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Bollettino Completo 1983 - Società Tarquiniese Arte e Storia

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GLI STATUTI DELLA CITTÀ’ DI CORNETO NEL 1545 NEL QUADRO DELLO SVILUPPO<br />

DEL CENTRALISMO AMMINISTRATIVO DELLO STATO PONTIFICIO<br />

Ruspantini<br />

La pubblicazione degli Statuti della città di Corneto del 1545 a cura di Massimo<br />

- un volume che fa onore al curatore e alla <strong>Società</strong> Tarquiniense di arte e storia che lo ha edito<br />

- è avvenuta in un momento di rinnovato interesse per gli statuti comunali, almeno nella<br />

nostra Regione. Ricordo qui gli Statuti di Orte, pubblicati nel 1981<br />

; gli Statuti di Rocca Priora, pubblicati nel 1982<br />

; lo Statuto di Sant’Oreste, pubblicato nel 1982<br />

; è probabile che ancora altri studi siano stati redatti sugli statuti del nostro territorio in questi<br />

ultimi anni, altre pubblicazioni che non hanno avuto adeguata notorietà e che con ogni<br />

probabilità contengono notizie utili e indicazioni valide.<br />

Questo nuovo interesse per gli Statuti - ricordo una prima grande stagione di ricerche<br />

sugli statuti comunali - ha caratterizzato gli anni sul finire dell’Ottocento: basti per tutti il<br />

nome di Carlo Calisse<br />

; poi una seconda stagione certamente molto importante è stata quella tra la Prima e la<br />

Seconda guerra mondiale<br />

. Questo rinnovato interesse dicevo, muove da nuovi impulsi che vengono dati alla ricerca<br />

storica locale. Vi sono studiosi e appassionati della ricerca storica che operano oggi con<br />

maggiore frequenza in questo campo proseguendo nella via tracciata dalla significativa<br />

storiografia sopra ricordata, grazie proprio ai modelli che sono stati offerti da quelle ricerche.<br />

Vi sono giovani e studiosi affermati che trovano stimoli ad avviare o a riprendere studi negli<br />

archivi comunali dal constatare che, seppur limitatamente e con effetti ancora troppo limitati


ispetto all’ampiezza del problema, le istituzioni di governo a livello locale (la Regione Lazio,<br />

la Provincia di Viterbo, alcuni Comuni per citare i casi che conosco direttamente) hanno<br />

promosso e condotto operazioni di ordinamento e di inventariazione di archivi comunali e di<br />

archivi di interesse locale<br />

. E interventi di questo tipo stanno operando anche istituzioni culturali private, in<br />

collaborazione con la Soprintendenza Archivistica per il Lazio per gli archivi comunali, in<br />

accordo con le autorità ecclesiastiche per gli archivi diocesani, capitolari, parrocchiali<br />

. I primi archivi sono già stati sistemati, ordinati e inventariati: probabilmente avremo modo<br />

di vedere presto non solo nuovi studi sugli statuti comunali ma anche altre indagini che<br />

utilizzeranno le carte, preziose e per così lungo tempo trascurate, che si conservano negli<br />

archivi comunali.<br />

Un’altra novità di questi anni comincia a produrre i suoi effetti anche nel settore delle<br />

ricerche storiche locali: l’istituzione e il funzionamento delle biblioteche pubbliche nei diversi<br />

comuni della nostra Regione. Non è raro trovare in questi centri di lettura e di studio un<br />

angolo dedicato alle opere che trattano la storia dello Stato pontificio, di Roma e del suo<br />

territorio, dei singoli Comuni: vi sono studi di altissimo valore scientifico, indagini<br />

prevalentemente divulgative, opere di propaganda turistica. Tutto comunque contribuisce o<br />

può contribuire a destare l’interesse nei lettori per una storia più legata al territorio, alle sue<br />

tradizioni, alla sua religiosità, ai suoi tesori artistici e architettonici. E talvolta accade che,<br />

anche per il sapiente lavoro svolto da alcuni bibliotecari e da alcuni insegnanti, l’interesse<br />

suscitato porti ad abbozzare ed a realizzare ricerche nuove, su materiali inediti, che si<br />

riferiscono a momenti della storia di un paese, ai suoi personaggi, ai suoi costumi.<br />

Ma lo studio delle carte degli archivi locali e degli statuti in primo luogo trova oggi<br />

nuovi motivi di interesse del fatto che si stanno incrociando e talvolta scontrando


impostazioni storiografiche profondamente differenti, sia sul problema generale del<br />

significato dell’operazione storica (cosa significa cioè una ricerca storica), sia su quello più<br />

specifico ma egualmente assai ampio della nascita e dello sviluppo dello Stato pontificio<br />

nell’avvento dello Stato moderno. Su entrambi i fronti le verifiche che si possono condurre<br />

sulle carte degli archivi locali sono di grandissima importanza e ciò li pone nell’”occhio del<br />

ciclone”.<br />

A fronte di una storia politica, di una storia appoggiata prevalentemente agli<br />

avvenimenti, di una storia delle classi dominanti e degli uomini che ne sono stati le guide e i<br />

condottieri, si sta facendo strada una storia che analizza le trasformazioni e le permanenze,<br />

che si occupa, anche se non esclusivamente, di coloro che sono stati dominati, della gente, che<br />

ha compiuto quella grande impresa che è vivere su questa terra. Insomma una storia attenta<br />

alle vicende della società, una storia che si propone di cogliere i mutamenti ma anche ciò che<br />

dura, che non cambia e sembra anzi rimanere quasi immobile, una storia che tende alla storia<br />

totale, alla storia globale dell’uomo e degli uomini. Il tempo di questa storia è radicalmente<br />

diverso da quello della storia politica: ora si analizzano i “tempi” nelle vicende degli uomini,<br />

quelli lunghi e lunghissimi delle lente trasformazioni della mentalità e dei costumi e quelli più<br />

ridotti delle crisi economiche, delle epidemie, di una ventata di rinnovamento religioso.<br />

E’ una nuova storia. E di questa storia avvertiamo il bisogno, per capire meglio il nostro<br />

passato ed anche per comprendere di più il nostro presente, mentre verifichiamo<br />

l’inadeguatezza, l’insufficienza di una storia che era spesso una successione di avvenimenti e<br />

di nomi e che non ci aiutava a leggere le cause, a cogliere la realtà che scorreva accanto ai fatti<br />

ed alle persone. Queste esigenze del resto non sono una scoperta originale della nostra epoca<br />

se già due secoli e mezzo fa Voltaire, nelle sue Nouvelles considerations sur l’histoire<br />

affermava: “Forse accadrà presto nel modo di scrivere la storia quanto è accaduto nella fisica.


Le nuove scoperte hanno fatto cadere in disuso i vecchi sistemi. Si vorrà conoscere il genere<br />

umano in quei particolari interessanti che costituiscono oggi la base della filosofia naturale....<br />

E’ bene che vi siano archivi di tutto, onde li si possa consultare in caso di necessità; e<br />

attualmente io considero tutti i grossi libri alla stregua di dizionari. Ma dopo aver letto tre o<br />

quattromila descrizioni di battaglie, e il contenuto di alcune centinaia di trattati, ho trovato<br />

che in fondo non ne sapevo molto più di prima. Così non imparavo altro che avvenimenti.<br />

Studiando la battaglia di Carlo Martello non imparo a conoscere i francesi e i saraceni, più di<br />

quanto non conosca i tartari e i turchi per mezzo della vittoria ottenuta da Tamerlano su<br />

Bayazid. Vorrei sapere quali erano le fiere di un paese prima della guerra, e se questa le ha<br />

aumentate o diminuite. La Spagna era più ricca prima della conquista del nuovo mondo che<br />

non oggi? Di quanto era più popolata al tempo di Carlo Quinto che sotto Filippo IV? Perché ad<br />

Amsterdam vivevano appena ventimila persone duecento anni fa? Perché oggi conta<br />

duecentoquarantamila abitanti? E come facciamo a saperlo con certezza? Di quanto è più<br />

popolare oggi l’Inghilterra di quanto non lo fosse sotto Enrico VIII? Sarebbe vero quanto si<br />

dice nelle Lettere persiane che alla terra mancano gli uomini e che il mondo è disabitato<br />

rispetto a come era duemila anni fa?.... Ecco già alcuni oggetti della curiosità di chiunque vuol<br />

leggere la storia di un cittadino e da filosofo. Costui sarà ben lontano dal limitarsi a questa<br />

conoscenza; cercherà quale è stato il vizio principale e la virtù dominante di una nazione; in<br />

che modo e sino a che punto si è arricchita da un secolo in qua; i registri delle esportazioni<br />

possono insegnarlo. Vorrà sapere come le arti, le manifatture si sono stabilite; seguirà il loro<br />

passaggio e il loro ritorno da un paese all’altro. Infine il suo grande obiettivo saranno i<br />

cambiamenti nei costumi e nelle leggi. Saprebbe così la storia degli uomini anziché conoscere<br />

una piccola parte della storia dei re e delle corti. Invano leggo gli Annali di Francia: i nostri<br />

storici tacciono tutti su questi particolari. Nessuno ha per divisa: Homo sum, humani nil a me


alienum puto”<br />

.<br />

Questa nuova storia, per esistere, ha bisogno di tutti quei documenti che sino ad oggi<br />

non sono stati utilizzati per scrivere la storia: a cominciare dai registri dei battezzati, degli<br />

sposi e dei defunti, dagli “stati delle anime” alle visite pastorali, dalle “relationes ad limina” ai<br />

sinodi, dalle carte delle confraternite a quelle dei monti frumentari, dei monti di pietà, degli<br />

ospedali, per parlare delle carte presenti negli archivi ecclesiastici. E poi ha bisogno degli<br />

Statuti dei Comuni, dei registri dello Stato Civile, degli atti notarili, dei libri dei verbali dei<br />

consigli della Comunità, dei libri degli introiti e degli esiti, dei catasti dei terreni, delle carte<br />

riguardanti l’amministrazione della giustizia civile e criminale, insomma di tutte quelle carte<br />

che sono ancora conservate negli archivi comunali o negli archivi notarili e negli altri archivi<br />

locali.<br />

Dunque è una storia che ha bisogno dei nostri archivi, che trova nei nostri archivi il<br />

materiale per alimentarsi e per dare le risposte alle domande che si trova sulle labbra. E’ e<br />

ancora di più costituirà un impulso potente per entrare negli archivi, per riprendere in mano<br />

gli statuti, molto spesso per considerarli secondo prospettive del tutto nuove.<br />

Se ancora cinquant’anni addietro, lo studio degli statuti - le uniche carte dei nostri<br />

archivi comunali che erano tenute in una certa considerazione - era fatto per dimostrare la<br />

maggiore o minore consistenza del processo di centralizzazione del potere nei diversi Stati<br />

moderni, ora lo Statuto, oltre che per questo aspetto, è diventato uno strumento di grande<br />

rilevanza per cominciare a conoscere quella società locale che era unita dall’osservanza delle<br />

stesse regole, è una finestra che si apre su un mondo per tanti versi ormai lontano e qualche<br />

volta incomprensibile.<br />

Lo statuto è poi un momento di verifica per un’altra questione storiografica che ci


interessa molto da vicino: il ruolo che lo Stato pontificio ha avuto nella nascita dello Stato<br />

moderno, o meglio in quella nuova forma di gestione del potere e di organizzazione sociale che<br />

prende piede nel corso del Rinascimento e che arriva con successivi adattamenti sino alle<br />

soglie dell’età contemporanea.<br />

E’ un problema che si ripropone in termini nuovi, anche sorprendenti. Non più di<br />

cinque anni fa un’opera di sintesi sulle vicende dello Stato pontificio tra Martino V e Pio IX,<br />

firmata da Mario Caravale e Alberto Caracciolo, affermava che la mancanza di un esercito<br />

permanente, di una diplomazia stabile e di una struttura di burocrati al servizio del monarca<br />

dello Stato pontificio, autorizzava a sostenere che, certamente ancora alla fine del<br />

Cinquecento, quello non poteva essere considerato alla stregua dei nuovi Stati del<br />

Rinascimento<br />

.<br />

Ulteriore conferma veniva poi dal persistere di un sistema di autonomie signorili e<br />

feudali delle comunità nella zona di dominio diretto tali da rendere improbabile la tesi di una<br />

progressiva realizzazione di un sistema istituzionale sul modello di quanto realizzato dagli<br />

altri Stati moderni, anche nello Stato pontificio. A questo proposito Caravale a conclusione<br />

della prima parte del volume ribadiva che: “A nostro parere le istituzioni temporali della<br />

Chiesa al fine del pontificato di Gregorio XIII si differenziano solo in pochi punti da quelle<br />

restaurate da Martino V all’inizio del Quattrocento. Rispetto ad allora, la Romagna e<br />

Camerino sono tornate al governo diretto della Santa Sede, il Comune di Roma ha perso gran<br />

parte della sua antica libertà, e qualche altra città, come Perugia, ha subito una riduzione della<br />

sfera di autonomia. Ma il sistema istituzionale è rimasto inalterato. Come allora, esso<br />

continua a basarsi sull’esistenza di due tipi di terre, quelle mediate subiecte e quelle di<br />

dominio diretto. L’estensione delle prime non si è ridotta di molto, dato che le terre feudali


non sono diminuite e quelle signorili, se hanno perso le zone romagnola e camerinense, hanno<br />

acquistato quelle di Parma, Piacenza e Castro. Immutate, anzi rafforzate, risultano le potestà<br />

dei feudatari e signori, i quali si comportano in modo affatto indipendente dalla S. Sede e nei<br />

loro domini esercitano in pieno le potestà pubbliche. Nei comuni delle zone di dominio<br />

diretto ovunque esiste un governo diarchico composto, come già ai tempi di Martino V, dal<br />

rappresentante pontificio e dai magistrati municipali. Per lo più il rapporto interno alla<br />

diarchia risulta in equilibrio e a favore dei rappresentanti della comunità cittadina; solo in<br />

pochi comuni è a vantaggio del legato. Anche sotto il profilo del sistema fiscale, le novità<br />

introdotte specialmente a partire da Clemente VII non hanno modificato le precedenti<br />

immunità, né hanno spezzato il diaframma tradizionale della finanza comunale. Il passaggio<br />

alla Camera Apostolica delle entrate di alcune città, disposto da Martino V, non è stato esteso<br />

a nessun altro Comune; soggetti passivi dei tributi continuano ad essere le comunità e non i<br />

singoli sudditi; così che le modifiche introdotte nel Cinquecento consistono esclusivamente<br />

nell’aumento del numero dei contributi richiesti alle varie collettività della S. Sede”<br />

.<br />

E Caracciolo, parlando ancora del rapporto tra le città e il governo centrale nello Stato<br />

pontificio, affermava che nel XVI e nel XVII secolo: “La tendenza generale nelle provincie, non<br />

a Bologna soltanto, è dunque verso il rafforzamento di oligarchie ben circoscritte, che nella<br />

protezione del governo romano trovano garanzie di sicurezza sociale e di limitato ma stabile<br />

dominio sulle “cento città” e sulle terre, castelli, baronie che compongono i Domini pontifici.<br />

Tornano alla mente le vicende di Perugia e di Fermo, di Viterbo e di Ancona, fra i municipi più<br />

gelosi della propria indipendenza, verso i quali il Governo romano è largo di concessioni, che<br />

rendono quanto mai frastagliato il sistema istituzionale dello Stato. E si è portati a rileggere<br />

studi antichi e recenti dedicati a singoli luoghi delle Marche e di Urbino - da Gualdo Tadino a


Gubbio - per riconoscere quanto contrastato e vario sia stato il processo di stabilizzazione<br />

della magistratura e delle loro competenze sotto la pressione dei commissari, dei legati, dei<br />

governatori nominati da Roma. Se il settore militare - soprattutto con evidenza nelle terre di<br />

confine e nelle fortezze come Civitavecchia e Ancona - è fra quelli dove un po' più di progressi<br />

ottiene l’intervento del governo centrale, per la maggioranza delle materie resta in atto il<br />

massimo particolarismo, su basi consuetudinarie o statutarie, ben al di là del pur vistoso<br />

proliferare di dogane interne e di pedaggi, di esenzioni e di uffici privilegiati. Ma è proprio da<br />

meravigliarsi di ciò? Non vediamo forse questa medesima mancanza di uniformità, questa<br />

persistenza di privilegi e particolarismi, sopravvivere accanto alle moderne strutture unificate<br />

anche nelle grandi Monarchie più tipiche di un moderno centralismo, come la Francia? E’ ben<br />

comprensibile come assai più lento, contraddittorio, spesso soltanto epidermico, debba<br />

essere, al confronto, il processo di uniformazione amministrativa nei Domini della Chiesa<br />

nella stessa età”.<br />

Le ultime parole del Caracciolo, quel riferimento alla persistenza di privilegi e di<br />

particolarismi che si riscontrano lungo la strada dell’affermazione delle nuove strutture<br />

centralizzate di gestione del potere che negli Stati moderni, aprono un fronte di nuove<br />

considerazioni circa la gradualità di processi che una esperienza plurisecolare di Stato<br />

moderno ci fa spesso trascurare. Siamo tentati di misurare il cammino di queste realizzazioni<br />

con nostro passo di oggi; e quando verifichiamo che il loro progresso è decisamente lento, ci<br />

può sembrare addirittura che non vi sia stato alcun progresso. Come se ogni epoca, ogni<br />

società potesse essere valutata con lo stesso metro, come se la storia avesse la stessa unità di<br />

tempo, come se ogni cultura dovesse essere considerata in relazione della nostra cultura e<br />

l’uomo medioevale letto attraverso la mentalità e la visione del mondo dell’uomo del XX


secolo.<br />

Sul tema specifico del rapporto tra affermazione dello Stato temporale della Chiesa e<br />

nascita dello Stato moderno è stato pubblicato nel 1982 uno studio di Paolo Prodi, uno dei più<br />

acuti e profondi conoscitori delle vicende dello Stato Pontificio<br />

, che propone una analisi nuova di alcuni nodi che la storiografia specializzata non ha saputo<br />

liberare: il primo riguarda “lo sviluppo del nuovo modello monarchico del papato dopo la<br />

conclusione della crisi conciliarista”, il secondo “l’esercizio concreto del potere nella Chiesa<br />

universale durante il tramonto della “repubblica Cristiana” medievale e l’ascesa irresistibile<br />

del sistema politico degli Stati moderni e della nuova economia”<br />

. L’indagine non si basa sugli scritti dei teologi e dei canonisti ma sull’ideologia operante sul<br />

costume della corte romana, nella letteratura, nell’arte, nell’oratoria, nella liturgia. Essa<br />

considera lo sviluppo della centralizzazione del potere ecclesiastico come una risposta data da<br />

Roma alle tendenze centrifughe che la minacciavano da ogni parte, e valuta essenziale il<br />

carattere bi-dimensionale, spirituale e temporale, “della sovranità papale sulla Chiesa<br />

universale e sul proprio dominio, lo Stato pontificio” per comprendere il processo di<br />

assunzione dei metodi della società secolarizzata all’interno della Chiesa, che portano alla<br />

costituzione di una immagine, di una gerarchia, di una organizzazione della Chiesa fatta a<br />

somiglianza di quanto avviene contemporaneamente nella società laica.<br />

Non seguirò il Prodi nel suo lavoro ampio e articolato. Su un punto mi interessa però<br />

richiamare l’attenzione, un momento centrale della sua indagine. A partire dalla metà del<br />

Quattrocento i pontefici sono diventati anche principi temporali, signori di uno Stato che si<br />

sta irrobustendo e consolidando: queste novità sono ricche di conseguenze per le vicende della<br />

istituzione papale nel suo complesso e portano ad innovazioni nella dottrina teologica relativa<br />

al potere temporale del pontefice ed a modifiche che si registrano a livello della produzione


normativa sia in quella riferita allo Stato che in quella riferita alla Chiesa. La doppia persona<br />

del pontefice - sovrano di uno Stato e capo della Chiesa - ha come conseguenza più diretta una<br />

“commistione” e una “mixstura” di poteri nell’esercizio del governo all’interno del territorio<br />

dello Stato pontificio che fa di questo ben presto un modello conosciuto e largamente imitato<br />

dalle monarchie europee del tempo, perché nello Stato pontificio prende presto piede un<br />

apparato burocratico stabile, una rete di rapporti diplomatici permanenti, un sistema fiscale<br />

efficiente pur se insufficiente rispetto alle sempre crescenti esigenze della corte e della Curia,<br />

un controllo sui centri di potere autonomo all’interno dello Stato, in particolare sulle<br />

autonomie feudali e sulle autonomie cittadine. Si può affermare dunque che, dalla metà del<br />

XV secolo, è “possibile cogliere nell’azione politica del papato una linea di continuità in ordine<br />

alla costruzione dello Stato che non nega certamente gli evidenti e gravi momenti di riflusso e<br />

di sbandamento (ma quale Stato non li ebbe in questo periodo?) ma li comprende nel lungo<br />

ciclo che in questa esperienza si consuma”<br />

; che “lo Stato pontificio della prima età moderna ha fornito alla politica europea un anello<br />

forse essenziale (e certamente da tenere in considerazione) nella concatenazione di elementi<br />

che porta ad un nuovo modo di concepire e di vivere la politica e l’attività di uno Stato che<br />

viene ad invadere con la sua presenza ingombrante e protettiva settori e nodi vitali della realtà<br />

nuova che antecedentemente erano ritenuti del tutto estranei alla sfera del pubblico inteso<br />

come politico”<br />

.<br />

Un potere centrale che è il fondamento di fatto del nuovo Stato a fronte del quale gli<br />

altri poteri dello Stato riconoscono la loro subordinazione. I baroni sono venuti mano a mano<br />

perdendo il loro potere politico e giuridico all’interno dello Stato, così che quella distinzione<br />

ancora valida del XV secolo tra le terre immediatamente soggette e quelle mediatamente


soggette va perdendo di significato: tutto il territorio è sotto il dominio diretto del sovrano<br />

pontefice. Il potente ceto aristocratico è trasformato in nobiltà cortigiana ed è attirato a Roma,<br />

sotto il più diretto controllo della corte papale, allettato da grandi concessioni sul piano<br />

economico, dal prestigio e dal privilegio sociale invischiato in una rete di politica<br />

matrimoniale che salda i suoi interessi con quelli dell’aristocrazia papale e cardinalizia, ma<br />

sostanzialmente privato di un potere alternativo o contrapposto al potere statale.<br />

