L'iconografia di Gianni Carlo Sciolla - sito di diego gulizia
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<strong>L'iconografia</strong> <strong>di</strong> <strong>Gianni</strong> <strong>Carlo</strong> <strong>Sciolla</strong><br />
(tratto dal libro Stu<strong>di</strong>are l’arte ed. Utet Università – Strumenti del DAMS – Torino – 10 e<strong>di</strong>z. 2010)<br />
La parola iconografia deriva dall'unione dei sostantivi greci eikon e grafé (immagine e grafia). In<strong>di</strong>ca i<br />
temi contenuti nelle immagini. <strong>L'iconografia</strong> è in<strong>di</strong>rizzata a decifrare e a classificare i caratteri<br />
tipologici e contenutistici <strong>di</strong> una determinata opera, piuttosto che quelli formali ed estetici; a<br />
stu<strong>di</strong>are la loro presenza ed evoluzione in un determinato contesto storico.<br />
<strong>L'iconografia</strong> o descrizione delle immagini entra in uso nella seconda metà del Cinquecento, in<br />
contrapposizione all'iconologia che, al contrario, mirava a stu<strong>di</strong>are in profon<strong>di</strong>tà il significato<br />
simbolico dell'immagine artistica.<br />
5.1 I «tipi» iconografici<br />
L'analisi iconografica procede attraverso vari livelli: il primo è quello dell'in<strong>di</strong>viduazione generale dei<br />
«tipi» iconografici. Il secondo consiste invece nella in<strong>di</strong>viduazione particolare dei «generi»<br />
iconografici. Un terzo livello <strong>di</strong> analisi riguarda l'identificazione della fonte storica o letteraria che ha<br />
ispirato una determinata composizione. Infine, un ultimo livello concerne l'in<strong>di</strong>viduazione degli<br />
schemi icono-grafico-figurativi applicati nell'opera dall'artista.<br />
5.1.1 In<strong>di</strong>viduazione generale dei «tipi» iconografici<br />
L'analisi iconografica deve iniziare con una corretta identificazione dei tipi o soggetti raffigurati<br />
dall'artista in un'opera. Per l'esatto riconoscimento dei tipi è necessario procedere alla graduale<br />
in<strong>di</strong>viduazione della semplice figura o dei singoli elementi rappresentativi della scena raffigurata,<br />
per poi passare ad una successiva classificazione organica complessiva dell'immagine.<br />
S'inizia pertanto ad esaminare con attenzione le figure umane, gli animali, e gli oggetti inanimati<br />
(elementi <strong>di</strong> arredo, architetture, paesaggi). Delle figure umane o animali ci si sofferma a<br />
considerare con cura attributi e segni <strong>di</strong>stintivi emblematici: abbigliamento, tratti fisici, attributi. Per<br />
quanto concerne invece gli oggetti inanimati, si verifica attentamente il contesto ambientale,<br />
temporale e spaziale nel quale essi sono inseriti (natura e specie del luogo, ora del giorno, stagione<br />
dell'anno). La messa a fuoco e l'esatta identificazione <strong>di</strong> tutte queste categorie tipologiche<br />
permette <strong>di</strong> capire, in generale, la specie <strong>di</strong> raffigurazione che si sta stu<strong>di</strong>ando. Se si tratta <strong>di</strong> una<br />
semplice figura, si potrà così stabilire se ci troviamo <strong>di</strong> fronte ad un personaggio storico o a una<br />
immagine d'invenzione; ad un santo oppure a una figura mitologica; ad un nobile come a un<br />
guerriero; ad un conta<strong>di</strong>no come a un cavaliere, e così via. Se si tratta invece <strong>di</strong> un intero episo<strong>di</strong>o<br />
potremo capire, in linea generale, se stiamo analizzando una scena <strong>di</strong> realtà o d'invenzione<br />
fantastica o realmente accaduta nel passato o nel presente.<br />
5.1.2 In<strong>di</strong>viduazione particolare dei «tipi» iconografici<br />
Successivamente all'in<strong>di</strong>viduazione generale della natura e della specie dei tipi iconografici<br />
raffigurati, si deve pervenire ad una più particolareggiata precisazione iconografica delle figure e<br />
degli eventi dell'immagine che si osserva. Questo secondo livello <strong>di</strong> indagine iconografica può<br />
essere definito <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduazione particolare dei generi iconografici. Alla particolare messa in luce<br />
dei tipi iconografici si giunge me<strong>di</strong>ante il riconoscimento del genere specifico <strong>di</strong> appartenenza<br />
dell'immagine e con l'in<strong>di</strong>viduazione della fonte letteraria che ha ispirato all'artista quello<br />
specifico tema iconografico.<br />
5.2 Sui generi iconografici<br />
5.2.1 Riconoscimento dei generi iconografici<br />
Si ottiene attraverso la conoscenza dello sviluppo storico dei cosiddetti generi artistici. La coscienza<br />
dei generi artistici è presente sin dall'antichità classica e si sviluppa parallelamente alla teoria dei<br />
generi letterari. Essa ha particolare fortuna nel mondo moderno a partire dal Rinascimento. Inizia<br />
con la riscoperta della Poetica <strong>di</strong> Aristotele alla fine del XV secolo e con la teoria dell'ut pictura poesis<br />
(che sosteneva l'equivalenza dell'immagine figurativa con l'espressione poetico-letteraria) e si<br />
<strong>di</strong>ffonde sino al Romanticismo.
Il termine <strong>di</strong> genere viene impiegato a partire dal XVI secolo. Paolo Giovio usa il sostantivo genus per i<br />
paesaggi <strong>di</strong> Dosso Dossi. Successivamente Melantone, forse riecheggiando Leon Battista Alberti (De<br />
architectura), nel Libro II degli Elementorum Rhetorices Libri, descrivendo le opere <strong>di</strong> Dürer, <strong>di</strong><br />
Cranach e <strong>di</strong> Grünewald parla <strong>di</strong> tre tipi <strong>di</strong> generi: grande, humile e me<strong>di</strong>ocre, a seconda delle<br />
categorie dei soggetti figurativi da questi artisti impiegati.<br />
Respinta all'interno del pensiero della Controriforma (Gabriele Paleotti, Federico Borromeo),<br />
l'idea della gerarchia dei generi viene ripresa nell'età barocca.<br />
All'inizio del Seicento un elenco <strong>di</strong> soggetti iconografici, in un contesto non gerarchico, è<br />
presentato da Vincenzo Giustiniani nella lettera a Teodoro Amidei scritta tra il 1639 e il 1640. Il<br />
Giustiniani parla <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci «mo<strong>di</strong>» <strong>di</strong>fferenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere. Il termine mo<strong>di</strong> è altresì, come si ricava<br />
dalla letteratura dei secoli XVI e XVII (Lomazzo, Bellori), equivalente a categoria <strong>di</strong> stile; ma anche<br />
modellato dalla teoria musicale (Poussin, lettera a Paul Fréart de Chantelou del 1647; Bialostocki,<br />
1996).<br />
Un testo fondamentale per stu<strong>di</strong>are la gerarchia dei generi nell'età barocca è costituito dalla<br />
Préface alle Conférences de l'Academie <strong>di</strong> André Félibien (1669). Al primo posto dei soggetti figurativi<br />
(Félibien non parla <strong>di</strong> generi, ma <strong>di</strong> soggetti), lo scrittore pone l'allegoria, quin<strong>di</strong> le storie con le azioni<br />
umane; poi i ritratti, gli animali, i paesaggi; infine le nature morte. Il doppio binario, quello dei generi<br />
alti, connessi con le azioni umane nobili e dei generi bassi legati alla vita quoti<strong>di</strong>ana (tra cui la pittura<br />
«<strong>di</strong> genere»), viene seguito nel primo Settecento anche da Du Bos (1719) e da Diderot (Essai sur la<br />
peinture, 1796). Tale impostazione gerarchica si riscontra anche presso i teorici dei Paesi Bassi. Per<br />
esempio, tra gli Olandesi, nell'allievo <strong>di</strong> Rembrandt Samuel van Hoogstraten (Introduzione alla scuola<br />
superiore <strong>di</strong> pittura o del mondo visibile, 1678). La graduatoria presentata da Hoogstraten prevedeva<br />
al primo posto la pittura <strong>di</strong> storia. Seguivano le scene che descrivevano l'uomo e le sue azioni, anche<br />
quoti<strong>di</strong>ane. Quin<strong>di</strong> le immagini naturali (paesaggi e animali) e fantastiche (notturni, mitologie, allegorie).<br />
Infine venivano collocate le rappresentazioni meno nobili (cucine, mercati), o inanimate<br />
(nature morte, fiori, grottesche).<br />
Sul finire del Settecento la precedente rigida classificazione dei generi viene registrata ancora nel<br />
Dictionnaire des beaux-arts <strong>di</strong> Wate-let-Lévesque (1788-92). Naturalmente al vertice della<br />
graduatoria è ancora il genere storico, <strong>di</strong>dascalico o devozionale, seguito dal paesaggio (reale e<br />
fantastico), dal ritratto, dalla caricatura, dalla natura morta, che occupa l'ultimo gra<strong>di</strong>no nella<br />
scala <strong>di</strong> valutazione.<br />
Il paesaggio è quello reale o fantastico, campestre, marino, architettonico; la caricatura si <strong>di</strong>stingue<br />
dal ritratto, per il carattere burlesco, paragonato all'analogo genere letterario-poetico; nell'ambito,<br />
infine, della natura morta, il primo posto è occupato dalle composizioni floreali, perché «peindre<br />
les fleures c'est entreprendre d'imiter l'un des plus agréables ouvrages de la nature. Elles<br />
semblent crées pour charmer toutes les yeux» (Watelet - Lévesque, 1788-92).<br />
Nell'età della Rivoluzione francese si nota infine una graduale affermazione e valutazione dei generi<br />
sino a quel momento considerati inferiori per i contenuti morali e i valori politici che queste<br />
immagini portavano con sé (Whiteley, 2000).<br />
5.2.2 I principali generi figurativi<br />
I generi figurativi principali che si affermano dal Rinascimento al Romanticismo sono: la raffigurazione<br />
<strong>di</strong> storia (sacra e profana), il ritratto, la natura morta, il paesaggio, la veduta, la rappresentazione<br />
architettonica, la caricatura e la scena cosiddetta <strong>di</strong> genere.<br />
È una raffigurazione <strong>di</strong> storia sacra la rappresentazione <strong>di</strong> un'immagine che illustra un evento<br />
derivato dalla storia religiosa (anche dalla mitologia): per esempio un episo<strong>di</strong>o derivato dall'Antico<br />
o dal Nuovo Testamento o dai Vangeli Apocrifi; o ancora la vita <strong>di</strong> una <strong>di</strong>vinità classica.<br />
Nel corso dello sviluppo della raffigurazione della storia sacra si sono affermati dei sottogeneri<br />
particolari, connessi con l'uso (funzione) o con la specifica devozione che l'immagine svolge in<br />
determinati perio<strong>di</strong> storici. Due esempi tra gli altri. Si tratta della Sacra conversazione e della<br />
rappresentazione <strong>di</strong> Cristo a mezza figura. La prima è applicata alla Vergine con il Bambino,<br />
accompagnata da entrambi i lati dai santi, alcuni dei quali si rivolgono allo spettatore con funzione<br />
<strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione tra il mondo umano e quello <strong>di</strong>vino. La seconda è la raffigurazione del corpo <strong>di</strong><br />
Cristo presentato ai devoti dopo la morte.
