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L'arte serica in Sicilia

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L’ARTE SERICA IN SICILIA<br />

Raffaele Pira<strong>in</strong>o


L’arte <strong>serica</strong> <strong>in</strong> <strong>Sicilia</strong><br />

Sorge d’obbligo la domanda: perché tutte le grandi<br />

civiltà, dalla c<strong>in</strong>ese all’araba a quella occidentale, nutrono<br />

una passione comune per i tessuti di seta? Forse<br />

la ragione sta nel fatto che la seta parla un l<strong>in</strong>guaggio<br />

universale: il l<strong>in</strong>guaggio dei sensi. Risponde soffice al<br />

tatto, brillante alla vista, leggera e calda quando <strong>in</strong>dossata.<br />

Una pr<strong>in</strong>cipessa c<strong>in</strong>ese, la leggiadra Si-li-chi,<br />

c<strong>in</strong>quemila anni fa creò la seta. La leggenda racconta<br />

che la fanciulla, dopo una paziente osservazione dei<br />

bachi sui rami dei gelsi, scoprì come allevarli e come<br />

estrarne il filo dal bozzolo, filarlo e tesserlo.<br />

Due regioni si contendono ancora oggi il primato<br />

dell’<strong>in</strong>troduzione della seta <strong>in</strong> Europa: la <strong>Sicilia</strong> e l’-<br />

Andalusia; purtuttavia la produzione andalusa non conobbe<br />

mai uno sviluppo <strong>in</strong>ternazionale, mentre i preziosi<br />

manufatti siciliani, <strong>in</strong>torno all’anno Mille, aprirono<br />

una grande via commerciale verso l’Europa e i<br />

paesi dell’area mediterranea.<br />

In <strong>Sicilia</strong>, l’attività <strong>serica</strong> raggiunse il suo apice<br />

durante la dom<strong>in</strong>azione araba, normanna e sveva. Le<br />

notizie sulle sue orig<strong>in</strong>i sono frammentarie e se essa si<br />

debba ai Bizant<strong>in</strong>i o agli Arabi resta un dilemma anch’esso<br />

irrisolto. Con buona probabilità si deve ai primi<br />

l’importazione del filugello, mentre ai secondi il<br />

merito di aver <strong>in</strong>centivato la lavorazione del filato. La<br />

produzione <strong>serica</strong> siciliana riuscì comunque a fondere<br />

elementi bizant<strong>in</strong>i e arabi portando nuova vivacità ai<br />

manufatti. Con la conquista normanna, volendo raff<strong>in</strong>are<br />

e potenziare la creazione <strong>serica</strong>, Ruggero II spedì<br />

una flotta contro i Greci al comando dell’ammiraglio<br />

Giorgio di Antiochia. Questi, a Cor<strong>in</strong>to, Tebe e Atene<br />

fece prigionieri molti artigiani tessitori che, giunti a<br />

Palermo, si misero a servizio della corte e <strong>in</strong>segnarono<br />

la loro arte. Lo storico Ugo Falcando, visitando Palermo<br />

nel 1189, enumerò i tessuti ivi prodotti. La sua<br />

elencazione, fervida di entusiasmi è stata, nello stesso<br />

tempo, esatta e particolareggiata:[…] non bisogna<br />

passar sotto silenzio le illustri offic<strong>in</strong>e presso la reggia<br />

ove il filo di Seri [così venivano chiamati i c<strong>in</strong>esi]<br />

è filato <strong>in</strong> matasse di diversi colori e impiegato <strong>in</strong><br />

diversi generi tessili. Infatti si possono vedere non solo<br />

stoffe a uno, a due, a tre licci ossia amiti, dimiti e<br />

trimiti, ma anche tessuti a sei licci detti anche sciamiti.<br />

Il Falcando ricorda altri tipi di stoffe che prendono


il nome dal colore e dalla decorazione:[…] il diarhodon<br />

rischiara il volto col colore del fuoco e il diapisto<br />

di color verde riposa lo sguardo. Qui si fabbricano gli<br />

exarentasmata decorati a circoli che richiedono maggiore<br />

arte e ricchezza di materia prima e che si devono<br />

vendere qu<strong>in</strong>di a un prezzo maggiore. E ancora si<br />

vedono ornamenti di vario colore e generi diversi <strong>in</strong><br />

cui si <strong>in</strong>tesse nella seta l’oro. La vivacità dei ricami è<br />

messa <strong>in</strong>oltre <strong>in</strong> risalto da gemme lucenti. Le perle<br />

