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il cartelame di tomaso carrega - Confraternitadisanpietro.org

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Confraternita <strong>di</strong> san Pietro Apostolo<br />

fondata <strong>il</strong> 5 settembre 1599 a Porto Maurizio<br />

Riconsegna alla Confraternita<br />

Del restaurato<br />

L’ultimo Cartelame<br />

<strong>di</strong> Tomaso Carrega<br />

(1780)<br />

Storia e cronaca degli apparati effimeri<br />

della Settimana Santa<br />

NELLA STORIA DELL’ARTE PORTORINA<br />

1


Il saluto del Priore<br />

Siamo ancora una volta insieme nello splen<strong>di</strong>do oratorio<br />

barocco finito <strong>di</strong> affrescare da Tomaso Carrega nella primavera<br />

del 1791, per la riconsegna ufficiale <strong>di</strong> un’altra opera d’arte,<br />

fortunosamente arrivata a noi dopo oltre due secoli dalla<br />

realizzazione, e oggi completamente restaurata ad opera del<br />

Laboratorio <strong>di</strong> Botticino e grazie ad un munifico contributo<br />

economico della Fondazione Carige.<br />

Ma dobbiamo altresì ringraziare <strong>il</strong> Prof. Franco Boggero, grande<br />

amico della Confraternita, che ha fortemente voluto <strong>il</strong> restauro<br />

<strong>di</strong> questo apparato effimero che i nostri avi, vissuti nel “Secolo<br />

dei Lumi” hanno potuto ammirare per decenni durante le<br />

Settimane Sante che si sono <strong>di</strong>panate in quel periodo storico.<br />

Per la riconsegna <strong>di</strong> quest’opera, abbiamo voluto realizzare<br />

una piccola pubblicazione, interamente tratta dal libro ”Storia e<br />

Tra<strong>di</strong>zioni nella Settimana Santa a Porto Maurizio” scritto<br />

dall’amico e confratello Gianni De Moro oltre 20 anni or sono,<br />

e<strong>di</strong>to dalla Confraternita, ormai esaurito.<br />

Abbiamo estrapolato la parte relativa all’evoluzione dei sepolcri<br />

e dei cartelami nelle chiese ed oratori della nostra città.<br />

Questo per far si che chi si avvicina all’opera del Carrega<br />

possa, a ragion veduta, apprezzare <strong>il</strong> “tutto del suo lavoro, che<br />

affonda le sue ra<strong>di</strong>ci in una tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> fede che raramente si<br />

può cogliere, riteniamo, in altre realtà culturali.<br />

Certo, <strong>il</strong> libro è ormai datato, ed alcune delle notizie riportate<br />

sono forse oggi superate da altre e più approfon<strong>di</strong>te ricerche.<br />

Tutavia, l’impianto storico <strong>di</strong>panato in questa pagine da Gianni<br />

è ancor oggi valido come un affresco del passato<br />

2


Possa questo piccolo documento storico dare al lettore del terzo<br />

m<strong>il</strong>lennio un’immagine <strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e veritiera della fede,<br />

dell’amore e dell’attaccamento della nostra gente al mistero<br />

della Passione <strong>di</strong> Nostro Signore Gesù Cristo, concretizzato nei<br />

“Cartelami” e nelle cerimonie connesse, fulcro per secoli della<br />

vita religiosa e sociale della città <strong>di</strong> Porto Maurizio.<br />

Sit nomen domini Bene<strong>di</strong>ctum<br />

Clau<strong>di</strong>o Risso, Magnifico Priore <strong>di</strong> san Pietro<br />

Dal nostro Oratorio, 11 marzo 2007<br />

3


Gianni de Moro<br />

Storia e Tra<strong>di</strong>zione<br />

nei canti della Settimana Santa<br />

a Porto Maurizio<br />

Parte Seconda<br />

SEPOLCRI E CARTELAMI<br />

EPISODIO NON SECONDARIO<br />

NELLA STORIA DELL’ARTE PORTORINA<br />

4


Come paiono in<strong>di</strong>care alcune consistenti tracce<br />

documentarie, la tra<strong>di</strong>zione del “sepolcro” risale in Porto<br />

Maurizio alla fine del cinquecento. 1<br />

Le prime notizie certe, però, datano al 1602-1603 quando<br />

risulta che la compagnia del SS. Sacramento (istituita in<br />

parrocchia con propria cappella fin dal 1579) 2 allestiva<br />

annualmente, <strong>il</strong> giorno del giovedì precedente la Pasqua, un<br />

“apparato” ornamentale, composto soprattutto <strong>di</strong> lumi e<br />

festoni, ove esporre l’eucarestia all’adorazione dei fedeli.<br />

Seguendo la moda allora in auge presso molte chiese liguri e<br />

francesi, la compagnia commissionò nell’apr<strong>il</strong>e del 1610 al<br />

pittore e decoratore Pietro Rainero un sontuoso “sepolcro” 3<br />

costituito da pannelli <strong>di</strong> tela e <strong>di</strong> legno su cui erano <strong>di</strong>pinti<br />

fiorami o girali ornamentali, componenti una struttura<br />

ascendente pressoché piramidale al vertice della quale si<br />

trovava un tabernacolo dorato per l’eucarestia, cui idealmente<br />

e visivamente si ascendeva col simbolo della “Scala Santa”. 4<br />

1<br />

Essa fu incoraggiata e potenziata dal prevosto G. Lercari su <strong>di</strong>rettive del vescovo Luca<br />

Fieschi, impegnato nell’attuazione delle norme del Conc<strong>il</strong>io <strong>di</strong> Trento in tutta la <strong>di</strong>ocesi nel<br />

periodo 1570 - 1580.<br />

Al mattino del Giovedì Santo, la liturgia poneva una messa assai semplice, al termine della<br />

quale si spogliavano gli altari e l’eucarestia veniva sistemata nel repositorio o “sepolcro” al<br />

canto del salmo XXI. A Porto Maurizio la processione <strong>di</strong> traslazione dell’eucarestia<br />

dall’altar maggiore al “sepolcro” era curata dalla compagnia del Corpus Domini i cui<br />

confratelli vi partecipavano con “brandone acceso” in mano, cantando e recitando <strong>il</strong> rosario<br />

(BCl — f.a., Statuti SS. Sacramento, ms. 1609, capitolo 90)<br />

Sulle origini del “sepolcro” nato in Francia nel XV secolo e poi passato in Piemonte, Em<strong>il</strong>ia<br />

e finalmente (1529) in Liguria per opera dello scultore lombardo Nicolò da Corte, si veda: F.<br />

Franchini Guelfi, Le casacce, 1973, cap. I, pp. 19-21. È interessante r<strong>il</strong>evare che lo scultore<br />

Guido Mazzoni modenese, autore <strong>di</strong> celebri “sepolcri” lignei alla fine del ‘400, era anche<br />

regista e scenografo <strong>di</strong> sacre rappresentazioni oltreché autore <strong>di</strong> maschere teatrali.<br />

Sull’interesse per i “sepolcri” mostrato dal principe Andrea Doria e dal marchese Ambrogio<br />

Spinola nel XVI secolo si veda A. Schmùcker, Tra<strong>di</strong>zioni della Settimana Santa in Liguria,<br />

in ATPL, a. 1972, voI. I, p. 25.<br />

Da un atto d’inventano delle suppellett<strong>il</strong>i del santuario <strong>di</strong> Montegrazie (datato 7 agosto<br />

1592) risulta la più antica menzione <strong>di</strong> una “tela pro faciendo sepulcrum ebdomada» (ASl —<br />

Not. G. Casanova, n. 44, atto cit.).<br />

2<br />

APSM — Libro conti SS. Sacramento; G. De Moro, Porto Maurizio nel Settecento, 1978,<br />

cap. III, pag. 201.<br />

3<br />

APSM — Libro conti cit. Per <strong>il</strong> lavoro <strong>il</strong> pittore fu pagato lire 104:14 l’8 apr<strong>il</strong>e 1610.<br />