Sacra conversazione. Il termine entra in uso nella letteratura artistica dell'Ottocento (Kugler, 1830;<br />
Cavalcaselle, 1871) con il significato <strong>di</strong> raffigurazione dei personaggi sacri che colloquiano tra <strong>di</strong><br />
loro. In realtà, nei testi patristici con sacra conversatio, si in<strong>di</strong>cava una riunione <strong>di</strong> personaggi sacri; un<br />
incontro comunitario celeste, che poteva <strong>di</strong>ventare un modello <strong>di</strong> condotta per il devoto. L'immagine<br />
della sacra conversazione si <strong>di</strong>ffonde a partire dal Duecento e Trecento in ambito francescano (uno<br />
dei primi esempi si trova nella Basilica Inferiore <strong>di</strong> Assisi ed è databile tra 1307 e 1315). Ha<br />
successivamente grande fortuna nel corso del Quattrocento: si riscontra in Domenico Veneziano,<br />
Piero della Francesca, Mantegna, Antonello, Giovanni Bellini. Coincide con la crisi del polittico a più<br />
scomparti. La scena viene ora immaginata all'interno <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio religioso che fa da sfondo ai sacri<br />
personaggi e ne sottolinea il carattere comunitario, contemplativo. La tipologia della Sacra<br />
Conversazione tramonta definitivamente con il primo Cinquecento, quando subentrano altre<br />
formule iconografiche.<br />
Cristo a mezza figura. Si tratta <strong>di</strong> un'immagine <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> carattere domestico, privato<br />
(le antiche fonti la definisce infatti «tavola da camera»).<br />
Come è fatta? L'immagine sacra è tagliata a mezza figura; sotto le spalle oppure sotto la vita,<br />
permettendo al fedele una contemplazione ravvicinata del viso, creando quella che viene anche<br />
definita dose up (Sixten Ringbom). In tal modo l'artista intendeva provocare nello spettatore una<br />
forte reazione emotiva, finalizzata all'intensa concentrazione sulla sacra raffigurazione e una<br />
proficua me<strong>di</strong>tazione. L'origine <strong>di</strong> questa tipologia si deve rintracciare nell'ambito delle icone<br />
bizantine (XI secolo). Essa viene ripresa nel XV secolo in <strong>di</strong>fferenti aree europee (Italia, Fiandre,<br />
Francia). In Italia si <strong>di</strong>ffonde nel regno <strong>di</strong> Napoli, dove l'adotta Antonello da Messina, che conosce<br />
<strong>di</strong>rettamente tali icone attraverso la me<strong>di</strong>azione fiamminga. Nell'Italia settentrionale entra nel<br />
repertorio iconografico <strong>di</strong> Giovanni Bellini, forse per influenza dello stesso Antonello.<br />
La rappresentazione del Cristo a mezza figura si articola invece in varie categorie: Salvator Mun<strong>di</strong>,<br />
Volto Santo, Imago pietatis (Thié-baut, 2000). Il Salvator Mun<strong>di</strong> deriva, come pure la variante del<br />
Cristo bene<strong>di</strong>cente a mezzo busto, dal Pantocrator bizantino. Il Volto santo<br />
talvolta è combinato con il Sudario della Veronica, dove compare la figura del Cristo incoronato<br />
<strong>di</strong> spine così come si è impressa sul velo della pia donna durante l'andata al Calvario (Thiébaut,<br />
2000).<br />
L'Imago pietatis, infine, è un'iconografia <strong>di</strong> origine orientale pervenuta in Occidente nel XIII secolo.<br />
Deriva dalla cosiddetta Messa <strong>di</strong> San Gregorio, allorquando il santo, celebrando messa nella chiesa<br />
della Santa Croce a Gerusalemme ebbe una visione del Cristo (Panofsky, 1961). All'inizio,<br />
nell’Imago Pietatis il Cristo è rappresentato nudo davanti alla Croce, con le mani e i pie<strong>di</strong> piagati<br />
dalle stigmate, il costato trafitto, la testa leggermente inclinata con gli occhi semichiusi e le mani<br />
incrociate a metà del busto (Thiébaut, 2000).<br />
Storia profana. La raffigurazione <strong>di</strong> storia profana è quella che illustra un avvenimento accaduto<br />
realmente nel passato o nel presente. La raffigurazione <strong>di</strong> storia profana si <strong>di</strong>stingue per i caratteri<br />
celebrativi, commemorativi, ideologici che trasmette al riguardante. Talora, specie nell'antichità<br />
classica e nel Me<strong>di</strong>oevo, l'illustrazione <strong>di</strong> un episo<strong>di</strong>o storico s'intreccia ad elementi <strong>di</strong> carattere<br />
mitologico, religioso o anche leggendario, per cui talora è <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>stinguere un episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> genere<br />
religioso da quello puramente profano.<br />
La raffigurazione storica si riscontra già nelle antiche civiltà (Assiri, Babilonesi, Egizi). L'arte greca inizia<br />
a introdurre temi storici nei mosaici e nella decorazione pittorica dei crateri (mosaico con Alessandro<br />
e Dario forse riprodotto da Filosseno <strong>di</strong> Etreria, Pompei, Museo Nazionale; cratere apulo del Pittore<br />
<strong>di</strong> Dario, Napoli, Museo Nazionale). L'arte romana celebra la propria storia illustrando le gran<strong>di</strong><br />
imprese militari, i trionfi, gli episo<strong>di</strong> caratterizzanti la vita <strong>di</strong> un imperatore (colonna Traiana, rilievi<br />
dell'arco <strong>di</strong> Tito, rilievi dell'arco <strong>di</strong> Costantino). Nel Me<strong>di</strong>oevo, i temi storico celebrativi collegati alla<br />
vita dei gran<strong>di</strong> personaggi (si vedano i fatti relativi alla conquista dell'Inghilterra da parte <strong>di</strong><br />
Guglielmo il Conquistatore raffigurati nel ricamo <strong>di</strong> Bayeux eseguito verso il 1077; o ancora i rilievi con<br />
i fatti <strong>di</strong> <strong>Carlo</strong> Magno del Reliquiario del tesoro <strong>di</strong> Aachen degli inizi del XIII secolo) s'inquadrano nella<br />
concezione <strong>di</strong> una storia provvidenziale. Grande <strong>di</strong>ffusione iconografica hanno inoltre le<br />
illustrazioni delle cronache, volte a esaltare le vicende <strong>di</strong> un determinato eroe o luogo (co<strong>di</strong>ci miniati
con le Grandes Chroniques de France dei secoli Xll-XIV).<br />
Le testimonianze del passato vengono raffigurate durante il Rinascimento, da un lato, con una<br />
ripresa <strong>di</strong> argomenti della storia classica con l'intento <strong>di</strong> fornire modelli <strong>di</strong> comportamento morale<br />
o <strong>di</strong> exempla virtutis (Mantegna, I Trionfi <strong>di</strong> Cesare, Hampton Court; Jacopo Ripanda, decorazione del<br />
palazzo dei Conservatori, Roma), ma anche me<strong>di</strong>evale (Paolo Uccello, Battaglie). Dall'altro, con una<br />
illustrazione <strong>di</strong> eventi o cronachistici o celebrativi delle geste dei personaggi appartenenti a una<br />
determinata casata (Mantegna, affreschi della Camera Pietà del palazzo Ducale <strong>di</strong> Mantova; Vasari,<br />
affreschi <strong>di</strong> nella Sala dei cento Giorni del palazzo della Cancelleria a Roma, 1546, celebrativi del<br />
pontificato farnesiano; Taddeo Zuccari, affreschi <strong>di</strong> nella Sala dei fasti Farnesiani e nell'Anticamera<br />
del Concilio del palazzo Farnese <strong>di</strong> Caprarola, 1562-1563).<br />
Nel corso dei secoli XVII e XVIII, la raffigurazione dei fatti storici del passato continua parallela con<br />
l'illustrazione degli eventi del presente. Se per un verso, infatti, gli artisti si ispirano alla vita dei gran<strong>di</strong><br />
personaggi dell'antichità classica (Pietro da Cortona, Storie <strong>di</strong> Enea, 1651-54, Roma, galleria <strong>di</strong><br />
palazzo Pamphili), per un altro, non rinunciano a descrivere, naturalmente ancora con intento<br />
celebrativo, le imprese contemporanee dei personaggi illustri (Giovanni Antonio Molineri, Gesta <strong>di</strong><br />
Vittorio Amedeo I <strong>di</strong> Savoia, 1617, Savigliano, palazzo Taffini d'Acceglio; Velàzquez, Battaglia <strong>di</strong><br />
Breda).<br />
Finalizzata alla <strong>di</strong>ffusione e alla esaltazione degli ideali politici contemporanei è il recupero da<br />
parte degli artisti neoclassici (David), della storia eroica antica, ma anche la scelta <strong>di</strong> particolari<br />
episo<strong>di</strong> contemporanei, particolarmente significativi (Appiani, Fasti <strong>di</strong> Napoleone, Milano, Palazzo<br />
Reale; Goya, Il due maggio, 1808).<br />
Con l'avvento del Romanticismo la raffigurazione <strong>di</strong> storia esplora altre possibilità tematiche: la<br />
cronaca contemporanea (Géricault, Ademollo, Bossoli); i fatti concernenti la vita nazionale come<br />
l'epopea risorgimentale (Caffi, In<strong>di</strong>ano), talora recuperando episo<strong>di</strong> della tra<strong>di</strong>zione me<strong>di</strong>evale<br />
(Hayez); i momenti salienti della vita politica (Biscarra).<br />
Il ritratto è la raffigurazione <strong>di</strong> un personaggio antico e moderno, realmente esistito, colto da solo<br />
oppure insieme ad altre persone (è questo il ritratto «<strong>di</strong> gruppo»). Il ritratto come genere<br />
autonomo si <strong>di</strong>ffonde a partire dall'ellenismo e si afferma poi nel mondo etrusco e romano.<br />
Diffuso nel Me<strong>di</strong>oevo (con carattere simbolico e celebrativo dapprima, naturalistico poi, nell'arte<br />
funeraria), assume un posto centrale nel Rinascimento. Immagine <strong>di</strong> memoria e <strong>di</strong> vita destinata a<br />
trascendere il tempo, quasi in una sorta <strong>di</strong> gioco <strong>di</strong> complicità con la morte (Pommier, 1998), oltre<br />
alla somiglianza della persona ne trasmette la bellezza e i caratteri fisici, esprimendone i<br />
sentimenti dell'anima. Fondamentale in tal senso la scoperta della fisionomica antica che stu<strong>di</strong>a i<br />
tratti del volto e li definisce in connessione con le emozioni interiori, i temperamenti, le forme<br />
animali. Tra i fisionomisti antichi sono lo Pseudo-Aristotele, Polemone, Adamanzio e lo Pseudo-<br />
Apuleio. Il Me<strong>di</strong>oevo riscopre questi testi greci e latini <strong>di</strong>rettamente o attraverso l'Islam.<br />
Speculazioni fisionomiche autonome si ritrovano infatti nel mondo arabo me<strong>di</strong>evale. Al-Razi, Al-<br />
Damashki sono tra gli scrittori arabi più noti <strong>di</strong> fisionomica del Duecento e Trecento.<br />
L'Occidente ha raccolto molti <strong>di</strong> questi scritti. Il Liber Almansorius è stato tradotto in latino da<br />
Gerardo <strong>di</strong> Cremona; la Lettera d'Alessandro da Filippo <strong>di</strong> Tripoli. Il Liber phisiognomiae <strong>di</strong> Michel Scot,<br />
astrologo e mago <strong>di</strong> Federico II, è basato su queste due fonti. Il Sirr-al-Asrar si ritrova nei Secreta <strong>di</strong> Alberto<br />
il Grande e nella fisionomica <strong>di</strong> Ruggero Bacone. [...] Lo Pseudo Aristotile è stato tradotto in<br />
latino da Bartolomeo da Messina con una de<strong>di</strong>ca a Manfre<strong>di</strong>, figlio <strong>di</strong> Federico II e re <strong>di</strong> Sicilia. [...] Nel<br />
XV secolo si ritrova questo filone nello Speculum Physionomiae <strong>di</strong> Michele Savonarola, zio <strong>di</strong> Girolamo e<br />
me<strong>di</strong>co del marchese Niccolò III d'Este a Ferrara e nei Calendari dei Pastori, <strong>di</strong> cui si conosce la<br />
fortuna (Baltrusaitis, 1995).<br />
I ritratti del Quattrocento (da quelli <strong>di</strong> Jan van Eyck a quelli <strong>di</strong> Mantegna; da quelli <strong>di</strong> Antonello da<br />
Messina a quelli <strong>di</strong> Rogier van der Weyden) esplorano negli aspetti più minuziosi i caratteri fisici<br />
dei volti con una capacità ottico-percettiva lenticolare, offrendoli al fruitore come sostituti dei<br />
personaggi reali. Nel corso del Cinquecento, invece, il ritratto, per un verso, punta più<br />
<strong>di</strong>rettamente sull'introspezione psicologica: <strong>di</strong>venta cioè espressione <strong>di</strong> uno stato d'animo. Per un<br />
altro, si depersonalizza, <strong>di</strong>venta un'immagine fissa, simbolo <strong>di</strong> uno status sociale.
