Francesco Abate, Ultima di campionato - Sardegna Cultura
Francesco Abate, Ultima di campionato - Sardegna Cultura
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<strong>Francesco</strong> <strong>Abate</strong><br />
<strong>Ultima</strong> <strong>di</strong><br />
<strong>campionato</strong><br />
Il Maestrale
Tascabili . Narrativa
Romanzo
Dello stesso autore con Il Maestrale:<br />
Il cattivo cronista, 2003<br />
E<strong>di</strong>ting<br />
Giancarlo Porcu<br />
Grafica e impaginazione<br />
Imago multime<strong>di</strong>a<br />
Foto <strong>di</strong> copertina:<br />
Alessandro Contu<br />
Archivio Imago multime<strong>di</strong>a<br />
© 2004, E<strong>di</strong>zioni Il Maestrale<br />
Redazione: via Massimo D’Azeglio 8 - 08100 Nuoro<br />
Telefono e Fax 0784.31830<br />
E-mail: e<strong>di</strong>zionimaestrale@tiscalinet.it<br />
Internet: www.e<strong>di</strong>zionimaestrale.it<br />
ISBN 88-86109-78-4<br />
<strong>Francesco</strong> <strong>Abate</strong><br />
<strong>Ultima</strong> <strong>di</strong> <strong>campionato</strong><br />
Il Maestrale
Improvvisamente tutto inizia a sciogliersi. I colori scivolano<br />
giù, corrono lungo le mattonelline dei muri. E tutto<br />
inizia a liquefarsi. Il rosso si mescola con il blu e i miei<br />
pensieri con i ricor<strong>di</strong>.<br />
Mi piace ricordare. Arrivare allo sta<strong>di</strong>o prima <strong>di</strong> tutti.<br />
Al Campione è concesso. È concesso stare qua giù quando<br />
gli altri sono ancora a casa, gli spalti sono vuoti e sul<br />
prato ronza il tagliaerba.<br />
Improvvisamente qui tutto inizia a sgretolarsi. Gli arma<strong>di</strong>etti<br />
e le panche squamano polvere. E vanno giù come<br />
neanche la sabbia sulla gobba del maestrale. Un vortice, la<br />
bufera. Poi, improvvisamente, la calma. Decomposto, tutto.<br />
Molecola per molecola, atomo per atomo. Niente ora<br />
ha più una forma, una linea, un senso. Come la mia vita,<br />
questa mia vita che se ne va pezzetto dopo pezzetto.<br />
Sto giù negli spogliatoi ad ascoltare, sopra <strong>di</strong> me, le gra<strong>di</strong>nate<br />
che pian piano si animano, i primi passi che rimbombano<br />
sul soffitto, poi lo zoccolio della mandria che si<br />
fa sempre più intenso. Li sento, sento il loro ruminare <strong>di</strong><br />
popcorn e patatine, il loro mormorio che monta ed esplo-<br />
7
de in un boato quando tiro fuori la testa dal tunnel e sono<br />
in campo.<br />
Oggi è l’ultima, fra poche ore sarà l’ultima, anche se per<br />
tutti sarà la prima.<br />
Prima <strong>di</strong> <strong>campionato</strong>, urlano i titoli dei giornali. Ma per<br />
me Stop, finito. Me ne vado. Clic, schiaccio il grilletto e mi<br />
levo dai pie<strong>di</strong>, per sempre. Vanni Visco il Campione saluta<br />
e se ne va. Si arrangino, loro e la palla che gira, il <strong>campionato</strong><br />
più bello del mondo, il mister che ha sempre ragione,<br />
i compagni che fanno spogliatoio e gli altri più forti<br />
ma noi più fortunati. Fa nulla se oggi è la prima e si aspettano<br />
da me le altre trentasei, girone d’andata e <strong>di</strong> ritorno.<br />
Anche se per tutti loro, anche se per tutti voi, oggi è la prima,<br />
per me è l’ultima. E come ogni buon suicida me ne vado<br />
senza chiudere i conti. Se la finiscano loro la stagione.<br />
8<br />
Primo pezzetto<br />
È stato accertato che l’assassinio fu commesso nel seguente<br />
modo: Schmar, l’assassino, si spostò verso le nove<br />
<strong>di</strong> sera nella chiara notte…<br />
Gooooooooollll!<br />
Il quartiere affonda fra le fauci del tubo cato<strong>di</strong>co, <strong>di</strong>vorato<br />
da questo mostro televisore. E il caldo fa il resto.<br />
Il caldo e l’umido, per rendermi tutto più <strong>di</strong>fficile, per<br />
non farmi correre oltre la prima pagina.<br />
…Schmar, l’assassino, si spostò verso le nove <strong>di</strong> sera nella<br />
chiara notte lunare alla cantonata a cui Wese, la vittima,<br />
doveva…<br />
Cristalli liqui<strong>di</strong> rossi. Guardo l’orologetto che balla<br />
nel polso: troppo grande per il mio polso. E non c’è stato<br />
nulla da fare, neanche con l’ultimo buco.<br />
– Con un bell’orologio con il cinturino <strong>di</strong> pelle saremmo<br />
andati subito da signor Sanna e ti avrebbe fatto un<br />
altro bel buchetto. Giusto giusto ti sarebbe stato. – Mio<br />
nonno che non l’aveva mandata giù, che avrebbe voluto<br />
regalarmi un quadrante classico, numeri in oro, come le<br />
lancette, e il cinturino <strong>di</strong> pelle liscia, marron. – Oh, Vanni!<br />
se vuoi anche pitonato nero, come a tuo fratello…<br />
9
Ma avevo voluto quello con la cassa rettangolare in<br />
plastica grigia e due pulsantini: uno per l’ora, l’altro per<br />
il giorno. Luminescenze da allarme extraterrestre, come<br />
nei telefilm, come tutti i miei compagni. – E manco l’hai<br />
voluto provare, che almeno ci saremmo accorti che ti<br />
stava largo… – Come gli altri ragazzetti del quartiere che<br />
solo l’idea <strong>di</strong> passare da signor Sanna, pidocchio e maneggione,<br />
per comprare le batterie li spingeva a correre<br />
oltre la sua bottega, lontano dal quartiere, verso il Corso<br />
e poi su per la via dei negozi dall’orologiaio-gioielliere.<br />
Una fatica. Ma poi quelle stanghette riprendevano a<br />
comporre numeri scatolati, come in certi ascensori. E<br />
senza pegno.<br />
– E ora dove lo facciamo il buco? Nella plastica? Signor<br />
Sanna ha detto che non fa…<br />
Signor Sanna e la sua botteguccia. Sanna: utensileria,<br />
merceria, drogheria… e maneggeria gli avevano scritto<br />
col pennello sul muro quelli del bar <strong>di</strong> fronte. Ci aveva<br />
dovuto passare due mani <strong>di</strong> tinta signor Sanna maneggione<br />
per far sparire quelle lettere rosse. E quelli a ridere<br />
e darsi <strong>di</strong> gomito mentre lui si era sporcato tutto il<br />
grembiule azzurro, pur <strong>di</strong> fare veloce, e manco se n’era<br />
accorto, si era impollinato tutti i capelli. Una criniera<br />
ispida, folta e nera che gli partiva poco sopra le sopraciglia.<br />
Neanche un animale della boscaglia. Ma un po’ più<br />
porco, specie con i ragazzetti che scaricavano le cassette<br />
del mercato ortofrutta, pesce e pollami. Quelli che quando<br />
uscivo per andare a scuola puzzavano già <strong>di</strong> sigarette<br />
e fatica.<br />
Guardo l’orologio e penso che forse con la punta ro-<br />
10<br />
vente del saldatore un altro buco si sarebbe potuto fare.<br />
– Se passi da me dopo pranzo, quando abbasso la serranda<br />
e ho meno da fare, possiamo provarci con il saldatore…<br />
– Signor Sanna pidocchio e maneggione.<br />
Guardo le barrette che segnano i minuti: il due che <strong>di</strong>venta<br />
tre, il quattro che aspetta il cinque. E faccio ballare<br />
l’orologio sul polso, magro esile.<br />
– Come quello delle signorine ce l’hai…<br />
E mi viene un nervoso. Ma un nervoso. Torno sul libro.<br />
…Schmar, l’assassino, si spostò verso le nove <strong>di</strong> sera nella<br />
chiara notte lunare alla cantonata a cui Wese, la vittima,<br />
doveva svoltare nella strada dove abitava, da quella in<br />
cui era il suo ufficio…<br />
Mi alzo <strong>di</strong> scatto, lancio il libro, corro alla finestra, mi<br />
sporgo più che posso per cercare <strong>di</strong> centrare l’insegna<br />
Sanna. Ma lo sputo <strong>di</strong>segna una parabola che non supera<br />
il marciapiede.<br />
E sto per riprovarci. Quando un altro urlo del quartiere<br />
mi blocca la saliva. E quasi il cuore.<br />
Mi sembra che un fiume in piena abbia rotto gli argini<br />
e che da ogni finestra affluenti si siano riversati sulla strada<br />
e il livello sia salito e salito. Sino a toccare quel terzo<br />
piano e superarlo per schiaffeggiarlo. Un’onda sonora<br />
anomala.<br />
Poi, come è arrivata, l’onda si ritira. E il quartiere rimane<br />
lì nuovamente in silenzio. Solo il gracchiare dei televisori<br />
dà un senso a questa giornata dove anche signor<br />
Sanna ha buttato giù tutta la saracinesca che sta sempre<br />
11
a metà, anche la domenica. Anche quelli del bar <strong>di</strong> fronte<br />
non ce n’è uno appoggiato con gli stivaletti al muro,<br />
birroncino, sigaretta in mano.<br />
Non ci sono neppure i cani. Denti aguzzi pronti a beccarmi<br />
<strong>di</strong>etro i sacchetti dell’immondezza che oggi nessuno<br />
ha avuto voglia <strong>di</strong> portare giù.<br />
Tutto si è fermato. Tutti tranne me e queste barrette<br />
luminescenti che sembra non vogliano correre oltre i novanta<br />
minuti. Sembra che se la vogliano prendere calma.<br />
L’otto lascia il posto al nove… Troppo lento.<br />
Persino le zanzare. Persino loro non roteano intorno<br />
ai lampioni luri<strong>di</strong> e gialli che già si sono accessi anche se<br />
il tramonto, questa sera, se la sta prendendo calma, pure<br />
lui. E il sole se ne rimane lì, <strong>di</strong>etro i palazzi più alti, a<br />
dare un luce svogliata. E la notte non ne vuole sapere <strong>di</strong><br />
arrivare.<br />
Sembra che tutto e tutti si siano fermati, per questo<br />
benedetto mon<strong>di</strong>ale. Tutti tranne il caldo e l’afa. Tutti tranne<br />
quelli che sgambettano dentro lo schermo verdeblù.<br />
Ventidue <strong>di</strong>sgraziati che si azzannano per infilare la palla<br />
dentro una ragnatela <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperazione. Su e giù, su e<br />
giù per il prato verde. Il pubblico ondeggia, batte le mani,<br />
urla, seguendo il rotolare <strong>di</strong> una sfera a spicchi bianconeri.<br />
Italia-Germania. L’Asse post Badoglio: guerra <strong>di</strong><br />
pallonate.<br />
A me la guerra non è mai piaciuta. Neppure quella<br />
con i fucili ad elastico. Da cortile a cortile.<br />
Nessuna guerra e nessuna competizione.<br />
Ma ora la sfida ha invaso il quartiere.<br />
Sarei voluto restare in casa, finestre chiuse, serrande<br />
abbassate. – Non vengo, sto qua…<br />
12<br />
Ma mi hanno fatto attraversare la piazza tirato per la<br />
maglietta sotto lo sguardo severo. Una corsa <strong>di</strong> pochi metri<br />
fra un via vai impazzito <strong>di</strong> gente con ban<strong>di</strong>ere e gente<br />
con bustoni carichi <strong>di</strong> spesa.<br />
Pochi portoni per ricongiungerci con tutta la famiglia<br />
riunita. Zii, cugini a contorcersi davanti al megativù a<br />
colori atterrato sul salone simil-déco per le nozze d’argento<br />
dei nonni. Persino mio fratello, Luigi, quello vestito<br />
sempre <strong>di</strong> nero, sempre in partenza per Monaco. Persino<br />
lui con una blusa azzurra e lo scudetto verdebiancorosso<br />
sul cuore.<br />
C’era l’aria della notte, fredda da far venire i brivi<strong>di</strong> a<br />
chiunque. Schmar…<br />
Il piccolo Vanni, nella stanza del Cristo, leggo, <strong>di</strong>voro<br />
il mio libro preferito.<br />
Leggo dribblando urla <strong>di</strong>sumane. Leggo e perdo la<br />
marcatura fra fischi e battimani. Poi rileggo in uno strano<br />
momento <strong>di</strong> vuoto sonoro. Solo un istante.<br />
Gooooooooollll!<br />
Terzo urlo. Il palazzo trema, i pavimenti ballano. Il tifo<br />
erutta lapilli tricolori.<br />
Maledetti. Ancora poco e ci schiattavo. Il sangue si sarebbe<br />
fermato, gelato, pietrificato. Come in una magia<br />
cattiva e maledetta.<br />
Anche un cuore semplice può essere sfiorato dai pensieri<br />
più perfi<strong>di</strong>.<br />
Acciuffo il pallone dei cugini, lo piazzo al centro della<br />
stanza del Cristo e via, quattro, cinque, sei punizioni.<br />
13
A pararle le statuine in ceramica sistemate in cima a un<br />
arma<strong>di</strong>o immenso e inquietante. Un monolite domestico<br />
che fronteggia il grande Cristo in tela dall’altra parte della<br />
camera. Un <strong>di</strong>pinto scuro che mi ha sempre messo terrore.<br />
C’è lui: Nostro Signore Gesù Cristo, con una faccia<br />
da rockstar martire. Ti guarda fisso e con l’in<strong>di</strong>ce destro e<br />
il pollice sinistro si allarga la ferita sul costato che sanguina.<br />
Rosso antico. E fa senso. L’aveva inchiodato mia nonna<br />
sopra il lettone alto per farle compagnia. Perché il<br />
nonno - nozze d’argento a parte - si accucciava in una branda<br />
della stanza degli attrezzi dove non la sentiva russare.<br />
E dove nostro Signore Gesù non lo osservava.<br />
Un cecchino. Un tiratore scelto. Sfaldo le ceramiche a<br />
pallonate. E Gesù mi è buon testimone.<br />
Stacco la testa al pescatore <strong>di</strong> Sorrento, mozzo l’ombrellino<br />
alla damina dell’Ottocento, infrango la promessa<br />
d’amore e unione eterna dei due innamorati sulla panchina.<br />
* * *<br />
Oggi i giornali <strong>di</strong>cono che ho gli occhi anche <strong>di</strong>etro la<br />
schiena. Che ho un senso in più degli altri. Come un radar.<br />
Uno scandaglio sotto pelle. So da dove arriva la palla,<br />
so come intercettarla, imbrigliarla e fare fuoco senza bisogno<br />
<strong>di</strong> guardare. Oggi.<br />
Quando sei né bambino né uomo né ragazzo né vecchio,<br />
non hai la coscienza <strong>di</strong> ciò che possie<strong>di</strong>. Le tue antenne<br />
sono solo due bitorzoli, a gittata limitata. E questa<br />
è una cosa banale, che tutti sanno.<br />
Quin<strong>di</strong>, non percepii nulla. Non mi accorgevo della fa-<br />
14<br />
miglia che piano piano si ammassava sullo stipite della<br />
porta e non osava andare oltre.<br />
Mi beccarono che urlavo fra i cocci sparsi per la stanza.<br />
Erano tutti lì, appollaiati, accatastati l’uno sull’altro a<br />
guardarmi stupiti in quel delirio da cane fedele idrofobo.<br />
* * *<br />
Saltello fra i cocci, fra cadaveri <strong>di</strong> statuine in ceramica.<br />
Sono Vanni Martire che invoca lo Spirito Santo saltellando<br />
in cerchio con la testa prona al <strong>di</strong>o lampadario e le<br />
braccia rivolte al soffitto - il Cristo in tela non oso guardarlo<br />
- pronto al sacrificio. Sono un martire bambino in<br />
attesa <strong>di</strong> lapidazione e frecce sul costato, olio bollente,<br />
scarnificazione. Pronto al sacrificio anche io come Nostro<br />
Signore Gesù.<br />
Abbasso la testa, mi copro con le mani e chiudo gli occhi<br />
perché, forse, non vedere farà meno male.<br />
Sento il passo <strong>di</strong> mio padre. E quello <strong>di</strong> mia madre. Si<br />
avvicinano pesanti per lasciarmi a terra quasi morto. Quasi.<br />
Apro un occhio e mi sembra che il Cristo mi sorrida.<br />
* * *<br />
Non ero destinato al neurologo, figurarsi allo psicanalista.<br />
La decisione fu presa la notte stessa. Fra i <strong>di</strong>vani in pelle<br />
marrone con le cuciture grosse.<br />
15
Secondo pezzetto<br />
Pensano che dorma.<br />
– Questo ragazzo è… è troppo sensibile… Uno che se<br />
ne sta chiuso a leggere il giorno dei mon<strong>di</strong>ali… ma va!<br />
dàiiii!<br />
Mio padre è sempre stato un tipo energico. Gestisce<br />
una conceria. Piccola fabbrica <strong>di</strong> pellami.<br />
– Oooh, ma cosa <strong>di</strong>ci? Adesso perché a uno non gli piace<br />
il calcio…<br />
Mia madre l’ha sempre pensata come mio padre ma<br />
non gli ha mai dato la sod<strong>di</strong>sfazione.<br />
– E intanto ha sfasciato le statuine <strong>di</strong> tua madre… certo<br />
e… oh… belle belle non erano…<br />
A mio padre gli affari non sono mai andati male, vanno<br />
peggio a due o tre operai che tornano a casa quando le<br />
ven<strong>di</strong>te calano.<br />
– Ha sbagliato… ha sbagliato…<br />
Mia madre non ha mai avuto né alti né bassi. Insegna<br />
educazione fisica al liceo.<br />
– È un ragazzo troppo chiuso, strano…<br />
La matematica, anzi l’aritmetica ha sempre scan<strong>di</strong>to la<br />
vita <strong>di</strong> mio padre. Un pragmatico.<br />
– Antonio, se tu ci parlassi <strong>di</strong> più sarebbe un po’ meno<br />
chiuso…<br />
Lei non gli dà mai la sod<strong>di</strong>sfazione.<br />
17
– Ecco, figurarsi se non era colpa mia… e sì e poi cosa ci<br />
parlo <strong>di</strong> filosofia? Quello è sempre chiuso sui libri, libri,<br />
sempre libri. Come quel tuo zio, quello che si era buttato<br />
dentro a una vasca…<br />
– Era un pozzo…<br />
Mia zia Lisa, la gemella <strong>di</strong> mia madre.<br />
– Come?<br />
– Era un pozzo, si è ucciso buttandosi dentro a un pozzo,<br />
zio Franco. Non una vasca.<br />
Mio padre ha sempre rispettato la zia Lisa, forse perché<br />
lei insegna matematica al liceo.<br />
– Vasca, pozzo, insomma, vostro zio, quello che si è ucciso.<br />
Sempre sui libri era…<br />
* * *<br />
Incompreso in una famiglia me<strong>di</strong>o borghese. Ma questa<br />
è una cosa banale che tutti sanno.<br />
* * *<br />
Se non ci fossi, se non fossi mai esistito, potrebbero parlare<br />
ancora una volta del rigore sbagliato e dell’allenatore<br />
fumatore portato in trionfo con la pipa che gli tremava.<br />
Ma ci sono. Sono il capro espiatorio, il sale <strong>di</strong> ogni famiglia.<br />
Cosa ci vada a fare mio fratello a Monaco non lo hanno<br />
ancora capito. Mio fratello Luigi ad ogni viaggio sempre<br />
più pallido.<br />
Pensano che dorma, non dormo.<br />
Nel salone ritorna per qualche istante il silenzio. Percepisco<br />
mia madre che esce dalla stanza e punta verso la cu-<br />
18<br />
cina. Sento il ronzio del frigorifero. Un rumore <strong>di</strong> ghiaccio<br />
e bicchieri. La intravedo nella penombra tornare al<br />
suo posto. E sento il suo odore dolce e fresco.<br />
Mio padre si scola il bicchiere e borbotta che ci mancavo<br />
solo io a far frullare le palle al nonno. Borbotta - frantumando<br />
i cubetti con i denti - che già il nonno ce l’aveva con<br />
lui per quella storia del prestito non saldato. No, non che<br />
gliene fregasse molto delle statuine della moglie, anzi. Ma<br />
era giusto così per avere un’altra storia da rinfacciargli.<br />
Mia madre vira la rotta per evitare la collisione.<br />
– Mi toccherà comprare una libreria più grande…<br />
Ha sempre avuto un debole per l’arredamento, mia madre.<br />
– Ah sì, ne ho visto una bellissima da Genca, un po’ cara,<br />
ma bella.<br />
Anche la sorella.<br />
Mio zio, zio acquisito marito della zia sorella gemella<br />
della mamma, per lei, per la zia, non ha mai badato a spese.<br />
Mio zio Nannino, il me<strong>di</strong>co.<br />
– Ascoltate, me lo prendo io il ragazzino. Ci penso io a<br />
dargli una seria raddrizzata. Però oh… che mira il ragazzino.<br />
* * *<br />
Lo ricordo perfettamente qua giù mentre mi spoglio<br />
lento e mi guardo allo specchio. Pettorali, addominali, bicipiti,<br />
glutei, gambe. Ora è tutto quasi perfetto, scolpito<br />
nella carne. E non capisco, non capisco come questo corpo<br />
è cresciuto su <strong>di</strong> me. Ma so cosa rimarrà <strong>di</strong> questi muscoli<br />
allevati per la sfida. Cenere.<br />
19
Per l’ultima volta negli spogliatoi, giù nello stomaco <strong>di</strong><br />
questa arena a farmi <strong>di</strong>gerire per poi rinascere. Solo, fra<br />
gli arma<strong>di</strong>etti e le docce in mattonelline coi colori sociali,<br />
rosse e blu, sulla panca <strong>di</strong> sempre. I gesti <strong>di</strong> sempre accompagnati<br />
dall’eco dei primi petar<strong>di</strong>. Il suono del tifo,<br />
un grande botto, poi il vuoto.<br />
* * *<br />
Lo zio Nannino. Me<strong>di</strong>co all’ospedale oncologico, la<br />
morte che incombe fra le stanze del suo reparto la esorcizza<br />
con un fucile sotto braccio, appostato fra la boscaglia<br />
in attesa che il cinghiale gli passi davanti e bang, una fucilata<br />
in mezzo agli occhi, poco sopra le zanne <strong>di</strong> questo gomitolo<br />
<strong>di</strong> filo spinato, selvaggio, indomabile come neppure<br />
una metastasi <strong>di</strong>ffusa. Quella Nannino non può farla<br />
fuori con una palla ad elica e allora giù schioppettate vere<br />
su un demonio cinghiale, <strong>di</strong>avolo e <strong>di</strong>sgraziato.<br />
Ecco, io il cancro me lo immagino così: un animale <strong>di</strong>avolo<br />
nascosto nella boscaglia pronto a <strong>di</strong>vorarti. A volte si<br />
risveglia per i fatti suoi, a volte lo vai a tormentare così<br />
tanto che alla fine si drizza sulle zampe, raschia gli zoccoli<br />
sulla pietra da farti cadere i denti e sbuffa caldo alito nauseabondo<br />
e carica senza che nessuno possa più fermarlo.<br />
Anche se si sveglia per i fatti suoi non lo puoi più fermare.<br />
Solo zio Nannino lo può fermare. Solo Nannino con la<br />
sua palla ad elica. Ma solo qui, nella boscaglia <strong>di</strong> questi<br />
monti che sbeffeggiano il mare. Giù, a valle, in città, non<br />
può.<br />
Ma anche qui le cose da un po’ <strong>di</strong> tempo vanno male.<br />
20<br />
In sei mesi in questa posta puzzolente fra l’odore merdoso<br />
delle pernici moribonde, il piscio dei cani che sembra<br />
varechina <strong>di</strong> straccio sporco, lo stomaco dello zio che<br />
gorgoglia, <strong>di</strong> cinghiale neppure l’ombra.<br />
Sono un appren<strong>di</strong>sta cacciatore che <strong>di</strong>venterà appren<strong>di</strong>sta<br />
uomo. E poi veterano.<br />
È l’inizio, ma non è il mio inizio. Sono argilla da plasmare,<br />
ma non sono né argilla né plasmabile. Eppure non sono<br />
offeso, umiliato e offeso. Non sono ribelle, rabbioso e<br />
ribelle. Sono solo stupito. Solo cerco <strong>di</strong> aumentare la gittata<br />
delle mie antenne, dello scandaglio sotto pelle. Spero<br />
solo <strong>di</strong> vedermi spuntare davanti quella bestia demonio,<br />
ansimante, braccata dai battitori e dai segugi. Quasi come<br />
in un racconto in<strong>di</strong>ano, senza tigri ed elefanti. Invece nulla,<br />
il cinghiale lo centrano sempre qualche centinaio <strong>di</strong><br />
metri più in là dalla nostra posta e mi tocca vederlo già<br />
morto, come dal macellaio, con le mosche che svolazzano<br />
intorno. E non sembra più quell’animale <strong>di</strong>avolo ma solo<br />
un porco peloso. Sembra un maiale che non è passato dall’estetista,<br />
come certe turiste che mio fratello Luigi mi strizza<br />
l’occhio in spiaggia e mi fa: Tedesche. Mio fratello Luigi<br />
che è tornato da Monaco con una più magra <strong>di</strong> lui. Più<br />
alta <strong>di</strong> lui, più bambina <strong>di</strong> lui. Ha gli occhi gran<strong>di</strong>ssimi,<br />
blu blu. Ha i capelli bion<strong>di</strong>ssimi, quasi bianchi, rasati sul<br />
collo e le tempie, un ciuffone che le scende sul viso e la <strong>di</strong>fende<br />
dagli sguar<strong>di</strong> degli altri che si girano quando lei e<br />
mio fratello camminano in questa città.<br />
21
Terzo pezzetto<br />
Una volta avevano deciso <strong>di</strong> portarsi <strong>di</strong>etro pure me. Lo<br />
ricordo bene, qua giù. E non mi sembrava vero, non mi<br />
sembrava possibile <strong>di</strong> poter trottare fra loro due e affannare<br />
verso quel concerto. Non so se glielo avesse imposto<br />
mia madre prima <strong>di</strong> andare per il fine settimana alla villa<br />
degli zii al mare. O se l’idea <strong>di</strong> portarmi al concerto fu loro.<br />
Fa nulla, ero eccitato lo stesso.<br />
* * *<br />
Concerti non ne ho mai visto. E neppure quelli che vanno<br />
ai concerti. Mi guardo intorno e non posso credere che<br />
stiamo stretti stretti uno sull’altro con i biglietti stretti<br />
stretti in una mano e l’altra per tenerci ancora più avvinghiati<br />
e non perderci fra una folla che sa <strong>di</strong> birra e sudore,<br />
gelatina e lacche spray. Una catena umana: io, Luigi, lei,<br />
un’amica che a lei la guarda proprio male, un amico che<br />
sembra stia per addormentarsi da un momento all’altro,<br />
un altro che muove e muove le mascelle e non la smette<br />
mai <strong>di</strong> parlare e mi sa che prima o poi la man<strong>di</strong>bola si staccherà<br />
dal resto della testa e, infine, una piccolina che sbatte<br />
gli occhi e sbatte gli occhi. Persino io sono più alto <strong>di</strong> lei.<br />
Li guardo e hanno tutti gli stessi abiti neri, gli stessi ciuffi<br />
che coprono un occhio, le stesse scarpe a punta che un<br />
23
tipo sul pullman gli ha detto: Andate a schiacciare formiche<br />
negli angoli? E ha fatto ridere tutto il pullman.<br />
Poi Luigi gli ha sputato in faccia, al tipo delle formiche,<br />
e tutto il pullman non ha più riso. Poi Man<strong>di</strong>bola ha tirato<br />
fuori un coltello, <strong>di</strong> quelli che si vede solo il manico e se<br />
schiacci salta fuori anche la lama, come in certi film. Il<br />
pullman si è svuotato alla fermata dopo. E Man<strong>di</strong>bola ha<br />
schiacciato il pulsante, io ho chiuso un occhio ma comunque<br />
ho visto che ora erano loro, Luigi e la compagnia, a ridere<br />
mentre Man<strong>di</strong>bola si pettinava con il coltello, che era<br />
solo un pettinino.<br />
Quando è stato il nostro turno per scendere ci abbiamo<br />
impiegato un po’ a svegliare quell’altro che si era accasciato<br />
su un se<strong>di</strong>le e non ne voleva sapere <strong>di</strong> alzarsi. Sveglio era<br />
sveglio, si grattava e si grattava, ma cosciente mica tanto.<br />
Li guardo che ballano e tutti ballano e io guardo verso il<br />
palco dove ci sono tre vestiti <strong>di</strong> nero, con scarpe a punta<br />
per le formiche. Uno sta alla batteria, un’altra a una specie<br />
<strong>di</strong> muretto <strong>di</strong> tastierine con mille cavi e cavetti che sembrano<br />
flebo e uno che fa certi salti ma certi salti e urla al<br />
microfono. Ma urla.<br />
Tedeschi. Mi fa Luigi e mi strizza l’occhio ma non gli<br />
riesce bene perché anche a lui la mascella ha iniziato a traballare<br />
e scarrellare. E Lei lo avvinghia e iniziano a urlare<br />
e a ballare insieme.<br />
E la tipa, quella tipa, li guarda male, ma male. E tira fuori<br />
una scatola <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cine e schiaccia via dalla stagnola<br />
uno due tre quattro cinque sei pastiglie. Una la butta giù e<br />
una la dà a me.<br />
– Dài inghiotti.<br />
Faccio cenno <strong>di</strong> no con la testa.<br />
24<br />
– Inghiotti, serve per non farti venire il mal <strong>di</strong> testa.<br />
Quasi non la sento perché la musica ci travolge.<br />
– Per il mal <strong>di</strong> testa.<br />
Ripete toccandosi le tempie:<br />
– Mal <strong>di</strong> testa…<br />
– Ma io non ho mal <strong>di</strong> testa.<br />
E urlo per farmi sentire mentre uno mi viene quasi addosso<br />
e poi un altro e un altro e un altro che ora sono circondato<br />
da gente che si spinge e sembra che si picchiano<br />
ma ridono e ridono e si <strong>di</strong>vertono.<br />
– Dài butta giù.<br />
A me ora sembra che il mal <strong>di</strong> testa mi verrà davvero e<br />
così la butto giù.<br />
Lei ride e ne inghiotte un’altra e ne passa un’altra anche<br />
a me e ce l’ho in mano e rido anche io, sarà la musica che<br />
mi entra nello stomaco o questa gente che si strattona per<br />
volersi bene o chissà cosa.<br />
Sto per buttare giù anche la seconda pastiglia e sto per<br />
caricare tanta saliva da farla scivolare senza dolori quando<br />
sento <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> me una mano che mi tappa la bocca e<br />
un’altra che con uno schiaffo mi fa volare dalle <strong>di</strong>ta questa<br />
me<strong>di</strong>cina analgesica. Sono le mani <strong>di</strong> Luigi che ora sono<br />
chiuse e sfrecciano verso la faccia <strong>di</strong> Pastiglia. Due cazzotti<br />
pesanti e poi un calcio allo stomaco. Quelli che sono intorno<br />
si fermano, quelli che sono intorno non si spingono<br />
più. La musica va, ma noi per un po’ non la sentiamo.<br />
Ve<strong>di</strong>amo invece due arma<strong>di</strong> da palestra, due gemelli del<br />
muscolo, acciuffare Luigi alle spalle e portarlo via mentre<br />
lui si intorcina e si <strong>di</strong>batte come una <strong>di</strong> quelle anguille del<br />
mercato prima e dopo la decapitazione. E la gente riprende<br />
a spingersi, io risento la musica e Pastiglia si rialza, la<br />
25
occa e il naso sporchi <strong>di</strong> sangue. Io frugo e trovo i fazzoletti<br />
<strong>di</strong> carta che mi aveva ficcato mia madre nella tasca<br />
prima <strong>di</strong> partire: Pren<strong>di</strong>ti i fazzoletti Vanni che alla tua età<br />
sei sempre con quel moccio. Maledetta sinusite.<br />
E le porgo i fazzoletti.<br />
– Ma vaffanculo nano…<br />
Per fortuna ho la Tedesca affianco a me che mi tiene il<br />
braccio e mi trascina via. Mi accarezza la testa e poi si volta.<br />
– Fanculo tu Puttana…<br />
E le lancia una lattina <strong>di</strong> coca e mi trascina via. Superiamo<br />
gente e gente e finalmente usciamo da questo posto<br />
dove tutta la settimana ci giocano quelli del basket, ma<br />
oggi no.<br />
Siamo fuori e c’è Luigi che si fuma una sigaretta con i<br />
Gemelli del muscolo. Ci ha sempre saputo fare Luigi.<br />
– Eccoli…<br />
E non mi danno il tempo <strong>di</strong> parlare che mi corrono incontro,<br />
mi aprono la bocca e Luigi mi infila due <strong>di</strong>ta e gli<br />
vomito tutta la camicia nera e sento raschiare naso e gola e<br />
sento una puzza. Ma una puzza.<br />
– Fatto, grazie a Dio…<br />
I Gemelli ridono, anche la Tedesca ride, Luigi mi fa<br />
l’occhiolino che stavolta gli esce.<br />
– An<strong>di</strong>amo a casa Vanni.<br />
Luigi si leva la camicia e la butta via. E lei gli pizzica la<br />
pancia e riprendono a ridere.<br />
Io <strong>di</strong>etro che sputo e sputo, uno schifo ma uno schifo.<br />
Loro due davanti abbracciati. Insieme an<strong>di</strong>amo verso casa.<br />
Così non <strong>di</strong>co nulla quando si chiudono nella mia stanza<br />
per ore. Glielo devo. Dormo sul <strong>di</strong>vano.<br />
Anche quando i miei sono a casa, li sentiamo ridere nel-<br />
26<br />
la mia stanza, li sentiamo ridere persino dal salone con i<br />
<strong>di</strong>vani in pelle marron e le cuciture grosse. E mia madre fa<br />
la scocciata.<br />
– Antonio, vacci tu, <strong>di</strong>gli <strong>di</strong> venire qui …<br />
E lui, mio padre, non ci pensa neppure. Così sorride.<br />
Quasi sghignazza e la guarda cercando complicità. Ma lei<br />
non gli dà mai la sod<strong>di</strong>sfazione e gli pianta una faccia.<br />
– Vado io… – <strong>di</strong>co.<br />
– Fermo lì tu…<br />
Mia madre mi afferra con lo sguardo. E non mi molla.<br />
Torno al mio libro e penso a quando i miei sono partiti a<br />
Firenze per i nuovi or<strong>di</strong>ni della conceria. Luigi si è subito<br />
chiuso nella stanza del lettone, quella dei miei. Risate e gemiti.<br />
Risate e gemiti. Risate e gemiti che mi sono venute le<br />
guance calde. Ma calde calde. E uno strano formicolio nella<br />
pancia e poi pure più giù. Che oggi se ci penso mi vergogno<br />
peggio <strong>di</strong> allora.<br />
Quando mia madre è tornata ha preso Luigi e si è sigillata<br />
con lui nella stanza del ferro da stiro. Lo ha stirato per<br />
bene. Poi la sera si è messa pure peggio. Quando Luigi e la<br />
Tedesca sono andati al clubino sotto casa.<br />
Pensavano che dormissi, non dormivo. Percepii mia madre<br />
uscire dal salotto e puntare verso la cucina. Sentii il<br />
ronzio del frigorifero. Un rumore <strong>di</strong> ghiaccio e bicchieri.<br />
La intravi<strong>di</strong> nella penombra tornare al suo posto.<br />
Mio padre si scolò il bicchiere e borbottò che ci mancavano<br />
solo Luigi e lei, lei e Luigi, a fargli frullare le palle.<br />
Borbottò - frantumando i cubetti con i denti - che già c’aveva<br />
gli affari suoi. Mia madre non virò la rotta, per evitare<br />
la collisione.<br />
27
– Ma scusa, tu te li immagini i genitori <strong>di</strong> questa ragazza…<br />
abbiamo una responsabilità…<br />
Mia madre ha immaginato sempre i genitori degli altri. I<br />
figli degli altri.<br />
– Ma chissenefrega…<br />
Pragmatico.<br />
– Perdonami, ma come hai fatto a capire che avevano<br />
dormito… sì insomma… nel tuo letto?<br />
Mia zia, una tipa curiosa.<br />
– Ci ho messo una foglia…<br />
Per poco mio padre non moriva con un cubetto <strong>di</strong><br />
ghiaccio nella gola.<br />
– Una che?<br />
E il cubetto risalì su.<br />
– Una foglia secca fra lenzuola e materasso… un vecchio<br />
trucco… basta saltare sopra il letto e la foglia si sgretola.<br />
Ecco come ho fatto.<br />
Mia madre è sempre stata peggio <strong>di</strong> un detective privato,<br />
<strong>di</strong> quelli americani con l’impermeabile zozzo.<br />
– Oh guarda Antonio, se volete… Se volete, sia ben<br />
chiaro, anche a Luigi lo porto a caccia con me…<br />
Mio zio, mio zio me<strong>di</strong>co e le sue terapie.<br />
– Persino nel letto <strong>di</strong> Vanni sono finiti a fare le loro zozzerie.<br />
E mia madre non molla la presa.<br />
– Devi vedere le lenzuola in che con<strong>di</strong>zioni le hanno ridotte…<br />
E le mie guance <strong>di</strong>ventano rosse e le mie orecchie s’infiammano,<br />
i capelli si elettrizzano e vorrei morirci tra queste<br />
lenzuola perché Gigi, Luigi mio fratello, questa volta,<br />
con le mie lenzuola, nulla c’entra. E mi vergogno come un<br />
28<br />
asino nudo. Che non so perché ma dalle mie parti si è sempre<br />
detto così: asino nudo.<br />
– Oh guarda Antonio, se volete… Se volete, se voi volete,<br />
questo sia ben chiaro, anche a Luigi lo porto a caccia<br />
con me…<br />
Mio zio e le sue terapie, la sua grammatica con regole<br />
tutte sue. Le sue cure <strong>di</strong> vita che forse meriterebbero prima<br />
una <strong>di</strong>agnosi e magari, prima ancora, qualche analisi<br />
ma non lì su quei <strong>di</strong>vani in pelle marron. Su quei <strong>di</strong>vani dove<br />
Gigi, e questo loro non lo sanno, ha dato il meglio <strong>di</strong> sé.<br />
Ma mio fratello in mezzo alla boscaglia non sono mai<br />
riusciti a trascinarlo.<br />
* * *<br />
Lo ricordo perfettamente. Qua giù mentre conto i minuti<br />
e ogni mia mossa.<br />
Uno: levarsi l’orologio.<br />
Due: slacciare il braccialetto.<br />
Tre: appendere la giacca.<br />
Quattro: allineare le scarpe… cinque: bagnarsi i capelli<br />
con il gel…<br />
Ricordo anche quando feci l’errore <strong>di</strong> portarmi appresso<br />
un tascabile contro l’attesa infinita del bosco.<br />
Grave errore. Grave errore.<br />
Zio Nannino me lo strappò dalle mani.<br />
– ’Sti cazzi <strong>di</strong> libri!<br />
Lo lanciò in aria e lo impallinò senza pietà. Un colpo.<br />
Poi un altro per finirlo, a terra, con stizza.<br />
Fu in quell’istante che vedemmo il cinghiale già <strong>di</strong>retto<br />
verso la nostra posta annusare l’aria e arrestarsi. Il demo-<br />
29
nio, alitando caldo, guardò Nannino, lo fissò. E lui, bocca<br />
aperta, fissò il demonio che buttò fuori un ultimo grugnito<br />
fumante, girandosi lentamente, e riprese la boscaglia.<br />
Lo zio non ebbe il tempo <strong>di</strong> ricaricare.<br />
Lezione numero uno: mai contrad<strong>di</strong>re il maestro. Lezione<br />
numero due: imitare il maestro, stu<strong>di</strong>are ogni sua<br />
mossa, archiviarla, metterla a profitto. La vita è un mestiere<br />
che si impara a bottega. E anche questa è una banalità<br />
che tutti sanno.<br />
Lo zio cerca <strong>di</strong> ritrovare la calma. Io sono rannicchiato<br />
su me stesso con le ginocchia quasi alla bocca e il panino<br />
stretto fra le mani, appiccicato alle labbra. Mangio a piccoli<br />
bocconi, quasi svogliato. Ho lo sguardo basso. I miei<br />
occhi seguono una colonna <strong>di</strong> formiche e vorrei essere<br />
operaia con il mio fardellino sulle spalle, in fila con mille<br />
