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e limiti della tassonomia oecd sull'intensita' tecnologica dei - Gruppo ...

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XXVIII CONFERENZA ITALIANA DI SCIENZE REGIONALI<br />

VALIDITA’ E LIMITI DELLA TASSONOMIA OECD SULL’INTENSITA’<br />

TECNOLOGICA DEI SETTORI. UNA VERIFICA DI APPLICABILITA’ AL CONTESTO<br />

TERRITORIALE ITALIANO<br />

Giancarlo MARCATO<br />

Università di Padova, Dipartimento di Scienze Economiche, via del Santo 33, 35123 Padova<br />

SOMMARIO<br />

Questo lavoro si propone di verificare se la <strong>tassonomia</strong> OECD, basata sulla ripartizione <strong>dei</strong><br />

settori manifatturieri in quattro livelli di intensità <strong>tecnologica</strong> e frequentemente impiegata per<br />

analizzare le performance comparative <strong>dei</strong> paesi maggiormente industrializzati, possa essere<br />

ragionevolmente applicata anche allo specifico contesto territoriale italiano. La verifica<br />

utilizza i dati di un campione d’imprese, e il rapporto tra R&S e fatturato, per determinare<br />

l’intensità <strong>tecnologica</strong> <strong>dei</strong> settori sia nelle quattro principali macroaree italiane sia nel paese<br />

nel suo complesso. Le elaborazioni si riferiscono al periodo 1995-2003. I risultati e le relative<br />

graduatorie vengono confrontati con quelli ottenuti, utilizzando i database e i criteri seguiti<br />

dall’OECD, per l’Italia e per la media di dodici paesi industrializzati. Considerati i<br />

differenziali nei valori assoluti e le diversità nelle graduatorie degli indicatori, il lavoro<br />

conclude segnalando, in primo luogo, l’esigenza di usare molta cautela nell’applicazione <strong>della</strong><br />

<strong>tassonomia</strong> all’industria manifatturiera italiana considerata nel suo complesso; in secondo<br />

luogo, come tale esercizio risulti fortemente sconsigliabile al livello <strong>della</strong> singola area.<br />

Particolarmente nel caso in cui la <strong>tassonomia</strong> sia utilizzata con finalità normative e per la<br />

predisposizione di interventi finalizzati all’avanzamento <strong>dei</strong> settori e dell’economia negli<br />

specifici contesti.<br />

1


1 ITRODUZIOE<br />

Introdotta per la prima volta negli Stati Uniti negli Anni ’30 del secolo scorso, a partire dagli<br />

Anni ’50 la <strong>tassonomia</strong> basata sull’intensità <strong>tecnologica</strong> delle produzioni è stata diffusamente<br />

impiegata negli altri paesi industrializzati, particolarmente per analizzare il modello di<br />

specializzazione e le performance comparative del settore industriale nel commercio<br />

internazionale.<br />

Le basi teoriche <strong>della</strong> <strong>tassonomia</strong> sono sostanzialmente individuabili nei modelli sul<br />

commercio internazionale incentrati sul ciclo di vita del prodotto (Vernon, 1966, ma anche<br />

Krugman, 1979 e Dollar, 1986, tra gli altri). Tali modelli suggeriscono che l’innovazione<br />

costituisce il motore delle esportazioni <strong>dei</strong> paesi industrializzati, i cui prodotti, tuttavia,<br />

quando raggiungono la fase <strong>della</strong> maturità, sono prima imitati e in seguito sostituiti da quelli<br />

<strong>dei</strong> paesi in via di sviluppo, in ragione <strong>dei</strong> più bassi costi di produzione e <strong>della</strong> maggiore<br />

competitività di questi ultimi. Ne consegue che le imprese <strong>dei</strong> paesi sviluppati possono<br />

mantenere ed eventualmente accrescere le proprie quote sul commercio internazionale<br />

soltanto a condizione di innovare continuamente i propri prodotti, e di specializzarsi nei<br />

settori dove l’innovazione <strong>tecnologica</strong> risulta più congeniale. Ne consegue anche che la<br />

specializzazione di un paese sviluppato in produzioni e, per estensione, in settori collocati nei<br />

raggruppamenti a più bassa intensità <strong>tecnologica</strong> (spesso definiti prodotti e settori “maturi”)<br />

inglobano forti elementi di precarietà in termini delle prospettive di mantenimento sia delle<br />

quote di produzione e di esportazione al livello internazionale, sia <strong>dei</strong> corrispondenti flussi di<br />

reddito e livelli occupazionali interni.<br />

Attesa la prevalente specializzazione italiana nelle produzioni manifatturiere di settori a<br />

medio-bassa o bassa tecnologia (Malfi e Marcato, 2004) la questione è stata lungamente<br />

dibattuta anche nel nostro paese. I risultati del dibattito e delle riflessioni (tra tutti: Mazzoni,<br />

2001) suggeriscono l’opportunità di non considerare valida in ogni caso l’equivalenza tra il<br />

basso livello tecnologico e la bassa competitività <strong>dei</strong> prodotti e <strong>dei</strong> settori. Ciò in quanto non<br />

va trascurato che il passaggio da una fase del ciclo vitale all’altra è soggetto a regole che<br />

possono essere diverse per i singoli prodotti rispetto ai settori merceologici di appartenenza.<br />

Con la possibilità che prodotti a bassa tecnologia siano realizzati in settori considerati high-<br />

tech, così come che innovazioni introdotte da imprese di settori low-tech allunghino il ciclo di<br />

vita di un prodotto e dello stesso settore, o anche che le innovazioni accorcino la vita di un<br />

prodotto ma concorrano ad allungare quella del settore. In buona sostanza, la domanda per<br />

nuove prestazioni <strong>dei</strong> prodotti e per differenti insiemi di trade-off tra gli attributi <strong>dei</strong> prodotti,<br />

unitamente alle innovazioni adottate dalle imprese nei processi produttivi ed organizzativi,<br />

potrebbero concorrere a orientare molte delle produzioni tradizionali verso varianti di qualità<br />

2


più elevata e ad allungare il loro ciclo di vita. Una delle implicazioni di queste ultime<br />

considerazioni è che la teoria del ciclo di vita potrebbe mantenere una certa validità se<br />

applicata ai singoli prodotti ma non ai singoli settori. 1<br />

Partendo da un recente contributo (Marcato e Malfi, 2007), che ha consentito di evidenziare<br />

come non sia irragionevole l’applicazione <strong>della</strong> <strong>tassonomia</strong> all’industria manifatturiera<br />

italiana considerata nel suo complesso, il presente lavoro si propone di verificare se essa<br />

possa essere analogamente applicata allo specifico contesto delle aree territoriali del nostro<br />

paese, e possa quindi essere utilizzata nelle analisi di confronto delle performance di queste<br />

con la media nazionale, o con quella di altri paesi industrializzati. Nonostante la <strong>tassonomia</strong><br />

presenti una serie di <strong>limiti</strong> e di approssimazioni, che saranno richiamate tra breve (paragrafo<br />

