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Quel salotto di piazza Duomo che amava tanto Milano

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<strong>Quel</strong> <strong>salotto</strong><br />

<strong>di</strong> <strong>piazza</strong> <strong>Duomo</strong><br />

<strong>che</strong> <strong>amava</strong><br />

<strong>tanto</strong> <strong>Milano</strong><br />

<strong>di</strong> Gianluigi Da Rold<br />

targa sotto i portici <strong>di</strong> <strong>piazza</strong> <strong>Duomo</strong>, al numero 23: «Qui<br />

vissero Filippo Turati e Anna Kuliscioff». Con una frase, <strong>che</strong><br />

ricorda il loro «forte impegno per il socialismo». Al Cimitero<br />

Monumentale, in fondo sulla destra, si può vedere la loro sem-<br />

una<br />

C’è<br />

plice tomba ricoperta da un grande sasso delle montagne <strong>di</strong> Canzo, il luogo dove<br />

nacque Turati. Filippo morì il 29 marzo 1932 esule a Parigi, quasi sette anni dopo<br />

Anna, morta a <strong>Milano</strong> il 29 <strong>di</strong>cembre del 1925. Entrambi, per molto tempo, sono<br />

apparsi come due “sconfitti della storia”. Eppure, alla fine dell’ultima guerra,<br />

quando la salma <strong>di</strong> Turati, trasportata dal treno <strong>che</strong> arrivava a <strong>Milano</strong> da Parigi,<br />

varcò il confine, quasi tutta l’Italia si fermò e si inchinò in segno <strong>di</strong> rispetto.<br />

Mentre la “bella signora russa” è sempre stata vista come un simbolo <strong>di</strong> intelligenza,<br />

<strong>di</strong> coraggio, <strong>di</strong> sensibilità sociale, civile e umana, <strong>che</strong> perdura nel tempo.<br />

Stu<strong>di</strong>osi, storici, analisti della politica possono avere un’immagine più complessa<br />

e articolata <strong>di</strong> Filippo Turati e <strong>di</strong> Anna Kuliscioff, ma per i riformisti del<br />

Novecento, “l’avvocato” e la “bella signora russa” sono il riferimento politico, ideale,<br />

umano <strong>di</strong> un socialismo <strong>che</strong> aveva rotto ogni legame con l’estremismo, sentimentale<br />

e inconcludente, degli anarchici e si era poi confrontato duramente con il<br />

nuovo estremismo <strong>di</strong> sinistra, <strong>di</strong>ttatoriale e golpista, del comunismo sovietico.<br />

Filippo Turati e Anna Kuliscioff erano e restano, quin<strong>di</strong>, l’autentico riferimento<br />

del socialismo italiano, collegato, inoltre, per la loro personalità alla tra<strong>di</strong>zione<br />

della socialdemocrazia europea. In più, la loro storia, politica e umana, si intreccia<br />

soprattutto con <strong>Milano</strong>, con la cultura <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>, con la grande svolta liberale<br />

e riformista <strong>di</strong> fine Ottocento dopo i tentativi autoritari <strong>di</strong> Francesco Crispi, la<br />

ventata reazionaria e il rombo dei cannoni del generale Fiorenzo Bava Beccaris nel<br />

maggio del 1898 proprio a <strong>Milano</strong>: 80 morti e 450 feriti.<br />

In quella tragica occasione, Filippo Turati e Anna Kuliscioff furono accusati, insieme<br />

ad altri, <strong>di</strong> aver provocato i <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni <strong>che</strong> portarono alla repressione inau<strong>di</strong>ta<br />

<strong>di</strong> Bava Beccaris. Con loro furono condannati il repubblicano De Andreis, don<br />

Albertario, Leonida Bissolati, Andrea Costa, Costantino Lazzari, Carlo Romussi.<br />

Poco dopo, i tribunali del Regno <strong>di</strong>stribuirono condanne per più <strong>di</strong> 1.400 anni.<br />

A causa <strong>di</strong> una simile repressione, <strong>che</strong> sconvolse l’Italia dell’epoca, si erano create<br />

tutte le con<strong>di</strong>zioni per una rabbiosa rivolta sociale e politica, quella <strong>che</strong> fu interpretata,<br />

in<strong>di</strong>vidualmente e tragicamente, dall’anarchico Gaetano Bresci, nel regici<strong>di</strong>o<br />

del 29 luglio del 1900 a Monza. Ma la scelta politica per Filippo Turati e<br />

I Lumi sotto il cielo della Lombar<strong>di</strong>a • 71


✑ Filippo Turati<br />

✑ Anna Kuliscioff<br />

Anna Kuliscioff fu, invece, quella <strong>che</strong> era stata già decisa dalla Lega socialista<br />

milanese nel 1891 e poi dal congresso costitutivo del Partito socialista, a Genova<br />

nell’agosto del 1892: il miglioramento delle con<strong>di</strong>zioni economi<strong>che</strong> del proletariato,<br />

delle classi popolari; l’inserimento nello stesso tempo del Partito socialista e<br />

della classe lavoratrice «nell’arringo della vita pubblica come forza politica in<strong>di</strong>pendente,<br />

influendo nelle assemblee <strong>di</strong> Stato (ripu<strong>di</strong>ata, quin<strong>di</strong>, come massima,<br />

l’astensione elettorale) e cercando <strong>di</strong> trasformare i congegni e servirsene come<br />

mezzo poderoso <strong>di</strong> evoluzione».<br />

Così, invece <strong>di</strong> pensare a insurrezioni, a illusioni <strong>di</strong> “palingenesi politica e sociale”,<br />

all’ora della rivoluzione, si continuava a dare impulso al movimento cooperativo,<br />

alle società operaie <strong>di</strong> mutuo soccorso, alle Case del popolo, alla<br />

Confederazione generale del lavoro (<strong>che</strong> a <strong>Milano</strong> viene fondata nel 1906), a tutte<br />

le iniziative autonome, non stataliste, del movimento dei lavoratori. In definitiva,<br />

a innervarsi solidamente nella società.<br />

L’aver abbandonato ogni <strong>di</strong>segno rivoluzionario ed eversivo da parte del movimento<br />

socialista, soprattutto per merito del nucleo costituitosi a <strong>Milano</strong>, favorì<br />

appunto la grande svolta <strong>di</strong> fine secolo con l’avvento della politica giolittiana, <strong>che</strong><br />

oggi gli storici definiscono “l’età più felice della storia italiana”.<br />

<strong>Milano</strong> all’inizio del Novecento <strong>di</strong>venta il “laboratorio culturale”, ma an<strong>che</strong> il<br />

“motore” economico e sociale <strong>di</strong> un’Italia <strong>che</strong> è contrassegnata dalla svolta <strong>di</strong><br />

Giovanni Giolitti, dalla fine dell’assenteismo cattolico in politica (preparato, a ben<br />

vedere, sin dal 1891 con l’enciclica Rerum Novarum <strong>di</strong> Papa Leone XIII), dalla svolta<br />

riformistica del movimento socialista. Intorno a questi tre “car<strong>di</strong>ni” <strong>di</strong> laicismo<br />

liberale, cattolicesimo sociale e riformismo socialista, si darà vita a un’epoca <strong>di</strong><br />

sviluppo, <strong>di</strong> attenzione verso quelle <strong>che</strong> venivano chiamate “le classi numerose”.<br />

Sarà la prima guerra mon<strong>di</strong>ale a fermare quel processo <strong>di</strong> riforme, quello sviluppo<br />

<strong>di</strong> più ampia partecipazione democratica. Lo vedremo subito.<br />

All’inizio del Novecento, accanto al nucleo riformista milanese, cresceva infatti<br />

una presenza laica liberale <strong>che</strong> si era opposta alla politica autoritaria <strong>di</strong> Francesco<br />