Al primo filone <strong>di</strong> ricerca appartiene la ritrattistica <strong>di</strong> Leonardo, <strong>di</strong> Giorgione, <strong>di</strong> Lorenzo Lotto. Con<br />
Leonardo e Giorgione il ritratto si orienta a esprimere non soltanto la caratterizzazione psicologica<br />
quanto piuttosto gli stati d'animo. Per Leonardo è la ricerca dei «moti dell'animo». Per Giorgione è<br />
l'inquietu<strong>di</strong>ne esistenziale che verrà approfon<strong>di</strong>ta e perseguita anche nei ritratti intimi ed<br />
appassionati <strong>di</strong> Lorenzo Lotto.<br />
Al secondo filone, quello depersonalizzato, ridotto a mera formula, appartengono i ritratti <strong>di</strong> artisti<br />
come Raffaello, Tiziano e nel secondo Cinquecento, <strong>di</strong> Scipione Pulzone o Antonis Mor. Tipico del<br />
ritratto-formula è il cosiddetto state portrait o ritratto <strong>di</strong> stato che fa risaltare il carattere<br />
pubblico, ufficiale del personaggio raffigurato. Il ritratto <strong>di</strong>venta <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni imponenti, esibisce<br />
gli attributi relativi alla funzione che il personaggio riveste nella società. Sul finire del Cinquecento<br />
convivono i due aspetti in<strong>di</strong>cati. Da un lato il ritratto <strong>di</strong>venta «senza tempo», nell'accentuazione<br />
del suo carattere simbolico e allusivo. Dall'altro, la forma naturalistica del ritratto sopravvive sino<br />
al principio Seicento, come si rileva negli esemplari <strong>di</strong> Annibale Carracci. Sul finire del secolo XVI<br />
viene ripresa l'intrigante questione fisionomica nel trattato <strong>di</strong> Fisiognomia umana <strong>di</strong> Giambattista<br />
della Porta (1586). La somiglianza, la naturalezza della presentazione, la ricchezza del costume, la<br />
ricerca espressiva illusionistica e della forma in movimento, sono le preoccupazioni della grande<br />
ritrattistica del barocco italiano (Bernini) e straniero fondato sui modelli della tra<strong>di</strong>zione italiana<br />
rinascimentale (Rembrandt, Rubens, van Dyck). La ritrattistica olandese dell'età barocca riprende<br />
anche i motivi compositivi dei ritratti <strong>di</strong> gruppo delle ghilde e delle compagnie corporative<br />
cinquecenteschi; e la forma del ritratto a pendant (il ritratto maschile e femminile che si guardano<br />
specularmente).<br />
Nella prima metà del Settecento, in Francia come in Inghilterra, il ritratto si presenta magniloquente<br />
e celebrativo. Richiamandosi alla grande tra<strong>di</strong>zione tardo barocca, specie <strong>di</strong> area fiammingoolandese,<br />
il ritratto europeo del primo settecento è solenne, gran<strong>di</strong>oso, paludato. Gli artisti<br />
ricorrono ai travestimenti arca<strong>di</strong>ci in sintonia con i nuovi orientamenti letterari; adottano inoltre<br />
iconografie «all'antica» nello spirito del <strong>di</strong>lagante classicismo. Nel corso del Seicento il problema<br />
dell'espressione del volto viene riconsiderato a livello teorico da importanti trattati <strong>di</strong> Cureau de La<br />
Chambre (Les Caractères des Passions, 1640-1662) e <strong>di</strong> Charles le Brun (Conférence sur l'expression<br />
generale et particulière, 1968), che ebbe numerose e<strong>di</strong>zioni e traduzioni sino al Settecento. Nel<br />
Settecento inoltrato il ritratto europeo conosce un'importante evoluzione. Da Houdon a Liotard, da<br />
Reynolds a Hogarth, da Van Loo a Char<strong>di</strong>n a Pompeo Batoni il ritratto viene ora interpretato in termini<br />
<strong>di</strong> nuova intensità realistica rivolto a cogliere gli aspetti più personali delle fisionomie rappresentate: sia<br />
nelle sue forme <strong>di</strong> ritratto in<strong>di</strong>viduale, sia <strong>di</strong> gruppo (<strong>di</strong> conversation piece, come gli Inglesi definiscono il<br />
ritratto familiare, <strong>di</strong> destinazione non ufficiale, che riprende gli schemi del più antico ritratto fiammingoolandese).<br />
I nuovi orientamenti della ritrattistica sono da mettere in rapporto con il pensiero<br />
razionalista e illuminista e specialmente con i coevi stu<strong>di</strong> sulla fisionomica <strong>di</strong> Lavater (Physiognomische<br />
Fragmente, 1775 -1778) e <strong>di</strong> Camper (Dissertations sur les variétés naturelles qui caractérisent la physionomie<br />
des hommes, 1791).<br />
La caricatura è la deformazione in chiave ironica delle fattezze umane, in particolare quelle del<br />
volto. La caricatura nasce tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento in area bolognese,<br />
presso la bottega dei Carracci; deve la sua influenza alla Comme<strong>di</strong>a dell'arte e da Bologna<br />
imme<strong>di</strong>atamente si espande in altre aree culturali, come Firenze (Baccio del Bianco) e Roma in<br />
particolare (Bernini, Ghezzi). Nel Settecento ha una notevole <strong>di</strong>ffusione (per esempio a Venezia e in<br />
Inghilterra, dove la pratica per esempio Hogarth) e poi nel corso dell'Ottocento viene utilizzata<br />
specialmente per illustrare libri e giornali, alcuni dei quali <strong>di</strong> carattere specificamente satirico.<br />
In Francia gran<strong>di</strong> caricaturisti del secolo XIX sono Daumier, Dorè, Grandville, Philipon, Gavarni; in<br />
Inghilterra, Leech e Doyle; in Italia, Teja e Dalsani. La critica del Novecento ha stu<strong>di</strong>ato il genere della<br />
caricatura in chiave psicologica (in particolare Kris, 1940), partendo dal celebre saggio <strong>di</strong> Freud sul<br />
Motto <strong>di</strong> spirito.<br />
La natura morta. È soltanto verso la metà del secolo XVIII che viene adoperata per la prima volta<br />
l'espressione francese <strong>di</strong> nature morte e in senso <strong>di</strong>minutivo, la rappresentazione degli oggetti privi<br />
<strong>di</strong> vita: tale definizione entra nell'uso della lingua italiana nel secolo XIX per in<strong>di</strong>care soggetti<br />
immobili, silenziosi (Grassi, Pepe, Sestieri, 1989). Il genere è già noto nell'antichità classica: xenia<br />
venivano in<strong>di</strong>cati in epoca ellenistica <strong>di</strong>pinti nei quali erano raffigurati oggetti vari <strong>di</strong> natura morta.
L'età me<strong>di</strong>oevale trascura questo genere iconografico. L'interesse per l'oggetto privo <strong>di</strong> vita ma con<br />
valore simbolico ritorna nella cultura tardogotica e poi rinascimentale dapprima come inserto<br />
frammentario in composizioni <strong>di</strong> altro significato. È soprattutto la cultura fiamminga, franco<br />
provenzale, ma anche italiana influenzata da questo filone figurativo (si veda a questo riguardo<br />
l'uso che ne fanno Jan van Eyck, Barthélemy d'Eyck e Colantonio) a inserire nelle composizioni<br />
questi temi che troveranno nella tarsia lignea italiana quattrocentesca ampio spazio e fortuna.<br />
L'autonomia del genere si registra però soltanto a partire dalla fine del XVI secolo, quando<br />
cominciano a <strong>di</strong>ffondersi ampiamente <strong>di</strong>pinti con frutta, pesci, fiori, strumenti musicali in<br />
contrapposizione alla pittura <strong>di</strong> storia, considerata al vertice della graduatoria dei generi. Grande<br />
fortuna ha presso i collezionisti la raffigurazione della natura morta nel corso del secolo XVII: in<br />
Italia, in Spagna, in Francia e nei Paesi Bassi.<br />
Le ragioni <strong>di</strong> questa affermazione sono <strong>di</strong>verse: per i valori allegorici che questo genere <strong>di</strong> pittura<br />
veicolava; perché veniva incontro ad un gusto fortemente interessato alla mimesi degli oggetti reali;<br />
per la carica illusionistica che portava in sé. Nei Paesi Bassi del Nord la natura morta era definita<br />
stitteven (modello inanimato). Diverse erano le tipologie iconografiche delle nature morte in<br />
Olanda: fiori, cucine, mercati, tavole imban<strong>di</strong>te, vanitates. Le nature morte con i fiori erano tra le<br />
più ricercate e meglio pagate. La grande fortuna <strong>di</strong> questa tipologia è dovuta all'importanza che la<br />
botanica assume nella cultura olandese, a partire dal tardo manierismo e poi nell'età barocca.<br />
Combinati con i fiori incontriamo i frutti, gli insetti (simbolo del tempo che trascorre veloce), le<br />
conchiglie. Le cucine sono nature morte composite: con elementi <strong>di</strong> natura morta (ortaggi e<br />
animali privi <strong>di</strong> vita) uniscono anche elementi umani. Le cucine olandesi derivano da quelle<br />
fiamminghe, che oltre a presentare figure umane con la natura inanimata, annoverano anche,<br />
nello sfondo, una scena biblica. Esplicito il messaggio moralistico: erotico, sessuale o <strong>di</strong> richiamo<br />
alla vita attiva e contemplativa. In connessione con le cucine sono i mercati, <strong>di</strong> cui si ripropongono,<br />
con varianti, richiami <strong>di</strong> carattere etico religioso e monitorio. Le tavole imban<strong>di</strong>te sono invece costituite<br />
da una mostra <strong>di</strong> oggetti e cibi inanimati <strong>di</strong>sposti sulla tovaglia: il pane, l'uva, la mela, il<br />
limone, il pesce, la ciliegia, la noce, il biscotto, il formaggio, i pasticcini, i piatti, i bicchieri, le caraffe, le<br />
posate, le coppe. Valori simbolici eucaristici e allusioni alla fragilità e tran<strong>sito</strong>rietà dell'esistenza,<br />
nonché alla rovina che deriva dalla troppa attenzione accordata al cibo e al lusso della tavola,<br />
traspirano da queste composizioni. Quando nella natura morta compaiono altri oggetti come il<br />
libro, il calamaio, la penna d'oca, la candela, il lucignolo, l'orologio, la clessidra, il mappamondo,<br />
l'astrolabio, il fiore reciso, gli strumenti musicali, il oggetti del fumo, il teschio, essa <strong>di</strong>venta una vanitas.<br />
La vanitas allude alla tran<strong>sito</strong>rietà dell'esistenza, alla caducità delle cose, agli effetti<br />
devastanti del tempo, alla morte ineluttabile. I trofei, infine, con la cacciagione, noti anche come<br />
deceivers, erano finalizzati propriamente alla decorazione delle pareti lignee o <strong>di</strong> gesso delle<br />
abitazioni <strong>di</strong> campagna della borghesia.<br />
La natura morta avrà una forte ripresa alla metà dell'Ottocento in concomitanza con il Realismo:<br />
pittori come Manet, Courbet, seguiti da van Gogh e Cézanne, daranno molto spazio a questo<br />
genere figurativo.<br />
Il paesaggio fissa le parvenze della natura esteriore in <strong>di</strong>fferenti mo<strong>di</strong> rappresentativi.<br />
Il termine paesaggio viene usato per la prima volta alla fine dell'Ottocento in Italia, anche se il<br />
termine paysage si riscontra già in Francia nel XVI secolo, inteso però nell'accezione <strong>di</strong> estensione <strong>di</strong><br />
territorio.<br />
Adoperato come forma rappresentativa autonoma nell'antichità classica, durante il Me<strong>di</strong>oevo e sino<br />
alla fine del XV secolo il paesaggio è semplice elemento <strong>di</strong> sfondo in composizioni <strong>di</strong> genere <strong>di</strong>verso,<br />
come nel celebre affresco <strong>di</strong> Ambrogio Lorenzetti, <strong>di</strong>pinto nel palazzo Comunale <strong>di</strong> Siena nel 1339<br />
ca. Qui il paesaggio è semplice elemento compositivo, se pure molto sviluppato, dell'Allegoria del<br />
Buon Governo, dove il grande pittore rappresentò «la dolce vita e riposata <strong>di</strong> Siena e delle sue<br />
campagne»; dove singolare è «l'immergersi dell'artista nella circostante realtà della vita quoti<strong>di</strong>ana<br />
e delle cose» (Toesca, 1951). Questo effondersi sul tema del paesaggio, collegato però a temi <strong>di</strong><br />
carattere religioso e allegorico, si riscontrerà anche nella cultura tardogotica, come mostrano le<br />
miniature delle Très riches Heures del duca <strong>di</strong> Berry, oppure talune opere <strong>di</strong> Jan van Eyck (su tutti il<br />
pannello centrale con l'Agnello mistico dell'Altare <strong>di</strong> Gand, che com'è noto, è allegoria della<br />
redenzione del genere umano dovuta al sacrificio <strong>di</strong> Cristo, visualizzata nel tema<br />
dell'Allerheiligenbilder, l'esaltazione e la beatitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> tutti i Santi (Panofsky, 1953).
