Recensione del libro GOOD COMPANY Un sociologo tra i ...
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<strong>Recensione</strong> <strong>del</strong> <strong>libro</strong><br />
<strong>GOOD</strong> <strong>COMPANY</strong><br />
<strong>Un</strong> <strong>sociologo</strong> <strong>tra</strong> i vagabondi<br />
di Douglas Harper<br />
Penso che il saggio di Douglas Harper, Good Company, <strong>Un</strong> <strong>sociologo</strong> <strong>tra</strong> i vagabondi, sia da<br />
leggere partendo direttamente da quella che possiamo chiamare “la sua parte romanzata” 1 , e questo<br />
per lo stile letterario utilizzato nel raccontare, che rende i contenuti espressi similari all’intreccio<br />
narrativo 2 di un romanzo 3 . Ciò che lo differenzia però è lo scopo scientifico che questo studio si è<br />
prefisso, in quanto «osservazione partecipante» ed intensiva di uno spaccato di vita vera,<br />
volutamente vissuta “sul campo”, quindi, in prima persona, dall’autore.<br />
Adden<strong>tra</strong>ndoci nella lettura dei vari capitoli, il coinvolgimento è tale da farci condividere con lui la<br />
sua stessa visione <strong>del</strong>la “ricerca sul campo” a tal punto che anche il lettore non può fare a meno di<br />
sentirsi, come lui, un osservatore «partecipante» 4 . Catapultati con drammatica immediatezza dentro<br />
il mondo e le categorie culturali di quella “fetta” di società americana 5 , i soggetti con i quali ci si<br />
viene a relazionare sono persone vere, come sono tali tutte le situazioni contingenti che ci<br />
<strong>tra</strong>scinano con forza a fianco <strong>del</strong>l’autore “vagabondo” e <strong>del</strong> vecchio Carl 6 . Carl il saggio, il maestro,<br />
che in certi momenti diventa anche il raziocinante filosofo, capace di impartire, di passare i suoi<br />
insegnamenti, i suoi trucchi sull’arte di sopravvivere sulla s<strong>tra</strong>da, ad un “apprendista stregone”,<br />
sempre più calato e paradossalmente at<strong>tra</strong>tto da quello stile di vita vagabonda. E la chiave giusta per<br />
sopravvivere (nella “giungla” 7 <strong>del</strong>la vita di s<strong>tra</strong>da) o “durare” (nella vita <strong>del</strong> nostro mondo<br />
“addomesticato”) è: «scegliere la compagnia giusta». Dunque, la domanda che dobbiamo porci in<br />
en<strong>tra</strong>mbi i casi, così come Eddie rivolse a Jack 8 e all’autore, bevendo una birra accanto al fuoco di<br />
un falò, è: «qual è la compagnia giusta?».<br />
L’autore risponderà a questa domanda, testandola direttamente “sulla sua pelle”. E’ così che la<br />
“giusta” risposta, quella proveniente dalla sua intensiva sperimentazione giornaliera <strong>del</strong>la “vita di<br />
s<strong>tra</strong>da”, troverà espressione nel titolo <strong>del</strong> <strong>libro</strong> 9 , summa, resoconto e monito di quella stessa ricerca<br />
“sul campo”. Ma, più in generale, a quella domanda: «quale può essere la compagnia giusta?», sia<br />
1 Per tale ragione la mia lettura dei contenuti <strong>del</strong> <strong>libro</strong> non seguirà la scansione di quelli nella pubblicazione.<br />
2 Come si dice nella PREFAZIONE <strong>del</strong> <strong>libro</strong>, proprio il suo stile narrativo è uno dei motivi per cui ha conquistato un<br />
vasto pubblico di lettori, sia negli Stati <strong>Un</strong>iti che in Europa.<br />
3 Anche se sappiamo bene che il genere non è tale ma il frutto di <strong>tra</strong>scrizioni di appunti e di qualche regis<strong>tra</strong>zione<br />
riportata dal periodo di quella ricerca “sul campo”. Howard Becker, nell’EPILOGO <strong>del</strong> <strong>libro</strong>, esprime molto meglio<br />
questo concetto, quando dice: «Good Company è un esperimento molto ben riuscito di raccolta e di presentazione di<br />
materiale che ci fornisce una conoscenza valida ed emozionante di un mondo sociale altrimenti quasi inaccessibile…<br />
<strong>Un</strong>a conoscenza presentata in modo che la (sua) presentazione contenga ciò di cui i ricercatori sono venuti a<br />
conoscenza, così da permettere (anche) al lettore di condividere tale conoscenza».<br />
4 Sempre Howard Becker, nell’EPILOGO <strong>del</strong> <strong>libro</strong>, sostiene come la ricerca etnografica, portata avanti da Douglas<br />
Harper, fornisca citazioni selezionate dall’insieme di osservazioni sul campo, tese a rappresentare un corpo ampio di<br />
materiale che conferisce autorità alle conclusioni scaturite dal rapporto proprio perché provenienti da una osservazione<br />
“partecipata”, quindi rigorosamente dettagliata, perché vissuta in simultaneità con gli eventi descritti. I ricercatori che<br />
portano avanti questi tipo di osservazione rigorosa, pagano un prezzo molto alto, sia a livello personale, sia scientifico<br />
in quanto non possono nascondersi dietro un camice o una cartella clinica aspettando di raggiungere gli aspetti<br />
soggettivi dei mondi che studiano.<br />
5 Il mondo dei railroad <strong>tra</strong>mps.<br />
6 Immortalato dalla macchina fotografica, assieme ad altri “informatori” dal “ricercatore” e autore, per costituire un<br />
«inventario visuale <strong>del</strong> comportamento tipico in spazi altrettanto tipici». Ma il modo di lavorare «come i fotografi <strong>del</strong>le<br />
riviste» cambierà nel momento stesso in cui l’autore-ricercatore si sentirà <strong>tra</strong>scinato completamente nella sua “nuova”<br />
vita, decidendo di lasciare la sua macchina fotografica «dietro le spalle».<br />
7 Intesa come “groviglio” di situazioni e non nel senso utilizzato nel <strong>libro</strong> e cioè «un accampamento di vagabondi, con<br />
griglia e cose su cui sedersi, a volte uno specchio, <strong>del</strong>la legna e <strong>del</strong>le lattine da utilizzare per cucinare».<br />
8 Come l’autore riporta nel PROLOGO <strong>del</strong> suo <strong>libro</strong>, si trovava in compagnia di questi due vagabondi in un meleto<br />
nella parte settentrionale <strong>del</strong>lo stato di Washington, una notte <strong>del</strong>l’autunno <strong>del</strong> 1973.<br />
9 Good Company.
nel suo vagabondare episodico di ricercatore come, in senso lato, nell’universo tutto <strong>del</strong>la nos<strong>tra</strong><br />
esistenza, abbiamo imparato, proprio da lui e da quella sua esperienza, a rispondere nell’unico<br />
modo possibile: «la buona compagnia»!<br />
******************<br />
CAPITOLO 1<br />
10 L’INIZIO DEL VIAGGIO: ENTRI «IN UN MONDO DALLE PROPRIE REGOLE» E ALLORA<br />
«CONVIENE ESSERE CONSAPEVOLI DI CIÒ CHE SI FA… “SALTARE DA UN CARRO MERCI<br />
SIGNIFICA ENTRARE NEL RACCONTO CULTURALE DEL VAGABONDO”».<br />
Tutto ha inizio nello scalo ferroviario <strong>del</strong>la Minneapolis Burlington Northern dove Douglas,<br />
aspettando lo hotshot 11 proveniente da Chicago, e che lo avrebbe portato verso Nord e le Montagne<br />
Rocciose, cercava di superare l’ostacolo emotivo legato all’uso <strong>del</strong> treno merci 12 come mezzo di<br />
<strong>tra</strong>sporto “passeggeri”: i carri merci sono «troppo grandi, troppo veloci, troppo pericolosi, troppo<br />
illegali», al punto che «quando oltrepassi i cartelli di “Vietato l’accesso”» entri «in un mondo dalle<br />
proprie regole» e allora «conviene essere consapevoli di ciò che si fa».<br />
La sua destinazione era Wenatchee, nello stato di Washington, centro <strong>del</strong>la raccolta <strong>del</strong>le mele.<br />
At<strong>tra</strong>versato lo scalo cautamente 13 , getta l’equipaggiamento dalla parte opposta <strong>del</strong>l’attacco di uno<br />
dei carri e, riscoprendo le sue “gambe da ferrovia”, corre rapidamente sul telaio. At<strong>tra</strong>versando lo<br />
stretto canalone <strong>tra</strong> i vagoni, si imbatte in un vagabondo, col suo equipaggiamento, rannicchiato<br />
vicino alla porta <strong>del</strong> primo carro vuoto ma non si ferma e si allontana invece per cercarne uno tutto<br />
vuoto, arrivando quasi alla fine <strong>del</strong> treno. Parla con un frenatore che gli confida come, da giovane,<br />
avesse vagabondato per tutto l’ovest e che, per questo, cercava sempre di aiutare gli altri.<br />
Viene dato il segnale di via libera, il treno si mette in movimento ed il viaggio ha inizio.<br />
Durante le otto ore di viaggio, quando le rotaie passano vicino all’autos<strong>tra</strong>da, guarda i viaggiatori<br />
«incapsulati nelle auto» che, incrociando il suo sguardo, si voltano dalla parte opposta o schermano<br />
con la mano quello dei bambini affinché non possano vedere. Il senso di libertà che prova è totale 14 .<br />
Allo scalo successivo il treno rallenta. Ad aspettarlo ci sono una decina di vagabondi pronti a saltare<br />
su. Douglas si mette vicino alla porta e assume un’aria minacciosa per scoraggiare chiunque di loro<br />
voglia salire sul suo carro. Sopraffatto dalla stanchezza, si infila nel sacco a pelo e si addormenta.<br />
Quando si sveglia il treno si è fermato per il cambio di conducente. Riparte e lui si riaddormenta. Si<br />
sveglia all’alba mentre il treno procede il suo viaggio verso ovest. A mezzogiorno il treno en<strong>tra</strong> in<br />
un grosso scalo. Chiedendo ad un frenatore sa di aver perso l’unico hotshot diretto ad ovest, in<br />
partenza per quel giorno.<br />
Getta il suo equipaggiamento fuori dal vagone dirigendosi «verso l’ignoto… in un caldo<br />
pomeriggio <strong>del</strong> Montana».<br />
CAPITOLO 2<br />
DIFFICILE VIAGGIARE SUI TRENI MERCI. L’INCONTRO CON CARL.<br />
Douglas si avvicina ad un vecchio vagabondo nero lasciando cadere la sua roba vicino alla sua.<br />
Iniziano a parlare.<br />
10<br />
Ogni volta, dopo la scritta “capitolo…”, ho riassunto in sintesi il loro contenuto.<br />
11<br />
Treno merci espresso che at<strong>tra</strong>versa il Paese senza mai dividersi.<br />
12<br />
L’autore era già alla quarta o quinta volta che tornava nel mondo dei vagabondi; aveva at<strong>tra</strong>versato il paese sui treni<br />
merci e riportato da quei viaggi fotografie e appunti sparsi.<br />
13<br />
«come mi avevano insegnato».<br />
14<br />
«Sento la terra a portata di mano. Non ho un paraocchi che costringe la mia vista e non vi sono cartelloni pubblicitari<br />
che incanalano la mia attenzione».
Il vagabondo gli dice come lui, per viaggiare scelga i «”cassettoni” oppure, se piove o fa troppo<br />
freddo, i piggyback 15 … un vagone pesante… quelli che stanno <strong>tra</strong>sportando qualcosa». Alla<br />
domanda se ha mai viaggiato dalle parti di Chicago, lui risponde che è pericoloso perché ti sparano<br />
se ti vedono avvicinare allo scalo, quindi «devi sapere dove prendere il treno, fuori dallo scalo e<br />
mentre va». Dato che lo giudica “un pubblico accettabile”, il vagabondo gli continua a parlare e gli<br />
dice come sia difficile, a volte, riconoscere uno sbirro. A volte viaggiano nel crummy 16 , sono gli<br />
sbirri viaggianti che, non appena il treno si ferma, ti vengono a cercare. Il modo per fregarli sta<br />
nello stare oltre la sua “baracca” e «beccare un piggyback… mentre lui 17 sta lasciando lo scalo».<br />
Altro ammonimento: quando ci si trova in uno scalo grande, lo scalo principale, si deve stare attenti<br />
ma «ce la puoi fare e quando ci sei passato una volta non ti scorderai mai come si fa».<br />
Il vagabondo continua a raccontare le sue storie di viaggi, sbirri e scali. Poi si avvicina un<br />
vagabondo col suo sacco a pelo, una borsa da viaggio e una bottiglia piena d’acqua 18 . E’ conciato<br />
male, la sua postura è curva, la sua camicia militare è sporca di sudore, il sole fa risaltare le rughe,<br />
le ferite e il sudiciume <strong>del</strong> suo volto. L’autore lo riconosce perché è salito con lui a Minneapolis 19 .<br />
Chiede ai due se hanno da dargli “un fottuto dollaro” e poi spiega che ha speso quasi tutto ciò che<br />
aveva per comprare sigarette confezionate invece dei fagioli perché il negozio <strong>del</strong> paese era chiuso.<br />
Poi conclude: «Cristo! Devo smetterla di bere!».<br />
Chiede: «Che cos’è successo all’ottantacinque?... E’ già partito?». Alla risposta affermativa<br />
<strong>del</strong>l’autore e, sapendo che va a Wenatchee per la raccolta <strong>del</strong>le mele, gli dice come lui non abbia<br />
mai fatto la raccolta ma che ha fatto tutti gli altri lavori che si possono fare in un meleto (sfoltire,<br />
potare le piante,…) perché «un uomo può imparare a fare di tutto». Continua: «vado a svernare<br />
dove non è necessario combattere troppo col tempo» e che l’inverno passato era quasi morto per il<br />
freddo pulendo le fuoriuscite di grano nello scalo merci di Minneapolis. A testimonianza <strong>del</strong> suo<br />
lavoro, ha ancora la matrice <strong>del</strong>l’assegno, con cui lo hanno pagato, che lo dimos<strong>tra</strong>.<br />
Racconta come siano ormai dieci giorni consecutivi che beve e gli è costato tutti i dollari che ha<br />
guadagnato col suo ultimo lavoro. Stava bevendo dal giorno in cui si era messo di nuovo in viaggio.<br />
Il vagabondo si rimprovera dei soldi spesi in sigarette, invece che nel cibo, di essersi rovinato e<br />
sporcato i vestiti poi, tuttavia, ride <strong>del</strong>la sbornia, dei soldi spesi e <strong>del</strong> lavoro perduto.<br />
Confessa: «E’ l’ora di andare. Stavano cominciando ad approfittarsi di me…. Le mele che<br />
maturano… lo avevano riportato sulla s<strong>tra</strong>da… Migliaia d’altre persone… lavoratori sarebbero<br />
arrivati e avrebbero portato a termine la raccolta, bevendosi il denaro, per poi riprendere la loro<br />
s<strong>tra</strong>da».<br />
Quando il treno viene formato Douglas si chiede come si sarebbero divisi per il viaggio. L’uomo di<br />
colore se ne va da solo lasciando lui a viaggiare col vecchio malandato.<br />
CAPITOLO 3<br />
«NON PUOI FIDARTI DI TUTTE LE PERSONE CHE INCONTRI… SEI TROPPO APERTO..<br />
INGENUO… NON SAI DI CHE COSA BISOGNA AVERE PAURA»… MA CARL SI FIDA.<br />
Mentre aspettano che il treno si formi, il vagabondo (Carl) gli dice: «non puoi fidarti di tutte le<br />
persone che incontri… Sei troppo aperto.. ingenuo… Non sai di che cosa bisogna avere paura…<br />
(Io) ho perso troppe cose 20 per non rendermene conto… In giro ci sono dei tipi che mirano solo a<br />
rubare qualcosa, di prenderti i soldi e la tua roba».<br />
15<br />
<strong>Un</strong> pianale su cui viene fissato un semirimorchio s<strong>tra</strong>dale per essere <strong>tra</strong>sportato.<br />
16<br />
Gergo dei vagabondi per indicare il Caboose, ossia il carro di servizio.<br />
17<br />
Il treno. Il vagabondo lo umanizza infatti non esita a definirlo “figlio di puttana”.<br />
