />

sulle chine che presto saranno coperte dei festoni delle viti sbocciate a nuova fronda.<br />

«Sembra quasi di essere nella mia città», dice Giuda.<br />

«Anche a Jutta somiglia. Sol che là il torrente è in basso e la città in alto. Qui invece sembra che il<br />

paese sia in un’ampia conchiglia con al centro il fiume. Paese ricco di viti! Deve essere bello molto,<br />

e molto buono, per chi ne è padrone, avere di queste terre», osserva Pietro.<br />

«“La sua terra sia benedetta dal Signore con i frutti del cielo e colle rugiade, con le sorgenti che<br />

scaturiscono dall’abisso, coi frutti prodotti dal sole e dalla luna, coi frutti delle cime dei suoi monti<br />

antichi, coi frutti dei colli eterni e colle biade della terra nella sua abbondanza” è detto*. E su queste<br />

parole del Pentateuco essi fondano la loro orgogliosa pertinacia nel credersi superiori. Così è. Anche<br />

la parola di <strong>Dio</strong> e i doni di <strong>Dio</strong>, se cadono su cuori presi da superbia, divengono causa di rovina.<br />

Non per essi, ma per la superbia che altera il loro succo buono», dice Gesù.<br />

«Già. Ed essi del giusto Giuseppe hanno tenuto solo la furia del toro e la cervice di rinoceronte.<br />

4 Non amo stare qui. Perché non mi lasci andare con gli altri?», dice l’Iscariota.<br />

«Non ami stare con Me?», chiede Gesù lasciando di osservare il paesaggio e volgendosi ad<br />

osservare Giuda.<br />

«Con Te, sì. Ma non con quelli di Efraim».<br />

«Che bella ragione! E noi, allora, che andremo per la Samaria o per la Decapoli - perché non<br />

potremo andare che in questi luoghi nel tempo prescritto da sabato a sabato - andremo forse fra i<br />

santi?», dice Pietro rimproverando Giuda, che non risponde.<br />

«Che ti importa di chi ti è vicino se sai amare tutto attraverso di Me? Amami nel prossimo, e ogni<br />

luogo ti sarà uguale», dice calmo Gesù.<br />

Giuda non risponde neppure a Lui.<br />

«E pensare che io devo andare... Starei tanto volentieri qui, io! Tanto... per quel che so fare! Fa’<br />

almeno capo Filippo o tuo fratello, Maestro. <strong>Io</strong>... finché c’è da dire: facciamo questo, andiamo in<br />

quel luogo, so ancora. Ma se devo parlare!... Sciuperò tutto».<br />

«L’ubbidienza ti farà fare bene tutto. Ciò che farai mi piacerà».<br />

«Allora... se piace a Te piace a me. Mi basta di farti contento. 5 Ma ecco! L’ho detto! Ecco che viene<br />

mezza città... Guarda! <strong>Il</strong> sinagogo... i notabili... le donne loro... i bambini e il popolo!...».<br />

«Scendiamo loro incontro», ordina Gesù e si affretta giù dalla scala, gettando un richiamo agli altri<br />

apostoli perché escano con Lui fuor della casa.<br />

_________________________<br />

* è detto, in: Deuteronomio 33, 13-16<br />

Gli abitanti di Efraim vengono avanti coi segni della più viva deferenza e, dopo i saluti di rito, uno,<br />

forse il sinagogo, parla per tutti: «Benedetto l’Altissimo per questo giorno, e benedetto il suo<br />

Profeta che è venuto a noi perché ama tutti gli uomini in nome del <strong>Dio</strong> altissimo. Benedetto Te,<br />

Maestro e Signore, che ti sei ricordato del nostro cuore e delle nostre parole, e sei venuto a riposare<br />

fra noi. Noi ti apriamo il cuore e le case chiedendo la tua parola per la nostra salute. Benedetto<br />

questo giorno. Perché per esso vedrà fruttificare il deserto colui che lo sa accogliere con retto<br />

spirito».<br />

«Hai detto bene, Malachia. Chi sa accogliere con retto spirito Colui che è venuto in nome di <strong>Dio</strong><br />

vedrà fruttificare il suo deserto e farsi domestiche le piante robuste ma selvagge che sono in esso. <strong>Io</strong><br />

starò fra voi. E voi verrete a Me. Da buoni amici. E questi porteranno la mia parola a coloro che la<br />

sanno accogliere».<br />

«Non insegnerai Tu, Maestro?», chiede un po’ deluso Malachia.<br />

«Sono venuto qui per raccogliermi e pregare. Per prepararmi alle grandi cose future. Ve ne dispiace


che abbia scelto il vostro luogo per la mia quiete?».<br />

«Oh! no. Vederti pregare sarà già farsi sapienti. Grazie di averci scelti per questo. Noi non<br />

turberemo le tue orazioni e non permetteremo che siano turbate dai tuoi nemici. Perché già si sa ciò<br />

che avvenne ed avviene in Giudea. Faremo buona guardia. E ci accontenteremo di una tua parola<br />

quando ti sarà lieve darla. Accetta intanto i doni dell’ospitalità».<br />

«Sono Gesù e non respingo alcuno. Accetto perciò ciò che mi offrite per mostrarvi che non vi<br />

respingo. Ma se mi volete amare, d’ora in poi date ciò che dareste a Me ai poveri del paese o a<br />

quelli di passaggio. Non abbisogno che di pace e di amore.<br />

«Lo sappiamo. Tutto sappiamo. E confidiamo di darti ciò che ti abbisogna, tanto da farti esclamare:<br />

“La terra che doveva essere per Me Egitto, ossia dolore, mi fu, come per Giuseppe di Giacobbe,<br />

terra di pace e gloria”».<br />

«Se voi mi amerete accettando la mia parola, così <strong>Io</strong> dirò».<br />

I cittadini passano i loro doni agli apostoli e si ritirano, meno Malachia e altri due che parlano<br />

sottovoce a Gesù.<br />

E restano i bambini, presi dal solito fascino che Gesù sprigiona per i bambini; restano, sordi alle<br />

voci delle madri che li chiamano, e non se ne vanno sinché Gesù non li ha accarezzati e benedetti.<br />

Allora, garruli come rondini, frullano via, seguiti dai tre uomini.<br />

217. Inizio del sabato ad Efraim.<br />

I ladroni dell’Adomin e il soccorso a tre bambini.<br />

11 gennaio 1947.<br />

1 I dieci, stanchi e polverosi, rientrano nella casa. Alla donna che li saluta, aprendo loro la porta,<br />

chiedono subito: «Dove è il Maestro?».<br />

«Nel bosco, credo. A pregare come sempre. È uscito molto presto questa mattina e non è più<br />

tornato».<br />

«E nessuno è andato a cercarlo? Ma che fanno quei due?!», grida Pietro agitato.<br />

«Non ti inquietare, uomo. Fra noi è sicuro come in casa di sua Madre».<br />

«Sicuro! Sicuro! Ve lo ricordate il Battista? Fu sicuro?».<br />

«Non lo fu perché non seppe leggere il cuore di chi gli parlava. Ma se l’Altissimo permise questo<br />

per il Battista, certo non lo permetterà per il suo Messia. Tu lo devi credere più ancora di me, che<br />

sono donna e samaritana».<br />

«Maria ha ragione. Ma dove è andato di preciso?».<br />

«Non lo so. Ora va da un lato, ora dall’altro. Talvolta solo, talaltra con i bambini che lo amano<br />

tanto. Insegna loro a pregare vedendo <strong>Dio</strong> in tutte le cose. Ma forse oggi è solo, poiché non è venuto<br />

a sesta. Quando ha con Sé i bambini torna, perché essi sono uccellini che vogliono l’imbeccata alle<br />

ore giuste...», sorride la vecchietta, ricordando forse i suoi dieci figli, e poi sospira... anche, perché<br />

gioie e dolori sono in tutti i ricordi della vita.<br />

«E Giuda e Giovanni dove sono?».<br />

«Alla fonte Giuda. A far legna Giovanni. Le ho finite perché ho lavato le vesti di tutti per darvele<br />

pulite quando partite».<br />

«<strong>Dio</strong> ti compensi, madre. Molto lavoro per noi...», dice Tommaso posandole una mano sulla spalla<br />

magra e curva come per carezzarla.<br />

«Oh!... Non è fatica. È come riavessi i miei figli...», sorride ancora con un luccichio negli occhi


infossati di vecchierella.<br />

2Rientra Giovanni sotto un gran fascio di legna, e pare che il corridoio piuttosto tetro si rischiari con<br />

la sua venuta. Ho sempre notato la luminosità che sembra accendersi dove è Giovanni. <strong>Il</strong> suo sorriso<br />

così dolce, franco, di fanciullo, il suo occhio limpido e ridente come un bel cielo d’aprile, la sua<br />

voce gioconda nel saluto affettuoso ai compagni, sono come un raggio di sole o un arcobaleno di<br />

pace. Tutti lo amano, meno Giuda di Keriot, che non so se lo ami o se lo odi, ma certo lo invidia e<br />

sovente lo prende in giro, talora lo offende. Ma per ora Giuda non c’è.<br />

Lo aiutano a posare il suo carico e gli chiedono dove può essere Gesù. Anche Giovanni si allarma<br />

un poco del ritardo. Ma, più fidente in <strong>Dio</strong> degli altri, dice: «<strong>Il</strong> Padre suo lo preserverà dal male.<br />

Dobbiamo credere nel Signore». E aggiunge: «Ma venite. Siete stanchi e polverosi. Vi abbiamo<br />

tenuti pronti cibi e acque calde. Venite, venite...».<br />

3Rientra anche Giuda di Keriot con le sue brocche gocciolanti. «Pace a voi. Vi è stato facile il<br />

viaggio?», chiede, ma non è bontà nella sua voce. Essa è intrisa di scherno e di malcontento.<br />

«Sì. Abbiamo cominciato dalla Decapoli».<br />

«Per paura di essere presi a sassate, o per quella di contaminarvi?», chiede con ironia l’Iscariota.<br />

«Né l’una né l’altra cosa. Ma per prudenza di principianti. E l’ho proposta io che, non sia per<br />

rimproverarti di nulla, sono incanutito sulle pergamene», dice Bartolomeo.<br />

Giuda non ribatte nulla. Se ne va dalla cucina, dove i ritornati si ristorano con quanto è preparato.<br />

Pietro guarda l’Iscariota che se ne va e scrolla il capo. Ma non parla. <strong>Il</strong> Taddeo invece prende<br />

Giovanni per una manica e chiede: «Come è stato in questi giorni? Sempre così inquieto? Sii<br />

sincero...».<br />

«Sincero sempre, Giuda. Ma ti assicuro che non diede dolore. <strong>Il</strong> Maestro sta quasi sempre isolato. <strong>Io</strong><br />

sto con la vecchia madre che è tanto buona, e ascolto chi viene per parlare al Maestro e poi glielo<br />

dico. Giuda invece va per il paese. Si è fatto delle amicizie... Che volete! Egli è così... Non sa stare<br />

quieto come sapremmo stare noi...».<br />

«Per me faccia ciò che vuole. Mi basta che non dia dolore».<br />

«No. Questo no. Si annoia certo. 4Ma... Ecco il Maestro! Ne sento la voce. Parla con qualcuno...».<br />

Corrono fuori e vedono Gesù che viene avanti, nel crepuscolo che scende, con due bambini in<br />

braccio e uno attaccato alla veste, e li rincuora perché piangono.<br />

«<strong>Dio</strong> ti benedica, Maestro! Ma da dove vieni così tardi?».<br />

Gesù, entrando in casa, risponde: «Dai ladroni vengo. E ho fatto preda <strong>Io</strong> pure. Ho camminato oltre<br />

il tramonto, ma il Padre mio me ne assolverà, perché ho compiuto un atto di misericordia... Prendi,<br />

Giovanni, e tu, Simone... Ho le braccia rotte... e sono proprio stanco». Si siede su uno sgabello<br />

presso il camino. Sorride, stanco ma felice.<br />

«Dai ladroni? Ma dove sei stato? Chi sono questi fanciulli? Ma hai mangiato? Dove eri? Non è<br />

prudente stare fuori così a buio e così lontano!... Eravamo in pensiero. Non eri nel bosco?», parlano<br />

tutti insieme.<br />

«Non ero nel bosco. Sono andato verso Gerico...».<br />

«Imprudente! Su quelle vie puoi trovare chi ti odia!», rimprovera il Taddeo.<br />

«Ho fatto il sentiero che ci hanno insegnato. Erano giorni che volevo andare là... Vi sono infelici da<br />

redimere. A Me nulla potevano farmi di male. E sono andato in tempo per questi fanciulli. Date loro<br />

da mangiare. Credo siano quasi digiuni, perché avevano paura dei ladroni. E <strong>Io</strong> non avevo cibo con<br />

Me. Avessi trovato un pastore almeno!... Ma il prossimo sabato aveva già fatto deserti i pascoli...».<br />

5 «Già! Soltanto noi non rispettiamo il sabato da qualche tempo...», osserva Giuda di Keriot, sempre<br />

tagliente.<br />

«Come parli? Cosa insinui?», gli chiedono.<br />

«Dico che sono due sabati che noi lavoriamo dopo il tramonto».<br />

«Giuda, tu sai perché dovemmo camminare lo scorso sabato. <strong>Il</strong> peccato non è sempre di chi lo<br />

compie, ma anche di chi forza a compierlo. E oggi... Lo so. Tu vuoi dirmi che anche oggi ho violato<br />

il sabato. Ti rispondo che, se grande è la legge del riposo sabatico, grandissimo è il precetto<br />

dell’amore. Non sono tenuto a giustificarmi ai tuoi occhi. Ma lo faccio per insegnarti la<br />

mansuetudine, l’umiltà e la grande verità che davanti ad una necessità santa si deve saper


applicare la legge con agilità di spirito. La nostra storia ha episodi di questa necessità. Sono andato<br />

all’aurora verso i monti Adonim, perché so che là ci sono dei disgraziati che hanno il delitto per<br />

lebbra sull’anima. Speravo incontrarli, parlare a loro, tornare avanti il tramonto. Li ho trovati. Ma<br />

non ho potuto fare loro il discorso prefisso, perché c’erano altre cose da dire... Essi avevano trovato<br />

questi tre fanciullini piangenti sulla soglia di un povero ovile della pianura. Erano scesi di notte per<br />

rubare gli agnelli e anche per uccidere, se il pastore avesse fatto resistenza. La fame è brutta sui<br />

monti nell’inverno... E quando è patita da cuori crudeli, fa gli uomini più feroci dei lupi. Questi<br />

bambini erano dunque là, insieme ad un pastorello di poco più grande di loro e spaurito come loro.<br />

<strong>Il</strong> padre dei fanciulli, non so per qual ragione, era morto nella notte. Forse era stato morso da<br />

qualche animale, o gli aveva fallito il cuore... Era freddo sulla paglia presso le pecore. Se ne accorse<br />

il figlio più grande che gli dormiva a lato. Cosicché i ladroni, in luogo di fare un eccidio, trovarono<br />

un morto e quattro fanciulli piangenti. Lasciarono il morto e spinsero avanti le pecore e il pastorello<br />

e, poiché anche nei più biechi vi può essere una pietà tenace a morire, raccolsero anche i bambini...<br />

<strong>Io</strong> li trovai che si consultavano sul da farsi. I più feroci volevano uccidere il decenne pastorello,<br />

pericoloso testimone del loro furto e del loro rifugio; i meno duri volevano rimandarlo con minacce,<br />

trattenendo il gregge. Tutti volevano, poi, tenersi i fanciullini».<br />

«Per farne che? Ma non hanno famiglia?».<br />

«La madre è morta. Per questo il padre se li era portati seco ai pascoli invernali, e ora risaliva,<br />

attraversando questi monti, alla sua casa deserta. Potevo lasciare i piccoli ai ladroni perché li<br />

facessero simili a loro? Ho parlato... In verità vi dico che mi hanno compreso più di molti altri.<br />

Compreso tanto che mi hanno rilasciato i fanciulli e domani accompagneranno il pastorello sulla via<br />

di Sichem. Perché in quelle campagne stanno i fratelli della madre di costoro. Intanto <strong>Io</strong> ho raccolto<br />

i fanciulli. Li terrò con noi sino all’arrivo dei parenti».<br />

«E Tu ti illudi che i ladroni...», dice l’Iscariota e ride...<br />

«<strong>Io</strong> sono certo che essi non torceranno un capello al piccolo pastore. Sono dei disgraziati. Non<br />

dobbiamo giudicare il perché lo sono. Ma dobbiamo cercare di salvarli. Un atto buono può essere il<br />

principio della loro salvezza...». Gesù china il capo, assorto in chissà che pensiero.<br />

6Gli apostoli e la vecchietta parlano e compassionano fra di loro e si danno da fare per confortare i<br />

fanciullini spauriti...<br />

Gesù alza il capo al pianto del più piccolo, un brunettino di sì e no tre anni, e dice a Giacomo che si<br />

affanna inutilmente a volergli dare del latte: «Da’ a Me il fanciullo e va’ a prendere la mia sacca...»,<br />

e sorride perché il bambino si quieta sulle sue ginocchia e beve il suo latte avidamente per quanto<br />

prima lo respingeva. Gli altri, più grandicelli, mangiano la zuppa che è loro posta davanti, ma<br />

lacrime scendono dai loro occhi.<br />

«Mah! Quante miserie! Ecco! Che noi si soffra è giusto, ma gli innocenti!...», dice Pietro che non<br />

può vedere soffrire i bambini.<br />

«Sei un peccatore, Simone. Tu fai rimproveri a <strong>Dio</strong>», osserva l’Iscariota.<br />

«Sarò un peccatore. Ma non faccio rimprovero a <strong>Dio</strong>. Dico soltanto... Maestro, perché devono<br />

soffrire i bambini? Essi non hanno dei peccati».<br />

«Tutti ne hanno dei peccati, almeno quello originale», dice l’Iscariota.<br />

Pietro non gli risponde. Aspetta la risposta di Gesù.<br />

E Gesù, che ninna il bambino ormai sazio e assonnato, risponde: «Simone, il dolore è la<br />

conseguenza della colpa».<br />

«Va bene. Allora... dopo che Tu avrai levato la colpa, i fanciulli non soffriranno più».<br />

«Soffriranno ancora. Non te ne fare scandalo, Simone. <strong>Il</strong> dolore e la morte saranno sempre sulla<br />

Terra. Anche i più puri soffrono e soffriranno. Anzi, saranno quelli che soffriranno per tutti. Le ostie<br />

propizievoli al Signore».<br />

«Ma perché? Non lo capisco...».<br />

«Molte sono le cose che non sono capite sulla Terra. Sappiate credere almeno che sono cose volute<br />

dall’Amore perfetto. E quando la Grazia restituita agli uomini farà, dei più santi fra gli uomini, i<br />

conoscitori delle verità nascoste, allora si vedrà che proprio i più santi vorranno essere vittime,<br />

perché avranno compreso la potenza del dolore... 7<strong>Il</strong> fanciullino dorme. Maria, lo porti con te?».


«Certamente, Maestro. Fanciullo spaurito, sonno breve e molto pianto, e a uccello senza nido è<br />

necessaria ala materna, noi si dice. È grande il mio letto, ora che è occupato da me sola. <strong>Io</strong> vi<br />

porterò i fanciulli e veglierò su loro. Anche questi stanno per dimenticare nel sonno il loro dolore.<br />

Venite, ché li portiamo al riposo».<br />

Raccoglie il piccolino dal grembo di Gesù e, seguita da Pietro e Filippo, se ne va, mentre torna<br />

Giacomo di Zebedeo con la borsa di Gesù.<br />

Gesù l’apre e vi fruga dentro. Estrae una veste pesante, la spiega, ne considera l’ampiezza. Non è<br />

soddisfatto. Cerca il mantello scuro come la veste. Li ripone da parte e chiude la borsa rendendola a<br />

Giacomo.<br />

Torna Pietro con Filippo. La vecchierella è rimasta coi tre bambini, e Pietro vede subito le vesti<br />

spiegate da una parte. Dice: «Vuoi cambiarti la veste, Maestro? Stanco come sei, un bagno caldo ti<br />

dovrebbe ristorare. Vi è acqua e ti scalderemo le vesti, e poi ceneremo e andremo al riposo. Questa<br />

storia dei poveri bambini mi ha tutto commosso...».<br />

Gesù sorride ma non risponde a tono. Dice soltanto: «Lodiamo il Signore che mi ha condotto in<br />

tempo per salvare gli innocenti». Poi tace, stanco...<br />

Rientra la vecchietta con le vesticciuole dei bambini. «Andrebbero cambiate... Sono rotte e<br />

fangose... Ma non ho più le vesti dei miei figli per sostituirle. Le laverò domani...».<br />

«No, madre. Finito il sabato, tu cucirai tre piccole vesti in queste mie...».<br />

«Ma Signore, sai che hai ormai solo tre vesti? Se ne dài via una, con che resti? Non c’è qui Lazzaro,<br />

come quella volta del mantello alla lebbrosa!», dice Pietro.<br />

«Lascia fare. Due ne restano, e sono già troppe per il Figlio dell’uomo. Prendi, Maria. Domani al<br />

tramonto comincerai il tuo lavoro, e il Perseguitato avrà la gioia di soccorrere il povero di cui<br />

comprende gli affanni».<br />

554. <strong>Il</strong> sabato ad Efraim, su un’isoletta nel torrente.<br />

<strong>Il</strong> peccato originale spiegato in parabola ai tre bambini.<br />

12 gennaio 1947.<br />

1 «Alzatevi e andiamo lungo il torrente. Come gli ebrei fuori della loro patria e in luoghi dove non<br />

sono sinagoghe, celebreremo il sabato fra noi. Venite, fanciulli...», dice Gesù agli apostoli, oziosi<br />

nell’orto della casa, e tende la mano ai tre poveri bambini che stanno in gruppo in un angolo.<br />

Essi accorrono con una timida gioia sul visuccio precocemente pensoso di bambini che hanno visto<br />

cose troppo più grandi di loro, e i due più grandicelli mettono la loro manina in quella di Gesù, ma<br />

il più piccino vuole essere preso fra le braccia, e Gesù lo accontenta dicendo al più grande: «Tu mi<br />

starai al fianco ugualmente, mi terrai la veste come ieri. Ma Isacco è troppo stanco e piccino per<br />

fare da sé...». <strong>Il</strong> grandicello beve il sorriso di Gesù e accetta, contentandosi di camminare vicino a<br />

Gesù come un ometto.<br />

«Da’ a me il fanciullo, Maestro. Tu devi essere ancora stanco di ieri, e Ruben ci soffre a non darti la<br />

mano...», dice Bartolomeo e fa per levargli il fanciullino, che si attacca al collo di Gesù.<br />

«È caparbio come tutta la razza!», esclama l’Iscariota.<br />

«No. È spaurito. Tu non capisci nulla di figli. I piccoli sono così. Quando sono afflitti o spaventati<br />

cercano rifugio nel primo che ha loro sorriso e dato conforto», ribatte Bartolomeo e, non potendo<br />

prendere in braccio il più piccolo, dà la mano al più grande dopo averlo accarezzato sui capelli e<br />

avergli sorriso paterno.<br />

2 Escono dalla casa, nella quale resta soltanto la donna, e vanno, seguendo il torrente oltre il paese.<br />

Sono belle le sue sponde che l’erba nuova ricopre e i fiori del prato costellano. L’acqua è limpida e<br />

chiacchierina fra i sassi e, sebbene sia poca, canta con note d’arpa e fruscia spezzandosi contro i<br />

sassi più grossi sparsi nel greto, o insinuandosi fra le frastagliature di qualche minuscola isola<br />

coperta di canne. Dalle piante presso le rive gli uccelli sfrecciano via con trilli di gioia, oppure si<br />

posano su qualche ramo in pieno sole e cantano le prime canzoni di primavera, o scendono, graziosi


e vivaci, a cercare insetti e vermi nel suolo o a bere presso le rive. Due tortorine selvatiche fanno il<br />

loro bagno in una curva della riva e si sbeccuzzano tubando, poi se ne vanno a volo, tenendo nel<br />

becco un bioccolo di lana lasciato da qualche pecora contro una pianta di biancospino che comincia<br />

a fiorire nella cima.<br />

«Fanno così per fare il nido», dice il bambino più grande. «Hanno certo i tortorini...». China il capo<br />

basso basso e, dopo avere avuto una larva di sorriso alle prime parole, piange senza rumore<br />

asciugandosi gli occhi con la mano.<br />

Bartolomeo lo prende in braccio, comprendendo quale ferita hanno stuzzicato le due tortorelle con<br />

le loro cure. E sospira Bartolomeo, che ha l’animo buono di un buon padre di famiglia. <strong>Il</strong> bambino<br />

gli piange sulla spalla e l’altro, il secondo, vedendo quel pianto, si mette a piangere a sua volta,<br />

imitato dal terzo che chiama il padre con la sua vocina di piccolino che da poco sa parlare.<br />

«Oggi sarà questa la nostra orazione del sabato! Potevi lasciarli in casa! La donna è più adatta di noi<br />

in questi casi e...», osserva l’Iscariota.<br />

«Ma se non fa che piangere essa pure! Come del resto ho gran voglia di farlo io... Perché sono<br />

cose... che fanno piangere...», gli risponde Pietro prendendo in braccio il secondo bambino.<br />

«Sì. Sono cose che fanno piangere. È vero. E Maria di Giacobbe, povera vecchia afflitta, non è<br />

molto capace di consolare...», conferma lo Zelote.<br />

«Anche a noi non sembra che ci riesca molto. 3 L’unico che poteva consolare era il Maestro. E non<br />

lo ha fatto».<br />

«Non lo ha fatto? E che doveva fare di più? Ha persuaso i ladroni, ha fatto miglia coi bambini fra le<br />

braccia, ha provveduto ad avvertire i parenti loro...».<br />

«Tutte cose secondarie. Egli, che è Colui che comanda anche alla morte, poteva, anzi doveva<br />

scendere all’ovile e risuscitare il pastore. Lo ha pur fatto per Lazzaro, che non era utile a nessuno!<br />

Qui un padre, e vedovo per giunta, dei bambini che restano soli... Questa risurrezione era da farsi.<br />

<strong>Io</strong> non ti capisco, Maestro...».<br />

«E noi non si capisce te, così irrispettoso...».<br />

«Pace, pace! Giuda non comprende. Non è solo a non comprendere le ragioni di <strong>Dio</strong> e le<br />

conseguenze del peccato. Tu pure, Simone di Giona, non comprendi perché gli innocenti devono<br />

soffrire. Non vogliate perciò giudicare Giuda di Simone, che non comprende perché l’uomo non è<br />

risuscitato. Se Giuda rifletterà, lui che sempre mi rimprovera di andare solo e lontano, comprenderà<br />

che non potevo andare così lontano... Perché l’ovile era nella pianura di Gerico, ma oltre la città,<br />

verso il guado. Che avreste detto se fossi stato lontano almeno tre giorni?».<br />

«Potevi comandare col tuo spirito al morto di risorgere».<br />

«Sei tu da più dei farisei e scribi, che vollero la prova di un morto già disfatto per poter dire che <strong>Io</strong><br />

risuscito realmente i morti?».<br />

«Ma essi la volevano perché ti odiano. <strong>Io</strong> la vorrei perché ti amo e vorrei vederti schiacciare tutti i<br />

tuoi nemici».<br />

«<strong>Il</strong> tuo vecchio sentimento e il tuo disordinato amore. Non hai saputo sbarbare dal tuo cuore le<br />

piante vecchie per sostituirle con le nuove; a le vecchie, fertilizzate dalla Luce alla quale ti sei<br />

accostato, sono diventate ancor più robuste. <strong>Il</strong> tuo è l’errore di molti, presenti e futuri. Di quelli che,<br />

nonostante gli aiuti di <strong>Dio</strong>, non si trasformano perché non rispondono con eroico volere al soccorso<br />

di <strong>Dio</strong>».<br />

«Forse che costoro, che sono come me tuoi discepoli, hanno distrutto le vecchie piante?».<br />

«Le hanno almeno molto potate e molto innestate. Tu non lo hai fatto. Non hai nemmeno guardato<br />

con attenzione se esse meritavano innesti, potatura, o di essere levate. Sei un giardiniere<br />

improvvido, Giuda».<br />

«Solo per la mia anima, però. Perché per i giardini so fare».<br />

«Sai fare. Per tutte le cose terrestri sai fare. Ti vorrei vedere ugualmente capace per le cose del<br />

Cielo».<br />

«Ma la tua luce dovrebbe fare da sé ogni prodigio in noi! Non è forse buona? Se rende fertile il<br />

male e lo irrobustisce, allora non è buona, ed è colpa sua se noi non si diviene buoni».<br />

«Parla per te, amico. <strong>Io</strong> non trovo che il Maestro mi abbia fatto più forti le cattive tendenze», dice


Tommaso.<br />

«E neppure io», «E io», dicono Andrea e Giacomo di Zebedeo.<br />

«A me, poi, la sua potenza mi ha liberato dal male e fatto nuovo. Perché parli così? Non rifletti a ciò<br />

che dici?», chiede Matteo.<br />

4 Pietro sta per parlare, ma preferisce andarsene, e si dà a camminare lesto col fanciullino in collo,<br />

imitando l’ondulare di una barca per farlo ridere, e nel passare prende per un braccio il Taddeo e<br />

grida: «Su, andiamo là, in quell’isola! È piena di fiori come un canestro. Venite, Natanaele, Filippo,<br />

Simone, Giovanni... Un bel salto e ci si è. <strong>Il</strong> torrente, così diviso, non è che due ruscelli al di qua e<br />

al di là dell’isola...».<br />

E salta per primo, posando piede su un’emergenza sabbiosa larga pochi metri, erbosa come un<br />

prato, fiorita dei primi fiori come un tappeto, al centro della quale è un solo pioppo alto e sottile che<br />

ondeggia la cima ad un venticello leggero. Lo raggiungono lentamente i chiamati, seguiti poi da<br />

quelli che erano più vicini a Gesù, che resta indietro parlando con 1’Iscariota.<br />

«Ma non ha ancora finito quello là?», chiede Pietro a suo fratello.<br />

«<strong>Il</strong> Maestro gli sta lavorando il cuore», risponde Andrea.<br />

«Eh! più facile che io riesca a far spuntare fichi su questa pianta che non nel cuore di Giuda venga<br />

giustizia».<br />

«E nel suo intelletto», rincara Matteo.<br />

«È stolto perché lo vuole essere, e in ciò che vuole», dice il Taddeo.<br />

«Soffre perché non è stato scelto per evangelizzare. <strong>Io</strong> lo so», spiega Giovanni.<br />

«Ma per me... Se vuole andare lui al mio posto... Non ci tengo proprio ad andare in giro!», esclama<br />

Pietro.<br />

«Nessuno di noi ci tiene. Ma lui sì. Invece mio fratello non lo vuole mandare. Questa mattina gliene<br />

ho parlato, perché avevo capito l’umore di Giuda e le cause di esso. Ma Gesù ha detto: “Proprio<br />

perché è un cuore così malato, lo tengo presso di Me. Sono i sofferenti e i deboli che hanno bisogno<br />

del medico e di chi li sorregge”».<br />

«Già!... Bene!... 5 Venite, fanciulli. Ora prendiamo queste belle canne e ne facciamo delle<br />

barchettine. Vedete che belle! E dentro, a far da pescatori, ci mettiamo questi fiorellini. Guardate<br />

qui se non sembrano teste, con un copricapo bianco e rosso... Qui facciamo il porto e qui, ecco, le<br />

casette dei pescatori... Ora leghiamo le barche con queste belle erbe fini, e voi le fate andare in<br />

acqua, così..., e poi le tirate sulla riva dopo la pesca... Potete anche fare il giro dell’isola... e attenti<br />

agli scogli, eh!...». Pietro è ammirabile di pazienza. Ha lavorato di coltello su pezzi di canna,<br />

tagliando da nodo a nodo e scoperchiando un lato per trasformare le canne in barchette, ha messo a<br />

fare da pescatori delle pratoline ancora in boccio, ha scavato nella rena un porto lillipuziano e creato<br />

delle casette con la sabbia umida e, ottenuto lo scopo di ricreare i bambini, si siede soddisfatto<br />

mormorando: «Povere creature!...».<br />

Gesù pone piede sull’isola proprio quando i due fanciulletti iniziano il loro giuoco e li carezza<br />

deponendo a terra il più piccino, che si unisce al giuoco dei fratellini.<br />

«Eccomi a voi. E ora parliamo di <strong>Dio</strong>. Perché parlare di <strong>Dio</strong> e parlare a <strong>Dio</strong> è prepararsi alla<br />

missione. E dopo aver fatto orazione, ossia dopo aver parlato a <strong>Dio</strong>, parleremo di <strong>Dio</strong> che è presente<br />

in tutte le cose per istruire alle cose buone. Su, alzatevi e preghiamo», e intona dei salmi in ebraico,<br />

ai quali fanno coro gli apostoli.<br />

I fanciulli, che si erano allontanati con le loro barchettine, sospendono il cinguettio delle loro<br />

vocette e i loro giuochi, e si avvicinano sentendo cantare quegli uomini. Ascoltano attenti, con gli<br />

occhi fissi su Gesù che per loro è tutto, e poi, con lo spirito di imitazione dei bambini, prendono la<br />

stessa postura degli oranti e cercano di seguire il canto, con la sola voce, non sapendo le parole dei<br />

salmi. Gesù abbassa gli occhi e li guarda con un sorriso che aumenta il canto delle vocette<br />

innocenti. Si sentono approvati e si rincuorano...<br />

<strong>Il</strong> canto dei salmi ha fine. 6 Gesù si siede sull’erba e inizia a parlare:<br />

«Quando i re d’Israele, di Edom e di Giuda* si riunirono per combattere il re di Moab e si rivolsero<br />

per consiglio a Eliseo profeta, egli rispose al messo dei re: “Se non avessi rispetto a Giosafat, re di<br />

Giuda, neppure ti avrei guardato. Ma ora conducetemi un suonatore d’arpa”. E mentre l’arpista


suonava, <strong>Dio</strong> parlò al suo profeta comandando di fare scavare fosse e fosse nel torrente arido,<br />

perché si empisse d’acqua per uomini e bestie. E all’ora del sacrificio del mattino il torrente, senza<br />

che fosse vento o pioggia, si empì come il Signore aveva detto. Quali, secondo voi, le lezioni di<br />

questo episodio? Parlate!».<br />

_________________________<br />

* i re d’Israele, di Edom a di Giuda, invece di i re d’Israele, quello di Joram (nome del re<br />

d’Israele) e quello di Giuda, è correzione nostra, conforme al racconto di: 2 Re 3, 1-20, in<br />

particolare del versetto 9.<br />

Gli apostoli si consultano fra loro. Chi dice: «Nel turbamento del cuore non parla <strong>Dio</strong>. Eliseo vuole<br />

placare il suo sdegno, sorto nel vedersi di fronte il re d’Israele, per potere sentire <strong>Dio</strong>» . Chi invece<br />

dice: «È lezione di giustizia. Eliseo, per non punire l’innocente re di Giuda, salva anche il<br />

colpevole». Altri ancora: «È lezione di ubbidienza e di fede. Essi scavarono le fosse ubbidendo al<br />

comando in apparenza stolto e attesero con fede l’acqua benché fosse sereno e senza vento il cielo».<br />

«Avete risposto bene, ma non ampiamente bene. Nel turbamento del cuore non parla Iddio. È vero.<br />

Ma non necessitano arpe a calmare il cuore. Basta avere la carità, che è l’arpa spirituale che dà note<br />

di paradiso. Quando un’anima vive nella carità ha il cuore calmo e sente la voce di <strong>Dio</strong> e la<br />

comprende».<br />

«Allora Eliseo non aveva carità, perché era turbato».<br />

«Eliseo è del tempo della Giustizia. Bisogna saper trasportare al tempo della Carità gli episodi<br />

antichi e vederli non alla luce delle folgori ma a quella degli astri. Voi siete del tempo nuovo.<br />

Perché dunque tanto sovente siete più iracondi e turbati di quelli del tempo antico? Spogliatevi del<br />

passato. Lo ripeto, anche se a Giuda non piace sentirlo ripetere. Estirpate, potate, innestate, mettete<br />

piante nuove. Rinnovatevi, scavate le fosse dell’umiltà, dell’ubbidienza, della fede. Quei re lo<br />

seppero fare ed erano, due contro uno, non di Giuda, e non sentirono <strong>Dio</strong>, ma il profeta di <strong>Dio</strong><br />

ripetere i voleri dell’Altissimo. Sarebbero morti di sete nell’aridità se non avessero saputo ubbidire.<br />

Ubbidirono e l’acqua empì le fosse scavate, e non solo furono salvi dalla sete ma vinsero i nemici.<br />

<strong>Io</strong> sono l’Acqua della Vita. Scavate fosse nei vostri cuori per poter ricevere Me. 7 E ora ascoltate.<br />

Non faccio lunghi discorsi. Vi do delle sentenze perché voi le meditiate. Sarete sempre come questi<br />

fanciulli, e anche meno di loro, perché essi sono innocenti e voi non lo siete e perciò è più fosca in<br />

voi la luce spirituale, se non vi abituate a meditare. Sempre ascoltate, mai non ritenete, perché la<br />

vostra intelligenza dorme in luogo di essere attiva. Dunque sentite*. Quando alla Sunamite morì il<br />

figlio, ella volle andare dal profeta nonostante che il marito le dicesse che non era il primo del mese<br />

e non era sabato. Ma ella sapeva di dover andare, perché per certe cose non sono ammesse dilazioni.<br />

E poiché seppe comprendere lo spirito delle cose, ebbe risuscitato il figlio. Che ne dite di questo<br />

fatto?».<br />

«Che esso è rimprovero a me per il sabato», dice l’Iscariota.<br />

«Vedi dunque, o Giuda, che quando vuoi sai capire? Apri dunque il tuo spirito alla giustizia».<br />

«Sì... ma Tu non hai violato il sabato per risuscitare l’uomo».<br />

«Ho fatto di più. Ho impedito la rovina, la morte di questi, la vera morte. E ho ricordato ai ladroni<br />

che...».<br />

«Oh! attendi a consolarti di aver fatto qualcosa! <strong>Io</strong> non credo che essi ti abbiano ubbidito...».<br />

__________________________<br />

* sentite ciò che si narra in: 2 Re 4, 18-37. Ai successivi versetti 38-41 farà poi riferimento Gesù<br />

ricordando la farina che leva l’amaro.<br />

«Se il Maestro lo dice...».<br />

«Anche Eliseo, nel racconto della Sunamite, dice: “<strong>Il</strong> Signore me lo ha tenuto nascosto”. Dunque<br />

non sempre tutto si sa neanche da parte dei profeti», ribatte l’Iscariota.<br />

«Nostro fratello è da più di un profeta», osserva il Taddeo.<br />

«Lo so. È il Figlio di <strong>Dio</strong>. Ma è anche l’Uomo. Come tale può essere soggetto a non sapere cose<br />

secondarie, come questa di una conversione e di un ritorno... Maestro, sai proprio sempre, sempre<br />

tutto? <strong>Io</strong> me lo chiedo sovente...», incalza, tenace nel suo cuore, l’Iscariota.<br />

«E con quale spirito? Per darti pace, per darti consiglio, per darti turbamento?», chiede Gesù.


«Ma... Non saprei. Me lo chiedo e...».<br />

«E sembri turbato anche nel chiedertelo», dice Tommaso.<br />

«<strong>Io</strong>? Certo la perplessità turba sempre...».<br />

«Quante sottigliezze! <strong>Io</strong> non me ne propongo tante. Credo senza indagare, e non sono perplesso e<br />

turbato per niente. Ma lasciamo parlare il Maestro. A me non piace questa lezione. Di’ una bella<br />

parabola, Maestro. Piacerà anche ai fanciulli», dice Pietro.<br />

8 «Ho ancora da chiedere una cosa. Questa. Che significato ha per voi la farina che leva l’amaro alla<br />

minestra dei figli dei profeti?».<br />

Un profondo silenzio è la risposta alla domanda.<br />

«E che? Non sapete rispondere?».<br />

«Forse perché la farina assorbì l’amaro...», dice incerto Matteo.<br />

«Tutto sarebbe stato amaro, anche la farina».<br />

«Per un miracolo del profeta, che non voleva mortificato il servo», suggerisce Filippo.<br />

«Anche. Ma non per questo soltanto».<br />

«<strong>Il</strong> Signore volle far brillare la potenza del profeta anche sulle materie comuni», dice lo Zelote.<br />

«Sì. Ma non è ancora il significato giusto. Le vite dei profeti anticipano ciò che poi sarà nel tempo<br />

pieno: il mio; rispecchiano il mio giorno terreno sotto simboli e figure. Dunque...».<br />

Silenzio. Si guardano. Poi Giovanni curva il capo, divenendo acceso nel volto, e sorride.<br />

«Perché non dici il tuo pensiero, Giovanni?», lo interroga Gesù. «Non è mancanza di amore parlare,<br />

perché non lo fai per mortificare alcuno».<br />

«Penso che voglia dire questo. Che nel tempo della fame della Verità e della carestia della Sapienza,<br />

questo nel quale Tu sei venuto, ogni albero si è inselvatichito ed ha dato frutti amari, immangiabili<br />

come tossico per i figli degli uomini, che in tal modo invano li colgono e se li preparano per<br />

nutrirsene. Ma la bontà dell’Eterno manda Te, farina di grano eletto, e Tu con la tua perfezione levi<br />

il tossico da ogni cibo, rendendo novellamente buoni e gli alberi delle Scritture, che i secoli hanno<br />

snaturato, e i palati degli uomini, che la concupiscenza ha corrotto. In questo caso, colui che ordina<br />

di portare la farina e la versa nell’amara caldaia è il Padre tuo, e Tu sei la farina che si sacrifica per<br />

farsi cibo agli uomini. E dopo la tua consumazione nulla più di amaro sarà nel mondo, perché Tu<br />

avrai ristabilito l’amicizia con <strong>Dio</strong>. 9Posso aver sbagliato».<br />

«Non hai sbagliato. Questo è il simbolo».<br />

«Oh! e come hai fatto a pensarlo?», chiede stupito Pietro.<br />

Gli risponde Gesù: «<strong>Io</strong> te lo dico con le tue stesse parole di poc’anzi. Un bel salto e si è sull’isola<br />

pacifica e fiorita della spiritualità. Ma bisogna avere il coraggio di fare il salto, abbandonando la<br />

riva, il mondo. Saltare senza pensare se c’è chi può ridere per il nostro salto goffo o deridere per la<br />

nostra semplicità di preferire un isolotto solitario al mondo. Saltare senza paura di ferirsi o bagnarsi,<br />

o di essere delusi. Lasciare tutto per rifugiarsi in <strong>Dio</strong>. Mettersi sull’isola separata dal mondo e di là<br />

uscirne unicamente per distribuire, a quelli che sono rimasti sulle rive, i fiori e le acque pure raccolti<br />

nell’isola dello spirito, dove è un unico albero: quello della Sapienza. Standogli vicino, lontano dai<br />

fragori del mondo, se ne afferrano tutte le parole e si diviene maestri sapendo essere discepoli.<br />

Anche questo è un simbolo. 10Ma ora racconteremo una bella parabola ai fanciullini. Venite qui ben<br />

vicino».<br />

I tre bambini vanno tanto vicino che gli si siedono addirittura sulle gambe. Gesù li cinge con le<br />

braccia e incomincia a narrare:<br />

«Un giorno il Signore Iddio disse: “Farò l’uomo, e l’uomo vivrà nel Terrestre Paradiso dove è il<br />

gran fiume che poi si divide in quattro capi, che sono il Fison, il Geon, l’Eufrate e il Tigri, che<br />

scorrono la Terra. E l’uomo sarà felice, avendo tutte le bellezze e bontà del Creato e il mio amore<br />

per gaudio del suo spirito”. E così fece. Era come se l’uomo fosse su una grande isola, ma ancor più<br />

fiorita di questa e con piante di ogni specie e con tutti gli animali. E sopra lui fosse l’amore di <strong>Dio</strong> a<br />

far da sole per l’anima, e la voce di <strong>Dio</strong> era nei venti, più melodiosa di canto d’uccello.<br />

Ma ecco che in questa bell’isola fiorita, fra tutte le bestie e le piante, entrò strisciando un serpente<br />

diverso da quelli che erano stati creati da <strong>Dio</strong> e che erano buoni, senza veleno nei denti, senza<br />

ferocia nelle spire del corpo flessuoso. Anche questo serpente si era vestito della pelle dai colori di


gemme che avevano gli altri, anzi si era fatto ancor più bello di questi, tanto che pareva un grande<br />

monile di re che andasse guizzando fra gli splendidi alberi del Giardino. Andò ad attorcigliarsi<br />

intorno ad un albero che sorgeva in mezzo al giardino, un albero bello, solitario, alto molto più di<br />

questo, coperto di foglie e frutti meravigliosi. E il serpente pareva un gioiello intorno al bell’albero,<br />

e scintillava al sole, e tutti gli animali lo guardavano perché nessuno si ricordava di averlo visto<br />

creare, né di averlo visto prima di allora. Ma nessuno gli si avvicinava, anzi tutti si allontanavano<br />

dall’albero, ora che aveva attorno al fusto il serpente.<br />

Soltanto l’uomo e la donna si avvicinarono là, la donna prima dell’uomo, perché le piaceva quella<br />

cosa lucente che brillava al sole e muoveva il capo simile ad un fiore ancor semichiuso, e ascoltò<br />

quello che diceva il serpente, e disubbidì al Signore e fece disubbidire Adamo. Soltanto dopo avere<br />

disubbidito, videro il serpente per ciò che era e compresero il peccato, perché ormai avevano<br />

perduto l’innocenza del cuore. E si nascosero a <strong>Dio</strong> che li cercava, e poi mentirono a <strong>Dio</strong> che li<br />

interrogava.<br />

Allora <strong>Dio</strong> mise degli angeli a confine del Giardino e cacciò gli uomini da esso. Fu come se gli<br />

uomini fossero, dalla riva sicura dell’Eden, gettati nei fiumi terrestri colmi d’acque come quando<br />

vengono le piene di primavera. E <strong>Dio</strong> lasciò però nel cuore degli scacciati il ricordo del loro destino<br />

eterno, ossia del passaggio dal bel Giardino, dove sentivano la voce e l’amore di <strong>Dio</strong>, al Paradiso<br />

dove avrebbero goduto di <strong>Dio</strong> completamente. E col ricordo lasciò lo stimolo santo a risalire verso<br />

il luogo perduto con una vita di giustizia.<br />

Ma, fanciulli miei, voi lo avete provato poco fa che, finché la barca scende seguendo la corrente, è<br />

facile il suo cammino, mentre quando risale la corrente fatica a stare a galla, a non esser travolta<br />

dall’onda, a non naufragare fra le erbe e le sabbie o le pietre del fiume. Se Simon Pietro non avesse<br />

legato le vostre barchettine con i giunchi sottili della riva, le avreste perdute tutte, così come è<br />

accaduto a Isacco per aver lasciato andare il giunco.<br />

Lo stesso succede degli uomini gettati sulle correnti della Terra. Devono stare sempre nelle mani di<br />

<strong>Dio</strong>, affidando la loro volontà, che è come il giunco, alle mani del buon Padre che è nei Cieli e che è<br />

Padre di tutti e specie degli innocenti, e devono avere l’occhio vigilante ad evitare le erbe ed i<br />

falaschi, le pietre, i mulinelli e il fango che potrebbero trattenere, frantumare o inghiottire la barca<br />

della loro anima, strappando il filo della volontà che li tiene uniti a <strong>Dio</strong>. Perché il Serpente, che non<br />

è più nel Giardino, è ora sulla Terra, e cerca proprio di far naufragare le anime, cerca di non farle<br />

risalire, per l’Eufrate, il Tigri, il Geon e il Fison, al Gran Fiume che scorre nel Paradiso eterno e<br />

alimenta gli alberi della Vita e Salute, che portano perpetui frutti, di cui godranno tutti coloro che<br />

hanno saputo risalire la corrente per riunirsi a <strong>Dio</strong> e agli angeli suoi senza avere mai più a soffrire di<br />

nulla».<br />

11 «Lo diceva anche la mamma», dice il più grandicello dei bambini.<br />

«Sì, lo diceva», cinguetta il più piccolo.<br />

«Tu non puoi sapere. <strong>Io</strong> sì, perché sono grande. Ma se dici le cose non vere, tu nel Paradiso non ci<br />

entri».<br />

«<strong>Il</strong> padre però diceva che non era vero niente», obbietta quello di mezzo.<br />

«Perché lui non credeva nel Signore della mamma».<br />

«Non era samaritano tuo padre?», chiede Giacomo d’Alfeo.<br />

«No. Era di altri luoghi. Ma la mamma lo era, e noi lo siamo perché lei ci voleva come lei. E ci<br />

raccontava del Paradiso e del Giardino, ma non bene come hai detto Tu. <strong>Io</strong> avevo paura del serpente<br />

e della morte, perché la mamma diceva che uno era il diavolo e perché il padre diceva che la morte<br />

finisce tutto. Per questo ero tanto infelice di essere solo, e anche dicevo che è inutile essere buoni<br />

ormai, perché, finché c’era la madre e il padre, si dava gioia a essere buoni, ma ora non c’era più<br />

nessuno da far godere con le nostre bontà. Invece ora so... E sarò buono. Non leverò mai il mio filo<br />

dalle mani di <strong>Dio</strong> per non essere portato via dalle acque della Terra».<br />

«Ma la mamma è andata in su o in giù?», chiede con perplessità il secondo fanciullo.<br />

«Che vuoi dire, fanciullo?», chiede Matteo.<br />

«Dico: dove è? È andata al fiume del Paradiso eterno?».<br />

«Speriamolo, fanciullo. Se era buona...».


«Era samaritana...», dice con sprezzo l’Iscariota.<br />

«E allora non c’è Paradiso per noi, perché si è samaritani? Allora non avremo <strong>Dio</strong>, noi? Lui lo ha<br />

chiamato: “Padre di tutti”. A me orfano piaceva pensare che ho un Padre ancora... Ma se per noi non<br />

c’è... », china il capo afflitto.<br />

«<strong>Dio</strong> è il Padre di tutti, fanciullo mio. Ti ho forse amato meno <strong>Io</strong>, perché sei samaritano? Ti ho<br />

conteso ai ladroni, e ti contenderò al demonio, nello stesso modo con cui contenderei il piccolo<br />

figlio del Sommo Sacerdote del Tempio di Gerusalemme, se egli non riputasse obbrobrio che il<br />

Salvatore salvasse la sua creatura. Anzi, più ancora contendo te, perché sei solo e infelice. Non c’è<br />

differenza per Me fra lo spirito di un giudeo e quello di un samaritano. E fra poco non ci sarà più<br />

divisione fra Samaria e Giudea, perché il Messia avrà un unico popolo, che porterà il suo Nome e<br />

nel quale saranno tutti quelli che lo ameranno».<br />

«<strong>Io</strong> ti amo, Signore. Ma mi porti dalla mia mamma?», dice il più grande dei tre fanciulli.<br />

«Tu non sai dove è. Lo ha detto quell’uomo lì, che è solo da sperare...», dice il secondogenito.<br />

«<strong>Io</strong> non lo so, ma il Signore lo sa. Ha saputo anche dove eravamo noi, e noi invece non sappiamo<br />

neppure dove eravamo».<br />

«Coi ladroni... Ci volevano ammazzare...». <strong>Il</strong> terrore torna sul visetto del secondogenito.<br />

«I ladroni erano come i demoni. Ma Lui ci ha salvati, perché i nostri angeli lo hanno chiamato».<br />

«Anche la mamma l’hanno salvata gli angeli. <strong>Io</strong> lo so, perché me la sogno sempre».<br />

«Tu sei bugiardo, Isacco. Non puoi sognarla. Non la ricordi».<br />

<strong>Il</strong> piccolino piange dicendo: «No. No. <strong>Io</strong> la sogno. La sogno io...».<br />

«Non dire bugiardo al tuo fratello, Ruben. La sua anima può ben vedere la mamma, perché il buon<br />

Padre dei Cieli può concedere che l’orfanello la sogni e la conosca parzialmente, così come concede<br />

di conoscere Lui stesso. Perché da questa conoscenza limitata venga una buona volontà di<br />

conoscerlo perfettamente, cosa che si ottiene con l’essere sempre molto buoni. 12 E ora andiamo.<br />

Abbiamo parlato di <strong>Dio</strong>, e il sabato si è santificato». Si alza in piedi e intona altri salmi.<br />

Della gente di Efraim, sentendo il coro, viene a quella volta e attende con rispetto la fine del salmo<br />

per salutare, e dice a Gesù: «Hai preferito venire qui anziché da noi? Non ci ami dunque?».<br />

«Nessuno di voi mi aveva invitato. Sono perciò venuto qui coi miei apostoli e coi fanciulli».<br />

«È vero. Ma credevamo che il tuo discepolo ti avesse detto il nostro desiderio».<br />

Gesù guarda Giovanni e Giuda. E Giuda risponde: «Me ne sono dimenticato di dirlo ieri, e oggi,<br />

con questi fanciulli, me ne sono distratto».<br />

Gesù intanto lascia l’isoletta e passa il braccio minuscolo d’acqua, andando presso quelli di Efraim.<br />

Gli apostoli lo seguono, mentre i fanciulli si attardano per slegare le due superstiti barchettine di<br />

canna, e a Pietro che li sollecita spiegano: «Le vogliamo tenere per ricordarci la lezione».<br />

«E io? <strong>Io</strong> l’ho perduta! E non ricorderò. E non andrò in Paradiso», piange il più piccino.<br />

«Aspetta! Non piangere. Te la faccio subito la barchettina. Sicuro. Anche tu ti devi ricordare la<br />

lezione. Eh! Bisognerebbe farsela tutti una barchettina col suo giunco legato a prua per ricordare.<br />

Più noi, uomini, di voi fanciulli! Mah!», e Pietro taglia e forma la barchettina col suo giunco e<br />

prende in braccio, una bracciata sola, i tre fanciulli e salta il rio andando presso Gesù.<br />

«Sono questi?», interroga Malachia di Efraim.<br />

«Questi».<br />

«E son di Sichem?».<br />

«Così diceva il pastorello: che i parenti erano delle campagne».<br />

«Poveri fanciulli! Ma se i parenti non venissero, che faresti?».<br />

«Li terrei meco. Ma verranno».<br />

«Quei ladroni... Non verranno essi pure?».<br />

«Non verranno. Ma non temete per essi. Anche se venissero... <strong>Io</strong> sarei il loro predatore, e non essi i<br />

vostri predatori. Ho già strappato loro quattro prede e spero aver strappato un poco della loro anima<br />

al peccato, almeno in qualcuno».<br />

«Ti aiuteremo per questi fanciulli. Questo ce lo concederai».<br />

«Sì. E non perché sono della vostra regione, ma perché sono innocenti, e l’amore per gli innocenti è<br />

via che conduce rapidamente a <strong>Dio</strong>».


«Ma Tu solo non fai distinzione fra innocenti e innocenti. Un giudeo non avrebbe raccolto questi<br />

piccoli samaritani, e neppure un galileo. Non siamo amati. E il disamore per noi lo hanno anche per<br />

quelli che neppur sanno ancora cosa è essere samaritani e giudei. E questa è cosa crudele».<br />

«Sì. Ma non sarà più così quando si seguirà la mia Legge. Lo vedi, Malachia? Essi sono fra le<br />

braccia di Simon Pietro, di mio fratello e di Simone Zelote. Nessuno di essi è samaritano, né padre.<br />

Eppure, neppure tu stringi sul cuore con tanto amore i tuoi figli come questi miei discepoli fanno<br />

con gli orfani di Samaria. L’idea messianica è questa: riunire tutti nell’amore. Questa è la verità<br />

dell’idea messianica. Un solo popolo sulla Terra sotto lo scettro del Messia. Un solo popolo in Cielo<br />

sotto lo sguardo di un solo <strong>Dio</strong>».<br />

Si allontanano, parlando, verso la casa di Maria di Giacobbe.<br />

Maria Valtorta<br />

L'Evangelo come mi è stato rivelato<br />

Indice del Volume Nono<br />

Preparazione alla Passione di Gesù.<br />

(continuazione a fine) * = in linea<br />

555. Lezione notturna a Simon Pietro sull’esame dei peccati e sul dolore dei<br />

buoni e degli innocenti.<br />

555. Un altro sabato ad Efraim. Discorso ai samaritani sul vero Tempio e<br />

sul tempo nuovo.<br />

556. L’arrivo, da Sichem, dei parenti dei tre fanciulli strappati ai<br />

ladroni.<br />

557. Con la comitiva che fa ritorno a Sichem.<br />

Parabola della goccia che scava il masso.<br />

559. Ad Efraim, pellegrini dalla Decapoli e missione segreta di Mannaen.<br />

560. Colloquio nella notte, presso Gofenà, con Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo<br />

e Mannaen.<br />

561. <strong>Il</strong> saforim Samuele, da sicario a discepolo.<br />

562. Dicerie a Nazaret.<br />

563. Falsi discepoli a Sichem.<br />

Risanato ad Efraim lo schiavo muto di Claudia Procula.<br />

564. L’uomo di Jabnia e la fine di Ermasteo.<br />

Rimprovero ai samaritani che mancano di carità.<br />

565. Samuele turbato da Giuda Iscariota, che non comprende la natura<br />

del dolore salvifico. <strong>Il</strong> modello delle api per gli operai di <strong>Dio</strong>.<br />

566. Ad Efraim, il giorno dell’arrivo della Madre con Lazzaro e le<br />

discepole. <strong>Il</strong> carattere di Pilato.<br />

567. Parabola della stoffa strappata e miracolo su una partoriente.<br />

Lungo discorso a Giuda di Keriot sorpreso a rubare.<br />

568. Inizio del viaggio per la Samaria partendo da Efraim alla volta di Silo.<br />

569. A Silo, la parabola dei cattivi consiglieri.<br />

570. A Lebona, la parabola dei mal consigliati.<br />

571. Arrivo a Sichem e accoglienze.<br />

572. A Sichem, l’ultima parabola sui consigli dati e ricevuti.<br />

573. Partenza per Enon dopo un battibecco tra l’Iscariota ed Elisa, che


estano a Sichem.<br />

574. Andando da Enon a Tersa, Gesù riscatta e accoglie un pastorello<br />

dopo aver dato la cecità ad un crudele e la vista ad un cieco.<br />

575. Cattive accoglienze a Tersa. Estremo tentativo di redimere Giuda<br />

Iscariota.<br />

576. Verso Doco l’incontro con il giovane ricco.<br />

577. Terzo annuncio della Passione. Maria d’Alfeo rievoca la figura<br />

di Giuseppe. L’insensata richiesta dei figli di Zebedeo.<br />

578. Incontro con discepoli e uomini di valore condotti da Mannaen.<br />

Arrivo a Gerico.<br />

579. Sconosciuti giudei riferiscono sulle accuse raccolte dal Sinedrio.<br />

Allegoria per Gerusalemme.<br />

580. Delazioni dell’Iscariota e profezie su Israele.<br />

Miracoli sulla via da Gerico a Betania.<br />

581. A Betania nella casa di Lazzaro.<br />

582. Vigilia del sabato avanti l’entrata in Gerusalemme.<br />

Offerta estrema per la salvezza di Giuda Iscariota.<br />

583. Vigilia del sabato avanti l’entrata in Gerusalemme.<br />

Commiato alle discepole. L’infelice nipote di Nahum.<br />

584. <strong>Il</strong> sabato avanti l’entrata in Gerusalemme. Parabola dei due lumi e<br />

parabola vivente del piccolo deforme risanato.<br />

<strong>Il</strong> dolore nel futuro dell’Umanità.<br />

585. <strong>Il</strong> sabato avanti l’entrata in Gerusalemme.<br />

Giudei e pellegrini a Betania. <strong>Il</strong> Sinedrio ha deciso.<br />

586. <strong>Il</strong> sabato avanti l’entrata in Gerusalemme. La cena di Betania.<br />

Giuda di Keriot ha deciso.<br />

587. L’addio a Lazzaro.<br />

588. Giuda Iscariota dai Capi del Sinedrio.<br />

589. Da Betania a Gerusalemme, predisponendo gli apostoli alla Passione<br />

imminente.<br />

590. <strong>Il</strong> pianto su Gerusalemme e l’entrata trionfale nella Città santa.<br />

Morte di Annalia. *<br />

591. La sera al Getsemani.<br />

Gli apostoli richiamati alla realtà dopo l’ebbrezza del trionfo.<br />

592. Lunedì santo. Conforto alla madre di Annalia a incontro con il<br />

milite Vitale. <strong>Il</strong> fico sterile e la parabola dei vignaioli perfidi.<br />

Le domande sull’autorità di Gesù e sul battesimo di Giovanni.<br />

593. Lunedì notte al Getsemani con gli apostoli.<br />

594. Martedì santo. Lezioni dal fico seccato.<br />

I quesiti sul tributo a Cesare e sulla risurrezione.<br />

595. Martedì notte al Getsemani con gli apostoli.<br />

596. Mercoledì santo. <strong>Il</strong> maggiore dei comandamenti, l’obolo della vedova,<br />

l’invettiva contro scribi e farisei. Pausa di riposo con la<br />

Madre e le discepole. L’edificazione della Chiesa e i tempi ultimi.<br />

597. Mercoledì notte al Getsemani con gli apostoli.<br />

598. Giovedì santo. Preparativi per la Cena pasquale. La voce del<br />

Padre. <strong>Il</strong> segno convenuto con il Traditore. L’ossequio di persone<br />

ragguardevoli.<br />

599. L’arrivo al Cenacolo e l’addio di Gesù alla Madre.<br />

600. L’ultima Cena pasquale.


Maria Valtorta<br />

L’evangelo<br />

come mi è stato<br />

rivelato<br />

VOLUME NONO<br />

Preparazione alla Passione di Gesù.<br />

(continuazione e fine)<br />

*


591. La sera al Getsemani.<br />

Gli apostoli richiamati alla realtà dopo l’ebbrezza del trionfo.<br />

4 marzo 1945.<br />

1 Gesù è con i suoi nella pace dell’orto degli Ulivi. È sera. Una tepida sera di plenilunio. Sono seduti<br />

sui naturali sedili che sono i balzi dell’uliveto, proprio i primi, che si affacciano su quella naturale<br />

piazzetta che forma la radura posta al principio del Getsemani.* <strong>Il</strong> Cedron fruscia contro i suoi sassi<br />

e pare che parlotti fra sé. Qualche canto di usignolo. Qualche sospiro di brezza. E null’altro.<br />

Gesù parla.<br />

«Dopo il trionfo di questa mattina ben diverso è il vostro spirito. Che devo dire? Che è sollevato?<br />

Oh! sì! Secondo l’umanità è sollevato. Siete entrati in città tremanti per le mie parole. Pareva che<br />

ognuno temesse, per sé, gli sgherri oltre le mura, pronti ad assalirlo e farlo prigioniero.<br />

2 In ogni uomo vi è un altro uomo che si rivela nelle ore più gravi. Vi è l’eroe, che nelle ore di<br />

maggior pericolo balza fuori dal mite che il mondo sempre vide e giudicò insignificante, l’eroe che<br />

dice alla lotta: “Eccomi”, che dice al nemico, al prepotente: “Con me misurati”. E vi è il santo che,<br />

mentre tutti fuggono terrorizzati davanti ai feroci che vogliono vittime, dice: “Me prendete in<br />

ostaggio e in sacrificio. Pago io per tutti”. E vi è il cinico, che sulle sventure generali fa approfitto<br />

proprio e ride sui corpi delle vittime. C’è il traditore che ha un coraggio suo proprio, quello del<br />

male. <strong>Il</strong> traditore che è l’amalgama del cinico con il vigliacco, che è pure una categoria che si<br />

manifesta nelle ore gravi. Perché cinicamente trae profitto da una sventura e vigliaccamente passa al<br />

partito più forte, osando, pur di averne utile, affrontare lo sprezzo dei nemici e le maledizioni degli<br />

abbandonati. C’è infine, ed è il tipo più diffuso, il vigliacco che nell’ora grave non è capace che di<br />

rammaricarsi per essersi fatto conoscere di un partito e di un uomo ora colpiti da anatema e di<br />

fuggire... Questo vigliacco non è delinquente quanto il cinico e ributtante come il traditore. Ma<br />

mostra sempre la imperfezione della sua struttura spirituale. Voi... siete tali. Non dite di no. <strong>Io</strong> leggo<br />

nelle coscienze.<br />

3 Questa mattina fra voi pensavate: “Che ci avverrà? Andremo a morte noi pure?”. E la parte più<br />

bassa gemeva: “Quanto mai!...”. Sì. Ma vi ho mai ingannati? Dalle prime mie parole vi ho parlato di<br />

persecuzione e morte. E quando uno fra voi, per eccesso di ammirazione, volle vedermi e volle<br />

presentarmi come un re, uno dei poveri re della Terra, sempre povero anche se re e restauratore del<br />

reame di Israele, <strong>Io</strong> ho subito corretto l’errore e detto: “Re dello spirito <strong>Io</strong> sono. <strong>Io</strong> offro privazioni,<br />

sacrificio, dolore. Non ho altro. Qui sulla Terra non ho altro. Ma dopo la mia, e la vostra morte nella<br />

mia fede, <strong>Io</strong> vi darò un Regno eterno, quello dei Cieli”. Vi ho detto forse diverso? No. Voi dite di<br />

no.<br />

E voi, allora, dicevate anche: “Questo solo vogliamo. Con Te, come Te, per Te<br />

__________________<br />

* del Getsemani è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.<br />

vogliamo essere, ed essere trattati, e patire”. Sì. Dicevate così. Ed eravate anche sinceri. Ma era<br />

perché non ragionavate che da bambini, da svagati bambini. Vi pensavate facile il seguirmi e tanto<br />

eravate pregni di sensualità triplice che non potevate ammettere che fosse vero quello che <strong>Io</strong> vi<br />

accennavo. Pensavate: “Egli è il Figlio di <strong>Dio</strong>. Lo dice per provare il nostro amore. Ma Egli non<br />

potrà essere percosso dall’uomo. Lui che opera miracoli saprà bene fare un grande miracolo in suo<br />

favore!”. E ognuno aggiungeva: “<strong>Io</strong> non posso credere che Egli sia tradito, preso, ucciso”. Tanto<br />

forte questa vostra umana fede nella mia potenza che giungevate a non avere fede nelle mie parole,<br />

la Fede vera, spirituale, santa e santificante.<br />

“Lui che fa miracoli ne farà pure uno in suo favore!”, dicevate. Non uno, ma molti ancora ne farò. E<br />

due saranno quali nessuna mente d’uomo può pensare. Saranno quali solo i credenti nel Signore<br />

potranno ammetterli. Tutti gli altri, nei secoli dei secoli, diranno: “Impossibile!”. E anche oltre la<br />

morte <strong>Io</strong> sarò oggetto di contraddizione per molti.<br />

4 In un dolce mattino di primavera <strong>Io</strong> ho annunciato da un monte le diverse beatitudini. Ce ne è<br />

ancora una: “Beati quelli che sanno credere senza vedere”. Ho già detto, andando per la Palestina:<br />

“Beati quelli che ascoltano la parola di <strong>Dio</strong> e l’osservano”, e ancora: “Beati quelli che fanno la


volontà di <strong>Dio</strong>”, e altre, altre ne ho dette, perché nella casa del Padre mio sono numerose le gioie<br />

che aspettano i santi. Ma anche questa c’è. Oh! beati quelli che crederanno senza avere visto con gli<br />

occhi corporali! Tanto santi saranno che, essendo in Terra, vedranno già <strong>Dio</strong>, il <strong>Dio</strong> nascosto nel<br />

Mistero d’amore.<br />

Ma voi, dopo tre anni che siete con Me, a questa fede ancora non siete giunti. E credete solo a ciò<br />

che vedete. Perciò da stamane, dopo il trionfo, dite: “È ciò che noi dicevamo. Egli trionfa. E noi con<br />

Lui”. E come uccelli che rimettono le penne strappate da un crudele, vi alzate a volo, ebbri di gioia,<br />

sicuri, liberi da quella costrizione che le mie parole vi avevano messo sul cuore. Siete più sollevati<br />

allora anche nello spirito? No. In questo siete ancora meno sollevati. Perché siete ancora più<br />

impreparati all’ora che incombe. Avete bevuto gli osanna come vino forte e piacente. E ne siete<br />

ebbri. Un ebbro è mai un forte? Basta una manina di bambino a farlo traballare e cadere. Così siete<br />

voi. E basterà l’apparizione degli sgherri a farvi fuggire come timide gazzelle che vedono<br />

affacciarsi ad una rupe del monte il muso aguzzo dello sciacallo e, ratte come vento, si disperdono<br />

per le solitudini del deserto.<br />

5 Oh! badate di non morire di un’orrida sete in quella arsa arena che è il mondo senza <strong>Dio</strong>! Non dite,<br />

non dite, o amici cari, ciò che dice* Isaia alludendo a questo vostro stato di spirito falso e<br />

pericoloso. Non dite: “Costui non parla altro che di congiure. Ma non c’è da temere, non c’è da<br />

avere spavento. Non dobbiamo temere ciò che Egli ci profetizza. Israele lo ama. E noi l’abbiamo<br />

visto”. Quante volte il tenerello piede ignudo di un pargolo calpesta le erbette fiorite del prato,<br />

cogliendo<br />

__________________<br />

* dice, in: Isaia 8, 12-16 anche per le citazioni che seguono.<br />

corolle per portarle alla mamma, e crede trovare solo steli e fiori, e invece posa il calcagno sulla<br />

testa dell’angue, e ne è morso e ne muore! I fiori celavano il serpente. Anche stamane... anche<br />

stamane così! <strong>Io</strong> sono il Condannato coronato di rose. Le rose!... Quanto durano le rose? Che resta<br />

di esse dopo che la corolla loro si è sfaldata in neve di profumati petali? Spine.<br />

<strong>Io</strong> - Isaia l’ha detto - sarò per voi, e con voi dico che sarò per il mondo, santificazione, ma anche<br />

pietra d’inciampo, pietra di scandalo e laccio e rovina per Israele e per la Terra. Santificherò coloro<br />

che avranno buona volontà e farò cadere e andare in pezzi coloro che avranno mala volontà. Gli<br />

angeli non dicono parole di menzogna e parole di poca durata. Essi vengono da <strong>Dio</strong>, che è Verità e<br />

che è Eterno, e ciò che dicono è verità e parola immutabile. Essi hanno detto: “Pace agli uomini di<br />

buona volontà”. Allora nasceva, o Terra, il tuo Salvatore. Ora va a morte il tuo Redentore. Ma per<br />

avere pace da <strong>Dio</strong>, ossia santificazione e gloria, occorre avere “buona volontà”. Inutile il mio<br />

nascere, inutile il mio morire per coloro che non hanno questa volontà buona. <strong>Il</strong> mio vagito e il mio<br />

rantolo, il primo passo e l’ultimo, la ferita della circoncisione e quella della consumazione, saranno<br />

stati invano se in voi, se negli uomini, non ci sarà la buona volontà di redimersi e santificarsi. Ed <strong>Io</strong><br />

ve lo dico: “Moltissimi inciamperanno in Me, che sono posto come colonna di sostegno e non come<br />

tranello per l’uomo, e cadranno perché ebbri di superbia, di lussuria, di avarizia, e saranno chiusi<br />

nella rete dei loro peccati, e presi e dati a Satana”. Mettete queste parole nei vostri cuori, sigillatele<br />

per i futuri discepoli.<br />

6 Andiamo. La Pietra sorge.* Un altro passo in avanti. Sul monte. Deve splendere sulla vetta perché<br />

Egli è Sole, Luce è, è Oriente. E il Sole splende sulle cime. Deve essere sul monte, perché il Tempio<br />

vero deve essere visto da tutto il mondo. E da Me stesso lo edifico con la Pietra viva della mia<br />

Carne immolata. Ne collego le parti colla calcina fatta di sudore e di sangue. E sarò sul mio trono<br />

ammantato di una porpora viva, coronato di una corona nuova, e quelli che sono lontani verranno a<br />

Me, lavoreranno nel mio Tempio, intorno ad esso. <strong>Io</strong> sono la base e la vetta. Ma tutto intorno,<br />

sempre più grande, si estenderà la dimora. Ed <strong>Io</strong> stesso lavorerò le mie pietre e i miei artieri. Come<br />

<strong>Io</strong> sono stato dal Padre, dall’Amore e dall’uomo e dall’Odio lavorato a scalpello, così <strong>Io</strong> li lavorerò.<br />

E dopo che in un sol giorno sarà stata levata l’iniquità dalla Terra, sulla pietra del Sacerdote in<br />

eterno verranno i sette occhi per vedere Iddio e sboccheranno le sette fonti per vincere il fuoco di<br />

Satana.<br />

Satana... Giuda, andiamo. E ricordati che il tempo stringe e che per la sera del Giovedì** deve


essere consegnato l’Agnello».<br />

____________________<br />

* La Pietra sorge... è una parafrasi di: Zaccaria 3, 9.<br />

** Giovedì è di immediata comprensione per il lettore di oggi, cui si adatta il linguaggio dell’opera<br />

valtortiana. Nei titoli dei capitoli che seguono, come molte volte nel testo dell’opera, si nominano i<br />

giorni della settimana, che invece, tranne sabato (nota in 407.1) e parasceve (nota in 372.5), non<br />

avevano un nome per gli ebrei di quel tempo.<br />

122. Lunedì santo. Conforto alla madre di Annalia e incontro con il milite Vitale. <strong>Il</strong> fico sterile e<br />

la parabola dei vignaioli perfidi.<br />

Le domande sull’autorità di Gesù e sul battesimo di Giovanni.<br />

31 marzo 1947.<br />

1 Gesù esce presto dalla tenda di un galileo, là sul pianoro dell’Uliveto, dove molti galilei si<br />

radunano in occasione delle solennità. <strong>Il</strong> campo dorme tutto, sotto il chiarore di una luna che<br />

tramonta lentamente fasciando di candore argenteo tende, alberi e pendici, e la città dormente là in<br />

basso...<br />

Gesù passa sicuro e senza rumore fra tenda e tenda e, uscito dal campo, scende velocemente per<br />

ripidi sentieri verso il Getsemani, lo traversa, ne esce, supera il ponticello sul Cedron, nastro<br />

d’argento arpeggiante alla luna, giunge alla porta sorvegliata dai legionari. Forse una misura<br />

precauzionale del Proconsole è questa scolta notturna alle porte chiuse. I militi, quattro, parlano<br />

seduti su delle grosse pietre, messe a far da sedili contro il muro potente, e si scaldano ad un<br />

fuocherello di sterpi che getta una luce rossastra sulle loriche lucenti e sugli elmi severi, da sotto i<br />

quali emergono i visi così diversi, nella loro fisionomia italica, da quelli degli ebrei.<br />

«Chi va là!», dice il primo, che vede apparire l’alta figura di Gesù da dietro l’angolo di una<br />

casupola vicina alla porta, e imbraccia l’asta, terminante in lancia puntuta, che teneva appoggiata al<br />

muro lì presso, mettendosi in posizione regolamentare, imitato dagli altri. E senza dar tempo a Gesù<br />

di rispondere, dice: «Non si entra. Non sai che la seconda vigilia è già al termine?».<br />

«Sono Gesù di Nazaret. Ho la Madre in città. Vado a Lei».<br />

«Oh! l’uomo che ha risuscitato il morto di Betania! Per Giove! Lo vedrò finalmente!». E gli va<br />

vicino guardandolo curioso, girandogli intorno come per sincerarsi che non è qualcosa di irreale, di<br />

strano, ma proprio un uomo come tutti. E lo dice: «Oh! Numi! È bello come Apollo, ma fatto in<br />

tutto come noi! E non ha né bastone, né berretta, né alcun segno del suo potere!». È perplesso.<br />

Gesù lo guarda pazientemente, sorridendogli con dolcezza.<br />

Gli altri, che sono meno curiosi - forse hanno visto già Gesù altre volte - dicono: «Sarebbe stata<br />

buona cosa che fosse stato qui a metà della prima vigilia, quando fu portata al sepolcro la bella<br />

fanciulla morta al mattino. Avremmo visto risorgere...».<br />

Gesù dolcemente ripete: «Posso andar da mia Madre?».<br />

I quattro militi si riscuotono. <strong>Il</strong> più anziano parla: «Veramente l’ordine sarebbe di non lasciar<br />

passare. Ma Tu passeresti ugualmente. Colui che forza le porte dell’Ade può ben forzare le porte di<br />

una città chiusa. Né Tu sei uomo da suscitare sommosse. Cade dunque il divieto per Te. Fa’ di non<br />

essere scorto dalle ronde interne. Apri, Marco Grato. E Tu passa senza rumore. Siamo soldati e<br />

dobbiamo ubbidire...».<br />

«Non temere. La vostra bontà non vi si muterà in castigo».<br />

Un legionario apre cautamente lo sportello aperto nel portone colossale e dice: «Passa presto. Fra<br />

poco scade la vigilia e noi siamo cambiati dai sopravvenienti».<br />

«La pace a voi».<br />

«Siamo uomini di guerra...».<br />

«Anche nella guerra la pace che <strong>Io</strong> do permane, perché è pace dell’anima».<br />

E Gesù si ingolfa nel buio dell’arco aperto nello spessore delle mura. Passa silenzioso davanti al<br />

corpo di guardia che dall’uscio aperto lascia uscire la luce tremolante di un lume ad olio, una<br />

comune lucerna, sospeso ad un gancio del basso soffitto, che permette di vedere dei corpi di militi


dormenti su stuoie gettate al suolo, tutti avvolti nei loro mantelli, le armi al fianco.<br />

2 Gesù è in città ormai... e lo perdo di vista, mentre osservo rientrare due dei soldati di prima, che<br />

osservano se Egli si è allontanato, prima di entrare a svegliare i dormenti per avere il cambio.<br />

«Non lo si vede già più... Che avrà voluto dire con quelle parole? Avrei voluto saperlo», dice il più<br />

giovane.<br />

«Dovevi chiederglielo. Non ci disprezza. L’unico ebreo che non ci disprezzi e che non ci strozzi in<br />

alcun modo», gli risponde l’altro, già nel pieno della virilità.<br />

«Non ho osato. <strong>Io</strong>, contadino beneventano, parlare a uno che dicono dio?».<br />

«Un dio su un asino? Ah! Ah! Fosse ebbro come Bacco, potrebbe. Ma ebbro non è. Credo non beva<br />

neppure il mulsium. Non vedi come è pallido e magro?».<br />

«Eppure gli ebrei...».<br />

«Loro sì che bevono, benché mostrino di non farlo! Ed ebbri dei forti vini di queste terre e della loro<br />

sicera, hanno visto il dio in un uomo. Credi a me. Gli dèi sono fole. L’Olimpo è vuoto e la Terra ne<br />

è priva».<br />

«Se ti sentissero!...».<br />

«Sei ancora tanto fanciullo da non esser candidato e non sapere che lo stesso Cesare non crede agli<br />

dèi, né vi credono i pontefici, gli àuguri, gli arùspici, gli arvali, le vestali né alcuno?».<br />

«E allora perché...».<br />

«Perché i riti? Perché piacciono al popolo e sono utili ai sacerdoti e servono a Cesare per farsi<br />

ubbidire come fosse un dio terreno tenuto per mano dagli dèi olimpici. Ma i primi a non credere<br />

sono quelli che noi veneriamo come ministri degli dèi. <strong>Io</strong> sono pirroniano. Ho girato l’Orbe. Ho<br />

fatto molte esperienze. I miei capelli biancheggiano alle tempie e si è maturato il mio pensiero. Ho<br />

per codice personale tre sentenze. Amare Roma, unica dèa e unica certezza, sino al sacrificio della<br />

vita. Nulla credere, poiché tutto è illusione di ciò che ci circonda, eccettuata la Patria sacra e<br />

immortale. Anche di noi stessi dobbiamo dubitare, perché incerto è anche se noi viviamo. <strong>Il</strong> senso e<br />

la ragione non bastano a dare certezza di giungere a conoscere il Vero, e il vivere e il morire hanno<br />

lo stesso valore, perché non sappiamo cosa è vivere e non sappiamo cosa è morire», dice affettando<br />

uno scetticismo filosofico di creatura superiore.<br />

L’altro lo guarda incerto. Poi dice: «<strong>Io</strong> invece credo. E mi piacerebbe sapere... Sapere da<br />

quell’uomo che è passato poco fa. Egli certo sa il Vero. Una cosa strana esce da Lui. È come una<br />

luce che entra dentro!».<br />

«Esculapio ti salvi! Tu sei malato! Da poco sei salito alla città dalla valle, e le febbri sorgono<br />

facilmente in chi compie questo viaggio né ancor è acclimatato a questa regione. Tu deliri. Vieni.<br />

Non c’è che vin caldo ed aromi per fare uscire in sudore il veleno della febbre giordanica...», e lo<br />

spinge verso il corpo di guardia.<br />

Ma l’altro si libera dicendo: «Non sono malato. Non voglio vin caldo drogato. Voglio vegliare là,<br />

fuori le mura (accenna il lato interno del bastione) e attendere l’uomo che si è detto Gesù».<br />

«Se l’attendere non ti rincresce... <strong>Io</strong> vado a svegliare questi per il cambio. Addio...».<br />

Ed entra rumorosamente nel corpo di guardia, svegliando i compagni e gridando: «Già è scoccata<br />

l’ora. Su, fannulloni svogliati! Stanco sono!...». Sbadiglia rumorosamente e impreca perché hanno<br />

lasciato spegnere il fuoco e hanno bevuto tutto il vin caldo, «così necessario ad asciugare la guazza<br />

palestinese...».<br />

L’altro, il giovane legionario, addossato alla muraglia che la luna sfiora da ponente, attende che<br />

Gesù torni sui suoi passi. Le stelle vegliano la sua speranza...<br />

3 Gesù intanto è arrivato alla casa di Lazzaro, sul colle di Sion, e bussa.<br />

Levi gli apre. «Tu, Maestro?! Le padrone dormono. Perché non hai mandato un servo, se ti<br />

occorreva qualche cosa?».<br />

«Non lo avrebbero lasciato passare».<br />

«Ah! è vero! Ma Tu come sei passato?».<br />

«Sono Gesù di Nazaret. E i legionari mi hanno lasciato passare. Ma non va detto, Levi».<br />

«Non lo dirò... Meglio loro di molti di noi!».<br />

«Conducimi dove dorme mia Madre e non destare nessun altro della casa».


