recensione: "Mille splendidi soli - Liceo Scientifico Antonelli
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Classe 5B<br />
Prof. Borelli<br />
<strong>Mille</strong> <strong>splendidi</strong> <strong>soli</strong><br />
Si tratta del secondo romanzo dello scrittore americano di origine afghana Khaled<br />
Hosseini, portato al successo mondiale attraverso il suo best-seller, Il cacciatore di<br />
aquiloni. Il titolo originale corrisponde a “A Thousand Splendid Suns” e fa riferimento a una<br />
frase che si legge poco prima della metà del libro e che rappresenta una sorte di ode<br />
d’addio pronunciata da Babi e rivolta a Kabul, riprendendo alcuni versi scritti dal poeta<br />
Saib-e-Tabrizi nel XVII secolo:<br />
“Non si possono contare le lune che brillano sui suoi tetti,<br />
né i mille <strong>splendidi</strong> <strong>soli</strong> che si nascondono dietro i suoi muri”<br />
È il punto di vista femminile a emergere da questa affascinante storia e ciò è possibile<br />
grazie alle voci delle due protagoniste Mariam e Laila, due donne radicalmente diverse le<br />
cui vite finiscono per intrecciarsi nella condivisione dello stesso drammatico destino.<br />
TRAMA<br />
Mariam nasce nel 1959 e trascorre i primi quindici anni della<br />
sua vita in una radura alla periferia di Gul Daman, in una<br />
piccola kolba che divide con la madre Nana. Essendo figlia di<br />
una serva e non essendo stata riconosciuta legalmente dal<br />
padre, si trova ad essere una harami, una bastarda, e non può<br />
godere della vita serena dei suoi fratellastri. Nana ha un<br />
carattere chiuso, <strong>soli</strong>tario e astioso, e persevera nella<br />
convinzione che l'unica cosa che la figlia debba imparare è la<br />
sopportazione, perché è consapevole che "come l'ago della<br />
bussola segna sempre il nord, così il dito accusatore<br />
dell'uomo trova sempre una donna a cui addossare la colpa".<br />
Tuttavia Mariam resta totalmente affascinata dal suo amato<br />
padre Jalil Khan, tanto che vive con trepidazione gli istanti che<br />
precedono le sue visite di poche ore ogni giovedì, talvolta<br />
anche passando insonne la notte dell’attesa. Al suo<br />
quindicesimo compleanno, però, succede un fatto che spezza<br />
tutti gli equilibri: la ragazza desidera essere accompagnata al<br />
cinema dal padre, ma egli, che in realtà si vergogna di lei, non mantiene la promessa e<br />
quel giorno non si presenta. Quando Mariam, ostinata, prova ad andare a casa sua per<br />
cercarlo, nonostante l’opposizione della madre con cui ha una violenta discussione prima<br />
di partire, viene respinta da lui che la lascia chiusa fuori dal portone a trascorrere la nottata<br />
sul marciapiede. Una volta riaccompagnata a casa da un autista, trova la madre impiccata<br />
ad un albero: il rimorso per la sua morte la segnerà per tutto il resto della vita. Viene quindi<br />
ospitata per qualche tempo a casa di Jalil, nei riguardi del quale perde progressivamente<br />
la stima e l’affetto. Alla fine è quest'ultimo, spinto dalle tre mogli (Khadija, Afsun e Nargis)<br />
che le trova un marito, distruggendo definitivamente e in modo irreversibile la figura<br />
idealizzata che Mariam ha sempre avuto di lui. In tal modo non si dimostra altro che un<br />
ricco ma debole uomo incapace di opporsi all’ingiusto futuro a cui, complice lui stesso, si<br />
sta condannando la figlia. A quindici anni è dunque costretta a sposare Rashid, già molto<br />
più vecchio di lei, che fa il calzolaio a Kabul e che ha perso la moglie dando alla vita il
figlio, il quale muore poi annegato nel lago un giorno che il padre è ubriaco. L’uomo è<br />
disposto a portare Mariam nella sua città con la speranza di avere un bambino da lei che<br />
sostituisca quello perso tragicamente, ma una serie di dolorosi aborti portano alla luce il<br />
suo lato irascibile ed estremamente violento, incline a continue vessazioni e percosse.<br />