Un disegno analogo va fatto per il rapporto tra il potere centrale e le autonomie<br />

cittadine. Per un verso vi sono concessioni di autonomia finanziaria ed organizzativa,<br />

finalizzata a rendere più duratura e solida la sottomissione della classe dirigente cittadina, per<br />

l’altro verso lo Stato accentua il suo controllo e la sua presenza attraverso le funzioni svolte dai<br />

governatori e dai podestà in quei settori della vita sociale che sono essenziali per la<br />

prosecuzione del processo di consolidamento del potere: il governo locale, l’amministrazione<br />

della giustizia, la struttura fiscale.<br />

“Da una parte gli statuti preesistenti sono sottoposti all’approvazione delle autorità<br />

statali, centrali o periferiche, il cui assenso diviene vincolante anche per l’emanazione di<br />

nuove normative statutarie; dall’altra le riforme sono introdotte a partire dai primi decenni<br />

del Cinquecento, mediante costituzioni apostoliche che innovano, senza l’impaccio di<br />

consultazioni preliminari, le norme statutarie. Ma l’aspetto più importante è il formarsi di una<br />

nuova piattaforma legislativa di norme generali nel campo della giustizia penale, della<br />

giustizia civile e del diritto commerciale, piattaforma che fa cadere in desuetudine senza<br />

ricorrere ad una abolizione formale le norme statutarie. E l’allargarsi graduale dell’intervento<br />

dello Stato nel monopolio della forza e della conservazione dell’ordine pubblico, nella politica<br />

fiscale e in quella annonaria, nell’urbanistica, nello sviluppo della rete stradale etc. che si<br />

consolida poco a poco in nuovo ordinamento, dai lineamenti ancora confusi ma in cui il


vecchio diritto municipale soltanto di luce riflessa.”<br />

. Se le linee generali di questo processo di espropriazione del potere dei baroni e delle città<br />

sono sufficientemente definite, quello che il Prodi sollecita è una serie di indagini particolari<br />

per verificare come e in quale momento il processo si sia avviato localmente, attraverso quali<br />

vicende sia passato, quali ne siano stati gli esiti per l’assetto dei nuovi equilibri all’interno dei<br />

ceti dirigenti nell’apparato dello Stato e nell’amministrazione delle città. E intanto, per parte<br />

sua, dice che: “l’impressione è che questo processo si sia avviato, che lo sviluppo del<br />

centralismo politico e amministrativo si sia accompagnato allo sforzo di costruire un<br />

ordinamento comune in parallelo o in anticipo con quanto avveniva contemporaneamente<br />

negli altri Stati europei. Punto centrale è l’espressione con la bolla di Sisto IV Etsi de<br />

cunctorum del 30 maggio 1478, a tutto lo Stato pontificio delle costituzioni emanate dal<br />

Cardinale Egidio Albornoz nel 1357 per la Marca Anconitana.... Con Sisto V appare<br />

consolidata, almeno per quanto riguarda il diritto penale, una gerarchia precisa di norme:<br />

costituzioni pontificie, statuti approvati dai pontefici da Paolo IV in poi (si è visto il senso di<br />

questa approvazione a proposito degli statuti di Roma): ‘quod si ea valide non extiterint,<br />

debeant judicare, procedere, absolvere, condemnare, et sententias ferre juxta tenorem<br />

constitutionum Provinciae Marchiae...’: soltanto nei rimanenti casi osservino i bandi e gli<br />

editti pubblicati localmente”.... Anche per quanto riguarda i bandi e gli editti... Si passa dalla<br />

fase dell’emanazione di bandi in modo occasionale nella prima parte del periodo qui<br />

esaminato da parte delle autorità periferiche (legati, vicelegati e governatori) sino alla<br />

formazione, verso la metà del Cinquecento, dei “bandi generali” in cui il nuovo legato e<br />

governatore riepilogava le principali norme di ordine pubblico in modo quasi programmatico,<br />

sino all’emanazione nel 1599 del bando che il cardinale nepote Aldobrandini fece pubblicare<br />

per tutto lo Stato (e che costituì poi il modello per tutto il secolo successivo) per garantire


l’uniformità e la chiarezza delle norme: ‘essendo molto ragionevole, che i popoli sudditi dello<br />

stesso Principe si governino con leggi quanto più conformi, che si può, ed essendosi anco<br />

trovato che molti dal tempo si sono ridotti superflui, e molti altri non sufficienti per<br />

provvedere alle cose che occorrono’.<br />

A questo punto si può affermare che queste indagini particolari divengono decisive non solo<br />

per differenziare eventualmente i processi riguardanti la storia delle diverse città, ma prima<br />

ancora per valutare nel complesso le contrastanti conclusioni cui giungono ricerche quali<br />

quella di Caravale e Caracciolo, ma c’è una lunga e concorde tradizione che la precede, e<br />

ricerche come quella del Prodi appena riferita o di Jean Delumeau, al quale il Prodi fa spesso<br />

riferimento, ricerca sull’economia e la società a Roma nella seconda metà del XVI secolo.<br />

Ecco dunque la centralità di studi e ricerche sulle carte degli archivi storici locali, carte che<br />

possono consentire verifiche sull’effettivo funzionamento delle istituzioni di governo, di quelle<br />

giudiziarie, di quelle fiscali, così da poter sostenere eventuali conclusioni non solo con il testo<br />

di una norma generale e valida per ogni situazione (una costituzione apostolica che aveva<br />

vigore per tutto lo Stato o un bando generale che riguardava l’intera provincia) ma basandosi<br />

su di una norma specifica, quale quella contenuta in uno statuto comunale e, ancora meglio,<br />

sui reali comportamenti prodotti da quella norma specifica che possiamo conoscere attraverso<br />

le carte dei consigli generali e particolari, gli atti dei priori, le carte del camerlengo, i fascicoli<br />

del giudice.<br />

In questa luce, a mio parere, si può comprendere il valore di lavori di analisi e di<br />

pubblicazioni di testi di statuti, com’è il caso del volume curato dal Ruspantini per la città di<br />

Corneto. Tarquinia è ricca di storia e, per sua fortuna, è anche ricca di documenti che<br />

potranno consentire approfondite analisi sulla vita delle sue istituzioni, sull’organizzazione<br />

della sua popolazione, sulle manifestazioni della religiosità, sui comportamenti e sui costumi


dei suoi cittadini, sulle strutture economiche e sulla realtà aspra delle condizioni del lavoro e<br />

dei lavoratori. Penso non solo ai fondi conservati in archivi pubblici ma alle carte che<br />

giacciono presso le istituzioni ecclesiastiche, locali e romane, a quelle ancora in possesso di<br />

singole famiglie ed a quelle, per esempio già ordinate e sistemate dalla <strong>Società</strong> Tarquiniense<br />

d’<strong>Arte</strong> e <strong>Storia</strong>. Rispetto a tutto questo materiale, per le vicende di Tarquinia in età moderna,<br />

il volume degli statuti è una prima, importante chiave di lettura. Abbiamo una ipotesi di<br />

organizzazione amministrativa, giudiziaria, fiscale, economica che dovremo verificare ma che<br />

ci consentirà senza dubbio di muovere i primi passi e che ci aiuterà certamente a capire<br />

meglio, a collocare con maggiore cura le fasi della vita della città nel quadro della sua crescita<br />

e dei suoi rapporti con altre città, con le istituzioni superiori del governo statale ed<br />

ecclesiastico.<br />

C’è un capitolo della “Introduzione” del Ruspantini al testo latino e alla traduzione<br />

italiana dello statuto che rappresenta una importante innovazione nel panorama degli<br />

analoghi lavori introduttivi che accompagnano gli statuti. E’ il VII, che riguarda “Gli statuti<br />

comunali di Corneto del sec. XVI nell’ambito della produzione statutaria dei comuni del<br />

Patrimonio di S. Pietro in Tuscia con riguardo agli organi di Governo”<br />

. L’obiettivo è quello di ricondurre lo statuto di Tarquinia, le sue modifiche, la sua<br />

pubblicazione alle vicende che caratterizzarono il dominio pontificio nel periodo successivo<br />

all’applicazione delle Costituzioni Egidiane all’intero territorio dello Stato. Lo statuto è parte<br />

della storia della città, ma questa non vive in un deserto: è mossa e condizionata dal tipo di<br />

organizzazione istituzionale, economica, ambientale, culturale, religiosa che caratterizza un<br />

territorio più o meno ampio, il territorio che gravita sulla città e il territorio al quale la città si<br />

volge per collocare i suoi prodotti, per pagare i suoi tributi, per presentare le sue querele o i<br />

suoi ricorsi. Tarquinia ha un’area, più ampia del suo territorio comunale, che gravita sulla


città e che dalla città riceve norme o direttive economiche. Tarquinia è però in rapporto con<br />

Civitavecchia per i commerci, con Viterbo per i problemi di governo, con Montefiascone per<br />

alcune questioni religiose, con Roma per tutte queste cose insieme. La vita di Tarquinia<br />

risente nel bene e nel male l’influenza di quelle città con le quali ha più frequenti rapporti. Il<br />

suo statuto riflette questioni e provvedimenti che non riguardano solo la città, come quando<br />

ad esempio quando accenna alle tasse che dovevano essere riscosse dalla comunità per conto<br />

dello Stato, come quando tocca il diritto del rettore e governatore della Provincia del<br />

Patrimonio a nominare il podestà per esercitare per suo tramite un controllo sull’attività<br />

svolta dai magistrati e dai consigli della città. Il Ruspantini sviluppa in modo interessante<br />

questi collegamenti e va ancora più avanti quando esamina comparativamente gli statuti di<br />

Viterbo, di Tuscania, di Orvieto, di Orte, di Civita Castellana, di Bagnoregio, di Castro e di<br />

Ronciglione.<br />

“Gli Statuti esaminati coprono dunque un arco di tempo di quattro secoli, dal XIII al<br />

XVI. La distanza delle date di compilazione non ci è sembrata tuttavia di ostacolo ad un<br />

raffronto fra i testi, dal momento che gli Statuti a noi pervenuti in redazioni tarde risentono<br />

inevitabilmente di compilazioni precedenti risalenti solitamente al secolo XIII, e delle quali<br />

non rappresentano il più delle volte che una riedizione, riveduta, corretta e ampliata. Così è<br />

anche per lo Statuto di Corneto, che, seppure ci è giunto in una redazione della prima metà del<br />

secolo XVI, ha, come si è visto, precedenti storici risalenti sicuramente ai primi anni del sec.<br />

XIII e forse alla prima metà del sec. XII..... Nella comparazione dei testi dei vari Statuti ci<br />

siamo soffermati in particolare sulla materia del diritto pubblico, ossia sulla struttura del<br />

regimen comunale, con la previsione degli organi costituzionali del Comune e del loro<br />

funzionamento, materia solitamente contenuta nel primo libro degli Statuti: così come ci<br />

siamo soffermati ad illustrare il primo libro degli Statuti cornetani, che tale materia


prevedono.<br />

D’altronde è proprio nella normativa riguardante gli organi costituzionali del Comune<br />

che le affinità - e le differenze - si fanno più palesi, e che più puntuale si fa il controllo<br />

dell’autorità centrale, attenta a non permettere abusi o atti contrari agli interessi della Chiesa:<br />

tale controllo si esplicava in particolare nei riguardi del Podestà, supremo magistrato del<br />

Comune”<br />

.<br />

La conclusione dell’esame comparativo è la verifica delle numerose e sostanziali affinità<br />

tra i diversi statuti: identica la ripartizione in cinque libri che trattano rispettivamente delle<br />

magistrature; delle cause civili; delle cause penali o criminali, come si diceva un tempo; dei<br />

danni dati, cioè i danni provocati alle attività agricole; degli straordinari, cioè tutto ciò che<br />

riguardava la vita quotidiana e i doveri ed i diritti di ciascuno. Identiche le magistrature, la<br />

loro durata, le loro funzioni, il controllo esercitato sulle loro attività. Un complesso di Statuti<br />

che non risente affatto nemmeno di un certo numero di differenze ambientali e storiche<br />

presenti tra la Tuscia longobarda e la Tuscia romana. L’elemento unificante, afferma il<br />

Ruspantini, è proprio l’intervento costante dell’autorità centrale: “Il fatto che proprio nel<br />

costante intervento dell’autorità centrale debba ravvisarsi l’elemento unificante di cui<br />

dicevamo ci sembra convalidato dalla circostanza che caratteri comuni si riscontrano tra<br />

Statuti di regioni diverse del Patrimonio di Tuscia, due delle quali, già appartenute alla Tuscia<br />

longobarda, avevano per capoluogo Orvieto e Viterbo, e le rimanenti due, già facenti parte<br />

della Tuscia romana, si estendevano lungo il Tevere con la città di Orte e sul mare con<br />

Civitavecchia, poco più a nord della quale, ma nel territorio dell’antica Tuscia longobarda, era<br />

Corneto.<br />

Se dunque tale influenza della Chiesa si riscontra già prima della pubblicazione delle


Costituzioni Egidiane, dopo di queste diviene elemento fondamentale di tutta la normativa<br />

statutaria: ma è proprio tale costruita uniformità che segna il momento del declino delle<br />

autonomie comunali.<br />

Gli stessi Statuti sottoposti a sempre più pressanti limiti e condizionamenti, perdono il<br />

valore di vessillo di libertà e divengono uno strumento di cui l’autorità centrale si serve per<br />

esercitare sempre più capillarmente il proprio controllo sui residui delle antiche autonomie<br />

comunali.... Riteniamo dunque che, nell’ambito dei Comuni liberi del Patrimonio di Tuscia il<br />

momento unificante della produzione statutaria sia da ricercare nella stessa genesi storica<br />

della provincia, e nell’intervento papale nella vita dei Comuni stessi, elementi questi che<br />

possono a parer nostro render legittimo il pensare al Patrimonio di Tuscia come a una grande<br />

area statutaria, certo non avulsa dal contesto delle vicine esperienze di Roma e delle province<br />

umbre e toscane, ma senza dubbio configurantesi con caratteri propri e definiti: a quest’area<br />

appartiene la storia comunale di Corneto, ed il suo Statuto.”<br />

In tal modo il Ruspantini con il suo lavoro, fornisce una prima risposta valida non per la sola<br />

Tarquinia ma per l’area degli statuti esaminati, alla questione posta da Caravale-Caracciolo e<br />

da Prodi e Delumeau: nel momento della promulgazione di questi statuti, tra la metà del XV e<br />

la fine del XVI secolo, al particolarismo municipale si è sostituito il centralismo dello Stato<br />

moderno, anche nello Stato pontificio, con i suoi controlli sull’attività amministrativa,<br />

giudiziaria e fiscale.<br />

Rimane da vedere se e in che misura questo centralismo, questa presenza sempre più<br />

consistente e concreta di un’autorità centrale fosse avvertita anche nelle altre province, anche<br />

in quelle più lontane da Roma. Tutto da verificare è il diverso trattamento che può essere<br />

stato applicato a quelle comunità ove restava attiva una presenza baronale, sia laica che<br />

ecclesiastica; l’impressione che si trae dalle prime indagini è che anche lì la presenza


dell’autorità del sovrano pontefice e dei suoi rappresentanti nel governo delle province fosse<br />

consistente. Gli statuti in quei casi, sono concessi o approvati dall’autorità baronale del luogo:<br />

ma la concessione e l’approvazione appaiono più un omaggio alla forma che una<br />

manifestazione di effettivo potere. E sino a quando non avremo potuto condurre non una, ma<br />

una serie di ricerche su quegli atti che contengono l’applicazione delle norme di quegli statuti<br />

non saremo in grado di arrivare più in là con le nostre conclusioni.<br />

La strada aperta dal Ruspantini e da tutti quegli appassionati di memorie storiche<br />

locali che si sono dedicati alla pubblicazione degli statuti, quella strada ora resa ancor più<br />

praticabile dall’ordinamento e dall’inventariazione di un numero sempre più cospicuo di<br />

archivi locali, quella strada ora attende nuovi appassionati e nuovi studiosi che si propongano<br />

di percorrerla per offrire a tutti noi nuove conoscenze e per dare alla ricerca storica nuove<br />

interpretazioni, nuovi problemi, nuovi traguardi da raggiungere.<br />

IL DIALETTO CORNETANO<br />

Luciano Osbat<br />

Buona parte delle lingue europee s’innesta nel comune ceppo dell’idioma latino. Chi<br />

più, chi meno.<br />

Le cause storiche sono da ricercare in quella legge inflessibile che Roma imponeva ai<br />

vinti riguardo alla conoscenza e all’uso della propria lingua.<br />

Dopo secoli di dominio, con la caduta dell’Impero Romano, si risvegliarono nei popoli<br />

sottomessi quei mai sopiti sentimenti di autonomia e di ritorno alle tradizioni. Cosicché ogni<br />

popolo riscoprì il valore delle rispettive culture, forgiando un linguaggio che rispondesse di


più alle ancestrali origini, senza rinnegare, nello stesso tempo, quelle conquiste lessicali e<br />

grammaticali che erano oramai entrate nell’uso comune del discorrere e dello scrivere.<br />

In Italia avvenne press’a poco la stessa cosa. L’antica lingua romana, nobile ed aulica,<br />

assorbita lentamente da popolazioni incolte, finì col divenire prima volgare, poi dialetto. E là<br />

dove s’erano insediati greci, etruschi, normanni, liguri, franchi, bizantini, arabi,<br />

lanzichenecchi e frisoni, presero corpo quelle regioni che hanno costruito, più che steccati<br />

etnici, veri e propri tessuti linguistici.<br />

Fra questi va annoverato il dialetto cornetano che del latino ha conservato la<br />

costruzione sintattica, la prosodia e le espressioni più comuni del periodare; per cui è ancora<br />

rintracciabile, specie nell’eloquio, una qual certa “latinitas” che ci proviene da quella lingua<br />

arcaica per discendenza più che per l’acquisizione di studio.<br />

Se escludiamo certe espressioni ed alcuni vocaboli, incerti come origine e misteriosi<br />

come etimologia, il dialetto cornetano non ha inflessioni regionali rimarchevoli, essendo<br />

maturato fra la Toscana e Roma. Per cui, chi lo ascolta, può scambiarlo nel peggiore dei casi<br />

per romanesco, nel migliore per toscano; ma di un toscano nient’affatto lezioso, senza<br />

aspirazioni di consonanti di sorta, senza inflessioni falsamente musicali; e di un romanesco<br />

meno accentuato e soprattutto meno spaccone.<br />

Il dialetto cornetano, a volte, è liberamente greve, specie in bocca a chi vive e opera<br />

nelle campagne, essendo mancati, fino a qualche decina di anni fa, rapporti col centro abitato:<br />

a causa anche del grave stato di analfabetismo che in passato coprì zone le più impervie e le<br />

più lontane del vasto territorio, un tempo Patrimonio di San Pietro e, fino al 1870, Stato della<br />

Chiesa.<br />

Ma ancor prima di questo definitivo passaggio, diciamo pure, di dominio, avvenne che<br />

dopo il 1860, quando a Castelfidardo il generale dell’esercito piemontese Cialdini sconfisse le


truppe pontificie, promuovendo frettolosamente l’annessione plebiscitaria delle Marche al<br />

Regno d’Italia, i buoni marchigiani, un po' per bisogno di lavoro un po' per non venire usati<br />

come carne da cannone dai nuovi conquistatori, presero alla chetichella la via dell’esilio e si<br />

fermarono in Maremma, dando inizio ad una vera e propria diaspora; cosicché bonificarono<br />

in primo luogo questa nostra terra dando vita alle campagne del tutto spopolate e tristemente<br />

note per l’insalubrità dell’aria. E accostandosi col più assoluto rispetto alle tradizioni locali,<br />

pur mantenendo il loro costume, le loro abitudini e il loro eloquio, si distinsero per l’uso che<br />

essi facevano dell’articolo “lu” davanti a tutti i nomi maschili singolari (come lu pane, lu<br />

sgriciolo, lu vino ecc.) e della lettera B, deformata in V, leggermente aspirata, così che la bocca<br />

diventa la vocca, alla maniera dei napoletani dove la Beta era divenuta Vita come nella<br />

moderna lingua greca.<br />

Siccome i cornetani, almeno in passato, non avevano mai saputo assuefarsi ad una vita<br />

stanziale sui campi, preferendo rientrare, ancor prima che calasse il sole, entro le proprie<br />

mura, la colonia marchigiana famigliarizzò con se stessa; cosicché il proprio dialetto e la<br />

propria pronuncia rimasero come segno di distinzione e di riconoscimento fra la popolazione<br />

indigena. Né le nuove generazioni rurali hanno assorbito e conservato quelle usanze e quel<br />

linguaggio tipico del maceratese, grazie alla diffusione dei mezzi di apprendimento e degli<br />

altri mezzi di comunicazione. In questi ultimi tempi, poi, il vernacolo ha subito qualche<br />

evoluzione (od involuzione, a seconda dei punti di vista) per l’obbligatorietà dell’istruzione<br />

che se da un lato è servita a diffondere una certa conoscenza della cultura e a diradare il buio<br />

dell’ignoranza, dall’altro ha danneggiato e ucciso un patrimonio di tradizioni che gli proveniva<br />

dalle antiche invasioni e scorrerie di popoli barbarici che hanno lasciato tracce, oltre che nel<br />

sangue, nei modi di vita, nel costume, nell’architettura e nel linguaggio. Infatti esistono qua e<br />

là antiche espressioni popolari come “magna e beve peggio de ‘n catalano”, oppure “cocciuto


come ‘n tedesco” oppure “slavato come ‘l grano del sepolcro”, detti che rivelano appunto la<br />

conoscenza di usi e costumi di gente straniera che ha sostato e trascorso qualche tempo fra le<br />

nostre mura.<br />

Ma ad influire maggiormente nel dialetto cornetano, sono stati i francesi, sbarcati a<br />

Civitavecchia nel 1820, per presidiare lo Stato della Chiesa e quindi sottrarlo alle mire<br />

espansionistiche del regno sabaudo che, nel 1870, credette di por termine a tante divisioni,<br />

portando il nostro paese a quell’unità nazionale e territoriale che, nonostante ogni sforzo, non<br />

è stata ancora raggiunta in senso vero e proprio.<br />

Nei cinquant’anni di presidio francese, il gergo andò via via arricchendosi di parole<br />

nuove, adattate sì alla nostra pronunzia ma inevitabilmente storpiate da un’emissione errata.<br />

A tal proposito si racconta che la guarnigione francese, appena sbarcata nel porto di<br />

Civitavecchia, prendesse stanza a Corneto, scegliendo come luogo di dimora quel sito<br />

compreso fra il Convento di San Francesco e la Porta Clementina, conosciuto ancora sotto il<br />

nome di “Cancellone”. Chiuso il quale, la guarnigione si sentiva ben protetta, avendo alle<br />

spalle la parte più impervia delle mura castellane.<br />

Collocatevi le soldataglie e appostati i cannoni in quella parte che è la più alta del paese,<br />

il comandante della guarnigione invitò a visitare l’accampamento i maggiorenti della città per<br />

render edotti i cornetani della qualità e quantità delle armi al fine di scoraggiare qualche testa<br />

calda verso un tentativo di rivolta.<br />

Tale ricevimento dovette avvenire nell’ora in cui i campagnoli rientravano nell’abitato<br />

ancor prima che venissero chiuse, ad un’ora di notte, le porte di accesso. Uno di questi cercò<br />

di curiosare all’interno dell’acquartieramento. Ma si vide impedito dalla maniera brusca di un<br />

soldato francese che gli gridò sul muso:<br />

- Avez-vous la permission? - dato che per essere ammesso, occorreva un regolare


lasciapassare.<br />

A tale ingiunzione, del resto incomprensibile, quel buon uomo replicò in dialetto:<br />