2), una tale possibilità rappresenterebbe un indubbio vantaggio in quanto fornirebbe un<br />

semplice strumento per la valutazione comparativa delle performance <strong>dei</strong> sistemi economici<br />

al livello sub-nazionale.<br />

Il paragrafo 2 presenta le principali caratteristiche e richiama alcuni degli elementi di<br />

debolezza <strong>della</strong> <strong>tassonomia</strong>. Il paragrafo 3 illustra i dati utilizzati e la metodologia seguita per<br />

effettuare la verifica. Il paragrafo 4 presenta i risultati delle elaborazioni di confronto tra<br />

l’Italia e la media OECD, basate sui database <strong>della</strong> stessa organizzazione. Il paragrafo 5<br />

illustra i risultati delle elaborazioni effettuate, per l’Italia e le principali macroaree territoriali<br />

italiane, utilizzando i dati delle indagini Capitalia sulle piccole e medie imprese<br />

manifatturiere. Segue un paragrafo conclusivo.<br />

2 LE PRICIPALI CARATTERISTICHE E LIMITI DELLA TASSOOMIA<br />

Nelle versioni più recenti, proposte dall’OECD a partire dagli Anni ’90 e successivamente<br />

adottate da altre istituzioni internazionali, come Eurostat, la <strong>tassonomia</strong> consente di aggregare<br />

i settori dell’industria manifatturiera in quattro raggruppamenti, ordinati secondo il livello<br />

dell’intensità <strong>tecnologica</strong> e definiti: high-technology, medium-high-technology, medium-low-<br />

technology and low-technology industries. I 19 settori manifatturieri considerati dall’attuale<br />

versione <strong>della</strong> <strong>tassonomia</strong>, individuati sulla base <strong>della</strong> seconda e, in alcuni casi, <strong>della</strong> terza o<br />

quarta cifra decimale <strong>della</strong> classificazione Isic Rev. 3, sono attribuiti, talvolta in forma<br />

aggregata, ad uno <strong>dei</strong> quattro raggruppamenti sulla base <strong>della</strong> relativa stabilità nel tempo <strong>della</strong><br />

graduatoria <strong>dei</strong> valori assunti da due indicatori, il rapporto tra le spese di R&S realizzata<br />

internamente dalle imprese di ciascun settore e il valore <strong>della</strong> produzione o il valore aggiunto<br />

1 L’evidenza empirica, riferita al complesso <strong>dei</strong> paesi OECD (OECD, 2003), sembra tuttavia confermare<br />

l’applicabilità <strong>della</strong> teoria anche al livello settoriale. Infatti, essa rileva dinamiche dell’interscambio commerciale<br />

manifatturiero decrescenti al decrescere del livello di intensità <strong>tecnologica</strong> <strong>dei</strong> settori. In particolare, con<br />

riferimento al periodo 1992-2001, il tasso di crescita medio annuo dell’interscambio in valore <strong>dei</strong> paesi<br />

industrializzati è risultato pari a 8.3% per i settori higt-tech, a 4.9% per quelli a tecnologia medio alta, a 3.7% per<br />

quelli a tecnologia medio bassa e al 3.0% per quelli a bassa tecnologia. Con quote medie in crescita per i settori<br />

del primo gruppo, stazionarie per quelli del secondo e cedenti sia per il terzo che per il quarto.<br />

3


settoriale. La serie storica <strong>dei</strong> due indicatori, riferita agli Anni ’90, è stata calcolata<br />

dall’OECD utilizzando i valori medi riferiti ad un insieme di 12 paesi industrializzati, Italia<br />

inclusa. 2<br />

Le prime due colonne <strong>della</strong> tabella 1 presentano le afferenze <strong>dei</strong> diversi settori manifatturieri<br />

ai quattro raggruppamenti tecnologici proposti dall’OECD; le seconde due il raccordo con i<br />

codici ateco e le rispettive denominazioni utilizzati nelle successive elaborazioni.<br />

Tab. 1 Tassonomia OECD basata sull'intensitˆ <strong>tecnologica</strong> <strong>dei</strong> settori manifatturieri e raccordo con la classificazione ateco '91<br />

Code ISIC<br />

Rev. 3<br />

Industries CodiceAteco 91<br />

High-technology industries<br />

Denominazione ateco 91<br />

353 Aircraft and spacecraft 35.3 Costruzione di aeromobili e di veicoli spaziali<br />

2423 Pharmaceuticals 24.4 Fabb. pr. farmaceutici e di pr. chimici e bot.per usi med.<br />

30 Office, accounting and computing machinery 30 Fabb. di macch. per ufficio, di elaboratori e sistemi inform.<br />

32 Radio, television and communication equipment 32 Fabb. di apparecchi radiotelevisivi e per le comunicazioni<br />

33 Medical, prec. and optical instr., watches and clocks 33 Fabb. di app. medicali, precisione, strum. ottici e orologi<br />

Medium-high-technology industries<br />

31 Electrical machinery and apparatus, nec 31 Fabbricazione di macchine ed apparecchi elettrici n.c.a.<br />

34 Motor vehicles, trailers and semi-trailers 34 Fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi<br />

24-2423 Chemicals excluding phamaceuticals 24-24.4 Fabb. p. chimici e di fibre sint. art., esclusi i prod. farm.<br />

352+359 Railroad equipment and transport equipment n.e.c. 35.2+35.4+35.5 Costr. di locomotive, ecc.; Fabb. moto. e bici.; Altri m.di tr.<br />

29 Machinery and equipment, n.e.c. 29 Fabbricazione macchine e apparecchi meccanici<br />

Medium-low-technology industries<br />

351 Building and repairing of ships and boats 35.1 Ind. cantieristica: costr. navali e rip. di navi e imbarcaz.<br />

25 Rubber and plastics products 25 Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche<br />

23 Coke, refined petroleum products and nuclear fuel 23 Fabb. di coke, raff. di petrolio, tratt. Combust. nucleari<br />

26 Other non-metallic mineral products 26 Fabb. di p.<strong>della</strong> lavorazione di minerali non metalliferi<br />

27+28 Basic metals and Fabricated metal products 27+28 Prod. metalli e leghe; Fabb. e lav. prod. Metallo<br />

Low-technology industries<br />

36+37 Manufacturing n.e.c.; Recycling 36+37 Fabb. mobili; Altre industrie man.; Riciclaggio<br />

20+21+22 Wood, paper, printing, publishing 20+21+22 Industrie del Legno, carta, stampa ed editoria<br />

