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03 Manuale Cecchetti - Contrastiva

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LA COMPLESSITÀ DEL SIGNIFICATO<br />

LESSICALE NELLA TRADUZIONE<br />

LETTERARIA<br />

1. Premessa<br />

Ilide Carmignani<br />

Il titolo del convegno invita a una riflessione sulla complessità lessicale nella traduzione<br />

presupponendo una nozione condivisa del termine “complessità”. In realtà,<br />

se osservata col microscopio del traduttore, la natura della complessità lessicale si<br />

rivela sfuggente e in parte ambigua: la complessità della parola letteraria è complessità<br />

della sua articolazione formale, della sua articolazione concettuale, e del<br />

rapporto tra le forme e i contenuti comunicati dalla lingua dell’autore, ma la complessità<br />

della parola letteraria tradotta è a fortiori anche complessità del rapporto che<br />

consente la proiezione di un mondo e di una cultura in un altro mondo e in un’altra<br />

cultura per il tramite non solo delle corrispondenze fra segni linguistici, ma anche<br />

della sensibilità del traduttore. Complesso, in altri termini, non è soltanto il legame<br />

saussuriano tra significante e significato, complesso è l’intero processo semiosico,<br />

che Peirce ha articolato nella triade dinamica di Segno, Oggetto e Interpretante, con<br />

una relazione cioè che rifiuta ogni determinismo, in quanto implica la cooperazione<br />

di tre soggetti ed è irriducibile ad azioni di coppie 1 .<br />

Ma in quali modi la traduzione letteraria sviscera la complessità dell’intero processo<br />

semiosico? La traduzione innanzitutto mette in evidenza la complessità lessicale<br />

del testo fonte perché nella sua tensione a un’aderenza assoluta all’originale<br />

deve compierne un’analisi tale da portare alla luce ogni aspetto nei suoi molteplici<br />

legami con i restanti elementi. Quanto sfuggisse al traduttore in questa prima fase si<br />

convertirebbe infatti, quasi inevitabilmente, in una perdita al momento della riformulazione.<br />

Questo minuzioso studio della complessità linguistica del testo di partenza<br />

implica due fasi. Non è sufficiente sviscerare la complessità lessicale della lingua<br />

di partenza: per salvaguardare le valenze artistico-letterarie, sarà indispensabile<br />

anche mettere a fuoco l’uso personale e creativo che fa di quella lingua quel particolarissimo<br />

parlante, lo scrittore, in modo da poter restituire il suo stile senza cadere<br />

in banali interferenze.<br />

Ma analizzare la complessità di un certo testo letterario in cui gli aspetti fonologici,<br />

morfologico-sintattici e semantico-concettuali si intrecciano strettamente, in<br />

modo spesso originale e innovativo, costituendo un insieme in cui è molto difficile<br />

stabilire priorità, non è che la premessa di un nuovo lavoro di analisi lessicale, un’a-<br />

1 Vd. Merlini Barbaresi 20<strong>03</strong> e Bertuccelli Papi 20<strong>03</strong>.


2<br />

nalisi parallela di tipo contrastivo sulla lingua di arrivo. Solo così sarà possibile ipotizzare<br />

eventuali corrispondenze e compiere consapevolmente le scelte che porteranno<br />

alla riformulazione del testo nella L2.<br />

Le dissimetrie formali e concettuali fra due lingue, e cioè due culture, due realtà,<br />

rendono tuttavia impossibile un atto di perfetta equivalenza e portano il traduttore a<br />

stabilire corrispondenze niente affatto automatiche ma legate a criteri soggettivi,<br />

variabili nel tempo e sottoposti all’influenza dei fattori più diversi. Come hanno<br />

messo bene in evidenza i Descriptive Translation Studies e in particolare la cosiddetta<br />

Manipulation School, le strategie di lavoro adottate dal traduttore sono fortemente<br />

condizionate, ad esempio, dall’approccio traduttivo in voga in un determinato<br />

periodo storico, dal contesto socioculturale di arrivo, dal committente, dal prestigio<br />

dello scrittore, dalla funzione che il testo avrà all’interno del sistema in cui è<br />

destinato a collocarsi. Vi sono poi fenomeni più strettamente formali comuni a ogni<br />

traduzione, indipendentemente dalle lingue coinvolte, perché intrinseci al processo<br />

stesso di mediazione, primi fra tutti i casi di interferenza, nei confronti dei quali<br />

vegono registrati diversi gradi di tolleranza a seconda, di nuovo, della cultura ricevente<br />

e dello status del testo 2 .<br />

2. Un caso specifico: L’autunno del patriarca<br />

I. Carmignani<br />

Il corpus che userò è formato da El otoño del patriarca di Gabriel García Márquez<br />

