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Alcuni studi sul Risorgimento nella zona jonica ... - Andiscalabria.it

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<strong>Alcuni</strong> <strong>studi</strong> <strong>sul</strong> <strong>Risorgimento</strong> <strong>nella</strong> <strong>zona</strong> <strong>jonica</strong> reggina<br />

La convinzione che ci muove nelle celebrazioni del centocinquantenario dell'un<strong>it</strong>à nazionale.<br />

a cura di Salvatore Napoli<br />

Per susc<strong>it</strong>are risposte collettive<br />

sono importanti<br />

- la memoria degli eventi che condussero alla nasc<strong>it</strong>a dello Stato nazionale un<strong>it</strong>ario.<br />

- la riflessione <strong>sul</strong> lungo percorso successivamente compiuto.<br />

c'è più bisogno di :<br />

- orgoglio e fiducia;<br />

- coscienza cr<strong>it</strong>ica dei problemi rimasti irrisolti e delle nuove sfide da affrontare;<br />

- senso della missione nazionale.<br />

Dal discorso del Presidente della Repubblica del 17 marzo 2011<br />

Nel 1847-48<br />

Velasco, Corriere della sera, 17 marzo 2001<br />

Ricordo di una giornata <strong>it</strong>aliana<br />

I MOTI RIVOLUZIONARI A GROTTERIA<br />

INNU A LU TRICULURI<br />

Già 'sta bandera la Sicana Terra<br />

irgi, cumbatti, vinci lu nimicu.<br />

Riggiu triunpa a la patriotta guerra.<br />

'Nu gran gruppu d'eroi, di l'omu amicu,<br />

già <strong>sul</strong>leva lu Joniu, e l'armi afferra.<br />

Surgi a la gloria e a lu valuri anticu<br />

di Locri l'umbra, la virtuti e l'ossa,<br />

gridandu: - All'armi! all'armi! a la riscossa!<br />

Ilario Muscari Tomajoli (1810-1868), « Prejera alla SS. Virgini di lu<br />

Carminu, protettura di l'Armata Nazionali », 1848, in G.<br />

Calogero (a cura) , Storia e cultura della locride, Ed<strong>it</strong>rice LA<br />

SICILIA Messina, 1964.<br />

Nicola Palermo. (1826-1876),<br />

Nacque il 28 dicembre 1826.<br />

Il 16 maggio 1851, appena ventunenne, fu condannato alla pena di morte, col terzo grado di<br />

pubblico esempio, per aver preso parte ai moti i Napoli del 25 maggio 1848, insieme a Luigi La<br />

Vista, che gli cadde accanto, e per avere organizzato, a Grotteria, una pattuglia di giovani decisi<br />

a difendere la Cost<strong>it</strong>uzione e la Libertà, nel contempo, il fratello Nicodemo veniva condannato,<br />

per i medesimi motivi pol<strong>it</strong>ici, a 9 anni di ferri duri.<br />

Poi, mentre la pena di Nicola fu commutata ì trent'anni di carcere, quella di Nicodemo fu ridotta,<br />

di quattro anni, dalla « inesauribile clemenza del Re », Ferdinando II (!). Il 23 settembre dello<br />

stesso anno, i due fratelli furono allontanati dal carcere centrale di Reggio, per essere tradotti nei<br />

Bagni penali di Napoli, dove arrivarono dopo un mese di continue marce, quasi sempre a piedi, e<br />

dove furono rinchiusi nel Bagno del Carmine, per essere sped<strong>it</strong>i, successivamente, a Procida. L’8<br />

febbraio 1852, Nicola fu inviato al Bagno penale di Montefusco, e poi in quello di Montesarchio,<br />

dove ebbe, a compagni di prigionia, il Poerio, il Pironti, il Pica, il Castromediano, il Nesco, il


Braico, ed altri valorosi patrioti.<br />

Qui ideò, e in parte scrisse, « L'ipocr<strong>it</strong>a, ossia i Misteri delle Calabrie » romanzo sociale che, corretto e terminato,<br />

pubblicò poi a Messina, nel 1868. Graziato nel Dicembre 1858, in occasione del matrimonio del primogen<strong>it</strong>o di<br />

Ferdinando II, la sera del 28 gennaio 1859, fu imbarcato su un vapore della R. Marina, per essere trasportato in pieno<br />