4<br />

La “Scala Santa” era un simbolo tratto dall’antico Testamento, ove compariva nel<br />

misterioso sogno <strong>di</strong> Giacobbe.<br />

5


L’insieme era abbellito da una grande quantità <strong>di</strong> candele,<br />

ceriotti, brandoni, muchetti, mucolotti, lumini, luminiere e<br />

lampade, alfine <strong>di</strong> creare un’intensa isola <strong>di</strong> luce, ben visib<strong>il</strong>e<br />

sotto le buie volte della parrocchiale.<br />

Le cere erano provviste dalla confraternita, che però riceveva<br />

sempre un consistente contributo comunale al fine <strong>di</strong> coprire<br />

l’ingente spesa. Si trattava spesso <strong>di</strong> candele traforate,<br />

lavorate, <strong>di</strong>pinte e scolpite fatte giungere <strong>di</strong>rettamente via<br />

mare da Genova o da Livorno. Per l’alimentazione delle<br />

lampade, invece, si usava l’olio che i massari della compagnia<br />

erano andati questuando in città presso mercanti e gombaroli<br />

durante tutto l’arco della quaresima.<br />

Per accrescere lo splendore del “sepolcro”, si era soliti ornare<br />

<strong>il</strong> tabernacolo e la “Scala Santa” con mon<strong>il</strong>i o suppellett<strong>il</strong>i<br />

d’argento che a tale scopo venivano imprestati dalle famiglie<br />

più facoltose della città, in una singolare ostensione <strong>di</strong> fasto e<br />

pietà religiosa. 5<br />

Le famiglie più modeste offrivano invece fiori finti realizzati in<br />

cera colorata, carta, oppure stoffa, che davano un<br />

caratteristico tocco d’eleganza all’addobbo della cappella.<br />

La gente più um<strong>il</strong>e, infine, portava al “sepolcro” piatti <strong>di</strong><br />

legumi o graminacee fatti appositamente germinare al buio in<br />

artistiche forme. 6<br />

Il modesto “sepolcro” del Rainero fu usato per sei anni <strong>di</strong><br />

seguito finché, nella primavera del 1616, <strong>il</strong> priore Nicolò<br />

Gandolfo q.m Accellino offrì <strong>di</strong> tasca propria una nuova<br />

grande “machina da sepulcro” assai più elegante e maestosa<br />

della precedente.<br />

Eseguito quasi certamente dal pittore portorino Bartolomeo<br />

Niggi, che allora dominava la scena artistica citta<strong>di</strong>na, <strong>il</strong><br />

nuovo sepolcro era delimitato da una balaustra a colonnato<br />

<strong>di</strong>pinta su legno e da trabeazioni, architetture e sfondati<br />

anch’essi <strong>di</strong>pinti, in modo da mascherare completamente<br />

l’altare della cappella in cui venivano <strong>di</strong>sposti. Il tutto era<br />

rifinito da una tela azzurra sospesa al soffitto “per cielo del<br />

5 AMSC — Libro Memorie convento, ms. 1725.<br />

6 Sulla tra<strong>di</strong>zione del “gran” si veda oltre in questo stesso volume.<br />

6


sepolcro”, nonché da varie immagini <strong>di</strong> angeli in adorazione. 7<br />

Si pensò anche ad ornare esterno e interno della cappella con<br />

“tapescerie” <strong>di</strong> tessuto pregiato, lunghe strisce frangiate <strong>di</strong><br />

broccato, damasco o velluto che venivano fissate al soffitto.<br />

Contemporaneamente fu or<strong>di</strong>nata l’esecuzione d’una preziosa<br />

“portiera pavonazza per <strong>il</strong> sepulcro del Giovedì Santo per<br />

coprire la faciata della capella”, 8 per la cui custo<strong>di</strong>a fu poi<br />

costruita un’apposita “cascia ferrata” <strong>di</strong> cui solo <strong>il</strong> priore<br />

teneva la chiave. 9<br />

Alla costruzione del sepolcro parteciparono anche Antonio<br />

Amoretto “magistro antelamo”, che montò i ponti in legname<br />

necessari a sostenere la struttura, e maestro F<strong>il</strong>ippo Boero<br />

scultore. A questi due personaggi, e specialmente al secondo,<br />

restò poi <strong>il</strong> compito <strong>di</strong> rimontare ogni anno la “machina”,<br />

provvedendo alla sua manutenzione con opportuni lavori<br />

“d‘acconcio”.<br />

Negli anni seguenti vennero apportate a questo sepolcro<br />

<strong>di</strong>verse mo<strong>di</strong>fiche ed aggiunte, come nel 1618 quando Boero e<br />

Niggi inserirono nel cielo <strong>di</strong> stoffa varie stelle <strong>di</strong>pinte. 10<br />

Nell’apr<strong>il</strong>e 1621 si decise d’abbellire nuovamente <strong>il</strong> sepolcro: a<br />

F<strong>il</strong>ippo Boero fu commissionata per lire 45:2 una “Scala<br />

Santa” con predelle dorate e <strong>di</strong>pinte, da sistemare nel mezzo<br />

della “macchina” sotto <strong>il</strong> tabernacolo; <strong>il</strong> priore poi, con<br />

ingentissima spesa <strong>di</strong> lire 489:6, 11 acquistò un grande drappo<br />

<strong>di</strong> “taffetà doppio rosso per guarnire tutta la cappella <strong>il</strong><br />

Giovedì Santo quando si fa <strong>il</strong> sepolcro, conforme all’altro<br />

apparato che vi è già, per levar l’occasione <strong>di</strong> far ogni anno la<br />

spesa <strong>di</strong> metter quel cielo <strong>di</strong> tella turchina”. 12<br />

Nonostante la magnificienza dei tessuti adoperati, non tutti<br />

erano sod<strong>di</strong>sfatti del risultato scenografico dell’apparato e<br />

così <strong>il</strong> priore Aquarone, proponendo <strong>il</strong> 5 apr<strong>il</strong>e 1626<br />

d’acquistare un nuovo tessuto ornamentale, doveva r<strong>il</strong>evare:<br />

7 APSM — Libro conti SS. Sacramento<br />

8 APSM — Libro capitali della Compagnia Corpus Domini.<br />

9 ASI — Not. Pasquale Rebotato, atto 16 giugno 1616.<br />

10 APSM — Libro conti del SS. Sacramento.<br />

11 APSM — Libro conti del SS. Sacramento.<br />

12 ASI — Not. Gerolamo Gandolfo, n. 76, atto 18 apr<strong>il</strong>e 1621.<br />

7


“in la nostra cappella si fa annualmente <strong>il</strong> Santissimo<br />

Sepulcro <strong>il</strong> Giovedì Santo et al <strong>di</strong> fuori si serviamo <strong>di</strong> quella<br />

trippa nera che è assai antiqua e già posta ad altri usi, onde<br />

mi par quasi indecenza più servirsene.” 13<br />

Il sepolcro <strong>di</strong> Niggi, reso così splen<strong>di</strong>do dalle numerose<br />

“portiere” e “tapescerie” <strong>di</strong> stoffa pregiata aggiunte in più<br />

riprese, continuò ad essere usato ogni anno, facendolo<br />

montare dal Boero o talvolta anche dal “bancalaro” Maurizio<br />

Trinchero coi figli. 14<br />

Una nuova scala con predelle <strong>di</strong>pinte e sagomate fu eseguita<br />

da Gio Maria Boero e Bartolomeo Niggi nel giugno 1649, ma<br />

la struttura originaria rimase immutata ancora per molti<br />

anni. 15<br />

Nella seconda metà del secolo andò imponendosi in tutte le<br />

chiese liguri un nuovo gusto negli apparati da “sepolcro”<br />

proveniente da Roma e da Firenze ed ispirato alle<br />

rappresentazioni tragiche sulla passione <strong>org</strong>anizzate negli<br />

oratori f<strong>il</strong>ippini.<br />

Fece così la sua apparizione anche a Porto Maurizio la tecnica<br />

dei “cartelami” che avrebbe soppiantato per circa due secoli <strong>il</strong><br />

sepolcro tra<strong>di</strong>zionale vero e proprio, finendo per confondersi<br />

con esso persino nella terminologia popolare.<br />

I cartelami erano costituiti da un insieme <strong>di</strong> figure <strong>di</strong>pinte su<br />

telai appositamente sagomati, in modo da poter essere tenuti<br />

in posizione verticale.<br />

13<br />

APSM — Libro capitali della Compagnia cit.; ASI — Not. Gandolfo, atto 5 apr<strong>il</strong>e 1626.<br />

14<br />

APSM — Libro conti SS. Sacramento. Nota dell’apr<strong>il</strong>e 1623: lire 3:6 pagate al Trinchero<br />

“per preparare la capella per la settimana santa”.<br />

15<br />

APSM — Libro conti cit.: Boero ebbe per <strong>il</strong> lavoro lire 5:10, mentre Niggi lire 6:10. I<br />

fiori finti <strong>di</strong> carta o <strong>di</strong> cera, <strong>di</strong> cui si parla spesso in questo capitolo, erano <strong>di</strong> uso assai<br />

<strong>di</strong>ffuso in tutte le chiese e nelle case private, stanti l’alto costo e la rarità dei fiori freschi.<br />

Essi venivano confezionati da lavoratrici specializzate, ma anche le botteghe dei pittori più<br />

noti (Niggi, Carrega, ecc.) ne produssero in quantità. Gli apparati <strong>di</strong> fiori finti erano molto<br />

costosi: nel 1696 uno assai ricco commissionato da suor Laura Ricci per l’altar maggiore <strong>di</strong><br />