<strong>in</strong>tere sono <strong>in</strong>serite <strong>in</strong> castoni dorati o, perforate, vengono<br />

riunite con filo sottile e sono adoperate <strong>in</strong> eleganti<br />

disposizioni a dar risalto al ricamo.<br />

La presenza di un “tiraz” a Palermo (<strong>in</strong>dica il luogo<br />

fisico della manifattura tessile all’<strong>in</strong>terno del Palazzo<br />

Reale) è accertata s<strong>in</strong> dalla dom<strong>in</strong>azione araba. Era<br />

dislocato nei pressi della “Torre Pisana” (poi <strong>in</strong>globata<br />

nella più vasta costruzione del palazzo dei Re Normanni).<br />

Con buona probabilità quel primo tiraz e gli<br />

altri successivi si impiantarono alla base della torre<br />

stessa, costruita <strong>in</strong> luogo elevato e lambito dalle acque<br />

di due torrenti navigabili, oggi prosciugati, il Kemonia<br />

o “fiume della tempesta” e il Papireto, sulle cui sponde<br />

cresceva rigoglioso il papiro egiziano, <strong>in</strong>trodotto <strong>in</strong><br />

<strong>Sicilia</strong> dagli Arabi. S<strong>in</strong> dall’anno Mille qu<strong>in</strong>di, la seri-<br />

3<br />

coltura nell’isola è documentata e l’economia ne ha<br />

avuto un grande <strong>in</strong>centivo. Palermo raggiunse a quel<br />

tempo il suo massimo splendore, possedeva oltre trecento<br />

moschee, molti mul<strong>in</strong>i e quartieri divisi per specializzazioni<br />

artigianali. I giard<strong>in</strong>i, come li descrissero<br />

i viaggiatori dell’epoca, erano ricchi di ogni fragranza<br />

e la città era considerata all’avanguardia rispetto a<br />

quelle del mondo islamico.<br />

«Oh Balarm, bella come l’arcobaleno…» cantavano<br />

ammirati i poeti musulmani. Di questa stessa ammirazione<br />

si nutrìrono i successivi dom<strong>in</strong>atori normanni<br />

che furono tolleranti verso gli arabi tanto da portare a<br />

maturazione piena le loro premesse. Alla corte di Federico<br />

II, l’Umanesimo si era preannunciato con grande<br />

anticipo sul resto d’Italia e l’Imperatore, nonostante<br />

fosse occupato a contrastare la politica papale, riuscì<br />

a circondarsi di scienziati e dotti dando un grande<br />

impulso alla cultura del suo tempo. Nel 1226, con il<br />

trasferimento della corte dalla <strong>Sicilia</strong> a Napoli, voluto<br />

da Federico II, una parte delle qualificate maestranze<br />

tessili, che tanto lustro avevano dato alla manifattura<br />

palermitana, seguì l’imperatore, mentre la rimanente<br />

parte raggiunse e si <strong>in</strong>nestò nella nascente fioritura dei<br />

setifici mess<strong>in</strong>esi e catanesi. Inizialmente l’allevamen-


to del baco non diede un grande apporto economico e<br />

commerciale alla cittad<strong>in</strong>a dello stretto <strong>in</strong> quanto era<br />

troppo radicata la cultura agro-pastorale. La nuova<br />

attività, se pur affasc<strong>in</strong>ante, supponeva un capovolgimento<br />

delle colture agricole preesistenti per avviare<br />

rapporti commerciali con altre regioni e paesi. Lentamente<br />

le campagne mess<strong>in</strong>esi si ricoprirono di rigogliosi<br />

alberi di gelso e gli armenti furono sostituiti con<br />

il baco da seta. Solo all’<strong>in</strong>izio del ’400 la nuova attività<br />

entrò nel circuito lavorativo e detenne il primo posto<br />

tra le risorse economiche. Si rese qu<strong>in</strong>di necessaria<br />

una regolamentazione per il controllo della qualità<br />

della merce da immettere sul mercato. Fu creato a tale<br />

scopo, nel 1520, per volontà del viceré Pignatelli, il<br />

“Consolato della seta” i cui capitoli furono confermati<br />

dieci anni dopo dall’imperatore Carlo V. L’organizzazione<br />

economico-sociale delle manifatture mess<strong>in</strong>esi<br />

rimase immutata per secoli nelle sue strutture fondamentali<br />

s<strong>in</strong>o al tardo ’700 quando si determ<strong>in</strong>ò un <strong>in</strong>esorabile<br />

e progressivo impoverimento della classe artigianale.<br />

Molti furono i fattori concomitanti al fenomeno<br />

creatosi non solo per cause storiche generali, ma<br />

anche per le epidemie, che quasi con ritmica scadenza,<br />

colpirono la popolazione: disastrosa fu quella di peste<br />

che scoppiò a Mess<strong>in</strong>a nel 1743 e che allontanò i mer-<br />

canti, quasi def<strong>in</strong>itivamente per il pericolo del contagio.<br />

