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Talete, Anassimandro, Anassimene, Eraclito, Pitagora

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<strong>Talete</strong> (624-545 a.C. circa). Per <strong>Talete</strong>, il quale gode degli onori di essere considerato il primo<br />

filosofo occidentale, questo arché è l'acqua. Tutto è composto d'acqua, le molteplici forme della<br />

materia (fuoco, terra, aria, e la stessa acqua, ad esempio) sono composte di acqua. Tuttavia<br />

quest'acqua non è da intendersi come il solo e semplice elemento che genera e compone il mare, i<br />

fiumi e la pioggia, l'acqua di <strong>Talete</strong> è un principio superiore ai semplici elementi sensibili: l'acqua di<br />

<strong>Talete</strong> è appunto il principio, l'arché, la forza sempre identica a se stessa che genera la molteplicità<br />

delle sostanze e lo stesso continuo mutare di tali sostanze (il divenire).<br />

Probabilmente <strong>Talete</strong> ricava l'indicazione dell'acqua come arché dall'osservazione diretta della<br />

physis (la natura materiale), dove tutto ciò che è vivo sembra abbisognare d'acqua per generarsi o<br />

semplicemente per continuare a vivere: il nutrimento dei viventi è umido, i semi che generano le<br />

piante sono umidi (come anche gli ovuli degli animali o il liquido amniotico dei mammiferi),<br />

l'acqua poi assume diversi stati, quello liquido, quello gassoso e quello solido. L'acqua è inoltre<br />

presente nei miti già come entità generatrice (ad esempio, Oceano dal quale tutto si genera, citato da<br />

Omero).<br />

<strong>Anassimandro</strong> (610-547 a.C. circa). <strong>Anassimandro</strong>, forse discepolo di <strong>Talete</strong>,<br />

riflette sempre sulla medesima tematica, ovvero la ricerca dell'arché, ed amplia di<br />

molto l'orizzonte e la complessità della risposta: per <strong>Anassimandro</strong> l'archè è<br />

l'àpeiron (iò che non ha forma, l'indefinito, il non particolare).<br />

Se <strong>Talete</strong> individua il principio che genera le diversità in qualcosa che comunque è<br />

definito (l'acqua di <strong>Talete</strong> è un per sempre una qualcosa di definito e preciso),<br />

<strong>Anassimandro</strong> replica affermando che il principio e la forza che genera il<br />

molteplice e le diversità tra le cose non può essere qualcosa di definito, ma in realtà è il 'tutto<br />

indefinito', il 'tutto molteplice', ovvero il 'brodo primordiale' in cui tutti gli elementi esistenti non<br />

hanno ancora trovato la loro forma: appunto, l'àpeiron.<br />

Nell'àpeiron il Tutto esistente si trova in una situazione eterna, nell'àpeiron ogni cosa si trova nella<br />

condizione della coincidenza degli opposti: ovvero, Il Tutto racchiude in se anche le cose contrarie<br />

tra loro, come, ad esempio, il giorno e la notte. Mentre nel mondo sensibile il giorno, subentrando<br />

alla notte, dissolve e distrugge la notte stessa, e così, in un eterno gioco di distruzioni conseguenti,<br />

la notte subentrando al giorno dissolve il giorno, l'àpeiron è la dimensione eterna entro la quale<br />

tutti i contrari sono custoditi in attesa di essere richiamati nel mondo degli uomini, soggetti alla<br />

legge del tempo (solo dove c'è tempo c'è mutamento, e quindi diversità e molteplicità). Ecco come<br />

l'àpeiron è il principio di tutte le cose, secondo <strong>Anassimandro</strong>.<br />

Da notare che per <strong>Anassimandro</strong>, l'àpeiron non genera le cose casualmente, egli parla infatti di<br />

governo dell'àpeiron, esso non è un qualcosa di cieco e insensibile, ma conoscente e vivo,<br />

intenzionale.<br />

<strong>Anassimene</strong> (596-525 a.C. circa). Tuttavia, <strong>Anassimandro</strong> lascia in sospeso<br />

(necessariamente) la domanda attorno alla vera natura dell'àpeiron: che cos'è che<br />

permette all'àpeiron di generare e mettere in moto le diversità del molteplice? Per<br />

<strong>Anassimene</strong>, amico di <strong>Anassimandro</strong>, ciò che permette all'àpeiron di mettere in<br />

moto la diversità è la 'condensazione e la rarefazione dell'aria'.<br />

L'aria è quella sostanza infinita che costituisce tutte le cose. Le sostanze diferiscono tra loro per il<br />

diverso grado di condensazione dell'aria: l'aria, attenuandosi, diventava fuoco, condensandosi,<br />

diventava vento, nuvola, acqua, terra e così via, verso una 'durezza' sempre maggiore. Il mondo,<br />

secondo <strong>Anassimene</strong>, "è come un animale gigantesco che respira e il respiro è la sua vita e la sua<br />

anima." L'aria appare come elemento incorporeo, priva di materia, l'aria, per <strong>Anassimene</strong>, è 'il<br />

respiro del mondo', ciò che muove le cose senza essere nessuna cosa.