altre per scendere sotto terra e non tornare mai più su.<br />
– Ve<strong>di</strong> sono convinto che la cultura apra la mente…<br />
Lo zio parla e fa la punta a un ramo secco con un coltello,<br />
il suo panino è poggiato sulla roccia affianco alle lattine<br />
<strong>di</strong> birra che guardo con terrore.<br />
– Mica ho inseguito la laurea per capriccio… oh… avrei<br />
preferito correre per i boschi con la mia doppietta sotto<br />
braccio… se fosse per me avrei vissuto sempre qui ad<br />
aspettare i cinghiali.<br />
Nannino guarda la vallata che si anima <strong>di</strong> urla. Gli sbuffi<br />
delle fucilate che <strong>di</strong>segnano il percorso del cinghiale lungo<br />
il costone. I cani impazziti che lo inseguono senza pietà.<br />
– Mio padre era un famoso chirurgo e io cosa potevo fare?<br />
Me<strong>di</strong>co sono <strong>di</strong>ventato.<br />
30<br />
Ora tracanna la birra, Nannino. Rutta e segue con gli<br />
occhi i battitori che scendono paonazzi dalla collina senza<br />
più fiato.<br />
– Alla fine ci ho pure preso gusto, a fare il me<strong>di</strong>co. Ma<br />
ogni domenica a caccia. Modestamente non ho mai letto<br />
un romanzo. Però salvo la vita alla gente, io. La cultura, e<br />
ascolta bene quello che ti <strong>di</strong>co, non può essere tutta la tua<br />
esistenza. Altrimenti finisci per isolarti, per <strong>di</strong>ventare un<br />
marziano. C’è anche altro nell’esistenza: caccia al cinghiale<br />
compresa.<br />
Qua su, in questi monti che ignorano il mare. Spero,<br />
prego che una volta tanto i pallettoni centrino questo maledetto<br />
animale, così evito mio zio maestro all’appren<strong>di</strong>stato<br />
della vita e soprattutto il solito teatrino che mette in<br />
scena per tutta la compagnia a battuta finita.<br />
Una prova <strong>di</strong> forza per cercare <strong>di</strong> riconquistare fra quella<br />
ciurma <strong>di</strong> impiegati del catasto, cassieri <strong>di</strong> banca, geometri<br />
comunali, gli onori che gli competono almeno per<br />
rango, lui me<strong>di</strong>co a un passo dal primariato.<br />
Nannino piazza sulle rocce della vallata le lattine vuote<br />
della birra scolata nell’attesa del cinghiale <strong>di</strong>avolo demonio<br />
che si prende gioco <strong>di</strong> lui. Sistema il pallone da calcio,<br />
che immancabilmente rimbalza dal cofano della macchina,<br />
con la meticolosità del giocatore <strong>di</strong> golf più che del rigorista.<br />
Lo spettacolo, la marionetta, sono io: asso della balistica<br />
che ad ogni pallonata butto giù anche la lattina più lontana,<br />
anche quella oltre la barriera dei rovi che mi serve un<br />
pallonetto per farla fuori.<br />
All’inizio la compagnia guardava ammirata. Poi, battu-<br />
31
ta dopo battuta, in<strong>di</strong>fferente, annoiata. Alla fine, oggi più<br />
che mai, insofferente.<br />
Sto per fare l’ennesimo centro, il pallone rapido taglia<br />
l’aria in <strong>di</strong>rezione della lattina verde smeraldo, ma è più<br />
veloce il commendator Carcangiu che prende la mira,<br />
schiaccia il grilletto e assassina il pallone prima che arrivi<br />
alla meta.<br />
Il boato della detonazione, poi quello fragoroso delle risate<br />
della compagnia.<br />
– Oh Nannì, con questo tuo nipote ci hai proprio rotto i<br />
coglioni.<br />
Zio è <strong>di</strong> sale. Un metro e novanta <strong>di</strong> muscoli e ciccia si<br />
scaglia sul commendator Carcangiu. In venti - ci si sono<br />
messi anche i battitori - a malapena glielo levano dalle mani.<br />
Lui è meglio <strong>di</strong> un guerriero greco, barbaro ma principesco.<br />
Un gla<strong>di</strong>atore nell’arena, solo contro tutti.<br />
Sono Massimo Paolo Quintiliano! Comandante dell’armata<br />
del nord! Generale delle Legioni Phoenix! Nipote<br />
<strong>di</strong> uno zio sbeffeggiato! Figlio <strong>di</strong> un padre conciaio e <strong>di</strong><br />
una madre rompiballe!<br />
Vorrei urlare questo e scagliarmi nella mischia. Come in<br />
un libro, quando l’eroe mascherato si svela e si prende in<br />
un colpo solo rivincita e vendetta. Ma non <strong>di</strong>co niente.<br />
Farei solo ridere tutti. Così guardo. Faccio lo spettatore e<br />
il tifo in <strong>di</strong>sparte.<br />
Pugni, urla, calci, una rumorosa testata e Cargangiu è<br />
un colasangue fra l’erba fresca.<br />
Ci costò l’espulsione dalla compagnia <strong>di</strong> caccia.<br />
– Andrò a pernici.<br />
32<br />
Fu l’unica frase che Nannino <strong>di</strong>sse durante il viaggio <strong>di</strong><br />
ritorno mentre nel cassone della stationwagon cercavo <strong>di</strong><br />
riconquistare il posto rubatomi dai segugi puzzolenti come<br />
la spazzatura del lunedì. Mi <strong>di</strong>spiaceva, sapevo quanto<br />
ci teneva alla battuta al cinghiale, però in fondo ero contento,<br />
ad<strong>di</strong>o caccia, ad<strong>di</strong>o pallonate alle latte vuote.<br />
* * *<br />
Oggi qua giù, nel mio spogliatoio, il mio gioco preferito<br />
è dare calci alle bottigliette <strong>di</strong> plastica cariche <strong>di</strong> integratori<br />
salini. Con i ragazzi ci facciamo le scommesse. Vinco<br />
sempre io. Sono il capobranco. E mi costa. I giovani maschi<br />
che mi vogliono sfidare devono iniziare da qui, dagli<br />
integratori salini e qualcosa da centrare. Ma non sono mai<br />
riusciti ad andare oltre. Sognano <strong>di</strong> essere me - più <strong>di</strong> me -<br />
e da domani si scanneranno per spartirsi la mia ere<strong>di</strong>tà.<br />
33
Quarto pezzetto<br />
I colori si impastano. E il rosso non è più rosso e il blu<br />
non è più blu. Ma i miei ricor<strong>di</strong> restano cristallini e riflettono<br />
solo verità.<br />
Il tifo è già un rumore assordante che potrebbe rintontire<br />
tutti, ma non me. Potrebbe ubriacare tutti, ma non me.<br />
Stanno intonando il mio nome. E le mie labbra tremano e<br />
i miei occhi ballano, ma io non cedo, non ho mai ceduto.<br />
Mai. Li sento qua sotto in questo spogliatoio freddo come<br />
fredda è stata la mia vita, che non è mai stata la mia vita.<br />
Questa mia esistenza che se n’è andata pezzetto dopo pezzetto.<br />
Lo vi<strong>di</strong> arrivare a casa con la borsa della squadra carica<br />
<strong>di</strong> tutta l’attrezzatura. Capii che non avevo più scampo.<br />
Non mi <strong>di</strong>sse nulla, non gli <strong>di</strong>ssi nulla, sapevamo entrambi<br />
che glielo dovevo.<br />
Quando arrivammo al campo, un rettangolo verde incastrato<br />
fra spalti e gra<strong>di</strong>nate immense, zio strinse la mano<br />
a un tipo strano, in tuta blu. Più che un calciatore sembrava<br />
un pugile, tozzo con la faccia da mastino mezzo sangue,<br />
un po’ arabo, un po’ ebreo. Mi consegnò a lui e <strong>di</strong>sse<br />
solo: Non te ne pentirai, è un vero fenomeno.<br />
– E per mia moglie? – <strong>di</strong>sse quello lanciandomi un’occhiata<br />
veloce.<br />
35
– È tutto apposto, Allarme, domani si libera un letto,<br />
venite alle 8 che la sistemiamo.<br />
Fui barattato per un ricovero.<br />
* * *<br />
Ecco, lo zio. Stringe la mano al vecchio allenatore. Poi<br />
fa cadere la sacca sportiva sull’erbetta. E sento un tonfo<br />
che echeggia nel mio cuore. E sento l’odore <strong>di</strong> quest’erba<br />
fresca.<br />
Si volta e se ne va senza neppure un cenno per me.<br />
– Dài cambiati…<br />
Gli allenatori hanno sempre mo<strong>di</strong> duri e spicci.<br />
– D-d-dove?<br />
Ma io non ci sono abituato.<br />
– Qui… e dove?… non c’è tempo per andare nello spogliatoio.<br />
E in<strong>di</strong>ca una casupola in fondo al campo e gli altri ragazzini<br />
mi guardano e ridacchiano.<br />
– Cazzo avete da ridere voi… forza con ’sti addominali…<br />
avanti… uno… due. E tu! Vanni! Muoviti! Qui non<br />
c’è mica tempo da perdere.<br />
Mi cambio a bordo campo e mi guardo intorno. Gli altri<br />
hanno già la faccia in terra, flessioni. Ma non mi staccano<br />
gli occhi <strong>di</strong> dosso.<br />
Mi perdo con i lacci delle scarpette. Disfo e ri<strong>di</strong>sfo i fiocchi<br />
mille volte. Ora sono vestito <strong>di</strong> tutto punto e resto immobile<br />
al bordo del campo.<br />
– Avanti Visco! Che cazzo aspetti! Avanti! In campo come<br />
tutti gli altri!<br />
L’allenatore ha la voce alta e rognosa.<br />
36<br />
Avanzo lento verso l’area <strong>di</strong> allenamento scortato dagli<br />
sguar<strong>di</strong> degli altri.<br />
* * *<br />
Commozione è una cosa strana che ti fa brulicare il naso,<br />
stringere lo stomaco e inondare <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà salata gli<br />
occhi. I libri dove ci si commuove li ho sempre scartati<br />
tutti, buttati in un angolo. È un sentimento che non mi<br />
piace la commozione. Giocato a buon mercato.<br />
Piego meticolosamente i miei abiti. Come quin<strong>di</strong>ci anni<br />
fa in uno spogliatoio più piccolo e più puzzolente.<br />
Uno: piegare i pantaloni seguendo la riga.<br />
Due: allineare la camicia sulla gruccia.<br />
Tre: stirare i revers della giacca.<br />
Quattro: arrotolare le calze… cinque: controllare <strong>di</strong>stanza<br />
e allineamento fra scarpa destra e scarpa sinistra…<br />
Allora mi massacrarono. Oggi mi guardano tutti con rispetto<br />
perché sono il capitano, il fuoriclasse, il bomber<br />
dei bomber. Vanni Visco, il campione che si può permettere<br />
manie.<br />
Allora no. Allora ero l’ultimo arrivato. Io, le mie scarpette<br />
con i tacchetti, maglia e calzoni rossoblù della nostra<br />
squadra: una manciata <strong>di</strong> scudetti, qualche coppa e<br />
tanti onori. Un altro tre<strong>di</strong>cenne avrebbe dato un rene per<br />
entrare nei giovani della squadra io anche due pur <strong>di</strong> non<br />
metterci mai piede.<br />
Gli altri mi impressionarono subito. Mi si appiccicarono<br />
come mosche quasi per testarmi, sicuramente per non<br />
farmi sentire a mio agio perché in fondo ero un intruso, in<br />
cambio <strong>di</strong> un ricovero avevo saltato tutta la trafila, non fa-<br />
37
cevo parte della casta. Razza scelta, selezionata. Certo non<br />
come oggi. Come tocca a certi ragazzini. Certi che hanno<br />
la faccia più smarrita della mia.<br />
– Preferisci la zona o il tridente?<br />
– Catenaccio o gioco all’inglese?<br />
– Oggi proviamo il 4-4-2 che ne pensi?<br />
Se volevano farmi cagare ci erano riusciti in pieno: cosa<br />
ne potevo sapere io che non <strong>di</strong>stinguevo neppure un dribbling<br />
da un corner? Mi prese il panico, sarei voluto scappare<br />
con una scusa o con un’altra ma non ne ebbi il tempo:<br />
ero già sull’erbetta a zompettare come un piccolo cavallo<br />
alsaziano al trotto da parata.<br />
Poi <strong>di</strong> corsa, poi a terra e via con gli addominali.<br />
Fu tutto naturale come battere le ciglia e respirare.<br />
Una vera i<strong>di</strong>ozia, non c’era tanto da usare il cervello,<br />
neppure fosse quell’irlandese che avevo tentato <strong>di</strong> leggere<br />
per tre volte ma mi ero fermato a pagina <strong>di</strong>eci senza capirci<br />
nulla. I muscoli invece andavano da soli, fatti per quello,<br />
non dovevo neppure faticare. Come se non avessi fatto<br />
altro nella mia vita.<br />
A cagare se ne andò la cricchetta dei fanatici. Li stesi a<br />
terra nel giro <strong>di</strong> tre mesi, facendogli svicolare il pallone fra<br />
le gambe, lasciandogli le scarpette all’asciutto, facendoli<br />
sbavare <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> me, correndo verso la rete e gol, ancora<br />
gol e sempre gol.<br />
Lo ricordo perfettamente.<br />
* * *<br />
Superato il primo gra<strong>di</strong>no dell’appren<strong>di</strong>stato. Accettato<br />
nel clan. Non sono uno <strong>di</strong> loro, sono uno come loro.<br />
38<br />
Le mie antenne lo percepiscono chiaro. Non sono offeso,<br />
né umiliato né offeso. Non sono neppure un ribelle,<br />
rabbioso e ribelle come mio fratello che da giorni chiede<br />
più sol<strong>di</strong> a mio padre per andare in Olanda.<br />
La Germania non va più <strong>di</strong> moda. Va <strong>di</strong> moda l’Olanda.<br />
E mio fratello Luigi - mio fratello sempre più pallido e<br />
magro - <strong>di</strong>ce che vuole tentare un import <strong>di</strong> macchine usate.<br />
Lo <strong>di</strong>ce perché sa che mio padre è un tipo pragmatico.<br />
Citroën, Renault, Diane molte Diane. Io ho detto che preferivo<br />
la Diane alla Mercedes <strong>di</strong> papà. E loro, mio padre e<br />
mio fratello, si sono girati e mi hanno guardato con un<br />
sorriso strano, storto. Una faccia che era: non ti <strong>di</strong>co ma ti<br />
sto <strong>di</strong>cendo tutto con questa faccia qua. E le mie guance<br />
sono <strong>di</strong>ventate tizzoni e i capelli elettrizzati.<br />
* * *<br />
I ricor<strong>di</strong> della vergogna li ho tutti allineati nella mia<br />
mente, e ogni tanto non so se saltano fuori o se li faccio<br />
saltare fuori io. Forse lo faccio per punirmi. Spine sul capo,<br />
frecce sul costato, olio bollente e scarnificazione. Non<br />
so.<br />
Quante volte è bastato uno sguardo per farmi abbassare<br />
il capo e gli occhi, per farmi sentire nulla. Quante volte è<br />
bastata una frase e io non ho avuto parole. Si chiama prontezza<br />
<strong>di</strong> riflessi. E io ce l’ho solo in campo la prontezza <strong>di</strong><br />
riflessi, quella forza che ti salva e non ti fa se<strong>di</strong>mentare i ricor<strong>di</strong><br />
della vergogna nell’anima. Che non ti fa balbettare<br />
da solo: coglione, coglione, brutto gran pezzo <strong>di</strong> un inutile<br />
coglione. Se avessi risposto, se non avessi chinato il capo,<br />
se, se e ancora troppi se <strong>di</strong> questa frustrazione che mi<br />
39
fa più male <strong>di</strong> un rigore sbagliato. Io che alla voce rigore<br />
sbagliato ho scritto: Mai. Fesso e ragazzino.<br />
* * *<br />
Gigi, Luigi mio fratello, è tutta un’altra storia. Luigi sa<br />
dove fare breccia. Io sono il figlio che non sa fare breccia e<br />
non fa domande. Preparo la borsa per la trasferta, ho tutto<br />
ben piegato e stirato sul letto. Anche mio fratello ha<br />
tutto ben piegato sul letto. La sua roba è tutta nera, la mia<br />
tutta rossoblù e sa <strong>di</strong> detersivo lavanda.<br />
Due fratelli con cinque anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenza e un metro da<br />
letto a letto. Non ci eravamo quasi mai parlati, non ce n’era<br />
mai stato bisogno. Due Incompresi in una famiglia me<strong>di</strong>o<br />
borghese. Anche questa è una banalità che molti conoscono.<br />
– Spaccagli il culo Vanni.<br />
Gigi mi allunga una cassetta e mi sorride.<br />
– Spaccagli il culo e sul pulmino ascoltati questa.<br />
Crede nella musicoterapia. La musica come terapia.<br />
– Ti dà la carica giusta.<br />
Luigi sa tutto <strong>di</strong> musica e mi allunga anche il suo walkman.<br />
– Tieni, te lo regalo, ne comprerò uno nuovo ad Amsterdam.<br />
Sono il fratello più piccolo che abbraccia uno scheletrino<br />
vestito <strong>di</strong> nero. Afferro uno dei miei libri preferiti e<br />
glielo porgo. – Per il viaggio, – <strong>di</strong>co, – ti piacerà.<br />
Lui sorride e mi stringe forte. Sono triste perché oggi mi<br />
sono spuntate le antenne e so - lo so - che questo è il nostro<br />
ultimo abbraccio.<br />
40<br />
Quinto pezzetto<br />
Ho i polpacci duri. Stanotte ho dormito sui chio<strong>di</strong>. Ferro<br />
caldo arrugginito sulle tempie, un laccio <strong>di</strong> cuoio stretto<br />
al collo. E non era il caldo. Ma i pensieri. I pensieri che<br />
<strong>di</strong>ventano bastar<strong>di</strong>, piccoli e <strong>di</strong>sgraziati con quei denti<br />
aguzzi che se la prendono con i miei polpacci. E non mollano.<br />
Neppure ora che il massaggiatore fa scorrere sulle<br />
mie gambe le sue <strong>di</strong>ta. E si lamenta. – ’Zzo Vanni. Oggi hai<br />
i muscoli tesi. Non mi inizierai così dalla prima giornata.<br />
Sembri un morto.<br />
Quasi morto, e non è la prima.<br />
* * *<br />
Eccomi. Ecco il piccolo Vanni Visco in questo vecchio<br />
spogliatoio <strong>di</strong> provincia. Le pareti sono rovinate e sporche,<br />
non come le nostre. Le docce piccole e gialle. Non<br />
come le nostre. Le usano per pisciare, questi qui.<br />
Sono seduto sulla panca <strong>di</strong> legno marcio <strong>di</strong> questo campetto.<br />
I pali mangiati dalla ruggine, l’erbetta incrostata <strong>di</strong><br />
sassi, al lato, <strong>di</strong>etro le panchine, gli fanno la guar<strong>di</strong>a due<br />
ciminiere enormi che sputano fumo e poco lavoro. In<br />
questo campetto, fra fabbriche e capannoni grigi lontano<br />
dalla città, ho paura che il fischio dell’arbitro si confonderà<br />
con quello della pausa pranzo dello straor<strong>di</strong>nario<br />
41
domenicale. Allora dei tizi in tuta blu si appoggeranno alla<br />
rete metallica e faranno il tifo solo per far fuori un po’ <strong>di</strong><br />
rabbia. Come l’anno scorso. Inciteranno i loro figli che<br />
hanno le maglie con lo sponsor della <strong>di</strong>tta. Che al primo<br />
lavaggio ha stinto. E anche se i nostri avversari ne vanno<br />
fieri, loro, i padri, sanno che è solo il marchio <strong>di</strong> una schiavitù<br />
a basso costo. Non come la nostra.<br />
Tiro fuori dalla sacca sportiva l’attrezzatura, poi raggomitolo<br />
il filo delle cuffiette e le nascondo fra pantaloni e<br />
maglione che sistemo sul fondo.<br />
Il walkman lo passo a Signor Anicetto che oramai ci è<br />
abituato. Lo ficca nel tascone del suo impermeabile da<br />
campo, una specie <strong>di</strong> scafandro che lo fa sembrare un palombaro<br />
o forse un benzinaio della miscelèn. Signor Anicetto<br />
che non ha più un pelo nero in testa mentre a noi i<br />
peli neri sono spuntati un po’ ovunque.<br />
Signor Anicetto che ora nei tasconi si infila catenine e<br />
orologi e braccialetti e inizia con la tiritera. Fa il ritiro delle<br />
cianfrusaglie della squadra e parte con la lagna.<br />
– Questa è una partita <strong>di</strong>fficile, decisiva, ne abbiamo già<br />
parlato tutta la settimana è inutile tornare sull’argomento.<br />
I compagni ascoltano la tiritera e si infilano le maglie.<br />
– Fuori c’è tutto il paese. Vi stanno aspettando per farvi<br />
la festa.<br />
Ascoltano la lagna e si arrotolano i calzettoni che sanno<br />
<strong>di</strong> umido.<br />
– Non siamo venuti qui per fare una scampagnata, vi voglio<br />
concentrati. Solo così eviteremo <strong>di</strong> farci fare la pelle.<br />
Ora gli altri hanno il viso contratto, sono tesi, ora ascoltano<br />
con attenzione. Io mi concentro sulle scarpette, levo<br />
42<br />
i sassolini conficcati nella suola, prendo la mira sulla fotografia<br />
scolorita <strong>di</strong> una tipa che sembra una rockstar martire<br />
nuda. Con il pollice destro si allarga la gamba destra,<br />
con il sinistro la sinistra. Io miro al centro. E sparo i miei<br />
sassolini.<br />
– Visco! Sarai anche bravo. Ma certe volte mi fai proprio<br />
girare i coglioni…<br />
Anche Signor Anicetto è teso.<br />
– Mi sembri capitato qui per caso… sembra che non te<br />
ne frega niente <strong>di</strong> quello che sto <strong>di</strong>cendo.<br />
E <strong>di</strong> foto così nel suo arma<strong>di</strong>etto ne ha una collezione.<br />
– Guarda che tuo zio mi ha detto <strong>di</strong> marcarti stretto.<br />
Ma sono meno sbia<strong>di</strong>te.<br />
– Oh bello cantando… lo sai in che ruolo giocavo io<br />
quando giocavo? Lo sai ?<br />
E io lo sfido.<br />
– No… In che ruolo giocava?<br />
– Stopper giocavo, e <strong>di</strong> centravanti come te me ne mangiavo<br />
due prima <strong>di</strong> pranzo come aperitivo, e uno dopopranzo<br />
per <strong>di</strong>gerire a tipo Fernet Branca. Hai capito?<br />
Lo guardo e faccio sì sì con la testa.<br />
* * *<br />
È stato sempre così. Una in casa, una in giro per la provincia.<br />
Qualche volta mi sono anche <strong>di</strong>vertito. Qualche<br />
volta. Ma è durata poco, il tempo che Signor Anicetto<br />
capì che per quei campetti ero uno spreco.<br />
– Uno spreco sei o Visco, uno spreco sei.<br />
Proprio quando avevo preso il ritmo e non mi pesava<br />
quasi più.<br />
43
L’ultima me la ricordo bene, l’ultima con gli esor<strong>di</strong>enti.<br />
Ricordo bene tutto, qui, in questo spogliatoio mentre sulla<br />
mia testa la mandria scalpita e insulta quelli dell’altra<br />
curva e quelli dell’altra città. I loro cori rimbombano sin<br />
qua giù, i loro tamburi ritmano segnali <strong>di</strong> guerra. Non mi<br />
ricordo quando hanno iniziato. Prima, quelli che c’erano<br />
prima, molto prima, si limitavano a picchiettare con i pie<strong>di</strong><br />
sugli scalini e a scan<strong>di</strong>re una marcetta <strong>di</strong> voci e battimani.<br />
– RossoBlù, RossoBlù, Rosso…<br />
Sempre uguale, sempre la stessa. Prima quelli delle altre<br />
città sin qua giù non ci venivano quasi mai. E comunque<br />
non era guerra.<br />
Me lo ricordo bene. O almeno mi sembra, perché anche<br />
noi la domenica si andava in trasferta. E i gran<strong>di</strong> me li<br />
guardavo la sera che si muovevano dentro la tv.<br />
* * *<br />
Il pulmino si inerpica fra i tornanti su una strada <strong>di</strong>sgraziata<br />
e scontrosa <strong>di</strong> montagna, fuori un orizzonte lunghissimo<br />
color piombo e una natura avvilita, secca e forse ostile.<br />
I compagni cantano a squarciagola per non vomitare a<br />
ogni curva. Ogni nota segue un colpo <strong>di</strong> saliva per rimandare<br />
giù aranciate e meren<strong>di</strong>ne che vogliono tornare su.<br />
– Ve lo avevo detto <strong>di</strong> tenervi leggeri!<br />
In fondo al pulmino, Signor Anicetto. In pie<strong>di</strong>, urla. Urla<br />
e artiglia i se<strong>di</strong>li per non cadere. Capitano <strong>di</strong> una nave in<br />
tempesta, i legni scricchiolano malmenati dalle onde e le<br />
vele guaiscono sfregiate dal vento.<br />
44<br />
– Lobina! Per te che sei il capitano: al primo tempo scegli<br />
il campo in <strong>di</strong>scesa, mi raccomando, <strong>di</strong>-sce-sa. Ripeti!<br />
E Lobina ripete.<br />
– Di-sce-sa.<br />
E lui avanza nel corridoio tra i se<strong>di</strong>li, fino a me.<br />
– Visco! tu basta che tiri la palla e se ne entra da sola in<br />
porta, devi solo tirare. Ripeti! Ti-ra-re.<br />
Signor Anicetto parla come un cannone: botta, pausa,<br />
botta.<br />
E io non ripeto.<br />
Il ritmo dei tornanti è più serrato e i ragazzi stanno per<br />
vomitare.<br />
– Al secondo tempo, in salita, la parola d’or<strong>di</strong>ne è <strong>di</strong>fendersi…<br />
Difendersi! Ok? Lobina ripeti: <strong>di</strong>-fen-der-si.<br />
E Lobina non ripete, vomita. Nel sacchetto. Che cola.<br />
– Guardate che questi <strong>di</strong> oggi sono abituati a giocare in<br />
quel campo. Non sono calciatori sono alpinisti, ok?<br />
Signor Anicetto il capitano <strong>di</strong> una nave in tempesta, imperturbabile.<br />
– Lobina! Dài a tutti le gomme americane. Solo una a<br />
testa.<br />
Lobina <strong>di</strong>stribuisce le gomme da masticare e tutti cominciamo<br />
a masticare e ruminare in silenzio con le facce<br />
bianchissime.<br />
Aveva ragione Signor Anicetto. Pende. Un campetto ripido,<br />
scavato fra l’incontro <strong>di</strong> due colline. Ma per me non<br />
fa <strong>di</strong>fferenza.<br />
Sono lontano dalla loro porta, guardo le nuvole che fra<br />
un po’ toccheranno anche le nostre teste. Sono lontanissimo<br />
dalla loro porta e scaglio un tiro pro<strong>di</strong>gioso che entra<br />
45
in rete sfiorando l’incrocio dei pali. I compagni mi circondano<br />
e mi abbracciano. Il pubblico rumoreggia nel suo<br />
strano <strong>di</strong>aletto montano.<br />
Ho lo sguardo che punta la fine della collina, mentre mi<br />
abbracciano. Mentre i compagni mi abbracciano e sono<br />
come una canna straziata dal vento, oscillo per non farmi<br />
buttare giù. Ho gli occhi che seguono un tracciato fra la<br />
vegetazione mentre l’arbitro deve fare i conti con quelli<br />
dell’altra panchina che lo circondano e gli sputano rabbia<br />
e saliva. E le mie pupille sono come radar, spie <strong>di</strong> uno <strong>di</strong><br />
quei satelliti che controllano dall’alto continente per continente,<br />
nazione per nazione, città per città, quartiere per<br />
quartiere, casa per casa. E alla fine ti beccano lì in quel tuo<br />
momento banale <strong>di</strong> vita. Che so, una partita <strong>di</strong> calcio<br />
mentre i compagni si accatastano su <strong>di</strong> te fra questi monti<br />
che detestano il mare. Fra questa gente che o<strong>di</strong>a <strong>di</strong> domenica<br />
per o<strong>di</strong>are meno <strong>di</strong> lunedì, martedì, mercoledì, giovedì,<br />
venerdì, sabato. O<strong>di</strong>o e rancore che ora vorrebbe farselo<br />
allo spiedo questo arbitro qui.<br />
E il mio radar finalmente lo becca. Lo intercetta che<br />
passa veloce fra la boscaglia. Lo guardo, mi guarda. Cinghiale<br />
<strong>di</strong>avolo e demonio. Un secondo e i nostri occhi radar<br />
si incontrano, si scontrano, si riconoscono, prendono<br />
le misure l’uno dell’altro, rapi<strong>di</strong>, veloci e tutto capiscono<br />
come solo il sonar <strong>di</strong> una bestia sa fare nel tempo <strong>di</strong> un<br />
battere <strong>di</strong> ciglia. Un secondo, forse due, e sono già nell’altra<br />
metà del campo trascinato dai compagni che urlano<br />
ancora. E lui, demonio lucifero della boscaglia, fugge via,<br />
raschiando la terra, alito caldo e nauseabondo, sperando<br />
<strong>di</strong> scamparla per un’altra domenica. Come me.<br />
La partita riprende. E nessuno si è accorto <strong>di</strong> lui. La fa-<br />
46<br />
tica riparte. Spezza le gambe percorrere il campo in salita.<br />
Fa esplodere i polmoni la corsa forsennata e senza freni<br />
quando lo attraversiamo rapi<strong>di</strong> in <strong>di</strong>scesa.<br />
Mi esce sangue dal naso. Ma non chiedo <strong>di</strong> sedermi in<br />
panchina. Aspetto un altro gol. Poi tornerò a casa. A leggere.<br />
47
Sesto pezzetto<br />
Anicetto Allarme, 17 aprile 1941. Decise <strong>di</strong> degnare il<br />
mondo della sua presenza quando la fortezza volante passò<br />
sopra questa città e le sirene iniziarono ad ululare.<br />
A lui piaceva raccontarla così: degnare il mondo della<br />
sua presenza… la fortezza volante… e tutto il resto della<br />
tiritera. Lo faceva sentire meglio raccontarla così.<br />
Sua madre stava già urlando e schiumando da un’ora.<br />
Smise come iniziarono gli altoparlanti. Insomma, partorì<br />
fra le bombe.<br />
Dunque, Allarme sta per allarme aereo. Anicetto sta per<br />
Sant’Anicetto, il santo del giorno, 17 aprile appunto.<br />
Il cognome non si è mai saputo, o forse nessuno lo ricorda<br />
più. Tanto per tutti è sempre stato Signor Anicetto. Al<br />
massimo per quelli del quartiere, quello che si affaccia sul<br />
porto, Anicetto Allarme. Mezzo arabo e mezzo ebreo.<br />
Hanno sempre avuto un certo gusto a beffarla la vita da<br />
queste parti, una certa voglia <strong>di</strong> non prenderla mai troppo<br />
sul serio, per non darle troppa sod<strong>di</strong>sfazione, dato che se<br />
ne prende già troppa <strong>di</strong> suo. E se così non fosse, se non<br />
avessero il gusto <strong>di</strong> fregarla ogni tanto la vita, il fato, il <strong>di</strong>vino<br />
<strong>di</strong>segno o vattelapesca tu cosa è, il mio mister non lo<br />
avrebbero mai chiamato Allarme che non è il suo soprannome<br />
ma proprio il suo nome registrato all’anagrafe.<br />
Quello che il padre dettò all’impiegato fascista del muni-<br />
49
cipio fascista che non fece una grinza a sigillare sui reali<br />
registri un nome da avanguar<strong>di</strong>a futurista, da gloriosa<br />
trincea. E neppure il parroco fascista fece una grinza, perché<br />
poi Anicetto era il santo del giorno.<br />
Di Anicetto so solo questo, perché solo questo ci ha<br />
sempre raccontato mille volte negli spogliatoi tirando<br />
fuori la sua carta d’identità logora.<br />
– A-ni-ce-tto Al-lar-me… Ripeti Lobina!<br />
E Lobina ripeteva e noi ridevamo, insieme a lui, Anicetto<br />
Allarme.<br />
Di signor Anicetto so solo questo e che a modo suo mi<br />
volle bene.<br />
– Sprecato sei, sprecato…<br />
Anche se ai piani alti non ci è mai salito, Anicetto questa<br />
volta si è messo la giacca e i pantaloni e si è fatto coraggio.<br />
– An<strong>di</strong>amo…<br />
E mi prende persino la mano e lo guardo e lui mi molla<br />
ma solo perché è tutta bagnata, la sua.<br />
Passo veloce, falcata larga, come in allenamento e la cravatta<br />
che sembra un tergicristallo: ora a destra, ora a sinistra.<br />
Metronomo dei suoi passi e dei miei che lo seguo e<br />
rior<strong>di</strong>no i pensieri. Lui pure. Io a voce bassa, lui alta. Fa le<br />
prove per la prima. Ripassa e riprova.<br />
– Dottor Antoni… anzi no… commendator Antoni…<br />
questo ragazzo…<br />
Poi mi guarda: – No, a te ti lascio fuori, prima entro io,<br />
poi ti chiamo…<br />
Io faccio sì sì con la testa.<br />
– Dottor Antoni, la squadra dei ragazzini viene su be-<br />
50<br />
ne… così bene… che sono riuscito a formare… No, gli <strong>di</strong>co<br />
sono riuscito a plasmare… No, forgiare… Sì, forgiare…<br />
forgiare un giovane talentuoso… Sì, talentuoso mi<br />
piace… Per me non chiedo niente…<br />
E mi strizza l’occhio.<br />
– Per me non chiedo nulla, sto bene dove sto… semmai…<br />
E ora anche lui preferisce proseguire nei pensieri.<br />
Mi porta <strong>di</strong> corsa all’ultimo piano della palazzina della<br />
società.<br />
Mi porta dopo che il <strong>campionato</strong> è finito e sulla mia cartella<br />
gol c’è scritto 54.<br />
Mi lascia all’ingresso dello stu<strong>di</strong>o del cavalier Antoni.<br />
Uno stu<strong>di</strong>o immenso, il parquet scuro come i <strong>di</strong>vani fatti<br />
arrivare apposta dall’Inghilterra, pareti blasonate <strong>di</strong> foto<br />
in bianco e nero delle squadre del passato, <strong>di</strong> coppe e medaglie<br />
tirate a lucido. Fiammanti come i libri riposti sugli<br />
scaffali in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> colore: a sinistra quelli con le copertine<br />
ver<strong>di</strong>, a seguire quelli marroni e infine quelli neri.<br />
Signor Anicetto si trattiene per pochi minuti poi sbuca<br />
fuori e mi <strong>di</strong>ce che devo tornare domani con i miei genitori<br />
per una firmetta, niente <strong>di</strong> più.<br />
* * *<br />
Mai visto mio padre così felice. Mai visto Signor Anicetto<br />
così. Così senza una ruga sul viso, <strong>di</strong>steso, sereno. Né<br />
prima né dopo gli allenamenti, e tantomeno dopo la chemio<br />
della moglie sotto l’occhio <strong>di</strong> zio Nannino. Solo a fine<br />
partita l’avevo visto ridere.<br />
– Lobina! Ripeti! A-ni-ce-tto Al-lar-me…<br />
51
Ma forse era una risata nervosa. Che non gli ha mai <strong>di</strong>steso<br />
le rughe.<br />
Mi chiedono poco, allenarmi e fare quello che so fare.<br />
Dire sempre <strong>di</strong> sì al mister che è un tipo un po’ più alto<br />
<strong>di</strong> signor Anicetto, un po’ più giovane.<br />
Non parla e mi guarda, mi guarda e non parla. Parla il<br />
commendator Antoni.<br />
– Suo figlio avrà assistenza me<strong>di</strong>ca, formativa, non gli<br />
faremo mancare nulla. Fatta salva, ovviamente, la sua autorità<br />
educativa.<br />
Io neppure li ascolto. Sono <strong>di</strong> nuovo un martire ragazzino<br />
pronto al supplizio che non durerà il tempo <strong>di</strong> due<br />
schiaffoni. Sono un martire ragazzino e qui non c’è neppure<br />
il Cristo in tela, Nostro Signor Gesù rockstar martire<br />
che mi sorride.<br />
– La ringrazio…<br />
Mai visto mio padre così raggiante.<br />
– Però io l’avverto: non si faccia illusioni. Non crei<br />
aspettative, a sé e al ragazzo.<br />
Il cavalier Antoni lo tiene per le re<strong>di</strong>ni:<br />
– È legittimo essere ambiziosi. La serie A… la nazionale…<br />
la fama. Ma… bisogna considerare tutto questo come<br />
un obiettivo secondario. Prima… c’è un piano formativo,<br />
un progetto <strong>di</strong> vita.<br />
E mio padre si fa guidare:<br />
– Certo… è evidente. Anch’io…<br />
– Vanni è una promessa, lo <strong>di</strong>cono tutti… ma non tutte<br />
le promesse vengono mantenute. Dipende dalla volontà,<br />
dalla fortuna… ma soprattutto dalla fatica. Per questo io<br />
avevo pensato…<br />
Il presidente cavalier Pier Luigi Antoni, per gli amici<br />
52<br />
Pigì, usa la penna come il fioretto. Il polso volteggia nell’aria,<br />
<strong>di</strong>segna nuvolaglia <strong>di</strong> zeri. Sorride e tende la mano.<br />
– Benvenuti.<br />
Mai visto mio padre così felice, così raggiante. Così raggiante<br />
nel richiudere il portafoglio.<br />
– Dalle 15 alle 18 allenamento con gli altri, tutti i giorni.<br />
Anche il nuovo mister deve <strong>di</strong>re qualcosa.<br />
– LunedìMercoledìVenerdì ci facciamo anche un’ora<br />
<strong>di</strong> palestra, dalle 18 alle 19.<br />
Or<strong>di</strong>ni e imposizioni.<br />
– Sabato partitella, domenica si gioca…<br />
E mi esce così: – E la scuola? i compiti <strong>di</strong> scuola?<br />
Fesso, ragazzino e fesso e ragazzino.<br />
Ridono tutti ora. Ride mio padre, ride il cavalier Antoni,<br />
ride il nuovo mister. Il vecchio Allarme inarca le sopraciglia<br />
come <strong>di</strong>re: non <strong>di</strong>re altro, non <strong>di</strong>re altro fesso,<br />
l’avrei voluta avere io un’occasione così nella vita invece<br />
io non l’ho avuta e tu sì e quin<strong>di</strong> stai zitto farà la tua felicità<br />
che non è stata la mia, stai zitto e mannaggia a ’sta storia<br />
dei tuoi libri, lo troverai il tempo lo troverai il tempo<br />
ma ora non <strong>di</strong>re nulla, nulla devi <strong>di</strong>re.<br />
* * *<br />
Anche questo ricordo è uno <strong>di</strong> quei ricor<strong>di</strong> che mi fa<br />
provare vergogna, vergogna nera.<br />
Li ho tutti or<strong>di</strong>nati nella mia mente, i ricor<strong>di</strong> della vergogna,<br />
e ogni tanto non so se sbucano fuori o se li faccio<br />
sbucare fuori io. Forse lo faccio per punirmi: chio<strong>di</strong> sui<br />
polsi, flagelli sulla schiena, piombo rovente e mutilazio-<br />
53
ne. Non so. Non so se sono loro a dominare me o io ad<br />
or<strong>di</strong>nargli <strong>di</strong> tornare a galla. Non so.<br />
Tutti si misero a ridere.<br />
Fesso e ragazzino.<br />
Ai professori fu imbucata a casa la busta con i blasoni<br />
in rilievo della società. Abbonamento in tribuna numerata.<br />
Al preside fu imbucata a casa la doppia busta con i<br />
blasoni sociali in rilievo. Tribuna d’onore.<br />
– Buonpomeriggio professore…<br />
– Buonpomeriggio cavaliere…<br />
Ci provavo pure, stu<strong>di</strong>avo, mi impegnavo, la sera, dopo<br />
l’allenamento e la palestra e gli addominali alti e gli addominali<br />
bassi. Ma nessuno mi voleva sentire, le interrogazioni<br />
duravano nulla e volavano via con le solite due o tre<br />
doman<strong>di</strong>ne a piacere. Peccato, persino la comme<strong>di</strong>a che<br />
mi trascinava in un delirio <strong>di</strong> pene e castigo, rimase appesa<br />
lì all’entrata senza speranza. Ecco ero senza speranza,<br />
senza nessuna speranza.<br />
* * *<br />
Eccomi fra i corridoi del mio liceoginnasio. Eccomi<br />
che martello i tacchi su questi pavimenti luci<strong>di</strong> e questi<br />