La peste provocò moltissime vittime decimando<br />

la corporazione dei setaioli. Gli scampati si dettero<br />

alla fuga nelle vic<strong>in</strong>e città di Catania e Acireale e i<br />

pochi rimasti <strong>in</strong> città non furono <strong>in</strong> grado di realizzare<br />

più tessuti pregiati a prezzi competitivi. Per tutto l’800<br />

l’attività <strong>serica</strong> permase, ma la produzione fu limitata<br />

alla sola trattura.<br />

È difficile compiere una precisa <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e storica a<br />

causa della perdita degli archivi comunali di Mess<strong>in</strong>a<br />

<strong>in</strong> seguito al disastroso terremoto del 1908. Nonostante<br />

ciò si può ricostruire buona parte dei fatti attraverso<br />

i racconti dei viaggiatori e gli studi condotti da appassionati<br />

cultori delle vicende siciliane.<br />

Il 21 settembre 1588 otto gentiluom<strong>in</strong>i francesi<br />

partirono da Parigi con i loro servitori per visitare l’Italia<br />

e le isole del Mediterraneo. Sono noti i nomi dei<br />

sette componenti la spedizione, ma non quello dell’autore<br />

del giornale di viaggio che non firmò il testo conservato<br />

oggi tra i manoscritti della Biblioteca Mèjanes<br />

di Aix-en-Provence. I viaggiatori francesi, egli scriveva,<br />

arrivarono <strong>in</strong> <strong>Sicilia</strong> a bordo di una galera che aveva<br />

fatto rotta per Mess<strong>in</strong>a. All’estensore del resoconto


la città non sembrò eccessivamente <strong>in</strong>teressante, ma<br />

annotò […] il porto è il più spazioso tra quanti ne esistono<br />

nel Levante e può ospitare da sei a settecento<br />

galere <strong>in</strong> uno spazio al riparo dai venti e difeso dai<br />

forti.<br />

Pochi anni prima il porto di Mess<strong>in</strong>a, nel 1571, aveva<br />

accolto le navi della coalizione cristiana che avrebbe<br />

affrontato vittoriosamente la flotta turca a Lepanto,<br />

ma la circostanza venne ignorata dal francese.<br />

Egli si accorse <strong>in</strong>vece della grande vivacità commerciale<br />

della città compendiata dalla loggia nella quale i<br />

mercanti contrattavano l’acquisto di pregiati tessuti<br />

opera degli artigiani mess<strong>in</strong>esi. Il loro non fu un viaggio<br />

né breve né facile. I francesi veleggiarono lungo le<br />

coste siciliane e subirono pers<strong>in</strong>o, prima di riapprodare<br />

a Mess<strong>in</strong>a, un abbordaggio di pirati <strong>in</strong>digeni contrariamente<br />

a quanto accadeva allora con i ripetuti assalti<br />

barbareschi.<br />

Giunse <strong>in</strong>vece <strong>in</strong> <strong>Sicilia</strong> nel 1610 l’<strong>in</strong>glese George<br />

Sandys, dopo un lungo viaggio compiuto <strong>in</strong> Turchia,<br />

Egitto e Terra Santa. La sua relation, <strong>in</strong> quattro libri,<br />

pubblicata la prima volta a Londra nel 1615, ebbe diverse<br />

edizioni. Ricopriva allora la carica di vicerè il<br />

5<br />

duca d’Ossuna Pietro Giron. Il rappresentante del re di<br />

Spagna aveva tentato di liberare l’isola dai briganti di<br />

strada concedendo il perdono a quel fuorilegge che<br />

avesse consegnato, vivo o morto, un suo compagno.<br />

Nonostante questo espediente – commentò Sandys – i<br />

briganti di strada sono ancora troppi e, per sottol<strong>in</strong>eare<br />

questa sgradita presenza, osservò che nessun viaggiatore<br />

straniero avrebbe potuto avventurarsi all’<strong>in</strong>terno<br />

dell’isola senza una adeguata scorta.<br />

Descrisse Mess<strong>in</strong>a come una bellissima città con<br />

magnifici palazzi sia pubblici che privati, meravigliosi<br />

giard<strong>in</strong>i e frutteti su di una lunga l<strong>in</strong>gua di terra che<br />