S. Chiara venne a costare ad<strong>di</strong>rittura 200 lire (AMSC — Libro Memorie cit.).<br />

A Dolcedo, nel 1651, usava ancora <strong>il</strong> “ sepolcro” alla vecchia maniera per l’addobbo del<br />

quale si usavano:“ Otto pezzi <strong>di</strong> tappezzeria per <strong>il</strong> sepolcro rossi e gialli, candellieri<br />

vintiquattro <strong>di</strong> legno argentato per <strong>il</strong> sepolcro, tre pezzi <strong>di</strong> trippa nera per <strong>il</strong> sepolcro,<br />

lenzuolo <strong>di</strong> tela ò sia br<strong>il</strong>la d’argento per <strong>il</strong> sepolcro” (ASI —Not. T. Berta, n. 162, atto 21<br />

marzo 1651: inventano della parrocchia <strong>di</strong> S. Tommaso)<br />

8


Generalmente un <strong>cartelame</strong> più grande, rappresentante <strong>il</strong><br />

punto focale della scena, serviva a nascondere l’altare, mentre<br />

altre sagome staccate venivano poste, a seconda delle<br />

esigenze, sui gra<strong>di</strong>ni, sul pavimento o sulle balaustre della<br />

cappella.<br />

Un grande lenzuolo <strong>di</strong>pinto fungeva infine da sfondo<br />

all’episo<strong>di</strong>o rappresentato e veniva alzato fino a coprire<br />

completamente pareti e soffitto della cappella: si formava così<br />

una costruzione <strong>di</strong> singolare effetto plastico ed <strong>il</strong>lusionistico,<br />

particolarmente gra<strong>di</strong>ta al gusto “barocco” della maggioranza<br />

dei fedeli.<br />

Ogni complesso <strong>di</strong> cartelami rappresentava una scena della<br />

passione o della vita <strong>di</strong> Cristo ricostruita in base alla<br />

tra<strong>di</strong>zione evangelica e all’iconografia popolaresca.<br />

Successivamente, per migliorare la resa evocativa<br />

dell’apparato, si era soliti costruire un tavolato sul pavimento<br />

della cappella simulandovi, con “scogli” <strong>di</strong> cartone o<br />

cartapesta, <strong>il</strong> terreno. Infine si passò ad imitare anche la<br />

vegetazione, fissando sulle tavole fiori e piante <strong>di</strong> carta<br />

colorata.<br />

Travisando completamente <strong>il</strong> lineare senso religioso dei vecchi<br />

“sepolcri” si limitò quasi del tutto <strong>il</strong> risalto <strong>di</strong> luce e visib<strong>il</strong>ità<br />

prima conferito al tabernacolo, sacrificandolo completamente<br />

all’estetica scenografica dell’insieme.<br />

La grande quantità <strong>di</strong> candele che fino ad allora<br />

caratterizzava <strong>il</strong> repositorio fu drasticamente ridotta: rimasero<br />

solo pochi candelieri al <strong>di</strong> fuori del recinto della cappella. Per<br />

permettere tuttavia <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere la scena, tra una sagoma e<br />

l’altra si ponevano vaschette <strong>di</strong> rame colme d’olio su cui<br />

galleggiavano stoppini sugherati accesi che producevano una<br />

luce <strong>di</strong>ffusa, tremolante e crepuscolare assai suggestiva.<br />

Solo un elemento fra quelli già presenti nei “sepolcri” <strong>di</strong> più<br />

antica tra<strong>di</strong>zione fu ripreso ed inserito nei “cartelami” perché<br />

ne completava la particolare atmosfera, e cioè un gran<br />

quantitativo <strong>di</strong> piatti <strong>di</strong> “gran d’a quaréjima” che venivano<br />

<strong>di</strong>sposti tra le sagome <strong>di</strong>pinte, intervallati con mucolotti e<br />

ceriotti accesi.<br />

Tali piatti venivano appunto preparati nel corso della<br />

quaresima <strong>di</strong>sponendo semi <strong>di</strong> grano, orzo, miglio ed avena<br />

9


su un letto <strong>di</strong> segatura umida e lasciandoli germogliare al<br />

buio: s’ottenevano così fasci germinati <strong>di</strong> forma tondeggiante<br />

e color giallo pallido <strong>di</strong> grande effetto ornamentale. 16<br />

Per migliorare <strong>il</strong> risultato, si usarono anche altri tipi <strong>di</strong> semi<br />

che producevano piantine <strong>di</strong> forme e colori <strong>di</strong>versi come<br />

lenticchie, piselli, fave, ceci e via <strong>di</strong> seguito.<br />

Il primo “<strong>cartelame</strong>” eseguito per <strong>il</strong> duomo <strong>di</strong> Porto Maurizio<br />

era <strong>di</strong> modeste <strong>di</strong>mensioni e fu innestato nell’apparato del<br />

vecchio sepolcro durante la settimana santa del 1662. Lo<br />

<strong>di</strong>pinse Maurizio Niggi 17 a somiglianza dei molti che aveva<br />

visto a Roma, dove s’era recato a stu<strong>di</strong>are pittura negli anni<br />

precedenti.<br />

La novità piacque molto ai portorini e così l’anno seguente <strong>il</strong><br />

priore della compagnia del SS.mo Sacramento or<strong>di</strong>nò, ancora<br />

al Niggi, un nuovo grande “<strong>cartelame</strong>” che riempisse tutta la<br />

cappella.<br />

Non sappiamo quale scena venne prescelta a soggetto dal<br />

pittore; essa però doveva contare un gran numero <strong>di</strong><br />

personaggi poiché la sua realizzazione richiese quasi due<br />

anni.<br />

Niggi evitò comunque <strong>di</strong> dare un taglio netto con la tra<strong>di</strong>zione<br />

e adottò una soluzione in cui le sue figure s’accordavano col<br />

vecchio simbolo della scala <strong>di</strong>pinta, che venne ancora<br />

mantenuto seppur notevolmente ri<strong>di</strong>mensionato.<br />

Il <strong>cartelame</strong> fu pagato, <strong>il</strong> 18 giugno 1664, lire 285:5 <strong>di</strong><br />

Genova, cifra assai ragguardevole per l’epoca. Esso,<br />

comunque, godette dell’imme<strong>di</strong>ato favore dei fedeli, tanto che<br />

la compagnia del Sacramento ritenne <strong>di</strong> farne <strong>di</strong>pingere un<br />

secondo, destinato all’apparato ornamentale per l’adorazione<br />

delle Quarantore.<br />

Anche questo lavoro richiese molto tempo, ma finalmente, nel<br />

marzo 1668, poteva essere montato col concorso <strong>di</strong> Gio Maria<br />

Boero scultore e <strong>di</strong> mastro Giacinto Ghiglione muratore,<br />

esponendolo all’ammirazione del popolo. 18<br />

16<br />

G. De Moro, op. cit., cap. XI, pagg. 497-8.<br />

17<br />

Maurizio Niggi era figlio del pittore Bartolomeo. Il 3 apr<strong>il</strong>e 1662 la compagnia del SS.<br />

Sacramento gli pagò un anticipo <strong>di</strong> lire 10 (APSM — Libro conti cit.).<br />

18<br />

APSM — Libro conti cit. La tra<strong>di</strong>zione dei “sepolcri” con figure, non troppo <strong>di</strong>ffusa in<br />

Liguria, è tuttavia attestata a S. Pier d’Arena ed a Rapallo (A. Ferretto, op. cit., pag. 31). Nei<br />

10


Il “<strong>cartelame</strong> da sepolcro” <strong>di</strong> Niggi fu ut<strong>il</strong>izzato con successo<br />

per vari anni ancora, appagando in pieno <strong>il</strong> gusto dei fedeli,<br />

finché, nell’inverno 1671-72, venne vandalicamente<br />

danneggiato dai soldati còrsi <strong>di</strong> guarnigione a Porto Maurizio,<br />

che ne bruciarono gran parte per riscaldare <strong>il</strong> loro<br />

alloggiamento, e fu quin<strong>di</strong> necessario sostituirlo. 19<br />

Anche stavolta <strong>il</strong> compito fu affidato al pittore Maurizio Niggi<br />

che, lavorando strenuamente, riuscì a consegnare <strong>il</strong> lavoro ai<br />

committenti nell’apr<strong>il</strong>e 1672.<br />

Pure <strong>di</strong> questa seconda opera ignoriamo <strong>il</strong> soggetto: le fonti<br />

registrano solo che <strong>il</strong> 14 marzo ‘72 erano state pagate al<br />

pittore lire 354:8 in saldo <strong>di</strong> numerosi lavori fra cui la<br />

“doratura del cirro et imagine” 20<br />

Nei mesi successivi Niggi ebbe l’incarico <strong>di</strong> terminare <strong>il</strong><br />