18<br />
E’ l’incontro con Carl.<br />
19<br />
«Gli ho parlato ieri, bastardo ostile».<br />
20 Carl parla di cose materiali, infatti subito dopo gli dice quanto gli è costato il suo sacco a pelo.
Douglas gli chiede: «sono dei normali <strong>tra</strong>mp 21 ?». Carl risponde alla sua domanda: «Vanno in giro<br />
per il paese come dei normali <strong>tra</strong>mp, ma non lo sono. Noi li chiamiamo jackroller 22 ». Dove<br />
andranno a raccogliere mele, continua, lì c’è da stare attenti. Durante la raccolta non c’è problema<br />
ma dopo, quando ti hanno pagato ed hai i soldi in tasca, sì. «Devi capire una cosa, sei solo un<br />
<strong>tra</strong>mp, nessuno vuole avere a che fare con te a meno che non è per i tuoi soldi o il tuo lavoro».<br />
Anche quando finisci in prigione ne esci con le tasche pulite, ma i peggiori sono i jack roller. E gli<br />
mos<strong>tra</strong> la cicatrice che dall’angolo <strong>del</strong>l’occhio sinistro gli at<strong>tra</strong>versa il naso fino alle labbra. E’ stata<br />
opera di un jackroller mentre stava dormendo <strong>tra</strong> l’erbacce. Se dormi in un vagone è facile trovarti,<br />
«sei una preda facile…Ti tengono d’occhio e ti seguono… <strong>Un</strong>a volta per s<strong>tra</strong>da trovavi solo i<br />
<strong>tra</strong>mp… Ma oggigiorno non sono tutti vagabondi». I messicani che assumono in diversi posti 23 «i<br />
veri <strong>tra</strong>mp non li frequentano… Non restano più posti dove si può stare. Devi portarti dietro una<br />
tenda… e a volte ti costruisci una baracca», meglio essere in due in questo caso, uno lavora di<br />
giorno, l’altro di notte «così c’è sempre qualcuno a tenero d’occhio la roba».<br />
L’autore gli dice come il frenatore, il braky, con cui ha parlato a Minneapolis, gli abbia dato<br />
informazioni sbagliate: «non puoi fidarti di un frenatore. Direbbero qualsiasi cosa pur di farti uscire<br />
dallo scalo». Continuando a parlare dei suoi spostamenti, gli dice come possa succedere di<br />
fraintendere i cambi di turno dei ferrovieri ed il treno parta con la tua roba sopra. Le cose si<br />
aggiustano se, come era successo a lui, a bordo di quel treno, hai un amico che getta le tue cose dal<br />
treno, altrimenti ti ritrovi senza niente.<br />
Come vivi diventa il tuo segno distintivo, la tua etichetta. Capita che at<strong>tra</strong>versi un momento<br />
particolarmente sfortunato, allora riuscire ad ottenere dei “buoni viveri” rappresenta un modo per<br />
tirare avanti. Nel mondo dei vagabondi, al livello più basso, si trova il mission stiff, colui che non è<br />
più in grado di farcela fuori nel mondo; il foodstamp <strong>tra</strong>mp dipende dalla carità e non di espedienti.<br />
Riempire i moduli in un ufficio governativo non si poteva considerare un modo onorevole di<br />
mendicare.<br />
Quando at<strong>tra</strong>versi una congiuntura sfortunata gli altri, per s<strong>tra</strong>da, i vagabondi come te, ti danno una<br />
mano. La condivisione si basa sulla comprensione. Prima prendi ma poi devi dare qualcosa in<br />
cambio.<br />
Consapevole di questa regola non scritta, Douglas offre uno dei suoi ultimi panini, al burro di<br />
arachidi, a Carl che rifiuta anche se poi, messo da parte l’orgoglio, spinto dalla fame, accetta per<br />
andarselo a mangiare, da solo, in un angolo. Chiede: «dove sono i fagioli, ragazzo?».<br />
Il treno lascia lo scalo e procede lento e <strong>tra</strong>nquillo. Il vagabondo indica a Douglas le giungle in cui<br />
era stato in certi periodi dei suoi ultimi venticinque anni. Se non gliele avesse fatte notare non<br />
avrebbe mai notato i segni di abitazione vagabonda. Da una baracca, fatta ci carta ca<strong>tra</strong>mata e<br />
cassette, un vecchio vagabondo li saluta con la mano 24 .<br />
Il buio cala e l’autore si addormenta sperando di ritrovare intatto il suo equipaggiamento. A notte<br />
fonda si sveglia: il treno si era fermato. Vide il vagabondo vicino alla porta, intento a fare la<br />
guardia. Gli disse che era andato ad informarsi e che aveva lasciato le sue cose lì con lui sperando<br />
che, se qualcuno avesse cercato di rubarle, col rumore che avrebbe fatto, si fosse svegliato.<br />
Il viaggio riprende, così come il suo sonno a sprazzi, durante i quali vede che il vagabondo è vicino<br />
alla porta, per controllare con occhio vigile la situazione. Il treno sale lungo le Montagne Rocciose<br />
per arrivare al binario di deposito, in cima alla montagna, dove si termina la sua corsa.<br />
L’autore dà qualche soldo a Carl per fare un po’ di provviste. Lui, restato sul treno ad aspettarlo, è<br />
tentato di scendere quando il carro fa un balzo in avanti. Non sa cosa fare: la roba <strong>del</strong> vagabondo è<br />
sul treno. Capisce che se fosse rimasto lì, lasciando indietro il vagabondo, si sarebbe comportato<br />
come un qualsiasi ladro. Allora getta dal treno il suo equipaggiamento e quello di Carl e salta giù.<br />
21<br />
Traduzione di “vagabondo”: è un uomo che vive sulla s<strong>tra</strong>da, che lavora, beve e migra.<br />
22<br />
E’ un ladro che si finge un vagabondo.<br />
23<br />
Per fare lavoro di bracciantaggio.<br />
24<br />
Il suo è un comportamento di solidarietà, assai diverso da quello, diffidente e scandalizzato, mos<strong>tra</strong>to dagli<br />
automobilisti.
Comincia a camminare <strong>tra</strong>scinandosi dietro tutta la roba, la sua e quella <strong>del</strong> vagabondo, poi,<br />
stremato dalla fatica, decide di abbandonare la roba di Carl e saltare sul primo vagone vuoto,<br />
quando lo vede ritornare con un sacco pieno di mele e di spesa.<br />
«Hai la mia roba?» gli chiede il vagabondo. «Sì, ho la tua roba» gli risponde Douglas.<br />
Salgono sul primo vagone vuoto, un badorder 25 .<br />
CAPOTOLO 4<br />
L’IMPORTANZA DI LAVORARE. IL MOMENTO DELLE PRESENTAZIONI. I VEGLIARDI<br />
COME CARL. SAPERSI «SCEGLIERE LA COMPAGNIA GIUSTA».<br />
Il vagabondo gli dice che mettendo insieme i soldi che gli ha dato con i suoi spiccioli è riuscito a<br />
comprare fagioli, pane e un pacchetto di tabacco. Mentre mangiano Douglas gli chiede: «come è<br />
iniziata per te tutta questa storia?».<br />
Lui racconta: provenivo dal Wisconsin, «ho cominciato ad andare di qua e di là, quando ero<br />
nell’esercito… Sono stato nell’esercito per sei anni e mezzo, ho combattuto nella seconda guerra<br />
mondiale».<br />
Alla domanda se si era mai sistemato, risponde che ha lavorato periodi sì e periodi no, per gente<br />
diversa, «mi stanco di quello che faccio e così vado oltre, incontro al prossimo… Ho fatto un<br />
mucchio di lavori… ma m’annoio. (Allora) mi trovo a cercare qualcos’altro… Continuo a pensare<br />
che arriverà il punto in cui smetterò». Douglas chiede: «ci sono posti che ti piacciono più di altri?<br />
Dove ritorni?». Risponde secco di no e spiega: «Si vive meglio dove fa più caldo ma quando trovi<br />
qualcosa di buono, arriva qualcos’altro a pareggiare i conti… Alla fine i conti tornano sempre».<br />
Al passaggio di un treno elettrico, il Milwaukee Road, racconta di aver lavorato per quella<br />
compagnia; la sua mansione era sistemare i sostegni <strong>del</strong>le giunture alzando le rotaie: Ha lavorato<br />
per loro per un sacco di tempo. «Se fossi rimasto a quest’ora potevo andare in pensione». «Sono<br />
stato un uomo tuttofare… Se in<strong>tra</strong>prendi questo tipo di vita è così che devi lavorare. Devi accettare<br />
qualsiasi tipo di lavoro e farlo senza tante fisime… Non ti puoi lamentare <strong>del</strong>la paga… Se fai lo<br />
schizzinoso ti fa un cattivo nome e ti riconoscono per quello… Sarai conosciuto dai tipi <strong>del</strong>la s<strong>tra</strong>da<br />
e da quelli che ne stanno al margine… Se ti fai una brutta nomea, non ti vorrà nessuno». Me «mi<br />
conoscono da anni, sono veramente un vegliardo».<br />
I due si presentano: «mi chiamo Doug» 26 , «Carl».<br />
Trae fuori il suo portafoglio e ne uscirono svariate matrici, tutte prove <strong>del</strong>la sua identità di<br />
lavoratore: «Le uniche cose importanti che mi porto dietro sono la mia tessera <strong>del</strong>la previdenza<br />
sociale e… la garanzia <strong>del</strong> mio Timex». Doug gli fa notare che lui gli aveva detto che durante<br />
l’anno gliene avevano già fregati tre, di orologi. Lui risponde che, tutte le volte, gli avevano dato<br />
una garanzia nuova e un pacchetto di buoni sconto, che è come avere dei soldi in tasca.<br />
I postumi <strong>del</strong>la sbronza di Carl sono svaniti, ha lo stomaco pieno e il tabacco per fumare: è<br />
<strong>tra</strong>nquillo. E’ Doug che si deve calmare ed imparare a gestire di nuovo «i ritmi <strong>del</strong> viaggiare da<br />
vagabondi».<br />
Cambiando discorso spiega: «Il vegliardo non c’è più. Il <strong>tra</strong>mp “buono, il vagabondo “vero”, è<br />
morto. Adesso sono i giovani a suben<strong>tra</strong>re. Il vegliardo si faceva circa un division 27 al giorno, se<br />
voleva. Si sarebbe preparato il suo accampamento che sarebbe stato pulito. Avresti trovato uno<br />
specchio appeso all’albero, pentole pulite e <strong>del</strong> legno per il fuoco. Lo lasciavi come lo avevi<br />
trovato. Oggi non fanno più così… Le cose sono cambiate negli ultimi vent’anni». Doug chiede<br />
come facevano i vegliardi a racimolare i soldi. Lui risponde che di tanto in tanto lavoravano, «sai i<br />
25<br />
<strong>Un</strong> carro merci rotto, in viaggio verso il cantiere per essere riparato.<br />
26<br />
L’autore avrebbe voluto darsi un soprannome ma temendo di costringere il vagabondo su di un piano troppo<br />
personale, vi rinuncia. Ci pensa Carl a mantenere le distanze: «mai una volta, durante il mese che passammo insieme,<br />
mi chiamò per nome».<br />
27<br />
I treni merci diretti si fermano soltanto ai division che distano normalmente cinquecento miglia, una distanza che il<br />
treno copre in otto ore.
vecchi <strong>tra</strong>mp hanno una diversa filosofia di vita… Non molti ci riescono… Ma poi mi faccio<br />
prendere dall’alcool, è lì il mio problema».<br />
Gli dice che di vecchi ce n’è ancora qualcuno in giro ed è aumentata la gente che viaggia sui treni<br />
merci. Non sono vagabondi. Sono molto giovani «tipo te», gli dice. E’ per questo che sto attento,<br />
perché sono loro che ti fregano. «Questa vita sta scomparendo perché il vegliardo è praticamente<br />
sparito». Dato che la maggior parte <strong>del</strong>la gente che viaggia sono ladri, si spiega come gli hanno<br />
rubato gli orologi e l’equipaggiamento. Dice Doug: «Ma tu hai lasciato le tue cose con me. Non<br />
avevi paura che facessi come glia altri?». Risponde: «Tu non saresti andato da nessuna parte, io<br />
riesco a capire una persona subito e di te non mi dovevo preoccupare… Ho visto che mi cercavi<br />
<strong>tra</strong>scinandoti dietro tutta la mia roba».<br />
CAPITOLO 5<br />
«NON VIAGGIARE DA SOLO SE PUOI EVITARLO, MA QUANDO TROVI LAVORO NON<br />
DIPENDERE DA ALTRI». CARL: «MI STANCO DI UN UOMO. PER LUI LAVORO SODO MA,<br />
DOPO UN PO’, PENSA DI POSSEDERMI».<br />
Il viaggio continua, il treno sale sempre più su e, nell’intimità di quel viaggio, Doug sente una<br />
profonda solitudine. Quando il treno passa vicino a <strong>del</strong>le case, guarda dalle finestre le persone che<br />
mangiano a tavola. Poi le luci di una città: il treno en<strong>tra</strong> a Spokane.<br />
Dopo essere saltati dal treno, Carl lo lascia solo con tutto l’equipaggiamento. Doug ha paura: si<br />
sente vulnerabile. Si nasconde ma non succede niente. Il vagabondo infine ritorna con due bottiglie<br />
piene d’acqua . Dice di aver trovato il treno per Wenatchee e che ha “preso in prestito” l’acqua nel<br />
frigo <strong>del</strong> carro di servizio perché sa che la porta non è mai chiusa a chiave.<br />
Si incamminano lungo il treno, trovano un carro merci e vi salgono sopra.<br />
Carl dice a Doug che deve imparare a muoversi e a distinguere le linee ferroviarie principali: «devi<br />
imparare mentre aspetti… I numeri dispari vanno ad ovest, i pari ad est… Gli unici veri hotshot<br />
sono il novantasette e il centonovantasette… Ci sono un mucchio di trucchetti. E’ sempre meglio<br />
non dover chiedere niente a nessuno». Gli dice che, quando sono sul treno, è pericoloso stare<br />
sdraiati perché, se il treno frena bruscamente, rotoli e ti fai male. Infatti il treno fa un balzo in<br />
avanti, gettando en<strong>tra</strong>mbi per aria.<br />
Mentre il treno va, vedono i fuochi degli accampamenti, le giungle che sorgono in prossimità degli<br />
scali. Carl gli confessa che non dorme mai quando il treno esce da uno scalo perché ha paura che<br />
qualcuno possa saltare dentro al carro. «E’ brutto di sera, specialmente in questo periodo <strong>del</strong>l’anno<br />
quando arrivano tutti i raccoglitori… e se hai bevuto, stai attento… Se io bevo mi metto vicino<br />
all’angolo <strong>del</strong> vagone. Non mi vedrai mai vicino alla porta». Doug gli dice di essere capace di<br />
<strong>tra</strong>ttare con un ubriaco: «E’ possibile se sai quello che fai, ma se bevi anche tu allora non va più<br />
bene… Non lasciarti mai attirare in un vagone da due tipi con una bottiglia… Mai viaggiare quando<br />
sono in coppia. La cosa migliore è aggregarti a un vegliardo, qualcuno che sa come si deve fare…<br />
Devi imparare a stare lontano dagli altri… Io non dico mai a nessuno dove vado… Ci sono <strong>del</strong>le<br />
persone su questa s<strong>tra</strong>da che sono indifese. Quando cominci ad aiutarle diventa come avere un<br />
figlio… io mi rifiuto di farlo». Doug ribatte: «se ti stanchi (di me), dimmelo». E Carl: «Non hai<br />
capito… Non viaggiare da solo se puoi evitarlo, ma quando trovi lavoro non dipendere da altri. Se<br />
vuoi andare via, allora vattene!». «Per questo hai lasciato tutti quei lavori?». «Di solito mi stanco di<br />
un uomo. Per lui lavoro sodo ma, dopo un po’ pensa di possedermi».<br />
Il viaggio procedeva <strong>tra</strong>nquillo e Doug si addormenta in pochi minuti.<br />
CAPITOLO 6<br />
L’ARRIVO A DESTINAZIONE. PRIMO ASSAGGIO DI VITA IN UNA “GIUNGLA”.<br />
L’INCONTRO CON BOSTON BLACKIE. LA CONDIVISIONE DEI RICORDI E DEL CIBO<br />
INTORNO AL FUOCO. CARL: «SE È UN “TRAMP” GLI DO TUTTO QUELLO CHE HO».