Oceano, dove, insieme a numerosi altri detenuti, doveva essere consegnato al Comandante del « Davide Stewart ».<br />

Fortunatamente, su questo vapore, c'era anche, il più illustre dei deportati, e cioè Luigi Settembrini col figlio che, con<br />

estremo ardimento, ingiunse al Comandante di volgere la prora verso nord-ovest, in modo che tutti gli esiliati, dopo<br />

diciassette giorni, poterono sbarcare <strong>nella</strong> baia di Queenstown, in Irlanda. Di là, Nicola Palermo passò a Londra, quindi<br />

in Italia, fermandosi a Firenze, dove pubblicò, <strong>sul</strong> giornale « La Nazione », « Gli otto anni di Galera napoletana ». Nel<br />

1860, ebbe, finalmente, la lieta ventura di tornare tra i suoi, a Grotteria, che stava per essere liberata, come tutta la<br />

Calabria, dalle truppe garibaldine. Nell'aprile dell'anno successivo, fu nominato, da Silvio Spaventa, Delegato<br />

provinciale di P.S., in Reggio Calabria; nel dicembre 1862, impalmava la sedicenne e virtuosa giovinetta, Maria<br />

Sciaccaluga, da cui ebbe quattro figli. Nel 1863, fu trasfer<strong>it</strong>o a Catanzaro, poi ad Avellino, dove cadde gravemente<br />

ammalalo e si mise in aspettativa, passando la convalescenza nei dintorni di Napoli. Richiamato in attiv<strong>it</strong>à di servizio,<br />

nel 1865, fu invialo a Messina. Quattro anni più tardi (1869), fu nominato Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti, il<br />

Conte Michele Pironti, il quale, ricordandosi del Palermo, con cui aveva diviso la prigionia di Montefusco e<br />

Montesarchio, gli volle dare un incarico presso il R. Economato Generale dei Benefici Vacanti di Firenze, dove il<br />

Palermo si trasferì, dimorandovi fino al 1873, anno in cui si stabilì a Siderno Marina, per le sue precarie condizioni di<br />

salute, e dove morì, il 10 marzo 1876.<br />

Vincenzo Nadile, “C<strong>it</strong>tadini illustri di Grotteria”, in G. Calogero (a cura) , Storia e cultura della locride, Ed<strong>it</strong>rice LA<br />

SICILIA Messina, 1964.<br />

UNA PERQUISIZIONE POLITICA IN CASA PALERMO<br />

"...Stando noi sempre in pensiero, non dormivamo sonni tranquilli, perché l'esempio degli altri facea ben sospettare che<br />

presto o tardi li avremmo pure noi raggiunti in prigione. Né tardò a venire la nostra volta (...) La notte del 20 aprile,<br />

trovandomi da solo in casa con mio Padre e due servi, che mio fratello era andato a Siderno da nostra zia Elisabetta<br />

Macedonio, in <strong>sul</strong>le 3 del mattino, mentre faceva i miei sonni, sentii forte picchiare al portone. Fattomi alla finestra,<br />

vedendo un crocchio ammucchiato, con voce alterata dimandai: "Chi è?" "La Forza!", mi rispose un gendarme; "C'è il<br />

primo eletto". Al che sub<strong>it</strong>o un altro soggiunse: "Non temete, Compare, sono io, santissimo santo diavolo". Riconobbi<br />

la ben nota voce di quel trastullone del signor Pasquale Squillace, che, fattogli dire quanto e più che volevano, nel<br />

processo scr<strong>it</strong>to, avevano ora indotto a presenziare la perquisizione della nostra casa.<br />

Qual differenza fra questo imbecille e i suoi fratelli, dott. Domenico e Francesco, e tutti quanti i suoi, che con noi si<br />

mostrarono cotanto affettuosi, ed ai quali dobbiamo ogn'ora serbare sent<strong>it</strong>a riconoscenza! Richiusi la finestra, perché<br />

compresi di che si trattasse, vedendo tutto il palazzo accerchiato di guardie urbane e gendarmi, corsi dentro a destare<br />

l'ottimo Padre mio, che dormiva anche lui profondamente, senza pur sospettare quel che avveniva. "Scappa, scappa!" ei<br />