<strong>cartelame</strong> <strong>di</strong>pingendo una “scala santa” predellata con scene<br />

della passione. Il 30 maggio 1673 la scala gli fu pagata lire<br />

86:2 21 e cioè circa quin<strong>di</strong>ci volte <strong>il</strong> valore <strong>di</strong> quella eseguita da<br />

suo padre venticinque anni prima: questo dato basta da solo<br />

a far comprendere quale ricchezza ornamentale e quanti<br />

virtuosismi decorativi barocchi fossero inseriti nella nuova<br />

opera.<br />

Per limitare l’usura del <strong>cartelame</strong>, fu deciso d’esporlo ad anni<br />

alterni e, su proposta dello stesso Niggi, si pensò<br />

d’avvicendarlo con un’altra opera più modesta eseguita su<br />

semplice cartone che veniva affittata presso <strong>di</strong> lui volta per<br />

volta. Negli anni in cui non veniva esposto in parrocchia, lo<br />

stesso <strong>cartelame</strong> veniva offerto dal pittore in affitto ad altre<br />

chiese citta<strong>di</strong>ne, o anche <strong>di</strong> paesi vicini, per essere<br />

egualmente ut<strong>il</strong>izzato. 22<br />

Il montaggio era affidato sempre alla stessa squadra d’operai<br />

<strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Porto Maurizio, a quanto pare, solo a Vasia si faceva un sepolcro con figure<br />

lignee rappresentante Cristo davanti al Sinedrio, (fonte orale don N. Martini). A Lucinasco,<br />

nel santuario della Maddalena, si conservano tuttora Otto statue lignee colorate risalenti al<br />

XVI secolo appartenenti ad un grande gruppo della Deposizione (N. Lamboglia, I<br />

monumenti delle valli <strong>di</strong> Imperia, Bor<strong>di</strong>ghera, 1963, pag. 158).<br />

19<br />

Ve<strong>di</strong> nota 17<br />

20<br />

Ve<strong>di</strong> nota 17<br />

21<br />

Ve<strong>di</strong> nota 17<br />

22<br />

APSM — Libro conti cit. Nel marzo 1680 <strong>il</strong> fitto costò L. 48.<br />

11


guidata da F<strong>il</strong>ippo Boero, 23 affinché <strong>il</strong> lavoro procedesse<br />

sempre più spe<strong>di</strong>to e sicuro.<br />

Nella quaresima del 1686 compare per la prima volta un<br />

personaggio destinato a portare l’arte del <strong>cartelame</strong> alle sue<br />

massime espressioni: si tratta del sacerdote Paolo Giuseppe<br />

Ferrari, pittore e decoratore fra i più interessanti in ambiente<br />

portorino. 24 Poiché da tempo i soggetti dei cartelami esposti<br />

erano sempre gli stessi, si decise infatti d’affidargli <strong>il</strong> compito<br />

<strong>di</strong> rimodernare uno dei vecchi lavori del Niggi, sostituendovi<br />

alcune figure e restaurandone altre. L’opera fu eseguita dal<br />

Ferrari con l’aiuto <strong>di</strong> F. Boero e venne molto apprezzata. 25<br />

Il pittore aveva messo a punto anche una nuova tecnica <strong>di</strong><br />

tempera su cartone assorbente (anzi ché olio su tela o legno)<br />

che gli permetteva <strong>di</strong> ridurre notevolmente i tempi <strong>di</strong> lavoro e<br />

ciò indusse <strong>il</strong> priore del SS. Sacramento a commissionargli<br />

per l’anno seguente un <strong>cartelame</strong> completo rappresentante<br />

un nuovo soggetto. L’opera, puntualmente eseguita, fu<br />

esposta nella settimana santa del 1687 e costò alla<br />

compagnia solo 40 lire per via dei più modesti materiali usati<br />

dal pittore.<br />

Per l’anno successivo (1688) si ebbe una nuova riuscita opera<br />

del Ferrari, che ormai aveva saputo conquistare <strong>il</strong> gusto dei<br />

concitta<strong>di</strong>ni.<br />

Nel 1689 invece, <strong>di</strong>etro pressione del cugino Gregorio, don<br />

Giuseppe permise che venisse esposto un <strong>cartelame</strong> <strong>di</strong>pinto a<br />

Genova da un giovane e promettente pittore portorino,<br />

Imperiale Bottino, per consentire anche a lui <strong>di</strong> farsi<br />

conoscere ed apprezzare in patria.<br />

L’anno dopo, però, <strong>il</strong> reverendo Ferrari riprese, in<br />

collaborazione con F<strong>il</strong>ippo Boero, ad occuparsi dei cartelami<br />

del Giovedì Santo continuando da allora a sfornare<br />

ininterrottamente nuovi lavori fino al 1705.<br />

In quei quin<strong>di</strong>ci anni, <strong>il</strong> prete pittore <strong>di</strong>pinse moltissimi<br />

soggetti nuovi, restaurò vecchi cartelami del Niggi ed escogitò<br />

23<br />

APSM — Libro conti cit. Solitamente la mercede a Boero era <strong>di</strong> quattro lire.<br />

24<br />

Era cugino primo del grande Gregorio Ferrari ed amico <strong>di</strong> tutti i maggiori artisti portorini<br />

dell’epoca: Bottino, Bruno, Massa, ecc... Nella sua formazione giocò un ruolo decisivo lo<br />

st<strong>il</strong>e del pievese Giulio Benso.<br />

25<br />

APSM — Libro conti cit.: Paolo Giuseppe Ferrari venne pagato L. 15 e Boero L. 16.<br />

12


<strong>il</strong> sistema <strong>di</strong> comporre nuove scene prelevando figure da<br />

cartelami <strong>di</strong>versi.<br />

Lavorava <strong>di</strong> preferenza insieme con Boero, ma talvolta ebbe<br />

accanto anche F<strong>il</strong>ippo Benza. 26<br />

Le sue opere, dopo essere state esposte a Porto Maurizio,<br />

facevano <strong>il</strong> giro della riviera, ovunque ammirate ed<br />

apprezzate, fruttando all’autore un modesto affitto, pagatogli<br />

spesso in natura dai massari delle chiese paesane.<br />

Suo fu anche <strong>il</strong> <strong>cartelame</strong> del 1704, montato nella cappella <strong>di</strong><br />

S. Caterina perché in quella del Corpus Domini, abitualmente<br />

ut<strong>il</strong>izzata, erano ancora eretti i ponti su cui lavorara Gregorio<br />

Ferrari affrescando <strong>il</strong> soffitto. In quella circostanza, <strong>il</strong> celebre<br />

artista non <strong>di</strong>sdegnò d’aiutare <strong>il</strong> cugino a finire <strong>il</strong> <strong>cartelame</strong> in<br />

tempo, <strong>di</strong>pingendogli alcune “nuovole... per <strong>il</strong> sepulcro” che<br />

servivano a completare la scena. 27<br />

Nel 1706, per cambiare, si volle nuovamente esporre un<br />

<strong>cartelame</strong> <strong>di</strong> scuola genovese <strong>il</strong> cui autore, sconosciuto,<br />

apparteneva forse alla bottega <strong>di</strong> Gregorio. 28<br />

L’ultimo <strong>cartelame</strong> eseguito da Paolo Giuseppe Ferrari data al<br />

1708, ma anche successivamente, per circa un decennio, si<br />

continuò ancora ad ut<strong>il</strong>izzare le sue opere a cui via via Boero<br />

o altri apportavano piccole mo<strong>di</strong>fiche.<br />

Oramai la tra<strong>di</strong>zione del <strong>cartelame</strong> aveva soppiantato del<br />

tutto quella del sepolcro. Prendendo atto <strong>di</strong> tale realtà, la<br />

compagnia del SS. Sacramento decise <strong>di</strong> <strong>di</strong>sfarsi delle<br />

“tapescene” pregiate fatte confezionare circa un secolo prima<br />

e fino ad allora gelosamente conservate: tra <strong>il</strong> 1705 ed <strong>il</strong> 1710<br />

alcune stoffe preziose furono vendute e nel marzo 1712, in<br />

particolare, si stab<strong>il</strong>ì d’eliminare la vecchia “portiera”<br />

paonazza del 1616, “atteso che non serviva più per <strong>il</strong> sepolcro<br />

perché hora si fanno <strong>di</strong> figure”. 29<br />

Un altro <strong>cartelame</strong>, <strong>di</strong>pinto in parte su tela e in parte su<br />

cartone, fu eseguito fra <strong>il</strong> 1717 ed <strong>il</strong> 1718 da Imperiale<br />

Bottino, mentre un secondo fondale aggiunto allo stesso<br />

26 Padre del pittore Carlo Bensa.<br />

27 APSM — Libro conti cit.<br />

28 Tale <strong>cartelame</strong> fu affittato per 50 lire genovesi.<br />

29 APSM — Libro capitali cit.<br />

13


sepolcro veniva pagato al pittore 26 lire nell’ottobre 1725. 30<br />

Nuovo impulso alla tra<strong>di</strong>zione dei cartelami venne dal pittore<br />

m<strong>il</strong>anese Giuseppe Massa, amico fraterno del Bottino, che era<br />

giunto a Porto Maurizio da pochi anni al seguito del Tavella. 31<br />

Per freschezza e fac<strong>il</strong>ità d’invenzione, vivace uso del colore e<br />

notevole ab<strong>il</strong>ità nel <strong>di</strong>segno, Massa ricordava molto Paolo<br />