Crispi. Già nel 1899, l’anno successivo alla repressione del generale Bava Beccaris,<br />

il Comune <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> viene governato da una nuova maggioranza fatta <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>cali<br />

e repubblicani, con i socialisti <strong>che</strong> non accettano incarichi <strong>di</strong> giunta, ma siedono<br />

nella maggioranza del governo citta<strong>di</strong>no. Diventa sindaco Giuseppe Mussi. E c’è<br />

an<strong>che</strong> un nuovo atteggiamento dei cattolici, i quali, solo apparentemente ai mar-<br />

I Lumi sotto il cielo della Lombar<strong>di</strong>a • 73


✑ I sindacalisti Gino Baldesi e Bruno Buozzi<br />

78 • I Lumi sotto il cielo della Lombar<strong>di</strong>a<br />

gini della vita politica, intensificano la loro presenza sociale, fatta a <strong>Milano</strong> non<br />

solo dall’attività nelle opere <strong>di</strong> carità, non solo dalla tra<strong>di</strong>zione delle confraternite<br />

religiose impegnate in tanti campi dell’assistenza, della sanità, della scuola, ma<br />

an<strong>che</strong> dalla costruzione <strong>di</strong> opere <strong>di</strong> più ampio carattere sociale. An<strong>che</strong> i cattolici<br />

milanesi e lombar<strong>di</strong> sono impegnati in prima linea nel movimento cooperativo,<br />

nelle società <strong>di</strong> mutuo soccorso operaie, nella creazione <strong>di</strong> istituzioni bancarie. È<br />

in quei primi anni del Novecento <strong>che</strong> Achille Gran<strong>di</strong>, fondatore del sindacato cattolico<br />

Cil, organizza i lavoratori autonomi, i lavoratori in<strong>di</strong>pendenti, gli artigiani.<br />

Organizza le donne <strong>che</strong> lavorano nelle filande, nell’industria tessile. Più tar<strong>di</strong>,<br />

durante gli anni della Resistenza, Gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>venterà amico <strong>di</strong> un altro sindacalista,<br />

il riformista socialista Bruno Buozzi.<br />

È un altro cattolico, il bresciano Giuseppe Tovini, <strong>che</strong> fa nascere il Banco<br />

Ambrosiano a <strong>Milano</strong>, dopo aver compiuto opere nella sua provincia in vari settori,<br />

da quello bancario a quello scolastico. È sempre in quel periodo <strong>che</strong> il cattolico<br />

Nicolò Rezzara crea a Bergamo mille opere tra casse mutue, ban<strong>che</strong> popolari,<br />

assicurazioni, associazioni scolasti<strong>che</strong>. E, contemporaneamente, nelle cascine<br />

lombarde, an<strong>che</strong> in quelle del Milanese, il cattolico Guido Miglioli insegue il suo<br />

<strong>di</strong>segno delle cooperative bian<strong>che</strong> tra i salariati agricoli.<br />

Sono “mon<strong>di</strong>” <strong>di</strong>versi per idealità, ma <strong>che</strong> avanzano parallelamente, magari a<br />

volte in concorrenza reciproca, <strong>che</strong> creano una grande rete <strong>di</strong> sicurezza sociale, <strong>di</strong><br />

ragionevolezza umana nel tessuto lombardo e in quello citta<strong>di</strong>no <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>. Che<br />

favoriscono il suo sviluppo <strong>di</strong> città moderna ed europea.<br />

Ugo Finetti, stu<strong>di</strong>oso e storico, ha tracciato le fasi del riformismo: «Esso è così cresciuto<br />

in una continua sperimentazione attraverso tre fasi culturali o capitoli storici.<br />

Il primo è quello della contrapposizione all’ideologia rivoluzionaria, alla<br />

politica pre<strong>di</strong>catoria fatta <strong>di</strong> agitazioni e <strong>di</strong> “citalogia” <strong>che</strong> rinviava ogni iniziativa<br />

concreta a dopo una presa del potere. È il riformismo <strong>di</strong> Turati precedente alla<br />

nascita del partito comunista in Italia. E fu infatti caratterizzato dal rifiuto del<br />

ricorso alla violenza e della conquista rivoluzionaria del potere nella convinzione<br />

<strong>che</strong> andasse perseguita una via parlamentare e gradualista. La necessità <strong>di</strong> non<br />

rinviare a dopo l’avvento <strong>di</strong> uno Stato proletario la possibilità <strong>di</strong> introdurre mutamenti,<br />

ha animato una miriade <strong>di</strong> lotte e <strong>di</strong> iniziative per il concreto miglioramento<br />

delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> lavoro attraverso riven<strong>di</strong>cazioni sindacali,<br />

movimenti cooperativistici e la promozione culturale e sociale. È un lascito rile-


✑ Don Luigi Sturzo<br />

✑ Giacomo Matteotti<br />

80 • I Lumi sotto il cielo della Lombar<strong>di</strong>a<br />

vante <strong>che</strong> è stato invece sottovalutato da massimalismi vecchi e nuovi, ansiosi <strong>di</strong><br />

scre<strong>di</strong>tare la scelta della non violenza, dell’attenzione “minimalista” alla vita quoti<strong>di</strong>ana,<br />

del perseguimento <strong>di</strong> ideali <strong>di</strong> solidarismo e <strong>di</strong> umanitarismo».<br />

An<strong>che</strong> se cresceva in <strong>di</strong>fferenti realtà ideali una visione riformista della società,<br />

soprattutto a <strong>Milano</strong>, quel socialismo non ebbe vita facile. Finetti sottolinea: «La<br />

questione riformista da <strong>Milano</strong> si delinea quin<strong>di</strong> - nella sua solitu<strong>di</strong>ne nell’ambito<br />

della sinistra - come necessità <strong>di</strong> trovare altre sponde sia sociali sia politi<strong>che</strong><br />

nella stessa <strong>Milano</strong>. Ma il primo riformismo non riuscì vincente sul piano politico-parlamentare,<br />

ebbe vita <strong>di</strong>fficile an<strong>che</strong> se conseguì importanti risultati, perché<br />

da un lato si scontrò contro prevalenti rigidezze e conservatorismi, mentre dall’altro<br />

fu in maggioranza in campo nazionale solo per pochi anni nel Psi all’inizio<br />

del secolo e fu con<strong>di</strong>zionato an<strong>che</strong> nel suo seno dal pregiu<strong>di</strong>zio sui rischi della<br />

“collaborazione <strong>di</strong> classe”. Il <strong>di</strong>vieto alla “collaborazione <strong>di</strong> classe” rimase a lungo<br />

il denominatore comune della sinistra, si tradusse in limiti invalicabili e paralizzanti<br />

<strong>che</strong> lasciarono un campo libero sull’estrema destra. Questo tabù fu infranto<br />

solo tar<strong>di</strong>vamente da Turati, quando promosse nel 1924 un partito riformista e<br />

ricercò - dopo l’assassinio <strong>di</strong> Giacomo Matteotti <strong>che</strong> ne era il segretario - <strong>di</strong> dar<br />

vita a un’alleanza con i liberali <strong>di</strong> Giovanni Amendola e i popolari <strong>di</strong> don Luigi<br />

Sturzo».<br />

Nessuno poteva prevedere, in quel primo decennio del Novecento, i <strong>di</strong>sastri dell’imminente<br />

esplosione ideologica. Cresceva, invece, una <strong>Milano</strong> liberale, socialista<br />

riformista, cattolica <strong>che</strong>, pur con riferimenti <strong>di</strong>versi, garantiva un migliore<br />

benessere per i citta<strong>di</strong>ni, maggior fiducia e un gusto particolare per la “cultura del<br />

fare”, del realizzare fatti concreti. Nel primo decennio, sotto l’impulso della pratica<br />

sociale e politica <strong>di</strong> quel riformismo trasversale, sindaci milanesi <strong>di</strong> ispirazione<br />

liberal-giolittiana fecero quello <strong>che</strong> si era già fatto in altre città europee sotto la<br />

spinta <strong>di</strong> richieste liberal, democrati<strong>che</strong>, socialiste: le prime municipalizzate.<br />