mi disse, appena inteso il fatto. "Ma come? Ma dove? Se il Palazzo è tutto circu<strong>it</strong>o d'immensa sbirraglia, che neanche<br />

tanto ci sarebbe bisognato se fossero andati ad assaltare un mun<strong>it</strong>o castello?" Allora pensammo avvalerci di un<br />

nascondiglio che avevamo sotto la volta della stanza dove mio Padre dormiva, e, schiusa la botola, vi discesi a stenti,<br />

prendendo col più gran disagio, certa molto insopportabile posizione. Poi il coraggioso Vecchio richiuse la botola e su<br />

vi adagiò un canterano, sì che nulla più si scorgeva. Indi, destata la serva, le ingiunse di andare ad aprire il portone, e<br />

lui, fermo <strong>sul</strong> lim<strong>it</strong>are della porta in cima allo scalone, con volto sereno e pacato, quale Gesù nell'orto di Getsemani, alla<br />

irrompente ciurmaglia domandò: "Chi cercate? Se i miei figli, essi non sono qui, se me, eccomi a vostra disposizione."<br />

Ma quelli, risposto che di lui non cercavano, incominciarono con indicibile stizza frugare e rifrugare da capo a fondo la<br />

nostra casa, con minacce e bestemmie da fare inorridire, dispiaciuti di aver inutilmente percorso tanto cammino,<br />

essendo part<strong>it</strong>i da Gerace, e con quella notte buia, gelata e piovosa. Io dal mio nascondiglio sentivo tutto quel baccano<br />

ed ogni passo che movevano, e le imprecazioni che mandavano, e le minacce - se mai ci trovassero - di farci passare<br />

scalzi e a guado il torrente Torbido. Non istavo perciò sur un letto di rose, pauroso ad ogni istante che mi avessero<br />

scoperto e tratto in loro compagnia.<br />

Né mancò la nota buffa. La nostra serva, certa Caterina Scola, una virago, visti entrare con tanta burbanza i gendarmi e<br />

tutto quel codazzo di birri, indispett<strong>it</strong>a li mandò tutti al diavolo, e questo con più energico gesto ripetè il giovine nostro<br />

serv<strong>it</strong>ore Tommaso Calacoci che, sordo e muto, nulla avea inteso di quella baraonda, e continuava placidamente a<br />

dormire, involto il capo sotto le coperte. Credendo, la sbirraglia, fosse alcuno di noi qui coricato, destollo con malgarbo,<br />

al che egli, che pare non so quale antica ruggine o naturale antipatia avesse per i gendarmi, emettendo strani grugn<strong>it</strong>i,<br />

fece tal gesto che valeva un tesoro, e poi voltò ad essi il dorso.In tal modo quella canaglia rimase con lo scherno e le<br />

beffe.Finalmente,come volle Iddio, dopo un'ora e più di quella ferocissima perquisizione, la sbirraglia, assicuratasi di<br />

non averne a trarre alcun prò, rifece piena di livori i suoi passi, e il caro mio Gen<strong>it</strong>ore, quando la vide già lontana, venne<br />

ad alzare la botola, ed io, tutto indolenz<strong>it</strong>o e intirizz<strong>it</strong>o dal freddo, sbucai dal nascondiglio per andarmi a gettare nelle<br />

sue braccia."<br />

Nicodemo Palermo, Memorie della mia v<strong>it</strong>a, 1889, pagg. 68-70, manoscr<strong>it</strong>to<br />

riportato in internet nel portale dei discendenti


NELLA LUCE DEL RISORGIMENTO ITALIANO: I CINOUE MARTIRI DELLA<br />

LOCRIDE<br />

Il Com<strong>it</strong>ato Centrale dei patrioti meridionali, riun<strong>it</strong>osi a Napoli, sotto la presidenza di Carlo Poerio, convinto che l'ora<br />

delle rivendicazioni cost<strong>it</strong>uzionali fosse scoccata, prepara un piano rivoluzionario. Messina, trovandosi tra la Sicilia e la<br />

Calabria, sarebbe insorta per prima. Poi la rivoluzione si sarebbe propagata, rapidamente, in tutta la Calabria, e sarebbe<br />

divampata nelle altre regioni, concludendosi v<strong>it</strong>toriosamente a Napoli.<br />

