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LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE - Sissa

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ANNO 7 NUMERO 4<br />

DICEMBRE DUEMILAOTTO<br />

■ STORIA DELLA SCIENZA<br />

Chandra: il viaggio<br />

di una stella<br />

■ SISTEMA TRIESTE<br />

Immaginario<br />

Scientifico<br />

Periodico trimestrale di informazione della <strong>Sissa</strong><br />

Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati<br />

Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. - 70% - DCB Trieste<br />

In caso di mancato recapito si prega di restituire a:<br />

Redazione <strong>Sissa</strong> News - <strong>Sissa</strong>, via Beirut 2-4 34014 Trieste<br />

ISSN 1827-3939<br />

dicembre duemilaotto 1<br />

<strong>LE</strong> <strong>MALATTIE</strong><br />

<strong>NEURODEGENERATIVE</strong>


2 sissa news dicembre duemilaotto 3<br />

Periodico trimestrale di informazione della SISSA<br />

Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati<br />

Registrazione presso il Tribunale di Trieste n. 1054 del 04/06/2002<br />

Direzione e Redazione<br />

SISSA - via Beirut 2-4 - Trieste<br />

Tel. +39 040 3787577, +39 040-3787462<br />

Fax +39 040 3787528<br />

www.sissa.it<br />

per ricevere la rivista scrivere a sissanews@sissa.it<br />

Direttore<br />

Stefano Fantoni<br />

Direttore responsabile<br />

Simona Regina<br />

Comitato di redazione<br />

Francesca Iannelli, Roberto Iengo, Giuseppe Mussardo,<br />

Nico Pitrelli, Giancarlo Sturloni<br />

Hanno collaborato a questo numero<br />

Micol Ascoli Marchetti, Simona Capsoni, Daniela Cipolloni,<br />

Alessadro Delfanti, Emiliano Feresin, Andrea Gini,<br />

Giuseppe Legname, Annibale Magni, Luca Philippe Mertens,<br />

Giuseppe Molesini, Alice Padoan, Marco Regis, Chiara Saviane,<br />

Federica Sgorbissa, Fabio Simona, Alessandro Turco<br />

Le immagini e i testi di Angelo Adamo pubblicati in questo<br />

e nei numeri precedenti sono da considerarsi sotto copyright<br />

Progetto grafi co<br />

emme&emme<br />

Impaginazione<br />

Cronaca Fvg sas<br />

Stampa<br />

Compeditoriale srl - Mestre<br />

Questo numero è stato chiuso il 22 dicembre 2008<br />

COPERTINA<br />

Illustrazione di Angelo Adamo<br />

sommario<br />

Editoriale<br />

Formazione e ricerca: una questione di interesse pubblico<br />

Stefano Fantoni 3<br />

Primo piano<br />

Big science, big communication<br />

Alessandro Delfanti 4<br />

Focus<br />

Le malattie del cervello: infrangere i tabù<br />

Emiliano Feresin 6<br />

Brains in dialogue: le neuroscienze al servizio dei cittadini<br />

Chiara Saviane 7<br />

Dentro il laboratorio dei prioni<br />

Giuseppe Legname 10<br />

Alzheimer: alla ricerca di nuove terapie<br />

Simona Capsoni 11<br />

@ <strong>Sissa</strong> una volta<br />

Simulare una cellula? Un sogno!<br />

Francesca Iannelli 13<br />

Gli studenti raccontano<br />

Thank you <strong>Sissa</strong>!<br />

Luca Philippe Mertens 14<br />

Work in progress<br />

Il Flusso di Ricci<br />

Annibale Magni 15<br />

Storia della scienza<br />

Chandra: il viaggio di una stella<br />

Giuseppe Mussardo 16<br />

La stanza dei PhD<br />

Simulazione numerica, resistenza batterica e materia oscura 19<br />

Sistema Trieste<br />

Immaginario scientifi co: 10 anni e continua a crescere<br />

Micol Ascoli Marchetti 20<br />

Jekyll: comunicare la scienza<br />

Scomparsa la monnezza. Rimangono i rischi<br />

Emiliano Feresin 21<br />

La fi aba ecologista del robot spazzino<br />

Andrea Gini 21<br />

Chiedi a Ulisse<br />

Perché la neve è bianca? 22<br />

Eventi 23<br />

La musica in testa 23<br />

L’editoriale<br />

di Stefano Fantoni<br />

direttore <strong>Sissa</strong><br />

Formazione e ricerca:<br />

una questione<br />

di interesse pubblico<br />

Ci troviamo in una fase politica in cui per l’Università<br />

e la Ricerca si annuncia un’importante stagione di<br />

riforme, alcune delle quali già in atto o preannunciate.<br />

Credo sia quindi doveroso per me, come direttore della<br />

<strong>Sissa</strong>, fare una rifl essione sul ruolo delle Scuole Superiori<br />

nel contesto universitario nazionale. In un clima di grande<br />

agitazione da un lato e annunciato dinamismo dall’altro, le<br />

Scuole Superiori devono rappresentare un punto fermo, un<br />

baluardo che difenda i principi fondamentali dell’alta formazione<br />

e della ricerca. Quindi, elitarismo, nel senso di dare<br />

reali possibilità ai giovani più meritevoli di diventare leader<br />

nella ricerca e nel futuro del nostro Paese, a prescindere<br />

dal censo o dal colore della pelle; dottorato di ricerca, come<br />

strumento formativo essenziale per mettere delle basi solide<br />

a quella che viene chiamata società della conoscenza;<br />

mobilità, come strumento di globalizzazione del sapere e di<br />

ibridizzazione di alcune discipline su altre; e infi ne, valutazione,<br />

valutazione e ancora valutazione, per far emergere,<br />

aiutare fi nanziariamente e far proseguire nelle sue ricerche<br />

chi fa bene.<br />

Come già detto più volte il sistema universitario italiano, in<br />

piena sintonia con le migliori pratiche dei sistemi universitari<br />

più avanzati, si è dotato di una rete di Scuole Superiori, che<br />

si prefi ggono di sviluppare e sostenere processi formativi<br />

che selezionino giovani talenti motivati, pieni di curiosità<br />

intellettuale e di voglia di lavorare. Le Scuole perseguono<br />

solidi obiettivi, quali valorizzare il talento, rispondere alle<br />

esigenze di ricerca e formazione di eccellenza, individuare,<br />

sperimentare e sviluppare progetti innovativi di ricerca<br />

e formazione, costruire modelli trasferibili a segmenti più<br />

ampi del Paese. Il raggiungimento di questi obiettivi non è di<br />

certo semplice; necessita di strutture universitarie relativamente<br />

piccole, agili, dotate di personale docente, tecnico e<br />

amministrativo altamente specializzato, capaci di affrontare<br />

la competizione con strutture internazionali analoghe, e per<br />

questo dotate di particolare autonomia.<br />

Tutto ciò passa attraverso il defi nitivo riconoscimento e una<br />

chiara regolamentazione della rete delle Scuole Superiori,<br />

indispensabili per un loro vero inserimento nel sistema<br />

universitario nazionale, come strutture complementari alle<br />

università di massa.<br />

Ciò è di particolare importanza in un Paese come il nostro,<br />

dove non si è mai sviluppata una vera e propria distinzione<br />

tra le università che fanno ricerca e quelle che non la fanno.<br />

Tra un estremo e l’altro non c’è mai stato un vuoto, ma un<br />

continuum. È questa una caratteristica della nostra cultura,<br />

del modello mediterraneo di fare formazione e ricerca. La<br />

complementarietà delle Scuole Superiori con le Università<br />

di massa deve potersi estendere alla possibilità, al momento<br />

troppo inibita, di un inserimento dei giovani formatisi nelle<br />

prime presso le seconde, e a un travaso di forze giovani<br />

educate al problem solving e all’innovazione nel contesto<br />

socio-economico del Paese. È per questo che il dottorato<br />

di ricerca deve diventare il livello fondamentale di istruzione<br />

per la formazione di fi gure professionali capaci di fare e dirigere<br />

sia ricerca che innovazione tecnologica.<br />

Quanto detto potrebbe riassumersi col saper riconoscere<br />

che sono i giovani la vera forza e futuro del Paese, e che<br />

bisogna saperne individuare le potenzialità, coltivarne i talenti,<br />

curiosità e ambizioni, riconoscere i meriti e aiutarli ad<br />

affrontare gli ostacoli che si troveranno di fronte. E questo<br />

deve valere in particolare modo per le Scuole Superiore, ma<br />

anche per tutto il sistema universitario.<br />

Assistiamo purtroppo a una situazione in cui il fl usso verso<br />

i paesi stranieri di giovani bravi, la cui formazione è molto<br />

onerosa per lo Stato, non è equilibrato da un fl usso entrante,<br />

vuoi di cervelli di rientro, vuoi di giovani stranieri. Tutto<br />

questo non può che passare attraverso una strategia nuova<br />

del Paese, che riconosca veramente, cioè con fatti e fi nanziamenti<br />

tangibili, l’importanza della cultura e dell’alta formazione.<br />

La strategia troppo spesso usata delle piccole riforme,<br />

quasi sempre virtuali, che vengono modifi cate e stravolte<br />

da un governo all’altro non può rispondere alle esigenze<br />

di un sistema formativo effi ciente e moderno. Valutazione e<br />

merito, scusate se mi ripeto, devono diventare l’elemento<br />

basilare nella distribuzione delle risorse e nella selezione e<br />

promozione del personale. Concetti come internazionalizzazione,<br />

mobilità, effi cienza gestionale, qualità della ricerca<br />

e della didattica, funzionalità delle strutture riservate agli<br />

studenti, non possono che essere parametri di valutazione<br />

effettivi e non solo parole. Come pure la pluriennalità dei<br />

fi nanziamenti, assolutamente indispensabile per pianifi care<br />

la gestione delle università e la ricerca, deve diventare fi nalmente<br />

possibile, anzi normale.<br />

Vorrei cogliere l’occasione dell’avvicinarsi del 2009, anno<br />

cruciale per il futuro dell’università e della ricerca, prima di<br />

tutto, per fare gli auguri a tutti i lettori di SISSANEWS di<br />

un felice anno nuovo, e poi per annunciare l’apertura di<br />

un forum sulle riforme per il sistema universitario che vogliamo,<br />

che gestirò in prima persona. Offro a tutti coloro<br />

che vogliono esprimere la propria opinione uno spazio sulle<br />

pagine della nostra rivista, un luogo virtuale di espressione<br />

e di dialogo a più voci. Scrivete al nostro indirizzo email:<br />

sissanews@sissa.it. Se esiste veramente la volontà e la<br />

possibilità di riformare l’Università, facciamoci sentire, perché<br />

venga fatto nel modo migliore possibile. ■


4 sissa news PRIMO PIANO<br />

dicembre duemilaotto 5<br />

Big science,<br />

big communication<br />

di Alessandro Delfanti<br />

ICS - Innovations in the Communication of Science<br />

La scienza esce sempre più spesso dai laboratori e<br />

dagli istituti di ricerca per confrontarsi con la società<br />

e con i mass media, realtà molto diverse tra<br />

di loro e con dinamiche e bisogni propri. I meccanismi<br />

della comunicazione sono molto diversi da quelli dell’accademia,<br />

seguono percorsi e andamenti che posso<br />

portare a controversie, dubbi e scontri. I giornali, e più<br />

in generale i media, amano parlare di scienza, ma di una<br />

scienza “allargata”, che oltre al racconto della scoperta,<br />

mostri anche i retroscena: le conquiste, la storia, i<br />

personaggi che ci celano dietro. «I media preferiscono<br />

parlare del buco nero e della fine del mondo, piuttosto<br />

che illustrare il funzionamento del Large Hadron Collider<br />

(Lhc) costruito al Cern» racconta Romeo Bassoli,<br />

giornalista esperto di comunicazione della scienza e<br />

capo dell’ufficio stampa dell’Istituto Nazionale di Fisica<br />

Nucleare (Infn) di Roma che per alcuni mesi ha curato<br />

la campagna comunicazione in Italia del grande acceleratore<br />

di Ginevra. Se la scienza tout court deve sapersi<br />

muovere in quel mondo, ancor di più deve farlo quando<br />

si tratta di big science, cioè di progetti di ricerca internazionali,<br />

collettivi, costosi e che si pongono obiettivi<br />

non facili da comunicare ai cittadini.<br />

Una ricerca pubblicata, qualche tempo fa, su Science<br />

ha fatto un po’ di luce sul rapporto tra scienziati e<br />

comunicazione. Intervistando centinaia di ricercatori in<br />

diversi paesi del mondo, Hans Peters (ospite lo scorso<br />

aprile a FEST, la Fiera dell’Editoria Scientifica di Trieste<br />

2008) e altri studiosi di comunicazione della scienza<br />

hanno trovato che le interazioni tra scienziati e giornali-<br />

■ Foto presa da http://flickr.com/<br />

photos/revilla - Licenza Creative<br />

Commons 2.0 By-NC-SA<br />

sti sono più frequenti e forti di quanto non si pensi.<br />

Inoltre è emerso che gli scienziati più coinvolti nel rapporto<br />

con i media sono risultati essere quelli più produttivi<br />

scientificamente e con ruoli dirigenziali, a dimostrazione<br />

del fatto che la comunicazione è ormai parte<br />

integrante del lavoro di chi appartiene a un’istituzione<br />

scientifica. In conclusione, gli autori di questo studio<br />

sostengono che «la comunicazione pubblica della<br />

scienza è un fenomeno globale all’interno delle società<br />

della conoscenza democratiche». Insomma, se la scienza<br />

da un lato non può non tener conto delle insidie e dei<br />

rischi nascosti nella pratica della comunicazione pubblica,<br />

dall’altro non può fare a meno di comunicare.<br />

A Romeo Bassoli abbiamo chiesto un’opinione/riflessione<br />

sul rapporto tra big science e big communication:<br />

perché e come comunicare i grandi temi e le grandi<br />

problematiche della big science al pubblico? Con questo<br />

interrogativo si è aperto anche il convegno annuale<br />

sulla comunicazione della scienza organizzato dal gruppo<br />

Innovations in the Communication of Science (Ics)<br />

della <strong>Sissa</strong> e dall’associazione Nuova civiltà delle macchine,<br />

