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Cavalleria Rusticana - ITC Odorico Mattiussi

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CAVALLERIA RUSTICANA<br />

Inizio<br />

LA NOVELLA<br />

IL DRAMMA<br />

L’ O P E R A


LA NOVELLA<br />

NOVELLA<br />

La novella<br />

pubblicata nell’anno 1880, è ambientata in un villaggio della Sicilia orientale,<br />

probabilmente a Vizzini (dove Verga aveva un feudo), negli anni appena<br />

successivi all’annessione della Sicilia all’Italia


Turiddu vorrebbe dapprima "trargli fuori le budella dalla pancia a quel di<br />

Licodia!", ma poi si rassegna.<br />

Lola sposa Alfio e ogni domenica si affaccia al suo balcone "per far vedere tutti i<br />

grossi anelli d’oro che le aveva regalati il marito".<br />

Turiddu inizia a corteggiare Santa, la figlia del ricco massaro Cola, che abita<br />

proprio di rimpetto a Lola che, ingelosita, lo attira di nuovo a sé e di notte,<br />

quando è sola, lo fa entrare in casa.<br />

La storia<br />

Turiddu Macca, tornato al suo paese dopo aver fatto il soldato come<br />

bersagliere, viene a sapere che Lola, la ragazza alla quale era legato<br />

da promessa amorosa, sta per andare in sposa ad un ricco carrettiere<br />

di Licodia, compare Alfio.


La storia1<br />

Alla vigilia di Pasqua, Santa, infuriata per il comportamento di<br />

Turiddu e Lola, rivela a compare Alfio il tradimento della moglie.<br />

Immediatamente compare Alfio si precipita all’osteria, dove si trova<br />

Turiddu, e lo sfida a duello.<br />

I due si affrontano all’ alba. Alfio è ferito per primo ma, afferrata una manata<br />

di terra, prima acceca Turiddu e poi lo colpisce con tre coltellate.<br />

Turiddu annaspa "un pezzo di qua e di là fra i fichidindia“ e poi cade "come un<br />

masso, mentre il sangue gli gorgogliava spumeggiando nella gola".


Turiddu<br />

Lola<br />

Santa<br />

Alfio<br />

I personaggi


Turiddu<br />

Turiddu<br />

Turiddu è il protagonista della storia.<br />

Verga lo presenta così: Turiddu Macca, il figlio della gnà Nunzia,<br />

come tornò da fare il soldato, ogni domenica si pavoneggiava in<br />

piazza coll’uniforme da bersagliere e il berretto rosso……<br />

La “diversità” della divisa e l’atteggiamento spavaldo segnalano<br />

che fin dall’inizio Turiddu è fuori dal villaggio.<br />

È stato lontano Turiddu e così ha perduto per sempre la sua patria, senza però<br />

trovarne una nuova. E con la patria, ha perso l’identità e ora non riesce più a<br />

riconoscersi nelle leggi immobili, l’onore e la roba, della comunità di cui è parte.<br />

Sì, è vero, inizialmente pensa di uccidere Alfio in nome dell’onore.<br />

Ma poi lascia cadere il proposito e sfoga in modo diverso il suo rancore.


Per questo accetta l’invito di Lola.<br />

Turiddu<br />

Turiddu1<br />

L’ottica, però, è sempre quella del villaggio che associa l’onore<br />

alla roba. È nell’ottica della roba, infatti, che nasce il suo<br />

proposito di corteggiare Santa.<br />

Ma Turiddu è stato lontano e lì ha trovato un Dio nuovo, il Dio<br />

del sentimento, e una nuova legge, una legge che antepone, al<br />

codice della tribù, la forza biologica della vita e l’imperativo<br />

universale degli affetti.<br />

Per questo l’ultima invocazione, un’invocazione mancata, è a sua madre, l’unica<br />

per cui è disposto ad uccidere: e non poté profferire nemmeno: Ah! mamma mia!