Risale a quei sindaci e a quelle giunte comunali la nascita delle municipalizzate<br />

dell’elettricità, dei trasporti, delle farmacie. Ed è del 1906 il primo progetto <strong>di</strong> una<br />

metropolitana milanese.<br />

Fu l’irrazionalismo <strong>che</strong> maturò prima della guerra, con la guerra e dopo la guerra,<br />

a frenare lo sviluppo <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> e, più in generale, lo sviluppo democratico italiano.<br />

Prima ancora <strong>che</strong> la “notte fascista” calasse sull’Italia, erano spuntati i tanti<br />

neologismi dell’irrazionalismo italiano: dalle ambizioni insod<strong>di</strong>sfatte e dalle illu-


✑ Benito Mussolini<br />

sioni sbagliate dell’interventismo al vocianesimo e al prezzolinismo; dal papinismo<br />

al sofficismo; dal sorelismo al dannunzianesimo.<br />

Il corto-circuito <strong>di</strong> guerra, dopoguerra, deriva estremistica <strong>di</strong> destra e <strong>di</strong> sinistra,<br />

rompe un <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> riforme <strong>che</strong> aveva <strong>Milano</strong> come punto <strong>di</strong> riferimento determinante.<br />

Il <strong>di</strong>alogo costruttivo tra le culture riformisti<strong>che</strong> lai<strong>che</strong>, cattoli<strong>che</strong> e<br />

socialiste, viene bloccato.<br />

È quasi un paradosso storico <strong>che</strong>, proprio nel momento della più ampia affermazione<br />

del riformismo citta<strong>di</strong>no, <strong>Milano</strong> deve fare i conti con l’irruzione nella sua<br />

vita <strong>di</strong> ideologie e <strong>di</strong> irrazionalismo apocalittico.<br />

È il 1914. A <strong>Milano</strong>, il 30 giugno, <strong>di</strong>venta sindaco un socialista riformista: Emilio<br />

Caldara.<br />

Carlo Tognoli, sindaco socialista dal 1976 al 1986, profondo conoscitore della macchina<br />

comunale milanese e storico della vita sociale e amministrativa, <strong>di</strong>ce:<br />

«Caldara fu indubbiamente il grande sindaco socialista <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>. Creò l’Ufficio<br />

del lavoro, con l’obiettivo <strong>di</strong> farne rispettare le norme, riven<strong>di</strong>cando al Comune<br />

questo compito. Istituì la refezione scolastica. Fu talmente lungimirante e importante<br />

il suo operato, <strong>che</strong> riuscì a far mutare opinione persino al Corriere della Sera.<br />

Quando fu eletto sindaco, il Corriere titolò “Barbarossa a Palazzo Marino”. Alla<br />

fine del suo mandato, fu proprio il Corriere a <strong>di</strong>fendere la sua opera <strong>di</strong> sindaco.<br />

Emilio Caldara era già stato consigliere comunale nel 1899 e aveva una grande<br />

capacità amministrativa. Ma nutriva gran<strong>di</strong> aspirazioni per <strong>Milano</strong>. È suo un progetto<br />

<strong>di</strong> metropolitana <strong>che</strong> non attraversava solo <strong>Milano</strong>, ma <strong>che</strong> aveva <strong>di</strong>mensioni<br />

regionali, con stazioni a Bergamo e a Brescia. Il problema fu <strong>che</strong> Caldara si<br />

trovò a gestire il problema della guerra <strong>che</strong> scoppiò nel 1915 e <strong>che</strong> lui non voleva.<br />

<strong>Milano</strong>, si può affermare, era la “seconda linea” del fronte. Con un’attività intensa,<br />

il neutralista Caldara (glielo rinfacciarono in molti) affrontò le necessità urgenti<br />

<strong>che</strong> la guerra provocava a <strong>Milano</strong>. Creò degli uffici speciali per le famiglie dei<br />

militari, dei profughi, dei soldati <strong>che</strong> ritornavano dal fronte. Costituì in quell’epoca<br />

un Consorzio per gli alimentari <strong>che</strong> garantiva ai milanesi il pane, il latte, i<br />

legumi, i generi <strong>di</strong> prima necessità. Alla fine, in quel Consorzio, si potevano trovare<br />

an<strong>che</strong> stoffe, tessuti».<br />

Quasi sorridendo, Tognoli <strong>di</strong>ce: «Quando Caldara fu eletto nel 1914, in lista c’era<br />

an<strong>che</strong> Benito Mussolini, <strong>che</strong> fu eletto consigliere comunale tra gli ultimi. Partecipò<br />

una volta ai lavori del Consiglio e si assicurò un “gettone <strong>di</strong> presenza” con la<br />

I Lumi sotto il cielo della Lombar<strong>di</strong>a • 83


84 • I Lumi sotto il cielo della Lombar<strong>di</strong>a<br />

nomina nella “Commissione <strong>di</strong> beneficenza” della Cariplo».<br />

È con la guerra, con le polemi<strong>che</strong> sull’intervento, poi con il dopoguerra, con la<br />

favola della “pace tra<strong>di</strong>ta”, con il “<strong>di</strong>ciannovismo”, con tutte le derive estremisti<strong>che</strong><br />

<strong>di</strong> destra e sinistra, <strong>che</strong> entra in crisi il modello riformista <strong>di</strong> cui <strong>Milano</strong> è il<br />

caposaldo. Quando Caldara termina la sua sindacatura nel novembre del 1920,<br />

riesce ancora a guidare una lista socialista vincente e garantisce alla città un altro<br />

sindaco riformista, Angelo Filippetti.<br />

Per un po’ <strong>di</strong> tempo, l’insegnamento lasciato e le conquiste ottenute resistono alla<br />

violenza del fascismo e all’estremismo <strong>di</strong> sinistra. Tra gran<strong>di</strong> errori, contrad<strong>di</strong>zioni,<br />

contrasti, le culture riformisti<strong>che</strong> sembrano entrate ormai nel Dna della città.<br />

Un episo<strong>di</strong>o <strong>che</strong> si svolge nella lontana Russia, a Mosca, può essere in<strong>di</strong>cativo.<br />

Una delegazione <strong>di</strong> socialisti milanesi, <strong>che</strong> vuole aderire al comunismo, viene<br />

ricevuta da Lenin. Un sindacalista spiega: «Noi abbiamo un problema: <strong>che</strong> cosa<br />

facciamo con il Turati, <strong>che</strong> non vuole <strong>di</strong>ventare comunista?». La risposta <strong>di</strong> Lenin<br />

è sprezzante: «Che problema è mai questo? Fatelo fuori!». E il sindacalista risponde:<br />

«Ma signor Lenin, sta <strong>di</strong>ventando matto? Far fuori il Turati? Noi siamo milanesi,<br />

siamo brava gente».<br />

Guardando agli avvenimenti <strong>di</strong> quegli anni, <strong>che</strong> si giocano tra Roma e <strong>Milano</strong>,<br />