soffitti altissimi. E i miei passi rimbombano e sento il<br />
brusio che arriva dalle porte scure che sigillano le aule.<br />
L’unica cosa che sono riuscito a ottenere è il mercoledì<br />
mattina. Il mercoledì mattina il preside ha detto che posso<br />
aiutare Ottavio. Ottavio, applicato bibliotecario della<br />
biblioteca del liceoginnasio, sa cosa vengo a fare qua giù<br />
54<br />
in questi stanzoni immensi, fra le caldaie e gli spogliatoi<br />
della palestra, fra questi scaffali, alti, altissimi con la scaletta<br />
mobile con i cuscinetti a sfera che corre veloce fra i<br />
binari e si ferma alla Stazione dei libri romanzi, alla Stazione<br />
dei libri saggi, libri latini, libri greci, libri traduzioni,<br />
alla Stazione dei libri me<strong>di</strong>evali eccetera eccetera.<br />
Qui non c’è nulla da rior<strong>di</strong>nare, nulla da sistemare, fa<br />
tutto Ottavio. Qui non c’è nulla da rior<strong>di</strong>nare se non le<br />
mie idee. E Ottavio lo sa.<br />
Me lo ha insegnato lui il segreto della memoria. Cioè,<br />
<strong>di</strong>re non mi ha mai detto nulla. Capire solo capire, intuire.<br />
Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ripetere<br />
e leggere. Quattro: ripetere e basta.<br />
Stazione libri romanzi:<br />
– La balenaccia! la balenaccia per la terza E, professoressa<br />
Marinella Cardìa in Cossu. La balenaccia: scaffale<br />
tre<strong>di</strong>ci, piano quarto scomparto A.<br />
E la scaletta corre veloce con lui sopra ferroviere <strong>di</strong> biblioteca,<br />
applicato.<br />
– A metà anno per quelli della terza, la Cardìa, quella rachitica<br />
della Cardìa, chiede sempre la balenaccia… e vai<br />
con la balenaccia!<br />
E se la ride Ottavio mentre le sue <strong>di</strong>ta vanno sicure verso<br />
il terzo volume da destra, scaffale tre<strong>di</strong>ci, piano quarto<br />
scomparto A.<br />
– L’ebreuccio! vai con l’ebreuccio per il professor Italo<br />
Ortu, terza C…<br />
E quasi canta mentre la scaletta corre e fa rumore <strong>di</strong> treno<br />
sui binari. Tadàn tadàn. Verso la stazione dei libri racconti<br />
stranieri.<br />
55
– Pare così duro restar scapolo, e da vecchio, con grande<br />
<strong>di</strong>minuzione della propria <strong>di</strong>gnità…<br />
Scaffale 21, piano quinto, scomparto A.<br />
– …chiedere ospitalità quando si vuol passare una sera in<br />
compagnia…<br />
O forse scaffale 21, piano quinto, scomparto E. Ottavio<br />
si dà due pugni sulla tempia.<br />
– …essere malato e dall’angolo del proprio letto per settimane<br />
intere contemplare la stanza vuota…<br />
E se la ride <strong>di</strong> nuovo mentre le sue <strong>di</strong>ta vanno verso volume<br />
nero, scaffale 21, piano quinto, scomparto E.<br />
– Tiè! beccato l’ebreuccio, un grande l’ebreuccio…<br />
E guarda me, che lo guardo da sotto. Lui sopra, all’apice<br />
della scala. Io sotto, al primo piolo.<br />
– Tiè! Vanni, ciappa. Questo te lo dovresti leggere anche<br />
tu…<br />
E me lo lancia. E siamo come nel baseball, lui lancia io<br />
acciuffo con il mio guantone, cesta in vimini che profuma<br />
<strong>di</strong> muffa-carta. E quasi non faccio in tempo a beccare il<br />
primo che il secondo mi arriva come una freccia:<br />
– Tiè! Vanni, quest’altro leggitelo tu, inizia dal racconto<br />
del babballotti…<br />
Lo guardo e non capisco. E lui capisce e si spazientisce.<br />
– Del babballotti, lo scarafaggio, dal racconto del cristiano<br />
che <strong>di</strong>venta babballotti, ma in che lingua parlo?…<br />
ho un<strong>di</strong>ci figli, il primo è fisicamente poco appariscente…<br />
Un colpo <strong>di</strong> reni e la scaletta riparte.<br />
– …ma serio e intelligente…<br />
Solo poche traverse più in là.<br />
– Er principe! Er principeeeeeee …<br />
56<br />
Ottavio ha fatto il carabiniere ausiliario a Roma, anzi a<br />
Romma, come <strong>di</strong>ce lui, faceva la ronda ai mercati.<br />
– Vai cor principe per professor Cugia…<br />
Ma ha gli accenti sbagliati.<br />
– Era dunque necessario a Moisè trovare il populo d’Isdrael,<br />
in Egitto, stiavo e oppresso dagli Egizii… Becca<br />
Vanni!<br />
Il libro precipita. Canestro. E la scala riparte con un fischio<br />
verso la Stazione dei libri fisica e chimica. Li o<strong>di</strong>o i<br />
libri <strong>di</strong> fisica e chimica.<br />
E seguo il rumore dei cuscinetti a sfera su questo binario<br />
<strong>di</strong> scaffali.<br />
* * *<br />
Passi per gli addominali alti e per gli addominali bassi,<br />
gli assist e i passaggi fluttuanti, i pallonetti e le fucilate agli<br />
incroci dei pali. Potevo farlo, ok potevo farlo, senza problemi.<br />
Glielo concedevo, in fondo non mi costava nulla.<br />
Ma il resto no.<br />
Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ripetere<br />
e leggere. Quattro: ripetere e basta.<br />
Me la sarei fatta in testa la mia biblioteca. Come Ottavio.<br />
E oggi qua giù, in questo spogliatoio, sono convinto,<br />
straconvinto, sicuro che se sono arrivato qui, se sono arrivato<br />
sino a qui, se ho resistito così a lungo, anche se oggi<br />
posso <strong>di</strong>re <strong>Ultima</strong> <strong>di</strong> Campionato, be’ allora il merito, se<br />
merito ci deve essere, è <strong>di</strong> aver intuito il metodo.<br />
Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ripetere<br />
e leggere. Quattro: ripetere e basta.<br />
57
Settimo pezzetto<br />
Prendo coscienza. Ma non perdo la calma. Anche se<br />
questa mia vita è un appren<strong>di</strong>stato continuo. Hanno scoperto<br />
che sono un talento. Mi hanno fatto passare <strong>di</strong> categoria.<br />
La gavetta riparte da capo.<br />
Eccomi, sono nello scintillante spogliatoio dei tipi più<br />
gran<strong>di</strong>. Gli altri non mi guardano ma io so che mi pensano.<br />
Ho lo scandaglio sotto pelle, io.<br />
Sono la recluta e loro i veterani. Fra poco si avvicineranno<br />
ridacchiando, lo so.<br />
Il branco ha sempre un capo. E anche questa è una cosa<br />
banale che tutti sanno.<br />
– E allora Vischio, Fischio o come cazzo ti chiami…<br />
Eccolo, si chiama Demetrio ed è alto, altissimo. Non gli<br />
rispondo, levo dalla sacca la mia attrezzatura. Tanto so<br />
che mi si farà più vicino e mi soffierà <strong>di</strong>etro l’orecchio.<br />
Poi mi passerà un <strong>di</strong>to sulla spalla come per levarmi della<br />
polvere. Su e giù, sempre più insistente.<br />
– Allora Fischio… a chi vuoi rubare il posto… qui tutti<br />
hanno un ruolo cerca <strong>di</strong> non romperci le palle… al massimo<br />
qui c’è un posto come massaggiatore… <strong>di</strong> coglioni.<br />
I ragazzi intorno ridono, forzatamente. Ingrossano e<br />
esasperano le loro risate. Chiudo la borsa e vado in campo<br />
mentre gli altri mi urlano alle spalle.<br />
59
– Fischio! Fischio! Fischio!<br />
Pecore bastarde e maledette.<br />
* * *<br />
Nessuno osa più sfidarmi oggi. Nessuno, solo i compagni<br />
per il gioco degli integratori salini. Il gioco della mira<br />
che per ora è un gioco, qua giù. Qua giù in questo spogliatoio<br />
dove tutti hanno passato pure <strong>di</strong> peggio per arrivare<br />
sino a qui, ma erano <strong>di</strong>sposti ad accettarlo. Sapevano e volevano.<br />
Volevano arrivare sin qua giù nello stomaco dell’arena.<br />
Erano pronti a prenderle e a darle. Io no, mi <strong>di</strong>fesi<br />
solo. Sportivamente.<br />
* * *<br />
Davanti a me ho un giovane portiere, alto magro, con le<br />
mani gran<strong>di</strong>ssime, gonfiate dai guantoni. Sembra il topo<br />
<strong>di</strong> quel cartone animato. Il ratto sa<strong>di</strong>co con la faccia da<br />
buono che tutto gli fila liscio, avventura dopo avventura<br />
alla faccia della logica e del destino.<br />
Ma non questo qui, non è quel genere <strong>di</strong> topo. Questo<br />
non la acciuffa la palla, che entra rapida nella rete. La mia<br />
palla che entra rapida nella rete.<br />
Lui si lancia ma cade pesante con la faccia a terra.<br />
E il nuovo allenatore urla come quello vecchio.<br />
– Paolettoooo!!!! cazzoooo!!! ma che cazzo hai oggi…<br />
<strong>di</strong>eci… cazzo… <strong>di</strong>eci te ne sei fatto fare… neppure uno<br />
ne hai parato.<br />
E Paoletto frigna.<br />
– Mister Ettore… non è colpa mia… la barriera… la<br />
60<br />
barriera è messa male… li sistemo e si spostano… si muovono…<br />
mi levano la visuale…<br />
Eccolo, il mio allenatore avanza oscillando spalle e fianchi.<br />
Le scimmie chiamavano quel luogo la loro città<br />
Come un orango.<br />
e fingevano <strong>di</strong> <strong>di</strong>sprezzare il Popolo della Giungla<br />
Come un Bandar-Log. Animale dei rami.<br />
Si grattavano le pulci e pretendevano <strong>di</strong> essere Uomini<br />
Avanza con le braccia che gli pendono e le orecchie piccolissime<br />
e basse. Su una testa enorme.<br />
“Ecco noi siamo ora<br />
Simili in tutto all’uomo”<br />
Come una scimmia a guar<strong>di</strong>a del regno dei bipe<strong>di</strong> ancora<br />
un po’ quadrupe<strong>di</strong>, il regno delle bestie uomini.<br />
“Fratello, guarda, ti pende la coda!”<br />
Il mio allenatore avanza con quei baffetti e pizzetto a<br />
guar<strong>di</strong>a della man<strong>di</strong>bola, un mezzo esagono sempre serrato.<br />
Oscilla verso la barriera composta da cinque ragazzi,<br />
piomba su <strong>di</strong> loro e strattona il più alto.<br />
– Minchioni, qua vi dovete mettere! Qua… quante volte<br />
ve lo devo <strong>di</strong>re… Demetrio… qua… cazzo… qua… E<br />
tu Visco avanti! dài! ritira!<br />
Sono Vanni Visco, il futuro campione. Sono il principe<br />
della balistica che presto <strong>di</strong>venterà re.<br />
Eccomi, il piede destro tiene fermo il pallone sono pronto<br />
a calciare ma ora li voglio far soffrire. Aspetto.<br />
La mia faccia non trasmette emozioni, i miei occhi puntano<br />
quelli <strong>di</strong> Demetrio. Sono il Conte delle vendette, il<br />
Conte della rabbia e dell’orgoglio. Sono il piatto che va<br />
mangiato freddo, ma mica tanto.<br />
61
Guardo la porta. Le pupille dei miei occhi si <strong>di</strong>latano.<br />
Calcio un siluro. I ragazzi della barriera vedono passare<br />
rapi<strong>di</strong>ssimo il pallone sulle loro teste. Un siluro. Angolo<br />
destro. Rete.<br />
Rior<strong>di</strong>no calzoncini e maglietta nella borsa con i colori<br />
sociali. Intorno a me parlano, <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>natamente, le loro<br />
voci sono in sottofondo. Ma capisco che parlano <strong>di</strong> me.<br />
Resto imperturbabile. Proseguo a rior<strong>di</strong>nare le mie cose.<br />
Uno: riporre le calze. Due: riporre i calzoncini. Tre: riporre<br />
la sottomaglia. Quattro: riporre la maglia… cinque:<br />
anche la fascetta contro il sudore.<br />
Chiudo la cerniera lampo della sacca, punto l’uscita e:<br />
– Ciao Vanni… ciao Vanni… a domani Vanni… ciao Và.<br />
Non sono più la matricola. E il trono <strong>di</strong> Demetrio inizia<br />
a vacillare.<br />
– Vanni, Vanni, scusa… se vuoi da domani veniamo al<br />
campo insieme, i miei per i <strong>di</strong>ciassette anni mi hanno regalato<br />
il Vespone…<br />
Nessun rancore ma solo verità, la mia ingenua verità.<br />
– Ah, grazie Demetrio ma preferisco venire in filobus…<br />
c’ho l’abbonamento…<br />
Che è come un lascia passare, questo abbonamento. La<br />
chiave per aprire tutte le porte <strong>di</strong> questa città che non<br />
o<strong>di</strong>o né amo. Che amo e o<strong>di</strong>o perché tutte le città dove sei<br />
nato sono così. E anche questa è una banalità che tutti<br />
sanno.<br />
Il mio filobus che taglia in due la città con i doppi cavi<br />
sospesi nell’aria.<br />
Taglia in due questa città nel suo percorso da un capoli-<br />
62<br />
nea all’altro. Il mio filobus va dagli antichi rioni ai nuovi<br />
quartieri, palazzoni che hanno l’aria <strong>di</strong> avere già dato. Sono<br />
cresciuti in fretta e con rapi<strong>di</strong>tà sono invecchiati. Mutui<br />
alti e case troppo strette che tutti hanno dovuto chiudere<br />
i balconi con i profilati in alluminio bronzato e i vetri<br />
smerigliati per farsi un po’ <strong>di</strong> spazio.<br />
Prima qui c’erano solo zanzare, canneti e stagni dove ci<br />
affogavano le macchine rubate. C’era il silenzio che <strong>di</strong>ventava<br />
fragore e confusione la domenica pomeriggio.<br />
Perché prima, qui, c’era solo lo sta<strong>di</strong>o, quello del nostro<br />
primo scudetto dove oggi ci fanno l’hockey, su prato.<br />
Il mio filobus viaggia dal viale sotto le carceri alla piazza<br />
della via per il mare. A volte mi piace perdermi, sul mio filobus.<br />
Con l’abbonamento vado da un capolinea all’altro,<br />
dal vecchio al nuovo. Su e giù, avanti e in<strong>di</strong>etro e ancora<br />
avanti.<br />
Si parte dal viale sotto le carceri con gli alberi che quasi<br />
si intrecciano, fanno tunnel e il sole non ci passa.<br />
Fermata uno, due e tre: ci salgono gli studenti che tornano<br />
dalle lezioni. Hanno sempre mille fogli e copertine<br />
lucide e fotocopie sotto il braccio. Ci sono quelli che chiacchierano<br />
e chiacchierano e quelli che fumano sigarette e,<br />
seduti sui se<strong>di</strong>li, sprofondano la faccia e i mozziconi nei<br />
libri. Sembra che ci siano i segreti del mondo in quei libri<br />
e loro hanno le facce <strong>di</strong> chi li capisce. Hanno facce serie.<br />
Soprattutto le ragazze, quelle che fumano le sigarette e i<br />
ragazzi non se le filano neppure per un caffè al bar lercio<br />
dall’altra parte della fermata. Ma loro credono che con<br />
quelle sigarette e quelle facce preoccupate che figgono<br />
nei libri qualcuno un giorno se le filerà un po’. Andrà a fi-<br />
63
nire che loro ci crederanno davvero che stanno interpretando<br />
i segreti e saranno le ragazze più arroganti del<br />
mondo.<br />
A volte sbircio e vedo che i problemi del mondo sono<br />
numeri e numeri e frazioni ed equazioni. I problemi del<br />
mondo. A volte sbircio e vedo che i problemi sono pensatori<br />
tedeschi e pensatori inglesi e pensatori americani<br />
comparati con i pensatori russi.<br />
Comparati. Lo ha detto quella che anche se ci sono posti<br />
a sedere si mette accovacciata, tipo falò in<strong>di</strong>ano, nella piattaforma<br />
con la sigaretta e il libro e i problemi del mondo.<br />
– Sto comparando…<br />
E il tipino che aveva la stessa borsa con le frange in pelle<br />
scamosciata le ha detto:<br />
– Scusami…<br />
Le ha offerto una delle sue sigarette fatte a mano e poi si<br />
è messo lì fermo in pie<strong>di</strong> quasi a farle la guar<strong>di</strong>a. Ogni sera<br />
sul mio filobus fanno così, lei compara, lui fa la guar<strong>di</strong>a.<br />
* * *<br />
Oggi qua giù, qui in questi spogliatoi dove si comparano<br />
muscoli e azioni, <strong>di</strong>versivi e tattiche.<br />
Non so che fine hanno fatto i ragazzi del mio filobus. So<br />
solo della tipa che comparava. L’ho vista in tivù.<br />
Onorevole non-so-che-cosa del partito non-so-che-cosa<br />
ma che una volta in Consiglio Regionale doveva tutelare<br />
i lavoratori ma che oggi, l’ho visto in tivù, era solo<br />
preoccupata <strong>di</strong> tutelare le infermiere <strong>di</strong> quell’ospedale<br />
dove dei giovani infermieri - che fanno questo ma avrebbero<br />
voluto fare altro, magari i registi, magari gli scrittori,<br />
64<br />
magari i pittori e gli attori - hanno fatto un convegno sull’immaginario<br />
ospedaliero e nel manifesto c’erano anche<br />
le foto <strong>di</strong> Edvigefenec che è una bona, come tutti sanno,<br />
con il culo così e le tette così che prima faceva filmetti così<br />
e tutti in corsia quando ci finivano speravano <strong>di</strong> trovarci<br />
una così ed era l’unico motivo perché in ospedale potevano<br />
ancora sperare.<br />
Ma questa non lo capisce e minaccia querele. Perché la<br />
classe infermieristica va tutelata nella sua immagine. La<br />
classe infermieristica. E vorrei arrabbiarmi e ricordarle<br />
che quando gli infermieri <strong>di</strong> quella clinica non prendevano<br />
lo stipen<strong>di</strong>o da mesi, lei in tivù non è apparsa e non c’è<br />
stata conferenza stampa sulla classe infermieristica, e sulla<br />
sua immagine. L’immagine.<br />
* * *<br />
Fermata cinque e sei: non sale mai nessuno. Sale qualcuna<br />
solo la sera, la sera prima della cena. Sono tutte donne<br />
e sono tutte vestite <strong>di</strong> scuro, hanno anche il viso ammantato<br />
<strong>di</strong> nero. Lo so da dove vengono, vengono dai frati<br />
che soluzioni per i problemi del mondo non ne hanno<br />
ma aiutano a vivere. Lo ha detto mia nonna e io quando<br />
incontro i frati penso sempre a Nostro Signore Gesù Cristo<br />
martire rockstar che gioca a pallone con la fascetta<br />
contro il sudore e i capelli lunghi.<br />
Coi frati ci abbiamo giocato a pallone per un torneo <strong>di</strong><br />
Pasqua e <strong>di</strong> raccolta <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> per i poveri della città, poveri<br />
e <strong>di</strong>sgraziati e miserabili. I frati a pallone ci giocano anche<br />
bene e se la ridono sempre anche quando prendono certe<br />
batoste e nessuno <strong>di</strong> loro urla e fa facce storte come i miei<br />
65
compagni e Mister Ettore che anche i frati sono avversari<br />
da umiliare.<br />
Se la ridono con quei lacci <strong>di</strong> cuoio in fronte che gli<br />
bloccano i capelli lunghi, come le rockstar martiri.<br />
Alle fermate sette, otto, nove, <strong>di</strong>eci e un<strong>di</strong>ci ci salgono<br />
quelli delle compere. E mi schiacciano e io, io, cedo sempre<br />
il posto alla signora più carica e più rugosa.<br />
– Prego signora.<br />
– Grazie ragazzo.<br />
La strada è stretta stretta e la gente entra nei negozi, luci<br />
al neon, per non farsi schiacciare dal mio filobus. Qualcuno<br />
bestemmia e a seconda del conducente sono rogne e<br />
una volta pure colpi brutti. Una volta, il conducente si è<br />
infiammato perché i tipi - gente con le camicie aperte sino<br />
allo stomaco e i medaglioni e gli anelli - gli avevano cercato<br />
la madre. Lui ha tirato il freno a mano che sembrava un<br />
argano <strong>di</strong> ponte levatoio me<strong>di</strong>evale. Un rumore.<br />
Si è levato il berretto con la visiera e al più grosso lo ha<br />
partito <strong>di</strong> testa. Come Nannino con il commendator Carcangiu<br />
quando abbiamo chiuso la stagione venatoria. Ma<br />
quello, il più grosso, non è crollato e lui e gli altri lo hanno<br />
sbranato il conducente. Sono dovuti arrivare i vigili urbani<br />
a levarglielo dai canini. Però la gente del filobus al conducente<br />
pieno <strong>di</strong> sangue lo ha applau<strong>di</strong>to quando è risalito<br />
e siamo ripartiti.<br />
Fermata tre<strong>di</strong>ci: salita fissa. Regolare che il filobus ci<br />
perda le antenne che ondeggiano nell’aria e quasi toccano<br />
i palazzi vecchi con gli operai che ci lavorano sopra come<br />
ragni e urlano.<br />
66<br />
– E minca mia a te! e stai attento con quei cazzi <strong>di</strong> ferri…<br />
Mi piacciono i palazzi vecchi e ogni giorno scopro un<br />
particolare che i restauri fanno brillare. Vorrei entrare in<br />
quelle case perché ho come la sensazione che nascondano<br />
segreti e misteri perché l’hanno vista crescere questa città.<br />
E cerco <strong>di</strong> leggere rapi<strong>di</strong>ssimo le targhette in ottone lucido<br />
dei campanelli: notaio Fassino, avvocato Puxeddu<br />
Corda, famiglia Cao Schinar<strong>di</strong>, famiglia Cao Schinar<strong>di</strong>,<br />
famiglia Cao Schinar<strong>di</strong>. Quelli che hanno tre campanelli<br />
<strong>di</strong> fila mi mettono invi<strong>di</strong>a - chissà quali segreti - e cerco <strong>di</strong><br />
scoprire le loro finestre e una volta ho visto affreschi ai<br />
soffitti e lampadari con gocce giganti.<br />
Ingegner Grimal<strong>di</strong> Pilo, dottor Maxia, niente. Quelli con<br />
le targhette in ottone lucido e liscio senza l’incisione - niente,<br />
appunto - hanno segreti e misteri ancora più gran<strong>di</strong>.<br />
Alla fermata quattor<strong>di</strong>ci e quin<strong>di</strong>ci ci sono le scuole, i licei<br />
e i ginnasi. E se non è orario <strong>di</strong> entrata-uscita non sale e<br />
non scende nessuno. Se è orario <strong>di</strong> entrata-uscita è uno<br />
schifo <strong>di</strong> casino e <strong>di</strong> puzza <strong>di</strong> ascelle e <strong>di</strong> pie<strong>di</strong>.<br />
Sul filobus deserto della sera mi piace stare col muso<br />
appiccicato al vetro e sento le porte che stantuffano: apri e<br />
chiu<strong>di</strong>, apri e chiu<strong>di</strong>. I segreti della meccanica. E penso <strong>di</strong><br />
essere a bordo <strong>di</strong> una carretta fantasma e maledetta che<br />
solca mari morti e porta sospiri e lamenti.<br />
Abbasso gli occhi e aspiro: oli e gomme grosse bruciate.<br />
Poi li riapro e lascio che le lampa<strong>di</strong>ne giallolurido mi accechino<br />
e vedo tutto sfumato, appannato, <strong>di</strong>latato e i fari<br />
delle macchine che sono serpenti <strong>di</strong> luce che sgusciano ra-<br />
67
pi<strong>di</strong>ssimi sull’asfalto. Fuggono in fretta in fretta. Via, lontano<br />
da queste strade.<br />
Appiccico naso e bocca al vetro grosso e respiro pesante.<br />
Sento l’odore della mia città che suda condensa e appanna<br />
questi vetri.<br />
Faccio scivolare le labbra e sento il sapore, mare salato e<br />
polvere nera, gas <strong>di</strong> scarico. Una volta ci ho anche passato<br />
la lingua, per assaggiare.<br />
– Che cazzo fai ragazzo?!<br />
– Mi scusi signore, mi scusi signor conducente…<br />
– Che cazzo vi fumate alla vostra età? e che cazzo…<br />
Assaggio la città, avrei voluto <strong>di</strong>re.<br />
Alle altre fermate, sino al capolinea della piazza dello<br />
sta<strong>di</strong>o vecchio per la via del mare, la gente scende e basta.<br />
La sera scendo solo io e proseguo a pie<strong>di</strong> con la mia sacca<br />
rossoblù.<br />
Mi guardo le scarpe ed evito la riga fra una mattonella e<br />
l’altra. Riga, hop e salto. Riga, hop e rallento per non finirci<br />
sopra con la punta del piede.<br />
I palazzi sono tutti nuovi e alti, ma non brillano neppure<br />
questi. Scendo qui perché ora qui ci abito, oltre lo sta<strong>di</strong>o<br />
dove una volta i ragazzi, i giovani della squadra, si allenavano<br />
e invece oggi ci alleniamo dall’altra parte della<br />
città, un po’ fuori dalla città fra i campi <strong>di</strong> gomme bucate,<br />
bruciate esauste. In mezzo a questa <strong>di</strong>arrea <strong>di</strong> periferia c’è<br />
il nostro campo verde smeraldo, gli spogliatoi luci<strong>di</strong>, i piccoli<br />
spalti <strong>di</strong> plastica colorata. Un’oasi arrogante nel deserto<br />
<strong>di</strong> erba lercia dove qualche volta c’è pure qualche<br />
pastore e qualche pecora ancora più lercia dell’erba e delle<br />
gomme.<br />
68<br />
* * *<br />
Le mie antenne, il mio scandaglio sotto pelle, lo avevano<br />
rilevato subito. Forse il mio fisico era nato per questo<br />
ma la mia mente sarebbe potuta andare molto più in là e la<br />
mia anima non sarebbe stata sod<strong>di</strong>sfatta.<br />
Ma non sono mai stato un figlio ribelle. Non potevo esserlo,<br />
quel posto era <strong>di</strong> Luigi.<br />
Gigi che da mesi nessuno aveva avuto più notizie.<br />
* * *<br />
– Cosa ha detto l’ambasciata, Antonio?<br />
Mio padre è un tipo pragmatico ma non senza cuore.<br />
– Maria, non ti preoccupare l’ambasciata ha detto che<br />
Luigi sicuramente avrà conosciuto qualche bella olandese,<br />
o è ancora con quella tedesca e ora chissà dove se la sta<br />
spassando. È già capitato a tanti ragazzi, vedrai che lo vedremo<br />
spuntare con un’altra bella stangona…<br />
Mia madre ci crede e non ci crede.<br />
– Speriamo… speriamo che non si presenti anche con<br />
un nipotino… in… in braccio…<br />
E piange.<br />
Vorrei essere anche io un figlio ribelle. Presentarmi a<br />
casa con tutti i miei libri nascosti nell’arma<strong>di</strong>etto dello<br />
spogliatoio e <strong>di</strong>re:<br />
– Non sarò un campione, non sarò nulla, mollo.<br />
Dire a mio padre che del calcio non ne voglio più sapere,<br />
<strong>di</strong>re a mia madre che vorrei fare cambio, cambio <strong>di</strong> vita.<br />
Andare al liceo e basta e stu<strong>di</strong>are latino-greco e filosofia.<br />
I poeti e i narratori. Gli eroi e i sognatori.<br />
69
Ma non sono un figlio ribelle e neppure senza cuore.<br />
Così avrebbe detto mia madre - senza cuore - che ora si<br />
consuma nel salotto.<br />
Vorrei fare questo ma oggi, oggi come posso?<br />
70<br />
Ottavo pezzetto<br />
Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ripetere<br />
e leggere. Quattro: ripetere e basta.<br />
Un delirio convulso o forse un’irrazionale auto<strong>di</strong>fesa. Insieme<br />
ai muscoli iniziai ad allenare il cervello, col metodo.<br />
Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ripetere<br />
e leggere. Quattro: ripetere e basta.<br />
– Ottavio, Ottà…<br />
Ottavio aveva un lettino <strong>di</strong>etro la stazione dei libri filosofia.<br />
E io ne approfittavo per farmi un giro da solo sui<br />
binari. Su e giù, avanti e in<strong>di</strong>etro. Una scimmia sui rami.<br />
– Ottà, ma libri moderni qui non ce n’è?<br />
Ottavio stava sulla branda e fumava, piano piano e faceva<br />
cerchietti. Con la mano destra pizzicava la sigaretta.<br />
Pollice in<strong>di</strong>ce stretti sul filtro, il me<strong>di</strong>o dritto, per aria.<br />
Con la sinistra accarezzava il suo cirneco, cane da caccia<br />
in prepensionamento.<br />
– Moderni come?<br />
E faceva cerchietti.<br />
– E moderni come? Moderni moderni. Qui il più recente<br />
avrà vent’anni.<br />
Soffiava risposte insieme ai cerchietti.<br />
– Sfasi sfila sfle sflentro.<br />
– Come? Ottà, non sento…<br />
– Prova alla libreria del centro!<br />
71
Ottavio scocciato e scazzato.<br />
– E dov’è?<br />
– Ah, aaaah a regazzì, del centro, ho detto del centro.<br />
E si spazientiva.<br />
– Dì che sei amico mio. Dì a Gabriele che ti mando io.<br />
Tu però chiamalo signor Rocca. Senti, fai così. Vai lì e gli<br />
<strong>di</strong>ci, bravo bravo: Signor Rocca mi manda Ottavio, Ottavio<br />
il suo <strong>di</strong>pendente che ora sta al liceo. Vai lì, bravo bravo,<br />
e gli <strong>di</strong>ci: sono qui per imparare. Tu <strong>di</strong>gli così: sono<br />
qui per imparare, non comprare capito? Imparare. Non<br />
comprare.<br />
– Ottà ho capito. Ma dov’è la libreria del centro?<br />
– Sficino sfzona sfedonale, sfvia Sfvenezia, sfvia Sfvenezia.<br />
Capito?! e mo non rompermi li cojoni.<br />
La beccai dall’alto del pullman che mi portava al campo.<br />
Il filobus delle tre vuoto, con tutti i posti a sedere liberi.<br />
Le teche in legno scuro sul muro esterno e le copertine<br />
colorate.<br />
Fu quella volta, mentre il walkman <strong>di</strong> mio fratello mi<br />
sparava nelle orecchie.<br />
– Spaccagli il culo, Vanni.<br />
Erano mesi che non avevano più notizie. Luigi, mio fratello.<br />
Fu quella volta, la prima volta col metodo.<br />
Quattro: ripetere e basta.<br />
Ero lì, al campo, sull’erbetta, faccia in terra e via con le<br />
flessioni.<br />
Le braccia andavano: uno, due, tre e quattro…<br />
E con loro la mente:<br />
Sento cantare l’America<br />
72<br />
gli inni variati intendo,<br />
i canti dei meccanici<br />
Cinque, sei, sette e otto<br />
E ognuno canta il suo nome<br />
come deve essere<br />
Nove<br />
Quello del carpentiere mentre<br />
misura tavola o tronco<br />
Dieci, un<strong>di</strong>ci<br />
Quello del muratore mentre<br />
s’avvia al lavoro o ne ritorna<br />
Do<strong>di</strong>ci, tre<strong>di</strong>ci e quattor<strong>di</strong>ci<br />
E odo il canto del calzolaio<br />
seduto al deschetto<br />
Quin<strong>di</strong>ci, se<strong>di</strong>ci, <strong>di</strong>ciassette e <strong>di</strong>ciotto<br />
Quello del cappellano<br />
che sta sempre in pie<strong>di</strong><br />
Diciannove<br />
Canta con gole aperte<br />
le sue forti canzoni<br />
E 20… Melo<strong>di</strong>ose!!!!<br />
Ci presi gusto e iniziai a farlo anche in partita.<br />
Sì, fu da quel giorno che al rientro scesi dal filobus <strong>di</strong>eci<br />
fermate prima e tornai a casa carico <strong>di</strong> nuovi libri nascosti<br />
nella sacca fra la mia <strong>di</strong>visa rossoblù.<br />
* * *<br />
Un campanellino legato alla porta, trilla e mi fa vibrare<br />
la schiena. Mi annuncia e vorrei farmi piccolo piccolo.<br />
73
Ma dentro, grazie a Dio, non c’è nessuno. Alzo lo sguardo:<br />
ci sono degli scaffali altissimi e libri, tanti libri. Più <strong>di</strong><br />
quelli della biblioteca del liceoginnasio. Abbasso lo sguardo<br />
e il pavimento è sbilenco, le mattonelle bianche a rettangoli<br />
ver<strong>di</strong> e neri litigano per stare in linea, e non ci riescono.<br />
Le seguo sino a che il mio sguardo non sbatte su<br />
un bancone enorme e scuro. Alzo gli occhi, lentamente.<br />
Sul banco ci sono i gomiti <strong>di</strong> un tipo sulla quarantina, ha<br />
gli occhi azzurrissimi, e quasi ride.<br />
– Dài avanti, entra.<br />
Giacca e pantaloni in velluto liscio marron.<br />
– Prego accomodati.<br />
Degli occhialini che gli penzolano sulla camicia crema.<br />
Entro ma mi nascondo subito <strong>di</strong>etro un espositore girevole.<br />
Afferro un libro e ci butto la faccia dentro.<br />
Il campanello suona ed annuncia altra gente. Risuona e<br />
il libraio non ha più occhi per me.<br />
– Giusta scelta signora…<br />
Sbircio.<br />
– L’ha letto? Signor Rocca?<br />
– No, però ne parlano tutti bene, <strong>di</strong> solito leggo romanzi<br />
non saggi.<br />
Il campanello vibra ancora e ancora.<br />
La libreria è peggio del mio bus quando mi porta a scuola.<br />
La gente spinge, si agita fra gli scaffali, afferra, sfoglia,<br />
va alla cassa, poi ci ripensa e ritorna alla cassa e poi agli<br />
scaffali e poi <strong>di</strong> nuovo alla cassa con altri libri. La libreria<br />
è peggio del mio bus quando mi riporta da scuola con le<br />
signore che chiacchierano e non la finiscono più e mi pungono<br />
le gambe con le buste della spesa cariche <strong>di</strong> carciofi.<br />
Fermata do<strong>di</strong>ci e tre<strong>di</strong>ci.<br />
74<br />
Anche la libreria ondeggia, come il mio bus ad ogni fermata.<br />
Ma signor Rocca lascia fare, sa che il vortice prima<br />
o poi troverà il suo or<strong>di</strong>ne naturale.<br />
Alla cassa c’è anche una signora dalle lentiggini rosse,<br />
come i capelli raccolti sulla nuca e bloccati da una grande<br />
matita. Batte veloce sui tasti bianchi e rossi e infila i libri<br />
in bustine scintillanti, come i suoi occhi.<br />
Eccomi, sono incantato al centro <strong>di</strong> questa giostra, fra<br />
il parlottare fitto e il via vai ritmato dal campanello che<br />
annuncia isterico entrate e uscite. Ho un libro in mano<br />
ma non lo leggo, guardo ma non vedo e non mi accorgo<br />
che signor Rocca è lì davanti a me che mi sorride o forse<br />
ride.<br />
Tremo ma mi butto.<br />
– Sono qui per imparare… – e mi vergogno e mi guardo<br />
intorno.<br />
– Lo so, lo so, ti manda quel matto <strong>di</strong> Ottavio, vero?<br />
Faccio sì sì con la testa.<br />
– Vieni, ti trovo io un posto tranquillo.<br />
E lo seguo.<br />
Per me c’è un corridoio, stretto e lungo e alla fine una<br />
stanza esagonale con i volumi che si arrampicano su una<br />
libreria a sei facce. Al centro una poltroncina girevole.<br />
75
Nono pezzetto<br />
Decollo, volo. Eccomi alla tre quarti, la palla al piede,<br />
salto un avversario. Me ne trovo un altro davanti, finto, lo<br />
lascio <strong>di</strong> stucco e lo supero. Sono davanti al portiere, a sinistra<br />
arriva un <strong>di</strong>fensore. Prendo la mira, mi sento come<br />
un pilota su un Mig. Avvistamento, puntamento, fuoco.<br />
Lo lascio lì in ginocchio, la palla <strong>di</strong>etro la sua schiena e i<br />
miei compagni che mi saltano addosso. Anche Demetrio.<br />
Eccomi sul terreno <strong>di</strong> gioco che sarà il terreno della mia<br />
vita. E non ci sarà via <strong>di</strong> scampo se lascio che il mio fisico<br />
faccia ciò che sa fare. Se le mie gambe sapranno saltare e<br />
correre e dribblare e ballare con un pallone in mezzo ai<br />
pie<strong>di</strong> e sapranno cucire nuove balistiche e infrangeranno<br />
le leggi della fisica e dell’umano intelletto.<br />
Sono nato per questo e forse anche per altro.<br />
Eccomi, ecco che vado via da questo campo che non mi<br />
appartiene e corro verso gli spogliatoi. Con la rabbia che<br />
mi <strong>di</strong>vora le viscere.<br />
E non ho nulla nella testa che possa darmi pace.<br />
Corro sotto la doccia e rimango lì nudo sinché l’acqua<br />
calda non <strong>di</strong>venta tiepida e poi fredda.<br />
– Non credevo lo avessi così piccolo.<br />
Demetrio mi guarda e le sue pupille sono due laser.<br />
– Non è piccolo e poi fatti i cazzi tuoi.<br />
E poi me ne pento. E poi mi vergogno.<br />
77
* * *<br />
Credo <strong>di</strong> essere stato il primo <strong>di</strong>ciassettenne a sedere<br />
sulla panchina della squadra dei gran<strong>di</strong>, la serie A proprio<br />
nell’anno del nostro quinto scudetto. Giocai poco,<br />
anzi nulla. Ma osservai tanto, tantissimo, abbastanza per<br />
capire che mi ero ficcato in un brutto guaio. Avrei potuto<br />
ingoiare e <strong>di</strong>gerire tutta la biblioteca nazionale britannica,<br />
non mi sarebbe bastato, avrei comunque dovuto fare i<br />
conti con tutti loro e quelli che c’erano <strong>di</strong>etro e quelli che<br />
c’erano intorno.<br />
Lo capii dopo la prima volta che scesi in campo, un anno<br />
dopo. Lo sta<strong>di</strong>o ululava e la squadra non girava. I<br />
compagni avevano la testa imballata, le gambe imbrigliate.<br />
Il mister sbavava e ringhiava peggio <strong>di</strong> un cane da presa.<br />
In campo i miei ragliavano come asini alla luna, ma<br />
non si mettevano d’accordo, non si intendevano con gli<br />
sguar<strong>di</strong>, figurarsi con le parole. Fu forse per rabbia, sicuramente<br />
per umiliarlo che il mister fece cenno a Magni <strong>di</strong><br />
uscire dal campo, a me <strong>di</strong>ede una pacca sulla spalla e bisbigliò:<br />
Preparati.<br />
Sugli spalti si scatenò il finimondo, urla, fischi. Forse al<br />
mister non venne risparmiata fra gli insulti neppure la cugina<br />
<strong>di</strong> quinto grado. Ma lui era lì, impassibile, sicuro <strong>di</strong><br />
voler punire Magni, il campione, il capocannoniere che<br />
non era in grado <strong>di</strong> piegare quella squadretta ancora fresca<br />
<strong>di</strong> serie B. Fischiavano, urlavano. Entrai in campo e<br />
mi guardai intorno. Se tanta rabbia e tanta foga l’avessero<br />
messa nelle loro vite, non avremmo avuto una città con il<br />
35 per cento <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupati.<br />
Non fu un buon inizio. Venni atterrato al primo contat-<br />
78<br />
to <strong>di</strong> palla. Steso al secondo, falciato al terzo. L’equazione<br />
era facile, mi avevano preso per un birillo da buttare a<br />
terra, per un pischello da spaventare.<br />
Ok, gioco da ragazzi. Dovevo soltanto saltare un po’ <strong>di</strong><br />
più, essere un po’ più veloce. Far fare al mio fisico quello<br />
per cui era stato creato.<br />
* * *<br />