Lola<br />

Lola<br />

Lola è l’altra protagonista della storia. Sono i suoi comportamenti,<br />

infatti, che muovono la storia e che trasformano la commedia in<br />

tragedia.<br />

Legata da una promessa a Turiddu sceglie, nella logica del<br />

villaggio, la roba di compare Alfio. E alla roba tiene, e per questo<br />

va in giro mostrando gli anelli d’oro che le ha regalato il marito.<br />

Quando vede Turiddu che fa la corte a Santa, però, dentro di lei si<br />

scatena uno scontro tra “roba” e passione.<br />

È anche religiosa Gna Lola, ma la sua è una religiosità arcaica, in base alla quale<br />

non sta all’uomo ipotecare il futuro perché ciò irriterebbe il cielo.<br />

E così vince la passione.<br />

Tutto accade per un «saluto»; ma Lola non è Beatrice di Dante, e il saluto dal balcone<br />

schiude l’ingresso non alla felicità, ma all’abisso dell’adulterio e della rovina.


Santa<br />

Santa<br />

Santa è la figlia in età da marito del ricco Massaro Cola.<br />

É innamorata del bersagliere e per questo sta al gioco di Turiddu.<br />

Lei, però, nella logica del villaggio, intende l’amore come<br />

contratto sociale.<br />

Santa, infatti, respinge la professione d’amore-desiderio di<br />

Turiddu, incoraggiando invece una proposta di matrimonio;<br />

prima lancia un messaggio riguardante la dote; poi richiama<br />

l’attenzione sulla figura del padre, con il chiaro invito a chiedere<br />

concretamente e ritualmente la sua mano.<br />

Le romantiche dichiarazioni amorose, secondo lei, non servono che a far<br />

«chiacchierare» il vicinato, se non si convogliano nella promessa rituale.<br />

È la logica della roba e del rispetto della legge del villaggio.<br />

E in questa logica si spiega la delazione ad Alfio sul tradimento della moglie. Lola<br />

le ha rubato Turiddu e i due hanno violato la legge del matrimonio come contratto<br />

sociale; per questo vanno puniti.<br />

E naturalmente non piange.


Alfio<br />

Alfio<br />

Alfio è espressione del villaggio e segue la legge dei padri.<br />

Fa il carrettiere e possiede quattro mule; è molto ricco, quindi,<br />

e ci tiene a mostrare la roba che possiede. Per questo colma di<br />

doni Lola che considera come una sua proprietà; alla moglie,<br />

infatti, dà del tu mentre lei gli dà del voi.<br />

Naturalmente è uomo d’onore ed ha il sangue rissoso come<br />

tutti quelli di Licodìa.<br />

La prima cosa a cui pensa, quindi, non appena viene a conoscenza del tradimento<br />

della moglie, è alla vendetta e nulla concede al sentimento, preso com’è dal<br />

rancore per la privazione dell’onore-roba.


Verso la catastrofe<br />

Verga annuncia per tempo la catastrofe, ma alla suspense, preferisce il<br />

presentimento e le insinuazioni. Sapienti ricami, accorti richiami, propri di una<br />

scrittura simbolica e rituale


Bianco e rosso<br />

Punto di svolta della storia è l’invito di Lola a Turiddu,<br />

rovescio penitenziale del primo mancato saluto. Allora Lola,<br />

incontrando Turiddu dopo la lunga assenza, non s’era fatta né bianca né rossa.<br />

Ora, spiando dalla finestra il colloquio amoroso tra Turiddu e Santa, si fa pallida<br />

e rossa.<br />

Particolari a distanza e dettagli che appaiono parti di un assieme costruito per<br />

simmetrie. E acquistano il valore di segni rivelatori.<br />

Il primo e il secondo colloquio fra Lola e Turiddu sono collegati dal colorito del<br />

volto di lei che viene anche posto a contrasto con il rossore di Santa che per non<br />

farsi rossa, gli tirò un ceppo che aveva sottomano.<br />

Ma, riprendendo il binomio bianco-rosso, per rovesciarlo dal negativo al positivo<br />