(Plaza & Janés 1975) e dalla traduzione italiana di Enrico Cicogna, L’autunno del<br />

patriarca, data alle stampe da Feltrinelli nello stesso anno di pubblicazione dell’originale,<br />

con tempi di lavorazione quindi assai ristretti, al contrario delle edizioni<br />

inglese e francese che escono nel 1976 3 . La scelta è caduta su questo materiale per<br />

il suo particolare interesse, vista l’insolita complessità lessicale dell’opera, che<br />

prende la forma di un “monologo polifonico” 4 ricorrendo all’artifizio di una sintassi<br />

innovativa, ma soprattutto di una straordinaria ricchezza verbale; una sintassi che<br />

tende ad annullare le distinzioni fra discorso diretto, indiretto e libero indiretto 5 , e<br />

una ricchezza verbale che va dalle canzoni e dai proverbi dei Caraibi alla parodia<br />

dei diari di Cristoforo Colombo 6 o della retorica vaticana, fino a espressioni colloquiali<br />

che, come dice Márquez stesso in un’intervista, “possono capire solo i tassisti<br />

di Barranquilla” 7 .<br />

2 Per un’efficace sintesi teorica di queste problematiche vd. Garzone 2004 e 2002.<br />

3 Anche la traduzione italiana di Cent’anni di solitudine esce per prima in Europa. Commenta<br />

Cicogna: “Ho dovuto completare la versione in meno di un mese per una di quelle misteriose “necessità<br />

tecniche” di ordine squisitamente editoriale che sono alle radici dei più bei casi di “infarto da traduzione”.<br />

vd. http://www.feltrinelli.it/SchedaTesti?id_testo=1614&id_speclibro=1040)<br />

4 Raboni 1975.<br />

5 Vd. Martínez Ruiz 1979: 495-508.<br />

6 Vd. Parodi 1991-92: 109-119.<br />

7 Da un’intervista a García Márquez pubblicata su “El Manifiesto” (1977) vd. Bell-Villada 2005.<br />

A proposito della lingua del romanzo si veda il prezioso studio di Canfield (1984).


La complessità del significato lessicale nella traduzione letteraria 3<br />

L’autunno del patriarca appare però un caso interessante anche per altri motivi:<br />

la resa italiana della complessità lessicale del testo di partenza sarebbe spesso<br />

incomprensibile se non prendessimo in considerazione un elemento che, come<br />

abbiamo accennato, condiziona fortemente le scelte traduttive e cioè il tipo di ricezione<br />

che la cultura italiana dell’epoca riserva a Márquez fin da Cent’anni di solitudine<br />

(1967), subito diventato il libro culto della generazione del Sessantotto. Il<br />

cosiddetto realismo magico riscuote infatti un enorme successo presso questi nuovi<br />

lettori, che però tendono a leggere nelle opere di Márquez più l’aspetto magico di<br />

quello realistico. Scrive al riguardo Bruno Arpaia: “L’immagine di un’America latina<br />

esotica, magica, tanto vicina alle origini da confondere mito e storia, l’immagine<br />

di un mondo selvaggio e innocente come il primo giorno della creazione, appartiene<br />

[…] esclusivamente alla prospettiva occidentale, ansiosa di situare in un qualunque<br />

‘altrove’ la propria utopia realizzata” 8 . Questo sguardo parziale condizionerà<br />

inevitabilmente la traduzione italiana. Attraverso gli esempi, vedremo come continui<br />

slittamenti linguistici portino a sottolineare l’aspetto “magico” del testo e a sfumarne<br />

il “realismo”, fino a produrre nell’insieme una lettura funzionale al punto di<br />

vista della cultura di arrivo.<br />

3. La complessità lessicale<br />

Cercheremo adesso di analizzare, attraverso pochissimi esempi visto lo spazio a<br />

disposizione, la resa della complessità lessicale del testo di partenza nella traduzione<br />

italiana, esaminando quali perdite e slittamenti comportino, a livello fonologico,<br />

morfosintattico e semantico-concettuale, ora le dissimetrie formali e concettuali fra<br />

spagnolo e italiano, ora i condizionamenti di natura linguistica e culturale impliciti<br />

al processo di mediazione in sé, ora le inevitabili lacune interpretative. Inutile dire<br />

che la sovrapposizione dei fenomeni presi in esame non sempre consente di far rientrare<br />

in un’unica categoria i casi analizzati.<br />

4. Aspetti fonologici<br />

La complessità della parola letteraria è percepibile in primo luogo nella sua materialità<br />

fonica, realizzata attraverso la struttura fonologica e la dinamica soprasegmentale.<br />

Nel testo di Márquez, la composizione fonologica e il ritmo narrativo sono<br />

elementi architettonici portanti. Scrive Julio Ramón Ribeyro: “Più che un romanzo<br />

è una specie di cantata letteraria”; Ángel Rama vi coglie un ritmo da bolero, mentre<br />

Ernesto Volkening lo associa alla litania 9 . Consapevole dell’importanza delle<br />

valenze fonologiche del testo originale, Cicogna si impegna a riprodurle: non solo<br />

8 Arpaia 2004: XLV. Sull’accoglienza ricevuta dai libri di García Márquez nella cultura italiana si<br />

vedano fra gli altri Paris 1984, Varanini 1998, Tedeschi 2002-20<strong>03</strong>. In particolare, nel testo di Tedeschi,<br />

si veda una breve analisi della traduzione di Cent’anni di solitudine: 69-72, e dell’Autunno del patriarca:<br />

138-140.<br />

9 Ramón Ribeyro 1995, Volkening 1981, Rama 1981.


4<br />

I. Carmignani<br />

rispetta puntualmente la punteggiatura spagnola, gli estesi capitoli senza un solo<br />

punto a capo, i lunghi paragrafi senza punti né punti e virgola, l’assenza in tutto il<br />

romanzo di trattini e virgolette, ma giunge più volte a forzare l’italiano, piegandolo<br />

a calchi di vario tipo e producendo perdite di vario genere, pur di restituire appieno<br />

suoni e ritmi dell’originale, forzatura che d’altro canto appare funzionale anche alle<br />

strategie di intensificazione del meraviglioso. Resta forte il dubbio che alcuni calchi<br />

siano invece involontari, dovuti come dicevamo all’ingannevole affinità delle<br />

lingue 10 unita alla fretta imposta dai tempi di pubblicazione.<br />

Vediamo ora un esempio, legato alla lingua dei testi scolastici, che mette in luce<br />

come la traduzione italiana giunga addirittura a intensificare la complessità fonologica<br />

spagnola e a inserire elementi, assenti nell’originale, funzionali a una lettura<br />