E allora eccomi, eccomi con la palla a metà campo: passo,<br />
mi smarco, corro sulla fascia, aspetto che ritorni la<br />
palla, ed eccola puntuale. Un pallonetto per il piede sinistro<br />
che sposto sul destro.<br />
La mia mente era uno specchio<br />
vedeva ciò che vedeva, sapeva ciò che sapeva.<br />
In gioventù la mia mente era solo uno specchio<br />
d’un auto in rapida corsa,<br />
che coglie e <strong>di</strong>sperde frammenti <strong>di</strong> paesaggio<br />
Un treno in maglia biancoazzurra mi punta, ma ho già<br />
capito il gioco, arriverà dritto sulle caviglie, basta aspettarlo<br />
sul binario e poi spostarsi all’ultimo istante. Lui andrà<br />
dritto, mi sfiorerà ma non mi colpirà. Come da copione,<br />
volo verso l’area <strong>di</strong> rigore.<br />
Poi con il tempo gran<strong>di</strong> graffi solcano lo specchio,<br />
e lasciano che il mondo esterno vi penetri<br />
e il mio io più segreto vi affiori.<br />
Poiché questa è la nascita dell’anima nel dolore,<br />
una nascita con vincite e per<strong>di</strong>te.<br />
Ne arrivano altri due, sul gioco a tenaglia non avrei<br />
scampo e allora… <strong>di</strong> nuovo sul mio Mig: avvistamento,<br />
puntamento, fuoco. Angolo sinistro della porta.<br />
79
La mente vede il mondo come cosa a sé,<br />
e l’anima unisce il mondo al proprio io.<br />
Uno specchio graffiato non riflette immagine<br />
e questi è il silenzio della saggezza.<br />
* * *<br />
Quelli che stanno <strong>di</strong>etro, intorno, sono i peggiori. E anche<br />
questo tutti lo sanno.<br />
L’ho capito quella sera, con i capelli ancora bagnati e il<br />
blazer infilato in fretta e furia, sotto i riflettori delle telecamere,<br />
ferito agli occhi dalla slavina dei flash.<br />
Pro<strong>di</strong>gio, pro<strong>di</strong>gioso era l’aggettivo più sprecato, non<br />
sapevano <strong>di</strong>re altro. Un pro<strong>di</strong>gio che aveva salvato la squadra.<br />
E poi: Come ci si sente? Che effetto fa?<br />
E come ci si sente e che effetto volete che faccia? Niente<br />
e nessuno avrei voluto rispondere. Specie a quello che<br />
sentivo in cuffia. Mi urlava trafelato che prima <strong>di</strong> me a<br />
quell’età solo un certo Passito dell’Uruguay nel millenovecentosettantadue<br />
contro il Paraguay nella Coppa Sud<br />
America a Rio De Janeiro al quarantaduesimo del secondo<br />
tempo arbitrato da tal Fritz tedesco ma oriundo argentino<br />
che aveva arbitrato pure Italia-Svizzera in amichevole…<br />
Un autistico.<br />
Lo vi<strong>di</strong> il lunedì notte alla tivù, sguaiato con quel colore<br />
<strong>di</strong> capelli biondo antico, quasi bronzo. Sbraitava che i ragazzini<br />
al calcio non bisognava farli giocare, si chiedeva<br />
se il mio equilibrio psichico avrebbe retto, che rischiavo<br />
<strong>di</strong> essere un fuoco <strong>di</strong> paglia. Raccontò ancora del povero<br />
Passito, senza le censure del giorno prima, perché, sì, era<br />
80<br />
stato un fenomeno ma per poco, morto a 23 anni alcolizzato<br />
che non era riuscito a eguagliarsi e a reggere i ritmi.<br />
Chissà che faccia farà domani quando mi troveranno,<br />
quando dovrà stendere il mio epitaffio. Potrebbe leggersi<br />
Spoonriver, così giusto per prendere le misure. Ma ho<br />
paura che anche scandendogli lentamente le sillabe lo<br />
scambierebbe per un cocktail, tipo screwdriver o gin-fizz.<br />
Da giovane le mie ali erano<br />
forti e instancabili<br />
ma non conoscevano le montagne.<br />
Da vecchio conoscevo le montagne, ma le mie ali stanche<br />
non potevano seguire<br />
la visione.<br />
Il genio è saggezza e gioventù.<br />
81
Decimo pezzetto<br />
Un cenno della mano e uno degli occhi. Rocca spulcia<br />
gli or<strong>di</strong>ni aggiustandosi gli occhialini a mezza luna. Chino<br />
su quel bancone in noce. Sul quel bancone dove mi<br />
aspettava già una pila <strong>di</strong> libri. Quelli che stavo leggendo,<br />
spuntano i segnalibro. Quelli ancora da leggere, con le<br />
pagine incollate.<br />
– Seguimi, – mi aveva detto e ormai la strada la conoscevo.<br />
Fra gli scaffali alti, imponenti, si apre il corridoio. Il<br />
corridoio stretto che porta alla piccola stanza esagonale.<br />
La libreria esagonale con al centro la poltroncina girevole<br />
in pelle rossa. La mia poltroncina.<br />
Signor Rocca non mi chiede mai una lira ma io pago<br />
puntuale a fine lettura. Ritiro il libro che voglio non resti<br />
lì.<br />
Signor Gabriele Rocca mi ha sempre capito. Bastarono<br />
solo due parole il primo giorno. – Seguimi. – E lo seguii. –<br />
Puoi leggere qui se vuoi, nessuno ti <strong>di</strong>sturberà. – Bastarono<br />
poche parole. Come con mio fratello. – Fagli il culo<br />
Vanni. – Gigi, mio fratello, che hanno trovato gonfio come<br />
un palloncino in un canale <strong>di</strong> Amsterdam. Overdose,<br />
<strong>di</strong>sse l’ambasciata. E il viso mangiato dai pesci.<br />
– Overdose, – <strong>di</strong>sse mio padre nel salotto <strong>di</strong> casa tenen-<br />
83
do la mano <strong>di</strong> mia madre che iniziò a piangere e non smise<br />
mai più. Del viso e dei pesci e della loro voracità non le<br />
<strong>di</strong>sse mai nulla.<br />
* * *<br />
Gigi, solo Nannino ebbe il coraggio <strong>di</strong> vederlo prima<br />
che gli saldassero sopra il coperchio <strong>di</strong> zinco.<br />
Qui in questo spogliatoio lo ricordo mio fratello. E decido<br />
<strong>di</strong> farla finita come lui troppi anni fa. Anche io sono<br />
<strong>di</strong>ventato ribelle, ora che i miei non ci sono più.<br />
Ci do un taglio netto anch’io, ora, con coscienza. Non<br />
ho nessuno da far soffrire, io.<br />
È rimasto zio Nannino e i cugini. Ma quelli li sento solo<br />
all’inizio della stagione quando gli invio l’abbonamento.<br />
È rimasto lo zio perché gli altri li ha <strong>di</strong>vorati il dolore. In<br />
verità è restato anche mio padre, ma per metà, un po’ qui<br />
e un po’ chissà dove. È restato ma non sente più nulla. Almeno<br />
credo. Così mi sembra quando vado a trovarlo in<br />
clinica. Ma forse è solo una mia speranza.<br />
Eccomi sono qui che mi ricordo quando ero lì, al funerale.<br />
Indosso la giacca della società. Affianco i miei, <strong>di</strong>etro<br />
tutta la squadra e signor Anicetto e Mister Ettore e<br />
Demetrio e il mister nuovo e Magni che piangono come<br />
vitelli. E ci sono anche quelli che hanno scritto sui muri<br />
della città: Tutti a Torino per Gigi. E io non ho capito,<br />
tutti chi? A Torino per chi? E perché? Per chi? Per loro?<br />
Per me?<br />
Per me che non posso piangere né mai più <strong>di</strong>re “basta,<br />
sono anche io un figlio ribelle”?<br />
Dopo andai a vivere con tutti i miei libri.<br />
84<br />
In questa città non era <strong>di</strong>fficile muoversi se eri qualcuno,<br />
qualcuno del campo, dell’arena. Ti fermavano, ti stringevano<br />
la mano, ti facevano occhiolino, al massimo qualche<br />
autografo ma ti lasciavano vivere in pace, ti lasciavano l’aria.<br />
In questa città non era <strong>di</strong>fficile neanche fare affari se eri<br />
qualcuno. E tutti volevano farti fare l’affare e poi <strong>di</strong>re:<br />
Glielo fatto fare io l’affare. Appartamentini in centro, villette<br />
in periferia, bifamiliari al mare, ruderi da ristrutturare,<br />
ruderi già ristrutturati con o senza termoascensore,<br />
no animali, sì bambini, no garage, sì cantina grande e con<br />
finestra, sì box auto, no riscaldamento autonomo, sì riscaldamento<br />
centralizzato.<br />
Alla fine ne ho preso una sopra le banche. Sotto ci sono<br />
uffici e basta. Sopra io che da qui vedo il porto e il mare.<br />
Ma ora, come ieri, a casa ci sto poco. Oggi la sera in<br />
poltrona con un libro, ieri davanti alla tivù con Demetrio<br />
che porta le videocassette per rivedere ogni nostra azione<br />
ogni nostra mossa sul campo. E questa è una cosa che tutti<br />
quelli del calcio sanno.<br />
Uno: registrare. Due: guardare e riguardare. Tre: capire<br />
e non sbagliare più.<br />
Demetrio, quando ancora mascherava. Demetrio quando<br />
ancora eravamo compagni <strong>di</strong> squadra, anche se lui in<br />
A c’è arrivato dopo <strong>di</strong> me. Anche se lui era più grande, anche<br />
se lui l’invi<strong>di</strong>a l’aveva nascosta bene.<br />
Eccomi a mettere nel conto le fregature. Ma non mi levo<br />
dalla scatole per questo. Questo è troppo banale. Non per<br />
questo, per nessun’altra ferita: non valgono quello che sto<br />
per fare. Le mie antenne lo sanno. Ho preso coscienza.<br />
85
Quello, quello fu solo un altro episo<strong>di</strong>o nell’appren<strong>di</strong>stato.<br />
Tutto qua. E ora, qua giù, in questo spogliatoio che sto<br />
per lasciare, mi scappa <strong>di</strong> nuovo da ridere e ora potrei anche<br />
farlo, visto che i compagni hanno già invaso l’area arma<strong>di</strong>etti,<br />
la barba fresca <strong>di</strong> barbiere che apre per loro la<br />
domenica, e hanno iniziato a cambiarsi. Urlano e come al<br />
solito, già dalla Prima, organizzano l’andata in <strong>di</strong>scoteca<br />
del dopopartita: si scambiano minchiate, progetti e preservativi,<br />
ridono perché sanno cosa li aspetta questa notte,<br />
che si vinca o si perda.<br />
Prima <strong>di</strong> <strong>campionato</strong>, riapre lo sta<strong>di</strong>o, riapre la <strong>di</strong>scoteca<br />
della domenica e la caccia è aperta.<br />
È stato così per ogni anno della mia carriera. Finita la<br />
partita, <strong>di</strong> corsa a casa, poi a ballare. La prima volta che mi<br />
ci hanno portato avevo vent’anni, avevo resistito a lungo<br />
ma alla fine mi avevano convinto. Quel cinque a zero, tre<br />
gol miei, andava proprio festeggiato.<br />
* * *<br />
Al Para<strong>di</strong>se Disco il pubblico è <strong>di</strong>viso in tre categorie,<br />
anzi quattro: noi i calciatori, le donne, quelli che procurano<br />
le donne ai calciatori e infine quelli che invi<strong>di</strong>ano noi i<br />
calciatori, le donne e gli accompagnatori.<br />
Le ragazze ci sfilano vicine, sorridono, abbassano lo<br />
sguardo nei loro vestitini, sui tacchi sproporzionati. Arrivano<br />
a un soffio dal nostro naso, ridacchiano, scortate sotto<br />
braccio da uno che subito se ne va sussurrando: Hai visto<br />
che te l’ho presentato?<br />
La musica viaggia e non è neanche il solito rigurgito <strong>di</strong><br />
questi posti qua. Le luci tagliano l’aria e sto anche per but-<br />
86<br />
tarmi, il piede segue il ritmo, le spalle iniziano a roteare. I<br />
miei compagni, intorno, sono già persi, lanciati. Spanti<br />
sbraita e <strong>di</strong>ce cose da spogliatoio avanzato. Magni bisbiglia<br />
frasi all’orecchio. Capisco che non fa <strong>di</strong>fferenza. Non<br />
ci vuole metodo qui. Non fa <strong>di</strong>fferenza tanto il risultato è<br />
lo stesso: quelle ridono e fanno certi risolini che sembrano<br />
criceti.<br />
Okey, chiaro, capisco anche questo gioco, meglio andare<br />
a ballare.<br />
– Ciao Vanni, sempre pensieroso? O stai pensando ai<br />
bambini del Ruanda?<br />
La guardo ma non capisco. Poi provo a ricordare.<br />
Deve aver visto quella trasmissione televisiva, quella del<br />
calcio in favore delle adozioni a <strong>di</strong>stanza. C’ero andato,<br />
avevo devoluto qualche milione.<br />
– Allora Vanni, due salti in pista?<br />
La guardo meglio e la riconosco. In quel talk-show era<br />
seduta affianco a me, però non aveva detto niente: accavallava<br />
le gambe e poi accavallava le gambe sino ai titoli <strong>di</strong> coda.<br />
Nelle trasmissioni successive le avevano permesso <strong>di</strong><br />
fare qualcosa <strong>di</strong> più: le prime risatine e i primi sorrisetti.<br />
* * *<br />
Oggi è un’opinion maker. L’ho vista l’altra sera che la<br />
intervistavano sulla nuova caduta del governo, poi all’ultimo<br />
prêt-à-porter e infine a una manifestazione <strong>di</strong> ambientalisti.<br />
Ma allora era solo un nome buffo: Vanesia Flesh.<br />
E un bel paio <strong>di</strong> gambe. Belle ma fragili. Dopo <strong>di</strong>eci<br />
minuti <strong>di</strong> balli era già stanca. Si fece riaccompagnare a casa<br />
e si fece rimboccare le lenzuola, con me dentro.<br />
87
* * *<br />
Sono una corda, teso. Mai fatto. E ci provo col metodo.<br />
Unisco i ricor<strong>di</strong>. Le foto del vecchio spogliatoio, le foto <strong>di</strong><br />
Signor Anicetto: rockstar martire bionda con un <strong>di</strong>to sulla<br />
coscia destra e un <strong>di</strong>to sulla coscia sinistra… Le code<br />
delle cassette <strong>di</strong> Demetrio… In coda alla nostra partita ci<br />
sono sempre due che se le danno <strong>di</strong> santa ragione, per pochi<br />
minuti ma se le danno <strong>di</strong> santa ragione. Demetrio è<br />
sempre stato un po’ avido e ci registrava sopra - le nostre<br />
azioni - i programmi della tivù del quartiere dopo le 2 <strong>di</strong><br />
notte, zozzi zozzi. E poi <strong>di</strong> nuovo le nostre azioni.<br />
Uno: ricordare. Due: ricordare e ripetere. Tre: ripetere<br />
e basta.<br />
Tipo: flessioni, flessioni, addominali alti, addominali<br />
bassi, glutei, fianchi.<br />
Lei urla, urla conficcandomi le unghie <strong>di</strong>etro la schiena.<br />
Tipo: lingua, culo tette, cazzo figa.<br />
Mi sa che è così. Ma non si finisce mai.<br />
Sto per esplodere e il calore mi infiamma lo stomaco, mi<br />
pizzicano le guance poi il petto, mi scoppiettano i capelli<br />
poi la gola, mi si asciugano le labbra e guaisco come il cane<br />
<strong>di</strong> Ottavio con la prof Cardìa.<br />
– Guuuai! Guai! Guai a te!<br />
Ma questa mi sta artigliando una palla, me la artiglia con<br />
le sue unghie smaltate e finte.<br />
– Guai!<br />
E io riporto tutti a cuccia. Come il cane <strong>di</strong> Ottavio giù<br />
nella biblioteca del liceoginnasio quando scendeva la prof<br />
Car<strong>di</strong>a, che era pure rachitica, ma per lui che si attaccava<br />
alla gamba non faceva <strong>di</strong>fferenza.<br />
88<br />
Guai! Gli urlava Ottavio con la faccia del demonio dell’inferno<br />
dei cani quadrupe<strong>di</strong> che vogliono <strong>di</strong>ventare bipe<strong>di</strong>.<br />
Quello muso basso, coda fra le pallette, se ne tornava<br />
<strong>di</strong>etro la stazione dei libri filosofia.<br />
– Guai!<br />
E questa rantola per qualche minuto e poi <strong>di</strong> nuovo addominali<br />
alti, addominali bassi, flessioni, anche e glutei.<br />
E io alleno braccia e mente.<br />
Pieni <strong>di</strong> te ho miei poveri occhi<br />
Uno, due, tre, quattro…<br />
come un pantano è <strong>di</strong> lume <strong>di</strong> luna<br />
E lei miagola: e cinq e se, e set e ott…<br />
e ti adoro<br />
piegato sui ginocchi<br />
E lei urla e trema come una tarantola e spalanca la bocca.<br />
E nov e <strong>di</strong>eci, und e dò…<br />
o bionda che sei bionda<br />
e sembri bruna<br />
* * *<br />
Frazzi sparito con la bion<strong>di</strong>na raccontò <strong>di</strong> certi giochi <strong>di</strong><br />
bocca, Spanti invece era inviperito perché quella da <strong>di</strong>etro<br />
non ne aveva voluto sapere, e via tutti gli altri a sfoderare<br />
posizioni, prestazioni, ritmi, orgasmi, erezioni da record,<br />
eiaculazioni al rallenty.<br />
È sempre stato così, ne ho visto mille giocatori finire<br />
nelle spire del Para<strong>di</strong>se. I pudori arrivano nei mesi successivi,<br />
pian piano Frazzi iniziò a parlare sempre meno dei giri<br />
<strong>di</strong> lingua della bion<strong>di</strong>na che nel frattempo aveva iniziato<br />
a chiamare affettuosamente Marzia. Spanti dal girone <strong>di</strong><br />
89
itorno non si lamentò più della sua Erika. Le rivelazioni, i<br />
kamasutra da spogliatoio, i racconti boccacceschi formato<br />
tacchetti e calzoncini, finirono per farsi più rari. Un<br />
processo inversamente proporzionale all’avvicinarsi della<br />
date dei matrimoni con la Erika e la Marzia, la Silvia e la<br />
Janira, la Katy e la Natasha ex reginette del Para<strong>di</strong>se.<br />
Questi, che hanno invaso il mio spogliatoio per l’ultima<br />
<strong>di</strong> <strong>campionato</strong>, questi della nuova squadra messa su con<br />
gli stranieri, il Para<strong>di</strong>se Disco lo conoscono solo dai racconti<br />
<strong>di</strong> noi veterani che ci an<strong>di</strong>amo per <strong>di</strong>porto, per un<br />
po’ <strong>di</strong> allenamento in più, per sentirci superiori a chi fra<br />
quei <strong>di</strong>vanetti ha lasciato la libertà.<br />
E rido anche io ora con loro che col metro stanno misurando<br />
M’Botò, <strong>di</strong>cono che è un <strong>di</strong>nosauro, ottima dote<br />
per il Para<strong>di</strong>se.<br />
Ora rido perché l’altra mia carriera l’ho iniziata lì, in <strong>di</strong>sco.<br />
Ridacchio perché so che il solito stregone in vena <strong>di</strong><br />
analisi psicologiche azzarderà che circolava in me un’omosessualità<br />
velata. Con tutte le cautele possibili, ignorando<br />
la fattispecie del caso ed essendo fra l’altro eticamente<br />
contrarissimo a qualsivoglia parere fondato su una<br />
conoscenza superficiale o soltanto a <strong>di</strong>stanza del caso medesimo,<br />
nonché col massimo rispetto umano, azzarderà<br />
in me un’omosessualità latente, non manifesta ma latente,<br />
non riconosciuta. E se anche, sia ben chiaro, così fosse<br />
stato, questo non avrebbe comunque inficiato le qualità<br />
dell’uomo e dello sportivo, e in egual misura, perché lo<br />
sportivo è prima ancora uomo che atleta. Perché se così<br />
fossi stato, questo in fondo non avrebbe che potuto favorire<br />
la mia sensibilità. Anche perché le minoranze… E poi<br />
90<br />
il <strong>di</strong>verso va sempre tutelato e, ampiamente, con i dovuti<br />
<strong>di</strong>stinguo, compreso. Il <strong>di</strong>verso.<br />
Così <strong>di</strong>rebbe. Magari a telecamere accese. Sulla mia<br />
tomba.<br />
Ridacchio perché il solito stregone in vena <strong>di</strong> analisi psicologiche<br />
azzarderà che in fondo temevo le donne e rifuggivo<br />
il confronto in tempi dove l’esasperazione del rapporto<br />
e della competizione, come testimoniano i numerosi<br />
sondaggi, hanno scoperto il nervo e portato all’attenzione<br />
della pubblica opinione quella che una volta veniva<br />
definita la guerra, o la pace armata, con l’altra metà del<br />
cielo, il sesso debole che oggi si prende ampiamente le sue<br />
rivincite sebbene ricalcando il modello maschile.<br />
Così <strong>di</strong>rebbe. Magari in prima pagina. Dopo il mio funerale.<br />
Balle.<br />
Temo solo che qualcuno rientri nel mio mondo che si<br />
regge su un fragile equilibrio. E anche questa è una banalità<br />
che tutti sanno.<br />
Ma è solo una questione <strong>di</strong> istanti, domani il mio pianeta<br />
verrà <strong>di</strong>sintegrato da un meteorite gigante. Clic e mi levo<br />
dalle scatole.<br />
* * *<br />
Dietro due, due che vendono assicurazioni e non so cosa,<br />
che hanno un bar, anzi no un caffè e una boutique e<br />
non so cos’altro. Due che si occupano <strong>di</strong> non lasciare che<br />
del maiale nulla vada perso, nulla vada buttato. Il maiale:<br />
noi giocatori <strong>di</strong> questa società. Porci con le braghe e le<br />
scarpette bullonate.<br />
91
Due che viaggiano verso i quaranta. Due che si mascherano<br />
con abiti alla moda e creme. Ma gli occhi e la bocca le<br />
tra<strong>di</strong>scono.<br />
– Due vecchie cadreghe.<br />
Demetrio ha il vizio per quelle più gran<strong>di</strong> <strong>di</strong> noi.<br />
– Ci facciamo pagare tutto.<br />
E l’indole da puttana.<br />
Io mi <strong>di</strong>verto. Loro sono l’eccezione e confermano la<br />
mia regola. Hanno due tettine che sembrano pomodori<br />
secchi pugliesi. E lo so, levato il reggiseno sarà pure peggio.<br />
Ma hanno il culo niente male.<br />
– Merito dei massaggi.<br />
Demetrio le ha agganciate al centro <strong>di</strong> benessere in<br />
quella villetta fuori città dove il giovedì si riversa mezza<br />
squadra.<br />
Loro sono l’eccezione che confermano la mia regola: intellettualmente<br />
piatte, umanamente aride e arrabbiate.<br />
Furiose perché a quaranta devono ancora uscire in coppia,<br />
come ai se<strong>di</strong>ci e ai venti, anni <strong>di</strong>co.<br />
Dunque la storia è così. La so bene perché ne ho visto<br />
tante, troppe. Queste ai trenta erano convinte <strong>di</strong> essersi<br />
fermate e stavano programmando. Casa, arredo, fuoristrada<br />
maxi lui, fuoristrada mini lei. I colori delle tende,<br />
gli sgabelli della cucina, le poltrone in pelle, tv siderale<br />
picture in picture, antenna spaziale, computer funambolico,<br />
tappeti design, letto design, cabina spogliatoio moda<br />
moda.<br />
Il sistema picture in picture è quello che ti permette sulla<br />
tivù <strong>di</strong> aprire una finestrella con un altro canale e seguire<br />
due programmi in contemporanea. A tutto schermo la<br />
trasmissione che ti interessa, su un riquadro quella che<br />
92<br />
vuoi giusto tenere d’occhio. Così quando lì in basso, o in<br />
alto, scegli tu dove posizionarla - la finestrella <strong>di</strong>co - succede<br />
qualcosa <strong>di</strong> grosso, zac, schiacci il pulsantino PP ed<br />
ecco lo scambio <strong>di</strong> immagini. Il grande nel piccolo, il piccolo<br />
nel grande.<br />
Il PP segue una teoria e dà una sicurezza in più al consumatore:<br />
ti fa tenere tutto sotto controllo.<br />
E queste infatti erano due, sono due, che vogliono tenere<br />
tutto sotto osservazione. Dominare.<br />
Peccato però che poi i tipi, i loro tipi, alla faccia del PP,<br />
se la sono data per tempo, spariti, fuggiti.<br />
Cioè questi se la sono data a gambe con le pubblicazioni<br />
già fatte, i testimoni già in arrivo da chi sa dove comunque<br />
da lontano che si era pure prenotato l’albergo migliore<br />
della città.<br />
Svaniti, evaporati con tipine ventenni o giù <strong>di</strong> lì. E queste<br />
due vecchie <strong>di</strong>sgraziate, unite dal destino, si sono incazzate<br />
a morte. E sono rimaste sole con la tivù pikciarinpikciar<br />
che ora non è neppure più tanto <strong>di</strong> moda.<br />
Allora hanno iniziato a o<strong>di</strong>are.<br />
– Voi uomini alla fine pensate solo a una cosa.<br />
E intanto ci spolpano con gli occhi.<br />
– Praticamente uno a fine serata mi guarda e fa: an<strong>di</strong>amo<br />
da me o da te?<br />
Le loro unghie, perfettamente affilate e smaltate.<br />
– Dico, non so se mi spiego, ma chi ti cre<strong>di</strong>, da Me o da<br />
Te? Ma manco abbiamo mangiato nello stesso piatto assieme.<br />
Da Me o da Te? Ma vai…<br />
Ma tanto non ci credo che è andata così.<br />
– E io cosa ho fatto? Mollato l’ho, così impara, bavoso<br />
che ci stava pure perdendo i capelli e se li tingeva con<br />
93
quella cosa, quella cosa che fanno un casino <strong>di</strong> passaggi in<br />
tivù…<br />
I passaggi in tv.<br />
– Quella cosa, come si <strong>di</strong>ce in italiano, lo spray…<br />
In italiano.<br />
– La bomboletta, la bomboletta che ti fa nera la pelle<br />
della testa…<br />
Il cuoio capelluto.<br />
– Come quel vostro compagno, quello che stava con<br />
quella che faceva le sfilate, quella che se la faceva anche<br />
con quello che cià la concessionaria, lì, lì fuori nella zona<br />
industriale, quello che poi <strong>di</strong>cono, oh può anche essere <strong>di</strong><br />
questi tempi, che le auto arrivavano rubate dai parcheggi<br />
degli alberghi in California, a Las Vegas…<br />
Geografie.<br />
– Comunque quel vostro compagno che abbiamo venduto,<br />
quello che abbiamo venduto perché era depresso…<br />
Abbiamo venduto? Come: abbiamo?<br />
– Praticamente noi lo sappiamo che non era depresso.<br />
Cioè l’abbiamo venduto…<br />
E lo sguardo è complice.<br />
– Dàiii e dài che lo sapete anche voi perché l’abbiamo<br />
venduto, dài che lo sapete… oh ma non <strong>di</strong>temi che credevate<br />
anche voi che era depresso.<br />
Io, manco ho capito <strong>di</strong> chi parlano, l’anno scorso ne<br />
hanno venduto <strong>di</strong>eci, panchina compresa, cinque con i<br />
capelli così così e otto fidanzati con modelle.<br />
– Dài ci state prendendo in giro, lo sapevano tutti che si<br />
era beccato la sifilide e che abbiamo rifilato il pacco agli<br />
altri. Manco più sulle gambe si reggeva.<br />
Forse pure prima - prima della fuga dei tipi - queste due<br />
94<br />
erano così. Non so, so solo che queste due ai trentuno, anni<br />
<strong>di</strong>co, hanno dovuto riprendere. Sono tornate in pista e<br />
non ne avevano nessuna intenzione. E ora non hanno neppure<br />
più i numeri, sono modelli passati e <strong>di</strong> questi tempi<br />
ne girano certe che gli sfrecciano veloci affianco e loro si<br />
avviliscono.<br />
Non se l’aspettavano, e no che non se l’aspettavano. Potrebbero<br />
farmi pena ma sono troppo arrabbiate e allora<br />
affari loro.<br />
Cacchi loro se a cena hanno vomitato veleno su tutto e<br />
tutti, se per strappare i contratti migliori si spolpano il<br />
cliente, dopo essersi spolpate la concorrenza, dopo essersi<br />
spolpate il conto in banca per un fuori strada maxi moda<br />
moda, una vacanza in Giamaica lusso lusso. Tanto nulla,<br />
neppure girare a braccetto col nostro presidente, rimorchiare<br />
bestie a Nassau, lucidare il vetro del nuovo<br />
schermo piatto piatto che più piatto non si può, le salverà<br />
dalla solitu<strong>di</strong>ne e dall’angoscia <strong>di</strong> non essere state qualcosa<br />
per qualcuno.<br />
– E col cazzo, scusa l’espressione, che a quello <strong>di</strong>eci milioni<br />
li davamo. Tutti e <strong>di</strong>eci no… praticamente arriviamo<br />
lì che abbiamo pagato per la piscina fronte stanza, perché<br />
il depliant <strong>di</strong>ceva fronte stanza e invece era lì a cento metri<br />
dopo un vialetto che secondo me ci passavano i serpenti<br />
nel vialetto. Allora lo abbiamo chiamato e li abbiamo<br />
piazzato un casino, primo che li facevamo perdere i clienti<br />
che assicurati con noi sono…<br />
– E anche clienti del caffè…<br />
– E anche clienti del caffè e minimo minimo li giravamo<br />
all’agenzia del cognato che dopo che se n’è scappato con<br />
la sorella più piccola dopo aver lasciato la più grande e si è<br />
95
aperto un’agenzia da solo, li brillavano gli occhi solo al<br />
pensiero. Oh a quello li brillano gli occhi solo se lo telefono<br />
io.<br />
Gli, pronome personale.<br />
– Allora li ho detto che li scatenavo pure l’assicurazione<br />
e siccome ciò pure gli amici giornalisti…<br />
– Che anche loro vengono al caffè e li abbiamo fatto la<br />
polizza vita.<br />
Gli, pronome personale.<br />
– Appunto… praticamente li abbiamo detto chiaro<br />
chiaro che prima o poi ce la pagava. Non è per i cento<br />
metri, non è per il vialetto, anche se, sia ben chiaro, praticamente<br />
io dei serpenti ciò davvero paura. Che schifo<br />
tutti visci<strong>di</strong>…<br />
Non sono visci<strong>di</strong>.<br />
– Ma è una questione <strong>di</strong> principio, ci vogliono regole,<br />
onestà, se vuoi fare questo lavoro sennò ven<strong>di</strong> cipolle.<br />
Che poi è quello che faceva, cioè che faceva la mamma:<br />
vendeva cipolle e verdura al mercato civico, che poi vendendo<br />
cipolle secondo me la casa al figlio praticamente<br />
non gliela comprava, i sol<strong>di</strong> non si fanno vendendo cipolle<br />
e quin<strong>di</strong> a chiusura <strong>di</strong> mercato faceva gli extra.<br />
E queste ne hanno una per tutti. Una per i peccati <strong>di</strong><br />
tutti. Nessuna per i propri peccati.<br />
Eppure è così semplice. Chio<strong>di</strong> sulle caviglie, frecce<br />
sul costato, olio e piombo bollente, mutilazione e scarnificazione.<br />
Basta prendere coscienza. Ma queste coscienza<br />
non ne hanno. Hanno solo un micro-onde che gira rapido.<br />
Io invece prendo coscienza. E giuro a Demetrio, Mai<br />
più, mentre fuggiamo in silenzio da una suite d’albergo e<br />
96<br />
cerco <strong>di</strong> non cadere infilandomi i pantaloni. Rido e Demetrio<br />
mi tappa la bocca. Guai se le svegli!<br />
Rido mentre scappiamo nel corridoio e ripenso al loro<br />
culo che fuori dai pantacollant era peggio dei secchi pugliesi.<br />
E penso che alla fine oltre all’anima, l’o<strong>di</strong>o ha asciugato<br />
a queste due anche i tessuti.<br />
Rido mentre Demetrio mi sventola l’ultima Polaroid<br />
scattata. Venuta mica male.<br />
Rido mentre penso ai lori aliti fetenti. Perché quando<br />
uno o<strong>di</strong>a, quando fende rabbia senza colpire, a casaccio,<br />
allora gli puzza pure l’alito, e anche tutto il resto. E soprattutto<br />
giù, laggiù <strong>di</strong>co. Scientificamente provato, lo<br />
<strong>di</strong>ce la casistica. E lo <strong>di</strong>co pure io a Demetrio che ora se la<br />
ride <strong>di</strong> gusto, ma <strong>di</strong> gusto. E si porta in<strong>di</strong>ce e pollice sul<br />
naso, stringe le narici e tira fuori la lingua. Che è proprio<br />
la mimica della puzza fetente e nauseabonda.<br />
– Però, bei numeri con quel piselletto…<br />
E mi guarda con quegli occhi laser.<br />
– Vai affanculo.<br />
E non ci metto nessun affetto e nessun pentimento.<br />
– Sì, vattene proprio affanculo.<br />
* * *<br />
Sono stato Vanni Visco macchina del sesso, caldo e appiccicoso<br />
e nauseabondo. Ma poi ho imparato, pian piano.<br />
Ho imparato a scegliere. Ma soprattutto a scartare.<br />
Così ho capito che si può andare oltre l’allenamento. Oltre<br />
le Polaroid.<br />
97
* * *<br />
Il campanellino annuncia il mio ingresso e Rocca mi saluta<br />
con un cenno della mano e uno degli occhi, come<br />
sempre, da anni ormai, e come sempre dopo avermi salutato<br />
in quel suo modo, riprende a spulciare gli or<strong>di</strong>ni aggiustandosi<br />
gli occhialini a mezza luna. Chino su quel<br />
bancone in noce. Sul quel bancone dove mi aspetta già<br />
una pila <strong>di</strong> libri. Afferro i volumi, lui alza lo sguardo e mi<br />
sorride.<br />
Strano. Sono mesi che non sorride più. Da quando il<br />
campanellino vibra poco e raramente. E i capelli rossi della<br />
commessa non brillano più <strong>di</strong>etro la cassa.<br />
Vado veloce verso la biblioteca esagonale. Punto veloce<br />
verso il corridoio stretto. Veloce.<br />
Nessuno sa della libreria. Ci arrivo dopo l’allenamento<br />
del pomeriggio, strade del centro ancora deserte, e mi imbuco<br />
rapido. Ora sì, ora la mia faccia è autografi e isterie.<br />
Questa città è cambiata.<br />
Non voglio rischiare, anche se in libreria sono sempre<br />
meno i clienti ad entrare e sempre più rapi<strong>di</strong> ad or<strong>di</strong>nare.<br />
Arrivano, dettano un titolo e poi vanno via sbuffando<br />
mentre signor Rocca fa spallucce.<br />
Non mi <strong>di</strong>ce mai nulla Rocca e io non gli <strong>di</strong>co nulla.<br />
Non c’è bisogno. Basta un cenno e il nostro saluto.<br />
– Ciao Lunedì…<br />
Lui mi ha ribattezzato così, Lunedì, solo io e lui sappiamo<br />
perché.<br />
È sempre bastato questo. Uno sguardo, due battute, poi<br />
lui <strong>di</strong> nuovo con gli occhi sui conti e sui libri che mi ha<br />
98<br />
sempre preparato con cura e metodo. In certi mi ci infila<br />
pure la recensione ritagliata dai giornali: – Leggitela alla<br />
fine… – E non ho mai fatto <strong>di</strong>versamente, per non essere<br />
influenzato, contaminato, ma solo per capire, per pesare<br />
altre visioni.<br />
Poi, verso sera, ora <strong>di</strong> chiusura, mi ha sempre raggiunto<br />
nella stanza esagonale, a parlare, per scambiarci le nostre<br />
<strong>di</strong> visioni, e per capire se queste pagine ci hanno dato occhi<br />
nuovi a rivedere il mondo fuori <strong>di</strong> qui.<br />
Ma da qualche tempo non è ogni mercoledì che signor<br />
Rocca mi raggiunge nella stanza esagonale. Solo uno sguardo,<br />
due battute, poi gli occhi sui conti fino a tarda sera.<br />
Li potrei portare a casa, i libri. Come fanno tutti. Come<br />
ho fatto per poco. Ma a casa piomberebbe Demetrio con<br />
le cassette o le ragazze e la Polaroid.<br />
– Io vorrei capire dove cazzo sparisci tutti i mercoledì.<br />
Demetrio, apprensivo. Demetrio, che - l’avrei dovuto<br />
capire - mi ha sempre marcato stretto. E si è accorto solo<br />
del mercoledì.<br />
Ma non sino alla libreria Rocca.<br />
Entro rapido nella tana <strong>di</strong> libri e scaffali. Tana esagonale.<br />
Lei è lì sulla mia se<strong>di</strong>a. Lei è lì con i capelli lisci e lunghi<br />
e neri, le coprono il viso che è avvolto in un libro. Lei alza<br />
lo sguardo e fa brillare i suoi occhi ghiaccio. Ha un ombretto<br />
argentato come la montatura dei suoi grossi occhiali<br />
da lettura, ma che da lettura non sono. Sono solo<br />
rettangoli <strong>di</strong> luce. Sembra una segretaria un po’ santa e un<br />
po’ zozza, come quelle dei film anni Sessanta, quelle che<br />
sbarrano la strada a chiunque sulla via del capo.<br />
– Lucina, piacere.<br />
99
Ha il viso dolcemente affilato.<br />
– Vanni, piacere.<br />
E si chiude i capelli in una coda. Sempre più santa e<br />
sempre più zozza.<br />
– Sei il nuovo commesso del signor Rocca?<br />
E questa non lo sa proprio chi sono e mi illumino.<br />
100<br />
Un<strong>di</strong>cesimo pezzetto<br />
In <strong>campionato</strong> alta classifica, in casa mai piombati così<br />
in basso.<br />
Ero andato a trovarlo la sera prima <strong>di</strong> Pasqua. Mi aveva<br />
scambiato per Gigi, mio fratello. Come sempre.<br />
– O Gigi, mamma com’è che sta?<br />
– Papà, mamma sta bene.<br />
Mamma l’avevamo seppellita l’anno precedente, ma la<br />
suora mi aveva pregato <strong>di</strong> non contrad<strong>di</strong>rlo, la suora <strong>di</strong>sse<br />
la stessa cosa che mi avevano detto i me<strong>di</strong>ci, la stessa che<br />
mi aveva consigliato zio Nannino. Lo ricordo perfettamente.<br />
* * *<br />
La stanza <strong>di</strong> mio padre dà sul giar<strong>di</strong>no della clinica. Vesto<br />
i panni <strong>di</strong> Gigi e mentisco, come ha sempre fatto lui,<br />
Gigi. Mi pesa sparare fesserie, mi pesa stare in questa<br />
stanza che costa milioni al mese a metro quadro ed è solo<br />
una tomba dello spirito. Di vivo mio padre ha solo il corpo,<br />
<strong>di</strong> sicuro non i ricor<strong>di</strong>. Non il passato ma neppure il<br />
presente. Però qualche pezzetto <strong>di</strong> passato gli è rimasto<br />
anche a lui, in un angolo miracolato del cervello, e sono<br />
pezzetti che avrebbero fatto meglio a sparire come tutti<br />
gli altri.<br />
101
– Vanni?<br />
– Sì, papà, sono io, Vanni.<br />
– Vanni? Come sta Vanni?<br />
– Bene papà, sta bene.<br />
– Glieli passi i sol<strong>di</strong>ni della settimana?<br />
– Sì papà.<br />
– E in fabbrica come va?<br />
– Bene papà.<br />
– E Vanni ti aiuta?<br />
– Sì mi aiuta.<br />
– Non è che sta sempre <strong>di</strong>etro le cataste a leggersi i libri?<br />
– No papà, aiuta.<br />
Mio padre ha il viso deformato dagli psicofarmaci e un<br />
occhio che quasi non si apre più. Né si chiude più. Sta a<br />
metà, <strong>di</strong>sgraziatamente. A metà come lui, un po’ qui e un<br />
po’ chi sa dove.<br />
– Lo sai da chi ha preso questa storia dei libri?<br />
Non ho voglia <strong>di</strong> confessioni sul letto <strong>di</strong> morte. Anche<br />
perché lui non morirà. Subito, <strong>di</strong>co.<br />
– Ha preso da me, ma tu non <strong>di</strong>rglielo.<br />
Ora sono io che vorrei prendere una cascata <strong>di</strong> psicofarmaci.<br />