(dall’assenza di colore come indifferenza, al cambiamento di colore), Verga<br />

introduce una variazione rilevante: «pallida» al posto di «bianca». E con quel<br />

pallore, insinua l’incombere della tragedia e della morte.<br />

Rossa è Santa, innamorata, bianco-rossa Lola, portatrice di passione e di rovina;<br />

solo bianco sembra essere Alfio, l’omicida, anche se Verga si limita a dirci che il<br />

carrettiere, quando ascolta la delazione di Santa, cambia di colore.<br />

Il rosso della passione e il bianco della morte.


Desunta dalla strada o coniata dall’autore, l’imprecazione<br />

«santo diavolone» sembra il segno di una religiosità “trasversale”,<br />

pagano-cristiana, che corre dentro il mondo arcaico di <strong>Cavalleria</strong>.<br />

Santo diavolone<br />

Sono le prime sillabe che Alfio pronuncia alla spiata di Santa,<br />

Santo diavolone! - esclamò - se non avete visto bene, non vi lascierò gli occhi per<br />

piangere! a voi e a tutto il vostro parentado!<br />

e fanno eco speculare alla prima reazione di Turiddu, fatta propria dall’autore<br />

con la tecnica dell’indiretto libero,<br />

dapprima Turiddu come lo seppe, santo diavolone! voleva trargli fuori le budella<br />

dalla pancia, voleva…<br />

Stessa espressione, ma due comportamenti diversi.<br />

Turiddu all’inizio ha pensato all’onore offeso, e la tribù avrebbe consentito<br />

probabilmente la vendetta, perché l’onore leso era quello del bersagliere, ma poi<br />

lascia cadere il proposito e si limita allo sfogo delle «canzoni di sdegno» che la<br />

tribù bolla con la derisione.<br />

Alfio no; Alfio crede alla legge dell’onore e uccide.


Siamo nel “tempo sacro” della Pasqua, una Pasqua non<br />

di resurrezione, ma di morte.<br />

La Pasqua<br />

Che la Pasqua si stesse avvicinando, l’abbiamo appreso da Lola che vuole<br />

andare a confessarsi, poi ce lo conferma l’autore quando ci dice che la sfida<br />

viene lanciata il giorno della vigilia.<br />

Assieme alla menzione del calendario liturgico, Verga insinua, però,<br />

progressivamente, anche simboli e presagi di un esito sacrificale. Lo fa parlando<br />

dell’uva la cui complessa simbologia (eros/rigenerazione, sangue/espiazione)<br />

viene introdotta nel dialogo amoroso tra Turiddu e Santa.<br />

L’uva, nera, torna, poi, nel sogno di Lola, innescando l’oscuro presagio di<br />

Turiddu, la sua vana supplica di non confessarsi. Senza contare la vigna venduta<br />

dalla madre di Turiddu e quella di massaro Cola. Anche nell’ultima cena<br />

consumata all’osteria da Turiddu e dai suoi amici, torna l’uva, fatta vino. Anzi,<br />

fatta presagio di sangue, come mostra il gesto rituale con cui Alfio scansa il<br />

bicchiere che gli era stato offerto.<br />

«Amaro» calice e «ultima» cena; un’ultima cena imperfetta e rovesciata, s’intende<br />

in cui il bacio di Giuda si converte nel bacio rituale della sfida.


Ormai il duello è fissato e ci sono i saluti.<br />

Saluti<br />

Turiddu, quando saluta la madre, torna a richiamare la partenza per il servizio<br />

militare, partenza che lo aveva reso estraneo alla legge dei padri, in vista di una<br />

nuova partenza, allusiva di un Altrove definitivo:<br />

Mamma, le disse Turiddu, vi rammentate quando sono andato soldato, che<br />

credevate non avessi a tornar più? Datemi un bel bacio come allora, perché<br />

domattina andrò lontano.<br />

Rimasto dentro il villaggio, compare Alfio si congeda in ben altro modo da Lola:<br />

Oh? Gesummaria! dove andate con quella furia? -piagnucolava Lola sgomenta,<br />

mentre suo marito stava per uscire. -Vado qui vicino, -rispose compar Alfio -ma per<br />

te sarebbe meglio che io non tornassi più.<br />

Alfio contempla la possibilità di non tornare più; ma, rimasto protetto entro<br />

l’universo mentale del villaggio, egli sa di andare «vicino», ai fichidindia della<br />

Canziria, per compiere il rito previsto dalla legge dell’onore.