Prima <strong>del</strong>l’alba, arrivano a Wenatchee. Saltano dal treno e camminano lungo le rotaie verso un<br />
torrente dove, dice Carl, avrebbero trovato una giungla.<br />
Trovato il campo, il vegliardo fa pulizia e riesce ad accendere il fuoco per fare colazione. Tranquillo<br />
dice: «Adesso ti trovi <strong>del</strong> lavoro e sarai a posto… E’ bene che siamo arrivati presto, abbiamo tutto il<br />
giorno per organizzarci… perché domani a quest’ora voglio essere lavato e pronto per andare<br />
all’ufficio di collocamento». Doug gli chiede cosa abbia intenzione di fare dopo la raccolta e lui gli<br />
risponde che non sa dove andrà poi, dando un’occhiata in giro: «quando sono in questi scali ho<br />
pronta una mazza… C’è <strong>del</strong>la gente accampata vicino al torrente che aspettano di vederti ubriaco…<br />
un tipo da solo, con la sua roba, è nei guai, specie se è ubriaco».<br />
Carl si rade e costringe anche Doug a farlo: «non hai più scuse per avere un aspetto distrutto quando<br />
c’è acqua e sapone». Poi passa alla colazione: fagioli, tanto per cambiare, che terminarono<br />
passandosi il cucchiaio vicendevolmente.<br />
Indica un uomo che si stava dirigendo verso di loro. Riconosce Boston Blackie, un vecchio grasso<br />
che indossava vestiti da lavoro di taglia calibrata. Dice di aver speso tutto in bottiglie e poi propone<br />
ai due «io ci metto il caffè se voi ci mettete l’acqua… Tu mi ha dato il caffè quando io non ne<br />
avevo». Porge a Doug una tazza di plastica marrone e gli dice di tenerla. I due vecchi conoscenti<br />
parlano e raccontano di essere stati insieme in una missione dove, racconta Blackie, era ritornato<br />
anche l’anno passato e si era preso una polmonite. Carl si informa se ha visto in giro un tizio al<br />
quale ha prestato venti dollari e che vuole indietro. Poi l’altro gli dice come si siano creati dei<br />
problemi con gente che aveva mandato a raccogliere mele e che, dopo quattro, cinque giorni di<br />
sobrietà e di lavoro si erano ubriacati combinando guai e conclude: «Non chiedo mai niente da<br />
mangiare e se me lo offrono, non lo voglio… perché non voglio avere degli obblighi». Carl<br />
concorda con lui.<br />
Continuano a raccontare bevendo altro caffè. Parlano <strong>del</strong>le opportunità di trovare lavoro e, in quel<br />
periodo, stare lontano dalla bottiglia. «Quando sono ubriaco non riesco a stare vicino a un uomo<br />
sobrio» dice Carl. Blackie conferma: «quando io sono ubriaco mi devo allontanare da uno che è<br />
sobrio… non importa da quanto lo conosco».<br />
Il sole stava calando e Carl rovista nel suo sacco (il cibo di en<strong>tra</strong>mbi era là) e tira fuori un barattolo<br />
di fagioli ma, prima di offrire il loro cibo al vagabondo, guarda Doug che rifiuta e gli dice di fare<br />
pure a metà con Blackie che accettò dopo un iniziale rifiuto.<br />
Le chiacchere accanto al fuoco continuano infine Blackie guardando Carl commenta: «Ultimamente<br />
mi sono trovato a pensare spesso a cosa cacchio sarà di me!». I due vagabondi scoppiano a ridere.<br />
Poi conclude: «Comunque il mio amico Carl mi ha sempre dato qualcosa da sgranocchiare quando<br />
ero affamato, da fumare se ero senza… Questo è il nostro modo di vivere, è così che andiamo<br />
avanti». E Carl: «Se è un <strong>tra</strong>mp gli do tutto quello che ho».<br />
CAPITOLO 7<br />
DOUG RACCONTA A BLACKIE DEL VIAGGIO CON CARL: «LUI SA QUALI SONO I TRENI<br />
DA PRENDERE… STAVA SICURAMENTE MALE COME UN CANE… AVEVA BALLATO<br />
TROPPO LA “RUMBA DELLA BUMBA”». CARL: «BOSTON BLACKIE È UN “PACKSACK<br />
TRAMP”. NON È COSÌ BUONO COME CREDI».<br />
Arriva un altro vagabondo, George, che Blackie invita a prendere il caffè. I tre parlano dei sacchi a<br />
pelo, di una radio a <strong>tra</strong>nsistor che Blackie tira fuori dal suo sacco ma che non funziona, di avere<br />
abbastanza caffè, tabacco e fiammiferi per fumare. Doug lava la sua tazza per ridarla a Blackie ma<br />
lui gli dice di tenerla se non vuole essere costretto a cercarsene un’al<strong>tra</strong>. Carl, a proposito di tutti<br />
quegli scambi, gli dice: «Sai è quello che facciamo noi vecchi… Tu hai questo? Oppure: tu hai<br />
quello?... Prima che te ne rendo conto tutti hanno qualcosa».<br />
Uomini continuano a spuntare da dietro ai cespugli dirigendosi al rifugio. Carl: «Guardali, diretti a<br />
quel posto là (il rifugio). Non c’è più nessuno che fa la giungla nel modo giusto». E Blackie: «Lì<br />
nel rifugio non ci puoi stare (più) di tre giorni… Tre notti di alloggio, poi te ne devi andare». Dice
che lì a Wenatchee non è più possibile fare la giungla perché li mandano via e distruggono tutto con<br />
le ruspe «rendono difficile per un uomo trovare un maledetto lavoro».<br />
Mentre Carl ed il nuovo venuto si allontanano, Doug racconta a Blackie <strong>del</strong> viaggio con Carl sul<br />
carro merci. Lui commenta: «Lui sa quali sono i treni da prendere… Stava sicuramente male come<br />
un cane, non sapendo quello che stava facendo, aveva ballato troppo la “rumba <strong>del</strong>la bumba”…<br />
Anch’io sono stato così parecchie volte, troppe… Vivere lungo le rotaie non va bene». Doug replica<br />
che invece a lui piacevano certi aspetti di quell’esperienza sulla s<strong>tra</strong>da, e lui: «Tu sei giovane… non<br />
è più divertente quando hai cinquantotto anni e sei in giro da trenta… Quando ho iniziato tutto era<br />
eccitante e tutto mi sembrava perfetto… Ora sono troppo vecchio e i treni sono troppo veloci».<br />
Carl e George ritornano. Carl porta un paio di occhiali: «funzionano» chiede Blackie. «Sono<br />
bifocali, non riesco a leggere dalla parte sotto». «Meglio che niente» replica. E Carl: «andranno<br />
benissimo finché non troverò qualcosa di meglio».<br />
Blackie e George se ne vanno. Dopo che si sono allontanati, Carl dice: «Quello è Boston Blackie.<br />
Gli ho mangiato la faccia perché mi scroccava sempre il caffè e non me lo ridava mai». Doug: «A<br />
me sembrava un tipo a posto». «Non è così buono come credi. C’è gente che non lo può soffrire. E<br />
se tu frequenti lui, loro non frequentano te… Gli ho dato così fottutamente tanto che non ho voglia<br />
di dargli più niente… Vedi lui è un packsack <strong>tra</strong>mp 28 . Il bindle stiff è un termine che si usava ai<br />
vecchi tempi per noi vegliardi. Si portano dietro pa<strong>del</strong>le, pentole… Li vedi belli carichi, due, tre<br />
sacchi pieni».<br />
Doug non è d’accordo e dice a Carl come il caffè di Balckie lo aiuterà il mattino dopo a non patire il<br />
freddo. Lui ribatte che non sarà certo la prima, né l’ultima volta che patirà il freddo ma Blackie è<br />
venuto a cercarli perché voleva soltanto sentirsi protetto, perché se in un campo ci sono più<br />
individui nessuno verrà ad infastidirli e poi perché non c’è più nessuno che voglia fare il campo con<br />
lui.<br />
Al mattino, vedendo un uomo camminare lungo i binari, e sospettando che fosse uno sbirro,<br />
raccolgono tutto l’equipaggiamento e si spostano lontano dallo scalo. Lì trovano due vagabondi<br />
seduti vicino ad un fuoco. Iniziano a parlare con Carl <strong>del</strong> come sono arrivati lì dopo essere partiti da<br />
Minneapolis, due settimane prima. Hanno viaggiato con degli hippy: «i soldi li hanno, viaggiano<br />
solo per divertirsi. Fumano la marijuana».<br />
Quando <strong>tra</strong> i vagabondi cade il silenzio, Doug e Carl tornano verso la scalo.<br />
CAPITOLO 8<br />
L’INFORMATORE (IL VAGABONDO, CARL) RISPONDE ALLE DOMANDE<br />
DELL’OSSERVATORE “PARTECIPANTE” (IL SOCIOLOGO, DOUG): COME SI FINISCE A<br />
FARE LA VITA DEL “TRAMP”?<br />
Durante il giorno, il caldo li spinge a cercare, lungo il fiume, un posto ombroso.<br />
Doug si rende conto che il suo rapporto con Carl, il vagabondo, sta diventando sempre più solido e i<br />
sentimenti che li legano, più profondi. Cosa piuttosto insolita nella vita di s<strong>tra</strong>da: Carl, assumendo il<br />
ruolo di maestro, si impegna per fargli capire come è organizzata la sua vita, vincendo la sua<br />
iniziale diffidenza.<br />
L’autore, in questa reciprocità di sentimenti di fiducia, gli svela <strong>del</strong>la sua ricerca “sul campo” e<br />
<strong>del</strong>le sue ambizioni di scrittore e di fotografo. Per Carl gli scrittori sono in grado di vivere la vita <strong>del</strong><br />
vagabondo ma, mentre la gente si rivela con le parole, tende a nascondersi dalla macchina<br />
fotografica. Doug scrive nei suoi appunti di quel viaggio: «quando il vagabondo divenne mio amico<br />
mi accolse come parte <strong>del</strong>la sua identità». Per rispetto a lui, Doug decide di non scattare fotografie<br />
né a lui né ai vagabondi coi quali avevano fatto il campo la sera prima (Carl lo aveva ammonito: «se<br />
tiri fuori quell’aggeggio in un vagone pieno di uomini, non ti aspettare che ci penso io» 29 ). Doug<br />
deve decidere se rimanere un osservatore esterno e fare il suo reportage per documentare la vita<br />
28<br />
Versione “moderna” <strong>del</strong> bindle stiff (il vagabondo vecchio stile che porta tutte le sue cose in sacchi di iuta). E’ colui<br />
che sostituisce zaini e borse al sacco di iuta.<br />
29<br />
Carl aveva detto: «Quando cominci ad aiutarle (le persone) diventa come avere un figlio… io mi rifiuto di farlo».
sulla s<strong>tra</strong>da (e, in quel caso, non poter fare amicizia con Carl, né con nessuna altro), oppure en<strong>tra</strong>re<br />
a far parte di quella vita nel modo più pieno possibile. L’amicizia con Carl decide: Doug mette via<br />
la macchina fotografica.<br />
I due hanno conversazioni lunghe e <strong>tra</strong>nquille all’ombra degli alberi vicino al fiume. Carl gli dice<br />
<strong>del</strong> lavoro che li aspettava: sarebbe stato il migliore che un vagabondo avesse potuto trovare.<br />
Avrebbero scelto loro gli orari, la velocità di lavoro, non avrebbero avuto a che fare con un<br />
caposquadra, avrebbero guadagnato una bella cifra e alloggiato in una baracca.<br />
E’ bene perché, in genere, l’appaltatore riceve il lavoro dal contadino, assume braccianti nei<br />
bassifondi, attirandoli con una bottiglia di vino, li paga poco chiedendo il massimo e quelli se ne<br />
accorgono quando “ti presentano il conto”. Doug chiede se ci può essere la possibilità per un<br />
vagabondo di avere il controllo di tali situazioni. Carl risponde: «Il fruit <strong>tra</strong>mp? 30 No, non legano.<br />
Non legherebbero mai, per questo sono vagabondi… Mai finche l’uomo di s<strong>tra</strong>da sarà un <strong>tra</strong>mp».<br />
Doug gli fa notare che stanno fondando un sindacato in California. Carl lo sa ma: «Lui (il sindacato)<br />
sta aiutando i messicani, gli indiani e i neri, non aiuta certo me!». I privilegiati nel lavoro saranno<br />
sempre gli amici dei caposquadra: a loro andrà il lavoro migliore; chiunque altro, messicano e non,<br />
avrà il peggio. «Come si fa a non essere sempre sfruttati?» Carl: «loro si lasciano prendere dalla<br />
routine». «Come si fa ad uscirne?» a non accettare più di essere soltanto sfruttati?. «C’è solo un<br />
modo e ce l’hai qui davanti a te. Fai la vita di s<strong>tra</strong>da. Te ne vai. Vai dove sono i soldi. (Te li<br />
guadagni col tuo lavoro). Vedi, io sono uno spirito libero. Non sono legato né a persone, né a cose.<br />
Quando ho qualcosa te la do… Boston Balckie, lui è capace di avere il sacco pieno e di mangiare<br />
dal tuo per poi andarsi a mangiare da solo la sua roba 31 … E queste cose si vengono a sapere. La<br />
gente non vuole viaggiare con lui. Dice di non volere nessuno, ma sono gli altri a non volere lui. Ed<br />
è per questo che in inverno deve andare alla missione».<br />
Carl gli dice che <strong>tra</strong> chi fa la vita di s<strong>tra</strong>da ci sono pensionati <strong>del</strong>le ferrovie che raccolgono rame e<br />
altri metalli dalle discariche per poi venderli. Altri ancora hanno la pensione di guerra. C’è chi si è<br />
fatto male lavorando per le ferrovie per cui ha la pensione di invalidità. Tutti loro ricevono una<br />
piccola pensione che non basta per viverci in città, ma basta per viverci per la s<strong>tra</strong>da.<br />
Lì dove si trovano adesso, dice, sanno che dipendono dal loro lavoro ma sanno anche che chi è lì<br />
per lavorare ci starà per poco. Fanno tutto perché i vagabondi non possano rimanerci e gli va bene<br />
che facciano questa vita. Così, appena è terminata la raccolta, e non hanno più bisogno, è meglio<br />
andarsene via. Se non lo fai, ti prendono i soldi (sbattendoti in prigione) e poi ti cacciano mettendoti<br />
sui treni. La polizia non può fare altro. Se mal<strong>tra</strong>ttasse i lavoratori, questi smetterebbero di venire.<br />
Poi, una volta finito il lavoro, non gliene frega più niente a nessuno. Sanno che l’anno prossimo<br />
torneranno. L’uno ha bisogno <strong>del</strong>l’altro: «Io ho bisogno di loro, ma loro hanno più bisogno di me».<br />
E’ per tale ragione, dice Carl, che non vuole lavorare per loro troppo a lungo tanto il modo per<br />
rubarti qualcosa (nel senso <strong>del</strong>la paga, anche se concordata in anticipo) lo trovano sempre e, se dici<br />
qualcosa, il mattino dopo sei senza lavoro. «Ecco perché molte persone si schifano e non vogliono<br />
più lavorare. Campano di buoni viveri oppure vivono di accattonaggio».<br />
Doug prende quelle riposte che Carl gli dà come lo spunto per affrontare i motivi a causa dei quali i<br />
vagabondi approdano alla vita di s<strong>tra</strong>da e la forza che sostiene tale scelta. Alcuni sociologi indicano<br />
l’influenza di fattori sociali o determinate peculiarità caratteriali alla base di tali scelte. Non basta:<br />
l’incapacità che i vagabondi dimos<strong>tra</strong>no nel descrivere le proprie vite at<strong>tra</strong>verso formule precise,<br />
non è abbastanza per dimos<strong>tra</strong>re la loro mancata autocoscienza. Il vagabondo vive soprattutto nel<br />
presente; ciò che appartiene al passato o al futuro non è importante per lui.<br />
Doug formula i suoi pensieri a Carl chiedendogli cosa lo ha portato sulla s<strong>tra</strong>da. A proposito dei<br />
vari motivi che potevano condurti ad operare tale scelta, disse che «l’in<strong>tra</strong>prendere la vita di s<strong>tra</strong>da<br />
rifletteva il punto di rottura raggiunto dalle varie persone». Doug vuole approfondire: «La gente qui<br />
non parla molto <strong>del</strong> proprio passato». «Non ne parlano per niente». Poi cambia discorso parlandogli<br />
dei suoi pini per sistemarsi: «raggiungere una bella località. Comprarsi una capanna. Starsene solo.<br />
30 <strong>Un</strong> vagabondo che raccoglie frutta per vivere.<br />
31 Ecco perché aveva detto a Doug: « Non è così buono come credi ».
Avere una radio o la TV… Si può ancora fare». Chiede Doug: «E il bere?». «Da quello riesci a<br />
sfuggire. Ti allontani dalle persone che bevono». Gli dice che qualcuno riesce a vivere così e riesce<br />
a vivere di più perché, come il vecchio George, fanno una vita più sana.<br />
Aggiunge, cambiando discorso: «Vuoi sapere perché siamo sulla s<strong>tra</strong>da? E’ il desiderio di<br />
viaggiare: fa parte <strong>del</strong>l’America». Per i contadini non è così perché loro non si possono allontanare:<br />
hanno i campi e le mucche da mungere. Per lui, che prima faceva il contadino, è iniziato tutto con<br />
l’esercito: si è arruolato a diciannove anni per andare, sotto le armi, un po’ dappertutto. Doug gli<br />
dice che molti, quando lasciano l’esercito, si sistemano. Lui risponde che è perché nell’esercito non<br />
ci sono rimasti a lungo: «l’esercito è un modo di vita, o bevi, o impazzisci». E’ stato quando, dopo<br />
l’esercito, ha lavorato in ferrovia che ha imparato a viaggiare sui treni merci per andare da un posto<br />
all’altro.<br />
Doug gli chiede se all’inizio <strong>del</strong> suo vagabondare si è reso conto che non si sarebbe mai sistemato:<br />
Carl gli risponde che è una cosa che ha imparato nell’esercito: vai dove ti mandano; perdi la tua<br />
casa; dopo un po’ non hai più una casa. Quando ne esci il sacco a pelo diventa la tua casa, ecco<br />
perché quando te lo rubano è come se ti rubassero la casa. «Oggi la gente parla di tornare alla<br />
natura. Tutti quelli che vivono in s<strong>tra</strong>da lo fanno da anni. Scrivono libri sull’andare su, al nord,<br />
vivere in luoghi selvaggi… per noi questa è storia antica! 32 ».<br />
CAPITOLO 9<br />
L’INCONTRO CON JACK ONE-EYED (ONE-EYE): UN ALTRO MODO DI VIVERE “LA<br />
STRADA”, UN ALTRO “MAESTRO”.<br />
<strong>Un</strong> vecchio vagabondo, che dice di chiamarsi Jack One-Eyed, lascia cadere il suo equipaggiamento,<br />
contenuto dentro un sacco di juta, all’ombra, accanto a loro. Porta, come la maggior parte dei<br />
vagabondi, una tuta da lavoro lisa, stivali di cuoio con lacci e un berretto a visiera lunga. Lo<br />
con<strong>tra</strong>ddistingue un occhio vitreo e una cicatrice che dalla fronte gli at<strong>tra</strong>versava l’occhio per<br />
terminare sulla guancia. Nonostante il suo aspetto feroce si dimos<strong>tra</strong> loquace e amichevole.<br />
Si dirigono, in sua compagnia, fino in paese per comprare altri fagioli. Il nuovo venuto gli dice che,<br />
anche se non ne è certo, la raccolta non è ancora iniziata. Doug si demoralizza: «mi rendevo conto<br />
di quanto fossi ancora male adattato a quel ritmo di vita… I vagabondi accettano la notizia e vi si<br />
adeguano consci <strong>del</strong> fatto che non possono fare nulla per mutare il corso degli eventi». Carl si<br />
accorge <strong>del</strong>la sula <strong>del</strong>usione: «Qualcosa troveremo… Guadagneremo qualche soldo per il mangiare<br />
e poi ce ne andremo a cercare qualcosa di meglio».<br />
Jack gli dice che aveva vissuto per un certo periodo vicino allo scalo <strong>del</strong>la Great Northern, a<br />
Minneapolis. Carl lo informa che nella parte nord <strong>del</strong>la città adesso ci stanno i wino 33 . Lui dice che<br />
non ha più nessuna intenzione di tornare là «tenetevi il vostro fottuto Minnesota!».<br />
Doug gli fa notare che si porta dietro un sacco di roba. Lui ribatte che è vero, che ne ha a<br />
sufficienza per due uomini ma gli fa notare anche che lui ci deve vivere «con queste gambe!».<br />
Jack gli racconta di varie stagioni <strong>tra</strong>scorse a lavorare nei meleti e che, anche quella stagione, era<br />
sua intenzione mettercela tutta per guadagnare bene: «devi lavorare duro per farti una giornata<br />
buona. Questo vuol dire mettercela tutta».<br />
Seduti pensano tutti e tre al lavoro che li attende poi Jack dice come non sia sempre facile prendere<br />
il treno giusto per arrivarci: «ti dirò una cosa amico, sai che non mi piace dire agli altri come vivere<br />
la propria vita, ma devi stare attento quando viaggi su quel ramo <strong>del</strong>la ferrovia. Ci sono dei bastardi<br />
che girano in branchi. Sono <strong>del</strong> nostro stesso colore, bianchi». E Carl 34 : «solo che ‘sto ragazzo non<br />
mi ascolta mai… comunque puoi essere anche fortunato e trovare un gruppo di brave persone nel<br />
vagone». Jack rincara dicendo che bisogna guardarsi dai figli di puttana bianchi (che cercano di farti<br />
volutamente sbronzare per derubarti e farti <strong>del</strong> male) più che dai neri e che se non dovesse lavorare<br />
32 Sembra che nel pronunciare queste parole, Carl sia venuto a conoscenza <strong>del</strong>la vera storia di Christopher McCandless,<br />
detto Alex Super<strong>tra</strong>mp , dai cui diari sono stati ricavati un <strong>libro</strong> ed un film, en<strong>tra</strong>mbi intitolati Into the wilde.<br />