Come genere autonomo il paesaggio iniziò a essere realizzato nella seconda metà del XV secolo.<br />
Significativo a questo riguardo è l'esempio <strong>di</strong> Leonardo (Paesaggio della Val d'Arno, 1473, Uffizi).<br />
Al principio del Cinquecento la coscienza e l'apprezzamento del genere del paesaggio come fatto<br />
autonomo sono dati <strong>di</strong> fatto acquisiti. Ciò è <strong>di</strong>mostrato dall'uso frequente della definizione pittura<br />
<strong>di</strong> paese, che ricorre con insistenza negli inventari delle collezioni artistiche dell'Italia settentrionale,<br />
a Venezia e a Mantova. Ad Anversa, nelle Fiandre, il paesaggio autonomo viene praticato da artisti<br />
quali Henrijk met de Bles e Jan Brueghel.<br />
Nella seconda metà del Cinquecento il paesaggio <strong>di</strong>venne un soggetto autonomamente riconosciuto<br />
sia per opere <strong>di</strong> pittura che per riproduzioni a stampa. Negli interni raffiguranti botteghe d'arte e<br />
«gabinetti <strong>di</strong> collezionisti» <strong>di</strong>pinti da Jan Breughel o da H. Jordaens si vedono, tra le opere regolarmente<br />
in ven<strong>di</strong>ta, anche dei paesaggi «puri». È il periodo in cui il Van Mander de<strong>di</strong>ca a questo<br />
importante genere artistico un intero capitolo del suo poema <strong>di</strong>dattico; la pittura <strong>di</strong> paesaggio era<br />
ormai <strong>di</strong>ventata una istituzione (Gombrich, 1973).<br />
Fu la concorrenza del mercato a indurre gli artisti operanti ad Anversa a cercare nuove<br />
specializzazioni figurative e quin<strong>di</strong> a nuovi generi.<br />
Ciò che probabilmente era stata una pratica abituale nelle botteghe del basso me<strong>di</strong>oevo, la <strong>di</strong>visione<br />
cioè dei compiti tra pittori <strong>di</strong> figure, pittori <strong>di</strong> sfon<strong>di</strong> e poniamo, specialisti <strong>di</strong> nature morte, ora dava<br />
rapidamente vita alla varietà dei generi, che non potevano non essere valorizzati da coloro che avevano<br />
maggiori probabilità <strong>di</strong> guadagnarsi la vita grazie a una determinata specializzazione<br />
(Gombrich, 1973).<br />
Nel corso del Seicento il paesaggio ha una <strong>di</strong>ffusione ed una fortuna senza pari. Due sono i filoni<br />
prevalenti: quello dei paesaggi ideali, e quello naturalistico. Il primo, <strong>di</strong> cui sono straor<strong>di</strong>nari<br />
interpreti i Carracci, Domenichino, Albani, Poussin e Claude Lorrain, propongono visioni <strong>di</strong><br />
paesaggio mitiche, <strong>di</strong> ispirazione classica. Il secondo praticato soprattutto nell'area nor<strong>di</strong>ca (da<br />
Rubens a Ruysdael) è invece più attento a rendere fedelmente il mutare delle stagioni, dell'ora del<br />
giorno e gli eventi metereologici.<br />
La fedeltà alla natura è lo scopo principale che si prefigge anche l'artista della fine del Settecento e<br />
della prima metà dell'Ottocento, in Inghilterra (Constable, Bonington), in Francia (Valencienne,<br />
Corot). Il Romanticismo cerca nel paesaggio gli elementi del mistero e della <strong>di</strong>vinità insiti in natura<br />
(Dietrich in Germania, Turner in Inghilterra, Rousseau in Francia). Alla realtà delle componenti del<br />
paesaggio si ritorna con il Realismo (Courbet) e con i vari movimenti della seconda metà<br />
dell'Ottocento attenti a cogliere la percezione delle cose esterne all'uomo (Impressionismo,<br />
Postimpressionismo).<br />
Diversamente dal paesaggio la veduta è una raffigurazione immaginaria o reale <strong>di</strong> determinati<br />
aspetti della realtà urbana o del territorio, caratterizzata da una rigorosa impostazione<br />
architettonica e prospettica. La veduta sorge come genere in<strong>di</strong>pendente nel Rinascimento e si<br />
<strong>di</strong>ffonde specialmente durante il Seicento e il Settecento. La prima, quella cosiddetta ideata è una<br />
sorta <strong>di</strong> veduta immaginaria, fantastica, d'invenzione. La seconda, è invece ispirata al vero. La<br />
veduta immaginaria era definita anche capriccio (ve<strong>di</strong> più oltre). Nella seconda tipologia (la veduta<br />
reale), l'artista, descrive con estremo rigore l'ambiente urbano, architettonico, che ha <strong>di</strong> fronte;<br />
ma è anche<br />
mosso dalla curiosità per i costumi, per la storia umile o fastosa, che si manifesta in strade e piazze; è<br />
attratto dalle architetture [ma anche] dall'animato vociare dei mercati: tutti elementi che troviamo in<br />
tante pagine <strong>di</strong> <strong>di</strong>ary, journal e Tagebuch. D'altronde tra linguaggio verbale e immagine visiva c'è una<br />
congruenza, che proprio nel corso del Settecento può <strong>di</strong>venire occasione <strong>di</strong> una verifica: i vedutisti,<br />
infatti, lavorano soprattutto per una committenza che è parte del Grand Tour e sono proprio i<br />
protagonisti <strong>di</strong> questa avventura intellettuale e umana a scrivere molte <strong>di</strong> quelle pagine (de Seta,<br />
1999).<br />
La lucida, ottica impaginazione della veduta ispirata alla realtà che vuole riprodurre con assoluta<br />
fedeltà e precisione, era costruita con l'uso della camera ottica, la quale garantiva esattezza
prospettica e <strong>di</strong> rapporto fra i vari elementi nell'inquadratura; risentiva inoltre, almeno negli esiti<br />
veneziani, delle ricerche ottiche più avanzate <strong>di</strong> Newton, largamente note a Venezia nei circoli <strong>di</strong><br />
Algarotti e del console Smith.<br />
La scena <strong>di</strong> genere è una rappresentazione ispirata alle occupazioni della vita quoti<strong>di</strong>ana. Sorge<br />
come tipologia iconografica autonoma nell'età barocca e si <strong>di</strong>ffonde nel Settecento e poi<br />
nell'Ottocento.<br />
In Olanda il genere (costì definito dalle fonti «pittura <strong>di</strong> figura o figure») si afferma con forme<br />
<strong>di</strong>sparate: il gioco <strong>di</strong> tric-trac, l'interno conta<strong>di</strong>no, la bambocciata, gli interni domestici con le<br />
donne al lavoro, i banchetti e le feste popolari, i men<strong>di</strong>canti, i bevitori, le scene galanti, con giovani<br />
che bevono, fumano, fanno musica, le scene pastorali all'aperto, il bordello ecc. Molti <strong>di</strong> questi<br />
soggetti (come il genere rustico o burlesco delle scene <strong>di</strong> festa o <strong>di</strong> ebbrezza conta<strong>di</strong>nesca)<br />
derivano dal repertorio della tra<strong>di</strong>zione cinquecentesca dei Paesi Bassi del Nord e del Sud (per<br />
esempio la incontriamo in Breughel il Vecchio). Molti avevano un significato moralistico e simbolico<br />
esplicito: gli interni con le donne intente al lavoro domestico erano l'immagine della virtù e<br />
dell'operosità familiare; i men<strong>di</strong>canti alludevano all'ipocrisia e alla cecità umana; le scene galanti e<br />
pastorali erano la traduzione visiva <strong>di</strong> un filone della poesia arca<strong>di</strong>ca <strong>di</strong>ffuso in molti centri culturali<br />
del Paese.<br />
Anche nelle scene <strong>di</strong> genere determinante è sia nella struttura complessiva dei <strong>di</strong>pinti, che nei gesti<br />
e nelle pose dei personaggi l'influenza delle rappresentazioni teatrali (esempio singolare la produzione<br />
<strong>di</strong> genere <strong>di</strong> Jan Steen).<br />
La bambocciata intesa come rappresentazione <strong>di</strong> scene della vita quoti<strong>di</strong>ana e dei mestieri ha per<br />
merito <strong>di</strong> Peter van Laer detto il Bamboccio <strong>di</strong>ffusione nell'ambiente romano del Seicento dando<br />
vita a un vero e proprio filone <strong>di</strong> gusto. A questo filone, che si caratterizza dunque per i soggetti<br />
sinora trascurati dagli artisti, perché considerati meno nobili, per l'intensità caravaggesca e realistica<br />
dello stile, appartengono figure come Andries Both, Sebastian Bourdon, Bartholo-maeus<br />
Breenbergh, Michelangelo Cerquozzi e Karel Dujar<strong>di</strong>n.<br />
I bamboccianti secenteschi hanno a loro volta incidenza sulla pittura <strong>di</strong> genere nel Settecento.<br />
Artisti come Michele Graneri o Pietro Domenico Olivero in Piemonte, Alessandro Magnasco a<br />
Genova, Giuseppe Maria Crespi a Bologna, il Ceruti a Brescia, Pietro Longhi a Venezia, sono in<br />
qualche modo, e in forme <strong>di</strong>fferenziate, debitori <strong>di</strong> questo filone culturale.<br />
A Napoli, il maggiore esponente delle scene tratte dalla vita <strong>di</strong> ogni giorno con intento sociale è<br />
Gaspare Traversi il quale, oltre alla conoscenza delle stampe inglesi, ha avuto contatti con il mondo<br />
del teatro napoletano contemporaneo.<br />
La scena <strong>di</strong> genere trova ancora nell'Ottocento, in seno al Verismo, ampia applicazione.<br />
Naturalmente la pittura <strong>di</strong> genere dell'Ottocento va valutata storicamente caso per caso, artista<br />
per artista.<br />
Episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> cronaca familiare e <strong>di</strong> quoti<strong>di</strong>anità si riscontrano infatti, con motivazioni culturali<br />
<strong>di</strong>verse, nell'opera degli Induno, <strong>di</strong> Gioacchino Toma, <strong>di</strong> Antonio Mancini giovane.<br />
Accanto a questi generi principali, si affiancano, nel corso dello sviluppo della storia figurativa,<br />
altre forme e generi iconografici. Ne citiamo, <strong>di</strong> seguito alcuni esempi: gli uomini illustri, l'homo<br />
selvaticus, la grottesca, il capriccio, l'anamorfosi, la finestra e la cornice, il trompe-l'oeil.<br />
Raffigurazione <strong>di</strong> uomini illustri. Esempi <strong>di</strong> raffigurazioni <strong>di</strong> ecclesiastici illustri (santi, vescovi) non<br />
mancano nell'arte me<strong>di</strong>evale. A partire dal periodo carolingio (San Benedetto <strong>di</strong> Malles, San Salvatore<br />
<strong>di</strong> Brescia); quin<strong>di</strong> nei secoli XI e xn (San Pietro <strong>di</strong> Acqui, Santa Maria in Monticello ad Arsago Seprio,<br />
nella Cattedrale <strong>di</strong> Aosta, nel Saint-Hilaire <strong>di</strong> Poitiers); quin<strong>di</strong> nel xni (cripta della Cattedrale <strong>di</strong><br />
Anagni). Si tratta <strong>di</strong> esempi <strong>di</strong> personaggi esemplari per virtù teologiche, spirituali, politiche, da<br />
ricordare e da imitare; talora si tratta <strong>di</strong> vescovi che hanno partecipato alla cerimonia della<br />
consacrazione della chiesa; tal'altra <strong>di</strong> uomini pii contrapposti iconograficamente agli antenati <strong>di</strong><br />
Cristo. Con il Trecento il tema degli uomini illustri si allarga a personaggi laici, rappresentativi dei<br />
vari rami del sapere e della cultura, antichi e moderni. Perdute, purtroppo, sono le serie con gli<br />
Uomini illustri <strong>di</strong>pinti da Giotto tra il 1329 e il 1333 a Napoli, Castelnuovo, citati da Lorenzo Ghiberti<br />
(«Molto egregiamente <strong>di</strong>pinse la sala del re Uberto de' uomini famosi, in Napoli»), come pure<br />
quella <strong>di</strong> Milano nel Palazzo <strong>di</strong> Azzone Visconti (1335 ca.), che le fonti in<strong>di</strong>cano consistere <strong>di</strong> principi<br />
antichi, mitici e realmente esistiti, da Enea a Attila, da Ettore a Ercole, da <strong>Carlo</strong> Magno allo stesso
Azzone. Sequenze <strong>di</strong> uomini illustri eseguiti nel Trecento si ritrovano ancora in San Domenico <strong>di</strong><br />
Pistoia (i poeti illustri), a Verona, eseguite da Altichiero e Jacopo Avanzi nel castello <strong>di</strong> Cansignorio<br />
(morto nel 1375), a Padova, nella Sala dei Giganti del Palazzo dei Carraresi. Il motivo degli uomini<br />
