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Francesco Abate, Ultima di campionato - Sardegna Cultura

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<strong>Francesco</strong> <strong>Abate</strong><br />

<strong>Ultima</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>campionato</strong><br />

Il Maestrale


Tascabili . Narrativa


Romanzo


Dello stesso autore con Il Maestrale:<br />

Il cattivo cronista, 2003<br />

E<strong>di</strong>ting<br />

Giancarlo Porcu<br />

Grafica e impaginazione<br />

Imago multime<strong>di</strong>a<br />

Foto <strong>di</strong> copertina:<br />

Alessandro Contu<br />

Archivio Imago multime<strong>di</strong>a<br />

© 2004, E<strong>di</strong>zioni Il Maestrale<br />

Redazione: via Massimo D’Azeglio 8 - 08100 Nuoro<br />

Telefono e Fax 0784.31830<br />

E-mail: e<strong>di</strong>zionimaestrale@tiscalinet.it<br />

Internet: www.e<strong>di</strong>zionimaestrale.it<br />

ISBN 88-86109-78-4<br />

<strong>Francesco</strong> <strong>Abate</strong><br />

<strong>Ultima</strong> <strong>di</strong> <strong>campionato</strong><br />

Il Maestrale


Improvvisamente tutto inizia a sciogliersi. I colori scivolano<br />

giù, corrono lungo le mattonelline dei muri. E tutto<br />

inizia a liquefarsi. Il rosso si mescola con il blu e i miei<br />

pensieri con i ricor<strong>di</strong>.<br />

Mi piace ricordare. Arrivare allo sta<strong>di</strong>o prima <strong>di</strong> tutti.<br />

Al Campione è concesso. È concesso stare qua giù quando<br />

gli altri sono ancora a casa, gli spalti sono vuoti e sul<br />

prato ronza il tagliaerba.<br />

Improvvisamente qui tutto inizia a sgretolarsi. Gli arma<strong>di</strong>etti<br />

e le panche squamano polvere. E vanno giù come<br />

neanche la sabbia sulla gobba del maestrale. Un vortice, la<br />

bufera. Poi, improvvisamente, la calma. Decomposto, tutto.<br />

Molecola per molecola, atomo per atomo. Niente ora<br />

ha più una forma, una linea, un senso. Come la mia vita,<br />

questa mia vita che se ne va pezzetto dopo pezzetto.<br />

Sto giù negli spogliatoi ad ascoltare, sopra <strong>di</strong> me, le gra<strong>di</strong>nate<br />

che pian piano si animano, i primi passi che rimbombano<br />

sul soffitto, poi lo zoccolio della mandria che si<br />

fa sempre più intenso. Li sento, sento il loro ruminare <strong>di</strong><br />

popcorn e patatine, il loro mormorio che monta ed esplo-<br />

7


de in un boato quando tiro fuori la testa dal tunnel e sono<br />

in campo.<br />

Oggi è l’ultima, fra poche ore sarà l’ultima, anche se per<br />

tutti sarà la prima.<br />

Prima <strong>di</strong> <strong>campionato</strong>, urlano i titoli dei giornali. Ma per<br />

me Stop, finito. Me ne vado. Clic, schiaccio il grilletto e mi<br />

levo dai pie<strong>di</strong>, per sempre. Vanni Visco il Campione saluta<br />

e se ne va. Si arrangino, loro e la palla che gira, il <strong>campionato</strong><br />

più bello del mondo, il mister che ha sempre ragione,<br />

i compagni che fanno spogliatoio e gli altri più forti<br />

ma noi più fortunati. Fa nulla se oggi è la prima e si aspettano<br />

da me le altre trentasei, girone d’andata e <strong>di</strong> ritorno.<br />

Anche se per tutti loro, anche se per tutti voi, oggi è la prima,<br />

per me è l’ultima. E come ogni buon suicida me ne vado<br />

senza chiudere i conti. Se la finiscano loro la stagione.<br />

8<br />

Primo pezzetto<br />

È stato accertato che l’assassinio fu commesso nel seguente<br />

modo: Schmar, l’assassino, si spostò verso le nove<br />

<strong>di</strong> sera nella chiara notte…<br />

Gooooooooollll!<br />

Il quartiere affonda fra le fauci del tubo cato<strong>di</strong>co, <strong>di</strong>vorato<br />

da questo mostro televisore. E il caldo fa il resto.<br />

Il caldo e l’umido, per rendermi tutto più <strong>di</strong>fficile, per<br />

non farmi correre oltre la prima pagina.<br />

…Schmar, l’assassino, si spostò verso le nove <strong>di</strong> sera nella<br />

chiara notte lunare alla cantonata a cui Wese, la vittima,<br />

doveva…<br />

Cristalli liqui<strong>di</strong> rossi. Guardo l’orologetto che balla<br />

nel polso: troppo grande per il mio polso. E non c’è stato<br />

nulla da fare, neanche con l’ultimo buco.<br />

– Con un bell’orologio con il cinturino <strong>di</strong> pelle saremmo<br />

andati subito da signor Sanna e ti avrebbe fatto un<br />

altro bel buchetto. Giusto giusto ti sarebbe stato. – Mio<br />

nonno che non l’aveva mandata giù, che avrebbe voluto<br />

regalarmi un quadrante classico, numeri in oro, come le<br />

lancette, e il cinturino <strong>di</strong> pelle liscia, marron. – Oh, Vanni!<br />

se vuoi anche pitonato nero, come a tuo fratello…<br />

9


Ma avevo voluto quello con la cassa rettangolare in<br />

plastica grigia e due pulsantini: uno per l’ora, l’altro per<br />

il giorno. Luminescenze da allarme extraterrestre, come<br />

nei telefilm, come tutti i miei compagni. – E manco l’hai<br />

voluto provare, che almeno ci saremmo accorti che ti<br />

stava largo… – Come gli altri ragazzetti del quartiere che<br />

solo l’idea <strong>di</strong> passare da signor Sanna, pidocchio e maneggione,<br />

per comprare le batterie li spingeva a correre<br />

oltre la sua bottega, lontano dal quartiere, verso il Corso<br />

e poi su per la via dei negozi dall’orologiaio-gioielliere.<br />

Una fatica. Ma poi quelle stanghette riprendevano a<br />

comporre numeri scatolati, come in certi ascensori. E<br />

senza pegno.<br />

– E ora dove lo facciamo il buco? Nella plastica? Signor<br />

Sanna ha detto che non fa…<br />

Signor Sanna e la sua botteguccia. Sanna: utensileria,<br />

merceria, drogheria… e maneggeria gli avevano scritto<br />

col pennello sul muro quelli del bar <strong>di</strong> fronte. Ci aveva<br />

dovuto passare due mani <strong>di</strong> tinta signor Sanna maneggione<br />

per far sparire quelle lettere rosse. E quelli a ridere<br />

e darsi <strong>di</strong> gomito mentre lui si era sporcato tutto il<br />

grembiule azzurro, pur <strong>di</strong> fare veloce, e manco se n’era<br />

accorto, si era impollinato tutti i capelli. Una criniera<br />

ispida, folta e nera che gli partiva poco sopra le sopraciglia.<br />

Neanche un animale della boscaglia. Ma un po’ più<br />

porco, specie con i ragazzetti che scaricavano le cassette<br />

del mercato ortofrutta, pesce e pollami. Quelli che quando<br />

uscivo per andare a scuola puzzavano già <strong>di</strong> sigarette<br />

e fatica.<br />

Guardo l’orologio e penso che forse con la punta ro-<br />

10<br />

vente del saldatore un altro buco si sarebbe potuto fare.<br />

– Se passi da me dopo pranzo, quando abbasso la serranda<br />

e ho meno da fare, possiamo provarci con il saldatore…<br />

– Signor Sanna pidocchio e maneggione.<br />

Guardo le barrette che segnano i minuti: il due che <strong>di</strong>venta<br />

tre, il quattro che aspetta il cinque. E faccio ballare<br />

l’orologio sul polso, magro esile.<br />

– Come quello delle signorine ce l’hai…<br />

E mi viene un nervoso. Ma un nervoso. Torno sul libro.<br />

…Schmar, l’assassino, si spostò verso le nove <strong>di</strong> sera nella<br />

chiara notte lunare alla cantonata a cui Wese, la vittima,<br />

doveva svoltare nella strada dove abitava, da quella in<br />

cui era il suo ufficio…<br />

Mi alzo <strong>di</strong> scatto, lancio il libro, corro alla finestra, mi<br />

sporgo più che posso per cercare <strong>di</strong> centrare l’insegna<br />

Sanna. Ma lo sputo <strong>di</strong>segna una parabola che non supera<br />

il marciapiede.<br />

E sto per riprovarci. Quando un altro urlo del quartiere<br />

mi blocca la saliva. E quasi il cuore.<br />

Mi sembra che un fiume in piena abbia rotto gli argini<br />

e che da ogni finestra affluenti si siano riversati sulla strada<br />

e il livello sia salito e salito. Sino a toccare quel terzo<br />

piano e superarlo per schiaffeggiarlo. Un’onda sonora<br />

anomala.<br />

Poi, come è arrivata, l’onda si ritira. E il quartiere rimane<br />

lì nuovamente in silenzio. Solo il gracchiare dei televisori<br />

dà un senso a questa giornata dove anche signor<br />

Sanna ha buttato giù tutta la saracinesca che sta sempre<br />

11


a metà, anche la domenica. Anche quelli del bar <strong>di</strong> fronte<br />

non ce n’è uno appoggiato con gli stivaletti al muro,<br />

birroncino, sigaretta in mano.<br />

Non ci sono neppure i cani. Denti aguzzi pronti a beccarmi<br />

<strong>di</strong>etro i sacchetti dell’immondezza che oggi nessuno<br />

ha avuto voglia <strong>di</strong> portare giù.<br />

Tutto si è fermato. Tutti tranne me e queste barrette<br />

luminescenti che sembra non vogliano correre oltre i novanta<br />

minuti. Sembra che se la vogliano prendere calma.<br />

L’otto lascia il posto al nove… Troppo lento.<br />

Persino le zanzare. Persino loro non roteano intorno<br />

ai lampioni luri<strong>di</strong> e gialli che già si sono accessi anche se<br />

il tramonto, questa sera, se la sta prendendo calma, pure<br />

lui. E il sole se ne rimane lì, <strong>di</strong>etro i palazzi più alti, a<br />

dare un luce svogliata. E la notte non ne vuole sapere <strong>di</strong><br />

arrivare.<br />

Sembra che tutto e tutti si siano fermati, per questo<br />

benedetto mon<strong>di</strong>ale. Tutti tranne il caldo e l’afa. Tutti tranne<br />

quelli che sgambettano dentro lo schermo verdeblù.<br />

Ventidue <strong>di</strong>sgraziati che si azzannano per infilare la palla<br />

dentro una ragnatela <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperazione. Su e giù, su e<br />

giù per il prato verde. Il pubblico ondeggia, batte le mani,<br />

urla, seguendo il rotolare <strong>di</strong> una sfera a spicchi bianconeri.<br />

Italia-Germania. L’Asse post Badoglio: guerra <strong>di</strong><br />

pallonate.<br />

A me la guerra non è mai piaciuta. Neppure quella<br />

con i fucili ad elastico. Da cortile a cortile.<br />

Nessuna guerra e nessuna competizione.<br />

Ma ora la sfida ha invaso il quartiere.<br />

Sarei voluto restare in casa, finestre chiuse, serrande<br />

abbassate. – Non vengo, sto qua…<br />

12<br />

Ma mi hanno fatto attraversare la piazza tirato per la<br />

maglietta sotto lo sguardo severo. Una corsa <strong>di</strong> pochi metri<br />

fra un via vai impazzito <strong>di</strong> gente con ban<strong>di</strong>ere e gente<br />

con bustoni carichi <strong>di</strong> spesa.<br />

Pochi portoni per ricongiungerci con tutta la famiglia<br />

riunita. Zii, cugini a contorcersi davanti al megativù a<br />

colori atterrato sul salone simil-déco per le nozze d’argento<br />

dei nonni. Persino mio fratello, Luigi, quello vestito<br />

sempre <strong>di</strong> nero, sempre in partenza per Monaco. Persino<br />

lui con una blusa azzurra e lo scudetto verdebiancorosso<br />

sul cuore.<br />

C’era l’aria della notte, fredda da far venire i brivi<strong>di</strong> a<br />

chiunque. Schmar…<br />

Il piccolo Vanni, nella stanza del Cristo, leggo, <strong>di</strong>voro<br />

il mio libro preferito.<br />

Leggo dribblando urla <strong>di</strong>sumane. Leggo e perdo la<br />

marcatura fra fischi e battimani. Poi rileggo in uno strano<br />

momento <strong>di</strong> vuoto sonoro. Solo un istante.<br />

Gooooooooollll!<br />

Terzo urlo. Il palazzo trema, i pavimenti ballano. Il tifo<br />

erutta lapilli tricolori.<br />

Maledetti. Ancora poco e ci schiattavo. Il sangue si sarebbe<br />

fermato, gelato, pietrificato. Come in una magia<br />

cattiva e maledetta.<br />

Anche un cuore semplice può essere sfiorato dai pensieri<br />

più perfi<strong>di</strong>.<br />

Acciuffo il pallone dei cugini, lo piazzo al centro della<br />

stanza del Cristo e via, quattro, cinque, sei punizioni.<br />

13


A pararle le statuine in ceramica sistemate in cima a un<br />

arma<strong>di</strong>o immenso e inquietante. Un monolite domestico<br />

che fronteggia il grande Cristo in tela dall’altra parte della<br />

camera. Un <strong>di</strong>pinto scuro che mi ha sempre messo terrore.<br />

C’è lui: Nostro Signore Gesù Cristo, con una faccia<br />

da rockstar martire. Ti guarda fisso e con l’in<strong>di</strong>ce destro e<br />

il pollice sinistro si allarga la ferita sul costato che sanguina.<br />

Rosso antico. E fa senso. L’aveva inchiodato mia nonna<br />

sopra il lettone alto per farle compagnia. Perché il<br />

nonno - nozze d’argento a parte - si accucciava in una branda<br />

della stanza degli attrezzi dove non la sentiva russare.<br />

E dove nostro Signore Gesù non lo osservava.<br />

Un cecchino. Un tiratore scelto. Sfaldo le ceramiche a<br />

pallonate. E Gesù mi è buon testimone.<br />

Stacco la testa al pescatore <strong>di</strong> Sorrento, mozzo l’ombrellino<br />

alla damina dell’Ottocento, infrango la promessa<br />

d’amore e unione eterna dei due innamorati sulla panchina.<br />

* * *<br />

Oggi i giornali <strong>di</strong>cono che ho gli occhi anche <strong>di</strong>etro la<br />

schiena. Che ho un senso in più degli altri. Come un radar.<br />

Uno scandaglio sotto pelle. So da dove arriva la palla,<br />

so come intercettarla, imbrigliarla e fare fuoco senza bisogno<br />

<strong>di</strong> guardare. Oggi.<br />

Quando sei né bambino né uomo né ragazzo né vecchio,<br />

non hai la coscienza <strong>di</strong> ciò che possie<strong>di</strong>. Le tue antenne<br />

sono solo due bitorzoli, a gittata limitata. E questa<br />

è una cosa banale, che tutti sanno.<br />

Quin<strong>di</strong>, non percepii nulla. Non mi accorgevo della fa-<br />

14<br />

miglia che piano piano si ammassava sullo stipite della<br />

porta e non osava andare oltre.<br />

Mi beccarono che urlavo fra i cocci sparsi per la stanza.<br />

Erano tutti lì, appollaiati, accatastati l’uno sull’altro a<br />

guardarmi stupiti in quel delirio da cane fedele idrofobo.<br />

* * *<br />

Saltello fra i cocci, fra cadaveri <strong>di</strong> statuine in ceramica.<br />

Sono Vanni Martire che invoca lo Spirito Santo saltellando<br />

in cerchio con la testa prona al <strong>di</strong>o lampadario e le<br />

braccia rivolte al soffitto - il Cristo in tela non oso guardarlo<br />

- pronto al sacrificio. Sono un martire bambino in<br />

attesa <strong>di</strong> lapidazione e frecce sul costato, olio bollente,<br />

scarnificazione. Pronto al sacrificio anche io come Nostro<br />

Signore Gesù.<br />

Abbasso la testa, mi copro con le mani e chiudo gli occhi<br />

perché, forse, non vedere farà meno male.<br />

Sento il passo <strong>di</strong> mio padre. E quello <strong>di</strong> mia madre. Si<br />

avvicinano pesanti per lasciarmi a terra quasi morto. Quasi.<br />

Apro un occhio e mi sembra che il Cristo mi sorrida.<br />

* * *<br />

Non ero destinato al neurologo, figurarsi allo psicanalista.<br />

La decisione fu presa la notte stessa. Fra i <strong>di</strong>vani in pelle<br />

marrone con le cuciture grosse.<br />

15


Secondo pezzetto<br />

Pensano che dorma.<br />

– Questo ragazzo è… è troppo sensibile… Uno che se<br />

ne sta chiuso a leggere il giorno dei mon<strong>di</strong>ali… ma va!<br />

dàiiii!<br />

Mio padre è sempre stato un tipo energico. Gestisce<br />

una conceria. Piccola fabbrica <strong>di</strong> pellami.<br />

– Oooh, ma cosa <strong>di</strong>ci? Adesso perché a uno non gli piace<br />

il calcio…<br />

Mia madre l’ha sempre pensata come mio padre ma<br />

non gli ha mai dato la sod<strong>di</strong>sfazione.<br />

– E intanto ha sfasciato le statuine <strong>di</strong> tua madre… certo<br />

e… oh… belle belle non erano…<br />

A mio padre gli affari non sono mai andati male, vanno<br />

peggio a due o tre operai che tornano a casa quando le<br />

ven<strong>di</strong>te calano.<br />

– Ha sbagliato… ha sbagliato…<br />

Mia madre non ha mai avuto né alti né bassi. Insegna<br />

educazione fisica al liceo.<br />

– È un ragazzo troppo chiuso, strano…<br />

La matematica, anzi l’aritmetica ha sempre scan<strong>di</strong>to la<br />

vita <strong>di</strong> mio padre. Un pragmatico.<br />

– Antonio, se tu ci parlassi <strong>di</strong> più sarebbe un po’ meno<br />

chiuso…<br />

Lei non gli dà mai la sod<strong>di</strong>sfazione.<br />

17


– Ecco, figurarsi se non era colpa mia… e sì e poi cosa ci<br />

parlo <strong>di</strong> filosofia? Quello è sempre chiuso sui libri, libri,<br />

sempre libri. Come quel tuo zio, quello che si era buttato<br />

dentro a una vasca…<br />

– Era un pozzo…<br />

Mia zia Lisa, la gemella <strong>di</strong> mia madre.<br />

– Come?<br />

– Era un pozzo, si è ucciso buttandosi dentro a un pozzo,<br />

zio Franco. Non una vasca.<br />

Mio padre ha sempre rispettato la zia Lisa, forse perché<br />

lei insegna matematica al liceo.<br />

– Vasca, pozzo, insomma, vostro zio, quello che si è ucciso.<br />

Sempre sui libri era…<br />

* * *<br />

Incompreso in una famiglia me<strong>di</strong>o borghese. Ma questa<br />

è una cosa banale che tutti sanno.<br />

* * *<br />

Se non ci fossi, se non fossi mai esistito, potrebbero parlare<br />

ancora una volta del rigore sbagliato e dell’allenatore<br />

fumatore portato in trionfo con la pipa che gli tremava.<br />

Ma ci sono. Sono il capro espiatorio, il sale <strong>di</strong> ogni famiglia.<br />

Cosa ci vada a fare mio fratello a Monaco non lo hanno<br />

ancora capito. Mio fratello Luigi ad ogni viaggio sempre<br />

più pallido.<br />

Pensano che dorma, non dormo.<br />

Nel salone ritorna per qualche istante il silenzio. Percepisco<br />

mia madre che esce dalla stanza e punta verso la cu-<br />

18<br />

cina. Sento il ronzio del frigorifero. Un rumore <strong>di</strong> ghiaccio<br />

e bicchieri. La intravedo nella penombra tornare al<br />

suo posto. E sento il suo odore dolce e fresco.<br />

Mio padre si scola il bicchiere e borbotta che ci mancavo<br />

solo io a far frullare le palle al nonno. Borbotta - frantumando<br />

i cubetti con i denti - che già il nonno ce l’aveva con<br />

lui per quella storia del prestito non saldato. No, non che<br />

gliene fregasse molto delle statuine della moglie, anzi. Ma<br />

era giusto così per avere un’altra storia da rinfacciargli.<br />

Mia madre vira la rotta per evitare la collisione.<br />

– Mi toccherà comprare una libreria più grande…<br />

Ha sempre avuto un debole per l’arredamento, mia madre.<br />

– Ah sì, ne ho visto una bellissima da Genca, un po’ cara,<br />

ma bella.<br />

Anche la sorella.<br />

Mio zio, zio acquisito marito della zia sorella gemella<br />

della mamma, per lei, per la zia, non ha mai badato a spese.<br />

Mio zio Nannino, il me<strong>di</strong>co.<br />

– Ascoltate, me lo prendo io il ragazzino. Ci penso io a<br />

dargli una seria raddrizzata. Però oh… che mira il ragazzino.<br />

* * *<br />

Lo ricordo perfettamente qua giù mentre mi spoglio<br />

lento e mi guardo allo specchio. Pettorali, addominali, bicipiti,<br />

glutei, gambe. Ora è tutto quasi perfetto, scolpito<br />

nella carne. E non capisco, non capisco come questo corpo<br />

è cresciuto su <strong>di</strong> me. Ma so cosa rimarrà <strong>di</strong> questi muscoli<br />

allevati per la sfida. Cenere.<br />

19


Per l’ultima volta negli spogliatoi, giù nello stomaco <strong>di</strong><br />

questa arena a farmi <strong>di</strong>gerire per poi rinascere. Solo, fra<br />

gli arma<strong>di</strong>etti e le docce in mattonelline coi colori sociali,<br />

rosse e blu, sulla panca <strong>di</strong> sempre. I gesti <strong>di</strong> sempre accompagnati<br />

dall’eco dei primi petar<strong>di</strong>. Il suono del tifo,<br />

un grande botto, poi il vuoto.<br />

* * *<br />

Lo zio Nannino. Me<strong>di</strong>co all’ospedale oncologico, la<br />

morte che incombe fra le stanze del suo reparto la esorcizza<br />

con un fucile sotto braccio, appostato fra la boscaglia<br />

in attesa che il cinghiale gli passi davanti e bang, una fucilata<br />

in mezzo agli occhi, poco sopra le zanne <strong>di</strong> questo gomitolo<br />

<strong>di</strong> filo spinato, selvaggio, indomabile come neppure<br />

una metastasi <strong>di</strong>ffusa. Quella Nannino non può farla<br />

fuori con una palla ad elica e allora giù schioppettate vere<br />

su un demonio cinghiale, <strong>di</strong>avolo e <strong>di</strong>sgraziato.<br />

Ecco, io il cancro me lo immagino così: un animale <strong>di</strong>avolo<br />

nascosto nella boscaglia pronto a <strong>di</strong>vorarti. A volte si<br />

risveglia per i fatti suoi, a volte lo vai a tormentare così<br />

tanto che alla fine si drizza sulle zampe, raschia gli zoccoli<br />

sulla pietra da farti cadere i denti e sbuffa caldo alito nauseabondo<br />

e carica senza che nessuno possa più fermarlo.<br />

Anche se si sveglia per i fatti suoi non lo puoi più fermare.<br />

Solo zio Nannino lo può fermare. Solo Nannino con la<br />

sua palla ad elica. Ma solo qui, nella boscaglia <strong>di</strong> questi<br />

monti che sbeffeggiano il mare. Giù, a valle, in città, non<br />

può.<br />

Ma anche qui le cose da un po’ <strong>di</strong> tempo vanno male.<br />

20<br />

In sei mesi in questa posta puzzolente fra l’odore merdoso<br />

delle pernici moribonde, il piscio dei cani che sembra<br />

varechina <strong>di</strong> straccio sporco, lo stomaco dello zio che<br />

gorgoglia, <strong>di</strong> cinghiale neppure l’ombra.<br />

Sono un appren<strong>di</strong>sta cacciatore che <strong>di</strong>venterà appren<strong>di</strong>sta<br />

uomo. E poi veterano.<br />

È l’inizio, ma non è il mio inizio. Sono argilla da plasmare,<br />

ma non sono né argilla né plasmabile. Eppure non sono<br />

offeso, umiliato e offeso. Non sono ribelle, rabbioso e<br />

ribelle. Sono solo stupito. Solo cerco <strong>di</strong> aumentare la gittata<br />

delle mie antenne, dello scandaglio sotto pelle. Spero<br />

solo <strong>di</strong> vedermi spuntare davanti quella bestia demonio,<br />

ansimante, braccata dai battitori e dai segugi. Quasi come<br />

in un racconto in<strong>di</strong>ano, senza tigri ed elefanti. Invece nulla,<br />

il cinghiale lo centrano sempre qualche centinaio <strong>di</strong><br />

metri più in là dalla nostra posta e mi tocca vederlo già<br />

morto, come dal macellaio, con le mosche che svolazzano<br />

intorno. E non sembra più quell’animale <strong>di</strong>avolo ma solo<br />

un porco peloso. Sembra un maiale che non è passato dall’estetista,<br />

come certe turiste che mio fratello Luigi mi strizza<br />

l’occhio in spiaggia e mi fa: Tedesche. Mio fratello Luigi<br />

che è tornato da Monaco con una più magra <strong>di</strong> lui. Più<br />

alta <strong>di</strong> lui, più bambina <strong>di</strong> lui. Ha gli occhi gran<strong>di</strong>ssimi,<br />

blu blu. Ha i capelli bion<strong>di</strong>ssimi, quasi bianchi, rasati sul<br />

collo e le tempie, un ciuffone che le scende sul viso e la <strong>di</strong>fende<br />

dagli sguar<strong>di</strong> degli altri che si girano quando lei e<br />

mio fratello camminano in questa città.<br />

21


Terzo pezzetto<br />

Una volta avevano deciso <strong>di</strong> portarsi <strong>di</strong>etro pure me. Lo<br />

ricordo bene, qua giù. E non mi sembrava vero, non mi<br />

sembrava possibile <strong>di</strong> poter trottare fra loro due e affannare<br />

verso quel concerto. Non so se glielo avesse imposto<br />

mia madre prima <strong>di</strong> andare per il fine settimana alla villa<br />

degli zii al mare. O se l’idea <strong>di</strong> portarmi al concerto fu loro.<br />

Fa nulla, ero eccitato lo stesso.<br />

* * *<br />

Concerti non ne ho mai visto. E neppure quelli che vanno<br />

ai concerti. Mi guardo intorno e non posso credere che<br />

stiamo stretti stretti uno sull’altro con i biglietti stretti<br />

stretti in una mano e l’altra per tenerci ancora più avvinghiati<br />

e non perderci fra una folla che sa <strong>di</strong> birra e sudore,<br />

gelatina e lacche spray. Una catena umana: io, Luigi, lei,<br />

un’amica che a lei la guarda proprio male, un amico che<br />

sembra stia per addormentarsi da un momento all’altro,<br />

un altro che muove e muove le mascelle e non la smette<br />

mai <strong>di</strong> parlare e mi sa che prima o poi la man<strong>di</strong>bola si staccherà<br />

dal resto della testa e, infine, una piccolina che sbatte<br />

gli occhi e sbatte gli occhi. Persino io sono più alto <strong>di</strong> lei.<br />

Li guardo e hanno tutti gli stessi abiti neri, gli stessi ciuffi<br />

che coprono un occhio, le stesse scarpe a punta che un<br />

23


tipo sul pullman gli ha detto: Andate a schiacciare formiche<br />

negli angoli? E ha fatto ridere tutto il pullman.<br />

Poi Luigi gli ha sputato in faccia, al tipo delle formiche,<br />

e tutto il pullman non ha più riso. Poi Man<strong>di</strong>bola ha tirato<br />

fuori un coltello, <strong>di</strong> quelli che si vede solo il manico e se<br />

schiacci salta fuori anche la lama, come in certi film. Il<br />

pullman si è svuotato alla fermata dopo. E Man<strong>di</strong>bola ha<br />

schiacciato il pulsante, io ho chiuso un occhio ma comunque<br />

ho visto che ora erano loro, Luigi e la compagnia, a ridere<br />

mentre Man<strong>di</strong>bola si pettinava con il coltello, che era<br />

solo un pettinino.<br />

Quando è stato il nostro turno per scendere ci abbiamo<br />

impiegato un po’ a svegliare quell’altro che si era accasciato<br />

su un se<strong>di</strong>le e non ne voleva sapere <strong>di</strong> alzarsi. Sveglio era<br />

sveglio, si grattava e si grattava, ma cosciente mica tanto.<br />

Li guardo che ballano e tutti ballano e io guardo verso il<br />

palco dove ci sono tre vestiti <strong>di</strong> nero, con scarpe a punta<br />

per le formiche. Uno sta alla batteria, un’altra a una specie<br />

<strong>di</strong> muretto <strong>di</strong> tastierine con mille cavi e cavetti che sembrano<br />

flebo e uno che fa certi salti ma certi salti e urla al<br />

microfono. Ma urla.<br />

Tedeschi. Mi fa Luigi e mi strizza l’occhio ma non gli<br />

riesce bene perché anche a lui la mascella ha iniziato a traballare<br />

e scarrellare. E Lei lo avvinghia e iniziano a urlare<br />

e a ballare insieme.<br />

E la tipa, quella tipa, li guarda male, ma male. E tira fuori<br />

una scatola <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cine e schiaccia via dalla stagnola<br />

uno due tre quattro cinque sei pastiglie. Una la butta giù e<br />

una la dà a me.<br />

– Dài inghiotti.<br />

Faccio cenno <strong>di</strong> no con la testa.<br />

24<br />

– Inghiotti, serve per non farti venire il mal <strong>di</strong> testa.<br />

Quasi non la sento perché la musica ci travolge.<br />

– Per il mal <strong>di</strong> testa.<br />

Ripete toccandosi le tempie:<br />

– Mal <strong>di</strong> testa…<br />

– Ma io non ho mal <strong>di</strong> testa.<br />

E urlo per farmi sentire mentre uno mi viene quasi addosso<br />

e poi un altro e un altro e un altro che ora sono circondato<br />

da gente che si spinge e sembra che si picchiano<br />

ma ridono e ridono e si <strong>di</strong>vertono.<br />

– Dài butta giù.<br />

A me ora sembra che il mal <strong>di</strong> testa mi verrà davvero e<br />

così la butto giù.<br />

Lei ride e ne inghiotte un’altra e ne passa un’altra anche<br />

a me e ce l’ho in mano e rido anche io, sarà la musica che<br />

mi entra nello stomaco o questa gente che si strattona per<br />

volersi bene o chissà cosa.<br />

Sto per buttare giù anche la seconda pastiglia e sto per<br />

caricare tanta saliva da farla scivolare senza dolori quando<br />

sento <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> me una mano che mi tappa la bocca e<br />

un’altra che con uno schiaffo mi fa volare dalle <strong>di</strong>ta questa<br />

me<strong>di</strong>cina analgesica. Sono le mani <strong>di</strong> Luigi che ora sono<br />

chiuse e sfrecciano verso la faccia <strong>di</strong> Pastiglia. Due cazzotti<br />

pesanti e poi un calcio allo stomaco. Quelli che sono intorno<br />

si fermano, quelli che sono intorno non si spingono<br />

più. La musica va, ma noi per un po’ non la sentiamo.<br />

Ve<strong>di</strong>amo invece due arma<strong>di</strong> da palestra, due gemelli del<br />

muscolo, acciuffare Luigi alle spalle e portarlo via mentre<br />

lui si intorcina e si <strong>di</strong>batte come una <strong>di</strong> quelle anguille del<br />

mercato prima e dopo la decapitazione. E la gente riprende<br />

a spingersi, io risento la musica e Pastiglia si rialza, la<br />

25


occa e il naso sporchi <strong>di</strong> sangue. Io frugo e trovo i fazzoletti<br />

<strong>di</strong> carta che mi aveva ficcato mia madre nella tasca<br />

prima <strong>di</strong> partire: Pren<strong>di</strong>ti i fazzoletti Vanni che alla tua età<br />

sei sempre con quel moccio. Maledetta sinusite.<br />

E le porgo i fazzoletti.<br />

– Ma vaffanculo nano…<br />

Per fortuna ho la Tedesca affianco a me che mi tiene il<br />

braccio e mi trascina via. Mi accarezza la testa e poi si volta.<br />

– Fanculo tu Puttana…<br />

E le lancia una lattina <strong>di</strong> coca e mi trascina via. Superiamo<br />

gente e gente e finalmente usciamo da questo posto<br />

dove tutta la settimana ci giocano quelli del basket, ma<br />

oggi no.<br />

Siamo fuori e c’è Luigi che si fuma una sigaretta con i<br />

Gemelli del muscolo. Ci ha sempre saputo fare Luigi.<br />

– Eccoli…<br />

E non mi danno il tempo <strong>di</strong> parlare che mi corrono incontro,<br />

mi aprono la bocca e Luigi mi infila due <strong>di</strong>ta e gli<br />

vomito tutta la camicia nera e sento raschiare naso e gola e<br />

sento una puzza. Ma una puzza.<br />

– Fatto, grazie a Dio…<br />

I Gemelli ridono, anche la Tedesca ride, Luigi mi fa<br />

l’occhiolino che stavolta gli esce.<br />

– An<strong>di</strong>amo a casa Vanni.<br />

Luigi si leva la camicia e la butta via. E lei gli pizzica la<br />

pancia e riprendono a ridere.<br />

Io <strong>di</strong>etro che sputo e sputo, uno schifo ma uno schifo.<br />

Loro due davanti abbracciati. Insieme an<strong>di</strong>amo verso casa.<br />

Così non <strong>di</strong>co nulla quando si chiudono nella mia stanza<br />

per ore. Glielo devo. Dormo sul <strong>di</strong>vano.<br />

Anche quando i miei sono a casa, li sentiamo ridere nel-<br />

26<br />

la mia stanza, li sentiamo ridere persino dal salone con i<br />

<strong>di</strong>vani in pelle marron e le cuciture grosse. E mia madre fa<br />

la scocciata.<br />

– Antonio, vacci tu, <strong>di</strong>gli <strong>di</strong> venire qui …<br />

E lui, mio padre, non ci pensa neppure. Così sorride.<br />

Quasi sghignazza e la guarda cercando complicità. Ma lei<br />

non gli dà mai la sod<strong>di</strong>sfazione e gli pianta una faccia.<br />

– Vado io… – <strong>di</strong>co.<br />

– Fermo lì tu…<br />

Mia madre mi afferra con lo sguardo. E non mi molla.<br />

Torno al mio libro e penso a quando i miei sono partiti a<br />

Firenze per i nuovi or<strong>di</strong>ni della conceria. Luigi si è subito<br />

chiuso nella stanza del lettone, quella dei miei. Risate e gemiti.<br />

Risate e gemiti. Risate e gemiti che mi sono venute le<br />

guance calde. Ma calde calde. E uno strano formicolio nella<br />

pancia e poi pure più giù. Che oggi se ci penso mi vergogno<br />

peggio <strong>di</strong> allora.<br />

Quando mia madre è tornata ha preso Luigi e si è sigillata<br />

con lui nella stanza del ferro da stiro. Lo ha stirato per<br />

bene. Poi la sera si è messa pure peggio. Quando Luigi e la<br />

Tedesca sono andati al clubino sotto casa.<br />

Pensavano che dormissi, non dormivo. Percepii mia madre<br />

uscire dal salotto e puntare verso la cucina. Sentii il<br />

ronzio del frigorifero. Un rumore <strong>di</strong> ghiaccio e bicchieri.<br />

La intravi<strong>di</strong> nella penombra tornare al suo posto.<br />

Mio padre si scolò il bicchiere e borbottò che ci mancavano<br />

solo Luigi e lei, lei e Luigi, a fargli frullare le palle.<br />

Borbottò - frantumando i cubetti con i denti - che già c’aveva<br />

gli affari suoi. Mia madre non virò la rotta, per evitare<br />

la collisione.<br />

27


– Ma scusa, tu te li immagini i genitori <strong>di</strong> questa ragazza…<br />

abbiamo una responsabilità…<br />

Mia madre ha immaginato sempre i genitori degli altri. I<br />

figli degli altri.<br />

– Ma chissenefrega…<br />

Pragmatico.<br />

– Perdonami, ma come hai fatto a capire che avevano<br />

dormito… sì insomma… nel tuo letto?<br />

Mia zia, una tipa curiosa.<br />

– Ci ho messo una foglia…<br />

Per poco mio padre non moriva con un cubetto <strong>di</strong><br />

ghiaccio nella gola.<br />

– Una che?<br />

E il cubetto risalì su.<br />

– Una foglia secca fra lenzuola e materasso… un vecchio<br />

trucco… basta saltare sopra il letto e la foglia si sgretola.<br />

Ecco come ho fatto.<br />

Mia madre è sempre stata peggio <strong>di</strong> un detective privato,<br />

<strong>di</strong> quelli americani con l’impermeabile zozzo.<br />

– Oh guarda Antonio, se volete… Se volete, sia ben<br />

chiaro, anche a Luigi lo porto a caccia con me…<br />

Mio zio, mio zio me<strong>di</strong>co e le sue terapie.<br />

– Persino nel letto <strong>di</strong> Vanni sono finiti a fare le loro zozzerie.<br />

E mia madre non molla la presa.<br />

– Devi vedere le lenzuola in che con<strong>di</strong>zioni le hanno ridotte…<br />

E le mie guance <strong>di</strong>ventano rosse e le mie orecchie s’infiammano,<br />

i capelli si elettrizzano e vorrei morirci tra queste<br />

lenzuola perché Gigi, Luigi mio fratello, questa volta,<br />

con le mie lenzuola, nulla c’entra. E mi vergogno come un<br />

28<br />

asino nudo. Che non so perché ma dalle mie parti si è sempre<br />

detto così: asino nudo.<br />

– Oh guarda Antonio, se volete… Se volete, se voi volete,<br />

questo sia ben chiaro, anche a Luigi lo porto a caccia<br />

con me…<br />

Mio zio e le sue terapie, la sua grammatica con regole<br />

tutte sue. Le sue cure <strong>di</strong> vita che forse meriterebbero prima<br />

una <strong>di</strong>agnosi e magari, prima ancora, qualche analisi<br />

ma non lì su quei <strong>di</strong>vani in pelle marron. Su quei <strong>di</strong>vani dove<br />

Gigi, e questo loro non lo sanno, ha dato il meglio <strong>di</strong> sé.<br />