Giuseppe Ferrari; la maggiore maestria e la più squ<strong>il</strong>lante<br />

fama l’indussero tuttavia ad abbandonare <strong>il</strong> metodo <strong>di</strong> lavoro<br />

ferrariano per tornare a quello del Niggi.<br />

I cartoni <strong>di</strong>pinti dal reverendo Ferrari infatti, se godevano del<br />

pregio <strong>di</strong> rapi<strong>di</strong>tà d’esecuzione, avevano pure <strong>il</strong> <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong><br />

rovinarsi con molta fac<strong>il</strong>ità, piegandosi o andando preda<br />

dell’umi<strong>di</strong>tà, della muffa e dei parassiti.<br />

A partire dal 1725 e fino al 1729, Giuseppe Massa eseguì per<br />

conto della compagnia del SS. Sacramento quattro gran<strong>di</strong><br />

“macchine da sepolcro” rappresentanti: la deposizione dalla<br />

croce, l’orazione nell’orto degli Ulivi, l’Ecce Homo e Gesù che<br />

scaccia i mercanti dal Tempio, 32 per un compenso <strong>di</strong> circa<br />

m<strong>il</strong>le lire genovesi l’uno. 33<br />

Le macchine da sepolcro realizzate dal Massa, artisticamente<br />

notevolissime, avevano <strong>di</strong>mensioni assai superiori a quelle dei<br />

cartelami ferrariani: <strong>di</strong> qui la necessità d’espandere l’area<br />

destinata al sepolcro anche al <strong>di</strong> fuori della cappella,<br />

approntando un recinto rettangolare esterno alle balaustre<br />

attorno al quale venivano sistemati candelieri e piante<br />

30 APSM — Librò conti cit. Il fondale è in<strong>di</strong>cato come “prospetto in tela <strong>di</strong>etro <strong>il</strong> sepolcro”.<br />

31 Insieme, i due artisti m<strong>il</strong>anesi avevano lavorato in palazzo Guarneri.<br />

32 Nessuna delle quattro opere ci è pervenuta. Esistevano ancora nel 1838 quando vennero<br />

trasferite nei depositi della nuova chiesa, ma in seguito andarono perdute. L’impianto della<br />

scena della “Deposizione” fu probab<strong>il</strong>mente ripreso nel <strong>cartelame</strong> <strong>di</strong> M. Carrega (1780)<br />

d’egual soggetto <strong>di</strong> cui si tratterà fra breve, mentre l’idea compositiva del “Gesù nel<br />

Tempio” fu certamente conservata nell’affresco della “Costernazione <strong>di</strong> Saffira” <strong>di</strong> T.<br />

Carrega (1791) nell’oratorio <strong>di</strong> S. Pietro e da questo mutuata da L. Massabò per <strong>il</strong> suo “Gesù<br />

nel Tempio” affrescato nella chiesa nuova (1867).<br />

33 APSM — Libro dei capitali cit., 1699; Libro dei conti, in cui sono registrati i seguenti<br />

pagamenti: 12giugno 1726 L. 12 d’anticipo al pittore G. Massa per <strong>il</strong> sepolcro dell’Ecce<br />

Homo; 9 apr<strong>il</strong>e 1727 L. 30 allo stesso per restaurare <strong>il</strong> sepolcro del Signore nell’orto; 26<br />

giugno 1727 L. 33 per compimento del restauro dell’Ecce Homo; 21 marzo 1729 L. 6 ultimo<br />

pagamento al pittore Massa.<br />

14


ornamentali.<br />

Ai margini della scena composta dall’insieme delle sagome,<br />

venivano fissati telai sostenenti figure d’angeli adoranti ovvero<br />

girali ornamentali e fiorami.<br />

Attorno al 1730 ripetuti interventi sui vecchi cartelami si<br />

ebbero da parte del rev. Gabriele Aquarone, un <strong>di</strong>screto<br />

pittore locale cresciuto nella bottega del Bottino ed affinatosi<br />

frequentando lo stu<strong>di</strong>o del Massa. 34<br />

L’attività dell’Aquarone fu tuttavia saltuaria e per trovare un<br />

altro cartelamista <strong>di</strong> valore bisognerà attendere ancora la<br />

comparsa, verso <strong>il</strong> 1745 <strong>di</strong> Francesco Carrega.<br />

Dopo la morte <strong>di</strong> F<strong>il</strong>ippo Boero, <strong>il</strong> compito <strong>di</strong> montare i<br />

sepolcri passò a mastro Gio Batta Peretti <strong>il</strong> quale, giovandosi<br />

delle sue capacità d’intagliatore <strong>di</strong> provetto <strong>di</strong>segnatore e <strong>di</strong><br />

decoratore, intervenne sul materiale lasciato da Ferrari e<br />

Massa, usandolo per comporre scene <strong>di</strong> suo gusto che<br />

raccordava talvolta con innovazioni e mo<strong>di</strong>fiche <strong>di</strong> creazione<br />

personale.<br />

Fu anche autore d’un apparato per le Quarantore <strong>di</strong>pinto nel<br />

1730 e rielaborato più volte negli anni seguenti. 35<br />

In base alle fonti a nostra <strong>di</strong>sposizione, <strong>il</strong> primo intervento<br />

<strong>di</strong>retto <strong>di</strong> Francesco Carrega data alla primavera del 1748,<br />

quando gli venne commissionata “una figura aggionta al<br />

sepolcro che rappresenta Nostro Signore che scaccia i<br />

ven<strong>di</strong>tori del Tempio” e gli fu affidata la supervisione al<br />

montaggio del <strong>cartelame</strong> del Massa che da molti anni non<br />

veniva più usato. 36<br />

Altri documentati interventi <strong>di</strong> restauro da parte del Carrega<br />

si ebbero nel 1752 e nel 1774, 37 ma non pochi furono anche i<br />

nuovi cartelami ch’egli <strong>di</strong>pinse per le chiese della Nunziata e<br />

dei Cappuccini, per molte parrocchie dell’entroterra e della<br />

34<br />

APSM — Libro dei conti cit.: l’8 apr<strong>il</strong>e 1730 l’Aquarone ebbe L. 24:12 per aver <strong>di</strong>pinto<br />

“le teste dei cherubini e <strong>di</strong>versi cartoni e tele”.<br />

35<br />

APSM — Libro conti cit.: per l’apparato, mastro Peretti fu pagato L. 57.<br />

36<br />

APSM — Libro conti cit. Per la figura aggiunta, Carrega fu pagato L. 10:14 <strong>il</strong> 13 apr<strong>il</strong>e<br />

1748, mentre le spese per <strong>il</strong> montaggio ammontarono in totale a L. 19:17. Il materiale<br />

(legname, cartone, chio<strong>di</strong>, tavole e f<strong>il</strong> <strong>di</strong> ferro) costò L. 14:10.<br />

37<br />

APSM — Libro conti cit. Il 2 apr<strong>il</strong>e 1752 fu pagato L. 12 per ((acconcio del <strong>cartelame</strong>”; <strong>il</strong><br />

26 <strong>di</strong>cembre 1774 invece L. 13 per altro restauro.<br />

15


iviera.<br />

L’attività cartelamistica passò naturalmente, attraverso la<br />

bottega, ai due figli <strong>di</strong> Carrega che seguirono la carriera<br />

artistica del padre: Maurizio e Tommaso.<br />

Il primo <strong>di</strong>ffuse <strong>il</strong> gusto dei cartelami a San Remo e<br />

Ventimiglia, centri ove risulta molto attivo nell’ultimo<br />

ventennio del ‘700; <strong>il</strong> secondo continuò invece la vecchia<br />

tra<strong>di</strong>zione in Porto Maurizio, operando affinché i cartelami <strong>di</strong><br />

Ferrari e Massa venissero valorizzati e ben conservati.<br />

Nel marzo 1780 troviamo così, accanto al vecchio Francesco<br />

sempre attivo nel restauro <strong>di</strong> cartelami, anche suo figlio<br />

Tommaso, per la prima volta alle prese con la realizzazione<br />

d’un “sepolcro” tutto suo. 38<br />

Ogni anno e per oltre trent’anni, a partire dal 1788, <strong>il</strong> più<br />

giovane dei Carrega <strong>di</strong>resse <strong>il</strong> lavoro <strong>di</strong> montaggio del<br />

<strong>cartelame</strong> nella cappella del Corpus Domini, intervenendo<br />

<strong>di</strong>rettamente a restaurare le figure danneggiate e a tonificare<br />

le tinte indebolite.<br />

Così troviamo uno st<strong>il</strong>lici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> pagamenti al pittore per<br />