chiude un ammirevole approdo. I mess<strong>in</strong>esi vivono<br />

nell’abbondanza e <strong>in</strong> modo raff<strong>in</strong>ato. Il cibo non manca<br />

mai, la frutta è varia e abbondante, i v<strong>in</strong>i sono eccellenti<br />

e la neve dell’Etna aiuta d’estate a combattere<br />

il caldo.<br />

Sandys non mancò di esaltare l’<strong>in</strong>dustria della seta<br />

e i privilegi di cui godeva la città per cui gli esportatori<br />

erano esentati dal pagare i diritti di dogana.<br />

Anche Wolfgang Goethe compì un viaggio <strong>in</strong> <strong>Sicilia</strong>.<br />

A Palermo sbarcò il 2 aprile 1787 e fu qui che


conobbe […] la luce mediterranea <strong>in</strong>tensa e lattig<strong>in</strong>osa<br />

che non lascia ombre, una luce così vic<strong>in</strong>a a quella<br />

della Grecia classica. Il gusto dell’avventura lo portò<br />

ad attraversare l’<strong>in</strong>terno dell’isola e l’impresa non fu<br />

priva di disagi. Egli vide con occhio attento dorsi di<br />

montagne, coll<strong>in</strong>e <strong>in</strong> lieve pendio e campi sterm<strong>in</strong>ati<br />

di frumento e di orzo. Si accorse anche delle donne<br />

sull’uscio di povere case <strong>in</strong>tente a filare la seta prodotta<br />

dai loro piccoli allevamenti di bachi. Al suo arrivo a<br />

Mess<strong>in</strong>a lo scrittore tedesco fu colpito dall’aspetto desolato<br />

della città che appena quattro anni prima, nel<br />

1783, era stata distrutta dal terremoto. Attraversando<br />

le vie deserte per raggiungere l’unica locanda disponibile,<br />

notò soltanto rov<strong>in</strong>e di palazzi e monumenti. Non<br />

c’era più traccia dell’opulenza descritta dai viaggiatori<br />

che lo avevano preceduto e notò come l’<strong>in</strong>dustria <strong>serica</strong><br />

avesse subito un improvviso arresto. Lasciò dopo<br />

pochi giorni la città ferita e si imbarcò su un veliero<br />

francese che faceva rotta per Napoli.<br />

Già a largo della costa, egli vide passare davanti alla<br />

sua mente una moltitud<strong>in</strong>e di immag<strong>in</strong>i ed è plausibile<br />

che si fosse <strong>in</strong>terrogato sul senso di quel viaggio. Difatti<br />

così […] tutto sommato non avevo veduto nient’altro<br />

che i vani sforzi degli uom<strong>in</strong>i per resistere con-<br />

tro le violenze della natura, contro la perfidia maligna<br />

del tempo, contro il furore delle loro stesse discordie<br />

e ostilità. Dopo i cartag<strong>in</strong>esi, i greci, e gli arabi, non<br />

so quante altre razze hanno costruito ed hanno distrutto<br />

questa meravigliosa isola.<br />

Anche Catania ha avuto una discreta produzione,<br />

ma molto tarda rispetto a Palermo e Mess<strong>in</strong>a. Le prime<br />

notizie sull’arte <strong>serica</strong> <strong>in</strong> questa città sono del 131-<br />

9. Tuttavia, il grande sviluppo si ebbe successivamente<br />

quando al pr<strong>in</strong>cipio del XVI secolo, essendo ritornata<br />

la moda degli abiti di seta, la tessitura fiorì dando<br />

un grande impulso alla fabbricazione di pregiatissimi<br />

tessuti. Inoltre le fonti archivistiche <strong>in</strong>formano che, il<br />

24 aprile del 1573, i Giurati di Catania fecero convocare<br />

un consiglio per deliberare <strong>in</strong>torno ad un’offerta<br />

più volte presentata dal nobiluomo Ludovico Jov<strong>in</strong>i,<br />

ovvero di: <strong>in</strong>troduciri mastri forestieri pi tessiri billuti<br />

et altri drappi di sita, a patto che si desse loro franchizza<br />

di lo vitto. Con molta probabilità si trattava di<br />

fuoriusciti mess<strong>in</strong>esi allettati da un guadagno fisso.<br />

L’istanza rivelava il segno evidente di come la manodopera<br />

fosse <strong>in</strong>sufficiente e che la raff<strong>in</strong>ata lavorazione<br />

della seta fosse già <strong>in</strong> decadenza. Ferd<strong>in</strong>ando il<br />