Ugo Finetti, scrive: «Le ragioni dell’avvento del fascismo furono molteplici, ma<br />

certamente una <strong>di</strong> esse fu l’incapacità <strong>di</strong> tradurre in formula <strong>di</strong> governo la grande<br />

vittoria dei socialisti e dei cattolici popolari nelle prime elezioni a suffragio<br />

universale maschile dopo la “Grande guerra”, nel 1919. La responsabilità principale<br />

fu delle correnti massimalista e comunista allora presenti nel Psi».<br />

Il riformismo <strong>di</strong> Filippo Turati, quello nato nell’esperienza soprattutto milanese,<br />

si trova ingabbiato tra l’estremismo fascista, <strong>che</strong> <strong>di</strong>venta padrone dello Stato, e l’estremismo<br />

comunista <strong>che</strong> ingrossa all’interno del movimento socialista. Esiste<br />

una testimonianza profetica <strong>di</strong> Turati contro la scelta comunista. Dirà al congresso<br />

<strong>di</strong> Livorno del 1921: «Il mito russo sarà evaporato. Sotto le lezioni dell’esperienza<br />

le vostre affermazioni <strong>di</strong> oggi saranno da voi stessi abbandonate. Il nucleo<br />

solido <strong>che</strong> rimane <strong>di</strong> tutte queste cadu<strong>che</strong> è l’azione: l’azione, la quale non è l’illusione,<br />

il precipizio, il miracolo, la rivoluzione in un dato giorno, ma è l’abilitazione<br />

progressiva, libera, per conquiste successive, obbiettive e subbiettive della<br />

maturità proletaria alla gestione sociale. Sindacati, cooperative, poteri comunali,<br />

azione parlamentare, cultura, tutto ciò è il socialismo <strong>che</strong> <strong>di</strong>viene. E non <strong>di</strong>viene


✑ Intervento del sindaco Greppi all'inaugurazione<br />

dell'Università proletaria del Partito socialista a <strong>Milano</strong><br />

86 • I Lumi sotto il cielo della Lombar<strong>di</strong>a<br />

per altre vie. Ancora una volta vi ripeto: ogni scorcione allunga il cammino; la via<br />

lunga è an<strong>che</strong> la più breve perché è la sola. Onde è <strong>che</strong> quando an<strong>che</strong> voi aveste<br />

impiantato il partito comunista e organizzato i soviet in Italia, se uscirete salvi<br />

dalla reazione <strong>che</strong> avrete provocata e se vorrete fare qual<strong>che</strong> mento <strong>di</strong> società<br />

nuova, voi sarete forzati a ripercorrere la nostra via, la via dei socialtra<strong>di</strong>tori <strong>di</strong><br />

una volta perché è l’unica via».<br />

L’esempio, la cultura, il modo <strong>di</strong> fare politica <strong>di</strong> Filippo Turati e <strong>di</strong> Anna<br />

Kuliscioff, an<strong>che</strong> se sconfitto dalla vittoria fascista e dalla miopia politica del<br />

nuovo estremismo <strong>di</strong> sinistra, rimase talmente ra<strong>di</strong>cato a <strong>Milano</strong>, pervase così<br />

<strong>tanto</strong> il modo <strong>di</strong> amministrare la città, <strong>che</strong> i sindaci milanesi dopo Filippetti e<br />

an<strong>che</strong> per un po’ <strong>di</strong> tempo i “podestà” fascisti cercarono <strong>di</strong> non intaccare troppo<br />

l’impalcatura, i gangli vitali del Comune e delle municipalizzate.<br />

<strong>Quel</strong>la se<strong>di</strong>mentazione <strong>di</strong> socialismo umanitario, <strong>di</strong> antica tra<strong>di</strong>zione riformista,<br />

attraversò tutta la “notte fascista” e, non a caso, il primo sindaco dopo la liberazione<br />

<strong>di</strong> <strong>Milano</strong> è Antonio Greppi, socialista e cattolico, <strong>che</strong>, nominato dal Cln, si<br />

inse<strong>di</strong>a a Palazzo Marino il 27 aprile del 1945 e ci resta fino al 25 giugno del 1951.<br />

Greppi è un esempio <strong>di</strong> volontà <strong>di</strong> ricostruire, <strong>di</strong> buon senso, <strong>di</strong> “cultura del fare”<br />

in una situazione drammatica: la <strong>Milano</strong> del dopoguerra, con le sue rovine, i segni<br />

lasciati dai bombardamenti e la crudeltà della guerra civile <strong>che</strong> si è appena conclusa.<br />

Greppi ha pagato <strong>di</strong> persona. Suo figlio Mariolino, giovanissimo, è caduto<br />

quasi alla vigilia dell’insurrezione <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>. Tuttavia, Greppi onorò sempre la<br />

tomba <strong>di</strong> suo figlio in una parte del cimitero <strong>di</strong> Angera, sul Lago Maggiore, dove<br />

insieme ai giovani caduti partigiani della Resistenza ci sono le tombe dei giovani<br />

morti combattendo per la Repubblica sociale, come se la morte comune, in un<br />

periodo cupo della storia italiana, li riunisse in una pacificazione postuma. «È<br />

Greppi - <strong>di</strong>ce Tognoli - <strong>che</strong> inse<strong>di</strong>atosi a Palazzo Marino fa un appello contro ogni<br />

vendetta e ogni forma <strong>di</strong> giustizia sommaria, in quella <strong>Milano</strong> dove si consumavano<br />

atti <strong>di</strong> violenza».<br />

Antonio Greppi amministra secondo tra<strong>di</strong>zione turatiana, segue la “via maestra”<br />

del riformismo socialista d’inizio secolo. Era stato un giovane frequentatore del<br />

“<strong>salotto</strong>” <strong>di</strong> Turati e della Kuliscioff in <strong>piazza</strong> <strong>Duomo</strong> 23. Ma ora il vento politico<br />

<strong>che</strong> si respira nella sinistra italiana è ben <strong>di</strong>verso dalla “pre<strong>di</strong>cazione” della Lega<br />

socialista milanese. Comincia il periodo della guerra fredda, nella sinistra italiana<br />

non prevale il Partito comunista come voti, ma soprattutto come tendenza. Alla


✑ Giuseppe Saragat<br />

✑ Pietro Nenni<br />

“pre<strong>di</strong>cazione” <strong>di</strong> Turati, si sostituisce la pre<strong>di</strong>cazione del “migliore”, <strong>di</strong> Palmiro<br />

Togliatti, il leader comunista <strong>che</strong> è cresciuto nel Comintern e <strong>che</strong> ha eseguito perfettamente<br />

gli or<strong>di</strong>ni strategici <strong>di</strong> Stalin. È talmente invadente l’azione del Pci, così<br />

incalzante la sua pretesa <strong>di</strong> egemonia nella sinistra, <strong>che</strong> tutta la tra<strong>di</strong>zione del<br />

socialismo riformista viene collocata in un angolo, portando <strong>di</strong>visioni nelle schiere<br />

socialiste. Sarà quello il tempo delle scissioni nel Psi, del Fronte popolare, della<br />

sinistra socialista <strong>che</strong> scaval<strong>che</strong>rà in certi atteggiamenti e posizioni, politi<strong>che</strong> e<br />

culturali, lo stesso Pci. L’egemonia comunista avrà un peso rilevante nel mondo<br />

della cultura, nel settore dell’e<strong>di</strong>toria, al punto <strong>che</strong> il lungo carteggio Turati-<br />

Kuliscioff resterà per anni nei cassetti dell’Einau<strong>di</strong> prima <strong>di</strong> essere pubblicato,<br />

quasi in sor<strong>di</strong>na.<br />

Mentre la vita pratica delle giunte riformiste milanesi continua nel solco della tra<strong>di</strong>zione<br />

turatiana, occorrerà aspettare il “fati<strong>di</strong>co ’56” per ottenere an<strong>che</strong> sul terreno<br />

del <strong>di</strong>battito politico e ideale la piena riabilitazione dell’insegnamento <strong>di</strong><br />