«Come vuoi, Signore. L’ordine di Lazzaro a tutti i suoi ministri di casa è di ubbidirti in tutto senza<br />

discussione e indugio. Era da poco l’aurora quando lo portò un servo, molti servi, a tutte le case.<br />

Ubbidire e tacere. Lo faremo. Ci hai reso il padrone...».<br />

L’uomo trotterella avanti per i corridoi, vasti come gallerie, dello splendido palazzo di Lazzaro sul<br />

colle di Sion, e il lume che porta fra le mani illumina fantasticamente le suppellettili e le tappezzerie<br />

che ornano questi larghi corridoi. L’uomo si ferma davanti ad una porta chiusa: «Lì è tua Madre».<br />

«Va’ pure».<br />

«E il lume? Non lo vuoi? <strong>Io</strong> posso tornare al buio. Sono pratico della casa. Ci sono nato».<br />

«Lascialo. E non levare la chiave dalla porta. Esco subito».<br />

«Sai dove trovarmi. Chiuderò per precauzione. Ma sarò pronto ad aprirti la porta al tuo venire».<br />

4Gesù resta solo. Bussa leggermente, un tocco così leggero che soltanto uno che è ben sveglio lo<br />

può sentire.<br />

Un rumore dentro la stanza, come di un sedile che si sposta, e un leggero fruscio di passi, e una<br />

voce sommessa: «Chi bussa?».<br />

«<strong>Io</strong>, Mamma. Aprimi».<br />

La porta si apre subito. <strong>Il</strong> lume di luna è il solo lume che illumini la stanza quieta e distende il suo<br />

raggio sul letto intatto. Un sedile è presso la finestra spalancata sul mistero della notte.<br />

«Non dormivi ancora? È tardi!».<br />

«Pregavo... Vieni, Figlio mio. Siedi qui dove io ero», e indica il sedile presso la finestra.<br />

«Non posso fermarmi. Ti sono venuto a prendere per andare da Elisa in Ofel. Annalia è morta. Non<br />

lo sapevate ancora?».<br />

«No. Nessuno... Quando, Gesù?».<br />

«Dopo il mio passaggio».<br />

«Dopo il tuo passaggio!* Fosti dunque per lei l’Angelo liberatore?! Le era così prigione questa<br />

Terra! Lei felice! Vorrei essere io al posto suo! Morì... naturalmente? Voglio dire: non per<br />

sventura?».<br />

«Morì di gioia d’amore. Lo seppi che ero già sulla salita del Tempio. Vieni con Me, Mamma. Noi<br />

non temiamo di profanarci per consolare una madre che ebbe fra le braccia la figlia morta di<br />

soprannaturale gioia... La nostra prima vergine! Quella che venne** a Nazaret, a te, per trovare Me<br />

e chiedermi questa gioia... Giorni lontani e sereni».<br />

«Ieri l’altro cantava come una capinera innamorata e mi baciava dicendo: “<strong>Io</strong> sono felice!”, ed era<br />

avida di sentire tutto di Te. Come <strong>Dio</strong> ti formò. Come mi elesse. E i miei primi palpiti di vergine<br />

consacrata... Ora comprendo... 5Sono pronta, Figlio».<br />

Maria si è, nel parlare, riappuntate le trecce, che aveva giù per le spalle e che la facevano parere<br />

così fanciulla, e si è messo il velo e il manto.<br />

Escono facendo il meno rumore che possono.<br />

Levi è già presso il portone. Spiega: «Ho preferito... Per mia moglie... Le donne sono curiose. Mi<br />

avrebbe fatto cento domande. Così non sa...». Apre, fa per chiudere.<br />

Gesù dice: «Entro questa stessa vigilia ricondurrò mia Madre».<br />

«Veglierò qui presso. Non temere».<br />

«La pace a te».<br />

Vanno per le strade silenziose, vuote, nelle quali la luna si ritira lentamente persistendo sull’alto<br />

delle case alte della collina di Sion. Più luminoso è il borgo di Ofel, dalle casette più umili e più<br />

basse.<br />

___________________<br />

* passaggio è detto con riferimento a: Esodo 12, 12-13.<br />

* venne, in 156.5/6, come la stessa Annalia ha rammentato in 583.17.<br />

6 Ecco la casa di Annalia. Chiusa. Buia. Silenziosa. Dei fiori appassiti sono ancora sui due gradini<br />

della casa. Forse quelli gettati dalla vergine prima di morire, o quelli caduti dal suo letto funebre...<br />

Gesù bussa alla porta. Bussa di nuovo...


<strong>Il</strong> rumore di una impannata aperta in alto. Una voce affranta: «Chi bussa?».<br />

«Maria e Gesù di Nazaret» , risponde Maria.<br />

«Oh! Vengo!...».<br />

Breve attesa e poi il rumore dei paletti rimossi. La porta si apre mostrando il volto disfatto di Elisa,<br />

che si regge a fatica allo stipite e, quando Maria entrando le apre le braccia, si abbatte sul suo seno<br />

con i singulti fiochi di chi ha già tanto pianto da non aver più voce da dare al suo pianto. Gesù<br />

chiude l’uscio e attende paziente che sua Madre calmi quell’affanno.<br />

Una stanza è vicina alla porta. Entrano in quella, portando Gesù il lume posato da Elisa sul<br />

pavimento dell’entrata prima di aprire la porta. <strong>Il</strong> pianto della madre sembra non possa aver fine.<br />

Parla, fra i singhiozzi rochi, a Maria. Parla la madre alla Madre. Gesù, in piedi contro una parete,<br />

tace...<br />

7 Elisa non può darsi ragione di quella morte, avvenuta così... E nel suo soffrire fa ricadere la causa<br />

di essa a Samuele, il fidanzato spergiuro: «Le ha spaccato il cuore, quel maledetto! Ella non diceva.<br />

Ma certo soffriva da chissà quanto! E nella gioia, nel grido, le si è aperto il cuore. Sia maledetto in<br />

eterno».<br />

«No, cara. No. Non maledire. Non è così. <strong>Dio</strong> l’ha amata tanto da volerla nella pace. Ma anche<br />

fosse morta per causa di Samuele - non è, ma supponiamolo per un istante - pensa quale morte di<br />

gioia ella ebbe, e di’ che l’azione malvagia le procurò morte felice».<br />

«<strong>Io</strong> non l’ho più! M’è morta! M’è morta! Tu non sai cosa sia perdere una figlia! <strong>Io</strong> due volte ho<br />

gustato questo dolore. Perché già la piangevo morta quando tuo Figlio la guarì. Ma ora... Ma ora...<br />

Egli non è tornato! Non ha avuto pietà... <strong>Io</strong> l’ho perduta! Perduta! Già nella tomba è la mia creatura!<br />

Sai tu cosa sia veder agonizzare un figlio? Sapere che deve morire? Vederlo morto quando lo si<br />

credeva risanato e forte? Non sai. Non puoi parlare... Era bella come una rosa apertasi allora al<br />

primo sole mentre si ornava questa mattina. Si era voluta ornare con la veste che le avevo fatta per<br />

le nozze. Voleva anche coronarsi come sposa. Poi preferì sfare la ghirlanda già pronta e sfogliare i<br />

fiori per gettarli a tuo Figlio, e cantava! Cantava! La sua voce empiva la casa. Era vaga come la<br />

primavera. La gioia le faceva brillanti come stelle gli occhi, e porporine come polpa di melagrana le<br />

labbra aperte sul candore dei denti, e le guance le aveva rosee e fresche come rose novelle che la<br />

rugiada decora. E divenne bianca come il giglio appena dischiuso. E mi si piegò sul petto come uno<br />

stelo spezzato... Più una parola! Più un sospiro! Più colore. Più sguardo. Placida, bella, come un<br />

angelo di <strong>Dio</strong>, ma senza vita. 8 Tu non sai, tu che godi del trionfo di tuo Figlio e lo hai sano e forte,<br />

cosa è il mio dolore! Perché non è tornato indietro? In che lo aveva dispiaciuto, e io con lei, per non<br />

aver pietà della mia preghiera?».<br />

«Elisa! Elisa! Non dire... <strong>Il</strong> dolore ti fa cieca e sorda... Elisa, tu non sai il mio soffrire. E non sai il<br />

mare profondo che diverrà il mio soffrire. Tu l’hai vista placida e bella irrigidirsi in pace. Fra le tue<br />

braccia. <strong>Io</strong>... <strong>Io</strong> sono più di sei lustri che contemplo la mia Creatura e, oltre le carni lisce e monde<br />

che contemplo e carezzo, io vedo le piaghe dell’Uomo dei dolori che diverrà la mia Creatura. Sai, tu<br />

che dici che io non so cosa è vedere un figlio andare due volte alla morte, e una entrarvi e rimanervi<br />

in pace, sai cosa è vedere per tant’anni questa visione, per una madre? Mio Figlio! Eccolo. È già<br />

vestito di rosso come uscisse da un bagno di sangue. E presto, fra poco, ancor non sarà fatto oscuro<br />

il volto della tua creatura nel sepolcro, che io lo vedrò vestito della porpora del Sangue suo<br />

innocente. Di quel Sangue che gli ho dato. E se tu hai raccolto sul cuore tua figlia, sai quale sarà il<br />

mio dolore vedendo morire mio Figlio come un malfattore sul legno? Guardalo, il Salvatore di tutti!<br />

Nello spirito e nella carne. Perché la carne dei salvati da Lui sarà incorrotta e beata nel suo Regno.<br />

E guardami! Guarda questa Madre che ora per ora accompagna e conduce - oh! io non lo tratterrei<br />

di un passo! - suo Figlio al Sacrificio! <strong>Io</strong> ti posso capire, povera mamma. Ma tu capisci il mio<br />

cuore! Non odiare il Figlio mio. Annalia non avrebbe sopportato l’agonia del suo Signore. E il suo<br />

Signore la fece beata in un’ora di tripudio».<br />

9 Elisa ha cessato di piangere davanti alla rivelazione. Fissa Maria, dal pallido volto di martire lavato<br />

di lacrime silenziose, guarda Gesù che la guarda con pietà... e scivola ai piedi di Cristo gemendo:<br />

«Ma ella mi è morta! Mi è morta, Signore! Come un giglio, un giglio spezzato. Tu sei detto dai<br />

poeti* che sei colui che si compiace fra i gigli! Oh! veramente Tu, nato dal giglio-Maria, scendi


sovente fra le aiuole fiorite, e delle rose porpuree ne fai candidi gigli, e li cogli levandoli al mondo.<br />

Perché? Perché, Signore? Non è giusto che una madre goda della rosa nata da lei? Perché spegnerne<br />

il porporino nel freddo candore di morte del giglio?».<br />

«I gigli! Saranno il simbolo di quelle che mi ameranno come mia Madre amò <strong>Dio</strong>. La candida<br />

aiuola del Re divino».<br />

«Ma noi madri piangeremo. Noi madri abbiamo diritto alle nostre creature. Perché levarle alla<br />

vita?».<br />

«Non così voglio dire, donna. Resteranno le figlie, ma consacrate al Re come le vergini nei palazzi<br />

di Salomone. Ricordati il Cantico... E spose saranno, le beneamate, in Terra e in Cielo».<br />

«Ma la mia creatura è morta! È morta!». il pianto riprende straziante.<br />

«<strong>Io</strong> sono la Risurrezione e la Vita. Chi crede in Me, ancorché venga a morte, vive, e in verità ti dico<br />

che non muore in eterno. Tua figlia vive. Vive in eterno poiché credette nella Vita. La mia Morte le<br />

sarà completa Vita. Ha conosciuto la gioia del vivere in Me prima di conoscere il dolore di vedere<br />

Me strappato alla vita. <strong>Il</strong> tuo dolore ti fa cieca e sorda. Bene dice mia Madre. Ma presto dirai ciò<br />

che<br />

___________________<br />

* detto dai poeti, forse alludendo a: Cantico dei cantici 2, 1-2.16; 6, 2-3. Più sotto, Gesù fa un<br />

probabile riferimento a: Cantico dei cantici 6, 8-9; 8, 4.<br />

ti ho mandato a dire stamane: “Veramente la sua morte fu una grazia di <strong>Dio</strong>”. Credilo, donna.<br />

L’orrore attende questo luogo. E verrà giorno in cui le madri colpite come te diranno: “Lode a <strong>Dio</strong><br />

che risparmiò ai nostri figli questi giorni”. E le madri non colpite grideranno al Cielo: “Perché, o<br />

<strong>Dio</strong>, non ci hai ucciso i figli prima di<br />

quest’ora?”. Credilo, donna. Credi alle mie parole. Non alzare fra te e Annalia la vera chiusura che<br />

separa, quella della diversità di fede. Vedi? <strong>Io</strong> potevo non venire. Tu sai quanto sono odiato. Non ti<br />

illuda il trionfo di un’ora!... Ogni angolo può celare un’insidia per Me. E sono venuto solo, nella<br />

notte, per consolarti e dirti queste parole. <strong>Io</strong> compatisco il dolore di una madre. Ma per la pace della<br />

tua anima ti vengo a dire queste parole. Abbi pace! Pace!».<br />

«Dammela Tu, Signore! <strong>Io</strong> non posso! Non posso nel mio soffrire darmi pace. Ma Tu, che rendi la<br />

vita ai morti e la salute ai morenti, dai la pace al cuore di una madre straziata».<br />

«Così sia, donna. A te la pace». Le impone le mani benedicendola e pregando in silenzio su lei.<br />

Maria si è inginocchiata a sua volta presso Elisa, cingendola con un braccio.<br />

10 «Addio, Elisa. <strong>Io</strong> me ne vado...».<br />

«Non ci vedremo più, Signore? <strong>Io</strong> non uscirò dalla casa per molti giorni e Tu te ne andrai dopo le<br />

feste pasquali. Tu... sei ancora un poco parte di mia figlia... perché Annalia... perché Annalia viveva<br />

in Te e per Te». Piange. Più calma, ma quanto piange!<br />

Gesù la guarda... La carezza sul capo canuto. Le dice: «Mi vedrai ancora».<br />

«Quando?».<br />

«Fra otto notti da questa».<br />

«E mi conforterai ancora? Mi benedirai per darmi forza?».<br />

«<strong>Il</strong> mio cuore ti benedirà con tutta la pienezza del mio amore per quelli che mi amano. Vieni, Madre<br />

mia».<br />

«Figlio mio, se lo concedi vorrei rimanere ancora con questa madre. <strong>Il</strong> dolore è un maroso che<br />

torna, dopo che si è allontanato Colui che dà pace... Rientrerò all’ora di prima. Non ho paura ad<br />

andare sola. Lo sai. E sai che passerei per tutto un esercito nemico pur di confortare un mio fratello<br />

in <strong>Dio</strong>».<br />

«Sia come tu vuoi. <strong>Io</strong> vado. <strong>Dio</strong> sia con voi».<br />

Esce senza far rumore, chiudendosi dietro le spalle la porta della stanza e quella della casa.<br />

11 Torna verso le mura, alla porta di Efraim o a quella* Stercoraria o del Letame, perché molte volte<br />

ho sentito indicare queste due porte vicine con questi tre nomi, forse perché una si apre sulla via di<br />

Gerico che è in fondo, via che conduce a Efraim, e l’altra perché ha prossima la valle di Innon dove<br />

vengono arse le immondizie della città; e sono così uguali che confondo.


__________________<br />

* a quella è un’aggiunta nostra per maggiore chiarezza.<br />

<strong>Il</strong> cielo appena imbianca al confine d’oriente, pur essendo ancor gremito di stelle. Le vie sono<br />

avvolte in una penombra più penosa del buio notturno che la luna temperava col suo candore. Ma il<br />

milite romano ha buoni occhi e, come vede Gesù avanzarsi verso la porta, gli va incontro.<br />

«Salve. Ti ho atteso...». Si arresta titubante.<br />

«Parla senza paura. Che vuoi da Me?».<br />

«Sapere. Tu hai detto: “La pace che <strong>Io</strong> do permane anche nella guerra, perché è pace d’anima”. <strong>Io</strong><br />

vorrei sapere che pace è, e cosa è l’anima. Come può l’uomo che è in guerra essere in pace?<br />

Quando si apre il tempio di Giano si chiude quello della Pace. Non possono le due cose essere<br />

insieme nel mondo».<br />

Parla addossato al muretto verdastro di un orticello, in una vietta stretta come un sentiero fra i<br />

campi, fra povere case, umido, tetro, buio. Tolto un lieve bagliore che indica l’elmo brunito, non si<br />

avverte altro dei due che parlano. L’ombra annulla i volti e i corpi in un unico nero.<br />

La voce di Gesù risuona piana e luminosa nella sua gioia di gettare un seme di luce nel pagano.<br />

«Nel mondo, in verità, non possono essere pace e guerra insieme. Una esclude l’altra. Ma<br />

nell’uomo di guerra può esser pace anche se combatte la guerra comandata. Può essere la mia pace.<br />

Perché la mia pace viene dal Cielo e non la lede il fragor della guerra e la ferocia delle stragi. Essa,<br />

cosa divina, invade la cosa divina che l’uomo ha in sé, e che anima è detta».<br />

«Divina? In me? Divo è Cesare. <strong>Io</strong> sono un figlio di contadini. Ora sono un legionario senza alcun<br />

grado. Se sarò prode, potrò forse divenire centurione. Ma divo no».<br />

«Vi è una parte divina in te. È l’anima. Viene da <strong>Dio</strong>. Dal vero <strong>Dio</strong>. Perciò è divina, gemma viva<br />

nell’uomo, e di divine cose si alimenta e vive: la fede, la pace, la verità. Guerra non la turba.<br />

Persecuzione non la lede. Morte non l’uccide. Solo il male, fare ciò che è brutto, la ferisce o uccide,<br />

e anche la priva della pace che <strong>Io</strong> dono. Perché il male separa l’uomo da <strong>Dio</strong>».<br />

12 «E cosa è il male?».<br />

«Essere nel paganesimo e adorare gli idoli quando la bontà del vero <strong>Dio</strong> ha messo a conoscenza che<br />

c’è il vero <strong>Dio</strong>. Non amare il padre, la madre, i fratelli e il prossimo. Rubare, uccidere, esser ribelli,<br />

aver lussurie, essere falsi. Questo è il male».<br />

«Ah! allora io non posso avere la tua pace! Sono soldato e comandato ad uccidere. Per noi allora<br />

non c’è salvezza?!».<br />

«Sii giusto nella guerra come nella pace. Compi il tuo dovere senza ferocia e senza avidità. Mentre<br />

combatti e conquisti, pensa che il nemico è simile a te e che ogni città ha madri e fanciulle come la<br />

tua madre e le tue sorelle, e sii prode senza essere un bruto. Non uscirai dalla giustizia e dalla pace,<br />

e la mia pace resterà in te».<br />

«E poi?».<br />

«E poi? Cosa vuoi dire?».<br />

«Dopo la morte? Che avviene del bene che ho fatto e dell’anima che Tu dici che non muore se non<br />

si fa il male?».<br />

«Vive. Vive ornata del bene che ha fatto, in una pace gaudiosa, più grande di quella che si gode in<br />

Terra».<br />

«Allora in Palestina uno solo aveva fatto il bene! Ho capito».<br />

«Chi?».<br />

«Lazzaro di Betania. Non è morta la sua anima!».<br />

«In verità egli è un giusto. Però molti sono pari a lui e muoiono senza risuscitare, ma la loro anima<br />

vive nel <strong>Dio</strong> vero. Perché l’anima ha un’altra dimora, nel Regno di <strong>Dio</strong>. E chi crede in Me entrerà in<br />

quel Regno».<br />

«Anche io, romano?».<br />

«Anche tu, se crederai alla Verità».<br />

«Cosa è la Verità?».


«<strong>Io</strong> sono la Verità, e la Via per andare alla Verità, e sono la Vita e do la Vita, perché chi accoglie la<br />

Verità accoglie la Vita».<br />

13 <strong>Il</strong> giovane soldato pensa,... tace... Poi alza il volto. Un volto ancor puro di giovane, e ha un sorriso<br />

limpido, sereno. Dice: «<strong>Io</strong> cercherò di ricordare questo e di sapere più ancora. Mi piace...».<br />

«Come ti chiami?».<br />

«Vitale. Di Benevento. Delle campagne della città».<br />

«Ricorderò il tuo nome. Fai veramente vitale il tuo spirito nutrendolo di Verità. Addio. Si apre la<br />

porta. Esco dalla città».<br />

«Ave!».<br />

Gesù va lesto alla porta e si affretta per la via che conduce al Cedron e al Getsemani e da lì al<br />

campo dei Galilei.<br />

14 Fra gli ulivi del monte raggiunge Giuda di Keriot, che sale anche lui svelto verso il campo che si<br />

desta. Giuda ha un atto quasi di spavento trovandosi di fronte Gesù. Gesù lo guarda fisso, senza<br />

parlare.<br />

«Sono stato a portare il cibo ai lebbrosi. Ma... ne ho trovati due a Innon, cinque a Siloan. Gli altri,<br />

guariti. Ancora là, ma guariti, tanto che mi hanno pregato di avvertire il sacerdote. Ero sceso alla<br />

prima luce per esser libero poi. Farà rumore la cosa. Un così gran numero di lebbrosi guariti<br />

insieme dopo che Tu li hai benedetti al cospetto di tanti!».<br />

Gesù non parla. Lo lascia parlare... Non dice né: «Hai fatto bene», né altra cosa attinente all’azione<br />

di Giuda e al miracolo, ma fermandosi all’improvviso e guardando fissamente l’apostolo gli chiede:<br />

«Ebbene? Che ha mutato l’averti lasciato libertà e denaro?».<br />

«Che vuoi dire?».<br />

«Questo: ti chiedo se ti sei santificato da quando ti ho reso libertà e denaro. E tu mi capisci... Ah!<br />

Giuda! Ricordalo! Ricordalo sempre: tu sei stato quello che ho amato più di ogni altro, avendone<br />

meno amore di quanto tutti gli altri mi hanno dato. Avendone anzi un odio maggiore, perché odio di<br />

uno che trattai da amico, del più feroce odio del più feroce fariseo. E ricorda ancor questo: che <strong>Io</strong><br />

neppure ora ti odio, ma, per quanto sta al Figlio dell’uomo, ti perdono. Va’, ora. Non c’è più nulla<br />

da dirsi fra Me e te. Tutto è già fatto...».<br />

Giuda vorrebbe dire qualcosa, ma Gesù con un gesto imperioso gli fa cenno di andare avanti... E<br />

Giuda, chino il capo come un vinto, va avanti...<br />

15 Al limite del campo dei Galilei gli undici apostoli e i due servi di Lazzaro sono già pronti.<br />

«Dove sei stato, Maestro? E tu, Giuda? Eravate insieme?».<br />

Gesù previene la risposta di Giuda: «<strong>Io</strong> avevo da dire qualcosa a dei cuori. Giuda andò dai<br />

lebbrosi... Ma sono guariti tutti meno sette».<br />

«Oh! perché sei andato? Volevo venire io pure!», dice lo Zelote.<br />

«Per essere libero ora di venire con noi. Andiamo. Entreremo in città dalla porta del Gregge.<br />

Facciamo presto», dice ancora Gesù.<br />

16 Si avvia per il primo, passando per gli uliveti che conducono dal campo, a quasi mezza via fra<br />

Betania e Gerusalemme, all’altro ponticello che accavalla il Cedron presso la porta del Gregge.<br />

Delle case di contadini sono sparse per i clivi, e quasi in basso, presso le acque del torrente, una<br />

scapigliata pianta di fichi si penzola sul rio. Gesù si dirige ad essa e cerca se fra il fogliame largo e<br />

grasso sia qualche fior di fico maturo. Ma il fico è tutto foglie, molte, inutili, ma non ha un sol frutto<br />

sui rami.<br />

«Sei come molti cuori in Israele. Non hai dolcezze per il Figlio dell’uomo, e non pietà. Possa da te<br />

non nascere mai più alcun frutto, e alcuno da te non ne mangi in futuro», dice Gesù.<br />

Gli apostoli si guardano. L’ira di Gesù per la pianta sterile, forse selvatica, li stupisce. Ma non<br />

dicono nulla. Solo più tardi, valicato il Cedron, Pietro gli chiede: «Dove hai mangiato?».<br />

«In nessun luogo».<br />

«Oh! Allora hai fame! Ecco là un pastore con qualche capra pascolante. Andrò e chiederò latte per<br />

Te. Faccio presto», e va a gran passi, tornando cauto con una vecchia scodella colma di latte.<br />

Gesù beve e rende con una carezza la tazza al pastorello che ha accompagnato Pietro...<br />

17 Entrano in città e salgono al Tempio e, adorato il Signore, Gesù torna nel cortile dove i rabbi


tengono le loro lezioni.<br />

La gente gli si affolla intorno e una madre, venuta da Cintium, presenta il bambino che un male ha<br />

reso cieco, credo. Ha gli occhi bianchi come chi ha una vasta cateratta sulla pupilla o un’albugine.<br />

Gesù lo guarisce sfiorando le orbite con le sue dita. E poi subito inizia a parlare:<br />

«Un uomo comprò un terreno e lo piantò a vigneti, vi edificò la casa per i coloni, una torre per i<br />

sorveglianti, cantine e luoghi per torchiare le uve, e lo diede a lavorare a dei coloni nei quali aveva<br />

fiducia. Poi se ne andò lontano. Quando venne il tempo che i vigneti potevano dare del frutto,<br />

essendo ormai le viti cresciute sino ad esser fruttifere, il padrone della vigna mandò i suoi servi dai<br />

coloni per ritirare gli utili del raccolto fatto. Ma i coloni circondarono quei servi e parte li presero a<br />

bastonate, parte li lapidarono con pietre pesanti ferendoli molto, parte li uccisero del tutto. Coloro<br />

che poterono tornare vivi dal padrone raccontarono ciò che era loro accaduto. <strong>Il</strong> padrone li curò e<br />

consolò e mandò altri servi ancor più numerosi. E i coloni trattarono questi come avevano trattato i<br />

primi. Allora il padrone della vigna disse: “Manderò loro il mio figliuolo. Certo essi avranno<br />

riguardo al mio erede”. Ma i coloni, vistolo venire e saputo che era l’erede, si chiamarono l’un<br />

l’altro dicendo: “Venite. Riuniamoci per essere in molti. Trasciniamolo fuori, in un luogo remoto, e<br />

uccidiamolo. La sua eredità resterà a noi”. E, accogliendolo con ipocriti onori, lo circondarono<br />

come per fargli festa, poi lo legarono dopo averlo baciato e lo picchiarono forte e lo portarono con<br />

mille motteggi al luogo del supplizio e l’uccisero. Ora ditemi voi. Quel padre e padrone che un<br />

giorno si accorgerà che il figlio ed erede del suo avere non torna, e scopre che i suoi servi-coloni,<br />

coloro ai quali aveva dato la terra ferace perché la coltivassero in suo nome, godendone per quanto<br />

era giusto e dandone quanto era giusto al loro signore, sono stati gli uccisori del figlio suo, che<br />

farà?».<br />

E Gesù dardeggia le iridi zaffiree, accese come da un sole, sui convenuti e specie sui gruppi dei più<br />

influenti giudei, farisei e scribi, sparsi fra la folla. Nessuno parla.<br />

«Dite, dunque? Voi almeno, rabbi di Israele. Dite parola di giustizia che persuada il popolo a<br />

giustizia. <strong>Io</strong> potrei dire parola non buona, secondo il vostro pensiero. Dite dunque voi, acciò il<br />

popolo non sia tratto in errore».<br />

Gli scribi rispondono, costretti, così: «Punirà gli scellerati facendoli perire in modo atroce e darà la<br />

vigna ad altri coloni, che onestamente gliela coltivino, dandogli il frutto della terra avuta in<br />

consegna».<br />

«Avete detto bene. Così è scritto* nella Scrittura: “La pietra che i costruttori hanno scartata è<br />

divenuta pietra angolare. Questa è opera fatta dal Signore ed è cosa meravigliosa agli occhi nostri”.<br />

Poiché dunque così è scritto, e voi lo sapete, e giudicate giusto che siano puniti atrocemente quei<br />

coloni uccisori del figlio erede del padrone della vigna ed essa sia data ad altri coloni che<br />

onestamente la coltivino, ecco, per questo vi dico: “Vi sarà tolto il Regno di <strong>Dio</strong> e sarà dato a gente<br />

che ne produca i frutti. E chi cadrà contro** questa pietra si sfracellerà, e colui sopra il quale la<br />

pietra cadrà sarà stritolato”».<br />

18 I capi dei sacerdoti, i farisei e scribi, con atto veramente... eroico non reagiscono. Tanto può la<br />

volontà di raggiungere uno scopo! Per molto meno altre volte lo hanno avversato, e oggi che<br />

apertamente il Signore Gesù dice loro che verrà tolto ad essi il potere non scattano in improperi, non<br />

fanno atti violenti, non minacciano, falsi agnelli pazienti che sotto un’ipocrita veste di mitezza<br />

nascondono l’immutabile cuore di lupo.<br />

_________________<br />

* è scritto, in: Salmo 118, 22-23.<br />

** contro è parola riquadrata, sul manoscritto originale, con forti segni di matita rossa e bleu. Se ne<br />

darà la spiegazione in 594.8.<br />

Si limitano ad accostarsi a Lui, che ha ripreso a camminare avanti e indietro ascoltando questo e<br />

quello dei molti pellegrini che sono raccolti nell’ampio cortile, e dei quali molti gli chiedono<br />

consiglio per casi d’anima o per circostanze famigliari o sociali, in attesa di potergli dire qualcosa<br />

dopo averlo ascoltato dare un giudizio ad un uomo su un’intricata questione di eredità, che ha


prodotto divisione e rancore fra i diversi eredi a causa di un figlio del padre, avuto con una serva<br />

della casa ma adottato, che i figli legittimi non vogliono con loro né coerede nella spartizione<br />

delle case e dei terreni, volendo non avere più nulla in comune col bastardo, e non sanno come<br />

risolvere, perché il padre ha fatto giurare avanti la sua morte che, come sempre egli aveva fatto<br />

spartendo il pane all’illegittimo come ai legittimi in uguale misura, così essi dovevano ugualmente<br />

spartire l’eredità con lui in egual misura.<br />

Gesù dice a colui che lo interroga a nome degli altri tre fratelli: «Sacrificate tutti un pezzo di terra,<br />

vendendolo, di modo da radunare il valore di denaro equivalente al quinto della sostanza totale, e<br />

datelo all’illegittimo dicendo: “Ecco la tua parte. Non sei defraudato del tuo, né si è fatto torto al<br />

volere di nostro padre. Va’ e <strong>Dio</strong> sia con te”. E siate abbondanti nel dare, anche più dello stretto<br />

valore della sua parte. Fatelo con testimoni che giusti siano, e nessuno potrà in Terra, e oltre la<br />

Terra, alzare voci di rimprovero e scandalo. E avrete pace fra voi e in voi, non avendo il rimorso di<br />

aver disubbidito al padre vostro, e non avendo fra voi colui che, veramente innocente, vi è causa di<br />

turbamento più che se fosse un ladrone messo fra voi».<br />

L’uomo dice: «<strong>Il</strong> bastardo ha rubato in verità pace alla nostra famiglia, salute alla madre nostra che<br />

morì di dolore, e un posto non suo».<br />

«Non è lui il colpevole, uomo. Ma colui che lo ha generato. Egli non chiese di nascere per portare il<br />

marchio del bastardo. Fu la brama di vostro padre che lo generò per darlo al dolore e per darvi<br />

dolore. Siate dunque giusti verso l’innocente che sconta già duramente la colpa non sua. Né abbiate<br />

anatema per lo spirito del padre vostro. <strong>Dio</strong> lo ha giudicato. Non occorrono i fulmini delle vostre<br />

maledizioni. Onorate il padre, sempre, anche se colpevole, non per se stesso, ma perché rappresentò<br />

in Terra il <strong>Dio</strong> vostro, avendovi creato per decreto di <strong>Dio</strong> ed essendo il signore della vostra casa. I<br />

genitori sono immediatamente dopo <strong>Dio</strong>. Ricorda il Decalogo. E non peccare. Va’ in pace».<br />

19 I sacerdoti e scribi gli si accostano allora per interrogarlo: «Ti abbiamo sentito. Hai detto giusto.<br />

Un consiglio che più saggio non lo poteva dare Salomone. Ma ora di’ a noi, Tu che operi prodigi e<br />

dai sentenze quali solo il sapiente re poteva dare, con quale autorità fai queste cose? Donde ti viene<br />

tale potere?».<br />

Gesù li guarda fisso. Non è né aggressivo né sprezzante, ma molto imponente. Dice: «Anche <strong>Io</strong> ho<br />

da farvi una domanda, e se mi risponderete <strong>Io</strong> vi dirò con quale autorità <strong>Io</strong>, uomo senza autorità di<br />

cariche e povero - perché ciò è questo che volete dire - faccio queste cose. Dite: il battesimo di<br />

Giovanni da dove veniva? Dal Cielo o dall’uomo che lo impartiva? Rispondetemi. Con quale<br />

autorità Giovanni lo dava come rito purificatore per prepararvi alla venuta del Messia, se Giovanni<br />

era ancor più povero, indotto di Me e senza cariche di sorta, essendo vivente nel deserto dalla sua<br />

fanciullezza?».<br />

Gli scribi e i sacerdoti si consultano fra loro. La gente, con occhi spalancati e orecchie ben aperte,<br />

pronta alla protesta e all’acclamazione, se gli scribi squalificano il Battista e offendono il Maestro o<br />

se appaiono sconfitti dalla domanda del Rabbi di Nazaret, divinamente sapiente, si stringe intorno.<br />

Colpisce il silenzio assoluto di questa folla in attesa della risposta. È così profondo che si sentono le<br />

aspirazioni e i bisbigli dei sacerdoti o scribi, che parlano fra loro senza quasi usar la voce e<br />

occhieggiano intanto il popolo, del quale intuiscono i sentimenti pronti ad esplodere.<br />

Infine si decidono a rispondere. Si volgono al Cristo che, appoggiato ad una colonna, le braccia<br />

conserte sul petto, li scruta senza mai perderli d’occhio, e dicono: «Maestro, noi non sappiamo per<br />

quale autorità Giovanni faceva questo né donde veniva il suo battesimo. Nessuno ha pensato a<br />

chiederlo al Battista mentre era vivo ed egli, spontaneamente, mai lo ha detto».<br />

«E nemmeno <strong>Io</strong> vi dirò con quale autorità faccio tali cose». E volge loro le spalle chiamando a Sé i<br />

dodici e, fendendo la folla che acclama, esce dal Tempio.<br />

20 Quando già sono fuori, oltre la Probatica, essendo usciti da quella parte, Bartolomeo gli dice:<br />

«Sono divenuti molto prudenti i tuoi avversari. Forse stanno convertendosi al Signore che ti ha<br />

mandato e a riconoscerti per Messia santo».<br />

«È vero. Non hanno discusso la tua domanda né la tua risposta...», dice Matteo.<br />

«Così sia. È bello che Gerusalemme si converta al Signore <strong>Dio</strong> suo», dice ancora Bartolomeo.<br />

«Non vi illudete! Quella porzione di Gerusalemme non si convertirà mai. Non hanno risposto in


altro modo perché hanno temuto la folla. <strong>Io</strong> leggevo i loro pensieri anche se non sentivo le loro<br />

parole sommesse».<br />

«E che dicevano?», domanda Pietro.<br />

«Questo dicevano. Ho desiderio che voi lo sappiate per conoscerli a fondo e possiate dare ai futuri<br />

un’esatta descrizione dei cuori degli uomini al mio tempo. Essi non mi hanno risposto non per<br />

conversione al Signore. Ma perché fra loro hanno detto: “Se noi rispondiamo: ‘<strong>Il</strong> battesimo di<br />

Giovanni veniva dal Cielo’, il Rabbi ci risponderà: ‘E allora perché non avete creduto a ciò che<br />

veniva dal Cielo e indicava preparazione al tempo messianico?’; e se diremo: ‘Dall’uomo’, allora<br />

sarà la folla che si ribellerà dicendo: ‘E allora perché non credete a ciò che Giovanni, nostro profeta,<br />

disse di Gesù di Nazaret?’. È dunque meglio dire: ‘Non sappiamo’”. Ecco cosa dicevano. Non per<br />

conversione a <strong>Dio</strong>, ma per calcolo vile e per non avere a confessare con le loro bocche che <strong>Io</strong> sono<br />

il Cristo e faccio queste cose che faccio perché sono l’Agnello di <strong>Dio</strong> del quale parlò il Precursore.<br />

E neppure <strong>Io</strong> ho voluto dire con quale autorità faccio queste cose che faccio. Già molte volte l’ho<br />

detto fra quelle mura e in tutta la Palestina, e i miei prodigi parlano ancor più delle mie parole. Ora<br />

non lo dirò più con le mie parole. Lascerò che parlino i profeti e il Padre mio, e i segni del Cielo.<br />

Perché il tempo è venuto in cui tutti i segni verranno dati. Quelli detti dai profeti e segnati dai<br />

simboli della nostra storia, e quelli che <strong>Io</strong> ho detto: il segno di Giona; vi ricordate di quel giorno a<br />

Cedes? E il segno che attende Gamaliele.* Tu Stefano, tu Erma e tu Barnaba che hai lasciato i<br />

compagni, oggi, per seguirmi, certo molte volte avete sentito il rabbi parlare di quel segno. Ebbene,<br />

presto il segno sarà dato».<br />

Si allontana su per gli uliveti del monte, seguito dai suoi e da molti discepoli (dei settantadue) oltre<br />

altri, come Giuseppe Barnaba, che lo segue per sentirlo parlare ancora.<br />

21 Dice Gesù: «Qui metterai la seconda parte del lunedì, ossia 592.21 i discorsi fatti nella notte ai<br />

miei apostoli (visione del 6-3-45)».<br />

593. Lunedì notte al Getsemani con gli apostoli.<br />

6 marzo 1945.<br />

1 Gesù è ancora, a sera, nell’uliveto. Ed è coi suoi apostoli. E di nuovo parla.<br />

«E ancora un altro giorno è passato. Ora la notte e poi domani, e poi un altro domani, e poi la cena<br />

pasquale».<br />

«Dove la terremo, Signor mio? Quest’anno vi sono anche le donne», chiede Filippo.<br />

«E non abbiamo ancora provveduto a nulla e la città è piena oltre misura. Sembra che quest’anno<br />

tutto Israele, fino al più lontano proselite, sia accorso al rito», dice Bartolomeo.<br />

Gesù lo guarda e, come se recitasse un salmo, dice**: «Radunatevi, affrettatevi, accorrete da ogni<br />

parte alla mia vittima che immolo per voi, alla grande Vittima immolata sui monti d’Israele, a<br />

mangiare la sua Carne, a bere il suo Sangue».<br />

2 «Ma quale vittima? Quale? Tu sembri uno che sia preso da una follia fissa. Non parli che di<br />

morte... e ci addolori», dice veemente Bartolomeo.<br />

Gesù lo guarda ancora, lasciando con lo sguardo Simone che si curva su Giacomo di Alfeo e su<br />

Pietro e confabula con loro, e dice:<br />

«Come? Tu me lo chiedi? Tu non sei uno di questi piccoli che per esser dotti devono ricevere il<br />

settiforme lume. Tu eri già dotto nella Scrittura prima che <strong>Io</strong> ti chiamassi, attraverso a Filippo, in<br />

quel dolce mattino di primavera. Della mia primavera. E tu mi chiedi ancora quale è la vittima<br />

immolata sui monti, quella a cui verranno tutti per pascersi? E mi dici folle di una fissa follia perché<br />

parlo di morte?<br />

______________________<br />

* quel giorno a Cedes, in 342.6/7; il segno che attende Gamaliele, promesso in 41.9 e qui<br />

ricordato oltre che in: 85.4 - 114.8/9 - 160.4 - 354.4 - 364.8 - 478.10 - 487.10/11 - 548.14/15 - 549.9


(dove, nell’ultimo capoverso, Gamaliele descrive il proprio stato d’animo) - 560.5 - 570.5 - 602.5.7<br />

- 604.10 - 609.28.30 (dove dice una bellissima preghiera) - 644.5 - 645.5.10 - 647.2/5.<br />

** dice, prendendo da Ezechiele 39, 17. Più sotto si riferirà a: Ezechiele 14, 12-13; Daniele 7; Osea<br />

6, 1-6; 8, 11-14; Malachia 1, 10-11; 2, 3-6; e preluderà ad Apocalisse 11,15-17.<br />

Oh! Bartolmai! Come il grido delle scolte, <strong>Io</strong> nella vostra tenebra, che mai si aprì alla luce, ho<br />

lanciato una volta, due volte, tre volte* il grido annunziatore. Ma voi non l’avete mai voluto capire.<br />

Ne avete sofferto al momento, e poi... Come bambini avete dimenticato presto le parole di morte e<br />

siete tornati festosi al vostro lavoro, certi di voi e pieni di speranza che le mie e le vostre parole<br />

persuadessero sempre più il mondo a seguire ed amare il suo Redentore.<br />

No. 3 Solo dopo che questa Terra avrà peccato contro di Me - e ricordate che sono parole del Signore<br />

al suo profeta - solo dopo, il popolo, e non solo questo, singolo, ma il grande popolo di Adamo,<br />

comincerà a gemere: “Andiamo al Signore. Lui che ci ha feriti ci guarirà”. E dirà il mondo dei<br />

redenti: “Dopo due giorni, ossia due tempi dell’eternità, durante i quali ci avrà lasciati in balia del<br />

Nemico, che con ogni arma ci avrà percossi e uccisi come noi percotemmo il Santo e lo uccidemmo<br />

- e lo percotiamo e lo uccidiamo, perché sempre vi sarà la razza dei Caini che uccideranno con la<br />

bestemmia e le male opere il Figlio di <strong>Dio</strong>, il Redentore, scagliando frecce mortali non sulla sua<br />

eterna glorificata Persona, ma sulla loro anima da Lui riscattata, uccidendola, e uccidendo perciò<br />

Lui attraverso le loro anime - solo dopo questi due tempi verrà il terzo giorno, e risusciteremo al<br />

suo cospetto nel Regno di Cristo sulla Terra e vivremo dinanzi a Lui nel trionfo dello spirito. Lo<br />

conosceremo, impareremo a conoscere il Signore per essere pronti a sostenere, mediante questa<br />

conoscenza vera di <strong>Dio</strong>, l’estrema battaglia che Lucifero darà all’Uomo prima dello squillo<br />

dell’angelo dalla settima tromba, che aprirà il coro beato dei santi di <strong>Dio</strong>, dal numero perfetto in<br />

eterno - né il più piccolo pargolo, né il più vecchio vegliardo potrà mai più essere aggiunto al<br />

numero - il coro che canterà: ‘Finito è il povero regno della Terra. <strong>Il</strong> mondo è passato con tutti i suoi<br />

abitanti davanti alla rassegna del Giudice vittorioso. E gli eletti sono ora nelle mani del Signor<br />

nostro e del suo Cristo, ed Egli è il nostro Re in eterno. Lode al Signore Iddio onnipotente che è,<br />

che era e che sarà, perché ha assunto il suo gran potere ed è entrato nel possesso del suo Regno’ ”.<br />

Oh! chi fra voi saprà ricordare le parole di questa profezia, già suonante nelle parole di Daniele, con<br />

velato suono, ed ora squillata dalla voce del Sapiente davanti al mondo attonito e a voi, più attoniti<br />

del mondo?! “La venuta del Re - continuerà il mondo, gemente nelle sue ferite e chiuso nel<br />

sepolcro, mal vivo e mal morto, chiuso dal suo settemplice vizio e dalle sue infinite eresie,<br />

l’agonizzante spirito del mondo chiuso, coi suoi estremi conati, dentro l’organismo, morto lebbroso<br />

per tutti i suoi errori - la venuta del Re è preparata come quella dell’aurora e verrà a noi come la<br />

pioggia di primavera e di autunno”. L’aurora è preceduta e preparata dalla notte. Questa è la notte.<br />

Questa di ora. E che devo farti, Efraim? Che devo farti, o Giuda?…<br />

_______________________________________<br />

* una volta, due volte, tre volte, invece di dentro per dentro (tipica espressione annotata in 6.1), è<br />

correzione di MV su una copia dattiloscritta.<br />

4 Simone, Bartolmai, Giuda, e cugini, voi più dotti nel Libro, riconoscete queste parole? Non da uno<br />

spirito folle, ma da uno che possiede la Sapienza e la Scienza esse vengono. Come un re che apra<br />

sicuro i suoi forzieri, perché sa dove è la data gemma che cerca, avendola messa di sua mano là<br />

dentro, <strong>Io</strong> cito i profeti. <strong>Io</strong> sono la Parola. Per secoli ho parlato attraverso labbra umane. E per<br />

secoli parlerò attraverso labbra umane. Ma tutto quanto è detto di soprannaturale è mia parola. Non<br />

potrebbe l’uomo, anche il più dotto e santo, salire, aquila d’anima, oltre i limiti del cieco mondo per<br />

carpire e dire i misteri eterni.<br />

<strong>Il</strong> futuro non è “presente” che nella Mente divina. Stoltezza è in coloro che, non sollevati dal nostro<br />

Volere, pretendono fare profezie e rivelazioni. E <strong>Dio</strong> presto li smentisce e colpisce, perché solo Uno<br />

può dire: “<strong>Io</strong> sono”, e dire: “<strong>Io</strong> vedo”, e dire: “<strong>Io</strong> so”. Ma quando una Volontà che non si misura,


che non si giudica, che va accettata a capo chino dicendo: “Eccomi”, senza discussione, dice:<br />

“Vieni, sali, odi, vedi, ripeti”, allora, tuffata nell’eterno presente del suo <strong>Dio</strong>, l’anima, chiamata dal<br />

Signore ad essere “voce”, vede e trema, vede e piange, vede e giubila; allora l’anima, chiamata dal<br />

Signore ad esser “parola”, ode e, giungendo a estasi o ad agonico sudore, dice le tremende parole<br />

del <strong>Dio</strong> eterno. Perché ogni parola di <strong>Dio</strong> è tremenda, essendo veniente da Colui il cui verdetto è<br />

immutabile e la Giustizia inesorabile, ed essendo rivolta agli uomini di cui troppo pochi meritano<br />

amore e benedizione e non fulmine e condanna. Ora questa parola, che vien detta e vilipesa, non è<br />

causa di tremenda colpa e punizione per coloro che, avendola udita, la respingono? Lo è.<br />

5 E che ancora dovevo farvi, o Efraim, o Giuda, o mondo, che <strong>Io</strong> non ti abbia fatto? Sono venuto<br />

amandoti, o Terra mia, e la mia parola ti fu spada che ti uccide perché tu l’hai aborrita. Oh! Mondo<br />

che uccidi il tuo Salvatore credendo di fare cosa giusta, tanto sei insatanassato da non comprendere<br />

neppure più quale è il sacrificio che <strong>Dio</strong> esige, sacrificio del proprio peccato e non di una bestia<br />

immolata e consumata con l’anima sozza! Ma che dunque ti ho detto in questi tre anni? Che ho<br />

predicato? Ho detto: “Conoscete <strong>Dio</strong> nelle sue leggi e nella sua natura”. E mi sono seccato, come<br />

vaso d’argilla porosa messo al sole, nello spargervi la conoscenza vitale della Legge e di <strong>Dio</strong>. E tu<br />

hai continuato a compiere olocausti senza mai compiere l’unico necessario: l’immolazione al <strong>Dio</strong><br />

vero della tua mala volontà!<br />

Ora <strong>Dio</strong> eterno ti dice, città di peccato, popolo fedifrago - e nell’ora del Giudizio su te sarà usata la<br />

sferza che non sarà usata per Roma ed Atene, che èbeti sono e non conoscono parola e sapere, ma<br />

che quando, da eterni infanti mal curati dalla loro nutrice e rimasti bestiali nelle loro capacità,<br />

passeranno alle braccia sante della mia Chiesa, la mia unica sublime Sposa da cui mi verranno<br />

partoriti innumerevoli figli degni del Cristo, diverranno adulte e capaci, e mi daranno regge e<br />

milizie, templi e santi da popolarne il Cielo come di stelle - ora <strong>Dio</strong> eterno ti dice: “Non mi piacete<br />

più e non accetterò più dono dalla vostra mano. Esso mi è pari a sterco, ed <strong>Io</strong> ve lo ributto in faccia<br />

e vi resterà attaccato. Le vostre solennità, tutte esteriori, schifo mi fanno. Levo il patto con la stirpe<br />

d’Aronne e lo passo ai figli di Levi perché, ecco, questo è il mio Levi, e con Lui in eterno ho fatto<br />

un patto di vita e di pace, ed Egli mi fu fedele nei secoli dei secoli, sino al sacrificio. Ebbe il santo<br />

timore del Padre e tremò per il suo corruccio di offeso, al solo suono del mio Nome offeso. La legge<br />

della verità fu sulla sua bocca, e sulle sue labbra non fu iniquità, camminò con Me nella pace e<br />

nell’equità, e molti ritrasse dal peccato. <strong>Il</strong> tempo è venuto in cui in ogni luogo, e non più sull’unico<br />

altare di Sionne, immeritevoli essendo voi di offrirlo, sarà sacrificata e offerta al mio Nome l’Ostia<br />

pura, immacolata, accettevole al Signore”.<br />

6 Le riconoscete le eterne parole?».<br />

«Le riconosciamo, o Signor nostro. E, credi, siamo abbattuti come da percossa. Ma non è possibile<br />

deviare il destino?».<br />

«Destino lo chiami, Bartolmai?».<br />

«Non saprei quale altro nome...».<br />

«Riparazione. Ecco il nome. Non si offende, senza che l’offesa vada riparata, il Signore. E <strong>Dio</strong><br />

Creatore fu offeso dal Primo creato. Da allora sempre si è aumentata l’offesa. E non servì la grande<br />

acqua del diluvio, né il fuoco piovuto su Sodoma e Gomorra, a far santo l’uomo. Non l’acqua e non<br />

il fuoco. La Terra è una sconfinata Sodoma in cui passeggia libero e re Lucifero. Allora venga una<br />

trinità a lavarla: il fuoco dell’amore, l’acqua del dolore, il sangue della Vittima. Ecco, o Terra, il mio<br />

dono. Sono venuto per dartelo. Ed ora fuggirei al compimento? È Pasqua. Non si può fuggire».<br />

«Perché non vai da Lazzaro? Non sarebbe fuggire. Ma da lui non saresti toccato».<br />

«Simone dice bene. Te ne supplico, Signore, fallo!», grida Giuda Iscariota gettandosi ai piedi di<br />

Gesù.<br />

Al suo atto risponde un grande pianto di Giovanni e, benché più composti nel loro dolore, piangono<br />

i cugini e Giacomo e Andrea.<br />

7 «Tu mi credi il “Signore”? Guardami!», e Gesù trivella con i suoi occhi il volto angosciato<br />

dell’Iscariota. Perché è realmente angosciato, non finge. Forse è l’ultima lotta della sua anima con<br />

Satana, e non la sa vincere.<br />

Gesù lo studia e ne segue la lotta come uno scienziato potrebbe studiare una crisi di un malato. Poi


si alza di scatto e così veementemente che Giuda, appoggiato alle sue ginocchia, ne viene respinto e<br />

ricade seduto per terra. Gesù arretra persino, col volto sconvolto, e dice: «Per fare arrestare anche<br />

Lazzaro? Doppia preda e doppia gioia, perciò. No. Lazzaro si serba al Cristo futuro, al trionfante<br />

Cristo. Solo uno sarà gettato oltre la vita e non tornerà. <strong>Io</strong> tornerò. Ma egli non tornerà. Ma Lazzaro<br />

resta. Tu, tu che sai tante cose, sai anche questa. Ma coloro che sperano di avere doppio guadagno<br />

per catturare l’aquila con l’aquilotto, nel nido e senza fatica, possono esser sicuri che l’aquila ha<br />

occhio per tutti e che per amore del suo piccolo andrà lungi dal nido, per esser presa lei sola,<br />

salvando lui. Vengo ucciso dall’odio e pure continuo ad amare. 8Andate. <strong>Io</strong> resto a pregare. Mai,<br />

come nell’ora che vivo, ho avuto bisogno di portare l’anima in Cielo».<br />

«Lasciami restare con Te, Signore», supplica Giovanni.<br />

«No. Avete tutti bisogno di riposo. Vai».<br />

«Resti solo? E se ti fanno del male? Sembri sofferente anche... io resto», dice Pietro.<br />

«Tu vai con gli altri. Lasciatemi dimenticare per un’ora gli uomini! Lasciatemi in contatto con gli<br />

angeli del Padre mio! Mi suppliranno la Madre, che si macera di pianto e preghiera e che <strong>Io</strong> non<br />

posso aggravare del mio desolato dolore. Andate».<br />

«Non ci dài la pace?», chiede il cugino Giuda.<br />

«Hai ragione. La pace del Signore posi su coloro che non sono obbrobrio ai suoi occhi. Addio», e<br />

Gesù si interna salendo un balzo nel folto degli ulivi.<br />

9 «Eppure... quel che dice c’è proprio nella Scrittura! E udito da Lui si capisce perché e per chi è<br />

detto», mormora Bartolomeo.<br />

«<strong>Io</strong> l’ho detto a Pietro nell’autunno del primo anno...», dice Simone.<br />

«È vero... Ma... No! <strong>Io</strong> vivo non lo lascerò prendere. Domani...», dice Pietro.<br />

«Che farai domani?», chiede l’Iscariota.<br />

«Che farò? Parlo con me stesso. È tempo di congiura. Neppure all’aria confiderò il mio pensiero. E<br />

tu che sei potente, lo hai detto tante volte, perché non cerchi protezione per Gesù?».<br />

«Lo farò, Pietro. Lo farò. Non ve ne stupite se sarò assente qualche volta. Lavoro per Lui. Non<br />

glielo dite, però».<br />

«Sta’ sicuro. E che tu sia benedetto. Qualche volta ho diffidato di te, ma te ne chiedo scusa. Vedo<br />

che sei migliore di noi al momento buono. Tu fai... io non so che parlare a vuoto», dice Pietro,<br />

umile e sincero. E Giuda ride come lieto della lode.<br />

Si avviano fuor del Getsemani, verso la via che va a Gerusalemme.<br />

594. Martedì santo. Lezioni dal fico seccato.<br />

I quesiti sul tributo a Cesare e sulla risurrezione.<br />

1 aprile 1947.<br />

1 Stanno per rientrare in città, sempre per la stessa stradicciuola remota presa la mattina avanti, quasi<br />

che Gesù non volesse essere circondato dalla gente in attesa prima di essere nel Tempio, al quale<br />

presto si accede entrando in città dalla porta del Gregge che è vicina alla Probatica. Ma oggi molti<br />

dei settantadue lo attendono già al di là del Cedron, prima del ponte, e non appena lo vedono<br />

apparire fra gli ulivi verde-grigi, nella sua veste porpurea, gli vanno incontro. Si riuniscono e<br />

procedono verso la città.<br />

Pietro, che guarda avanti, giù per la china, sempre in sospetto di veder apparire qualche<br />

malintenzionato, vede fra il verde fresco delle ultime pendici un ammasso di foglie vizze e pendenti<br />

che si spenzola sull’acqua del Cedron. Le foglie accartocciate e morenti, qua e là già macchiate<br />

come per ruggine, sono simili a quelle di una pianta che le fiamme hanno essiccata. Ogni tanto la<br />

brezza ne stacca una e la seppellisce nelle acque del torrente.<br />

«Ma quello è il fico di ieri! <strong>Il</strong> fico che Tu hai maledetto!», grida Pietro, una mano puntata ad<br />

indicare la pianta seccata, la testa volta indietro a parlare al Maestro.<br />

Accorrono tutti, meno Gesù che viene avanti col suo solito passo. Gli apostoli narrano ai discepoli il


precedente del fatto che vedono e tutti insieme commentano guardando strabiliati Gesù. Hanno<br />

visto migliaia di miracoli su uomini ed elementi. Ma questo li colpisce come molti altri non lo<br />

hanno fatto.<br />

2Gesù, che è sopraggiunto, sorride nell’osservare quei visi stupiti e timorosi, e dice: «E che? Tanto<br />

vi fa meraviglia che per la mia parola sia seccato un fico? Non mi avete visto forse risuscitare i<br />

morti, guarire i lebbrosi, dar vista ai ciechi, moltiplicare i pani, calmare le tempeste, spegnere il<br />

fuoco? E vi stupisce che un fico dissecchi?».<br />

«Non è per il fico. È che ieri era vegeto quando l’hai maledetto, e ora è seccato. Guarda! Friabile<br />

come argilla disseccata. I suoi rami non hanno più midollo. Guarda. Vanno in polvere», e<br />

Bartolomeo sfarina fra le dita dei rami che ha con facilità spezzato.<br />

«Non hanno più midollo. Lo hai detto. Ed è la morte quando non c’è più midollo, sia in una pianta,<br />

che in una nazione, che in una religione, ma c’è soltanto dura corteccia e inutile fogliame: ferocia<br />

ed ipocrita esteriorità. <strong>Il</strong> midollo, bianco, interno, pieno di linfa, corrisponde alla santità, alla<br />

spiritualità. La corteccia dura e il fogliame inutile, all’umanità priva di vita spirituale e giusta. Guai<br />

a quelle religioni che divengono umane perché i loro sacerdoti e fedeli non hanno più vitale lo<br />

spirito. Guai a quelle nazioni i cui capi sono solo ferocia e risuonante clamore privo di idee<br />

fruttifere! Guai agli uomini in cui manca la vita dello spirito!».<br />

«Però, se Tu avessi a dire questo ai grandi d’Israele, ancorché il tuo parlare sia giusto, non saresti<br />

sapiente. Non ti lusingare perché essi ti hanno finora lasciato parlare. Tu stesso lo dici che non è per<br />

conversione di cuore, ma per calcolo. Sappi allora Tu pure calcolare il valore e le conseguenze delle<br />

tue parole. Perché c’è anche la sapienza del mondo, oltre che la sapienza dello spirito. E occorre<br />

saperla usare a nostro vantaggio. Perché, infine, per ora si è nel mondo, non già nel Regno di <strong>Dio</strong>»,<br />

dice l’Iscariota senza acredine ma in tono dottorale.<br />

«<strong>Il</strong> vero sapiente è colui che sa vedere le cose senza che le ombre della propria sensualità e le<br />

riflessioni del calcolo le alterino. <strong>Io</strong> dirò sempre la verità di ciò che vedo».<br />

3 «Ma insomma questo fico è morto perché sei stato Tu a maledirlo, o è un... caso... un segno... non<br />

so?», chiede Filippo.<br />

«È tutto ciò che tu dici. Ma ciò che <strong>Io</strong> ho fatto voi pure potrete fare, se giungerete ad avere la fede<br />

perfetta. Abbiatela nel Signore altissimo. E quando l’avrete, in verità vi dico che potrete questo e<br />

ancor più. In verità vi dico che, se uno giungerà ad avere la fiducia perfetta nella forza della<br />

preghiera e nella bontà del Signore, potrà dire a questo monte: “Spostati di qua e gettati in mare”, e<br />

se dicendolo non esiterà nel suo cuore, ma crederà che quanto egli ordina si possa avverare, quanto<br />

ha detto si avvererà» .<br />

«E sembreremo dei maghi e saremo lapidati, come è detto per chi esercita magia. Sarebbe un<br />

miracolo ben stolto, e a nostro danno!», dice l’Iscariota crollando il capo.<br />

«Stolto tu sei, che non capisci la parabola!», gli rimbecca l’altro Giuda.<br />

Gesù non parla a Giuda. Parla a tutti: «<strong>Io</strong> vi dico, ed è vecchia lezione che ripeto in quest’ora:<br />

qualunque cosa chiederete con la preghiera, abbiate fede di ottenerla e l’avrete. Ma se prima di<br />

pregare avete qualcosa contro qualcuno, prima perdonate e fate pace per aver amico il Padre vostro<br />

che è nei Cieli, che tanto, tanto vi perdona e benefica, dalla mattina alla sera e dal tramonto<br />

all’aurora».<br />

4Entrano nel Tempio. I soldati dell’Antonia li osservano passare. Vanno ad adorare il Signore, poi<br />

tornano nel cortile dove i rabbi insegnano.<br />

Subito verso Gesù, prima ancora che la gente accorra e si affolli intorno a Lui, si avvicinano dei<br />

saforim, dei dottori d’Israele e degli erodiani, e con bugiardo ossequio, dopo averlo salutato, gli<br />

dicono: «Maestro, noi sappiamo che Tu sei sapiente e veritiero, e insegni la via di <strong>Dio</strong> senza tener<br />

conto di cosa o persona alcuna, fuorché della verità e giustizia, e poco ti curi del giudizio degli altri<br />

su Te, ma soltanto di condurre gli uomini al Bene. Dicci allora: è lecito pagare il tributo a Cesare,<br />

oppure non è lecito farlo? Che te ne pare?».<br />

Gesù li guarda con uno di quei suoi sguardi di una penetrante e solenne perspicacia, e risponde:<br />

«Perché mi tentate ipocritamente? Eppure alcuno fra voi sa che <strong>Io</strong> non vengo ingannato con ipocriti<br />

onori! Ma mostratemi una moneta, di quelle usate per il tributo».