15+16 Food products, beverages and tobacco 15+16 Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco<br />

17+18+19 Textiles, textile products, leather and footwear 17+18+19 Industrie tessili, confezioni, cuoio e calzature<br />

Fonte: OECD (2005), Istat<br />

Come frequentemente accade per questo genere di classificazioni, accanto ad alcuni indubbi<br />

vantaggi, generalmente legati alla disponibilità di un criterio di aggregazione e di confronto di<br />

semplice applicazione, anche la <strong>tassonomia</strong> in esame non è esente da taluni problemi o<br />

approssimazioni. Questi sono riconducibili, in parte, alla tipologia <strong>dei</strong> dati utilizzati e ai criteri<br />

seguiti per la costruzione degli indicatori, in parte ai criteri e ai problemi connessi alla<br />

delimitazione <strong>dei</strong> singoli raggruppamenti tecnologici.<br />

Con riferimento al primo gruppo di problemi, il principale riguarda l’utilizzo di indicatori di<br />

intensità <strong>tecnologica</strong> unicamente basati sulla R&S come input innovativo e quindi sull’ipotesi<br />

dell’esistenza di una forte correlazione diretta tra di essa e l’output innovativo, vale a dire fra<br />

le spese per R&S e le innovazioni. Con riferimento a tali aspetti, va infatti ricordato come la<br />

R&S rappresenti uno soltanto degli elementi del processo innovativo e come altri fattori<br />

possano volta per volta giocare un ruolo altrettanto se non più significativo.<br />

Conseguentemente, nonostante Wilson (2002) abbia evidenziato che, tenendo conto <strong>dei</strong><br />

legami di filiera, la R&S presenti con il valore dell’innovazione un legame più stretto di altre<br />

variabili riferite all’ouput <strong>della</strong> ricerca, l’impiego <strong>della</strong> R&S come proxi <strong>dei</strong> risultati<br />

2 Si tratta <strong>dei</strong> 12 paesi, per i quali sono disponibili dati completi, compresi nel gruppo indicato dall'OECD come<br />

RD2, ovvero: Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, G. Bretagna, Irlanda, Italia, Spagna,<br />

Svezia, U.S.A.<br />

4


innovativi conseguiti, così come del livello tecnologico ed innovativo <strong>dei</strong> settori, può<br />

comunque comportare approssimazioni anche notevoli. Recenti ricerche hanno evidenziato<br />

come tali approssimazioni possano verificarsi sia al livello <strong>dei</strong> singoli settori (Laestadius,<br />

1998), sia nel caso risulti importante individuare gli apporti relativi delle grandi e delle<br />

piccole imprese (Jacobsson et al., 1996), sia in quanto possono limitare la stessa attendibilità<br />

delle informazioni, come frequentemente capita nei settori caratterizzati dalla diffusa presenza<br />

di piccole imprese, dove le attività di R&S sono svolte in modo informale e discontinuo, e<br />

quindi sfuggono alle rilevazioni su cui sono costruiti i dati ufficiali (Kleinknecht et al., 1991).<br />

Ulteriori elementi di debolezza sono anche riconducibili: alla bassa disaggregazione <strong>dei</strong> dati<br />

riferiti ai vari settori manifatturieri utilizzati dall’OECD, alla possibile esistenza di differenze<br />

nel grado di intensità <strong>tecnologica</strong> <strong>dei</strong> prodotti appartenenti ad uno stesso settore, e al fatto che<br />

le intensità tecnologiche <strong>dei</strong> settori sono necessariamente calcolate facendo riferimento<br />

all’attività principale delle imprese componenti l’industria. Con il risultato di sovrastimare<br />

l’intensità di alcuni settori e di sottostimare quella di altri.<br />

L’utilizzo di dati settoriali in luogo di quelli riferiti ai prodotti rappresenta un’ulteriore<br />

limitazione. Tuttavia, essendo la scelta <strong>dei</strong> dati settoriali essenzialmente motivata dai database<br />

disponibili presso l’OECD, tale limitazione appare al momento ineliminabile. (OECD, 2003)<br />

Non vanno inoltre dimenticate le debolezze connesse alla costruzione di indicatori basati su<br />

grandezze flusso, particolarmente in quelle situazioni congiunturali e settoriali in cui la<br />

produzione ed il valore aggiunto aumentano più velocemente delle spese in R&S<br />

(Hatzichronoglou, 1997). E neppure che la natura intrinsecamente statica degli indicatori,<br />

utilizzati per l’individuazione <strong>della</strong> <strong>tassonomia</strong>, non consente di tenere nel debito conto i<br />

processi di apprendimento ed i possibili effetti cumulativi dell’attività innovativa.<br />

Con riferimento al secondo gruppo di problemi, generalmente riconosciuti dalla stessa OECD<br />

(1997, 2003), un primo problema, inerente i criteri di definizione <strong>dei</strong> raggruppamenti<br />

tecnologici e, in particolare, se debba essere considerata soltanto la produzione interna o<br />

anche l’utilizzo di tecnologia proveniente da altri settori, è stato superato dall’OECD in una<br />

precedente versione <strong>della</strong> <strong>tassonomia</strong>, introdotta nel 1997, ricorrendo all’impiego congiunto<br />

di tre indicatori e alle tavole I-O. Il principale merito di tale versione, che prendeva spunto dai<br />

lavori preparatori di Papaconstantinou et al. (1996) e di Hatzichronoglou (1997), consisteva<br />

nel considerare sia l’intensità <strong>tecnologica</strong> diretta, misurata dalle spese in R&S, sia quella<br />

indiretta, misurata dalla tecnologia incorporata nel capitale fisico utilizzato dai vari settori, e<br />

stimata ricorrendo ai coefficienti I-O. In sostanza, essa attribuiva i settori manifatturieri ai<br />

quattro raggruppamenti, o livelli di intensità <strong>tecnologica</strong>, sulla base di tre indicatori: il<br />

rapporto tra le spese per R&S e la produzione, il rapporto tra spese per R&S e il valore<br />

aggiunto e il rapporto tra spese in R&S più la tecnologia incorporata nei beni intermedi e<br />

d’investimento e la produzione. Il primo e il secondo indicatore erano finalizzati a rilevare le<br />

differenti performance settoriali sotto il profilo <strong>della</strong> capacità di realizzare internamente le<br />

5


innovazioni tecnologiche. Il terzo indicatore integrava le informazioni <strong>dei</strong> due precedenti per<br />

tener conto, in aggiunta a quelle autoprodotte, delle innovazioni incorporate nei beni<br />

intermedi e in quelli capitali, utilizzati in un settore ma provenienti da altri settori<br />

dell’economia 3 . L’indisponibilità, per molti paesi, di tavole I-O sufficientemente disaggregate<br />

e aggiornate ha recentemente costretto l’OECD (OECD, 2003) a verificare la tenuta <strong>della</strong><br />