Il duello<br />

È la mattina di Pasqua.<br />

Compare Alfio, - cominciò Turiddu dopo che ebbe<br />

fatto un pezzo di strada accanto al suo compagno,<br />

il quale stava zitto, e col berretto sugli occhi. -<br />

Come è vero Iddio so che ho torto e mi lascerei<br />

ammazzare. Ma prima di venir qui ho visto la mia<br />

vecchia che si era alzata per vedermi partire, col<br />

pretesto di governare il pollaio, quasi il cuore le<br />

parlasse, e quant’è vero Iddio vi ammazzerò come<br />

un cane per non far piangere la mia vecchierella.<br />

La sera prima Turiddu era disposto a morire; ora è deciso ad ammazzare Alfio.<br />

In questa decisione non c’entra la legge della roba. Egli non si batte per la povertà<br />

della vecchia madre e neppure per non lasciarla sola; ucciderà perché non vuol farla<br />

piangere.<br />

«Ora che ho visto la mia vecchia nel pollaio mi pare di averla sempre dinanzi agli<br />

occhi. - Apriteli bene, gli occhi!».<br />

Tre volte viene ripetuta la parola occhi. E non è, quindi, casuale che il gesto con cui<br />

Alfio neutralizza l’avversario, preparandone la morte, è l’accecamento.


Il duello1<br />

Il finale epico-tragico prevede che i duellanti si<br />

scambino parole, oltre ai colpi.<br />

Le coltellate che toccano a compare Turiddu<br />

sono tre e alle tre coltellate corrispondono tre<br />

distinti commenti di compare Alfio; al crescendo<br />

dei colpi segue il crescendo delle motivazioni.<br />

Il primo colpo è preparato da un frase rituale,<br />

quasi un “vinca il migliore”. La seconda e la<br />

terza coltellata, invece, riguardano le leggi e gli<br />

dèi, in nome dei quali i due combattono;<br />

«questa è per la casa che tu m’hai adornato», dice Alfio, e sancisce così il<br />

ristabilimento dell’onore; e alla terza aggiunge: «Ora tua madre lascierà stare le<br />

galline».<br />

Potrebbe sembrare un’inutile crudeltà questa, ed invece è la logica conclusione.<br />

Alfio, infatti, non si limita a uccidere il rivale e a vendicare l’onore: nega e dissacra<br />

la Legge delle Madri, l’Anti-legge cui Turiddu, senza più tribù, s’era aggrappato e<br />

votato.


IL DRAMMA<br />

Il dramma


Dalla novella al dramma<br />

Verga ricavò il dramma dalla novella in pochi anni:<br />

la novella è del 1880, il dramma del 1883-1884.<br />

Egli aspirava a cimentarsi nella scrittura scenica;<br />

voleva anche lui, come Zola, come tanti altri scrittori del<br />

Naturalismo, provare a rinnovare il teatro. Per questo cercò<br />

modelli, ma in Italia non c'era ancora una drammaturgia e<br />

non c'era ancora un teatro borghese (e quasi nemmeno una<br />

società borghese). Il modello non poteva che trovarlo,<br />

quindi, nell'unico vero grande teatro che l'Italia aveva avuto<br />

fra Sette e Ottocento, il teatro d'opera, il melodramma.<br />

Di qui la trasformazione; come si addice al melodramma, è il sentimento amoroso<br />

che diviene punto di riferimento fondamentale, il faro che illumina la scena.<br />

Ciò fu determinato anche dalle esigenze di "mercato" del teatro stesso. La presenza<br />

della "primadonna" - l'eroina drammatica - era, infatti, la condizione indispensabile<br />

per il successo di un dramma. Ed in effetti la passionalità e la pateticità della<br />

protagonista che chiama giustizia e che infine impreca vendetta furono determinanti<br />

per la fortuna del testo.