Filippo Turati e <strong>di</strong> Anna Kuliscioff. È in quel 1956, dopo la rivolta ungherese, dopo<br />

il XX congresso del Pcus a Mosca, dopo il “rapporto segreto” <strong>di</strong> Kruscev, <strong>che</strong> si<br />

apre una nuova stagione politica italiana e le “profezie”, l’insegnamento <strong>di</strong> Turati<br />

si riveleranno giuste.<br />

Scrive Ugo Finetti, ricordando gli anni del fascismo, della Resistenza e poi dell’imme<strong>di</strong>ato<br />

dopoguerra: «Dalla sconfitta <strong>di</strong> fronte al fascismo, da quella appunto<br />

<strong>di</strong> non saper tradurre in formula politica la vittoria elettorale del 1919, prese<br />

corpo una rifondazione socialista sia con Pietro Nenni, sia con Giuseppe Saragat,<br />

<strong>che</strong> ebbero sempre il loro principale seguito e luogo <strong>di</strong> sperimentazione politica a<br />

<strong>Milano</strong>. Ma nel segno del classismo, <strong>di</strong> una lotta <strong>di</strong> classe <strong>che</strong> li portò a privilegiare<br />

l’unità <strong>di</strong> classe. Sia Saragat nel 1947, sia Nenni nel 1956, an<strong>che</strong> quando rompono<br />

con i comunisti, non cancellano il primato marxista. Ancora nella carta<br />

dell’Unificazione socialista del 1966, non riven<strong>di</strong>cano il richiamo al riformismo.<br />

Tuttavia i partiti socialisti <strong>di</strong> Nenni e <strong>di</strong> Saragat, a <strong>Milano</strong>, furono il vivaio della<br />

cultura riformista. Dalla svolta del 1956 nacque una spinta riformista <strong>che</strong> a <strong>Milano</strong><br />

si tradusse in termini <strong>di</strong> modernizzazione della sinistra, aprendosi sul piano culturale<br />

alle correnti <strong>di</strong> avanguar<strong>di</strong>a e a una <strong>di</strong>mensione europea e occidentale<br />

senza miti terzomon<strong>di</strong>sti, guardando al mondo cattolico e all’innovazione in<br />

campo economico. È da <strong>Milano</strong> <strong>che</strong> il riformismo si contrappone al socialismo statalista<br />

e pianificatore, <strong>che</strong> primeggia ancora a Roma, e alla sinistra apocalittica <strong>che</strong><br />

I Lumi sotto il cielo della Lombar<strong>di</strong>a • 87


✑ Comizio del sindaco <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> Ferrari<br />

✑ Alcide De Gasperi<br />

88 • I Lumi sotto il cielo della Lombar<strong>di</strong>a<br />

prevale a Torino non solo nelle file del Partito comunista, ma an<strong>che</strong> tra i socialisti<br />

dove si teme “l’integrazione della classe operaia” in ogni misura concreta, compreso<br />

lo statuto dei lavoratori».<br />

Pur tra contrad<strong>di</strong>zioni, errori, declamazioni ideologi<strong>che</strong>, <strong>Milano</strong>, per un effetto<br />

combinato tra <strong>di</strong>versi riformismi <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenti ideali, riesce quin<strong>di</strong>, nel corso <strong>di</strong> un<br />

secolo, a essere l’autentico vivaio, per usare le parole <strong>di</strong> Finetti, sia del riformismo<br />

d’inizio Novecento, sia <strong>di</strong> quello del secondo dopoguerra. Finetti vede in questa<br />

pratica riformista milanese un tratto preciso dello sviluppo italiano: «La natura<br />

del riformismo milanese ha una sua ra<strong>di</strong>ce nella storica <strong>di</strong>alettica <strong>che</strong> si è sviluppata<br />

dal capoluogo lombardo nei confronti, da un lato <strong>di</strong> Roma, dall’altro <strong>di</strong><br />

Torino. Agli occhi della cultura politica milanese, nei confronti <strong>di</strong> Roma, ci si<br />

caratterizzava nel respingere centralismo, primato istituzionale e un’economia<br />

sostanzialmente priva <strong>di</strong> industrie e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> classe operaia come protagonista<br />

della vita sociale. D’altra parte, il polo industriale torinese vedeva un “monocolore”<br />

Fiat ossessivo - un’industria, un quoti<strong>di</strong>ano, una squadra <strong>di</strong> calcio, una casa<br />

e<strong>di</strong>trice - <strong>che</strong> si traduceva in un’opposizione sostanzialmente settaria, in quanto<br />

aveva margini ristretti <strong>di</strong> autonoma sperimentazione concreta. Il mondo economico<br />

e culturale milanese ha sempre avuto la caratteristica - in tutte le sue manifestazioni<br />

e <strong>di</strong>verse correnti culturali - <strong>di</strong> privilegiare autonomia, laboriosità e<br />

pluralismo. Socialismo, quin<strong>di</strong>, senza l’ossessione del primato né istituzionale, né<br />

ideologico, ma popolare e pratico».<br />

La pratica <strong>di</strong> vita prevale su qualsiasi scontro ideologico nella <strong>Milano</strong> degli anni<br />

Cinquanta. Il vivaio riformista vince nella pratica quoti<strong>di</strong>ana ancor prima del<br />

1956. Antonio Greppi, nella scissione socialista <strong>di</strong> Palazzo Barberini, si schiera con<br />

i socialdemocratici <strong>di</strong> Saragat. Rimane fedele al “<strong>salotto</strong>” <strong>di</strong> Turati e <strong>di</strong> Anna<br />

Kuliscioff e avvia, con la sua amministrazione popolare e pratica, la ricostruzione<br />

<strong>di</strong> <strong>Milano</strong>. Quando gli subentra il socialdemocratico Virgilio Ferrari, <strong>Milano</strong> è<br />

pronta a decollare verso gran<strong>di</strong> traguar<strong>di</strong>.<br />

La maggioranza <strong>che</strong> sostiene il sindaco Ferrari è un sigillo alla più ampia tra<strong>di</strong>zione<br />

riformista <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>. I cattolici non sono più “a parte” della politica. Il partito<br />

<strong>di</strong> Alcide De Gasperi, la Dc, garantisce stabilità all’Italia. A <strong>Milano</strong> ha Luigi<br />

Meda, vicesindaco nella giunta guidata da Ferrari, e tanti giovani nelle sue fila<br />

<strong>che</strong> <strong>di</strong>venteranno protagonisti della politica milanese e italiana. La giunta Dc-Ps<strong>di</strong><br />

è la migliore cornice per la rinascita <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>. La città vive in una rinnovata fidu-


✑ Il palazzo della Banca commerciale italiana a <strong>Milano</strong><br />

cia nelle sue capacità, con una molteplicità <strong>di</strong> iniziative.<br />

La <strong>Milano</strong> <strong>di</strong> quel periodo è ben raffigurata nelle fotografie <strong>di</strong> quell’epoca.<br />

Scompaiono rapidamente le macerie provocate dai bombardamenti della guerra e<br />

viale Sarca riprende l’immagine <strong>di</strong> “strada della classe operaia”, con gli stabilimenti<br />

delle sue gran<strong>di</strong> aziende (Falck, Breda, Pirelli) <strong>che</strong> ricominciano a funzionare<br />

a pieno regime. L’Alfa Romeo, al Portello, ritorna a essere la fabbrica <strong>che</strong> produce<br />

automobili <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssima qualità. È un marchio <strong>che</strong> si impone a livello<br />

mon<strong>di</strong>ale, quello <strong>che</strong> fa <strong>di</strong>re all’americano Henry Ford: «Quando vedo passare per<br />

strada un’Alfa Romeo, mi tolgo il cappello». E l’operaio dell’Alfa Romeo (dal<br />