tenutosi a Forlì lo scorso novembre. «Nel caso<br />

di Lhc dire che il grande accleratore era la macchina<br />

più grande del mondo, il punto più freddo dell’Universo<br />

o l’occasione per superare la scienza americana non<br />

è servito a molto - racconta il responsabile dell’ufficio<br />

stampa dell’Infn - perché la domanda dei giornalisti era<br />

una sola “va bene, ma a che cosa serve?”». Poi è arrivato<br />

il “buco nero”, vale a dire i timori sui possibili effetti<br />

catastrofici causati dall’accensione della macchina:<br />

le notizie apparse sulla stampa hanno tenuto il mondo<br />

con il fiato sospeso enfatizzando gli scenari apocalittici<br />

piuttosto che il primato dell’impresa scientifica. All’Infn<br />

hanno scelto di cavalcare l’onda e dichiarare pubblicamente<br />

“noi siamo quelli del buco nero” usando questa<br />

chiave di ingresso per guadagnare riconoscibilità e<br />

spazio sui media.<br />

Ciò ha scatenato un effetto boomerang: l’Infn è stato<br />

letteralmente assediato dalla stampa e ha vissuto uno<br />

dei suoi maggiori momenti di visibilità mediatica. Almeno<br />

sino a quando, pochi giorni dopo l’inaugurazione<br />

dell’acceleratore, non si è verificato il guasto che ha<br />

bloccato i lavori; ciò non solo ha fatto perdere visibilità<br />

all’esperimento ma anche un po’ di autorevolezza ai<br />

ricercatori coinvolti. «Credo che due siano gli aspetti<br />

principali da tenere in considerazione per fare una comunicazione<br />

efficace - continua Bassoli -. Da una parte<br />

ci sono le cose che possiamo controllare, ossia la nostra<br />

capacità di usare le metafore che più colpiscono il<br />

pubblico. Senza dimenticare che per noi comunicatori<br />

occorre anche autonomia rispetto agli scienziati per<br />

fare quest’opera di trascrizione. Dall’altra parte poi ci<br />

sono le cose che non si possono controllare, come per<br />

esempio il “buco nero”, in cui il mondo della scienza<br />

deve accettare, forse un po’ a malincuore, che l’agenda<br />

è imposta dai media. In questi casi bisogna seguire il<br />

corso mediatico anche se l’istinto della comunità scientifica<br />

è quello di opporsi, non accettare compromessi e<br />

regole esterne» aggiunge Bassoli. Del resto chi si occupa<br />

di big science è avvantaggiato, anche se spesso<br />

ci sono argomenti complessi - come i satelliti o la fusione<br />

- non semplici da divulgare.<br />

«Chi fa comunicazione deve sapere che non sempre le<br />

grandi domande della scienza sono interessanti, quindi<br />

il rapporto tra scienza pura e ricaduta tecnologica<br />

deve essere spesso forzato a favore di quest’ultima. E<br />

questo, però, non significa che non c’è più spazio per<br />

comunicare la ricerca di base», conclude Romeo Bassoli,<br />

certo che rispetto al passato la consapevolezza da<br />

parte degli scienziati della necessità di comunicare con<br />

i cittadini è ormai assodata, soprattutto quando si tratta<br />

di big science. ■


6 sissa news FOCUS<br />

dicembre duemilaotto 7<br />

Le malattie del cervello:<br />

infrangere i tabù<br />

di Emiliano Feresin<br />

ILAS Interdisciplinary Laboratory for the Advanced Studies<br />

e ICS - Innovations in the Communication of Science, <strong>Sissa</strong><br />