A questo punto si inserisce la storia dell’altra co-protagonista, Laila, nove anni, nata nel<br />
1978 a Kabul dove vive insieme alla sua famiglia: i fratelli maggiori, Ahmad e Nur, di cui<br />
però non ha ricordi ma solo fotografie, perché partiti per la Jihad, la "guerra santa”, quando<br />
ancora lei era piccola. Vi è poi il padre, Babi, figura importantissima per la ragazza, con il<br />
quale ha una profonda affinità di carattere e un forte legame affettivo. Egli è un ex<br />
professore universitario, studioso e amante della poesia, che simpatizza per il governo<br />
comunista per la possibilità che questo offre alle donne di avanzare sul piano dei loro<br />
diritti. Infine la madre Fariba, con la quale Laila ha un rapporto diametralmente opposto:<br />
depressa per la partenza dei ragazzi, non riesce a dare alla figlia l'amore che merita e<br />
spesso si chiude nella sua stanza rifiutando di vedere il marito, al quale rinfaccia di non<br />
aver impedito che i figli partissero per la guerra. Questa situazione si acuisce alla notizia<br />
della morte di Ahmad e Nur.<br />
Ma la persona che la ragazza sente più simile a un vero fratello è il grande amico Tariq,<br />
con il quale è cresciuta; i due si rivelano il loro amore pochi anni più tardi, e, ancora<br />
giovani, si amano disperatamente, spinti dal terrore di non rivedersi mai più, il giorno prima<br />
della partenza di Tariq per il Pakistan, un tentativo di sfuggire al conflitto armato che ormai<br />
da tempo logora il territorio afghano. Anche il padre di Laila vorrebbe lasciare<br />
l’Afghanistan, ma riesce a convincere la moglie a seguirlo solo dopo che un proiettile<br />
rischia di colpire la loro bambina passando a una manciata centimetri dal suo orecchio.<br />
Eppure proprio poco prima della partenza, quando Laila già assapora la concreta<br />
possibilità di riabbracciare Tariq, quando ormai gli orrori della guerra sembrano tanto<br />
lontani, la sua casa viene colpita da un razzo e i suoi genitori perdono la vita. La piccola,<br />
ferita, viene soccorsa da Rashid, suo vicino di casa, ed è qui che la sua vita si lega a<br />
quella di Mariam.<br />
Subito dopo la completa guarigione di Laila, Rashid, infatuato della giovane, le racconta la<br />
falsa morte di Tariq, essendo a conoscenza dei pettegolezzi che giravano sul loro conto e<br />
temendo che Laila potesse andarsene una volta rimessasi in buona salute. Inizia così un<br />
corteggiamento serrato che termina con la proposta di matrimonio intessuta della<br />
speranza di poter avere da lei il figlio tanto desiderato, che Mariam non ha saputo dargli.<br />
La ragazza accetta senza indugiare: si aggrappa precipitosamente a questa opportunità,<br />
essendosi accorta di aspettare un figlio da Tariq. Nel primo periodo Laila è oggetto di odio<br />
da parte della prima moglie, che si vede relegata al ruolo di schiava al servizio non solo<br />
del viscido Rashid ma anche della nuova arrivata, trattata come una principessa dal<br />
marito.<br />
L’atteggiamento di quest’ultimo, però, muta totalmente dopo la nascita di Aziza nel ’93,<br />
una femmina, e la sua amarezza diviene tangibile. I rapporti tra le due mogli intanto<br />
migliorano: Mariam resta colpita quando Laila prende le sue difese durante un pestaggio<br />
di Rashid, che usa sfogare su di lei il proprio risentimento, e poco dopo ha un incontro<br />
ravvicinato con la tenera Aziza che le afferra il dito e lo stringe con la sua minuscola mano,<br />
riuscendo ad addolcire un cuore che da tempo si è chiuso all’amore. Mariam trova allora<br />
nella piccola e in sua madre i suoi primi veri e autentici legami, dopo una vita di rapporti<br />
falsi o mandati in fallimento, e diventa a sua volta per Laila una figura materna, un'amica e<br />
un sostegno. Le due si aprono l’un l’altra, condividono angosciosi segreti celati per troppo<br />
tempo e esperienze di vita che hanno in comune la sofferenza per la perdita delle persone<br />
care.