<strong>tassonomia</strong> utilizzando soltanto i primi due indicatori. Nonostante le attribuzioni <strong>dei</strong> settori ai<br />

quattro raggruppamenti siano risultate sostanzialmente stabili nel tempo, il forzato abbandono<br />

di ogni riferimento all’apporto innovativo proveniente dall’esterno comporta, anche in questo<br />

caso, la possibile sottovalutazione dell’effettivo grado di intensità <strong>tecnologica</strong> di alcuni<br />

settori.<br />

Un secondo problema riguarda la relativa arbitrarietà dell’individuazione <strong>dei</strong> livelli<br />

tecnologici a partire dai quali effettuare la separazione <strong>dei</strong> quattro macrosettori. Attesa la<br />

presenza di valori settoriali <strong>dei</strong> due indicatori in alcuni casi non molto dissimili e in altri<br />

indicanti livelli significativamente diversi, il problema riguarda, in particolare, la separazione<br />

tra il raggruppamento medium-low e quello low-technology.<br />

Un ulteriore problema si riferisce al fatto che l’attribuzione <strong>dei</strong> singoli settori ai quattro livelli<br />

tecnologici è stata effettuata dall’OECD sulla base <strong>dei</strong> valori medi degli indicatori riferiti ad<br />

un sottoinsieme <strong>dei</strong> paesi membri. Esiste quindi la possibilità che, in ragione <strong>della</strong> diversità o<br />

<strong>della</strong> particolarità delle loro specializzazioni produttive, così come delle differenti<br />

performance innovative, rispetto alle medie settoriali utilizzate per la definizione <strong>della</strong><br />

<strong>tassonomia</strong>, l’ordinamento dell’intensità <strong>tecnologica</strong> <strong>dei</strong> vari settori possa risultare diverso per<br />

i singoli paesi o per le macroregioni interne ad essi.<br />

In relazione agli aspetti problematici appena richiamati appare evidente come la <strong>tassonomia</strong><br />

rappresenti soltanto un criterio di larga massima per effettuare aggregazioni e comparazioni<br />

settoriali, e come si rendano necessarie opportune verifiche finalizzate a testarne l’effettiva<br />

applicabilità al singolo paese o, come in questo caso, alle singole aree territoriali in cui il<br />

paese stesso sia ripartito.<br />

3 LA METODOLOGIA E I DATI UTILIZZATI<br />

Attesa l’indisponibilità <strong>dei</strong> dati ufficiali, settorialmente e territorialmente disaggregati,<br />

necessari per la determinazione degli stessi indicatori utilizzati dall’OECD 4 , la verifica è stata<br />

3 Baldwin e Gellatly (1998) hanno tuttavia osservato che la bassa varianza tra l’indicatore basato sulla<br />

produzione e quello finalizzato a rilevare l’apporto esterno, limitava la significatività statistica <strong>della</strong> <strong>tassonomia</strong>.<br />

Inoltre, attesa la crescente importanza <strong>dei</strong> settori terziari e la loro influenza sulla produttività di quelli industriali,<br />

i due autori hanno anche criticato l’esclusiva focalizzazione <strong>della</strong> <strong>tassonomia</strong> sul settore manifatturiero.<br />

4 L’Istat rende disponibili i dati territoriali <strong>della</strong> produzione e del valore aggiunto manifatturieri, a due cifre,<br />

risultanti dalle indagini annuali sui conti economici delle imprese. Per motivi di riservatezza, non fornisce<br />

invece, con la disaggregazione necessaria ai fini <strong>della</strong> costruzione degli indicatori qui utilizzati, i dati risultanti<br />

dalle indagini sulla ricerca e sviluppo delle imprese manifatturiere.<br />

6


asata sui dati elementari delle indagini periodiche effettuate da Capitalia (ex Mediocredito<br />

Centrale), su campioni di circa 5000 imprese manifatturiere, e resi disponibili tramite la banca<br />

dati dell’Osservatorio sulla piccola e media impresa. Le informazioni contenute in tale banca<br />

dati derivano sia da interviste rivolte a tutte le imprese manifatturiere italiane con più di 500<br />

addetti, sia da un campione stratificato (per numero di addetti, settore merceologico e area<br />

geografica) di imprese con più di 11 e con meno di 500 addetti, statisticamente<br />

rappresentativo dell'industria manifatturiera italiana. <br />

Considerato che le informazioni <strong>della</strong> banca dati non comprendono il valore <strong>della</strong> produzione<br />

e il valore aggiunto, la verifica è stata effettuata utilizzando il solo fatturato, considerato come<br />

proxi del valore <strong>della</strong> produzione. L’elevata, anche se imperfetta, concordanza già riscontrata,<br />

per l’Italia e l’OECD, tra gli indicatori basati sulla produzione e quelli sul valore aggiunto<br />

(Marcato e Malfi, 2007) permette di considerare affidabili le indicazioni derivanti<br />

dall’impiego di un solo indicatore in luogo <strong>dei</strong> due utilizzati per l’individuazione <strong>della</strong><br />

<strong>tassonomia</strong>. Restano tuttavia ferme le possibili differenze nei risultati in relazione al<br />

cambiamento del denominatore dell’indicatore e alla diversa natura <strong>dei</strong> dati derivanti dalle<br />

indagini campionarie rispetto alle stime di fonte ufficiale utilizzate dall’OECD.<br />

Al fine di eliminare possibili distorsioni di carattere congiunturale, sono state utilizzate le<br />

informazioni delle ultime tre indagini disponibili, riferite ai nove anni compresi tra il 1995 e il<br />

2003. Si è quindi determinato, per ciascun settore o aggregazione settoriale e per ciascuna<br />

area, il valore medio 1995-2003 del rapporto tra R&S realizzata internamente e il fatturato<br />

delle imprese del settore. Per ogni area i risultati settoriali sono stati ordinati in senso<br />

decrescente e il relativo rango è stato posto a confronto con quello OECD. Nonostante tale<br />

indicatore rispecchi il più fedelmente possibile i criteri utilizzati da tale organizzazione, le<br />

elaborazioni sono state replicate calcolando anche il valore medio del rapporto tra la R&S<br />

totale e il fatturato, dove il nominatore comprende sia la spesa in R&S realizzata intra-muros<br />

dalle imprese, sia quella da esse commissionata ad altre imprese, centri e laboratori di ricerca,<br />

università, ecc. Attesi gli strutturalmente bassi valori <strong>della</strong> R&S realizzata internamente dalle<br />

imprese manifatturiere italiane, da tempo noti e variamente interpretati (Foresti, 2002), tale<br />