La sera del 1° settembre 1847, a Messina, una cinquantina di rivoltosi, al grido di « Viva l'Italia!, Viva Pio IX!, Viva<br />

la Cost<strong>it</strong>uzione! », tentano una sommossa che però viene sub<strong>it</strong>o e facilmente sedata.<br />

A Reggio Calabria, Domenico Romeo, anima del movimento rivoluzionario, il fratello G. Andrea, Genovese,<br />

Muratori, Agostino ed Antonino Plutino, il can. Paolo Pellicano, Casimiro e Vincenzo De Lieto, segu<strong>it</strong>i da un discreto<br />

numero di c<strong>it</strong>tadini, la notte dal 2 al 3 settembre, costringono alla resa i soldati che presidiano il Castello, affidato al<br />

comando del vecchio Principe D'Aci, disarmano i gendarmi, s'impadroniscono del governo, diminuiscono il prezzo del<br />

sale e dei tabacchi e festeggiano, con grida, canti e luminarie, la breve ed effimera v<strong>it</strong>toria.<br />

Il 4 settembre arrivano a Reggio due fregate a vapore, il « Ruggiero » e il « Guiscardo », cariche di truppe<br />

borboniche, che aprono il fuoco contro il castello e le case della c<strong>it</strong>tà, su cui garrisce il tricolore dei liberali.<br />

I rivoltosi si sbandano. Il Romeo, i suoi numerosi parenti ed un centinaio di fedeli seguaci, sono costretti a riparare<br />

<strong>sul</strong>le montagne dell'Aspromonte, insegu<strong>it</strong>i dalle soldatesche del De Cornè, dalle guardie urbane e da una plebaglia<br />

bestialmente aizzata dal generale Nunziante.<br />

Il 14 settembre il Romeo scioglie i suoi e, costretto da una dolorosa fer<strong>it</strong>a al calcagno, ripara in una capanna dove, il<br />

15, è trad<strong>it</strong>o, ucciso e decap<strong>it</strong>ato. La sua testa, orribile a dirsi, portata a Reggio in un paniere, è lasciata, per due giorni,<br />

in cima ad una pertica e poi gettata in una fossa. Gli altri capi rivoluzionari cadono <strong>nella</strong> rete della polizia, ad eccezione<br />

dei Fratelli Plutino e di Lamotta, che si salvano riparando a Malta. Cinque morti e 46 condanne all'ergastolo sono il<br />

tragico bilancio dell'insurrezione reggina.<br />

Anche nel Circondario di Gerace, « cinque gentili e fiorenti giovani » preparano il movimento pol<strong>it</strong>icoinsurrezionale.<br />

Essi sono: Michele Bello di Siderno, Gaetano Ruffo di Bovalino, Domenico Salvadori di Bianco, Rocco<br />

Verduci di Caraffa e Pietro Mazzoni di Roccella. Sottintendente di Gerace è Antonio Bonafede, palerm<strong>it</strong>ano, dotato di<br />

vasta cultura, ma borbonico così accan<strong>it</strong>o, da autodefinirsi « cane che si avventa contro la persona che crede nemica del<br />

suo padrone ». Questi, il 3 settembre, imprudentemente e senza scorta, raggiunge a piedi Siderno Marina, con l'intento<br />

di reprimere i torbidi pol<strong>it</strong>ici verificatisi alcuni giorni prima e di cui era stato informato telegraficamente. Da qui, con<br />

una barca, insieme a tre gendarmi, si dirige verso Bianco, facendosi precedere da venti urbani per via terra, sperando di<br />

spegnere l'incendio prima che divampi.<br />

All'alba del 4 settembre, nelle vicinanze di Bianco, Bonafede ed i suoi uomini sono fatti prigionieri da Verduci, Bello e<br />

da altri cinque liberali. Gli urbani erano già caduti nelle mani dei rivoltosi, insieme ad un drappello di guardacoste e a<br />

due tenenti che dovevano recarsi a Reggio, per rinforzo. Al Bonafede non fu usata alcuna violenza, malgrado il<br />

Verduci, impulsivo e generoso, avesse in animo di sbarazzarsi di quel truce sbirro, tristemente noto e profondamente<br />

odiato, per aver contribu<strong>it</strong>o, con feroce astuzia, alla cattura ed alla fucilazione dei fratelli Bandiera. Fu solo costretto ad<br />

insignirsi della coccarda tricolore e a gridare, più volte, per imposizione del Verduci: - Viva la Cost<strong>it</strong>uzione! - .<br />

