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Leggi Sette ipotesi per una suora - Riaprire il fuoco

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Gian Primo Brugnoli<br />

SETTE IPOTESI PER UNA SUORA<br />

(QUEL LONTANO AMORE )


Sabato 15/08/1988<br />

Un giornale del mattino aveva titolato così: “IL SUICIDIO DI SUOR GIACINTA”<br />

con l’occhiello: “A 5 mesi dalla scomparsa <strong>il</strong> ritrovamento in <strong>una</strong> baita della Valle<br />

Vigezzo”.<br />

E poi ancora, come sottotitolo:<br />

“Il 15 marzo la religiosa, 45 anni, saluta sorridendo le consorelle della casa di<br />

riposo dove lavora, vicino a Locarno.<br />

“Vado in vacanza”, dice. Invece, scende alla prima stazione italiana, sale sui monti,<br />

si avvelena. L’<strong>ipotesi</strong> del delitto”.<br />

Il dott.Francesco Boccia – trent’anni, capello bruno, atticciato e afflitto da <strong>una</strong><br />

leggera pinguedine – girò e rigirò <strong>il</strong> giornale brontolando fra sé e sé. ‘Un’altra<br />

scocciatura’, pensò. Sì, <strong>per</strong>ché toccava a lui, <strong>per</strong> competenza territoriale, ordinare<br />

l’autopsia del cadavere appena ritrovato, cosa <strong>per</strong>altro già fatta. Ma <strong>il</strong> suo era<br />

stato un atto di normale routine, con l’<strong>ipotesi</strong> del delitto messa in conto solo <strong>per</strong><br />

scrupolo. Vedersela riproporre lì sul giornale gli dava <strong>una</strong> sensazione strana, un<br />

brivido cui, allo stato dei fatti, non credeva di poter dar corso. Autopsia e<br />

sepoltura.<br />

Il delitto, invece, complicava enormemente la faccenda. E questo proprio in<br />

<strong>per</strong>iodo di ferie.<br />

Nella caffetteria delle stazione non c’era nessuno. Il dottor Boccia, col giornale in<br />

mano, si sedette allora ad un tavolo qualunque e ordinò un cappuccino. Era<br />

ancora presto <strong>per</strong> l’arrivo del treno delle 10.16 da Locarno.<br />

‘Ma <strong>per</strong>ché delitto?’, si chiese. Nel corpo dell’articolo si prefigurava appunto, oltre<br />

l’<strong>ipotesi</strong> del suicidio, anche quella dell’omicidio. Un omicidio occasionale – si<br />

capisce – ad o<strong>per</strong>a di qualche spallone interessato ancora al vecchio<br />

contrabbando di frontiera. Doveva leggere con attenzione la relazione<br />

necroscopica del medico legale e <strong>il</strong> verbale dei carabinieri prima di prendere<br />

qualsiasi decisione in merito. Ora <strong>per</strong>ò era in arrivo Flavia e non poteva fare a<br />

meno di aspettarla. Consultò l’orologio e si meravigliò dell’ora: 10.05.<br />

Il tempo infatti era passato velocemente e lui non se n’era accorto. Si alzò allora.<br />

Prese <strong>il</strong> giornale, pagò la consumazione e andò al binario dove, di lì a poco,<br />

sarebbe arrivato <strong>il</strong> treno e, con esso, Flavia Del Gaudio.<br />

E infatti <strong>il</strong> treno arrivò. Non sbuffava, non fischiava, non era insomma nient’altro<br />

che un normale treno a trazione elettrica, <strong>il</strong> solito treno che gli portava qualcuno<br />

che, da un po’ di tempo a questa parte, gli premeva molto.<br />

Certo che le altre volte si era un po’ troppo abituato a vederlo con gli occhi<br />

particolari della memoria, quella di suo nonno Michele che, quando lui era<br />

bambino, gli raccontava storie di treni. E allora diventava un treno a vapore,<br />

come ce n’erano <strong>una</strong> volta, con la locomotiva a lanciare i suoi bianchi sbuffi ed i<br />

suoi fischi lancinanti che potevano dire tutto o niente, <strong>per</strong> esempio che <strong>il</strong> viaggio<br />

era terminato e che tutto era andato <strong>per</strong> <strong>il</strong> meglio. Che ti può dire, al contrario,<br />

un treno a trazione elettrica? Dopo l’annuncio dell’addetto all’altoparlante, un


treno elettrico sbuca dall’ultima curva, <strong>per</strong>corre gli ultimi cento metri di binario e<br />

si avvicina dolcemente, così dolcemente – senza stridore di freni, senza sbuffi –<br />

che quasi non te ne accorgi e, se non stai attento, subito dopo ti trovi tra le<br />

braccia <strong>una</strong> sconosciuta che ti ha scambiato <strong>per</strong> suo amante.<br />

«Francesco, sono io».<br />

Quella es<strong>il</strong>e massa di carne, appena vestita da <strong>una</strong> camicetta bianca, più gonna e<br />

un leggero effluvio di rosa, era <strong>per</strong> l’appunto Flavia la quale aveva trovato giusto<br />

ed entusiasmante buttarsi tra le braccia di un manichino di uomo <strong>per</strong>so tra le<br />

ruote di un treno. Il quale uomo, <strong>per</strong> la verità, non era assolutamente certo di<br />

essere felice <strong>per</strong> <strong>il</strong> modo con cui un’estranea, al momento, gli stava vigorosamente<br />

agitando quel contenitore di pensieri e preoccupazioni che lui con proprietà<br />

chiamava capo.<br />

«Francesco, sono io» ripeté. «Non mi hai vista?»<br />

«Oh, scusami» disse Boccia rinsavito «ero distratto, stavo pensando».<br />

«A che pensavi? »<br />

«A un caso che mi è capitato in questi giorni: <strong>il</strong> suicidio di <strong>una</strong> <strong>suora</strong>».<br />

«Ah, sì l’ho letto sul giornale. Ma che c’entra adesso? »<br />

«Devo decidere <strong>per</strong> l’inumazione. Fa anche caldo, e quindi non posso ritardare<br />

oltre. A questo proposito, mi scuso subito: devo passare dall’ufficio <strong>per</strong> decidere <strong>il</strong><br />

da farsi».<br />

«Ma è ferragosto!»<br />

«Hai ragione, ho sbagliato un po’ i tempi. Ieri sera mi sono lasciato andare, e così<br />

devo decidere stamani, almeno <strong>per</strong> l’inumazione. Perché dovrei disporre,<br />

d’accordo con l’autorità elvetica, anche <strong>per</strong> <strong>il</strong> trasporto della salma al paese<br />

d’origine».<br />

«Uh, quanto sei irritante, Francesco. Io vengo qui apposta <strong>per</strong> vederti e tu mi<br />

cacci da <strong>una</strong> parte. Proprio non me lo aspettavo oggi, a ferragosto! »<br />

«Hai ragione, cento volte ragione» si affrettò a dire Boccia <strong>per</strong> fermare la frana che<br />

lui stesso aveva provocato. «Non ti preoccupare <strong>per</strong>ò. Vieni in ufficio con me,<br />

aspetti dieci minuti, dopo di che andiamo fuori a pranzo. E poi dove vuoi tu, va<br />

bene?»<br />

«Va bene mica tanto. Comunque andiamo pure».<br />

Il dott.Boccia arrivò dunque in ufficio ansioso di leggere <strong>il</strong> referto necroscopico del<br />

medico legale lasciato in non cale la sera prima. Il referto era redatto al solito<br />

modo: esame esterno del cadavere, esame interno, prelievo e fissazione dei pezzi<br />

anatomici <strong>per</strong> la ricerca del laboratorio.<br />

Su<strong>per</strong>ate le premesse, diceva infatti:<br />

“All’esame esterno, <strong>il</strong> corpo di cui trattasi, pur in avanzato stato di putrefazione in<br />

fase colliquativa, risulta essere di sesso femmin<strong>il</strong>e, dell’età apparente di<br />

quarantacinque-cinquant’anni ecc.”.<br />

Continuava poi nel descrivere lo sv<strong>il</strong>uppo e configurazione dello scheletro con<br />

esame particolare di: capo, collo, torace, addome ecc. arrivando agli arti, r<strong>il</strong>evava<br />

la frattura della falangetta relativa al dito mignolo della mano destra.


Quanto poi ai quesiti posti <strong>per</strong> <strong>il</strong> caso di omicidio “sulle cause della morte, sui<br />

mezzi che l’avevano prodotta, sul tempo in cui era avvenuta e su ogni altra<br />

circostanza r<strong>il</strong>evante etc.”, <strong>il</strong> medesimo <strong>per</strong>ito si dichiarava impossib<strong>il</strong>itato a darne<br />

<strong>una</strong> risposta univoca, con particolare riferimento al primo quesito posto.<br />

Per quanto riguardava infatti “l’asfissia <strong>per</strong> occlusione delle vie respiratorie da<br />

componenti esterne”, lo strozzamento da mani non si poteva escludere né<br />

confermare, al pari dello strangolamento da laccio, quest’ultimo <strong>per</strong>ò improbab<strong>il</strong>e<br />

<strong>per</strong> mancanza del mezzo, dato lo stato colliquativo dei tessuti.<br />

Per quanto riguardava invece “l’asfissia da occlusione delle a<strong>per</strong>ture respiratorie<br />

(soffocazione diretta,…)”, la sindrome da annegamento poteva darsi come<br />

possib<strong>il</strong>e in quanto, affinché la medesima si verifichi, non è necessario che tutto <strong>il</strong><br />

corpo sia immerso nel liquido; ciò, come noto, può accadere a ubriachi, ep<strong>il</strong>ettici,<br />

traumatizzati caduti e immersi col solo capo in pozzanghere, vasche e sim<strong>il</strong>i.<br />

Ora nel caso in questione, non si era potuto r<strong>il</strong>evare acqua nei polmoni, sempre<br />

<strong>per</strong> lo stato colliquativo dei tessuti. Si poneva quindi come possib<strong>il</strong>e l’immersione<br />

del solo capo nell’acqua, mentre si escludeva che tale immersione avesse potuto<br />

riguardare l’intero corpo.<br />

Quanto poi alla frattura della falangetta, la medesima appariva compatib<strong>il</strong>e con<br />

<strong>una</strong> caduta e conseguente impatto traumatico dell’arto col terreno.<br />

In ordine al veneficio infine, e quindi all’accertamento di eventuali sostanze<br />

venefiche nei visceri, a completamento degli esami istologici ed ematologici già<br />

es<strong>per</strong>iti si dovevano compiere gli esami chimico-tossicologici <strong>per</strong> i quali<br />

necessitavano dai 30 ai 60 giorni.<br />

Concludeva <strong>per</strong>tanto dicendo che, in relazione ai quesiti posti dall’autorità<br />

giudiziaria, non era possib<strong>il</strong>e stab<strong>il</strong>ire allo stato <strong>una</strong> causale certa della morte.<br />

«Accidenti!» esclamò «la faccenda si fa lunga».<br />

In calce al documento già preparato, Boccia appose comunque <strong>il</strong> nulla osta <strong>per</strong> la<br />

sepoltura, convinto com’era che l’<strong>ipotesi</strong> più probab<strong>il</strong>e fosse quella del suicidio da<br />

barbiturici. Per le altre motivazioni invece l’autopsia non aveva fugato <strong>per</strong> nulla i<br />

dubbi traslati da Boccia in precisi quesiti al medico legale, li aveva resi<br />

semplicemente impossib<strong>il</strong>i. A Boccia rimanevano tutte le conclusioni che<br />

scaturivano da circostanze esterne, circostanze che <strong>il</strong> verbale dei carabinieri<br />

aveva cercato di mettere in evidenza, pur nello st<strong>il</strong>e freddo e burocratico tipico di<br />

quel genere di documenti.<br />

Del resto <strong>per</strong>ché preoccuparsi? Lui era convinto del suicidio, <strong>per</strong>tanto non ci<br />

sarebbe stato luogo <strong>per</strong> indagini ulteriori. Con queste riflessioni Boccia chiuse <strong>il</strong><br />

fascicolo in cui era racchiusa la pratica riguardante suor Giacinta, al secolo<br />

Bianca Voltolini.<br />

Sul frontespizio, chiudendo, Boccia guardò appunto la scritta: ‘Atti relativi a<br />

Bianca Voltolini’.<br />

Quando tornò in anticamera, Flavia aveva già deposto un settimanale e stava<br />

guardando, attraverso i vetri, i tigli della piazza inondata dal sole di agosto.<br />

«Finalmente!» esclamò. Poi, lei e Boccia, uscirono in strada.


Lunedì 17/08/…<br />

Il lunedì <strong>il</strong> dottor Boccia andò in ufficio con <strong>una</strong> certa ansia, quasi con<br />

precipitazione, dopo <strong>una</strong> domenica tutto sommato tranqu<strong>il</strong>la <strong>per</strong> via della<br />

presenza di Flavia che aveva acquisito ormai da un pezzo <strong>il</strong> singolare potere di<br />

agire sul suo sistema neurovegetativo. E questo grazie ad un sorriso dolcissimo e<br />

ad <strong>una</strong> intelligenza forte; tanto che l’insieme di grazia e forza della mente<br />

rendevano gli angoli meno spigolosi, i problemi risolub<strong>il</strong>i e la vita tutto sommato<br />

più vivib<strong>il</strong>e<br />

Boccia così la domenica si era r<strong>il</strong>assato, quasi dimentico degli affanni che gli<br />

derivavano dal suo ufficio, anche se – non poteva negarlo – la città e la zona di<br />

competenza non gli arrecavano abitualmente nulla di più che le preoccupazioni di<br />

<strong>una</strong> normale routine.<br />

Il fatto in sé e <strong>per</strong> sé non poteva <strong>per</strong>altro impensierirlo più di tanto giacché, se si<br />

r<strong>il</strong>evavano indizi che facessero pensare all’omicidio, tutto l’incartamento alla fine<br />

avrebbe preso la via di Verbania, sede del Circondario; se, invece, si decideva <strong>per</strong><br />

<strong>il</strong> suicidio, come era altamente probab<strong>il</strong>e, la cosa finiva lì e <strong>il</strong> procedimento<br />

avrebbe trovato <strong>il</strong> suo naturale ep<strong>il</strong>ogo tra gli archivi della sede distaccata.<br />

Quella mattina tuttavia Boccia si sentiva inquieto. Voleva r<strong>il</strong>eggersi di nuovo <strong>il</strong><br />

verbale dei carabinieri di Valmara, verbale che, forse con troppa sufficienza, aveva<br />

scorso velocemente la prima volta, vale a dire quattro giorni prima. L’annuncio<br />

del ritrovamento del cadavere della <strong>suora</strong>, destino ingrato e malevolo, veniva a<br />

coincidere con al festa di S.Bartolomeo, <strong>il</strong> patrono di Valmara.<br />

Questo Boccia lo sapeva <strong>per</strong> l’ormai consumato sodalizio con la Vigezzina, ferrovia<br />

che gli <strong>per</strong>metteva un’andata e ritorno da Locarno in un tempo accettab<strong>il</strong>e, un’ora<br />

e mezza circa. Ma che gli <strong>per</strong>metteva anche di rimirarsi <strong>il</strong> panorama e cogliere ciò<br />

che gli capitava di vedere toccando di volta in volta i paesini della valle, nel suo<br />

ormai abituale andirivieni <strong>per</strong> non dimenticare <strong>il</strong> sorriso di Flavia.<br />

Ora <strong>per</strong>ò la faccenda si prospettava complicata, o meglio presentava <strong>il</strong> suo lato<br />

meno piacevole. Per la prima volta infatti Boccia, dacché era a Domodossola, si<br />

trovava a districarsi in un piccolo ginepraio, inconsueto <strong>per</strong> la sua es<strong>per</strong>ienza.<br />

Alla fin fine comunque <strong>il</strong> caso in questione tendeva a due esiti contrapposti:<br />

suicidio od omicidio.<br />

Boccia dunque quella mattina si mosse più in fretta del solito, anche se non<br />

proprio di corsa, <strong>per</strong> raggiungere <strong>il</strong> palazzo di giustizia dove, al secondo piano ala<br />

sud, un incartamento o pratica stava su <strong>una</strong> ampia scrivania panoramica di noce<br />

chiaro che era poi la sua.<br />

Entrato in ufficio, si sedette sull’accogliente poltrona e prese la cartella con su<br />

scritto “Atti relativi a…”. dopo i primi due o tre fogli, trovò <strong>il</strong> verbale dei<br />

carabinieri di Valmara, redatto su carta intestata:<br />

Oggi, giovedì 13/08/…, dietro segnalazione dei signori Pietro Di Giovanni fu<br />

Francesco e Celestina Noa fu Aristide, viene rinvenuto in località Bocche di<br />

S.Antonio, quota m<strong>il</strong>le, a 100 metri circa dal sentiero <strong>per</strong> Cima di Caneto, <strong>il</strong><br />

cadavere di <strong>per</strong>sona sconosciuta. Detto cadavere, vestito con tonaca da religiosa,<br />

trovasi nei pressi di <strong>una</strong> baita diroccata, a 10 metri dalla stessa, sul pendio di un<br />

avvallamento o buca, bocconi e con la parte su<strong>per</strong>iore del corpo prossima a toccare


la su<strong>per</strong>ficie di <strong>una</strong> pozza di acqua piovana, ivi raccolta; mentre la parte inferiore<br />

risulta essere a quota più alta rispetto al resto del corpo, quasi al livello dello<br />

spiazzo che circonda la baita da tre lati (vedi foto allegate).<br />

Lo stato del corpo, in avanzato stato di decomposizione, impedisce al momento<br />

qualsiasi r<strong>il</strong>ievo ut<strong>il</strong>e <strong>per</strong> l’identificazione. Da notare comunque che <strong>il</strong> corpo, rimosso<br />

dalla posizione anzidetta, presenta gli arti su<strong>per</strong>iori composti, le mani congiunte e le<br />

dita intrecciate, come r<strong>il</strong>evasi dal materiale fotografico accluso al presente atto.<br />

Nelle tasche della tonaca solo un biglietto <strong>per</strong> gli impianti locali di risalita.<br />

Da notare altresì che all’interno della baita sopra detta viene rinvenuto uno zainetto<br />

contenente alcune confezioni di barbiturici completamente vuote. Nient’altro.<br />

Quanto sopra letto e sottoscritto si conferma ai fini del proseguimento del presente<br />

atto, <strong>per</strong> competenza, all’autorità giudiziaria.<br />

Il comandante la stazione<br />

Maresciallo Antonio Bas<strong>il</strong>e<br />

Boccia conosceva <strong>il</strong> seguito. Informato dal maresciallo Bas<strong>il</strong>e <strong>per</strong> telefono del fatto<br />

accaduto, aveva attivato tutte le stazioni dei carabinieri della zona, ad anche la<br />

polizia di frontiera. Era così venuto a sa<strong>per</strong>e che nel Circondario non era stata<br />

fatta ness<strong>una</strong> denuncia di <strong>per</strong>sona scomparsa, mentre nella vicina Svizzera, nella<br />

regione di Locarno, erano da tempo alla ricerca di <strong>una</strong> <strong>suora</strong> o monaca della<br />

quale non si avevano più notizie da almeno cinque mesi. La <strong>suora</strong> in questione<br />

lavorava presso <strong>una</strong> casa di riposo di Magadino, in località “La Vigna”.<br />

Boccia aveva quindi fatto subito chiamare, <strong>per</strong> l’identificazione, i probab<strong>il</strong>i parenti<br />

e consorelle della morta. E così <strong>il</strong> venerdì 14 si era <strong>per</strong>venuti alla identificazione,<br />

in ciò aiutati anche dalla tonaca e dallo zainetto rinvenuto assieme al cadavere.<br />

Boccia riprese <strong>il</strong> giornale del sabato. Poteva essere credib<strong>il</strong>e l’<strong>ipotesi</strong> dell’omicidio?<br />

Lui stesso <strong>per</strong>altro l’aveva prefigurata nel momento in cui, all’atto dell’autopsia,<br />

aveva posto al medico legale i quesiti ‘sulla causa della morte, sui mezzi che<br />

l’avevano provocata, sul tempo in cui è avvenuta e su ogni altra circostanza<br />

r<strong>il</strong>evante’.<br />

Il medico legale, è vero, non aveva potuto accertare l’asfissia da strozzamento,<br />

come non aveva potuto accertare sostanzialmente quella da annegamento, in<br />

quanto lo stato del cadavere ‘in fase colliquativa’ non <strong>per</strong>metteva certezze di sorta.<br />

L’indagine rimaneva ancora a<strong>per</strong>ta sul fronte del suicidio. Se si fossero trovate,<br />

<strong>per</strong> esempio, sostanze venefiche nei visceri, allora si sarebbe concluso <strong>per</strong> la<br />

morte dovuta all’assunzione di sostanze venefiche appunto. Ma se, ma se… tali<br />

sostanze non si fossero trovate? Il <strong>per</strong>ito chiedeva comunque dai 30 ai 60 giorni<br />

di tempo <strong>per</strong> rispondere. Ma come escludere <strong>il</strong> delitto? Forse che la sua fantasia<br />

era troppo sbrigliata?<br />

Ricapitolava: l’asfissia da occlusione delle vie respiratorie dovuta a componenti<br />

esterne, - cioè lo strozzamento o lo strangolamento, - <strong>il</strong> medico legale negava di<br />

poterla accertare od escludere, dato lo stato del corpo ‘in fase colliquativa’.<br />

Così l’asfissia acuta da occlusione delle vie aeree (naso, bocca) – vale a dire<br />

l’annegamento <strong>per</strong> soffocazione diretta -, ugualmente <strong>il</strong> <strong>per</strong>ito negava di poterla<br />

accertare o escludere, <strong>per</strong> lo stesso motivo.


Rimaneva <strong>il</strong> veneficio, <strong>per</strong> <strong>il</strong> quale <strong>per</strong>ò venivano richiesti da 30 a 60 giorni di<br />

tempo. In questo caso tuttavia era chiaro l’intento di verificare la presenza di<br />

sostanze venefiche nei re<strong>per</strong>ti e quindi, <strong>per</strong> conseguenza, l’<strong>ipotesi</strong> del suicidio su<br />

dati di fatto. Ma se – ripetendo – non si fosse trovato nulla?<br />

Boccia - con tutti e due i gomiti appoggiati sul piano della scrivania, mani chiuse<br />

a pugno a sostenere <strong>il</strong> mento – sbuffava e sudava. Sudava sì <strong>per</strong> caldo, ma era lo<br />

sforzo <strong>per</strong> pensare che gli creava problemi, <strong>per</strong> così dire, sim<strong>il</strong>ari. L’essudazione<br />

infatti era cospicua, goccioline a cupola invescavano <strong>il</strong> viso tondo e pacioso del<br />

magistrato <strong>il</strong> quale, quasi <strong>per</strong> riflesso meccanico, affondò l’indice sul pulsante di<br />

richiamo dell’anticamera.<br />

«Dica, dottò» fece Placido, l’usciere d’origine napoletana, affacciandosi tra porta e<br />

battente con la sua aria da gufo.<br />

«Porta questa lettera all’Ufficio Protocollo» disse Boccia allungando un rettangolo<br />

di carta al nuovo venuto.<br />

«Ah, senti» aggiunse.<br />

«Sì!?» l’uomo era tutt’orecchi.<br />

«Senti, Placido, cosa ne pensi di <strong>una</strong> <strong>suora</strong> o monaca che <strong>una</strong> bella mattina parte<br />

da un paese della Svizzera, sul Lago Maggiore, prende <strong>il</strong> vaporetto o l’aliscafo e<br />

scende a Locarno; poi sale sul treno della Vigezzina, <strong>il</strong> treno dei frontalieri che<br />

collega Locarno a Domodossola. Scende di nuovo, alla prima stazione in territorio<br />

italiano. Poi prende la cabinovia, raggiunge i 900 - 1000 metri di quota, quindi si<br />

inerpica sulla montagna fino ad arrivare ad <strong>una</strong> baita diroccata dove viene<br />

trovata morta. Di primo acchito, senza riflettere cioè, secondo te <strong>per</strong>ché la <strong>suora</strong> è<br />

morta, <strong>per</strong> quale ragione voglio dire: suicidio od omicidio?»<br />

«E che ne so, dottò. I particolari dovrebbe darmi, i particolari».<br />

«Già, già» bofonchiò Boccia, «i particolari… Vai pure, grazie.».<br />

«S’immagini, dottò» finì Placido che non si era scaldato più che tanto al discorso<br />

del dottore. ‘Per <strong>una</strong> <strong>suora</strong> poi’, pensò.


Lunedì 31/08/…<br />

Quella mattina Boccia si sentiva svagato, senza energia, come se la notte non gli<br />

avesse portato consiglio, ma <strong>una</strong> certa ebetudine che lui stesso, risvegliandosi,<br />

non era riuscito ad attribuire ad alcunché. C’era e basta. Uno di quei risvegli<br />

storti insomma che mettono in forse tutta la giornata. Boccia in ogni caso,<br />

appena sveglio, aveva subito immaginato che quella carica di malumore che si<br />

sentiva in corpo l’avrebbe, suo malgrado trasferita alle carte dell’ufficio, o a quei<br />

due o tre che gli sarebbero immancab<strong>il</strong>mente capitati a tiro.<br />

Lui <strong>per</strong>ò, <strong>per</strong> l’età giovane o <strong>per</strong> carattere, trovava necessario non infierire nei<br />

rapporti di lavoro, lasciando fuori dalla porta i malumori accumulati <strong>per</strong> ragioni,<br />

o non ragioni, strettamente <strong>per</strong>sonali; si riteneva <strong>per</strong>altro <strong>una</strong> <strong>per</strong>sona dai modi<br />

garbati, affab<strong>il</strong>e <strong>per</strong> tem<strong>per</strong>amento e pronto anche, se del caso, alla battuta<br />

scherzosa, mai volgare.<br />

Immerso dunque nei suoi pensieri con l’impegno preciso della compostezza e del<br />

rigore nonostante gli impulsi in senso contrario, Boccia era arrivato al palazzo di<br />

giustizia. Aveva su<strong>per</strong>ato <strong>il</strong> tragitto casa-ufficio con calma studiata, a piedi, in<br />

modo da sentire di mattina presto – come diceva lui- ‘<strong>il</strong> respiro della città’. Oh, lui<br />

non amava tirar tardi la sera, né la mattina farsi aspettare sul posto di lavoro,<br />

diversamente dall’uso e abuso di certi colleghi.<br />

La città delle prime ore – con i suoi mercati, riti del pane e del caffè, teorie di<br />

macchine e scolari impaludati nei grembiulini bianco-azzurri quando c’è scuola –<br />

dà di sé quasi <strong>una</strong> immagine oleografica, di tranqu<strong>il</strong>la sicurezza si può dire.<br />

Nulla di tutto questo <strong>per</strong>ò c’era in quella mattina di fine agosto. La città si<br />

presentava spoglia anche se lasciava f<strong>il</strong>trare <strong>una</strong> sua carica di dolcezza e<br />

amab<strong>il</strong>ità, giocando con le ombre e i colori al comando del sole <strong>il</strong> quale, già<br />

luminoso e caldo, saliva con studiata lentezza i gradini invisib<strong>il</strong>i di un arco<br />

costruito nel cielo. Nei giardini intanto gli uccelli si facevano sentire con pigolii<br />

insistiti tanto da richiamare alla finestra dei palazzi vicini qualche giovane<br />

curiosa. Malgrado questo quadro godib<strong>il</strong>e e tranqu<strong>il</strong>lo, Boccia non riusciva a<br />

smaltire con l’aria fresca <strong>il</strong> suo malumore inf<strong>il</strong>tratosi come un intruso tra i suoi<br />

dubbiosi pensieri.<br />

«Dottore, un mazzetto» lo assalì <strong>una</strong> zingara grassa e grossa offrendogli fiori di<br />

campo.<br />

«Non mordono» aggiunse più conc<strong>il</strong>iante nei riguardi del passante in chiaro<br />

imbarazzo.<br />

«Sono genziane del Pian di Strì» aggiunse ancora. «Contro la rabbia e <strong>il</strong> mal di<br />

stomaco».<br />

Boccia non volle sa<strong>per</strong>e altro. Tirò fuori <strong>una</strong> carta moneta malamente strapazzata<br />

e gliela porse ricevendone <strong>per</strong> corrispettivo ciò che non voleva.<br />

«Tieni» disse subito a Placido, seduto al tavolo d’ingresso, allungandogli <strong>il</strong><br />

mazzetto incriminato.<br />

Entrato in ufficio, Boccia non si risolse ad occupare immediatamente <strong>il</strong> suo posto<br />

di lavoro, ché anzi lo temette come un luogo di qualche misterioso <strong>per</strong>icolo.<br />

Quella sua ampia scrivania di noce chiaro se la rappresentò anche con valenze di<br />

morta cosa, un continente <strong>per</strong> esempio, da circumnavigare con circospezione <strong>per</strong>


puntare poi ad altro. Si trovò così davanti alla finestra che dava sulla piazza, con<br />

la mano destra a scostare appena la grande tenda che pioveva dall’alto, e la<br />

sinistra nell’atto di chiudersi a pugno dietro la schiena, con un gesto che sapeva<br />

di rabbia e difesa insieme.<br />

Dunque Flavia era lontana, a Locarno, col suo lago davanti. Lui, davanti, aveva la<br />

piazza che nell’ora si stava pian piano animando di turisti, da o <strong>per</strong> <strong>il</strong> confine<br />

svizzero in ragione del turn-over delle ferie, ovvero di gente del luogo e dintorni in<br />

giro <strong>per</strong> le faccende di sempre.<br />

Flavia era là, o <strong>per</strong> meglio dire al di là dei monti, con le sue guance a fossette, la<br />

sua esuberanza di giovane donna, la sua gioia di vivere. Come cittadina svizzera<br />

abituata all’ordine e alla precisione, a quell’ora doveva già essere dietro al banco<br />

della sua piccola boutique pronta a ricevere i clienti; o in vetrina a impegnare lo<br />

spazio esistente con garbo e fantasia. La cifra giusta di gusto e signor<strong>il</strong>ità capace<br />

di attirare al volo l’attenzione dei passanti. Naturalmente - di lato ai manichini,<br />

vestiti da blazer e corpetti - non mancavano mai i fiori.<br />

Anche lì, sulla piazza, Boccia vedeva alberi, fiori e ancora fiori. Ma questi non gli<br />

davano gioia, diversamente da quelli che la sola presenza di Flavia sembrava<br />

<strong>il</strong>luminare. Ora si stava chiedendo se davvero quell’incontro, avuto con lei<br />

qualche tempo prima, non gli avesse portato solo passione e adibizione dei sensi,<br />

ma anche <strong>il</strong> suggello di un sentimento che non voleva ancora <strong>per</strong> sé. Troppo<br />

impegnativo <strong>per</strong> la sua volontà, troppo a rischio anche, <strong>per</strong> uno come lui che giù<br />

al paese aveva la fama di rubacuori– passare come un’ape da fiore e fiore, suggere<br />

<strong>il</strong> miele e via.<br />

Ed invece eccolo lì a pensare alle guance a fossette, ai capelli neri, tagliati a<br />

frangia sulla fronte e a zazzera dietro, agli occhi verde-viola in cui lui si <strong>per</strong>deva.<br />

Si <strong>per</strong>deva soprattutto l’uomo vissuto che si imponeva di essere. L’uomo semina –<br />

si diceva – e la donna raccoglie; l’uomo suona <strong>il</strong> suo strumento e lo strumento<br />

risponde. Perché dare musica al vuoto che c’è dentro lo strumento? Perché dare<br />

vita alle ombre? Una corda pizzicata non è un pensiero solenne; la musica poi è<br />

fatta <strong>per</strong> essere goduta, semplicemente.<br />

Un leggero, ma nitido picchiettio di nocche sulla porta lo fece trasalire.<br />

«Avanti!» comandò, con un tono così duro e im<strong>per</strong>ioso che meravigliò pure lui.<br />

«Dottò, ‘na lettera…» disse Placido entrando con quella a porgere nella destra.<br />

«Metti pure lì» disse a sua volta Boccia indicando la vaschetta a ricevere sulla<br />

scrivania mentre <strong>per</strong> un attimo lasciava la presa della tenda, libera ora di<br />

rioccupare l’originaria posizione in linea con la legge di gravità. Per Boccia, nel<br />

frangente, era stato necessario voltarsi, offrirsi in qualche modo a al nuovo<br />

venuto e rispondere. Col che i suoi pensieri, liberati dall’attenzione, erano volati<br />

via come uccelli dalla gabbia.<br />

«Scusi, dottò…» disse ancora Placido riemergendo da dietro la porta socchiusa.<br />

«Che c’è?» chiese quasi stizzito <strong>il</strong> dottore evocato.<br />

«C’è che i fiori, sì le genziane, sono di Pian di Strì».<br />

«E allora!?»<br />

«Il Pian di Strì, dottò, si trova sul Monte Gridone, proprio qui, di fronte a<br />

Domodossola».<br />

«D’accordo, ma che c’entra ora, che c’entra?».


«Dottò, mi scusi davvero non sa? »<br />

«…»<br />

«Il Pian di Strì, sul Monte Gridone, è un luogo dove si raccolgono le streghe. Mi<br />

sono informato».<br />

«…!?»<br />

«Ogni notte della settimana un trattamento speciale, me lo sono scritto qui:<br />

lunedì notte: streghe che impauriscono i viandanti;<br />

martedì notte: megere che insinuano la gelosia tra gli sposi, incantano i<br />

bambini e<br />

danneggiano le famiglie in genere;<br />

mercoledì notte: libertini e prostitute sotto forma di capre, caproni e vampiri;<br />

giovedì notte: streghe specializzate in pratiche abortive;<br />

venerdì notte: capi-stregoni che devono organizzare la riunione del giorno<br />

successivo;<br />

sabato notte: ‘Sabba’ generale con balli e orge erotiche.<br />

Che dice, dottò, eh, che dice?»<br />

Il dottore in questione, più che dire, voleva vomitare impro<strong>per</strong>i, maledizioni,<br />

valanghe di ‘da’ e ‘<strong>per</strong>’ indirizzati ai luoghi più malfamati della terra, ma<br />

l’ingenuità santa di Placido, la di lui frequentazione, <strong>il</strong> suo buon carattere gli<br />

impedirono di dire alcunché.<br />

«È <strong>per</strong> questo, dottò, mi scusi» aggiunse ancora l’Intromesso «che non posso<br />

tenere…quei fiori. Mi spiace proprio»<br />

«Al diavolo i fiori» urlò allora Boccia, «e anche le streghe!»<br />

Ma Placido stavolta era stato lesto a sottrarsi al gent<strong>il</strong>e dispensatore di fiori <strong>per</strong><br />

guadagnare luoghi meno turbinosi. Le genziane finirono così nel cestino dei<br />

rifiuti. Placido le guardò <strong>per</strong>dute, mentre <strong>il</strong> suo viso assunse un che di boffice con<br />

un pizzico di considerazione sulla vanità delle cose.<br />

Boccia intanto era rimasto come folgorato dalla collera. Si risolse infine a fare due<br />

passi in direzione della scrivania, prese la lettera appena consegnata, diede ad<br />

essa un’occhiata del tutto su<strong>per</strong>ficiale, sul retto e sul verso, <strong>per</strong> poi deporla<br />

immediatamente con <strong>una</strong> sorta di degnazione, visto che non apparteneva a Flavia<br />

neppure in via d’<strong>ipotesi</strong>.<br />

Si sprofondò quindi in <strong>una</strong> delle due poltroncine destinate agli ospiti, accavallò le<br />

gambe, giustappose, mani sull’adipe, le punte delle dita a raggiera, in un<br />

atteggiamento che, probab<strong>il</strong>mente <strong>per</strong> lui, doveva essere di riflessione e invece era<br />

di vuoto assoluto. Accorgendosi di quanto inut<strong>il</strong>e fosse questo atteggiamento –<br />

quasi <strong>per</strong>corso da <strong>una</strong> scossa elettrica o da un’idea -, Boccia si alzò di scatto, fece<br />

qualche passo in direzione della finestra ancora non lumeggiata, scostò di nuovo<br />

la tenda e guardò decisamente fuori, sulla piazza. Perché aveva sentito l’obbligo di<br />

controllare? Non lo sapeva. Non vide comunque nulla che lo potesse interessare,<br />

almeno così credette, e lasciò quindi andare la tenda, come prima lentamente, al<br />

suo destino.<br />

Ritornò alla scrivania, questa volta <strong>per</strong>ò dalla parte giusta, <strong>per</strong> occuparsi<br />

finalmente di quella lettera la quale, <strong>per</strong> <strong>il</strong> fatto di essere sprovvista delle


caratteristiche usuali delle buste di Stato, gli dava da pensare ad un impiccio, a<br />

un fastidio, a un problema nuovo. Santiddio, dopo tutto era ancora agosto! Aprì<br />

infine la busta col tagliacarte e scorse velocemente <strong>il</strong> testo della lettera che vi era<br />

dentro alla ricerca della firma.<br />

«Anonima!» esclamò tra sé colpito da un sùbito timore.<br />

«Un lettera anonima».<br />

Su<strong>per</strong>ata la sorpresa, si decise ad affrontare <strong>il</strong> testo. Lesse.<br />

PRIMA LETTERA<br />

Amore mio ora e sempre,<br />

averti avuto tra le braccia è stata <strong>una</strong> fort<strong>una</strong><br />

incalcolab<strong>il</strong>e ed <strong>una</strong> felicità inesprimib<strong>il</strong>e. Vengo fuori ora dal tuo letto e tutte le<br />

enfasi sono buone come l’aria e l’acqua, naturali come la pioggia, <strong>il</strong> vento, <strong>il</strong> tuono e<br />

<strong>il</strong> radioso esprimersi dell’arcobaleno.<br />

Il tuo letto, amico mio, è <strong>il</strong> regno dell’ineffab<strong>il</strong>e. D’altra parte, <strong>per</strong>ché non gioire ora<br />

che <strong>il</strong> mio cuore è ancora caldo caldo del tuo amore come un pane appena sfornato?<br />

Perché non cogliere tutte le fragranze, gli odori, i suoni che solo ora mi si presentano<br />

con <strong>una</strong> verità ed <strong>una</strong> forza mai prima avvertite?<br />

Davvero un incredib<strong>il</strong>e atto di magia, tutta l’aria suona e risuona di meravigliosi<br />

canti mentre un’orchestra invisib<strong>il</strong>e propone un tema dallo svolgimento<br />

accattivante come <strong>una</strong> seta raffinata la cui struttura richiami disegni di particolare<br />

forza e delicatezza insieme.<br />

Il tuo letto, amico mio, è un cesto di viole, di anemoni, di petunie; <strong>il</strong> tuo letto, amico<br />

mio, cresce <strong>il</strong> papavero e l’incantesimo. Quando si è venuti fuori dal tuo letto, amico<br />

mio, non si è più di questa terra. Si odora di profumi, effluvi che hanno trovato<br />

alimento da <strong>una</strong> linfa eterna, complici gli angeli e gli arcangeli del cielo. Quando si<br />

è venuti fuori dal tuo letto, amico mio, si è come vinti da <strong>una</strong> grande pace e<br />

serenità. Ciò che si è compiuto è <strong>il</strong> mistero, si è passati attraverso <strong>il</strong> liuto e<br />

l’unicorno ed ora si bazzica nell’ovvio quotidiano con <strong>una</strong> felice aria di corposa<br />

gratitudine <strong>per</strong> ciò che è successo, che dovrebbe succedere sempre, e che invece è<br />

così diffic<strong>il</strong>e che succeda.<br />

La mia anima, mio caro, è ora proprio come <strong>una</strong> barca che beccheggia tranqu<strong>il</strong>la al<br />

riparo di <strong>una</strong> baita incantata. Chiudo gli occhi e sogno azzurro, li apro e leggo verde<br />

su <strong>una</strong> vegetazione lussureggiante, tropicale, verde, col bianco di <strong>una</strong> rena<br />

finissima. Sono proprio così, <strong>una</strong> barca che si culla con la piccola onda del mare. Se<br />

un uccello del cielo manda strepiti, io dico che sono richiami; s’è <strong>per</strong>sa la sua bella<br />

e vuole che ritorni, di nuovo tutta <strong>per</strong> sé.<br />

Oh, <strong>per</strong>ché la natura è vicina a me quando sono felice? Perché tutto mi sembra<br />

appunto naturale quando sono felice? Quando ti dico, anima mia, non temere, apri<br />

<strong>il</strong> tuo cuore a me, lo dico <strong>per</strong>ché, in quel preciso momento, posso accettare tutto od<br />

ogni cosa di te.<br />

È incredib<strong>il</strong>e, infatti, come io possa accettare gli approcci più infamanti, le fantasie<br />

più spinte, le prove più strane quando, all’apice del godimento, sono laddove c’è Dio<br />

e la mia anima. Ma tu sei l’artefice, tu che hai suoni divini su un flauto di canne, tu


che apri le porte con magico incanto, tu che sciogli un miele fatto pietra dall’ottusità,<br />

dalla cattiveria.<br />

Oh, non so proprio esprimere <strong>il</strong> mio canto. Le mie parole non hanno tutte le<br />

frequenze o valenze, non hanno <strong>il</strong> punto e l’accapo, <strong>il</strong> piano e <strong>il</strong> forte, l’accento o <strong>il</strong><br />

verso lieve; le mie parole sono solo flato, vento, aria che mi sfugge dalla bocca dal<br />

momento in cui hai potuto toccare con maestria estrema <strong>il</strong> tasto di uno strumento<br />

inviolato.<br />

Lo dico davvero con letizia e sbalordimento, amico mio: non credevo <strong>il</strong> mio<br />

strumento capace a un tempo di tanta forza e malia. Non credevo, amico mio, di<br />

essere vergine e madre, santa e puttana; non credevo che <strong>il</strong> miele fosse incapsulato<br />

in un favo così recondito e inaccessib<strong>il</strong>e, non credevo che <strong>il</strong> vento fosse un corpo col<br />

quale portare la mia anima al cielo.<br />

Come vedi, mio caro, uso tutte le enfasi, come ti ho già detto, e non me ne vergogno,<br />

uso tutti i belletti, <strong>per</strong>ché non sono <strong>una</strong> donna vecchia grassa e brutta, ma sono<br />

giovane e posso <strong>per</strong>mettermi ciò che voglio senza parere ridicola.<br />

Qualcuno mi canzonerebbe forse se mi colorassi di rosso le labbra, oppure di viola <strong>il</strong><br />

naso e di verde gli occhi? Oppure che mi acconciassi i capelli a gallo vestendoli di<br />

rosa o di verde o di giallo? Oppure che mi vestissi – pazzia <strong>per</strong> pazzia – in ogni sua<br />

parte di nero lasciando sco<strong>per</strong>te le sole mammelle come <strong>una</strong> scultura o <strong>una</strong><br />

fontana?<br />

No, nessuno potrebbe mai canzonarmi <strong>per</strong>ché la mia natura non è morta o corrotta,<br />

ma sprigiona scint<strong>il</strong>le da ogni poro della pelle, da ogni punto delle pup<strong>il</strong>le, da ogni<br />

dito delle mani. La mia natura è fresca, la pelle candida, l’occhio di <strong>fuoco</strong> da<br />

quando <strong>il</strong> tuo amore è passato portando colori e vitalità a me sconosciute.<br />

Ecco <strong>per</strong>ché, amico mio, <strong>il</strong> tuo letto è la culla delle mie dolcezze e un antro dove si<br />

sfornano sorrisi.<br />

Dopo, la paura non potrà più nulla su di me, nulla <strong>il</strong> vento e <strong>il</strong> buio. Verranno<br />

tempeste e <strong>il</strong> canto del gufo, io sono pronta, anche a vivere nell’eterno. Ma <strong>per</strong> <strong>il</strong><br />

momento, amico mio, dormo accanto a te e, sul tuo petto, mi dico beata.<br />

Tua B.<br />

Boccia strabuzzò gli occhi. Poi li alzò increduli dai fogli. Che significava quella<br />

lettera? Dopotutto non era proprio anonima, <strong>per</strong>ché in calce appariva quel ‘tua<br />

B.’, con uno sgorbio a seguire che poteva essere inteso come un punto venuto<br />

male o un nome solo siglato, cioè ‘tua B.’ oppure ‘tua Brigida, Berta e, che so,<br />

Bernarda’.<br />

Prese allora la busta e la osservò con cura:<br />

‘Al Dottor Francesco Boccia’, diceva. ‘Piazza’ eccetera. Il tutto naturalmente<br />

datt<strong>il</strong>oscritto, mentre <strong>il</strong> foglio, all’interno, era scritto a mano.<br />

‘Che cosa strana’, pensò Boccia. ‘Una lettera d’amore, a me’. Forse la delazione di<br />

<strong>una</strong> donna gelosa? O, invece, <strong>una</strong> minaccia camuffata? Ma lui che c’entrava? Non<br />

gli risultava davvero che <strong>il</strong> suo nome potesse significare qualcosa <strong>per</strong> qualcuno,<br />

tranne che <strong>per</strong> Flavia naturalmente. E poi… e poi la busta non era né affrancata<br />

né timbrata. Era stata forse portata a mano? In questo caso <strong>per</strong>ò non avrebbe


avuto senso l’indirizzo. E se invece…’. Si buttò sul pulsante di richiamo <strong>per</strong><br />

l’anticamera.<br />

«Placido!» urlò quasi all’uomo affacciatosi sulla porta.<br />

«Dica, dottò».<br />

«Chi ha portato questa lettera?» chiese Boccia con affanno mostrando la busta.<br />

«Nessuno, dottò».<br />

«Come, nessuno!».<br />

«Me l’ha data l’Ufficio Protocollo».<br />

«E come ci è arrivata».<br />

«Ah, non so. Comunque posso sentire».<br />

«Sì, senti. Ma poi fa presto».<br />

Placido si ritirò, riapparendo di lì a poco.<br />

«Dottò, come immaginavo. Era dentro a <strong>una</strong> busta più grande, regolarmente<br />

protocollata».<br />

«Portamela».<br />

«Sì, subito».<br />

Passarono pochi minuti, sufficienti tuttavia ad innervosire ancor più Boccia.<br />

«Allora, l’hai trovata?» urlò Boccia affacciandosi sulla porta dell’ufficio.<br />

«Sì, dottò» rispose Placido in affanno, di ritorno dall’Ufficio Protocollo.<br />

Boccia afferrò la busta che Placido si sforzava di porgergli e si rinchiuse nel suo<br />

ufficio. Sedutosi, guardò e riguardò quell’oscuro oggetto del reato. Era <strong>una</strong><br />

normale busta d’affari arancione, più grande della prima, regolarmente affrancata<br />

e timbrata.<br />

Domodossola 31 agosto…, recitava <strong>il</strong> timbro dai contorni netti, leggib<strong>il</strong>issimo.<br />

Questa volta l’indirizzo era diverso, sempre datt<strong>il</strong>oscritto <strong>per</strong>ò.<br />

‘Alla Pretura - Sezione Distaccata di…Piazza…Domodossola’.<br />

Doppia busta quindi, quella interna specifica <strong>per</strong> lui, Boccia.<br />

‘Pretura?! Che significa infine tutto questo?’, si ridisse, mentre si <strong>per</strong>cuoteva <strong>il</strong><br />

palmo della mano sinistra con la busta incriminata tenuta ben ferma tra <strong>il</strong> pollice<br />

e l’indice della mano destra.<br />

‘Che significa?’, si ripeté. Nessun fatto o comportamento della sua vita privata<br />

ovvero pubblica – che lui sapesse – poteva spiegare l’arrivo di quella lettera,<br />

<strong>per</strong>altro toccante. Una passione fuori dal comune. Davvero fuori dal comune, fece<br />

eco dentro di sé. Boccia allora cercò di considerare o ragionare.<br />

Escludeva la vita privata. L’amoruccio <strong>per</strong> Flavia era appena agli inizi, non<br />

conosceva rivali <strong>per</strong> lei né al Nord, né al Sud in Sic<strong>il</strong>ia dove ogni anno sbarcava,<br />

come un trionfatore, quando tornava a rivedere papà e mamma. ‘Pathe e mathe’,<br />

come gli veniva da dire, naturalmente con la th detta con l’inflessione catanese.<br />

Dunque rimaneva la sua vita pubblica. Ma a Domodossola succedeva poco o<br />

nulla: fatti di ordinario contrabbando, qualche guaio alla frontiera con i doppi<br />

fondi di qualche Tir, qualche omicidio di tanto in tanto; delitto magari colposo o<br />

preterintenzionale, raro invece quello doloso.<br />

Figurarsi! Oltretutto a Domodossola era di passaggio: aveva già richiesto infatti<br />

un’altra sede. Quindi omicidi niente, sui…La parola gli si spezzò sulle labbra.<br />

Perché alla parola suicidio gli era tornato in mente <strong>il</strong> fatto, quasi dimenticato,<br />

della <strong>suora</strong> trovata morta in cima ad un monte? Perché?


Boccia riprese l’incartamento, messo da parte in attesa dei risultati degli esami<br />

chimico-tossicologici. ‘Lei, come si chiamava?’, si chiese. ‘Ecco, Bianca<br />

Voltolini…E la lettera, sostanzialmente anonima, finisce <strong>per</strong> l’appunto con <strong>una</strong> B.<br />

Quella B non potrebbe stare <strong>per</strong> Bianca?’<br />

Boccia ora era tutto sossopra, in agitazione. Aveva trovato qualcosa che gli<br />

solleticava l’intelligenza sempre pronta a sposarsi con la pigrizia, ma dutt<strong>il</strong>e e<br />

pronta se chiamata a dar prova di sé nei casi diffic<strong>il</strong>i. Quando <strong>per</strong> l’appunto era<br />

necessario trovare al più presto <strong>il</strong> bandolo della matassa.<br />

Comunque – si diceva – doveva sa<strong>per</strong>ne di più, doveva conoscere meglio la<br />

<strong>per</strong>sonalità della <strong>suora</strong>; era di lì che doveva partire, a scavare nel <strong>per</strong>sonaggio, se<br />

voleva supportare le indagini di <strong>ipotesi</strong> appena credib<strong>il</strong>i. Pensò allora che la cosa<br />

più semplice e immediata da farsi era quella di telefonare alla madre su<strong>per</strong>iora<br />

della casa di riposo che già gli era stata ut<strong>il</strong>e <strong>per</strong> l’identificazione del cadavere in<br />

tonaca. Si risolse quindi ad ut<strong>il</strong>izzare <strong>il</strong> telefono. Cercò l’agenda. Trovatala, la<br />

consultò, ma poi la mise subito da parte: <strong>il</strong> numero della casa di riposo non<br />

poteva essere certamente lì. Si ricordò infatti che l’aveva scritto su un foglietto.<br />

Probab<strong>il</strong>mente ancora tra gli appunti che teneva sulla scrivania a sinistra, proprio<br />

a ridosso della base della lampada ultramoderna in nero fumo che si era fatto<br />

comprare di recente.<br />

‘Eccolo’, pensò. Alzò la cornetta del telefono e compose <strong>il</strong> numero sulla tastiera.<br />

«Pronto?» rispose <strong>una</strong> voce.<br />

«V<strong>il</strong>la Serena?»<br />

«Sì».<br />

«Buongiorno, sono <strong>il</strong> dottor Boccia, da Domodossola. S<strong>per</strong>o che si ricordi di me.<br />

Lei è suor Aspasia, la madre su<strong>per</strong>iora, vero? »<br />

«Per servirla».<br />

«Scusi <strong>il</strong> disturbo, madre. Ma ho necessità di acquisire ulteriori elementi su quella<br />

<strong>suora</strong>, suor…»<br />

«Giacinta».<br />

«Esatto, quella poveretta che è stata trovata morta qui sui nostri monti. Non c’è<br />

ness<strong>una</strong> complicazione <strong>per</strong> lei, s’intende. Desidero solo poter chiudere <strong>il</strong> caso al<br />

più presto con qualche certezza. Senta, mi può ragguagliare circa <strong>il</strong><br />

comportamento della <strong>suora</strong> prima del fatto? Se aveva qualche problema di salute,<br />

eccetera. Insomma, qualsiasi fatto anche minimo che possa far luce sul caso. Se<br />

poi dovesse esserle di imbarazzo questa mia richiesta via telefono, procurerò di<br />

metterla a maggior agio con <strong>una</strong> visita <strong>per</strong>sonale, riservatissima. Tenga presente<br />

che le sto parlando in via del tutto informale. Allora, che mi dice?»<br />

«Mah, dottore, temo di non poter esserle di alcun aiuto. La faccenda è molto<br />

semplice, senza risvolti segreti, voglio dire. Suor Giacinta aveva chiesto un po’ di<br />

riposo, tutto qui. Il suo comportamento negli ultimi mesi non aveva subito<br />

modificazioni di sorta. Assisteva con l’amore di sempre i dieci anziani non<br />

autosufficienti, più <strong>una</strong> coppia, marito e moglie; <strong>una</strong> coppia autosufficiente, ma<br />

<strong>per</strong> la verità un po’ turbolenta. Lavorava giorno e notte e non era mai stanca.<br />

Aveva annunciato che avrebbe passato qualche giorno di vacanza a casa della<br />

madre, a Russo, sopra Locarno…»<br />

«Questo <strong>il</strong> 15 marzo…»


«Certo, <strong>il</strong> 15 marzo».<br />

«Poi?»<br />

«Poi niente. Qualche giorno dopo telefona la madre da Russo chiedendo della<br />

figlia. Solo a questo punto mi sono resa conto che a suor Giacinta doveva essere<br />

successo qualcosa di spiacevole. E allora mi sono rivolta alla guardia cantonale<br />

<strong>per</strong> le ricerche del caso. Tutto qui».<br />

«Lei pensa…Lei pensa che suor Giacinta potesse avere qualche <strong>per</strong>sona non<br />

proprio amica, <strong>per</strong> così dire. Qualcuno che le volesse del male? »<br />

«Oh, no assolutamente. Come le ho detto, la sua vita si svolgeva sempre tra<br />

queste quattro mura; con un amore ed <strong>una</strong> dedizione <strong>per</strong> i suoi vecchi che, a<br />

volte, potevano apparire anche eccessivi, ma pur sempre col sorriso sulle labbra,<br />

come se la fatica non le pesasse. Quindi, dentro questa vita, fuori solo qualche<br />

scappata dalla madre; oppure a fare acquisti, era l’unica infatti autorizzata a<br />

guidare la macchina».<br />

«Acquisti!? »<br />

«Sì, medicinali soprattutto. Perché lei era la più competente anche in questo. I<br />

vecchi – può immaginare – sono sempre bisognosi di cure…»<br />

«Quindi nessun nemico, o nemica. Ness<strong>una</strong> invidia».<br />

«Ma non ci pensi neppure, dottor Boccia. Quella poveretta è stata trovata morta,<br />

d’accordo. Ma un malore può capitare a tutti, non crede? »<br />

«Ma <strong>il</strong> <strong>per</strong>ito, <strong>il</strong> medico legale, ha chiesto…»<br />

«Lasciamola riposare in pace, è molto meglio. Anche se <strong>per</strong> noi tutte è<br />

inconcepib<strong>il</strong>e che abbia fatto <strong>una</strong> fine così triste…in Italia poi».<br />

«Appunto».<br />

«Appunto niente! Mi scusi se sono brusca, ma non ho altro da dirle».<br />

«La ringrazio tanto madre, la ringrazio».<br />

«Buongiorno».<br />

Boccia mise giù la cornetta con <strong>una</strong> certa insoddisfazione, <strong>una</strong> sorta di<br />

inquietudine. Certo, <strong>per</strong>ché non credere al malore, anche se un tantino assurdo<br />

dati <strong>il</strong> luogo e l’età della vittima. Dopotutto <strong>il</strong> <strong>per</strong>ito aveva chiesto tempo solo <strong>per</strong><br />

poter far effettuare gli esami chimico-tossicologici, nient’altro. Tuttavia non<br />

parevano esserci, allo stato, elementi a favore di un’<strong>ipotesi</strong> diversa da quella già<br />

formulata. Allora <strong>per</strong>ché quella lettera anonima? Quella lettera con, dentro, <strong>una</strong><br />

carica di amore e di passione da scuotere chiunque avesse la ventura di<br />

trovarsela tra le mani.<br />

Che la lettera riguardasse <strong>il</strong> caso non c’erano dubbi, anche se in essa non<br />

apparivano nomi, fatti o situazioni che potessero deporre in tal senso. Boccia, a<br />

questo proposito, si dichiarava sentimentale, quando invece avrebbe dovuto<br />

essere freddo e pragmatico come un inglese. Lui che si vantava tra l’altro di<br />

essere all’avanguardia del concepire l’organizzazione degli uffici giudiziari, tanto<br />

che aveva sollecitato chi di dovere <strong>per</strong> l’acquisto di un computer. Un <strong>per</strong>sonal –<br />

aveva detto -, solo un <strong>per</strong>sonal su cui contare <strong>per</strong> fatti e misfatti della zona di<br />

competenza della Procura-Sezione Distaccata di Verbania, date e nomi inseriti in<br />

memoria <strong>per</strong> un ut<strong>il</strong>izzo in tempo reale a fronte delle necessità del momento.


Ma un mezzo anche, <strong>il</strong> computer, - si diceva – <strong>per</strong> poter mettere a frutto i suoi<br />

primi studi di logica simbolica insieme a quelli di programmazione:<br />

“Se Beethoven è morto, allora l’Andrea Doria è affondato”.<br />

“Se <strong>il</strong> Monte Rosa è rosa, allora <strong>il</strong> Monte Rosa è colorato”.<br />

Implicazione Materiale e Implicazione Rigida, logica appunto. Computer,<br />

programmazione, hardware, software – le parole che aveva appena conosciuto. Ma<br />

degne di interesse erano anche le tecniche contigue del calcolo binario con i suoi<br />

due ‘bit’ informativi: uno–zero, come presenza-assenza, oppure Dio o <strong>il</strong> nulla.<br />

Gli suggerivano, quelle tecniche, la necessità di cercare pochi pensieri dalla cui<br />

combinatoria derivare tutti gli altri, come accade <strong>per</strong> i numeri.<br />

Ebbene, un tipo come lui, che si piccava di essere freddo e calcolatore, cinico<br />

<strong>per</strong>fino, ora, <strong>per</strong> quel caso, senza dati obiettivi in mano ‘sentiva’ – proprio così –<br />

sentiva che tra i due fatti – la morte di suor Giacinta e la lettera anonima, giunta<br />

così <strong>per</strong> tempo – c’era un nesso. Il che pareva suggerire un fatto delittuoso.<br />

Premeditato o no. Perché escludere infatti l’omicidio casuale? Perché escludere<br />

che l’incontro tra uno spallone assatanato e la <strong>suora</strong> fosse stato all’origine di<br />

quella tragica morte?<br />

Oh, lui adesso proprio non ci si raccapezzava. Poteva chiedere a…Boccia, a quel<br />

pensiero, saltò quasi sulla poltrona. Realizzò che, a distanza di giorni, non aveva<br />

ancora informato <strong>il</strong> dottor Almisano, della Procura Circondariale di Verbania, cui<br />

faceva sempre riferimento nei casi dubbi o di diffic<strong>il</strong>e interpretazione.<br />

«Pronto, dottor Almisano? »<br />

«Sì» fece eco <strong>una</strong> voce masch<strong>il</strong>e dall’altro capo del f<strong>il</strong>o.<br />

«Sono <strong>il</strong> dottor Francesco Boccia, da Domodossola. C’è stato un caso, dottore, <strong>una</strong><br />

<strong>suora</strong> trovata morta su di un monte della Val Vigezzo. All’apparenza un suicidio.<br />

Ho disposto naturalmente subito <strong>per</strong> l’autopsia, ma <strong>il</strong> <strong>per</strong>ito ha chiesto dai 30 ai<br />

60 giorni di tempo <strong>per</strong> fornire gli esiti degli esami chimico-tossicologici».<br />

«E allora? »<br />

«E allora, dottore, non ho ancora tutti gli elementi sufficienti <strong>per</strong> archiviare <strong>il</strong><br />

caso. Anche <strong>per</strong>ché si è si è verificato qualche fatto strano, proprio di stamani».<br />

«Bene, dottor Boccia. Vuol dire che lei, nell’ambito della pre-istruzione – diciamo<br />

così, continua le sue brave indagini, questo <strong>il</strong> mio consiglio. Se dovessero sorgere<br />

complicanze, notizie di notevole r<strong>il</strong>evanza penale, mi faccia pure sa<strong>per</strong>e».<br />

«D’accordo, dottore. Sarà mia premura».<br />

«Prudenza comunque» continuò <strong>il</strong> dottor Almisano «visto che si tratta pur sempre<br />

di <strong>una</strong> religiosa, ticinese <strong>per</strong> giunta. L’indagine – lei mi insegna – può far<br />

emergere fatti inediti di particolare delicatezza attinenti più che altro alla sfera<br />

privata, sfera privata che ognuno di noi vorrebbe vedere salvaguardata anche di<br />

fronte ai provvedimenti, di più immediata necessità e urgenza, previsti <strong>per</strong> legge.<br />

D’altra parte è solo lei che può valutare, in loco – ne ha l’autonomia-,<br />

l’atteggiamento più congruo da tenere in relazione alle circostanze del momento.<br />

Sempre che esistano indizi sufficienti a suggerire esiti diversi da quello<br />

prefigurato. Accortezza e prudenza, dunque. Io intanto non l’abbandonerò. Vedrò<br />

di abboccarmi col procuratore sottocenerino, <strong>per</strong> ogni evenienza».<br />

«La ringrazio, dottore. La ringrazio».


«Bene. Allora a risentirci, dottor Boccia».<br />

Boccia rimise la cornetta del telefono al suo posto, ma si soffermò a pensare tra<br />

sé e sé. Col che si distese all’indietro costringendo lo schienale della poltrona ad<br />

inclinarsi di quel tanto sufficiente a fargli accavallare le gambe. Aveva sentito <strong>il</strong><br />

dottor Almisano e chiesto consiglio, ora poteva dirsi tranqu<strong>il</strong>lo quanto alle<br />

decisioni prese e da prendere in un caso certamente delicato. Meno tranqu<strong>il</strong>lo<br />

invece si sentiva <strong>per</strong> l’<strong>ipotesi</strong> di omicidio che <strong>per</strong> la prima volta si trovava ad<br />

affrontare con <strong>una</strong> certa concretezza. Questa <strong>ipotesi</strong> stava crescendo dentro di lui<br />

con <strong>una</strong> sorta di virulenza, quasi <strong>una</strong> strada da seguire nell’indagine non più<br />

secondaria e di scarso peso, ma di pari dignità rispetto alla prima. Se non altro<br />

<strong>per</strong> gli indizi che la sua fantasia stava affastellando, a carico, via via che<br />

procedeva con le analisi, le sintesi, le ruminazioni tutto sommato incongrue,<br />

<strong>per</strong>ché precipitose nell’anticipare i tempi di <strong>una</strong> ponderata, e quindi sana,<br />

valutazione dei fatti.<br />

Alla fin fine era <strong>per</strong>venuta solo <strong>una</strong> lettera. Perché dare ad essa tanto peso?<br />

Certo, in giro c’era qualcuno interessato a fargli avere un messaggio ancora non<br />

noto, ma ben preciso. Ma chi era questo qualcuno, e <strong>per</strong> quale ragione ci teneva<br />

tanto a farlo?<br />

Boccia considerò che ormai troppi erano gli interrogativi che si poneva. Doveva<br />

cominciare a dare ad essi qualche risposta. E questo poteva farlo valutando con<br />

più rigore ciò che <strong>per</strong> <strong>il</strong> momento gli constava, effettuando magari sopralluoghi, o<br />

facendoli effettuare alla polizia giudiziaria, servendosi dell’o<strong>per</strong>a di Bas<strong>il</strong>e, <strong>il</strong><br />

maresciallo comandante la stazione dei carabinieri di Valmara. Già, <strong>il</strong> maresciallo<br />

Bas<strong>il</strong>e. Era un pezzo che non lo vedeva, due anni forse da quando si era rivolto a<br />

lui <strong>per</strong> un’indagine sul solito contrabbando di frontiera. Perché non chiamarlo?<br />

«Pronto, sono <strong>il</strong> dottor Boccia di Domodossola. Mi passi <strong>il</strong> maresciallo Bas<strong>il</strong>e».<br />

Dall’altro capo del f<strong>il</strong>o <strong>per</strong>venne un gorgoglio, ma dovette essere di assenso <strong>per</strong>ché<br />

<strong>il</strong> maresciallo Bas<strong>il</strong>e fu subito all’apparecchio.<br />

«Sì, dottore».<br />

«Senta, Bas<strong>il</strong>e, sto leggendo e r<strong>il</strong>eggendo <strong>il</strong> suo verbale sul ritrovamento di quella<br />

<strong>suora</strong>. Ricorda?»<br />

«Si capisce, dottore, non è passato molto tempo».<br />

«Certo, certo…Me lo vuole ripetere con la sua voce che cosa ha visto lassù? Cerchi<br />

<strong>per</strong>ò di non tralasciare nessun particolare».<br />

«Ci proverò, dottore. Anche se non ho nulla di nuovo da dire rispetto a quanto<br />

messo <strong>per</strong> iscritto nel verbale che le ho fatto consegnare».<br />

«Fa lo stesso, Bas<strong>il</strong>e, fa lo stesso. Mi ripeta tutto dall’inizio, da quando è arrivato<br />

sul posto».<br />

«Come lei sa, in seguito alle indicazioni dei due turisti citati nel verbale trovai<br />

subito con fac<strong>il</strong>ità la baita diroccata, e quindi <strong>il</strong> corpo della <strong>suora</strong>».<br />

«Come si presentava questo corpo?»<br />

«Riverso, bocconi all’interno di <strong>una</strong> buca. Col capo in fondo <strong>per</strong>ò e <strong>il</strong> corpo a<br />

scendere dall’alto. Come se la <strong>suora</strong> avesse incespicato in qualcosa e fosse caduta<br />

in basso, magari annegando».<br />

«Perché dice ‘annegando’? »


«Perché in fondo alla buca c’era dell’acqua, e tanto più doveva essercene stata<br />

qualche mese prima, oltre che <strong>per</strong> la pioggia <strong>per</strong> lo scioglimento della neve».<br />

«Non mi sembra che lo scioglimento della neve procuri degli effetti così r<strong>il</strong>evanti».<br />

«Comunque io ho avuto la sensazione che <strong>il</strong> livello dell’acqua fosse più alto, <strong>per</strong><br />

certe tracce r<strong>il</strong>evate sulle pareti della buca».<br />

«Ma quanto profonda e quanto grande è questa buca. E poi <strong>per</strong>ché <strong>una</strong> buca in<br />

quel posto?»<br />

«Dunque, <strong>per</strong> riassumere. La buca sembra derivare da uno scavo fatto <strong>per</strong> le<br />

fondazioni di <strong>una</strong> nuova baita a forma rettangolare, diciamo sei metri <strong>per</strong> quattro.<br />

Ma <strong>per</strong> metà e più quest’area è impegnata dalla terra di risulta dello scavo, <strong>per</strong><br />

cui in effetti la buca è grande quattro metri circa <strong>per</strong> tre e profonda due. Le pareti<br />

poi non sono verticali <strong>per</strong>ché la terra è franata su di un lato. Una buca comunque<br />

abbastanza grande <strong>per</strong>ché <strong>una</strong> <strong>per</strong>sona vi possa sprofondare e magari, come ho<br />

detto, annegare».<br />

«Ma nel suo verbale c’è scritto dell’altro: ‘<strong>il</strong> corpo… risulta…con le mani congiunte e<br />

le dita intrecciate’. Come di uno che sta pregando».<br />

«Proprio così».<br />

«Ma è assurdo! Come può uno, o <strong>una</strong>, cadere dentro <strong>una</strong> buca - e annegare poi -<br />

mantenendo le dita intrecciate? »<br />

«Non lo so, dottore. Anche a me la cosa è sembrata molto strana. Non so darvi<br />

<strong>una</strong> giustificazione logica. Questo comunque compete a lei, se non sbaglio».<br />

«Certo, certo… se <strong>per</strong> questo non c’è un nesso logico neppure con <strong>il</strong> resto. Cosa ci<br />

stava a fare, infatti, lo zainetto in cui sono state trovate solo delle confezioni vuote<br />

di barbiturici?<br />

«Non lo so, dottore. Però questo lo si potrebbe spiegare con l’<strong>ipotesi</strong> del suicidio, la<br />

<strong>suora</strong> cioè può avere ingoiato le p<strong>il</strong>lole <strong>per</strong> farla finita».<br />

«Ma in questo caso <strong>il</strong> corpo doveva essere accanto alla zainetto, dentro la baita e<br />

non fuori, in <strong>una</strong> buca».<br />

«È ragionevole. Voglio dire, può essere verosim<strong>il</strong>e <strong>una</strong> soluzione del tipo da lei<br />

prospettata».<br />

«Ancora <strong>una</strong> domanda: come mai non è stato trovato, nello zainetto o fuori, <strong>il</strong><br />

libro delle preghiere della <strong>suora</strong>? »<br />

«Non c’era».<br />

«Non c’era <strong>per</strong>ché non avete guardato con cura o che altro? »<br />

«No, no, dottore. Si è proceduto con la massima cura possib<strong>il</strong>e. È stato catalogato<br />

e registrato tutto ciò che si è rinvenuto, all’interno o all’esterno della baita. Ma<br />

questo libretto delle preghiere non c’era».<br />

«Strano, <strong>per</strong>ché la consorella che ha effettuato <strong>il</strong> riconoscimento ha affermato che<br />

suor Giacinta non si staccava mai dal suo libriccino, ‘<strong>il</strong> suo talismano’, diceva».<br />

«Che vuol che le dica, dottore. Il libriccino non c’era».<br />

«Un altro mistero nel mistero».<br />

«Sì, forse. Una <strong>per</strong>ò che si vuol ammazzare…»<br />

«C’è qualcos’altro eventualmente che non è stato scritto nel verbale? »<br />

«No, ciò che ho trovato l’ho messo <strong>per</strong> iscritto. Da non dimenticare le fotografie».<br />

«Certo, le fotografie. Queste tuttavia non risolvono <strong>il</strong> mistero».<br />

«Ho fatto quello che ho potuto».