Cattolico, negli ultimi anni del secolo XV, aveva con-


cesso alla famiglia Paternò un privilegio con cui si<br />

stabiliva che tutti i bozzoli, prodotti nella città e nel<br />

suo territorio, dovevano confluire<strong>in</strong> uno jard<strong>in</strong>o et loco<br />

con la grata, sito alla porta di Iachi, dove i Paternò<br />

avevano impiantato dei manganelli per cavar la seta.<br />

L’orto dei baroni di Paternò – titolo poi convertito <strong>in</strong><br />

quello di Pr<strong>in</strong>cipi di Manganelli, eponimo attribuito<br />

proprio dall’attività che essi svolgevano – si trovava<br />

nei pressi di piazza Stesicoro. La produzione della seta<br />

divenne così abbondante a Catania durante tutto il<br />

’500 che la si è potuta esportare <strong>in</strong> notevole quantità,<br />

sia grezza che lavorata. Di grande <strong>in</strong>teresse sono le<br />

note da me r<strong>in</strong>venute negli archivi catanesi. Scorrendo<br />

i mandati del 1550 vi si trovano elencate le spese sostenute<br />

dal Senato catanese per i tessuti adoperati per<br />

le varie esigenze senatorie: dalle 24 onze spese per<br />

quattro canne di broccato rizzo per la toga di V<strong>in</strong>cenzo<br />

Stivala, banditore, alla somma pagata al panniere<br />

Giuseppe F<strong>in</strong>occhiaro che fornì il tabbo frixuto per<br />

foderare i cappotti dei portieri; alla somma spesa per<br />

gli <strong>in</strong>volucri, ciascuno di una canna di terzanello, che<br />

rivestivano le reliquie di sant’Agata (tutte le volte che<br />

capitava <strong>in</strong> città qualche personaggio importante, il<br />

Senato curava che gli fosse regalato uno di quei pezzi<br />

di tessuto che era stato a contatto con le sacre spoglie<br />

7<br />

e che veniva poi re<strong>in</strong>tegrato a spese del Senato), alla<br />

somma spesa, per un uso meno nobile, per foderare<br />

con terzanello carmex<strong>in</strong>o, quelle che il Par<strong>in</strong>i chiamava<br />

le spregiate crete (sei or<strong>in</strong>ali o cantari) <strong>in</strong> occasione<br />

di una visita del viceré, il duca d’Ossuna, alla città.<br />

Lo storico Gregorio Leti, spregiudicato biografo del<br />

d’Ossuna, ci tramanda un episodio comportamentale<br />

del viceré durante quella visita: essendo stato <strong>in</strong>vitato<br />

a baciare il reliquiario contenente, secondo la tradizione,<br />

le mammelle di sant’Agata, si rivolse alla moglie,<br />

che stava al suo fianco e le disse: donna Cater<strong>in</strong>a, con<br />

vostra licenza e senza vostra gelosia.<br />

Al ciclo della seta, dall’allevamento del baco f<strong>in</strong>o<br />

alla filatura, si dedicavano le contad<strong>in</strong>e che svolgevano<br />

questo delicato lavoro all’<strong>in</strong>terno delle loro case<br />

rurali, mentre i laboratori tessili erano ubicati, quasi<br />

sempre, entro le mura della città e <strong>in</strong> prossimità dell’area<br />

portuale. Alla fase della tessitura attendevano gli<br />

uom<strong>in</strong>i con qualifiche e retribuzioni specifiche; erano<br />

questi i t<strong>in</strong>tori, i tessitori e i drappieri. I sistemi di allevamento<br />

del baco rimasero <strong>in</strong>alterati per cent<strong>in</strong>aia di<br />

anni <strong>in</strong> <strong>Sicilia</strong>. Lo studioso di cultura materiale Concetto<br />

Lo Schiavo, appartenente ad una famiglia di<br />

bachicoltori, descrisse dettagliatamente tutte le fasi


dell’allevamento operato nel suo paese, Antillo, ricadente<br />

nel territorio di Mess<strong>in</strong>a. La seta, oltre che a<br />

Mess<strong>in</strong>a e Catania, veniva prodotta <strong>in</strong> moltissimi altri<br />

paesi e cittad<strong>in</strong>e o agglomerati rurali compresi nei rispettivi<br />

entroterra. I paesi maggiormente <strong>in</strong>teressati<br />

alla bachicoltura e alla filatura della seta furono: Taorm<strong>in</strong>a,<br />