Il ruolo di Eleonora Duse<br />

Il teatro, poi, è fatto di attori e di attrici.<br />

Scrive Giacosa a Verga: «A Torino il pubblico è poco<br />

propenso alle novità. Ma la novità tua piacerà anche là.<br />

Purché ben inteso ci sia gran parte per la Duse».<br />

Eleonora Duse lavorava nella compagnia di Cesare Rossi a<br />

cui il dramma di Verga non piaceva.<br />

La possibilità di mettere in scena con successo il lavoro<br />

poggiava, quindi, tutta sull'entusiasmo dell’attrice che non<br />

poteva dunque non avere «gran parte».<br />

Ed è anche per questo, per valorizzare al massimo le doti della Duse, che Verga<br />

costruisce la «pièce», spostando la funzione protagonistica da Turiddu a Santuzza.<br />

Da una recensione sul "Corriere della Sera" del 15 gennaio 1884:<br />

«Ieri sera il teatro Carignano era affollatissimo. Tutte le sedie occupate. In platea alle<br />

sette e tre quarti non si penetrava più. L'attenzione, profonda fino dal principio,<br />

continuò sino alla scena fra la Duse e il Checchi (Santuzza e compar Alfio). A questa<br />

scena proruppero applausi fragorosi e generali, che si rinnovarono di scena in scena<br />

sino alla fine».


La stessa storia un’altra storia<br />

La storia è la stessa con lo stesso esito, la morte di Turiddu;<br />

ma in realtà è un’altra storia.<br />

Qui il tema centrale è la passione, un intreccio sentimentale «sfasato», secondo il<br />

modulo a che ama b che ama c: Santuzza ama Turiddu che, a sua volta, ama Lola.<br />

E la passione, con le sue complicazioni (gelosia e vendetta), determina situazioni<br />

tutte nuove. Cambiano anche l'ambientazione, le coordinate spazio-temporali e i<br />

personaggi.<br />

L'azione si svolge il giorno di Pasqua (unità di tempo e di luogo che Verga,<br />

influenzato da Zola, riteneva indispensabili) nella piazza del paese e nella piazza ci<br />

sono la caserma dei carabinieri e, dal lato opposto, la chiesa.<br />

Dal punto di vista della sequenza degli eventi, manca l'esposizione dell'antefatto: la<br />

scena, infatti, si apre con Santuzza alla ricerca di Turiddu, la quale soltanto in<br />

seguito racconterà il suo dramma alla Gna' Nunzia, quando comunque il pubblico<br />

l'avrà già intuito da tutta una serie di indizi.<br />

Manca anche la descrizione del duello, di cui uno dei personaggi annuncia l’esito:<br />

hanno ammazzato compare Turiddu.


E poi ci sono i nuovi personaggi.<br />

Personaggi vecchi e nuovi<br />

Scomparso il motivo economico, scomparso lo scontro tra il<br />

diverso, il villaggio e le sue leggi, i vecchi personaggi<br />

assumono caratteristiche diverse: e così Alfio è solo un<br />

marito tradito e Lola una vanitosa superficiale.