In Europa c’è una crescente e sempre più condivisa<br />

volontà di allargare il dibattito sulle malattie neurodegenerative,<br />

per stimolare la ricerca scientifica a trovare<br />

terapie a mali incurabili e incitare i governi ad adottare<br />

politiche sanitarie e sociali adeguate. Un esempio<br />

di questa tendenza è la Prima Conferenza della Presidenza<br />

Europea sull’Alzheimer, svoltasi il 30 e 31 ottobre<br />

scorsi a Parigi e fortemente da Nicholas Sarkozy,<br />

presidente europeo di turno. Altro esempio più recente<br />

è la campagna lanciata dall’Associazione Europea per<br />

la Malattia di Parkinson che mira a instaurare un dialogo<br />

tra scienza e società e costruire rapporti proficui tra<br />

industrie, enti pubblici e privati coinvolti a vario titolo<br />

attorno alla malattia. Ma sensibilizzazione e comunicazione<br />

nel campo delle malattie neurodegenerative sono<br />

processi recenti, ancora in divenire, che si scontrano<br />

non poche volte con retaggi del passato, come quello<br />

della malattia vista come stigma.<br />

«Solo 15 anni fa non se ne sapeva molto di queste<br />

malattie», confessa Claudio Mitri, vicepresidente dell’Associazione<br />

“Goffredo De Banfield”, che da 20 anni<br />

è attiva nella città di Trieste con l’intento di educare all’assistenza<br />

domiciliare i familiari degli anziani non autosufficienti,<br />

soprattutto i familiari di coloro che sono<br />

affetti da Alzheimer. 15 anni fa il morbo di Alzheimer era<br />

conosciuto solo da pochi esperti che lo identificavano<br />

con il nome del medico tedesco che aveva scoperto<br />

una malattia della memoria in una sua paziente nel lontano<br />

1906. Gran parte del secolo scorso è stato pervaso<br />

dall’oblio della persona malata, dalla vergogna dei<br />

familiari, dalla scarsa conoscenza.<br />

Le cose sono cambiate lentamente. Con l’invecchiare<br />

della popolazione e l’aumento dei casi di patologie neurodegenerative<br />

non è stato più possibile nascondere il<br />

problema sotto il tappeto. Solo in Europa 1,2 milioni di<br />

persone sono oggi affette della malattia di Parkinson,<br />

5,5 milioni hanno contratto una delle tante possibili malattie<br />

neurodegenerative come l’Alzheimer o la sclerosi<br />

multipla, di queste un numero tra il 50 e 70% ha l’Alzheimer<br />

(500 mila solo in Italia).<br />

Queste malattie colpiscono indiscriminatamente tutti<br />

i ceti sociali e fanno scalpore quando riguardano<br />

personaggi famosi. Ma se negli anni ’70 l’attrice Rita<br />

Brains in dialogue: le neuroscienze<br />

al servizio dei cittadini<br />

di Chiara Saviane<br />

ILAS Interdisciplinary Laboratory<br />

for the Advanced Studies<br />

e ICS - Innovations in<br />

the Communication of Science, <strong>Sissa</strong><br />

I progressi nel campo delle neuroscienze<br />

sono fondamentali non solo<br />

per capire come funziona il cervello<br />

ma anche come si possano curare disordini<br />

di tipo neurologico e psichiatrico.<br />

Alle continue ricerche a volte è<br />

associata una scarsa consapevolezza<br />

su ciò che riguarda le reali applicazioni<br />

di determinate tecnologie e le conseguenze<br />

che il suo utilizzo può comportare.<br />

In alcuni casi vengono sollevate<br />

questioni di tipo sociale, etico<br />

e legale che necessitano un dialogo<br />

tra i vari attori sociali: neuroscienziati,<br />

medici, rappresentanti di associazioni<br />

di pazienti, politici, filosofi, avvocati,<br />

sociologi, giornalisti scientifici e non<br />

per ultimi i cittadini.<br />

Stimolare il dialogo tra gli attori coivolti,<br />

fornire ai cittadini gli stumenti<br />

per comprendere e rispondere ai numerosi<br />

interrogativi, sono solo alcuni<br />

degli obiettivi di Brains in dialogue<br />

(Bid), progetto triennale finanziato<br />

dal 7° Programma Quadro dell’Unione<br />

Europea e gestito dal Laboratorio<br />

Interdisciplinare e dal gruppo Innovations<br />

in the Communication of Science<br />

(Ics) della <strong>Sissa</strong> (http://ics.sissa.<br />

it). Affrontando argomenti relativi a<br />

brain imaging, brain devices e predictive<br />

medicine, il progetto Bid analizza<br />

aspettative, rischi e benefici per<br />

stimolare discussioni costruttive su<br />

implicazioni legali, etiche e sociali, tenendo<br />

in considerazione la specificità<br />

dei diversi paesi europei. Numerosi<br />

gli interrogativi che richiedono risposte:<br />

è davvero possibile effettuare una<br />

diagnosi precoce dell’Alzheimer con<br />

le tecniche di brain imaging? Esistono<br />

rischi di modificazione della personalità<br />

associati agli impianti di stimolazione<br />

utilizzati per i sintomi parkinsoniani?<br />

Ha senso l’uso di test genetici<br />

predittivi in malattie attualmente<br />

Hayworth veniva quasi biasimata per i suoi comportamenti<br />

“bizzarri”, che non erano altro che i sintomi di<br />

un ancora poco conosciuto Alzheimer, sul finire degli<br />

anni ‘90 malati illustri come Ronald Reagan o Charlton<br />

Heston hanno avuto il coraggio di parlare del loro<br />

morbo prima. Hanno fatto molto per far conoscere il<br />

Parkinson anche negli aspetti più intimi della malattia<br />

personalità di spicco come Papa Giovanni Paolo II e<br />

l’attore Michael J.Fox. Di recente anche i familiari hanno<br />

cominciato a fare outing: la figlia dell’ex primo ministro<br />

inglese Margaret Tatcher ha dichiarato pubblicamente<br />

che la madre, famosa per avere una memoria di ferro,<br />

non ricorda ormai più niente.<br />

Le prime associazioni di pazienti sono nate attorno agli<br />

anni ‘90 dalla volontà, spesso a titolo gratuito, di familiari<br />

e conoscenti di ammalati. La sola Federazione<br />

Alzheimer Italia, nata nel 1993, riunisce 47 associazioni<br />

locali e fa parte della rete europea Alzheimer Europe.<br />

Sono organizzazioni passate da obiettivi apparentemente<br />

minimi come migliorare la qualità della vita dei<br />

pazienti attraverso la preparazione di familiari o carer<br />

all’assistenza a scopi sempre più ambiziosi e articolati<br />

quali la promozione della ricerca scientifica, la sensibilizzazione<br />

dell’opinione pubblica e la partecipazione alle<br />

decisioni in politica sanitaria. >><br />

incurabili come quelle neurodegenerative?<br />

Nel tentativo di rispondere a<br />

queste e altre domande il gruppo che<br />

lavora al progetto Bid utilizzerà diversi<br />

strumenti quali: il sito web Neurosociety<br />

Media Centre (www.neuromedia.com),<br />

luogo di scambio di notizie<br />

e commenti sui nuovi sviluppi delle<br />

neuroscienze; materiale audio-visivo<br />

realizzato ad hoc e disponibile sul<br />

sito, tre workshop internazionali con<br />

open forum sui principali argomenti di<br />

interesse; attività e progetti da realizzare<br />

in collaborazione con associazioni<br />

di pazienti e cittadini.<br />

Il primo workshop internazionale è<br />

previsto per marzo 2009 a Cambridge,<br />

durante la “Settimana del Cervello”;<br />

un incontro per esperti in cui si<br />

parlerà di brain imaging con particolare<br />

attenzione alle applicazioni in ambito<br />

psichiatrico. È prevista inoltre una<br />

sessione conclusiva aperta al pubblico:<br />

un caffè scientifico che si svolgerà<br />

durante il Cambridge Science Festival.<br />


8 sissa news FOCUS<br />

dicembre duemilaotto 9<br />

In tutto questo la comunicazione ha avuto un ruolo<br />

sempre più centrale e le associazioni hanno affinato<br />

tecniche e mezzi comunicativi. Cene sociali, volantini,<br />

bollettini informativi trimestrali sono stati i primi mattoni,<br />

poi affiancati da serate a teatro, concerti, pubblicità<br />

con testimonial. Nel 1997 sono nate la giornata mondiale<br />

dell’Alzheimer (il 21 settembre) e del Parkinson<br />

(11 aprile) e poi c’è internet naturalmente. Il web è<br />

diventato contenitore e cassa di risonanza di tutte le<br />

iniziative, non solo per specialisti. Come ha affermato<br />

a marzo 2008 a FEST (Fiera dell’Editoria Scientifica di<br />

Trieste) Ulrike Felt, sociologa della scienza dell’Università<br />

di Vienna, «internet è sempre più il mezzo preferito<br />

per l’informazione sulla salute» e solo in Austria più del<br />

40% degli e-utenti cerca nella rete informazioni mediche.<br />

Il sito internet della De Banfield ha registrato nel 2007<br />

più di 13 mila contatti. «Le persone arrivano da noi tramite<br />

il passaparola o mandati dal medico di famiglia, e<br />

si informano su giornali e internet», spiega Giovanna<br />

Pacco, direttore della De Banfield. Tra i nuovi prodotti<br />

comunicativi che l’associazione propone ci sono il cortometraggio<br />

sull’Alzheimer Stealing Up, realizzato in<br />

Gran Bretagna dall’attrice e regista Ruth Platt, e il libro<br />

Visione Parziale, il diario personale sull’Alzheimer dello<br />

storico americano Cary Anderson.<br />

Nel panorama globale le malattie neurodegenerative diventano<br />

anche spunti per storie da raccontare al grande<br />

pubblico in film come Le pagine della nostra vita di<br />

Nick Cassavetes o Lontano da lei con Julie Christie, e<br />

in libri come Lo sconosciuto di Nicola Gardini.<br />

Ma la traversata nel deserto delle malattie neurode-<br />

generative da onta da nascondere a problema da affrontare<br />

è ancora in corso. «I familiari arrivano da noi<br />

ancora troppo tardi rispetto all’insorgenza della malattia<br />

e con poche conoscenze», lamenta Giovanna Pacco.<br />

Secondo Gilberto Pizzolato, direttore della Clinica<br />

Neurologica di Trieste, spesso nell’Alzheimer i disturbi<br />

comportamentali iniziali sono sottovalutati. «Le persone<br />

anziane si chiedono se certi disturbi sono dovuti a<br />

malattia o vecchiaia e i familiari dei pazienti si chiedono<br />

se anche loro subiranno lo stesso destino», conferma<br />

Claudio Mitri.<br />

Le associazioni come la De Banfield lamentano che a<br />

fronte delle molte aspettative che ripongono nella ricerca<br />

scientifica spicca l’assenza di un’informazione autorevole<br />

che lasci da parte la mistica della cura miracolosa,<br />

troppo spesso data per certa dai media, a favore<br />

di un approccio più orientato alle domande di familiari<br />

e pazienti.<br />

«Le persone ci chiedono informazioni precise: quali<br />

sono le possibili cure, perché la malattia si presenta,<br />

come si evolve» spiega Claudio Mitri.<br />

Qualcosa di concreto in questo senso si muove a livello<br />

europeo. La conferenza della Presidenza Europea sull’Alzheimer<br />

e malattie correlate di Parigi ha stabilito che<br />

le malattie neurodegenerative sono una priorità comunitaria<br />

e c’è bisogno di coordinamento tra tutti gli attori,<br />

dalle associazioni di pazienti ai medici ai comunicatori.<br />

L’Unione Europea ha di recente finanziato alla <strong>Sissa</strong> un<br />

progetto di comunicazione sulle possibili applicazioni<br />

delle nuove tecnologie nella diagnosi e nella cura delle<br />

malattie del cervello; si chiama BID (Brains In Dialogue,<br />

box a pagina 7) ed è un progetto triennale. ■<br />

Per saperne di più:<br />

• www.alzheimer.it<br />

• www.parkinson.it<br />

• www.partecipasalute.it<br />

• www.epda.eu.com<br />

• http://www.alzheimer-aima.it<br />

• http://www.eu2008.fr/PFUE/lang/<br />

en/accueil/ PFU E-10_2008/ PFU E-<br />

30.10.2008/maladie_d_alzheimer_et_<br />

maladies_apparentees<br />

• www.debanfield.it


10 sissa news FOCUS<br />

dicembre duemilaotto 11<br />

Dentro<br />

il laboratorio<br />

dei prioni<br />

di Giuseppe Legname<br />

Responsabile Laboratorio di Biologia dei Prioni della <strong>Sissa</strong><br />