“acconci” o “ripassature “ dei sepolcri che le fonti registrano<br />

negli anni 1792, 1798, 1799, 1801, 1805, 1807, 1811, 1818,<br />

1820. 39<br />

Insieme a Tommaso, per risistemare i telai e montare i ponti,<br />

lavorava <strong>il</strong> falegname ed intagliatore Bernardo Massabò,<br />

rinnovando la collaborazione che in passato aveva già legato<br />

Niggi e Boero.<br />

Merito preciso del Carrega è d’aver mantenuto la tra<strong>di</strong>zione<br />

dei “sepolcri”, in un periodo burrascoso e <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e,<br />

consegnando ai posteri tutto <strong>il</strong> materiale dei cartelami in<br />

ottime con<strong>di</strong>zioni.<br />

Dopo la morte dell’artista, <strong>il</strong> compito <strong>di</strong> sovrintendere alla<br />

preparazione del sepolcro passò ad un suo allievo, Marcellino<br />

Oreggia, pittore ed intagliatore modesto ma geniale.<br />

Si deve a lui l’ultimo sistematico restauro dei cartelami da<br />

38<br />

APSM — Libro conti cit.: <strong>il</strong> 24 marzo 1780 Tomaso fu pagato L. 105, mentre <strong>il</strong> 18 apr<strong>il</strong>e<br />

successivo suo padre Francesco ebbe L. 13.<br />

39<br />

APSM — Libro conti cit. Nel 1807 un generale “acconcio” del sepolcro fu effettuato da<br />

Maurizio Carrega.<br />

16


sepolcro: nell’apr<strong>il</strong>e 1822 ripasso l’Ecce Homo; nell’apr<strong>il</strong>e<br />

1825 fu pagato per la “fattura <strong>di</strong> un tendone per <strong>il</strong> sepolcro ed<br />

accomodo del sepolcro del Redentore che scaccia li Giudei dal<br />

Tempio”; nel marzo 1826 infine rinfrescò <strong>il</strong> “Signore nell’orto<br />

degli Ulivi”. 40<br />

Con l’apertura al culto della chiesa nuova, nel 1838, la<br />

tra<strong>di</strong>zione dei cartelami fu completamente abbandonata.<br />

Le scenografiche costruzioni barocche erano state concepite<br />

per la chiesa vecchia e per essa realizzate. Nei nuovi can<strong>di</strong><strong>di</strong><br />

cappelloni esse presentavano gravi <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> montaggio ed<br />

offrivano, in tanta luce d’ambiente, un effetto assai meschino.<br />

A queste constatazioni <strong>di</strong> carattere pratico, s’aggiungeva<br />

anche la considerazione che esse turbavano <strong>il</strong> reale significato<br />

religioso del “sepolcro”, non sottolineando a sufficienza la<br />

presenza dell’eucarestia e calcando troppo sulla storicità della<br />

scena rappresentata.<br />

Così, dopo quasi duecento anni ininterrotti, la tra<strong>di</strong>zione dei<br />

“cartelami” fu troncata per lasciare <strong>il</strong> posto a quella più<br />

semplice ed antica dei “sepolcri”.<br />

Il materiale che Tommaso Carrega aveva conservato con<br />

gelosa cura fu accatastato nei fon<strong>di</strong> della parrocchia ove<br />

<strong>di</strong>venne fac<strong>il</strong>e preda dell’umi<strong>di</strong>tà e dei tarli. Il manoscritto<br />

Fabre Sasso cita un’ultima volta i quattro cartelami del Massa<br />

come esistenti nel 1847, poi, più nulla. 41<br />

La tra<strong>di</strong>zione cartelamistica portorina del XVIII secolo non si<br />

limitò alla chiesa parrocchiale, <strong>di</strong>ffondendosi pure nelle<br />

chiese conventuali e negli oratori, anche se i documenti e le<br />

notizie in proposito risultano assai meno copiosi.<br />

Il “libro <strong>di</strong> memorie manuscritte” del monastero <strong>di</strong> S. Chiara,<br />

infatti, nel 1725 fa chiaramente cenno all’introduzione dei<br />

cartelami anche nella tra<strong>di</strong>zione conventuale, r<strong>il</strong>evando come<br />

“<strong>il</strong> sepolcro, che prima si faceva <strong>di</strong> solito con la scala<br />

d’argento e candele, ora si fa con cartellami“.<br />

E poiché <strong>il</strong> compito <strong>di</strong> retribuire non solo “<strong>il</strong> pittore che<br />

40<br />

APSM — Libro conti della Fabbriceria; <strong>il</strong> 21 apr<strong>il</strong>e 1822 vengono pagate a Marcello<br />

Oreggia e Domenico Sasso L. 5 per <strong>il</strong> restauro del <strong>cartelame</strong> suddetto; <strong>il</strong> 4 apr<strong>il</strong>e 1825<br />

vengono pagate L. 129:6 ed infine <strong>il</strong> 31 marzo 1826 ancora L. 27:15.<br />

41<br />

APSM — App. Stor. Gazo, voi. I; App. Stor. Fabre-Sasso.<br />

17


provvede le figure, ma ancora tutti l’operarii” spettava alla<br />

suora sacrestana, non sono rimaste tracce <strong>di</strong> pagamenti agli<br />

artisti. 42<br />

Il sepolcro allestito coi cartelami risultava, secondo le suore,<br />

“<strong>di</strong> maggior devozione, rappresentandovi sempre qualche<br />

mistero della Passione, e serve anche minor spesa e<br />

suggezione” poiché non era più necessario, come un tempo,<br />

chiedere gli argenti per la “Scala Santa” in prestito ai privati,<br />

cui poi si doveva tra<strong>di</strong>zionalmente regalare “una quantità <strong>di</strong><br />

fiori <strong>di</strong> cera”. 43<br />

Il legname ed i materiali necessari a montare <strong>il</strong> palco dei<br />

cartelami furono acquistati dal monastero nel 1717, quando<br />

ormai <strong>il</strong> nuovo uso era <strong>di</strong>venuto regolare.<br />

Nel 1725, infine, la suora sacrestana Lodovica Ricci stipulò<br />

con mastro Lorenzo Lupi un contratto fisso per l’allestimento<br />

e lo smontaggio dei cartelami. 44<br />

Il fatto che la preparazione del sepolcro <strong>di</strong> S. Chiara fosse<br />

affidata a Lupi mentre quello della parrocchia a Peretti,<br />

avvalora la tra<strong>di</strong>zione secondo cui le chiese citta<strong>di</strong>ne, attratte<br />

nelle correnti <strong>di</strong> rivalità esistenti fra i vari artisti, non<br />

<strong>di</strong>sdegnavano un certo spirito <strong>di</strong> competizione nell’allestire<br />

una “macchina” più bella ed appariscente delle altre, spirito<br />

che, seppur blandamente, si conservò anche nei secoli<br />

successivi.<br />

Assai più lenta risultò l’introduzione dei cartelami<br />

nell’oratorio <strong>di</strong> San Pietro dove, con tenace attaccamento alla<br />

tra<strong>di</strong>zione, nel 1761 si faceva ancora <strong>il</strong> sepolcro all’antica con<br />

“tapescerie”, candele, fiori, grano e “Scala Santa” 45<br />

Il compito d’allestire <strong>il</strong> sepolcro spettava ai massari<br />

dell’oratorio che ricevevano a tal proposito una generosa<br />

regalia dal priore.<br />

Finalmente nel 1780 la novità fu accolta anche in San Pietro<br />

per opera del priore Giuseppe Teodoro Ramoino che<br />

42<br />

AMSC — Libro note e memorie del Monastero. Gli argenti, oltretutto, non bastavano per<br />

parrocchia e monastero contemporaneamente<br />

43<br />

AMSC — Libro note e memorie del Monastero.<br />

44<br />

AMSC — Libro note e memorie del Monastero.<br />

45 AOSP — Libro conti Priori.<br />

18


commissionò a Maurizio Carrega un imponente <strong>cartelame</strong><br />

composto <strong>di</strong> sei figure e un grande sfondo rappresentante la<br />

deposizione <strong>di</strong> Cristo dalla croce.<br />

Questo <strong>cartelame</strong>, montato fino al 1850 circa, venne poi<br />

sistemato in un magazzino e qui letteralmente <strong>di</strong>menticato.<br />

finché non fu riscoperto, da chi scrive, nel l977. 46<br />

Nell’opera si riconosce senza dubbio più <strong>di</strong> una mano e,<br />

probab<strong>il</strong>mente, alcuni personaggi son dovuti a Tommaso,<br />

fratello minore dell’autore; tuttavia l’idea compositiva<br />

appartiene sicuramente a Maurizio che la sfruttò ancora,<br />

rielaborandola nella tela della Deposizione, eseguita nel 1804<br />

per la cappella del Cristo Nero, 47 e in altri quadri d’analogo<br />

soggetto.<br />

Il <strong>cartelame</strong> ci è giunto in con<strong>di</strong>zioni piuttosto danneggiate: le<br />

figure staccate sono in parte mutue ed in parte irrecuperab<strong>il</strong>i;<br />

la parte rimasta, tuttavia, è <strong>di</strong> tale effetto da lasciar ben<br />

comprendere quanto vivace doveva essere la resa scenografica<br />

e decorativa d’insieme degli antichi cartelami perduti.<br />

Oltre l’opera ora ricordata, i depositi dell’oratorio <strong>di</strong> S. Pietro<br />

hanno restituito anche la “macchina da sepolcro” <strong>di</strong>pinta da<br />

