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tesi di M.Rosaria Pagliaroli - Riserva Naturale Zompo Lo Schioppo

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Università degli Stu<strong>di</strong> dell’Aquila<br />

A.A. 2006/2007<br />

Tesi <strong>di</strong> Laurea<br />

Titolo: Tra<strong>di</strong>zioni e mutamenti nella ritualità festiva <strong>di</strong> Grancìa<br />

Laureanda Relatore<br />

Maria <strong>Rosaria</strong> <strong>Pagliaroli</strong> Antonello Ciccozzi


INDICE<br />

Introduzione<br />

Metodologia della ricerca<br />

Capitolo 1<br />

Definizione del contesto<br />

1.1 Inquadramento geografico<br />

1.2 Breve storia del paese <strong>di</strong> Grancia<br />

1.3 Aspetti socio economici<br />

Capitolo 2<br />

La festa. Moduli interpretativi<br />

2.1 La festa<br />

Capitolo 3<br />

Calendario festivo <strong>di</strong> Grancia<br />

3.1 S. Antonio Abate e i cacchit<br />

3.2 Il pellegrinaggio a Santa Maria del Pertuso<br />

3.2.2 Il pellegrinaggio<br />

3.2.3 Verso S. Maria del Pertuso<br />

3.4 Il Corpus Domini<br />

3.5 La festa <strong>di</strong> S. Maria della Stella e <strong>di</strong> S. Rocco<br />

3.6 Ritualità non festive connesse alla propiziazione agricola<br />

3.6.1 Le Rogazioni<br />

3.6.2 L’Ascenzione: i granati e Santa croce


Capitolo 4<br />

La festa nell’epoca nella postmodernità<br />

4.1 Una festa nuova: la sagra della castagna<br />

Conclusioni<br />

Appen<strong>di</strong>ce<br />

Fotografie<br />

Bibliografia


INTRODUZIONE<br />

Questo lavoro ha come oggetto il paese <strong>di</strong> Grancia, una piccola frazione del comune <strong>di</strong> Morino in<br />

provincia de L’Aquila. Il paese sorge a 440 m s. l. m. ed é situato nel cuore della Valle Roveto quasi<br />

ad equi<strong>di</strong>stanza da Avezzano e Sora. Secondo il censimento Istat del 1999, il comune <strong>di</strong> Morino,<br />

comprese le frazioni <strong>di</strong> Grancia, Brecciose e Ren<strong>di</strong>nara conta 1.591 abitanti. Grancia é inserita nella<br />

comunità montana Valle Roveto e comprende nel suo territorio la <strong>Riserva</strong> naturale “<strong>Zompo</strong> lo<br />

<strong>Schioppo</strong>”. E’ un centro <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione conta<strong>di</strong>na e per le attività <strong>di</strong> scambio ed i rapporti inerenti, la<br />

sfera delle attività commerciali, dell’istruzione e dei servizi risulta legata ad Avezzano e Sora.<br />

La parrocchia rientra nella pertinenza della Diocesi <strong>di</strong> Sora.<br />

Il lavoro che segue è un’indagine antropologica, compiuta sul campo, che si pone come obiettivo la<br />

descrizione delle feste tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> Grancia, con lo sforzo <strong>di</strong> osservare e rintracciare le<br />

trasformazioni e innovazioni che hanno coinvolto le feste nel corso del tempo. Il mio vuole essere<br />

essenzialmente un documento, d’interesse demologico, che aiuti a riflettere sulla trasformazione<br />

culturale e sociale dell’area presa in considerazione.<br />

Nel corso della storia Grancia, come le altre comunità della Valle Roveto, nella sua transizione<br />

verso la modernità, ha dovuto rivedere la sua realtà interna e riorganizzare i suoi rapporti con<br />

l’esterno. In questa <strong>di</strong>namica la religiosità popolare, esplicata attraverso le feste tra<strong>di</strong>zionali, ha<br />

giocato e continua a giocare un ruolo determinante nella definizione identitaria del paese nel tempo.<br />

E’ necessario specificare che la religiosità popolare è il comportamento del popolo nel campo<br />

religioso, ossia la necessità, a livello popolare, <strong>di</strong> cogliere il senso religioso “in quegli ambiti e<br />

quelle situazioni che vanno al <strong>di</strong> là o si contrappongono alle espressioni <strong>di</strong> fede proprie del modello<br />

ufficiale, pur conservando un legame con quest' ultimo” 1 .<br />

La religiosità popolare è parte <strong>di</strong> un complesso molto ampio che è l’universo delle tra<strong>di</strong>zioni<br />

popolari -equivalente <strong>di</strong> folklore- che sono a loro volta, l’espressione con cui si designa il<br />

complesso dei fatti culturali che appaiono ‹‹popolarmente connotati›› 2 e in altre parole propri degli<br />

strati subalterni dei popoli civili.<br />

La religione <strong>di</strong> popolo si estrinseca in forme più o meno estranee rispetto al sistema<br />

comportamentale ritenuto ortodosso e legittimo dalla gerarchia ecclesiastica. A volte si registrano<br />

1 G. DE ROSA, Chiesa e religione popolare nel mezzogiorno, Bari, Laterza, 1979, p. 4<br />

2 A. M. CIRESE , Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> sul mondo popolare tra<strong>di</strong>zionale, Palermo,<br />

Palombo, 1982 ,p 62


commistioni, altre volte separazioni dalla religione <strong>di</strong> chiesa, per esempio il sentimento religioso<br />

quando è modellato dal popolo secondo criteri magico - religiosi, è vissuto come una forza in grado<br />

<strong>di</strong> risolvere i problemi <strong>di</strong> “questo mondo”; si verifica “un ricorso ad un potere visto come non<br />

dannoso, quello dei santi, la cui azione è pensata come abbastanza efficace per risolvere problemi<br />

esistenziali” 3 .<br />

La festa stessa del resto -che è un istituto culturale- nella sua complessa significazione economico -<br />

etico - sociale - religiosa, si pone come “espressione ritualizzata <strong>di</strong> esigenze e aspettative precarie;<br />

come immagine speculare e alternativa della negatività collettivamente con<strong>di</strong>visa e paventata: come<br />

momento augurale d’una realtà tutta propizia” 4 . La festa in questo senso, si presenta come una<br />

forma <strong>di</strong> riscatto simbolico - rituale dal senso <strong>di</strong> precarietà legato alle esperienze umane.<br />

La religiosità popolare dunque è il comportamento del popolo nel campo religioso, dove con la<br />

nozione <strong>di</strong> popolo ci riferiamo alle classi subalterne. Sulla linea <strong>di</strong> Gramsci 5 , le classi subalterne<br />

comprendono operai salariati, braccianti, <strong>di</strong>soccupati, precari ed il folklore o cultura popolare è<br />

l’insieme delle produzioni simboliche -riti, tra<strong>di</strong>zioni, sentimenti, usi e credenze, curiosità,<br />

eccentricità- degli strati sociali periferici, subalterni appunto, in contrapposizione alla cultura<br />

ufficiale d’èlite 6 .<br />

In ogni società c’è una cultura generale che al suo interno può presentare delle <strong>di</strong>fferenziazioni,<br />

orizzontali come verticali, costituenti varie categorie che sono chiamate “subculture” o <strong>di</strong>slivelli<br />

culturali.<br />

Una <strong>di</strong> queste subculture è appunto quella popolare ed in riferimento ad essa Albero Cirese, in<strong>di</strong>ca<br />

come “<strong>di</strong>slivelli interni”, alla cultura della nostra società, i comportamenti e le concezioni degli<br />

strati periferici. Questi <strong>di</strong>slivelli -interni <strong>di</strong> cultura- si costituiscono <strong>di</strong>: canti, fiabe e leggende,<br />

musica e danza, comportamenti cerimoniali, tecniche <strong>di</strong> lavoro, concezioni magiche e magico -<br />

religiose 7 . I “<strong>di</strong>slivelli“ si sono formati essenzialmente in relazione a <strong>di</strong>versi fattori:<br />

a) la <strong>di</strong>scriminazione culturale dei ceti egemonici nei riguar<strong>di</strong> dei gruppi subalterni<br />

b) la resistenza dei ceti periferici alle imposizioni civilizzatrici dei ceti egemoni<br />

3 R. CIPRIANI, Sociologia della cultura popolare in Italia, Napoli, Liguori e<strong>di</strong>tore, 1979, p. 229<br />

4 V. LANTERNARI Spreco, ostentazione, competizione economica nelle società primitive e nella cultura popolare: il<br />

comportamento festivo, in R. CIPRIANI, Sociologia della cultura popolare in Italia, Napoli. Liguori e<strong>di</strong>tore, 1979, p.<br />

67<br />

5 “ Si può <strong>di</strong>re che finora il folklore sia stato stu<strong>di</strong>ato prevalentemente come elemento pittorico. Occorrerebbe stu<strong>di</strong>arlo<br />

invece come concezione del mondo e della vita, implicita in grande misura, <strong>di</strong> determinati strati ( determinati nel tempo<br />

e nello spazio) della società, in contrapposizione ( anch’essa per lo più implicita, meccanica, oggettiva) con le<br />

concezioni del mondo ufficiali ( o in senso più largo delle parti colte della società storicamente determinate) che si sono<br />

succedute nello sviluppo storico” A, GRAMSCI, Quaderno 27, Osservazione sul ‹‹Folklore››, in Quaderni dal carcere,<br />

Torini, Giulio einau<strong>di</strong> e<strong>di</strong>tore, 1975, p. 2312<br />

6 <strong>Lo</strong> storicismo crociano negava ai “ primitivi”, alle “ plebi”, al “ canagliume” qualunque ruolo attivo nella storia ( dello<br />

spirito) e inter<strong>di</strong>ceva qualunque pre<strong>di</strong>sposizione conoscitiva nei loro confronti.<br />

U. FABIETTI, Storia dell’antropologia, Bologna, Zanichelli e<strong>di</strong>tore, 1999, p. 135<br />

7 A. M. CIRESE , Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> sul mondo popolare tra<strong>di</strong>zionale, Palermo, p.<br />

10


c) l’isolamento geografico rispetto alle zone centrali.<br />

Il folklore insomma era tutto ciò che esisteva per emarginazione geografica, economica, culturale e<br />

sociale d’alcune comunità o anche ciò che resisteva alla <strong>di</strong>ffusione dei caratteri istituzionali della<br />

modernità.<br />

La cultura del popolo -o folklore- al pari <strong>di</strong> qualsiasi produzione culturale è una risposta a situazioni<br />

storiche sociali rispetto alle quali altre soluzione proposte o imposte sono percepite come<br />

insufficienti. Se per cultura inten<strong>di</strong>amo tutto il complesso <strong>di</strong> moduli con cui gli in<strong>di</strong>vidui<br />

rispondono alle proprie necessità esistenziali e risolvono i problemi legati al vivere quoti<strong>di</strong>ano,<br />

possiamo affermare che il folklore è appunto una delle soluzioni adottate dalla cultura <strong>di</strong> un gruppo.<br />

In questa prospettiva il folklore, come una forma della cultura, è non solo parte <strong>di</strong> un contesto<br />

culturale ampio ma è anzitutto funzione <strong>di</strong> una realtà sociale, economica e politica, con cui si trova<br />

in rapporto <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza.<br />

Il folklore quin<strong>di</strong> ha strette relazioni con la società che il gruppo realizza; “con la cultura perché è<br />

un aspetto <strong>di</strong> essa, con la società perché è con<strong>di</strong>viso e utilizzato dai componenti <strong>di</strong> essa” 8 .<br />

Nel mondo contemporaneo, in cui si registra sempre <strong>di</strong> più una spinta verso la massificazione della<br />

cultura “nel nome della tecnologia, del consumismo, del progresso industriale” 9 , il folklore ha<br />

subito e sta subendo dei forti movimenti che in parte hanno <strong>di</strong>sgregato alcune pratiche simboliche<br />

che gli erano proprie. Questa <strong>di</strong>sgregazione ha prodotto un processo <strong>di</strong> selezione per il quale si sono<br />

conservate, solo alcune delle abitu<strong>di</strong>ni e dei ricor<strong>di</strong> del mondo tra<strong>di</strong>zionale.<br />

Da un punto <strong>di</strong> vista etno antropologico le spinte <strong>di</strong>sgregatrici presentano tra i loro effetti quello<br />

della deculturazione 10 , ossia la <strong>di</strong>sintegrazione dei caratteri culturali specifici delle varie società e<br />

dei vari gruppi.<br />

Anche l’Abruzzo è stato attraversato nell’ultimo cinquantennio da fenomeni sociali quali<br />

l’emigrazione, l’industrializzazione, la <strong>di</strong>ffusione della cultura <strong>di</strong> massa. Questi avvenimenti hanno<br />

provocato nella nostra regione un trasferimento delle valenze culturali in beni <strong>di</strong> consumo; i modelli<br />

della tra<strong>di</strong>zione sono stati messi a dura prova dall’irruenza dei nuovi significati della modernità. La<br />

crisi culturale moderna, che comprende tutti gli strati sociali, si è caratterizzata proprio per la<br />

decadenza dell’universo delle tra<strong>di</strong>zioni; il capitalismo industriale, ha dovuto in parte alimentare tali<br />

crisi per il suo stesso modo <strong>di</strong> produzione orientato a rendere ogni attività merce 11 .<br />

La <strong>di</strong>sgregazione della cultura e della società tra<strong>di</strong>zionale tuttavia non avviene in modo omogeneo;<br />

alcuni elementi sono scomparsi del tutto mentre altri si sono preservati e rivitalizzanti, altri ancora<br />

si sono modernizzati; simboli, forme, strutture della cultura pre- borghese conta<strong>di</strong>na sono stati<br />

8 G. PROFETA, Il folklore e il tempo, in Rivista abruzzese, Anno LVIII- 2005 – N 1, p. 11<br />

9 V. LANTERNARI, Folklore e <strong>di</strong>namica culturale, Napoli, Liguori e<strong>di</strong>tore, 1976, p.12<br />

10 ibidem, nota 9<br />

11 L. GIANCRISTOFORO, Folklore abruzzese tra tra<strong>di</strong>zione e mutamento, Lanciano, Casa e<strong>di</strong>trice Rocco Barabba, 2004.


estrapolati fuori dalla cultura originaria d’appartenenza, e reintegrati dalla cultura consumistica<br />

entro un altro contesto e con una funzione mercantilistica - pubblicitaria 12 .<br />

Tuttavia, non vanno sottovalutate quelle che Vittorio Lanternari ha definito come controspinte 13 ,<br />

vale a <strong>di</strong>re quelle pulsioni contrarie all’unificazione, che si muovono per la salvaguar<strong>di</strong>a della<br />

specialità socio-culturale <strong>di</strong> singole società e dei singoli gruppi sociali. Queste spinte “opposte”<br />

nascono da un bisogno affettivo verso la tra<strong>di</strong>zione, da un voler tornare alle origini, ad un mondo<br />

naturale e libero; in questo prospettiva -vista come alternativa- si è cercato <strong>di</strong> restituire alla festa la<br />

sua originale ed essenziale funzione <strong>di</strong> alternativa appunto, adeguandola alle con<strong>di</strong>zioni della<br />

società <strong>di</strong> consumi.<br />

Le feste popolari, in quest’ottica vanno considerate come quelle forme del folklore che<br />

reinterpretate e reintegrate sono riuscite a non azzerare la loro esistenza nella società dei consumi e<br />

risultano come qualcosa <strong>di</strong> vivo ed attuale poiché, anche se minacciate dai nuovi modelli dominanti,<br />

esse fanno parte del vissuto dei contemporanei, secondo R. Cipriani “la loro vitalità è<br />

in<strong>di</strong>scutibile” 14 .<br />

Nel lavoro in questione si è cercato <strong>di</strong> riflettere sui mutamenti che hanno interessato la materia<br />

popolare su due fronti: quello morfologico, riguardo ai cambiamenti delle credenze ed usi legati al<br />

mondo tra<strong>di</strong>zionale conta<strong>di</strong>no e pastorale, e quello della <strong>di</strong>namicità dei fatti folklorici, in<strong>tesi</strong> come<br />

organismi che resistono e trovano posto nel nuovo contesto sociale ed economico.<br />

Con la descrizione del sistema festivo si vogliono mettere in luce le variazioni che si sono verificate<br />

nel corso del tempo e comprendere i significati che la festa assume nelle <strong>di</strong>verse situazioni storiche<br />

e sociali. In secondo luogo, si vuole cercare <strong>di</strong> non fornire un’immagine dell’istituzione festiva<br />

come rottame del passato, ma mettere alla luce la sua mobilità e <strong>di</strong>namicità morfologica e la sua<br />

capacità <strong>di</strong> interagire con il presente.<br />

Quanto all’impostazione della ricerca, essa costituisce un lavoro il quale, sia nella metodologia<br />

della raccolta dei dati sia nell’analisi interpretativa <strong>di</strong> quest’ultimi, si sviluppa su un duplice binario,<br />

storico e antropologico, poiché si è voluto elaborare un quadro complesso ed articolato dei<br />

fenomeni esaminati.<br />

La storia del paese <strong>di</strong> Grancia e delle sue ritualità è ricostruita a partire dal 1915, utilizzando<br />

materiale storico e bibliografico ma ricorrendo soprattutto alla ricerca sul campo, la quale è stata<br />

basata a sua volta sulla osservazione partecipante. Durante la ricerca sul campo il soggetto scrivente<br />

12 ibidem, nota 9, p 43<br />

13 ibidem, nota 9 p. 14<br />

14 R. CIPRIANI, Sud e religiosità popolare, in R. CIPRIANI, Sociologia della cultura popolare in Italia, Napoli, Liguori<br />

e<strong>di</strong>tore, 1979, p. 236


ha assunto il duplice ruolo <strong>di</strong> ricercatore, che guarda dall’esterno i fenomeni indagati, e quello <strong>di</strong><br />

soggetto facente parte della comunità analizzata.<br />

Seguendo un’impostazione <strong>di</strong> tipo olistico, si è cercato <strong>di</strong> ricostruire il sistema delle feste religiose<br />

<strong>di</strong> Grancia, oggi frammentato, che un tempo ha caratterizzato le relazioni tra gli uomini nella<br />

società agro pastorale, rintracciandone i cambiamenti e le trasformazioni. Si è analizzato anche il<br />

pellegrinaggio a Santa Maria del Pertuso ed alcune pratiche magico religiose legate alla<br />

propiziazione agricola ormai caduti in <strong>di</strong>suso.<br />

Il calendario festivo <strong>di</strong> Grancia comincia con la festa <strong>di</strong> S. Antonio Abate a Gennaio e si chiude con<br />

la festa patronale <strong>di</strong> San Rocco ad Agosto a cui, nel corso del tempo, si è affiancata quella <strong>di</strong> Santa<br />

Maria della Stella. La ricostruzione <strong>di</strong> tutte le feste qui riportate è stata fatta prendendo in<br />

considerazione sia quanto si faceva in passato che quanto si compie oggi, sottolineando i<br />

cambiamenti e cercando <strong>di</strong> capire le ragioni che hanno determinato tali mutamenti.<br />

Infine questo lavoro è stato fortemente motivato anche dalla volontà <strong>di</strong> non far <strong>di</strong>sperdere o<br />

<strong>di</strong>menticare riti antichi e feste che non si rispettano più, poiché ritengo che le tra<strong>di</strong>zioni siano un<br />

patrimonio morale e spirituale che merita <strong>di</strong> essere salvato.