Il 4 settembre ha inizio la marcia dell'audacia, dell'entusiasmo goliardico, della giovinezza romantica e generosa, che<br />

vuole bruciare le tappe di una palingenesi pol<strong>it</strong>ico-sociale. Il 4 settembre, nelle prime ore pomeridiane, i rivoltosi,<br />

preceduti da Verduci a cavallo, con a fianco Gemelli, Spanò e Pul<strong>it</strong>anò, muovono per Bovalino. Sopra un mulo è<br />

Bonafede, segu<strong>it</strong>o da Bello, Salvadori e dagli altri armati. Giunti alla marina, ingrossati dagli uomini di Ruffo, dopo una<br />

breve sosta, salgono a Bovalino, dove pernottano.<br />

Il 5 settembre sono ad Ardore Marina.<br />

Il 6 mattino a Siderno Superiore, verso mezzogiorno a Gioiosa Ionica e, di notte, a Roccella Ionica. La casa del<br />

Mazzoni è adib<strong>it</strong>a a sede di comando: <strong>sul</strong> largo San V<strong>it</strong>torio, s'accampano i gregari. A notte alta, le luci di una nave<br />

gettano lo scompiglio e la paura fra i sediziosi che, temendo uno sbarco di truppe borboniche, si disperdono. I capi,<br />

rimasti soli, sono costretti a trovare scampo <strong>nella</strong> fuga.<br />

Finisce così, senza spargimento di sangue, col vuoto fracasso di una marcia propagandistica, l'improvvisata rivolta,<br />

per mancanza di armi, di denaro, di un capo mil<strong>it</strong>are, di collegamenti, di programma un<strong>it</strong>ario. E' la sconf<strong>it</strong>ta! …<br />

I giovani patrioti, rap<strong>it</strong>i nel vortice dei loro sublimi ideali, speravano, col loro entusiasmo, con la loro intelligenza, con<br />

la loro energia, di scuotere le masse amorfe e di trascinarle in una v<strong>it</strong>toriosa azione rivoluzionaria, ma furono travolti<br />

dall'immatur<strong>it</strong>à dei tempi e dal babelico disordine della loro impresa. Dovunque essi diedero lettura del proclama<br />

rivoluzionario, cantarono, in chiesa, il Te Deum e l'orazione Pro Pontifice, abbatterono le insegne borboniche,<br />

diminuirono il prezzo del sale e dei tabacchi, abolirono la tassa <strong>sul</strong> macinato, liberarono i carcerati, distrussero le carte<br />

degli Uffici di Polizia, costrinsero delle persone a seguirli, imposero ai ricchi il pagamento anticipato delle tasse ed agli<br />

esattori comunali la consegna delle somme che avevano nelle casse. Ma tutto fu vano!<br />

Il proletariato abbrut<strong>it</strong>o da secoli di miseria e sfruttato ignobilmente dalla nobiltà e dall'alto clero, non avvertiva le<br />

istanze sociali, era indifferente ai problemi che pure direttamente lo riguardavano.


Privi di educazione pol<strong>it</strong>ica, senza la quale, come bene scrisse Mazzini, ogni rivoluzione si traduce in sterile<br />

menzogna, i contadini erano dominati dalla fame e dal fanatismo religioso.<br />

In Calabria, nel '47, la massa, abbrut<strong>it</strong>a ed amorfa, attratta anche dalle taglie o dalle lauto ricompense, collabora<br />

ferocemente con i soldati e con gli urbani, per reprimere le sommosse, dando caccia spietata ai patrioti che tradisce,<br />

in<strong>sul</strong>ta, bastona, sevizia, uccide o accompagna alle carceri, con fischi e schiamazzi.<br />

Il Distretto di Gerace era gravemente ammalato di borbonismo, per cui, in tutti i paesi, i rivoltosi erano guardati con<br />

indifferenza dalla plebe, con sospetto dai ricchi e dall'autor<strong>it</strong>à, con astio velenoso dai poltroni amanti del quieto vivere »<br />