Ma mio fratello in mezzo alla boscaglia non sono mai<br />

riusciti a trascinarlo.<br />

* * *<br />

Lo ricordo perfettamente. Qua giù mentre conto i minuti<br />

e ogni mia mossa.<br />

Uno: levarsi l’orologio.<br />

Due: slacciare il braccialetto.<br />

Tre: appendere la giacca.<br />

Quattro: allineare le scarpe… cinque: bagnarsi i capelli<br />

con il gel…<br />

Ricordo anche quando feci l’errore <strong>di</strong> portarmi appresso<br />

un tascabile contro l’attesa infinita del bosco.<br />

Grave errore. Grave errore.<br />

Zio Nannino me lo strappò dalle mani.<br />

– ’Sti cazzi <strong>di</strong> libri!<br />

Lo lanciò in aria e lo impallinò senza pietà. Un colpo.<br />

Poi un altro per finirlo, a terra, con stizza.<br />

Fu in quell’istante che vedemmo il cinghiale già <strong>di</strong>retto<br />

verso la nostra posta annusare l’aria e arrestarsi. Il demo-<br />

29


nio, alitando caldo, guardò Nannino, lo fissò. E lui, bocca<br />

aperta, fissò il demonio che buttò fuori un ultimo grugnito<br />

fumante, girandosi lentamente, e riprese la boscaglia.<br />

Lo zio non ebbe il tempo <strong>di</strong> ricaricare.<br />

Lezione numero uno: mai contrad<strong>di</strong>re il maestro. Lezione<br />

numero due: imitare il maestro, stu<strong>di</strong>are ogni sua<br />

mossa, archiviarla, metterla a profitto. La vita è un mestiere<br />

che si impara a bottega. E anche questa è una banalità<br />

che tutti sanno.<br />

Lo zio cerca <strong>di</strong> ritrovare la calma. Io sono rannicchiato<br />

su me stesso con le ginocchia quasi alla bocca e il panino<br />

stretto fra le mani, appiccicato alle labbra. Mangio a piccoli<br />

bocconi, quasi svogliato. Ho lo sguardo basso. I miei<br />

occhi seguono una colonna <strong>di</strong> formiche e vorrei essere<br />

operaia con il mio fardellino sulle spalle, in fila con mille<br />

altre per scendere sotto terra e non tornare mai più su.<br />

– Ve<strong>di</strong> sono convinto che la cultura apra la mente…<br />

Lo zio parla e fa la punta a un ramo secco con un coltello,<br />

il suo panino è poggiato sulla roccia affianco alle lattine<br />

<strong>di</strong> birra che guardo con terrore.<br />

– Mica ho inseguito la laurea per capriccio… oh… avrei<br />

preferito correre per i boschi con la mia doppietta sotto<br />

braccio… se fosse per me avrei vissuto sempre qui ad<br />

aspettare i cinghiali.<br />

Nannino guarda la vallata che si anima <strong>di</strong> urla. Gli sbuffi<br />

delle fucilate che <strong>di</strong>segnano il percorso del cinghiale lungo<br />

il costone. I cani impazziti che lo inseguono senza pietà.<br />

– Mio padre era un famoso chirurgo e io cosa potevo fare?<br />

Me<strong>di</strong>co sono <strong>di</strong>ventato.<br />

30<br />

Ora tracanna la birra, Nannino. Rutta e segue con gli<br />

occhi i battitori che scendono paonazzi dalla collina senza<br />

più fiato.<br />

– Alla fine ci ho pure preso gusto, a fare il me<strong>di</strong>co. Ma<br />

ogni domenica a caccia. Modestamente non ho mai letto<br />

un romanzo. Però salvo la vita alla gente, io. La cultura, e<br />

ascolta bene quello che ti <strong>di</strong>co, non può essere tutta la tua<br />

esistenza. Altrimenti finisci per isolarti, per <strong>di</strong>ventare un<br />

marziano. C’è anche altro nell’esistenza: caccia al cinghiale<br />

compresa.<br />

Qua su, in questi monti che ignorano il mare. Spero,<br />

prego che una volta tanto i pallettoni centrino questo maledetto<br />

animale, così evito mio zio maestro all’appren<strong>di</strong>stato<br />

della vita e soprattutto il solito teatrino che mette in<br />

scena per tutta la compagnia a battuta finita.<br />

Una prova <strong>di</strong> forza per cercare <strong>di</strong> riconquistare fra quella<br />

ciurma <strong>di</strong> impiegati del catasto, cassieri <strong>di</strong> banca, geometri<br />

comunali, gli onori che gli competono almeno per<br />

rango, lui me<strong>di</strong>co a un passo dal primariato.<br />

Nannino piazza sulle rocce della vallata le lattine vuote<br />

della birra scolata nell’attesa del cinghiale <strong>di</strong>avolo demonio<br />

che si prende gioco <strong>di</strong> lui. Sistema il pallone da calcio,<br />

che immancabilmente rimbalza dal cofano della macchina,<br />

con la meticolosità del giocatore <strong>di</strong> golf più che del rigorista.<br />

Lo spettacolo, la marionetta, sono io: asso della balistica<br />

che ad ogni pallonata butto giù anche la lattina più lontana,<br />

anche quella oltre la barriera dei rovi che mi serve un<br />

pallonetto per farla fuori.<br />

All’inizio la compagnia guardava ammirata. Poi, battu-<br />

31


ta dopo battuta, in<strong>di</strong>fferente, annoiata. Alla fine, oggi più<br />

che mai, insofferente.<br />

Sto per fare l’ennesimo centro, il pallone rapido taglia<br />

l’aria in <strong>di</strong>rezione della lattina verde smeraldo, ma è più<br />

veloce il commendator Carcangiu che prende la mira,<br />

schiaccia il grilletto e assassina il pallone prima che arrivi<br />

alla meta.<br />

Il boato della detonazione, poi quello fragoroso delle risate<br />

della compagnia.<br />

– Oh Nannì, con questo tuo nipote ci hai proprio rotto i<br />

coglioni.<br />

Zio è <strong>di</strong> sale. Un metro e novanta <strong>di</strong> muscoli e ciccia si<br />

scaglia sul commendator Carcangiu. In venti - ci si sono<br />

messi anche i battitori - a malapena glielo levano dalle mani.<br />

Lui è meglio <strong>di</strong> un guerriero greco, barbaro ma principesco.<br />

Un gla<strong>di</strong>atore nell’arena, solo contro tutti.<br />

Sono Massimo Paolo Quintiliano! Comandante dell’armata<br />

del nord! Generale delle Legioni Phoenix! Nipote<br />

<strong>di</strong> uno zio sbeffeggiato! Figlio <strong>di</strong> un padre conciaio e <strong>di</strong><br />

una madre rompiballe!<br />

Vorrei urlare questo e scagliarmi nella mischia. Come in<br />

un libro, quando l’eroe mascherato si svela e si prende in<br />

un colpo solo rivincita e vendetta. Ma non <strong>di</strong>co niente.<br />

Farei solo ridere tutti. Così guardo. Faccio lo spettatore e<br />

il tifo in <strong>di</strong>sparte.<br />

Pugni, urla, calci, una rumorosa testata e Cargangiu è<br />

un colasangue fra l’erba fresca.<br />

Ci costò l’espulsione dalla compagnia <strong>di</strong> caccia.<br />

– Andrò a pernici.<br />

32<br />

Fu l’unica frase che Nannino <strong>di</strong>sse durante il viaggio <strong>di</strong><br />

ritorno mentre nel cassone della stationwagon cercavo <strong>di</strong><br />

riconquistare il posto rubatomi dai segugi puzzolenti come<br />

la spazzatura del lunedì. Mi <strong>di</strong>spiaceva, sapevo quanto<br />

ci teneva alla battuta al cinghiale, però in fondo ero contento,<br />

ad<strong>di</strong>o caccia, ad<strong>di</strong>o pallonate alle latte vuote.<br />

* * *<br />

Oggi qua giù, nel mio spogliatoio, il mio gioco preferito<br />

è dare calci alle bottigliette <strong>di</strong> plastica cariche <strong>di</strong> integratori<br />

salini. Con i ragazzi ci facciamo le scommesse. Vinco<br />

sempre io. Sono il capobranco. E mi costa. I giovani maschi<br />

che mi vogliono sfidare devono iniziare da qui, dagli<br />

integratori salini e qualcosa da centrare. Ma non sono mai<br />

riusciti ad andare oltre. Sognano <strong>di</strong> essere me - più <strong>di</strong> me -<br />

e da domani si scanneranno per spartirsi la mia ere<strong>di</strong>tà.<br />

33


Quarto pezzetto<br />

I colori si impastano. E il rosso non è più rosso e il blu<br />

non è più blu. Ma i miei ricor<strong>di</strong> restano cristallini e riflettono<br />

solo verità.<br />

Il tifo è già un rumore assordante che potrebbe rintontire<br />

tutti, ma non me. Potrebbe ubriacare tutti, ma non me.<br />

Stanno intonando il mio nome. E le mie labbra tremano e<br />

i miei occhi ballano, ma io non cedo, non ho mai ceduto.<br />

Mai. Li sento qua sotto in questo spogliatoio freddo come<br />

fredda è stata la mia vita, che non è mai stata la mia vita.<br />

Questa mia esistenza che se n’è andata pezzetto dopo pezzetto.<br />

Lo vi<strong>di</strong> arrivare a casa con la borsa della squadra carica<br />

<strong>di</strong> tutta l’attrezzatura. Capii che non avevo più scampo.<br />

Non mi <strong>di</strong>sse nulla, non gli <strong>di</strong>ssi nulla, sapevamo entrambi<br />

che glielo dovevo.<br />

Quando arrivammo al campo, un rettangolo verde incastrato<br />

fra spalti e gra<strong>di</strong>nate immense, zio strinse la mano<br />

a un tipo strano, in tuta blu. Più che un calciatore sembrava<br />

un pugile, tozzo con la faccia da mastino mezzo sangue,<br />

un po’ arabo, un po’ ebreo. Mi consegnò a lui e <strong>di</strong>sse<br />

solo: Non te ne pentirai, è un vero fenomeno.<br />

– E per mia moglie? – <strong>di</strong>sse quello lanciandomi un’occhiata<br />

veloce.<br />

35


– È tutto apposto, Allarme, domani si libera un letto,<br />

venite alle 8 che la sistemiamo.<br />

Fui barattato per un ricovero.<br />

* * *<br />

Ecco, lo zio. Stringe la mano al vecchio allenatore. Poi<br />

fa cadere la sacca sportiva sull’erbetta. E sento un tonfo<br />

che echeggia nel mio cuore. E sento l’odore <strong>di</strong> quest’erba<br />

fresca.<br />

Si volta e se ne va senza neppure un cenno per me.<br />

– Dài cambiati…<br />

Gli allenatori hanno sempre mo<strong>di</strong> duri e spicci.<br />

– D-d-dove?<br />

Ma io non ci sono abituato.<br />

– Qui… e dove?… non c’è tempo per andare nello spogliatoio.<br />

E in<strong>di</strong>ca una casupola in fondo al campo e gli altri ragazzini<br />

mi guardano e ridacchiano.<br />

– Cazzo avete da ridere voi… forza con ’sti addominali…<br />

avanti… uno… due. E tu! Vanni! Muoviti! Qui non<br />

c’è mica tempo da perdere.<br />

Mi cambio a bordo campo e mi guardo intorno. Gli altri<br />

hanno già la faccia in terra, flessioni. Ma non mi staccano<br />

gli occhi <strong>di</strong> dosso.<br />

Mi perdo con i lacci delle scarpette. Disfo e ri<strong>di</strong>sfo i fiocchi<br />

mille volte. Ora sono vestito <strong>di</strong> tutto punto e resto immobile<br />

al bordo del campo.<br />

– Avanti Visco! Che cazzo aspetti! Avanti! In campo come<br />

tutti gli altri!<br />

L’allenatore ha la voce alta e rognosa.<br />

36<br />

Avanzo lento verso l’area <strong>di</strong> allenamento scortato dagli<br />

sguar<strong>di</strong> degli altri.<br />

* * *<br />

Commozione è una cosa strana che ti fa brulicare il naso,<br />

stringere lo stomaco e inondare <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà salata gli<br />

occhi. I libri dove ci si commuove li ho sempre scartati<br />

tutti, buttati in un angolo. È un sentimento che non mi<br />

piace la commozione. Giocato a buon mercato.<br />

Piego meticolosamente i miei abiti. Come quin<strong>di</strong>ci anni<br />

fa in uno spogliatoio più piccolo e più puzzolente.<br />

Uno: piegare i pantaloni seguendo la riga.<br />

Due: allineare la camicia sulla gruccia.<br />

Tre: stirare i revers della giacca.<br />

Quattro: arrotolare le calze… cinque: controllare <strong>di</strong>stanza<br />

e allineamento fra scarpa destra e scarpa sinistra…<br />

Allora mi massacrarono. Oggi mi guardano tutti con rispetto<br />

perché sono il capitano, il fuoriclasse, il bomber<br />

dei bomber. Vanni Visco, il campione che si può permettere<br />

manie.<br />

Allora no. Allora ero l’ultimo arrivato. Io, le mie scarpette<br />

con i tacchetti, maglia e calzoni rossoblù della nostra<br />

squadra: una manciata <strong>di</strong> scudetti, qualche coppa e<br />

tanti onori. Un altro tre<strong>di</strong>cenne avrebbe dato un rene per<br />

entrare nei giovani della squadra io anche due pur <strong>di</strong> non<br />

metterci mai piede.<br />

Gli altri mi impressionarono subito. Mi si appiccicarono<br />

come mosche quasi per testarmi, sicuramente per non<br />

farmi sentire a mio agio perché in fondo ero un intruso, in<br />

cambio <strong>di</strong> un ricovero avevo saltato tutta la trafila, non fa-<br />

37


cevo parte della casta. Razza scelta, selezionata. Certo non<br />

come oggi. Come tocca a certi ragazzini. Certi che hanno<br />

la faccia più smarrita della mia.<br />

– Preferisci la zona o il tridente?<br />

– Catenaccio o gioco all’inglese?<br />

– Oggi proviamo il 4-4-2 che ne pensi?<br />

Se volevano farmi cagare ci erano riusciti in pieno: cosa<br />

ne potevo sapere io che non <strong>di</strong>stinguevo neppure un dribbling<br />

da un corner? Mi prese il panico, sarei voluto scappare<br />

con una scusa o con un’altra ma non ne ebbi il tempo:<br />

ero già sull’erbetta a zompettare come un piccolo cavallo<br />

alsaziano al trotto da parata.<br />

Poi <strong>di</strong> corsa, poi a terra e via con gli addominali.<br />

Fu tutto naturale come battere le ciglia e respirare.<br />

Una vera i<strong>di</strong>ozia, non c’era tanto da usare il cervello,<br />

neppure fosse quell’irlandese che avevo tentato <strong>di</strong> leggere<br />

per tre volte ma mi ero fermato a pagina <strong>di</strong>eci senza capirci<br />

nulla. I muscoli invece andavano da soli, fatti per quello,<br />

non dovevo neppure faticare. Come se non avessi fatto<br />

altro nella mia vita.<br />

A cagare se ne andò la cricchetta dei fanatici. Li stesi a<br />

terra nel giro <strong>di</strong> tre mesi, facendogli svicolare il pallone fra<br />

le gambe, lasciandogli le scarpette all’asciutto, facendoli<br />

sbavare <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> me, correndo verso la rete e gol, ancora<br />

gol e sempre gol.<br />

Lo ricordo perfettamente.<br />

* * *<br />

Superato il primo gra<strong>di</strong>no dell’appren<strong>di</strong>stato. Accettato<br />

nel clan. Non sono uno <strong>di</strong> loro, sono uno come loro.<br />

38<br />

Le mie antenne lo percepiscono chiaro. Non sono offeso,<br />

né umiliato né offeso. Non sono neppure un ribelle,<br />

rabbioso e ribelle come mio fratello che da giorni chiede<br />

più sol<strong>di</strong> a mio padre per andare in Olanda.<br />

La Germania non va più <strong>di</strong> moda. Va <strong>di</strong> moda l’Olanda.<br />

E mio fratello Luigi - mio fratello sempre più pallido e<br />

magro - <strong>di</strong>ce che vuole tentare un import <strong>di</strong> macchine usate.<br />

Lo <strong>di</strong>ce perché sa che mio padre è un tipo pragmatico.<br />

Citroën, Renault, Diane molte Diane. Io ho detto che preferivo<br />

la Diane alla Mercedes <strong>di</strong> papà. E loro, mio padre e<br />

mio fratello, si sono girati e mi hanno guardato con un<br />

sorriso strano, storto. Una faccia che era: non ti <strong>di</strong>co ma ti<br />

sto <strong>di</strong>cendo tutto con questa faccia qua. E le mie guance<br />

sono <strong>di</strong>ventate tizzoni e i capelli elettrizzati.<br />

* * *<br />

I ricor<strong>di</strong> della vergogna li ho tutti allineati nella mia<br />

mente, e ogni tanto non so se saltano fuori o se li faccio<br />

saltare fuori io. Forse lo faccio per punirmi. Spine sul capo,<br />

frecce sul costato, olio bollente e scarnificazione. Non<br />

so.<br />

Quante volte è bastato uno sguardo per farmi abbassare<br />

il capo e gli occhi, per farmi sentire nulla. Quante volte è<br />

bastata una frase e io non ho avuto parole. Si chiama prontezza<br />

<strong>di</strong> riflessi. E io ce l’ho solo in campo la prontezza <strong>di</strong><br />

riflessi, quella forza che ti salva e non ti fa se<strong>di</strong>mentare i ricor<strong>di</strong><br />

della vergogna nell’anima. Che non ti fa balbettare<br />

da solo: coglione, coglione, brutto gran pezzo <strong>di</strong> un inutile<br />

coglione. Se avessi risposto, se non avessi chinato il capo,<br />

se, se e ancora troppi se <strong>di</strong> questa frustrazione che mi<br />

39


fa più male <strong>di</strong> un rigore sbagliato. Io che alla voce rigore<br />

sbagliato ho scritto: Mai. Fesso e ragazzino.<br />

* * *<br />

Gigi, Luigi mio fratello, è tutta un’altra storia. Luigi sa<br />

dove fare breccia. Io sono il figlio che non sa fare breccia e<br />

non fa domande. Preparo la borsa per la trasferta, ho tutto<br />

ben piegato e stirato sul letto. Anche mio fratello ha<br />

tutto ben piegato sul letto. La sua roba è tutta nera, la mia<br />

tutta rossoblù e sa <strong>di</strong> detersivo lavanda.<br />

Due fratelli con cinque anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenza e un metro da<br />

letto a letto. Non ci eravamo quasi mai parlati, non ce n’era<br />

mai stato bisogno. Due Incompresi in una famiglia me<strong>di</strong>o<br />

borghese. Anche questa è una banalità che molti conoscono.<br />

– Spaccagli il culo Vanni.<br />

Gigi mi allunga una cassetta e mi sorride.<br />

– Spaccagli il culo e sul pulmino ascoltati questa.<br />

Crede nella musicoterapia. La musica come terapia.<br />

– Ti dà la carica giusta.<br />

Luigi sa tutto <strong>di</strong> musica e mi allunga anche il suo walkman.<br />

– Tieni, te lo regalo, ne comprerò uno nuovo ad Amsterdam.<br />

Sono il fratello più piccolo che abbraccia uno scheletrino<br />

vestito <strong>di</strong> nero. Afferro uno dei miei libri preferiti e<br />

glielo porgo. – Per il viaggio, – <strong>di</strong>co, – ti piacerà.<br />

Lui sorride e mi stringe forte. Sono triste perché oggi mi<br />

sono spuntate le antenne e so - lo so - che questo è il nostro<br />

ultimo abbraccio.<br />

40<br />

Quinto pezzetto<br />

Ho i polpacci duri. Stanotte ho dormito sui chio<strong>di</strong>. Ferro<br />

caldo arrugginito sulle tempie, un laccio <strong>di</strong> cuoio stretto<br />

al collo. E non era il caldo. Ma i pensieri. I pensieri che<br />

<strong>di</strong>ventano bastar<strong>di</strong>, piccoli e <strong>di</strong>sgraziati con quei denti<br />

aguzzi che se la prendono con i miei polpacci. E non mollano.<br />

Neppure ora che il massaggiatore fa scorrere sulle<br />

mie gambe le sue <strong>di</strong>ta. E si lamenta. – ’Zzo Vanni. Oggi hai<br />

i muscoli tesi. Non mi inizierai così dalla prima giornata.<br />

Sembri un morto.<br />

Quasi morto, e non è la prima.<br />

* * *<br />

Eccomi. Ecco il piccolo Vanni Visco in questo vecchio<br />

spogliatoio <strong>di</strong> provincia. Le pareti sono rovinate e sporche,<br />

non come le nostre. Le docce piccole e gialle. Non<br />

come le nostre. Le usano per pisciare, questi qui.<br />

Sono seduto sulla panca <strong>di</strong> legno marcio <strong>di</strong> questo campetto.<br />

I pali mangiati dalla ruggine, l’erbetta incrostata <strong>di</strong><br />

sassi, al lato, <strong>di</strong>etro le panchine, gli fanno la guar<strong>di</strong>a due<br />

ciminiere enormi che sputano fumo e poco lavoro. In<br />

questo campetto, fra fabbriche e capannoni grigi lontano<br />

dalla città, ho paura che il fischio dell’arbitro si confonderà<br />

con quello della pausa pranzo dello straor<strong>di</strong>nario<br />

41


domenicale. Allora dei tizi in tuta blu si appoggeranno alla<br />

rete metallica e faranno il tifo solo per far fuori un po’ <strong>di</strong><br />

rabbia. Come l’anno scorso. Inciteranno i loro figli che<br />

hanno le maglie con lo sponsor della <strong>di</strong>tta. Che al primo<br />

lavaggio ha stinto. E anche se i nostri avversari ne vanno<br />

fieri, loro, i padri, sanno che è solo il marchio <strong>di</strong> una schiavitù<br />

a basso costo. Non come la nostra.<br />

Tiro fuori dalla sacca sportiva l’attrezzatura, poi raggomitolo<br />

il filo delle cuffiette e le nascondo fra pantaloni e<br />

maglione che sistemo sul fondo.<br />

Il walkman lo passo a Signor Anicetto che oramai ci è<br />

abituato. Lo ficca nel tascone del suo impermeabile da<br />

campo, una specie <strong>di</strong> scafandro che lo fa sembrare un palombaro<br />

o forse un benzinaio della miscelèn. Signor Anicetto<br />

che non ha più un pelo nero in testa mentre a noi i<br />

peli neri sono spuntati un po’ ovunque.<br />

Signor Anicetto che ora nei tasconi si infila catenine e<br />

orologi e braccialetti e inizia con la tiritera. Fa il ritiro delle<br />

cianfrusaglie della squadra e parte con la lagna.<br />

– Questa è una partita <strong>di</strong>fficile, decisiva, ne abbiamo già<br />

parlato tutta la settimana è inutile tornare sull’argomento.<br />

I compagni ascoltano la tiritera e si infilano le maglie.<br />

– Fuori c’è tutto il paese. Vi stanno aspettando per farvi<br />

la festa.<br />

Ascoltano la lagna e si arrotolano i calzettoni che sanno<br />

<strong>di</strong> umido.<br />

– Non siamo venuti qui per fare una scampagnata, vi voglio<br />

concentrati. Solo così eviteremo <strong>di</strong> farci fare la pelle.<br />

Ora gli altri hanno il viso contratto, sono tesi, ora ascoltano<br />

con attenzione. Io mi concentro sulle scarpette, levo<br />

42<br />

i sassolini conficcati nella suola, prendo la mira sulla fotografia<br />

scolorita <strong>di</strong> una tipa che sembra una rockstar martire<br />

nuda. Con il pollice destro si allarga la gamba destra,<br />

con il sinistro la sinistra. Io miro al centro. E sparo i miei<br />

sassolini.<br />

– Visco! Sarai anche bravo. Ma certe volte mi fai proprio<br />

girare i coglioni…<br />

Anche Signor Anicetto è teso.<br />

– Mi sembri capitato qui per caso… sembra che non te<br />

ne frega niente <strong>di</strong> quello che sto <strong>di</strong>cendo.<br />

E <strong>di</strong> foto così nel suo arma<strong>di</strong>etto ne ha una collezione.<br />

– Guarda che tuo zio mi ha detto <strong>di</strong> marcarti stretto.<br />

Ma sono meno sbia<strong>di</strong>te.<br />

– Oh bello cantando… lo sai in che ruolo giocavo io<br />

quando giocavo? Lo sai ?<br />

E io lo sfido.<br />

– No… In che ruolo giocava?<br />

– Stopper giocavo, e <strong>di</strong> centravanti come te me ne mangiavo<br />

due prima <strong>di</strong> pranzo come aperitivo, e uno dopopranzo<br />

per <strong>di</strong>gerire a tipo Fernet Branca. Hai capito?<br />

Lo guardo e faccio sì sì con la testa.<br />

* * *<br />

È stato sempre così. Una in casa, una in giro per la provincia.<br />

Qualche volta mi sono anche <strong>di</strong>vertito. Qualche<br />

volta. Ma è durata poco, il tempo che Signor Anicetto<br />

capì che per quei campetti ero uno spreco.<br />

– Uno spreco sei o Visco, uno spreco sei.<br />

Proprio quando avevo preso il ritmo e non mi pesava<br />

quasi più.<br />

43


L’ultima me la ricordo bene, l’ultima con gli esor<strong>di</strong>enti.<br />

Ricordo bene tutto, qui, in questo spogliatoio mentre sulla<br />

mia testa la mandria scalpita e insulta quelli dell’altra<br />

curva e quelli dell’altra città. I loro cori rimbombano sin<br />

qua giù, i loro tamburi ritmano segnali <strong>di</strong> guerra. Non mi<br />

ricordo quando hanno iniziato. Prima, quelli che c’erano<br />

prima, molto prima, si limitavano a picchiettare con i pie<strong>di</strong><br />

sugli scalini e a scan<strong>di</strong>re una marcetta <strong>di</strong> voci e battimani.<br />

– RossoBlù, RossoBlù, Rosso…<br />

Sempre uguale, sempre la stessa. Prima quelli delle altre<br />

città sin qua giù non ci venivano quasi mai. E comunque<br />

non era guerra.<br />

Me lo ricordo bene. O almeno mi sembra, perché anche<br />

noi la domenica si andava in trasferta. E i gran<strong>di</strong> me li<br />

guardavo la sera che si muovevano dentro la tv.<br />

* * *<br />

Il pulmino si inerpica fra i tornanti su una strada <strong>di</strong>sgraziata<br />

e scontrosa <strong>di</strong> montagna, fuori un orizzonte lunghissimo<br />

color piombo e una natura avvilita, secca e forse ostile.<br />

I compagni cantano a squarciagola per non vomitare a<br />

ogni curva. Ogni nota segue un colpo <strong>di</strong> saliva per rimandare<br />

giù aranciate e meren<strong>di</strong>ne che vogliono tornare su.<br />

– Ve lo avevo detto <strong>di</strong> tenervi leggeri!<br />

In fondo al pulmino, Signor Anicetto. In pie<strong>di</strong>, urla. Urla<br />

e artiglia i se<strong>di</strong>li per non cadere. Capitano <strong>di</strong> una nave in<br />

tempesta, i legni scricchiolano malmenati dalle onde e le<br />

vele guaiscono sfregiate dal vento.<br />

44<br />

– Lobina! Per te che sei il capitano: al primo tempo scegli<br />

il campo in <strong>di</strong>scesa, mi raccomando, <strong>di</strong>-sce-sa. Ripeti!<br />

E Lobina ripete.<br />

– Di-sce-sa.<br />

E lui avanza nel corridoio tra i se<strong>di</strong>li, fino a me.<br />

– Visco! tu basta che tiri la palla e se ne entra da sola in<br />

porta, devi solo tirare. Ripeti! Ti-ra-re.<br />

Signor Anicetto parla come un cannone: botta, pausa,<br />

botta.<br />

E io non ripeto.<br />

Il ritmo dei tornanti è più serrato e i ragazzi stanno per<br />

vomitare.<br />

– Al secondo tempo, in salita, la parola d’or<strong>di</strong>ne è <strong>di</strong>fendersi…<br />

Difendersi! Ok? Lobina ripeti: <strong>di</strong>-fen-der-si.<br />

E Lobina non ripete, vomita. Nel sacchetto. Che cola.<br />

– Guardate che questi <strong>di</strong> oggi sono abituati a giocare in<br />

quel campo. Non sono calciatori sono alpinisti, ok?<br />

Signor Anicetto il capitano <strong>di</strong> una nave in tempesta, imperturbabile.<br />

– Lobina! Dài a tutti le gomme americane. Solo una a<br />

testa.<br />

Lobina <strong>di</strong>stribuisce le gomme da masticare e tutti cominciamo<br />

a masticare e ruminare in silenzio con le facce<br />

bianchissime.<br />

Aveva ragione Signor Anicetto. Pende. Un campetto ripido,<br />

scavato fra l’incontro <strong>di</strong> due colline. Ma per me non<br />

fa <strong>di</strong>fferenza.<br />

Sono lontano dalla loro porta, guardo le nuvole che fra<br />

un po’ toccheranno anche le nostre teste. Sono lontanissimo<br />

dalla loro porta e scaglio un tiro pro<strong>di</strong>gioso che entra<br />

45


in rete sfiorando l’incrocio dei pali. I compagni mi circondano<br />

e mi abbracciano. Il pubblico rumoreggia nel suo<br />

strano <strong>di</strong>aletto montano.<br />

Ho lo sguardo che punta la fine della collina, mentre mi<br />

abbracciano. Mentre i compagni mi abbracciano e sono<br />

come una canna straziata dal vento, oscillo per non farmi<br />

buttare giù. Ho gli occhi che seguono un tracciato fra la<br />

vegetazione mentre l’arbitro deve fare i conti con quelli<br />

dell’altra panchina che lo circondano e gli sputano rabbia<br />

e saliva. E le mie pupille sono come radar, spie <strong>di</strong> uno <strong>di</strong><br />

quei satelliti che controllano dall’alto continente per continente,<br />

nazione per nazione, città per città, quartiere per<br />

quartiere, casa per casa. E alla fine ti beccano lì in quel tuo<br />

momento banale <strong>di</strong> vita. Che so, una partita <strong>di</strong> calcio<br />

mentre i compagni si accatastano su <strong>di</strong> te fra questi monti<br />

che detestano il mare. Fra questa gente che o<strong>di</strong>a <strong>di</strong> domenica<br />

per o<strong>di</strong>are meno <strong>di</strong> lunedì, martedì, mercoledì, giovedì,<br />

venerdì, sabato. O<strong>di</strong>o e rancore che ora vorrebbe farselo<br />

allo spiedo questo arbitro qui.<br />

E il mio radar finalmente lo becca. Lo intercetta che<br />

passa veloce fra la boscaglia. Lo guardo, mi guarda. Cinghiale<br />

<strong>di</strong>avolo e demonio. Un secondo e i nostri occhi radar<br />

si incontrano, si scontrano, si riconoscono, prendono<br />

le misure l’uno dell’altro, rapi<strong>di</strong>, veloci e tutto capiscono<br />

come solo il sonar <strong>di</strong> una bestia sa fare nel tempo <strong>di</strong> un<br />

battere <strong>di</strong> ciglia. Un secondo, forse due, e sono già nell’altra<br />

metà del campo trascinato dai compagni che urlano<br />

ancora. E lui, demonio lucifero della boscaglia, fugge via,<br />

raschiando la terra, alito caldo e nauseabondo, sperando<br />

<strong>di</strong> scamparla per un’altra domenica. Come me.<br />

La partita riprende. E nessuno si è accorto <strong>di</strong> lui. La fa-<br />

46<br />

tica riparte. Spezza le gambe percorrere il campo in salita.<br />

Fa esplodere i polmoni la corsa forsennata e senza freni<br />

quando lo attraversiamo rapi<strong>di</strong> in <strong>di</strong>scesa.<br />

Mi esce sangue dal naso. Ma non chiedo <strong>di</strong> sedermi in<br />

panchina. Aspetto un altro gol. Poi tornerò a casa. A leggere.<br />

47


Sesto pezzetto<br />

Anicetto Allarme, 17 aprile 1941. Decise <strong>di</strong> degnare il<br />

mondo della sua presenza quando la fortezza volante passò<br />

sopra questa città e le sirene iniziarono ad ululare.<br />

A lui piaceva raccontarla così: degnare il mondo della<br />

sua presenza… la fortezza volante… e tutto il resto della<br />

tiritera. Lo faceva sentire meglio raccontarla così.<br />

Sua madre stava già urlando e schiumando da un’ora.<br />

Smise come iniziarono gli altoparlanti. Insomma, partorì<br />

fra le bombe.<br />

Dunque, Allarme sta per allarme aereo. Anicetto sta per<br />

Sant’Anicetto, il santo del giorno, 17 aprile appunto.<br />

Il cognome non si è mai saputo, o forse nessuno lo ricorda<br />

più. Tanto per tutti è sempre stato Signor Anicetto. Al<br />

massimo per quelli del quartiere, quello che si affaccia sul<br />

porto, Anicetto Allarme. Mezzo arabo e mezzo ebreo.<br />

Hanno sempre avuto un certo gusto a beffarla la vita da<br />

queste parti, una certa voglia <strong>di</strong> non prenderla mai troppo<br />

sul serio, per non darle troppa sod<strong>di</strong>sfazione, dato che se<br />

ne prende già troppa <strong>di</strong> suo. E se così non fosse, se non<br />

avessero il gusto <strong>di</strong> fregarla ogni tanto la vita, il fato, il <strong>di</strong>vino<br />

<strong>di</strong>segno o vattelapesca tu cosa è, il mio mister non lo<br />

avrebbero mai chiamato Allarme che non è il suo soprannome<br />

ma proprio il suo nome registrato all’anagrafe.<br />

Quello che il padre dettò all’impiegato fascista del muni-<br />

49


cipio fascista che non fece una grinza a sigillare sui reali<br />

registri un nome da avanguar<strong>di</strong>a futurista, da gloriosa<br />

trincea. E neppure il parroco fascista fece una grinza, perché<br />

poi Anicetto era il santo del giorno.<br />

Di Anicetto so solo questo, perché solo questo ci ha<br />

sempre raccontato mille volte negli spogliatoi tirando<br />

fuori la sua carta d’identità logora.<br />

– A-ni-ce-tto Al-lar-me… Ripeti Lobina!<br />

E Lobina ripeteva e noi ridevamo, insieme a lui, Anicetto<br />

Allarme.<br />

Di signor Anicetto so solo questo e che a modo suo mi<br />

volle bene.<br />

– Sprecato sei, sprecato…<br />

Anche se ai piani alti non ci è mai salito, Anicetto questa<br />

volta si è messo la giacca e i pantaloni e si è fatto coraggio.<br />

– An<strong>di</strong>amo…<br />

E mi prende persino la mano e lo guardo e lui mi molla<br />

ma solo perché è tutta bagnata, la sua.<br />

Passo veloce, falcata larga, come in allenamento e la cravatta<br />

che sembra un tergicristallo: ora a destra, ora a sinistra.<br />

Metronomo dei suoi passi e dei miei che lo seguo e<br />

rior<strong>di</strong>no i pensieri. Lui pure. Io a voce bassa, lui alta. Fa le<br />

prove per la prima. Ripassa e riprova.<br />

– Dottor Antoni… anzi no… commendator Antoni…<br />

questo ragazzo…<br />

Poi mi guarda: – No, a te ti lascio fuori, prima entro io,<br />

poi ti chiamo…<br />

Io faccio sì sì con la testa.<br />

– Dottor Antoni, la squadra dei ragazzini viene su be-<br />

50<br />

ne… così bene… che sono riuscito a formare… No, gli <strong>di</strong>co<br />

sono riuscito a plasmare… No, forgiare… Sì, forgiare…<br />

forgiare un giovane talentuoso… Sì, talentuoso mi<br />

piace… Per me non chiedo niente…<br />

E mi strizza l’occhio.<br />

– Per me non chiedo nulla, sto bene dove sto… semmai…<br />

E ora anche lui preferisce proseguire nei pensieri.<br />

Mi porta <strong>di</strong> corsa all’ultimo piano della palazzina della<br />

società.<br />

Mi porta dopo che il <strong>campionato</strong> è finito e sulla mia cartella<br />

gol c’è scritto 54.<br />

Mi lascia all’ingresso dello stu<strong>di</strong>o del cavalier Antoni.<br />

Uno stu<strong>di</strong>o immenso, il parquet scuro come i <strong>di</strong>vani fatti<br />

arrivare apposta dall’Inghilterra, pareti blasonate <strong>di</strong> foto<br />

in bianco e nero delle squadre del passato, <strong>di</strong> coppe e medaglie<br />

tirate a lucido. Fiammanti come i libri riposti sugli<br />

scaffali in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> colore: a sinistra quelli con le copertine<br />

ver<strong>di</strong>, a seguire quelli marroni e infine quelli neri.<br />

Signor Anicetto si trattiene per pochi minuti poi sbuca<br />

fuori e mi <strong>di</strong>ce che devo tornare domani con i miei genitori<br />

per una firmetta, niente <strong>di</strong> più.<br />

* * *<br />

Mai visto mio padre così felice. Mai visto Signor Anicetto<br />

così. Così senza una ruga sul viso, <strong>di</strong>steso, sereno. Né<br />

prima né dopo gli allenamenti, e tantomeno dopo la chemio<br />

della moglie sotto l’occhio <strong>di</strong> zio Nannino. Solo a fine<br />

partita l’avevo visto ridere.<br />

– Lobina! Ripeti! A-ni-ce-tto Al-lar-me…<br />

51


Ma forse era una risata nervosa. Che non gli ha mai <strong>di</strong>steso<br />

le rughe.<br />

Mi chiedono poco, allenarmi e fare quello che so fare.<br />

Dire sempre <strong>di</strong> sì al mister che è un tipo un po’ più alto<br />

<strong>di</strong> signor Anicetto, un po’ più giovane.<br />

Non parla e mi guarda, mi guarda e non parla. Parla il<br />

commendator Antoni.<br />

– Suo figlio avrà assistenza me<strong>di</strong>ca, formativa, non gli<br />

faremo mancare nulla. Fatta salva, ovviamente, la sua autorità<br />

educativa.<br />

Io neppure li ascolto. Sono <strong>di</strong> nuovo un martire ragazzino<br />

pronto al supplizio che non durerà il tempo <strong>di</strong> due<br />

schiaffoni. Sono un martire ragazzino e qui non c’è neppure<br />

il Cristo in tela, Nostro Signor Gesù rockstar martire<br />

che mi sorride.<br />

– La ringrazio…<br />

Mai visto mio padre così raggiante.<br />

– Però io l’avverto: non si faccia illusioni. Non crei<br />

aspettative, a sé e al ragazzo.<br />

Il cavalier Antoni lo tiene per le re<strong>di</strong>ni:<br />

– È legittimo essere ambiziosi. La serie A… la nazionale…<br />

la fama. Ma… bisogna considerare tutto questo come<br />

un obiettivo secondario. Prima… c’è un piano formativo,<br />

un progetto <strong>di</strong> vita.<br />

E mio padre si fa guidare:<br />

– Certo… è evidente. Anch’io…<br />

– Vanni è una promessa, lo <strong>di</strong>cono tutti… ma non tutte<br />

le promesse vengono mantenute. Dipende dalla volontà,<br />

dalla fortuna… ma soprattutto dalla fatica. Per questo io<br />

avevo pensato…<br />

Il presidente cavalier Pier Luigi Antoni, per gli amici<br />

52<br />

Pigì, usa la penna come il fioretto. Il polso volteggia nell’aria,<br />

<strong>di</strong>segna nuvolaglia <strong>di</strong> zeri. Sorride e tende la mano.<br />

– Benvenuti.<br />

Mai visto mio padre così felice, così raggiante. Così raggiante<br />

nel richiudere il portafoglio.<br />

– Dalle 15 alle 18 allenamento con gli altri, tutti i giorni.<br />

Anche il nuovo mister deve <strong>di</strong>re qualcosa.<br />

– LunedìMercoledìVenerdì ci facciamo anche un’ora<br />

<strong>di</strong> palestra, dalle 18 alle 19.<br />

Or<strong>di</strong>ni e imposizioni.<br />

– Sabato partitella, domenica si gioca…<br />

E mi esce così: – E la scuola? i compiti <strong>di</strong> scuola?<br />

Fesso, ragazzino e fesso e ragazzino.<br />

Ridono tutti ora. Ride mio padre, ride il cavalier Antoni,<br />

ride il nuovo mister. Il vecchio Allarme inarca le sopraciglia<br />

come <strong>di</strong>re: non <strong>di</strong>re altro, non <strong>di</strong>re altro fesso,<br />

l’avrei voluta avere io un’occasione così nella vita invece<br />

io non l’ho avuta e tu sì e quin<strong>di</strong> stai zitto farà la tua felicità<br />

che non è stata la mia, stai zitto e mannaggia a ’sta storia<br />

dei tuoi libri, lo troverai il tempo lo troverai il tempo<br />

ma ora non <strong>di</strong>re nulla, nulla devi <strong>di</strong>re.<br />

* * *<br />

Anche questo ricordo è uno <strong>di</strong> quei ricor<strong>di</strong> che mi fa<br />

provare vergogna, vergogna nera.<br />

Li ho tutti or<strong>di</strong>nati nella mia mente, i ricor<strong>di</strong> della vergogna,<br />

e ogni tanto non so se sbucano fuori o se li faccio<br />

sbucare fuori io. Forse lo faccio per punirmi: chio<strong>di</strong> sui<br />

polsi, flagelli sulla schiena, piombo rovente e mutilazio-<br />

53


ne. Non so. Non so se sono loro a dominare me o io ad<br />

or<strong>di</strong>nargli <strong>di</strong> tornare a galla. Non so.<br />

Tutti si misero a ridere.<br />

Fesso e ragazzino.<br />

Ai professori fu imbucata a casa la busta con i blasoni<br />

in rilievo della società. Abbonamento in tribuna numerata.<br />

Al preside fu imbucata a casa la doppia busta con i<br />

blasoni sociali in rilievo. Tribuna d’onore.<br />

– Buonpomeriggio professore…<br />

– Buonpomeriggio cavaliere…<br />

Ci provavo pure, stu<strong>di</strong>avo, mi impegnavo, la sera, dopo<br />

l’allenamento e la palestra e gli addominali alti e gli addominali<br />

bassi. Ma nessuno mi voleva sentire, le interrogazioni<br />

duravano nulla e volavano via con le solite due o tre<br />

doman<strong>di</strong>ne a piacere. Peccato, persino la comme<strong>di</strong>a che<br />

mi trascinava in un delirio <strong>di</strong> pene e castigo, rimase appesa<br />

lì all’entrata senza speranza. Ecco ero senza speranza,<br />

senza nessuna speranza.<br />

* * *<br />

Eccomi fra i corridoi del mio liceoginnasio. Eccomi<br />

che martello i tacchi su questi pavimenti luci<strong>di</strong> e questi<br />

soffitti altissimi. E i miei passi rimbombano e sento il<br />

brusio che arriva dalle porte scure che sigillano le aule.<br />

L’unica cosa che sono riuscito a ottenere è il mercoledì<br />

mattina. Il mercoledì mattina il preside ha detto che posso<br />

aiutare Ottavio. Ottavio, applicato bibliotecario della<br />

biblioteca del liceoginnasio, sa cosa vengo a fare qua giù<br />

54<br />

in questi stanzoni immensi, fra le caldaie e gli spogliatoi<br />

della palestra, fra questi scaffali, alti, altissimi con la scaletta<br />

mobile con i cuscinetti a sfera che corre veloce fra i<br />

binari e si ferma alla Stazione dei libri romanzi, alla Stazione<br />

dei libri saggi, libri latini, libri greci, libri traduzioni,<br />

alla Stazione dei libri me<strong>di</strong>evali eccetera eccetera.<br />

Qui non c’è nulla da rior<strong>di</strong>nare, nulla da sistemare, fa<br />

tutto Ottavio. Qui non c’è nulla da rior<strong>di</strong>nare se non le<br />

mie idee. E Ottavio lo sa.<br />

Me lo ha insegnato lui il segreto della memoria. Cioè,<br />

<strong>di</strong>re non mi ha mai detto nulla. Capire solo capire, intuire.<br />

Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ripetere<br />

e leggere. Quattro: ripetere e basta.<br />

Stazione libri romanzi:<br />

– La balenaccia! la balenaccia per la terza E, professoressa<br />

Marinella Cardìa in Cossu. La balenaccia: scaffale<br />

tre<strong>di</strong>ci, piano quarto scomparto A.<br />

E la scaletta corre veloce con lui sopra ferroviere <strong>di</strong> biblioteca,<br />

applicato.<br />

– A metà anno per quelli della terza, la Cardìa, quella rachitica<br />

della Cardìa, chiede sempre la balenaccia… e vai<br />

con la balenaccia!<br />

E se la ride Ottavio mentre le sue <strong>di</strong>ta vanno sicure verso<br />

il terzo volume da destra, scaffale tre<strong>di</strong>ci, piano quarto<br />

scomparto A.<br />

– L’ebreuccio! vai con l’ebreuccio per il professor Italo<br />

Ortu, terza C…<br />

E quasi canta mentre la scaletta corre e fa rumore <strong>di</strong> treno<br />

sui binari. Tadàn tadàn. Verso la stazione dei libri racconti<br />

stranieri.<br />

55


– Pare così duro restar scapolo, e da vecchio, con grande<br />

<strong>di</strong>minuzione della propria <strong>di</strong>gnità…<br />

Scaffale 21, piano quinto, scomparto A.<br />

– …chiedere ospitalità quando si vuol passare una sera in<br />

compagnia…<br />

O forse scaffale 21, piano quinto, scomparto E. Ottavio<br />

si dà due pugni sulla tempia.<br />

– …essere malato e dall’angolo del proprio letto per settimane<br />

intere contemplare la stanza vuota…<br />

E se la ride <strong>di</strong> nuovo mentre le sue <strong>di</strong>ta vanno verso volume<br />

nero, scaffale 21, piano quinto, scomparto E.<br />

– Tiè! beccato l’ebreuccio, un grande l’ebreuccio…<br />

E guarda me, che lo guardo da sotto. Lui sopra, all’apice<br />

della scala. Io sotto, al primo piolo.<br />

– Tiè! Vanni, ciappa. Questo te lo dovresti leggere anche<br />

tu…<br />

E me lo lancia. E siamo come nel baseball, lui lancia io<br />

acciuffo con il mio guantone, cesta in vimini che profuma<br />

<strong>di</strong> muffa-carta. E quasi non faccio in tempo a beccare il<br />

primo che il secondo mi arriva come una freccia:<br />

– Tiè! Vanni, quest’altro leggitelo tu, inizia dal racconto<br />

del babballotti…<br />

Lo guardo e non capisco. E lui capisce e si spazientisce.<br />

– Del babballotti, lo scarafaggio, dal racconto del cristiano<br />

che <strong>di</strong>venta babballotti, ma in che lingua parlo?…<br />

ho un<strong>di</strong>ci figli, il primo è fisicamente poco appariscente…<br />

Un colpo <strong>di</strong> reni e la scaletta riparte.<br />

– …ma serio e intelligente…<br />

Solo poche traverse più in là.<br />

– Er principe! Er principeeeeeee …<br />

56<br />

Ottavio ha fatto il carabiniere ausiliario a Roma, anzi a<br />

Romma, come <strong>di</strong>ce lui, faceva la ronda ai mercati.<br />

– Vai cor principe per professor Cugia…<br />

Ma ha gli accenti sbagliati.<br />

– Era dunque necessario a Moisè trovare il populo d’Isdrael,<br />

in Egitto, stiavo e oppresso dagli Egizii… Becca<br />

Vanni!<br />

Il libro precipita. Canestro. E la scala riparte con un fischio<br />

verso la Stazione dei libri fisica e chimica. Li o<strong>di</strong>o i<br />

libri <strong>di</strong> fisica e chimica.<br />

E seguo il rumore dei cuscinetti a sfera su questo binario<br />

<strong>di</strong> scaffali.<br />

* * *<br />

Passi per gli addominali alti e per gli addominali bassi,<br />

gli assist e i passaggi fluttuanti, i pallonetti e le fucilate agli<br />

incroci dei pali. Potevo farlo, ok potevo farlo, senza problemi.<br />

Glielo concedevo, in fondo non mi costava nulla.<br />

Ma il resto no.<br />

Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ripetere<br />

e leggere. Quattro: ripetere e basta.<br />

Me la sarei fatta in testa la mia biblioteca. Come Ottavio.<br />

E oggi qua giù, in questo spogliatoio, sono convinto,<br />

straconvinto, sicuro che se sono arrivato qui, se sono arrivato<br />

sino a qui, se ho resistito così a lungo, anche se oggi<br />

posso <strong>di</strong>re <strong>Ultima</strong> <strong>di</strong> Campionato, be’ allora il merito, se<br />

merito ci deve essere, è <strong>di</strong> aver intuito il metodo.<br />

Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ripetere<br />

e leggere. Quattro: ripetere e basta.<br />

57


Settimo pezzetto<br />

Prendo coscienza. Ma non perdo la calma. Anche se<br />

questa mia vita è un appren<strong>di</strong>stato continuo. Hanno scoperto<br />

che sono un talento. Mi hanno fatto passare <strong>di</strong> categoria.<br />

La gavetta riparte da capo.<br />

Eccomi, sono nello scintillante spogliatoio dei tipi più<br />

gran<strong>di</strong>. Gli altri non mi guardano ma io so che mi pensano.<br />

Ho lo scandaglio sotto pelle, io.<br />

Sono la recluta e loro i veterani. Fra poco si avvicineranno<br />

ridacchiando, lo so.<br />

Il branco ha sempre un capo. E anche questa è una cosa<br />

banale che tutti sanno.<br />

– E allora Vischio, Fischio o come cazzo ti chiami…<br />

Eccolo, si chiama Demetrio ed è alto, altissimo. Non gli<br />

rispondo, levo dalla sacca la mia attrezzatura. Tanto so<br />

che mi si farà più vicino e mi soffierà <strong>di</strong>etro l’orecchio.<br />

Poi mi passerà un <strong>di</strong>to sulla spalla come per levarmi della<br />

polvere. Su e giù, sempre più insistente.<br />

– Allora Fischio… a chi vuoi rubare il posto… qui tutti<br />

hanno un ruolo cerca <strong>di</strong> non romperci le palle… al massimo<br />

qui c’è un posto come massaggiatore… <strong>di</strong> coglioni.<br />

I ragazzi intorno ridono, forzatamente. Ingrossano e<br />

esasperano le loro risate. Chiudo la borsa e vado in campo<br />

mentre gli altri mi urlano alle spalle.<br />

59


– Fischio! Fischio! Fischio!<br />

Pecore bastarde e maledette.<br />

* * *<br />

Nessuno osa più sfidarmi oggi. Nessuno, solo i compagni<br />

per il gioco degli integratori salini. Il gioco della mira<br />

che per ora è un gioco, qua giù. Qua giù in questo spogliatoio<br />

dove tutti hanno passato pure <strong>di</strong> peggio per arrivare<br />

sino a qui, ma erano <strong>di</strong>sposti ad accettarlo. Sapevano e volevano.<br />

Volevano arrivare sin qua giù nello stomaco dell’arena.<br />

Erano pronti a prenderle e a darle. Io no, mi <strong>di</strong>fesi<br />

solo. Sportivamente.<br />

* * *<br />

Davanti a me ho un giovane portiere, alto magro, con le<br />

mani gran<strong>di</strong>ssime, gonfiate dai guantoni. Sembra il topo<br />

<strong>di</strong> quel cartone animato. Il ratto sa<strong>di</strong>co con la faccia da<br />

buono che tutto gli fila liscio, avventura dopo avventura<br />

alla faccia della logica e del destino.<br />

Ma non questo qui, non è quel genere <strong>di</strong> topo. Questo<br />

non la acciuffa la palla, che entra rapida nella rete. La mia<br />

palla che entra rapida nella rete.<br />

Lui si lancia ma cade pesante con la faccia a terra.<br />

E il nuovo allenatore urla come quello vecchio.<br />

– Paolettoooo!!!! cazzoooo!!! ma che cazzo hai oggi…<br />

<strong>di</strong>eci… cazzo… <strong>di</strong>eci te ne sei fatto fare… neppure uno<br />

ne hai parato.<br />

E Paoletto frigna.<br />

– Mister Ettore… non è colpa mia… la barriera… la<br />

60<br />

barriera è messa male… li sistemo e si spostano… si muovono…<br />

mi levano la visuale…<br />

Eccolo, il mio allenatore avanza oscillando spalle e fianchi.<br />

Le scimmie chiamavano quel luogo la loro città<br />

Come un orango.<br />

e fingevano <strong>di</strong> <strong>di</strong>sprezzare il Popolo della Giungla<br />

Come un Bandar-Log. Animale dei rami.<br />

Si grattavano le pulci e pretendevano <strong>di</strong> essere Uomini<br />

Avanza con le braccia che gli pendono e le orecchie piccolissime<br />

e basse. Su una testa enorme.<br />

“Ecco noi siamo ora<br />

Simili in tutto all’uomo”<br />

Come una scimmia a guar<strong>di</strong>a del regno dei bipe<strong>di</strong> ancora<br />

un po’ quadrupe<strong>di</strong>, il regno delle bestie uomini.<br />

“Fratello, guarda, ti pende la coda!”<br />

Il mio allenatore avanza con quei baffetti e pizzetto a<br />

guar<strong>di</strong>a della man<strong>di</strong>bola, un mezzo esagono sempre serrato.<br />

Oscilla verso la barriera composta da cinque ragazzi,<br />

piomba su <strong>di</strong> loro e strattona il più alto.<br />

– Minchioni, qua vi dovete mettere! Qua… quante volte<br />

ve lo devo <strong>di</strong>re… Demetrio… qua… cazzo… qua… E<br />

tu Visco avanti! dài! ritira!<br />

Sono Vanni Visco, il futuro campione. Sono il principe<br />

della balistica che presto <strong>di</strong>venterà re.<br />

Eccomi, il piede destro tiene fermo il pallone sono pronto<br />

a calciare ma ora li voglio far soffrire. Aspetto.<br />

La mia faccia non trasmette emozioni, i miei occhi puntano<br />

quelli <strong>di</strong> Demetrio. Sono il Conte delle vendette, il<br />

Conte della rabbia e dell’orgoglio. Sono il piatto che va<br />

mangiato freddo, ma mica tanto.<br />

61


Guardo la porta. Le pupille dei miei occhi si <strong>di</strong>latano.<br />

Calcio un siluro. I ragazzi della barriera vedono passare<br />

rapi<strong>di</strong>ssimo il pallone sulle loro teste. Un siluro. Angolo<br />

destro. Rete.<br />

Rior<strong>di</strong>no calzoncini e maglietta nella borsa con i colori<br />

sociali. Intorno a me parlano, <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>natamente, le loro<br />

voci sono in sottofondo. Ma capisco che parlano <strong>di</strong> me.<br />

Resto imperturbabile. Proseguo a rior<strong>di</strong>nare le mie cose.<br />

Uno: riporre le calze. Due: riporre i calzoncini. Tre: riporre<br />

la sottomaglia. Quattro: riporre la maglia… cinque:<br />

anche la fascetta contro il sudore.<br />

Chiudo la cerniera lampo della sacca, punto l’uscita e:<br />

– Ciao Vanni… ciao Vanni… a domani Vanni… ciao Và.<br />

Non sono più la matricola. E il trono <strong>di</strong> Demetrio inizia<br />

a vacillare.<br />

– Vanni, Vanni, scusa… se vuoi da domani veniamo al<br />

campo insieme, i miei per i <strong>di</strong>ciassette anni mi hanno regalato<br />

il Vespone…<br />

Nessun rancore ma solo verità, la mia ingenua verità.<br />

– Ah, grazie Demetrio ma preferisco venire in filobus…<br />

c’ho l’abbonamento…<br />

Che è come un lascia passare, questo abbonamento. La<br />

chiave per aprire tutte le porte <strong>di</strong> questa città che non<br />

o<strong>di</strong>o né amo. Che amo e o<strong>di</strong>o perché tutte le città dove sei<br />

nato sono così. E anche questa è una banalità che tutti<br />

sanno.<br />

Il mio filobus che taglia in due la città con i doppi cavi<br />

sospesi nell’aria.<br />

Taglia in due questa città nel suo percorso da un capoli-<br />

62<br />

nea all’altro. Il mio filobus va dagli antichi rioni ai nuovi<br />

quartieri, palazzoni che hanno l’aria <strong>di</strong> avere già dato. Sono<br />

cresciuti in fretta e con rapi<strong>di</strong>tà sono invecchiati. Mutui<br />

alti e case troppo strette che tutti hanno dovuto chiudere<br />

i balconi con i profilati in alluminio bronzato e i vetri<br />

smerigliati per farsi un po’ <strong>di</strong> spazio.<br />

Prima qui c’erano solo zanzare, canneti e stagni dove ci<br />

affogavano le macchine rubate. C’era il silenzio che <strong>di</strong>ventava<br />

fragore e confusione la domenica pomeriggio.<br />

Perché prima, qui, c’era solo lo sta<strong>di</strong>o, quello del nostro<br />

primo scudetto dove oggi ci fanno l’hockey, su prato.<br />

Il mio filobus viaggia dal viale sotto le carceri alla piazza<br />

della via per il mare. A volte mi piace perdermi, sul mio filobus.<br />

Con l’abbonamento vado da un capolinea all’altro,<br />

dal vecchio al nuovo. Su e giù, avanti e in<strong>di</strong>etro e ancora<br />

avanti.<br />

Si parte dal viale sotto le carceri con gli alberi che quasi<br />

si intrecciano, fanno tunnel e il sole non ci passa.<br />

Fermata uno, due e tre: ci salgono gli studenti che tornano<br />

dalle lezioni. Hanno sempre mille fogli e copertine<br />

lucide e fotocopie sotto il braccio. Ci sono quelli che chiacchierano<br />

e chiacchierano e quelli che fumano sigarette e,<br />

seduti sui se<strong>di</strong>li, sprofondano la faccia e i mozziconi nei<br />

libri. Sembra che ci siano i segreti del mondo in quei libri<br />

e loro hanno le facce <strong>di</strong> chi li capisce. Hanno facce serie.<br />

Soprattutto le ragazze, quelle che fumano le sigarette e i<br />

ragazzi non se le filano neppure per un caffè al bar lercio<br />

dall’altra parte della fermata. Ma loro credono che con<br />

quelle sigarette e quelle facce preoccupate che figgono<br />

nei libri qualcuno un giorno se le filerà un po’. Andrà a fi-<br />

63


nire che loro ci crederanno davvero che stanno interpretando<br />

i segreti e saranno le ragazze più arroganti del<br />

mondo.<br />

A volte sbircio e vedo che i problemi del mondo sono<br />

numeri e numeri e frazioni ed equazioni. I problemi del<br />

mondo. A volte sbircio e vedo che i problemi sono pensatori<br />

tedeschi e pensatori inglesi e pensatori americani<br />

comparati con i pensatori russi.<br />

Comparati. Lo ha detto quella che anche se ci sono posti<br />

a sedere si mette accovacciata, tipo falò in<strong>di</strong>ano, nella piattaforma<br />

con la sigaretta e il libro e i problemi del mondo.<br />

– Sto comparando…<br />

E il tipino che aveva la stessa borsa con le frange in pelle<br />

scamosciata le ha detto:<br />

– Scusami…<br />

Le ha offerto una delle sue sigarette fatte a mano e poi si<br />

è messo lì fermo in pie<strong>di</strong> quasi a farle la guar<strong>di</strong>a. Ogni sera<br />

sul mio filobus fanno così, lei compara, lui fa la guar<strong>di</strong>a.<br />

* * *<br />

Oggi qua giù, qui in questi spogliatoi dove si comparano<br />

muscoli e azioni, <strong>di</strong>versivi e tattiche.<br />

Non so che fine hanno fatto i ragazzi del mio filobus. So<br />

solo della tipa che comparava. L’ho vista in tivù.<br />

Onorevole non-so-che-cosa del partito non-so-che-cosa<br />

ma che una volta in Consiglio Regionale doveva tutelare<br />

i lavoratori ma che oggi, l’ho visto in tivù, era solo<br />

preoccupata <strong>di</strong> tutelare le infermiere <strong>di</strong> quell’ospedale<br />

dove dei giovani infermieri - che fanno questo ma avrebbero<br />

voluto fare altro, magari i registi, magari gli scrittori,<br />

64<br />

magari i pittori e gli attori - hanno fatto un convegno sull’immaginario<br />

ospedaliero e nel manifesto c’erano anche<br />

le foto <strong>di</strong> Edvigefenec che è una bona, come tutti sanno,<br />

con il culo così e le tette così che prima faceva filmetti così<br />

e tutti in corsia quando ci finivano speravano <strong>di</strong> trovarci<br />

una così ed era l’unico motivo perché in ospedale potevano<br />

ancora sperare.<br />

Ma questa non lo capisce e minaccia querele. Perché la<br />

classe infermieristica va tutelata nella sua immagine. La<br />

classe infermieristica. E vorrei arrabbiarmi e ricordarle<br />

che quando gli infermieri <strong>di</strong> quella clinica non prendevano<br />

lo stipen<strong>di</strong>o da mesi, lei in tivù non è apparsa e non c’è<br />

stata conferenza stampa sulla classe infermieristica, e sulla<br />

sua immagine. L’immagine.<br />

* * *<br />

Fermata cinque e sei: non sale mai nessuno. Sale qualcuna<br />

solo la sera, la sera prima della cena. Sono tutte donne<br />

e sono tutte vestite <strong>di</strong> scuro, hanno anche il viso ammantato<br />

<strong>di</strong> nero. Lo so da dove vengono, vengono dai frati<br />

che soluzioni per i problemi del mondo non ne hanno<br />

ma aiutano a vivere. Lo ha detto mia nonna e io quando<br />

incontro i frati penso sempre a Nostro Signore Gesù Cristo<br />

martire rockstar che gioca a pallone con la fascetta<br />

contro il sudore e i capelli lunghi.<br />

Coi frati ci abbiamo giocato a pallone per un torneo <strong>di</strong><br />

Pasqua e <strong>di</strong> raccolta <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> per i poveri della città, poveri<br />

e <strong>di</strong>sgraziati e miserabili. I frati a pallone ci giocano anche<br />

bene e se la ridono sempre anche quando prendono certe<br />

batoste e nessuno <strong>di</strong> loro urla e fa facce storte come i miei<br />

65


compagni e Mister Ettore che anche i frati sono avversari<br />

da umiliare.<br />

Se la ridono con quei lacci <strong>di</strong> cuoio in fronte che gli<br />

bloccano i capelli lunghi, come le rockstar martiri.<br />

Alle fermate sette, otto, nove, <strong>di</strong>eci e un<strong>di</strong>ci ci salgono<br />

quelli delle compere. E mi schiacciano e io, io, cedo sempre<br />

il posto alla signora più carica e più rugosa.<br />

– Prego signora.<br />

– Grazie ragazzo.<br />

La strada è stretta stretta e la gente entra nei negozi, luci<br />

al neon, per non farsi schiacciare dal mio filobus. Qualcuno<br />

bestemmia e a seconda del conducente sono rogne e<br />

una volta pure colpi brutti. Una volta, il conducente si è<br />

infiammato perché i tipi - gente con le camicie aperte sino<br />

allo stomaco e i medaglioni e gli anelli - gli avevano cercato<br />

la madre. Lui ha tirato il freno a mano che sembrava un<br />

argano <strong>di</strong> ponte levatoio me<strong>di</strong>evale. Un rumore.<br />

Si è levato il berretto con la visiera e al più grosso lo ha<br />

partito <strong>di</strong> testa. Come Nannino con il commendator Carcangiu<br />

quando abbiamo chiuso la stagione venatoria. Ma<br />

quello, il più grosso, non è crollato e lui e gli altri lo hanno<br />

sbranato il conducente. Sono dovuti arrivare i vigili urbani<br />

a levarglielo dai canini. Però la gente del filobus al conducente<br />

pieno <strong>di</strong> sangue lo ha applau<strong>di</strong>to quando è risalito<br />

e siamo ripartiti.<br />

Fermata tre<strong>di</strong>ci: salita fissa. Regolare che il filobus ci<br />

perda le antenne che ondeggiano nell’aria e quasi toccano<br />

i palazzi vecchi con gli operai che ci lavorano sopra come<br />

ragni e urlano.<br />

66<br />

– E minca mia a te! e stai attento con quei cazzi <strong>di</strong> ferri…<br />

Mi piacciono i palazzi vecchi e ogni giorno scopro un<br />

particolare che i restauri fanno brillare. Vorrei entrare in<br />

quelle case perché ho come la sensazione che nascondano<br />

segreti e misteri perché l’hanno vista crescere questa città.<br />

E cerco <strong>di</strong> leggere rapi<strong>di</strong>ssimo le targhette in ottone lucido<br />

dei campanelli: notaio Fassino, avvocato Puxeddu<br />

Corda, famiglia Cao Schinar<strong>di</strong>, famiglia Cao Schinar<strong>di</strong>,<br />

famiglia Cao Schinar<strong>di</strong>. Quelli che hanno tre campanelli<br />

<strong>di</strong> fila mi mettono invi<strong>di</strong>a - chissà quali segreti - e cerco <strong>di</strong><br />

scoprire le loro finestre e una volta ho visto affreschi ai<br />

soffitti e lampadari con gocce giganti.<br />

Ingegner Grimal<strong>di</strong> Pilo, dottor Maxia, niente. Quelli con<br />

le targhette in ottone lucido e liscio senza l’incisione - niente,<br />

appunto - hanno segreti e misteri ancora più gran<strong>di</strong>.<br />

Alla fermata quattor<strong>di</strong>ci e quin<strong>di</strong>ci ci sono le scuole, i licei<br />

e i ginnasi. E se non è orario <strong>di</strong> entrata-uscita non sale e<br />

non scende nessuno. Se è orario <strong>di</strong> entrata-uscita è uno<br />

schifo <strong>di</strong> casino e <strong>di</strong> puzza <strong>di</strong> ascelle e <strong>di</strong> pie<strong>di</strong>.<br />

Sul filobus deserto della sera mi piace stare col muso<br />

appiccicato al vetro e sento le porte che stantuffano: apri e<br />

chiu<strong>di</strong>, apri e chiu<strong>di</strong>. I segreti della meccanica. E penso <strong>di</strong><br />

essere a bordo <strong>di</strong> una carretta fantasma e maledetta che<br />

solca mari morti e porta sospiri e lamenti.<br />

Abbasso gli occhi e aspiro: oli e gomme grosse bruciate.<br />

Poi li riapro e lascio che le lampa<strong>di</strong>ne giallolurido mi accechino<br />

e vedo tutto sfumato, appannato, <strong>di</strong>latato e i fari<br />

delle macchine che sono serpenti <strong>di</strong> luce che sgusciano ra-<br />

67


pi<strong>di</strong>ssimi sull’asfalto. Fuggono in fretta in fretta. Via, lontano<br />

da queste strade.<br />

Appiccico naso e bocca al vetro grosso e respiro pesante.<br />

Sento l’odore della mia città che suda condensa e appanna<br />

questi vetri.<br />

Faccio scivolare le labbra e sento il sapore, mare salato e<br />

polvere nera, gas <strong>di</strong> scarico. Una volta ci ho anche passato<br />

la lingua, per assaggiare.<br />

– Che cazzo fai ragazzo?!<br />

– Mi scusi signore, mi scusi signor conducente…<br />

– Che cazzo vi fumate alla vostra età? e che cazzo…<br />

Assaggio la città, avrei voluto <strong>di</strong>re.<br />

Alle altre fermate, sino al capolinea della piazza dello<br />

sta<strong>di</strong>o vecchio per la via del mare, la gente scende e basta.<br />

La sera scendo solo io e proseguo a pie<strong>di</strong> con la mia sacca<br />

rossoblù.<br />

Mi guardo le scarpe ed evito la riga fra una mattonella e<br />

l’altra. Riga, hop e salto. Riga, hop e rallento per non finirci<br />

sopra con la punta del piede.<br />

I palazzi sono tutti nuovi e alti, ma non brillano neppure<br />

questi. Scendo qui perché ora qui ci abito, oltre lo sta<strong>di</strong>o<br />

dove una volta i ragazzi, i giovani della squadra, si allenavano<br />

e invece oggi ci alleniamo dall’altra parte della<br />

città, un po’ fuori dalla città fra i campi <strong>di</strong> gomme bucate,<br />

bruciate esauste. In mezzo a questa <strong>di</strong>arrea <strong>di</strong> periferia c’è<br />

il nostro campo verde smeraldo, gli spogliatoi luci<strong>di</strong>, i piccoli<br />

spalti <strong>di</strong> plastica colorata. Un’oasi arrogante nel deserto<br />

<strong>di</strong> erba lercia dove qualche volta c’è pure qualche<br />

pastore e qualche pecora ancora più lercia dell’erba e delle<br />

gomme.<br />

68<br />

* * *<br />

Le mie antenne, il mio scandaglio sotto pelle, lo avevano<br />

rilevato subito. Forse il mio fisico era nato per questo<br />

ma la mia mente sarebbe potuta andare molto più in là e la<br />

mia anima non sarebbe stata sod<strong>di</strong>sfatta.<br />

Ma non sono mai stato un figlio ribelle. Non potevo esserlo,<br />

quel posto era <strong>di</strong> Luigi.<br />

Gigi che da mesi nessuno aveva avuto più notizie.<br />

* * *<br />

– Cosa ha detto l’ambasciata, Antonio?<br />

Mio padre è un tipo pragmatico ma non senza cuore.<br />

– Maria, non ti preoccupare l’ambasciata ha detto che<br />

Luigi sicuramente avrà conosciuto qualche bella olandese,<br />

o è ancora con quella tedesca e ora chissà dove se la sta<br />

spassando. È già capitato a tanti ragazzi, vedrai che lo vedremo<br />

spuntare con un’altra bella stangona…<br />

Mia madre ci crede e non ci crede.<br />

– Speriamo… speriamo che non si presenti anche con<br />

un nipotino… in… in braccio…<br />

E piange.<br />

Vorrei essere anche io un figlio ribelle. Presentarmi a<br />

casa con tutti i miei libri nascosti nell’arma<strong>di</strong>etto dello<br />

spogliatoio e <strong>di</strong>re:<br />

– Non sarò un campione, non sarò nulla, mollo.<br />

Dire a mio padre che del calcio non ne voglio più sapere,<br />

<strong>di</strong>re a mia madre che vorrei fare cambio, cambio <strong>di</strong> vita.<br />

Andare al liceo e basta e stu<strong>di</strong>are latino-greco e filosofia.<br />

I poeti e i narratori. Gli eroi e i sognatori.<br />

69


Ma non sono un figlio ribelle e neppure senza cuore.<br />

Così avrebbe detto mia madre - senza cuore - che ora si<br />

consuma nel salotto.<br />

Vorrei fare questo ma oggi, oggi come posso?<br />

70<br />

Ottavo pezzetto<br />

Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ripetere<br />

e leggere. Quattro: ripetere e basta.<br />

Un delirio convulso o forse un’irrazionale auto<strong>di</strong>fesa. Insieme<br />

ai muscoli iniziai ad allenare il cervello, col metodo.<br />

Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ripetere<br />

e leggere. Quattro: ripetere e basta.<br />

– Ottavio, Ottà…<br />

Ottavio aveva un lettino <strong>di</strong>etro la stazione dei libri filosofia.<br />

E io ne approfittavo per farmi un giro da solo sui<br />

binari. Su e giù, avanti e in<strong>di</strong>etro. Una scimmia sui rami.<br />

– Ottà, ma libri moderni qui non ce n’è?<br />

Ottavio stava sulla branda e fumava, piano piano e faceva<br />

cerchietti. Con la mano destra pizzicava la sigaretta.<br />

Pollice in<strong>di</strong>ce stretti sul filtro, il me<strong>di</strong>o dritto, per aria.<br />

Con la sinistra accarezzava il suo cirneco, cane da caccia<br />

in prepensionamento.<br />

– Moderni come?<br />

E faceva cerchietti.<br />

– E moderni come? Moderni moderni. Qui il più recente<br />

avrà vent’anni.<br />

Soffiava risposte insieme ai cerchietti.<br />

– Sfasi sfila sfle sflentro.<br />

– Come? Ottà, non sento…<br />

– Prova alla libreria del centro!<br />

71


Ottavio scocciato e scazzato.<br />

– E dov’è?<br />

– Ah, aaaah a regazzì, del centro, ho detto del centro.<br />

E si spazientiva.<br />

– Dì che sei amico mio. Dì a Gabriele che ti mando io.<br />

Tu però chiamalo signor Rocca. Senti, fai così. Vai lì e gli<br />

<strong>di</strong>ci, bravo bravo: Signor Rocca mi manda Ottavio, Ottavio<br />

il suo <strong>di</strong>pendente che ora sta al liceo. Vai lì, bravo bravo,<br />

e gli <strong>di</strong>ci: sono qui per imparare. Tu <strong>di</strong>gli così: sono<br />

qui per imparare, non comprare capito? Imparare. Non<br />

comprare.<br />

– Ottà ho capito. Ma dov’è la libreria del centro?<br />

– Sficino sfzona sfedonale, sfvia Sfvenezia, sfvia Sfvenezia.<br />

Capito?! e mo non rompermi li cojoni.<br />

La beccai dall’alto del pullman che mi portava al campo.<br />

Il filobus delle tre vuoto, con tutti i posti a sedere liberi.<br />

Le teche in legno scuro sul muro esterno e le copertine<br />

colorate.<br />

Fu quella volta, mentre il walkman <strong>di</strong> mio fratello mi<br />

sparava nelle orecchie.<br />

– Spaccagli il culo, Vanni.<br />

Erano mesi che non avevano più notizie. Luigi, mio fratello.<br />

Fu quella volta, la prima volta col metodo.<br />

Quattro: ripetere e basta.<br />

Ero lì, al campo, sull’erbetta, faccia in terra e via con le<br />

flessioni.<br />

Le braccia andavano: uno, due, tre e quattro…<br />

E con loro la mente:<br />

Sento cantare l’America<br />

72<br />

gli inni variati intendo,<br />

i canti dei meccanici<br />

Cinque, sei, sette e otto<br />

E ognuno canta il suo nome<br />

come deve essere<br />

Nove<br />

Quello del carpentiere mentre<br />

misura tavola o tronco<br />

Dieci, un<strong>di</strong>ci<br />

Quello del muratore mentre<br />

s’avvia al lavoro o ne ritorna<br />

Do<strong>di</strong>ci, tre<strong>di</strong>ci e quattor<strong>di</strong>ci<br />

E odo il canto del calzolaio<br />

seduto al deschetto<br />

Quin<strong>di</strong>ci, se<strong>di</strong>ci, <strong>di</strong>ciassette e <strong>di</strong>ciotto<br />

Quello del cappellano<br />

che sta sempre in pie<strong>di</strong><br />

Diciannove<br />

Canta con gole aperte<br />

le sue forti canzoni<br />

E 20… Melo<strong>di</strong>ose!!!!<br />

Ci presi gusto e iniziai a farlo anche in partita.<br />

Sì, fu da quel giorno che al rientro scesi dal filobus <strong>di</strong>eci<br />

fermate prima e tornai a casa carico <strong>di</strong> nuovi libri nascosti<br />

nella sacca fra la mia <strong>di</strong>visa rossoblù.<br />

* * *<br />

Un campanellino legato alla porta, trilla e mi fa vibrare<br />

la schiena. Mi annuncia e vorrei farmi piccolo piccolo.<br />

73


Ma dentro, grazie a Dio, non c’è nessuno. Alzo lo sguardo:<br />

ci sono degli scaffali altissimi e libri, tanti libri. Più <strong>di</strong><br />

quelli della biblioteca del liceoginnasio. Abbasso lo sguardo<br />

e il pavimento è sbilenco, le mattonelle bianche a rettangoli<br />

ver<strong>di</strong> e neri litigano per stare in linea, e non ci riescono.<br />

Le seguo sino a che il mio sguardo non sbatte su<br />

un bancone enorme e scuro. Alzo gli occhi, lentamente.<br />

Sul banco ci sono i gomiti <strong>di</strong> un tipo sulla quarantina, ha<br />

gli occhi azzurrissimi, e quasi ride.<br />

– Dài avanti, entra.<br />

Giacca e pantaloni in velluto liscio marron.<br />

– Prego accomodati.<br />

Degli occhialini che gli penzolano sulla camicia crema.<br />

Entro ma mi nascondo subito <strong>di</strong>etro un espositore girevole.<br />

Afferro un libro e ci butto la faccia dentro.<br />

Il campanello suona ed annuncia altra gente. Risuona e<br />

il libraio non ha più occhi per me.<br />

– Giusta scelta signora…<br />

Sbircio.<br />

– L’ha letto? Signor Rocca?<br />

– No, però ne parlano tutti bene, <strong>di</strong> solito leggo romanzi<br />

non saggi.<br />

Il campanello vibra ancora e ancora.<br />

La libreria è peggio del mio bus quando mi porta a scuola.<br />

La gente spinge, si agita fra gli scaffali, afferra, sfoglia,<br />

va alla cassa, poi ci ripensa e ritorna alla cassa e poi agli<br />

scaffali e poi <strong>di</strong> nuovo alla cassa con altri libri. La libreria<br />

è peggio del mio bus quando mi riporta da scuola con le<br />

signore che chiacchierano e non la finiscono più e mi pungono<br />

le gambe con le buste della spesa cariche <strong>di</strong> carciofi.<br />

Fermata do<strong>di</strong>ci e tre<strong>di</strong>ci.<br />

74<br />

Anche la libreria ondeggia, come il mio bus ad ogni fermata.<br />

Ma signor Rocca lascia fare, sa che il vortice prima<br />

o poi troverà il suo or<strong>di</strong>ne naturale.<br />

Alla cassa c’è anche una signora dalle lentiggini rosse,<br />

come i capelli raccolti sulla nuca e bloccati da una grande<br />

matita. Batte veloce sui tasti bianchi e rossi e infila i libri<br />

in bustine scintillanti, come i suoi occhi.<br />

Eccomi, sono incantato al centro <strong>di</strong> questa giostra, fra<br />

il parlottare fitto e il via vai ritmato dal campanello che<br />

annuncia isterico entrate e uscite. Ho un libro in mano<br />

ma non lo leggo, guardo ma non vedo e non mi accorgo<br />

che signor Rocca è lì davanti a me che mi sorride o forse<br />

ride.<br />

Tremo ma mi butto.<br />

– Sono qui per imparare… – e mi vergogno e mi guardo<br />

intorno.<br />

– Lo so, lo so, ti manda quel matto <strong>di</strong> Ottavio, vero?<br />

Faccio sì sì con la testa.<br />

– Vieni, ti trovo io un posto tranquillo.<br />

E lo seguo.<br />

Per me c’è un corridoio, stretto e lungo e alla fine una<br />

stanza esagonale con i volumi che si arrampicano su una<br />

libreria a sei facce. Al centro una poltroncina girevole.<br />

75


Nono pezzetto<br />

Decollo, volo. Eccomi alla tre quarti, la palla al piede,<br />

salto un avversario. Me ne trovo un altro davanti, finto, lo<br />

lascio <strong>di</strong> stucco e lo supero. Sono davanti al portiere, a sinistra<br />

arriva un <strong>di</strong>fensore. Prendo la mira, mi sento come<br />

un pilota su un Mig. Avvistamento, puntamento, fuoco.<br />

Lo lascio lì in ginocchio, la palla <strong>di</strong>etro la sua schiena e i<br />

miei compagni che mi saltano addosso. Anche Demetrio.<br />

Eccomi sul terreno <strong>di</strong> gioco che sarà il terreno della mia<br />

vita. E non ci sarà via <strong>di</strong> scampo se lascio che il mio fisico<br />

faccia ciò che sa fare. Se le mie gambe sapranno saltare e<br />

correre e dribblare e ballare con un pallone in mezzo ai<br />

pie<strong>di</strong> e sapranno cucire nuove balistiche e infrangeranno<br />

le leggi della fisica e dell’umano intelletto.<br />

Sono nato per questo e forse anche per altro.<br />

Eccomi, ecco che vado via da questo campo che non mi<br />

appartiene e corro verso gli spogliatoi. Con la rabbia che<br />

mi <strong>di</strong>vora le viscere.<br />

E non ho nulla nella testa che possa darmi pace.<br />

Corro sotto la doccia e rimango lì nudo sinché l’acqua<br />

calda non <strong>di</strong>venta tiepida e poi fredda.<br />

– Non credevo lo avessi così piccolo.<br />

Demetrio mi guarda e le sue pupille sono due laser.<br />

– Non è piccolo e poi fatti i cazzi tuoi.<br />

E poi me ne pento. E poi mi vergogno.<br />

77


* * *<br />

Credo <strong>di</strong> essere stato il primo <strong>di</strong>ciassettenne a sedere<br />

sulla panchina della squadra dei gran<strong>di</strong>, la serie A proprio<br />

nell’anno del nostro quinto scudetto. Giocai poco,<br />

anzi nulla. Ma osservai tanto, tantissimo, abbastanza per<br />

capire che mi ero ficcato in un brutto guaio. Avrei potuto<br />

ingoiare e <strong>di</strong>gerire tutta la biblioteca nazionale britannica,<br />

non mi sarebbe bastato, avrei comunque dovuto fare i<br />

conti con tutti loro e quelli che c’erano <strong>di</strong>etro e quelli che<br />

c’erano intorno.<br />

Lo capii dopo la prima volta che scesi in campo, un anno<br />

dopo. Lo sta<strong>di</strong>o ululava e la squadra non girava. I<br />

compagni avevano la testa imballata, le gambe imbrigliate.<br />

Il mister sbavava e ringhiava peggio <strong>di</strong> un cane da presa.<br />

In campo i miei ragliavano come asini alla luna, ma<br />

non si mettevano d’accordo, non si intendevano con gli<br />

sguar<strong>di</strong>, figurarsi con le parole. Fu forse per rabbia, sicuramente<br />

per umiliarlo che il mister fece cenno a Magni <strong>di</strong><br />

uscire dal campo, a me <strong>di</strong>ede una pacca sulla spalla e bisbigliò:<br />

Preparati.<br />

Sugli spalti si scatenò il finimondo, urla, fischi. Forse al<br />

mister non venne risparmiata fra gli insulti neppure la cugina<br />

<strong>di</strong> quinto grado. Ma lui era lì, impassibile, sicuro <strong>di</strong><br />

voler punire Magni, il campione, il capocannoniere che<br />

non era in grado <strong>di</strong> piegare quella squadretta ancora fresca<br />

<strong>di</strong> serie B. Fischiavano, urlavano. Entrai in campo e<br />

mi guardai intorno. Se tanta rabbia e tanta foga l’avessero<br />

messa nelle loro vite, non avremmo avuto una città con il<br />

35 per cento <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupati.<br />

Non fu un buon inizio. Venni atterrato al primo contat-<br />

78<br />

to <strong>di</strong> palla. Steso al secondo, falciato al terzo. L’equazione<br />

era facile, mi avevano preso per un birillo da buttare a<br />

terra, per un pischello da spaventare.<br />

Ok, gioco da ragazzi. Dovevo soltanto saltare un po’ <strong>di</strong><br />

più, essere un po’ più veloce. Far fare al mio fisico quello<br />

per cui era stato creato.<br />

* * *<br />

E allora eccomi, eccomi con la palla a metà campo: passo,<br />

mi smarco, corro sulla fascia, aspetto che ritorni la<br />

palla, ed eccola puntuale. Un pallonetto per il piede sinistro<br />

che sposto sul destro.<br />

La mia mente era uno specchio<br />

vedeva ciò che vedeva, sapeva ciò che sapeva.<br />

In gioventù la mia mente era solo uno specchio<br />

d’un auto in rapida corsa,<br />

che coglie e <strong>di</strong>sperde frammenti <strong>di</strong> paesaggio<br />

