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Un altro ordine di problemi riguarda la natura di originale della pergamena conservata a<br />
Genova. Essa, infatti, si apre con le parole “sb hogoyn amen” “dello Spirito Santo amen”:<br />
ovviamente mancano le parole iniziali della formula di rito: “Yanun hōr ew ordwoy ew” “Nel<br />
nome del padre, del figlio e” 23 . Papasian non dubita dell’originalità della pergamena, tanto che<br />
introduce la sua traduzione italiana con le parole: “Fatta sull’originale armeno in pergamena,<br />
sottoscritta dalla propria mano del Ré, esistente nei regii archivi di Corte”. Dovendo tuttavia<br />
giustificare questo incipit monco egli afferma che “lo spazio vuoto fa supporre che un altro<br />
pezzo di pergamea dovesse contenerlo in caratteri lavorati ed indorati, secondo l’uso di quei<br />
tempi, e che sarà stato smarrito nei diversi trambusti”. Tale spiegazione va certamente nella<br />
giusta direzione. A un esame diretto del documento, infatti, si può facilmente constatare come<br />
chi lo redasse abbia lasciato lo spazio necessario per inserire, in un momento successivo, le<br />
parole mancanti in caratteri di dimensioni maggiori e in una grafia più elaborata, proprio come si<br />
può vedere nel testo armeno del privilegio ai Siciliani del 1331.<br />
23 Questa è la formula con cui si apre il privilegio ai Siciliani (“Yanun hōr ew ordwoy ew čšmarit kendarar surb<br />
hogwoyn amen” “Nel nome del Padre e del Figlio e del vero vivificante santo Spirito amen”), mentre l’incipit dei<br />
due privilegi ai Montepessini (1314 e 1321), molto più brevi rispetto a quelli concessi ai mercanti italiani, suona<br />
così: “I t’agaworakan barjr hramanać” “Per il sublime comando del Re”.<br />
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