illustri nel Trecento è <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione letteraria: lo riscontriamo infatti in Angelo Decembrio, Vergerlo,<br />
Petrarca (autore del De viris illustribus). È un tema favorito anche dagli scrittori <strong>di</strong> pedagogia, là<br />
dove si tratta del problema della imitatio. Dalle lettere trapassa nelle arti visive.<br />
Nei Ricor<strong>di</strong> redatti tra il 1393 e il 1411, Giovanni <strong>di</strong> Paolo Morelli loda la possibilità <strong>di</strong> interrogare Virgilio<br />
stando nel proprio stu<strong>di</strong>o, o <strong>di</strong> parlare con Boezio, con Dante e Cicerone, e <strong>di</strong> venire introdotto alla filosofia da<br />
Aristotile stesso. In una pre<strong>di</strong>ca tenuta nel 1425, anche San Bernar<strong>di</strong>no da Siena parla del <strong>di</strong>alogo con gli<br />
autori cristiani (Liebenwein, 1992).<br />
Nell'età tardogotica il tema degli uomini illustri si sposta alla raffigurazione dei Sette pro<strong>di</strong> e delle<br />
Sette eroine. Tale tema si ritrova negli affreschi del Castello della Manta in Piemonte (bottega <strong>di</strong><br />
Taquerio), negli arazzi cavallereschi fiamminghi e francesi <strong>di</strong> età cortese (come gli arazzi <strong>di</strong> Amedeo<br />
Vili, forse provenienti dalla raccolta del Duca <strong>di</strong> Berry; quella <strong>di</strong> Jean de Berry ora ai Cloisters <strong>di</strong> New<br />
York); negli affreschi del castello <strong>di</strong> Runglstein in Tirolo (1414 ca.). Il tema, cavalleresco, si ispirava ad<br />
un capitolo dello Chevalier Errant che illustrava l'episo<strong>di</strong>o dell'accoglienza del protagonista da<br />
parte <strong>di</strong> Dame Fortune, in occasione della visita del palazzo dove risiedevano i nove magnanimi<br />
principi (Davide, Giuda Maccabeo, Giosuè, Ettore, Alessandro, Cesare, <strong>Carlo</strong> Magno, Re Artù,<br />
Goffredo <strong>di</strong> Buglione) e le nove eroine (Deifila, Semiramide, Sinope, Ippolita, Etiope, Lampeto,<br />
Tamiramide, Teuca, Pentiselea). Nell'Italia centrale un esempio tardogotico è quello <strong>di</strong> Palazzo<br />
Trinci a Foligno (1413-24), dove gli uomini illustri sono quelli del mondo greco, romano, ebraico.<br />
Il tema degli uomini illustri del mondo antico viene rilanciato dall'Umanesimo e dalla cultura<br />
neoplatonica, che incoraggia il culto dell'eroe. A Firenze la sequenza si apre con l'intervento <strong>di</strong><br />
Andrea del Castagno per la villa a Legnaia, 1450 ca., eseguita per Filippo Carducci Gonfaloniere del<br />
Concilio <strong>di</strong> Firenze (gli affreschi ora staccati sono conservati agli Uffizi). I personaggi illustri qui<br />
rappresentati oltre a Ester, la regina Tomiri e la Sibilla Cumana sono per la maggior parte insigni<br />
uomini che hanno resa celebre la Toscana (Dante, Petrarca, Boccaccio, Pippo Spano, Farinata degli<br />
Uberti, Niccolò Acciaioli). Tali raffigurazioni sorgono nel solco della celebrazione civica storiografica<br />
iniziata con Filippo Villani e che giunge sino al Manetti. Nella seconda metà del XV secolo il tema<br />
iconografico degli uomini illustri viene applicato in altri esempi importanti: nella decorazione dello<br />
Stu<strong>di</strong>olo <strong>di</strong> Urbino <strong>di</strong> Federico da Montefeltro dovuta a Giusto <strong>di</strong> Gand e Pedro Berruguete (1474-<br />
75). Il ciclo <strong>di</strong> Urbino è innovatore, dal punto <strong>di</strong> vista iconografico, perché accanto a personaggi<br />
illustri dell'antichità inseriva figure contemporanee; inoltre tali figure, ad eccezione <strong>di</strong> Federico, non<br />
erano, secondo la prassi, a figura intera, bensì a mezza figura. Quin<strong>di</strong>, nella decorazione del palazzo<br />
del Podestà a Bergamo, <strong>di</strong> Bramante, ca. 1477. Infine nei medaglioni-ritratto della cappella <strong>di</strong> San<br />
Brizio nel Duomo <strong>di</strong> Orvieto del Signorelli.<br />
Alla metà del Cinquecento le immagini degli uomini illustri conoscono una rinnovata fortuna.<br />
Svariate innanzi tutto le e<strong>di</strong>zioni e i repertori stampati su questo argomento. In Italia Paolo Giovio<br />
fa uscire nel 1546 gli Elogia doctorum virorum, che dovevano servire come riscontro esplicativo dei<br />
ritratti degli uomini illustri nei vari campi del sapere, raccolti nel suo museo sul lago <strong>di</strong> Como. A<br />
Lione, nel 1553, Guillaume Rouille pubblica un Vromptuarium iconum. Ad Anversa, Hubert Goltzius,<br />
nel 1557, stampa un repertorio sulle immagini degli antichi imperatori. A Roma, nel 1566, Antonio<br />
Lafrery e<strong>di</strong>ta una galleria <strong>di</strong> uomini illustri nel campo giuri<strong>di</strong>co; Vasari, nel 1568, in occasione della<br />
seconda e<strong>di</strong>zione delle Vite degli artisti, inserisce anche i loro ritratti incisi. Accanto e<br />
parallelamente a questi libri, gli incisori producono molte stampe con effigi degli uomini illustri in<br />
ogni campo del sapere e delle professioni da ricordare e imitare (per l'arte sono da ricordare le<br />
Effigies dei pittori illustri fiamminghi dell'umanista Domenico Lampsonio, 1572, recanti le incisioni<br />
<strong>di</strong> Jan Wierix, <strong>di</strong> Cornelis Cort, <strong>di</strong> Hyeronimus Cock, che è anche l'e<strong>di</strong>tore dell'opera). Artisti nor<strong>di</strong>ci<br />
che affrontano nuovamente il tema delle donne illustri dell'antichità sono per esempio Maerten<br />
van Heemskerck, autore <strong>di</strong> alcuni <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> questo soggetto (preparatori per essere incisi) ora <strong>di</strong>visi<br />
tra New York, Princeton, Chicago, Los Angeles.<br />
Nel Seicento il tema degli uomini (e donne) illustri ha una prosecuzione. Intanto nella cultura<br />
classicista francese, presso autori come Vouet, dove si riprende la serie co<strong>di</strong>ficata in antico, con
innovati intenti moralistici; e in repertori con gli uomini illustri contemporanei (come<br />
l’lconographie illustrata con le incisioni derivate dai <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> van Dyck).<br />
L’uomo selvatico. Una particolare rappresentazione allegorica <strong>di</strong> enorme <strong>di</strong>ffusione europea tra<br />
Me<strong>di</strong>oevo e Cinquecento è quella dell'Homo Selvaticus. È la raffigurazione <strong>di</strong> un uomo mostruoso,<br />
dalla barba e dai capelli incolti, rivestito interamente <strong>di</strong> peli, munito <strong>di</strong> clava, che vive nei boschi<br />
sbranando uomini e animali. L'immagine <strong>di</strong> tale personificazione si <strong>di</strong>ffuse enormemente nel<br />
Me<strong>di</strong>oevo ed ebbe fortuna nel teatro e nelle sacre rappresentazioni come negli arazzi, nella scultura<br />
lignea, nei capitelli, nelle miniature. Successivamente fu ripresa nel corso del Rinascimento, come<br />
<strong>di</strong>mostrano anche alcuni <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> Leonardo per un ballo <strong>di</strong> uomini selvaggi e in numerosi affreschi<br />
dell'area alpina (per esempio in Valtellina a Sacco, a Oneta, a Tirano e a Bormio). Nei bestiari<br />
me<strong>di</strong>oevali l'uomo selvatico è un demone ferino, simbolo della mancanza <strong>di</strong> civiltà, del caos, del<br />
negativo nel mondo. Nel Rinascimento cambia il valore simbolico <strong>di</strong> questa personificazione. Diventa<br />
allegoria della vita incontaminata e felice <strong>di</strong> chi vive a stretto contatto con la natura. È il<br />
rappresentante dello «stato naturale» dell'uomo, affiancato talora da una donna e da un figlio<br />
selvatico, che formano la «famiglia selvatica». La sua immagine ferina e demoniaca si trasforma in<br />
personaggio mite, rassicurante, forte. Assommando la più antica accezione <strong>di</strong> Ercole Silvano e <strong>di</strong><br />
Arlecchino, spesso associato alle figure degli armigeri e degli emblemi delle casate nobiliari, <strong>di</strong> forme<br />
talora gigantesche, assume (come una sorta <strong>di</strong> San Cristoforo pagano e come in<strong>di</strong>cano anche le<br />
scritte in volgare che lo accompagnano) un trasparente significato apotropaico <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>ano delle<br />
abitazioni e delle comunità urbane nelle quali viene raffigurato. Un altro genere è rappresentato<br />
dalla grottesca. Il genere della decorazione detta «a grottesca» compare a Roma all'inizio del<br />
Cinquecento. La sua <strong>di</strong>ffusione fu rapi<strong>di</strong>ssima nell'affresco, nell'arazzo, nella grafica, nella scultura.<br />
Esso consiste in motivi decorativi fantastici dove si mescolano elementi vegetali a elementi animali,<br />
invenzioni burlesche a ornati mostruosi. Il punto <strong>di</strong> partenza <strong>di</strong> questo genere decorativo <strong>di</strong><br />
stravaganti pitture (Pirro Ligorio) è la scoperta nelle grotte dell'Esquilino della Domus Aurea <strong>di</strong><br />
Nerone <strong>di</strong> motivi decorativi a stucco. Tali modelli antichi vengono rielaborati intorno agli anni<br />
1520-30 nelle botteghe <strong>di</strong> Raffaello e <strong>di</strong> Giulio Romano. Altri sviluppi sensazionali si registrano<br />
intorno agli anni 1530-40 nell'ambito della scuola <strong>di</strong> Fontainebleau. La fortuna della grottesca<br />
continuerà ben oltre il secolo XVI.<br />
Due le leggi che determinano ieri come oggi il fascino irresistibile delle grottesche: la negazione dello spazio e la<br />
fusione della specie, la mancanza <strong>di</strong> gravità delle forme e la proliferazione insolente <strong>di</strong> ibri<strong>di</strong>. [...] Un puro<br />
prodotto dell'immaginazione, nel quale si condensano le fantasie, <strong>di</strong> una vitalità torbida e sfuggente a un<br />
tempo, ma nettamente erotizzata nel dettaglio. Il campo delle grottesche è dunque quasi l'esatta antitesi <strong>di</strong><br />
quello della rappresentazione, dove le norme erano definite dalla visione «prospettica» dello spazio, dalla<br />
<strong>di</strong>stinzione e caratterizzazione dei tipi (Chastel, 1989).<br />
Connesso con il genere della grottesca è per certi versi il genere del capriccio. Nel secolo XVI il<br />
capriccio figurativo, analogamente a quello letterario e musicale, corrisponde a invenzione bizzarra e<br />
scherzosa. Il capriccio si afferma nel XVII e nel XVIII secolo. Autori <strong>di</strong> capricci nel Seicento sono per<br />
esempio Callot e Stefano della Bella, autori <strong>di</strong> opere grafiche (incisioni) <strong>di</strong> «inventioni copiose,<br />
capricciose, bizarre, <strong>di</strong> figure picciole» (Scannelli, 1657).<br />
Nel settecento famose sono le invenzioni capricciose <strong>di</strong> Salvator Rosa, Piranesi, Watteau, Tiepolo,<br />
Guar<strong>di</strong> e Goya. Capricci furono definiti dagli scrittori contemporanei i porti, le battaglie, le marine,<br />
gli incantesimi <strong>di</strong> Salvator Rosa; le Carceri incise <strong>di</strong> Piranesi; i Petits sujets galants <strong>di</strong> Watteau; la serie<br />
<strong>di</strong> stampe pubblicate nel 1749 dallo Zanetti <strong>di</strong> Giovan Battista Tiepolo; le «vedute» <strong>di</strong> Francesco<br />
Guar<strong>di</strong> e infine Los Caprichos <strong>di</strong> Francisco Goya. La fortuna dei capricci dura nell'Ottocento sino<br />
all'età postromantica.<br />
Nell'ambito dei generi bizzarri un posto a sé stante ha la cosiddetta anamorfosi o rappresentazione<br />
deformata, virtuosistica e illusiva degli oggetti reali, fondata sull'uso rovesciato dei sistemi della<br />
prospettiva lineare (Baltrusaitis, 1978).<br />