– Dietro il mio ufficio, hai presente il deposito degli attrezzi,<br />
i miei attrezzi…<br />
– Sì papà.<br />
E vorrei soffocarlo.<br />
– Tieni questa è la chiave.<br />
E vorrei strozzarlo con il tubicino della flebo.<br />
– Quello che c’è dentro è <strong>di</strong> Vanni, <strong>di</strong>gli che è tutto suo.<br />
Vorrei chiedergli perché ma tutte le schifezze che gli<br />
squagliano nella flebo lo hanno invaso. Gli hanno conqui-<br />
102<br />
stato il cervello su cui sventola alta la ban<strong>di</strong>era dell’armata<br />
Valium.<br />
Eccomi che lancio la macchina, <strong>di</strong>sperato verso la fabbrichetta<br />
delle pelli. Smezzo a tutta velocità il viale alberato,<br />
sollevo le foglie da terra e le faccio volare <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> me<br />
come mille coriandoli ramati. Eccomi che litigo con questo<br />
vecchio lucchetto arrugginito <strong>di</strong> questa cancellata scontrosa.<br />
Corro nel piazzale <strong>di</strong> ciottoli bianchi, dribblo cadaverini<br />
e pelli seccate dal sole, animalità varia squartata sulla<br />
via delle boutique, quei pochi che non sono stati portati<br />
via, a due lire. Supero il capannone della conceria che<br />
puzza ancora <strong>di</strong> morte acida <strong>di</strong> solventi. Punto verso gli<br />
uffici: muri bianchi cariati da muffa verde e vetrate che<br />
non specchiano più le lucertole in cerca <strong>di</strong> sole.<br />
– Venderemo, quando sarà zona e<strong>di</strong>ficabile.<br />
Fu l’ultima cosa che <strong>di</strong>sse mio padre prima che l’occhio<br />
gli cadesse giù.<br />
Sono nell’ufficio <strong>di</strong> mio padre che prendo a calci questa<br />
serratura bastarda, perché la chiave si è spezzata dentro.<br />
Sfondo la porta e sono in un magazzino dove non c’è una<br />
chiave inglese, né una sega, né un solvente o un martello o<br />
che so altro. Sono in mezzo a pile <strong>di</strong> libri e pile <strong>di</strong> libri. C’è<br />
la Stazione dei libri stranieri: la balenaccia, i ricor<strong>di</strong> coi<br />
profumi, il tempo che se n’è andato, la linea d’ombra, il navigatore,<br />
il cacciatore suicida, l’ubriacone sodomita, anche<br />
l’ebreuccio <strong>di</strong> quel cristiano che si trasforma in babballotti.<br />
Tutti ci sono. C’è la Stazione dei libri nazionali:<br />
c’è il partigiano, il reduce, il suicida, l’assassinato, l’ammalato,<br />
lo storpio, il vanitoso, il borgataro e anche quello<br />
palloso e borioso e rompiscatole. Tutti ci sono.<br />
103
Ci sono libri su libri mai aperti, mai sfogliati. Ci sono<br />
volumi scorticati della loro copertina. E c’è un forte odore<br />
<strong>di</strong> colla e pelle. Supero cataste <strong>di</strong> libri scuoiati e c’è un<br />
banchetto e un’enorme libreria con le opere <strong>di</strong> mio padre.<br />
* * *<br />
Ne ho visto tanti collezionare monete, far tremare i polpastrelli<br />
su bolli postali, altri perderci la vista laccando<br />
minuscoli soldatini delle armate imperiali, sognare su aeroplanetti<br />
<strong>di</strong> plastica lucida.<br />
Mio padre ha sempre avuto la passione per la pelle, il<br />
cuoio. I libri credo che li comprasse a casse, forse al chilo.<br />
Poi pian piano sra<strong>di</strong>cava le copertine in cartone lucido e<br />
le ricomponeva, piegato sul suo banchetto. Forbice e martelletto.<br />
Caratteri in oro per titolo e autore. Non ho mai<br />
capito, da quel giorno fino ad oggi qua giù, se lo facesse<br />
per renderli più eleganti o forse per omologarli tutti, per<br />
renderli parte <strong>di</strong> un solo grande libro, una collezione senza<br />
in<strong>di</strong>vidualità. O forse perché era un passatempo come<br />
un altro. Di sicuro non li leggeva, <strong>di</strong> sicuro erano per me.<br />
Non tornai in clinica, anche se avrei voluto farlo e prenderlo<br />
a calci o forse abbracciarlo, non so. Chiamai Demetrio.<br />
* * *<br />
– Sono a cena a casa del mio procuratore<br />
Demetrio ha un procuratore, io no. Non l’ho mai voluto<br />
io. Anche se lui si era proposto.<br />
– Mi spiace ma non posso.<br />
104<br />
Demetrio passerà la Pasqua con il suo procuratore.<br />
Non lo chiama più Mister Ettore e lui non allena più i ragazzi<br />
della Primavera. Segue Demetrio e ora punta a farlo<br />
sbarcare da quelli che abbiamo sempre con il fiato sul collo<br />
ma che lasciamo sempre qualche punto più giù.<br />
Non so se a loro serva uno così, uno con le sue doti. So<br />
che quelli vorrebbero me. Ma a me non importa. Non voglio<br />
cambiare città, non voglio altri sol<strong>di</strong>, non voglio altre<br />
rogne e soprattutto non voglio indossare il cappotto per<br />
otto mesi l’anno. Sto bene qua giù al calduccio.<br />
Demetrio scalpita. Io no. Non vuole stare più con noi.<br />
Non vuole più far parte della nostra squadra, vuol far<br />
parte della sua squadra. Lui e signor Ettore. Affari&pallonate.<br />
Eccomi. Sono pronto per la partita dopo le vacanze, dopo<br />
le vacanze <strong>di</strong> Pasqua. Sono stato solo e questa volta i libri<br />
non mi sono stati d’aiuto.<br />
Eccomi, come sempre sono qui nelle viscere dell’arena<br />
prima degli altri. E sento lo zoccolio dei tifosi sulla mia testa<br />
e percepisco chiaro Demetrio che se la prende con gli<br />
arma<strong>di</strong>etti, <strong>di</strong> brutto. Pugni e calci. E poi urla <strong>di</strong>sperate.<br />
Non vorrei avvicinarmi. Ma poi mi avvicino.<br />
– Fottitene, – gli <strong>di</strong>co.<br />
Lo abbraccio e lui piange.<br />
– Fottitene non ti meritano. E poi quelli non hanno<br />
scrupoli. Ti brucerebbero come niente.<br />
E lui quasi si consola e mi parla a un soffio dalle labbra.<br />
– È vero che ti hanno offerto l’impossibile per andare?<br />
Non dovrei <strong>di</strong>rlo ma la bocca si apre da sola.<br />
– È vero.<br />
105
* * *<br />
Fu la prima volta, la prima e unica volta che non portai<br />
la squadra al trionfo, che la curva non mi osannò, e i giornali<br />
e la tv restarono senza aggettivi. Ma solo per quei novanta<br />
minuti.<br />
Fu un misero, inutile, zero a zero. E un lunedì che annunciava<br />
sconfitta.<br />
Afferrai il telefono e chiamai Lucina. Quella storia <strong>di</strong><br />
mio padre mi bruciava ancora.<br />
* * *<br />
– Sono io…<br />
– Lo so che sei tu.<br />
La sua voce è un soffio impercettibile.<br />
– Come? – <strong>di</strong>ssi, – Non sento…<br />
– Lo so che sei tu… lo sai che non mi devi chiamare gli<br />
altri giorni…<br />
La sua voce è un soffio urticante.<br />
– Lo so ma… avevo bisogno… avevo bisogno <strong>di</strong> fare<br />
due chiacchiere…<br />
– Non ora.<br />
E riattacca.<br />
Pensavo che la cornetta nell’impatto con il muro si sfaldasse.<br />
La vedo alla moviola: la mia mano che prima la<br />
strozza con rabbia, poi si apre e le <strong>di</strong>ta si allungano mentre<br />
la cornetta saetta verso il muro. Ma non si rompe, ferisce<br />
l’intonaco e poi, richiamata dal filo - neppure un elastico<br />
- se ne torna a pendere davanti alla tastiera dei numeri<br />
e allo scaffalino degli elenchi.<br />
106<br />
Appena rimetto la cornetta a riposo il telefono squilla.<br />
– Lucina… – <strong>di</strong>co con bocca impastata.<br />
– Lucina?! Ma che cazzo Lucina!<br />
Rimango muto.<br />
– Vanni! Cazzo! Vanni!<br />
– Presidente…<br />
Non capisco ma riconosco la voce.<br />
– Visco… porca troia…<br />
Il presidente, il figlio del cavalier Antoni, che quando<br />
urla gela sempre il sangue a tutti.<br />
– Sì presidente…<br />
Balbetto.<br />
– Visco… brutto figlio <strong>di</strong> puttana… figlio <strong>di</strong> troia maledetto…<br />
<strong>di</strong>mmi che non è vero… <strong>di</strong>mmi che non è vero…<br />
o ti faccio spezzare subito le gambe… le gambe ti faccio<br />
spezzare…<br />
– Co… cosa signor presidente…<br />
Continuo a non capire.<br />
– Vieni subito qua! Maledetto figlio <strong>di</strong> puttana! Subitooo!<br />
– Sì signor presidente…<br />
Sono nel panico.<br />
– Anzi no, stai fermo lì… stai fermo lì cazzo…<br />
– Sì signor presidente…<br />
– Fermo lì che sto arrivando io… e tu brutto figlio <strong>di</strong><br />
puttana datti una mossa… pigia su quel cazzo <strong>di</strong> acceleratore…<br />
Il brutto figlio <strong>di</strong> puttana è Ignazio, il suo autista, quello<br />
fissato con il full contact.<br />
– Brutto pezzo <strong>di</strong> merda… che cazzo è questa storia…<br />
107
Il presidente urla nel mio salone, urla e sventola un giornale.<br />
Urla mentre Ignazio ha i pugni conserti. Attende solo<br />
un or<strong>di</strong>ne.<br />
Cerco <strong>di</strong> chiedere ma lui non mi fa parlare.<br />
– Ti sei venduto agli altri eh? vero?… maledetta serpe in<br />
seno… leggi, leggi, leggi brutto stronzo…<br />
E fa per darmi il giornale.<br />
– Anzi no… leggo io…<br />
E lo apre.<br />
– Ma che cazzo leggo… tanto lo so a memoria… sai cosa<br />
<strong>di</strong>cono? sai cosa <strong>di</strong>cono? che la partita <strong>di</strong> ieri non l’hai voluta<br />
giocare perché tanto qui per te è finita che il prossimo<br />
anno te ne andrai dagli altri… figlio <strong>di</strong> puttana… <strong>di</strong>cono<br />
che ti hanno offerto miliar<strong>di</strong>… maledetto!… <strong>di</strong>cono che<br />
tanto dal prossimo anno sarai libero… e potrai fare quello<br />
che vuoi… bastardo…<br />
– Non è vero!<br />
Tremo ma sono deciso.<br />
E il presidente sembra una locomotiva in partenza.<br />
Sbuffa.<br />
– Ah non è vero? Ah, non vero?<br />
– Non è vero…<br />
Tremo ancora ma sono sempre deciso.<br />
– Senti brutto pezzo <strong>di</strong> merda… a chi cazzo vuoi prendere<br />
per il culo…<br />
– Sono cazzate dei giornalisti…<br />
Quelli tanto hanno sempre fatto così.<br />
– Cazzate dei giornalisti?! Ah cazzate dei giornalisti… o<br />
cazzate tue?<br />
– Loro.<br />
108<br />
– Ah loro… allora non è vero che hai detto a Demetrio<br />
che ti hanno offerto l’impossibile per andare via.<br />
Quasi svengo ma reggo.<br />
– Sì è vero… ma…<br />
– Ma cosa?<br />
Il presidente è una superlocomotiva.<br />
– Ma cosa? Ma cosa!? Cosa cre<strong>di</strong> che Ettore non me lo<br />
abbia detto… ah cosa cre<strong>di</strong>? <strong>di</strong> essere furbetto?<br />
– Ma gli ho detto <strong>di</strong> no…<br />
La locomotiva frena.<br />
– No?<br />
– No, gli ho detto subito <strong>di</strong> no.<br />
E riprendo fiato.<br />
– Gli hai detto subito <strong>di</strong> no…<br />
Il presidente guarda Ignazio, Ignazio guarda me e il<br />
presidente.<br />
– No, gli hai detto <strong>di</strong> no…<br />
Anche il presidente riprende fiato.<br />
– No no? O no cosa?<br />
– No, resto qua.<br />
E vorrei mordermi la lingua.<br />
– Però… però quelli ci hanno provato? Ci hanno provato,<br />
sì?<br />
– Sì, ma io non ho mai pensato <strong>di</strong> andare via…<br />
Poteva essere la mia via <strong>di</strong> fuga. Clic e via dalle scatole.<br />
Gli potevo <strong>di</strong>re sì e forse ne sarei uscito per sempre, via da<br />
questo incubo. Fuori dal pallone.<br />
– Glielo avrei detto, presidente…<br />
Ma non sono mai stato <strong>di</strong>sonesto.<br />
Anche se per lui fa lo stesso.<br />
– Quin<strong>di</strong>… quin<strong>di</strong>… se ti faccio firmare tu rifirmi?<br />
109
Il presidente è un tipo pragmatico, come mio padre prima<br />
che l’occhio gli scivolasse giù.<br />
– Certo…<br />
Eccomi sono nel mio salone con il presidente che se la<br />
ride, con il suo autista figlio <strong>di</strong> puttana che se la ride.<br />
– Guarda Vanni, io non so se tu lì ci dovevi andare davvero<br />
o no… frega un cazzo… se mi volevi fottere o meno…<br />
tu domani firmi e questo è quello che conta.<br />
Firmo, firmo. Non voglio passare per <strong>di</strong>sonesto, <strong>di</strong>sonesto<br />
mai.<br />
– Ascolta Vanni…<br />
Il presidente quasi mi stacca via la guancia con un pizzico.<br />
– Ricordati, mai fare confidenze ai giornalisti…<br />
E se la ride ancora.<br />
– Io non ho mai parlato con i giornalisti…<br />
Vorrei stenderlo a terra con una scarica <strong>di</strong> cazzotti ma<br />
poi con Ignazio sarebbe più tosta.<br />
– Lo so, lo so Vanni… tu no.<br />
E gli vorrei far ingoiare le loro risate che carambolano<br />
nel mio salone.<br />
* * *<br />
Quello è uno dei pochi giornali che conservo, <strong>di</strong> quel<br />
periodo <strong>di</strong>co. Quello dell’intervista a Demetrio dopo Pasqua.<br />
E ho pure preso l’evidenziatore e ho segnato domande<br />
e risposte, quelle che poi hanno scatenato una settimana<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>battiti tv e rogne e lagne e urla negli stu<strong>di</strong> e negli<br />
sta<strong>di</strong>.<br />
«Allora va via?<br />
110<br />
Sì, dalla prossima stagione vado a prendere il ruolo che<br />
mi compete. Anche se mi <strong>di</strong>spiace lasciare questa grande<br />
città e voglio ringraziare il nostro presidente, il mio mister,<br />
la squadra e tutta la tifoseria che mi hanno regalato<br />
anni d’oro.<br />
Perché va via solo oggi?<br />
Perché qualcuno aveva messo il suo veto. O me o lui.<br />
E alla fine hanno scelto lei.<br />
Evidentemente sì. Evidentemente non hanno ceduto ai<br />
ricatti <strong>di</strong> chi rischia <strong>di</strong> essere solo un fuoco <strong>di</strong> paglia. Hanno<br />
fatto le loro valutazioni e alla fine hanno scelto. E sono<br />
contento <strong>di</strong> arrivare in questa grande città e voglio ringraziare<br />
il mio nuovo presidente, il mio nuovo mister, la<br />
squadra e tutta la tifoseria che mi hanno regalato questo<br />
grande sogno. E mi <strong>di</strong>spiace se qualcuno ora si sta mangiando<br />
le mani. Ma sono uno sportivo e so perdonare. Come<br />
sono sicuro che i miei vecchi tifosi sapranno capire<br />
questa mia scelta. E sono contento <strong>di</strong> lasciare in armonia<br />
questa grande città e voglio ringraziare il mio vecchio presidente,<br />
il mio vecchio mister, la squadra e tutta la tifoseria<br />
che mi hanno concesso <strong>di</strong> realizzare questo grande sogno.<br />
Vi davano per inseparabili amici.<br />
Cosa vuole che le <strong>di</strong>ca, evidentemente la gelosia è una<br />
brutta bestia.»<br />
111
Do<strong>di</strong>cesimo pezzetto<br />
Viaggiare mi è sempre piaciuto viaggiare. Con la Nazionale<br />
ho visto quasi tutto il mondo. Ho visto aeroporti: sale<br />
d’attesa Vip, moquette e carta da parati. Pantofoline in<br />
panno, cuffiettine, occhialini, salviettine, monoporzioni<br />
<strong>di</strong> tè, caffè, zucchero, crema, burro e marmellata.<br />
Questa delle monoporzioni l’ho letta da qualche parte e<br />
anche la mia vita è tutta una monoporzione, <strong>di</strong> benzina<br />
solvente. Sì perché tutte quelle bustine da strappare hanno<br />
tutte odore <strong>di</strong> officina <strong>di</strong> carrozziere. E non è una mia<br />
fissa: tè alla benzina uguale a salvietta profumata. È l’involucro<br />
che le frega e quel conservante per tenerle in vita<br />
fatto <strong>di</strong> fossili marciti e macinati e alla fine liquefatti e <strong>di</strong>stillati.<br />
Ho visto alberghi con quello stesso odore: frigobar,<br />
cassaforte numerazione automatica, tv satellitare, pornonoleggi.<br />
Pantofoline in panno, cuffiettine, occhialini, salviettine,<br />
tè, caffè, zucchero, crema, burro, marmellata,<br />
cioccolata, club sandwich in camera. Noccioline sottovuoto.<br />
– Guai!<br />
I nostri accompagnatori sono peggio <strong>di</strong> Ottavio con il<br />
suo cirneco e la prof Cardìa, rachitica.<br />
– Guaai! Per voi c’è la nostra roba.<br />
E noi ritornavamo a cuccia. E il frigobar sigillato e il<br />
113
club sandwich al primo morso. E solo il cibo degli sponsor.<br />
La pasta come a casa, la <strong>di</strong>eta me<strong>di</strong>terranea. E tutta la<br />
tiritera.<br />
Non le ho mai capite queste nostre <strong>di</strong>ete. Mai. Con gli<br />
inglesi che si iniettavano la birra e giocavano ore sotto il<br />
sole: dritto rovescio, dritto rovescio. Prima della partita<br />
tornei <strong>di</strong> tennis si facevano. E poi si facevano noi.<br />
Mai capite. Con i sudamericani con due occhi così che<br />
poi ci facevano ballare la rumba e pure la samba.<br />
Per fortuna che gli altri non hanno mai avuto uno come<br />
me. Un Vanni Visco. Quello che poi riaggiusta tutto. O<br />
quasi.<br />
Io il mon<strong>di</strong>ale non l’ho mai vinto. Una volta terzi e l’altra<br />
quarti. Perché questo è un gioco <strong>di</strong> squadra mica per<br />
caso. Ma qui sembra se lo siano scordati. Da queste parti,<br />
squadra, sembra una parola maledetta. Inutile. Senza senso.<br />
A volte sarei voluto salire in un altro pullman. Come facevano<br />
certi atleti dell’est. Si imbucavano, sgattaiolavano<br />
e una volta dentro urlavano: Chiedo asilo politico! Che<br />
sembrava quel gioco: Tocco! Chiesa, Libero tutti! E via in<br />
un altro mondo.<br />
A volte sarei voluto salire nel pullman che andava nella<br />
<strong>di</strong>rezione opposta. Mettermi in coda <strong>di</strong>etro gli inglesi e gli<br />
accompagnatori degli inglesi con i cognacchini mignon e<br />
le noccioline sottovuoto sempre in bocca. Monoporzioni<br />
ma con un altro odore.<br />
E una volta l’ho pure fatto.<br />
Dài, portatemi con voi. E tutti si sono messi a ridere<br />
quando mi hanno visto seduto in prima fila. E tutti hanno<br />
114<br />
pensato a uno scherzo e giù a ridere e pacche e risate e<br />
scambi <strong>di</strong> maglie. E Viscoo pronunciato come nelle comiche.<br />
E gli inglesi, che se la ridono sempre, mi hanno pure<br />
messo in prima pagina. Affianco all’articolo <strong>di</strong> una che,<br />
non so chi della famiglia reale, non so cosa le avevano fatto.<br />
Ma aveva mezzo seno <strong>di</strong> fuori.<br />
Io avevo tutta l’anima <strong>di</strong> fuori in quella foto, con un sorriso<br />
<strong>di</strong>sgraziato e con gli occhi che <strong>di</strong>cevano: Portatemi<br />
con voi, portatemi con voi. Ma tutti hanno pensato a uno<br />
scherzo, da campione.<br />
E invece ci sarei voluto andare davvero e non tornare<br />
mai più. Non so se lì fosse meglio, non so. A me, che ho visto<br />
solo spogliatoi e sta<strong>di</strong>, che ho acciuffato tutto, tutto il<br />
resto per pochi minuti dal finestrino della corriera, a me<br />
sembrava meglio.<br />
Ho visto spogliatoi e sta<strong>di</strong>. Ho visto stu<strong>di</strong> televisivi e<br />
qualche corsia d’ospedale. Negli ospedali ci hanno sempre<br />
portato per far visita a bambini lebbrosi, bambini positivi,<br />
sieropositivi, bambini con malattie che non avevo<br />
mai sentito e che non voglio più sentire.<br />
Portavamo i regali, qualche maglia oppure facevamo<br />
qualche palleggio per farli sorridere un secondo, ma solo<br />
un secondo.<br />
C’è una squadra in centro Africa che porta il mio nome<br />
Vanni Visco Football Club. Gli altri, i miei compagni con<br />
la maglia azzurra, li hanno ribattezzati i Pinocchietti perché<br />
le mine su cui sono saltati in aria gli hanno strappato<br />
via una o due gambe. Così corrono e giocano grazie alle<br />
protesi <strong>di</strong> legno, i Pinocchietti. Li chiamano così alle mie<br />
spalle, perché davanti a me non osano. Però quando sia-<br />
115
mo scesi in campo tutti tenuti per mano con le magliette<br />
<strong>di</strong> solidarietà sponsorizzate dalla <strong>di</strong>tta <strong>di</strong> palloni qualcuno<br />
si è pure commosso. Qualcuno.<br />
Alla Nazionale credevo non ci sarei mai arrivato. E zio<br />
Nannino lo atterrò un micro infarto quando sentì il tiggì.<br />
Così mio padre se lo ritrovò per qualche settimana a fargli<br />
compagnia. Mio padre che migliorò con l’umore quando<br />
gli portai in clinica le sue pelli, i suoi arnesi e tutti i libri ancora<br />
da scuoiare e ricucire.<br />
Ora fa un po’ più <strong>di</strong> fatica perché l’occhio resta sempre<br />
giù. Ma almeno impegna la mente, <strong>di</strong>ce la suora.<br />
Secondo me impegna solo i muscoli ma tanto che importanza<br />
ha.<br />
Oggi qua giù negli spogliatoi non ha più importanza<br />
nulla. E tutto scorre come se non fosse passato sulla mia<br />
pelle. Mi rivedo portato in trionfo, mi rivedo con le coppe<br />
in mano. Mi osservo mentre scambio la mia maglia zuppa<br />
<strong>di</strong> sudore con un’altra maglia più puzzolente.<br />
Ecco, qua giù della Nazionale mi rimangono gli odori.<br />
E forse perché questa storia degli odori che si imprimono<br />
nella mente, nello scomparto dei ricor<strong>di</strong>, la devo aver letta<br />
da qualche parte. Di sicuro alla libreria Rocca che ha sempre<br />
conservato in bella mostra tutte le mie cartoline con il<br />
timbro postale <strong>di</strong> altri pianeti.<br />
Ecco, fu forse allora che tutto iniziò a precipitare, <strong>di</strong> ritorno<br />
da un giro negli altri mon<strong>di</strong>. Lo ricordo bene.<br />
* * *<br />
Altro pianeta, a nord <strong>di</strong> qui. Ci piombo col buio e quando<br />
l’aereo apre le nuvole sfiora un tappeto infinito <strong>di</strong> luci.<br />
116<br />
Lo stomaco si risveglia e fa male. E non vedo la fine <strong>di</strong><br />
questo immenso campo <strong>di</strong> lucciole ad alto voltaggio.<br />
Ogni luce è una casa, una vita, due vite, tre vite. Ogni bagliore<br />
è un’attesa <strong>di</strong> morte, due morti, tre morti.<br />
Una affianco all’altra, separate da muri mattoni e giar<strong>di</strong>netti<br />
steccati che ora non vedo ma che le luci <strong>di</strong>segnano,<br />
rettangoli su rettangoli.<br />
A volte sarei voluto essere mosca, o ape, o zanzara o formica<br />
o qualsiasi altro cosino inutile e invisibile ed entrare<br />
in ogni casa e spiare in ogni stanza e <strong>di</strong>etro ogni porta.<br />
E questa se non è proprio una cosa banale è qualcosa<br />
che in molti vorrebbero.<br />
Ma qui la curiosità morbosa e ficchetta nulla c’entra.<br />
Qui nel mio cervello c’è un altro interruttore che scatta.<br />
Perché questa non me la spiego, perché questa non me<br />
la sono mai spiegata. Questa dell’alveare del mondo e delle<br />
città e che solo dall’alto ve<strong>di</strong> comme<strong>di</strong>a e trage<strong>di</strong>a sfregarsi<br />
e mai toccarsi e mai influenzarsi <strong>di</strong>vise solo da due<br />
peli <strong>di</strong> erba, un muro <strong>di</strong> legno e cemento.<br />
Uno: pensare ora in queste case quanti stanno infiammando<br />
anima e carne. Due: pensare ora quanti in queste<br />
case se le stanno dando <strong>di</strong> santa ragione e il marito gonfia<br />
la moglie e lo zio tocca la nipote. Tre: pensare ora quanti<br />
in queste case hanno i pensieri aguzzi assassini del sonno e<br />
stanno cercando una soluzione. Quattro: pensare quanti<br />
in queste case stanno cercando qualcuno, quanti si stanno<br />
accontentando e quanti non si accontenteranno mai. Cinque:<br />
pensare quanti in queste case non vedranno domani.<br />
E questa <strong>di</strong>stesa <strong>di</strong> luci mi abbaglia e mi scatena lava e<br />
terremoto dello stomaco.<br />
Forse la colpa è delle mie antenne che hanno già perce-<br />
117
pito che qui non ci sarà solo un’amichevole con quelli che<br />
il calcio l’hanno inventato e io qui sarei voluto nascere o<br />
magari scapparci. Magari su uno <strong>di</strong> quei pullman.<br />
La partita non conta questa volta. Se mai per me è potuta<br />
contare. Ogni tanto si fa così, per fare spettacolo, per<br />
fare incassi, per annusarsi. E si fa <strong>di</strong> notte perché qui e giù<br />
da noi possano ingozzarsi gli occhi e lo stomaco. Birrette,<br />
patatine, salatini e botte al pallone. E saloni con tutte le famiglie<br />
riunite per questa Inghilterra-Italia.<br />
La partita è finita e sono al bar dell’albergo che bevo<br />
una cosa gassata con molto ghiaccio. Gli altri sono già a<br />
letto, esausti mentre io preferisco odorare un po’ queste<br />
moquette che fasciano tutto senza ritegno. Pavimenti, pareti,<br />
mobili persino i bagni. Leggo depliant e li annuso<br />
perché sanno <strong>di</strong> una muffa-carta tutta <strong>di</strong>versa.<br />
Quasi non bado al tipo in <strong>di</strong>visa da ufficiale da stanza <strong>di</strong><br />
lusso con bagno che cerca <strong>di</strong> far <strong>di</strong> tutto perché io ba<strong>di</strong> a<br />
lui. Ma ho il naso su due fogli plasticosi e sto per tirare<br />
fuori la lingua e provare il gusto che avrà.<br />
– Mister Visco, una telefonata per lei.<br />
E parla un italiano perfetto.<br />
– Una telefonata per lei.<br />
Crede che non abbia capito ed è colpa della mia faccia.<br />
– Una telefonata della signora Na<strong>di</strong>a Reif von Kutschera.<br />
E lo guardo ancora più stranito.<br />
– Per me?<br />
– Sì, per lei signore.<br />
E mi porge un cordless scintillante.<br />
118<br />
– Ma è sicuro?<br />
– Certo signore. Ha chiesto <strong>di</strong> lei. Preferisce che <strong>di</strong>ca<br />
che non è in stanza e non riesco a rintracciarla?<br />
Questo nome non mi <strong>di</strong>ce nulla e potrei anche negarmi.<br />
Ma la curiosità mi travolge, questa volta. E faccio cenno <strong>di</strong><br />
passarmi il telefono.<br />
Il tizio ufficiale in <strong>di</strong>visa mi sorride, preme un tasto e<br />
questo pezzo <strong>di</strong> plastica e bottoni si illumina. Sorride e<br />
borbotta alla cornetta che sì mi ha rintracciato e che ora<br />
sarò in linea. Mi fa un inchino e mi cede strumento e parola.<br />
– Pronto?<br />
E sono curioso.<br />
– Buonasera Vanni.<br />
La sua voce aritmetica non mi <strong>di</strong>ce nulla, solo che ha un<br />
forte accento straniero questo suo italiano.<br />
– Non è stato facile trovare il tuo albergo…<br />
E ascolto.<br />
– E neppure fare questa telefonata ma alla fine ho creduto<br />
che fosse giusto così…<br />
– Giusto cosa?<br />
– Non mi hai riconosciuto Vanni?<br />
– E no.<br />
E faccio mente locale ma questo nome, Na<strong>di</strong>a, e questa<br />
sfilza <strong>di</strong> cognomi, Reif von Kutschera, non mi <strong>di</strong>cono assolutamente<br />
nulla.<br />
Na<strong>di</strong>a ballerina. Na<strong>di</strong>a giornalista. Na<strong>di</strong>a pubblicitaria.<br />
Na<strong>di</strong>a moglie <strong>di</strong> qualche compagno. Na<strong>di</strong>a parente lontana.<br />
Na<strong>di</strong>a Nulla. Il vuoto.<br />
– Eppure a casa tua sono restata quasi un mese quell’estate<br />
con Gigi…<br />
119
La mia bocca si impasta, il mio cervello è una centrifuga.<br />
– La tipa della foglia…<br />
Mi esce così, naturale. Na<strong>di</strong>a della foglia.<br />
– La cosa?<br />
Il suo italiano si intorcina ma capisco che non capisce.<br />
– Scusa, ma io il tuo nome non l’ho mai saputo…<br />
Per Gigi era solo la Tedesca e mi in<strong>di</strong>cava le gambe rasate<br />
e mi strizzava l’occhio. E io non gli ho mai sentito un<br />
nome ma solo baby <strong>di</strong> qua e baby <strong>di</strong> là.<br />
– Non fa nulla, sono passati tanti anni, troppi anni. Non<br />
ti ricor<strong>di</strong> neppure <strong>di</strong> quella sera al concerto? Ma non fa<br />
nulla. La verità è che non sapevo neppure se ti avremmo<br />
dovuto chiamare. Alla fine l’ho fatto e… insomma… vorrei<br />
incontrarti, sai Gigi…<br />
La mia testa è un frullatore che cerca <strong>di</strong> afferrare poltiglia<br />
ma gira a vuoto e rischia <strong>di</strong> fondere facendo girare le<br />
sue pale taglienti nel nulla.<br />
– Io domani sera parto…<br />
Prendo le <strong>di</strong>stanze, mi <strong>di</strong>fendo.<br />
– Allora facciamo domani mattina…<br />
E non mi dà neppure il tempo <strong>di</strong> ribattere:<br />
– Domani mattina alle 10 saremo da te. Grazie Vanni, ci<br />
conto.<br />
E chiude. E io rimango con questo pezzo <strong>di</strong> plastica e<br />
tasti fluorescenti in mano. La luce pian piano svanisce, i<br />
tasti tornano a riposo e io no.<br />
Non ho chiuso occhio stanotte. Pensieri bastar<strong>di</strong>. E ora<br />
attendo che compaia questa stanga bambina che più bambina<br />
non sarà. Attendo e rifletto e mi chiedo perché<br />
120<br />
chiunque possa fare <strong>di</strong> me ciò che vuole. Compresa questa<br />
che è nulla e che ora mi costringe a stare qui ad aspettare<br />
mentre gli altri se la prendono con calma e si preparano<br />
per il pranzo all’ambasciata.<br />
Meno male che almeno li o<strong>di</strong>o i pranzi all’ambasciata.<br />
Ci sono quelli che hanno fatto fortuna fuori, ci sono i notabili<br />
e i farisei, i banchieri e gli uomini illustri, le donne illustri<br />
e quelle solo lustre, e giornalisti corrispondenti,<br />
traffichini e trafficoni, e l’attore che qui ha fatto solo due<br />
pubblicità, il pittore che da noi nessuno ricorda e lo scrittore<br />
che nessuno ha mai ricordato. C’è la carne e il brodo,<br />
che fa spazio ma non sostanza. Ci sono quelli che non ne<br />
possono più <strong>di</strong> pranzi e cene all’ambasciata e quelli che li<br />
aspettano per poter mangiare, e non solo cibo, e metterli<br />
nel curriculum. Andato a pranzo ambasciata stretto mano<br />
a capo <strong>di</strong> stato.<br />
Li o<strong>di</strong>o i pranzi all’ambasciata e questa volta sono riuscito<br />
a scamparla, avrei preferito in un’altra maniera. Devo<br />
incontrare la moglie <strong>di</strong> mio fratello, ho detto, e siccome<br />
tutti lo sanno, tutti sanno quello che è accaduto - il canale<br />
<strong>di</strong> Amsterdam, il cadavere palloncino, l’overdose, i pesci<br />
voraci e tutta la tiritera - nessuno ha osato chiedermi <strong>di</strong><br />
più.<br />
E o<strong>di</strong>o anche me stesso, me stesso che avrebbe dovuto<br />
incollarla al telefono quella tedesca là e raschiarle l’orecchio:<br />
mi cerchi ora? mi cerchi dopo tutti questi anni? e tu<br />
dove eri quella notte ad Amsterdam mentre lui moriva<br />
affogato d’eroina e acqua lurida e maledetta? e ora cosa<br />
vuoi da me? sol<strong>di</strong>? cosa mi vuoi mostrare? <strong>di</strong>ari spaccia<br />
lacrime? foto sbia<strong>di</strong>te? cosa vuoi da me? perdono o condanna?<br />
bambina puttana.<br />
121
Quasi prendo a calci un poggia pie<strong>di</strong> da poltrona quando<br />
l’ufficiale con la <strong>di</strong>visa da stanza lusso stamattina mi<br />
guarda e crede che sia un tic da calciatore campione. Mi<br />
guarda e affianco a lui c’è un tipo magro e poco alto. C’è<br />
un tizio che nuovo non mi è. Ha gli occhi azzurri azzurri e<br />
uno strano cappello in testa. Uno <strong>di</strong> quelli che non saprei<br />
proprio. Uno <strong>di</strong> quelli da pop star, per nulla martire.<br />
Mi tende la mano e pronuncia un nome che non capisco.<br />
Avrà sì e no la mia età. Gli tendo la mano e sibilo il<br />
mio. Lui si illumina e mi sorride e non mi lascia la mano. E<br />
tartaglia altre cose - perché questa lingua è tutta una balbuzie<br />
- mentre intorno a noi quasi tutti gli ufficiali in <strong>di</strong>visa<br />
dell’albergo ci circondano e sorridono. Sprizzano premura<br />
come se fossimo due bambini ai primi passi e uno<br />
dei due potrebbe piombare con il culo in terra da un momento<br />
all’altro. Come se fossimo roba fragile, ci trattano.<br />
Le mie antenne mi <strong>di</strong>cono che questo è un incontro fra<br />
capi <strong>di</strong> stato, quelli scelti dal popolo. E che mi sa che questo<br />
è un evento. Il calciatore più famoso e…<br />
Solo ora, solo ora che sono sulla sua Ferrari nera - ho<br />
letto che ne ha altre tre - so con chi sono. Anche se dei suoi<br />
Cd solo due ne ho.<br />
Non parla e mi sorride. Non parla e lascia che il motore<br />
canti e che io mi guar<strong>di</strong> questa città. Supera quartieri e<br />
quartieri che tutti conoscono e non sto a raccontare. Supera<br />
gente e gente <strong>di</strong> ogni pianeta che tutti immaginano e<br />
non sto a raccontare. E ogni curva presa al contrario lo<br />
stomaco si ribalta e ogni rettilineo bruciato a mille l’ansia<br />
cresce e mi travolge e mi chiedo dove mi sto facendo portare.<br />
Mi sto facendo portare in una villa ottocento lontano<br />
122<br />
dalle vie intasate, oltre un cancello ottocento rianimato<br />
dall’elettricità. Oltre un salone infinito e una scala ancora<br />
<strong>di</strong> più. Davanti a una ex bambina stanga che credo proprio<br />
l’ultima cosa che vorrà da me sono i sol<strong>di</strong>.<br />
Lui la bacia, lei lo bacia. Lui le accarezza il viso e lei trema.<br />
E ha lo stesso viso <strong>di</strong> quando facevamo la colazione<br />
insieme nella cucina della mia casa e mio fratello mi strizzava<br />
l’occhio e mi in<strong>di</strong>cava <strong>di</strong> nascosto le gambe rasate:<br />
Tedesca. Mille anni fa.<br />
Lei tiene gli occhi bassi, come sempre ha fatto. E lui le<br />
sistema i capelli e sembrano due sposi ragazzini che devono<br />
annunciare il loro matrimonio a una bestia che deve<br />
solo scegliere a chi dei due sbranerà per primo il cuore. La<br />
bestia sono io in pie<strong>di</strong> in questa casa <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> e storia ma<br />
l’unica cosa che vorrei <strong>di</strong>vorare è me stesso e la mia curiosità.<br />
– Sei sempre stato un bambino sensibile…<br />
E quel sensibile glielo vorrei far ingoiare.<br />
– Un bambino speciale…<br />
Anche questo vorrei farle ingoiare.<br />
– Infatti sei <strong>di</strong>ventato un uomo speciale, Gigi lo <strong>di</strong>ceva<br />
sempre…<br />
Lascia stare Gigi, vorrei <strong>di</strong>rle.<br />
– Non sapevamo, non potevamo sapere, ci sembrava un<br />
gioco…<br />
Condanna o assoluzione?<br />
– Ci siamo fatti prendere la mano…<br />
Si interrompe e trema. E provo pietà e forse si vede dal<br />
mio viso perché lei ora guarda lui che sorride e sorride anche<br />
a me.<br />
– Io mi sono salvata grazie a Jay…<br />
123
Finalmente mi ricordo il suo nome, il nome della pop<br />
star, che sui suoi <strong>di</strong>schi è un’altra sigla, tipo tribù in<strong>di</strong>ana.<br />
– E grazie a…<br />
E non parla più ma si sposta verso un corridoio poco illuminato<br />
e la seguiamo con Jay che mi appoggia una mano<br />
sulla spalla.<br />
Na<strong>di</strong>a apre una porta ed entriamo in una stanza invasa<br />
dalla luce. Un fascio bianco abbacinante, accecante, amplificato,<br />
irra<strong>di</strong>ato da una vetrata senza fine, quasi uno<br />
schermo che trasmette oltre questi vetri un prato smeraldo.<br />
E non c’è finzione ma solo una strana realtà. In mezzo,<br />
tra la vetrata appena aperta e il prato, travolto dalla luce<br />
bianca ci sono Io. Io seduto sul parquet scuro con la faccia<br />
immersa in un libro <strong>di</strong> colori e parole. Io vent’anni fa. E<br />
quasi muoio. E Io alza lo sguardo e ha i miei occhi neri neri<br />
e profon<strong>di</strong> e ha le mie sopracciglia prima grosse poi fini<br />
e arcuate e ha le mie <strong>di</strong>ta lunghe e affusolate che spostano<br />
il nostro ciuffo <strong>di</strong> capelli neri e sorride con i nostri canini a<br />
punta muovendo in avanti il nostro mento un po’ pronunciato<br />
e facendo tremare le nostre labbra che si aprono solo<br />
quando vogliono loro, su questa pelle scura.<br />
Io e me stesso, uno davanti all’altro. Poi Io <strong>di</strong>ce qualcosa<br />
e ritorna con la faccia sul libro.<br />
– Volevo solo che lo vedessi, questo nostro figlio. Mio e<br />
<strong>di</strong> Jay.<br />
E lei si stringe a Jay che la bacia sui lunghi capelli bion<strong>di</strong>.<br />
– È nato tre mesi dopo che Gigi… e ora è nostro figlio.<br />