«Non c’è dubbio. Be’, maresciallo, ora la lascio. Si tenga a disposizione, è<br />

probab<strong>il</strong>e che abbia ancora bisogno di lei».<br />

«Agli ordini, dottore».


Sabato 5/09/…<br />

Bocca, preso da altri impegni, aveva tralasciato <strong>per</strong> qualche giorno di occuparsi<br />

del caso della <strong>suora</strong>, s<strong>per</strong>ando un po’ fatalisticamente che <strong>il</strong> caso in questione si<br />

risolvesse da sé con i risultati finali a completamento della necroscopia, buttando<br />

a mare <strong>ipotesi</strong> e contro<strong>ipotesi</strong> che lo avevano prima interessato e poi stancato.<br />

C’era quella lettera – è vero – ma, in quanto anonima, poteva anche non essere<br />

presa in considerazione ai fini dell’indagine. Aveva <strong>per</strong>ciò cercato di optare <strong>per</strong><br />

<strong>una</strong> pausa di riflessione in attesa che la situazione decantasse. Tutto ciò che non<br />

appariva abbastanza chiaro ai suoi occhi richiedeva ulteriori indagini <strong>per</strong><br />

attingere uno stadio più elevato di certezze, in cui poter r<strong>il</strong>evare <strong>una</strong> migliore<br />

concatenazione dei fatti, ovvero poterne acquisire di nuovi <strong>per</strong>altro non<br />

prevedib<strong>il</strong>i.<br />

E i nuovi fatti gli vennero in soccorso e lo rimisero in corsa, <strong>per</strong> così dire.<br />

Successe infatti ciò che lui, Boccia, non aveva previsto: l’arrivo di <strong>una</strong> seconda<br />

lettera. Questa volta <strong>per</strong>ò senza seconda busta, come se questo particolare<br />

rivestisse <strong>una</strong> sua importanza oscura e di diffic<strong>il</strong>e interpretazione.<br />

Questa seconda lettera gli arrivò portata a mano dal solito Placido <strong>il</strong> quale non si<br />

scompose più di tanto. Infatti disse:<br />

«Dottò, ‘n’altra <strong>per</strong> lei».<br />

«Già, un’altra <strong>per</strong> me» ribatté Boccia quasi in un sussurro.<br />

C’era evidentemente qualcuno che gli voleva male, qualcuno che tentava di fargli<br />

vedere fatti inesistenti, supporre delitti truci, macchinazioni sott<strong>il</strong>i e mostruose. Il<br />

complicarsi della trama era <strong>per</strong>ciò un mezzo <strong>per</strong> rimettere in discussione la sua<br />

bonomia, <strong>il</strong> suo essere retto, la sua volontà di <strong>per</strong>seguire <strong>per</strong>corsi privi di v<strong>il</strong>uppi<br />

contorti, quasi che <strong>il</strong> punto di arrivo potesse essere fac<strong>il</strong>mente e tranqu<strong>il</strong>lamente<br />

messo in conto, a vista, dal punto di partenza. Ma così evidentemente non era,<br />

non doveva essere <strong>per</strong> lui, almeno <strong>per</strong> questo caso che Boccia si ostinava a non<br />

voler riconoscere come tale, ma che veniva a lui con un invadenza sufficiente ad<br />

espropriargli le energie più vive, gli interessi più vitali.<br />

Fu così che con molta lentezza Boccia osservò la busta nel suo semplice svelarsi<br />

involucro cartaceo, nel suo essere luogo di timbri e di date procurate in bella<br />

chiarezza dall’onesto attrezzo dell’uomo delle Poste; di più, nel suo essere vettore<br />

di messaggi non scritti <strong>per</strong> la sua intelligenza di curatore delle leggi a tutela del<br />

cittadino, fosse pure l’ultimo con tale qualifica.<br />

Lui contro <strong>una</strong> lettera, <strong>una</strong> lettera contro di lui. Non poteva negarsi ormai alla<br />

sfida. Perché ancora prima di recidere i delicati legami cartacei deputati al<br />

mantenimento della segretezza, prima di infrangere un contenitore già su<strong>per</strong>fluo<br />

<strong>per</strong> la sua intelligenza, lui, Boccia, sapeva già che la lettera, <strong>per</strong> <strong>il</strong> solo fatto di<br />

essere lì, conclamava <strong>il</strong> suo essere tramite di <strong>una</strong> sfida. Quello che non gli piaceva<br />

<strong>per</strong> niente era la contorsione della mente che sottostava a tutto ciò, a un piano<br />

studiato nei minimi particolari. Prese infine <strong>il</strong> tagliacarte e studiò di far presto.


SECONDA LETTERA<br />

Amico mio,<br />

aspettavo tue nuove e invece ho visto <strong>il</strong> tempo deporre parecchi fiori<br />

nel giardino delle ore e dei giorni che non si ripetono, ma sempre si aggiungono, gli<br />

uni agli altri, <strong>per</strong> costruire la scala eterna che ci appartiene.<br />

Dove sei tu, a scalare montagne? Ad affrontare dirupi o a vincere le improvvise<br />

tempeste della notte, avendo vicino l’aqu<strong>il</strong>a o l’altro uccello, dalle grandi ali lucenti<br />

ma dal petto inconfondib<strong>il</strong>e? Lungo sentieri erti e inagib<strong>il</strong>i o al tepore del <strong>fuoco</strong> di<br />

legna secca in qualche baita s<strong>per</strong>duta? Dopo lo scambio di lettere che avemmo,<br />

improvvisamente <strong>il</strong> flusso è cessato quasi che la sorgente da cui prima fluiva la<br />

linfa vitale ne fosse prosciugata <strong>per</strong> sempre.<br />

Ed ora eccomi qui ad aspettare, ad aspettare forse invano colui che diceva di<br />

amarmi e invece cresceva dentro di sé, giorno dopo giorno, uno st<strong>il</strong>etto di ghiaccio,<br />

<strong>una</strong> stalattite rubata ai ghirigori dell’inverno, un inverno che sta lassù dove pochi<br />

hanno amici e <strong>il</strong> calore è <strong>una</strong> reazione violenta ai rigori del tempo, lassù dove si è<br />

soli con Dio ma si parla più fac<strong>il</strong>mente con un cane o con un fantoccio di ghiaccio, di<br />

cose meschine, di traffici o di partite, di assenze o incontri <strong>per</strong>duti.<br />

Ho aspettato sai, e aspetto ancora nel tepore del letto che tu hai reso memorab<strong>il</strong>e,<br />

trovandomi sempre sconfitta e <strong>per</strong>duta tra le tue grandi braccia.<br />

Ma <strong>per</strong>ché non scrivi? Pur comprendendo gli impegni e la delicatezza del tuo<br />

compito, non oso scusarti. Perché non mandarmi un piccolo cenno, un biglietto o<br />

<strong>una</strong> rosa oppure la più modesta stella alpina –come facevi all’inizio quasi con<br />

noncuranza?<br />

Eppure doveva piacerti la mia calda pelle quando ci passavi sopra con le tue mani,<br />

ruvide sì, ma sagaci e capaci di un’incredib<strong>il</strong>e leggerezza al tatto, quasi piume rese<br />

sensib<strong>il</strong>i dall’uso.<br />

Il campo del resto era ormai tutto tuo, a<strong>per</strong>to alle tue <strong>per</strong>egrinazioni e sco<strong>per</strong>te;<br />

<strong>per</strong>ché erano sco<strong>per</strong>te quelle che facevi inventando continenti, gole, baie e<br />

rientranze, monti e valli abbandonate.<br />

E quando arrivavi al limite, dicevi (ricordi?): ecco <strong>il</strong> mio giardino, <strong>il</strong> mio muschio, <strong>il</strong><br />

mio prato verde, ecco dove farà naufragio ignominioso la mia nave con tante vele. Il<br />

tuo fiore è <strong>il</strong> loto e l’assenza mi prende tutto e mi inebria fino a ridurmi<br />

all’incoscienza. Ecco dove <strong>il</strong> mio gran correre finisce e muore l’avventura. Il cuore,<br />

sento, rallenta ora i battiti, sta contando le monete del bello con le monete del<br />

godimento. La rugiada ha apparenze di latte su un candore di neve.<br />

Mi dicevi questo, o quasi; io ho solo aggiunto, di mio, qualche ghirigoro o fioretto <strong>per</strong><br />

non apparire volgare a te che, in quei momenti, non mi negavi nulla, a te che,<br />

amante insu<strong>per</strong>ab<strong>il</strong>e, sai anche infliggermi con la parola - un sì o un no – le più<br />

atroci sconfitte.<br />

Perché, amico mio, tu sai essere dolce e caro come nessun altro ma, come nessun<br />

altro, sai infiggere la spada nella roccia della pazienza più ingenua di chi ti sta<br />

vicino.


Allora, farai vela verso di me? O meglio, indirizzerai i tuoi passi su sentieri più<br />

attrezzati e <strong>per</strong>corrib<strong>il</strong>i? Dove anch’io possa porre <strong>il</strong> mio piede piccolo accanto al tuo<br />

da rocciatore senza rischiare troppe cadute o frane a valle con l’eco di chi non ci<br />

ama? Posso s<strong>per</strong>are ancora?<br />

Vedi, non chiedo molto, lasciami fare l’ambio con te su <strong>una</strong> strada qualunque, in<br />

paese o in città o anche fuori dove è <strong>il</strong> tuo regno. Lasciami provare che c’è in te,<br />

oltre la rozzezza del montanaro, un’anima semplice, pure capace di sentimento e<br />

gratitudine.<br />

Se della rosa mi darai <strong>il</strong> profumo, potrò accettarne anche le spine. Terrò questa rosa<br />

ipotetica come un avvertimento, come un giusto ferire <strong>per</strong> ricordare.<br />

Hai forse dimenticato <strong>il</strong> mio bacio? Eppure proprio tu raccontavi meraviglie del<br />

nettare che ne traevi. Non ne eri mai sazio. E quando ti avventuravi sul mio<br />

continente sapevi sf<strong>il</strong>armi l’anima come un vestito ingombrante.<br />

In breve ero nuda, nuda anche nel sentimento e non potevo nulla contro di te, nulla.<br />

E così <strong>il</strong> tuo vomere scavava ampie ferite sulla terra delle mie colline non più difese.<br />

O mio amico, amico mio, non posso riandare oltre, a fatti e date che mi raccolgono <strong>il</strong><br />

bene <strong>per</strong> rovesciarmi <strong>il</strong> male. Su di me, quasi fossi un vaso in cui la sofferenza si fa<br />

crescere a poco a poco.<br />

Amico mio, risparmiami. Io non chiedo altro che di servirti, altro che accarezzare le<br />

tue mani, le tue braccia <strong>per</strong> la gioia e felicità di entrambi. Sappi <strong>per</strong>ò che <strong>una</strong> donna<br />

non la si abbandona dopo averla molto amata. Dunque ritorna, bussa alla porta,<br />

giacché i miei sensi son già tutti in attesa e un loro smodato uso è un delitto grave<br />

<strong>per</strong> la mia sensib<strong>il</strong>ità.<br />

A presto dunque, mio caro, a presto.<br />

Tua B.<br />

Quando Boccia finì di leggere la lettera, fu preso da <strong>una</strong> vertigine. Aveva di fronte<br />

a sé un saggio di quella che poteva essere definita <strong>una</strong> passione.<br />

Non semplice espressione dovuta ad attrazione sensib<strong>il</strong>e, epidermica, fatta di<br />

parti, - o frattaglie d’amore, come occhi, capelli, labbra, seno ecc. – riportate nelle<br />

usuali lettere d’amore con insistenza stucchevole; bensì modi di dire e di porgere<br />

fatti di metafore mirate, analogie spumeggianti, leggere, vibranti di grazia, in <strong>una</strong><br />

parola vive, create apposta – pareva di capire – <strong>per</strong> solleticare l’intelligenza più<br />

che la corda dei sentimenti fac<strong>il</strong>i e di poco prezzo.<br />

In tutto questo dire tuttavia lui non r<strong>il</strong>evava traccia di un freddo calcolo, di un<br />

disegno volto ad ottenere uno scopo ben preciso. La volontà infatti di <strong>per</strong>seguire<br />

l’amore nelle sue sfaccettature più terrene, istintuali, si mostrava completa. Nulla<br />

doveva essere negato all’amore, neppure la st<strong>il</strong>la più riposta del desiderio,<br />

neppure <strong>il</strong> pensiero più audace; <strong>per</strong>ché tale pensiero si scioglieva nell’atto stesso<br />

dell’espressione d’amore, dove la parola era lo strumento e <strong>il</strong> corpo puro<br />

espediente.<br />

Come trovare osceno <strong>il</strong> mostrarsi ingenuo del sentimento? Come obiettare con<br />

qualche ragione sulla necessità dell’istinto di trovare le ali sotto la specie del<br />

sublime?<br />

Boccia rifletteva tra sé e sé, negando di avere mai incontrato nelle sue letture –<br />

neppure tanto limitate – qualcosa che si potesse mettere a pari, quanto a vivezza


e felicità dell’espressione; un tocco che veniva fuori dalla terra, dalla natura, da<br />

tutto ciò che ha profumo di cosa non profanata. Il tutto portava a concludere che<br />

l’autrice di quelle lettere era governata da un amore di grande respiro,<br />

appassionato – come già detto – tale da colpire con forza <strong>il</strong> destinatario, fosse<br />

pure navigato in questo mondo come <strong>il</strong> più coriaceo dei Don Giovanni.<br />

‘In ogni caso’ si disse ‘<strong>il</strong> nodo di tutto ciò è là, in quella casa dei misteri che io<br />

devo pur visitare se voglio scoprire le carte. Fin che sto qui a far culo di pietra con<br />

la mia bella poltrona, non scoprirò mai niente. Oltretutto mi torna a fagiolo,<br />

<strong>per</strong>ché posso rivedere Flavia: <strong>per</strong> raggiungere Magadino devo pur passare <strong>per</strong><br />

Locarno. Unisco così l’ut<strong>il</strong>e al d<strong>il</strong>ettevole’.<br />

La cornetta del telefono era già nelle sue mani:<br />

«Pronto, Flavia? »<br />

«Sì» rispose <strong>una</strong> voce allegra.<br />

«Vengo da te».<br />

«Perfetto! Ma come mai questa decisione improvvisa? Non fai che ripetere la solita<br />

litania di ‘non posso’: non posso far questo, non posso far quello. Insomma hai<br />

più impegni tu del Ministro di Grazia e Giustizia. Ma soprattutto dici che non<br />

puoi venire a trovare me, tant’è vero che sono io che vengo a trovare te, come<br />

l’ultima volta».<br />

«Hai ragione, Flavia. Non me ne volere <strong>per</strong>ò».<br />

«Cerca piuttosto di essere tu <strong>il</strong> comprensivo la prossima volta, intesi?»<br />

«Intesi. Ora dimmi dove ci vediamo».<br />

«E che ne so. Decidi tu. Qualsiasi posto <strong>per</strong> me va bene. Basta che non sia<br />

l’ufficio».<br />

«Devo andare a Magadino. Tu aspettami al pont<strong>il</strong>e del traghetto, diciamo domani<br />

verso le 18, così andiamo fuori a cena e poi in qualche posto».<br />

«A casa mia».<br />

«…anche».<br />

«Scherzavo. Comunque va bene domani, d’accordo? »<br />

«D’accordissimo».


Domenica 6/09/…<br />

«No, dottor Boccia, non credo di averle mai viste, queste lettere. D’altra parte la<br />

loro esistenza e <strong>il</strong> loro contenuto appartengono alla sfera privata che ognuno di<br />

noi – sì, anche <strong>una</strong> <strong>suora</strong> – ha diritto di mantenere <strong>per</strong> sé. Io – è vero – faccio <strong>il</strong><br />

mio meglio <strong>per</strong> indirizzare e seguire le suore che la casa madre mi ha affidato <strong>per</strong><br />

un compito da tutti ritenuto a un tempo delicato e pesante, <strong>il</strong> compito di assistere<br />

le <strong>per</strong>sone anziane. Ma non o<strong>per</strong>o – come ho detto – <strong>una</strong> vera e propria censura<br />

sulla corrispondenza, controllo e basta. Così posso riconoscere la grafia di uno<br />

scritto in <strong>una</strong> lettera, non certo <strong>il</strong> contenuto. Ebbene la grafia sulle due lettere<br />

che lei mi ha proposto non è di suor Giacinta, non la riconosco questo è certo.<br />

Oltretutto non mi risulta che suor Giacinta, prima di prendere <strong>il</strong> velo, sia mai<br />

stata innamorata o abbia avuto un rapporto con chicchessia. Lei me lo avrebbe<br />

detto. Mi dispiace, non posso esserle ut<strong>il</strong>e».<br />

Detto questo, suor Aspasia, la madre su<strong>per</strong>iora della casa di riposo “V<strong>il</strong>la Serena”,<br />

si accomiatò dall’ospite con fare deciso e brusco, quasi volesse sgravarsi di un<br />

peso o ritenesse <strong>il</strong> nuovo venuto un intruso o, infine, volesse allontanare le<br />

indagini da quella casa la quale doveva rimanere – così come era sempre stato –<br />

monda di ogni sospetto. Data la <strong>per</strong>entorietà con cui era stato congedato, <strong>il</strong> dottor<br />

Boccia non credette opportuno insistere oltre con ulteriori domande. Occorre<br />

sottolineare che si era presentato come un semplice cittadino, italiano <strong>per</strong> giunta;<br />

non aveva insomma surrogato la sua presenza con un mandato delle autorità<br />

svizzere, cosa <strong>per</strong>altro che Boccia aveva voluto evitare in omaggio alla prudenza<br />

evocata dal dottor Almisano, preferendo <strong>per</strong> <strong>il</strong> momento la via dell’indagine<br />

informale, <strong>per</strong>sonale, in attesa che i risultati ultimi degli esami chimicotossicologici<br />

in corso potessero dare risposte più concrete agli interrogativi sorti<br />

col rinvenimento del cadavere.<br />

Il dottor Boccia dunque, salutata la <strong>suora</strong>, girò su se stesso <strong>per</strong> guadagnare<br />

l’uscita. Ma lo fece lentamente con la testa inclinata in avanti, sul di più che gli<br />

annessi del collo tozzo aggettavano sullo sterno, mentre gli occhi si erano radicati<br />

a terra a soccorrere <strong>una</strong> itinerante formica da ipotetici attacchi della sua scarpa.<br />

Non diversamente da un cane bastonato, era un cane bastonato.<br />

‘Non ho chiesto poi la l<strong>una</strong>’, rimuginò Boccia prendendosela con la sua<br />

arrendevolezza e impotenza. ‘C’è qualcosa di osceno forse nel fatto che <strong>una</strong> <strong>suora</strong>,<br />

da ragazza, possa essere stata innamorata? E poi <strong>per</strong> quale ragione un qualsiasi<br />

amore deve essere negato?’<br />

Boccia si trascinò ancora <strong>per</strong> un po’ con i suoi pensieri appresso, facendo tre<br />

passi avanti e due indietro, ma procedendo tutto sommato verso <strong>il</strong> pont<strong>il</strong>e<br />

d’attracco dell’aliscafo, ora che la madre su<strong>per</strong>iora l’aveva abbandonato alle sue<br />

congetture, <strong>per</strong> lei non esaltanti.<br />

‘Eh, l’amore…- l'amor che move <strong>il</strong> sole e l'altre stelle..., direbbe <strong>il</strong> Poeta -‘, sospirò.<br />

Boccia la metteva sull’eterno, sul sublime, giocava con i sentimenti più elevati,<br />

ma non poteva negare a se stesso che ora i suoi interessi erano di basso prof<strong>il</strong>o.<br />

“Le tue aspirazioni sono di basso prof<strong>il</strong>o”, amava dire al suo amico Rosario di<br />

Catania, canzonandolo, le volte che riusciva a vederlo in estate. “Di basso prof<strong>il</strong>o”.<br />

Ed ora di basso prof<strong>il</strong>o c’erano le turgescenze che i sensi favorivano. Ma Boccia<br />

era anche un uomo di spirito. ‘Queste madri che non sono madri’, bofonchiò. ‘Che


non sono neppure su<strong>per</strong>iori. Avrà mai battuto <strong>il</strong> suo cuore <strong>per</strong> qualcuno?’ A<br />

questi pensieri arditi sghignazzava tra sé. Così si tirava su, che diamine! Doveva<br />

andare all’appuntamento con Flavia. Non era <strong>il</strong> caso di presentarsi dimesso e<br />

abbattuto. Dopotutto la <strong>suora</strong> qualcosa gli aveva detto: aveva escluso che quella<br />

grafia appartenesse a suor Giacinta, ovvero a Bianca Voltolini.<br />

‘Basta di questo’, si disse. C’era Flavia al di là del lago che l’aspettava, pronta a<br />

buttargli le braccia al collo. Ih, le aspirazioni di basso prof<strong>il</strong>o! Guardò l’orologio: le<br />

17. Un aliscafo, con le gomene abbracciate alla bitta del pont<strong>il</strong>e, era in chiara fase<br />

di partenza. Ora Boccia sentiva la carne fremere dall’impazienza. Un approccio di<br />

basso prof<strong>il</strong>o davvero: di lì a poco avrebbe avuto un incontro con Flavia. Con<br />

piena soddisfazione, immaginava. E <strong>per</strong> la prima volta. Non negava di sentirsi<br />

bastardo e corrivo. Ma niente complicazioni, diceva. Nessun impegno che<br />

riguardasse i sentimenti. Oh, lei non gli aveva chiesto d’impegnarsi in alcun<br />

modo. Le bastava la sua compagnia; ci teneva solo di essere gradita, di non venire<br />

dopo gli impegni dell’ufficio. Altrimenti, pace.<br />

Ma che dire allora di quella aggiunta, anche se scherzosa, “a casa mia”? Era un<br />

chiaro invito, no? Più esplicito di così non poteva augurarselo.<br />

Boccia con questo pensiero vivificante, saltò sulla tolda dell’aliscafo pronto a<br />

partire. Aveva fatto <strong>il</strong> biglietto quasi senza pensarci.<br />

Il lago si presentava nella sua divisa migliore, tranqu<strong>il</strong>lo come in un quadro. I<br />

tepori della sera di fine estate comunicavano effetti non <strong>per</strong>iclitanti <strong>per</strong> <strong>il</strong> tramite<br />

di un’amab<strong>il</strong>e brezza. Questa, divallando da Monte Ceneri, faceva nocche della<br />

sua presenza nel modo più delicato, sollevando uno dei tanti capelli neri che<br />

Boccia si portava dietro, come un retaggio, del profondo Sud.<br />

Con le mani appoggiate al corrimano, in piedi, Boccia osservava gli effetti che le<br />

finte ali dell’aliscafo producevano sull’acqua nel moto di avanzamento, <strong>una</strong> volta<br />

lasciato <strong>il</strong> pont<strong>il</strong>e di attracco con rapida manovra di disimpegno. L’ossidiana del<br />

lago si faceva <strong>per</strong>correre da un enorme st<strong>il</strong>etto <strong>il</strong> quale allertava diamanti e<br />

corindoni di spuma sotto l’urgere di fascinosi rapitori di bellezze. Più<br />

semplicemente, l’acqua si raggrumava in immaginifici arabeschi al passare del<br />

nuovo uccello laddove la su<strong>per</strong>ficie, fino allora tranqu<strong>il</strong>la, si apriva, come la terra<br />

al passaggio del vomere.<br />

Locarno che si vedeva laggiù, era ormai vicina e, con essa, Flavia. Sì, <strong>per</strong>ché lei<br />

doveva proprio essere lì, al terminal di arrivo dove l’aliscafo avrebbe fatto sosta<br />

prima di proseguire verso sud <strong>per</strong> Ascona e Porto Ronco.<br />

Boccia era ormai tutto preso dalla immancab<strong>il</strong>e presenza di lei. La sua figura era<br />

nitida nella memoria, così come gli occhi br<strong>il</strong>lanti ed i capelli a caschetto che<br />

conferivano a quelli un’aria ancor più complice e sbarazzina. Le fossette poi,<br />

assieme al cernecchio dei capelli, suggellavano nell’ovale del viso l’idea di<br />

un’estrema godib<strong>il</strong>ità. Non molto alta, Flavia non richiamava i canoni classici di<br />

<strong>una</strong> bella donna, ma <strong>il</strong> fascino popolare e ingenuo che esalava dalla sua <strong>per</strong>sona<br />

procurava burbanze di attesa, aspettative di godimento, come un profumo<br />

inebriante che stordisce e invita. Locarno, con i suoi palazzi a bagnarsi nel lago,<br />

era ormai a portata di mano, molle e svagata come <strong>una</strong> gatta arrotata su se<br />

stessa nelle more del primo sonno. Si era tentati di far piano <strong>per</strong> evitare artigli in<br />

qualche modo latenti, ma pronti all’attacco nel preciso momento della necessità.


Boccia, con questi pensieri in capo, quasi non guardava. Sapeva che Flavia<br />

doveva essere là ad aspettarlo. Quindi <strong>per</strong>ché infierire? Il traghetto fu presto al<br />

pont<strong>il</strong>e di arrivo.<br />

Boccia, rivitalizzato dalla brezza del lago, fu <strong>il</strong> primo tra i passeggeri a guadagnare<br />

la terraferma con un salto di ag<strong>il</strong>ità che sembrava ignorare i diritti dell’adipe in<br />

bella evidenza immediatamente sopra <strong>una</strong> cintura tiranna. Una volta a terra <strong>per</strong>ò,<br />

rimase fuso in un blocco di sale: Flavia non c’era. Incredib<strong>il</strong>e, ma vero: Flavia non<br />

c’era. Che cosa poteva essere successo? Boccia se lo chiese <strong>una</strong>, due volte; elencò<br />

i motivi <strong>per</strong> i quali lei poteva aver disertato mettendo pure in conto tutte le<br />

possib<strong>il</strong>e eventualità non prevedib<strong>il</strong>i. Con tutto questo, rimase al blocco di<br />

partenza: no, non capiva.<br />

Si risolse quindi di raggiungere la prima cabina telefonica sistemata tra <strong>il</strong> verde,<br />

ai lati di <strong>una</strong> fontana tutta zamp<strong>il</strong>li e pesci rossi messa lì da chissà quanto tempo.<br />

Entrò in cabina, fece <strong>il</strong> numero di Flavia. Un lungo segnale di attesa gli rispose. E<br />

<strong>per</strong> lui era davvero troppo. Chiamò allora un taxi e si fece portare a casa di lei.<br />

Cominciava ad essere preoccupato. Non lo voleva più? Ma se non aveva neppure<br />

sfiorato la sua pelle di albicocca giovane!<br />

Si stirò con due dita <strong>il</strong> baffo destro, nero e corto, mentre con uno sguardo furtivo<br />

valutò l’eminenza dei suoi vezzi sotto la camicia bianca. Sì, non era un granché.<br />

Tuttavia Flavia non aveva nessun diritto di trattarlo in un modo così<br />

abominevole. Su questo Boccia non era disposto a transigere. Sicuro, avrebbe<br />

fatto la voce grossa. Al diavolo pure le fossette che gli piacevano tanto!<br />

Arrivò infine a destinazione. Scartati gli inqu<strong>il</strong>ini noiosi, premette <strong>il</strong> tasto del<br />

campanello in corrispondenza del cognome che tanto amava. Ness<strong>una</strong> risposta.<br />

Provò e riprovò ancora. Finalmente, dopo <strong>una</strong> lunga attesa, <strong>il</strong> tiro agì sul<br />

meccanismo elettrico del portone di ingresso. Boccia si precipitò all’ascensore <strong>per</strong><br />

essere in fretta al piano indicato sul riquadro del campanello. Un’altra porta<br />

lentamente si aprì.<br />

«Flavia, che è successo? Mi hai fatto venire un colpo» disse in un fiato Boccia. Lei<br />

non rispose. Lo guardò in lacrime colmando e inondando quelle fossette che lui<br />

già appellava acquasantiera del creato.<br />

«Flavia, ti scongiuro, dimmi che è successo?» chiese ancora entrando. Non<br />

riusciva davvero ad immaginare quale grande disgrazia potesse esserle occorsa.<br />

La sapeva infatti sola, i genitori morti da un pezzo, <strong>il</strong> parentado assente. Dunque?<br />

«È morto» fece lei con le molte mani sulla bocca, a trattenere un dolore<br />

insopportab<strong>il</strong>e.<br />

«Ma ‘chi’ è morto? » si spazientì Boccia.<br />

«Cioppi».<br />

«Cioppi!? »<br />

«Sì, <strong>il</strong> canarino».<br />

Boccia fu sicuro di essere capitato nel bel mezzo di <strong>una</strong> farsa. Ma <strong>per</strong> asseverare<br />

la sua parvenza di uomo in carne ed ossa, si diede, a palmo dispiegato, <strong>una</strong><br />

notevole sberla sulla fronte, libera come non mai da capelli incongrui.<br />

«Oh, santiddio! » esclamò. «E c’è bisogno di fare <strong>una</strong> tragedia così? Proprio oggi?»<br />

«Ma …è morto…oggi…» finì lei singhiozzando con <strong>una</strong> logica inoppugnab<strong>il</strong>e.


«Vabbè, vabbè… ‘Lugete, o Veneres Cupidinesque’» cominciò allora a declamare<br />

Boccia procedendo di un passo, l’indice puntato in alto.<br />

‘Passer mortuus est meae puellae<br />

passer, deliciae meae puellae,<br />

quem plus <strong>il</strong>la oculis suis amabat’.<br />

Flavia non capì un’acca di quel declamare insulso, capì solo che <strong>il</strong> bellimbusto si<br />

faceva gioco di lei. E la sua rabbia fu tutt’uno con le lacrime.<br />

«Tu non capisci niente» proruppe dis<strong>per</strong>ata. «Non capisci la morte, come non<br />

capisci la vita».<br />

Ora <strong>il</strong> tono era duro, sentenzioso, con un disprezzo fibroso che faceva aggio sui<br />

due grandi occhi annegati dalle lacrime. Come se in quel momento fosse stata<br />

sancita <strong>per</strong> decreto l’assenza di <strong>una</strong> grande anima.<br />

Boccia si fece forza, avanzò fino al piccolo tinello, poco oltre l’ingresso, scostò <strong>una</strong><br />

sedia, si stropicciò gli occhi, affidò quindi la grande pancia alle sue piccole mani e<br />

si accasciò infine sulla sedia scoppiando di botto in <strong>una</strong> irrefrenab<strong>il</strong>e risata.<br />

Muta. Perché non poteva colpire Flavia nei sentimenti più profondi. In quel<br />

momento <strong>una</strong> risata conclamata significava disprezzo, durezza d’animo, amab<strong>il</strong>ità<br />

d’asino; <strong>una</strong> st<strong>il</strong>ettata inferta né più né meno al centro di un cuore pulsante<br />

mentre si apriva indifeso. Per reprimere dunque sussultava vistosamente sulla<br />

sedia tanto da dare un’impressione di singhiozzo e di partecipazione al lutto.<br />

Ma intanto <strong>per</strong> Flavia era tragedia. Piangeva come <strong>una</strong> fontana, dis<strong>per</strong>ata e offesa<br />

<strong>per</strong> <strong>una</strong> presunta mancanza di sensib<strong>il</strong>ità, ambulante come un’ombra e<br />

ammannendo presenti e assenti con le sue querimonie, le sue verità date <strong>per</strong><br />

scontate come diktat inoppugnab<strong>il</strong>i, sfoderando in questo anfanare convulso<br />

un’inattesa ab<strong>il</strong>ità nel riesumare i luoghi comuni più vieti.<br />

«Tu non capisci» riprese lei dopo un poco aiutandosi a sopravvivere con un<br />

fazzoletto in mano, «tu non capisci che un canarino riempie <strong>una</strong> casa vuota; si fa<br />

sentire con i suoi canti, <strong>il</strong> suo cinguettio ripetuto, le sue esigenze. È insomma un<br />

essere …umano. Sì, umano. Quando tornavo a casa era tutto un frullo d’ali, un<br />

canto, era un modo come un altro <strong>per</strong> salutarmi, <strong>per</strong> farsi sentire, <strong>per</strong> dire che<br />

c’era. Ed ora…non c’è più. È terrib<strong>il</strong>e, Francesco…»<br />

Boccia si commosse infine, non era un diavolo. La prese allora tra le braccia, con<br />

comprensione dopo la grande delusione, quasi con affetto.<br />

«È terrib<strong>il</strong>e, Francesco» esclamò lei «pensare che noi oggi ci siamo e domani non ci<br />

siamo più. Mangiamo, dormiamo, facciamo l’amore e poi scompariamo nel buio.<br />

Perché tutto questo? Perché?»<br />

Boccia trasalì. Quell’accenno all’amore che così inopinatamente gli era stato<br />

negato, almeno <strong>per</strong> un giorno, proprio non lo mandava giù. Perché ricordarglielo?<br />

Al diavolo <strong>il</strong> canarino! Cippi, Citti o Cioppi, come diavolo si chiamava.<br />

Lui si era fatto tre ore di viaggio soprattutto <strong>per</strong> vedere lei. E questo in funzione<br />

dell’a<strong>per</strong>tura di credito che proprio lei, Flavia, sembrava avergli fatto la sera<br />

prima al telefono. Ed ora lei, la medesima donna, aveva <strong>il</strong> coraggio di negargli<br />

tutto. D’accordo, l’imprevisto. Ma che non stesse a rom<strong>per</strong>gli …con la morte di …<br />

Boccia si fermò un attimo. Concedeva di essere un po’ cinico, ma non volgare. È<br />

che lui si sentiva terrib<strong>il</strong>mente imbarazzato. La morte! Ce ne aveva già un’altra tra


le carte da considerare, da analizzare, da sezionare con sagacia, impegno,<br />

intelligenza. Non era venuto forse a Locarno anche <strong>per</strong> questo? Certo che la<br />

madre su<strong>per</strong>iora non gli era stata di grande aiuto. Non s<strong>per</strong>ava davvero che lei<br />

riconoscesse le lettere, ma che gli fornisse almeno qualche indicazione ut<strong>il</strong>e,<br />

questo sì. Qualche indizio <strong>per</strong> poter proseguire.<br />

Chi e <strong>per</strong>ché aveva interesse in quella dannata storia? Da spedire lettere di un<br />

tempo a un magistrato che neppure aveva cominciato ad indagare. Che fossero<br />

vecchie di decenni lo si arguiva dalla carta fine e ingiallita, <strong>per</strong>ché – e anche<br />

questo era un fatto strano – nelle lettere non appariva lo straccio di <strong>una</strong> data. Né<br />

data né firma. A parafare solo uno sgorbio. Il timore forse che potessero cadere in<br />

mani non fidate? Chissà.<br />

«Francesco, Francesco…che pensi? Mi stai a sentire?» Flavia lo stava scuotendo,<br />

artigliandosi la manica della giacca, mentre lui, seduto, aveva gli occhi <strong>per</strong>si nel<br />

vuoto.<br />

«Scusami, ero sopra pensiero» fece. «Quel caso della <strong>suora</strong>…morta in circostanze<br />

non ben chiare…un suicidio…sembra. Non potevo dirtelo…mi sono arrivate delle<br />

lettere».<br />

«Delle lettere!? »<br />

«Sì, delle lettere anonime».<br />

«Ah, ma oggi è un malvezzo generalizzato. Si buttano nel cestino e basta». Flavia<br />

stava parlando ora con molto candore e buon senso.<br />

«Sì, ma sono delle lettere anonime…che non sono lettere anonime. Sono delle<br />

lettere d’amore…»<br />

«D’amore!? »<br />

«D’amore, ma di tanti anni fa. Lettere di <strong>una</strong> tizia che si firma o sigla B. Col punto<br />

dopo la B, od uno sgorbio. Non si capisce».<br />

«E queste lettere le avrebbero mandate a te? »<br />

«Sì, <strong>per</strong> l’appunto. Una donna o un uomo che mi vuol fare intendere qualcosa<br />

attraverso lettere di venti, trent’anni fa».<br />

«Se è <strong>una</strong> donna, è senz’altro <strong>per</strong> gelosia».<br />

«Perché dici questo? »<br />

«Perché si dà <strong>il</strong> caso che io sia <strong>una</strong> donna, e come donna so che cos’è la gelosia».<br />

«Anch’io…del canarino».<br />

«Francesco, non ti <strong>per</strong>metto di scherzare su questo».<br />

«D’accordo, non scherzerò…Però la tua idea non è male».<br />

«E lo credo! »<br />

«Dunque, <strong>una</strong> <strong>suora</strong> muore in cima ad <strong>una</strong> montagna e qualcuno – <strong>una</strong> donna<br />

supponiamo- manda dei messaggi di venti, trent’anni fa. Che non sono della<br />

<strong>suora</strong> morta <strong>per</strong>ò».<br />

«Perché? »<br />

«Perché la madre su<strong>per</strong>iora della casa di riposo, presso la quale lavorava la <strong>suora</strong><br />

in questione, lo ha escluso».<br />

«Saranno di qualcun altro».<br />

«È ovvio, Flavia, è ovvio».<br />

«Già. Ma non è l’ovvio che spesso ci chiarisce molte idee? »


«Può darsi».<br />

«Senti, ma questa <strong>suora</strong> quanti anni aveva? »<br />

«Quarantacinque».<br />

«Be’, non era vecchia. Parenti?».<br />

«Sì, la madre».<br />

«E allora <strong>per</strong>ché non vai a sentirla? »<br />

«Sì, è necessario. Ma <strong>il</strong> fatto è così recente…Temo di import<strong>una</strong>rla. Oltretutto<br />

sono qui in veste privata. L’autorizzazione della procura sottocenerina di Locarno<br />

non è ancora <strong>per</strong>venuta. Oh, i rapporti sono ottimi. Non c’è stato motivo di<br />

frizione, anche se i continui sconfinamenti degli spalloni <strong>per</strong> <strong>il</strong> contrabbando di<br />

frontiera ci costringono a scambi di idee non sempre coincidenti. Gli svizzeri poi -<br />

tu ne sai qualcosa, vero?- sono sempre svizzeri anche se parlano italiano. Figurati<br />

che io sono di Linguaglossa, Catania».<br />

«Linguaglossa!? Com’è? »<br />

«Un bel paese sulle pendici dell’Etna. Di lì si parte <strong>per</strong> le escursioni sul vulcano».<br />

«Mi piacerebbe vederlo, <strong>il</strong> vulcano voglio dire».<br />

«Oh, è possib<strong>il</strong>e. Tutto è possib<strong>il</strong>e…Ci sono delle sciovie…come qui in Svizzera. A<br />

proposito, <strong>per</strong>ché non facciamo anche noi qualche visita qui sopra, a Monte Brè,<br />

<strong>per</strong> esempio».<br />

«Oh, è possib<strong>il</strong>e…tutto è possib<strong>il</strong>e».<br />

«Che fai, mi prendi in giro?»<br />

«Non ci penso proprio».<br />

Boccia, dopo qualche altro breve scambio di battute, salutò Flavia e si avviò alla<br />

stazione. Se la giornata non era stata favorevole, almeno avrebbe preso l’ultimo<br />

treno <strong>per</strong> Domodossola, quello delle 18,45, con la libertà che si era data di alzarsi<br />

<strong>il</strong> giorno dopo con tutta calma.<br />

Certo che <strong>il</strong> progetto, covato dentro di sé <strong>per</strong> l’intera giornata, era fallito<br />

miseramente a causa di quella autentica iattura della morte di Cioppi, canarino<br />

importuno. E l’andare del treno non era meno lento e funereo, ora che aveva<br />

lasciato la stazione di Locarno. Il suo intercalare ritmato, in corrispondenza del<br />

vuoto aggiungersi di due spezzoni di rotaia, dava un senso di sfinimento e di<br />

corsa all’abisso, <strong>per</strong> <strong>il</strong> quale nulla poteva <strong>il</strong> martellare, pure <strong>per</strong>iodico, proveniente<br />

dal basso. Quest’ultimo, <strong>per</strong> giunta suonava come <strong>una</strong> campana fessa in un<br />

giorno di lutto. Davvero <strong>il</strong> “treno” dell’antica poesia greca. Boccia <strong>per</strong> la verità<br />

cercò di contrastare come meglio poté <strong>il</strong> farfuglio dei pensieri sopra cennati, tutti<br />

sul nero; ma <strong>il</strong> colore e la luce era gioco che non l’aiutassero <strong>per</strong> nulla nel<br />

frangente ridottosi a pura disgrazia. Sembrava già buio e, nel buio, come si sa le<br />

sfumature si <strong>per</strong>dono, così le variegate tonalità dei colori.<br />

Ecco intanto S.Antonio, Solduno e Pontebrolla. Con Cavigliano la ferrovia lasciava<br />

<strong>il</strong> discreto slargo creato dal Melezzo tra le prime incerte falde dei monti e si<br />

inf<strong>il</strong>trava nella cr<strong>una</strong> delle Centovalli, guardata a vista da picchi e cime le quali -<br />

sussunte in diverse condizioni di spirito e di ora – dovevano apparire ammantati<br />

di solare bellezza, mentre, al momento, incutevano rispetto se non paura. Tra loro<br />

infatti viveva l’eco di dicerie, miti o leggende nate chissà quando e <strong>per</strong>ché.


Del resto, non gli aveva forse detto Flavia che Eiger, in Svizzera, significa Orco?<br />

Oppure Les Diablerets, sul lago Lemano, diavoli? Magia <strong>per</strong> magia i paralleli si<br />

confondevano e allora ecco Sc<strong>il</strong>la e Cariddi, la Sic<strong>il</strong>ia e infine l’Etna col suo<br />

pennacchio sempre ingenuo e malavitoso.<br />

Come è fac<strong>il</strong>e inventare rassomiglianze o r<strong>il</strong>evare differenze quando si soggiace a<br />

un pensiero dominante, fattosi sott<strong>il</strong>e demone di <strong>una</strong> giornata storta!<br />

Comunque ora, lasciata Intragna, <strong>il</strong> trenino della Vigezzina piano piano risaliva la<br />

valle mentre <strong>il</strong> buio pareva infittirsi con l’apporto lattescente di torrenti e rigagnoli<br />

i quali si dichiaravano a favore di <strong>una</strong> bruma ovattata, grigia e lotolenta. Questa,<br />

altrimenti legata all’idea del nido, allevava al contrario in seno la serpe della<br />

paura, dell’ignoto in agguato dietro un seracco lassù, un picco o più<br />

semplicemente – nell’uscire dalla galleria di Corcapolo – l’idea di un ectoplasma, <strong>il</strong><br />

che era come dire sort<strong>il</strong>egio e pena, strega decantata.<br />

Ma <strong>il</strong> trenino non cedeva alla paura. Im<strong>per</strong>territo, continuava la sua corsa in<br />

salita ingollando curve e diritture con <strong>una</strong> sicurezza inusitata: da ogni paese un<br />

saluto, nessun impatto violento con case e strade laddove era possib<strong>il</strong>e sfiorare e<br />

costeggiare <strong>il</strong> Melezzo ai piedi di Sassalto, Verdasio e Borgnone.<br />

Ora nel buio la bruma-incenso, “introibo ad altare Dei”, lievitava dal letto a<br />

diverticolo del fiume creando fantasmi opachi, f<strong>il</strong>ati da un leggero vento a salire, i<br />

quali finivano <strong>per</strong> dare spettacolo di sé nel trascorrere verso l’alto sulla pellicola<br />

<strong>il</strong>luminata dei cristalli in serie del treno.<br />

Questo improvvisamente arranca, fatica a procedere; addirittura si ferma,<br />

liberando all’interno un brusio di voci assonnate. Gente che torna a Domodossola<br />

dopo <strong>una</strong> giornata di lavoro. Già – come non ricordarlo- siamo alla frontiera.<br />

Boccia si scosse infine, come libero da fattura. Non sapeva se aveva guardato o<br />

sognato; al di là dei vetri comunque c’era ponte della Ribellasca, la stazione di<br />

confine. I finanzieri e poliziotti di frontiera del resto erano già all’o<strong>per</strong>a nel loro<br />

prodigarsi <strong>per</strong> gestire al meglio fretta e dovere.<br />

«Documenti, prego».<br />

Un rito che ognuno degli interpellati conosceva a menadito. Il treno fece presto a<br />

ripartire, inf<strong>il</strong>andosi in <strong>una</strong> gola sotto <strong>il</strong> “Motto delle formiche” a picco da m<strong>il</strong>le<br />

metri e passa. Poi Olgia, Isella, Dissimo e Folsogno.<br />

Boccia, nel suo im<strong>per</strong>meab<strong>il</strong>e bianco, si stringeva all’angolo, dove <strong>il</strong> sed<strong>il</strong>e di legno<br />

confinava col finestrino mentre <strong>una</strong> fioca luce mandava barbagli praticamente<br />

inut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>i da chi stava seduto. Boccia si stringeva a quello straccio di<br />

im<strong>per</strong>meab<strong>il</strong>e <strong>per</strong>ché – ora lo sapeva – lo sgomento faceva sempre più vittime tra i<br />

suoi pensieri. Se nella Centovalli aveva rammentato le streghe, ora, tra quelle<br />

montagne, avvertiva con un brivido la presenza di chi su quelle era andato a<br />

morire. Ecco infatti Valmara. Perché andare lassù <strong>per</strong> morire con un evidente<br />

spreco di energie? C’era qualche fascino, o mito, o leggenda che forse lui, Boccia,<br />

non conosceva. La necroscopia, <strong>il</strong> rapporto dei carabinieri non la recitavano<br />

giusta davvero, o <strong>per</strong>lomeno non la recitavano <strong>per</strong> intero. Anche l’alterigia della<br />

madre su<strong>per</strong>iora gli pareva, dopo tutto, stonata. Difesa del buon nome<br />

dell’Istituto? Volontà di negare, <strong>per</strong>fino in via d’<strong>ipotesi</strong>, che la <strong>suora</strong> più<br />

impegnata, brava, tutto amore verso <strong>il</strong> prossimo, potesse in qualche modo aver<br />

pensato di porre fine ai suoi giorni?


“Lavorava giorno e notte, e non era mai stanca”.<br />

Proprio così: mai stanca.<br />

Non poteva essere invece che, in questo suo darsi al prossimo, la piccola suor<br />

Giacinta avesse incontrato inconsciamente un nemico ben più terreno? In <strong>una</strong><br />

parola l’esaurimento, fisico e psichico? Sì, poteva essere benissimo.<br />

Se, viceversa, non era stato suicidio, allora…allora sì che l’indagine poteva<br />

disturbare, rompendo un velo di riservatezza che si voleva invece tenere ben fisso<br />

al suo posto. C’era <strong>una</strong> storia forse dietro <strong>il</strong> presunto omicidio? Una storia magari<br />

conosciuta solo in parte dalla madre su<strong>per</strong>iora, ma non <strong>per</strong> questo meno<br />

<strong>per</strong>icolosa <strong>per</strong> la tranqu<strong>il</strong>lità della casa?<br />

‘Troppe domande’, si disse Boccia. ‘Mi faccio troppe domande. Occorre invece che<br />

azzardi qualche risposta, se voglio andare avanti, altrimenti le mie <strong>ipotesi</strong><br />

puzzano, col passare dei giorni, come i cadaveri. Al Procuratore poi che cosa vado<br />

a raccontare? Aspettiamo sì i risultati degli esami chimico-tossicologici, ma<br />

impostiamo uno straccio di soluzione sulla base dei fatti, e anche degli indizi se ci<br />

sono’.<br />

Già, i fatti. Gli sembrava di avercene ben pochi tra le carte; oltre la data della<br />

morte – si intende – che era quella della scomparsa. Avrebbe dovuto sentire, già<br />

che era in Svizzera, anche la madre di suor Giacinta. Ma non se l’era sentita. Gli<br />

era bastata la madre su<strong>per</strong>iora. E poi lui, la serata, l’aveva dedicata a tutt’altra<br />

faccenda. Accidenti ai canarini e bestie varie!<br />

Ora era buio pesto. Ma <strong>il</strong> trenino in discesa verso Domodossola inf<strong>il</strong>ava, <strong>una</strong> dopo<br />

l’altra, tutte le stazioni che la Val Vigezzo offriva col buio, fatto salvo qualche<br />

luogo meglio fornito di fanali.<br />

Domodossola finalmente! A treno fermo, Boccia si buttò a terra come se ci fosse<br />

un nemico in vista. La casa e <strong>il</strong> letto assumevano sempre più importanza nel<br />

serraglio dei suoi pensieri, non decisamente portati alla riverenza nei confronti<br />

della giornata appena trascorsa. Una giornata <strong>per</strong> la verità inconcludente, da<br />

segnalarsi nell’agenda a somiglianza di quanto aveva fatto Gioacchino Rossini sul<br />

suo taccuino <strong>per</strong> <strong>il</strong> Barbiere di Siviglia. E cioè, fiasco! Restava <strong>il</strong> futuro e al futuro<br />

Boccia, addormentandosi, si affidò.


Martedì 8/09/…<br />

Quella mattina Boccia si svegliò come <strong>una</strong> <strong>per</strong>sona qualunque. Così, come <strong>una</strong><br />

<strong>per</strong>sona qualunque, si alzò e stiracchiò. Non era più <strong>il</strong> magistrato che aveva a<br />

mano un’indagine delicata, diversa dalle solite. Ma era, in modo incontrovertib<strong>il</strong>e,<br />

un uomo con le giuste esigenze della <strong>per</strong>sona comune. La quale si alza, si lava, fa<br />

colazione, magari guarda fuori della finestra <strong>per</strong> vedere che tempo fa e poi tira a<br />

non andare in ufficio. Tanto è la stessa lagna quasi tutti i giorni, compresa quella,<br />

nel suo caso, di guardare in faccia <strong>il</strong> solito uomo <strong>il</strong> quale non aveva della faccia o<br />

del cognome, Placido, colpa alc<strong>una</strong>. Pure quella faccia doveva guardare e quel<br />

cognome, che sembrava un nome o un’inclinazione, chiamare se voleva mandare<br />

avanti <strong>il</strong> lavoro. Placido – detto anche Napoli - in ogni caso era <strong>una</strong> buona pasta<br />

d’uomo: disponib<strong>il</strong>e, affidab<strong>il</strong>e, tuttofare con un ruvido e pure scontato<br />

buonsenso, che a volte Boccia si divertiva a incidere infierendo con <strong>una</strong> sua<br />

speciale e raffinata <strong>per</strong>fidia.<br />

Placido rivendicava l’onore di avere contadini tra i suoi avi, e l’ingenuità di marca<br />

contadina lo rendevano tetragono agli imprevisti. Era un dio s<strong>il</strong>vestre nella selva<br />

costituita da carte, penne, timbri e registri tra i quali svolazzava indenne. Le<br />

lettere? Boh, non era affar suo.<br />

Boccia invece doveva farsene carico. Le lettere erano come un robusto macigno<br />

sulla strada della verità, o anche un complicato rebus da risolvere o matassa da<br />

sbrogliare. Due le lettere già arrivate, ormai impensab<strong>il</strong>e un continuum. Che<br />

senso avrebbe avuto infatti l’invio di ulteriori lettere? Ormai <strong>il</strong> messaggio era stato<br />

decrittato: qualcuno sapeva, quel qualcuno metteva in guardia l’inquirente contro<br />

la tentazione di essere su<strong>per</strong>ficiale, di rimanere confinato all’apparenza. La realtà<br />

che vi era sottesa – parevano suggerire – era più articolata, più sott<strong>il</strong>e e nascosta.<br />

Quasi un invito a guardare meglio, e anche a indagare con più decisione nella<br />

ricerca della verità, qualunque essa fosse.<br />

Fu dunque in questo stato d’animo che Boccia, soddisfatte le sue esigenze<br />

primarie, si avviò caracollando verso l’ufficio come un cavaliere ispano. La verità,<br />

<strong>una</strong> Dulcinea vittima di un incantesimo, chiedeva di essere disincantata e resa<br />

libera. Ma fu anche in questo stato d’animo che prese come un’offesa <strong>per</strong>sonale<br />

ciò che lui quella mattina non sospettava, vale a dire l’arrivo di <strong>una</strong> terza lettera.<br />

Una terza lettera! Quel qualcuno lo sfidava, gli diceva praticamente che lui,<br />

Boccia, era <strong>una</strong>… mammola, del tutto inadeguato, pigro e poco determinato. Che<br />

si svegliasse dunque!<br />

Boccia guardò Placido che gli allungava la lettera – la terza - con un fare deciso.<br />

L’uomo immob<strong>il</strong>e, in attesa di <strong>una</strong> risposta, si sentì in dovere di ripetere:<br />

«Dottò, la lettera …è arrivata ora».<br />

«Ora!? »<br />

«Sì, con la posta».<br />

«Bene, lasciala lì, in quella vaschetta».<br />

«Sì, dottore».<br />

Boccia si allungò sulla poltrona: distese le braccia ad appoggiare le mani sul<br />

bordo della scrivania mentre con lo sguardo puntava dritto alla busta gialla come<br />

fosse <strong>il</strong> sort<strong>il</strong>egio infame di <strong>una</strong> qualche strega locale. Da dove veniva?


Inut<strong>il</strong>e guardare <strong>il</strong> timbro, non era certo indicativo. Inut<strong>il</strong>e stare al contenuto,<br />

probab<strong>il</strong>mente teso e appassionato come <strong>per</strong> le altre due. Inut<strong>il</strong>e pure controllare<br />

la carta, doveva essere della stessa epoca. Allora <strong>per</strong>ché leggerla? Allora <strong>per</strong>ché<br />

mandarla?<br />

Boccia era ormai sommerso da questi interrogativi, quando infine si decise ad<br />

allungare <strong>il</strong> braccio, di quel tanto necessario a raggiungere quel pezzo di carta<br />

carico di tali suggestioni da renderlo inquieto e apprensivo come mai era stato in<br />

precedenza.<br />

TERZA LETTERA<br />

Caro mio bene,<br />

infine ti ho rivisto. La tua presenza, lo sai, allunga le mie braccia.<br />

È incredib<strong>il</strong>e infatti come io mi senta braccia lunghissime quando, all’incrocio delle<br />

strade di mezzo del paese, ti vedo apparire all’improvviso annunciato da <strong>una</strong><br />

chiazza di verde (<strong>il</strong> maglione che ti ho regalato). La tua presenza è un balsamo, un<br />

unguento. E così prima di me ci sono le mie mani e le mie braccia che corrono<br />

incontro a te riuscendo nel miracolo di raggiungerti e circondarti prima che mi sia<br />

possib<strong>il</strong>e farlo.<br />

Perché questa mia esagerata, quasi malata, voglia di te? Oh, no, non pensare al<br />

peggio. Lo che riesci pure nelle note più grevi, quando lo spirito, che dona riflessi<br />

d’incanto ai tuoi occhi, momentaneamente dorme e riposa, o anche finge di aver<br />

cambiato padrone <strong>per</strong> non pagare dazio, come si è soliti dire.<br />

È che mi risulta estremamente gradito (ciò che si chiama entusiasmo, intendi?)<br />

pensarti sempre al di sopra del mondo, di questo mondo dove l’acqua sporca non<br />

finisce mai di scorrere, anzi ristà negli anfratti, nei recessi dando luogo a spiacevoli<br />

depositi, decubiti delle nostre bassezze spesso ammantate di belletto.<br />

Tu dunque sei lassù, anzi voglio che l’”alto” sia <strong>il</strong> tuo modo di essere più abituale,<br />

come connaturato al tuo st<strong>il</strong>e. Perché vedi, se sei (grande o) alto, io non faccio fatica<br />

a raggomitolarmi tra le tue braccia come un passero infreddolito.<br />

No davvero, non mi vergogno a dirlo: ho bisogno d’amore, del tuo amore, un amore<br />

<strong>per</strong>ò che deve essere fatto di musica, di leggerezza, di quelle innominate e<br />

innominab<strong>il</strong>i stupidaggini che fan tanto cara la vita. Una bambina dici? Ebbene<br />

<strong>per</strong>ché vergognarsi. Se essere bambini vuol dire godere del meraviglioso, del<br />

numinoso, quasi rarefatto, gioco del rincorrersi con fatali nonsense, con esiti giocosi<br />

nelle dita, nei salti, nelle improvvise sospensioni o fratture delle parole <strong>per</strong> nuovi<br />

sogni o giochi che urgono con più immediata verità; se essere bambini – dicevo –<br />

vuol dire tutto questo, allora io voglio essere <strong>una</strong> bambina.<br />

Anche <strong>per</strong>ché i bambini sono piccoli e come tali fanno presto a mimetizzarsi negli<br />

anfratti, nelle buche, nelle grotte, spesso banalizzati dai mob<strong>il</strong>i di casa, presi nel<br />

gioco, ad esempio di riparo dall’occhio rapace e indagatore del nemico che ti deve<br />

scovare.<br />

E invece…e invece i bambini devono crescere. Come dice mia madre, <strong>il</strong> bambino è<br />

un progetto. Capisci? Un progetto che deve essere realizzato. In questo caso<br />

bisogna fare calcoli, investire capitali. E allora implacab<strong>il</strong>e scende come <strong>una</strong><br />

mannaia: <strong>il</strong> “tu devi”. Tu devi fare questo e devi fare quello. Non c’è più la musica


delle cose che nascono lì <strong>per</strong> lì portati alla luce dalla fantasia. No, c’è <strong>il</strong> “tu devi”<br />

come <strong>una</strong> luce fredda, un bisogno acre dell’incidere, del sollevare pustole, unghie<br />

incarnite. C’è insomma <strong>il</strong> mondo. E poi dicono che i bambini non sono più quelli di<br />

<strong>una</strong> volta: che sono crudeli, irrispettosi, infingardi. Per forza: i bambini sono adulti<br />

anzitempo, mostri a miracolo mostrare, hanno <strong>il</strong> sapore acido di un vino andato a<br />

male.<br />

Ma io non parlavo di questo mondo, parlavo di un altro mondo riparato, vivo, dove<br />

ancora c’è luce e s<strong>per</strong>anza.<br />

Questo, amore mio, è <strong>il</strong> mondo che trovo tra le tue braccia. Tutti giri di parole <strong>per</strong><br />

dirti che ti amo, che sono <strong>una</strong> bambina felice, e senza ulteriori desideri, quando mi<br />

accogli e mi dici: vieni. Perché, vedi, se tu mi ami qui, dentro di me, nasce <strong>una</strong><br />

grande forza: la certezza d’esistere.<br />

Tu, così facendo, costruisci la mia casa pezzo <strong>per</strong> pezzo, ed io in essa trovo calore e<br />

sicurezza, quella sicurezza di cui hanno tanto bisogno i bambini cattivi quando, <strong>per</strong><br />

qualche incerta marachella, vengono cacciati dal paradiso <strong>per</strong>duto dell’amore della<br />

propria madre.<br />

Ma tu, amore mio, non mi scaccerai, vero? Non sarai venuto <strong>per</strong> essere solo di<br />

passaggio, frag<strong>il</strong>e e casuale quando invece puoi essere forte e stab<strong>il</strong>e come le case<br />

di montagna.<br />

Tu, ne sono sicura, sai cogliere molto bene la musica che fa <strong>per</strong> le mie orecchie, non<br />

sempre adeguate agli schiamazzi delle grandi città. Tu puoi compiere quel miracolo<br />

che è l’adulto maturo e sicuro rispetto all’adolescente gonfio, fino allo spasimo, delle<br />

acque senza fondo della paura.<br />

Tu, amore mio, puoi far vibrare tante corde con un semplice dito. Purché ci sia luce<br />

nei tuoi occhiazzurri. Esattamente come quando, con le braccia a<strong>per</strong>te, vuoi che mi<br />

schiacci sul tuo petto. Perché, subito dopo, le tue braccia fanno un doppio<br />

semicerchio intorno al mio corpo.<br />

A questo punto, credimi, non c’è felicità maggiore. Né quella della terra, né quella<br />

del cielo.<br />

Ma tu cercami. Devo proprio aspettare e s<strong>per</strong>are, e ancora aspettare e infine<br />

temere, <strong>per</strong> essere in un sol momento felice? Io sono tua, e un violino non suona<br />

certo meglio del mio che sa farmi compagnia anche quando tu, come ora, mi<br />

manchi.<br />

Tua B…<br />

Boccia, letta la lettera, la voltò e rivoltò tenendola <strong>per</strong> <strong>il</strong> lato lungo del foglio come<br />

se potesse contenere qualcos’altro in più delle semplici parole scritte. Si accarezzò<br />

quindi l’addome, sbuffò, si stirò <strong>il</strong> baffo e infine, sospirando, si alzò <strong>per</strong> andare<br />

alla finestra. Voleva osservare <strong>il</strong> foglio alla viva luce del sole e, <strong>per</strong> far questo,<br />

scostò del tutto la tenda che faceva schermo, trovandosi a sovrastare <strong>una</strong> piazza<br />

in cui le luci si stampavano come meteore sulla facciate dei palazzi di fronte. Il<br />

clima era secco. Resistette <strong>per</strong> un attimo a guardare le luci e i palazzi, e poi i<br />

monti al di là di tutto, in profondità, fissò quindi i curiosi omini che procedevano<br />

lenti sui marciapiedi o al centro della piazza tra i tigli e <strong>il</strong> verde del giardino.