ERACLITO<br />

540-480 a.C. circa<br />

<strong>Eraclito</strong> visse ad Efeso, colonia ateniese sulle coste della Lidia, discendente di una famiglia di stirpe<br />

reale. Pare che conducesse vita appartata e che nutrisse un profondo disprezzo per le masse e per le<br />

istituzioni democratiche del tempo, disprezzo riassumibile nella sua frase un uomo solo ne vale<br />

diecimila, ammesso che sia il migliore.<br />

Questo suo carattere non facilitò certo la sua agiografia: di lui si racconta che scrivesse i suoi<br />

aforismi su sottili lamine d'oro che faceva conservare nelle casseforti del tempio, pensieri da<br />

rendere noti solamente dopo la sua morte. Sempre secondo la tradizione leggendaria, si diede egli<br />

stesso la morte all'età di sessant'anni nella piazza di Efeso facendosi divorare dai cani, non senza<br />

essersi prima cosparso di sterco.<br />

Il pensiero di <strong>Eraclito</strong> ruota attorno a quattro punti fondamentali: il divenire, la contrapposizione tra<br />

i contrari, il Lògos, e il fuoco come stoichèion, come sostanza fisica identica nella diversità delle<br />

cose esistenti.<br />

Il divenire. Il divenire è il continuo mutare di tutte le cose da uno stato all'altro. Tutta il cosmo è un<br />

continuo mutare, niente permane nella stessa forma. Lo stesso vivere è un continuo mutare da una<br />

condizione all'altra. Pànta Rhei, tutto scorre e tutto va, incessantemente, ed è questo continuo<br />

mutare che costituisce il senso stesso del cosmo, il suo principio fondamentale, il suo significato<br />

ultimo. Per dirla come <strong>Eraclito</strong> non ci si bagna mai nello stesso fiume e non si può toccare due<br />

volte una sostanza sensibile nello stesso stato.<br />

Il divenire, per <strong>Eraclito</strong>, costituisce il principio sul quale poggia il mondo, è l'arché. Ciò che vi è di<br />

identico e non muta, nell'ambito del mutare di tutte le cose, è lo stesso mutamento. Ogni cosa,<br />

infatti, si trova, ad un certo punto della sua esistenza, in una situazione per la quale essa è opposta a<br />

tutte le altre, ogni cosa è tutto quello che non è altro. Per essere qualcosa ogni cosa ha quindi<br />

bisogno del molteplice per ricavare la sua specificità dal confronto con le altre cose.<br />

Il divenire, il mutamento, è nell'evidenza stessa del tempo: ogni cosa è soggetta alla temporalità,<br />

ogni aspetto del mondo muta perché e il tempo che necessita questo stesso mutamento: il tempo si<br />

esprime nel passaggio delle cose da uno stato all'altro, e questo passare (questo diventare altro),<br />

costituisce l'essenza stessa del cosmo (il cosmo è ciò che è perché in esso si assiste ai molteplici<br />

spettacoli del mutamento delle cose).<br />

Ma ancora prima di interpretarla come riflessione sul tempo, la testimonianza di <strong>Eraclito</strong> produce<br />

un senso del divenire ben preciso: il divenire, il mutare delle cose, è determinato dalla stessa<br />

contrapposizione tra le cose, il mutare è connaturato (necessariamente legato) alla contrapporsi<br />

delle cose contrarie.<br />

L'opposizione tra i contrari ('polemos'). Dunque, ogni cosa è ciò che è proprio perché ha delle altre<br />

cose che ne delimitano l'essenza (ad esempio sappiamo che è giorno perché conosciamo la notte:<br />

quindi definiamo il giorno come ciò che si oppone alla notte, se non ci fosse la notte, non potremmo<br />

sapere cosa è il giorno). <strong>Eraclito</strong> afferma che non esisterebbe luce senza buio, salute senza malattia,<br />

sazietà senza fame, ogni cosa raggiunge la sua definizione dal confronto con le altre.