“battilastra” al “levabolli”) fa parte <strong>di</strong> un’aristocrazia operaia, sindacalizzata,<br />

fiera, <strong>che</strong> tiene persino orgogliosamente al suo decoro personale così come il “bergamino”<br />

delle stalle cremonesi. La <strong>di</strong>gnità e la passione del lavoro coinvolge tutte<br />

le classi sociali. La Cassa <strong>di</strong> risparmio delle provincie lombarde è sempre <strong>di</strong> più la<br />

“Cà de sass” dei milanesi e dei lombar<strong>di</strong>. Raffaele Mattioli, alla testa della Banca<br />

commerciale italiana, riveste il ruolo <strong>di</strong> suggeritore intelligente <strong>di</strong> una cultura<br />

finanziaria più <strong>di</strong>namica e nello stesso tempo del “mecenate”, <strong>che</strong> si interessa fattivamente<br />

all’arte e alla cultura. Alfredo Pizzoni, il vero capo del Clnai e della<br />

Resistenza al Nord, <strong>di</strong>venta presidente del Cre<strong>di</strong>to italiano. E il giovane Enrico<br />

Cuccia, tra mille contrad<strong>di</strong>zioni, scarsità <strong>di</strong> capitali, vari con<strong>di</strong>zionamenti, si<br />

inventa Me<strong>di</strong>obanca e la fa <strong>di</strong>ventare la prima merchant bank europea. Lo stesso<br />

Enrico Mattei comincia a <strong>Milano</strong> la sua avventura dell’Eni, partendo dalla scatola<br />

vuota della Snam, impegnandosi tra industria e politica, magari spregiu<strong>di</strong>catamente,<br />

nell’impresa <strong>di</strong> assicurare l’energia necessaria agli italiani per lo sviluppo<br />

industriale e per una vita quoti<strong>di</strong>ana migliore a partire dalle loro case. Magari per<br />

calcolo politico, Mattei fonda an<strong>che</strong> un giornale nuovissimo, moderno, Il Giorno,<br />

<strong>che</strong> per lungo tempo insi<strong>di</strong>erà l’egemonia culturale del Corriere della Sera a<br />

<strong>Milano</strong>.<br />

Probabilmente, quella passione per il lavoro, per la ricostruzione <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>, ha la<br />

stessa ra<strong>di</strong>ce dell’opera <strong>di</strong> don Gnocchi, grande sacerdote <strong>che</strong> riesce a dare un<br />

alloggio, un affetto, una speranza a tutti i ragazzi mutilati della guerra e del dopoguerra.<br />

Il riformismo popolare e pratico della giunta Ferrari non delude questa passione.<br />

Carlo Tognoli dà un giu<strong>di</strong>zio preciso: «Fu un grande sindaco, <strong>che</strong> concluse la ricostruzione.<br />

La ric<strong>che</strong>zza delle iniziative, dei progetti, delle realizzazioni è impres-<br />

I Lumi sotto il cielo della Lombar<strong>di</strong>a • 89


✑ Il car<strong>di</strong>nal Montini<br />

92 • I Lumi sotto il cielo della Lombar<strong>di</strong>a<br />

sionante. È in quegli anni <strong>che</strong> nasce la Società della Metropolitana, la Centrale del<br />

Latte, la Sea (<strong>che</strong> amplia, costruisce, gestisce gli aeroporti <strong>di</strong> Linate e <strong>di</strong> Malpensa,<br />

an<strong>che</strong> con qual<strong>che</strong> gelosia romana). È in quegli anni <strong>che</strong> si costituisce l’Iacp,<br />

l’Istituto autonomo delle case popolari, <strong>che</strong>, nel giro <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni, riuscirà a<br />

costruire almeno 50 mila alloggi, rispondendo alla richiesta, alla domanda <strong>di</strong> case<br />

<strong>che</strong> non arrivava solo dal dopoguerra, ma dalla nuova immigrazione <strong>di</strong> chi cercava<br />

un lavoro a <strong>Milano</strong>. E fu lui <strong>che</strong> pose, per primo, il problema <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> come<br />

capitale europea».<br />

In quella giunta Dc-Ps<strong>di</strong>, vicesindaco <strong>di</strong> Ferrari, si <strong>di</strong>ceva, è il democristiano Luigi<br />

Meda, figlio <strong>di</strong> Filippo Meda, cattolico popolare, ministro delle Finanze nei governi<br />

prima del fascismo. «Il miglior ministro delle Finanze <strong>che</strong> l’Italia abbia avuto»,<br />

scrisse <strong>di</strong> lui Piero Gobetti. Un ministro cattolico <strong>che</strong> ebbe il merito <strong>di</strong> far lavorare<br />

nel suo <strong>di</strong>castero un giovane professore universitario: Luigi Einau<strong>di</strong>. E Luigi<br />

Meda ha la stessa competenza, passione, apertura culturale e concretezza del<br />

padre. È un vicesindaco cha salda in quella <strong>Milano</strong> la sintesi <strong>di</strong> due riformismi<br />

storici.<br />

Accanto a quel fervore <strong>di</strong> passione per il lavoro, si accompagnava, nel frattempo,<br />

una vivacità culturale in tutta la città. Il “fati<strong>di</strong>co ’56” aveva operato un’ulteriore<br />

svolta politica <strong>che</strong> veniva rielaborata attentamente nel vivaio riformista milanese.<br />

In politica l’uomo della Democrazia cristiana a <strong>Milano</strong> era Alberto Marcora, tra i<br />

socialisti Guido Mazzali. L’“Albertino” era un uomo pratico, attento, un cattolico<br />

pieno <strong>di</strong> buon senso e realismo, <strong>che</strong> ere<strong>di</strong>tava la tra<strong>di</strong>zione dei cattolici lombar<strong>di</strong><br />

e milanesi. Mazzali, durante gli anni del fascismo, aveva creato l’Ufficio moderno,<br />

un’agenzia <strong>di</strong> pubblicità <strong>che</strong>, tralaltro, aveva inventato uno slogan <strong>di</strong>venuto<br />

famosissimo: «Chi beve birra campa cent’anni». Riservato, vagamente dannunziano<br />

nei suoi gusti, Mazzali era stato un punto <strong>di</strong> riferimento negli anni della<br />

Resistenza, aveva scritto un libro importante per la storia riformista italiana,<br />

Espiazione socialista. Ora, dopo la rottura del 1956 con i comunisti, rappresentava<br />

a <strong>Milano</strong> gli “autonomisti” <strong>di</strong> Pietro Nenni. Fu lui ad avviare il <strong>di</strong>alogo con i cattolici<br />

milanesi. Fu lui a cercare un’amicizia, corrisposta, con il nuovo car<strong>di</strong>nal<br />

Montini. Erano le fondamenta per la futura collaborazione tra democristiani e<br />

socialisti, per la politica <strong>di</strong> centrosinistra <strong>che</strong> nacque proprio a <strong>Milano</strong> nel 1960.<br />

Mazzali muore alla vigilia <strong>di</strong> Natale del 1960 e vede poco <strong>di</strong> quel centrosinistra.<br />

Sono due suoi giovani pupilli <strong>che</strong> ne raccolgono l’ere<strong>di</strong>tà: Bettino Craxi e