Un treno in maglia biancoazzurra mi punta, ma ho già<br />

capito il gioco, arriverà dritto sulle caviglie, basta aspettarlo<br />

sul binario e poi spostarsi all’ultimo istante. Lui andrà<br />

dritto, mi sfiorerà ma non mi colpirà. Come da copione,<br />

volo verso l’area <strong>di</strong> rigore.<br />

Poi con il tempo gran<strong>di</strong> graffi solcano lo specchio,<br />

e lasciano che il mondo esterno vi penetri<br />

e il mio io più segreto vi affiori.<br />

Poiché questa è la nascita dell’anima nel dolore,<br />

una nascita con vincite e per<strong>di</strong>te.<br />

Ne arrivano altri due, sul gioco a tenaglia non avrei<br />

scampo e allora… <strong>di</strong> nuovo sul mio Mig: avvistamento,<br />

puntamento, fuoco. Angolo sinistro della porta.<br />

79


La mente vede il mondo come cosa a sé,<br />

e l’anima unisce il mondo al proprio io.<br />

Uno specchio graffiato non riflette immagine<br />

e questi è il silenzio della saggezza.<br />

* * *<br />

Quelli che stanno <strong>di</strong>etro, intorno, sono i peggiori. E anche<br />

questo tutti lo sanno.<br />

L’ho capito quella sera, con i capelli ancora bagnati e il<br />

blazer infilato in fretta e furia, sotto i riflettori delle telecamere,<br />

ferito agli occhi dalla slavina dei flash.<br />

Pro<strong>di</strong>gio, pro<strong>di</strong>gioso era l’aggettivo più sprecato, non<br />

sapevano <strong>di</strong>re altro. Un pro<strong>di</strong>gio che aveva salvato la squadra.<br />

E poi: Come ci si sente? Che effetto fa?<br />

E come ci si sente e che effetto volete che faccia? Niente<br />

e nessuno avrei voluto rispondere. Specie a quello che<br />

sentivo in cuffia. Mi urlava trafelato che prima <strong>di</strong> me a<br />

quell’età solo un certo Passito dell’Uruguay nel millenovecentosettantadue<br />

contro il Paraguay nella Coppa Sud<br />

America a Rio De Janeiro al quarantaduesimo del secondo<br />

tempo arbitrato da tal Fritz tedesco ma oriundo argentino<br />

che aveva arbitrato pure Italia-Svizzera in amichevole…<br />

Un autistico.<br />

Lo vi<strong>di</strong> il lunedì notte alla tivù, sguaiato con quel colore<br />

<strong>di</strong> capelli biondo antico, quasi bronzo. Sbraitava che i ragazzini<br />

al calcio non bisognava farli giocare, si chiedeva<br />

se il mio equilibrio psichico avrebbe retto, che rischiavo<br />

<strong>di</strong> essere un fuoco <strong>di</strong> paglia. Raccontò ancora del povero<br />

Passito, senza le censure del giorno prima, perché, sì, era<br />

80<br />

stato un fenomeno ma per poco, morto a 23 anni alcolizzato<br />

che non era riuscito a eguagliarsi e a reggere i ritmi.<br />

Chissà che faccia farà domani quando mi troveranno,<br />

quando dovrà stendere il mio epitaffio. Potrebbe leggersi<br />

Spoonriver, così giusto per prendere le misure. Ma ho<br />

paura che anche scandendogli lentamente le sillabe lo<br />

scambierebbe per un cocktail, tipo screwdriver o gin-fizz.<br />

Da giovane le mie ali erano<br />

forti e instancabili<br />

ma non conoscevano le montagne.<br />

Da vecchio conoscevo le montagne, ma le mie ali stanche<br />

non potevano seguire<br />

la visione.<br />

Il genio è saggezza e gioventù.<br />

81


Decimo pezzetto<br />

Un cenno della mano e uno degli occhi. Rocca spulcia<br />

gli or<strong>di</strong>ni aggiustandosi gli occhialini a mezza luna. Chino<br />

su quel bancone in noce. Sul quel bancone dove mi<br />

aspettava già una pila <strong>di</strong> libri. Quelli che stavo leggendo,<br />

spuntano i segnalibro. Quelli ancora da leggere, con le<br />

pagine incollate.<br />

– Seguimi, – mi aveva detto e ormai la strada la conoscevo.<br />

Fra gli scaffali alti, imponenti, si apre il corridoio. Il<br />

corridoio stretto che porta alla piccola stanza esagonale.<br />

La libreria esagonale con al centro la poltroncina girevole<br />

in pelle rossa. La mia poltroncina.<br />

Signor Rocca non mi chiede mai una lira ma io pago<br />

puntuale a fine lettura. Ritiro il libro che voglio non resti<br />

lì.<br />

Signor Gabriele Rocca mi ha sempre capito. Bastarono<br />

solo due parole il primo giorno. – Seguimi. – E lo seguii. –<br />

Puoi leggere qui se vuoi, nessuno ti <strong>di</strong>sturberà. – Bastarono<br />

poche parole. Come con mio fratello. – Fagli il culo<br />

Vanni. – Gigi, mio fratello, che hanno trovato gonfio come<br />

un palloncino in un canale <strong>di</strong> Amsterdam. Overdose,<br />

<strong>di</strong>sse l’ambasciata. E il viso mangiato dai pesci.<br />

– Overdose, – <strong>di</strong>sse mio padre nel salotto <strong>di</strong> casa tenen-<br />

83


do la mano <strong>di</strong> mia madre che iniziò a piangere e non smise<br />

mai più. Del viso e dei pesci e della loro voracità non le<br />

<strong>di</strong>sse mai nulla.<br />

* * *<br />

Gigi, solo Nannino ebbe il coraggio <strong>di</strong> vederlo prima<br />

che gli saldassero sopra il coperchio <strong>di</strong> zinco.<br />

Qui in questo spogliatoio lo ricordo mio fratello. E decido<br />

<strong>di</strong> farla finita come lui troppi anni fa. Anche io sono<br />

<strong>di</strong>ventato ribelle, ora che i miei non ci sono più.<br />

Ci do un taglio netto anch’io, ora, con coscienza. Non<br />

ho nessuno da far soffrire, io.<br />

È rimasto zio Nannino e i cugini. Ma quelli li sento solo<br />

all’inizio della stagione quando gli invio l’abbonamento.<br />

È rimasto lo zio perché gli altri li ha <strong>di</strong>vorati il dolore. In<br />

verità è restato anche mio padre, ma per metà, un po’ qui<br />

e un po’ chissà dove. È restato ma non sente più nulla. Almeno<br />

credo. Così mi sembra quando vado a trovarlo in<br />

clinica. Ma forse è solo una mia speranza.<br />

Eccomi sono qui che mi ricordo quando ero lì, al funerale.<br />

Indosso la giacca della società. Affianco i miei, <strong>di</strong>etro<br />

tutta la squadra e signor Anicetto e Mister Ettore e<br />

Demetrio e il mister nuovo e Magni che piangono come<br />

vitelli. E ci sono anche quelli che hanno scritto sui muri<br />

della città: Tutti a Torino per Gigi. E io non ho capito,<br />

tutti chi? A Torino per chi? E perché? Per chi? Per loro?<br />

Per me?<br />

Per me che non posso piangere né mai più <strong>di</strong>re “basta,<br />

sono anche io un figlio ribelle”?<br />

Dopo andai a vivere con tutti i miei libri.<br />

84<br />

In questa città non era <strong>di</strong>fficile muoversi se eri qualcuno,<br />

qualcuno del campo, dell’arena. Ti fermavano, ti stringevano<br />

la mano, ti facevano occhiolino, al massimo qualche<br />

autografo ma ti lasciavano vivere in pace, ti lasciavano l’aria.<br />

In questa città non era <strong>di</strong>fficile neanche fare affari se eri<br />

qualcuno. E tutti volevano farti fare l’affare e poi <strong>di</strong>re:<br />

Glielo fatto fare io l’affare. Appartamentini in centro, villette<br />

in periferia, bifamiliari al mare, ruderi da ristrutturare,<br />

ruderi già ristrutturati con o senza termoascensore,<br />

no animali, sì bambini, no garage, sì cantina grande e con<br />

finestra, sì box auto, no riscaldamento autonomo, sì riscaldamento<br />

centralizzato.<br />

Alla fine ne ho preso una sopra le banche. Sotto ci sono<br />

uffici e basta. Sopra io che da qui vedo il porto e il mare.<br />

Ma ora, come ieri, a casa ci sto poco. Oggi la sera in<br />

poltrona con un libro, ieri davanti alla tivù con Demetrio<br />

che porta le videocassette per rivedere ogni nostra azione<br />

ogni nostra mossa sul campo. E questa è una cosa che tutti<br />

quelli del calcio sanno.<br />

Uno: registrare. Due: guardare e riguardare. Tre: capire<br />

e non sbagliare più.<br />

Demetrio, quando ancora mascherava. Demetrio quando<br />

ancora eravamo compagni <strong>di</strong> squadra, anche se lui in<br />

A c’è arrivato dopo <strong>di</strong> me. Anche se lui era più grande, anche<br />

se lui l’invi<strong>di</strong>a l’aveva nascosta bene.<br />

Eccomi a mettere nel conto le fregature. Ma non mi levo<br />

dalla scatole per questo. Questo è troppo banale. Non per<br />

questo, per nessun’altra ferita: non valgono quello che sto<br />

per fare. Le mie antenne lo sanno. Ho preso coscienza.<br />

85


Quello, quello fu solo un altro episo<strong>di</strong>o nell’appren<strong>di</strong>stato.<br />

Tutto qua. E ora, qua giù, in questo spogliatoio che sto<br />

per lasciare, mi scappa <strong>di</strong> nuovo da ridere e ora potrei anche<br />

farlo, visto che i compagni hanno già invaso l’area arma<strong>di</strong>etti,<br />

la barba fresca <strong>di</strong> barbiere che apre per loro la<br />

domenica, e hanno iniziato a cambiarsi. Urlano e come al<br />

solito, già dalla Prima, organizzano l’andata in <strong>di</strong>scoteca<br />

del dopopartita: si scambiano minchiate, progetti e preservativi,<br />

ridono perché sanno cosa li aspetta questa notte,<br />

che si vinca o si perda.<br />

Prima <strong>di</strong> <strong>campionato</strong>, riapre lo sta<strong>di</strong>o, riapre la <strong>di</strong>scoteca<br />

della domenica e la caccia è aperta.<br />

È stato così per ogni anno della mia carriera. Finita la<br />

partita, <strong>di</strong> corsa a casa, poi a ballare. La prima volta che mi<br />

ci hanno portato avevo vent’anni, avevo resistito a lungo<br />

ma alla fine mi avevano convinto. Quel cinque a zero, tre<br />

gol miei, andava proprio festeggiato.<br />

* * *<br />

Al Para<strong>di</strong>se Disco il pubblico è <strong>di</strong>viso in tre categorie,<br />

anzi quattro: noi i calciatori, le donne, quelli che procurano<br />

le donne ai calciatori e infine quelli che invi<strong>di</strong>ano noi i<br />

calciatori, le donne e gli accompagnatori.<br />

Le ragazze ci sfilano vicine, sorridono, abbassano lo<br />

sguardo nei loro vestitini, sui tacchi sproporzionati. Arrivano<br />

a un soffio dal nostro naso, ridacchiano, scortate sotto<br />

braccio da uno che subito se ne va sussurrando: Hai visto<br />

che te l’ho presentato?<br />

La musica viaggia e non è neanche il solito rigurgito <strong>di</strong><br />

questi posti qua. Le luci tagliano l’aria e sto anche per but-<br />

86<br />

tarmi, il piede segue il ritmo, le spalle iniziano a roteare. I<br />

miei compagni, intorno, sono già persi, lanciati. Spanti<br />

sbraita e <strong>di</strong>ce cose da spogliatoio avanzato. Magni bisbiglia<br />

frasi all’orecchio. Capisco che non fa <strong>di</strong>fferenza. Non<br />

ci vuole metodo qui. Non fa <strong>di</strong>fferenza tanto il risultato è<br />

lo stesso: quelle ridono e fanno certi risolini che sembrano<br />

criceti.<br />

Okey, chiaro, capisco anche questo gioco, meglio andare<br />

a ballare.<br />

– Ciao Vanni, sempre pensieroso? O stai pensando ai<br />

bambini del Ruanda?<br />

La guardo ma non capisco. Poi provo a ricordare.<br />

Deve aver visto quella trasmissione televisiva, quella del<br />

calcio in favore delle adozioni a <strong>di</strong>stanza. C’ero andato,<br />

avevo devoluto qualche milione.<br />

– Allora Vanni, due salti in pista?<br />

La guardo meglio e la riconosco. In quel talk-show era<br />

seduta affianco a me, però non aveva detto niente: accavallava<br />

le gambe e poi accavallava le gambe sino ai titoli <strong>di</strong> coda.<br />

Nelle trasmissioni successive le avevano permesso <strong>di</strong><br />

fare qualcosa <strong>di</strong> più: le prime risatine e i primi sorrisetti.<br />

* * *<br />

Oggi è un’opinion maker. L’ho vista l’altra sera che la<br />

intervistavano sulla nuova caduta del governo, poi all’ultimo<br />

prêt-à-porter e infine a una manifestazione <strong>di</strong> ambientalisti.<br />

Ma allora era solo un nome buffo: Vanesia Flesh.<br />

E un bel paio <strong>di</strong> gambe. Belle ma fragili. Dopo <strong>di</strong>eci<br />

minuti <strong>di</strong> balli era già stanca. Si fece riaccompagnare a casa<br />

e si fece rimboccare le lenzuola, con me dentro.<br />

87


* * *<br />

Sono una corda, teso. Mai fatto. E ci provo col metodo.<br />

Unisco i ricor<strong>di</strong>. Le foto del vecchio spogliatoio, le foto <strong>di</strong><br />

Signor Anicetto: rockstar martire bionda con un <strong>di</strong>to sulla<br />

coscia destra e un <strong>di</strong>to sulla coscia sinistra… Le code<br />

delle cassette <strong>di</strong> Demetrio… In coda alla nostra partita ci<br />

sono sempre due che se le danno <strong>di</strong> santa ragione, per pochi<br />

minuti ma se le danno <strong>di</strong> santa ragione. Demetrio è<br />

sempre stato un po’ avido e ci registrava sopra - le nostre<br />

azioni - i programmi della tivù del quartiere dopo le 2 <strong>di</strong><br />

notte, zozzi zozzi. E poi <strong>di</strong> nuovo le nostre azioni.<br />

Uno: ricordare. Due: ricordare e ripetere. Tre: ripetere<br />

e basta.<br />

Tipo: flessioni, flessioni, addominali alti, addominali<br />

bassi, glutei, fianchi.<br />

Lei urla, urla conficcandomi le unghie <strong>di</strong>etro la schiena.<br />

Tipo: lingua, culo tette, cazzo figa.<br />

Mi sa che è così. Ma non si finisce mai.<br />

Sto per esplodere e il calore mi infiamma lo stomaco, mi<br />

pizzicano le guance poi il petto, mi scoppiettano i capelli<br />

poi la gola, mi si asciugano le labbra e guaisco come il cane<br />

<strong>di</strong> Ottavio con la prof Cardìa.<br />

– Guuuai! Guai! Guai a te!<br />

Ma questa mi sta artigliando una palla, me la artiglia con<br />

le sue unghie smaltate e finte.<br />

– Guai!<br />

E io riporto tutti a cuccia. Come il cane <strong>di</strong> Ottavio giù<br />

nella biblioteca del liceoginnasio quando scendeva la prof<br />

Car<strong>di</strong>a, che era pure rachitica, ma per lui che si attaccava<br />

alla gamba non faceva <strong>di</strong>fferenza.<br />

88<br />

Guai! Gli urlava Ottavio con la faccia del demonio dell’inferno<br />

dei cani quadrupe<strong>di</strong> che vogliono <strong>di</strong>ventare bipe<strong>di</strong>.<br />

Quello muso basso, coda fra le pallette, se ne tornava<br />

<strong>di</strong>etro la stazione dei libri filosofia.<br />

– Guai!<br />

E questa rantola per qualche minuto e poi <strong>di</strong> nuovo addominali<br />

alti, addominali bassi, flessioni, anche e glutei.<br />

E io alleno braccia e mente.<br />

Pieni <strong>di</strong> te ho miei poveri occhi<br />

Uno, due, tre, quattro…<br />

come un pantano è <strong>di</strong> lume <strong>di</strong> luna<br />

E lei miagola: e cinq e se, e set e ott…<br />

e ti adoro<br />

piegato sui ginocchi<br />

E lei urla e trema come una tarantola e spalanca la bocca.<br />

E nov e <strong>di</strong>eci, und e dò…<br />

o bionda che sei bionda<br />

e sembri bruna<br />

* * *<br />

Frazzi sparito con la bion<strong>di</strong>na raccontò <strong>di</strong> certi giochi <strong>di</strong><br />

bocca, Spanti invece era inviperito perché quella da <strong>di</strong>etro<br />

non ne aveva voluto sapere, e via tutti gli altri a sfoderare<br />

posizioni, prestazioni, ritmi, orgasmi, erezioni da record,<br />

eiaculazioni al rallenty.<br />

È sempre stato così, ne ho visto mille giocatori finire<br />

nelle spire del Para<strong>di</strong>se. I pudori arrivano nei mesi successivi,<br />

pian piano Frazzi iniziò a parlare sempre meno dei giri<br />

<strong>di</strong> lingua della bion<strong>di</strong>na che nel frattempo aveva iniziato<br />

a chiamare affettuosamente Marzia. Spanti dal girone <strong>di</strong><br />

89


itorno non si lamentò più della sua Erika. Le rivelazioni, i<br />

kamasutra da spogliatoio, i racconti boccacceschi formato<br />

tacchetti e calzoncini, finirono per farsi più rari. Un<br />

processo inversamente proporzionale all’avvicinarsi della<br />

date dei matrimoni con la Erika e la Marzia, la Silvia e la<br />

Janira, la Katy e la Natasha ex reginette del Para<strong>di</strong>se.<br />

Questi, che hanno invaso il mio spogliatoio per l’ultima<br />

<strong>di</strong> <strong>campionato</strong>, questi della nuova squadra messa su con<br />

gli stranieri, il Para<strong>di</strong>se Disco lo conoscono solo dai racconti<br />

<strong>di</strong> noi veterani che ci an<strong>di</strong>amo per <strong>di</strong>porto, per un<br />

po’ <strong>di</strong> allenamento in più, per sentirci superiori a chi fra<br />

quei <strong>di</strong>vanetti ha lasciato la libertà.<br />

E rido anche io ora con loro che col metro stanno misurando<br />

M’Botò, <strong>di</strong>cono che è un <strong>di</strong>nosauro, ottima dote<br />

per il Para<strong>di</strong>se.<br />

Ora rido perché l’altra mia carriera l’ho iniziata lì, in <strong>di</strong>sco.<br />

Ridacchio perché so che il solito stregone in vena <strong>di</strong><br />

analisi psicologiche azzarderà che circolava in me un’omosessualità<br />

velata. Con tutte le cautele possibili, ignorando<br />

la fattispecie del caso ed essendo fra l’altro eticamente<br />

contrarissimo a qualsivoglia parere fondato su una<br />

conoscenza superficiale o soltanto a <strong>di</strong>stanza del caso medesimo,<br />

nonché col massimo rispetto umano, azzarderà<br />

in me un’omosessualità latente, non manifesta ma latente,<br />

non riconosciuta. E se anche, sia ben chiaro, così fosse<br />

stato, questo non avrebbe comunque inficiato le qualità<br />

dell’uomo e dello sportivo, e in egual misura, perché lo<br />

sportivo è prima ancora uomo che atleta. Perché se così<br />

fossi stato, questo in fondo non avrebbe che potuto favorire<br />

la mia sensibilità. Anche perché le minoranze… E poi<br />

90<br />

il <strong>di</strong>verso va sempre tutelato e, ampiamente, con i dovuti<br />

<strong>di</strong>stinguo, compreso. Il <strong>di</strong>verso.<br />

Così <strong>di</strong>rebbe. Magari a telecamere accese. Sulla mia<br />

tomba.<br />

Ridacchio perché il solito stregone in vena <strong>di</strong> analisi psicologiche<br />

azzarderà che in fondo temevo le donne e rifuggivo<br />

il confronto in tempi dove l’esasperazione del rapporto<br />

e della competizione, come testimoniano i numerosi<br />

sondaggi, hanno scoperto il nervo e portato all’attenzione<br />

della pubblica opinione quella che una volta veniva<br />

definita la guerra, o la pace armata, con l’altra metà del<br />

cielo, il sesso debole che oggi si prende ampiamente le sue<br />

rivincite sebbene ricalcando il modello maschile.<br />

Così <strong>di</strong>rebbe. Magari in prima pagina. Dopo il mio funerale.<br />

Balle.<br />

Temo solo che qualcuno rientri nel mio mondo che si<br />

regge su un fragile equilibrio. E anche questa è una banalità<br />

che tutti sanno.<br />

Ma è solo una questione <strong>di</strong> istanti, domani il mio pianeta<br />

verrà <strong>di</strong>sintegrato da un meteorite gigante. Clic e mi levo<br />

dalle scatole.<br />

* * *<br />

Dietro due, due che vendono assicurazioni e non so cosa,<br />

che hanno un bar, anzi no un caffè e una boutique e<br />

non so cos’altro. Due che si occupano <strong>di</strong> non lasciare che<br />

del maiale nulla vada perso, nulla vada buttato. Il maiale:<br />

noi giocatori <strong>di</strong> questa società. Porci con le braghe e le<br />

scarpette bullonate.<br />

91


Due che viaggiano verso i quaranta. Due che si mascherano<br />

con abiti alla moda e creme. Ma gli occhi e la bocca le<br />

tra<strong>di</strong>scono.<br />

– Due vecchie cadreghe.<br />

Demetrio ha il vizio per quelle più gran<strong>di</strong> <strong>di</strong> noi.<br />

– Ci facciamo pagare tutto.<br />

E l’indole da puttana.<br />

Io mi <strong>di</strong>verto. Loro sono l’eccezione e confermano la<br />

mia regola. Hanno due tettine che sembrano pomodori<br />

secchi pugliesi. E lo so, levato il reggiseno sarà pure peggio.<br />

Ma hanno il culo niente male.<br />

– Merito dei massaggi.<br />

Demetrio le ha agganciate al centro <strong>di</strong> benessere in<br />

quella villetta fuori città dove il giovedì si riversa mezza<br />

squadra.<br />

Loro sono l’eccezione che confermano la mia regola: intellettualmente<br />

piatte, umanamente aride e arrabbiate.<br />

Furiose perché a quaranta devono ancora uscire in coppia,<br />

come ai se<strong>di</strong>ci e ai venti, anni <strong>di</strong>co.<br />

Dunque la storia è così. La so bene perché ne ho visto<br />

tante, troppe. Queste ai trenta erano convinte <strong>di</strong> essersi<br />

fermate e stavano programmando. Casa, arredo, fuoristrada<br />

maxi lui, fuoristrada mini lei. I colori delle tende,<br />

gli sgabelli della cucina, le poltrone in pelle, tv siderale<br />

picture in picture, antenna spaziale, computer funambolico,<br />

tappeti design, letto design, cabina spogliatoio moda<br />

moda.<br />

Il sistema picture in picture è quello che ti permette sulla<br />

tivù <strong>di</strong> aprire una finestrella con un altro canale e seguire<br />

due programmi in contemporanea. A tutto schermo la<br />

trasmissione che ti interessa, su un riquadro quella che<br />

92<br />

vuoi giusto tenere d’occhio. Così quando lì in basso, o in<br />

alto, scegli tu dove posizionarla - la finestrella <strong>di</strong>co - succede<br />

qualcosa <strong>di</strong> grosso, zac, schiacci il pulsantino PP ed<br />

ecco lo scambio <strong>di</strong> immagini. Il grande nel piccolo, il piccolo<br />

nel grande.<br />

Il PP segue una teoria e dà una sicurezza in più al consumatore:<br />

ti fa tenere tutto sotto controllo.<br />

E queste infatti erano due, sono due, che vogliono tenere<br />

tutto sotto osservazione. Dominare.<br />

Peccato però che poi i tipi, i loro tipi, alla faccia del PP,<br />

se la sono data per tempo, spariti, fuggiti.<br />

Cioè questi se la sono data a gambe con le pubblicazioni<br />

già fatte, i testimoni già in arrivo da chi sa dove comunque<br />

da lontano che si era pure prenotato l’albergo migliore<br />

della città.<br />

Svaniti, evaporati con tipine ventenni o giù <strong>di</strong> lì. E queste<br />

due vecchie <strong>di</strong>sgraziate, unite dal destino, si sono incazzate<br />

a morte. E sono rimaste sole con la tivù pikciarinpikciar<br />

che ora non è neppure più tanto <strong>di</strong> moda.<br />

Allora hanno iniziato a o<strong>di</strong>are.<br />

– Voi uomini alla fine pensate solo a una cosa.<br />

E intanto ci spolpano con gli occhi.<br />

– Praticamente uno a fine serata mi guarda e fa: an<strong>di</strong>amo<br />

da me o da te?<br />

Le loro unghie, perfettamente affilate e smaltate.<br />

– Dico, non so se mi spiego, ma chi ti cre<strong>di</strong>, da Me o da<br />

Te? Ma manco abbiamo mangiato nello stesso piatto assieme.<br />

Da Me o da Te? Ma vai…<br />

Ma tanto non ci credo che è andata così.<br />

– E io cosa ho fatto? Mollato l’ho, così impara, bavoso<br />

che ci stava pure perdendo i capelli e se li tingeva con<br />

93


quella cosa, quella cosa che fanno un casino <strong>di</strong> passaggi in<br />

tivù…<br />

I passaggi in tv.<br />

– Quella cosa, come si <strong>di</strong>ce in italiano, lo spray…<br />

In italiano.<br />

– La bomboletta, la bomboletta che ti fa nera la pelle<br />

della testa…<br />

Il cuoio capelluto.<br />

– Come quel vostro compagno, quello che stava con<br />

quella che faceva le sfilate, quella che se la faceva anche<br />

con quello che cià la concessionaria, lì, lì fuori nella zona<br />

industriale, quello che poi <strong>di</strong>cono, oh può anche essere <strong>di</strong><br />

questi tempi, che le auto arrivavano rubate dai parcheggi<br />

degli alberghi in California, a Las Vegas…<br />

Geografie.<br />

– Comunque quel vostro compagno che abbiamo venduto,<br />

quello che abbiamo venduto perché era depresso…<br />

Abbiamo venduto? Come: abbiamo?<br />

– Praticamente noi lo sappiamo che non era depresso.<br />

Cioè l’abbiamo venduto…<br />

E lo sguardo è complice.<br />

– Dàiii e dài che lo sapete anche voi perché l’abbiamo<br />

venduto, dài che lo sapete… oh ma non <strong>di</strong>temi che credevate<br />

anche voi che era depresso.<br />

Io, manco ho capito <strong>di</strong> chi parlano, l’anno scorso ne<br />

hanno venduto <strong>di</strong>eci, panchina compresa, cinque con i<br />

capelli così così e otto fidanzati con modelle.<br />

– Dài ci state prendendo in giro, lo sapevano tutti che si<br />

era beccato la sifilide e che abbiamo rifilato il pacco agli<br />

altri. Manco più sulle gambe si reggeva.<br />

Forse pure prima - prima della fuga dei tipi - queste due<br />

94<br />

erano così. Non so, so solo che queste due ai trentuno, anni<br />

<strong>di</strong>co, hanno dovuto riprendere. Sono tornate in pista e<br />

non ne avevano nessuna intenzione. E ora non hanno neppure<br />

più i numeri, sono modelli passati e <strong>di</strong> questi tempi<br />

ne girano certe che gli sfrecciano veloci affianco e loro si<br />

avviliscono.<br />

Non se l’aspettavano, e no che non se l’aspettavano. Potrebbero<br />

farmi pena ma sono troppo arrabbiate e allora<br />

affari loro.<br />

Cacchi loro se a cena hanno vomitato veleno su tutto e<br />

tutti, se per strappare i contratti migliori si spolpano il<br />

cliente, dopo essersi spolpate la concorrenza, dopo essersi<br />

spolpate il conto in banca per un fuori strada maxi moda<br />

moda, una vacanza in Giamaica lusso lusso. Tanto nulla,<br />

neppure girare a braccetto col nostro presidente, rimorchiare<br />

bestie a Nassau, lucidare il vetro del nuovo<br />

schermo piatto piatto che più piatto non si può, le salverà<br />

dalla solitu<strong>di</strong>ne e dall’angoscia <strong>di</strong> non essere state qualcosa<br />

per qualcuno.<br />

– E col cazzo, scusa l’espressione, che a quello <strong>di</strong>eci milioni<br />

li davamo. Tutti e <strong>di</strong>eci no… praticamente arriviamo<br />

lì che abbiamo pagato per la piscina fronte stanza, perché<br />

il depliant <strong>di</strong>ceva fronte stanza e invece era lì a cento metri<br />

dopo un vialetto che secondo me ci passavano i serpenti<br />

nel vialetto. Allora lo abbiamo chiamato e li abbiamo<br />

piazzato un casino, primo che li facevamo perdere i clienti<br />

che assicurati con noi sono…<br />

– E anche clienti del caffè…<br />

– E anche clienti del caffè e minimo minimo li giravamo<br />

all’agenzia del cognato che dopo che se n’è scappato con<br />

la sorella più piccola dopo aver lasciato la più grande e si è<br />

95


aperto un’agenzia da solo, li brillavano gli occhi solo al<br />

pensiero. Oh a quello li brillano gli occhi solo se lo telefono<br />

io.<br />

Gli, pronome personale.<br />

– Allora li ho detto che li scatenavo pure l’assicurazione<br />

e siccome ciò pure gli amici giornalisti…<br />

– Che anche loro vengono al caffè e li abbiamo fatto la<br />

polizza vita.<br />

Gli, pronome personale.<br />

– Appunto… praticamente li abbiamo detto chiaro<br />

chiaro che prima o poi ce la pagava. Non è per i cento<br />

metri, non è per il vialetto, anche se, sia ben chiaro, praticamente<br />

io dei serpenti ciò davvero paura. Che schifo<br />

tutti visci<strong>di</strong>…<br />

Non sono visci<strong>di</strong>.<br />

– Ma è una questione <strong>di</strong> principio, ci vogliono regole,<br />

onestà, se vuoi fare questo lavoro sennò ven<strong>di</strong> cipolle.<br />

Che poi è quello che faceva, cioè che faceva la mamma:<br />

vendeva cipolle e verdura al mercato civico, che poi vendendo<br />

cipolle secondo me la casa al figlio praticamente<br />

non gliela comprava, i sol<strong>di</strong> non si fanno vendendo cipolle<br />

e quin<strong>di</strong> a chiusura <strong>di</strong> mercato faceva gli extra.<br />

E queste ne hanno una per tutti. Una per i peccati <strong>di</strong><br />

tutti. Nessuna per i propri peccati.<br />

Eppure è così semplice. Chio<strong>di</strong> sulle caviglie, frecce<br />

sul costato, olio e piombo bollente, mutilazione e scarnificazione.<br />

Basta prendere coscienza. Ma queste coscienza<br />

non ne hanno. Hanno solo un micro-onde che gira rapido.<br />

Io invece prendo coscienza. E giuro a Demetrio, Mai<br />

più, mentre fuggiamo in silenzio da una suite d’albergo e<br />

96<br />

cerco <strong>di</strong> non cadere infilandomi i pantaloni. Rido e Demetrio<br />

mi tappa la bocca. Guai se le svegli!<br />

Rido mentre scappiamo nel corridoio e ripenso al loro<br />

culo che fuori dai pantacollant era peggio dei secchi pugliesi.<br />

E penso che alla fine oltre all’anima, l’o<strong>di</strong>o ha asciugato<br />

a queste due anche i tessuti.<br />

Rido mentre Demetrio mi sventola l’ultima Polaroid<br />

scattata. Venuta mica male.<br />

Rido mentre penso ai lori aliti fetenti. Perché quando<br />

uno o<strong>di</strong>a, quando fende rabbia senza colpire, a casaccio,<br />

allora gli puzza pure l’alito, e anche tutto il resto. E soprattutto<br />

giù, laggiù <strong>di</strong>co. Scientificamente provato, lo<br />

<strong>di</strong>ce la casistica. E lo <strong>di</strong>co pure io a Demetrio che ora se la<br />

ride <strong>di</strong> gusto, ma <strong>di</strong> gusto. E si porta in<strong>di</strong>ce e pollice sul<br />

naso, stringe le narici e tira fuori la lingua. Che è proprio<br />

la mimica della puzza fetente e nauseabonda.<br />

– Però, bei numeri con quel piselletto…<br />

E mi guarda con quegli occhi laser.<br />

– Vai affanculo.<br />

E non ci metto nessun affetto e nessun pentimento.<br />

– Sì, vattene proprio affanculo.<br />

* * *<br />

Sono stato Vanni Visco macchina del sesso, caldo e appiccicoso<br />

e nauseabondo. Ma poi ho imparato, pian piano.<br />

Ho imparato a scegliere. Ma soprattutto a scartare.<br />

Così ho capito che si può andare oltre l’allenamento. Oltre<br />

le Polaroid.<br />

97


* * *<br />

Il campanellino annuncia il mio ingresso e Rocca mi saluta<br />

con un cenno della mano e uno degli occhi, come<br />

sempre, da anni ormai, e come sempre dopo avermi salutato<br />

in quel suo modo, riprende a spulciare gli or<strong>di</strong>ni aggiustandosi<br />

gli occhialini a mezza luna. Chino su quel<br />

bancone in noce. Sul quel bancone dove mi aspetta già<br />

una pila <strong>di</strong> libri. Afferro i volumi, lui alza lo sguardo e mi<br />

sorride.<br />

Strano. Sono mesi che non sorride più. Da quando il<br />

campanellino vibra poco e raramente. E i capelli rossi della<br />

commessa non brillano più <strong>di</strong>etro la cassa.<br />

Vado veloce verso la biblioteca esagonale. Punto veloce<br />

verso il corridoio stretto. Veloce.<br />

Nessuno sa della libreria. Ci arrivo dopo l’allenamento<br />

del pomeriggio, strade del centro ancora deserte, e mi imbuco<br />

rapido. Ora sì, ora la mia faccia è autografi e isterie.<br />

Questa città è cambiata.<br />

Non voglio rischiare, anche se in libreria sono sempre<br />

meno i clienti ad entrare e sempre più rapi<strong>di</strong> ad or<strong>di</strong>nare.<br />

Arrivano, dettano un titolo e poi vanno via sbuffando<br />

mentre signor Rocca fa spallucce.<br />

Non mi <strong>di</strong>ce mai nulla Rocca e io non gli <strong>di</strong>co nulla.<br />

Non c’è bisogno. Basta un cenno e il nostro saluto.<br />

– Ciao Lunedì…<br />

Lui mi ha ribattezzato così, Lunedì, solo io e lui sappiamo<br />

perché.<br />

È sempre bastato questo. Uno sguardo, due battute, poi<br />

lui <strong>di</strong> nuovo con gli occhi sui conti e sui libri che mi ha<br />

98<br />

sempre preparato con cura e metodo. In certi mi ci infila<br />

pure la recensione ritagliata dai giornali: – Leggitela alla<br />

fine… – E non ho mai fatto <strong>di</strong>versamente, per non essere<br />

influenzato, contaminato, ma solo per capire, per pesare<br />

altre visioni.<br />

Poi, verso sera, ora <strong>di</strong> chiusura, mi ha sempre raggiunto<br />

nella stanza esagonale, a parlare, per scambiarci le nostre<br />

<strong>di</strong> visioni, e per capire se queste pagine ci hanno dato occhi<br />

nuovi a rivedere il mondo fuori <strong>di</strong> qui.<br />

Ma da qualche tempo non è ogni mercoledì che signor<br />

Rocca mi raggiunge nella stanza esagonale. Solo uno sguardo,<br />

due battute, poi gli occhi sui conti fino a tarda sera.<br />

Li potrei portare a casa, i libri. Come fanno tutti. Come<br />

ho fatto per poco. Ma a casa piomberebbe Demetrio con<br />

le cassette o le ragazze e la Polaroid.<br />

– Io vorrei capire dove cazzo sparisci tutti i mercoledì.<br />

Demetrio, apprensivo. Demetrio, che - l’avrei dovuto<br />

capire - mi ha sempre marcato stretto. E si è accorto solo<br />

del mercoledì.<br />

Ma non sino alla libreria Rocca.<br />

Entro rapido nella tana <strong>di</strong> libri e scaffali. Tana esagonale.<br />

Lei è lì sulla mia se<strong>di</strong>a. Lei è lì con i capelli lisci e lunghi<br />

e neri, le coprono il viso che è avvolto in un libro. Lei alza<br />

lo sguardo e fa brillare i suoi occhi ghiaccio. Ha un ombretto<br />

argentato come la montatura dei suoi grossi occhiali<br />

da lettura, ma che da lettura non sono. Sono solo<br />

rettangoli <strong>di</strong> luce. Sembra una segretaria un po’ santa e un<br />

po’ zozza, come quelle dei film anni Sessanta, quelle che<br />

sbarrano la strada a chiunque sulla via del capo.<br />

– Lucina, piacere.<br />

99


Ha il viso dolcemente affilato.<br />

– Vanni, piacere.<br />

E si chiude i capelli in una coda. Sempre più santa e<br />

sempre più zozza.<br />

– Sei il nuovo commesso del signor Rocca?<br />

E questa non lo sa proprio chi sono e mi illumino.<br />

100<br />

Un<strong>di</strong>cesimo pezzetto<br />

In <strong>campionato</strong> alta classifica, in casa mai piombati così<br />

in basso.<br />

Ero andato a trovarlo la sera prima <strong>di</strong> Pasqua. Mi aveva<br />

scambiato per Gigi, mio fratello. Come sempre.<br />

– O Gigi, mamma com’è che sta?<br />

– Papà, mamma sta bene.<br />

Mamma l’avevamo seppellita l’anno precedente, ma la<br />

suora mi aveva pregato <strong>di</strong> non contrad<strong>di</strong>rlo, la suora <strong>di</strong>sse<br />

la stessa cosa che mi avevano detto i me<strong>di</strong>ci, la stessa che<br />

mi aveva consigliato zio Nannino. Lo ricordo perfettamente.<br />

* * *<br />

La stanza <strong>di</strong> mio padre dà sul giar<strong>di</strong>no della clinica. Vesto<br />

i panni <strong>di</strong> Gigi e mentisco, come ha sempre fatto lui,<br />

Gigi. Mi pesa sparare fesserie, mi pesa stare in questa<br />

stanza che costa milioni al mese a metro quadro ed è solo<br />

una tomba dello spirito. Di vivo mio padre ha solo il corpo,<br />

<strong>di</strong> sicuro non i ricor<strong>di</strong>. Non il passato ma neppure il<br />

presente. Però qualche pezzetto <strong>di</strong> passato gli è rimasto<br />

anche a lui, in un angolo miracolato del cervello, e sono<br />

pezzetti che avrebbero fatto meglio a sparire come tutti<br />

gli altri.<br />

101


– Vanni?<br />

– Sì, papà, sono io, Vanni.<br />

– Vanni? Come sta Vanni?<br />

– Bene papà, sta bene.<br />

– Glieli passi i sol<strong>di</strong>ni della settimana?<br />

– Sì papà.<br />

– E in fabbrica come va?<br />

– Bene papà.<br />

– E Vanni ti aiuta?<br />

– Sì mi aiuta.<br />

– Non è che sta sempre <strong>di</strong>etro le cataste a leggersi i libri?<br />

– No papà, aiuta.<br />

Mio padre ha il viso deformato dagli psicofarmaci e un<br />

occhio che quasi non si apre più. Né si chiude più. Sta a<br />

metà, <strong>di</strong>sgraziatamente. A metà come lui, un po’ qui e un<br />

po’ chi sa dove.<br />

– Lo sai da chi ha preso questa storia dei libri?<br />

Non ho voglia <strong>di</strong> confessioni sul letto <strong>di</strong> morte. Anche<br />

perché lui non morirà. Subito, <strong>di</strong>co.<br />

– Ha preso da me, ma tu non <strong>di</strong>rglielo.<br />

Ora sono io che vorrei prendere una cascata <strong>di</strong> psicofarmaci.<br />

– Dietro il mio ufficio, hai presente il deposito degli attrezzi,<br />

i miei attrezzi…<br />

– Sì papà.<br />

E vorrei soffocarlo.<br />

– Tieni questa è la chiave.<br />

E vorrei strozzarlo con il tubicino della flebo.<br />

– Quello che c’è dentro è <strong>di</strong> Vanni, <strong>di</strong>gli che è tutto suo.<br />

Vorrei chiedergli perché ma tutte le schifezze che gli<br />

squagliano nella flebo lo hanno invaso. Gli hanno conqui-<br />

102<br />

stato il cervello su cui sventola alta la ban<strong>di</strong>era dell’armata<br />