- Che vôe? - per sapere cosa intendesse quel soldato. Ma questi, senza frapporre indugi,<br />

gli replicò ancora più decisamente:<br />

- Avez-vous la permission?<br />

Al che il campagnolo, alzando le mani e le spalle in segno di stizza e disprezzo, se ne<br />

tornò sui suoi passi, bofonchiando:<br />

- Un córpo a te e Napole! - convinto che quel soldato, per essere incomprensibile, non<br />

poteva essere che napoletano.<br />

Riprendendo il discorso interrotto da questo aneddoto, nel dialetto cornetano si usa<br />

sempre anteporre a tutti i nomi comuni al plurale, sia maschili che femminili, l’articolo “le”,<br />

alla maniera propria dei francesi che hanno, al plurale, di tutti i nomi comuni, l’unico articolo<br />

determinativo “les”. Tanto che per questa nostra stranezza vernacola, è stato coniato un detto<br />

che è come un passe par tout per la conoscenza del nostro dialetto. Esso dice:<br />

“Le carabbignere co’ le baffe<br />

le faciole co’le sasse”.<br />

che vorrebbe significare:<br />

“I carabinieri con i baffi<br />

i fagioli con i sassi”.<br />

Cosicché tutti i nomi maschili al plurale, invece dell’articolo determinativo “i” oppure<br />

“gli”, si fanno precedere dall’articolo “le” o “l” apostrofato, mentre la desinenza del sostantivo<br />

diviene “e” anziché “i”.<br />

Esempio:<br />

“le bicchiere” in luogo de “i bicchieri”


“l’occhie” in luogo “gli occhi”<br />

L’articolo determinativo “il” diventa a volte “er” come nella forma romanesca: oppure<br />

“el” quasi una forma spagnola: o addirittura ‘l”.<br />

Esempio:<br />

el sale in luogo de il sale<br />

‘l mi pa’ in luogo de il pappone.<br />

er pappone in luogo de il pappone.<br />

Gli articoli indeterminativi “uno e una” vengono usati in forma contratta, vale a dire si<br />

sopprime la vocale “u” per diventare, come nel romanesco, ‘’no” oppure “na”, In quest’ultimo<br />

caso, “na” viene anche apostrofata.<br />

Esempio<br />

ho fatto ‘no strappo<br />

ho comprato ‘na matita<br />

ho pescato n’anguilla<br />

Davanti alle parole maschili che cominciano per “z” o per “s” impura, si usa l’articolo<br />

indeterminativo un, anziché uno, oppure ‘n.<br />

Esempio:<br />

un zampetto o ’n zampetto<br />

un zoccolo o ‘n zoccolo.<br />

Tutti i nomi comuni maschili, nella forma plurale, anziché avere la desinenza “i”,<br />

diventano, come sopra già detto, tutti femminili.<br />

Per cui.<br />

i palazzi diventano le palazze<br />

i cavalli diventano le cavalle


e così via.<br />

i tetti diventano le tette,<br />

Il nome comune “mano” rimane invariato al plurale, per cui si ha:<br />

la mano e le mano.<br />

Il nome “grotta” diventa “la grotte” e al plurale “le grotti”.<br />

Infine i nomi (e tutte le altre parole) che hanno la lettera “l” davanti ad altre<br />

consonanti, come selce, palmo, palma, salto, pulce, dolce ecc. diventano:<br />

************<br />

sercio, parmo, parma, sarto, purce o purcia, dorce ecc. ecc.<br />

*********************************************************************************<br />

DI UNA LETTERA RITROVATA<br />

(della quale però si ignora lo scrivente ed il destinatario)<br />

ovvero<br />

I PROMESSI SPOSI DI CORNETO<br />

Caro Alessandro,<br />

affinché dal mio prolungato silenzio non prendiate sospetto di un raffreddamento della mia<br />

amicizia, voglio significarvi che sono stato lontano da Roma ed ora, appena al mio ritorno, vi<br />

scrivo per raccontarvi una storia di cui sono venuto a conoscenza proprio in conseguenza del<br />

mio viaggio.<br />

Gli avvenimenti che vi riferirò sono avvenuti a Corneto, un paesello arroccato in cima a<br />

un colle, appena ai confini della Maremma, a circa dodici miglia da Civitavecchia e a una<br />

sessantina da Roma. Un paese di belle strade e case medioevali e dove ogni tanto vanno<br />

trovando sarcofaghi più antichi di quelli romani e che si dice appartengano a una popolazione


formata dagli etruschi.<br />

Ma non sono qui a parlarvi di questi antichi abitatori del Lazio, bensì di una vicenda<br />

accaduta appena qualche mese fa.<br />

Voi sapete la mia passione per lo scrivere: ho già pubblicato (a mie spese s’intende),<br />

alcuni canti epitalamici che hanno riscosso qualche successo, e mi sembra che anche voi<br />

abbiate una qualche predilezione per la letteratura. La zia Margherita infatti, mi ha detto che<br />

avete composto dei commoventissimi poemetti in versi che hanno ottenuto molte<br />

approvazioni nei salotti di Milano. Orbene dalla vicenda che vi esporrò vorrei trarre una trama<br />

per un romanzetto da scrivere nelle mie ore dedicate alla letteratura, appunto, e che il mio<br />

lavoro spesso abbonda in lasciarmi.<br />

Ma è ora di tornare all’argomento di questa lettera che spero servirà almeno a divertirvi<br />

e a farvi conoscere qualche aspetto della vita della nostra regione, e sulla cui trasformazione in<br />

romanzo vorrò poi sentire il vostro parere, dato che me ne vengono molti dubbi per la<br />

frivolezza del suo contenuto.<br />

Nella Città Eterna, mi erano già arrivate le voci di un certo accadimento il cui<br />

protagonista, Filippo, è il componente, forse un po' imbecille, di una nobile famiglia appunto<br />

di Corneto, e che io indicherò con le sole iniziali B.F.<br />

Dato il loro censo hanno amicizie anche presso la Reverenda Camera Apostolica e ciò,<br />

aggiunto alla protezione di uno zio Cardinale e di una sorella, Superiora in un Convento di<br />

Viterbo, ha avuto molto peso nella vicenda che sto per narrarvi.<br />

In questo paese (Corneto) non esiste neppure una locanda e ho dovuto cercare<br />

ospitalità presso una famiglia (che si picca anch’essa di una certa nobiltà) e alla quale mi sono<br />

fatto presentare per lettera da un mio parente piuttosto noto per una sua aureola di<br />

giacobinismo, il che ha volto a mio favore le simpatie del capo di casa che è noto rivale della


famiglia coinvolta nel delizioso “affaire” di cui vi parlerò.<br />

Per suo tramite sono diventato amico del segretario del Notaro della Curia Vescovile<br />

per cui, attraverso le sue chiacchiere, è come se avessi assistito a tutti gli interrogatori e, grazie<br />

anche al fatto che arrotonda il suo stipendio (ben magro!) tenendo in ordine la<br />

corrispondenza di Francesco, il fratello maggiore di Filippo, e capo riconosciuto di casa B.F.,<br />

ho potuto raccogliere una serie di informazioni che mi hanno messo in condizione di tentare<br />

una ricostruzione dei fatti che ritengo assai vicina alla realtà.<br />

Si tratta nientemeno che di un matrimonio clandestino, tentato soltanto per alcuni, del<br />

tutto valido per altri.<br />

Forse saprete che un matrimonio clandestino ha luogo quando due persone,<br />

presentatesi con dei testimoni davanti ad un sacerdote, pronunciano ambedue, tenendosi per<br />

mano, le frasi “Questa è mia moglie” e “Questo è mio marito”.<br />

La Santa Romana Chiesa che condanna e punisce una tale forma di matrimonio, è<br />

dovuta intervenire più volte (vedi il Concilio Tridentino), dato che ogni tanto, qualche buon<br />

cattolico, anche di rango molto elevato, viene in esso coinvolto. Vorrei qui ricordarvi uno dei<br />

più famosi, quello che il 26 marzo 1729 avvenne tra Alessandro, il rampollo della nobile<br />

famiglia degli Orsini, e Anna Confiantini che, in piena notte e con la scusa di un malato, si<br />

presentarono al Parroco di S. Lorenzo in Lucina a Roma, e che ho trovato elencato insieme a<br />

tanti altri nel promemoria di uno dei legali del processo.<br />

Ed ora, esaurite le premesse, pur necessarie, eccoci all’avvenimento vero e proprio, una<br />

vicenda che assume toni al confine tra il boccaccesco, il comico e il tragico, a seconda<br />

dell’angolo dal quale la si giudichi ed alla quale vorrei attribuire il seguente titolo (che spero<br />

possa piacervi):<br />

“I PROMESSI SPOSI DI CORNETO”


La sera del sabato 7 luglio 1804 è come tante altre che l’hanno preceduta in questa<br />

calda estate: il sole si è già coricato e con lui quasi tutti gli abitanti di Corneto in vista del<br />

lavoro che gli aspetta l’indomani. La mietitura è cominciata e chi va a lavorare in campagna<br />

segue l’orario del sole, levata e tramonto.<br />

C’è una bella luce lunare che rischiara le vie e le piazze ormai deserte. Fa caldo e<br />

qualcuno prima d’andare a letto, indugia ancora nella speranza di un alito di fresco che<br />

stemperi l’afa.<br />

La Signora Maria Antonia A., cerca un po' di refrigerio appoggiata al davanzale della<br />

finestra, dietro le persiane chiuse a libretto per isolare l’intimità della sua camera da letto<br />

dalla grossolonità della piazza che si apre sotto di lei.<br />

D’un tratto la sua attenzione viene attirata da strani rumori che le facciate delle case<br />

riverberano nel silenzio della notte. Un uomo che dall’ombra di un vicolo si è immerso nella<br />

lunarità della piazza, sta recitando un monologo di frasi smozzicate, inintellegibili per la<br />

signora Maria Antonia, ma i gesti che le accompagnano sono inequivocabili. “.... Viddi passare<br />

il Signor Filippo B.F., e quando fu vicino al Portone dell’Ergastolo si rivolse per ritornare<br />

indiestro, stette alquanto sospeso, rivolgendosi alzando gli occhi, e le mani al Cielo sospirò, e<br />

poi proseguì il suo cammino verso la Piazza. Avendo veduto fare simili atti, dissi fra me<br />

medesima: gran cosa bisogna che gli sia accaduta”.<br />

Scorrendo la denuncia che il Canonico Don Sebastiano Forcella, Parroco di S. Giovanni<br />

Gerosolomitano diligentemente presenta alla Curia Vescovile il giorno dopo, incominciamo ad<br />

assistere al dipanarsi del filo degli avvenimenti. Sono le due ore di notte, sempre del giorno 7,<br />

quando D. Sebastiano torna a casa. La vecchia madre, che con lui convive, gli dice che già due<br />

volte sono venuti a cercarlo per un infermo gravissimo in casa di Domenico A. Senza neanche


cambiarsi, il Curato torna immediatamente ad uscire, ancora vestito del suo “abito di<br />

campagna” e si precipita in casa di quello che crede un suo fedele parrocchiano, e dove, a sua<br />

insaputa, è in attesa anche Filippo B.F. che la signora Maria Antonia A. ha visto comportarsi<br />

in quel modo tanto agitato e pittoresco e che poi descriverà così bene nella sua deposizione.<br />

Ignaro della procella che si addensa sulla sua testa, d. Sebastiano bussa alla porta di<br />

Domenico A. che gli viene immediatamente aperta dal padrone di casa.<br />

- Dov’è l’infermo? -<br />

- Gli infermi sono di sopra -<br />

Il parroco, sempre di fretta, si avvia al piano superiore senza essersi minimamente<br />

allarmato per quel plurale rivelatore.<br />

In cima alle scale si apre una stanzetta nella quale ci sono quattro persone, l’identità di<br />

una delle quali lo fa sobbalzare di immediata apprensione. Il sospetto si fa certezza quando<br />

dopo un lungo momento di silenzio e di imbarazzo che sembra aver contagiato i presenti, si<br />

scatena il finimondo e tutto sembra succedere contemporaneamente.<br />

Uno dei presenti grida:<br />

- Che aspettate, datevi la mano!-<br />

Filippo allora stende la mano verso una donna nella quale il curato ha riconosciuto<br />

Agata B. e di cui gli è nota “l’amicizia antecedente” per il predetto.<br />

Giura il degno sacerdote che, temendo di cooperare all’attentato matrimonio, in<br />

quell’istante volta la faccia e si slancia giù per le scale, senza poter vedere se il “toccamento”<br />

tra i due sia stato completato. Quello di cui egli è sicuro è che nessuno dei due “proferì<br />

parola”. Filippo lo segue ed è subito in strada anche lui.<br />

In casa di Domenico A. rimangono la promessa sposa, ormai chiaramente di un<br />

“attentato matrimonio clandestino” si tratta, ed i mancati testimoni.


La promessa sposa, anzitutto, della quale ancora non abbiamo fatto conoscenza: Agata<br />

B. di anni trentuno. Fa la “Caporala” per la casa B.F. in campagna, “trovando le donne per fare<br />

i lavori”.<br />

Una donna molto volitiva “accorta e scaltra nei suoi affari” e piuttosto chiacchierata, se<br />

si dà ascolto ai testimoni dell’accusa che depongono sui suoi rapporti piuttosto intimi con<br />

uomini del paese che poi si sono ben guardati dallo sposarla. Per di più, secondo altre<br />

testimonianze per l’accusa, essa viene da una famiglia tristemente nota in quanto una sua zia<br />

fu coinvolta in un fatto di sangue concluso con “sedici o diciassette cortellate”, sembra per<br />

motivi di gelosia, e un suo cognato sarebbe stato giustiziato a Roma per “Crassazione”.<br />

Gli altri presenti alla scena sono oltre il padrone di casa Domenico A., la di lui moglie<br />

Maria Domenica, sorella di Agata, e Giovanni S., di lei cognato e che lì si trova per essere<br />

andato a ritirare “certi sacchi e le bisacce che prima ci avevo lasciato”.<br />

Dal giorno seguente, domenica otto luglio, la macchina del “Fisco” si mette in moto,<br />

non solo alla ricerca della verità dei fatti e per fare giustizia del delitto di “attentato<br />

matrimonio clandestino”, palesato dall’accennata denuncia di don Sebastiano Forcella, ma<br />

certamente anche sollecitata dai parenti di Filippo che si troverebbero gravemente colpiti e<br />

offesi dall’intrusione nella famiglia e nell’asse ereditario di una donna che, dal loro punto di<br />

vista, non è altro che una scaltra avventuriera.<br />

Tant’è che le testimonianze prendono subito corpo a favore dei dubbi e della mancanza<br />

di volontà di Filippo ad accondiscendere di sua libera scelta a un simile matrimonio. In prima<br />

linea quella che la Signora Maria Antonia A. rende lo stesso otto luglio su quanto essa ha visto<br />

dalla sua finestra (dando così una grande prova di civico senso che grandemente la onora).<br />

La tesi della famiglia di Filippo è che quel matrimonio clandestino, fatto a quel modo,<br />

non può essere valido e che si debba dichiararne la nullità a tutti gli effetti; Agata e i suoi


parenti chiaramente sostengono il contrario.<br />

Comincia così la causa per l’annullamento del “matrimonio cornetano” che vede<br />

schierati su campi opposti l’intera popolazione del paese.<br />

Avanti l’Illustrissimo e Reverendissimo Signor Canonico D. Serafino Rocca, Pro Vicario<br />

Generale di Corneto e reggitore della causa suddetta, inizia la sfilata dei testimoni che<br />

dichiarano:<br />

a - Che Filippo B.F. è “uomo di pochissimo spirito” (per non dire poco intelligente)<br />

b - Che hanno sentito dire che Agata B. ha avuto per parente una zia immischiata in un<br />

assassinio e che un cognato è stato giustiziato a Roma. Asseriscono inoltre che è una donna<br />

“accorta e molto scaltra nei suoi affari”.<br />

c - Che hanno sentito dire che ha avuto rapporti di conoscenza e d’amore con alcuni<br />

uomini del paese con i quali è stata vista in luoghi solitari e che poi non l’hanno sposata.<br />

A queste vanno aggiunte<br />

d - La testimonianza di Maria Antonia A. sul comportamento esteriore di Filippo B.F.<br />

che chiaramente quella sera palesava la sua interiore decisione.<br />

e - La testimonianza di un frate Minore del Convento Francescano di questa città al<br />

quale lo stesso Filippo, due giorni dopo il fatto, apparve all’esterno “angustiato ed afflitto”,<br />

confidandogli poi che sino all’ultimo momento, quella fatidica sera in casa di Domenico A.,<br />

aveva sperato che il Parroco Forcella non sarebbe venuto e che ivi si era recato non avendo il<br />

coraggio di opporre rifiuto alle richieste di Agata che ve lo aveva sollecitato.<br />

f - La testimonianza del Rev. Sig. Canonico D. Gaetano Cesarej che riferisce di aver<br />

saputo dalla Signora Sinfarosa B. quanto ad essa aveva confidato in una conversazione, il<br />

mattino dell’8 luglio, Giovanni S., presente agli avvenimenti svoltisi in casa di Domenico A..<br />

g - La testimonianza della Signora Sinfarosa B. che conferma quanto sopra, per averlo


sentito dire da Giovanni S. al quale, su istigazione di D. Cesarej, si era rivolta mentre passava<br />

davanti alla di lei abitazione, recandosi ad abbeverare il somaro.<br />

Chiarite in tal modo (e vi prego di notare in qual modo), le premesse del fatto e alcune<br />

delle circostanze accessorie, la Corte si immege nell’analisi dei fatti accaduti la sera del 7<br />

luglio, basandosi finalmente sulle testimonianze dei presenti.<br />

Quello che ha detto il Parroco è già noto, ed è bene chiarire sin d’ora che la sua<br />

testimonianza è il fondamento sul quale le decisioni della Corte si baseranno, insieme con<br />

quanto dirà Filippo B.F., sugli interrogatori del quale peseranno sempre più l’influenza e i<br />

suggerimenti dei parenti.<br />

Dalla prima testimonianza di Filippo nasce la storia dei suoi rapporti con Agata che<br />

risalgono a circa tredici, quattordici anni prima, non lo ricorda bene.<br />

Invitato a dire di che tipo fosse l’amicizia che lo aveva legato alla donna:<br />

- Amicizia particolare ed intrinseca che ha consistito nell’aver avuto con la stessa<br />

commercio carnale, circa trenta o quaranta volte... (e qui si attarda a descrivere i vari modi e<br />

dettagli di tale commercio)... mentre da due anni in qua circa, io non l’ho più carnalmente<br />

conosciuta.<br />

Interrogato a dire se egli avesse fatto promesse di matrimonio ad Agata:<br />

- A dire la verità, diverse volte.... -<br />

Interrogato a dire se in seguito alle promesse di cui sopra, abbia fatto dei passi per<br />

mantenere la parola data:<br />

- Circa quindici giorni prima del 7 luglio corrente, mi disse Agata B. essergli stato detto<br />

che noi potevamo sposarci in un sito da combinare alla presenza di due Testimoni con<br />

chiamare il Curato sotto qualche pretesto, acciocché vi fosse stata la presenza del medesimo.<br />

Io risposi ad Agata che anche a me, era stata detta la stessa cosa, ed incombenzai la stessa


Agata a concertare il tutto, e che poi mi avrebbe avvisato. -<br />

Dopo aver raccontato di un certo turbamento che lo prese quando fu avvisato di andare<br />

per quella sera in casa di Domenico A., Filippo si addentra in una confusa descrizione:<br />

- Dopo aver avuto il Curato un momento di sorpresa avendo conosciuto di essere stato<br />

ingannato col pretesto di un ammalato, cominciò a rimproverarci tanto più che Domenico A. e<br />

Giovanni S. e Maria Domenica A., che non ho precisa memoria di chi loro fosse stato, sebbene<br />

uno di essi certamente, disse al Curato “Questi si vonno sposare”. Rispose il Curato che non<br />

poteva farlo, che era peccato mortale e che lui non avrebbe mai prestato il consenso.... Allora<br />

Maria Domenica A., se non erro, ma certamente fu essa, nel vedere che niente si concludeva,<br />

disse “Che aspettate, datevi la mano”. Allora io mi trovai ugualmente confuso e feci atto di<br />

stendere la mano, ma io non posso asserire di averla toccata ad Agata perché in verità io ero in<br />

uno stato che per il turbamento non capivo più niente, quello però che è certo che io nell’atto<br />

sopraccennato e in tutto il tempo che vi fu presente il Curato, non proferii la minima parola e<br />

neppure in tutto il tempo sopra espresso proferì parola alcuna Agata. Poi il Curato se ne partì,<br />

ed io immediatamente lo seguitai giù per le scale.<br />

Di ben altro tenore l’interrogatorio di Agata, che pur conferma a grandi linee il suo<br />

rapporto con Filippo e la descrizione delle loro intimità, ma che intanto esordisce davanti alla<br />

Corte dicendo:<br />

- TANTO PIU’ CHE DA DODICI ANNI A QUESTA PARTE, IO E LE MIE SORELLE<br />

MANGIAMO IL PANE DI CASA B.F. mediante le mercedi che ci competono nelle lavorazioni<br />

che andiamo a fare nei rispettivi terreni di detta Casa. -<br />

Dopo aver raccontato come con l’assenso di Filippo fosse andata più di una volta dal<br />

Curato a sollecitare la possibilità di celebrare un matrimonio segreto e che questi, altrettante<br />

volte, aveva addotto l’impossibilità di farlo sempre insieme con Filippo divisò di tentare un


matrimonio clandestino. La sua descrizione della serata non arreca alcuna novità sino<br />

all’arrivo del Curato.<br />

- Allora tutti ci alzassimo in piedi ed il signor Filippo B.F. disse al Curato “Noi siamo<br />

disposti a sposarci” e il Curato alzò la voce e disse che non poteva e non aveva tali facoltà, ciò<br />

però nonostante il Signor Filippo distese la mano e lo stesso feci io toccandocele insieme uno<br />

con l’altra. Il signor Filippo disse in detto momento “Questa è la mia sposa” ed io risposi<br />

“Questo è il mio sposo” e ciò disse bello forte. -<br />

A questo punto si delineano chiaramente le linee di intervento dei vari legali e, di fronte<br />

a Filippo che negli interrogatori (evidentemente sotto la spinta dei fratelli) sembra cercare di<br />

offrire ai suoi avvocati l’occasione di impugnare la validità del matrimonio, Agata e i suoi<br />

congiunti testimoniano in senso diametralmente opposto. Questi ultimi, infatti, sostengono<br />

unanimi che i due promessi manifestarono sia a parole, sia col gesto di toccarsi le mani, la loro<br />

volontà di sposarsi.<br />

Mentre si svolge la causa, Francesco, fratello maggiore di Filippo, si rivolge per aiuto al<br />

suo Signor Zio Cardinale a Montefiascone (e di quale grosso personaggio si tratta!), il quale<br />

però con lui così si lamenta.<br />

Montefiascone 27 agosto 1804<br />

Secondo la regola ero obbligato a far carcerare il di Lei (perdoni) imbecilissimo<br />