Gli mostrano una moneta. La osserva nel retto e nel verso e, tenendola appoggiata sul palmo della<br />

sinistra, vi batte sopra l’indice della destra dicendo: «Di chi è quest’immagine e che dice questa<br />

scrittura?».<br />

«Di Cesare è l’immagine, e l’iscrizione porta il suo nome. <strong>Il</strong> nome di Caio Tiberio Cesare, che è ora<br />

imperatore di Roma».<br />

«E allora rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a <strong>Dio</strong> date quel che è di <strong>Dio</strong>», e volge loro le spalle<br />

dopo aver reso il denaro a chi glielo aveva dato.<br />

5 Ascolta questo e quello dei molti pellegrini che lo interrogano, conforta, assolve, guarisce. Passano<br />

le ore.<br />

Esce dal Tempio per andare forse fuori porta, a prendere il cibo che gli portano i servi di Lazzaro<br />

incaricati a questo.<br />

Rientra nel Tempio che è pomeriggio. Instancabile. Grazia e sapienza fluiscono dalle sue mani<br />

posate sugli infermi, dalle sue labbra in singoli consigli dati ai molti che lo avvicinano. Sembra che<br />

voglia tutti consolare, tutti guarire, prima di non poterlo più fare.<br />

È già quasi il tramonto e gli apostoli, stanchi, stanno seduti per terra sotto il portico, sbalorditi da<br />

quel continuo rimuoversi di folla che sono i cortili del Tempio nell’imminenza pasquale, quando<br />

all’Instancabile si avvicinano dei ricchi, certo ricchi a giudicare dalle vesti pompose.<br />

Matteo, che sonnecchia con un occhio solo, si alza scuotendo gli altri. Dice: «Vanno dal Maestro dei<br />

sadducei. Non lasciamolo solo, che non lo offendano o cerchino di nuocergli e di schernirlo<br />

ancora».<br />

Si alzano tutti raggiungendo il Maestro, che circondano subito. Credo intuire che ci sono state<br />

rappresaglie nell’andare o tornare al Tempio a sesta.<br />

6 I sadducei, che ossequiano Gesù con inchini persino esagerati, gli dicono: «Maestro, hai risposto<br />

così sapientemente agli erodiani che ci è venuto desiderio di<br />

avere noi pure un raggio della tua luce. Senti. Mosè ha detto*: “Se uno muore senza figli, il suo<br />

fratello sposi la vedova, dando discendenza al fratello”.<br />

Ora c’erano fra noi sette fratelli. <strong>Il</strong> primo, presa in moglie una vergine, morì senza lasciar prole e<br />

perciò lasciò la moglie al fratello. Anche il secondo morì senza lasciar prole, e così il terzo che<br />

sposò la vedova dei due che lo precederono, e così sempre, sino al settimo. In ultimo, dopo aver<br />

sposato tutti i sette fratelli, morì la donna. Di’ a noi: alla risurrezione dei corpi, se è pur vero che gli<br />

uomini risorgono e che a noi sopravviva l’anima e si ricongiunga al corpo all’ultimo giorno<br />

riformando i viventi, quale dei sette fratelli avrà la donna, posto che l’ebbero sulla Terra tutti e<br />

sette?».<br />

«Voi sbagliate. Non sapete comprendere né le Scritture né la potenza di <strong>Dio</strong>. Molto diversa sarà<br />

l’altra vita da questa, e nel Regno eterno non saranno le necessità della carne come in questo.<br />

Perché, in verità, dopo il Giudizio finale la carne risorgerà e si riunirà all’anima immortale<br />

riformando un tutto, vivo come e meglio che non sia viva la mia e la vostra persona ora, ma non più<br />

soggetto alle leggi e soprattutto agli stimoli e abusi che vigono ora. Nella risurrezione, gli uomini e<br />

le donne non si ammoglieranno né si mariteranno, ma saranno simili agli angeli di <strong>Dio</strong> in Cielo, i<br />

quali non si ammogliano né si maritano, pur vivendo nell’amore perfetto che è quello divino e<br />

spirituale. In quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto come <strong>Dio</strong> dal roveto parlò a<br />

Mosè? Che disse l’Altissimo allora? “<strong>Io</strong> sono il <strong>Dio</strong> di Abramo, il <strong>Dio</strong> di Isacco, il <strong>Dio</strong> di<br />

Giacobbe”. Non disse: “<strong>Io</strong> fui”, facendo capire che Abramo, Isacco e Giacobbe erano stati ma non<br />

erano più. Disse: “<strong>Io</strong> sono”. Perché Abramo, Isacco e Giacobbe sono. Immortali. Come tutti gli<br />

uomini nella parte immortale, sino a che i secoli durano, e poi, anche con la carne risorta per<br />

l’eternità. Sono, come lo è Mosè, i profeti, i giusti, come sventuratamente è Caino e sono quelli del<br />

diluvio, e i sodomiti, e tutti coloro morti in colpa mortale. <strong>Dio</strong> non è il <strong>Dio</strong> dei morti, ma dei vivi».<br />

7 «Anche Tu morrai e poi sarai vivente?», lo tentano. Sono già stanchi di essere miti. L’astio è tale<br />

che non sanno contenersi.<br />

«<strong>Io</strong> sono il Vivente e la mia Carne non conoscerà sfacimento. L’arca ci fu levata e l’attuale sarà<br />

levata anche come simbolo. <strong>Il</strong> Tabernacolo ci fu tolto e sarà distrutto. Ma il vero Tempio di <strong>Dio</strong> non<br />

potrà essere levato e distrutto. Quando i suoi avversari crederanno di averlo fatto, allora sarà l’ora


che si stabilirà nella vera Gerusalemme, in tutta la sua gloria. Addio».<br />

________________________________<br />

* ha detto, in: Deuteronomio 25, 5-6; dal roveto parlò, in: Esodo 3, 1-6.<br />

E si affretta verso il cortile degli Israeliti, perché le tube d’argento chiamano al sacrificio della sera.<br />

8 Mi dice Gesù: «Così come ti ho fatto segnare la frase “al mio calice*” nella visione della madre di<br />

Giovanni e Giacomo chiedente un posto per i suoi figli, così ti dico di segnare nella visione di ieri il<br />

punto: “chi cadrà contro questa pietra si sfracellerà”. Nelle traduzioni è sempre usato “sopra”. Ho<br />

detto contro e non sopra. Ed è profezia contro i nemici della mia Chiesa. Coloro che l’avversano,<br />

avventandosi contro ad Essa, perché Essa è la Pietra angolare, saranno sfracellati**. La storia della<br />

Terra, da venti secoli, conferma il mio detto. I persecutori della Chiesa si sfracellano avventandosi<br />

sulla Pietra angolare. Però anche, e lo tengano presente anche quelli che per essere della Chiesa si<br />

credono salvi dai castighi divini, colui sul quale cadrà il peso della condanna del Capo e Sposo di<br />

questa mia Sposa, di questo mio Corpo mistico, colui sarà stritolato.<br />

9 E prevenendo ad una obbiezione dei sempre viventi scribi e sadducei, malevoli ai servi miei, <strong>Io</strong><br />

dico: se in queste ultime visioni risultano frasi che non sono nei Vangeli, quali queste della fine<br />

della visione di oggi e del punto in cui <strong>Io</strong> parlo sul fico seccato e altri ancora, ricordino costoro che<br />

gli evangelisti erano sempre di quel popolo, e vivevano in tempi nei quali ogni urto troppo vivo<br />

poteva avere ripercussioni violente e nocive ai neofiti.<br />

Rileggano gli atti apostolici e vedranno che non era placida la fusione di tanti pensieri diversi, e che<br />

se a vicenda si ammirarono, riconoscendo gli uni agli altri i meriti, non mancarono fra loro i<br />

dissensi, perché vari sono i pensieri degli uomini e sempre imperfetti. E ad evitare più profonde<br />

fratture fra l’uno e l’altro pensiero, illuminati dallo Spirito Santo, gli evangelisti omisero<br />

volutamente dai loro scritti qualche frase che avrebbe scosso le eccessive suscettibilità degli ebrei e<br />

scandalizzato i gentili, che avevano bisogno di credere perfetti gli ebrei, nucleo dal quale venne la<br />

Chiesa, per non allontanarsene dicendo: “Sono simili a noi”. Conoscere le persecuzioni di Cristo, sì.<br />

Ma le malattie spirituali del popolo di Israele ormai corrotto, specie nelle classi più alte, no. Non era<br />

bene. E più che poterono velarono.<br />

Osservino come i Vangeli si fanno sempre più espliciti, sino al limpido Vangelo del mio Giovanni,<br />

più furono scritti in epoche lontane dalla mia Ascensione al Padre mio. Solo Giovanni riporta<br />

interamente anche le macchie più dolorose dello stesso nucleo apostolico, chiamando apertamente<br />

“ladro” Giuda, e riferisce integralmente le bassezze dei giudei (cap. 6° - finta volontà di farmi re, le<br />

dispute al Tempio, l’abbandono di molti dopo il discorso sul Pane del Cielo, l’incredulità di<br />

Tommaso). Ultimo sopravvissuto, vissuto sino a vedere già forte la Chiesa, alza i veli che gli altri<br />

non avevano osato alzare.<br />

_______________________________________<br />

* al mio calice, in 577.11; contro questa pietra, in 592.17.<br />

** saranno sfracellati, invece di viene sfracellato, è correzione di MV su una copia dattiloscritta.<br />

Ma ora lo Spirito di <strong>Dio</strong> vuole conosciute anche queste parole. E ne benedicano il Signore, perché<br />

sono tante luci e tante guide per i giusti di cuore».<br />

10 «Metterai qui la seconda parte del martedì, ossia l’istruzione notturna ai Dodici nel Getsemani».<br />

595. Martedì notte al Getsemani con gli apostoli.<br />

7 marzo 1945.<br />

1 «Voi oggi avete udito parlare gentili e giudei. E avete visto come i primi a Me si inchinassero ed i<br />

secondi per poco non mi percuotessero. Tu, Pietro, per poco vieni alle mani, vedendo che ad arte mi<br />

venivano mandati contro agnelli, arieti e giovenchi per farmi crollare al suolo fra gli escrementi. Tu,


Simone, pur tanto prudente come sei, hai aperto la bocca all’insulto verso i membri più astiosi del<br />

Sinedrio, che villanamente mi urtavano dicendomi: “Scansati, demonio, mentre passano i messi di<br />

<strong>Dio</strong>”. Tu, Giuda, cugino, e tu Giovanni, mio prediletto, avete urlato e svelti mi avete sottratto, l’uno<br />

dall’essere investito prendendo il cavallo alle briglie, l’altro mettendosi a Me davanti e ricevendo<br />

l’urto della stanga a Me diretto quando, con riso di scherno, Sadoch mi è marciato addosso col suo<br />

pesante carro, spinto volutamente in corsa veloce su Me. <strong>Io</strong> vi ringrazio del vostro amore, che vi fa<br />

insorgere* contro gli offensori dell’Inerme. Ma vedrete ben altre offese ed atti crudeli. Quando<br />

questa luna riderà in cielo per la seconda volta dopo questa sera, le offese, per ora verbali o appena<br />

abbozzate se materiali, diverranno concrete, più fitte dei fiori che ora sono sugli alberi da frutto, e<br />

sempre più vi si affollano per fretta di fiorire. 2 Avete visto - e vi siete stupiti - un fico seccato e tutto<br />

un pometo senza fiori. <strong>Il</strong> fico, come Israele, ha negato ristoro al Figlio dell’uomo ed è morto nel suo<br />

peccato. <strong>Il</strong> pometo, come i gentili, attende l’ora che oggi ho detto, per fiorire e annullare l’ultimo<br />

ricordo della ferocia umana con la dolcezza dei fiori profusi sul capo e sotto i piedi del Vincitore».<br />

«Quale ora, Maestro?», domanda Matteo. «Hai parlato tanto e di tante cose oggi! Non ricordo bene.<br />

E vorrei tutto ricordare. Forse l’ora del ritorno di Cristo? Anche qui hai parlato di rami che si fanno<br />

teneri e mettono foglie».<br />

«Ma no!», esclama Tommaso. «<strong>Il</strong> Maestro parla come se questa congiura che lo attende sia<br />

imminente. Come può allora in poco tempo avvenire tutto quello che Egli dice** precedere il suo<br />

ritorno? Guerre, distruzioni, schiavitù, persecuzioni, vangelo predicato a tutto il mondo, desolazione<br />

di abominazione nella casa di <strong>Dio</strong>,<br />

__________________________________________<br />

* vi fa insorgere, come si intuisce nell’ultimo capoverso di 594.5.<br />

** quello che Egli dice, avendo già accennato (per esempio, in 265.7/10) ai temi del discorso<br />

escatologico che deve ancora fare.<br />

e poi terremoti, pesti, falsi profeti, segni nel sole e nelle stelle... Eh! ci vogliono secoli a fare tutto<br />

questo! Starebbe fresco quel padrone del pometo se il suo orto avesse ad attendere quell’ora per<br />

fiorire!».<br />

«Non mangerebbe più i suoi pomi, perché io dico che sarà la fine del mondo, allora», commenta<br />

Bartolomeo.<br />

«Per compiere la fine del mondo non occorrerebbe che un pensiero di <strong>Dio</strong> e tutto tornerebbe nel<br />

nulla. Perciò potrebbe anche quel pometo poco avere da attendere. Ma come ho detto avverrà. E<br />

perciò vi saranno secoli da questo a quello. Ossia al definitivo trionfo e ritorno del Cristo», spiega<br />

Gesù.<br />

«E allora? Che ora?».<br />

«Oh! io la so l’ora!», piange Giovanni. «<strong>Io</strong> la so. E sarà dopo la tua morte e la tua risurrezione!...»,<br />

e Giovanni lo abbraccia stretto.<br />

«E piangi se risorge?», motteggia Giuda Iscariota.<br />

«Piango perché prima ha da morire. 3 Non schernirmi, demonio. <strong>Io</strong> capisco. E non posso pensare a<br />

quell’ora».<br />

«Maestro! Mi ha detto demonio. Ha peccato contro il compagno».<br />

«Giuda, sai di non meritarlo? E allora non te la prendere per la sua colpa. <strong>Io</strong> pure sono stato<br />

chiamato “demonio” e lo sarò ancora chiamato così».<br />

«Ma Tu hai detto che chi insulta il fratello è colpev...».<br />

«Silenzio. Davanti alla morte finiscano finalmente queste odiose accuse, dispute e menzogne. Non<br />

turbate chi muore».<br />

«Perdonami, Gesù», mormora Giovanni. «Ho sentito rivoltarsi qualcosa in me al suono del suo<br />

ridere... e non ho potuto trattenermi». Giovanni è tutto abbracciato, petto a petto, a Gesù e gli<br />

piange sul cuore.<br />

«Non piangere. Ti capisco. Lasciami parlare».<br />

Ma Giovanni non si stacca da Gesù neppure quando Egli si siede su un radicone sporgente. Gli resta


con un braccio dietro la schiena e uno intorno al petto e la testa sulla spalla, e piange senza rumore.<br />

Solo brillano al raggio della luna le gocce del suo pianto, che cadono sulla veste porpurea di Gesù e<br />

sembrano rubini, gocce di pallido sangue colpite da una luce.<br />

4 «Voi avete udito parlare giudei e gentili, oggi. Non vi deve dunque stupire se <strong>Io</strong> dico*: “Dalla mia<br />

bocca è uscita parola di giustizia, sempre. E non sarà revocata”. Se dirò, sempre con Isaia, parlando<br />

dei gentili che a Me verranno dopo che sarò innalzato da terra: “Dinanzi a Me piegherà ogni<br />

ginocchio, per Me e in Me giurerà ogni lingua”. E ancora non dubiterete, dopo che avete notato i<br />

modi dei giudei, che è facile dire senza tema di errore che a Me saranno condotti svergognati tutti<br />

quelli che mi si oppongono.<br />

<strong>Il</strong> Padre mio non mi ha fatto suo servo solo per fare rivivere le tribù di Giacobbe, per convertire ciò<br />

che rimane di Israele: i resti, ma mi ha donato a luce delle Nazioni affinché <strong>Io</strong> sia il “Salvatore” per<br />

tutta quanta la Terra. Per questo, in<br />

_____________________<br />

* dico, inizio di citazioni o allusioni riferite a: Isaia 45, 23-25; 49, 2-6.<br />

questi trentatré anni di esilio dal Cielo e dal seno del Padre, <strong>Io</strong> ho continuato a crescere in Grazia e<br />

Sapienza presso <strong>Dio</strong> e presso gli uomini, raggiungendo l’età perfetta, e in questi ultimi tre anni,<br />

dopo avere arroventato l’anima e la mente mia nel fuoco dell’amore e averla temprata col gelo della<br />

penitenza, ho fatto “della mia bocca come una spada tagliente”.<br />

5 <strong>Il</strong> Padre santo, che è mio e vostro, mi ha fin qui custodito sotto l’ombra della sua mano, perché<br />

ancora non era l’ora dell’Espiazione. Ora mi lascia andare. La freccia scelta, la freccia della sua<br />

divina faretra, dopo aver ferito per sanare, ferito gli uomini per far breccia nei cuori alla Parola e<br />

alla Luce di <strong>Dio</strong>, ora va rapida e sicura a ferire la Seconda Persona, l’Espiatore, l’Ubbidiente per<br />

tutto Adamo disubbidiente... E come guerriero colpito <strong>Io</strong> cado, dicendo per troppi: “Invano <strong>Io</strong> mi<br />

sono affaticato senza ragione, senza nulla ottenere. Ho consumato le mie forze per nulla”.<br />

Ma no! No, per il Signore eterno che non fa mai nulla senza scopo! Indietro Satana che mi vuoi<br />

piegare allo sconforto e tentare alla disubbidienza! All’alfa e all’omega del mio ministero tu sei<br />

venuto e vieni. Ebbene, ecco, <strong>Io</strong> mi levo (e realmente si alza in piedi) a battaglia. Mi misuro con te.<br />

E, lo giuro a Me stesso, ti vincerò. Non è orgoglio dirlo. È verità. <strong>Il</strong> Figlio dell’uomo sarà nella sua<br />

carne vinto dall’uomo, il miserabile verme che morde e avvelena dal suo fango putrido. Ma il Figlio<br />

di <strong>Dio</strong>, la Seconda Persona della inesprimibile Triade, non sarà vinta da Satana. Tu sei l’Odio. E sei<br />

potente nel tuo odiare e nel tuo tentare. Ma con Me sarà una forza che ti sfugge, perché tu non la<br />

puoi raggiungere e non la puoi fissare. L’Amore è con Me!<br />

6 So la sconosciuta tortura che mi attende. Non quella che domani vi dirò, perché sappiate che nulla<br />

di quanto per Me o intorno a Me si faceva e si agitava, che nulla di quanto in cuor vostro si<br />

formava, mi era ignoto. Ma l’altra tortura... Quella che non da lance e bastoni, non da scherni e<br />

percosse vien data al Figlio dell’uomo, ma da <strong>Dio</strong> stesso, e che non sarà conosciuta che da pochi per<br />

quello che realmente sarà di atroce, e accettata per possibile da ancor meno. Ma in quella tortura, in<br />

cui due saranno i principali torturatori: <strong>Dio</strong> con la sua assenza e tu, demonio, con la tua presenza, la<br />

Vittima avrà seco l’Amore. L’Amore vivente nella Vittima, forza prima della sua resistenza alla<br />

prova, e l’Amore nel confortatore spirituale, che già palpita le sue ali d’oro per ansia di scendere ad<br />

asciugare i miei sudori, e raccoglie tutte le lacrime degli angeli nel celeste calice e vi stempera il<br />

miele dei nomi dei miei redenti e amanti, per temperare con quella bevanda la grande sete del<br />

Torturato e la sua amarezza senza misura.<br />

E tu sarai vinto, demonio. Un giorno, uscendo da un ossesso, mi hai detto*: “Aspetto a vincerti<br />

quando sarai Tu uno sbrendolo di carne sanguinante”. Ma <strong>Io</strong> ti rispondo: “Non mi avrai. <strong>Io</strong> vinco.<br />

La mia fatica fu santa, la mia causa è presso il Padre mio. Egli difende l’operato del suo Figlio e<br />

non permetterà che defletta lo spirito mio”.<br />

_____________________<br />

* mi hai detto, in 420.6.<br />

Padre, <strong>Io</strong> ti dico, fin da ora ti dico per quell’ora atroce: “Nelle tue mani abbandono lo spirito mio”.<br />

7 Giovanni, non mi lasciare... Voi andate. La pace del Signore sia dove non è ospite Satana. Addio».


Tutto ha termine.<br />

102. Mercoledì santo. <strong>Il</strong> maggiore dei comandamenti, l’obolo della vedova,<br />

l’invettiva contro scribi e farisei. Pausa di riposo con la Madre e le<br />

discepole. L’edificazione della Chiesa e i tempi ultimi.<br />

2 aprile 1947.<br />

1Gesù entra nel Tempio ancor più affollato che nei giorni precedenti. È tutto bianco oggi, nella sua<br />

veste di lino. È una giornata afosa.<br />

Va ad adorare nell’atrio degli Israeliti e poi va ai portici*, seguito da un codazzo di gente, mentre<br />

altra ha già preso le migliori posizioni sotto i porticati, e la maggioranza sono gentili che, non<br />

potendo andare oltre il primo cortile, oltre il portico dei Pagani, hanno approfittato del fatto che gli<br />

ebrei hanno seguito il Cristo per prendere posizioni di favore.<br />

Ma un gruppo ben numeroso di farisei li scompagina: sono sempre arroganti ad un modo, e si fanno<br />

largo con prepotenza per accostarsi a Gesù curvo su di un malato. Attendono che lo abbia guarito,<br />

poi gli mandano vicino uno scriba perché lo interroghi.<br />

Veramente fra loro c’era stata prima una breve disputa, perché Gioele detto Alamot voleva andare<br />

lui ad interrogare il Maestro. Ma un fariseo si oppone e gli altri lo sostengono dicendo: «No. Ci è<br />

noto che tu parteggi per il Rabbi, benché tu lo faccia segretamente. Lascia andare Uria...».<br />

«Uria no», dice un altro giovane scriba che non conosco affatto. «Uria è troppo aspro nel suo<br />

parlare. Ecciterebbe la folla. Vado io».<br />

E, senza ascoltare più le proteste degli altri, va vicino al Maestro proprio nel momento che Gesù<br />

congeda il malato dicendogli: «Abbi fede. Sei guarito. La febbre e il dolore non torneranno mai<br />

più».<br />

2 «Maestro, quale è il maggiore dei comandamenti della Legge?».<br />

Gesù, che lo aveva alle spalle, si volta e lo guarda. Una luce tenue di sorriso gli illumina il volto, e<br />

poi alza il capo, essendo a capo chino perché lo scriba è di bassa statura e per di più sta curvo in atto<br />

di ossequio, e gira lo sguardo sulla folla, lo appunta sul gruppo dei farisei e dottori e scorge il viso<br />

pallido di Gioele seminascosto dietro un grosso e impaludato fariseo. <strong>Il</strong> suo sorriso si accentua. È<br />

come una luce che vada a carezzare lo scriba onesto.<br />

________________________________________<br />

* va ai portici è un’aggiunta nostra che completa la frase.<br />

Poi riabbassa il capo guardando il suo interlocutore e gli risponde: «<strong>Il</strong> primo* di tutti i<br />

comandamenti è: “Ascolta, o Israele: il Signore <strong>Dio</strong> nostro è l’unico Signore. Tu amerai il Signore<br />

<strong>Dio</strong> tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze”. Questo è il primo e<br />

supremo comandamento. <strong>Il</strong> secondo poi è simile a questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”.<br />

Non vi sono comandamenti maggiori di questi. Essi rinchiudono tutta la Legge e i Profeti».<br />

«Maestro, Tu hai risposto con sapienza e con verità. Così è. <strong>Dio</strong> è Unico e non vi è altro dio fuori<br />

che Lui. Amarlo con tutto il proprio cuore, con tutta la propria intelligenza, con tutta l’anima e tutte<br />

le forze, e amare il prossimo come se stesso, vale molto più di ogni olocausto e sacrificio. Molto lo<br />

penso quando medito le parole davidiche**: “A Te non piacciono gli olocausti; il sacrificio a <strong>Dio</strong> è<br />

lo spirito compunto”».<br />

«Tu non sei lontano dal Regno di <strong>Dio</strong>, perché hai compreso quale sia l’olocausto che è gradito a<br />

<strong>Dio</strong>».<br />

«Ma quale è l’olocausto maggiormente perfetto?», chiede svelto, a bassa voce, lo scriba, come se<br />

dicesse un segreto.<br />

Gesù raggia d’amore lasciando cadere questa perla nel cuore di costui che si apre alla sua dottrina,<br />

alla dottrina del Regno di <strong>Dio</strong>, e dice, curvo su lui: «L’olocausto perfetto è amare come noi stessi<br />

coloro che ci perseguitano e non avere rancori. Chi fa questo possederà la pace. È detto***: i


mansueti possederanno la terra e godranno dell’abbondanza della pace. In verità ti dico che colui<br />

che sa amare i suoi nemici raggiunge la perfezione e possiede <strong>Dio</strong>».<br />

3 Lo scriba lo saluta con deferenza e se ne torna al suo gruppo, che lo rimprovera sottovoce di aver<br />

lodato il Maestro, e con ira gli dicono: «Che gli hai chiesto in segreto? Sei anche tu, forse, sedotto<br />

da Lui?».<br />

«Ho sentito lo Spirito di <strong>Dio</strong> parlare sulle sue labbra».<br />

«Sei uno stolto. Lo credi forse tu il Cristo?».<br />

«Lo credo».<br />

«In verità fra poco vedremo vuote le nostre scuole dei nostri scribi ed essi andar raminghi dietro<br />

quell’Uomo! Ma dove vedi, in Lui, il Cristo?».<br />

«Dove non so. So che sento che è Lui».<br />

«Pazzo!», gli voltano inquieti le spalle.<br />

Gesù ha osservato il dialogo e, quando i farisei gli passano davanti in gruppo serrato per andarsene<br />

inquieti, li chiama dicendo: «Ascoltatemi. Voglio chiedervi una cosa. Secondo voi, che ve ne pare<br />

del Cristo? Di chi è figlio?».<br />

«Sarà figlio di Davide», gli rispondono marcando il “sarà”, perché vogliono fargli capire che, per<br />

loro, Egli non è il Cristo.<br />

_______________________________________<br />

* <strong>Il</strong> primo, in: Deuteronomio 6, 4-5. <strong>Il</strong> secondo, in: Levitico 19, 18.<br />

** parole davidiche, che sono in: Salmo 51, 18-19.<br />

*** È detto, in: Salmo 37, 11.<br />

«E come dunque Davide, ispirato da <strong>Dio</strong>, lo chiama “Signore” dicendo*: “<strong>Il</strong> Signore ha detto al mio<br />

Signore: ‘Siedi alla mia destra fino a che non avrò messo i tuoi nemici a sgabello ai tuoi piedi’ ”? Se<br />

dunque Davide chiama il Cristo “Signore”, come il Cristo può essergli figlio?».<br />

Non sapendo cosa rispondergli, si allontanano ruminando il loro veleno.<br />

4 Gesù si sposta dal luogo dove era, tutto invaso dal sole, per andare più oltre, dove sono le bocche<br />

del tesoro, presso la sala del gazofilacio. Questo lato, ancora in ombra, è occupato da rabbi che<br />

concionano con grandi gesti rivolti ai loro ascoltatori ebrei, che aumentano sempre più come, col<br />

passar delle ore, aumenta di continuo la gente che affluisce al Tempio.<br />

I rabbi si sforzano di demolire coi loro discorsi gli insegnamenti che il Cristo ha dato nei giorni<br />

precedenti o quella stessa mattina. E sempre più alzano la voce più vedono aumentare la folla dei<br />

fedeli. <strong>Il</strong> luogo, infatti, benché vasto tanto, formicola di persone che vanno e vengono in ogni<br />

senso...<br />

5 Mi dice Gesù: «Inserisci qui la visione dell’obolo della vedova (19 giugno 44) corretta* come ti<br />

indicherò», (come ho già corretto nei dattiloscritti che ho rimandato). Poi continua la visione.<br />

19 giugno 1944.<br />

6 Solo oggi, e con insistenza, vedo apparire la seguente visione.<br />

Sul principio non vedo che cortili e porticati, che riconosco essere del Tempio, e Gesù, che sembra<br />

un imperatore tanto è solenne nel suo abito rosso vivo e manto pure rosso più cupo, appoggiato ad<br />

una enorme colonna quadrata che sostiene un arco del portico. Mi guarda fissamente. Mi perdo a<br />

guardarlo, beandomi di Lui che da due giorni non vedevo e non udivo.<br />

La visione dura così per lungo tempo. E finché dura così non la scrivo, perché è gioia mia. Ma, ora<br />

che vedo animarsi la scena, comprendo che vi è dell’altro e scrivo.<br />

<strong>Il</strong> luogo si va empiendo di gente che va e viene in ogni senso. Vi sono sacerdoti e fedeli, uomini,<br />

donne e bambini. Chi passeggia, chi, fermo, ascolta i dottori, chi si dirige trascinando agnellini o<br />

portando colombi presso altri luoghi forse di sacrificio.


Gesù sta appoggiato alla sua colonna e guarda. Non parla. Anche due volte che è stato interrogato<br />

dagli apostoli ha fatto cenno di no, ma non ha parlato. È attentissimo ad osservare. E<br />

dall’espressione pare stia giudicando chi guarda. <strong>Il</strong> suo<br />

_____________________<br />

* dicendo, in: Salmo 110, 1.<br />

** corretta… Invece la riportiamo fedelmente e integralmente (come in 174.10) senza tener conto<br />

delle correzioni di MV sulla copia dattiloscritta, che consistono soprattutto nella soppressione dei<br />

brani iniziali in quanto di carattere personale e con qualche descrizione replicata.<br />

occhio e tutto il volto mi ricorda l’aspetto che gli ho visto nella visione* del Paradiso, quando<br />

giudicava le anime nel giudizio particolare. Ora, naturalmente, è Gesù, Uomo; lassù era Gesù<br />

glorioso, perciò più ancora imponente. Ma la mutabilità del volto, che osserva fissamente, è uguale.<br />

È serio, scrutatore, ma, se delle volte è di una severità da far tremare il più sfacciato, delle volte è<br />

anche così dolce, di una mestizia sorridente che pare carezzi con lo sguardo.<br />

7 Pare non oda nulla. Ma deve ascoltare tutto perché, quando da un gruppo lontano parecchi metri,<br />

raccolto intorno ad un dottore, si alza una voce nasale che proclama: «Più di ogni altro comando è<br />

valido questo: quanto è per il Tempio al Tempio vada. <strong>Il</strong> Tempio è al disopra del padre e della madre<br />

e, se alcuno vuole dare alla gloria del Signore ogni “che” che gli avanza, lo può fare e ne sarà<br />

benedetto, poiché non vi è sangue né affetto superiore al Tempio», Gesù gira lentamente la testa in<br />

quella direzione e guarda con un che... che non vorrei fosse rivolto a me.<br />

Pare guardi in generale. Ma quando un vecchietto tremolante si accinge a salire i cinque scalini di<br />

una specie di terrazza che è prossima a Gesù, e che pare conduca ad un altro cortile più interno, e<br />

punta il bastoncello e quasi cade inciampando nella veste, Gesù allunga il suo lungo braccio e<br />

l’afferra e lo sorregge, né lo lascia sinché lo vede in sicuro. <strong>Il</strong> vecchietto alza la testa grinzosa e<br />

guarda il suo alto salvatore e mormora una parola di benedizione, e Gesù gli sorride e lo carezza<br />

sulla testa semicalva. Poi torna contro la sua colonna, e se ne stacca ancora una volta per rialzare un<br />

bambino che scivola dalla mano della madre e cade bocconi proprio ai suoi piedi, piangendo, contro<br />

il primo scalino. Lo alza, lo carezza, lo consola. La madre, confusa, ringrazia. Gesù sorride anche a<br />

lei, alla quale riconsegna il piccolo.<br />

Ma non sorride quando passa un tronfio fariseo e neppure quando passano in gruppo degli scribi e<br />

altri che non so chi siano. Questo gruppo saluta con grande sbracciarsi e inchinarsi. Gesù li guarda<br />

così fissamente che pare li perfori, e saluta ma senza espansione. È severo. Anche ad un sacerdote<br />

che passa, e deve essere un pezzo grosso perché la folla fa largo e saluta e lui passa tronfio come un<br />

pavone, Gesù dà un lungo sguardo. Uno sguardo tale che colui, che pure è pieno di superbia, china<br />

il capo. Non saluta. Ma non resiste allo sguardo di Gesù.<br />

8 Gesù cessa di guardarlo per osservare una povera donnetta vestita di marrone scuro, che sale<br />

vergognosa i gradini e va verso una parete in cui sono come delle teste di leone o simili bestie a<br />

bocca aperta. Molti vanno a quella volta. Ma Gesù pareva non aver fatto caso a loro. Ora invece<br />

segue il cammino della donnetta. <strong>Il</strong> suo occhio la guarda pietoso e si fa dolce dolce quando la vede<br />

stendere una mano e gettare nella bocca di pietra di uno di quei leoni qualche cosa. E quando la<br />

donnetta nel ritirarsi gli passa vicino, dice per il primo: «La pace a te, donna».<br />

________________________________________<br />

* visione del 25 maggio 1944, riportata nel volume “I quaderni del 1944”.<br />

Quella, stupita, alza il capo e resta interdetta. «La pace a te», ripete Gesù. «Va’, ché l’Altissimo ti<br />

benedice». Quella poveretta resta estatica, poi mormora un saluto e va.<br />

«Ella è felice nella sua infelicità», dice Gesù uscendo dal suo silenzio. «Ora è felice perché la<br />

benedizione di <strong>Dio</strong> la accompagna».<br />

9 «Udite, amici, e voi che mi siete intorno. Vedete quella donna? Non ha dato che due spiccioli, tanto<br />

che non basta a comperare il pasto di un passero tenuto in gabbia, eppure ha dato più di tutti quanti


hanno, da quando si è aperto il Tempio all’aurora, versato il loro obolo al Tesoro del Tempio. Udite.<br />

Ho visto ricchi in gran numero mettere in quelle bocche sostanze capaci di sfamare costei per un<br />

anno e di rivestire la sua povertà, che è decente solo perché è pulita. Ho visto ricchi mettere con<br />

visibile soddisfazione là dentro somme che avrebbero potuto sfamare i poveri della Città santa per<br />

uno e più giorni e far loro benedire il Signore. Ma in verità vi dico che nessuno ha dato più di<br />

costei. <strong>Il</strong> suo obolo è carità. L’altro non è. <strong>Il</strong> suo è generosità. L’altro non è. <strong>Il</strong> suo è sacrificio.<br />

L’altro non è. Oggi quella donna non mangerà poiché non ha più nulla. Prima dovrà lavorare per<br />

mercede, per poter dare un pane alla sua fame. Dietro a lei non vi sono ricchezze, non vi sono<br />

parenti che guadagnino per lei. Ella è sola. <strong>Dio</strong> le ha levato parenti, marito e figli, le ha levato quel<br />

poco bene che essi le avevano lasciato, e più che <strong>Dio</strong> glielo hanno levato gli uomini, questo; quegli<br />

uomini che ora con grandi gesti, vedete?, continuano a gettare là dentro il loro superfluo, di cui<br />

molto è estorto con usura dalle povere mani di chi è debole e ha fame.<br />

10 Essi dicono che non c’è sangue e affetto superiore al Tempio, e così insegnano a non amare il<br />

prossimo loro. <strong>Io</strong> vi dico che sopra al Tempio è l’amore. La legge di <strong>Dio</strong> è amore, e non ama chi<br />

non ha pietà per il prossimo. <strong>Il</strong> denaro superfluo, il denaro infangato dall’usura, dall’astio, dalla<br />

durezza, dall’ipocrisia, non canta la lode a <strong>Dio</strong> e non attira sul donatore la benedizione celeste. <strong>Dio</strong><br />

lo ripudia. Impingua queste casse. Ma non è oro per l’incenso: è fango che vi sommerge, o ministri,<br />

che non servite <strong>Dio</strong> ma il vostro interesse; ma è laccio che vi strozza, o dottori, che insegnate una<br />

dottrina vostra; ma è veleno che vi corrode quel resto d’anima, o farisei, che ancora avete. <strong>Dio</strong> non<br />

vuole ciò che è avanzo. Non siate Caini. <strong>Dio</strong> non vuole ciò che è frutto di durezza. <strong>Dio</strong> non vuole<br />

ciò che, alzando voce di pianto, dice: “Dovevo sfamare un affamato. Ma gli sono stato negato per<br />

far pompa qua dentro. Dovevo aiutare un vecchio padre, una madre cadente, e sono stato negato<br />

perché l’aiuto non sarebbe stato noto al mondo, ed io devo suonare il mio squillo perché il mondo<br />

veda il donatore”.<br />

No, rabbi che insegni che quanto è avanzo va dato a <strong>Dio</strong> e che è lecito negare al padre e alla madre<br />

per dare a <strong>Dio</strong>. <strong>Il</strong> primo comando è: “Ama <strong>Dio</strong> con tutto il tuo cuore, la tua anima, la tua<br />

intelligenza, la tua forza”. Perciò non il superfluo ma quello che è sangue nostro bisogna dargli,<br />

amando soffrire per Lui. Soffrire. Non far soffrire. E se dare molto costa, perché spogliarsi delle<br />

ricchezze spiace e il tesoro è il cuore dell’uomo, vizioso di natura, è proprio perché costa che dare<br />

bisogna. Per giustizia: poiché tutto quanto si ha, si ha per bontà di <strong>Dio</strong>. Per amore, perché è prova<br />

d’amore amare il sacrificio per dare gioia a chi si ama. Soffrire per offrire. Ma soffrire. Non far<br />

soffrire, ripeto. Perché il secondo comando dice: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. E la legge<br />

specifica che, dopo <strong>Dio</strong>, i genitori sono il prossimo cui è obbligo dare onore e aiuto.<br />

11 Onde in verità vi dico che quella povera donna ha compreso la Legge meglio dei sapienti ed è<br />

giustificata più di ogni altro e benedetta, poiché nella sua povertà ha dato a <strong>Dio</strong> tutto, mentre voi<br />

date ciò che vi supera e lo date per crescere nella stima degli uomini. Lo so che mi odiate perché<br />

parlo così. Ma finché questa bocca potrà parlare, parlerà in tal modo. Unite il vostro odio per Me al<br />

disprezzo per la poverella che <strong>Io</strong> lodo. Ma non crediate di fare di queste due pietre doppio<br />

piedistallo alla vostra superbia. Saranno la macina che vi stritolerà.<br />

Andiamo. Lasciamo che le vipere si mordano aumentando il loro veleno. Chi è puro, buono, umile,<br />

contrito, e vuole conoscere il vero volto di <strong>Dio</strong>, mi segua».<br />

12 Dice Gesù: «E tu, alla quale nulla resta, poiché tutto mi hai dato, dammi questi due ultimi<br />

spiccioli. Davanti al tanto che hai dato sembrano, agli estranei, un nulla. Ma per te, che non hai più<br />

che questi, sono tutto. Mettili nella mano del tuo Signore. E non piangere. O, almeno, non piangere<br />

sola. Piangi con Me, che sono l’Unico che ti posso capire e che ti capisco senza nebbie di umanità,<br />

che sono sempre interessato velo al vero».<br />

[2 aprile 1947]<br />

13 Apostoli, discepoli e folla lo seguono compatti, mentre Egli torna di nuovo nel luogo della prima<br />

cinta che è quasi al riparo del muraglione di cinta del Tempio, là dove è un poco di frescura perché<br />

la giornata è molto afosa. Là, essendo il terreno sconvolto dagli zoccoli degli animali, sparso delle


pietre che i mercanti e i cambiavalute usavano per tenere fermi i loro recinti e le loro tende, là non<br />

ci sono i rabbi di Israele, i quali permettevano che nel Tempio si facesse un mercato, ma che hanno<br />

ribrezzo a portare le suole dei loro sandali là dove malamente sono cancellate le orme dei<br />

quadrupedi che solo da pochi giorni sono stati sfrattati di là...<br />

Gesù non ne ha ribrezzo e si rifugia là, in un cerchio folto di ascoltatori. Però, prima di parlare,<br />

chiama vicino i suoi apostoli, ai quali dice:<br />

«Venite e ascoltate bene. Ieri volevate sapere molte delle cose che ora dirò e che ieri accennai<br />

vagamente, quando riposavamo nell’orto di Giuseppe. State dunque bene attenti, perché sono grandi<br />

lezioni per tutti e soprattutto per voi, miei ministri e continuatori.<br />

14 Udite. Sulla cattedra di Mosè si assisero al tempo giusto scribi e farisei. Ore tristi, quelle, per la<br />

Patria*. Finito l’esilio in Babilonia e ricostruita la nazione per magnanimità di Ciro, i reggitori del<br />

popolo sentirono la necessità di ricostruire anche il culto e la conoscenza della Legge. Perché guai a<br />

quel popolo che non li ha<br />

______________________<br />

* Ore tristi… per la Patria, come si legge in: Esdra 1-10; Neemia 1-13; 1 Maccabei 1-2.<br />

a sua difesa, guida e sostegno, contro i più potenti nemici di una nazione, che sono l’immoralità dei<br />

cittadini, la ribellione ai capi, la disunione fra le diverse classi e partiti, i peccati contro <strong>Dio</strong> e contro<br />

il prossimo, l’irreligiosità, tutti elementi disgregatori per se stessi e per le punizioni celesti che<br />

provocano!<br />

Sorsero dunque gli scribi, o dottori della Legge, per poter ammaestrare il popolo che, parlante il<br />

linguaggio caldeo, retaggio del duro esilio, non comprendeva più le scritture scritte in ebraico puro.<br />

Sorsero in aiuto dei sacerdoti, insufficienti per numero ad assolvere il compito di ammaestrare le<br />

folle. Laicato dotto e dedicato ad onorare il Signore, portando la conoscenza di Lui negli uomini e<br />

portando a Lui gli uomini, ebbe la sua ragione di essere e fece anche del bene. Perché, ricordatevelo<br />

tutti, anche le cose che per debolezza umana poi degenerano, come fu questa che si corruppe<br />

nell’andare dei secoli, hanno sempre qualche parte di buono e una ragione, almeno iniziale, di<br />

essere, per le quali cose l’Altissimo permette che sorgano e durino sinché, la misura della<br />

degenerazione essendo colma, l’Altissimo non le disperde.<br />

Venne poi l’altra setta dei farisei, dalla trasformazione di quella degli Assidei, sorta per sostenere<br />

con la più rigida morale e la più intransigente ubbidienza la Legge di Mosè e lo spirito di<br />

indipendenza nel nostro popolo, quando il partito ellenista, formatosi per le pressioni e le seduzioni<br />

iniziatesi al tempo di Antioco Epifane e presto mutatesi in persecuzioni su chi non cedeva alle<br />

pressioni dell’astuto, che più che sulle sue armi contava sulla disgregazione della fede nei cuori per<br />

regnare nella nostra Patria, tentava di farci servi.<br />

15 Ricordate anche questo: temete piuttosto le facili alleanze e le blandizie di uno straniero che le sue<br />

legioni. Perché, mentre se sarete fedeli alle leggi di <strong>Dio</strong> e della Patria vincerete anche se accerchiati<br />

da eserciti poderosi, quando sarete corrotti dal veleno sottile, dato come un miele inebbriante dallo<br />

straniero che ha fatto disegni su voi, <strong>Dio</strong> vi abbandonerà per i vostri peccati, e sarete vinti e<br />

soggetti, anche senza che il falso alleato dia battaglia cruenta contro il vostro suolo. Guai a chi non<br />

sta all’erta come vigile scolta e non respinge* l’insidia sottile di un astuto e falso vicino, o alleato, o<br />

dominatore che inizia la sua dominazione sui singoli, illanguidendo il loro cuore e corrompendolo<br />

con usi e costumi che nostri non sono, che santi non sono e che perciò ci rendono sgraditi al<br />

Signore! Guai! Ricordate tutti le conseguenze portate alla Patria dall’avere alcuni dei suoi figli<br />

adottato usi e costumi dello straniero per ingraziarsi lo stesso e godere. Buona cosa è la carità con<br />

tutti, anche con i popoli che non sono della nostra fede, che non hanno i nostri usi, che ci hanno<br />

nuociuto nei secoli. Ma l’amore a questi popoli, che sono sempre nostro prossimo, non ci deve mai<br />

far rinnegare la Legge di <strong>Dio</strong> e della Patria per il calcolo di qualche utile carpito così ai vicini. No.<br />

Gli stranieri disprezzano coloro che sono servili sino al ripudio delle cose più sante della Patria.<br />

Non è col rinnegare il Padre e la Madre - <strong>Dio</strong> e la Patria - che si ottiene rispetto e libertà.<br />

__________________<br />

* e non respinge, invece di e respinge, è correzione nostra.<br />

Bene dunque fu che al tempo giusto sorgessero anche i farisei a fare diga contro lo straripamento


fangoso di usi e costumi stranieri. Lo ripeto: ogni cosa che sorge e che dura ha la sua ragione<br />

d’essere. E bisogna rispettarla per ciò che fece, se non per ciò che fa. Ché, se essa è colpevole,<br />

ormai, non sta agli uomini insultarla e meno ancora colpirla. C’è chi sa farlo: <strong>Dio</strong> e Colui che Egli<br />

ha mandato e che ha il diritto e il dovere di aprire la sua bocca e di aprire i vostri occhi, perché voi e<br />

loro sappiate il pensiero dell’Altissimo e agiate con giustizia. <strong>Io</strong> e nessun altro. <strong>Io</strong> perché parlo per<br />

mandato divino. <strong>Io</strong> perché posso parlare non avendo in Me nessuno dei peccati che vi scandalizzano<br />

quando li vedete fatti da scribi e farisei, ma che, se potete, fate voi pure».<br />

16 Gesù, che aveva iniziato pianamente il suo discorso, ha alzato gradatamente la voce, e in queste<br />

ultime parole essa è potente come uno squillo di tromba.<br />

Ebrei e gentili sono intenti ed attenti ad ascoltarlo. E se i primi applaudono quando Gesù ricorda la<br />

Patria e chiama apertamente coi loro nomi coloro che, stranieri, li hanno assoggettati e fatti soffrire,<br />

i secondi ammirano la forma oratoria del discorso e si felicitano di essere presenti a questa orazione<br />

degna di un grande oratore, dicono fra loro.<br />

Gesù abbassa di nuovo la voce riprendendo a parlare:<br />

«Questo vi ho detto per ricordarvi la ragione d’essere di scribi e farisei, e come e perché si sono<br />

seduti sulla cattedra di Mosè, e come e perché parlano e non vane sono le loro parole. Fate dunque<br />

ciò che essi dicono. Ma non imitateli nelle loro azioni. Perché essi dicono di fare in una data<br />

maniera, ma poi non fanno ciò che dicono che si deve fare. Infatti essi insegnano le leggi di umanità<br />

del Pentateuco, ma poi caricano di pesi grandi, insopportabili, inumani, gli altri, mentre per loro<br />

stessi non stendono neppur un dito, non a portare quei pesi, ma neppure a toccarli.<br />

Loro regola di vita è l’esser visti e notati e applauditi per le loro opere, che fanno in maniera atta a<br />

esser viste, per averne lode. E contravvengono alla legge dell’amore, perché amano definirsi<br />

separati e hanno sprezzo per coloro che non sono della loro setta, ed esigono il titolo di maestri e un<br />

culto dai loro discepoli quali essi non dànno a <strong>Dio</strong>. Dèi si credono per sapienza e potenza, superiori<br />

al padre e alla madre vogliono essere nel cuore dei loro discepoli, e pretendono che la loro dottrina<br />

superi quella di <strong>Dio</strong> ed esigono che sia praticata alla lettera, anche se è manipolazione della vera<br />

Legge, inferiore alla stessa come più non lo è questo monte rispetto all’altezza del Grande Ermon<br />

che tutta la Palestina sovrasta; ed eretici sono, credendo, come i pagani, alla metempsicosi e alla<br />

fatalità alcuni, negando gli altri ciò che i primi ammettono e, di fatto se non di effetto, ciò che <strong>Dio</strong><br />

stesso ha dato per fede, definendosi unico <strong>Dio</strong> al quale va dato culto e dicendo il padre e la madre<br />

secondi a <strong>Dio</strong> soltanto, e come tali in diritto di essere ubbiditi più di un maestro che non sia divino.<br />

Ché se ora <strong>Io</strong> vi dico*: “Colui che ama il padre e la madre più di Me non è atto<br />

_____________________________________<br />

* vi dico, come in 265.12 e 281.6; Colui che ama, invece di Coloro che amano, è correzione<br />

nostra che si accorda con non è atto.<br />

al Regno di <strong>Dio</strong>”, non è già per inculcarvi il disamore ai parenti, ai quali dovete rispetto ed aiuto, né<br />

è lecito levare un soccorso ad essi dicendo: “È denaro del Tempio”, o ospitalità dicendo: “La mia<br />

carica me lo vieta”, o la vita dicendo: “Ti uccido perché tu ami il Maestro”, ma è perché abbiate<br />

l’amore giusto ai parenti, ossia un amore paziente e forte nella sua mansuetudine, il quale sa - senza<br />

giungere all’odio verso il parente che pecca e dà dolore non seguendovi sulla via della Vita: la mia -<br />

il quale sa saper scegliere tra la legge mia e l’egoismo famigliare e la sopraffazione famigliare.<br />

Amate i parenti, ubbiditeli in tutto ciò che è santo. Ma siate pronti a morire, non già a dar morte ma<br />

a morire, dico, se essi vogliono indurvi a tradire la vocazione che <strong>Dio</strong> ha messa in voi di essere i<br />

cittadini del Regno di <strong>Dio</strong> che <strong>Io</strong> sono venuto a formare.<br />

17 Non imitate scribi e farisei, divisi fra loro sebbene affettino di essere uniti. Voi, discepoli del<br />

Cristo, siate veramente uniti, uni per gli altri, i capi dolci ai soggetti, i soggetti dolci coi capi, uni<br />

nell’amore e nel fine della vostra unione: conquistare il mio Regno ed essere alla mia destra<br />

nell’eterno Giudizio. Ricordate che un regno diviso non è più un regno e non può sussistere. Siate<br />

dunque uniti fra voi nell’amore per Me e per la mia dottrina. Assisa del cristiano, ché tale sarà il<br />

nome dei sudditi miei, sia l’amore e l’unione, l’uguaglianza fra voi nelle vesti, la comunanza negli<br />

averi, la fratellanza dei cuori. Tutti per uno, uno per tutti. Chi ha, dia umilmente. Chi non ha, accetti


umilmente e umilmente esponga i suoi bisogni ai fratelli, sapendoli tali; e i fratelli ascoltino<br />

amorosamente i bisogni dei fratelli, sentendosi ad essi veramente tali.<br />

Ricordate che il Maestro vostro ebbe spesso fame, freddo e altri mille bisogni e disagi, e umilmente<br />

li espose agli uomini, Egli, Verbo di <strong>Dio</strong>. Ricordate che è dato un premio a chi è misericorde anche<br />

di un sol sorso d’acqua. Ricordate che dare è meglio che ricevere. In questi tre ricordi il povero<br />

trovi la forza di chiedere senza sentirsi umiliato, pensando che <strong>Io</strong> l’ho fatto prima di lui, e di<br />

perdonare se sarà respinto, pensando che molte volte al Figlio dell’uomo fu negato il posto e il cibo<br />

che si dànno ai cani di guardia al gregge. E il ricco trovi la generosità di dare le sue ricchezze,<br />

pensando che la moneta vile, l’odioso denaro suggerito da Satana, causa dei nove decimi delle<br />

rovine del mondo, se dato per amore si muta in gemma immortale e paradisiaca.<br />

18 Siate vestiti delle vostre virtù. Esse siano ampie ma note a <strong>Dio</strong> solo. Non fate come i farisei che<br />

portano le filatterie più larghe e le frange più lunghe e amano i primi seggi nelle sinagoghe e gli<br />

ossequi nelle piazze, e vogliono essere chiamati dal popolo: “Rabbi”. Uno solo è il Maestro: il<br />

Cristo. Voi che in futuro sarete i nuovi dottori, parlo a voi, miei apostoli e discepoli, ricordate che <strong>Io</strong><br />

solo sono il vostro Maestro. E lo sarò anche quando non sarò più fra voi. Perché solo la Sapienza è<br />

colei che ammaestra. Non fatevi perciò chiamare maestri, perché siete voi stessi discepoli. E non<br />

esigete e non date il nome di padre ad alcuno sulla Terra, perché uno solo è il Padre di tutti: il Padre<br />

vostro che è nei Cieli. Questa verità vi faccia saggi nel sentirvi veramente tutti fratelli fra voi, sia<br />

quelli che dirigono come quelli che sono diretti, e amatevi perciò da buoni fratelli. Né alcuno di<br />

quelli che dirigeranno si faccia chiamare guida, perché una sola è la vostra guida comune: il Cristo.<br />

<strong>Il</strong> più grande fra voi sia vostro servo. Non è umiliarsi esser servo dei servi di <strong>Dio</strong>, ma è imitare Me<br />

che fui mite e umile, sempre pronto ad avere amore ai fratelli miei nella carne di Adamo e ad<br />

aiutarli con la potenza che ho in Me come <strong>Dio</strong>. Né ho umiliato il divino, servendo gli uomini.<br />

Perché il vero re è colui che sa signoreggiare non tanto gli uomini quanto le passioni dell’uomo,<br />

prima fra tutte la stolta superbia. Ricordate: chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta sarà umiliato.<br />

19 La Donna* di cui ha parlato nel II della Genesi il Signore, la Vergine di cui è parola in Isaia, la<br />

Madre-Vergine dell’Emmanuele, ha profetato questa verità del tempo nuovo cantando: “<strong>Il</strong> Signore<br />

ha rovesciato i potenti dal loro trono ed ha innalzato gli umili”. La Sapienza di <strong>Dio</strong> parlava sul<br />

labbro di Colei che era Madre della Grazia e Trono della Sapienza. E <strong>Io</strong> ripeto le ispirate parole che<br />

mi lodarono unito al Padre e allo Spirito Santo, nelle nostre opere mirabili, quando, senza offesa per<br />

la Vergine, <strong>Io</strong>, l’Uomo, mi formavo nel suo seno senza cessare di essere <strong>Dio</strong>. Siano norma a quelli<br />

che vogliono partorire il Cristo nei loro cuori e venire al Regno di Cristo. Non vi sarà Gesù: il<br />

Salvatore; Cristo: il Signore; e non vi sarà Regno dei Cieli per coloro che sono superbi, fornicatori,<br />

idolatri, adorando se stessi e la loro volontà.<br />

20 Perciò guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che credete di poter chiudere con le vostre impraticabili<br />

sentenze - e realmente, se fossero avallate da <strong>Dio</strong>, sarebbero serrame infrangibile alla maggioranza<br />

degli uomini - che credete di poter chiudere il Regno dei Cieli in faccia agli uomini che alzano lo<br />

spirito ad esso per trovare forza nella loro penosa giornata terrena! Guai a voi che non ci entrate,<br />

non ci volete entrare perché non accogliete la Legge del celeste Regno, e non ci lasciate entrare gli<br />

altri che sono davanti a quella porta che voi, intransigenti, rinforzate di chiusure che <strong>Dio</strong> non ha<br />

messe.<br />

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che divorate le case delle vedove col pretesto di fare lunghe<br />

orazioni. Per questo subirete un giudizio severo!<br />

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che andate per mare e per terra, consumando gli averi non vostri,<br />

per fare un solo proselite e, fatto che sia tale, lo rendete figlio dell’inferno il doppio di voi!<br />

Guai a voi, guide cieche, che dite: “Se uno giura per il Tempio non è niente il suo giuramento, ma se<br />

giura per l’oro del Tempio allora resta obbligato al suo giuramento”. Stolti e ciechi! E chi è di più?<br />

L’oro, o il Tempio che santifica l’oro? E che dite: “Se uno giura per l’altare non ha valore il suo<br />

giuramento, ma se giura per l’offerta che è sull’altare allora è valido il suo giurare e resta obbligato<br />

al suo giuramento”. Ciechi! Che cosa è più grande? L’offerta, o l’altare che santifica l’offerta? Chi<br />

dunque giura per l’altare giura per esso e per tutte le cose che sono<br />

__________________________________________


* La Donna, di cui si parla in Genesi 2, 22-23, ma con più attinenza in Genesi 3, 15 (perciò II<br />

potrebbe essere scritto erroneamente per III); la Vergine, di cui si parla in Isaia 7, 14; ha profetato,<br />

in 21.5.<br />

sopra di esso, e chi giura per il Tempio giura per esso e per Colui che lo abita, e chi giura per il<br />

Cielo giura per il trono di <strong>Dio</strong> e per Colui che vi sta assiso.<br />

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate le decime della menta e della ruta, dell’anice e del<br />

cimino, e poi trascurate i precetti più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà.<br />

Queste sono le virtù che bisognava avere, senza tralasciare le altre cose minori!<br />

Guide cieche, che filtrate le bevande per paura di contaminarvi inghiottendo un moscerino affogato,<br />

e poi trangugiate un cammello senza sentirvi immondi per questo. Guai a voi, scribi e farisei<br />

ipocriti, che lavate l’esterno del calice e del piatto, ma dentro siete ricolmi di rapina e<br />

d’immondezza. Fariseo cieco, lava prima il di dentro del tuo calice e del tuo piatto, di modo che<br />

anche il di fuori divenga pulito.<br />

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che volate come nottole nelle tenebre per le vostre opere di<br />

peccato e patteggiate nella notte coi pagani, i ladroni e i traditori, e poi, al mattino, cancellati i segni<br />

dei vostri occulti mercati, salite al Tempio in bella veste.<br />

Guai a voi, che insegnate le leggi della carità e della giustizia contenute nel Levitico, e poi siete<br />

avidi, ladri, falsi, calunniatori, oppressori, ingiusti, vendicativi, odiatori, e giungete ad abbattere<br />

colui che vi dà noia, anche se è vostro sangue, e a ripudiare la vergine che vi è divenuta moglie, e<br />

ripudiare i figli avuti da lei perché sono infelici, e ad accusare di adulterio la vostra donna che più<br />

non vi piace, o di malattia immonda, per esser liberi di essa, voi che immondi siete nel vostro cuore<br />

libidinoso, anche se non parete tali agli occhi della gente che non sa le vostre azioni. Siete simili a<br />

sepolcri imbiancati, che di fuori sembrano belli mentre dentro sono pieni d’ossa di morti e di<br />

marciume. Così anche voi. Sì. Così! Di fuori sembrate giusti, ma dentro siete ricolmi di ipocrisia e<br />

d’iniquità.<br />

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate sontuosi sepolcri ai profeti e abbellite le tombe dei<br />

giusti dicendo: “Se noi fossimo vissuti ai tempi dei nostri padri non saremmo stati complici e<br />

partecipi di coloro che sparsero il sangue dei profeti”. E così testimoniate contro di voi di essere i<br />

discendenti di coloro che uccisero i vostri profeti. E voi, del resto, colmate la misura dei padri<br />

vostri... O serpenti, razza di vipere, come scamperete alla condanna della Geenna?<br />

21 Per questo, ecco, <strong>Io</strong>, Parola di <strong>Dio</strong>, vi dico: <strong>Io</strong>, <strong>Dio</strong>, manderò a voi profeti e sapienti e scribi<br />

novelli. E, di questi, voi parte ne ucciderete, parte ne crocifiggerete, parte ne flagellerete nei vostri<br />

tribunali, nelle vostre sinagoghe, fuori delle vostre mura, e parte li perseguiterete di città in città,<br />

finché non ricada su voi tutti il sangue giusto sparso sulla Terra, dal sangue del giusto Abele* a<br />

quello di Zaccaria figlio di Barachia, che voi uccideste fra l’atrio e l’altare perché vi aveva, per<br />

amore di voi, ricordato il vostro peccato acciò ve ne pentiste tornando al Signore. Così è. Voi odiate<br />

coloro che vogliono il vostro bene e amorosamente vi richiamano sui sentieri di <strong>Dio</strong>.<br />

___________________________________________<br />

* dal sangue del giusto Abele, in Genesi 4, 8, a quello di Zaccaria, in 2 Cronache 24, 20-22. Già<br />

in 414.9.<br />

In verità vi dico che tutto ciò sta per avvenire, e il delitto e le conseguenze. In verità vi dico che<br />

tutto ciò si compirà su questa generazione.<br />

Oh! Gerusalemme! Gerusalemme! Gerusalemme, che lapidi quelli che ti sono inviati e uccidi i suoi<br />

profeti! Quante volte <strong>Io</strong> ho voluto radunare i tuoi figli come la chioccia raduna i suoi pulcini sotto le<br />

sue ali, e tu non hai voluto! Or ecco, ascolta, o Gerusalemme! Or ecco, ascoltate voi tutti che mi<br />

odiate e odiate tutto ciò che viene da <strong>Dio</strong>. Or ecco, ascoltate voi che mi amate e che sarete travolti<br />

nel castigo serbato per i persecutori dei Messi di <strong>Dio</strong>. E ascoltate anche voi, che non siete di questo<br />

popolo ma che mi ascoltate ugualmente, ascoltate per sapere chi è Colui che vi parla e che predice<br />

senza bisogno di studiare il volo, il canto degli uccelli, né i fenomeni celesti e le viscere degli<br />

animali sacrificati, né la fiamma e il fumo degli olocausti, perché tutto il futuro è il presente per<br />

Colui che vi parla. “Questa vostra Casa vi sarà lasciata deserta. <strong>Io</strong> vi dico, dice il Signore, che non


mi vedrete più finché voi pure non diciate*: ‘Benedetto Colui che viene nel nome del Signore’ ”».<br />

22 Gesù è visibilmente stanco e accaldato. E per la fatica del lungo e tonante discorso e per l’afa della<br />

giornata senza vento. Premuto contro al muro da una moltitudine, dardeggiato da mille e mille<br />

pupille, sentendo tutto l’odio che da sotto i portici del cortile dei Pagani lo ascolta, e tutto l’amore o<br />

almeno l’ammirazione che lo circonda, incurante del sole che picchia sulle schiene e sui volti<br />

arrossati e sudati, appare veramente spossato e bisognoso di ristoro. E lo cerca dicendo ai suoi<br />

apostoli e ai settantadue, che come tanti cunei si sono aperti lentamente un passaggio nella folla e<br />

che sono ora in prima linea, barriera d’amore fedele intorno a Lui: «Usciamo dal Tempio e andiamo<br />

all’aperto, fra gli alberi. Ho bisogno di ombra, silenzio e frescura. In verità questo luogo sembra già<br />

ardere del fuoco dell’ira celeste».<br />

Gli fanno largo a fatica e possono così uscire dalla porta più vicina, dove Gesù si sforza di<br />

congedare molti, ma inutilmente. Lo vogliono seguire a tutti i costi.<br />

23 I discepoli, intanto, osservano il cubo del Tempio sfavillante al sole quasi meridiano, e Giovanni<br />

d’Efeso fa osservare al Maestro la potenza della costruzione: «Guarda che pietre e che<br />

costruzioni!».<br />

«Eppure di esse non resterà pietra su pietra», risponde Gesù.<br />

«No! Quando? Come?», chiedono molti.<br />

Ma Gesù non dice. Scende il Moria ed esce svelto dalla città, passando per Ofel e per la porta di<br />

Efraim o del Letame e rifugiandosi nel folto dei Giardini del Re dapprima, ossia sinché coloro che,<br />

non apostoli e non discepoli, si sono ostinati a seguirlo se ne vanno lentamente quando Mannaen,<br />

che ha fatto aprire i pesanti cancelli, si fa avanti, imponente, per dire a tutti: «Andate. Qui non<br />

entrano che coloro che io voglio».<br />

Ombre, silenzio, profumi di fiori, aromi di canfore e garofani, cannella, spigo e mille altre erbe da<br />

odori, e fruscio di ruscelli, certo alimentati dalle fonti e cisterne<br />

____________________________<br />

* finché voi pure non diciate, come in: Salmo 118, 26.<br />

vicine, sotto gallerie di fogliame, cinguettii d’uccelli, fanno del luogo un posto di riposo<br />

paradisiaco. La città sembra lontana miglia e miglia, con le sue vie strette, cupe per gli archivolti o<br />

assolate sino ad essere abbacinanti, coi suoi odori e fetori di cloache non sempre pulite e di vie<br />

percorse da troppi quadrupedi per essere pulite, specie quelle di secondaria importanza.<br />

24 <strong>Il</strong> custode dei Giardini deve conoscere molto bene Gesù*, perché lo ossequia con rispetto e<br />

confidenza insieme, e Gesù gli chiede dei figli e della moglie.<br />

L’uomo vorrebbe ospitare Gesù nella sua casa, ma il Maestro preferisce la pace fresca, riposante del<br />

vasto Giardino del Re, un vero parco di delizie. E prima che i due instancabili e fedelissimi servi di<br />

Lazzaro se ne vadano a prendere la cesta del cibo, Gesù dice loro: «Dite alle vostre padrone di<br />

venire. Staremo qui qualche ora con mia Madre e le discepole fedeli. E sarà tanto dolce...».<br />

«Sei molto stanco, Maestro! <strong>Il</strong> tuo volto lo dice», osserva Mannaen.<br />

«Sì. Tanto che non ho avuto forza di andare oltre».<br />

«Ma io te li avevo offerti questi giardini più volte, in questi giorni. Tu sai se io sono contento di<br />

poterti offrire pace e ristoro!».<br />

«Lo so, Mannaen».<br />

«E ieri sei voluto andare in quel triste luogo! Così arido nelle vicinanze, così stranamente brullo nel<br />

suo vegetare quest’anno! Così vicino a quella triste porta!».<br />

«Ho voluto accontentare i miei apostoli. Sono bambini, in fondo. Grandi bambini. Vedili là come si<br />

ristorano felici!... Subito dimentichi di quanto si agita contro di Me oltre queste mura...».<br />

«E dimentichi che Tu sei tanto afflitto... Ma non mi sembra che ci sia molto da allarmarsi. Mi<br />

sembrava più pericoloso il luogo altre volte».<br />

Gesù lo guarda e tace. Quante volte vedo Gesù guardare e tacere così, in questi ultimi giorni!<br />

Poi Gesù si dà a guardare gli apostoli e i discepoli, che si sono levati i copricapi e i mantelli e i<br />

sandali, rinfrescandosi volti ed estremità nei freschi rii, imitati da molti dei settantadue discepoli,<br />

che ora, in realtà, sono molti di più, io credo, e che, tutti uniti dalla fraternità di ideali, si gettano qua<br />

e là in riposo, un poco in disparte per lasciare Gesù quieto a riposare.


Anche Mannaen si ritira lasciandolo in pace. Tutti rispettano il riposo del Maestro, stanchissimo,<br />

che si è rifugiato in una foltissima pergola di gelsomino in fiore fatta a capanna, isolata da un anello<br />

d’acque che scorre frusciando in un canaletto nel quale si riversano erbe e fiori. Un vero rifugio di<br />

pace, al quale si accede per un ponticello largo due palmi e lungo quattro, sulla cui ringhiera è tutta<br />

una ghirlanda di corolle di gelsomini.<br />

25 Tornano i servi aumentati da altri, perché Marta ha voluto provvedere a tutti i servi del Signore, e<br />

dicono che le donne verranno fra poco.<br />

________________________<br />

* deve conoscere molto bene Gesù, che gli aveva guarito una gamba, come si legge in 488.5.<br />

Gesù fa chiamare Pietro e gli dice: «Insieme a Giacomo mio fratello benedici, offri e distribuisci<br />

così come <strong>Io</strong> faccio».<br />

«Distribuire sì, ma benedire no, Signore. A Te tocca offrire e benedire. Non a me».<br />

«Quando eri a capo dei compagni, lontano da Me, non lo facevi?».<br />

«Sì. Ma allora... era per forza che lo facevo. Adesso Tu sei con noi e Tu benedici. Mi pare più buono<br />

tutto, quando Tu offri per noi e distribuisci...», e il fedele Simone abbraccia il suo Gesù, seduto<br />

stancamente in quell’ombra, e gli curva la testa sulla spalla, beato di poterlo stringere e baciare<br />

così...<br />

Gesù si alza e lo accontenta. Va verso i discepoli, offre, benedice, spartisce il cibo, li guarda<br />

mangiare contenti e dice loro: «Dopo dormite, riposate mentre è l’ora e perché poi possiate vegliare<br />

e pregare quando avrete bisogno di farlo, e la fatica e stanchezza non vi aggravino di sonno occhi e<br />

spirito quando sarà necessario che voi siate pronti e ben svegli».<br />

«Tu non resti con noi? Non mangi?».<br />

«Lasciatemi riposare. Ho bisogno solo di questo. Mangiate, mangiate!». Carezza nel passare quelli<br />

che trova sul suo cammino e torna al suo posto...<br />

26 Dolce, soave è la venuta della Madre presso il Figlio. Maria viene avanti sicura, poiché Mannaen,<br />

che ha vegliato presso il cancello, meno stanco degli altri, le indica il luogo dove è Gesù. Le altre, e<br />

vi sono tutte le discepole ebree, e di romane la sola Valeria, sostano per qualche tempo, silenziose<br />

per non destare i discepoli che dormono al rezzo delle frondose piante, simili a tante pecore<br />

accosciate fra l’erba, a sesta.<br />

Maria entra sotto la pergola di gelsomini senza far scricchiolare il piccolo ponte di legno, né la<br />

ghiaia del suolo, e ancor più cautamente si accosta al Figlio che, vinto dalla stanchezza, si è<br />

addormentato col capo sul tavolo di pietra messo là sotto, il braccio sinistro a far da guanciale sotto<br />

il volto velato dai capelli. Maria si siede paziente vicino alla sua Creatura stanca. E la contempla...<br />

tanto... e un sorriso doloroso e amoroso è sul suo labbro, mentre senza rumore le cadono in grembo<br />

gocce di pianto; ma se le labbra sono chiuse e mute, prega il suo cuore, con tutta la forza che<br />

possiede, e tradisce la potenza di quella preghiera e del suo soffrire l’atteggiamento delle sue mani<br />

congiunte in grembo, strette, intrecciate per non tremare e pure scosse da un tremito lieve. Mani che<br />

si disgiungono soltanto per cacciare una mosca insistente che vuole posarsi sul Dormente e lo<br />

potrebbe svegliare.<br />

È la Madre che veglia il Figlio. L’ultimo sonno del Figlio che Ella possa vegliare. E se il volto della<br />

Madre, in questo mercoledì pasquale, è diverso da quello della Madre nel Natale del Signore,<br />

perché il dolore lo impallidisce e scava, la dolce purezza amorosa dello sguardo, la trepida cura è<br />

uguale a quella che Ella aveva quando, curva sulla greppia di Betlemme, proteggeva del suo amore<br />

il primo sonno disagiato della sua Creatura.<br />

Gesù ha un movimento e Maria si asciuga rapidamente gli occhi per non mostrare lacrime al Figlio.<br />

Ma Gesù non si è svegliato. Ha solo mutato posizione al volto, girandolo dall’altra parte, e Maria<br />

riprende la sua immobilità e la sua veglia.<br />

27 Ma qualcosa fa schiantare il cuore di Maria. Ed è sentire che il suo Gesù piange nel sonno e con<br />

un bisbiglio confuso, perché parla con la bocca premuta contro il braccio e la veste, mormora il<br />

nome di Giuda...


Maria si alza, si avvicina, si curva sul Figlio, segue quel confuso bisbigliare con le mani premute sul<br />

cuore perché, rotto ma non talmente da non poterlo seguire, il discorso di Gesù fa capire che Egli<br />

sogna e risogna il presente e il passato e poi anche il futuro, finché si desta con un sobbalzo, come<br />

per sfuggire a qualcosa che è orrendo. Ma trova il petto di sua Madre, le braccia di sua Madre, il<br />

sorriso di sua Madre, la dolce voce di sua Madre, il suo bacio, la sua carezza, lo sfiorare leggero del<br />

suo velo passato sul volto ad asciugare lacrime e sudore mentre gli dice: «Eri scomodo, e sognavi...<br />

Sei sudato e stanco, Figlio mio». E gli ravvia i capelli scomposti, gli asciuga il volto e lo bacia,<br />

tenendolo cinto del suo braccio, appoggiato al suo cuore poiché non può più raccoglierselo in<br />

grembo come quando era piccino.<br />

Gesù le sorride dicendo: «Sei sempre la Mamma. Quella che consola. Quella che ripaga di tutto. La<br />

mia Mamma!».<br />

Se la fa sedere vicino abbandonandole la mano nel grembo, e Maria prende quella mano lunga, così<br />

signorile eppure così robusta, di artiere, fra le sue piccine, e ne carezza le dita e il dorso, lisciandone<br />

le vene che si erano gonfiate mentre pendeva nel sonno. E cerca di distrarlo...<br />

28 «Siamo venute. Ci siamo tutte. Anche Valeria. Le altre sono all’Antonia. Le ha volute Claudia,<br />

“che è molto rattristata” ha detto la liberta. Dice che, non so per quale cosa, ha il presagio di molto<br />

pianto. Superstizioni!... Solo <strong>Dio</strong> sa le cose...».<br />

«Dove sono le discepole?».<br />

«Là, al principio dei Giardini. Marta ha voluto prepararti cibi e bevande refrigeranti e confortanti,<br />

pensando a quanto ti spossi. Ma io, guarda, questo ti piace sempre e te l’ho portato io. La mia parte.<br />

È più buono perché è della tua Mamma». Gli mostra del miele ed una focaccetta di pane sul quale lo<br />

stende dandolo al Figlio e dicendo: «Come a Nazaret, quando prendevi un riposo nell’ora più calda<br />

e poi ti svegliavi accaldato, e io venivo dalla grotta fresca con questo ristoro...». Si ferma perché le<br />

trema la voce.<br />

Suo Figlio la guarda e poi dice: «E quando c’era Giuseppe, per due portavi il ristoro e la fresca<br />

acqua della giara porosa, tenuta sulla corrente perché fosse più fresca e ancor più la facevano tale<br />

gli steli di menta selvaggia che vi gettavi dentro. Quanta menta, là, sotto gli ulivi! E quante api sui<br />

fiori della menta! <strong>Il</strong> nostro miele sapeva sempre un poco di quel profumo...». Pensa... ricorda...<br />

«Abbiamo visto Alfeo, sai? Giuseppe si è attardato perché aveva un figlio un poco malato. Ma<br />

domani sarà certo qui con Simone. Salome di Simone guarda la nostra casa e quella di Maria».<br />

29 «Mamma, quando sarai sola, con chi starai?».<br />

«Con chi Tu dirai, Figlio mio. Ti ho ubbidito prima di averti, Figlio. Continuerò a farlo dopo che mi<br />

avrai lasciata». Le trema la voce, ma il sorriso è eroico sulle labbra.<br />

«Tu sai ubbidire. Quanto riposo stare con te! Perché, vedi, Mamma? <strong>Il</strong> mondo non può capire, ma<br />

<strong>Io</strong> trovo ogni riposo presso gli ubbidienti... Sì. <strong>Dio</strong> riposa presso gli ubbidienti. <strong>Dio</strong> non avrebbe<br />

avuto a soffrire, a faticare, se la disubbidienza* non fosse venuta nel mondo. Tutto accade perché<br />

non si ubbidì. Per questo il dolore del mondo... Per questo il nostro dolore».<br />

«Ma anche la nostra pace, Gesù. Perché noi sappiamo che la nostra ubbidienza consola l’Eterno.<br />

Oh! per me in specie, cosa è questo pensiero! Mi è concesso, a me, creatura, di consolare il mio<br />

Creatore!».<br />

«Oh! Gioia di <strong>Dio</strong>! Tu non sai, o nostra Gioia, cosa è per Noi questa tua parola! Supera le armonie<br />

dei celesti cori... Benedetta! Benedetta che mi insegni l’ultima ubbidienza, e me la rendi così gradita<br />

a compiersi con questo pensiero!».<br />

«Tu non hai bisogno che io ti insegni, Gesù mio. Tutto ho imparato da Te».<br />

«Tutto ha imparato da te Gesù di Maria di Nazaret, l’Uomo».<br />

«Era la tua luce che usciva da me. La Luce che Tu sei, e che veniva alla Luce Eterna annichilita in<br />

veste d’uomo... 30 Mi hanno detto i fratelli di Giovanna il discorso che hai pronunciato. Erano rapiti<br />

di ammirazione. Sei stato forte con i farisei...».<br />

«È l’ora delle supreme verità, Mamma. Per essi restano morte verità. Ma per gli altri saranno verità<br />

vive. E con l’amore e il rigore <strong>Io</strong> devo tentare l’ultima battaglia per strapparli al Male».<br />

«È vero. Mi hanno detto che Gamaliele, che era con altri in una delle sale dei portici, disse, alla<br />

fine, mentre molti erano inquieti: “Quando non si vuole il rimprovero si agisce da giusti”, e se ne è


andato dopo questa osservazione».<br />

«Ho piacere che il rabbi mi abbia sentito. Chi te lo ha detto?».<br />

«Lazzaro. E a lui lo disse Eleazzaro, che era nella sala con gli altri. Lazzaro è venuto a sesta. Ha<br />

salutato ed è ripartito senza ascoltare le sorelle, che lo volevano trattenere fino al tramonto. Ha detto<br />

di mandare Giovanni, o altri, a ritirare quelle frutta e quei fiori, che sono al giusto punto».<br />

«Manderò Giovanni, domani».<br />

«Viene tutti i giorni Lazzaro. Ma Maria si inquieta perché dice che sembra una apparizione. Sale al<br />

Tempio, viene, dà ordini e riparte».<br />

«Anche Lazzaro sa ubbidire. Gli ho ordinato <strong>Io</strong> così, perché è insidiato lui pure. Ma non dirlo alle<br />

sorelle. Non gli accadrà nulla. 31 E ora andiamo dalle discepole».<br />

«Non ti muovere. <strong>Io</strong> le chiamerò. I discepoli dormono tutti...».<br />

______________________<br />

* la disubbidienza, quella di Adamo ed Eva, contrapposta all’ubbidienza di Gesù e della Madre<br />

sua, è stata trattata specialmente nel capitolo 17 e in 29.7/12, ed è un tema ricorrente (per esempio<br />

in 420.11, 515.3, 595.5, 606.1), mirabilmente sintetizzato nel presente dialogo.<br />

«E li lasceremo dormire. La notte poco dormono, perché <strong>Io</strong> li istruisco nella pace del Getsemani».<br />

Maria esce e torna con le donne, che sembrano aver abolito il loro peso tanto sono leggeri i loro<br />

passi. Lo salutano col loro ossequio profondo, che è famigliare solo in Maria Cleofe.<br />

E Marta da una capace borsa trae un’anforetta sudante, mentre Maria leva da un vaso, pure poroso,<br />

fresche frutta venute da Betania, e le dispone sul tavolo a fianco di quanto ha preparato la sorella,<br />

ossia un colombo arrostito alla fiamma, croccante, appetitoso, e prega Gesù di gradire, dicendo:<br />

«Mangia. Riconforta questa carne. <strong>Io</strong> stessa l’ho preparata».<br />

Giovanna invece ha portato dell’aceto rosato. Spiega: «Rinfresca tanto in questi primi calori. Lo usa<br />

anche il mio sposo quando si stanca nelle lunghe cavalcate».<br />

«Noi non abbiamo nulla», si scusano Maria Salome, Maria Cleofe, Susanna ed Elisa. E Niche e<br />

Valeria alla loro volta: «E neppure noi. Non sapevamo di dover venire».<br />

«Mi avete dato tutto il vostro cuore. Mi è sufficiente. E ancor mi darete...».<br />

Mangia, ma più che altro beve la fresca acqua melata che Marta gli mesce dall’anfora porosa, e le<br />

frutta fresche che sono un ristoro per l’Affaticato.<br />

Le discepole non parlano molto. Lo guardano ristorarsi. Nei loro occhi è amore e affanno. E<br />

d’improvviso Elisa si mette a piangere, e se ne scusa dicendo: «Non so. Ho il cuore gravato di<br />

mestizia...».<br />

«Tutte lo abbiamo. Persino Claudia nel suo palazzo...», dice Valeria.<br />

«<strong>Io</strong> vorrei che fosse già Pentecoste», sussurra Salome.<br />

«<strong>Io</strong> invece vorrei fermare il tempo a quest’ora», dice Maria di Magdala.<br />

«Saresti egoista, Maria» , le risponde Gesù.<br />

«Perché, Rabboni?».<br />

«Perché vorresti per te sola la gioia della tua redenzione. Sono migliaia e milioni di esseri che<br />

attendono quest’ora, o che per quest’ora saranno redenti».<br />

«È vero. Non ci pensavo...», china il capo mordendosi le labbra per non far vedere le lacrime dei<br />

suoi occhi e il tremito delle sue labbra. Ma è sempre la forte lottatrice, e dice: «Se Tu vieni domani,<br />

potrai rivestirti della veste che hai mandata. È fresca e monda, degna della cena pasquale».<br />

«Verrò... 32 Non avete nulla da dirmi? Siete mute ed afflitte. Non sono più Gesù?...», sorride alle<br />

donne, invitante.<br />

«Oh! sei Tu! Ma sei tanto grande in questi giorni che io non so più vederti come il fanciullino che<br />

ho portato fra le braccia!», esclama Maria d’Alfeo.<br />

«E io come il semplice rabbi che entrava nella mia cucina cercando Giovanni e Giacomo», dice<br />

Salome.<br />

«<strong>Io</strong> ti ho sempre conosciuto così: Re dell’anima mia!», proclama Maria di Magdala.<br />

E Giovanna, mite e soave: «E io pure: divino, dal sogno nel quale a me morente apparisti per<br />

chiamarmi alla Vita».


«Tutto ci hai dato, o Signore. Tutto!», sospira Elisa che si è ripresa.<br />

«E tutto mi avete dato».<br />

«Troppo poco!», dicono tutte.<br />

«Non cessa il dare dopo quest’ora. Cesserà soltanto quando sarete con Me nel mio Regno. Le mie<br />

discepole fedeli. Non siederete, no, al mio fianco, sui dodici troni a giudicare le dodici tribù di<br />

Israele, ma canterete l’osanna insieme agli angeli, facendo coro d’onore alla Madre mia, e allora<br />

come ora il cuore del Cristo troverà la sua gioia nel contemplarvi».<br />

«<strong>Io</strong> sono giovane! È lungo il tempo per salire al tuo Regno. Beata Annalia!», dice Susanna.<br />

«<strong>Io</strong> vecchia sono, e felice di esser tale. Spero prossima la morte», dice Elisa.<br />

«<strong>Io</strong> ho i figli... Vorrei servirli, questi servi di <strong>Dio</strong>!», sospira Maria Cleofe.<br />

«Non ti scordare di noi, Signore!», dice la Maddalena con ansia contenuta, direi con un grido<br />

d’anima, tanto la voce, tenuta bassa per non svegliare i dormenti, vibra di forza più di un grido.<br />

«Non mi scorderò di voi. Verrò. Tu, Giovanna, sai che <strong>Io</strong> posso venire anche se sono molto<br />

lontano... Le altre lo devono credere. E vi lascerò una cosa... un mistero che terrà Me in voi e voi in<br />

Me, finché saremo riuniti <strong>Io</strong> e voi nel Regno di <strong>Dio</strong>. 33 Ora andate. Direte che poco vi ho detto, che<br />

quasi era inutile per così poco farvi venire. Ma ho desiderato avere intorno cuori che mi hanno<br />

amato senza calcolo. Per Me. Per Me: Gesù. Non per il futuro, sognato Re d’Israele. Andate. E siate<br />

benedette una volta di più. Anche le altre. Che non ci sono, ma che pensano a Me con amore: Anna,<br />

Mirta, Anastasica, Noemi, e Sintica lontana, e Fotinai, e Aglae e Sara, Marcella, le figlie di Filippo,<br />

Miriam di Giairo, le vergini, le redente, le spose, le madri che sono venute a Me, che mi sono state<br />

sorelle e madri, migliori, oh! molto migliori degli uomini anche migliori!... Tutte, tutte! Benedico<br />

tutte. La grazia comincia già a scendere, la grazia e il perdono, sulla donna, per questa mia<br />

benedizione. Andate...».<br />

Le congeda trattenendo sua Madre: «Prima di sera sarò al palazzo di Lazzaro. Ho bisogno di vederti<br />

ancora. E con Me sarà Giovanni. Ma non voglio che te, Madre, e le altre Marie, Marta e Susanna.<br />

Ho tanta stanchezza...».<br />

«Saremo noi sole. Addio, Figlio...».<br />

Si baciano. Si separano... Maria se ne va lentamente. Si volge prima di uscire. Si volge prima di<br />

lasciare il ponticello. Si volge ancora, sinché può vedere Gesù... Sembra che non possa allontanarsi<br />

da Lui...<br />

34 E Gesù è solo di nuovo. Si alza, esce. Va a chiamare Giovanni, che dorme bocconi fra i fiori come<br />

un bambino, e gli consegna l’anforetta dell’aceto rosato che Giovanna gli ha portato, dicendogli:<br />

«Andremo a sera da mia Madre. Ma noi due soli».<br />

«Ho capito. Sono venute?».<br />

«Sì. Ho preferito non svegliarvi...».<br />

«Hai fatto bene. La tua gioia sarà stata più grande. Esse sanno amarti meglio di noi...», dice<br />

sconsolato Giovanni.<br />

«Vieni con Me». Giovanni lo segue. «Che hai?», gli chiede Gesù quando sono nuovamente nella<br />

penombra verde della pergola dove sono ancora resti di cibo.<br />

«Maestro, siamo molto cattivi. Tutti. Non c’è ubbidienza in noi... e non c’è desiderio di stare con<br />

Te. Anche Pietro e Simone sono andati via. Non so dove. E Giuda ha trovato in questo l’occasione<br />

per essere rissoso».<br />

«È andato via anche Giuda?».<br />

«No, Signore. Non è andato via. Dice che non ne ha bisogno, che egli non ha complici nei maneggi<br />

che noi facciamo per vedere di ottenerti protezione. Ma se io sono andato da Anna, se altri sono<br />

andati dai galilei residenti qui, non è per fare del male!... E non credo che Simone di Giona e<br />

Simone Zelote siano uomini capaci di subdoli maneggi...».<br />

«Non ci badare. Infatti Giuda non ha bisogno di andare mentre voi riposate. Egli sa quando e dove<br />

andare per compiere tutto ciò che deve».<br />

«E allora perché parla così? Non è bello, davanti ai discepoli!».<br />

«Non è bello. Ma così è. 35 Rasserenati, mio agnello».<br />

«<strong>Io</strong>, tuo agnello? Agnello sei Tu solo!».