La pittura anamorfica si riscontra nel Cinquecento a partire da Leonardo (<strong>di</strong>segni nel Co<strong>di</strong>ce<br />
Atlantico) e si <strong>di</strong>ffonde nel manierismo con le sperimentazioni della prospettiva. Maestri<br />
dell'anamorfosi sono i tedeschi Erhard Schòn e Hans Holbein; questi, negli Ambasciatori della
National Gallery <strong>di</strong> Londra ne ha fornito un esempio tra i più noti. Nell'età barocca va stu<strong>di</strong>ato in<br />
relazione agli interessi per l'esoterico e gli effetti della maraviglia.<br />
Finestre, cornici. <strong>L'iconografia</strong> della finestra occupa un ruolo fondamentale nell'economia del<br />
quadro. Sottolinea infatti il rapporto interno/esterno; è l'elemento che isola il paesaggio e gli dà<br />
significato; «la finestra isola un frammento (<strong>di</strong> natura) e gli permette <strong>di</strong> proporsi come nuova<br />
totalità» (Stoichita,1998). Il tema iconografico della finestra viene introdotto nel quattrocento (per<br />
esempio dai van Eyck), si sviluppa rapidamente nel Cinquecento e nel Seicento (ve<strong>di</strong>ne l'uso in<br />
Tiziano, in Vermeer, Jan Porcellis, van Dyck). «La finestra <strong>di</strong>pinta è quel che resta <strong>di</strong> un interno dal<br />
quale il paesaggio si <strong>di</strong>stacca, ma grazie al quale è definito» (Stoichita, 1998). La finestra delimita il<br />
campo visivo, afferma uno spazio «altro».<br />
Diversa è la raffigurazione <strong>di</strong> una cornice in un quadro. Essa ha il significato <strong>di</strong> forzare, evidenziare i<br />
limiti del quadro; <strong>di</strong> farlo apparire maggiormente; serve a eliminare la cesura tra immagine e realtà. La<br />
raffigurazione della cornice come parte dell'immagine entra nel Quattrocento (Hans Memling), e si<br />
sviluppa nel Cinquecento (Jan Gossaert).<br />
Talora sulla balaustrata <strong>di</strong> una finta cornice l'artista (come per esempio Antonello da Messina negli Ecce<br />
homo o nei Ritratti) appone anche un cartellino illusivo con il suo nome o la data dell'opera. È un<br />
ulteriore elemento dell'immagine; fa parte del testo figurato, completandolo.<br />
Finestre, cornici, cartellini, intesi come elementi iconografici, parti integrali del soggetto<br />
rappresentato possono anche essere definiti elementi intertestuali, cioè <strong>di</strong> collegamento con altri<br />
presenti nell'immagine (per esempio la doppia immagine, che talora si riscontra nei <strong>di</strong>pinti<br />
quattrocenteschi fiamminghi, sullo sfondo <strong>di</strong> una scena principale e che a essa si collega<br />
nell'allusione e nel significato).<br />
I pendants. «En terme de peinture, on appelle pendants deux ta-bleaux d'égale grandeur, et peints<br />
a peu près dans le meme gout» (Dictionnaire de l'Académie française, 1162).<br />
Si tratta cioè <strong>di</strong> <strong>di</strong>pinti <strong>di</strong> formato uguale, concepiti in paio e destinati ad essere <strong>di</strong>sposti<br />
simmetricamente sulla parete. Hanno il significato iconografico <strong>di</strong> comunicare al fruitore<br />
un'immagine doppia <strong>di</strong> contenuto simile, ma che si completa nelle sue rappresentazioni.<br />
Questi <strong>di</strong>pinti, che nascono come «compagni», sono impiegati per il genere ritrattistico (ritratto <strong>di</strong><br />
due sposi, per esempio), la natura morta, le figure mitologiche, le figure allegoriche, i paesaggi ecc. Si<br />
incontrano già nelle Fiandre del secondo Quattrocento (ad esempio Hans Memling), ma si<br />
sviluppano poi nel Cinquecento e durante l'età barocca. Per il secolo XVI possiamo ricordare le<br />
poesie <strong>di</strong> Tiziano, i pendants <strong>di</strong> Veronese, <strong>di</strong> soggetto mitologico.<br />
Durante l'età barocca il pendant conosce una straor<strong>di</strong>naria fortuna specialmente nel mondo<br />
nor<strong>di</strong>co (pittori <strong>di</strong> pendants sono per esempio Baburen, Bor, Hals, Rembrandt, Terborch). Il pendant<br />
durante il Seicento e Settecento è richiesto per la particolare configurazione dell'allestimento delle<br />
quadrerie: le quali presentano, a questo propo<strong>sito</strong>, pendants <strong>di</strong> uno stesso autore, <strong>di</strong> autori <strong>di</strong>versi<br />
che possono presentare motivi iconografici o stilistici speculari o simmetrici.<br />
Trompe-l'oeil. Il trompe-l'oeil è un genere iconografico (ma anche un mezzo stilistico) che si fonda sulla<br />
resa illusionistica <strong>di</strong> un aspetto della realtà rappresentata. Se il termine fu introdotto nella letteratura<br />
artistica francese per in<strong>di</strong>care figurazioni che simulavano specialmente oggetti <strong>di</strong> natura morta,<br />
rappresentazioni illusionistiche si riscontrano ben prima dell'età barocca. Già nell'antichità classica<br />
(affreschi con i pesci del I secolo a.C, Napoli, Museo nazionale); poi nelle tarsie lignee<br />
quattrocentesche, quin<strong>di</strong> nell'uso delle figurazioni a monocromo (o a grisaille) da parte dei pittori<br />
del Quattrocento e del Cinquecento che vogliono imitare la scultura (Foppa, Correggio,<br />
Parmigianino, Scuola <strong>di</strong> Raffaello), delle cosiddette facciate <strong>di</strong>pinte (con esempi a Roma nella bottega<br />
<strong>di</strong> Polidoro da Caravaggio e nell'Italia settentrionale: Genova, Saluzzo, Feltre). Infine delle tavolette da<br />
soffitto: tipologia quest'ultima che si origina nel mondo me<strong>di</strong>evale e che si <strong>di</strong>ffonde nel Quattrocento e<br />
poi nel Cinquecento, soprattutto nell'Italia settentrionale; e che illustra, prevalentemente, episo<strong>di</strong><br />
storico-cavallereschi (tornei, incontri amorosi, battaglie), figure religiose (angeli), ritratti <strong>di</strong> uomini<br />
illustri del passato (imperatori romani) e <strong>di</strong> personaggi contemporanei, accompagnati da motivi<br />
aral<strong>di</strong>ci, allegorici o semplicemente decorativi.<br />
______________________________ fino a qui _______________________________
5.3 Immagini e fonti storiche e letterarie<br />
Un altro passaggio orientato a scoprire la particolare tipologia nell'iconografia che si sta stu<strong>di</strong>ando<br />
è la ricerca della fonte letteraria a cui l'immagine talvolta si ispira.<br />
Le fonti letterarie che possono avere dato spunto a un testo figurativo sono <strong>di</strong> due tipi. Al primo<br />
appartengono quelle fonti e quei testi largamente <strong>di</strong>ffusi nella cultura occidentale, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> facile<br />
conoscenza, che sono stati un punto <strong>di</strong> riferimento per gli artisti nelle loro scelte iconografiche. Tra<br />
questi primeggiano naturalmente i testi biblici (dell'Antico come del Nuovo Testamento), a cui si<br />
affiancano, per importanza e uso, i testi apocrifi, i leggendari, le vite dei santi e taluni testi poetici<br />
classici. Tra questi ultimi, una grande <strong>di</strong>ffusione e utilizzo da parte degli artisti ebbero, tra i testi<br />
tardo me<strong>di</strong>evali, la Leggenda aurea <strong>di</strong> Jacopo da Varagine del secolo xrv e le Metamorfosi <strong>di</strong> Ovi<strong>di</strong>o,<br />
che ebbero molte ristampe nel Rinascimento e nell'età barocca.<br />
Al secondo appartengono invece quelle testimonianze scritte che, se pure largamente <strong>di</strong>ffuse<br />
all'epoca in cui sorge l'immagine, sono oggi meno note e comportano quin<strong>di</strong>, per il loro recupero,<br />
lo stu<strong>di</strong>o comparato delle immagini con il committente e il suo ambiente culturale, con l'artista e la<br />
destinazione dell'opera. Questo ultimo gruppo <strong>di</strong> fonti letterarie è <strong>di</strong> solito <strong>di</strong>ffuso in ambienti<br />
particolarmente colti, e la ricerca e identificazione <strong>di</strong> esso risulta quin<strong>di</strong> più complessa e sofisticata.<br />
Qualche esempio dal periodo tardogotico all'età barocca. Per il gotico internazionale possiamo<br />
citare il ciclo <strong>di</strong> affreschi eseguiti alla fine del Trecento nella cascina La Torre a Frugarolo presso<br />
Alessandria e ora conservati nella Pinacoteca <strong>di</strong> questa città.<br />
Il ciclo, opera <strong>di</strong> maestranza anonima <strong>di</strong> cultura lombarda, è ispirato al romanzo francese detto<br />
Lancelot du Lac, che è la terza parte della saga cavalleresca in prosa convenzionalmente intitolata<br />
Vulgate arthurienne o Lancelot-Graal, la quale narra le vicende guerresche e amorose <strong>di</strong> Lancillotto<br />
(Meneghetti, 1999).<br />
Per il XV secolo si può menzionare il ciclo dei Mesi <strong>di</strong>pinto ad affresco nel palazzo <strong>di</strong> Schifanoia a<br />
Ferrara, che si ispira <strong>di</strong>rettamente ad un poema <strong>di</strong>dattico astrologico del poeta latino Manilio,<br />
intitolato Astronomica. Tale testo, come ha <strong>di</strong>mostrato Aby Warburg (1922), era ben conosciuto alla<br />
corte estense tramite l'astrologo <strong>di</strong> fiducia del duca, Pellegrino Prisciani.<br />
Nelle sue incisioni, Dürer, frequentatore <strong>di</strong> dotti e <strong>di</strong> umanisti, spesso si ispira a testi sofisticati noti<br />
e <strong>di</strong>ffusi nella cerchia <strong>di</strong> amici che l'artista abitualmente frequentava. Così, per esempio, per le<br />
Quattro streghe del 1497, segue il Malleus Maleficarum, manuale sulle streghe apparso nel 1487; per<br />
il bulino con il Sogno del dotto, 1498 ca, ricorre al Narrenschift dell'umanista Sebastian Brant<br />
(Panofsky, 1967).<br />
Per il Cinquecento si può invece ricordare l'esempio <strong>di</strong> Giorgione, la cui frequentazione<br />
dell'ambiente raffinato e colto della corte umanistica <strong>di</strong> Caterina Cornaro ad Asolo è più che<br />
probabile (Wittkower, 1978); nel misterioso <strong>di</strong>pinto dei Tre Filosofi <strong>di</strong> Vienna l'artista ricorre ad una<br />
fonte assai nota e <strong>di</strong>ffusa nel primo Cinquecento (veneziano). Si tratta dell’Opus imperfectum in<br />
Mattheum, dove si descrive l'osservazione del cielo e della grotta sul Mons Victorialis da parte dei<br />
sapienti (nel testo do<strong>di</strong>ci), per scoprirvi gli in<strong>di</strong>zi della venuta del Messia (Wilde, 1932).<br />
La fonte che ha ispirato la decorazione ad affresco del Camerino del Palazzo Farnese a Roma,<br />
eseguita da Annibale Carracci, è stata correttamente in<strong>di</strong>viduata in un carme composto da<br />
Odoardo Quarenghi per Odoardo Farnese nel 1586, allorquando quest'ultimo non era stato<br />
ancora nominato car<strong>di</strong>nale (Volpi, 1999).<br />
Il famoso gruppo statuario con II ratto <strong>di</strong> Proserpina che Gian Lorenzo Bernini scolpisce tra il 1620 e<br />
il 1621 si ispira invece, probabilmente, ad un trattato perduto <strong>di</strong> Porfirio (De cultu simulacrorum),<br />
che conosciamo attraverso Vincenzo Cartari, suggerito all'artista dal committente car<strong>di</strong>nale<br />
Scipione Borghese (Winner, 1998).<br />
5.3.1 Rapporto immagine-fonte letteraria<br />
Più complesso, dopo l'accertamento della fonte che ha ispirato l'immagine, è chiarire in quale<br />
maniera l'artista l'abbia utilizzata nella sua opera. L'artista, infatti, può comportarsi un due mo<strong>di</strong>.<br />
Può, innanzi tutto, tradurre visivamente alla lettera, senza cambiamenti <strong>di</strong> sorta, il testo <strong>di</strong><br />
partenza; può sottoporlo a variazioni; può, infine, utilizzare in maniera combinata, o «incrociata»,<br />
due o più fonti letterarie <strong>di</strong>verse in una sola immagine.