“magica”. Il patriarca impara a leggere e a scrivere su queste frasi:<br />

papá coloca el tabaco en la pipa, Cecilia vende cera cerveza cebada cebolla cerezas<br />

cecina y tocino, Cecilia vende todo […] la luna en la nube, la bola y el banano, el<br />

buey de don Eloy, la bonita bata de Otilia (O 192-3)<br />

papà pela piano la pera, papà pone poco pane e pepe, Cecilia vende cera, cara carta,<br />

corta cipolla cucinata, ceci chiusi, cotiche e lardo, Cecilia vende tutto […] la luna<br />

nella nube, la biglia e il banano, il bue nel buio, la bella bibita del babbo (A 168)<br />

Il testo originale si presenta come un esercizio per l’apprendimento della b e<br />

della v, la cui pronuncia in spagnolo non è differenziata, e della c, che in America<br />

Latina, per il fenomeno del seseo, può venire scambiata con la s e la z. L’equivalente<br />

italiano potrebbe essere, ad esempio, una frase con “la c di cuore e la q di quadro”.<br />

La traduzione cerca invece di riprodurre la tessitura fonica giocando sulle allitterazioni<br />

prodotte dalle occlusive bilabiali e dalle affricate palatali sorde, e mantiene il<br />

ritmo della scansione mono e bisillabica anche a costo di inserire incongruenze<br />

semantiche assenti nell’originale, come i ceci chiusi o la corta cipolla (tentativi<br />

poco significativi di evocare la difficoltà di apprendimento dei nostri nessi ce-che,<br />

ci-chi) o termini regionalmente connotati come babbo, oltre a improprietà linguistiche<br />

che difficilmente entrerebbero a far parte di un testo scolastico come pela la<br />

pera. La scelta traduttiva sacrifica quindi una delle dimensioni di complessità del<br />

testo, cioè l’intreccio indissolubile fra iconicità sul piano espressivo e significatività<br />

sul piano del contenuto, risolvendosi in una scelta marcata e dunque abbassando il<br />

livello di naturalezza del testo di arrivo.<br />

Vediamo ora invece un caso di calco fonico involontario, legato a una lacuna<br />

interpretativa, il mancato riconoscimento di un colombianismo:<br />

y caminaba [la madre del jefe de estado] como una tanga con las zapatillas de charol<br />

(O 57)<br />

e che camminasse [la madre del capo dello stato] come col tanga con le scarpette di<br />

vernice (A 48)<br />

10 Sui problemi di traduzione legati all’affinità dello spagnolo con l’italiano, vd. Scelfo 2004 e<br />

Chierichetti 2005.


La complessità del significato lessicale nella traduzione letteraria 5<br />

Il calco comporta non solo uno slittamento semantico, ma effetti comici sul lettore<br />

italiano molto diversi da quelli impliciti nell’originale e del tutto incongrui all’interno<br />

del romanzo, poiché riferiti alla vecchia madre del patriarca. Tanga non è,<br />

infatti, l’indumento noto anche in italiano con lo stesso nome ma, come recita il<br />

Diccionario de hispanoamericanismos del Richard citando proprio questo passo di<br />

Márquez, una varietà di anatra tipica della zona del Magdalena. Si tratta quindi di<br />

un falso amico 11 a tutti gli effetti, che per acquistare un qualche senso costringe il<br />

traduttore a inserire perfino una preposizione assente nell’originale.<br />

5. Aspetti morfosintattici e morfologico-lessicali<br />

Sul piano morfologico, la traduzione evidenzia vari fenomeni di attrito con lo spagnolo,<br />

e quindi interferenze del tutto involontarie, legate come dicevamo all’ingannevole<br />

affinità di due lingue sorelle 12 . Si riscontrano numerosi calchi di preposizioni,<br />

dell’uso enfatico spagnolo di mismo, di pronomi soggetto, della terza persona<br />

plurale del verbo a seguito di un mancato riconoscimento dell’uso latinoamericano<br />

dell’ustedes come semplice vosotros, e della consecutio temporum spagnola con<br />

conseguente assenza dei relativi trapassati in italiano.<br />

Particolarmente interessanti ci appaiono le problematiche poste dalla resa dell’innovativa<br />

sintassi dell’Autunno del patriarca che, sfumando le distinzioni fra<br />

discorso diretto, indiretto e libero indiretto, svolge la ben precisa funzione stilistica<br />

di debilitare la voce narrante e fare spazio a un’altra ricca presenza di voci, senza<br />

tuttavia mai infrangere le norme al punto da scivolare in enunciati percepibili dal<br />

lettore come agrammaticali, sintassi questa non sempre riproducibile nella L2 per le<br />

dissimetrie fra il que spagnolo e il che italiano. Cicogna comprende e rispetta puntualmente<br />

le scelte, ad esempio:<br />

mientras alguien de la escolta trataba de apartarlo de la ventana, tenga cuidado,<br />

general, la patria lo necesita (O 23)<br />

mentre qualcuno della scorta cercava di scostarlo dalla finestra, faccia attenzione,<br />

generale, la patria ha bisogno di lei (A 17)<br />

dove con l’abolizione delle virgolette si crea una sorta di discorso diretto libero, con<br />