Mongiuffi, Gallodoro, Lim<strong>in</strong>a, Casalvecchio,<br />

Savoca, Forza d’Agrò, Mandanici, Pagliata, Locadi,<br />

Fiumed<strong>in</strong>isi, Roccalumera, Alì, Itala, Guidomandri,<br />

Scaletta, Milazzo, Pozzo di Gotto, Barcellona, Mirì,<br />

Castroreale, Santa Lucia, Soccorso, Galtieri, Manforte,<br />

San Pietro di Manforte, Rametta, Rocca, Vald<strong>in</strong>a,<br />

Spadafora, Venetico, Bauso, Calvaruso, Saponara,<br />

Castelbuono e Mussomeli. Scrive Lo Schiavo: […] si<br />

com<strong>in</strong>ciava a parlarne <strong>in</strong> febbraio, la domenica, giornata<br />

<strong>in</strong> cui i contad<strong>in</strong>i si riversavano ad Antillo per la<br />

messa. Qualcuno passava da mio nonno a chiedere se<br />

quell’anno avrebbe ord<strong>in</strong>ato “seme di baco”. Raccoglieva<br />

le prenotazioni, arrivando fra mezzi e quarti di<br />

misure a nove-dieci onze. La lettera per l’ord<strong>in</strong>azione<br />

veniva <strong>in</strong>dirizzata al Cav. Giovanni Quirici, Via Gesù,<br />

Casella postale 23, Milano. Essa era del seguente tenore.<br />

Mandatemi qu<strong>in</strong>dici mezze onze di semi di bachi<br />

gialli per la produzione. Da lì a qu<strong>in</strong>dici giorni arrivava<br />

una cassett<strong>in</strong>a di legno di pioppo. L’apertura era<br />

un rito a cui partecipava tutta la famiglia. Alzato il<br />

coperchio si notavano i contenitori rettangolari sui<br />

quali spiccava un boll<strong>in</strong>o rosso con la varietà contenuta.<br />

A questo punto il nonno prendeva il foglio delle<br />

prenotazioni e scriveva sull’orlo della scatol<strong>in</strong>a i nomi<br />

di battesimo dei prenotati: Maria, Micu, Carm<strong>in</strong>i,<br />

Sarbaturi ecc…La domenica successiva potevano ritirare<br />

la loro parte di “simenza”.<br />

Ai primi tepori primaverili, quando i gelsi com<strong>in</strong>ciavano<br />

a sbocciare, si <strong>in</strong>iziava l’<strong>in</strong>cubazione dei semi.<br />

La massaia con i seni più prosperosi, prendeva un<br />

quadrat<strong>in</strong>o di tela bianca, vi poneva <strong>in</strong> mezzo il mucchietto<br />

di semi, ne raccoglieva le cocche e le legava. Il<br />

fagott<strong>in</strong>o lo allacciava al corpetto <strong>in</strong>serendolo fra le<br />

due mammelle: un <strong>in</strong>cubatoio ideale alla temperatura<br />

costante di 37°. Fra l’ottavo e il nono giorno si vedevano<br />

brulicare i piccolissimi bachi scuri sulla tela<br />

bianca. Una volta dischiusi tutti i bachi si ponevano<br />

con la massima delicatezza <strong>in</strong> una scatola a bordi rialzati<br />

su di un letto di tenerissime foglie di gelso bianco<br />

tagliate m<strong>in</strong>utamente. Crescevano a vista d’occhio,<br />

tanto da dover aumentare la pastura e allargare la superficie<br />

del contenitore. In seguito i bachi venivano<br />

distribuiti su graticci di canne. Quando raggiungevano


il massimo sviluppo di sei centimetri, i bachi avevano<br />

bisogno di grande attenzione e dovevano essere difesi<br />

dai topi che ne erano ghiottissimi. Altri nemici erano i<br />

gechi; contro di essi però le massaie ritenevano di avere<br />

un sicuro rimedio nelle bucce d’uovo bruciate, il<br />

cui particolare puzzo avrebbe allontanato le bestiole<br />

dall’allevamento. Una ulteriore m<strong>in</strong>accia erano le formiche<br />