Stanche dei soprusi di Rashid, decidono di fuggire con la bambina un anno dopo, ma il<br />
loro tentativo fallisce e la vendetta del marito è tale da arrivare quasi a ucciderle: Mariam<br />
picchiata a sangue e rinchiusa in un capanno, Laila e Aziza intrappolate nella stanza da<br />
letto, completamente al buio, senza cibo né acqua per più giorni. Da allora non esistono<br />
più favoritismi, entrambe le mogli sono ritenute alla pari indegne e si trascinano attraverso<br />
una vita di stenti e violenze, che culminano con l'avvento dei talebani nel '96. Nel<br />
frattempo, Laila rimane nuovamente incinta, e stavolta di Zalmai, un maschio, che il padre<br />
vizia a dismisura, soprattutto in confronto alla quasi assoluta non curanza che dimostra nei<br />
riguardi della figlia, costretta, in un periodo di siccità e crisi, a trasferirsi all’orfanotrofio per<br />
poter almeno assicurati i pasti.<br />
Nel 2001 torna a Kabul Tariq, che va a trovare Laila quasi dieci anni dopo il loro ultimo<br />
faccia a faccia. Le racconta la sua storia, piena di sofferenza nei campi profughi, dove ha<br />
perso i genitori. Nonostante ciò, è riuscito a tirare avanti in un paesino del Pakistan, Murri,<br />
assunto come inserviente in un piccolo albergo per turisti. La sera stessa Rashid viene a<br />
sapere della visita e, fuori di sé dalla rabbia, insulta la moglie, le rivela di aver sempre<br />
saputo della sua gravidanza nascosta e cerca infine di ucciderla. Mariam accorre in suo<br />
aiuto e la follia assassina dell’uomo si riversa su entrambe; fisicamente più deboli, non<br />
riescono a vincere la forza brutale del marito, così, mentre Rashid è vicino a strangolare<br />
Laila, Mariam esce, afferra la pala e lo colpisce con tutta la forza che ha in corpo, con la<br />
sensazione che tutto il dolore accumulato in quegli anni in cui non è mai stata di peso a<br />
nessuno, che non ha mai dato a vedere e dal quale è stata forgiata, si riversi in<br />
quell’istante con un’energia inaspettata, incredibile. Il colpo è letale.<br />
A questo punto le due donne potrebbero fuggire e invece Mariam decide di confessare<br />
l'omicidio, allo scopo, per lei essenziale, di non far accusare dai talebani Laila e Tariq e<br />
proteggere i bambini dalla strada; viene perciò condannata a morte e le viene tagliata la<br />
testa da un boia nello stadio cittadino.<br />
Laila fugge insieme a Tariq e i figli in Pakistan, dove vivono apparentemente felici per un<br />
lungo periodo. La donna decide comunque di tornare a Kabul approfittando della notizia<br />
della sconfitta dei talebani e coltivando il desiderio di dare un contributo alla città; per<br />
quanto ami la sua nuova vita a Murri, le sembra insignificante. Inoltre vuole che i suoi<br />
genitori possano assistere alla ricostruzione di Kabul attraverso i suoi occhi. Tariq, che la<br />
ama sinceramente e senza riserve, la segue senza esitare.<br />
Prima di tutto, però, Laila ha intenzione di recarsi a Herat, città natale di Mariam e visitare<br />
la casa dell’amica, alla quale l’accompagna il figlio del Mullah Faizullah, ex-maestro di<br />
Mariam, che le consegna anche una scatola ovale, all'interno della quale trova una lettera<br />
scritta da Jalil prima di morire: in quei fogli egli implora il perdono della figlia per esser<br />
stato codardo e non aver fronteggiato le mogli, per non averle dato tutto l’amore e il<br />
rispetto di cui era degna, per averla venduta a Rashid; Nella scatola ci sono anche alcuni<br />