Oltre 20 milioni di persone in Europa e negli<br />

Stati Uniti sono affette da malattie neurodegenerative<br />

quali il morbo d’Alzheimer, le malattie<br />

di Parkinson e di Huntington e le malattie da<br />

prioni (Prusiner, 2001). Soltanto per l’Alzheimer le stime<br />

più recenti sono di oltre 10 milioni di casi presenti<br />

sulle due sponde dell’Oceano Atlantico. Queste malattie<br />

sono patologie la cui insorgenza cresce drammaticamente<br />

con l’età: basta pensare che nonostante<br />

l’incidenza delle malattie prioniche sul totale della<br />

popolazione sia limitata a 1-3 casi per milione, se si<br />

considera la popolazione oltre i sessanta anni questo<br />

numero cresce di almeno 10 volte. A causa del<br />

continuo miglioramento della qualità della vita e del<br />

conseguente aumento delle aspettative di vita media,<br />

purtroppo, questi numeri sono destinati a crescere<br />

ulteriormente, scatenando allarme tra i cittadini. Per<br />

citare altre statistiche, nonostante la prevalenza della<br />

malattia di Alzheimer sulla popolazione mondiale sia<br />

del 1%, all’età di sessanta anni, questo numero aumenta<br />

in modo esponenziale fino a raggiungere circa<br />

il 40-50% tra gli anziani oltre i novanta anni (Spencer<br />

/et al./, 2007). Ciononostante, a fronte di quest’accresciuto<br />

allarme, non sono al momento disponibili<br />

interventi medico-terapeutici in grado di far recedere<br />

o quantomeno bloccare il progredire della malattia:<br />

sono, infatti, in commercio solo farmaci sintomatici<br />

che cercano di limitarne gli effetti più evidenti e alleviarne<br />

le sofferenze. Questi limiti a livello farmacologico<br />

sono determinati da un’ancora troppo carente<br />

comprensione dei meccanismi e delle cause d’insorgenza<br />

di queste malattie.<br />

Le patologie neurodegenerative sono spesso caratterizzate<br />

dalla presenza d’aggregati costituiti da specifiche<br />

proteine coinvolte nelle diverse malattie, quali,<br />

ad esempio, i depositi del peptide, cosiddetto A-beta,<br />

generato dal processamento anormale della proteina<br />

APP nell’Alzheimer, dell’alfa-sinucleina nel Parkinson<br />

o della proteina prionica nella malattia di Creutzfeldt-<br />

Jakob. Queste malattie hanno perlopiù una base sporadica,<br />

vale a dire a eziologia sconosciuta, pertanto gli<br />

eventi scatenanti che coinvolgono queste particolari<br />

molecole proteiche non sono conosciuti, ma l’esistenza<br />

di mutazioni specifiche a livello di queste stesse<br />

proteine suggerisce un loro coinvolgimento diretto<br />

nella patogenesi. Di recente presso il Settore di Neurobiologia<br />

della <strong>Sissa</strong> è stato inaugurato un nuovo laboratorio<br />

che si occupa di diverse patologie neurodegenerative<br />

e, in particolare, delle malattie causate dai<br />

prioni. Il Laboratorio di Biologia dei Prioni, infatti, investe<br />

una parte considerevole dei suoi sforzi di ricerca,<br />

volti a svelare i misteri che ancora circondano questi<br />

particolari agenti responsabili di queste patologie fatali<br />

e tuttora incurabili. Quest’ultime rappresentano un<br />

raro e affascinante gruppo di neuropatie caratterizzate<br />

da una neurodegenerazione spongiforme del cervello,<br />

dall’accumulo in depositi amiloidi di una forma aberrante<br />

(PrP Sc ) della proteina prionica cellulare (PrP C ),<br />

e da un’eziologia che può essere in aggiunta a quella<br />

sporadica ed ereditaria, anche a base infettiva o iatrogenica<br />

(Prusiner, 1998).<br />

I dettagli molecolari delle malattie da prioni rimangono<br />

ancora poco chiari, tuttavia l’utilizzo di modelli animali<br />

e cellulari ha portato negli ultimi 30 anni a un notevole<br />

contributo in questo settore.<br />

Rimangono ancora senza risposta questioni fondamentali<br />

quali:<br />

1. i meccanismi molecolari che portano all’accumulo<br />

Alzheimer: alla ricerca<br />

di nuove terapie<br />

di Simona Capsoni<br />

Fondazione EBRI - Rita Levi-Montalcini<br />

Laboratorio Fattori Neurotrofici e Malattie Neurodegenerative<br />

Nelle ultime decadi, la malattia di Alzheimer è<br />

emersa dall’oscurità. Considerata all’inizio<br />

come una malattia rara che colpisce la popolazione<br />

anziana, ora è diventata uno dei maggiori<br />

della forma patogenica e che regolano la tossicità di<br />

queste proteine;<br />

2. la relazione tra aggregazione proteica e tossicità;<br />

3. l’insorgenza delle malattie negli individui d’età avanzata;<br />

4. la relazione tra mutazioni puntiformi e malattia.<br />

Sebbene, la complessità di questi quesiti e dalla relativa<br />

ampiezza delle diverse discipline biologiche coinvolte<br />

per dare una risposta esauriente, il Laboratorio<br />

di Biologia dei Prioni ha intrapreso diverse linee di ricerca<br />

all’avanguardia per individuare essenzialmente<br />

tre aspetti fondamentali: il meccanismo molecolare e<br />

strutturale di replicazione dei prioni; interventi terapeutici<br />

efficaci per il trattamento delle varie malattie<br />

prioniche sia umane che animali; e nuovi saggi diagnostici<br />

altamente sensibili e specifici disegnati per<br />

poter individuare l’insorgenza della malattia a stadi<br />

molto precoci.<br />

Attualmente un totale di 8 studenti di corsi di PhD in<br />

Neuroscienze e Genomica, insieme a quattro Postodoctoral<br />

fellows, sono impegnati in queste ricerche<br />

che hanno subito portato i loro frutti. Infatti, diverse<br />

pubblicazioni scientifiche sono in via di realizzazione<br />

insieme all’aspetto importante di gestione di proprietà<br />

intellettuale derivante da queste ricerche, come brevetti<br />

su materiali e dispositivi ad alto contenuto tecnologico.<br />

■<br />

Prusiner SB. 2001. Shattuck lecture--neurodegenerative<br />

diseases and prions.<br />

N Engl J Med. 344:1516-1526.<br />

Spencer B, Rockenstein E, Crews L, Marr R, Masliah<br />

E. 2007.<br />

Novel strategies for Alzheimer’s disease treatment.<br />

Expert Opin Biol Ther. 7:1853-1867.<br />

Prusiner, SB. 1998. Prions. PNAS, 95: 13363-<br />

13383.<br />

problemi non ancora risolti della salute pubblica.<br />

Studi recenti condotti negli Stati Uniti hanno stimato<br />

che il numero delle persone colpite dalla malattia di<br />

Alzheimer sia compreso fra i 2.4 e i 4.5 milioni. Questi<br />

numeri sono tuttavia destinati a crescere, poiché nei<br />

prossimi 25 anni la popolazione che supererà il 65esimo<br />

anno di età è destinata a raddoppiare. La malattia<br />

ha un forte impatto sulla vita socioeconomica >>


12 sissa news FOCUS @ SISSA UNA VOLTA dicembre duemilaotto 13<br />

non solo dei pazienti, ma anche delle loro famiglie;<br />

durante il suo decorso, mentre le capacità dei pazienti<br />

di prendersi cura di se stessi diminuiscono,<br />

i membri della famiglia devono affrontare la difficoltà,<br />

spesso costose dal punto di vista economico<br />

ed emotivo, di prendere decisioni riguardanti la<br />

cura a lungo termine dei loro cari.<br />

Ma che cosa è il morbo di Alzheimer? La scoperta<br />

della malattia risale al 1906, quando il neurologo<br />

Alois Alzheimer descrisse il caso di una paziente<br />

di 51 anni, Auguste D., che mostrava un insieme di<br />

sintomi insoliti, caratterizzati da problemi di memoria<br />

e comprensione, inabilità nel linguaggio, disorientamento<br />

e allucinazioni. Dopo la morte di Auguste,<br />

il dott. Alzheimer analizzò il tessuto cerebrale,<br />

trovando quelle che sono ancora oggi considerate<br />

le caratteristiche neuropatologiche della malattia:<br />

formazioni interneuronali globulari, le cosiddette<br />

placche senili, e grovigli intracellulari (neurofibrillary<br />

tangles, NFT) all’interno dei neuroni. Ora sappiamo<br />

che le placche sono formate principalmente<br />

da depositi insolubili del peptide β amiloide e che<br />

le NFT all’interno dei neuroni sono costituiti principalmente<br />

dalla proteina tau.<br />

Durante il processo neurodegenerativo, la proteina<br />

precursore del peptide β amiloide, APP, viene frammentata<br />

da due enzimi, le β secretasi e γ secretasi,<br />

a formare il peptide β-amiloide che viene rilasciato<br />

nello spazio extracellulare, dove si aggrega a formare<br />

i cosiddetti oligomeri di β-amiloide. Questi<br />

oligomeri possono alterare la funzione delle cellule<br />

vicine e delle sinapsi neuronali e se non vengono<br />

eliminati dal tessuto cerebrale, si accumulano fino<br />

a formare fibrille di β-amiloide che costituiscono le<br />

placche senili.<br />

La proteina tau, la principale componente delle<br />

NFT, svolge, in condizioni normali, una funzione di<br />

stabilizzazione dei microtubuli, necessari per il trasporto<br />

di nutrienti e di vescicole che contengono i<br />

neurotrasmettitori necessari alla comunicazione fra<br />

le cellule. Nella malattia di Alzheimer, tau si trova in<br />

uno stato di iperfosforilazione e anziché stabilizzare<br />

i microtubuli, si aggrega a formare delle NFT. In<br />

questo modo, l’intero sistema di trasporto dei neuroni<br />

collassa, impedendo ai neuroni di comunicare<br />

fra loro. Questa mancanza di comunicazione porta<br />

a un danno neuronale tale da provocare la morte<br />

cellulare e l’atrofia di intere aree cerebrali.<br />

Pur avendo acquisito molte nozioni riguardo ai<br />

meccanismi che sono alla base della formazione<br />

delle placche e delle NFT, la vera causa di queste<br />

alterazioni non è nota. Solo nelle rare forme genetiche<br />

della malattia, è risaputo che mutazioni della<br />

proteina APP possono condurre alla formazione<br />

delle placche. La maggior parte dei pazienti soffre<br />

della forma sporadica della malattia, in cui è noto<br />

che i sintomi clinici e la formazione delle placche<br />

e delle NFT avvengono almeno 10-20 anni dopo<br />

l’inizio, silente, del processo degenerativo.<br />

I mezzi diagnostici e terapeutici disponibili permettono<br />

una diagnosi e un inizio della terapia<br />

nei pazienti in cui il processo degenerativo è già<br />

iniziato da anni, in modo silente e, ad oggi, non<br />

diagnosticabile. Mentre dal punto di vista diagnostico<br />

si aspetta approvazione da parte delle autorità<br />

competenti di metodi basati su alterazioni del<br />

cervello visibili tramite risonanza magnetica o PET<br />

che potrebbero aiutare nel formulare una diagnosi<br />

precoce, le terapie disponibili sono ancora quelle<br />

su base sintomatica approvate nei primi anni del<br />

2000.<br />

Tre dei quattro farmaci disponibili (donepezil, rivastigmina<br />

e galantamina), sono inibitori della acetilcolinesterasi<br />

e agiscono mantenendo alti i livelli<br />

di acetilcolina, un neurotrasmettitore coinvolto nei<br />

processi di mantenimento della memoria. Il quarto<br />

farmaco approvato è la memantina, un farmaco che<br />

regola i livelli di un altro neurotrasmettitore, il glutamato.<br />

Tutti questi farmaci curano o non bloccano<br />

la progressione della malattia. Recentemente, una<br />

revisione dei 59 trial clinici pubblicati su questi<br />

farmaci ha trovato che, nonostante una differenza<br />

statisticamente significativa nelle scale cognitive<br />

tra chi prende il farmaco e chi il placebo, in favore<br />

del farmaco, il miglioramento è clinicamente poco<br />

rilevante.<br />

La sperimentazione clinica di nuovi farmaci si può<br />

dividere in due grandi categorie: la sperimentazione<br />

basata sui vaccini che permettono la distruzione<br />

delle placche di β-amiloide, e quella fondata su farmaci<br />

sviluppati in base ai presunti meccanismi che<br />

potrebbero essere la causa primaria della formazione<br />

di placche e grovigli intracellulari. Mentre la<br />

sperimentazione clinica dei vaccini attivi e passivi<br />

contro β-amiloide ha dimostrato un scarso miglioramento<br />

clinico accompagnati, da effetti collaterali<br />

quali meningoencefalite, una speranza viene dalla<br />

sperimentazione dell’inibitore dell’acetilcolinesterasi<br />

e dei recettori del glutamato Dimebon e del<br />

Nerve Growth Factor, la proteina scoperta dal<br />

premio Nobel Rita Levi-Montalcini. In quest’ultimo<br />

caso, la prova di principio che collega la deprivazione<br />

di NGF alle alterazioni tipiche della malattia<br />

di Alzheimer è stata ottenuta in vitro e in vivo nei<br />

laboratori <strong>Sissa</strong> e Ebri del Prof. Cattaneo. Negli<br />

stessi laboratori sono in corso sperimentazioni per<br />

“trasformare” il NGF in un farmaco applicabile alla<br />

terapia della malattia.<br />

In conclusione, non si può dimenticare che il morbo<br />

di Alzheimer è un problema urgente della sanità<br />

pubblica; la sfida è continuare a costruire sulle recenti<br />

scoperte scientifiche, in modo tale da creare<br />

un futuro in cui la terapia e la prevenzione di questa<br />

terribile malattia siano una realtà. ■<br />

Simulare<br />

una cellula?<br />

Un sogno!<br />

Michele Parrinello: da Messina a Trieste per studiare<br />

il comportamento microscopico di atomi e elettroni<br />

di Francesca Iannelli<br />

«Arrivai alla <strong>Sissa</strong> agli inizi degli anni Ottanta chiamato<br />

da Erio Tosatti» racconta Michele Parrinello, professore<br />

di scienze computazionali al Politecnico federale di<br />

Zurigo (Eth). Insieme a me arrivò anche MarioTosi. Robert<br />

Car, invece, ci raggiunse qualche anno più tardi».<br />

Il professor Parrinello, noto al mondo scientifico per<br />

aver contribuito allo sviluppo delle simulazioni numeriche<br />

con il modello di dinamica molecolare “Car - Parrinello”,<br />

è tornato a Trieste in occasione della cerimonia<br />

del trentennale della Scuola, durante la quale è stato<br />

insignito del PhD honoris causa in Fisica statistica e<br />

biologica. «La mia vita è stata molto movimentata, mi<br />

sono sempre spostato molto, forse troppo! - continua<br />

il professore -. Da Messina a Bologna e poi ancora<br />

Messina e Trieste, senza contare i numerosi viaggi per<br />

partecipare a seminari e conferenze».<br />

Erano i primi anni di vita della Scuola, il professor<br />

Tosatti stava mettendo insieme un gruppo<br />

che si occupasse di materia condensata. In <strong>Sissa</strong><br />

c’era un gran fermento di idee. Cosa ha rappresentato<br />

quell’esperienza per lei?<br />

È stata veramente determinante sia a livello scientifico<br />

che culturale, un mix che ha permesso al gruppo di<br />

raggiungere i risultati ottenuti. L’atmosfera che si respirava<br />

in quel periodo era unica: c’era una grandissima<br />

libertà di ricerca, libertà di focalizzarsi su qualsiasi<br />

argomento, una grande solidarietà e un proficuo scambio<br />

di informazioni. In sostanza c’era un clima nuovo,<br />

pieno di entusiasmo, di voglia di fare e di costruire.<br />

È proprio a Trieste, alla <strong>Sissa</strong>, che nel 1985 lei,<br />

insieme a Roberto Car, elabora il metodo di simulazione<br />

di dinamica molecolare denominato,<br />

appunto “Car – Parrinello”. Ma in cosa consiste<br />

questo metodo?<br />

Non è semplice da spiegare in poche parole. È lo strumento<br />

che per la prima volta ha permesso di studiare<br />

con il computer il comportamento microscopico degli<br />

atomi e degli elettroni. Attraverso questo metodo si<br />

possono studiare le reazioni chimiche, il funzionamento<br />

delle molecole biologiche e tutta una serie di fenomeni<br />

che indagare in laboratorio è molto difficile, ma<br />

che al pc si possono osservare in grande dettaglio. È<br />

■ Michele<br />

Parrinello<br />

(foto<br />

di Giovanni<br />

Montenero)<br />

come se uno avesse un microscopico in grado di vedere<br />

con un’accuratezza assolutamente fantastica.<br />

Dopo aver ottenuto quell’importante risultato,<br />

di cosa si è occupato?<br />

Da allora quello che ho fatto è applicare a una varietà<br />

di campi il metodo e poi perfezionarlo perché,<br />

come tutte le cose, questo metodo ha i suoi limiti. Il<br />

mio sforzo, come quello di molti altri, è di perfezionare<br />

questo strumento, renderlo sempre più potente, accurato<br />

e capace di descrivere fenomeni sempre più<br />

complicati.<br />

C’è un particolare traguardo che le piacerebbe<br />

raggiungere?<br />

Non è una risposta semplice da dare. Ci sono alcuni<br />

problemi tecnici molto difficili che mi piacerebbe risolvere,<br />

come ad esempio lo studio dei fermioni col<br />

segno meno. Un altro traguardo che mi piacerebbe<br />

raggiungere, fra tanti, è riuscire a simulare il funzionamento<br />

di una cellula. Attualmente siamo in grado<br />

di vedere come funziona una singola proteina, come<br />

interagiscono due proteine, ma non tutto il sistema<br />

complesso. Devo ammettere, però, che quasi sicuramente<br />

non riuscirò a vederlo realizzato nell’arco della<br />

mia carriera scientifica.<br />

In conclusione una battuta sull’annoso problema<br />

della ricerca italiana, che come risaputo, non<br />

naviga certo in buone acque. I giovani ricercatori<br />

si trovano a dover affrontare una situazione<br />

non certo facile senza garanzie per il futuro.<br />

Il problema principale della ricerca in Italia non credo<br />

sia quello dei soldi, o almeno non solo quello. La <strong>Sissa</strong><br />

rappresenta un’eccellenza, quasi un’eccezione nel<br />

panorama italiano, non tutti i posti, però sono così.<br />

Ci vorrebbe un sistema meritocratico che premiasse<br />

il merito e che desse fiducia ai giovani. Mi sembra veramente<br />

assurdo che la gente resti parcheggiata anni<br />

e anni all’università in attesa di un lavoro. In altri posti,<br />

anche in Paesi molto simili ai nostri come mentalità, un<br />

esempio è la Spagna, si dà molta più fiducia ai giovani.<br />

È il sistema universitario che non funziona e questo<br />

crea un clima stagnante. Accade così che l’Italia si<br />

trovi in una situazione in cui i giovani cervelli emigrano<br />

senza essere, poi, “rimpiazzati”. E ciò non fa ben sperare<br />

per il futuro del nostro Paese. ■


14 sissa news GLI STUDENTI RACCONTANO<br />

WORK LA STANZA IN PROGRESS DEI PHD dicembre duemilaotto 15<br />

Thank you <strong>Sissa</strong>!<br />

di Luca Philippe Mertens<br />

Discorso tenuto dall’ex-rappresentante degli studenti in occasione<br />

della cerimonia del trentennale della Scuola.<br />

È un onore per me rivolgermi a voi in qualità di rappresentante<br />

degli studenti della <strong>Sissa</strong>. Il mio intento era quello di raccontare<br />

qualcosa su come noi studenti viviamo l’esperienza della<br />

<strong>Sissa</strong>. Avrei potuto descrivervi l’opportunità che sentiamo di<br />

vivere nel poter lavorare quotidianamente a fianco di professori<br />

di indiscusso talento. Avrei potuto parlare della consapevolezza<br />

dell’unicità dell’ambiente internazionale che la <strong>Sissa</strong><br />

ci offre, fondamentale per incrementare la nostra esperienza<br />

e il network di contatti così essenziali per perseguire una carriera<br />

scientifica. Ma tutto questo non parla dell’emozione che<br />

si prova a essere uno studente della <strong>Sissa</strong>.<br />

Alle vostre orecchie, l’opportunità e la consapevolezza dell’eccellenza<br />

suonano come una realtà di cui siete già consapevoli.<br />

Cosa si può raccontare allora a una platea di persone<br />

riunite per celebrare trent’anni di eccellenza internazionale,<br />

trent’anni “fatti” di persone che ammiriamo, in quanto ognuna<br />

delle quali è passata attraverso queste aule dando a questa<br />

organizzazione la propria scintilla di genio, di perseveranza<br />

e di creatività? Ciò che voglio dire credo sia un pensiero<br />

condiviso da tutti gli studenti: sono qui oggi per dire grazie.<br />

Grazie per la professionalità, la volontà e la cura che avete<br />

messo e che continuate a mettere ogni giorno in questa istituzione.<br />

Grazie per averci permesso di imparare le cose che<br />

amiamo (sebbene talvolta lungo il tortuoso percorso di un<br />

PhD, ci si possa dimenticare che è questo il primo motivo<br />

che ci ha portati qui). Vi ringraziamo perché siamo fieri di far<br />

parte di una tradizione di eccellenza.<br />

Certo non posso nascondere che ci sono alcune cose che<br />

preoccupano gli studenti: gli studenti italiani, come pure<br />

quelli stranieri, sono preoccupati per il futuro dell’università<br />

nel nostro Paese. In particolare, quelli tra noi che si augurano<br />

di tornare un giorno, sono preoccupati per il loro futuro. Noi<br />

pensiamo che la <strong>Sissa</strong> non sia solo una scuola internazionale,<br />

ma sia anche un centro di incontro e scambio all’interno<br />

del network delle università italiane. Dimostrazione di quanto<br />

■ Foto di<br />

Giovanni Montenero<br />

detto è la presenza nella Scuola non solo di persone che<br />

arrivano da tutte le parti del mondo, ma anche di giovani provenienti<br />

da tutta Italia.<br />

L’eccellenza della <strong>Sissa</strong> ha le sue radici anche in questa diversità,<br />