«Sì. Tu. <strong>Io</strong> Agnello di <strong>Dio</strong>, e tu agnello dell’Agnello di <strong>Dio</strong>».<br />

«Oh!!! Un’altra volta, erano i primi giorni che ero con Te, Tu mi hai detto ancora questa parola.<br />

Eravamo noi due soli, come ora, fra il verde, come ora, e nella bella stagione». Giovanni è tutto<br />

rallegrato dal ricordo che ritorna. E mormora: «Sono sempre, ancora l’agnello dell’Agnello di<br />

<strong>Dio</strong>...».<br />

Gesù lo carezza. E gli offre parte del colombo arrostito, rimasto sulla tavola su di un foglio di<br />

pergamena che lo teneva avvolto. E poi gli apre dei fichi succosi e glieli offre, lieto di vederlo<br />

mangiare.<br />

Gesù si è seduto di sbieco sui margini del tavolo e guarda Giovanni così intensamente che questo<br />

chiede: «Perché mi guardi così? Perché mangio come un goloso?».<br />

«No. Perché sei come un fanciullo... Oh! mio diletto! Come ti amo per il tuo cuore!», e Gesù si<br />

china a baciare l’apostolo sui capelli biondi e gli dice: «Resta così, sempre così, col tuo cuore senza<br />

orgoglio e rancori. Così, anche nelle ore della ferocia scatenata. Non imitare chi pecca, fanciullo».<br />

36 Giovanni è ripreso dal suo dispiacere e dice: «Ma io non posso credere che Simone e Pietro...».<br />

«Sbaglieresti in verità, se li credessi peccatori. Bevi. È buona e fresca questa bevanda. L’ha<br />

preparata Marta... Ora sei riconfortato. Sono certo che tu non avevi finito il tuo pasto...».<br />

«È vero. Mi era venuto il pianto. Perché, finché il mondo si odia, si comprende. Ma che un di noi<br />

insinui...».<br />

«Non ci pensare più. <strong>Io</strong> e te sappiamo che Simone e lo Zelote sono due onesti. E basta. E,<br />

purtroppo, tu sai che Giuda è peccatore. Ma taci. Quando saranno passati tanti, tanti lustri, e sarà<br />

giusto dire tutta la grandezza del mio dolore, dirai allora anche ciò che soffrii per le azioni di<br />

quell’uomo, oltre che per quelle di quell’apostolo. Andiamo. È ora di lasciare questo luogo per<br />

andare verso il campo dei Galilei e...».<br />

«Passiamo anche questa notte là? E prima andremo al Getsemani? Giuda lo voleva sapere. Dice che<br />

è stanco di stare alla guazza, e con poco e scomodo riposo».<br />

«Presto sarà finito. Ma <strong>Io</strong> non dirò a Giuda le mie intenzioni...».<br />

«Non ne sei tenuto. Sei Tu che devi guidare noi, e non noi Te». Giovanni è tanto lontano dal tradire<br />

che non comprende neppure la ragione di prudenza per la quale Gesù da qualche giorno non dice<br />

mai ciò che conta di fare.<br />

37 Eccoli in mezzo ai dormenti. Li chiamano. Essi si svegliano. Anche Mannaen che, finito il suo<br />

compito, si scusa col Maestro se non può restare e se il domani non potrà essere vicino a Lui al<br />

Tempio, perché deve rimanere a palazzo. E nel dirlo guarda fisso Pietro e Simone, che sono nel<br />

frattempo ritornati, e Pietro ha un cenno rapido del capo come per dire: «Capito».<br />

Escono dai Giardini. Fa ancora caldo. C’è ancora sole. Ma già la brezza della sera tempera il calore<br />

e spinge qualche nuvoletta sul cielo terso.<br />

Si avviano su per Siloan evitando i luoghi dei lebbrosi, dai quali va Simone Zelote a portare, ai<br />

pochi superstiti che non hanno saputo credere in Gesù, i resti del loro pasto.<br />

38 Mattia, l’ex pastore, si avvicina a Gesù e chiede: «Signore e Maestro mio, io ho molto pensato coi<br />

compagni alle tue parole finché la stanchezza ci prese, e dormimmo prima di avere potuto risolvere<br />

il quesito che ci eravamo posti. E ora siamo più stolti di prima. Se abbiamo bene capito i discorsi di<br />

questi giorni, Tu hai predetto che molte cose si cambieranno benché la Legge resti immutata e che si<br />

dovrà edificare un nuovo Tempio, con nuovi profeti, sapienti e scribi, contro il quale saranno date<br />

battaglie, e che non morrà, mentre questo, sempre se si è capito bene, pare destinato a perire».<br />

«È destinato a perire. Ricorda la profezia* di Daniele...».<br />

«Ma noi, poveri e pochi, come potremo edificarlo di nuovo se fecero fatica a edificare questo i re?<br />

Dove lo edificheremo? Non qui, perché Tu dici che questo luogo resterà deserto sino a che essi non<br />

ti benediranno come mandato da <strong>Dio</strong>».<br />

«Così è».<br />

«Nel tuo Regno, no. Siamo convinti che il tuo Regno è spirituale. E allora come, dove lo<br />

stabiliremo? Tu ieri hai detto che il vero Tempio - e non è quello il vero Tempio? - che il vero<br />

Tempio, quando crederanno di averlo distrutto, allora sarà che salirà trionfante alla Gerusalemme<br />

vera. Dove è dessa? Molta confusione è in noi».


«Così è. I nemici distruggano pure il vero Tempio. In tre giorni <strong>Io</strong> lo farò risorgere, e non conoscerà<br />

più insidia salendo dove l’uomo non può nuocere.<br />

39 Riguardo al Regno di <strong>Dio</strong>, esso è in voi e ovunque sono uomini che credono in Me. Sparso per<br />

ora, succedentesi sulla Terra nei secoli. Poi eterno, unito,<br />

____________________<br />

* profezia, che è in: Daniele 9, 20-27.<br />

perfetto nel Cielo. Là, nel Regno di <strong>Dio</strong>, sarà edificato il nuovo Tempio, ossia là dove sono spiriti<br />

che accettano la mia dottrina, la dottrina del Regno di <strong>Dio</strong>, e ne praticano i precetti.<br />

Come sarà edificato se siete poveri e pochi? Oh! in verità non necessitano denari e poteri per<br />

edificare l’edificio della nuova dimora di <strong>Dio</strong>, individuale o collettiva. <strong>Il</strong> Regno di <strong>Dio</strong> è in voi. E<br />

l’unione di tutti coloro che avranno in loro il Regno di <strong>Dio</strong>, di tutti coloro che avranno <strong>Dio</strong> in loro -<br />

<strong>Dio</strong>: la Grazia; <strong>Dio</strong>: la Vita; <strong>Dio</strong>: la Luce; <strong>Dio</strong>: la Carità - costituirà il grande Regno di <strong>Dio</strong> sulla<br />

Terra, la nuova Gerusalemme che giungerà ad espandersi per tutti i confini del mondo e che,<br />

completa e perfetta, senza mende, senza ombre, vivrà eterna nel Cielo.<br />

Come farete a edificare Tempio e città? Oh! non voi, ma <strong>Dio</strong> edificherà questi luoghi nuovi. Voi<br />

dovrete soltanto dargli la vostra buona volontà. Buona volontà è permanere in Me. Vivere la mia<br />

dottrina è buona volontà. Stare uniti è la buona volontà. Uniti a Me sino a fare un sol corpo che è<br />

nutrito, nelle sue singole parti e particelle, da un unico umore. Un unico edificio che è poggiato su<br />

un’unica base e tenuto unito da una mistica coesione. Ma siccome senza l’aiuto del Padre, che vi ho<br />

insegnato a pregare e che pregherò per voi prima di morire, voi non potreste essere nella Carità,<br />

nella Verità, nella Vita, ossia ancora in Me e con Me in <strong>Dio</strong> Padre e in <strong>Dio</strong> Amore, perché Noi<br />

siamo un’unica Divinità, per questo vi dico di avere <strong>Dio</strong> in voi per poter essere il Tempio che non<br />

conoscerà fine. Da voi non potreste fare. Se <strong>Dio</strong> non edifica, e non può edificare dove non può<br />

prendere dimora, inutilmente gli uomini si agitano a edificare o a riedificare.<br />

40 <strong>Il</strong> Tempio nuovo, la mia Chiesa, sorgerà soltanto quando il vostro cuore ospiterà <strong>Dio</strong>, ed Egli con<br />

voi, vive pietre, edificherà la sua Chiesa».<br />

«Ma non hai detto che Simone di Giona ne è il Capo, la Pietra sulla quale si edificherà la tua<br />

Chiesa? E non hai fatto capire anche che Tu ne sei la pietra angolare? Chi dunque ne è il capo? C’è<br />

o non c’è questa Chiesa?», interrompe l’Iscariota.<br />

«<strong>Io</strong> sono il Capo mistico. Pietro ne è il capo visibile. Perché <strong>Io</strong> ritorno al Padre lasciandovi la Vita,<br />

la Luce, la Grazia, per la mia Parola, per i miei patimenti, per il Paraclito che sarà amico di coloro<br />

che mi furono fedeli. <strong>Io</strong> sono un’unica cosa con la mia Chiesa, mio Corpo spirituale di cui <strong>Io</strong> sono il<br />

Capo.<br />

<strong>Il</strong> capo contiene il cervello o mente. La mente è sede del sapere, il cervello è quello che dirige i moti<br />

delle membra coi suoi immateriali comandi, i quali sono più validi per far muovere le membra di<br />

ogni altro stimolo. Osservate un morto, nel quale morto è il cervello. Ha forse più moto nelle sue<br />

membra? Osservate uno completamente stolto. Non è forse inerte al punto da non saper avere quei<br />

rudimentali moti istintivi che l’animale più inferiore, il verme che schiacciamo passando, ha?<br />

Osservate uno nel quale la paralisi ha spezzato il contatto delle membra, uno o più membra, col<br />

cervello. Ha forse più moto nella parte che non ha più legame vitale col capo?<br />

Ma se la mente dirige con i suoi immateriali comandi, sono gli altri organi - occhi, orecchie, lingua,<br />

naso, pelle - che comunicano le sensazioni alla mente, e sono le altre parti del corpo che<br />

eseguiscono e fanno eseguire ciò che la mente, avvertita dagli organi, materiali e visibili quanto<br />

l’intelletto è invisibile, comanda. Potrei <strong>Io</strong>, senza dirvi: “sedete”, ottenere che voi sediate su questa<br />

costa di monte? Anche se <strong>Io</strong> lo penso che voglio vi mettiate seduti, voi non lo sapete finché <strong>Io</strong> non<br />

traduco il mio pensiero in parole e dico queste, usando lingua e labbra. Potrei <strong>Io</strong> stesso sedermi, se<br />

lo pensassi soltanto, perché sento la stanchezza delle gambe, ma se queste rifiutassero di piegarsi e<br />

mettermi così seduto? La mente ha bisogno di organi e membra per fare e per far fare le operazioni<br />

che il pensiero pensa.<br />

Così nel corpo spirituale che è la mia Chiesa <strong>Io</strong> sarò l’Intelletto, ossia la testa, sede dell’intelletto;<br />

Pietro e i suoi collaboratori coloro che osservano le reazioni e percepiscono le sensazioni e le<br />

trasmettono alla mente, perché essa illumini e ordini ciò che è da fare per il bene di tutto il corpo, e


poi, illuminati e diretti dall’ordine mio, parlino e guidino le altre parti del corpo. La mano che<br />

respinge l’oggetto che può ferire il corpo, o allontana ciò che, corrotto, può corrompere; il piede che<br />

scavalca l’ostacolo senza urtarvi e cadere e ferirsi, hanno avuto comando di farlo dalla parte che<br />

dirige. <strong>Il</strong> fanciullo, e anche l’uomo, che è salvato da un pericolo, o che fa un guadagno di qualsiasi<br />

specie - istruzione, affari buoni, matrimonio, buona alleanza per un consiglio ricevuto, per una<br />

parola detta - è per quel consiglio e quella parola che non si nuoce o che si benefica. Così sarà nella<br />

Chiesa. <strong>Il</strong> capo, e i capi, guidati dal divino Pensiero e illuminati dalla divina Luce e istruiti<br />

dall’eterna Parola, daranno gli ordini e i consigli, e le membra faranno, avendo spirituale salute e<br />

spirituale guadagno.<br />

41 La mia Chiesa già è, poiché già possiede il suo Capo soprannaturale e il suo Capo divino e ha le<br />

sue membra: i discepoli. Piccola ancora - un germe che si forma - perfetta unicamente nel Capo che<br />

la dirige, imperfetta nel resto, che ha bisogno del tocco di <strong>Dio</strong> per essere perfetta e del tempo per<br />

crescere. Ma in verità vi dico che essa già è, e che è santa per Colui che ne è il Capo e per la buona<br />

volontà dei giusti che la compongono. Santa e invincibile. Contro di essa si avventerà una e mille<br />

volte, e con mille forme di battaglia, l’inferno fatto di demoni e di uomini-demoni, ma non<br />

prevarranno. L’edificio sarà incrollabile.<br />

Ma l’edificio non è fatto di una sola pietra. Osservate il Tempio, là, vasto, bello, nel sole che<br />

tramonta. È forse fatto di una sola pietra? È un complesso di pietre che fanno un unico armonico<br />

tutto. Si dice: il Tempio. Cioè una unità. Ma questa unità è fatta delle molte pietre che l’hanno<br />

composta e formata. Inutile sarebbe stato fare le fondamenta, se esse non avessero poi dovuto<br />

sorreggere le mura e il tetto, se su esse non avessero poi avuto ad innalzarsi le mura. E impossibile<br />

sarebbe stato alzare le mura e sostenere il tetto, se non fossero state fatte per prime le fondamenta<br />

solide, proporzionate a sì gran mole. Così, con questa dipendenza delle parti, una dall’altra, sorgerà<br />

anche il Tempio novello. Nei secoli voi lo edificherete appoggiandolo sulle fondamenta che <strong>Io</strong> gli<br />

ho dato, perfette, per la sua mole. Lo edificherete con la direzione di <strong>Dio</strong>, con la bontà delle cose<br />

usate a innalzarlo: spiriti che <strong>Dio</strong> inabita.<br />

<strong>Dio</strong> nel vostro cuore, a fare di esso pietra polita e senza incrinature per il Tempio nuovo. <strong>Il</strong> suo<br />

Regno stabilito con le sue leggi nel vostro spirito. Altrimenti sareste mattoni malcotti, legno tarlato,<br />

pietre scheggiate e farinose che non reggono e che il costruttore, se avveduto, respinge, o che<br />

fallano, cedono, facendo crollare una parte se il costruttore, i costruttori preposti dal Padre alla<br />

costruzione del Tempio, sono costruttori idoli che si pavoneggiano nel loro onore senza vegliare e<br />

faticare sulla costruzione che si innalza e sui materiali usati per farla. Costruttori idoli, tutori idoli,<br />

custodi idoli, ladri! Ladri della fiducia di <strong>Dio</strong>, della stima degli uomini, ladri e orgogliosi che si<br />

compiacciono di aver modo di aver guadagno, e modo di avere numeroso mucchio di materiali, e<br />

non osservano se sono buoni o scadenti, causa di rovina.<br />

42 Voi, novelli sacerdoti e scribi del novello Tempio, ascoltate. Guai a voi e a chi dopo voi si farà<br />

idolo e non veglierà e sorveglierà se stesso e gli altri, i fedeli, per osservare, saggiare la bontà delle<br />

pietre e del legname, senza fidarsi delle apparenze, e causerà rovine lasciando che materiali<br />

scadenti, o addirittura nocivi, siano lasciati usare per il Tempio, dando scandalo e provocando<br />

rovina. Guai a voi se lascerete crearsi crepacci e muraglie insicure, storte, facili al crollo non<br />

essendo equilibrate sulle basi che sono solide e perfette. Non da <strong>Dio</strong>, Fondatore della Chiesa, ma da<br />

voi verrebbe il disastro, e ne sareste responsabili davanti al Signore e agli uomini.<br />

Diligenza, osservazione, discernimento, prudenza! La pietra, il mattone, la trave debole, che in un<br />

muro maestro sarebbero rovina, possono servire per parti di minore importanza, e servire bene. Così<br />

dovete saper scegliere. Con carità per non disgustare le deboli parti, con fermezza per non<br />

disgustare <strong>Dio</strong> e rovinare il suo Edificio. E se vi accorgete che una pietra, già posta a sorreggere un<br />

angolo maestro, non è buona o non è equilibrata, siate coraggiosi, audaci, e sappiatela levare da quel<br />

posto, mortificatela squadrandola con lo scalpello di un santo zelo. Se urla di dolore non importa. Vi<br />

benedirà poi nei secoli, perché voi l’avrete salvata. Spostatela, mettetela ad altro ufficio. Non<br />

abbiate paura anche di allontanarla del tutto se la vedete oggetto di scandalo e rovina, ribelle al<br />

vostro lavoro. Meglio poche pietre che molta zavorra.<br />

Non abbiate fretta. <strong>Dio</strong> non ha mai fretta, ma ciò che crea è eterno, perché ben ponderato prima di


eseguirlo. Se non eterno, è duraturo quanto i secoli. Guardate l’Universo. Da secoli, da migliaia di<br />

secoli, è come <strong>Dio</strong> lo fece con operazioni successive. Imitate il Signore. Siate perfetti come il Padre<br />

vostro. Abbiate la sua Legge in voi, il suo Regno in voi. E non fallirete.<br />

Ma, se non foste così, crollerebbe l’edificio, invano vi sareste affaticati a innalzarlo. Crollerebbe<br />

rimanendo di esso unicamente la pietra angolare, le fondamenta... Così come avverrà di quello!... In<br />

verità vi dico che di quello così sarà. E così del vostro se metterete in esso ciò che è in questo: le<br />

parti malate di orgoglio, di avidità, di peccato, di lussuria. Come si è disfatto per soffio di vento<br />

quel padiglione di nuvole che pareva posare, così vagamente bello, sulla cima di quel monte,<br />

ugualmente, al soffiare di un vento di castigo soprannaturale e umano, crolleranno gli edifici che di<br />

santo non hanno che il nome...».<br />

43 Gesù tace pensoso. Quando riparla è per ordinare: «Sediamoci qui a riposare un poco».<br />

Si siedono su un pendio del monte Uliveto, di faccia al Tempio baciato dal sole calante. Gesù<br />

guarda fisso quel luogo, con mestizia. Gli altri con orgoglio per la sua bellezza, ma sull’orgoglio è<br />

steso un velo di cruccio, lasciato dalle parole del Maestro. E se quella bellezza dovesse proprio<br />

perire?...<br />

Pietro e Giovanni parlano fra di loro e poi sussurrano qualcosa a Giacomo d’Alfeo e ad Andrea, loro<br />

vicini, i quali annuiscono col capo. Allora Pietro si rivolge al Maestro e gli dice: «Vieni in disparte e<br />

spiegaci quando avverrà la tua profezia sulla distruzione del Tempio. Daniele ne parla, ma se fosse<br />

come lui dice e come Tu dici, poche ore avrebbe ancora il Tempio. Ma noi non vediamo eserciti né<br />

preparativi di guerra. Quando dunque avverrà? Quale sarà il segno di esso? Tu sei venuto. Tu, dici,<br />

stai per andare via. Eppure si sa che essa non sarà che quando Tu sarai fra gli uomini. Tornerai,<br />

allora? Quando, questo tuo ritorno? Spiegaci, perché noi si possa sapere...».<br />

«Non occorre mettersi in disparte. Vedi? Sono rimasti i discepoli più fedeli, quelli che saranno a voi<br />

dodici di grande aiuto. Essi possono sentire le parole che dico a voi. Venitemi tutti vicino!», grida in<br />

ultimo per radunare tutti.<br />

I discepoli, sparsi sul pendio, si avvicinano, fanno un mucchio compatto, stretto intorno a quello<br />

principale di Gesù coi suoi apostoli, e ascoltano.<br />

44 «Badate che nessuno vi seduca in futuro. <strong>Io</strong> sono il Cristo e non vi saranno altri Cristi. Perciò,<br />

quando molti verranno a dirvi: “<strong>Io</strong> sono il Cristo” e sedurranno molti, voi non credete a quelle<br />

parole, neppure se saranno accompagnate da prodigi. Satana, padre di menzogna e protettore dei<br />

menzogneri, aiuta i suoi servi e seguaci con falsi prodigi, che però possono essere riconosciuti non<br />

buoni perché sempre uniti a paura, turbamento e menzogna. I prodigi di <strong>Dio</strong> voi li conoscete: dànno<br />

pace santa, letizia, salute, fede, conducono a desideri e opere sante. Gli altri no. Perciò riflettete<br />

sulla forma e le conseguenze dei prodigi che potrete vedere in futuro ad opera dei falsi Cristi e di<br />

tutti coloro che si ammanteranno nelle vesti di salvatori di popoli e saranno invece le belve che<br />

rovinano gli stessi.<br />

Sentirete anche, e vedrete anche, parlare di guerre e di rumori di guerre e vi diranno: “Sono i segni<br />

della fine”. Non turbatevi. Non sarà la fine. Bisogna che tutto questo avvenga prima della fine, ma<br />

non sarà ancora la fine. Si solleverà popolo contro popolo, regno contro regno, nazione contro<br />

nazione, continente contro continente, e seguiranno pestilenze, carestie, terremoti in molti luoghi.<br />

Ma questo non sarà che il principio dei dolori. Allora vi getteranno nella tribolazione e vi<br />

uccideranno, accusandovi di essere i colpevoli del loro soffrire e sperando di uscirne col<br />

perseguitare e distruggere i miei servi.<br />

Gli uomini fanno sempre accusa agli innocenti di esser causa del male che essi, peccatori, si creano.<br />

Accusano <strong>Dio</strong> stesso, perfetta Innocenza e Bontà suprema, di esser causa del loro soffrire, e così<br />

faranno con voi, e voi sarete odiati per causa del mio Nome. È Satana che li aizza. E molti si<br />

scandalizzeranno e si tradiranno e odieranno a vicenda. È ancor Satana che li aizza. E sorgeranno<br />

falsi profeti che indurranno molti in errore. Ancora sarà Satana il vero autore di tanto male. E per il<br />

moltiplicarsi dell’iniquità si raffredderà la carità in molti. Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà<br />

salvo. E prima bisogna che questo Vangelo del Regno di <strong>Dio</strong> sia predicato in tutto il mondo,<br />

testimonianza a tutte le nazioni. Allora verrà la fine. Ritorno al Cristo di Israele che lo accoglie e<br />

predicazione della mia Dottrina in tutto il mondo.


45 E poi un altro segno. Un segno per la fine del Tempio e per la fine del mondo. Quando vedrete<br />

l’abominazione della desolazione predetta da Daniele - chi mi ascolta bene intenda, e chi legge il<br />

Profeta sappia leggere fra le parole - allora chi sarà in Giudea fugga sui monti, chi sarà sulla<br />

terrazza non scenda a prendere quanto ha in casa, e chi è nel suo campo non torni in casa a prendere<br />

il suo mantello, ma fugga senza volgersi indietro, ché non gli accada di non poterlo più fare, e<br />

neppure si volga nel fuggire a guardare, per non conservare nel cuore lo spettacolo orrendo e<br />

insanire per esso. Guai alle gravide e a quelle che allatteranno in quei giorni! E guai se la fuga<br />

dovesse compiersi in sabato! Non sarebbe sufficiente la fuga a salvarsi senza peccare. Pregate<br />

dunque perché non avvenga in inverno e in giorno di sabato, perché allora la tribolazione sarà<br />

grande quale mai non fu dal principio del mondo fino ad ora, né sarà mai più simile perché sarà la<br />

fine. Se non fossero abbreviati quei giorni in grazia degli eletti, nessuno si salverebbe, perché gli<br />

uomini-satana si alleeranno all’inferno per dare tormento agli uomini.<br />

E anche allora, per corrompere e trarre fuori della via giusta coloro che resteranno fedeli al Signore,<br />

sorgeranno quelli che diranno: “<strong>Il</strong> Cristo è là, il Cristo è qua. È in quel luogo. Eccolo”. Non credete.<br />

Nessuno creda, perché sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti che faranno prodigi e portenti tali da<br />

indurre in errore, se fosse possibile, anche gli eletti, e diranno dottrine in apparenza così<br />

confortevoli e buone a sedurre anche i migliori, se con loro non fosse lo Spirito di <strong>Dio</strong> che li<br />

illuminerà sulla verità e l’origine satanica di tali prodigi e dottrine. <strong>Io</strong> ve lo dico. <strong>Io</strong> ve lo predico<br />

perché voi possiate regolarvi. Ma di cadere non temete. Se starete nel Signore non sarete tratti in<br />

tentazione e in rovina. Ricordate ciò che vi ho detto*: “Vi ho dato il potere di camminare su serpenti<br />

e scorpioni, e di tutta la potenza del Nemico nulla vi nuocerà, perché tutto vi sarà soggetto”. Vi<br />

ricordo anche però che per ottenere questo dovete avere <strong>Dio</strong> in voi, e rallegrarvi dovete, non perché<br />

dominate le potenze del Male e le venefiche cose, ma perché il vostro nome è scritto in Cielo.<br />

46 State nel Signore e nella sua verità. <strong>Io</strong> sono la Verità e insegno la verità. Perciò ancora vi ripeto:<br />

qualunque cosa vi dicano di Me, non credete. <strong>Io</strong> solo ho<br />

_____________________<br />

* vi ho detto, in 280.2, dove la frase qui riportata tra virgolette (e che figura in Luca 10, 19) è solo<br />

sottintesa, mentre vi si leggono quasi testualmente le esortazioni che Gesù, subito dopo, ricorda ai<br />

discepoli: Vi ricordo...<br />

detto la verità. <strong>Io</strong> solo vi dico che il Cristo verrà, ma quando sarà la fine. Perciò, se vi dicono: “È<br />

nel deserto”, non andate. Se vi dicono: “È in quella casa”, non date retta. Perché il Figlio dell’uomo<br />

nella sua seconda venuta sarà simile al lampo che esce da levante e guizza fino a ponente, in un<br />

tempo più breve di quel che non sia il batter di una palpebra. E scorrerà sul grande Corpo,* di<br />

subito fatto Cadavere, seguito dai suoi fulgenti angeli, e giudicherà. Là dovunque sarà corpo là si<br />

raduneranno le aquile. E subito dopo la tribolazione di quei giorni ultimi, che vi fu detta - parlo già<br />

della fine del tempo e del mondo e della risurrezione delle ossa, delle quali cose parlano i profeti**<br />

- si oscurerà il sole, e la luna non darà più luce, e le stelle del cielo cadranno come acini da un<br />

grappolo troppo maturo che un vento di bufera scuote, e le potenze dei Cieli tremeranno.<br />

E allora nel firmamento oscurato apparirà folgorante il segno del Figlio dell’uomo, e piangeranno<br />

tutte le nazioni della Terra, e gli uomini vedranno il Figlio dell’uomo venir sulle nubi del cielo con<br />

grande potenza e gloria. Ed Egli comanderà ai suoi angeli di mietere e vendemmiare, e di separare i<br />

logli dal grano, e di gettare le uve nel tino, perché sarà venuto il tempo del grande raccolto del seme<br />

di Adamo, e non ci sarà più bisogno di serbare racimolo o semente, perché non ci sarà mai più<br />

perpetuazione della specie umana sulla Terra morta. E comanderà ai suoi angeli che a gran voce di<br />

trombe adunino gli eletti dai quattro venti, da un’estremità all’altra dei cieli, perché siano al fianco<br />

del Giudice divino per giudicare con Lui gli ultimi viventi ed i risorti.<br />

47 Dal fico imparate la similitudine: quando vedete che il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi<br />

sapete che vicina è l’estate. Così anche, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che il Cristo sta<br />

per venire. In verità vi dico: non passerà questa generazione che non mi volle***, prima che tutto<br />

ciò avvenga.<br />

La mia parola non cade. Ciò che dico sarà. <strong>Il</strong> cuore e il pensiero degli uomini possono mutare, ma<br />

non muta la mia parola. <strong>Il</strong> cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto poi


al giorno e all’ora precisa, nessuno li conosce, neppure gli angeli del Signore, ma soltanto il Padre li<br />

conosce.<br />

48 Come ai tempi di Noè, così avverrà alla venuta del Figlio dell’uomo. Nei giorni precedenti al<br />

diluvio, gli uomini mangiavano, bevevano, si sposavano, si accasavano, senza darsi pensiero del<br />

segno**** sino al giorno in cui Noè entrò<br />

_________________________________<br />

* grande Corpo è la Terra, il mondo, come annota MV su una copia dattiloscritta.<br />

** parlano i profeti, come in: Ezechiele 37, 1-14.<br />

*** che non mi volle, precisazione aggiunta alla parola generazione, manca negli Evangelisti:<br />

Matteo 24, 34; Marco 13, 30; Luca 21, 32. Essa chiarisce che non si tratta di “generazione” in senso<br />

stretto, e conferma quanto detto sopra, nelle ultime righe di 596.44, cioè che “verrà la fine” quando<br />

vi sarà il “ritorno al Cristo di Israele che lo accoglie”. Stesso concetto, per esempio, in 258.5 (ultime<br />

righe), in 265.10 e in 580.5.<br />

**** segno, cioè, come annota MV su una copia dattiloscritta: l’ordine avuto da Noè di preparare<br />

l’arca per salvare tutte le specie animali. Per questa e altre citazioni di Noè e della sua arca (per<br />

esempio in 140.3, 176.3, 525.7) rimandiamo a: Genesi 6-9.<br />

nell’arca e si aprirono le cataratte dei cieli e il diluvio sommerse ogni vivente e ogni cosa. Anche<br />

così sarà per la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno accosto nel campo, e uno<br />

sarà preso e uno sarà lasciato, e due donne saranno intente a far andare la mola, e una sarà presa e<br />

una lasciata, dai nemici nella Patria e più ancora dagli angeli separanti il buon seme dal loglio, e<br />

non avranno tempo di prepararsi al giudizio del Cristo.<br />

Vegliate dunque perché non sapete a che ora verrà il vostro Signore. Ripensate a questo: se il capo<br />

di famiglia sapesse a che ora viene il ladro, veglierebbe e non lascerebbe spogliare la sua casa.<br />

Quindi vegliate e pregate, stando sempre preparati alla venuta, senza che i vostri cuori cadano in<br />

torpore, per abuso e intemperanza di ogni specie, e i vostri spiriti siano fatti distratti e ottusi alle<br />

cose del Cielo dalle eccessive cure per le cose della Terra, e il laccio della morte non vi colga<br />

improvviso quando siete impreparati. Perché, ricordate, tutti avete a morire. Tutti gli uomini, nati<br />

che siano, devono morire, ed è una singola venuta del Cristo questa morte e questo susseguente<br />

giudizio, che avrà il suo ripetersi universale alla venuta solenne del Figlio dell’uomo.<br />

49 Che sarà mai di quel servo fedele e prudente, preposto dal padrone ad amministrare il cibo ai<br />

domestici in sua assenza? Beata sorte egli avrà se il suo padrone, tornando all’improvviso, lo trova a<br />

fare ciò che deve con solerzia, giustizia e amore. In verità vi dico che gli dirà: “Vieni, servo buono e<br />

fedele. Tu hai meritato il mio premio. Tieni, amministra tutti i miei beni”. Ma se egli pareva, e non<br />

era, buono e fedele, e nell’interno suo era cattivo come all’esterno era ipocrita, e partito il padrone<br />

dirà in cuor suo: “<strong>Il</strong> padrone tarderà a tornare! Diamoci al bel tempo”, e comincerà a battere e<br />

malmenare i conservi, facendo usura su loro nel cibo e in ogni altra cosa per avere maggior denaro<br />

da consumare coi gozzovigliatori e ubbriaconi, che avverrà? Che il padrone tornerà all’improvviso,<br />

quando il servo non se lo pensa vicino, e verrà scoperto il suo malfare, gli verrà levato posto e<br />

denaro, e sarà cacciato dove giustizia vuole. E ivi starà.<br />

E così del peccatore impenitente, che non pensa come la morte può essere vicina e vicino il suo<br />

giudizio, e gode e abusa dicendo: “Poi mi pentirò”. In verità vi dico che egli non avrà tempo di farlo<br />

e sarà condannato a stare in eterno nel luogo del tremendo orrore, dove è solo bestemmia e pianto e<br />

tortura, e ne uscirà soltanto per il Giudizio finale, quando rivestirà la carne risorta per presentarsi<br />

completo al Giudizio ultimo come completo peccò nel tempo della vita terrena, e con corpo ed<br />

anima si presenterà al Giudice Gesù che egli non volle per Salvatore.<br />

50 Tutti là accolti davanti al Figlio dell’uomo. Una moltitudine infinita di corpi, restituiti dalla terra e<br />

dal mare e ricomposti dopo essere stati cenere per tanto<br />

tempo. E gli spiriti nei corpi. Ad ogni carne tornata sugli scheletri corrisponderà il proprio spirito,<br />

quello che l’animava un tempo. E staranno ritti davanti al Figlio dell’uomo, splendido nella sua


Maestà divina, seduto sul trono della sua gloria sorretto dai suoi angeli.<br />

Ed Egli separerà uomini da uomini, mettendo da un lato i buoni e dall’altro i cattivi, come un<br />

pastore separa le pecorelle dai capretti, e metterà le sue pecore a destra e i capri a sinistra. E dirà<br />

con dolce voce e benigno aspetto a quelli che, pacifici e belli di una bellezza gloriosa nello<br />

splendore del corpo santo, lo guarderanno con tutto l’amore del loro cuore: “Venite, o benedetti dal<br />

Padre mio, prendete possesso del Regno preparato per voi sino dall’origine del mondo. Perché ebbi<br />

fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, fui pellegrino e mi ospitaste, fui nudo e<br />

mi rivestiste, malato e mi visitaste, prigioniero e veniste a portarmi conforto”.<br />

E i giusti gli chiederanno: “Quando mai, Signore, ti vedemmo affamato e ti abbiamo dato da<br />

mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti vedemmo pellegrino e ti abbiamo<br />

accolto, nudo e ti abbiamo rivestito? Quando ti vedemmo infermo e carcerato e siamo venuti a<br />

visitarti?”.<br />

E il Re dei re dirà loro: “In verità vi dico: quando avete fatto una di queste cose ad uno di questi<br />

minimi fra i miei fratelli, allora lo avete fatto a Me”.<br />

E poi si volgerà a quelli che saranno alla sua sinistra e dirà loro, severo nel volto, e i suoi sguardi<br />

saranno come saette fulminanti i reprobi, e nella sua voce tuonerà l’ira di <strong>Dio</strong>: “Via di qua! Via da<br />

Me, o maledetti! Nel fuoco eterno preparato dal furore di <strong>Dio</strong> per il demonio e gli angeli tenebrosi e<br />

per coloro che li hanno ascoltati nelle loro voci di libidine triplice e oscena. <strong>Io</strong> ebbi fame e non mi<br />

sfamaste, sete e non mi dissetaste, fui nudo e non mi rivestiste, pellegrino e mi respingeste, infermo<br />

e carcerato e non mi visitaste. Perché non avevate che una legge: il piacere del vostro io”.<br />

Ed essi gli diranno: “Quando ti abbiamo visto affamato, assetato, nudo, pellegrino, infermo,<br />

carcerato? In verità noi non ti abbiamo conosciuto. Non eravamo, quando Tu eri sulla Terra”.<br />

Ed Egli risponderà loro: “È vero. Non mi avete conosciuto. Perché non eravate quando <strong>Io</strong> ero sulla<br />

Terra. Ma avete però conosciuto la mia Parola e avete avuto i poveri fra voi, gli affamati, i sitibondi,<br />

i nudi, i malati, i carcerati. Perché non avete fatto ad essi ciò che forse avreste fatto a Me? Perché<br />

non è già detto che coloro che mi ebbero fra loro fossero misericordiosi col Figlio dell’uomo. Non<br />

sapete che nei miei fratelli <strong>Io</strong> sono, e dove è uno di essi che soffra là sono <strong>Io</strong>, e che ciò che non<br />

avete fatto ad uno di questi miei minori fratelli lo avete negato a Me, Primogenito degli uomini?<br />

Andate e ardete nel vostro egoismo. Andate, e vi fascino le tenebre e il gelo perché tenebra e gelo<br />

foste, pur conoscendo dove era la Luce e il Fuoco d’Amore”.<br />

E costoro andranno all’eterno supplizio, mentre i giusti entreranno nella vita eterna.<br />

Queste le cose future...<br />

51 Ora andate. E non dividetevi fra voi. <strong>Io</strong> vado con Giovanni e sarò a voi a metà della prima vigilia,<br />

per la cena e per andare poi alle nostre istruzioni».<br />

«Anche questa sera? Tutte le sere faremo questo? <strong>Io</strong> sono tutto indolenzito dalle guazze. Non<br />

sarebbe meglio entrare ormai in qualche casa ospitale? Sempre sotto le tende! Sempre veglianti e<br />

nelle notti, che sono fresche e umide...», si lamenta Giuda.<br />

«È l’ultima notte. Domani... sarà diverso».<br />

«Ah! Credevo che volessi andare al Getsemani tutte le notti. Ma se è l’ultima...».<br />

«Non ho detto questo, Giuda. Ho detto che sarà l’ultima notte da passare al campo dei Galilei tutti<br />

uniti. Domani prepareremo la Pasqua e consumeremo l’agnello, e poi andrò <strong>Io</strong> solo a pregare nel<br />

Getsemani. E voi potrete fare ciò che volete».<br />

«Ma noi verremo con Te, Signore! Quando mai abbiamo voglia di lasciarti?», dice Pietro.<br />

«Tu taci, che sei in colpa. Tu e lo Zelote non fate che svolazzare qua e là appena il Maestro non vi<br />

vede. Vi tengo d’occhio. Al Tempio... nel giorno... nelle tende lassù...», dice l’Iscariota, lieto di<br />

denunciare.<br />

«Basta! Se essi lo fanno, bene fanno. Ma però non mi lasciate solo... <strong>Io</strong> ve ne prego...».<br />

«Signore, non facciamo nulla di male. Credilo. Le nostre azioni sono note a <strong>Dio</strong> ed il suo occhio<br />

non si torce da esse con disgusto», dice lo Zelote.<br />

«Lo so. Ma è inutile. E ciò che è inutile può sempre essere dannoso. State il più possibile uniti».<br />

Poi si volge a Matteo: «Tu, mio buon cronista, ripeterai* a costoro la parabola delle dieci vergini<br />

savie e delle dieci stolte, e quella del padrone che dà dei talenti ai suoi tre servi perché li facciano


fruttare, e due ne guadagnano il doppio e l’infingardo lo sotterra. Ricordi?».<br />

«Sì, Signor mio, esattamente».<br />

«Allora ripetile a questi. Non tutti le conoscono. E anche quelli che le sanno avranno piacere a<br />

riascoltarle. Passate così in sapienti discorsi il tempo sino al mio ritorno. Vegliate! Vegliate! Tenete<br />

desto il vostro spirito. Quelle parabole sono appropriate anche a ciò che dissi. Addio. La pace sia<br />

con voi».<br />

Prende Giovanni per mano e si allontana con lui verso la città... Gli altri si avviano verso il campo<br />

galileo.<br />

52 Dice Gesù: «Metterai qui la seconda parte del faticosissimo Mercoledì Santo. Notte (1945).<br />

Ricordati di segnare in rosso i punti che ti ho detto. Dànno luce quelle parolette**. Tanta luce, per<br />

chi la sa vedere».<br />

_______________________<br />

* ripeterai due parabole, che Gesù ha narrato in 206.2/6 e in 281.9, ma che il Vangelo di Matteo<br />

riporta insieme con i discorsi del presente capitolo.<br />

** quelle parolette, che MV ha riquadrato con segni di matita rossa sul manoscritto originale, sono<br />

del resto e manderò, e si trovano in corsivo in 596.20/21. Casi analoghi in 577.11 e in 592.17.<br />

597. Mercoledì notte al Getsemani con gli apostoli.<br />

8 marzo 1945.<br />

1 «Vi ho detto: “State attenti, vegliate e pregate perché non siate trovati appesantiti da sonno”. Ma <strong>Io</strong><br />

vedo che i vostri occhi stanchi cercano di chiudersi e i vostri corpi, anche senza volere, cercano<br />

pose di riposo. Avete ragione, poveri amici miei! <strong>Il</strong> vostro Maestro ha molto voluto da voi in questi<br />

giorni, e voi siete tanto stanchi. Ma fra poche ore, ormai poche ore, sarete contenti di non avere<br />

perduto neppure un momento della mia vicinanza. Contenti sarete di non aver nulla rifiutato al<br />

vostro Gesù. Del resto, è l’ultima volta che vi parlo di queste cose di lacrime. Domani vi parlerò<br />

d’amore e vi farò un miracolo tutto d’amore. Preparatevi con una grande purificazione a riceverlo.<br />

Oh! come è più consono al mio <strong>Io</strong> parlare d’amore che parlare di castigo! Come m’è dolce dire: “<strong>Io</strong><br />

vi amo. Venite. Per tutta la mia vita ho sognato quest’ora”! Ma è amore anche il parlare di morte. È<br />

amore in quanto la morte, per coloro che vi amano, è la suprema prova d’amore. È amore perché<br />

preparare i cari amici alla sventura è previdenza d’affetto che li vuole pronti e non sbigottiti in<br />

quell’ora. È amore perché confidare un segreto è prova della stima che si ha in coloro ai quali lo si<br />

confida. 2 So che avete tempestato di inchieste Giovanni per sapere che gli dissi quando rimasi con<br />

lui solo. E non avete creduto che non vi fossero parole. Ma così è. Mi è bastato avere vicino una<br />

creatura...».<br />

«Perché allora lui e non un altro?», chiede l’Iscariota. E lo chiede con alterigia sdegnata.<br />

Anche Pietro e con lui Tommaso e Filippo dicono: «Sì. Perché a lui e non agli altri?».<br />

Gesù risponde all’Iscariota.<br />

«Avresti voluto essere tu? Lo puoi pretendere?<br />

3 Era un fresco e sereno mattino di adar... <strong>Io</strong> ero uno sconosciuto viandante sulla via presso il<br />

fiume... Stanco, polveroso, impallidito dal digiuno, la barba incolta, rotti i sandali, parevo un<br />

mendico per le vie del mondo... Lui mi vide... e mi riconobbe per quello sul quale era scesa la<br />

Colomba di fuoco eterno. In quella mia prima trasfigurazione certo un atomo del mio divino<br />

splendore deve essersi rivelato. Gli occhi aperti dalla Penitenza del Battista e quelli conservati<br />

angelici dalla Purezza videro ciò che gli altri non videro. E gli occhi puri portarono quella visione<br />

nel tabernacolo del cuore, ve la serrarono come perla in scrigno... Quando si alzarono dopo quasi<br />

due mesi* sul lacero viandante, la sua anima mi riconobbe... Ero il suo amore. <strong>Il</strong> suo primo ed unico<br />

amore. <strong>Il</strong> primo ed unico amore non si dimentica. L’anima lo sente venire, anche se si è allontanato,<br />

lo sente venire da lontananze remote, e trasale di gioia, e sveglia la mente, e questa la carne, perché


tutte partecipino al banchetto della gioia di ritrovarsi e di amarsi. E la bocca tremante mi disse: “Ti<br />

saluto, Agnello di <strong>Dio</strong>”.<br />

__________________________________<br />

* dopo quasi due mesi, come è stato già chiarito in 47.10.<br />

Oh! fede dei puri, come sei grande! Come superi tutti gli ostacoli! Non sapeva il mio Nome. Chi<br />

ero? Donde venivo? Che facevo? Ero ricco? Ero povero? Ero sapiente? Ero ignorante? Che fa,<br />

sapere tutto questo per la fede? Aumenta o diminuisce per sapere? Egli credeva a quanto gli aveva<br />

detto il Precursore. Come stella che trasmigra, per ordine creativo, dall’uno all’altro cielo, egli s’era<br />

staccato dal suo cielo, il Battista, dalla sua costellazione, ed era venuto verso il suo nuovo cielo, il<br />

Cristo, nella costellazione dell’Agnello. Ed è la stella non la più grande, ma è la più bella e pura<br />

della costellazione d’amore.<br />

Sono passati tre anni da allora. Stelle e stelline si sono unite e poi staccate alla mia costellazione.<br />

Talune sono precipitate e morte. Altre si sono fatte fumose per pesanti vapori. Ma egli è rimasto<br />

fisso con la sua pura luce presso la sua Polare.<br />

4 Lasciatemi guardare la sua luce. Due saranno le luci nelle tenebre del Cristo: Maria, Giovanni. Ma<br />

non potrò quasi vederle tanto sarà il dolore. Lasciate che <strong>Io</strong> mi imprima nella pupilla queste quattro<br />

iridi che sono lembi di cielo fra ciglia bionde, per portare con Me, dove nessuno potrà venire, un<br />

ricordo di purezza. Tutto il peccato! Tutto sopra le spalle dell’Uomo! Oh! Oh! questa stilla di<br />

purezza!... Mia Madre! Giovanni! Ed <strong>Io</strong>!... I tre naufraghi emergenti dal naufragio di un’umanità nel<br />

mare del Peccato!<br />

5 Sarà l’ora in cui <strong>Io</strong>, il rampollo della stirpe davidica, gemerò l’antico sospiro* di Davide. “<strong>Dio</strong> mio,<br />

volgiti a Me. Perché mi hai abbandonato? Da Te mi allontanano le grida dei delitti che ho preso per<br />

tutti... <strong>Io</strong> sono un verme, non più un uomo, l’obbrobrio degli uomini, il rifiuto della plebe”.<br />

E udite Isaia: “Ho abbandonato il mio corpo ai percuotitori, le mie guance a chi mi strappava la<br />

barba, non ho allontanato la faccia da chi mi oltraggiava e mi copriva di sputi”.<br />

Udite di nuovo Davide: “Molti giovenchi mi hanno circondato, molti tori mi hanno assalito. Su di<br />

Me hanno spalancato la bocca per dilaniarmi come leoni che sbranano e ruggono. <strong>Io</strong> mi sono<br />

disciolto come acqua”.<br />

E Isaia completa: “Da Me stesso mi sono tinto le vesti”. Oh! le mie vesti da Me stesso le tingo, non<br />

col mio furore, ma col mio dolore e l’amor mio per voi. Come le due pietre piatte dello strettoio,<br />

essi mi strizzano e mi spremono il Sangue. Non diverso sono dal grappolo pressato, che entrò bello<br />

nella stretta e dopo è poltiglia spremuta senza succo e bellezza.<br />

Ed il mio cuore, dico con Davide, “diventa come cera e si strugge dentro al mio petto”. Oh! Cuore<br />

perfetto del Figlio dell’uomo, or che diventi? Simile a quello che una lunga vita di bagordi rende<br />

sfatto e senza vigore. Tutto il mio vigore si dissecca. La lingua mi resta attaccata al palato per<br />

febbre e agonia. E la morte si avanza nella sua cenere che asfissia e acceca.<br />

_____________________<br />

* l’antico sospiro è l’inizio di una serie di citazioni e allusioni che rimandano a: Salmo 22, 2.7.13-<br />

19; Isaia 50, 6; 53; 63, 3.<br />

E ancora non c’è pietà! “Un branco, una muta di cani mi assedia e mi morde. Sulle ferite cadono i<br />

morsi. Sui morsi le bastonate. Non un lembo di Me è senza dolore. Le ossa scricchiolano slogate<br />

nello stiramento infame. Non so dove appoggiare il mio corpo. La tremenda corona è cerchio di<br />

fuoco che penetra nel capo. Pendo dalle mani e dai piedi trafitti. Altolevato, presento il mio corpo al<br />

mondo e tutti possono contare le mie ossa...».<br />

6 «Taci! Taci!», singhiozza Giovanni.<br />

«Non dire più! Ci fai agonizzare!», supplicano i cugini.<br />

Andrea non parla, ma ha posto il capo fra i ginocchi e piange senza rumore. Simone è livido. Pietro<br />

e Giacomo di Zebedeo paiono alla tortura. Filippo, Tommaso, Bartolomeo sembrano tre statue di<br />

pietra esprimenti angoscia.<br />

Giuda Iscariota è una maschera macabra, demoniaca. Pare un dannato che finalmente comprenda


ciò che ha fatto. A bocca aperta su un urlo che gli ulula dentro e che viene serrato nella strozza, gli<br />

occhi dilatati, spauriti del pazzo, le guance terree sotto il velo brunetto della barba rasa, i capelli<br />

spettinati perché ogni tanto se li scompiglia con la mano, sudato e freddo, sembra prossimo a<br />

svenirsi.<br />

Matteo, alzando lo sguardo atterrato per cercare un aiuto al suo tormento, lo vede e dice: «Giuda!<br />

Stai male?. Maestro, Giuda soffre!».<br />

«<strong>Io</strong> pure», dice Cristo. «Ma <strong>Io</strong> soffro con pace. Divenite spiriti per potere sopportare l’ora. Un che<br />

sia “carne” non la può vivere senza divenire folle...<br />

7 Parla ancora Davide, che vede le torture del suo Cristo: Ancora non sono contenti e mi guardano e<br />

deridono e si dividono le mie spoglie gettando la sorte sulla tunica”. <strong>Io</strong> sono il Malfattore. È il loro<br />

diritto.<br />

Oh! Terra, guarda il tuo Cristo! Sappilo riconoscere, benché così distrutto. Ascolta, ricorda le parole<br />

di Isaia e comprendi il perché, il grande perché Egli così divenne, e l’uomo poté uccidere,<br />

riducendolo in quello stato, il Verbo del Padre. “Egli non ha bellezza né splendore. Lo abbiamo<br />

veduto. Non era di bell’aspetto. E non lo abbiamo amato. Disprezzato, come l’ultimo degli uomini,<br />

Egli, l’Uomo dei dolori assuefatto a patire, teneva nascosto il volto. Era vilipeso e noi non ne<br />

facemmo alcun conto”. Era la sua bellezza di Redentore questa maschera di torturato. Ma tu, Terra<br />

stolta, preferivi il suo volto sereno!<br />

“Veramente Egli ha preso sopra di Sé i nostri mali, ha portato i nostri dolori. E noi lo abbiamo<br />

guardato come un lebbroso, come un maledetto da <strong>Dio</strong> e un disprezzato. Egli invece è stato piagato<br />

per le nostre scelleratezze. Su di Lui è caduto il castigo a noi riserbato, il castigo che ci ridona la<br />

pace con <strong>Dio</strong>. Per le sue lividure siamo risanati. Eravamo come pecore erranti. Ognuno aveva<br />

deviato la retta via e il Signore pose addosso a Lui le iniquità di tutti”.<br />

8 Colui, coloro che pensano d’aver giovato a se stessi e ad Israele si disilludano. E così coloro che<br />

pensano essere stati più forti di <strong>Dio</strong>. E così coloro che pensano di non avere da rendere colpa per<br />

questo peccato solo perché <strong>Io</strong> mi lascio uccidere di buona volontà. <strong>Io</strong> faccio il mio compito santo, la<br />

perfetta ubbidienza al Padre. Ma ciò non esclude la loro ubbidienza a Satana e il loro compito<br />

nefando.<br />

Sì. È stato sacrificato perché l’ha voluto, o Terra, il tuo Redentore. “Non ha aperto bocca per dire<br />

una parola di preghiera onde essere risparmiato, né una parola di maledizione per i suoi assassini.<br />

Come una pecorella si è lasciato condurre al macello per essere ucciso, come agnello muto portato<br />

davanti a chi lo tosa”.<br />

“Dopo la cattura e la condanna fu innalzato. Non avrà generazione. Come una pianta è stato reciso<br />

dalla Terra dei viventi. <strong>Dio</strong> lo ha percosso per il peccato del suo popolo. Non un della sua<br />

generazione della sua Terra lo compiangerà? Non avrà figli il reciso dalla Terra?”.<br />

9 Oh! <strong>Io</strong> ti rispondo, o profeta del tuo Cristo. Se il mio popolo non avrà compianti per l’Ucciso senza<br />

colpa, gli angeli del popolo celeste lo compiangeranno. Se la sua virilità non avrà umanamente figli,<br />

perché la sua Natura non poteva trovare connubio con carne mortale, Egli bene avrà figli e figli<br />

secondo un generare che non dalla carne e dal sangue animale, ma dall’amore e dal Sangue divino<br />

avrà vita, una generazione dello spirito per cui eterna sarà la sua prole.<br />

E ancora ti spiego, o mondo che non capisci il profeta, chi sono gli empi messi alla sua sepoltura e il<br />

ricco alla sua morte. Guarda, o mondo, se uno solo dei suoi uccisori ebbe pace e lunga vita! Egli, il<br />

Vivente, presto lascerà la morte. Ma, come foglie che il vento di autunno una per una adagia nella<br />

piega del solco dopo averle staccate con ripetute raffiche, uno per uno saranno presto adagiati nella<br />

ignobile sepoltura che per Lui era stata decretata; e un che per l’oro visse potrebbe, se lecito fosse<br />

mettere l’immondo dove fu il Santo, potrebbe esser deposto dove ancora sarà l’umido delle<br />

innumerevoli ferite della Vittima immolata sul monte. Accusato senza colpe, <strong>Dio</strong> ne fa le sue<br />

vendette, perché mai frode fu sulla sua bocca né iniquità nel suo cuore.<br />

10 Consumato coi patimenti. Ma a consumazione avvenuta, a vita recisa per sacrificio di espiazione,<br />

avrà inizio la sua gloria presso i futuri. Tutti i desideri e le sante volontà di <strong>Dio</strong> per Lui andranno ad<br />

effetto. Per gli affanni dell’anima sua vedrà la gloria del vero popolo di <strong>Dio</strong> e ne sarà beato. La sua<br />

celeste dottrina, che Egli sigillerà col suo Sangue, sarà la giustificazione di molti che son fra i


migliori, e dei peccatori prenderà l’iniquità. Per questo avrà una grande moltitudine, o Terra, questo<br />

Re sconosciuto che i perfidi derisero, che i migliori non compresero. E coi suoi Egli dividerà le<br />

spoglie dei vinti, Egli dividerà le spoglie dei forti, unico Giudice dei tre regni e del Regno.<br />

Tutto ha meritato perché tutto dette. Tutto a Lui sarà consegnato, perché Egli consegnò la sua vita<br />

alla morte e fu annoverato fra i malfattori, Egli che era senza peccato. Senza altro peccato che non<br />

fosse un perfetto amore, una infinita bontà. Due colpe che il mondo non perdona, un amore ed una<br />

bontà che lo spinsero a prendere su di Sé i peccati di molti, di tutto il mondo, ed a pregare per i<br />

peccatori. Per tutti i peccatori. Anche per quelli per cui fu messo a morte.<br />

11 Ho finito. Non ho altro da dire. Tutto è detto di quanto volevo dirvi delle profezie messianiche.<br />

Dalla nascita alla morte ve le ho tutte illustrate, perché mi conosceste e non aveste dubbi. E non<br />

aveste scuse al vostro peccato.<br />

12 Ora preghiamo insieme. È l’ultima sera che possiamo pregare così, tutti uniti come acini al<br />

grappolo che li regge. Venite. Oriamo.<br />

“Padre nostro che sei nei Cieli, sia santificato il tuo Nome. Venga il tuo Regno. Sia fatta la tua<br />

Volontà, in Terra come è fatta in Cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Rimetti a noi i nostri<br />

debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.<br />

Così sia”.<br />

“Sia santificato il tuo Nome”. Padre, <strong>Io</strong> l’ho santificato. Pietà del tuo Germe.<br />

“Venga il tuo Regno”. Per fondarlo <strong>Io</strong> muoio. Pietà di Me.<br />

“Sia fatta la tua Volontà”. Soccorri la mia debolezza, Tu che hai creato la carne dell’uomo e di essa<br />

hai rivestito il tuo Verbo perché <strong>Io</strong> quaggiù ti ubbidisca così come sempre ti ho ubbidito in Cielo.<br />

Pietà del Figlio dell’uomo.<br />

“Dacci il Pane”... Per l’anima un pane. Un pane non di questa Terra. Non per Me lo chiedo. Non ho<br />

più bisogno che del tuo spirituale conforto. Ma per essi <strong>Io</strong>, Mendico, ti tendo la mano. Fra poco sarà<br />

trafitta e confitta, e più non potrà fare gesto d’amore. Ma ora può ancora. Padre, concedimi di dare<br />

loro il Pane che giornalmente fortifica la debolezza dei poveri figli di Adamo. Essi sono deboli, o<br />

Padre, inferiori sono, perché non hanno il Pane che è forza, l’angelico Pane che spiritualizza l’uomo<br />

e lo conduce a divenire divinizzato in Noi.<br />

“Rimetti a noi i nostri debiti”...».<br />

Gesù, che ha parlato in piedi e pregato a braccia aperte, ora si inginocchia e alza le braccia e il volto<br />

al Cielo. Un volto sbiancato dalla forza del supplicare e dal bacio della luna, rigato da un tacito<br />

pianto.<br />

«Al Figlio tuo perdona*, o Padre, se in qualche cosa ti mancò. Alla tua Perfezione posso ancor<br />

apparire imperfetto, <strong>Io</strong>, tuo Cristo che la carne aggrava. Agli uomini... no. <strong>Il</strong> mio cosciente intelletto<br />

mi assicura di avere tutto fatto per essi. Ma Tu perdona al tuo Gesù... <strong>Io</strong> pure perdono. Perché Tu mi<br />

perdoni, <strong>Io</strong> perdono. Quanto devo perdonare! Quanto!... Eppure perdono. A questi presenti, ai<br />

discepoli assenti, ai sordi di cuore, ai nemici, ai derisori, ai traditori, agli assassini, ai deicidi... Ecco.<br />

Ho perdonato a tutta l’Umanità. Per Me, o Padre, considera annullato ogni debito dell’uomo<br />

all’Uomo. Per dare a tutti il tuo Regno <strong>Io</strong> muoio, e non voglio sia ascritto a condanna il peccare<br />

verso l’Amore incarnato. No? Tu dici no? È il mio dolore. Questo “no” mi infonde nel cuore il<br />

primo sorso del calice atroce. Ma, Padre che sempre ho ubbidito, <strong>Io</strong> ti dico: “Sia fatto come Tu<br />

vuoi”.<br />

“Non ci indurre in tentazione”. Oh! se Tu vuoi, ci puoi allontanare il demonio! È lui la tentazione<br />

che aizza la carne, la mente, il cuore. È lui il Seduttore. Allontanalo, Padre! <strong>Il</strong> tuo arcangelo in<br />

nostro favore! A fugare quello che dalla nascita alla morte ci insidia!... Oh! Padre santo, pietà dei<br />

tuoi figli!<br />

____________________<br />

* perdona... <strong>Il</strong> senso di una simile richiesta di perdono per Sé è stato illustrato da Gesù stesso in<br />

44.13. Inoltre appare nel presente contesto che Gesù-Uomo non ha colpe da farsi perdonare: “<strong>Il</strong> mio<br />

cosciente intelletto mi assicura di avere tutto fatto per essi”; e tuttavia Egli si fa carico della<br />

richiesta di pietà e perdono che dovrebbe salire da tutto il genere umano: “Per Me, o Padre,<br />

considera annullato ogni debito dell’uomo all’Uomo”.


“Liberaci, liberaci dal male!”. Tu lo puoi. Noi qui piangiamo... È tanto bello il Cielo e temiamo di<br />

perderlo. Tu dici: “<strong>Il</strong> mio Santo non lo può perdere”. Ma <strong>Io</strong> voglio Tu veda in Me l’Uomo, il<br />

Primogenito degli uomini. Sono il loro fratello. Prego per loro e con loro. Padre, pietà! Oh!<br />

pietà!...».<br />

13 Gesù si curva fino a terra. Poi si alza: «Andiamo. Salutiamoci questa sera. Domani sera non ne<br />

avremo più modo. Saremo troppo turbati. E amore non è dove è turbamento. Diamoci il bacio di<br />

pace. Domani... domani ognuno sarà di se stesso... Questa sera ancora possiamo essere uno per tutti<br />

e tutti per uno».<br />

E li bacia, uno per uno, cominciando da Pietro, poi Matteo, Simone, Tommaso, Filippo,<br />

Bartolomeo, l’Iscariota, i due cugini, Giacomo di Zebedeo, Andrea e ultimo Giovanni, al quale poi<br />

resta appoggiato mentre escono dal Getsemani.<br />

598. Giovedì santo. Preparativi per la Cena pasquale. La voce del Padre.<br />

<strong>Il</strong> segno convenuto con il Traditore. L’ossequio di persone ragguardevoli.<br />

3 aprile 1947.<br />

1 Un nuovo mattino. Così sereno! Così festoso! Non ci sono più neppure le nuvole rare che ieri<br />

vagavano lentamente sul cobalto del cielo. Non c’è neppure l’afa pesante che ieri era gravosa tanto.<br />

Una brezza sottile alita sui volti. E sa di fiori, sa di fieni, sa di aria pulita. E smuove lentamente le<br />

foglie degli ulivi. Sembra voglia far ammirare l’argenteo delle fogliette lanceolate e spargere fiori,<br />

piccoli, candidi, odorosi, sui passi di Cristo, sul suo capo biondo, baciarlo, rinfrescarlo - perché ogni<br />

minuto calice ha la sua stilluzza di rugiada - baciarlo, rinfrescarlo e poi morire prima di vedere<br />

l’orrore incombente. E si inchinano le erbe dei clivi scuotendo le campanelle, le corolle, le palmette<br />

dei mille fiori. Stelle dal cuore d’oro, le grosse margherite selvagge stanno alte sullo stelo come per<br />

baciargli la mano che sarà trafitta, e le pratoline e le matricarie gli baciano i piedi generosi, che si<br />

fermeranno dall’andare per il bene degli uomini solo quando saranno inchiodati per dare un bene<br />

maggiore ancora, e le rose canine odorano e il biancospino che non ha più fiori agita le foglie<br />

dentellate. Pare che dica: «No, no» a quelli che lo useranno per dare tormento al Redentore. E «no»<br />

dicono le canne del Cedron. Anche loro non vogliono colpire, la loro volontà di piccole cose non<br />

vuol fare male al Signore. E forse anche i sassi delle chine si felicitano di essere fuori di città,<br />

sull’Uliveto, perché in tal modo, no, non feriranno il Martire. E piangono gli esili convolvoli rosati,<br />

che Gesù amava tanto, e i corimbi delle acacie candide come grappoli di farfalle strette a uno stelo,<br />

forse pensando: «Non lo vedremo più». E i miosotis, così esili e puri, lasciano cadere la loro corolla<br />

al tocco della veste porpurea che Gesù ha indossato di nuovo. Deve essere bello morire quando cosa<br />

che è di Gesù colpisce. Tutti i fiori, anche uno sperso mughetto, forse caduto là incidentalmente e<br />

che si è radicato fra le radici sporgenti di un olivo, è felice di esser scorto e colto da Tommaso e<br />

offerto al Signore... E felici sono i mille uccelli fra i rami di salutarlo con canti di gioia. Oh! che non<br />

lo bestemmiano gli uccelli che Egli ha sempre amato! Persino un branchetto di pecore sembra<br />

volerlo salutare benché siano in pianto, orbate come sono dei figli venduti per il sacrificio pasquale.<br />

E belando, un lamento di madri per l’aria, chiamando i figli che non torneranno più, vengono a<br />

sfregarsi presso Gesù, guardandolo con lo sguardo mite.<br />

2 La vista delle pecore richiama gli apostoli al pensiero del rito e interrogano Gesù quando sono<br />

quasi al Getsemani. «Dove andremo a consumare la Pasqua? Che luogo scegli? Dillo, e noi<br />

andremo ad apparecchiare ogni cosa», dicono.<br />

E Giuda di Keriot: «Dammi ordini e andrò».<br />

«Pietro. Giovanni. Sentitemi».<br />

I due, che erano un poco avanti, si fanno vicino a Gesù che li ha chiamati.<br />

«Precedeteci ed entrate in città per la porta del Letame. Appena entrati, incontrerete un uomo che<br />

torna da En Rogel con una brocca di quella buon’acqua. Seguitelo finché entra in una casa. Direte a


colui che è in essa: “<strong>Il</strong> Maestro dice: ‘Dove è la stanza dove <strong>Io</strong> possa mangiare la Pasqua coi miei<br />

discepoli?’ ”. Egli vi mostrerà un gran cenacolo pronto. Apparecchiate in esso ogni cosa. Andate<br />

solleciti e poi raggiungeteci al Tempio».<br />

I due partono in tutta fretta.<br />

Gesù procede invece lentamente. Tanto è ancor fresca mattina e le strade che immettono nella città<br />

mostrano appena i primi pellegrini. Valicano il Cedron sul ponticello che è prima del Getsemani.<br />

Entrano in città. Le porte, forse per un contrordine di Pilato, rassicurato dalla assenza di dispute<br />

intorno a Gesù, non sono più sorvegliate dai legionari. Infatti la massima calma regna in ogni luogo.<br />

3 Oh! non si può dire che non abbiano saputo contenersi i giudei! Nessuno ha molestato il Maestro<br />

né i suoi discepoli. Ossequi bene educati, se non affettuosi, lo hanno sempre salutato, anche se<br />

quelli che li davano erano i più astiosi del Sinedrio. Una sopportazione inarrivabile ha<br />

accompagnato anche la requisitoria di ieri.<br />

Ed ecco che proprio anche ora, poiché la casa di campagna di Caifa è proprio vicina a quella porta,<br />

ecco che proprio ora passa, venendo da essa, un folto gruppo di farisei e di scribi, fra i quali il figlio<br />

di Anna ed Elchia con Doras e Sadoc, ed è un piegarsi di schiene ammantate ampiamente, che<br />

ossequiano fra ondeggiamenti di vesti e frange e copricapi amplissimi. Gesù saluta e passa, regale<br />

nella sua veste di lana rossa e nel manto più cupo di tinta, il copricapo di Sintica nella mano, il sole<br />

che fa dei suoi capelli rosso-rame un serto d’oro e un velo lucente giù sino agli omeri. Le schiene si<br />

alzano dopo il suo passaggio e appaiono i volti: di iene idrofobe.<br />

Giuda di Keriot, che guardava sempre intorno con la sua faccia di traditore, con la scusa di<br />

riallacciarsi un sandalo si fa ai margini della via e, lo vedo bene, fa un cenno a quei tali che lo<br />

attendano... Lascia che il gruppo di Gesù e dei discepoli vada avanti, sempre lavorando intorno alla<br />

fibbia del suo sandalo per darsi un contegno, poi rapido passa vicino a quelli e sussurra: «Alla<br />

Bella. Verso sesta. Un di voi», e sfreccia via veloce raggiungendo i compagni. Franco,<br />

spudoratamente franco!...<br />

4 Salgono al Tempio. Pochi ebrei ancora. Ma molti gentili. Gesù va ad adorare il Signore. Poi torna<br />

indietro e ordina a Simone e Bartolomeo di comperare l’agnello facendosi dare denari da Giuda di<br />

Keriot.<br />

«Ma potevo fare io!», dice questi.<br />

«Avrai altro da fare. Lo sai. Vi è quella vedova alla quale portare l’obolo di Maria di Lazzaro e dirle<br />

che dopo le feste vada a Betania, da Lazzaro. Lo sai dove sta? Hai capito bene?».<br />

«So, so! Mi ha mostrato il luogo Zaccaria che la conosce bene». E aggiunge: «Sono molto contento<br />

di andare. Più che andare per l’agnello. Quando vado?».<br />

«Più tardi. Non mi fermerò molto qui. Riposerò oggi, volendo esser forte per questa sera e per la<br />

mia orazione notturna».<br />

«Va bene».<br />

Ecco, io mi chiedo: Gesù, che aveva così taciuto nei giorni scorsi ogni suo proposito per non dare<br />

particolari a Giuda, perché ora dice, ripete ciò che farà nella notte? La Passione è già iniziata con la<br />

cecità di preveggenza, o è questa preveggenza tanto aumentata che Egli legge nei libri dei Cieli che<br />

quella è «la notte» e che perciò bisogna farlo sapere a chi attende di saperlo per consegnarlo ai<br />

nemici, o lo ha sempre saputo che in quella notte deve iniziarsi la sua immolazione? <strong>Io</strong> non so<br />

darmi risposta. Gesù non mi dà risposta. E io resto nei miei perché, mentre osservo Gesù che risana<br />

gli ultimi malati. Gli ultimi... Domani, fra poche ore, non potrà più... La Terra sarà privata del<br />

potente Risanatore di corpi. La Vittima, però, sul suo patibolo inizierà la serie, ininterrotta da venti<br />

secoli, dei suoi risanamenti di spiriti.<br />

5 Oggi io contemplo più che descrivere. <strong>Il</strong> mio Signore mi fa proiettare la vista spirituale da ciò che<br />

io vedo accadere, nell’ultimo giorno di libertà di Cristo, a ciò che è nei secoli... Oggi io contemplo<br />

più i sentimenti, i pensieri del Maestro che non gli avvenimenti intorno a Lui. Sono già nella<br />

comprensione angosciosa della sua tortura del Getsemani...<br />

6 Gesù è sopraffatto come il solito dalla folla che è già cresciuta, che ora è, nella più parte, ebrea e<br />

che si dimentica di affrettarsi al luogo del sacrificio degli agnelli per avvicinarsi a Gesù, Agnello di<br />

<strong>Dio</strong> che sta per essere immolato. E ancora chiede, e ancora vuole spiegazioni.