Tommaso Carrega fra <strong>il</strong> 1789 ed <strong>il</strong> 1791 per conto <strong>di</strong> Gio<br />

Batta Bensa e donata alla confraternita dal figlio <strong>di</strong> questi<br />

Giuseppe nel 1825. 48<br />

Questo apparato, eseguito su tela e legno, rappresenta<br />

l’adorazione degli angeli all’eucarestia e ci è giunto in buono<br />

stato <strong>di</strong> conservazione. Per renderlo più suggestivo, venne<br />

dotato <strong>di</strong> otto sagome <strong>di</strong>pinte rappresentanti alberi che,<br />

montate come quinte teatrali, servivano a nascondere <strong>il</strong><br />

presbiterio, portando a convergere sul sepolcro tutta<br />

l’attenzione degli osservatori. Nel 1803 Agostino Carrega,<br />

46<br />

G. De Moro, Porto Maurizio nel Settecento cit. cap. XI, pag. 548. La deposizione è<br />

eseguita su spesso cartone assorbente intelato su supporti lignei. Sul ritrovamento dell’opera<br />

d’arte si veda la relazione <strong>di</strong> C. Gallo sul Bollettino della Confraternita <strong>di</strong> S. Pietro del<br />

giugno 1977.<br />

47<br />

Oggi la tela si trova in S. Pietro. Il <strong>cartelame</strong> fu restaurato ed arricchito <strong>di</strong> nuove figure<br />

dallo stesso Maurizio Carrega nel settembre 1803: <strong>il</strong> lavoro fu pagato L. 24 <strong>il</strong> 3 settembre<br />

(AOSP — Libri conti Priori cit.). L’idea primitiva, con le scale appoggiate alla croce, risale<br />

all’iconografia della Via Crucis <strong>di</strong> frate Leonardo e fu ripresa da Francesco Canrega nella<br />

Deposizione <strong>di</strong>pinta per <strong>il</strong> santuario del Monte Calvario.<br />

48<br />

AOSP — Libri verbali del Consiglio (1821-1841): inventano dei beni della confraternita.<br />

19


figlio <strong>di</strong> Tommaso ed ancora studente, aggiunse all’insieme<br />

una “veletta” <strong>di</strong>pinta con Cristo Risorto, da <strong>di</strong>sporsi in mezzo<br />

all’altare sopra <strong>il</strong> tabernacolo. 49<br />

Tutte le sagome che componevano questo apparato furono<br />

restaurate ed esposte nella primavera 1841 dal pittore<br />

Marcello Oreggia che, per l’occasione, confezionò anche<br />

alcune decine <strong>di</strong> finti mazzi floreali. 50<br />

Nuovi ritocchi alla macchina da sepolcro carreghesca si<br />

ebbero alla fine del secolo scorso, quando <strong>il</strong> modesto<br />

“d<strong>il</strong>ettante <strong>di</strong> pittura” 51 Gio Batta Garibal<strong>di</strong> fu incaricato <strong>di</strong><br />

rinfrescare le figure degli angeli e <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere quattro nuove<br />

sagome <strong>di</strong> alberi. Nel lavoro, Garibal<strong>di</strong> fu affiancato dal<br />

falegname Antonio Faggio, 52 autore del rifacimento <strong>di</strong> tutti i<br />

telai lignei.<br />

Si era nel febbraio 1891 53 e, da allora, nessun altro intervento<br />

conservativo fu eseguito fino al 1977.<br />

Anzi, l’uso dei cartelami da sepolcro come già della<br />

“Deposizione” si <strong>di</strong>radò sempre più fino a cadere del tutto in<br />

oblio a partire dal secondo decennio <strong>di</strong> questo secolo.<br />

Dopo <strong>il</strong> 1840, in parrocchia, l’allestimento del sepolcro<br />

<strong>di</strong>venne un uso consolidato grazie soprattutto a Domenico,<br />

Pietro e F<strong>il</strong>ippo Sasso 54 tre fratelli che, insieme ai falegnami<br />

Giacomo Ansal<strong>di</strong> e Giuseppe Raineri, 55 avrebbero mantenuto<br />

la tra<strong>di</strong>zione per oltre trent’anni, coa<strong>di</strong>uvati dal chierico<br />

Girolamo Camia. 56<br />

Dapprima nella cappella <strong>di</strong> S. Leonardo e poi, a partire dai<br />

primi dei ‘900, in quella del Carmine, <strong>il</strong> sepolcro fu allestito<br />

49 Di lì a poco Agostino sarebbe morto in giovane età.<br />

50 AOSP — Libro verbali cit. Garibal<strong>di</strong> era soprannominato “Giamatista u Tésta”. Lasciò<br />

modestissime opere a Porto Maurizio, Artallo, Bestagno, ed in altre località dell’entroterra.<br />

51 Ve<strong>di</strong> nota 48<br />

52 AOSP — Libro verbali cit. Faggio era più noto come “U Marchese”. Confratello attivo e<br />

polemico, faceva parte del coro e fu priore nel 1934-36. Di lui resta un reliquiario in legno<br />

intagliato e dorato. Il ritrovamento dei cartelami avvenne <strong>il</strong> 12 marzo 1977 (C. Gallo,<br />

Relazione cit. In “Bollettino della Confraternita <strong>di</strong> S. Pietro”, giugno 1977).<br />

53 Ve<strong>di</strong> nota 50<br />

54 APSM — Libro conti Fabbriceria<br />

55 APSM — Libro conti Fabbriceria<br />

56 APSM — Libro conti Fabbriceria<br />

20


con molta semplicità ricorrendo a fiori <strong>di</strong> stoffa e <strong>di</strong> cera,<br />

candele e, soprattutto, piatti <strong>di</strong> grano, orzo, lenticchie o fave<br />

germogliati al buio, che venivano preparati nelle case dai<br />

fedeli in forme elaborate e quin<strong>di</strong> donati alla chiesa secondo<br />

l’antica usanza portorina. 57<br />

Per addobbare più propriamente <strong>il</strong> cappellone del Carmine,<br />

furono fatti <strong>di</strong>pingere tre teloni rappresentanti <strong>il</strong> raggio<br />

eucaristico ed i simboli dei Pellicano e dell’Agnus Dei che<br />

andavano a ricoprire i tre quadri colà esistenti.<br />

A consigliare nel sepolcro l’adozione <strong>di</strong> forme più semplici,<br />

intervennero anche mutate esigenze liturgiche che<br />

obbligavano gli addetti a montare e smontare <strong>il</strong> tutto nell’arco<br />

d’un solo giorno, con notevole <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> tempo e <strong>di</strong> fatica.<br />

A partire dal 1885, <strong>il</strong> compito <strong>di</strong> preparare <strong>il</strong> sepolcro passò al<br />

falegname Domenico Ansal<strong>di</strong> “Mesciogià” ed al decoratore<br />

Gerolamo Ro1la, 58 che l’espletarono fin verso l’inizio del<br />

nuovo secolo. A loro successe <strong>il</strong> sacrestano Gio Batta Brezzo<br />

“Bacì”, e dopo la sua morte <strong>il</strong> figlio Nicola. Negli ultimi anni,<br />

abbandonato l’altare del Carmine, <strong>il</strong> sepolcro è stato allestito<br />

sempre nella cappella dell’Assunta, al centro della navata<br />

destra della chiesa. A parte l’introduzione spora<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> fondali<br />

<strong>di</strong>pinti o tappeti in polvere <strong>di</strong> marmo, la forma del sepolcro<br />

parrocchiale è rimasta sempre fedele al tipo fissato nel secolo<br />

scorso, fatto salvo l’impiego, sempre più massiccio negli<br />

ultimi anni, <strong>di</strong> fiori freschi e piante ornamentali in<br />

sostituzione dei piatti <strong>di</strong> grano.<br />

Fedeltà alla tra<strong>di</strong>zione ancora più evidente si riscontra nelle<br />

confraternite citta<strong>di</strong>ne che hanno continuato a realizzare <strong>il</strong><br />

sepolcro secondo sistemi vecchi <strong>di</strong> secoli. Solo dal 1958, ad<br />

esempio, le consorelle <strong>di</strong> S. Caterina hanno abbandonato<br />

l’uso <strong>di</strong> porre nel sepolcro l’antico Cristo <strong>di</strong> cartapesta che<br />

ancora conservano, 59 affidando negli ultimi anni a N. Brezzo<br />

57<br />

I piatti suddetti venivano <strong>di</strong>sposti su particolari candelieri dotati d’appositi ripiani in legno<br />