METODOLOGIA DELLA RICERCA<br />

I dati e le informazioni contenute nella ricerca in questione, sono stati raccolti seguendo due<br />

metodologie: osservazione partecipante e ricerca d’archivio.<br />

Per ciò che concerne il primo approccio, si è manifestato un problema -nel momento in cui ha preso<br />

consistenza, la volontà <strong>di</strong> scegliere le feste tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> Grancia come soggetto d’indagine-<br />

riguardo il ruolo <strong>di</strong> chi scrive ed ha condotto la ricerca. La <strong>di</strong>fficoltà nasce dal fatto che il soggetto-<br />

autore in questione, risiede ed è parte integrante del tessuto geografico e culturale indagato,<br />

identificandosi contemporaneamente, nel duplice e “scomodo” ruolo <strong>di</strong>:<br />

- Osservatore - Osservato<br />

- Spettatore - Attore<br />

La questione, a preso forma, in virtù del fatto che, seguendo gli insegnamenti <strong>di</strong> Cirese, il ruolo del<br />

ricercatore e l’inchiesta sul campo, devono obbe<strong>di</strong>re alle cosiddette “Tecniche d’indagine” 15 ;<br />

l’antropologo è costantemente impegnato nel <strong>di</strong>fficile compito <strong>di</strong> conciliare la necessità <strong>di</strong> una<br />

visione analitica e confermarla al massimo dalla obiettività conseguibile attestandosi su una<br />

posizione <strong>di</strong> <strong>di</strong>stacco rispetto all’oggetto dell’indagine. Fabietti, per esempio, riguardo allo stato in<br />

cui deve porsi o al contrario sottoporsi l’investigatore, perché i suoi risultati siano positivi, parla <strong>di</strong><br />

“prescrizioni e proscrizioni <strong>di</strong> genere etico- metodologico“ 16 .<br />

Nella ricerca in questione, le categorie proprie della cultura <strong>di</strong> cui fa parte lo stu<strong>di</strong>oso (cultura<br />

osservante ) e le categorie proprie della cultura che è assunta come oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o ( cultura<br />

osservata ) sono le medesime; un probabile rischio insito in questa posizione, è <strong>di</strong> pervenire ad una<br />

cecità percettiva, e compromettere la possibilità <strong>di</strong> una lettura in<strong>di</strong>scriminata del fenomeno in<br />

questione 17 .<br />

Tale duplicità <strong>di</strong> posizione, che per certi aspetti si è rivelata come scomoda, per altri invece, è stata<br />

<strong>di</strong> grande supporto e <strong>di</strong> facilitazione ai fini del lavoro.<br />

15 A. M. CIRESE , Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> sul mondo popolare tra<strong>di</strong>zionale, Palermo,<br />

Palumbo, 1982, p. 51<br />

16 Circa la questione relativa al ruolo del ricercatore e alla oggettività scientifica nella indagine antropologica chiarisce<br />

U. Fabietti “Le prescrizioni o proscrizioni <strong>di</strong> genere etico – metodologico…Tra <strong>di</strong> esse campeggiano, le une legate alle<br />

altre: il rispetto della regola della lunga permanenza sul terreno ; l’accettazione del fatto che gran parte del lavoro <strong>di</strong><br />

campo è routine, in contrasto con le romantiche aspettative del neofita ; un rispetto della deontologia dei dati raccolti ;<br />

la lotta alle sotterranee pulsioni della propria personalità, portatrici <strong>di</strong> <strong>di</strong>storcenti i<strong>di</strong>osincrasie o eccessi empatici nei<br />

confronti dell’oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o “ . U. FABIETTI, I mo<strong>di</strong> della cultura, Roma ,La nuova Italia scientifica, 1992, p. 51<br />

17 ibidem nota 15, pp. 51, 52


Un’inchiesta sul campo deve avvenire in un clima <strong>di</strong> partecipazione alla realtà osservata,<br />

partecipazione significa inserimento amichevole nella società indagata, costruzione <strong>di</strong> una visibile<br />

sfera <strong>di</strong> amicizie e <strong>di</strong> affetti; elementi che danno la possibilità <strong>di</strong> giungere a ciò che Fabietti in<strong>di</strong>ca<br />

come <strong>di</strong>venire parte del panorama, <strong>di</strong> riuscire in altre parole a stabilire quel clima <strong>di</strong> fiducia, <strong>di</strong><br />

apprezzamento e specialmente <strong>di</strong> normalità <strong>di</strong> rapporti, in assenza del quale il lavoro risulta vacuo<br />

se non ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong>storto.<br />

In conformità a quanto spiegato pocansi ne consegue che; il lavoro sul campo in questione è stato<br />

notevolmente facilitato dalla <strong>di</strong>retta e preliminare conoscenza dei fatti e del luogo, poiché l’autore,<br />

nel doppio profilo <strong>di</strong> ricercatore e compaesano degli osservati, non ha dovuto compiere sforzo<br />

alcuno per acquisire la fiducia e l’apprezzamento degli abitanti del posto. Per alcuni aspetti,<br />

usufruire <strong>di</strong> questo vantaggio <strong>di</strong> posizione, ha consentito <strong>di</strong> risparmiare una parte <strong>di</strong> lavoro lunga e<br />

<strong>di</strong>fficoltosa, dall’altro però è probabile che abbia generato, un automatismo dello sguardo e delle<br />

azioni.<br />

<strong>Lo</strong> sforzo e la volontà, in ogni modo, è stato d’impostare in questo momento della ricerca,<br />

un’estraniazione mentale ed emotiva, un’immedesimazione <strong>di</strong>staccata verso i fatti e le situazioni<br />

appartenenti anche al vissuto personale dell’autore, proprio per evitare con<strong>di</strong>zionamenti alla lettura<br />

obiettiva ed analitica della realtà.<br />

Una terza questione con la qual è stato necessario confrontarsi, è quella concernente i proce<strong>di</strong>menti<br />

più idonei da adottarsi in vista dell’impostazione e della realizzazione dell’intero lavoro.<br />

L’impianto complessivo della ricerca si compone <strong>di</strong> due momenti <strong>di</strong> intervento operativo:<br />

- Rilevamento <strong>di</strong>retto<br />

- L’analisi delle fonti<br />

Il primo aspetto poggia su:<br />

- Colloquio (o intervista)<br />

- Scelta degli interme<strong>di</strong>ari<br />

I colloqui con gli informatori sono avvenuti in forma libera, senza l’ausilio <strong>di</strong> questionari o<br />

strumenti <strong>di</strong> registrazione, si è accordata la preferenza ad interviste in<strong>di</strong>viduali, realizzate al <strong>di</strong> fuori<br />

delle celebrazioni festive indagate, poiché la volontà è stata <strong>di</strong> non ritrarre i soggetti durante il<br />

fenomeno in atto, onde evitare una possibile non luci<strong>di</strong>tà dei protagonisti nell’esposizione dei fatti 18 .<br />

Particolare attenzione inoltre è stata riservata alla selezione degli interme<strong>di</strong>ari locali; il sindaco ed il<br />

parroco, hanno fornito informazioni generiche sul contesto locale, mentre la preferenza maggiore è<br />

18 A. M. Cirese : “L’inchiesta ha sempre un carattere <strong>di</strong> eccezionalità nei confronti della vita abituale degli informatori,<br />

e costituisce senza dubbio una intromissione nel mondo altrui: essa genera per ciò stesso uno stato psicologico<br />

particolare che in molti casi può non produrre inconvenienti <strong>di</strong> rilievo, ma che in alcuni ambienti, con taluni in<strong>di</strong>vidui o<br />

per certi argomenti, può anche condurre all’informazione <strong>di</strong>storta o ad<strong>di</strong>rittura al rifiuto del colloquio ”. A. M. CIRESE ,<br />

Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> sul mondo popolare tra<strong>di</strong>zionale, Palermo, Palumbo,1982,<br />

p. 250


stata accordata, alla collaborazione <strong>di</strong> coloro che Cirese qualifica come “portatori <strong>di</strong> folklore” 19 , che<br />

sono in genere gli anziani, conta<strong>di</strong>ni, pastori o braccianti del paese.<br />

“Il ricercatore, deve giungere proprio là dove è meno facile e meno pacifico arrivare: se si limita<br />

l’indagine al settore civilizzato della popolazione, e se non si cerca <strong>di</strong> estenderla, per quanto si può,<br />

ai gruppi che i benpensanti locali giu<strong>di</strong>cano meno favorevolmente e considerano <strong>di</strong>spregiativamente<br />

come ignoranti o rivoluzionari o cafoni e simili, allora ci si rifiuta al compito essenziale<br />

dell’indagine che sta proprio nello scavalcare e rompere questi limiti e queste barriere culturali <strong>di</strong><br />

classe “ 20 .<br />

I portatori <strong>di</strong> folklore, sono in genere considerati tali secondo delle generiche qualità 21 :<br />

a) mentalità semplice ed elementare;<br />

b) subalternità sociale, poiché i modelli folklorici sono più <strong>di</strong>ffusi tra gli appartenenti a ceti sociali<br />

più umili e modesti;<br />

c) collocazione periferica rispetto ai centri <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione culturale;<br />

d) età anagrafica, dato che le persone portatrici <strong>di</strong> folklore sono in genere gli anziani e per questo<br />

più legati ai modelli del passato.<br />

Le domande poste sono state elaborate con l’intento <strong>di</strong> inquadrare prima <strong>di</strong> tutto il concetto del<br />

festivo e dei suoi caratteri generali, altri quesiti poi sono state raggruppati intorno alle singole<br />

festività. Generalmente si sono proposto le domande nella seguente forma:<br />

- Quante festività venivano osservate in passato in paese?<br />

- Quali erano le feste che avevano più importanza e perché?<br />

- Come si organizzava una festa?<br />

- Quanto erano importanti le feste per la vita della comunità <strong>di</strong> Grancia?<br />

- Ci sono ritualità o ricorrenze che non si rispettano più?<br />

- Qual è il significato attribuito ai santi, alla Madonna e al pellegrinaggio?<br />

- Quali e quanti sono i cambiamenti oggi nelle festività rispetto al passato?<br />

Infine l’esame delle fonti, è consistito invece in un ampio lavoro <strong>di</strong> reperimento del materiale che<br />

contiene informazioni sulla tematica analizzata, a partire dalla documentazione più generale, come<br />

saggi, articoli riviste, manuali <strong>di</strong> antropologia, sociologia, a fonti specifiche come resoconti <strong>di</strong><br />

indagini sul campo nell’area Abruzzese, riviste demologiche specializzate, raccolte <strong>di</strong> usanze.<br />

Le se<strong>di</strong> in cui è avvenuto il reperimento del materiale sono : il Centro servizi culturali <strong>di</strong> Avezzano,<br />

la Biblioteca della facoltà <strong>di</strong> Sociologia della Università degli stu<strong>di</strong> “La Sapienza” <strong>di</strong> Roma, la<br />

19 Ibidem, p. 251<br />

20 Ibidem<br />

21 G. PROFETA, Il folklore e il tempo, in” Rivista Abruzzese”, Anno LVIII – 2005 – N. 1


Biblioteca della facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia dell’Università degli stu<strong>di</strong> dell’Aquila, la Biblioteca<br />

Provinciale “S. Tommasi” dell’Aquila, il Museo “<strong>Zompo</strong> lo <strong>Schioppo</strong>” <strong>di</strong> Morino, la Comunità<br />

Montana Valle Roveto.<br />

Si è voluto dare anche un inquadramento della vita religiosa e sociale <strong>di</strong> Grancia attraverso una<br />

documentazione visuale, che talvolta esprime la realtà assai meglio dei concetti espressi a parole.


“ Quello che per noi è folklore, per questa gente è fame e <strong>di</strong>sperazione”<br />

Annabella Rossi<br />

1


CAPITOLO PRIMO<br />

Definizione del contesto<br />

In questo capitolo verrà tracciato un quadro descrittivo del contesto geografico – ambientale e<br />

dell’esperienza storico – sociale <strong>di</strong> Grancia; i dati e le riflessioni su tale complesso sono <strong>di</strong><br />

fondamentale importanza per capire quei significati che da esso ne derivano ai fini della ricerca.<br />

La cultura è il riflesso dell’ambiente in cui essa si inscrive.<br />

1.1 Inquadramento geografico<br />

Il quadro <strong>di</strong> riferimento geografico entro cui Grancia si situa è il comprensorio del comune <strong>di</strong><br />

Morino in provincia de L’Aquila. Morino è un piccolo paese <strong>di</strong> 1.591 22 abitanti, compresi i centri<br />

minori <strong>di</strong> Grancia, Ren<strong>di</strong>nara e Brecciose; è situato nel cuore della Valle Roveto, a 440 m. <strong>di</strong><br />

altitu<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong>sta 24 km da Sora e 25 km da Avezzano.<br />

Insieme a Morino, Grancia è inserita nella comunità montana Valle Roveto, e comprende nel suo<br />

territorio, la <strong>Riserva</strong> naturale “ <strong>Zompo</strong> lo <strong>Schioppo</strong>”. Grancia per le attività <strong>di</strong> scambio ed i rapporti<br />

inerenti la sfera delle attività commerciali, dell’istruzione e dei servizi risulta legata ad Avezzano e<br />

Sora.<br />

La parrocchia rientra nella pertinenza della Diocesi <strong>di</strong> Sora.<br />

La Valle Roveto è un territorio che da sempre costituisce un ponte tra l’Italia centrale, la Campania<br />

e il basso Lazio, e proprio questo suo essere una terra <strong>di</strong> mezzo, le ha conferito delle connotazioni<br />

proprie che l’hanno resa, oltreché un importante luogo <strong>di</strong> scambio e comunicazione, un ambiente<br />

dagli attributi del tutto peculiari in rapporto alle zone limitrofe.<br />

Un grande movimento <strong>di</strong> erosione generò la fossa, che oggi chiamiamo Valle Roveto. 23 Da un punto<br />

<strong>di</strong> vista geo – morfologico infatti essa è considerata una grande fossa <strong>di</strong> origine tettonica fra due<br />

22 dati anagrafici dell’anno 1999: abitanti n. 1.591; maschi n. 769; femmine n. 822<br />

23 Un tempo la Valle fu occupata da un ghiacciaio, come ne sono prova la presenza <strong>di</strong> morene laterali.


catene <strong>di</strong> monti; la catena <strong>di</strong> sinistra è limitata verso il Liri da una grande faglia, la catena <strong>di</strong> destra<br />

culmina nel monte Viglio ed è formata dai monti Simbruini e dai monti Ernici.<br />

Dalle due catene che chiudono in tutta la sua lunghezza la Valle Roveto, scendono <strong>di</strong>verse “vallette<br />

laterali”, <strong>di</strong> cui Morino è la più larga.<br />

Il nome Morino, in qualche documento antico, risulta chiamato anche come Moreno, e si può<br />

presupporre che questo nome derivi da “morena”, cioè il materiale detritico che viene provocato ai<br />

fianchi <strong>di</strong> una valle, dall’azione erosiva del ghiacciaio e poi si raduna in accumuli 24 . Infatti per i<br />

geologi le piccole valli che si incontrano dalla Valle dello <strong>Schioppo</strong> fino a Pescocanale, sono <strong>di</strong><br />

origine glaciale.<br />

La Valle è attraversata per la sua intera lunghezza dal corso del fiume Liri, la presenza del quale, ha<br />

influenzato non poco la vita e le forme <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>amento delle sue popolazioni; l’abbondante<br />

presenza <strong>di</strong> acqua ha dato un forte impulso allo sviluppo economico della zona, sia per quanto<br />

riguarda l’industria delle acque minerali e termali ( Canistro) sia in relazione dello sfruttamento a<br />

fini energetici ( centrali <strong>di</strong> Canistro. Morino, Balsorano).<br />

Morino si trova nel cuore della Valle Roveto, ad equi<strong>di</strong>stanza dal centro marsicano e da Sora.<br />

Da Morino volgendo lo sguardo a monte, si scorge la frazione <strong>di</strong> Grancia e ancora più a sud, alle<br />

pen<strong>di</strong>ci del monte Viglio - proprio nel punto <strong>di</strong> congiunzione tra i M. Simbruini , i M. Ernici e i M.<br />

Cantari- si erige, come padrona dell’intero paesaggio, la <strong>Riserva</strong> <strong>Naturale</strong> <strong>Zompo</strong> lo <strong>Schioppo</strong>. La<br />

<strong>Riserva</strong>, orgoglio dei morinesi, occupa un territorio completamente montano, e interamente<br />

ricadente nel comune <strong>di</strong> Morino 25 .<br />

Pur essendo una <strong>Riserva</strong> con caratteristiche forestali, essa prende il nome da una cascata, che nasce<br />

nel margine orientale della <strong>Riserva</strong>, e guarda Morino. Con un salto <strong>di</strong> ottanta metri, la cascata è la<br />

più alta degli Appennini, tra quelle naturali, ed è generata dal salto (schioppo appunto) <strong>di</strong> una<br />

sorgente che precipita da un’alta parete 26 . Le acque dello <strong>Schioppo</strong>, accresciute da altre sorgenti,<br />

formano il Romito, il fiume che corre ai pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> Grancia e che dopo aver attraversato Morino va a<br />

confluire nelle acque del Liri. Le connessioni ecologiche della <strong>Riserva</strong> con altre aree abruzzesi<br />

protette come il Parco Nazionale d’ Abruzzo, gli permettono <strong>di</strong> vantare una grande varietà botanica<br />

ed animale.<br />

Grazie al prestigio ambientale della <strong>Riserva</strong>, il comune <strong>di</strong> Morino sta realizzando una serie <strong>di</strong><br />

interventi sia all’interno che all’esterno dell’area protetta, mirati a rendere accessibili al pubblico <strong>di</strong><br />

24 G. SQUILLA, Valle Roveto, nella geografia e nella storia, Roma, De Cristoforo e<strong>di</strong>zioni, 1990, p.183<br />

25 La <strong>Riserva</strong> occupa una superficie <strong>di</strong> 1025 ettari in un territorio completamente montano, compreso tre i 650 ed i 2000<br />

metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne.<br />

26 Un viaggiatore inglese – Sir Richard Keppel Craven – che nel secolo scorso attraversava la Valle Roveto, ancor prima<br />

<strong>di</strong> vedere la cascata fu attratto dall’eco profondo che si <strong>di</strong>ffondeva dalla caduta dell’acqua sulle rocce sottostanti,<br />

paragonandola al rumore <strong>di</strong> una fucilata. D. FEBO,<strong>Zompo</strong> lo <strong>Schioppo</strong>, <strong>Riserva</strong> d’acque e foreste, Pescara, Carsa<br />

e<strong>di</strong>zioni, 1995, p. 6


turisti, materialmente e culturalmente, gli aspetti paesaggistici e faunistici dell’ambiente naturale. Il<br />

tutto si sta svolgendo con l’auspicio <strong>di</strong> riuscire a raggiungere possibili risvolti economici positivi<br />

per la comunità locale 27 .<br />

1.2 Breve storia del paese <strong>di</strong> Grancia<br />

Il termine Grancia, deriva dal francese “Granche” o “ Grange”, vocaboli a loro volta tratti dal latino<br />

“ Granica” (celle a<strong>di</strong>bite a deposito per il grano delle masserie); con ciò si identificavano in epoca<br />

me<strong>di</strong>evale delle particolari strutture legate agli inse<strong>di</strong>amenti monastici. Il termine può in<strong>di</strong>care sia<br />

un e<strong>di</strong>ficio con funzione <strong>di</strong> deposito <strong>di</strong> prodotti agricoli posto all’interno <strong>di</strong> un complesso abbaziale,<br />

sia un insieme autonomo <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici lontano dall’abbazia madre, ma ugualmente connesso allo<br />

sfruttamento delle risorse del territorio in possesso del monastero. In quest’ultimo caso dunque, le<br />

“grangie” erano fattorie rurali, le quali basavano la loro economia soltanto sui campi coltivabili, sui<br />

pascoli per le greggi, sulle foreste che fornivano legname, ma anche sullo sfruttamento delle cave e<br />

delle miniere presenti nel territorio 28 .<br />

Grancia cominciò a chiamarsi cosi a partire dal XIV sec. poiché <strong>di</strong>venne il granaio dei certosini <strong>di</strong><br />

Trisulti; i monaci, che avevano svariati posse<strong>di</strong>menti in particolare nel territorio <strong>di</strong> Morino,<br />