forte valore espressivo; oppure:<br />

vio una quinta más grande con surtidores giratorios y vitrales en los balcones donde<br />

te quiero ver viviendo para mí (O 84)<br />

vide una villa più grande con fontane girevoli e vetrate sui balconi dove ti voglio<br />

veder vivere per me (A 72)<br />

11 Calvi 2001 e 2004 analizza il fenomeno delle false analogie dello spagnolo nei confronti dei parlanti<br />

italiani e indica nella traduzione uno dei momenti più critici.<br />

12 Sui falsi amici grammaticali in traduzione vd. Muñiz Cachón 2001.


6<br />

dove vio e quiero hanno lo stesso soggetto e quindi intrecciano livello diegetico e<br />

livello mimetico in una sorta di cortocircuito 13 . Una modalità simile di rottura della<br />

linea narrativa ritorna anche in altre forme, sempre rigorosamente rispettate in traduzione:<br />

volvió a encontrar a Manuela Sánchez de mi perdición en el laberinto de su casa (O 96)<br />

poté ritrovare Manuela Sanchez della mia perdizione nel labirinto della sua casa (A 83)<br />

dove il lui, soggetto sottinteso del volvió e il possessivo in grassetto si riferiscono<br />

alla stessa persona.<br />

Spicca però fra tutti il caso del que + discorso diretto, che ricorre ben sessanta<br />

volte nel romanzo e gioca sulla polivalenza della congiunzione spagnola.<br />

Inizialmente il que viene letto come nesso che introduce il discorso indiretto, ma<br />

una volta passati al discorso diretto, viene interpretato a posteriori come il que pleonastico<br />

frequente nello spagnolo colloquiale, in grado di assumere valori diversi<br />

come ottativo, enfatico, esclamativo, esortativo. Siamo di nuovo davanti a una sorta<br />

di cortocircuito dall’innegabile valenza espressiva, che tuttavia, se volto alla lettera<br />

in italiano, porta a enunciati marcati, poiché il nostro che non gode affatto della stessa<br />

polivalenza. Considerate le dissimmetrie fra lingua e lingua, il traduttore dovrà<br />

quindi scegliere fra perdere la ricchezza espressiva spagnola appiattendo questi casi<br />

su quelli del discorso diretto libero visto sopra o cadere in enunciati marcati come<br />

ha scelto Cicogna:<br />

gritando en las treguas de los delirios de las calenturas que viva el partido liberal<br />

(O 158)<br />

gridando nella tregua dei deliri delle caldane che evviva il partito liberale (O 137)<br />

y Patricio Aragonés le contestó que no mi general, que la vaina es peor, que el sábado<br />

había coronado a una reina de carnaval (O 18)<br />

e Patricio Aragonés gli rispose che no signor generale, che il guaio è peggiore, che<br />

sabato aveva incoronato una regina di carnevale (A 13)<br />

le habían contestado que por supuesto que no mi general (O 257)<br />

gli avevano risposto che naturalmente che no signor generale (A 225)<br />

I. Carmignani<br />

Adesso, vorrei invece soffermarmi su alcuni aspetti della complessità lessicale legati<br />

ai processi morfologici di costituzione delle parole.<br />

Dal punto di vista diatopico, si riscontrano nel testo originale frequenti colombianismi,<br />

generalmente diffusi in tutto il paese, ma talvolta in uso solo sulla costa,<br />

nella zona di Barranquilla, un numero minore di afroamericanismi e alcuni casi di<br />

argentinismi 14 . Vediamo qualche esempio partendo da questi ultimi e in particolare<br />

da despelote, usato colloquialmente per indicare confusione sia in Argentina sia in<br />

Uruguay.<br />

13 Nella sua puntuale analisi delle voci del romanzo, Martínez Ruiz lo definisce estilo directo encabalgado;<br />

vd. Martínez Ruiz 1979): 499.<br />

14 A questo proposito si veda, oltre al già citato studio di Canfield 1984 e Aleza Izquierdo 1994.


La complessità del significato lessicale nella traduzione letteraria 7<br />

qué despelote (O 51)<br />

che buscherio (A 43)<br />

fue el despelote (O 157)<br />

una caciara da non dire (A 135)<br />

Il lombardo Cicogna nel primo caso toscaneggia, nel secondo ricorre al romanesco,<br />

con effetti abbastanza stranianti in bocca a un personaggio latinoamericano, sacrificando<br />

inoltre la coerenza interna dovuta al testo di partenza, per cui a un determinato<br />

termine spagnolo dovrebbe regolarmente corrispondere lo stesso termine italiano.<br />

Ma non è sempre il dialetto a rendere le varianti diatopiche spagnole. Vediamo,<br />

per esempio, che il colombianismo garoso, hambriento (Moliner), tradotto<br />

dall’Ambruzzi con “affamato”, dà luogo a un inaspettato neologismo, un nome d’agente<br />

deverbale con doppia intensificazione, morfologica (il suffisso -ONE) e lessicale<br />

(“abbuffarsi” rispetto a “mangiare”):<br />

tan grande y todavía tan garoso (O 25)<br />

così grande e ancora così abbuffone (A 19)<br />

L’esempio è sintomatico: la traduzione, anche in questo caso, mira al potenziamento<br />

della componente non realistica attraverso lo sfruttamento di strategie di intensificazione<br />

con valenza morfopragmatica. L’uso dell’accrescitivo in italiano è ben<br />

descritto da Dressler-Merlini come espressione dello “speaker’s fictive approach,<br />

that is, his transition from the real to an imaginary world” 15 . A proposito proprio di<br />

mangione, scrivono Dressler e Merlini, “in contrast to mangiatore… mangione<br />

implements the feature “fictive” in terms of exaggeration and, often, jocularity” 16 . Il<br />

cumulo dell’intensificazione semantica con la presenza trasparente del tratto denotativo<br />