in un mosaico di esperienze e aspettative che arrivano<br />

qui ogni anno per dare vita a un unico corpo. Qualcuno ha<br />

descritto la <strong>Sissa</strong> come una torre d’avorio, quasi essa fosse<br />

un’entità disgiunta dal sistema universitario del Paese. Queste<br />

persone dovrebbero comprendere che i “mattoni” che<br />

compongono quella torre provengono da tutte le varie realtà<br />

del Paese, ed è precisamente in questo senso che noi sentiamo<br />

di rappresentare la ricerca italiana. Ampliando i nostri<br />

orizzonti, devo ammettere che siamo preoccupati anche dalla<br />

sfida dell’internazionalità; noi eravamo qui, quasi un anno fa,<br />

per denunciare una situazione di difficoltà. Mi sto riferendo ai<br />

problemi che gli studenti provenienti da paesi esterni all’Unione<br />

Europea devono affrontare quotidianamente per ottenere<br />

il permesso di soggiorno e svolgere serenamente la loro attività<br />

di ricerca. Riconosco che la <strong>Sissa</strong>, assieme alle istituzioni<br />

locali, ha fatto del suo meglio per muoversi in questa<br />

direzione, ma ancora molto deve essere fatto. Credo che tutti<br />

siano d’accordo con me nel sostenere che un paese civile<br />

non possa limitare la libertà di un individuo a causa dell’inefficienza<br />

burocratica. Non è solo questione di permettere a una<br />

persona di fare il suo lavoro senza limitazioni penalizzanti, è<br />

prima di tutto una questione di rispetto.<br />

Credo sia arrivato il momento di concludere il mio discorso,<br />

lasciatemi solo aggiungere un’osservazione personale.<br />

Ci sono molte persone, fra gli studenti, i docenti e lo staff<br />

amministrativo a cui vorrei rivolgere i miei più sentiti e personali<br />

ringraziamenti. Purtroppo non posso elencare tutti i loro<br />

nomi adesso, mi limiterò a menzionare il Professor Fantoni,<br />

per averci dato la possibilità di esprimere il nostro punto di vista<br />

oggi; vorrei infine rivolgere un grazie speciale a Carmelo<br />

Evoli e Nicola Bassan che hanno condiviso il loro tempo con<br />

me nello sforzo di stilare un unico punto di vista comune dalle<br />

molteplici, diverse e uniche prospettive dei 241 studenti<br />

che attualmente fanno il loro dottorato qui alla <strong>Sissa</strong>. ■<br />

Il Flusso<br />

di Ricci<br />

di Annibale Magni<br />

Settore di Fisica Matematica, <strong>Sissa</strong><br />

Mi è capitato di sentir dire che il lavoro del matematico<br />

può essere paragonato a quello di una persona<br />

che, trovandosi in una stanza buia, debba inventarsi<br />

qualche strategia per conoscere l’ambiente che<br />

la circonda. A mio parere, il paragone è abbastanza<br />

azzeccato: spesso chi si occupa di matematica deve<br />

studiare oggetti dei quali non può avere una visione<br />

globale immediata, per comprendere i quali necessita<br />

di strumenti indiretti che riescano a mettere in luce<br />

alcune delle caratteristiche fondamentali.<br />

Credo che l’Analisi geometrica si presti molto bene a<br />

illustrare questo aspetto peculiare della ricerca matematica.<br />

Iniziamo con un esempio: supponiamo di voler<br />

studiare nei dettagli la forma di un bicchiere di vetro<br />

realizzato con un materiale tanto trasparente da non<br />

essere visibile ai nostri occhi. Per risolvere questo problema,<br />

potremmo cercare di afferrare alla meno peggio<br />

il bicchiere, riempirlo d’acqua e lasciar cadere in<br />

essa qualche goccia di inchiostro scuro. Se aspettiamo<br />

per un tempo sufficientemente lungo, l’inchiostro<br />

tenderà a distribuirsi in modo uniforme all’interno del<br />

bicchiere, rivelandone così la forma in ogni dettaglio.<br />

Da un punto di vista più astratto, si potrebbe dire che<br />

per studiare una caratteristica inaccessibile di un dato<br />

oggetto (la forma del bicchiere), lo abbiamo dotato di<br />

una sovrastruttura (l’acqua con le gocce di inchiostro)<br />

che naturalmente evolvesse verso una sovrastruttura<br />

“speciale” (l’acqua con l’inchiostro uniformemente distribuito)<br />

in grado di mettere in luce la caratteristica<br />

alla quale eravamo interessati. Questo procedimento<br />

è utilizzato con grande successo in matematica, dove<br />

l’oggetto di studio è la “forma” di oggetti geometrici<br />

a più dimensioni che sfuggono a qualsiasi tentativo<br />

di visualizzazione: le varietà differenziabili. L’Analisi<br />

geometrica è quella branca della matematica che si<br />

occupa principalmente della possibilità assegnare<br />

alle varietà differenziabili (oggetti geometrici) delle<br />

sovrastrutture (oggetti analitici) che evolute opportunamente<br />

diventino “speciali”, cioè rivelatrici della forma<br />

delle varietà differenziabili in esame.<br />

Uno dei metodi che negli ultimi anni sì è rivelato efficace<br />

in Analisi geometrica è il cosiddetto Flusso<br />

di Ricci. Inventato dal matematico Richard Hamilton<br />

negli anni ‘80, il metodo consiste nell’introdurre una<br />

nozione di distanza tra i punti dell’oggetto geometrico<br />

che si sta studiando e nel fare evolvere nel tempo<br />

questa distanza in modo che, trascorso un tempo suf-<br />

■ Una rappresentazione della sfera<br />

tridmensionale: la fibrazione di Hopf<br />

(immagine tratta da www.math.toronto.edu)<br />

ficientemente lungo, le distanze reciproche tra i vari<br />

punti abbiano assunto dei valori tanto particolari da<br />

rendere evidente la forma dell’oggetto. Questo approccio<br />

allo studio della forma delle varietà differenziabili<br />

ha permesso a Grigori Perelman di dimostrare,<br />

nel 2003, una delle congetture più importanti della<br />

matematica contemporanea, la cosiddetta Congettura<br />

di Thurston, secondo la quale ogni varietà differenziabile<br />

tridimensionale si può decomporre in modo<br />

opportuno in più pezzi, ciascuno dei quali è dotato di<br />

una nozione di distanza avente elevate proprietà di<br />

simmetria.<br />

La ricerca di cui mi sto attualmente occupando prende<br />

in esame l’analisi delle singolarità per il flusso<br />

di Ricci. Il flusso viene detto singolare se esiste un<br />

istante in cui non è più possibile continuare a fare<br />

evolvere le distanze. L’esistenza di tali ostruzioni alla<br />

prosecuzione del flusso, sebbene in un primo momento<br />

possa sembrare un fenomeno “indesiderato”,<br />

è in realtà uno degli strumenti più importanti per lo<br />

studio della struttura delle varietà differenziabili: lo<br />

svilupparsi delle singolarità è in un certo senso indipendente<br />

dall’assegnazione delle distanze tra i punti<br />

all’istante iniziale. Le regioni dove si sviluppano le<br />

ostruzioni alla continuazione del flusso si distinguono<br />

per avere una curvatura molto più elevata rispetto al<br />

resto della varietà: tale caratteristica permette, in alcuni<br />

casi, di dare una descrizione della loro forma in<br />

termini abbastanza precisi. Dopo i fondamentali lavori<br />

di Perelman, la struttura delle regioni singolari per le<br />

varietà differenziabili di dimensione tridimensionali è<br />

stata compresa a fondo; tuttavia, l’analisi delle singolarità<br />

in dimensione superiore a tre rimane tuttora una<br />

sfida aperta. ■


16 sissa news dicembre duemilaotto 17<br />

STORIA DELLA SCIENZA<br />

Chandra:<br />

il viaggio<br />

di una stella<br />

di Giuseppe Mussardo<br />

Settore di Teoria delle Particelle Elementari, <strong>Sissa</strong><br />

La mattina del 31 luglio 1930, all’imbarcadero di Bombay<br />

della P&O, Peninsular and Oriental Lines, vi era la confusione<br />

solita di tutte le partenze: facchini che caricavano<br />

bagagli e grandi casse, funzionari portuali impegnati a<br />

dare le ultime disposizioni; marinai su e giù dai pontili tra<br />

corde e sartie. I turisti si riconoscevano dall’ammirazione<br />

con cui guardavano la Gateway of India, considerata la<br />

quintessenza dell’India coloniale, un monumento costruito<br />

dagli inglesi negli anni Venti per simboleggiare la loro<br />

entrata nel Raj ma che presto, invece, ne avrebbe testimoniato<br />

solo la loro malinconica uscita. Fino a qualche<br />

ora prima, la pioggia portata dal monsone aveva spazzato<br />

le banchine con raffiche furiose, ma era poi ritornato<br />

il caldo, un caldo soffocante; per l’umidità i vestiti<br />

erano bagnati e incollati al corpo, fino a diventare quasi<br />

trasparenti. Vicino al pontile del bastimento a vapore,<br />

La Valigia delle Indie del Lloyd Triestino, facente rotta<br />

da Bombay a Venezia, si era radunata una piccola folla<br />

di persone, composta da parenti e amici, venuti a salutare<br />

un ragazzo che si imbarcava alla volta dell’Europa.<br />

Minuto, scurissimo - di fatto nero - con il naso largo, la<br />

bocca carnosa e i lucidi capelli neri che gli incorniciavano<br />

la fronte, quel giovane indiano aveva il portamento<br />

dignitoso di un bramino e una serietà inconsueta per la<br />

sua età. Lo sguardo era velato da un’aria di tristezza; in<br />

quella calca di baci e abbracci di amici, fratelli e parenti,<br />

mancava l’abbraccio più importante, quello della madre,<br />

la persona che più lo aveva incoraggiato a intraprendere<br />

quel viaggio verso l’Inghilterra e verso il tempio della scienza<br />

rappresentato dal College di Cambridge. Sapeva<br />

che, partendo, non l’avrebbe più rivista; la madre era a<br />

casa, stesa in un letto, seriamente malata. La nave lasciò<br />

infine la banchina, la silhouette del grande albergo coloniale<br />

Taj Mahal e tutta Bombay divennero presto un punto<br />

all’orizzonte. Quella traversata tra le acque dell’Oceano<br />

Indiano, il Mare Arabico, il Canale di Suez e il Mediterraneo,<br />

cambiò il corso dell’astrofisica. Quel viaggio cambiò<br />

per sempre anche la vita di quel ragazzo: il suo nome<br />

era Subrahmanyan Chandrasehkar, noto universalmente<br />

come Chandra.<br />

Chandra nacque il 10 ottobre 1910 a Lahore. Come<br />

primo maschio della famiglia, gli fu assegnato il nome del<br />

nonno, Chandrasekhar, che in sanscrito vuol dire “luna”.<br />

Lahore, città al nord del continente indiano, è il luogo dove<br />

■ Il giovane<br />

Chandra (disegno<br />

di G. Mussardo)<br />

visse Kipling e dove vi ambientò il famoso romanzo Kim.<br />

Per i suoi favolosi giardini e i fastosi monumenti dell’era<br />

Moghul, era un luogo molto distante, sia geograficamente<br />

che culturalmente, dalla regione tamil del sud-est<br />

dell’India, luogo d’origine della famiglia di Chandrasekhar.<br />

Il padre Ayyar, un contabile dell’amministrazione coloniale<br />

britannica, era costretto spesso a muoversi per<br />

lavoro e, all’epoca della nascita di Chandra, si trovava<br />

a Lahore con la famiglia per conto della compagnia ferroviaria<br />

dell’India del nord-overst. All’epoca coloniale,<br />

entrare nell’amministrazione pubblica britannica era<br />

una meta molto ambita per gli indiani, sia per le interessanti<br />

prospettive di carriera che per la garanzia di una<br />

certa agiatezza. Il padre di Chandrasekhar seguì questa<br />

strada, lavorando duramente tutta la vita per assicurare<br />

il benessere alla sua famiglia. Per il resto, era un tipico<br />

padre indiano dei suoi tempi, autoritario e avaro di gesti<br />

affettuosi verso i figli: alle figlie assegnò i mariti, ai maschi<br />

le professioni. Il suo grande desiderio, in particolare,<br />

era che il primo figlio maschio seguisse la sua strada e<br />

trovasse un impiego nell’amministrazione coloniale. Gli<br />

interessi del giovane Chandra erano però molto diversi,<br />

influenzato in questo dalla madre, Sitalakshmi, una donna<br />

dal carattere aperto e solare. A Chandra disse semplicemente:<br />

«Non ascoltare tuo padre, non farti intimidire, devi<br />

fare solo quello che ti piace fare».<br />