33 <strong>Un</strong> barbone avvinazzato, di bassa leva.<br />
34 Alludendo a Doug.
per vivere, comprarsi i vestiti e mangiare, il lavoro lo manderebbe al diavolo. In qualsiasi momento<br />
dice di poter andare in un meleto e trovare lavoro perché lo conoscono e sanno che è pronto a<br />
lavorare duro. Dice che quando lavora si procura <strong>del</strong> cibo vero, se lavora mangia ma c’è sempre<br />
qualcuno pronto a tenderti una <strong>tra</strong>ppola, picchiarti e rubarti tutto prima di riuscire a prendere un<br />
treno per andarsene via. La sua morale quindi è quella di mangiarsi quasi tutto quello che ha<br />
guadagnato mentre lavora, prima di arrivare sulla s<strong>tra</strong>da: c’è un sacco di gente che si approfitta dei<br />
vagabondi. Il trucco è lasciarsela alle spalle senza offendere nessuno, in maniera amichevole.<br />
Jack parla poi <strong>del</strong>la sua scelta di vita: «alla gente che mangia la roba avvelenata di oggi viene<br />
l’infarto o il cancro. Li prendono anche perché desiderano una casa nuova, una macchina nuova,<br />
una bella moglie. Devono puntare alto, non possono rifiutare. Forse tu vuoi vivere così ma non fa<br />
certo per me, amico. Questo l’ho capito un sacco di tempo fa».<br />
Doug non sa che dire, lascia che il vecchio vagabondo si allontani coi suoi ricordi e la sua roba: non<br />
era pronto a rispondere allo stile oratorio dei vagabondi, caratterizzato dal <strong>tra</strong>mandarsi oralmente le<br />
proprie storie che diventano, <strong>tra</strong> di loro, oggetto di reciproche prese di giro.<br />
Jack rimette nel fagotto le sue cose e se ne va da solo.<br />
CAPITOLO 10<br />
IL VIAGGIO LUNGO LA “DIRAMAZIONE” FINO AI MELETI. CARL PARLA DELLA SUA<br />
FAMIGLIA. NON UN FOTOGRAFO “FASULLO”. L’AVVINAZZATO: IL TIPICO<br />
RACCOGLITORE DI MELE. I SOGNI DI CARL: UN PEZZO DI TERRA E UNA CAPANNA MA…<br />
POSSEDERE DELLA TERRA VUOLE DIRE INSTAURARE UN CONTATTO CON LA SOCIETÀ<br />
COMUNE CON LA QUALE IL VAGABONDO NON VUOLE AVERE NULLA A CHE FARE.<br />
Si mettono in viaggio lungo la “diramazione” 35 . Là dove le colture crescevano e dove i lavoratori si<br />
recavano per raccoglierla e dove, la maggior parte dei soldi generati durante questo processo, non<br />
lasciavano mai la contea. Quando arrivano allo scalo è un pullulare di lavoratori, uomini con sacchi,<br />
zaini e rotoli di coperte intenti a cercare un passaggio verso i luoghi di raccolta. In genere un<br />
vagabondo preferisce viaggiare da solo ma l’urgenza di partire per andare verso nord, in cerca di<br />
lavoro, costringeva a viaggiare nei vagoni merci, stipati come sardine.<br />
Il macchinista, tuta da lavoro pulita e atteggiamento riservato, nei confronti <strong>del</strong> quale tutti i<br />
vagabondi devono deferenza all’interno <strong>del</strong>lo scalo, li informa cha dovrà fare una fermata a Pateros,<br />
prima di arrivare a destinazione e che lo avrebbe segnalato fischiando due volte in modo tale che, se<br />
qualcuno avesse voluto scendere lì, avrebbe dovuto scendere al volo.<br />
All’interno <strong>del</strong> vagone i vagabondi si mos<strong>tra</strong>vano diffidenti. Jack One-Eyed fece finta di non<br />
riconoscerli. Si formano due gruppi: quello posizionato vicino al portellone a bere vino ed<br />
ubriacarsi (il commento di Carl fu: «marmaglia!») era composto da individui senza<br />
equipaggiamento, mal vestiti e sporchi. Carl, vedendo l’amico che guarda un tipo <strong>del</strong> gruppo dei<br />
bevitori che farfuglia e gesticola gli dice che quello è un jack roller alla ricerca di qualcuno da<br />
derubare: «lui non è ubriaco, fa solo finta. Ora non fa niente: c’è troppa gente ma, prima o poi,<br />
vedrai che si muove. Lo rivedremo ancora».<br />
Dopo un’ora giungono a destinazione e devono saltare dal treno. Istruito da Carl sulla tecnica per<br />
saltare giù da un treno in movimento, Doug si china, si dondola in avanti per poter atterrare in piedi<br />
o correndo, anche ruzzolare ma cercando di allontanarsi dal treno in corsa. Altri vagabondi si<br />
mettono in fila dietro di loro per saltare. Il macchinista fischia due volte. Carl getta<br />
l’equipaggiamento fuori e saltano. Come per chi il gesto l’ha compiuto almeno un centinaio di<br />
volte, si scrollano la polvere di dosso. Alcuni di quelli che sono saltati si dirigono verso il paese per<br />
ubriacarsi, i più vecchi formano piccoli gruppi.<br />
Carl indica dei cespugli non lontani dicendo: «il campo è là. Aspettiamo alcuni minuti finché gli<br />
altri non se ne vanno e poi andiamo là a mangiare». Quando gli fa cenno di andare si dirigono al<br />
campo e il vagabondo lo lascia lì, con l’equipaggiamento, per andare a fare la legna per il fuoco.<br />
35 Il treno locale che porta ai paesi in cui si trovano i frutteti al nord <strong>del</strong>lo stato di Washington.
Mentre l’acqua bolle in un barattolo da caffè, Doug controlla lo stato <strong>del</strong>la macchina fotografica nel<br />
suo sacco e chiede al compagno cosa pensa a riguardo che se la porti dietro. Carl: «l’ho già visto<br />
fare da altri. Vengono per s<strong>tra</strong>da e ti dicono “mi dici qualcosa se ti compro una bottiglia?” o “ti<br />
posso fare una foto se ti pago da bere?”. Se gli chiedi il perché farfugliano qualche scusa e se ne<br />
vanno. Sono dei fasulli. Li vedi subito». Doug li dice che non è come loro perché gli ha detto subito<br />
cosa stesse facendo. Carl lo rassicura: «non parlo di te».<br />
Vedendo un vecchio vagabondo camminare da solo lungo le rotaie verso i frutteti, Carl dice: «sta<br />
cercando un posto lontano dagli altri… Sta diventando troppo vecchio per farcela sulla s<strong>tra</strong>da».<br />
Allora Doug gli chiede quale sia la sua età: «sessanta. Troppo vecchio. La gente comincia ad<br />
approfittarsi quando diventi vecchio… Ma quand’ero giovane è andato tutto perduto: al tempo <strong>del</strong>la<br />
Depressione è andato tutto perso a causa <strong>del</strong>le tasse. Mio padre se n’è andato lasciando mi madre<br />
con sette bambini piccoli. Lavorava la terra da sola. Io ho lavorato come un uomo da quando avevo<br />
dieci anni». Doug gli chiede se la madre è ancora viva e se la vede ancora e lui risponde che le<br />
manda dei soldi ma non sopporta l’uomo con cui vive. Gli parla di come sono sistemati i fratelli e le<br />
sorelle che ha.<br />
Poi parla <strong>del</strong> come <strong>tra</strong>ttano i lavoratori da quelle parti e come si comportano i raccoglitori di mele:<br />
quello tipico, come hanno visto sul treno, è un avvinazzato. Viene ma non lavora. Non fa latro che<br />
andare di paese in paese a scroccare. L’unica cosa a preoccuparlo è che ha finito la bottiglia; allora<br />
lavorano qualche altro giorno, prendono i soldi e se li vanno a bere e non si vedono più finché non li<br />
hanno spesi tutti.<br />
Carl decide di aspettare ancora prima di muoversi da lì. Doug ne approfitta per chiedergli di<br />
parlargli <strong>del</strong>la pastorizia e lui: «Non fai altro che badare alle pecore. Le pecore sono ovunque… le<br />
devi aiutare a partorire e devi insegnarli a succhiare facendoglielo vedere almeno una volta. Quelli<br />
che si occupano <strong>del</strong>la pastorizia sono dei tipi solitari come Jack One-Eyed: lui è un airdale 36 . Loro<br />
sono così: non vogliono più avere a che fare con nessuno. Ce la fanno da soli… Anche se vanno un<br />
po’ fuori di testa: troppa solitudine».<br />
Doug gli chiede come si vede <strong>tra</strong> dieci anni. Carl: «non importa cosa voglio nei prossimi dieci anni.<br />
Quello che conta è quello che riesco ad avere… Se sogno, sogno di possedere un pezzo di terra,<br />
costruirci una capanna, da potersi mantenere senza bisogno di lavorare per qualcun altro. Ma con<br />
quello che costa, anche un pezzo piccolo di terra, faccio prima a morire».<br />
Doug si rende conto di porre domande sbagliate: i soldi per la capanna non sarebbero stati un<br />
problema: i soldi vanno e vengono, come le stagioni. Questo era il punto: il possesso <strong>del</strong>la terra<br />
dipendeva dal contatto instaurato con la società comune con cui il vagabondo non voleva avere<br />
nulla a che fare.<br />
CAPITOLO 11<br />
ESSERE UN “TRAMP”: IL CIBO, L’ABBIGLIAMENTO, IL COMPORTAMENTO “CIVILE”, IL<br />
LAVORO (CITAZIONE DI J.J.HILLS) , IL BERE, MAI CHIEDERE LA CARITA’. LAVORARE<br />
DALL’ETA’ DI DODICI ANNI.<br />
E’ buio. Carl indica a Doug due tipi, visti al mattino, che nel vagone mangiavano caramelle e<br />
panini. Gli dice che quella roba veniva dal ricovero e che, quando era andato in paese per fare<br />
scorte, sapendo che pagava in contanti, gli avevano proposto di vendergli dei buoni viveri:<br />
«volevano soldi e avevano buoni viveri». Campare con i buoni viveri significa non avere un minimo<br />
di orgoglio: «io sapevo che sarei arrivato qui e andato a lavorare… i buoni viveri te li danno per<br />
niente». Gli dice che li puoi spendere per acquistare solo certe cose (cioccolata, bibite, gelato,…)<br />
ma nella vita di s<strong>tra</strong>da si vive anche con poco. Il trucco è portarsi dietro sempre qualcosa da<br />
mangiare; se non si ha più fame, si deve rimettere tutto nel sacco e portarselo dietro: «quando non<br />
hai fame non pensi al futuro» e quei tipi non si sono preoccupati di pensare abbastanza avanti.<br />
36 <strong>Un</strong> vagabondo estremamente solitario.
Doug gli chiede cosa c’era di diverso nei tipi che scroccavano sul treno. Carl risponde<br />
l’abbigliamento. I bum 37 hanno scarpe di bassa leva, calzini scesi sulle caviglie buchi nelle scarpe e<br />
nei pantaloni; i <strong>tra</strong>mp invece, anche quando sono sporchi, indossano i vestiti di uno che lavora,<br />
portano stivali e cappello. Il <strong>tra</strong>mp non parla molto, lo fa se gli rivolgi la parola. Porta il suo rotolo<br />
di coperte, è sbarbato. E’ quel tipo di persona che non vuole far sapere troppo sul suo conto.<br />
Quando si alzano d’intorno fischi e urla, Carl gli dice che c’è il pericolo che intervenga la polizia e<br />
li metta tutti dentro: «sono quelli che non hanno un briciolo di rispetto nemmeno per sé stessi». Poi<br />
gli comunica che è l’ora di andare a dormire. Raccolgono le loro cose, at<strong>tra</strong>versano le rotaie e si<br />
dirigono verso un angolo oscuro <strong>del</strong> meleto fino a trovare, un nido buio e sicuro nell’erba alta.<br />
Sdraiati uno a fianco <strong>del</strong>l’altro, il vagabondo riprende a parlare.<br />
Gli dice che si meraviglierebbe di quello che si riesce a mangiare quando si ha fame. Lui l’ha<br />
imparato nell’esercito. Rane, vermi, topi,… la carne è carne e tutti i gusti basta svilupparli. La gente<br />
cammina attorno al cibo, ci passa in mezzo, sopra e sotto e non lo vedono. Per esempio, nello scalo,<br />
per terra c’erano cicchi di grano, il chicco intero col quale fare il pane integrale.<br />
Poi gli parla <strong>del</strong> <strong>libro</strong> che ha letto sulla <strong>tra</strong>sformazione di Minneapolis, la città <strong>del</strong> legno e <strong>del</strong>la<br />
macinatura. Gli dice come a tagliare gli alberi e a lavorare il grano siano stati i <strong>tra</strong>mp. Sono loro ad<br />
aver costruito la ferrovia e cita J.J.Hills: «attacca un vagone vuoto a ciascun treno per permettere<br />
allo hobo 38 di viaggiare», sapeva che senza il <strong>tra</strong>mp non era possibile fare niente. Adesso non c’è<br />
più posto per la gente “come noi”. In tutte le città <strong>del</strong>l’ovest «ci elimineranno proprio come<br />
elimineranno i bassifondi». Gli dice che quando stava in città non riusciva a stare senza bere. Da<br />
bere lo trovi ovunque. E’ diverso se viaggi perché se non hai i soldi non puoi comprarti da bere e<br />
resti sobrio. C’è chi scrocca bevute o en<strong>tra</strong> in un negozio per fare la carità.<br />
Io, precisa, piuttosto chiedo di abbassare il prezzo o se hanno qualcosa di avanzato dal giorno prima<br />
che posso comprare a metà prezzo. Se vedo che c’è qualche lavoro da fare, mi offro di farlo io. Se<br />
lavori bene lo dicono ai vicini di casa e trovi altro lavoro. L’unico momento difficile per trovare un<br />
lavoro è stato durante la Depressione: io ero solo un ragazzo, i genitori avevano perso la fattoria 39<br />
per le imposte da pagare. Quando il padre se ne va (non l’ha più veduto da allora), aveva nemmeno<br />
dodici anni. Con la madre si <strong>tra</strong>sferiscono in città e lui viene mandato a lavorare in una fattoria dove<br />
l’uniche cose che aveva erano vitto e alloggio. Doveva lavorare sodo ma aveva di che vestirsi e si è<br />
fatto un’istruzione. A quindici anni l’hanno cominciato a pagare (dieci dollari al mese); con quei<br />
soldi si è dovuto comprare una bicicletta (faceva cinque miglia per andare e tornare da scuola) e i<br />
vestiti. La figlia <strong>del</strong> suo datore di lavoro era un’insegnante e lo faceva studiare: «è così che mi sono<br />
appassionato alla lettura». Studiava anche catechismo (è stato cresimato da luterano)... «Lavoravo<br />
duro, come un uomo e studiavo». Ecco perché «mi fanno schifo!», gli uomini dei bassifondi che<br />
non fanno niente per procacciarsi di che vivere, «uomini che sembrano finiti. Non rimane più nulla<br />
di loro. Sono solo un guscio. Quello è il vero bum, mentre lo hobo, lui lavora. Lo fa quando sarà<br />
necessario, andando di posto in posto. Il <strong>tra</strong>mp è quello che il lavoro lo cerca, si guadagna da vivere<br />
e si mantiene… Da queste parti c’è tutto un misto. E tutto inizia quando cominciano ad arrivare i<br />
soldi… E’ quando ti ritrovi coi soldi in tasca allora devi stare attento. Cominciano a bere, a litigare<br />
e c’è il jack roller a raccogliere i pezzi e tu sei da solo».<br />
Doug si addormenta. Il vagabondo, seduto a gambe incrociate, fa la guardia.<br />
CAPITOLO 12<br />
L’INCONTRO CON UN “RUBBER TRAMP”. IL CENTRO DI COLLOCAMENTO. L’ATTESA<br />
DEL LAVORO. DOUG RIFLETTE SUL FATTO CHE «LA LINEA CHE SEPARA<br />
L’OSSERVATORE DAL PARTECIPANTE STAVA DIVENTANDO INDISTINTA». L’AMICIZIA<br />
37<br />
Tradotto “barbone”. E’ un alcolizzato dei bassifondi che non si trova spesso sui treni. Non lavora e si mantiene<br />
ubriaco, in genere, col vino.<br />
38<br />
Anche detto ‘bo. <strong>Un</strong> girovago che lavora poco frequentemente, ma che non è un bum. E’ un termine storico poco<br />
usato oggi.<br />
39<br />
Carl dice di venire da Long Prairie, a circa cento miglia a ovest di Minneapolis. <strong>Un</strong> piccolo paese di mucche,<br />
contadini in pensione e soprattutto casari.
CON CARL. VIVERE LA VITA DI STRADA. NELLA “GIUNGLA”: LA CONDIVISIONE DI UNA<br />
STESSA ESPERIENZA CHE RENDE TUTTI UGUALI. RACCONTARIE STORIE.<br />
Al mattino, mentre finiscono di mangiare, vedono arrivare una vecchia Ford berlina. Ne scende un<br />
tipo grasso e sporco che chiede di poter usare il loro fuoco. En<strong>tra</strong>mbi cercano di ignorare quella<br />
presenza sgradevole e offensiva. Doug dice qualcosa in disaccordo col nuovo arrivato e questo lo<br />
minaccia dicendo che gli ha dato <strong>del</strong> bugiardo. Interviene Carl deviando l’attenzione <strong>del</strong> vagabondo<br />
e il discorso. Doug si rende conto che lo ha salvato dall’essere il bersaglio di quegli scoppi d’ira,<br />
irrazionali e imprevedibili, frequenti <strong>tra</strong> la gente di s<strong>tra</strong>da, che associava alla sbronza dovuta la vino<br />
dozzinale. Il rubber <strong>tra</strong>mp, dopo aver mangiato s<strong>tra</strong>fogandosi, gettò via i barattoli vuoti, mise la<br />
pa<strong>del</strong>la calda e sporca nel sacchetto unto, da dove l’aveva presa, risalì in macchina e se ne andò.<br />
Carl scuote la testa e poi, en<strong>tra</strong>mbi si incamminano verso il paese.<br />
Carl trova in un sacchetto <strong>del</strong>la farina di granoturco. Camminano fino al centro di collocamento<br />
(una vecchia roulotte in mezzo ad una cava di ghiaia). C’erano già molti uomini che aspettavano<br />
che l’ufficio aprisse. Quando venne il momento, prendono a sfilare lasciando i loro nomi. Presto le<br />
notizia arrivano in coda: la raccolta non era ancora iniziata, non si assumeva. Quando è il loro turno,<br />
Carl dice all’addetto che hanno at<strong>tra</strong>versato tutto il Paese per essere lì, lasciano i loro nomi e si<br />
uniscono agli uomini dietro la roulotte.<br />
Gli assale la noia: non hanno più una meta, non c’è una s<strong>tra</strong>da da seguire, solo l’attesa al caldo.<br />
Mentre i meleti in lontananza erano la meta, la cava di ghiaia era la loro promessa, un luogo in cui il<br />
tempo procedeva lentamente. Doug si accorge, ancora una volta, di essere ancora lontano “dal<br />
segno”: l’attesa era parte <strong>del</strong>la vita <strong>del</strong> vagabondo allo stesso modo <strong>del</strong>la s<strong>tra</strong>da lunga duemila<br />
miglia che avevano percorso.<br />
Decidono di sedere assieme ad un gruppo nel quale si trovano molti vagabondi che avevano fatto<br />
con loro il viaggio fin là. Nel pomeriggio Doug lascia il gruppo e va in paese. Nel parco, al fresco,<br />
si sdraia per raccogliere le idee e riflettere, per la prima volta dalla partenza, sull’esperienza che sta<br />
vivendo.<br />
Riflettendo da <strong>sociologo</strong>, si accorge che «la linea che separa l’osservatore dal partecipante stava<br />
diventando indistinta» e il suo modo di pensare, “di essere”, si stava sincronizzando con un aspetto<br />
esteriore che aveva costruito indossando degli abiti e portandosi dietro <strong>del</strong>le cose. Il suo viaggio è<br />
una sorta di apprendistato e Carl, quasi da subito, ha cominciato a prendere decisioni per tutti e due,<br />
raccontandogli gran parte <strong>del</strong>la sua vita fin dal loro primo incontro. Si accorge che alla amicizia<br />
burbera di Carl ha fatto corrispondere la sua. E, cosa più importante: «in qualità di amico di Carl,<br />
avevo cominciato a vedere come funzionava un tipo di vita di cui prima avevo osservato<br />
esclusivamente la superficie… Vidi la logica che sottostava agli spostamenti, al lavoro, al bere.<br />
Quelli con cui avevo a che fare, non erano “girovaghi”, la loro vita consisteva in una serie<br />
complicata di regole e aspettative, dal rispetto <strong>del</strong>le quali dipendeva la s<strong>tra</strong>tificazione in gruppi<br />
degli uomini di s<strong>tra</strong>da».<br />
Alcune volte queste regole erano semplici: sui carri merci puoi viaggiare all’andata, non al ritorno;<br />
puoi lavorare duro purché il datore di lavoro non acquisti su di te la proprietà se non quella <strong>del</strong><br />
tempo che ha comprato; devi stabilire relazioni immediate, senza impegno, ma non superficiali. Da<br />
questo insieme di convenzioni emergeva una forma di s<strong>tra</strong>tificazione sociale che permetteva ad ogni<br />
gruppo di funzionare bene.<br />
In verità era una vita regolata da dinamiche più sottili e piene di con<strong>tra</strong>ddizioni, come ad esempio il<br />
ruolo <strong>del</strong>l’alcool. I vagabondi definivano l’uomo dei bassifondi un bum perché aveva perso il<br />
controllo <strong>del</strong>l’uso <strong>del</strong>l’alcool. Ognuno di loro era stato ubriaco, abusato, derubato e sfruttato negli<br />
interludi dei suoi viaggi. Il vagabondo che nel carro merci aveva rifiutato il vino era lo stesso che<br />
accettava il suo modo di bere incontrollato al punto da farne una barzelletta da raccontare intorno al<br />
fuoco di un campo. Se i bassifondi includevano degli avvinazzati “a tempo pieno”, i vagabondi<br />
incon<strong>tra</strong>ti, che li bazzicavano per cercare un lavoro o per bere, speravano di non rimanerci, di<br />
andare verso qualcosa di diverso.