Ma infine dovette convenire che lui era lì <strong>per</strong> un’altra ragione. Ed infatti i suoi<br />

occhi tornarono a ri<strong>per</strong>correre, alla luce più intensa del giorno, la grafia tutta<br />

anse e curve quale si mostrava nelle singole lettere più che nelle parole. Quasi<br />

che esse avessero <strong>una</strong> valenza su<strong>per</strong>iore alle stesse parole e <strong>per</strong>fino alla frase<br />

compiuta, giacché questa non riferiva nulla che non fosse già stato indagato,<br />

capito o assim<strong>il</strong>ato.<br />

Quando Boccia ebbe r<strong>il</strong>etta la lettera, commisurati le pause e gli a capo, rivisitato<br />

<strong>il</strong> singolo lessema, si voltò deluso <strong>per</strong> tornare sui suoi passi. Ma poi, ritornando al<br />

punto di prima, traguardò <strong>il</strong> foglio sempre in luce. A questo punto ebbe come un<br />

sussulto: quel foglio sdrucito presentava, in f<strong>il</strong>igrana, uno stemma con la scritta:<br />

“Draconis”.<br />

‘Be’, allora?,’ si disse, ‘che significa, che me ne faccio?’<br />

Le lettere <strong>per</strong>venute dovevano essere riconsiderate alla luce di quel “Draconis” o<br />

no? Del drago poi o del serpente? Del Dragone costellazione o di Dracone,<br />

legislatore ateniese? Doveva essere <strong>una</strong> chiave di lettura o era invece <strong>una</strong> pura<br />

coincidenza? Le idee gli ronzavano in testa confuse senza fondersi in un<br />

ragionamento concludente.<br />

Se Beethoven è morto, allora l’Andrea Doria è affondato, gli venne da pensare.<br />

Perché la carta da lettere, di tipo fine con f<strong>il</strong>igrana, era certamente d’epoca non<br />

recente; <strong>il</strong> testo poi era diffic<strong>il</strong>mente datab<strong>il</strong>e, anche se lo st<strong>il</strong>e pareva suggerire<br />

un modo di porre o di rapportarsi non più di moda, da ascriversi ugualmente a<br />

tempi andati. La calligrafia infine deponeva a favore di un lungo esercizio di<br />

scrittura non proprio in auge negli ultimi anni.<br />

Quale dunque l’intervallo di tempo cui attribuire quelle lettere? Non troppo<br />

recente, ma quanto lontano?<br />

Un fatto comunque appariva certo: se le lettere inviate erano autentiche, lo<br />

stemma col “Draconis” era puro accidente. Non simpatico, ma la cui carica<br />

simbolica poteva essere ridotta a zero da un semplice ragionamento. Boccia fece<br />

un passo a ritroso e piombò indenne sulla prima poltroncina degli ospiti che<br />

venne a trovarsi a ridosso del suo estenuato fondoschiena.<br />

‘Santo cielo’, fece tra sé, ‘la cosa si complica. Perché proprio a me? Be’, vediamo<br />

che posso fare ora. Di tornare alla casa di riposo, nemmeno a parlarne <strong>per</strong> <strong>il</strong><br />

momento. Forse posso andare a trovare la madre di suor Giacinta. Io confidavo di<br />

mostrarle delle lettere di sua figlia. Ha ancora senso, ora? Eppure…eppure <strong>per</strong><br />

capire la figlia dovrò pur parlare con chi la conosce meglio, e soprattutto con chi è<br />

più interessato a svelare <strong>il</strong> mistero, se mistero c’è’.<br />

Proprio in quel momento vide accendersi <strong>il</strong> led nell’aggeggio elettronico di<br />

richiesta udienza. Boccia allungò la mano grassoccia e diede via libera<br />

all’importuno in attesa al di là della porta.<br />

«Dottò, un pacco» disse Placido entrando.<br />

«Anche un pacco adesso» sbuffò Boccia guardando Napoli con aria interrogativa.<br />

«Boh, dottò» si difese quello come poté. «C’è <strong>il</strong> corriere <strong>per</strong>ò».<br />

«Fallo passare allora».


«Devo consegnare dei colli» precisò l’altro rimanendo in attesa sulla soglia<br />

dell’ufficio. Col che indicò due scatoloni che si scorgevano appoggiati sopra un<br />

carrello fermo in corridoio.<br />

«Ah, già <strong>il</strong> computer!» esclamò sollevato Boccia. «Metta pure quegli scatoloni in<br />

quell’angolo».<br />

Placido si alzò e di <strong>per</strong>sona andò a spalancare tutte e due le ante della porta.<br />

L’uomo spinse dentro <strong>il</strong> carrello. Quindi, con molta cura, depose nell’angolo<br />

indicato un primo scatolone su cui campeggiavano delle scritte cubitali. Poi un<br />

secondo, più piccolo.<br />

«C’è anche <strong>il</strong> manuale?» chiese Boccia tutto soddisfatto, assaporando già l’idea di<br />

mettere le mani sull’oscuro oggetto del desiderio.<br />

«Certo, dottore. Ecco qua».<br />

«Bene, bene. Ma <strong>il</strong> tecnico della casa <strong>per</strong> l’installazione e l’inserimento dei<br />

programmi dov’è?»<br />

«Non so» rispose l’uomo. «Se è stato avvisato, arriverà. Al più presto, penso».<br />

«Certo, certo. Mi serve subito».<br />

Ora Boccia sembrava avere le ali di fronte a quella macchina dal nome magico:<br />

<strong>per</strong>sonal computer. La sua discreta mole lievitava. Finalmente <strong>il</strong> Ministero si era<br />

ricordato di lui. Aveva già in testa un suo piano di lavoro. In quella macchina ci<br />

avrebbe inf<strong>il</strong>ato tutti i dati ut<strong>il</strong>i <strong>per</strong> future ricerche: numeri protocollo di lettere<br />

riservate in arrivo e in partenza, nome e cognome dei titolari delle pratiche<br />

passate in archivio, date di nascita, di…morte. Sì, anche di morte. Si ricordò<br />

allora di suor Giacinta, e <strong>il</strong> suo allegro saltabeccare si placò <strong>per</strong> incanto. Ebbene,<br />

nonostante l’oscurità del caso o forse proprio <strong>per</strong> questo, sarebbe andato a<br />

trovare la madre della <strong>suora</strong>. Avrebbe potuto mandare in sua vece…no, non era<br />

possib<strong>il</strong>e. Il caso lo stava penetrando come un sott<strong>il</strong>e veleno, lo attraeva e lo<br />

respingeva insieme. Lui comunque sarebbe andato fino in fondo. Doveva farlo con<br />

delicatezza <strong>per</strong>ò. C’era di mezzo l’onore di <strong>una</strong> <strong>suora</strong> anche se defunta, quello<br />

dell’ordine religioso, e infine le leggi e le convenzioni con la Svizzera che ponevano<br />

la loro brava resistenza alla libertà di indagine, a meno che… A quel ”a meno che”<br />

Boccia si era <strong>per</strong> l’appunto appellato presentandosi in veste ufficiosa, in attesa<br />

del benestare del Ministero. Se beninteso la richiesta fosse stata fatta. E questo<br />

non lo sapeva neppure lui.<br />

Ma ben presto gli tornò <strong>il</strong> pensiero di Flavia: <strong>il</strong> telefono.<br />

«Flavia?»<br />

«Sì».<br />

«Come stai? »<br />

«Bene».<br />

«Ti è passata? »<br />

«Sì, ma tu non sei stato <strong>per</strong> niente carino, sai».<br />

«Mi dispiace. Ma io, l’altro giorno, avevo un progettino tutto <strong>per</strong> noi, progettino<br />

che <strong>il</strong> tuo…ha mandato bellamente all’aria».<br />

«Possib<strong>il</strong>e che <strong>per</strong> voi uomini non esista <strong>per</strong> nulla quella che si chiama<br />

sensib<strong>il</strong>ità? Anche un animale piccolissimo come un canarino deve essere


ispettato. Perché dà, mi capisci? Invece tu che dai? Chiedi solo. E so io cosa<br />

chiedi».<br />

«Oh, “fossette”, non essere ingiusta. Io, in fondo, amo la vita e voglio coglierne <strong>il</strong><br />

succo migliore, mi intendi? Lascia <strong>per</strong>dere la giornata di domenica, come l’ho<br />

lasciata <strong>per</strong>dere io. Perché non ci vediamo di nuovo? Io <strong>per</strong> l’appunto devo tornare<br />

in Svizzera…»<br />

«Per quella <strong>suora</strong>…»<br />

«Sì, sempre <strong>per</strong> quella <strong>suora</strong>. Devo andare a trovare la madre che abita a Russo.<br />

Così potremo vederci, fare magari <strong>una</strong> gita sul lago, o un’escursione sui monti.<br />

Come vuoi tu».<br />

«Ma <strong>per</strong> i monti è presto. Ci si avvia alla stagione di mezzo».<br />

«Be’, se si va molto in alto…In ogni caso vieni con me? »<br />

«Non so…quando verresti? »<br />

«Domani, dopodomani…Posso prendere <strong>il</strong> treno delle nove ed essere lì, a Locarno,<br />

verso le dieci e tre quarti. Allora va bene domani? »<br />

«Se proprio insisti…»<br />

«Allora aspettami alla stazione. Pranziamo e nel primo pomeriggio andiamo a<br />

Russo».<br />

«E se non c’è? La madre, voglio dire».<br />

«Oh, mi assicuro che ci sia, non ti preoccupare».<br />

«Un’ultima domanda».<br />

«Sono qui».<br />

«L’altro giorno mi hai urlato delle frasi incomprensib<strong>il</strong>i. Che volevano dire<br />

precisamente? Il tono non era certo dei più amichevoli».<br />

«Oh, Flavia, non potendo far altro <strong>per</strong> la rabbia citavo dei versi di Catullo (un<br />

poeta latino), imparati a memoria ai tempi del ginnasio. Allora odiavo tutto quello<br />

che dovevo imparare a memoria, in particolare le poesie».<br />

«Sì, ma traducimi quei versi. Ora lo voglio sa<strong>per</strong>e».<br />

«Catullo piange la morte del passero di Lesbia, la sua donna, e dice:<br />

Piangete, o Grazie e amorini<br />

E quante siete <strong>per</strong>sone gent<strong>il</strong>i.<br />

Morto è <strong>il</strong> passero della mia donna<br />

Il passero, delizia della mia donna<br />

Quello che più degli occhi suoi amava…»<br />

«Doveva essere <strong>una</strong> <strong>per</strong>sona sensib<strong>il</strong>e questo Catullo, senz’altro più di te che con<br />

le stesse parole mi hai presa in giro».<br />

«La rabbia, Flavia, solo la rabbia. Io non dico mai poesie».<br />

Il mattino dopo Boccia era di nuovo sul treno della “Vigezzina” alla volta di<br />

Locarno. Aveva la patente, ma si era sempre rifiutato di guidare <strong>una</strong> macchina. E<br />

poi trovava così rasserenante e appagante farsi scorrazzare da quel trenino.<br />

Poteva guardarsi del finestrino tutti i paesaggi che voleva, con calma. Così,<br />

nell’aria fresca del primo mattino, Boccia ripassava la geografia di paesi, boschi,<br />

dirupi, valli, corsi d’acqua. Dove l’acqua, nel caso del Melezzo, non aveva subito


l’onta del moderno discrimine di industrie con scarichi mefitici e assassini.<br />

Oggetto questo invece di sempre più frequenti denunce all’autorità giudiziaria<br />

laddove, come <strong>per</strong> <strong>il</strong> Po, <strong>il</strong> fenomeno assume <strong>il</strong> carattere di vera e propria<br />

catastrofe.<br />

Al momento comunque <strong>il</strong> treno si inf<strong>il</strong>ava nel trogolo della Val Vigezzo – e Boccia<br />

con lui – con un suo timbro argentino, <strong>una</strong> civetteria che pareva fuori luogo se<br />

non fosse stato <strong>per</strong> <strong>il</strong> naturale rispetto che <strong>il</strong> trenino, <strong>per</strong> <strong>il</strong> minimo incidere nel<br />

contesto, portava a quelle montagne auguste che un giorno qualcuno denominò<br />

Alpi.<br />

«È <strong>per</strong>messo?» chiese ad un tratto un tipo alto, magro, fermo al limitare dello<br />

scompartimento con <strong>il</strong> soprabito ripiegato sull’avambraccio sinistro.<br />

Boccia, distolto bruscamente dai suoi pensieri, ristette un attimo nel rispondere<br />

al nuovo venuto, ma poi si affrettò a dire:<br />

«Prego, si accomodi. Ci mancherebbe, lo scompartimento è vuoto». L’uomo allora<br />

entrò, accostò lo scorrevole, poi si sedette dopo aver sistemato, sull’apposito<br />

gancio, <strong>il</strong> soprabito loffio.<br />

«Deve scusare» riprese Boccia. «Ero sopra pensiero. Non sono un patito della<br />

natura, ma queste montagne meritano davvero».<br />

«Oh,»fece l’altro <strong>il</strong>luminandosi «lei mi invita a nozze». Col che si alzò, si spostò dal<br />

posto in cui era, a ridosso del corridoio, <strong>per</strong> finire in quello accanto al finestrino,<br />

proprio di fronte a Boccia. Ma nel far questo allungò la mano destra<br />

presentandosi:<br />

«Enzo Padova, geologo. Università di Torino».<br />

Boccia concesse a malincuore la sua. Poi si pentì e sorrise:<br />

«Francesco Boccia, disoccupato». Era un modo <strong>per</strong> schernirsi.<br />

«Dicevo, lei mi invita a nozze» riprese l’altro senza appuntare <strong>una</strong> risposta che<br />

poteva parere ironica. «Mi invita a parlare, <strong>per</strong>ché, in ragione della mia<br />

professione, io queste montagne le devo studiare e non solo osservare come un<br />

qualunque turista. Vede, questa è <strong>una</strong> regione straordinaria. In particolare la<br />

zona che ospita questa valle particolarmente suggestiva. Cime, dorsali,<br />

contrafforti, conche, valli si susseguono secondo un disegno che riflette ancora<br />

l’impianto originario delle unità architettoniche. La Val Vigezzo, in particolare,<br />

riposa su un imponente basamento gneissico, basamento che imprime alla valle<br />

stessa in alcuni punti l’aspetto di un corridoio a pareti compatte, in cui si leggono<br />

nettamente scolpite le memorie dell’antico passaggio dei ghiacciai, mentre in alto,<br />

<strong>il</strong> r<strong>il</strong>ievo è foggiato in enormi panconi di gneiss che fanno gradino al regno delle<br />

vette».<br />

«Proseguendo verso la frontiera» continuò <strong>il</strong> geologo «lei può immaginare, sotto la<br />

su<strong>per</strong>ficie, a sinistra gneiss e micascisti, e a destra graniti e porfidi».<br />

«Certo» interloquì Boccia studiandosi di mostrare interesse a quanto l’altro<br />

andava dicendo «queste rocce che sbucano tra boschi e case saranno<br />

antichissime. La loro creazione, immagino, potrà farsi risalire ad ere vecchie<br />

m<strong>il</strong>ioni di anni. E della flora, professore? Che mi sa dire della flora?»<br />

«Oh, la flora, come la fa<strong>una</strong> del resto, sollecita l’interesse più vivo. Lei lo sa che<br />

sulle Alpi manca <strong>una</strong> vera e propria vegetazione forestale? Gli stessi abeti e larici


infatti costituiscono consorzi boscosi ad altitudini inferiori di solito ai 2000 metri.<br />

La vegetazione legnosa è <strong>per</strong>ciò costituita da arbusti cespugliosi, tipo l’ontano<br />

verde (Almes viridis) e <strong>il</strong> pino mugo (Pinus Mugo), e soprattutto da lande<br />

cespugliose a rododendri, <strong>il</strong> cosiddetto “rodoreto”. A causa di un insieme di fattori<br />

ambientali, quali <strong>il</strong> lungo innevamento – e di conseguenza <strong>il</strong> peso della coltre<br />

nevosa – e l’azione di venti violenti, gli arbusti hanno tronchi e rami più o meno<br />

contorti e <strong>per</strong> questa ragione la fascia altitudinare in cui i consorzi del rodoreto,<br />

del mugeto e dell’alneto trovano <strong>il</strong> loro optimum di sv<strong>il</strong>uppo viene chiamato<br />

“fascia degli arbusti contorti”.<br />

«Degli arbusti contorti!? Interessante professore, davvero interessante. E sopra<br />

che cosa si trova?»<br />

«Sopra si stende la “tundra cespugliosa”, consorzi a piccoli cespugli tra i quali si<br />

trovano felci, erbe fiorite, muschi licheni e funghi. Più sopra ancora si aprono i<br />

pascoli alpini veri e propri».<br />

«A me, vede», attaccò Boccia appena l’altro diede l’impressione del ristagno «a me<br />

la montagna interessa più che altro <strong>per</strong> quello che mi può dare: la neve, <strong>per</strong><br />

esempio, ut<strong>il</strong>e alle mie potrei dire s<strong>per</strong>icolate incursioni con gli sci. L’aria pura<br />

ancora, che mi dà modo di fare <strong>il</strong> pieno di ossigeno nei momenti di relax». «Sì»<br />

continuò Boccia armeggiando con <strong>una</strong> finta pipa rimediata, «devo confessare che<br />

nella mia natura non c’è posto <strong>per</strong> gli svolazzi lirici o <strong>per</strong> quella unione panica<br />

con la natura che viene così decantata dai romantici e, oggi –ma forse sbaglio -,<br />

anche dagli ambientalisti. Con questo non voglio dire che non mi piacciano i fiori.<br />

Pochi giorni fa, <strong>per</strong> esempio, mi sono portato in ufficio un mazzetto di genziane.<br />

Genziane di…»<br />

«Io invece» r<strong>il</strong>evò a tempo <strong>il</strong> professore «subisco <strong>il</strong> fascino di quella orchidea color<br />

rosso scuro, chiamata morettina o vaniglia di montagna. Oppure la bellezza della<br />

viola calcerata, dal profumo di miele e dai colori diversi come viola-pastello, giallo<br />

o bianco latte».<br />

«I fiori qui basta cercarli»riprese Boccia <strong>per</strong> darsi un tono«si trova di tutto,<br />

dipende dall’altitudine».<br />

«Ha detto bene, dall’altitudine» proseguì <strong>il</strong> professore come ispirato. «Al di sotto<br />

dei 2000 metri lei può trovare <strong>il</strong> martagone a corolle carnose e ceree, carnose<br />

picchiettate di rosso, <strong>il</strong> narciso e <strong>il</strong> croco, dalla corolla bianco-violacea la cui<br />

fioritura, poco dopo lo scioglimento della neve, è un’esplosione della natura. E<br />

così <strong>il</strong> giglio…»<br />

«Il giglio?».<br />

«Ah, sì <strong>il</strong> giglio alpino (L<strong>il</strong>ium Martagon), stupefacente nei colori e nelle forme. Ma<br />

lo sa lei che <strong>il</strong> bulbo del giglio può far ingiallire <strong>il</strong> latte e <strong>il</strong> burro dei margari? Gli<br />

alchimisti del sedicesimo secolo credevano addirittura che esso fosse <strong>una</strong> sorta di<br />

pietra f<strong>il</strong>osofale, capace di aiutare la trasmutazione di qualsiasi materia in oro».<br />

«Professore, lei mi sta proprio incuriosendo: la pietra f<strong>il</strong>osofale, sembra un’antica<br />

favola con tanto di magia».<br />

«Oh, si capisce, si capisce: <strong>il</strong> giglio alpino, secondo la credenza degli alchimisti,<br />

aveva dei magici poteri, come aprire le serrature, slegare i nodi, diventare f<strong>il</strong>tro<br />

d’amore e conferire a chi lo possedeva un’immensa fort<strong>una</strong>…»


«Un’immensa fort<strong>una</strong> dice… Mi fa ricordare la zingara che qualche giorno fa ha<br />

voluto <strong>per</strong> forza vendermi dei fiori…Le streghe…Lei riderà senz’altro di me,<br />

professore, così grande e vaccinato a parlare di streghe. Eppure qualcuno<br />

sostiene che la tradizione delle streghe a Domodossola è così viva da assegnare<br />

<strong>per</strong>fino <strong>il</strong> luogo delle riunioni, <strong>il</strong> Pian di Strì alle falde del Monte Gridone, e i tempi<br />

scanditi dalle notti della settimana. Se ben ricordo <strong>per</strong> esempio, <strong>il</strong> lunedì notte le<br />

streghe impauriscono i viandanti…Che fa, ride? »<br />

«Oh, signore, nulla di più errato! Perché mai dovrei ridere. Siamo nel ventesimo<br />

secolo, eppure si consultano gli oroscopi ormai <strong>per</strong> ogni cosa, <strong>per</strong> <strong>il</strong> pianto del<br />

pupo o <strong>per</strong> <strong>il</strong> viaggio del fam<strong>il</strong>iare… No, no non c’è proprio da stupirsi se gente<br />

come lei mi parla di streghe. Le avranno detto altre cose, immagino, a proposito di<br />

queste signore».<br />

«Prostitute sotto forma di capre. E libertini come caproni e vampiri…Ma <strong>il</strong> caprone<br />

nella mitologia non raffigura <strong>il</strong> diavolo?»<br />

«Oh sì, c’è anche <strong>il</strong> diavolo. A Malesco, in quel di Pianzà, le streghe si riuniscono a<br />

gruppi. Vestite di lini di Pianzà, di lini trasparenti, danzano grazia e sensualità. Il<br />

diavolo in <strong>per</strong>sona le accompagna cantando:<br />

Lirù, Lirù, Lirù<br />

Tepp, Tepp, Tepp.<br />

No, non è <strong>il</strong> caprone l’animale-diavolo. Nella Val Vigezzo ci sono la Vaina e lo<br />

Splorcia, un animale fantastico questo col muso di porco, ali di pipistrello, zampe<br />

di rospo e coda di scorpione, che rapisce i bambini dopo l’imbrunire <strong>per</strong> gettarli in<br />

roveti da cui escono ciechi e sordi.<br />

Il Gran Diavolo è lo stambecco, <strong>il</strong> quale si trova <strong>per</strong>ò più a ovest, all’altezza del<br />

Parco Nazionale del Gran Paradiso. Di lui si raccontano storie meravigliose: che<br />

può saltare un uomo da fermo; che quando è vecchio si uccide gettandosi in un<br />

precipizio; che salta dall’alto delle rocce sulle corna, come se fossero delle molle;<br />

che diventa cieco se non vede ghiaccio intorno a sé. Forse <strong>per</strong> tutte queste ragioni<br />

uno di essi fu chiamato, tanti anni fa, <strong>il</strong> Gran Diavolo. In Val Vigezzo <strong>il</strong> diavolo è<br />

molto meno imponente».<br />

«Lo stambecco…deve essere un gran bell’animale. Sembra in via di estinzione, se<br />

non erro».<br />

«Certo, <strong>per</strong> questo è protetto. Un animale dalla presenza inimitab<strong>il</strong>e. Per la verità,<br />

fra gli uccelli, abbiamo l’aqu<strong>il</strong>a reale, su<strong>per</strong>bo rapace diurno dal volo maestoso e<br />

solenne, lungo anche un metro e dalla grande a<strong>per</strong>tura alare. Uno stupendo<br />

animale conosciuto dai nostri padri, ma che i nostri figli non vedranno mai più.<br />

Come <strong>il</strong> leone è <strong>il</strong> re degli animali, così l’aqu<strong>il</strong>a è la regina degli uccelli. Tutto ha<br />

contribuito a dare a questo volat<strong>il</strong>e quell’aspetto regale che ha colpito la fantasia<br />

degli uomini: la figura imponente, <strong>il</strong> portamento eretto e maestoso, l’occhio acuto<br />

e lo sguardo che pare spaziare verso orizzonti senza fine, <strong>il</strong> volo lento e solenne<br />

che tende sempre verso le altissime vette».<br />

«Immagino esistano leggende anche <strong>per</strong> l’aqu<strong>il</strong>a…»<br />

«Oh, certamente, certamente. Temo <strong>per</strong>ò che dobbiamo planare a più modeste<br />

altitudini. Caro amico, si prepari: c’è la polizia di frontiera».


Lasciato libero dai poliziotti, Boccia sedeva ora vicino al finestrino con un’aria<br />

meditabonda, mentre <strong>il</strong> suo interlocutore, di fronte a lui, accesa <strong>una</strong> sigaretta,<br />

faceva esalare volute di fumo azzurrino con apparente disinteresse <strong>per</strong> l’aqu<strong>il</strong>a<br />

evocata. Fu Boccia, dopo qualche tempo di ponderata riflessione, a prendere di<br />

nuovo la parola:<br />

«Professore, lei mi sa dire <strong>per</strong>ché si è presi da un irresistib<strong>il</strong>e impulso a salire<br />

sulla montagna? Secondo la tradizione giapponese, <strong>per</strong> esempio, i vecchi quando<br />

si sentono soli e inut<strong>il</strong>i salgono sulla montagna e si lasciano morire. Che ne dice,<br />

qual è questo fascino?»<br />

«Eh, caro mio» riprese sinceramente compreso <strong>il</strong> professore. «La cosa non è<br />

semplice. Le montagne - e tra queste le Alpi – <strong>per</strong> gli scienziati rappresentano un<br />

fenomeno geologico e geofisico. Per i poeti esse sono di volta in volta scint<strong>il</strong>lio di<br />

vette, forme di cristallo o cattedrali nello spazio; carezza, desiderio, violenza, l’urlo<br />

della tormenta, <strong>il</strong> mormorio delle fonti o <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio infinito. Per i pittori poi ogni<br />

roccia è un colore: verde, bianco, blu…colori che nascondono la vita, l’amore, la<br />

tenerezza e, a volte, l’odio. Questa valle è chiamata ‘La valle dei pittori’ <strong>per</strong><br />

l’appunto.<br />

Ma le Alpi sono anche qualche cosa di più, che appartiene al nostro io più intimo:<br />

quello in cui l’inconscio si accosta agli archetipi più primitivi dello spirito. In<br />

ciascuno di noi le montagne, nel nostro caso le Alpi, diventano così <strong>il</strong> simbolo di<br />

un’ascesi mistica verso un assoluto di cui ci è quasi impossib<strong>il</strong>e concepire<br />

l’immensità. L’uomo e <strong>il</strong> sacro vi si ritrovano come <strong>per</strong> caso mettendo in evidenza<br />

i misteri che da sempre esse conservano <strong>per</strong> ciascuno di noi.<br />

Quindi la storia dei nostri rapporti con la montagna diventa quella di <strong>una</strong><br />

sco<strong>per</strong>ta continua: in primo luogo mitica, poi magica e poetica.<br />

Non stupiamoci dunque se l’ignoto e <strong>il</strong> mistero hanno trovato tra le rocce e i<br />

ghiacciai la loro dimora preferita. Lentamente ogni valle e ogni vetta sono<br />

diventate luogo sacro <strong>per</strong> eccellenza in cui vita e morte possono andare a<br />

braccetto, in cui divinità e streghe nascondono la loro collera o i loro amori, e in<br />

cui l’uomo non si avventura che <strong>per</strong> rivivere in un ambiente fatto di pura<br />

astrazione. Al di là delle cime.<br />

In fondo l’uomo moderno, alla ricerca spasmodica dei suoi paradisi <strong>per</strong>duti, sa<br />

che lassù, dove invisib<strong>il</strong>i si ergono le case degli dei, può tentare di riscoprire se<br />

stesso».<br />

«Al di là delle cime…se stesso».<br />

«Certo, se stesso. Non le pare razionale tutto questo?»<br />

«Non ne sono sicuro, professore, non ne sono sicuro. Gli impulsi del nostro agire<br />

sono i più disparati. Come poter vedere in questo <strong>una</strong> razionalità. Comunque<br />

apprezzo molto ciò che lei mi ha detto, ne farò tesoro».<br />

Bocca finì così. Poi, <strong>per</strong> uno scarto della mente tipico delle menti pragmatiche,<br />

pensò a tutt’altro.<br />

Flavia si sarebbe fatta viva alla stazione? O invece gli avrebbe giocato uno dei suoi<br />

tiri mancini? Presto avrebbe avuto notizia della nuova disgrazia.<br />

La pens<strong>il</strong>ina della stazione di Locarno accolse infine <strong>il</strong> treno come <strong>una</strong> chioccia <strong>il</strong><br />

pulcino. Boccia salutò <strong>il</strong> professore calorosamente e si affrettò a sbirciare dal<br />

finestrino <strong>per</strong> morire subito anziché sopravvivere nel dubbio.


Incredib<strong>il</strong>e, lei era là; in fondo, magari non molto in luce, ma là, viva e vegeta.<br />

«Ciao».<br />

«Ciao»fece lei prendendo <strong>il</strong> suo uomo sottobraccio.<br />

«Allora prendiamo subito <strong>il</strong> mezzo <strong>per</strong> Russo».<br />

«Agli ordini, signore. Desidera altro?»<br />

«Sei in forma oggi. S<strong>per</strong>iamo che piova». Boccia scucì un sorriso a tutto campo.<br />

«Ho fatto avvisare la madre che sarei arrivato verso le 11.30» continuò.<br />

«La madre di chi?»<br />

«Ma di lei, no? Della <strong>suora</strong>».<br />

«Ti ascolterà? »<br />

«S<strong>per</strong>o di sì. Ora ho proprio necessità che mi ascolti. Anzi che mi parli. Sai, mi è<br />

arrivata un’altra lettera».<br />

«Un’altra!? »<br />

«Sì, un’altra. Forse hai ragione tu a dire che a spingere la grafomane deve essere<br />

<strong>una</strong> qualche forma di gelosia. Chissà. Bando alle preoccupazioni comunque: dopo<br />

pranzo ci facciamo <strong>una</strong> scappata sulle montagne di Russo. Vuoi?»<br />

«Ma lassù potrebbe anche…nevicare. Non sembriamo molto attrezzati in<br />

proposito».<br />

«Oh, invece sì che lo siamo» rise allusivo Boccia. Di lei, Flavia, sentiva la carne<br />

vicina, vicina, come <strong>una</strong> preda a lungo braccata, ma ormai alla portata del suo<br />

lungo fuc<strong>il</strong>e da caccia, <strong>una</strong> lepre che gli era sempre sfuggita con i più disparati<br />

pretesti, non ultimo quello della morte di quel stramaledetto Cioppi, e che ora si<br />

apprestava a finirgli tra le braccia. Sopra Russo infatti era disponib<strong>il</strong>e <strong>una</strong> funivia<br />

e quindi <strong>una</strong> sciovia; ma soprattutto, in alto alla base delle piste a<strong>per</strong>te con al<br />

neve, si trovava un caldo chalet di montagna, già visitato, <strong>per</strong> <strong>il</strong> quale Boccia<br />

nutriva la più rosea delle ambizioni.<br />

«Hai portato l’auto!» esclamò Boccia all’uscita dalla stazione. Bloccato, come<br />

colpito da <strong>una</strong> intrusione indebita.<br />

«Non hai detto che volevi fare <strong>una</strong> puntata in montagna. La macchina forse ti<br />

scomoda?» chiese lei con gli occhi sprizzanti malizia, mentre metteva in moto la<br />

macchina.<br />

«Oh, certo, certo» acconsentì Boccia disponendosi con tutto <strong>il</strong> suo peso accanto<br />

alla guidatrice. «Intendevo solo dire che non ti dovevi scomodare. Non ho neppure<br />

la giacca a vento».<br />

«Il signore non si preoccupi. Ne ho <strong>una</strong> di scorta nel bagagliaio. Non sono forse<br />

previdente?»<br />

«Sicuro che sei previdente: previdentissima».<br />

Boccia, invece, non era sicuro di niente. Quando aveva proposto <strong>una</strong> gita all’Alpe,<br />

l’aveva detto così <strong>per</strong> dire. Ciò che l’interessava era la presenza di Flavia e<br />

l’eventuale approccio che ne poteva scaturire. Questo ‘eventuale’ disturbava non<br />

poco le sue riflessioni, poiché non si identificava col ‘certamente’ che lui<br />

<strong>per</strong>seguiva in un contesto di amab<strong>il</strong>e sensualità. Da ritenersi infatti ineluttab<strong>il</strong>e<br />

l’accettazione da parte di Flavia della sua corte, neppure troppo discreta e<br />

delicata <strong>per</strong> finire là dove, secondo lui, era naturale che finisse.


La strada si snodava intanto, in Val Onsernone, con le curve e le impennate del<br />

caso, sopportando di buon grado la corsa di <strong>una</strong> macchinina in cui due <strong>per</strong>sone,<br />

lavorando di bulino, costruivano due progetti dell’effimero diametralmente<br />

opposti.<br />

«Siamo arrivati!» esclamò lui giulivo uscendo dal sogno.<br />

«Appunto» giustappose lei precisa come un distinguo.<br />

«Allora senti, tu mi aspetti alla mescita all’angolo. Io s<strong>per</strong>o di far presto».<br />

«Lo s<strong>per</strong>o anch’io».<br />

«Dopo ci facciamo uno spuntino, d’accordo?»<br />

«D’accordo».<br />

E così Boccia lasciò la sua compagna. Individuò <strong>una</strong> casa con giardino recintato,<br />

s’avvicinò e spinse infine un cancelletto che separava l’ingresso privato dalla<br />

strada. Fu sorpreso dall’inconsulto sbatacchiare di <strong>una</strong> campana, da vacca<br />

svizzera, sollecitata dal pur lento evolvere del cancello. Ebbe comunque <strong>il</strong> tempo<br />

di ridare uno sguardo alla casetta prima di procedere verso l’ingresso.<br />

La casetta era graziosa, ad un piano, con tanti vasi di fiori sui davanzali:<br />

rododendri, ciclamini, soldanelle.<br />

«L’aspettavo» disse la donna che <strong>per</strong>venuta sulla soglia ostentava la destra<br />

allungata in segno di saluto.<br />

«S<strong>per</strong>o di non disturbarla» si affrettò a dire Boccia come preso da un rimorso<br />

senza ragione.<br />

«S’accomodi» finì asciutta l’ospite.<br />

Boccia sorpassò appena la soglia e aspettò, mentre con lo sguardo abbracciava<br />

l’intera stanza.<br />

«S’accomodi, prego» disse ancora la donna.<br />

Boccia fece altri passi <strong>per</strong>venendo ad un salone più ampio. La donna si accoccolò<br />

allora in <strong>una</strong> poltrona altrettanto ampia concedendo al nuovo venuto di<br />

sistemarsi più che comodamente nel divano di fronte. In mezzo un tavolinetto<br />

rustico, come rustico del resto appariva l’insieme del mob<strong>il</strong>io addossato alle<br />

pareti. Il tutto ispirava nitore e cura del particolare.<br />

«Gradisce qualcosa?»<br />

«Oh, no grazie…magari solo un bicchiere d’acqua».<br />

Non ci volle molto <strong>per</strong> soddisfare la richiesta.<br />

«Signora…signora Voltolini» disse infine Boccia col bicchiere in mano. «Sono<br />

molto dispiaciuto e imbarazzato naturalmente <strong>per</strong> questa visita. Se avessi potuto,<br />

ne avrei fatto a meno. La ringrazio comunque <strong>per</strong> averla resa possib<strong>il</strong>e, anche se,<br />

immagino, le domande che le farò le potranno causare un nuovo dolore…»<br />

«Sono pronta, dica pure».<br />

La voce sembrava stendersi gent<strong>il</strong>e e di buon auspicio <strong>per</strong> <strong>il</strong> dialogo che si andava<br />

dipanando, appena agli inizi. Pur tuttavia questa voce, nel rapido annunciarsi del<br />

timbro ampiezza ed altezza di suono, comunicò a Boccia un veloce brivido, come<br />

l’annuncio di un rovello interiore. La signora Voltolini stava infatti seduta, ma<br />

ricordava nel busto eretto e nel bovindo del seno, un arco teso pronto a scattare.<br />

Le mani poi si facevano vedere in grembo, <strong>una</strong> sull’altra, e le gambe unite, girate


tutte da un lato, mentre gli occhi – grandi, di un azzurro <strong>per</strong>laceo – fissavano<br />

l’interlocutore con <strong>una</strong> nota di attenzione profonda.<br />

«Signora, vede, <strong>il</strong> caso…» prese a dire Boccia «<strong>il</strong> caso non è così semplice come<br />

sembrava in un primo momento. Col tempo si è andato addirittura complicando.<br />

Io…io – come ho avuto modo di dirle <strong>per</strong> telefono – non sono qui, <strong>per</strong> così dire, in<br />

veste ufficiale, ma a titolo <strong>per</strong>sonale. Confido tuttavia nella sua disponib<strong>il</strong>ità e<br />

buona volontà. Quanto vorrà dirmi sarà bene accetto, e <strong>per</strong> questo la ringrazio fin<br />

d’ora».<br />

«Non ho misteri e non credo ve ne siano» proruppe la donna come <strong>una</strong> freccia<br />

liberata. «Purtroppo mi sembra tutto chiaro…da un pezzo».<br />

«Tanto meglio, signora, tanto meglio». Boccia faticava a decollare. «Perché, vede,<br />

se <strong>il</strong> caso si può chiudere senza dare ulteriore…»<br />

«Scandalo? »<br />

«No, non intendo questo. Se si può chiudere - dicevo – al più presto con i risultati<br />

degli esami tossicologici, sarebbe un bene <strong>per</strong> tutti. Senza dover prefigurare altre<br />

<strong>ipotesi</strong>…altri scenari…»<br />

«Non credo, come dice lei, che ci siano altre <strong>ipotesi</strong>, <strong>ipotesi</strong> recondite intendo.<br />

Bianca era <strong>per</strong> me come un libro a<strong>per</strong>to. Estroversa, piena di gioia e di dedizione<br />

<strong>per</strong> tutti non aveva bisogno di paraventi o di altro. Viveva la sua vita in modo<br />

intenso, <strong>una</strong> vita lineare, senza ripensamenti o ritorni su se stessa come spesso<br />

capita. Ultimamente poi <strong>il</strong> rapporto con gli altri si era ulteriormente rafforzato<br />

dedicando la sua vitalità e <strong>il</strong> suo tempo a dei poveri vecchi. Per la casa di riposo<br />

era <strong>una</strong> specie di tuttofare: infermiera, psicologa, autista e non so che altro…»<br />

«Quindi poteva…»<br />

«Uscire? Certo che poteva uscire. Nego comunque che potesse aver rapporti con<br />

gente a me sconosciuta».<br />

«Signora…signora non sono qui <strong>per</strong> cercare di farle dire cose che non vuole,<br />

rinnovandole un dolore, <strong>una</strong> ferita che, a quanto capisco, non è ancora<br />

rimarginata. Sono qui <strong>per</strong> cercare di capire se è possib<strong>il</strong>e, di conoscere…col suo<br />

aiuto. La vita di Bianca da ragazza, <strong>per</strong> esempio, come è stata? Serena,<br />

controversa o problematica…C’è stato qualcuno che…»<br />

«L’ha amata? Oh, sì. Bianca era <strong>una</strong> ragazza come le altre, e come le altre si<br />

innamorava. A quindici anni, mi ricordo, prese <strong>una</strong> cotta terrib<strong>il</strong>e <strong>per</strong> un uomo<br />

della Centovalli».<br />

«Un uomo ha detto…»<br />

«Sì, un uomo, allora un ragazzo si intende, ma più grande di lei di qualche anno».<br />

«Come si chiamava? Se lo ricorda?»<br />

«Oh, no purtroppo. Bianca naturalmente mi confidò subito ogni cosa. Mi disse<br />

che era un frontaliere…uno spallone…sì insomma uno che praticava <strong>il</strong><br />

contrabbando…Io ero sola…Bianca l’avevo avuta da ragazza. Ero sola e<br />

improvvisamente…»<br />

Si interruppe; prese <strong>il</strong> fazzoletto a portata di mano.<br />

«Temetti di <strong>per</strong>derla, capisce? Così…»<br />

La donna affondò <strong>il</strong> viso intero nel fazzoletto dando la stura a singhiozzi violenti.<br />

Si riprese, senza che Boccia facesse l’atto di intervenire.


«Così cominciai a metterla in guardia. Un contrabbandiere non era secondo me <strong>il</strong><br />

miglior partito, c’erano altri giovani tutti stimab<strong>il</strong>i…»<br />

«E lei, Bianca, non le diede retta, vero? »<br />

«Oh, no mi diede retta invece. Qualche tempo dopo infatti lei lo lasciò e prese <strong>il</strong><br />

velo».<br />

«Ma nel frattempo con quel ragazzo Bianca scambiò lettere?»<br />

«Oh, qualche biglietto…solo qualche biglietto…neppure firmato».<br />

«Perché non firmato? »<br />

«Non so…forse temevano che non fossi d’accordo ed evitavano pure quello».<br />

«Lei ha detto che Bianca era allora molto innamorata…»<br />

«Oh, sì molto innamorata…»<br />

«Non può aver avuto <strong>una</strong> delusione? Tra loro, insomma, successe qualcosa…»<br />

«D’irreparab<strong>il</strong>e? No, certamente no. Le ho detto che Bianca era buona ed<br />

ubbidiente. Alla fine si convinse che non era <strong>il</strong> caso di continuare…»<br />

Ci fu <strong>una</strong> lunga pausa. Boccia seguiva lo stirarsi dei lineamenti della donna,<br />

come se questa facesse uno sforzo spropositato <strong>per</strong> controllarsi. Il fazzoletto,<br />

chiamato più volte in soccorso, doveva essere ormai zuppo.<br />

Boccia decise allora di porre fine al più presto alla seduta. Tirò quindi fuori da<br />

<strong>una</strong> borsa di pelle le lettere, pretesto di quell’incontro. Riprese poi a parlare con<br />

molta delicatezza di tono e di accenti.<br />

«Signora, non l’importunerò oltre. Ho qui delle lettere. Lei mi deve soltanto dire se<br />

le riconosce <strong>per</strong> quelle di sua figlia o…»<br />

«No, dottore» disse dopo averle appena sfiorate «non sono di mia figlia. Conosco<br />

bene la calligrafia. Oltretutto, come le ho detto, quelli di mia figlia erano dei<br />

semplici biglietti».<br />

«Li ha ancora <strong>per</strong> caso? »<br />

«No, Bianca se li fece consegnare da lui <strong>per</strong> poi distruggerli quando si fece <strong>suora</strong>.<br />

Disse che ormai era fidanzata all’Altissimo…»<br />

«E le lettere o biglietti di lui? A proposito com’era lui, d’aspetto intendo».<br />

«Non l’ho mai visto. Quanto ai biglietti, furono distrutti con gli altri».<br />

«Così ora lei non ha più nulla di Bianca».<br />

«Questa fotografia». Così dicendo la donna prese dal ripiano di un mob<strong>il</strong>e a<br />

ridosso della parete <strong>una</strong> piccola fotografia con cornice offrendola a Boccia.<br />

«Vede, come era bella?»<br />

«Ma è la foto che qualcuno mi ha fatto avere all’atto della ricognizione della salma,<br />

<strong>per</strong> <strong>il</strong> riconoscimento».<br />

«Precisamente».<br />

Boccia tenne in mano l’immagine <strong>per</strong> un po’. Trovò ancora <strong>una</strong> volta che quel viso<br />

era bellissimo: l’ovale stupendo, gli occhi chiari e lucenti senza ombra di<br />

freddezza. Osservò anche la lunga treccia d’oro che scendeva sul petto, di lato.<br />

Come aveva potuto <strong>una</strong> creatura così negarsi all’amore? Come era riuscita a<br />

sublimare nella pragmatica vita di tutti i giorni ciò che di passione urgeva dietro<br />

quegli occhi ridenti, ma al tempo stesso venati da <strong>una</strong> sensualità che si<br />

indovinava robusta?


«Signora, mi dice <strong>una</strong> cosa?» Boccia ripose l’oggetto guardando l’interlocutrice.<br />

«Secondo lei sua figlia com’è morta?»<br />

«Questo lo deve scoprire lei, caro dottore. Io le posso solo dire che Bianca era<br />

incapace di un atto di violenza, anche contro se stessa».<br />

«E quell’uomo, sa dove posso trovarlo?»<br />

«No, mi dispiace. Come le ho detto, non l’ho mai visto e, a detta di chi lo conosce,<br />

se ne son <strong>per</strong>se le tracce. Mi dispiace, non le posso essere ut<strong>il</strong>e».<br />

«Signora, in questo caso la ringrazio <strong>per</strong> l’ospitalità e mi scuso ancora <strong>per</strong> <strong>il</strong><br />

disturbo».<br />

«Non la invidio, dottore. Auguri».<br />

Boccia si alzò, prese la sua borsa di pelle, vi rimise dentro le lettere e salutò la<br />

signora Voltolini con un che di amaro in bocca. La sua indagine, ancorché<br />

proseguire, regrediva ai primordi. Tutto sommato <strong>per</strong>ò (ancora <strong>una</strong> volta) la visita<br />

gli era stata ut<strong>il</strong>e. Giudicava infatti con le sensazioni senza che la ragione potesse<br />

catalogare le stesse come dati di fatto immediatamente ut<strong>il</strong>i al prosieguo delle<br />

indagini. Sapeva comunque che doveva andare avanti con rinnovata lena semmai.<br />

Le sue ascendenze levantine e l’essere felino che alitava in lui gli procuravano <strong>il</strong><br />

fiuto del cacciatore nei riguardi di <strong>una</strong> preda invisib<strong>il</strong>e, ma reale; preda che<br />

doveva essere scovata ad ogni costo, ora che la sua intelligenza veniva sollecitata<br />

a rispondere, brutalmente, al quesito non fac<strong>il</strong>e di <strong>una</strong> morte oscura.<br />

Ne andava insomma del suo amor proprio, <strong>per</strong>ché, quanto all’indagine, sarebbe<br />

bastata la sua firma in calce ad un documento <strong>per</strong> esaurire <strong>il</strong> caso. Archiviato<br />

come tanti altri: suicidio. Boccia uscì fuori avvertendo dentro di sé <strong>una</strong> certa<br />

inadeguatezza, come se avesse fallito in qualcosa in quella visita, quando sapeva<br />

benissimo che quelle lettere avevano costituito solo un pretesto <strong>per</strong> far visita alla<br />

madre di Bianca e conoscere, di conseguenza, qualche dettaglio in più sulla figlia.<br />

E in effetti qualche tassello si era aggiunto nel mosaico dei fatti e delle emozioni:<br />

ora sapeva che Bianca aveva avuto un amante. Non gli importava, <strong>per</strong> <strong>il</strong><br />

momento, che tipo di amante. Ne prendeva semplicemente atto come di un fatto<br />

cardine. Perché dopo la certificazione della morte quello era <strong>il</strong> primo evento<br />

concreto da registrare nel taccuino ideale che si portava dietro. Mancava – è vero<br />

– <strong>il</strong> nome e anche <strong>il</strong> cognome, ma in compenso aveva trovato <strong>una</strong> testimone in<br />

carne ed ossa a far da garante.<br />

Pur tuttavia uscendo da quella casa, Boccia si sentì, come già detto, inadeguato.<br />

Capita nella vita di avvertire improvvisamente <strong>una</strong> sensazione del genere. È<br />

un’idea che può risultare <strong>per</strong>niciosa o, al contrario, vivificante. Boccia avvertiva<br />

<strong>una</strong> sensazione di questo ultimo tipo. Si scosse infatti presto dal torpore in cui<br />

era piombato: l’aspettava Flavia.<br />

E Flavia era infatti sulla via, svirgolante, con <strong>una</strong> sorta di impaziente vivacità.<br />

«Finalmente!»<br />

«Non mi sono divertito».<br />

«Ci mancava anche questa».<br />

«Andiamo a pranzo».<br />

A pranzo Boccia non si distinse <strong>per</strong> allegria. Il vino tuttavia gli scaldò <strong>il</strong> sangue.<br />

La figuretta svelta, soda nella carne giovane appena trattenuta da un maglioncino


sotto misura, ab<strong>il</strong>itava e rafforzava <strong>il</strong> suo desiderio di vezzi rinnovati. Pareva quasi<br />

che <strong>il</strong> dipanarsi degli eventi, riguardo a quella storia di morte, andasse di pari<br />

passo con la sua <strong>per</strong>sonale storia di vita. Ambedue tardavano a trovare uno<br />

sbocco, <strong>una</strong> soluzione.<br />

Ora già s<strong>per</strong>ava che <strong>il</strong> pomeriggio gli riservasse quella che lui si ostinava a<br />

ritenere, nel caso, <strong>una</strong> sorpresa. Senza neve, ci sarebbe stato lassù soltanto lo<br />

chalet a curare le ore senza programma, a parte qualche puntata fruib<strong>il</strong>e tra larici<br />

e abeti.<br />

«Ma come ci arriviamo su?» chiese Flavia.<br />

«Mi sono informato: la funivia è a<strong>per</strong>ta, quindi non occorre salire con la<br />

macchina».<br />

La stazione della funivia fu presto raggiunta e veloce fu <strong>il</strong> trasferimento in quota.<br />

Erano soli in cabina <strong>per</strong> quella corsa. Tuttavia <strong>per</strong> <strong>il</strong> breve intermezzo Boccia non<br />

diede molto retta a Flavia, né si curò di quel che si vedeva fuori, un po’ <strong>per</strong>ché lo<br />

strapiombo gli dava la vertigine e un po’ anche <strong>per</strong>ché i suoi pensieri f<strong>il</strong>avano<br />

itinerari altrimenti cari e fam<strong>il</strong>iari: Linguaglossa, la sua terra laggiù alle pendici<br />

dell’Etna con le sue piste innevate sul far dell’inverno.<br />

E questo non <strong>per</strong> un particolare omaggio agli scenari pure splendidi rivisitati alle<br />

latitudini della memoria, bensì <strong>per</strong>ché questo pensiero, della sua terra, gli<br />

comunicava un novello calore facendolo tornare bambino: gli occhi sulla brace di<br />

rovere e le manine stese a intiepidirsi mentre <strong>il</strong> nonno gli raccontava storie<br />

fantastiche nelle quali <strong>il</strong> dio dell’Etna era sempre presente, immancab<strong>il</strong>mente.<br />

Ma <strong>il</strong> pomeriggio era di sole e i raggi si riverberavano sulla su<strong>per</strong>ficie immob<strong>il</strong>e di<br />

piccoli invasi mandando barbagli di luce agli abitatori della cabina ormai<br />

prossima al terminal a monte della funivia. A corona delle vette <strong>per</strong>ò faceva<br />

mostra di sé <strong>una</strong> nube bianca con striature di nero mentre lo chalet, ai piedi della<br />

sciovia disab<strong>il</strong>itata, si annunciava in un mare di luce. Al sole, e subito a ridosso<br />

dell’Alpe, pareva un libro rovesciato. Boccia se lo coccolava con gli occhi.<br />

«Allora facciamo due passi a piedi sulla traccia della sciovia, o no?»<br />

«Sì, Flavia, si può fare, si può fare».<br />

Lasciata la stazione di arrivo e sorpassato lo chalet del desiderio, si<br />

incamminarono su un sentiero a<strong>per</strong>to dalla sciovia tra le due pareti di abeti<br />

svettanti verso l’alto.<br />

«Ha avuto un amante».<br />

«Chi?»<br />

«Come chi, la <strong>suora</strong>. Da giovane, si intende».<br />

«E <strong>per</strong>ché me lo dici ora, quassù. A tavola non ne hai fatto parola».<br />

«Che vuoi che ti dica, la natura mi dà di queste ispirazioni. Flavia, <strong>per</strong>ché non ci<br />

fermiamo giù allo chalet. Oggi non mi va poi tanto di camminare. A tavolino<br />

parliamo meglio, no? »<br />

«Sì, la sai lunga tu. Ma come ti <strong>per</strong>metti? »<br />

Flavia rideva scoprendo i denti bianchissimi, giustapposti con rara <strong>per</strong>fezione<br />

senza lasciare commessure di sorta. A parziale co<strong>per</strong>tura degli stessi, due labbra,<br />

invitanti, rosso c<strong>il</strong>iegia.<br />

«Oh, guarda viene giù <strong>una</strong> nuvola. Si fa anche buio».<br />

«Flavia, non t’allontanare. Non ti vedo quasi».


«Oh, non preoccuparti, caro. Se continuerà, faremo dietro front».<br />

«Flavia, aspettami…non ti vedo più. Questa stramaledetta nuvola mi ha fatto<br />

deviare dal sentiero. Si è a<strong>per</strong>ta pure <strong>una</strong> radura che non si capisce dove porti».<br />

Boccia continuò a parlare, a chiamare anche. Chiamò Flavia <strong>per</strong> diverso tempo,<br />

mentre cercava di ritrovare <strong>il</strong> sentiero smarrito, cosa questa che gli sembrava<br />

abbastanza semplice in relazione al fatto che <strong>il</strong> luogo, al di fuori dell’abetaia,<br />

presentava solo sentieri predisposti alla risalita durante la stagione della neve.<br />

Ma questo ragionamento sembrava al momento davvero im<strong>per</strong>vio, dato che<br />

nuvole basse radevano a tratti <strong>il</strong> declivio della montagna, inf<strong>il</strong>trandosi tra tronco<br />

degli abeti ad alto fusto delle cui panie Boccia si sentiva preda, destinata via via a<br />

smarrirsi. E più questa sensazione si rafforzava, con visib<strong>il</strong>ità pressoché nulla,<br />

più Boccia elevava <strong>il</strong> tono della voce, con richiami che finivano <strong>per</strong> gorgogliare in<br />

gola anziché trasmettere messaggi in qualche modo comprensib<strong>il</strong>i.<br />

Ma Flavia, evidentemente senza accorgersene, si era allontanata dal suo uomo<br />

attribuendo l’assenza di Boccia ad un gioco da lui improvvisato. Così, tanto <strong>per</strong><br />

tenerla in apprensione <strong>per</strong> <strong>il</strong> tempo dedicato al gioco stesso.<br />

Boccia a questo punto si fermò, aspettando in loco di vederci più chiaro senza<br />

ulteriori richiami.<br />

«Uh, uh…». L’ululato di Flavia, a raccogliere l’immagine del vento, arrivò a Boccia<br />

irridente e incredib<strong>il</strong>e da un punto a valle rispetto a quello a mezza costa in cui<br />

lui si trovava. Preso <strong>per</strong> buono quel riferimento e ritrovato <strong>il</strong> sentiero, ridiscese<br />

infine. Ma con <strong>una</strong> rabbia in corpo che chiedeva <strong>una</strong> qualche via <strong>per</strong> potersi<br />

scaricare, fosse pure di un albero o di un arbusto la prima sagoma a pararglisi<br />

davanti.<br />

La montagna gli era nel momento nemica e quindi l’avrebbe trattata come tale. A<br />

costo anche di riconoscersi giù di st<strong>il</strong>e, spoglio di quel modo urbano e pacioso che<br />

gli aveva fatto vincere più di <strong>una</strong> battaglia.


Giovedì, 10/09/…<br />

«Pronto? Sono <strong>il</strong> dottor Boccia da Domodossola. Mi passi <strong>il</strong> maresciallo Bas<strong>il</strong>e».<br />

Il chiamato si fece attendere, ma infine fu all’apparecchio:<br />

«Sono <strong>il</strong> maresciallo Bas<strong>il</strong>e. Dica, dottore».<br />

«Senta, Bas<strong>il</strong>e. Come lei sa, mi sto occupando del caso di quella <strong>suora</strong> trovata<br />

morta sui monti. Si è fatta l’autopsia, ma attendo <strong>il</strong> responso degli esami chimicotossicologici;<br />

<strong>il</strong> quale responso sarà pronto, al più presto, fra quindici-venti giorni,<br />

col che si chiuderà <strong>il</strong> caso molto probab<strong>il</strong>mente. Dico molto probab<strong>il</strong>mente<br />

<strong>per</strong>ché, r<strong>il</strong>eggendo attentamente <strong>il</strong> suo verbale, ho riscontrato qualche elemento<br />

non proprio a favore dell’<strong>ipotesi</strong> del suicidio, bensì a favore di quella opposta, vale<br />

a dire dell’omicidio. Ho poi condotto <strong>una</strong> piccola, <strong>per</strong>sonale indagine in territorio<br />

svizzero e mi sono convinto che è <strong>il</strong> caso di approfondire. Anche <strong>per</strong>ché – questo<br />

lei non lo sa – sono arrivate nel frattempo diverse lettere anonime. Lettere che<br />

non riguardano direttamente <strong>il</strong> caso, ma sembrano indicare <strong>una</strong> traccia nel senso<br />

di un coinvolgimento – diretto o indiretto – di qualcuno nella morte della povera<br />

<strong>suora</strong>.<br />

Lei dunque, come organo di polizia giudiziaria, deve farsi carico di un<br />

supplemento di indagine affinché <strong>il</strong> tutto venga chiarito nel migliore dei modi, e al<br />

più presto. In conclusione la invito a ri<strong>per</strong>correre <strong>il</strong> tragitto seguito da suor<br />

Giacinta o, <strong>per</strong> meglio dire, da Bianca Voltolini, dalla frontiera fino al punto in cui<br />

fu trovato <strong>il</strong> corpo. In particolare, lei mi deve cercare e trovare un uomo di circa<br />

cinquant’anni anni, l’ex amante di Bianca quando lei ne aveva quindici e lui<br />

venti.<br />

Di mestiere dovrebbe fare <strong>il</strong> contrabbandiere, o spallone che dir si voglia, e<br />

quindi, con tutta probab<strong>il</strong>ità, lo si può incrociare sugli itinerari di montagna o in<br />

compagnia di <strong>per</strong>sonaggi del tipo.<br />

«Ma, dottore, mi scusi. Io qui, a Valmara, sono conosciuto…».<br />

«Be’, e allora? ».<br />

«Voglio dire che se lei <strong>per</strong>segue un’indagine informale, solo <strong>per</strong> avere<br />

un’informazione, non è bene che io mi esponga in prima <strong>per</strong>sona…».<br />

«Faccia venire uno da fuori».<br />

«Darebbe ancor più nell’occhio. Sa, <strong>il</strong> paese è piccolo. Ogni faccia nuova in zona di<br />

frontiera è <strong>una</strong> faccia da controllare».<br />

«E allora si avvalga di informatori. Non ne ha a portata di mano? ».<br />

«Mah, non saprei. Forse un barbone che va in su e in giù <strong>per</strong> la Val Vigezzo».<br />

«Perfetto. Faccia quello che ritiene più opportuno, ma non dia nell’occhio. Non<br />

vorrei creare turbative <strong>per</strong> nulla».<br />

«Agli ordini, dottore. Farò come lei comanda».<br />

«Bene. Allora, appena può, venga a riferire a me <strong>per</strong>sonalmente, qui a<br />

Domodossola. L’aspetto».


Sabato 12/09/…<br />

«Il vino è buono, sai Pina? Portami un’altra bottiglia, l’amico qui di fronte ha sete.<br />

Oggi offro io, non capita spesso».<br />

«Non esagerate, nonno».<br />

L’uomo, dagli abiti dimessi e gualciti, biascicava le parole in preda ad <strong>una</strong> sbornia<br />

che pareva ovvia e del tutto naturale nel luogo dove si era consumato lo scambio<br />

di battute sopra riportato; un’enoteca dai tratti popolani, ma tenuta <strong>per</strong> nob<strong>il</strong>e<br />

dagli avventori i quali avevano eletto a loro metro di giudizio la qualità del vino<br />

sfuso, ad alta gradazione.<br />

L’uomo che aveva parlato <strong>per</strong> primo guardava <strong>il</strong> suo dirimpettaio con curiosità,<br />

aspettando che questi producesse <strong>una</strong> qualche reazione a quella sua uscita non<br />

proprio casuale. L’altro, invece, non si diede <strong>per</strong> inteso. Lisciandosi <strong>il</strong> pelo bianco<br />

che gli incorniciava <strong>il</strong> viso, non dava modo di capire se quel vino che ingollava, a<br />

collo alto, dalla bottiglia fosse di suo gradimento, oppure no. E già <strong>il</strong> primo stava<br />

rimpiangendo i suoi poveri soldi buttati al vento, quando <strong>il</strong> secondo finì <strong>per</strong> dire:<br />

sì, non c’è male. Non c’è male davvero».<br />

«Amico, non crederai che ti abbia offerto tutto questo <strong>per</strong> niente, s<strong>per</strong>o».<br />

«E che vuoi allora? »<br />

«Un favore».<br />

«Dipende dal tipo di favore».<br />

«Un favore che tu puoi farmi». E qui l’uomo avvicinò la mano destra alla bocca a<br />

far da paravento, le sopracciglia inarcate, come si usa quando si vuole confidare<br />

un qualche segreto senza che altri intenda.<br />

«Un gran signore, un banchiere di M<strong>il</strong>ano, vuol trovare qualcuno che gli<br />

trasferisca dei quadri in Svizzera, dei quadri di valore si intende. Occorre quindi<br />

un frontaliere di fiducia, possib<strong>il</strong>mente robusto e di es<strong>per</strong>ienza, non uno alle<br />

prime armi».<br />

«Perché non lo cerchi tu. Non sei forse un corriere della valle? »<br />

«Ma non un ex-spallone come te, non del posto. Sono qui da poco. La Pina te lo<br />

può confermare.<br />

«Oggi con i TIR fanno passare qualunque cosa da Mendrisio…»<br />

«Allora non hai capito, non è questione di cose grosse, di droga, di armi<br />

ih,ih,ih…So parlando semplicemente di quadri, da trasferire in Svizzera senza dar<br />

nell’occhio. Queste montagne sono più appartate, con valichi più agevoli. Non è<br />

così? »<br />

«Più agevoli, più appartate!? Ma lo sai che in settembre, prima di scendere a valle<br />

col bestiame, i pastori accendono grandi falò sulle coste dei monti. E mentre gli<br />

uomini badano al falò le donne cantano. E al termine di ogni canzone mandano<br />

un segno di richiamo: ”Uuuu.Iiii”. dai monti vicini le rivali ribattono: “Una turta in<br />

buca a tiii”. E così <strong>per</strong> tutta la notte».<br />

«E poi nessuno ti ha parlato del diavolo? »<br />

«Del diavolo!? Che c’entra adesso <strong>il</strong> diavolo».<br />

«C’entra, c’entra. Nessuno la può fare al diavolo».<br />

L’uomo - gli occhi fissi nel vuoto – prese un’aria misteriosa, ineffab<strong>il</strong>e, come<br />

l’indice destro a ruotare su ipotetiche traiettorie di cicloide.


«A Malesco, se non lo sai» riprese «e anche più su alle Bocche di S.Antonio, nella<br />

notte del sabato <strong>il</strong> diavolo riunisce le streghe e dà <strong>il</strong> via a un ‘sabba’ infernale con<br />

balli e orge…erotiche. Con donnine nude ih, ih, ih…»<br />

«No, caro amico, non è davvero agevole di questi tempi farla franca su queste<br />

montagne. Il velo delle streghe è trasparente, non copre. Come tu non puoi<br />

coprire» e qui la voce dell’uomo divenne dura e determinata «non puoi coprire le<br />

fandonie che vai dicendo sul gran signore e i sui quadri. In altre parole, chi ti ha<br />

mandato?»<br />

«Be’, non prenderla così» si affrettò a dire l’altro. «Ehm, ehm, in verità sto<br />

cercando <strong>una</strong> certa Bianca. L’hai mai conosciuta?»<br />

«Io? No, oppure sì, ma molti anni fa. Ora è morta».<br />

«Chi era? »<br />

«La ragazza di un mio amico».<br />

«Come si chiama questo tuo amico? »<br />

«…»<br />

«Non rispondi? »<br />

«È che non mi va. Ti ringrazio …<strong>per</strong> <strong>il</strong> vino».<br />

Così dicendo l’uomo si alzò e, barcollando, guadagnò l’uscita senza più fiatare.


Lunedì 14/09…<br />

«Ecco, dottore, le cose stanno così». Il maresciallo Bas<strong>il</strong>e – capelli brizzolati, corpo<br />

asciutto - accavallò le gambe, mentre si dava <strong>una</strong> risistemata sulla poltrona,<br />

giusto di fronte a Boccia che lo seguiva dalla parte opposta dell’ampia scrivania.<br />

«Dunque, c’è un passato nella vita di Bianca. La madre ne ha fatto chiara<br />

menzione nell’incontro che ho avuto con lei a Russo. Ciò che lei, maresciallo, ha<br />

detto si lega molto bene con la dichiarazione della madre. In tutte e due i casi<br />

compare un uomo che ha amato Bianca».<br />

«O anche…».<br />

«Sì, anche odiato, maresciallo Bas<strong>il</strong>e. Non lo si può certo escludere. Se si arriva ad<br />

amare con trasporto, in profondità, si può, <strong>per</strong> converso, anche <strong>per</strong>venire al suo<br />

opposto, ad odiare con lo stesso trasporto e profondità. Odio e amore sono<br />

sentimenti che nelle motivazioni psicologiche si equivalgono, sono solo opposti di<br />

segno. È l’indifferenza invece, o la reticenza, che non mi convince. Il quadro che<br />

ne ha fatto la madre su<strong>per</strong>iora, <strong>per</strong> esempio, è troppo semplice ed id<strong>il</strong>liaco, e<br />

quindi indifferente <strong>per</strong> quanto attiene al dramma. Nelle sue parole non compare<br />

mai <strong>il</strong> dubbio, mai un accenno a problemi di sorta. Eppure nel comportamento di<br />

Bianca ci sarà pur stata qualche smagliatura, qualche momento di debolezza».<br />

«Be’, la madre su<strong>per</strong>iora avrà creduto bene di difendere <strong>il</strong> buon nome, oltre che<br />

della <strong>suora</strong> morta, anche della casa, o istituto, di cui lei è la responsab<strong>il</strong>e, mi<br />

sembra».<br />

«Oh, senza dubbio. Eppure la sua difesa d’ufficio è fredda, non convince. Sembra<br />

reticente, ecco, reticente. Anche se è plausib<strong>il</strong>e <strong>una</strong> sua im<strong>per</strong>fetta conoscenza dei<br />

trascorsi di suor Giacinta. In altre parole, può non sa<strong>per</strong>e che nella vita di suor<br />

Giacinta c’è stato un amore importante. Ciò nonostante…»<br />

Il dottor Boccia a questo punto si interruppe. Il ‘ciò nonostante’ rimase come<br />

sospeso nell’aria assieme ai pensieri ed agli sguardi un po’ <strong>per</strong>duti nel vuoto,<br />

mentre tambureggiava con le dita grassocce <strong>il</strong> ripiano di noce chiaro, luogo dei<br />

doveri d’ufficio.<br />

«Conviene che vada» disse infine, rivolgendosi al suo interlocutore che lo seguiva<br />

con un’attenzione fatta di rispetto e deferenza. «Devo ritornare là, maresciallo, alla<br />

casa di riposo»<br />

«Credo che sia opportuno, dottore. Sono a sua disposizione».<br />

«Sì, è bene che venga anche lei. Ci sarà pure <strong>il</strong> rappresentante della polizia<br />

cantonale. Dal dottor Almisano ho avuto oggi <strong>per</strong> l’appunto l’assicurazione circa<br />

l’interessamento alle indagini della locale polizia cantonale. Credevo, <strong>per</strong> la verità,<br />

che ci fosse come un vuoto di attenzione da parte delle autorità della<br />

Confederazione. Fino a questo punto nessuno si era fatto vivo. Sono comunque<br />

convinto che si debba riservare al caso la massima riservatezza, anche <strong>per</strong> non<br />

allarmare fuori tempo la madre su<strong>per</strong>iora ed ottenere così <strong>il</strong> massimo profitto da<br />

ciò che dirà».<br />

«E <strong>per</strong> <strong>il</strong> giorno?».<br />

«Mercoledì. Le va bene?».<br />

«Direi di sì».