Castronovo, Ren<strong>di</strong>nara e Civita d’Antino, scelsero proprio Grancia come luogo <strong>di</strong> raccolta dei<br />

prodotti coltivati nelle loro terre.<br />

Grancia fu un’importante colonia agricola sia dei monaci cistercensi che benedettini; i primi<br />

lasciarono il loro segno, ancora visibile, con la costruzione dell’eremo <strong>di</strong> S. Maria del Pertuso,<br />

mentre i secon<strong>di</strong> si legarono al priorato benedettino <strong>di</strong> S. Pietro, <strong>di</strong> cui oggi non ne rimane che<br />

qualche rudere.<br />

Riguardo la prepositura <strong>di</strong> S. Pietro, sappiamo che ebbe la sua sede a monte della Grancia nella<br />

località Brecciose <strong>di</strong> Morino 29 . Tuttora il luogo conserva il nome san Pietro nonché i ruderi<br />

dell’impianto monastico formato dalla chiesa, dall’abitazione e da un cortile interno delimitato dal<br />

muro <strong>di</strong> cinta.<br />

27 <strong>Riserva</strong> naturale <strong>Zompo</strong> lo <strong>Schioppo</strong>, Piano <strong>di</strong> assetto Naturalistico, a cura <strong>di</strong>: Regione Abruzzo, Comune <strong>di</strong> Morino,<br />

Legambiente, Penne ( Pe), Cogecstre e<strong>di</strong>zioni, 2002<br />

28 L. MAMMARELLA, Abbazie cistercensi e loro filiazioni, I monumenti me<strong>di</strong>evali in Abruzzo, Cerchio, Adelmo Polla<br />

E<strong>di</strong>tore, 1989, p. 14-16.<br />

29 La Valle Roveto e il sacro, dal mondo antico al me<strong>di</strong>oevo, Comunità montana Valle Roveto, comune <strong>di</strong> Civita<br />

d’Antino, Atti del II convegno <strong>di</strong> archeologia. Civita d’Antino, 14 settembre 2002, p. 92, 115, 116


San Pietro <strong>di</strong> Morino appare per la prima volta nel 1060-1063 quale monastero <strong>di</strong> non precisata fede<br />

religiosa 30 ad opera del vescovo Tommaso, il quale trasformò a tale scopo una casa <strong>di</strong> sua proprietà,<br />

che possedeva nel luogo, dotandola <strong>di</strong> molti beni. La chiesa <strong>di</strong> S. Pietro successivamente fu donata<br />

a Montecassino, con tutte le sue pertinenze, da alcuni nobili citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Antena (Civita d’Antino)<br />

assieme alla chiesa <strong>di</strong> S. Lucia <strong>di</strong> Ren<strong>di</strong>nara. Nel 1273 il preposito <strong>di</strong> S. Pietro <strong>di</strong> Morino, come gli<br />

altri prepositi dei cenobi benedettini <strong>di</strong>pendenti da Montecassino, era tenuto a versare alla camera<br />

dell’abate la sua pensione annua, che ammontava a cinque ducati 31 . Tale imposta, era correlata alla<br />

massa benificale dei singoli monasteri, e la dotazione fon<strong>di</strong>aria della prepositura morinese era<br />

alquanto superiore rispetto ad esempio a quella vicina <strong>di</strong> S. Benedetto <strong>di</strong> Pascusano, che versava<br />

all’abbazia madre, allo stesso titolo, tre ducati.<br />

I fedeli <strong>di</strong> Morino dunque, con le loro donazioni verso le case benedettine, si mostrarono<br />

particolarmente riconoscenti e sensibili verso i monaci, i quali ebbero un’influenza determinante per<br />

la vita cristiana, per lo sviluppo agricolo e sociale della zona.<br />

La Valle Roveto, non fece mai parte della “Terra <strong>di</strong> S. Benedetto”, ma in questo territorio i<br />

benedettini ebbero molti monasteri e chiese,<br />

Più lunga fu invece la permanenza dei certosini <strong>di</strong> Trisulti nel territorio. Nel 1703, sappiamo con<br />

certezza che l’amministrazione della Grancia fu rimessa a fra Francesco David, pittore della certosa,<br />

come ne sono testimonianza le lettere che il frate inviò durante la sua permanenza a Grancia ai suoi<br />

confratelli 32 .<br />

Per lunghi secoli la Grancia fu solamente il luogo <strong>di</strong> raccolta dei prodotti agricoli dei monaci, solo<br />

successivamente al <strong>di</strong>sastroso terremoto del 1915 la località <strong>di</strong>viene luogo abitato; quando vi furono<br />

costruite delle baracche asismiche per i terremotati.<br />

Precedentemente al 1915 il paese <strong>di</strong> Morino sorgeva su un’altura che dominava il fondovalle. In<br />

questo luogo l’abitato si era sviluppato dal castello omonimo, sorto a sua volta probabilmente su un<br />

centro fortificato Marso. L’ubicazione dell’antico Morino “in alto”, quasi certamente era dettata da<br />

ragioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa e sicurezza, infatti il paese si trovò fin dal XV sec. assieme a Ren<strong>di</strong>nara in<br />

contrasto con i comuni oltre i Monti Ernici, specialmente con Guar<strong>di</strong>no e con Alatri. Esiste in un<br />

registro vaticano del XV sec. un accenno alle liti secolari che portarono questi comuni a cause<br />

civili 33 . Dopo il terremoto. la costruzione del nuovo paese <strong>di</strong> Morino ha comportato il completo<br />

abbandono del vecchio centro, del quale ne sono rimasti pochi ruderi coperti da rovi, e il campanile<br />

della chiesa che è ancora in pie<strong>di</strong>.<br />

30 D. ANTONELLI, Abbazie, prepositure e priorati benedettini nella <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Sora nel me<strong>di</strong>oevo, Sora, Pasquarelli<br />

e<strong>di</strong>trice, 1986.p.329<br />

31 ibidem, p. 333<br />

32 “ D. ATANASIO TAGLIENTI, La certosa <strong>di</strong> Trisulti, Casamari ( Fr), Tipografia <strong>di</strong> Casamari, 1987, p. 159<br />

33 G. SQUILLA, VALLE ROVETO NELLA GEOGRAFIA E NELLA STORIA, Roma, De Cristoforo e<strong>di</strong>tore, 1990, p184


Il sisma del 1915, che ha colpito l’intera Marsica, la Valle Roveto e la Valle del Liri, ha provocato<br />

<strong>di</strong> fatto la fine del modello inse<strong>di</strong>ativo me<strong>di</strong>evale, causando lo spostamento <strong>di</strong> quasi tutti i centri<br />

abitati della Valle Roveto verso il fondovalle a ridosso delle vie <strong>di</strong> comunicazione. Se questo da una<br />

parte ha <strong>di</strong>minuito l’isolamento tra i centri, dall’altro ha favorito una sorta <strong>di</strong> sdoppiamento <strong>di</strong><br />

questi comuni come è accaduto per Grancia che <strong>di</strong>venta luogo abitato dal frazionamento del vecchio<br />

Morino.<br />

Dopo il terremoto del 1915 e la prima guerra mon<strong>di</strong>ale, una grave crisi economica costrinse molte<br />

famiglie <strong>di</strong> Morino e Grancia ad emigrare nel nord Europa e nel nord America, alla ricerca <strong>di</strong> un<br />

lavoro e <strong>di</strong> quel benessere invano atteso per tanti secoli fra i propri monti. Famiglie intere si<br />

trasferirono al <strong>di</strong> là dell’oceano per non fare più ritorno.<br />

Con lo scoppio della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, la situazione andò peggiorando, dal settembre del<br />

1943 al giugno del 1944, le truppe tedesche occuparono l’intero territorio della Valle Roveto, a<br />

Grancia gli abitanti lasciarono le proprie case per trovare riparo in montagna. Durante la caduta<br />

dell’esercito italo - tedesco sul fronte russo, molti soldati del paese furono fatti prigionieri dalle<br />

truppe sovietiche, alcuni <strong>di</strong> loro non fecero mai ritorno a casa mentre i pochi sopravvissuti rimasero<br />

mutilati.<br />

Terminata la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, la popolazione si ritrovò a fare i conti con la miseria,<br />

l’arretratezza e la desolazione, Grancia come agli altri paesi della Valle Roveto si trovò in uno stato<br />

<strong>di</strong> forte isolamento; le truppe tedesche nel Giugno del ’44 avevano fatto saltare in aria i ponti della<br />

ferrovia Avezzano - Roccasecca, e la Nazionale 82 34 .<br />

Da questo momento, ebbe inizio una intensa opera <strong>di</strong> ricostruzione del paese che corrispose ad un<br />

quasi totale declino dell’ attività agro-pastorale, e un costante affermarsi del settore secondario e<br />

terziario. Infine dagli anni ’50, con l’incremento dell’industria e<strong>di</strong>lizia e della cantieristica nei centri<br />

<strong>di</strong> Sora e Avezzano - e dei cantieri e<strong>di</strong>li del nord Italia - si è dato impulso ad un forte pendolarismo<br />

stagionale maschile.<br />

Il resto è storia recente, molto simile a quella vissuta da altri piccoli paese del resto d’Abruzzo.<br />

34 ibidem nota 10


1.4 Aspetti socio- economici<br />

L’agricoltura costituisce da sempre la base economica del paese ed è solamente dagli anni cinquanta<br />

del secolo passato che si registra una graduale fuga dal settore verso la crescente industria del<br />

circondariato e dell’Italia intera.<br />

In passato la quasi totalità della popolazione <strong>di</strong> Grancia, era addetta al settore agricolo e<br />

all’allevamento, secondo un modello economico <strong>di</strong> tipo essenzialmente autarchico. In questo<br />

quadro, vi attendevano sia gli uomini che le donne sulla base <strong>di</strong> una precisa sud<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> ruoli: ai<br />

primi spettava il compito <strong>di</strong> coltivare i campi, condurre l’allevamento del bestiame e trasformare i<br />

derivati del latte; alle seconde quello <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carsi all’attività <strong>di</strong> raccolta nella campagna ed<br />

amministrare la vita domestica.<br />

Oggi l’allevamento è ridotto quasi esclusivamente solo ai piccoli animali domestici, ma un tempo<br />

offriva una modesta integrazione all’agricoltura, fornendo lana e formaggio.<br />

Gli allevatori del territorio <strong>di</strong> Morino avevano dato vita al sistema della “mandra”; una specie <strong>di</strong><br />

cooperativa a cui ogni pastore affidava il proprio piccolo gregge, nel periodo tra la primavera e<br />

l’autunno, per il pascolo nelle ver<strong>di</strong> praterie dell’alta montagna e per la produzione del formaggio e<br />

ricotta 35 .<br />

Durante l’inverno ogni pastore teneva le proprie pecore e capre nelle stalle, alimentandole con il<br />

fieno e con le “ fronne” ( rami <strong>di</strong> quercia con foglie secche), poi con l’arrivo della primavera<br />

entrava in funzione la “mandra” 36 .<br />

Nel territorio <strong>di</strong> Morino vi erano cinque “mandre”, ogni mandra era formata pressappoco da<br />

duecento capi, il che vuol <strong>di</strong>re che le zone <strong>di</strong> Grancia e Morino possedevano oltre mille capi <strong>di</strong><br />

ovini. I pastori, che ogni giorno portavano al pascolo le greggi, erano due aiutati da tre o quattro<br />

cani-pastore 37 . All’imbrunire si conducevano le greggi al capo-mandra per la mungitura della sera-<br />

l’altra sarebbe avvenuta al mattino prima <strong>di</strong> riprendere il pascolo- a questo punto si procedeva alla<br />

35 La ricostruzione <strong>di</strong> questa antica pratica, è stata possibile grazie alla testimonianza <strong>di</strong> alcuni protagonisti che<br />

quell’esperienza l’hanno vissuta <strong>di</strong>rettamente, e grazie anche alle fonti attinte dal perio<strong>di</strong>co <strong>di</strong> informazione e cultura “<br />

Seme”.<br />

36 Tra il 1940 e il 1960 nel territorio <strong>di</strong> Morino vi erano cinque mandre: - Milanese Tommaso a Brecciose, - Macario e<br />

Pasquale Milanese in località la Rete - Vagliente Giuseppe in località la Fossa –Manni Antonio a La Fossa – Cantucci<br />

Giuseppe, Antonio e Ascenzo in località Piano Sacramento. SEME, anno IV, n. 3- Maggio 1999, p. 2<br />

37 Si partiva <strong>di</strong> buon ora dal capo-mandra: un pastore conduceva le pecore a pascolare a “Casale” e a la “ Paia”,<br />

passando attraverso il sentiero delle “Scalelle” , un’altro nelle zone montane <strong>di</strong> “Colle della Forca”, alla “ Castalarga”,<br />

allo “Scotano” e nelle zone limitrofe la cascata <strong>di</strong> <strong>Zompo</strong> lo Schippo. Durante il periodo estivo, venivano costruiti degli<br />

stazzi con reti mobili, per il riparo notturno delle greggi.


preparazione del formaggio e della ricotta; queste operazioni erano molto lunghe infatti spesso si<br />

protraevano fino a tarda notte 38 . Alla fine <strong>di</strong> settembre la “mandra”si chiudeva.<br />

La “mandra”, appare come un organismo peculiare della società pastorale <strong>di</strong> Grancia poiché mette<br />

in evidenza lo spirito <strong>di</strong> solidarietà tra i membri. La “mandra” rappresentava uno dei momenti più<br />

significativi dell’esistenza collettiva del paese, attraverso <strong>di</strong> essa si riusciva a garantire, per mezzo<br />

<strong>di</strong> un serio e organizzato lavoro <strong>di</strong> gruppo, il sostentamento alimentare dell’intera comunità. Oggi<br />

questa pratica è stata completamente perduta.<br />

In passato insieme all’agricoltura e all’allevamento, anche l’utilizzo dei boschi costituiva una base<br />

economica del paese; la costituzione prevalentemente montana e boschiva del paesaggio <strong>di</strong> Grancia,<br />

<strong>di</strong>ede alimento al mestiere del carbonaio.<br />

Nei boschi che circondano il paese, nella prossimità dell’inverno i tagliatori procedevano al taglio<br />

dei faggi che venivano utilizzati in parte per il fabbisogno della popolazione ed altri per la<br />

carbonaia. La costruzione della carbonaia era una vera e propria opera d’arte, che richiedeva<br />

precisione e abilità tecnica 39 .<br />

Il mestiere del carbonaio è ormai scomparso, ma un tempo esso costituiva una realtà <strong>di</strong> vitale<br />

importanza per il paese.<br />

Anche la lavorazione della terra rispetto ai secoli precedenti è stata fortemente ri<strong>di</strong>mensionata, in<br />

passato l’agricoltura era la risorsa primaria del paese. Seppure con finalità <strong>di</strong>fferenti, rispetto a un<br />

tempo, la lavorazione della terra continua ad essere praticata ancora oggi. In prevalenza si coltiva il<br />

grano, l’orzo, il granturco; abbondante é la coltura delle viti e più modesta quella dell’olio;<br />

massiccia é le presenza <strong>di</strong> alberi da frutta invernali ed estivi. Il fabbisogno <strong>di</strong> acque per l’irrigazione<br />

dei coltivi è sod<strong>di</strong>sfatto attraverso un ingegnoso quanto antico sistema <strong>di</strong> canali <strong>di</strong> terra “le<br />

formelle” in cui le abbondanti acque della <strong>Riserva</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Schioppo</strong>, vengono incanalate correndo tra i<br />

coltivi <strong>di</strong> valle.<br />

38 Durante la fase della preparazione del formaggio, vi prendevano parte anche le donne, il loro compito era quello <strong>di</strong><br />

preparare la “mbanata”, ossia una vivanda a base <strong>di</strong> pane o pizza e ricotta, che veniva consumata al momento. Il mattino<br />

seguente, le donne, con dei recipienti <strong>di</strong> legno, si recavano dal capo-mandra, per ritirare il formaggio preparato nella<br />

sera precedente.<br />

39 Una volta tagliati, i faggi venivano ammucchiati nell’arature dove la vegetazione è meno fitta; una parte delle piante<br />

veniva risparmiata, secondo gli anziani, per “ la continuità del bosco”. Terminato il taglio della legna, era <strong>di</strong><br />

competenza dei cavallari il trasporto dei tronchi nei luoghi appositi in cui si procederà alla preparazione delle cataste<br />

che servono per la produzione del carbone vegetale. La preparazione della carbonaia seguiva una procedura antica; i<br />

legni più gran<strong>di</strong> si accatastavano in cerchio, attorno si <strong>di</strong>sponevano i legni più piccoli in modo concentrico, infine con le<br />

foglie <strong>di</strong> faggio secche e la terra si tappezzava la cupola <strong>di</strong> legna per evitare fuoriuscite <strong>di</strong> fumo.<br />

Completata la preparazione della carbonaia si procedeva all’accensione; un carbonaio versava la brace nel camino e la<br />

catasta iniziava a fumare, il rogo aveva la durata <strong>di</strong> una settimana e durante questo tempo i carbonai dovevano<br />

alimentare la carbonaia continuamente con altra legna. Due giorni dopo l’accensione, veniva chiuso il camino sulla<br />

sommità della cupola, e trafiggendo la crosta <strong>di</strong> terra che si era formata intorno la carbonaia in quattro cinque giorni, il<br />

legno <strong>di</strong>ventava carbone. Infine il carbone –<strong>di</strong> tipo cannellino- veniva versato in robusti sacchi.


A partire dagli anni ’50 del secolo scorso, con l’incremento dell’industria e<strong>di</strong>lizia e della<br />

cantieristica nei centri <strong>di</strong> Sora e Avezzano - e dei cantieri e<strong>di</strong>li del nord Italia - si è dato impulso ad<br />

un forte pendolarismo stagionale maschile e tale situazione ha concorso a formare una comunità<br />

incentrata prevalentemente sul ruolo delle donne e con una elevata presenza <strong>di</strong> anziani.<br />

Nei tempi moderni all’interno della piccola frazione <strong>di</strong> Grancia, fatta eccezione per qualche attività<br />

commerciale, sono quasi del tutto assenti le attività ricreative. La formazione scolastica viene<br />

garantita nel territorio del comune <strong>di</strong> Morino fino alle scuole me<strong>di</strong>e inferiori, mentre per le scuole<br />

me<strong>di</strong>e superiori occorre spostarsi ad Avezzano o Sora. Ancora oggi, gli “svaghi” delle persone<br />

anziane sono costituiti dalle novene, dall’arrivo della missione o dalle feste del santo patrono.<br />

Le inevitabili <strong>di</strong>fficoltà legate alla vita <strong>di</strong> un piccolo centro, hanno finito con il produrre un <strong>di</strong>ffuso<br />

sentimento <strong>di</strong> sfiducia e impotenza, in grado <strong>di</strong> alimentare anche un certo ostruzionismo nei<br />

confronti <strong>di</strong> chi vuole agire 40 .<br />

La comunità <strong>di</strong> Grancia è oggi una realtà nella quale la modernizzazione ha introdotto cambiamenti<br />

profon<strong>di</strong> nella struttura sociale, economica e culturale. Anche la <strong>di</strong>mensione religiosa, che sarà<br />

l’oggetto principale dei prossimi capitoli, non è stata esclusa dalla ridefinizione generale dei valori<br />

<strong>di</strong> riferimento della identità umana.<br />

40 In merito a tale questione ritengo interessante fare qui riferimento al progetto realizzato da Agenda 21 locale insieme<br />

al comune <strong>di</strong> Morino , con l’obiettivo <strong>di</strong> “ far crescere la consapevolezza dell’identità del territorio”. Quanto segue è<br />

stato tratto da DIARIO DI BORDO AGENDA 21 LOCALE, Poligrafica Mancini, Sambuceto (Ch), 2003, p. 25 “ Il carattere schivo<br />

della popolazione e il <strong>di</strong>sagio che spesso si prova nelle manifestazioni istituzionali ha suggerito al gruppo <strong>di</strong> lavoro la<br />

necessità <strong>di</strong> uno sforzo creativo per inventare eventi nei quali gli abitanti fossero partecipi nel fare e non fossero<br />

chiamati a essere spettatori”


2<br />

“ Il folklore è una cosa che va presa sul serio, perché il complesso dei fatti folklorici contiene o esprime una concezione<br />

del mondo e della vita”<br />

Antonio Gramsci


Capitolo secondo<br />

La festa. Moduli interpretativi<br />

In questo capitolo verrà presa in considerazione l’istituzione della festa, esponendo in maniera<br />

sintetica le <strong>di</strong>verse interpretazioni antropologiche che ne hanno definito i caratteri generali.<br />