rosse. Era necessario anche tenere costante la<br />

temperatura dell’ambiente: <strong>in</strong> caso di abbassamenti<br />

improvvisi si accendeva il fuoco nel locale. Ma il nemico<br />

pr<strong>in</strong>cipale del baco erano le malattie e ciò non<br />

deve sorprendere se si pensa alle condizioni nelle quali<br />

si svolse per secoli l’allevamento. Una malattia delle<br />

più diffuse era chiamata giallume, a causa del suo effetto<br />

sul colore dei bachi; l’applicazione di calce polverizzata<br />

fu ritenuta una profilassi dai risultati soddisfacenti.<br />

Verso la metà del XIX secolo un’altra malattia,<br />

alla quale venne più tardi dato il nome<br />

di pebr<strong>in</strong>a,provocò tra il 1853 e il 1865 un disastroso<br />

arresto della produzione. Solo più tardi Pasteur riuscì<br />

a sconfiggerla. Ogni baco che ne era colpito doveva<br />

essere isolato per evitare il contagio, ma una volta raccolti,<br />

erano portati via da acquirenti di Nizza di <strong>Sicilia</strong><br />

che li acquistavano per pochissimi centesimi. Dalle<br />

budella che essi lavoravano nella puzza appestante<br />

9<br />

della decomposizione ricavavano, dopo averle essiccate<br />

al sole, una grossolana ma resistente seta che veniva<br />

utilizzata per fare lenze da pesca. Quando <strong>in</strong>vece<br />

il ciclo produttivo giungeva a buon f<strong>in</strong>e, i bozzoli buoni<br />

si sistemavano <strong>in</strong> ampi sacchi e venivano venduti ai<br />

commercianti attraverso la mediazione dei sensali. Al<br />

trasporto dei bozzoli f<strong>in</strong>o alla filanda più vic<strong>in</strong>a (ne<br />

esisteva una di discreta importanza a Roccalumera,<br />

nel mess<strong>in</strong>ese), provvedevano le donne: portavano<br />

sulla testa, <strong>in</strong> equilibrio <strong>in</strong>stabile, ben tre sacchi di<br />

bozzoli, leggerissimi nel peso ma <strong>in</strong>gombranti nel volume.<br />

In <strong>Sicilia</strong>, l’allevamento del baco da seta si coniugava<br />

a numerose valenze simboliche poiché era soggetto<br />

ad una serie di trasformazioni che ne modificavano<br />

la natura. Era facile vittima di disgrazie e calamità<br />

naturali; difatti si riteneva troppo esposto al malocchio<br />

e ad altre malefiche azioni che potevano <strong>in</strong>fluire<br />

negativamente sul suo sviluppo. Un cattivo raccolto<br />

dei bozzoli significava <strong>in</strong>oltre un duro colpo alla<br />

già precaria economia della famiglia. Si riteneva <strong>in</strong>dispensabile<br />

qu<strong>in</strong>di sottoporlo a tutta una serie di operazioni<br />

magico-apotropaiche. Intanto si teneva il baco al<br />

riparo da occhi <strong>in</strong>discreti, lo si proteggeva con un paio


di corna appese sulla soglia del locale dove si allevava.<br />

All’<strong>in</strong>terno dello stesso ambiente erano impiegati<br />

per tutelarlo da <strong>in</strong>fluenze esterne: teste d’aglio, manciate<br />

di sale, conchiglie, denti di porco, strisciol<strong>in</strong>e di<br />

panno rosso, immag<strong>in</strong>i sacre e soprattutto si effettuava<br />

un’aspersione quotidiana di acqua benedetta e fumi<br />

d’<strong>in</strong>censo. All’allevamento del baco vigevano anche<br />

dei tabù. Ad esempio non venivano mai toccati con le<br />

mani nei giorni di plenilunio. Ci si affidava alla benevolenza<br />

di s. Antonio Abate perché li proteggesse dal<br />

fuoco e dalle formiche, a quella di s. Zaccaria perché<br />

tenesse lontani i topi e a quella di s. Giobbe (che <strong>in</strong><br />

realtà era il protettore pr<strong>in</strong>cipale) cui venivano rivolte<br />

suppliche, preghiere e novene. Si arrivava pers<strong>in</strong>o al<br />

punto, scriveva il Pitrè, che le donne entravano nel<br />

locale dove erano stati sistemati i tralicci perfettamente<br />

nude e dicevano ai bachi: Vermu, sugnu à nuda,<br />

vestimi tu! Offrivano se stesse al baco aff<strong>in</strong>ché di contro<br />

lui elargisse benessere e mezzi di sostentamento<br />

con una buona produzione di seta. Non si <strong>in</strong>iziava poi<br />

l’atto della filatura senza che le donne si facessero il<br />

segno della croce o <strong>in</strong>dirizzassero orazioni a s. Agata,<br />

protettrice di quell’arte. Anche nella tessitura si <strong>in</strong>vocavano<br />