Mercoledì 16/09/…<br />

«Madre, sono costernato. Ma devo, purtroppo, avvalermi della sua collaborazione<br />

<strong>per</strong> ulteriori chiarimenti circa <strong>il</strong> caso che lei ben conosce. Oh, non si preoccupi<br />

troppo. Il delegato della polizia sottocenerina, signor Briga, è qui solo <strong>per</strong><br />

l'eventualità che si evincesse qualche elemento di interesse in questa mia piccola<br />

ricerca…chiamiamola così. Ma anche <strong>per</strong> esaurire questa tornata di domande -<br />

che io non mi <strong>per</strong>metto di chiamare interrogatori -, e non dover poi chiedere<br />

ulteriori proroghe alla sua pazienza, ormai provata. Per far questo dunque ho<br />

necessità di sentire tutto <strong>il</strong> <strong>per</strong>sonale della casa: suore ed inservienti».<br />

«Dottore, come le dissi la volta scorsa, non ho nulla da nascondere. Né penso che<br />

lo abbiano le suore che mi coadiuvano nell’impegno, non piccolo, di far fronte alle<br />

tante necessità dei poveri vecchi qui ricoverati. Quindi proceda pure nel suo<br />

interrogatorio, ma la prego di far presto».<br />

Così dicendo la madre su<strong>per</strong>iora, senza aspettare ulteriori repliche, tirò a sé un<br />

lungo tirante di tessuto con nappa a frangia pendente dal soffitto cui fece eco uno<br />

scampanio nel corridoio adiacente al parlatorio in cui si trovavano.<br />

In quella breve attesa, Boccia si distrasse a guardare ciò che la cameretta, nel suo<br />

spoglio mostrarsi, forniva di rassicurante: <strong>il</strong> biancore recente delle pareti e <strong>il</strong><br />

lindore di un pavimento che mostrava lunga frequentazione col pulito.<br />

«Sì, madre?» chiese la nuova entrata.<br />

«Avvisa tutte le altre che c’è bisogno di loro. Ma, mi raccomando, <strong>una</strong> alla volta.<br />

Ah, …chiama anche la Br<strong>una</strong>».<br />

«Madre, potrei chiederle un’ulteriore cortesia?» chiese Boccia.<br />

«Dica pure».<br />

«Sa…le suore potrebbero mostrare qualche remora a parlare in sua presenza».<br />

«Ho capito, dottore. Mi assento…La prego solo di avvertirmi appena finito. Ora<br />

vado…Vieni, vieni, Gesuina. Tocca a te».<br />

La nuova entrata guardò di sotto in su la madre su<strong>per</strong>iora che si apprestava ad<br />

uscire, impallidendo vistosamente nel momento in cui i loro sguardi si<br />

incrociarono.<br />

«Si accomodi, prego. Non ha nulla da temere. Io sono <strong>il</strong> dottor Boccia di<br />

Domodossola e <strong>il</strong> signore qui accanto è <strong>il</strong> signor Briga, delegato della polizia<br />

cantonale di Locarno. Siamo qui <strong>per</strong> verificare se <strong>per</strong> caso vi siano ulteriori<br />

elementi ut<strong>il</strong>i ai fini della piccola indagine che stiamo svolgendo sulla povera<br />

morta, suor Giacinta. In altre parole, cerchiamo di far chiarezza <strong>una</strong> volta <strong>per</strong><br />

tutte.<br />

Dunque, ci dica: quali motivazioni, se ce ne sono state, possono aver spinto suor<br />

Giacinta ad un atto così irreparab<strong>il</strong>e? Nell’ultimo <strong>per</strong>iodo, <strong>per</strong> esempio,<br />

l’atteggiamento o <strong>il</strong> comportamento della povera morta con le consorelle o gli<br />

anziani sotto tutela è stato, sotto tutti gli aspetti, normale oppure no? Era<br />

turbata? Le risulta che qualcuno avesse particolari motivazioni di risentimento<br />

verso suor Giacinta?»<br />

«Dottore, chiedo scusa. Ma prima di cominciare vorrei che mi chiarisse in quale<br />

veste io sono qui chiamata a rispondere. Non mi intendo di leggi. Ma credo di<br />

capire o di sa<strong>per</strong>e che, a tutela della mia <strong>per</strong>sona, qui accanto dovrebbe sedere<br />

un avvocato. Non vorrei infatti che le mie risposte fossero poi usate contro di me.


Non vorrei insomma ritrovarmi imputata di non so cosa. Oltretutto è qui<br />

presente, e lei me lo ha confermato, un rappresentante della polizia cantonale.<br />

Non le sembra inopport<strong>una</strong> la sua presenza in questo luogo?»<br />

«Le confesso che lei ha ragione. Ma <strong>il</strong> signor Briga ed io crediamo fermamente che<br />

non ci sarà nessun imputato in questa casa. E in questa convinzione ci siamo<br />

assunti la responsab<strong>il</strong>ità – o <strong>per</strong> lo meno me la sono assunta io – di o<strong>per</strong>are nel<br />

non ufficiale <strong>per</strong> così dire, anche <strong>per</strong> riguardo all’Ordine della ‘Sacra Famiglia’ che<br />

suor Aspasia, la sua madre su<strong>per</strong>iora, dirige con così alto acume.<br />

Del resto lei non è obbligata a rispondere. Ma se vuole e può, io la ringrazio fin<br />

d’ora <strong>per</strong>ché tutto verrebbe reso più fac<strong>il</strong>e. Vuole dunque rispondere alle<br />

domande che le ho fatto? Nell’ultimo <strong>per</strong>iodo eccetera?»<br />

«Dottore, le risponderò se così vuole. Purtroppo non ho nulla da dirle. Suor<br />

Giacinta, io l’ho vista sempre serena, anche se molto impegnata nel suo lavoro<br />

con gli anziani della casa. Non sembrava mai stanca. Lavorava giorno e notte, in<br />

particolare nell’ultimo <strong>per</strong>iodo. Quel che posso dirle è che era molto determinata<br />

nel cercare <strong>il</strong> recu<strong>per</strong>o degli anziani a lei affidati».<br />

«Determinata, lei dice?»<br />

«Sì, determinata, molto determinata. Aveva in affidamento dieci vecchi non<br />

autosufficienti. Tra gli autosufficienti poi, c’erano due vecchi, <strong>una</strong> coppia, che lei<br />

seguiva con particolare amore. Non voleva, <strong>per</strong> esempio, che si insultassero -<br />

<strong>per</strong>ché deve succedere, Gesuina?, disse <strong>una</strong> volta, ma voleva che, al contrario, si<br />

amassero».<br />

«Si amassero, ha detto!?»<br />

«Sì, proprio così, si amassero. Un’impresa ardua naturalmente, anche se non<br />

impossib<strong>il</strong>e. Eppure lei non si dava mai <strong>per</strong> vinta. L’amore – diceva – è l’unica<br />

salvezza in questo mondo…e anche nell’altro, aggiungeva».<br />

«Tutto qui?»<br />

«Sì, dottore. Tutto qui».<br />

«Ness<strong>una</strong>, che lei sappia, aveva motivi di rancore verso suor Giacinta?»<br />

«Penso proprio di no. Come le ho detto, voleva che tutti si amassero, nessuno<br />

escluso. Chi poteva avercela con essere così santo?».<br />

«Qualche risentimento tra di voi?».<br />

«No, no, lo escludo. Io, almeno, non ho mai avuto modo di scontrarmi con lei.<br />

Diverse di carattere, ma non <strong>per</strong> questo meno vicine nel nostro lavoro che, come<br />

lei saprà, è molto duro».<br />

«Perché dice, almeno? C’è qualcun’altra che invece…».<br />

«Oh, no. Dicevo così <strong>per</strong> dire. Che io sappia nessun problema tra di noi».<br />

«Quindi tutto normale».<br />

«Sì, direi proprio di sì».<br />

«Va bene, si accomodi. Faccia entrare la seconda, suor Carmela. Oppure no,<br />

l’inserviente Br<strong>una</strong>».<br />

Suor Gesuina si alzò alla svelta dalla sedia e uscì <strong>per</strong> far posto alla nuova<br />

chiamata, la quale si sedette con circospezione come se sulla sedia crescessero<br />

agorai di sp<strong>il</strong>li.<br />

Boccia venne subito al dunque. Dopo aver nominato la <strong>suora</strong>, chiese:<br />

«Conosceva – che lei sappia – qualche uomo di frontiera?».


«Io, signor dottore?». E qui Br<strong>una</strong> si imporporò tutta, fatto questo che non sfuggì<br />

a Boccia.<br />

«Perché lei, Br<strong>una</strong>, conosce forse qualcuno?».<br />

«Sì,…ma come tutti del resto a Locarno. La zona, si sa, è di confine…».<br />

«Va bene, va bene. Lei non è <strong>suora</strong>, mi sembra, e può quindi andare con chi<br />

vuole. No, le chiedevo –forse ho posto male la domanda – se suor Giacinta poteva<br />

aver qualche motivo <strong>per</strong> andare sulla montagna? Per esempio, un qualche legame<br />

o solo affetto, non confessab<strong>il</strong>e, verso qualcuno, un frontaliere o più<br />

semplicemente uno spallone…».<br />

«Oh, no dottore, lo escludo nel modo più assoluto. Io sono qui da dieci anni…».<br />

«Scusi, se mi <strong>per</strong>metto, quanti anni ha lei?».<br />

«Trenta…Allora, dicevo, sono qui da dieci anni e non ho mai sentito parlare di<br />

<strong>una</strong> conoscenza extra della <strong>suora</strong>. Per me è stata <strong>una</strong> santa. Glielo dice <strong>una</strong><br />

donna semplice, ma sincera, signor dottore».<br />

«Va bene, va bene».<br />

Boccia a questo punto si sentì a disagio. Di concreto aveva ben poco: le lettere<br />

e…<strong>il</strong> rossore di Br<strong>una</strong>, frutto di un equivoco. Che farci? Aveva s<strong>per</strong>ato di ottenere<br />

ben altri risultati da quella che lui chiamava ‘la piccola indagine’. Sentire altre<br />

suore? Avrebbero detto, presumib<strong>il</strong>mente, la medesima cosa, forse istruite…dalla<br />

madre su<strong>per</strong>iora.<br />

Oppure sincere: suor Giacinta era <strong>una</strong> santa e nessuno poteva <strong>per</strong>mettersi di<br />

offuscarne la memoria con <strong>il</strong>lazioni men che rispettose.<br />

Non si poteva dare <strong>il</strong> caso – come suggeriva suor Aspasia – di <strong>una</strong> morte naturale,<br />

propiziata magari dall’Altissimo secondo fini im<strong>per</strong>scrutab<strong>il</strong>i? Perché indagare<br />

dunque? Non era forse più rispettoso lasciarla in pace, nel suo sonno senza fine?<br />

‘Eppure’ – si diceva Boccia – ‘in tutta questa faccenda c’è qualcosa che non mi<br />

convince. Come se qualcuno mi nascondesse qualche scampolo di verità, <strong>una</strong><br />

verità che si nega, che si mimetizza come <strong>una</strong> serpe in luoghi imprevedib<strong>il</strong>i della<br />

casa, come cassapanche, cantine e chissà cos’altro’.<br />

Che fare dunque? Boccia guardò <strong>il</strong> sole che f<strong>il</strong>trava tra le grate, dietro le imposte<br />

socchiuse e l’ampia vetrata a riquadri. Il tempo fuori doveva essere magnifico.<br />

Perché non approfittarne? Flavia, a Locarno, l’aspettava con curiosità e volontà di<br />

rivalsa <strong>per</strong> quanto era successo l’ultima volta tra loro. Guardò anche <strong>il</strong> delegato a<br />

fianco a sé <strong>il</strong> quale sembrava interessato a tutto fuorché alla faccenda di suor<br />

Giacinta. Pensò anche a Bas<strong>il</strong>e che all’ultimo momento, <strong>per</strong> riguardo al delegato,<br />

era stato escluso dall’incontro dell’aliscafo. Con <strong>una</strong> decisione repentina, propose<br />

così all’altro di chiudere.<br />

«Madre, la ringrazio dell’ospitalità…»<br />

«Verrà ancora? »<br />

«Oh, non vorrei davvero import<strong>una</strong>rla. E poi dipende anche dalle decisioni delle<br />

autorità della Confederazione. Vero, delegato? »<br />

Boccia uscì dunque con quest’ultimo recu<strong>per</strong>ando Bas<strong>il</strong>e all’imbarcadero, come<br />

previsto. Durante l’attraversata del braccio di lago sull’aliscafo, la conversazione<br />

fra i tre fu scarna ed essenziale, anche <strong>per</strong>ché Boccia non se la sentiva di<br />

riesumare, in luogo pubblico, osservazioni sui colloqui appena conclusi. Fu


comunque gent<strong>il</strong>e con Bas<strong>il</strong>e cercando di acquietarne la curiosità con un ‘ne<br />

riparleremo’ con toni smorzati resi più eloquenti da un pacato gestire.<br />

I suoi pensieri tra l’altro erano come <strong>per</strong>si, esalati dal presente <strong>per</strong> anticipare <strong>il</strong><br />

futuro immediato al pont<strong>il</strong>e di arrivo dove sapeva esserci Flavia.<br />

E Flavia - a cancellare qualsiasi dubbio – era davvero là, pronta a prelevare <strong>il</strong> suo<br />

uomo, quali che fossero i progetti degli altri due i quali, <strong>per</strong> la verità, non<br />

parevano disturbare proprio, imbarazzati com’erano ad assorbire la cerimonia del<br />

saluto. Boccia li congedò ben presto con l’assicurazione della propria deferenza e<br />

collaborazione all’uno e con un appuntamento all’altro, a Domodossola. Lui <strong>per</strong> <strong>il</strong><br />

momento si sarebbe fermato a Locarno. Ora era davvero tutto <strong>per</strong> Flavia.<br />

«Stavolta non hai bigiato?» le disse con l’aria di voler dire <strong>una</strong> parola sofisticata.<br />

«Non ho che?» fece lei ridendo allegramente.<br />

«Bigiato, disertato l’appuntamento».<br />

«Ah, non mi ricordare Cioppi. Ero troppo triste quel giorno».<br />

«Allora che facciamo? Ho voglia di svagarmi. Il sole oggi è caldo. Possiamo<br />

approfittarne, no? Proporrei uno spuntino e poi <strong>una</strong> gita sul lago. Che ne dici?».<br />

«Oh, <strong>per</strong> me va benissimo. Del resto ne avevamo già parlato».<br />

«Allora vada <strong>per</strong> <strong>il</strong> lago. Prima <strong>per</strong>ò ci prendiamo qualcosa».<br />

I due si mossero verso <strong>il</strong> locale che Boccia aveva indicato alzando la mano.<br />

«Come è andata?» chiese Flavia tra un boccone e l’altro.<br />

«Così e così. Il caso nell’apparenza è semplicissimo. Eppure non si riesce a far<br />

affiorare ciò che c’è sotto. Una zaffata di zolfo che viene dal sottofondo, capisci?<br />

Forse è colpa mia. Sono negato all’indagine, o almeno ad un’indagine di questo<br />

tipo. Quelle suore poi, non le capisco. Così ermetiche, così determinate - dalla<br />

madre su<strong>per</strong>iora fino all’ultima inserviente – a disegnare un’immagine di comodo<br />

<strong>per</strong> la povera <strong>suora</strong> morta. Una donna felice secondo loro, senza problemi; tutta<br />

dedita al lavoro e alle pratiche religiose, <strong>una</strong> santa addirittura. Ma allora che cosa<br />

o chi – dico io – ha spinto <strong>una</strong> donna così felice a fare un lungo viaggio <strong>per</strong> andare<br />

a morire su un monte. E le lettere poi? Non dovrei parlartene».<br />

«Io non ti ho chiesto niente».<br />

«Sì, d’accordo, sono io che ne voglio parlare, anche se non devo. Le lettere – dicevo<br />

– che arrivano da un po’ di tempo che significano?».<br />

«Un messaggio…».<br />

«Oh, certo, un messaggio. Di qualcuno o qualc<strong>una</strong>».<br />

«Qualc<strong>una</strong>».<br />

«Qualc<strong>una</strong> che s<strong>per</strong>avo di scovare oggi. Non sono stato ab<strong>il</strong>e, ecco. Quel pencolare<br />

tra <strong>il</strong> desiderio di non offendere chi magari non c’entra niente e la volontà di<br />

affondare <strong>il</strong> coltello nella piaga. Ero convinto, anzi sono convinto che <strong>il</strong> bandolo<br />

della matassa sta a V<strong>il</strong>la Serena, la casa di riposo.<br />

«Te l’ho già detto, un caso di gelosia».<br />

«Di gelosia, <strong>per</strong>ché? Non vedo nessun legame. Per quale ragione <strong>una</strong> <strong>suora</strong> della<br />

casa invierebbe, <strong>per</strong> gelosia, vecchie lettere d’amore, quando avrebbe tutto<br />

l’interesse a che <strong>il</strong> caso fosse chiuso. Morto e sepolto. Perché, insomma, non dire<br />

che la povera <strong>suora</strong> si era stancata troppo negli ultimi tempi, si era esaurita; così<br />

esaurita da pensare al suicidio. Invece, no: suor Giacinta era serena, mai un


attimo di crisi, un essere al servizio della comunità, del prossimo; in particolare di<br />

due poveri vecchi che bisticciavano tra loro.<br />

E le lettere poi, come sistemarle? Come inquadrarle? O<strong>per</strong>a di un mitomane? Ma<br />

quel mitomane sa che mi occupo del caso, sa che non è un suicidio – vuole<br />

avvisarmi di questo, forse?- ma di omicidio e sa infine che c’è di mezzo l’amore se<br />

manda lettere d’amore di venti, trent’anni fa.<br />

Suor Giacinta – o Bianca Voltolini – ha avuto appunto <strong>una</strong> storia d’amore trenta<br />

anni fa. Quando lei aveva quindici anni. Un amore <strong>per</strong>altro finito presto <strong>per</strong><br />

volontà della madre. Proprio in seguito a questa delusione, Bianca si fece <strong>suora</strong><br />

diventando suor Giacinta».<br />

«E la madre, che ha detto? »<br />

«Ha confermato. Anzi proprio lei mi ha informato di questa passione della figlia,<br />

particolare che è stato successivamente acclarato dalle indagini del maresciallo<br />

Bas<strong>il</strong>e di Valmara. (sì, quello che era con me all’arrivo). Bianca, a quindici anni,<br />

aveva dunque amato uno spallone, uno di quelli che praticano <strong>il</strong> contrabbando di<br />

qua e di là della frontiera italo-svizzera».<br />

«E dov’è questo spallone? »<br />

«Ah, non lo so. Non sono riuscito a conoscerne neppure <strong>il</strong> nome. La madre di<br />

Bianca ha affermato di non conoscerlo. Ed è sembrata sincera».<br />

«Lei è andata sul monte…»<br />

«A cercare lui? Mi sembra incredib<strong>il</strong>e dopo trent’anni. No, non è possib<strong>il</strong>e. Be’,<br />

lasciamo <strong>per</strong>dere, Flavia, andiamo a farci <strong>una</strong> gita sul lago».<br />

E così <strong>il</strong> lago fu solcato da un aliscafo che in corrispondenza delle alette di prua<br />

alzava gemelle cortine d’acqua. Sembrava un pavone tronfio con la ruota a<strong>per</strong>ta a<br />

tutto giro nei colori cangianti dell’iride. Nel sole infatti l’acqua, franta dall’impatto<br />

in m<strong>il</strong>le gocce, incuneava la luce bianca dell’astro rifrangendola e trasformandola<br />

nei fatidici sette colori dell’arcobaleno, suscitando la meravigliata attenzione di<br />

Flavia e Boccia. I quali, presi d’inf<strong>il</strong>ata dal vento e resi muti dal turbinoso rumore<br />

del natante, se ne stavano a poppa, in piedi, a rimirare le iconiche creature del<br />

caso. Ma ben presto l’aliscafo disegnò un largo semicerchio sull’acqua finendo<br />

all’attracco di Ascona <strong>per</strong> <strong>una</strong> prima sosta.<br />

«Ora devi fare attenzione» disse allora Flavia, invitando <strong>il</strong> compagno a sedersi su<br />

<strong>una</strong> panchina a doghe larghe dell’entrobordo.<br />

«Attenzione a che?» chiese Boccia sedendosi a sua volta.<br />

«Attenzione a quello che vedrai: i monti sul lago, la costa, le isole. Tu non lo<br />

conosci – vero - <strong>il</strong> lago? Questo lago, intendo. Occorre amarlo <strong>per</strong> apprezzarne in<br />

pieno i tesori: la bellezza di <strong>una</strong> natura carica di suggestioni; <strong>il</strong> fascino, a volte un<br />

po’ raggelante, di miti e leggende che si rincorrono un po’ dap<strong>per</strong>tutto lungo le<br />

sue sponde».<br />

«Parli come un libro stampato. Mi farai da guida?» chiese ironico Boccia.<br />

«Oh certo, sarò la tua guida» disse Flavia con <strong>una</strong> venatura fatale nella voce.<br />

E così Flavia – nel tempo prolungato dell’attracco – fu guida felice <strong>per</strong> Boccia <strong>il</strong><br />

quale, <strong>per</strong> la verità, era più incline ad apprezzare le sottese valenze della carne di<br />

lei che le meraviglie decantate dell’ostensiva natura. Era come refrattario alle<br />

sollecitazioni astratte della mente, così ai moti fac<strong>il</strong>i del cuore. Lui terragno, di


tem<strong>per</strong>amento calmo, teneva tuttavia nel sangue <strong>il</strong> rimescolamento di carte che<br />

qualche suo avo semitico aveva o<strong>per</strong>ato nella bella terra di Sic<strong>il</strong>ia. Ora lontana,<br />

ma come lì presente nel sole, nella ricamata bellezza delle coste, nei miti e nelle<br />

leggende.<br />

«A che pensi?» chiese a un tratto Flavia che non pareva indovinare gli intimi<br />

pensieri del suo compagno.<br />

«Alla fata Morgana».<br />

«Alla fata Morgana!?»<br />

«Sì, a quella che si vede nello stretto di Messina nelle giornate infuocate di sole».<br />

«Ah,» fece lei sorpresa «anche dalle tue parti esistono le fate. Forse ti ho annoiato<br />

a glorificare le mie».<br />

«Al contrario, al contrario» disse Boccia, cercando la posizione più comoda sulle<br />

doghe rade della panchina. «Ciò che dici è <strong>per</strong> me davvero <strong>il</strong>luminante. Ci sono<br />

delle assonanze, geografiche e storiche, tra questa terra e quella del mio profondo<br />

Sud, che hanno dello straordinario. Continua pure».<br />

Flavia, rincuorata, riprese a parlare con un pizzico di convinzione in più in quello<br />

che andava dicendo. Ma non staremo a seguirla in ogni dettaglio.<br />

Flavia ridisegnò a parole la mappa del suo lago. Illustrò bene come quel lago, con<br />

i suoi 65 km di lunghezza, si incunea tra i monti, le Alpi Lepontine. Ne magnificò<br />

poi <strong>il</strong> clima mite, mitissimo, capace di suscitare e tenere in rigoglio <strong>una</strong><br />

esuberante vegetazione arborea, con un sottobosco di rododendri e felci alte come<br />

arbusti.<br />

L’aliscafo intanto si era mosso e, incoraggiato dal Valmaggino, approdò di lì a<br />

poco a Porto Ronco.<br />

Flavia naturalmente dovette sospendere, nel breve tragitto, la sua <strong>per</strong>orazione a<br />

favore del lago; <strong>il</strong> quale tuttavia, con le sue vellutate correnti d’aria, trovò modo di<br />

ricambiarne <strong>il</strong> favore con ripetuti buffetti sulle guance.<br />

A Ponte Ronco si era in vista delle isole di Brissago e a Flavia non parve vero di<br />

poter dar corso a nuove incursioni sui luoghi, con parole che le uscivano svelte e<br />

ardite di senso.<br />

Nei giardini di quelle isole – disse - loro avrebbero trovato cedri, aranci e limoni<br />

insieme a piante esotiche. Ed anche magnolie, colossali camelie, oltre a splendide<br />

conifere e grandi piante rare.<br />

«C’è anche l’isola dell’amore» disse infine calcando i toni. Boccia si scosse.<br />

«No,» continuò anticipando la prevedib<strong>il</strong>e domanda di lui «le isole di Venere sono<br />

le Borromee, molto più a sud. E lo sai <strong>per</strong>ché si chiamano così? Nell’antichità<br />

queste isole erano sacre al culto di Venere, e pare che vi si svolgessero, al riparo<br />

di occhi indiscreti, cerimonie orgiastiche».<br />

«Interessante…»<br />

«Ti piace l’idea, vero? Crapulone!…In ogni caso lo scoglio, visib<strong>il</strong>e, tra l’Isola Bella<br />

e l’Isola dei Pescatori fu chiamato Isolotto dell’Amore».<br />

«Non potrebbe essere <strong>il</strong> nostro?» fece Boccia sornione accennando ad <strong>una</strong> carezza.<br />

Ma Flavia non rispose. Stette un attimo a guardarsi le mani. Poi sbottò:<br />

«Con l’amore non si scherza, sai? Hai mai visto Cànnero, un paesino sul Lago<br />

Maggiore sotto Cannobio? No?


Bene, i barcaioli che si dirigono verso Cànnero dicono di vedere, in certi momenti<br />

della giornata, l’enorme figura di frate stagliarsi nella roccia. La tradizione vuole<br />

che sia quella di un frate ucciso nel quindicesimo secolo da uno dei Mazzarditi,<br />

famosi banditi dell’epoca. Questo bandito si era invaghito di <strong>una</strong> ragazza di<br />

Cànnero la quale, <strong>per</strong> sfuggirgli, si rifugiò in convento. Il bandito allora si rivestì<br />

dei panni del frate ucciso, entrò nel convento e rapì la ragazza. Ma un pescatore,<br />

che in barca si stava portando da Maccagno a Cannobio, vide sulla roccia<br />

prospiciente <strong>il</strong> castello di Cànnero l’enorme figura di un frate. La gente accorse a<br />

vedere <strong>il</strong> prodigio e l’eco del delitto giunse fino a F<strong>il</strong>ippo Maria Visconti. Questi ne<br />

fece un pretesto <strong>per</strong> imprigionare i Mazzarditi. Da allora la figura del frate è<br />

sempre lì sulla roccia su cui era stato visto la prima volta».<br />

«Un po’ macabro, ma interessante…»<br />

«Non entrare mai in un convento» concluse Flavia agitando l’indice verso Boccia.<br />

«Alludi?»<br />

«Alludo».<br />

FINE PRIMA PARTE


SECONDA PARTE<br />

Venerdì 2/10/…<br />

La giornata era luminosa. Una di quelle giornate in cui <strong>il</strong> cielo pare regalare alla<br />

terra ed ai suoi minimi abitanti un interregno di pace, un tempo in cui poter<br />

leggere, in f<strong>il</strong>igrana, nell’azzurro del cielo quel messaggio di purezza e di<br />

suggestione sott<strong>il</strong>e che l’estate diffic<strong>il</strong>mente riesce a dare col suo esalare odori e<br />

vapori ad ogni impennata della tem<strong>per</strong>atura.<br />

Una giornata insomma in cui <strong>il</strong> lato positivo delle cose sembra erom<strong>per</strong>e, come un<br />

fatto ineluttab<strong>il</strong>e, dai colori vivaci, dai contrasti netti, dal fluire senza posa<br />

dell’acqua nei fiumi, nel corso di quel tempo fugace in cui gli uomini credono con<br />

ragione di dedicare le loro energie più vitali a quell’impegno robusto - fatica e<br />

sudore – che usualmente si nomina lavoro. Vero è che <strong>il</strong> lavoro non sempre<br />

risulta frutto di <strong>una</strong> scelta e quindi un’occupazione tutto sommato piacevole,<br />

un’es<strong>per</strong>ienza cioè tesa a realizzare valori specifici capaci di arricchire di senso la<br />

vita umana. Ma, al contrario, pare essere <strong>il</strong> portato di <strong>una</strong> imposizione, di <strong>una</strong><br />

violenza, un male minore di cui si dovrebbe fare a meno se si potesse.<br />

Un’occupazione in definitiva che genera, se non amata, frustrazioni e livori contro<br />

<strong>il</strong> cielo e la terra, o più semplicemente un rancore indefinib<strong>il</strong>e contro <strong>il</strong> prossimo<br />

più vicino. Che è poi quello che ne subisce le conseguenze più immediate senza,<br />

magari, portarne <strong>il</strong> suggello della colpa. Ma tutto questo <strong>il</strong> cielo non ha nulla a<br />

che fare, tanto più se si presenta nella sua divisa migliore, come un pavone in<br />

amore.<br />

La situazione ambientale, esterna, era più o meno quella sopra descritta quando<br />

Boccia si trovò in ufficio quasi senza accorgersene, tanto prossimo all’automa era<br />

stato <strong>il</strong> suo agire dal momento in cui, quella mattina, aveva a<strong>per</strong>to gli occhi.<br />

Siccome poi si era svegliato di malumore tutto gli veniva più diffic<strong>il</strong>e, ed era<br />

naturale che, in queste condizioni di spirito, se la prendesse col cielo, <strong>il</strong> lavoro, <strong>il</strong><br />

primo venuto; quando <strong>il</strong> cielo forniva un azzurro smagliante, <strong>il</strong> lavoro era quello di<br />

sempre, obbligato o meno che fosse, e l’ultimo venuto era davvero <strong>il</strong> meno<br />

colpevole.<br />

Ciò nonostante, quando Placido apparve nel vano della porta dopo <strong>il</strong> consueto<br />

consenso elettro-ottico, Boccia non riuscì ad evitare di investirlo con un'uscita<br />

stizzita:<br />

«Ma insomma, Placido, è mai possib<strong>il</strong>e che la mattina io non riesca a raccogliere<br />

le idee in pace senza che tu mi venga ad interrom<strong>per</strong>e <strong>per</strong> un nonnulla, eh?».<br />

«Dottò, mi scusi…veramente…è venuto…» farfugliò <strong>il</strong> malcapitato. Ma cercò subito<br />

di rimediare:<br />

«Dottò, che giornata oggi, meglio che d’estate… un sole…»<br />

«E che me ne faccio del sole qua» ribatté implacab<strong>il</strong>e Boccia «mica è <strong>il</strong> sole della<br />

Sic<strong>il</strong>ia. L’hai mai visto <strong>il</strong> sole della Sic<strong>il</strong>ia tu, eh? L’hai mai visto? Là sì che c’è<br />

aria, luce quando <strong>il</strong> sole fa sul serio».<br />

«…»<br />

«Be’, lasciamo stare. Hai detto ‘è venuto’, venuto chi?»


«Un ragazzo…»<br />

«E allora? »<br />

«Ha portato questa lettera…è scappato via…»<br />

«Una lettera!? »<br />

«Sì, eccola».<br />

Boccia trasalì. Prese la lettera che Placido gli consegnava, con malagrazia, quasi<br />

con dispetto. Ma, rendendosi infine conto che Napoli non aveva ness<strong>una</strong> colpa,<br />

finì <strong>per</strong> congedarlo con <strong>una</strong> inflessione più gent<strong>il</strong>e nella voce.<br />

‘Un’altra lettera’, pensò ‘di venerdì. Porta male’.<br />

Ma fece presto a recu<strong>per</strong>are la sua razionalità. Che è in fin dei conti <strong>una</strong> lettera?<br />

Un pezzo di carta scritta. E quindi non può reagire. La a<strong>per</strong>se infatti con irruenza,<br />

senza <strong>il</strong> tagliacarte, strappando <strong>il</strong> bordo su<strong>per</strong>iore. Immaginava già le parole.<br />

‘Un’inut<strong>il</strong>e quarta lettera’, pensò.<br />

QUARTA LETTERA<br />

Signora eccellentissima,<br />

salute. La giornata di oggi è stata irripetib<strong>il</strong>e. Proprio <strong>per</strong> questo mi corre<br />

l’obbligo di farLa partecipe delle avventure strab<strong>il</strong>ianti aventi come protagonista unico <strong>il</strong> sottoscritto.<br />

Da non crederci.<br />

Ma andiamo con ordine.<br />

La giornata stamane è cominciata prestissimo. Io, come Lei ben sa, non sono un poltrone che sta<br />

sotto le co<strong>per</strong>te e sogna. Io, <strong>per</strong> quel che mi è possib<strong>il</strong>e, sono invece un uomo d’azione. Friggo a<br />

starmene con le mani in mano. Aggiunga poi che <strong>il</strong> Signore oggi aveva dato fiato alle trombe, con un<br />

sole sfolgorante dopo le nevicate e un cielo terso che più terso non si può. E così la mia gioia (e<br />

determinazione) nell’uscire è stata somma. C’erano le solite incombenze da sbrigare, incombenze<br />

che mi avrebbero portato a salire sull’Alpe dove c’è neve e purezza.<br />

Ho fatto dunque fagotto, ho riempito, <strong>per</strong> meglio dire, lo zaino con tutto l’occorrente. Mi sono quindi<br />

vestito a puntino con maglione, scarponi, pantaloni e giacca a vento senza trascurare naturalmente<br />

gli occhiali da sole, così ut<strong>il</strong>i e preziosi <strong>per</strong> i riflessi di luce onde evitare con essi crepacci subdoli e<br />

<strong>per</strong>igliosi sotto la neve fresca.<br />

Il <strong>per</strong>fetto alpigiano è pronto, la montagna è là che lo attende, immob<strong>il</strong>e.<br />

Mi incammino infine. Attraverso l’intero paese, ma non vedo e non sento nessuno. I miei amab<strong>il</strong>i<br />

compaesani saranno stati a guardarmi in s<strong>il</strong>enzio dietro le finestre o a fare gli affari loro, come è più<br />

probab<strong>il</strong>e. Fatto sta che ben presto, col passo che mi ritrovo, sono fuori dall’abitato lasciando alle<br />

spalle le ultime case. Il sentiero abituale è nascosto, irriconoscib<strong>il</strong>e, sotto la neve. Ma io so, conosco a<br />

menadito la topografia dei luoghi, cioè gli alberi e, se non gli alberi, le rocce e con queste le ombre<br />

che <strong>il</strong> sole dall’alto riversa oblique tra le cime con sicure prospettive dei raggi senza alone.<br />

Non mi è diffic<strong>il</strong>e quindi salire, rasentare i primi strapiombi <strong>per</strong> raggiungere <strong>il</strong> punto a mezza costa,<br />

luogo di ritrovo <strong>per</strong> noi –uomini dell’Alpe – gente senza arte né parte, si sa, guadagno poco e rischio<br />

molto dovuto più che altro alla montagna. Ma la montagna è sempre la stessa, ha le sue regole. Guai<br />

ad infrangerle. E chi osa lo fa sulla propria pelle. Basta un niente, <strong>una</strong> disattenzione, un agire sopra<br />

tono, al di fuori del pacato, ma vig<strong>il</strong>e confronto con la montagna, ed ecco che può succedere di tutto.<br />

Un tutto che, naturalmente, si limita alla <strong>per</strong>sona in questione, senza ness<strong>una</strong> coda di r<strong>il</strong>ievo se la<br />

medesima risulta, <strong>per</strong> fort<strong>una</strong> sua e degli altri, senza parenti fino al decimo grado.<br />

Oh, non voglio certo tediarLa con chiacchiere fuori tema. Fatto si è che io andavo su con le gambe<br />

che affondavano nella neve. La fatica era praticamente inesistente.<br />

Salivo dunque con decisione avendo in testa la meta prefissa, quando un falco, mirata <strong>una</strong> preda<br />

sopra un ramo innevato, è sceso di botto rubandomi l'attenzione di un attimo. Un piede in fallo. No,<br />

non è successo niente, si calmi. Ho solo gustato – non esattamente con la bocca, ma con gli occhi e<br />

l’intero volto – la cangiante freschezza della neve. Purtroppo in quel punto, sotto la neve, c’era un<br />

f<strong>il</strong>o di roccia. E così <strong>il</strong> mio naso ha preso a sanguinare. Certo che <strong>per</strong> <strong>il</strong> dolore son quasi svenuto. Ma<br />

<strong>per</strong> <strong>il</strong> resto nulla di r<strong>il</strong>evante.


Lei eccepisce? È r<strong>il</strong>evante? O forse sì, adesso che ci penso <strong>per</strong>ché a mezzo metro dal punto della mia<br />

improvvida caduta si apriva <strong>una</strong> fessura dalla quale io potevo, ancora disteso, cogliere in fondo le<br />

case. Ma piccole, sa, da presepio natalizio.<br />

Oh, ma <strong>per</strong>ché continuo a tediarLa con faccende mie, di nessun r<strong>il</strong>ievo. Dopotutto questa mia è<br />

completamente priva di senso. Meglio davvero <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio. È più dignitoso.<br />

Siamo uomini in fondo, non garzoncelli qualunque, vittime del sentimento. E anche <strong>il</strong> sentimento che<br />

importa? Ha forse ragioni, motivazioni a favore dell’esistere anziché del <strong>per</strong>ire? Il sentimento è <strong>una</strong><br />

ragione senza logica. E senza logica può essere ridotto, come niente, al s<strong>il</strong>enzio.<br />

E <strong>il</strong> resto della giornata?, dirà Lei. Veda un po’ se può inventarselo da sola, a colmare la lac<strong>una</strong>. Io<br />

ho esaurito le mie scarse frecce <strong>per</strong> oggi. Ora la faretra è vuota.<br />

No, non volevo colpire. Ché anzi mi trovo colpito dalla stupidità…mia, si intende.<br />

Addio.<br />

(firma <strong>il</strong>leggib<strong>il</strong>e)<br />

‘Che me faccio di questa lettera?’, si chiese Boccia. “Di un grafomane, sembra di<br />

un grafomane. Forse non c’entra niente <strong>il</strong> caso della <strong>suora</strong>. O forse qualcuno,<br />

quel qualcuno, mi vuol portare fuori strada. Forse…’


Lunedì 5/10/…<br />

Boccia aveva finito <strong>per</strong> non dare importanza a quella quarta lettera che lui aveva<br />

ritenuto fuorviante, ‘di un grafomane’. E questo forse <strong>per</strong>ché non sembrava<br />

collimare, in ogni senso, con le precedenti tre.<br />

Ma quando a metà mattinata di quel lunedì <strong>per</strong>venne nel solito modo, cioè <strong>per</strong><br />

posta, un’ulteriore lettera, la quinta della serie, Boccia si allarmò. Capì che<br />

doveva essere colpevole di un ragionamento fallace in qualche sua parte, oppure<br />

sbagliato ‘in toto’. Necessitava quindi un diverso approccio al problema. Un<br />

approccio meno grossolano e distratto di quello messo in campo fino a quel<br />

momento. Doveva riscoprire le finezze del ragionamento, induttivo o deduttivo che<br />

fosse; meglio argomentare coi testi, meglio disquisire su quelle lettere che<br />

rappresentavano senza ombra di dubbio messaggi da decrittare: o <strong>per</strong> <strong>il</strong><br />

contenuto, o <strong>per</strong> la forma, o <strong>per</strong> gli indirizzi, o addirittura <strong>per</strong> le modalità del<br />

recapito.<br />

Ciò che gli stava più a cuore comunque non era tanto <strong>il</strong> giovamento che la<br />

risoluzione del caso avrebbe portato alla sua carriera, quanto la bella<br />

soddisfazione di riuscire a scovare chi si faceva beffe di lui, della sua intelligenza,<br />

del suo amor proprio, in relazione ad un fatto ritenuto, a torto, di normale<br />

amministrazione <strong>per</strong> la giustizia, anche se poi non usuale in assoluto.<br />

Dopo tutto era necessario attendere le conclusioni della <strong>per</strong>izia tossicologica <strong>per</strong><br />

poter agire, in un senso o nell’altro, in modo appropriato.<br />

In ogni caso Boccia, prima di convocare Bas<strong>il</strong>e <strong>per</strong> discutere con lui della<br />

faccenda, volle r<strong>il</strong>eggere la lettera che gli stava in qualche modo tra le mani…<br />

QUINTA LETTERA<br />

Cara B. amica mia,<br />

ho letto e r<strong>il</strong>etto la tua lettera. Non credevo possib<strong>il</strong>e tanta<br />

grazia. Fa davvero merito un’attenzione così preziosa?<br />

È stata comunque <strong>una</strong> gioia seguire frase dopo frase – che dico, lettera dopo lettera<br />

- quel tuo argomentare limpido e sereno. Afferrata un’idea, ne dovevo subito<br />

affrontare un’altra in <strong>una</strong> fantasmagoria di allusioni, dichiarazioni, invenzioni nate<br />

come <strong>per</strong> incanto lì <strong>per</strong> lì <strong>per</strong> la soddisfazione dei miei occhi, ma, direi, dei sensi<br />

tutti chiamati in concerto a rendere ragione delle loro specializzate possib<strong>il</strong>ità.<br />

Leggendo avvertivo tuttavia come un sotterraneo timore che le parole fossero, <strong>per</strong><br />

così dire, vergate in inchiostro simpatico. Che bastasse cioè un nulla <strong>per</strong> farle<br />

ritornare nel nulla dal quale erano emerse in virtù di un incantesimo, a testimoniare<br />

quanto sia grande la potenza di impatto sul nostro cuore di segni minimi fissati<br />

sulla carta, o di articolazioni producenti suoni non anonimi, ma pulsanti di vita<br />

propria e vivificati, <strong>per</strong> pura magia, dal sentimento più nob<strong>il</strong>e.<br />

Sarebbe a questo punto non solo interessante, ma doveroso, analizzare le ragioni di<br />

un sentimento da parte tua così radicato, articolato poi in sfumature delicatissime<br />

e, a un tempo, decisissime a ritagliarsi un loro spazio nella memoria di chi, come<br />

me, è l'oggetto di tale preziosa attenzione. Ho detto sarebbe, <strong>per</strong>ché la sostanziale


ignavia del mio carattere mi impedisce di affrontare ragionamenti impegnativi che a<br />

mia sensib<strong>il</strong>ità nomina seriosi senza remissione.<br />

Come se fosse possib<strong>il</strong>e restare sempre alla su<strong>per</strong>ficie delle cose, quando poi<br />

queste cose sono di cuore, aventi cioè attinenza con un muscolo che da un po’ di<br />

tempo in qua ci è molto caro. Nonostante tutto questo, <strong>una</strong> domanda mi viene<br />

spontanea.<br />

Ma che ho fatto, mio Dio, di tanto decisivo <strong>per</strong> sollevare un turbine di sentimenti<br />

così devastanti nel bene e nel male, e in così poco tempo, sentimenti che le parole<br />

scritte nella tua lettera lasciano apparire.<br />

Conto dunque già tanto <strong>per</strong> te? L’esplosione delle emozioni mi ha sempre colto<br />

impreparato, come fossi affetto da <strong>una</strong> sorta di complesso di inferiorità di fronte al<br />

sublime. Ma poi cos’è <strong>il</strong> sublime? Il più alto o <strong>il</strong> più contenuto dei nostri modi di<br />

avvertire <strong>il</strong> reale? Non è forse la misura quella che approssima col minimo scarto<br />

l’obiettivo del giusto. Ché l’esplosione è appunto esplosione, fuga immediata e<br />

dirompente verso l’esterno. L’universo non è più complesso o imprevedib<strong>il</strong>e di ciò<br />

che abita all’interno di un cuore innamorato. In presenza di un fatto catastrofico e<br />

ineluttab<strong>il</strong>e dettato dal sentimento tendente a nuovi equ<strong>il</strong>ibri, ogni valenza viene a<br />

decadere, su<strong>per</strong>ata dall’esigenza di nuovi legami in un contesto di più proficua<br />

realtà.<br />

E non è certo così evidente che un atomo possieda l’energia, enorme, che gli<br />

compete. Ugualmente non si farebbe capace di energie impensab<strong>il</strong>i un muscolo del<br />

tutto irr<strong>il</strong>evante dal punto di vista fisiologico, rispetto ad altri organi consim<strong>il</strong>i. Oh, lo<br />

so che sto uscendo dal seminato, col rischio di avv<strong>il</strong>ire le ben più alate metafore del<br />

tuo eloquio e <strong>per</strong>dere di vista così ciò che più ti preme di me, <strong>il</strong> mio amore <strong>per</strong> te.<br />

Oltretutto, come sappiamo, è pura convenzione concentrare nel cuore tutti i<br />

sentimenti che hanno invece ben altre scaturigini. Ma tant’è.<br />

Io, come vedi, chiacchiero, o meglio mi affanno a camminare sul terreno tutto<br />

trabocchetti ed ostacoli del sentimento principe. Tu, invece, voli. Ciò che è terreno<br />

non ti compete né ti preoccupa. Vale <strong>per</strong> te, molto meglio che <strong>per</strong> me, <strong>il</strong> detto che in<br />

cielo ci sono musiche che non si vedono dal basso. Ed io sono terragno,<br />

terrib<strong>il</strong>mente legato agli usi e costumi dei miei sim<strong>il</strong>i in sofferenza.<br />

Ma tu, ancor a questo punto, so che un dito appoggi sulle labbra: devo tacere, lo so.<br />

Non gradisci ragionamenti più o meno appropriati <strong>per</strong>ché ora a te interessa solo<br />

sa<strong>per</strong>e quell’unica cosa che importa nella vita, se cioè…sì o no.<br />

Voglio dirtelo, ma non posso. Devo parlarti pur rispettando <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio. Che è <strong>il</strong><br />

migliore del linguaggi in faccende d’amore, purché supplisca qualche altro elemento<br />

del contesto. Ma <strong>per</strong> iscritto, come posso dirti qualcosa, quel qualcosa che ti<br />

interessa, pur stando zitto, ovvero senza vergare <strong>una</strong> linea di assenso o diniego che<br />

sia.<br />

Ebbene tu sai molto bene che le pause parlano se sono assenza tra presenza di<br />

segni, note <strong>per</strong> esempio. E mi pare proprio che questo foglio sia pieno di segni o<br />

parole in un contesto che libera l’unica parola che non compare, e non deve<br />

comparire, se non vogliamo avv<strong>il</strong>irla, sciuparla con la dirompente negazione<br />

dell’ironia.<br />

Abbi dunque fede di ciò che, in me, sta esaltandosi in modo non meno evidente che<br />

in te, senza che io abbia a pietire vocaboli e modi di dire ormai frusti dal loro,


troppo smodato e ripetitivo, uso. Lasciamo ad altri, meno avvertiti di noi, la<br />

possib<strong>il</strong>ità di citare parole già belle e pronte <strong>per</strong> essere pronunciate, parole <strong>per</strong> ogni<br />

occasione, frasi fatte innocenti <strong>per</strong> proprio conto. Vedi come ci comprendiamo? Tu<br />

usi <strong>il</strong> battere, io <strong>il</strong> levare. Ciò che conta infine è <strong>il</strong> nostro comune senso del pudore,<br />

in mezzo ad <strong>una</strong> via come in <strong>una</strong> stanza buia o, puta caso, in cima ad uno di questi<br />

bei nostri monti che ci raccomandano la prudenza, virtù dalle quattro stagioni da<br />

prendersi in considerazione come la verità e la bellezza degli eventi che ci stanno<br />

capitando da un po’ di tempo in qua, con un pezzo di carta come questo pronto ad<br />

arrossire <strong>per</strong> ciò che tra le righe non appare. Voglio augurarti <strong>una</strong> buona giornata. Il<br />

sole sia con te. Alleluia.<br />

(firma <strong>il</strong>leggib<strong>il</strong>e)


Martedì 6/10/…<br />

«Dottore, buongiorno».<br />

«Buongiorno a lei, maresciallo. Si accomodi».<br />

«C’è qualche problema, immagino».<br />

«Sì, è così. Forse ne ho sottovalutato la portata. A dir <strong>il</strong> vero, pensavo, in attesa<br />

del responso di quei benedetti esami a conferma del suicidio, che fosse mio<br />

dovere svolgere qualche indagine. A puro titolo cautelativo. Nel senso di poter<br />

escludere quell’<strong>ipotesi</strong> che io non ritenevo neppure tale anche se tirata in ballo<br />

dai giornali <strong>per</strong> far notizia, vale a dire l’<strong>ipotesi</strong> del delitto.<br />

E poi quale delitto? Quello doloso, preterintenzionale o colposo? Supponiamo<br />

doloso: omicidio occasionale oppure premeditato?<br />

Viceversa cosa succede: improvvisamente cominciano ad arrivare – riassumo<br />

anche <strong>per</strong> me – delle lettere strane, anonime non tanto <strong>per</strong>ché prive di nome e<br />

cognome del mittente e del destinatario (nell’ultima, <strong>per</strong> esempio, c’è <strong>una</strong> B.) e<br />

anche di data, quanto <strong>per</strong>ché mostrano che colui che spedisce non è certamente<br />

colui che scrive.<br />

Sono lettere infatti che si possono far risalire a circa trent’anni fa. Allora chi<br />

spedisce vuole avvertirmi in un modo insolito: non mi scrive un messaggio in<br />

chiaro, mi manda invece un messaggio cifrato, vestito di parole d’amore. Che<br />

vorrà dire tutto questo?»<br />

«Non lo so, dottore».<br />

«Non lo so neppure io. Se lo sapessi, non starei qui a ragionare con lei. Perché di<br />

ragionamento si tratta. In altre parole, voglio pensare a voce alta, lei presente, in<br />

modo da poter meglio verificare la giustezza delle deduzioni, delle connessioni ed<br />

arrivare ad <strong>una</strong> conclusione, la più passab<strong>il</strong>mente vicina al vero. Naturalmente<br />

sarà necessario far riferimento al rapporto che lei ha sottoscritto ed anche a ciò<br />

che in esso non appare. Qualche particolare potrebbe esserle sfuggito nel redigere<br />

<strong>il</strong> verbale, non è vero?».<br />

«Mah, non saprei…»<br />

«Appunto lei non lo sa. Vedremo se potremo r<strong>il</strong>evarlo o meno. Ma torniamo ai<br />

fatti, così come si sono presentati.<br />

Dunque, a ferragosto due turisti durante un’escursione trovano, nei pressi di <strong>una</strong><br />

baita diroccata sui monti della Val Vigezzo, <strong>il</strong> corpo di <strong>una</strong> <strong>suora</strong>. È in avanzato<br />

stato di decomposizione, tanto che <strong>il</strong> riconoscimento dell’identità del cadavere<br />

avviene <strong>per</strong> via della tonaca e degli oggetti rinvenuti in loco, uno zainetto<br />

contenente solo delle confezioni vuote, completamente vuote, di barbiturici. Si<br />

viene così a sa<strong>per</strong>e che la <strong>suora</strong> in questione è di nazionalità svizzera e che la<br />

medesima era scomparsa dal suo posto di lavoro – la casa di riposo V<strong>il</strong>la Serena<br />

di Magadino – <strong>il</strong> 15 di marzo – quindi esattamente cinque mesi prima – dicendo<br />

che andava a passare qualche giorno di vacanza a casa della madre a Russo, un<br />

piccolo centro montano del Canton Ticino.<br />

Viceversa scompare, e solo la telefonata della madre preoccupata, qualche giorno<br />

dopo, mette in allarme la madre su<strong>per</strong>iora – suor Aspasia, cioè Rufina Giustolisi –<br />

la quale infine avvisa le autorità locali. Queste svolgono prontamente le indagini<br />

del caso, <strong>per</strong>altro senza esito, fino al rinvenimento casuale del cadavere da parte


di due turisti saliti sul monte in occasione della festa di S.Bartolomeo, patrono di<br />

Valmara, <strong>il</strong> paesino che si trova proprio ai piedi del monte in questione.<br />

Due le <strong>ipotesi</strong>: morte <strong>per</strong> suicidio ovvero morte <strong>per</strong> omicidio, occasionale, da<br />

attribuirsi questo probab<strong>il</strong>mente a qualche spallone di passaggio lungo <strong>il</strong> sentiero<br />

che porta alla cima.<br />

Ma quest’ultima <strong>ipotesi</strong> viene presa in considerazione solo <strong>per</strong> scrupolo. Il<br />

magistrato competente, cioè <strong>il</strong> sottoscritto, ordina l’autopsia che viene<br />

prontamente eseguita, ma <strong>per</strong> la quale, in ordine alla completezza, <strong>il</strong> <strong>per</strong>ito<br />

settore richiede fino a 60 giorni di tempo <strong>per</strong> gli esami chimico-tossicologici. In<br />

ogni caso, l’insieme degli elementi già a disposizione, anche se affetto da qualche<br />

dubbio, sembra far propendere <strong>per</strong> l’<strong>ipotesi</strong> del suicidio; un po’ teatrale forse –<br />

sulla cima di un monte- ma suicidio.<br />

Nel frattempo <strong>per</strong>ò, <strong>una</strong> dopo l’altra, <strong>per</strong>vengono delle lettere, - cinque <strong>per</strong><br />

l’esattezza, tre lei-lui e due lui-lei. Lettere d’amore, non so se belle, ma certo<br />

toccanti. Con <strong>una</strong> particolarità: le prime tre sono firmate o parafate con uno<br />

sgorbio che sembra essere <strong>una</strong> B. Berta? Bice? Bianca? Non si sa. La <strong>suora</strong> morta<br />

<strong>per</strong> l’appunto si chiamava Bianca. Ma la madre di Bianca ha negato che le lettere<br />

fossero della figlia.<br />

Da notare che le prime tre lettere lei-lui presentano somiglianze di st<strong>il</strong>e e grafia,<br />

mentre le ultime lui-lei sono difformi tra loro. La quarta – direi - è da scartare».<br />

Boccia si concesse <strong>una</strong> pausa della quale approfittò subito Bas<strong>il</strong>e:<br />

«Ma <strong>per</strong>ché, dottore, vuole scartare la quarta?»<br />

«Perché non lega con le altre quattro. Scritta o inviata <strong>per</strong> confondere le idee.<br />

Sono convinto invece che la quinta sia <strong>una</strong> lettera indirizzata a Bianca, allora<br />

ragazza. Anche se la grafia ha un andamento elementare, in contrasto con lo st<strong>il</strong>e<br />

che dà l’idea di uno scrivente non privo di cultura.<br />

Io comunque l’ho chiamata qui, maresciallo Bas<strong>il</strong>e, <strong>per</strong> <strong>una</strong> ragione ben precisa:<br />

verificare se qualche dettaglio di interesse è rimasto nella penna, <strong>per</strong> così dire.<br />

«Ma dottore…»<br />

«Oh, nessun dolo, è chiaro. Qualcosa può esserle sfuggito senza sua colpa, no?<br />

Un qualcosa che può assumere connotazioni diverse, visto sotto altra luce».<br />

«Che cosa, <strong>per</strong> esempio?»<br />

«La posizione del corpo, <strong>per</strong> esempio».<br />

«Nel verbale l’ho descritta con precisione, direi».<br />

«Sì, ma mi dica: come ci è finito, <strong>il</strong> corpo, in quella posizione? La povera <strong>suora</strong>,<br />

insomma, sarebbe potuta annegare, volente o nolente, in quella buca? In cinque<br />

centimetri d’acqua?!»<br />

«Non spetta a me dirlo, dottore. Ma…comunque, come poteva annegare in cinque<br />

centimetri d’acqua?»<br />

«Poteva, poteva…»<br />

«Questo può capitare solo se uno è ubriaco o…»<br />

«Svenuto, e quindi incapace di reazione. Il medico legale (primo <strong>per</strong>ito) ha scritto<br />

che l’annegamento è <strong>una</strong> delle cause più frequenti della morte <strong>per</strong> asfissia diretta.<br />

Essa si verifica – me lo sono segnato qui -


“quando gli orifizi su<strong>per</strong>iori delle vie aeree (narici, bocca) sono obliterati da liquido<br />

che impedisce in maniera assoluta <strong>il</strong> passaggio dell’aria.<br />

(…) affinché la medesima si verifichi (la sindrome da annegamento cioè) non è<br />

necessario che tutto <strong>il</strong> corpo sia immerso nel liquido: ciò, come è noto, può accadere<br />

trattandosi di ubriachi, di ep<strong>il</strong>ettici, di traumatizzati caduti e immersi col solo capo<br />

in pozzanghere, vasche e sim<strong>il</strong>i…”»<br />

«Quindi lei pensa che la povera <strong>suora</strong> sia caduta nella buca già incosciente, <strong>per</strong><br />

ubriachezza o avvelenamento o…»<br />

«O <strong>per</strong> azione delittuosa, vale a dire <strong>per</strong> <strong>una</strong> spinta interessata».<br />

«Come fa a dirlo? »<br />

«Perché uno in condizioni normali non si butta, <strong>per</strong> farla finita, in <strong>una</strong> pozza di<br />

cinque centimetri d’acqua».<br />

«Al momento, dottore, non ci potevano essere - che so - due metri d’acqua?<br />

Quando la neve si scioglie, penso che si possa arrivare a questi livelli, o anche <strong>per</strong><br />

particolari precipitazioni non proprio nevose. L’acqua magari è poi stata assorbita<br />

dal terreno o evaporata <strong>per</strong> l’irraggiamento del sole. Da ricordare luglio e agosto».<br />

«Non credo, non credo proprio che quanto lei dice sia possib<strong>il</strong>e; sia <strong>per</strong> la natura<br />

del terreno non particolarmente <strong>per</strong>meab<strong>il</strong>e che <strong>per</strong> l’irraggiamento del sole, non<br />

così potente e determinate come lei dice. Comunque non sono un es<strong>per</strong>to del<br />

settore o del ramo, e quindi potrei fac<strong>il</strong>mente sbagliare».<br />

«Allora, vede, non è poi così cervellottica la mia <strong>ipotesi</strong>. Supponiamo dunque che<br />

ci fossero, all’epoca, due metri d’acqua in quella maledetta buca. La povera <strong>suora</strong><br />

ingoia alcune p<strong>il</strong>lole, ma improvvisamente pensa che ci voglia troppo tempo,<br />

magari <strong>per</strong> aver sbagliato dose, e quindi, uscendo e vedendo la buca piena<br />

d'acqua... »<br />

«…si butta annegando».<br />

«Perché no?»<br />

«Il <strong>per</strong>ché glielo dico dopo. Mi spieghi piuttosto <strong>per</strong>ché lei esclude l’intervento di<br />

<strong>una</strong> seconda <strong>per</strong>sona. Una seconda <strong>per</strong>sona capace di spingerla in acqua, nei due<br />

metri che lei presuppone».<br />

«Che motivo avrebbe potuto avere quel qualcuno di buttare o spingere la <strong>suora</strong> in<br />

acqua dopo che si era imbottita di barbiturici?»<br />

«Per simulare <strong>il</strong> suicidio».<br />

«Ma se aveva già preso i…»<br />

«Poteva non sa<strong>per</strong>lo».<br />

«Ma c’è da impazzire. Dottore, ci sono troppe varianti, non è credib<strong>il</strong>e».<br />

«A volte la realtà è più incredib<strong>il</strong>e della più spregiudicata delle fantasie».<br />

«Sì, d’accordo, tutto è possib<strong>il</strong>e, ma qui non si rischia di esagerare? »<br />

«Può darsi, maresciallo, può darsi. Io comunque escluderei la buca piena di due<br />

metri d’acqua, <strong>per</strong> le ragioni che le dirò».<br />

«Il <strong>per</strong>ito non ha r<strong>il</strong>evato tracce d’acqua nei polmoni. Perché se così fosse…»<br />

«No, maresciallo, lo stato del cadavere ‘in fase colliquativa’ non <strong>per</strong>metteva <strong>il</strong><br />

r<strong>il</strong>ievo sicuro del liquido nei polmoni. Il <strong>per</strong>ito, d’altra parte, ha escluso la<br />

macerazione del cadavere. Tale macerazione è <strong>il</strong> risultato di <strong>una</strong> imbibizione<br />

intensa dei tessuti quando <strong>il</strong> cadavere si trova immerso in un liquido e viene


ostacolato <strong>il</strong> normale processo putrefattivo. Porta al raggrinzimento e distacco<br />

dell’epidermide e fac<strong>il</strong>ita la dissoluzione e colliquazione degli organi interni. Ma<br />

questo avviene dopo <strong>una</strong>-due settimane dalla morte. La fase colliquativa cui si<br />

riferiva <strong>il</strong> <strong>per</strong>ito avviene invece dopo tre-sei mesi dalla morte, come sembra nel<br />

caso in questione».<br />

«Questo allora esclude che la <strong>suora</strong> sia morta annegata».<br />

«Nei due metri sì, ma non nei cinque centimetri di cui parlavamo prima».<br />

«In cinque centimetri allora, piuttosto che in due metri!?»<br />

«Sì, forse. Ma io al limite non do <strong>per</strong> certo neppure <strong>il</strong> responso del <strong>per</strong>ito».<br />

«In questo caso non vi è ness<strong>una</strong> certezza».<br />

«Appunto. Prendiamolo <strong>per</strong> buono in prima istanza. Diciamo dunque che,<br />

secondo quanto sottoscritto dal <strong>per</strong>ito, <strong>il</strong> corpo non è rimasto immerso nell’acqua.<br />

Rimane <strong>per</strong>ò in piedi l’<strong>ipotesi</strong> dell’annegamento in cinque centimetri d’acqua».<br />

«E <strong>il</strong> <strong>per</strong>ito ne ha confermata la possib<strong>il</strong>ità».<br />

«Sì, è così».<br />

«Quindi la <strong>suora</strong> non si è annegata…»<br />

«…buttandosi in acqua».<br />

«Ma potrebbe essere annegata cadendo a capofitto dentro la buca, con la faccia in<br />

giù immersa in non più di cinque centimetri d’acqua».<br />

«Cadendo anche <strong>per</strong>ché spinta».<br />

«Dottore, scusi, ma che senso ha? »<br />

«Appunto, non ha senso».<br />

«E allora?».<br />

«Qualcuno l’ha spinta, non so come e <strong>per</strong>ché».<br />

«Come fa a dirlo? Non potrebbe essere semplicemente caduta? ».<br />

«No!».<br />

«No!? Allora non capisco più nulla».<br />

«Perché vede, maresciallo, la <strong>suora</strong> è stata trovata con <strong>il</strong> mignolo della mano<br />

destra fratturato. Ma questo poteva esserselo procurato anche semplicemente<br />

cadendo».<br />

«E allora?».<br />

«Allora…Si ricorda come ha trovato <strong>il</strong> corpo, la posizione voglio dire? ».<br />

«Bocconi, dottore».<br />

«Bocconi sì, ma anche? ».<br />

«Non saprei».<br />

«Ma come, maresciallo! Bocconi …e con le mani giunte».<br />

«…come uno che prega».<br />

«E le sembra normale che uno cada in <strong>una</strong> buca, si fratturi <strong>il</strong> mignolo e poi<br />

unisca le mani <strong>per</strong> pregare?».<br />

«Era <strong>una</strong> <strong>suora</strong>».<br />

«Via, Bas<strong>il</strong>e, non scherzi…Evidentemente qualcuno l’ha composta così».<br />

«L’assassino».<br />

«Evidentemente».<br />

«Ma così facendo l’assassino non poteva far passare l’omicidio <strong>per</strong> un suicidio…».<br />

«…da annegamento…».<br />

«…né in due metri, né in cinque centimetri…».