Quando Doug torna alla cava, Carl lo rimprovera (gentilmente) per la s<strong>tra</strong>vaganza di aver comprato<br />
una scatola da sardine. Fanno ritorno al campo. Il vecchio, che tutti chiamano nonno, accende un<br />
fuoco. Tutti si sdraiano attorno a lui ed iniziano a raccontare. Tutto si svolge in una atmosfera<br />
rilassata e amichevole causata dalla condivisione di un’esperienza che ci aveva reso tutti uguali.<br />
Mentre per gli altri è la ripetizione di momenti simili, per Doug è una nuova sensazione.<br />
Le giungle sono divise per razze. Il “nonno” prende una grande pentola di alluminio e quattro forme<br />
da torta metalliche; fa bollire l’acqua nella pentola. Prende dal suo sacco un pezzo di carne e lo<br />
divide in sette pezzi uguali; Carl contribuisce con un barattolo di fagioli; un altro con uno di fagioli<br />
neri: lo “stufato mulligan” venne completato poi con carote e cavolfiore, sale e pepe. Lo stufato<br />
viene diviso <strong>tra</strong> tutto il gruppo, anche <strong>tra</strong> quelli che non vi hanno messo niente. Doug è stupito <strong>del</strong><br />
fatto che alcune persone avessero rinunciato alle proprie cose per nutrire il gruppo, <strong>del</strong>la generosità<br />
<strong>tra</strong> persone così solitarie: il cibo faceva parte <strong>del</strong> rito <strong>del</strong>la giungla e, ancora una volta, l’esperienza<br />
condivisa rendeva tutti uguali.<br />
Intorno al fuoco si sorseggia caffè e si raccontano storie. Doug sente ripetere cose già ascoltate da<br />
Carl: il principio basilare di quel tipo di esistenza consisteva nel non rimandare le gratificazioni:<br />
non si lavora per una meta as<strong>tra</strong>tta. Le possibilità terrene che aveva offerto quella giornata erano<br />
importanti; domande più generali sul perché facessero una tale vita non interessavano a nessuno.<br />
Quando arriva il treno diretto a nord, alcuni, <strong>tra</strong> cui il “nonno” cercano di salirvi, altri saltano giù. Il<br />
vecchio, che non ce l’ha fatta, ritorna zoppicante verso il fuoco. Poi se ne va incamminandosi verso<br />
sud.<br />
CAPITOLO 13<br />
LE OPINIONI DEGLI ALTRI. CONDIVIDERE ANCHE ALTRE ESPERIENZE. “HOMEGUARD”<br />
E “TRAMP”. SEMPRE PIU’ DIFFICILE VIAGGIARE SUI TRENI MERCI. IL “TRAMP” DI<br />
VENTI ANNI FA. COME SI DIVENTA UN “BUM”. SCROCCARE PER UBRIACARSI E MORIRE<br />
PER L’ALCOOL. I GIORNI DI ATTESA. L’ARRIVO AL MELETO.<br />
Doug e Carl aspettano la tarda serata per ritornare a dormire nel meleto. Carl dice: «ne hai imparati<br />
oggi di trucchi. Presto comincerai a saperti muovere alla grande sulla s<strong>tra</strong>da!». Doug gli fa notare<br />
che se quella sera non fosse stato in sua compagnia, in quel campo, non l’avrebbero certo accolto. E<br />
il vagabondo: «non ti accetterebbero da solo. Questi tipi mi conoscono e quindi, se ti accetto io, ti<br />
accettano anche loro».<br />
Doug gli parla <strong>del</strong> fatto che in paese la gente è stata gentile con lui. Il vagabondo risponde che lo<br />
sono perché vedono arrivare i soldi e se sei sobrio e ti comporti bene non ti danno nessun fastidio.<br />
Gli propone di andare, una sera, alla taverna, senza sbronzarsi. Lui: «io ci sono già stato. So cosa<br />
succede. Non ho niente da imparare stando seduto in una maledetta taverna».<br />
Doug riflette su quella affermazione: «condividevamo le nostre esperienze in maniera equa.<br />
Tuttavia ci trovavamo bloccati ad uno specifico stadio degli eventi. Io chiedevo a Carl di superare<br />
quel livello, di accompagnarmi, al di fuori <strong>del</strong>la sua esperienza, mentre osservavo la vita che altri<br />
individui stavano vivendo». Doug non riusciva ad immaginarsi Carl ubriaco nei bassifondi ma era<br />
chiaro che lui ci riusciva benissimo ma non desiderava ricordare.<br />
Poi parlano <strong>del</strong> fatto che il paese è serrato contro i barboni e il vagabondo gli dice come lì ci vivano<br />
individui che, nel gergo <strong>del</strong>la s<strong>tra</strong>da, vengono chiamati homeguard. Questo tipo di individuo non<br />
viaggia e vive fisso in un paese; lui non è né un <strong>tra</strong>mp, né un hobo. Quando un lavoratore migrante<br />
si reca all’ufficio di collocamento, l’homeguard è quello che gli passa davanti perché è lì che vive,<br />
perché «è uno di loro». Quando un <strong>tra</strong>mp diventa un homeguard? Se un <strong>tra</strong>mp si toglie dalla s<strong>tra</strong>da,<br />
smette di vagabondare e si trova un lavoro in paese, allora diventa un homeguard.Poi Carl aggiunge<br />
che quello è solo il loro gergo, il gergo di s<strong>tra</strong>da.<br />
Doug gli dice che tante cose dette sui treni in quella giornata lui non le ha capite. L’amico risponde<br />
che il vecchio gergo ferroviario sta svanendo. Se dici ad uno che c’è una “rotaia che scotta”,<br />
significa che vedi un treno che sta per arrivare. Oggi certe espressioni non si conoscono. I nuovi<br />
vagabondi sono diversi, si comportano in modo diverso e parlano in modo diverso. E’ una diversa
classe di persone, come ora sono diversi i vagoni che costruiscono, sui quali non si potrà più<br />
viaggiare: non c’è spazio per en<strong>tra</strong>re. Chiudono i treni. Li sigillano. Coprono anche i “cassettoni”. E<br />
poi i treni vanno sempre più veloci. Per il momento si possono ancora prendere perché le rotaie non<br />
sono tutte in buono stato ma, quando verranno riparate, non sarà più possibile viaggiare.<br />
Gli dice come il vero <strong>tra</strong>mp di vent’anni prima non avrebbe mai frequentato i veri vagabondi di<br />
oggi. Questo non perché sono negri o indiani, ma perché sono ubriachi e sporchi: «e diventata una<br />
professione meno onorabile». E parlando di Carl: «quello che a me sembra renderti diverso dalla<br />
maggior parte <strong>del</strong>le persone che ho conosciuto sulla s<strong>tra</strong>da è che mi sembri libero dalla bottiglia per<br />
gran parte <strong>del</strong> tempo». «Se non lo fai diventi un bum. Cominci a dipendere dalla bottiglia, sei un<br />
alcolizzato. Come un bum, perdi il tuo sacco, il tuo rotolo di coperte, la tua roba, tutto quello che<br />
hai. Ti rimangono solo i vestiti che hai addosso». Alcuni riescono a smettere di bere quando sono in<br />
prigione o sono al verde. Non scroccherebbero mai una bottiglia, una bevuta sì, è diverso. Vanno in<br />
un posto dove comprano la bumba e chiedono un prestito: «è quello che ho fatto io l’ultima volta (la<br />
terza). I soldi te li prestano, hanno paura di perdere un cliente, anche perché sanno che pagherò. Per<br />
un avvinazzato, un wino, non lo farebbero» Aggiunge che i wino dei bassifondi si stordiscono al<br />
punto da non sapere cosa fanno. Vanno in su e giù per le s<strong>tra</strong>de a scroccare da tutti quelli che<br />
vedono. Sono disperati. Sanno cosa li aspetta: la disidratazione e il “<strong>del</strong>irium tremens”.<br />
Gli dice come avesse lavorato (per novanta giorni) nell’ospedale notturno <strong>del</strong>la prigione <strong>del</strong>la<br />
contea, a Chicago. <strong>Un</strong>o dei suoi compiti era imbalsamare i corpi di quanti morivano. Li prelevavano<br />
dai bassifondi che erano «già troppo andati con l’alcool. Arrivavano che erano rigidi. Li dovevi<br />
legare mani e piedi perché impazzivano. Poi morivano».<br />
Passano diversi giorni simili a quel primo giorno ed inizia ad insediarsi la monotonia: E’ l’attesa.<br />
Tutti aspettano. Finalmente un giorno l’agente indica Doug e Carl. Fa loro cenno di seguirlo e<br />
buttare il loro equipaggiamento sul camioncino. Raggiungono il meleto.<br />
CAPITOLO 14<br />
QUANDO INIZIANO A LAVORARE, QUALCOSA CAMBIA. INSIEME NELLA BARACCA. CARL<br />
E IL SUO RAPPORTO CON L’ALCOOL. CIO’ CHE DOUG FAREBBE CON 1.500 DOLLARI E<br />
CIO’ CHE NE FAREBBE CARL. LAVORARE DURO SEMPRE. RACCOGLITORI DI MELE.<br />
LAVORO E CIBO. AVERE LE NOCCHE GROSSE DELLE MANI. NON PRENDERE MAI SOLDI<br />
IN PRESTITO. LA MORALE DI CARL. ESSERE UN UOMO LIBERO. I “TRAMP” COME GLI<br />
ESPLORATORI DI CENTOCINQUANTA ANNI PRIMA.<br />
Quando iniziano a lavorare Doug ha una nuova immagine <strong>del</strong>la loro relazione: non dipendendo più<br />
dai soldi di Doug, in quanto en<strong>tra</strong>mbi lavoranti, il vagabondo ha sempre meno da insegnare al primo<br />
sul come vivere le esperienze di s<strong>tra</strong>da. I due si “allontanano”, quasi come Carl avesse detto troppo,<br />
o rivelato all’amico più <strong>del</strong> dovuto. Tuttavia, la prima notte nella baracca, dove alloggiavano da<br />
soli, condividono uno stato d’animo festoso e Carl dice che era giunta l’ora di riprendere il giusto<br />
stile di vita: «quando cominci a bere non mangi nel modo giusto».<br />
Doug gli fa notare che, da quando sono insieme, non lo ha visto ubriaco e lui: «all’inizio di una<br />
sbornia mi sveglio almeno una dozzina di volte per notte per bere qualcosa, solo dopo, quando mi ci<br />
sono riabituato, non devo più svegliarmi. Riesco a stare ubriaco tutta la notte». Smette solo quando<br />
è «arrivato agli ultimi centocinquanta dollari». Doug si meraviglia che giri con tutti quei soldi in<br />
tasca, ubriaco. Carl gli fa notare che nessuno, a parte lui che li ha addosso, non lo sa dei soldi che,<br />
<strong>tra</strong> l’altro, sono sempre banconote di grosso taglio, per diminuirne il volume. Gli dice che all’inizio<br />
<strong>del</strong>la primavera viaggiava con millecinquecento dollari in tasca per aver lavorato tutto l’inverno e<br />
che gli ci è voluto quasi un mese per farli fuori tutti: «quando bevo così sto in albergo… mangio<br />
<strong>del</strong>le belle bistecche, viaggio in prima classe… L’al<strong>tra</strong> volta qui ci sono venuto in aereo, in prima<br />
classe. Era la mia vacanza! Ho lavorato per tutto l’inverno senza quasi aver toccato una goccia».<br />
Doug gli dice che, se avesse tutti quei soldi, ci comprerebbe <strong>del</strong>la terra. Carl gli risponde che, sì,<br />
potrebbe comprarci tre acri ma poi li perderebbe perché non potrebbe pagarci le tasse. Dovrebbe<br />
lavorare per i prossimi otto anni e forse nel frattempo morire perché troppo vecchio. No. Lui vuole
un pezzo di terra poco costoso, dove potersi costruire una baracca vicino ad un ruscello. <strong>Un</strong> posto<br />
dove rilassarsi e stare da solo, fuggendo da tutto e da tutti: «su quella terra non ci verrà nessuno, a<br />
meno che non li invito io!».<br />
Gli confessa che quello di prima era uno s<strong>tra</strong>falcione. In realtà aveva mille dollari. Avrebbe potuto<br />
lavorare e risparmiare e, in due anni, «avere quel posto e non dover più lavorare». Fra cinque anni<br />
ricevere la pensione e lavorare quando vuole. Doug gli chiede se intende farlo. Ridendo Carl<br />
risponde: «ora risparmio centesimi e centesimi; quando mi ubriaco spendo dollari e dollari». E<br />
l’autore: «sto cercando di capire tutte queste con<strong>tra</strong>ddizioni. Cosa c’è <strong>tra</strong> ciò che sei e ciò che vuoi»<br />
e poi «l’ultima volta che me ne sono andato di qui, l’ho fatto prima di bere. Quando non lo fai ti<br />
metti nei guai… mi hanno rubato abbastanza per saperlo». E gli dice che non basta essere attenti.<br />
Aveva due dollari in tasca e dieci dollari di spesa quando gli hanno fatto la cicatrice che ha in viso .<br />
Poi parlano <strong>del</strong> lavoro che li attende. Sono en<strong>tra</strong>mbi apprensivi. Il vagabondo dice all’amico di<br />
lavorare duro e fare sempre quello che gli dice il capo. Lui, per esempio, non ha mai avuto difficoltà<br />
a trovare lavoro perché, ovunque vada, lascia sempre, dietro, di sé un buon nome. Gli dice che<br />
questo modo di fare glielo ha insegnato il dover lavorare “come un animale” nella fattoria dove la<br />
madre lo mandò, una volta sparito suo padre. E’ così che si è fatto le ossa: «io lavoro finché non ce<br />
la faccio più». Gli dice di aspettare domani e vedrà che lavorerà non meno di dodici ore.<br />
Al mattino la sveglia suona alle cinque. Fanno colazione gustando “il lusso” di quella sistemazione<br />
e poi il caposquadra gli fornisce tutto per il lavoro: «eravamo finalmente <strong>del</strong> lavoratori!».<br />
Doug, quel primo giorno, torna alla baracca per pranzare e riposarsi un po’ (Carl invece no); poi<br />
continua il suo lavoro finché il caposquadra non gli dice che sono le cinque ed è l’ora di smettere.<br />
Sulla via <strong>del</strong> ritorno incon<strong>tra</strong> Carl che gli dice come, con la paga <strong>del</strong> primo giorno, sarebbero andati<br />
in paese, approfittando <strong>del</strong> passaggio <strong>del</strong> proprietario, per comprare da mangiare.<br />
Tornati alla baracca, Carl si dimos<strong>tra</strong> di buon umore. Mangiano e Carl gli dice che per lavorare duro<br />
tutto il giorno si deve mangiare. Poi parlano di come era cambiata Minneapolis: «una volta era una<br />
città amichevole». Ora non più: «troppa gente giovane senza meta. Sono i giovani che picchiano gli<br />
indigenti». Doug gli racconta come un suo amico, quando aveva quindici anni, lo portasse nei<br />
bassifondi per dirgli: «Questa è l’al<strong>tra</strong> faccia <strong>del</strong>la vita». E Carl: «non sapeva di cosa stava<br />
parlando. Lui vedeva i bum in fila lungo le s<strong>tra</strong>de… tutto lì». Gli dice che potrebbe portare Doug a<br />
Minneapolis e mos<strong>tra</strong>rgli cinquanta tizi laboriosi «come me»; magari gli sarebbero sembrati barboni<br />
e indigenti ma in realtà, tutti lavoratori… «Tu pensavi che fare il <strong>tra</strong>mp voleva dire essere solo un<br />
poco di buono. Spero di avertelo dimos<strong>tra</strong>to, d’averti fatto vedere la differenza <strong>tra</strong> chi lavora e tutti<br />
gli altri». E gli fa vedere le sue mani: «secondo te, dove le ho trovate le nocche grosse?».<br />
Gli dice quando a Chicago riceveva la “sedia a dondolo”, una specie di assegno di disoccupazione<br />
<strong>del</strong>le ferrovie e nelle sale da bowling sistemavano i birilli: «adesso è tutto automatico, ma sai<br />
quanto pesano i birilli? Ne ho sistemati fino a centosettantacinque file per sera, prendendo tre birilli<br />
per mano… E’ stato quello che mi ha fatto crescere storte le dita».<br />
Poi, ripensando ai millecinquecento dollari dei quali avevano parlato la sera prima, Carl gli dice <strong>del</strong><br />
come avrebbe potuto comprarci una bella macchina o farci altre cose, ma questo voleva dire<br />
ragionare col senno di poi. Doug gli dice cosa ha intenzione di fare coi soldi che avrebbero<br />
guadagnato. E lui: «mettermeli in tasca dei pantaloni». «E poi?». «Andrò in cerca di un nuovo<br />
lavoro… Probabilmente andrò a trovare mia madre». E aggiunge che lui beve solo “in vacanza”:<br />
«mi prendo due vacanze l’anno».<br />
Doug gli fa notare che quando si sono incon<strong>tra</strong>ti la prima volta aveva uno stato pietoso e Carl:<br />
«barba… sporco». Doug: «sembravi un vecchio indigente… Se tu non avessi speso tutti i tuoi soldi<br />
nel bere…». Interrompendolo: «Che cosa me ne farei? Dimmelo tu, tu hai tutte le domande, dammi<br />
anche le risposte!». Doug gli dice che avrebbe potuto comprarsi una macchina. Carl ribatte che,<br />
quando aveva finito il servizio militare, lo aveva fatto. La usava per il con<strong>tra</strong>bbando <strong>del</strong> whisky e<br />