Solo nostro. Ma credevo fosse giusto che lo vedessi.<br />
E il suo italiano aritmetico è perfetto e anche le sue intenzioni,<br />
il suo scopo e il suo fine. Ma anche l’aritmetica<br />
124<br />
ha i suoi ce<strong>di</strong>menti. Ecco perché sono qua. Sono solo un<br />
ce<strong>di</strong>mento matematico.<br />
Jay poggia la sua mano sul mio fianco e fa una leggera<br />
pressione. Io guardo Na<strong>di</strong>a e non <strong>di</strong>co nulla. Come potrei.<br />
E non faccio nulla. Come potrei. Anche questo è un<br />
piccolo pezzetto <strong>di</strong> me che se ne va.<br />
Ci avviamo verso l’uscita. In silenzio. Perché non ho<br />
neanche nulla nella mia testa da poter ripetere e che mi<br />
possa aiutare.<br />
E l’unica cosa che mi esce prima <strong>di</strong> risalire su questa auto<br />
nera è un Grazie. Ma avrei voluto <strong>di</strong>re <strong>di</strong> più e chiedere<br />
e farmi spiegare e accampare pretese e altro che grazie.<br />
Ma come potrei, come potrei. E sono così schiavo degli altri<br />
che non chiedo neppure un nome, il nome <strong>di</strong> Io<br />
vent’anni fa.<br />
125
Tre<strong>di</strong>cesimo pezzetto<br />
La mente non l’ho fermata mai, i muscoli sì, qualche<br />
volta.<br />
A fine <strong>campionato</strong>.<br />
Li guardo questi muscoli e sembra che abbiano avuto<br />
una vita propria. Grande pettorale, piccolo pettorale, retto<br />
dell’addome, traverso dell’addome, quadrato dei lombi,<br />
deltoide, sopraspinato, sottospinato. Ritmi propri, esigenze<br />
tutte loro. Bicipite, tricipite, coraco-brachiale, brachiale.<br />
Lo so perfettamente e non sono ricor<strong>di</strong> tanto lontani.<br />
L’ultima volta è accaduto pochi mesi fa. Alla fine della festa,<br />
fra ban<strong>di</strong>ere e giri <strong>di</strong> campo e urla e battimani. Il teatrino<br />
della gioia. E tutti a urlare, tutti loro. Perché io sono<br />
fuggito negli spogliatoi con la scusa dell’invasione <strong>di</strong> campo.<br />
Abbiamo fatto il nostro dovere, no? L’abbiamo fatto<br />
perché con quello che ci danno ci mancherebbe altro, ci<br />
siamo presi pure la sod<strong>di</strong>sfazione e mo basta.<br />
E invece no, baci e abbracci. Baci e abbracci. E quanto<br />
siamo stati bravi e quanto siamo campioni. E quanti <strong>di</strong> noi<br />
il prossimo anno saranno qui? e l’anno prossimo bastar<strong>di</strong><br />
avversari? Ma che cazzata è? Ma che <strong>di</strong>avolo <strong>di</strong> cazzata è<br />
questa? Che faccio brindo col nemico? mai.<br />
Anche se nemico <strong>di</strong> arena, sempre nemico è. Me lo han-<br />
127
no insegnato loro. Fosse stato per me, se proprio avessi<br />
dovuto dare sfogo al mio fisico, all’indole del mio corpo,<br />
al massimo avrei militato - si <strong>di</strong>ce così, militato - nella<br />
squadra dei frati con i capelli lunghi da rockstar martire.<br />
Al massimo.<br />
Ma visto che qui mi hanno ficcato in testa le loro regole,<br />
be’ le loro regole <strong>di</strong>cono che l’avversario è avversario.<br />
Punto e basta. E quella <strong>di</strong> buttare fuori il pallone quando<br />
uno è a terra, quella <strong>di</strong> restituire la palla è l’unica farsetta<br />
rimasta in pie<strong>di</strong> delle vecchie regole che oggi hanno <strong>di</strong>vorato.<br />
E poi uno alla fine ci perde pure la testa, con queste girandole<br />
<strong>di</strong> maglia. Quello che ti doveva lanciare in rete sei<br />
mesi fa, oggi è quello che ti deve gambizzare prima <strong>di</strong> arrivarci,<br />
alla rete.<br />
Uno si perde in questa corsa forsennata all’ingaggio migliore.<br />
La mano stretta ieri, la sciarpetta al collo con i colori<br />
della società all’arrivo in aeroporto per uno scatto dei<br />
fotografi, per una ripresa della tv, è un patto che può valere<br />
solo sino a domani.<br />
Quin<strong>di</strong> non ho festeggiato. E tutti l’hanno presa per l’umiltà<br />
del campione. Ma era fasti<strong>di</strong>o.<br />
Ieri come oggi me li guardo e scuoto la testa. Sartorio,<br />
quadricipite, pettineo, adduttore breve, adduttore grande,<br />
adduttore minimo. Tibiale posteriore tibiale anteriore,<br />
peroneo lungo e peroneo breve.<br />
Li guardo e tocco le ferite in rilievo su cosce e polpacci,<br />
sono i segni dell’arena e li ricordo tutti, uno per uno. Ci passo<br />
sopra le <strong>di</strong>ta e ricordo ogni botta, ogni contrasto. E mi<br />
fanno ancora male come male mi fa tutta questa mia vita.<br />
128<br />
Solo un anno sono andato in vacanza prima del tempo.<br />
Una piccola frattura in <strong>di</strong>rittura d’arrivo, una caduta con<br />
un mastino terzino appiccicato <strong>di</strong>etro la schiena. Poi<br />
quello è venuto persino a trovarmi in ospedale e pure scusa<br />
mi ha chiesto davanti alle telecamere e ai fotografi. Scusa:<br />
il tempo <strong>di</strong> due riprese e due scatti, poi si è voltato e in<br />
ospedale non l’ho più visto.<br />
Mi hanno curato a tempo <strong>di</strong> record, che se fossi stato<br />
pensionato, od operaio, o professore o qualsiasi altra cosa<br />
starei ancora lì. Invece per me, per noi, tutto sfreccia sulla<br />
corsia d’emergenza, <strong>di</strong>sgrazie e rattoppi compresi.<br />
– Fatti una bella vacanza Vanni.<br />
E me ne sarei voluto andare a vedere quello che <strong>di</strong>co io,<br />
che poi sono cose che tutti fanno. Tipo musei e quadri, tipo<br />
monumenti e storia. E invece nulla. Avevo già la mia<br />
prenotazione, la stessa prenotazione degli anni passati<br />
dove vogliono che vada, dove mi controllano.<br />
– Ma come preten<strong>di</strong> <strong>di</strong> metterti in fila davanti a un museo?<br />
E tutti i torti non avevano.<br />
– Ma hai presente chi sei? Ti assalterebbero in un secondo,<br />
non ti mollerebbero un attimo.<br />
Anche loro non mi mollano un attimo e io li ho sempre<br />
lasciati fare.<br />
* * *<br />
Li ho lasciati fare anche questa volta, stavolta, che i muscoli<br />
sono esausti davvero. Grande gluteo, me<strong>di</strong>o gluteo,<br />
piccolo gluteo. Colpa <strong>di</strong> questa botta e <strong>di</strong> questa gamba<br />
che è meglio si prenda un po’ <strong>di</strong> pensione.<br />
129
– Fatti una bella vacanza Vanni.<br />
E io la vacanza già me la faccio in questa giungla geometrica,<br />
con le palme, le piante, il verde, il fresco. Algebrico.<br />
I vialetti e il fresco e le piscine una <strong>di</strong>etro l’altra. Gli ufficiali<br />
in <strong>di</strong>visa che ti salutano e si inchinano e gli ufficiali<br />
senza <strong>di</strong>visa che controllano e provvedono e vedono perché<br />
nessuno ficchi i pie<strong>di</strong> in questa riserva. E controllano<br />
già dalla spiaggia che se per sbaglio ci finisce chi con questa<br />
storia <strong>di</strong> para<strong>di</strong>so non c’entra nulla lo prendono a randellate.<br />
Sono in vacanza da solo perché Lucina prima ha detto<br />
<strong>di</strong> sì. Era l’alba <strong>di</strong> giovedì. Poi ha detto <strong>di</strong> no, al tramonto<br />
<strong>di</strong> giovedì quando è tornata dal suo avvocato e dai suoi<br />
sensi <strong>di</strong> colpa, o forse <strong>di</strong> opportunità.<br />
– Ci stiamo perdendo, lo sto perdendo…<br />
La solita tiritera. Ma rispondo uguale.<br />
– Ci stiamo perdendo chi?<br />
E lei affonda:<br />
– Io e Raffaele.<br />
Raffaele è l’avvocato, il suo fidanzato.<br />
– Raggiungimi, allora. Solo per il fine settimana.<br />
Provo con uno sconto.<br />
– Non posso <strong>di</strong>rti <strong>di</strong> sì, forse.<br />
Lo sapevo. Suona già come un no sicuro.<br />
– Deluso?<br />
Ve<strong>di</strong> tu. Ma non le rispondo, la guardo e credo che basti.<br />
– Vanni, lo sai non posso perderlo. Ti prego cerca <strong>di</strong> essere<br />
comprensivo. Non posso perderlo. Se parto con te è<br />
la fine. Non voglio che sia la fine. Lo amo, troppo.<br />
130<br />
E io cosa sono? Merda. Avrei voluto <strong>di</strong>re, ma non <strong>di</strong>co<br />
nulla.<br />
– Però ci sentiamo eh. Mi basta un Sms a sera, una telefonata.<br />
A me no. Ma non <strong>di</strong>co nulla. E sono partito. Da solo.<br />
Ma poi solo solo non resto. Perché questa è la nostra riserva<br />
estiva e ci trovo sempre gente come me, gente peggio<br />
<strong>di</strong> me. Gente che mi passa accanto e mi sorride.<br />
– A cena da noi Vanni?<br />
E la tipa in costumino striminzito boccheggia silicone.<br />
– Abbiamo bloccato gli otto posti del Wawa-wawa restaurant.<br />
È il panzone dello scorso anno, liposoluto. Mostra i risultati<br />
della seduta chirurgica che poi sono i risultati della<br />
sua scuderia da corsa e delle sue azioni non so che.<br />
– Oh, non vorrai andare con quegli stronzi al Batabata!<br />
Il chirurgo è passato in zona occipitale a dare una rinforzatina<br />
alla criniera grigia.<br />
– Che palle il Batabata, che palle la cucina orientale.<br />
Striminzita boccheggia silicone, chissà che giochi con<br />
quei due canotti.<br />
Non parlo, sorrido e cerco la prima scusa.<br />
– Dài non farti pregare Vanni, poi si va all’anfiteatro, c’è<br />
il premio letterario. Dài Vanni siamo in giuria e ci buttiamo<br />
dentro pure te.<br />
Il Wawa-wawa e il Batabata hanno una piscina e un minigolf<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza. E li conosco bene tutti e due. Ma conosco<br />
anche Il nido delle ron<strong>di</strong>ni, la Capannuccia e il Gallery,<br />
la Baia e il Lucernino, Alba Rosa e Ganamala. Tutti i<br />
131
istoranti <strong>di</strong> questa riserva turistica li conosco bene. E conosco<br />
la loro clientela. E il loro concorso letterario <strong>di</strong> giugno<br />
all’anfiteatro dove convergono da tutti i ristoranti per<br />
<strong>di</strong>gerire.<br />
Convergono anche certi che ho visto in tivù e che tengono<br />
la rubrica nei giornali che contano. E sono amici del<br />
popolo e del padrone. Puntano qua a giugno per un primo<br />
assaggio. A giugno quando ci siamo noi ultralusso<br />
fuori stagione perché a luglio abbiamo già da fare o corriamo<br />
da altre parti o facciamo correre gli altri.<br />
Io avrei voluto fare le ferie a luglio e ad agosto nelle<br />
spiagge affollate fra l’odore del sudore e degli abbronzanti.<br />
Avrei voluto sedermi in spiaggia, sul bagnasciuga della<br />
spiaggia e guardare le ragazze che passano e misurargli<br />
tette e culo. E scegliere quella per la notte o quella da attendere<br />
qui sul bagnasciuga con la speranza che passi ancora<br />
una volta con l’amica presa per mano e che sorridano<br />
e ridacchino, ancora una volta.<br />
E invece no. Invece mi toccano sempre quelli del mio<br />
giro. Gente che fa leggi e gente che le <strong>di</strong>sfa, gente che azzanna<br />
per un emendamento e quasi si massacra. E ora sono<br />
tutti qui al Wawa-wawa o al Batabata. Poi all’anfiteatro<br />
con calciatori, modelle, giornaliste, ballerine, attrici e<br />
tutta la tiritera che ci sbattono tutti sulla carta patinata.<br />
Eccomi. Eccomi che mangio con l’ex panzone e Striminzita,<br />
Giorgio che gioca nella squadra che mi sta troppo<br />
sul culo e la fidanzata che lo porta a tutte le sue trasmissioni<br />
tv. Perché lei ha 28 anni e già quattro o cinque trasmissioni<br />
tivù. Ha iniziato che ballava su un tavolo. Ora fa<br />
ballare gli altri.<br />
Gli ha fatto fare persino la pubblicità <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> quei cosi<br />
132<br />
per il karaoke e ora Giorgio va da lei e dagli altri a cantare.<br />
E così muove il bacino, fa un giro, con un colpo del collo fa<br />
svolazzare la sua frangetta che gli copre gli occhi azzurri<br />
azzurri, batte le mani, un piede avanti e l’altro <strong>di</strong> lato. Muove<br />
il bacino e soffia sul microfono il meglio della hit parade.<br />
Stona, eh se stona. E se non stonasse non lo chiamerebbero<br />
neppure, è questo che vogliono da lui, il lato umano<br />
del campione. Peccato che lui sia convinto <strong>di</strong> far bene. E lei<br />
glielo fa credere. Chissà quante cose gli fa credere.<br />
Poi, vicino a Giorgio, c’è la tipa della destra destra, l’ultra<br />
destra, che piace anche alle donne della sinistra e infatti<br />
affianco ne ha una con un vestitino in<strong>di</strong>ano, o indonesiano<br />
o tailandese, che sembra garza e si vede tutto, ma<br />
tutto tutto.<br />
E alla fine mi eccito. E poi vedo che la Destra la guarda e<br />
la guarda male, perché lei guarda me. E io guardo lei, ma<br />
giusto perché è l’unica cosa da guardare a questo tavolo.<br />
E ora parlano <strong>di</strong> libri ma <strong>di</strong> certe cose che io manco ho<br />
sfiorato e mi fanno vomitare. E tutto possono fare ma non<br />
parlare <strong>di</strong> libri, che quello, campo mio è. Anche se qui tutti<br />
pensano che il mio campo è un altro.<br />
– Vanni, quest’anno ti voglio con noi nei box.<br />
L’ex panzone non mi molla.<br />
– Ti do un testone. Ti basta un testone?<br />
E mi chiedo perché parli come un ragazzino a un concerto<br />
rock.<br />
– Ti fai riprendere, <strong>di</strong>ci che tifi per noi. Indossi la nostra<br />
t-shirt. Un testone, solo questo per un testone. Tanto lo so<br />
che non hai il procuratore. Un testone dritto dritto nelle<br />
tue tasche. Vecchia lenza il Vanni… La sa lunga il Vanni e<br />
non passa il piattino a nessuno.<br />
133
E se la ridono e mi guardano compiaciuti e meno male<br />
che siamo agli amari. Loro sono agli amari, io non bevo,<br />
mai. Mantengo il controllo, sempre. Non mi va <strong>di</strong> mandare<br />
a risposo il mio cervello, mai. Me lo godo così il mio cervello,<br />
è la parte migliore <strong>di</strong> me e ci tengo che sfrecci come<br />
e dove vuole senza ad<strong>di</strong>tivi. Neanche minimi, neanche<br />
stagionali.<br />
Ho la cartellina in mano e ho affianco il presidente abbronzato<br />
abbronzato, ma così abbronzato che mi chiedo<br />
come faccia con quelle sue trasmissioni tivù e quella sua<br />
rubrica dei giornali che contano. Amico del popolo e del<br />
padrone.<br />
– Mai letto qualche libro?<br />
La sua voce è come l’autora<strong>di</strong>o <strong>di</strong> certi che quando passano,<br />
in macchina <strong>di</strong>co, fanno vibrare i vetri. E le ragazze<br />
bion<strong>di</strong>ne che non lo perdono mai <strong>di</strong> vista, le ancelle seguaci<br />
bion<strong>di</strong>ne che mi sa anche loro scrivono qualcosa,<br />
sghignazzano.<br />
– Mai letto qualche libro?<br />
Ripete perché la battuta piace troppo alle ancelle seguaci.<br />
– Qualcuno.<br />
Le Ancelle si fanno più strette.<br />
– Qualcuno… bene. E questi, questi qua, questi qua che<br />
ha segnati sulla sua cartella li ha mai letti?<br />
Faccio una pausa. Anche io conosco la forza delle pause,<br />
adesso. E le ancelle zummano gli occhi e lui attende<br />
guardandomi e sorridendo. Bastardo.<br />
E mi stu<strong>di</strong>o cosa <strong>di</strong>re. E rapido, veloce mi immagino cosa<br />
mi risponderà.<br />
Mi immagino <strong>di</strong> <strong>di</strong>re.<br />
134<br />
“Questo questo qua sì, e anche questo, sì pure questo…”<br />
E mi vedo mentre li depenno con la matita. Mentre lui<br />
perde un po’ del sorriso.<br />
E lo vedo che risponde verde limone, giallo itterizia.<br />
“Bene tutti li ha letti. Bene. Complimenti. Spero che le<br />
sia piaciuto anche a lei quello dell’Avvoltoio, una bella<br />
storia ambientata in Canada…”<br />
E lo so che mi vorrà tendere trappole. Tagliole arrugginite<br />
che non conoscono la pietà. E basterà solo saltare veloce<br />
perché si richiudano senza il mio piede dentro. Un<br />
rumore <strong>di</strong> vecchia ferraglia ma non <strong>di</strong> carne lesa. Avvilita<br />
e offesa.<br />
“Il tipo non si chiama Avvoltoio ma Condor e la storia è<br />
un ritratto del Cile prima della <strong>di</strong>ttatura <strong>di</strong> Pinochet,<br />
quando ancora si sperava in uno stato socialista e nella nazionalizzazione.<br />
Ovviamente si svolge in Cile e non in Canada.<br />
Ma si tratta <strong>di</strong> un lavoro artefatto, scritto a tavolino,<br />
senza cuore. Forse perché oggi l’americalatina va. Credo<br />
che lo abbia scritto una <strong>di</strong> quelle ragazze, una <strong>di</strong> quelle<br />
che era qui con noi, ma ora non vedo più. Credo quella<br />
che la aiuta nei testi della trasmissione tivù, o sbaglio?<br />
Quella, quella che ha conosciuto nei suoi corsi <strong>di</strong> scrittura<br />
creativa, o sbaglio?”<br />
E mi immagino che gli faccio perdere anche l’abbronzatura.<br />
E le vedo le Ancelle che incartapecoriscono i sorrisi.<br />
“De gustibus. Ma non mi vorrà <strong>di</strong>re che non è <strong>di</strong> grande<br />
poesia almeno questo?”<br />
E lo so che l’avrò in pugno. E godo e mi riscalda lo stomaco<br />
solo il pensiero che una volta tanto, una volta nella<br />
mia vita avrò in pugno qualcuno.<br />
135
“Questo? C’è più poesia nei miei rigori che in questo.<br />
Ma poi mi scusi, ma il tipo, questo tipo, non scriveva guide<br />
<strong>di</strong> ristoranti famosi? Sì, guar<strong>di</strong> sono quasi sicuro che è<br />
lui, mi sembra che sua madre fosse conoscente <strong>di</strong> mia zia.<br />
Sì è lui quello che ha scritto la guida dei ristoranti famosi e<br />
si è fatto accompagnare in viaggio dalla mamma, sì me lo<br />
ricordo lo ha raccontato a mia zia.”<br />
E mi immagino tutto e sono pronto alla sfida. Ho tutto<br />
programmato e calcolato. Dirò questo e risponderà quello.<br />
Sono pronto. Sto per rispondere.<br />
– Allora Visco, li ha letti o no… pronto Visco… c’è? è su<br />
questa terra? o la man<strong>di</strong>amo a prendere?<br />
Il tempo a volte è una macchina perfida.<br />
– Non si imbarazzi, se non li ha letti, lo <strong>di</strong>ca, anche io<br />
non so tirare una palla, avanti su non si vergogni… o non<br />
mi vorrà <strong>di</strong>re che ha i riflessi così lenti anche in campo…<br />
E le ancelle sono peggio <strong>di</strong> iene, avvoltoi sciacalli, mi<br />
spolpano con gli sguar<strong>di</strong>, mi scarnificano con quelle risatine.<br />
Sto per tentare il recupero in zona Cesarini, ultimi secon<strong>di</strong><br />
prima del fischio finale. Come faceva Cesarini, sembrava<br />
tutto perduto e via, lui riaggiustava la partita.<br />
Le mie labbra si muovono ma un fischio assordante ci<br />
trafora le orecchie e la ragione. Un fischio che arriva dal<br />
palco. È Giorgio, prova il microfono e speriamo che quelli<br />
della <strong>di</strong>tta del karaoke lo vedano e gli levino per sempre<br />
la pubblicità. Combatte con un fischio che gli scuote la<br />
frangetta e tutti si girano e tutti ridono.<br />
– Il presidente sul palco! Porco cazz…<br />
Urla come fa in campo. Nell’arena con le telecamere<br />
che lo beccano sempre, certe bestemmie. Urla per supera-<br />
136<br />
re quel fischio maledetto che si ferma e lascia Giorgio sulla<br />
bestemmia finale.<br />
E tutti ridono. Ride Giorgio, ride questo qua che mi<br />
guarda <strong>di</strong> merda e mi strappa dalle mani la cartellina.<br />
Mentre le ancelle iene, spazzine della savana geometrica,<br />
lo seguono lanciandomi l’ultima occhiata.<br />
– Lo <strong>di</strong>cevano, vuoto pneumatico…<br />
E finisce qui.<br />
* * *<br />
Anche questo è uno dei ricor<strong>di</strong> della vergogna. Vergogna<br />
nera e <strong>di</strong>sgraziata. Li ho tutti in fila in<strong>di</strong>ana nella mia<br />
mente, i ricor<strong>di</strong> della vergogna, e ogni tanto se ne aggiunge<br />
uno. Uno nuovo in coda alla fila. Si piazza lì e fa avanzare<br />
<strong>di</strong> due passi tutti gli altri.<br />
Ecco, io me lo immagino così. Ci sono i miei ricor<strong>di</strong>, i ricor<strong>di</strong><br />
della vergogna, che bussano al portone della memoria.<br />
Ma non apro, tengo duro. Quelli spingono. Metto<br />
puntelli, travi grosse inchiodate agli stipiti. Quelli sono<br />
un ariete e fanno cigolare i legni e gracchiare le cerniere.<br />
Accatasto mobili, arma<strong>di</strong>, se<strong>di</strong>e. Ma loro sono tutti lì dall’altra<br />
parte che premono e alla fine il portone vibra, mugugna<br />
che neanche il pianto delle balene, sordo e profondo.<br />
Loro spingono e quello si lamenta. Loro premono e<br />
mi gela il sangue questo rumore qui. Mi sembra un canto<br />
funebre a labbra chiuse, l’inno della sconfitta. E alla fine il<br />
portone crolla, cede. E quasi mi schiaccia.<br />
Chio<strong>di</strong> sui polsi, flagelli sulla schiena, piombo rovente e<br />
mutilazione. Frecce sul costato. A volte lo so. A volte sono<br />
loro, i pensieri della vergogna che m’invadono la mente, a<br />
137
dominare me, non io ad or<strong>di</strong>nargli <strong>di</strong> tornare a galla. Ora<br />
lo so.<br />
* * *<br />
– Gentilissimi amici, signore carissime…<br />
Il microfono non fischia più. Il Presidente conosce il<br />
suo mestiere. E il concorso letterario anche questa estate<br />
ha il suo campione.<br />
Vince il Condor. Non c’era dubbio. Vince il Condor alla<br />
faccia del mio voto. Il poeta ristoratore arriva secondo. E<br />
si abbracciano e si fanno fotografie. L’ex panzone stappa<br />
la bottiglia e tutti sono in pie<strong>di</strong> nei loro abiti luci<strong>di</strong>, sulle<br />
loro pelli lucide. E io mi do.<br />
Alla mie spalle sento la musica che irrompe nell’anfiteatro<br />
dell’architetto delle ville e del lusso, sento questa cafonata<br />
latina che prima muovi il braccio destro, poi il sinistro,<br />
una piroetta e le anche e la gamba destra e la gamba<br />
sinistra e poi il battimani. Tutti insieme. Alè. E penso a<br />
Gigi, alla musicoterapica. Alla musica come terapia e qui<br />
ci vorrebbe un internamento per secoli con dosi massicce<br />
per tutti, tutti loro.<br />
Taglio veloce, punto al mio bungalow, che bungalow<br />
non è. È tutto tranne un bungalow, più reggia che capanna.<br />
Punto veloce e quasi sbatto su quella della destra destra<br />
e la sua tipina della sinistra sinistra col vestito garza sempre<br />
più trasparente.<br />
– Un bagno nella piscina del nostro bungalow?<br />
E stringe una bottiglia <strong>di</strong> spumante con le sue <strong>di</strong>ta lunghe<br />
e le sue unghie lunghe, rettangolari, prima bianche<br />
138<br />
poi bianche bianche, come le rapstar per nulla martiri e<br />
molto nere. Anche nell’anima.<br />
In camera da letto, nell’arma<strong>di</strong>o della camera da letto,<br />
ho una macchina <strong>di</strong>gitale e anche la Polaroid. Pensavo <strong>di</strong><br />
scattare qualche foto, in questa mia vacanza. Ho sempre<br />
pensato <strong>di</strong> scattare qualche foto ma non c’è stato mai nulla<br />
da scattare in queste vacanze fotocopia, qui nella giungla<br />
matematica. Sono sempre tornato senza uno scatto.<br />
– Faccio un salto in camera e arrivo.<br />
E Destra mi sorride e con una mano ficca le unghie sul<br />
culo <strong>di</strong> Sinistra e con l’altra quasi strozza la bottiglia. E ho<br />
paura che il vetro esploda.<br />
– Faccio un salto in camera e arrivo.<br />
Mento, e fuggo. Non ho intenzione <strong>di</strong> avere ricor<strong>di</strong> con<br />
queste qui. Ricor<strong>di</strong> e null’altro. L’avevo giurato: Mai più.<br />
La Polaroid è carica. Magari mi sarebbe piaciuto fare<br />
degli scatti con Lucina. Sventolare rapido il negativo sinché<br />
il nero non avrebbe lasciato posto al rosso, poi alle nostre<br />
sagome in arancione, alla fine ai nostri visi prima sfumati,<br />
poi abbronzati su un mare cobalto. Con Lucina non<br />
ho mai fatto una foto.<br />
La Polaroid è una pistola nella mia mano destra. Mi corico,<br />
spengo il cellulare, alzo la cornetta del telefono sul<br />
como<strong>di</strong>no bambù. Spengo la luce.<br />
Clic… Clic… Clic… Clic… Clic… Clic… Scarico i flash<br />
sui miei occhi aperti, una sventagliata senza pietà, carica<br />
da sei. Una raffica che mi fa lacrimare. Forse dormirò<br />
meglio.<br />
La Polaroid è a terra che frigge e vomita i miei scatti, la<br />
faccia della <strong>di</strong>sperazione.<br />
139
Quattor<strong>di</strong>cesimo pezzetto<br />
La campanella non segna il mio ingresso. È rotta, andata<br />
da tempo. Ma pensavo che in queste ferie Rocca l’avesse<br />
aggiustata. Punto verso <strong>di</strong> lui, verso il bancone. Ma vedo<br />
che non è solo. E quello non è un cliente.<br />
Rocca parla fitto fitto e quello ha l’aria fasti<strong>di</strong>osa <strong>di</strong> un<br />
piazzista in carriera. È un tipo sui trenta, elegante, troppo<br />
elegante, abito scuro, valigetta, pettinatura perfetta e occhiali<br />
da sole della marca che sponsorizzo.<br />
Rocca alza lo sguardo verso <strong>di</strong> me. Ma è solo un attimo.<br />
I suoi occhi chiedono aiuto. Ma io non so che fare. Quello<br />
lo travolge <strong>di</strong> parole. E lui scuote la testa.<br />
Rocca mi riguarda come per <strong>di</strong>re: Fa nulla dài, me la<br />
sbrigo. E quello non sta zitto un secondo.<br />
– Io sono stanco, Gabriele. Quanti anni hai? Non sei un<br />
bambino. Vuoi fare l’eroe? Vai, ti pren<strong>di</strong> un mitra e parti,<br />
che il mondo è pieno <strong>di</strong> occasioni. Ma santa Madonna, lo<br />
capisci che vendere libri è un mestiere? Tu ven<strong>di</strong> e gli altri<br />
comprano, Gabriele. Si chiama azienda. In italiano si chiama<br />
azienda, non missione. Non ce la fai con i libri? Ci<br />
apriamo un bel <strong>di</strong>sco bar, qui in centro, i tavolini fuori…<br />
ven<strong>di</strong>amo birre, cocktail… sol<strong>di</strong> a palate… sol<strong>di</strong> facili…<br />
Vuoi vendere libri? Cazzi tuoi… ma almeno puntiamo su<br />
e<strong>di</strong>zioni economiche… quelle che ci tirano <strong>di</strong>etro per due<br />
lire… quelle… quelle… da supermarket…<br />
141
Nella libreria c’è anche Lucina, che forse era già qui,<br />
forse mi aspettava già nella nostra stanza. Oggi è mercoledì,<br />
il nostro giorno. Ci incontriamo sempre qui, poi proseguiamo<br />
da me.<br />
Lucina mi tiene per un braccio e mi guarda come <strong>di</strong>re:<br />
Che <strong>di</strong>avolo succede? Io sgrano gli occhi e non ho risposte.<br />
Poi penso che tutto è legato al fatto che io e lei siamo<br />
rimasti gli unici fedeli clienti della libreria Rocca. Ma non<br />
lo <strong>di</strong>co, tanto Lucina ha già fatto l’equazione.<br />
Il tipo piazzista ha il viso a un soffio da quello del nostro<br />
libraio. Il nostro libraio è stanco come non l’abbiamo<br />
mai visto e non ha la forza <strong>di</strong> reagire.<br />
– E poi, Gabriè, non farmi quella faccia da via Crucis,<br />
perché lo sai che ho ragione io. I debiti sono debiti. Organizzati.<br />
Altrimenti <strong>di</strong>menticatela questa baracca. Ti porto<br />
via anche le mutande.<br />
Il nostro libraio reagisce più per noi che lo guar<strong>di</strong>amo<br />
che per se stesso.<br />
– Adesso basta, Alessio. Ho… ho u… una <strong>di</strong>gnità anch’io.<br />
Basta.<br />
Ma il piazzista non molla. Perché vede la bocca del nostro<br />
libraio tremare forte.<br />
– Basta che? basta che? Poveri figli tuoi, con un padre così.<br />
Non vuole che gli spostino la polvere, fa l’umanista e…<br />
Il tipo guarda me.<br />
– E ormai nel tempio della cultura ci entrano solo i calciatori…<br />
Gonfio il petto, ma Lucina mi stringe il braccio e Gabriele<br />
mi supplica con i suoi occhi azzurri che ora brillano<br />
ancora <strong>di</strong> più, ora che sono umi<strong>di</strong> e incorniciati dai capelli<br />
bianchi.<br />
142<br />
– Glielo spieghi lei…<br />
Dice a me.<br />
– Glielo spieghi lei, chedè miliardario, che si tratta solo<br />
<strong>di</strong> mettersi al passo… ci sono librai che fanno i sol<strong>di</strong>… l’azienda…<br />
il fatturato… ciò che conta è l’ultima cifra in<br />
basso a destra.<br />
Rigonfio il petto ma Lucina mi trascina verso la biblioteca<br />
esagonale. E i miei passi si fanno pesanti ed echeggiano<br />
nel corridoio che oggi sembra più stretto e sembra non<br />
finire.<br />
Vorrei <strong>di</strong>rvi una cosa molto piacevole e allegra<br />
Sento lontana la voce del nostro libraio.<br />
Adesso, non c’è tempo per <strong>di</strong>scutere… ma, in due parole<br />
Mi sembra un lamento.<br />
Voi già sapete che il giar<strong>di</strong>no dei ciliegi sarà venduto per<br />
coprire il debito<br />
Sento le urla del tipo e il trillo del suo telefonino.<br />
L’asta è fissata per il 22 agosto, ma non inquietatevi, mia<br />
cara. Dormite in pace: c’è una soluzione… c’è una soluzione…<br />
Quando non sentiamo più nulla, io e Lucina sbuchiamo<br />
fuori. Il signor Rocca sembra al termine <strong>di</strong> una maratona,<br />
esausto, e la catenella che gli ha sempre retto gli occhiali è<br />
anche lei sfinita. Si spezza e le lenti cadono a terra frantumandosi<br />
in mille pezzi. Ma nessuno sembra accorgersene.<br />
Né noi, né lui.<br />
– Lunedì ben tornato… e la tua gamba?<br />
Signor Rocca legge troppo, anche i giornali.<br />
– Tiene, non <strong>di</strong>a retta a quelli là…<br />
– Ah… tutto a posto quin<strong>di</strong>?<br />
143
Si è sempre preoccupato per me.<br />
– Sì, io sì.<br />
E io solo ora <strong>di</strong> lui.<br />
– Quello… quello sai, è il fratello <strong>di</strong> mia moglie, una<br />
specie <strong>di</strong> piaga, non capisce praticamente nulla…<br />
– Uhm… brutto aspetto. Pessimo.<br />
Ma vorrei <strong>di</strong>re <strong>di</strong> più.<br />
– Ha un figlio, sette anni. Stravede per te.<br />
E tira fuori un foglio e una penna.<br />
– Abbi pazienza Lunedì: così me lo levo <strong>di</strong> torno per un<br />
po’…<br />
Lucina mi guarda con una faccia e vorrebbe chiedermi<br />
cos’è questa storia <strong>di</strong> Lunedì, perché Rocca mi chiama<br />
Lunedì. Io firmo, paghiamo i nostri libri che oggi sono<br />
più del solito e an<strong>di</strong>amo via. Ma saremmo dovuti restare.<br />
– Perché ti chiamava Lunedì…<br />
Non le rispondo.<br />
– Ah, perché?<br />
Ma non cedo e lei sbuffa.<br />
* * *<br />
Alla fine credo <strong>di</strong> aver sbagliato tutto. O quasi. Sono<br />
stato uno <strong>di</strong> quei tipi, come <strong>di</strong>re?, poco tempestivi. Insomma,<br />
ho sempre sbagliato i tempi. Sono restato quando<br />
dovevo scappare. Sono scappato quando dovevo restare.<br />
La vita è un’altalena. E anche questo tutti lo sanno.<br />
Non è che non avessi la coscienza. Cioè sapere lo sapevo,<br />
ho lo scandaglio sotto pelle. Ma fra coscienza e azione<br />
ce ne passa. E pure questo lo sanno tutti.<br />
Saremmo dovuti restare.<br />
144<br />
Viaggiare mi è sempre piaciuto viaggiare. Soprattutto<br />
con Lucina. Ma solo sulle pagine della mia libreria.<br />
– Vanni non posso, lui potrebbe sospettare.<br />
E siamo rimasti a casa.<br />
A lei sono sempre piaciuti gli americani e abbiamo volato<br />
insieme sul delta del Mississipi e sulle mille luci <strong>di</strong> New<br />
York.<br />
Allacciati, i corpi stretti l’uno all’altro<br />
La mia bocca incontra la sua.<br />
Il ragazzo e la ragazza presero a muoversi su e giù per il<br />
vialetto<br />
E succhio la sua lingua calda e profumata.<br />
Ballavano<br />
Sposto le sue gambe sulle mie spalle.<br />
E quando il <strong>di</strong>sco finì, ricominciarono<br />
Scivolo con la lingua sui suoi pie<strong>di</strong>.<br />
E quando anche quello finì<br />
Il mio sedere oscilla.<br />
Il ragazzo <strong>di</strong>sse: Sono ubriaco<br />
Il suo gomma piuma.<br />
La ragazza <strong>di</strong>sse: No che non lo sei<br />
E i miei occhi si chiudono fra le sue cosce.<br />
Invece sì che sono ubriaco<br />
Un piano elettrico scorre fra le mie tempie, una sequenza<br />
elettronica. Recito a voce alta e spingo forte, deciso ma<br />
morbido, senza fretta.<br />
Con Lucina non ho mai preso cioccolate calde, non ho<br />
mai visto un film <strong>di</strong> Natale, non ho mai fatto regali passeggiando<br />
a braccetto per le strade illuminate <strong>di</strong> gente e colori.<br />
Non ho mai pranzato dai suoi, non ho mai riso con le<br />
145
sue amiche. Non ho mai litigato con urla e musi lunghi e<br />
poi fatto pace. Con Lucina ho <strong>di</strong>viso la mia biblioteca e la<br />
mia casa. Il mercoledì. Non so più per quanto.<br />
È stata Lucina a farmi andare verso nuovi suoni. Lucina<br />
a farmi uscire dall’appren<strong>di</strong>stato. Dalla nausea al vortice<br />
caldo. Sino alla solitu<strong>di</strong>ne.<br />
Mi è sempre piaciuto viaggiare. E poi tornare. Sentire<br />
l’aria calda e appiccicosa, un sifone sparato in bocca non<br />
appena l’aereo srotola la sua lingua <strong>di</strong> scalini acciaio sull’asfalto<br />
della pista.<br />
Mi è sempre piaciuto tornare nella mia casa che si affaccia<br />
sul porto. Con le finestre aperte, le serrande quasi abbassate<br />
e la luce che appena filtra dalle fessure. La mia casa fresca<br />
e pulita. Silenziosa, dove far riposare le orecchie inquinate<br />
<strong>di</strong> suoni tamburi, <strong>di</strong> urla fischi, <strong>di</strong> commenti parole.<br />
Le fessure delle serrande sono piccoli rettangoli <strong>di</strong> luce<br />
che fanno caleidoscopi <strong>di</strong> luce. Mi siedo e aspetto Lucina.<br />
– Sei il mio lato oscuro.<br />
– Sono cosa?<br />
So già dove vuole arrivare. Ho le antenne, io.<br />
– Sei il mio peccato e il mio sogno.<br />
– Sono quello del mercoledì.<br />
Taglio corto.<br />
Mai <strong>di</strong>re a una donna, a Lucina, una cosa così.<br />
– Non ho quello del mercoledì, né del lunedì, né del venerdì.<br />
Stronzo. Ho Raffaele. E te, il mio lato oscuro.<br />
– Cosa mi devi <strong>di</strong>re?<br />
Lucina conosce la forza delle pause. E abbassa gli occhi<br />
per qualche istante. Per qualche secondo non parla.<br />
146<br />
– Cosa mi devi <strong>di</strong>re?<br />
E attendo. Ma soffro queste attese.<br />
– Parto, ci trasferiamo a Roma.<br />
E non so più bene dove vuole arrivare stavolta Lucina.<br />
– Ci? Ci chi?<br />
– Io e Luisa, Luisa la mia amica.<br />
Manco me la ricordo questa Luisa.<br />
– Ah sì Luisa.<br />
E ora non capisco. E la laurea? E l’avvocato che un giorno<br />
vorrà o dovrà, non l’ho ancora capito, sposare?<br />
– Mi hanno offerto un’occasione d’oro.<br />
– L’Università?<br />
– Ma no… <strong>di</strong> lavoro.<br />
Non capisco proprio. Di lavoro? Ma quale lavoro? Lucina<br />
va ancora all’Università.<br />
– Hai presente il cognato <strong>di</strong> Rocca… l’altro giorno.<br />
Le mie antenne hanno fatto cilecca. Non hanno funzionato,<br />
non hanno percepito nulla. Il vuoto assoluto. Non<br />
mi hanno messo al riparo per tempo da questa valanga <strong>di</strong><br />
bitume incandescente che mi sommergerà. Peggio dell’olio<br />
bollente.<br />
E la guardo storto. Che devo avere una faccia da demonio<br />
cinghiale <strong>di</strong>avolo della boscaglia. Ma lei non perde la<br />
calma e mi guarda con i suoi occhi ghiaccio e il suo ombretto<br />
ghiaccio.<br />
– Dài Vanni, non fare così… lo sai che i libri sono la mia<br />
passione, sono tutto quello che ho e ho sempre voluto. Il<br />
mio sogno. Sto accarezzando il mio sogno.<br />
Scuoto la testa e la riscuoto, neppure fossi un mulo innervosito<br />
con una sacca davanti e una <strong>di</strong>etro, per non sporcare.<br />
147
– Insomma, Vanni quello con un suo amico romano apre<br />
una piccola catena <strong>di</strong> libri, sai quelle catene…<br />
– Di libri da supermercato… e poi Raffaele, che <strong>di</strong>rà il<br />
tuo Raffaele?<br />
– Quando fai così Vanni ti o<strong>di</strong>o.<br />
– Vai a fare la commessa… per quel pezzo <strong>di</strong> merda.<br />
Quello che si vuole cucinare Rocca, quello che lo vuole<br />