Valium.<br />

Eccomi che lancio la macchina, <strong>di</strong>sperato verso la fabbrichetta<br />

delle pelli. Smezzo a tutta velocità il viale alberato,<br />

sollevo le foglie da terra e le faccio volare <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> me<br />

come mille coriandoli ramati. Eccomi che litigo con questo<br />

vecchio lucchetto arrugginito <strong>di</strong> questa cancellata scontrosa.<br />

Corro nel piazzale <strong>di</strong> ciottoli bianchi, dribblo cadaverini<br />

e pelli seccate dal sole, animalità varia squartata sulla<br />

via delle boutique, quei pochi che non sono stati portati<br />

via, a due lire. Supero il capannone della conceria che<br />

puzza ancora <strong>di</strong> morte acida <strong>di</strong> solventi. Punto verso gli<br />

uffici: muri bianchi cariati da muffa verde e vetrate che<br />

non specchiano più le lucertole in cerca <strong>di</strong> sole.<br />

– Venderemo, quando sarà zona e<strong>di</strong>ficabile.<br />

Fu l’ultima cosa che <strong>di</strong>sse mio padre prima che l’occhio<br />

gli cadesse giù.<br />

Sono nell’ufficio <strong>di</strong> mio padre che prendo a calci questa<br />

serratura bastarda, perché la chiave si è spezzata dentro.<br />

Sfondo la porta e sono in un magazzino dove non c’è una<br />

chiave inglese, né una sega, né un solvente o un martello o<br />

che so altro. Sono in mezzo a pile <strong>di</strong> libri e pile <strong>di</strong> libri. C’è<br />

la Stazione dei libri stranieri: la balenaccia, i ricor<strong>di</strong> coi<br />

profumi, il tempo che se n’è andato, la linea d’ombra, il navigatore,<br />

il cacciatore suicida, l’ubriacone sodomita, anche<br />

l’ebreuccio <strong>di</strong> quel cristiano che si trasforma in babballotti.<br />

Tutti ci sono. C’è la Stazione dei libri nazionali:<br />

c’è il partigiano, il reduce, il suicida, l’assassinato, l’ammalato,<br />

lo storpio, il vanitoso, il borgataro e anche quello<br />

palloso e borioso e rompiscatole. Tutti ci sono.<br />

103


Ci sono libri su libri mai aperti, mai sfogliati. Ci sono<br />

volumi scorticati della loro copertina. E c’è un forte odore<br />

<strong>di</strong> colla e pelle. Supero cataste <strong>di</strong> libri scuoiati e c’è un<br />

banchetto e un’enorme libreria con le opere <strong>di</strong> mio padre.<br />

* * *<br />

Ne ho visto tanti collezionare monete, far tremare i polpastrelli<br />

su bolli postali, altri perderci la vista laccando<br />

minuscoli soldatini delle armate imperiali, sognare su aeroplanetti<br />

<strong>di</strong> plastica lucida.<br />

Mio padre ha sempre avuto la passione per la pelle, il<br />

cuoio. I libri credo che li comprasse a casse, forse al chilo.<br />

Poi pian piano sra<strong>di</strong>cava le copertine in cartone lucido e<br />

le ricomponeva, piegato sul suo banchetto. Forbice e martelletto.<br />

Caratteri in oro per titolo e autore. Non ho mai<br />

capito, da quel giorno fino ad oggi qua giù, se lo facesse<br />

per renderli più eleganti o forse per omologarli tutti, per<br />

renderli parte <strong>di</strong> un solo grande libro, una collezione senza<br />

in<strong>di</strong>vidualità. O forse perché era un passatempo come<br />

un altro. Di sicuro non li leggeva, <strong>di</strong> sicuro erano per me.<br />

Non tornai in clinica, anche se avrei voluto farlo e prenderlo<br />

a calci o forse abbracciarlo, non so. Chiamai Demetrio.<br />

* * *<br />

– Sono a cena a casa del mio procuratore<br />

Demetrio ha un procuratore, io no. Non l’ho mai voluto<br />

io. Anche se lui si era proposto.<br />

– Mi spiace ma non posso.<br />

104<br />

Demetrio passerà la Pasqua con il suo procuratore.<br />

Non lo chiama più Mister Ettore e lui non allena più i ragazzi<br />

della Primavera. Segue Demetrio e ora punta a farlo<br />

sbarcare da quelli che abbiamo sempre con il fiato sul collo<br />

ma che lasciamo sempre qualche punto più giù.<br />

Non so se a loro serva uno così, uno con le sue doti. So<br />

che quelli vorrebbero me. Ma a me non importa. Non voglio<br />

cambiare città, non voglio altri sol<strong>di</strong>, non voglio altre<br />

rogne e soprattutto non voglio indossare il cappotto per<br />

otto mesi l’anno. Sto bene qua giù al calduccio.<br />

Demetrio scalpita. Io no. Non vuole stare più con noi.<br />

Non vuole più far parte della nostra squadra, vuol far<br />

parte della sua squadra. Lui e signor Ettore. Affari&pallonate.<br />

Eccomi. Sono pronto per la partita dopo le vacanze, dopo<br />

le vacanze <strong>di</strong> Pasqua. Sono stato solo e questa volta i libri<br />

non mi sono stati d’aiuto.<br />

Eccomi, come sempre sono qui nelle viscere dell’arena<br />

prima degli altri. E sento lo zoccolio dei tifosi sulla mia testa<br />

e percepisco chiaro Demetrio che se la prende con gli<br />

arma<strong>di</strong>etti, <strong>di</strong> brutto. Pugni e calci. E poi urla <strong>di</strong>sperate.<br />

Non vorrei avvicinarmi. Ma poi mi avvicino.<br />

– Fottitene, – gli <strong>di</strong>co.<br />

Lo abbraccio e lui piange.<br />

– Fottitene non ti meritano. E poi quelli non hanno<br />

scrupoli. Ti brucerebbero come niente.<br />

E lui quasi si consola e mi parla a un soffio dalle labbra.<br />

– È vero che ti hanno offerto l’impossibile per andare?<br />

Non dovrei <strong>di</strong>rlo ma la bocca si apre da sola.<br />

– È vero.<br />

105


* * *<br />

Fu la prima volta, la prima e unica volta che non portai<br />

la squadra al trionfo, che la curva non mi osannò, e i giornali<br />

e la tv restarono senza aggettivi. Ma solo per quei novanta<br />

minuti.<br />

Fu un misero, inutile, zero a zero. E un lunedì che annunciava<br />

sconfitta.<br />

Afferrai il telefono e chiamai Lucina. Quella storia <strong>di</strong><br />

mio padre mi bruciava ancora.<br />

* * *<br />

– Sono io…<br />

– Lo so che sei tu.<br />

La sua voce è un soffio impercettibile.<br />

– Come? – <strong>di</strong>ssi, – Non sento…<br />

– Lo so che sei tu… lo sai che non mi devi chiamare gli<br />

altri giorni…<br />

La sua voce è un soffio urticante.<br />

– Lo so ma… avevo bisogno… avevo bisogno <strong>di</strong> fare<br />

due chiacchiere…<br />

– Non ora.<br />

E riattacca.<br />

Pensavo che la cornetta nell’impatto con il muro si sfaldasse.<br />

La vedo alla moviola: la mia mano che prima la<br />

strozza con rabbia, poi si apre e le <strong>di</strong>ta si allungano mentre<br />

la cornetta saetta verso il muro. Ma non si rompe, ferisce<br />

l’intonaco e poi, richiamata dal filo - neppure un elastico<br />

- se ne torna a pendere davanti alla tastiera dei numeri<br />

e allo scaffalino degli elenchi.<br />

106<br />

Appena rimetto la cornetta a riposo il telefono squilla.<br />

– Lucina… – <strong>di</strong>co con bocca impastata.<br />

– Lucina?! Ma che cazzo Lucina!<br />

Rimango muto.<br />

– Vanni! Cazzo! Vanni!<br />

– Presidente…<br />

Non capisco ma riconosco la voce.<br />

– Visco… porca troia…<br />

Il presidente, il figlio del cavalier Antoni, che quando<br />

urla gela sempre il sangue a tutti.<br />

– Sì presidente…<br />

Balbetto.<br />

– Visco… brutto figlio <strong>di</strong> puttana… figlio <strong>di</strong> troia maledetto…<br />

<strong>di</strong>mmi che non è vero… <strong>di</strong>mmi che non è vero…<br />

o ti faccio spezzare subito le gambe… le gambe ti faccio<br />

spezzare…<br />

– Co… cosa signor presidente…<br />

Continuo a non capire.<br />

– Vieni subito qua! Maledetto figlio <strong>di</strong> puttana! Subitooo!<br />

– Sì signor presidente…<br />

Sono nel panico.<br />

– Anzi no, stai fermo lì… stai fermo lì cazzo…<br />

– Sì signor presidente…<br />

– Fermo lì che sto arrivando io… e tu brutto figlio <strong>di</strong><br />

puttana datti una mossa… pigia su quel cazzo <strong>di</strong> acceleratore…<br />

Il brutto figlio <strong>di</strong> puttana è Ignazio, il suo autista, quello<br />

fissato con il full contact.<br />

– Brutto pezzo <strong>di</strong> merda… che cazzo è questa storia…<br />

107


Il presidente urla nel mio salone, urla e sventola un giornale.<br />

Urla mentre Ignazio ha i pugni conserti. Attende solo<br />

un or<strong>di</strong>ne.<br />

Cerco <strong>di</strong> chiedere ma lui non mi fa parlare.<br />

– Ti sei venduto agli altri eh? vero?… maledetta serpe in<br />

seno… leggi, leggi, leggi brutto stronzo…<br />

E fa per darmi il giornale.<br />

– Anzi no… leggo io…<br />

E lo apre.<br />

– Ma che cazzo leggo… tanto lo so a memoria… sai cosa<br />

<strong>di</strong>cono? sai cosa <strong>di</strong>cono? che la partita <strong>di</strong> ieri non l’hai voluta<br />

giocare perché tanto qui per te è finita che il prossimo<br />

anno te ne andrai dagli altri… figlio <strong>di</strong> puttana… <strong>di</strong>cono<br />

che ti hanno offerto miliar<strong>di</strong>… maledetto!… <strong>di</strong>cono che<br />

tanto dal prossimo anno sarai libero… e potrai fare quello<br />

che vuoi… bastardo…<br />

– Non è vero!<br />

Tremo ma sono deciso.<br />

E il presidente sembra una locomotiva in partenza.<br />

Sbuffa.<br />

– Ah non è vero? Ah, non vero?<br />

– Non è vero…<br />

Tremo ancora ma sono sempre deciso.<br />

– Senti brutto pezzo <strong>di</strong> merda… a chi cazzo vuoi prendere<br />

per il culo…<br />

– Sono cazzate dei giornalisti…<br />

Quelli tanto hanno sempre fatto così.<br />

– Cazzate dei giornalisti?! Ah cazzate dei giornalisti… o<br />

cazzate tue?<br />

– Loro.<br />

108<br />

– Ah loro… allora non è vero che hai detto a Demetrio<br />

che ti hanno offerto l’impossibile per andare via.<br />

Quasi svengo ma reggo.<br />

– Sì è vero… ma…<br />

– Ma cosa?<br />

Il presidente è una superlocomotiva.<br />

– Ma cosa? Ma cosa!? Cosa cre<strong>di</strong> che Ettore non me lo<br />

abbia detto… ah cosa cre<strong>di</strong>? <strong>di</strong> essere furbetto?<br />

– Ma gli ho detto <strong>di</strong> no…<br />

La locomotiva frena.<br />

– No?<br />

– No, gli ho detto subito <strong>di</strong> no.<br />

E riprendo fiato.<br />

– Gli hai detto subito <strong>di</strong> no…<br />

Il presidente guarda Ignazio, Ignazio guarda me e il<br />

presidente.<br />

– No, gli hai detto <strong>di</strong> no…<br />

Anche il presidente riprende fiato.<br />

– No no? O no cosa?<br />

– No, resto qua.<br />

E vorrei mordermi la lingua.<br />

– Però… però quelli ci hanno provato? Ci hanno provato,<br />

sì?<br />

– Sì, ma io non ho mai pensato <strong>di</strong> andare via…<br />

Poteva essere la mia via <strong>di</strong> fuga. Clic e via dalle scatole.<br />

Gli potevo <strong>di</strong>re sì e forse ne sarei uscito per sempre, via da<br />

questo incubo. Fuori dal pallone.<br />

– Glielo avrei detto, presidente…<br />

Ma non sono mai stato <strong>di</strong>sonesto.<br />

Anche se per lui fa lo stesso.<br />

– Quin<strong>di</strong>… quin<strong>di</strong>… se ti faccio firmare tu rifirmi?<br />

109


Il presidente è un tipo pragmatico, come mio padre prima<br />

che l’occhio gli scivolasse giù.<br />

– Certo…<br />

Eccomi sono nel mio salone con il presidente che se la<br />

ride, con il suo autista figlio <strong>di</strong> puttana che se la ride.<br />

– Guarda Vanni, io non so se tu lì ci dovevi andare davvero<br />

o no… frega un cazzo… se mi volevi fottere o meno…<br />

tu domani firmi e questo è quello che conta.<br />

Firmo, firmo. Non voglio passare per <strong>di</strong>sonesto, <strong>di</strong>sonesto<br />

mai.<br />

– Ascolta Vanni…<br />

Il presidente quasi mi stacca via la guancia con un pizzico.<br />

– Ricordati, mai fare confidenze ai giornalisti…<br />

E se la ride ancora.<br />

– Io non ho mai parlato con i giornalisti…<br />

Vorrei stenderlo a terra con una scarica <strong>di</strong> cazzotti ma<br />

poi con Ignazio sarebbe più tosta.<br />

– Lo so, lo so Vanni… tu no.<br />

E gli vorrei far ingoiare le loro risate che carambolano<br />

nel mio salone.<br />

* * *<br />

Quello è uno dei pochi giornali che conservo, <strong>di</strong> quel<br />

periodo <strong>di</strong>co. Quello dell’intervista a Demetrio dopo Pasqua.<br />

E ho pure preso l’evidenziatore e ho segnato domande<br />

e risposte, quelle che poi hanno scatenato una settimana<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>battiti tv e rogne e lagne e urla negli stu<strong>di</strong> e negli<br />

sta<strong>di</strong>.<br />

«Allora va via?<br />

110<br />

Sì, dalla prossima stagione vado a prendere il ruolo che<br />

mi compete. Anche se mi <strong>di</strong>spiace lasciare questa grande<br />

città e voglio ringraziare il nostro presidente, il mio mister,<br />

la squadra e tutta la tifoseria che mi hanno regalato<br />

anni d’oro.<br />

Perché va via solo oggi?<br />

Perché qualcuno aveva messo il suo veto. O me o lui.<br />

E alla fine hanno scelto lei.<br />

Evidentemente sì. Evidentemente non hanno ceduto ai<br />

ricatti <strong>di</strong> chi rischia <strong>di</strong> essere solo un fuoco <strong>di</strong> paglia. Hanno<br />

fatto le loro valutazioni e alla fine hanno scelto. E sono<br />

contento <strong>di</strong> arrivare in questa grande città e voglio ringraziare<br />

il mio nuovo presidente, il mio nuovo mister, la<br />

squadra e tutta la tifoseria che mi hanno regalato questo<br />

grande sogno. E mi <strong>di</strong>spiace se qualcuno ora si sta mangiando<br />

le mani. Ma sono uno sportivo e so perdonare. Come<br />

sono sicuro che i miei vecchi tifosi sapranno capire<br />

questa mia scelta. E sono contento <strong>di</strong> lasciare in armonia<br />

questa grande città e voglio ringraziare il mio vecchio presidente,<br />

il mio vecchio mister, la squadra e tutta la tifoseria<br />

che mi hanno concesso <strong>di</strong> realizzare questo grande sogno.<br />

Vi davano per inseparabili amici.<br />

Cosa vuole che le <strong>di</strong>ca, evidentemente la gelosia è una<br />

brutta bestia.»<br />

111


Do<strong>di</strong>cesimo pezzetto<br />

Viaggiare mi è sempre piaciuto viaggiare. Con la Nazionale<br />

ho visto quasi tutto il mondo. Ho visto aeroporti: sale<br />

d’attesa Vip, moquette e carta da parati. Pantofoline in<br />

panno, cuffiettine, occhialini, salviettine, monoporzioni<br />

<strong>di</strong> tè, caffè, zucchero, crema, burro e marmellata.<br />

Questa delle monoporzioni l’ho letta da qualche parte e<br />

anche la mia vita è tutta una monoporzione, <strong>di</strong> benzina<br />

solvente. Sì perché tutte quelle bustine da strappare hanno<br />

tutte odore <strong>di</strong> officina <strong>di</strong> carrozziere. E non è una mia<br />

fissa: tè alla benzina uguale a salvietta profumata. È l’involucro<br />

che le frega e quel conservante per tenerle in vita<br />

fatto <strong>di</strong> fossili marciti e macinati e alla fine liquefatti e <strong>di</strong>stillati.<br />

Ho visto alberghi con quello stesso odore: frigobar,<br />

cassaforte numerazione automatica, tv satellitare, pornonoleggi.<br />

Pantofoline in panno, cuffiettine, occhialini, salviettine,<br />

tè, caffè, zucchero, crema, burro, marmellata,<br />

cioccolata, club sandwich in camera. Noccioline sottovuoto.<br />

– Guai!<br />

I nostri accompagnatori sono peggio <strong>di</strong> Ottavio con il<br />

suo cirneco e la prof Cardìa, rachitica.<br />

– Guaai! Per voi c’è la nostra roba.<br />

E noi ritornavamo a cuccia. E il frigobar sigillato e il<br />

113


club sandwich al primo morso. E solo il cibo degli sponsor.<br />

La pasta come a casa, la <strong>di</strong>eta me<strong>di</strong>terranea. E tutta la<br />

tiritera.<br />

Non le ho mai capite queste nostre <strong>di</strong>ete. Mai. Con gli<br />

inglesi che si iniettavano la birra e giocavano ore sotto il<br />

sole: dritto rovescio, dritto rovescio. Prima della partita<br />

tornei <strong>di</strong> tennis si facevano. E poi si facevano noi.<br />

Mai capite. Con i sudamericani con due occhi così che<br />

poi ci facevano ballare la rumba e pure la samba.<br />

Per fortuna che gli altri non hanno mai avuto uno come<br />

me. Un Vanni Visco. Quello che poi riaggiusta tutto. O<br />

quasi.<br />

Io il mon<strong>di</strong>ale non l’ho mai vinto. Una volta terzi e l’altra<br />

quarti. Perché questo è un gioco <strong>di</strong> squadra mica per<br />

caso. Ma qui sembra se lo siano scordati. Da queste parti,<br />

squadra, sembra una parola maledetta. Inutile. Senza senso.<br />

A volte sarei voluto salire in un altro pullman. Come facevano<br />

certi atleti dell’est. Si imbucavano, sgattaiolavano<br />

e una volta dentro urlavano: Chiedo asilo politico! Che<br />

sembrava quel gioco: Tocco! Chiesa, Libero tutti! E via in<br />

un altro mondo.<br />

A volte sarei voluto salire nel pullman che andava nella<br />

<strong>di</strong>rezione opposta. Mettermi in coda <strong>di</strong>etro gli inglesi e gli<br />

accompagnatori degli inglesi con i cognacchini mignon e<br />

le noccioline sottovuoto sempre in bocca. Monoporzioni<br />

ma con un altro odore.<br />

E una volta l’ho pure fatto.<br />

Dài, portatemi con voi. E tutti si sono messi a ridere<br />

quando mi hanno visto seduto in prima fila. E tutti hanno<br />

114<br />

pensato a uno scherzo e giù a ridere e pacche e risate e<br />

scambi <strong>di</strong> maglie. E Viscoo pronunciato come nelle comiche.<br />

E gli inglesi, che se la ridono sempre, mi hanno pure<br />

messo in prima pagina. Affianco all’articolo <strong>di</strong> una che,<br />

non so chi della famiglia reale, non so cosa le avevano fatto.<br />

Ma aveva mezzo seno <strong>di</strong> fuori.<br />

Io avevo tutta l’anima <strong>di</strong> fuori in quella foto, con un sorriso<br />

<strong>di</strong>sgraziato e con gli occhi che <strong>di</strong>cevano: Portatemi<br />

con voi, portatemi con voi. Ma tutti hanno pensato a uno<br />

scherzo, da campione.<br />

E invece ci sarei voluto andare davvero e non tornare<br />

mai più. Non so se lì fosse meglio, non so. A me, che ho visto<br />

solo spogliatoi e sta<strong>di</strong>, che ho acciuffato tutto, tutto il<br />

resto per pochi minuti dal finestrino della corriera, a me<br />

sembrava meglio.<br />

Ho visto spogliatoi e sta<strong>di</strong>. Ho visto stu<strong>di</strong> televisivi e<br />

qualche corsia d’ospedale. Negli ospedali ci hanno sempre<br />

portato per far visita a bambini lebbrosi, bambini positivi,<br />

sieropositivi, bambini con malattie che non avevo<br />

mai sentito e che non voglio più sentire.<br />

Portavamo i regali, qualche maglia oppure facevamo<br />

qualche palleggio per farli sorridere un secondo, ma solo<br />

un secondo.<br />

C’è una squadra in centro Africa che porta il mio nome<br />

Vanni Visco Football Club. Gli altri, i miei compagni con<br />

la maglia azzurra, li hanno ribattezzati i Pinocchietti perché<br />

le mine su cui sono saltati in aria gli hanno strappato<br />

via una o due gambe. Così corrono e giocano grazie alle<br />

protesi <strong>di</strong> legno, i Pinocchietti. Li chiamano così alle mie<br />

spalle, perché davanti a me non osano. Però quando sia-<br />

115


mo scesi in campo tutti tenuti per mano con le magliette<br />

<strong>di</strong> solidarietà sponsorizzate dalla <strong>di</strong>tta <strong>di</strong> palloni qualcuno<br />

si è pure commosso. Qualcuno.<br />

Alla Nazionale credevo non ci sarei mai arrivato. E zio<br />

Nannino lo atterrò un micro infarto quando sentì il tiggì.<br />

Così mio padre se lo ritrovò per qualche settimana a fargli<br />

compagnia. Mio padre che migliorò con l’umore quando<br />

gli portai in clinica le sue pelli, i suoi arnesi e tutti i libri ancora<br />

da scuoiare e ricucire.<br />

Ora fa un po’ più <strong>di</strong> fatica perché l’occhio resta sempre<br />

giù. Ma almeno impegna la mente, <strong>di</strong>ce la suora.<br />

Secondo me impegna solo i muscoli ma tanto che importanza<br />

ha.<br />

Oggi qua giù negli spogliatoi non ha più importanza<br />

nulla. E tutto scorre come se non fosse passato sulla mia<br />

pelle. Mi rivedo portato in trionfo, mi rivedo con le coppe<br />

in mano. Mi osservo mentre scambio la mia maglia zuppa<br />

<strong>di</strong> sudore con un’altra maglia più puzzolente.<br />

Ecco, qua giù della Nazionale mi rimangono gli odori.<br />

E forse perché questa storia degli odori che si imprimono<br />

nella mente, nello scomparto dei ricor<strong>di</strong>, la devo aver letta<br />

da qualche parte. Di sicuro alla libreria Rocca che ha sempre<br />

conservato in bella mostra tutte le mie cartoline con il<br />

timbro postale <strong>di</strong> altri pianeti.<br />

Ecco, fu forse allora che tutto iniziò a precipitare, <strong>di</strong> ritorno<br />

da un giro negli altri mon<strong>di</strong>. Lo ricordo bene.<br />

* * *<br />

Altro pianeta, a nord <strong>di</strong> qui. Ci piombo col buio e quando<br />

l’aereo apre le nuvole sfiora un tappeto infinito <strong>di</strong> luci.<br />

116<br />

Lo stomaco si risveglia e fa male. E non vedo la fine <strong>di</strong><br />

questo immenso campo <strong>di</strong> lucciole ad alto voltaggio.<br />

Ogni luce è una casa, una vita, due vite, tre vite. Ogni bagliore<br />

è un’attesa <strong>di</strong> morte, due morti, tre morti.<br />

Una affianco all’altra, separate da muri mattoni e giar<strong>di</strong>netti<br />

steccati che ora non vedo ma che le luci <strong>di</strong>segnano,<br />

rettangoli su rettangoli.<br />

A volte sarei voluto essere mosca, o ape, o zanzara o formica<br />

o qualsiasi altro cosino inutile e invisibile ed entrare<br />

in ogni casa e spiare in ogni stanza e <strong>di</strong>etro ogni porta.<br />

E questa se non è proprio una cosa banale è qualcosa<br />

che in molti vorrebbero.<br />

Ma qui la curiosità morbosa e ficchetta nulla c’entra.<br />

Qui nel mio cervello c’è un altro interruttore che scatta.<br />

Perché questa non me la spiego, perché questa non me<br />

la sono mai spiegata. Questa dell’alveare del mondo e delle<br />

città e che solo dall’alto ve<strong>di</strong> comme<strong>di</strong>a e trage<strong>di</strong>a sfregarsi<br />

e mai toccarsi e mai influenzarsi <strong>di</strong>vise solo da due<br />

peli <strong>di</strong> erba, un muro <strong>di</strong> legno e cemento.<br />

Uno: pensare ora in queste case quanti stanno infiammando<br />

anima e carne. Due: pensare ora quanti in queste<br />

case se le stanno dando <strong>di</strong> santa ragione e il marito gonfia<br />

la moglie e lo zio tocca la nipote. Tre: pensare ora quanti<br />

in queste case hanno i pensieri aguzzi assassini del sonno e<br />

stanno cercando una soluzione. Quattro: pensare quanti<br />

in queste case stanno cercando qualcuno, quanti si stanno<br />

accontentando e quanti non si accontenteranno mai. Cinque:<br />

pensare quanti in queste case non vedranno domani.<br />

E questa <strong>di</strong>stesa <strong>di</strong> luci mi abbaglia e mi scatena lava e<br />

terremoto dello stomaco.<br />

Forse la colpa è delle mie antenne che hanno già perce-<br />

117


pito che qui non ci sarà solo un’amichevole con quelli che<br />

il calcio l’hanno inventato e io qui sarei voluto nascere o<br />

magari scapparci. Magari su uno <strong>di</strong> quei pullman.<br />

La partita non conta questa volta. Se mai per me è potuta<br />

contare. Ogni tanto si fa così, per fare spettacolo, per<br />

fare incassi, per annusarsi. E si fa <strong>di</strong> notte perché qui e giù<br />

da noi possano ingozzarsi gli occhi e lo stomaco. Birrette,<br />

patatine, salatini e botte al pallone. E saloni con tutte le famiglie<br />

riunite per questa Inghilterra-Italia.<br />

La partita è finita e sono al bar dell’albergo che bevo<br />

una cosa gassata con molto ghiaccio. Gli altri sono già a<br />

letto, esausti mentre io preferisco odorare un po’ queste<br />

moquette che fasciano tutto senza ritegno. Pavimenti, pareti,<br />

mobili persino i bagni. Leggo depliant e li annuso<br />

perché sanno <strong>di</strong> una muffa-carta tutta <strong>di</strong>versa.<br />

Quasi non bado al tipo in <strong>di</strong>visa da ufficiale da stanza <strong>di</strong><br />

lusso con bagno che cerca <strong>di</strong> far <strong>di</strong> tutto perché io ba<strong>di</strong> a<br />

lui. Ma ho il naso su due fogli plasticosi e sto per tirare<br />

fuori la lingua e provare il gusto che avrà.<br />

– Mister Visco, una telefonata per lei.<br />

E parla un italiano perfetto.<br />

– Una telefonata per lei.<br />

Crede che non abbia capito ed è colpa della mia faccia.<br />

– Una telefonata della signora Na<strong>di</strong>a Reif von Kutschera.<br />

E lo guardo ancora più stranito.<br />

– Per me?<br />

– Sì, per lei signore.<br />

E mi porge un cordless scintillante.<br />

118<br />

– Ma è sicuro?<br />

– Certo signore. Ha chiesto <strong>di</strong> lei. Preferisce che <strong>di</strong>ca<br />

che non è in stanza e non riesco a rintracciarla?<br />

Questo nome non mi <strong>di</strong>ce nulla e potrei anche negarmi.<br />

Ma la curiosità mi travolge, questa volta. E faccio cenno <strong>di</strong><br />

passarmi il telefono.<br />

Il tizio ufficiale in <strong>di</strong>visa mi sorride, preme un tasto e<br />

questo pezzo <strong>di</strong> plastica e bottoni si illumina. Sorride e<br />

borbotta alla cornetta che sì mi ha rintracciato e che ora<br />

sarò in linea. Mi fa un inchino e mi cede strumento e parola.<br />

– Pronto?<br />

E sono curioso.<br />

– Buonasera Vanni.<br />

La sua voce aritmetica non mi <strong>di</strong>ce nulla, solo che ha un<br />

forte accento straniero questo suo italiano.<br />

– Non è stato facile trovare il tuo albergo…<br />

E ascolto.<br />

– E neppure fare questa telefonata ma alla fine ho creduto<br />

che fosse giusto così…<br />

– Giusto cosa?<br />

– Non mi hai riconosciuto Vanni?<br />

– E no.<br />

E faccio mente locale ma questo nome, Na<strong>di</strong>a, e questa<br />

sfilza <strong>di</strong> cognomi, Reif von Kutschera, non mi <strong>di</strong>cono assolutamente<br />

nulla.<br />

Na<strong>di</strong>a ballerina. Na<strong>di</strong>a giornalista. Na<strong>di</strong>a pubblicitaria.<br />

Na<strong>di</strong>a moglie <strong>di</strong> qualche compagno. Na<strong>di</strong>a parente lontana.<br />

Na<strong>di</strong>a Nulla. Il vuoto.<br />

– Eppure a casa tua sono restata quasi un mese quell’estate<br />

con Gigi…<br />

119


La mia bocca si impasta, il mio cervello è una centrifuga.<br />

– La tipa della foglia…<br />

Mi esce così, naturale. Na<strong>di</strong>a della foglia.<br />

– La cosa?<br />

Il suo italiano si intorcina ma capisco che non capisce.<br />

– Scusa, ma io il tuo nome non l’ho mai saputo…<br />

Per Gigi era solo la Tedesca e mi in<strong>di</strong>cava le gambe rasate<br />

e mi strizzava l’occhio. E io non gli ho mai sentito un<br />

nome ma solo baby <strong>di</strong> qua e baby <strong>di</strong> là.<br />

– Non fa nulla, sono passati tanti anni, troppi anni. Non<br />

ti ricor<strong>di</strong> neppure <strong>di</strong> quella sera al concerto? Ma non fa<br />

nulla. La verità è che non sapevo neppure se ti avremmo<br />

dovuto chiamare. Alla fine l’ho fatto e… insomma… vorrei<br />

incontrarti, sai Gigi…<br />

La mia testa è un frullatore che cerca <strong>di</strong> afferrare poltiglia<br />

ma gira a vuoto e rischia <strong>di</strong> fondere facendo girare le<br />

sue pale taglienti nel nulla.<br />

– Io domani sera parto…<br />

Prendo le <strong>di</strong>stanze, mi <strong>di</strong>fendo.<br />

– Allora facciamo domani mattina…<br />

E non mi dà neppure il tempo <strong>di</strong> ribattere:<br />

– Domani mattina alle 10 saremo da te. Grazie Vanni, ci<br />

conto.<br />

E chiude. E io rimango con questo pezzo <strong>di</strong> plastica e<br />

tasti fluorescenti in mano. La luce pian piano svanisce, i<br />

tasti tornano a riposo e io no.<br />

Non ho chiuso occhio stanotte. Pensieri bastar<strong>di</strong>. E ora<br />

attendo che compaia questa stanga bambina che più bambina<br />

non sarà. Attendo e rifletto e mi chiedo perché<br />

120<br />

chiunque possa fare <strong>di</strong> me ciò che vuole. Compresa questa<br />

che è nulla e che ora mi costringe a stare qui ad aspettare<br />

mentre gli altri se la prendono con calma e si preparano<br />

per il pranzo all’ambasciata.<br />

Meno male che almeno li o<strong>di</strong>o i pranzi all’ambasciata.<br />

Ci sono quelli che hanno fatto fortuna fuori, ci sono i notabili<br />

e i farisei, i banchieri e gli uomini illustri, le donne illustri<br />

e quelle solo lustre, e giornalisti corrispondenti,<br />

traffichini e trafficoni, e l’attore che qui ha fatto solo due<br />

pubblicità, il pittore che da noi nessuno ricorda e lo scrittore<br />

che nessuno ha mai ricordato. C’è la carne e il brodo,<br />

che fa spazio ma non sostanza. Ci sono quelli che non ne<br />

possono più <strong>di</strong> pranzi e cene all’ambasciata e quelli che li<br />

aspettano per poter mangiare, e non solo cibo, e metterli<br />

nel curriculum. Andato a pranzo ambasciata stretto mano<br />

a capo <strong>di</strong> stato.<br />

Li o<strong>di</strong>o i pranzi all’ambasciata e questa volta sono riuscito<br />

a scamparla, avrei preferito in un’altra maniera. Devo<br />

incontrare la moglie <strong>di</strong> mio fratello, ho detto, e siccome<br />

tutti lo sanno, tutti sanno quello che è accaduto - il canale<br />

<strong>di</strong> Amsterdam, il cadavere palloncino, l’overdose, i pesci<br />

voraci e tutta la tiritera - nessuno ha osato chiedermi <strong>di</strong><br />

più.<br />

E o<strong>di</strong>o anche me stesso, me stesso che avrebbe dovuto<br />

incollarla al telefono quella tedesca là e raschiarle l’orecchio:<br />

mi cerchi ora? mi cerchi dopo tutti questi anni? e tu<br />

dove eri quella notte ad Amsterdam mentre lui moriva<br />

affogato d’eroina e acqua lurida e maledetta? e ora cosa<br />

vuoi da me? sol<strong>di</strong>? cosa mi vuoi mostrare? <strong>di</strong>ari spaccia<br />

lacrime? foto sbia<strong>di</strong>te? cosa vuoi da me? perdono o condanna?<br />

bambina puttana.<br />

121


Quasi prendo a calci un poggia pie<strong>di</strong> da poltrona quando<br />

l’ufficiale con la <strong>di</strong>visa da stanza lusso stamattina mi<br />

guarda e crede che sia un tic da calciatore campione. Mi<br />

guarda e affianco a lui c’è un tipo magro e poco alto. C’è<br />

un tizio che nuovo non mi è. Ha gli occhi azzurri azzurri e<br />

uno strano cappello in testa. Uno <strong>di</strong> quelli che non saprei<br />

proprio. Uno <strong>di</strong> quelli da pop star, per nulla martire.<br />

Mi tende la mano e pronuncia un nome che non capisco.<br />

Avrà sì e no la mia età. Gli tendo la mano e sibilo il<br />

mio. Lui si illumina e mi sorride e non mi lascia la mano. E<br />

tartaglia altre cose - perché questa lingua è tutta una balbuzie<br />

- mentre intorno a noi quasi tutti gli ufficiali in <strong>di</strong>visa<br />

dell’albergo ci circondano e sorridono. Sprizzano premura<br />

come se fossimo due bambini ai primi passi e uno<br />

dei due potrebbe piombare con il culo in terra da un momento<br />

all’altro. Come se fossimo roba fragile, ci trattano.<br />

Le mie antenne mi <strong>di</strong>cono che questo è un incontro fra<br />

capi <strong>di</strong> stato, quelli scelti dal popolo. E che mi sa che questo<br />

è un evento. Il calciatore più famoso e…<br />

Solo ora, solo ora che sono sulla sua Ferrari nera - ho<br />

letto che ne ha altre tre - so con chi sono. Anche se dei suoi<br />

Cd solo due ne ho.<br />

Non parla e mi sorride. Non parla e lascia che il motore<br />

canti e che io mi guar<strong>di</strong> questa città. Supera quartieri e<br />

quartieri che tutti conoscono e non sto a raccontare. Supera<br />

gente e gente <strong>di</strong> ogni pianeta che tutti immaginano e<br />

non sto a raccontare. E ogni curva presa al contrario lo<br />

stomaco si ribalta e ogni rettilineo bruciato a mille l’ansia<br />

cresce e mi travolge e mi chiedo dove mi sto facendo portare.<br />

Mi sto facendo portare in una villa ottocento lontano<br />

122<br />

dalle vie intasate, oltre un cancello ottocento rianimato<br />

dall’elettricità. Oltre un salone infinito e una scala ancora<br />

<strong>di</strong> più. Davanti a una ex bambina stanga che credo proprio<br />

l’ultima cosa che vorrà da me sono i sol<strong>di</strong>.<br />

Lui la bacia, lei lo bacia. Lui le accarezza il viso e lei trema.<br />

E ha lo stesso viso <strong>di</strong> quando facevamo la colazione<br />

insieme nella cucina della mia casa e mio fratello mi strizzava<br />

l’occhio e mi in<strong>di</strong>cava <strong>di</strong> nascosto le gambe rasate:<br />

Tedesca. Mille anni fa.<br />

Lei tiene gli occhi bassi, come sempre ha fatto. E lui le<br />

sistema i capelli e sembrano due sposi ragazzini che devono<br />

annunciare il loro matrimonio a una bestia che deve<br />

solo scegliere a chi dei due sbranerà per primo il cuore. La<br />

bestia sono io in pie<strong>di</strong> in questa casa <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> e storia ma<br />

l’unica cosa che vorrei <strong>di</strong>vorare è me stesso e la mia curiosità.<br />

– Sei sempre stato un bambino sensibile…<br />

E quel sensibile glielo vorrei far ingoiare.<br />

– Un bambino speciale…<br />

Anche questo vorrei farle ingoiare.<br />

– Infatti sei <strong>di</strong>ventato un uomo speciale, Gigi lo <strong>di</strong>ceva<br />

sempre…<br />

Lascia stare Gigi, vorrei <strong>di</strong>rle.<br />

– Non sapevamo, non potevamo sapere, ci sembrava un<br />

gioco…<br />

Condanna o assoluzione?<br />

– Ci siamo fatti prendere la mano…<br />

Si interrompe e trema. E provo pietà e forse si vede dal<br />

mio viso perché lei ora guarda lui che sorride e sorride anche<br />

a me.<br />

– Io mi sono salvata grazie a Jay…<br />

123


Finalmente mi ricordo il suo nome, il nome della pop<br />

star, che sui suoi <strong>di</strong>schi è un’altra sigla, tipo tribù in<strong>di</strong>ana.<br />

– E grazie a…<br />

E non parla più ma si sposta verso un corridoio poco illuminato<br />

e la seguiamo con Jay che mi appoggia una mano<br />

sulla spalla.<br />

Na<strong>di</strong>a apre una porta ed entriamo in una stanza invasa<br />

dalla luce. Un fascio bianco abbacinante, accecante, amplificato,<br />

irra<strong>di</strong>ato da una vetrata senza fine, quasi uno<br />

schermo che trasmette oltre questi vetri un prato smeraldo.<br />

E non c’è finzione ma solo una strana realtà. In mezzo,<br />

tra la vetrata appena aperta e il prato, travolto dalla luce<br />

bianca ci sono Io. Io seduto sul parquet scuro con la faccia<br />

immersa in un libro <strong>di</strong> colori e parole. Io vent’anni fa. E<br />

quasi muoio. E Io alza lo sguardo e ha i miei occhi neri neri<br />

e profon<strong>di</strong> e ha le mie sopracciglia prima grosse poi fini<br />

e arcuate e ha le mie <strong>di</strong>ta lunghe e affusolate che spostano<br />

il nostro ciuffo <strong>di</strong> capelli neri e sorride con i nostri canini a<br />

punta muovendo in avanti il nostro mento un po’ pronunciato<br />

e facendo tremare le nostre labbra che si aprono solo<br />

quando vogliono loro, su questa pelle scura.<br />

Io e me stesso, uno davanti all’altro. Poi Io <strong>di</strong>ce qualcosa<br />

e ritorna con la faccia sul libro.<br />

– Volevo solo che lo vedessi, questo nostro figlio. Mio e<br />

<strong>di</strong> Jay.<br />

E lei si stringe a Jay che la bacia sui lunghi capelli bion<strong>di</strong>.<br />

– È nato tre mesi dopo che Gigi… e ora è nostro figlio.<br />

Solo nostro. Ma credevo fosse giusto che lo vedessi.<br />

E il suo italiano aritmetico è perfetto e anche le sue intenzioni,<br />

il suo scopo e il suo fine. Ma anche l’aritmetica<br />

124<br />

ha i suoi ce<strong>di</strong>menti. Ecco perché sono qua. Sono solo un<br />

ce<strong>di</strong>mento matematico.<br />

Jay poggia la sua mano sul mio fianco e fa una leggera<br />

pressione. Io guardo Na<strong>di</strong>a e non <strong>di</strong>co nulla. Come potrei.<br />