“grande” produce dunque un’esagerazione che aumenta la fictiveness potenziando<br />

la dimensione magica del testo.<br />

Prendiamo ora in esame un frammento in cui si intrecciano afroamericanismi e<br />

colombianismi della zona di Barranquilla:<br />

dónde te habrás perdido en la parranda sin término del maranguango y la burundanga<br />

y el gordolobo y la manta de bandera y el tremendo salchichón de hoyito…<br />

(O 84)<br />

dove ti sarai perduta nella baraonda senza fine della maricunda e della brandeburgheria<br />

e del marrubio e del tremendo caprimulgo doroteizzato… (A 72)<br />

Il maranguango è una pozione amorosa, la burundanga una pozione malefica a base<br />

di scopolamina; entrambi i termini rimandano al gergo erotico-magico delle comunità<br />

di origine africana della costa colombiana. Il gordolobo, rum bianco di<br />

Barranquilla, è stato così battezzato dagli abitanti della zona per via del gin Gordon,<br />

15 Dressler e Merlini Barbaresi 1994: 440.<br />

16 Dressler e Merlini Barbaresi 1994: 456.


8<br />

che è dello stesso colore e ha sull’etichetta un lobo, un lupo 17 . La manta de bandera,<br />

letteralmente “coperta con la bandiera”, è invece un tipo di cartina colombiana<br />

per rollare spinelli con la bandiera degli Stati Uniti sulla confezione. Quanto infine<br />

al salchichón de hoyito, letteralmente salsiccione con il buchino, rimanda al sesso<br />

maschile su tutta la costa atlantica della Colombia e ha sempre e solo connotazione<br />

oscena, al contrario per esempio di morcilla, sanguinaccio. Nell’insieme, afroamericanismi<br />

e colombianismi offrono non solo un campionario di varianti diatopiche<br />

ma anche diastratiche, visto l’uso ristretto di alcuni termini entro fasce molto popolari<br />

di parlanti, i “tassisti di Barranquilla” cui allude Márquez.<br />

La traduzione italiana sceglie di non restituire il senso dell’originale (il patriarca<br />

in sostanza si sta chiedendo se il suo grande amore si sia perso in una sorta di orgia,<br />

fra stupefacenti di ogni genere) e nemmeno le valenze diastratiche. Se con maricunda<br />

e brandeburgheria si creano neologismi non casuali, mantenendo nelle radici<br />

un’iconicità fonica e nelle desinenze un parallelismo funzionale (suffisso astrattivo),<br />

con marrubio, pianta delle Labiate, di nuovo privilegia le valenze fonologiche.<br />

Più articolato il processo che porta alla creazione di un sintagma che definirei<br />

“finneganiano”, il “caprimulgo doroteizzato”. Il sintagma originale è una metafora<br />

per descrivere l’organo maschile che sfrutta morfologicamente un accrescitivo (salchichón)<br />

e un diminutivo (hoyito) nella loro dimensione ludica 18 . Nella traduzione,<br />

il caprimulgo, uccello degli Strigiformi, gioca allusivamente con il referente spagnolo;<br />

quanto all’aggettivo doroteizzato, possiamo ipotizzare la mimesi di valori ritmici,<br />

ma possiamo anche cogliere il tentativo di riprodurre la dimensione ludica del<br />

processo stesso di evocazione metaforica attraverso la citazione di una corrente<br />

politica che del dire e non dire, o del dire indirettamente, ha fatto un’ideologia.<br />

Fra le altre espressive invenzioni della lingua popolare di Barranquilla rientra<br />

anche l’ironica locuzione creerse la mamá del gorila, dove il gorilla è Tarzan, cioè<br />

il re della giungla, in breve: credersi la regina madre, credersi chissà chi. In questo<br />

caso, essendo riferito alla madre di Manuela Sánchez, Márquez declina al femminile:<br />

la gorila:<br />

una tetona nalgoncita que se cree la mamá de la gorila (O 85)<br />

una tettona chiapponcella che si crede la mamma della gorilla (A 73)<br />

Difficile dire cosa possa cogliere il lettore italiano da una traduzione letterale; si è<br />

preferito salvare l’immagine ironica, ma un po’ straniante visto che la gorilla è la<br />

bella di cui si è innamorato il patriarca.<br />

6. Aspetti semantico-concettuali<br />

I. Carmignani<br />

Afferma Patrizia Violi nel suo Significato ed esperienza: “Sono molti i modi in cui<br />

il significato linguistico non è autonomo: non è autonomo perché non è separabile<br />

dall’insieme delle nostre conoscenze, e quindi dalla nostra cultura, dalle nostre abi-<br />

17 Richard 2000.<br />

18 Vd. Alonso 1961: 161-169; Lang 1990; Vigara Tauste 1992.


La complessità del significato lessicale nella traduzione letteraria 9<br />

tudini e usi sociali, da tutto ciò che in altre parole costituisce la nostra sfera socioculturale<br />

di esperienza” 19 . Cercheremo quindi di vedere come la complessità semantico-concettuale<br />

passa con la traduzione dalle forche caudine delle dissimetrie culturali<br />

e quali slittamenti e perdite subisce.<br />

Fra i casi più interessanti, naturalmente, vi sono quei concetti, sia concreti sia<br />

astratti, sconosciuti alla lingua d’arrivo perché specifici della cultura di partenza 20 .<br />