esercizio è stato condotto per verificare se il ricorso alla R&S realizzata esternamente sia o<br />

meno in grado di compensare l’eventuale basso livello <strong>della</strong> prima e di aumentare il grado di<br />

applicabilità <strong>della</strong> <strong>tassonomia</strong>.<br />

L’esigenza di disporre di valori di riferimento, utili a valutare le eventuali discordanze tra gli<br />

indicatori basati sul fatturato e quelli sulla produzione, ha anche suggerito di effettuare<br />

preliminarmente il confronto tra l’Italia e la media <strong>dei</strong> dodici paesi OECD, utilizzando<br />

l’indicatore R&S/produzione. Il calcolo è stato effettuato utilizzando la serie Stan-Anberd per<br />

i dati settoriali del valore <strong>della</strong> R&S, e la serie Stan per il valore <strong>della</strong> produzione. Essendo<br />

questi ultimi dati forniti nelle singole valute nazionali e i primi in dollari statunitensi, si è<br />

proceduto alla loro omogeneizzazione mediante l’applicazione <strong>dei</strong> tassi di conversione<br />

7


purchasing power parities rispetto al dollaro. Per ciascun settore è stato calcolato il valore<br />

medio dell’indicatore per il periodo 1995-2002, per il quale sono disponibili dati pressoché<br />

completi, e sono state messe a confronto le rispettive graduatorie decrescenti.<br />

Tabella 2 Intensitˆ <strong>tecnologica</strong> <strong>dei</strong> settori manifatturieri. Confronto tra Italia e Oecd. Media 1995-2002<br />

Code ISIC<br />

Rev. 3<br />

4 IL COFROTO TRA ITALIA E OECD BASATO SUL VALORE DELLA<br />

PRODUZIOE<br />

Industries<br />

La tabella 2 presenta i risultati delle elaborazioni effettuate utilizzando i dati OECD. Ponendo<br />

attenzione alle due colonne <strong>dei</strong> valori assoluti, si può anzitutto osservare come l’intensità<br />

<strong>tecnologica</strong> dell’industria manifatturiera italiana nel suo complesso, indicata dalla media <strong>dei</strong><br />

coefficienti, risulti pari a circa la metà di quella riferita ai dodici paesi; inoltre, come la<br />

deludente performance italiana trovi puntale riscontro in quasi tutti i settori, i cui valori<br />

risultano sistematicamente e notevolmente inferiori, con due sole eccezioni (Aircraft and<br />

spacecraft, Building and repairing of ships and boats), a quelli OECD.<br />

8<br />

R&S/Pro<br />

Oecd<br />

Rank R&S/Pro<br />

Italia<br />

High-technology industries<br />

353 Aircraft and spacecraft 11,39 1 11,67 1<br />

33 Medical, precision and optical instr., watches and clocks 11,25 2 2,05 6<br />

2423 Pharmaceuticals 10,62 3 2,94 3<br />

30 Office, accounting and computing machinery 8,74 4 2,50 4<br />

32 Radio, television and communication equipment 8,53 5 6,97 2<br />

Medium-high-technology industries<br />

31 Electrical machinery and apparatus, nec 3,59 6 0,75 10<br />

352+359 Railroad equipment and transport equipment n.e.c. 3,52 7 1,08 7<br />

34 Motor vehicles, trailers and semi-trailers 3,34 8 2,15 5<br />

24-2423 Chemicals excluding phamaceuticals 2,74 9 0,81 9<br />

29 Machinery and equipment, n.e.c. 2,27 10 0,58 11<br />

Medium-low-technology industries<br />

25 Rubber and plastics products 1,33 11 0,46 12<br />

26 Other non-metallic mineral products 0,84 12 0,07 16<br />

23 Coke, refined petroleum products and nuclear fuel 0,63 13 0,14 13<br />

351 Building and repairing of ships and boats 0,63 14 0,82 8<br />

27+28 Basic metals and Fabricated metal products 0,61 15 0,11 14<br />

Low-technology industries<br />

36+37 Manufacturing n.e.c.; Recycling 0,41 16 0,07 17<br />

20+21+22 Wood, paper, printing, publishing 0,37 17 0,04 19<br />

15+16 Food products, beverages and tobacco 0,35 18 0,09 15<br />

17+18+19 Textiles, textile products, leather and footwear 0,30 19 0,04 18<br />

Media 3,76 1,76<br />

Deviazione standard 4,10 2,92<br />

Coefficiente di variazione 1,09 1,66<br />

(a) Per i settori 35.3 e 35.2+35.4+35.5 media 95-2001.<br />

Fonte: elab. su database (STAN-Anberd) Oecd<br />

Media 1995-2002 a<br />

Rank


Tali indicazioni confermano, quindi, uno degli aspetti da tempo noti e ampiamente dibattuti<br />

<strong>della</strong> nostra industria manifatturiera: quello delle sue comparativamente modeste performance<br />

in fatto di investimenti in attività di R&S realizzate internamente dalle imprese, sia in<br />

complesso che per la maggior parte <strong>dei</strong> settori, relativamente a quelle medie <strong>dei</strong> principali<br />

paesi industrializzati. Tuttavia, esse rappresentano anche una prima segnalazione<br />

dell’opportunità di usare una certa cautela nell’impiego <strong>della</strong> <strong>tassonomia</strong>. Infatti, se anche non<br />

si può escludere che, come recentemente segnalato (Foresti, 2002), i più bassi valori italiani<br />

siano in parte imputabili alle difficoltà di rilevazione di attività di R&S non formalizzate<br />

svolte da piccole e medie imprese, è anche vero che nella maggior parte <strong>dei</strong> casi i bassi valori<br />

osservati sembrano effettivamente rispecchiare il più basso profilo tecnologico delle<br />

specializzazioni manifatturiere italiane. Non soltanto rispetto alla media OECD, ma anche e<br />

particolarmente rispetto alle specializzazioni produttive di punta di altri paesi industrializzati.<br />

Focalizzando ora l’attenzione sulle graduatorie, si osserva anzitutto un modesto cambiamento<br />

nell’ordinamento <strong>dei</strong> settori OECD rispetto a quello proposto dalla tabella 1. Tale<br />

cambiamento, imputabile alle differenti modalità di calcolo qui utilizzate (il valore medio<br />

degli indicatori settoriali nel periodo 1995-2002) rispetto a quelle seguite dall’OECD (riferite<br />

ai singoli anni), non influisce tuttavia sui confronti e sulle valutazioni di seguito effettuati. Si<br />

osserva anche come, in ragione degli elementi di differenziazione esistenti e secondo quanto<br />

segnalato dal valore non particolarmente elevato dell’indice di Spearman 5 (0,89), il grado di<br />

dissomiglianza tra i due ordinamenti settoriali risulti sensibile. Ricordando come la<br />