Molti sono ebrei venuti dalla Diaspora, i quali, saputo per fama del Cristo, del Profeta galileo, del<br />

Rabbi di Nazaret, sono curiosi di sentirlo parlare e ansiosi di levarsi ogni possibile dubbio. E questi<br />

si fanno largo supplicando quelli di Palestina così: «Voi sempre lo avete. Voi sapete chi è. Voi avete<br />

la sua parola quando volete. Noi siamo venuti da lontano e ripartiremo subito dopo aver compiuto il<br />

precetto. Lasciateci andare a Lui!». La folla si apre a fatica per cedere il posto a questi. E questi si<br />

avvicinano a Gesù e l’osservano curiosamente. Parlottano fra loro, gruppo per gruppo.<br />

Gesù li osserva, anche se contemporaneamente ascolta un gruppo di persone venute dalla Perea.<br />

Poi, licenziate queste che gli hanno offerto denaro per i suoi poveri, così come molti fanno, ed Egli<br />

lo ha passato a Giuda come sempre, si accinge a parlare.<br />

7 «Uni nella religione, ma diversi di provenienza, molti fra i presenti si chiedono: “Chi è costui che è<br />

detto il Nazareno?”, e la loro speranza e il loro dubbio cozzano insieme. Ascoltate*.<br />

È detto di Me: “Un germoglio spunterà dalla radice di Jesse, un fiore verrà da questa radice e sopra<br />

di Lui riposerà lo Spirito del Signore. Egli non giudicherà secondo quello che apparisce agli occhi,<br />

non condannerà per ciò che si sente con gli orecchi, ma giudicherà con giustizia i poveri, prenderà<br />

le difese degli umili. <strong>Il</strong> germoglio della radice di Jesse, posto quale segno fra le nazioni, sarà<br />

invocato dai popoli e il suo sepolcro sarà glorioso. Egli, alzata una bandiera alle nazioni, riunirà i<br />

profughi d’Israele, i dispersi di Giuda, li raccoglierà dai quattro punti della Terra”.<br />

È detto di Me: “Ecco, il Signore <strong>Dio</strong> viene, con possanza, il suo braccio trionferà. Porta seco la sua<br />

mercede, ha davanti agli occhi l’opera sua. Come un pastore pascerà il suo gregge”.<br />

È detto di Me: “Ecco il mio Servo col quale <strong>Io</strong> starò, nel quale si compiace l’anima mia. In Lui ho<br />

diffuso il mio spirito. Egli porterà giustizia fra le nazioni. Non griderà, non spezzerà la canna fessa,<br />

non spegnerà il lucignolo fumigante, farà giustizia secondo verità. Senza essere né triste né<br />

turbolento, giungerà a stabilire sulla Terra la giustizia, e le isole aspetteranno la sua legge”.<br />

È detto di Me: “<strong>Io</strong>, il Signore, ti ho chiamato nella giustizia, ti ho preso per mano, ti ho preservato,<br />

ti ho fatto alleanza del popolo e luce delle nazioni per aprire gli occhi ai ciechi e trarre dal carcere i<br />

prigionieri e dalla sotterranea prigione quelli che giacciono nelle tenebre”.<br />

È detto di Me: “Lo Spirito del Signore è sopra di Me, perché il Signore mi ha unto ad annunziare la<br />

Buona Novella ai mansueti, a curare quelli che hanno il cuore affranto, a predicare la libertà agli<br />

schiavi, la liberazione ai prigionieri, a predicare l’anno di grazia del Signore”.<br />

È detto di Me: “Egli è il Forte, pascerà il gregge con la fortezza del Signore, con la maestà del nome<br />

del Signore <strong>Dio</strong> suo. A Lui si convertiranno, perché sin da ora sarà glorificato, fino agli ultimi<br />

confini del mondo”.<br />

È detto di Me: “<strong>Io</strong> stesso andrò in cerca delle mie pecorelle. Andrò in cerca delle smarrite,<br />

ricondurrò le scacciate, legherò le fratturate, ristorerò le deboli, terrò d’occhio le grasse e robuste, le<br />

pascerò con giustizia”.<br />

È detto: “Egli è il Principe di pace e sarà la pace”.<br />

__________________<br />

* Ascoltate. È l’inizio di un’altra serie di citazioni, testuali o parafrasate, che rimandano (nella<br />

successione biblica) a: Salmo 78, 23-25; Isaia 9, 5; 11, 1-4.10-12; 40, 10-11; 42, 1-7; 50, 6; 53, 2-<br />

12; 55, 1-3; 61, 1-2; 63, 1; Ezechiele 34, 11.16; 47, 1-12; Daniele 9, 24-27; Osea 14, 2; Michea 5,<br />

3-4; Zaccaria 9, 9-10. L’ultimo dei profeti, cui si allude in 598.9, è Giovanni Battista. Le profezie<br />

cui si allude in 598.17 sono quelle di: Isaia 7, 14; Michea 5, 1.<br />

È detto: “Ecco, viene il tuo Re, il Giusto, il Salvatore. Egli è povero, cavalca un asinello. Egli<br />

annunzierà pace alle nazioni. <strong>Il</strong> suo dominio sarà da mare a mare sino agli estremi della Terra”.<br />

È detto: “Settanta settimane sono state fissate per il tuo popolo, per la tua città santa, affinché sia<br />

tolta la prevaricazione, abbia fine il peccato, sia cancellata l’iniquità, venga l’eterna giustizia, siano<br />

compiute visione e profezia, e sia unto il Santo dei santi. Dopo sette più settantadue verrà il Cristo.<br />

Dopo sessantadue sarà ucciso. Dopo una settimana Egli confermerà il testamento, ma a mezzo della<br />

settimana verranno meno le ostie e i sacrifici, e sarà nel Tempio l’abbominazione della desolazione,<br />

e durerà sino alla fine dei secoli”.<br />

8 Mancheranno dunque le ostie in questi giorni? L’altare non avrà vittima? Avrà la gran Vittima.<br />

Ecco, la vede il profeta: “Chi è costui che viene con le vesti tinte di rosso? È bello nel suo vestito e


cammina nella grandezza della sua forza”.<br />

E come si è tinto di porpora, Colui che è povero, la veste? Ecco, lo dice il profeta: “Ho abbandonato<br />

il mio corpo ai percuotitori, le mie guance a chi mi strappa la barba, non ho allontanato il volto da<br />

chi mi oltraggia. E la mia bellezza e il mio splendore si è perduto, e gli uomini non mi hanno più<br />

amato. Disprezzato mi hanno gli uomini, considerato l’ultimo! Uomo di dolori, sarà velato il mio<br />

volto e vilipeso, e mi guarderanno come un lebbroso, mentre è per tutti che <strong>Io</strong> sarò piagato e<br />

morto”.<br />

Ecco la Vittima! Non temere, o Israele! Non temere! Non manca l’Agnello pasquale! Non temere, o<br />

Terra! Non temere! Ecco il Salvatore! Come pecora sarà condotto al macello, perché lo ha voluto, e<br />

non ha aperto bocca per maledire quelli che l’uccidono. Dopo la condanna sarà innalzato e<br />

consumato nei patimenti, le membra slogate, le ossa scoperte, i piedi e le mani trafitti. Ma dopo<br />

l’affanno, col quale giustificherà molti, possederà le moltitudini perché, dopo aver consegnato la<br />

sua vita alla morte per la salute del mondo, risorgerà e governerà la Terra, nutrirà i popoli delle<br />

acque viste da Ezechiele, uscenti dal vero Tempio che, anche se è abbattuto, risorge per sua stessa<br />

forza, del vino di cui si è anche imporporata la candida veste d’Agnello senza macchia, e del Pane<br />

venuto dal Cielo.<br />

9 Sitibondi, venite alle acque! Affamati, nutritevi! Esausti, bevete il mio vino, e voi malati! Venite<br />

voi che non avete denaro, voi che non avete salute, venite! E voi che siete nelle tenebre! E voi che<br />

siete morti, venite! <strong>Io</strong> sono Ricchezza e Salute, <strong>Io</strong> sono Luce e Vita. Venite voi che cercate la via!<br />

Venite voi che cercate la verità! <strong>Io</strong> sono Via e Verità! Non temete di non poter consumare l’Agnello<br />

perché mancano le ostie veramente sante in questo Tempio profanato. Tutti avrete da mangiare<br />

dell’Agnello di <strong>Dio</strong> venuto a togliere i peccati del mondo, come ha detto di Me l’ultimo dei profeti<br />

del mio popolo. Di quel popolo al quale <strong>Io</strong> chiedo: Popolo mio, che ti ho fatto? In che ti ho<br />

contristato? Che potevo darti di più di ciò che <strong>Io</strong> non ti abbia dato? Ho istruito i tuoi intelletti, ho<br />

guarito i tuoi malati, beneficato i tuoi poveri, sfamato le tue turbe, ti ho amato nei tuoi figli, ho<br />

perdonato, ho pregato per te. Ti ho amato sino al Sacrificio. E tu che appresti al tuo Signore?<br />

Un’ora, l’ultima, ti è data, o mio popolo, o mia città regale e santa. Convertiti in quest’ora al<br />

Signore <strong>Dio</strong> tuo!».<br />

10 «Ha detto le parole vere!».<br />

«Così è detto! E Lui veramente fa quello che è detto!».<br />

«Come un pastore ha avuto cura di tutti!».<br />

«Come fossimo le pecore disperse, malate, nella caligine, è venuto a portarci alla via giusta, a<br />

guarirci anima e corpo, a illuminarci».<br />

«Veramente tutti i popoli vanno a Lui. Osservate là quei gentili come sono ammirati!».<br />

«Pace ha predicato».<br />

«Amore ha dato».<br />

«Non capisco ciò che dice del sacrificio. Parla come se dovesse essere ucciso».<br />

«Così è, se è l’Uomo visto dai profeti, il Salvatore».<br />

«E parla come se tutto il popolo dovesse malmenarlo. Ciò non accadrà mai. <strong>Il</strong> popolo, noi, lo<br />

amiamo».<br />

«È nostro amico. Lo difenderemo».<br />

«Galileo è, e noi di Galilea daremo la vita per Lui».<br />

«Di Davide è, e non alzeremo la mano che per difenderlo, noi di Giudea».<br />

«E noi, che ci amò come amò voi, noi dell’Auranite, della Perea, della Decapoli, noi potremo<br />

dimenticarlo? Tutti, tutti lo difenderemo».<br />

Queste le voci fra la folla ormai numerosa molto. Labilità delle intenzioni umane! Giudico dalla<br />

posizione del sole essere verso le nove antimeridiane dell’ora nostra. Ventiquattr’ore più tardi<br />

questa gente sarà da molte ore intorno al Martire per torturarlo con l’odio e le percosse, e urlerà<br />

chiedendo la sua morte. Pochi, molto pochi, troppo pochi fra le migliaia di persone che si affollano<br />

da ogni parte della Palestina e oltre, e che hanno avuto luce, salute, sapienza, perdono dal Cristo,<br />

saranno coloro che non solo non cercheranno di strapparlo ai nemici, perché la loro pochezza<br />

rispetto alla moltitudine dei percuotitori lo vieta, ma anche non sapranno confortarlo dandogli prova


d’amore col seguirlo con volto amico. Le lodi, i consensi, i commenti ammirati si spargono per<br />

l’ampio cortile come onde che dall’alto del mare vadano lontano a morire sul lido.<br />

11 Degli scribi, dei giudei, dei farisei tentano di neutralizzare l’entusiasmo del popolo, e anche il<br />

fermento del popolo contro i nemici del Cristo, dicendo: «Vaneggia. La stanchezza sua è tanta e lo<br />

conduce a delirare. Vede persecuzioni dove sono onori. <strong>Il</strong> suo dire ha fiumi della solita sua sapienza,<br />

ma mescolati a frasi di delirio. Nessuno gli vuol fare del male. Abbiamo capito. Capito chi è...».<br />

Ma la gente è incerta di tanta conversione di umori, e qualcuno fra essa si ribella dicendo: «Egli mi<br />

guarì un figlio demente. So ciò che è la pazzia. Non così parla uno che è folle!».<br />

E un altro: «Lasciali dire. Sono vipere che hanno paura che il bastone del popolo spezzi loro le reni.<br />

Cantano la dolce canzone dell’usignolo per ingannarci, ma se ascolti bene c’è dentro il fischio del<br />

serpe».<br />

E un altro ancora: «Scolte del popolo di Cristo, all’erta! Quando nemico carezza ha il pugnale<br />

nascosto nella manica e tende la mano per colpire. Occhi aperti e cuore pronto! Gli sciacalli non<br />

possono diventare docili agnelli».<br />

«Dici bene: il gufo alletta e incanta gli uccellini ingenui con l’immobilità del suo corpo e con la<br />

mendace letizia del suo saluto. Ride e invita col suo grido, ma è già pronto a divorare».<br />

E così via, da gruppo a gruppo.<br />

12 Ma vi sono anche i gentili. Questi gentili che sono stati costanti e sempre più numerosi ad<br />

ascoltare il Maestro in questi giorni di festa. Sempre ai margini della folla, perché l’esclusivismo<br />

ebreo-palestinese è forte e li respinge volendo i primi posti intorno al Rabbi, essi hanno desiderio di<br />

avvicinarlo e parlargli.<br />

Un folto gruppo di essi occhieggia Filippo, che la folla ha spinto in un angolo. Si accostano a lui<br />

dicendo: «Signore, noi desideriamo vedere da vicino Gesù, il tuo Maestro. E parlargli almeno una<br />

volta».<br />

Filippo si alza sulle punte dei piedi per vedere se scorge qualche apostolo più vicino al Signore.<br />

Vede Andrea e gli grida, dopo averlo chiamato: «Qui sono dei gentili che vorrebbero salutare il<br />

Maestro. Chiedigli se vuole accoglierli».<br />

Andrea, separato da Gesù di qualche metro, pigiato nella folla, si fa largo senza riguardi, lavorando<br />

generosamente di gomiti e urlando: «Fate largo! Fate largo, dico. Devo andare dal Maestro». Lo<br />

raggiunge e gli trasmette il desiderio dei gentili.<br />

«Conducili in quell’angolo. <strong>Io</strong> verrò a loro».<br />

E mentre Gesù cerca di passare fra la gente, Giovanni, che è tornato con Pietro, Pietro stesso, Giuda<br />

Taddeo, Giacomo di Zebedeo e Tommaso, che lascia il gruppo dei suoi parenti, trovato fra la folla,<br />

per aiutare i compagni, lottano a fargli strada. 13 Ecco Gesù là dove già sono i gentili che lo<br />

ossequiano.<br />

«La pace a voi. Che volete da Me?».<br />

«Vederti. Parlarti. Le tue parole ci hanno conturbati. Desideravamo sempre di parlarti per dirti che<br />

la tua parola ci colpisce. Ma attendevamo di farlo in momento propizio. Oggi... Tu parli di morte...<br />

Noi temiamo di non poter più parlarti se non prendiamo quest’ora. Ma è possibile che gli ebrei<br />

possano uccidere il loro figlio migliore? Noi siamo gentili e la tua mano non ci beneficò. La tua<br />

parola ci era sconosciuta. Avevamo sentito parlare di Te vagamente. Ma non ti avevamo mai visto<br />

né avvicinato. Eppure, lo vedi! Noi ti rendiamo omaggio. Tutto il mondo con noi ti onora».<br />

«Sì, l’ora è venuta nella quale il Figlio dell’uomo deve essere glorificato dagli uomini e dagli<br />

spiriti».<br />

Ora la gente è di nuovo intorno a Gesù. Ma con la differenza che in prima fila sono i gentili e<br />

indietro gli altri.<br />

«Ma allora, se è l’ora della tua glorificazione, Tu non morrai come dici, o come abbiamo capito.<br />

Perché non è essere glorificato morire in tal modo. Come potrai riunire il mondo sotto il tuo scettro,<br />

se Tu muori prima di averlo fatto? Se il tuo braccio si immobilizzerà nella morte, come potrà<br />

trionfare e radunare i popoli?».<br />

«Morendo dò vita. Morendo edifico. Morendo creo il Popolo nuovo. È nel sacrificio che si ha la<br />

vittoria. In verità vi dico che, se il granello di frumento caduto sulla terra non muore, rimane


infecondo. Ma se invece muore, ecco che produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perderà. Chi<br />

odia la sua vita in questo mondo la salverà per la vita eterna. <strong>Io</strong> poi ho il dovere di morire per dare<br />

questa vita eterna a tutti coloro che mi seguono per servire la Verità. Chi mi vuole servire venga:<br />

non è limitato il posto nel mio regno a questo o a quel popolo. Chiunque mi vuol servire venga e mi<br />

segua, e dove <strong>Io</strong> sono sarà pure il mio servo. E chi mi serve l’onorerà il Padre mio, unico, vero<br />

Iddio, Signore del Cielo e della Terra, Creatore di tutto quanto è, Pensiero, Parola, Amore, Vita, Via,<br />

Verità; Padre, Figlio, Spirito Santo, Uno essendo Trino, Trino essendo unico, solo, vero <strong>Dio</strong>. 14 Ma<br />

ora l’anima mia è turbata. E che dirò? Dirò forse: “Padre, salvami da quest’ora”? No. Perché <strong>Io</strong><br />

sono venuto per questo: per giungere a quest’ora. E allora dirò: “Padre, glorifica il tuo Nome!”».<br />

Gesù apre le braccia in croce, una croce porpurea contro il candore dei marmi del portico, e alza il<br />

volto, offrendosi, pregando, salendo coll’anima al Padre.<br />

E una voce, più forte del tuono, immateriale nel senso che non è simile a nessuna voce d’uomo, ma<br />

sensibilissima per tutti gli orecchi, empie il cielo sereno della bellissima giornata d’aprile e vibra,<br />

più potente di accordo d’organo gigante, bellissima nella sua tonalità, e proclama: «E <strong>Io</strong> l’ho<br />

glorificato e ancora lo glorificherò».<br />

La gente ha avuto paura. Quella voce, così potente che ne ha vibrato il suolo e ciò che su esso si<br />

trova, quella voce misteriosa, diversa da ogni altra, veniente da una fonte che è sconosciuta, quella<br />

voce che empie tutto, da settentrione a mezzogiorno, da oriente a occidente, terrorizza gli ebrei e<br />

stupisce i pagani. I primi si gettano, sol che possano farlo, al suolo, mormorando nel tremore: «Ora<br />

morremo!* Abbiamo sentito la voce del Cielo. Un angelo gli ha parlato!», e si battono il petto in<br />

attesa della morte. I secondi gridano: «Un tuono! Un boato! Fuggiamo! La Terra ha ruggito! Ha<br />

tremato!». Ma fuggire è impossibile in quella ressa che si accresce di quelli che, ancor fuor dalle<br />

mura del Tempio, accorrono entro di esse gridando: «Pietà di noi! Corriamo! Qui è luogo santo.<br />

Non si fenderà il monte dove sorge l’altare di <strong>Dio</strong>!». E perciò ognuno resta dove è, dove lo blocca<br />

la folla e lo spavento.<br />

15 Sulle terrazze del Tempio accorrono i sacerdoti, gli scribi, i farisei che erano sparsi per i meandri<br />

di esso, e leviti, e strategoi. Agitati, sbalorditi. Ma di tutti loro non scendono, fra la gente che è nei<br />

cortili, altro che Gamaliele con suo figlio. Gesù lo vede passare, tutto candido nella veste di lino,<br />

che è così bianca da splendere persino sotto il forte sole che la investe.<br />

Gesù, guardando Gamaliele ma come parlando per tutti, alza la voce dicendo: «Non per Me, ma per<br />

voi è venuta questa voce dal Cielo».<br />

__________________<br />

* morremo, come se avessero visto <strong>Dio</strong>, stando a quanto si legge in: Esodo20, 19; 33, 20; Giudici<br />

6, 22-23; 13, 22. Analoghe espressioni in 349.9, 619.6 e 630.27.<br />

Gamaliele si arresta, si volge, trivella con gli sguardi dei suoi occhi profondi e nerissimi - che<br />

l’abitudine ad essere un maestro venerato come un semidio fa involontariamente duri come quelli<br />

dei rapaci - lo sguardo zaffireo, limpido, dolce nella sua maestà, di Gesù...<br />

E Gesù prosegue: «Ora si ha il giudizio di questo mondo. Ora il Principe delle Tenebre sta per<br />

essere cacciato fuori. Ed <strong>Io</strong>, quando sarò innalzato, trarrò tutti a Me, perché così salverà il Figlio<br />

dell’uomo».<br />

16 «Noi abbiamo imparato dai libri della Legge che il Cristo vive in eterno. E Tu ti dici il Cristo e<br />

dici che devi morire. E ancora dici che sei il Figlio dell’uomo e salverai essendo esaltato. Chi sei<br />

dunque? <strong>Il</strong> Figlio dell’uomo o il Cristo? E chi è il Figlio dell’uomo?», dice la folla che si rinfranca.<br />

«Sono un’unica Persona. Aprite gli occhi alla Luce. Ancora per un poco la Luce è con voi.<br />

Camminate verso la Verità sinché avete la Luce fra voi, affinché non vi sorprendano le tenebre.<br />

Coloro che camminano nel buio non sanno dove vadano a finire. Finché avete fra voi la Luce<br />

credete ad Essa, per essere figli della Luce». Tace.<br />

La folla è perplessa e divisa. Una parte se ne va scrollando il capo. Una parte osserva<br />

l’atteggiamento dei principali dignitari: farisei, capi dei sacerdoti, scribi... e specie di Gamaliele, e<br />

regola i propri moti su questo atteggiamento. Altri ancora approvano col capo e si inchinano a Gesù<br />

con chiari segni di volergli dire: «Crediamo! Ti onoriamo per ciò che sei». Ma non osano schierarsi<br />

apertamente in suo favore. Hanno paura degli occhi attenti dei nemici di Cristo, dei potenti, che li


sorvegliano dall’alto delle terrazze che sovrastano i superbi porticati che cingono i cortili del<br />

Tempio.<br />

17 Anche Gamaliele, dopo essere rimasto pensieroso qualche minuto, e par che interroghi i marmi<br />

che pavimentano il suolo per avere risposta alle sue interne domande, si riavvia verso l’uscita dopo<br />

aver scrollato testa e spalle come per disappunto o sprezzo... e passa diritto davanti a Gesù senza più<br />

guardarlo.<br />

Gesù invece lo guarda, con compassione... e alza di nuovo la voce, fortemente - è come un bronzeo<br />

squillo - per superare ogni rumore ed essere sentito dal grande scriba che se ne va deluso. Par che<br />

parli per tutti, ma parla per lui solo, è palese.<br />

Dice a voce altissima:<br />

«Chi crede in Me non crede, in verità, in Me, ma in Colui che mi ha mandato, e chi vede Me vede<br />

Colui che mi ha mandato. E questo Colui è bene il <strong>Dio</strong> d’Israele! Perché non c’è altro <strong>Dio</strong> fuor che<br />

Lui.<br />

Per questo dico: se non potete credere a Me come a colui che è detto figlio di Giuseppe di Davide<br />

ed è figlio di Maria, della stirpe di Davide, della Vergine vista dal profeta, nato a Betlemme, come è<br />

detto dalle profezie, precorso dal Battista, ancor come è detto da secoli, credete almeno alla Voce<br />

del vostro <strong>Dio</strong> che vi ha parlato dal Cielo. Credete in Me come Figlio di questo <strong>Dio</strong> d’Israele. Ché,<br />

se non credete a Chi vi ha parlato dal Cielo, non Me offendete, ma il <strong>Dio</strong> vostro di cui sono Figlio.<br />

Non vogliate rimanere nelle tenebre! <strong>Io</strong> sono venuto Luce al mondo affinché chi crede in Me non<br />

resti nelle tenebre. Non vogliate crearvi dei rimorsi, che non potreste più placare quando <strong>Io</strong> fossi<br />

tornato là donde sono venuto, e che sarebbero un ben duro castigo di <strong>Dio</strong> sulla vostra pervicacia. <strong>Io</strong><br />

sono pronto a perdonare sinché sono fra voi, sinché il giudizio non è fatto, e per quanto sta a Me ho<br />

desiderio di perdonare. Ma diverso è il pensiero del Padre mio. Perché <strong>Io</strong> sono la Misericordia ed<br />

Egli è la Giustizia.<br />

In verità vi dico che, se uno ascolta le mie parole e non le osserva poi, <strong>Io</strong> non lo giudico. Non sono<br />

venuto nel mondo per giudicare, ma per salvare il mondo. Ma anche se <strong>Io</strong> non giudico, in verità vi<br />

dico che vi è chi vi giudica per le vostre azioni. <strong>Il</strong> Padre mio, che mi ha mandato, giudica coloro che<br />

respingono la sua Parola. Sì, chi mi disprezza e non riconosce la Parola di <strong>Dio</strong> e non riceve le parole<br />

del Verbo, ecco che ha chi lo giudica: la stessa Parola che <strong>Io</strong> ho annunziata, quella lo giudicherà nel<br />

giorno estremo.<br />

<strong>Dio</strong> non si irride, è detto. E il <strong>Dio</strong> irriso sarà terribile a coloro che lo giudicarono pazzo e mentitore.<br />

Ricordate tutti che le parole che mi avete sentito dire sono di <strong>Dio</strong>. Perché <strong>Io</strong> non ho parlato di mio,<br />

ma il Padre che mi ha mandato, Egli stesso mi ha prescritto quello che debbo dire e di che devo<br />

parlare. E <strong>Io</strong> ubbidisco al suo comando perché <strong>Io</strong> so che il suo comandamento è giusto. Vita eterna è<br />

ogni comando di <strong>Dio</strong>. Ed <strong>Io</strong>, vostro Maestro, vi do l’esempio di ubbidienza ad ogni comando di<br />

<strong>Dio</strong>. Perciò siate certi che le cose che vi ho dette e vi dico, le ho dette e le dico così come mi ha<br />

detto il Padre mio di dirvele. E il Padre mio è il <strong>Dio</strong> di Abramo, Isacco, Giacobbe; il <strong>Dio</strong> di Mosè,<br />

dei patriarchi e dei profeti, il <strong>Dio</strong> d’Israele, il <strong>Dio</strong> vostro».<br />

Parole di luce, che cadono nelle tenebre che già si incupiscono nei cuori!<br />

Gamaliele, che si era nuovamente fermato, a capo chino, riprende ad andare... Altri lo seguono<br />

crollando il capo o sogghignando...<br />

18 Anche Gesù se ne va... Ma prima dice a Giuda di Keriot: «Va’ dove devi andare», e agli altri:<br />

«Ognuno è libero di andare. Dove deve o dove vuole. Con Me restino i discepoli pastori».<br />

«Oh! prendi anche me con Te, Signore!», dice Stefano.<br />

«Vieni...».<br />

Si separano. Non so dove va Gesù. Ma so dove va Giuda di Keriot. Va alla porta Speciosa o Bella,<br />

salendo i diversi scalini che dall’atrio dei Gentili portano a quello delle donne, e dopo averlo<br />

attraversato, salendo al termine di esso altri scalini, occhieggia nell’atrio degli Ebrei e con ira batte<br />

il piede al suolo non trovando chi cerca.<br />

Torna indietro. Vede una delle guardie del Tempio. La chiama. Ordina, con la sua solita arroganza:<br />

«Va’ da Eleazar ben Anna. Che venga subito alla Bella. Lo attende Giuda di Simone per cose<br />

gravi».


Si appoggia a una colonna e attende. Poco tempo. Eleazaro figlio di Anna, Elchia, Simone, Doras,<br />

Cornelio, Sadoc, Nahum e altri accorrono con un grande svolazzio di vesti.<br />

Giuda parla a voce bassa ma concitata: «Questa sera! Dopo la cena. Al Getsemani. Veniteci e<br />

prendetelo. Datemi il denaro».<br />

«No. Te lo daremo quando tu verrai a prenderci questa sera. Non ci fidiamo di te! Ti vogliamo con<br />

noi. Non si sa mai!», ghigna Elchia. Gli altri assentono in coro.<br />

Giuda avvampa di sdegno per l’insinuazione. Giura: «Lo giuro su Jeové che dico il vero!».<br />

Sadoc gli risponde: «Va bene. Ma è meglio fare così. Quando è l’ora tu vieni, prendi i preposti alla<br />

cattura e vai con loro, ché non avvenga che le guardie stolte arrestino Lazzaro, al caso, e facciano<br />

accadere guai. Tu indicherai ad esse, con un segno, l’uomo... Devi capire! È notte,... ci sarà poca<br />

luce... le guardie saranno stanche, assonnate... Ma se tu guidi!... Ecco! Che dite?». Si volge ai<br />

compagni il perfido Sadoc e dice: «<strong>Io</strong> proporrei per segnale un bacio. Un bacio! <strong>Il</strong> miglior segno per<br />

indicare l’amico tradito. Ah! Ah!».<br />

Ridono tutti. Un coro di demoni sghignazzanti.<br />

Giuda è furente. Ma non arretra. Non arretra più. Soffre per lo scherno che gli fanno, non per quello<br />

che sta per fare. Tanto che dice: «Ma ricordate che voglio le monete contate nella borsa prima di<br />

uscire di qui con le guardie».<br />

«Le avrai! Le avrai! Anche la borsa ti daremo, perché tu possa conservare quelle monete come<br />

reliquia del tuo amore. Ah! Ah! Ah! Addio, serpe!».<br />

Giuda è livido. È già livido. Non perderà mai più quel colore e quell’espressione di spavento<br />

disperato. Essa, anzi, coll’andar delle ore si accentuerà sempre più, sino ad essere insostenibile alla<br />

vista quando penzolerà dall’albero... Fugge via...<br />

19 Gesù si è rifugiato nel giardino di una casa amica. Un quieto giardino delle prime case di Sion.<br />

Mura alte e antiche lo cingono. È silenzioso e fresco, coperto come è dalle fronde semoventi di<br />

vecchi alberi. Una voce di donna canta poco lontano una dolce ninna-nanna.<br />

Devono essere passate delle ore, perché i servi di Lazzaro, di ritorno dopo essere andati non so<br />

dove, dicono: «I tuoi discepoli sono già nella casa dove si prepara per la cena, e Giovanni, dopo<br />

aver portato con noi i frutti ai figli di Giovanna di Cusa, se ne è andato a prendere le donne per<br />

accompagnarle da Giuseppe di Alfeo, che è venuto solo oggi, quando sua madre non sperava più di<br />

vederlo, e poi da lì alla casa della cena, perché è il vespero».<br />

«Andremo anche noi. Sono venute le ore delle cene...». Gesù si alza rimettendosi il manto.<br />

«Maestro, lì fuori ci sono delle persone. Persone di censo. Vorrebbero parlarti senza esser viste dai<br />

farisei», dice un servo.<br />

«Falli entrare. Ester non si opporrà. Non è vero, donna?», dice Gesù rivolgendosi ad una matura<br />

donna che sta accorrendo per salutarlo.<br />

«No, Maestro. La mia casa è tua, lo sai. Per troppo poco hai usato di essa!».<br />

«Tanto che basti a dire al mio cuore: era casa amica». Ordina al servo: «Conduci chi attende».<br />

20 Entrano una trentina di persone di dignitoso aspetto. Ossequiano. Uno parla per tutti: «Maestro, le<br />

tue parole ci hanno scosso. Abbiamo sentito in Te la voce di <strong>Dio</strong>. Ma ci dicono folli perché<br />

crediamo in Te. Che fare allora?».<br />

«Non a Me crede chi crede in Me, ma crede a Colui che mi ha mandato e del quale oggi avete<br />

sentito la voce santissima. Non Me vede chi vede Me, ma vede Colui che mi ha mandato, perché <strong>Io</strong><br />

sono una sola cosa col Padre mio. Per questo vi dico che dovete credere per non offendere <strong>Dio</strong> che<br />

mi è e vi è Padre, e vi ama sino a sacrificarvi il suo Unigenito. Ché, se è dubbio nei cuori che <strong>Io</strong> sia<br />

il Cristo, non vi è dubbio che <strong>Dio</strong> sia nel Cielo. E la voce di <strong>Dio</strong>, che <strong>Io</strong> ho chiamato Padre, oggi al<br />

Tempio, chiedendogli di dare gloria al suo Nome, ha risposto a Colui che Padre lo chiamava, e<br />

senza dirgli “mentitore o bestemmiatore” come molti dicono. <strong>Dio</strong> ha confermato chi <strong>Io</strong> sono. La sua<br />

Luce. <strong>Io</strong> sono la Luce venuta al mondo. <strong>Io</strong> sono venuto Luce al mondo affinché chi crede in Me non<br />

resti nelle Tenebre. Se uno ascolta le mie parole e poi non le osserva, <strong>Io</strong> non lo giudico. Non sono<br />

venuto a giudicare il mondo ma a salvare il mondo. Chi mi disprezza e non riceve le mie parole ha<br />

chi lo giudica. La Parola da Me annunciata, quella sarà che lo giudicherà nel giorno estremo. Perché


era sapiente, perfetta, dolce, semplice, così come è <strong>Dio</strong>. Perché quella Parola è <strong>Dio</strong>. Non sono <strong>Io</strong>,<br />

Gesù di Nazaret, detto il figlio di Giuseppe legnaiolo della stirpe di Davide e figlio di Maria,<br />

fanciulla ebrea, vergine della stirpe di Davide sposata a Giuseppe, che ho parlato. No. <strong>Io</strong> non ho<br />

parlato di mio. Ma è il Padre mio, Colui che è nei Cieli e ha nome Jeové, Colui che oggi ha parlato,<br />

Colui che mi ha mandato, che mi ha prescritto quello che devo dire e di che ho da parlare. E <strong>Io</strong> so<br />

che nel suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che dico le dico come me le ha dette il<br />

Padre, e in esse è Vita. Per questo vi dico: ascoltatele. Mettetele in pratica e avrete la Vita. Perché la<br />

mia parola è Vita. E chi l’accoglie, accoglie, insieme a Me, il Padre dei Cieli che mi ha mandato a<br />

darvi la Vita. E chi ha in sé <strong>Dio</strong> ha in sé la Vita. 21 Andate. La pace venga a voi e vi permanga».<br />

Li benedice e congeda. Benedice anche i discepoli. Trattiene solamente Isacco e Stefano. Gli altri li<br />

bacia e li congeda. E quando sono andati, esce per ultimo insieme ai due e va con essi, per le viette<br />

più solitarie e già scure, alla casa del Cenacolo. E, giunto là, abbraccia e benedice con particolare<br />

amore Isacco e Stefano, li bacia, li benedice di nuovo, li guarda andare e poi bussa ed entra...<br />

22 Dice Gesù: «Metterai qui le visioni dell’addio a mia Madre, del Cenacolo, della Cena. E ora<br />

facciamo noi due, <strong>Io</strong> e te, la vera commemorazione pasquale. Vieni...».<br />

599. L’arrivo al Cenacolo e l’addio di Gesù alla Madre.<br />

17 febbraio 1944.<br />

1 Vedo il cenacolo dove deve consumarsi la Pasqua. Lo vedo distintamente. Potrei enumerare tutte le<br />

rugosità del muro e le crepe del pavimento.<br />

È uno stanzone non perfettamente quadrato, ma anche poco rettangolare. Vi sarà la differenza di un<br />

metro o poco più, al massimo, fra il lato più lungo e quello più corto. È basso di soffitto. Forse<br />

appare tale anche per la sua grandezza, alla quale non corrisponde l’altezza. È lievemente a volta,<br />

ossia i due lati più corti non finiscono ad angolo retto col soffitto, ma con un angolo smusso fatto<br />

così:<br />

In questi due lati più corti vi sono due larghe finestre, larghe e basse, prospicienti. Non vedo dove<br />

guardano, se su un cortile o su una via, perché ora hanno le impannate, che le chiudono, chiuse. Ho<br />

detto: impannate. Non so se sia giusto il termine. Sono delle imposte di tavoloni ben serrate in<br />

grazia di una sbarra di ferro che le traversa.<br />

<strong>Il</strong> pavimento è a larghi mattoni di terra-cotta, che il tempo ha reso pallida, quadrati.<br />

Dal centro del soffitto pende un lume ad olio a più becchi.<br />

Nelle due pareti più lunghe, una è tutta senza aperture. Nell’altra, invece, vi è una porticina in un<br />

angolo, alla quale si accede per una scaletta senza ringhiera di sei scalini, terminanti in un ripiano di<br />

un metro quadro. Su questo vi è, contro la parete, un altro gradino, sul quale si apre la porta a filo<br />

del gradino. Non so se mi sono spiegata. Mi sforzo a fare il grafico.<br />

Le pareti sono semplicemente imbiancate, senza fregi o righe. Al centro della stanza, un tavolone<br />

rettangolare, molto lungo rispetto alla larghezza, messo parallelo alla parete più lunga, di legno<br />

semplicissimo. Contro le pareti lunghe, quelli che saranno i sedili. Alle pareti corte, sotto la finestra<br />

di un lato, una specie di cassapanca con su dei bacili e delle anfore, e sotto l’altra finestra una<br />

credenza bassa e lunga, sul cui piano per ora non c’è nulla.<br />

2 E questa è la descrizione della stanza dove si consumerà la Pasqua. È tutt’oggi che la vedo<br />

distintamente, tanto che ho potuto contare i gradini ed osservare tutti i particolari. Ora, poi, che<br />

viene la notte, il mio Gesù mi conduce al resto della contemplazione.<br />

Vedo che lo stanzone conduce, per la scaletta dai sei gradini, in un andito scuro che a sinistra,<br />

rispetto a me, si apre sulla via con una porta larga, bassa e molto massiccia, rinforzata di borchie e


strisce di ferro. Di fronte alla porticina, che dal cenacolo conduce nell’andito, vi è un’altra porta che<br />

conduce ad un’altra stanza, meno vasta. Direi che il cenacolo è stato ricavato da un dislivello del<br />

suolo rispetto al resto della casa e della via, è come un seminterrato, una mezza cantina ripulita od<br />

aggiustata, ma sempre infossata per un buon metro nel suolo, forse per farlo più alto e<br />

proporzionato alla sua vastità.<br />

Nella stanza che vedo ora vi è Maria con altre donne. Riconosco Maddalena e Maria madre di<br />

Giacomo, Giuda e Simone. Sembra che siano appena arrivate, condotte da Giovanni, perché si<br />

levano i manti e li posano piegati sugli sgabelli sparsi per la stanza, mentre salutano l’apostolo che<br />

se ne va e una donna e un uomo accorsi al loro arrivo, che ho l’impressione siano i padroni di casa e<br />

discepoli o simpatizzanti per il Nazareno, perché sono pieni di premure e di rispettosa confidenza<br />

per Maria. Questa è vestita di celeste cupo, un azzurro di indaco scurissimo. Ha sul capo il velo<br />

bianco, che appare quando si leva il manto che le copre anche il capo. È molto sciupata in volto.<br />

Pare invecchiata. Molto triste, per quanto sorrida con dolcezza. Molto pallida. Anche i movimenti<br />

sono stanchi e incerti, come quelli di persona assorta in un suo pensiero.<br />

3Dalla porta socchiusa vedo che il proprietario va e viene nell’andito e nel cenacolo, che illumina<br />

completamente accendendo i restanti becchi della lumiera. Poi va alla porta di strada e la apre, ed<br />

entra Gesù con gli apostoli. Vedo che è sera, perché le ombre della notte scendono già nella via<br />

stretta fra case alte.<br />

È con tutti gli apostoli. Saluta il proprietario col suo abituale saluto: «La pace sia a questa casa», e<br />

poi, mentre gli apostoli scendono nel cenacolo, Egli entra nella stanza dove è Maria. Le pie donne<br />

salutano con profondo rispetto e se ne vanno, chiudendo la porta e lasciando liberi la Madre e il<br />

Figlio.<br />

Gesù abbraccia sua Madre e la bacia in fronte. Maria bacia prima la mano al Figlio e poi la guancia<br />

destra. Gesù fa sedere Maria e si siede al suo fianco, su due sgabelli vicini. La fa sedere,<br />

accompagnandola ad essi per mano, e continua a tenere la mano anche quando Ella è seduta.<br />

Anche Gesù è assorto, pensieroso, triste, per quanto si sforzi a sorridere. Maria ne studia con ansia<br />

l’espressione. Povera Mamma, che per la grazia e per l’amore comprende che ora sia questa! Delle<br />

contrazioni di dolore scorrono sul viso di Maria, ed i suoi occhi si dilatano ad un’interna visione di<br />

spasimo. Ma non fa scene. È maestosa come il Figlio.<br />

4Egli le parla. La saluta e si raccomanda alle sue preghiere.<br />

«Mamma, sono venuto per prendere forza e conforto da te. Sono come un piccolo bambino,<br />

Mamma, che ha bisogno del cuore della madre per il suo dolore e del seno della madre per sua<br />

forza. Sono tornato, in quest’ora, il tuo piccolo Gesù di un tempo. Non sono il Maestro, Mamma.<br />

Sono unicamente il Figlio tuo, come a Nazareth quando ero piccino, come a Nazareth prima di<br />

lasciare la vita privata. Non ho che te. Gli uomini, in questo momento, non sono amici, e leali, del<br />

tuo Gesù. Non sono neppure coraggiosi nel bene. Solo i malvagi sanno essere costanti e forti<br />

nell’operare il male. Ma tu mi sei fedele e sei la mia forza, Mamma, in quest’ora. Sostienimi col tuo<br />

amore e col tuo orare. Non ci sei che tu che in quest’ora sai pregare, fra chi più o meno mi ama.<br />

Pregare e comprendere. Gli altri sono in festa, assorbiti da pensieri di festa o da pensieri di delitto,<br />

mentre <strong>Io</strong> soffro di tante cose. Molte cose moriranno dopo quest’ora. E fra queste la loro umanità, e<br />

sapranno essere degni di Me, tutti meno colui che s’è perduto e che nessuna forza vale a ricondurre<br />

almeno al pentimento. Ma per ora sono ancora uomini tardi che non mi sentono morire, mentre essi<br />

giubilano credendo più che mai prossimo il mio trionfo. Gli osanna di pochi giorni or sono li hanno<br />

ubriacati. Mamma, sono venuto per quest’ora e soprannaturalmente la vedo giungere con gioia. Ma<br />

il mio <strong>Io</strong> anche la teme, perché questo calice ha nome tradimento, rinnegamento, ferocia,<br />

bestemmia, abbandono. Sostienimi, Mamma. Come quando col tuo pregare hai attirato su te lo<br />

Spirito di <strong>Dio</strong>, dando per Esso al mondo l’Aspettato delle genti, attira ora sul Figlio tuo la forza che<br />

m’aiuti a compiere l’opera per cui venni. Mamma, addio. Benedicimi, Mamma; anche per il Padre.<br />

E perdona a tutti. Perdoniamo insieme, da ora perdoniamo a chi ci tortura».<br />

5Gesù è scivolato, parlando, ai piedi della Madre, in ginocchio, e la guarda tenendola abbracciata<br />

alla vita.<br />

Maria piange senza gemiti, col volto lievemente alzato per una interna preghiera a <strong>Dio</strong>. Le lacrime


otolano sulle guance pallide e cadono sul suo grembo e sul capo che Gesù le appoggia alla fine sul<br />

cuore. Poi Maria mette la sua mano sul capo di Gesù come per benedirlo e poi si china, lo bacia fra i<br />

capelli, glieli carezza, gli carezza le spalle, le braccia, gli prende il volto fra le mani e lo volge verso<br />

di Lei, se lo serra al cuore. Lo bacia ancora fra le lacrime, sulla fronte, sulle guance, sugli occhi<br />

dolorosi, se lo ninna, quel povero capo stanco, come fosse un bambino, come l’ho vista ninnare<br />

nella Grotta il Neonato divino. Ma non canta, ora. Dice solo: «Figlio! Figlio! Gesù! Gesù mio!». Ma<br />

con una tal voce che mi strazia.<br />

Poi Gesù si rialza. Si aggiusta il manto, resta in piedi di fronte alla Madre, che piange ancora, e a<br />

sua volta la benedice. Poi si dirige alla porta. Prima di uscire le dice: «Mamma, verrò ancora prima<br />

di consumare la mia Pasqua. Prega attendendomi». Ed esce.<br />

600. L’ultima Cena pasquale.<br />

9 marzo 1945.<br />

1 Comincia la sofferenza del Giovedì Santo.<br />

7Gli apostoli, e sono dieci, si dànno un gran da fare a preparare il Cenacolo.<br />

Giuda, arrampicato sul tavolo, osserva se l’olio è in tutti i palloncini del grande lampadario, che<br />

pare una corolla di fucsia doppia, perché ha uno stelo circondato da cinque lumi in ampolle simili a<br />

petali, poi un secondo giro, più in basso, che è tutta una coroncina di fiammelle, poi ha, per ultimo,<br />

tre esili lampadine sospese a catenelle che sembrano i pistilli del luminoso fiore. (E non rida del mio<br />

disegno.) Poi scende con un salto e aiuta Andrea a disporre con arte le stoviglie sulla tavola, su cui<br />

viene stesa una finissima tovaglia. Sento Andrea che dice: «Che splendido lino!».<br />

E l’Iscariota: «Uno dei migliori di Lazzaro. Marta l’ha voluta portare per forza».<br />

«E questi calici? e queste anfore, allora?», osserva Tommaso che ha messo il vino nelle anfore<br />

preziose e le rimira, specchiandosi nelle loro pance snelle, e ne carezza i manici a cesello con<br />

occhio d’intenditore.<br />

«Chissà che valore, eh?», chiede Giuda Iscariota.<br />

«È lavorato a martello. Mio padre ne andrebbe pazzo. L’argento e l’oro in foglia si piega, quando è<br />

caldo, con facilità. Ma trattato così... È un momento rovinare tutto. Basta un colpo mal dato. Ci<br />

vuole forza e leggerezza insieme. Vedi i manici? Tratti dal blocco. Non saldati. Cose da ricchi...<br />

Pensa che tutta la limatura e lo sbozzato si perdono. Non so se mi capisci».<br />

«Eh! se capisco! Insomma è come uno che fa scoltura».<br />

«Proprio così».<br />

Tutti ammirano. Poi tornano al loro lavoro. Chi dispone i sedili e chi fa pronte le credenze.<br />

2 Entrano insieme Pietro e Simone.<br />

«Oh! siete venuti finalmente! Dove siete andati di nuovo? Dopo essere giunti col Maestro e noi,<br />

siete da capo fuggiti», dice l’Iscariota.<br />

«Ancora un’incombenza prima dell’ora», risponde breve Simone.<br />

«Hai delle malinconie?».<br />

«Credo che, con quello che si è udito in questi giorni, e da quelle labbra che mai trovammo<br />

menzognere, ce ne sia ben ragione».<br />

«E con quel puzzo di... Bene, sta’ zitto, Pietro», borbotta Pietro fra i denti.<br />

«Anche tu!... Mi sembri folle da qualche giorno. Hai la faccia di un coniglio selvatico che si sente<br />

dietro lo sciacallo», risponde Giuda Iscariota.<br />

«E tu hai il muso della faina. Anche tu non sei molto bello da qualche giorno. Guardi in un modo...<br />

Hai persino l’occhio storto... Chi aspetti, o che speri vedere? Sembri sicuro, vuoi farlo parere, ma<br />

assomigli a chi ha paura», rimbecca Pietro.<br />

«Oh! Quanto a paura!... Non sei certo un eroe neppure tu!».<br />

«Nessuno lo siamo, Giuda. Tu porti il nome del Maccabeo, ma non lo sei. <strong>Io</strong> dico, col mio, “<strong>Dio</strong> fa<br />

grazie”, ma ti giuro che ho in me il tremito di chi sa di portare disgrazia e di essere soprattutto in


disgrazia di <strong>Dio</strong>. Simone di Giona, ribattezzato “la pietra”, è ora molle come cera al fuoco. Non si<br />

agguanta più col suo volere. E sì che mai lo vidi pauroso nelle più fiere tempeste! Matteo,<br />

Bartolmai e Filippo sembrano sonnambuli. Mio fratello e Andrea non fanno che sospirare. I due<br />

cugini, in cui è il dolore del sangue con quello dell’amore al Maestro, guardali. Sembrano uomini<br />

già vecchi. Tommaso ha perduto la sua giocondità. E Simone sembra tornato il lebbroso sfinito di or<br />

sono tre anni, tanto è scavato da un dolore, direi corroso, livido, avvilito», gli risponde Giovanni.*<br />

3 «Sì. Ci ha suggestionati tutti con la sua melanconia», osserva l’Iscariota.<br />

_____________________<br />

* gli risponde Giovanni è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta. <strong>Dio</strong> fa grazie, di alcune<br />

righe più sopra, è il significato del nome Giovanni in ebraico: come in 22.4 e 24.2 riferito a<br />

Giovanni Battista, in 188.7 e 366.8 riferito a Giovanni di Endor, in 275.3 riferito a costoro e ad altri<br />

dello stesso nome, in 400.4 riferito a Giovanna di Cusa, in 638.2 riferito al “piccolo Giovanni” che<br />

è la scrittrice.<br />

«Mio cugino Gesù, il mio e vostro Maestro e Signore, è e non è melanconico. Se vuoi dire, con<br />

questo nome, che è triste per il troppo dolore che tutto Israele gli sta dando, e che noi vediamo, e<br />

per l’altro occulto dolore che Egli solo vede, ti dico: “Hai ragione”. Ma se usi quel termine per dirlo<br />

folle, te lo proibisco», dice Giacomo di Alfeo.<br />

«E non è follia un’idea fissa di malinconia? <strong>Io</strong> ho studiato anche il profano. E so. Egli troppo ha<br />

dato di Sé. Ora è uno stanco di mente».<br />

«<strong>Il</strong> che significa demente. Non è vero?», chiede l’altro cugino Giuda, in apparenza calmo.<br />

«Proprio così! Aveva visto bene tuo padre*, giusto di santa memoria, al quale tanto tu somigli in<br />

giustizia e sapienza! Gesù, triste destino di una illustre casa troppo vecchia e colpita da senilità<br />

psichica, ha sempre avuto una tendenza a questa malattia. Dolce dapprima, poi sempre più<br />

aggressiva. Tu hai visto come ha attaccato farisei e scribi, sadducei ed erodiani. Si è resa<br />

impossibile la vita come un cammino sparso di schegge di quarzo. E da Sé se le è sparse. Noi... lo<br />

amammo tanto che l’amore ci fu velo. Ma quelli che l’amarono non idolatramente - tuo padre, tuo<br />

fratello Giuseppe, e Simone dapprima - videro giusto... Dovevamo aprire gli occhi alle loro parole.<br />

Invece siamo stati tutti sedotti dal suo dolce fascino di malato. Ed ora... Mah!».<br />

Giuda Taddeo, che, alto come l’Iscariota, gli è proprio di fronte e pare udirlo con pace, ha uno<br />

scatto violento e, con un manrovescio potente, getta Giuda supino su uno dei sedili, e con una<br />

collera contenuta nella voce gli fischia, curvandosi sul volto del vigliacco, che non reagisce forse<br />

temendo che il Taddeo sia a conoscenza del suo crimine: «Questo per la demenza, rettile! E solo<br />

perché Egli è di là, ed è sera di Pasqua, non ti strozzo. Ma pensa, pensalo bene! Se gli avviene del<br />

male, e non c’è più Lui a fermare la mia forza, nessuno ti salva. È come tu già avessi il capestro al<br />

collo, e saranno queste mie mani oneste e forti, di artiere galileo e di discendente del frombolatore<br />

di Golia, che te lo faranno. Alzati, smidollato libertino! E regolati!».<br />

Giuda si alza, livido, senza la minima reazione. E, ciò che mi stupisce, nessuno ha una reazione al<br />

gesto nuovo del Taddeo. Anzi!... È chiaro che tutti approvano.<br />

4È appena ricomposto l’ambiente che entra Gesù. Si affaccia sulla soglia della porticina, dalla quale<br />

la sua alta persona appena passa, mette piede sul ballatoio di così poco spazio e col suo mite, mesto<br />

sorriso dice, aprendo le braccia: «La pace sia con voi». La sua voce è stanca, come quella di uno<br />

che languisce nel fisico o nel morale.<br />

Scende. Carezza sul capo biondo Giovanni che gli è corso vicino. Sorride, come ignaro, al cugino<br />

Giuda e dice all’altro cugino: «Tua madre ti prega di essere dolce con Giuseppe. Ha chiesto di Me e<br />

di te poco fa alle donne. Mi spiace non averlo salutato».<br />

_____________________________<br />

* Aveva visto bene tuo padre, il vecchio Alfeo, in una sua invettiva contro Gesù (100.4/5) che<br />

l’Iscariota aveva accolto con perfidia (100.9).<br />

«Lo farai domani».<br />

«Domani?... Ma avrò sempre tempo di vederlo... Oh! Pietro! Staremo un poco insieme, finalmente!<br />

Da ieri mi sembri un fuoco fatuo. Ti vedo, poi non ti vedo più. Oggi quasi posso dire che ti ho<br />

perso. Anche tu, Simone».


«I nostri capelli più bianchi che neri ti possono fare sicuro che non fummo assenti per fame di<br />

carne», dice serio Simone.<br />

«Per quanto... a tutte le età si possa avere quella fame... I vecchi! Peggio dei giovani...», dice<br />

l’Iscariota offensivo.<br />

Simone lo guarda e sta per ribattere. Ma lo guarda anche Gesù e dice: «Ti duole un dente? Hai la<br />

guancia destra gonfia e rossa».<br />

«Sì. Ho male. Ma non merita occuparsene».<br />

Gli altri non dicono nulla e la cosa muore così.<br />

5 «Avete fatto tutto quanto era da fare? Tu, Matteo? E tu, Andrea? E tu, Giuda, hai pensato all’offerta<br />

al Tempio?».<br />

Tanto i due primi come l’Iscariota dicono: «Tutto fatto di quello che avevi detto da farsi per oggi.<br />

Sta’ quieto».<br />

«<strong>Io</strong> ho portato le primizie di Lazzaro a Giovanna di Cusa. Per i bambini. Mi hanno detto: “Erano<br />

più buone quelle mele!”. Avevano il sapore della fame, quelle! Ed erano le tue mele», dice<br />

sorridente e sognante Giovanni.<br />

Anche Gesù sorride ad un ricordo...<br />

«<strong>Io</strong> ho visto Nicodemo e Giuseppe», dice Tommaso.<br />

«Li hai visti? Hai parlato con loro?», chiede l’Iscariota con interesse esagerato.<br />

«Sì. Che c’è di strano? Giuseppe è un buon cliente del padre mio».<br />

«Non lo avevi detto prima... Mi sono stupito per questo!...». Giuda cerca rimediare all’impressione,<br />

data prima, di affanno per l’incontro di Giuseppe e Nicodemo con Tommaso.<br />

«Mi fa strano che non siano venuti qui a venerarti. Non loro, non Cusa, non Mannanen... Nessuno<br />

dei...».<br />

Ma l’Iscariota ride con una falsa risata, interrompendo Bartolomeo, e dice: «<strong>Il</strong> coccodrillo si rintana<br />

nell’ora buona».<br />

«Che vuoi dire? Che insinui?», interroga Simone, aggressivo quanto non fu mai.<br />

«Pace, pace! Ma che avete? È sera pasquale! Mai avemmo sì degno apparato alla consumazione<br />

dell’agnello. Consumiamo dunque la cena con spirito di pace. Vedo che vi ho molto turbato con le<br />

mie istruzioni di queste ultime sere. Ma, vedete? Ho finito! Ora non vi turberò più. Non tutto è detto<br />

di quanto a Me si riferisce. Solo l’essenziale. <strong>Il</strong> resto... lo capirete poi. Vi sarà detto... Sì. Verrà Chi<br />

ve lo dirà. 6Giovanni, vai con Giuda e qualche altro a prendere le coppe per la purificazione. E poi<br />

sediamo alla mensa». Gesù è di una dolcezza straziante.<br />

Giovanni con Andrea, Giuda Taddeo con Giacomo, portano l’ampia coppa, vi mescono acqua e<br />

offrono l’asciugamani a Gesù e ai compagni, i quali poi fanno lo stesso con loro. La coppa (che è un<br />

bacile di metallo) viene messa in un angolo.<br />

«Ed ora ai propri posti. <strong>Io</strong> qui, e qui (alla destra) Giovanni, e dall’altro lato il mio fedele Giacomo. I<br />

due primi discepoli. Dopo Giovanni la mia Pietra forte, e dopo Giacomo colui che è come l’aria.<br />

Non si avverte. Ma è sempre presente e dà conforto: Andrea. Vicino a lui, mio cugino Giacomo. Tu<br />

non ti rammarichi, dolce fratello, se do il primo posto ai primi? Sei il nipote del Giusto, il cui spirito<br />

palpita e aleggia su Me, in questa sera, più che mai. Abbi pace, padre della mia debolezza di<br />

fanciullino, quercia alla cui ombra ebbero ristoro la Madre e il Figlio! Abbi pace!... Dopo Pietro,<br />

Simone... Simone, vieni un momento qui. Voglio fissare il tuo volto leale. Dopo non ti vedrò che<br />

male, perché altri mi copriranno la tua onesta faccia. Grazie, Simone. Di tutto», e lo bacia.<br />

Simone, quando è lasciato, va al suo posto portandosi per un attimo le mani al volto con atto di<br />

afflizione.<br />

«Di fronte a Simone, il mio Bartolmai. Due onestà e due sapienze che si rispecchiano. Stanno bene<br />

insieme. E vicino, tu, Giuda, fratello mio. Così ti vedo,... e mi sembra di essere a Nazaret... quando<br />

qualche festa ci riuniva tutti ad una mensa... Anche a Cana... Ricordi? Eravamo insieme. Una festa...<br />

una festa di nozze... il primo miracolo... l’acqua mutata in vino... Anche oggi una festa... e anche<br />

oggi vi sarà un miracolo... il vino cambierà natura... e sarà...». Gesù si immerge nel suo pensiero. A<br />

capo chino, è come isolato nel suo mondo segreto. Gli altri lo guardano e non parlano.<br />

Rialza il capo e fissa Giuda Iscariota, al quale dice: «Tu mi starai di fronte».


«Tanto mi ami? Più di Simone, che mi vuoi avere sempre di fronte?».<br />

«Tanto. Lo hai detto».<br />

«Perché, Maestro?».<br />

«Perché tu sei quello che hai fatto più di tutti per quest’ora».<br />

Giuda guarda con un mutevolissimo sguardo il Maestro e i compagni. <strong>Il</strong> primo con un che di ironica<br />

compassione, gli altri con aria di trionfo.<br />

«E vicino a te, da una parte Matteo, dall’altra Tommaso».<br />

«Allora Matteo alla mia sinistra e Toma a destra».<br />

«Come vuoi, come vuoi», dice Matteo. «Mi basta aver bene di fronte il mio Salvatore».<br />

«Ultimo, Filippo. Ecco, vedete? Chi non è al mio fianco nel lato d’onore, ha l’onore di essermi di<br />

fronte».<br />

7 Gesù, ritto al suo posto, mesce nell’ampio calice collocato a Lui davanti (tutti hanno alti calici, ma<br />

Lui ne ha uno molto più ampio, oltre quello che hanno tutti. Deve essere il calice di rito). Mesce in<br />

esso il vino. Lo alza, lo offre. Lo posa.<br />

Poi tutti insieme chiedono con tono di salmo: «Perché questa cerimonia?». Domanda formale, si<br />

capisce. Di rito.<br />

Alla quale Gesù, come capo famiglia, risponde: «Questo giorno ricorda la nostra liberazione<br />

dall’Egitto. Sia benedetto Geové che ha creato il frutto della vigna».<br />

Beve un sorso di questo vino offerto e passa il calice agli altri. Poi offre il pane, lo spezza, lo<br />

distribuisce, indi le erbe intinte nella salsa rossastra che è in quattro salsiere.<br />

Finita questa parte di pasto, cantano dei salmi, tutti in coro.<br />

Viene portato dalla credenza sulla mensa, e posto di fronte a Gesù, il capace vassoio dell’agnello<br />

arrostito.<br />

Pietro, che ha il ruolo di... prima parte, di coro, se più le piace, chiede: «Perché quest’agnello,<br />

così?».<br />

«A ricordo di quando Israele fu salvo per l’agnello immolato. Non morì primogenito dove il sangue<br />

splendeva sugli stipiti e l’architrave. E dopo, mentre tutto l’Egitto piangeva sui primogeniti maschi<br />

morti, dalla reggia ai tuguri, gli ebrei, capitanati da Mosè, si mossero verso la terra della liberazione<br />

e della promessa. Coi fianchi già cinti, i calzari al piede, in mano il bordone, fu sollecito il popolo di<br />

Abramo a porsi in marcia cantando gli inni della gioia».<br />

Tutti si alzano in piedi e intonano: «Quando Israele uscì dall’Egitto e la casa di Giacobbe di mezzo<br />

ad un popolo barbaro, la Giudea divenne il suo santuario», ecc. ecc. (se trovo giusto, è il salmo<br />

113*).<br />

Ora Gesù taglia l’agnello, mesce un nuovo calice, lo passa dopo averne bevuto. Poi cantano ancora:<br />

«Fanciulli, lodate il Signore, sia benedetto il nome dell’Eterno ora e sempre nei secoli. Dall’oriente<br />

all’occidente deve essere lodato», ecc. (ma non riesco a trovarlo).<br />

Gesù dà le parti, badando che ognuno sia ben servito, proprio come un padre di famiglia fra figli a<br />

lui tutti cari. È solenne, un po’ triste, mentre dice: «Ho ardentemente desiderato di mangiare con voi<br />

questa Pasqua. È stato il mio desiderio dei desideri da quando, in eterno, <strong>Io</strong> fui “il Salvatore”.<br />

Sapevo che quest’ora precede quella. E la gioia di darmi metteva in anticipo questo sollievo al mio<br />

patire... Ho ardentemente desiderato di mangiare con voi questa Pasqua, perché mai più gusterò del<br />

frutto della vite finché sia venuto il Regno di <strong>Dio</strong>. Allora mi assiderò nuovamente cogli eletti al<br />

Banchetto dell’Agnello, per le nozze dei viventi col Vivente. Ma ad esso verranno soltanto coloro<br />

che sono stati umili e mondi di cuore come <strong>Io</strong> sono».<br />

8 «Maestro, poco fa Tu hai detto che chi non ha l’onore del posto ha quello d’esserti di fronte. Come<br />

allora possiamo sapere chi è il primo fra noi?», chiede Bartolomeo.<br />

«Tutti e nessuno. Una volta...** tornavamo stanchi... nauseati per l’astio farisaico. Ma stanchi non<br />

eravate per disputare fra di voi chi fosse il più grande... Un bambino mi corse vicino... un mio<br />

piccolo amico... E la sua innocenza temperò il mio disgusto di tante cose. Non ultima la vostra<br />

umanità pervicace. Dove sei ora,<br />

piccolo Beniamino dalla sapiente risposta, a te venuta dal Cielo perché, angelo<br />

________________________________________


* è il salmo 113, che nella neo-volgata è diventato Salmo 114. Quello che viene detto subito dopo è<br />

l’attuale Salmo 113.<br />

** Una volta…, in 352.5/14.<br />

come eri, lo Spirito ti parlava? <strong>Io</strong> vi ho detto allora: “Se uno vuole essere il primo<br />

sia l’ultimo e servo di tutti”. E vi ho dato ad esempio il fanciullo saggio. Ora vi dico: “I re delle<br />

nazioni le signoreggiano. E i popoli oppressi, pur odiandoli, li acclamano e i re vengono detti<br />

‘Benefattori’, ‘Padri della Patria’. Ma l’odio cova sotto il bugiardo ossequio”. Ma fra voi così non<br />

sia. <strong>Il</strong> maggiore sia come il minore, il capo come colui che serve. Chi infatti è più grande? Chi sta a<br />

mensa, o chi serve? È colui che sta a mensa. Eppure <strong>Io</strong> vi servo. E fra poco più vi servirò. Voi siete<br />

quelli che siete stati con Me nelle prove. Ed <strong>Io</strong> dispongo per voi un posto nel mio Regno, così come<br />

<strong>Io</strong> sarò in esso Re secondo il volere del Padre, acciocché mangiate e beviate alla mia mensa eterna e<br />

siate assisi sui troni giudicando le dodici tribù di Israele. Siete rimasti con Me nelle mie prove...<br />

Solo questo è quello che vi dà grandezza agli occhi del Padre».<br />

«E quelli che verranno? Non avranno posto nel Regno? Noi soli?».<br />

«Oh! quanti principi nella mia Casa! Tutti coloro che saranno stati fedeli al Cristo nelle prove della<br />

vita saranno principi nel Regno mio. Perché coloro che avranno perseverato sino alla fine nel<br />

martirio dell’esistenza saranno pari a voi, che con Me siete rimasti nelle mie prove. <strong>Io</strong> mi identifico<br />

nei miei credenti. <strong>Il</strong> Dolore che <strong>Io</strong> abbraccio per voi e per tutti gli uomini <strong>Io</strong> lo do come insegna ai<br />

più eletti. Chi nel Dolore mi sarà fedele sarà un mio beato pari a voi, o miei diletti».<br />

9 «Noi abbiamo perseverato fino alla fine».<br />

«Lo credi, Pietro? Ed <strong>Io</strong> ti dico che l’ora della prova ha ancora da venire. Simone, Simone di Giona,<br />

ecco che Satana ha chiesto di vagliarvi come il grano. <strong>Io</strong> ho pregato per te, perché la tua fede non<br />

vacilli. Tu, quando sarai ravveduto, conferma i tuoi fratelli».<br />

«Lo so di essere un peccatore. Ma fedele a Te lo sarò fino alla morte. Non ho questo peccato. Mai<br />

l’avrò».<br />

«Non essere superbo, Pietro mio. Quest’ora muterà infinite cose, che prima erano così ed ora<br />

saranno diverse. Quante!... Esse portano e importano necessità nuove. Voi lo sapete. <strong>Io</strong> vi ho sempre<br />

detto, anche quando andavamo per luoghi remoti percorsi dai banditi: “Non temete. Nulla ci accadrà<br />

di male perché gli angeli del Signore sono con noi. Non preoccupatevi di nulla”. Vi ricordate<br />

quando vi dicevo: “Non abbiate sollecitudini per ciò che dovete mangiare e per le vesti. <strong>Il</strong> Padre sa<br />

di che abbiamo bisogno”? Vi dicevo anche: “L’uomo è molto più di un passero e del fiore che oggi<br />

è erba e domani è fieno. Eppure il Padre ha cura anche del fiore e dell’uccellino. Potete allora<br />

dubitare che non abbia cura di voi?”. Vi dicevo ancora: “Date a chiunque vi chiede, a chi vi offende<br />

presentate l’altra guancia”. Vi dicevo: “Non abbiate borsa ne bastone”. Perché <strong>Io</strong> ho insegnato<br />

amore e fiducia. Ma ora... Ora non è più quel tempo. Ora <strong>Io</strong> vi dico: “Vi è mai mancato nulla fino ad<br />

ora? Foste mai offesi?”».<br />

«Nulla, Maestro. E solo Tu fosti offeso».<br />

«Vedete dunque che la mia parola era verità. Ma ora gli angeli sono tutti richiamati dal loro Signore.<br />

È ora di demoni... Con le ali d’oro essi, gli angeli del Signore, si coprono gli occhi, si fasciano e si<br />

dolgono che non siano ali di colore cruccioso, perché è ora di lutto, e lutto crudele, sacrilego... Non<br />

ci sono angeli sulla Terra questa sera. Sono presso il trono di <strong>Dio</strong> per coprire col loro canto le<br />

bestemmie del mondo deicida e il pianto dell’Innocente. E noi siamo soli... <strong>Io</strong> e voi: soli. E i demoni<br />

sono i padroni dell’ora. Perciò ora prenderemo le apparenze e le misure dei poveri uomini che<br />

diffidano e non amano. Ora, chi ha una borsa prenda anche una bisaccia, chi non ha spada venda il<br />

suo mantello e ne comperi una. Perché anche questo è detto* di Me nella Scrittura e si deve<br />

compiere: “Egli è stato annoverato fra i malfattori”. In verità tutto ciò che mi riguarda ha il suo<br />

fine».<br />

10 Simone, che si è alzato andando alla cassapanca dove ha deposto il suo ricco mantello - perché<br />

questa sera sono tutti con gli abiti migliori e perciò hanno pugnali, damaschinati ma molto corti, più<br />

coltelli che pugnali, alle ricche cinture - prende due spade, due vere spade, lunghe, lievemente<br />

ricurve, e le porta a Gesù: «<strong>Io</strong> e Pietro ci siamo armati questa sera. Queste abbiamo. Ma gli altri non


hanno che il corto pugnale».<br />

Gesù prende le spade, le osserva, ne snuda una e ne prova il taglio sull’unghia. È una strana vista e<br />

fa una ancora più strana impressione vedere quell’arnese feroce nelle mani di Gesù.<br />

«Chi ve le ha date?», chiede l’Iscariota mentre Gesù osserva e tace. E pare sulle spine Giuda...<br />

«Chi? Ti ricordo che mio padre era nobile e potente».<br />

«Ma Pietro...».<br />

«Ebbene? Da quando devo rendere conto dei doni che voglio fare ai miei amici?».<br />

Gesù alza il capo dopo avere ringuainato l’arma. Le rende allo Zelote.<br />

«Va bene. Bastano. Hai fatto bene a prenderle. 11 Ma ora, avanti la bevuta al terzo calice, attendete<br />

un momento. Vi ho detto che il più grande è pari al più piccolo e che <strong>Io</strong> ho veste di servo a questa<br />

tavola, e più vi servirò. Finora vi ho dato cibo. Servizio per il corpo. Ora vi voglio dare un cibo per<br />

lo spirito. Non è un piatto del rito antico. È del nuovo rito. <strong>Io</strong> mi sono voluto battezzare prima di<br />

essere il “Maestro”. Per spargere la Parola bastava quel battesimo. Ora verrà sparso il Sangue. Ci<br />

vuole un altro lavacro anche su voi, che pure vi siete purificati dal Battista, a suo tempo, e anche<br />

oggi nel Tempio. Ma non basta ancora. Venite, che <strong>Io</strong> vi purifichi. Sospendete il pasto. Vi è qualcosa<br />

di più alto e necessario del cibo dato al ventre perché si empia, anche se è cibo santo come questo<br />

del rito pasquale. Ed è uno spirito puro, pronto a ricevere il dono del Cielo, che già scende per farsi<br />

trono in voi e darvi la Vita. Dare la Vita a chi è mondo».<br />

Gesù si alza in piedi, fa alzare Giovanni per uscire meglio dal suo posto, va ad una cassapanca e si<br />

leva la veste rossa deponendola piegata sul già piegato mantello, si cinge alla vita un ampio<br />

asciugamani, poi va ad un altro bacile, ancora vuoto e mondo. Vi versa dell’acqua, lo porta in<br />

mezzo alla stanza, presso la tavola, e lo mette su uno sgabello. Gli apostoli lo guardano stupefatti.<br />

_____________________________<br />

* è detto, in: Isaia 53, 12.<br />

«Non mi chiedete che faccio?».<br />

«Non sappiamo. Ti dico che siamo già purificati», risponde Pietro.<br />

«Ed <strong>Io</strong> ti ripeto che non importa. La mia purificazione servirà a chi è già puro ad essere più puro».<br />

Si inginocchia. Slaccia i sandali all’Iscariota ed uno per volta gli lava i piedi. È facile farlo, perché i<br />

letti-sedili sono fatti in modo che i piedi sono verso l’esterno. Giuda è sbalordito e non dice niente.<br />

Solo quando Gesù, prima di calzare il piede sinistro e alzarsi, fa l’atto di baciargli il piede destro già<br />

calzato, Giuda ritrae violentemente il piede e colpisce con la suola la bocca divina. Lo fa senza<br />

volere. Non è un colpo forte. Ma mi dà tanto dolore. Gesù sorride, e all’apostolo che gli chiede: «Ti<br />

ho fatto male? Non volevo... Perdona», dice: «No, amico. L’hai fatto senza malizia e non fa male».<br />

Giuda lo guarda... Uno sguardo turbato, sfuggente...<br />

Gesù passa a Tommaso, poi a Filippo... Gira il lato stretto della tavola e viene al cugino Giacomo.<br />

Lo lava e lo bacia, nell’alzarsi, in fronte. Passa ad Andrea, che è rosso di vergogna e fa sforzi per<br />

non piangere, lo lava, lo carezza come un bambino. Poi c’è Giacomo di Zebedeo, che non fa che<br />

mormorare: «Oh! Maestro! Maestro! Maestro! Annichilito, sublime Maestro mio!». Giovanni si è<br />

già slacciato i sandali e, mentre Gesù sta curvo ad asciugargli i piedi, si china e lo bacia sui capelli.<br />

Ma Pietro!... Non è facile persuaderlo a quel rito! «Tu lavare i piedi a me? Non te lo pensare!<br />

Sinché sono vivo, non te lo permetterò. <strong>Io</strong> sono il verme, Tu sei <strong>Dio</strong>. Ognuno a suo posto».<br />

«Ciò che <strong>Io</strong> faccio tu non lo puoi comprendere per ora. Ma poi lo comprenderai. Lasciami fare».<br />

«Tutto quello che vuoi, Maestro. Vuoi tagliarmi il collo? Fàllo. Ma lavarmi i piedi non lo farai».<br />

«Oh! mio Simone! Tu non sai che, se non ti lavo, non avrai parte nel mio Regno? Simone, Simone!<br />

Tu hai bisogno di quest’acqua per la tua anima e per il tanto cammino che devi fare. Non vuoi<br />

venire con Me? Se non ti lavo, non vieni nel mio Regno».<br />

«Oh! Signor mio benedetto! Ma allora lavami tutto! Piedi, mani e capo!».<br />

«Chi ha fatto come voi un bagno non ha bisogno che di lavarsi i piedi, giacché è interamente puro. I<br />

piedi... L’uomo coi piedi va nelle lordure. E poco ancora sarebbe perché, ve l’ho detto,* non è ciò<br />

che entra ed esce col cibo quello che sporca, e non è quello che si posa sui piedi per via ciò che<br />

contamina l’uomo. Ma è quanto incuba e matura nel suo cuore e di lì esce a contaminare le sue<br />

azioni e le sue membra. E i piedi dell’uomo dall’animo impuro vanno alle crapule, alle lussurie, agli


illeciti commerci, ai delitti... Perciò sono, fra le membra del corpo, quelle che hanno molta parte da<br />

purificare... con gli occhi, con la bocca... Oh! uomo! uomo! Perfetta creatura un giorno: il primo! E<br />

poi così corrotto dal Seduttore! E non c’era in te malizia, o uomo, e non peccato!... Ed ora? Sei<br />

tutto<br />

_____________________________________<br />

* ve l’ho detto, in 300.9, 301.6, 567.22.<br />

malizia e peccato, e non c’è parte di te che non pecchi!».<br />

Gesù ha lavato i piedi a Pietro, li bacia, e Pietro piange e prende con le sue grosse mani le due mani<br />

di Gesù, se le passa sugli occhi e le bacia poi.<br />

Anche Simone si è levato i sandali e senza parola si lascia lavare. Ma poi, quando Gesù sta per<br />

passare da Bartolomeo, Simone si inginocchia e gli bacia i piedi dicendo: «Mondami dalla lebbra<br />

del peccato come mi mondasti dalla lebbra del corpo, acciocché io non sia confuso nell’ora del<br />

giudizio, mio Salvatore!».<br />

«Non temere, Simone. Verrai nella Città celeste bianco come neve alpina».<br />

«Ed io, Signore? Al tuo vecchio Bartolmai che dici? Tu mi hai visto sotto l’ombra del fico e mi hai<br />

letto nel cuore. Ed ora che vedi, e dove mi vedi? Rassicura un povero vecchio, che teme non avere<br />

forza e tempo per giungere a come Tu vuoi che si sia». Bartolomeo è molto commosso.<br />

«Anche tu non temere. Ho detto allora: “Ecco un vero israelita in cui non è frode”. Ora dico: “Ecco<br />

un vero cristiano degno del Cristo”. Dove ti vedo? Su un trono eterno, vestito di porpora. <strong>Io</strong> sarò<br />

sempre con te».<br />

È la volta di Giuda Taddeo. Questo, quando si vede ai piedi Gesù, non sa trattenersi, curva il capo<br />

sul braccio appoggiato sulla tavola e piange.<br />

«Non piangere, dolce fratello. Ora sei come uno che deve sopportare lo strappo di un nervo e ti pare<br />

di non poterlo sopportare. Ma sarà un breve dolore. Poi... oh! tu sarai felice, perché mi ami, tu. Ti<br />

chiami Giuda. E sei come il nostro grande Giuda*: come un gigante. Sei colui che protegge. Le tue<br />

azioni sono da leone e lioncello che rugge. Tu scoverai gli empi che davanti a te indietreggeranno, e<br />

saranno atterriti gli iniqui. <strong>Io</strong> so. Sii forte. Un’eterna unione stringerà e renderà perfetta la nostra<br />

parentela in Cielo». Bacia anche lui sulla fronte come l’altro cugino.<br />

«<strong>Io</strong> sono peccatore, Maestro. Non a me...».<br />

«Tu eri peccatore, Matteo. Ora sei l’Apostolo. Sei una mia “voce”. Ti benedico. Questi piedi quanta<br />

strada hanno fatto per venire sempre avanti, verso <strong>Dio</strong>... L’anima li spronava ed essi hanno lasciato<br />

ogni via che non fosse la mia via. Procedi. Sai dove finisce il sentiero? Sul seno del Padre mio e<br />

tuo».<br />

Gesù ha finito. Si leva il telo, si lava in acqua pulita le mani, si riveste, torna al suo posto e dice,<br />

mentre si siede al suo posto: «Ora siete puri, ma non tutti. Solo coloro che ebbero volontà di<br />

esserlo».<br />

Fissa Giuda di Keriot che mostra di non udire, intento a spiegare al compagno Matteo come suo<br />

padre si decise a mandarlo a Gerusalemme. Un discorso inutile, che ha l’unico scopo di dare un<br />

contegno a Giuda che, per quanto audace, si deve sentire a disagio.<br />

12 Gesù mesce per la terza volta nel calice comune. Beve, fa bere. Poi intona, e gli altri fanno coro:<br />

«Amo perché il Signore ascolta la voce della mia preghiera, perché piega il suo orecchio verso di<br />

me. <strong>Io</strong> lo invocherò per tutta la vita. Mi<br />

_____________________<br />

* il nostro grande Giuda, cioè Giuda Maccabeo, celebrato in 1 Maccabei 3, 1-9.<br />

avevano circondato dolori di morte», ecc. (Salmo 114, mi pare*).<br />

Un attimo di sosta. Poi riprende a cantare: «Ebbi fede, per questo ho parlato. Ma ero fortemente<br />

umiliato. E dicevo nel mio smarrimento: “Ogni uomo è menzognero”». Guarda fisso Giuda.<br />

La voce, stanca questa sera, del mio Gesù riprende lena quando esclama: «È preziosa al cospetto di<br />

<strong>Dio</strong> la morte dei santi», e «Tu hai spezzato le mie catene. A Te sacrificherò ostia di lode invocando<br />

il nome del Signore», ecc. ecc. (Salmo 115).<br />

Un’altra breve sosta nel canto e poi riprende: «Lodate tutte il Signore, o nazioni, tutti i popoli


lodatelo. Perché si è affermata su noi la sua misericordia e la verità del Signore dura in eterno».<br />

Altra breve sosta e poi un lungo inno: «Celebrate il Signore, perché Egli è buono, perché la sua<br />

misericordia dura in eterno...».<br />

Giuda di Keriot canta stonato tanto che per due volte Tommaso lo rimette in tono col suo potente<br />

vocione baritonale e lo guarda fisso. Anche altri lo guardano, perché generalmente è sempre ben<br />

intonato, e della sua voce ho capito che se ne tiene come del resto. Ma questa sera! Certe frasi lo<br />

turbano al punto che stecca, e così certi sguardi di Gesù che sottolineano le frasi. Una è: «Meglio<br />

confidare nel Signore che confidare nell’uomo». Un’altra è: «Urtato, vacillavo e stavo per cadere.<br />

Ma il Signore mi ha sorretto». Un’altra è: «<strong>Io</strong> non morrò ma vivrò e narrerò le opere del Signore».<br />

E infine queste due, che dico ora, fanno strozzare la voce in gola al Traditore: «La pietra scartata dai<br />

costruttori è divenuta la pietra angolare», e «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».<br />

Finito il salmo, mentre Gesù taglia e porge di nuovo dell’agnello, Matteo chiede a Giuda di Keriot:<br />

«Ma ti senti male?».<br />

«No. Lasciami stare. Non ti occupare di me».<br />

Matteo si stringe nelle spalle.<br />

Giovanni, che ha udito, dice: «Anche il Maestro non sta bene. Che hai, Gesù mio? La tua voce è<br />

fioca. Come di malato o di chi ha molto pianto», e lo abbraccia stando col capo sul petto di Gesù.<br />

«Non ha che molto parlato, come io non ho che molto camminato e preso fresco», dice Giuda<br />

nervoso.<br />

E Gesù, senza rispondere a lui, dice a Giovanni: «Tu mi conosci ormai... e sai cosa è che mi<br />

stanca...».<br />

13 L’agnello è quasi consumato. Gesù, che ha mangiato pochissimo, bevendo solo un sorso di vino ad<br />

ogni calice e bevendo in compenso molt’acqua come fosse febbrile, riprende a parlare: «Voglio che<br />

voi comprendiate il mio gesto di dianzi. Vi ho detto che il primo è come l’ultimo e che vi darò un<br />

cibo non corporale. Un cibo di umiltà vi ho dato. Per lo spirito vostro. Voi chiamate Me:<br />

Maestro e<br />

_____________________<br />

* mi pare. Secondo la numerazione della neo-volgata vengono recitati, nell’ordine: Salmo 116 (che<br />

raggruppa il 114 e il 115 della volgata), Salmo 117, Salmo 118 (lungo inno), Salmo 119 (quello che<br />

non finisce mai).<br />

Signore. Dite bene, perché tale <strong>Io</strong> sono. Se dunque <strong>Io</strong> ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete<br />

farvelo l’un l’altro. <strong>Io</strong> vi ho dato l’esempio affinché, come <strong>Io</strong> ho fatto, voi facciate. In verità vi dico:<br />

il servo non è da più del padrone, né l’apostolo è più di Colui che tale lo ha fatto. Cercate di<br />

comprendere queste cose. Se poi, comprendendole, le metterete in pratica, sarete beati. Ma non<br />

sarete tutti beati. <strong>Io</strong> vi conosco. So chi ho scelto. Non parlo di tutti ad un modo. Ma dico ciò che è<br />

vero. D’altra parte, deve compiersi ciò che è scritto* a mio riguardo: “Colui che mangia il pane con<br />

Me ha levato il suo calcagno su Me”. Tutto <strong>Io</strong> vi dico prima che avvenga, perché non abbiate dubbi<br />

su Me. Quando tutto sarà compiuto, voi crederete ancor più che <strong>Io</strong> sono <strong>Io</strong>. Chi accoglie Me<br />

accoglie Colui che mi ha mandato: il Padre santo che è nei Cieli; e chi accoglierà coloro che <strong>Io</strong><br />

manderò, accoglierà Me stesso. Perché <strong>Io</strong> sono col Padre e voi siete con Me... Ma ora compiamo il<br />

rito».<br />

Versa di nuovo vino nel calice comune e, prima di berne e di farne bere, si alza, e con Lui si alzano<br />

tutti, e canta di nuovo uno dei salmi di prima: «Ebbi fede e per questo parlai...», e poi uno che non<br />

finisce mai. Bello... ma eterno! Credo di ritrovarlo, per l’inizio e la lunghezza, nel salmo 118. Lo<br />

cantano così. Un pezzo tutti insieme. Poi, a turno, uno ne dice un distico e gli altri insieme un<br />

pezzo, e così via sino alla fine. Lo credo che alla fine abbiano sete!<br />

14 Gesù si siede. Non si mette sdraiato. Resta seduto, Come noi. E parla: «Ora che l’antico rito è<br />

compiuto, <strong>Io</strong> celebro il nuovo rito. Vi ho promesso un miracolo d’amore. È l’ora di farlo. Per questo<br />

ho desiderato questa Pasqua. Da ora in poi questo è l’ostia che sarà consumata in perpetuo rito<br />

d’amore. Vi ho amato per tutta la vita della Terra, amici diletti. Vi ho amato per tutta l’eternità, figli<br />

miei. E amare vi voglio sino alla fine. Non vi è cosa più grande di questa. Ricordatevelo. <strong>Io</strong> me ne<br />

vado. Ma resteremo per sempre uniti mediante il miracolo che ora <strong>Io</strong> compio».