Fratello, come lo sono stati i complici dell’accaduto. A riguardo della Famiglia ho usato a suo<br />

favore di una parzialità della quale potrò essere rimproverato. La mia intenzione era ch’egli vi<br />

passasse un mese al Ritiro dei Passionisti. Se però la di lui salute vi è compromessa, mi<br />

rimetto alla di Lei discrezione con l’intelligenza del mio Vicario. Ma vi prego l’uno e l’altro di<br />

un non fare uso senza necessità della mia condiscendenza, giacché qualche avvocato, facendo


stampare in Roma che ho due pesi, e due misure, bramo poter rispondere, che un mese di<br />

ritiro di un galantuomo è equivalente a un mese di carcere per i Birboni”.<br />

Poi, ancora, lo Zio Cardinale, si preoccupa di rivolgersi ad amici e teologi della<br />

Reverenda Camera Apostolica per chiedere pareri ed anticipare giudizi. Le risposte,<br />

nonostante le proteste di amicizia e di rispetto, sono piene degli abituali distinguo, quando<br />

addirittura non contengono argomentazioni contrarie.<br />

Il fatto che i due sono restati in silenzio e non hanno palesato a parole il loro consenso<br />

al matrimonio, dà luogo a molti dubbi sulla validità del Sacramento. E’ vero, citano alcuni, che<br />

se la necessità della parola fosse perentoria i muti ad esempio non potrebbero sposarsi, ma è<br />

anche vero incalzano gli oppositori che il consenso non è stato manifestato nemmeno con la<br />

stretta di mano che, se certamente vi è stata per Agata e i suoi testimoni, è messa invece in<br />

dubbio dallo stesso Filippo e dal Curato Forcella che afferma di non aver potuto vederla<br />

conclusa a causa del suo repentino volger di spalle.<br />

Dice nella sua deposizione Sinfarosa B. che le avrebbe detto Giovanni S., in contrasto<br />

con quanto egli ha deposto sotto giuramento:<br />

- Certo, la matassa è imbrogliata, perché il Signor Filippo non essendo libero di lingua<br />

disse “FLO’, FLO’ e finì con questo FLO’ FLO’ senza aver mai più parlato...”<br />

Fino ad oggi mio caro amico, come ben potete vedere da quanto vi ho narrato, nessuno<br />

è riuscito a venire a capo di questo rompi... capo, se cioè il matrimonio è valido o no. La Corte<br />

Episcopale di Corneto ha però emesso proprio pochi giorni fa, il 18 giugno 1805, la sentenza di<br />

primo grado nella quale si dichiara nullo il matrimonio, tanto da consentire ad Agata e a<br />

Filippo la facoltà di convolare in qualsiasi momento ad altre nozze, ed infligge le seguenti<br />

condanne:<br />

Quanto a Filippo, dovrà pagare a titolo di riparazione dei danni, trecento scudi ad


Agata e seicento scudi a favore dei Seminari di Corneto e di Montefiascone; quanto a Giovanni<br />

S. e Domenico A., dovranno pagare una multa di scudi ottanta cadauno a favore dell’Ospedale<br />

S. Giovanni di Dio di Corneto.<br />

Qui si chiude la nostra storia, anche se poi la sentenza definitiva è ancora lontana da<br />

venire in quanto la lite è stata portata in seconda istanza, davanti alla Sacra Rota.<br />

Dal punto di vista della verità, essa ha tante sfaccettature e tante realtà quante ne sono<br />

quelle dei protagonisti e dei testimoni e credo che ormai nessuno potrà più conoscerla, tante<br />

sovrastrutture le hanno create la malafede e gli interessi degli uomini. In mezzo a questa<br />

bufera di sentimenti e di interessi, di verità e di menzogne, di mezze verità e di mezze<br />

menzogne, la figura così disperatamente sola e patetica di Filippo, fosse raggirato,<br />

indubbiamente violentato nei suoi sentimenti, semplici ed elementari che possano essere.<br />

Ho avuto modo di gettare uno sguardo indiscreto a certe sue lettere, scritte in una<br />

calligrafia rozza e persino infantile (di contro alle lettere del Cardinale o alle copie degli<br />

scrivani di bella calligrafia) che però mettono a nudo la sua bontà, la sua ingenuità e un<br />

disperato dolore.<br />

Viterbo:<br />

- La prima è indirizzata alla sorella Suor Teresa Maddalena del Convento di S. Rosa in<br />

Corneto 4 9mbre 1804<br />

... Sto presentemente aspettando la sentenza, sanza far niuno passo, io non so che<br />

abbia da fare di più e che cosa pretendete di più presentemente da me aggitato da mille<br />

continui pensieri, salutatemi Rosa Celeste (altra sorella monaca di Filippo n.d.r.) e ditegli che<br />

non si scordi di me e particolarmente nel raccomandarmi e farmi raccomandare al Signore in<br />

questa per me fatale circostanza, nella quale tutti si lagniano di me, chi per non mantenere la<br />

parola li Fratelli, e avanti, ed altri perché temono che la mantenga, tutti pare mi guardino, io


sono il ritratto della disperazione e da niuno compatito, questa è la vera mia pittura più<br />

espressiva di quella del famoso Raffaello... -<br />

Altre tre lettere le scrive ad Agata e basterebbero esse, forse a risolvere ogni nostro<br />

quesito, se si potesse essere sicuri che egli spontaneamente le scrive, senza che una volontà<br />

estranea si sovrapponga alla sua, così debole e fragile sempre.<br />

Non portano data e nel corso dell’istruttoria divennero pubbliche, ma a quanto sembra<br />

non bastarono a influenzare le decisioni della Corte: - Questa subito letta strappatela. E’<br />

possibile, che non mi vogliate capire, cioè che io desidererei di essere sentenziato dal Vescovo,<br />

che DICHIARASSE VALIDO IL MATRIMONIO, acciò restassero meno disgustati i Fratelli, e<br />

per questo vi ho dato le armi in mano, ma servitene con prudenza, indirizzandovi al Difensore<br />

del Matrimonio, cioè al Decano Venturi di Montefiascone, CON FARGLI VEDERE IL MIO<br />

ANIMO, acciò il Vescovo con segretezza dia la sentenza, contenti noi, e così non restano<br />

disgustati i miei suddetti..... -<br />

- Vi riconfermo quel tanto che vi ho scritto in altra mia, che se ho mancato nelle parole,<br />

non è stato né per malizia, né per mancanza di volontà, MENTRE IO CREDEVO CHE FOSSE<br />

STATO.... Dell’animo credo che se il vostro è angustiato, il mio è altrettanto, e vi confermo il di<br />

più vi scrissi in altra mia. DUNQUE DIFENDETEVI, E SIATE CERTA DELL’ANIMO MIO<br />

PROPENSO PER VOI, e delle altre cose, quando ritornerò, che spero presto, rimedierò e di<br />

qui servono a maggiormente tormentarmi e non posso qui rimediarci. Addio in fretta. -<br />

- IL MIO GENIO PER VOI E’ STATO SEMPRE SINCERO, E SARA’; non ho avuto mai<br />

intenzione di farvi il minimo pregiudizio, né a Voi, né alli Parenti, e se avessi saputo questo,<br />

non l’avrei fatto; e come mi protestai con voi di non essere prattico di questa cosa; IO CI<br />

VENNI DI MIA VOLONTA’, ebbi qualche ribrezzo pensando all’inquietezze, che andavo<br />

incontro per quelli di Casa, MA TUTTO SUPERO’ IL GENIO, E LO SCRUPOLO DI


COSCIENZA..... Nell’atto poi io ho detto di non ricordarmi di aver detto parola, e questo non è<br />

stato per malizia, non sapendo che fosse necessario, CREDENDO, CHE BASTASSE DI DARVI<br />

LA MANO, ED IO CREDEVO CON CIO’ FOSSE FATTO, e se mi fosse stato suggerito, AVREI<br />

PROFERITE LE PAROLE, il mio animo era agitato, ma sempre PRONTO A MANTENERVI<br />

LA PAROLA..... -<br />

E per mantenere la parola, scrive anche al Difensore del Matrimonio, evidentemente<br />

sfuggendo alla sorveglianza dei fratelli e dei parenti, rimettendosi completamente nelle mani<br />

di questo:<br />

- ILLUSTRISSIMO SIG. PADRONE COLENDISSIMO<br />

Approfittandomi dell’occasione, non manco renderla intesa de’ sinceri sentimenti del<br />

mio animo avuti nella circostanza del MIO FATTO MATRIMONIO, O ALMENO DA ME<br />

CREDUTO TALE, affidato alla sua presenza, e segretezza, e sono, che io sono andato nella già<br />

nota Casa, di MIA VOLONTA’, SENZA FORZARMI NIUNO, CON VOLONTA’ DI SPOSARE la<br />

persona già cognita; venuto il Curato, e dopo un poco di tempo, a detto della Sorella GLI<br />

DETTI LA MANO, con dire ECCOLA, e poi Gio, uno de’ Testimonj disse al Curato, questo è lo<br />

sposo, e questa è la Sposa, e noi siamo i Testimoni, ed il Curato disse, E QUESTO E’ FATTO....<br />

In ultimo dico, che per una sola volta è stato da noi consumato il detto Matrimonio, qual cosa,<br />

costì ne meno lo sanno, non avendolo io detto, parendomi sì i miei parenti, e qualcun’altro<br />

troppo fanatici in dire, che tutto si puole annullare in buona coscienza, volendolo io; pertanto<br />

prego lei a dirmi il suo sentimento, giacché conoscendo di aver errato fin quà per causa<br />

d’ignoranti Confessori, non vorrei fare il massimo sbaglio, quale sarebbe ingannarsi l’Anima<br />

in eterno per un rispetto mondano... Di V.S. Illma<br />

Corneto 16 Ottobre 1804<br />

Filippo Maria B.F. -


* * * * *<br />

Chiudo qui la mia lettera, caro amico, scusandomi per la sua prolissità, ma ho preferito<br />

attardarmi nella descrizione di questo piccolo mondo chiuso entro le mura di una cittadina<br />

come Corneto, dove mentalità e modi di vita, sono ben lontani da quelli della vostra Milano,<br />

nella quale voi avete la fortuna di avere in mezzo a salotti letterari e personaggi di cui noi<br />

conosciamo soltanto i racconti che qualche viaggiatore ci fa.<br />

A presto carissimo, e ricordatemi alla cara zia Margherita ed alla vostra famiglia tutta,<br />

servitor vostro umilissimo.<br />

Casimiro......<br />

NOTA - Ho ritrovato, tra i tanti documenti di un archivio storico di Corneto la copia di<br />

questa lettera. Non ho però potuto accertare da chi sia stata scritta, in quanto l’ultimo foglio<br />

appare tanto danneggiato e rosicchiato dai topi, da non permettermi di accertarne la firma.<br />

Anche la data non esiste più, ma dai precisi riferimenti a cui ci si rifà nel testo dovrebbe essere<br />

facile collocarla tra la fine di giugno e il luglio del 1805.<br />

In calce c’è un’annotazione dell’autore, anch’essa danneggiata, che dice<br />

Copia della let<br />

ta ad Alessandro Ma<br />

e ritornatami ind<br />

feritosi a Parigi con<br />

glia.<br />

Proverò a spedirla


dirizzo.<br />

Ho potuto così ricostruire questo appunto e credo di non essere lontano dal giusto:<br />

Copia della letTERA SPEDIta ad Alessandro Ma.....<br />

e ritornatami indIETRO PERCHE’ TRAsferitosi a Parigi con LA FAMIglia. Proverò a spedirla<br />

AL NUOVO INDirizzo.<br />

L’unica incognita che perciò mi resta da chiarire è il cognome del destinatario. Dopo<br />

le lettere M A, si intravvede forse una N, ma non posso esserne sicuro. Il resto non si legge<br />

assolutamente. Ci terrei molto a risolvere questo dubbio perché mi aiuterebbe senz’altro nella<br />

ricerca dello sconosciuto autore di questa acuta indagine su una storia che ai suoi tempi deve<br />

aver sconvolto la nostra tranquilla città.<br />

Mi impegno sin d’ora a darne ulteriori notizie, qualora le mie ricerche dovessero<br />

approdare a qualcosa, dalle pagine di questo stesso bollettino.<br />

Giuseppe Scoponi<br />

I CORNETANI VOLEVANO LA FERROVIA PIU’ VICINO ALLA LORO CITTÀ’<br />

La linea ferroviaria Roma-Civitavecchia, gestita dalla <strong>Società</strong> “Pio Centrale” viene<br />

collaudata il 25 Marzo 1859 con un convoglio con 240 viaggiatori, che parte da Civitavecchia<br />

alle ore 6,30.<br />

Il treno si arresta alla stazione di Palo per consentire il carico del pesce da portare in<br />

dono a Pio IX e giunge a Porta Portese alle 9,30. Alla sera, pavesato da bandiere pontificie, il<br />

convoglio riparte da Roma per Civitavecchia.<br />

Il 16 aprile 1859 ha luogo l’inaugurazione ufficiale alla stazione di Porta Portese con


Messa e benedizione di Monsignore Vicegerente di Roma Antonio Lagi Bussi ed alla presenza<br />

del Duca Massimo, Commissario Generale delle Strade Ferrate Pontificie, mentre ugual<br />

cerimonia aveva luogo contemporaneamente alla stazione di Civitavecchia.<br />

L’opera è così realizzata in meno di tre anni di lavoro con l’impiego di 800 operai che si<br />

dice siano tutti abruzzesi.<br />

Il costruttore Debrousse aveva consegnato la linea prima del previsto ed è premiato,<br />

secondo il contratto, con un milione di lire.<br />

Il costo del percorso Roma-Civitavecchia e ritorno in 1ª classe è di scudi 1,83 mentre in<br />

2ªclasse è di scudi 1,17.<br />

Il 24 settembre 1863 si inaugura il ponte di ferro di San Paolo lungo il tronco che<br />

collega la linea Roma-Civitavecchia alla stazione centrale provvisoria di Roma-Termini, ed ha<br />

inizio il pubblico servizio della detta stazione Termini delle linee per Civitavecchia, Frascati e<br />

Ceprano fino al confine napoletano.<br />

Il Governo italiano cede alla <strong>Società</strong> Generale delle Strade Ferrate Romane, provenienti<br />

dalla fusione delle più importanti <strong>Società</strong> di costruzioni ferroviarie per legge del 14 Maggio<br />

1865, anche il tronco Roma - Civitavecchia (Km. 81) - Chiarone (Km. 50) “totalmente nello<br />

Stato Pontificio” che completa finalmente il sistema ferroviario tirrenico pontificio a nord di<br />

Roma.<br />

Il tratto di ferrovia Civitavecchia- Confine Toscano alla Nunziatella Chiarone è pronto il<br />

22 giugno 1867 ed il 27 giugno la linea è aperta al traffico e si può raggiungere La Spezia da<br />

Roma.<br />

Il 1° settembre è inaugurata la stazione di Montalto. Il treno diretto parte da Roma alle<br />

6, è a Corneto alle 8,57 ed alle 9,42 raggiunge Montalto.<br />

Riparte da Montalto alle 4,50 ed è a Roma alle 9.1)


Questa la storia della ferrovia; ma vediamo quali furono le reazioni dei cittadini di<br />

Corneto a queste nuove iniziative che portavano nello Stato Pontificio una ventata di<br />

ammodernamento e di progresso tecnico.<br />

Ho trovato fra le carte della mia famiglia2) alcune lettere che il signor Domenico<br />

Boccanera di Corneto3) scriveva a mio bisnonno marchese Urbano Sacchetti4) , a proposito<br />

del tracciato della ferrovia, dei tentativi fatti dalla popolazione di Corneto affinché la linea<br />

ferroviaria passasse il più possibile vicino alla città.<br />

La prima lettera di Domenico Boccaleria ad Urbano Sacchetti è del 23 ottobre 1864 da<br />

Corneto. La riporto testualmente:<br />

“Eccellenza<br />

col mezzo del sig. Giansanti ho appreso che V.E. è tornata in Roma con<br />

l’intiera Famiglia in ottimo stato di salute, e che ha avuto la bontà di domandare le nostre<br />

notizie che sono ugualmente ottime.<br />

Lo stesso signore mi ha aggiunto che l’E.V. gli ha mostrato qualche meraviglia per non<br />

aver veduto mia lettera dopo l’infausta perdita della C.m. del di Lei Genitore5) . Avendone io<br />

avuta partecipazione dal Sig. Villetti, pregai lo stesso di fare in mio nome a V.E. le più sentite<br />

condoglianze. Dopo ciò non avevo avuto motivo di incomodarLa con mia lettera; oggi mi si<br />

presenta la circostanza dovendola aggiornare sullo stato attuale della Ferrovia. Sarà noto a<br />

V.E. che il Consiglio d’<strong>Arte</strong> per ragioni tecniche escluse la linea bassa, (l’attuale tracciato della<br />

ferrovia N.d.R.) e sembrava con ciò assicurata l’esecuzione di quella vicino a Corneto.<br />

Siamo stati in questa lusinga tutta la scorsa settimana in cui si è cominciato a studiare<br />

una linea di mezzo, soltanto dal Mignone alla Marta, da eseguirsi qualora il nostro Comune<br />

non si sottoponga all’impossibile sacrificio di sc. 40.000 richiesti dalla <strong>Società</strong> eseguitrice6) .<br />

Sebbene Mons. Delegato7) speri di poter ottenere che abbia effetto la linea alta senza


gravi sacrifici non ostante abbiamo aperto trattative con la <strong>Società</strong> suddetta.<br />

Occorre però che V.E. ci aiuti presso il Governo con la valevole di Lei influenza per<br />

conoscere fino a qual punto i Concessionari siano arbitri di scegliere la linea per esserci di<br />

norma nelle trattative che avranno luogo.<br />

Se occorre siamo pronti a nuove Deputazioni pregando fin d’ora V.E. di esserne il Capo.<br />

Le serva infine che la linea che studiano per passare distante da Corneto, divide la<br />

Piana della Marruca già Marefoschi, traversa l’intera Portaccia, lasciando libero Vallegata.<br />

Quella alta divide la Marruca ed il piccolo terreno al Poderino. Di là nella Marta, se non<br />

nascono variazioni, è attraversata la Vaccareccia e l’Arrone8) .<br />

Dopo ciò colgo questo primo incontro per assicurare V.E. che, se vorrà onorarmi della<br />

stessa fiducia accordatami dal defunto di Lei Padre, proseguirò nello stesso sistema, per ciò<br />

che la riguarda in Corneto, e ne profitto ecc.”<br />

1865:<br />

Segue una seconda lettera da Corneto del Boccanera al Sacchetti, in data 3 maggio<br />

“Profitto del ritorno in Roma del figlio D. Francesco9) per far giungere all’E.V. i<br />

Contratti della Rimessa Petrighi uno dei quali da me firmato.<br />

approvato.<br />

Le accuso in pari tempo ricevimento del Conto annuale a tutto settembre 1864 da Lei<br />

E’ nostra cognizione che il S. Padre ha fatto intendere al Signor Ministro dei Lavori<br />

Pubblici10) essere suo desiderio che la Ferrovia sotto Corneto ci si avvicini il più possibile.<br />

Il detto Signor Ministro per secondare questo desiderio di Sua Santità ha condisceso la<br />

costruzione dei Ponti in ferro quasi in corrispettivo di qualche spesa maggiore che potesse<br />

incontrare nell’innalzamento della linea.<br />

I studi che si fanno definitivamente ci rendono certi che tutto ciò non attraversa la


Portaccia. Questo è il momento opportuno per far conoscere a Sua Santità quanto sopra. Se<br />

non credesse di farlo in voce V.E., si potrebbe mandare una supplica in nome di questa<br />

Popolazione per presentarsi ed officiandosi dall’E.V. Passo ecc.”.<br />

A queste due lettere risponde il Sacchetti da Roma:<br />

“Carissimo Boccanera,<br />

col mezzo di vostro figlio Don Francesco ricevetti i due originali del<br />

contratto della rimessa Petrighi, l’uno dei quali da Voi firmato, ritengo presso di me, l’altro ve<br />

lo ritorno da me firmato affinché lo riteniate per vostra garanzia.<br />

Riguardo a ciò che mi fate conoscere in rapporto alla Ferrovia che passerà vicino a<br />

Corneto, credo migliore partito che mi rimettiate un memoriale di codesta Magistratura<br />

dettagliatamente concepito perché possa presentarlo al Santo Padre.<br />

Credo inutile di avvertirmi che siccome ritengo che tale memoriale sarà dal S. Padre<br />

rimesso al Ministro del Commercio cosi è opportuno che in esso memoriale non vi sia alcuna<br />

espressione che possa urtare la suscettibilità del Ministro”.<br />

Il 23 maggio 1865 di nuovo il Boccanera scrive al Sacchetti:<br />

“Non ho potuto rimettere prima di oggi la nota Istanza, essendomi stata consegnata<br />

ieri. E’ stata evitata qualunque espressione offensiva per il Sig. Ministro del Commercio. Non<br />

mancherà maniera a V.E. di far conoscere in voce a Sua Santità che al suddetto Sig. Ministro si<br />

era presentata occasione favorevole d’imporre per patto alla <strong>Società</strong> l’avvicinamento a<br />

Corneto, quando questa per ottenere un sensibilissimo risparmio richiese di fare i ponti in<br />

ferro.<br />

Noi poco speriamo dal Ministro a meno che V.E. possa superare ogni difficoltà<br />

influendo direttamente sopra il Sovrano.<br />

Le serva intanto che si stanno facendo le stime di espropriazione per la linea che spacca


la Marruca, la Portaccia, la Vaccareccia ed Arrone e forse un piccolo tratto della Piana del<br />

Capitolo e Vallegata”.<br />

Ed ancora una lettera del Boccanera del 28 maggio 1865.<br />

“Il signor Conte Pietro Falzacappa11) reduce ieri da Roma fece conoscere che V.E.<br />

desidera qualche schiarimento sulla nota istanza da presentarsi al S. Padre. A me sembra che<br />

nella detta istanza siano chiaramente esposti tutti i fatti che riguardano la nostra Ferrovia.<br />

Non ostante a norma di V.E. li ripeterò con maggior dettaglio.<br />

La prima Istanza che presentata al S. Padre dalla nostra Deputazione di cui era Capo la<br />

c.m. del marchese Girolamo (padre di Urbano Sacchetti N.d.R.) ebbe un favorevole rescritto<br />

col quale si ordinava al Ministro del Commercio di soddisfare i giusti desideri di Corneto per il<br />

maggiore possibile avvicinamento alla Città. In seguito di ciò il Ministro suddetto fece<br />

conoscere alla <strong>Società</strong> costruttrice tal volontà di Sua Santità.<br />

Fu allora nuovamente studiata la linea che passa a breve distanza da Corneto, e quella<br />

che oggi vorrebbe eseguirsi sotto Vallegata, e ciò si fece travedere che la maggiore spesa per<br />

eseguire la Linea alta sarebbe ascesa a scudi 60.000 circa, somma che non potremmo<br />

sostenere quantunque non siasi trattato mai ufficialmente.<br />

Prima per fissare definitivamente la linea fu dalla <strong>Società</strong> richiesta al Ministero la<br />

facoltà di costruire i Ponti di ferro invece che di muro come stabiliva il Capitolato.<br />

Il Ministro annuiva alla domanda e con ciò apriva la strada a vistosissimo risparmio.<br />

Era questa la circostanza per imporre l’avvicinamento a Corneto. Il Ministro però si è limitato<br />

a far nuove preghiere di soddisfare i desideri del Santo Padre. La <strong>Società</strong>, senza avere a calcolo<br />

quanto sopra, ha seguito in tutto lo sviluppo della strada la Linea Alta, e nel solo tratto molto<br />

al di qua del Mignone alla Marta, ha seguito la Linea bassa facendo quasi una curva per<br />

evitare Corneto.