2.1 La festa<br />

″Basta un attimo <strong>di</strong> riflessione perchè chiunque riconosca nella propria vita e in quella della società<br />

l’alternarsi <strong>di</strong> due tipi <strong>di</strong> tempo, <strong>di</strong>stinti tra loro: il tempo feriale e il tempo festivo. Ed è anche noto<br />

che le <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> qualità nello scorrere apparentemente identico del tempo – giorni e stagioni,<br />

anni o settimane – possono ricondursi ad una sola opposizione fondamentale: quella che <strong>di</strong>vide i<br />

tempi normali dai tempi cerimoniali″. 41<br />

La festa, si configura innanzitutto, come un momento <strong>di</strong> trasgressione dell’or<strong>di</strong>ne costituito e come<br />

momento <strong>di</strong> recupero della identità <strong>di</strong> un gruppo, “in essa troviamo tutto e il contrario <strong>di</strong> tutto: si va<br />

dalla <strong>di</strong>mensione lu<strong>di</strong>ca e giocosa alla seria compunzione dei cortei processionali o delle<br />

manifestazioni rituali più varie” 42 . La festa rappresenta un complesso microcosmo che vuole<br />

riprodurre il mondo della vita quoti<strong>di</strong>ana per riaffermarlo, negarlo o migliorarlo. “La festa è<br />

essenzialmente un giorno extraor<strong>di</strong>nario, antiquoti<strong>di</strong>ano, <strong>di</strong> riposo lavorativo, è un giorno <strong>di</strong> pace, in<br />

opposizione alla irrequietu<strong>di</strong>ne della vita <strong>di</strong> tutti i giorni, è quel momento in cui tutto ciò che nella<br />

vita quoti<strong>di</strong>ana appare come normale, nella festa, <strong>di</strong>venta speciale” 43 .<br />

Con la festa un dato gruppo interrompe la quoti<strong>di</strong>anità, per immergersi collettivamente in un tempo<br />

festivo, in cui sono possibili azioni che mai si compirebbero altrimenti.<br />

La festa ha il valore <strong>di</strong> liberazione simbolica dalle varie negatività dell’esperienza or<strong>di</strong>naria; la<br />

funzione del momento festivo è <strong>di</strong> fondare una realtà e con<strong>di</strong>zione esistenziale desiderata<br />

esorcizzando, su un piano simbolico- rituale, tutta la negatività accumulata 44 . “I membri <strong>di</strong> una<br />

41 A. M. CIRESE, Oggetti, segni, musei, sulle tra<strong>di</strong>zioni conta<strong>di</strong>ne, Torino, Giulio Einau<strong>di</strong> e<strong>di</strong>tore, 1977, p. 59<br />

42 F. GIALLOMBARDO, Festa, orgia, società, Palermo, Flaccovio, 1990, p. 9<br />

43 F.JESI, La festa. Antropologia, etnologia, folklore, Torino, Rosenberg e Sellier, 1977,<br />

44 A. CIATTINI, Antropologia delle religioni, Roma, Carocci, 1998, p. 286


certa comunità prendono parte a particolari pratiche collettive, la cui ricorrenza è perio<strong>di</strong>ca e<br />

stabilita sulla base <strong>di</strong> un calendario, legato alle attività produttive ed alle esigenze della vita<br />

sociale” 45 , queste esigenze, possono variare nel tempo, incidendo sulla ritualità festiva e sulla sua<br />

ciclicità stagionale. Le feste cristiane, per esempio, sono mobili, proprio perchè con<strong>di</strong>zionate dai<br />

cicli naturali e dai ritmi delle stagioni produttive, e la stessa regola ha caratterizzato, in passato, i<br />

sistemi festivi delle società conta<strong>di</strong>ne.<br />

Prima dell’avvento della modernità nella società conta<strong>di</strong>na, le festività erano scan<strong>di</strong>te dal ciclo del<br />

lavoro stagionale, poichè in questo modo ci si assicurava la protezione del lavoro agricolo dagli<br />

elementi incontrollabili della natura. In passato, accanto a cerimonie a ricorrenza fissa, che avevano<br />

un prevalente o esclusivo carattere <strong>di</strong> celebrazione, commemorazione <strong>di</strong> un evento sacro, c’erano<br />

una serie <strong>di</strong> cerimonie in cui l’intenzione era quella <strong>di</strong> “propiziare o magari produrre un evento<br />

futuro, umano o comunque <strong>di</strong> giovamento agli uomini, da effettuate quando esisteva una situazione<br />

negativa , reale o presunta, da mo<strong>di</strong>ficare” 46 .<br />

La religiosità popolare garantiva attraverso i simboli e le feste cerimoniali, una salvaguar<strong>di</strong>a contro<br />

la miseria e la precarietà dell’esistenza umana.<br />

Nel 1884 C. Letta nella sua indagine sulla con<strong>di</strong>zione dei conta<strong>di</strong>ni nella Marsica scrive:‹‹Le feste<br />

avevano, e per molti aspetti hanno tuttora, lo scopo <strong>di</strong> esorcizzare il male e propiziare il bene: uno<br />

scopo legato al bisogno <strong>di</strong> reagire alle minacce materiali, psicologiche e sociali con l’aiuto <strong>di</strong> soli<strong>di</strong><br />

modelli culturali, sperimentati da generazioni (...). Il Santo svolge un ruolo <strong>di</strong> me<strong>di</strong>atore efficace ed<br />

essenziale. <strong>Lo</strong> speciale potere <strong>di</strong> cui è dotato viene richiesto, sperato, voluto a volte anche con<br />

prepotenza›› 47 .<br />

Da un lato la religione assicurava con i santi un ponte tra l’uomo e Dio, dall’altro la magia riponeva<br />

le speranze sull’efficacia dei rituali compiuti dagli uomini; le cerimonie dunque attraverso la<br />

me<strong>di</strong>azione dei santi permettevano <strong>di</strong> intervenire sugli eventi, fondendo le concezioni magiche a<br />

quelle religiose. Con la trasformazione della società e dell’economia tra<strong>di</strong>zionale si è prodotto una<br />

<strong>di</strong>sgregazione delle pratiche simboliche che le erano proprie. Questa <strong>di</strong>sgregazione, oltre a produrre<br />

un certo impoverimento dei fatti culturali tra<strong>di</strong>zionali, ha anche favorito un processo <strong>di</strong> selezione<br />

per il quale si sono conservate solo alcune delle abitu<strong>di</strong>ni e dei ricor<strong>di</strong> del mondo conta<strong>di</strong>no<br />

pastorale 48 .<br />

45 A. CIATTINI, Antropologia delle religioni, Roma, Carocci, 1998, p. 286<br />

46 A. M. CIRESE, Oggetti, segni, musei, Sulle tra<strong>di</strong>zioni conta<strong>di</strong>ne, Torino, Giulio Einau<strong>di</strong> e<strong>di</strong>tore, 1977, p. 63<br />

47<br />

C. LETTA in, A. MELCHIORRE, Vita e Folklore nella marsica <strong>di</strong> ieri, Avezzano, stu<strong>di</strong>o bibliografico Adelmo Polla,<br />

1981, p.10<br />

48 V. PETRARCA, in introduzione A. CICCOZZI, Sirente. Usi e rappresentazioni del mondo tra<strong>di</strong>zionale nell’epoca della<br />

globalizzazione, Synapsi, Sulmona (Aq), 2003, p. 16


In quasta ottica, le feste tra<strong>di</strong>zionali, che sono il risultato della “sin<strong>tesi</strong> tra tra<strong>di</strong>zione e<br />

mutamento” 49 , emergono come i documenti tra i più significativi per riflettere sui tempi delle realtà<br />

tra<strong>di</strong>zionali, e per comprendere la mobilità delle tra<strong>di</strong>zioni folkloriche nel tempo. Secondo Vittorio<br />

Lanternari i cambiamenti nei contenuti e nei significati della festa sono indotti da una <strong>di</strong>namica<br />

storica, sociale e culturale, in relazione al processo <strong>di</strong> trasformazione delle con<strong>di</strong>zioni generali della<br />

società; “contenuti e significati si adeguano alle esigenze e alle aspettative particolari e del<br />

momento” 50 .<br />

In ogni modo la festa da sempre è espressione <strong>di</strong> manifestazioni moltlepici sul piano sociale e<br />

comunicativo “il momento festivo si presenta come struttura portante nella <strong>di</strong>namica socioculturale<br />

del volere comunitario, dalle più arcaiche forme <strong>di</strong> civiltà, fino al livello della società dei consumi.<br />

Nella festa v’è una funzionalità costante ed essenziale, in quanto essa è un istituto culturale<br />

alternativo rispetto alla quoti<strong>di</strong>anità con i suoi fattori negativi e alienanti. La festa esprime un<br />

mondo desiderabile e, per il periodo circoscritto della sua durata, attraverso il gioco rituale, annulla<br />

le negatività dell’esperienza or<strong>di</strong>naria” 51 .<br />

49 V. PETRARCA, Feste tra<strong>di</strong>zionali e società nella Marsica contemporanea, in La terra dei Marsi. Cristianesimo,<br />

cultura, istituzioni. Atti del convegno <strong>di</strong> Avezzano, 24-26 settembre 1988 acura <strong>di</strong> G. Luongo, Viella, Roma, p. 514<br />

50 V. LANTERNARI, Spreco, ostentazione, competizione economica nelle società primitive e nella cultura popolare: il<br />

comportamento festivo, in R. CIPRIANI, Sociologia della cultura popolare in Italia, Napoli, Liguori e<strong>di</strong>tore, 1979, p. 76<br />

51 ibidem


3<br />

“ Ogni civiltà sceglie una sua propria fedeltà, e la nostra ha scelto la fedeltà alla ragione e alla storia: in virtù <strong>di</strong> questa<br />

scelta, quando la ragione in nostro possesso appare troppo angusta davanti ai nuovi problemi della vita e della storia,<br />

siamo tenuti a scegliere consapevolmente una ragione più ampia e più umana, non mai a ripu<strong>di</strong>are il tipo <strong>di</strong> fedeltà nel<br />

quale siamo culturalmente e storicamente inseriti”<br />

Ernesto De Martino


Capitolo terzo<br />

Calendario festivo <strong>di</strong> Grancia<br />

In questo capitolo si descriverà il sistema festivo <strong>di</strong> Grancia, osservando la trasformazione che si è<br />

determinata nel rapporto tra festa e lavoro e i mutamenti che hanno coinvolto le feste tra<strong>di</strong>zionali.<br />

.<br />

3.1 S. Antonio Abate e ′i cacchit′<br />

Il 17 Gennaio, secondo il calendario cristiano, è il giorno in cui ricorre la festa <strong>di</strong> S. Antonio Abate;<br />

il Santo fu uno dei fondatori del monachesimo, perciò detto padre dei monaci. Secondo la sua<br />

biografia, scritta da sant’ Anastasio nel IV sec., si ritirò all’età <strong>di</strong> vent’anni nel deserto arabico della<br />

Tebaide dove secondo la tra<strong>di</strong>zione, subì terribili tentazioni 52 . La leggenda popolare si collega ad<br />

episo<strong>di</strong> della sua vita, in cui il santo viene presentato in vittoriosa lotta contro il demonio, contro<br />

l’ardore delle passioni umane e le fiamme dell’inferno 53 .<br />

Forse da primitive raffigurazioni del santo in lotta con il demonio, dove il <strong>di</strong>avolo appariva<br />

rappresentato o interpretato come un maiale 54 , deriva la fantasia popolare <strong>di</strong> associare al santo l’idea<br />

della protezione degli animali, specialmente quelli domestici.<br />

Proprio per le sue virtù eccezionali, Sant’Antonio è considerato tra i fedeli cristiani come uno dei<br />

santi più “ potenti“, a lui sono attribuiti poteri straor<strong>di</strong>nari rispetto a quelli posseduti dai comuni<br />

mortali; lui può occuparsi delle vicende umane e per questo, <strong>di</strong>venta oggetto <strong>di</strong> venerazione e <strong>di</strong><br />

culto.<br />

S Antonio Abate è senz’altro il santo più venerato in Abruzzo e uno dei più documentati<br />

nell’ambito demo -etno-antropologico, per questo non v’è paese in cui non si festeggi o non si sia<br />

festeggiato in passato il 17 Gennaio questo santo 55 .<br />

52 C. MOHRMANN, Vita <strong>di</strong> Antonio, Vicenza, Arnoldo Mondatori e<strong>di</strong>tore S. p. A., 1987, p. 72-83<br />

53 A Casoli, in provincia <strong>di</strong> Chieti, il culto in onore <strong>di</strong> questo santo è caratterizzato dalla rievocazione delle famose<br />

tentazioni ad opera del <strong>di</strong>avolo; rievocazione annuale sullo stile delle rappresentazioni me<strong>di</strong>evali in cui figura il santo<br />

con la lunga barba bianca, i suoi frati e il Diavolo tentatore. VENIERO LUIGI , Feste e riti in Abruzzo, de giorni e<strong>di</strong>tore,<br />

Teramo, 1986, p.198<br />

54 Da un’ indagine sul folklore abruzzese ,condotta da L.Bracilli nel 1979, riguardo la festa <strong>di</strong> s, Antonio risulta<br />

che :‹‹ad Atessa, casoli e Torricella Peligna i festaioli usano comprare un maialetto qualche mese prima della festa e<br />

lasciarlo libero. Il piccolo maiale gira per il paese ed entra nelle case senza che ci sia pericolo che sia scacciato. La sera<br />

del 17 viene estratto a sorte in una riffa popolare e chi lo vince viene accompagnato a casa dalla banda. Pochi giorni<br />

dopo si mangiano, per devozione, le salsicce del maiale sacrificato››. L. Braccili, Folk-Abruzzo, L’Aquila, Marcello<br />

Ferri e<strong>di</strong>tore , 1979, p. 40<br />

55 “ S. Antonio abate può essere definito il patrono morale dell’Abruzzo, essendo questa una regione agrosilvopastorale e<br />

marginalmente marinara. S. Antonio e uno fra quei santi che non sono mai venuti in terra d’Abruzzo né vi hanno il<br />

corpo, ma sono considerati veramente abruzzesi perché hanno una chiesa e soprattutto feste popolari”. S. VERNA, La<br />

ristrutturazione del calendario romano e i santi abruzzesi, in Rivista abruzzese, Rassegna trimestrale <strong>di</strong> cultura, Anno


A Grancia, la piazza del paese è de<strong>di</strong>cata a s. Antonio Abate, ma della festa in onore del santo ne<br />

rimane solo qualche traccia, infatti la festa oggi è ricordata quasi esclusivamente per la preparazione<br />

e il consumo tra poche famiglie dei panini salati detti cacchit. E’ evidente come col passare del<br />

tempo “un elemento della festa tra<strong>di</strong>zionale – i cacchit - che anticamente era parte <strong>di</strong> un complesso<br />

sintagma rituale, tende a prendere sempre più spazio fino a <strong>di</strong>ventare caratterizzante e identificante<br />

l’intera cerimonia” 56 .<br />

Secondo la memoria degli anziani, la festa si rispettava più o meno fino a trent’anni fa. La<br />

celebrazione religiosa, si svolgeva al mattino, intorno alle ore un<strong>di</strong>ci nella chiesa <strong>di</strong> Santa Maria<br />

della Stella, e vi prendevano parte gli abitanti <strong>di</strong> Grancia e quelli delle contrade Eve<strong>di</strong>tte, Brecciose<br />

e la Fossa. Nel pomeriggio, nella piazza antistante la chiesa, venivano radunati dai loro proprietari<br />

gli animali domestici, per la bene<strong>di</strong>zione del sacerdote 57 .<br />

Il cerimoniale della bene<strong>di</strong>zione era l’aspetto centrale della festa, la protezione del santo avrebbe<br />

garantito una buona salute agli animali da lavoro e da alimentazione, ai quali era legata la sorte <strong>di</strong><br />

tutte le famiglie. Tra gli allevatori del paese, era <strong>di</strong>ffusa l’usanza <strong>di</strong> inchiodare <strong>di</strong>etro le porte delle<br />

stalle, un’immagine <strong>di</strong> carta del santo attorniato da animali.<br />

Alcuni giorni prima della festa, le famiglie più agiate del paese, fornivano ad alcune donne gli<br />

ingre<strong>di</strong>enti necessari per preparare i cacchit: dei panini salati a base <strong>di</strong> farina <strong>di</strong> mais, acqua, sale,<br />

semi <strong>di</strong> finocchio e lievito <strong>di</strong> birra, fatti cuocere nel forno a legna 58 . Una volta preparati, i panini si<br />

raccoglievano in delle ceste <strong>di</strong> vimini, e <strong>di</strong>stribuiti il giorno della festa ai poveri 59 ; secondo la<br />

tra<strong>di</strong>zione popolare, una piccola porzione dei cacchit <strong>di</strong> S. Antonio veniva fatta mangiare agli<br />

animali, con la convinzione che il pane benedetto avrebbe preservato le bestie dalle malattie.<br />

Tuttavia, l’offerta dei panini, dai ricchi ai poveri, oltre che permettere il sostentamento <strong>di</strong> alcune<br />

famiglie per qualche giorno, costituiva anche una sorta <strong>di</strong> ″meccanismo″ temporaneo <strong>di</strong><br />

parificazione della <strong>di</strong>sparità e della ingiustizia <strong>di</strong> classe.<br />

LVIII- 2005- N. 1, p. 83<br />

56 VALERIO PETRARCA, Feste tra<strong>di</strong>zionali e società nella Marsica contemporanea. in AA. VV. , La <strong>di</strong>ocesi dei Marsi,<br />

Atti del Convegno "La terra dei Marsi: cristianesimo, cultura, istituzioni" ( Avezzano 24-26 settembre 1998), Viella,<br />

Roma, p. 518<br />

57 A proposito della festa <strong>di</strong> S, Antonio abate, P. Toschi riporta:‹‹Pittoresche sono le forme <strong>di</strong> culto connesse con la<br />

protezione degli animali. La bene<strong>di</strong>zione degli animali domestici, la mattina del 17 gennaio, è una tipica cerimonia non<br />

più conservata: asini, muli, pecore, capre, cani vengono recati alla chiesa, dai loro proprietari perchè vengano benedetti<br />

dal prete. In questa occasione era <strong>di</strong>ffusione l’usanza che il sacerdote riceva un’elemosina e <strong>di</strong>stribuisca una figurina del<br />

santo e i noti panini <strong>di</strong> sant’Antonio che sono ritenuti miracolosi per le guarigioni delle bestie, alle quali si fanno<br />

mangiare quando sono malate›› . P.TOSCHI, Invito al folklore italiano, Roma, E<strong>di</strong>trice Stu<strong>di</strong>um,1963, p. 266<br />

58 Per la festa <strong>di</strong> S. Antonio Abate, in molti paesi d’Abruzzo, si cucinano vivande <strong>di</strong>verse, come per esempio “ i<br />

granati”, un miscuglio <strong>di</strong> cereali e legumi. Questa pietanza a Grancia viene preparata per il giorno<br />

dell’Ascensione.<br />

59 A Serramonachesca, in provincia <strong>di</strong> Pescara, il rito della bene<strong>di</strong>zione del pane è collegato a S. Antonio <strong>di</strong> Padova e<br />

non a S. Antonio Abate. La celebrazione del santo avviene il 13 giugno, e prevede la bene<strong>di</strong>zione dei panini che<br />

vengono poi <strong>di</strong>stribuiti ai fedeli. VENIERO LUIGI, Feste e riti in Abruzzo, de giorni e<strong>di</strong>tore,Teramo, 1986, p. 45


La preparazione dei cacchit appare ampiamente ri<strong>di</strong>mensionata nella festa moderna; a detta delle<br />

donne che preparano ancora questo cibo, si continua a farlo per “devozione”, ossia per il consueto<br />

rispetto nei confronti del santo.<br />

La festa <strong>di</strong> S. Antonio con la bene<strong>di</strong>zione degli animali e la <strong>di</strong>stribuzione dei panini ormai rimane<br />

solo nella memoria, spesso confusa e nostalgica, dei più anziani, i quali nel raccontare i fatti hanno<br />