A Chandra di trovare un posto statale nella grande macchina<br />

coloniale dell’Impero Britannico non interessava<br />

per niente, a lui piaceva molto di più la matematica. Difatti,<br />

i genitori si resero conto subito di avere a che fare con<br />

un ragazzo estremamente sveglio e intelligente. Al Presidency<br />

College divenne presto famoso per la sua bravura<br />

nelle discipline scientifiche: assimilava con grande facilità<br />

libri di fisica e di matematica, e già alla prima lettura,<br />

era capace di riprodurre tutti i risultati e di esporli con<br />

grande maestria. Il suo idolo era Srinivasa Ramanujan, il<br />

grande matematico, il primo indiano a essere eletto Fellow<br />

della Royal Society. Chandra aveva sentito parlare di<br />

Ramanjuan dalla madre e dallo zio, il fratello del padre, il<br />

famoso fisico indiano Raman, premio Nobel in fisica nel<br />

1930. Entrambi ne parlavano con grande orgoglio e quei<br />

commenti di grande ammirazione rimasero impressi per<br />

sempre nella memoria di Chandra. La sua massima aspirazione<br />

era quello di seguirne i passi, di diventare come<br />

lui un grande matematico. Ma il padre non ne volle sapere,<br />

secondo lui con la matematica non si andava molto<br />

lontano, se proprio voleva proseguire negli studi scientifici,<br />

molto meglio la fisica, come lo zio Raman, che aveva<br />

avuto una carriera strepitosa.<br />

In effetti, la scienza indiana, e più in generale, tutta la cultura<br />

indiana nelle sue espressioni artistiche e letterarie,<br />

conosceva negli anni ‘20 un momento di grande splendore.<br />

Mentre Mahatma Gandhi, Jawahartal Nehru, Sardar<br />

Vallabhal Patel e altri leader politici erano diventati rapidamente<br />

nomi famosi nel continente indiano, c’erano anche<br />

uomini di scienza, come Srinivasa Ramanujan, Meghanad<br />

Saha, Satyendra Nath Bose e Raman, che per i loro successi<br />

scientifici erano riusciti a catturare l’immaginazione<br />

dei giovani indiani cresciuti nei college. Il loro riconoscimento<br />

da parte dei britannici, e più in generale del mondo<br />

occidentale, era fonte di ispirazione e di orgoglio per<br />

milioni di indiani: una forma come un’altra di riscattarsi<br />

dalla dominazione britannica e affermare con orgoglio<br />

le proprie capacità. Anche Chandra, per la sua bravura,<br />

■ Nebulosa di Orione<br />

(toto tratta da http://flickr.com/photos/zamb0ni<br />

- Licenza Creative Commons 2.0 By-NC-SA)<br />

ebbe la sua chance: a vent’anni vinse una borsa di studio<br />

per andare a studiare a Cambridge. Si coronava per<br />

lui un grande sogno, quello di andare a lavorare con il<br />

grande astronomo Sir Arthur Stanley Eddington, l’autore<br />

di The Internal Costitution of the Stars, libro che aveva<br />

avuto in regalo dallo zio Raman e che aveva letteralmente<br />

divorato.<br />

Anche se ci sembrano eterne, le stelle sono ciononostante<br />

mortali; come ogni altra cosa al mondo, esse nascono,<br />

vivono e poi muoiono. A secondo della massa, la nascita<br />

di una stella può richiedere migliaia o milioni di anni,<br />

un tempo che può sembrare lungo ma pur sempre un<br />

battito di ciglia nella scala dell’Universo. Gli incubatori<br />

stellari sono le gelide regioni delle nebulose stellari, la<br />

Nebulosa di Orione, la spettacolare Nebulosa dell’Aquila<br />

o l’impressionante Grande Nube di Magellano, composte<br />

dal gas più semplice e abbondante dell’Universo:<br />

l’idrogeno. Collidendo accidentalmente, le particelle gassose<br />

di queste nebulose possono accumularsi intorno<br />

a un nocciolo iniziale. Quando la concentrazione degli<br />

atomi diviene così densa che la temperatura raggiunge<br />

milioni di gradi, hanno inizio le reazioni nucleari e la stella<br />

può quindi affacciarsi alla vita. Quanto essa poi vivrà e<br />

come morirà, anche questo dipende poi solo dalla massa:<br />

la stragrande maggioranza delle stelle della Via Lattea<br />

è più fredda, più piccola e meno luminosa del nostro Sole<br />

e vivrà miliardi di anni, diventando alla fine delle nane bianche.<br />

Ma per stelle di massa più grande di quella del<br />

Sole, circa 1.4 volte più grandi, il destino è molto diverso.<br />

Stelle simili hanno, verso la fine della loro vita, una densità<br />

terrificante e, in questo caso, la gravità può arrivare<br />

a vincere contro ogni altra forza, portando la stella a >>


18 sissa news STORIA DELLA SCIENZA<br />

LA STANZA DEI PHD dicembre duemilaotto 19<br />

un completo collasso. Per masse molto elevate, può anche<br />

crearsi un buco nero, ovvero una cavità dello spaziotempo<br />

in cui riposa quel che resta di una stella ormai<br />

morta. Per decenni gli scienziati hanno respinto questa<br />

idea considerandola una pura stramberia, un’eccentricità<br />

che di fatto non poteva esistere: la natura avrebbe proibito<br />

tale assurdità – esclamava Sir Arthur Eddington<br />

– poichè appariva una brutta soluzione per la più bella<br />

teoria mai creata, quella della relatività generale di Albert<br />

Einstein. Ma oggi giorno sappiamo che l’Universo è pieno<br />

di questi mostri cosmici e che uno di questi – gigantesco<br />

– è situato proprio al centro della nostra galassia.<br />

Per una nana bianca esiste quindi un limite superiore alla<br />

sua massa, al di sopra del quale c’è solo il baratro gravitazionale:<br />

l’esistenza di tale valore (1.4 volte la massa del<br />

Sole), noto come massa limite di Chandrasehkar, fu la<br />

straordinaria scoperta che ebbe luogo nelle cabine della<br />

Valigia delle Indie in navigazione verso l’Europa.<br />

Lasciata Bombay, la Valigia delle Indie fece scalo a Porto<br />

Said e poi ad Aden. Il grande mare arabico mandava riflessi<br />

meravigliosi, gli stessi che avevano ispirato lo zio<br />

Raman nella sua grande scoperta che gli aveva fruttato<br />

il Nobel. Chandra sognava anche lui di fare una scoperta<br />

sensazionale, di diventare famoso, di ritornare in India<br />

come un grande scienziato. Una folla di pensieri e<br />

di emozioni gli riempivano la testa, per distrarsi pensò<br />

che non c’era niente di meglio che dedicarsi alla fisica.<br />

Aveva con lui l’articolo che aveva scritto a Madras, dove<br />

aveva sviluppato la teoria di Fowler delle nane bianche.<br />

Fowler, usando le nuove leggi della meccanica statistica<br />

di Fermi e Dirac, era riuscito a demistificare un annoso<br />

paradosso riguardo la densità straordinaria delle nane<br />

bianche e Chandra voleva ora ottenere una descrizione<br />

migliore di cosa accadeva in queste stelle. Una delle<br />

sue prime conclusioni fu che la densità al centro della<br />

stella era sei volte maggiore della loro densità media. Di<br />

colpo, gli venne in mente una domanda fondamentale:<br />

se la densità al centro è così alta, è possible che si debbano<br />

considerare anche gli effetti relativistici? Il punto,<br />

secondo la statistica di Fermi-Dirac e il principio di Pauli,<br />

è che due elettroni non possono mai occupare lo stesso<br />

stato. Quindi, avendo un certo numero di elettroni, essi<br />

tendono a riempire tutti i livelli disponibili, e quelli con<br />

momento più alto, hanno energia di gran lunga più alta<br />

della loro massa a riposo. In questo caso è necessario<br />

ricorrere alle leggi della relatività speciale di Einstein<br />

per la loro corretta descrizione. Eccitatissimo da questa<br />

scoperta, Chandra si mise subito al lavoro e, con sua<br />

grande sorpresa, scoprì che c’era qualcosa di assolutamente<br />

sorprendente.<br />

Se i suoi calcoli erano corretti, c’era un limite sulla massa<br />

di una stella che le consente di evolvere in una nana bianca.<br />

Se la massa della stella era troppo grande, non<br />

poteva diventare una nana bianca, poichè la teoria di<br />

Fowler avrebbe predetto in questo caso un valore negativo<br />

per il suo raggio! Il valore limite della massa, d’altro<br />

canto, era espresso in termini di costanti fondamentali<br />

della fisica e del peso molecolare medio della stella.<br />

Chandra fu affascinato da questo risultato, riuscire a tro-<br />

vare un valore limite della massa di una stella in termini<br />

di costanti fondamentali! Affascinato ma confuso: cosa<br />

sarebbe successo se la stella avesse avuto una massa<br />

più grande di questo limite? La stella sarebbe sparita nel<br />

nulla, inghiottita dalla sua stessa forza di gravità? L’idea,<br />

come Chandra scoprì anni dopo sulla propria pelle, era<br />

non solo rivoluzionaria ma addirittura eretica.<br />

Giunto a Cambridge, trascorse i quattro anni successive<br />

immerso nel lavoro di PhD. Entrò anche in contatto con<br />

i gotha della fisica dell’epoca, i vari Dirac, Bohr, Born.<br />

Fu solo nel 1934 che Chandra ebbe modo di ritornare<br />

a esaminare il problema delle nane bianche, raffinando<br />

i calcoli fatti quattro anni prima sulla nave e ricevendo<br />

quello che considerò, all’epoca, un incoraggiamento niente<br />

di meno che dallo stesso Eddington. Il vecchio astronomo<br />

si fermava spesso a parlare con lui e gli fece<br />

anche avere quello che era una vera lussuria per il tempo,<br />

una macchina calcolatrice. La realtà era però molto diversa:<br />

Eddington era infatti convinto che Chandra stava<br />

prendendo una grossa cantonata, fatto che divenne abbondantemente<br />

chiaro nell’incontro che ebbe luogo l’11<br />

Gennaio 1935 alla Royal Astronomical Society. «L’idea<br />

del Dr. Chandrasehkar che una stella debba contrarsi<br />

all’infinito è una buffonata cosmica. Penso che ci debba<br />

essere una legge della Natura che impedisca a una stella<br />

di comportarsi in un modo così assurdo», proclamò Eddington<br />

nella relazione finale della conferenza. Il colpo fu<br />

devastante. Chandra sapeva che era stato ridicolizzato<br />

pubblicamente dall’astronomo più rispettato dell’epoca.<br />

E non fu neanche l’unica volta che questo accadde. Intorno<br />

a Chandra si creò il vuoto, e negli anni successivi<br />

non vi fu nessuno scienziato che pubblicamente spese<br />

una parola a suo favore. In una lettera al padre del 1940<br />

scrisse «Sento che tutti gli astronomi, senza alcuna eccezione,<br />

pensano che io sia in torto. Che sia una specie<br />

di Don Quixote che cerca di azzoppare Eddington. Èuna<br />

esperienza molto scoraggiante. L’unica alternativa è quella<br />

di cambiare campo di ricerca».<br />

Insieme alle nane bianche, Chandra si lasciò alle spalle<br />

anche l’Impero Britannico. Emigrò negli Stati Uniti nel<br />

1936, accettando un posto di professore presso The<br />

Yerkes Observatory, vicino Chicago. I suoi calcoli erano<br />

però corretti. La sorda e baronale opposizione di Eddington,<br />

per certi versi inspiegabile, ebbe l’effetto di rallentare<br />

per decenni il progresso dell’astrofisica. Quando Chandra<br />

vinse il premio Nobel nel 1983, erano infatti passati<br />

più di cinquant’anni dalla scoperta fatta nella cabina della<br />

Valigia delle Indie. Di quel giovane ventenne, pieno di<br />

sogni e di speranze, rimaneva solo la maliconia del suo<br />

sguardo. ■<br />

Nei primi mesi del 2009, in occasione dell’anno internazionale<br />

dell’Astronomia, è in uscita, in formato DVD,<br />

il film/documentario Chandra. Il viaggio di una stella<br />

di Giuseppe Mussardo ed Enrico Apagito, Media-Scienza,<br />

prodotto con fondi del Laboratorio Interdisciplinare<br />

della <strong>Sissa</strong>, dell’International Centre of Theoretical<br />

Physics e del Consorzio della Fisica di Trieste.<br />

Simulazione numerica, resistenza<br />

batterica e materia oscura<br />

In questa rubrica <strong>Sissa</strong>News presenta alcune delle tesi recentemente difese<br />

dagli studenti di PhD e del Master in Comunicazione della Scienza della <strong>Sissa</strong><br />