Primo caso: traduzione letterale della fonte letteraria. Giotto e il suo cantiere nelle ventotto Storie<br />
francescane della Basilica Superiore <strong>di</strong> Assisi (1296-1304), come <strong>di</strong>mostrano anche le <strong>di</strong>dascalie<br />
sottostanti, oggi per gran parte frammentarie, seguono la biografia del Santo scritta da<br />
Bonaventura da Bagnoregio, terminata nel 1263, nota come Leggenda maggiore. In quasi letterale<br />
corrispondenza con il testo scritto, gli episo<strong>di</strong> raffigurati nell'affresco evidenziano i seguenti aspetti<br />
della personalità <strong>di</strong> Francesco: il senso profetico delle sue azioni; l'identificazione con Cristo, sia<br />
nella carne che nello spirito (alter Christus); il rapporto armonico con gli uomini e il creato; la<br />
sottomissione alla Chiesa (Frugoni, 1995).<br />
Masaccio, nel Tributo della moneta del ciclo con le storie <strong>di</strong> San Pietro eseguito nella Cappella<br />
Brancacci al Carmine <strong>di</strong> Firenze tra il 1425 e il 1428, riproduce alla lettera l'episo<strong>di</strong>o, articolato in<br />
tre tempi, narrato da Matteo (27, 23; que<strong>sito</strong> posto dagli Apostoli a Cristo, pesca del pesce con la<br />
moneta, atto del tributo).<br />
Secondo caso: variazione dell'immagine rispetto alla fonte ispiratrice. La variazione può seguire<br />
quattro forme: mutazione degli elementi descrittivi; eliminazione <strong>di</strong> taluni elementi che<br />
compaiono nella fonte scritta; sintesi essenziale degli elementi costituitivi il testo ispiratore;<br />
arricchimento del testo con elementi nuovi.<br />
Un esempio <strong>di</strong> mutazione degli elementi descrittivi rispetto alla fonte letteraria ispiratrice si<br />
riscontra nel <strong>di</strong>pinto con lo Sposalizio mistico <strong>di</strong> Santa Caterina eseguito da Giovanni <strong>di</strong> Pietro, ora nel<br />
Museo Nazionale <strong>di</strong> San Matteo a Pisa. Il <strong>di</strong>pinto si ispira al brano della Legenda maior <strong>di</strong> Raimondo<br />
da Capua. Le variazioni dell'immagine rispetto alla descrizione letteraria sono le seguenti: la santa<br />
che nel testo letterario prega in una grotta nel <strong>di</strong>pinto viene raffigurata sulla soglia <strong>di</strong> una cella; i<br />
santi che con Cristo nel testo sono in<strong>di</strong>cati a fianco <strong>di</strong> Santa Caterina, al contrario sono circondati<br />
da cherubini e si protendono verso <strong>di</strong> lei dal cielo.<br />
Si riscontra invece una riduzione degli elementi (e degli attributi) presenti nel testo letterario là<br />
dove l'artista, nell'immagine, volutamente li trascura.<br />
Per esempio, nella Resurrezione <strong>di</strong> Jacopo <strong>di</strong> Cione della National Gallery <strong>di</strong> Londra la<br />
raffigurazione del Cristo che si libra sul sepolcro chiuso non corrisponde alla descrizione dei<br />
Vangeli, dove vengono in<strong>di</strong>cati soltanto l'Angelo, le Marie e il sepolcro vuoto.<br />
Frequente è il caso in cui un episo<strong>di</strong>o viene tradotto nell'immagine con una semplificazione dei<br />
suoi elementi narrativi e compositivi, puntando invece alla raffigurazione del momento culminante,<br />
e ritenuto più importante dell'intero episo<strong>di</strong>o. Come per esempio nel <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Bernardo Castello<br />
dell'Accademia Ligustica <strong>di</strong> Genova, dove il brano della Gerusalemme <strong>di</strong> Torquato Tasso (canto<br />
do<strong>di</strong>cesimo), con la morte <strong>di</strong> Clorinda tra le braccia <strong>di</strong> Tancre<strong>di</strong>, viene ridotto al momento<br />
culminante dell'azione.<br />
Un arricchimento del testo è rappresentato invece dalla presenza nell'immagine <strong>di</strong> particolari che<br />
non compaiono nella fonte letteraria. Tipica è la scena del Viaggio dei Re Magi descritta da<br />
Matteo (2, 9-10), che spesso nelle immagini si arricchisce <strong>di</strong> particolari esotici non citati<br />
dall'Evangelista (per esempio nel famoso Viaggio dei re Magi <strong>di</strong> Benozzo Gozzoli in Palazzo Me<strong>di</strong>ci-<br />
Riccar<strong>di</strong> a Firenze).<br />
Per incrocio, infine, s'intende, l'uso combinato <strong>di</strong> due o più fonti in un medesimo testo figurativo.<br />
Caso tipico è costituito dal <strong>di</strong>pinto con Marte, Venere e Satiri <strong>di</strong> Sandro Botticelli ora alla National<br />
Gallery <strong>di</strong> Londra. L'artista infatti s'ispira ad un brano del Symposium <strong>di</strong> Marsilio Ficino che unisce<br />
ad un passo dei Dialoghi Luciano.<br />
Un altro esempio è la figurazione delle Storie <strong>di</strong> Sant'Orsola eseguite da Vittore Carpaccio per la<br />
scuola omonima tra il 1490 e il 1495 ca (oggi i teleri si trovano nelle Gallerie dell'Accademia <strong>di</strong><br />
Venezia). In esse si giustappongono o utilizzano «per incrocio» due fonti agiografiche: la Legenda<br />
aurea, con i passi relativi al Martirio delle Un<strong>di</strong>cimila vergini, a sua volta trasposta assai liberamente;<br />
e la Legenda <strong>di</strong> santa Guglielma figlia del re d'Inghilterra e sposa del re d'Ungheria (Mason, 2000).<br />
S'ispirano infatti alla lettera alla prima fonte gli episo<strong>di</strong> del ciclo con l'Arrivo degli ambasciatori, il<br />
Sogno <strong>di</strong> Sant'Orsola, l'Arrivo a Roma, l’Arrivo a Colonia, il Martirio dei Pellegrini, le Esequie <strong>di</strong><br />
Sant'Orsola, l'Apoteosi della Santa. Gli episo<strong>di</strong> con la missione <strong>di</strong>plomatica sono invece ricostruzioni<br />
d'invenzione rispetto al racconto letterario. Seguono invece la seconda fonte agiografica gli episo<strong>di</strong><br />
con l'Incontro e la Partenza dei fidanzati.
5.3.2 Frainten<strong>di</strong>menti iconografici<br />
Molto spesso si è assistito da parte della critica, a frainten<strong>di</strong>menti sulla autentica fonte letteraria o<br />
storica che sta all'origine <strong>di</strong> un'opera d'arte. Tali frainten<strong>di</strong>menti hanno portato a una <strong>di</strong>storsione<br />
dell'interpretazione storica e del significato dell'opera stessa. Anche gran<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi, in passato, sono<br />
incorsi in questo tipo <strong>di</strong> infortuni. Erwin Panofsky, stu<strong>di</strong>ando un famoso <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Rembrandt<br />
raffigurante Un vescovo (Chatsworth, Devonshire Collection, Benesch, 1954-57, n. 120), riteneva<br />
fosse un santo agostiniano; e spiegava questa raffigurazione con la <strong>di</strong>ffusione dell'agostinismo<br />
nell'Olanda del XVII secolo ad opera <strong>di</strong> Cor-nelis Jansen, fondatore del Giansenismo e vescovo <strong>di</strong><br />
Ypres, che morendo nel 1638, lasciò manoscritta un'opera intitolata appunto Augustinus. Henri van<br />
de Waal ha però <strong>di</strong>mostrato che il significato iconografico <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>segno, risalente al 1638 ca., non<br />
è da collegare con la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> questo or<strong>di</strong>ne religioso in Olanda. Al contrario, è un'illustrazione <strong>di</strong><br />
una scena della trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Joost van den Vondel, Gijsbreght van Aemstel, rappresentata appunto ad<br />
Amsterdam nel 1638.<br />
Roberto Longhi nel saggio su Correggio (1956) ritiene, in maniera del tutto improponibile, che la<br />
figurazione della Camera <strong>di</strong> San Paolo a Parma del Correggio sia un'allegoria venatoria; identificando<br />
Diana con Giovanna, la badessa del monastero e committente dell'opera.<br />
Un altro esempio, tra i frainten<strong>di</strong>menti significativi più recenti, coinvolge due tavole <strong>di</strong> Giacomo<br />
Jaquerio, conservate nel Museo Civico <strong>di</strong> Torino, raffiguranti due episo<strong>di</strong> della storia <strong>di</strong> San Pietro.<br />
La prima è la Liberazione dal carcere, la seconda la Chiamata del Santo.<br />
Fonte iconografica certa della seconda, per Enrico Castelnuovo e Giovanni Romano (1979) è il testo<br />
evangelico <strong>di</strong> Matteo (14, 22-32), che descrive il salvataggio <strong>di</strong> Pietro dalle acque, da parte <strong>di</strong><br />
Cristo, durante una tempesta notturna. Sia i gesti del Cristo che quelli <strong>di</strong> San Pietro, ad una lettura<br />
meno superficiale e <strong>di</strong>stratta dei testi sacri, conducono invece all'episo<strong>di</strong>o della chiamata o<br />
vocazione da parte <strong>di</strong> Gesù, qui colto nell'atto del seminare, commentato invece da Matteo (4,18-<br />
19; Piccat, 1999).<br />
La tavola si lega alla prima con la Liberazione dal carcere <strong>di</strong> Pietro, la cui fonte inequivocabile è Atti 12,<br />
22. L'attributo delle catene mostrate da Pietro, anziché abbandonate come precisa il testo sacro,<br />
ha suggerito erroneamente (Castelnuovo, Romano, 1979), che si tratti <strong>di</strong> un riferimento alla<br />
de<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> San Pietro in Vincoli della cattedrale <strong>di</strong> Ginevra e quin<strong>di</strong> ha portato a pensare ad<br />
una provenienza ginevrina delle due tavole, parti forse <strong>di</strong> un complesso pittorico più vasto e<br />
articolato. L'identificazione del devoto e dello stemma nella tavola con la Liberazione <strong>di</strong> San Pietro<br />
con Vincenzo Aschieri, abate della Novalesa tra il 1388 e il 1452, i cui monaci e<strong>di</strong>ficarono ad<br />
Avigliana una chiesa de<strong>di</strong>cata a San Pietro in Ferronia, ha indotto al contrario, e in maniera ben più<br />
documentata e corretta, ad ipotizzare piuttosto una provenienza dei <strong>di</strong>pinti da quest'ultimo<br />
e<strong>di</strong>ficio, e a scartare definitivamente la fantasiosa ipotesi precedente.<br />
5.4 Programmi iconografici<br />
L'elaborazione <strong>di</strong> un programma iconografico che ispira una determinata figurazione, dal<br />
Me<strong>di</strong>oevo alla fine dell'età barocca, spetta in genere al committente e ai suoi consulenti (teologi,<br />
umanisti, uomini <strong>di</strong> cultura). Per esempio nel Me<strong>di</strong>oevo, il ciclo <strong>di</strong> affreschi <strong>di</strong> recente recuperato nel<br />
sottotetto della cattedrale <strong>di</strong> Aosta, che risale al periodo 1031-1040, presenta un programma<br />
iconografico molto preciso. Intanto le storie <strong>di</strong> Sant'Eustacchio, originate da una leggenda<br />
orientale, penetrate in Oriente nell'VIll secolo, ispirate a una vita latina abbreviata del santo; quin<strong>di</strong><br />
episo<strong>di</strong> della vita <strong>di</strong> Mosè seguiti da episo<strong>di</strong> della parabola del povero Lazzaro; infine gli antenati <strong>di</strong><br />
Cristo e la schiera dei vescovi raffigurati a mezzo busto. Il ciclo, che è dello stesso atelier pittorico <strong>di</strong><br />
quello che decora il sottotetto della chiesa <strong>di</strong> Sant'Orso pure ad Aosta, si deve forse all'iniziativa<br />
duel vescovo <strong>di</strong> Aosta Anselmo. Di nobile famiglia borgognona, nel 1002 è preposto dell'abbazia <strong>di</strong><br />
Saint-Maurice d'Agaune, sede della cancelleria reale. Morto nel 1026, gli succede il nipote<br />
Burcardo, che fu vescovo <strong>di</strong> Aosta tra il 1022 e il 1031 allorquando usurpò la sede vescovile <strong>di</strong><br />
Lione. Nel 1036 venne deposto e relegato a Saint Maurice d'Agaune come abate, carica che tenne<br />
sino alla morte (1046 ca).<br />
Nel Trecento, un esempio importante <strong>di</strong> programma iconografico è quello illustrato da Andrea da<br />
Firenze nella decorazione del Cappellone degli Spagnoli in Santa Maria Novella a Firenze (1366-68).<br />
Il programma ispirato allo Specchio <strong>di</strong> vera penitenza <strong>di</strong> Jacopo Passavano, svolge il tema della
dottrina della Chiesa e della glorificazione delle attività dell'or<strong>di</strong>ne domenicano, a cui si legano<br />
concettualmente le scene della passione, resurrezione e pentecoste con la storia <strong>di</strong> San Pietro<br />
Martire.<br />
Nel Quattrocento, il programma iconografico per la seconda porta del Battistero <strong>di</strong> Firenze, detta<br />
del Para<strong>di</strong>so, eseguita da Lorenzo Ghiberti tra il 1425 e il 1452, fu elaborato dall'umanista<br />
Leonardo Bruni. Questo programma prevedeva la sud<strong>di</strong>visione della porta in ventotto riquadri o<br />