Appartenenti ai campi più diversi, possono fare riferimento a credenze religiose, a<br />

strutture sociali, a usi e costumi, a tipi di cibo. Fra le possibili strategie del traduttore,<br />

conservarli (con eventuali spiegazioni nel metatesto/paratesto), ometterli, definirli<br />

tramite parafrasi, ricorrere al calco o al prestito, o sostituirli con un altro termine<br />

che pur non coprendo lo stesso campo concettuale può suscitare nel lettore<br />

d’arrivo una risposta simile a quella provocata nel lettore originario.<br />

Ma vediamo un esempio concreto, macho, che rimanda a un contesto culturale<br />

in cui la virilità assume un valore particolarmente significativo. Dal punto di vista<br />

etimologico il termine corrisponde all’italiano maschio, entrambi infatti derivano<br />

dal latino masculus, ma oltre a coprire il concetto di maschio fra gli animali, si è<br />

specializzato nell’indicare uomini particolarmente dotati di caratteristiche virili,<br />

come la forza e il coraggio, diventando anche un appellativo colloquiale piuttosto<br />

diffuso per rivolgersi a un interlocutore, con l’accrescitivo machote come variante.<br />

Il termine varón consente invece di indicare genericamente una persona di sesso<br />

maschile: ha tre figli maschi si dice per esempio tiene tres hijos varones. I campi<br />

concettuali di macho e maschio non sono quindi del tutto congruenti. Vediamo come<br />

affronta il problema Cicogna in un passo in cui una donna inneggia per strada al<br />

patriarca:<br />

que viva el macho, gritó (O 22)<br />

evviva il maschio, gridò (A 16)<br />

La soluzione implica una perdita semantica per i motivi accennati sopra, ma soprattutto<br />

risulta straniante all’orecchio del lettore italiano senza risvegliare il lui, se non<br />

in modo estremamente parziale, la risposta cognitiva ed emotiva innescata dal testo<br />

di partenza nel lettore originale. Il traduttore inglese, Gregory Rabassa 21 , focalizzandosi<br />

sull’aspetto sessuale e rinunciando alle connotazioni legate al coraggio,<br />

punta a un’equivalenza funzionale più efficace: hurray for the stud (13). Il traduttore<br />

francese, Claude Couffon, avvalendosi del fatto che macho in quegli anni sta<br />

entrando nell’uso francese, adotta la soluzione più moderna e prende in prestito l’intera<br />

frase: que viva el macho (18), scontando però inevitabilmente una lieve coloritura<br />

folcloristica assente nell’originale. Ancora un esempio:<br />

19 Violi 1997: 4.<br />

20 Mona Baker (1992) li definisce culture-specific.<br />

21 Sia Couffon sia Rabassa sono considerati fra i più illustri traduttori degli autori del “boom”<br />

Scrive García Márquez a proposito di quest’ultimo: “He leído algunos de los libros traducidos al inglés<br />

por Gregory Rabassa y debo reconocer que encontré algunos pasajes que me gustaban más que en<br />

castellano. La impresión que dan las traducciones de Rabassa es que se aprende el libro de memoria y<br />

luego lo vuelve a escribir completo en inglés: su fidelidad es más compleja que la literalidad simple.<br />

Nunca hace una explicación a pie de página, que es el recurso menos válido y por desgracia el más<br />

socorrido en los malos traductores”. vd. García Márquez 1991: 182.


10<br />

Dios te salve, macho, grande honor es morir por la patria (O 31)<br />

Dio, ti salvi, maschio, grande onore è morire per la patria (A 25)<br />

God save you, stud, it’s a great honor to die for your country (20)<br />

Dieu t’ait en son paradis, macho, mourir pour la patrie est un grand honneur (26)<br />

Più raramente, quando il contesto renderebbe stridente una focalizzazione sulle<br />

valenze sessuali, si adotta un’altra soluzione:<br />

si Dios es tan macho como usted dice dígale que me saque este cucarrón que me<br />

zumba en el oído (O 26)<br />

se Dio è un forte come lei dice, gli dica di togliermi questo scarabeo che mi ronza<br />

nelle orecchie (A 20)<br />

if God is the man you say … (16)<br />

si Dieu est aussi fortiche … (22)<br />

Negli anni successivi alla pubblicazione dell’Autunno del patriarca, con una maggiore<br />

conoscenza della cultura ispanica, grazie anche all’intensa attività di traduzione,<br />

macho diventa sempre più familiare per gli italiani, finché nel 1981 non entra<br />

nell’uso ed è oggi normalmente impiegato.<br />

7. Influenze extratestuali nelle scelte traduttive<br />

Scrive Toury: “I traduttori operano innanzitutto e principalmente nell’interesse della<br />

cultura in cui stanno traducendo, e non certo in ragione del testo di partenza, mettendo<br />

così di fatto tra parentesi la cultura da cui il testo ha tratto la propria origine”<br />

22 . Se le strategie di lavoro adottate dal traduttore sono sempre condizionate dal<br />

contesto socioculturale di arrivo, il caso dell’Autunno del patriarca è emblematico:<br />

la resa italiana del testo è sistematicamente funzionale a una lettura focalizzata sull’aspetto<br />