E non faccio nulla. Come potrei. Anche questo è un<br />

piccolo pezzetto <strong>di</strong> me che se ne va.<br />

Ci avviamo verso l’uscita. In silenzio. Perché non ho<br />

neanche nulla nella mia testa da poter ripetere e che mi<br />

possa aiutare.<br />

E l’unica cosa che mi esce prima <strong>di</strong> risalire su questa auto<br />

nera è un Grazie. Ma avrei voluto <strong>di</strong>re <strong>di</strong> più e chiedere<br />

e farmi spiegare e accampare pretese e altro che grazie.<br />

Ma come potrei, come potrei. E sono così schiavo degli altri<br />

che non chiedo neppure un nome, il nome <strong>di</strong> Io<br />

vent’anni fa.<br />

125


Tre<strong>di</strong>cesimo pezzetto<br />

La mente non l’ho fermata mai, i muscoli sì, qualche<br />

volta.<br />

A fine <strong>campionato</strong>.<br />

Li guardo questi muscoli e sembra che abbiano avuto<br />

una vita propria. Grande pettorale, piccolo pettorale, retto<br />

dell’addome, traverso dell’addome, quadrato dei lombi,<br />

deltoide, sopraspinato, sottospinato. Ritmi propri, esigenze<br />

tutte loro. Bicipite, tricipite, coraco-brachiale, brachiale.<br />

Lo so perfettamente e non sono ricor<strong>di</strong> tanto lontani.<br />

L’ultima volta è accaduto pochi mesi fa. Alla fine della festa,<br />

fra ban<strong>di</strong>ere e giri <strong>di</strong> campo e urla e battimani. Il teatrino<br />

della gioia. E tutti a urlare, tutti loro. Perché io sono<br />

fuggito negli spogliatoi con la scusa dell’invasione <strong>di</strong> campo.<br />

Abbiamo fatto il nostro dovere, no? L’abbiamo fatto<br />

perché con quello che ci danno ci mancherebbe altro, ci<br />

siamo presi pure la sod<strong>di</strong>sfazione e mo basta.<br />

E invece no, baci e abbracci. Baci e abbracci. E quanto<br />

siamo stati bravi e quanto siamo campioni. E quanti <strong>di</strong> noi<br />

il prossimo anno saranno qui? e l’anno prossimo bastar<strong>di</strong><br />

avversari? Ma che cazzata è? Ma che <strong>di</strong>avolo <strong>di</strong> cazzata è<br />

questa? Che faccio brindo col nemico? mai.<br />

Anche se nemico <strong>di</strong> arena, sempre nemico è. Me lo han-<br />

127


no insegnato loro. Fosse stato per me, se proprio avessi<br />

dovuto dare sfogo al mio fisico, all’indole del mio corpo,<br />

al massimo avrei militato - si <strong>di</strong>ce così, militato - nella<br />

squadra dei frati con i capelli lunghi da rockstar martire.<br />

Al massimo.<br />

Ma visto che qui mi hanno ficcato in testa le loro regole,<br />

be’ le loro regole <strong>di</strong>cono che l’avversario è avversario.<br />

Punto e basta. E quella <strong>di</strong> buttare fuori il pallone quando<br />

uno è a terra, quella <strong>di</strong> restituire la palla è l’unica farsetta<br />

rimasta in pie<strong>di</strong> delle vecchie regole che oggi hanno <strong>di</strong>vorato.<br />

E poi uno alla fine ci perde pure la testa, con queste girandole<br />

<strong>di</strong> maglia. Quello che ti doveva lanciare in rete sei<br />

mesi fa, oggi è quello che ti deve gambizzare prima <strong>di</strong> arrivarci,<br />

alla rete.<br />

Uno si perde in questa corsa forsennata all’ingaggio migliore.<br />

La mano stretta ieri, la sciarpetta al collo con i colori<br />

della società all’arrivo in aeroporto per uno scatto dei<br />

fotografi, per una ripresa della tv, è un patto che può valere<br />

solo sino a domani.<br />

Quin<strong>di</strong> non ho festeggiato. E tutti l’hanno presa per l’umiltà<br />

del campione. Ma era fasti<strong>di</strong>o.<br />

Ieri come oggi me li guardo e scuoto la testa. Sartorio,<br />

quadricipite, pettineo, adduttore breve, adduttore grande,<br />

adduttore minimo. Tibiale posteriore tibiale anteriore,<br />

peroneo lungo e peroneo breve.<br />

Li guardo e tocco le ferite in rilievo su cosce e polpacci,<br />

sono i segni dell’arena e li ricordo tutti, uno per uno. Ci passo<br />

sopra le <strong>di</strong>ta e ricordo ogni botta, ogni contrasto. E mi<br />

fanno ancora male come male mi fa tutta questa mia vita.<br />

128<br />

Solo un anno sono andato in vacanza prima del tempo.<br />

Una piccola frattura in <strong>di</strong>rittura d’arrivo, una caduta con<br />

un mastino terzino appiccicato <strong>di</strong>etro la schiena. Poi<br />

quello è venuto persino a trovarmi in ospedale e pure scusa<br />

mi ha chiesto davanti alle telecamere e ai fotografi. Scusa:<br />

il tempo <strong>di</strong> due riprese e due scatti, poi si è voltato e in<br />

ospedale non l’ho più visto.<br />

Mi hanno curato a tempo <strong>di</strong> record, che se fossi stato<br />

pensionato, od operaio, o professore o qualsiasi altra cosa<br />

starei ancora lì. Invece per me, per noi, tutto sfreccia sulla<br />

corsia d’emergenza, <strong>di</strong>sgrazie e rattoppi compresi.<br />

– Fatti una bella vacanza Vanni.<br />

E me ne sarei voluto andare a vedere quello che <strong>di</strong>co io,<br />

che poi sono cose che tutti fanno. Tipo musei e quadri, tipo<br />

monumenti e storia. E invece nulla. Avevo già la mia<br />

prenotazione, la stessa prenotazione degli anni passati<br />

dove vogliono che vada, dove mi controllano.<br />

– Ma come preten<strong>di</strong> <strong>di</strong> metterti in fila davanti a un museo?<br />

E tutti i torti non avevano.<br />

– Ma hai presente chi sei? Ti assalterebbero in un secondo,<br />

non ti mollerebbero un attimo.<br />

Anche loro non mi mollano un attimo e io li ho sempre<br />

lasciati fare.<br />

* * *<br />

Li ho lasciati fare anche questa volta, stavolta, che i muscoli<br />

sono esausti davvero. Grande gluteo, me<strong>di</strong>o gluteo,<br />

piccolo gluteo. Colpa <strong>di</strong> questa botta e <strong>di</strong> questa gamba<br />

che è meglio si prenda un po’ <strong>di</strong> pensione.<br />

129


– Fatti una bella vacanza Vanni.<br />

E io la vacanza già me la faccio in questa giungla geometrica,<br />

con le palme, le piante, il verde, il fresco. Algebrico.<br />

I vialetti e il fresco e le piscine una <strong>di</strong>etro l’altra. Gli ufficiali<br />

in <strong>di</strong>visa che ti salutano e si inchinano e gli ufficiali<br />

senza <strong>di</strong>visa che controllano e provvedono e vedono perché<br />

nessuno ficchi i pie<strong>di</strong> in questa riserva. E controllano<br />

già dalla spiaggia che se per sbaglio ci finisce chi con questa<br />

storia <strong>di</strong> para<strong>di</strong>so non c’entra nulla lo prendono a randellate.<br />

Sono in vacanza da solo perché Lucina prima ha detto<br />

<strong>di</strong> sì. Era l’alba <strong>di</strong> giovedì. Poi ha detto <strong>di</strong> no, al tramonto<br />

<strong>di</strong> giovedì quando è tornata dal suo avvocato e dai suoi<br />

sensi <strong>di</strong> colpa, o forse <strong>di</strong> opportunità.<br />

– Ci stiamo perdendo, lo sto perdendo…<br />

La solita tiritera. Ma rispondo uguale.<br />

– Ci stiamo perdendo chi?<br />

E lei affonda:<br />

– Io e Raffaele.<br />

Raffaele è l’avvocato, il suo fidanzato.<br />

– Raggiungimi, allora. Solo per il fine settimana.<br />

Provo con uno sconto.<br />

– Non posso <strong>di</strong>rti <strong>di</strong> sì, forse.<br />

Lo sapevo. Suona già come un no sicuro.<br />

– Deluso?<br />

Ve<strong>di</strong> tu. Ma non le rispondo, la guardo e credo che basti.<br />

– Vanni, lo sai non posso perderlo. Ti prego cerca <strong>di</strong> essere<br />

comprensivo. Non posso perderlo. Se parto con te è<br />

la fine. Non voglio che sia la fine. Lo amo, troppo.<br />

130<br />

E io cosa sono? Merda. Avrei voluto <strong>di</strong>re, ma non <strong>di</strong>co<br />

nulla.<br />

– Però ci sentiamo eh. Mi basta un Sms a sera, una telefonata.<br />

A me no. Ma non <strong>di</strong>co nulla. E sono partito. Da solo.<br />

Ma poi solo solo non resto. Perché questa è la nostra riserva<br />

estiva e ci trovo sempre gente come me, gente peggio<br />

<strong>di</strong> me. Gente che mi passa accanto e mi sorride.<br />

– A cena da noi Vanni?<br />

E la tipa in costumino striminzito boccheggia silicone.<br />

– Abbiamo bloccato gli otto posti del Wawa-wawa restaurant.<br />

È il panzone dello scorso anno, liposoluto. Mostra i risultati<br />

della seduta chirurgica che poi sono i risultati della<br />

sua scuderia da corsa e delle sue azioni non so che.<br />

– Oh, non vorrai andare con quegli stronzi al Batabata!<br />

Il chirurgo è passato in zona occipitale a dare una rinforzatina<br />

alla criniera grigia.<br />

– Che palle il Batabata, che palle la cucina orientale.<br />

Striminzita boccheggia silicone, chissà che giochi con<br />

quei due canotti.<br />

Non parlo, sorrido e cerco la prima scusa.<br />

– Dài non farti pregare Vanni, poi si va all’anfiteatro, c’è<br />

il premio letterario. Dài Vanni siamo in giuria e ci buttiamo<br />

dentro pure te.<br />

Il Wawa-wawa e il Batabata hanno una piscina e un minigolf<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza. E li conosco bene tutti e due. Ma conosco<br />

anche Il nido delle ron<strong>di</strong>ni, la Capannuccia e il Gallery,<br />

la Baia e il Lucernino, Alba Rosa e Ganamala. Tutti i<br />

131


istoranti <strong>di</strong> questa riserva turistica li conosco bene. E conosco<br />

la loro clientela. E il loro concorso letterario <strong>di</strong> giugno<br />

all’anfiteatro dove convergono da tutti i ristoranti per<br />

<strong>di</strong>gerire.<br />

Convergono anche certi che ho visto in tivù e che tengono<br />

la rubrica nei giornali che contano. E sono amici del<br />

popolo e del padrone. Puntano qua a giugno per un primo<br />

assaggio. A giugno quando ci siamo noi ultralusso<br />

fuori stagione perché a luglio abbiamo già da fare o corriamo<br />

da altre parti o facciamo correre gli altri.<br />

Io avrei voluto fare le ferie a luglio e ad agosto nelle<br />

spiagge affollate fra l’odore del sudore e degli abbronzanti.<br />

Avrei voluto sedermi in spiaggia, sul bagnasciuga della<br />

spiaggia e guardare le ragazze che passano e misurargli<br />

tette e culo. E scegliere quella per la notte o quella da attendere<br />

qui sul bagnasciuga con la speranza che passi ancora<br />

una volta con l’amica presa per mano e che sorridano<br />

e ridacchino, ancora una volta.<br />

E invece no. Invece mi toccano sempre quelli del mio<br />

giro. Gente che fa leggi e gente che le <strong>di</strong>sfa, gente che azzanna<br />

per un emendamento e quasi si massacra. E ora sono<br />

tutti qui al Wawa-wawa o al Batabata. Poi all’anfiteatro<br />

con calciatori, modelle, giornaliste, ballerine, attrici e<br />

tutta la tiritera che ci sbattono tutti sulla carta patinata.<br />

Eccomi. Eccomi che mangio con l’ex panzone e Striminzita,<br />

Giorgio che gioca nella squadra che mi sta troppo<br />

sul culo e la fidanzata che lo porta a tutte le sue trasmissioni<br />

tv. Perché lei ha 28 anni e già quattro o cinque trasmissioni<br />

tivù. Ha iniziato che ballava su un tavolo. Ora fa<br />

ballare gli altri.<br />

Gli ha fatto fare persino la pubblicità <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> quei cosi<br />

132<br />

per il karaoke e ora Giorgio va da lei e dagli altri a cantare.<br />

E così muove il bacino, fa un giro, con un colpo del collo fa<br />

svolazzare la sua frangetta che gli copre gli occhi azzurri<br />

azzurri, batte le mani, un piede avanti e l’altro <strong>di</strong> lato. Muove<br />

il bacino e soffia sul microfono il meglio della hit parade.<br />

Stona, eh se stona. E se non stonasse non lo chiamerebbero<br />

neppure, è questo che vogliono da lui, il lato umano<br />

del campione. Peccato che lui sia convinto <strong>di</strong> far bene. E lei<br />

glielo fa credere. Chissà quante cose gli fa credere.<br />

Poi, vicino a Giorgio, c’è la tipa della destra destra, l’ultra<br />

destra, che piace anche alle donne della sinistra e infatti<br />

affianco ne ha una con un vestitino in<strong>di</strong>ano, o indonesiano<br />

o tailandese, che sembra garza e si vede tutto, ma<br />

tutto tutto.<br />

E alla fine mi eccito. E poi vedo che la Destra la guarda e<br />

la guarda male, perché lei guarda me. E io guardo lei, ma<br />

giusto perché è l’unica cosa da guardare a questo tavolo.<br />

E ora parlano <strong>di</strong> libri ma <strong>di</strong> certe cose che io manco ho<br />

sfiorato e mi fanno vomitare. E tutto possono fare ma non<br />

parlare <strong>di</strong> libri, che quello, campo mio è. Anche se qui tutti<br />

pensano che il mio campo è un altro.<br />

– Vanni, quest’anno ti voglio con noi nei box.<br />

L’ex panzone non mi molla.<br />

– Ti do un testone. Ti basta un testone?<br />

E mi chiedo perché parli come un ragazzino a un concerto<br />

rock.<br />

– Ti fai riprendere, <strong>di</strong>ci che tifi per noi. Indossi la nostra<br />

t-shirt. Un testone, solo questo per un testone. Tanto lo so<br />

che non hai il procuratore. Un testone dritto dritto nelle<br />

tue tasche. Vecchia lenza il Vanni… La sa lunga il Vanni e<br />

non passa il piattino a nessuno.<br />

133


E se la ridono e mi guardano compiaciuti e meno male<br />

che siamo agli amari. Loro sono agli amari, io non bevo,<br />

mai. Mantengo il controllo, sempre. Non mi va <strong>di</strong> mandare<br />

a risposo il mio cervello, mai. Me lo godo così il mio cervello,<br />

è la parte migliore <strong>di</strong> me e ci tengo che sfrecci come<br />

e dove vuole senza ad<strong>di</strong>tivi. Neanche minimi, neanche<br />

stagionali.<br />

Ho la cartellina in mano e ho affianco il presidente abbronzato<br />

abbronzato, ma così abbronzato che mi chiedo<br />

come faccia con quelle sue trasmissioni tivù e quella sua<br />

rubrica dei giornali che contano. Amico del popolo e del<br />

padrone.<br />

– Mai letto qualche libro?<br />

La sua voce è come l’autora<strong>di</strong>o <strong>di</strong> certi che quando passano,<br />

in macchina <strong>di</strong>co, fanno vibrare i vetri. E le ragazze<br />

bion<strong>di</strong>ne che non lo perdono mai <strong>di</strong> vista, le ancelle seguaci<br />

bion<strong>di</strong>ne che mi sa anche loro scrivono qualcosa,<br />

sghignazzano.<br />

– Mai letto qualche libro?<br />

Ripete perché la battuta piace troppo alle ancelle seguaci.<br />

– Qualcuno.<br />

Le Ancelle si fanno più strette.<br />

– Qualcuno… bene. E questi, questi qua, questi qua che<br />

ha segnati sulla sua cartella li ha mai letti?<br />

Faccio una pausa. Anche io conosco la forza delle pause,<br />

adesso. E le ancelle zummano gli occhi e lui attende<br />

guardandomi e sorridendo. Bastardo.<br />

E mi stu<strong>di</strong>o cosa <strong>di</strong>re. E rapido, veloce mi immagino cosa<br />

mi risponderà.<br />

Mi immagino <strong>di</strong> <strong>di</strong>re.<br />

134<br />

“Questo questo qua sì, e anche questo, sì pure questo…”<br />

E mi vedo mentre li depenno con la matita. Mentre lui<br />

perde un po’ del sorriso.<br />

E lo vedo che risponde verde limone, giallo itterizia.<br />

“Bene tutti li ha letti. Bene. Complimenti. Spero che le<br />

sia piaciuto anche a lei quello dell’Avvoltoio, una bella<br />

storia ambientata in Canada…”<br />

E lo so che mi vorrà tendere trappole. Tagliole arrugginite<br />

che non conoscono la pietà. E basterà solo saltare veloce<br />

perché si richiudano senza il mio piede dentro. Un<br />

rumore <strong>di</strong> vecchia ferraglia ma non <strong>di</strong> carne lesa. Avvilita<br />

e offesa.<br />

“Il tipo non si chiama Avvoltoio ma Condor e la storia è<br />

un ritratto del Cile prima della <strong>di</strong>ttatura <strong>di</strong> Pinochet,<br />

quando ancora si sperava in uno stato socialista e nella nazionalizzazione.<br />

Ovviamente si svolge in Cile e non in Canada.<br />

Ma si tratta <strong>di</strong> un lavoro artefatto, scritto a tavolino,<br />

senza cuore. Forse perché oggi l’americalatina va. Credo<br />

che lo abbia scritto una <strong>di</strong> quelle ragazze, una <strong>di</strong> quelle<br />

che era qui con noi, ma ora non vedo più. Credo quella<br />

che la aiuta nei testi della trasmissione tivù, o sbaglio?<br />

Quella, quella che ha conosciuto nei suoi corsi <strong>di</strong> scrittura<br />

creativa, o sbaglio?”<br />

E mi immagino che gli faccio perdere anche l’abbronzatura.<br />

E le vedo le Ancelle che incartapecoriscono i sorrisi.<br />

“De gustibus. Ma non mi vorrà <strong>di</strong>re che non è <strong>di</strong> grande<br />

poesia almeno questo?”<br />

E lo so che l’avrò in pugno. E godo e mi riscalda lo stomaco<br />

solo il pensiero che una volta tanto, una volta nella<br />

mia vita avrò in pugno qualcuno.<br />

135


“Questo? C’è più poesia nei miei rigori che in questo.<br />

Ma poi mi scusi, ma il tipo, questo tipo, non scriveva guide<br />

<strong>di</strong> ristoranti famosi? Sì, guar<strong>di</strong> sono quasi sicuro che è<br />

lui, mi sembra che sua madre fosse conoscente <strong>di</strong> mia zia.<br />

Sì è lui quello che ha scritto la guida dei ristoranti famosi e<br />

si è fatto accompagnare in viaggio dalla mamma, sì me lo<br />

ricordo lo ha raccontato a mia zia.”<br />

E mi immagino tutto e sono pronto alla sfida. Ho tutto<br />

programmato e calcolato. Dirò questo e risponderà quello.<br />

Sono pronto. Sto per rispondere.<br />

– Allora Visco, li ha letti o no… pronto Visco… c’è? è su<br />

questa terra? o la man<strong>di</strong>amo a prendere?<br />

Il tempo a volte è una macchina perfida.<br />

– Non si imbarazzi, se non li ha letti, lo <strong>di</strong>ca, anche io<br />

non so tirare una palla, avanti su non si vergogni… o non<br />

mi vorrà <strong>di</strong>re che ha i riflessi così lenti anche in campo…<br />

E le ancelle sono peggio <strong>di</strong> iene, avvoltoi sciacalli, mi<br />

spolpano con gli sguar<strong>di</strong>, mi scarnificano con quelle risatine.<br />

Sto per tentare il recupero in zona Cesarini, ultimi secon<strong>di</strong><br />

prima del fischio finale. Come faceva Cesarini, sembrava<br />

tutto perduto e via, lui riaggiustava la partita.<br />

Le mie labbra si muovono ma un fischio assordante ci<br />

trafora le orecchie e la ragione. Un fischio che arriva dal<br />

palco. È Giorgio, prova il microfono e speriamo che quelli<br />

della <strong>di</strong>tta del karaoke lo vedano e gli levino per sempre<br />

la pubblicità. Combatte con un fischio che gli scuote la<br />

frangetta e tutti si girano e tutti ridono.<br />

– Il presidente sul palco! Porco cazz…<br />

Urla come fa in campo. Nell’arena con le telecamere<br />

che lo beccano sempre, certe bestemmie. Urla per supera-<br />

136<br />

re quel fischio maledetto che si ferma e lascia Giorgio sulla<br />

bestemmia finale.<br />

E tutti ridono. Ride Giorgio, ride questo qua che mi<br />

guarda <strong>di</strong> merda e mi strappa dalle mani la cartellina.<br />

Mentre le ancelle iene, spazzine della savana geometrica,<br />

lo seguono lanciandomi l’ultima occhiata.<br />

– Lo <strong>di</strong>cevano, vuoto pneumatico…<br />

E finisce qui.<br />

* * *<br />

Anche questo è uno dei ricor<strong>di</strong> della vergogna. Vergogna<br />

nera e <strong>di</strong>sgraziata. Li ho tutti in fila in<strong>di</strong>ana nella mia<br />

mente, i ricor<strong>di</strong> della vergogna, e ogni tanto se ne aggiunge<br />

uno. Uno nuovo in coda alla fila. Si piazza lì e fa avanzare<br />

<strong>di</strong> due passi tutti gli altri.<br />

Ecco, io me lo immagino così. Ci sono i miei ricor<strong>di</strong>, i ricor<strong>di</strong><br />

della vergogna, che bussano al portone della memoria.<br />

Ma non apro, tengo duro. Quelli spingono. Metto<br />

puntelli, travi grosse inchiodate agli stipiti. Quelli sono<br />

un ariete e fanno cigolare i legni e gracchiare le cerniere.<br />

Accatasto mobili, arma<strong>di</strong>, se<strong>di</strong>e. Ma loro sono tutti lì dall’altra<br />

parte che premono e alla fine il portone vibra, mugugna<br />

che neanche il pianto delle balene, sordo e profondo.<br />

Loro spingono e quello si lamenta. Loro premono e<br />

mi gela il sangue questo rumore qui. Mi sembra un canto<br />

funebre a labbra chiuse, l’inno della sconfitta. E alla fine il<br />

portone crolla, cede. E quasi mi schiaccia.<br />

Chio<strong>di</strong> sui polsi, flagelli sulla schiena, piombo rovente e<br />

mutilazione. Frecce sul costato. A volte lo so. A volte sono<br />

loro, i pensieri della vergogna che m’invadono la mente, a<br />

137


dominare me, non io ad or<strong>di</strong>nargli <strong>di</strong> tornare a galla. Ora<br />

lo so.<br />

* * *<br />

– Gentilissimi amici, signore carissime…<br />

Il microfono non fischia più. Il Presidente conosce il<br />

suo mestiere. E il concorso letterario anche questa estate<br />

ha il suo campione.<br />

Vince il Condor. Non c’era dubbio. Vince il Condor alla<br />

faccia del mio voto. Il poeta ristoratore arriva secondo. E<br />

si abbracciano e si fanno fotografie. L’ex panzone stappa<br />

la bottiglia e tutti sono in pie<strong>di</strong> nei loro abiti luci<strong>di</strong>, sulle<br />

loro pelli lucide. E io mi do.<br />

Alla mie spalle sento la musica che irrompe nell’anfiteatro<br />

dell’architetto delle ville e del lusso, sento questa cafonata<br />

latina che prima muovi il braccio destro, poi il sinistro,<br />

una piroetta e le anche e la gamba destra e la gamba<br />

sinistra e poi il battimani. Tutti insieme. Alè. E penso a<br />

Gigi, alla musicoterapica. Alla musica come terapia e qui<br />

ci vorrebbe un internamento per secoli con dosi massicce<br />

per tutti, tutti loro.<br />

Taglio veloce, punto al mio bungalow, che bungalow<br />

non è. È tutto tranne un bungalow, più reggia che capanna.<br />

Punto veloce e quasi sbatto su quella della destra destra<br />

e la sua tipina della sinistra sinistra col vestito garza sempre<br />

più trasparente.<br />

– Un bagno nella piscina del nostro bungalow?<br />

E stringe una bottiglia <strong>di</strong> spumante con le sue <strong>di</strong>ta lunghe<br />

e le sue unghie lunghe, rettangolari, prima bianche<br />

138<br />

poi bianche bianche, come le rapstar per nulla martiri e<br />

molto nere. Anche nell’anima.<br />

In camera da letto, nell’arma<strong>di</strong>o della camera da letto,<br />

ho una macchina <strong>di</strong>gitale e anche la Polaroid. Pensavo <strong>di</strong><br />

scattare qualche foto, in questa mia vacanza. Ho sempre<br />

pensato <strong>di</strong> scattare qualche foto ma non c’è stato mai nulla<br />

da scattare in queste vacanze fotocopia, qui nella giungla<br />

matematica. Sono sempre tornato senza uno scatto.<br />

– Faccio un salto in camera e arrivo.<br />

E Destra mi sorride e con una mano ficca le unghie sul<br />

culo <strong>di</strong> Sinistra e con l’altra quasi strozza la bottiglia. E ho<br />

paura che il vetro esploda.<br />

– Faccio un salto in camera e arrivo.<br />

Mento, e fuggo. Non ho intenzione <strong>di</strong> avere ricor<strong>di</strong> con<br />

queste qui. Ricor<strong>di</strong> e null’altro. L’avevo giurato: Mai più.<br />

La Polaroid è carica. Magari mi sarebbe piaciuto fare<br />

degli scatti con Lucina. Sventolare rapido il negativo sinché<br />

il nero non avrebbe lasciato posto al rosso, poi alle nostre<br />

sagome in arancione, alla fine ai nostri visi prima sfumati,<br />

poi abbronzati su un mare cobalto. Con Lucina non<br />

ho mai fatto una foto.<br />

La Polaroid è una pistola nella mia mano destra. Mi corico,<br />

spengo il cellulare, alzo la cornetta del telefono sul<br />

como<strong>di</strong>no bambù. Spengo la luce.<br />

Clic… Clic… Clic… Clic… Clic… Clic… Scarico i flash<br />

sui miei occhi aperti, una sventagliata senza pietà, carica<br />

da sei. Una raffica che mi fa lacrimare. Forse dormirò<br />

meglio.<br />

La Polaroid è a terra che frigge e vomita i miei scatti, la<br />

faccia della <strong>di</strong>sperazione.<br />

139


Quattor<strong>di</strong>cesimo pezzetto<br />

La campanella non segna il mio ingresso. È rotta, andata<br />

da tempo. Ma pensavo che in queste ferie Rocca l’avesse<br />

aggiustata. Punto verso <strong>di</strong> lui, verso il bancone. Ma vedo<br />

che non è solo. E quello non è un cliente.<br />

Rocca parla fitto fitto e quello ha l’aria fasti<strong>di</strong>osa <strong>di</strong> un<br />

piazzista in carriera. È un tipo sui trenta, elegante, troppo<br />

elegante, abito scuro, valigetta, pettinatura perfetta e occhiali<br />

da sole della marca che sponsorizzo.<br />

Rocca alza lo sguardo verso <strong>di</strong> me. Ma è solo un attimo.<br />

I suoi occhi chiedono aiuto. Ma io non so che fare. Quello<br />

lo travolge <strong>di</strong> parole. E lui scuote la testa.<br />

Rocca mi riguarda come per <strong>di</strong>re: Fa nulla dài, me la<br />

sbrigo. E quello non sta zitto un secondo.<br />

– Io sono stanco, Gabriele. Quanti anni hai? Non sei un<br />

bambino. Vuoi fare l’eroe? Vai, ti pren<strong>di</strong> un mitra e parti,<br />

che il mondo è pieno <strong>di</strong> occasioni. Ma santa Madonna, lo<br />

capisci che vendere libri è un mestiere? Tu ven<strong>di</strong> e gli altri<br />

comprano, Gabriele. Si chiama azienda. In italiano si chiama<br />

azienda, non missione. Non ce la fai con i libri? Ci<br />

apriamo un bel <strong>di</strong>sco bar, qui in centro, i tavolini fuori…<br />

ven<strong>di</strong>amo birre, cocktail… sol<strong>di</strong> a palate… sol<strong>di</strong> facili…<br />

Vuoi vendere libri? Cazzi tuoi… ma almeno puntiamo su<br />

e<strong>di</strong>zioni economiche… quelle che ci tirano <strong>di</strong>etro per due<br />

lire… quelle… quelle… da supermarket…<br />

141


Nella libreria c’è anche Lucina, che forse era già qui,<br />

forse mi aspettava già nella nostra stanza. Oggi è mercoledì,<br />

il nostro giorno. Ci incontriamo sempre qui, poi proseguiamo<br />

da me.<br />

Lucina mi tiene per un braccio e mi guarda come <strong>di</strong>re:<br />

Che <strong>di</strong>avolo succede? Io sgrano gli occhi e non ho risposte.<br />

Poi penso che tutto è legato al fatto che io e lei siamo<br />

rimasti gli unici fedeli clienti della libreria Rocca. Ma non<br />

lo <strong>di</strong>co, tanto Lucina ha già fatto l’equazione.<br />

Il tipo piazzista ha il viso a un soffio da quello del nostro<br />

libraio. Il nostro libraio è stanco come non l’abbiamo<br />

mai visto e non ha la forza <strong>di</strong> reagire.<br />

– E poi, Gabriè, non farmi quella faccia da via Crucis,<br />

perché lo sai che ho ragione io. I debiti sono debiti. Organizzati.<br />

Altrimenti <strong>di</strong>menticatela questa baracca. Ti porto<br />

via anche le mutande.<br />

Il nostro libraio reagisce più per noi che lo guar<strong>di</strong>amo<br />

che per se stesso.<br />

– Adesso basta, Alessio. Ho… ho u… una <strong>di</strong>gnità anch’io.<br />

Basta.<br />

Ma il piazzista non molla. Perché vede la bocca del nostro<br />

libraio tremare forte.<br />

– Basta che? basta che? Poveri figli tuoi, con un padre così.<br />

Non vuole che gli spostino la polvere, fa l’umanista e…<br />

Il tipo guarda me.<br />

– E ormai nel tempio della cultura ci entrano solo i calciatori…<br />

Gonfio il petto, ma Lucina mi stringe il braccio e Gabriele<br />

mi supplica con i suoi occhi azzurri che ora brillano<br />

ancora <strong>di</strong> più, ora che sono umi<strong>di</strong> e incorniciati dai capelli<br />

bianchi.<br />

142<br />

– Glielo spieghi lei…<br />

Dice a me.<br />

– Glielo spieghi lei, chedè miliardario, che si tratta solo<br />

<strong>di</strong> mettersi al passo… ci sono librai che fanno i sol<strong>di</strong>… l’azienda…<br />

il fatturato… ciò che conta è l’ultima cifra in<br />

basso a destra.<br />

Rigonfio il petto ma Lucina mi trascina verso la biblioteca<br />

esagonale. E i miei passi si fanno pesanti ed echeggiano<br />

nel corridoio che oggi sembra più stretto e sembra non<br />

finire.<br />

Vorrei <strong>di</strong>rvi una cosa molto piacevole e allegra<br />

Sento lontana la voce del nostro libraio.<br />

Adesso, non c’è tempo per <strong>di</strong>scutere… ma, in due parole<br />

Mi sembra un lamento.<br />

Voi già sapete che il giar<strong>di</strong>no dei ciliegi sarà venduto per<br />

coprire il debito<br />

Sento le urla del tipo e il trillo del suo telefonino.<br />

L’asta è fissata per il 22 agosto, ma non inquietatevi, mia<br />

cara. Dormite in pace: c’è una soluzione… c’è una soluzione…<br />

Quando non sentiamo più nulla, io e Lucina sbuchiamo<br />

fuori. Il signor Rocca sembra al termine <strong>di</strong> una maratona,<br />

esausto, e la catenella che gli ha sempre retto gli occhiali è<br />

anche lei sfinita. Si spezza e le lenti cadono a terra frantumandosi<br />

in mille pezzi. Ma nessuno sembra accorgersene.<br />

Né noi, né lui.<br />

– Lunedì ben tornato… e la tua gamba?<br />

Signor Rocca legge troppo, anche i giornali.<br />

– Tiene, non <strong>di</strong>a retta a quelli là…<br />

– Ah… tutto a posto quin<strong>di</strong>?<br />

143


Si è sempre preoccupato per me.<br />

– Sì, io sì.<br />

E io solo ora <strong>di</strong> lui.<br />

– Quello… quello sai, è il fratello <strong>di</strong> mia moglie, una<br />

specie <strong>di</strong> piaga, non capisce praticamente nulla…<br />

– Uhm… brutto aspetto. Pessimo.<br />

Ma vorrei <strong>di</strong>re <strong>di</strong> più.<br />

– Ha un figlio, sette anni. Stravede per te.<br />

E tira fuori un foglio e una penna.<br />

– Abbi pazienza Lunedì: così me lo levo <strong>di</strong> torno per un<br />

po’…<br />

Lucina mi guarda con una faccia e vorrebbe chiedermi<br />

cos’è questa storia <strong>di</strong> Lunedì, perché Rocca mi chiama<br />

Lunedì. Io firmo, paghiamo i nostri libri che oggi sono<br />

più del solito e an<strong>di</strong>amo via. Ma saremmo dovuti restare.<br />

– Perché ti chiamava Lunedì…<br />

Non le rispondo.<br />

– Ah, perché?<br />

Ma non cedo e lei sbuffa.<br />

* * *<br />

Alla fine credo <strong>di</strong> aver sbagliato tutto. O quasi. Sono<br />

stato uno <strong>di</strong> quei tipi, come <strong>di</strong>re?, poco tempestivi. Insomma,<br />

ho sempre sbagliato i tempi. Sono restato quando<br />

dovevo scappare. Sono scappato quando dovevo restare.<br />

La vita è un’altalena. E anche questo tutti lo sanno.<br />

Non è che non avessi la coscienza. Cioè sapere lo sapevo,<br />

ho lo scandaglio sotto pelle. Ma fra coscienza e azione<br />

ce ne passa. E pure questo lo sanno tutti.<br />

Saremmo dovuti restare.<br />

144<br />

Viaggiare mi è sempre piaciuto viaggiare. Soprattutto<br />

con Lucina. Ma solo sulle pagine della mia libreria.<br />

– Vanni non posso, lui potrebbe sospettare.<br />

E siamo rimasti a casa.<br />

A lei sono sempre piaciuti gli americani e abbiamo volato<br />

insieme sul delta del Mississipi e sulle mille luci <strong>di</strong> New<br />

York.<br />

Allacciati, i corpi stretti l’uno all’altro<br />

La mia bocca incontra la sua.<br />

Il ragazzo e la ragazza presero a muoversi su e giù per il<br />

vialetto<br />

E succhio la sua lingua calda e profumata.<br />

Ballavano<br />

Sposto le sue gambe sulle mie spalle.<br />

E quando il <strong>di</strong>sco finì, ricominciarono<br />

Scivolo con la lingua sui suoi pie<strong>di</strong>.<br />

E quando anche quello finì<br />

Il mio sedere oscilla.<br />

Il ragazzo <strong>di</strong>sse: Sono ubriaco<br />

Il suo gomma piuma.<br />

La ragazza <strong>di</strong>sse: No che non lo sei<br />

E i miei occhi si chiudono fra le sue cosce.<br />

Invece sì che sono ubriaco<br />

Un piano elettrico scorre fra le mie tempie, una sequenza<br />

elettronica. Recito a voce alta e spingo forte, deciso ma<br />

morbido, senza fretta.<br />

Con Lucina non ho mai preso cioccolate calde, non ho<br />

mai visto un film <strong>di</strong> Natale, non ho mai fatto regali passeggiando<br />

a braccetto per le strade illuminate <strong>di</strong> gente e colori.<br />

Non ho mai pranzato dai suoi, non ho mai riso con le<br />

145


sue amiche. Non ho mai litigato con urla e musi lunghi e<br />

poi fatto pace. Con Lucina ho <strong>di</strong>viso la mia biblioteca e la<br />

mia casa. Il mercoledì. Non so più per quanto.<br />

È stata Lucina a farmi andare verso nuovi suoni. Lucina<br />

a farmi uscire dall’appren<strong>di</strong>stato. Dalla nausea al vortice<br />

caldo. Sino alla solitu<strong>di</strong>ne.<br />

Mi è sempre piaciuto viaggiare. E poi tornare. Sentire<br />

l’aria calda e appiccicosa, un sifone sparato in bocca non<br />

appena l’aereo srotola la sua lingua <strong>di</strong> scalini acciaio sull’asfalto<br />

della pista.<br />

Mi è sempre piaciuto tornare nella mia casa che si affaccia<br />

sul porto. Con le finestre aperte, le serrande quasi abbassate<br />

e la luce che appena filtra dalle fessure. La mia casa fresca<br />

e pulita. Silenziosa, dove far riposare le orecchie inquinate<br />

<strong>di</strong> suoni tamburi, <strong>di</strong> urla fischi, <strong>di</strong> commenti parole.<br />

Le fessure delle serrande sono piccoli rettangoli <strong>di</strong> luce<br />

che fanno caleidoscopi <strong>di</strong> luce. Mi siedo e aspetto Lucina.<br />

– Sei il mio lato oscuro.<br />

– Sono cosa?<br />

So già dove vuole arrivare. Ho le antenne, io.<br />

– Sei il mio peccato e il mio sogno.<br />

– Sono quello del mercoledì.<br />

Taglio corto.<br />

Mai <strong>di</strong>re a una donna, a Lucina, una cosa così.<br />

– Non ho quello del mercoledì, né del lunedì, né del venerdì.<br />

Stronzo. Ho Raffaele. E te, il mio lato oscuro.<br />

– Cosa mi devi <strong>di</strong>re?<br />

Lucina conosce la forza delle pause. E abbassa gli occhi<br />

per qualche istante. Per qualche secondo non parla.<br />

146<br />

– Cosa mi devi <strong>di</strong>re?<br />

E attendo. Ma soffro queste attese.<br />

– Parto, ci trasferiamo a Roma.<br />

E non so più bene dove vuole arrivare stavolta Lucina.<br />

– Ci? Ci chi?<br />

– Io e Luisa, Luisa la mia amica.<br />

Manco me la ricordo questa Luisa.<br />

– Ah sì Luisa.<br />

E ora non capisco. E la laurea? E l’avvocato che un giorno<br />

vorrà o dovrà, non l’ho ancora capito, sposare?<br />

– Mi hanno offerto un’occasione d’oro.<br />

– L’Università?<br />

– Ma no… <strong>di</strong> lavoro.<br />

Non capisco proprio. Di lavoro? Ma quale lavoro? Lucina<br />

va ancora all’Università.<br />

– Hai presente il cognato <strong>di</strong> Rocca… l’altro giorno.<br />

Le mie antenne hanno fatto cilecca. Non hanno funzionato,<br />

non hanno percepito nulla. Il vuoto assoluto. Non<br />

mi hanno messo al riparo per tempo da questa valanga <strong>di</strong><br />

bitume incandescente che mi sommergerà. Peggio dell’olio<br />

bollente.<br />

E la guardo storto. Che devo avere una faccia da demonio<br />

cinghiale <strong>di</strong>avolo della boscaglia. Ma lei non perde la<br />

calma e mi guarda con i suoi occhi ghiaccio e il suo ombretto<br />

ghiaccio.<br />

– Dài Vanni, non fare così… lo sai che i libri sono la mia<br />

passione, sono tutto quello che ho e ho sempre voluto. Il<br />

mio sogno. Sto accarezzando il mio sogno.<br />

Scuoto la testa e la riscuoto, neppure fossi un mulo innervosito<br />

con una sacca davanti e una <strong>di</strong>etro, per non sporcare.<br />

147


– Insomma, Vanni quello con un suo amico romano apre<br />

una piccola catena <strong>di</strong> libri, sai quelle catene…<br />

– Di libri da supermercato… e poi Raffaele, che <strong>di</strong>rà il<br />

tuo Raffaele?<br />

– Quando fai così Vanni ti o<strong>di</strong>o.<br />

– Vai a fare la commessa… per quel pezzo <strong>di</strong> merda.<br />

Quello che si vuole cucinare Rocca, quello che lo vuole<br />

sbattere fuori senza pietà.<br />

E vorrei tirarle il collo. Il suo lungo collo.<br />

– Ma tu vuoi la mia felicità o no? Da dove vuoi che inizi?<br />

Vuoi che inizi a <strong>di</strong>rigere da Feltrinelli?<br />

E vorrei dare battaglia e spiegarle che io la penso <strong>di</strong>versamente,<br />

che se uno è nemico <strong>di</strong> un mio amico è mio nemico.<br />

Che abbia in mano la <strong>di</strong>rigenza del gran circo o degli<br />

scaffali dei libri <strong>di</strong> cucina e poi quelli delle <strong>di</strong>ete e quelli<br />

degli astrologi indovini e dei segreti del microonde e dei<br />

popoli scomparsi e tutta la tiritera. Non è l’offerta che<br />

conta, è chi te la fa. E poi, a <strong>di</strong>rla tutta, questa è un’offerta<br />

che non conta. Penso cose d’altri tempi, penso cose che<br />

oggi non valgono nulla.<br />

– Mi capisci Vanni, devo acciuffare l’occasione ora, sennò<br />

poi il treno passa e chissà quando ripasserà per me.<br />

Avere coraggio significa anche questo: saper aspettare,<br />

anche se aspettare significa logorarsi.<br />

– Prima la tua felicità Lucina.<br />

Lei è raggiante.<br />

Eccomi, vedo un altro pezzetto <strong>di</strong> me staccarsi dal mio<br />

corpo ma non del tutto. Via un’altra squama che resta appesa<br />

ad un filo e pende dalla mia carne. Non spira il vento<br />

e non se la porta via. Resta lì, pelle morta a ricordare al resto,<br />

a tutto il resto del mio corpo, la fine che farà.<br />

148<br />

* * *<br />

«Questo era il mio trance, questa era la mia fuga. Questa<br />

è stata la mia fuga. Poi il resto solo sbia<strong>di</strong>te copie.<br />

Ho cercato, ma non ho trovato. E quando ho preso non<br />

è mai stato lo stesso. Sono volato via ma solo il lasso <strong>di</strong> un<br />

verso, poi tutto è morto. Subito dopo.»<br />

Mi vergogno. Mi stupiscono questi miei pensieri, questi<br />

miei tentativi <strong>di</strong> scrittura. Invece questa frase l’ho lasciata<br />

lì appesa su un foglietto giallo appiccicato al frigorifero.<br />

Aspetto che sbia<strong>di</strong>sca da sola. Che se ne vada a farsi fottere<br />

da sola, che perda pian piano inchiostro.<br />

«Ho c rcato ma n n ho tro to. E qua o ho pr so non e ai<br />

stato lo stesso. S no vo ato via ma solo il lasso <strong>di</strong> un v so, oi<br />

tu to è morto. Subi dop»<br />

La lascio lì perché mi ricor<strong>di</strong> che non sono un poeta. Il<br />

mio talento è solo in campo. Nell’arena.<br />

E questo è uno dei pensieri della vergogna che voglio<br />

resti marcato a fuoco sulla mia fronte.<br />

* * *<br />

Centrocampo. Il cielo si fa metallo. L’aria fredda blocca<br />

il respiro.<br />

Nelle orecchie ho come una tempesta <strong>di</strong> onde in un mare<br />

nero.<br />

I pa<strong>di</strong>glioni in due conchiglie che suonano echi e ipnotismo.<br />