l’aveva comprata at<strong>tra</strong>verso una finanziaria. Per pagarla era andato a lavorare per suo fratello ma il<br />
farlo aveva voluto dire lavorare in cambio di vitto e alloggio e basta. Decide allora di andare a<br />
lavorare da un’al<strong>tra</strong> parte ma non riesce ad essere in regola coi pagamenti: «ho continuato a pagare<br />
finché non l’ho ritenuto opportuno e poi ho detto “vai a farti fottere!”… Non ho pagato più un altro
soldo». Ma poi la macchina si è rotta. «Quindi dov’è la lezione?». «Non prendere mai soldi in<br />
prestito… 40 Non è che io creda molto nei beni terreni… Non credo in niente che faccia parte di<br />
questa terra… Sono venuto a questo mondo nudo e nudo lo lascerò. La gente tende a perdere il<br />
senso dei valori quando comincia a bramare tutte quelle cose… Questo non va bene».<br />
Doug gli fa notare che però anche lui desidera qualcosa: non desidera forse una baracca e un pezzo<br />
di terra? Perché allora non se la compra? Carl risponde che non è ancora abbastanza vecchio.<br />
Avrebbe potuto farlo: nel Montana ce n’era una che avrebbe potuto acquistare per cinquecento<br />
dollari. Doug gli dice che a quel prezzo ne avrebbe potuta comprare una anche lui per viverci poi da<br />
vicini. E Carl: «E’ questo che sto cercando di evitare, vicini di casa» poi «… io sono un uomo<br />
libero. Non sono legato a niente». Doug: «è troppo facile… sarebbe bello non dover mai niente a<br />
nessuno». Carl: «Noi (<strong>tra</strong>mp) siamo una razza diversa… Siamo nati una generazione troppo tardi.<br />
Se tu ci davi un fucile lungo, vestiti di daino, mocassini, centocinquanta anni fa, ci sentiremmo a<br />
casa. Non eroi, esploratori… Fuori tutto l’inverno… Sì, saremmo nel nostro elemento perché siamo<br />
in grado di tirar avanti e farci le cose da soli. Non abbiamo paura di lavorare!». Doug gli dice di<br />
concordare perché, nei giorni di attesa <strong>del</strong> lavoro, i <strong>tra</strong>mp se la sono cavata, gli altri si sono lasciati<br />
andare dopo aver bevuto.<br />
CAPITOLO 15<br />
LA PIOGGIA E LA NOIA. COME HA SPESO QUEI FAMOSI 1.500 DOLLARI. GLI AMICI, LA<br />
VERA AMICIZIA E LA GUERRA. AVERE TUTTO CIO’ CHE SI DESIDERA. UGUALI MA<br />
DIVERSI. MEGLIO LADRO CHE BUGIARDO. DOPO LA RACCOLTA: SCRIVERE DI QUELLA<br />
ESPERIENZA. AVERE PIU’ CONOSCENZE DI UN INTELLETTUALE. ESSERE DIFFIDENTI<br />
MA EDUCATI. NON ESPORSI E ATTENTO AI SASSI. ESSERE UN “TRAMP”. SECONDO<br />
GIORNO DI PIOGGIA. DI NUOVO AL LAVORO. LOTTARE PER NON CEDERE.<br />
Presto il lavoro diventa routine. Fermi un giorno per la pioggia. Stare seduti senza fare niente è la<br />
parte più difficile di quel tipo di vita. Carl gli dice che quando andrà in pensione avrà qualche<br />
en<strong>tra</strong>ta perché ha lavorato fin da quando esiste la previdenza sociale e per tutti i lavori fatti ha<br />
sempre chiesto di <strong>tra</strong>ttenere le ritenute: «ho parecchi soldi da parte».<br />
Doug gli chiede di nuovo cosa ha fatto, l’al<strong>tra</strong> volta, per sputtanarsi millecinquecento dollari. Carl<br />
risponde che, prima di tutto, si dà una bella ripulita e indossa abiti, non costosi ma nuovi e puliti:<br />
«basta essere puliti» dice; a Spokane, in uno dei migliori alberghi, è stato ubriaco per un mese, o<br />
meglio, per un mese ha bevuto di continuo: «ci vogliono tante bevute per stare bene e poi cominci<br />
ad intervallarle… giusto per tenerti acceso.». Doug gli dice che, dopo una sbornia, non ha mai<br />
ricominciato a bere. Carl: «allora tu se un ubriaco periodico!». Poi, riprendendo a parlare di come<br />
ha speso quel migliaio di dollari: «per bere come ho fatto io ci vogliono venti o venticinque dollari<br />
al giorno, altrettanti per la stanza; poi ti fai una bella bistecca al giorno, una bella colazione, ti fai<br />
lucidare le scarpe, vai dal barbiere, stai nella hall aspettando che il bar apra per andare a bere; bevi<br />
in camera e lasci le mance… Alla fine i conti tornano!». Continua dicendo che continua a bere<br />
perché si annoia a stare seduto senza fare niente. Doug allora ribatte che lui, in quei casi, esce con<br />
gente che gli va a genio. E il vagabondo: «sei proprio come qualcuno di noi. Capace di trovare i tuoi<br />
amici nei bar… dimmi un posto dove puoi incon<strong>tra</strong>re gli amici». «Se hai una casa…». «Noi non<br />
abbiamo case. Ci troviamo nel campo, attorno a un fuoco e beviamo anche».<br />
Carl gli dice che vent’anni di vita sulla s<strong>tra</strong>da ti segnano: «sei stato ladro una volta, sarai sempre un<br />
ladro; se se stato un assassino sarai sempre un assassino… Sei bollato non c’è riabilitazione». Poi,<br />
guardando dalla porta la pioggia che cade: «dovremmo essere contenti di avere questa baracca e<br />
non trovarsi fuori sotto la pioggia». Doug cambia discorso e torna sulla questione <strong>del</strong> bere<br />
chiedendogli se, dopo la raccolta, incon<strong>tra</strong>ndo alcuni con i quali si è accampato, berrebbe con loro.<br />
Lui: «gli darei abbastanza per comprarsi da bere ma io non berrei assieme a loro… Non sono amici,<br />
sono solo conoscenti. Di amici veri nei ho pochi…Ora, tu sei un mio amico, non un amico amico,<br />
40 Questa è la morale di Carl.
non ancora. Faccio amicizia una volta sola e poi più». Dice di averlo imparato durante la guerra: fa<br />
troppo male quando li perdi, perché li ammazzano. E poi: «l’amicizia vera è difficile da trovare. E’<br />
una parola usata con troppa leggerezza. Si dovrebbe dire invece “compagnone”, “compagno”. <strong>Un</strong><br />
vero amico è difficile da trovare perché un vero amico è proprio come te. Tu per te stesso faresti<br />
qualsiasi cosa, quindi, se ha bisogno di qualcosa, tu gliela dai, anche se tu devi fare senza. Con un<br />
compagnone invece faccio a metà, tutto uguale. I compagnone li puoi perdere o lasciare… come<br />
quei tizi <strong>del</strong>la giungla o i <strong>tra</strong>mp <strong>del</strong> meleto: li saluto, gli compro da bere ma poi volto le spalle».<br />
«Ma sono <strong>tra</strong>mp!». «Sì, ma non sono compagni di bevuta… E’ gente che quando ha bevuto<br />
cambia». «Tu come cambi quando bevi?». «Ho la mente più lucida. Quando smetto la mia mente si<br />
stordisce». Gli dice che, nell’esercito, a chi era in prima linea 41 , per farli stare svegli per dieci,<br />
quindici giorni per volta, li davano le anfetamine; quando smettevano era terribile. Dopo ritorna e<br />
spiega il senso <strong>del</strong>la vera amicizia nato dalla sua esperienza <strong>del</strong>la guerra: «gli amici veri te li fai una<br />
sola volta. Dopo non lo fai mai più».<br />
Continuano a parlare <strong>del</strong>la guerra e Doug dice che non capisce come si faccia a trovare la forza per<br />
sbarcare dalla nave che ti ha portato su una costa dove sparano all’impazzata. Carl: «lo faresti! Sai<br />
perché? Non vuoi che i tuoi compagni pensino che sei un codardo». Gli dice che un modo per<br />
affrontare quelle situazioni era bere, come qualsiasi soldato; gli mos<strong>tra</strong> un tatuaggio sul braccio e gli<br />
dice che ha cominciato a bere sotto le armi, all’età di diciannove, si è sbronzato e la mattina dopo si<br />
trovato sul braccio i tatuaggio.<br />
Cambia umore quando sente che uno dei suoi pochi denti rimasti dondola e gli dice che anche<br />
quello lo deve all’esercito perché, una volta rien<strong>tra</strong>to in patria, gli fecero ventitre otturazioni<br />
provvisorie e dopo sei mesi i denti gli sono caduti tutti.<br />
Doug gli chiede: «hai tutto quello che desideri?» e lui: «Ora sì. Sono ancora vivo, ho un lavoro, un<br />
posto dove dormire. Che altro?... Mi spettano dei soldi, se voglio andarmene vado». L’autore, a sua<br />
volta, confessa di volere forse troppe cose. E Carl: «Certo. Vuoi stare al passo con gli altri». «No,<br />
non è vero!». «Vuoi cose materiali, giusto?». «Ci sono valori come l’amore, l’amicizia… Nutro<br />
ancora l’idea che un giorno avrò una famiglia, dei figli… penso che sia una cosa bella avere una<br />
cosa simile». E Carl: «Tutto questo è naturale, è la natura umana. Ma adesso, stai cercando una<br />
famiglia o stai cercando te stesso?». «Sto cercando di trovare me stesso». «Adesso sì che sei<br />
sincero. C’è qualcosa che ti ha portato qui proprio come c’è qualcosa che ha portato qui me… allora<br />
non sei tanto diverso da me!». «Credo ci siano molte cose di me che vorrei fossero più come te».<br />
«Ma ci sono cose , modi che non sono buoni, ai quali tu non assomiglierai mai». Doug si accorge di<br />
avere difficoltà a rispondere al vagabondo e gli dice di pensare che avesse compreso molte cose di<br />
questo mondo.<br />
Carl spiega che per lui è importante non vivere come quelli che smettono di lavorare e spendono per<br />
bere tutti i soldi che hanno guadagnato per poi andare a chiedere i buoni viveri. Per farlo devono<br />
mentire. Lo stesso fanno all’ufficio di collocamento per poter ricevere l’assegno di disoccupazione.<br />
Mentono sotto giuramento: «io preferirei stare con un ladro che con un bugiardo. <strong>Un</strong> ladro so cosa<br />
farà; un bugiardo non lo sai mai».<br />
Poi Carl chiede a Doug cosa farà dopo la raccolta. Lui risponde che tornerà a scuola e di voler fare<br />
l’insegnante e lo scrittore. «Scriverai di questo?» gli domanda. Doug risponde di sì; gli dice che è<br />
stato un insegnante allo stesso modo degli altri dai quali, in precedenza, ha appreso qualcosa. Carl<br />
dimos<strong>tra</strong> di avere più conoscenza lui degli intellettuali: «io i fatti li vivo. I fatti <strong>del</strong>la mia vita sono<br />
gli stessi fatti <strong>del</strong>le vostre sperimentazioni scientifiche. I fatti <strong>del</strong>la mia vita non si possono<br />
discutere!». Aggiunge: «io sono anche più vecchio. Quello lo guadagnerai col tempo».<br />
Gli dice come le donne lo guardino e dicano di lui che è un ragazzo gentile; che quello che lo rende<br />
diverso è il suo modo di parlare e di rivolgersi a loro chi mandole “signore”. Il caso ha voluto che<br />
una <strong>del</strong>le due fosse la moglie <strong>del</strong> proprietario e lui è riuscito a conquistarsi il loro rispetto. Ma «quel<br />
tipo di gentilezza non si trova sulla s<strong>tra</strong>da. Ti causerà solo guai». E a proposito di quella loro prima<br />
sera nel vagone: «devi essere più diffidente, anche se non fa male avere un po’ di educazione». Gli<br />
41 Carl dice di aver combattuto nelle isole: Guadalcanal, Iwo Gima e altri posti ancora.
dice quanto sia facile per i <strong>tra</strong>mp essere giudicati in base al comportamento scorretto di uno solo<br />
ecco perché sta nell’ombra; preferisce camminare lungo le rotaie, dove è difficile camminare, che<br />
lungo la s<strong>tra</strong>da dove la gente ti urla dietro e tirano sassi, specie i ragazzini. Perciò, gli dice: «quando<br />
vedi dei ragazzini, togliti di mezzo. Abbassati: non farti vedere né da loro, né dai grandi. Molti<br />
vagabondi si portano dietro una “spara negri”, una fionda. Fanno finta di tirare un sasso, oppure di<br />
lanciare un sasso e se ne vanno. Sanno che se li colpisci li ammazzi: quella è la velocità <strong>del</strong> treno<br />
più la velocità <strong>del</strong> sasso, proprio come un proiettile… Hai visto l’occhio di Jack One-Eyed?».<br />
Carl continua: «Non è necessario viaggiare sui carri merci per essere un <strong>tra</strong>mp. Devi ricordarti che<br />
non è quello che hai, ma come vivi… Le persone che abbiamo visto viaggiare sulle loro macchine<br />
in autos<strong>tra</strong>da, hanno paura a dormire per terra. Non riuscirebbero mai a fare quello che facciamo<br />
noi. Loro vivono per le loro cose e non sanno starne senza… Ma è anche vero che a lungo andare la<br />
cosa ti logora… Stamattina mi ha svegliato la sveglia. E’ successo dopo tanto. Non ci sono<br />
abituato» poi lo guarda: «ti ho osservato, ce la puoi fare sulla s<strong>tra</strong>da».<br />
Pranzano e restano nella baracca senza poter fare niente.<br />
Il giorno seguente piove di nuovo e Doug trova un passaggio fino al paese. Compra libri economici<br />
e torna al fruttato facendo l’autostop.<br />
Il giorno dopo il cielo si schiarisce e tornano a lavorare. I soldi che guadagnano aumentano. Carl<br />
cominciava a lavorare prima <strong>del</strong>l’alba ed era l’ultimo a smettere. Non sta bene: ha le sue mani<br />
screpolate e sanguinanti, il respiro affannato; sputa di continuo e fuma due pacchetti di sigarette al<br />
giorno; la sua mano des<strong>tra</strong> è costantemente intirizzita, ha spesso capogiri; sta seduto sul letto e urla<br />
mentre i muscoli <strong>del</strong>le gambe gli si con<strong>tra</strong>ggono dolorosamente. Ma non cede.<br />
CAPITOLO 16<br />
I PIANI PER TORNARE A CASA. LA FINE DEL RAPPORTO CON CARL E UN DIVERSO<br />
RAPPORTO CON SE’ STESSO. LA TENTAZIONE DI RESTARE ANCORA SULLA STRADA.<br />
SICURO DI FARCELA DA SOLO. LA COMPAGNIA DI ALTRI “TRAMP”. LA DECISIONE DI<br />
PARTIRE. L’ULTIMA SERA NEL BAR: IL “JACKROLLER”. L’ADDIO. LE CONFERME: IL<br />
“TRAMP” PADRONE DI SE’ STESSO. IL VIAGGIO DI NOTTE SU UN “PIGGYBACK”: PAURA<br />
DEI “JACKROLLER”. UN TRENO PASSEGGERI PER TONARE A CASA.<br />
Mentre Carl sta sempre più in disparte, Doug comincia a fare piani per tornare a casa. La loro<br />
relazione è al termine, come un cerchio che si chiude; <strong>tra</strong> i due si instaura un cupo isolamento. Doug<br />
scopre in sé stesso dei cambiamenti nel suo modo di comportarsi: è più rigido e non dà più per<br />
scontati i suoi piani per il futuro.<br />
Quel viaggio ha aperto porte verso possibilità sconcertanti: Doug considera di allungare la sua<br />
esperienza sulla s<strong>tra</strong>da di due, tre, quattro mesi, perché sente che ce la può fare (avrebbe potuto<br />
andare a raccogliere le arance in Florida o i limoni in California): «avevo iniziato a percepire che<br />
sarei stato in grado di sopravvivere da solo», anche senza il vagabondo che lo aveva portato fin lì.<br />
Non era difficile trovare lavoro e nemmeno campare senza soldi. Si chiede: «dove finiva la<br />
“raccolta di dati” e dove iniziava la vera socializzazione alla vita <strong>del</strong> vagabondo?».<br />
Comincia così a passare le serate in compagnia di altri vagabondi <strong>del</strong> frutteto. Prende a far visita ad<br />
un rubber <strong>tra</strong>mp, Roy, che ha la capanna vicina alla loro, la sera, dopo cena, per bere qualche<br />
bicchierino di whisky. Gli chiede se viaggia ancora sui treni ma lui gli risponde che è troppo<br />
vecchio: «queste cose vanno bene per voi giovani»; lui ha fuori di là la sua Ford.<br />
Doug decide di partire di sabato mattina. Data l’amicizia col caposquadra, una sera, si fa portare in<br />
paese. Assieme a lui passano di bar in bar dove i raccoglitori andavano a spendere bevendo i soldi<br />
che avevano guadagnato. In uno di questi, il compagno gli indica un jack roller: «non ha bevuto<br />
niente ma fa finta di essere sbronzo». Quando un vagabondo comincia a creare problemi nel locale,<br />
il barista lo butta fuori; dopo trenta secondi il jack roller lo segue. Quando gli passa vicino Doug lo<br />
riconosce: era lo stesso uomo che aveva fatto il viaggio con lui e Carl da Wenatchee e Carl lo aveva<br />
avvisato: «Stacci attento… è qui per fregare i raccoglitori!».