Santuzza dramma<br />

Santuzza è la vera nuova protagonista della storia, il<br />

personaggio a cui va tutta la partecipazione dello<br />

spettatore: una donna tradita e abbandonata che, nella<br />

sua disperazione e nella sua ira per l'umiliazione subita, rivela ad Alfio la relazione<br />

di Turiddu con Lola.<br />

Santa non è più come nella novella la figlia di un benestante. Santa diventa anzi<br />

Santuzza, con un diminutivo che ne dice bene la fragilità, il profilo di vittima<br />

designata. Lei è, infatti, l'anello debole di un triangolo di affetti e di sentimenti.<br />

«Ora che sono in questo stato... che i miei fratelli quando lo sapranno<br />

m'ammazzano colle sue mani stesse!»; «[...] Turiddu Macca che m'ha tolto l'onore».<br />

Qualcuno ha pensato che Santuzza sia incinta Forse non è così, ma non è questo<br />

che importa. Verga drammaturgo esaspera il «tradimento» che è stato perpetrato<br />

nei confronti della giovane perché questo consente di rendere più «scusabile» il<br />

tradimento della donna, la sua vendetta, la delazione che fa ad Alfio.<br />

Sono le leggi del teatro melodrammatico che ha bisogno di personaggi «simpatici».


Turiddu dramma<br />

Turiddu, che, insieme a Lola, era è il protagonista della<br />

novella, sulla scena diventa il tradizionale amante infelice<br />

di una donna che ha rivolto altrove il suo amore, e che,<br />

però, non rinuncia a soddisfare i suoi desideri; sia pure di nascosto e illegalmente,<br />

perché, nella sua vanità, non può sopportare che, deluso, egli si rivolga a un'altra.<br />

Egli è, quindi, doppiamente colpevole: all'adulterio con Lola si aggiunge, infatti, il<br />

comportamento sleale e brutale verso Santuzza.<br />

E tuttavia ha rimorsi, che non mostrava nella novella, per Santuzza vilmente sedotta<br />

e abbandonata. Andando incontro al duello il suo pensiero, infatti, è solo per<br />

Santuzza:<br />

«E se mai… alla Santa, che non ha nessuno al mondo, pensateci voi, madre».<br />

«Sentite, compar Alfio, come è vero Dio so che ho torto, e mi lascerei scannare da<br />

voi senza dir nulla. Ma ci ho un debito di coscienza con comare Santa, chè son io<br />

che l'ho fatta cadere nel precipizio; e quant'è vero Dio, vi ammazzerò come un<br />

cane, per non lasciare quella poveretta in mezzo alla strada».


Gnà Nunzia dramma<br />

La gnà Nunzia, madre di Turiddu, che nella novella era<br />

una povera donna e presenza muta, è trasformata da<br />

Verga drammaturgo in una agiata bottegaia che tiene<br />

un'osteria sulla piazza del villaggio.<br />

Ma mentre nella novella capisce a cosa sta andando incontro il figlio, qui è più<br />

attenta a riscuotere da Alfio il pagamento del vino che gli ha venduto, che a<br />

indovinare la tragica situazione in cui il figlio è andato a cacciarsi.<br />

«È meglio di quell'altro, compar Alfio; me lo direte poi, quando l'avrete bevuto,<br />

buon pro vi faccia. Diciotto soldi».<br />

E anche quando il figlio la saluta per l’ultima volta, non capisce e chiede: «Ma<br />

dov'è andato mio figlio?»


Il coro<br />

Impossibilitato ad utilizzare le tecniche dell’impersonalità<br />

per esprimere il punto di vista del villaggio, Verga inventa<br />

nuovi personaggi.<br />

Compaiono, così, lo zio Brasi, comare Camilla sua moglie, la zia Filomena,<br />

Pippuzza: quattro ruoli secondari che garantiscono, però, quell'oggettività di<br />

rappresentazione destinata a conferire maggiore spicco alle passioni dei<br />

protagonisti.<br />

Pippuzza, che alla fine annuncerà la morte di Turiddu, appare già all'inizio a<br />

vendere uova, rompendo, con un inserimento realistico, il dialogo concitato tra la<br />

gna' Nunzia e Santuzza, e così pure gli scherzi dello zio Brasi si sovrappongono ai<br />

toni cupi della situazione di fondo.<br />

Ed è zio Brasi che si assume il compito di spiegare quello che sta per succedere.<br />

«Non hai visto, sciocca, quando gli ha morsicato l'orecchio? Vuol dire, o io<br />

ammazzo voi, o voi ammazzate me».