<strong>di</strong>mostrato una certa malinconia per quelle tra<strong>di</strong>zioni che erano state capaci <strong>di</strong> dare vita e<br />

nutrimento a <strong>di</strong>verse generazioni.<br />

3.2 Pellegrinaggio al santuario <strong>di</strong> Santa Maria del Pertuso<br />

3.2.1 Il pellegrinaggio<br />

“Il pellegrinaggio rappresenta un fenomeno antico e comune a tutte le religioni del mondo. Esso è<br />

un viaggio verso un luogo sacro, può avvenire in un qualsiasi momento o quando è legato ad una<br />

data festiva; lo scopo del viaggio è <strong>di</strong> ottenere una guarigione, <strong>di</strong> consultare un oracolo, <strong>di</strong> assistere<br />

a spettacoli festivi o semplicemente compiere un atto devozionale” 60 .<br />

Il pellegrinaggio nasce nel momento in cui si attribuisce al luogo specifico un carattere sacro,<br />

connesso a specifiche idee sul <strong>di</strong>vino e sul metafisico. “Diversi luoghi, che sono oggi meta <strong>di</strong><br />

pellegrinaggio, presentano tracce lasciate da religioni precedenti: reperti archeologici, simboli,<br />

credenze popolari, date delle feste, morfologia del santuario meta. Il pellegrinaggio, dunque, tende<br />

ad aggregare sovrastrutture <strong>di</strong> mito, leggende, folklore, credenze” 61 .<br />

Il pellegrinaggio è essenzialmente un viaggio, che permette a chi lo compie <strong>di</strong> <strong>di</strong>staccarsi dalla<br />

realtà e accedere al trascendente, è essenzialmente un fenomeno <strong>di</strong> gruppo, ma prima <strong>di</strong> <strong>di</strong>venire<br />

tale, è una forma <strong>di</strong> devozione spontanea e privata che, successivamente, per volontà <strong>di</strong> chi<br />

partecipa, <strong>di</strong>venta collettivo e regolato.<br />

In passato il pellegrinaggio occupava un ruolo <strong>di</strong> grande rilevanza, non a caso i pellegrini nel<br />

Me<strong>di</strong>oevo erano ritenuti come una sorta <strong>di</strong> ‹‹ ordo ›› 62 particolare, come gli stessi or<strong>di</strong>ni monastici.<br />

Chi tornava dall’esperienza del viaggio sacro veniva considerato come arricchito <strong>di</strong> una grazia<br />

speciale ed era perciò tenuto in grande considerazione.<br />

60 A. BERLICH, Un culto preistorico vivente nell’Italia Centrale. Stu<strong>di</strong> e materiali <strong>di</strong> storia delle religioni, (A. 1953 – 54<br />

vll XXIV: 36 – 39), in D. CARPITELLA, Folklore e analisi <strong>di</strong>fferenziale <strong>di</strong> cultura. Materiali per lo stu<strong>di</strong>o delle tra<strong>di</strong>zioni<br />

popolari,Roma, Bulzoni E<strong>di</strong>tore, 1976, p.86<br />

61 G. MARUCCI, E. DI RENZO, Fratelli in grotta, Teramo, Andromeda, 1999, p. 98<br />

62 R. STOPANI, Le vie <strong>di</strong> pellegrinaggio del Me<strong>di</strong>oevo, Firenze, casa e<strong>di</strong>trice le lettere, 2003, p. 8


Un elemento essenziale del fenomeno pellegrinale è che il viaggio verso il luogo sacro,<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dalla durata e dalla <strong>di</strong>stanza, dovrebbe essere irrinunciabilmente a pie<strong>di</strong>, poiché<br />

è l’unico ad arricchire <strong>di</strong> grazie infinite. Nel me<strong>di</strong>oevo per esempio, i lunghi e faticosi cammini<br />

intrapresi verso i santuari d’Europa erano vissuti come un mezzo d’espiazione per estraniarsi dal<br />

mondo a da se stessi. Questo concetto è cosi ra<strong>di</strong>cato, che è praticato anche nei tempi attuali,<br />

nonostante i mezzi <strong>di</strong> trasporto possono ridurre quasi totalmente l’antico andare a pie<strong>di</strong> 63 .<br />

In passato, quando la stragrande maggioranza della popolazione esauriva la sua esistenza nel<br />

limitato orizzonte geografico del proprio villaggio, l’eventualità (per coloro che potevano<br />

permetterselo) <strong>di</strong> un viaggio rispondeva anche ad un bisogno d’evasione. Per questo ai tanti<br />

pellegrinaggi legati alla volontà <strong>di</strong> rinnovamento interiore si sovrapponevano altre sollecitazioni a<br />

viaggiare, più vicine a quelle <strong>di</strong> un moderno turista.<br />

3.2.2 Verso Santa Maria del Pertuso<br />

La chiesa <strong>di</strong> Santa Maria del Pertuso, chiamata anche del Cauto, è situata nel territorio <strong>di</strong> Morino, e<br />

se ne attesta la presenza già nel XII sec. Il nome Cauto, deriva dal significato simbolico che gli<br />

abitanti avevano attribuito al luogo in cui essa sorge. Non molto <strong>di</strong>stante dalla chiesa, infatti, si<br />

trova una grossa pietra che presenta un foro, “ pertuso”, “cauto” appunto, attraverso il quale<br />

possono passare sia persone che animali. “ Cauto” in <strong>di</strong>aletto significa “buco”, “passaggio”, si tratta<br />

infatti <strong>di</strong> una feritoia tra due enormi rocce. Era questo in tempi antichi il posto della conta delle<br />

pecore che ritornavano dai pascoli superiori.<br />

La chiesa fu e<strong>di</strong>ficata dai monaci cistercensi <strong>di</strong> Trisulti intorno al X sec. a circa 1000 metri <strong>di</strong><br />

altitu<strong>di</strong>ne, vicino la cascata dello <strong>Schioppo</strong>, ed era dopo S. Vincenzo la seconda <strong>di</strong>pendenza<br />

cistercense della Valle Roveto ; essa è addossata ad una roccia, è <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni modeste, ha un<br />

piccolo altare, e sulla volta e sulle pareti, si <strong>di</strong>stinguono ancora gli affreschi. Nell’antichità, il<br />

santuario fu oggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse controversie, per via dei boschi da cui era circondato e per le terre<br />

fertili che da esso <strong>di</strong>pendevano. Per questo motivo, quando nel 1183 Papa Lucio III, donò la chiesa<br />

all’Abbazia <strong>di</strong> Casamari, si scatenò la contesa per il territorio, tra questa ed i sacerdoti <strong>di</strong> Civita<br />

d’Antino, che si risolse a favore dell’Abbazia 64 .<br />

63 ibidem, p. 101<br />

64 La storia <strong>di</strong> questo priorato è incentrata nelle vicende <strong>di</strong> alcune controversie, in cui il monastero si trovò implicato<br />

prima da solo e poi con Casamari dopo la sua donazione all’abbazia. G. SQUILLA, Abbazie, prepositure e priorati<br />

benedettini nella <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Sora nel Me<strong>di</strong>oevo ( sec. VIII-XV), Sora, tipografia e<strong>di</strong>trice Pasquarelli, 1986, p. 339


Il santuario sorge in un luogo <strong>di</strong> forte isolamento in armonia con quella che doveva essere la sua<br />

funzione; qui i monaci cistercensi, infatti riuscivano a trovare la giusta me<strong>di</strong>tazione per raccogliersi<br />

e pregare in tranquillità. Sin dagli esor<strong>di</strong> del cristianesimo, e specialmente nel Me<strong>di</strong>oevo, molte<br />

caverne, <strong>di</strong>ventarono rifugio <strong>di</strong> solitari e anacoreti, i quali le trasformarono in piccole chiese o<br />

cappelle.<br />

Secondo la tra<strong>di</strong>zione, molto tempo prima della costruzione della chiesa, la madonna è apparsa in<br />

un punto poco <strong>di</strong>stante dal santuario, dove si trova un grande masso <strong>di</strong> pietra. La fantasia popolare,<br />

vuole che sul sasso - come testimonianza dell’avvenuta apparizione - la Vergine vi abbia lasciato le<br />

impronte delle ginocchia e dei gomiti.<br />

Il santuario <strong>di</strong>sta tre ore <strong>di</strong> cammino dall’abitato più vicino e ogni anno è meta <strong>di</strong> pellegrinaggio<br />

popolare. Vi partecipa un <strong>di</strong>screto numero <strong>di</strong> fedeli 65 per lo più <strong>di</strong> Grancia, in numero minore<br />

prendono parte da Morino, e invece sono del tutto assenti i paesi limitrofi. Anticamente il<br />

pellegrinaggio si svolgeva due volte l’anno: l’ultima domenica <strong>di</strong> Maggio (si partiva la notte del<br />

sabato) ed il nove Settembre, sempre <strong>di</strong> notte. In seguito, la sistemazione calendariale - la prima<br />

domenica <strong>di</strong> maggio, poi la fine <strong>di</strong> Agosto e infine attualmente, secondo quanto deciso dal parroco<br />

<strong>di</strong> Grancia, la data è fissata alla seconda domenica <strong>di</strong> Luglio - ha fatto registrare una serie <strong>di</strong><br />

adattamenti successivi, dovuti alla costante necessità <strong>di</strong> adeguare lo svolgimento del pellegrinaggio<br />

alle mutate con<strong>di</strong>zioni dei partecipanti. Fino a circa vent’anni fa i pellegrini andavano<br />

esclusivamente a pie<strong>di</strong>, oggi invece molti preferiscono il tragitto in macchina, sebbene anche se in<br />

numero sicuramente minore, vi sono ancora coloro che scelgono <strong>di</strong> andare a pie<strong>di</strong> come avveniva<br />

“una volta”. Il percorso montano che si faceva un tempo in <strong>di</strong>rezione della Madonna del Pertuso,<br />

aveva tutto il fascino <strong>di</strong> un viaggio faticoso verso il luogo sacro, <strong>di</strong> un cammino <strong>di</strong> purificazione<br />

capace <strong>di</strong> far superare se stessi, oggi che il pellegrinaggio avviene quasi esclusivamente in<br />

macchina, non conserva più quegli aspetti che un tempo rendevano il viaggio sacro come<br />

“straor<strong>di</strong>nario”.<br />

In questa sede si descriverà il percorso a pie<strong>di</strong>, cui si è partecipato <strong>di</strong>rettamente.<br />

Dalla chiesa s. Antonio <strong>di</strong> Grancia i fedeli procedono per gli abitati <strong>di</strong> contrade Eve<strong>di</strong>tte e Aia delle<br />

donne fino al Piano Sacramento; in questo punto ci si addentra in una piccola e stretta strada <strong>di</strong><br />

montagna. Lungo il percorso si attraversano note località che ormai fanno parte della storia del<br />

santuario. La prima è il passaggio delle “ scalelle”, cosi chiamata perché in quel punto il sentiero<br />

<strong>di</strong>venta molto impervio e pericoloso, ed assume la forma <strong>di</strong> scalini; qui si procede in fila in<strong>di</strong>ana<br />

con cautela ed attenzione.<br />

65 secondo il racconto del parroco e degli anziani, in passato i partecipanti erano più numerosi rispetto ad oggi.


Durante il cammino verso il sacro, i pellegrini osservano alcune pratiche particolari: la più singolare<br />

<strong>di</strong> tutte, è quella del lancio delle pietre nel fosso dei briganti, cosi denominato perché durante il<br />

brigantaggio il luogo offrì riparo a <strong>di</strong>versi balor<strong>di</strong> della zona 66 . Giunti in prossimità del “fosso dei<br />

briganti”, i pellegrini raccolgono un sasso e lo scagliano, girati <strong>di</strong> spalle, con forza nel fosso. Tale<br />

gesto nella consapevolezza <strong>di</strong> chi lo pratica, ha la funzione <strong>di</strong> liberare l’anima del viandante da tutte<br />

le colpe che eventualmente dovesse recare dentro <strong>di</strong> sé; il rituale non a caso avviene solo durante il<br />

viaggio <strong>di</strong> andata al santuario, come se si volesse attuare una purificazione ed espiazione dei peccati<br />

prima <strong>di</strong> avvicinarsi al sacro 67 .<br />

Procedendo verso Cauto, la tra<strong>di</strong>zione popolare vuole che si effettui una seconda tappa, quella cioè<br />

all’inginocchiatoio della madonna; in questo punto si pensa sia avvenuta l’apparizione della<br />

Vergine. Nel luogo ,che non è molto <strong>di</strong>stante dal fosso dei briganti, v’è un grosso masso <strong>di</strong> pietra<br />

sul quale ci sono quattro incavi <strong>di</strong> forma circolare e la fantasia popolare interpreta quei solchi come<br />

le impronte pro<strong>di</strong>giose delle ginocchia e dei gomiti della madonna, la quale si sarebbe fermata sul<br />

sasso per pregare. Quando i pellegrini arrivano in quel punto, ripetono la genuflessione della<br />

Vergine; uno alla volta si inginocchiano sulla pietra per qualche istante.“Tutto l’Abruzzo è<br />

costellato <strong>di</strong> siti e santuari recanti impronte pro<strong>di</strong>giosamente impresse da corpi, teste, mani, gomiti<br />

<strong>di</strong> santi. Fanno parte <strong>di</strong> una vasta categoria <strong>di</strong> fenomeni denominata genericamente “culti litici”,<br />

basati sulle qualità attribuite ad alcune pietre, fra le quali la capacità <strong>di</strong> “ammorbi<strong>di</strong>rsi”, per<br />

accogliere le impronte <strong>di</strong> esseri eccezionali, a loro volta in grado <strong>di</strong> produrre cambiamenti<br />

sull’or<strong>di</strong>ne naturale delle cose, lasciando sulla roccia le tracce del loro passaggio” 68 .<br />

Dopo più <strong>di</strong> tre ore <strong>di</strong> cammino si giunge al santuario, i pellegrini arrivati in macchina e quelli<br />

arrivati a pie<strong>di</strong> si congiungono per partecipare alla celebrazione della messa. La <strong>di</strong>sposizione della<br />

chiesetta con le sue due porte laterali richiama alla mente quella della SS. Trinità <strong>di</strong> Vallepietra.<br />

Una volta entrati da una porta per non creare confusione, e per le <strong>di</strong>mensioni ridotte della chiesa, si<br />

riesce dall’altra 69 .<br />

66 Il fenomeno dal brigantaggio, fu una piaga che investì la Valle Roveto, nel periodo post - unitario, quando esplose in<br />

tutta la sua violenza. In particola gli episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> brigantaggio interessarono le zone <strong>di</strong> Morrea, Ren<strong>di</strong>nara, Morino e<br />

Civita d’Antino.<br />

67 A proposito del rituale del lancio delle pietre, il Berlich, nella sua descrizione del pellegrinaggio a Valle Pietra,<br />

riferisce dell’usanza dei pellegrini <strong>di</strong> gettare i sassi in dei punti, dove secondo la tra<strong>di</strong>zione popolare, c’erano seppelliti<br />

dei vecchi pellegrini morti. A. BRELICH, Un culto preistorico vivente nell’Italia Centrale. Stu<strong>di</strong> e materiali <strong>di</strong> storia<br />

delle religioni, ( A. 1953 – 54 vll XXIV: 36 39), in D. CARPITELLA, Folklore e analisi <strong>di</strong>fferenziale <strong>di</strong> cultura. Materiali<br />

per lo stu<strong>di</strong>o delle tra<strong>di</strong>zioni popolari,Roma, Bulzoni E<strong>di</strong>tore, 1976,<br />

p. 80<br />

68 G. MARUCCI, E. DI RENZO, Fratelli in grotta, Teramo, Andromeda, 1999, p 93<br />

69 L’e<strong>di</strong>ficio è <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni modeste, ha due pareti scavate nella roccia, mentre le altre due sono costruite in pietra; ha<br />

un piccolo altare e riceve la luce dall’unica finestra sita sul prospetto. Gran parte dell’intonaco è andato perduto a causa<br />

dell’umi<strong>di</strong>tà. Sulla parete <strong>di</strong> fondo, al <strong>di</strong> sopra dell’altare, sono visibili, ai lati, due nicchiette ineguali, e nel mazzo,<br />

antichi affreschi che si estendono in parte anche in alto tra la volta e la parete laterale destra. Al centro si trovano sei<br />

riquadri con delle scritte in lettere minuscole. Nella banda me<strong>di</strong>ana si legge:


Terminata la funzione religiosa, i pellegrini si spostano nel piazzale a fianco la chiesa e si<br />

organizzano per il ristoro; gli uomini procedono all’accensione dei fuochi , invece le donne<br />

preparano il pranzo. La valenza rituale del fuoco oggi ha un significato <strong>di</strong>fferente rispetto al<br />

passato; prima il fuoco rappresentava un anello intorno al quale i pellegrini si intrattenevano in<br />

danze e racconti, mentre adesso serve esclusivamente per cucinare e scaldare il cibo. Un tempo<br />

durante questi momenti <strong>di</strong> svago c’era il passatempo per bambini; una pellegrina si recava in una<br />

piccola stanza situata nella parte inferiore della chiesa – un tempo alloggio degli eremiti - e si<br />

travestiva da anziana, poi usciva fuori ed i bambini che si recavano per la prima volta a Cauto<br />

dovevano accompagnarla a riposare presso la “Fonte della monaca”. Nei pressi del santuario vi è un<br />

sentiero che conduce alla “Fonte della monaca”, appunto, dove vi è una piccola fontanella che<br />

scaturisce dalle rocce. Si pensa che il luogo sia cosi chiamato perché, secondo la tra<strong>di</strong>zione, vi<br />

sorgeva un convento <strong>di</strong> suore.<br />

Terminato il ristoro nelle prime ore del pomeriggio, i pellegrini che hanno scelto <strong>di</strong> arrivare a Cauto<br />

tramite il tragitto a pie<strong>di</strong> precedono per il rientro quelli che ritorneranno a Grancia in macchina. Un<br />

tempo, durante il ritorno, nella località la Scalella i fedeli raccoglievano dei piccoli bastoni <strong>di</strong><br />

legno <strong>di</strong> faggio, e li decoravano con alcuni rami <strong>di</strong> salvia selvatica. Il bastone con la funzione <strong>di</strong><br />

“ricor<strong>di</strong>no”, veniva consegnato a quei parenti ed amici che non avevano partecipato al<br />

pellegrinaggio. Il bastone decorato, assumeva il significato <strong>di</strong> un souvenir, esso era la testimonianza<br />

che l’incontro con il sacro era avvenuto e una prova che il fedele aveva preso parte al<br />

pellegrinaggio 70 .<br />

Nella località Aia delle Donne i pellegrini arrivati in macchina attendono l’arrivo dei fedeli giunti a<br />

pie<strong>di</strong> e tutti insieme tornano in processione alla chiesa <strong>di</strong> Grancia, dove si celebra la messa <strong>di</strong><br />

chiusura, alla quale partecipano anche i fedeli devoti che non hanno preso parte al pellegrinaggio.<br />

Nella fase o<strong>di</strong>erna del pellegrinaggio i significati e le forme del viaggio sacro si sono gradualmente<br />

affievoliti; esso non rappresenta più come un tempo uno spostamento “straor<strong>di</strong>nario” nel calendario<br />

festivo del paese, ma rientra piuttosto nella categoria del pellegrinaggio “classico” - come quello<br />

verso <strong>Lo</strong>reto, Gennazzano e Valle Pietra- ugualmente osservato e sentito, ma povero <strong>di</strong> quelle<br />

valenze rituali e sociali che in passato lo rendevano “speciale” 71 .<br />

‹‹ Katerina›› . sono con ogni evidenza storie tratte dalla vita <strong>di</strong> S. Caterina d’Alessandria: la natività, le nozze mistiche<br />

con l’Agnello, la <strong>di</strong>sputa con i filosofi e scene del martirio.<br />

70 “ I souvenir sono impressioni materiali <strong>di</strong> un luogo visitato, extra – or<strong>di</strong>nario rispetto al vissuto quoti<strong>di</strong>ano. Un luogo<br />