Il mattino dopo Doug prepara le sue cose prima di fare colazione. Carl gli chiede cosa faccia e<br />
quando lui gli risponde che se ne stava andando via, Carl scrolla le spalle dicendo solo che era un<br />
pazzo a viaggiare sui treni merci in questo periodo <strong>del</strong>l’anno. Poi, finita la sua colazione e lavate le<br />
sue stoviglie, prende il suo sacco ed esce senza salutare: erano insieme da più di un mese!<br />
Riscosso il suo assegno, Doug chiede la proprietario come vedesse gli uomini che assumeva e lui:<br />
«quello che so di loro potrebbe stare nel guscio di una noce. Non parlano mai con gli es<strong>tra</strong>nei e non<br />
amano che li si rivolgano tante domande. Lavorano per gente come me perché sanno che sono<br />
padroni di loro stessi. Lavorano per il tempo che vogliono. Il sistema funziona. Ora parlano di una<br />
raccoglitrice automatica ma a condurla non potrà essere un <strong>tra</strong>mp: c’è bisogno di organizzazione, di<br />
orari fissi, squadre di lavoro… il <strong>tra</strong>mp non lo farebbe mai, sono troppo indipendenti. Devono poter<br />
andare e venire quando vogliono loro».<br />
La moglie accompagna Doug in paese. Qui mangia e cambia il suo assegno. Fa l’autostop per<br />
arrivare a Spokane e lì vede l’espresso diretto verso est. At<strong>tra</strong>versa lo scalo di corsa. Il macchinista<br />
lo vede e cerca di accelerare l’andatura <strong>del</strong> treno per fargli perdere il passaggio ma ce la fa a buttare<br />
il suo equipaggiamento su un vagone, un piggyback.<br />
Quando il treno arriva nei pressi <strong>del</strong>le Montagne Rocciose, si accorge di avere fame (non ha<br />
provviste con sé) e freddo (indossa solo una giacca di jeans). Quando il treno fa una fermata, due<br />
uomini, senza equipaggiamento, corrono lungo il treno, lo vedono e saltano sul suo vagone. Quello<br />
più grosso es<strong>tra</strong>e un coltello mentre il suo amico gli gira intorno. La paura fa scattare dentro di lui<br />
qualcosa: es<strong>tra</strong>e il suo coltellino e comincia a urlare minaccioso; i due indietreggiano e se ne vanno<br />
alla ricerca di un altro vagone su cui viaggiare.<br />
La notte è interminabile: Doug ha paura che i due jack roller tornino. La passa seduto, appoggiato<br />
contro le ruote <strong>del</strong> rimorchio, facendosi luce con una torcia <strong>tra</strong> un soprassalto ed un altro. Quando<br />
sorge il sole il treno si ferma. Scende e si incammina verso il paese. Fa colazione seduto in un<br />
angolo, vergognandosi per la sporcizia “ferroviaria” 42 : «Mi sentii come Carl il vagabondo quando<br />
decideva di darsi ai bagordi. In tasca avevo i soldi e non mi importava per cosa gli avrei spesi. Mi<br />
comprai dei vestiti nuovi e seppi che avevo finito col vagabondare».<br />
Doug scarta l’idea di continuare il viaggio su un treno merci e sceglie invece il treno passeggeri:<br />
«viaggiai su quel treno fino al Minnesota, mangiando manzo al sangue, sorseggiando brandy nel<br />
vagone ristorante, dimenticando il sapore dei fagioli».<br />
*******************<br />
IL CONTESTO<br />
LA REVISIONE FATTA DALL’AUTORE ALL’ETA’ DI 32 ANNI (OTTO ANNI DOPO GLI<br />
EVENTI RACCONTATI IN “<strong>GOOD</strong> <strong>COMPANY</strong>”).<br />
LA RICERCA SUL CAMPO E I RAPPORTI<br />
Le ricerche sul campo richiedono rapporti con i propri soggetti come persone, devono includere sé<br />
stessi come persone per acquisire, at<strong>tra</strong>verso l’”osservazione partecipante”, conoscenza personale<br />
dai propri soggetti. Ma per poter conoscere a fondo un gruppo, è necessario stabilire un legame più<br />
forte di quello che normalmente si instaura <strong>tra</strong> il ricercatore e l’informatore, o <strong>tra</strong> il fotografo di<br />
riviste e ciò che fotografano.<br />
La preparazione in antropologia (etnoscienza) serve all’autore per poter scoprire le categorie poste<br />
alla base <strong>del</strong>le domande che si rivolgono, normalmente, i membri di un gruppo; per tale branca <strong>del</strong>la<br />
scienza, le categorie culturali, vengono viste infatti come unità <strong>del</strong> mondo sperimentato.<br />
42 La cameriera gli porta da mangiare solo dopo che le ha mos<strong>tra</strong>to i soldi.
Passa così vari periodi sui carri merci e nei campi durante il periodo <strong>del</strong>la raccolta, accumulando le<br />
informazioni che sarebbero diventate la sua tesi: Good Company riporta uno dei viaggi fatti durante<br />
tale periodo di “raccolta dei dati”.<br />
Esaminiamo la sua relazione con Carl: come Robert Jay suggerisce, ciò che impariamo viene<br />
profondamente influenzato dalla natura <strong>del</strong>la nos<strong>tra</strong> relazione con coloro che studiamo. Ma per<br />
quanto l’autore abbia imparato 43 non è stato in grado di lasciarsi alle spalle tutti i valori che<br />
possedeva: «a meno che non mi fossi spostato completamente in quel mondo, i miei valori<br />
sarebbero rimasti nel mondo <strong>del</strong>le relazioni e degli impegni», il mondo dal qual proveniva.<br />
VALIDITA’ E ATTENDIBILITA’<br />
Benché l’autore abbia descritto quanto riportato dalla sua esperienza “sul campo”, basato<br />
sull’apprendimento conseguito at<strong>tra</strong>verso il coinvolgimento psico-fisico, restano da valutare le<br />
questioni relative alla validità e all’attendibilità di quella esperienza, quesiti fondamentali per tutti i<br />
lavori di questo genere.<br />
Resta sempre aperta la questione di quanto si possa generalizzare e quindi estendere a tutta una<br />
categoria di individui, le esperienze <strong>del</strong>la sua vita, desunte da quanto ha appreso direttamente da<br />
Carl, condividendo quella stessa esperienza “sulla s<strong>tra</strong>da” per circa un mese e mezzo.<br />
I comportamenti raccontanti ed i comportamenti osservati dall’autore, però, risultano di una<br />
coerenza globale: i <strong>tra</strong>mp vivono nel modo in cui dicono di vivere. Le esperienze lavorative di Carl<br />
sono estremamente tipiche. Ma alla domanda di che cosa spinge l’uomo verso la s<strong>tra</strong>da, Carl per<br />
primo non ne dà una risposta diretta, accomunandosi così agli altri vagabondi, ai quali l’autore ha<br />
rivolto la stessa domanda, e che hanno fatto di tutto per eluderla.<br />
I valori che Carl rappresenta sono comuni a tutti i vagabondi che si trovano, ovunque, sulla s<strong>tra</strong>da<br />
dei quali, il principale, è la difesa ad ol<strong>tra</strong>nza <strong>del</strong>la propria indipendenza, al punto di tagliarli fuori<br />
da quasi tutti i collegamenti umani.<br />
Nel loro mondo non ci sono donne. La loro è una vita quasi da puritani. I costanti riferimenti fatti<br />
dai <strong>tra</strong>mp sull’onestà, la salvaguardia <strong>del</strong>la propria reputazione, il lavoro duro, li portano a<br />
“schifare” quanti non osservano tali principi ed umiliano sé stessi e gli altri esibendo comportamenti<br />
scorretti e disdicevoli a chi li guarda dall’esterno.<br />
Alla fine <strong>del</strong> sodalizio <strong>tra</strong> l’autore e il vagabondo l’impressione che questi ne deriva è di essere stato<br />
preso sotto l’ala protettiva di una persona, Carl, completamente immersa nella vita di s<strong>tra</strong>da. Il suo<br />
apprendistato, come quello degli antropologi in genere, gli aveva fornito un modo ragionevole per<br />
imparare ciò che gli altri davano per scontato.<br />
LINGUAGGIO, CULTURA E NARRAZIONE<br />
Il compito <strong>del</strong>l’autore-ricercatore è stato quello di identificare le caratteristiche attitudinali,<br />
comportamentali, <strong>del</strong>l’essere homeless e <strong>del</strong>l’alcolismo. Risultati da concettualizzare poi quali unità<br />
misurabili di realtà e misurati l’uno in relazione con l’altro.<br />
James Spradley ha dato una prospettiva antropologica alla questione ponendo l’attenzione su come<br />
una cultura viene espressa in termini ed espressioni comuni. I sociologi poi hanno etichettato i<br />
“senza tetto” come “dissociati”, “anomici”, “devianti” e hanno applicato la logica <strong>del</strong>l’analisi<br />
variata o <strong>del</strong>le variabili, per spiegare il “fallimento <strong>del</strong> senza tetto”. Il metodo induttivo di Spradley,<br />
invece, basato sul linguaggio, cerca di capire come veniva vissuto e creato il loro mondo culturale,<br />
at<strong>tra</strong>verso il modo di parlare condiviso dai senza tetto 44 . Poiché ogni sottogruppo ha routine e<br />
categorie di esperienze tipiche, queste si ritrovavano espresse appunto nel loro linguaggio, nel loro<br />
modo di parlare.<br />
43<br />
Carl gli dice: «Ti vedevo… hai imparato che ce la puoi fare sulla s<strong>tra</strong>da… Ti rimarrà sempre in qualche angolo <strong>del</strong>la<br />
mente… Vedi di stare attento, tornerai indietro».<br />
44<br />
Gli homeless <strong>del</strong>le città americane <strong>del</strong>l’ovest, studiati da Spradley, si chiamano <strong>tra</strong>mp, ossia vagabondi, ma <strong>tra</strong> di loro<br />
si distinguono in base a come si spostano da un luogo all’altro e cosa fanno quando vi arrivano.
La prospettiva etnoscientifica è stata utile per rendere consapevole l’autore di come il linguaggio e<br />
la conoscenza vengano intrecciati e mediati at<strong>tra</strong>verso la cultura dei <strong>tra</strong>mp, ossia dei vagabondi<br />
americani. L’etnoscienza ricorda la necessità di costruire verso l’esterno dal punto di vista di coloro<br />
che vengono studiati. Ma poiché il linguaggio è estremamente fluido e non viene mai recepito in<br />
maniera uniforme da tutta la subcultura, l’autore decide di usare la narrazione, modalità insolita in<br />
sociologia, per raccontare una storia culturale.<br />
La vita di Carl si fonda su tre elementi ricorrenti: periodi di sbornia, viaggi (in genere su carri<br />
merci) e lavoro: saltare da un carro merci significava en<strong>tra</strong>re nel racconto culturale <strong>del</strong> vagabondo.<br />
Anche in questo caso, dal riscontro dei racconti fatti da altri vagabondi, si regis<strong>tra</strong> una coerenza<br />
notevole. Tutti gli uomini diretti verso la zona di raccolta, avevano viaggiato su carri merci per<br />
raggiungere il luogo di lavoro, portato a termine il lavoro finivano per bersi o farsi rubare quanto<br />
avevano guadagnato, utilizzavano i treni merci per spostarsi verso il passo successivo di questo<br />
ciclo che si ripeteva.<br />
L’autore dice come, mentre scriveva il racconto culturale dal punto di vista <strong>del</strong> partecipante<br />
temporaneo, abbia preso parte a solo ad uno dei tre elementi <strong>del</strong>la vita che narrava: non si è mai<br />
ubriacato assieme a nessuno dei vagabondi e non ha visto cosa ha fatto Carlo col guadagno <strong>del</strong>la<br />
raccolta <strong>del</strong>le mele. Tuttavia quel “viaggio” at<strong>tra</strong>verso il tempo, i luoghi e gli intenti culturali, lo<br />
stesso rapporto con Carl, fornisce la visione di un microcosmo <strong>del</strong>la società dei vagabondi.<br />
L’obiettivo finale era scrivere quel linguaggio così come veniva parlato. Per realizzarlo l’autore<br />
porta con sé un piccolo taccuino su cui prendere i suoi appunti (anche se non ha mai scritto in<br />
presenza dei vagabondi) ed un regis<strong>tra</strong>tore (col quale regis<strong>tra</strong>va alcune conversazioni, quasi tutte<br />
con Carl). Confessa: «non mi sentii mai a mio agio usandolo in pubblico mentre stavo vivendo da<br />
vagabondo». Quello che l’autore voleva era una informazione visuale e narrativa ma non era<br />
disposto ad usare gli strumenti che si era portato dietro (oltre al regis<strong>tra</strong>tore aveva una macchina<br />
fotografica) perché avrebbero potuto interferire nella naturalezza <strong>del</strong>le ambientazioni.<br />
FARE E UTILIZZARE FOTOGRAFIE<br />
Le fotografie utilizzate dall’autore nella sua ricerca, hanno una duplice valenza: costituiscono un<br />
inventario visuale <strong>del</strong> comportamento tipico in spazi altrettanto tipici 45 e mos<strong>tra</strong>no la vita dei<br />
vagabondi.<br />
L’approccio all’uso <strong>del</strong>la macchina fotografica in quel particolare contesto, la s<strong>tra</strong>da, subisce un<br />
cambiamento: dapprima, dice l’autore, «lavoravo come i fotografi <strong>del</strong>le riviste… non sapevo nulla<br />
<strong>del</strong>l’individuo nel fotogramma e la mia preoccupazione era quella di proteggere me stesso e le mie<br />
attrezzature… Avrei potuto finire la ricerca fotografica dal punto di vista <strong>del</strong>l’es<strong>tra</strong>neo ma, nel<br />
momento in cui mi sentii <strong>tra</strong>scinare nella vita, cambiò il mio modo di fotografare»… quando,<br />
nell’andare a caccia di immagini, prende a considerare il punto di vista di chi veniva fotografati: La<br />
reazione che ne consegue è quella di ritirarsi sempre più dietro le quinte. E la foto che<br />
maggiormente mos<strong>tra</strong> quanto lo strumento fotografico sia in grado di descrivere la relazione <strong>tra</strong><br />
“ricercatore” e “informatore” è quella di Carl che allunga una fetta di pane tostato al “giovane<br />
assistente”, al suo amico Doug. Quella fotografia parla metaforicamente di una offerta che descrive<br />
ciò che sentivano l’uno per l’altro. Le fotografie che non sono state scattate testimoniano, grazie<br />
alla loro assenza, la stessa questione. Per questo, a volte, la macchina fotografica deve essere<br />
lasciata “dietro alle spalle”.<br />
STORIA ED ECONOMIA<br />
Gli uomini coi quali l’autore ha viaggiato, e con i quali ha condiviso la sua “vita sulla s<strong>tra</strong>da”, fanno<br />
parte di un modo di vivere che iniziò negli USA alla fine <strong>del</strong>la Guerra Civile. Nel momento in cui le<br />
nuove regioni vennero sfruttate per le loro risorse naturali, oppure quando il cambiamento<br />
45 Angoli di s<strong>tra</strong>da, marciapiedi, missioni, scali ferroviari, treni, giungle, ambienti di lavoro.
tecnologico determinò la necessità di manodopera nelle economie es<strong>tra</strong>ttive o agricole, furono i<br />
lavoratori ad andare volontariamente e da soli verso i lavori senza l’intenzione di fermarsi. Da tali<br />
circostanze nacque un modo di vivere, una cultura e le s<strong>tra</strong>de da loro percorse vennero conosciute<br />
come le s<strong>tra</strong>de degli hobo, la via dei vagabondi.<br />
Lo sviluppo storico <strong>del</strong>la vita <strong>del</strong> vagabondo si può circoscrivere a tre periodi.<br />
Il primo va dalla fine <strong>del</strong>la Guerra civile fino al termine <strong>del</strong>la Prima Guerra Mondiale. Gli elementi<br />
che lo caratterizzano sono: lo sviluppo industriale, la chiusura <strong>del</strong>la frontiera, l’insediarsi di<br />
comunità basate sulla produzione industriale, l’agricoltura meccanizzata. In questo periodo i<br />
vagabondi erano più numerosi, utili economicamente e visti in modo minaccioso 46 . Si pensava che<br />
lo hobo fosse un lavoratore migrante con<strong>tra</strong>riamente al vagabondo, il <strong>tra</strong>mp e che il bum non<br />
lavorasse e non viaggiasse. Secondo l’opinione comune, il vagabondo era finito sulla s<strong>tra</strong>da a causa<br />
dei suoi fallimenti morali e personali. Con la creazione <strong>del</strong>l’Industrial Workers of the World,<br />
l’unione sindacalista nata a Chicago nel 1905, lo hobo perde la sua indipendenza, custodita con<br />
tanto zelo, in nome <strong>del</strong>l’azione politica radicale e collettiva. La fine <strong>del</strong> sindacato lasciò il<br />
vagabondo senza voce politica.<br />
Il secondo periodo, quello <strong>del</strong>la Grande Depressione, determina l’evolversi <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong><br />
vagabondo americano. Intere famiglie si dettero alla s<strong>tra</strong>da; la domanda di lavoro era così scarsa che<br />
esse si ritrovarono alla deriva, costrette a chiedere l’elemosina. Quanti avevano qualche mezzo in<br />
più, utilizzarono un nuovo modo di mobilità: l’automobile. Ma nonostante che la meccanizzazione<br />
dei lavori sot<strong>tra</strong>esse forme di lavoro affidate ai vagabondi, la figura <strong>del</strong> vagabondo non si eliminò.<br />
Il terzo periodo, che va dalla fine <strong>del</strong>la Seconda Guerra Mondiale al momento attuale, vede<br />
l’economia che tende sempre più a riassettarsi e la forza lavoro essere sempre più stazionaria. E’<br />
solo in poche economie isolate e su poche linee ferroviarie che il vagabondo continua ad esistere. Il<br />
vagabondo appare quando il lavoro deve essere fatto e sparisce una volta che questo è stato<br />
completato.<br />
Se il lavoro <strong>del</strong> vagabondo “moderno” è simile a quello <strong>del</strong> passato, esso resta ugualmente<br />
vulnerabile nei confronti <strong>del</strong>le stesse forze economiche, tecnologiche e sociali di sempre. Come<br />
riporta l’autore, il lavoro di raccolta <strong>del</strong>le mele viene messo in pericolo dall’introduzione di una<br />
raccoglitrice meccanica: il lavoro gestito da una macchina esclude che l’addetto possa essere il<br />
vagabondo (il cui modo di essere è al con<strong>tra</strong>rio di qualsiasi possibile programmazione e<br />
razionalizzazione <strong>del</strong> lavoro). Altro fattore di crisi sono i cambiamenti avvenuti nelle stesse<br />
ferrovie: come dice Carl al suo amico, i treni viaggiano sempre più veloci, i vagoni vengono<br />
riprogettati chiusi o sigillati o coperti. Gli angoli remoti in cui viaggia il vagabondo vengono<br />
eliminati uno ad uno.<br />
Il vagabondo è parte <strong>del</strong> paesaggio sociale americano, per un verso sinistro, per l’altro eroe nel suo<br />
rifiuto <strong>del</strong>la routine, <strong>del</strong>le regole e <strong>del</strong>la noia per una vita vissuta in una nicchia protetta da una<br />
società sempre più organizzata.<br />
FATTORI CULTURALI<br />
Altri temi <strong>del</strong>la cultura <strong>del</strong> vagabondo.<br />
I vagabondi si dipingono burloni. E’ lui a farsi l’ultima risata, che la spunta su squadre di ferrovieri<br />
o sulla polizia che cercano di non farlo salire sul treno e che, stremate, smettono di rincorrerlo,<br />
oppure quello che mangia cibo gratuito a seguito di un ben riuscito imbroglio. Le uniche regole che<br />
il vagabondo prende sul serio sono le proprie. Vede sé stesso come un soggetto libero e non affatto<br />
pentito nei confronti di una società che altrimenti, con le sue pressioni, lo stritolerebbe.<br />
Per sopravvivere ha sempre dovuto sviluppare ingegnosità, astuzia, persistenza e intelligenza. Il<br />
treno merci rappresenta tali qualità: è difficile, illegale e pericoloso. Avere la padronanza <strong>del</strong> treno<br />
serve da processo selettivo (solo i più scaltri sopravvivono); vuol dire imparare a “leggere” i treni<br />
per sapere quali siano le migliori rotte da prendere; significa imparare a fare le domande giuste (il<br />