L’ OPERA<br />

L’Opera<br />

<strong>Cavalleria</strong> rusticana, musicata da Pietro Mascagni su libretto del<br />

livornese Giovanni Targioni-Tozzetti associato a Guido Menasci,<br />

fu rappresentata al Teatro Costanzi di Roma il 17 maggio 1890<br />

secondo quanto previsto dal concorso per un'opera in un atto,<br />

bandito dall'editore Sonzogno, che Mascagni aveva vinto.


Dal dramma all’opera<br />

In una lettera del 9 aprile 1890 Mascagni raccomandava<br />

a Targioni-Tozzetti e a Menasci di fornirgli presto un<br />

nuovo libretto (si pensava a una Carlotta Corday) e di<br />

tener presente che egli avrebbe approvato qualsiasi<br />

soggetto purché ci fosse la garanzia del «dramma forte».<br />

La scelta di <strong>Cavalleria</strong> rusticana non fu quindi di Mascagni, ma degli autori<br />

del libretto che misero in versi il dramma scritto da Verga.<br />

E il libretto è fedele al dramma. Le modifiche riguardano solo alcune<br />

«amplificazioni» melodrammatiche: Santuzza che dice a gnà Nunzia «Non<br />

posso entrare in casa vostra... / Sono scomunicata!»; il grido di Alfio<br />

«Infami loro! Ad essi non perdono, / vendetta avrò pria che tramonti il dì. /<br />

Io sangue voglio, all'ira m'abbandono, / in odio tutto l'amor mio finì»;<br />

Santuzza che ritorna in scena per svenire tra le braccia di gnà Nunzia (che<br />

sviene anche lei) nel finale; e poco altro.<br />

Dei personaggi restano Turiddu, Alfio, Santuzza, Lola e mamma Lucia (la<br />

gna' Nunzia), mentre scompaiono i personaggi minori quelli che davano al<br />

dramma una suggestione di coralità che nel libretto è, invece, assente.


Un’opera verista?<br />

Verga, che fornì il soggetto, è un verista; ma Mascagni<br />

diventa verista anche lui? E <strong>Cavalleria</strong> rusticana è davvero<br />

un’opera verista, come ha sostenuto certa critica?<br />

No; il verismo non riguarda la musica, riguarda la letteratura.<br />

Per Verga non era importante «l'effetto della catastrofe», bensì «lo sviluppo logico<br />

necessario delle passioni e dei fatti verso la catastrofe». Le opere, invece, puntano<br />

esclusivamente sulle catastrofi; fondamentali sono i moti dell'animo, le cause sono<br />

di secondaria importanza.<br />

I romanzi e le novelle, poi, si servono delle «parole semplici e pittoresche della<br />

narrazione popolare». Non così i libretti delle opere che, secondo la tradizione,<br />

devono essere in versi (di solito in endecasillabi).<br />

Mentre la letteratura rinuncia alla descrizione particolareggiata dell'ambiente,<br />

nell'opera domina incontrastato il carattere pittorico (pittoresco) della scena e la<br />

Sicilia diventa, cosi, un luogo esotico; come il West, o il Giappone.<br />

Infine, la musica. Mascagni non ha ripreso né imitato la realtà musicale, o il folclore<br />

della Sicilia in cui ha ambientato l'opera, neanche nella Siciliana. E la sua musica<br />

non ha nemmeno a che fare con la realtà sociale dei personaggi;<br />

di rusticano non c’è davvero nulla!