Gesù prende un pane ancora intiero, lo pone sul calice colmo. Benedice e offre questo e quello, poi<br />

spezza il pane e ne prende tredici pezzi e ne dà uno per uno agli apostoli dicendo: «Prendete e<br />

mangiate. Questo è il mio Corpo. Fate questo in memoria di Me che me ne vado». Dà il calice e<br />

dice: «Prendete e bevete. Questo è il mio Sangue. Questo è il calice del nuovo patto nel Sangue e<br />

per il Sangue mio, che sarà sparso per voi per la remissione dei vostri peccati e per darvi la Vita.<br />

Fate questo in memoria di Me».<br />

Gesù è tristissimo. Ogni sorriso, ogni traccia di luce, di colore lo hanno abbandonato. Ha già un<br />

volto d’agonia. Gli apostoli lo guardano angosciati.<br />

15 Gesù si alza dicendo: «Non vi muovete. Torno subito». Prende il tredicesimo pezzetto di pane,<br />

prende il calice ed esce dal Cenacolo.<br />

«Va dalla Madre», sussurra Giovanni.<br />

E Giuda Taddeo sospira: «Misera donna!».<br />

Pietro chiede in un soffio: «Credi che sappia?».<br />

_________________<br />

* è scritto, in: Salmo 41, 10.<br />

«Tutto sa. Tutto ha sempre saputo».<br />

Parlano tutti a voce bassissima, come davanti ad un morto.<br />

«Ma credete che proprio...», chiede Tommaso che non vuole ancora credere.<br />

«E ne hai dubbi? È la sua ora», risponde Giacomo di Zebedeo.<br />

«<strong>Dio</strong> ci dia la forza di essere fedeli», dice lo Zelote.<br />

«Oh! io...», sta per parlare Pietro.<br />

Ma Giovanni, che è all’erta, dice: «Sss. È qui».<br />

Gesù rientra. Ha in mano il calice vuoto. Appena sul fondo vi è un’ombra di vino, e sotto la luce del<br />

lampadario pare proprio sangue.<br />

Giuda Iscariota, che ha davanti il calice, lo guarda come affascinato e poi ne torce lo sguardo.<br />

Gesù l’osserva ed ha un brivido che Giovanni, appoggiato come è al suo petto, sente. «Ma dillo! Tu<br />

tremi...», esclama.<br />

«No. Non tremo per febbre... 16 <strong>Io</strong> tutto vi ho detto e tutto vi ho dato. Di più non potevo darvi. Me<br />

stesso vi ho dato». Ha il suo dolce gesto delle mani che, prima congiunte, ora si disgiungono e si<br />

allargano, mentre la testa si china come per dire: «Scusate se non posso di più. Così è».<br />

«Tutto vi ho detto e tutto vi ho dato. E ripeto. <strong>Il</strong> nuovo rito è compiuto. Fate questo in memoria di<br />

Me. <strong>Io</strong> vi ho lavato i piedi per insegnarvi ad essere umili e puri come il Maestro vostro. Perché in<br />

verità vi dico che, come è il Maestro, così devono essere i discepoli. Ricordatelo, ricordatelo. Anche<br />

quando sarete in alto, ricordatelo. Non vi è discepolo da più del Maestro. Come <strong>Io</strong> vi ho lavato, voi<br />

fatelo fra voi. Ossia amatevi come fratelli, aiutandovi l’un l’altro, venerandovi a vicenda, essendo<br />

l’un coll’altro d’esempio. E siate puri. Per essere degni di mangiare il Pane vivo disceso dal Cielo<br />

ed avere in voi e per Esso la forza d’essere i miei discepoli nel mondo nemico, che vi odierà per il<br />

mio Nome. Ma uno di voi non è puro. Uno di voi mi tradirà. Di questo sono fortemente conturbato<br />

nello spirito... La mano di colui che mi tradisce è meco su questa tavola, e non il mio amore, non il<br />

mio Corpo e il mio Sangue, non la mia parola lo ravvedono e lo fanno pentito. <strong>Io</strong> lo perdonerei,<br />

andando alla morte anche per lui».<br />

I discepoli si guardano esterrefatti. Si scrutano, in sospetto l’un dell’altro. Pietro fissa l’Iscariota in<br />

un risveglio di tutti i suoi dubbi. Giuda Taddeo scatta in piedi per guardare a sua volta l’Iscariota al<br />

disopra del corpo di Matteo.<br />

Ma l’Iscariota è così sicuro! A sua volta guarda fisso Matteo come sospettasse di lui. Poi fissa Gesù<br />

e sorride chiedendo: «Son forse io quello?». Pare il più sicuro della sua onestà e che dica così, tanto<br />

per non lasciare cadere la conversazione.<br />

Gesù ripete il suo gesto dicendo: «Tu lo dici, Giuda di Simone. Non <strong>Io</strong>. Tu lo dici. <strong>Io</strong> non ti ho<br />

nominato. Perché ti accusi? Interroga il tuo interno ammonitore, la tua coscienza di uomo, la<br />

coscienza che <strong>Dio</strong> Padre ti ha data per condurti da uomo, e senti se ti accusa. Tu lo saprai prima di<br />

tutti. Ma se essa ti rassicura, perché dici una parola e pensi un fatto che è anatema anche a dirlo o a


pensarlo per giuoco?».<br />

Gesù parla con calma. Sembra sostenga la tesi proposta come lo può fare un dotto alla sua<br />

scolaresca. <strong>Il</strong> subbuglio è forte. Ma la calma di Gesù lo placa.<br />

17 Però Pietro, che è il più sospettoso di Giuda - forse lo è anche il Taddeo, ma lo pare meno,<br />

disarmato come è dalla disinvoltura dell’Iscariota - tira Giovanni per la manica e quando Giovanni,<br />

che si è tutto stretto a Gesù udendo parlare di tradimento, si volge, gli sussurra: «Chiedigli chi è».<br />

Giovanni riprende la sua posizione, solo alza lievemente il capo come per baciare Gesù, e intanto<br />

gli mormora all’orecchio: «Maestro, chi è?».<br />

E Gesù pianissimo, rendendogli il bacio fra i capelli: «Colui a cui darò un pezzo di pane intinto».<br />

E preso un pane ancora intero, non il resto di quello usato per l’Eucarestia, ne stacca un grosso<br />

boccone, lo intinge nel succo lasciato dall’agnello nel vassoio, allunga al disopra della tavola il<br />

braccio e dice: «Prendi, Giuda. Questo a te piace».<br />

«Grazie, Maestro. Mi piace, sì», e ignaro di ciò che è quel boccone se lo mangia, mentre Giovanni,<br />

inorridito, chiude persino gli occhi per non vedere l’orrido riso dell’Iscariota mentre coi denti forti<br />

morde il pane accusatore.<br />

«Bene. Ora che ti ho fatto felice, va’», dice Gesù a Giuda. «Tutto è compiuto qui (marca molto la<br />

parola). Quello che resta ancora da fare altrove fàllo presto, Giuda di Simone».<br />

«Ti ubbidisco subito, Maestro. Poi ti raggiungerò al Getsemani. Vai là, vero? Come sempre?».<br />

«Vado là... come sempre... sì».<br />

«Che ha da fare?», chiede Pietro. «Va solo?».<br />

«Non sono un pargolo», motteggia Giuda che si sta mettendo il mantello.<br />

«Lascialo andare. <strong>Io</strong> e lui sappiamo ciò che si deve fare», dice Gesù.<br />

«Sì, Maestro». Pietro tace. Forse pensa di avere peccato di sospetto verso il compagno. Con la mano<br />

sulla fronte, pensa.<br />

Gesù si stringe al cuore Giovanni e torna a sussurrargli fra i capelli: «Non dire nulla a Pietro, per<br />

ora. Sarebbe un inutile scandalo».<br />

«Addio, Maestro. Addio, amici». Giuda saluta.<br />

«Addio», dice Gesù.<br />

E Pietro: «Ti saluto, ragazzo».<br />

Giovanni, col capo quasi nel grembo di Gesù, mormora: «Satana!». Solo Gesù l’ode e sospira.<br />

Qui mi cessa tutto, ma Gesù dice: «Sospendo per pietà di te. Ti darò la fine della Cena in altro<br />

momento».<br />

18 (continua la Cena)<br />

Vi è qualche minuto di assoluto silenzio. Gesù sta a capo chino, carezzando macchinalmente i<br />

capelli biondi di Giovanni.<br />

Poi si scuote. Alza la testa, gira lo sguardo, ha un sorriso che conforta i discepoli. Dice: «Lasciamo<br />

la tavola. E sediamo tutti ben vicini, come tanti figli intorno al padre».<br />

Prendono i letti-sedili che erano dietro la tavola (quelli di Gesù, Giovanni, Giacomo, Pietro,<br />

Simone, Andrea ed il cugino Giacomo) e li portano dall’altro lato.<br />

Gesù prende posto sul suo, sempre fra Giacomo e Giovanni. Ma, quando vede che Andrea sta per<br />

sedersi al posto lasciato dall’Iscariota, grida: «No, là no». Un grido impulsivo, che la sua somma<br />

prudenza non riesce a impedire. Poi modifica dicendo così: «Non occorre tanto spazio. Stando<br />

seduti, si può stare su questi soli. Bastano. Vi voglio molto vicini».<br />

Ora, rispetto alla tavola, sono messi così: [Disegno]<br />

ossia sono in questa forma a U con Gesù al centro e avendo di fronte la tavola, spoglia di vivande<br />

ormai, e il posto di Giuda.<br />

Giacomo di Zebedeo chiama Pietro: «Siediti qui. <strong>Io</strong> mi siedo su questo sgabelletto, ai piedi di<br />

Gesù».<br />

«Che <strong>Dio</strong> ti benedica, Giacomo! Ne avevo tanta voglia!», dice Pietro e si serra al suo Maestro, che è<br />

così fra la stretta di Giovanni e Pietro, avendo ai piedi Giacomo.<br />

Gesù sorride:


«Vedo che comincia ad operare la parola detta prima. I buoni fratelli si amano. Anche <strong>Io</strong> ti dico,<br />

Giacomo: “Che <strong>Dio</strong> ti benedica”. Anche questo tuo atto non sarà dimenticato dall’Eterno e lo<br />

troverai lassù.<br />

19 Tutto <strong>Io</strong> posso di quanto <strong>Io</strong> chiedo. Voi lo avete visto. È bastato un mio desiderio perché il Padre<br />

concedesse al Figlio di darsi in Cibo all’uomo. Con quanto è accaduto adesso è stato glorificato il<br />

Figlio dell’uomo, perché è testimonianza di potere il miracolo che non è che possibile agli amici di<br />

<strong>Dio</strong>. Più è grande il miracolo e più è sicura e profonda questa divina amicizia. Questo è un miracolo<br />

che, per la sua forma, durata e natura, per gli estremi di esso ed i limiti che tocca, più forte non ce<br />

ne può essere. <strong>Io</strong> ve lo dico: tanto è potente, soprannaturale, inconcepibile all’uomo superbo, che<br />

ben pochi lo comprenderanno come va compreso, e molti lo negheranno. Che dirò allora? Condanna<br />

per loro? No. Dirò: pietà!<br />

Ma più grande è il miracolo, più grande è la gloria che all’autore dello stesso viene. È <strong>Dio</strong> stesso<br />

che dice: “Ecco, questo mio diletto ciò che ha voluto ha avuto, ed <strong>Io</strong> l’ho concesso perché egli ha<br />

grande grazia agli occhi miei”. E qui dice; “Ha una grazia senza limiti così come è infinito il<br />

miracolo da Lui compiuto”. Parimenti alla gloria che si riversa sull’autore del miracolo da parte di<br />

<strong>Dio</strong> è la gloria che da esso autore si riversa sul Padre. Perché ogni gloria soprannaturale, essendo<br />

veniente da <strong>Dio</strong>, alla sua sorgente ritorna. E la gloria di <strong>Dio</strong>, per quanto già infinita, sempre più si<br />

aumenta e sfavilla per la gloria dei suoi santi. Onde <strong>Io</strong> dico: come è stato glorificato il Figlio<br />

dell’uomo da <strong>Dio</strong>, così <strong>Dio</strong> è stato glorificato dal Figlio dell’uomo. <strong>Io</strong> ho glorificato <strong>Dio</strong> in Me<br />

stesso. A sua volta, <strong>Dio</strong> glorificherà il suo Figlio in Lui. Ben presto lo glorificherà.<br />

20 Esulta, Tu che torni alla tua Sede, o Essenza spirituale della Seconda Persona! Esulta, o Carne che<br />

torni ad ascendere dopo tanto esilio nel fango! E non già il Paradiso d’Adamo, ma l’eccelso<br />

Paradiso del Padre sta per esserti dato a dimora. Ché, se è stato detto* che per lo stupore di un<br />

comando di <strong>Dio</strong>, dato per bocca di un uomo, si arrestò il sole, che non avverrà negli astri quando<br />

vedranno il prodigio della Carne dell’Uomo ascendere e sedersi alla destra del Padre nella sua<br />

Perfezione di materia glorificata?<br />

Figliolini miei, per poco ancora <strong>Io</strong> resto con voi. E voi, dopo, mi cercherete come gli orfani cercano<br />

il morto genitore. E piangendo andrete parlando di Lui e picchierete invano al muto sepolcro, e poi<br />

ancora picchierete alle porte azzurre dei Cieli, con l’anima vostra lanciata in supplice ricerca<br />

d’amore, dicendo: “Dove il nostro Gesù? Lo vogliamo. Senza Lui non è più luce nel mondo, non<br />

letizia, né amore. O ce lo rendete, oppure lasciateci entrare. Noi vogliamo essere dove Egli è”. Ma<br />

non potete per ora venire dove <strong>Io</strong> vado. L’ho detto anche ai giudei**: “Poi mi cercherete, ma dove<br />

<strong>Io</strong> vado voi non potete venire”. Lo dico anche a voi.<br />

21 Pensate alla Madre... Neppure Lei potrà venire dove <strong>Io</strong> vado. Eppure <strong>Io</strong> ho lasciato il Padre per<br />

venire a Lei e farmi Gesù nel suo seno senza macchia. Eppure dall’Inviolata <strong>Io</strong> sono venuto,<br />

nell’estasi luminosa del mio Natale. E del suo amore, divenuto latte, mi sono nutrito. <strong>Io</strong> sono fatto<br />

di purità e di amore perché Maria mi ha nutrito della sua verginità fecondata dall’Amore perfetto<br />

che vive in Cielo. Eppure per Lei <strong>Io</strong> sono cresciuto, costandole fatiche e lacrime... Eppure <strong>Io</strong> le<br />

chiedo un eroismo quale mai fu compito, e rispetto al quale quello di Giuditta e Giaele sono eroismi<br />

di povere femmine contrastanti colla rivale presso la fonte del paese. Eppure nessuno pari a Lei è<br />

nell’amarmi. E, ciononostante, <strong>Io</strong> la lascio e vado dove Lei non verrà che fra molto tempo. Per Lei<br />

non è il comando che do a voi: “Santificatevi anno per anno, mese per mese, giorno per giorno, ora<br />

per ora, per potere venire a Me quando sarà la vostra ora”. In Lei è ogni grazia e santità. È la<br />

creatura che ha tutto avuto e che tutto ha dato. Nulla vi è da aggiungere o da levare. È la santissima<br />

testimonianza di ciò che può Iddio.<br />

22 Ma per essere certo che in voi sia capacità di potermi raggiungere e di dimenticare il dolore del<br />

lutto della separazione dal vostro Gesù, <strong>Io</strong> vi do un comandamento nuovo. Ed è che vi amiate gli<br />

uni con gli altri. Così come <strong>Io</strong> ho amato voi, ugualmente voi amatevi l’uno con l’altro. Da questo si<br />

conoscerà che siete miei discepoli. Quando un padre ha molti figli, da che si conosce che tali sono?<br />

Non tanto per l’aspetto fisico - perché vi sono uomini che sono in tutto simili ad un altro uomo, col<br />

quale non vi è nessun rapporto di sangue e neppure di nazione - quanto per il comune amore alla<br />

famiglia, al padre loro, e fra loro. Ed anche morto il padre non si disgrega la buona famiglia, perché


il sangue è uno ed è sempre quello avuto dal seme del padre, e annoda legami che neppure la morte<br />

scioglie, perché più forte della morte è l’amore. Ora, se voi vi amerete anche dopo che <strong>Io</strong> vi avrò<br />

lasciati, tutti riconosceranno che voi siete miei figli, e perciò miei discepoli, e fra voi fratelli avendo<br />

avuto un unico padre».<br />

_________________________________________<br />

* è stato detto, in: Giosuè 10, 12-14.<br />

** L’ho detto anche ai giudei, in 488.2.<br />

23 «Signore Gesù, ma dove vai?», chiede Pietro.<br />

«Vado dove tu per ora non mi puoi seguire. Ma più tardi mi seguirai».<br />

«E perché non adesso? Ti ho seguito sempre da quando Tu mi hai detto: “Seguimi”. Ho tutto<br />

lasciato senza rimpianto... Ora, andartene senza il tuo povero Simone, lasciandomi privo di Te, mio<br />

Tutto, dopo che per Te ho lasciato il mio poco bene di prima, non è giusto né bello da parte tua. Vai<br />

alla morte? Sta bene. Ma io pure vengo. Andremo insieme nell’altro mondo. Ma prima ti avrò<br />

difeso. <strong>Io</strong> sono pronto a dare la vita per Te».<br />

«Tu darai la tua vita per Me? Ora? Ora no. In verità - oh! che in verità te lo dico - non avrà ancora<br />

cantato il gallo che tu mi avrai rinnegato tre volte. Ora è ancora la prima vigilia. Poi verrà la<br />

seconda... e poi la terza. Prima che scocchi il gallicinio, tu avrai per tre volte rinnegato il tuo<br />

Signore».<br />

«Impossibile, Maestro! Credo a tutto ciò che dici. Ma non a questo. Sono sicuro di me».<br />

«Ora, per ora sei sicuro. Ma perché ora hai ancora Me. Hai con te Iddio. Fra poco l’incarnato Iddio<br />

sarà preso e non l’avrete più. E Satana, dopo avervi già appesantiti - la tua stessa sicurezza è una<br />

astuzia di Satana, zavorra per appesantirti - vi spaurirà. Vi insinuerà: “<strong>Dio</strong> non è. <strong>Io</strong> sono”. E<br />

siccome, per quanto ottusi dallo spavento, ancora ragionerete, voi capirete che quando è Satana il<br />

padrone dell’ora è morto il Bene ed è operante il Male, abbattuto lo spirito e trionfante l’umano.<br />

Allora resterete come guerrieri senza duce, inseguiti dal nemico, e nello sbigottimento dei vinti<br />

curverete le schiene al vincitore, e per non essere uccisi rinnegherete il caduto eroe.<br />

24 Ma, ve ne prego. <strong>Il</strong> vostro cuore non si turbi. Credete in <strong>Dio</strong>. E credete anche in Me. Contro tutte<br />

le apparenze, credete in Me. Creda nella mia misericordia e in quella del Padre tanto colui che resta<br />

come colui che fugge. Tanto colui che tace come colui che aprirà la bocca per dire: “<strong>Io</strong> non lo<br />

conosco”. Ugualmente credete nel mio perdono. E credete che, quali che siano in futuro le vostre<br />

azioni, nel Bene e nella mia Dottrina, nella mia Chiesa perciò, esse vi daranno un uguale posto in<br />

Cielo.<br />

Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se così non fosse, <strong>Io</strong> ve lo avrei detto. Perché <strong>Io</strong><br />

vado avanti. A preparare un posto per voi. Non fanno forse così i buoni padri quando devono<br />

portare altrove la loro piccola prole? Vanno avanti, preparano la casa, le suppellettili, le provviste. E<br />

poi tornano a prendere le loro creature più care. Così fanno per amore. Perché ai piccoli nulla<br />

manchi, e non provino disagio nel nuovo paese. Ugualmente così <strong>Io</strong> faccio. E per lo stesso motivo.<br />

Ora vado. E quando avrò preparato ad ognuno il posto nella Gerusalemme celeste, verrò di nuovo,<br />

vi prenderò con Me perché siate con Me dove <strong>Io</strong> sono, dove non ci sarà più né morte, né lutti, né<br />

lacrime, né grida, né fame, né dolore, né tenebre, né arsione, ma solo luce, pace, beatitudine e canto.<br />

Oh! canto dei Cieli altissimi quando i dodici eletti saranno sui troni coi dodici patriarchi delle tribù<br />

d’Israele, e nell’ardenza del fuoco dell’amore spirituale canteranno, eretti sul mare della<br />

beatitudine, il cantico eterno che avrà ad arpeggio l’eterno alleluia dell’esercito angelico...<br />

25 <strong>Io</strong> voglio che dove <strong>Io</strong> sarò voi siate. E voi sapete dove <strong>Io</strong> vado e ne conoscete la via».<br />

«Ma Signore! Noi non sappiamo nulla. Tu non ci dici dove vai. Come possiamo noi sapere la via da<br />

prendere per venire verso Te e abbreviare l’attesa?», chiede Tommaso.<br />

«<strong>Io</strong> sono la Via, la Verità, la Vita. Me lo avete sentito dire e spiegare più volte, ed in verità alcuni,<br />

che neppure sapevano esservi un <strong>Dio</strong>, si sono incamminati avanti, per la mia via, e sono già avanti<br />

di voi. Oh! dove sei tu, pecora spersa di <strong>Dio</strong> che <strong>Io</strong> ho ricondotta all’ovile? E dove tu, risorta<br />

d’anima?».<br />

«Chi? Di chi parli? Di Maria di Lazzaro? È di là, con tua Madre. La vuoi? O vuoi Giovanna? Certo


è nel suo palazzo. Ma, se vuoi, te l’andiamo a chiamare...».<br />

«No. Non loro... Penso a quella che sarà disvelata solo in Cielo... e a Fotinai*... Esse mi hanno<br />

trovato. E non hanno più lasciato la mia via. Ad una ho indicato il Padre come <strong>Dio</strong> vero e lo spirito<br />

come levita in questa individuale adorazione. All’altra, che neppur sapeva di avere uno spirito, ho<br />

detto: “<strong>Il</strong> mio nome è Salvatore, salvo chi ha buona volontà di salvarsi. <strong>Io</strong> sono Colui che cerca i<br />

perduti, che dà la Vita, la Verità e la Purezza. Chi mi cerca mi trova”. E ambedue hanno trovato<br />

Iddio... Vi benedico, deboli Eve divenute più forti di Giuditta... Vengo, dove voi siete vengo... Voi<br />

mi consolate... Siate benedette!...».<br />

26 «Mostraci il Padre, Signore, e saremo pari a queste», dice Filippo.<br />

«Da tanto tempo <strong>Io</strong> sono con voi, e tu, Filippo, non mi hai ancora conosciuto? Chi vede Me vede il<br />

Padre mio. Come puoi dunque dire: “Mostraci il Padre”? Non riesci a credere che <strong>Io</strong> sono nel Padre<br />

e il Padre è in Me? Le parole che <strong>Io</strong> vi dico non le dico da Me. Ma il Padre che dimora in Me<br />

compie ogni mia opera. E voi non credete che <strong>Io</strong> sono nel Padre e Lui è in Me? Che devo dire per<br />

farvi credere? Ma se non credete alle parole, credete almeno alle opere.<br />

<strong>Io</strong> vi dico, e ve lo dico con verità: chi crede in Me farà le opere che <strong>Io</strong> faccio, e ancor di maggiori ne<br />

farà, perché <strong>Io</strong> vado al Padre. E tutto quanto domanderete al Padre in mio nome <strong>Io</strong> lo farò, perché il<br />

Padre sia glorificato nel suo Figlio. E farò quanto mi domanderete in nome del mio Nome. <strong>Il</strong> mio<br />

Nome è noto, per quello che realmente è, a Me solo, al Padre che mi ha generato e allo Spirito che<br />

dal nostro amore procede. E per quel Nome tutto è possibile. Chi pensa al mio Nome con amore mi<br />

ama e ottiene.<br />

Ma non basta amare Me, occorre osservare i miei comandamenti per avere il vero amore. Sono le<br />

opere quelle che testificano dei sentimenti. E per questo amore <strong>Io</strong> pregherò il Padre, ed Egli vi darà<br />

un altro Consolatore che resti per sempre con voi, Uno su cui Satana e il mondo non può infierire,<br />

lo Spirito di Verità che il mondo non può ricevere e non può colpire, perché non lo vede e non lo<br />

conosce.<br />

_____________________<br />

* Fotinai, la samaritana, incontrata nei capitoli 143-144 e in 147.4, e ricordata in 571.4 e in 572.2;<br />

l’altra è Aglae, incontrata la prima volta nel capitolo 77.<br />

Lo deriderà. Ma Egli è tanto eccelso che lo scherno non lo potrà ferire, mentre, pietosissimo sopra<br />

ogni misura, sarà sempre con chi lo ama, anche se povero e debole. Voi lo conoscerete, perché già<br />

dimora con voi e presto sarà in voi.<br />

27 <strong>Io</strong> non vi lascerò orfani. Già ve l’ho detto: “Ritornerò a voi”. Ma, prima che sia l’ora di venirvi a<br />

prendere per andare nel mio Regno, <strong>Io</strong> verrò. A voi verrò. Fra poco il mondo non mi vedrà più. Ma<br />

voi mi vedete e mi vedrete. Perché <strong>Io</strong> vivo e voi vivete. Perché <strong>Io</strong> vivrò e voi pure vivrete. In quel<br />

giorno voi conoscerete che <strong>Io</strong> sono nel Padre mio, e voi in Me ed <strong>Io</strong> in voi. Perché chi accoglie i<br />

miei precetti e li osserva, quello è colui che mi ama, e colui che mi ama sarà amato dal Padre mio e<br />

possederà Iddio, perché <strong>Dio</strong> è carità e chi ama ha in sé <strong>Dio</strong>. Ed <strong>Io</strong> lo amerò, perché in lui vedrò<br />

Iddio, e mi manifesterò a lui facendomi conoscere nei segreti del mio amore, della mia sapienza,<br />

della mia Divinità incarnata. Saranno i miei ritorni fra i figli dell’uomo, che <strong>Io</strong> amo nonostante<br />

siano deboli e anche nemici. Ma costoro saranno solo deboli. Ed <strong>Io</strong> li fortificherò; dirò loro:<br />

“Sorgi!”, dirò: “Vieni fuori!”, dirò: “Seguimi”, dirò: “Odi”, dirò: “Scrivi”... e voi siete fra questi».<br />

«Perché, Signore, Tu ti manifesti a noi e non al mondo?», chiede Giuda Taddeo.<br />

«Perché mi amate e osservate le mie parole. Chi così farà, sarà amato dal Padre e Noi verremo a lui<br />

e faremo dimora presso di lui, in lui. Mentre chi non mi ama non osserva le mie parole e fa secondo<br />

la carne e il mondo. Ora sappiate che ciò che <strong>Io</strong> vi ho detto non è parola di Gesù Nazareno ma<br />

parola del Padre, perché <strong>Io</strong> sono il Verbo del Padre che mi ha mandato. <strong>Io</strong> vi ho detto queste cose<br />

parlando così, con voi, perché voglio <strong>Io</strong> stesso prepararvi al possesso completo della Verità e<br />

Sapienza. Ma ancora non potete capire né ricordare. Però, quando verrà a voi il Consolatore, lo<br />

Spirito Santo che il Padre manderà in mio Nome, allora voi potrete capire, ed Egli tutto vi<br />

insegnerà, e vi ricorderà quanto <strong>Io</strong> vi ho detto.<br />

28 <strong>Io</strong> vi lascio la mia pace. <strong>Io</strong> vi do la mia pace. Ve la do non come la dà il mondo. E neppure come<br />

fino ad ora ve l’ho data: saluto benedetto del Benedetto ai benedetti. Più profonda è la pace che ora


vi do. In questo addio. <strong>Io</strong> vi comunico Me stesso, il mio Spirito di pace, così come vi ho comunicato<br />

il mio Corpo e il mio Sangue, perché in voi resti una forza nella imminente battaglia. Satana e il<br />

mondo sferrano guerra al vostro Gesù. È la loro ora. Abbiate in voi la Pace, il mio Spirito che è<br />

spirito di pace, perché <strong>Io</strong> sono il Re della pace. Abbiatela per non essere troppo derelitti. Chi soffre<br />

con la pace di <strong>Dio</strong> in sé soffre, ma non bestemmia e dispera.<br />

Non piangete. Avete pure sentito che ho detto: “Vado al Padre e poi tornerò”. Se mi amaste sopra la<br />

carne, vi rallegrereste, perché <strong>Io</strong> vado dal Padre dopo tanto esilio... Vado da Colui che è maggiore di<br />

Me e che mi ama. <strong>Io</strong> ve l’ho detto ora, prima che ciò si compia, così come vi ho detto tutte le<br />

sofferenze del Redentore prima di andare ad esse, affinché, quando tutto si compia, voi crediate<br />

sempre più in Me. Non turbatevi così! Non sgomentatevi. <strong>Il</strong> vostro cuore ha bisogno di equilibrio...<br />

29 Poco più ho da parlarvi... e ancora tanto ho da dire! Giunto al termine di questa mia<br />

evangelizzazione, mi pare di non avere ancora nulla detto e che tanto, tanto, tanto ancora resti da<br />

fare. <strong>Il</strong> vostro stato aumenta questa mia sensazione. E che dirò allora? Che <strong>Io</strong> ho mancato al mio<br />

ufficio? O che voi siete così duri di cuore che a nulla esso è valso? Dubiterò? No. Mi affido a <strong>Dio</strong>, e<br />

a Lui affido voi, miei diletti. Egli compirà l’opera del suo Verbo. Non sono come un padre che<br />

muore e non ha altra luce che l’umana. <strong>Io</strong> spero in <strong>Dio</strong>. E pure sentendo in Me urgere tutti i consigli<br />

di cui vi vedo bisognosi e sentendo fuggire il tempo, vado tranquillo alla mia sorte. So che sui semi<br />

caduti in voi sta per scendere una rugiada che li farà tutti germogliare, e poi verrà il sole del<br />

Paraclito, ed essi diverranno albero potente. Sta per venire il principe di questo mondo, colui col<br />

quale <strong>Io</strong> non ho nulla a che fare. E, se non fosse per fine di redenzione, non avrebbe potuto nulla su<br />

Me. Ma ciò avviene affinché il mondo conosca che <strong>Io</strong> amo il Padre e lo amo fino alla ubbidienza di<br />

morte, e perciò faccio ciò che mi ha ordinato.<br />

30 È l’ora di andare. Alzatevi. E udite le ultime parole.<br />

<strong>Io</strong> sono la vera Vite. <strong>Il</strong> Padre ne è il Coltivatore. Ogni tralcio che non porta frutto Egli lo recide e<br />

quello che porta frutto lo pota perché ne porti più ancora. Voi siete già purificati per la mia parola.<br />

Rimanete in Me ed <strong>Io</strong> in voi per continuare ad essere tali. <strong>Il</strong> tralcio staccato dalla vite non può fare<br />

frutto. Così voi se non rimanete in Me. <strong>Io</strong> sono la Vite e voi i tralci. Colui che resta unito a Me porta<br />

abbondanti frutti. Ma se uno si stacca diviene ramo secco e viene buttato nel fuoco e là brucia.<br />

Perché, senza l’unione con Me, voi nulla potete fare. Rimanete dunque in Me e le mie parole restino<br />

in voi, poi domandate quanto volete e vi sarà fatto. <strong>Il</strong> Padre mio sarà sempre più glorificato quanto<br />

più voi porterete frutto e sarete miei discepoli.<br />

31 Come il Padre mi ha amato, così <strong>Io</strong> con voi. Rimanete nel mio amore che salva. Amandomi sarete<br />

ubbidienti, e l’ubbidienza aumenta il reciproco amore. Non dite che <strong>Io</strong> mi ripeto. So la vostra<br />

debolezza. E voglio che vi salviate. <strong>Io</strong> vi dico queste cose perché la gioia che vi ho voluto dare sia<br />

in voi e sia completa. Amatevi, amatevi! Questo è il mio comandamento nuovo. Amatevi<br />

scambievolmente più di quanto ognuno ami se stesso. Non vi è maggior amore di quello di colui<br />

che dà la sua vita per i suoi amici. Voi siete i miei amici ed <strong>Io</strong> do la vita per voi. Fate ciò che <strong>Io</strong> vi<br />

insegno e comando.<br />

Non vi chiamo più servi. Perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone, mentre voi sapete ciò che<br />

<strong>Io</strong> faccio. Tutto di Me sapete. Vi ho manifestato non solo Me stesso, ma anche il Padre ed il<br />

Paraclito e tutto quanto ho sentito da <strong>Dio</strong>.<br />

Non siete stati voi che vi siete scelti. Ma <strong>Io</strong> vi ho scelti e vi ho eletti, perché andiate fra i popoli, e<br />

facciate frutto in voi e nei cuori degli evangelizzati, e il vostro frutto rimanga e il Padre vi dia tutto<br />

ciò che gli chiederete in mio Nome.<br />

32 Non dite: “E allora, se Tu ci hai scelti, perché hai scelto un traditore? Se tutto Tu sai, perché hai<br />

fatto questo?”. Non chiedetevi neppure chi è costui. Non è un uomo. È Satana. L’ho detto all’amico<br />

fedele e l’ho lasciato dire dal figlio diletto. È Satana. Se Satana non si fosse incarnato, l’eterno<br />

scimmiottatore di <strong>Dio</strong>, in una carne mortale, questo posseduto non avrebbe potuto sfuggire al mio<br />

potere di Gesù. Ho detto: “posseduto”. No. È molto di più: è un annullato in Satana».<br />

«Perché, Tu che hai cacciato i demoni, non lo hai liberato?», chiede Giacomo d’Alfeo.<br />

«Lo chiedi per amore di te, temendo essere tu quello? Non lo temere».<br />

«<strong>Io</strong>, allora?».


«<strong>Io</strong>?».<br />

«<strong>Io</strong>?».<br />

«Tacete. Non dico quel nome. Uso misericordia e voi fate ugualmente».<br />

«Ma perché non lo hai vinto? Non potevi?».<br />

«Potevo. Ma, per impedire a Satana di incarnarsi per uccidermi, avrei dovuto sterminare la razza<br />

dell’uomo avanti la Redenzione. Che avrei allora redento?».<br />

«Dimmelo, Signore, dimmelo!». Pietro è scivolato in ginocchio e scuote freneticamente Gesù come<br />

fosse in preda a delirio. «Sono io? Sono io? Mi esamino? Non mi pare. Ma Tu... Tu hai detto che ti<br />

rinnegherò... Ed io tremo... Oh! che orrore essere io!…».<br />

«No, Simone di Giona. Non tu».<br />

«Perché mi hai levato il mio nome di “Pietra”? Sono dunque tornato Simone? Lo vedi? Tu lo dici!...<br />

Sono io! Ma come ho potuto? Ditelo... ditelo voi... Quando è che ho potuto divenire traditore?…<br />

Simone?… Giovanni?… Ma parlate!…».<br />

«Pietro, Pietro, Pietro! Ti chiamo Simone perché penso al primo incontro, quando eri Simone. E<br />

penso come sei sempre stato leale dal primo momento. Non sei tu. Lo dico <strong>Io</strong>: Verità».<br />

«Chi, allora?».<br />

«Ma è Giuda di Keriot! Non lo hai ancora capito?», urla il Taddeo che non riesce più a contenersi.<br />

«Perché non me lo hai detto prima? Perché?», urla anche Pietro.<br />

«Silenzio. È Satana. Non ha altro nome. Dove vai, Pietro?».<br />

«A cercarlo» .<br />

«Posa subito quel mantello e quell’arma. O ti devo scacciare e maledire?».<br />

«No, no! Oh! Signor mio! Ma io... ma io... Sono forse malato di delirio, io? Oh! Oh!». Pietro<br />

piange, gettato per terra ai piedi di Gesù.<br />

33 «<strong>Io</strong> vi do comando di amarvi. E di perdonare. Avete capito? Se anche nel mondo è l’odio, in voi<br />

sia solo l’amore. Per tutti. Quanti traditori troverete sulla vostra via! Ma non li dovete odiare e<br />

rendere loro male per male. Altrimenti il Padre odierà voi. Prima di voi fui odiato e tradito <strong>Io</strong>.<br />

Eppure, voi lo vedete, <strong>Io</strong> non odio. <strong>Il</strong> mondo non può amare ciò che non è come esso. Perciò non vi<br />

amerà. Se foste suoi, vi amerebbe; ma non siete del mondo, avendovi <strong>Io</strong> presi da mezzo al mondo. E<br />

per questo siete odiati.<br />

Vi ho detto: il servo non è da più del padrone. Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno voi pure.<br />

Se avranno ascoltato Me, ascolteranno pure voi. Ma tutto faranno per causa del mio Nome, perché<br />

non conoscono, non vogliono conoscere Colui che mi ha mandato. Se non fossi venuto e non avessi<br />

parlato, non sarebbero colpevoli. Ma ora il loro peccato è senza scusa. Hanno visto le mie opere,<br />

udito le mie parole, eppure mi hanno odiato, e con Me il Padre. Perché <strong>Io</strong> e il Padre siamo una sola<br />

Unità con l’Amore. Ma era scritto*: “Mi odiasti senza ragione”. Però, quando sarà venuto il<br />

Consolatore, lo Spirito di verità che dal Padre procede, sarà da Lui resa testimonianza di Me, e voi<br />

pure mi testimonierete, perché dal principio foste con Me.<br />

Questo vi dico perché, quando sarà l’ora, non rimaniate accasciati e scandalizzati. Sta per venire il<br />

tempo in cui vi cacceranno dalle sinagoghe e in cui chi vi ucciderà penserà di fare culto a <strong>Dio</strong> con<br />

ciò. Non hanno conosciuto né il Padre né Me. In ciò è la loro scusante. Non ve le ho dette così<br />

ampie prima di ora, queste cose, perché eravate come bambini pur mo’ nati. Ma ora la madre vi<br />

lascia. <strong>Io</strong> vado. Dovete assuefarvi ad altro cibo. Voglio lo conosciate.<br />

34 Nessuno più mi chiede: “Dove vai?”. La tristezza vi fa muti. Eppure è bene anche per voi che <strong>Io</strong><br />

me ne vada. Altrimenti non verrà il Consolatore. <strong>Io</strong> ve lo manderò. E quando sarà venuto, attraverso<br />

la sapienza e la parola, le opere e l’eroismo che infonderà in voi, convincerà il mondo del suo<br />

peccato deicida e di giustizia sulla mia santità. E il mondo sarà nettamente diviso nei reprobi,<br />

nemici di <strong>Dio</strong>, e nei credenti. Questi saranno più o meno santi, a seconda del loro volere. Ma il<br />

giudizio del principe del mondo e dei suoi servi sarà fatto. Di più non posso dirvi, perché ancora<br />

non potete intendere. Ma Egli, il divino Paraclito, vi darà la Verità intera, perché non parlerà di Se<br />

stesso. Ma dirà tutto quello che avrà udito dalla Mente di <strong>Dio</strong> e vi annunzierà il futuro. Prenderà ciò<br />

che da Me viene, ossia ciò che ancora è del Padre, e ve lo dirà.<br />

Ancora un poco da vedersi. Poi non mi vedrete più. E poi ancora un poco, e poi mi vedrete.


35 Voi mormorate fra voi ed in cuor vostro. Udite una parabola. L’ultima del vostro Maestro.<br />

Quando una donna ha concepito e giunge all’ora del parto, è in grande afflizione perché soffre e<br />

geme. Ma quando il piccolo figlio è dato alla luce ed ella lo stringe sul cuore, ogni pena cessa e la<br />

tristezza si muta in gioia, perché un uomo è venuto al mondo.<br />

Così voi. Voi piangerete e il mondo riderà di voi. Ma poi la vostra tristezza si muterà in gioia. Una<br />

gioia che il mondo mai conoscerà. Voi ora siete tristi. Ma, quando mi rivedrete, il vostro cuore<br />

diverrà pieno di un gaudio che nessuno avrà più potere di rapirvi. Una gioia così piena che vi<br />

offuscherà ogni bisogno di chiedere e per la mente e per il cuore e per la carne. Solo vi pascerete di<br />

rivedermi, dimenticando ogni altra cosa. Ma proprio da allora potrete tutto chiedere in mio Nome, e<br />

vi sarà dato dal Padre perché abbiate sempre più gioia. Domandate, domandate. E riceverete.<br />

___________________<br />

* era scritto, in: Salmi 35, 19; 69, 5.<br />

Viene l’ora in cui potrò parlarvi apertamente del Padre. Sarà perché sarete stati fedeli nella prova e<br />

tutto sarà superato. Perfetto quindi il vostro amore, perché vi avrà dato forza nella prova. E quanto a<br />

voi mancherà <strong>Io</strong> ve lo aggiungerò prendendolo dal mio immenso tesoro e dicendo: “Padre, lo vedi.<br />

Essi mi hanno amato credendo che <strong>Io</strong> venni da Te”. Sceso nel mondo, ora lo lascio e vado al Padre,<br />

e pregherò per voi».<br />

36 «Oh! ora Tu ti spieghi. Ora sappiamo ciò che vuoi dire e che Tu sai tutto e rispondi senza che<br />

nessuno ti interroghi. Veramente Tu vieni da <strong>Dio</strong>!».<br />

«Adesso credete? All’ultima ora? È tre anni che vi parlo! Ma già in voi opera il Pane che è <strong>Dio</strong> e il<br />

Vino che è Sangue non venuto da uomo, e vi dà il primo brivido di deificazione. Voi diverrete dèi se<br />

sarete perseveranti nel mio amore e nel mio possesso. Non come lo disse Satana ad Adamo ed Eva,<br />

ma come <strong>Io</strong> ve lo dico. È il vero frutto dell’albero del Bene e della Vita. <strong>Il</strong> Male è vinto in chi se ne<br />

pasce, ed è morta la Morte. Chi ne mangia vivrà in eterno e diverrà “dio” nel Regno di <strong>Dio</strong>. Voi<br />

sarete dèi se permarrete in Me. Eppure ecco... pur avendo in voi questo Pane e questo Sangue,<br />

poiché sta venendo l’ora in cui sarete dispersi, voi ve ne andrete per vostro conto e mi lascerete<br />

solo... Ma non sono solo. Ho il Padre con Me. Padre, Padre! Non mi abbandonare! Tutto vi ho<br />

detto... Per darvi pace. La mia pace. Ancora sarete oppressi. Ma abbiate fede. <strong>Io</strong> ho vinto il mondo».<br />

37Gesù si alza, apre le braccia in croce e dice con volto luminoso la sublime preghiera al Padre.<br />

Giovanni la riporta integralmente.*<br />

Gli apostoli lacrimano più o meno palesemente e rumorosamente. Per ultimo cantano un inno.<br />

38Gesù li benedice. Poi ordina: «Mettiamoci i mantelli, ora. E andiamo. Andrea, di’ al capo di casa<br />

di lasciare tutto così, per mio volere. Domani... vi farà piacere rivedere questo luogo». Gesù lo<br />

guarda. Pare benedire le pareti, i mobili, tutto. Poi si ammantella e si avvia, seguito dai discepoli.<br />

Al suo fianco è Giovanni, al quale si appoggia. «Non saluti la Madre?», gli chiede il figlio di<br />

Zebedeo.<br />

«No. È tutto già fatto. Fate, anzi, piano».<br />

Simone, che ha acceso una torcia alla lumiera, illumina l’ampio corridoio che va alla porta. Pietro<br />

apre cauto il portone ed escono tutti nella via e poi, facendo giocare un ordigno, chiudono dal di<br />

fuori. E si pongono in cammino.<br />

[17 febbraio 1944]<br />

39 Dice Gesù:<br />

«Dall’episodio della Cena, oltre la considerazione della carità di un <strong>Dio</strong> che si fa Cibo agli uomini,<br />

risaltano quattro ammaestramenti principali.<br />

Primo: la necessità per tutti i figli di <strong>Dio</strong> di ubbidire alla Legge.<br />

________________________<br />

* la riporta integralmente, nel suo Vangelo: Giovanni 17.


La Legge diceva che si doveva per Pasqua consumare l’agnello secondo il rituale dato<br />

dall’Altissimo a Mosè, ed <strong>Io</strong>, Figlio vero del <strong>Dio</strong> vero, non mi sono riputato, per la mia qualità<br />

divina, esente dalla Legge. Ero sulla Terra: Uomo fra gli uomini e Maestro degli uomini. Dovevo<br />

perciò fare il mio dovere di uomo verso <strong>Dio</strong> come e meglio degli altri. I favori divini non esimono<br />

dall’ubbidienza e dallo sforzo verso una sempre maggiore santità. Se paragonate la santità più<br />

eccelsa alla perfezione divina, la trovate sempre piena di mende, e perciò obbligata a sforzare se<br />

stessa per eliminarle e raggiungere un grado di perfezione per quanto più è possibile simile a quello<br />

di <strong>Dio</strong>.<br />

40 Secondo: la potenza della preghiera di Maria.<br />

<strong>Io</strong> ero <strong>Dio</strong> fatto Carne. Una Carne che, per essere senza macchia, possedeva la forza spirituale per<br />

signoreggiare la carne. Eppure non ricuso, anzi invoco l’aiuto della Piena di Grazia, la quale anche<br />

in quell’ora di espiazione avrebbe trovato, è vero, sul suo capo il Cielo chiuso, ma non tanto che<br />

non riuscisse a strapparne un angelo, Lei, Regina degli angeli, per il conforto del suo Figlio. Oh!<br />

non per Lei, povera Mamma! Anche Lei ha assaporato l’amaro dell’abbandono del Padre, ma per<br />

questo suo dolore offerto alla Redenzione m’ha ottenuto di potere superare l’angoscia dell’orto<br />

degli Ulivi e di portare a termine la Passione in tutta la sua multiforme asprezza, di cui ognuna era<br />

volta a lavare una forma e un mezzo di peccato.<br />

41 Terzo: il dominio su se stessi e la sopportazione dell’offesa, carità sublime su tutte, la possono<br />

avere unicamente quelli che fanno vita della loro vita la legge di carità che <strong>Io</strong> avevo bandita. E non<br />

bandita solo, ma praticata realmente.<br />

Cosa sia stato per Me aver meco alla mia tavola il mio Traditore, il dovere darmi ad esso, il dovere<br />

umiliarmi ad esso, il dovere dividere con esso il calice di rito e posare le labbra là dove egli le aveva<br />

posate, e farle posare a mia Madre, voi non potete pensare. I vostri medici hanno discusso e<br />

discutono sulla mia rapida fine e le dànno origine in una lesione cardiaca dovuta alle percosse della<br />

flagellazione. Sì, anche per queste il mio cuore divenne malato. Ma lo era già dalla Cena. Spezzato,<br />

spezzato nello sforzo di dover subire al mio fianco il mio Traditore. Ho cominciato a morire allora,<br />

fisicamente. <strong>Il</strong> resto non è stato che aumento della già esistente agonia.<br />

Quanto ho potuto fare l’ho fatto perché ero uno con la Carità. Anche nell’ora in cui <strong>Dio</strong>-Carità si<br />

ritirava da Me, ho saputo esser carità, perché ero vissuto, nei miei trentatré anni, di carità. Non si<br />

può giungere ad una perfezione, quale si richiede per perdonare e sopportare il nostro offensore, se<br />

non si ha l’abito della carità. <strong>Io</strong> l’avevo, e ho potuto perdonare e sopportare questo capolavoro di<br />

Offensore che fu Giuda.<br />

42 Quarto: il Sacramento opera quanto più uno è degno di riceverlo. Se ne è fatto degno con una<br />

costante volontà, che spezza la carne e fa signore lo spirito, vincendo le concupiscenze, piegando<br />

l’essere alle virtù, tendendolo come arco verso la perfezione delle virtù e soprattutto della carità.<br />

Perché, quando uno ama, tende a far lieto chi ama. Giovanni, che mi amava come nessuno e che era<br />

puro, ebbe dal Sacramento il massimo della trasformazione. Cominciò da quel momento ad essere<br />

l’aquila, a cui è famigliare e facile l’altezza nel Cielo di <strong>Dio</strong> e l’affissare il Sole eterno. Ma guai a<br />

chi riceve il Sacramento senza esserne affatto degno, ma anzi avendo accresciuto la sua sempre<br />

umana indegnità con le colpe mortali. Allora esso diviene non germe di preservazione e di vita ma<br />

di corruzione e di morte. Morte dello spirito e putrefazione della carne, per cui essa “crepa”, come<br />

dice Pietro* di quella di Giuda. Non sparge il sangue, liquido sempre vitale e bello nella sua<br />

porpora, ma le sue interiora, nere di tutte le libidini, marciume che si riversa fuori dalla carne<br />

marcita come da carogna di animale immondo, oggetto di ribrezzo per i passanti.<br />

La morte del profanatore del Sacramento è sempre la morte di un disperato, e perciò non conosce il<br />

placido trapasso proprio di chi è in grazia, né l’eroico trapasso della vittima che soffre acutamente<br />

ma con lo sguardo fisso al Cielo e l’anima sicura della pace. La morte del disperato è atroce di<br />

contorsioni e di terrori, è una convulsione orrenda dell’anima già ghermita dalla mano di Satana,<br />

che la strozza per svellerla dalla carne e che la soffoca col suo nauseabondo fiato.<br />

Questa la differenza fra chi trapassa all’altra vita dopo essersi nutrito in essa di carità, fede,<br />

speranza e d’ogni altra virtù e dottrina celeste e del Pane angelico che l’accompagna coi suoi frutti -<br />

meglio se con la sua reale presenza - nel viaggio estremo, e chi trapassa dopo una vita di bruto con


morte da bruto che la Grazia e il Sacramento non confortano. La prima è la serena fine del santo, a<br />

cui la morte apre il Regno eterno. La seconda è la spaventosa caduta del dannato, che si sente<br />

precipitare nella morte eterna e conosce in un attimo ciò che ha voluto perdere, né più può riparare.<br />

Per uno acquisto, per l’altro spogliamento. Per uno gioia, per l’altro terrore.<br />

Questo è quanto vi date a seconda del vostro credere ed amare, o non credere e deridere il dono<br />

mio. E questo è l’insegnamento di questa contemplazione».<br />

_____________________<br />

* come dice Pietro, in: Atti 1, 18.<br />

Maria Valtorta<br />

L'Evangelo come mi è stato rivelato<br />

INDICE DEL VOLUME DECIMO<br />

Passione a Morte di Gesù. * = in linea<br />

601. Introduzione.<br />

602. Verso il Getsemani con undici apostoli. L’agonia spirituale e la<br />

cattura.<br />

603. Riflessioni sull’agonia nel Getsemani e premessa agli altri dolori della<br />

Passione.<br />

604. I processi e il rinnegamento di Pietro. Considerazioni su Pilato.<br />

605. Disperazione a suicidio di Giuda Iscariota. Avrebbe ancora potuto<br />

salvarsi se si fosse pentito. *<br />

606. Gesù e Maria sono l’antitesi di Adamo ed Eva. Giuda Iscariota è il nuovo<br />

Caino. La vera evoluzione dell’uomo è quella del suo spirito.<br />

607. Giovanni va a prendere la Madre.<br />

608. La via dolorosa dal Pretorio al Calvario.<br />

609. La crocifissione, la morte e la deposizione dalla croce.<br />

610. Angoscia di Maria al Sepolcro e unzione del Corpo di Gesù. *<br />

611. La chiusura del Sepolcro e il ritorno al Cenacolo.<br />

612. La notte del Venerdì Santo. Lamento della Vergine. <strong>Il</strong> velo di Niche e la<br />

preparazione degli unguenti.<br />

613. Riflessioni sulla Passione di Gesù e di Maria e sulla Con-passione di<br />

Giovanni.<br />

614. <strong>Il</strong> giorno del Sabato Santo.<br />

615. La notte del Sabato Santo.<br />

Glorificazione di Gesù e di Maria.<br />

616. <strong>Il</strong> mattino della Risurrezione. Preghiera di Maria.


617. La Risurrezione.<br />

618. Gesù risorto appare alla Madre.<br />

619. Le pie donne al Sepolcro<br />

620. Considerazioni sulla Risurrezione.<br />

621. Apparizione a Lazzaro.<br />

622. Apparizione a Giovanna di Cusa.<br />

623. Apparizione a Giuseppe d’Arimatea, a Nicodemo e a Mannaen.<br />

624. Apparizione ai pastori.<br />

625. Apparizione ai discepoli di Emmaus.<br />

626. Venuta dei pagani e accenni ad altre apparizioni.<br />

627. Apparizione agli apostoli nel Cenacolo.<br />

628. <strong>Il</strong> ritorno di Tommaso e la sua incredulità.<br />

629. Apparizione agli apostoli con Tommaso. Discorso sulla dignità del<br />

sacerdozio e sui sacerdoti futuri.<br />

630. Gli apostoli mandati al Getsemani. Meditazioni sulla preghiera del<br />

“Padre nostro”.<br />

631. Gli apostoli mandati sul Golgota e il loro ritorno al Cenacolo.<br />

632. Apparizioni a varie persone in luoghi diversi.<br />

633. Apparizione sulle rive del lago e conferimento del mandato a Pietro.<br />

634. Ammaestramenti agli apostoli e a numerosi discepoli sul monte Tabor.<br />

Marziam consolato<br />

635. Lezione sui Sacramenti e predizioni sulla Chiesa.<br />

636. La Pasqua supplementare.<br />

637. Addio alla Madre prima di ascendere al Padre. Tutto noi abbiamo per<br />

Maria.<br />

638. Ultimi ammaestramenti nel Getsemani e commiato.<br />

Ascensione di Gesù al Padre.<br />

639. L’elezione di Mattia.<br />

640. La discesa dello Spirito Santo. Fine del ciclo messianico.<br />

641. Pietro celebra l’Eucarestia in una riunione dei primi cristiani.<br />

642. Maria Ss. prenderà dimora al Getsemani con Giovanni, che le predice<br />

l’Assunzione.<br />

643. Maria Ss. con Giovanni nei luoghi della Passione.<br />

644. Istituzione della “domenica”. Graduale conversione di Gamaliele.<br />

Le due sindoni.<br />

645. <strong>Il</strong> processo a Stefano e la sua lapidazione. Le opposte vie di Saulo e di<br />

Gamaliele alla santità.<br />

646. Sepoltura di Stefano e inizio della persecuzione.<br />

647. Gamaliele si fa cristiano.<br />

648. Pietro si congeda da Maria SS. dopo un colloquio con Giovanni.<br />

649. Transito beato di Maria SS.<br />

650. Assunzione gloriosa di Maria SS.<br />

651. Riflessioni sul Transito di Maria SS., sulla sua Assunzione e sulla sua<br />

Regalità.<br />

652. Commiato all’Opera.


Conclusione dell’Opera*<br />

ossia<br />

Dalla Pentecoste all’Assunzione<br />

Di Maria Ss.<br />

1° episodio (3 - 6 - 1944)<br />

L’evangelo<br />

come mi è stato<br />

rivelato<br />

VOLUME DECIMO<br />

Passione e Morte di Gesù.<br />

Conclusione dell’Opera*<br />

Maria Valtorta<br />

103. Gesù a Maria sono l’antitesi di Adamo ed Eva. Giuda Iscariota è il<br />

nuovo Caino. La vera evoluzione dell’uomo è quella del suo spirito.<br />

2 aprile 1944. Domenica delle Palme.<br />

1 Dice Gesù:<br />

«La coppia Gesù-Maria è l’antitesi della coppia Adamo-Eva*. È quella destinata ad annullare tutto<br />

l’operato di Adamo ed Eva e riportare l’Umanità al punto in cui era quando fu creata: ricca di grazia<br />

e di tutti i doni ad essa largiti dal Creatore. L’Umanità ha subìto una rigenerazione totale per l’opera<br />

della coppia Gesù-Maria, i quali sono così divenuti i nuovi Capostipiti dell’Umanità. Tutto il tempo<br />

precedente è annullato. <strong>Il</strong> tempo e la storia dell’uomo si conta da questo momento in cui la nuova<br />

Eva, per un capovolgimento di creazione, trae dal suo seno inviolato, per opera del Signore Iddio, il<br />

nuovo Adamo.<br />

Ma per annullare le opere dei due Primi, causa di mortale infermità, di perpetua mutilazione, di<br />

impoverimento, più: di indigenza spirituale - perché dopo il peccato Adamo ed Eva si trovarono<br />

spogliati di tutto quanto aveva loro donato, ricchezza infinita, il Padre santo - hanno dovuto, questi<br />

due Secondi, operare in tutto e per tutto in maniera opposta al modo di operare dei due Primi.<br />

Perciò, spingere l’ubbidienza sino alla perfezione che si annichila e si immola nella carne, nel<br />

sentimento, nel pensiero, nella volontà, per accettare tutto quanto <strong>Dio</strong> vuole. Perciò, spingere la<br />

purezza ad una castità assoluta, per cui la carne... che fu la carne per Noi due puri? Velo d’acqua<br />

sullo spirito trionfante, carezza di vento sullo spirito re, cristallo che isola lo spirito-signore e non lo<br />

corrompe, impulso che solleva e non peso che opprime. Questo fu la carne per Noi. Meno pesante e<br />

sensibile di una veste di lino, lieve sostanza interposta fra il mondo e lo splendore dell’io<br />

soprumanato, mezzo per operare ciò che <strong>Dio</strong> voleva. Null’altro.<br />

2 Fu nostro l’amore? Certo. <strong>Il</strong> “perfetto amore” fu nostro. Non è, uomini, amore la fame di senso che<br />

vi spinge bramosi a saziarvi di una carne. Quella è lussuria. Nulla più. Tanto vero che amandovi<br />

cosi - voi lo credete amore - non sapete compatirvi, aiutarvi, perdonarvi. Che è allora il vostro<br />

amore? È odio. È unicamente delirio paranoico, che vi spinge a preferire il sapore di putridi pasti al<br />

sano, corroborante cibo di eletti sentimenti.<br />

Noi avemmo il “perfetto amore”, Noi, i casti perfetti. Questo amore abbracciava <strong>Dio</strong> in Cielo e, a<br />

Lui unito come lo sono i rami col tronco che li nutre, si espandeva e scendeva prodigandosi di<br />

riposo, di riparo, di nutrimento, di conforto sulla Terra e sui suoi abitanti. Nessuno escluso da<br />

questo amore. Non i nostri simili, non gli esseri inferiori, non la natura erborea, non le acque e gli<br />

astri. Neppure i malvagi esclusi da questo amore. Perché anche essi, benché membri morti, erano


pur sempre membri del gran corpo del Creato, e perciò vedevamo in essi, per quanto deturpata e<br />

bruttata dalla loro malvagità, la santa effigie del<br />

___________________________<br />

* coppia Adamo-Eva, protagonista di: Genesi 1, 26-29; 2, 7-25; 3; 4, 1-16.25-26, ivi inclusa la<br />

storia di Caino e Abele, cui si fa riferimento più sotto.<br />

Signore, che a sua immagine e somiglianza li aveva formati.<br />

Gioendo coi buoni, piangendo sui non buoni, pregando (amore fattivo che si estrinseca<br />

coll’impetrare e ottenere protezione a chi si ama) pregando per i buoni acciò fossero sempre più<br />

buoni per accostarsi sempre più alla perfezione del Buono che ci ama dai Cieli, pregando per i<br />

vacillanti fra la bontà e la malvagità perché si fortificassero e sapessero persistere sul cammino<br />

santo, pregando per i malvagi perché la Bontà parlasse al loro spirito, li atterrasse magari con una<br />

folgore del suo potere, ma li convertisse al Signore Iddio loro, Noi amammo. Come nessun altro<br />

amò. Spingemmo l’amore alle vette della perfezione per colmare, col nostro oceano d’amore,<br />

l’abisso scavato dal disamore dei Primi, che amarono sé più di <strong>Dio</strong>, volendo avere più che lecito<br />

non fosse per divenire superiori a <strong>Dio</strong>.<br />

3 Perciò alla purezza, ubbidienza, carità, distacco da tutte le ricchezze della Terra (carne, potere,<br />

denaro: il trinomio di Satana opposto al trinomio di <strong>Dio</strong>: fede, speranza, carità); perciò all’odio, alla<br />

lussuria, all’ira, alla superbia (le quattro passioni perverse, antitesi delle quattro virtù sante:<br />

fortezza, temperanza, giustizia, prudenza) Noi dovemmo unire una costante pratica di tutto quanto<br />

era all’opposto del modo di agire della coppia Adamo-Eva. E se molto, per il nostro buon volere<br />

senza limite, ci fu ancor facile farlo, solo l’Eterno sa quanto fu eroico compiere questa pratica in<br />

certi momenti e in certi casi.<br />

Non voglio qui che parlarne di uno solo. E di mia Madre. Non di Me. Della nuova Eva, la quale<br />

aveva già respinto dai più teneri anni le blandizie usate da Satana per sedurla a mordere il frutto e<br />

sentirne il sapore che aveva reso folle la compagna di Adamo; della nuova Eva, la quale non si era<br />

limitata a respingere Satana, ma l’aveva vinto schiacciandolo sotto una volontà di ubbidienza, di<br />

amore, di castità talmente vasta che esso, il Maledetto, ne era rimasto schiacciato e domo.<br />

No! No, che non si alza Satana da sotto il calcagno della mia Madre Vergine! Sbava e spuma, rugge<br />

e bestemmia. Ma la sua bava cola in basso, ma il suo urlo non tocca l’atmosfera che circonda la mia<br />

Santa, la quale non ode fetore né cachinni demoniaci, non vede, neppur vede la schifosa bava del<br />

Rettile eterno, perché le armonie celesti ed i celesti aromi le danzano innamorati intorno alla bella e<br />

santa persona, e perché il suo occhio, più puro del giglio e più innamorato di quello di tortora<br />

tubante, fissa solo il suo Signore eterno, di cui è Figlia, Madre e Sposa.<br />

4 Quando Caino uccise Abele, la bocca della madre proferì le maledizioni che il suo spirito, separato<br />

da <strong>Dio</strong>, suggeriva contro il suo prossimo più intimo: il figlio delle sue viscere, profanate da Satana e<br />

rese brute dall’incomposto desiderio. E quella maledizione fu la macchia nel regno del morale<br />

umano, come il delitto di Caino la macchia nel regno dell’animale umano. Sangue sulla Terra,<br />

sparso da mano fraterna. <strong>Il</strong> primo sangue, che attira come calamita millenaria tutto il sangue che<br />

mano d’uomo sparge traendolo da vene d’uomo. Maledizione sulla Terra, proferita da bocca<br />

d’uomo. Quasi che la Terra non fosse sufficientemente<br />

maledetta per causa dell’uomo ribelle al suo <strong>Dio</strong> e non avesse* dovuto conoscere i triboli e le spine<br />

e la durezza delle gleba, le siccità, le grandini, i geli, i solleoni, essa che era stata creata perfetta e<br />

servita da elementi perfetti per esser dimora facile e bella all’uomo suo re.<br />

Maria deve annullare Eva. Maria vede il secondo Caino: Giuda. Maria sa che egli è il Caino del suo<br />

Gesù, del secondo Abele. Sa che il sangue di questo secondo Abele è stato venduto da quel Caino e<br />

già viene sparso. Ma non maledice. Ama e perdona. Ama e richiama.<br />

Oh! Maternità di Maria martire! Maternità sublime quanto la tua virginea e divina! Di quest’ultima<br />

ti ha fatto dono Iddio! Ma della prima tu, Madre santa, Corredentrice, ti sei fatta dono, perché tu, tu<br />

sola hai saputo, in quell’ora, col cuore franto dai flagelli che mi avevano franto le carni, dire a<br />

Giuda quelle parole; tu, tu sola hai saputo, in quell’ora, mentre sentivi già la croce spaccarti il<br />

cuore, amare e perdonare.


5 Maria: la nuova Eva. Essa vi insegna la nuova religione, che spinge l’amore a perdonare chi uccide<br />

un figlio. Non siate come Giuda, che a questa Maestra di Grazia chiude il cuore e dispera dicendo:<br />

“Egli non mi può perdonare”, mettendo in dubbio le parole della Madre della Verità e perciò le mie<br />

parole, che avevano sempre ripetuto che <strong>Io</strong> ero venuto per salvare e non perdere. Per perdonare a<br />

chi a Me veniva pentito.<br />

Maria, nuova Eva, ha anche Ella avuto da <strong>Dio</strong> un nuovo figlio “in luogo di Abele ucciso da Caino”.<br />

Ma non lo ebbe con un’ora di gioia brutale, che rende assopito il dolore sotto i vapori del senso e le<br />

stanchezze dell’appagamento. Lo ebbe in un’ora di dolore totale, ai piedi di un patibolo, fra i rantoli<br />

del Morente che le era Figlio, gli improperi di una folla deicida e una desolazione immeritata e<br />

totale, poiché anche <strong>Dio</strong> non più la consolava.<br />

La vita nuova incomincia per l’Umanità e per i singoli uomini da Maria. Nelle sue virtù e nel suo<br />

modo di vivere è la vostra scuola. E nel suo dolore, che ebbe tutti i volti, anche quello del perdono<br />

all’uccisore del suo Figlio, è la salvezza vostra».<br />

6 Dice Gesù: «Un giorno ti parlerò ancora di Caino e dei Progenitori. Vi è molto da dire e da<br />

meditare».<br />

5 aprile 1944.<br />

7 Dice Gesù:<br />

«Nella Genesi si legge: “Allora Adamo pose alla sua moglie il nome di Eva, essendo essa la madre<br />

di tutti i viventi”.<br />

Oh! sì. La donna era nata dalla “Virago” che <strong>Dio</strong> aveva formata per compagna di Adamo, traendola<br />

dalla costola dell’uomo. Era nata col suo destino doloroso<br />

_____________________<br />

* e non avesse, invece di e avesse, è correzione nostra.<br />

perché aveva voluto nascere*. Perché aveva voluto conoscere ciò che <strong>Dio</strong> le aveva occultato<br />

riserbandosi la gioia di darle la gioia di posterità senza avvilimento di senso. La compagna di<br />

Adamo aveva voluto conoscere il bene che si cela nel male e, soprattutto, il male che si cela nel<br />

bene, nell’apparente bene. Poiché, sedotta come era da Lucifero, aveva appetito a conoscenze che<br />

solo <strong>Dio</strong> poteva conoscere senza pericolo, e si era fatta creatrice. Ma, usando questa forza di bene<br />

indegnamente, l’aveva corrotta in atto di male, perché disubbidienza a <strong>Dio</strong> e malizia e ingordigia<br />

della carne.<br />

Ormai ella era la “madre”. Pianto infinito delle cose intorno all’innocenza della loro regina<br />

profanata! E pianto desolato della regina sulla sua profanazione, di cui comprende l’entità e<br />

l’impossibile annullamento! Se le tenebre e i cataclismi accompagnarono la morte dell’Innocente,<br />

anche tenebra e bufera accompagnarono la morte dell’Innocenza e della Grazia nei cuori dei<br />

Progenitori. Era nato il Dolore sulla Terra. E la Provvidenza di <strong>Dio</strong> non lo volle eterno, dandovi<br />

dopo anni di dolore la gioia di uscire dal dolore per entrare nella gioia, se sapete vivere con animo<br />

retto.<br />

Guai all’uomo se avesse dovuto farsi umanamente padrone della vita! E vivere col ricordo dei suoi<br />

delitti e il continuo aumento degli stessi, poiché vivere senza peccare vi è più impossibile che vivere<br />

senza respirare, creature che eravate state create per conoscere la Luce, e che la Tenebra ha<br />

avvelenato di sé facendovi sue vittime. La Tenebra! Essa vi circuisce continuamente. Vi avviluppa<br />

ridestando quanto il Sacramento ha cancellato e, poiché voi ad essa non opponete volontà d’esser di<br />

<strong>Dio</strong>, riesce a riavvelenarvi del suo veleno, che il Battesimo aveva reso innocuo.<br />

8 <strong>Dio</strong> Padre allontanò l’uomo, della cui disubbidienza erano palesi i segni, dal luogo delle<br />

paradisiache delizie, affinché non peccasse un’altra volta e più ancora alzando la mano ladra<br />

all’albero di Vita. Non si poteva più fidare il Padre dei suoi figli, né sentirsi sicuro nel suo terrestre<br />

Paradiso. Satana vi era penetrato una volta per insidiargli le creature predilette e, se aveva potuto<br />

indurli alla colpa quando erano innocenti, con agio maggiore l’avrebbe potuto rifare ora che<br />

innocenti non erano più.