Santi e Patroni con tutta una serie di canti e<br />

litanie che oltretutto scandivano il ritmo alle varie o-<br />

perazioni di tessitura.<br />

Tappa essenziale, della produzione della seta, nell’<strong>in</strong>dustria<br />

a conduzione familiare <strong>in</strong> <strong>Sicilia</strong> era la coltivazione<br />

del gelso che solitamente andava da aprile a<br />

giugno. Al contrario dell’enorme fatica della bachicoltura,<br />

esigeva lavori m<strong>in</strong>imi ma con buona resa economica.<br />

La raccolta della fronda veniva fatta da garzoni<br />

e giornalieri, pagati direttamente dal proprietario del<br />

gelseto. A volte la fronda rendeva economicamente<br />

più della seta stessa ed era considerata così pregiata da<br />

essere lasciata <strong>in</strong> eredità. La coltura del gelso, <strong>in</strong>trodotta<br />

<strong>in</strong>izialmente dagli Arabi <strong>in</strong> <strong>Sicilia</strong>, divenne presto<br />

elemento dist<strong>in</strong>tivo del paesaggio mess<strong>in</strong>ese e costituì<br />

la pr<strong>in</strong>cipale attività agricola del territorio peloritano,<br />

sopperendo alla cronica povertà che derivava<br />

dall’impossibilità di coltivare il grano <strong>in</strong> quei territori<br />

accidentati dal forte pendio del suolo. Alla f<strong>in</strong>e dell’-<br />

Ottocento si ebbe <strong>in</strong> <strong>Sicilia</strong> il tracollo della sericoltura<br />

che si spostò nel nord d’Italia favorita da un’<strong>in</strong>dustria<br />

manifatturiera moderna ed efficiente che, tutt’oggi,<br />

valorizza la produzione attraverso tecnologie avanzate<br />

di filatura e tessitura. Attualmente pers<strong>in</strong>o l’allevamento<br />

del baco nel settentrione non si basa più sul<br />

connubio <strong>in</strong>dissolubile albero-parassita. Il filo si è


spezzato anche lì. Pers<strong>in</strong>o i mangimi sono divenuti<br />

artificiali e si sono sostituiti alle fronde fresche del<br />

gelso.<br />

Per molti secoli, qu<strong>in</strong>di, la seta fu il prodotto pr<strong>in</strong>cipale<br />

dell’<strong>in</strong>dustria tessile siciliana e la qualità era<br />

così apprezzata da costituire moneta di scambio. Le<br />

motivazioni vanno ricercate oltre che nel clima, nella<br />

abilità dei suoi lavoranti collaudata da antica tradizione.<br />

I tessuti di seta prodotti <strong>in</strong> <strong>Sicilia</strong> furono di due<br />

generi: una varietà molto pregiata e impreziosita con<br />

ricami di canottiglia d’oro e d’argento e un’altra più<br />

scadente e a basso costo. L’organizzazione economico-sociale<br />

delle manifatture siciliane rimase immutata<br />

per secoli nelle sue strutture fondamentali s<strong>in</strong>o al tardo<br />

’700, quando <strong>in</strong>iziò a determ<strong>in</strong>arsi un lento ma progressivo<br />

impoverimento della classe artigiana. Al fenomeno<br />

contribuì la cresciuta ricchezza di alcune famiglie<br />

del nord, appartenenti alla classe mercantile (i<br />

Medici, gli Strozzi, i Doria, i Fieschi, gli Sp<strong>in</strong>ola, i<br />

Grimaldi, i Dandolo, gli Arnolf<strong>in</strong>i e i Gu<strong>in</strong>igi), vere e<br />

proprie caste che divennero sempre più potenti nella<br />

vita economica e politica delle proprie città (queste<br />

famiglie avevano abb<strong>in</strong>ato all’attività imprenditoriale<br />

quella molto lucrosa della banca e dell’alta f<strong>in</strong>anza,<br />

11<br />

con sedi anche <strong>in</strong> <strong>Sicilia</strong>). Non ultima concausa del<br />

tracollo dell’arte <strong>serica</strong> fu la posizione dell’isola che<br />

suscitava non poche cupidigie tra i paesi che si affacciavano<br />

sul Mediterraneo. Questi, nell’avvicendarsi<br />

delle loro dom<strong>in</strong>azioni, mirarono più a far affluire le<br />

ricchezze dell’isola nelle proprie casse anziché tutelare<br />

il benessere dei cittad<strong>in</strong>i. Mancano dati certi per<br />

fissarne la def<strong>in</strong>itiva scomparsa ma probabilmente essa<br />

avvenne alla f<strong>in</strong>e del XIX secolo. Gli agricoltori si<br />

videro qu<strong>in</strong>di costretti a spostare l’attenzione verso<br />

altre colture quali la vite, l’olivo e soprattutto gli agrumi.

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