(Visalli, pag. 283). Essi potevano contare su pochi seguaci del ceto medio e su qualche sparuto gruppo di artigiani e di<br />

contadini, i quali attratti «dall'insol<strong>it</strong>a paga » di due o tre carlini al giorno, seguivano il drappello inconsciamente, a<br />

suon di tamburo, gridando, con istintiva goffaggine: « Viva Pinomo! Viva la Calia! (Italia!) Viva la Costruzione!<br />

(Cost<strong>it</strong>uzione!) Viva la Repubblica! ». Ma alla prima ombra di pericolo « alzarono le berze e si dispersero come api<br />

davanti al fumo » (Visalli).<br />

Fugg<strong>it</strong>i gli insorti, l'astuto Bonafede che, grazie alla ingenu<strong>it</strong>à dei capi della sommossa, aveva potuto procurarsi tutti<br />

gli elementi per imbastire le terribili accuse, la mattina del 7 settembre, si reca a Siderno, con la scorridoia del Vaiano,<br />

su cui sequestra la bandiera che il Bello aveva portato da Reggio. Dopo una brevissima sosta, prosegue per Gerace<br />

Marina, e da qui, a piedi, raggiunge Gerace dove è accolto con entusiastica dimostrazione.<br />

La reazione borbonica è violenta e bestiale. Sui capi « dei rivoltosi pesava una taglia di mille ducati per chi li<br />

avesse consegnati vivi, di trecento, per chi li avesse uccisi » (Oppedisano).<br />

Nel giro di pochi giorni, i giovani liberali, braccati da una plebaglia inferoc<strong>it</strong>a e dalla forza urbana, sguinzagliata alle<br />

loro calcagna, trad<strong>it</strong>i da montanari, da bifolchi, pecorari, contadini, cadono negli spietati artigli del Bonafede. Nella<br />

notte dal 9 al 10 settembre, sono arrestati Bello, Verduci, Salvadori e Gemelli, che avevano preso la via della<br />

montagna, <strong>nella</strong> speranza di ricongiungersi colle forze del Romeo del quale ignoravano la tragica e orribile fine; il 21 è<br />

catturato Ruffo, a Siderno, in contrada Fondachello; il 22 è gherm<strong>it</strong>o Mazzoni, presso il vallone dell'Arena, a Roccella;<br />

a quei giorni risale anche la cattura del Rossetti.<br />

Il Borbone dà l'osso a coloro che prima han fatto da cani. Nella sola provincia di Reggio, concede tre Commende, due<br />

gran Croci, 54 croci di Cavaliere, 32 medaglie d'oro, 85 d'argento ed almeno una cinquantina di pensioni e donativi in<br />

danaro (Visalli, pag. 258).<br />

Il 19 settembre il generale Nunziante entra a Gerace; il 20 convoca la Commissione mil<strong>it</strong>are, della quale nomina<br />

Presidente il colonnello Rossaroll, e Giudice Istruttore Pietro Balsano. Gli interrogatori, resi dai cinque, dinanzi ai<br />

giudici, ad eccezione di quello di Michele Bello, pubblicato dal Bonafede, sono scomparsi. La Commissione mil<strong>it</strong>are<br />

riun<strong>it</strong>asi il 1° ottobre, nel palazzo Malarby, legge l'atto di accusa ai sette imputati. Essi sono colpevoli « di lesa maestà,<br />

per aver commesso atti prossimi alla esecuzione di detto misfatto ».<br />

Gli accusati rispondono con fierezza, non mendicano scuse, non rinnegano la loro fede <strong>nella</strong> monarchia cost<strong>it</strong>uzionale,<br />

si rifiutano, con assoluto disprezzo, di fare il nome dei loro complici. Il Verduci, il più spartano di tutti, rimbecca<br />

giudici e testimoni, con tono fermo e tagliente. Strenua, appassionata, ma inutile, nel feroce dispotismo borbonico, la<br />

difesa degli avvocati Francesco Cesare, da Gerace, e di Gaetano Gallucci, da Mammola. A mezzanotte, il tribunale<br />

mil<strong>it</strong>are emette sentenza di morte, col terzo grado di pubblico esempio, che doveva essere inesorabilmente esegu<strong>it</strong>a<br />

entro 24 ore.<br />

I giudici giustificano (!) il terribile verdetto, richiamando, con mefistofelica disinvoltura, «l'opinione del maggiore dei<br />