Come dissi con mia precedente qui poco si spera nel Ministero del Commercio, e<br />

l’unica strada potrà essere un nuovo tentativo al Trono Sovrano.<br />

Credo che la presentazione della Supplica avvalorata dagli uffici di V.E. sia bastante. Se<br />

però occorresse una nuova Deputazione con certezza di buon resultato, ottenga dal Santo<br />

Padre, l’udienza, ce ne avvisi, se occorre col telegrafo, e noi saremo subito in Roma.<br />

In tale intesa, sono con il dovuto ossequio ecc.”<br />

Urbano Sacchetti risponde da Roma il 4 giugno 1865 al Boccanera.<br />

“Non mancai per quanto è a me di nulla lasciare intentato affinché la ferrovia si avvicini<br />

quanto possibile a Corneto. Egli è perciò che ieri sera mi condussi da questo Signor Ministro<br />

del Commercio per impegnare anch’esso affinché i comuni desiderii siano appagati.<br />

Ad esso narrai la benigna accoglienza del Santo Padre ed a lui fece conoscere che io<br />

confidavo che codesto comune non sarebbe forse alieno dall’offrire alla <strong>Società</strong> imprenditrice<br />

de’ lavori qualche somma perché la strada ferrata si avvicini d’avvantaggio.<br />

Ei mi parve poco soddisfatto dei procedimenti della <strong>Società</strong>, e a noi invece promise<br />

tutto il suo favore, e mi dette a sperare che questo forse non sarebbe privo di effetto; anche in<br />

vista delle concessioni ulteriori del Governo per permettere la costruzione dei ponti di ferro in<br />

luogo dei ponti di muro come erasi la <strong>Società</strong> anteriormente obbligata nel contratto.<br />

Vi prego comunicare questo mio ulteriore operato agli altri colleghi signori Falzacappa<br />

e Mariani, mentre in attenzione di buon esito delle nostre premure ho il bene di confermarmi<br />

ecc.”<br />

Il 18 giugno 1865 il Boccanera risponde a Urbano Sacchetti:<br />

“Ebbi con il pregiato Foglio del Signor Marchese Camillo12) notizia delle pratiche fatte<br />

da V.E. presso il signor Ministro del Commercio, che avendole comunicate a questo Sig.<br />

Gonfaloniere13) e Colleghi di Deputazione mi incaricano di farLe i dovuti ringraziamenti. Il


sig. Conte Falzacappa tornato ieri in Roma verrà a darLe il dettaglio di quanto appresso.<br />

In seguito del desiderio esternato nuovamente dal Santo Padre il Signor Ministro<br />

suddetto chiamò l’ingegnere Monti, che trovavasi in Roma, e volle dal medesimo un parere<br />

sulla Linea che si poteva tenere per favorire possibilmente Corneto.<br />

Il detto signore che è stato sempre per la giustizia della nostra già stata fissata<br />

d’accordo con gli Intraprendenti la Linea più vicina a Corneto.<br />

Dallo stato delle trattative poi si persuasero che la costruzione dei Ponti no era<br />

definitivamente commutata, e che perciò vi era luogo ad imporre per patto l’avvicinamento a<br />

Corneto. Da ciò V.E. vedrà che la nostra Deputazione non è stata inutile mentre senza di<br />

questa la Linea bassa si sarebbe accordata.<br />

Occorre però che V.E. seguiti ad interessarsi di questa pendenza e presso il Santo Padre<br />

e presso il Ministro del Commercio..... ecc.”<br />

Qui finisce la corrispondenza fra il Boccanera ed il Sacchetti.<br />

Evidentemente le istanze dei Cornetani tendenti a portare la strada ferrata più vicino<br />

alla Città non ebbero successo.<br />

La ferrovia, e la vediamo ancora oggi, fu costruita secondo la soluzione più lontana dal<br />

centro cittadino. Così finirono le aspirazioni degli abitanti di Corneto!<br />

Giulio Sacchetti


CRONACA CORNETANA<br />

Decisamente gli archivi cornetani non finiscono mai di sorprendere! La loro ricchezza e<br />

la varietà e consultazione dei documenti custoditi chiariscono sempre di più la vita dei nostri<br />

avi. Notizie, relazioni, atti ed annali vengono continuamente alla luce, anche svolgendo<br />

indagini o ricerche superficiali.<br />

Nell’Archivio della <strong>Società</strong> Tarquiniense d’<strong>Arte</strong> e <strong>Storia</strong> è conservata la “Cronica<br />

Cornetana”, redatta da Pietro Falzacappa nel 1826. E’ un manoscritto di circa 50 pagine legate<br />

in quinterni, contenente notizie della vita cornetana del 1826 al 1832.<br />

Pietro Falzacappa era nato nel 1788 da Ranieri e Margherita Querciola. Proveniva da<br />

una delle Famiglie maggiorenti di Corneto. Sposò nel 1834 Vittoria Avvolta, dalla quale ben<br />

presto rimase vedovo: Vittoria morì di parto. Una passione senile sconvolse la vita del nostro<br />

cronista, il quale dopo il 1860 - a 72 anni suonati - si unì nuovamente in matrimonio con<br />

Carolina Vitelli, una non meglio identificata dama di compagnia o domestica. Morì il 16 aprile<br />

1875.<br />

Pietro fu uomo del suo tempo, sempre disposto ad acquisire nuove cognizioni, a


conoscere popoli e lingue. Nell’Archivio della STAS si conservano due suoi passaporti con visti<br />

di accesso per la Francia e l’Inghilterra.<br />

Fu proprio in questi soggiorni che il Falzacappa conobbe ed approfondì gli ideali della<br />

Rivoluzione Francese e questi soggiorni all’estero gli svilupparono il notevole senso<br />

dell’humor che permea le sue note di cronaca.<br />

In verità, a ben guardare, si sente in questi annali più lo spirito carbonaro, che non<br />

l’ideale giacobino. Nelle brevi note emerge l’insofferenza per il Potere Costituito per la Curia<br />

Vescovile e per le piccole perfidie e rancori dell’epoca.<br />

C’è nel Falzacappa un desiderio di rinnovamento, di affrancazione, di libertà e uno<br />

spirito troppo spesso settario, ma manca la volontà di rinunciare a tutti i privilegi acquisiti<br />

negli anni grazie al proprio censo.<br />

Il tempo ormai ha spento la crudezza dei termini e l’acredine, ma restano queste note<br />

fresche di una Corneto “codina”, di una Corneto che non accetta più passivamente i dettami<br />

del potere; il mugugno comincia a diventare protesta.<br />

Di questa Cronaca Cornetana mi sono limitato a trascriverne i primi tre anni; se<br />

incontrerà il favore dei lettori, nei prossimi bollettini darò seguito a questi annali quasi<br />

risorgimentali.<br />

MEMORIE DI CORNETO<br />

Mario Corteselli<br />

Ecco una cronaca di Corneto, mia Patria. Cosa scriverò nella medesima? Tutto quello<br />

che mi parrà degno di memoria e che potrò sapere. Io getterò i miei pensieri su la carta senza<br />

prevenzione, cercandovi qualche riflessione che per lo più saranno critiche.<br />

Non pretendo di essere istorico, ma solo di fare poche memorie che sussidino la mia


stessa memoria. Non scrivo dunque che per me solo e perciò mi sarà lecito di esprimere i miei<br />

pensieri senza pentimenti come mi si affacciano alla mente: se qualcuno arriverà a vedere<br />

questo scritto lo taccerà forse di critico e maldicente, ma in questo caso lo pregherò solo di<br />

riflettere che la nuda verità sembra alle volte essere una critica e che ogni buon quadro<br />

abbisogna di qualche cornice.<br />

stesso.<br />

Più non aggiungo perché scrivo per me solo e non voglio far la difesa per me da me<br />

14 GENNAIO 1826 = MORTE DI PIETRO CATALINI<br />

Doppo una penosa malattia di orina, alle ore 18, è morto Pietro Catalini, lasciando una<br />

sola sorella. Fu uomo di semplici costumi: buon cattolico, galantuomo in tutta l’estenzione<br />

della parola ed è morto con il desiderio ed il dispiacere di non veder terminato “l’affare delle<br />

tenute libere”. La sua eredità sarà di circa duemila scudi. Essendo “Anziano”, sonò al suo<br />

accompagno il Campanone e li Servitori di Palazzo accompagnarono il cadavere che fu<br />

tumulato al Duomo, nella Cappella dell’Assunta.<br />

31 GENNAIO 1826 = DISPUTA TEOLOGICA<br />

Un certo P. Porceddu, Agostiniano, ha tenuto conclusioni in S. Marco. Con apparato di<br />

discorsi, o dispute combinate, secondo il solito, si è messo in questione quello che è più chiaro<br />

del giorno, si è diviso quello che è indivisibile, si è negato quello che si doveva negare. Una<br />

moltitudine d’ignoranti e di donne facevano molto cerchio alli disputanti latini, sembrandogli<br />

che fosse più bravo quegli che più arringava. Cosa solita!<br />

7 FEBBRAIO 1826 = INDULTO<br />

La presente Quaresima è stata dispensata ai latticini con qualche riserva. Si è ordinato<br />

alli Macellari di non uccidere bestie di alto fusto. Quali dunque saranno le carni salubri? Forse<br />

la capra? E’ una gran disgrazia che in ogni anno, ad onta dell’esperienza, vi sia una tal


minchioneria da fanciullo.<br />

12 FEBBRAIO 1826 = ANZIANO<br />

Angelo di Luca Falzacappa ebbe la nomina di Anziano provvisorio per la morte di<br />

Pietro Catalini. Si continua così con li provvisori. Questo giovane è buon savio e di non tardi<br />

talenti; si desidererebbe peraltro che fosse meno pedissequo o meno pretino.<br />

21 MARZO 1826= STAGIONE<br />

La stagione d’inverno che terminiamo non è stata cattiva ed abbondanti piogge in<br />

gennaio hanno ribagnata un poco la terra inaridita dalle passate secche. Il bestiame peraltro<br />

ha molto sofferto tanto per il cattivo autunno, quanto per i pochi fieni che si avevano. I grani<br />

ancora sono deboli, nella loro apparenza pare che secondo il solito la ventura Primavera<br />

debba essere asciutta.<br />

28 MARZO 1826 = PREDICATORE<br />

Il P. Angelo da Civitaducale, Cappuccino ha predicato l’Anno corrente. Senza essere un<br />

oratore, né sottile, né sublime è stato però dotto e chiaro. Nei suoi pregi non era l’ultimo<br />

quello di essere breve.<br />

9 APRILE 1826 = L’INDULTO DEL GIUBILEO<br />

L’indulto non ci ha fatto aver. Il genio della Magistratura attuale ha trovato così<br />

un’ottima scusa nel non dare alcun divertimento.<br />

27 APRILE 1826 = MORTE DI ISABELLA QUERCIOLA<br />

Nella notte morì Isabella Querciola, di anni 83, ultima del ramo della sua Famiglia.<br />

Passò di male di vecchiaia e senza avere avuto marito. Soffrì con rara rassegnazione per 22<br />

anni l’inabilità a camminare per cui non sortì più di casa per effetto di una caduta.<br />

15 GIUGNO 1826 = FIENATURA<br />

Il raccolto del fieno è stato molto differente. I primi prati sono stati scarsi, gli ultimi


abbondanti e particolarmente li prati nuovi. Acque continue hanno imbarazzato i lavori e la<br />

mano d’opera salì nell’ultimo a forte prezzo. Nell’insieme peraltro si suol dire che il raccolto<br />

del fieno sia stato buono. Noterò anche una cosa straordinaria: che la Chiusa Gabrielli, falciata<br />

alli primi di maggio, si rifalciò in giugno, dando un buon fieno: cosa che memoria d’huomini<br />

non ricordava in Corneto una seconda falciatura.<br />

29 GIUGNO 1826 = PROCESSIONE<br />

Noto come una cosa straordinaria una Processione di Penitenza per ottenere la<br />

serenità. Con tutte le Corporazioni religiose si andò dalla Cattedrale a Valverde. Fu anche una<br />

cosa straordinaria che il nostro Eccellentissimo Vescovo facesse un fervorino molto breve.<br />

30 GIUGNO 1826 = MIETITURA<br />

Oggi si è terminato di mietere il grano nel territorio, essendosi generalmente<br />

cominciato doppo la metà del mese. Le apparenze fanno vedere che vi sia del patimento. La<br />

maggior parte delli seminati sono stati infetti di rugine. Vi fu abbondanza di mietitori ed a<br />

prezzo discreto per conseguenza.<br />

16 LUGLIO 1826 = ORDINAZIONE DI ANGELO QUAGLIA<br />

Dall’Eccellentissimo Gazola, nostro Vescovo, è stato questa mattina ordinato sacerdote<br />

Angelo Quaglia, figlio di Giacomo e Vittoria. Esso è il primo delli maschi. Per quello che si<br />

puol giudicare dall’aspettativa ed apparenza sarà un buon prete. Ha fatto gli studi in<br />

Montefiascone, in regola, ma circa il talento pare che vi sia a desiderare qualche cosa. La sua<br />

Famiglia ha dato alla sera un superbo rinfresco con invito generale veramente abbondante. Vi<br />

si sono osservati tutti li Frati che per la causa “ad manducandum” sravano tardi fuori di<br />

convento.<br />

18 LUGLIO 1826= CAMPANA DELLA CATTEDRALE<br />

Finalmente, alla quarta fusione, la campana maggiore della nostra Cattedrale è venuta


ene. Gli artefici sono stati li fratelli Goccini di Modena. Questa mattina è stata benedetta dal<br />

Vescovo. Farò una sola osservazione. I canonici strepitano per la forte spesa che hanno dovuto<br />

fare, ma qualcuno ha osservato che essendosi fatti avanzare 1550 libbre di metallo,<br />

rimpicciolendo la campana, hanno utilizzato qualche cosa, mentre agli occhi dei gonzi fanno<br />

comparire le loro spese per la chiesa.<br />

18 AGOSTO 1826 = FESTA DI S. AGAPITO<br />

La festa del protettore si è solennizzata secondo il solito con Processione e Messa<br />

cantata. Facendo uno sforzo, la Magistratura ha pagata una giostra. Ciò però si deve più al<br />

genio dell’”Anziano” Angelo Falzacappa che all’inclinazione del Gonfaloniere Francesco<br />

Bruschi.<br />

22 AGOSTO 1826 = DISUMAZIONE DI CADAVERE<br />

Il cadavere della fu monaca benedettina Angela Francesca Bovi, morta sono 14 anni,<br />

nell’epoca francese e sepolta in Cattedrale nella Cappella dell’Assunta, è stato desumato e<br />

trasportato in S. Lucia. Si è aperta la cassa ed esposto il cadavere in Chiesa. Gli abiti si erano<br />

conservati, ma non così il corpo, la di cui testa non esibiva più ne alcuna somiglianza nè<br />

alcuna forma. La monaca Bovi fu una buona religiosa, ma miracoli non ne conosco, nè in vita,<br />

nè doppo. Requiescat.<br />

30 SETTEMBRE 1826 = MATRIMONIO DI COSTANTINO FORCELLA<br />

Costantino di Vincenzo Forcella ha sposato Anna Maria del fu Vincenzo Bruschi. Il<br />

padre dello sposo ha fatto tutto quello che poteva per impedire un matrimonio di non suo<br />

piacere, ma inutilmente. Si desidera allo sposo qualche fortuna per poter vivere con la sua<br />

consorte.<br />

15 OTTOBRE 1826 = FESTA ALLA TRINITA’<br />

La Confraternita della Trinità, avendo fatto venire l’immagine della Madonna di


Guadalupe, ne ha celebrata la festa consistente in un numerosa ed edificante Processione in<br />

buona paratura, in un piccolo fuoco, in giostra ed in due corse a vuoto ed a piedi. Chiuse il<br />

divertimento un’Accademia di poesia, recitata con poca devozione nella stessa Chiesa. La<br />

prosa fu fatta da don Angelo Quaglia cui seguirono molti componimenti latini ed italiani. Si<br />

osservò tra le altre cose non essere l’ultimo dei prodigi della Madonna, quello di aver fatto<br />

nascere all’improvviso alcuni poeti che nel paese non si conoscevano per tali.<br />

7 NOVEMBRE 1826 = TEATRO<br />

Molti dilettanti di Corneto volevano recitare nel pubblico Teatro. Già tutto era<br />

preparato e la distribuzione delle parti era fatta. La Segreteria di Stato rimise al Cardinale<br />

Vescovo il memoriale per il permesso. Fu questi visitato dai principali comici. Promise<br />

favorirli, dopo una lettera ripiena di sciocchezze. La conseguenza peraltro fu che scrisse in<br />

Segreteria di Stato non esser tempi da pensare al Teatro, regnando in varie Province<br />

un’epidemia bovina. La licenza fu negata.<br />

Quante riflessioni potrei aggiungere a tale articolo? Dirò solo: che se in Corneto il<br />

Vescovo non avesse li principali dal suo partito non si azzarderebbe a disgustare tante<br />

persone. Che è una fortuna che l’Imperatore del Mogol non sia cristiano, altrimenti se si<br />

ammalasse staressimo senza divertimenti per pregare per lui. Che finalmente queste<br />

soverchierie si soffrono nel solo Corneto.<br />

24 NOVEMBRE 1826 = NASCITA DI GIUSEPPE BRUSCHI<br />

Da Costantino di Giuseppe Bruschi e da Arcangela di Bartolomeo Bustelli oggi è nato il<br />

primo maschio, che dal nome del nonno si è chiamato Giuseppe. Possa il fanciullo imitare la<br />

sua stirpe nel galantonismo, ma non nella malignità.<br />

13 DICEMBRE 1826 = CONSIGLIO DI SANTA LUCIA<br />

Tre provisionali hanno corso: il Segretario Avvolta ed il Chirurgo Valentini furono


confermati all’unanimità. Il Dott. Gotti ebbe 10 voti favorevoli e 7 contrari. Mentre bisogna<br />

dire che è un bravo medico, si deve aggiungere essere molto pettegolo: il suo compagno Dott.<br />

Liberali, mentre però ne sa meno, non è niente meglio di lui.<br />

15 DICEMBRE 1826 = OLIVI E SEMENTA<br />

Le olive nella corrente stagione si può dire che non vi siano state affatto e il risultato lo<br />

prova, mentre un solo molino è stato aperto. Le semente sono state interrotte dalli cattivi<br />

tempi e dalla molla che avevano presi li terreni. Come peraltro si era cominciato a buon’ora,<br />

così non sono terminate molto tardi, meno che dalli padroni negligenti.<br />

26 DICEMBRE 1826 = PREDICATORE<br />

Il Padre Luigi da Bagnaia, Provinciale dei Cappuccini, ha predicato l’Avvento. Essendo<br />

questo uno de’ migliori predicatori, non ne tesso gli elogi. Alcuni peraltro hanno notato la<br />

“fiatata”, ma forse saranno lingue cattive.<br />

27 DICEMBRE 1826 = MESSA NOVELLA DI DON TOMMASO DE SANCTIS<br />

Questa mattina il novello sacerdote, Don Tommaso De Sanctis, ha detto la prima Messa<br />

alle Monachelle. Questo giovane ha fatto molto bene li suoi studi a Montefiascone e da quello<br />

che ripromette sarà per riuscire un buon prete, se non si guasta.<br />

10 GENNAIO 1827 = ACQUISTO DI BENI DELLA COMUNITA’<br />

Il pizzicarolo Benedetto Stinchelli ha comprato in Roma all’asta pubblica il canone di<br />

Roccaccia e Selvaccia per 900 scudi ed altri piccoli canoni comunitativi. Nessuno lo faceva<br />

così forte in denaro ed ha sorpreso la sua compra. Bisogna dire che per far denaro bisogna<br />

fare il pizzicarolo ed essere nato villano.<br />

27 FEBBRAIO = CARNEVALE<br />

Con dispiacere di chi non poteva godere, il Carnevale di quest’anno è riuscito<br />

brillantissimo. Doppo due anni di forzato riposo, la popolazione di Corneto ha fatto vedere


che non era quella zotica e noncurante che si vuol far credere. Feste da ballo al Teatro ed<br />

altrove, due corse di anello e molte maschere hanno contribuito al pubblico divertimento. Vari<br />

curiosi aneddoti hanno fatto parlare di loro. Il più bello è stato che il Vicario non voleva si<br />

ballasse nell’ore che in Cattedrale si faceva “il Carnevale Santificato”. Ma, essendosi fattosi<br />

petto a tale innovazione, si sono seguitati a fare i festini anche il doppo pranzo. Se trovassero<br />

sempre resistenza non domanderebbero tanto.<br />

2 MARZO 1827 = INDULTO<br />

Nella presente Quaresima è stato toccato il cuore de’ nostri Superiori. Si è permesso<br />

mangiare i latticini, condire con lo strutto a riserva di alcuni giorni. Si potrà dire che ne<br />

abbiamo indovinata una.<br />

26 MARZO 1827 = MATRIMONIO DI MARGHERITA PANZANI<br />

Margherita del fu Domenico Panzani e della fu Maria Barboncini ha sposato questa<br />

mattina Giovanni di Iacomo di Napoli. Sembrava che questo matrimonio non dovesse più aver<br />

luogo per le lingue malediche che avevano cercato guastarlo; ma finalmente si è concluso e per<br />

parte dello sposo sembra che più l’impegno che l’amore ve lo abbia condotto.<br />

29 APRILE 1827 = FIERA<br />

Due corse a vuoto, due giostre, un pallone, un fuoco d’artificio, un girello ed una<br />

illuminazione alla Fontana sono state le feste della nostra Fiera. Abbiamo però avuto uno<br />

scarso concorso particolarmente di persone proprie. In quest’anno almeno si è sfuggita la<br />

solita soverchieria di astenersi da ogni divertimento.<br />

6 MAGGIO 1827 = MORTE DI VITTORIA PETRIGHI<br />

Circa le ore quindici è passata al numero delli più Vittoria, moglie di Giovanni Petrighi,<br />

di circa 61 anni, doppo aver sofferto una lunga malattia. Fu figlia di Agostino Mastelloni ed a<br />

lei sono sopravvissuti tre figli: Luigi, Antonietta e Giacomo. Ebbe un matrimonio di circa 36


anni nella quale epoca, avendo contentato suo marito, scontentò tutti e si rise delle lingue<br />

cattive. Il suo cadavere si seppellì nella Cattedrale, alla Cappella Gentilizia della Famiglia<br />