<strong>tassonomia</strong> sia fondata sulla graduatoria degli indicatori, per valutare la significatività di tale<br />

dissomiglianza è tuttavia possibile assumere che essa sia in grado di descrivere in modo<br />

accettabile la situazione <strong>tecnologica</strong> dell’industria manifatturiera italiana se, anche in assenza<br />

di una completa rispondenza tra le due graduatorie, i settori italiani risultano almeno inclusi<br />

negli stessi raggruppamenti tecnologici in cui risultano collocati i corrispondenti settori<br />

OECD. Al riguardo è possibile osservare come tale circostanza si verifichi in 13 casi su 19, il<br />

che significa che, prescindendo dai bassi valori assoluti <strong>dei</strong> rispettivi indicatori, in poco più di<br />

due terzi <strong>dei</strong> casi la graduatoria dell’intensità <strong>tecnologica</strong> <strong>dei</strong> settori italiani corrisponde a<br />

quella proposta dalla <strong>tassonomia</strong>, e in circa un terzo no.<br />

Da tali prime indicazioni si deduce che, utilizzando gli stessi dati e una metodologia analoga a<br />

quella impiegata dall’OECD, non soltanto le performance tecnologiche <strong>dei</strong> settori italiani<br />

risultano inferiori, con poche eccezioni, a quelle medie del gruppo di dodici paesi; ma anche<br />

che esse presentano particolarità tali da alterarne in modo sensibile la graduatoria rispetto a<br />

quella OECD e da collocare un terzo <strong>dei</strong> settori in raggruppamenti tecnologici diversi da<br />

quelli proposti dalla <strong>tassonomia</strong>. Il che fornisce un ulteriore segnale dell’esigenza di usare una<br />

certa cautela nell’applicazione <strong>della</strong> medesima al contesto italiano, quanto meno se non si<br />

5 La versione utilizzata è la seguente: 1-[(6Σd2)/(n3-n), dove di è la differenza di ordine nelle due graduatorie ed<br />

n il numero <strong>dei</strong> termini.<br />

9


vuole correre il rischio di attribuire ai settori italiani caratteristiche e performance<br />

tecnologiche ed innovative che, in taluni casi e a quanto qui risulta, essi non possiedono.<br />

5 IL COFROTO BASATO SU DATI CAMPIOARI<br />

Come accennato nel paragrafo 2, la verifica territoriale è stata condotta con metodologia<br />

analoga a quella sopra utilizzata ma ricorrendo, per forza di cose data l’indisponibilità <strong>dei</strong> dati<br />

ufficiali, a dati campionari e ad un indicatore di intensità <strong>tecnologica</strong> basato sul fatturato delle<br />

imprese. Le elaborazioni sono state effettuate sia per l’Italia che per le quattro macroaree<br />

(Nord-ovest, Nord-est, Centro e Sud) in cui il territorio nazionale viene tradizionalmente<br />

ripartito.<br />

Per agevolare il confronto, le prime due colonne <strong>della</strong> tabella 3 riportano l’ordinamento<br />

decrescente <strong>dei</strong> valori degli indicatori settoriali OECD, già proposti nella tabella 2, e il<br />

relativo rango. Le rimanenti coppie di colonne presentano i valori che gli indicatori settoriali,<br />

ordinati sulla base <strong>della</strong> graduatoria <strong>dei</strong> settori OECD, assumono per l’Italia e per le quattro<br />

macroaree, unitamente alla posizione che tali valori assumono nella rispettiva graduatoria.<br />

Il confronto tra l’Italia e la media <strong>dei</strong> dodici paesi industrializzati permette anzitutto di<br />

cogliere le eventuali differenze rispetto alle indicazioni basate sui soli dati OECD. Ponendo<br />

attenzione ai valori assoluti degli indicatori settoriali si osserva, in complesso, una più<br />

consistente divaricazione degli indicatori dell’Italia, la cui media risulta ora pari a poco più di<br />

un quarto di quella <strong>dei</strong> dodici paesi, ma con una dispersione <strong>dei</strong> valori non molto dissimile da<br />

quella di questi ultimi. Il più basso valore medio italiano, rispetto a quello riscontrato nella<br />

tabella 2, va evidentemente imputato ad una distorsione sistematica attribuibile alla natura <strong>dei</strong><br />

dati qui utilizzati rispetto alle serie OECD 6 e, in parte, all’impiego del fatturato in luogo del<br />

valore <strong>della</strong> produzione. Ricordando che, ai fini del presente lavoro, il maggiore interesse va<br />

attribuito al confronto tra gli ordinamenti settoriali degli indicatori, per l’Italia è possibile<br />

rilevare un aumento degli elementi di differenziazione sia nella graduatoria settoriale sia<br />

nell’afferenza <strong>dei</strong> singoli settori ai quattro raggruppamenti tecnologici.<br />

Indicazioni in tal senso si ricavano dalla riduzione del grado di somiglianza rispetto alla<br />

graduatoria OECD (l’indice di Spearman scende a 0,80, rispetto a 0,89 rilevato in<br />

precedenza), segnalato anche dal fatto che ben otto settori su diciannove (rispetto ai sei<br />

precedenti) risultano collocati in un raggruppamento tecnologico diverso rispetto a quello<br />

proposto dalla <strong>tassonomia</strong>. Considerata in abbinamento ai forti differenziali nei valori assoluti<br />

6 Oltre al diverso periodo considerato, nove anni per i dati campionari e otto per quelli OECD, la principale<br />

differenza consiste nel fatto che i dati riferiti all’Italia utilizzati dall’OECD rappresentano stime, fornite<br />

dall’Istat, sul totale settoriale delle spese in R&S realizzate internamente dalle imprese <strong>dei</strong> vari settori. Una delle<br />

differenze minori sta nel fatto che il database dell’Osservatorio Capitalia non riporta la divisione 37<br />

(Riciclaggio). Tuttavia, in tal caso la distorsione risulta quasi trascurabile in relazione al modesto peso rivestito<br />

dalla medesima nei dati OECD, sia per l’Italia che per la media <strong>dei</strong> dodici paesi, sul totale del raggruppamento<br />

settoriale 36+37.<br />

10


degli indicatori, quest’ultima circostanza concorre ad aumentare le riserve sulla significatività<br />

di esercizi finalizzati ad una pedissequa applicazione <strong>della</strong> <strong>tassonomia</strong> all’industria<br />

manifatturiera italiana considerata nel suo complesso.<br />

Tabella 3 Rapporto tra R&S realizzata internamente e fatturato <strong>dei</strong> settori manufatturieri.<br />