«Esatto: né in due metri, né in cinque centimetri. E qui l’assassino ha commesso<br />

un errore».<br />

«Ma è un errore madornale. A che pro poi? ».<br />

«Mah. Forse un atto di tardiva pietà…in preda all’orrore <strong>per</strong> quello che aveva<br />

appena commesso. Ma non è finita qui».<br />

«Che altro c’è? ».<br />

«Maresciallo, c’è la posizione in cui lei ha rinvenuto <strong>il</strong> corpo».<br />

«…!?».<br />

«Ricorda? Il corpo era - leggo dal suo verbale- ‘sul pendio di un avvallamento o<br />

buca, bocconi…’<br />

Insomma, se uno compone un corpo, unendo le mani e intrecciando le dita, non<br />

lo lascia lungo un pendio, e bocconi <strong>per</strong> giunta».<br />

«E allora?»<br />

«Allora siamo nei pasticci, caro maresciallo. Questo particolare non si lega a<br />

quello che è successo prima, in linea cioè a quanto abbiamo affermato. Resta <strong>il</strong><br />

fatto che la povera <strong>suora</strong> non si è messa di certo da sola in quella sua ultima<br />

postura».<br />

«Quindi un omicidio, dice lei».<br />

«Un omicidio. Un delitto <strong>per</strong> <strong>il</strong> quale manca <strong>il</strong> movente, e mancano pure le<br />

modalità di esecuzione».<br />

«Scusi, dottore, io penso ancora a quelle confezioni vuote di barbiturici. Riesce a<br />

vedere l’assassino che fa ingoiare alla <strong>suora</strong> le p<strong>il</strong>lole mentre è all’interno della<br />

baita, poi spinge fuori la malcapitata e la finisce annegandola nella buca, in un<br />

modo così strano poi. Riesce a vedere la scena?».<br />

«Riesco a vedere <strong>una</strong> possib<strong>il</strong>e costrizione morale dell’assassino verso la <strong>suora</strong> <strong>per</strong><br />

l’assunzione del veleno, quindi <strong>una</strong> possib<strong>il</strong>e colluttazione all’esterno con<br />

annegamento finale e successivo – direi – tardivo atto di pietà».<br />

«Dottore, non mi convince».<br />

«Oh, se è <strong>per</strong> questo, non convince neppure me, del tutto. Prova ne sia che ho<br />

chiamato lei qua <strong>per</strong> discuterne».<br />

«Dottore, mi scusi ancora <strong>una</strong> volta, ma la dinamica non potrebbe essere diversa<br />

da quella da lei indicata? ».<br />

«Sì, può essere.<br />

All’inizio abbiamo fatto due <strong>ipotesi</strong>: suicidio od omicidio.<br />

In prima istanza abbiamo fatto l’<strong>ipotesi</strong> del suicidio come <strong>ipotesi</strong> priv<strong>il</strong>egiata, ma<br />

poi –ragionando – abbiamo fatta nostra l’<strong>ipotesi</strong> dell’omicidio, volontario magari<br />

premeditato, <strong>per</strong> <strong>il</strong> quale <strong>per</strong>mangono tuttavia dubbi sia sul movente che sulle<br />

modalità di esecuzione. Se si esclude anche l’omicidio volontario, non resta che<br />

l’<strong>ipotesi</strong> di un omicidio casuale e preterintenzionale che avevamo messa da parte».<br />

«Appunto, dottore. Non potrebbe essere stato proprio un omicidio casuale e<br />

preterintenzionale voglio dire? Anche lei l’aveva previsto. Tant’è vero che <strong>il</strong> giorno<br />

dopo <strong>il</strong> ritrovamento un giornale, nel sottotitolo, riportò questa <strong>ipotesi</strong> ».<br />

«No. Nel giornale c’era scritto delitto, non necessariamente preterintenzionale.<br />

L'art. 42 c.p. individua tre criteri di imputazione soggettiva: <strong>il</strong> dolo, la<br />

preterintenzione e la colpa». Il medesimo articolo, comma 2, recita "nessuno può<br />

essere punito <strong>per</strong> un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l'ha


commesso con dolo ". Il che vuol dire che <strong>il</strong> delitto e quindi l’omicidio può essere<br />

volontario. Con la premeditazione come aggravante.<br />

Comunque anch’io in un primo momento, in alternativa all’<strong>ipotesi</strong> del suicidio,<br />

avevo prefigurato proprio quella dell’omicidio casuale, che potrebbe anche essere<br />

preterintenzionale, cioè che va oltre l’intenzione.<br />

«E <strong>per</strong>ché poi l’ha abbandonata? Per l’omicidio casuale, non c’è bisogno del<br />

movente. Una <strong>suora</strong> stanca, esaurita, sceglie – chissà <strong>per</strong>ché – di andare a morire<br />

in cima ad <strong>una</strong> montagna. Mentre pone in atto <strong>il</strong> suo progetto, viene sorpresa da<br />

uno spallone (gli spalloni passano da quelle parti). Lo spallone tenta di<br />

violentarla, la <strong>suora</strong> si ribella e viene uccisa».<br />

«Sì, è credib<strong>il</strong>e. Ma <strong>per</strong>ché ricomporre <strong>il</strong> cadavere? Questo è incredib<strong>il</strong>e. E poi<br />

come fa ad ammazzarla? La insegue e la butta in <strong>una</strong> buca profonda due metri<br />

<strong>per</strong> annegarla in cinque centimetri d’acqua? No, non è possib<strong>il</strong>e. E qui torniamo<br />

all’omicidio volontario, premeditato, che è invece possib<strong>il</strong>e. Perché quelle mani<br />

giunte sono state l’o<strong>per</strong>a di qualcuno, un atto d’amore direi».<br />

«Ma ha appena detto che l’ha ammazzata, e con premeditazione! ».<br />

«Appunto un odio profondo, che vuol dire anche amore profondo, un antico amore<br />

mai sopito…Per questa <strong>ipotesi</strong> tuttavia non tornano le modalità di esecuzione del<br />

delitto».<br />

«Torna <strong>per</strong>ò <strong>il</strong> movente».<br />

«Sì, <strong>il</strong> movente ci sarebbe. Non è chiaro <strong>per</strong>ò quale fatto ultimo abbia potuto<br />

scatenare la tragedia. Manca insomma l’ultimo anello della catena. È <strong>per</strong> questo<br />

che domani voglio risentire la madre della <strong>suora</strong>, a Russo; <strong>per</strong> vedere se riconosce<br />

nelle lettere, almeno in <strong>una</strong>, la calligrafia dell’uomo».<br />

«Ma se non ha riconosciuto la calligrafia della figlia, come potrà riconoscere quella<br />

di uno sconosciuto? La madre ha affermato infatti di non averlo mai visto».<br />

«Proprio così».<br />

«A meno che…»<br />

«A meno che? »<br />

«Non mentisca».<br />

«Non mi sembra verosim<strong>il</strong>e».<br />

«Lo penso anch’io. Però…».<br />

«Comunque ci riprovo. Perché sono convinto che nelle lettere, tra le righe, si deve<br />

leggere <strong>il</strong> movente del delitto ed anche l’autore, o l’autrice dell’invio – ben<br />

calibrato nei tempi e nei modi – di queste lettere che ora sappiano, almeno le<br />

prime tre, non essere della <strong>suora</strong>».<br />

«Dunque farà di nuovo visita alla madre di Bianca».<br />

«Per l’appunto».


Mercoledì 7/10/…<br />

«Signora, non faccia così. Mi ascolti».<br />

«Dottore, non ho più nulla da dirle. Ho detto tutto la volta scorsa».<br />

«Signora, <strong>per</strong> cortesia, non mi costringa a far ricorso alla legge <strong>per</strong> poterle parlare.<br />

Sono qui ancora <strong>una</strong> volta in veste privata, ma credo che <strong>per</strong> lei sia meglio<br />

parlare ugualmente. Se la signorina qui presente la disturba, rimarrà fuori, come<br />

del resto è giusto».<br />

«…»<br />

«Signora, sia comprensiva. Non le farò <strong>per</strong>dere molto tempo. Devo mostrarle solo<br />

due lettere, dopo di che la lascio in pace».<br />

«E va bene, entri ma solo».<br />

«D’accordo».<br />

E così Boccia lasciò Flavia fuori, in macchina. Entrando nella piccola graziosa<br />

casa della madre di Bianca, ebbe un brivido. Il momento era importante, <strong>per</strong>ché<br />

se la calligrafia dell’autore della quinta lettera fosse stata ravvisata <strong>per</strong> quello<br />

dello spallone ex-amante di Bianca, come lui credeva, poteva ritenersi prossimo a<br />

sciogliere <strong>il</strong> nodo gordiano di quel caso che, ai suoi occhi, stava sempre più<br />

assumendo la forma del rebus.<br />

Entrò dunque e si accomodò sulla prima poltrona che la signora Voltolini, con<br />

fare questa volta sbrigativo, gli indicò.<br />

«Allora?» chiese lei, prontamente sedutasi di fronte a Boccia.<br />

«Ecco, signora, guardi questa lettera, <strong>per</strong> cortesia. Riconosce la calligrafia? »<br />

«No».<br />

«La guardi bene, non ho fretta».<br />

«Le ho detto di no. In questa casa sono arrivate poche lettere. Riconoscerei<br />

senz’altro questa calligrafia se l’avessi già vista».<br />

«Mi scusi, signora, non voglio insistere. Ma quel conoscente di Bianca scrisse<br />

delle lettere tanti anni fa. Avrà pur visto la sua calligrafia».<br />

«Sì, dottor Boccia. Bianca ricevette da quel signore delle lettere o biglietti che io<br />

vidi <strong>per</strong> caso. Ma non aveva questa calligrafia, glielo assicuro. E poi, come le dissi<br />

la volta scorsa, Bianca bruciò tutto quando prese <strong>il</strong> velo. Purtroppo non le posso<br />

essere ut<strong>il</strong>e».<br />

«Neppure <strong>per</strong> quest’altra?»<br />

«Lasciamo <strong>per</strong>dere».<br />

Così dicendo, Rosa Voltolini, negletta l’ultima lettera, allungò la mano destra a<br />

Boccia significando con questo che, <strong>per</strong> quanto la riguardava, <strong>il</strong> colloquio era<br />

terminato.<br />

«Allora, come è andata?» chiese Flavia avviando <strong>il</strong> motore.<br />

«Un disastro. Non ha riconosciuto nulla. Sono sicuro che mente, mente <strong>per</strong><br />

difendere la memoria della figlia. Che male c’è poi se, trent’anni fa, <strong>una</strong> ragazza di<br />

quindici anni ha avuto <strong>per</strong> amante uno spallone? Anche se dopo è diventata<br />

<strong>suora</strong>. Come è possib<strong>il</strong>e – dico io – non riconoscere, non voler riconoscere la<br />

calligrafia di questo amante che scrive a quella B., Bianca naturalmente?<br />

Oltretutto, <strong>per</strong>ché non scrivere <strong>per</strong> esteso Bianca, dato pure <strong>per</strong> scontato che un


amore folgorante potesse suscitare ire e gelosie irrefrenab<strong>il</strong>i in <strong>una</strong> donna sola.<br />

Perché? »<br />

«Forse <strong>per</strong>ché quella B sta <strong>per</strong> Br<strong>una</strong> e non <strong>per</strong> Bianca».<br />

«Ma che dici! La B. delle lettere è <strong>una</strong> testa fina, non un’inserviente».<br />

«Una battuta».<br />

Boccia guardò Flavia come se avesse detto la cosa più stupida di questo mondo.<br />

Naturalmente, così preso dai suoi pensieri, non vedeva nulla, né la strada né<br />

quanto si connetteva ad essa dalle cime pezzate qua e là di bianco.<br />

«Quando ti è arrivata?» chiese insensib<strong>il</strong>e Flavia continuando a guidare.<br />

«Cosa? »<br />

«Ma l’ultima lettera, no? »<br />

«Ah, <strong>il</strong> 5 di ottobre».<br />

«Appunto, S.Bruno. Lo so bene <strong>per</strong>ché <strong>il</strong> mio onomastico, San Flavio, ricorre <strong>il</strong><br />

giorno prima: <strong>il</strong> 5 è S.Bruno e <strong>il</strong> 6 è S.Flavio».<br />

«Oddio, che cosa ho fatto!» esclamò Boccia costernato.<br />

«Non ti sei ricordato di me, come al solito. Pensi solo al tuo lavoro, a quel<br />

maledetto caso. È vero che ci frequentiamo da poco. Ma che ne diresti di essere<br />

un po’ carino con me? »<br />

«Sono desolato, credimi… E se avessi guardato <strong>il</strong> calendario <strong>per</strong> cercare <strong>il</strong> giorno<br />

del tuo onomastico mi sarei imbattuto in quel 5 di ottobre che è S.Bruno».<br />

«Proprio così».<br />

«Ma sei demoniaca».<br />

«E tu insensib<strong>il</strong>e, sordo. Semplicemente non capisci l’amore. Non ti ho forse<br />

suggerito io che era un atto d’amore, quello di unire le mani e intrecciare le dita<br />

della povera Bianca, ormai cadavere? »<br />

«Oh, certo, sei brava tu. Perché non hai fatto la poliziotta. Cercano del <strong>per</strong>sonale<br />

presso la sede di Locarno».<br />

«Sì, ma non donne. E poi io preferisco curare l’uomo. Anche nel suo aspetto<br />

esteriore, <strong>per</strong>ché no. Disegno modelli e li adatto, di volta in volta, alla <strong>per</strong>sona.<br />

Non solo <strong>per</strong> la taglia; ma anche <strong>per</strong> la <strong>per</strong>sonalità».<br />

«Forse ti invidio».<br />

«Non buttarti giù adesso. Non hai avuto fort<strong>una</strong> con la madre di Bianca; che vuol<br />

dire? Continua».<br />

«Oh, certo, anche <strong>per</strong>ché non posso fare diversamente».<br />

«Allora, quale sarà la tua prossima mossa? »<br />

«Mi sembra inevitab<strong>il</strong>e: ritornare ad interrogare Br<strong>una</strong>, alla casa di riposo. Forse<br />

mi servirà <strong>il</strong> tuo aiuto».<br />

«Ma stasera stai con me?»<br />

«Mi sembra di avertelo già chiesto».<br />

«Già, ma tu consideri <strong>il</strong> solito lato della faccenda».<br />

«È un male?»<br />

«Sì, se non c’è sentimento. E tu non lo mostri questo sentimento, forse <strong>per</strong>ché<br />

non esiste».<br />

«Guarda la strada, che è meglio. Ne riparleremo».


Giovedì 8/10/…<br />

«Madre, faccia la cortesia, mi riceva. Questa è la signora Giovanna Foschini,<br />

rappresentante la polizia di Locarno. Ma non si deve preoccupare. È solo <strong>una</strong><br />

formalità».<br />

«Dottor Boccia, non ho nulla da dire alla polizia e a lei che non abbia già detto».<br />

«Sia gent<strong>il</strong>e, madre. Il dottor Boccia ha richiesto la mia presenza proprio <strong>per</strong><br />

mettervi a vostro agio. Una figura femmin<strong>il</strong>e è meglio accetta. Lei non ha nulla da<br />

temere e neppure, credo, le sue monache se dicono la verità».<br />

I due stavano sul portone d’ingresso della casa di riposo V<strong>il</strong>la Serena, mentre<br />

suor Aspasia (la madre su<strong>per</strong>iora), più che parlare, sembrava ringhiare dietro lo<br />

spioncino a grate a<strong>per</strong>to <strong>per</strong> l’occasione, dopo che la <strong>suora</strong> guardiana l’aveva<br />

chiamata <strong>per</strong> risolvere <strong>il</strong> problema dell’ingresso, a parere della medesima <strong>suora</strong>,<br />

non proprio pacifico.<br />

«D’accordo, entrino pure». Suor Aspasia mise tutta la sua conc<strong>il</strong>iante autorità<br />

nella frase, conscia di dover evitare <strong>il</strong> peggio, un’indagine ufficiale infatti sarebbe<br />

stata imbarazzante.<br />

«Ecco, madre. Ho necessità di sentire di nuovo l’inserviente» disse Boccia quando<br />

si fu seduto nel parlatorio, un po’ a disagio a sua volta. A fianco a lui stava<br />

Giovanna, la cui femmin<strong>il</strong>ità, nella linda divisa di panno grigio, ispirava<br />

un’amab<strong>il</strong>e sicurezza.<br />

«Gesuina, chiama la Br<strong>una</strong>» disse suor Aspasia alla nuova arrivata, avvisata dal<br />

solito squ<strong>il</strong>lo di campana.<br />

«Eccomi» sussurrò Br<strong>una</strong> entrando, pallida e con un f<strong>il</strong>o di voce.<br />

«Signorina Br<strong>una</strong>, noi ci siamo già visti» disse Boccia conc<strong>il</strong>iante. «Non si<br />

preoccupi troppo di questa signorina in uniforme. È qui <strong>per</strong> aiutarla, <strong>per</strong> metterla<br />

a suo agio. Devo solo farle <strong>una</strong> sola domanda: riconosce questa lettera? »<br />

Così dicendo mostrò la lettera (la quinta) a Br<strong>una</strong> la quale, nonostante tutti i<br />

sorrisi, si sentiva come Cristo in croce. Br<strong>una</strong> prese la lettera, la guardò come se<br />

non capisse nulla di quello che andava leggendo. Alzò infatti quasi subito gli<br />

occhi verso Boccia ritornandogli l’interrogativo <strong>per</strong> <strong>il</strong> quale lui credeva, invece, di<br />

poter scucire <strong>una</strong> risposta esaustiva.<br />

«Non la riconosce? Vede, è inviata a <strong>una</strong> certa B. Questa B. sta <strong>per</strong> Bianca, vero?»<br />

«No…»<br />

«Non mi dirà che sta <strong>per</strong> Br<strong>una</strong>! »<br />

«No!»<br />

«Come!» fece Boccia saltando sulla sedia «né Bianca né Br<strong>una</strong>? »<br />

«No».<br />

«Non è possib<strong>il</strong>e!» sbottò Boccia spazientito. «Come fa a negarlo. Sa di chi è la<br />

lettera?<br />

«Dottore,» intervenne suor Aspasia «ricordi in quale veste si è presentato qui. Non<br />

intimidisca questa povera ragazza. Altrimenti sarò costretta a chiederle di<br />

presentarsi un’altra volta con tutti i crismi dell’ufficialità».<br />

«D’accordo, d’accordo…Anche questa non l’ha mai vista?». Così dicendo allungò la<br />

lettera (la quarta) a Br<strong>una</strong>, la quale diede ancora uno sguardo e poi subito<br />

scoppiò in lacrime.<br />

«Ha visto, dottore, che ha combinato? La prego di non insistere».


«Va bene, madre, interrompiamo. Ma la prossima volta, lei mi capisce, sarò qui<br />

con altre intenzioni e con altre…disposizioni».<br />

«Mi può dare almeno i nominativi delle suore e degli anziani ricoverati?»<br />

«Dottor Boccia, sono stata troppo comprensiva con lei. Si presenti un’altra volta<br />

con un’autorizzazione scritta delle autorità svizzere. Altrimenti, credo che la porta<br />

resterà chiusa <strong>per</strong> lei».<br />

Boccia si alzò, raccolse in fretta le lettere sparse sul tavolo e guadagnò l’uscita<br />

tenendo cortesemente <strong>il</strong> braccio di Giovanna.<br />

«La ringrazio davvero <strong>per</strong> la collaborazione. La posso accompagnare a Locarno? »<br />

«No, grazie, non importa. Ho un impegno».<br />

«Arrivederci allora».<br />

«Arrivederci». E la donna si allontanò in direzione del terminal del traghetto.


Venerdì 9/10/…<br />

Quella mattina Boccia si svegliò di malumore. Che fosse <strong>per</strong> via del materasso<br />

duro avuto in sorte dall’Hotel Ticino o dagli incubi della notte, o <strong>per</strong> altra arcana<br />

ragione, non poteva dirlo. Aprì gli occhi con la testa che gli ronzava in modo<br />

impressionante, quasi che gli spiriti della notte si fossero coalizzati ad inserire i<br />

propri mugolii, rumori o effetti non traducib<strong>il</strong>i. Boccia poi non poteva attribuire<br />

tale stato ad <strong>una</strong> cena smodata, ché anzi si era premurato di essere sobrio col<br />

vino e parco col cibo, e soprattutto si era tenuto lontano dalla tentacolare<br />

presenza di Flavia, un caro essere che non riusciva mai a pensare in <strong>una</strong><br />

dimensione diversa da quella volumetrica, corporea, immancab<strong>il</strong>mente terrena<br />

che pure le era propria.<br />

Boccia era rimasto dunque solo, così come aveva voluto. Eppure quella mattina la<br />

testa gli ronzava come se nella notte fosse stato preda di m<strong>il</strong>le incubi. Sapeva<br />

tuttavia che almeno uno l’aveva occupato e posseduto, sim<strong>il</strong>e in tutto al racconto<br />

fatto un giorno da <strong>una</strong> donna di Malesco in occasione di un interrogatorio. Ed era<br />

<strong>una</strong> storia diavolerie di cui la Val Vigezzo sembra davvero piena.<br />

Boccia queste storie del diavolo e della sue profetesse non le dava certo <strong>per</strong> vere e<br />

neppure credib<strong>il</strong>i. Eppure ogni volta che si imbatteva in esse avvertiva come <strong>una</strong><br />

sorta di fastidio. In quest’ultimo caso<br />

fu addirittura nausea che tardò a rimuovere con imbarazzato ritardo. Si alzò<br />

infine (dunque), ordinò via telefono un caffè e aspettò seduto sul letto. La<br />

cameriera arrivò dopo poco e posò la chicchera col caffè caldo e fumante sul<br />

comodino. Boccia riuscì quindi a rimettersi in sesto, riuscì <strong>per</strong>fino senza sbagliare<br />

a spuntarsi i baffi alla fioca luce che pioveva dalla lampada del bagno.<br />

I tessuti connettivi dei ragionamenti - in sintassi, grammatica e ortografia -<br />

sembrarono sistemarsi presto in parole su fogli ideali in cui lui vedeva scorrere le<br />

lettere ad <strong>una</strong> ad <strong>una</strong> come <strong>per</strong> via di un sort<strong>il</strong>egio<br />

Vestitosi, raccolse le sue cose e uscì in fretta. Aveva in mente un piano e non<br />

voleva mandarlo all’aria <strong>per</strong> pigrizia. Uscì dunque e si diresse, senza <strong>per</strong>dere altro<br />

tempo, verso la piazza principale del paese. Su questa piazza a pianta<br />

rettangolare, in uno dei lati lunghi del rettangolo, si affacciava V<strong>il</strong>la Serena,<br />

riconoscib<strong>il</strong>e <strong>per</strong> via di un’insegna luminosa, al momento stranamente accesa. La<br />

piazza non era grande, anzi era modesta. Mostrava tuttavia <strong>una</strong> sua grazia, con<br />

<strong>una</strong> fontana al centro, contornata da un manto verde e alberi nani a frutice.<br />

Questo rettangolo verde era poi come inserito in un altro rettangolo più esterno <strong>il</strong><br />

quale prevedeva, lungo i quattro lati, ampio spazio <strong>per</strong> le vie di scorrimento ed i<br />

marciapiedi di deambulazione. Sul lato opposto di quello di V<strong>il</strong>la Serena si apriva<br />

<strong>una</strong> caffetteria, meta ambita, nell’ora, dei rari passanti. C’era pure, a fianco, <strong>una</strong><br />

cartoleria.<br />

Boccia, giunto al limitare della piazza, si fermò nel punto in cui la via si<br />

immetteva nella piazza stessa. Ristette un attimo ad osservare l’andirivieni degli<br />

clienti della caffetteria <strong>per</strong> retrocedere poi subito dietro l’angolo del palazzo <strong>il</strong><br />

quale nascondeva la vista della caffetteria stessa, ma dava modo, senza dare<br />

nell’occhio, di controllare le uscite di V<strong>il</strong>la Serena, <strong>il</strong> portone e <strong>il</strong> cancello del<br />

cort<strong>il</strong>e.


Si rendeva <strong>per</strong>fettamente conto che <strong>il</strong> suo comportamento era abbastanza<br />

ridicolo, lui ridottosi a fare <strong>il</strong> segugio quando avrebbe dovuto e potuto benissimo<br />

delegare ad altri l’incomodo. Ma la verità, o <strong>per</strong> meglio dire la ricerca di quella<br />

verità, era diventata <strong>per</strong> lui un punto di impegno, se non addirittura un richiamo<br />

di sott<strong>il</strong>e fascino. Il caso <strong>per</strong> <strong>il</strong> quale l’indagine all’inizio sembrava viaggiare sul<br />

binario tranqu<strong>il</strong>lo di un banale caso di suicidio, ora prometteva invece golosità<br />

ins<strong>per</strong>ate, ricco com’era di complicità inespresse, reticenze confessionali e<br />

barbagli di drammi lontani nel tempo.<br />

Ma la domanda, infine, era sempre la stessa: <strong>per</strong>ché tutti o quasi si ostinavano a<br />

voler archiviare <strong>il</strong> caso come quello di un semplice suicidio? D’altra parte, <strong>per</strong>ché<br />

volervi vedere <strong>per</strong> forza un omicidio? La presenza delle lettere poteva forse<br />

spiegarsi altrimenti. E <strong>il</strong> suo indagare, interrogare, inquisire, <strong>per</strong> giunta all’estero,<br />

poteva franare su se stesso come un castello di carte. Un incidente di <strong>per</strong>corso,<br />

avrebbero detto, e <strong>il</strong> suo trasferimento auspicato. Quale carriera voleva s<strong>per</strong>are<br />

d’altronde uno come lui? Un magistrato così poco rispettoso delle regole; così<br />

maldestro anche da <strong>per</strong>seguire piste sbagliate, suggerite magari da qualcuno che<br />

gli voleva male, e messe in bella vista come polpette avvelenate.<br />

‘E sia’ si diceva Boccia all’angolo della piazza. ‘Ma anche accettando <strong>per</strong><br />

verosim<strong>il</strong>e l’<strong>ipotesi</strong> del suicidio, <strong>per</strong>ché negarne le motivazioni? La madre<br />

su<strong>per</strong>iora aveva detto che suor Giacinta era serena, mai stanca, sempre pronta a<br />

dare tutta se stessa <strong>per</strong> gli altri. Possib<strong>il</strong>e che nessuno si fosse accorto invece<br />

della sua stanchezza, dell’enorme carica di infelicità che covava dentro?<br />

No! C’era come <strong>il</strong> segno di un’impostura. E lui questa impostura la voleva far<br />

emergere anche rischiando di <strong>per</strong>sona, scegliendo di non delegare in patria (al<br />

bravo maresciallo Bas<strong>il</strong>e) o all’estero (al delegato cantonale, su richiesta) la cura<br />

delle indagini ultime. Quel caso era ‘suo’, magari da risolvere al più presto, pur<br />

con qualche rischio.<br />

Ma ora <strong>per</strong> lui <strong>il</strong> rischio era <strong>il</strong> ridicolo: aspettare, forse <strong>per</strong> ore, che qualcuno<br />

uscisse da V<strong>il</strong>la Serena <strong>per</strong> qualche necessità. E se quel qualcuno avesse<br />

ut<strong>il</strong>izzato la macchina? Oh, gli interrogativi che Boccia si poneva non finivano<br />

mai. Come all’esame di maturità: ‘e se <strong>il</strong> professore di greco mi chiedesse questo,<br />

e se quello di matematica mi chiedesse quest’altro?’ Boccia fece spallucce. Il suo<br />

giovan<strong>il</strong>e vigore si vestì della s<strong>per</strong>anza e della sicurezza. Lui sapeva che dal<br />

portone sarebbe uscito qualcuno e questo qualcuno gli avrebbe infine consegnato<br />

<strong>il</strong> f<strong>il</strong>o d’Arianna ut<strong>il</strong>e <strong>per</strong> uscire dal labirinto.<br />

Boccia stava <strong>per</strong> l’appunto facendo queste considerazioni, quando finalmente,<br />

come preconizzato, dal portone di V<strong>il</strong>la Serena sbucò fuori <strong>una</strong> figura svelta che<br />

prese la via più diritta in vista di raggiungere evidentemente <strong>il</strong> lato opposto della<br />

piazza.<br />

Per non essere visto Boccia fece un balzo indietro. Il suo cuore gli andò in gola, gli<br />

eventi si mettevano nel modo previsto: la <strong>per</strong>sona era diretta alla caffetteria. Per<br />

un attimo si era fermata a guardare dentro <strong>il</strong> borsellino cercando qualcosa, e così<br />

aveva <strong>per</strong>messo a Boccia di sorprenderla: era Br<strong>una</strong>.<br />

Appena lei fu entrata, Boccia girò l’angolo e passò davanti alla caffetteria senza<br />

entrare. Br<strong>una</strong> era in fondo al locale, di spalle, con la cornetta del telefono in<br />

mano. Pareva molto compresa nella telefonata in atto e quindi non faceva caso


agli avventori del locale che si erano fatti, via via, più numerosi. Così Boccia<br />

ritenne di non esporsi troppo decidendo egli stesso di entrare. Ordinò subito un<br />

caffè, ma <strong>il</strong> suo orecchio era dedicato a ’lei’.<br />

«Ma no, non sono preoccupata» stava dicendo Br<strong>una</strong> a chi l’ascoltava dall’altro<br />

capo del f<strong>il</strong>o «mi ha chiesto delle cose. Ho risposto quel che so, e cioè poco o<br />

niente».<br />

«…!?»<br />

«Sì, è già venuto due volte, ma credo che non verrà più».<br />

Boccia la lasciò parlare. Ma appena lei fu uscita indirizzando i suoi passi a V<strong>il</strong>la<br />

Serena, lui la bloccò afferrandola <strong>per</strong> un braccio.<br />

«Con chi stavi parlando?» le fece brusco.<br />

«Con <strong>una</strong> mia amica…»<br />

«Non è vero».<br />

«E va bene: col mio fidanzato».<br />

«Come si chiama e dove abita?»<br />

Boccia la guardò dritta negli occhi. Br<strong>una</strong>, colpita dall’improvvisa domanda,<br />

abbassò lo sguardo senza rispondere.<br />

Il suo uomo non poteva essere implicato nella storia della <strong>suora</strong>, pensò. Che lei<br />

sapesse, aveva avuto solo qualche problema con la giustizia <strong>per</strong> via del<br />

contrabbando. Ma era questa <strong>una</strong> eventualità messa in conto fin dall’inizio. Per <strong>il</strong><br />

resto lui si mostrava <strong>per</strong> quel che era: un uomo semplice, innamorato delle sue<br />

montagne e della sua donna, che era poi lei, Br<strong>una</strong>. Magari lei aveva da ridire su<br />

questo doppio interesse, <strong>per</strong>ché quando lui partiva <strong>per</strong> la Val Vigezzo<br />

attraversando <strong>il</strong> confine a Bagni di Craveggia o forse più su, stava lontano giorni e<br />

giorni senza dar più notizie di sé. Nei primi tempi lei si era allarmata ed era stata<br />

in ansia; poi ci aveva fatto l’abitudine. Ma <strong>per</strong> <strong>il</strong> resto non le risultava niente,<br />

nemmeno che, prima di lei, avesse avuto qualche altra donna. E dire che doveva<br />

averne avute se a cinquant’anni anni era ancora un bell’uomo: alto, robusto, con<br />

i capelli a onde fin sulle spalle, i baffi sempre curati e gli occhi da gatto.<br />

Lei glielo aveva chiesto, Lui, nell’occasione, aveva fatto spallucce, come dire di<br />

ness<strong>una</strong> importanza. Eppure all’ultima visita del magistrato italiano a V<strong>il</strong>la<br />

Serena, lei aveva visto <strong>una</strong> lettera con la sua calligrafia...<br />

«E allora come si chiama?» ripeté Boccia, sollevandole con un dito <strong>il</strong> mento<br />

quadrato da contadina ticinese.<br />

«Ti potrei fare incriminare, lo sai?» aggiunse con un tono conc<strong>il</strong>iante nonostante le<br />

parole minacciose.<br />

«Donato» rispose lei allora senza guardando in faccia.<br />

«Oh, bene. E poi?».<br />

«Pizzul».<br />

«Donato Pizzul…che abita a Locarno in Via? »<br />

«Tre monti, 6».<br />

«Ci voleva tanto a dirlo. Temi <strong>per</strong> lui? »<br />

«Non ha fatto niente».<br />

«Oh, si capisce. Se non ha fatto niente, <strong>per</strong>ché temere? Eh, <strong>per</strong>ché temere?».<br />

«I poliziotti mi fanno sempre paura».


«Non sono un poliziotto, ma uno che vuol vedere chiaro nella morte di <strong>una</strong> <strong>suora</strong>.<br />

A proposito, com’era suor Giacinta? »<br />

«Oh, <strong>una</strong> santa. Gliel’ho già detto».<br />

«Ma… ultimamente temeva <strong>per</strong> la sua vita o era semplicemente stanca? »<br />

«Nessun timore. Suor Giacinta era felice di fare quello che faceva, di poter essere<br />

ut<strong>il</strong>e: “Bisogna amarli, questi vecchi” diceva “ora che non hanno più nessuno”».<br />

«Nient’altro? »<br />

«Nient’altro».<br />

«Bene, ora ti lascio…Ah, senti. Alla madre su<strong>per</strong>iora non dire di questo incontro,<br />

intesi? »<br />

«Intesi».<br />

Boccia la guardò ancora <strong>per</strong> un attimo. No, non poteva credere che un essere così<br />

spontaneo, elementare, fosse in grado di architettare un piano ardito e articolato<br />

con tanto di lettere anonime e arguzie da angelo del male. No, non poteva essere<br />

lei. La lasciò <strong>per</strong>ciò andare senza ulteriori domande.<br />

Ora doveva cercare Donato Pizzul. Riprese dunque l’aliscafo e tornò a Locarno.<br />

Recatosi subito all’indirizzo, che aveva avuto cura di segnarsi su un foglietto, non<br />

ebbe risposta al citofono. Chiese allora notizie a <strong>una</strong> donna che in quel momento<br />

stava uscendo dal portone; ma quella, sbrigativa, rispose che, a quanto ne<br />

sapeva, Pizzul era via <strong>per</strong> lavoro. Forse si sarebbe assentato <strong>per</strong> alcuni giorni,<br />

com’era sua abitudine.<br />

Boccia <strong>per</strong> un momento si chiese se <strong>per</strong> caso non fosse inetto all’indagine. Perché<br />

si era messo in testa che ci dovesse essere un colpevole? Non poteva<br />

semplicemente aspettare i risultati degli esami chimico-tossicologici? Solo sulla<br />

base di essi poteva formulare <strong>ipotesi</strong> più concrete e quindi <strong>per</strong>venire<br />

eventualmente a certezze definitive. Sospesa dunque ogni congettura, puntò<br />

veloce alla boutique di Flavia.<br />

«Br<strong>una</strong> non c’entra» le disse subito appena la vide. «E l’arrivo dell’ultima lettera<br />

nel giorno di S.Bruno <strong>una</strong> pura coincidenza».<br />

«Ah, sì?» fece lei, mentre all’interno della vetrina cercava di adattare un capo alla<br />

s<strong>il</strong>houette di un manichino.<br />

«Perché poi ti dico certe cose …».<br />

«Non parlarmene» ribatté lei secca. Poi lo guardò facendo fiorire un sorriso<br />

bastardo.<br />

Alla fine Boccia salutò Flavia, quasi con freddezza. Ciò succedeva quando, <strong>per</strong><br />

qualche verso, le cose non procedevano <strong>per</strong> lui nel modo dovuto. L’umore era<br />

nero. Così risultarono tutti i paesini che gli si presentarono, da Locarno a<br />

Domodossola, lungo la Centovalli prima e la Val Vigezzo poi.


Lunedì 12/10…<br />

«Dottò, finalmente!» esclamò Placido entrando immediatamente nell’ufficio al<br />

consueto ‘avanti’ di Boccia.<br />

«Finalmente, <strong>per</strong>ché?» chiese Boccia, guardando Placido diffidente.<br />

«Ma un plico da Torino, dottò! Non era da Torino che lei aspettava non so che?<br />

“Mi raccomando”, mi aveva detto, “se arriva <strong>una</strong> lettera o un plico da Torino,<br />

portameli subito”. Ed ora eccolo qua, <strong>il</strong> plico».<br />

«Grazie, Placido, grazie. Vai pure» disse Boccia aggiungendo <strong>per</strong>ò qualcosa nel<br />

gesto che era di fastidio. Ma Placido sapeva assorbire ogni minimo accento<br />

sgradito. Non fece <strong>per</strong>ciò caso al modo sbrigativo con cui Boccia l’aveva congedato<br />

e se ne tornò al suo posto, in anticamera.<br />

Boccia, <strong>per</strong> parte sua, guardò e riguardò con attenzione <strong>il</strong> plico che gli era stato<br />

consegnato, cercando di indovinarne <strong>il</strong> contenuto. Voleva evitare un’ennesima<br />

delusione, nel caso fosse un’altra lettera del tenore delle precedenti cinque. Ma la<br />

scrittura a stampa, in alto a sinistra, con tanto di timbro sul francobollo non gli<br />

consentì dubbi di sorta. Vi era infatti stampigliato ‘Università degli Studi di<br />

Torino. Dipartimento etc.’<br />

Dunque, era la risposta tanto attesa, cruciale <strong>per</strong> <strong>il</strong> suo interrogativo di base. Una<br />

risposta sollecitata dallo stesso <strong>per</strong>ito settore allorché, a completamento degli<br />

esami istologici, ematologici già eseguiti, aveva ipotizzato – così aveva scritto –<br />

fino a 60 giorni di tempo <strong>per</strong> i necessari esami chimico-tossicologici, da effettuarsi<br />

tuttavia in sede attrezzata allo scopo.<br />

Chi aveva redatto e sottoscritto la nuova <strong>per</strong>izia riportava ora proprio i risultati<br />

degli esami richiesti dal magistrato su indicazione del <strong>per</strong>ito settore.<br />

Fatte dunque le premesse, <strong>il</strong> nuovo <strong>per</strong>ito presentava le sue considerazioni sulla<br />

base di quanto r<strong>il</strong>evato.<br />

Non era possib<strong>il</strong>e seguire – scriveva – <strong>il</strong> criterio anatomo-patologico in quanto <strong>il</strong><br />

medesimo, a putrefazione inoltrata come nel caso in questione, poteva risultare<br />

praticamente muto o dare vaghi indizi a causa delle ptomaine che si formano <strong>per</strong><br />

effetto della putrefazione. Il criterio clinico era poi da scartarsi, a parte lo stato del<br />

cadavere, <strong>per</strong> <strong>il</strong> fatto che la sintomatologia clinica di un veleno può confondersi<br />

con quella di affezioni spontanee.<br />

Rimanevano dunque gli altri tre criteri: chimico, biologico-tossicologico e storico.<br />

Ma insieme, <strong>per</strong>ché la ricerca chimica poteva, da sola, non essere sufficiente e <strong>il</strong><br />

criterio biologico adatto nel caso di veleni organici. Il criterio storico infine, <strong>per</strong> la<br />

sua qualità di criterio desunto dalle circostanze estrinseche del caso, poteva<br />

essere di valido aiuto, ma nulla più.<br />

Il <strong>per</strong>ito dunque, nella sua dettagliata relazione, riassumeva un po’ tutti e cinque<br />

i criteri, presi in esame e posti in essere <strong>per</strong> quanto possib<strong>il</strong>e, e riferiva che si<br />

erano potute r<strong>il</strong>evare solo tracce – scriveva proprio così -, solo tracce di sostanze<br />

tossiche, in presenza <strong>per</strong>altro di formaldeide, la cui comparsa era da attribuirsi<br />

con tutta probab<strong>il</strong>ità alla putrefazione in atto, in fase colliquativa.<br />

“Concludendo” finiva lo scritto “<strong>per</strong> rispondere al quesito posto dall’autorità<br />

giudiziaria, la morte non sembra potersi attribuire a veneficio dovuto alle sostanze


tossiche r<strong>il</strong>evate ‘in corpore v<strong>il</strong>i’, in quanto le medesime appaiono insufficienti, da<br />

sole, a causare la morte del soggetto.<br />

Letto e sottoscritto…<br />

Boccia sollevò gli occhi dal documento, del tutto frastornato <strong>per</strong> quanto aveva<br />

letto. Non riusciva a capacitarsi del fatto che neppure la scienza medica avesse<br />

potuto risolvere <strong>il</strong> caso in via definitiva. Il suo indagare era stato – ora poteva<br />

confessarselo – quasi <strong>una</strong> curiosità, <strong>una</strong> scommessa, un modo <strong>per</strong> provare a se<br />

stesso che le sue intuizioni avevano un fondamento, surrogate e supportate da un<br />

ragionamento semplice e lineare che si augurava anche conclusivo.<br />

L’impegnarsi, insomma, in prima <strong>per</strong>sona a sondare <strong>il</strong> mistero di un caso<br />

apparentemente semplice era stato basato alla fin fine sulla convinzione che <strong>il</strong><br />

responso del <strong>per</strong>ito gli avrebbe portato – come suol dirsi, su un piatto d’argento-<br />

la risoluzione del problema, vale a dire la certificazione che nei re<strong>per</strong>ti sottoposti<br />

ad esame erano state trovate sostanze venefiche in dosi letali. E quindi<br />

l’indicazione <strong>per</strong> lui di morte <strong>per</strong> suicidio da assunzione di sostanze venefiche,<br />

così come era apparso subito evidente. Boccia avrebbe smesso allora i panni<br />

dell’investigatore – quasi privato – e sarebbe tornato a svolgere <strong>il</strong> suo vero ruolo di<br />

piccolo magistrato in <strong>una</strong> città che non faceva neppure provincia, ma come messa<br />

lì a guardare, ultimo avamposto del potere centrale, <strong>il</strong> confine.<br />

Invece, niente di tutto questo. La <strong>per</strong>izia degli esami chimico-tossicologici non gli<br />

aveva consegnato certezze, ma, al contrario, dubbi, più di quanti egli stesso si era<br />

impegnato - <strong>per</strong> esercizio, diceva – a proporsi al fine poi di trovarne <strong>una</strong> coerente<br />

e logica soluzione. Ora non era più schermato da un verdetto che la scienza<br />

riteneva, più che possib<strong>il</strong>e, certo. Ed era nella stessa situazione ormai di un<br />

capitano di nave costretto a navigare in un mare infido e sconosciuto. Di<br />

conseguenza doveva essere lui a porre le condizioni, a dare gli ordini, a indicare la<br />

rotta. Senza più uno straccio di terra in vista con relativo porto salvifico, ma solo<br />

la vastità dell’oceano <strong>per</strong> <strong>il</strong> quale <strong>una</strong> direzione valeva l’altra e l’approdo, alla fine<br />

del viaggio, non più ipotizzab<strong>il</strong>e, se non <strong>per</strong> <strong>il</strong> fatto che <strong>una</strong> terra, al di là della<br />

distesa d’acqua, doveva pur esserci.<br />

Boccia comunque ammainò ben presto la metafora insieme alle vele, <strong>per</strong> ritornare<br />

alla piccola realtà di sempre, cioè in mancanza d’altro, all’um<strong>il</strong>e es<strong>per</strong>ienza.<br />

Come era solito comportarsi infatti in presenza di <strong>una</strong> difficoltà? Si consultava col<br />

dottor Almisano della Procura di Verbania col quale già si era abboccato all’inizio<br />

di questa storia. Telefonò dunque al Procuratore informandolo di tutto, del come e<br />

del <strong>per</strong>ché necessitasse, a suo parere, procedere nelle indagini, stante <strong>il</strong> risultato<br />

inconcludente dell’autopsia (e del resto). Chiese poi –facendolo dire al procuratore<br />

– se era <strong>il</strong> caso di avvalersi delle Rogatorie <strong>per</strong> la citazione o esame dei testimoni o<br />

degli atti di istruzione all’estero – nella fattispecie, in Svizzera – dato che con<br />

molta probab<strong>il</strong>ità, anche se la morte era avvenuta in territorio italiano, i testimoni<br />

ut<strong>il</strong>i potevano trovarsi <strong>per</strong> l’appunto all’estero, in territorio sotto la giurisdizione<br />

della Confederazione elvetica.<br />

Il procuratore fu molto attento alle parole del magistrato gratificandolo addirittura<br />

con un ‘bravo’ <strong>per</strong> l’attenzione scrupolosa con cui aveva seguito fino allora <strong>il</strong> caso,<br />

con un accento così entusiastico che a Boccia parve <strong>per</strong>fino sospetto.


Il procuratore comunque finì la sua tiritera con un invito a trasmettere, via telex,<br />

richieste agli organi competenti invitando Boccia a proseguire le indagini. E<br />

concluse dicendo:<br />

«Vada pure avanti, dottor Boccia. Ma mi raccomando, sia prudente. La faccenda –<br />

lei lo capisce benissimo – se prima era delicata ora si fa problematica, <strong>per</strong> i<br />

risvolti anche di tipo confessionale presenti, e le implicazioni future».<br />

Boccia ringraziò, asseverò la bontà e limpidezza della proprie intenzioni, nonché<br />

la fedeltà alla linea tracciata dal Procuratore. Ma quando depose <strong>il</strong> microtelefono<br />

si sentì inut<strong>il</strong>e e impotente, come <strong>per</strong>duto nel mare, incapace di <strong>una</strong> scelta, di<br />

un’idea sulla bontà o meno delle proprie convinzioni, laddove tali convinzioni<br />

dovevano lasciare <strong>il</strong> posto a fatti precisi con conclusioni suffragate da prove certe.<br />

Che cosa aveva in mano infatti? Un documento inconcludente del <strong>per</strong>ito,<br />

interrogatori ‘in limine’ non sottoscritti e sensazioni che non facevano giustizia di<br />

quella che doveva essere stata, invece, <strong>una</strong> grande tragedia.<br />

Perché pensava questo? Ma <strong>per</strong>ché c’erano troppe stranezze nel caso, e quando<br />

succede questo – quando cioè affiorano i sintomi premonitori – allora da qualche<br />

parte deve esserci l’angelo del male. Un grande guazzabuglio insomma.<br />

Che c’entrassero in qualche modo i miti e le leggende dell’Alpe? No, non era<br />

davvero opportuno inserire l’irrazionale laddove occorreva invece freddezza e<br />

razionalità <strong>per</strong> seguire <strong>il</strong> ragionamento nelle pieghe più sott<strong>il</strong>i e riposte di un<br />

vissuto variamente complesso.<br />

Boccia guardò allora, <strong>per</strong> associazione d’idee, <strong>il</strong> suo <strong>per</strong>sonal computer nuovo di<br />

zecca che se ne stava lì buono come alcunché privo di coscienza del dramma.<br />

‘Che me ne faccio?’ pensò. Sarebbe stato bello poter fare un programma,<br />

inserendo come dati di ingresso gli elementi noti di un caso <strong>per</strong> avere poi<br />

all’uscita, come risultato, l’incognita, l’assassino. Sarebbe bello. Ma <strong>una</strong><br />

macchina rimane <strong>una</strong> macchina se non è vivificata dalla fantasia dell’uomo. Fare<br />

<strong>una</strong> tabella della verità: vero, vero, falso. Ridicolo. Esplicitare sul video i dati in<br />

possesso, <strong>ipotesi</strong> <strong>per</strong> <strong>ipotesi</strong>? Possib<strong>il</strong>e. Meglio comunque ragionare con carta e<br />

penna, oppure, a voce alta, come a lui piaceva, con un interlocutore valido.<br />

«Avanti!» urlò meccanicamente alla richiesta d’udienza.<br />

«Dottò» fece Placido entrando. «Dottò, si potrebbe…»<br />

«Cosa, Placido?»<br />

«Si potrebbe dare i numeri: genziane, 5; strega, 41 (4+1=5). Le streghe che<br />

danzano, annunciano cattive notizie, comunque streghe, al plurale, 13. E diavolo<br />

14 e 39. Che ne dice, dottò? Un terno al lotto non ce lo cava nessuno».<br />

Boccia rimase di stucco. Preso come era del vortice delle considerazioni, sempre<br />

più pregnanti e coinvolgenti, non riuscì a capacitarsi di quella intrusione del tutto<br />

incongrua. E questo anche a voler considerare l’atmosfera di mite complicità che<br />

aveva saputo – a suo dire – instaurare con quella buona pasta di Placido. Preso<br />

tuttavia in mezzo fra due impulsi contrapposti, ugualmente determinati ad agire,<br />

non riuscì poi alla fine a rendere esplicito se non uno sguardo più sorpreso che<br />

preda dell’ira. Quell’attimo di interregno fu comunque sufficiente a Placido <strong>per</strong><br />

def<strong>il</strong>arsi in buon ordine mentre diceva:<br />

«Mi scusi, dottò». E uscì felpato e un po’ deluso.


Boccia <strong>per</strong> un po’ ristette con <strong>una</strong> sensazione di brividi che gli disegnavano guizzi<br />

lungo la schiena: quel numero 13 specialmente non gli piaceva <strong>per</strong> niente.<br />

Si riscosse comunque ritornando in breve padrone di sé e dei suoi pensieri f<strong>il</strong>anti.<br />

‘Un interlocutore?’, pensò. Prese quindi a digitare un numero sulla tastiera del<br />

telefono.<br />

«Qui Carabinieri, Valmara» rispose <strong>una</strong> voce.<br />

«Sono <strong>il</strong> dottor Boccia: <strong>il</strong> maresciallo Bas<strong>il</strong>e, <strong>per</strong> cortesia».<br />

«Sì, pronto, maresciallo Bas<strong>il</strong>e» fu la quasi immediata risposta.<br />

«Maresciallo, sono Boccia. Dobbiamo vederci, a Valmara <strong>per</strong> un sopralluogo. E al<br />

più presto. La necroscopia e gli esami chimico-tossicologici, non ci ha dato<br />

purtroppo ness<strong>una</strong> certezza. L’ultima <strong>per</strong>izia propende <strong>per</strong> l’avvelenamento - sì, <strong>il</strong><br />

suicidio -, ma poi lascia a<strong>per</strong>te tutte le <strong>ipotesi</strong> e quindi tutte le soluzioni».<br />

«Ma come è possib<strong>il</strong>e, dottore?» interloquì Bas<strong>il</strong>e, sinceramente sorpreso.<br />

«Incredib<strong>il</strong>e, ma vero. Perché, vede, la quantità di veleno r<strong>il</strong>evata nei visceri non è<br />

stata ritenuta sufficiente a causare, da sola, la morte. Lei si ricorda bene <strong>il</strong> posto?<br />

»<br />

«Certo, dottore».<br />

«Non ha trascurato, forse, qualche dettaglio importante? »<br />

«Non credo. Con me c’era <strong>il</strong> brigadiere Diolaiti, un es<strong>per</strong>to in materia».<br />

«Nello zaino, <strong>per</strong> esempio, davvero non ha trovato altro che le confezioni vuote di<br />

barbiturici? »<br />

«No, dottore, nient’altro».<br />

«Neppure <strong>il</strong> libro delle preghiere? »<br />

«Neppure quello».<br />

«Eppure la madre su<strong>per</strong>iora di V<strong>il</strong>la Serena ha assicurato che suor Giacinta se lo<br />

portava sempre appresso, con sé voglio dire. Come mai non c’era? »<br />

«Non lo so, dottore, proprio non lo so».<br />

«Neppure vicino al cadavere, o nelle tasche della tonaca? »<br />

«Neppure lì».<br />

«Ecco questo è un primo fatto strano. Un altro fatto strano, - l’ho già detto –<br />

nell’<strong>ipotesi</strong> del suicidio, è che si sia buttata nella buca dopo aver ingerito le p<strong>il</strong>lole<br />

dei barbiturici».<br />

«Ma non c’era acqua, o poca».<br />

«Appunto. Ed è incredib<strong>il</strong>e che ce ne fosse stata allora, <strong>il</strong> 15 di marzo. Il <strong>per</strong>ito<br />

settore infatti – è <strong>una</strong> delle poche cose certe che ha sottoscritto – ha asserito che<br />

<strong>il</strong> corpo non poteva essere rimasto completamente sommerso. Mi sente? »<br />

«Sì, certo, dottore».<br />

«Completamente sommerso, voglio dire. E poi <strong>per</strong>ché volersi annegare quando ci<br />

si è già avvelenati? Non è più semplice pensare che la <strong>suora</strong> volesse incontrare<br />

qualcuno sulla strada degli spalloni? »<br />

«In questo caso si sarebbe tolta la tonaca, dottore. Non crede? »<br />

«Questa è un’<strong>ipotesi</strong>. Facciamone un’altra. La <strong>suora</strong> vuole uccidersi. Lascia la<br />

Svizzera e viene in Italia. Si porta dietro <strong>il</strong> veleno, sale sulla montagna decisa a<br />

farla finita. Sembra di rivisitare <strong>una</strong> storia giapponese. Secondo <strong>una</strong> tradizione<br />

giapponese infatti, i vecchi, quando si sentono soli e inut<strong>il</strong>i, salgono sulla<br />

montagna e si lasciano morire. Ma torniamo al nostro caso.


La <strong>suora</strong> arriva dunque alla baita diroccata, luogo solitario quant’altri mai. Ma<br />

qui qualcuno la sorprende. Questo qualcuno si lascia poi prendere da <strong>una</strong> raptus<br />

omicida quando la <strong>suora</strong> reagisce rifiutandosi di sottostare alle brutali voglie del<br />

violentatore».<br />

«…lui la colpisce…»<br />

«Bravo. Infatti lei risulta poi avere <strong>il</strong> mignolo della mano destra fratturato».<br />

«Ma forse prima l’ha affrontata dentro…»<br />

«Forse, lei viene sorpresa nella baita mentre ha appena ingerito solo qualche<br />

p<strong>il</strong>lola. Si divincola, fugge all’a<strong>per</strong>to, lui la insegue…»<br />

«…arriva vicino alla buca…»<br />

«…lui le è ancora addosso, alza la mano e la <strong>per</strong>cuote, magari con un bastone,<br />

fratturandole <strong>il</strong> dito mignolo».<br />

«…lei <strong>per</strong>de l’equ<strong>il</strong>ibrio, cade nella buca quasi senz’acqua, sviene».<br />

«Perfetto, e annega incosciente in 5 cm d’acqua. Il <strong>per</strong>ito <strong>per</strong> l’appunto afferma<br />

che si può avere annegamento…come dice esattamente…guardo la<br />

relazione…ecco…”può accadere trattandosi di ubriachi, ep<strong>il</strong>ettici, traumatizzati<br />

caduti e immersi col solo capo…” »<br />

«Mi sembra che tutto torni <strong>per</strong>fettamente, dottore».<br />

«Sì, sì torna…ma non mi convince».<br />

«Perché, dottore? Il movente ci sarebbe e la dinamica pure, chiara e realistica,<br />

voglio dire».<br />

«Lei dimentica un particolare: <strong>il</strong> corpo è stato trovato bocconi con le mani giunte.<br />

Come può uno cadere in <strong>una</strong> buca e rimanere con le mani giunte? Se è cosciente,<br />

istintivamente allunga le braccia. Se non lo è, le braccia ricadranno in <strong>una</strong><br />

posizione qualunque, così pure le mani. Mai potranno queste ultime trovarsi nella<br />

postura r<strong>il</strong>evata».<br />

«Dottore, davvero non so spiegarmelo».<br />

«È <strong>per</strong> questo che ritengo opportuno un ulteriore sopralluogo che faremo<br />

insieme».<br />

«Come vuole, dottore».<br />

«A domani allora. Alla stazione della cabinovia di Valmara, alle 9».


Martedì 13/10/…<br />

«Dottore, ben arrivato».<br />

«Buongiorno, maresciallo. Abbiamo preso male a quanto pare: ‘stanotte è nevicato<br />

e stamattina minaccia».<br />

«Un spruzzata, dottore, solo <strong>una</strong> spruzzata. Ma mi sono attrezzato. Giacca a<br />

vento, berretto di lana».<br />

«Pure io. Ho preso anche gli occhiali. Quest’anno siamo in anticipo con l’inverno o<br />

mi sbaglio?»<br />

«Non proprio, sono solo avvisaglie. Il vero inverno arriva più avanti, verso<br />

novembre dicembre. Quel poco di neve non ci disturberà <strong>per</strong> <strong>il</strong> sopralluogo…Ah,<br />

dimenticavo la guida, un montanaro di Valmara monte…». E qui si rivolse ad un<br />

uomo alto, massiccio che se ne stava in disparte vicino a un albero con in testa<br />

un cappello verde d’alpino e penna.<br />

«Venite, Petèl» chiamò Bas<strong>il</strong>e. L’uomo si mosse. Quando fu vicino, lo presentò a<br />

Boccia. Questi gli allungò la mano guardando l’uomo negli occhi. Erano occhi<br />

cangianti, celesti come <strong>il</strong> cielo e verdi come i prati. Ma la pelle del viso era color<br />

del cotto, la pelle bruciata dal sole delle montagne, rugosa e con solchi profondi<br />

sulle guance, sulla fronte, mentre la mascella si presentava allungata e ricurva<br />

sul mento su cui finiva un naso adunco e narici sott<strong>il</strong>i. Per contrasto gli occhi<br />

sprizzavano bonomia. Due vistosi baffi a manubrio sovrastavano poi la bocca<br />

apparentemente priva di denti, cosa non vera come aveva potuto constatare<br />

Boccia stesso quando l’uomo aveva ripagato <strong>il</strong> suo saluto con uno pieno di<br />

deferenza e di rispetto. Nell’attimo che passò, Boccia non riuscì a dargli un’età<br />

precisa. Quell’uomo pareva avere l’età delle montagne di cui lui era l’anima<br />

vivente.<br />

«Sa tante storie» disse ancora Bas<strong>il</strong>e, dietro a Boccia, che già si era mosso in<br />

direzione della stazione della cabinovia di Valmara, non molto distante.<br />

«Quali storie?» chiese Boccia voltandosi.<br />

«Storie della montagna, ma anche della valle. Vero Petèl?» disse Bas<strong>il</strong>e<br />

ammiccando all’alpigiano.<br />

«Siamo qui <strong>per</strong> altre storie, mi sembra» osservò Boccia dando <strong>una</strong> significativa<br />

occhiata all’uomo dell’Arma.<br />

«Oh certo, dottore. Petèl ci farà da guida fino alla baita a mezza costa. Viene<br />

quindi <strong>per</strong> le storie che intende lei. Anche <strong>per</strong>ché conosce tutti i sentieri e le<br />

<strong>per</strong>sone che vi si inoltrano…Non solo <strong>per</strong> turismo, si capisce… Ah, ecco la<br />

stazione della cabinovia. C’era mai stato qui, dottore? »<br />

«Qui no, ma la valle la conosco. Uh, se la conosco. Salga prima lei».<br />

Così dicendo invitò Bas<strong>il</strong>e a servirsi della cabina appena arrivata vuota da monte.<br />

L’addetto della cabinovia era intanto apparso nel vano della porta della<br />

stazioncina.<br />

«Come mai in funzione?» chiese Bocca. «Non è un po’ presto?»<br />

«Ha ragione» fece quello. «La stagione non è ancora cominciata. Ma sa, quando<br />

c’è l’occasione, la neve cioè, apriamo in anticipo. Anche <strong>per</strong>ché su, a La Mira, c’è<br />

l’Osservatorio, che è bene servire in appoggio alla via che sale dalla piana di<br />

Vigezzo. Una via lunga e tortuosa».<br />

«Ma la cabinovia porta fino all’Osservatorio?» chiese ancora Boccia.


«Oh sì, la cabinovia serve due tratte: fino a Le Bocche, e da Le Bocche a La Mira,<br />

dove c’è l’Osservatorio. Dopo c’è <strong>una</strong> seggiovia che raggiunge La Cima, a duem<strong>il</strong>a<br />

metri».<br />

«E se non c’è neve?»<br />

«Se non c’è la neve, no. Allora rimane chiusa, tranne i mesi estivi <strong>per</strong> via dei<br />

turisti».<br />

Boccia ringraziò, ma già la cabina era in movimento verso l’alto.<br />

«Che si vede dall’Osservatorio?» chiese Boccia dopo un po’ a Bas<strong>il</strong>e e Petèl.<br />

«Il cielo» rispose veloce e arguto Petèl anticipando l’altro. «Ma, se si vuole, anche <strong>il</strong><br />

Monte Rosa. Lontano, eh».<br />

«Davvero?»<br />

«Sì, attraverso la Valle Anzasca. È uno spettacolo, da vedere».<br />

«Ci andremo. Ora <strong>per</strong>ò abbiamo un impegno. A proposito, Bas<strong>il</strong>e, ha parlato di<br />

storie poco fa, che storie? Abbiamo un po’ di tempo prima di arrivare su»<br />

«Sembra, dottore» disse Bas<strong>il</strong>e «che tutta la zona sia un vero e proprio rifugio di<br />

streghe. Pare che convergano qui da tutte le montagne vicine, prima di scatenarsi<br />

contro i poveri valligiani».<br />

«A Borgo di Crana, non molto lontano di qui…» intervenne vivace Petèl «ci sono<br />

delle streghe specializzate in grandinate».<br />

Boccia ascoltava tra <strong>il</strong> divertito e l’interessato, mentre la cabina, salendo, gli<br />

apriva via via significativi squarci su un panorama che la spruzzata di neve della<br />

notte aveva reso quasi fiabesco. Ecco infatti <strong>il</strong> campan<strong>il</strong>e laggiù che si coccolava le<br />

case intorno con un fare da gallo. L’<strong>il</strong>lusione era pregnante <strong>per</strong> via del movimento<br />

che la cabina, presa a riferimento, imponeva a case e strade di Valmara.<br />

Ecco le strade, scure tra le prode innevate, diventare come d’incanto bisce o<br />

lunghi capelli con infernali luccichii dovuti ai più terreni riflessi dei parabrezza<br />

delle macchine in movimento.<br />

Ora Boccia, preso dalla magia della natura, avvertiva un certo turbamento, <strong>il</strong> suo<br />

tem<strong>per</strong>amento di uomo pragmatico, <strong>per</strong> nulla incline alle favole, era messo alla<br />

prova. Di certo l’incanto della valle non era <strong>una</strong> sensazione opinab<strong>il</strong>e, ma <strong>una</strong><br />

realtà indiscutib<strong>il</strong>e. E in questo non c’entravano <strong>per</strong> nulla le streghe evocate dal<br />

buon Petèl con parole semplici, anche se infarcite di locuzioni locali o detti<br />

dell’Alpe.<br />

«Le frequenti tempeste a Pioda di Crana» continuò l’uomo «sono dovute ai malefici<br />

delle streghe. Proprio così: all’interno dei chicchi di grandine lei trova capelli di<br />

strega. Per questo le nostre ‘mule’, sì le nostre donne, non hanno mai voluto<br />

<strong>per</strong>dere i loro meravigliosi capelli lunghi. Cosa che invece capita alle donne delle<br />

valli vicine…»<br />

«Le streghe, sissignore, uccidono anche» disse dopo un attimo di sospensione.<br />

«Non importa che lei vada lontano. Alle Bocche di S.Antonio <strong>per</strong> esempio, qui a<br />

due passi, c’è un’antica tana di volpi. Lei non ci crederà, ma nelle sere d’estate da<br />

questa tana esce un lamento. È la voce di Domenica, assassinata dall’amante<br />

geloso tanti anni fa, mentre aspettava un bimbo».<br />

«Avete detto, Bocche di S.Antonio?» chiese Boccia che non aveva <strong>per</strong>so <strong>una</strong> s<strong>il</strong>laba<br />

di quanto andava dicendo l’uomo.<br />

«Sì, <strong>per</strong>ché?» rispose Petèl fiero con un’altra domanda.


Boccia si volse allora in direzione di Bas<strong>il</strong>e.<br />

«Non è là che stiamo andando, maresciallo? »<br />

«Sì, <strong>il</strong> luogo si chiama così, infatti». Poi, come <strong>per</strong> togliere l’imbarazzo, aggiunse:<br />

«Dottore, siamo arrivati alla prima stazione: Le Bocche».<br />

«Faccio strada» disse a sua volta Petèl, tirandosi su le maniche del maglione. E<br />

invitando i due a seguirlo su un sentiero di cui c’era traccia ai piedi di uno<br />

spuntone roccioso. Sotto c’era un vasto declivio innevato dal quale emergevano,<br />

occhieggiando, piante a fiori gialli che, facendo macchia, riposavano l’occhio.<br />

«Quanto manca?» chiese ancora Boccia a Petèl.<br />

«Oh, un ch<strong>il</strong>ometro circa».<br />

«Montanaro? »<br />

«Sì, montanaro» rispose pronto Petèl con un sorriso sornione.<br />

«E bravo Petèl» uscì a dire Bas<strong>il</strong>e «non ci faremo sera?»<br />

«Deve essere bello qui a primavera» disse Boccia lasciando morire l’interrogativo<br />

di Bas<strong>il</strong>e.<br />

«Oh, dottore» fece Petèl. «Appena si scioglie la neve, lei si trova davanti…»<br />

E qui Petèl si fermò producendosi in un largo movimento rotatorio dell’intero<br />

braccio destro, a significare la vastità dell’area interessata al fenomeno che<br />

ognuno di loro doveva, al momento, dare <strong>per</strong> scontato in forza<br />

dell’immaginazione.<br />

«…si trova davanti» ripeté «un mare di crochi. Un mare…».<br />

«Da queste parti non ci saranno solo crochi» osservò Boccia dando a vedere di<br />

voler riprendere <strong>il</strong> cammino.<br />

«No certo, dottore. Ce ne sono tanti altri: la soldanella, <strong>il</strong> mortagone, <strong>il</strong> giglio, <strong>il</strong><br />

narciso …»<br />

«E come fa<strong>una</strong>? Come fa<strong>una</strong>…animali intendo».<br />

«Ah, animali! Il camoscio, lo stambecco…»<br />

«Non contate frottole, buon uomo. Lo stambecco ormai non c’è più. Sta solo al<br />

Parco Nazionale del Gran Paradiso».<br />

«Faccio così <strong>per</strong> dire. Ogni tanto <strong>per</strong>ò - questa è autentica – su a Cima di Caneto<br />

si vede un’aqu<strong>il</strong>a».<br />

«Un’aqu<strong>il</strong>a!?»<br />

«Sì, un’aqu<strong>il</strong>a reale, ma solo nelle giornate limpide. Sorretta dalle correnti d’aria.<br />

Quando la si guarda contro <strong>il</strong> cielo azzurro, sembra immob<strong>il</strong>e. La gran Madre, la<br />

chiamano. Quando se ne va, è sempre verso Ovest, là dove c’è <strong>il</strong> Rosa». «Ecco»<br />

fece Petèl fermandosi dopo <strong>una</strong> robusta camminata «qui bisogna stare attenti. Il<br />

sentiero prosegue <strong>per</strong> Cima di Caneto, mentre noi dobbiamo prendere a sinistra<br />

<strong>per</strong> la baita diroccata. Attenti allo strapiombo, non è molto salutare, eh».<br />

L’uomo rideva, compiaciuto di se stesso e delle sue trovate, e si torceva con gusto<br />

<strong>il</strong> baffo a manubrio. Boccia si andava chiedendo <strong>per</strong>ché mai Bas<strong>il</strong>e avesse preso<br />

un uomo così. ‘Giusto <strong>per</strong> fare gli scongiuri contro le streghe’, pensò. Ma poi<br />

accettò l’idea che la sua es<strong>per</strong>ienza sarebbe servita in qualche modo.<br />

«Sentite. Ma chi passa da queste parti? Su questi sentieri, voglio dire».<br />

«Turisti d’estate e qualche vaccaro».<br />

«Altri no? Spalloni <strong>per</strong> esempio».