Petrighi.<br />

14 GIUGNO 1827 = NASCITA DI VINCENZO QUERCIOLA<br />

Circa le ore dieci è nato Vincenzo Querciola, figlio di Egidio e di Marianna di Candido<br />

Mastelloni. Questo è il terzo maschio che nasce da un tale matrimonio. Se somiglia a suoi, non<br />

sarà uomo di gran coraggio.<br />

17 GIUGNO 1827 = GROTTI ETRUSCHE<br />

Nel ricercare nelle grotti alli Montarozzi se ne trovarono tre dipinte superbamente.<br />

Keister, ministro d’Inghilterra a Roma e due compagni, essendo venuti a vederle, le<br />

hanno copiate. La dabenaggine de’ Cornetani così ha fatto levare copia d’una cosa bella che<br />

presso noi esisteva: ciò prova a che grado siamo di civilizzazione. Le sole grida di tutti hanno<br />

nel fine indotto la Magistratura ad ordinare la chiusura con porte, le quali forse avrebbe fatte<br />

il Vescovo per impadronirsene ed avere la chiave d’una proprietà appartenente alli Agricoltori.<br />

Non so se questo esempio, tanto di copia che di chiusura, gioverà di lezione in appresso. Dio lo<br />

faccia!<br />

3 GIUGNO 1827 = RECITA<br />

Un comico ben cattivo ed una comica pessima si presentavano per recitare. Domandato<br />

il Teatro, le fu giustamente ricusato. Si collocarono in un magazzino ed ottennero dalla Curia<br />

Vescovile quel permesso che si era ricusato ai dilettanti cornetani. Si posero vicino il<br />

Monastero delle Passioniste, ove ai galantuomini si ricusò di fare li festini per l’anzidetta<br />

vicinanza. In più recitarono, uniti alla feccia di cornetani, anche la Vigilia della Pentecoste. Si<br />

può dire che la nostra Curia non vuole che cose birbe e che gode nel far sentire il peso del suo<br />

arbitrario potere ai galantuomini. Questi riflessi ed altri molti che potrei aggiungere hanno


fatto si che una scempiata avesse luogo in queste memorie, nel leggere le quali qualcuno forse<br />

mi caratterizzerà per satiro maligno.<br />

10 LUGLIO 1827 = MATRIMONIO DI MARGHERITA BRUSCHI<br />

Il Medico Condotto, Bartolomeo Gotti di Tivoli, ha sposato questa mattina Margherita<br />

di Pietro Sante Bruschi e di Anna Maria Querciola. In una stagione così calda ci vuole molto<br />

coraggio per andare con l’antico proverbio e trattandosi particolarmente di sposi....<br />

15 LUGLIO 1827= MURA CASTELLANE<br />

Il nostro Consiglio comunitativo si è coperto d’infamia accordando alle Monache<br />

Passioniste la permuta con Agapito Avvolta del suo canone su le Mura a Porta Clementina.<br />

Eccoci perciò spogliati di una proprietà e passata in mani privilegiate, per cui la Magistratura<br />

non potrà osservare nemmeno quelle mura che una volta salvarono Corneto. Il solo<br />

Costantino Bruschi ha avuto il coraggio di arringarci contro, mentre in favore il Gonfaloniere,<br />

Francesco Maria Bruschi, ha fatto pompa della sua eloquenza stucchevole.<br />

17 LUGLIO 1827 = NASCITA DI FILIPPO MARIA BRUSCHI<br />

Dal matrimonio d’Ippolito di Filippo Bruschi e Teresa d’Orvieto è nato il primo figlio<br />

che si è chiamato Filippo Maria. Se è legittimo, non puol mancare di non avere uno spirito di<br />

contraddizione.<br />

23 AGOSTO 1827 = FESTA DI SANT’AGAPITO<br />

Oggi c’è stata giostra: in questo è principiata e terminata tutta la festa. Anche la Statua<br />

del Santo protettore è passata di notte.<br />

30 SETTEMBRE 1827 = MESSA NOVELLA DI DON FRANCESCO CALVIGIONI<br />

Nella chiesa di San Giuseppe ha detto la Prima Messa Francesco di Saverio Calvigioni,<br />

muratore. Dal suo aspetto non ripromette male, dalla sua dottrina una cappellania di<br />

Confraternita. Nel tutto insieme il giovane ha pensato bene di maneggiare il calice invece della


cucchiara.<br />

1 OTTOBRE 1827 = MUTAZIONE ALL’ERGASTOLO<br />

Per molti disordini introdottisi all’Ergastolo, si licenziarono li custodi tutti e, surrogati<br />

altri, vennero anche sette soldati di linea per miglior custodia. Molti dicono che li disordini<br />

provenissero dalla dabbenaggine del Rettore, canonico De Dominicis.<br />

26 DICEMBRE 1827 = PREDICATORE<br />

L’Avvento è stato predicato dal P. Mariano di Roma, Minore Osservante. Cosa dirò di<br />

lui? Poche parole. Non aveva nessun numero, ma è stato pagato e per questa solo ragione il<br />

frate predicava.<br />

1 GENNAIO 1828 = NUOVO GONFALONIERE<br />

Francesco Bruschi Falgari, vecchio Gonfaloniere provvisorio, avendo dato la sua<br />

rinuncia, gli fu surrogato il primo Anziano, Costantino Bruschi. Non so chi fosse più stanco: il<br />

Popolo del continuo Gonfaloniere o lui del popolo e della carica. Dirò solo che, sebbene da<br />

pochi e da se stesso fosse creduto necessario, pure si farà di meno di lui e niente di disgrazia<br />

succederà nella Patria.<br />

14 GENNAIO 1828 = NASCITA DI FILIPPO FALZACAPPA<br />

Da Giuseppe del fu Ascanio Falzacappa e da Geltrude Lenzi di Civitavecchia è nato il<br />

bambino. Se rassomiglierà alli suoi sarà galantuomo. ma ben ristretto di testa.<br />

18 FEBBRAIO 1828 = CARNEVALE<br />

Il Carnevale è riuscito meno clamoroso dell’anno passato, ma non per questo<br />

malinconico. Si sono avute varie feste da ballo in Teatro ed una data gratis con innumerevole<br />

concorso di popolo. Noterò che in quest’anno si è dato principio nell’ultimo giorno alli così<br />

detti “moccoletti”: cosa ancora affatto nuova per Corneto. Si spera che, prendendo piede<br />

quest’uso, possa riuscire un altro anno di molto effetto.


19 FEBBRAIO 1828 = INDULTO<br />

L’indulto della presente Quaresima è stato simile all’anno scorso. Vi sono però delle<br />

questioni sul condire o con lo strutto. Non è questa la prima disputa di moralisti che, doppo<br />

secoli e secoli, resti ancora indecisa.<br />

8 MAGGIO 1828 = VENUTA DEL CARDINALE FALZACAPPA<br />

Il Cardinale Giovanni Francesco Falzacappa, doppo un’assenza di 14 anni, oggi è<br />

tornato a rivedere la Patria. Esso non è stato ricevuto con piacere, ma dirò con entusiasmo da<br />

tutta la popolazione che per due sere con illuminazioni generali, tanto delle chiese che delle<br />

case, ha mostrato il suo giubilo. La Commune, col mezzo della sua Magistratura, lo ha<br />

soprattutto distinto, avendo fatto incendiare un fuoco d’artificio e avendo fruttato un<br />

magnifico rinfresco per essere andato a dire la Messa nella Cappella di Palazzo. Ogni ceto di<br />

persone, tutte a gara, hanno mostrato quanto volentieri rivedevano in Patria un cittadino che<br />

onore le arreca.<br />

18 MAGGIO 1828 = MAGISTRATURA<br />

Finalmente si è resa completa la Magistratura di Corneto. Il Gonfaloniere, Costantino<br />

Bruschi, fu installato col cominciare dell’anno. Il I° Anziano, Egidio Querciola, lo fu nel sabato<br />

della fiera ed il II° Anziano dovrebbe essere stato Domenico Ricci, ma, ammessa la sua<br />

rinuncia, fu nominato Tommaso Marzoli, che oggi per la prima volta ha indossato il<br />

“Giubone”. Essendo anziano, dalli cittadini si pretendeva fargli avere qualche variazione nel<br />

vestiario, ma questa idea, essendo cornetana, si è risposto dalli Superiori che, nulla essendovi<br />

di nuovo, si continuasse secondo il solito.<br />

24 MAGGIO 1828 = TEATRO<br />

Una pessima compagnia diretta da una tale Straccia ha avuto l’imprudenza e la fortuna<br />

di dare varie rappresentazioni in Teatro, miste ad alcuni sufficienti balletti. Lo stare quì a


ipetere che mille opposizioni si sono fatte per la parte ecclesiastica, sarebbe un replicare<br />

quello che altre volte ho detto: che si sia proibito il Teatro per le Quattro Tempora e permesso<br />

il Sabato di Pentecoste è questa ancora una delle cose belle della nostra Curia. Tornerò<br />

soltanto a ripetere che comici bricconi come questi sarà molto difficile poterli accozzare<br />

insieme. Non avevano alcun numero di abilità, né alcun numero di fantasia.<br />

22 GIUGNO 1828 = INCENDIO AI QUERCIOLA<br />

Con dispiacere registro una infamità che da circa 29 anni non più si conosceva nel<br />

nostro territorio. Questa notte sono stati incendiati a danno della fratelli Egidio e Luigi<br />

Querciola due fienili alla lestra Selvaccia e la capanna della medesima. Inoltre si è incendiata<br />

ugualmente la capanna nella chiusa Nardeschi, in parte di loro proprietà. Possa lo scellerato<br />

che ha commesso questo delitto ricevere il meritato castigo.<br />

3 AGOSTO 1828 = TRITATURA<br />

La tritatura della presente stagione è stata più lunga del solito per la molta paglia che<br />

aveva. Il raccolto di questo anno sarà più volte da tutti richiamato, perché veramente<br />

abbondante: da 20 anni a questa parte rammentiamo i soli raccolti del ‘12 del ‘24 e del ‘28<br />

come eccellenti, ma il presente pare abbia superato gli altri.<br />

7 AGOSTO 1828 = MATRIMONIO DI AGOSTINO MASTELLONI E MARIA<br />

BOCCANERA<br />

Doppo molto tempo di amore frenetico, si è celebrato il matrimonio fra Agostino di<br />

Candido Mastelloni e Maria del fu Benedetto Boccanera. Se questi sposi avessero pensato alle<br />

conseguenze del matrimonio forse oggi non lo avrebbero contratto.<br />

18 AGOSTO 1828 = FESTA DI SANT’AGAPITO<br />

Zero, via zero, nulla è stata la festa di S. Agapito.<br />

1 SETTEMBRE 1828 = RINUNCIA DEL DOTT. BARTOLOMEO GOTTI


Un tratto della più sfacciata e decisa soverchieria ha obbligato il Dott. Bartolomeo Gotti<br />

a dare la sua rinuncia. Questo uomo, medico eccellente e di cattiva grazia, aveva incontrata la<br />

disgrazia del Cardinal Vescovo e della Famiglia Bruschi Falgari, dai quali si portava a partito<br />

sfacciatamente il suo collega, Dott. Liberali, che l’8 dello scorso luglio tentò un suicidio.<br />

Vedutosi da questi potenti che, avendo perduta la pubblica opinione del favorito loro, andava<br />

il Gotti a divenire il tutto di tutti, decisero la sua perdita. Cominciarono col calunniarlo alla<br />

Sacra Consulta, ma questo Tribunale, avendo riconosciuto la sua innocenza, fece conoscere<br />

che non voleva pretesti alle cardinalizie istanze per condannare un innocente. Vedutasi<br />

preclusa questa strada, il Vescovo si rivolse alla Congregazione di Vigilanza, esponendo che<br />

quest’uomo turbava la pace della Diocesi, talché se non erano allontanato, esso avrebbe<br />

rinunciato il Vescovato. La Vigilanza, più facile della Consulta, ordinò che fosse obbligato alla<br />

rinuncia. Il che oggi, con dispiacere universale, ha eseguito. Dirò solo che, mentre si proibiva a<br />

tutti li Preti di rilasciargli attestati a suo favore, si prendevano con gioia da quelli che li<br />

facevano contro.<br />

12 SETTEMBRE 1828 = SOVERCHIERIA AL GONFALONIERE<br />

Avrei creduto non parlare più di soverchieria doppo la precedente, ma, pensando da<br />

galantuomo, mi sono ingannato. Dal Cardinal Vescovo si è sorpreso un ordine della Vigilanza<br />

con il quale è sospeso il Gonfaloniere e si è obbligato andare a Monte Fiascone per chiedere<br />

scuda a chi non la meritava. Non accenno i motivi che si sono addotti, perché sarei troppo<br />

lungo, ma garantisco la loro insussistenza. Mi asterrò altresì da molte osservazioni che sul<br />

proposito potrei fare. Dirò solo che con costoro quegli non è coverchiato chi non vogliono<br />

soverchiare.<br />

28 SETTEMBRE 1828 = MESSA NOVELLA DI MICHELE BRUSCHI<br />

“More pauperum” e senza invito, ha detto il novello sacerdote la Messa in S. Giovanni.


Da un lato ha fatto bene a non farsi mangiare il suo, dall’altro dirò che sono cose che si fanno<br />

una volta sola nella vita di un uomo. I studi del nuovo prete sono stati a Montefiascone, onde,<br />

se non farà altro, starà benissimo nel capitolo Cornetano. Esso ha goduto nel Seminario della<br />

grazia del Consiglio (Comunale) come patrizio. Ad onta di ciò, se nascesse una piccola cosa tra<br />

la Commune ed il Presbiterio, sarebbe, per gratitudine, contro la prima.<br />

10 NOVEMBRE 1928 = ELEZIONE DEL GIOVANE AL SEMINARIO<br />

Avendo terminati li studi, il Canonico Don Michele Bruschi si ebbe luogo un concorso<br />

per un posto al Seminario Diocesano riservato ai giovani patrizi. Tre furono i concorrenti:<br />

Ferdinando di Giuseppe Falzacappa, Luigi di Giuseppe Dasti, Luigi di Pietro Sante Bruschi.<br />

Con voto pubblico venne nominato Ferdinando di Giuseppe Falzacappa. Una cosa degna di<br />

menzione devese aggiungere ed è che, radunati per il soopradetto oggetto i Consiglieri, la<br />

prima volta esclusero tutti li concorrenti perché il certificato di studi e di poter concorrere<br />

erasi rilasciato dal Vicario. Il che in buoni termini circoscriveva a suo piacere i concorrenti,<br />

per cui, radunati di nuovo i scrutini, furono divisi come sopra accennato. Questo tratto<br />

inaspettato del Consiglio di Corneto fà conoscere che, sebbene lentamente, pure vi s’introduce<br />

lo spirito del secolo.<br />

17 DICEMBRE 1828 = NASCITA DI GIOVANNI FORCELLA<br />

Questa notte ha veduto la luce Giovanni Forcella, nato dal matrimonio di Costantino,<br />

figlio del vivente Vincenzo, con la figlia del q. Vincenzo Bruschi. Augurio da farsi al neonato si<br />

è che un onorifico e lucroso impiego provveda il suo genitore per poter sostenere li pesi<br />

dell’educazione.<br />

21 DICEMBRE 1828 = CONSIGLIO DI SANTA LUCIA<br />

Non ebbe luogo il giorno 13 il solito Consiglio perché si dovette attendere la risoluzione<br />

di Roma se il Dott. Liberali potesse o non correre. Ma, essendosi con soverchieria risposto di


no, si tenne il Consiglio nel presente giorno. Corsero il solo Segretario Avvolta ed il chirurgo<br />

Valentini. Al primo toccò un voto nero ed al secondo ne toccarono quattro. Chiuse il Consiglio<br />

la lettura di una lettera della Congregazione di Vigilanza con la quale si minacciavano tutti li<br />

Consiglieri perché volevano rieleggere il Dott. Gotti ed escluedere i Liberali, al che da nessuno<br />

si era pensato. Bisogna ben dire che il Consiglio di Corneto sia stato insultato e soverchiato in<br />

tutta l’estenzione della parola.<br />

21 DICEMBRE 1828 = AFFITTO PESCA E MISURE<br />

A Giovanni Battista Marzi è stato deliberato l’affitto della pesca per 15 scudi. Una<br />

discussione così forte è nata per la proibizione di pescare con erbe venefiche, ma si è limitata<br />

alle sole reti. A Pietro Cherubini si sono affittati li pesi e misure per 25 scudi annui.<br />

24 DICEMBRE 1828 = INCENDIO A BRUSCHI E DE SANCTIS<br />

Questa notte circa le ore 7 si è manifestato il foco nelle stalle e fienili di Bruschi Falgari,<br />

in parrocchia S. Giovanni ed alla stalla e fienile di De Sanctis, in Parrocchia S. Leonardo. La<br />

nottata quieta ed umida, come ancora i pronti soccorsi, hanno impedito la dilatazione del<br />

fuoco, nonostante il danno dei Bruschi si valuti a circa 1000 scudi, quello di De Sanctis a scudi<br />

150. Questo genere di nuove sceleraggini comincia ad introdursi nella città ed il nuovo<br />

esempio pare che si vada estendendo, forse perché non si sono adoprate energiche misure per<br />

castigare i rei. Possa essere questa l’ultima volta che contamino la mia cronaca con esempi e<br />

racconti tanto luttuosi.<br />

26 DICEMBRE 1828 = PREDICATORE<br />

Don Luigi Santi, Arciprete di Toscanella, ha eseguita la predicazione dell’Avvento. Esso<br />

aveva buoni esempi e cattive parti. Ma per essere di Toscanella non vi è stato male.<br />

28 DICEMBRE 1828 = MORTE DELL’ARCIDIACONO FALZACAPPA<br />

Circa le ore 23 è spirato l’Arcidiacono Giovan Battista Falzacappa, figlio di Giuseppe e


di Marianna Bovi. Esso aveva compìti, li 75 anni. Esercitò per molti anni la carica di Gestore<br />

dell’Ergastolo e, sebbene di scarsi talenti, la sua condotta irreprensibile gli aveva meritato il<br />

rispetto generale. La sua morte è stata compianta sia per lui che per la Famiglia di suo nipote<br />

Giuseppe, della quale era il sostegno ed il secondo padre. Il suo cadavere, accompagnato dal<br />

Capitolo e dalla Confraternita della Misericordia, fu portato alla Cattedrale ed ivi sepolto.<br />

31 DICEMBRE 1828 = OLIVI<br />

Tutto il rovescio dell’anno passato è stato il raccolto di olive e, per quanto quello fu<br />

ottimo, questo è stato pessimo, perché niente affatto si è avuto né si raccolse un acino per<br />

mangiarne almeno come frutto. La tramontana ha quasi sempre dominato nel decorso mese<br />

di dicembre, quale perciò si può chiamare assolutamente asciutto ed i bisogni di acqua per<br />

tutti li oggetti si sono aumentati.


GLI AFFRESCHI DELLA CAPPELLA DEL CORO NEL DUOMO DI TARQUINIA<br />

Dai documenti che il Pinzi ritrovò nel 1890 nell’Archivio di Viterbo si ha certezza che le<br />

pitture fatte nella Cappella del Coro della Cattedrale di Corneto sono opera di Antonio del<br />

Massaro detto il Pastura1)<br />

Lo Steinmann, nel suo Antonio da Viterbo, scrive che l’Arcidiacono Vitelleschi ebbe<br />

particolari meriti per l’esecuzione degli affreschi, e fa notare che lo stemma dei Vitelleschi è<br />

presente per ben due volte nelle pareti del Coro. Lo stesso Prelato, ottenuta poi la presidenza<br />

del Consiglio degli Arcidiaconi, carica già ricoperta da Alessandro Farnese, Vescovo di<br />

Corneto più tardi divenuto Papa Paolo III, - fece eleggere gli arbitri per la stima delle pitture<br />

che Mastro Antonio aveva già dipinte nel Coro.<br />

Il Pastura, avendo veduto a quale arditezza di concetti e drammaticità di forme era


salito Luca Signorelli nei suoi meravigliosi e terribili affreschi del Giudizio Universale nel<br />

Duomo di Orvieto, si pose all’opera senza ormai alcuna perplessità, convinto che finalmente<br />

era capitata l’occasione per lasciare nella storia dell’arte qualcosa d’imperituro. E dette inizio<br />

al murale.<br />

Su tre vele della volta raffigurò, in un cielo intensamente turchino, Profeti e Sibille con<br />

in mano papiri svolazzanti che contengono sentenze profetiche. I tre angoli delle vele furono<br />

occupati ciascuno da tre teste di “cherubo”, fra nubi e stelle. Nella quarta vela dipinse<br />

l’Incoronazione della “Madonna e il grande triangolo è quasi totalmente occupato dalla<br />

“Mandorla”, incompleta, a fondo turchino con teste di “cherubi”. Entro la “Mandorla”, che<br />

posa su strisce di nubi, sono assisi a sinistra la Vergine e a destra il Redentore.<br />

Nella parete di destra l’Autore compose lo Sposalizio della Vergine, forse la più bella<br />

parete del ciclo, anche se ricorda lo Sposalizio della Madonna che si trova nel Museo delle<br />

Belle Arti di Caen, dipinto da Pietro Vannucci, detto il Perugino. Nella parte sottostante,<br />

alcuni resti di affresco, sembra raffigurino il Presepio2) . Nella parete di sinistra, rappresentà<br />

diversi episodi evangelici: la Nascita della Madonna, affresco di bella prospettiva ma di minor<br />

valore dell’altro, sia per cromatismo che per composizione: un bel Compianto sul Cristo<br />

Morto, dove si nota, tra il Cristo e la Maddalena, un San Giovanni che fa pensare per la<br />

morfologia della figura al San Sebastiano del Perugino ubicato nel Museo del Louvre; la<br />

Vergine col Bambino è chiusa da una “Mandorla” proiettante raggi dall’interno che, pur<br />

conservando il cromatismo originale - riacquistato dopo gli ultimi restauri - è però mancante<br />

di parti che sono state rifatte con il solo arricciato a tinta neutra.<br />

La data iniziale dei lavori fatti dal Pastura nella Cappella del Coro della Cattedrale di<br />

Corneto non si conosce, si sa però che nella primavera del 1509 erano già terminati e che il<br />

Capitolo non intendeva pagare i 450 ducati d’oro chiesti dal pittore senza che prima fossero


sottoposti ad una stima. Infatti, il giorno 4 maggio 1509 le due parti contendenti<br />

s’incontrarono nella Cattedrale di Corneto: il Capitolo riunito e presieduto dall’Arcidiacono<br />