compassi con storie del Vecchio Testamento, successivamente ridotti a venti. Nel programma<br />
scritto, l'umanista aretino <strong>di</strong>chiara esplicitamente, che, oltre a scegliere il tema iconografico, era<br />
responsabile del risultato formale ed estetico dell'opera.<br />
Nel secolo XVI, tra i molti programmi iconografici elaborati possiamo ricordare, per esempio,<br />
quello delle Stanze della Segnatura <strong>di</strong> Raffaello in Vaticano, quello per la Camera <strong>di</strong> san Paolo del<br />
Correggio a Parma e quello <strong>di</strong> Annibal Caro per la Camera dell'Aurora nel palazzo <strong>di</strong> Caprarola.<br />
Il programma iconografico della Stanza della Segnatura realizzato da Raffaello e dalla sua bottega tra<br />
il 1508 e il 1511 mirava ad esaltare le tre massime categorie dello spirito umano: il vero, il bene e il<br />
bello (Shearman, 1983).<br />
Il vero è l'aspetto soprannaturale rappresentato dalla ricerca teologica e filosofica e visualizzato<br />
nelle immagini della Disputa del Sacramento e della Scuola <strong>di</strong> Atene.<br />
Il bene è il principio oggettivato giuri<strong>di</strong>camente nella legge e visualizzato dalla personificazione<br />
delle virtù teologali e car<strong>di</strong>nali, da Papa Gregorio che approva le Decretali e da Triboniano che<br />
consegna le Pandette a Giustiniano.<br />
Il bello identificato con la poesia è visualizzato nella rappresentazione del Parnaso.<br />
Non sappiamo con certezza chi sia stato l'autore del programma commissionato da Giulio II:<br />
Inghirami, Sannazzaro, Giovio o Bembo.<br />
Il programma iconografico della Camera <strong>di</strong> san Paolo a Parma, realizzata dal Correggio nel 1518-19,<br />
è verosimilmente ideato dalla badessa Giovanna Piacenza su probabile consiglio del consigliere<br />
letterario, il protonotario apostolico Bartolomeo Montino, umanista dotto, decano dei canonici<br />
della cattedrale; o dell'umanista Giorgio Anselmi <strong>di</strong> Parma, stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> classici greci e latini,<br />
collezionista <strong>di</strong> monete e libri. Il programma della stanza, secondo l'interpretazione <strong>di</strong> Panofsky<br />
(1961) simbolizza le virtù della badessa {speculum morale), i quattro elementi naturali (speculum<br />
naturale) e infine la presenza della <strong>di</strong>vinità {speculum doctrinale).<br />
Per gli affreschi <strong>di</strong> Taddeo Zuccari nella sala dell'Aurora del Palazzo farnesiano <strong>di</strong> Caprarola il<br />
programma iconografico venne redatto da Annibal Caro. In una lettera del 1560 egli suggerisce nei<br />
dettagli la composizione iconografica. Il fregio doveva essere a grottesche o a piccole scene con<br />
figure minuscole in accordo con la rappresentazione sottostante. Accanto all'aurora dovevano poi<br />
figurare artigiani, e lavoratori <strong>di</strong> ogni sorta, i quali appena alzati iniziano le loro occupazioni; infine<br />
una serie <strong>di</strong> personificazioni allegoriche (la Solitu<strong>di</strong>ne, la Tranquillità, il Sonno).<br />
Per l'età barocca possiamo innanzi tutto citare il gran<strong>di</strong>oso affresco che Pietro da Cortona eseguì<br />
per la decorazione del Salone centrale <strong>di</strong> Palazzo Barberini a Roma e la serie dei Sette sacramenti<br />
eseguiti da Nicolas Poussin tra il 1636 e il 1642 (la seconda serie per Chantelou risale al 1644-48).<br />
Il programma del grande affresco che Pietro da Cortona raffigurò nel salone centrale <strong>di</strong> Palazzo<br />
Barberini a Roma tra il 1632 e il 1637 fu elaborato da Francesco Bracciolini, poeta della cerchia del<br />
car<strong>di</strong>nale Francesco Barberini. La base concettuale <strong>di</strong> questo programma è contenuta nel poema<br />
e<strong>di</strong>to a Roma nel 1624, dal titolo L'Electione <strong>di</strong> Urbano ottavo.<br />
La scena centrale e l'azione del soffitto Barberini riflettono una struttura mentale astratta<br />
fondata su un concetto aral<strong>di</strong>co: la Divina provvidenza or<strong>di</strong>na al-rimmortalità <strong>di</strong> incoronare con<br />
un <strong>di</strong>adema <strong>di</strong> stelle le tre Api dell'insegna dei Barberini mentre salgono in formazione. Le tre<br />
Virtù Teologali a turno incoronano le api con rami <strong>di</strong> lauro, simbolo <strong>di</strong> immortalità, come le<br />
personificazioni <strong>di</strong> Roma e della religione incoronano il gruppo con la tiara papale e le chiavi.<br />
L'insieme simboleggia l'elezione <strong>di</strong> Urbano al soglio pontificio Divina Provi-dentia Pontifex<br />
Maximus, preannunciato dall'arrivo al conclave <strong>di</strong> uno sciame <strong>di</strong> api (provenienti dalla Toscana,<br />
terra <strong>di</strong> origine dei Barberini). Medaglioni istoriati agli angoli della cornice centrale<br />
simboleggiano le quattro virtù car<strong>di</strong>nali; scene narrative isolate o episo<strong>di</strong> nei riquadri illustrano<br />
le altre virtù del papa. Come osservano esegeti del tempo, le stesse api nel soffitto del salone
simboleggiavano la Divina Provvidenza (Beldon Scott, 1997).<br />
Committente della serie poussiniana dei Sette sacramenti fu invece Cassiano dal Pozzo, che aveva<br />
destinato i <strong>di</strong>pinti per il proprio palazzo <strong>di</strong> via de' Chiavari a Roma, e che ne ispirò, verosimilmente,<br />
anche il programma iconografico. <strong>L'iconografia</strong> dei Sacramenti è allusiva al tema della Grazia<br />
ottenuta dall'uomo soltanto con i Sacramenti e l'attualità <strong>di</strong> questo concetto, riba<strong>di</strong>ta da scritti<br />
coevi in polemica con i protestanti, come per esempio l’Assertoriorum Catholicarum libri tres<br />
(1629) del letterato scozzese George Conn, amico <strong>di</strong> Cassiano che era stato inviato da Urbano Vili<br />
alla corte inglese <strong>di</strong> <strong>Carlo</strong> I (Contar<strong>di</strong>, 2000).<br />
Nei documenti che posse<strong>di</strong>amo è possibile stabilire in quale misura le in<strong>di</strong>cazioni programmatiche<br />
iconografiche siano precise o meno. In generale si può <strong>di</strong>re che le prescrizioni <strong>di</strong>ventano sempre<br />
meno generiche e più dettagliate con il trascorrere dei secoli. In generale si è notato che nel tardo<br />
Cinquecento e poi nell'età barocca, rispetto al Me<strong>di</strong>oevo e al Quattrocento, i programmi<br />
<strong>di</strong>ventano sempre più minuziosi.<br />
I miti e le leggende che inquadrano ciascun attributo o ciascuna allegoria sono molto più<br />
importanti che il <strong>di</strong>scorso d'insieme che le lega l'uno all'altro. Questa moltiplicazione <strong>di</strong> citazioni,<br />
questo gusto per la giustapposizione delle fonti li si ritrovano dappertutto (oltreché nei<br />
programmi iconografici) nei prodotti culturali del XVI secolo (Hochmann, 1994).<br />
5.5 Uso e applicazione degli schemi iconografico-compositivi: tra<strong>di</strong>zione e innovazione<br />
Per costruire un'immagine iconografica un'artista trae ispirazione da una fonte letteraria. Tuttavia,<br />
la traduzione dell'episo<strong>di</strong>o descritto nella fonte letteraria nella composizione figurata non è atto<br />
<strong>di</strong>retto e automatico. L'artista infatti ricorre a schemi compositivi già elaborati dalla tra<strong>di</strong>zione o<br />
dalla cultura figurativa a lui coeva. L'utilizzazione può avvenire in maniera letterale, trasferendo cioè<br />
<strong>di</strong>rettamente nella sua opera uno schema già anteriormente preparato, senza variazioni <strong>di</strong> sorta; o,<br />
al contrario, può variare questo schema <strong>di</strong> partenza. Infine, la variazione può condurre<br />
all'innovazione. Quest'ultima deriva dall'incontro <strong>di</strong> esperimento e formula, e dal graduale<br />
abbandono <strong>di</strong> quest'ultima.<br />
Pren<strong>di</strong>amo per esempio il tema iconografico dell'Ultima Cena che è uno <strong>di</strong> quelli più stu<strong>di</strong>ati dagli<br />
artisti dal Me<strong>di</strong>oevo all'età moderna. Nel corso dei secoli lo schema della cena non è fisso. Differenti<br />
sono le soluzioni date alla forma del tavolo (semicircolare, circolare, rettangolare). Non univoca è la<br />
posizione del Cristo (capotavola oppure al centro fra gli Apostoli). Gli Apostoli sono, a loro volta,<br />
<strong>di</strong>sposti intorno al tavolo oppure lungo il lato maggiore. Diversa è l'in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> Giuda nella<br />
Cena: isolato dagli altri Apostoli; alla destra del Cristo insieme ai do<strong>di</strong>ci, ma <strong>di</strong>stinto dall'aureola nera<br />
o privo ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> questo attributo; contrad<strong>di</strong>stinto dal gesto rivolto al Cristo che gli offre il<br />
boccone. Gli artisti adottano <strong>di</strong> volta in volta questi schemi mantenendoli fissi, intercambiandoli o<br />
variandoli. L'innovazione avviene per esempio con Leonardo, che nel Cenacolo milanese introduce<br />
con la variazione degli schemi stu<strong>di</strong>ati della tra<strong>di</strong>zione toscana e lombarda precedente (Rossi-<br />
Rovetta, 1988; Marani, 2001), l'innovazione dei raggruppamenti tria<strong>di</strong>ci degli Apostoli e la<br />
rappresentazione del loro turbamento e della loro emozione.<br />
5.6 Iconografia, iconologia, icnografia<br />
<strong>L'iconografia</strong> si <strong>di</strong>fferenzia dall'iconologia. La prima è una <strong>di</strong>sciplina che si propone <strong>di</strong> descrivere,<br />
classificare e interpretare i soggetti e i temi figurati <strong>di</strong> una determinata opera d'arte. La seconda<br />
ha invece per scopo quello <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are i significati simbolici, emblematici e allegorici delle opere<br />
d'arte. Con molta efficacia l'Hoogewerff (1931) paragonava lo stu<strong>di</strong>o dell'iconografia a quello della<br />
geografia (descrizione e classificazione dei fenomeni della terra) e la ricerca iconologica a quello della<br />
geologia (spiegazione dei meccanismi che presiedono a questi fenomeni).<br />
Iconografia. Disciplina ausiliaria della storia dell'arte, ma per certi aspetti un momento della stessa<br />
ricerca storico-artistica, che ha per oggetto la classificazione, la descrizione e la interpretazione <strong>di</strong> temi<br />
figurati: così intesa l'iconografia è necessaria premessa dell'iconologia, che intende chiarire il significato<br />
e le motivazioni dei <strong>di</strong>versi temi, tenendo conto delle varie implicazioni (simboliche, emblematiche,
allegoriche ecc.) (Grassi, Pepe, 1978).<br />
L'icnografia, infine, è la descrizione <strong>di</strong> una pianta <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio.<br />
La pianta è la sezione orizzontale condotta su un e<strong>di</strong>ficio; viene praticata <strong>di</strong> solito all'altezza delle<br />
finestre; dà una rappresentazione in proiezione ortogonale della posizione e dell'ampiezza degli<br />
ambienti <strong>di</strong> un piano, nonché del numero e <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> porte, scale ecc.; mai però delle rispettive<br />
altezze (Pevsner, Fleming, Honour, 1981).<br />
La descrizione icnografica porta a classificare i vari tipi <strong>di</strong> piante e le loro caratteristiche specifiche.<br />
Nell'architettura antica, com'è noto, le piante si <strong>di</strong>stinguono nelle tipologie <strong>di</strong> centrale, ellittica,<br />
longitu<strong>di</strong>nale, a croce, bastionata. Nell'architettura del Novecento subentra invece la pianta libera,<br />
non legata cioè a schemi geometrici regolari, ma connessa piuttosto alle <strong>di</strong>verse funzioni<br />
dell'e<strong>di</strong>ficio.<br />
5.7 Valore simbolico degli elementi iconografici<br />
Ciascun elemento iconografico assume nel corso dei tempi un preciso significato simbolico. A<br />
cominciare dal colore. Esso nel Me<strong>di</strong>oevo e fino al Quattrocento era scelto con precisi riferimenti<br />
allegorici. Il bianco significava l'innocenza e la purezza; il rosso la carità, l'amore e l'ardente<br />
desiderio <strong>di</strong> virtù; il giallo oro la <strong>di</strong>vinità e la maestà; il nero l'umiltà e la tristezza; l'azzurro la fedeltà,<br />
la costanza e il raccoglimento <strong>di</strong> fronte alla <strong>di</strong>vinità; il verde la libertà, la bellezza, la salute e la<br />
dolcezza; l'arancio la fama incostante.