«Se l’ha sentito dire lei, può darsi. Il confine è vicino, vicina è la tentazione. No, su<br />

questo sentiero no. Perché porta solo ad <strong>una</strong> baita diroccata. Sa, <strong>una</strong> di quelle<br />

casupole di montagna interamente di legno. È andata a <strong>fuoco</strong> qualche anno fa in<br />

<strong>una</strong> notte di pioggia e vento, e fulmini si capisce. Il Comune di Valmara voleva<br />

ricostruirla, ma un po’ più in là, dietro. Ha fatto scavare <strong>una</strong> gran buca <strong>per</strong> le<br />

fondamenta e poi…niente, è rimasta così. Con la pioggia si riempie tutta d’acqua».<br />

«D’acqua? »<br />

«Sì, a volte, quando piove molto. Ora gliela mostro, siamo arrivati».<br />

Dopo aver circuito un’alta roccia infatti, avevano ora davanti lo scenario che<br />

Boccia aveva cercato d’immaginare in tutti i modi. C’era la baita, con l’ingresso<br />

proprio alla fine del sentiero dove loro si trovavano ora. Di lato, a difesa dallo<br />

strapiombo, correva un largo muretto di protezione e contenimento. Sopra e a<br />

ridosso della baita poi si vedeva un alto costone di roccia che a scendere<br />

raggiungeva quasi <strong>il</strong> muretto. Lo scavo <strong>per</strong> la nuova baita doveva essere dietro, in<br />

<strong>una</strong> zona non visib<strong>il</strong>e dal punto in cui erano. E qui Petèl, come promesso, portò i<br />

due. Boccia guardò Bas<strong>il</strong>e.<br />

«Tenente, vede niente lei?»<br />

«No, cioè sì, quello che vede lei immagino. Nulla di diverso rispetto all’altra volta,<br />

quando abbiamo dovuto recu<strong>per</strong>are <strong>il</strong> corpo della povera…Vede, era sprofondato<br />

qui, in questa buca, impossib<strong>il</strong>e a vedersi dalla baita, nascosta com’è da quello<br />

s<strong>per</strong>one di roccia. Bisognava sa<strong>per</strong>lo <strong>per</strong> venire fino qui».<br />

«Sì, maresciallo. Ma non vede niente di particolare? »<br />

«La neve, maresciallo, la neve».<br />

«Sì, la vedo la neve. Vi siamo anche sprofondati. Poteva aspettare ancora un po’».<br />

«La neve, maresciallo. La buca era piena di neve…quando è salita la <strong>suora</strong> non<br />

c’era acqua, ma neve».<br />

«Come fa a dirlo, dottore. Poteva essersi già sciolta, la neve, e aver riempito di<br />

acqua, in parte, la buca. E poi non poteva essere piena di neve, la buca.<br />

Altrimenti come ci arrivava fin qui la <strong>suora</strong>. Oggi ha fatto <strong>una</strong> spruzzata. Ma se,<br />

come lei dice, la buca era piena…»<br />

«Il sentiero è tutto a<strong>per</strong>to sotto <strong>il</strong> sole, e quindi vulnerab<strong>il</strong>e. Questa zona invece,<br />

dove si apre la buca, è nascosta tutta intorno dalla roccia che la sovrasta».<br />

«Solo in parte».<br />

«E va bene, solo in parte. Ma è quella che ci interessa».<br />

«Non mi convince, mi scusi. E poi come fa a dirlo, che c’era neve».<br />

«È presto fatto. Petèl» urlò. L’uomo che si era allontanato dopo qualche attimo<br />

comparve ansimando:<br />

«Dica, dottore».<br />

«La neve, qui, fino a quando c’è rimasta quest’anno? »<br />

«Fino a metà marzo circa».<br />

Boccia guardò Bas<strong>il</strong>e con un sorriso raggiante: <strong>il</strong> particolare!<br />

«E poi, tenente, non ha notato nient’altro? »<br />

«No, non saprei».<br />

«Venga a vedere, venga». E qui trascinò Bas<strong>il</strong>e di nuovo alla baita su<strong>per</strong>andola.<br />

«Vede?» disse ancora Boccia indicando, a fianco della baita, un capace trogolo<br />

ricavato dal tronco di un grosso albero. L’acqua vi fluiva copiosa da un becco


sporgente in alto dalla roccia, a riempire la cavità fino all’orlo <strong>per</strong> poi <strong>per</strong>dersi più<br />

in basso attraverso <strong>una</strong> rozza scanalatura di scolo.<br />

«Non penserà, dottore» si affrettò a dire Bas<strong>il</strong>e «che quella poveretta sia finita qui<br />

dentro».<br />

«Dentro no, maresciallo, non del tutto voglio dire. Mi segua, <strong>per</strong> favore».<br />

Bas<strong>il</strong>e capiva sempre meno le argomentazioni di Boccia, industriandosi tuttavia di<br />

seguirle. Si sollevò intanto <strong>il</strong> berretto di lana e con la destra a pettine si riavviò i<br />

capelli venati di bianco.<br />

«Mi segua» disse ancora Boccia facendo alcuni passi. Poi si voltò fissando Bas<strong>il</strong>e<br />

dritto negli occhi.<br />

«I fatti devono essersi svolti così: la <strong>suora</strong> ha deciso di farla finita. Si trova<br />

all’interno della baita, ingoia le prime p<strong>il</strong>lole. Qualcuno, arrivato fin qui <strong>per</strong> <strong>una</strong><br />

qualche ragione precisa – mettiamo prelevare della merce – la sorprende, cerca di<br />

violentarla. Lei si ribella, l’altro la colpisce. Lei comunque si divincola, riesce a<br />

liberarsi, corre fuori in direzione del sentiero, unica via di scampo. Si inf<strong>il</strong>a<br />

invece, sbagliando, in questo corridoio dove c’è l’abbeveratoio. L’assassino allora,<br />

fuori di sé, l’insegue e la colpisce ancora mentre lei si ripara <strong>il</strong> volto con la mano,<br />

fratturandole <strong>il</strong> mignolo. Poi l’afferra in qualche modo riuscendo a immergerle la<br />

testa dentro l’abbeveratoio ricolmo d’acqua. E questo fino a quando la reazione<br />

della donna cessa e <strong>il</strong> corpo si affloscia. Butta allora quel povero corpo nella buca<br />

che sa esserci dietro la baita diroccata. Ma poi - e qui è <strong>il</strong> bello – ritorna sui suoi<br />

passi, ritira su <strong>il</strong> cadavere e lo ricompone in un avvallamento del terreno che si<br />

apre ai bordi della buca. Lo ricopre quindi con la neve tuttora presente con la<br />

quasi certezza che nessuno riuscirà a scoprire <strong>il</strong> cadavere prima di un bel po’ di<br />

tempo.<br />

Solo i turisti d’estate, o gli spalloni, salgono da queste parti e di rado deviano<br />

verso la baita, anche <strong>per</strong>ché è poco agib<strong>il</strong>e. Il nostro uomo lo sa bene. Nessuno di<br />

loro <strong>per</strong>ò si potrà accorgere di un cadavere messo in <strong>una</strong> buca invisib<strong>il</strong>e dalla<br />

baita, e <strong>per</strong> giunta co<strong>per</strong>to di neve. Ci vorrà del tempo. I suoi conti sono giusti,<br />

infatti solo in agosto marito e moglie fanno un giro quassù e <strong>per</strong> puro caso<br />

scoprono <strong>il</strong> cadavere, ormai putrefatto, della povera <strong>suora</strong>».<br />

Boccia aveva finito. Pensò di sedersi sul parapetto, ma c’era neve e vi rinunciò. Si<br />

tolse ugualmente gli occhiali da sole, prese di tasca un fazzoletto e cominciò a<br />

pulirne le lenti con d<strong>il</strong>igente cura. Un dubbio <strong>per</strong>ò ad un certo punto sembrò<br />

ass<strong>il</strong>larlo. La fronte infatti si era improvvisamente corrugata e lo sguardo si era<br />

fatto pensoso.<br />

«Ma <strong>per</strong>ché» uscì a dire dopo qualche tempo «<strong>per</strong>ché uccidere con tanta violenza<br />

ed essere poi così pietoso? Lei mi ha ascoltato, vero maresciallo?»<br />

«Oh certo, dottore, ho ascoltato: la ricostruzione che ha fatto è plausib<strong>il</strong>e. Ma<br />

vede, questo è un maledetto imbroglio. Tutto sembra tornare nel ragionamento.<br />

Ma basta un particolare, un particolare da nulla, e quel tutto viene rimesso in<br />

discussione. Come in un puzzle, proprio come in un puzzle».<br />

«Sarebbe a dire?» Ora Boccia guardava Bas<strong>il</strong>e un po’ seccato.<br />

«Sarebbe a dire, dottore, che c’è <strong>il</strong> particolare dell’uomo pietoso. Ma anche quello<br />

dello zainetto e delle confezioni vuote. Se, come dice lei, la <strong>suora</strong> è stata sorpresa<br />

subito dopo aver ingoiato qualche p<strong>il</strong>lola, come si spiega <strong>il</strong> fatto che le confezioni


noi le abbiamo trovate vuote, completamente vuote? Non vedo l’assassino<br />

curiosare nello zainetto, prendersi le p<strong>il</strong>lole rimaste e lasciare le scatole, o<br />

addirittura lo zainetto con le scatole dentro. Non era forse un indizio da non<br />

lasciare lì, lo zainetto e <strong>il</strong> resto? »<br />

«Ha detto confezioni, maresciallo? »<br />

«Sì, confezioni. Confezioni completamente vuote. Con tutte quelle p<strong>il</strong>lole la <strong>suora</strong><br />

doveva essere più che morta. Ma <strong>per</strong> avvelenamento, non <strong>per</strong> altro. Un suicidio<br />

quindi».<br />

«Guardi, maresciallo, che lei, oltre al verbale, ha consegnato anche gli oggetti, vale<br />

a dire lo zainetto con quello che c’era dentro».<br />

«Si capisce, dottore, le ho consegnato tutto, come mio dovere».<br />

«Ebbene, quella che lei chiama confezioni sono più precisamente scatole. In altre<br />

parole, la confezione è composta dalla scatola e dalla bottiglietta o boccetta con le<br />

p<strong>il</strong>lole dentro. Lei ha rinvenuto vuote le scatole, non le boccette».<br />

«È vero, dottore, ma cosa cambia? »<br />

«Cambia tutto, maresciallo. Dopo glielo spiego. Prima <strong>per</strong>ò mi risponda a un’altra<br />

domanda. Perché ha detto assassino?»<br />

«Dottore, mi scusi. Quel giorno chi poteva stare qui, se non l’assassino? Sempre<br />

che un assassino ci sia stato, si intende».<br />

«D’accordo. Quel giorno c’era solo l’assassino. Ma ‘dopo’, dopo può esserci stato<br />

un altro, non trova? »<br />

«Che se ne faceva, quest’altro, delle p<strong>il</strong>lole? Avrebbe preso tutto, compreso lo<br />

zainetto».<br />

«Le p<strong>il</strong>lole fanno sempre comodo, magari pensando che fossero sonniferi. Forse ha<br />

lasciato lo zainetto <strong>per</strong>ché già carico, così pure le scatole. Lo avranno interessato<br />

le sole boccette».<br />

«Dottore, anche questo, se <strong>per</strong>mette, non mi convince. Non credo che sia andata<br />

così».<br />

«E fa bene, maresciallo, a non crederci. Vede, quello che cambia tutto sono le<br />

scatole vuote. Già lo zainetto, come ha detto lei, uno normale ignorando che c’è<br />

un cadavere se lo porta via, comprese le scatole. E invece no: quello lascia lo<br />

zainetto e le scatole. Ma non le boccette. Perché? Ma <strong>il</strong> <strong>per</strong>ché è semplice: le<br />

boccette sono semivuote, - ha capito? – solo semivuote, cioè non vuote del tutto.<br />

L’assassino – <strong>per</strong>ché di un assassino si tratta questa volta– vuole invece che<br />

venga trovato esattamente ciò che lui ha deciso che venga trovato: lo zainetto con<br />

le scatole vuote dentro. Quando, lontano nel tempo, verrà rinvenuto <strong>il</strong> corpo della<br />

<strong>suora</strong> lo zainetto costituirà un indizio <strong>per</strong> <strong>il</strong> riconoscimento, ma in più si scoprirà<br />

che la <strong>suora</strong> si è avvelenata <strong>per</strong>ché ha preso tutte le p<strong>il</strong>lole.<br />

L’assassino tuttavia ha fatto male i conti: poteva buttarle via, le p<strong>il</strong>lole, e lasciare<br />

le boccette, ma non ha ritenuto importante <strong>il</strong> particolare. In questo modo ha<br />

confessato…»<br />

«Come ha confessato, dottore? »<br />

«Ha confessato…che non è un assassino…»<br />

«Ma come, dottore!? Se lo ha appena detto lei, ora!?».<br />

«Sì, l’assassino ha confessato che è un assassino. Non casuale, <strong>per</strong>ò. Ma<br />

patentato, con premeditazione del delitto».


«Dottore, non la seguo».<br />

«Sì, Bas<strong>il</strong>e. Un assassino casuale non avrebbe avuto la forza e la presenza di<br />

spirito di mettere in scena un suicidio così teatrale».<br />

«Allora, lei pensa che sia uno che già conosceva la <strong>suora</strong>? »<br />

«Esattamente».<br />

«E che ha voluto incontrare qui la <strong>suora</strong>».<br />

«Sì. E <strong>per</strong> quale ragione due <strong>per</strong>sone, un uomo e <strong>una</strong> donna, si incontrano in un<br />

posto così isolato? »<br />

«…<strong>per</strong> amore». «Appunto».<br />

Bas<strong>il</strong>e prese l’ultima parola di Boccia come un invito a riflettere. Pensò quindi di<br />

sedersi. Si guardò intorno e vide che un punto del parapetto era accessib<strong>il</strong>e. Con<br />

la mano lo liberò in fretta dalla neve e vi si sedette. Sotto si apriva un vertiginoso<br />

strapiombo in fondo al quale si vedevano come schiacciate le innocenti case di<br />

Valmara. Una bruma grigio-latte, originata dalla tem<strong>per</strong>atura fredda del suolo,<br />

aveva co<strong>per</strong>to in parte la valle e tendeva a stagnare, come <strong>una</strong> pigra chioccia non<br />

convinta ancora del proprio ruolo. Più sopra, <strong>una</strong> nuvola bassa trascorreva invece<br />

in direzione di Malesco, portata a spasso da qualche venticello di derivazione<br />

svizzera.<br />

Ma nel cielo, in alto, <strong>il</strong> sole im<strong>per</strong>ava disponendo i suoi raggi a curiosi giochi di<br />

riflessi tra i minimi cristalli di neve, offendendo così gli occhi indifesi di Bas<strong>il</strong>e. Il<br />

quale, privo di occhiali da sole, cercò di rinserrare le palpebre lasciando a<strong>per</strong>ta<br />

solo <strong>una</strong> stretta fessura da gatto. Ma non bastava. Cercò allora un punto scuro<br />

su cui puntare <strong>per</strong> far riposare <strong>per</strong> un istante gli occhi offesi da tanta luce. E lo<br />

trovò tra le travi affumicate della baita andata a <strong>fuoco</strong>. Dal tetto sfondato esse<br />

pencolavano, di traverso e a caso, verso <strong>il</strong> basso. Per <strong>il</strong> sollievo momentaneo che<br />

ne trasse rimase ad osservare questa casupola diroccata, emblema della disfatta e<br />

della degradazione.<br />

Ma le sue <strong>per</strong>sonali sensazioni ora non contavano, lui era lì <strong>per</strong> dei fatti. E i fatti,<br />

nel caso, presentavano dei risvolti davvero inquietanti.<br />

Bas<strong>il</strong>e nella quieta stazione di Valmara si poteva avvalere della fattiva e<br />

intelligente collaborazione del brigadiere Diolaiti. Con lui Bas<strong>il</strong>e i fatti li sezionava,<br />

li sottoponeva ad un’indagine serrata, puntuale, determinata. Il colpevole, se<br />

c’era, doveva essere individuato. E quando ciò accadeva la soddisfazione e <strong>il</strong><br />

merito venivano divisi fra tutti. L’uomo infatti era anche capace di generosità: un<br />

‘bravo’ ai suoi uomini non mancava mai. Era <strong>il</strong> suggello dell’o<strong>per</strong>azione andata a<br />

buon fine. Ma se tutto questo era vero, era anche vero che a volte gli riusciva<br />

diffic<strong>il</strong>e cogliere gli aspetti meno evidenti dei fatti, quelli più sott<strong>il</strong>i, eterei <strong>per</strong> così<br />

dire, in presenza dei quali lui <strong>per</strong> primo si confessava inadeguato.<br />

Come ora. Gli sfuggiva infatti la ragione che aveva spinto due <strong>per</strong>sone a ritrovarsi,<br />

se così era stato, in cima ad <strong>una</strong> montagna. La cosa di <strong>per</strong> sé gli appariva priva di<br />

senso comune. Al tempo d’oggi due <strong>per</strong>sone hanno m<strong>il</strong>le modi <strong>per</strong> incontrarsi<br />

senza dare nell’occhio. E questo era possib<strong>il</strong>e anche in <strong>una</strong> valle ristretta come la<br />

Val Vigezzo, <strong>per</strong>fino in un paesino come Valmara.


«Ma, dottore» riprese Bas<strong>il</strong>e alzandosi e tornando verso Boccia «<strong>per</strong>ché venire<br />

all’appuntamento in divisa, sì, voglio dire, vestita da monaca? Poteva benissimo<br />

cambiarsi in qualche posto e venire quassù come <strong>una</strong> borghese qualsiasi. È<br />

quello che ho fatto io oggi».<br />

«Sì, poteva farlo. Evidentemente ha ritenuto opportuno comportarsi diversamente.<br />

Ma dove si è ficcato Petèl?»<br />

E qui Boccia, <strong>per</strong> meglio guardare al riparo dal sole, si portò la mano destra a<br />

visiera sopra gli occhi. Non scorgendo ugualmente nessuno, raccolse entrambe le<br />

mani a bicchiere intorno alla bocca e urlò forte <strong>il</strong> nome di Petèl. Prima gli rispose<br />

<strong>una</strong> curiosa eco che sembrava provenire dalla montagna dirimpettaia, poi<br />

finalmente la voce di Petèl si fece udire al di là di <strong>una</strong> collinetta. Petèl in <strong>per</strong>sona<br />

si rese quindi visib<strong>il</strong>e e disponib<strong>il</strong>e, ma con calma, quasi fosse lui a dettare i ritmi<br />

di lavoro. Si presentò comunque davanti a Boccia chiedendo sornione:<br />

«Desidera, dottore?»<br />

«Ma dove eravate sparito, Petèl? Avete controllato la tana delle volpi o quella …?<br />

Be’, lasciamo <strong>per</strong>dere. Facciamo <strong>il</strong> punto della situazione: ora è quasi<br />

mezzogiorno. Se proseguiamo fino a La Mira, troviamo qualcosa da mettere sotto i<br />

denti lassù?»<br />

«Sì, dottore. Alla stazione di arrivo della cabinovia. C’è un bar ristoro».<br />

«Allora andiamo. Non siete stato voi, tra l’altro, a dire che di lassù si gode <strong>una</strong><br />

vista magnifica, fino al Monte Rosa? »<br />

«Oh, dottore, lo dicono tutti! Chi viene qui resta incantato. Noi siamo fieri delle<br />

nostre montagne e le amiamo anche se ci fanno soffrire. La montagna si vendica a<br />

volte, e all’improvviso, è crudele. Ma siamo noi uomini a sbagliare: osiamo<br />

troppo. Basta un niente. Ha sentito poco fa l’eco della sua voce? Ebbene può<br />

succedere che un pugno di neve fradicia, alla minima vibrazione, si stacchi da un<br />

qualche punto sotto la cima e precipiti a valle trasformandosi in valanga. Per chi<br />

è sotto spesso è la fine. Ci sono poi gli sconsiderati, quei turisti che non<br />

conoscono e non sanno rispettare la montagna. Vengono quassù ines<strong>per</strong>ti e<br />

impreparati. Allora la tragedia è quasi inevitab<strong>il</strong>e. Ogni anno nella valle si contano<br />

a decine i morti. Peccato! Per fort<strong>una</strong> non è sempre così. Come lei vede, la<br />

montagna è anche bella, misteriosa soprattutto. Le avranno parlato…»<br />

«…delle streghe? »<br />

«Non solo loro. Ci sono anche creature dolci, come in…»<br />

«…tutte le favole. Petèl, non mi vorrete raccontare anche voi la solita storia».<br />

«No, no, la mia storia è vera, eh, eh…Gliela racconto dopo comunque. Ora vedo<br />

che ha fretta».<br />

«Sì, avete ragione» rispose Boccia «ho fretta. Ma, prima di andare, ditemi <strong>una</strong><br />

cosa: quel sentiero dove porta?»<br />

Col che indicò e richiamò, <strong>per</strong> chiarezza, <strong>il</strong> sentiero che avevano <strong>per</strong>corso a salire<br />

dalla stazione della cabinovia (di Le Bocche). Il sentiero che, passando a un<br />

centinaio di metri dalla baita diroccata, saliva poi ancora a <strong>per</strong>dersi chissà dove,<br />

magari arrivando, tra cenge e dirupi, a quella cima dentata, che ora si vedeva<br />

lassù spruzzata di neve. Mentre parlava puntando l’indice in alto, Boccia si<br />

sorprese a considerare un attimo le barocche costruzioni della natura, i pizzi


merlati di ghiaccio, le guglie riflettenti, in vario modo, i raggi del sole ora allo<br />

zenit.<br />

«Ecco, vede» fece Petèl <strong>per</strong> rispondere al dottor Boccia «quel sentiero prende sulla<br />

destra e va su fino a Cima di Caneto, che lei vede là in alto. Prosegue poi ancora<br />

fino a raggiungere Punta della Forcoletta».<br />

«La via degli spalloni? »<br />

«Questo lo dice lei, dottore, non lo faccia dire a me. Comunque, <strong>per</strong> finire, a<br />

sinistra lei vede Cima Trubbio con la piana di Vigezzo. L’ha mai vista la Piana di<br />

Vigezzo?» chiese Petèl interrompendosi. «È zona d’alto turismo, <strong>il</strong> paradiso degli<br />

sciatori».<br />

«No, io, <strong>per</strong> sciare, ho sempre frequentato le piste sopra Domodossola. Anche là le<br />

piste sono discretamente attrezzate».<br />

«Allora le dicevo, dottore. Quella sulla sinistra è Cima Trubbio, poi, più a destra,<br />

Cima del Sassone e infine Cima del Caneto. Diffic<strong>il</strong>e da scalare».<br />

«Va bene, Petèl. Ora <strong>per</strong>ò andiamo».<br />

Si incamminarono quindi in f<strong>il</strong>a indiana, <strong>per</strong> ridiscendere alla stazione de La<br />

Mira. Raggiunta questa, salirono sulla prima cabina disponib<strong>il</strong>e.<br />

«Allora, Petèl, la storia. Ora potete raccontarla».<br />

«Ah, sì» prese a dire Petèl, quasi a raccogliere le idee.<br />

«C’era dunque <strong>una</strong> fanciulla bellissima, che aveva la pelle di <strong>una</strong> carnagione<br />

bianca come la neve. E questa fanciulla bellissima viveva in <strong>una</strong> valle al di là di<br />

questa catena di montagne. Terrorizzata da quel che combinava Vaudai, un<br />

diavolo terrib<strong>il</strong>e che viveva su un monte vicino, chiese un giorno aiuto ad<br />

un’aqu<strong>il</strong>a, proprio mentre questa stava abbandonando la becca dominata dal<br />

diavolo. C’è da dire che anche l’aqu<strong>il</strong>a non ne poteva più di scoppi, valanghe,<br />

terremoti procurati dal diavolo Vaudai. L’aqu<strong>il</strong>a dunque accolse la fanciulla sulle<br />

sue grandi ali e cominciò a risalire la valle che partiva dal monte del diavolo alla<br />

ricerca di un posto dove poter vivere in pace. Ma, ad un certo punto, i venti della<br />

valle deviarono <strong>il</strong> volo dell’aqu<strong>il</strong>a facendola finire sopra la Piana di Vigezzo.<br />

Quando gli uomini della valle la videro, credettero che fosse ritornata la<br />

Principessa della neve e si preoccuparono.<br />

‘Cara Principessa, dissero, abbiamo freddo. Noi non abbiamo bisogno della neve,<br />

ma del <strong>fuoco</strong>. Dì all’aqu<strong>il</strong>a di aiutarci.’<br />

Bisogna sa<strong>per</strong>e che in quel tempo la valle era costantemente immersa nella<br />

nebbia fittissima e le rocce sobbalzavano rotolando a valle sotto la spinta di<br />

misteriosi terremoti.<br />

La fanciulla, dopo averli ascoltati attentamente, decise di aiutarli. Chiese dunque<br />

all’aqu<strong>il</strong>a di intervenire a favore di quei poveretti. L’aqu<strong>il</strong>a accolse l’invito e dagli<br />

occhi fece uscire raggi di <strong>fuoco</strong> come mai aveva fatto fino allora. Lunghe scint<strong>il</strong>le<br />

sprizzarono verso <strong>il</strong> cielo e fulmini violenti caddero su alcuni vecchi alberi secchi<br />

che immediatamente presero <strong>fuoco</strong>. E, da allora, gli uomini conobbero <strong>il</strong> <strong>fuoco</strong>».<br />

«Bella davvero, Petèl» esclamò Boccia. «L’aveva mai sentita prima, Bas<strong>il</strong>e? »<br />

«Oh, sì, dottore. Qui le storie – leggende o favole – si sprecano. Se le tramandano<br />

di padre in figlio, da sembrare libri stampati. Quelle brutte, delle streghe, e anche<br />

quelle belle, delle fate, come quella raccontata ora da Petèl».<br />

«Ma l’aqu<strong>il</strong>a c’è veramente, Petèl?» chiese Boccia.


«Sì, si vede qualche volta. Solo qualche volta. E lo spettacolo è assicurato. Ma<br />

bisogna salire in alto <strong>per</strong> vederla, molto in alto…» Boccia guardò Petèl, e poi<br />

Bas<strong>il</strong>e con uno sguardo complice. Ma non fiatò.<br />

La cabina arrivò infine a destinazione, a La Cima, accolta dall’incavo della<br />

stazione di arrivo. I tre scesero e guadagnarono in fretta <strong>il</strong> locale di ritrovo dove<br />

alcuni alpigiani stavano sorbendo birra da enormi boccali a forma di stivale. I<br />

nuovi arrivati chiesero a loro volta panini e birra rifoc<strong>il</strong>landosi in fretta.<br />

«Ora, dottore» fece Petèl dopo <strong>una</strong> lunga pausa, come a seguitare un discorso<br />

interrotto «visto che ha fatto trenta, faccia trentuno».<br />

«E cioè? » chiese Boccia interrogativo col bicchiere in mano.<br />

«Se vuol vedere meglio <strong>il</strong> Rosa deve prendere la seggiovia. Naturalmente<br />

l’accompagno. Da lassù si parla a tu <strong>per</strong> tu con la montagna. La bellezza o la<br />

paura, non fa differenza».<br />

«Questa montagna ricorda la mia».<br />

«Quale, dottore? »<br />

«L’Etna».<br />

«Ah, lei è sic<strong>il</strong>iano».<br />

«Sì. E come qui sull’Etna si scia. C’è sempre neve. Si sa, è alto più di trem<strong>il</strong>a<br />

metri. Ogni tanto naturalmente si fa sentire, con brontolamenti che si avvertono<br />

già alle quote più basse. Quando non si aprono crateri con fuoriuscita della lava.<br />

In questo caso, di notte, le scie di <strong>fuoco</strong> creano uno spettacolo tutto da vedere,<br />

vero maresciallo?»<br />

«Ma non so. Dalle nostre parti abbiamo <strong>il</strong> Vesuvio. Ma è quasi sempre spento. Se<br />

si sveglia <strong>per</strong>ò sono dolori».<br />

«Be’, allora che aspettiamo» fece Boccia «andiamoci a vedere questo Monte Rosa.<br />

Non mi farà <strong>per</strong>dere tempo ci vorrà <strong>il</strong> binocolo, immagino».<br />

«Oh, quello lo troviamo qui all’Osservatorio».<br />

«Bene, meglio così».<br />

Entrarono dunque nell’area turisti dell’Osservatorio <strong>per</strong> uscirne quasi subito con<br />

<strong>il</strong> binocolo. La seggiovia si prese i tre ospiti in consegna e li scarrucolò fino alla<br />

stazione a monte, quella a quota più alta.<br />

Boccia apprezzò, secondo <strong>il</strong> suo particolare sentire, ciò che la Val Vigezzo gli<br />

andava offrendo: le cime qua e là spruzzate di bianco e, in fondo, <strong>il</strong> fiume Melezzo<br />

col suo procedere a biscia. Il nero che si vedeva – avrebbe detto <strong>il</strong> professore<br />

geologo - lo si poteva anche pensare fissato dai secoli in un cristallo fiorito tra i<br />

gneiss dei clinali. I quali, in <strong>una</strong> ideale sezione, costituivano le aste di <strong>una</strong> U poco<br />

arrotondata. La Centovalli era appunto generata da questa U variegata a seguire<br />

l’alveo del fiume fino oltre <strong>il</strong> confine.<br />

Quell’agglomerato a mezza costa, doveva essere Craveggia. Boccia stava mettendo<br />

a frutto le conoscenze acquisite in treno nei suoi frequenti via-vai tra Italia e<br />

Svizzera. Ricordava infatti i paesini uno <strong>per</strong> uno. Ma dal treno – ora lo ammetteva<br />

– non aveva trovato parole adatte agli scenari che, a partire da Domodossola, gli<br />

comparivano davanti. Solo dopo la stretta di Gagnone - ricordava – la valle si<br />

apriva con vasti pianori ondulati, <strong>per</strong> proseguire poi fino in Svizzera.


I tre si inerpicarono infine su <strong>per</strong> un sentiero che portava, in alto, ad un<br />

massiccio che in lontananza appariva come un dente cariato, ma anche al punto<br />

di migliore osservazione del Monte Rosa. Il che fu fatto da Boccia con veloce<br />

disimpegno secondo l’interesse che <strong>il</strong> momento imponeva. Fece quindi cenno agli<br />

altri che era <strong>il</strong> caso di ritornare in fretta a La Mira. Qui giunto, prima di<br />

riconsegnare <strong>il</strong> binocolo all’addetto dell’Osservatorio, volle di nuovo traguardare <strong>il</strong><br />

Rosa dalla quota meno favorevole. Si chiese allora se <strong>per</strong> caso stava <strong>per</strong>dendo<br />

tempo o se, invece, quella visita poteva tutto sommato essergli ut<strong>il</strong>e. Gli venne<br />

infatti da pensare – mentre già con la cabinovia scendeva a valle – che suor<br />

Giacinta doveva aver subìto in qualche modo <strong>il</strong> fascino un po’ ambiguo di quella<br />

natura su<strong>per</strong>ba. Una natura intatta, virginea, con quegli scenari di neve a coprire<br />

prati altrimenti rallegrati da fiori dai colori smaglianti. Ma anche, a valle, case<br />

isolate a piccoli paesi abitati da uomini dediti a mestieri um<strong>il</strong>i, artigianali, <strong>per</strong> i<br />

quali i fitti boschi a mezza costa fornivano la materia prima. Così i prati <strong>per</strong> i<br />

pascoli. Su tutto regnava la montagna del mito, amab<strong>il</strong>e e materna, ma anche<br />

quella più minacciosa e tremenda con <strong>il</strong> vento dalle m<strong>il</strong>le bufere.<br />

C’erano poi i contrabbandieri – d’accordo. Ma quello del contrabbando era un<br />

mestiere che i valligiani sentivano come connaturato ad <strong>una</strong> zona di confine.<br />

Privo <strong>per</strong>ciò di aspetti deteriori, anche se la pratica di esso significava sfida<br />

continua alla legge. Ma le leggi, si sa, sono fatte dagli uomini e dagli uomini<br />

possono essere abrogate. Se non nella lettera, nei fatti.<br />

La vicina Svizzera era lì ad accogliere la manodo<strong>per</strong>a eccedente, costituita da<br />

giovani obbligati <strong>per</strong> questo ad un pendolare quotidiano tra <strong>il</strong> luogo di residenza e<br />

quello di lavoro. Erano i cosiddetti frontalieri: camerieri, lift, giardinieri o,<br />

ultimamente <strong>per</strong> le ragazze, baby-sitter.<br />

L’uomo di Br<strong>una</strong>, al quale Boccia pensava scendendo, non apparteneva a questi<br />

ultimi naturalmente. Apparteneva invece alla cerchia degli uomini usi a salire<br />

sulla montagna ogni giorno <strong>per</strong> attraversare un confine che <strong>per</strong> forza di cose, tra<br />

le cenge innevate quasi in <strong>per</strong>manenza, sapevano mal delineato e mal custodito.<br />

Uno di quegli uomini insomma che confidavano nella natura e nell’alternarsi delle<br />

stagioni <strong>per</strong> ciò che questo alternarsi prometteva ai fini delle loro possib<strong>il</strong>ità di<br />

intrapresa. A Boccia veniva da pensare, <strong>per</strong> esempio, al ruolo che l’inverno e la<br />

primavera prima, l’estate poi, avevano svolto nella tragedia di suor Giacinta.<br />

Le neve doveva essere servita come malia, come richiamo <strong>per</strong> un convegno<br />

d’amore, con quel suo argentare, coprire, isolare; e doveva essere poi servita a<br />

coprirne <strong>il</strong> corpo a tragedia compiuta. Ma solo <strong>per</strong> breve tempo. La primavera<br />

infatti avrebbe sciolto la neve e l’estate avrebbe completato l’o<strong>per</strong>a col suo sole<br />

diretto e cocente distruggendo <strong>il</strong> cadavere.<br />

Senza la neve gli impianti di risalita sarebbero stati disattivati fino a primavera<br />

inoltrata e quindi non sarebbe stato possib<strong>il</strong>e arrivare al luogo fissato se non <strong>per</strong><br />

via di terra, cosa <strong>per</strong>altro impensab<strong>il</strong>e <strong>per</strong> l’es<strong>il</strong>e <strong>suora</strong>.<br />

E così invece, con la neve, gli impianti erano in funzione e la via a<strong>per</strong>ta fino a La<br />

Cima da cui poter ammirare d’inf<strong>il</strong>ata tutta la valle con la chicca – proprio <strong>una</strong><br />

chicca – della vista a distanza del massiccio del Rosa. La zona dell’Osservatorio<br />

era <strong>per</strong>ò forse troppo frequentata. Ridiscesa quindi a mezza costa, a La Mira,


doveva aver raggiunto con piccola deviazione <strong>il</strong> luogo isolato della baita diroccata.<br />

E qui l’incontro fatale, <strong>il</strong> delitto.<br />

‘No, non è possib<strong>il</strong>e,’ pensò Boccia a questo punto. ’Una <strong>suora</strong> all’Osservatorio<br />

avrebbe dato troppo nell’occhio. Eppure nelle tasche di suor Giacinta è stato<br />

trovato <strong>il</strong> biglietto <strong>per</strong> l’impianto.’<br />

«Bas<strong>il</strong>e, senta. Il biglietto trovato – sa di che cosa parlo, no? – valeva solo <strong>per</strong> la<br />

prima tratta o anche <strong>per</strong> la seconda?»<br />

«Era un biglietto valido <strong>per</strong> tutto l’impianto, dottore».<br />

«Però non è detto che …l’abbia ut<strong>il</strong>izzato fino a La Cima».<br />

«No, non è detto».<br />

«Nel registro dei visitatori, in data 15 marzo, ‘lui’ c’era comunque».<br />

«Non ho guardato, dottore».<br />

Boccia si avvicinò allora a Petèl.<br />

«Conoscete molti spalloni di queste parti? »<br />

«Sì, qualcuno. Ma non ricordo i nomi, dottore. Sa, vanno e vengono».<br />

«Be’, ormai siamo arrivati. Vi ringrazio molto di averci accompagnato».<br />

Così dicendo Boccia salutò l’uomo all’uscita della stazione della cabinovia di<br />

Valmara. La stessa cosa fece Bas<strong>il</strong>e, ringraziandolo <strong>per</strong> quel che aveva fatto,<br />

gratis <strong>per</strong> giunta.<br />

Boccia ammiccò allora a Bas<strong>il</strong>e.<br />

«Possib<strong>il</strong>e, maresciallo, che non si riesca a sa<strong>per</strong>e nulla di questi spalloni? »<br />

«Deve capirli, dottore. Si tengono l’un l’altro».<br />

«È stata dunque un’ingenuità chiamare Petèl. Ricordiamoci comunque che<br />

abbiamo ipotizzato <strong>il</strong> delitto. E questa <strong>ipotesi</strong> ci impone di proseguire. Ora lei<br />

ritorna giù a Valmara, alla stazione cabinovia, e cerchi di sa<strong>per</strong>e se <strong>il</strong> 15 marzo<br />

l’addetto ha visto salire qualcuno in cabina assieme ad <strong>una</strong> <strong>suora</strong>. Oppure no, <strong>il</strong><br />

nostro uomo non è certamente così stupido da farsi notare proprio nel giorno che<br />

progetta <strong>il</strong> delitto. Comunque, maresciallo, veda di ottenere informazioni. Voglio<br />

sa<strong>per</strong>e se lo spallone, amico della Br<strong>una</strong> di V<strong>il</strong>la Serena, è anche quello della<br />

<strong>suora</strong>. E soprattutto voglio sa<strong>per</strong>e come si chiama, o come si chiamano se sono<br />

due. Ma io credo ormai che siano la stessa <strong>per</strong>sona. Come è possib<strong>il</strong>e infatti<br />

accettare l’<strong>ipotesi</strong> dell’esistenza di uno spallone, prima amante della <strong>suora</strong> e poi<br />

suo carnefice, e quella contemporanea di un altro spallone, <strong>il</strong> quale abita a<br />

Locarno ed è amico – guarda caso – di <strong>una</strong> inserviente nella stessa casa di riposo<br />

dove lavorava la <strong>suora</strong>. Troppe le coincidenze, troppe».<br />

Così dicendo, Boccia riprese a muoversi verso la stazione, ferroviaria questa volta,<br />

di Valmara. Era sua intenzione prendere <strong>il</strong> primo treno, che era anche l’ultimo,<br />

<strong>per</strong> Locarno. La mattina dopo avrebbe cercato in tutti i modi di rintracciare<br />

l’amico di Br<strong>una</strong> all’indirizzo da lei indicato. Bas<strong>il</strong>e seguì Boccia, in rispettoso<br />

s<strong>il</strong>enzio, cercando di non lasciarlo solo nel tratto che rimaneva da <strong>per</strong>correre fino<br />

alla stazione. Il suo s<strong>il</strong>enzio dipendeva dal fatto che era alla ricerca di <strong>una</strong><br />

risposta soddisfacente ai quesiti e ai dubbi che gli aveva prospettato <strong>il</strong> dottore.<br />

Ma, non trovando <strong>una</strong> soluzione, <strong>per</strong> non parere scorretto, chiese a Boccia:<br />

«Ritorna a Domodossola? Perché credo che in questo caso le rimanga ben poco<br />

tempo <strong>per</strong> prendere <strong>il</strong> treno delle 18.50».


«No, Bas<strong>il</strong>e, prendo quello delle 19.18 <strong>per</strong> Locarno. La ringrazio comunque della<br />

premura. Posso andare da solo».<br />

«Si figuri, dottore. Le faccio compagnia fino alla stazione. Sempre che non le<br />

dispiaccia, si intende».<br />

«No no, maresciallo. Perché dovrebbe dispiacermi».<br />

La stazione ferroviaria comunque non era distante. Bastava <strong>per</strong>correre fino in<br />

fondo la via in cui si trovavano e voltare a destra. Svoltato l’angolo, si trovarono<br />

dunque di fronte la stazione ferroviaria. Ma là, in attesa con la macchina, c’era<br />

anche Flavia. Boccia salutò allora Bas<strong>il</strong>e affrettando <strong>il</strong> passo <strong>per</strong> raggiungere la<br />

donna.<br />

«Come mai qui?» le chiese Boccia allungandole un leggero bacio di saluto.<br />

«Credevo di farti piacere» rispose Flavia con <strong>il</strong> suo, ormai abituale, sorriso con<br />

tanto di fossette.<br />

«Oh, certo, che mi fai piacere. Non mi sembrava <strong>per</strong>ò di averti avvisata di questa<br />

mia visita a Valmara».<br />

«Ho tirato ad indovinare» disse Flavia con l’aria di chi la sa lunga.<br />

«Posso mettere la valigetta nella Sua carrozza?» scherzò allegro Boccia.<br />

«Oh sì, signor Principe!» ribatté amab<strong>il</strong>e Flavia mentre, insieme a lui, si inf<strong>il</strong>ava<br />

nell’abitacolo avviando <strong>il</strong> motore.<br />

‘Davvero deliziosa’, pensò Boccia. Non era solo un fatto di frangette e fossette.<br />

Neppure la sua figura slanciata e armoniosa poteva bastare a creare quella<br />

sensazione inesprimib<strong>il</strong>e di piacere, ardore e venerazione che, come uno spirito<br />

bizzarro, si era improvvisamente impadronito dei suoi pensieri fino a poco prima<br />

dedicati a un amore finito male. Non che razionalizzare questa sensazione come<br />

sua abitudine, Boccia si lasciò, al contrario, <strong>per</strong>vadere da un senso di calore, un<br />

piacevole tepore che gli scaldava l’anima con <strong>una</strong> presenza ineffab<strong>il</strong>e, un<br />

benessere ritrovato non certamente dovuto solo alla ‘cosa’ seppur notevole, che gli<br />

stava accanto. Non erano insomma i due seni - che lui immaginava <strong>per</strong>fetti sotto<br />

la camicetta a fiori e <strong>il</strong> maglioncino beige- a dargli questa carica di felice<br />

ottimismo. E neppure le gambe e le cosce, con la loro nicchia di miele.<br />

C’era un <strong>fuoco</strong> che non trovava terra nella geografia della <strong>per</strong>sona, con lunghi<br />

andirivieni della fantasia, lunghe esitazioni, nuove audacie da proporre, riedizioni<br />

della parola e dell’immagine da curare con sapienza.<br />

L’automob<strong>il</strong>e intanto continuava la sua corsa, doc<strong>il</strong>e alle manovre combinate di<br />

mani e piedi sotto l’occhio vig<strong>il</strong>e di Flavia, quando, ad un certo punto, nel suo<br />

s<strong>il</strong>enzioso girovagare tra i pensieri, Boccia finì <strong>per</strong> sintetizzare <strong>il</strong> concetto: Flavia<br />

non era più un oggetto da esaminare nelle sue parti, ma un tutto, e pure<br />

gradevole. Flavia era ormai un suo felice programma. Non volle <strong>per</strong>ò nominare i<br />

neologismi o anglicismi, come software o hardware, <strong>per</strong> non parere blasfemo in<br />

tutt’altro campo rispetto a quello dei computer, quello cioè dei sentimenti.<br />

In lei viveva un’attrattiva – ora lo avvertiva - che gli creava voragini nei pensieri,<br />

un qualcosa che chiedeva di essere indagato, esplorato, riportato alla luce da<br />

profondità non fac<strong>il</strong>mente quantificab<strong>il</strong>i. Anche <strong>per</strong> questo occorreva<br />

discernimento e capacità di indagine di non poco conto.<br />

«Che hai? Sei così s<strong>il</strong>enzioso, oggi!» disse alla fine Flavia, dopo aver pazientato<br />

parecchio aspettando che Boccia dicesse qualcosa. Non sapeva neppure se lui


voleva andare a Domodossola o a Locarno. Be’, <strong>per</strong> lei era Locarno. Poi si sarebbe<br />

visto.<br />

«Eh, sì, questo caso mi ha un po’ preso» finì a dire Boccia mentre dava<br />

un’aggiustata sul sed<strong>il</strong>e. Col che naturalmente aveva deviato dai veri pensieri che<br />

aveva in testa.<br />

«Non dovrei dirtele certe cose, ma… Ora addirittura non mi sembra più un caso di<br />

suicidio, ma, al contrario, di omicidio».<br />

«Flavia» disse infine dopo <strong>una</strong> lunga pausa «tu mi stai corrompendo».<br />

Flavia continuò a guidare senza rispondere. Ma gli occhi le ridevano, con <strong>una</strong><br />

soddisfatta complicità a un suo disegno che <strong>il</strong> resto del corpo, tutto insieme,<br />

esprimeva.


Mercoledì 14/10/…<br />

«Allora, Pizzul, si sieda e la smetta di torturare <strong>il</strong> berretto che ha in mano. Se non<br />

ha fatto nulla, nulla le verrà fatto. Mi dica piuttosto se non le sembra<br />

sconveniente precipitarsi in <strong>una</strong> casa privata - <strong>per</strong>ché tale è l’appartamento della<br />

signorina qui presente – <strong>per</strong> sorprendere un cittadino italiano di cui lei non<br />

dovrebbe sa<strong>per</strong>e nulla, neppure che si trova qui <strong>per</strong> interessi puramente<br />

<strong>per</strong>sonali».<br />

«Dottore, mi scusi se sono entrato qui sorprendendo la buona fede della<br />

signorina, alla quale chiedo pure scusa. Il fatto è che io sono pulito al cento <strong>per</strong><br />

cento, mi creda. Così quando un amico mi ha parlato di un magistrato italiano<br />

che stava indagando sulla morte misteriosa di <strong>una</strong> <strong>suora</strong>, e che <strong>per</strong> questo stava<br />

cercando <strong>il</strong> sottoscritto, io non sono più riuscito a trattenermi. Avuta notizia –<br />

non mi chieda come – che lei si trovava qui, ho creduto giusto e sacrosanto far<br />

valere le mie ragioni prima che lei mi facesse cercare dalla polizia cantonale.<br />

Allora le dicevo io sono pulito al cento <strong>per</strong> cento, non ho nulla di cui pentirmi,<br />

almeno <strong>per</strong> questo fatto. S<strong>per</strong>o solo di poter soddisfare la sua curiosità. Mi faccia<br />

le domande che crede più opportune, sono qui <strong>per</strong> questo. Ma non coinvolga la<br />

polizia cantonale, la prego…»<br />

«Lei è curioso, Pizzul. Sorprende la buona fede di chi viene alla porta, entra come<br />

un forsennato ed infine pretende di indirizzare le indagini su un certo caso<br />

secondo tempi e modi di suo gradimento. Con la spudoratezza, <strong>per</strong> giunta, di<br />

chiedere che la polizia cantonale non venga chiamata a farle imbarazzanti<br />

domande sui <strong>per</strong>ché della sua venuta qui, ma anche sui modi di <strong>una</strong> violazione di<br />

domic<strong>il</strong>io.<br />

Oggi sarò comunque generoso con lei. Si sieda e mi risponda, visto che è qui. Col<br />

<strong>per</strong>messo della padrona di casa, naturalmente.<br />

Innanzi tutto <strong>una</strong> premessa. Secondo <strong>il</strong> verbale del maresciallo Bas<strong>il</strong>e,<br />

comandante la stazione di Valmara, <strong>il</strong> 15 agosto… viene rinvenuto, in località<br />

Bocche di S.Antonio sopra Valmara, <strong>il</strong> cadavere di <strong>una</strong> <strong>suora</strong>, o presunta tale, poi<br />

identificata come Bianca Voltolini, alias suor Giacinta. Il cadavere è in avanzato<br />

stato di decomposizione. Il <strong>per</strong>ito settore fissa comunque la data del decesso<br />

intorno al mese di marzo del corrente anno. Ma noi - sulla base di quanto<br />

dichiarato dalla madre su<strong>per</strong>iora della casa di riposo V<strong>il</strong>la Serena di Magadino,<br />

presso la quale la morta prestava la propria o<strong>per</strong>a lavorativa, e (anche) sulla base<br />

altresì di un biglietto di accesso ai locali impianti di risalita di Valmara, biglietto<br />

che porta la data del 15 marzo -, possiamo ritenere, con buona approssimazione<br />

al vero, che la morte si debba far risalire a questa data.<br />

Ora, signor Pizzul, risponda a questa domanda precisa: lei, <strong>il</strong> 15 marzo, dove si<br />

trovava?»<br />

«Sulle montagne di Valmara».<br />

«Più precisamente? »<br />

«In diversi luoghi. Se vuol sa<strong>per</strong>e se sono passato dalla baita, dove è stato<br />

ritrovato <strong>il</strong> corpo della povera <strong>suora</strong>, ebbene sì, ci sono passato».<br />

«A che ora? »<br />

«Verso le due del pomeriggio».


«E <strong>per</strong> quale ragione è passato proprio dalla baita? Doveva incontrare qualcuno?<br />

Eh, che ragioni aveva di trovarsi da quelle parti? »<br />

«Dovevo incontrare un amico …»<br />

«Uno spallone? »<br />

«Be’, <strong>per</strong> me era un amico con cui avevo in comune un affare…»<br />

«Di contrabbando? »<br />

«Io non direi…»<br />

«Andiamo avanti. Allora lei arriva sul posto e trova la <strong>suora</strong>. Aveva un<br />

appuntamento con lei?»<br />

«No, dottore. L’ho trovata <strong>per</strong> caso».<br />

«Ma via. Non mi faccia così ingenuo. Le sembra possib<strong>il</strong>e che io accetti l’idea di un<br />

incontro avvenuto <strong>per</strong> caso? Due <strong>per</strong>sone che si conoscono da trent’anni – <strong>una</strong><br />

che abita a Locarno e l’altra a Magadino – non si possono incontrare ‘<strong>per</strong> caso’ in<br />

<strong>una</strong> località isolata sulle montagne di Valmara, in Italia. Questo suo amico,<br />

piuttosto, come si chiama? »<br />

«Stefano Belli».<br />

«Può essere arrivato prima di lei sul posto? »<br />

«No, l’ho visto dopo».<br />

«Dopo che cosa? »<br />

«Dopo <strong>il</strong> fatto».<br />

«Perché c’era stato un fatto? »<br />

«Sì».<br />

«E …l’amico, che ha detto? Del fatto, voglio dire».<br />

«Nulla, lui non ha visto niente. Era già successo. Lo chiami pure, potrà<br />

confermare ciò che le dico».<br />

«Che scuole ha fatto Pizzul? »<br />

«Le professionali, <strong>per</strong>ché? »<br />

«Oh, niente niente … Comunque lei conferma che questo amico non c’entra<br />

niente. Si è incontrato con lei, ma dopo <strong>il</strong> fatto. Che fatto, Pizzul? »<br />

«…»<br />

«Non risponde? »<br />

«È…è che lei non mi potrà mai credere».<br />

«Perché? »<br />

«Perché è <strong>una</strong> faccenda ingarbugliata…incredib<strong>il</strong>e».<br />

«Devo chiedere alla padrona di casa di lasciarci soli? »<br />

«No, no. Non è <strong>per</strong> questo. Anzi, forse è meglio… se rimane».<br />

«Benissimo, Pizzul. Allora parli, l’ascoltiamo …in due».<br />

«Dunque…arrivo lassù, un po’ in anticipo rispetto all’ora fissata col Belli. Quel<br />

giorno infatti era in funzione la cabinovia, e così mi sono risparmiato un faticata a<br />

piedi. La strada arriva solo dalla Piana di Vigezzo. Di neve ce n’era ancora<br />

parecchia <strong>per</strong> via delle recenti precipitazioni. Anche se la primavera era in<br />

anticipo, con un sole pallido che sembrava annunciarla.<br />

Lei, dottore, forse non saprà mai qual è la magia di <strong>una</strong> montagna imbiancata col<br />

sole che fa capolino (la signorina forse…). Non rida, la prego, ma mi segua <strong>per</strong> un<br />

attimo.


In certi momenti i cristalli di ghiaccio e neve coi riflessi del sole diventano tutti<br />

diamanti, mentre, all’ombra, di rocce o altro, assumono <strong>una</strong> venatura verdeazzurrina,<br />

sim<strong>il</strong>e all’opale. Se poi <strong>il</strong> sole esce del tutto, le grondaie delle case in<br />

paese cominciano a f<strong>il</strong>are rivoli d’acqua che finiscono giù a terra in pozze d’acqua,<br />

mentre le strade, poco più di ristretti passaggi obbligati, diventano presto<br />

rigagnoli poco praticab<strong>il</strong>i. Dietro ai vetri, le donne sbirciano <strong>il</strong> cielo. A domandarsi<br />

se <strong>per</strong> caso la primavera sia <strong>per</strong> davvero arrivata, e se invece l’inverno possa<br />

durare ancora. Il che fa la differenza <strong>per</strong> chi sulla montagna e delle montagna<br />

vive. Così è naturale <strong>per</strong> chi sta da queste parti – io non sono di Valmara, ci<br />

passo – sa<strong>per</strong>e giorno <strong>per</strong> giorno che tempo fa <strong>per</strong> decidere <strong>il</strong> da farsi.<br />

Se, <strong>per</strong> esempio, Cima di Caneto è sgombra di nubi, allora si prevede tempo<br />

buono, e si parte; se impennacchiata invece, un tempo disturbato, e quindi si<br />

rimanda la partenza. Anche <strong>il</strong> colore del cielo conta: un cielo lattiginoso, sporco,<br />

venato da f<strong>il</strong>amenti di nubi raccomanda di attendere. Si aspetta <strong>il</strong> vento, quello<br />

che venendo da est spazza, a scendere, la valle del Melezzo, la Val Vigezzo cioè,<br />

“La valle dei pittori”, o altrimenti detta la Centovalli.<br />

Noi della montagna ci siamo creati <strong>una</strong> scienza del tempo tutta nostra. La<br />

posizione delle stelle, <strong>il</strong> colore della l<strong>una</strong>, le forme e le dimensioni di <strong>una</strong> nuvola,<br />

l’orientamento dei venti, <strong>il</strong> volo degli uccelli e, in certi casi, addirittura <strong>il</strong> mormorio<br />

dei ruscelli, sono particolari che solo noi sappiamo valutare, come solo noi di<br />

volta in volta sappiamo valutare la via più sicura da prendere <strong>per</strong> valicare la<br />

montagna. C’è la possib<strong>il</strong>ità …»<br />

«… di qualche piccolo commercio, onesto si capisce. L’onestà trasuda da ogni poro<br />

della sua pelle. Anzi lei è l’onestà in <strong>per</strong>sona. Come è bello, id<strong>il</strong>liaco, quasi poetico<br />

<strong>il</strong> quadro che lei fa».<br />

«Non la convinco, vero dottore? Tutto ciò che dico le suona strano. Ma se mi<br />

lascia proseguire…»<br />

«Prosegua, prosegua. Ma venga giù dalle nuvole - è <strong>il</strong> caso di dirlo -,<br />

possib<strong>il</strong>mente».<br />

«Le dicevo…ho <strong>per</strong>so <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o…Ah, sì, be’ io parlo come mi viene…Lei mi scuserà…<br />

Allora dicevo…la montagna ci è madre e matrigna. Ci dà da vivere, ma ci<br />

ammazza pure. A tradimento. Le tragedie non sono rare purtroppo. La montagna<br />

sa creare e distruggere, esaltare o abbrutire. Amicizia e tradimento vanno a<br />

braccetto. Ha i suoi modi <strong>per</strong> farci capire che <strong>il</strong> bene e <strong>il</strong> male discendono da <strong>una</strong><br />

sola ed unica forza creatrice…».<br />

«Pizzul, questa sua tiritera di stampo ambientalistico-sentimentale è davvero<br />

stucchevole. Non la tengo. Si vuol decidere a dirmi ciò che può essere inerente al<br />

caso che ci interessa, e solo a quello? A me della sua montagna, se <strong>per</strong>mette, non<br />

importa un fico».<br />

«Ho capito, dottore. Ma come posso arrivare a quello che più le interessa se non<br />

mi lascia parlare a modo mio».<br />

«Pizzul, lei è incorreggib<strong>il</strong>e. Bisogna fare come dice lei. E allora avanti, parli,<br />

straparli ma arrivi al dunque. Oggi comunque …mi va di essere generoso. Una<br />

sigaretta?»<br />

«No, non fumo».<br />

«Ah, certo, lei non ha vizi. La virtù!»


«…ma <strong>il</strong> male, quel 15 di marzo, sembrava di un’altra terra. Assente, come <strong>il</strong><br />

vento. C’era <strong>il</strong> sole finalmente e l’inverno sembrava alle spalle.<br />

Lasciata dunque la stazione di Le Bocche, salivo lungo <strong>il</strong> pendio verso <strong>il</strong> punto<br />

convenuto. Pensavo a come è bella la montagna col sole e come sa rendersi<br />

amab<strong>il</strong>e: la neve, i prati, i fiori. La neve che col sole a primavera si scioglie presto,<br />

i prati che rinverdiscono e i fiori che, sui nostri pianori d’altura, improvvisamente<br />

esplodono a migliaia. Di <strong>una</strong> varietà incredib<strong>il</strong>e. Crochi in particolare.<br />

Continuavo a salire. Ma io, più che ai guadagni che avrei ricavato dalle proposte<br />

del Belli, pensavo alla montagna. Mi lasciavo invadere dalla tenerezza: i prati, i<br />

fiori …. le cime in alto sempre più nitide, le rocce sempre più nude e gagliarde.<br />

C’era spazio anche <strong>per</strong> <strong>il</strong> muschio, verde cupo. Questo tra la vegetazione del<br />

sottobosco o ai piedi di larici e abeti che vedevo liberarsi, di tanto in tanto, della<br />

neve ormai fradicia.<br />

Mi ero <strong>per</strong>fino messo a giocare con le nuvole. Sarà capitato anche a lei, immagino.<br />

La magia delle loro forme e colori m’invadeva totalmente. Vivevo infatti ora di<br />

draghi, aqu<strong>il</strong>e, cavalli…Ero insomma di nuovo bambino. Quando giocavo a<br />

riconoscere <strong>una</strong> forma a me fam<strong>il</strong>iare. Gridavo di gioia, nel caso. Come un<br />

bambino…un uomo di cinquant’anni. Che cosa ridicola, vero? Eppure, più <strong>il</strong><br />

tempo passa più... La vita è fatta di ritorni…<br />

Sì, ho capito, devo procedere.<br />

Stavo <strong>per</strong> l’appunto tutto dentro a questa magia delle nuvole, quando svoltai dal<br />

sentiero principale <strong>per</strong> raggiungere la baita. Mi chiedevo se, <strong>per</strong> caso, <strong>il</strong> Belli fosse<br />

già sul posto. Lungo <strong>il</strong> sentiero infatti, nei punti in cui c’era ancora neve, avevo<br />

osservato delle orme…troppo piccole <strong>per</strong>ò <strong>per</strong> <strong>il</strong> piede di un montanaro. Ero<br />

proprio curioso di scoprire chi mai potesse esserci, là nella baita.<br />

Lo spettacolo che vidi - lei certamente non mi crederà - fu uno shock terrib<strong>il</strong>e <strong>per</strong><br />

me.<br />

Sul momento rimasi interdetto, incredulo di ciò che vedevano i miei stessi occhi.<br />

Anche <strong>per</strong>ché ero disturbato dai riflessi del sole che mi giungevano dall’alto. Ma<br />

infine mi convinsi che quella figura bianca - seduta su <strong>una</strong> panca, e appoggiata al<br />

vecchio tavolo salvatosi dai fulmini - era quello di <strong>una</strong> <strong>per</strong>sona in carne ed ossa.<br />

Una <strong>suora</strong>. Mi guardava con due occhi allucinati e <strong>una</strong> bottiglia in mano, a<br />

mezz’aria. Con fatica e orrore riconobbi in quella figura allucinata Bianca, <strong>una</strong><br />

mia antica fiamma, diciamo così. D’altri tempi, quando io avevo vent’anni e lei<br />

quindici. Un rapporto finito male e che all’epoca mi aveva lasciato molto veleno in<br />

corpo.<br />

«Perché vi eravate lasciati?»<br />

«Oh, <strong>per</strong> le solite faccende che capitano agli innamorati. Io poi ero considerato un<br />

poco di buono dalla madre di lei <strong>per</strong> via del contrabbando. Insomma tutto finì e<br />

non la vidi più… fino a quel giorno di marzo, là sulla montagna. Ero impietrito.<br />

Non sapevo che dire, che fare. Lei si esprimeva a gesti. Sempre con quella<br />

bottiglia in mano che agitava e portava alla bocca troppo spesso.<br />

“Bianca, come mai qui?” le dissi appena mi riuscì di parlare. “Come è possib<strong>il</strong>e?<br />

Tu ridotta così! Perché quassù? Cosa ci sei venuta a fare, eh? E poi che significa<br />

quella bottiglia?”