46 Perché non adottano i ruoli convenzionali <strong>del</strong>la società.
modo con cui il vagabondo si rivolge a un ferroviere lo definisce culturalmente, suscita una risposta<br />
educata oppure no).<br />
La s<strong>tra</strong>da genera un istinto di sopravvivenza perfettamente coerente con l’individualismo così caro<br />
al vagabondo. Carl parla a nome di tutti vagabondi quando dice, a proposito degli automobilisti<br />
sulle loro macchine «Tu vorresti vivere così?... Loro vivono per quelle cose e non sanno stare<br />
senza». La sua è la capacità di vivere nella privazione ma è anche altruismo quando, nel campo, si<br />
mettono nello stesso pentolone le cose che ognuno può dare e poi si danno a tutti, anche a chi non<br />
ha contribuito, stesse porzioni di quel cibo. Gli automobilisti sulle loro belle automobili, lo<br />
farebbero?<br />
Cosa è ammirevole nella vita <strong>del</strong> vagabondo è la sua schiettezza, la mancanza di razionalizzazioni o<br />
di scuse. Nella sua vita però c’è anche un lato oscuro legato ad un inizio che è sempre violento. La<br />
violenza lo circonda: quando è sul treno, quando viene derubato, picchiato... Ma la con<strong>tra</strong>ddizione<br />
più grande <strong>tra</strong> ideale ed esperienza sta nell’uso <strong>del</strong>l’alcool. La loro indipendenza si perde nel<br />
momento stesso in cui bevono. Sollievo può derivare loro dal bere in compagnia, con persone che<br />
vivono la loro stessa vita, anche se molti vagabondi preferiscono bere da soli. Come Carl che beve<br />
durante le sue “vacanze programmate” ma quando anche il bere diventa routine allora si smette 47 .<br />
La sbornia pianificata è parte naturale di un normale ciclo fatto di lavoro, bere, spostamenti verso<br />
una nuova situazione. Tuttavia è nella natura <strong>del</strong> vagabondo accettare la propria vita imperfetta: è<br />
così che il vagabondo accetta il fatto di bere.<br />
In sintesi, afferma l’autore, si può dire che i vagabondi siano degli egoisti socialmente irresponsabili<br />
ma, come nel caso <strong>del</strong>la sua esperienza sul campo, insegnanti interessanti di un mondo in cui tutti ci<br />
accomodiamo, ognuno di noi rispettando i nostri copioni sociali. Quando Carl dice «il vegliardo, il<br />
vero <strong>tra</strong>mp, non vuole avere niente a che fare con questa gente», esprime la vergogna per come<br />
sono diventate le “cose” e il mondo che gli stanno d’intorno.<br />
EPILOGO<br />
di HOWARD BECKER<br />
******************<br />
Le scienze sociali accademiche hanno perso di vista le virtù <strong>del</strong> coinvolgimento obiettivo e<br />
<strong>del</strong>l’osservazione rigorosa. I fautori di tale cultura scientifica sono quindi ben lungi dal poter<br />
sperimentare il piacere <strong>del</strong>l’uso totale <strong>del</strong>la conoscenza così come si ritrova espresso in Good<br />
Company. Studiando gli esseri umani, le loro esperienze, le forme di attività collettiva, non ci è<br />
possibile sviluppare idee sul come e perché essi facciano ciò che fanno senza immaginare noi stessi<br />
al loro posto, immaginare cosa pensino o provino. Se la nos<strong>tra</strong> soggettività non riesce a tener conto<br />
di tutto ciò, allora le nostre conclusioni non riusciranno a spiegare la maggior parte di quelle<br />
differenze alle quali siamo interessati. «Il mondo punisce» quegli scienziati che ignorano la<br />
soggettività sostituendo la propria a quella <strong>del</strong>le persone che hanno studiato.<br />
Le persone che leggono e utilizzano i risultati <strong>del</strong>le ricerche scientifiche hanno a che fare con<br />
risultati tabulari che lasciano le riposte particolari e le persone vere, che stanno dietro a quei numeri,<br />
all’immaginazione di ognuno. La ricerca etnografica, quella portata avanti da Douglas Harper,<br />
fornisce citazioni selezionate dall’insieme di osservazioni sul campo, tese a rappresentare un corpo<br />
ampio di materiale che conferisce autorità alle conclusioni scaturite dal rapporto, in quanto<br />
provenienti da una osservazione “partecipata”, quindi rigorosamente dettagliata, perché vissuta in<br />
simultaneità con gli eventi descritti.<br />
I ricercatori, che portano aventi questi tipo di osservazione rigorosa, pagano un prezzo molto alto,<br />
sia a livello personale, sia scientifico. Non possono nascondersi dietro un camice o una cartella<br />
47 Carl dice «smetto quando mi annoio».
clinica aspettando di raggiungere gli aspetti soggettivi dei mondi che studiano. E sono pochi gli<br />
scienziati disposti a pagare un tale prezzo in nome <strong>del</strong>le scienze sociali (da qui il basso stato di<br />
osservazioni che affligge tale branca <strong>del</strong>lo scibile umano).<br />
Vi è poi il fatto che, qualsiasi ricerca scientifica in ambito sociale, presenta la difficoltà di riuscire a<br />
presentare tale conoscenza ai lettori in modo da comunicare loro ciò che l’autore ha desunto da<br />
quella ricerca. Gli scienziati hanno problemi a trovare formati adeguati per presentare tali<br />
conoscenze. «Good Company è un esperimento molto ben riuscito di raccolta e di presentazione di<br />
materiale che ci fornisce una conoscenza valida ed emozionante di un mondo sociale altrimenti<br />
quasi inaccessibile… <strong>Un</strong>a conoscenza proposta in modo che la (sua) presentazione contenga ciò di<br />
cui i ricercatori sono venuti a conoscenza, così da permettere (anche) al lettore di condividere tale<br />
conoscenza». Questo <strong>libro</strong> pertanto è un degno successore dei lavori classici <strong>del</strong>la sociologia di<br />
Chicago.<br />
PREFAZIONE<br />
Pubblicato per la prima volta nel 1982, Good Company è il frutto di una ricerca empirica realizzata<br />
nell’ambito di una sottocultura americana di cui, a quel tempo, poco si conosceva. La ricerca ha<br />
analizzato, infatti, i senza tetto che viaggiavano sui treni merci, bevevano nei bassifondi, ma non<br />
solo, e lavoravano ai margini <strong>del</strong>l’economia americana. E’ uno dei primi studi sul campo a carattere<br />
sociologico in cui si è fatto uso di fotografie. Il fatto di essere scritto in stile narrativo rappresenta<br />
uno dei motivi per cui ha conquistato un vasto pubblico di lettori, sia negli Stati <strong>Un</strong>iti che in<br />
Europa.<br />
La revisione fatta a otto anni circa di distanza dagli eventi raccontati, e che nel <strong>libro</strong> è titolata come<br />
“IL CONTESTO”, nasce dalla necessità di collocarlo nelle successive tendenze di vita dei senza<br />
tetto. Agli inizi degli anni ’70, la condizione degli homeless era un problema sociale <strong>del</strong>l’uomo dei<br />
bassifondi, senza dimora né famiglia, senza lavoro e quasi senza identità per l’uso incontrollato<br />
<strong>del</strong>l’alcool. Inoltre, dalla metà degli anni ’70, i vecchi bassifondi americani iniziano a cambiare. Le<br />
sedi <strong>del</strong>le missioni, dei monti di pietà, dei bar dozzinali, hanno ceduto il passo agli imponenti edifici<br />
<strong>del</strong>la “borghesizzazione” residenziale.<br />
L’indagine raccontata in Good Company esprime una nuova lettura <strong>del</strong>la condizione dei senza tetto,<br />
bevitori, ma non a “tempo pieno”. Vagabondi che viaggiavano sui treni merci per centinaia di<br />
miglia, migrando verso lavori e coprendo varie nicchie <strong>del</strong>l’economia americana: La maggior parte<br />
di essi, ancora oggi, fa la vita di s<strong>tra</strong>da.<br />
Il <strong>libro</strong> si pone come racconto e come etnografia fotografica e, come tale, suggerisce diverse<br />
tendenze di studio relative, sia al racconto etnografico, sia alla sociologia visuale. La scelta <strong>del</strong><br />
racconto come stile narrativo serve, appunto, per descrivere in modo efficace ciò che viene<br />
direttamente vissuto sul campo dall’autore. Proprio per tale ragione lo stesso non modifica le scelte<br />
operate nella prima stesura. Il capitolo conclusivo nasce con l’intento di contestualizzare<br />
temporalmente l’intero argomento e, con la revisione <strong>del</strong> testo, ne scaturisce l’integrazione <strong>del</strong>le<br />
immagini fotografiche nel corpo <strong>del</strong> racconto e l’utilizzo <strong>del</strong>le didascalie per spiegare il significato<br />
sociologico <strong>del</strong>le immagini stesse.<br />
L’augurio <strong>del</strong>l’autore, Douglas Harper, è che la pubblicazione di Good Company in Europa possa<br />
rappresentare una occasione di dialogo e di scambio <strong>tra</strong> i sociologi.<br />
PRESENTAZIONE<br />
di PATRIZIA FACCIOLI<br />
Quando fu pubblicato per la prima volta nel 1982, dalla <strong>Un</strong>iversity of Chicago Press, Good<br />
Company fu indicato dalla critica come appartenente alla <strong>tra</strong>dizione <strong>del</strong>la scuola sociologica di<br />
Chicago: «un esempio di rara specie… di etnografia sociologica». Utilizzando la forma <strong>del</strong>la
narrazione in prima persona, Douglas H. Harper ci conduce direttamente dentro il mondo dei<br />
railroad trumps, così come lo ha condiviso e vissuto nel periodo <strong>del</strong>la sua osservazione<br />
partecipante.<br />
Per i lettori italiani il frutto di questa ricerca può essere l’occasione per stimolare la riflessione su<br />
alcune questioni metodologiche. L’esperienza diretta di quella vita “sul campo” ha generato un<br />
racconto nel quale, accanto al processo di conoscenza sociologica di quel mondo, si accompagna un<br />
parallelo processo di cambiamento personale <strong>del</strong> ricercatore. Come dice lo stesso autore: «la linea<br />
che separa l’osservatore dal partecipante stava diventando indistinta… il mio modo di pensare si<br />
stava sincronizzando col mio aspetto esteriore che io stesso avevo costruito e con il passaggio in un<br />
ambiente particolare».<br />
Le riflessioni più importanti, dal punto di vista metodologico, sono: la scelta <strong>del</strong>la tecnica di<br />
raccolta <strong>del</strong>le informazioni, il rapporto <strong>tra</strong> osservatore e osservato e la forma <strong>del</strong>la narrazione scelta<br />
per presentare quei risultati. L’autore ha deciso di “giocarsi fino in fondo” per conoscere<br />
dall’interno il fenomeno che voleva studiare ma questa operazione comporta dei costi: il lasso di<br />
tempo che si deve passare in luoghi lontani da “casa”, l’esporsi a ogni tipo di persone e situazioni.<br />
C’è inoltre la questione <strong>del</strong> riuscire a pervenire a <strong>del</strong>le generalizzazioni empiriche a partire da un<br />
ampio numero di casi (cosa che rischia di non farsi prendere sul serio dalla comunità scientifica). I<br />
prezzi da pagare, quindi, sono alti e soprattutto in Italia, tali ricerche sono considerate marginali<br />
rispetto a quelle condotte con i metodi <strong>tra</strong>dizionali. La Scuola di Chicago viene considerata una<br />
<strong>tra</strong>dizione <strong>del</strong> passato e i sociologi preferiscono rimanere nel luogo protetto <strong>del</strong>la situazione<br />
d’intervista, dove l’avventura empatica si esaurisce in breve tempo e non interferisce nella vita <strong>del</strong><br />
ricercatore.<br />
<strong>Un</strong>’obbiezione potrebbe essere quella che l’osservazione partecipante intensiva svolta da Harper si<br />
basi sull’analisi di un caso singolo: il vecchio Carl. C’è da pensare invece come Carl (o la relazione<br />
<strong>tra</strong> Carl e Dough) si possa vedere come il personaggio principale <strong>del</strong> racconto che l’osservatore<br />
integra, at<strong>tra</strong>verso l’esperienza diretta, coi frammenti <strong>del</strong>le vite dei tanti attori, non protagonisti,<br />
incon<strong>tra</strong>ti durante il suo viaggio. Questo metodo di osservazione partecipante intensiva e di<br />
immersione totale in una subcultura <strong>tra</strong>scurata è l’unico modo per raccogliere informazioni<br />
valide su un modo di vita sfuggente, alieno all’osservatore e certo non at<strong>tra</strong>ente.<br />
<strong>Un</strong> altro aspetto che differenzia questo tipo di ricerca è quello che riguarda il rapporto <strong>tra</strong><br />
osservatore e osservato: il <strong>sociologo</strong> si <strong>tra</strong>sforma nel corso <strong>del</strong> suo “viaggio di ricerca”, nell’allievo<br />
<strong>del</strong> suo soggetto che, a sua volta, assume il ruolo di maestro, l’insegnante di regole, trucchi e ritmi<br />
<strong>del</strong>la vita <strong>del</strong> trump. È proprio questo capovolgimento dei ruoli che consente a Dough di en<strong>tra</strong>re<br />
fino in fondo nel mondo dei vagabondi e di viverlo dall’interno, dal loro stesso punto di vista e che<br />
infine ci dà l’esperienza <strong>del</strong>la vita sulla s<strong>tra</strong>da. C’è da chiederci se i sociologi qualitativisti,<br />
nell’approccio fenomenologico, riescano veramente a vedere “dall’interno” il mondo che studiano<br />
senza mai mettere in discussione il loro ruolo ed aver provato direttamente quanto viene raccontato.<br />
<strong>Un</strong>’al<strong>tra</strong> questione riguarda l’uso ed il ruolo <strong>del</strong>le immagini in sociologia. Il <strong>libro</strong> in oggetto<br />
rappresenta uno dei primi esempi di unione <strong>tra</strong> ricerca sul campo e fotografia, ora conosciuta come<br />
sociologia (o etnografia) visuale. Harper ci spiega le due funzioni che le foto hanno avuto nella sua<br />
ricerca: costituiscono un inventario visuale <strong>del</strong> comportamento tipico in spazzi tipici e l’evoluzione<br />
dei rapporti <strong>tra</strong> ricercatore e soggetti studiati. Man mano che si evolve il rapporto <strong>tra</strong> osservatore e<br />
osservato, le immagini finiscono per rappresentare il punto di vista di en<strong>tra</strong>mbi, così come quello<br />
degli altri vagabondi incon<strong>tra</strong>ti durante il viaggio: è il punto di vista risultato dall’osservazione<br />
partecipante e dal coinvolgimento soggettivo nella situazione. Per questo le fotografie di Harper<br />
<strong>tra</strong>smettono appieno il senso <strong>del</strong> ritmo <strong>del</strong>la vita di s<strong>tra</strong>da. E’ la ragione che fa di Good Company,<br />
una <strong>del</strong>le prime ricerche sociologiche fotografiche sul campo che ha aperto la s<strong>tra</strong>da a quella<br />
che oggi è la sociologia visuale.<br />
L’ultima questione è quella relativa alla scelta <strong>del</strong>lo stile narrativo per la presentazione dei risultati<br />
<strong>del</strong>la ricerca. Da informazioni <strong>tra</strong>tte da una comunicazione personale <strong>del</strong>l’autore, sappiamo che<br />
questa decisione fa seguito a due tentativi di riscrittura <strong>del</strong> <strong>libro</strong> in forma più tipicamente<br />
sociologica. La stesura finale decide invece di dare spazio alla vita <strong>del</strong> trump, alla migrazione, al
lavoro, alle bevute che costituiscono un ciclo che sempre si ripete e proprio per questo<br />
suggeriscono, nel raccontarle, una forma narrativa. L’uso <strong>del</strong>la prima persona esprime, nella<br />
presentazione <strong>del</strong>la ricerca, la quota di soggettività risultante dalle relazioni e dai rapporti in cui il<br />
ricercatore si trova coinvolto… In ogni ricerca bisognerebbe raccontare dunque anche<br />
<strong>del</strong>l’esperienza <strong>del</strong>l’osservatore oltre che di quella <strong>del</strong>l’osservato.