Ogni cosa per esistere e per definirsi ha bisogno delle altre cose in modo da esprimere la propria<br />

identità rapportandosi alle altre. Questo concetto è definito da <strong>Eraclito</strong> come polemos ("contesa",<br />

"guerra", "opposizione"), o contrasto tra i contrari. Le cose esistono e continuamente subentrano<br />

alle altre (ad esempio il giorno subentra alla notte, il freddo al caldo, l'umido al secco), ed è proprio<br />

questa contesa a creare quell'equilibrio necessario a perpetuare l'esistenza di ogni cosa.<br />

La strada in salita e in discesa è una sola e la medesima: con questa metafora <strong>Eraclito</strong> testimonia<br />

che il molteplice mutare delle cose divenienti (rappresentate dalla discesa e dalla salita) è pur<br />

sempre soggetto allo stesso principio (la strada, ovvero l'esistenza stessa): cose opposte e contrarie<br />

fra loro sono indissolubilmente legate le une alle altre (se non esistesse la salita, non esisterebbe<br />

nemmeno la discesa).<br />

Tutte le cose sono uno, come afferma lo stesso <strong>Eraclito</strong>, ovvero ogni cosa che si contrappone alle<br />

altre ha in comune con le altre un determinato aspetto: l'opposizione, la relazione necessaria con le<br />

altre cose dalla quale scaturisce necessariamente il loro significato.<br />

Nella polemos si esprime un'armonia, una forma di giustizia universale: la contrapposizione<br />

permanente di ogni aspetto della realtà genera un equilibrio che non permette ad alcun elemento di<br />

prevaricare sugli altri (ciò sarebbe ingiustizia). Nessun elemento può quindi prevaricare sugli altri in<br />

quanto non può essere tolto dal suo contesto di relazioni senza perdere il suo stesso significato.<br />

Il Logos. La legge suprema che governa il mondo, ciò che equilibra i contrari permettendo l'armonia<br />

del cosmo, viene identificato con nella parola logos. A questa parola possono essere attribuiti<br />

molteplici significati: discorso, ragione, intelligenza, legge, pensiero, logica, regola fondamentale<br />

del tutto, tutti significati accomunabili nel senso di ragione che rispecchia il funzionamento del<br />

cosmo in tutti i suoi aspetti.<br />

Il logos rispecchia e rende evidente la struttura di tutte quelle opposizioni tra le cose che rendono<br />

possibile il divenire e la vita stessa dell'universo, il logos è la stessa struttura, la legge che esprime<br />

la totalità delle relazioni. Tutte le cose del cosmo, come visto, sono accomunate dall'opposizione,<br />

ovvero dalla relazioni necessarie che si instaurano tra loro, il logos rappresenta l'insieme stabile di<br />

queste relazioni, la loro stessa mappa.<br />

Il rapporto degli uomini con il logos esprime il rapporto con la verità. La legge e l'ordine del Tutto<br />

sono una sempiterna 'Parola' (logos) che si offre all'ascolto di tutti. I più la sentono, ma non sanno<br />

ascoltarla. Ogni giorno vi si imbattono e tuttavia non la intendono. Vivono quindi con in sogno,<br />

separati come sono da ciò che è 'comune', ossia dalla divina legge del Tutto (E. Severino, La<br />

filosofia antica)<br />

<strong>Eraclito</strong> divide gli uomini in dormienti e svegli (questi ultimi sono i sapienti, i filosofi, i secondi la<br />

gente comune). La legge espressa dal logos, ovvero la comprensione delle vere relazioni che si<br />

instaurano tra le cose, è alla portata di tutti, ma tutti gli uomini non sono uguali, alcuni intendono<br />

questa legge meglio di altri in virtù delle rispettive capacità intellettive. Chi più sarà in grado di<br />

rivolgersi alla comprensione del logos più avvicinerà la verità e la sapienza autentica. Per <strong>Eraclito</strong><br />

non è sapiente colui che sa un gran numero di cose, bensì colui che sa cogliere meglio di altri la<br />

natura delle relazioni che si instaurano tra le cose.<br />

Il fuoco come 'stoichèion'. Se il principio unitario che accomuna tutte le cose del mondo è il<br />

divenire, per <strong>Eraclito</strong> l'elemento fisico del quale tutti gli altri elementi sono composti (lo<br />

stoichèion), è il fuoco. Questo perché il fuoco è visto come elemento destabilizzante, in grado di<br />

provocare quel cambiamento che permette alle cose di mutare da uno stato all'altro.<br />

Secondo <strong>Eraclito</strong>, dal fuoco si sprigionano dei gas, i gas diventano acqua, l'acqua stessa, una volta<br />

evaporata, lascia dei residui che vanno a comporre tutti i solidi. Questa idea del fuoco come<br />

elemento distruttore e creatore, sarà ripreso più tardi dagli stoici (assieme al concetto di lògos).