“ altro”, dove si trascorrono giorni speciali, ad<strong>di</strong>rittura sacri, rispetto alla routine quoti<strong>di</strong>ana. Appropriarsi delle<br />

emergenze del territorio per farne memorabili trofei, è una pulsione comune e antica (…) il souvenir devozionale<br />

esprime un omaggio alla <strong>di</strong>mensione soprannaturale e sta a riprova <strong>di</strong> un’ avvenuta comunione”.<br />

D. CANESTRINI, Trofei <strong>di</strong> viaggio, per un’antropologia del souvenir, Torino, Bollati Boringhieri, 2001, p. 18,59<br />

71 Da circa vent’anni, la “Associazione Culturale Cauto” , un’iniziativa promossa da un gruppo <strong>di</strong> devoti e volontari <strong>di</strong><br />

Grancia, Morino e Brecciose , ha reso possibile il restauro degli affreschi interni alla chiesa, la ripulitura dell’area<br />

intorno alla chiesetta, e la fornitura al santuario <strong>di</strong> un impianto <strong>di</strong> illuminazione alimentato da un gruppo elettrogeno.<br />

Dal 1995, l’associazione ha realizzato una rivista <strong>di</strong> cultura, “ SEME” ,destinato a <strong>di</strong>ffondere notizie sulla storia, sulle


.<br />

3.3 Il Corpus Domini<br />

Il Corpus Domini è una solennità della chiesa cattolica in onore del sacramento dell’Eucarestia. La<br />

festa è stata introdotta nella <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Liegi dal vescovo Roberto de Thourotte e celebrata per la<br />

prima volta nel 1247; in seguito papa Urbano IV la estese a tutta la Chiesa. Con riferimento al<br />

giovedì santo, giorno de<strong>di</strong>cato fin dall’antichità cristiana al ricordo dell’istituzione dell’Eucarestia,<br />

per la festa del Corpus Domini fu scelto un giovedì e precisamente quello successivo alla prima<br />

domenica dopo la Pentecoste. A confronto con altre feste cristiane, quali l’Epifania, la Candelora e<br />

la Pentecoste, il Corpus Domini è relativamente recente. Durante il XIV sec. si <strong>di</strong>ffuse in questo<br />

giorno l’uso della processione eucaristica, ossia la pratica <strong>di</strong> portare per le vie, in forma invisibile, il<br />

pane eucaristico racchiuso in un ostensorio 72 .<br />

La celebrazione del Corpus Domini a Grancia è stata spostata dal giovedì alla domenica successiva.<br />

La fase principale della commemorazione religiosa è la processione; essa si esplica nel pomeriggio<br />

ed è preceduta da una fase preparatoria nella quale sono protagoniste esclusivamente le donne. Si<br />

segue una precisa gerarchia e <strong>di</strong>visione <strong>di</strong> ruoli; le più giovani, comprese le bambine, si incontrano<br />

<strong>di</strong>nanzi la chiesa parrocchiale <strong>di</strong> S. Maria della Stella e da qui munite <strong>di</strong> grosse ceste, procedono nei<br />

giar<strong>di</strong>ni privati e per la campagna alla raccolta dei fiori che verranno utilizzati, in un secondo<br />

momento, per i decori. In prevalenza si pre<strong>di</strong>ligono fiori selvatici come la ginestra ed i papaveri, ma<br />

non mancano rose e tulipani. Una volta terminata la raccolta, le donne si adoperano per la<br />

realizzazione <strong>di</strong> decori eccezionali su tutta la strada del paese, dove passerà la processione. Le più<br />

anziane nel frattempo, si preoccupano dell’allestimento degli altarini che sono <strong>di</strong>sposti lungo tutto il<br />

percorso sacro; durante la processione il sacerdote poserà il SS. Sacramento <strong>di</strong>nanzi ad ogni altarino<br />

per poi impartire la bene<strong>di</strong>zione ai fedeli. Una caratteristica <strong>di</strong> questi altarini è la nota <strong>di</strong> colore che<br />

risulta dall’accostamento <strong>di</strong> tendaggi e coperte variopinte: il tutto viene poi completato dalla<br />

decorazione floreale. Un altro allestimento è quello dei balconi e delle finestre <strong>di</strong> quasi tutte le case,<br />

in cui si espongono tappeti, arazzi e coperte.<br />

Terminata la fase preparatoria, dopo una breve celebrazione in chiesa, ha inizio la processione; i<br />

primi a procedere sono i bambini, <strong>di</strong> cui alcuni vestiti da angeli, quasi sempre i più piccoli d’età, ed<br />

altri invece indossano l’abito della prima comunione, poi seguono le donne, gli uomini, la banda, il<br />

tra<strong>di</strong>zioni, sulla cultura <strong>di</strong>alettale, <strong>di</strong> Grancia, Morino e Ren<strong>di</strong>nara, e su eventuali progetti o ricerche storiche relative al<br />

Santuario della Madonna del Pertuso<br />

72 Corpus Domini, ENCICLOPEDIA BOMPIANI, Vol. 12, Religione, Milano, Gruppo e<strong>di</strong>toriale Fabbri, 1984,<br />

p. 166


simulacro del SS. Sacramento e le autorità. Il percorso sacro, attraversa la strada principale <strong>di</strong><br />

Grancia, si sofferma <strong>di</strong>nanzi ad ogni altarino e termina con il rientro in chiesa.<br />

Fino a cinquanta anni fa i fedeli <strong>di</strong> Grancia in occasione del Corpus Domini, si recavano a pie<strong>di</strong> in<br />

pellegrinaggio presso la certosa <strong>di</strong> Trisulti. La scelta <strong>di</strong> questo luogo come santuario-meta non è<br />

casuale, poiché la comunità <strong>di</strong> Grancia era profondamente legata ai monaci <strong>di</strong> Trisulti. Intorno all’<br />

XI sec. infatti è a loro che si deve la costruzione dell’eremo <strong>di</strong> “Cauto” nel territorio <strong>di</strong> Morino, e <strong>di</strong><br />

aver scelto proprio Grancia, come luogo <strong>di</strong> raccolta dei prodotti delle loro terre; il nome “Grancia”<br />

deriva appunto dalla presenza nel luogo, <strong>di</strong> un granaio dei certosini 73 . La lunga presenza dei monaci<br />

nel territorio <strong>di</strong> Morino non solo potenziò la vita religiosa e morale della popolazione, ma per<br />

mezzo della loro organizzazione del lavoro agricolo contribuirono al miglioramento delle<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita dell’intero paese.<br />

La certosa <strong>di</strong> Trisulti ricade nel comune <strong>di</strong> Collepardo in provincia <strong>di</strong> Frosinone, essa sorge in un<br />

luogo solitario a 825m d’altitu<strong>di</strong>ne. Intorno all’anno mille, giunse a Trisulti un pellegrino itinerante;<br />

Domenico da Foligno, che dette inizio alla storia sacra <strong>di</strong> Trisulti 74 . Secondo l’agiografia, Domenico<br />

scortato da un angelo, giunse nel territorio <strong>di</strong> Trisalto (Trisulti), ai pie<strong>di</strong> del monte, denominato<br />

Porca, dove scaturisce un ruscello <strong>di</strong> acque: a ridosso del monte vi è tuttora una grotta, nella quale<br />

rimase tre anni sconosciuto dagli uomini, trascorrendoli in <strong>di</strong>giuni e preghiere, mentre l’angelo del<br />

Signore gli somministrava il cibo necessario. Una notte mentre dormiva, l’angelo del Signore gli<br />

apparve in sogno, <strong>di</strong>cendogli <strong>di</strong> costruire un monastero in onore <strong>di</strong> Dio e <strong>di</strong> San Bartolomeo.<br />

Domenico allora gettò le fondamenta della chiesa con la cooperazione dei confratelli cassinesi 75 .<br />

La vita monastica benedettina nel monastero <strong>di</strong> s. Bartolomeo si svolse per un arco <strong>di</strong> 208 anni<br />

dalla erezione alla soppressione avvenuta nel 1204 da papa Innocenzo III, che affidò in questo<br />

luogo, ai certosini il compito <strong>di</strong> ricostruire il monastero benedettino esistente. I lavori portarono<br />

all’erezione <strong>di</strong> un nuovo complesso che nei secoli successivi, particolarmente nel settecento, venne<br />

73 Le “ grangie” erano fattorie, molto estese, colonizzate permanentemente da un gruppo <strong>di</strong> conversi sotto la<br />

responsabilità <strong>di</strong> un priore. L. MAMMARELLA, Abbazie cistercensi e loro filiazioni, I monumenti me<strong>di</strong>evali in Abruzzo,<br />

Cerchio ( Aq ), A. Polla, 1989, p.16<br />

74 Domenico raggiunse la terra <strong>di</strong> Scandriglia in Sabina, visse per qualche tempo in un tugurio, immerso nella<br />

contemplazione, poi pregato dal marchese Uberto, feudatario della Sabina, Domenico eresse un monastero de<strong>di</strong>candolo<br />

a Cristo Salvatore. Alternando la vita cenobitica a quella eremitica, eresse ed organizzò in Sabina altri due monasteri,<br />

l’uno sul monte Pizzi in onore della Santissima Trinità e l’altro in pianura, presso il fiume Aventino, in onore della<br />

vergine Maria. Successivamente lasciò la terra sabina, e giunse in Abruzzo nella contea <strong>di</strong> Valva della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong><br />

Sulmona e scelse una località selvaggia, chiamata ‹‹ Prato Cardoso ››. Sempre in Abruzzo, e<strong>di</strong>ficò il monastero <strong>di</strong> san<br />

Pietro del Lago presso Cocullo, organizzandolo secondo lo spirito della regola benedettina. Affamato sempre <strong>di</strong><br />

solitu<strong>di</strong>ne, Domenico riprese il cammino giungendo presso il Sangro dove costrui un monastero che gli abitanti del<br />

luogo chiamarono san Pietro dell’Avellana. Negli ultimi anni dell’X sec. finalmente dall’Abruzzo, Domenico giunse a<br />

Trisulti, dove e<strong>di</strong>ficò la chiesa e il monastero destinato alle monache, de<strong>di</strong>cato a San Nicola <strong>di</strong> Mira. D. ATANASIO<br />

TAGLIENTI, La certosa <strong>di</strong> Trisulti, Calamari ( Fr), Tipografia <strong>di</strong> Casamari, 1987, p. 10-17.<br />

75 A. CASSINESE, Vita sancti Dominici, p.29, in, A.LENTINI, San Benedetto, La Regola, Montecassino, 1980


ingran<strong>di</strong>to e rimaneggiato. Dal 1947 è affidato ai cistercensi <strong>di</strong> Casamari, uno dei centri monastici<br />

principali dell’Italia centrale fondata nel 1035 76 .<br />

Il viaggio sacro, condotto rigorosamente a pie<strong>di</strong>, iniziava la notte del mercoledì; si partiva dalla<br />

piazza S. Antonio <strong>di</strong> Grancia e percorrendo un sentiero <strong>di</strong> montagna per oltre otto ore <strong>di</strong> cammino<br />

si arrivava la mattina del giovedì <strong>di</strong> festa a Trisulti. La compagnia dei devoti era essenzialmente<br />

laica, formata da uomini e donne in grado <strong>di</strong> poter affrontare l’estenuante viaggio, stretti intorno<br />

alla figura del capo-compagnia, che guidava il gruppo con lo stendardo raffigurante la Madonna<br />

delle Cese. Durante le interviste che ho condotto, gli anziani hanno raccontato con molto<br />

entusiasmo il momento dell’ arrivo alla certosa. I monaci non appena u<strong>di</strong>vano il canto dei pellegrini<br />

<strong>di</strong> Grancia, che segnalava il loro arrivo, li accoglievano facendo suonare le campane “a festa”; in<br />

questo modo i certosini esternavano il loro affetto e attaccamento verso la comunità dei fedeli; era<br />

una sorta <strong>di</strong> riconoscimento sia per il lungo e faticoso viaggio che i pellegrini avevano compiuto, sia<br />

perché Grancia era una delle tante comunità colonizzate dai monaci .<br />

Quando i pellegrini giungevano davanti al monastero si trovavano <strong>di</strong>nanzi ad uno spettacolo <strong>di</strong><br />

colori: i tendaggi variopinti con cui si allestivano gli altarini ed i decori floreali offrivano una<br />

varietà cromatica eccezionale. La compagnia <strong>di</strong> Grancia a questo punto si congiungeva alle altre<br />

comunità <strong>di</strong> religiosi provenienti da <strong>di</strong>verse zone del Lazio, e tutti insieme prendevano parte alla<br />

processione; dal cortile del monastero il percorso sacro seguiva una breve stra<strong>di</strong>na che conduceva<br />

alla cappella della Madonna delle Cese 77 ; qui la processione faceva il suo ingresso in chiesa e<br />

lasciava il posto alla celebrazione della Santa Messa.<br />

Terminata la funzione religiosa, i pellegrini si organizzavano per il pranzo nei prati prossimi al<br />

monastero -inoltre avevano a <strong>di</strong>sposizione alcune stanze del convento per riposare- il ristoro<br />

rappresentava un momento d’incontro e d’intrattenimento in canti e balli con i devoti provenienti da<br />

altri paesi. Assolte le dovute ritualità, la compagnia si ricompattava e cantando si metteva sulla<br />

strada del ritorno a Grancia.<br />

Il pellegrinaggio a Trisulti rappresentava un momento molto importante per Grancia, poiché<br />

accanto alla valenza prettamente religiosa per cui si compiva il viaggio, esso si manifestava anche<br />

come un’occasione “extraor<strong>di</strong>naria“ per il paese; in passato quando la maggior parte della<br />

76 D. ATANASIO TAGLIENTI, Il monastero <strong>di</strong> Trisulti e il castello <strong>di</strong> Collepardo, storia e documenti, Casamari<br />

( Fr ), Tipografia <strong>di</strong> Casamari, 1984, p. 30, 58.<br />

77 Secondo la tra<strong>di</strong>zione, Innocenzo III sostituì i certosini ai benedettini, in seguito ad un fatto singolare, <strong>di</strong> cui fu<br />

spettatore all’interno della grotta delle Cese. Riferisce un anonimo certosino che :‹‹ Quando il papa era ancora<br />

car<strong>di</strong>nale, e si chiamava <strong>Lo</strong>tario, un giorno dalla sua villa <strong>di</strong> Trisulti scese alla grotta delle Cese, ove trovò un santo<br />

eremita in estasi, dal qiale, si fece raccontare poi la visione avuta durante il mistico rapimento ››. In seguito a questo<br />

avvenimento, nella località della grotta fu fatta costruire la prima cappella in onore della Madonna delle Cese, con la<br />

denominazione “Petra Mala”, che corrisponde alla estesa fascia <strong>di</strong> roccia pericolosa che dalla grotta della Madonna<br />

delle Cese raggiunge la zona sacra della certosa. D. ATANASIO TAGLIENTI, La certosa <strong>di</strong> Trisulti, Calamari ( Fr),<br />

Tipografia <strong>di</strong> Casamari, 1987, p. 23-29.


popolazione esauriva la sua esistenza nel limitato orizzonte geografico della propria comunità,<br />

l’eventualità <strong>di</strong> un pellegrinaggio rispondeva ad un comprensibile bisogno <strong>di</strong> evasione. Il soggiorno<br />

a Trisulti consentiva inoltre la comunicazione tra comunità <strong>di</strong>stinte e geograficamente lontane; per<br />

un giorno Grancia frammentava e ridefiniva la sua identità in un gruppo più ampio, unito dalla fede<br />

verso il Corpus Domini e dall’effetto per i monaci “colonizzatori”.<br />

Oggi in occasione del Corpus Domini la comunità <strong>di</strong> Grancia non si sposta più in pellegrinaggio<br />

verso Trisulti sebbene in altri momenti dell’anno un numero modesto <strong>di</strong> fedeli del paese si reca in<br />

pullman alla certosa.<br />

3.5 La festa della Madonna della Stella e <strong>di</strong> S. Rocco<br />

La festa della Madonna della Stella e <strong>di</strong> s. Rocco, patrono <strong>di</strong> Grancia, rappresentano le feste più<br />

importanti del paese, oggi le due festività sono riunite in un corpus unico, ma in passato cadevano<br />

in perio<strong>di</strong> ben <strong>di</strong>stinti.<br />

Fino a quaranta anni fa la festa <strong>di</strong> santa Maria della Stella ricorreva l’ultima settimana <strong>di</strong> Maggio, in<br />

accordo con la maggior parte delle feste patronali e tra<strong>di</strong>zionali dell’Abruzzo, mentre quella <strong>di</strong> s.<br />

Rocco si è sempre celebrata il 16 <strong>di</strong> Agosto. Oggi, per via dell’esigenza <strong>di</strong> concentrare le festività<br />

durante i perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> vacanza, come una necessità imposta dai tempi delle nuove attività lavorative, la<br />

festa della Madonna della Stella è stata spostata nel calendario estivo accanto a quella <strong>di</strong> S. Rocco.<br />

Nel mondo rurale tra<strong>di</strong>zionale la <strong>di</strong>sposizione delle festività nel calendario ricalcavano i tempi del<br />

lavoro propri <strong>di</strong> quella società, con l’abbandono del mondo <strong>di</strong> produzione conta<strong>di</strong>na si è verificata<br />

una nuova <strong>di</strong>sposizione delle feste nell’arco dell’anno, poiché queste apparivano sempre meno<br />

legate ai momenti cruciali del lavoro.<br />

Le celebrazioni avvengono in tre giorni: 14, 15 e 16 Agosto. La preparazione della festa spetta al<br />

comitato dei “ Festaroli”, un gruppo <strong>di</strong> uomini e donne cui competono gli oneri organizzativi della<br />

festa, tra cui la raccolta delle offerte in denaro della popolazione. In passato le feste per i Santi<br />

Protettori,erano preparate durante tutto l’anno da appositi comitati, i quali raccoglievano tra la<br />

popolazione i prodotti dei campi, come grano, granturco, castagne, legna ecc. Durante la mietitura i<br />

festaioli effettuavano la questua nei pressi delle trebbiatrici nella campagna.<br />

La sera del 14 Agosto c’è l’apertura della festa con i fuochi pirotecnici e sul sagrato viene indetta<br />

l’asta per stabilire i portatori del simulacro della Madonna della Stella e <strong>di</strong> S. Rocco 78 . Il giorno<br />

successivo, al mattino, si celebra la S. Messa nella chiesa parrocchiale e alla sera alle venti e trenta<br />

78 Fino a qualche anno fa l’asta veniva indetta la mattina del 15 Agosto dopo la Santa Messa.


dopo i Vespri Solenni, si svolge la processione con fiaccolata in onore <strong>di</strong> S. Maria della Stella. Il<br />

percorso sacro si limita alla strada principale <strong>di</strong> Grancia e mostra alcune <strong>di</strong>versità rispetto ai tempi<br />

più antichi.<br />

Secondo le testimonianze raccolte, fino a quaranta anni fa a Grancia c’erano due Confraternite:<br />

quella della Madonna della Stella e quella <strong>di</strong> S. Rocco, le quali, insieme ai giovani dell’Azione<br />