Italia e aree territoriali. (Media 1995-2003)<br />

Cod. ateco 91 Oecd<br />

V.A. Rank V.A. Rank V.A. Rank V.A. Rank<br />

Centro Sud<br />

V.A. Rank V.A. Rank<br />

a Italia N-ovest N-est<br />

High-technology industries<br />

35.3 11,39 1 3,28 2 3,47 2 0,63 8 2,18 3 5,45 1<br />

33 11,25 2 1,19 8 1,53 3 1,16 7 2,36 2 0,71 7<br />

24.4 10,62 3 1,26 6 1,08 7 2,63 3 0,84 7 0,96 5<br />

30 8,74 4 1,05 9 0,89 9 6,09 1 0,36 12 0,25 11<br />

32 8,53 5 3,94 1 4,75 1 1,66 5 1,25 5 2,59 4<br />

31 3,59 6 1,37 4 1,24 6 1,21 6 2,16 4 2,96 2<br />

35.2+35.4+35.5 3,52 7 1,71 3 1,43 4 0,44 11 1,14 6 2,67 3<br />

34 3,34 8 1,25 7 1,00 8 2,73 2 3,73 1 0,03 18<br />

24-24.4 2,74 9 0,51 10 0,42 12 0,62 9 0,50 8 0,50 8<br />

29 2,27 10 1,34 5 0,58 11 2,54 4 0,40 11 0,76 6<br />

25 1,33 11 0,47 12 0,63 10 0,32 13 0,41 9 0,24 12<br />

26 0,84 12 0,27 15 0,22 16 0,31 14 0,23 15 0,28 10<br />

23 0,63 13 0,03 19 0,14 17 0,24 15 0,12 16 0,00 19<br />

35.1 0,63 14 0,48 11 1,35 5 0,34 12 0,07 18 0,22 13<br />

27+28 0,61 15 0,28 14 0,27 15 0,22 16 0,25 14 0,49 9<br />

36+37 b<br />

Medium-high-technology industries<br />

Medium-low-technology industries<br />

Low-technology industries<br />

0,41 16 0,24 16 0,34 13 0,21 17 0,28 13 0,12 14<br />

20+21+22 0,37 17 0,10 17 0,12 18 0,09 19 0,06 19 0,08 16<br />

15+16 0,35 18 0,09 18 0,08 19 0,13 18 0,09 17 0,07 17<br />

17+18+19 0,30 19 0,36 13 0,29 14 0,58 10 0,41 10 0,11 15<br />

Media 3,76 1,01 1,04 1,17 0,89 0,97<br />

Dev. standard 4,10 1,06 1,20 1,48 1,02 1,44<br />

Coeff. di var. 1,09 1,05 1,15 1,27 1,15 1,48<br />

(a) Cfr. tabella 2; (b) il D.B. Capitalia non comprende il settore 37<br />

Fonte: elab. su database Capitalia<br />

Si segnalano tuttavia alcune particolarità. La prima è che, in sei casi su otto, la diversa<br />

collocazione <strong>dei</strong> settori italiani si verifica all’interno <strong>dei</strong> due raggruppamenti a maggiore<br />

intensità <strong>tecnologica</strong>. Come capita per i settori 33, 24.4 e 30, che nell’ordinamento OECD<br />

sono collocati nel raggruppamento ad alta tecnologia, e in quello italiano nel raggruppamento<br />

a tecnologia medio alta; e vice versa per i settori o raggruppamenti settoriali 31,<br />

32.5+35.4+35.5 e 29. La seconda è che la diversa afferenza si verifica esclusivamente tra il<br />

primo e il secondo o tra il terzo e il quarto raggruppamento, in quanto nessun settore a bassa o<br />

medio-bassa tecnologia risulta collocato in quelli superiori e vice versa. Secondo i dati qui<br />

utilizzati, le due circostanze suggeriscono quindi, da un lato, che sarebbe arduo considerare ad<br />

alta tecnologia gli omologhi italiani <strong>dei</strong> settori che l’OECD colloca in tale raggruppamento,<br />

per il semplice motivo che in tre casi su cinque (riferiti ai settori 33, 24.4 e 30) i valori<br />

11


assoluti indicano che non ne possiedono le caratteristiche tecnologiche, e dato che anche nei<br />

rimanenti due casi (35.3 e 32) gli indicatori italiani presentano valori compresi tra meno di un<br />

terzo e meno <strong>della</strong> metà <strong>della</strong> media <strong>dei</strong> dodici paesi. Dall’altro lato, risulta che la <strong>tassonomia</strong><br />

potrebbe rispecchiare fedelmente la struttura <strong>tecnologica</strong> <strong>della</strong> nostra industria manifatturiera<br />

solo a condizione di considerare due soli raggruppamenti, uno rappresentato dai settori ad alta<br />

o medio-alta tecnologia e uno da quelli a tecnologia medio-bassa o bassa.<br />

Vediamo ora cosa capita rivolgendo l’attenzione al confronto tra la distribuzione OECD e<br />

quella delle singole aree. La media degli indicatori presenta valori non molto dissimili da<br />

quella nazionale per il Nord-ovest (dove, in media, gli investimenti in R&S rappresentano<br />

1,04% del fatturato delle imprese manifatturiere) e il Nord-est (1,17%), e valori inferiori sia al<br />

Sud (0,97%) sia, e particolarmente, al Centro (0,89%), restando quindi consistentemente<br />

inferiori (compresi tra circa un quarto e poco meno di un terzo) rispetto a quelli medi OECD.<br />

Più elevata si presenta invece la variabilità <strong>dei</strong> valori degli indicatori settoriali,<br />

particolarmente per il Nord-est (1,27) e il Sud (1,48), con valori assoluti che nella maggior<br />

parte <strong>dei</strong> casi si presentano notevolmente inferiori alla stessa media OECD. Trova altresì<br />

conferma in tutte le aree, con poche e parziali eccezioni, il valore notevolmente basso degli<br />

indicatori riferiti ai settori high-tech già osservato al livello nazionale. Per contro, cinque<br />

settori presentano valori superiori alla media <strong>dei</strong> dodici paesi (Industria cantieristica del Nord-<br />

ovest, Industria meccanica del Nord-est, Fabbricazione di autoveicoli del Centro, Ind. Tessili,<br />

confezioni, cuoio e calzature del Nord-est e del Centro).<br />

Fatta eccezione per l’indicatore del Nord-ovest, che presenta un valore analogo a quello<br />

nazionale (0,80), l’indice di Spearman segnala un aumento del grado di dissomiglianza degli<br />

ordinamenti settoriali con quello OECD (0,76 per il Nord-est e il Centro, 0,71 per il Sud).<br />

Aumenta anche, rispetto alla media nazionale, il numero di settori che afferiscono a<br />

raggruppamenti tecnologici diversi rispetto a quelli indicati dalla <strong>tassonomia</strong> (in ragione di 11<br />

settori per il Nord-ovest, 7 settori per il Nord-est, e 10 settori sia per il Centro che per il Sud.<br />