PITAGORA<br />

570-500 a.C. circa<br />

<strong>Pitagora</strong> nacque sull'isola di Samo attorno al 570 a.C. Da giovane viaggiò nel vicino oriente (forse<br />

si spinse fino in India) stabilendosi poi a Crotone, per sfuggire alla dittatura ateniese di Policrate.<br />

Nella città siciliana fondò una scuola di matematica che ben presto assunse i tratti esoterici della<br />

setta: la dottrina era trasmessa in segreto agli iniziati e tramandata a voce, solo gli appartenenti alla<br />

setta potevano conoscerne i precetti.<br />

<strong>Pitagora</strong> stesso, più che a un filosofo, si atteggiava a despota bizzoso: gli allievi che volevano<br />

accedere alla sua scuola dovevano seguire alcune rigide regole non sempre fondate sulla logica, tra<br />

le quali il divieto di mangiare fave e di toccare galli bianchi.<br />

La setta pitagorica riuscì in seguito a dominare numerose colonie trasformandosi in movimento<br />

politico-religioso ma la sua connotazione fortemente dispotica e aristocratica provocò una rivolta<br />

delle popolazioni che portarono alla distruzione della scuola e alla fuga di <strong>Pitagora</strong> a Metaponto,<br />

dove morì (ma si narra anche che sia morto in seguito al rifiuto di attraversare un campo di fave che<br />

gli precluse la ritirata).<br />

La matematica di <strong>Pitagora</strong> pare non fosse identica a quella odierna: più che alla pratica, essa si<br />

rivolgeva alla teoria e alla ricerca dell'armonia nascosta delle cose (numerologia esoterica).<br />

Il numero, la numerologia. L'arché, per <strong>Pitagora</strong>, era il numero. Il numero non era un concetto<br />

astratto come lo intendiamo oggi (un simbolo che si riferisce alla quantificazione delle cose), il<br />

numero possedeva una propria dimensione geometrica (per cui esistevano numeri triangolari,<br />

quadrati, rettangolari, cubici).<br />

In Particolare, <strong>Pitagora</strong> sosteneva che tutte le cose sono oggetti geometrici e, come tali, sono<br />

composti da numeri, i quali ne costituiscono la struttura. I numeri erano comunque entità materiali<br />

(dotati di estensione), simili agli atomi formulati più tardi da Democrito.<br />

I numeri dispari erano maschili e perfetti, benevoli, i numeri pari femminili e imperfetti,<br />

doppi. Il numero 1 era oggetto di una vera e propria venerazione, in quanto esprimeva<br />

l'unità originaria di cui tutti gli altri numeri erano composti (e quindi tutte le cose). Il<br />

numero 1 esprimeva quindi l'originaria unità del tutto, mentre il due già dimostrava, alla<br />

stregua del concetto di contrasto tra gli opposti, l'opposizione doppia degli elementi<br />

contrari<br />

Alcuni numeri avevano un siginificato magico: la duplicità era simbolo di doppiezza e<br />

inaffidabilità. Il 2, il primo numero pari, esprimeva per <strong>Pitagora</strong> la contrapposizione al<br />

vero sapere, ovvero l'1, l'unico. La triplicità esprimeva sin dall'antichità il divino. Esso<br />

non è solo un simbolo riscontrabile nella Trinità cristiana, ma anche nella Trimurti<br />

orientale. Il 4 esprimeva la quadruplicità della natura: quattro erano le stagioni. Il 7<br />

godeva invece della stima del numero perfetto<br />

L'armonia celeste. Anche la musica, come del resto tutta la realtà, era una combinazione di numeri.<br />

<strong>Pitagora</strong> basava la sua tesi sull'osservazione di alcune stringhe di uguale spessore e tensione ma di<br />

diversa lunghezza che faceva vibrare. La musica era un rapporto numerico misurato secondo


intervalli, le note dipendevano dalla quantità di vibrazioni emesse. Da questa intuizione affermò che<br />

le sfere celesti (<strong>Pitagora</strong> sosteneva la sfericità dei pianeti), a causa del loro movimento, emettevano<br />

una musica continua, un'armonia celestiale, che l'orecchio non sentiva perché ne era ormai<br />

assuefatto.<br />

La metempsicosi. Forse conseguenza dei suoi viaggi in oriente, <strong>Pitagora</strong> sosteneva la<br />

trasmigrazione delle anime. L'anima era immortale ed era condannata da una colpa originaria a<br />

trasferirsi da una sostanza corporea all'altra (compresi gli animali) finché non si fosse purificata. Le<br />

regole per interrompere il ciclo di reincarnazioni erano quelle esclusivamente matematiche<br />

dell'armonia e della proporzione.<br />

Per <strong>Pitagora</strong>, la Terra era una sfera, girava su se stessa da est a ovest ed era divisa in<br />

cinque zone: artica, antartica, estiva, invernale ed equatoriale e con gli altri pianeti<br />

formava il cosmo (I. Montanelli, Storia dei Greci)

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