Cattolica, partecipavano alla processione delle due festività. Entrambe le confraternite erano<br />

composte sia da uomini che da donne del paese, ognuna aveva il proprio stendardo e in occasione<br />

della processione i confratelli indossavano una fascia <strong>di</strong> colore celeste con una piccola medaglia<br />

argentata, mentre il gruppo dell’Azione Cattolica era composto in prevalenza da giovani ragazze ed<br />

era presieduto dalle suore della parrocchia <strong>di</strong> Grancia. Nel corso degli anni le confraternite si sono<br />

sciolte.<br />

Con la processione serale terminano le celebrazioni religiose in onore della Madonna della stella, ed<br />

hanno inizio gli intrattenimenti “profani” nella piazza del paese; la sagra, l’accompagnamento<br />

musicale e i giochi per bambini.<br />

La mattina del se<strong>di</strong>ci, iniziano i festeggiamenti in onore <strong>di</strong> San Rocco, patrono <strong>di</strong> Grancia, le<br />

cerimonie religiose sono praticamente identiche a quelle del giorno precedente: al mattino si celebra<br />

la santa Messa e alla sera si svolge la processione in onore del santo.<br />

S. Rocco è uno dei santi più venerati nella religiosità popolare cattolica, e annoverato tra i<br />

quattor<strong>di</strong>ci santi ausiliatori, quelli cioè a cui il popolo cristiano soleva fare ricorso per particolari<br />

necessità. Secondo l’agiografia, egli fu un pellegrino francese, che giunto in Italia si pro<strong>di</strong>gò per<br />

curare gli ammalati <strong>di</strong> peste, operando miracolose guarigioni. Sarebbe poi morto ad Angera, dove<br />

era stato imprigionato sotto sospetto <strong>di</strong> spionaggio. Il suo culto si <strong>di</strong>ffuse in tutta Europa a partire<br />

dalla metà del XV sec. era invocato contro la peste e le malattie contagiose, è anche patrono dei<br />

prigionieri e dei pellegrini. Nella iconografia il santo appare vestito con un mantello da pellegrino,<br />

che aperto sulla gamba, lascia intravedere un bubbone pestilenziale. <strong>Lo</strong> accompagna un cane che<br />

regge in bocca un pezzo <strong>di</strong> pane, a ricordo della leggenda secondo la quale, quando il santo giaceva<br />

malato presso Piacenza, un nobile del luogo gli mandava il cibo servendosi dell’animale.<br />

In passato il rispetto delle due festività religiose era maggiore e più autentico, oggi invece<br />

l’elemento devozionale ha <strong>di</strong>minuito la sua portata, ingigantendosi per contro la <strong>di</strong>mensione<br />

consumistica della festa, arricchita da manifestazioni “profane”. Oggi che la comunità <strong>di</strong> Grancia ha<br />

raggiunto un generale benessere, si ha una maggiore circolazione <strong>di</strong> denaro rispetto al passato,<br />

quando le feste erano sostenute dalle offerte esclusive in beni agricoli, e non è un caso che la<br />

volontà <strong>di</strong> accorpare le due feste nel periodo estivo, sia stata motivata anche dal fattore economico.<br />

Dagli effettivi due giorni <strong>di</strong> festa, si è passati a un “ periodo” festivo <strong>di</strong> 3-4 giorni, all’interno dei


quali mostrano un ruolo largamente consistente tutte quelle manifestazioni lu<strong>di</strong>co-ricreative (sagre,<br />

concerti) un tempo assai contenute. Le feste ‹‹se sono nate e sono state tramandate per essere<br />

soprattutto eseguite, oggi lo sono innanzitutto per essere viste›› 79<br />

I tre giorni <strong>di</strong> festa ad Agosto tuttavia rappresentano, rispetto alle altre festività dell’anno, l’unico<br />

momento in cui la comunità <strong>di</strong> Grancia è completamente riunita e presente, infatti le due festività<br />

per la loro <strong>di</strong>sposizione calendariale nel mese estivo, offrono a tutti i lavoratori, emigranti e<br />

pendolari del paese la possibilità <strong>di</strong> parteciparvi. Le feste <strong>di</strong>ventano cosi una buona occasione per<br />

rivedere il proprio paese, rincontrare amici e parenti che sono assenti da anni. E’ dunque naturale<br />

che da un ricco e variegato calendario festivo ( una volta strettamente connesso con i cicli della vita<br />

lavorativa tra<strong>di</strong>zionale) si siano selezionate poche ricorrenze, quelle compatibili con il calendario<br />

lavorativo moderno. Si comprende quin<strong>di</strong> che le feste estive, sono tra quelle feste tra<strong>di</strong>zionali più<br />

pre<strong>di</strong>sposte alla conservazione rispetto ad altre e che la scadenza <strong>di</strong> qualche festa più<br />

rappresentativa è stata spostata in un periodo più propizio per il ritorno degli emigranti vicini o<br />

lontani.<br />

3.5 Ritualità non festive connesse alla propiziazione agricola<br />

Si penderanno ora in considerazione alcuni rituali “ minori”, non festivi, ossia che non comportano<br />

la sospensione delle attività lavorativi. Si farà qui riferimento alla processione delle Rogazioni ed ai<br />

rituali legati all’Ascenzione, entrambe queste manifestazioni venivano consumate nel periodo<br />

primaverile. Questi riti sono in parte caduti in <strong>di</strong>suso.<br />

3.5.1 Le Rogazioni<br />

Il rito delle Rogazioni, non si pratica più a Grancia ormai da molto tempo, la ricostruzione <strong>di</strong><br />

questa celebrazione infatti è stata possibile solo grazie alla memoria degli anziani.<br />

La Rogazione, secondo la liturgia cattolica è una processione destinata a supplicare il Signore per le<br />

varie necessità umane, soprattutto per i frutti della terra e il lavoro dell’uomo. Le norme generali per<br />

il calendario riformato -1969- stabiliscono che la celebrazione possa adattarsi alle <strong>di</strong>verse necessità<br />

79 V. PETRARCA, Feste tra<strong>di</strong>zionali e società nella Marsica contemporanea, in La terra dei Marsi. Cristianesimo,<br />

cultura, istituzioni. Atti del convegno <strong>di</strong> Avezzano, 24-26 settembre 1988 acura <strong>di</strong> G. Luongo, Viella, Roma, p.519


dei luoghi e dei fedeli. Cerimonie dal contenuto analogo erano le litanie minori previste nei tre<br />

giorni precedenti la festa dell’Ascensione e venivano attribuite a s. Mamerto, vescovo <strong>di</strong> Vienne; si<br />

costituivano anch’esse da processioni che, con canti <strong>di</strong> antifone e invocazioni ai santi, passavano da<br />

una chiesa all’altra 80 . La finalità <strong>di</strong> questo rito era la bene<strong>di</strong>zione delle campagne e delle croci<br />

collocate nei campi e in <strong>di</strong>versi punti del paese con lo scopo <strong>di</strong> immunizzare quegli spazi dagli<br />

influssi malefici e negativi.<br />

La liturgia delle Rogazioni è il simbolo culturale <strong>di</strong> continuità e sincresi tra due religioni <strong>di</strong>verse: il<br />

paganesimo ed il cristianesimo, infatti la Rogazione è il risultato della cristianizzazione dell’antica<br />

festa pagana dei Robigalia. Nell’antica Roma, queste erano cerimonie pubbliche che prevedevano<br />

da una parte sacrifici <strong>di</strong> un cane o <strong>di</strong> un montone in onore della dea Robigus, la quale impersonava<br />

la ruggine del grano, affinché non invadesse la coltivazioni dei cereali, dall’altra la bene<strong>di</strong>zione dei<br />

campi coltivi 81 . Il rito delle Rogazioni, dunque testimonia come il cristianesimo abbia potuto dare<br />

nuovi significati a simboli antichi, riplasmando usi preesistenti.<br />

In passato, venne istituita per il tre Maggio una festa cristiana, in commemorazione della scoperta<br />

della vera Croce compiuta dalla imperatrice Elena, madre <strong>di</strong> Costantino, essa fu una delle feste più<br />

importanti del me<strong>di</strong>oevo; progressivamente cedette il passo al culto della Vergine e, dal XVI sec.,<br />

usci dall’uso corrente. In alcuni paesi questa festa ha legato a sé delle pratiche popolari: le<br />

Rogazioni nel Ciclo <strong>di</strong> primavera o anche alla pentecoste con la bene<strong>di</strong>zione dei campi 82 .<br />

Il rito delle Rogazioni a Grancia durava tre giorni, dall’uno al tre Maggio, ed era finalizzato alla<br />

bene<strong>di</strong>zione sia delle varie croci collocate in <strong>di</strong>verse parti del paese sia delle campagne circostanti.<br />

La processione prendeva le mosse al mattino presto ed era capeggiata dal sacerdote. Durante il<br />

percorso sacro si effettuavano delle soste presso ogni croce del paese per la bene<strong>di</strong>zione, poi la<br />

processione si spostava in campagna, dove anche qui il sacerdote bene<strong>di</strong>va le croci poste dai<br />

conta<strong>di</strong>ni nei rispettivi campi. Secondo il racconto <strong>di</strong> un’anziana le croci venivano realizzate con<br />

due piccole candele, le quali avevano non solo un significato religioso ma anche apotropaico,<br />

poiché le candele servivano per scongiurare le tempeste e la brutta stagione.<br />

Il popolo partecipava con devozione alle processioni delle Rogazioni poiché specie i conta<strong>di</strong>ni<br />

erano convinti che proprio a primavera, il periodo più delicato per le colture, è quanto mai<br />

necessario l’aiuto <strong>di</strong> Dio per poter sperare in un buon raccolto, cosi come succedeva ai tempi dei riti<br />

naturalistici pagani quando le offerte <strong>di</strong> ringraziamento alle <strong>di</strong>vinità tutelari dei campi e delle messi<br />

<strong>di</strong>ventavano tanti simboli <strong>di</strong> abbondanza, <strong>di</strong> ricchezza e <strong>di</strong> buon augurio 83 . Con l’avvento della<br />

modernizzazione, la vita delle campagne è cambiata si sono ridotti e mo<strong>di</strong>ficati i costumi ed i riti<br />

80 Rogazione, ENCICLOPEDIA UNIVERSALE RIZZOLI LAROUSSE, VOL. XIII, Milano, Rizzoli E<strong>di</strong>tore, 1964, p. 48<br />

81 A. CATTABIANI Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Milano, Rusconi e<strong>di</strong>tore, 1988, p. 230<br />

82 F. JESI, La festa antropologia etnologia folklore, Torino, rosenberg e sellier, 1977, p. 186<br />

83 L. BRACCILI, Folk- Abruzzo, L’Aquila, Marcello ferri E<strong>di</strong>tore, 1979, p. 29


che avevano dato nutrimento alle comunità agrarie preindustriali, in alcuni casi il “cambiamento” è<br />

stato cosi violento e traumatico che ha lasciato solo il ricordo <strong>di</strong> quei vecchi comportamenti.<br />

3.5.2 L’Ascensione: i granati e Santa croce<br />

L’ascensione è la salita <strong>di</strong> Gesù Cristo al cielo quaranta giorni dopo la sua resurrezione ed è<br />

considerata come la conferma dogmatica del magistero <strong>di</strong> Gesù Cristo: egli ritorna al cielo con la<br />

sua natura umana e <strong>di</strong>vina a precedere i giusti che lo raggiungeranno dopo la resurrezione.<br />

“L’ascensione è il giorno che ricorre sempre nel pieno <strong>di</strong> primavera, quando le erbe e le acque<br />

sembrano possedere il massimo della loro forza vitale: giorno, quin<strong>di</strong> per il popolo, <strong>di</strong> buon augurio<br />

e <strong>di</strong> purificazione. A tale principio si ispirano le credenze e pratiche popolari che fanno della<br />

“Scensa” una delle feste nelle quali più lieto e fervido si esprime il sentimento religioso delle classi<br />

più umili” 84 . Per la ricorrenza dell’Ascensione a Grancia, si rispettavano due rituali: la preparazione<br />

dei “ranar”, granati, e le processioni <strong>di</strong> “Santa Croce”.<br />

La celebrazione dell’Ascensione un tempo era preceduta da una fase preparatoria che iniziava<br />

qualche giorno prima. In questa fase si svolgeva la preparazione dei “ranar”, una vivanda che<br />

consiste in un miscuglio <strong>di</strong> cereali e legumi ( grano, granturco, ceci, fagioli) bolliti prima<br />

separatamente poi mescolati insieme 85 . In passato, fino a circa cinquanta anni fa, i granati erano<br />

<strong>di</strong>stribuiti ai poveri, i quali si recavano con dei piccoli tegami nelle abitazioni dove questo piatto<br />

veniva preparato. Nella fase moderna della festa la preparazione dei granati appare ampiamente<br />

ri<strong>di</strong>mensionata; a detta delle poche donne che ancora preparano questo cibo, si continua a farlo solo<br />

per devozione. Oggi lo scambio dei granati avviene tra poche famiglie, solo in rispetto della<br />

tra<strong>di</strong>zione e non per un effettivo bisogno.<br />

Il consumo dei cereali e dei legumi nel giorno dell’Ascensione rappresentava un auspicio <strong>di</strong><br />

abbondanza per la raccolta agricola dell’anno e inoltre operava sui meccanismi sociali. <strong>Lo</strong> scambio<br />

dei granati avveniva tra tutti i compaesani, a prescindere dalla loro con<strong>di</strong>zione sociale, a<br />

<strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> come nel tempo <strong>di</strong> festa si instaurasse una solidarietà fra loro, che in altri momenti<br />

non era possibile. La ripartizione del cibo aveva una funzione fortemente socializzante e<br />

anticompetitiva. Vittorio Lanternari ha notato come:‹‹Il banchetto comunitario, la ripartizione <strong>di</strong><br />

cibarie nella festa, la <strong>di</strong>ssipazione <strong>di</strong> cibi nel momento festivo con il suo contrapposto<br />

complementare dell’attività e dell’ansia volte alla sussistenza nel tempo or<strong>di</strong>nario, l’orgia<br />

alimentare d’un breve momento con il suo contrapposto <strong>di</strong> una lunga durata d’incertezze e <strong>di</strong> attesa<br />

84 P. TOSCHI, Invito al folklore italiano, Roma, e<strong>di</strong>trice stu<strong>di</strong>um, 1963. p. 321<br />

85 In alcuni paesi d’Abruzzo, i granati vengono preparati per la festa <strong>di</strong> s. Antonio Abate il 17 Gennaio.


<strong>di</strong> beni <strong>di</strong> sussistenza prima e dopo <strong>di</strong> essa: tutto ciò forma il contesto <strong>di</strong> una pratica sociale dagli<br />

effetti socializzanti e catartici ›› 86 .<br />

Nel giorno <strong>di</strong> festa, anche quando il cibo scarseggiava, la ripartizione avveniva ugualmente, a<br />

<strong>di</strong>mostrazione che solo nel tempo festivo la generosità prevaleva sugli egoismi. <strong>Lo</strong> scambio dei<br />

granati nel giorno dell’Ascensione fungeva per la comunità <strong>di</strong> Grancia da fattore socializzante e<br />

fondante, tutti partecipavano alla fruizione del cibo, superando temporaneamente le <strong>di</strong>sparità <strong>di</strong><br />

classe.<br />

Il calendario liturgico cattolico prevedeva nei tre giorni precedenti l’Ascensione, che si osservassero<br />

delle cerimonie dal contenuto analogo alla Rogazione, chiamate Litanie minori. La loro pratica,<br />

anch’essa professionale, si <strong>di</strong>ffuse a poco a poco in tutta l’Europa : “a Roma sono documentate tra il<br />

VII e il IX sec, sotto il pontificato <strong>di</strong> Leone III. E’nel IX sec. che si introdusse nella processione il<br />

canto delle Litanie dei santi, mentre prima si cantavano salmi, oppure orazioni salmiche<br />

corrispondenti, acclamazioni o invocazioni <strong>di</strong> carattere liturgico” 87 . A Grancia, la cerimonia delle<br />

Litanie minori veniva denominata come i “giorni <strong>di</strong> Santa Croce”; i conta<strong>di</strong>ni realizzavano delle<br />

croci con la palma benedetta nella domenica precedente la pasqua ed in processione si recavano in<br />

campagna per <strong>di</strong>sporle nei campi 88 . Il rito aveva esclusivamente carattere popolare, escludeva infatti<br />

la partecipazione del sacerdote. Per tre giorni i conta<strong>di</strong>ni si recavano nei campi, ognuno pregava nel<br />

suo orto affinché il male venisse eliminato. Il rito <strong>di</strong> “santa croce”, al pari delle Rogazioni, aveva in<br />

sé una forte componente propiziatoria; i conta<strong>di</strong>ni con le loro pratiche tra<strong>di</strong>zionali auspicavano una<br />

sacralizzazione del territorio, proprio in quella fase - a Maggio - in cui la natura si risveglia e offre i<br />

primi frutti. Le due celebrazioni costituivano dei momenti “importanti e necessari” per i conta<strong>di</strong>ni<br />

<strong>di</strong> Grancia, poiché un cattivo raccolto avrebbe compromesso la loro sopravvivenza.<br />

86 V. LANTERNARI, Spreco, ostentazione, competizione economica nelle società primitive e nella cultura popolare: il<br />

comportamento festivo, in, R. CIPRIANI, Sociologia della cultura popolare in Italia, Napoli, Liguori e<strong>di</strong>tore, 1979, p. 69<br />

87 A. Cattabiani Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Milano, Rusconi e<strong>di</strong>tore, 1988, p. 231<br />

88 Durante il rito i conta<strong>di</strong>ni pronunciavano un Padre Nostro , un’Ave Maria ed un Gloria al Padre.


Capitolo quarto<br />

La festa nella società postmoderna<br />

Ora si descriverà una festa non religiosa, la sagra della castagna; si tratta <strong>di</strong> una manifestazione che<br />

ha avuto inizio nel 1995, ed ha assunto in breve tempo una posizione notevole nel paese. Essa è la<br />

manifestazione esemplare della nuova concezione e del ruolo che la festa ha oggi nella comunità <strong>di</strong><br />

Grancia.<br />

4.1 La sagra della castagna<br />

I monti che circondano il comune <strong>di</strong> Morino, nel periodo autunnale, si popolano <strong>di</strong> intere famiglie<br />

de<strong>di</strong>te alla raccolta delle castagne.<br />

La coltivazione del castagno in questo territorio risale a molti anni fa, come ne è testimonianza la<br />

presenza nell’area <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse varietà locali: i marroni e soprattutto la roscetta. Quest’ultima, cosi<br />

denominata per il colore marrone rossiccio brillante, è una delle varietà più apprezzate sul piano<br />

commerciale.<br />

La coltivazione del castagno ha rappresentato per la popolazione <strong>di</strong> Grancia, una risorsa basilare e<br />

insostituibile; il castagno era considerato “l’albero del pane”, poiché i frutti ricchi <strong>di</strong> amido<br />

venivano conservati nei ricci in delle buche scavate nel terreno e ricoperte <strong>di</strong> foglie, oppure si<br />

facevano essiccare all’interno delle abitazioni. Le castagne essiccate una volta sbucciate si<br />

sfarinavano in grossi mortai <strong>di</strong> pietra, la farina ottenuta poteva essere utilizzata in <strong>di</strong>versi mo<strong>di</strong><br />

come per esempio per la preparazione dei dolci. Il legno del castagno anche veniva ampiamente<br />

utilizzato per realizzare le travature degli e<strong>di</strong>fici.<br />

E’ tra il XIII e XIV sec. che il castagno <strong>di</strong>venta l’elemento centrale nell’economia delle zone<br />

collinari e montane degli Appennini Abruzzesi.<br />

Questi luoghi iniziano a cambiare aspetto proprio per la presenza dei castagneti e sviluppano la loro<br />

organizzazione economico-sociale sullo sfruttamento <strong>di</strong> questa pianta per le attività agricole e<br />

forestali. In Abruzzo i frutti del castagno hanno sfamato intere generazioni <strong>di</strong> conta<strong>di</strong>ni e<br />

montanari 89 .<br />

89 A. SCIULLO, Presenza del castagno in Abruzzo usi alimentari e valore nutrizionale dei suoi frutti, in Rivista<br />

Abruzzese rassegna trimestrale <strong>di</strong> cultura, Anno LVI – 2003 – N. 2, p p. 139- 147


Da tre<strong>di</strong>ci anni, il gruppo ricreativo <strong>di</strong> Grancia – costituito da sole donne- organizza la sagra della<br />

Castagna, con la collaborazione del comune <strong>di</strong> Morino, della riserva naturale <strong>Zompo</strong> lo <strong>Schioppo</strong> e<br />

della comunità montana Valle Roveto.<br />

La manifestazione si svolge l’ultima domenica <strong>di</strong> Ottobre- nello stesso mese si tiene la sagra della<br />

castagna <strong>di</strong> Civitella Roveto e <strong>di</strong> Canistro- sebbene la data può variare a seconda della <strong>di</strong>sponibilità<br />

del frutto. La festa è preceduta da una fase preparatoria; una settimana prima le donne del gruppo<br />

ricreativo si apprestano alla preparazione dei cibi a base <strong>di</strong> castagne che verranno venduti il giorno<br />

della sagra; marmellate, dolci, torroni e liquori ma non mancano altre prelibatezze a base <strong>di</strong> funghi<br />

porcini e tartufo.<br />

L’esposizione e la ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> prodotti tipici non è riservata solo agli abitanti del posto ma anche ai<br />

forestieri.<br />

La domenica mattina, <strong>di</strong> buonora, i ven<strong>di</strong>tori si ritrovano nella piazza <strong>di</strong> Grancia, ad ognuno <strong>di</strong> loro<br />

il vigile comunale assegna uno stand; il gruppo ricreativo ha l’esclusiva nell’ allestire lo stand più<br />

grande nella piazza s. Antonio, <strong>di</strong> preparare le tipiche caldarroste, i “vallani”-castagne private della<br />

buccia e bollite- e la zuppa <strong>di</strong> castagne, gli altri si <strong>di</strong>spongono lungo la strada principale del paese<br />

e vendono i prodotti più vari.<br />

Intorno alle ore un<strong>di</strong>ci, in concomitanza con la Santa Messa, si aprono gli stand al pubblico, da<br />

questo momento fino a tarda sera, una folla <strong>di</strong> gente che non ha paragone con quella delle altre<br />

festività attraversa l’intera paese. Molti sono i partecipanti provenienti dalla Valle Roveto, dalla<br />

Marsica e dalla Ciociaria.<br />

La sagra della castagna è la manifestazione esemplare della nuova concezione del festivo assai<br />

lontana dalle espressioni autentiche della tra<strong>di</strong>zione popolare e sempre più legata alle moderne<br />

strategie <strong>di</strong> turisticizzazione. Attraverso la sagra e l’ostentazione <strong>di</strong> piatti tipici della cucina locale,<br />

il paese cerca <strong>di</strong> riavvicinarsi ad un passato ormai molto lontano e <strong>di</strong> offrire una identità propria<br />

utilizzando mezzi e strategie del mondo contemporaneo.<br />

Tuttavia la sagra rappresenta un momento importante <strong>di</strong> socializzazione per la comunità <strong>di</strong> Grancia,<br />

essa è una risposta ad una con<strong>di</strong>zione socio- culturale fortemente <strong>di</strong>sgregata da molteplici fattori. Le<br />

sagre - come le feste in generale- vanno incontro al bisogno <strong>di</strong>ffuso <strong>di</strong> comunità e <strong>di</strong> ricostituzione<br />

delle identità, in un’epoca in cui l’evoluzione tecnologica e la pressione <strong>di</strong> immigrazioni delle più<br />

<strong>di</strong>verse origini etniche, hanno messo a dura prova la resistenza delle tra<strong>di</strong>zioni.<br />

E’ pressoché impossibile oggi fare riferimento a manifestazioni <strong>di</strong> folklore, come la sagra,<br />

ignorando completamente le componenti <strong>di</strong> speculazione consumistica, sempre e in tutti i casi<br />

presenti in maniera più o meno manifesta, in questi fenomeni.