soldi, la sua parte di eredità, e la cassetta del film "Pinocchio", che Mariam aveva<br />
desiderato guardare anni prima con il padre e i fratelli.<br />
Nella conclusione Laila riesce ad aiutare l’orfanotrofio di Kabul, nel quale viene assunta<br />
come insegnante, e il libro si chiude durante una sua lezione, nella quale, estraniatasi un<br />
attimo dalla realtà intorno a lei, si lascia andare al pensiero di essere di nuovo in cinta; e<br />
se sarà una bambina, sul nome non ci sono dubbi.<br />
GUERRA E DIRITTI VIOLATI<br />
Elemento non trascurabile del romanzo è la guerra: non si limita a fare da sfondo alle<br />
vicende narrate ma è talmente legata a queste da avere lo spessore di un vero e proprio<br />
personaggio. Trent'anni di storia afghana dalla fine della monarchia al colpo di stato<br />
militare, dalla dominazione russa alla vittoria dei talebani. Se nelle mani dei russi sembra
affacciarsi una timida opportunità di uguaglianza per le donne, tuttavia permane una gran<br />
parte del popolo che continua a sperare nel ritorno di un Afghanistan indipendente, anche<br />
a costo di caldeggiare la Jihad che le regioni periferiche tribali stanno combattendo contro<br />
i Russi. Quando i "liberatori" mujaheddin, armati dagli americani, entrano a Kabul è perciò<br />
quasi una festa. Non è lo stesso però per la condizione femminile, nei confronti della quale<br />
invece si configura come un passo indietro, che assume caratteristiche ancora peggiori<br />
con la vittoria dei talebani contro le fazioni tribali a loro volta in lotta, dopo essersi rivolte le<br />
une contro le altre, e l'instaurazione di uno spietato regime liberticida.<br />
Un mondo di estremismi terribili, in cui la propria religione è prima annullata, poi ripristinata<br />
sotto il segno di regole che vietano praticamente di esistere. Un aspetto fisico comandato<br />
(per gli uomini barba lunga, turbante e camicie abbottonate sino al collo) e una vita in cui è<br />
proibito cantare, danzare, giocare a carte, a scacchi e d’azzardo, far volare gli aquiloni,<br />
scrivere libri, guardare film e dipingere. Una realtà in cui ogni disobbedienza è punita con<br />
bastonate, mutilazioni e talvolta la morte. Per le donne è, se possibile, ancora più<br />
drammatico: costrette a stare rinchiuse in casa a qualsiasi ora del giorno, possono uscire<br />
solamente se accompagnate da un mahram, un parente di sesso maschile; è<br />
assolutamente vietato mostrare il volto in alcuna circostanza ed è imposto loro l’uso del<br />
burqa tutte le volte che si trovano fuori casa. Non devono utilizzare cosmetici, gioielli, abiti<br />
attraenti, hanno l’obbligo di non parlare se non interpellate, di non guardare negli ochhi gli<br />
uomini, di non ridere in pubblico e non possono né frequentare la scuola né lavorare.<br />
Nonostante l’avvicendarsi dei regimi politici, la condizione della donna in Afghanistan non<br />
è riuscita a cambiare significativamente. Spirito di sopportazione e sacrificio, violenza e<br />
dolore, umiliazione profonda e sottomissione: sono questi i sentimenti e le situazioni con<br />
cui una donna afghana si trova a confrontarsi. Malgrado tutto questo la sua vera forza si<br />
mostra nel desiderio di lottare per un futuro migliore, il coraggio, l’amicizia e la <strong>soli</strong>darietà<br />
che possono tenere unite, legate fino all’estremo due persone come le protagoniste di<br />
<strong>Mille</strong> <strong>splendidi</strong> <strong>soli</strong>.