L’uomo aveva tutto voluto possedere, non lasciando a <strong>Dio</strong> il tesoro d’esser il Generatore. Se ne<br />

andasse perciò con la sua ricchezza acquistata con violenza e se la portasse seco sulla terra d’esilio,<br />

a farlo sempre memore del suo peccato, re avvilito e spogliato dei suoi doni. La creatura paradisiaca<br />

era divenuta creatura terrestre. E dovevano passare secoli di dolore perché l’Unico che potesse<br />

stendere la mano al frutto di Vita venisse e cogliesse per tutta l’Umanità tal frutto. Lo cogliesse con<br />

le sue mani trafitte e lo desse agli uomini perché tornassero coeredi del Cielo e possessori della Vita<br />

che non muore in eterno.<br />

__________________________<br />

* aveva voluto nascere, perché fu in conseguenza del suo peccato, commesso volutamente, che la<br />

Virago (la donna tratta dall’uomo) divenne Eva (la madre di tutti i viventi).<br />

9Dice ancora la Genesi: “Adamo poi conobbe la sua moglie Eva”.<br />

Avevano voluto conoscere i segreti del bene e del male. Giusto era che conoscessero ora anche il<br />

dolore di dover riprodurre se stessi nella carne avendo l’aiuto di <strong>Dio</strong> unicamente per ciò che l’uomo<br />

non può creare: lo spirito, scintilla che da <strong>Dio</strong> si parte, soffio che da <strong>Dio</strong> si infonde, sigillo che sulla<br />

carne appone il segno del Creatore eterno. Ed Eva partorì Caino.<br />

Eva era carica della sua colpa. Richiamo qui la vostra attenzione su un fatto che sfugge ai più. Eva<br />

era carica della sua colpa. Né il dolore era ancora stato subìto in misura sufficiente a diminuire la<br />

sua colpa. Come organismo carico di tossine, ella aveva trasmesso al figlio quanto pullulava in lei.<br />

E Caino, primo figlio d’Eva, era nato duro, invidioso, iracondo, lussurioso, perverso, di poco<br />

dissimile alle belve rispetto all’istinto, di molto superiore rispetto al soprannaturale, perché nel suo<br />

io feroce egli negava rispetto a <strong>Dio</strong> che guardava come un nemico, credendosi lecito di non averne<br />

culto sincero. Satana lo aizzava a deridere <strong>Dio</strong>. E chi deride <strong>Dio</strong> non rispetta nessuno al mondo.<br />

Onde coloro che sono a contatto coi derisori dell’Eterno conoscono l’amaro del pianto, perché non<br />

vi è per loro speranza di amore riverente nella prole, non sicurezza di amore fedele nel consorte,<br />

non certezza di amicizia onesta nell’amico.<br />

Lacrime e lacrime rigarono il volto di Eva e rigarono il suo cuore per la durezza del figlio, gettando<br />

nel suo cuore il germe del pentimento. Lacrime e lacrime che le ottennero una diminuzione di colpa,<br />

perché <strong>Dio</strong> al dolore di chi si pente perdona. E il secondogenito di Eva ebbe l’anima lavata nel<br />

pianto della madre, e fu dolce e rispettoso verso i genitori, e devoto al Signore suo, di cui sentiva<br />

l’onnipotenza raggiare dai Cieli. Era la gioia della decaduta.<br />

Ma il cammino del dolore di Eva doveva esser lungo e doloroso, proporzionato al suo cammino<br />

nell’esperienza di peccato. In questo, fremito di sensi. In quello, fremito di spasimi. In questo, baci.<br />

In quello, sangue. Da questo, un figlio. Da quello, la morte di un figlio. Del prediletto per la sua<br />

bontà. Abele diviene strumento di purificazione per la colpevole. Ma quale dolorosa purificazione!<br />

Essa empì dei suoi ululi la Terra esterrefatta per il fratricidio e mescolò le lacrime di una madre al<br />

sangue di un figlio, mentre colui che l’aveva sparso, in odio a <strong>Dio</strong> e al fratello amato da <strong>Dio</strong>,<br />

fuggiva inseguito dal suo rimorso.<br />

10Dice il Signore a Caino: “Perché sei irritato?. Perché, se tu manchi verso di Me, ti irriti che <strong>Io</strong> non<br />

ti guardi benigno?”.<br />

Quanti Caini sono sulla Terra! Essi mi danno un culto derisore e ipocrita o non me ne danno affatto,<br />

e vogliono che <strong>Io</strong> li guardi con amore e li colmi di felicità.<br />

<strong>Dio</strong> è vostro Re. Non vostro servo. <strong>Dio</strong> è vostro Padre. Ma un padre non è mai un servo, se si<br />

giudica secondo giustizia. <strong>Dio</strong> è giusto. Voi non lo siete. Ma Egli lo è. E non può certo, poiché vi<br />

colma a dismisura dei suoi benefici sol che lo amiate un poco, non darvi i suoi castighi poiché tanto<br />

lo schernite. La Giustizia non conosce due vie. Una è la sua via. Tale fate e tale avete. Se siete<br />

buoni, avete bene. Se siete malvagi, avete male. E, credetelo, è sempre molto più il bene che avete<br />

rispetto al male che dovreste avere per la vostra maniera di vivere in ribellione alla Legge divina.<br />

11È detto da <strong>Dio</strong>: “Non è vero che se farai bene avrai bene e se farai male il peccato sarà subito alla<br />

tua porta?”. Infatti il bene porta ad una costante elevazione spirituale e rende sempre più capaci di<br />

compiere un bene sempre più grande, sino ad attingere la perfezione e divenire santi. Mentre basta<br />

cedere al male per degradarsi e allontanarsi dalla perfezione, conoscere il dominio del peccato che


entra nel cuore e lo fa scendere per gradi a sempre maggiore colpevolezza.<br />

“Ma”, dice ancora <strong>Dio</strong>, “ma sotto di te sarà il desiderio di esso e tu lo devi dominare”. Sì. <strong>Dio</strong> non<br />

vi ha fatto schiavi del peccato. Le passioni sono sotto di voi. Non sopra di voi. <strong>Dio</strong> vi ha dato<br />

intelligenza e forza di dominarvi. Anche ai primi uomini, colpiti dal rigore di <strong>Dio</strong>, Egli ha lasciato<br />

intelligenza e forza morale. Ora, poi, da quando il Redentore ha consumato per voi il Sacrificio, voi<br />

avete ad aiuto dell’intelligenza e forza i fiumi della Grazia e potete, e dovete dominare il desiderio<br />

del male. Con la vostra volontà fortificata dalla Grazia lo dovete fare. Ecco perché gli angeli della<br />

mia Nascita cantarono alla Terra: “Pace agli uomini di buona volontà”. <strong>Io</strong> ero venuto per riportarvi<br />

la Grazia e, mediante il connubio di essa con la vostra buona volontà, sarebbe venuta agli uomini la<br />

Pace. La Pace: gloria del Cielo di <strong>Dio</strong>.<br />

12 “E Caino disse al fratello: ‘Andiamo fuori’ ”. Menzogna che cela sotto un sorriso il tradimento che<br />

uccide. La delinquenza è sempre menzognera. Verso le sue vittime e verso il mondo che cerca<br />

ingannare. E vorrebbe ingannare anche <strong>Dio</strong>. Ma <strong>Dio</strong> legge nei cuori.<br />

“Andiamo fuori”. Tanti secoli dopo, uno disse: “Salve, Maestro”, e lo baciò. I due Caini nascosero il<br />

delitto sotto un’apparenza innocua e sfogarono l’invidia, l’ira, la prepotenza loro e tutti i malvagi<br />

istinti, sulla vittima, perché non avevano dominato se stessi, ma del proprio io corrotto avevano<br />

fatto schiavo lo spirito.<br />

Eva sale nell’espiazione. Caino scende verso l’inferno. La disperazione lo prende e ve lo sprofonda.<br />

E con la disperazione, ultimo colpo mortale allo spirito già languente per il suo delitto, viene la<br />

paura fisica, vile, della punizione umana. Non più essere memore del Cielo, l’uomo dall’anima<br />

morta è un animale che trema per la sua vita animale. La morte, il cui aspetto è sorriso per i giusti<br />

poiché per essa essi vanno alla gioia del possesso di <strong>Dio</strong>, è terrore a coloro che sanno che morire<br />

vuol dire passare dall’inferno del cuore all’Inferno di Satana in eterno. E come allucinati vedono<br />

dovunque vendetta pronta a colpirli.<br />

13 Ma sappiate - parlo ai giusti - sappiate che se il rimorso e le tenebre di un cuore colpevole<br />

permettono e fomentano le allucinazioni del peccatore, a nessuno è lecito erigersi a giudice del<br />

fratello e tanto meno a giustiziere. Uno solo è Giudice: <strong>Dio</strong>. E se la giustizia dell’uomo ha creato i<br />

suoi tribunali, ad essi occorre deferire il compito di amministrare giustizia, e guai a coloro che<br />

profanano tal nome e giudicano per aculeo di passione propria o per pressione di potenze umane.<br />

Maledizione a chi si fa giustiziere privato di un suo simile! Ma maledizione ancor più grande a chi,<br />

senza coefficiente di impulsivo sdegno ma per freddo calcolo umano, manda a morte o a disonore di<br />

carcere senza giustizia. Ché, se a colui che uccide chi uccise sarà dato castigo sette volte più grande,<br />

come disse il Signore sarebbe avvenuto di chi colpiva Caino, colui che senza giustizia condanna,<br />

per asservimento a Satana in veste di Prepotere umano, sarà colpito settantasette volte dal rigore di<br />

<strong>Dio</strong>.<br />

Questo occorrerebbe aver sempre presente, e specie in quest’ora*, uomini che vi uccidete a vicenda<br />

per fare dei caduti la base del vostro trionfo, e non sapete che vi scavate sotto i piedi il trabocchetto<br />

in cui precipiterete maledetti da <strong>Dio</strong> e dagli uomini. Poiché <strong>Io</strong> ho detto: “Non ucciderai”.<br />

14 Eva sale sul suo cammino di espiazione. <strong>Il</strong> pentimento cresce in lei davanti alle prove del suo<br />

peccato. Volle conoscere il bene e il male. E il ricordo del bene perduto le è come il ricordo del sole<br />

ad uno subitamente acciecato; e il male le sta davanti nella spoglia del figlio ucciso e intorno per il<br />

vuoto lasciato dal figlio omicida e fuggiasco. E nasce Set. E, da Set, Enos. <strong>Il</strong> primo sacerdote.<br />

Voi vi gonfiate la mente dei fumi della vostra scienza e parlate di evoluzione come di un segno della<br />

vostra formazione spontanea. L’uomo-animale evolvendosi raggiungerà il superuomo. Dite così**.<br />

Sì. Così è. Ma a modo mio. Nel campo mio. Non nel vostro. Non passando dalla sorte di<br />

quadrumani a quella di uomini. Ma passando da quella di uomini a quella di spiriti. Tanto più<br />

crescerà lo spirito e tanto più vi evolverete.<br />

Voi che parlate di glandole, e vi empite la bocca parlando di ipofisi o pineale, e mettete in essa la<br />

sede della vita, presa non nel tempo che la vivete ma nei tempi che hanno preceduto e che<br />

susseguiranno la vostra vita attuale, sappiate che la vera ghiandola vostra, quella che fa di voi i<br />

possessori eterni della Vita, è lo spirito vostro. Più questo sarà sviluppato e più possederete le luci<br />

divine e vi evolverete da uomini a dèi, immortali dèi, ottenendo così, senza contravvenire al


desiderio di <strong>Dio</strong>, al suo comando circa l’albero di Vita, di possedere questa Vita proprio come <strong>Dio</strong><br />

vuole la possediate, poiché Egli per voi l’ha creata eterna e fulgida, abbraccio beatifico con la sua<br />

eternità che vi assorbe in sé e vi comunica le sue proprietà.<br />

Più lo spirito sarà evoluto e più conoscerete <strong>Dio</strong>. 15 Conoscere <strong>Dio</strong> vuol dire amarlo e servirlo, e<br />

perciò esser capaci di invocarlo per sé e per gli altri. Divenire perciò i sacerdoti che dalla Terra<br />

pregano per i fratelli. Poiché è sacerdote il consacrato. Ma lo è anche il credente convinto, amoroso,<br />

fedele. Lo è soprattutto l’anima vittima che immola se stessa per impulso di carità.<br />

Non è l’abito, ma l’animo quello che <strong>Dio</strong> osserva. E in verità vi dico che, agli occhi miei, appaiono<br />

molti tonsurati che di sacerdotale non hanno che la tonsura*** e molti laici nei quali la Carità, che li<br />

possiede e dalla quale si lasciano<br />

______________________<br />

* specie in quest’ora, poiché nel 1944 imperversava la seconda guerra mondiale.<br />

** Dite così, come già in 4.7.<br />

*** la tonsura, particolare taglio dei capelli, era ai tempi della scrittrice uno dei segni esteriori del<br />

sacerdote a del religioso.<br />

consumare, è Olio dell’ordinazione che fa di essi i miei sacerdoti, ignoti al mondo ma noti a Me che<br />

li benedico».<br />

607. Giovanni va a prendere la Madre.<br />

1 Ore 10,30 del Venerdì Santo 1944 (7- 4- 44). Ora che il mio interno ammonitore mi dice esser<br />

quella in cui Giovanni andò da Maria.<br />

Vedo il prediletto ancor più pallido di quando era nel cortile di Caifa insieme a Pietro. Forse perché<br />

là la luce del fuoco acceso gli dava un riflesso caldo alle guance. Ora appare scavato come da una<br />

grave malattia ed esangue. <strong>Il</strong> suo viso emerge dalla tunica lilla come quello di un annegato, tanto è<br />

di un pallore livido. Anche gli occhi sono offuscati, i capelli opachi e spettinati, la barba, spuntata in<br />

quelle ore, gli mette un velo chiaro sulle guance e il mento e le fa apparire, biondo-chiara come è,<br />

ancor più pallide. Non ha più nulla del dolce, ilare Giovanni, né dell’inquieto Giovanni che poco<br />

prima, con una vampa di sdegno sul volto, a fatica si è contenuto dal malmenare Giuda.<br />

Bussa alla porta della casa e, come se dall’interno qualcuno, timoroso di ritrovarsi di fronte Giuda,<br />

chiedesse chi è che picchia, risponde: «Sono Giovanni». L’uscio si apre ed egli entra.<br />

Va anche lui subito nel cenacolo, non rispondendo alla padrona che gli chiede: «Ma che avviene in<br />

città?».<br />

Si chiude dentro e cade in ginocchio contro al sedile su cui era Gesù e piange chiamandolo con<br />

dolore. Bacia la tovaglia nel posto dove il Maestro tenne congiunte le mani, carezza il calice che fu<br />

tra le sue dita... Poi dice: «Oh! <strong>Dio</strong> altissimo, aiutami! Aiutami a dirlo alla Madre! <strong>Io</strong> non ho<br />

cuore!... Eppure devo dirlo. <strong>Io</strong> devo dirlo, poiché sono rimasto solo!».<br />

Si alza e pensa. Tocca ancora il calice come per attingere forza da quell’oggetto toccato dal<br />

Maestro. Si guarda intorno... Vede, ancora nel suo angolo dove Gesù l’ha posto, il purificatoio usato<br />

dal Maestro per asciugarsi le mani dopo la lavanda e l’altro che si era cinto alla vita. Li prende, li<br />

piega e li carezza e bacia.<br />

Resta ancora perplesso, ritto in mezzo alla stanza vuota. Dice: «Andiamo!», ma non si muove verso<br />

la porta. Anzi torna al tavolo e prende il calice e il pane spezzato in un angolo da Gesù per staccarne<br />

il boccone da dare a Giuda, intinto. Li bacia e, insieme ai due purificatoi, li prende e se li tiene<br />

stretti contro al cuore come una reliquia. Ripete: «Andiamo!», e sospira. Cammina verso la scaletta<br />

e la sale a spalle curve e a passi riluttanti e strascicati. Apre, esce.<br />

2 «Giovanni, sei venuto?». Maria è riapparsa sulla porta della sua stanza, sorreggendosi allo stipite<br />

come se non avesse forza di star ritta da sola.<br />

Giovanni alza il capo e la guarda. Vorrebbe parlare e apre la bocca. Ma non riesce. Due lacrimoni


gli rotolano giù dalle guance. Curva il capo, vergognoso della sua debolezza.<br />

«Vieni qui, Giovanni. Non piangere. Tu non devi piangere. Tu lo hai sempre amato e fatto felice.<br />

Ciò ti conforti».<br />

Queste parole aprono le dighe al pianto di Giovanni, che diviene tanto alto e fragoroso da fare<br />

affacciare la padrona, Maria Maddalena, la moglie di Zebedeo e le altre...<br />

«Vieni da me, Giovanni». Maria si stacca dallo stipite e prende per un polso il discepolo, e lo<br />

trascina dentro alla stanza come fosse un bambino, e chiude la porta piano, per isolarsi con lui.<br />

Giovanni non reagisce. Ma, quando si sente posare sul capo la mano tremante di Maria, cade in<br />

ginocchio posando al suolo gli oggetti che aveva contro il cuore e, viso contro il suolo, tenendo un<br />

lembo della veste di Maria premuto sul suo viso convulso, singhiozza: «Perdono! Perdono! Madre,<br />

perdono!».<br />

Maria, ritta e ambasciata, con una mano sul cuore e l’altra pendente lungo il fianco, con una voce di<br />

strazio dice: «Che ti devo perdonare, povero figliuolo? Che? A te!».<br />

Giovanni alza il volto, mostrandolo così come è, senza più traccia di orgoglio maschile, il volto di<br />

un povero bambino piangente, e grida: «Di averlo abbandonato! Di esser fuggito! Di non averlo<br />

difeso! Oh! Maestro mio! O Maestro, perdono! Dovevo morire prima di lasciarti! Madre, Madre,<br />

chi mi leverà più questo rimorso?».<br />

«Pace, Giovanni. Egli ti perdona, ti ha già perdonato. Non ha mai tenuto conto del tuo smarrimento.<br />

Ti ama». Maria parla con soste fra le brevi frasi, come presa da affanno, tenendo una mano sul capo<br />

di Giovanni e una sul suo povero cuore che palpita d’angoscia.<br />

«Ma io non l’ho saputo capire neanche ieri sera... e ho dormito mentre Egli chiedeva il conforto del<br />

nostro vegliare. Solo l’ho lasciato, il mio Gesù! E poi sono scappato quando quel maledetto è<br />

venuto coi manigoldi...».<br />

«Giovanni, non maledire. Non odiare, Giovanni. Lascia al Padre il giudizio di farlo. 3 Ascolta: dove<br />

è Egli, ora?».<br />

Giovanni torna a cadere faccia a terra, piangendo più forte.<br />

«Rispondi, Giovanni. Dove è mio Figlio?».<br />

«Madre... io... Madre, è... Madre...».<br />

«È condannato, lo so. Ti chiedo: dove è in questo momento».<br />

«Ho fatto tutto il possibile perché mi vedesse... ho cercato di ricorrere a chi è potente per ottenere<br />

pietà, per farlo... per farlo soffrire meno. Non gli hanno fatto molto male...».<br />

«Non mentire, Giovanni. Neppure per pietà di una madre. Non ci riusciresti. E sarebbe inutile. <strong>Io</strong><br />

so. Da ieri sera l’ho seguito nel suo dolore. Tu non le vedi. Ma le mie carni sono contuse dai suoi<br />

stessi flagelli, ma alla mia fronte stanno le spine, ho sentito le percosse... tutto. Ma ora... non vedo<br />

più. Ora ignoro dove è il mio Figlio condannato alla croce!... alla croce!... alla croce!... Oh! <strong>Dio</strong>,<br />

dammi forza! Egli mi deve vedere. Non devo sentire il mio dolore finché Egli sente il suo. Quando<br />

poi sarà... finito tutto, fàmmi morire allora, o <strong>Dio</strong>, se vuoi. Ora no. Per Lui no. Perché mi veda.<br />

4 Andiamo, Giovanni. Dove è Gesù?».<br />

«Parte dalla casa di Pilato. Questo clamore è la turba che grida intorno a Lui, legato, sugli scalini<br />

del Pretorio, in attesa della croce o già camminante verso il Golgota».<br />

«Avverti tua madre, Giovanni, e le altre donne. E andiamo. Prendi quel calice, quel pane, quei lini...<br />

Mettili qui. Ci saranno di conforto... poi... e andiamo».<br />

Giovanni raccoglie gli oggetti rimasti al suolo ed esce per chiamare le donne. E Maria lo attende,<br />

passandosi sul viso quei lini come per ritrovare su essi la carezza della mano del Figlio, e bacia il<br />

calice e il pane, e mette tutto su una scansia. E si ammanta ben stretta nel suo manto calandolo fin<br />

sugli occhi, al di sopra del velo che le fascia il capo e le si attorciglia al collo. Non piange. Ma<br />

trema. E pare che l’aria le manchi tanto ansa a bocca aperta.<br />

Giovanni rientra seguito dalle donne piangenti.<br />

«Figlie! Tacete! Aiutatemi a non piangere! Andiamo». E si appoggia a Giovanni, che la guida e<br />

sorregge come fosse una cieca.<br />

La visione cessa così. Sono le 12,30 di ora, ossia le 11,30 dell’ora solare.


608. La via dolorosa dal Pretorio al Calvario.<br />

26 marzo 1945.<br />

1 Passa qualche tempo* così, non più di una mezz’ora, forse anche meno. Poi Longino, incaricato di<br />

presiedere all’esecuzione, dà i suoi ordini.<br />

Ma prima che Gesù sia condotto fuori, nella via, per ricevere la croce e mettersi in moto, Longino,<br />

che lo ha guardato due o tre volte, con una curiosità che si tinge già di compassione e con l’occhio<br />

pratico di chi non è nuovo a certe cose, si accosta a Gesù con un soldato e gli offre un ristoro: una<br />

coppa di vino, credo. Perché mesce da una vera borraccia militare un liquido di un biondo-roseo<br />

chiaro. «Ti farà bene. Devi avere sete. E fuori c’è sole. E lunga è la via».<br />

Ma Gesù risponde: «<strong>Dio</strong> ti compensi della tua pietà. Ma non te ne privare».<br />

«Ma io sono sano e forte... Tu... Non mi privo... E poi... volentieri lo farei, se fosse, per darti un<br />

conforto... Un sorso... per mostrarmi che non odii i pagani».<br />

Gesù non ricusa più e beve un sorso della bevanda. Ha le mani già slegate, come non ha più canna<br />

né clamide, e lo può fare da Sé. E poi rifiuta, nonostante la bevanda fresca e buona dovrebbe essere<br />

di un grande ristoro alla febbre che già si manifesta nelle striature rosse che si accendono sulle sue<br />

guance pallide e nelle labbra asciutte, screpolate.<br />

_______________________<br />

* qualche tempo, dalla fine della visione (604.35) che immediatamente precede nell’ordine di<br />

stesura (25 marzo 1945).<br />

«Prendi, prendi. È acqua e miele. Sostiene. Disseta... Mi fai pietà... sì... pietà... Non eri Tu da<br />

uccidere fra gli ebrei... Mah!... <strong>Io</strong> non ti odio... e cercherò di farti soffrire solo il necessario» .<br />

Ma Gesù non torna a bere... Ha veramente sete... La tremenda sete degli svenati e dei febbrili... Sa<br />

che non è bevanda narcotizzata e berrebbe volentieri. Ma non vuole soffrire meno. Ma io<br />

comprendo, come comprendo questo che dico per luce interna, che ancora più che l’acqua melata<br />

gli è di ristoro la pietà del romano.<br />

«<strong>Dio</strong> ti renda in benedizione questo sollievo», dice poi. E ha ancora un sorriso... uno straziante<br />

sorriso con la bocca enfiata, ferita, che si piega a fatica, anche perché fra il naso e lo zigomo destro<br />

sta enfiando fortemente la forte contusione della bastonata presa nel cortile interno dopo la<br />

flagellazione.<br />

2 Sopraggiungono i due ladroni, inquadrati da una decuria per uno di armati.<br />

È l’ora di andare. Longino dà gli ultimi ordini.<br />

Una centuria si dispone in due file distanti un tre metri l’una dall’altra ed esce così nella piazza, su<br />

cui un’altra centuria ha formato un quadrato per respingere la folla acciò non ostacoli il corteo.<br />

Sulla piazzetta sono già degli uomini a cavallo: una decuria di cavalleria con un giovane graduato<br />

che la comanda e con le insegne. Un soldato a piedi tiene per la briglia il morello del centurione.<br />

Longino monta in sella e va al suo posto, davanti un due metri dagli undici a cavallo.<br />

Portano le croci. Quelle dei due ladroni sono più corte. Quella di Gesù molto più lunga. <strong>Io</strong> dico che<br />

l’asta verticale non lo è meno di un quattro metri.<br />

<strong>Io</strong> la vedo portata già formata. Ho letto su questo, quando leggevo... ossia anni fa, che la croce fu<br />

composta sulla cima del Golgota e che lungo il cammino i condannati portavano solo i due pali a<br />

fascio sulle spalle. Tutto può essere. Ma io vedo una vera croce, ben contesta, solida, perfettamente<br />

incastrata nell’incrocio dei due bracci e ben rinforzata con chiodi e bulloni negli stessi. E infatti, se<br />

si pensa che era destinata a sostenere un peso non indifferente, quale è il corpo di un adulto, e<br />

sostenerlo anche nelle convulsioni finali, non indifferenti, si comprende che non poteva essere<br />

fabbricata lì per lì sulla stretta e scomoda cima del Calvario.<br />

Prima di dare la croce a Gesù, gli passano al collo la tavola con la scritta Gesù Nazzareno Re dei<br />

Giudei. E la fune che la sostiene si impiglia nella corona, che si sposta e sgraffia dove non è già<br />

sgraffiato e penetra in nuovi posti dando nuovo dolore e facendo sgorgare nuovo sangue. La gente


ide di sadica gioia, insulta, bestemmia.<br />

Ora sono pronti. E Longino dà l’ordine di marcia. «Per primo il Nazzareno, dietro i due ladroni; una<br />

decuria intorno ad ognuno, le altre sette decurie a fare da ala e rinforzo, e sarà responsabile il<br />

soldato che fa ferire a morte i condannati».<br />

3 Gesù scende i tre scalini che dal vestibolo portano sulla piazza. E appare subito evidente che Gesù<br />

è in condizioni di forte debolezza. Vacilla nello scendere i tre scalini, impicciato dalla croce che<br />

preme sulla spalla tutta piagata, dalla tabella della scritta che ballonzola sul davanti e sega sul collo,<br />

dagli ondeggiamenti che imprime al corpo la lunga asta della croce, che sobbalza sugli scalini e<br />

sulle asperità del suolo.<br />

I giudei ridono, nel vederlo come ubriaco tentennare, e gridano ai soldati: «Urtatelo. Fatelo cadere.<br />

Nella polvere il bestemmiatore!». Ma i soldati fanno soltanto ciò che devono, ossia ordinano al<br />

Condannato di mettersi in mezzo alla via e di camminare.<br />

Longino sprona il cavallo, e il corteo si mette in moto lentamente. E Longino vorrebbe anche fare<br />

presto, prendendo la via più breve per andare al Golgota, perché non è sicuro della resistenza del<br />

Condannato. Ma la teppa scatenata, e chiamarla teppa è ancora un onore, non vuole così. Quelli che<br />

sono stati più furbi sono già corsi in avanti, al bivio dove la strada si biforca per andare da una parte<br />

verso le mura, dall’altra verso la città, e tumultuano, urlando, quando vedono che Longino tenta<br />

pigliare quella delle mura. «Non devi! Non devi! È illegale! La Legge dice che i condannati devono<br />

essere visti dalla città dove peccarono!». I giudei in coda al corteo comprendono che là davanti si<br />

tenta defraudarli di un diritto e uniscono le loro urla a quelle dei colleghi.<br />

Per amor di pace, Longino piega per la via che va verso la città e ne fa un pezzo. Ma fa anche cenno<br />

ad un decurione di venirgli accosto (dico decurione perché è il graduato, ma forse è quello che noi<br />

diremmo il suo ufficiale di ordinanza) e gli dice qualche cosa piano. Costui torna indietro al trotto e,<br />

man mano che raggiunge ogni capo decuria, trasmette l’ordine. Poi ritorna presso Longino a riferire<br />

che è fatto. E infine raggiunge il posto di prima, nella fila dietro a Longino.<br />

4 Gesù procede ansando. Ogni buca della via è un tranello per il suo piede vacillante e una tortura<br />

per le sue spalle impiagate, per il suo capo coronato di spine su cui scende a perpendicolo un sole<br />

esageratamente caldo, che ogni tanto si nasconde dietro un tendone plumbeo di nubi. Ma che, anche<br />

se nascosto, non cessa di ardere. Gesù è congestionato dalla fatica, dalla febbre e dal caldo. Penso<br />

che anche la luce e gli urli gli debbano dare tormento. E, se non può tapparsi gli orecchi per non<br />

sentire quei gridi sgangherati, socchiude gli occhi per non vedere la strada abbacinante di sole... Ma<br />

li deve anche riaprire perché inciampa in sassi e buche, e ogni inciampone è dolore perché smuove<br />

bruscamente la croce che urta sulla corona, che si sposta sulla spalla piagata e allarga la piaga e<br />

accresce il dolore.<br />

I giudei non possono più colpirlo direttamente. Ma ancora qualche sasso arriva e qualche bastonata.<br />

<strong>Il</strong> primo, specie nelle piazzette piene di folla. Le seconde, invece, nelle svolte, per le stradette tutte a<br />

scalini che salgono e scendono, ora uno, ora tre, ora più, per i continui dislivelli della città. Lì, per<br />

forza, il corteo rallenta, e c’è sempre qualche volonteroso (!) che sfida le lance romane pur di dare<br />

un nuovo tocco al capolavoro di tortura che è ormai Gesù.<br />

I soldati lo difendono come possono. Ma anche per difenderlo lo colpiscono, perché le lunghe aste<br />

delle lance, brandite in così poco spazio, lo urtano e lo fanno incespicare. Ma, giunti ad un certo<br />

punto, i soldati fanno una manovra impeccabile e, nonostante gli urli e le minacce, il corteo devia<br />

bruscamente per una via che va diretta verso le mura, in discesa, una via che abbrevia molto<br />

l’andare verso il luogo del supplizio.<br />

Gesù ansa sempre più. <strong>Il</strong> sudore gli riga il volto insieme al sangue che gli geme dalle ferite della<br />

corona di spine. La polvere si appiccica a questo volto bagnato e lo fa maculato di macchie strane.<br />

Perché vi è anche vento, ora. Delle folate sincopate a lunghi intervalli, in cui ricade la polvere che la<br />

folata ha alzata in vortici, che portano detriti negli occhi e nelle fauci.<br />

Alla porta Giudiziaria sono già ammucchiate persone e persone. Quelli che, previdenti, si sono per<br />

tempo scelti un buon posto per vedere. Ma, poco prima di giungere ad essa, Gesù dà già segno di<br />

cadere. Solo il pronto intervento di un soldato, sul quale Egli quasi va a cadere, impedisce che Gesù<br />

vada per terra. La gentaglia ride e urla: «Lascialo! Diceva a tutti: “Sorgete”. Sorga Lui, ora... ».


Oltre la porta è un torrentello e un ponticello. Nuova fatica per Gesù andare su quelle tavole<br />

sconnesse, sulle quali rimbalza ancor più fortemente la lunga asta della croce. E nuova miniera di<br />

proiettili per i giudei. Volano i sassi del torrente e colpiscono il povero Martire...<br />

5Ha inizio la salita del Calvario. Una via nuda, senza un filo d’ombra, selciata a pietre sconnesse,<br />

che attacca direttamente la salita.<br />

Anche qui, quando leggevo, ho letto che il Calvario era alto pochi metri. Sarà. Non è certo un<br />

monte. Ma un colle lo è, e non certo più basso di quello che è, rispetto ai Lungarni, il monte alle<br />

Croci, là dove è la basilica di S. Miniato, a Firenze. Qualcuno dirà: «Oh! poca cosa!». Sì, per uno<br />

sano e forte è poca cosa. Ma basta avere il cuore debole per sentire se è poca o tanta!... <strong>Io</strong> so che,<br />

dopo che mi si ammalò il cuore, anche se ancora in forma benigna, non potevo più fare quella salita<br />

senza soffrirne molto e dovendo sostare ad ogni poco, e non avevo pesi sulle spalle. E Gesù credo<br />

che avesse il cuore molto male a posto dopo la flagellazione e il sudore sanguigno... e non<br />

contemplo altro che queste due cose.<br />

Gesù soffre perciò acutamente nel salire e col peso della croce che, così lunga come è, deve anche<br />

pesare molto.<br />

Trova una pietra sporgente e siccome, sfinito come è, alza ben poco il piede, inciampa e cade sul<br />

ginocchio destro, riuscendo però a sorreggersi con la mano sinistra. La gente urla di gioia... Si<br />

rialza. Procede. Sempre più curvo e ansante, congestionato, febbrile...<br />

<strong>Il</strong> cartello che gli ballonzola davanti gli ostacola la vista; la veste lunga che, ora che Lui va curvo,<br />

strascica per terra sul davanti, gli ostacola il passo. Inciampa di nuovo e cade sui due ginocchi,<br />

ferendosi di nuovo dove è già ferito; e la croce che gli sfugge di mano e cade, dopo averlo percosso<br />

fortemente sulla schiena, lo obbliga a chinarsi a rialzarla ed a faticare per porsela sulle spalle di<br />

nuovo. Mentre fa questo, appare nettamente visibile sulla spalla destra la piaga fatta dallo<br />

sfregamento della croce, che ha aperto le molte piaghe dei flagelli e le ha unificate in una sola che<br />

trasuda siero e sangue, di modo che la tunica bianca è in quel luogo tutta macchiata. La gente ha<br />

persino degli applausi per la gioia di vederlo cadere così male...<br />

Longino incita a spicciarsi, e i soldati, con colpi di piatto dati con le daghe, sollecitano il povero<br />

Gesù a procedere. Si riprende il cammino con una lentezza sempre maggiore, nonostante ogni<br />

sollecitazione.<br />

Gesù sembra tutt’affatto ebbro, tanto va barcollando, urtando or l’una or l’altra delle file dei soldati,<br />

tenendo tutta la via. E la gente lo nota e urla: «Gli è andata al capo la sua dottrina. Ve’, ve’ come<br />

traballa!». E altri, e non sono popolo questi, ma sacerdoti e scribi, sogghignano: «No. Sono i festini<br />

in casa di Lazzaro che ancora fanno fumo. Erano buoni? Ora mangia il nostro cibo...», e simili altre<br />

frasi.<br />

6Longino, che si volta ogni tanto, ha pietà e ordina una sosta di qualche minuto. Ed è insultato tanto<br />

dalla plebaglia che il centurione ordina alle milizie di caricare. E la folla vile, davanti alle lance che<br />

luccicano e minacciano, si allontana urlando e gettandosi qua e là giù per il monte.<br />

È qui che rivedo, fra i pochi rimasti, emergere da dietro una maceria, forse di qualche muretto<br />

franato, il gruppetto dei pastori. Desolati, stravolti, polverosi, stracciati, essi chiamano a loro, con la<br />

forza degli sguardi, il loro Maestro. Ed Egli gira il capo, li vede... li fissa come fossero volti di<br />

angeli, pare dissetarsi a fortificarsi col loro pianto, e sorride... Viene ridato l’ordine di marcia e Gesù<br />

passa proprio davanti a loro e ne ode il pianto angoscioso. Torce a fatica il capo da sotto il giogo<br />

della croce e ha un nuovo sorriso... I suoi conforti... Dieci volti... una sosta sotto al cocente sole...<br />

E poi subito il dolore della terza completa caduta. E questa volta non è che inciampi. Ma è che cade<br />

per subita flessione delle forze, per sincope. Va lungo disteso, battendo il volto sulle pietre<br />

sconnesse, rimanendo nella polvere sotto la croce che gli si piega addosso. I soldati cercano<br />

rialzarlo. Ma, poiché pare morto, vanno a riferire al centurione. Mentre vanno e vengono, Gesù<br />

rinviene, e lentamente, con l’aiuto di due soldati, di cui uno rialza la croce e l’altro aiuta il<br />

Condannato a porsi in piedi, si rimette al suo posto. Ma è proprio sfinito.<br />

«Fate che non muoia che sulla croce! », urla la folla.<br />

«Se lo fate morire avanti, ne risponderete al Proconsole, ricordatelo. <strong>Il</strong> reo deve giungere vivo al<br />

supplizio», dicono i capi degli scribi ai soldati.


Questi li fulminano con sguardi feroci, ma per disciplina non parlano.<br />

7 Longino, però, ha la stessa paura dei giudei che il Cristo muoia per via, e non vuole noie. Senza<br />

bisogno che nessuno glielo ricordi, sa quale è il suo dovere di preposto alla esecuzione, e provvede.<br />

Provvede disorientando i giudei che sono già corsi avanti per la via, raggiunta da tutte le parti del<br />

monte, sudando, graffiandosi per passare fra i rari e spinosi cespugli del monte brullo e arso,<br />

cadendo sulle macerie che lo ingombrano come fosse un luogo di sbratto per Gerusalemme, senza<br />

sentire altra pena fuorché quella di perdere un ansito del Martire, un suo sguardo di dolore, un atto<br />

anche involontario di sofferenza, e senza altra paura che non sia quella di non giungere ad avere un<br />

buon posto.<br />

Longino dà, dunque, ordine di prendere la via più lunga, che sale a spirale lungo il monte e che<br />

perciò è molto meno ripida. Sembra questa un sentiero che a forza di essere percorso si sia mutato<br />

in via abbastanza comoda.<br />

Questo incrocio di una via con l’altra avviene ad una metà circa del monte. Ma vedo che più su, per<br />

quattro volte, la strada diretta viene tagliata da questa, che va su con molto meno pendenza e molto<br />

più lunghezza in compenso. E su questa strada sono persone che salgono, ma che non partecipano<br />

all’indegna gazzarra degli ossessi che seguono Gesù per godere dei suoi tormenti. Donne, per la più<br />

parte, e piangenti e velate, e qualche gruppetto di uomini, molto sparuto in verità, che, più avanti di<br />

molto delle donne, sta per scomparire alla vista quando, nel proseguire, la strada gira il monte.<br />

Qui il Calvario ha una specie di punta nella sua bizzarra struttura, fatta a muso da una parte, mentre<br />

dall’altra scoscende. Cercherò dargliene un’idea del suo aspetto preso di profilo. Ma bisogna che<br />

volti il foglio, perché qui mi viene male per mancanza di spazio*.<br />

Gli uomini scompaiono dietro la punta sassosa e li perdo di vista.<br />

8 La gente che seguiva Gesù urla di rabbia. Era più bello, per essa, vederlo cadere. Con oscene<br />

imprecazioni al Condannato e a chi lo conduce, si dà in parte a seguire il corteo giudiziario e parte<br />

prosegue quasi di corsa su per la via ripida, per rifarsi, con un ottimo posto sulla vetta, della<br />

delusione avuta.<br />

Le donne che vanno piangendo, e sono al punto che segno con la lettera D, si volgono nel sentire gli<br />

urli e vedono che il corteo piega per quella parte. Si fermano, allora, addossandosi al monte, per<br />

tema di essere gettate giù dalla china dai violenti giudei. Calano ancor più i loro veli sul volto. E vi<br />

è chi è completamente velata come una mussulmana, lasciando liberi solo gli occhi nerissimi. Sono<br />

vestite molto riccamente ed hanno, a difesa, un vecchio robusto che, tutto ammantellato come è,<br />

non distinguo nel volto. Ne vedo solo la barba lunga, e più bianca che nera, sporgere dal mantellone<br />

scurissimo.<br />

Quando Gesù giunge alla loro altezza, esse hanno un pianto più alto e si curvano in profondo saluto.<br />

Poi si fanno risolutamente avanti. I soldati vorrebbero respingerle con le aste. Ma quella tutta<br />

coperta come una mussulmana scosta per un attimo il velo all’alfiere, sopraggiunto a cavallo per<br />

vedere che è questo nuovo intoppo, e questo dà ordine di farla passare. Non posso vedere né il<br />

volto, né il vestito, perché lo spostamento del velo è fatto con rapidità di lampo e l’abito è tutto<br />

nascosto in un mantello lungo fino a terra, pesante, chiuso completamente da una serie di fibbie. La<br />

mano, che per un attimo esce da là sotto per spostare il velo,<br />

_______________________<br />

* spazio. Nello schizzo che MV fa seguire si legge, alla base, Porta Giudiziaria al centro delle<br />

mura della Città. Poco più sopra, in parallelo, è per due volte la parola Torrente, e all’estremità<br />

destra ortaglie. La didascalia a sinistra dice: <strong>Il</strong> Calvario. La via quadrettata è quella ripida,<br />

abbandonata, per lo stato di Gesù, dove cessa il segno rosso [che va dalla “Porta Giudiziaria” al<br />

primo incrocio]. Quella rossa la via a spirale fatta poi da Gesù [a partire dal primo incrocio]. I<br />

punti segnati con le lettere D e M trovano spiegazione nel testo. Oltre alla via in rosso, MV<br />

tinteggia il monte in giallo e il torrente in bleu.<br />

è bianca e bella. Ed è, con gli occhi nerissimi, l’unica cosa che si veda di questa alta matrona, certo<br />

influente se è così ubbidita dall’aiutante di Longino.<br />

9 Si accostano a Gesù piangendo e si inginocchiano ai suoi piedi mentre Egli si ferma ansante... e<br />

pure sa ancora sorridere a quelle pietose e all’uomo che le scorta, che si scopre per mostrare che è


Gionata. Ma questo le guardie non lo fanno passare. Solo le donne.<br />

Una è Giovanna di Cusa. Ed è più disfatta di quando era morente*. Di rosso non ha che le righe del<br />

pianto, e poi è tutta una faccia di neve con i dolci occhi neri che, così offuscati come sono,<br />

sembrano divenuti di un viola scurissimo come certi fiori. Ha in mano un’anfora d’argento e l’offre<br />

a Gesù. Ma Egli ricusa. D’altronde, è tanto il suo affanno che non potrebbe neppur bere. Con la<br />

mano sinistra si asciuga il sudore e il sangue che gli cade negli occhi e che, scorrendo lungo le<br />

guance paonazze e il collo, dalle vene turgide nel battito affannoso del cuore, bagna tutta la veste<br />

sul petto.<br />

Un’altra donna, che ha preso una fanciulla servente con uno scrignetto fra le braccia, apre lo<br />

scrignetto, ne trae un lino finissimo, quadrato, e lo offre al Redentore. Questo lo accetta. E poiché<br />

non può con una mano sola fare da Sé, la pietosa lo aiuta, badando di non urtargli la corona, a<br />

posarselo sul volto. E Gesù preme il fresco lino sulla sua povera faccia a ve lo tiene, come ne<br />

trovasse un grande ristoro.<br />

Poi rende il lino e parla: «Grazie Giovanna, grazie Niche,... Sara,... Marcella,... Elisa,... Lidia,...<br />

Anna,... Valeria,... e tu... Ma... non piangete... su Me... figlie di... Gerusalemme... Ma sui peccati...<br />

vostri e su quelli... della vostra città... Benedici... Giovanna... di non avere... più figli... Vedi... è<br />

pietà di <strong>Dio</strong>... non... non avere figli... perché... soffrano di... questo. E anche... tu, Elisabetta...<br />

Meglio... come fu... che fra i deicidi... E voi... madri... piangete sui... figli vostri, perché... quest’ora<br />

non passerà... senza castigo... E che castigo, se così è per... l’Innocente... Piangerete allora... di<br />

avere concepito... allattato e di... avere ancora... i figli... Le madri... di allora... piangeranno perché...<br />

in verità vi dico... che sarà fortunato... chi allora... cadrà... sotto le macerie... per primo. Vi<br />

benedico... Andate... a casa... pregate... per Me. Addio, Gionata... conducile via...».<br />

E fra un alto clamore di pianto femminile e di imprecazioni giudee Gesù si rimette in moto.<br />

10 Gesù è di nuovo tutto bagnato di sudore. Sudano anche i soldati e gli altri due condannati, perché<br />

il sole di questo giorno temporalesco è scottante come fiamma e il fianco del monte, arroventato di<br />

suo, aumenta il calore solare.<br />

Cosa deve essere questo sole sulla veste di lana di Gesù, posta sulle ferite dei flagelli, è facile<br />

pensare e inorridire... Ma Egli non ha mai un lamento. Soltanto, nonostante la via sia molto meno<br />

ripida e non abbia quelle pietre sconnesse dell’altra, così pericolose al suo piede che ormai è<br />

strascicante, Gesù barcolla sempre più forte, tornando ad urtare da una fila all’altra dei soldati e<br />

piegando<br />

______________________<br />

* quando era morente, in 102.7.<br />

sempre più verso terra.<br />

Pensano di risolvere la cosa in bene passandogli una fune alla cintura e tenendolo per due capi come<br />

fossero redini. Sì. Questo lo sostiene. Ma non lo solleva dal peso. Anzi la fune, urtando nella croce,<br />

la fa spostare continuamente sulla spalla e picchiare nella corona, che ormai ha fatto della fronte di<br />

Gesù un tatuaggio sanguinante. Inoltre, la fune sfrega alla cintura dove sono tante ferite, e certo le<br />

deve rompere di nuovo, tanto che la tunica bianca si colora alla vita di un rosso pallido. Per aiutarlo,<br />

lo fanno soffrire più ancora.<br />

11 La strada prosegue. Gira il monte, torna quasi sul davanti, verso la strada erta. Qui, nel posto che<br />

segno con la lettera M, è Maria con Giovanni. Direi che Giovanni l’ha portata in quel posto<br />

ombroso, dietro la china del monte, per darle un poco di ristoro. È la parte più scoscesa del monte.<br />

Non vi è che quella via che la costeggia. Sopra e sotto la costa scoscende o si inerpica ripida, e<br />

perciò è trascurata dai crudeli. Lì è ombra, perché direi che è il settentrione, e Maria, addossata<br />

come è al monte, è riparata dal sole. Sta appoggiata al terriccio. In piedi, ma già esausta, Ella pure<br />

ansante, pallida come una morta nel suo abito blu scurissimo, quasi nero. Giovanni la guarda con<br />

pietà desolata. Anche egli ha perduto ogni traccia di colore ed è terreo, con due occhi stanchi e<br />

sbarrati, spettinato, dalle gote incavate come per malattia.<br />

Le altre donne - Maria e Marta di Lazzaro, Maria d’Alfeo e di Zebedeo, Susanna di Cana, la<br />

padrona di casa e altre ancora che non conosco* - tutte sono in mezzo alla via a guardano se viene il<br />

Salvatore. E, visto giungere Longino, accorrono presso Maria a dare la notizia. E Maria, sorretta per


un gomito da Giovanni, si stacca, maestosa nel suo dolore, dalla costa del monte e si pone<br />

risolutamente in mezzo alla strada, scansandosi solo per il sopraggiungere di Longino, che dall’alto<br />

del suo morello guarda la pallida Donna e il suo accompagnatore biondo, pallido, dai miti occhi di<br />

cielo come Lei. E crolla il capo, Longino, mentre la supera seguito dagli undici a cavallo.<br />

Maria cerca passare fra i soldati appiedati. Ma questi, che hanno caldo e fretta, cercano respingerla<br />

con le aste, molto più che dalla via selciata volano sassi per protesta contro tante pietà. Sono i<br />

giudei, che ancora imprecano per la sosta causata dalle pie donne e dicono: «Presto! Domani è<br />

Pasqua. Bisogna finire tutto entro sera! Complici! Derisori della nostra Legge! Oppressori! A morte<br />

gli invasori e il loro Cristo! Lo amano! Veh! come lo amano! Ma prendetelo! Mettetelo nel vostro<br />

maledetto Urbe! Ve lo cediamo! Non lo vogliamo! Le carogne alle carogne! La lebbre ai lebbrosi!».<br />

12 Longino si stanca e sprona il cavallo, seguito dai dieci lancieri, contro la canea insultante, che<br />

fugge una seconda volta. Ed è nel fare questo che vede fermo un carretto, certo salito lì dalle<br />

ortaglie che sono ai piedi del monte, e che attende col suo carico di insalate che la turba sia passata<br />

per scendere verso la città. Penso<br />

________________________<br />

* non conosco, poiché la data della presente visione precede quella della maggior parte delle visioni<br />

della vita pubblica di Gesù.<br />

che un poco di curiosità nel Cireneo e nei suoi figli lo abbia fatto salire fin lì, perché non era proprio<br />

necessario per lui di farlo. I due figli, sdraiati sull’alto del mucchio verdolino delle verdure,<br />

guardano e ridono dietro i giudei fuggenti. L’uomo invece, un robustissimo uomo sui<br />

quaranta-cinquant’anni, ritto presso il ciuchino che spaventato cerca di rinculare, guarda<br />

attentamente verso il corteo.<br />

Longino lo squadra. Pensa gli possa far comodo e ordina: «Uomo, vieni qui».<br />

<strong>Il</strong> Cireneo finge di non sentire. Ma con Longino non si scherza. Ripete l’ordine in un modo tale che<br />

l’uomo getta la redine ad un figlio e viene vicino al centurione.<br />

«Vedi quell’uomo?», chiede. E nel dire così si volge per indicare Gesù e vede a sua volta Maria, che<br />

supplica i soldati di farla passare. Ne ha pietà e urla: «Fate passare la Donna». Poi torna a parlare al<br />

Cireneo: «Non può più procedere così carico. Tu sei forte. Prendi la sua croce e portala per Lui sino<br />

alla cima».<br />

«Non posso... Ho l’asino... è riottoso... i ragazzi non sanno tenerlo...».<br />

Ma Longino dice: «Vai, se non vuoi perdere l’asino e acquistare venti colpi di castigo».<br />

<strong>Il</strong> Cireneo non osa più reagire. Urla ai ragazzi: «Andate a casa e presto. E dite che vengo subito», a<br />

poi va da Gesù.<br />

13 Lo raggiunge proprio mentre Gesù si volge verso la Madre, che solo ora vede venire verso di Lui,<br />

perché procede così curvo e ad occhi quasi chiusi che è come fosse cieco, e grida: «Mamma!».<br />

È la prima parola, da quando è torturato, che esprima il suo soffrire. Perché in quel grido c’è la<br />

confessione di tutto e ogni suo tremendo dolore di spirito, di morale e di carne. È il grido straziato e<br />

straziante di un bambino che muore solo, fra aguzzini, fra le peggiori torture... e che giunge ad<br />

avere paura anche del suo proprio respiro. È il lamento di un fanciullo delirante che è straziato da<br />

visioni d’incubo... E vuole la mamma, la mamma, perché solo il suo bacio fresco calma l’ardore<br />

della febbre, la sua voce fuga i fantasmi, il suo abbraccio fa meno paurosa la morte...<br />

Maria si porta la mano al cuore, come ne avesse una pugnalata, e ha un lieve vacillamento. Ma si<br />

riprende, affretta il passo e, mentre va a braccia tese verso la sua Creatura straziata, grida: «Figlio!».<br />

Ma lo dice in maniera tale che chi non ha cuore di iena se lo sente fendere per quel dolore.<br />

Vedo che anche fra i romani vi è un moto di pietà... eppure sono uomini d’arme, non nuovi alle<br />

uccisioni, segnati da cicatrici... Ma la parola «Mamma!» e «Figlio!» sono sempre quelle, e per tutti<br />

coloro che, ripeto, non sono peggio delle iene, e sono dette e comprese dovunque, e dovunque<br />

sollevano onde di pietà...<br />

<strong>Il</strong> Cireneo ha questa pietà... E poiché vede che Maria non può abbracciare il suo Figlio per via della<br />

croce e, dopo avere teso le braccia, le lascia ricadere, persuasa di non poterlo fare - e lo guarda<br />

soltanto, volendo sorridere del suo martire sorriso per rincuorarlo, mentre le labbra tremanti bevono<br />

il pianto, e Lui, torcendo il capo da sotto il giogo della croce, cerca a sua volta di sorriderle e di


inviarle un bacio con le povere labbra ferite e spaccate dalle percosse e dalla febbre - si affretta a<br />

levare la croce, e lo fa con delicatezza di padre, per non urtare la corona o strofinare sulle piaghe.<br />

Ma Maria non può baciare la sua Creatura... Anche il tocco più lieve sarebbe tortura sulle carni<br />

lacerate, e Maria se ne astiene, e poi... i sentimenti più santi hanno un pudore profondo. E vogliono<br />

rispetto o almeno compassione. Qui è curiosità e soprattutto scherno. Si baciano solo le due anime<br />

angosciate.<br />

14 <strong>Il</strong> corteo, che si rimette in moto sotto la spinta delle ondate di popolo furente che preme dal fondo,<br />

li divide, respingendo la Madre contro il monte, allo scherno di tutto un popolo...<br />

Ora dietro a Gesù è il Cireneo con la croce. E Gesù, libero di quel peso, procede meglio. Ansa<br />

fortemente, si porta sovente la mano al cuore, come avesse un grande dolore, una ferita lì, alla<br />

regione sterno-cardiaca, e ora che può, non avendo più le mani legate, si respinge i capelli caduti in<br />

avanti, tutti collosi di sangue e sudore, fin dietro le orecchie, per sentire aria sul volto cianotico, si<br />

slaccia il cordone del collo, per la sofferenza del respiro... Ma può camminare meglio.<br />

Maria si è ritirata con le donne. Si accoda al corteo quando è passato e poi, per una scorciatoia, si<br />

dirige alla vetta del monte, sfidando gli improperi della plebe cannibalesca.<br />

Ora che Gesù è libero, si compie abbastanza presto l’ultimo anello del monte, e già si è prossimi<br />

alla cima tutta piena di popolo urlante.<br />

Longino si ferma e dà ordine che tutti, inesorabilmente, siano respinti più in basso, perché la cima,<br />

luogo di esecuzione, sia libera. E metà centuria eseguisce l’ordine, accorrendo sul posto e<br />

respingendo senza pietà chiunque là si trova, usando daghe e aste per questo. Sotto la grandine delle<br />

piattonate e delle bastonate, i giudei della cima fuggono. E vorrebbero collocarsi nella sottostante<br />

spianata. Ma quelli che già sono in essa non cedono, e fra la gente si accendono risse feroci.<br />

Sembrano tutti pazzi.<br />

15 Come le ho detto* lo scorso anno, il Calvario, nella sua cima, ha la forma di un trapezio irregolare,<br />

lievemente più alto nel lato A, dopo il quale il monte scoscende ripido per oltre metà della sua<br />

altezza. Su questa piazzuola sono già pronti tre buchi profondi, tappezzati di mattoni o lavagne,<br />

costruiti apposta, insomma. Vicino ad essi sono pietre e terra pronte per rincalzare le croci. Altri<br />

buchi invece sono stati lasciati pieni di pietre. Si capisce che li svuotano di volta in volta per il<br />

numero che serve.<br />

Sotto la cima trapezoidale, dalla parte che il monte non scoscende, vi è una specie di piattaforma<br />

degradante dolcemente, che fa una seconda piazzuola. Da questa partono due larghi sentieri che<br />

costeggiano la cima, di modo che questa è isolata e sopraelevata di almeno due metri da tutti i lati.<br />

____________________<br />

* Come le ho detto (a Padre Migliorini) lo scorso anno, nella visione descritta il 18 febbraio 1944<br />

e facente parte di una “Passione” più compendiosa, come è spiegato in nota a 587.13.<br />

I soldati, che hanno respinto la folla dalla cima, domano, a colpi persuasivi di aste, le risse, e fanno<br />

largo perché il corteo possa sfilare senza ostacoli nell’ultimo pezzo di strada, e restano li a fare ala<br />

mentre i tre condannati, inquadrati dai cavalieri e protetti dall’altra metà centuria alle spalle,<br />

giungono fino al punto dove vengono fatti fermare: ai piedi del naturale palco sopraelevato che è<br />

la cima del<br />

Golgota.<br />

16 Mentre ciò avviene, scorgo le Marie al punto che segno con un M, e un poco dietro a loro sono<br />

Giovanna di Cusa con altre quattro delle dame di prima. Le altre si sono ritirate. E devono averlo<br />

fatto da sole, perché Gionata è là, dietro alla sua padrona. Non c’è più quella che noi diciamo<br />

Veronica e che Gesù ha detta Niche, e con lei manca la sua servente. E anche quella tutta velata, che<br />

fu obbedita dai soldati, non c’è più. Vedo Giovanna, la vecchia chiamata Elisa, Anna (è la padrona<br />

di quella casa dove Gesù va alla vendemmia del primo anno*) e due che non so identificare meglio.<br />

Dietro queste donne e le Marie vedo Giuseppe e Simone d’Alfeo, e Alfeo di Sara insieme al gruppo<br />

dei pastori. Hanno colluttato con chi li voleva respingere insultandoli, e la forza di questi uomini,<br />

che l’amore e il dolore moltiplicano, è stata cosi violenta** che hanno vinto, creando un


semicerchio libero contro il quale i vilissimi giudei non osano che lanciare grida di morte e tendere i<br />

pugni. Ma non di più, perché i bastoni dei pastori sono nodosi e pesanti, e la forza e la mira non<br />

manca a questi prodi. E non dico male a dire così. Ci vuole un vero coraggio a stare in pochi, noti<br />

per galilei o seguaci del Galileo, contro tutta una popolazione ostile. L’unico punto di tutto il<br />

Calvario dove non si bestemmi il Cristo!<br />

<strong>Il</strong> monte, dai tre lati che scendono non ripidi a valle, è tutto un formicolaio di folla. La terra<br />

giallastra e nuda non si vede più. Sotto il sole che va e viene pare un prato fiorito di corolle di tutti i<br />

colori, tanto sono fitti i copricapi e i mantelli dei sadici che lo coprono. Oltre torrente, per la via,<br />

altra folla; oltre le mura, altra ancora. Sulle terrazze più vicine, altra ancora. <strong>Il</strong> resto della città<br />

nudo... vuoto... silenzioso. Tutto è qui. Tutto l’amore e tutto l’odio. Tutto il Silenzio che ama e<br />

perdona. Tutto il Clamore che odia e impreca.<br />

17 Mentre gli uomini preposti all’esecuzione preparano i loro strumenti finendo di svuotare le buche,<br />

e i condannati aspettano al centro del loro quadrato, i giudei, rifugiati nell’angolo opposto alle<br />

Marie, le insultano. Anche la Madre insultano: «A morte i galilei. A morte! Galilei! Galilei!<br />

Maledetti! A morte il Bestemmiatore galileo. Inchiodate sulla croce anche il seno che lo ha portato!<br />

Via le vipere che partoriscono i demoni! A morte! Mondate Israele dalle femmine congiunte col<br />

capro!...».<br />

_______________________<br />

* alla vendemmia del primo anno, nel capitolo 108. L’annotazione tra parentesi è in calce alla<br />

pagina del quaderno autografo.<br />

** è stata così violenta, invece di sono state così violente, è correzione di MV su una copia<br />

dattiloscritta.<br />

Longino, che è smontato da cavallo, si volta e vede la Madre... Ordina di far cessare quella<br />

gazzarra... La mezza centuria, che era alle spalle dei condannati, carica la marmaglia e sgombera del<br />

tutto la seconda piazzuola, mentre i giudei scappano per il monte pestandosi gli uni con gli altri.<br />

Smontano anche gli altri soldati, e uno prende gli undici cavalli, oltre quello del centurione, e li<br />

porta all’ombra, dietro il costolone B del monte.<br />

<strong>Il</strong> centurione si avvia verso la vetta. Giovanna di Cusa si fa avanti, lo ferma. Gli dà l’anfora e una<br />

borsa. E poi si ritira piangendo, andando contro lo spigolo del monte con le altre.<br />

18 In alto è pronto tutto. Vengono fatti salire i condannati. E Gesù passa ancora una volta presso la<br />

Madre, che ha un gemito che Ella stessa cerca frenare portandosi il mantello sulla bocca.<br />

I giudei vedono e ridono e deridono. Giovanni, il mite Giovanni, che ha un braccio dietro le spalle<br />

di Maria per sorreggerla, si volge con uno sguardo feroce. Ha persino l’occhio fosforescente. Se non<br />

avesse da tutelare le donne, io credo che prenderebbe qualcuno dei vili per la gola.<br />

Non appena i condannati sono sul palco fatale, i soldati circondano la piazzuola da tre lati. Non<br />

resta vuoto che quello a strapiombo.<br />

<strong>Il</strong> centurione dà ordine al Cireneo di andarsene. E questi se ne va, a malincuore ora, e non direi per<br />

sadismo, ma per amore. Tanto che si ferma presso i galilei, dividendo con essi gli insulti che la folla<br />

elargisce a questi sparuti fedeli del Cristo.<br />

I due ladroni gettano al suolo le loro croci bestemmiando. Gesù tace.<br />

La via dolorosa è terminata.<br />

609. La crocifissione, la morte e la deposizione dalla croce.<br />

27 marzo 1945.<br />

1 Quattro nerboruti uomini, che per l’aspetto mi paiono giudei, e giudei degni della croce più dei<br />

condannati, certo della stessa categoria dei flagellatori, saltano da un sentiero sul luogo del<br />

supplizio. Sono vestiti di tuniche corte e sbracciate ed hanno in mano chiodi, martelli e funi che


mostrano con lazzi ai tre condannati. La folla si agita in un delirio crudele.<br />

<strong>Il</strong> centurione offre a Gesù l’anfora perché beva la mistura anestetica di vino mirrato. Ma Gesù la<br />

rifiuta. I due ladroni invece ne bevono molta. Poi 1’anfora, dall’ampia bocca svasata, viene posta<br />

presso un grosso sasso, quasi sullo scrimolo della cima.<br />

2 Viene dato l’ordine ai condannati di spogliarsi. I due ladroni lo fanno senza nessun pudore. Anzi si<br />

divertono a fare atti osceni verso la folla e specie verso il gruppo sacerdotale, tutto candido nelle sue<br />

vesti di lino e che è piano piano tornato sulla piazzetta più bassa, usando della sua qualità per<br />

insinuarsi lì. Ai sacerdoti si sono uniti due o tre farisei e altri prepotenti personaggi, che l’odio fa<br />

amici. E vedo persone di conoscenza, come il fariseo Giocana e Ismaele, lo scriba Sadoch, Eli di<br />

Cafarnao...<br />

I carnefici offrono tre stracci ai condannati perché se li leghino all’inguine. E i ladroni li pigliano<br />

con più orrende bestemmie. Gesù, che si spoglia lentamente per lo spasimo delle ferite, lo ricusa.<br />

Forse pensa conservare le corte brache che ha tenute anche nella flagellazione. Ma, quando gli<br />

viene detto di levarsi anche le stesse, Egli tende la mano per mendicare lo straccio dei boia a difesa<br />

della sua nudità. È proprio l’Annichilito fino a dover chiedere uno straccio ai delinquenti.<br />

Ma Maria ha visto e si è sfilata il lungo e sottile telo bianco, che le vela il capo sotto al manto<br />

oscuro e nel quale Ella ha già versato tanto pianto. Se lo leva senza far cadere il manto, lo dà a<br />

Giovanni perché lo porga a Longino per il Figlio. <strong>Il</strong> centurione prende il velo senza fare ostacolo e,<br />

quando vede che Gesù sta per denudarsi del tutto, stando voltato non verso la folla ma verso la parte<br />

vuota di popolo, mostrando così la sua schiena rigata di lividi e di vesciche, sanguinante di ferite<br />

aperte o dalle croste oscure, gli porge il lino materno. E Gesù lo riconosce. Se ne avvolge a più<br />

riprese il bacino, assicurandoselo per bene perché non caschi... E sul lino, fino allora solo bagnato<br />

di pianto, cadono le prime gocce di sangue, perché molte delle ferite, appena coperte di coagulo, nel<br />

chinarsi per levarsi i sandali e deporre le vesti si sono riaperte e il sangue riprende a sgorgare.<br />

3 Ora Gesù si volge verso la folla. E si vede così che anche il petto, le braccia, le gambe sono tutte<br />

state colpite dai flagelli. All’altezza del fegato è un enorme livido, e sotto l’arco costale sinistro vi<br />

sono nette sette righe in rilievo, terminate da sette piccole lacerazioni sanguinanti fra un cerchio<br />

violaceo... un colpo feroce di flagello in quella zona tanto sensibile del diaframma. I ginocchi,<br />

contusi dalle ripetute cadute, iniziate subito dopo la cattura e terminate sul Calvario, sono neri di<br />

ematoma e aperti sulla rotula, specie il destro, in una vasta lacerazione sanguinante.<br />

La folla lo schernisce* come in coro: «Oh! Bello! <strong>Il</strong> più bello dei figli degli uomini! Le figlie di<br />

Gerusalemme ti adorano...». E intona, con tono di salmo: «<strong>Il</strong> mio diletto è candido e rubicondo,<br />

distinto fra mille e mille. La sua testa è oro puro, i suoi capelli grappoli di palma, setosi come piuma<br />

di corvo. Gli occhi son come due colombe bagnantesi ai ruscelli non d’acqua ma di latte, nel latte<br />

della sua orbita. Le sue guance sono aiuole di aromi, le sue labbra porpurei gigli stillanti preziosa<br />

mirra. Le sue mani tornite come lavoro d’orafo terminate in rosei giacinti. <strong>Il</strong> suo tronco è avorio<br />

venato di zaffiri. Le sue gambe, perfette colonne di candido marmo su basi d’oro. La sua maestà è<br />

come quella del Libano; imponente egli è più dell’alto cedro. La sua lingua è intrisa di dolcezza ed<br />

egli è tutto delizia»; e ridono e urlano anche: «<strong>Il</strong> lebbroso! <strong>Il</strong> lebbroso! Hai dunque fornicato con un<br />

idolo se <strong>Dio</strong> ti ha così colpito? Hai mormorato contro i santi di Israele come Maria di Mosè, se sei<br />

stato così punito? Oh! Oh! il Perfetto! Sei il Figlio di <strong>Dio</strong>? Ma no!<br />

_____________________<br />

* lo schernisce, con citazioni da: Salmo 45, 3; Cantico dei cantici 5, 10-16; e con allusioni a:<br />

Numeri 12; Deuteronomio 24, 9.<br />

L’aborto di Satana sei! Almeno egli, Mammona, è potente e forte. Tu... sei uno straccio impotente e<br />

schifoso».<br />

4 I ladroni sono legati sulle croci e vengono portati al loro posto, uno a destra, uno a sinistra, ma<br />

così: ¡ + ¡ rispetto al posto destinato a Gesù. Urlano, imprecano, maledicono e, specie quando le<br />

croci vengono portate presso il buco e li sconquassano facendo segare i polsi dalle funi, le loro<br />

bestemmie a <strong>Dio</strong>, alla Legge, ai romani, ai giudei, sono infernali.<br />

È la volta di Gesù. Egli si stende mite sul legno. I due ladroni erano tanto ribelli che, non bastando a


farlo i quattro boia, erano dovuti intervenire dei soldati a tenerli, perché a calci non respingessero<br />

gli aguzzini che li legavano per i polsi. Ma per Gesù non c’è bisogno di aiuto. Si corica e mette il<br />

capo dove gli dicono di metterlo. Apre le braccia come gli dicono di farlo, stende le gambe come gli<br />

ordinano. Si è solo preoccupato di accomodarsi per bene il suo velo. Ora il suo lungo corpo, snello e<br />

bianco, spicca sul legno oscuro e sul suolo giallo.<br />

5 Due carnefici gli si siedono sul petto per tenerlo fermo. E io penso che oppressione e che dolore<br />

deve aver provato sotto quel peso. Un terzo gli prende il braccio destro, tenendolo con una mano<br />

sulla prima porzione dell’avambraccio e l’altra al termine delle dita. <strong>Il</strong> quarto, che ha già in mano il<br />

lungo chiodo acuminato sulla punta quadrangolare nel fusto, terminato in una piastra rotonda e<br />

piatta, larga come un soldone dei tempi passati, guarda se il buco già fatto nel legno corrisponde<br />

alla giuntura radio-ulnare del polso. Va bene. <strong>Il</strong> boia appoggia la punta del chiodo al polso, alza il<br />

martello e dà il primo colpo.<br />

Gesù, che aveva gli occhi chiusi, all’acuto dolore ha un grido e una contrazione, e spalanca gli occhi<br />

nuotanti fra le lacrime. Deve essere un dolore atroce quello che prova... <strong>Il</strong> chiodo penetra spezzando<br />

muscoli, vene, nervi, frantumando ossa...<br />

Maria risponde al grido della sua Creatura torturata con un gemito che ha quasi del lamento di un<br />

agnello sgozzato, e si curva, come spezzata, tenendosi la testa fra le mani. Gesù, per non torturarla,<br />

non grida più. Ma i colpi ci sono, metodici, aspri, di ferro contro ferro... e si pensa che sotto è un<br />

membro vivo quello che li riceve.<br />

La mano destra è inchiodata. Si passa alla sinistra. <strong>Il</strong> foro non corrisponde al carpo. Allora prendono<br />

una fune, legano il polso sinistro e tirano fino a slogare la giuntura e a strappare tendini e muscoli,<br />

oltre che lacerare la pelle già segata dalle funi della cattura. Anche l’altra mano deve soffrire, perché<br />

è stirata per riflesso, e intorno al suo chiodo si allarga il buco. Ora si arriva appena all’inizio del<br />

metacarpo, presso il polso. Si rassegnano e inchiodano dove possono, ossia fra il pollice e le altre<br />

dita, proprio al centro del metacarpo. Qui il chiodo entra più facilmente ma con maggiore spasimo,<br />

perché deve recidere nervi importanti, tanto che le dita restano inerti, mentre le altre della destra<br />

hanno contrazioni e tremiti che denunciano la loro vitalità. Ma Gesù non grida più, ha solo un<br />

lamento roco dietro le labbra fortemente chiuse, e lacrime di spasimo cadono per terra dopo esser<br />

cadute sul legno.<br />

6 Ora è la volta dei piedi. A un due metri e più dal termine della croce è un piccolo cuneo, appena<br />

sufficiente ad un piede. Su questo vengono portati i piedi per vedere se va bene la misura. E dato<br />

che è un poco in basso e i piedi arrivano male, stiracchiano per i malleoli il povero Martire. <strong>Il</strong> legno<br />

scabro della croce sfrega così sulle ferite, smuove la corona che si sposta strappando nuovi capelli e<br />

minaccia di cadere. Un boia gliela ricalca sul capo con una manata...<br />

Ora, quelli che erano seduti sul petto di Gesù si alzano per spostarsi sui ginocchi, dato che Gesù ha<br />

un movimento involontario di ritirare le gambe, vedendo brillare al sole il lunghissimo chiodo,<br />

lungo il doppio e largo il doppio di quello usato per le mani. E pesano sui ginocchi scorticati, e<br />

premono sui poveri stinchi contusi, mentre gli altri due compiono l’operazione, molto più difficile,<br />

dell’inchiodatura di un piede sull’altro, cercando di combinare le due giunture dei tarsi insieme.<br />

Per quanto guardino e tengano fermi i piedi, al malleolo e alle dita, contro il cuneo, il piede<br />

sottoposto si sposta per la vibrazione del chiodo, e lo devono schiodare quasi*, perché, dopo essere<br />

entrato nelle parti molli, il chiodo, già spuntato per avere perforato il piede destro, deve essere<br />

portato un poco più in centro. E picchiano, picchiano, picchiano... Non si sente che l’atroce rumore<br />

del martello sulla testa del chiodo, perché tutto il Calvario non è che occhi e orecchie tese, per<br />

raccogliere atto e rumore e gioirne...<br />

Sul suono aspro del ferro è un lamento in sordina di colomba: il gemere roco di Maria, che sempre<br />

più si curva, ad ogni colpo, come se il martello piagasse Lei, la Madre Martire. Ed ha ragione di<br />

parere prossima ad essere spezzata da quella tortura. La crocifissione è tremenda. Pari alla<br />

flagellazione in spasimo, più atroce a vedersi, perché si vede scomparire il chiodo fra le carni vive.<br />

Ma in compenso è più breve. Mentre la flagellazione spossa per la sua durata.<br />

Per me, l’agonia dell’Orto, la flagellazione e la crocifissione sono i momenti più atroci. Mi svelano<br />

tutta la tortura del Cristo. La morte mi solleva, perché dico: «È finito!». Ma queste non sono fine.


Sono principio a nuove sofferenze.<br />

7 Ora la croce è strascinata presso il buco e rimbalza, scuotendo il povero Crocifisso, sul suolo<br />

ineguale. Viene issata la croce, che sfugge per due volte a coloro che la alzano e ricade una volta di<br />

schianto, un’altra sul braccio destro della stessa, dando un aspro tormento a Gesù, perché la scossa<br />

subita smuove gli arti feriti.<br />

Ma quando poi la croce viene lasciata cadere nel suo buco e, prima di essere assicurata con pietre e<br />

terriccio, ondeggia in tutti i sensi, imprimendo continui spostamenti al povero Corpo sospeso a tre<br />

chiodi, la sofferenza deve essere atroce. Tutto il peso del corpo si sposta in avanti e in basso, e i<br />

buchi si allargano, specie quello della mano sinistra, e si allarga il foro nei piedi mentre il sangue<br />

spiccia più forte. E se quello dei piedi goccia lungo le dita per terra e lungo il legno della croce,<br />

quello delle mani segue gli avambracci, perché sono più alti al polso che<br />

_____________________________<br />

* schiodare quasi è corretto da MV, su una copia dattiloscritta, in: schiodare invertendo la<br />

posizione, ossia mettendo sotto il piede destro e sopra il sinistro.<br />

all’ascella per forza della posizione, e riga anche le coste scendendo dall’ascella verso la cintura. La<br />

corona, quando la croce ondeggia prima di essere fissata, si sposta, perché il capo ribatte<br />

all’indietro, conficcando nella nuca il grosso nodo di spini che termina la pungente corona, e poi<br />

torna ad adagiarsi sulla fronte e graffia, graffia senza pietà.<br />

Finalmente la croce è assicurata e non c’è che il tormento dell’essere appeso. Issano anche i ladroni,<br />

i quali, una volta messi verticalmente, urlano come fossero scotennati vivi per la tortura delle funi,<br />

che segano i polsi e fanno divenire nere le mani, con le vene gonfie come corde.<br />

Gesù tace. La folla non tace più, invece. Ma riprende il suo vocio infernale.<br />

Ora la cima del Golgota ha il suo trofeo e la sua guardia d’onore. A1 limite più alto (lato A) la croce<br />

di Gesù. Al lato B e C le altre due. Mezza centuria di soldati, con le armi al piede, tutto intorno alla<br />

vetta; dentro a questo cerchio d’armati, i dieci appiedati, che giocano a dadi le vesti dei condannati.<br />

Ritto in piedi, fra la croce di Gesù e quella di destra, Longino. E pare monti la guardia d’onore al Re<br />

Martire. L’altra mezza centuria, in riposo, è agli ordini dell’aiutante di Longino sul sentiero di<br />

sinistra e sulla piazzuola più bassa, in attesa di essere adoperata se ce ne sarà bisogno. Nei soldati<br />

c’è l’indifferenza quasi totale. Solo qualcuno alza ogni tanto il volto ai crocifissi.<br />

8 Longino invece osserva tutto con curiosità e interesse, confronta e mentalmente giudica. Confronta<br />

i crocifissi, e specie il Cristo, e gli spettatori. <strong>Il</strong> suo occhio penetrante non perde un particolare. E<br />

per vedere meglio fa solecchio con la mano, perché il sole gli deve dare noia.<br />

È infatti un sole strano. Di un giallo rosso d’incendio. E poi pare che l’incendio si spenga di colpo<br />

per un nuvolone di pece che sorge da dietro le catene giudee e che corre veloce per il cielo,<br />

scomparendo dietro ad altri monti. E quando il sole ritorna fuori è così vivo che l’occhio non lo<br />

sopporta che male.<br />

Nel guardare vede Maria, proprio sotto il balzo, che tiene alzato verso il Figlio il suo volto straziato.<br />

Chiama uno dei soldati che giuocano a dadi e gli dice: «Se la Madre vuole salire col figlio che<br />

l’accompagna, venga. Scortala e aiutala».<br />

E Maria con Giovanni, creduto «figlio», sale per la scaletta incisa nella roccia tufacea, credo, e<br />

penetra oltre il cordone dei soldati andando ai piedi della croce, ma un poco scosta per essere vista e<br />

per vedere il suo Gesù.<br />

La folla le propina subito i più obbrobriosi insulti. Accomunandola nelle bestemmie al Figlio. Ma<br />

Ella, con le labbra tremanti e sbiancate, cerca solo di dargli conforto, con un sorriso straziato su cui<br />

si asciugano le lacrime che nessuna forza di volontà riesce a trattenere negli occhi.<br />

9 La gente, cominciando dai sacerdoti, scribi, farisei, sadducei, erodiani e simili, si procura lo spasso<br />

di fare come un carosello, salendo dalla strada erta, passando lungo il rialzo finale e scendendo per<br />

l’altra via, o viceversa. E mentre passano ai piedi della vetta, sulla seconda piazzuola, non mancano<br />

di offrire le loro parole blasfeme come omaggio al Morente. Tutta la turpitudine, la crudeltà, l’odio<br />

e l’insania di cui sono capaci gli uomini con la lingua, vengono ampiamente testificate da queste<br />

bocche d’inferno. I più accaniti sono i membri del Tempio, coi farisei per aiuto.<br />

«Ebbene? Tu, Salvatore dell’umano genere, perché non ti salvi? Ti ha abbandonato il tuo re


Belzebù? Ti ha rinnegato?», urlano tre sacerdoti.<br />

E un branco di giudei: «Tu, che non più tardi di or sono cinque giorni, con l’aiuto del Demonio,<br />

facevi dire al Padre... ah! ah! ah! che ti avrebbe glorificato, come mai non gli ricordi di mantenere la<br />

sua promessa?».<br />

E tre farisei: «Bestemmiatore! Ha salvato gli altri, diceva, con l’aiuto di <strong>Dio</strong>! E non riesce a salvare<br />

Se stesso! Vuoi che ti si creda? E allora fai il miracolo. Non puoi più, eh? Ora hai le mani<br />

inchiodate, e sei nudo».<br />

E dei sadducei ed erodiani ai soldati: «Attenti alla malìa, voi che vi siete prese le sue vesti! Ha<br />

dentro il segno infernale!».<br />

Una folla in coro: «Scendi dalla croce e ti crederemo. Tu che distruggi il Tempio... Folle!...<br />

Guardalo là, il glorioso e santo Tempio d’Israele. È intoccabile, o profanatore! E Tu muori».<br />

Altri sacerdoti: «Blasfemo! Figlio di <strong>Dio</strong>, Tu? E scendi di lì, allora. Fulminaci, se sei <strong>Dio</strong>. Non ti<br />

temiamo e sputiamo verso Te».<br />

Altri che passano e scrollano il capo: «Non sa che piangere. Salvati, se è vero che sei l’Eletto!».<br />

I soldati: «E salvati, dunque! Incenerisci questa suburra della suburra! Sì! Suburra dell’Impero siete,<br />

giudei canaglie. Fàllo! Roma ti metterà in Campidoglio a ti adorerà come un nume!».<br />

I sacerdoti coi loro compari: «Erano più dolci le braccia delle femmine di quelle della croce, non è<br />

vero? Ma, guarda, sono già lì pronte a riceverti le tue... (e dicono un termine infame). Ci hai tutta<br />

Gerusalemme a farti da pronuba». E fischiano come carrettieri.<br />

Altri lanciando dei sassi: «Muta questi in pane, Tu, moltiplicatore dei pani».<br />

Altri, scimmiottando gli osanna della domenica delle palme, lanciano dei rami a gridano:<br />

«Maledetto colui che viene in nome del Demonio! Maledetto il suo regno! Gloria a Sionne che lo<br />

recide di fra i vivi!».<br />

Un fariseo si piazza di fronte alla croce, e mostra il pugno facendo le corna e dice: «“Ti affido al<br />

<strong>Dio</strong> del Sinai”, Tu dicesti*? Ora il <strong>Dio</strong> del Sinai ti prepara al fuoco eterno. Perché non chiami Giona<br />

a renderti il buon servizio?».<br />

Un altro: «Non rovinare la croce con i colpi della tua testa. Deve servire per i tuoi seguaci. Una<br />

intera legione ne morirà sul tuo legno, te lo giuro su Jeové. E per primo ci metterò Lazzaro.<br />

Vedremo se Tu lo levi di morte, ora».<br />

«Sì! Sì! Andiamo da Lazzaro. Inchiodiamolo dall’altro lato della croce», e pappagallescamente<br />

fanno la parlata lenta di Gesù dicendo: «Lazzaro, amico mio, vieni fuori! Slegatelo e lasciatelo<br />

andare!».<br />

«No! Diceva a Marta e Maria, le sue femmine: “<strong>Io</strong> sono la Risurrezione e la Vita”. Ah! Ah! Ah! La<br />

Risurrezione non sa mandare indietro la morte, e la Vita<br />

_______________________<br />

* dicesti, in 109.12, ripetuto in 126.10.<br />

muore!».<br />

10 «Ecco là Maria con Marta. Chiediamo dove è Lazzaro e andiamolo a cercare». E si fanno avanti,<br />

verso le donne, chiedendo arrogantemente: «Dove è Lazzaro? Al palazzo?».<br />

E Maria Maddalena, mentre le altre terrorizzate fuggono dietro i pastori, si fa avanti, ritrovando nel<br />

suo dolore la antica baldanza dei tempi di peccato, e dice: «Andate. Troverete già in palazzo i<br />

soldati di Roma e cinquecento armati delle mie terre, che vi castreranno come vecchi caproni<br />

destinati al pasto degli schiavi alle macine».<br />

«Sfrontata! Così parli ai sacerdoti?».<br />

«Sacrileghi! Turpi! Maledetti! Volgetevi! Alle spalle avete, io le vedo, le lingue delle fiamme<br />

infernali».<br />

I vili si volgono, veramente terrorizzati, tanto è sicura l’affermazione di Maria; ma, se non hanno le<br />

fiamme alle spalle, hanno alle reni le ben pontute lance romane. Perché Longino ha dato un ordine e<br />

la mezza centuria che era in riposo è entrata in azione e punge alle natiche i primi che trova. Questi<br />

fuggono urlando e la mezza centuria resta a chiudere gli imbocchi delle due strade e a fare baluardo<br />

alla piazzuola. I giudei imprecano, ma Roma è la più forte.<br />

La Maddalena riabbassa il suo velo - se lo era alzato per parlare agli insultatori - e torna al suo


posto. Le altre si riuniscono a lei.<br />

11 Ma il ladrone di sinistra continua gli insulti dalla sua croce. Pare si sia fatto il condensatore di tutte<br />

le bestemmie altrui e le snocciola tutte, terminando: «Salvati e salvaci, se vuoi che ti si creda. <strong>Il</strong><br />

Cristo Tu? Un folle sei! <strong>Il</strong> mondo è dei furbi e <strong>Dio</strong> non c’è. <strong>Io</strong> ci sono. Questo è vero, e per me tutto<br />

è lecito. <strong>Dio</strong>?... Fola! Messa per tenerci quieti. Viva il nostro io! Lui solo è re e dio!».<br />

L’altro ladrone, che è a destra ed ha quasi ai piedi Maria, e la guarda quasi più che non guardi<br />

Cristo, e da qualche momento piange mormorando: «la madre», dice: «Taci. Non temi <strong>Dio</strong> neppure<br />

ora che soffri questa pena? Perché insulti chi è buono? È in un supplizio ancor più grande del<br />

nostro. E non ha fatto nulla di male».<br />

Ma il ladrone continua le sue imprecazioni.<br />

12 Gesù tace. Anelante per lo sforzo della posizione, per la febbre, per lo stato cardiaco e respiratorio,<br />

conseguenza della flagellazione subita in forma tanto violenta, e anche dell’angoscia profonda che<br />

gli aveva fatto sudar sangue, cerca trovare un sollievo, alleggerendo il peso che grava sui piedi,<br />

sospendendosi alle mani e facendo forza con le braccia. Forse lo fa anche per vincere un poco il<br />

crampo che già tormenta i piedi e che si tradisce con il tremito muscolare. Ma lo stesso tremore è<br />

nelle fibre delle braccia, che sono sforzate in quella posizione e devono essere gelate nelle loro<br />

estremità, perché poste più in alto e abbandonate dal sangue, che a fatica giunge ai polsi e poi ne<br />

geme dai buchi dei chiodi lasciando senza circolazione le dita. Specie quelle della sinistra sono già<br />

cadaveriche e stanno senza moto, ripiegate verso il palmo. Anche le dita dei piedi esprimono il loro<br />

tormento. Specie gli alluci, forse perché meno è leso il loro nervo, si alzano, si abbassano, si<br />

divaricano.<br />

<strong>Il</strong> tronco, poi, svela tutta la sua pena col suo movimento, che è veloce ma non profondo, ed affatica<br />

senza dare sollievo. Le coste, molto ampie e alte di loro, perché la struttura di questo Corpo è<br />

perfetta, sono ora dilatate oltre misura per la posizione assunta dal corpo e per l’edema polmonare<br />

che certo si è formato nell’interno. Eppure non servono ad alleggerire lo sforzo respiratorio, tanto<br />

che tutto l’addome aiuta col suo muoversi il diaframma, che sempre più si va paralizzando.<br />

E la congestione e l’asfissia aumentano di minuto in minuto, come lo indicano il colorito cianotico<br />

che sottolinea le labbra, di un rosso acceso dalla febbre, e le striature di un rosso violaceo, che<br />

spennellano il collo lungo le giugulari turgide e si allargano fino sulle guance, verso le orecchie e le<br />

tempie, mentre il naso è affilato e esangue, e gli occhi affondano in un cerchio che è livido dove è<br />

privo del sangue colato dalla corona.<br />

Sotto l’arco costale sinistro si vede l’urto propagato dalla punta cardiaca, irregolare, ma violento, e<br />

ogni tanto, per una convulsione interna, il diaframma ha un fremito profondo che si rivela da una<br />

distensione totale della pelle, per quanto può stendersi su quel povero Corpo ferito e morente.<br />

<strong>Il</strong> Volto ha già l’aspetto che vediamo nelle fotografie della Sindone, col naso deviato e gonfio da<br />

una parte; e anche il tenere l’occhio destro quasi chiuso, per il gonfiore che è da questo lato,<br />

aumenta la somiglianza. La bocca, invece, è aperta, con la sua ferita sul labbro superiore ormai<br />

ridotta ad una crosta.<br />

La sete, data dalla perdita di sangue, dalla febbre e dal sole, deve essere intensa, tanto che Egli, con<br />

mossa macchinale, beve le stille del suo sudore e del suo pianto, e anche quelle del sangue che<br />

scende dalla fronte fin sui baffi, e si bagna con queste la lingua...<br />

La corona di spine gli vieta di appoggiarsi al tronco della croce per aiutare la sospensione sulle<br />

braccia e alleggerire i piedi. Le reni e tutta la spina si arcua verso l’esterno, stando staccato dal<br />

tronco della croce dal bacino in su per forza di inerzia che fa pendere in avanti un corpo sospeso<br />

come era il suo.<br />

13 I giudei, respinti oltre la piazzuola, non cessano di insultare, e il ladrone impenitente fa eco.<br />

L’altro, che ora guarda con sempre maggiore pietà la Madre e piange, lo rimbecca aspramente<br />

quando sente che nell’insulto è compresa anche Lei. «Taci. Ricordati che sei nato da una donna. E<br />

pensa che le nostre han pianto per causa dei figli. E furono lacrime di vergogna... perché noi siamo<br />

delinquenti. Le nostre madri sono morte... <strong>Io</strong> vorrei poterle chiedere perdono... Ma lo potrò? Era<br />

una santa... L’ho uccisa col dolore che le davo... <strong>Io</strong> sono un peccatore... Chi mi perdona? Madre, in<br />

nome del tuo Figlio morente, prega per me».