Lanternari nel suo contributo sulla <strong>di</strong>namica del folklore, <strong>di</strong>stingue tra revival consumistico, <strong>di</strong><br />

tra<strong>di</strong>zioni e simbologie preborghesi, come una serie d’iniziative programmate volte al riutilizzo <strong>di</strong><br />

vecchie tra<strong>di</strong>zioni locali, <strong>di</strong> vari prodotti culturali in funzione del profitto, e <strong>di</strong> recupero nativista del<br />

folklore da parte dei ceti popolari; si tratta <strong>di</strong> movimenti <strong>di</strong> massa che esprimono il bisogno dei vari<br />

gruppi, delle varie classi sociali <strong>di</strong> ritrovare se stessi 90 .<br />

In definitiva i contenuti del momento festivo possono fare da spia, <strong>di</strong> quanto <strong>di</strong> negativo e <strong>di</strong><br />

precario passa nelle esperienze esistenziali comuni. In questo senso lo spreco e l’ostentazione delle<br />

sagre, e in genere delle feste o<strong>di</strong>erne, sono sintomi e con<strong>di</strong>zioni della precarietà esistenziale della<br />

società contemporanea.<br />

90 V. LANTERNARI, Folklore e <strong>di</strong>namica culturale, Napoli, Liguori e<strong>di</strong>tore, 1976, p 32


CONCLUSIONI<br />

L’indagine effettuata nel paese <strong>di</strong> Grancia ha evidenziato come il sistema delle feste religiose <strong>di</strong><br />

questa realtà ha subito notevoli cambiamenti nella sua struttura e nei suoi contenuti. Questi<br />

mutamenti si sono manifestati in un arco <strong>di</strong> tempo che va dai primi anni del novecento fino ai nostri<br />

giorni, ma con una svolta decisiva e ra<strong>di</strong>cale iniziata nel 1950 e ancora in corso.<br />

Le mo<strong>di</strong>ficazioni, che sono state avvertite anche dagli abitanti con i quali si è avuto modo <strong>di</strong><br />

parlare, sono il risultato dell’azione congiunta <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi fattori che hanno inciso profondamente<br />

sulla vita sociale e culturale <strong>di</strong> Grancia.<br />

E’ negli anni cinquanta del secolo scorso infatti, che sono intervenuti fenomeni sociali <strong>di</strong> enorme<br />

portata in buona parte della nostra nazione; lo spopolamento delle campagne, la crescita delle città,<br />

il declino della famiglia tra<strong>di</strong>zionale, l’intervento dei mezzi <strong>di</strong> comunicazione, insomma tutti<br />

fenomeni che hanno stravolto i rapporti tra<strong>di</strong>zionali fra struttura economica e cultura.<br />

In passato l’attività agricola era la base economica del paese e il sistema festivo <strong>di</strong> Grancia era<br />

legato ai ritmi lavorativi <strong>di</strong> questo sistema <strong>di</strong> produzione. In questa nuova ottica le festività si sono<br />

dovute aggiustare intorno a nuovi assetti calendariali e lavorativi; molte feste devozionali sono state<br />

spostate alla domenica successiva al giorno canonico.<br />

Oggi, che l’irruzione della modernità nel paese è stata abbastanza <strong>di</strong>rompente, l’economia agricola<br />

è ormai stata superata e <strong>di</strong> conseguenza si è venuta a determinare la fine <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi aspetti, come usi<br />

e rituali agricoli, che trovavano posto nel sistema festivo.<br />

L’irruzione della società moderna nella realtà del paese ha portato inoltre tutta un’altra serie <strong>di</strong><br />

conseguenze; la solidarietà sociale che un tempo era alla base delle relazioni umane e che si<br />

rinnovava proprio attraverso la festa oggi è stata contagiata dall’in<strong>di</strong>vidualismo, la maggiore<br />

<strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> denaro ha accresciuto a <strong>di</strong>smisura il carattere consumistico delle manifestazioni<br />

festive religiose e <strong>di</strong>minuito quello devozionale.<br />

Nell’ epoca attuale in cui si è raggiunto un generale benessere, si ha una maggiore circolazione <strong>di</strong><br />

denaro rispetto al passato, quando le feste erano sostenute dalle offerte esclusive in beni agricoli, e<br />

non è un caso che per esempio la volontà <strong>di</strong> accorpare le feste nel periodo estivo, sia stata motivata<br />

anche dal fattore economico. Si è passati da un giorno <strong>di</strong> festa in onore del santo a “ perio<strong>di</strong>” festivi<br />

<strong>di</strong> 3-4 giorni, all’interno dei quali mostrano un ruolo largamente consistente tutte quelle<br />

manifestazioni lu<strong>di</strong>co-ricreative (sagre, concerti) un tempo assai contenute. In passato il rispetto<br />

delle festività era maggiore e più autentico, oggi invece per esempio nelle ricorrenze religiose,


l’elemento devozionale ha <strong>di</strong>minuito la sua portata, ingigantendosi per contro la <strong>di</strong>mensione<br />

consumistica della festa, arricchita da manifestazioni “profane”.<br />

“Le feste o<strong>di</strong>erne non sono altro che pause, perio<strong>di</strong> in cui il conoscere razionale si <strong>di</strong>sgrega<br />

temporaneamente in oblio <strong>di</strong> sé, pronto a ricomporsi e ad assumere un istante più tar<strong>di</strong>, terminata la<br />

festa, la situazione <strong>di</strong> privilegio che in latenza è sempre rimasta sua” 91 .<br />

Nell’epoca post moderna l’organizzazione del lavoro esige sempre <strong>di</strong> più la razionalizzazione della<br />

vita quoti<strong>di</strong>ana degli in<strong>di</strong>vidui e, conseguentemente, la limitazione del tempo non de<strong>di</strong>cato alle<br />

attività produttive; se questo da un lato provoca un tentativo <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione della cultura<br />

tra<strong>di</strong>zionale, al tempo stesso alimenta processi <strong>di</strong> sincretismo fra modelli culturali <strong>di</strong>versi ed il<br />

ritorno <strong>di</strong>sperato a esempi o schemi del mondo tra<strong>di</strong>zionale. Di qui la ripresa <strong>di</strong> feste antiche o<br />

l’istituzione <strong>di</strong> feste nuove, come per esempio le sagre, in cui ci si vuole ancorare ad un passato<br />

ormai troppo lontano.<br />

Questa tendenza della cultura popolare o<strong>di</strong>erna, volta a rivivificare certi aspetti del mondo<br />

tra<strong>di</strong>zionale, della storia e delle culture peculiari, è secondo V.Lanternari, “uno sforzo<br />

inconsapevole <strong>di</strong> recuperare un’identità minacciata dalla classificazione e dalla omologazione dei<br />

modelli culturali” 92 ; nella fase attuale le feste sono spesso sinonimo <strong>di</strong> spreco, vizio e fanatismo.<br />

E’ impossibile oggi riferirsi alle feste ignorando le componenti <strong>di</strong> speculazione consumistica<br />

presente.<br />

Le nuove feste emergono come risposta “programmata” a richieste implicite <strong>di</strong> una società che è<br />

sottoposta a processi <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenzazione, frammentazione, a fattori d’ansia, che percorrono il<br />

territorio senza <strong>di</strong>stinzioni tra centro e periferia 93 .<br />

Nella festa <strong>di</strong> oggi, che è vincolata dalla necessità <strong>di</strong> consumo, <strong>di</strong> evasione, come accade per le<br />

miria<strong>di</strong> <strong>di</strong> “sagre” <strong>di</strong> ogni genere, emerge con prepotenza l’ostentazione alimentare; nelle feste<br />

affiora sempre <strong>di</strong> più “ lo spreco”, che secondo Lanternari assume il carattere <strong>di</strong> una ideologia<br />

con<strong>di</strong>visa dalla collettività che vuole affrancarsi, in un momento <strong>di</strong> intensa partecipazione e<br />

coesione, dalla minaccia d’insicurezza del vivere quoti<strong>di</strong>ano 94 .<br />

Anche l’Abruzzo è stato attraversato nell’ultimo cinquantennio da fenomeni sociali quali<br />

l’emigrazione, l’industrializzazione, la <strong>di</strong>ffusione della cultura <strong>di</strong> massa. Questi avvenimenti hanno<br />

provocato in parte nella nostra regione secondo Lia Giancristoforo un “trasferimento delle valenze<br />

91 F. JESI, La festa antropologia etnologia folklore, Torino, rosenberg & sellier, 1977, p. 189<br />

92 V. LANTERNARI, Folklore e <strong>di</strong>namica culturale, Napoli, Liguori e<strong>di</strong>tore, 1976, p. 48<br />

93 C. PRANDI, Folklore e modernità, in Rivista abruzzese rassegna trimestrale <strong>di</strong> cultura, Anno LVII – 2004 –n. 2, p.114<br />

94 V. LANTERNARI, Spreco, ostentazione, competizione economica nelle società primitive e nella cultura popolare: il<br />

comportamento festivo, in R. Cipriani, Sociologia della cultura popolare in Italia, Napoli, liguori e<strong>di</strong>tore, 1979, p. 77


culturali in beni <strong>di</strong> consumo” 95 ; i modelli della tra<strong>di</strong>zione sono stati messi a dura prova dalla<br />

irruenza dei nuovi significati della modernità.<br />

Per quanto riguarda il sistema festivo e rituale, in Abruzzo la religione popolare tra<strong>di</strong>zionale con la<br />

sua miriade <strong>di</strong> santuari sparsi sul territorio e con le tante feste patronali, manifesta una persistente<br />

vivacità e un forte legame con la tra<strong>di</strong>zione anche se vi è stata una trasformazione delle tra<strong>di</strong>zioni<br />

festive; il mondo postmoderno ha creato le sue feste e le sue celebrazioni, riadattando forme rituali<br />

antiche o inventando modalità <strong>di</strong> festeggiamento del tutto nuove- contro l’egemonia dei modelli<br />

dettati dalla modernità che rischia <strong>di</strong> azzerare le tra<strong>di</strong>zioni del passato, si intraprendono una serie<br />

d’iniziative tese alla salvaguar<strong>di</strong>a dei microcosmi; feste religiose patronali, i <strong>di</strong>aletti, la musica<br />

popolare, le tra<strong>di</strong>zioni eno- gastronomiche- che riescono comunque ad attirare l’interesse <strong>di</strong> chi vi<br />

partecipa.<br />

Il sistema delle feste religiose <strong>di</strong> Grancia per esempio ha subito notevoli mutamenti nella sua<br />

morfologia e si è determinato l’aggiustamento delle feste intorno a nuovi assetti calendariali e<br />

lavorativi, quando non la definitiva scomparsa <strong>di</strong> determinati rituali.<br />

Le feste tra<strong>di</strong>zionali, dunque sembrano dover sopravvivere anche ai più recenti cambiamenti, per<br />

esempio nei processi <strong>di</strong> mutazione è accaduto che un elemento della festa, che anticamente era parte<br />

<strong>di</strong> un complesso sintagma rituale- i cacchit nella festa <strong>di</strong> s. Antonio abate- tende a prendere sempre<br />

più spazio fino a <strong>di</strong>ventare identificante l’intera cerimonia.<br />

Le trasformazioni dei riti religiosi secondo V. Petrarca interessano tre campi essenziali:<br />

a) quello dei significati per pratiche ormai consolidate e trasportate dalla forza <strong>di</strong> inerzia della<br />

tra<strong>di</strong>zione;<br />

b) quello delle pratiche stesse, nelle loro articolazioni e nelle loro sequenze simboliche,<br />

articolazioni e sequenze che per sopravvivere sono state e sono sottoposte a compromessi <strong>di</strong> vario<br />

genere tra continuità e cambiamento;<br />

c) quello dell’innovazione rituale vera e propria, con la riscoperta o la nascita <strong>di</strong> riti che si<br />

travestono da tra<strong>di</strong>zionali, popolari, ecc 96 .<br />

Durante la ricostruzione del sistema festivo <strong>di</strong> Grancia inoltre è venuto chiaramente alla luce come<br />

in passato, nelle feste, vi fosse la presenza <strong>di</strong> una ipertrofia delle sue caratterizzazioni popolari che<br />

si sono innestate sul corpo della liturgia cattolica.<br />

La festa con i suoi contenuti, si origina in un passato arcaico, per poi fissarsi ed essere trasportata<br />

dalla forza stessa della ripetizione rituale in contesti sociali ed ecomonici <strong>di</strong>fferenti. I personaggi (i<br />

soggetti sacri) e il contesto che li accoglie (la festa e la comunità), si rinnovano e ricreano<br />

95 GIANCRISTOFORO L., Identità abruzzese fra tra<strong>di</strong>zione e mutamento, Lanciano, casa e<strong>di</strong>trice Rocco Carabba, 2004<br />

96 V. PETRARCA, Feste tra<strong>di</strong>zionali e società nella Marsica contemporanea, in La terra dei Marsi. Cristianesimo,<br />

cultura, istituzioni. Atti del convegno <strong>di</strong> Avezzano, 24-26 settembre 1988 acura <strong>di</strong> G. Luongo, Viella, Roma


continuamente all’interno dei momenti storici, adeguandosi ai tempi che trovano. Simile ad un<br />

reperto archeologico vivente, la festa porta, fondendoli insieme, simboli che sembrano appartenere<br />

a mon<strong>di</strong> e a tempi <strong>di</strong>versi.<br />

Spesso infatti si combinano usi <strong>di</strong> origine precristiana, con usi cristiani e popolari.<br />

Secondo A. Falassi al momento della cristianizzazione, la chiesa mantenne e prese come politica <strong>di</strong><br />

evangelizzazione l’attestarsi a connotare usi, feste, e costumi pagani purché non fossero in contrasto<br />

irriducibile con la propria teologia. Cosi “i santi e la loro feste sono stati i successori degli dei e<br />

delle loro feste (…)anche le feste mariane avrebbero sostituito un gran numero <strong>di</strong> <strong>di</strong>vinità pagane” 97<br />

“In Abruzzo, le sopravvivenze <strong>di</strong> usanze e <strong>di</strong> concezioni dell’antico mondo pagano, riaffiorano<br />

nelle varie feste e cerimonie religiose a cui tuttavia il cristianesimo ha dato ormai la sua netta<br />

impronta, animandole <strong>di</strong> un nuovo e più alto significato” 98 .<br />

Accanto a tali questioni non va tralasciato il ruolo della chiesa che oggi in alcuni contesti ha tentato<br />

<strong>di</strong> sra<strong>di</strong>care talune espressioni <strong>di</strong> superstizione popolare giu<strong>di</strong>cate eccessive, inoltre in molte<br />

località, per iniziativa del corpo ecclesiastico, è cambiato per esempio il modo <strong>di</strong> fare le<br />

processioni; in alcuni casi la processione è un fatto a se stante rispetto all’evento religioso,<br />

accrescendo i suoi caratteri tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> spettacolarità e folklore, che in alcuni strati della<br />

popolazione si coniugano anche con una sincera devozione religiosa.<br />

La festa è un istituto sociale e umano, dunque non dobbiamo stupirci se essa nel corso del tempo è<br />

soggetta per sua stessa natura a variazioni continue, piuttosto dovremmo riflettere sulle motivazioni<br />

che inducono tali cambiamenti.<br />

Le feste moderne dunque, vanno sempre più perdendo quel carattere straor<strong>di</strong>nario che un tempo le<br />

rendeva come occasioni speciali agli occhi <strong>di</strong> chi le viveva, <strong>di</strong> conseguenza possiamo <strong>di</strong>re che oggi<br />

“le feste se sono nate e sono state tramandate per essere soprattutto eseguite, oggi lo sono<br />

innanzitutto per essere viste” 99 , “la festa <strong>di</strong> oggi è un continuare a danzare senza sentire più la<br />

musica” 100 .<br />

Non <strong>di</strong>mentichiamo che il folklore nasce proprio come alternativa ad una certa insod<strong>di</strong>sfazione <strong>di</strong><br />

vasti strati della popolazione a quanto offerto dal sistema, ed è pertanto auspicabile che anche le<br />

feste, come forme del folklore, possano continuare a resistere alle <strong>di</strong>verse forme <strong>di</strong> ostilità.<br />

97 A. FALASSI, La festa, le tra<strong>di</strong>zioni popolari in Italia, Milano, Electa S. p. a. , 1988, p. 9<br />

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99 V. PETRARCA, Feste tra<strong>di</strong>zionali e società nella Marsica contemporanea, in La terra dei Marsi. Cristianesimo,<br />

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Rassegna trimestrale <strong>di</strong> cultura, Anno LVIII- 2005- N. 1


TESTIMONIANZE ORALI<br />

Tellerini Maria, pensionata ex conta<strong>di</strong>na<br />

<strong>Pagliaroli</strong> Maria Domenica, anni 88, pensionata<br />

<strong>Pagliaroli</strong> Alfredo, anni 92, pensionato ex impiegato<br />

D’Amico Ida, anni 80, pensionata ex conta<strong>di</strong>na<br />

Giovarruscio Maria, conta<strong>di</strong>na<br />

Don Tommaso Sche<strong>di</strong>, parroco <strong>di</strong> Grancia<br />

Mattei Antonio, sindaco <strong>di</strong> Morino<br />

Ferrera Santina, insegnante

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