Le giuro, dottore, non riuscivo a raccapezzarmi, come lei avesse potuto…<strong>una</strong><br />

<strong>suora</strong> poi…essere finita così…a ubriacarsi. E soprattutto come fosse riuscita ad<br />

arrivare fin lì dalla Svizzera. La sapevo infatti a Magadino. Io, anche se sono un<br />

errabondo, faccio sempre tappa qui a Locarno. E nel corso degli anni avevo<br />

saputo di lei alcune cose: che si era dedicata alla cura dei deboli e degli invalidi,<br />

che si era fatta <strong>per</strong>fino <strong>suora</strong> e che ultimamente lavorava in un istituto di vecchi<br />

artisti in un paese sulla riva opposta del lago. A Magadino appunto.<br />

Dunque, che ci faceva lì? Glielo chiesi di nuovo, dopo averle strappato di mano la<br />

bottiglia. Aveva lo sguardo <strong>per</strong>so, da brivido. Per non finire a terra <strong>per</strong> l’emozione,<br />

mi ero intanto seduto sull’altra panca, dalla parte opposta di Bianca (la baita era<br />

distrutta ma qualcosa c’era rimasto). E così, stando di fronte, potei prenderle le<br />

mani che racchiusi doc<strong>il</strong>i nelle mie.<br />

Lei mi guardava. Il suo viso era pallido, reso ancora più pallido – se possib<strong>il</strong>e - dal<br />

cappuccio bianco della tonaca.<br />

“Allora, Bianca, che è successo?” le chiesi ancora, cercando di dare alle mie<br />

parole <strong>il</strong> tono più dolce e <strong>per</strong>suasivo possib<strong>il</strong>e.<br />

Lei fece un gran sospiro, poi, come liberandosi da un grande peso, piano piano si<br />

mise a parlare:<br />

“Donato…quanto tempo è passato! Io sono <strong>una</strong> piccola pecorella smarrita, lo sai?<br />

Mi stavo consolando con questa bottiglia di… Dopo tanto freddo mi stava venendo<br />

finalmente caldo, quando sei arrivato tu”.<br />

“Sì”, insistetti, “ma dimmi, Bianca, <strong>per</strong>ché tutto questo, <strong>per</strong>ché?”<br />

“È <strong>una</strong> storia lunga. Ma te la voglio raccontare lo stesso, sempre che ci riesca.<br />

Così saprai di me la parte della mia vita che ti manca. Ho fatto tante cose dopo<br />

che ti ho lasciato. Volevo essere ut<strong>il</strong>e, capisci, ut<strong>il</strong>e agli altri, ai più poveri, ai più<br />

indifesi, ai più derelitti. Mi dedicai prima ai bambini, agli orfani. Ma avevano <strong>per</strong><br />

me troppa vitalità, troppa necessità d’affetto, troppo di tutto. Mi sentii inadeguata<br />

ad un compito così impegnativo. Mi manca la pazienza, pensai. I bambini sono<br />

vivaci <strong>per</strong> natura, non si possono rinchiudere in un luogo chiuso come tanti<br />

pulcini in un pollaio. Occorre dar loro lo spazio vitale, altrimenti avvizziscono<br />

come fiori privati del sole.<br />

Mi dedicai allora ai vecchi, le cui necessità sono sempre grandi, ma impegnano<br />

meno dei bambini; o forse di più, ma in altro modo. La loro stagione sta <strong>per</strong> finire:<br />

un po’ di pane, un po’ di latte e <strong>per</strong> la giornata intera sono sazi. Se sono<br />

autosufficienti, portano in giro i loro piedi stanchi; se non lo sono, si<br />

accontentano di stare seduti portando in giro gli occhi, e la fantasia se occorre.<br />

I vecchi, mi dicevo, fanno <strong>per</strong> me, hanno bisogno di cure, di presenza, ma i loro<br />

desideri sono limitati. I loro pensieri sono sul tempo, quello meteorologico e quello<br />

proprio, <strong>per</strong>sonale. La loro unica e sola domanda: quanto?<br />

Questa era la mia idea dei vecchi. E in un primo tempo questa idea fu abbastanza<br />

vicina alla realtà. Tanto che <strong>il</strong> lavoro mi regalò anche qualche soddisfazione:<br />

vecchi che mi ringraziavano, che mi comunicavano la loro gratitudine in ogni<br />

modo, vecchi che addirittura mi volevano erede dei loro piccoli risparmi.<br />

Naturalmente io non potevo tenere nulla <strong>per</strong> me. Ma quell’intenzione era già<br />

appagante e remunerativa degli sforzi e fatiche che andavo facendo <strong>per</strong> loro.<br />

Andai avanti così <strong>per</strong> degli anni. Le fatiche erano sempre grandi mentre


l’entusiasmo non proprio all’altezza dei primi tempi. Imparai comunque ad<br />

adattarmi. A questo mondo bisogna pure adattarsi…se si vuol sopravvivere.<br />

Credetti ad un certo punto che questo entusiasmo fosse un po’ in disarmo, non<br />

<strong>per</strong> un calo di fede in Dio e negli uomini, ma <strong>per</strong> <strong>una</strong> più terrena incompatib<strong>il</strong>ità<br />

di carattere con le sorelle di quella prima casa …ti ho detto di quale casa si<br />

trattava? No? Oh, non ci sto più con la testa….<br />

Chiesi dunque di cambiare sede. La madre generale dell’ordine volle<br />

accontentarmi. Finii così a Magadino, in <strong>una</strong> casa di riposo di alto livello, di<br />

artisti come qualcuno mi disse. V<strong>il</strong>la Serena, forse tu la conosci…conosci tutto e<br />

tutti tu… Mi ridai la bottiglia? Mi è tornata sete…”<br />

«Mi trattenni, ma poi non gliela negai. Buttò giù un sorso».<br />

“Finita a V<strong>il</strong>la Serena, - continuò - mi ributtai a lavorare come non mai. Il mio<br />

impegno era totale. La novità dell’ambiente e l’amab<strong>il</strong>ità delle consorelle poi era<br />

così stimolante <strong>per</strong> me che, all’inizio, non trovavo gravoso nessun lavoro, ness<strong>una</strong><br />

richiesta eccessiva, nessun orario abbastanza lungo <strong>per</strong> me. C’era sempre<br />

qualcosa da fare ed io ero felice di farla. Quando, la sera, mi ritiravo nella mia<br />

cameretta all’ultimo piano, provavo, insieme alla stanchezza, <strong>una</strong> gioia profonda.<br />

Una gioia talmente grande che <strong>una</strong> sera come le altre credetti - <strong>per</strong> un attimo,<br />

ma solo <strong>per</strong> un attimo –di aver raggiunto la santità. Subito dopo <strong>per</strong>ò temetti<br />

invece di aver peccato, mortalmente, di su<strong>per</strong>bia. Chiesi quindi <strong>per</strong>dono a Dio. Ma<br />

qualche sera dopo tornai di nuovo a credere alla santità, come a <strong>una</strong> possib<strong>il</strong>ità<br />

concreta, ad un obiettivo a portata di mano. Mi decisi. Avevo finalmente trovato la<br />

mia strada. Non avrei più deviato. Lavorare con dedizione, e col sorriso sulle<br />

labbra. Come suonare un pezzo provato <strong>per</strong> anni, ed suonato ora senza fatica<br />

apparente.<br />

Ero in questo particolare stato d’euforia, quando suor Aspasia, la madre<br />

su<strong>per</strong>iora, mi chiese se potevo seguire, oltre ai dieci che già seguivo, altri due:<br />

<strong>una</strong> coppia di anziani. Ma autosufficienti, aggiunse lei.<br />

Non mi avrebbero pesato due in più, se autosufficienti. Risposi quindi di sì, e mi<br />

apprestai a far fronte al nuovo impegno con rinnovato vigore. La santità, che<br />

<strong>per</strong>fida tentazione! Ma in effetti i due erano delle brave <strong>per</strong>sone. Senza figli, in là<br />

con gli anni, avevano trovato conveniente affidarsi ad <strong>una</strong> casa di riposo come<br />

V<strong>il</strong>la Serena la quale, anche se costava parecchio, prometteva bene. Del resto<br />

erano benestanti e dei soldi non avrebbero saputo che farsene. Meglio non<br />

lasciarli ai parenti, meglio spenderli <strong>per</strong> essere curati e serviti a dovere. Fu<br />

assegnato loro <strong>una</strong> bella camera, col letto matrimoniale, un tavolo, un comò, un<br />

televisore ed infine un grosso armadio <strong>per</strong> i pochi abiti o cose che si erano portati<br />

dietro. C’era <strong>per</strong>fino un angolo cottura nel caso avessero voluto cuocersi<br />

qualcosa.<br />

La camera era provvista di balcone con vista sul lago. Sotto <strong>il</strong> giardino con<br />

rododendri e camelie, e panchine di metallo bianco. Accoglienti queste nella<br />

buona stagione quando i vialetti si aprono ai vecchi ancora in grado di muoversi.<br />

Insomma un quadro sereno…Oh, come mi gira la testa!”<br />

Per forza, pensai, hai bevuto. Ma non glielo dissi. Ero cieco, cieco e muto. Solo <strong>il</strong><br />

senso dell’udito esercitavo, con <strong>una</strong> divorante necessità di sa<strong>per</strong>e. Sa<strong>per</strong>e di


quegli anni che mi erano stati tolti davvero senza ragione. Naturalmente ero io<br />

senza ragione, io che non mi rendevo affatto conto di ciò che stava succedendo,<br />

proprio davanti ai miei occhi.<br />

“Dunque dicevo” continuò “…ah, sì…un quadro sereno che durò appena <strong>il</strong> tempo<br />

di sistemare i propri effetti <strong>per</strong>sonali nell’armadio e nel comò, un comò grande<br />

con cinque grandi cassetti lunghi.<br />

Lei era <strong>una</strong> vecchina piccola e mite, almeno così appariva. Lui un omone grande,<br />

solo un po’ incurvato dagli anni. Portava gli occhiali con lenti molto spesse, dietro<br />

le quali gli occhi, chiari, si mostravano acquosi, ma con <strong>una</strong> notevole capacità di<br />

artiglio su chi aveva la ventura di trovarsi di fronte. Un professore, un professore<br />

di violino. Mentre lei era pianista. Così dichiaravano loro, giacché non avevano<br />

strumenti musicali tra i bagagli.<br />

Guardai la vecchia, mentre sistemavo la roba nei cassetti del comò (avrebbe<br />

dovuto farlo l’inserviente, ma preferii farlo io). La trovai fine, delicata, con un<br />

incarnato del viso, nonostante l’età, di stupefacente levigatezza, mentre <strong>il</strong> naso<br />

era aff<strong>il</strong>ato, nob<strong>il</strong>e, come nob<strong>il</strong>e del resto appariva l’intera figura.<br />

“Questo no, lo metto a posto io”, mi disse lei invece, strappandomi di mano un<br />

piccolo scrigno di legno intagliato, chiuso a chiave probab<strong>il</strong>mente. Lì <strong>per</strong> lì non<br />

feci caso al particolare. Pensai che vi tenesse dei soldi, quelli magari non<br />

consegnati in direzione. Non chiesi e lei non mi disse. Vidi solo che sistemava<br />

quello scrigno con estrema cura, in un angolo del cassetto. Certo, allora non capii<br />

<strong>il</strong> <strong>per</strong>ché di quella preoccupata attenzione. L’avrei capito più tardi a mie spese.<br />

Parlo … anche se sono un tantino … ancora un goccio…”<br />

Io non osai fermarla. Dopotutto l’ubriacatura sarebbe passata <strong>una</strong> volta esaurita<br />

la vena dei ricordi e scaricate le tensioni all’origine della sua fuga. Le tristezze –<br />

come si dice dalle nostre parti – devono essere riportate a monte, da dove<br />

provengono. La valle è fatta <strong>per</strong> la gioia e la s<strong>per</strong>anza.<br />

“La vita a V<strong>il</strong>la Serena”, riprese Bianca dopo <strong>una</strong> lunga pausa, “si consumava<br />

monotona e tranqu<strong>il</strong>la, come può essere tranqu<strong>il</strong>la la vita di un ricovero <strong>per</strong><br />

vecchi, dove la giornata è scandita dai tempi canonici <strong>per</strong> colazioni, pranzi e cene.<br />

Tra queste scadenze fisse e ripetute si aprono vuoti di attesa… La morte è sempre<br />

lì che aspetta, ma non è inattesa e non è maledetta.<br />

La vita anche <strong>per</strong> me era un susseguirsi di fatti ormai scontati e pensavo che<br />

nulla avrebbe turbato questo procedere lento dei giorni, delle notti e ancora dei<br />

giorni, finché tutto non fosse precipitato nella voragine voluta dall’Eterno e, <strong>per</strong><br />

questo, ineluttab<strong>il</strong>e.<br />

Oddio, ho <strong>per</strong>so <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o di nuovo…che volevo dire? Ah, sì, questo modesto tran tran<br />

quotidiano fu sconvolto – almeno <strong>per</strong> me – dall’arrivo dei due vecchi, marito e<br />

moglie, che ho detto prima. Con i pochi dati allora in mio possesso, mi ritenni<br />

fort<strong>una</strong>ta. Quei due vecchi – mi dissi – sono due <strong>per</strong>sone <strong>per</strong> bene, di buon<br />

intelletto, due artisti addirittura. Potranno rallegrare, se vorranno, la piccola<br />

comunità di V<strong>il</strong>la Serena con le loro suonate. Il piano c’è già nel salone, basta<br />

recu<strong>per</strong>are un violino un po’ discreto. Così nei pomeriggi di nebbia e freddo<br />

faremo musica. Oh, la musica! Come mi sarebbe piaciuto, da ragazza suonare<br />

qualche strumento. Ora mi potevo rifare con quei due vecchi…”


Ancora <strong>una</strong> volta si interruppe. Queste interruzioni erano sempre più frequenti e<br />

prolungate. Oh, dottore, non mi fraintenda e non mi accusi: sono stato uno<br />

stupido, lo so. In quel momento ero come stregato dal racconto da cui mi<br />

aspettavo chissà quali rivelazioni. Era “lei” che parlava. Tutto era dimenticato: <strong>il</strong><br />

freddo, - come all’a<strong>per</strong>to in quel posto -, e <strong>per</strong>fino l’appuntamento col Belli.<br />

Tutto era dimenticato – dicevo – e nei suoi occhi, allagati ora da grosse lacrime,<br />

bruciava <strong>una</strong> passione, come un <strong>fuoco</strong> che credevo spento, morto e sepolto, e che<br />

invece era di nuovo vivo più che mai. La stessa cosa del resto succedeva a me. Mi<br />

sembrava di avere la febbre. Stavo male insomma.<br />

“Quei due vecchi,” era sempre lei a parlare,” entrarono così, senza parere, nella<br />

mia vita. La mattina era lui <strong>il</strong> primo ad uscire di camera. Anzi la mattina dopo <strong>il</strong><br />

loro arrivo lo incontrai che era quasi l’alba. Scendevo <strong>per</strong> <strong>il</strong> mio turno di lavoro (di<br />

solito non prendevo l’ascensore). Mi si parò davanti e, con l’indice e <strong>il</strong> braccio<br />

intero puntati contro la porta chiusa, disse forte che ‘quella là’ stava sempre a<br />

poltrire, quando invece c’era tanto da fare. Non diedi peso alla cosa, ma nel<br />

pomeriggio passando davanti alla camera sentii che rimbrottava la moglie. Questa<br />

volta era <strong>per</strong> via dei calzini non rammendati. La moglie gli ribatté che lei innanzi<br />

tutto non era <strong>una</strong> serva ma <strong>una</strong> signora e, in secondo luogo era un’artista,<br />

rispettata e onorata in tutto <strong>il</strong> Canton Ticono. E quindi anche lui doveva<br />

rispettarla!<br />

La sua vocina era penetrante, decisa, col tono di chi non ammette repliche.<br />

Rimasi <strong>per</strong>plessa. Pensai a loro come a due <strong>per</strong>sonalità dai caratteri contrastanti,<br />

ma di solido impianto; due <strong>per</strong>sonalità fiere del ruolo da loro svolto nella vita, non<br />

fac<strong>il</strong>mente addomesticab<strong>il</strong>i, neppure dalla <strong>per</strong>sona più vicina e più cara.<br />

Ma <strong>il</strong> mattino dopo si era alle solite; questa volta era <strong>il</strong> letto la ragione del litigio.<br />

Allora mi feci forza e bussai alla porta <strong>per</strong> vedere di evitare la burrasca prima che<br />

fosse tardi.<br />

‘Mi dica lei,’ mi disse subito la vecchina appena mi vide, ‘le sembra possib<strong>il</strong>e che<br />

un uomo grande e grosso come <strong>il</strong> signore qui presente non mi possa aiutare a fare<br />

<strong>il</strong> letto? Ci vogliono due minuti. Due! La stanza deve essere in ordine.’<br />

C’è l’inserviente, dissi io. Non dovete preoccuparvi. ‘No’, fece lei, ‘<strong>il</strong> letto l’abbiamo<br />

fatto sempre insieme. Il letto è la nostra casa, <strong>il</strong> nostro rifugio. Basta poco ed è<br />

pronto.’<br />

‘Ih,’ ridacchiava ora lui sarcastico,’ la nostra casa, <strong>il</strong> nostro rifugio. Il rifugio <strong>per</strong> <strong>il</strong><br />

suo amante, ecco cos’era’. ‘Mi ha tradito’, e qui l’uomo si rivolse a me. ‘Mi ha<br />

tradito, la signora nob<strong>il</strong>e e pia, la pianista celebre, l’artista. Mi ha tradito col più<br />

volgare degli uomini: un cameriere, pensi’.<br />

‘Un antifascista’ ribatté lei. ‘Un eroe anche <strong>per</strong> te a quei tempi. Al punto che un<br />

certo giorno sei andato a prenderlo di <strong>per</strong>sona <strong>per</strong> fargli passare la frontiera, e<br />

salvarlo così dai fascisti’.<br />

‘Taci, p…puttana,’ gridò lui.<br />

‘La tua ballerina non è stata da meno’, urlò lei con quanto fiato aveva in gola. Un<br />

urlo soffocato che rese la vocina ancor più stridula. Ora lui la guardava con occhi<br />

pieni di odio e di disprezzo, occhi di brace quasi volesse incenerirla.


‘La suonata a Kreutzer, ecco la tua sola suonata, nob<strong>il</strong>e uomo’, aggiunse lei con<br />

un’occhiataccia di pari disprezzo. La guardai. Aveva occhi furenti, <strong>il</strong> labbro<br />

inferiore rivolto in giù e la lunga treccia, prima raccolta sopra la testa, finita ora<br />

di traverso sul viso. Le mancava solo un bastone tra le mani <strong>per</strong> fare trentuno.<br />

Io mi impressionai a morte, tanto che mi misi a tremare come <strong>una</strong> foglia. Oh, <strong>il</strong><br />

mio mondo della bontà e della santità – dov’era finito! Mi feci forza. Decisi di<br />

reagire. La mia autorità altrimenti ne avrebbe sofferto in modo irreparab<strong>il</strong>e. Un<br />

concerto, - dissi, anzi urlai. Avrebbero fatto un concerto. Loro due, certo.<br />

Lui guardò lei, lei guardò lui, e tutti e due, a tempo, guardarono me. Increduli. La<br />

loro rabbia si spense. Non so come, ma si spense. Un effetto ins<strong>per</strong>ato. Un<br />

concerto, ripetei, si può fare, no? Mi guardarono ancora increduli, ma poi si<br />

guardarono di nuovo, e si calmarono. Un concerto. Impensab<strong>il</strong>e. Il loro s<strong>il</strong>enzio<br />

era come un via libera <strong>per</strong> me. Mi diedi subito da fare, telefonai a tutti i musicisti<br />

in zona, maestri e non. Finalmente rimediai un vecchio violino, <strong>per</strong>fettamente<br />

funzionante. Chiesi <strong>per</strong>messo alla madre su<strong>per</strong>iora, feci accordare <strong>il</strong> piano del<br />

salone e preparai accuratamente <strong>il</strong> concerto in ogni dettaglio. Doveva essere un<br />

successone, ne andava del nome della casa e del mio orgoglio che allora chiamavo<br />

amore <strong>per</strong> <strong>il</strong> prossimo, dedizione, sacrificio. In ogni caso la carta vincente nella<br />

partita che io andavo giocando col Diavolo sul piano inclinato della Santità. Oh,<br />

come mi sentivo forte, invitta e invincib<strong>il</strong>e! Anche quella volta, <strong>una</strong> volta di più,<br />

avrei trionfato. Misi in moto anche le consorelle, le inservienti e i migliori tecnici<br />

del suono e delle luci esistenti su piazza. Reclutai poi tutti i vecchi della casa,<br />

anche se ciechi, sordi, muti, privi di un braccio o di <strong>una</strong> gamba. Scartai solo gli<br />

ebeti e i moribondi.<br />

Implorai, supplicai, minacciai ma alla fine <strong>il</strong> salone era pulito e pronto, gli<br />

strumenti accordati e <strong>il</strong> pubblico sistemato. I due <strong>per</strong> la verità sotto le luci<br />

apparivano intimiditi da tanta affluenza di pubblico e tanto calore, quasi che <strong>il</strong><br />

loro fosse un debutto, con parenti, mamma e papà in prima f<strong>il</strong>a.<br />

Naturalmente fu solo la sensazione di un attimo. Io infatti, che mi ero arrogata <strong>il</strong><br />

diritto di introdurre e presentare, tagliai subito corto e lessi ad alta voce <strong>il</strong><br />

programma. Subito dopo attaccò la musica. Una musica tenera e dolce <strong>per</strong> la<br />

quale <strong>il</strong> violino levava <strong>il</strong> suo canto di strumento sublime ed <strong>il</strong> pianoforte ad<br />

accompagnare o a riprendere <strong>il</strong> tema come <strong>una</strong> prima voce, in un alternarsi di<br />

canto e controcanto dallo sv<strong>il</strong>uppo <strong>per</strong>fetto.<br />

Io stavo di lato, e guardavo quelle due figure ora sotto i riflettori: la vecchina era<br />

scomparsa, così pure <strong>il</strong> vecchio ipocondriaco. Al loro posto due artisti veri.<br />

Perfino <strong>il</strong> pubblico dei vecchi sembrò vibrare, come colpito da <strong>una</strong> rivelazione.<br />

Dopo tante fatiche, dopo tante preoccupazioni circa la riuscita di quel sogno fuori<br />

stagione, ero felice. Mi rifugiai in un disimpegno che si apriva dietro <strong>il</strong> salone<br />

crollando subito su <strong>una</strong> sedia messa lì dalla provvidenza. Piegata in due, col viso<br />

affondato nelle mie stesse mani, mi abbandonai alla commozione più vera. Piansi<br />

come mai avevo pianto. Ma mi ripresi subito. Perché dovevo presenziare alla fine<br />

del concerto.<br />

Spentasi infatti l’ultima nota, <strong>il</strong> vecchio istintivamente abbassò <strong>il</strong> violino e si<br />

affidò a quella platea di vecchi, come lui e più di lui, che lo guardavano attoniti.<br />

Fu un attimo. Allora io mi precipitai al centro della sala <strong>per</strong> dare <strong>il</strong> la ai


attimani, seguita in questo da Suor Aspasia, la madre su<strong>per</strong>iora, che aveva<br />

capito l’imbarazzo e quindi dalle consorelle le quali, <strong>per</strong> la verità, davano più che<br />

altro l’impressione di non voler dispiacere alla su<strong>per</strong>iora.<br />

La mia sensib<strong>il</strong>ità era allertata al massimo grado. Potei così notare <strong>il</strong> gesto di<br />

sufficienza di suor Gesuina nel momento in cui si era girata <strong>per</strong> sussurrare<br />

qualcosa all’orecchio di suor Igina. Certamente dava sfogo alla sua gelosia, <strong>per</strong><br />

quello che ero riuscita a fare con quei due vecchi. Il suo era un atto di critica, se<br />

non di sfida. Purtroppo <strong>per</strong> me, quello, che era stato comunque un piccolo<br />

successo, si rivelò anche l’ultimo. Perché subito dopo ricominciò presto tra i due<br />

la sequela dei battibecchi e anche degli insulti. Il giorno successivo infatti a quel<br />

pomeriggio radioso, li sentii, prima borbottare, poi chiaramente litigare. Dovetti<br />

<strong>per</strong>fino intervenire, entrando di forza nella loro stanza proprio nel momento in<br />

cui lei stava brandendo <strong>una</strong> padella a mo’ di arma contro <strong>il</strong> marito che,<br />

imbracciato l’astuccio del violino, si preparava, a sua volta a reagire.<br />

‘Brucio la bistecca <strong>per</strong> fargli dispetto’, si lamentò lei.<br />

‘Taci, strega’, tagliò corto lui, continuando ad agitare l’astuccio tenuto alto e<br />

pronto a colpire.<br />

Oh, Donato, che dis<strong>per</strong>azione! Mi resi conto che tutto <strong>il</strong> mio impegno era vano, la<br />

mia fatica inut<strong>il</strong>e. Ma continuai a s<strong>per</strong>are. Oh, se ho s<strong>per</strong>ato! S<strong>per</strong>ato e pregato.<br />

Che Dio <strong>il</strong>luminasse quei due con <strong>il</strong> suo infinito amore.<br />

Una mattina – pensa -, <strong>una</strong> mattina di particolare luminosità e bellezza, con <strong>il</strong><br />

lago tranqu<strong>il</strong>lo e loro tranqu<strong>il</strong>li, in <strong>una</strong> pausa del loro battibeccarsi, riuscii a<br />

trascinarli sul balcone. In lontananza, coi raggi del sole che prendevano d’inf<strong>il</strong>ata<br />

<strong>il</strong> lago <strong>per</strong> <strong>il</strong> lungo, si vedevano chiaramente Isola grande e Isolina.<br />

“Vedete laggiù quelle due isole?” dissi. “Belle, vero? Hanno le montagne sopra e<br />

l’acqua intorno. Sono o<strong>per</strong>a di Dio. La bellezza è come <strong>una</strong> musica, non trovate?”<br />

Naturalmente <strong>il</strong> mio parlare non era adeguato. Cercavo di far leva sulla loro<br />

sensib<strong>il</strong>ità artistica, su quel <strong>fuoco</strong> che non poteva essersi spento del tutto se<br />

durante <strong>il</strong> concerto erano riusciti a suonare in modo così splendido e amab<strong>il</strong>e e,<br />

soprattutto, in <strong>per</strong>fetto accordo tra loro negli attacchi e nelle chiuse.<br />

Lui mi guardò attraverso le lenti spesse – oh, come mi è rimasto impresso quello<br />

sguardo! E, come se avessi detto qualcosa priva di senso, rientrò gesticolando e<br />

scuotendo la testa.<br />

‘La vita è <strong>una</strong> menzogna’, disse lei. Era rimasta seduta a guardare, senza vedere,<br />

<strong>il</strong> più bel lago del mondo.<br />

Perché è bello <strong>il</strong> nostro lago, vero Donato?<br />

Oh, sì, le risposi, splendido. Davvero splendido”.<br />

«Cieco, cieco. Ecco cosa ero, cieco. Possib<strong>il</strong>e che non mi accorgessi di quello che<br />

stava succedendo? Eppure era così».<br />

“Ma <strong>il</strong> peggio non era ancora venuto”, è sempre Bianca che parla. “Una vera<br />

possessione diabolica si era impadronita delle loro anime. Da quel momento<br />

infatti cercarono di evitare gli scontri, le parole violente o gli sguardi feroci in


pubblico, quasi che, di comune accordo, avessero deciso di rendere <strong>il</strong> loro gioco<br />

più sofisticato, evitando di coinvolgermi.<br />

Così non avrei avuto neppure <strong>il</strong> modo di intervenire a favore dell’uno o dell’altro.<br />

Evidentemente si era a<strong>per</strong>ta <strong>una</strong> partita a due, sorda e spietata, sulla quale era<br />

stab<strong>il</strong>ito che io non dovessi mettere becco. Tutto questo aveva prodotto in un<br />

primo tempo <strong>una</strong> calma apparente che mi lusingò non poco. Ero sempre <strong>il</strong>lusa<br />

della forza dell’amore divino messo in campo <strong>per</strong> sottomettere gli spiriti del male.<br />

Vedevo dunque i due vecchi passeggiare insieme nel giardino, raggiungere la<br />

balaustrata a colonnine che delimitava l’ampio terrazzo sul lago dal quale era<br />

possib<strong>il</strong>e vedere Locarno. Magari vi si fermavano un po’ a guardare <strong>il</strong> panorama.<br />

Dicevano qualcosa e poi riprendevano a passeggiare qua e là. Non a braccetto, ma<br />

comunque vicini. Di quando in quando si voltavano <strong>per</strong> controllare se li seguivo o<br />

tentavo di capire ciò che loro si dicevano.<br />

Io mi compiacevo di questo, come ho detto, <strong>per</strong>ché pensavo ad un loro<br />

ravvedimento. Io credevo in Dio, <strong>per</strong>ché non potevo credere nel miracolo? Loro si<br />

sentivano osservati, studiati, seguiti e, di pari passo, osservavano, studiavano,<br />

seguivano me che, d’altra parte, non potevo materialmente e continuamente<br />

occuparmi di loro. Intuivo <strong>per</strong>ò che la grande scommessa della Santità, oltre ad<br />

essere un grosso peccato di presunzione, poteva costituire, se portata all’estremo,<br />

un <strong>per</strong>icolo <strong>per</strong> tutti.<br />

Ma ogni volta che riflettevo, mi domandavo chi mai potesse occuparsi di quei due<br />

vecchi al posto mio, e se era giusto abbandonarli dopo che mi ero accorta della<br />

reciproca volontà di annientamento che entrambi dissimulavano. Perché questo<br />

era <strong>il</strong> punto: la lotta <strong>per</strong> la sopravvivenza dell’uno passava attraverso la<br />

distruzione dell’altro. In quel breve <strong>per</strong>iodo, tuttavia, questa volontà pareva<br />

essersi attenuata. Il loro comportamento mi autorizzava a pensarla in tal senso.<br />

Quando, <strong>per</strong> esempio, passavo davanti alla camera udivo i loro brusii, che a volta<br />

confondevo con le voci del televisore acceso.<br />

Almeno a pranzo e a cena <strong>per</strong>ò dovevano scendere nella sala comune, poiché<br />

avevo deciso, dopo quel che era successo, di vietare a loro l’ut<strong>il</strong>izzo dell’angolo<br />

cottura.<br />

Ma <strong>una</strong> sera mi vidi comparire la vecchina. Voleva un altro televisore col pretesto<br />

che l’altro non funzionava a dovere. Non ce ne erano altri e rifiutai. Fu poi la volta<br />

di lui che venne a chiedere di separare in due <strong>il</strong> grande letto matrimoniale <strong>per</strong>ché<br />

disse, ‘lei gli tirava le co<strong>per</strong>te, tanto che lui si era buscato, <strong>per</strong> questo, un<br />

raffreddore’.<br />

Un’altra volta mi chiese dei sonniferi <strong>per</strong> poter riposare in pace tutta la notte<br />

senza udire rumori che non gli garbavano. Fu insomma un susseguirsi di batti e<br />

ribatti in cui io, fatalmente, mi trovai coinvolta senza riuscire a far valere <strong>il</strong> mio<br />

piccolo potere di interdizione. Finché, <strong>una</strong> sera, trovai la vecchina in lacrime,<br />

sconvolta. ‘Lui la voleva uccidere’ diceva. ‘Le aveva rubato lo scrigno, e senza lo<br />

scrigno lei non poteva più vivere’.<br />

Mi ricordai allora di quello scrigno chiuso a chiave forse, intoccab<strong>il</strong>e, prezioso a<br />

tal punto che lei non meritava di vivere senza di quello. Naturalmente l’imputato<br />

numero uno era <strong>il</strong> marito. Cercai così di convincerlo a restituire lo scrigno, dove<br />

immaginavo fossero custoditi denaro e preziosi, un tesoro – ragione, <strong>per</strong> lei, di


vita – dal quale non si era voluta distaccare fin dall’inizio neppure <strong>per</strong> un attimo.<br />

Chincaglierie, s’intende, <strong>per</strong>ché <strong>il</strong> regolamento della casa non <strong>per</strong>mette al<br />

ricoverato di tenere presso di sé oggetti di valore. Tanto prezioso questo tesoro da<br />

sconvolgere la mente della vecchina.<br />

Allora, decisa, lo supplicai, lo implorai, lo minacciai anche. Cercai e feci cercare<br />

dap<strong>per</strong>tutto. Chiesi infine aiuto alle consorelle. La vecchina infatti era sempre più<br />

dis<strong>per</strong>ata ed io con lei. Confesso che ora stavo della sua parte, dalla parte del più<br />

debole. Purtroppo ogni ricerca fu vana.<br />

L’angoscia si impadronì allora di me (Oh, Donato, tu non sai cos’è l’angoscia!):<br />

vedere quella vecchina de<strong>per</strong>ire, sempre più dis<strong>per</strong>ata, sempre più allucinata, col<br />

chiodo fisso del suo tesoro <strong>per</strong>duto.<br />

‘È stato <strong>il</strong> diavolo, venuto dalle montagne’, disse a un certo punto lei sospirando e<br />

piangendo insieme, ‘<strong>il</strong> diavolo con tutte le sue streghe’, finì rabbiosa. Proprio<br />

mentre si erano affacciate suor Gesuina e suor Igina <strong>per</strong> rendersi conto del<br />

<strong>per</strong>ché di tanto strazio. O forse in ragione di questo. Ma quando le lacrime furono<br />

cessate e gli occhi divenuti asciutti, fu ancora peggio. Prese a guardarmi con<br />

un’aria assente, stral<strong>una</strong>ta, ebete. Stava scivolando in un precipizio dal quale era<br />

impossib<strong>il</strong>e salvarla, nonostante la determinazione e la forza con cui mi battevo<br />

<strong>per</strong> lei. Se ne stava andando, ecco la verità, ed io non potevo far nulla. Non ero<br />

stato neppure capace di farle confessare la ragione di <strong>una</strong> dis<strong>per</strong>azione così<br />

assurda.<br />

Lei scivolava nel baratro – capito, Donato? – ed io con lei. Ma inconsciamente,<br />

quasi un dolce abbandonarsi all’inevitab<strong>il</strong>e, al nulla. Come quando, qui sulla<br />

montagna, si scivola sul ghiaccio e si finisce in fondo a <strong>una</strong> voragine.<br />

Purtroppo non c’è limite al peggio e <strong>il</strong> peggio doveva ancora venire: la vecchina,<br />

ormai assente, consumava i suoi giorni con quel segreto custodito tenacemente<br />

nel cuore mentre <strong>il</strong> suo compagno si era fatto ancor più ringhioso e intrattab<strong>il</strong>e<br />

<strong>per</strong> le accuse di crudeltà di cui si sentiva oggetto da parte nostra.<br />

Le cose andarono avanti <strong>per</strong> qualche tempo in questo modo quando, un giorno,<br />

sul mio tavolino in camera rinvenni <strong>una</strong> lettera in busta chiusa che non<br />

aspettavo. Trovai la cosa strana <strong>per</strong>ché mia madre, di solito, mi telefonava. Aprii<br />

dunque la busta, curiosa di sa<strong>per</strong>e chi fosse <strong>il</strong> mittente. Ebbene, rimasi<br />

pietrificata: era <strong>una</strong> lettera di <strong>una</strong> certa B., <strong>una</strong> lettera d’amore (misteriosa e<br />

bellissima) che denunciava diversi anni. Anche se la data non risultava da<br />

ness<strong>una</strong> parte, cancellata forse come <strong>il</strong> nome. Collegai subito quella lettera alla<br />

scomparsa che tanto ci aveva affaticati. Oltretutto la vecchina aveva un nome che<br />

iniziava proprio con la B, cioè Benedetta.<br />

S<strong>per</strong>ai nel miracolo, forse quella lettera d’amore veniva proprio dallo scrigno.<br />

Invece lei fece mostra di non riconoscerla. Sembrava indifferente, come prima.<br />

Con quell’orso del suo uomo non tentai neppure, e così me la tenni. Faceva parte<br />

del tesoro nascosto nello scrigno? Molto probab<strong>il</strong>e. Anche <strong>per</strong>ché lo scrigno, come<br />

potei finalmente controllare, era ritornato misteriosamente al suo posto. Magari<br />

era sempre rimasto lì. Chiesi alla vecchina, ma lei non seppe rassicurarmi.<br />

Dentro, comunque, solo cianfrusaglie di nessun conto.<br />

Una notte Benedetta fu trovata nuda nel parco mentre diceva frasi sconnesse.<br />

Una bronco-polmonite fulminante se la portò via. La cosa mi colpì molto. Piansi e


piansi. Ma non bastò. Allora mi consolai leggendo e r<strong>il</strong>eggendo quella lettera<br />

d’altri tempi, con un sentimento d’altri tempi. La mia pena tuttavia era appena<br />

all’inizio.<br />

Qualche giorno dopo infatti arrivò <strong>una</strong> seconda lettera e poi <strong>una</strong> terza, quindi <strong>una</strong><br />

quarta. Un intero carteggio amoroso mi veniva propinato con <strong>una</strong> <strong>per</strong>fidia senza<br />

pari, come un veleno a piccole dosi. Se avevo sopportato con fatica l’impatto della<br />

prima, cominciai a tremare alla seconda, a piangere alla terza fino a ritrovarmi<br />

del tutto sconvolta alla quarta.<br />

Un veleno – Donato -, un terrib<strong>il</strong>e veleno mi veniva somministrato <strong>per</strong> colpire la<br />

parte più debole di me: <strong>il</strong> cuore. È fac<strong>il</strong>e immaginare <strong>il</strong> mio turbamento all’arrivo<br />

di quelle lettere. Perché ormai ero certa che appartenessero alla coppia: Benedetta<br />

lei, Aldo lui.<br />

Qualcuno aveva notato lo scrigno custodito gelosamente dalla vecchina, aveva<br />

ipotizzato qualche segreto tesoro e l’aveva quindi sottratto con l’obiettivo evidente<br />

di far ricadere i sospetti su di me.<br />

Quel qualcuno aveva poi architettato quella messa in scena di lettere inviate col<br />

contagocce. Ora, chi poteva essere stato? Br<strong>una</strong>, o qualc<strong>una</strong> delle care<br />

consorelle? Da escludere la madre su<strong>per</strong>iora. Questo interrogativo comunque non<br />

mi appassionava granché. Quella cattiveria aggiuntiva mi aveva fatto male e<br />

basta. Ma non potevo dimenticare l’altra cattiveria, diabolica, quella che mi<br />

veniva suggerita dalla grazia e letizia delle lettere finite ad arte sul mio tavolo. Il<br />

destino forse. Dover constatare come da quel lontano, bellissimo, struggente,<br />

grande amore di un tempo fosse poi scaturito l’odio di oggi, così <strong>per</strong>vicace, così<br />

bruciante, ma soprattutto così arido, con un futuro ormai segnato e senza<br />

s<strong>per</strong>anza.<br />

Eppure – mi dicevo – quel lontano amore era un tesoro da salvaguardare, da<br />

tutelare, da tenere vicino come un <strong>fuoco</strong> che scalda e fa vivere. Per riscattare <strong>una</strong><br />

vita a due, sbagliata, contraddittoria e alla fine anche crudele.<br />

Perché, Donato, alla fine lui è stato di <strong>una</strong> crudeltà senza pari, nell’offendere lei<br />

con piccole parole come punture di sp<strong>il</strong>lo, nel creare piccole assenze come rifiuti<br />

inequivocab<strong>il</strong>i, nell’inventare ritorsioni <strong>per</strong> quello che pure lei faceva <strong>per</strong> non<br />

essere da meno. Oh, come <strong>il</strong> creato si annulla in due esseri che si odiano! Ed io lì<br />

a far da paciere prima, da testimone assurda poi, con l’unica certezza della<br />

sconfitta.<br />

Io, la santa, che cosa assurda, vero? Io, la santa, e lui, <strong>il</strong> diavolo con le streghe.<br />

Streghe loro: suor Gesuina, suor Igina…”<br />

«E qui, dottore, al nominare quelle due cominciò a ridere, senza ritegno, in modo<br />

sguaiato. Non era molto in quadro, ecco. Ma a un tratto scoppiò a piangere.<br />

Piangeva e rideva ora, scossa dai singulti.<br />

“Le streghe” diceva. “Anch’io sono <strong>una</strong> strega.”<br />

Sembrava vaneggiare. Presi a tremare <strong>per</strong>ché, al contrario, io la ritenevo davvero<br />

donna esemplare, con <strong>una</strong> purezza di cuore che a distanza di anni ancora mi<br />

avvinceva. Mi si chiudeva lo stomaco <strong>per</strong> la tensione. Come annullare lo sfacelo<br />

che vedevo in lei? Ma anche, <strong>per</strong>ché Bianca non mi aveva voluto?


Mentre mi facevo queste domande che, come lampi, mi attraversavano <strong>il</strong> cervello,<br />

la vidi sbiancare e inclinarsi da un lato, tanto che dovetti affrettarmi a soccorrerla<br />

<strong>per</strong>ché non finisse a terra.<br />

La riportai in <strong>una</strong> postura più o meno eretta, tenendola stretta tra le braccia e<br />

cercando di rianimarla con piccoli buffetti sulle guance da quello che mi appariva<br />

un banale svenimento dovuto all’emozione. Considerai anche <strong>il</strong> fatto della<br />

bottiglia vuota a metà. L’avevo infatti lasciata parlare senza interrom<strong>per</strong>la anche<br />

se, come ho già detto, ogni tanto beveva un goccio. E appunto all’alcol attribuivo<br />

la parlata sciolta ma anche <strong>il</strong> successivo stato alterato di semi ubriachezza, tanto<br />

che rideva e piangeva insieme.<br />

E invece la faccenda era molto più seria. Sciocco io a non essermene reso conto<br />

subito. Ma ero rimasto come irretito da quel lungo racconto che, nel suo<br />

procedere, vedevo farsi realtà attraverso le parole e i gesti di lei (si tormentava di<br />

continuo le mani e tremava). Perché, se ero attentissimo alle sue parole, non<br />

potevo fare a meno di riandare indietro nel tempo, a quella nostra stagione felice,<br />

passata in un amen, con un residuo di dolcezze e rimpianti che mi era rimasto<br />

dentro e destinato ora a riemergere. Quasi che <strong>il</strong> tempo avesse tolto ad ogni<br />

stagione qualcosa: la freschezza smagliante che mi aveva incantato; oppure <strong>il</strong><br />

desiderio di assoluto che la infervorava tutta fino ad accenderle le guance come<br />

due pomelli di c<strong>il</strong>iegia; o anche la gioia esultante, semplice e <strong>per</strong> me preziosa, di<br />

quando comparivo in fondo alla stradina che portava a casa sua.<br />

Allora venivo giù dal versante nord della montagna, dalla parte di Russo col mio<br />

carico di sigarette, cioccolata e altro; generi voluttuari se si vuole, ma molto<br />

richiesti.<br />

Ebbene, dopo aver attraversato l’intera montagna, magari in <strong>una</strong> bufera di vento<br />

e neve, mi trovavo all’ingresso del paese, intirizzito e diaccio con l’unico desiderio<br />

vivo di qualcosa di caldo, ma anche col bisogno immediato di un sorriso e di <strong>una</strong><br />

parola amica. E tutto questo solo lei poteva darmelo.<br />

Una volta individuata la mia sagoma dall’alto della sua finestra, lei si precipitava<br />

giù in strada e mi correva incontro - al vento i suoi meravigliosi capelli biondi -,<br />

<strong>per</strong> finire tra le mie braccia tese e ansiose di stringere con forza quel fantastico<br />

piccolo corpo. Ecco quell’abbraccio, insieme ai s<strong>il</strong>enzi della montagna, era ciò che<br />

più mi faceva leggero. Mi suscitava <strong>una</strong> commozione così forte da spaccare come<br />

niente la dura scorza del montanaro in cui mi riconosco. Perché io sono grande e<br />

grosso, forte quando occorre sa<strong>per</strong> vincere le as<strong>per</strong>ità della montagna, o anche<br />

temerario nello sfiorare gli abissi, ma sono come un bambino di fronte alla<br />

dolcezza.<br />

E che cosa c’era di più dolce e amab<strong>il</strong>e di quella figura di donna poco più che<br />

adolescente? Che amava la vita con <strong>una</strong> tensione o uno slancio che colpiva<br />

chiunque l’avvicinasse, e quindi anche me, passato in breve dalla richiesta di un<br />

cioccolato a quella di un bacio. Del resto come potevo resistere dopo la solitudine<br />

e i rischi della montagna. Lei era la mia fata, la mia principessa della neve. Alla<br />

montagna lasciavo volentieri i diavoli, le streghe ed anche l’unica aqu<strong>il</strong>a che era<br />

dato vedere, di tanto in tanto, là in alto maestosa e nob<strong>il</strong>e, quasi ferma nel<br />

sapiente gioco delle correnti.


Ebbene, nonostante questa mia capacità di ascoltare ed osservare, nonostante<br />

tutta la mia sapienza nel valutare l’ebbrezza che dà la montagna dopo ore e ore di<br />

fatica; nonostante tutto questo, io quel giorno, ubriaco di dolcezza <strong>per</strong> quel<br />

lontano amore ritrovato, non seppi cogliere la verità vera e, in un sol colpo, buttai<br />

via la sua vita e la mia.<br />

Sì, <strong>per</strong>ché la bottiglia non era piena di alcol qualunque, come scioccamente avevo<br />

creduto (io che sono un es<strong>per</strong>to di bevande forti!), ma piena di un dist<strong>il</strong>lato<br />

potente fatto in casa, ad altissima gradazione. Il che rendeva esplosivo ciò che<br />

insieme all’alcol era stato ingerito prima che arrivassi.<br />

Comunque sia, solo quando la vidi sbiancare capii che qualcosa di veramente<br />

grave stava <strong>per</strong> succedere. Mi dis<strong>per</strong>ai allora e mi bloccai. Un comportamento<br />

davvero sciocco e inut<strong>il</strong>e. Tanto più che lei era già lì a dire…<br />

“Donato, sto <strong>per</strong> lasciarti. Ringrazio immensamente <strong>il</strong> cielo di averti rivisto. No,<br />

non ti preoccupare. Nel bene o nel male, non c’è più tempo, non c’è più nulla che<br />

tu possa fare ormai. Ho ingoiato alcune p<strong>il</strong>lole di… Dovevo continuare, ma <strong>per</strong><br />

farmi coraggio ho aggiunto l’alcol che, come sai, accelera l’effetto. Quando sei<br />

arrivato tu, stavo <strong>per</strong> prenderne delle altre, ma la tua presenza me lo ha impedito.<br />

Ho continuato <strong>per</strong>ò a bere, così nell’euforia sono riuscita <strong>per</strong>fino a parlare, a dirti<br />

cose senza più remore o pudori.<br />

Ma ora sento che mi sta prendendo la sonnolenza, dalla quale tu, povero Donato,<br />

non mi potrai più salvare. Mi dispiace di darti questo nuovo dolore, non l’ho fatto<br />

apposta. Quando ho lasciato V<strong>il</strong>la Serena a Magadino non sapevo ancora se sarei<br />

riuscita a trovare la forza di andare fino in fondo. Ti ho raccontato la storia di<br />

quei due vecchi prima, <strong>per</strong> farti capire quanto mi avesse sconvolto constatare che<br />

l’amore di un tempo, quel lontano grande amore, aveva lasciato <strong>il</strong> posto all’odio e<br />

alla crudeltà dell’oggi. Allora, mi sono detta, anche l’amore è un falso,<br />

un’<strong>il</strong>lusione. Capisci, Donato? Anche l’unica consolazione della vita, l’unica<br />

motivazione che ci spinge a vivere e a ben o<strong>per</strong>are è <strong>una</strong> pia <strong>il</strong>lusione che ci<br />

prende come un’ebbrezza d’alta montagna <strong>per</strong> farci meglio precipitare nell’abisso.<br />

Se un grande amore aveva potuto dare quei frutti, <strong>per</strong>fino in due anime elette così<br />

sensib<strong>il</strong>i all’arte, che cosa poteva essere del mio amore <strong>per</strong> Dio? Di quell’amore<br />

che io ritenevo grande, grandissimo, e che era invece piccolo piccolo, fatto solo di<br />

orgoglio e pregiudizio?<br />

Nulla. Il mio amore era nulla. Come <strong>il</strong> vuoto, come l’abisso, come l’eterno niente e<br />

come la mia vita. Avevo scambiato dei poveri vecchi <strong>per</strong> terreno di coltura, in cui<br />

far crescere la pianticina, assurda, della santità: i vecchi nell’abisso, io sugli<br />

altari. E invece nulla. Perché <strong>il</strong> mio amore <strong>per</strong> gli altri era presunzione, la mia<br />

dedizione volontà di potenza. Quei due vecchi mi avevano strappato la maschera.<br />

Ed io senza la mia amata maschera non potevo più vivere.<br />

Così, <strong>una</strong> volta deciso, cercai di mettere in atto un piano: <strong>una</strong> visita a mia madre.<br />

Lo avrei detto alle consorelle dopo aver chiesto <strong>il</strong> <strong>per</strong>messo a suor Aspasia.<br />

Povera mamma, non mi ha saputo o potuto amare. Presa dal suo egoismo, ha<br />

fatto nascere e crescere <strong>il</strong> mio. Sarei dunque partita.<br />

Tutto è f<strong>il</strong>ato in effetti liscio come l’olio. È andata cioè come avevo previsto. Ma a<br />

Locarno ho avuto improvvisamente paura. Non sapevo che fare. Se andare a<br />

Russo a salutare un’ultima volta mia madre, oppure farla finita lì in qualche


modo. Ho deciso alla fine di prendere <strong>il</strong> treno <strong>per</strong> Domodossola. In qualche luogo<br />

della Centovalli avrei di certo trovato <strong>il</strong> mio, l’ultimo. Ma <strong>il</strong> treno andava, le<br />

stazioni si susseguivano <strong>una</strong> dopo l’altra, senza che io avessi <strong>il</strong> coraggio di<br />

scendere. Tutti i giornali del Canton Ticino avrebbero scritto della <strong>suora</strong> suicida.<br />

Mia madre avrebbe letto. Meglio quindi proseguire, meglio in Italia dove nessuno<br />

mi conosceva.<br />

Oh, Donato, non pensavo davvero a te, non ci pensavo. Forse solo <strong>una</strong> volta mi<br />

avevi parlato, anni e anni fa, dei sentieri che prendevi <strong>per</strong> passare la frontiera<br />

senza dare nell’occhio. Proprio non ci ho pensato.<br />

Sono scesa dunque a quella che mi è parsa la prima stazione italiana, Valmara.<br />

Ho girovagato un po’ senza sa<strong>per</strong>e ancora come sarebbe finita questa fuga da<br />

tutto e da tutti. Per caso sono passata accanto alla stazione della cabinovia. Come<br />

un automa mi sono unita a due <strong>per</strong>sone che avevano l’aria di voler salire in cima.<br />

‘Viene con noi all’Osservatorio?’, ha chiesto uno.<br />

Improvvisamente mi sono resa conto dell’assurdità della mia situazione, anche<br />

del mio abbigliamento un po’ assurdo in un posto come quello, più adatto agli<br />

sciatori che ad <strong>una</strong> monaca in divisa. Ho risposto meccanicamente di sì. Dopo di<br />

che mi sono ritrovata lassù. Uno dei due è stato così gent<strong>il</strong>e che ha voluto<br />

mostrarmi come dall’Osservatorio si potesse ammirare un panorama splendido.<br />

Mi ha messo anche davanti un potentissimo teleobiettivo con supporto fisso<br />

invitandomi a guardare in direzione del Monte Rosa.<br />

‘È <strong>una</strong> <strong>per</strong>la’, ha detto. ‘Alla lettera. Lo sa che dal Monte Rosa nasce <strong>il</strong> fiume dai<br />

ciottoli d’oro?’, ha aggiunto allegro, ‘almeno così dicono’.<br />

Ha poi cominciato a parlarmi di <strong>una</strong> meravigliosa città scomparsa ai piedi del<br />

Rosa, Felix o Felicia, non ricordo bene. Non ci stavo già più con la testa e quello<br />

che mi diceva sembrava giungermi da lontano, da molto lontano. So solo che ha<br />

parlato di un ghiacciaio che oggi si troverebbe al posto della città concludendo<br />

così - e questo mi è rimasto davvero impresso:<br />

‘Quando gli uomini abbandonano con la loro condotta la via tracciata dalla<br />

divinità, questa ut<strong>il</strong>izza la montagna come strumento di morte’.<br />

E così è stato, Donato.<br />

Forse sto inventando, l’effetto dell’alcol e…Donato, dimmi che mi ami …sto…,<br />

dimmi che mi ami. Ti ho <strong>per</strong>duto <strong>per</strong> la mia ambizione di raggiungere <strong>il</strong> vero<br />

amore. Ora invece mi rimangono solo ricordi del mio piccolo amore. Ma se tu mi<br />

dici che mi ami posso ancora s<strong>per</strong>are di essere felice. Sto vaneggiando…Ah, ah,<br />

<strong>una</strong> <strong>suora</strong> che chiede amore. Ah, come è buffa la vita! Una <strong>suora</strong>… in cima a un<br />

monte…che chiede…amore…”.<br />

Dottore, ero sconvolto, terrorizzato, impotente di fronte a quella scena. Come in<br />

quel vecchio f<strong>il</strong>m, mi volevo lanciare in un melodrammatico: io ti salverò. Ma <strong>il</strong><br />

dolore era più forte del ridicolo. Non potevo far nulla <strong>per</strong>ché finalmente avevo<br />

capito che lei stava facendo sul serio, anzi aveva fatto sl serio. Era solo questione<br />

di minuti, se non di attimi.<br />

Una parte minima di tutto <strong>il</strong> tempo dell’universo era con me. Dopo anch’io sarei<br />

finito nel baratro, anch’io avrei fatto ciò che lei aveva fatto, <strong>per</strong> non sopravvivere<br />

all’impotenza. Ma anche alla vergogna. Perché, è vero dottore, è <strong>una</strong> vergogna non


amare nella vita. Non potere amare è come…come non poter odiare, non essere<br />

<strong>per</strong> nulla. Un peso tremendo mi ero portato dietro <strong>per</strong> trenta lunghi anni, senza<br />

reagire. Lei aveva detto no ed io avevo accettato. Capisce? Accettato. Quando<br />

dovevo invece combattere, lottare, magari…dico fesserie. La tragedia di <strong>una</strong><br />

meschinità. Portata dentro, ogni giorno uguale, ogni giorno con l’alba e <strong>il</strong><br />

tramonto, e <strong>il</strong> niente in mezzo.<br />

Il rovere sul <strong>fuoco</strong>, <strong>il</strong> ghiaccio sul cuore. A che pro continuare, andare su e giù<br />

<strong>per</strong> la montagna con carichi sulle spalle, con la fatica, <strong>il</strong> sudore, la paura, la<br />

tentazione. Oh, la tentazione! Lei non ci crederà, dottore. Ho s<strong>per</strong>ato. Durante<br />

quel lungo e solitario <strong>per</strong>egrinare tra seracchi e slavine col precipizio a fianco, ho<br />

s<strong>per</strong>ato tanto nella tormenta, nelle valanghe o nelle slavine appunto. Ho s<strong>per</strong>ato<br />

che la montagna mi salvasse…dalla tentazione…del vuoto…dalla tentazione di<br />

lasciarmi andare così su <strong>una</strong> lastra di ghiaccio in pendenza <strong>per</strong> ritrovarmi laggiù<br />

in fondo senza sa<strong>per</strong>e più nulla della montagna, della vita e della morte. Più<br />

nulla. Quell’uomo grande e grosso era in realtà un uomo piccolo, piccolo…pieno<br />

di paura.<br />

Non sapevo decidere, e non potevo decidere, non volevo star solo e mi ritrovavo<br />

solo. Una donna causa di <strong>una</strong> tragedia mancata. Una donna che io avevo<br />

trasformato in quella donna. Quella o nessun’altra! Il tipico comportamento di chi<br />

non è cresciuto, di un bambino, lo so. Ed ora quel bambino era spaurito, indifeso.<br />

Scoppiai a piangere senza ritegno. Lei allora mi prese <strong>il</strong> viso tra le mani, <strong>per</strong> farmi<br />

carezze che non ricordavo più. Piangevo senza riuscire a dire niente di ut<strong>il</strong>e, a lei<br />

che stava <strong>per</strong> lasciarmi.<br />

“Una grande aqu<strong>il</strong>a, sai,” disse. “Ho visto <strong>una</strong> grande aqu<strong>il</strong>a…mi ha accolta sulle<br />

sue ali…e mi ha trasportata su questa vetta, la più alta della terra. C’era ghiaccio<br />

e neve quassù, ma l’aqu<strong>il</strong>a ha comandato al <strong>fuoco</strong> e <strong>il</strong> <strong>fuoco</strong> si è fatto rubino nei<br />

suoi occhi. D’incanto <strong>il</strong> ghiaccio e la neve si sono sciolti e i prati si sono a<strong>per</strong>ti ai<br />

fiori, tanti fiori, i miei preferiti: <strong>il</strong> croco, la nigritella, <strong>il</strong> narciso…<br />

I fiori, Donato, sono <strong>una</strong> grande invenzione, regali di Dio. Coi fiori prega <strong>per</strong> me<br />

che non ne sono degna…Fiori in mezzo alla luce…tanta luce…la vita è altrove…”.<br />

Donato Pizzul, incassato <strong>il</strong> capo nelle spalle, piangeva ora sommessamente, con<br />

singulti trattenuti che scuotevano tutto <strong>il</strong> suo grande corpo. Dopo un po’, con fare<br />

lento, trasse di tasca un fazzoletto col quale si soffiò <strong>il</strong> naso. Boccia e Flavia lo<br />

guardavano sospesi, finché Flavia fece apparire <strong>una</strong> bottiglia e un bicchiere. Lo<br />

riempì <strong>per</strong> metà offrendolo poi a Pizzul:<br />

«Prenda, le farà bene» disse in un soffio.<br />

L’uomo prese <strong>il</strong> bicchiere, ne trangugiò <strong>il</strong> contenuto senza chiedere che fosse. Il<br />

suo odorato aveva deciso <strong>per</strong> lui.<br />

«Voi non mi credete, lo sento» disse infine dopo essersi passato <strong>il</strong> dorso della<br />

mano sulla bocca. «Come è possib<strong>il</strong>e del resto credere a <strong>una</strong> storia sim<strong>il</strong>e. Quasi<br />

non sembra vera neppure a me che l’ho vissuta. Abbandonata…tra le mie<br />

braccia….<br />

Rimasi inebetito chissà <strong>per</strong> quanto tempo. Io sfido la morte tutti i giorni, si può<br />

dire. Recu<strong>per</strong>o anche i corpi dei pazzi che affrontano la montagna senza essere


attrezzati. Sono quindi abituato a questi spettacoli. Eppure quel corpo<br />

abbandonato su di me, quella morte mi aveva fatto sprofondare in un terrore<br />

cupo, privo di ogni logica. Temevo io stesso di morire in quel momento, anzi<br />

volevo morire.<br />

Liberatomi in qualche modo del corpo, cercai affannosamente nello zainetto che<br />

lei si era portata dietro quelle p<strong>il</strong>lole, quel veleno che era riuscito così<br />

magnificamente allo scopo. Maneggiai le bottigliette dei medicinali <strong>per</strong> un po’, ma<br />

non riuscii a ingoiare nulla. In compenso mi diedi da fare con la bottiglia, <strong>per</strong><br />

dimenticare, o <strong>per</strong> tirarmi su. Ogni cosa andava bene in quel momento pur di non<br />

pensare.<br />

Improvvisamente tra i fumi dell’alcool ebbi un attimo di lucidità, mi ricordai<br />

dell’appuntamento col Belli.<br />

Guardai l’orologio: le due. Da un momento all’altro <strong>il</strong> Belli mi sarebbe comparso<br />

davanti. Ed io lì con quella …. Non avrebbe capito. Ma chi avrebbe potuto capire?<br />

Ero <strong>per</strong>so. Ma appena realizzai <strong>il</strong> nuovo <strong>per</strong>icolo, scattai come <strong>una</strong> molla. Feci<br />

appello al mio sangue freddo, anche se ero tutt’altro che in grado di ragionare con<br />

freddezza. In ogni caso, mi precipitai fuori della baita, cercai di vedere se lungo <strong>il</strong><br />

sentiero, a salire dal basso, si scorgesse <strong>il</strong> Belli.<br />

Non vidi nessuno, ma sapevo anche che non avrebbe tardato molto a venire.<br />

Decisi dunque di fare presto. Dovevo nascondere <strong>il</strong> corpo in un posto qualsiasi,<br />

lontano dagli sguardi curiosi del Belli. Uscii e girai dietro. Fatti pochi passi vidi la<br />

buca, sì quella buca che qualcuno doveva aver scavato <strong>per</strong> <strong>una</strong> nuova baita. La<br />

neve che c’era dentro e ai lati era sufficiente <strong>per</strong> ricoprire un corpo. Ma ero<br />

terrorizzato, mi avrebbero incolpato dell’omicidio di <strong>una</strong> <strong>suora</strong> e processato. Una<br />

<strong>suora</strong> che oltretutto conoscevo, anche se non la vedevo da decenni. Lasciai questi<br />

pensieri e rientrai nella baita <strong>per</strong> prendere <strong>il</strong> corpo. Con fatica me lo sistemai<br />

sulle braccia (la tonaca mi impicciava non poco) e mi precipitai fuori. Correvo<br />

quasi. Temevo sempre di essere sorpreso dal Belli. Appena fuori, inciampai e<br />

caddi malamente finendo di peso col corpo su un masso del parapetto. Mi rialzai.<br />

Il cuore mi scoppiava. Dovevo sistemare <strong>il</strong> corpo nella buca e farlo in modo che<br />

non lo si potesse vedere, tantomeno dalla baita. C’era la buca, ma appena prima<br />

dell’orlo, <strong>una</strong> larga fetta di terreno era franato tutto intorno, creando <strong>una</strong> specie<br />

di avvallamento, più comodo della buca vera e propria, <strong>per</strong>fetto <strong>per</strong> lo scopo che<br />

mi proponevo. Così almeno mi parve. Bastava adagiare lì <strong>il</strong> corpo e ricoprirlo con<br />

la neve. Il che feci in fretta servendomi di un bad<strong>il</strong>e lasciato lì <strong>per</strong> lo scavo. Per<br />

diverso tempo nessuno se ne sarebbe accorto. Ritornai quindi alla svelta nella<br />

baita buttandomi sfinito sulla prima panca che trovai. Afferrai la bottiglia.<br />

Appena in tempo. Perché <strong>il</strong> Belli comparve subito. Mi trovò che tracannavo alcol.<br />

Come al solito fece la sua battuta, ma non si accorse dello zainetto sotto <strong>il</strong> tavolo<br />

che <strong>per</strong> la precipitazione non ero riuscito a nascondere. Discutemmo un po’.<br />

Trovai infine la proposta che mi fece vantaggiosa. Prendemmo quindi ciò che ci<br />

serviva e ci muovemmo <strong>per</strong> raggiungere insieme Cima di Caneto. È tutto, dottore,<br />

s<strong>per</strong>o di essere stato esauriente. E convincente soprattutto».<br />

Boccia stette <strong>per</strong> un attimo in s<strong>il</strong>enzio a fissare Pizzul. E in s<strong>il</strong>enzio si voltò a<br />

guardare Flavia <strong>per</strong> poi tornare a Pizzul.