(fonte orale sig. N. Brezzo)<br />

58<br />

APSM — Libro conti Fabbriceria cit. Ansal<strong>di</strong>, che preparò <strong>il</strong> sepolcro fino al 1920 circa,<br />

era l’autore, nel corso dell’anno, degli “apparati” per le feste <strong>di</strong> S. Leonardo, S. Maurizio,<br />

Pasqua, Natale e Corpus Domini. All’allestimento del sepolcro nel 1880 aveva partecipato<br />

anche <strong>il</strong> pittore A. Raineri.<br />

59<br />

AOSC — Libro conti Prioresse; fonte orale sig. N. Brezzo.<br />

21


l’allestimento dell’apparato che si erano sempre riservate.<br />

Il Cristo morto viene invece ancor oggi esposto nel sepolcro<br />

del Monte Calvario, annualmente allestito all’altare dei<br />

Guarneri: l’effigie usata è ancora quella portata da Lucca dal<br />

rev. Bartolomeo Bruno alla fine del ‘600. 60<br />

Nell’oratorio <strong>di</strong> S. Pietro, abbandonato progressivamente l’uso<br />

dei vecchi cartelami, s’e imposto dagli anni ‘50 <strong>il</strong> tipo<br />

tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong> sepolcro col grano, altrove caduto in <strong>di</strong>suso.<br />

Dal 1977 però un fortunato recupero ha permesso <strong>di</strong><br />

riprendere l’antica consuetu<strong>di</strong>ne d’esporre sepolcro e<br />

Deposizione con i cartelami carregheschi. 61<br />

La tra<strong>di</strong>zione degli interventi pittorici nel sepolcro petrino si<br />

era comunque parzialmente conservata.<br />

Un modesto apparato <strong>di</strong> cartone, rappresentante angeli in<br />

adorazione, era stato <strong>di</strong>pinto dal Faggio attorno al 1910; 62<br />

uno sfondo con figure simboliche fu <strong>di</strong>pinto nel 1939 e<br />

ripreso nel 1946 dal pittore Taramasco 63 ed infine nel 1963<br />

la pittrice slava Luciana Ulis Bleichich preparò due fondali<br />

rappresentanti <strong>il</strong> calice eucaristico su commissione del<br />

massaro P. M<strong>org</strong>anti e del priore A. Bruno. 64<br />

Modesti ma significativi sono anche gli altri sepolcri allestiti<br />

in città, fra cui ricor<strong>di</strong>amo quello delle suore Carmelitane,<br />

realizzato, secondo la tra<strong>di</strong>zione più remota, con <strong>il</strong> simbolo<br />

della “Scala Santa” sostenuta da cherubini. 65<br />

Fra i sepolcri portorini degli ultimi decenni, quello che ha<br />

rivestito maggiore interesse artistico è comunque quello della<br />

chiesa dei Cappuccini.<br />

Riprendendo una tecnica usata per la prima volta nella<br />

60<br />

AOMC — Libro conti Priori; fonte orale sigg. P. M<strong>org</strong>anti e N. Gramondo.<br />

61<br />

Talvolta, come nel 1975 e nel 1979, è stata esposta l’Ultima Cena, tela del pittore F.<br />

Bruno.<br />

62<br />

AOSP - Libro conti Priori cit. Brandelli degli angeli <strong>di</strong>pinti da Faggio sono stati ritrovati.<br />

<strong>di</strong> recente, ma in pessimo stato; i fondali <strong>di</strong>pinti dalla Bleichich si conservano tuttora. Negli<br />

anni 1965-1976 la preparazione del sepolcro sampietrino è sempre stata curata dal M<strong>org</strong>anti.<br />

63<br />

Ve<strong>di</strong> nota 62<br />

64<br />

Ve<strong>di</strong> nota 62<br />

65<br />

Tali cherubini sono stati <strong>di</strong>pinti da una delle monache del convento. L’allestimento è da<br />

anni curato dal sig. P. M<strong>org</strong>anti.<br />

22


cappella delle monache “Mére de Dieu” alla Foce, 66 i frati<br />

iniziarono nel 1920 a realizzare “sepolcri” con gran<strong>di</strong> tappeti<br />

<strong>di</strong> polvere <strong>di</strong> marmo, particolarmente eleganti e vistosi. Il<br />

tappeto si otteneva spargendo finissima polvere marmorea<br />

(mescolata a colori asciutti macinati) sul pavimento della<br />

chiesa antistante la cappella del sepolcro.<br />

Con l’uso <strong>di</strong> opportuni stampi o “seste” traforate preparate <strong>di</strong><br />

volta in volta, si otteneva una scena centrale con simboli o<br />

figure, circondata da una cornice ornamentale riempìtiva.<br />

Negli anni 1958-63, per opera del padre guar<strong>di</strong>ano F<strong>il</strong>iberto<br />

Lanata da Sestri, i tappeti del sepolcro dei Cappuccini<br />

raggiunsero <strong>il</strong> loro apice qualitativo, mentre, a completare<br />

l’effetto artistico, scene evangeliche venivano annualmente<br />

riprodotte a tempera su sfon<strong>di</strong> cartacei dal pittore Italo<br />

Rigolini. 67<br />

Con la partenza da Porto Maurizio <strong>di</strong> padre F<strong>il</strong>iberto e la<br />

morte <strong>di</strong> Rigolini, la qualità artistica del sepolcro dei<br />

Cappuccini decadde <strong>di</strong> colpo, pur mantenendosi l’uso del<br />

caratteristico tappeto.<br />

Per opera <strong>di</strong> Maria Siccar<strong>di</strong>, la tecnica delle “polveri” fece<br />

anche qualche comparsa nel sepolcro della parrocchia<br />

(sempre però spora<strong>di</strong>ca) ed in quello della chiesa “Ave Maris<br />

Stella” della Marina. Negli anni ‘70, quando oramai l’uso delle<br />

“polveri” era stato abbandonato dovunque, ci fu un’ultima<br />

ripresa della tecnica ad opera <strong>di</strong> Gianni De Moro che, insieme<br />

con Domenico Rambal<strong>di</strong>, dal 1975 al 1978 realizzò nella<br />

chiesa della Marina gli ultimi quattro “tappeti” della<br />

66<br />

Si tratta della cappella <strong>di</strong> S. Francesco da Paola, un tempo appartenente ai Berio, passata<br />

poi <strong>di</strong> proprietà Corazza ed oggi sciaguratamente inglobata in un palazzo moderno. La<br />

tecnica dei “tappeti <strong>di</strong> polveri” <strong>di</strong> marmo era stata introdotta nel 1915-18 da alcuni feriti<br />

toscani allora in convalescenza a Porto Maurizio, che prepararono appunto <strong>il</strong> sepolcro nella<br />

cappella per conto delle suore (fonte orale sigg. T. Bruno, G.B. De Moro e L. Lagorio).<br />

67<br />

Tra i soggetti <strong>di</strong>pinti in quel periodo da Rigolini ricor<strong>di</strong>amo: Gesù e la samaritana,<br />

l’Ultima Cena, <strong>il</strong> Figliol pro<strong>di</strong>go, <strong>il</strong> Buon Samaritano, ecc.<br />

Il pittore fu anche autore <strong>di</strong> affreschi ispirati al Cantico delle Creature eseguiti nel coro del<br />

monastero <strong>di</strong> S. Chiara.<br />

In quel periodo, alcuni cartoni furono preparati dal p. F<strong>il</strong>iberto anche per la chiesa <strong>di</strong><br />

Valloria, retta allora dal parroco don Devia. Ovviamente <strong>il</strong> principale <strong>di</strong>fetto del tappeto è<br />

dato dall’impossib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> conservarlo; ma anche nel corso dell’esecuzione la tecnica si rivela<br />

<strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e non consentendo correzioni <strong>di</strong> sorta, nè possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> velature cromatiche.<br />

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tra<strong>di</strong>zione “sepolcristica” citta<strong>di</strong>na, rappresentandovi anche<br />

scene con figure umane, fino ad allora evitate per le <strong>di</strong>fficoltà<br />

tecniche comportate. 68<br />

68 Le scene rappresentate furono: <strong>il</strong> trionfo dell’eucarestia (1975), Cristo all’ultima cena<br />

(1976);. <strong>il</strong> miracolo <strong>di</strong> Emmanus (1977), “Ecce enim corpus meum” (1978). La tecnica usata<br />

era la stessa adottata da p. F<strong>il</strong>iberto, dal quale era stata appresa molti anni prima.<br />

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