Antonio Vitelleschi e il Maestro Antonio da Viterbo detto il Pastura. Per valutare con<br />

coscienza gli affreschi in questione furono prescelti i pittori Costantino Zelli e Monaldo Corso,<br />

il primo viterbese e il secondo “Habitator Viterbii”.<br />

Prima di dare inizio alla stima, i due si sottoposero ad un giuramento; se poi i loro<br />

pareri fossero risultati discordi si sarebbe dovuta nominare una terza persona, quale arbitro<br />

riconosciuto dalle parti; infatti venne nominato supervisore “nessun altro che il Maestro Luca<br />

Signorelli da Cortona”, il quale si presentò in Corneto soltanto nell’agosto dello stesso anno,<br />

trattenendosi quattro giorni per visionare e stimare le pitture del Coro.<br />

Un documento datato Viterbo 11 agosto 1509 conferma il giuramento fatto dai due<br />

pittori e la partecipazione del terzo stimatore, Luca Signorelli.<br />

Un secondo atto, con la stessa data del primo, fa conoscere finalmente il valore dato dai<br />

tre illustri artisti agli affreschi del Pastura: il Maestro Costantino Zelli lì valutò 450 ducati<br />

d’oro, il maestro Monaldo Corso 300; Luca Signorelli, dopo lunga riflessione, dette ragione<br />

alla stima fatta da Zelli in pieno accordo con l’esecutore dei lodevoli lavori. Così fu accettata<br />

da tutti la paga dovuta di 450 ducati; e lo stesso Pastura poi pagò al pittore di Cortona due<br />

ducati d’oro al giorno, quale parcella onoraria per la stima fatta.<br />

Proprio in questi giorni mi sono stati segnalati dal Dott. Alberto Porretti, Direttore<br />

dell’Archivio di Stato di Viterbo, due atti notarili riguardanti le pitture della Chiesa di S.<br />

Margherita di Corneto. Tali documenti datati 23 settembre e 15 ottobre 1509, del Notaio<br />

Domenico di Matteo di Curzio, da Orte - credo mai pubblicati - riguardano un obbligo di<br />

pagamento che il Vicario di S. Margherita, a nome del Capitolo, s’impegna a versare<br />

ratealmente al Pastura come residuo d’una maggiore somma dovuta per le pitture eseguite


nella Chiesa di S. Margherita di Corneto3) , ed una procura fatta dal Pastura ad un mercante<br />

Viterbese per la riscossione del primo rateo4) .<br />

A questo punto si può pensare che chi sostenne l’onere del pagamento al Pastura per gli<br />

affreschi eseguiti sia stato l’Arcidiacono Antonio Vitelleschi ed il Capitolo. Infatti, nelle<br />

pitture, oltre agli stemmi dei Vitelleschi, è ben rappresentato, al centro della volta del Coro, lo<br />

stemma in marmo dorato del Capitolo della Cattedrale.<br />

Nel 1643, quando la Chiesa subì l’incendio, gli affreschi furono ricoperti dalla patina<br />

del fumo, mentre il calore in quella circostanza arrivò a fondere perfino le lamine d’oro che<br />

erano state messe in alcune parti decorative.<br />

Per ridare chiarore alla Cappella si pensò, allora, di ricoprire soffitto e pareti con<br />

abbondanti strati di calce, e tutto rimase così fino al 1877, quando durante il restauro Dasti fu<br />

rimossa qualla calce che, tuttavia, era servita a coprire ma soprattutto a conservare,<br />

inconsapevolmente, le pitture nel tempo.<br />

C’è poi da aggiungere che il restauro Dasti, progettato già nel 1852 con alcuni suoi<br />

disegni, non teneva in considerazione gli affreschi nascosti dalla calce. Quando questi vennero<br />

in luce, i lavori di restauro erano già a buon punto e il Presbiterio nelle linee architettoniche<br />

era previsto, secondo il progetto, come continuazione della navata centrale senza alcun<br />

rispetto degli elementi gotici visibili anche allora.<br />

Se ancora oggi possiamo ammirare gli affreschi del Pastura nella Cappella del Coro, lo<br />

si deve al Canonico Marzi, noto cultore d’arte, il quale, forse da solo, seppe imporsi a tutto il<br />

Capitolo affinché non venisse cancellata per sempre questa preziosa memoria cornetana.<br />

Un opuscolo del tempo ne rende testimonianza: “Non si era lontani dal sacrificare<br />

queste pitture all’uniformità del nuovo disegno, se il Canonico Marzi, noto apprezzatore<br />

dell’arte antica, non si fosse interposto a procurare un ordine superiore di lasciarle intatte,


scoprendole dalla soprattinta”.<br />

Le più svariate attribuzioni si dettero a questi affreschi del Coro che, prima del<br />

ritrovamento dei documenti ad opera del Pinzi, furono riportati da cataloghi, guide turistiche,<br />

visite pastorali con la paternità dei più impensati pittori di tutte le epoche.<br />

“I pregevoli affreschi del Pastura, che decorano il Presbiterio della Cattedrale di codesta<br />

Città, sono ridotti in tale stato di deterioramento che un restauro di essi s’impone<br />

urgentemente per salvarli da sicura rovina”. Così il Soprintendente Luigi Serra si rivolgeva al<br />

Podestà del Comune di Tarquinia in data 14 gennaio 1939. Gli affreschi furono, di fatto,<br />

restaurati nella primavera dello stesso anno dal Prof. Giovanni Leonardo Zamola, che eseguì<br />

un restauro integrale sotto la Direzione della Regia Soprintendenza alle Gallerie e alle Opere<br />

d’<strong>Arte</strong> Medioevali e Moderne di Roma5) .<br />

Nel 1979, ad opera del Prof. Igino Cupelloni, direttore del Laboratorio del Restauro dei<br />

Musei Vaticani, fu ripetuto altro restauro: vennero consolidati tutti gli intonaci, rimosse a<br />

bisturi tutte le dipinture che nei precedenti interventi erano state aggiunte, proseguendo<br />

infine con un restauro scientifico e riportando il colore degli affreschi alla trasparenza<br />

primitiva.<br />

In quell’occasione, nella parte di destra in basso, in una zona neutra dell’arricciato e in<br />

simmetria con lo stemma del Cardinale Giovanni Vitelleschi, fu dipinto uno stemma<br />

cardinalizio che porta la seguente scritta: “Sergius, S.R.E. Card. Tarquiniensis in pristinum<br />

restituit, 31 Martii 1979”.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

Lorenzo Balduini


416 ss.<br />

- C. Pinzi, - I principali Monumenti di Viterbo - Viterbo 1905, pp. 191 ss.<br />

- E. Steinmann, - Antonio da Viterbo - Monaco 1901, pp. 8 ss.<br />

- Archivio di Stato di Viterbo - Prot. n. 306 del notaio Domenico di Matteo di Curzio, da<br />

Orte, c.n 19 v - 20 r<br />

- L. Dasti, - Notizie Storiche Archeologiche di Tarquinia e Corneto - Roma 1878, pp.<br />

- Archivio chiesa cattedrale di Tarquinia, - Disegni preparatori fatti dall’Arch.<br />

Francesco Dasti per il Restauro della Cattedrale di Corneto - 1852<br />

- Omaggio a Mons. Giovanni Beda Cardinale, Civitavecchia 1907, p. 11<br />

- E. La Valle, - Corneto e i suoi Monumenti - Corneto Tarquinia, 1910, p. 12 - cf. E. La<br />

Valle, - Corneto Monumentale, - Corneto Tarquinia, 1914, pp. 39 ss.<br />

- U. Ferranti, - La Tuscia Artistica - Roma, s.d. p. 230<br />

- L. Marchese - Tarquinia nel Medio Evo - Civitavecchia, 1974, p. 35


MAREMMA DI SEMPRE<br />

LA CACCIARELLA<br />

L’appuntamento, per tutti, è sul limitare del bosco, nella prima ora lucana.<br />

Cacciatori e cani sopraggiungono alla spicciolata, le narici fumiganti nel freddo<br />

invernale, ed il luogo d’incontro, già cheto, si tramuta via via in una babele di tenute<br />

venatorie, di canne da fuoco singole, appaiate e sovrapposte, di cani soprattutto. Ve n’è d’ogni


azza e varietà, mole e manto, frutto, i più, di chissà quali liberi amori e miscugli e tuttavia<br />

accomunati nell’indole da un attributo deciso ed essenziale: il coraggio.<br />

Siamo, infatti, in cacciarella, e non si tratta di far levare una starna o di riportare, in<br />

bocca, l’allodola abbattuta. Occorre, come da sempre in Maremma, stanare il cinghiale dal<br />

folto scuro delle forre, braccarlo implacabilmente e sospingerlo verso le poste, e non è impresa<br />

da poco, per uomini e bestie, giacché il selvatico è fiero e pugnace, accorto e guardingo, e nella<br />

sembianza sgraziata ed irsuta cela finezze sorprendenti.<br />

Il raduno è al completo e, scorte le orme fresche “in entrata” della preda, che ne<br />

assicurano la presenza e ne dicono, all’occhio aduso, sesso, età e peso vivo, si procede secondo<br />

un cerimoniale che ha il sapore dei secoli, impone ineludibili funzioni e gerarchie, tuttora<br />

distinte da appellativi antichi, ed esige rispetto assoluto da ognuno.<br />

La cacciarella, ch’è insieme caccia alla scova, all’aspetto e in braccata, ha il suo gran<br />

sacerdote e “dominus” indiscusso nel capocaccia, a volte illetterato ma, immancabilmente,<br />

conoscitore autorevole della selva, zoologo, quanto basta, per tutto ciò ch’essa contiene di<br />

animale, perito balistico a modo suo.<br />

A lui compete di fiutare il vento e stabilire i settori di macchia da battere, vantando<br />

l’ungulato, in rimedio d’una vista corta, incredibili capacità olfattive e uditive; a lui spetta di<br />

piazzare i cacciatori alle poste, da basso o sugli alberi, tirate poc’anzi a sorte a scanso di liti e<br />

sgravio di responsabilità; a lui, infine, appartiene di armare gli appostamenti, per il tiro a<br />

palla, e dichiarare aperta la battuta.<br />

Dall’orlo opposto della selva, i bracchieri, sciolte le mute nervose, le guidano a<br />

ventaglio, in direzione delle poste schierate sottovento, attraverso intrichi di verde, sterpeti,<br />

balze muschiose e scoscendimenti e radure brevi. Qui, direbbe il Carducci, “è un gran bello<br />

stare”, discoprendosi allo sguardo, più in alto, profili dolci di colline, rocche declinate ed


arcane, ove s’intuisce, posato e vigile, il barbagianni, e giù sulla piana smozzicate torri di<br />

vedetta, contro l’azzurro della marina.<br />

L’ambiente terso e il nitore dell’orizzonte restituiscono, per un attimo magico, tutt’un<br />

mondo passato, che i battitori e gli stessi canattieri presto ricacciano addietro, o forse<br />

perpetuano, pestando con impegno su bidoni, lanciando castagnole nei roveti ed aizzando i<br />

cani con ogni altro possibile clangore.<br />

Nel fracasso assordante, la torma, eteroclita e variopinta, si lancia naso a terra sull’usta<br />

e supera in corsa asperità, acquitrini, grovigli spinosi e tufi dirupati sinché riesce ad avvistare<br />

il suide, e gli uomini seguono affannati ed ansanti.<br />

Il contatto eccita irrefrenabilmente gli animali, che prendono a manifestare esultanza,<br />

ansietà e mille altre sensazioni come loro si conviene. “Mai non ho udito un più musicale<br />

disaccordo, mai un più dolce rotolìo di tuono”, fa dire Shakespeare all’Ippolita del “Sogno di<br />

una notte di mezza estate” a proposito d’una caccia al cinghiale coi segugi di Sparta, e pare<br />

davvero che l’universo circostante si unisca al concerto.<br />

Da adesso, la battuta può assumere regole diverse di svolgimento, ed aprirsi a diverse<br />

soluzioni, a seconda del sito della scovata e dell’eventuale esistenza di un branco, includente<br />

scrofe, cinghialotti e porcastri, oppure solo verri.<br />

Se costretto nella sua tana vegetale, senza possibilità di sortita dal cerchio ringhiante<br />

della canizza, il pachiderma, femmina o maschio, giovane o vecchio, oppone infatti una<br />

resistenza strenua ed eroica, che trova nel grifo, e nelle sue zanne ricurve e taglienti, l’arma<br />

principale. I cani, al massimo dell’eccitazione, l’affrontano allora abbaiando da fermo, ed il più<br />

generoso e tenace spesso soccombe, squarciato, sotto i colpi dei canini affilati.<br />

Eccelle, in tali confronti, che privato dai verri della sua autorità sul branco e<br />

scacciatone, conduce un’esistenza solitaria e raminga di vecchiardo, suscitatore di leggende,


ed è già irato e rabbioso per suo conto.<br />

Ad evitare inutili stragi, i bracchieri sono autorizzati a tirare sulla preda, la quale,<br />

incassatrice formidabile, non sempre stramazza alla prima palla e carica con furia sino<br />

all’estremo.<br />

Se sorpreso in cammino, il selvatico, che ha già percepito di lontano il rumorìo insolito<br />

e s’è posto all’erta, prosegue dapprima silenziosissimo, con atavica astuzia e, quindi, incalzato<br />

sempre più da presso dalla muta, comincia una corsa sfrenata, sfrascando e travolgendo, e<br />

non v’è ostacolo che possa spegnerne lo slancio se non il piombo del cacciatore in attesa.<br />

Questi, a sua volta allertato ma impedito di mirare con precisione dalla velocità del<br />

porco, tirerà d’imbracciata e da corto, ciò che non è affare da tutti.<br />

Se in branco, gl’individui tendono inevitabilmente a disperdersi, scompaginando la<br />

muta in più gruppi, ed allora la macchia rintrona di fughe in rotta, di rincorse e di schianti, ed<br />

ogni posta finisce con l’avere il suo premio.<br />

Smorzatasi l’eco degli spari, l’adunata dei cacciatori, bracchieri e battitori si ripete,<br />

dopo che un pianale ha raccolto le prede sulle poste o nei dintorni, ove s’è arrestata la fuga e<br />

compiuto il destino.<br />

La ricognizione dei selvatici può riservare non poche sorprese. Vecchie ferite, d’arma o<br />

da morso, e lacerazioni ispessite appaiono, sovente, sulla cotenna, tra il pelame setoloso e<br />

striato, e qualcuno si rammemora d’altre battute e si convince e proclama d’aver chiuso un<br />

conto pendente.<br />

Per inveterata costumanza, i capi vengono sbuzzati, e le interiore gettate ai cani, che<br />

contendendosele se ne saziano. Seguirà l’equa ripartizione delle spoglie tra la brigata, con<br />

l’unica eccezione dei trofei, appannaggio esclusivo degli abbattitori.<br />

In tale incombenza, è invero ben raro cogliere quei sintomi di spietatezza, atrocità e


truculenza denunciati da ecologi improvvisati e dimentichi di Sant’Umberto. Anche il<br />

vagheggiato mondo bucolico viveva, per altro, eventi siffatti, e non staremo, qui, a<br />

scomodarne gl’illustri cantori. La moderna scienza, dal canto suo, ha ammesso che solo la<br />

caccia tempera la smisurata prolificità del rustico e ne rende tollerabile la presenza, ma questa<br />

è, comunque, altra questione.<br />

Liberati i cani dagli spini, per gli abili epigoni della grandissima tradizione venatoria<br />

della cacciarella, che rimonta alla notte dei tempi, giunge il momento del riposo, cosiccome<br />

per Ercole dopo la cattura del cinghiale d’Erimanto, devastatore dell’Arcadia.<br />

Al levar del campo, ciascuno, aristocratico o bifolco, erudito od incolto, si volge quasi<br />

all’unisono alla selva, di nuovo tacita e misteriosa, ed i volti stanchi palesano un moto di<br />

riconoscenza per quest’integra natura laziale che riserva emozioni ed avventure esaltanti.<br />

Ancora una volta, l’uomo ha vinto sull’animale e, certamente, schioppi automatici,<br />

archibugi di precisione e doppiette gloriose non hanno contato granché nella lotta.<br />

Del resto, sui dipinti a fresco e sulle decorazioni vascolari degli ipogei etruschi,<br />

disseminati in terra di Maremma, il cinghiale figura trafitto da lancie e frecce. Ha, dunque,<br />

vinto l’uomo, ora come allora, perché così è esattamente scritto che sia.<br />

SUI PROVERBI CORNETANI<br />

Romeo Manfredi Rotelli<br />

C’è a Tarquinia, sulla bocca di molti, un detto che suona così: “I proverbi vengono<br />

prima del Vangelo”. Quasi a voler confermare la giustezza di una sentenza e rafforzare l’altrui<br />

convincimento. Tale detto però ha una sua logica, un suo fondamento di verità perché chi lo


pronunciò per primo, sapeva assai bene della fondatezza storica e bibliografica di simile<br />

affermazione.<br />

Chi infatti ha una modesta cognizione della Sacra Scrittura, avrà avuto anche modo di<br />

accorgersi come il Libro dei Proverbi sia stato scritto ancor prima del Vangelo che chiude, con<br />

gli Atti e le Lettere degli Apostoli e con l’Apocalisse, i testi della Bibbia.<br />

Se è vero che “i proverbi sono la sapienza dei popoli”, abbiamo voluto fermare<br />

l’attenzione anche sui proverbi tarquiniesi (o cornetani che dir si voglia) perché essi sono<br />

frutto di osservazione paziente, di meditazione profonda, di pensiero popolare: comprendono<br />

cioè quel genere letterario, detto gnomico, per i suoi significati religiosi, morali, vaticinanti,<br />

con incisi a volte caustici a volte arguti: e che oggi l’alfabetizzazione a tutti i costi (che è pure<br />

ottima cosa) sta distruggendo, con un livellamento pseudo-culturale di puro stampo politico.<br />

Ne dà testimonianza la soppressione del latino e del greco nelle scuole per un graduale<br />

allontanamento dei giovani dagli studi umanistici verso quelli tecnologici e scientifici,<br />

diversamente da altre nazioni che consentono tuttora e con una serietà ammirevole lo studio<br />

di queste che troppo superficialmente vengono definite “lingue morte”. Cosicché le tradizioni<br />

e le radici culturali della nostra gente sono state distolte verso un unico obiettivo, la macchina,<br />

in funzione sostitutiva della ragione umana.<br />

E’ vero che è in atto uno sforzo di recupero di queste culture popolari e tradizionali; ma<br />

poiché, tanto per restare in argomento, è inutile chiudere la stalla quando i buoi se ne sono<br />

andati, abbiamo i nostri dubbi che, almeno per il momento, possa accadere un secondo<br />

Umanesimo e un secondo Rinascimento sia pure tecnologico e scientifico, ma non disgiunto<br />

da quello artistico e letterario. Del resto Colombo e Leonardo, Raffaello e Machiavelli, Galileo<br />

e Pierluigi da Palestrina, Michelangelo e Tasso, sono gli emblemi di una cultura<br />

rinascimentale che ha sviluppato la ricerca umana e riscoperto i valori classici di un passato


che a nessuno venne mai in mente di rinnegare, ma solo di trasformare ed evolvere. Se<br />

Colombo da un lato e Galileo dall’altro hanno stravolto la visione tolemaica di Dante, nessuno<br />

dei due ha mai pensato di aver sotterrato per sempre la Divina Commedia, che esiste e resiste<br />

al di là di ogni errore astronomico, geografico e scientifico. Nè altri hanno mai rinnegato il<br />

valore dell’opera poetica di Omero e di Virgilio sol perché impostata su credenze religiose oggi<br />

considerate fallaci e superate.<br />

Ma non lasciamoci prendere la mano da un discorso che potrebbe suscitare reazioni<br />

polemiche. Solo abbiamo creduto che stampando questi nostri detti popolari o proverbi, si<br />

possa fare opera di recupero di quella cultura contadina di cui i politici oggi si riempiono la<br />

bocca (e solamente quella). Così non andrà perduta una messe di tradizioni che, forse, in<br />

tempi meno convulsi, troverà lettori, studiosi e ricercatori: fino a quando - come disse<br />

pessimisticamente parlando il Foscolo - “il Sole risplenderà su le sciagure umane”.<br />

E di sciagure, veramente, se ne profilano parecchie sull’orizzonte del nostro futuro.<br />

Si ringrazia il socio Augusto Belli che ci ha fornito l’estro e l’occasione di queste<br />

considerazioni e parte del materiale che andiamo qui di seguito pubblicando.<br />

PROVERBI CORNETANI.<br />

Intorno ai venti:<br />

- Tramontana de bon core<br />

dura tre o sei o nove.<br />

- Levante quajjie tante<br />

ponente quajje gnente.<br />

- Levante


si nun piove è ‘n gran birbante.<br />

- Libeccio<br />

come trova, lassa.<br />

- Se voe che la staggione sia valente<br />

la notte tramontana e ‘l dì ponente.<br />

- Tanto vento<br />

tanta acqua.<br />

- Aria rossa<br />

o piove o soffia.<br />

- Si s’annuvola su la brina<br />

aspetta l’acqua domani mattina.<br />

- Ponente<br />

caval de tramontana<br />

- La tramontana de marzo<br />

nun se l’è magnata ‘l gatto.<br />

Intorno alle stagioni e ai mesi dell’anno:<br />

- Pe’ l’Innocentini<br />

so finite le feste e li quatrini.<br />

- La pasqua Epifania<br />

tutte le feste se le porta via<br />

Arisponne sant’Antogno:<br />

“Trucci là che c’è la mia.<br />

- Marzo asciutto


ma non tutto.<br />

- Alta la Pasqua<br />

lungo l’inverno.<br />

- Trama d’aprile<br />

ojjo a barile;<br />

trama de maggio<br />

ojjo p’assaggio.<br />

- Lumaca d’aprile<br />

bocca gentile:<br />

lumache de maggio<br />

làssele anna ‘n viaggio.<br />

- Fave in fiore<br />

acqua a rumore.<br />

- Se piove pe’ san Marco<br />

prepara la pala e ‘l sacco.<br />

- Se piove li quattro d’aprilanti<br />

quaranta dì duranti.<br />

- A maggio<br />

se risentono li somari.<br />

- Quanno canta el cucco<br />

la mattina è mollo e la sera asciutto.<br />

- Maggio ortolano<br />

tanto pajja e poco grano.<br />

- Bono maggio


quann’è fresco.<br />

- Lero lero lero<br />

el carciofolo ha messo ‘l pelo<br />

e l’ha messo de vantaggio<br />

doppo aprile, viene maggio.<br />

Se piove pe’ l’Ascensione<br />

ogni spiga perde ‘n cantone.<br />

Pe’ san Giovanne<br />

verde o secco, tajja le canne.<br />

- L’ombra dell’estate<br />

fa dolè la panza l’inverno.<br />

- Giugno, luglio, agosto<br />

mojje mia nun te conosco.<br />

- A settembre<br />

l’uva è fatta e ‘l fico pende.<br />

- Pe’ san Martino<br />

ogni castagna vale ‘n quatrino.<br />

- Quanno Monte Argentaro mette ‘l cappello<br />

sciojje biforco e scarta monello.<br />

- Santa Lucia<br />

la giornata più corta che ci sia.<br />

Pe’ Natale<br />

‘na zampa de cane.<br />

Pe’ sant’Antogno


‘na zampa de porco.<br />

Natale al sole<br />

Pasqua al tizzone.<br />

Intorno alle vicende umane:<br />

- Le quatrine<br />

mannono l’acqua per l’insù.<br />

- L’acqua<br />

va sempre al mare.<br />

- Mejjo puzzà de merda<br />

che de miseria.<br />

- Fa quel che ‘l prete dice<br />

e non quel che’l prete fa.<br />

- Beata quella casa<br />

‘ndo ce sta la chierica rasa.<br />

- Fino a la morte<br />

ogni cojjon ci arriva.<br />

- L’acquacotta<br />

la panza abbotta.<br />

- Pasqua la butteresca<br />

tanto pane e gnente ventresca.<br />

- Consòlate poeta fino a Pasqua<br />

che doppo Pasqua ogni poeta abbusca.