«Vorrei crederle» disse Boccia. «Non tutto torna <strong>per</strong>ò nel bel racconto che ha fatto.<br />

Appassionato anche. Diamo pure <strong>per</strong> scontato <strong>il</strong> suo turbamento <strong>per</strong> ciò che è<br />

successo. Le faccio credito della sua disponib<strong>il</strong>ità, questo sì. Si è infatti<br />

presentato qui spontaneamente, anche se questa casa non è certo <strong>il</strong> luogo adatto<br />

<strong>per</strong> delle confessioni, e ancor meno <strong>per</strong> delle verbalizzazioni. Dovremo quindi<br />

riparlarne. In ogni caso mi preme fugare i dubbi, le <strong>per</strong>plessità. E se lei è<br />

innocente, non dovrà temere nulla. Se invece non lo è …be’, lo vedremo.<br />

Dicevo dunque che non tutto torna in quello che ha detto. La cabinovia, <strong>per</strong><br />

esempio, era stata chiusa <strong>per</strong> guasto. Proprio quel giorno era stata ria<strong>per</strong>ta e solo<br />

<strong>per</strong> poche ore. Pochi potevano sa<strong>per</strong>lo. La primavera infatti si presentava in<br />

anticipo, anche se rimaneva un po’ di neve sui prati dove erano già fioriti crochi e<br />

primule.<br />

Voglio dire che la stagione <strong>per</strong> gli amanti dello sci era praticamente finita e quindi<br />

gli impianti di risalita chiusi, o giù di lì. Ne viene che solo uno pratico dei luoghi<br />

poteva aver la notizia, se non addirittura le conoscenze giuste <strong>per</strong> far riaprire<br />

l’impianto. Detto diversamente: come si può pensare che <strong>una</strong> <strong>suora</strong>, la quale ha<br />

deciso di farla finita, vada fin lassù, all’Osservatorio, a rimirarsi <strong>il</strong> panorama? Non<br />

è più semplice pensare che lei l’abbia accompagnata avendo in testa un piano già<br />

ben congegnato?<br />

Avevate un appuntamento. Lei, Pizzul, è andato all’Osservatorio con uno del bar<br />

<strong>per</strong> consegnare della merce, ma anche <strong>per</strong> farsi vedere, <strong>per</strong> crearsi un alibi. Ha<br />

<strong>per</strong>fino firmato <strong>il</strong> registro, cosa che non aveva mai fatto prima (abbiamo<br />

controllato). Suor Giacinta è salita su con voi, ma poi è ritornata giù in fretta alla<br />

prima stazione (a La Mira), <strong>per</strong>ché l’appuntamento era alla baita diroccata. Un<br />

posto isolato, buono <strong>per</strong> un appuntamento d’amore o…d’altro. Di fretta, dico.<br />

Bianca infatti non ha firmato <strong>il</strong> registro.<br />

Vede, io le faccio credito ingiustificato della sua buona fede, <strong>per</strong>ché lei non mi ha<br />

portato ancora uno straccio di prova che quello che dice è vero. Fino ad ora tutto<br />

è basato sulle sue parole. Mi convinca, ed io non sarò costretto a chiedere<br />

all’autorità svizzera di mettere in atto i provvedimenti restrittivi del caso.<br />

Ma ritorniamo alla nostra storia. Per riassumere, i fatti si possono essere svolti in<br />

questo modo:<br />

Lei, Pizzul, innamorato senza s<strong>per</strong>anza a suo tempo di Bianca (alias suor<br />

Giacinta), accetta finalmente un appuntamento con Bianca. Questa volta era<br />

stata lei, Bianca, a chiedere questo appuntamento, e con insistenza. La <strong>suora</strong> è<br />

<strong>una</strong> donna ormai delusa dalla vita: aveva s<strong>per</strong>ato tanto, forse troppo, nel suo<br />

lavoro di dedica totale agli altri, ai più deboli, agli afflitti, ai diseredati, ai senza<br />

s<strong>per</strong>anza. Col solo corrispettivo della gioia di sentirsi ut<strong>il</strong>e, di essere nel solco<br />

della parola di Dio che l’avrebbe ricompensata con la beatitudine eterna. Un<br />

amore divino <strong>il</strong> suo, celestiale, ineffab<strong>il</strong>e, capace di far impallidire ogni amore<br />

terreno. Pallido riflesso questo di quell’altro, unico, vero grande amore.<br />

Ma improvvisamente questo quadro fatto di fede, di grandi fatiche anche fisiche,<br />

di grandi rinunce, si scompone di fronte alla ben più cruda realtà: Br<strong>una</strong>,<br />

l’inserviente, ama <strong>il</strong> suo uomo, quello di un tempo, quello al quale dovette


inunciare a causa le insistenze della madre, ma anche <strong>per</strong> <strong>una</strong> sua ricerca di<br />

<strong>per</strong>fezione che l’amore terreno non può dare.<br />

A questo punto la <strong>suora</strong> si riscopre donna. La gelosia la prende in <strong>una</strong> morsa<br />

senza scampo inducendola ad agire: quella tresca deve finire. Proprio così: lui non<br />

poteva intrufolarsi fin dentro V<strong>il</strong>la Serena al solo scopo di um<strong>il</strong>iarla <strong>per</strong> <strong>una</strong><br />

faccenda di trent’anni prima. La rinuncia era stata fatta di comune accordo,<br />

almeno così pensava lei.<br />

Lui non ama certo Br<strong>una</strong>, la sfrutta, se ne serve <strong>per</strong> vendicarsi di lei, Bianca, che,<br />

a parere di lui, l’ha lasciato a suo tempo. Bianca gli chiede quindi un<br />

appuntamento, decisa ad ottenere <strong>il</strong> rispetto dei patti concordati trent’anni prima<br />

oppure morire. Fa incetta di barbiturici – cosa semplice <strong>per</strong> lei che è infermierafactotum<br />

della casa – poi trova <strong>una</strong> scusa, la più plausib<strong>il</strong>e e vola in Italia a<br />

Valmara. Il suo uomo l’aveva preavvisata che la cabinovia sarebbe stata in<br />

funzione. Avrebbe dovuto unicamente fare <strong>il</strong> biglietto, (magari avvertendo<br />

l’addetto, così senza parere, che era attesa all’Osservatorio) e scendere invece alla<br />

stazione di mezzo di Le Bocche <strong>per</strong> poi raggiungere la baita, in attesa di lui <strong>il</strong><br />

quale avrebbe dovuto, nel frattempo, portare a termine <strong>una</strong> commissione al bar<br />

ristoro di La Mira. E questo con l’aiuto di uno del locale che sta, guarda caso,<br />

accanto all’Osservatorio. E così è stato, in parte.<br />

Lasciato infatti La Mira e l’Osservatorio, <strong>il</strong> nostro uomo ridiscende a Le Bocche e<br />

raggiunge quindi la baita dove ritrova suor Giacinta. Ma anche <strong>il</strong> punto dal quale<br />

nel primo pomeriggio doveva ripartire col suo amico Belli <strong>per</strong> Cima di Caneto. A<br />

questo punto si possono ipotizzare diversi scenari.<br />

Uno scenario prevede, <strong>per</strong> esempio, che la <strong>suora</strong> abbia già inghiottito alcune<br />

p<strong>il</strong>lole ma sia ancora vig<strong>il</strong>e e combattiva. Tanto che si lancia subito all’attacco.<br />

Senza preamboli accusa l’uomo di averla voluta um<strong>il</strong>iare andando a ricercare i<br />

favori di Br<strong>una</strong>, l’inserviente della casa conosciuta chissà come. Che bisogno c’era<br />

di rientrare nella sua vita dopo tanti anni? Un odio profondo forse, covato <strong>per</strong><br />

decenni o un fatto relativamente recente a lei sconosciuto. Alle risposte reticenti<br />

di lui, lei continua im<strong>per</strong>territa ad accusarlo con sempre maggior foga fino ad<br />

arrivare a minacciarlo di denuncia <strong>per</strong> i suoi traffici da contrabbandiere. Si sa che<br />

<strong>il</strong> contrabbando oggi non è solo fatto di cioccolata o di stecche di sigarette o<br />

quadri rubati; in qualche misura anche la droga passa da quelle parti. Aggiunge<br />

poi che la sua amica Br<strong>una</strong>, con la <strong>per</strong>fidia di <strong>una</strong> professionista del crimine,<br />

aveva svolto <strong>il</strong> compito di portarla all’esas<strong>per</strong>azione, facendole <strong>per</strong>venire, <strong>una</strong> <strong>per</strong><br />

volta, le lettere che i due vecchi ultimi arrivati si erano scambiati tanti anni<br />

prima.<br />

Conoscendo la determinazione di Bianca di voler riuscire laddove gli altri<br />

fallivano, la regista (o <strong>il</strong> regista) di tutta quella messa in scena aveva provveduto a<br />

fornire a Bianca un esempio lampante della sua sconfitta: l’amore anche grande è<br />

<strong>una</strong> chimera, non esiste. Esiste solo l’egoismo. A nulla vale ricordare, a chi odia<br />

oggi, l’amore del tempo che fu. Per chi ha basato l’intera vita su un ideale, l’amore<br />

come emblema, non c’è peggior sconfitta che <strong>il</strong> dover constatare che si è lavorato<br />

e faticato <strong>per</strong> nulla. Anche l’amore più sublime, col tempo, decolora come <strong>il</strong> vino.<br />

A risolvere un intrico diffic<strong>il</strong>mente risolub<strong>il</strong>e in vita di amore e odio, di felicità e


infelicità, non rimane che aspettare l’esito più scontato: un comune finire nel<br />

nulla. Se suor Giacinta doveva saltare l’insulto, Bianca Voltolini non lo poteva. Se<br />

ne rese conto allorché, nella sua stanzetta, rinvenne un’ultima lettera, come le<br />

altre giunta lì, immaginava, al solito modo.<br />

Ma questa volta era <strong>una</strong> lettera che le apparteneva, l’unica (e anche l’ultima) che<br />

lei aveva salvato dal rogo, e che le era stata sottratta, non sapeva come. Lei si era<br />

tenuta quell’ultima lettera di lui anche se non la consolava, anzi le procurava, <strong>per</strong><br />

<strong>il</strong> suo devastante sarcasmo, <strong>una</strong> fitta al cuore tutte le volte che la riprendeva in<br />

mano. E tuttavia capace di farle rivivere un amore grande, unico, anche se finito<br />

male. Quel modo era di <strong>una</strong> crudeltà senza pari.<br />

La donna dice dunque al suo uomo di un tempo che quella lettera era stata la<br />

classica goccia a far traboccare <strong>il</strong> vaso. Ed ora lei era lì <strong>per</strong> avvertirlo che<br />

l’avrebbe denunciato, non aveva paura di niente. L’uomo a questo punto non ci<br />

vede più. Colpito nei suoi interessi e nei suoi affetti l’afferra <strong>per</strong> la gola, ma, non<br />

riuscendo a strozzarla, la trascina fuori, all’abbeveratoio. Qui le immerge a forza<br />

la testa nell’acqua fino a che non si trova tra le braccia un corpo afflosciato. La<br />

collera è stata improvvisa. Aveva previsto tutto, <strong>per</strong>fino la possib<strong>il</strong>ità che lei gli<br />

avrebbe detto cose spiacevoli. Ma non quello. Ora è fatta.<br />

Così prende <strong>il</strong> corpo senza vita e lo trascina fino alla buca, o almeno a<br />

quell’avvallamento creatosi ai bordi della buca vera e propria, dove lo seppellisce<br />

sotto uno strato di neve. Nessuno sarebbe andato a cercare la <strong>suora</strong> proprio lì.<br />

Finita l’o<strong>per</strong>a, rientra nella baita e aspetta l’amico, <strong>il</strong> Belli, col quale doveva<br />

attraversare <strong>il</strong> confine. Sarebbe stato ut<strong>il</strong>e come teste a discarico, come alibi,<br />

eventualmente ce ne fosse stato bisogno. Oppure anche come alter ego<br />

dell’assassino. Una parola valeva l’altra.<br />

Ma non basta. Il giorno dopo, temendo di non essere abbastanza schermato,<br />

ritorna su all’Osservatorio e firma nel registro dei visitatori <strong>per</strong> ribadire attraverso<br />

uno scritto che, mentre suor Giacinta moriva presso la baita, lui era da tutt’altra<br />

parte: all’Osservatorio, appunto Qualcuno in effetti aveva visto <strong>il</strong> nostro uomo in<br />

quel luogo: <strong>il</strong> ragazzo del bar, ma anche l’addetto dell’Osservatorio,<br />

eventualmente. Di mattina <strong>per</strong>ò.<br />

«Dottore, la supplico, non mi dia dell’assassino. Sono innocente e lei lo sa. Se<br />

sono venuto qui, è stato proprio <strong>per</strong> chiarire i fatti che sono apparentemente<br />

contro di me».<br />

«E allora <strong>per</strong>ché mi ha raccontato quella panzana della <strong>suora</strong> in visita<br />

all’Osservatorio? Ma le sembra logico che <strong>una</strong>, così presa dai suoi pensieri di<br />

morte, si vada a rimirare <strong>il</strong> panorama? Che insomma possa vedere…rosa?»<br />

«Mah…lei ha detto così. Forse, già mezza incosciente, si è confusa con <strong>una</strong> visita<br />

fatta chissà quando…»<br />

«No, i fatti si sono svolti diversamente. Lei doveva incontrarsi con la <strong>suora</strong>, ma<br />

non ha calcolato bene i tempi. Così, quando lei e <strong>il</strong> ragazzo del bar arrivate a<br />

Valmara alla stazione della cabinovia, trovate suor Giacinta che sta <strong>per</strong> salire. Per<br />

toglierla dall’imbarazzo, lei le mette in bocca la visita all’Osservatorio. A questo<br />

punto suor Giacinta sale con voi fino a La Mira, finge di ammirare <strong>il</strong> panorama,


idiscende quindi con la corsa successiva <strong>per</strong> avviarsi alla baita dove, come<br />

d’accordo, avrebbe atteso lei, Pizzul.<br />

Lei, liberatosi del ragazzo del bar, ritorna a sua volta a Le Bocche.<br />

Perpetrato <strong>il</strong> delitto, rimaneva da <strong>per</strong>fezionare la messa in scena con la firma. Ma<br />

a questo pensa <strong>il</strong> giorno dopo, a mente fredda. La firma infatti è l’ultima in fondo<br />

alla pagina del 15 marzo. Da notare che i biglietti staccati quel giorno, presso la<br />

stazione della cabinovia di Valmara, sono soltanto quattro; mentre le firme sul<br />

registro dell’Osservatorio sono molte di più. Evidentemente i visitatori sono<br />

arrivati dalla Piana di Vigezzo e non da Valmara con la cabinovia, ancora guasta<br />

<strong>per</strong> i più.<br />

Quindi quel giorno oltre suor Giacinta solo voi tre – lei, Pizzul, <strong>il</strong> ragazzo e <strong>il</strong> Belli<br />

– avete ut<strong>il</strong>izzato la cabinovia, non altri. E la firma sul registro, a questo punto, è<br />

quasi un elemento a carico. Lei infatti non ne parla».<br />

«Dottore, le ripeto, sono innocente. Ci sarà pure un modo <strong>per</strong> dimostrarlo».<br />

«Non vorrà mica farmi credere che non è la sua la firma sul registro».<br />

«No, dottore, quella è mia. Forse ho commesso <strong>una</strong> leggerezza, un’imprudenza<br />

im<strong>per</strong>donab<strong>il</strong>e. Ma ho avuto paura…dopo, ed ho creduto di tutelarmi con<br />

quella…ma <strong>per</strong> <strong>il</strong> resto non c’entro. Lo giuro».<br />

«Via, Pizzul, non servono i giuramenti. Non siamo in trib<strong>una</strong>le. Con questi<br />

discorsi a ruota libera lei corre dei rischi. Doveva scegliersi un buon avvocato<br />

invece di venire qua, in casa…di questa signora. Un’ulteriore imprudenza, Pizzul».<br />

«Visto che mi chiamate in causa, mi intrometto». Era Flavia infatti. Il tono della<br />

voce era deciso, ma sembrava esserlo solo <strong>per</strong> Boccia <strong>il</strong> quale <strong>per</strong> l’appunto<br />

rimase infastidito <strong>per</strong> l’intromissione. Preferì tuttavia lasciar <strong>per</strong>dere al pensiero<br />

che Flavia voleva forse, con <strong>il</strong> suo intervento, scacciare quell’atmosfera di sospetto<br />

e di accuse diffic<strong>il</strong>mente confutab<strong>il</strong>i. Quando invece lei avvertiva <strong>una</strong><br />

partecipazione del cuore così sott<strong>il</strong>e e coinvolgente che meritava di essere presa in<br />

considerazione.<br />

«Lei, Pizzul» riprese Flavia «ha detto che alla fine, <strong>per</strong> paura del Belli, ha sepolto <strong>il</strong><br />

corpo di Bianca. Non ha detto <strong>per</strong>ò come lo ha fatto».<br />

«Non so…non mi ricordo. Che importanza può avere…<strong>il</strong> come…E poi l’ho detto:<br />

l’ho co<strong>per</strong>ta con la neve».<br />

«Sì, ma prima che ha fatto? »<br />

«Signorina, proprio non mi ricordo. Ero sotto shock, non mi posso ricordare ora».<br />

«…Flavia, non mi sembra <strong>il</strong> caso…<strong>per</strong>metti…e poi gliel’ho già detto…Pizzul, lei è in<br />

un grosso guaio. Si cerchi un avvocato. È meglio finirla qui. In caso contrario ci<br />

potrebbero essere <strong>per</strong> lei delle sorprese…non proprio piacevoli».<br />

«Dottore, la supplico. Dirò tutto, non voglio finire sotto processo. Mi faccia altre<br />

domande. Sono pronto a rispondere, anche se lei poi non mi crede».<br />

«Pizzul, lei, venendo qua, mi ha messo in <strong>una</strong> situazione incresciosa. Lo capisce o<br />

no? Non dovevo <strong>per</strong>metterle di entrare. No, non doveva proprio entrare…Ma mi<br />

tolga <strong>una</strong> curiosità, ininfluente nel contesto: <strong>per</strong>ché ha preso le boccette dei<br />

barbiturici lasciando lì su posto le scatole con lo zaino? Lo zaino, d’accordo, non<br />

lo voleva neanche far vedere. Ma le boccette, <strong>per</strong>ché se le è portate via?»<br />

«Credevo di averglielo già detto. Comunque le cose sono andate così: dopo aver<br />

sepolto <strong>il</strong> corpo ero dis<strong>per</strong>ato. Ritrovarla dopo tanti anni e <strong>per</strong>derla subito. Mi


sembrava di essere incappato in uno di quei sogni fantastici e allucinanti che<br />

capitano agli uomini di montagna in particolari condizioni di stress. Solo che io<br />

non avevo affrontato ness<strong>una</strong> tormenta di neve, non avevo scalato ness<strong>una</strong> cima,<br />

non stavo particolarmente male…insomma niente di niente.<br />

Lei era là, irrimediab<strong>il</strong>mente <strong>per</strong>sa, morta <strong>per</strong> <strong>una</strong> assurda storia di vecchi che si<br />

odiavano. Ora non avevo davvero più nessuno scopo nella vita. Lei viva, anche<br />

lontana, anche <strong>suora</strong>, potevo ancora resistere e continuare. Ora non più.<br />

Rientrato quindi nella baita, decisi quindi di farla finita. Presi tutte le boccette<br />

s<strong>per</strong>ando che le p<strong>il</strong>lole fossero sufficienti. Non mi curai certo dei contenitori, delle<br />

scatole. Mentre stavo con le boccette in mano <strong>per</strong> ingoiare le p<strong>il</strong>lole, fui sorpreso<br />

dall’arrivo del Belli. Fui svelto a nasconderle in tasca. Il resto lo sa».<br />

«Non aveva proprio detto così, prima. Un’ultima domanda, Pizzul. Dov’è finito <strong>il</strong><br />

libretto delle preghiere? Suor Giacinta lo portava sempre con sé. Ma sul posto<br />

non è stato rinvenuto. Nello zaino non c’era nient’altro che quelle maledette<br />

scatole».<br />

«Dottore, sul mio onore: non l’ho mai visto, e quindi non l’ho preso. L’avrà avuto<br />

in tasca».<br />

«Pizzul, forse ci vedremo in Corte d’Assise. Tutto depone a suo sfavore. Lei ha<br />

parlato, ma non mi ha convinto. Arrivederci, Pizzul. Flavia, vuoi fare la cortesia<br />

di accompagnare <strong>il</strong> signore alla porta?»<br />

«Non s’incomodi. Conosco la strada. Ripeto, dottore. Lei si sbaglia di grosso».<br />

«Magari fosse così. Vorrei essere <strong>il</strong> primo a riconoscerlo. Noi oggi non ci siamo<br />

visti, intesi? È meglio <strong>per</strong> lei che si presenti alla polizia cantonale…E con<br />

l’avvocato».<br />

Pizzul era furente. Mentre lasciava la casa di Flavia, si dava pacche in testa. Che<br />

stupido! Aveva creduto, giocando d’anticipo e confidando sul fattore sorpresa, di<br />

risolvere i suoi problemi. Quella testa dura di magistrato italiano non lo aveva<br />

invece creduto.<br />

«L’hai trattato un po’ bruscamente» disse Flavia al suo uomo non appena la porta<br />

si fu richiusa alle spalle di Pizzul.<br />

«Per tutti i diavoli! Mi ha cacciato in un bel pasticcio, altro che storie».<br />

«Eppure mi sembra innocente».<br />

«Innocente un corno».<br />

«Eppure…senti, un assassino freddo, duro che prepara un delitto con <strong>una</strong><br />

minuzia di dettagli come tu supponi, non avrebbe avuto l'ingenuità di mettere<br />

quella firma».<br />

«Gli assassini, <strong>per</strong> fort<strong>una</strong>, non sempre sono assassini intelligenti, e coerenti<br />

soprattutto. Anche se la lettera dà prova, <strong>per</strong> la verità, di <strong>una</strong> capacità non<br />

comune di scrittura, insomma è di un livello non proprio basso. Tuttavia come si<br />

possono accettare <strong>per</strong> vere e casuali tutte quelle coincidenze:<br />

lei che vuole suicidarsi e viene in Italia. Guarda caso, prende un sentiero battuto<br />

dagli spalloni; guarda caso, incontra <strong>il</strong> suo antico amore, dopo trent’anni e<br />

proprio mentre sta <strong>per</strong> morire. Ha <strong>il</strong> tempo <strong>per</strong>ò di raccontargli <strong>una</strong> storia di<br />

umana miseria abbastanza comune, a parte le lettere, la quale storia tuttavia,


presa nel contesto di tempo e di luogo, appare più assurda e melodrammatica che<br />

reale.<br />

Lei ha ingoiato le p<strong>il</strong>lole, ma non muore mai. Non è poi così intorpidita di mente -<br />

secondo <strong>il</strong> racconto di lui – come invece ci si potrebbe aspettare, tanto che<br />

l’esposizione va avanti spedita senza apprezzab<strong>il</strong>i intoppi…E le lettere poi? No, è<br />

tutta un’assurdità».<br />

«Francesco, hai presenti le mani? »<br />

«Della <strong>suora</strong>? Sì, e allora? »<br />

«Erano, se ben ricordo, unite ed intrecciate su un corpo che, pur nell’ansia e nella<br />

fretta, era stato ricomposto».<br />

«E con questo? »<br />

«Ma, Francesco, te l’ho già detto <strong>una</strong> volta, non sai ancora riconoscere un atto<br />

d’amore? Non credi che un assassino pensi solo a fuggire senza lasciare traccia?<br />

E questo invece che fa: <strong>per</strong>de di minuti preziosi col rischio di farsi scoprire <strong>per</strong><br />

sistemare le mani di <strong>una</strong> morta. Uccisa da lui. E magari dice anche <strong>una</strong><br />

preghiera!<br />

No, un uomo che si comporta così non è un assassino. È <strong>una</strong> vittima, lasciatelo<br />

dire. Non sarà stata lei piuttosto a progettare quel simpatico finale?»<br />

«Ma, Flavia, che dici!? »<br />

«Sì, un’<strong>ipotesi</strong>».<br />

«Un’altra!? »<br />

«Be’, sì un’altra.<br />

Lei si farà trovare in un posto che sa crocevia dei traffici degli spalloni. Per<br />

minacciarlo nel caso non voglia lasciare Br<strong>una</strong> che la tormenta. È decisa a morire<br />

pur di non soccombere alla rivale più giovane che la fa impazzire. La storia dei<br />

due vecchi non fa altro che approfondire l’angoscia e forse anche l’esaurimento<br />

nervoso dovuto allo stress del lavoro e a quella sostanziale infelicità che la<br />

attanaglia in <strong>una</strong> morsa senza scampo. L’amore è un’<strong>il</strong>lusione tremenda,<br />

diabolica; sia quello terreno che quello etereo, spirituale, volto all’assoluto, a un<br />

Dio sempre più lontano. Delusione, delusione di <strong>una</strong> vita sbagliata. Delusione sì,<br />

ma anche rabbia, e soprattutto gelosia. Di <strong>una</strong> più giovane, di <strong>una</strong> che si è<br />

<strong>per</strong>messa di flirtare con quello che dopotutto è stato l’unico uomo della sua vita.<br />

Anche se l’ha dimenticato, ha tenuto <strong>una</strong> sua lettera: l’unica lettera (e ultima).<br />

Br<strong>una</strong> ha sottratto le lettere dei due vecchi e con quelle l’unica di Pizzul che le era<br />

rimasta, la ‘sua’.<br />

Allora lei si sente <strong>per</strong>duta. Nel baratro coinvolgerà anche l’altra, se risulterà che<br />

in qualche modo lui è implicato in <strong>una</strong> morte non molto chiara. Poteva anche<br />

lasciarla in pace, poteva limitarsi a cercare <strong>una</strong> donna da qualche altra parte.<br />

Mette dunque in atto questo disegno. Si fa trovare come <strong>per</strong> caso, la storia dei<br />

due vecchi serve <strong>per</strong> impietosire, <strong>per</strong> addolcire un animo già disponib<strong>il</strong>e <strong>per</strong>ché<br />

l’antico amore non era morto, era rimasto a covare sotto la cenere. Del resto è lei<br />

che lo ha lasciato. Solo alla fine del racconto gli dice che si è avvelenata con i<br />

barbiturici e l’alcol. Lui quasi muore <strong>per</strong> <strong>il</strong> dolore e la paura del Belli in arrivo.<br />

Ma inconsciamente - infatti non lo ricorda neppure – prima di ricoprirlo con la<br />

neve adagia e ricompone <strong>il</strong> corpo. Le mani giunte sono <strong>il</strong> sig<strong>il</strong>lo di quello che,<br />

anche nella morte, è <strong>il</strong> suo sentimento mai sopito.


No, Francesco, non è un assassino…ma un uomo che ha molto amato: la natura<br />

prima e quella creatura dopo, con la forza e intensità che solo un uomo della<br />

montagna può sentire dentro di sé. Il sublime, ecco un sentimento diffic<strong>il</strong>mente<br />

comparab<strong>il</strong>e con altri sentimenti più terreni, più usuali e vicini a noi gente di<br />

città. Non hai forse ascoltato come si è infervorato nel raccontare ciò che vedeva<br />

davanti a sé nel tragitto dalla stazione di Le Bocche fino alla baita? Ti sembra <strong>il</strong><br />

modo di parlare di un truce assassino?<br />

Povero Francesco, sei sprecato a fare <strong>il</strong> magistrato! Puoi fare <strong>il</strong> commerciante, o <strong>il</strong><br />

bottegaio. Per questo <strong>il</strong> denaro è tutto. Il sentimento sta nelle cifre della zecca. Un<br />

bottegaio».<br />

Flavia aveva finito. Lentamente, con le braccia conserte, fece qualche passo<br />

inseguendo i propri pensieri, ma <strong>per</strong> finire davanti alla finestra le cui imposte<br />

erano state come abbandonate a se stesse, a<strong>per</strong>te, dimenticate.<br />

«Se <strong>il</strong> Monte Rosa è rosa, allora <strong>il</strong> monte Rosa è colorato» uscì a dire Boccia con<br />

fare ispirato, le braccia alzate mentre sprofondava tra i cuscini dell’ampia<br />

poltrona su cui aveva tentato di sedersi».<br />

«Come dici?»<br />

«Oh, niente, un gioco di parole».<br />

«Ma credi proprio» riprese ironicamente con un certo sussiego «che io sia così<br />

ingenuo da lasciar parlare un assassino in casa tua? Ho voluto metterlo alla<br />

prova, è chiaro. Del resto qualche comportamento contraddittorio è venuto fuori.<br />

Ma non <strong>per</strong> questo posso accusarlo di omicidio. Mi mancano tuttavia alcuni<br />

riscontri prima di dichiarare chiuso <strong>il</strong> caso. Li troverò a V<strong>il</strong>la Serena».


Giovedì 15/10/…<br />

«Dottore, si accomodi. Ho qualcosa da mostrarle».<br />

La madre su<strong>per</strong>iora di V<strong>il</strong>la Serena accolse i due ospiti, Boccia e <strong>il</strong> delegato<br />

cantonale, come meglio non si poteva. Tanto che Boccia fu lì lì <strong>per</strong> insospettirsi.<br />

Perché mai suor Aspasia era così arrendevole questa volta? Cercò comunque di<br />

non far trapelare la sua meraviglia restando inflessib<strong>il</strong>e e s<strong>il</strong>enzioso fino al<br />

parlatorio dove suor Aspasia condusse i due nuovi arrivati.<br />

«Se mi scusate un attimo, torno subito» aggiunse.<br />

Boccia scambiò con <strong>il</strong> delegato uno sguardo a mostrare all’altro la sua<br />

<strong>per</strong>plessità. Ma sempre senza parlare. Suor Aspasia, come promesso, tornò subito<br />

con un libriccino in mano che porse a Boccia.<br />

«Dottore, un fatto incredib<strong>il</strong>e: abbiamo trovato <strong>il</strong> libro delle preghiere della nostra<br />

povera suor Giacinta. Incredib<strong>il</strong>e <strong>per</strong>ché ricomparso misteriosamente nella<br />

camera della morta, dopo che questa era stata ispezionata più volte, a dovere. Era<br />

rimasta vuota ultimamente. Ness<strong>una</strong> delle consorelle ha voluto infatti mettervi<br />

piede e, forse soltanto quando questo episodio spiacevole sarà completamente<br />

dimenticato, potremo riattarla <strong>per</strong> eventuali nuovi arrivi».<br />

«Madre, chi ha la chiave della camera?» chiese Boccia senza indugio.<br />

«Io naturalmente. La do ogni tanto all’inserviente <strong>per</strong> le pulizie generali. Ma lei ha<br />

giurato di non sa<strong>per</strong>ne niente».<br />

«Si può vedere questa inserviente. Si chiama Br<strong>una</strong>, vero? »<br />

«Sì, dottore. Gliela chiamo subito».<br />

La Br<strong>una</strong> evocata doveva essere dietro la porta, <strong>per</strong>ché comparve in un batter<br />

d’occhio.<br />

«Si sieda» le disse Boccia con un tratto gent<strong>il</strong>e nella voce. «Noi ci conosciamo già,<br />

non è vero? »<br />

«…»<br />

«Non deve preoccuparsi. Noi siamo qui <strong>per</strong> chiudere definitivamente <strong>il</strong> caso. Ho<br />

bisogno di conoscere soltanto due o tre cose. Prima me le dice, meglio è».<br />

«Io non c’entro, dottore» disse Br<strong>una</strong> scoppiando a piangere. «Non ho fatto niente<br />

di male» aggiunse soffiandosi <strong>il</strong> naso pieno di umori.<br />

«Lo so. Ne sono convinto voglio dire. Quando si è calmata, le faccio la domanda. È<br />

pronta? »<br />

«Sì…»<br />

«Bene. Allora, tanto <strong>per</strong> cominciare, com’era suor Giacinta negli ultimi tempi:<br />

tesa, nervosa o invece serena? Dica lei».<br />

«Oh, serena, tranqu<strong>il</strong>la, dottore. Non si tirava mai indietro. Sembrava che la fatica<br />

<strong>per</strong> lei non esistesse. E dire che mi stanco io che sono ben più giovane. Trattava i<br />

suoi vecchi con amore. Ecco, la parola giusta, con amore. Era normalissima<br />

insomma. Si lamentava unicamente degli ultimi arrivati: due vecchi, marito e<br />

moglie, un po’ bizzosi. Non riusciva a mettere pace tra loro. E <strong>per</strong> questo si<br />

sentiva in colpa…»<br />

«E quindi pregava <strong>per</strong> loro…»<br />

«Oh, certo pregava, pregava tanto. Ogni volta che loro litigavano».<br />

«Con <strong>il</strong> libriccino delle preghiere».


«Mah, penso di sì. L’aveva sempre dietro. Non se ne staccava mai».<br />

«È sicura di questo? Cioè, che non se ne staccava mai? »<br />

«…sì…»<br />

«E allora quando è partita se lo è portato dietro».<br />

«Non lo so. La sua camera l’ho rifatta io. Ma <strong>il</strong> libriccino non c’era».<br />

«Fino a pochi giorni fa…me lo ha detto suor Aspasia».<br />

«Oh, sì fino a pochi giorni fa».<br />

«E lei non ne sa niente? »<br />

«Oh, no dottore. L’ho detto anche alla madre su<strong>per</strong>iora. Io, <strong>il</strong> libriccino, non l’ho<br />

mai visto».<br />

«Cambiamo argomento. Che cosa mi sa dire di queste lettere? Le guardi<br />

attentamente».<br />

«…»<br />

«Le riconosce? Lei è turbata. Non dica che non le riconosce».<br />

«No, dottore, cioè sì le riconosco. Sono lettere…dei due vecchi. Me le sono trovate<br />

in mano <strong>il</strong> giorno del loro arrivo mentre sistemavo le loro cose nel cassetto del<br />

comò. Erano in uno scrigno di legno lavorato che nel posarlo si era a<strong>per</strong>to. Vinta<br />

dalla curiosità, le ho prese <strong>per</strong> darvi un’occhiata».<br />

«Quante erano?»<br />

«Mah, <strong>una</strong> ventina credo».<br />

«E poi? »<br />

«E poi le ho rimesse nello scrigno, dov’erano prima».<br />

«Chi sapeva dell’esistenza di queste lettere?»<br />

«…?»<br />

«Mi sembra titubante…Allora chi sapeva di queste lettere?»<br />

«Mah, <strong>una</strong> volta…<strong>una</strong> volta ne ho parlato con suor Gesuina».<br />

«Suor Gesuina!?»<br />

«Sì, mi sembra di sì…»<br />

«Ma le ha solo lette o anche…copiate, quelle lettere».<br />

«Non volevo. Fu suor Gesuina – oh, mi dispiace <strong>per</strong> suor Gesuina! – che me lo<br />

suggerì un giorno. “Copiale”, disse, “visto che ti piacciono tanto”. Ho fatto male? »<br />

«…copiate a macchina?»<br />

«A…mano, dottore, a mano. A macchina non so scrivere».<br />

«Tutte a mano?»<br />

«Be’, solo <strong>una</strong> in verità. Le altre, <strong>per</strong> far prima, le ho fotocopiate. Avevo ricopiato a<br />

mano la prima di quattro lettere, ma suor Gesuina…»<br />

«…le disse che ci sarebbe voluto troppo tempo. Quando invece era disponib<strong>il</strong>e la<br />

fotocopiatrice della cartoleria che c’è in piazza. E con modica spesa. Anzi, già che<br />

c’era, poteva fotocopiare tutte le quattro lettere compresa quella che lei, Br<strong>una</strong>,<br />

aveva già copiata. Suor Gesuina, stava <strong>per</strong> l’appunto uscendo <strong>per</strong> fare <strong>una</strong><br />

fotocopia (in quel momento aveva un foglio in mano). Avrebbe provveduto lei<br />

stessa - le disse- , più pratica della fotocopiatrice».<br />

«…sì,…ma come…»<br />

«Oh, semplice ragionamento. Ma mi dica un’ultima cosa: <strong>per</strong>ché, nel ricopiare<br />

quell’unica lettera, all’inizio, al ‘cara B.’ Non ha scritto <strong>il</strong> nome <strong>per</strong> intero? »<br />

«…<strong>per</strong> far prima…»


«Già, Benedetta era un nome troppo lungo da scrivere, vero? Può andare. Dica a<br />

suor Aspasia se mi può mandare suor Gesuina».<br />

«Come desidera, dottore».<br />

«Ah, senta, Br<strong>una</strong>. Voglio regalare dei fiori, quelli di campo. Le piacciono i fiori? »<br />

«Oh, sì, dottore».<br />

«Anche i crochi? Sa, quei fiori dalla corolla bianca-violacea. Sono molto comuni<br />

qui, sulle Alpi. Li conosce? »<br />

«Sì, certo. Fioriscono subito dopo lo scioglimento della neve. Sì, mi piacciono<br />

molto anche <strong>per</strong> questo: <strong>per</strong>ché annunciano la primavera. Ma ora non è…nella<br />

serra comunque…se vuole…»<br />

«Oh, non importa. Grazie, Br<strong>una</strong>. Chieda alla madre su<strong>per</strong>iora se può mandarmi<br />

suor Gesuina».<br />

Br<strong>una</strong> uscì dal parlatorio. Boccia allora ne approfittò <strong>per</strong> dire due parole<br />

all’orecchio del delegato cantonale, <strong>il</strong> quale rispose con cenno di assenso. In quel<br />

momento entrò suor Gesuina la quale fissò subito dritto negli occhi <strong>il</strong> suo<br />

interlocutore.<br />

«S’accomodi, suor Gesuina. A proposito lei si chiama…»<br />

«Rosa Schulz».<br />

«Bene. Chi è venuto a chiamarla poco fa? »<br />

«La madre su<strong>per</strong>iora».<br />

«Ma lei sapeva…che eravamo qui? »<br />

«No, ero nella mia camera…. Stavo…quando è entrata la madre su<strong>per</strong>iora. M’ha<br />

detto che lei era qui e che mi voleva parlare».<br />

«E lei naturalmente si è precipitata giù…»<br />

«No, la mia camera è al piano terreno. Su c’è la cappella».<br />

«Va bene. Allora lei è corsa qui…»<br />

A questo punto Boccia scambiò un’occhiata d’intesa col delegato <strong>il</strong> quale chiese di<br />

potersi assentare un attimo. Si alzò dunque e uscì.<br />

«È meglio che aspettiamo. Qui, al Canton Ticino, è lui che comanda. Per curiosità,<br />

lei di dov’è? Qui, tra le carte, non ho trovato…»<br />

«Di Zurigo, dottore. Quando <strong>per</strong>ò è stato necessario, la casa madre mi ha<br />

mandata qui a Magadino. Noi, si sa, abbiamo l’obbligo dell’obbedienza…»<br />

«…e di dire la verità, immagino. Oh, ecco di ritorno <strong>il</strong> nostro delegato. Che cosa ha<br />

in mano? »<br />

Dal delegato Boccia si fece consegnare un foglio di carta. Lesse e controllò.<br />

«Suor Gesuina, stavamo appunto dicendo che lei ha l’obbligo dell’obbedienza e…di<br />

dire la verità, aggiungo io. Le riconosce queste lettere? »<br />

«No, dottore. Non sono mie».<br />

«Giusto. Quel che giusto è giusto. Delegato, lei che ne pensa? Possiamo chiamare<br />

la madre su<strong>per</strong>iora? Forse è meglio, vero?»<br />

Avvisata, suor Aspasia comparve subito.<br />

«Mi ha chiamata, dottore? »<br />

«Sì, madre. Volevo che lei controllasse questi due pezzi di carta. Vede, questa è<br />

<strong>una</strong> busta con l’indirizzo scritto a macchina, e questo <strong>il</strong> foglio stropicciato, scritto<br />

sempre a macchina. Vede come le A e le P maiuscole calano allo stesso modo? »


«In effetti, dottore, sembrano scritte…con la stessa macchina».<br />

«Allora veda, madre. Questa busta conteneva <strong>una</strong> lettera scritta cinquant’anni fa<br />

da uno dei due vecchi, gli ultimi arrivati. E questo foglio è stato pure scritto…con<br />

la stessa macchina, come lei ha convenuto. Ma cinque minuti fa…e da suor<br />

Gesuina».<br />

«Che vuol dire, dottore? Non capisco. Il foglio, è vero, l’ho preso poco fa su<br />

indicazione del delegato nella camera di suor Gesuina, dentro <strong>il</strong> cestino dei rifiuti.<br />

Ma ugualmente non capisco».<br />

«Sarà meglio che la nostra Rosa, maestra nel pungere, ci dia anche <strong>il</strong> resto del<br />

fiore. Non trova? »<br />

E qui è diffic<strong>il</strong>e descrivere la scena di dis<strong>per</strong>azione di suor Gesuina. Piegata in<br />

due con le mani sul viso, piangeva e si raccomandava a Dio con frasi smozzicate e<br />

frante.<br />

Dopo molto piangere e lamentarsi; dopo essersi asciugata con un enorme<br />

fazzoletto tratto di tasca tutte le lacrime, suor Gesuina, rivolta a suor Aspasia,<br />

lentamente cominciò a parlare:<br />

«Madre, mi <strong>per</strong>doni e mi aiuti. Mi aiuti anche lei, dottore, se può. Le lettere me le<br />

diede Br<strong>una</strong> un giorno. Ma senza malizia. Voleva che le leggessi.<br />

“Sono bellissime”, mi disse, “le legga anche lei”.<br />

E così le ho lette e…mi sono <strong>per</strong>duta. Negli ultimi tempi - ora posso dirlo - suor<br />

Giacinta era impazzita, di gelosia. Sì, di gelosia. Era gelosa di Br<strong>una</strong>. La quale<br />

aveva un uomo a Locarno che qui non si è mai fatto vedere. Un uomo più vecchio<br />

di lei, un certo Donato Pizzul. Questo Donato…Oh, madre, quante cose non sa<br />

lei!…Questo Donato era stato, tanti anni fa, anche l’amante suor Giacinta, cioè di<br />

Bianca all’epoca, la quale <strong>per</strong>ò l’aveva lasciato anche se ne era innamorata pazza.<br />

Tant’è vero che aveva bruciato tutte le sue lettere tranne <strong>una</strong>, l’ultima. L’avevo<br />

sco<strong>per</strong>ta <strong>una</strong> volta in giardino mentre la leggeva di nascosto. Suor Giacinta mi<br />

fece giurare che non avrei rivelato a nessuno questa sua debolezza. Sì, <strong>per</strong>ché<br />

diceva che quando dubitava di tutto si rifugiava a leggere quell’unica lettera, dalla<br />

carta ormai consunta, <strong>una</strong> due cento volte. Un amore vero non può mai morire.<br />

Negli ultimi tempi – devo dire - la sua infatuazione era arrivata al punto da<br />

vaneggiare a volte e <strong>per</strong>fino – col suo <strong>per</strong>messo, madre - …bestemmiare.<br />

Confondeva l’amore sublime del Cristo con quello dell’uomo…Era comunque<br />

certa, assolutamente certa – io direi fanaticamente certa - che l’amore non si può<br />

smentire, non può morire.<br />

E così, quando ho visto in mano a suor Giacinta quella lettera… ho capito che<br />

avevo un’occasione unica di dimostrare la sua stupidità e, insieme, la stupidità di<br />

Br<strong>una</strong> che credeva ancora nelle favole. Nell’amore di un uomo più vecchio di lei di<br />

vent’anni.<br />

Dissi dunque a Br<strong>una</strong> che avevo sco<strong>per</strong>to <strong>una</strong> cosa davvero preoccupante: suor<br />

Giacinta stava male, molto male. E questo a causa di <strong>una</strong> vecchia lettera d’amore<br />

che la stava allontanando da Dio e dagli uomini. Suor Giacinta – l’avevo vista in<br />

cappella - teneva questa lettera come un santino in mezzo al libro delle preghiere.<br />

Non era possib<strong>il</strong>e. Loro due insieme dovevano far qualcosa <strong>per</strong> la povera suor


Giacinta. Lei aveva bisogno di qualcosa di bello, rasserenante. Magari qualche bel<br />

libro edificante sulla vita dei santi o delle sante. Ce ne sono tanti oggi. Certo,<br />

anche quelle lettere d’amore dei due vecchi che lei, Br<strong>una</strong>, le aveva fatto leggere<br />

ultimamente potevano andare. Non erano proprio edificanti come le vite dei santi,<br />

ma belle. Vere soprattutto, piene di sentimento, di quel sentimento che c’era un<br />

tempo e che ora non c’è più, o <strong>per</strong>lomeno non lo si legge più nelle lettere. Forse<br />

suor Giacinta, se le avesse lette, si sarebbe ripresa dalla sua infatuazione e anche<br />

la sua salute se ne sarebbe giovata.<br />

Br<strong>una</strong> rimase in dubbio in un primo momento temendo anche di essere incolpata<br />

di tutto. La rassicurai, non c’era niente di cui preoccuparsi. Alla fine si convinse<br />

che suor Giacinta aveva davvero bisogno di aiuto. Solo dopo ho saputo dalla<br />

stessa Br<strong>una</strong> che c’era riuscita. Mi disse anche come, in un modo un po’<br />

originale, direi: non tutte insieme, ma <strong>una</strong> alla volta. Aveva messo quelle lettere in<br />

tempi diversi – disse – <strong>per</strong>ché aveva pensato che quello fosse <strong>il</strong> modo più adatto<br />

<strong>per</strong> suor Giacinta. E invece, purtroppo, è successo quel che è successo».<br />

«Ma <strong>per</strong>ché, dopo <strong>il</strong> fatto, inviare quelle cinque lettere a me?»<br />

«Br<strong>una</strong> dopo la morte di suor Giacinta si sentiva in colpa. Le aveva subito<br />

recu<strong>per</strong>ate e voleva distruggerle. Le suggerii invece di darle o inviarle, con l’aiuto<br />

di Pizzul, a chi di dovere. In fin dei conti non aveva ucciso lei suor Giacinta, e<br />

quindi <strong>per</strong>ché temere. Ma non ne volle sa<strong>per</strong>e. Ora aveva paura di tutto. Mi diede<br />

le lettere raccomandandomi di bruciarle al posto suo. Lei non ne aveva la forza.<br />

Non le bruciai. Mi sembrava un peccato. Me le tenni così <strong>per</strong> un po’ di tempo. Poi<br />

cominciai anch’io ad avere dei dubbi. Forse era <strong>il</strong> caso di farle avere a chi si<br />

interessava al caso. E così feci. E così sbagliai».<br />

«Ma mi sono state recapitate in tempi diversi, e anche a mano. Come è possib<strong>il</strong>e?»<br />

«Dopo la scomparsa di suor Giacinta, <strong>il</strong> compito di guidare la macchina era<br />

toccato a me. Per questo avevo <strong>una</strong> certa libertà. Quando andavo a far provviste<br />

al mercato generale di Locarno, incontravo sempre un uomo molto gent<strong>il</strong>e, un<br />

camionista, <strong>il</strong> quale, in buona fede, quando andava a Ginevra passando <strong>per</strong><br />

Domodossola, provvedeva a imbucare o a far recapitare le lettere che gli<br />

consegnavo. “Così risparmio nei bolli”, gli dicevo. Lo feci, senza pensarci, al modo<br />

di Br<strong>una</strong>».<br />

«Mi tolga <strong>una</strong> curiosità, suor Gesuina: <strong>per</strong>ché Br<strong>una</strong> non le ha dato da<br />

fotocopiare anche l’unica ‘vera’ lettera mandata da Pizzul a Bianca? In fondo era<br />

<strong>una</strong> vecchia lettera d’amore come le altre, non trova? »<br />

«…»<br />

«Non risponde? Fotocopiare <strong>una</strong> lettera non è un delitto, o no?»<br />

«…»<br />

«Un’ultima cosa. Ha mai avuto tra le mani, oltre quella lettera, <strong>il</strong> libretto delle<br />

preghiere di suor Giacinta?»<br />

«…»<br />

«Anche stavolta non risponde?»<br />

«Dottore, lei mi confonde. Non sono abituata agli interrogatori. Madre, anche lei<br />

mi aiuti».<br />

«In effetti, dottore» intervenne suor Aspasia «la poverina ha detto tutto quello che<br />

sapeva. Che cosa vuole da lei ancora?»


«La verità, madre, la semplice verità».<br />

«Ma l’ha già detta, la verità. Non capisco <strong>per</strong>ché insista tanto».<br />

«Forse ha ragione, madre. Be’, voglio essere gent<strong>il</strong>e con lei, suor Gesuina. Le<br />

posso offrire un bellissimo fiore di queste Alpi? È solo un po’ schiacciato, anche<br />

se non ha trent’anni».<br />

Boccia, così dicendo, sollevò la borsa di pelle che aveva tra i piedi. Poi tra le carte<br />

estrasse un timido fiore, color viola pallido. Suor Gesuina guardò e subito sbiancò<br />

in volto. Suor Aspasia fece appena in tempo ad impedirle di scivolare a terra,<br />

priva di sensi.<br />

«Ha visto che cosa ha fatto?!» urlò esas<strong>per</strong>ata la donna. «Non può interrom<strong>per</strong>e?»<br />

«Oh, sì madre, interrompo. Che dice, delegato, possiamo ritenere concluso questo<br />

interrogatorio?»<br />

«Direi di sì, dottore. Dopotutto è chiaro come <strong>il</strong> sole che suor Giacinta ha fatto<br />

tutto da sé, e nessuno, neanche <strong>il</strong> padreterno la potrà resuscitare. Le invidie e<br />

gelosie di povere donne, seppure vestite con la tonaca, non ci devono interessare».<br />

«Mi sembra giusto, delegato, anche se… Aiutiamo suor Aspasia a trasportare suor<br />

Gesuina in camera. Un corpo morto pesa parecchio».<br />

Su<strong>per</strong>ate alcune difficoltà, Suor Gesuina poté infine essere adagiata sul suo letto.<br />

I due lasciarono la stanza e quindi V<strong>il</strong>la Serena dandosi appuntamento, a<br />

Domodossola questa volta.<br />

«Francesco! Ciao! Non mi avevi detto che saresti venuto».<br />

«Flavia, mi fai entrare? Ho bisogno di stare con te. La giornata è stata dura,<br />

pesante. Allora, posso?<br />

«Certo che puoi. Sono soltanto sorpresa. Sorpresa e felice. Mentre parli ti faccio<br />

un caffè, va bene? Ecco qui c’è <strong>una</strong> poltrona, r<strong>il</strong>assati. Lascio la porta a<strong>per</strong>ta.<br />

Così ti ascolto anche dalla cucinotto».<br />

«Mi succede un fatto strano, Flavia. Quella <strong>suora</strong> mi ha stregato: morire <strong>per</strong><br />

amore, ma <strong>per</strong> l’amore degli altri. Morire <strong>per</strong> un meraviglioso amore che si è<br />

spento. Anzi che si è tramutato nell’opposto, nell’odio. Come sia possib<strong>il</strong>e questo,<br />

Dio solo lo sa. Capisci, si è ribellata. Ribellata al suo Dio che ha <strong>per</strong>messo <strong>una</strong><br />

cosa sim<strong>il</strong>e. L’amore non può finire, tanto più se è grande da prenderti tutta la<br />

vita: i pensieri, gli atti, <strong>il</strong> modo di essere. Dio non può <strong>per</strong>mettere <strong>il</strong> sacr<strong>il</strong>egio,<br />

capisci? L’unico bene che ci è rimasto su questa terra, l’unica àncora di salvezza,<br />

è l’amore, e Dio che è essenza d’amore, non può essere assolutamente indifferente<br />

a questo semplice evento: la <strong>per</strong>dita d’amore.<br />

È Harmony, vero Flavia? Io così misurato, preciso, sensib<strong>il</strong>e al dovere, ma, come<br />

dire, poco avvezzo ai sentimenti grandi, me ne sto ora qui a rif<strong>il</strong>arti un bel<br />

pistolotto sull’amore.<br />

Forse non mi riconosci, non riesci a capire come possa aver preso tanto a cuore<br />

un caso così apparentemente semplice e banale (nelle conclusioni) da farne<br />

oggetto di studio, di riflessione…di incanto, sì anche di incanto. Perché lo spirito<br />

di quella <strong>suora</strong>, in questi due mesi, mi ha regalato <strong>una</strong> emozione profonda, un<br />

incanto come dicevo.


Attraversare <strong>il</strong> lago, salire sul treno, viaggiare, scendere, di nuovo salire, stavolta<br />

verso la cima della montagna, come in un’ascesi mistica, in un incendio di<br />

sentimenti a trovare la propria purificazione là dove c’è purezza, lo spirito della<br />

montagna, la neve, l’aqu<strong>il</strong>a a rimuovere col suo <strong>fuoco</strong> <strong>il</strong> freddo dei valligiani.<br />

Andare lassù <strong>per</strong> purificarsi come dicevo, a chiedere <strong>per</strong>dono <strong>per</strong> aver assistito al<br />

declinare, corrodersi, finire– di un amore che doveva invece rimanere incorrotto,<br />

come fuori dal tempo e dallo spazio. Lassù, nelle braccia immonde del diavolo,<br />

doveva consumare <strong>il</strong> suo dramma d’anima pura, consacrata <strong>per</strong> <strong>per</strong>petrare <strong>il</strong><br />

delitto più orrendo: non credere più.<br />

Qualcuno, è vero, l’aveva instradata, preparata, vestita <strong>per</strong> l’evento, le aveva dato<br />

<strong>il</strong> movente, aveva costruito con <strong>per</strong>izia somma l’arma del delitto, con gli oggetti<br />

più semplici e più impropri – nel senso comune – <strong>per</strong> lo allo scopo: <strong>una</strong> lettera<br />

d’amore, <strong>una</strong> parola, un fiore.<br />

Lei dunque, constatato <strong>il</strong> fallimento di tutta <strong>una</strong> vita, passata nell’ostinarsi a<br />

credere che un lontano amore non ‘è un lontano’, bensì un amore e basta, ha<br />

scelto di annullarsi piuttosto che continuare ad essere testimone di un altro<br />

annullarsi, quello della sua anima».<br />

«Caro, <strong>il</strong> caffè si fredda».<br />

«Ah, sì sì…Ed io così stupido a pensare al delitto, alla soppressione di <strong>una</strong> vita, di<br />

un corpo, quando era un’anima che dovevo cercare. Magari un’anima <strong>per</strong>duta,<br />

ma un’anima. E non capivo. Oh, non capivo proprio. Ma non capivo <strong>per</strong>ché non<br />

sapevo che cos’è...».<br />

«…un atto d’amore. Certo. Dammi un bacio».<br />

«Perché giungere le mani che hanno peccato in <strong>una</strong> posa che, al contrario, sa di<br />

preghiera, è un atto d’amore. Me lo hai fatto capire tu, Flavia, anche se anch’io<br />

l’avevo detto <strong>una</strong> volta, forse così <strong>per</strong> dire. Testardo io a cercare medici, poliziotti,<br />

<strong>per</strong>izie e prove. Il sig<strong>il</strong>lo sta in un atto etereo, non visib<strong>il</strong>e, non immediatamente<br />

comprensib<strong>il</strong>e».<br />

«Caro, r<strong>il</strong>assati. Io sono qui».<br />

«M’accorgo di aver dato troppa importanza alle cose. E questo <strong>per</strong>ché le cose si<br />

vedono, si tastano, si hanno. Le cose sono nostre e guai a chi ce le tocca. Morire<br />

piuttosto, uccidere piuttosto. Geniale e mistificante – vero? – questa religione<br />

assurda dell’avere? Sacerdoti quei signori eccellenti che accumulano, investono in<br />

borsa, nel mattone, nelle imprese più disparate; sacerdotesse quelle signore dai<br />

cappelli firmati, vestiti firmati, copripancia firmati, possedute dalle cose più che<br />

possederle.<br />

Anch’io naturalmente mi metto nel conto. Anche se ora riesco a supporre un<br />

sentimento, un modo di essere diverso. Anch’io – lo confesso - tengo troppo alle<br />

cose. A quella mia grande scrivania di noce chiaro, o a quel mio computer nuovo<br />

di zecca. Una mistica – questa delle macchine (elettroniche e non) con i suoi riti e<br />

<strong>il</strong> suo lessico - che mi è entrata nel sangue da poco, come un veleno. Una<br />

macchina pur sempre, ma con <strong>una</strong> sua <strong>per</strong>versa, tentacolare capacità di simbolo:<br />

<strong>il</strong> potere».<br />

«Caro, andiamo di là…».<br />

«…E cos’ho ottenuto? Che <strong>una</strong> piccola <strong>suora</strong> mi ha svelato qual è la pena più<br />

grande. Un’altra <strong>suora</strong>, ancora più piccola, mi ha giocato fino all’incredib<strong>il</strong>e con


un gioco sapiente e satanico, quello delle lettere, insegnandomi la modestia: non<br />

credere troppo alla giustezza delle conclusioni scaturite dalla tua infallib<strong>il</strong>e<br />

intelligenza. Un nemico lo si deve temere, e non sottovalutare, fino al momento in<br />

cui lo si può ritenere vinto. Ho supposto troppo di me stesso, Flavia. Anche se<br />

poi, alla fine, posso ritenermi soddisfatto di come si sono messe le cose…»<br />

«Le cose si mettono benissimo, ora <strong>per</strong> te. Perché ora sei qui con me, al caldo, nel<br />

mio letto, col mio corpo che desidera <strong>il</strong> tuo. Le cose si metteranno ancor meglio se<br />

tu vorrai lasciare al suo destino <strong>una</strong> <strong>suora</strong> che <strong>per</strong> due mesi ti ha sottratto a me.<br />

Sgombra la tua mente dai pensieri, spiana la fronte e dimmi che mi ami. Perché<br />

io te lo sto dicendo da mesi. Ma tu mi ignori. Sei duro, cinico (l’hai detto tu). Sei<br />

anche ingrassato <strong>per</strong> quel tuo darti ai piaceri della tavola e del letto…delle altre.<br />

Mangiare, dormire e…Vedi tu se puoi completare la frase. Accarezzami.<br />

Hai presente Isola Grande e Isolina? Bene, in mezzo c’è lo scoglio che sai. Ora<br />

quelle isole siamo noi…C’è <strong>il</strong> Valmaggino che ci accarezza. Ci sono le piante, i<br />

fiori. Io dico che potremmo essere anche cose, non credi? Isole o anche semplici<br />

sassi. Sassi che stanno vicini <strong>per</strong>ò… Mi piace qualche volta, sognare, fantasticare.<br />

Sono <strong>una</strong> montagna – pronta… <strong>per</strong> fantastici sci. Oppure sono Isolina –<br />

<strong>per</strong>corsa…dal Valmaggino. O ancora un albero. Il mio albero è ora gravido di<br />

frutti maturi. Tu farai bene a coglierne <strong>il</strong> frutto più dolce. Non ce ne sarà un altro<br />

– mai, capito? - sim<strong>il</strong>e a questo…»<br />

«Tutto può essere, ma può finire presto…»<br />

«…annullerò la tua sofferenza. Ma ora taci. Il s<strong>il</strong>enzio, in certi momenti, vale di<br />

più. Il s<strong>il</strong>enzio… canta».


Lunedì 19/10…<br />

Quello che doveva essere, secondo i piani di Boccia, un episodio marginale era<br />

divenuto, al contrario, centrale <strong>per</strong> la sua vita. In due giorni infatti tutto <strong>il</strong> suo<br />

essere, amante del piacere e delle belle donne, aveva cambiato colore e<br />

dimensione fino ad invadere i pensieri ed i ragionamenti dedicati <strong>per</strong> solito<br />

all’ufficio. Si era insomma innamorato. E questo suo stato di euforia si propagava<br />

di pensiero in pensiero mentre, ora, lì in ufficio, stava ad aspettare che<br />

arrivassero Bas<strong>il</strong>e e <strong>il</strong> delegato svizzero <strong>per</strong> chiudere definitivamente quelle<br />

indagini che lo avevano tanto preso negli ultimi tempi.<br />

Era in questa attesa dunque, mollemente allungato sulla poltrona reclinab<strong>il</strong>e,<br />

quando si sorprese a rievocare le piacevoli sensazioni della sera prima, a<br />

cominciare dai giochi amorosi con Flavia <strong>per</strong> finire ai giochi di luce in treno, al<br />

ritorno da Locarno. La serata con Flavia era stata, in <strong>una</strong> parola, memorab<strong>il</strong>e. E<br />

dire che un tempo lei non gli era sembrata fisicamente irresistib<strong>il</strong>e, mentre ora<br />

minacciava <strong>per</strong> davvero la sua libertà di scapolo impenitente. Quanto ai giochi di<br />

luce, lui era di nuovo nello scompartimento vuoto a guardare fuori dal finestrino.<br />

Il treno procedeva lento nella gola del Melezzo e lassù la l<strong>una</strong> piena occhieggiava<br />

con <strong>il</strong> suo candore maculato d’ombre. Riflessa sul vetro, si mostrava beffarda e<br />

ballerina. Saliva e scendeva, usciva dal quadro e rientrava come <strong>una</strong> misteriosa<br />

palla che qualche pazzerellone fuori si divertiva a catapultare verso l’alto. La fata<br />

di Petèl, la bellissima fanciulla dalla pelle… bianca come la neve.<br />

Boccia si divertiva pure lui ora a immaginare da quale punto la palla-l<strong>una</strong><br />

sarebbe riapparsa, dato che <strong>una</strong> prima galleria aveva spento <strong>il</strong> riflesso. Ma eccola<br />

di nuovo apparire sulla sinistra a metà altezza, poi via via, col pencolare del<br />

treno, salire, scendere, saltellare sul tetto di <strong>una</strong> casa di Re, di Malesco o di<br />

S.Maria Maggiore, sfiorando un comignolo, precipitando inopinatamente in basso<br />

<strong>per</strong> poi risalire in cima a un campan<strong>il</strong>e e lì restarvi definitivamente appesa nel<br />

momento stesso in cui <strong>il</strong> treno si fermava. Un bambino, un bambino felice.<br />

«È <strong>per</strong>messo?»<br />

Boccia saltò sulla poltrona in cui era finalmente sdraiato <strong>per</strong> metà. Aveva<br />

dimenticato completamente data e ora e ragione del suo essere lì, in quell’ufficio,<br />

a fare <strong>il</strong> suo mestiere, a svolgere un compito. Oltretutto, era stato lui a dare<br />

l’appuntamento: lunedì 19 ottobre alle ore 10.<br />

Come era stato possib<strong>il</strong>e allora farsi sorprendere a sognare così, a giocare<br />

addirittura, quando c’era ben altro da fare?<br />

Boccia allora, da bravo magistrato qual era, riconsiderò <strong>il</strong> tutto in un attimo,<br />

riprese terra sui problemi in sospeso. Ma soprattutto fissò la sua attenzione sul<br />

caso <strong>per</strong> <strong>il</strong> quale due ottime <strong>per</strong>sone, Bas<strong>il</strong>e e <strong>il</strong> delegato, si erano spostate dagli<br />

abituali luoghi di residenza fin lì con <strong>il</strong> solo giusto e onesto proposito di dare <strong>il</strong><br />

proprio contributo di conoscenza e intelligenza, riassumere e conchiudere <strong>il</strong> caso<br />

<strong>per</strong> <strong>il</strong> quale, tra annessi e connessi, si era già andati in là nel tempo.<br />

«È <strong>per</strong>messo?» chiese ancora la voce di prima.<br />

«Sì, sì, come no, accomodatevi» si affrettò a dire Boccia, alzandosi in piedi e<br />

andando incontro ai nuovi venuti introdotti col solito garbo da Placido.


«Ero un attimo occupato» si scusò ancora Boccia. «Accomodatevi…s<strong>per</strong>iamo di far<br />

presto».<br />

E a questo punto consultò l’orologio, come fosse in preda alla preoccupazione <strong>per</strong><br />

la mancanza di tempo <strong>per</strong> i dieci e passa processi e quindici dibattimenti. Si<br />

sedette infine, con i due di fronte sulle poltroncine un po’ più rigide.<br />

«Allora, delegato, dove eravamo rimasti? Ah, sì alla visita a V<strong>il</strong>la Serena. Mi<br />

sembra ormai che sia tutto chiaro, non trova?»<br />

«Sì, sì. Quella povera <strong>suora</strong> ha scelto davvero <strong>una</strong> brutta fine: solitaria,<br />

probab<strong>il</strong>mente dis<strong>per</strong>ata. Si deve essere sentita inut<strong>il</strong>e, non capita <strong>per</strong>fino dalle<br />

consorelle».<br />

‘Le streghe’, pensò Boccia, ma non lo disse. Deragliò comunque, con uno scarto,<br />

dalla via intrapresa:<br />

«Sa, delegato, che cosa mi è capitato stamani mentre venivo in ufficio? In piazza,<br />

qui sotto, c’è sempre qualche ambulante. Ebbene, stamani mi è venuto l’uzzolo di<br />

comprare dei fiori, io che non ne compro mai. Ho preso dunque un mazzo di<br />

nigritelle, quelle che vede lì. Stavo <strong>per</strong> andarmene dopo aver pagato, quando la<br />

vecchia fioraia mi fa:<br />

’Giovanotto, sa cos’ha comprato? Fiori che le streghe usano <strong>per</strong> rendere ster<strong>il</strong>i gli<br />

uomini. Il bulbo, quando è pieno di umore, è chiamato ‘la mano di Dio’, quando è<br />

secco ‘la mano del diavolo’. E mi guardava con due occhi furfanti, tesi a recepire<br />

l’effetto delle parole.<br />

“Ma voi,” ho detto io, “in queste valli non fate altro che parlare di streghe, diavoli<br />

e così via?”<br />

“Eh, eh,” ha ridacchiato lei, “caro signore, qui le streghe sono di casa, non lo sa?<br />

In Pian di Strì, sotto quel monte che vede là”, e qui ha alzato <strong>il</strong> braccio <strong>per</strong><br />

indicare <strong>il</strong> monte “si riuniscono ogni notte…almeno così dicono…”<br />

Io sono quasi scappato inf<strong>il</strong>andomi svelto nel portone del palazzo. Il cornetto…lei,<br />

Bas<strong>il</strong>e, mi capisce, vero?<br />

Ma torniamo a noi. Dicevamo? Ah, sì le consorelle. Forse non l’hanno aiutata, e la<br />

povera suor Giacinta si è sentita <strong>per</strong>duta. Bene, delegato, se mi firma questo<br />

verbale, chiudiamo <strong>il</strong> caso».<br />

Il delegato firmò senza colpo ferire secondo la richiesta di Boccia. Poi, come era<br />

venuto, se ne andò.<br />

«Bel tipo, vero dottore?» disse Bas<strong>il</strong>e, appena l’uomo si fu involato al di là della<br />

porta.<br />

«Sì, freddo, molto freddo. Sembrava che non gli importasse niente, della <strong>suora</strong> e<br />

del resto. Di come fosse morta. Per un fiore …un croco…»<br />

«Un croco?»<br />

«Sì, un croco. Era nel libretto delle preghiere».<br />

«Ah, <strong>per</strong>fetto. Dopo la lettera, <strong>il</strong> croco. Dottore, <strong>per</strong>ò non mi torna ancora un<br />

particolare. Quando feci <strong>il</strong> sopralluogo, trovai <strong>il</strong> povero corpo bocconi, a testa in<br />

giù nella buca. Quel Donato, invece, ha sostenuto di aver adagiato <strong>il</strong> corpo sulla<br />

schiena, supino. E l’ha poi co<strong>per</strong>to di neve. Come lo spiega? »<br />

«Maresciallo, come sa anche lei, la buca, profonda più o meno due metri, è <strong>il</strong><br />

risultato dello scavo preparatorio <strong>per</strong> le fondamenta, a pianta rettangolare, della<br />

nuova baita. L’area di questo rettangolo <strong>per</strong>ò, in <strong>una</strong> prima fase, è stata


impegnata in larga parte dal materiale di risulta dello scavo. I lavori si sono poi<br />

interrotti, chissà <strong>per</strong>ché. Forse <strong>per</strong> mancanza di fondi. Ebbene, <strong>il</strong> corpo è stato<br />

adagiato su quello che, prima della buca, appariva terreno franato in un<br />

avvallamento naturale. Era invece <strong>una</strong> estesa e spessa formazione di ghiaccio.<br />

Quando è venuto <strong>il</strong> caldo, questa formazione di ghiaccio si è sciolta e <strong>il</strong> corpo è<br />

sprofondato. Ma lentamente. Così lentamente che <strong>il</strong> corpo rigido com’era, pur<br />

compiendo <strong>una</strong> rotazione, ha mantenuto le mani intrecciate. Un vero rompicapo.<br />

Ho creduto nell’omicidio. Ma quelle mani intrecciate rompevano lo schema<br />

riportandomi, ogni volta, al punto di partenza.<br />

Così come un altro rompicapo è stata la carta da lettere. Ho fatto fare ricerche in<br />

questo senso. Solo recentemente <strong>per</strong>ò ho avuto la conferma che quella carta – con<br />

impressi, in f<strong>il</strong>igrana, lo stemma e la scritta ‘Draconis’- era d’epoca. E quel<br />

particolare serviva, probab<strong>il</strong>mente, a indicare che le lettere (solo le prime tre, <strong>per</strong><br />

la verità) erano originali e datate. La cancellazione della data vera e propria<br />

serviva poi a far supporre che le lettere appartenessero tutte allo stesso carteggio.<br />

Così la quarta ‘vera’ di Pizzul poteva suggerire chi andare a cercare. Peccato che<br />

quel ‘Draconis’ dimostrasse invece che quella carta era in circolazione negli anni<br />

trenta e non negli anni cinquanta. Quindi almeno tre lettere appartenevano,<br />

certamente, al carteggio della coppia di anziani.<br />

Maresciallo, le piacciono questi fiori? Li ho comprati <strong>per</strong> Flavia. Non so se le<br />

piaceranno, così violacei. Che dice, porta male? Con un fiore si possono fare tante<br />

cose: dare gioia, ma anche…»<br />

«Perché, lei crede…»<br />

«No, maresciallo, non credo. L’ha confermato anche <strong>il</strong> delegato. Ora sappiamo che<br />

è stato un suicidio. Possiamo dirlo, no?»<br />

«Oh, sì, dottore…credo proprio di sì».<br />

«Bene, allora ci possiamo salutare. La ringrazio vivamente della collaborazione. Se<br />

sarà necessario, la chiamerò. S<strong>per</strong>iamo <strong>per</strong>ò che la prossima volta non ci sia di<br />

mezzo <strong>il</strong> morto…»<br />

Così dicendo, Boccia si alzò, circumnavigò la grande scrivania, strinse la mano a<br />

Bas<strong>il</strong>e e:<br />

«Attento alle streghe» gli disse, e lo congedò definitivamente. Ritornò quindi sui<br />

suoi passi, afferrò la cornetta e compose un numero.<br />

«Ciao, cara. Sai, ho qui un regalino <strong>per</strong> te, un pensiero. Ci possiamo vedere nel<br />

pomeriggio?» Una voce rispose dall’altro capo del f<strong>il</strong>o.«Perfetto» esclamò Boccia.<br />

«Ora <strong>per</strong>ò ti devo salutare. Una telefonata, sì. Ciao, a dopo».<br />

Abbassò la cornetta e, atteso <strong>il</strong> segnale di centrale, combinò un altro numero.<br />

«Signor Procuratore, buon giorno. Sono <strong>il</strong> dottor Boccia» disse. «Volevo informarla<br />

che <strong>il</strong> caso di quella povera <strong>suora</strong>, trovata morta in montagna a ferragosto, è<br />

risolto. Dopo tutti gli accertamenti es<strong>per</strong>iti, credo che si possa decidere <strong>per</strong><br />

l’archiviazione. Un suicidio, sì, senz’ombra di dubbio. Come dice? … Certo, ci<br />

sono cose più importanti. Il suicidio di <strong>una</strong> <strong>suora</strong> è solo da cronaca locale. Al<br />

massimo, quando capita, c’è <strong>il</strong> titolo in prima pagina. Se <strong>per</strong>mette <strong>per</strong>ò, questo<br />

caso è stato un po’ speciale <strong>per</strong> me. Speciale. Davvero».<br />

FINE


PRIMA PARTE<br />

INDICE<br />

Sabato 15/08/... Notizia in cronaca di <strong>una</strong> <strong>suora</strong> trovata sui monti: suicidio o delitto.<br />

La morta è suor Giacinta, alias Bianca Voltolini<br />

Il pm Giuseppe Boccia legge <strong>il</strong> referto del medico legale.<br />

Incontro di Giuseppe Boccia con la sua amica Flavia Del Gaudio.<br />

Lunedì 17/08/… Boccia in ufficio r<strong>il</strong>egge <strong>il</strong> verbale del maresciallo<br />

dei carabinieri Antonio Bas<strong>il</strong>e.<br />

Lunedì 31/08/… Boccia in ufficio. Placido e le streghe. Prima Lettera<br />

Prima telefonata al dottor Almisano.<br />

Sabato 5/09/… Boccia in ufficio riceva la Seconda Lettera<br />

Domenica 6/09/… Prima visita a V<strong>il</strong>la Serena, Magadino.<br />

Incontro con Flavia a Locarno.<br />

Martedì 8/09/… Boccia in ufficio riceve la Terza Lettera<br />

Viaggio di Boccia a Locarno. Incontro sul treno col prof.Enzo<br />

Padova, geologo.<br />

Prima visita di Boccia alla madre di Bianca Voltolini a Russo.<br />

Giovedì 10/09/… Boccia chiede a Bas<strong>il</strong>e di effettuare un supplemento di indagine.<br />

Sabato 12/09/… Incontro di un barbone, ex spallone, con un uomo mandato da<br />

Bas<strong>il</strong>e.<br />

Lunedì 14/09/… Incontro di Bas<strong>il</strong>e con Boccia in ufficio<br />

Mercoledì 16/09/… Seconda visita a V<strong>il</strong>la Serena.<br />

Primo interrogatorio di suor Gesuina e di Br<strong>una</strong>, l’inserviente.<br />

Gita sul lago Maggiore di Boccia e Flavia. Descrizione di Flavia.<br />

SECONDA PARTE<br />

Venerdì 2/10/… Boccia in ufficio riceve la Quarta Lettera<br />

Lunedì 5/10/… Boccia in ufficio riceve la Quinta Lettera<br />

Martedì 6/10/… Discussione di Boccia con Bas<strong>il</strong>e in ufficio sul testo delle cinque<br />

lettere <strong>per</strong>venute e sulle modalità della morte di Bianca.<br />

1^ Ipotesi.<br />

Mercoledì 7/10/… Seconda visita alla madre di Bianca.<br />

Giovedì 8/10/… Terza visita a V<strong>il</strong>la Serena. Secondo interrogatorio di Br<strong>una</strong>.<br />

Venerdì 9/10/… Domande a Br<strong>una</strong> sulla piazza di Magadino (terzo incontro)<br />

Lunedì 12/10/… Arrivo dei risultati degli esami tossicologici.<br />

2^ <strong>ipotesi</strong><br />

Martedì 13/10/… 3^ <strong>ipotesi</strong><br />

4^ <strong>ipotesi</strong><br />

Mercoledì 14/10/… Irruzione di Pizzul in casa di Flavia.<br />

5^ <strong>ipotesi</strong><br />

6^ <strong>ipotesi</strong><br />

7^ <strong>ipotesi</strong><br />

Giovedì 15/10/… Quarta visita a V<strong>il</strong>la Serena. Terzo interrogatorio di Br<strong>una</strong><br />

Secondo interrogatorio di suor Gesuina<br />

Lunedì 19/10/… Boccia accoglie <strong>il</strong> delegato svizzero. Archiviazione della pratica:<br />

Terza ed ultima telefonata di Boccia al dottor Almisano.

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