sbattere fuori senza pietà.<br />
E vorrei tirarle il collo. Il suo lungo collo.<br />
– Ma tu vuoi la mia felicità o no? Da dove vuoi che inizi?<br />
Vuoi che inizi a <strong>di</strong>rigere da Feltrinelli?<br />
E vorrei dare battaglia e spiegarle che io la penso <strong>di</strong>versamente,<br />
che se uno è nemico <strong>di</strong> un mio amico è mio nemico.<br />
Che abbia in mano la <strong>di</strong>rigenza del gran circo o degli<br />
scaffali dei libri <strong>di</strong> cucina e poi quelli delle <strong>di</strong>ete e quelli<br />
degli astrologi indovini e dei segreti del microonde e dei<br />
popoli scomparsi e tutta la tiritera. Non è l’offerta che<br />
conta, è chi te la fa. E poi, a <strong>di</strong>rla tutta, questa è un’offerta<br />
che non conta. Penso cose d’altri tempi, penso cose che<br />
oggi non valgono nulla.<br />
– Mi capisci Vanni, devo acciuffare l’occasione ora, sennò<br />
poi il treno passa e chissà quando ripasserà per me.<br />
Avere coraggio significa anche questo: saper aspettare,<br />
anche se aspettare significa logorarsi.<br />
– Prima la tua felicità Lucina.<br />
Lei è raggiante.<br />
Eccomi, vedo un altro pezzetto <strong>di</strong> me staccarsi dal mio<br />
corpo ma non del tutto. Via un’altra squama che resta appesa<br />
ad un filo e pende dalla mia carne. Non spira il vento<br />
e non se la porta via. Resta lì, pelle morta a ricordare al resto,<br />
a tutto il resto del mio corpo, la fine che farà.<br />
148<br />
* * *<br />
«Questo era il mio trance, questa era la mia fuga. Questa<br />
è stata la mia fuga. Poi il resto solo sbia<strong>di</strong>te copie.<br />
Ho cercato, ma non ho trovato. E quando ho preso non<br />
è mai stato lo stesso. Sono volato via ma solo il lasso <strong>di</strong> un<br />
verso, poi tutto è morto. Subito dopo.»<br />
Mi vergogno. Mi stupiscono questi miei pensieri, questi<br />
miei tentativi <strong>di</strong> scrittura. Invece questa frase l’ho lasciata<br />
lì appesa su un foglietto giallo appiccicato al frigorifero.<br />
Aspetto che sbia<strong>di</strong>sca da sola. Che se ne vada a farsi fottere<br />
da sola, che perda pian piano inchiostro.<br />
«Ho c rcato ma n n ho tro to. E qua o ho pr so non e ai<br />
stato lo stesso. S no vo ato via ma solo il lasso <strong>di</strong> un v so, oi<br />
tu to è morto. Subi dop»<br />
La lascio lì perché mi ricor<strong>di</strong> che non sono un poeta. Il<br />
mio talento è solo in campo. Nell’arena.<br />
E questo è uno dei pensieri della vergogna che voglio<br />
resti marcato a fuoco sulla mia fronte.<br />
* * *<br />
Centrocampo. Il cielo si fa metallo. L’aria fredda blocca<br />
il respiro.<br />
Nelle orecchie ho come una tempesta <strong>di</strong> onde in un mare<br />
nero.<br />
I pa<strong>di</strong>glioni in due conchiglie che suonano echi e ipnotismo.<br />
Non sento altro e vedo solo le guance <strong>di</strong> questo<br />
149
poliziotto municipale, vigile vigilante, che soffiano nel fischietto,<br />
e capisco che è il mio turno.<br />
I muscoli si tendono, mi lecco il braccio e ho il sapore<br />
salato giusto. Passo in<strong>di</strong>etro e parto in avanti.<br />
Peggio per questo birillo in maglia biancoblù, peggio<br />
per lui che si mette fra me e il mio destino e la mia rabbia.<br />
Ho la falce nei pie<strong>di</strong>. Macino e taglio, macino e taglio.<br />
E quello precipita a terra e i miei rimorsi lo sfiorano<br />
appena con la coda dell’occhio. Il vigile non fischia, peggio<br />
per lui, l’avevo detto.<br />
Gli altri sono già tutti avanti, mastini della guerra con<br />
la bava e l’alito fetido <strong>di</strong> chi vuole vittoria, costi quel che<br />
costi.<br />
Il cielo si abbassa. La luce svanisce.<br />
E sono così veloce che gli altri mi sembrano rallentati<br />
e mi sposto aspettando il pallone. Lo arpiono e lo incollo<br />
al piede destro. Me lo passo sul sinistro, il mio preferito.<br />
E li voglio fare impazzire questi qui. Balletto, uno<br />
due e tre. E li lascio senza fiato e senza mosse questi due<br />
che mi hanno mandato per fermarmi, ma non mi fermano.<br />
Faccio rotolare la palla dal lato opposto del campo.<br />
I miei mastini non mollano la presa e sento il loro alito<br />
fetente e ora sento anche le loro ossa che sfregano contro<br />
i loro muscoli. E i loro cuori che battono e battono e<br />
danno il ritmo a questa nostra <strong>di</strong>scesa senza pietà.<br />
Siamo in tre sotto la porta ma sembriamo in mille. Arriva<br />
la palla. Salto e mi sento levitare e mi sento lanciato<br />
verso il cielo. I miei occhi sono radar e la mia testa non<br />
attendeva altro.<br />
Ne ho uno affianco a me, uno degli altri. Tenta <strong>di</strong> agganciarmi<br />
la maglia. Ma non gli servirà. Porterò anche<br />
150<br />
lui alle stelle dove attendo la mia collisione. Un cenno<br />
del collo, solo uno me ne serve e la palla vola dentro la<br />
rete.<br />
Ora sento, ora sento perché non è possibile non sentire<br />
quest’arena che esplode.<br />
Ma non mi basta, non mi basta mai, oggi. Quelli ripartono<br />
ma non vanno lontano. In<strong>di</strong>etreggiano e forse gli<br />
basta la mia faccia. Forse gli bastano i miei occhi che trasmettono<br />
le immagini <strong>di</strong> tutta la rabbia del mondo.<br />
– Vanni calmo.<br />
Ma non li voglio sentire i miei, oggi.<br />
– Vanni calmo.<br />
E anche loro vedono i miei occhi e mai, credo mai,<br />
hanno visto il loro capitano così.<br />
Non c’è pietà. Non ci sarà pietà e se questo mio corpo<br />
è fatto per questo, se è fatto per la sfida che sfida sia, all’ultimo<br />
sangue.<br />
– Vanni calmo.<br />
Ma non mi calmo. Cerca e <strong>di</strong>struggi, cerca e <strong>di</strong>struggi.<br />
E anche il vigile urbano non mi riconosce più.<br />
– Visco, che cazzo le prende? Si <strong>di</strong>a una calmata o la<br />
mando dritto negli spogliatoi.<br />
Coloro che o<strong>di</strong>ano intensamente, devono aver prima<br />
amato intensamente<br />
E gli alito e non rispondo. I suoi occhi si abbassano.<br />
Ma non le sue intenzioni.<br />
Poi prende a corrermi <strong>di</strong>etro per vedere che altra cazzata<br />
farò, ma non ce la fa.<br />
Coloro che vogliono negare il mondo, devono aver prima<br />
accettato ciò che ora vogliono dare alla fiamme<br />
Supero tutti e i miei mastini mi hanno già spe<strong>di</strong>to il<br />
151
pallone che mi cade davanti al piede. Mentre i birilli biancoblù<br />
affannano.<br />
Eccomi. Io e questo fesso con cappellino visiera, ultima<br />
<strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> questa parte del campo già messa a ferro e fuoco.<br />
Un calcio per il pallone, un calcio per la vittoria e uno poco<br />
dopo per la sua faccia.<br />
Vedo sangue e bava bianca sulla mia scarpa. Quello piegarsi<br />
come un verme trafitto da un amo, arrugginito. E il<br />
vigile che mi corre incontro con un fogliettino rosso. Ri<strong>di</strong>colo.<br />
Esco fra urla <strong>di</strong>sumane, strepiti, lancio <strong>di</strong> seggioline e<br />
l’assalto delle tifoserie. Esco fra i rumori dei caschi che<br />
serrano le visiere, fra i manganelli che battono sugli scu<strong>di</strong>.<br />
Il fumo che invade l’arena.<br />
Cerca e <strong>di</strong>struggi, cerca e <strong>di</strong>struggi.<br />
Sono Lunedì, il selvaggio.<br />
E i miei mi applaudono e si sgolano per me, sono sempre<br />
e ancora <strong>di</strong> più il loro <strong>di</strong>o. Io vado negli spogliatoi, fra<br />
le mattonelline <strong>di</strong> sempre, i gesti <strong>di</strong> sempre. Tanto lo so,<br />
fra <strong>di</strong>eci minuti riprenderanno la sfida.<br />
* * *<br />
Oggi Lucina è portavoce <strong>di</strong> un ministro. Ha sposato un<br />
avvocato. Non quell’avvocato, un altro avvocato, quello<br />
che curò la ven<strong>di</strong>ta fallimentare della catena del cognato<br />
<strong>di</strong> Rocca e non vive qui. Ha un figlio, ma non è dell’avvocato,<br />
né il nuovo né il vecchio. Almeno così credo. Il figlio<br />
ha la stessa faccia del cognato <strong>di</strong> Rocca. Almeno così sembra.<br />
Ha provato a scrivermi qualche mail ma niente <strong>di</strong><br />
più. E mi ci ha allegato qualche foto, lei e il bambino. È il<br />
152<br />
Cognato sputato. O forse è la mia immaginazione <strong>di</strong>sgraziata.<br />
Lei mi ha scritto e inviato le foto. Non ho mai risposto.<br />
153
Quin<strong>di</strong>cesimo pezzetto<br />
Solo al processo ero al posto giusto al momento giusto.<br />
Anche se tutti hanno sempre pensato che fossi sempre al<br />
posto giusto al momento giusto perché sono Vanni Visco,<br />
il campione miliardario. Il fenomeno. Quello dalla carriera<br />
fulminante, senza macchia, senza peccato. Un esempio<br />
da imitare perché in quell’aula <strong>di</strong> tribunale ci sono entrato<br />
a testa alta, da testimone.<br />
* * *<br />
Eccoci. Ci facciamo largo fra i fotografi che scattano e<br />
scattano e scattano. Ci facciamo largo mentre i carabinieri<br />
fanno cordone e il signor giu<strong>di</strong>ce batte il suo martelletto<br />
e urla mentre il pubblico ondeggia, rumoreggia, poi alla<br />
fine minacciato – Faccio sgombrare l’aula! – ammutolisce.<br />
Come un cane alla catena. Pronto a ripartire.<br />
I processi si fanno così. Il primo giorno si convocano<br />
tutti. Avvocati e magistrati. Accusati e accusatori. Imputati<br />
e testimoni. Si fa l’appello, come a scuola, e come a<br />
scuola c’è uno che legge il riassunto.<br />
Il riassunto <strong>di</strong> tutta questa storia, che tutti vogliono sapere<br />
e vedere da vicino, lo fa un tipo alto, magro, con i capelli<br />
impomatati con un lungo mantello da ven<strong>di</strong>catore.<br />
Il Ven<strong>di</strong>catore <strong>di</strong>ce che il 13 novembre alle ore 23 in via<br />
155
Palestrina l’imputato Safi entra a casa <strong>di</strong> Loris Ettore, anni<br />
53, celibe.<br />
Il pubblico segue in assoluto silenzio.<br />
Il Ven<strong>di</strong>catore <strong>di</strong>ce che il Safi e il Loris sono da tempo<br />
legati da rapporto professionale. Il Safi è calciatore presso<br />
la squadra <strong>di</strong> quella città che qui o<strong>di</strong>ano così tanto che il<br />
pubblico alla sola pronuncia si lascia andare a ringhi e<br />
ululati.<br />
– Faccio sgombrare l’aula!<br />
Ringhia il signor Giu<strong>di</strong>ce.<br />
Così nessuno ha il coraggio <strong>di</strong> fiatare quando il Ven<strong>di</strong>catore<br />
ricorda che per anni il Safi aveva militato con noi e<br />
che il Loris Ettore era il suo procuratore ma prima ancora<br />
allenatore della nostra giovanile dove il Loris e il Safi si<br />
erano conosciuti.<br />
Per loro, il pubblico, basterebbe questo - il cambio <strong>di</strong><br />
casacca, come recitano i giornali sportivi - per invocare<br />
l’alto tra<strong>di</strong>mento e la garrotta.<br />
Ascolto. Ma tanto la storia la so già.<br />
Il Ven<strong>di</strong>catore si scolla dalle spalle il mantello e <strong>di</strong>ce che<br />
però i due vengono a <strong>di</strong>scussione. Dice che da tempo, tramite<br />
il Safi, il Loris gestiva il mercato clandestino delle<br />
scommesse. Gare vendute, risultati concordati e molti<br />
sol<strong>di</strong> per chi era della partita.<br />
E anche qui il pubblico riesce a trattenersi. Per questo<br />
hanno già sofferto leggendo sui quoti<strong>di</strong>ani.<br />
Spiega che il Safi è lì, dal Loris, per <strong>di</strong>rgli che non si può<br />
andare più avanti che gli altri calciatori hanno paura. La<br />
voce si è sparsa, la Finanza sa.<br />
Il Ven<strong>di</strong>catore spiega che Safi è molto agitato, quasi<br />
piange, la sua voce trema. Lo sa perché il Safi non sbaglia.<br />
156<br />
Da tempo lui e gli altri sono sotto controllo, cimici spia<br />
dappertutto. Soprattutto a casa del Loris. Le cimici che<br />
registrano la voce tremante del Safi e la voce rassicurante<br />
e ferma del Loris.<br />
Il Loris, <strong>di</strong>ce il Ven<strong>di</strong>catore, cerca <strong>di</strong> consolare il giovane<br />
calciatore. Gli offre da bere, poi lo accarezza, lo bacia,<br />
lo porta nella sua camera da letto dove si unisce carnalmente<br />
con lui come risulta dalla perizia me<strong>di</strong>ca.<br />
Eccoci all’anteprima del finimondo. C’è il silenzio più<br />
assoluto. Solo un secondo. Poi la tempesta.<br />
I cani rompono la catena e non c’è martelletto del giu<strong>di</strong>ce<br />
che tenga. Eccoci, la folla urla verso la gabbia dove Demetrio<br />
Safi ha la testa fra le mani e i carabinieri gli fanno<br />
scudo.<br />
Fuori inizia anche a piovere e i tuoni, macello del cielo,<br />
si confondono con il bordello in terra.<br />
Mezzora dopo ci siamo solo noi, testimoni, accusati e<br />
accusatori. Il pubblico fuori sotto la pioggia. Il Ven<strong>di</strong>catore<br />
conclude e <strong>di</strong>ce che chiederà 20 anni per omici<strong>di</strong>o<br />
preterintenzionale, perché il Safi non programmò nulla.<br />
Colpì per rabbia e <strong>di</strong>sperazione con quel vaso <strong>di</strong> cristallo.<br />
Colpì l’indomani mattina quando il Loris gli <strong>di</strong>sse che era<br />
meglio che si prendesse un periodo <strong>di</strong> pausa, come amante<br />
e come calciatore.<br />
Morte chiama morte.<br />
* * *<br />
Un cappuccino decaffeinato con molta schiuma, un tè<br />
per me. Rocca <strong>di</strong>ce che anche un goccio <strong>di</strong> caffè lo rende<br />
nervoso, gli mette l’ansia. A me il caffè non è mai piaciuto,<br />
157
non è una questione <strong>di</strong> gusto. È una questione <strong>di</strong> rito.<br />
Il cucchiaino che gira veloce in cerchi concentrici per<br />
animare lo zucchero. Ci sono quelli che lo fanno girare da<br />
destra a sinistra, poi dall’alto verso il basso come se dovessero<br />
sollevare della sabbietta rimasta sul fondo.<br />
E neppure il cappuccino mi è mai piaciuto. Ci sono<br />
quelli che si fanno fuori anche tutta la schiuma, il fondo, e<br />
muovono il cucchiaino come se fosse una benna e con l’altra<br />
mano inclinano la tazzina perché nulla rimanga sul<br />
fondo.<br />
È un rito avido.<br />
Rocca lascia sempre la schiuma, poi si beve un bicchiere<br />
d’acqua.<br />
– Dovresti andare lì e perdonarlo.<br />
Lo guardo appena, poi punto gli occhi verso il mare che<br />
oggi è in tempesta e manda certe onde sulla spiaggia che<br />
l’acqua è arrivata sino all’asfalto del lungomare ed è impossibile<br />
camminare.<br />
– Dovresti andare lì e perdonarlo, tanto la sua condanna<br />
l’ha avuta.<br />
Così ci siamo chiusi in questo bar che sa <strong>di</strong> umido salse<strong>di</strong>ne.<br />
– Tanto è agli occhi <strong>di</strong> tutti che razza <strong>di</strong> uomo è lui e che<br />
razza <strong>di</strong> uomo sei tu.<br />
Il barman mi guarda e guarda la mia foto appesa sopra<br />
la cassa.<br />
– Chie<strong>di</strong> un permesso speciale e lo vai a trovare in carcere.<br />
Ho paura che mi toccherà un autografo.<br />
– Vai lì e gli porti una parola <strong>di</strong> conforto.<br />
Oggi Rocca non lo sto ad ascoltare.<br />
158<br />
Se<strong>di</strong>cesimo pezzetto<br />
Corro alla libreria. È tar<strong>di</strong>, è ora <strong>di</strong> chiusura e non è<br />
neppure mercoledì. Entro e il campanello non squilla, come<br />
sempre ormai. Entro ma <strong>di</strong> Gabriele Rocca ci sono solo<br />
gli occhialetti a mezzaluna appoggiati sul bancone. Legno<br />
scuro e vetro scheggiato dove galleggiano le cartoline<br />
d’altri pianeti. Portogallo, Francia, Giappone, Brasile, Uruguay,<br />
Paraguay, Argentina, Algeria, Germania, Lussemburgo,<br />
non mi ricordavo <strong>di</strong> essere stato anche lì. Inghilterra,<br />
qui sì. In basso a destra la mia firma: Lunedì.<br />
Vado lento verso la stanza esagonale, vado piano e lo<br />
chiamo. Ma c’è una sirena, una maledetta ambulanza che<br />
copre la mia voce. E la mia voce si perde mentre la sirena<br />
striscia via.<br />
Rigonfio i polmoni ma un’altra sirena mi blocca il respiro<br />
e mi frantuma i timpani. Mi giro e dalla vetrina vedo<br />
che la gente dei negozi ha il naso all’insù e qualcuno corre<br />
oltre la mia vista. E qualcuno corre verso la libreria.<br />
Il campanello suona, anche lui, e non la smette più.<br />
Sbraita e segue il ritmo delle sirene che vanno e che arrivano.<br />
Trilla e non la smette più e ho davanti a me la faccia<br />
sciolta della commessa del signor Rocca, quella che da un<br />
po’ lavora alla pizzeria al taglio che sta <strong>di</strong> fronte e almeno<br />
lì stacca scontrini.<br />
159
I suoi capelli non brillano più e le sue mani non sanno<br />
più <strong>di</strong> colla fresca e carta profumata. Sento il suo odore <strong>di</strong><br />
sugo mozzarella e leggo nei suoi occhi la <strong>di</strong>sperazione.<br />
Non mi <strong>di</strong>ce nulla e non le <strong>di</strong>co nulla. Anche perché ora<br />
c’è un poliziotto fra noi due.<br />
– Parenti?<br />
NoSì, rispon<strong>di</strong>amo insieme e la guardo.<br />
E il poliziotto si innervosisce.<br />
– Lei è parente?<br />
E il campanello non la smette <strong>di</strong> urlare e io rispondo<br />
No.<br />
– Io sono la moglie.<br />
E trema e poi sviene.<br />
* * *<br />
Ecco non è che farò molto <strong>di</strong>versamente. Ma non così,<br />
non in quella maniera.<br />
Gabriele Rocca se n’era salito su verso il vecchio quartiere<br />
antico, sfiorando l’onda degli ultimi acquisti, le ragazze<br />
con le gonne <strong>di</strong> carta velina, le buste gran<strong>di</strong> e scintillanti,<br />
le coppie col passeggino aperto e i vecchi col borsalino<br />
leggero. Sfiorando col palmo della mano la testa <strong>di</strong><br />
una bambina che stringeva un cono alla panna e gli aveva<br />
sorriso. Poi, passo lento, se n’era andato verso la torre,<br />
quella torre che ogni mattina quando alzava la serranda<br />
della libreria, ogni sera quando l’abbassava, lo guardava e<br />
lui guardava lei. Alla fine c’è salito. Scalino dopo scalino,<br />
legno dopo legno. Mentre il sole se ne andava giù lento,<br />
come capita da queste parti quando sta per arrivare il caldo.<br />
E chissà cosa avrà pensato ad ogni passo, ad ogni alza-<br />
160<br />
ta <strong>di</strong> gamba mentre il cielo si striava <strong>di</strong> rosso e l’aria non<br />
<strong>di</strong>ventava fredda come altri giorni, altre notti, alla stessa<br />
ora. Chissà come avrà fatto.<br />
Mentre saliva sorrideva alla giovane guida, quella appena<br />
uscita dall’università con la camiciola bianca e la<br />
targhetta della cooperativa appesa al taschino. Salivano e<br />
lei gli spiegava e gli spiegava quello che già lui sapeva.<br />
Tutto conosceva su quella torre che non aveva mai saputo<br />
proteggere la città che stava dentro le mura e neppure<br />
quella che era cresciuta oltre i bastioni, neppure la sua libreria,<br />
a cui faceva ombra.<br />
Quando sono arrivati in cima lei è stata zitta per fargli<br />
godere il panorama e questo cielo ancora chiaro e questo<br />
mare cromato e questo sole ancora accecante. Non l’ha<br />
visto bene perché per un attimo si è girata quando ha sentito<br />
salire il collega con una truppa chiassosa <strong>di</strong> turisti armati<br />
<strong>di</strong> ghiacciolo. Dice che pensava che anche lui fosse<br />
un turista. Con quegli occhi blu.<br />
Poi si è voltata e lo ha visto sul muretto. Lo ha visto trafitto<br />
dal sole con le braccia aperte come nostro signore<br />
Gesù martire richiamato al cielo. E per un secondo, racconta,<br />
le è sembrato che spiccasse il volo. Solo per un secondo.<br />
* * *<br />
Al funerale siamo andati in pochi. Io tra la moglie <strong>di</strong><br />
Rocca e Ottavio il bibliotecario. Il prete ha fatto veloce,<br />
con un battesimo subito dopo e un matrimonio a seguire.<br />
I chierichetti non hanno fatto svolazzare il turibolo con<br />
l’incenso. Le cognate della sposa, quella <strong>di</strong> mezzogiorno<br />
161
sono pure venute a parole con le cognate della sposa dell’anno<br />
scorso che ora fa il battesimo del primo figlio, alle<br />
nove. E i chierichetti le hanno dovute <strong>di</strong>videre aiutati da<br />
Ivo, il sagrestano. Me lo ricordo Ivo nello spogliatoio dei<br />
ragazzi, terzo portiere. In partita solo una volta e ci salvò<br />
pure. Ma mister Ettore lo aveva rispe<strong>di</strong>to al suo posto,<br />
quando non serviva più e aveva i suoi da far giocare. Così<br />
aveva scelto la squadra della parrocchia dove almeno giocava<br />
titolare. E da lì non se n’è più andato se non per venire<br />
allo sta<strong>di</strong>o per guardare me insieme a tutti quelli della<br />
curva che si portano ancora vino e panini da casa.<br />
Le cognate le ha dovute <strong>di</strong>videre Ivo mentre noi pregavamo<br />
per il nostro libraio. Ma non ci siamo riusciti. E pregavamo<br />
mentre il prete alla fine ha urlato:<br />
– O insomma! Ho messa da fare io! Ai fiori ci pensiamo<br />
fra <strong>di</strong>eci minuti, prima mettiamo quelli del battesimo, poi<br />
li leviamo e mettiamo quelli del matrimonio.<br />
Le cognate della sposa delle ore nove si sono calmate,<br />
un po’ meno quelle <strong>di</strong> mezzogiorno che avrebbero voluto<br />
ere<strong>di</strong>tare qualche composizione bianco giglio.<br />
– Ceessu che miserabili che siete.<br />
Così ci ha pensato il prete a mettere pace.<br />
E io sarei voluto scendere lì fra quei banchi imban<strong>di</strong>ti e<br />
sferrare calci e cazzotti e <strong>di</strong>sfare i loro capelli a nido d’ape<br />
da cerimonia. Staccare una per una le paillette appiccicate<br />
ovunque, su schiene poderose strette in abiti scollati<br />
lamé, su seni avvizziti pompati da reggitutto con spalline<br />
trasparenti che poi si vedono pure <strong>di</strong> più e sembrano il nastro<br />
adesivo <strong>di</strong>menticato dalla sarta.<br />
E avrei voluto prendere il candelabro più grande e<br />
spaccarlo in testa pure ai cognati che sono arrivati con le<br />
162<br />
loro telecamerine, le loro <strong>di</strong>gitali, e si sono messi a fare le<br />
prove delle riprese scricchiolando con le loro scarpe enormi<br />
e nere su questo marmo che fu <strong>di</strong> santi e martiri.<br />
E avrei voluto fare questo e <strong>di</strong> più, quando mi hanno riconosciuto,<br />
i cognati. E hanno iniziato a filmare me, dandosi<br />
gomitatine, e sorrisetti e spallucce complici. Felici.<br />
– La smettete voi, che poi per Tamara e Giovanni non vi<br />
basta la batteria.<br />
Economia domestica, da cognate.<br />
E qualcuno l’ha smessa e qualcuno no. E nessuno si è<br />
accorto <strong>di</strong> quella bara e del nostro libraio. Nessuno in<br />
questa città.<br />
In cimitero eravamo in due, io e Ottavio. La moglie <strong>di</strong><br />
Rocca se la sono presa le suore e l’armata Valium. Se la sono<br />
subito portata in un loro convento <strong>di</strong> montagna, le<br />
suore. E non è mai più tornata.<br />
Gli altri se la sono svignata all’uscita della chiesa. Senza<br />
neppure una scusa e chi ce l’aveva, la scusa, forse sarebbe<br />
stato meglio che non <strong>di</strong>cesse nulla.<br />
– Non puoi capire, non puoi capire Vanni mi si stringe il<br />
cuore ma è tar<strong>di</strong>, anche mia madre sai com’è… vecchia e<br />
sola. Oggi, sai, è il suo giorno.<br />
Giornata <strong>di</strong> Coppa.<br />
E della partitina al bar <strong>di</strong> signor Sanna maneggione che<br />
ha allargato la bottega e messo su un bell’ipermarket. Pure<br />
la bettola <strong>di</strong> fronte si è comprato. Nessuno gli scrive più<br />
nulla sul muro perché mezzo quartiere, il mio vecchio<br />
quartiere, gli deve qualcosa. Li ha fatti così i sol<strong>di</strong>, a strozzo,<br />
senza pietà. E senza scrupoli che all’uscita ha guardato<br />
dritto dritto negli occhi Ottavio e glieli ha fatti abbassare.<br />
163
Ho ricambiato io per il mio bibliotecario ed è bastato questo<br />
per capirci.<br />
Abbiamo aspettato che i becchini infilassero la cassa<br />
dentro l’alveare, dentro quel cassetto per morti. E il legno<br />
ha raschiato sul cemento freddo e secco, un rumore maledetto.<br />
Poi abbiamo aspettato gli operai e ci hanno spalmato<br />
il cemento fresco e con un chiodo ci hanno segnato cognome<br />
e nome. Per la lapide al mese prossimo.<br />
Siamo rimasti lì, io e Ottavio. E nessuno aveva nulla in<br />
biblioteca, nella nostra biblioteca <strong>di</strong> parole e neuroni, da<br />
tirare fuori. È stato come se un virus fetente, uno <strong>di</strong> quelli<br />
da computer, fosse entrato nelle nostre teste e ci avesse <strong>di</strong>vorato<br />
tutto. E ci siamo guardati <strong>di</strong>sperati. E l’uno ha letto<br />
negli occhi dell’altro.<br />
E nessuno, né io né lui, siamo stati più in grado <strong>di</strong> farlo.<br />
Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ripetere<br />
e leggere. Quattro: ripetere e basta.<br />
Cinque: <strong>di</strong>menticare, per sempre.<br />
164<br />
Diciassettesimo pezzetto<br />
Io non ho nessuno a cui fare l’ultima telefonata della sera,<br />
nessuno per la prima telefonata della mattina. Mi sveglio<br />
con la musichetta del mio impianto stereo. Anche la<br />
notte mi addormento con una musichetta del mio impianto<br />
stereo. Metto su un Cd, qualcosa <strong>di</strong> calmo, lento rilassante,<br />
tappeti <strong>di</strong> tastiere, intrecci <strong>di</strong> violini, roba moderna<br />
fatta in serie per impastarti la materia cerebrale, per stenderti<br />
il cervello. Roba fatta in serie, cofanetto su cofanetto,<br />
raccolta su raccolta. Quelle per il viaggio, quelle per la<br />
ritirata e quelle per il risveglio. La musica come terapia.<br />
Mannaggia a Gigi.<br />
Solo che io li or<strong>di</strong>no e li compro su catalogo, i Cd <strong>di</strong>co, e<br />
su internet dopo estenuanti ricerche per capire cosa sia<br />
meglio per me. Non ho lo stesso fiuto <strong>di</strong> Gigi. E mannaggia<br />
ai pesci che gli <strong>di</strong>vorarono la faccia. E all’eroina che gli<br />
<strong>di</strong>vorò la vita.<br />
Luigi era un’altra storia. Luigi comprava pile <strong>di</strong> riviste,<br />
ascoltava i programmi ra<strong>di</strong>o della notte, <strong>di</strong>scuteva ore con<br />
i suoi amici. I suoi amici che non ce n’è più uno vivo. Né<br />
Man<strong>di</strong>bola che l’ho visto tentennare sul tetto e poi venire<br />
giù, tutta la sequenza senza pietà sul giornale del mattino,<br />
<strong>di</strong>cono che non voleva morire corroso dalla malattia, e ha<br />
fatto il salto, anche lui. Né tutti gli altri <strong>di</strong> cui non ricordo<br />
bene tutti i nomi ma mi vengono subito in mente i sopran-<br />
165
nomi, visi, tic, e gli occhi, mi ricordo gli occhi <strong>di</strong> tutti loro<br />
con quelle pupille enormi oppure improvvisamente spilli.<br />
Mi ricordo i loro profumi, dolci e alla moda, i sorrisi sbilenchi,<br />
le loro <strong>di</strong>scussioni interminabili, spirali senza senso<br />
e senza verso.<br />
Ecco me lo ricordo perfettamente. In casa non c’è più<br />
un <strong>di</strong>vano libero. Non c’è più un tappeto con almeno<br />
quattro che se le danno <strong>di</strong> santa ragione. C’è un odore forte<br />
e penetrante, in tutta la casa. Come <strong>di</strong> varechina. Quella<br />
candeggina che martedì giovedì sabato signora Tina<br />
sparge per tutta la casa, quando viene a fare le pulizie.<br />
Mi brucia gli occhi e mi dà alla testa questo odore. Ma<br />
credo che signora Tina e le sue mani nodose questa volta<br />
non c’entrino nulla.<br />
C’entrano dei tipi piegati sul tavolino in marmo del salone<br />
con i <strong>di</strong>vani marrone e le cuciture grosse. Mai visti<br />
prima. Certe narici.<br />
– Spazzola, spazzola…<br />
Urlano e ridono. Mentre Gigi dalla cucina sputa parole<br />
e saliva:<br />
– Lasciatene un po’ bastar<strong>di</strong>…<br />
Così compaio in cucina con la sacca della partitella del<br />
sabato.<br />
– Già qua sei…<br />
Luigi si era <strong>di</strong>menticato <strong>di</strong> me o forse no.<br />
– Vuoi mangiare qualcosa?<br />
Faccio cenno <strong>di</strong> no con la testa.<br />
– Vado in camera.<br />
Faccio.<br />
– Meglio <strong>di</strong> no…<br />
166<br />
Fa lui.<br />
E questa tipa con due siluri sul petto e un cerchietto nel<br />
naso inizia a ridere.<br />
Anche Gigi ridacchia un po’, ma senza troppa convinzione.<br />
Li guardo. Guardo lei e vorrei strapparle il cerchietto e<br />
guardo Gigi che mi accarezza con un mezzo sorriso. Guardo<br />
la cucina. C’è Man<strong>di</strong>bola che combatte con la pentola a<br />
pressione <strong>di</strong> mia madre.<br />
– Allora Vanni, ti va un po’ <strong>di</strong> cuscus?<br />
C’è Pastiglia, che mi sa è stata perdonata e mi fa l’occhiolino.<br />
– Sei <strong>di</strong>ventato un bel pischello…<br />
Ma mi sa che lo <strong>di</strong>ce solo per far piacere a Gigi. Perché<br />
ora a me sembra che con la bocca sillabi Na-no. E sembra<br />
un pesce, piranha.<br />
C’è gente che non so. In tutta la casa c’è gente mai vista<br />
con la pelle bianca bianca che qui a luglio sono già tutti<br />
color pece. Anche i miei che ora sono a Firenze, come<br />
sempre, sono partiti con un colore, ma un colore.<br />
Guardo la nostra casa invasa da tipi che poggiano i pie<strong>di</strong><br />
sui muri del corridoio, fanno cadere le cicche per terra<br />
e nelle camere da letto, penso, sarà pure peggio. Perché<br />
Gigi ha dato or<strong>di</strong>ni ben chiari.<br />
– Che nessuno salti sul letto dei miei…<br />
E allora tocca al tappeto, alla cassa panca, al tavolo dello<br />
stu<strong>di</strong>o, alla vasca da bagno, forse anche all’asse da stiro.<br />
Forse anche a quello, perché uno a una le ha detto: – Adesso<br />
ti stiro per benino…<br />
Osservo questi zombi che hanno invaso casa mia e penso<br />
che dovrò aprire la sdraio del mare, metterla sul terraz-<br />
167
zino e cercare <strong>di</strong> dormire lì se non voglio domani essere<br />
anche io un morto vivente che si aggira per il campo in terra<br />
battuta <strong>di</strong> un cavolo <strong>di</strong> Memorial nel ricordo <strong>di</strong> non so<br />
chi e nel ricordo <strong>di</strong> non so perché.<br />
Ecco, qua giù, nell’intestino crasso dell’arena, penso a<br />
quanti Memorial avrei dovuto organizzare o pretendere<br />
che venissero organizzati. Memorial Luigi Visco, campione<br />
della balla, maestro <strong>di</strong> musica e del maneggio, dei festini<br />
clandestini e dell’amore fraterno. Memorial Alberto<br />
Satta, detto Man<strong>di</strong>bola, grande preparatore <strong>di</strong> cuscus con<br />
l’aggiunta <strong>di</strong> pachistano nero, stimato oratore e attento<br />
conoscitore dell’universo femminile. Che poi il novanta<br />
per cento <strong>di</strong> chi ci gioca e chi va lì a vedere neppure sa <strong>di</strong><br />
chi si sta parlando. Peggio va quando compare la vedova<br />
o la madre in lutto che sembra così piccola ma così piccola<br />
mentre noi l’abbracciamo su <strong>di</strong>rettiva della panchina.<br />
– Al mio cenno tutti intorno…<br />
Diavolo <strong>di</strong> un Allarme.<br />
E quella piange, e noi a stringerci come neanche cavallette<br />
e tutti sugli spalti a battere le mani. E alla fine, è ovvio<br />
che poi ne succedono anche <strong>di</strong> belle.<br />
Il vecchio Allarme non aveva ancora dato il via che noi,<br />
campioni del Memorial, ci affracchiamo <strong>di</strong> corsa a una<br />
piccoletta, tutta in nero, con i capelli gialli, le mani con<br />
certi gioielli e il collo con certi giri e giri <strong>di</strong> perle. E quasi la<br />
buttiamo giù. E quella non le sembra neppure vero <strong>di</strong> avere<br />
tanti ormoni in ebollizione tutti per lei. Ricambia gli abbracci<br />
e ricambia i baci e mi sa che va pure oltre. Paoletto,<br />
il nostro portiere, mi guarda con gli occhi che non sa se<br />
spaventarsi o iniziare a godere mentre una mano con zir-<br />
168<br />
cone, brillante, ametista gli si intrufola nei calzoncini.<br />
– Figli <strong>di</strong> puttana che cazzo fate…<br />
Il primo colpo <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>erina se lo becca proprio Paoletto<br />
che gli tornano pure le pupille piccole piccole. E non<br />
solo quelle. Poi ce n’è per tutti gli altri. Mentre io schivo<br />
per una frazione questa ban<strong>di</strong>erina con asta che un tipo<br />
con fascia tricolore e abito della festa avvinghia e smazza<br />
sulle nostre teste.<br />
Credo che quella fu la prima volta che vi<strong>di</strong> Allarme seriamente<br />
preoccupato sul se<strong>di</strong>le del pulmino <strong>di</strong> ritorno in<br />
città.<br />
– E mo chi glielo racconta al presidente che non ci hanno<br />
voluto dare l’assegno…<br />
L’assegno: primi classificati al Memorial Stefano Lias.<br />
Ottantanove anni, vedovo, senza figli, né figlie, fondatore<br />
della polisportiva Jupiter.<br />
L’assegno che il signor sindaco avrebbe dovuto firmarci<br />
prima che saltassimo addosso alla moglie.<br />
Memorial Silvia Podda, detta Pastiglia. Campionessa <strong>di</strong><br />
perfi<strong>di</strong>a e sofferenza perché Gigi l’avrebbe voluto tutto<br />
per sé. Ma Gigi ha sempre avuto altro a cui pensare. Me la<br />
ricordo bene, la casa invasa.<br />
– Abbassate quel merda <strong>di</strong> stereo… Silvia vai tu a <strong>di</strong>rgli<br />
che se arrivano i vicini sono cazzi…<br />
Lei lo guarda, ma non lo sente, suda e la sua fronte perde<br />
gocce come neppure un lavan<strong>di</strong>no sfondato.<br />
– Stai sbrinando vecchia?<br />
Gigi non le dà tregua.<br />
E Cerchietto se la ride, <strong>di</strong> brutto.<br />
– Ei vecchia, zia, <strong>di</strong>co a te. Stai sbrinando?<br />
169
Cerchietto ha il trucco liquefatto e le lacrime nere che le<br />
corrono lungo il viso e ride, e cacchio se ride.<br />
Pastiglia non riesce ad aprire la bocca, prova a socchiudere<br />
il labbro superiore che sembra incollato a quello inferiore<br />
con quel vinavil bianco e appiccicoso e amaro.<br />
– Sto bene, sto bene…<br />
Finalmente parla, anche se le sue pupille stanno tramontando,<br />
scivolano all’in<strong>di</strong>etro e il bulbo è una palla<br />
bianca che fa impressione.<br />
– Stai sbrinando zia?<br />
– Non sto sbrinando, non sto sbrinando…<br />
Isterica la voce <strong>di</strong> Pastiglia perde e riacciuffa l’assetto,<br />
poi lo perde <strong>di</strong> nuovo. Come i suoi occhi che vanno e vengono<br />
oltre le palpebre.<br />
– Tremenda sta roba, cazzo ci avete messo… altro che<br />
sbrinando, sono in piena, vecchio…<br />
La guardo e mi fa paura e un po’ pietà: cosa le tocca fare<br />
per stare <strong>di</strong>etro a Gigi, penso. Poi sento improvvisamente<br />
lo stomaco trafitto da un suono profondo e basso. Un<br />
suono che fa tremare il frigorifero e i vetri della finestre<br />
aperte che fa un caldo boia. Quelli nell’altra stanza non<br />
hanno sentito ragioni e ora il mio stereo trasmette vibrazioni<br />
sovrumane.<br />
Gigi anche questa volta sbraita ma cambia gli or<strong>di</strong>ni:<br />
– Sdateci denstro con squel svolume… bsastar<strong>di</strong>…<br />
Manco gli escono le parole, inizia a ridere e avvinghia Silvia<br />
che avvinghia Cerchietto e iniziano a ballare, in tre.<br />
Quasi in girotondo, sbilenco. E ruotano, ruotano nella loro<br />
giostra chimica. E le pareti <strong>di</strong>ventano un vortice, anche le<br />
tazzine <strong>di</strong> ceramica <strong>di</strong> mia mamma poggiate sulle mensole<br />
color nocciola iniziano a volteggiare intorno alle loro teste.<br />