ANALISI FUNZIONA<strong>LE</strong><br />

Tecniche variazionali applicate alla simulazione<br />

numerica di traiettorie di dinamica molecolare e<br />

ai fenomeni di capillarità su superfici rugose<br />

Tesi: Alessandro Turco (turco@sissa.it)<br />

Relatore: Antonio DeSimone (desimone@sissa.it)<br />

La tesi si occupa di metodi matematici (variazionali) per<br />

migliorare le tecniche di simulazione numerica di alcuni<br />

fenomeni fisici come ad esempio le proprietà di wetting<br />

di superfici rugose. L’obiettivo è poter confrontare i risultati<br />

ottenuti al computer con osservazioni sperimentali.<br />

Questo richiede piattaforme di calcolo ad alte prestazioni,<br />

come quelle ottimamente gestite da <strong>Sissa</strong>-Democritos,<br />

ma anche idee matematiche valide e mirate. La<br />

proposta di modelli phase field applicati ai fenomeni di<br />

capillarità va in questa direzione. Il confine fra goccia e<br />

aria non viene visto come una superficie bidimensionale:<br />

assegnandogli uno spessore, che può essere arbitrariamente<br />

ridotto, si ottimizzano le risorse di calcolo.<br />

La teoria garantisce che la situazione limite di spessore<br />

FISICA STATISTICA E BIOLOGICA<br />

Metallo-β-lattamasi (MβL): studi computazionali<br />

della reattività enzimatica<br />

Tesi: Fabio Simona (fsmona@sissa.it)<br />

Relatore: Paolo Carloni (carloni@sissa.it)<br />

La resistenza batterica agli antibiotici sta diventando<br />

un serio problema in ambito medico.<br />

Il principale meccanismo in grado di inattivare<br />

gli antibiotici è la produzione di enzimi<br />

chiamati MβL.<br />

Fondamentale per lo sviluppo di nuovi farmaci<br />

inibitori è comprendere il funzionamento<br />

molecolare di tale processo. Grazie<br />

all’utilizzo di tecniche di simulazione di dinamica<br />

molecolare miste (QM/MM), abbiamo<br />

studiato la reazione chimica di un enzima<br />

rappresentativo della famiglia di queste proteine,<br />

evidenziando aspetti della reazione<br />

comuni ad altre MβL rappresentative, che<br />

possono essere sfruttati come target di inibitori<br />

generici, di tutte le MβL.<br />

■ Simulazione numerica di una goccia d’acqua<br />

in equilibrio su di una superficie rugosa<br />

nullo corrisponde al problema originale. Le simulazioni,<br />

nel caso per esempio della goccia su un piano inclinato,<br />

hanno un’ottima corrispondenza con i dati sperimentali.<br />

TEORIA DEL<strong>LE</strong> PARTICEL<strong>LE</strong> E<strong>LE</strong>MENTARI<br />

WIMPs come candidati di materia oscura: segnali multifrequenza<br />

e scenari in extra-dimensioni<br />

Tesi: Marco Regis (regis@sissa.it)<br />

Relatore: Piero Ullio (ullio@sissa.it)<br />

Numerose anomalie gravitazionali, osservate su scale galattica,<br />

di cluster di galassie e cosmologica, trovano una spiegazione se<br />

si postula l’esistenza di una forma di materia, nota come materia<br />

oscura. L’aggettivo oscura deriva dal suo carattere elusivo che l’ha<br />

resa finora sfuggente all’occhio dei telescopi, indice di una debolissima<br />

interazione elettromagnetica. Particelle neutre, massive e<br />

debolmente interagenti, denominate WIMPs, sono tra i principali<br />

candidati alla spiegazione della sua natura.<br />

Nella tesi viene esaminata la possibilità di legare la presenza di<br />

WIMP alla presenza di extra-dimensioni spaziali, presentando un<br />

particolare modello in 5 dimensioni piatte.<br />

Particelle prodotte da annichilazioni di WIMP in regioni in cui la materia<br />

oscura è molto densa potrebbero generare uno spettro multifrequenza<br />

osservabile mediante esperimenti attuali o futuri. Tale<br />

approccio alla rivelazione indiretta di WIMP è analizzato in dettaglio<br />

nel caso del centro della Via Lattea.


20 sissa news SISTEMA TRIESTE<br />

JEKYLL: COMUNICARE LA SCIENZA dicembre duemilaotto 21<br />

Immaginario<br />

Scientifico: 10 anni<br />

e continua a crescere<br />

di Micol Ascoli Marchetti<br />

Sta per compiere 10 anni il Science Centre Immaginario<br />

Scientifico (IS) di Trieste, il museo della scienza<br />

interattivo e multimediale del Friuli Venezia Giulia. 10<br />

anni che sono iniziati il 21 giugno 1999 con l’inaugurazione<br />

della sede di Grignano, dove il Laboratorio<br />

dell’Immaginario Scientifico è approdato e diventato<br />

un vero e proprio science centre, dopo la prima mostra<br />

esposta alla Villette di Parigi nel 1986 e dopo 10<br />

anni di sperimentazioni e attività alla Fiera di Trieste.<br />

Oggi l’Immaginario Scientifico, con i suoi 1.500 mq<br />

di superficie espositiva, propone percorsi interattivi<br />

con exhibit hands-on, mostre multimediali sui maggiori<br />

temi di attualità scientifica, un planetario a cupola<br />

rigida con un sistema di proiezione a 1.600 stelle, attività<br />

laboratoriali per i piccoli visitatori del museo e un<br />

ricco programma dedicato alle scuole (ben 39 i laboratori<br />

di didattica informale attivi per l’anno scolastico<br />

2008-2009). Un’idea diversa di museo, che prevede<br />

non solo la partecipazione diretta e continuativa del<br />

pubblico, ma anche l’attivazione di una rete operativa<br />

di strutture museali di nuovo tipo, omologhe nelle modalità<br />

didattiche ed espositive, che operano in maniera<br />

cooperativa e condividono le risorse e le conoscenze.<br />

Questa strategia trova applicazione, a partire dal<br />

2006, nella realizzazione della seconda sede dell’Immaginario<br />

Scientifico, in provincia di Pordenone: nella<br />

splendida ex Centrale idroelettrica “Antonio Pitter” di<br />

Malnisio (Montereale Valcellina), l’IS affianca al museo<br />

storico di tipo tradizionale quello moderno e interattivo<br />

proprio del Science Centre. Naturalmente anche<br />

qui sono attivi i servizi didattici pensati per le scuole,<br />

con 13 laboratori di fisica e matematica in programma<br />

per il 2008-2009. Si arriva così infine alla recentissima<br />

novità del Geo Centre Immaginario Geografico,<br />

inaugurato il 28 giugno scorso nei locali dell’ex latteria,<br />

sempre a Malnisio di Montereale Valcellina, non<br />

lontano dall’ex Centrale idroelettrica. Un atipico centro<br />

visite caratterizzato da grandi ortofoto del territorio<br />

sulle quali si può camminare e addirittura sdraiarsi<br />

per entrare così in contatto diretto con la geografia e<br />

il paesaggio, con l’aiuto di apparati didascalici e lavagne<br />

interattive. Anche in questo centro sono attivi<br />

12 laboratori didattici disponibili dall’anno scolastico<br />

2008-2009 su biologia-ecologia, chimica, scienze<br />

della Terra e scienze naturali.<br />

■ Vortice d’acqua -<br />

exhibit sezione Fenomena<br />

Ma l’impostazione di “museo diffuso” sul territorio non<br />

si esaurisce nelle tre sedi permanenti: oltre 50 sono<br />

state le iniziative che l’Immaginario Scientifico ha realizzato<br />

dal 2003 ad oggi fuori dalle proprie sedi, come<br />

le mostre multimediali e interattive “esportate” in tutta<br />

Italia e all’estero e le tantissime attività didattiche,<br />

nonché le undici edizioni della mostra multimediale e<br />

interattiva Mixta. Miscela espresso di gioco, scienza,<br />

cultura, manifestazione realizzata in collaborazione<br />

con illycaffè.<br />

Nel bilancio dei numeri, circa 340.000 sono i visitatori<br />

dell’Immaginario Scientifico dall’inaugurazione della<br />

sede di Grignano ad oggi. Quasi 50.000 visitatori,<br />

38.000 studenti e oltre 3.000 interventi didattici sono<br />

i numeri dell’ultimo anno scolastico nelle due sedi, con<br />

le seguenti percentuali di provenienza del turismo scolastico:<br />

Trieste 20%, Gorizia 11%, Udine 26%, Pordenone<br />

11%, Italia 29%, estero 3%. A questi vanno aggiunti<br />

gli oltre 250.000 partecipanti alle mostre e iniziative<br />

realizzate fuori sede.<br />

Questi risultati sono stati raggiunti grazie alla società<br />

cooperativa gestore dei Science Centre e del Geo<br />

Centre, il Laboratorio dell’Immaginario Scientifico, che<br />

conta su uno staff permanente di 22 collaboratori interni,<br />

al quale si aggiungono 35 collaboratori per lo<br />

svolgimento delle attività didattiche nelle divese sedi.<br />

L’età media degli oltre 50 componenti dello staff è di<br />

31 anni e l’80% è laureato o laureando.<br />

Di particolare interesse sono i risultati di quello che<br />

si configura come un “museo-azienda”, che gode naturalmente<br />

di contributi pubblici, ma che ha una capacità<br />

di introiti che, anche grazie ai tanti servizi forniti<br />

a terzi, supera il 50% del budget annuo. Il calcolo<br />

dei contributi degli enti locali del Friuli Venezia Giulia<br />

(Regione, Provincia, comuni, fondazioni, CCIAA ecc.)<br />

elargiti in varia forma all’IS, confrontato con il budget<br />

annuale, porta al significativo risultato che per ogni<br />

euro investito dal territorio sull’Immaginario Scientifico,<br />

quest’ultimo ha riversato sul territorio, di anno<br />

in anno, dai 3 ai 7 euro. Come a dire che l’impresa<br />

museale e di animazione culturale non solo paga in<br />

termini di accrescimento delle conoscenze e di sviluppo<br />

cognitivo della cittadinanza, ma può essere anche<br />

attività che arrichisce l’economia del territorio e della<br />

comunità che la ospita. ■<br />

Scomparsa la monnezza.<br />

Rimangono i rischi<br />

Secondo gli esperti, è mancata in Campania una corretta comunicazione istituzionale del rischio<br />

di Emiliano Feresin<br />

«È mancato un piano di comunicazione del rischio, che<br />

andava fatto fin dal primo commissariamento». Fabrizio<br />

Bianchi, epidemiologo dell’Istituto di Fisiologia Clinica<br />

del Cnr di Pisa, spiega così il cortocircuito informativo<br />

sul tema salute e rifiuti in Campania.<br />

Negli ultimi 14 anni infatti l’emergenza rifiuti è stata declinata<br />

con i più diversi aggettivi, da ambientale a sociale<br />

a sanitaria, a seconda degli interessi e degli interessati.<br />

Una confusione che si è allargata al dibattito sui<br />

termovalorizzatori e che ha prodotto secondo Bianchi<br />

«l’esagerazione dei possibili rischi da rifiuti solidi urbani<br />

e la sottostima dei rischi sanitari da rifiuti tossici». Anche<br />

per Liliana Cori, ricercatrice del Cnr esperta di comunicazione<br />

del rischio, ci sono responsabilità storiche<br />

dell’istituzione-commissariato: «quando è stata fatta, è<br />

stata una comunicazione volta soprattutto a rassicurare».<br />

Cori definisce gli anni che vanno dal 1994, inizio<br />

della crisi campana, fino al 2004, il periodo del ‘frastuono<br />

del silenzio’. «È stata una fase contraddistinta dalla<br />

mancanza di strategie comunicative, da una comunicazione<br />

non pianificata da parte del commissariato rifiuti<br />

che ha lasciato la popolazione in balia della stampa, di<br />

provvedimenti di legge o azioni di polizia», precisa. L’assenza<br />

di una voce autorevole si è sentita soprattutto nel<br />

2004, quando il tema della salute è entrato nel contesto<br />

del problema rifiuti in Campania. In un reportage della<br />

rivista The Lancet Oncology si è parlato per la prima<br />

volta di “Triangolo della Morte”; l’immagine suggestiva<br />

di un’area, tra Nola, Acerra e Marigliano, ad alta mortalità<br />

tumorale collegata ai rifiuti che ha fatto subito breccia<br />

tra i media e nell’immaginario popolare. «Ma il triangolo<br />

è un’invenzione - dichiara Bianchi - semplifica troppo la<br />

situazione e trascura altre località con problemi sanitari<br />

simili o talvolta peggiori». Il dibattito sul “triangolo” si<br />

è sviluppato sia tra gli scienziati che nella società; ha<br />

influenzato l’istituzione, che ha cominciato a finanziare<br />

studi per valutare l’impatto dei rifiuti sulla salute. Le ultime<br />

indagini scientifiche, presentate dalla Protezione<br />

Civile a Napoli ad Aprile 2007, mostrano risultati complessi<br />

sull’associazione tumori-discariche, che presentano<br />

margini di incertezza, spesso difficili da comunicare.<br />

Una parte della stampa ha cercato di distinguere<br />

tra contenuti scientifici e non, ma alla fine il triangolo è<br />

rimasto il simbolo dell’emergenza sanitaria causata dai<br />

rifiuti. «Il dibattito si è polarizzato su posizioni estreme:<br />

chi ha esagerato il rischio, chi lo ha minimizzato, chi ha<br />

addirittura negato qualunque nesso tra la presenza di<br />

rifiuti pericolosi e l’insorgenza di alcune malattie», afferma<br />

Liliana Cori. Solo di recente qualcosa si è mosso sul<br />

fronte della comunicazione istituzionale. Nel luglio 2007<br />

il commissario delegato si è impegnato in un’ordinanza<br />

ad assicurare l’informazione e la partecipazione dei<br />

cittadini. Le istituzioni hanno pure abbozzato una strategia<br />

comunicativa diversa; «si è scelto di minimizzare<br />

i rischi e sottostimare le preoccupazioni pubbliche, con<br />

un atteggiamento di tipo protettivo, che chiede fiducia»<br />

spiega Cori. Ma è possibile avere fiducia in un contesto<br />

ormai sfiduciato da anni di malgoverno e inquinato dalla<br />

presenza cammorristica? La popolazione finora ha cercato<br />

da sola risposte alle proprie domande, soprattutto<br />

nei comitati locali e nella comunicazione sui blog. «È difficile<br />

cercare di tranquillizzare dopo anni di non comunicazione,<br />

e in condizioni di emergenza è praticamente<br />

impossibile» sostiene Bianchi. Le ultime emergenze dei<br />

rifiuti per strada sono state spesso accompagnate da<br />

voci allarmanti su pericoli sanitari correlati. In realtà i rifiuti<br />

urbani rimangono soprattutto un problema ambientale<br />

e gestionale. Il rischio ora è che, una volta spazzate<br />

le strade dall’immondizia, tutto sembri a posto. Invece<br />

ancora molto rimane da fare. ■<br />

La fiaba ecologista del robot spazzino<br />

Wall-e, regia di Andrew Stanton (Usa, 2008) Wall-e, l’ultimo esemplare di una serie di robot-spazzini<br />