pubblicisti della Francia, secondo cui la punizione di morte nei reati pol<strong>it</strong>ici è il rimedio unico e salutare della società<br />

inferma ».<br />

Il 2 ottobre, alle ore quattro, la Commissione mil<strong>it</strong>are, convocata d'urgenza dall'equivoco generale Nunziante, in<br />

virtù delle disposizioni impart<strong>it</strong>e dal Ministero, sospende la condanna per Gemelli e Rossetti, che non ri<strong>sul</strong>tavano « veri<br />

capi » della insurrezione. In segu<strong>it</strong>o, saranno condannati a trenta anni di ferri.<br />

Alle sette, il cancelliere Paresce notifica la sentenza di morte ai condannati, i quali l'ascoltano con imperturbabil<strong>it</strong>à<br />

socratica. Per irrevocabile volontà del Commissario del Governo Pomar, la sentenza deve essere esegu<strong>it</strong>a prima del<br />

tramonto. Il Generale Nunziante da, all'uopo, le opportune disposizioni. Alle due pomeridiane, i cinque giovani eroi<br />

sono condotti alla Chiesa di San Francesco, addossata alle carceri per i r<strong>it</strong>uali offici religiosi, da dove alle 16, bendati,<br />

colle mani legate al dorso, con i ceppi ai piedi, il capo scoperto, preceduti dalla spaur<strong>it</strong>a e dolente confratern<strong>it</strong>a del S.<br />

Cuore di Gesù, accompagnati dal lugubre rintocco delle campane che agghiacciano il sangue di angoscia e di<br />

allucinante paura, sono condotti alla Piana, dove, posti in ginocchio, colle spalle al ciglione e colla destra verso la<br />

stele sormontata dalla Croce - che sorge sin dal 1782 - sono lasciati dalla scarica di quaranta abbrun<strong>it</strong>i moschetti.<br />

Le truppe, scaglionate in diversi punti della c<strong>it</strong>tà, rendono impotenti il frem<strong>it</strong>o e l'istintivo raccapriccio degli<br />

ab<strong>it</strong>anti. Intorno non vi è che la desolazione. Le case ed i negozi sono chiusi. I c<strong>it</strong>tadini pregano, piangono, si lasciano<br />

dominare da gravissima afflizione. Un cameriere del Vescovo, nell'udire la scarica dei moschetti, è colp<strong>it</strong>o da uno choc<br />

nervoso; una giovinetta del Borgo, Teresa Malafarina, impazzisce. Il padre e la sorella del Mazzoni, inebet<strong>it</strong>i dal<br />

dolore, scenderanno, poco tempo dopo, <strong>nella</strong> tomba; la mamma del Verduci, inconsolabile, consumerà gli occhi nel<br />

pianto. L'orrenda carneficina ha una vasta ripercussione d'orrore, in Italia e all'estero. A Genova e a Livorno il<br />

popolo distrugge gli stemmi del Consolato napoletano e celebra solenni funerali alle gloriose v<strong>it</strong>time di Gerace. In<br />

molte c<strong>it</strong>tà <strong>it</strong>aliane, giovani ed adulti, portano il cappello « alla calabrese », in segno di devota grat<strong>it</strong>udine verso<br />

coloro che erano caduti sotto il piombo borbonico, per un sublime e comune ideale di giustizia e di libertà. Solo i


despoti di Vienna, Berlino e Pietroburgo, chiusi nelle loro traballanti caserme di ferro, si congratulano con Ferdinando<br />

II, per la rapida repressione delle sommosse!<br />

I cadaveri delle v<strong>it</strong>time, ancora caldi, sono gettati, <strong>nella</strong> « lupa », la fossa comune del convento, destinata a<br />

raccogliere le salme anonime. Ai familiari è proib<strong>it</strong>o qualsiasi pubblico segno di dolore e di lutto.<br />

Verso la fine di aprile, o ai primi di maggio del 1848, i cadaveri dei cinque martiri furono esumati, ricomposti in<br />

appos<strong>it</strong>e casse e seppell<strong>it</strong>i in una cella attigua al campanile del convento. Una lampada, simbolo di fede e di fratern<strong>it</strong>à,<br />

ardeva incessantemente. Le spese occorrenti furono sostenute dai fratelli Francesco e Giuseppe del Balzo. Scopertosi il<br />