170<br />
Lo so, lo capisco. Perché in fondo non è che si muovano<br />
più <strong>di</strong> tanto, piccoli passetti a destra, piccoli movimenti <strong>di</strong><br />
bambini puzza <strong>di</strong> latte in girotondo.<br />
Come quei balli etnici, folk: millimetriche variazioni.<br />
Ma a loro sembra <strong>di</strong> sfrecciare alla velocità del suono e<br />
pure oltre. Gli sembra questo e altro, sennò non urlerebbero<br />
così, che neppure in picchiata giù da una montagnarussa,<br />
con i polmoni che esplodono e lo stomaco che vorrebbe<br />
uscire da orecchie e narici.<br />
Reggono l’urto con lo spaziotempo, che a loro sembra<br />
chissacché. Sino a quando quella, quella con l’orecchino al<br />
naso, non scivola dalle loro braccia e precipita sulla terra.<br />
Sento un tonfo.<br />
Botta <strong>di</strong> testa, miseria che botta <strong>di</strong> testa. Un rumore tremendo<br />
<strong>di</strong> ossa e mattonelle.<br />
Gigi e Silvia la guardano. Muti. Lei è a terra immobile.<br />
Gigi e Silvia guardano me. Io guardo loro e abbiamo la<br />
faccia della paura. La faccia del terrore è: zigomi allungati,<br />
labbra ritirate oltre la bocca, battito car<strong>di</strong>aco accelerato,<br />
capelli elettrizzati.<br />
Uno… due… tre secon<strong>di</strong> <strong>di</strong> silenzio assoluto. Mentre la<br />
musica spazza la casa con una folata gelida <strong>di</strong> chitarre<br />
straziate.<br />
E ripenso alle lezioni <strong>di</strong> pronto intervento, quelle che<br />
una volta al mese ci fa il me<strong>di</strong>co sociale ma nessuno <strong>di</strong> noi<br />
lo sta mai ad ascoltare. Penso che forse qualcosa la ricordo,<br />
penso anche che sarei dovuto stare un po’ più attento<br />
a quel corso.<br />
Poi Cerchietto riapre un occhio. Mezzo occhio.<br />
– Minchia… la testa…<br />
Gigi riprende colore. Che poi proprio colore non è.<br />
171
E lei muove una mano poi l’altra in cerca <strong>di</strong> qualcosa su<br />
cui aggrapparsi, tremando. Come sempre nella sua vita.<br />
– Minchia che botta… ma che cazzo ci avete messo nella<br />
roba…<br />
Silvia la prende per mano e l’aiuta a rialzarsi. E per un<br />
momento sembrano un’altalena che sta per rompere i car<strong>di</strong>ni<br />
e mandare tutti a puttane.<br />
Nessuna delle due ha la forza per reggere l’altra.<br />
– Dài vecchia an<strong>di</strong>amo a bagnarci la faccia…<br />
Finalmente barcollano oltre la cucina, escono dalla mia<br />
visuale ma le sento. Le sento che prendono a pugni la porta<br />
a vetri del bagno, già carico <strong>di</strong> gente.<br />
– Dài bastar<strong>di</strong> aprite che questa qua sta male…<br />
Poi tre giri <strong>di</strong> chiave, poi tante risate e l’acqua che scorre.<br />
E lo so che domani mi toccherà pulire anche il bagno.<br />
Guardo Gigi. E lo o<strong>di</strong>o.<br />
Memorial Cerchietto, milite ignota.<br />
Prendo la sdraio e provo a dormire in terrazzino.<br />
* * *<br />
Ecco me lo ricordo proprio bene. Qua giù. Me lo ricordo:<br />
le finestre spalancate per due giorni.<br />
– Dobbiamo far uscire tutta sta puzza <strong>di</strong> fumo…<br />
Ginocchia a terra con straccio e spugnetta.<br />
– Tu vai avanti con la cucina, io passo al salone…<br />
Gigi e la sua illusione <strong>di</strong> farla franca.<br />
– Poi passa alle impronte <strong>di</strong> scarpe del corridoio…<br />
Inutile, quando sono andati via, alla vicina non è sfuggito<br />
nulla. E ti credo, con quelle urla, con Silvia che frignava.<br />
172<br />
– Io lo so che un giorno ci sposeremo e avremo tanti figli<br />
e un bel cane lupo, anzi un bassotto, voglio un bassotto e<br />
due gemelli da amare…<br />
Cerchietto che quasi decollava sui primi scalini.<br />
– Cogliona allacciati quegli stivaletti…<br />
Man<strong>di</strong>bola che provava a tenere una lezione <strong>di</strong> botanica<br />
applicata allo smercio a due accasciati sul tappetino <strong>di</strong><br />
quella del piano <strong>di</strong> sotto che per fortuna era in vacanza al<br />
mare. Ma non la nostra vicina. La nostra vicina non è mai<br />
andata in vacanza. Mai.<br />
Pensavano che dormissi, non dormivo. Percepii mia<br />
madre uscire dalla stanza e puntare verso la cucina. Sentii<br />
il ronzio del frigorifero. Un rumore <strong>di</strong> ghiaccio e bicchieri.<br />
La intravi<strong>di</strong> nella penombra tornare al suo posto.<br />
Mio padre si scolò il bicchiere e borbottò che ci mancavano<br />
solo Luigi e io, io e Luigi, a fargli frantumare le palle<br />
dal condominio. Borbottò, <strong>di</strong>sintegrando i cubetti con i<br />
denti, che già c’aveva gli affari suoi col condominio. Mia<br />
madre non virò la rotta, per evitare la collisione.<br />
– Ma scusa, tu te li immagini i genitori <strong>di</strong> questi ragazzi…<br />
abbiamo una responsabilità…<br />
Mia madre ha immaginato sempre i genitori degli altri. I<br />
figli degli altri.<br />
– Ma chissene frega…<br />
Mio padre è sempre stato un tipo pragmatico.<br />
– Ah chi se ne frega? e intanto me la sono dovuta sciroppare<br />
io la madre <strong>di</strong> quella lì che <strong>di</strong>ceva che qui a casa nostra,<br />
<strong>di</strong>co, a casa nostra, le hanno fregato la catenina, d’oro…<br />
hai capito, pure del ladro ci danno…<br />
Tutto ma non ladro, mai stato ladro Gigi.<br />
173
Tormentato irrequieto, insod<strong>di</strong>sfatto, strafottente ma<br />
ladro mai. Ha sempre e solo fatto male a se stesso, come<br />
ogni membro della sua tribù. Ma la tribù ha sempre fatto<br />
pagare tutto a lui: le tinte del corridoio - che sfrega che ti<br />
sfrega l’alone era restato e forse pure peggio - lo zerbino<br />
del piano <strong>di</strong> sotto, la catenina, il buco <strong>di</strong> sigaretta sul <strong>di</strong>vano<br />
in pelle marron con le cuciture grosse - che c’era sfuggito<br />
- e pure l’espulsione da scuola quando gli hanno beccato<br />
le pastiglie.<br />
Espulso… In realtà non se la sentirono <strong>di</strong> buttarlo fuori,<br />
consigliarono a mio padre <strong>di</strong> mandarlo all’altro liceo,<br />
quello, <strong>di</strong>ssero, che era più fatto per lui. Così esuberante,<br />
così incapace <strong>di</strong> applicarsi che per concentrarsi prendeva<br />
quelle capsule bianche. Aveva detto così: – Per concentrarmi<br />
e rendere meglio, – quando gli altri avevano deciso<br />
che era meglio che pagasse solo lui.<br />
Lui demonio con le scarpe nere a punta per schiacciare<br />
le formiche negli angoli dei muri e con quei capelli che<br />
sembrano corna <strong>di</strong> <strong>di</strong>avolo all’insù gelatina nauseabonda<br />
e quella parlantina che tutti li convinceva anche e soprattutto<br />
a fare le cose peggiori. Questo <strong>di</strong>ssero. Perché questo<br />
riferirono pur <strong>di</strong> salvarsi il culo quelli della tribù.<br />
E lui a modo suo pagò, un po’ convincendoli e un po’<br />
convincendo se stesso.<br />
– Non fidarti mai <strong>di</strong> nessuno, mai Vanni… gente ’e merda…<br />
gente ’e merda e pure coglioni e cagasotto perché io<br />
non mi sarei mai fatto beccare, io non me la sarei mai cantata,<br />
io non li avrei fregati… mai…<br />
Quello è il giorno che iniziò a morire. Quel giorno che<br />
lasciò il vecchio liceo per il nuovo più adatto. Rimase solo,<br />
per un po’. Una sosta ai box, un altro giro e fu pure peggio.<br />
174<br />
E anche questa è una cosa banale e già vista che poi tutti<br />
sanno come va a finire.<br />
Così me la sono presa io la sua musica. Quasi un risarcimento.<br />
Per quanto mi ha fatto soffrire.<br />
Ma non ho il coraggio <strong>di</strong> metterla su, mi farebbe male<br />
un solo suono. Così la tengo lì sugli scaffali. Aspettando il<br />
giorno che avrò un po’ più <strong>di</strong> coraggio.<br />
– ’Ngiorno Gigi…<br />
– ’Ngiorno Vanni…<br />
Oggi non ho nessuno con cui <strong>di</strong>videre il risveglio.<br />
– Notte Vanni…<br />
– Notte Gì…<br />
E neppure il riposo.<br />
Avevo il mercoledì sera. Avevo il lunedì mattina. Porzioni<br />
<strong>di</strong> vita che ora solo ricordo.<br />
* * *<br />
Il lunedì mattina la libreria è sempre stata chiusa.<br />
Il lunedì mattina è chiusa come quasi tutti i negozi della<br />
città. Anche il campo è chiuso, niente addominali alti, addominali<br />
bassi, partitelle, tattiche…<br />
Il lunedì mattina ci incontriamo con Rocca sulla spiaggia,<br />
sulla spiaggia che addolcisce questa città. Che addolciva<br />
questa città.<br />
Passeggiamo fra la sabbia borotalco e la battigia dove si<br />
spegne il flusso del mare.<br />
Questa dei colori dell’acqua e della sabbia abbacinante<br />
che non ci sono più è una <strong>di</strong> quelle storie che mi fa troppo<br />
male.<br />
175
Rocca ha un bastoncino dove ha montato in punta un<br />
chiodo acuminato. Io ho una busta. Così mentre passeggiamo<br />
lui trafigge e io insacco tutte le schifezze che troviamo.<br />
Lattine, carte gelato, carte assorbenti, carte argentate,<br />
oliate, abrasive, carte giornali, plastica, plexiglass,<br />
cartone, compensato, balsa, sigarette, sigari, tessuti, legni,<br />
assorbenti, tampax, lattici, preservativi, scarpe, calze,<br />
mutande, pantaloni, pannolini, canottiere. I vetri e le<br />
bottiglie, si infila un guanto, e li tira su a mano. Anche le<br />
ruote.<br />
– Colpa della risacca.<br />
C’è sempre qualcuno che ci affianca correndo e ansimando<br />
come un bue attaccato all’aratro, la maglia sudata<br />
e i calzoncini fra<strong>di</strong>ci fra l’ultima vertebra e il buco del culo.<br />
Ci guarda, mi riconosce e rallenta il passo. E poi si inventano<br />
qualcosa pur <strong>di</strong> sentirmi parlare. Qualcosa come:<br />
– Colpa della mareggiata.<br />
Ma è solo una scusa.<br />
– Colpa degli uomini.<br />
Rocca cerca sempre <strong>di</strong> tenerli a bada.<br />
– Lei è Visco vero?<br />
Ma non rispon<strong>di</strong>amo mai.<br />
E Rocca li smarca.<br />
– Lattina <strong>di</strong> aranciata.<br />
Quelli ci guardano strani, muovono la testa e riprendono<br />
a correre.<br />
– Lattina <strong>di</strong> aranciata.<br />
Scan<strong>di</strong>sce le parole e le strombazza, cameriere in una<br />
pizzeria affollata che prende or<strong>di</strong>ni e detta comande galleggiando<br />
fra i tavoli come fa un pattinatore sul ghiaccio<br />
in attesa <strong>di</strong> prendere il volo oltre il mondo dei terrestri.<br />
176<br />
– Lattina <strong>di</strong> aranciata, coloranti, conservanti, ad<strong>di</strong>tivi,<br />
arancio due per cento. Acucar, polpas de laranja, antioxidante<br />
acido scorbico, acidulante acido citrico, regulador<br />
de acidez citrato de so<strong>di</strong>o, antiumectante fosfato tricalcico,<br />
edulcorantes artificiais aspartame, ciclamato de so<strong>di</strong>o<br />
e acessulfame K, corante inorganico <strong>di</strong>vido de titanio…<br />
questa arriva dal Brasile o forse dal Portogallo… Brasile<br />
Brasile…<br />
Trafigge la lattina e poi fa per scaricarla verso <strong>di</strong> me che<br />
apro la busta, sfilo dal chiodo con suono che raspa nei<br />
denti e insacco.<br />
– Giornale settimanale, molte foto, pochi contenuti, molti<br />
nu<strong>di</strong> poche inchieste. Casa e<strong>di</strong>trice… non si legge… ma<br />
tanto che <strong>di</strong>fferenza fa. Olè!<br />
Sbircio.<br />
– Ti piacciono i nu<strong>di</strong>?<br />
A volte, faccio io.<br />
– Mai visto un film porno?<br />
Preferisco partecipare, rispondo.<br />
– Non sempre si può partecipare…<br />
Forse sì.<br />
– Cartone <strong>di</strong> acqua minerale…<br />
Lo infilza e lo sfiocina per leggerlo meglio.<br />
– …da conservare in un luogo asciutto e lontano dai<br />
raggi del sole… contenuto 1,5 l. Imbottigliato da… sorgenti<br />
località <strong>di</strong>… caratteristiche chimiche e chimico fisiche…<br />
ioni presenti in un litro d’acqua, bicarbonato, cloruri<br />
solfati, so<strong>di</strong>o, potassio, calcio, magnesio, fluoro, azoto<br />
ammoniacale, litio, io<strong>di</strong>o, nitrati, nitri… Alpi, viene<br />
dalle Alpi… nord ovest…<br />
– Hai mai bevuto l’acqua dal rubinetto?<br />
177
No mai, rispondo. Signor Robinson.<br />
– Mai… già con lo schifo che fa oggi, prima si poteva…<br />
E ci ripensa.<br />
– Latte appena munto?<br />
No mai, rispondo.<br />
– Pane, burro e marmellata?<br />
No.<br />
– Pane burro e sale?<br />
No.<br />
– Non ti sei perso molto… Popz… ingre<strong>di</strong>eten: mais,<br />
suiker. Olanda questa è Olanda… boter, zout, lecithine…<br />
E ri<strong>di</strong>amo e poi ci raccontiamo certe storie come fanno<br />
gli amici quando non ha nemmeno importanza stare a ricordare<br />
su cosa e su chi.<br />
– Tè o caffè?<br />
Tè. Tanto lo sa, è inutile che mi tenti.<br />
– Forma o sostanza?<br />
Sostanza.<br />
– Essere o apparire?<br />
E dài, che domande, faccio io.<br />
– Già troppo stupide e scontate, mi sto rincoglionendo…<br />
Italiani o americani?<br />
Lo guardo e metto le mani come Gesù Cristo rockstar<br />
martire assunto al cielo. Palmi aperti, capo reclinato sulla<br />
spalla destra. Che poi vuol <strong>di</strong>re: ovvio.<br />
– Ho capito, Lunedì, non siamo in giornata.<br />
E lo stuzzico.<br />
– Arte o business?<br />
E quasi mi fiocina una scarpa con la sua lancia-chiodo.<br />
An<strong>di</strong>amo su e giù, do<strong>di</strong>ci chilometri ad andare e do<strong>di</strong>ci<br />
a tornare. Con il sole che ci scalda anche se è novembre,<br />
178<br />
<strong>di</strong>cembre, gennaio, febbraio, marzo. E anche se tira vento<br />
freddo ma appiccicoso.<br />
– Quanto ti pesa?<br />
– Ce la faccio ancora…<br />
E muovo la busta che ancora non è piena e faccio finta<br />
<strong>di</strong> non capire.<br />
– Quanto ti pesa quello che fai?<br />
Lo guardo ma non ce la faccio. Non ce la faccio proprio,<br />
alzo le spalle e abbasso lo sguardo.<br />
– Non ti preoccupare, ognuno ha i suoi tempi. Verrà anche<br />
il tuo tempo. Tu almeno hai un tempo, il mio è finito.<br />
E mi viene da <strong>di</strong>re la solita cosa banale che tutti sanno:<br />
– Non <strong>di</strong>ca così signor Robinson.<br />
Che mi sarei voluto prendere a pugni il cranio, scatola<br />
cranica buona solo per reazioni azioni da campo.<br />
Al massimo con Rocca an<strong>di</strong>amo avanti sino a metà aprile.<br />
Ma proprio al massimo. Poi ci siamo sempre fermati<br />
perché la spiaggia, poi, inizia ad affollarsi, per me sarebbero<br />
rogne e guai e poi noi non ci facciamo più nulla, non<br />
ci sentiremo più come nell’isola.<br />
– Lunedì…<br />
– Signor Robinson.<br />
– Ha portato le buste?<br />
– Certo e lei la lancia, immagino Signore…<br />
Oggi qua giù anche se questa storia non è roba da uomini<br />
uomini, questa <strong>di</strong> Robinson e Lunedì non la metto fra i<br />
ricor<strong>di</strong> della vergogna ma fra i ricor<strong>di</strong> che un po’ mi fanno<br />
tornare il sorriso, che mi fanno pensare che non c’era un<br />
bel nulla da arrossire. E questa è una cosa banale ma che<br />
nessuno vuole ammettere.<br />
Fra i ricor<strong>di</strong> della vergogna c’è quell’altro del Signor<br />
179
Robinson Gabriele Rocca che se fossi arrivato prima in libreria,<br />
se avessi capito oltre i suoi sguar<strong>di</strong>, se avessi potuto<br />
portare in<strong>di</strong>etro il tempo. Mentre posso portare in<strong>di</strong>etro<br />
solo i ricor<strong>di</strong> e i pensieri.<br />
Solo per una cosa sono contento. Solo una. Almeno lui<br />
la storia della spiaggia se l’è risparmiata. Almeno lui la<br />
morte della spiaggia non l’ha vista. Non ha visto la sabbia<br />
nera, sulla bianca. La sabbia nera succhiata dagli abissi al<br />
largo, in mare aperto, la sabbia che non ha mai potuto vedere<br />
la luce che fa qua. E questo era facile da capire. Ma<br />
hanno preferito fare <strong>di</strong> testa loro. Il borotalco invaso da<br />
pietre e terra. Non ha visto il progetto dei faraoni per<br />
un’amministrazione giusta e una spiaggia da re. I progetti<br />
e le comparazioni per salvare quello che qualcuno scava<br />
che ti scava ruba che ti ruba si era fregato per fare mattoni<br />
su mattoni, palazzi su palazzi, denari su denari.<br />
– La ve<strong>di</strong> la spiaggia che arretra?<br />
– La vedo, la vedo.<br />
– Si portano via la spiaggia per fare l’impasto dei muri.<br />
– Lo so.<br />
– E ora dovranno trovare una soluzione.<br />
E la soluzione Rocca non l’ha vista.<br />
Non ha visto arrivare le ruspe e le benne, le idrovore<br />
sparare pioggia nero petrolio. Non ha visto il mare trasparente<br />
<strong>di</strong>ventare caglio, ribollire oli che quando ti tuffi appiccicano<br />
il corpo e la mente. Nulla ha visto. E questo è<br />
l’unico motivo per cui oggi non piango. Qua giù ricordando<br />
lui, nello sfintere dell’arena.<br />
180<br />
Diciottesimo pezzetto<br />
Giro e rigiro gli album e le figurine, li tengo qua giù nel<br />
mio arma<strong>di</strong>etto. E tutti pensano che si tratti <strong>di</strong> un gesto<br />
scaramantico. Anche il mister che mi lascia fare mentre<br />
impartisce i primi or<strong>di</strong>ni e richiama ogni compagno al<br />
proprio compito.<br />
Passo i polpastrelli sulla mia faccia dello scorso <strong>campionato</strong><br />
e poi su quella del <strong>campionato</strong> <strong>di</strong> due anni fa e poi<br />
quello <strong>di</strong> tre e quattro. Eccomi sempre nella stessa posizione,<br />
seconda pagina in basso a destra: numero un<strong>di</strong>ci,<br />
Visco Vanni e tutto il resto della tiritera.<br />
Dicono che siano rarissime queste figurine. Dicono che<br />
sono merce rara ma io mi sento come merce avariata. Mi<br />
sto decomponendo pezzetto dopo pezzetto, come questa<br />
mia vita.<br />
E mi va <strong>di</strong> tirare le somme che poi è tutta una sottrazione.<br />
Niente segni più, solo una sequenza <strong>di</strong> meno. Meno<br />
mio fratello, meno suo figlio, meno mia madre, meno mio<br />
padre, meno Lucina, meno Rocca. E meno me stesso, quello<br />
che sarei voluto essere.<br />
Meno sogni, meno amicizie, meno affetti, meno aspirazioni,<br />
meno futuro, meno autodeterminazione che vuol<br />
<strong>di</strong>re scegliersi un destino, una vita.<br />
E anche questa è una lagna e che tutti sanno e che tutti si<br />
vergognano.<br />
181
I pensieri della vergogna.<br />
Meno i miei libri.<br />
Cosa sarei potuto <strong>di</strong>ventare? Se non calciatore cosa sarei<br />
potuto <strong>di</strong>ventare?<br />
Non lo so. Ma so che forse tutto doveva passare da qui,<br />
da questo maledetto e flatulento stomaco dell’arena e che<br />
ogni passaggio fluttuante, ogni galoppata, mischia furibonda,<br />
verticalizzazione e progressione e gol ancora gol e<br />
sempre gol, erano segni più. Un cre<strong>di</strong>to verso la liberazione,<br />
due cre<strong>di</strong>ti, tre cre<strong>di</strong>ti sono arrivato a mille cre<strong>di</strong>ti oggi<br />
faccio il golden gol ritiro il premio e mi levo dalle scatole.<br />
E mi viene da ridere. Come sempre.<br />
Si ride, pure troppo, qua giù. È la tensione che spesso fa<br />
questo scherzo.<br />
Fuori lo sta<strong>di</strong>o è pieno, gli altri la scorsa stagione hanno<br />
perso tutto per un soffio e tutto per colpa nostra, mia. Il<br />
mister ci urla le ultime istruzioni, è più schizzato che mai.<br />
Ha la forfora se<strong>di</strong>mentata sulla giacca blu, quella con il<br />
simbolo della nostra società poco sopra il cuore. Per lui tira<br />
aria <strong>di</strong> esonero se non tiene il ritmo della scorsa stagione.<br />
Deve vincere tutto a partire da questo anticipo <strong>di</strong> sabato<br />
pomeriggio, conta su <strong>di</strong> me e per oggi gli andrà pure<br />
bene. Ma poi basta.<br />
Lo ascolto e non lo ascolto, mi sembra che tutto viaggi<br />
alla moviola, le sue labbra si muovono lente, quasi deformi,<br />
mi in<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> continuo mentre sbraita e tutti mi guardano.<br />
Mentre mi preparo per la crocifissione.<br />
Bene, è il momento <strong>di</strong> andare, percorro il tunnel a scatti,<br />
mi sembra <strong>di</strong> essere sotto gli effetti <strong>di</strong> una luce strobo<br />
che si fa sempre più intensa.<br />
182<br />
Sbradabang!!!<br />
Eccomi sono pronto, la moviola si ferma, lo sta<strong>di</strong>o mi<br />
invoca in pie<strong>di</strong> e batte le mani. Alzo in aria le braccia e loro<br />
vanno in delirio. Non lo avevo mai fatto, impazziscono,<br />
urlano il mio nome, pensano che sia un segnale all’avvio<br />
delle ostilità, il via al ruggito dell’arena. Invece è così semplice:<br />
braccia alzate, segnale <strong>di</strong> resa.<br />
È la mia ultima <strong>di</strong> <strong>campionato</strong>, l’arbitro mi stringe la mano,<br />
lo guardo e penso chi glielo faccia fare, lasciare l’impiego<br />
da geometra ogni fine settimana per scorticarsi le labbra<br />
sul fischietto, urlare or<strong>di</strong>ni, impartire punizioni, subire<br />
umiliazioni, processi del lunedì, insulti, fischi. Per cosa,<br />
per che cosa?<br />
E noi qui sul campo per cosa, per che cosa? Per i miliar<strong>di</strong><br />
che svaniranno con la gloria, per il solito teatrino della<br />
tv, per sperare che un domani qualcuno ancora si ricor<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> noi.<br />
Giro vorticosamente facendo perno sui tacchetti, da capogiro.<br />
Cado a terra sull’erbetta e rido, rido. Lo sta<strong>di</strong>o<br />
piomba nel silenzio più assoluto, inebetito. L’arbitro ha<br />
già fischiato ma resto a terra, vedo con la coda dell’occhio<br />
la barella che si avvicina, la precedo, mi rialzo <strong>di</strong> scatto, il<br />
pubblico esulta stupito. Rialzo le braccia al cielo, <strong>di</strong> nuovo<br />
boato.<br />
Ok, mi arrendo ma prima chiu<strong>di</strong>amo questa benedetta<br />
partita. Salgo sul Mig e volo.<br />
Sbradabang!!!<br />
183
Sbradabang!!!<br />
Sbradabang!!!<br />
Sbradabang!!!<br />
184<br />
Ultimo pezzetto<br />
Domenica notte. Mi alzo e acciuffo il telefono. Per poco<br />
a zio Nannino non viene una sincope, per poco non gli<br />
esplode una vena del collo. Ha già il giornale sul tavolo, lo<br />
so, sorseggia il caffè amaro e aspetta che alle 3 la compagnia<br />
<strong>di</strong> caccia lo venga a prendere. Lo avevano riammesso<br />
subito dopo la mia prima convocazione in Nazionale. Ed<br />
era chiaro che sarebbe andata così.<br />
La voce gli balla, non ci ve<strong>di</strong>amo da tempo, gli sento<br />
persino tremare la mano sulla tazzina <strong>di</strong> ceramica e gli<br />
chiedo se lo posso scortare come ai vecchi tempi alla posta,<br />
nella boscaglia, quando era lui a scortare me.<br />
– Li hai umiliati, Vanni, 4 a 0, 4 a 0, Vanni.<br />
E piange.<br />
– Ma insomma vengo o no?<br />
E lui non risponde e riprende a singhiozzare.<br />
Mezzora dopo. Sono sotto casa sua. La compagnia in fibrillazione<br />
che mi attende.<br />
Scendo dal biemmevù, mi salutano con un applauso, i<br />
taccuini sfoderati, le penne pronte per gli autografi a figli<br />
e nipoti. Zio cerca <strong>di</strong> tenerli a bada, <strong>di</strong> metterli in fila, ma è<br />
inutile. E ora vorrei ricordare a tutti loro quando ci cacciarono<br />
via, quando ci umiliarono fra le risate. Ma sarebbe<br />
una vendetta inutile. Un misero contentino per misere<br />
persone. E non ho neanche troppa voglia <strong>di</strong> riflettere e far<br />
185
pesare a questo mio povero cervello che se c’è un inizio, se<br />
alla fine c’è stato un inizio, be’ tutto ha preso il via con loro,<br />
per colpa loro, nella boscaglia.<br />
E ora la mia macchina corre e <strong>di</strong>vora queste curve e sale<br />
mentre arriva la prima luce. Guardo in basso e vedo questo<br />
nostro mare mare e questo nostro cielo cielo che si toccano<br />
e si specchiano a vicenda. Nulla si muove e mi sembra<br />
<strong>di</strong> percorrere una natura quadro, <strong>di</strong> sfrecciare in una<br />
fotografia. Qui dove nulla mi sembra più vero. Neanche<br />
questa musica, questo incontro <strong>di</strong> tasti sfiorati che si intrecciano<br />
con queste corde pizzicate e scivolano via dagli<br />
amplificatori <strong>di</strong> questa mia macchina da campione.<br />
Eccoci siamo sui monti. Su questi monti che sbeffeggiano<br />
la spiaggia giù a valle e mi chiedo con quale coraggio,<br />
loro colline <strong>di</strong> mare. Nella posta <strong>di</strong> sempre, in silenzio con<br />
le orecchie tese verso il latrare dei cani lontani che cercano<br />
il cinghiale <strong>di</strong>avolo nella foschia, che ondeggiano con<br />
coda e orecchie lunghe, galleggiano fra queste nuvole<br />
umide che ci soffocano il respiro e ci bagnano i pensieri.<br />
Sbucano col cuore tamburo fra questi fiumi <strong>di</strong> brina, pronti<br />
ad infilzare con i loro denti questo demonio animale<br />
metastasi.<br />
Nannino non è più Nannino. Sembra suo padre che ho<br />
conosciuto appena ma mi è rimasto impresso nella memoria.<br />
Si è rinsecchito, come suo padre, e la camicia che<br />
una volta a malapena gli conteneva il collo ora lascia intravedere<br />
l’un<strong>di</strong>ci, quei due nervi della cervicale che vengono<br />
fuori e formano un bel numero un<strong>di</strong>ci, come il suo vecchio.<br />
186<br />
Lo guardo <strong>di</strong> spalle, i capelli non ci sono più e sopra<br />
l’un<strong>di</strong>ci ha solo una cornice grigia da orecchio a orecchio.<br />
La brina gli corre lungo la testa e gli cola sulla nuca, inzuppandogli<br />
quei due peli bianchi che <strong>di</strong>stillano le gocce della<br />
sua vecchiaia.<br />
Sapevo che non avrebbe retto tutta l’attesa, che prima o<br />
poi si sarebbe accasciato tra queste pietre. Una mano sul<br />
fucile, l’altra fra la guancia e la roccia foderata <strong>di</strong> muschio.<br />
Gli capitava già <strong>di</strong>eci anni fa figurarsi oggi.<br />
Aspetto che il suo respiro si faccia pesante e il viso si rilassi<br />
e le rughe si <strong>di</strong>stendano. E il suo naso soffia un respiro<br />
esausto, stufo. Anche lui <strong>di</strong> questa vita.<br />
Il fucile glielo sfilo lentamente, pian piano. Lo imbraccio,<br />
carico e clic.<br />
Sbradabang!!!<br />
187
Alla fine tutti i pezzetti sono volati via sulla gobba <strong>di</strong> un<br />
vento maestrale. Cenere alla cenere, polvere alla polvere.<br />
Nostro Signore Gesù Cristo rockstar martire mi è stato<br />
buon testimone e mi ha sorriso e mi ha strizzato l’occhio.<br />
Finii nuovamente sui giornali, occupai le prime pagine<br />
per settimane intere.<br />
Oggi, oggi che stacco scontrini capisco forse che una<br />
storia così me la sarei dovuta vendere prima. Non che i<br />
sol<strong>di</strong> mi manchino, anzi. Giusto così perché se avevo deciso<br />
che finalmente era giunto il mio turno avrei dovuto<br />
portarmi via tutto l’incasso. E quasi l’ho fatto.<br />
Oggi, oggi che batto cassa ho alle mie spalle tutti i ritagli<br />
<strong>di</strong> giornale, tutti i miei titoli. Sono Vanni Visco Martire<br />
della Sfiga. E mi vogliono più bene e quei titoli glielo ricorderanno<br />
per sempre che solo la sfiga poteva fermarmi.<br />
O solo io potevo fermarmi.<br />
“Vanni Visco perde un piede durante una battuta <strong>di</strong><br />
caccia”, “Tragico incidente, Visco perde un piede a caccia”<br />
e poi a seguire: “Visco ricoverato d’urgenza negli Stati<br />
Uniti”, sottotitolo “Tenteranno <strong>di</strong> ricostruirgli il piede”.<br />
Tenni testa per tre mesi sino all’ultimo e laconico titolo:<br />
“Visco torna a casa, ma non potrà più giocare”.<br />
189
Il piede me l’hanno ricostruito, da bambola, in plastica<br />
lucida, però me lo hanno ricostruito.<br />
A calcio non posso più giocare. L’avevo detto, basta.<br />
Clic, e mi levo dalle scatole. Suici<strong>di</strong>o perfetto, fra gli onori<br />
e la gloria <strong>di</strong> chi se li gode però in vita.<br />
Tutto programmato, calcolato. Ma loro che credano quello<br />
che c’è da credere. San Vanni Visco Martire per Se Stesso<br />
ma che loro credano pure altro.<br />
– Ottavio! Ottà dài una mano alla signora…<br />
Mi sono comprato la libreria Rocca, libri, <strong>di</strong>schi, Cd. E<br />
mi sono preso anche il vecchio Ottavio. Il cane cirneco ha<br />
tirato le cuoia, stirato da uno in moto.<br />
– Signora il suo libro rilegato sarà pronto per domani,<br />
incisioni in oro, sì incisioni in oro…<br />
E ci ho messo pure babbo nella stanzetta esagonale. Le<br />
copertine in pelle sono <strong>di</strong> moda, sono tornate <strong>di</strong> moda.<br />
Sta lì e tiene impegnate le mani ma non la mente, la<br />
mente non c’è più o giusto un pochino. Vive in un mondo<br />
tutto suo. Chissà dov’è e dove va con quella sua mente.<br />
Lo ha detto anche Nannino, me<strong>di</strong>co quasi pensionato,<br />
che ora la domenica ci porta lui, mio padre, a caccia e <strong>di</strong>ce<br />
che si fanno certe risate… Ma non prendono mai neanche<br />
un piccione.<br />
Un po’ agitato lo sono, adesso, ma è una bella agitazione<br />
che mi solletica e mi scalda lo stomaco perché fra un mese<br />
partiamo a trovare i Pinocchietti l’unica mia squadra del<br />
cuore, l’unica squadra che ha un senso allenare oggi. Oggi<br />
che con le mine è pure peggio. Oggi che nello stomaco<br />
delle arene e lì sugli spalti hanno smarrito tutto.<br />
– Ani-ce-tto Al-la-rme. Repeat boys!<br />
190<br />
Il vecchio Allarme l’ho spe<strong>di</strong>to lì da tempo e giura, giura<br />
e rigiura che anche a loro ha insegnato tutta la tiritera.<br />
In un mezzo inglese, francese, italiano e pure con i <strong>di</strong>segni<br />
delle fortezze volanti, quelle <strong>di</strong> quando si decise <strong>di</strong> degnare<br />
il mondo della sua presenza.<br />
E quelli ripetono: – Ani-ce-tto Al-la-rme.<br />
E se la ridono <strong>di</strong> brutto.<br />
E finalmente me la rido pure io che qui quando ho fatto<br />
l’inaugurazione mi hanno svuotato i banconi. E mi hanno<br />
dato un sacco <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> per i Pinocchietti e me ne danno ancora<br />
perché io sono Vanni Visco, l’imperatore del calcio<br />
ancora da eguagliare.<br />
Stacco scontrini e firmo autografi a chi viene qui solo<br />
per pretesto, per prendere una cosa ma soprattutto toccarmi,<br />
guardarmi, stringermi la mano. Così i miei libri arrivano<br />
ovunque, nelle case <strong>di</strong> chi al massimo sino a ieri ha<br />
ospitato solo i fogli rosa dello sport. È la mia rivincita <strong>di</strong> fine<br />
carriera.<br />
E anche questa è una cosa banale, stucchevole e banale<br />
ma forse nessuno l’avrebbe mai immaginata.<br />
191
<strong>Ultima</strong> <strong>di</strong> <strong>campionato</strong> è un’opera <strong>di</strong> fantasia. Ogni riferimento<br />
a personaggi realmente esititi o esitenti, nonché a situazioni<br />
realmente accadute è puramente casuale.
INDICE
INDICE<br />
<strong>Ultima</strong> <strong>di</strong> <strong>campionato</strong><br />
Primo pezzetto 9<br />
Secondo pezzetto 17<br />
Terzo pezzetto 23<br />
Quarto pezzetto 35<br />
Quinto pezzetto 41<br />
Sesto pezzetto 49<br />
Settimo pezzetto 59<br />
Ottavo pezzetto 71<br />
Nono pezzetto 77<br />
Decimo pezzetto 83<br />
Un<strong>di</strong>cesimo pezzetto 101<br />
Do<strong>di</strong>cesimo pezzetto 113<br />
Tre<strong>di</strong>cesimo pezzetto 127<br />
Quattor<strong>di</strong>cesimo pezzetto 141<br />
Quin<strong>di</strong>cesimo pezzetto 155<br />
Se<strong>di</strong>cesimo pezzetto 159<br />
Diciassettesimo pezzetto 165<br />
Diciottesimo pezzetto 181<br />
Ultimo pezzetto 185
Volumi pubblicati:<br />
Tascabili . Narrativa<br />
Grazia Deledda, Chiaroscuro<br />
Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto<br />
Grazia Deledda, Ferro e fuoco<br />
<strong>Francesco</strong> Masala, Quelli dalle labbra bianche<br />
Emilio Lussu, Il cinghiale del Diavolo (2 a ristampa)<br />
Maria Giacobbe, Il mare (ristampa)<br />
Sergio Atzeni, Il quinto passo è l’ad<strong>di</strong>o<br />
Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri<br />
Giulio Angioni, L’oro <strong>di</strong> Fraus<br />
Antonio Cossu, Il riscatto<br />
Bachisio Zizi, Greggi d’ira<br />
Ernst Jünger, Terra sarda<br />
Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni (2 a e<strong>di</strong>zione)<br />
Luciano Marrocu, Fáulas (2 a e<strong>di</strong>zione)<br />
Gianluca Floris, I maestri cantori<br />
D.H. Lawrence, Mare e <strong>Sardegna</strong><br />
Salvatore Niffoi, Il postino <strong>di</strong> Piracherfa<br />
Flavio Soriga, Diavoli <strong>di</strong> Nuraiò (2 a e<strong>di</strong>zione)<br />
Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />
<strong>Francesco</strong> Masala, Il parroco <strong>di</strong> Arasolè<br />
Maria Giacobbe, Gli arcipelaghi (ristampa)<br />
Salvatore Niffoi, Cristolu<br />
Giulio Angioni, Millant’anni<br />
Luciano Marrocu, Debrà Libanòs<br />
Giorgio Todde, La matta bestialità (2 a e<strong>di</strong>zione)<br />
Sergio Atzeni, Racconti con colonna sonora e altri «in giallo»
Marcello Fois, Materiali<br />
Maria Giacobbe, Diario <strong>di</strong> una maestrina<br />
Giuseppe Dessì, Paese d’ombre<br />
<strong>Francesco</strong> <strong>Abate</strong>, Il cattivo cronista<br />
Gavino Ledda, Padre padrone<br />
Salvatore Niffoi, La sesta ora<br />
Jack Kerouac, L’ultima parola. In viaggio. Nel jazz<br />
Gianni Marilotti, La quattor<strong>di</strong>cesima commensale<br />
Giorgio Todde, Ei<br />
Luigi Pintor, Servabo<br />
Marcello Fois, Il tamburino sardo<br />
<strong>Francesco</strong> <strong>Abate</strong>, <strong>Ultima</strong> <strong>di</strong> <strong>campionato</strong><br />
Narrativa<br />
Salvatore Cambosu, Lo sposo pentito<br />
Marcello Fois, Nulla (2 a e<strong>di</strong>zione)<br />
<strong>Francesco</strong> Cucca, Muni rosa del Suf<br />
Paolo Maccioni, Insonnie newyorkesi<br />
Bachisio Zizi, Lettere da Orune<br />
Maria Giacobbe, Maschere e angeli nu<strong>di</strong>: ritratto d’un’infanzia<br />
Giulio Angioni, Il gioco del mondo<br />
Aldo Tanchis, Pesi leggeri<br />
Maria Giacobbe, Scenari d’esilio. Quin<strong>di</strong>ci parabole<br />
Giulia Clarkson, La città d’acqua<br />
Paola Alcioni, La stirpe dei re perduti<br />
Mariangela Sedda, Oltremare<br />
Poesia<br />
Giovanni Dettori, Amarante<br />
Sergio Atzeni, Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo<br />
Gigi Dessì, Il <strong>di</strong>segno<br />
Roberto Concu Serra, Esercizi <strong>di</strong> salvezza<br />
Serge Pey, Nierika o le memorie del quinto sole<br />
Saggistica<br />
Bruno Rombi, Salvatore Cambosu, cantore solitario<br />
Giancarlo Porcu, La parola ritrovata. Poetica e linguaggio in<br />
Pascale Dessanai<br />
FuoriCollana<br />
Salvatore Cambosu, I racconti<br />
Antonietta Ciusa Mascolo, <strong>Francesco</strong> Ciusa, mio padre<br />
Alberto Masala - Massimo Golfieri, Me<strong>di</strong>terranea<br />
I Menhir<br />
Salvatore Cambosu, Miele amaro<br />
Antonio Pigliaru, Il ban<strong>di</strong>tismo in <strong>Sardegna</strong>. La vendetta barbaricina<br />
Giovanni Lilliu, La civiltà dei sar<strong>di</strong><br />
Giulio Angioni, Sa laurera. Il lavoro conta<strong>di</strong>no in <strong>Sardegna</strong><br />
In coe<strong>di</strong>zione con E<strong>di</strong>zioni Frassinelli<br />
Marcello Fois, Sempre caro<br />
Marcello Fois, Sangue dal cielo<br />
Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />
Marcello Fois, L’altro mondo<br />
Giorgio Todde, Paura e carne
Finito <strong>di</strong> stampare<br />
nel mese <strong>di</strong> aprile 2004<br />
dalla Tipolitografia ME.CA. - Recco GE