✑ Bettino Craxi<br />

✑ Giorgio Amendola<br />

96 • I Lumi sotto il cielo della Lombar<strong>di</strong>a<br />

Giovanni Mosca. Craxi, all’età <strong>di</strong> 26 anni, <strong>di</strong>venta assessore all’Economato, Mosca<br />

viene eletto segretario della Federazione socialista.<br />

La nuova giunta presieduta da Gino Cassinis consolida lo slancio della città. È il<br />

primo centrosinistra in Italia. <strong>Milano</strong> anticipa la politica nazionale, ne è il suo<br />

naturale laboratorio. Così la città ha il primo piano regolatore del paese. I progetti<br />

si concretizzano con l’inaugurazione e la piena attività, nel giro <strong>di</strong> pochi anni,<br />

della prima e della seconda linea della metropolitana. È un’amministrazione<br />

buona, <strong>che</strong> viene premiata dal voto dei citta<strong>di</strong>ni. Ed è tale l’importanza politica e<br />

culturale <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>, in quegli anni, <strong>che</strong> la politica <strong>di</strong> centrosinistra scuote e destabilizza<br />

la sinistra comunista.<br />

È a <strong>Milano</strong> <strong>che</strong> si costruisce lentamente l’unificazione socialista. L’impatto è così<br />

forte <strong>che</strong> regge an<strong>che</strong> al tramonto del kruscevismo in Unione Sovietica e alla “normalizzazione<br />

brezneviana”, inserendosi nel <strong>di</strong>battito del Pci post-togliattiano. Il<br />

figlio <strong>di</strong> Giovanni Amendola, Giorgio, uno dei leader carismatici del Pci <strong>che</strong> ha<br />

cercato <strong>di</strong> imporre la svolta <strong>di</strong> Kruscev nel partito, rompe gli indugi e scrive su<br />

Rinascita, tra l’ottobre e il <strong>di</strong>cembre 1964, una serie <strong>di</strong> articoli definiti “eretici”.<br />

Amendola parte dalla «constatazione critica: nessuna delle due soluzioni prospettate<br />

alla classe operaia dei paesi capitalistici dell’Europa occidentale negli<br />

ultimi 50 anni, la soluzione socialdemocratica e la soluzione comunista, si è rivelata<br />

fino a ora valida al fine <strong>di</strong> valorizzare una trasformazione socialista della<br />

società, un mutamento del sistema». Donde l’esigenza <strong>di</strong> “una svolta ra<strong>di</strong>cale”<br />

<strong>che</strong> superi mezzo secolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>visioni a sinistra. “Via italiana al socialismo”, “via<br />

democratica al socialismo”, “strada nuova <strong>di</strong> avanzata al socialismo”, “partito<br />

unico della classe operaia italiana”, “riunificazione del movimento operaio”. Una<br />

gragnuola <strong>di</strong> colpi contro la politica togliattiana, contro la cosiddetta egemonia<br />

comunista, alla ricerca <strong>di</strong> un nuovo rapporto con i socialisti, oramai tesi al recupero<br />

del riformismo d’inizio secolo. Quegli articoli furono come una “bomba”,<br />

scatenarono il finimondo nella sinistra italiana.<br />

È talmente forte la spinta riformista <strong>che</strong>, trasversalmente nella sinistra, comincia<br />

la ribellione. Proprio mentre nel 1966 si arriva all’unificazione e all’eresia amendoliana<br />

nel Pci, la sinistra socialista genera il Psiup, l’apparato del Pci si arrocca<br />

quasi in una <strong>di</strong>fesa ideologico-corporativa, i sindacati sfociano nella loro azione<br />

in un pansindacalismo irresponsabile e si saldano con la ribellione universitaria<br />

del ’68 studentesco. È la nuova ventata irrazionalista contro la scelta riformista.


✑ Manifestazione studentesca a <strong>Milano</strong>, anni Settanta<br />

98 • I Lumi sotto il cielo della Lombar<strong>di</strong>a<br />

Si apre uno scenario politico inquietante, puntellato da stragi, violenze. Mentre traballa<br />

il governo nazionale alla ricerca <strong>di</strong> soluzioni spesso fantasiose, resiste la “trincea”<br />

riformista a <strong>Milano</strong>, «an<strong>che</strong> se la città ebbe il più lungo sessantotto del mondo»,<br />

<strong>di</strong>ce Tognoli. E il sessantottismo prende <strong>di</strong> mira proprio il riformismo. Craxi è scritto<br />

sui muri <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> con una svastica al posto della “x”. Si inneggia a Mao, a Stalin e a<br />

Lenin. Il Pci battezza come socialista il giovanilismo stradaiolo e rivoluzionario. È il<br />

solo Giorgio Amendola a definire con <strong>di</strong>sprezzo “barricate <strong>di</strong> latta” quelle erette dai<br />

sessantottini del joli mai francese. E sull’Unità scrive <strong>di</strong> non usare verso i contestatori<br />

«né indulgenze né compiacenti civetterie».<br />

<strong>Milano</strong> resiste alla stagione terroristica e il riformismo, dopo i contraccolpi della<br />

nuova scissione socialista del 1969 e l’avanzata elettorale del Pci, passa al contrattacco.<br />

Nel 1976 Bettino Craxi viene eletto segretario nazionale del Psi, trasferendovi tutto<br />

il patrimonio, la tra<strong>di</strong>zione milanese. A <strong>Milano</strong>, viene eletto sindaco il craxiano Carlo<br />

Tognoli.<br />

Ugo Finetti commenta: «È qui <strong>che</strong> arriva il terzo capitolo: quello del riformismo <strong>che</strong><br />

matura a <strong>Milano</strong> con Craxi <strong>di</strong> fronte al <strong>di</strong>ssolvimento nel Psi nazionale della <strong>di</strong>rigenza<br />

<strong>che</strong> aveva guidato la svolta autonomista. È da <strong>Milano</strong> <strong>che</strong> il socialismo riformista<br />

in Italia “manda in soffitta” Marx, si libera della lettura classista della storia come teatro<br />

<strong>di</strong> scontro tra capitalismo reazionario e movimento operaio, non è ossessionato<br />

dalla ricomposizione dell’unità <strong>di</strong> classe e punta alla crescita <strong>di</strong> una forza socialista<br />

come parte integrante del socialismo europeo e occidentale. Ciò prende forma mentre<br />

ancora in Francia, nel “nuovo corso” socialista, Mitterrand affermava: “Celui qui<br />

n’accepte pas la rupture avec l’ordre établi et la société capitaliste ne peut être adhérent<br />

du Ps. La révolution c’est la rupture. Notre base, c’est le front de classe”».<br />

Continua Finetti: «Si consolida da <strong>Milano</strong> un socialismo delle autonomie locali, del<br />

pluralismo economico, <strong>che</strong> considera cartapesta le teorie sulla proletarizzazione crescente,<br />

non demonizza, ma anzi incoraggia decentramento industriale, ammodernamento<br />

infrastrutturale, terziarizzazione. Una politica <strong>che</strong> riabilita assumendone orgogliosamente<br />

il nome, la parola riformista, contro chi ancora si attarda a definirsi piuttosto<br />

“riformatore” (dalla sinistra lombar<strong>di</strong>ana ai comunisti)». La giunta comunale<br />

presieduta da Carlo Tognoli riprende il filo del riformismo milanese <strong>di</strong> fronte ai nuovi<br />

problemi della società citta<strong>di</strong>na. «Non affrontammo un periodo semplice - <strong>di</strong>ce<br />

Tognoli -. Era il periodo della deindustrializzazione e riuscimmo a risolverlo. Poi<br />

inaugurammo la terza linea della metropolitana: il problema dei trasporti a <strong>Milano</strong> è


✑ Gianni Cervetti<br />

sempre stato nevralgico. Quin<strong>di</strong> avviammo il decentramento, <strong>che</strong> allora era uno tra i<br />

problemi all’or<strong>di</strong>ne del giorno. E si risolse con una più ampia partecipazione alla vita<br />

politica e sociale citta<strong>di</strong>na».<br />

Dal riformismo praticato a <strong>Milano</strong> al più ampio <strong>di</strong>battito nazionale sul riformismo.<br />