- Chi magna la polenta e beve l’acqua<br />

alza la coscia e la polenta scappa.<br />

- Gli anni come li bicchieri del vino<br />

nun se contono mai.<br />

- Chi canta per amore e chi pe’rabbia<br />

dice l’ucello chiuso ‘nde la gabbia.<br />

- A levata de sole<br />

canta ‘l gallo.<br />

- L’ospite è come il pesce<br />

doppo un giorno, puzza.<br />

- Omo de vino<br />

nun vale un quatrino.<br />

- Li quatrini so’ come li dolori:<br />

chi che l’ha, se li tiene.<br />

- Uscio uscio<br />

e ognuno a casa sua.<br />

- Chi bello vuol comparì<br />

qualche cosa bisogna soffrì.<br />

- Chi beve l’acqua de Fontana Nova<br />

sempre a Corneto se ritrova.<br />

- Marmetta rintronata<br />

cent’anni va per casa.<br />

- Del bene che tu fai nun devi avè vergogna<br />

che tanto ‘l più pulito ci ha la rogna.


- Chi nun fa la novena de Natale<br />

fa la morte come ‘n cane.<br />

- Chi nun è bono pe ‘l re<br />

manco pe’ la reggina.<br />

- L’omo saggio<br />

nun se leva la majja fin’ a maggio.<br />

- Quel che para ‘l freddo<br />

para pure ‘l callo.<br />

- Chi magna solo se strozza:<br />

chi magna accompagnato more strozzato.<br />

- A l’ucello ‘ngordo<br />

je crepò ‘l gozzo.<br />

- Il somaro careggia ‘l fieno<br />

e magna la pajja.<br />

- La processione<br />

da ‘ndo esce, entra.<br />

- Li soldi fatti col finfirinfì<br />

se ne vanno col finfirinfà.<br />

- Metteje la frocetta al villano.<br />

- Chi more va a la fossa<br />

chi resta se conforta.<br />

- Commanna e fa da te<br />

sei servito come ‘n re.<br />

- Chi guarda troppo la carne dell’altri


la sua je la magnono li cani.<br />

- Chi ride de venerdì<br />

piagne, sabbato, domenica e lunedì.<br />

- Brutta ‘n fascia<br />

bella in piazza.<br />

- Persona nominata<br />

lontano ‘na sassata.<br />

- Na madre è bona pe’ cento fijji<br />

cento fijji nun so boni pe’ na madre.<br />

- Lavora vecchio<br />

che la pelle è dura.<br />

- L’omo è cacciatore<br />

si nun caccia è ‘n gran minchione.<br />

- Pe piove e pe’ cacà<br />

nun se deve mae pregà.<br />

Ci ha li guanti, ci ha le ghette<br />

ma li buchi a le carzette.<br />

Nun c’è peggio sordo<br />

de quello che fa finta.<br />

- Li confetti nun so’ fatti pe’ li somari.<br />

- Tre pe’ la prescia<br />

e quattro pe’ la paura.<br />

- Come me soni, te canto.<br />

- Il troppo, stroppia.


- E’ tutta voce e penne come ‘l cucco.<br />

- Chi nunbecca<br />

ha beccato.<br />

- Mòrono più agnelli che pecore.<br />

- Lassa fà a Dio<br />

ch’è un santo vecchio.<br />

- Panza piena<br />

nun penza a quella vòta.<br />

- Le ricotte<br />

vengono come le fuscelle.<br />

- Chi maneggia ‘l mèle<br />

se lecca le dita.<br />

- Chi amministra<br />

amminestra.<br />

- Va’ con chi è più di te<br />

e fajje le spese.<br />

- Chi nun mostra<br />

nun vénne.<br />

- Ci ho da fà più io<br />

che chi more de notte.<br />

- Io vo del passo mio<br />

e tu la vacca tièlla.<br />

- Cerchio vicino<br />

acqua lontana.


Cerchio lontano<br />

acqua vicina. (+)<br />

_________________<br />

(+) Riferito all’alone della luna nel cielo, quando c’è nebbia.<br />

- Gobba a ponente<br />

luna crescente,<br />

gobba a levante<br />

luna calante<br />

- Chi pecora se fa<br />

- l lupo la magna.<br />

Bruno Blasi


CRONACA DELL’ANNO <strong>1983</strong><br />

Nel periodo compreso fra la primavera e l’autunno sono state effettuate, a favore dei<br />

nostri Soci, alcune gite turistico-culturali nelle Marche, con soggiorno e visita a S. Benedetto<br />

del Tronto, ad Ascoli Piceno, a Macerata, a Pesaro e ad Ancona, per un periodo di sette giorni.<br />

Altre visite, della brevità di una giornata, sono state effettuate a Palestrina per la visita al<br />

famoso “Tempio della Dea Fortuna”; a Roma, per la visita ai Musei Capitolini e a S. Maria di<br />

Aracoeli; a Talamone per ammirare il frontole fittile di età etrusca; e a Vulci per visitare il<br />

Castello della Badia e l’annesso Museo Etrusco.<br />

Frattanto il nostro archivio-biblioteca si è arricchito di due nuove vetrine, dono alla<br />

<strong>Società</strong> dei Soci, architetti proff. Sandro Benedetti e Gaetano Miarelli Mariani.<br />

All’inizio dell’estate si sono svolte le elezioni per il nuovo Consiglio Comunale e per<br />

quello Provinciale. Al termine delle votazioni, la nuova Amministrazione Comunale è stata<br />

concordata fra i partiti del PSI, della DC e del PSDI; il PCI, dopo anni e anni di governo della<br />

città, è passato all’opposizione insieme al PRI e al MSI. Sindaco della città è stato<br />

riconfermato il signor Meraviglia Roberto, socialista, mentre la Giunta Esecutiva è stata<br />

formata dai sigg. Chiatti Corrado, Ceccarini Alberto, Mazzola Sandro della DC; dai sigg.<br />

Fanelli Antonio e Zanoli Giuseppe del PSI; e dal sig. Castellini Giuseppe del PSDI. Lo stesso<br />

sindaco Meraviglia è stato anche eletto consigliere provinciale.


Fra i mesi di luglio e agosto, sono ripresi i lavori di scavo alla Civita di Tarquinia da<br />

parte di un gruppo di giovani archeologhe, sotto la direzione della prof.ssa Maria Bonghi<br />

Jovino, ordinaria di Etruscologia e Archeologia Italica all’Università di Milano; mentre<br />

nell’ottobre sono stati effettuati, sotto la sorveglianza della Soprintendenza alle Antichità<br />

dell’Etruria Meridionale, alcuni saggi sulla parte antistante l’Ara della Regina, per accertare<br />

l’esistenza o meno di altri frammenti di terracotta per la ricomposizione del frontone di cui si<br />

conoscono solamente il gruppo fittile dei Cavalli Alati. Essendo stato lo scavo di breve durata,<br />

sono emersi pochissimi reperti. Lo scavo è stato tralasciato in attesa forse di una ripresa<br />

nell’estate 1984.<br />

La nostra <strong>Società</strong>, in collaborazione con il Comune e l’Etrusculudens, ha allestito una<br />

Mostra nelle sale della propria sede, come 1ª Biennale di Ceramica Moderna, per la durata di<br />

un mese. Dopo la quale, in collaborazione con i “Remanders” di Roma ha allestito una Mostra<br />

del Libro presso la Sala Sacchetti della STAS in via dell’Archetto e all’interno della cosiddetta<br />

Torre di Dante, al viale Luigi Dasti.<br />

Nell’Auditorium di San Pancrazio è avvenuta la proclamazione delle opere di poesia e<br />

di giornalismo in occasione della X Edizione del Premio “Vincenzo Cardarelli” a cura<br />

dell’Assessorato Regionale al Turismo di Roma e dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e<br />

Turismo dell’Etruria Meridionale.<br />

Si è tenuto nella nostra Sede un Convegno per la proclamazione da parte della CEE<br />

dell’anno 1984, come Anno Internazionale dell’Etrusco. Fra gli altri, era presente l’on. Puletti,<br />

deputato del PSDI presso il Parlamento Europeo. Il convegno era stato promosso dal<br />

Presidente dell’AASTEM, prof. Remo Castellini.<br />

Poiché nell’anno <strong>1983</strong> veniva a ricadere il 2° Centenario della nascita di Stendhal, che<br />

fu console generale a Civitavecchia e appassionato cultore dell’Archeologia, la nostra <strong>Società</strong>,


in collaborazione con la Cassa di Risparmio di Civitavecchia, ha tenuto nella nostra Sede un<br />

Convegno per rammemorare l’avvenimento. Oratore ufficiale è stato il prof. Giancarlo<br />

Vigorelli, presidente degli Scrittori Europei e del Centro Studi Manzoniani di Milano. Ha<br />

partecipato anche il dott. Gian Franco Grechi, della Biblioteca Comunale di Milano.<br />

Al termine della manifestazione è stata scoperta una lapide sulla facciata del Palazzo<br />

Falzacappa, in via dello Statuto, a ricordo della permanenza dello scrittore francese a Corneto<br />

nel 1840, ospite dei Conti Falzacappa. Nel pomeriggio è stato tenuto un concerto pianistico di<br />

musiche chopiniane nel salone del Palazzo Bruschi; esecutore il pianista Andrea Serafini di<br />

Roma. Alla commemorazione erano presenti il Presidente della Cassa di Risparmio di<br />

Civitavecchia, dott. Enrico Vittorio Tito che ha tenuto il discorso di apertura della<br />

manifestazione, il Console Generale dell’Ambasciata di Francia a Roma che ha ringraziato a<br />

nome dell’Ambasciatore della Repubblica Francese, il Cardinale Sergio Guerri, presidente<br />

della S.T.A.S., e molte altre Autorità di Tarquinia, Civitavecchia e Viterbo. A tutti i convenuti è<br />

stata offerta una “plaquette” contenente, altre notizie bibliografiche e biografiche di Stendhal,<br />

anche un saggio inedito dal titolo “Les Tombeaux de Corneto”, tradotto per la prima volta dal<br />

nostro socio Bruno Blasi.<br />

Il Vescovo Diocesano, mons. Antonio Mazza, è stato assegnato alla Diocesi di Piacenza:<br />

a sostituirlo come Amministratore Apostolico è stato nominato dalla Curia Romana il Vescovo<br />

di Grosseto, e successivamente S.E. Girolamo Grillo, è divenuto titolare della nostra Diocesi.<br />

L’ultimo avvenimento culturale della nostra <strong>Società</strong> è stata la presentazione di un libro<br />

dal titolo “Corneto com’era” scritto e curato dai Soci Mario Corteselli e Antonio Pardi: volume<br />

che è stato molto apprezzato dal numeroso pubblico presente nella nostra Sede.<br />

Chiudiamo queste cronache con due notizie assai interessanti per la conoscenza<br />

urbanistica e archeologica della nostra città: la prima riguarda la scoperta di un elegante


loggiato di un antico palazzo sito in via S. Leonardo, adiacente alla stessa chiesa, venuto<br />

casualmente alla luce durante i lavori di restauro. La riapertura del loggiato, camuffato e<br />

avvilito da murature posticce e deturpanti, dà decoro e dignità ad una costruzione già<br />

disabitata e abbandonata. La seconda scoperta riguarda i resti di un antichissimo muro<br />

castellano, emerso dal sottosuolo durante i lavori di adattamento di un magazzino su piazza<br />

Soderini, nelle adiacenze di Palazzo Vitelleschi. Tale muro castellano si differenzia da quello<br />

medievale perché più antico, e si trova sull’allineamento dell’altro muro perimetrale del<br />

Palazzo Luzi, in Piazza Cavour e di cui si parlò in un nostro articolo sul <strong>Bollettino</strong> dell’anno<br />

1981, sotto il titolo de “Il Castello di Corneto”. Tale reperto conferma sempre di più la<br />

presenza di un Castello di Corneto in epoca precedente alla costituzione in Municipio della<br />

nostra città, ancor prima della creazione dell’Arme della Comunità che ha creduto far<br />

provenire il nome di Corneto dall’arbusto del corniolo.<br />

Questi, per sommi capi, e sotto forma di cronaca, i fatti e gli avvenimenti che hanno<br />

caratterizzato a Tarquinia l’anno di grazia <strong>1983</strong>.<br />

Gli statuti della città di Corneto MDXLV, a cura di Massimo Ruspantini, (Fonti di storia<br />

cornetana - 2), Tarquinia <strong>Società</strong> Tarquiniense d’<strong>Arte</strong> e <strong>Storia</strong>, 1982.<br />

Ente Ottava Medioevale di Orte, Statuti della città di Orte, [ a cura di] Delfo Gioacchini, Aulo<br />

Greco, Maria Teresa Graziosi, s. l. [Viterbo], 1981. L’anno successivo poi è apparso il volume<br />

di don Delfo Gioacchini, La comunità ortana nei secoli XV e XVI e con particolare riferimento<br />

agli Statuti del 1584, Orte 1982.<br />

- Lo Statuto di Roma Priora del 1547, a cura di Renato Lefevre (Testimonianze del Lazio


antico e moderno - I e II) Roma 1982.<br />

- Lo Statuto di Santo Resto, a cura di Francesco Zozi, Roma 1982.<br />

- Ricordo, per la nostra regione di C. Calisse, Statuti della città di Civitavecchia, Roma 1885 e<br />

Statuto inedito di Veiano. Partecipazione alla storia del diritto Statutario nella Provincia<br />

Romana, Roma s.d.<br />

- Cfr. ad esempio gli Statuti della Provincia Romana, in Fonti per la storia d’Italia...., a cura di<br />

V. Federici, Roma 1930.<br />

Gli interventi sono stati determinati, in buona parte, dallo sviluppo del Piano di censimento<br />

dei beni culturali promosso dalla Regione Lazio nel 1978.<br />

Ne danno notizie i nn. 3 e 4 della “Rassegna degli Studi e delle attività culturali nell’Alto<br />

Lazio” (3-82, 4-83)<br />

Da La nostra storia, a cura di J. Le Goff, Milano, Mondadori, 1980, pp. 23-24.<br />

M. Caravale - A. Caracciolo, Lo Stato Pontificio da Martino V a Pio XI, Torino 1978, pp. 352-<br />

356.<br />

Ivi, pp. 353-354.<br />

Ivi, pp. 395 - 396.<br />

Prodi, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età<br />

moderna, Bologna, Il Mulino, 1982.<br />

- Ivi, p. 8.<br />

- Ivi, p. 88.<br />

- Iv, p. 117.<br />

Ivi, p. 155.<br />

Ivi, pp. 148-150.<br />

J. Delumeau, Vie economique et sociale de Rome dans la seconde moitié du XVI siècle, Paris,


1957-1959.<br />

Gli Statuti, cit., pp. 97-106.<br />

Ivi, pp. 100-101.<br />

- Ivi, pp. 106.<br />

1) Francesco Ogliati - Franco Sapi - Partiamo insieme - <strong>Storia</strong> dei trasporti Italiani - Lazio -<br />

Abruzzi - Molise - Molina 1974 pag. 178 e s.<br />

2) Archivio Sacchetti, Roma.<br />

3) Domenico Boccanera.<br />

4) Urbano Sacchetti figlio di Girolamo nato a Roma 25-5-1835 morto a Roma 2-2-1912 - Era<br />

Foriere Maggiore dei Sacri Palazzi Apostolici ed in tale veste aveva modo di avvicinare il<br />

Pontefice.<br />

5) Il m.se Girolamo Sacchetti era morto in Roma il 13 giugno 1864.<br />

6) La <strong>Società</strong> delle strade ferrate Romane.<br />

7) Monsignore Delegato di Civitavecchia - Mons. Ferdinando Scapitta dal 1865 al 1870 - Lo<br />

aveva preceduto dal 1860 Mons. Lorenzo Randi. La Delegazione di Civitavecchia insieme con<br />

la Delegazione di Viterbo formava la Provincia del Patrimonio. La Delegazione di<br />

Civitavecchia comprendeva oltre al capoluogo Corneto, Tolfa, Toscanella, Cerveteri, Montalto,<br />

Allumiere, Civitella Cesi, Manziana e Monteromano.<br />

8) Lo scrivente elenca le aziende di proprietà di Urbano Sacchetti che, nelle due soluzioni,<br />

verrebbero ad essere attraversate dalla nuova linea ferroviaria.<br />

9) Don Francesco Boccanera.<br />

10) Ministro del Commercio, Belle Arti e Lavori Pubblici era il Barone Comm. Pier Domenico<br />

Costantini Baldini.<br />

11) Conte Pietro Falzacappa.


12) Camillo Sacchetti n. Roma 2-8-1836 morto a Roma 26-02-1909 era il fratello di Urbano.<br />

13) Era Gonfaloniere di Corneto il signor Giuseppe Dasti.<br />

1) Antonio da Viterbo, Antonio del Massaro detto anche il Pastura (Viterbo 1450 c. - prima del<br />

1506), pittore Italiano. Lasciò affreschi a Roma (appartamento Borgia in Vaticano, con il<br />

Pinturicchio) a Orvieto (tribuna del duomo e a Tarquinia coro del duomo), riprendendo, in<br />

un’aura raffinatamente estatica, motivi del Perugino e del Pinturicchio. (Enciclopedia<br />

dell’<strong>Arte</strong> Garzanti, Milano 1979, pag. 20).<br />

2) Potrebbero essere resti di pitture più antiche fatte prima del ciclo del Pastura.<br />

3) Archivio di Stato di Viterbo. Prot. n. 306 del Notaio Domenico di Matteo di Curzio, da Orte<br />

c.n. 18. r. - 19 r. 23 settembre 1509. L’atto è rogato in Viterbo nel Palazzo del Card. Farnese<br />

presso la porta Salcicchia (S. Pietro). Controversia tra il Capitolo e i Canonici della Chiesa di<br />

Corneto da una parte e il Pastura pittore viterbese dall’altra sopra il prezzo convenuto relativo<br />

alle pitture nella chiesa di S. Maria Margherita della città di Corneto dipinta dallo stesso<br />

Pastura. Presentatosi personalmente davanti a me Notaio il Venerabile uomo Don Francesco<br />

d’Arezzo Vicario della chiesa cornetana, che asserisce di essere mandato dal Capitolo e dai<br />

Canonici per comporre la lite col Pastura, come risulta dettagliatamente dall’atto rogato dal<br />

Notaio cornetano Belverde, (1) riguardo al prezzo di detta pittura per il residuo della somma<br />

totale. Davanti al Rev . Don Bartolomeo da Lucca uditore del Card. Farnese, il Pastura<br />

dichiara di dover avere dai Canonici e dal Capitolo di Corneto dei soldi. Francesco d’Arezzo<br />

dichiara di essere debitore nei confronti del Pastura del residuo della somma totale per la<br />

pittura suddetta e precisamente di ducati d’oro larghi 160, il quale pagherà in tre rate, e<br />

s’impegna, 1° a pagare qui a Viterbo nella prossima festa di Tutti i Santi ducati d’oro larghi 50,


2° nella festa di Pasqua di Resurrezione di N.S.G.C. prossima, altrettanti, e nella festa di S.<br />

Giovanni Battista del mese di giugno prossimo, altri 60 ducati d’oro larghi. Nel caso che il<br />

Vicario Don Francesco d’Arezzo, non pagasse qualcuna delle suddette rate, incorrerà nella<br />

pena di 25 ducati d’oro larghi per ogni insolvenza, che il Pastura potrà pretendere nella Curia<br />

di Viterbo, in quella di Corneto ed in qualsiasi altra Curia egli crederà opportuna, davanti a<br />

qualsiasi giudice. Il Pastura da parte sua è tenuto a rispettare le seguenti condizioni: Se in<br />

tutto il tempo del pagamento delle tre rate, la pittura o verosia le pitture predette, per un<br />

qualche difetto derivante dall’incapacità del Maestro esecutore ex magisterio o per materiali<br />

impiegati non idonei, le pitture saranno danneggiate, lo stesso Pastura a sue spese dovrà<br />

optare et dipingere et in bona et laudabili detta pittura. Verificandosi altresì e precisamente<br />

per un accidente fortuito e imprevedibile, il Pastura non sarà tenuto ad alcun adempimento.<br />

Don Francesco si obbliga a pagare quanto sopra con giuramento sacerdotale davanti ai testi e<br />

a me Domenico Curzio ortano Per questo atto non ho avuto nessun compenso. (1)<br />

Nell’Archivio dei Notai di Corneto, l’atto del Notaio Cornetano Belverde, non esiste.<br />

4) Archivio di Stato di Viterbo. Prot . n°306 del Notaio Domenico di Matteo di Curzio da Orte<br />

c.n. 19 v. - 20 r. 15 ottobre 1509. L’atto è rogato in Viterbo davanti a porta S. Angelo verso la<br />

casa di Giovanni Cordelli. Si è presentato davanti a me il discreto uomo Antonio detto il<br />

Pastura, pittore viterbese, il quale nomina suo procuratore Gerolamo di Pietro de la Donata<br />

mercante viterbese, per riscuotere in suo nome 50 ducati d’oro da Don Francesco d’Arezzo<br />

Vicario della Chiesa cornetana, in occasione di un accordo raggiunto, come dall’atto<br />

precedente, in relazione al prezzo di una pittura che lo stesso Pastura ha fatto nella chiesa<br />

cornetana, come prossima paga dovuta nella prossima festa di Tutti i Santi. Con questa<br />

condizione: Gerolamo può rilasciare quietanza a Don Francesco e può trattenere il denaro a<br />

titolo di deposito; dovrà restituire il denaro ad Antonio al momento che questi lo richiederà.


5) Il restauro fatto nel 1939 agli affreschi, comportò una spesa di lire 6.000. A detta somma,<br />

contribuirono con L. 4300 il Comune di Tarquinia, con L. 1000 il Capitolo della Cattedrale, L.<br />

500 furono messe da S. E. Mons. Luigi Drago, Vescovo di Tarquinia e Civitavecchia, e L. 200<br />

furono messe dal Banco di Santo Spirito.

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