L’Opera si compone di tredici scene<br />

Scena I N. 1 - Siciliana. A sipario ancora calato, Turiddu<br />

intona un canto per Lola.<br />

Scena II N. 2 - Coro d'introduzione: Gli aranci olezzano.<br />

Scena III N. 3. Santuzza si reca a casa di Lucia per parlare di Turiddu.<br />

Scena IV N. 4 - Sortita di Alfio con Coro. Sopraggiunge Alfio, che prima intona un<br />

canto di lode del suo mestiere e poi chiede a Mamma Lucia un bicchiere di vino.<br />

Lucia dice di non averne e che suo figlio si è recato nel paese vicino ad<br />

acquistarlo. Alfìo, allora, afferma di avere visto Turiddu quella mattina stessa nei<br />

pressi di casa sua, ma quando Lucia sta per chiedere ulteriori spiegazioni, viene<br />

fermata da Santuzza.<br />

N. 5 - Scena e preghiera.<br />

Scena V N. 6 - Romanza e Scena. Santuzza, rimasta sola con Lucia, le confida<br />

che Turiddu, dopo averle tolto l'onore e promesso di sposarla, ha ricominciato a<br />

trescare con Lola. Scossa dalla notizia, mamma Lucia corre in chiesa per pregare.<br />

Scena VI N. 7 - Scena. Turiddu giunge nella piazza e risponde in modo evasivo<br />

alle domande di Santuzza tentando invano di calmarla.<br />

Il libretto


Scena VII N. 8 - Stornello di Lola Il dialogo è interrotto<br />

dall'arrivo di Lola che sta per recarsi in chiesa.<br />

Scena VIII N. 9 – Duetto. Santuzza intanto trattiene Turiddu<br />

per un braccio impedendogli di seguire Lola e, piangente, lo<br />

implora di non abbandonarla; ma Turiddu la respinge con<br />

violenza ed entra in chiesa.<br />

Scena IX N. 10 – Duetto. Santuzza rivela la sua tresca ad Alfio, il quale, dapprima<br />

incredulo, si ripromette di vendicarsi entro il giorno stesso.<br />

N. 11 - Intermezzo sinfonico.<br />

Scena X N. 12 - Scena, Coro e Brindisi. Finita la messa Turiddu invita gli amici a<br />

bere inneggiando alla festa e alla bellezza di Lola.<br />

Scena XI N. 13 – Finale. Sopraggiunge Alfio, che, invitato al brindisi, rifiuta.<br />

Turiddu comprende il gesto di sfida e butta a terra il vino. I rivali si abbracciano e<br />

Turiddu, dopo aver morso l'orecchio di Alfio, segno della sfida a duello, dichiara<br />

che lo raggiungerà presto dietro l'orto.<br />

Scena XII . Turiddu ha un ultimo pensiero di pietà per Santuzza e la raccomanda<br />

alla madre, alla quale poi chiede di essere benedetto.<br />

Scena XIII . Giunge Santuzza, che abbraccia Mamma Lucia, ignara del duello, ma<br />

in preda ad un triste presentimento.<br />

Poco dopo un mormorio lontano e un grido.<br />

Il libretto1


Hanno ammazzato<br />

L'assassinio nel melodramma tradizionale ha una conseguenza<br />

musicale immediata. Le persone coinvolte commentano,<br />

cantando, il fatto e la situazione che ne deriva e così sottraggono<br />

l'avvenimento alla realtà. Il morente si trasfigura nel canto e l'orrore si dissolve, nel<br />

vero senso della parola, in armonia.<br />

Nella <strong>Cavalleria</strong> le cose vanno diversamente, ed è questo l’unico momento in cui si<br />

può parlare di verismo musicale. La morte, infatti, non viene integrata nell'opera;<br />

rimane qualche cosa di estraneo e, in quanto tale, crea l'impressione che la realtà<br />

irrompa nell'arte.<br />

Un grido lacerante ripetuto due volte annunzia la morte di Turiddu avvenuta dietro<br />

le quinte: Turiddu non torna di nuovo sulla scena per esprimere in musica i suoi<br />

sentimenti morendo, come si usava nelle opere di epoche precedenti; e anche a<br />

Santuzza, l'amante abbandonata, e a Lucia, la madre, è negata la sublimazione<br />

musicale del dolore.

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