Alla fine degli anni Settanta è ancora Giorgio Amendola <strong>che</strong> appare come sponda<br />

riformista, a sinistra, della scelta <strong>di</strong> Craxi. Amendola critica apertamente i sindacati<br />

su Rinascita: «L’esasperato egualitarismo <strong>che</strong> contribuisce a mortificare, assieme ai<br />

nuovi sistemi <strong>di</strong> organizzazione del lavoro, ogni orgoglio professionale, e senza <strong>che</strong><br />

l’aumento dei salari sia accompagnato da un crescente aumento della produttività».<br />

In un simile quadro, il sindacato, secondo Amendola, si era lasciato coinvolgere «in<br />

un gioco <strong>di</strong> crescente demagogia e <strong>di</strong> scavalcamento a sinistra». Si era abbandonato<br />

«al grido in<strong>di</strong>gnato “la scala mobile non si tocca”, come se tutto in economia non<br />

dovesse essere continuamente rimesso in <strong>di</strong>scussione». Si era spinto «il paese, con<br />

una sempre più grave in<strong>di</strong>cizzazione, verso un’inflazione sempre più vertiginosa».<br />

L’attacco <strong>di</strong> Amendola al sindacato è pesantissimo: «Se si avesse una generale<br />

coscienza <strong>di</strong> quello <strong>che</strong> può significare inflazione selvaggia si finirebbe <strong>di</strong> appoggiare<br />

tutte le riven<strong>di</strong>cazioni, an<strong>che</strong> le più contrad<strong>di</strong>ttorie. Non si può volere tutto e il contrario<br />

<strong>di</strong> tutto».<br />

La posizione amendoliana ha influenza e presa an<strong>che</strong> sui vertici milanesi del Pci, <strong>che</strong><br />

da tempo hanno un approccio <strong>di</strong>fferente nei confronti della giunta riformista <strong>di</strong><br />

<strong>Milano</strong>. La posizione comunista amendoliana, <strong>di</strong> uomini come Riccardo Terzi, Gianni<br />

Cervetti, Luigi Corbani sarà decisiva nel puntellare le giunte riformiste <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>,<br />

fino al 1992, fino alla giunta comunale <strong>di</strong> Paolo Pillitteri.<br />

La fine degli anni Settanta è an<strong>che</strong> il periodo cruciale del terrorismo nelle strade italiane<br />

e milanesi. Se Bettino Craxi è durissimo contro l’estremismo, non lo è <strong>di</strong> meno<br />

Amendola <strong>che</strong>, solitario, in uno degli ultimi comitati centrali a cui partecipa prima<br />

della morte, grida: «Bisogna guardare con fiducia alla maggioranza <strong>di</strong> uomini onesti<br />

<strong>di</strong>sposti a fare il proprio lavoro e non <strong>di</strong>sprezzarla per correre <strong>di</strong>etro a una piccola<br />

minoranza estremista e ra<strong>di</strong>cale, <strong>che</strong> ha coperto e copre culturalmente il terrorismo e<br />

<strong>che</strong> è portatrice <strong>di</strong> una sottocultura snobistica, elitaria si <strong>di</strong>ce, <strong>che</strong> <strong>di</strong>sprezza il popolo,<br />

<strong>che</strong> ignorava, ad esempio, Totò e oggi sol<strong>tanto</strong> lo scopre con la sua drammatica<br />

mas<strong>che</strong>ra <strong>di</strong> eterno affamato… Sono convinto <strong>che</strong> un appello <strong>di</strong>retto agli italiani per<br />

salvare il paese e per rinnovarlo nella libertà sarà largamente accolto». Quando<br />

Amendola muore nel giugno del 1980, lo storico socialista Gaetano Arfè <strong>di</strong>rà: «Fu lui<br />

I Lumi sotto il cielo della Lombar<strong>di</strong>a • 99


✑ <strong>Milano</strong> 1978. Sciopero generale per l’uccisione<br />

dell’onorevole Aldo Moro<br />

a tentare una rivalutazione critica della tra<strong>di</strong>zione socialista, da Turati a Matteotti».<br />

Inutile, al momento, soffermarsi sullo “stop” del riformismo milanese e nazionale del<br />

1992. È materia <strong>di</strong> polemica politica a cui spetta il giu<strong>di</strong>zio della storico. Ugo Finetti<br />

scrive: «Con la cancellazione della politica del riformismo imperniato sul socialismo<br />

milanese, il termine riformista è sì recuperato nella sinistra, ma per allontanare le<br />

ombre della passata militanza comunista, ma con molti “se” e molti “ma”.<br />

“Riformismo è una parola malata” per Cofferati (23 ottobre 2003) e se proprio si deve<br />

usare questo termine bisogna allora precisare “riformismo marxista” (3 luglio 2003)<br />

<strong>che</strong> è oggi un controsenso. Per D’Alema la parola riformismo non può camminare da<br />

sola, ma deve essere accompagnata dagli aggettivi-gendarme “coraggioso” e “ra<strong>di</strong>cale”<br />

(21 novembre 1999). An<strong>che</strong> Bertinotti si <strong>di</strong>ce riformista, ma <strong>di</strong> “una natura<br />

<strong>di</strong>versa” da “quella <strong>di</strong> tipo liberale”. Il riformismo è accettato da Bertinotti solo se<br />

“valorizza la rinascita del conflitto sociale” ed è “più vicino alla sinistra alternativa”».<br />

Finetti conclude: «L’ere<strong>di</strong>tà attuale del riformismo milanese si delinea oggi in particolare<br />

con tre caratteristi<strong>che</strong>. In primo luogo il riformismo è - come è sempre stato -<br />

un movimento anti-ideologico e antidogmatico <strong>che</strong> privilegia ricerca e innovazione,<br />

respingendo a priori la citalogia dei cosiddetti testi sacri del classismo. In secondo<br />

luogo, esso si pone in realistica - e an<strong>che</strong> patriottica - continuità con la “democrazia<br />

reale” del nostro paese, da Giolitti a De Gasperi, da Saragat a Craxi contro la demagogia<br />

rancorosa e settaria dell’“altra Italia” esercitata nel segno della “Resistenza tra<strong>di</strong>ta”<br />

con la sua spietata catena <strong>di</strong> barbari o<strong>di</strong>, <strong>di</strong> falsificazioni stori<strong>che</strong> e <strong>di</strong> violente<br />

demonizzazioni. In terzo luogo, è nel solco <strong>di</strong> una rilettura del Novecento <strong>che</strong> vede<br />

centrale lo scontro, non tra fascismo e comunismo, ma tra totalitarismo e democrazia.<br />

Il riformismo del socialismo milanese, an<strong>che</strong> come concreta attuazione politica, va<br />

inserito nella famiglia delle correnti <strong>che</strong> nel Novecento, in alternativa ai totalitarismi,<br />

hanno messo al centro la vita quoti<strong>di</strong>ana: dall’antropologia agli storici degli Annales,<br />

da James Joyce a Sigmund Freud, il panorama della cultura del Novecento presenta<br />

una molteplicità <strong>di</strong> ricer<strong>che</strong> innovative tutte aventi come oggetto centrale la rivalutazione<br />

della quoti<strong>di</strong>anità e della in<strong>di</strong>vidualità. An<strong>che</strong> in ambito cattolico, nel corso del<br />

Novecento, assume rilevanza una religiosità <strong>che</strong> si richiama alla “grandezza della vita<br />

quoti<strong>di</strong>ana”. In politica il riformismo rappresenta appunto, nelle sue varie articolazioni<br />

<strong>di</strong> matrice socialista, quella polarità <strong>che</strong> ci fa rileggere il Novecento in nome<br />

della lotta per la <strong>di</strong>fesa della persona umana».<br />

I Lumi sotto il cielo della Lombar<strong>di</strong>a • 101

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