Non sento altro e vedo solo le guance <strong>di</strong> questo<br />

149


poliziotto municipale, vigile vigilante, che soffiano nel fischietto,<br />

e capisco che è il mio turno.<br />

I muscoli si tendono, mi lecco il braccio e ho il sapore<br />

salato giusto. Passo in<strong>di</strong>etro e parto in avanti.<br />

Peggio per questo birillo in maglia biancoblù, peggio<br />

per lui che si mette fra me e il mio destino e la mia rabbia.<br />

Ho la falce nei pie<strong>di</strong>. Macino e taglio, macino e taglio.<br />

E quello precipita a terra e i miei rimorsi lo sfiorano<br />

appena con la coda dell’occhio. Il vigile non fischia, peggio<br />

per lui, l’avevo detto.<br />

Gli altri sono già tutti avanti, mastini della guerra con<br />

la bava e l’alito fetido <strong>di</strong> chi vuole vittoria, costi quel che<br />

costi.<br />

Il cielo si abbassa. La luce svanisce.<br />

E sono così veloce che gli altri mi sembrano rallentati<br />

e mi sposto aspettando il pallone. Lo arpiono e lo incollo<br />

al piede destro. Me lo passo sul sinistro, il mio preferito.<br />

E li voglio fare impazzire questi qui. Balletto, uno<br />

due e tre. E li lascio senza fiato e senza mosse questi due<br />

che mi hanno mandato per fermarmi, ma non mi fermano.<br />

Faccio rotolare la palla dal lato opposto del campo.<br />

I miei mastini non mollano la presa e sento il loro alito<br />

fetente e ora sento anche le loro ossa che sfregano contro<br />

i loro muscoli. E i loro cuori che battono e battono e<br />

danno il ritmo a questa nostra <strong>di</strong>scesa senza pietà.<br />

Siamo in tre sotto la porta ma sembriamo in mille. Arriva<br />

la palla. Salto e mi sento levitare e mi sento lanciato<br />

verso il cielo. I miei occhi sono radar e la mia testa non<br />

attendeva altro.<br />

Ne ho uno affianco a me, uno degli altri. Tenta <strong>di</strong> agganciarmi<br />

la maglia. Ma non gli servirà. Porterò anche<br />

150<br />

lui alle stelle dove attendo la mia collisione. Un cenno<br />

del collo, solo uno me ne serve e la palla vola dentro la<br />

rete.<br />

Ora sento, ora sento perché non è possibile non sentire<br />

quest’arena che esplode.<br />

Ma non mi basta, non mi basta mai, oggi. Quelli ripartono<br />

ma non vanno lontano. In<strong>di</strong>etreggiano e forse gli<br />

basta la mia faccia. Forse gli bastano i miei occhi che trasmettono<br />

le immagini <strong>di</strong> tutta la rabbia del mondo.<br />

– Vanni calmo.<br />

Ma non li voglio sentire i miei, oggi.<br />

– Vanni calmo.<br />

E anche loro vedono i miei occhi e mai, credo mai,<br />

hanno visto il loro capitano così.<br />

Non c’è pietà. Non ci sarà pietà e se questo mio corpo<br />

è fatto per questo, se è fatto per la sfida che sfida sia, all’ultimo<br />

sangue.<br />

– Vanni calmo.<br />

Ma non mi calmo. Cerca e <strong>di</strong>struggi, cerca e <strong>di</strong>struggi.<br />

E anche il vigile urbano non mi riconosce più.<br />

– Visco, che cazzo le prende? Si <strong>di</strong>a una calmata o la<br />

mando dritto negli spogliatoi.<br />

Coloro che o<strong>di</strong>ano intensamente, devono aver prima<br />

amato intensamente<br />

E gli alito e non rispondo. I suoi occhi si abbassano.<br />

Ma non le sue intenzioni.<br />

Poi prende a corrermi <strong>di</strong>etro per vedere che altra cazzata<br />

farò, ma non ce la fa.<br />

Coloro che vogliono negare il mondo, devono aver prima<br />

accettato ciò che ora vogliono dare alla fiamme<br />

Supero tutti e i miei mastini mi hanno già spe<strong>di</strong>to il<br />

151


pallone che mi cade davanti al piede. Mentre i birilli biancoblù<br />

affannano.<br />

Eccomi. Io e questo fesso con cappellino visiera, ultima<br />

<strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> questa parte del campo già messa a ferro e fuoco.<br />

Un calcio per il pallone, un calcio per la vittoria e uno poco<br />

dopo per la sua faccia.<br />

Vedo sangue e bava bianca sulla mia scarpa. Quello piegarsi<br />

come un verme trafitto da un amo, arrugginito. E il<br />

vigile che mi corre incontro con un fogliettino rosso. Ri<strong>di</strong>colo.<br />

Esco fra urla <strong>di</strong>sumane, strepiti, lancio <strong>di</strong> seggioline e<br />

l’assalto delle tifoserie. Esco fra i rumori dei caschi che<br />

serrano le visiere, fra i manganelli che battono sugli scu<strong>di</strong>.<br />

Il fumo che invade l’arena.<br />

Cerca e <strong>di</strong>struggi, cerca e <strong>di</strong>struggi.<br />

Sono Lunedì, il selvaggio.<br />

E i miei mi applaudono e si sgolano per me, sono sempre<br />

e ancora <strong>di</strong> più il loro <strong>di</strong>o. Io vado negli spogliatoi, fra<br />

le mattonelline <strong>di</strong> sempre, i gesti <strong>di</strong> sempre. Tanto lo so,<br />

fra <strong>di</strong>eci minuti riprenderanno la sfida.<br />

* * *<br />

Oggi Lucina è portavoce <strong>di</strong> un ministro. Ha sposato un<br />

avvocato. Non quell’avvocato, un altro avvocato, quello<br />

che curò la ven<strong>di</strong>ta fallimentare della catena del cognato<br />

<strong>di</strong> Rocca e non vive qui. Ha un figlio, ma non è dell’avvocato,<br />

né il nuovo né il vecchio. Almeno così credo. Il figlio<br />

ha la stessa faccia del cognato <strong>di</strong> Rocca. Almeno così sembra.<br />

Ha provato a scrivermi qualche mail ma niente <strong>di</strong><br />

più. E mi ci ha allegato qualche foto, lei e il bambino. È il<br />

152<br />

Cognato sputato. O forse è la mia immaginazione <strong>di</strong>sgraziata.<br />

Lei mi ha scritto e inviato le foto. Non ho mai risposto.<br />

153


Quin<strong>di</strong>cesimo pezzetto<br />

Solo al processo ero al posto giusto al momento giusto.<br />

Anche se tutti hanno sempre pensato che fossi sempre al<br />

posto giusto al momento giusto perché sono Vanni Visco,<br />

il campione miliardario. Il fenomeno. Quello dalla carriera<br />

fulminante, senza macchia, senza peccato. Un esempio<br />

da imitare perché in quell’aula <strong>di</strong> tribunale ci sono entrato<br />

a testa alta, da testimone.<br />

* * *<br />

Eccoci. Ci facciamo largo fra i fotografi che scattano e<br />

scattano e scattano. Ci facciamo largo mentre i carabinieri<br />

fanno cordone e il signor giu<strong>di</strong>ce batte il suo martelletto<br />

e urla mentre il pubblico ondeggia, rumoreggia, poi alla<br />

fine minacciato – Faccio sgombrare l’aula! – ammutolisce.<br />

Come un cane alla catena. Pronto a ripartire.<br />

I processi si fanno così. Il primo giorno si convocano<br />

tutti. Avvocati e magistrati. Accusati e accusatori. Imputati<br />

e testimoni. Si fa l’appello, come a scuola, e come a<br />

scuola c’è uno che legge il riassunto.<br />

Il riassunto <strong>di</strong> tutta questa storia, che tutti vogliono sapere<br />

e vedere da vicino, lo fa un tipo alto, magro, con i capelli<br />

impomatati con un lungo mantello da ven<strong>di</strong>catore.<br />

Il Ven<strong>di</strong>catore <strong>di</strong>ce che il 13 novembre alle ore 23 in via<br />

155


Palestrina l’imputato Safi entra a casa <strong>di</strong> Loris Ettore, anni<br />

53, celibe.<br />

Il pubblico segue in assoluto silenzio.<br />

Il Ven<strong>di</strong>catore <strong>di</strong>ce che il Safi e il Loris sono da tempo<br />

legati da rapporto professionale. Il Safi è calciatore presso<br />

la squadra <strong>di</strong> quella città che qui o<strong>di</strong>ano così tanto che il<br />

pubblico alla sola pronuncia si lascia andare a ringhi e<br />

ululati.<br />

– Faccio sgombrare l’aula!<br />

Ringhia il signor Giu<strong>di</strong>ce.<br />

Così nessuno ha il coraggio <strong>di</strong> fiatare quando il Ven<strong>di</strong>catore<br />

ricorda che per anni il Safi aveva militato con noi e<br />

che il Loris Ettore era il suo procuratore ma prima ancora<br />

allenatore della nostra giovanile dove il Loris e il Safi si<br />

erano conosciuti.<br />

Per loro, il pubblico, basterebbe questo - il cambio <strong>di</strong><br />

casacca, come recitano i giornali sportivi - per invocare<br />

l’alto tra<strong>di</strong>mento e la garrotta.<br />

Ascolto. Ma tanto la storia la so già.<br />

Il Ven<strong>di</strong>catore si scolla dalle spalle il mantello e <strong>di</strong>ce che<br />

però i due vengono a <strong>di</strong>scussione. Dice che da tempo, tramite<br />

il Safi, il Loris gestiva il mercato clandestino delle<br />

scommesse. Gare vendute, risultati concordati e molti<br />

sol<strong>di</strong> per chi era della partita.<br />

E anche qui il pubblico riesce a trattenersi. Per questo<br />

hanno già sofferto leggendo sui quoti<strong>di</strong>ani.<br />

Spiega che il Safi è lì, dal Loris, per <strong>di</strong>rgli che non si può<br />

andare più avanti che gli altri calciatori hanno paura. La<br />

voce si è sparsa, la Finanza sa.<br />

Il Ven<strong>di</strong>catore spiega che Safi è molto agitato, quasi<br />

piange, la sua voce trema. Lo sa perché il Safi non sbaglia.<br />

156<br />

Da tempo lui e gli altri sono sotto controllo, cimici spia<br />

dappertutto. Soprattutto a casa del Loris. Le cimici che<br />

registrano la voce tremante del Safi e la voce rassicurante<br />

e ferma del Loris.<br />

Il Loris, <strong>di</strong>ce il Ven<strong>di</strong>catore, cerca <strong>di</strong> consolare il giovane<br />

calciatore. Gli offre da bere, poi lo accarezza, lo bacia,<br />

lo porta nella sua camera da letto dove si unisce carnalmente<br />

con lui come risulta dalla perizia me<strong>di</strong>ca.<br />

Eccoci all’anteprima del finimondo. C’è il silenzio più<br />

assoluto. Solo un secondo. Poi la tempesta.<br />

I cani rompono la catena e non c’è martelletto del giu<strong>di</strong>ce<br />

che tenga. Eccoci, la folla urla verso la gabbia dove Demetrio<br />

Safi ha la testa fra le mani e i carabinieri gli fanno<br />

scudo.<br />

Fuori inizia anche a piovere e i tuoni, macello del cielo,<br />

si confondono con il bordello in terra.<br />

Mezzora dopo ci siamo solo noi, testimoni, accusati e<br />

accusatori. Il pubblico fuori sotto la pioggia. Il Ven<strong>di</strong>catore<br />

conclude e <strong>di</strong>ce che chiederà 20 anni per omici<strong>di</strong>o<br />

preterintenzionale, perché il Safi non programmò nulla.<br />

Colpì per rabbia e <strong>di</strong>sperazione con quel vaso <strong>di</strong> cristallo.<br />

Colpì l’indomani mattina quando il Loris gli <strong>di</strong>sse che era<br />

meglio che si prendesse un periodo <strong>di</strong> pausa, come amante<br />

e come calciatore.<br />

Morte chiama morte.<br />

* * *<br />

Un cappuccino decaffeinato con molta schiuma, un tè<br />

per me. Rocca <strong>di</strong>ce che anche un goccio <strong>di</strong> caffè lo rende<br />

nervoso, gli mette l’ansia. A me il caffè non è mai piaciuto,<br />

157


non è una questione <strong>di</strong> gusto. È una questione <strong>di</strong> rito.<br />

Il cucchiaino che gira veloce in cerchi concentrici per<br />

animare lo zucchero. Ci sono quelli che lo fanno girare da<br />

destra a sinistra, poi dall’alto verso il basso come se dovessero<br />

sollevare della sabbietta rimasta sul fondo.<br />

E neppure il cappuccino mi è mai piaciuto. Ci sono<br />

quelli che si fanno fuori anche tutta la schiuma, il fondo, e<br />

muovono il cucchiaino come se fosse una benna e con l’altra<br />

mano inclinano la tazzina perché nulla rimanga sul<br />

fondo.<br />

È un rito avido.<br />

Rocca lascia sempre la schiuma, poi si beve un bicchiere<br />

d’acqua.<br />

– Dovresti andare lì e perdonarlo.<br />

Lo guardo appena, poi punto gli occhi verso il mare che<br />

oggi è in tempesta e manda certe onde sulla spiaggia che<br />

l’acqua è arrivata sino all’asfalto del lungomare ed è impossibile<br />

camminare.<br />

– Dovresti andare lì e perdonarlo, tanto la sua condanna<br />

l’ha avuta.<br />

Così ci siamo chiusi in questo bar che sa <strong>di</strong> umido salse<strong>di</strong>ne.<br />

– Tanto è agli occhi <strong>di</strong> tutti che razza <strong>di</strong> uomo è lui e che<br />

razza <strong>di</strong> uomo sei tu.<br />

Il barman mi guarda e guarda la mia foto appesa sopra<br />

la cassa.<br />

– Chie<strong>di</strong> un permesso speciale e lo vai a trovare in carcere.<br />

Ho paura che mi toccherà un autografo.<br />

– Vai lì e gli porti una parola <strong>di</strong> conforto.<br />

Oggi Rocca non lo sto ad ascoltare.<br />

158<br />

Se<strong>di</strong>cesimo pezzetto<br />

Corro alla libreria. È tar<strong>di</strong>, è ora <strong>di</strong> chiusura e non è<br />

neppure mercoledì. Entro e il campanello non squilla, come<br />

sempre ormai. Entro ma <strong>di</strong> Gabriele Rocca ci sono solo<br />

gli occhialetti a mezzaluna appoggiati sul bancone. Legno<br />

scuro e vetro scheggiato dove galleggiano le cartoline<br />

d’altri pianeti. Portogallo, Francia, Giappone, Brasile, Uruguay,<br />

Paraguay, Argentina, Algeria, Germania, Lussemburgo,<br />

non mi ricordavo <strong>di</strong> essere stato anche lì. Inghilterra,<br />

qui sì. In basso a destra la mia firma: Lunedì.<br />

Vado lento verso la stanza esagonale, vado piano e lo<br />

chiamo. Ma c’è una sirena, una maledetta ambulanza che<br />

copre la mia voce. E la mia voce si perde mentre la sirena<br />

striscia via.<br />

Rigonfio i polmoni ma un’altra sirena mi blocca il respiro<br />

e mi frantuma i timpani. Mi giro e dalla vetrina vedo<br />

che la gente dei negozi ha il naso all’insù e qualcuno corre<br />

oltre la mia vista. E qualcuno corre verso la libreria.<br />

Il campanello suona, anche lui, e non la smette più.<br />

Sbraita e segue il ritmo delle sirene che vanno e che arrivano.<br />

Trilla e non la smette più e ho davanti a me la faccia<br />

sciolta della commessa del signor Rocca, quella che da un<br />

po’ lavora alla pizzeria al taglio che sta <strong>di</strong> fronte e almeno<br />

lì stacca scontrini.<br />

159


I suoi capelli non brillano più e le sue mani non sanno<br />

più <strong>di</strong> colla fresca e carta profumata. Sento il suo odore <strong>di</strong><br />

sugo mozzarella e leggo nei suoi occhi la <strong>di</strong>sperazione.<br />

Non mi <strong>di</strong>ce nulla e non le <strong>di</strong>co nulla. Anche perché ora<br />

c’è un poliziotto fra noi due.<br />

– Parenti?<br />

NoSì, rispon<strong>di</strong>amo insieme e la guardo.<br />

E il poliziotto si innervosisce.<br />

– Lei è parente?<br />

E il campanello non la smette <strong>di</strong> urlare e io rispondo<br />

No.<br />

– Io sono la moglie.<br />

E trema e poi sviene.<br />

* * *<br />

Ecco non è che farò molto <strong>di</strong>versamente. Ma non così,<br />

non in quella maniera.<br />

Gabriele Rocca se n’era salito su verso il vecchio quartiere<br />

antico, sfiorando l’onda degli ultimi acquisti, le ragazze<br />

con le gonne <strong>di</strong> carta velina, le buste gran<strong>di</strong> e scintillanti,<br />

le coppie col passeggino aperto e i vecchi col borsalino<br />

leggero. Sfiorando col palmo della mano la testa <strong>di</strong><br />

una bambina che stringeva un cono alla panna e gli aveva<br />

sorriso. Poi, passo lento, se n’era andato verso la torre,<br />

quella torre che ogni mattina quando alzava la serranda<br />

della libreria, ogni sera quando l’abbassava, lo guardava e<br />

lui guardava lei. Alla fine c’è salito. Scalino dopo scalino,<br />

legno dopo legno. Mentre il sole se ne andava giù lento,<br />

come capita da queste parti quando sta per arrivare il caldo.<br />

E chissà cosa avrà pensato ad ogni passo, ad ogni alza-<br />

160<br />

ta <strong>di</strong> gamba mentre il cielo si striava <strong>di</strong> rosso e l’aria non<br />

<strong>di</strong>ventava fredda come altri giorni, altre notti, alla stessa<br />

ora. Chissà come avrà fatto.<br />

Mentre saliva sorrideva alla giovane guida, quella appena<br />

uscita dall’università con la camiciola bianca e la<br />

targhetta della cooperativa appesa al taschino. Salivano e<br />

lei gli spiegava e gli spiegava quello che già lui sapeva.<br />

Tutto conosceva su quella torre che non aveva mai saputo<br />

proteggere la città che stava dentro le mura e neppure<br />

quella che era cresciuta oltre i bastioni, neppure la sua libreria,<br />

a cui faceva ombra.<br />

Quando sono arrivati in cima lei è stata zitta per fargli<br />

godere il panorama e questo cielo ancora chiaro e questo<br />

mare cromato e questo sole ancora accecante. Non l’ha<br />

visto bene perché per un attimo si è girata quando ha sentito<br />

salire il collega con una truppa chiassosa <strong>di</strong> turisti armati<br />

<strong>di</strong> ghiacciolo. Dice che pensava che anche lui fosse<br />

un turista. Con quegli occhi blu.<br />

Poi si è voltata e lo ha visto sul muretto. Lo ha visto trafitto<br />

dal sole con le braccia aperte come nostro signore<br />

Gesù martire richiamato al cielo. E per un secondo, racconta,<br />

le è sembrato che spiccasse il volo. Solo per un secondo.<br />

* * *<br />

Al funerale siamo andati in pochi. Io tra la moglie <strong>di</strong><br />

Rocca e Ottavio il bibliotecario. Il prete ha fatto veloce,<br />

con un battesimo subito dopo e un matrimonio a seguire.<br />

I chierichetti non hanno fatto svolazzare il turibolo con<br />

l’incenso. Le cognate della sposa, quella <strong>di</strong> mezzogiorno<br />

161


sono pure venute a parole con le cognate della sposa dell’anno<br />

scorso che ora fa il battesimo del primo figlio, alle<br />

nove. E i chierichetti le hanno dovute <strong>di</strong>videre aiutati da<br />

Ivo, il sagrestano. Me lo ricordo Ivo nello spogliatoio dei<br />

ragazzi, terzo portiere. In partita solo una volta e ci salvò<br />

pure. Ma mister Ettore lo aveva rispe<strong>di</strong>to al suo posto,<br />

quando non serviva più e aveva i suoi da far giocare. Così<br />

aveva scelto la squadra della parrocchia dove almeno giocava<br />

titolare. E da lì non se n’è più andato se non per venire<br />

allo sta<strong>di</strong>o per guardare me insieme a tutti quelli della<br />

curva che si portano ancora vino e panini da casa.<br />

Le cognate le ha dovute <strong>di</strong>videre Ivo mentre noi pregavamo<br />

per il nostro libraio. Ma non ci siamo riusciti. E pregavamo<br />

mentre il prete alla fine ha urlato:<br />

– O insomma! Ho messa da fare io! Ai fiori ci pensiamo<br />

fra <strong>di</strong>eci minuti, prima mettiamo quelli del battesimo, poi<br />

li leviamo e mettiamo quelli del matrimonio.<br />

Le cognate della sposa delle ore nove si sono calmate,<br />

un po’ meno quelle <strong>di</strong> mezzogiorno che avrebbero voluto<br />

ere<strong>di</strong>tare qualche composizione bianco giglio.<br />

– Ceessu che miserabili che siete.<br />

Così ci ha pensato il prete a mettere pace.<br />

E io sarei voluto scendere lì fra quei banchi imban<strong>di</strong>ti e<br />

sferrare calci e cazzotti e <strong>di</strong>sfare i loro capelli a nido d’ape<br />

da cerimonia. Staccare una per una le paillette appiccicate<br />

ovunque, su schiene poderose strette in abiti scollati<br />

lamé, su seni avvizziti pompati da reggitutto con spalline<br />

trasparenti che poi si vedono pure <strong>di</strong> più e sembrano il nastro<br />

adesivo <strong>di</strong>menticato dalla sarta.<br />

E avrei voluto prendere il candelabro più grande e<br />

spaccarlo in testa pure ai cognati che sono arrivati con le<br />

162<br />

loro telecamerine, le loro <strong>di</strong>gitali, e si sono messi a fare le<br />

prove delle riprese scricchiolando con le loro scarpe enormi<br />

e nere su questo marmo che fu <strong>di</strong> santi e martiri.<br />

E avrei voluto fare questo e <strong>di</strong> più, quando mi hanno riconosciuto,<br />

i cognati. E hanno iniziato a filmare me, dandosi<br />

gomitatine, e sorrisetti e spallucce complici. Felici.<br />

– La smettete voi, che poi per Tamara e Giovanni non vi<br />

basta la batteria.<br />

Economia domestica, da cognate.<br />

E qualcuno l’ha smessa e qualcuno no. E nessuno si è<br />

accorto <strong>di</strong> quella bara e del nostro libraio. Nessuno in<br />

questa città.<br />

In cimitero eravamo in due, io e Ottavio. La moglie <strong>di</strong><br />

Rocca se la sono presa le suore e l’armata Valium. Se la sono<br />

subito portata in un loro convento <strong>di</strong> montagna, le<br />

suore. E non è mai più tornata.<br />

Gli altri se la sono svignata all’uscita della chiesa. Senza<br />

neppure una scusa e chi ce l’aveva, la scusa, forse sarebbe<br />

stato meglio che non <strong>di</strong>cesse nulla.<br />

– Non puoi capire, non puoi capire Vanni mi si stringe il<br />

cuore ma è tar<strong>di</strong>, anche mia madre sai com’è… vecchia e<br />

sola. Oggi, sai, è il suo giorno.<br />

Giornata <strong>di</strong> Coppa.<br />

E della partitina al bar <strong>di</strong> signor Sanna maneggione che<br />

ha allargato la bottega e messo su un bell’ipermarket. Pure<br />

la bettola <strong>di</strong> fronte si è comprato. Nessuno gli scrive più<br />

nulla sul muro perché mezzo quartiere, il mio vecchio<br />

quartiere, gli deve qualcosa. Li ha fatti così i sol<strong>di</strong>, a strozzo,<br />

senza pietà. E senza scrupoli che all’uscita ha guardato<br />

dritto dritto negli occhi Ottavio e glieli ha fatti abbassare.<br />

163


Ho ricambiato io per il mio bibliotecario ed è bastato questo<br />

per capirci.<br />

Abbiamo aspettato che i becchini infilassero la cassa<br />

dentro l’alveare, dentro quel cassetto per morti. E il legno<br />

ha raschiato sul cemento freddo e secco, un rumore maledetto.<br />

Poi abbiamo aspettato gli operai e ci hanno spalmato<br />

il cemento fresco e con un chiodo ci hanno segnato cognome<br />

e nome. Per la lapide al mese prossimo.<br />

Siamo rimasti lì, io e Ottavio. E nessuno aveva nulla in<br />

biblioteca, nella nostra biblioteca <strong>di</strong> parole e neuroni, da<br />

tirare fuori. È stato come se un virus fetente, uno <strong>di</strong> quelli<br />

da computer, fosse entrato nelle nostre teste e ci avesse <strong>di</strong>vorato<br />

tutto. E ci siamo guardati <strong>di</strong>sperati. E l’uno ha letto<br />

negli occhi dell’altro.<br />

E nessuno, né io né lui, siamo stati più in grado <strong>di</strong> farlo.<br />

Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ripetere<br />

e leggere. Quattro: ripetere e basta.<br />

Cinque: <strong>di</strong>menticare, per sempre.<br />

164<br />

Diciassettesimo pezzetto<br />

Io non ho nessuno a cui fare l’ultima telefonata della sera,<br />

nessuno per la prima telefonata della mattina. Mi sveglio<br />

con la musichetta del mio impianto stereo. Anche la<br />

notte mi addormento con una musichetta del mio impianto<br />

stereo. Metto su un Cd, qualcosa <strong>di</strong> calmo, lento rilassante,<br />

tappeti <strong>di</strong> tastiere, intrecci <strong>di</strong> violini, roba moderna<br />

fatta in serie per impastarti la materia cerebrale, per stenderti<br />

il cervello. Roba fatta in serie, cofanetto su cofanetto,<br />

raccolta su raccolta. Quelle per il viaggio, quelle per la<br />

ritirata e quelle per il risveglio. La musica come terapia.<br />

Mannaggia a Gigi.<br />

Solo che io li or<strong>di</strong>no e li compro su catalogo, i Cd <strong>di</strong>co, e<br />

su internet dopo estenuanti ricerche per capire cosa sia<br />

meglio per me. Non ho lo stesso fiuto <strong>di</strong> Gigi. E mannaggia<br />

ai pesci che gli <strong>di</strong>vorarono la faccia. E all’eroina che gli<br />

<strong>di</strong>vorò la vita.<br />

Luigi era un’altra storia. Luigi comprava pile <strong>di</strong> riviste,<br />

ascoltava i programmi ra<strong>di</strong>o della notte, <strong>di</strong>scuteva ore con<br />

i suoi amici. I suoi amici che non ce n’è più uno vivo. Né<br />

Man<strong>di</strong>bola che l’ho visto tentennare sul tetto e poi venire<br />

giù, tutta la sequenza senza pietà sul giornale del mattino,<br />

<strong>di</strong>cono che non voleva morire corroso dalla malattia, e ha<br />

fatto il salto, anche lui. Né tutti gli altri <strong>di</strong> cui non ricordo<br />

bene tutti i nomi ma mi vengono subito in mente i sopran-<br />

165


nomi, visi, tic, e gli occhi, mi ricordo gli occhi <strong>di</strong> tutti loro<br />

con quelle pupille enormi oppure improvvisamente spilli.<br />

Mi ricordo i loro profumi, dolci e alla moda, i sorrisi sbilenchi,<br />

le loro <strong>di</strong>scussioni interminabili, spirali senza senso<br />

e senza verso.<br />

Ecco me lo ricordo perfettamente. In casa non c’è più<br />

un <strong>di</strong>vano libero. Non c’è più un tappeto con almeno<br />

quattro che se le danno <strong>di</strong> santa ragione. C’è un odore forte<br />

e penetrante, in tutta la casa. Come <strong>di</strong> varechina. Quella<br />

candeggina che martedì giovedì sabato signora Tina<br />

sparge per tutta la casa, quando viene a fare le pulizie.<br />

Mi brucia gli occhi e mi dà alla testa questo odore. Ma<br />

credo che signora Tina e le sue mani nodose questa volta<br />

non c’entrino nulla.<br />

C’entrano dei tipi piegati sul tavolino in marmo del salone<br />

con i <strong>di</strong>vani marrone e le cuciture grosse. Mai visti<br />

prima. Certe narici.<br />

– Spazzola, spazzola…<br />

Urlano e ridono. Mentre Gigi dalla cucina sputa parole<br />

e saliva:<br />

– Lasciatene un po’ bastar<strong>di</strong>…<br />

Così compaio in cucina con la sacca della partitella del<br />

sabato.<br />

– Già qua sei…<br />

Luigi si era <strong>di</strong>menticato <strong>di</strong> me o forse no.<br />

– Vuoi mangiare qualcosa?<br />

Faccio cenno <strong>di</strong> no con la testa.<br />

– Vado in camera.<br />

Faccio.<br />

– Meglio <strong>di</strong> no…<br />

166<br />

Fa lui.<br />

E questa tipa con due siluri sul petto e un cerchietto nel<br />

naso inizia a ridere.<br />

Anche Gigi ridacchia un po’, ma senza troppa convinzione.<br />

Li guardo. Guardo lei e vorrei strapparle il cerchietto e<br />

guardo Gigi che mi accarezza con un mezzo sorriso. Guardo<br />

la cucina. C’è Man<strong>di</strong>bola che combatte con la pentola a<br />

pressione <strong>di</strong> mia madre.<br />

– Allora Vanni, ti va un po’ <strong>di</strong> cuscus?<br />

C’è Pastiglia, che mi sa è stata perdonata e mi fa l’occhiolino.<br />

– Sei <strong>di</strong>ventato un bel pischello…<br />

Ma mi sa che lo <strong>di</strong>ce solo per far piacere a Gigi. Perché<br />

ora a me sembra che con la bocca sillabi Na-no. E sembra<br />

un pesce, piranha.<br />

C’è gente che non so. In tutta la casa c’è gente mai vista<br />

con la pelle bianca bianca che qui a luglio sono già tutti<br />

color pece. Anche i miei che ora sono a Firenze, come<br />

sempre, sono partiti con un colore, ma un colore.<br />

Guardo la nostra casa invasa da tipi che poggiano i pie<strong>di</strong><br />

sui muri del corridoio, fanno cadere le cicche per terra<br />

e nelle camere da letto, penso, sarà pure peggio. Perché<br />

Gigi ha dato or<strong>di</strong>ni ben chiari.<br />

– Che nessuno salti sul letto dei miei…<br />

E allora tocca al tappeto, alla cassa panca, al tavolo dello<br />

stu<strong>di</strong>o, alla vasca da bagno, forse anche all’asse da stiro.<br />

Forse anche a quello, perché uno a una le ha detto: – Adesso<br />

ti stiro per benino…<br />

Osservo questi zombi che hanno invaso casa mia e penso<br />

che dovrò aprire la sdraio del mare, metterla sul terraz-<br />

167


zino e cercare <strong>di</strong> dormire lì se non voglio domani essere<br />

anche io un morto vivente che si aggira per il campo in terra<br />

battuta <strong>di</strong> un cavolo <strong>di</strong> Memorial nel ricordo <strong>di</strong> non so<br />

chi e nel ricordo <strong>di</strong> non so perché.<br />

Ecco, qua giù, nell’intestino crasso dell’arena, penso a<br />

quanti Memorial avrei dovuto organizzare o pretendere<br />

che venissero organizzati. Memorial Luigi Visco, campione<br />

della balla, maestro <strong>di</strong> musica e del maneggio, dei festini<br />

clandestini e dell’amore fraterno. Memorial Alberto<br />

Satta, detto Man<strong>di</strong>bola, grande preparatore <strong>di</strong> cuscus con<br />

l’aggiunta <strong>di</strong> pachistano nero, stimato oratore e attento<br />

conoscitore dell’universo femminile. Che poi il novanta<br />

per cento <strong>di</strong> chi ci gioca e chi va lì a vedere neppure sa <strong>di</strong><br />

chi si sta parlando. Peggio va quando compare la vedova<br />

o la madre in lutto che sembra così piccola ma così piccola<br />

mentre noi l’abbracciamo su <strong>di</strong>rettiva della panchina.<br />

– Al mio cenno tutti intorno…<br />

Diavolo <strong>di</strong> un Allarme.<br />

E quella piange, e noi a stringerci come neanche cavallette<br />

e tutti sugli spalti a battere le mani. E alla fine, è ovvio<br />

che poi ne succedono anche <strong>di</strong> belle.<br />

Il vecchio Allarme non aveva ancora dato il via che noi,<br />

campioni del Memorial, ci affracchiamo <strong>di</strong> corsa a una<br />

piccoletta, tutta in nero, con i capelli gialli, le mani con<br />

certi gioielli e il collo con certi giri e giri <strong>di</strong> perle. E quasi la<br />

buttiamo giù. E quella non le sembra neppure vero <strong>di</strong> avere<br />

tanti ormoni in ebollizione tutti per lei. Ricambia gli abbracci<br />

e ricambia i baci e mi sa che va pure oltre. Paoletto,<br />

il nostro portiere, mi guarda con gli occhi che non sa se<br />

spaventarsi o iniziare a godere mentre una mano con zir-<br />

168<br />

cone, brillante, ametista gli si intrufola nei calzoncini.<br />

– Figli <strong>di</strong> puttana che cazzo fate…<br />

Il primo colpo <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>erina se lo becca proprio Paoletto<br />

che gli tornano pure le pupille piccole piccole. E non<br />

solo quelle. Poi ce n’è per tutti gli altri. Mentre io schivo<br />

per una frazione questa ban<strong>di</strong>erina con asta che un tipo<br />

con fascia tricolore e abito della festa avvinghia e smazza<br />

sulle nostre teste.<br />

Credo che quella fu la prima volta che vi<strong>di</strong> Allarme seriamente<br />

preoccupato sul se<strong>di</strong>le del pulmino <strong>di</strong> ritorno in<br />

città.<br />

– E mo chi glielo racconta al presidente che non ci hanno<br />

voluto dare l’assegno…<br />

L’assegno: primi classificati al Memorial Stefano Lias.<br />

Ottantanove anni, vedovo, senza figli, né figlie, fondatore<br />

della polisportiva Jupiter.<br />

L’assegno che il signor sindaco avrebbe dovuto firmarci<br />

prima che saltassimo addosso alla moglie.<br />

Memorial Silvia Podda, detta Pastiglia. Campionessa <strong>di</strong><br />

perfi<strong>di</strong>a e sofferenza perché Gigi l’avrebbe voluto tutto<br />

per sé. Ma Gigi ha sempre avuto altro a cui pensare. Me la<br />

ricordo bene, la casa invasa.<br />

– Abbassate quel merda <strong>di</strong> stereo… Silvia vai tu a <strong>di</strong>rgli<br />

che se arrivano i vicini sono cazzi…<br />

Lei lo guarda, ma non lo sente, suda e la sua fronte perde<br />

gocce come neppure un lavan<strong>di</strong>no sfondato.<br />

– Stai sbrinando vecchia?<br />

Gigi non le dà tregua.<br />

E Cerchietto se la ride, <strong>di</strong> brutto.<br />

– Ei vecchia, zia, <strong>di</strong>co a te. Stai sbrinando?<br />

169


Cerchietto ha il trucco liquefatto e le lacrime nere che le<br />

corrono lungo il viso e ride, e cacchio se ride.<br />

Pastiglia non riesce ad aprire la bocca, prova a socchiudere<br />

il labbro superiore che sembra incollato a quello inferiore<br />

con quel vinavil bianco e appiccicoso e amaro.<br />

– Sto bene, sto bene…<br />

Finalmente parla, anche se le sue pupille stanno tramontando,<br />

scivolano all’in<strong>di</strong>etro e il bulbo è una palla<br />

bianca che fa impressione.<br />

– Stai sbrinando zia?<br />

– Non sto sbrinando, non sto sbrinando…<br />

Isterica la voce <strong>di</strong> Pastiglia perde e riacciuffa l’assetto,<br />

poi lo perde <strong>di</strong> nuovo. Come i suoi occhi che vanno e vengono<br />

oltre le palpebre.<br />

– Tremenda sta roba, cazzo ci avete messo… altro che<br />

sbrinando, sono in piena, vecchio…<br />

La guardo e mi fa paura e un po’ pietà: cosa le tocca fare<br />

per stare <strong>di</strong>etro a Gigi, penso. Poi sento improvvisamente<br />

lo stomaco trafitto da un suono profondo e basso. Un<br />

suono che fa tremare il frigorifero e i vetri della finestre<br />

aperte che fa un caldo boia. Quelli nell’altra stanza non<br />

hanno sentito ragioni e ora il mio stereo trasmette vibrazioni<br />

sovrumane.<br />

Gigi anche questa volta sbraita ma cambia gli or<strong>di</strong>ni:<br />

– Sdateci denstro con squel svolume… bsastar<strong>di</strong>…<br />

Manco gli escono le parole, inizia a ridere e avvinghia Silvia<br />

che avvinghia Cerchietto e iniziano a ballare, in tre.<br />

Quasi in girotondo, sbilenco. E ruotano, ruotano nella loro<br />

giostra chimica. E le pareti <strong>di</strong>ventano un vortice, anche le<br />

tazzine <strong>di</strong> ceramica <strong>di</strong> mia mamma poggiate sulle mensole<br />

color nocciola iniziano a volteggiare intorno alle loro teste.<br />

170<br />

Lo so, lo capisco. Perché in fondo non è che si muovano<br />

più <strong>di</strong> tanto, piccoli passetti a destra, piccoli movimenti <strong>di</strong><br />

bambini puzza <strong>di</strong> latte in girotondo.<br />

Come quei balli etnici, folk: millimetriche variazioni.<br />

Ma a loro sembra <strong>di</strong> sfrecciare alla velocità del suono e<br />

pure oltre. Gli sembra questo e altro, sennò non urlerebbero<br />

così, che neppure in picchiata giù da una montagnarussa,<br />

con i polmoni che esplodono e lo stomaco che vorrebbe<br />

uscire da orecchie e narici.<br />

Reggono l’urto con lo spaziotempo, che a loro sembra<br />

chissacché. Sino a quando quella, quella con l’orecchino al<br />

naso, non scivola dalle loro braccia e precipita sulla terra.<br />

Sento un tonfo.<br />

Botta <strong>di</strong> testa, miseria che botta <strong>di</strong> testa. Un rumore tremendo<br />