“magico” gradito al pubblico italiano. Cicogna opera tutta una serie di slittamenti<br />

linguistici senza alcuna relazione con il testo di partenza, interventi che<br />

mirano a destare la meraviglia del lettore con effetti stranianti di vario genere, compresi<br />

neologismi assenti nell’originale, e a immergerlo in un’atmosfera fuori dal<br />

tempo, vagamente mitica, con il ricorso a un lessico desueto e spesso letterario,<br />

appartenente a un registro ben più alto di quello dell’originale.<br />

Iniziamo da fenomeni più sfumati, come la preferenza sistematicamente accordata<br />

alla forma più insolita del corrispondente italiano; vediamo ad esempio mecedor<br />

(O 28) tradotto con dondola (A 22), di cui il De Mauro segnala il basso uso e<br />

che non viene nemmeno riportato dal Devoto Oli, contro il più comune sedia a dondolo,<br />

suggerito anche dall’Ambruzzi. La scelta a volte si ripercuote sul registro, che<br />

si innalza:<br />

y si acaso falta en qué sentarse (O 40)<br />

e se per caso fa difetto su dove sedersi (A 33)<br />

22 Toury 1985: 186.<br />

I. Carmignani


La complessità del significato lessicale nella traduzione letteraria 11<br />

Lo stesso si dica per hechizo (O 79), incantesimo, tradotto con il letterario incantamento<br />

(A 67), oppure per pienso (O 49), biada, reso con profenda (A 41), non comune<br />

per il Devoto Oli e obsoleto per il De Mauro. E ancora:<br />

se encontrò manoteando (O 76)<br />

si sorprese a tramenare (A 65)<br />

dove manotear, gesticolare per Ambruzzi e Zanichelli, diventa il toscano e disusato<br />

tramenare, “maneggiare, agitare oggetti mettendo disordine” (Zingarelli).<br />

Altrettanto aulico e forse ancor più antiquato è il latineggiante captivi (A 36) per<br />

cautivos (O 44), che certo è di registro più alto di presos, ma mai quanto captivi<br />

rispetto all’italiano prigionieri, non a caso i bilingui Ambruzzi e Zanichelli offrono<br />

quest’ultimo corrispondente per cautivos. Nella banca dati CREA della Real<br />

Academia Española cautivo ricorre 335 volte in 253 documenti, mentre preso 2797<br />

in 1195, una forbice nella frequenza d’uso certo molto minore di quella rilevabile<br />

fra captivo e prigioniero 23 .<br />

L’innalzamento di registro può sfociare nell’eufemismo: la frequentissima interiezione<br />

carajo, cazzo (Zanichelli), è talvolta tradotto con diamine (14), “sovrapposizione<br />

eufemistica di domine (domineddio) a diavolo” (Zingarelli) e addirittura con<br />

il disusato diancine (A 12, 20, 33) 24 .<br />

E ancora:<br />

que salían a mentarse la madre con las verduleras (O 21)<br />

che uscivano ad altercare con le ortolane (A 16)<br />

benché l’espressione mentar la madre (vd. anche O 252, A 221) abbia un forte valore<br />

offensivo al punto che in Colombia “se evita preguntar “come está su madre” y<br />

se prefiere decir “su mamá”. Mentar la madre es ofensa muy grave que equivale a<br />

equivale a ijueputa” 25 , la traduzione rifugge persino forme attenuate come “mandare<br />

a quel paese” e sceglie direttamente la voce dotta altercare, di cui il De Mauro<br />

segnala il basso uso.<br />

Un’altra forma di innalzamento del registro:<br />

peleas de perros callejeros (A 13)<br />

lotte di cani stradaioli (O 8)<br />

dove al semplice randagio si preferisce uno stradaiolo vagamente toscaneggiante,<br />

che in realtà fin dal 1939 è termine settoriale per “corridore ciclista specialista delle<br />

gare su strada” (Zingarelli). E ancora: charanga, “banda de musica de poca importancia,<br />

formada con instrumientos de viento” (Moliner), da fanfara diventa cafarnao,<br />

disusato e letterario per confusione (Zingarelli), metaforizzando quello che<br />

nella narrazione è effettivamente una piccola banda di ottoni:<br />

23 Real Academia Española [en línea].<br />

24 A proposito della traduzione di carajo in Cent’anni di solitudine si veda Meo Zilio 1993: 346.<br />

25 Vd. Flórez 1975.


12<br />

una charanga de borrachos (O 26)<br />

un cafarnao di ubriachi (A 20)<br />

Cafarnao ritorna in seguito anche per il semplice alboroto, cioè chiasso, confusione<br />

(Ambruzzi), minando la coerenza interna fra i due testi:<br />

alboroto de micos 253<br />

cafarnao di scimmie 221<br />

Vediamo ora brevissimamente altre forme di intensificazione volte a creare un senso<br />

di meraviglia nel lettore:<br />

que vale más estar capado a mazos que andar tumbando madres por el suelo como<br />

si fuera cuestión de herrar novillas (O 32)<br />

è quasi meglio venir castrato a mazzapicchiate che andar stravaccando madri per<br />

terra come se si trattasse di marchiar manzette (A 26)<br />

dove il verbo transitivo tumbar, che come scrive l’Ambruzzi significa semplicemente<br />