oramai estinta.<br />

di Andrea Gini<br />

È l’anno 2815. La Terra è ridotta a una discarica. Il paesaggio<br />

terrestre è reso ancor più alieno da un’alternanza<br />

di giornate caldissime con notti gelide e ventose,<br />

conseguenza dei cambiamenti climatici. La vita sembra<br />

scomparsa dalla faccia del pianeta: unica eccezione è<br />

Wall-e passa le sue giornate a raccogliere rifiuti, che<br />

comprime in cubi con cui crea torri surreali che svettano<br />

sul panorama desolato. La sera si rifugia in un<br />

container, dove ripara i sui circuiti e raccoglie la sua<br />

collezione di oggetti curiosi trovati tra i rifiuti. Tra i suoi<br />

cimeli, una vecchia videocassetta del musical Hello<br />

Dolly!, grazie a cui prende coscienza dell’esistenza >>


22 sissa news<br />

dell’amore e della propria solitudine.<br />

L’arrivo dallo spazio di una robottina dalle fattezze femminili<br />

di nome Eve dà una svolta alla monotona esistenza<br />

di Wall-e, che fi nalmente sente di aver trovato qualcuno<br />

con cui realizzare il suo sogno d’amore. Ma non<br />

appena Wall-e dona a Eve la sua ultima scoperta, un<br />

germoglio trovato in mezzo ai rifi uti, questa si trasforma<br />

in un’incubatrice e riparte per una destinazione sconosciuta.<br />

Deciso a non pedere la sua unica amica, Wall-e<br />

si imbarca in un’avventura intergalattica che fi nirà per<br />

segnare il destino dell’umanità.<br />

Andrew Stanton torna a dirigere un fi lm della pixar<br />

dopo il successo di Alla Ricerca di Nemo. A differenza<br />

dei precedenti lavori, questa nuova fatica si rivolge a<br />

un pubblico di ogni età: una storia che illustra con candore<br />

e semplicità alcune problematiche attuali, come<br />

il rispetto dell’ambiente e le aberrazioni del consumismo.<br />

La Terra che fa da sfondo alla storia è il frutto di<br />

una sfrenata corsa a un consumismo insostenibile, che<br />

vede le sue origini proprio nelle abitudini della nostra<br />

epoca. La forza che sta dietro a questa corsa irrazionale,<br />

qui impersonate dalla fi ttizia multinazionale “Buy<br />

n Large”, trova appoggio in una società resa pigra e<br />

chiedi a ulisse http://ulisse.sissa.it<br />

Perché la neve è bianca?<br />

Perché la neve è bianca?<br />

Parlare di “neve bianca” può passare come una<br />

fi gura retorica. Ma è proprio vero che la neve<br />

sia bianca, o perlomeno, da che cosa è determinato<br />

il suo colore?<br />

In natura ci sono tante cose che ci appaiono<br />

bianche senza avere una vernice: le nubi, il sale<br />

da cucina e la neve appunto. Consideriamo proprio<br />

il sale da cucina: anche questo ci appare<br />

bianco! Ma in realtà il suo colore è dato dai<br />

cristalli di cloruro di sodio che rifl ettono la luce<br />

ambientale. La luce penetra attraverso una faccia<br />

del cristallo e può subire rifrazioni, oppure<br />

rifl essioni, suddividendosi variamente. In pratica<br />

il fl usso di luce incidente penetra in misura<br />

apprezzabile solo fi no a una certa profondità.<br />

Una piccola frazione viene assorbita, mentre<br />

la parte restante esce da dove può: all’indietro,<br />

nel mezzo di provenienza, secondo varie direzioni.<br />

Il sale assorbe in maniera uguale tutti i colori,<br />

per cui la composizione della luce che esce<br />

dalla superfi cie è la stessa di quella che entra.<br />

Il mucchietto di sale ci appare bianco e lumi-<br />

http://jekyll.sissa.it<br />

inerte dall’eccesso di comfort. In questa situazione, la<br />

possibilità di riscatto nasce dalle azioni di un “diverso”,<br />

un essere che pur non avendo la stessa natura dell’uomo<br />

ne condivide i valori più nobili, come l’amore e la<br />

solidarietà.<br />

La scelta di affi dare questo compito a un robot è un<br />

altro espediente narrativo di estrema attualità: nell’ultimo<br />

decennio alcune compagnie hanno introdotto sul<br />

mercato esemplari di robot da “compagnia”, capaci<br />

di simulare alcune caratteristiche affettive tipiche dell’uomo<br />

o di alcuni animali. Il fatto che le macchine non<br />

provino emozioni, caratteristica umana considerata impossibile<br />

da simulare, non esclude la possibilità che<br />

queste acquisiscano una certa autonomia d’azione,<br />

al punto di arrivare a eseguire azioni non pensate dai<br />

progettisti. Gli ingredienti per il prevedibile successo<br />

di quest’opera stanno nella capacità di utilizzare<br />

un linguaggio universale, fondato sulla mimica e sulla<br />

quasi totale assenza di dialogo. E non è escluso che<br />

un simile lavoro possa contribuire alla formazione nei<br />

giovanissimi di un senso di responsabilità capace di<br />

portare a soluzioni nuove e inaspettate ai problemi che<br />

affl iggono la nostra epoca. ■<br />

noso, come se esso stesso fosse una fonte di<br />

luce. Questa luce però non è altro che la luce<br />

dell’ambiente. Come noto, i fi occhi di neve sono<br />

fatti di minutissimi cristalli di ghiaccio: questi<br />

si comportano come i cristalli di sale, solo con<br />

in più un contributo signifi cativo dovuto alla<br />

diffrazione per cui la luce perde ulteriormente<br />

direzionalità e si diffonde a vari angoli. L’effetto<br />

fi nale è comunque lo stesso: a parte la piccola<br />

componente assorbita, la luce ritorna nel mezzo<br />

di provenienza, propagandosi in tutte le direzioni.<br />

Quanto alla quella assorbita, nel caso<br />

della neve in pratica questa è ancora la stessa<br />

per tutti i colori. Di conseguenza, il colore che la<br />

neve restituisce è lo stesso di quello della luce<br />

che l’illumina. E non v’è dubbio che, illuminando<br />

la neve di rosso la neve sia rossa, di verde<br />

sia verde, e così via: la neve si limita a diffondere<br />

tutt’intorno la luce che riceve. I paesaggi<br />

innevati ci appaiono bianchi perché bianca è la<br />

luce naturale.<br />

Giuseppe Molesini<br />

Istituto Nazionale di Ottica<br />

Applicata (INOA), Firenze<br />

Eventi<br />

Trieste, 13-15 gennaio 2009<br />

La musica in testa<br />

Tre giorni di incontro, dialogo e confronto su scienza,<br />

musica e apprendimento presso l’Aula Magna della<br />

<strong>Sissa</strong> e l’Adriatico Guesthouse dell’ICTP (vedi articolo<br />

accanto).<br />

Per informazioni: Uffi cio Scolastico Regionale FVG<br />

dott. Laura Tamburini, tel. 040 4194191, sig. Marco<br />

Del Re, tel. 040 4194116, marco.delre@istruzione.it<br />

Trieste, 25 gennaio 2009<br />

Ecolab<br />

Nuova attività ludo-didattica per Scienziati della domenica,<br />

iniziativa dedicata a bambini e ragazzi dai 4<br />

agli 11 anni che muovono i primi passi nel mondo della<br />

scienza.<br />

A partire dal 25 gennaio, infatti, sarà attivato un nuovo<br />

laboratorio, Ecolab, i piccoli partecipanti potranno<br />

imparare in modo divertente l’arte del riciclare, sviluppando<br />

creatività e manualità: come trasformare una<br />

bottiglia, una scatola, una lattina in un giocattolo, un<br />

soprammobile e molto altro ancora.<br />

Per informazioni: Immaginario scientifi co www.immaginarioscientifi<br />

co.it, tel. 040 224424 oppure info@im<br />

maginarioscientifi co.it<br />

Trieste, 29 gennaio 2009<br />

ScienceApe - Aperitivi Scientifi ci<br />

Incontri per trattare temi di attualità scientifi ca, momenti<br />

di discussione open, occasioni di dialogo per<br />

tutti coloro che hanno voglia di confrontarsi su diverse<br />

tematiche. Sono gli aperitivi scientifi ci organizzati<br />

dagli studenti della <strong>Sissa</strong> presso il Knulp (via della<br />

Madonna del Mare, 7). Dopo il primo appuntamento,<br />

dedicato all’esistenza di forme di vita sugli altri pianti,<br />

è la volta di “The mismeasure of man - Intelligenza<br />

e pregiudizio, contro i fondamentalismi scientifi ci del<br />

razzismo” (Stephen Jay Gould, 1996). Come misurare<br />

l’intelligenza umana? Quali conseguenze possono<br />

avere tali misure?<br />

Per maggiori informazioni: http://www.sissa.it/cns/<br />

Scienceape.html<br />

Trieste, 3-4 aprile 2009<br />

VI Congresso Nazionale - Videostrabismo 2009<br />

L’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifi co materno-infantile<br />

Burlo Garofolo organizza il VI Congresso<br />

nazionale del Videostrabismo, Alterazioni della<br />

motilità oculare in età pediatrica, che si svolgerà a<br />

Trieste presso il Palazzo dei Congressi della Stazione<br />

Marittima. Per partecipare all’evento è necessaria<br />

l’iscrizione.<br />

Per informazioni: Segreteria organizzativa Quickline<br />

Traduzione&Congressi sas tel. 040 773737 oppure<br />

335 7773507<br />

La musica<br />

in testa<br />

dicembre ottobre duemilaotto 23<br />

Tre giorni di incontro, dialogo e confronto per esplorare<br />

attraverso una prospettiva interdisciplinare i rapporti<br />

fra suono, scienze fi siche e cognitive, e modalità<br />

di apprendimento. È l’obiettivo di La musica in testa,<br />

workshop in programma a Trieste dal 13 al 15 gennaio<br />

2009 e che porterà nel capoluogo giuliano oltre 150<br />

insegnanti – i referenti regionali della rete per la diffusione<br />

della pratica musicale e dei nuclei per lo sviluppo<br />

della cultura scientifi ca e tecnologica – provenienti<br />

da tutta Italia.<br />

Attraverso una serie di interventi, volti a stimolare il<br />

confronto e il dibattito, il<br />

workshop vuole mostrare<br />

come si può imparare la<br />

scienza attraverso la musica<br />

e imparare la musica<br />

tenendo in considerazione<br />

i suoi aspetti scientifi -<br />

ci, il tutto alla luce delle<br />

recenti scoperte nell’ambito<br />

delle neuroscienze<br />

cognitive.<br />

La musica in testa dedica<br />

un’intera sessione, quella<br />

di apertura del seminario<br />

(alle 14.30 del 13 gennaio),all’approfondimento<br />

scientifi co, intitolata<br />

Le basi neurologiche<br />

dell’apprendimento, in<br />

cui intervarranno quattro<br />

illustri scienziati di fame internazionale: Jacques Mehler<br />

(<strong>Sissa</strong>, Trieste), Susan Carey (Harvard University,<br />

Usa), David Klahr (Carnegie Mellon, Usa) e Pier Paolo<br />

Battaglini (Università degli studi di Trieste). Ma non<br />

si parlerà solo di ricerca scientifi ca; nei tre giorni si<br />

discuterà del rapporto tra fi sica e musica, dell’insegnamento<br />

di musica e scienza nelle scuole, lasciando<br />

spazio a numerose attività pratiche, in cui gli insegnati<br />

sperimenteranno in prima persona nuovi modi di fare<br />

didattica. L’evento è aperto a tutta la cittadinanza, con<br />

particolare attenzione al modo della scuola, della ricerca<br />

e della formazione in campo scientifi co e musicale.<br />

Organizzatori de La musica in testa sono: il Gruppo<br />

di lavoro interministeriale per lo sviluppo della cultura<br />

scientifi ca e tecnologica, il Comitato nazionale per l’apprendimento<br />

pratico della musica, l’Uffi cio Scolastico<br />

Regionale FVG, la Scuola Internazionale Superiore di<br />

Studi Avanzati, il Science Centre Immaginario Scientifi<br />

co, il Conservatorio di musica “G. Tartini” e l’Istituto<br />

Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato di<br />

Monza; con il sostegno delle istituzioni locali. ■


SISSA - Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati<br />

via Beirut 2-4 - 34014 Trieste<br />

www.sissa.it<br />

sissanews@sissa.it

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