La Madre alza per un momento il suo viso straziato e lo guarda, questo sciagurato che attraverso al<br />

ricordo di sua madre e alla contemplazione della Madre va verso il pentimento, e pare lo carezzi col<br />

suo sguardo di colomba.<br />

Disma piange più forte. Cosa che scatena ancora di più gli scherni della folla e del compagno. La<br />

prima urla: «Bravo! Pigliati questa per madre. Così ha due figli delinquenti!». E l’altro rincara: «Ti<br />

ama perché sei una copia minore del suo beneamato».<br />

14 Gesù parla per la prima volta: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!».<br />

Questa preghiera vince ogni timore in Disma. Osa guardare il Cristo e dice: «Signore, ricordati di<br />

me quando sarai nel tuo Regno. <strong>Io</strong> è giusto che qui soffra. Ma dammi misericordia e pace oltre la<br />

vita. Una volta ti ho sentito parlare e, folle, ho respinto la tua parola. Ora me ne pento. E dei miei<br />

peccati me ne pento davanti a Te, Figlio dell’Altissimo. <strong>Io</strong> credo che Tu venga da <strong>Dio</strong>. <strong>Io</strong> credo nel<br />

tuo potere. <strong>Io</strong> credo nella tua Misericordia. Cristo, perdonami in nome di tua Madre e del tuo Padre<br />

Santissimo».<br />

Gesù si volge e lo guarda con profonda pietà, ed ha un sorriso ancora bellissimo sulla povera bocca<br />

torturata. Dice: «<strong>Io</strong> te lo dico: oggi tu sarai meco in Paradiso».<br />

<strong>Il</strong> ladrone pentito si mette calmo e, non sapendo più le preghiere imparate da bambino, ripete come<br />

una giaculatoria: «Gesù Nazareno, re dei giudei, pietà di me; Gesù Nazareno, re dei giudei, io spero<br />

in Te; Gesù Nazareno, re dei giudei, io credo nella tua Divinità».<br />

L’altro continua nelle sue bestemmie.<br />

15 <strong>Il</strong> cielo si fa sempre più fosco. Ora difficilmente le nubi si aprono per fare passare il sole. Ma anzi<br />

si accavallano a più e più strati plumbei, bianchi, verdognoli, si sormontano, si dipanano secondo i<br />

giuochi di un vento freddo, che a intervalli scorre il cielo e poi scende sulla terra e poi tace di<br />

nuovo, ed è quasi più sinistra l’aria quando tace, afosa e morta, di quando fischia tagliente e veloce.<br />

La luce, prima viva fin oltre misura, si va facendo verdastra. E i volti prendono bizzarri<br />

aspetti. I soldati, sotto i loro elmi e nelle loro corazze, prima lucenti ed ora divenute come<br />

appannate nella luce verdastra e sotto il cielo di cenere, mostrano i duri profili come<br />

scalpellati. I giudei, per la maggioranza bruni di pelle e capelli e barba, paiono degli annegati, tanto<br />

il loro volto si fa terreo. Le donne sembrano statue di neve azzurrastra per il pallore esangue che la<br />

luce accentua.<br />

Gesù sembra illividire sinistramente come per inizio di decomposizione, quasi fosse già<br />

morto. La testa gli comincia a pendere sul petto. Le forze mancano rapidamente. Trema, nonostante<br />

la febbre che lo arde. E nella sua debolezza mormora il nome che prima ha solo detto nel<br />

fondo del cuore: «Mamma!», «Mamma!». Lo mormora piano, come in un sospiro, quasi fosse già in<br />

un lieve delirio che gli impedisca di trattenere quanto la volontà vorrebbe trattenere. E Maria, ogni<br />

volta, ha un atto infrenabile di tendere le braccia come per soccorrerlo.<br />

E la gente crudele ride di questi spasimi di chi muore e di chi spasima. Salgono da capo sino<br />

a dietro i pastori, che però sono sulla piazzetta bassa, i sacerdoti e gli scribi. E poiché i<br />

soldati vorrebbero respingerli, reagiscono dicendo: «Ci stanno questi galilei? Ci stiamo<br />

anche noi, che dobbiamo verificare che giustizia sia fatta fino in fondo. E da lontano, in questa luce<br />

strana, non possiamo vedere».<br />

Infatti molti cominciano a impressionarsi della luce che sta fasciando il mondo, e qualcuno<br />

ha paura. Anche i soldati accennano al cielo e ad una specie di cono, che pare di lavagna tanto è<br />

cupo e che si leva come un pino da dietro una vetta. Sembra una tromba marina. Si alza, si alza a<br />

pare che generi nubi sempre più nere, quasi fosse un vulcano eruttante fumo e lava.<br />

È in questa luce crepuscolare e paurosa che Gesù dà a Maria Giovanni* e a Giovanni Maria.<br />

Curva il capo, poiché la Madre si è fatta più sotto alla croce per vederlo meglio, e dice: «Donna,<br />

ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua Madre».<br />

Maria ha il volto ancor più sconvolto dopo questa parola che è il testamento del suo Gesù, che non<br />

ha nulla da dare alla Madre se non un uomo, Egli che per amore dell’Uomo la priva dell’Uomo-<strong>Dio</strong>,<br />

nato da Lei. Ma cerca, la povera Madre, di non piangere che mutamente, perché non può, non può<br />

non piangere... Le stille del pianto gemono nonostante ogni sforzo per trattenerle, anche se la bocca<br />

ha il suo straziato sorriso, fissato sulle labbra per Lui, per confortare Lui...


Le sofferenze crescono sempre più. E la luce sempre più decresce.<br />

16È in questa luce di fondo marino che emergono, da dietro dei giudei, Nicodemo e Giuseppe, e<br />

dicono: «Scansatevi!».<br />

«Non si può. Che volete?», dicono i soldati.<br />

«Passare. Siamo amici del Cristo».<br />

Si voltano i capi dei sacerdoti. «Chi osa professarsi amico del ribelle?», dicono i sacerdoti sdegnati.<br />

E Giuseppe risoluto: «<strong>Io</strong>, nobile membro del Gran Consiglio, Giuseppe d’Arimatea, l’Anziano, e<br />

con me è Nicodemo, capo dei giudei».<br />

«Chi parteggia per il ribelle è ribelle».<br />

«E chi parteggia per gli assassini è assassino, Eleazaro di Anna. Ho vissuto da giusto. E ora vecchio<br />

sono e prossimo alla morte. Non voglio divenire ingiusto mentre già il Cielo su me discende e con<br />

esso il Giudice eterno».<br />

«E tu, Nicodemo! Mi meraviglio!».<br />

«<strong>Io</strong> pure. E di una cosa sola: che Israele sia tanto corrotto da non sapere più riconoscere <strong>Dio</strong>».<br />

«Mi fai ribrezzo».<br />

«Scansati, allora, e lasciami passare. Non chiedo che quello».<br />

«Per contaminarti più ancora?».<br />

«Se non mi sono contaminato a starvi presso, nulla più mi contamina. Soldato, a te la borsa e il<br />

segno di lasciapassare». E passa al decurione più vicino una borsa e una tavoletta cerata.<br />

___________________________<br />

* dà a Maria Giovanni..., come preannunciato in 540.2/3. Se Giovanni viene dato a Maria Ss. così<br />

come è affidato a Lei tutto il genere umano, Maria Ss. può essere data a Giovanni perché costui è<br />

simile a Gesù, come si rileva in: 49.11 - 90.4 (ultime righe) -101.2 - 106.7 - 222.5 - 494.7 - 508.2.<br />

<strong>Il</strong> decurione osserva e dice ai soldati: «Lasciate passare i due».<br />

E Giuseppe con Nicodemo si avvicinano ai pastori. Non so neppure se Gesù li veda in quella<br />

caligine sempre più fitta e con l’occhio che già si vela nell’agonia. Ma essi lo vedono e piangono<br />

senza rispetto umano, nonostante ora su di loro si avventino gli improperi sacerdotali.<br />

17 Le sofferenze sono sempre più forti. <strong>Il</strong> corpo ha i primi inarcamenti propri della tetanìa e ogni<br />

clamore di folla li esaspera. La morte delle fibre e dei nervi si estende dalle estremità torturate al<br />

tronco, rendendo sempre più difficoltoso il moto respiratorio, debole la contrazione diaframmatica e<br />

disordinato il movimento cardiaco. <strong>Il</strong> volto di Cristo passa alternativamente da vampe di rossore<br />

intensissimo a pallori verdastri di morente per dissanguamento. La bocca si muove con maggiore<br />

fatica, perché i nervi sovraffaticati del collo e del capo stesso, che hanno per decine di volte fatto da<br />

leva al corpo tutto puntandosi sulla sbarra trasversa della croce, propagano il crampo anche alle<br />

mascelle. La gola, enfiata dalle carotidi ingorgate, deve dolere ed estendere il suo edema alla lingua,<br />

che appare ingrossata e lenta nei movimenti. La schiena, anche nei momenti che le contrazioni<br />

tetanizzanti non la curvano ad arco completo dalla nuca alle anche, appoggiate come punti estremi<br />

al tronco della croce, si arcua sempre più in avanti, perché le membra divengono sempre più pesanti<br />

del peso delle carni morte.<br />

La gente vede poco e male queste cose, perché la luce è ormai di un cenere cupo, e solo chi è ai<br />

piedi della croce può vedere bene.<br />

18 Gesù si affloscia, un certo momento, tutto in avanti e in basso, come già morto; non ansa più, la<br />

testa gli pende inerte in avanti, il corpo dalle anche in su è tutto staccato facendo angolo con le<br />

braccia alla croce.<br />

Maria ha un grido: «È morto!». Un grido tragico che si propaga nell’aria nera. E Gesù appare<br />

realmente morto.<br />

Un altro grido femminile le risponde e nel gruppo delle donne vedo un tramestio. Poi una decina di<br />

persone si allontanano sostenendo qualche cosa. Ma non posso vedere chi si allontana così. È<br />

troppo poca la luce nebbiosa. Sembra di essere immersi in una nube di cenere vulcanica fittissima.<br />

«Non è possibile», urlano dei sacerdoti e dei giudei. «È una finta per farci andare via. Soldato,<br />

pungilo con la lancia. È una buona medicina per ridargli voce». E poiché i soldati non lo fanno, una


scarica di pietre e di zolle di terra volano verso la croce, colpendo il Martire e ricadendo sulle<br />

corazze romane.<br />

<strong>Il</strong> farmaco, come ironicamente dicono i giudei, opera il prodigio. Certo qualche sasso ha colpito a<br />

segno, forse sulla ferita di una mano, o sul capo stesso, perché miravano in alto. Gesù ha un gemito<br />

pietoso e rinviene. <strong>Il</strong> torace torna a respirare con fatica e la testa a muoversi da destra a manca,<br />

cercando un luogo dove posarsi per soffrire meno, senza trovare altro che maggior pena.<br />

19 A gran fatica, puntandosi una volta ancora sui piedi torturati, trovando forza<br />

nella sua volontà, unicamente in quella*, Gesù si irrigidisce sulla croce, torna eretto come fosse un<br />

sano nella sua forza completa, alza il volto guardando con<br />

occhi bene aperti il mondo steso ai suoi piedi, la città lontana, che appena si intravvede come un<br />

biancore incerto nella foschia, e il cielo nero dal quale ogni azzurro ed ogni ricordo di luce sono<br />

scomparsi. E a questo cielo chiuso, compatto, basso, simile ad una enorme lastra di lavagna scura,<br />

Egli grida a gran voce, vincendo con la forza della volontà, col bisogno dell’anima, l’ostacolo delle<br />

mascelle irrigidite, della lingua ingrossata, della gola edematica: «Eloi, Eloi, lamma scebacteni!» (io<br />

sento dire così). Deve sentirsi morire, e in un assoluto abbandono del Cielo, per confessare con tal<br />

voce l’abbandono paterno.<br />

La gente ride e lo scherza. Lo insulta: «Non sa che farne <strong>Dio</strong> di Te! I demoni sono maledetti da<br />

<strong>Dio</strong>!».<br />

Altri gridano: «Vediamo se Elia, che Egli chiama, viene a salvarlo».<br />

E altri: «Dategli un poco d’aceto, che si gargarizzi la gola. Fa bene alla voce! Elia o <strong>Dio</strong>, poiché è<br />

incerto ciò che il folle vuole, sono lontani... Ci vuol voce per farsi sentire!», e ridono come iene o<br />

come demoni.<br />

Ma nessun soldato dà l’aceto e nessuno viene dal Cielo per dare conforto. È l’agonia solitaria,<br />

totale, crudele, anche soprannaturalmente crudele, della Grande Vittima.<br />

Tornano le valanghe di dolore desolato che già l’avevano oppresso nel Getsemani. Tornano le onde<br />

dei peccati di tutto il mondo a percuotere il naufrago innocente, e sommergerlo nella loro<br />

amaritudine. Torna soprattutto la sensazione, più crocifiggente della croce stessa, più disperante di<br />

ogni tortura, che <strong>Dio</strong> ha abbandonato e che la preghiera non sale a Lui...<br />

Ed è il tormento finale. Quello che accelera la morte, perché spreme le ultime gocce di sangue dai<br />

pori, perché stritola le superstiti fibre del cuore, perché termina ciò che la prima cognizione di<br />

questo abbandono ha iniziato: la morte. Perché di questo per prima cosa è morto il mio Gesù, o <strong>Dio</strong>,<br />

che lo hai colpito per noi! Dopo il tuo abbandono, per il tuo abbandono, che diventa una creatura? O<br />

un folle, o un morto. Gesù non poteva divenire folle, perché la sua intelligenza era divina e,<br />

spirituale come è l’intelligenza, trionfava sopra il trauma totale del colpito da <strong>Dio</strong>. Divenne dunque<br />

un morto: il Morto, il santissimo Morto, l’innocentissimo Morto. Morto Lui che era la Vita. Ucciso<br />

dal tuo abbandono e dai nostri peccati.<br />

20 L’oscurità si fa ancora più fitta. Gerusalemme scompare del tutto. Lo stesso Calvario pare<br />

annullarsi nelle sue falde. Solo la cima è visibile, quasi che le tenebre la tengano alta a raccogliere<br />

l’unica e l’ultima superstite luce, posandola come per una offerta, col suo trofeo divino, su uno<br />

stagno di onice liquida, perché<br />

_____________________________<br />

* unicamente in quella, così come di sua propria volontà Gesù era “superiore al peccato” (lo<br />

dichiara Egli stesso nelle ultime righe di 567.19), e così come “di sua spontanea volontà” si era<br />

immolato “dandosi in Cibo e Bevanda” (lo dirà Pietro in 641.2). L’abbandono paterno, che ora sta<br />

per diventare assoluto (come leggeremo tra poche righe) e che gli lascia solo la forza della propria<br />

volontà di Uomo, è previsto e motivato in nota a 59.5 a 317.3 e più volte nel testo dell’opera, per<br />

esempio in 317.4.6, in 602.17 a in 603.4. Di esso si accora la Madre in 612.17/18.<br />

sia vista dall’amore e dall’odio.<br />

E dalla luce non più luce viene la voce lamentosa di Gesù: «Ho sete!».


Vi è infatti un vento che asseta anche i sani. Un vento continuo, ora, violento, pieno di polvere,<br />

freddo, pauroso. Penso quale spasimo avrà dato col suo soffio violento ai polmoni, al cuore, alle<br />

fauci di Gesù, alle sue membra gelate, intormentite, ferite. Ma proprio tutto si è messo a torturare il<br />

Martire.<br />

Un soldato va ad un vaso dove i satelliti del boia hanno messo dell’aceto col fiele, perché col suo<br />

amaro aumenti la salivazione nei suppliziati. Prende la spugna immersa nel liquido, la infila su una<br />

canna sottile eppure rigida, che è già pronta lì presso, e porge la spugna al Morente.<br />

Gesù si tende avido verso la spugna che viene. Pare un infante affamato che cerchi il capezzolo<br />

materno.<br />

Maria, che vede e certo pensa questa cosa, geme, appoggiandosi a Giovanni: «Oh! ed io neppure<br />

una stilla di pianto gli posso dare... Oh! seno mio, ché non gemi latte? Oh! <strong>Dio</strong>, perché, perché così<br />

ci abbandoni? Un miracolo per la mia Creatura! Chi mi solleva per dissetarlo del mio sangue, posto<br />

che latte non ho?...».<br />

Gesù, che ha succhiato avidamente l’aspra e amara bevanda, torce il capo, avvelenato dal disgusto<br />

di essa. Deve, oltretutto, essere come del corrosivo sulle labbra ferite e spaccate.<br />

21 Si ritrae, si accascia, si abbandona. Tutto il peso del corpo piomba sui piedi e in avanti. Sono le<br />

estremità ferite quelle che soffrono la pena atroce dello slabbrarsi sotto il peso di un corpo che si<br />

abbandona. Non più un movimento per sollevare questo dolore. Dal bacino in su, tutto è staccato<br />

dal legno, e tale resta.<br />

La testa pende in avanti tanto pesantemente che il collo pare scavato in tre posti: al giugolo,<br />

completamente infossato, e di qua e di là dello sternocleidomastoideo. <strong>Il</strong> respiro è sempre più<br />

anelante, ma interciso. È già più un rantolo sincopato che un respiro. Ogni tanto un colpo di tosse<br />

penosa porta una schiuma lievemente rosata alle labbra. E le distanze fra una espirazione e l’altra<br />

diventano sempre più lunghe. L’addome è già fermo. Solo il torace ha ancora dei sollevamenti, ma<br />

faticosi, stentati... La paralisi polmonare si accentua sempre più.<br />

E sempre più fievole, tornando al lamento infantile del bambino, viene l’invocazione: «Mamma!».<br />

E la misera mormora: «Sì, tesoro, sono qui». E quando la vista che si vela gli fa dire: «Mamma,<br />

dove sei? Non ti vedo più. Anche tu mi abbandoni?», e non è neanche una parola, ma un mormorio<br />

che appena è udibile da chi più col cuore che con l’udito raccoglie ogni sospiro del Morente, Ella<br />

dice: «No, no, Figlio! Non ti abbandono io! Sentimi, caro... La Mamma è qui, qui è... e solo si<br />

tormenta di non poter venire dove Tu sei...».<br />

È uno strazio... E Giovanni piange liberamente. Gesù deve sentire quel pianto. Ma non dice niente.<br />

Penso che la morte imminente lo faccia parlare come in delirio e neppure sappia quanto dice e,<br />

purtroppo, neppure comprenda il conforto materno e l’amore del Prediletto.<br />

Longino - che inavvertitamente ha lasciato la sua posa di riposo, con le mani conserte sul petto e<br />

una gamba accavallata, ora una, ora l’altra, per dare sollievo alla lunga attesa in piedi, e ora invece è<br />

rigido sull’attenti, la mano sinistra sulla spada, la destra regolarmente tesa lungo il fianco, come<br />

fosse sui gradini del trono imperiale - non vuole commuoversi. Ma il suo volto si altera nello sforzo<br />

di vincere l’emozione, e gli occhi hanno un luccicore di pianto che solo la sua ferrea disciplina<br />

trattiene.<br />

Gli altri soldati, che giocavano a dadi, hanno smesso e si sono drizzati in piedi, rimettendosi gli elmi<br />

che avevano servito ad agitare i dadi, e stanno in gruppo presso la scaletta scavata nel tufo,<br />

silenziosi, attenti. Gli altri sono di servizio e non possono mutare posizione. Sembrano statue. Ma<br />

qualcuno dei più prossimi, e che sente le parole di Maria, mugola qualcosa fra le labbra e scrolla il<br />

capo.<br />

22 Un silenzio. Poi, netta nell’oscurità totale, la parola: «Tutto è compiuto!», e poi l’ansito sempre<br />

più rantoloso, con pause di silenzio fra un rantolo e l’altro, sempre più vaste.<br />

<strong>Il</strong> tempo scorre su questo ritmo angoscioso. La vita torna quando l’aria è rotta dall’anelito aspro del<br />

Morente... La vita cessa quando questo suono penoso non si ode più. Si soffre a sentirlo... si soffre a<br />

non sentirlo... Si dice: «Basta di questa sofferenza!», e si dice: «Oh! <strong>Dio</strong>! che non sia l’ultimo<br />

respiro».<br />

Le Marie piangono tutte, col capo contro il rialzo terroso. E si sente bene il loro pianto, perché tutta


la folla ora tace di nuovo per raccogliere i rantoli del Morente.<br />

Ancora un silenzio. Poi, pronunciata con infinita dolcezza, con ardente preghiera, la supplica:<br />

«Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio!».<br />

Ancora un silenzio. Si fa lieve anche il rantolo. È appena un soffio limitato alle labbra e alla gola.<br />

Poi, ecco, l’ultimo spasimo di Gesù. Una convulsione atroce, che pare voglia svellere il corpo<br />

infisso, coi tre chiodi, dal legno, sale per tre volte dai piedi al capo, scorre per tutti i poveri nervi<br />

torturati; solleva tre volte l’addome in una maniera anormale, poi lo lascia dopo averlo dilatato<br />

come per sconvolgimento dei visceri, ed esso ricade e si infossa come svuotato; alza, gonfia e<br />

contrae tanto fortemente il torace, che la pelle si infossa fra coste e coste che si tendono, apparendo<br />

sotto l’epidermide e riaprendo le ferite dei flagelli; fa rovesciare violentemente indietro, una, due,<br />

tre volte il capo, che percuote contro il legno, duramente; contrae in uno spasimo tutti i muscoli del<br />

volto, accentuando la deviazione della bocca a destra, fa spalancare e dilatare le palpebre sotto cui si<br />

vede roteare il globo oculare e apparire la sclerotica. <strong>Il</strong> corpo si tende tutto; nell’ultima delle tre<br />

contrazioni è un arco teso, vibrante, tremendo a vedersi, e poi un grido potente, impensabile in quel<br />

corpo sfinito, si sprigiona, lacera l’aria, il «grande grido» di cui parlano* i Vangeli e che è la prima<br />

parte della parola «Mamma»... E più nulla...<br />

La testa ricade sul petto, il corpo in avanti, il fremito cessa, cessa il respiro. È spirato.<br />

____________________<br />

* parlano, in: Matteo 27, 50; Marco 15, 37. Ad esso sarà confrontato “il grande grido” di 619.10.<br />

23 La Terra risponde al grido dell’Ucciso con un boato pauroso. Sembra che da mille buccine dei<br />

giganti traggano un unico suono e su questo tremendo accordo ecco le note isolate, laceranti dei<br />

fulmini che rigano il cielo in tutti i sensi, cadendo sulla città, sul Tempio, sulla folla... Credo che ci<br />

saranno stati dei fulminati, perché la folla è colpita direttamente. I fulmini sono l’unica luce<br />

saltuaria che permetta di vedere. E poi subito, e mentre durano ancora le scariche delle saette, la<br />

terra si scuote in un turbine di vento ciclonico. <strong>Il</strong> terremoto e l’aeromoto si fondono per dare un<br />

apocalittico castigo ai bestemmiatori. La vetta del Golgota ondeggia e<br />

balla come un piatto in mano di un pazzo, nelle scosse sussultorie e ondulatorie che scuotono<br />

talmente le tre croci che sembra le debbano ribaltare.<br />

Longino, Giovanni, i soldati si abbrancano dove possono, come possono, per non cadere. Ma<br />

Giovanni, mentre con un braccio afferra la croce, con l’altro sostiene Maria che, e per il dolore e per<br />

il traballio, gli si è abbandonata sul cuore. Gli altri soldati, e specie quelli del lato che scoscende, si<br />

sono dovuti rifugiare al centro per non essere gettati giù dai dirupi. I ladroni urlano di terrore, la<br />

folla urla ancora di più e vorrebbe scappare. Ma non può. Cadono le persone l’una sull’altra, si<br />

pestano, precipitano nelle spaccature del suolo, si feriscono, rotolano giù per la china, impazziti.<br />

Per tre volte si ripete il terremoto e l’aeromoto, e poi si fa l’immobilità assoluta di un mondo morto.<br />

Solo dei lampi, ma senza tuono, rigano ancora il cielo e illuminano la scena dei giudei fuggenti in<br />

ogni senso, con le mani fra i capelli, o tese in avanti, o alzate al cielo, schernito fino allora e di cui<br />

ora hanno paura. La oscurità si tempera di un barlume di luce che, aiutato dal lampeggio silenzioso<br />

e magnetico, permette di vedere che molti restano al suolo, morti o svenuti, non so. Una casa arde<br />

nell’interno delle mura e le fiamme si alzano dritte nell’aria ferma, mettendo un punto di rosso<br />

fuoco sul verde cenere dell’atmosfera.<br />

24 Maria alza il capo dal petto di Giovanni e guarda il suo Gesù. Lo chiama, perché mal lo vede nella<br />

poca luce e coi suoi poveri occhi pieni di pianto. Tre volte lo chiama: «Gesù! Gesù! Gesù!». È la<br />

prima volta che lo chiama per nome da quando è sul Calvario. Infine, ad un lampo che fa come una<br />

corona sopra la vetta del Golgota, lo vede, immobile, tutto pendente in avanti, col capo talmente<br />

piegato in avanti, e a destra, da toccare con la guancia la spalla e col mento le coste, e comprende.<br />

Tende le mani che tremano nell’aria scura e grida: «Figlio mio! Figlio mio! Figlio mio!». Poi<br />

ascolta... Ha la bocca aperta, pare voglia ascoltare anche con quella, come ha dilatati gli occhi per<br />

vedere, per vedere... Non può credere che il suo Gesù non sia più...<br />

Giovanni, che anche lui ha guardato e ascoltato, ed ha compreso che tutto è finito, abbraccia Maria<br />

e cerca allontanarla dicendo: «Non soffre più».<br />

Ma, prima che l’apostolo termini la frase, Maria, che ha capito, si svincola, gira su se stessa, si


curva ad arco verso il suolo, si porta le mani agli occhi e grida: «Non ho più Figlio!».<br />

E poi vacilla e cadrebbe se Giovanni non se la raccogliesse tutta sul cuore, e poi egli si siede, per<br />

terra, per sostenerla meglio sul suo petto, finché le Marie, non più trattenute dal cerchio superiore di<br />

armati - perché, ora che i giudei sono fuggiti, i romani si sono ammucchiati sulla piazzuola<br />

sottostante commentando l’accaduto - sostituiscono l’apostolo presso la Madre.<br />

La Maddalena si siede dove era Giovanni, e quasi si adagia Maria sui ginocchi, sostenendola fra le<br />

braccia e il suo petto, baciandola sul volto esangue, riverso sulla spalla pietosa. Marta e Susanna,<br />

con la spugna e un lino intrisi nell’aceto, le bagnano le tempie e le narici, mentre la cognata Maria<br />

le bacia le mani chiamandola con strazio, e appena Maria riapre gli occhi, e gira uno sguardo che il<br />

dolore rende come ebete, le dice: «Figlia, figlia diletta, ascolta... dimmi che mi vedi... Sono la tua<br />

Maria... Non mi guardare così!...». E poiché il primo singhiozzo apre la gola di Maria e le prime<br />

lacrime cadono, ella, la buona Maria d’Alfeo, dice: «Sì, sì, piangi... Qui con me, come da una<br />

mamma, povera, santa figlia mia»; e quando si sente dire: «Oh! Maria! Maria! hai visto?», ella<br />

geme: «Sì, sì,... ma... ma... figlia... oh! figlia!...». Non trova più altro e piange, l’anziana Maria. Un<br />

pianto desolato, a cui fanno eco tutte le altre, ossia Marta e Maria, la madre di Giovanni e Susanna.<br />

Le altre pie donne non ci sono più. Penso siano andate via, e con esse i pastori, quando si udì quel<br />

grido femminile...<br />

25 I soldati parlottano fra di loro.<br />

«Hai visto i giudei? Ora avevano paura».<br />

«E si battevano il petto».<br />

«I più terrorizzati erano i sacerdoti!».<br />

«Che paura! Ho sentito altri terremoti. Ma come questo mai. Guarda: la terra è rimasta piena di<br />

fessure».<br />

«E lì è franato tutto un pezzo della via lunga».<br />

«E sotto ci sono dei corpi».<br />

«Lasciali! Tanti serpenti di meno».<br />

«Oh! un altro incendio! Nella campagna...».<br />

«Ma è morto proprio?».<br />

«E non vedi? Ne hai dubbi?».<br />

26 Spuntano da dietro la roccia Giuseppe e Nicodemo. Certo si erano rifugiati lì, dietro il riparo del<br />

monte, per salvarsi dai fulmini. Vanno da Longino. «Vogliamo il Cadavere».<br />

«Solo il Proconsole lo concede. Andate, e presto, perché ho sentito che i giudei vogliono andare al<br />

Pretorio ed ottenere il crucifragio. Non vorrei facessero sfregio».<br />

«Come lo sai?».<br />

«Rapporto dell’alfiere. Andate. <strong>Io</strong> attendo».<br />

I due si precipitano giù per la strada ripida e scompaiono.<br />

27 È qui che Longino si accosta a Giovanni e gli dice piano qualche parola che non afferro. Poi si fa<br />

dare da un soldato una lancia. Guarda le donne tutte intente a Maria, che riprende lentamente le<br />

forze. Esse hanno, tutte, le spalle alla croce.<br />

Longino si pone di fronte al Crocifisso, studia bene il colpo e poi lo vibra. La larga lancia penetra<br />

profondamente da sotto in su, da destra a sinistra.<br />

Giovanni, combattuto fra il desiderio di vedere e l’orrore di vedere, torce per un attimo il viso.<br />

«È fatto, amico», dice Longino e termina: «Meglio così. Come a un cavaliere. E senza spezzare<br />

ossa... Era veramente un Giusto!».<br />

Dalla ferita geme molt’acqua e un filino appena di sangue già tendente a raggrumarsi. Geme, ho<br />

detto. Non esce che filtrando dal taglio netto che rimane inerte, mentre, se vi fosse stato del respiro,<br />

si sarebbe aperto e chiuso nel moto toracico addominale. ..<br />

28 Mentre sul Calvario tutto resta in questo tragico aspetto, io raggiungo Giuseppe e Nicodemo che<br />

scendono per una scorciatoia per fare più presto.<br />

Sono quasi alla base quando si incontrano con Gamaliele. Un Gamaliele spettinato, senza<br />

copricapo, senza mantello, con la splendida veste sporca di terriccio e strappata dai rovi. Un<br />

Gamaliele che corre, salendo e ansando, con le mani nei capelli radi e molto brizzolati di uomo


anziano. Si parlano senza fermarsi.<br />

«Gamaliele! Tu?».<br />

«Tu, Giuseppe? Lo lasci?».<br />

«<strong>Io</strong> no. Ma tu come qui? E così?...».<br />

«Cose tremende! Ero nel Tempio! <strong>Il</strong> segno! <strong>Il</strong> Tempio scardinato! <strong>Il</strong> velo di porpora e giacinto<br />

pende lacerato! <strong>Il</strong> Sancta Santorum è scoperto! Anatema è su noi!». Ha parlato continuando a<br />

correre verso la cima, reso pazzo dalla prova.<br />

I due lo guardano andare... si guardano... dicono insieme: «“Queste pietre fremeranno alle mie<br />

ultime parole!”. Egli glielo aveva promesso!...».<br />

29 Affrettano la corsa verso la città.<br />

Per la campagna, fra il monte e le mura, e oltre, vagano, nell’aria ancora fosca, persone con aspetto<br />

di ebeti... Urli, pianti, lamenti... Chi dice: «<strong>Il</strong> suo Sangue ha piovuto fuoco!». Chi: «Fra i fulmini<br />

Geové è apparso a maledire il Tempio!». Chi geme: «I sepolcri! I sepolcri!».<br />

Giuseppe afferra uno che dà di cozzo la testa contro la muraglia e lo chiama a nome, tirandoselo<br />

dietro mentre entra in città: «Simone! Ma che vai dicendo?».<br />

«Lasciami! Un morto anche tu! Tutti i morti! Tutti fuori! E mi maledicono».<br />

«È impazzito», dice Nicodemo.<br />

Lo lasciano e trottano verso il Pretorio.<br />

La città è in preda del terrore. Gente che vaga battendosi il petto. Gente che fa un salto indietro o si<br />

volge spaventata sentendo dietro una voce o un passo.<br />

In uno dei tanti archivolti oscuri, l’apparizione di Nicodemo, vestito di lana bianca - perché, per fare<br />

più presto, si è levato sul Golgota il manto oscuro - fa dare un urlo di terrore ad un fariseo fuggente.<br />

Poi si accorge che è Nicodemo e gli si attacca al collo con una espansione strana, urlando: «Non mi<br />

maledire! Mia madre m’è apparsa e mi ha detto: “Sii maledetto in eterno!”», e poi si accascia al<br />

suolo gemendo: «Ho paura! Ho paura!».<br />

«Ma sono tutti folli!», dicono i due.<br />

È raggiunto il Pretorio. E solo qui, mentre attendono di essere ricevuti dal Proconsole, Giuseppe e<br />

Nicodemo riescono a sapere il perché di tanti terrori. Molti sepolcri si erano aperti sotto la scossa<br />

tellurica, e c’era chi giurava averne visto uscire gli scheletri, che per un attimo si ricomponevano<br />

con parvenza umana e andavano accusando i colpevoli del deicidio e maledicendoli.<br />

Li lascio nell’atrio del Pretorio, dove i due amici di Gesù entrano senza tante storie di stupidi<br />

ribrezzi e paure di contaminazioni, 30 e torno sul Calvario, raggiungendo Gamaliele che sale, ormai<br />

sfinito, gli ultimi metri. Procede battendosi il petto e, quando giunge sulla prima delle due<br />

piazzuole, si butta bocconi, lunghezza bianca sul suolo giallastro, e geme: «<strong>Il</strong> segno! <strong>Il</strong> segno!<br />

Dimmi che mi perdoni! Un gemito, anche un gemito solo, per dirmi che mi odi e perdoni».<br />

Comprendo che lo crede ancora vivo. Né si ricrede altro che quando un soldato, urtandolo con<br />

l’asta, dice: «Alzati e taci. Non serve! Dovevi pensarci prima. È morto. E io, pagano, te lo dico:<br />

Costui, che voi avete crocifisso, era realmente il Figlio di <strong>Dio</strong>!».<br />

«Morto? Morto sei? Oh!...». Gamaliele alza il volto terrorizzato, cerca vedere fin lassù in cima,<br />

nella luce crepuscolare. Poco vede, ma quel tanto da capire che Gesù è morto lo vede. E vede il<br />

gruppo pietoso che conforta Maria, e Giovanni ritto alla sinistra della croce che piange, e Longino<br />

ritto a destra, solenne nella sua rispettosa postura.<br />

Si pone in ginocchio, tende le braccia e piange: «Eri Tu! Eri Tu! Non possiamo più avere perdono.<br />

Abbiamo chiesto il tuo Sangue su noi. Ed Esso grida al Cielo, e il Cielo ci maledice... Oh! Ma Tu<br />

eri la Misericordia!... <strong>Io</strong> ti dico, io, l’annientato rabbi di Giuda: “<strong>Il</strong> tuo Sangue su noi, per pietà”.<br />

Aspergici con Esso! Perché solo Esso può impetrarci perdono...», piange. E poi, più piano, confessa<br />

la sua segreta tortura: «Ho il segno richiesto... Ma secoli e secoli di cecità spirituale stanno sulla mia<br />

vista interiore, e contro il mio volere di ora si drizza la voce del mio superbo pensiero di ieri... Pietà<br />

di me! Luce del mondo, nelle tenebre che non ti hanno compreso fa’ scendere un tuo raggio! Sono il<br />

vecchio giudeo fedele a ciò che credevo giustizia ed era errore. Adesso sono una landa brulla, senza<br />

più alcuno degli antichi alberi della Fede antica, senza alcun seme o stelo della Fede nuova. Sono<br />

un arido deserto. Opera Tu il miracolo di far sorgere un fiore che abbia il tuo nome in questo povero


cuore di vecchio israelita pervicace. In questo mio povero pensiero, prigioniero delle formule,<br />

penetra Tu, Liberatore. Isaia lo dice*: “... pagò per i peccatori e prese su Sé i peccati di molti”. Oh!<br />

anche il mio, Gesù Nazareno...».<br />

Si alza. Guarda la croce che si fa sempre più nitida nella luce che rischiara e poi se ne va curvo,<br />

invecchiato, annichilito.<br />

E sul Calvario torna il silenzio, appena rotto dal pianto di Maria. I due ladroni, esausti dalla paura,<br />

non parlano più.<br />

______________<br />

* lo dice, in: Isaia 53, 12.<br />

31 Tornano in corsa Nicodemo e Giuseppe, dicendo che hanno il permesso di Pilato. Ma Longino,<br />

che non si fida troppo, manda un soldato a cavallo dal Proconsole per sapere come deve fare anche<br />

coi due ladroni. <strong>Il</strong> soldato va e torna al galoppo con l’ordine di consegnare Gesù e di compiere il<br />

crucifragio sugli altri, per volere dei giudei.<br />

Longino chiama i quattro boia, che sono vigliaccamente accoccolati sotto la rupe, ancora<br />

terrorizzati dell’accaduto, e ordina che i due ladroni siano finiti a colpi di clava. Cosa che avviene<br />

senza proteste per Disma, al quale il colpo di clava, sferrato al cuore dopo aver già percosso i<br />

ginocchi, spezza a metà fra le labbra, in un rantolo, il nome di Gesù. E con maledizioni orrende da<br />

parte dell’altro ladrone. <strong>Il</strong> loro rantolo è lugubre.<br />

32 I quattro carnefici vorrebbero anche occuparsi di Gesù, staccandolo dalla croce. Ma Giuseppe e<br />

Nicodemo non lo permettono. Anche Giuseppe si leva il mantello e dice a Giovanni di imitarlo e di<br />

tenere le scale mentre loro salgono con leve e tenaglie.<br />

Maria si alza tremante, sorretta dalle donne, e si accosta alla croce.<br />

Intanto i soldati, finito il loro compito, se ne vanno. E Longino, prima di scendere oltre la piazzuola<br />

inferiore, si volta dall’alto del suo morello a guardare Maria e il Crocifisso. Poi il rumore degli<br />

zoccoli suona sulle pietre e quello delle armi contro le corazze, e si allontana sempre più.<br />

<strong>Il</strong> palmo sinistro è schiodato. <strong>Il</strong> braccio cade lungo il Corpo, che ora pende semistaccato.<br />

Dicono a Giovanni di salire lui pure, lasciando le scale alle donne. E Giovanni, montato sulla scala<br />

dove prima era Nicodemo, si passa il braccio di Gesù intorno al collo e lo tiene così, tutto<br />

abbandonato sul suo òmero, abbracciato dal suo braccio alla vita e tenuto per la punta delle dita per<br />

non urtare l’orrendo squarcio della mano sinistra, che è quasi aperta. Quando i piedi sono schiodati,<br />

Giovanni fatica non poco a tenere e sostenere il Corpo del suo Maestro fra la croce e il suo corpo.<br />

Maria si pone già ai piedi della croce, seduta con le spalle alla stessa, pronta a ricevere il suo Gesù<br />

nel grembo.<br />

Ma schiodare il braccio destro è l’operazione più difficile. Nonostante ogni sforzo di Giovanni, il<br />

Corpo pende tutto in avanti e la testa del chiodo sprofonda nella carne. E, poiché non vorrebbero<br />

ferirlo di più, i due pietosi faticano molto. Finalmente il chiodo è afferrato dalla tenaglia e estratto<br />

piano piano.<br />

Giovanni tiene sempre Gesù per le ascelle, con la testa rovesciata sulla sua spalla, mentre Nicodemo<br />

e Giuseppe lo afferrano uno alle cosce, l’altro ai ginocchi, e cautamente scendono così dalle scale.<br />

33 Giunti a terra, vorrebbero adagiarlo sul lenzuolo che hanno steso sui loro mantelli. Ma Maria lo<br />

vuole. Si è aperta il manto, lasciandolo pendere da una parte, e sta con le ginocchia piuttosto aperte<br />

per fare cuna al suo Gesù.<br />

Mentre i discepoli girano per darle il Figlio, la testa coronata ricade all’indietro e le braccia<br />

pendono verso terra, e struscerebbero al suolo con le mani ferite se la pietà delle pie donne non le<br />

tenessero per impedirlo.<br />

Ora è in grembo alla Madre... E sembra uno stanco e grande bambino che dorma tutto raccolto sul<br />

seno materno. Maria lo tiene col braccio destro passato dietro le spalle del Figlio e il sinistro passato<br />

al disopra dell’addome per sorreggerlo alle anche.<br />

La testa è sulla spalla materna. E Lei lo chiama... lo chiama con voce di strazio. Poi se lo stacca<br />

dalla spalla e lo carezza con la sinistra, ne raccoglie e stende le mani e, prima di incrociarle sul<br />

grembo spento, le bacia, e piange sulle ferite. Poi carezza le guance, specie là dove è il livido e il


gonfiore, bacia gli occhi infossati, la bocca rimasta lievemente storta a destra e socchiusa.<br />

Vorrebbe ravviargli i capelli, come gli ha ravviato la barba ingrommata di sangue. Ma nel farlo<br />

incontra le spine. Si punge per levare quella corona e non vuole farlo che Lei, con l’unica mano che<br />

ha libera, e respinge tutti dicendo: «No, no! <strong>Io</strong>! <strong>Io</strong>!», e pare abbia fra le dita il capo tenerello di un<br />

neonato, tanto va con delicatezza nel farlo. E quando può levare questa torturante corona, si curva a<br />

medicare tutti gli sgraffi delle spine con i baci.<br />

Con la mano tremante divide i capelli scomposti, li ravvia e piange, e parla piano piano, e asciuga<br />

con le dita le lacrime che cadono sulle povere carni gelide e sanguinose, e pensa di pulirle col<br />

pianto e col suo velo, che è ancora ai lombi di Gesù. E ne tira a sé una estremità, e con quella si dà a<br />

detergere ed asciugare le membra sante. E sempre torna in carezze sul volto e poi sulle mani, e poi<br />

carezza le ginocchia contuse, e poi risale ad asciugare il Corpo, su cui cadono lacrime e lacrime.<br />

È nel fare questo che la sua mano incontra lo squarcio del costato. La piccola mano, coperta dal lino<br />

sottile, entra quasi tutta nell’ampia bocca della ferita. Maria si curva per vedere, nella semiluce che<br />

si è formata, e vede. Vede il petto aperto e il cuore di suo Figlio. Urla, allora. Sembra che una spada<br />

apra a Lei il cuore. Urla, e poi si rovescia sul Figlio e pare morta Lei pure.<br />

34 La soccorrono, la confortano. Le vogliono levare il Morto divino e, poiché Ella grida: «Dove,<br />

dove ti metterò, che sia sicuro e degno di Te?», Giuseppe, tutto curvo in un inchino riverente, la<br />

mano aperta appoggiata sul petto, dice: «Confortati, o Donna! <strong>Il</strong> mio sepolcro è nuovo e degno di<br />

un grande. Lo dono a Lui. E questo, Nicodemo, amico, già nel sepolcro ha portato gli aromi, ché<br />

egli questo vuole offrire di suo. Ma, te ne prego, poiché la sera si avvicina, lasciaci fare... È<br />

Parasceve. Sii buona, o Donna santa!».<br />

Anche Giovanni e le donne pregano in tal senso, e Maria si lascia levare dal grembo la sua Creatura,<br />

e si alza, affannosa, mentre lo avvolgono nel lenzuolo, pregando: «Oh! fate piano!».<br />

Nicodemo e Giovanni alle spalle, Giuseppe ai piedi, sollevano la Salma avvolta non solo nel<br />

lenzuolo, ma appoggiata anche sui mantelli che fanno da portantina, e si avviano giù per la via.<br />

Maria, sorretta dalla cognata e dalla Maddalena, seguita da Marta, Maria di Zebedeo e Susanna, che<br />

hanno raccolto i chiodi, le tenaglie, la corona, la spugna e la canna, scende verso il sepolcro.<br />

Sul Calvario restano le tre croci, di cui quella di centro è nuda e le due altre hanno il loro vivo<br />

trofeo che muore.<br />

35 «Ed ora», dice Gesù, «fate bene attenzione. Ti risparmio la descrizione della sepoltura, che è fatta<br />

bene dallo scorso anno: 19 febbraio 1944. Userete perciò quella*, e P. M. metterà al termine della<br />

stessa il lamento di Maria che ho dato a suo tempo: 4 ottobre 1944. Poi metterai quanto vedrai tu di<br />

nuovo. Sono parti nuove della Passione a vanno messe a posto molto bene, per non fare confusione<br />

o lasciare lacune».<br />

610. Angoscia di Maria al Sepolcro e unzione del Corpo di Gesù.<br />

19 febbraio 1944.<br />

1 Dire quello che io provo è inutile. Farei unicamente un’esposizione del mio soffrire, e perciò senza<br />

valore rispetto al soffrire che io vedo. Lo descrivo dunque, senza commenti su me.<br />

2 Assisto alla sepoltura di Nostro Signore.<br />

<strong>Il</strong> piccolo corteo, dopo aver sceso il Calvario, trova alla base dello stesso, scavato nel calcare del<br />

monte, il sepolcro di Giuseppe d’Arimatea. In esso entrano i pietosi col Corpo di Gesù.<br />

Vedo il sepolcro fatto così. È un ambiente ricavato nella pietra in fondo ad una ortaglia tutta in fiore.<br />

Sembra una grotta, ma si capisce scavata dalla mano dell’uomo. Vi è la camera sepocrale<br />

propriamente detta con i suoi loculi (fatti diversi da quelli delle catacombe). Questi sono come fori<br />

tondi che penetrano nella pietra come buchi di un alveare, tanto per dare un’idea. Per ora sono tutti<br />

vuoti. Si vede l’occhio vuoto di ogni loculo come una macchia nera nel grigiastro della pietra. Poi,<br />

precedente a questa camera sepolcrale, vi è come un’anticamera. A1 centro della stessa, il tavolo di


pietra per l’unzione. Su questo viene posto Gesù nel suo lenzuolo.<br />

Entrano anche Giovanni e Maria. Non di più, perché la camera preparatoria è piccola e, se fossero<br />

in più persone, non potrebbero più muoversi. Le altre donne stanno presso la porta, ossia presso<br />

l’apertura, perché non vi è porta vera e propria.<br />

3 I due portatori scoprono Gesù.<br />

Mentre essi preparano, in un angolo, su una specie di mensola, alla luce di due torce, le bende e gli<br />

aromi, Maria si curva sul Figlio e piange. E daccapo lo asciuga col velo che è ancora ai lombi di<br />

Gesù. È l’unico lavacro che ha il Corpo di Gesù, questo delle lacrime materne, e se sono copiose e<br />

abbondanti non servono però che a levare superficialmente e parzialmente polvere, sudore e sangue<br />

di quel Corpo torturato.<br />

____________________________<br />

* quella, che corrisponde solo alla parte iniziale della “visione” del 19 febbraio 1944, il cui seguito,<br />

riscritto più ampiamente il 28 marzo 1945, è nel successivo capitolo 611.<br />

Maria non si stanca di carezzare quelle membra gelate. Con una delicatezza ancor maggiore che se<br />

toccasse quelle di un neonato, Ella prende le povere mani straziate, le stringe fra le sue, ne bacia le<br />

dita, le stende, cerca di riunire le slabbrature delle ferite come per medicarle, perché dolgano meno,<br />

si appoggia sulle guance quelle mani che non possono più accarezzare, e geme, geme nel suo dolore<br />

atroce. Raddrizza e unisce i poveri piedi, che stanno così abbandonati, come mortalmente stanchi di<br />

tanto cammino fatto per noi. Ma essi si sono troppo spostati sulla croce, e specie il sinistro sta quasi<br />

per piatto come non avesse più caviglia.<br />

Poi torna al Corpo e lo carezza, così freddo e già rigido, e quando vede una nuova volta lo squarcio<br />

della lancia che ora, nella posizione supina del Salvatore sulla lastra di pietra, è aperto e beante<br />

come una bocca, lasciante vedere meglio ancora la cavità toracica - la punta del cuore appare<br />

distintamente fra lo sterno e l’arco costale sinistro, e due centimetri circa sopra di essa vi è<br />

l’incisione fatta dalla punta della lancia nel pericardio e nel cardio, lunga un buon centimetro e<br />

mezzo, mentre quella esterna al costato destro è di almeno sette - Maria grida di nuovo come sul<br />

Calvario. Sembra che la lancia trapassi Lei, tanto Ella si contorce nel suo dolore, portando le mani<br />

al cuore suo, trafitto come quello di Gesù. Quanti baci su quella ferita, povera Mamma!<br />

Poi torna al capo riverso e lo raddrizza, poiché è rimasto lievemente piegato indietro e fortemente a<br />

destra. Cerca di chiudere le palpebre, che si ostinano a rimanere semichiuse, e la bocca rimasta<br />

aperta, contratta, un poco storta a destra. Ravvia i capelli, solo ieri tanto belli e ordinati, ed ora fatti<br />

tutto un groviglio appesantito dal sangue. Districa le ciocche più lunghe, le liscia sulle sue dita, le<br />

arrotola per ridare ad esse la forma dei dolci capelli del suo Gesù, così morbidi e ricciuti. E geme,<br />

geme perché si ricorda di quando era bambino... È il motivo fondamentale del suo dolore: il ricordo<br />

dell’infanzia di Gesù, del suo amore per Lui, delle sue cure che temevano anche dell’aria più viva<br />

per la Creaturina divina, e il confronto con quanto gli hanno fatto, ora, gli uomini.<br />

4 <strong>Il</strong> suo lamento mi fa stare male. Ed il suo gesto quando, gemendo: «Che ti hanno, che ti hanno<br />

fatto, Figlio mio?», non potendolo vedere così, nudo, rigido, su una pietra, Ella se lo raccoglie in<br />

braccio, passandogli il braccio sotto le spalle e serrandolo sul petto con l’altra mano e ninnandolo,<br />

con la stessa mossa della grotta della Natività, mi fa piangere e soffrire come se una mano mi<br />

frugasse nel cuore.<br />

4 ottobre 1944.<br />

5 La terribile angoscia spirituale di Maria.<br />

La Madre è ritta presso la pietra dell’unzione e carezza, e contempla, e geme, e piange. La luce<br />

tremolante delle torce illumina a tratti il suo volto, ed io vedo dei grossi goccioloni di pianto<br />

rotolare sulle guance pallidissime di un viso devastato. E odo le parole. Tutte. Ben distinte, per<br />

quanto mormorate fra le labbra, vero colloquio di anima materna coll’anima del Figlio. Ricevo<br />

l’ordine di scriverle.<br />

6 «Povero Figlio! Quante ferite!... Come hai sofferto! Guarda che t’hanno fatto!... Come sei freddo,<br />

Figlio! Le tue dita sono di gelo. E come sono inerti! Paiono spezzate. Mai, neppure nel sonno più<br />

abbandonato dell’infanzia, né in quello pesante della tua fatica di artiere, erano inerti così... E come


sono fredde! Povere mani! Dàlle alla tua Mamma, tesoro mio, amore santo, amore mio! Guarda<br />

come sono lacerate! Ma guarda, Giovanni, che squarcio! Oh! crudeli! Qui, qui, dalla tua Mamma<br />

questa mano ferita. Che te la medichi. Oh! non ti farò male... Userò baci e lacrime, e col fiato e con<br />

l’amore te la scalderò. Dammi una carezza, Figlio! Tu sei di ghiaccio, io ardo di febbre. La mia<br />

febbre avrà sollievo dal tuo gelo, e il tuo gelo si molcerà alla mia febbre. Una carezza, Figlio! Sono<br />

poche ore che non mi carezzi, e mi paiono secoli. Vi furono mesi senza tue carezze, e mi parvero<br />

ore perché sempre aspettavo il tuo venire e di ogni giorno facevo un’ora, di ogni ora un minuto, per<br />

dirmi che Tu non m’eri lontano da una o più lune, ma da solo pochi dì, da sole poche ore. Perché<br />

ora è così lungo il tempo? Ah! strazio inumano! Perché Tu sei morto. Mi ti hanno morto! Non ci sei<br />

più sulla Terra! Più! In qualunque posto io getti l’anima per cercare la tua e abbracciarsi ad essa,<br />

poiché trovarti, averti, sentirti era la vita della mia carne e del mio spirito, in qualunque posto io ti<br />

cerchi con l’onda del mio amore, non ti trovo più, più non ti trovo! Di Te non mi resta che questa<br />

spoglia fredda, questa spoglia senz’anima! O anima del mio Gesù, o anima del mio Cristo, o anima<br />

del mio Signore, dove sei? Perché avete levata l’anima al Figlio mio, iene crudeli congiunte con<br />

Satana? E perché non m’avete seco lui crocifissa? Avete avuto paura di un secondo delitto? (La<br />

voce si fa sempre più forte e straziante). E che era uccidere una povera donna, per voi che non avete<br />

esitato ad uccidere <strong>Dio</strong> fatto Carne? Non avete commesso un secondo delitto? E non è questo il più<br />

nefando, di lasciare sopravvivere una madre al figlio trucidato?».<br />

7 La Madre, che con la voce aveva alzato anche il capo, ora torna a curvarsi sul volto spento ed a<br />

parlare piano, solo per Lui:<br />

«Almeno nella tomba, qui dentro, saremmo stati insieme come insieme saremmo stati nell’agonia<br />

sul legno, e insieme nel viaggio oltre vita e incontro alla Vita. Ma, se seguirti non posso nel viaggio<br />

oltre la vita, qui ad attenderti posso restare».<br />

Si torna a drizzare a dice forte ai presenti:<br />

«Andate tutti. <strong>Io</strong> resto. Chiudetemi qui con Lui. Lo attendo. Che dite? Che non si può? Perché non<br />

si può? Se fossi morta non sarei qui, coricata al suo fianco, in attesa d’essere composta? Sarò al suo<br />

fianco, ma in ginocchio. Vi fui quando Egli vagiva, tenero e roseo, in una notte decembrina. Vi sarò<br />

ora, in questa notte del mondo che non ha più il Cristo. Oh! vera notte! La Luce non è più!... O<br />

gelida notte! L’Amore è morto! Che dici, Nicodemo? Mi contamino? <strong>Il</strong> suo Sangue non è<br />

contaminazione. Non mi contaminai neppure nel generarlo. Ah! come uscisti, Tu, Fiore del mio<br />

seno, senza lacerare fibra, ma proprio come fiore di profumato narciso, che sboccia dall’anima del<br />

bulbo matrice e dà fiore anche se l’abbraccio della terra non è stato sulla matrice. Vergine fiorire<br />

che in Te ha riscontro, o Figlio venuto da abbraccio celeste e nato fra celesti dilagar di fulgori».<br />

8 Ora la Madre straziata si torna a curvare sul Figlio, straniandosi da ogni altra cosa che non sia Lui,<br />

e mormora piano:<br />

«Ma te la ricordi, Figlio, quella sublime veste di splendori che tutto vestì mentre il tuo sorriso<br />

nasceva al mondo? Te la ricordi quella beatifica luce che il Padre mandò dai Cieli per avvolgere il<br />

mistero del tuo fiorire e per farti trovare meno repellente questo mondo oscuro, a Te che eri Luce e<br />

venivi dalla Luce del Padre e dello Spirito Paraclito? Ed ora?... Ora buio e freddo... Quanto freddo!<br />

Quanto! <strong>Io</strong> ne tremo tutta. Più di quella notte di dicembre. Allora c’era la gioia dell’averti a<br />

scaldarmi il cuore. E Tu avevi due ad amarti... Ora... Ora sono sola e morente io pure. Ma ti amerò<br />

per due: per questi che ti hanno amato tanto poco da abbandonarti nel momento del dolore; ti amerò<br />

per quelli che ti hanno odiato, per tutto il mondo ti amerò, o Figlio. Non sentirai il gelo del mondo.<br />

No, non lo sentirai. Tu non mi apristi le viscere per nascere, ma per non farti sentire il gelo io sono<br />

pronta ad aprirmele e chiuderti nell’abbraccio del seno mio. Tu lo ricordi come questo seno ti amò,<br />

piccolo germe palpitante?... È sempre quel seno. Oh! è il mio diritto e il mio dovere di Madre. È il<br />

mio desiderio. Non c’è che la Madre che possa averlo, che possa avere per il Figlio un amore<br />

grande quanto l’universo.<br />

9 La voce si è andata elevando e ora, tutta forte, dice:<br />

«Andate. <strong>Io</strong> resto. Tornerete fra tre giorni ed usciremo insieme. Oh! rivedere il mondo appoggiata al<br />

tuo braccio, o Figlio mio! Come sarà bello il mondo alla luce del tuo risorto sorriso! <strong>Il</strong> mondo<br />

fremente al passo del suo Signore! La Terra ha tremato quando la morte ti ha svelto l’anima e dal


cuore t’è uscito lo spirito. Ma ora tremerà... oh! non più di orrore e spasimo, ma del fremito soave, a<br />

me sconosciuto ma che la mia femminilità intuisce, che scuote una vergine quando, dopo<br />

un’assenza, sente la pedata dello sposo che viene per le nozze. Più ancora: la Terra fremerà di un<br />

fremito santo, come io ne fui scossa, fin nel profondo più fondo, quando ebbi in me il Signore Uno<br />

e Trino, e il volere del Padre col fuoco dell’Amore creò il seme da cui Tu sei venuto, o mio<br />

Bambino santo, Creatura mia, tutta mia! Tutta! Tutta della Mamma! della Mamma!... Ogni bambino<br />

ha padre e madre. Anche il bastardo ha un padre e una madre. Ma Tu hai avuto la Mamma sola a<br />

farti la Carne di rosa e giglio, a farti questi ricami di vene, azzurre come i nostri rivi di Galilea, e<br />

queste labbra di melograno, e questi capelli che più vaghi non l’hanno le capre biondo-chiomate dei<br />

nostri colli, e questi occhi, due piccoli laghi di Paradiso. No, anzi, che son dell’acqua da cui viene<br />

l’unico e quadruplice Fiume del Luogo di delizie*, e seco porta, nei suoi quattro rami, l’oro, l’onice,<br />

il bidellio e l’avorio, e i diamanti, e le palme, e il miele, e le rose, e ricchezze infinite, o Fison, o<br />

Gehon, o Tigri, o Eufrate: via agli angeli giubilanti in <strong>Dio</strong>, via ai re che Te adorano, Essenza<br />

conosciuta o sconosciuta, ma vivente, ma presente anche nel cuore più oscuro! Solo la tua Mamma<br />

ti ha fatto questo, col suo “sì”... Di musica e di amore ti ho composto, di purezza e ubbidienza ti ho<br />

fatto, o Gioia mia! 10 <strong>Il</strong> tuo Cuore cosa è? La fiamma del mio che si è partita per condensarsi in<br />

corona intorno<br />

____________________<br />

* Luogo di delizie, quello di: Genesi 2, 8-15.<br />

al bacio di <strong>Dio</strong> alla sua Vergine. Ecco cosa è questo tuo Cuore. Ah!».<br />

(L’urlo è straziante, al punto che la Maddalena accorre a soccorrere insieme a Giovanni. Le altre<br />

non osano e, piangenti e velate, sogguardano dall’apertura).<br />

«Ah! te l’hanno spezzato! Ecco perché sei così freddo e così fredda sono io! Non hai più dentro la<br />

fiamma del mio cuore, ed io non posso più continuare a vivere per il riflesso di quella fiamma, che<br />

era mia e che ti ho data per farti un cuore. Qui, qui, qui, sul mio petto! Prima che morte m’uccida ti<br />

voglio scaldare, cullare ti voglio. Ti cantavo: “Non c’è casa, non c’è cibo, non c’è altro che dolor”.<br />

O profetiche parole! Dolore, dolore, dolore per Te, per me! Ti cantavo: “Dormi, dormi sul mio<br />

cuore”. Anche ora: qui, qui, qui...».<br />

E, sedendosi sull’orlo della pietra, se lo raccoglie in grembo, passandosi un braccio del Figlio sulle<br />

spalle, appoggiandosi il capo del Figlio sull’òmero e su quel capo piegando il suo, tenendolo stretto<br />

al petto, ninnandolo, baciandolo, straziata e straziante.<br />

11 Nicodemo a Giuseppe si avvicinano, appoggiando ad una specie di sedile, che è all’altra parte<br />

della pietra, vasi e bende, e la sindone monda e un catino con acqua, mi pare, e batuffoli di filacce,<br />

mi pare.<br />

Maria vede e chiede, forte: «Che fate voi? Che volete? Prepararlo? A che? Lasciatelo in grembo alla<br />

sua Mamma. Se riesco a scaldarlo, prima risorge. Se riesco a consolare il Padre e a consolare Lui<br />

dell’odio deicida, il Padre perdona prima, e Lui prima torna».<br />

La Dolorosa è quasi delirante.<br />

«No, non ve lo do! L’ho dato una volta, una volta l’ho dato al mondo, e il mondo non lo ha voluto.<br />

L’ha ucciso per non volerlo. Ora non lo do più! Che dite? Che lo amate? Già! Ma perché allora non<br />

l’avete difeso? Avete atteso, a dirlo che lo amavate, quando non era più che uno che non poteva più<br />

udirvi. Che povero amore il vostro! Ma se eravate così paurosi del mondo, al punto di non osare di<br />

difendere un innocente, almeno lo dovevate rendere a me, alla Madre, perché difendesse il suo<br />

Nato. Lei sapeva chi era e che meritava. Voi!... Voi lo avete avuto a Maestro, ma non avete nulla<br />

imparato. Non è vero forse? Mento forse? Ma non vedete che non credete alla sua Risurrezione? Ci<br />

credete? No. Perché state là, preparando bende e aromi? Perché lo giudicate un povero morto, oggi<br />

gelido, domani corrotto, e lo volete imbalsamare per questo. Lasciate le vostre manteche. Venite ad<br />

adorare il Salvatore col cuore puro dei pastori betlemmiti. Guardate: nel suo sonno non è che uno<br />

stanco che riposa. Quanto ha faticato nella vita! Sempre più ha faticato! E in queste ultime ore,<br />

poi!... Ora riposa. Per me, per la Mamma sua non è che un grande Bambino stanco che dorme. Ben<br />

misero il letto e la stanza! Ma anche il suo primo giaciglio non fu più bello, né più allegra la sua<br />

prima dimora. I pastori adorarono il Salvatore nel suo sonno di Infante. Voi adorate il Salvatore nel


suo sonno di Trionfatore di Satana. E poi, come i pastori, andate a dire al mondo: “Gloria a <strong>Dio</strong>! <strong>Il</strong><br />

Peccato è morto! Satana è vinto! Pace sia in Terra e in Cielo fra <strong>Dio</strong> e l’uomo!”. Preparate le vie al<br />

suo ritorno. <strong>Io</strong> vi mando. <strong>Io</strong> che la Maternità fa Sacerdotessa del rito. Andate. Ho detto che non<br />

voglio. <strong>Io</strong> l’ho lavato col mio pianto. E basta. <strong>Il</strong> resto non occorre. E non vi pensate di porlo su di<br />

Lui. Più facile sarà per Lui il risorgere se libero da quelle funebri, inutili bende. Perché mi guardi<br />

così, Giuseppe? E tu perché, Nicodemo? Ma l’orrore di questa giornata ebeti vi ha fatto?<br />

Smemorati? Non ricordate? “A questa generazione malvagia e adultera, che cerca un segno, non<br />

sarà dato che il segno di Giona... Così il Figlio dell’uomo starà tre giorni e tre notti nel cuore della<br />

Terra”. Non ricordate? “<strong>Il</strong> Figlio dell’uomo sta per essere dato in mano agli uomini che<br />

l’uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà”. Non ricordate? “Distruggete questo Tempio del <strong>Dio</strong><br />

vero ed in tre giorni <strong>Io</strong> lo risusciterò”. <strong>Il</strong> Tempio era il suo Corpo, o uomini. Scuoti il capo? Mi<br />

compiangi? Folle mi credi? Ma come? Ha risuscitato i morti e non potrà risuscitare Se stesso?<br />

12Giovanni?». «Madre!».<br />

«Sì, chiamami “madre”. Non posso vivere pensando che non sarò chiamata così! Giovanni, tu eri<br />

presente quando risuscitò la figlioletta di Giairo e il giovinetto di Naim. Erano ben morti, quelli,<br />

vero? Non era solo un pesante sopore? Rispondi».<br />

«Morti erano. La bambina da due ore, il giovinetto da un giorno e mezzo».<br />

«E sorsero al suo comando?».<br />

«E sorsero al suo comando».<br />

«Avete udito? Voi due, avete udito? Ma perché scuotete il capo? Ah! forse volete dire che la vita<br />

torna più presto in chi è innocente e giovinetto. Ma il mio Bambino è l’Innocente! Ed è il sempre<br />

Giovane. È <strong>Dio</strong>, mio Figlio!...». La Madre guarda con occhi di strazio e di follia i due preparatori<br />

che, accasciati ma inesorabili, dispongono i rotoli delle bende inzuppate ormai negli aromi.<br />

Maria fa due passi. Ha rideposto il Figlio sulla pietra con la delicatezza di chi depone un neonato<br />

nella cuna. Fa due passi, si curva ai piedi del letto funebre, dove in ginocchio piange la Maddalena,<br />

e l’afferra per una spalla, la scuote, la chiama: «Maria. Rispondi. Costoro pensano che Gesù non<br />

possa risorgere perché uomo e morto di ferite. Ma tuo fratello non è più vecchio di Lui?».<br />

«Sì».<br />

«Non era tutto una piaga?».<br />

«Sì».<br />

«Non era già putrido prima di scendere nel sepolcro?».<br />

«Sì».<br />

«E non risorse dopo quattro giorni di asfissia e di putrefazione?».<br />

«Sì».<br />

«E allora?».<br />

13Un silenzio grave e lungo. Poi un urlo inumano. Maria vacilla portandosi una mano sul cuore. La<br />

sostengono. Ma Lei li respinge. Pare respinga i pietosi. In realtà respinge ciò che Lei sola vede. E<br />

urla: «Indietro! Indietro, crudele! Non questa vendetta! Taci! Non ti voglio udire! Taci! Ah! mi<br />

morde il cuore!».<br />

«Chi, Madre?».<br />

«O Giovanni! Satana è! Satana che dice: “Non risorgerà. Nessun profeta l’ha detto”. O <strong>Dio</strong><br />

altissimo! Aiutatemi tutti, o voi, spiriti buoni, o voi, uomini pietosi! La mia ragione vacilla! Non<br />

ricordo più nulla. Che dicono i profeti? Che dice il salmo? Oh! chi mi ripete i passi che parlano del<br />

mio Gesù?».<br />

È la Maddalena che con la sua voce d’organo dice il salmo davidico sulla Passione del Messia.<br />

La Madre piange più forte, sorretta da Giovanni, e il pianto cade sul Figlio morto che ne è tutto<br />

bagnato. Maria vede, e lo asciuga, e dice a voce bassa: «Tanto pianto! E quando avevi tanta sete<br />

neppure una stilla te ne ho potuto dare. E ora... tutto ti bagno! Sembri un arbusto sotto una pesante<br />

rugiada. Qui, che la Mamma ti asciuga, Figlio! Tanto amaro hai gustato! Sul tuo labbro ferito non<br />

cada anche l’amaro e il sale del materno pianto!...».<br />

Poi chiama forte: «Maria. Davide non dice... Sai Isaia? Di’ le sue parole...».


La Maddalena dice il brano sulla Passione e termina con un singhiozzo: «...consegnò la sua vita alla<br />

morte e fu annoverato tra i malfattori, Egli che tolse i peccati del mondo e pregò per i peccatori».<br />

«Oh! Taci! Morte no! Non consegnato alla morte! No! No! Oh! che il vostro non credere, alleandosi<br />

alla tentazione di Satana, mi mette il dubbio nel cuore! E dovrei non crederti, o Figlio? Non credere<br />

alla tua santa parola?! Oh! dilla all’anima mia! Parla. Dalle sponde lontane, dove sei andato a<br />

liberare gli attendenti la tua venuta, getta la tua voce d’anima alla mia anima protesa, alla mia che è<br />

qui, tutta aperta a ricevere la tua voce. Dillo a tua Madre che torni! Di’: “Al terzo giorno risorgerò”.<br />

Te ne supplico, Figlio e <strong>Dio</strong>! Aiutami a proteggere la mia fede. Satana la attorciglia nelle spire per<br />

strozzarla. Satana ha levato la sua bocca di serpe dalla carne dell’uomo, perché Tu gli hai strappato<br />

questa preda, e ora ha confitto l’uncino dei suoi denti velenosi nella carne del mio cuore e me ne<br />

paralizza i palpiti, e la forza, e il calore. <strong>Dio</strong>! <strong>Dio</strong>! <strong>Dio</strong>! Non permettere che io diffidi! Non lasciare<br />

che il dubbio mi agghiacci! Non dare libertà a Satana di portarmi a disperare! Figlio! Figlio!<br />

Mettimi la mano sul cuore. Caccerà Satana. Mettimela sul capo. Vi riporterà la luce. Santifica con<br />

una carezza le mie labbra, perché si fortifichino a dire: “Credo” anche contro tutto un mondo che<br />

non crede. Oh! che dolore è non credere! Padre! Molto bisogna perdonare a chi non crede. Perché,<br />

quando non si crede più... quando non si crede più... ogni orrore diviene facile. <strong>Io</strong> te lo dico... io che<br />

provo questa tortura. Padre, pietà dei senza fede! Da’ loro, Padre santo, da’ loro, per questa Ostia<br />

consumata e per me, ostia che si consuma ancora, da’ la tua Fede ai senza fede!».<br />

14 Un lungo silenzio.<br />

Nicodemo e Giuseppe fanno un cenno a Giovanni e alla Maddalena.<br />

«Vieni, Madre». È la Maddalena che parla, cercando di allontanare Maria dal Figlio e di dividere le<br />

dita di Gesù intrecciate fra quelle di Maria, che le bacia piangendo.<br />

La Mamma si raddrizza. È solenne. Stende un’ultima volta le povere dita esangui, conduce la mano<br />

inerte a fianco del Corpo. Poi abbassa le braccia verso terra e, ben dritta, colla testa lievemente<br />

riversa, prega e offre. Non si ode parola. Ma si capisce che prega da tutto l’aspetto. È veramente la<br />

Sacerdotessa all’altare, la Sacerdotessa nell’attimo dell’offerta. «Offerimus* praeclarae majestati<br />

tuae de tuis donis, ac datis, hostiam puram, hostiam sanctam, hostiam immaculatam...».<br />

Poi si volge: «Fate pure. Ma Egli risorgerà. Inutilmente voi diffidate della mia ragione e siete ciechi<br />

alla verità che Egli vi disse. Inutilmente tenta Satana di insidiare la mia fede. A redimere il mondo<br />

manca anche la tortura data al mio cuore da Satana vinto. La subisco e la offro per i futuri. Addio,<br />

Figlio! Addio, mia Creatura! Addio, Bambino mio! Addio... Addio... Santo... Buono... Amatissimo e<br />

amabile... Bellezza... Gioia... Fonte di salute... Addio... Sui tuoi occhi... sulle tue labbra... sui tuoi<br />

capelli d’oro... sulle tue membra gelide... sul tuo Cuore trafitto... oh! sul tuo Cuore trafitto... il mio<br />

bacio... il mio bacio... il mio bacio... Addio... Addio... Signore! Pietà di me!».<br />

[19 febbraio 1944]<br />

15 I due preparatori hanno finito la preparazione delle bende.<br />

Vengono alla tavola e denudano Gesù anche del suo velo. Passano una spugna, mi pare, o un<br />

batuffolo di lino sulle membra in una molto frettolosa preparazione delle membra goccianti da mille<br />

parti.<br />

Poi spalmano tutto il Corpo di unguenti. Lo seppelliscono addirittura sotto una crosta di manteca.<br />

Prima lo hanno sollevato, nettando anche la tavola di pietra su cui posano la sindone, che pende per<br />

oltre la metà dal capo del letto. Lo riadagiano sul petto e spalmano tutto il dorso, le cosce, le gambe.<br />

Tutta la parte posteriore. Poi delicatamente lo girano, osservando che non venga asportata la<br />

manteca degli aromi, e lo ungono anche dalla parte anteriore. Prima il tronco, poi le membra. Prima<br />

i piedi, per ultime le mani, che uniscono sul basso ventre.<br />

La mistura degli aromi deve essere appiccicosa come gomma, perché vedo che le mani restano a<br />

posto, mentre prima scivolavano sempre per il loro peso di membra morte. I piedi no. Conservano<br />

la loro posizione: uno più dritto, l’altro più steso.<br />

Per ultimo, il capo. Dopo averlo spalmato accuratamente, di modo che le fattezze scompaiono sotto<br />

lo strato di unguento, lo legano con la fascia mentoniera per mantenere chiusa la bocca.<br />

Maria geme più forte.


Poi alzano il lato pendente della sindone e la ripiegano sopra a Gesù. Egli scompare sotto la grossa<br />

tela della sindone. Non è più che una forma coperta da un telo.<br />

Giuseppe osserva che tutto sia bene a posto e appoggia ancora sul viso un sudario di lino e altri<br />

panni, simili e corte e larghe strisce rettangolari, che passano da destra a sinistra, al disopra del<br />

Corpo, e tengono a posto la sindone, bene aderente al Corpo. Non è la caratteristica fasciatura che<br />

si vede nelle mummie e<br />

_____________________<br />

* Offerimus...: Offriamo alla tua superna maestà le cose che tu stesso ci hai donato, cioè il<br />

sacrificio puro, santo ed immacolato… (dal Messale Romano).<br />

neppure nella risurrezione di Lazzaro. È un embrione di fasciatura.<br />

Gesù ormai è annullato. Anche la forma si confonde sotto i lini. Sembra un lungo mucchio di tela,<br />

più stretto ai vertici e più largo al centro, appoggiato sul grigio della pietra.<br />

Maria piange più forte.<br />

[4 ottobre 1944]<br />

16 Dice Gesù:<br />

«E la tortura continuò con assalti periodici sino all’alba della Domenica. <strong>Io</strong> ho avuto, nella<br />

Passione, una sola tentazione. Ma la Madre, la Donna, espiò per la donna, colpevole di ogni male,<br />

più e più volte. E Satana sulla Vincitrice infierì con centuplicata ferocia.<br />

Maria l’aveva vinto. Su Maria la più atroce tentazione. Tentazione alla carne della Madre.<br />

Tentazione al cuore della Madre. Tentazione allo spirito della Madre. <strong>Il</strong> mondo crede che la<br />

Redenzione ebbe fine col mio ultimo anelito. No. La compì la Madre, aggiungendo la sua triplice<br />

tortura per redimere la triplice concupiscenza, lottando per tre giorni contro Satana che la voleva<br />

portare a negare la mia Parola e a non credere nella mia Risurrezione. Maria fu l’unica che<br />

continuò a credere. Grande e beata è anche per questa fede.<br />

Hai conosciuto anche questo. Tormento che fa riscontro al tormento del mio Getsemani. <strong>Il</strong> mondo<br />

non capirà questa pagina. Ma “coloro che sono nel mondo senza essere del mondo” la<br />

comprenderanno e aumentato amore avranno per la Madre Dolorosa. Per questo l’ho data.<br />

Va’ in pace con la nostra benedizione».

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