<strong>di</strong> ossa e mattonelle.<br />

Gigi e Silvia la guardano. Muti. Lei è a terra immobile.<br />

Gigi e Silvia guardano me. Io guardo loro e abbiamo la<br />

faccia della paura. La faccia del terrore è: zigomi allungati,<br />

labbra ritirate oltre la bocca, battito car<strong>di</strong>aco accelerato,<br />

capelli elettrizzati.<br />

Uno… due… tre secon<strong>di</strong> <strong>di</strong> silenzio assoluto. Mentre la<br />

musica spazza la casa con una folata gelida <strong>di</strong> chitarre<br />

straziate.<br />

E ripenso alle lezioni <strong>di</strong> pronto intervento, quelle che<br />

una volta al mese ci fa il me<strong>di</strong>co sociale ma nessuno <strong>di</strong> noi<br />

lo sta mai ad ascoltare. Penso che forse qualcosa la ricordo,<br />

penso anche che sarei dovuto stare un po’ più attento<br />

a quel corso.<br />

Poi Cerchietto riapre un occhio. Mezzo occhio.<br />

– Minchia… la testa…<br />

Gigi riprende colore. Che poi proprio colore non è.<br />

171


E lei muove una mano poi l’altra in cerca <strong>di</strong> qualcosa su<br />

cui aggrapparsi, tremando. Come sempre nella sua vita.<br />

– Minchia che botta… ma che cazzo ci avete messo nella<br />

roba…<br />

Silvia la prende per mano e l’aiuta a rialzarsi. E per un<br />

momento sembrano un’altalena che sta per rompere i car<strong>di</strong>ni<br />

e mandare tutti a puttane.<br />

Nessuna delle due ha la forza per reggere l’altra.<br />

– Dài vecchia an<strong>di</strong>amo a bagnarci la faccia…<br />

Finalmente barcollano oltre la cucina, escono dalla mia<br />

visuale ma le sento. Le sento che prendono a pugni la porta<br />

a vetri del bagno, già carico <strong>di</strong> gente.<br />

– Dài bastar<strong>di</strong> aprite che questa qua sta male…<br />

Poi tre giri <strong>di</strong> chiave, poi tante risate e l’acqua che scorre.<br />

E lo so che domani mi toccherà pulire anche il bagno.<br />

Guardo Gigi. E lo o<strong>di</strong>o.<br />

Memorial Cerchietto, milite ignota.<br />

Prendo la sdraio e provo a dormire in terrazzino.<br />

* * *<br />

Ecco me lo ricordo proprio bene. Qua giù. Me lo ricordo:<br />

le finestre spalancate per due giorni.<br />

– Dobbiamo far uscire tutta sta puzza <strong>di</strong> fumo…<br />

Ginocchia a terra con straccio e spugnetta.<br />

– Tu vai avanti con la cucina, io passo al salone…<br />

Gigi e la sua illusione <strong>di</strong> farla franca.<br />

– Poi passa alle impronte <strong>di</strong> scarpe del corridoio…<br />

Inutile, quando sono andati via, alla vicina non è sfuggito<br />

nulla. E ti credo, con quelle urla, con Silvia che frignava.<br />

172<br />

– Io lo so che un giorno ci sposeremo e avremo tanti figli<br />

e un bel cane lupo, anzi un bassotto, voglio un bassotto e<br />

due gemelli da amare…<br />

Cerchietto che quasi decollava sui primi scalini.<br />

– Cogliona allacciati quegli stivaletti…<br />

Man<strong>di</strong>bola che provava a tenere una lezione <strong>di</strong> botanica<br />

applicata allo smercio a due accasciati sul tappetino <strong>di</strong><br />

quella del piano <strong>di</strong> sotto che per fortuna era in vacanza al<br />

mare. Ma non la nostra vicina. La nostra vicina non è mai<br />

andata in vacanza. Mai.<br />

Pensavano che dormissi, non dormivo. Percepii mia<br />

madre uscire dalla stanza e puntare verso la cucina. Sentii<br />

il ronzio del frigorifero. Un rumore <strong>di</strong> ghiaccio e bicchieri.<br />

La intravi<strong>di</strong> nella penombra tornare al suo posto.<br />

Mio padre si scolò il bicchiere e borbottò che ci mancavano<br />

solo Luigi e io, io e Luigi, a fargli frantumare le palle<br />

dal condominio. Borbottò, <strong>di</strong>sintegrando i cubetti con i<br />

denti, che già c’aveva gli affari suoi col condominio. Mia<br />

madre non virò la rotta, per evitare la collisione.<br />

– Ma scusa, tu te li immagini i genitori <strong>di</strong> questi ragazzi…<br />

abbiamo una responsabilità…<br />

Mia madre ha immaginato sempre i genitori degli altri. I<br />

figli degli altri.<br />

– Ma chissene frega…<br />

Mio padre è sempre stato un tipo pragmatico.<br />

– Ah chi se ne frega? e intanto me la sono dovuta sciroppare<br />

io la madre <strong>di</strong> quella lì che <strong>di</strong>ceva che qui a casa nostra,<br />

<strong>di</strong>co, a casa nostra, le hanno fregato la catenina, d’oro…<br />

hai capito, pure del ladro ci danno…<br />

Tutto ma non ladro, mai stato ladro Gigi.<br />

173


Tormentato irrequieto, insod<strong>di</strong>sfatto, strafottente ma<br />

ladro mai. Ha sempre e solo fatto male a se stesso, come<br />

ogni membro della sua tribù. Ma la tribù ha sempre fatto<br />

pagare tutto a lui: le tinte del corridoio - che sfrega che ti<br />

sfrega l’alone era restato e forse pure peggio - lo zerbino<br />

del piano <strong>di</strong> sotto, la catenina, il buco <strong>di</strong> sigaretta sul <strong>di</strong>vano<br />

in pelle marron con le cuciture grosse - che c’era sfuggito<br />

- e pure l’espulsione da scuola quando gli hanno beccato<br />

le pastiglie.<br />

Espulso… In realtà non se la sentirono <strong>di</strong> buttarlo fuori,<br />

consigliarono a mio padre <strong>di</strong> mandarlo all’altro liceo,<br />

quello, <strong>di</strong>ssero, che era più fatto per lui. Così esuberante,<br />

così incapace <strong>di</strong> applicarsi che per concentrarsi prendeva<br />

quelle capsule bianche. Aveva detto così: – Per concentrarmi<br />

e rendere meglio, – quando gli altri avevano deciso<br />

che era meglio che pagasse solo lui.<br />

Lui demonio con le scarpe nere a punta per schiacciare<br />

le formiche negli angoli dei muri e con quei capelli che<br />

sembrano corna <strong>di</strong> <strong>di</strong>avolo all’insù gelatina nauseabonda<br />

e quella parlantina che tutti li convinceva anche e soprattutto<br />

a fare le cose peggiori. Questo <strong>di</strong>ssero. Perché questo<br />

riferirono pur <strong>di</strong> salvarsi il culo quelli della tribù.<br />

E lui a modo suo pagò, un po’ convincendoli e un po’<br />

convincendo se stesso.<br />

– Non fidarti mai <strong>di</strong> nessuno, mai Vanni… gente ’e merda…<br />

gente ’e merda e pure coglioni e cagasotto perché io<br />

non mi sarei mai fatto beccare, io non me la sarei mai cantata,<br />

io non li avrei fregati… mai…<br />

Quello è il giorno che iniziò a morire. Quel giorno che<br />

lasciò il vecchio liceo per il nuovo più adatto. Rimase solo,<br />

per un po’. Una sosta ai box, un altro giro e fu pure peggio.<br />

174<br />

E anche questa è una cosa banale e già vista che poi tutti<br />

sanno come va a finire.<br />

Così me la sono presa io la sua musica. Quasi un risarcimento.<br />

Per quanto mi ha fatto soffrire.<br />

Ma non ho il coraggio <strong>di</strong> metterla su, mi farebbe male<br />

un solo suono. Così la tengo lì sugli scaffali. Aspettando il<br />

giorno che avrò un po’ più <strong>di</strong> coraggio.<br />

– ’Ngiorno Gigi…<br />

– ’Ngiorno Vanni…<br />

Oggi non ho nessuno con cui <strong>di</strong>videre il risveglio.<br />

– Notte Vanni…<br />

– Notte Gì…<br />

E neppure il riposo.<br />

Avevo il mercoledì sera. Avevo il lunedì mattina. Porzioni<br />

<strong>di</strong> vita che ora solo ricordo.<br />

* * *<br />

Il lunedì mattina la libreria è sempre stata chiusa.<br />

Il lunedì mattina è chiusa come quasi tutti i negozi della<br />

città. Anche il campo è chiuso, niente addominali alti, addominali<br />

bassi, partitelle, tattiche…<br />

Il lunedì mattina ci incontriamo con Rocca sulla spiaggia,<br />

sulla spiaggia che addolcisce questa città. Che addolciva<br />

questa città.<br />

Passeggiamo fra la sabbia borotalco e la battigia dove si<br />

spegne il flusso del mare.<br />

Questa dei colori dell’acqua e della sabbia abbacinante<br />

che non ci sono più è una <strong>di</strong> quelle storie che mi fa troppo<br />

male.<br />

175


Rocca ha un bastoncino dove ha montato in punta un<br />

chiodo acuminato. Io ho una busta. Così mentre passeggiamo<br />

lui trafigge e io insacco tutte le schifezze che troviamo.<br />

Lattine, carte gelato, carte assorbenti, carte argentate,<br />

oliate, abrasive, carte giornali, plastica, plexiglass,<br />

cartone, compensato, balsa, sigarette, sigari, tessuti, legni,<br />

assorbenti, tampax, lattici, preservativi, scarpe, calze,<br />

mutande, pantaloni, pannolini, canottiere. I vetri e le<br />

bottiglie, si infila un guanto, e li tira su a mano. Anche le<br />

ruote.<br />

– Colpa della risacca.<br />

C’è sempre qualcuno che ci affianca correndo e ansimando<br />

come un bue attaccato all’aratro, la maglia sudata<br />

e i calzoncini fra<strong>di</strong>ci fra l’ultima vertebra e il buco del culo.<br />

Ci guarda, mi riconosce e rallenta il passo. E poi si inventano<br />

qualcosa pur <strong>di</strong> sentirmi parlare. Qualcosa come:<br />

– Colpa della mareggiata.<br />

Ma è solo una scusa.<br />

– Colpa degli uomini.<br />

Rocca cerca sempre <strong>di</strong> tenerli a bada.<br />

– Lei è Visco vero?<br />

Ma non rispon<strong>di</strong>amo mai.<br />

E Rocca li smarca.<br />

– Lattina <strong>di</strong> aranciata.<br />

Quelli ci guardano strani, muovono la testa e riprendono<br />

a correre.<br />

– Lattina <strong>di</strong> aranciata.<br />

Scan<strong>di</strong>sce le parole e le strombazza, cameriere in una<br />

pizzeria affollata che prende or<strong>di</strong>ni e detta comande galleggiando<br />

fra i tavoli come fa un pattinatore sul ghiaccio<br />

in attesa <strong>di</strong> prendere il volo oltre il mondo dei terrestri.<br />

176<br />

– Lattina <strong>di</strong> aranciata, coloranti, conservanti, ad<strong>di</strong>tivi,<br />

arancio due per cento. Acucar, polpas de laranja, antioxidante<br />

acido scorbico, acidulante acido citrico, regulador<br />

de acidez citrato de so<strong>di</strong>o, antiumectante fosfato tricalcico,<br />

edulcorantes artificiais aspartame, ciclamato de so<strong>di</strong>o<br />

e acessulfame K, corante inorganico <strong>di</strong>vido de titanio…<br />

questa arriva dal Brasile o forse dal Portogallo… Brasile<br />

Brasile…<br />

Trafigge la lattina e poi fa per scaricarla verso <strong>di</strong> me che<br />

apro la busta, sfilo dal chiodo con suono che raspa nei<br />

denti e insacco.<br />

– Giornale settimanale, molte foto, pochi contenuti, molti<br />

nu<strong>di</strong> poche inchieste. Casa e<strong>di</strong>trice… non si legge… ma<br />

tanto che <strong>di</strong>fferenza fa. Olè!<br />

Sbircio.<br />

– Ti piacciono i nu<strong>di</strong>?<br />

A volte, faccio io.<br />

– Mai visto un film porno?<br />

Preferisco partecipare, rispondo.<br />

– Non sempre si può partecipare…<br />

Forse sì.<br />

– Cartone <strong>di</strong> acqua minerale…<br />

Lo infilza e lo sfiocina per leggerlo meglio.<br />

– …da conservare in un luogo asciutto e lontano dai<br />

raggi del sole… contenuto 1,5 l. Imbottigliato da… sorgenti<br />

località <strong>di</strong>… caratteristiche chimiche e chimico fisiche…<br />

ioni presenti in un litro d’acqua, bicarbonato, cloruri<br />

solfati, so<strong>di</strong>o, potassio, calcio, magnesio, fluoro, azoto<br />

ammoniacale, litio, io<strong>di</strong>o, nitrati, nitri… Alpi, viene<br />

dalle Alpi… nord ovest…<br />

– Hai mai bevuto l’acqua dal rubinetto?<br />

177


No mai, rispondo. Signor Robinson.<br />

– Mai… già con lo schifo che fa oggi, prima si poteva…<br />

E ci ripensa.<br />

– Latte appena munto?<br />

No mai, rispondo.<br />

– Pane, burro e marmellata?<br />

No.<br />

– Pane burro e sale?<br />

No.<br />

– Non ti sei perso molto… Popz… ingre<strong>di</strong>eten: mais,<br />

suiker. Olanda questa è Olanda… boter, zout, lecithine…<br />

E ri<strong>di</strong>amo e poi ci raccontiamo certe storie come fanno<br />

gli amici quando non ha nemmeno importanza stare a ricordare<br />

su cosa e su chi.<br />

– Tè o caffè?<br />

Tè. Tanto lo sa, è inutile che mi tenti.<br />

– Forma o sostanza?<br />

Sostanza.<br />

– Essere o apparire?<br />

E dài, che domande, faccio io.<br />

– Già troppo stupide e scontate, mi sto rincoglionendo…<br />

Italiani o americani?<br />

Lo guardo e metto le mani come Gesù Cristo rockstar<br />

martire assunto al cielo. Palmi aperti, capo reclinato sulla<br />

spalla destra. Che poi vuol <strong>di</strong>re: ovvio.<br />

– Ho capito, Lunedì, non siamo in giornata.<br />

E lo stuzzico.<br />

– Arte o business?<br />

E quasi mi fiocina una scarpa con la sua lancia-chiodo.<br />

An<strong>di</strong>amo su e giù, do<strong>di</strong>ci chilometri ad andare e do<strong>di</strong>ci<br />

a tornare. Con il sole che ci scalda anche se è novembre,<br />

178<br />

<strong>di</strong>cembre, gennaio, febbraio, marzo. E anche se tira vento<br />

freddo ma appiccicoso.<br />

– Quanto ti pesa?<br />

– Ce la faccio ancora…<br />

E muovo la busta che ancora non è piena e faccio finta<br />

<strong>di</strong> non capire.<br />

– Quanto ti pesa quello che fai?<br />

Lo guardo ma non ce la faccio. Non ce la faccio proprio,<br />

alzo le spalle e abbasso lo sguardo.<br />

– Non ti preoccupare, ognuno ha i suoi tempi. Verrà anche<br />

il tuo tempo. Tu almeno hai un tempo, il mio è finito.<br />

E mi viene da <strong>di</strong>re la solita cosa banale che tutti sanno:<br />

– Non <strong>di</strong>ca così signor Robinson.<br />

Che mi sarei voluto prendere a pugni il cranio, scatola<br />

cranica buona solo per reazioni azioni da campo.<br />

Al massimo con Rocca an<strong>di</strong>amo avanti sino a metà aprile.<br />

Ma proprio al massimo. Poi ci siamo sempre fermati<br />

perché la spiaggia, poi, inizia ad affollarsi, per me sarebbero<br />

rogne e guai e poi noi non ci facciamo più nulla, non<br />

ci sentiremo più come nell’isola.<br />

– Lunedì…<br />

– Signor Robinson.<br />

– Ha portato le buste?<br />

– Certo e lei la lancia, immagino Signore…<br />

Oggi qua giù anche se questa storia non è roba da uomini<br />

uomini, questa <strong>di</strong> Robinson e Lunedì non la metto fra i<br />

ricor<strong>di</strong> della vergogna ma fra i ricor<strong>di</strong> che un po’ mi fanno<br />

tornare il sorriso, che mi fanno pensare che non c’era un<br />

bel nulla da arrossire. E questa è una cosa banale ma che<br />

nessuno vuole ammettere.<br />

Fra i ricor<strong>di</strong> della vergogna c’è quell’altro del Signor<br />

179


Robinson Gabriele Rocca che se fossi arrivato prima in libreria,<br />

se avessi capito oltre i suoi sguar<strong>di</strong>, se avessi potuto<br />

portare in<strong>di</strong>etro il tempo. Mentre posso portare in<strong>di</strong>etro<br />

solo i ricor<strong>di</strong> e i pensieri.<br />

Solo per una cosa sono contento. Solo una. Almeno lui<br />

la storia della spiaggia se l’è risparmiata. Almeno lui la<br />

morte della spiaggia non l’ha vista. Non ha visto la sabbia<br />

nera, sulla bianca. La sabbia nera succhiata dagli abissi al<br />

largo, in mare aperto, la sabbia che non ha mai potuto vedere<br />

la luce che fa qua. E questo era facile da capire. Ma<br />

hanno preferito fare <strong>di</strong> testa loro. Il borotalco invaso da<br />

pietre e terra. Non ha visto il progetto dei faraoni per<br />

un’amministrazione giusta e una spiaggia da re. I progetti<br />

e le comparazioni per salvare quello che qualcuno scava<br />

che ti scava ruba che ti ruba si era fregato per fare mattoni<br />

su mattoni, palazzi su palazzi, denari su denari.<br />

– La ve<strong>di</strong> la spiaggia che arretra?<br />

– La vedo, la vedo.<br />

– Si portano via la spiaggia per fare l’impasto dei muri.<br />

– Lo so.<br />

– E ora dovranno trovare una soluzione.<br />

E la soluzione Rocca non l’ha vista.<br />

Non ha visto arrivare le ruspe e le benne, le idrovore<br />

sparare pioggia nero petrolio. Non ha visto il mare trasparente<br />

<strong>di</strong>ventare caglio, ribollire oli che quando ti tuffi appiccicano<br />

il corpo e la mente. Nulla ha visto. E questo è<br />

l’unico motivo per cui oggi non piango. Qua giù ricordando<br />

lui, nello sfintere dell’arena.<br />

180<br />

Diciottesimo pezzetto<br />

Giro e rigiro gli album e le figurine, li tengo qua giù nel<br />

mio arma<strong>di</strong>etto. E tutti pensano che si tratti <strong>di</strong> un gesto<br />

scaramantico. Anche il mister che mi lascia fare mentre<br />

impartisce i primi or<strong>di</strong>ni e richiama ogni compagno al<br />

proprio compito.<br />

Passo i polpastrelli sulla mia faccia dello scorso <strong>campionato</strong><br />

e poi su quella del <strong>campionato</strong> <strong>di</strong> due anni fa e poi<br />

quello <strong>di</strong> tre e quattro. Eccomi sempre nella stessa posizione,<br />

seconda pagina in basso a destra: numero un<strong>di</strong>ci,<br />

Visco Vanni e tutto il resto della tiritera.<br />

Dicono che siano rarissime queste figurine. Dicono che<br />

sono merce rara ma io mi sento come merce avariata. Mi<br />

sto decomponendo pezzetto dopo pezzetto, come questa<br />

mia vita.<br />

E mi va <strong>di</strong> tirare le somme che poi è tutta una sottrazione.<br />

Niente segni più, solo una sequenza <strong>di</strong> meno. Meno<br />

mio fratello, meno suo figlio, meno mia madre, meno mio<br />

padre, meno Lucina, meno Rocca. E meno me stesso, quello<br />

che sarei voluto essere.<br />

Meno sogni, meno amicizie, meno affetti, meno aspirazioni,<br />

meno futuro, meno autodeterminazione che vuol<br />

<strong>di</strong>re scegliersi un destino, una vita.<br />

E anche questa è una lagna e che tutti sanno e che tutti si<br />

vergognano.<br />

181


I pensieri della vergogna.<br />

Meno i miei libri.<br />

Cosa sarei potuto <strong>di</strong>ventare? Se non calciatore cosa sarei<br />

potuto <strong>di</strong>ventare?<br />

Non lo so. Ma so che forse tutto doveva passare da qui,<br />

da questo maledetto e flatulento stomaco dell’arena e che<br />

ogni passaggio fluttuante, ogni galoppata, mischia furibonda,<br />

verticalizzazione e progressione e gol ancora gol e<br />

sempre gol, erano segni più. Un cre<strong>di</strong>to verso la liberazione,<br />

due cre<strong>di</strong>ti, tre cre<strong>di</strong>ti sono arrivato a mille cre<strong>di</strong>ti oggi<br />

faccio il golden gol ritiro il premio e mi levo dalle scatole.<br />

E mi viene da ridere. Come sempre.<br />

Si ride, pure troppo, qua giù. È la tensione che spesso fa<br />

questo scherzo.<br />

Fuori lo sta<strong>di</strong>o è pieno, gli altri la scorsa stagione hanno<br />

perso tutto per un soffio e tutto per colpa nostra, mia. Il<br />

mister ci urla le ultime istruzioni, è più schizzato che mai.<br />

Ha la forfora se<strong>di</strong>mentata sulla giacca blu, quella con il<br />

simbolo della nostra società poco sopra il cuore. Per lui tira<br />

aria <strong>di</strong> esonero se non tiene il ritmo della scorsa stagione.<br />

Deve vincere tutto a partire da questo anticipo <strong>di</strong> sabato<br />

pomeriggio, conta su <strong>di</strong> me e per oggi gli andrà pure<br />

bene. Ma poi basta.<br />

Lo ascolto e non lo ascolto, mi sembra che tutto viaggi<br />

alla moviola, le sue labbra si muovono lente, quasi deformi,<br />

mi in<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> continuo mentre sbraita e tutti mi guardano.<br />

Mentre mi preparo per la crocifissione.<br />

Bene, è il momento <strong>di</strong> andare, percorro il tunnel a scatti,<br />

mi sembra <strong>di</strong> essere sotto gli effetti <strong>di</strong> una luce strobo<br />

che si fa sempre più intensa.<br />

182<br />

Sbradabang!!!<br />

Eccomi sono pronto, la moviola si ferma, lo sta<strong>di</strong>o mi<br />

invoca in pie<strong>di</strong> e batte le mani. Alzo in aria le braccia e loro<br />

vanno in delirio. Non lo avevo mai fatto, impazziscono,<br />

urlano il mio nome, pensano che sia un segnale all’avvio<br />

delle ostilità, il via al ruggito dell’arena. Invece è così semplice:<br />

braccia alzate, segnale <strong>di</strong> resa.<br />

È la mia ultima <strong>di</strong> <strong>campionato</strong>, l’arbitro mi stringe la mano,<br />

lo guardo e penso chi glielo faccia fare, lasciare l’impiego<br />

da geometra ogni fine settimana per scorticarsi le labbra<br />

sul fischietto, urlare or<strong>di</strong>ni, impartire punizioni, subire<br />

umiliazioni, processi del lunedì, insulti, fischi. Per cosa,<br />

per che cosa?<br />

E noi qui sul campo per cosa, per che cosa? Per i miliar<strong>di</strong><br />

che svaniranno con la gloria, per il solito teatrino della<br />

tv, per sperare che un domani qualcuno ancora si ricor<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> noi.<br />

Giro vorticosamente facendo perno sui tacchetti, da capogiro.<br />

Cado a terra sull’erbetta e rido, rido. Lo sta<strong>di</strong>o<br />

piomba nel silenzio più assoluto, inebetito. L’arbitro ha<br />

già fischiato ma resto a terra, vedo con la coda dell’occhio<br />

la barella che si avvicina, la precedo, mi rialzo <strong>di</strong> scatto, il<br />

pubblico esulta stupito. Rialzo le braccia al cielo, <strong>di</strong> nuovo<br />

boato.<br />

Ok, mi arrendo ma prima chiu<strong>di</strong>amo questa benedetta<br />

partita. Salgo sul Mig e volo.<br />

Sbradabang!!!<br />

183


Sbradabang!!!<br />

Sbradabang!!!<br />

Sbradabang!!!<br />

184<br />

Ultimo pezzetto<br />

Domenica notte. Mi alzo e acciuffo il telefono. Per poco<br />

a zio Nannino non viene una sincope, per poco non gli<br />

esplode una vena del collo. Ha già il giornale sul tavolo, lo<br />

so, sorseggia il caffè amaro e aspetta che alle 3 la compagnia<br />

<strong>di</strong> caccia lo venga a prendere. Lo avevano riammesso<br />

subito dopo la mia prima convocazione in Nazionale. Ed<br />

era chiaro che sarebbe andata così.<br />

La voce gli balla, non ci ve<strong>di</strong>amo da tempo, gli sento<br />

persino tremare la mano sulla tazzina <strong>di</strong> ceramica e gli<br />

chiedo se lo posso scortare come ai vecchi tempi alla posta,<br />

nella boscaglia, quando era lui a scortare me.<br />

– Li hai umiliati, Vanni, 4 a 0, 4 a 0, Vanni.<br />

E piange.<br />

– Ma insomma vengo o no?<br />

E lui non risponde e riprende a singhiozzare.<br />

Mezzora dopo. Sono sotto casa sua. La compagnia in fibrillazione<br />

che mi attende.<br />

Scendo dal biemmevù, mi salutano con un applauso, i<br />

taccuini sfoderati, le penne pronte per gli autografi a figli<br />

e nipoti. Zio cerca <strong>di</strong> tenerli a bada, <strong>di</strong> metterli in fila, ma è<br />

inutile. E ora vorrei ricordare a tutti loro quando ci cacciarono<br />

via, quando ci umiliarono fra le risate. Ma sarebbe<br />

una vendetta inutile. Un misero contentino per misere<br />

persone. E non ho neanche troppa voglia <strong>di</strong> riflettere e far<br />

185


pesare a questo mio povero cervello che se c’è un inizio, se<br />

alla fine c’è stato un inizio, be’ tutto ha preso il via con loro,<br />

per colpa loro, nella boscaglia.<br />

E ora la mia macchina corre e <strong>di</strong>vora queste curve e sale<br />

mentre arriva la prima luce. Guardo in basso e vedo questo<br />

nostro mare mare e questo nostro cielo cielo che si toccano<br />

e si specchiano a vicenda. Nulla si muove e mi sembra<br />

<strong>di</strong> percorrere una natura quadro, <strong>di</strong> sfrecciare in una<br />

fotografia. Qui dove nulla mi sembra più vero. Neanche<br />

questa musica, questo incontro <strong>di</strong> tasti sfiorati che si intrecciano<br />

con queste corde pizzicate e scivolano via dagli<br />

amplificatori <strong>di</strong> questa mia macchina da campione.<br />

Eccoci siamo sui monti. Su questi monti che sbeffeggiano<br />

la spiaggia giù a valle e mi chiedo con quale coraggio,<br />

loro colline <strong>di</strong> mare. Nella posta <strong>di</strong> sempre, in silenzio con<br />

le orecchie tese verso il latrare dei cani lontani che cercano<br />

il cinghiale <strong>di</strong>avolo nella foschia, che ondeggiano con<br />

coda e orecchie lunghe, galleggiano fra queste nuvole<br />

umide che ci soffocano il respiro e ci bagnano i pensieri.<br />

Sbucano col cuore tamburo fra questi fiumi <strong>di</strong> brina, pronti<br />

ad infilzare con i loro denti questo demonio animale<br />

metastasi.<br />

Nannino non è più Nannino. Sembra suo padre che ho<br />

conosciuto appena ma mi è rimasto impresso nella memoria.<br />

Si è rinsecchito, come suo padre, e la camicia che<br />

una volta a malapena gli conteneva il collo ora lascia intravedere<br />

l’un<strong>di</strong>ci, quei due nervi della cervicale che vengono<br />

fuori e formano un bel numero un<strong>di</strong>ci, come il suo vecchio.<br />

186<br />

Lo guardo <strong>di</strong> spalle, i capelli non ci sono più e sopra<br />

l’un<strong>di</strong>ci ha solo una cornice grigia da orecchio a orecchio.<br />

La brina gli corre lungo la testa e gli cola sulla nuca, inzuppandogli<br />

quei due peli bianchi che <strong>di</strong>stillano le gocce della<br />

sua vecchiaia.<br />

Sapevo che non avrebbe retto tutta l’attesa, che prima o<br />

poi si sarebbe accasciato tra queste pietre. Una mano sul<br />

fucile, l’altra fra la guancia e la roccia foderata <strong>di</strong> muschio.<br />

Gli capitava già <strong>di</strong>eci anni fa figurarsi oggi.<br />

Aspetto che il suo respiro si faccia pesante e il viso si rilassi<br />

e le rughe si <strong>di</strong>stendano. E il suo naso soffia un respiro<br />

esausto, stufo. Anche lui <strong>di</strong> questa vita.<br />

Il fucile glielo sfilo lentamente, pian piano. Lo imbraccio,<br />

carico e clic.<br />

Sbradabang!!!<br />

187


Alla fine tutti i pezzetti sono volati via sulla gobba <strong>di</strong> un<br />

vento maestrale. Cenere alla cenere, polvere alla polvere.<br />

Nostro Signore Gesù Cristo rockstar martire mi è stato<br />

buon testimone e mi ha sorriso e mi ha strizzato l’occhio.<br />

Finii nuovamente sui giornali, occupai le prime pagine<br />

per settimane intere.<br />

Oggi, oggi che stacco scontrini capisco forse che una<br />

storia così me la sarei dovuta vendere prima. Non che i<br />

sol<strong>di</strong> mi manchino, anzi. Giusto così perché se avevo deciso<br />

che finalmente era giunto il mio turno avrei dovuto<br />

portarmi via tutto l’incasso. E quasi l’ho fatto.<br />

Oggi, oggi che batto cassa ho alle mie spalle tutti i ritagli<br />

<strong>di</strong> giornale, tutti i miei titoli. Sono Vanni Visco Martire<br />

della Sfiga. E mi vogliono più bene e quei titoli glielo ricorderanno<br />

per sempre che solo la sfiga poteva fermarmi.<br />

O solo io potevo fermarmi.<br />

“Vanni Visco perde un piede durante una battuta <strong>di</strong><br />

caccia”, “Tragico incidente, Visco perde un piede a caccia”<br />

e poi a seguire: “Visco ricoverato d’urgenza negli Stati<br />

Uniti”, sottotitolo “Tenteranno <strong>di</strong> ricostruirgli il piede”.<br />

Tenni testa per tre mesi sino all’ultimo e laconico titolo:<br />

“Visco torna a casa, ma non potrà più giocare”.<br />

189


Il piede me l’hanno ricostruito, da bambola, in plastica<br />

lucida, però me lo hanno ricostruito.<br />

A calcio non posso più giocare. L’avevo detto, basta.<br />

Clic, e mi levo dalle scatole. Suici<strong>di</strong>o perfetto, fra gli onori<br />

e la gloria <strong>di</strong> chi se li gode però in vita.<br />

Tutto programmato, calcolato. Ma loro che credano quello<br />

che c’è da credere. San Vanni Visco Martire per Se Stesso<br />

ma che loro credano pure altro.<br />

– Ottavio! Ottà dài una mano alla signora…<br />

Mi sono comprato la libreria Rocca, libri, <strong>di</strong>schi, Cd. E<br />

mi sono preso anche il vecchio Ottavio. Il cane cirneco ha<br />

tirato le cuoia, stirato da uno in moto.<br />

– Signora il suo libro rilegato sarà pronto per domani,<br />

incisioni in oro, sì incisioni in oro…<br />

E ci ho messo pure babbo nella stanzetta esagonale. Le<br />

copertine in pelle sono <strong>di</strong> moda, sono tornate <strong>di</strong> moda.<br />

Sta lì e tiene impegnate le mani ma non la mente, la<br />

mente non c’è più o giusto un pochino. Vive in un mondo<br />

tutto suo. Chissà dov’è e dove va con quella sua mente.<br />

Lo ha detto anche Nannino, me<strong>di</strong>co quasi pensionato,<br />

che ora la domenica ci porta lui, mio padre, a caccia e <strong>di</strong>ce<br />

che si fanno certe risate… Ma non prendono mai neanche<br />

un piccione.<br />

Un po’ agitato lo sono, adesso, ma è una bella agitazione<br />

che mi solletica e mi scalda lo stomaco perché fra un mese<br />

partiamo a trovare i Pinocchietti l’unica mia squadra del<br />

cuore, l’unica squadra che ha un senso allenare oggi. Oggi<br />

che con le mine è pure peggio. Oggi che nello stomaco<br />

delle arene e lì sugli spalti hanno smarrito tutto.<br />

– Ani-ce-tto Al-la-rme. Repeat boys!<br />

190<br />

Il vecchio Allarme l’ho spe<strong>di</strong>to lì da tempo e giura, giura<br />

e rigiura che anche a loro ha insegnato tutta la tiritera.<br />

In un mezzo inglese, francese, italiano e pure con i <strong>di</strong>segni<br />

delle fortezze volanti, quelle <strong>di</strong> quando si decise <strong>di</strong> degnare<br />

il mondo della sua presenza.<br />

E quelli ripetono: – Ani-ce-tto Al-la-rme.<br />

E se la ridono <strong>di</strong> brutto.<br />

E finalmente me la rido pure io che qui quando ho fatto<br />

l’inaugurazione mi hanno svuotato i banconi. E mi hanno<br />

dato un sacco <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> per i Pinocchietti e me ne danno ancora<br />

perché io sono Vanni Visco, l’imperatore del calcio<br />

ancora da eguagliare.<br />

Stacco scontrini e firmo autografi a chi viene qui solo<br />

per pretesto, per prendere una cosa ma soprattutto toccarmi,<br />

guardarmi, stringermi la mano. Così i miei libri arrivano<br />

ovunque, nelle case <strong>di</strong> chi al massimo sino a ieri ha<br />

ospitato solo i fogli rosa dello sport. È la mia rivincita <strong>di</strong> fine<br />

carriera.<br />

E anche questa è una cosa banale, stucchevole e banale<br />

ma forse nessuno l’avrebbe mai immaginata.<br />

191


<strong>Ultima</strong> <strong>di</strong> <strong>campionato</strong> è un’opera <strong>di</strong> fantasia. Ogni riferimento<br />

a personaggi realmente esititi o esitenti, nonché a situazioni<br />

realmente accadute è puramente casuale.


INDICE


INDICE<br />

<strong>Ultima</strong> <strong>di</strong> <strong>campionato</strong><br />

Primo pezzetto 9<br />

Secondo pezzetto 17<br />

Terzo pezzetto 23<br />

Quarto pezzetto 35<br />

Quinto pezzetto 41<br />

Sesto pezzetto 49<br />

Settimo pezzetto 59<br />

Ottavo pezzetto 71<br />

Nono pezzetto 77<br />

Decimo pezzetto 83<br />

Un<strong>di</strong>cesimo pezzetto 101<br />

Do<strong>di</strong>cesimo pezzetto 113<br />

Tre<strong>di</strong>cesimo pezzetto 127<br />

Quattor<strong>di</strong>cesimo pezzetto 141<br />

Quin<strong>di</strong>cesimo pezzetto 155<br />

Se<strong>di</strong>cesimo pezzetto 159<br />

Diciassettesimo pezzetto 165<br />

Diciottesimo pezzetto 181<br />

Ultimo pezzetto 185


Volumi pubblicati:<br />

Tascabili . Narrativa<br />

Grazia Deledda, Chiaroscuro<br />

Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto<br />

Grazia Deledda, Ferro e fuoco<br />

<strong>Francesco</strong> Masala, Quelli dalle labbra bianche<br />

Emilio Lussu, Il cinghiale del Diavolo (2 a ristampa)<br />

Maria Giacobbe, Il mare (ristampa)<br />

Sergio Atzeni, Il quinto passo è l’ad<strong>di</strong>o<br />

Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri<br />

Giulio Angioni, L’oro <strong>di</strong> Fraus<br />

Antonio Cossu, Il riscatto<br />

Bachisio Zizi, Greggi d’ira<br />

Ernst Jünger, Terra sarda<br />

Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni (2 a e<strong>di</strong>zione)<br />

Luciano Marrocu, Fáulas (2 a e<strong>di</strong>zione)<br />

Gianluca Floris, I maestri cantori<br />

D.H. Lawrence, Mare e <strong>Sardegna</strong><br />

Salvatore Niffoi, Il postino <strong>di</strong> Piracherfa<br />

Flavio Soriga, Diavoli <strong>di</strong> Nuraiò (2 a e<strong>di</strong>zione)<br />

Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />

<strong>Francesco</strong> Masala, Il parroco <strong>di</strong> Arasolè<br />

Maria Giacobbe, Gli arcipelaghi (ristampa)<br />

Salvatore Niffoi, Cristolu<br />

Giulio Angioni, Millant’anni<br />

Luciano Marrocu, Debrà Libanòs<br />

Giorgio Todde, La matta bestialità (2 a e<strong>di</strong>zione)<br />

Sergio Atzeni, Racconti con colonna sonora e altri «in giallo»


Marcello Fois, Materiali<br />

Maria Giacobbe, Diario <strong>di</strong> una maestrina<br />

Giuseppe Dessì, Paese d’ombre<br />

<strong>Francesco</strong> <strong>Abate</strong>, Il cattivo cronista<br />

Gavino Ledda, Padre padrone<br />

Salvatore Niffoi, La sesta ora<br />

Jack Kerouac, L’ultima parola. In viaggio. Nel jazz<br />

Gianni Marilotti, La quattor<strong>di</strong>cesima commensale<br />

Giorgio Todde, Ei<br />

Luigi Pintor, Servabo<br />

Marcello Fois, Il tamburino sardo<br />

<strong>Francesco</strong> <strong>Abate</strong>, <strong>Ultima</strong> <strong>di</strong> <strong>campionato</strong><br />

Narrativa<br />

Salvatore Cambosu, Lo sposo pentito<br />

Marcello Fois, Nulla (2 a e<strong>di</strong>zione)<br />

<strong>Francesco</strong> Cucca, Muni rosa del Suf<br />

Paolo Maccioni, Insonnie newyorkesi<br />

Bachisio Zizi, Lettere da Orune<br />

Maria Giacobbe, Maschere e angeli nu<strong>di</strong>: ritratto d’un’infanzia<br />

Giulio Angioni, Il gioco del mondo<br />

Aldo Tanchis, Pesi leggeri<br />

Maria Giacobbe, Scenari d’esilio. Quin<strong>di</strong>ci parabole<br />

Giulia Clarkson, La città d’acqua<br />

Paola Alcioni, La stirpe dei re perduti<br />

Mariangela Sedda, Oltremare<br />

Poesia<br />

Giovanni Dettori, Amarante<br />

Sergio Atzeni, Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo<br />

Gigi Dessì, Il <strong>di</strong>segno<br />

Roberto Concu Serra, Esercizi <strong>di</strong> salvezza<br />

Serge Pey, Nierika o le memorie del quinto sole<br />

Saggistica<br />

Bruno Rombi, Salvatore Cambosu, cantore solitario<br />

Giancarlo Porcu, La parola ritrovata. Poetica e linguaggio in<br />

Pascale Dessanai<br />

FuoriCollana<br />

Salvatore Cambosu, I racconti<br />

Antonietta Ciusa Mascolo, <strong>Francesco</strong> Ciusa, mio padre<br />

Alberto Masala - Massimo Golfieri, Me<strong>di</strong>terranea<br />

I Menhir<br />

Salvatore Cambosu, Miele amaro<br />

Antonio Pigliaru, Il ban<strong>di</strong>tismo in <strong>Sardegna</strong>. La vendetta barbaricina<br />

Giovanni Lilliu, La civiltà dei sar<strong>di</strong><br />

Giulio Angioni, Sa laurera. Il lavoro conta<strong>di</strong>no in <strong>Sardegna</strong><br />

In coe<strong>di</strong>zione con E<strong>di</strong>zioni Frassinelli<br />

Marcello Fois, Sempre caro<br />

Marcello Fois, Sangue dal cielo<br />

Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />

Marcello Fois, L’altro mondo<br />

Giorgio Todde, Paura e carne


Finito <strong>di</strong> stampare<br />

nel mese <strong>di</strong> aprile 2004<br />

dalla Tipolitografia ME.CA. - Recco GE

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