« reato », gli autori principali furono arrestati, per aver « violato tombe e sepolture riconosciute ed autorizzate dalla<br />

Pubblica Amministrazione », e le spoglie di quegli infelici, per ordine del De Flugj, - che si trovava a Gerace per<br />

eseguire il disarmo - , incredibile a dirsi, furono gettate, di nuovo <strong>nella</strong> « lupa ».<br />

L'eroico sacrificio di quei forti giovani non fu però inutile. Il 24 febbraio 1848, Ferdinando II, <strong>nella</strong> chiesa di San<br />

Francesco di Paola, giurava, in forma solenne, la proclamazione dello Statuto.<br />

« Rombava a festa il cannone, garrivano le fasce tricolori negli occhi, col presagio di quella festa nel cuore;<br />

pochi mesi prima, erano caduti laggiù - nell'alveo d'un torrente di Reggio, o <strong>nella</strong> sanguigna pianura di Gerace, o<br />

nei tetri boschi dell'Aspromonte - i Martiri calabresi della Redenzione <strong>it</strong>aliana » (Visalli, pag. 281).<br />

Giorgio Papaluca, “Nella luce del risorgimento <strong>it</strong>aliano. I cinque martiri della locride”,<br />

in G. Calogero (a cura) , Storia e cultura della locride, Ed<strong>it</strong>rice LA SICILIA Messina, 1964.<br />

Nel 1874<br />

Nel 2011<br />

…nchi vìttaru a nui, manzi ed arricchiuti,<br />

apriru nasca e isaru li cudini,…<br />

Antonio Martino, “La preghiera del Calabrese al Padre Eterno contro i Piemontesi” ,1874,<br />

in A.Piromalli, C. Chiodo, Antologia della letteratura calabrese, Luigi Pellegrini Ed<strong>it</strong>ore.<br />

È stata in defin<strong>it</strong>iva recuperata l'ispirazione federalista…<br />

…un'evoluzione in senso federalistico - e non solo nel campo finanziario - potrà<br />

garantire maggiore autonomia e responsabil<strong>it</strong>à alle ist<strong>it</strong>uzioni regionali e locali<br />

rinnovando e rafforzando le basi dell'un<strong>it</strong>à nazionale.<br />

Nella nostra storia e <strong>nella</strong> nostra visione, la parola un<strong>it</strong>à si sposa con altre:<br />

plural<strong>it</strong>à, divers<strong>it</strong>à, solidarietà, sussidiarietà.<br />

In quanto ai problemi e alle debolezze di ordine strutturale, sociale e<br />

civile…che abbiamo ered<strong>it</strong>ato tra le incompiutezze dell'unificazione<br />

perpetuatesi fino ai nostri giorni, è il divario tra Nord e Sud, è la condizione<br />

del Mezzogiorno che si colloca al centro delle nostre preoccupazioni e<br />

responsabil<strong>it</strong>à nazionali. Ed è rispetto a questa questione che più tardano a<br />

venire risposte adeguate. Pesa certamente l'esperienza dei tentativi e degli<br />

sforzi portati avanti a più riprese nei decenni dell'Italia repubblicana e rimasti<br />

non senza frutti ma senza ri<strong>sul</strong>tati risolutivi; pesa altresì l'oscurarsi della<br />

consapevolezza delle potenzial<strong>it</strong>à che il Mezzogiorno offre per un nuovo<br />

sviluppo complessivo del Paese e che sarebbe fatale per tutti non saper<br />

valorizzare.<br />

Dal discorso del Presidente della Repubblica del 17 marzo 2011<br />

Documento preparato in occasione del Convegno :<br />

“La Calabria nel 150° anniversario dell’Un<strong>it</strong>à d’Italia: intervento storico, culturale e didattico” per docenti di ogni ordine e grado<br />

organizzato da A.N.DI.S. Calabria (Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici della Regione Calabria), AS.I.S. (Associazione degli<br />

Insegnanti di Sostegno della provincia di Reggio Calabria) in collaborazione con Liceo Scientifico “A. Volta” di Reggio Calabria- Ist<strong>it</strong>uto<br />

Comprensivo di Montebello Jonico (RC)<br />

Reggio Calabria 16 Aprile 2011

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