“far cadere, rovesciare, abbattere, atterrare”, diventa un inedito e transitivo<br />

stravaccare, da stravaccarsi, intransitivo pronominale, “mettersi a proprio agio<br />

sedendosi o sdraiandosi comodamente ma in modo scomposto” (Zingarelli), consentendo<br />

inoltre al traduttore un gioco di parole tutto suo con le manzette.<br />

E ora un vero e proprio neologismo assente nell’originale:<br />

hasta a los machos más bragados se nos llega la hora de ser maricones (O 72)<br />

perfino ai maschi più coglionuti arriva l’ora di fare i finocchi (A 61)<br />

I. Carmignani<br />

Si dice bragado l’animale dalle cosce internamente più chiare e per allusione alle<br />

mule bragadas, che hanno fama di essere infide, il termine prende il senso di malintenzionato,<br />

ma anche di energico, fermo (DRAE, Ambruzzi). Malgrado si potesse<br />

ricorrere agevolmente ad aggettivi come duro, senza dover entrare nella sfera sessuale,<br />

la traduzione inserisce il neologismo coglionuto, ricalcato forse su cazzuto,<br />

“furbo, bravo, in gamba: una persona cazzuta; grintoso, aggressivo” (Zingarelli),<br />

che era entrato nell’uso proprio l’anno precedente, il 1974, e avrebbe potuto a sua<br />

volta costituire una plausibile scelta traduttiva, o forse su cojonudo, volgare per stupendo<br />

o straordinario, ma anche, in accezione secondaria riferita a maschi, coraggioso<br />

e deciso, in una sorta quindi di calco virtuale.<br />

Prima di concludere vorrei accennare rapidissimamente ai fenomeni legati alla<br />

naturalizzazione in voga all’epoca che, pur di avvicinare il testo al lettore, erano<br />

pronti ad accettare grosse perdite, con un atteggiamento etnocentrico oggi inaccettabile.<br />

Non bisogna tuttavia dimenticare quanto fossero lontane allora le culture e<br />

quanto si siano avvicinate proprio grazie alla traduzione, che lavora costantemente<br />

per la lingua e la cultura di arrivo. Vediamo, ad esempio, il gruppo delle voci legate<br />

al mondo vegetale e animale latinoamericano. La malanga (O 23), pianta della<br />

famiglia delle Aracee, diventa un più familiare banano (A 18) e parimenti gli anturios<br />

(O 64) si trasformano in passiflore (A 54). La ceiba (O 189), che per lo<br />

Zingarelli entra nell’uso italiano nel 1557 e per il De Mauro nel 1875, si trasforma


La complessità del significato lessicale nella traduzione letteraria 13<br />

in quercia (A 195); il frailejón (O 171), pianta medicinale dai fiori gialli, in achillea<br />

(A 148); la ahuyama (O 2<strong>03</strong>), tipo di zucca molto diffusa nella zona tropicale, in<br />

popone (A 177) e la tarulla (O 155), pianta acquatica dalle grandi foglie simile alla<br />

mangrovia, in un semplice prunaio (A 134). Lo stesso accade con gli animali, per<br />

cui l’alcaraván (O 110) diventa una gazza (A 94), il turpial (O 110) una tortora (A<br />

94), la guacamaya (O 169), che è un grosso e variopinto pappagallo, un fagiano (A<br />

146). Il discorso non cambia con altri realia, come ad esempio guiso (O 76) tradotto<br />

con ragù (A 65), benché l’Ambruzzi per il primo riporti “intingolo, stufato, fricassea”<br />

e il secondo sia definito dallo Zingarelli “condimento, spec. per pastasciutta,<br />

ottenuto facendo soffriggere, in un battuto di cipolla, sedano e carote, della carne<br />

di manzo gener. macinata, e poi cuocendo a fuoco lento e a lungo dopo aver aggiunto<br />

pomodoro”.<br />

Un aspetto marginale e tuttavia significativo di naturalizzazione sono, infine, i<br />

toponimi tradotti, come Plaza de Armas/Piazza d’Armi, San Jerónimo/San<br />

Geronimo, Conde/Conte, e l’accentuazione spagnola scomparsa dai nomi di persona,<br />

per cui va persa la necessaria informazione per una pronuncia corretta, ad esempio<br />

Bendicion Alvarado, Jacinto Algarabia, Manuela Sanchez, Narciso Lopez,<br />

Ignacio Saenz, Lorenza Lopez, Dionisio Iguaran, con l’unica eccezione di José, probabilmente<br />

ritenuto sufficientemente familiare all’orecchio italiano, oltre che tronco<br />

e cioè con l’accento in una posizione consueta per il nostro lettore.<br />

8. Conclusioni<br />

La riflessione contrastiva su El otoño del patriarca e la sua versione italiana ha tentato<br />

di mettere in luce, attraverso alcuni esempi significativi, la complessità lessicale<br />

del testo originale, nei suoi aspetti fonologici, morfologico-sintattici e semanticoconcettuali,<br />

all’interno della parola letteraria tradotta, e cioè all’interno di un sistema<br />

finalizzato alla proiezione di un mondo e di una cultura in un altro mondo e in<br />

un’altra cultura, e condizionato da molteplici elementi, che vanno da fenomeni strettamente<br />

formali intrinseci al processo stesso di mediazione, prima fra tutti l’interferenza,<br />

a fattori storico culturali come l’approccio traduttivo in voga in un determinato<br />

periodo e il contesto socioculturale di arrivo. In particolare, l’intervento ha cercato<br />

di mettere in evidenza come, attraverso una serie di piccoli slittamenti lessicali,<br />

la traduzione giunga a offrire una lettura più “magica” e meno “realistica” del<br />

cosiddetto realismo magico dell’originale, lettura funzionale alle aspettative della<br />

cultura ricevente.<br />

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