Considerato che, in alcuni casi, le graduatorie riferite alle singole aree collocano nei primi due<br />

raggruppamenti settori che la <strong>tassonomia</strong> inserisce negli ultimi due, e viceversa, viene meno<br />

anche la possibilità, appena suggerita al livello nazionale, di considerare pienamente<br />

applicabile una <strong>tassonomia</strong> composta da due soli raggruppamenti formati, rispettivamente,<br />

dall’aggregazione <strong>dei</strong> due raggruppamenti a maggiore e dai due raggruppamenti a minore<br />

intensità <strong>tecnologica</strong>.<br />

Le ulteriori elaborazioni condotte ponendo al numeratore degli indicatori il totale delle spese<br />

in R&S anziché la spesa in R&S realizzata internamente dalle imprese, i cui risultati non sono<br />

riportati in questa sede, aumentano in maniera a volte sensibile i valori assoluti degli<br />

indicatori e determinano alcuni cambiamenti negli ordinamenti settoriali che questi<br />

presentano nelle quattro aree. Tuttavia, resta quasi inalterato il numero <strong>dei</strong> settori con<br />

un’afferenza ai quattro raggruppamenti diversa da quella proposta dalla <strong>tassonomia</strong>.<br />

12


Considerate unitamente a quelle riferite all’Italia nel suo complesso, le evidenze emerse per le<br />

macroaree segnalano, quindi, che all’aumentare del grado di disaggregazione territoriale,<br />

aumenta anche il grado di specificità nella distribuzione degli indicatori rispetto alla media<br />

<strong>dei</strong> dodici paesi OECD. Con la conseguenza che si riduce fino a diventare molto ardua la<br />

possibilità di utilizzo <strong>della</strong> <strong>tassonomia</strong> a livelli territoriali inferiori a quello nazionale, quanto<br />

meno salvaguardandone il messaggio teorico implicito.<br />

5 COSIDERAZIOI COCLUSIVE<br />

L’obiettivo perseguito nel presente lavoro consisteva nel verificare se la <strong>tassonomia</strong><br />

sull’intensità <strong>tecnologica</strong> <strong>dei</strong> settori, proposta dall’OECD e individuata a partire da indicatori<br />

costruiti sui valori medi di un selezionato gruppo di paesi industrializzati, mantenga la sua<br />

validità ove applicata ad un singolo paese o alle sue principali disaggregazioni territoriali; e se<br />

essa possa quindi rappresentare un ragionevole strumento metodologico per l’aggregazione di<br />

dati elementari e la valutazione delle performance comparative <strong>dei</strong> settori industriali.<br />

Coerentemente con tale obiettivo, nei paragrafi precedenti è stata sottoposta a disamina<br />

l’applicabilità <strong>della</strong> <strong>tassonomia</strong> al contesto italiano considerato sia in complesso che nelle sue<br />

quattro ripartizioni territoriali.<br />

La verifica è stata condotta utilizzando, in parte, gli stessi database e lo stesso impianto<br />

metodologico seguito dall’OECD per l’attribuzione <strong>dei</strong> settori manifatturieri ai quattro<br />

raggruppamenti contemplati dalla più recente versione <strong>della</strong> <strong>tassonomia</strong>; in parte, utilizzando<br />

le informazioni derivanti da indagini periodiche condotte sulle imprese manifatturiere italiane.<br />

In relazione all’esigenza di eliminare possibili distorsioni di carattere congiunturale, i<br />

confronti sono stati effettuati considerando i valori medi degli indicatori settoriali riferiti al<br />

periodo compreso tra il 1995 e il 2003 (il 2002 per la prima serie di dati).<br />

Le evidenze emerse dai confronti tra Italia e OECD, effettuati utilizzando i database <strong>della</strong><br />

stessa organizzazione, segnalano come l’industria manifatturiera italiana si caratterizzi per<br />

livelli di intensità <strong>tecnologica</strong> notevolmente inferiori alla media <strong>dei</strong> paesi maggiormente<br />

industrializzati, sia in complesso sia, con poche eccezioni, per i singoli settori; inoltre, per<br />

l’esistenza di significative difformità nelle graduatorie degli indicatori settoriali e altresì per<br />

l’afferenza di circa un terzo <strong>dei</strong> settori a raggruppamenti tecnologici diversi da quelli proposti<br />

dalla <strong>tassonomia</strong>.<br />

Le elaborazioni effettuate sui dati campionari, e su indicatori basati sul fatturato delle<br />

imprese, hanno evidenziato un modesto aumento delle difformità tra la graduatoria <strong>dei</strong> settori<br />

italiani rispetto a quella OECD e altresì indicato che la <strong>tassonomia</strong> potrebbe trovare piena<br />

applicazione all’industria manifatturiera italiana a condizione di aggregare i settori in due soli<br />

raggruppamenti, uno rappresentato dal complesso <strong>dei</strong> settori a medio-alta e alta tecnologia e<br />

uno dal complesso di quelli a tecnologia medio-bassa e bassa. Inoltre, hanno suggerito che<br />

13


sarebbe controindicato considerare ad alta tecnologia gli omologhi italiani <strong>dei</strong> settori che<br />

l’OECD colloca in tale raggruppamento, per il semplice motivo che nella maggior parte <strong>dei</strong><br />

casi evidenziano performance tecnologiche non comparabili.<br />

Con riferimento all’applicabilità <strong>della</strong> <strong>tassonomia</strong> alle singole aree le elaborazioni effettuate<br />

hanno evidenziato sia un incremento <strong>della</strong> variabilità degli indicatori, sia del grado di<br />

dissomiglianza degli ordinamenti settoriali rispetto a quello OECD, sia un ulteriore aumento<br />

del numero di settori che afferiscono a raggruppamenti tecnologici diversi rispetto a quelli<br />

indicati dalla <strong>tassonomia</strong>. Con il conseguente aumento degli aspetti problematici sulla<br />

possibilità di un suo utilizzo, anche in una versione composta da due soli raggruppamenti.<br />

In complesso, le evidenze emerse suggeriscono che all’aumentare del grado di<br />

disaggregazione territoriale, dalla media italiana e a quella riferita alle singole aree territoriali,<br />

aumenta anche il grado di specificità nella distribuzione degli indicatori e si riduce la<br />

significatività di una pedissequa applicazione <strong>della</strong> <strong>tassonomia</strong>.<br />

Considerato che tali riscontri trovano fondamento su dati campionari, non è comunque<br />

possibile escludere che essi siano almeno in parte imputabili alla diversa tipologia <strong>dei</strong> dati e al<br />

diverso indicatore utilizzato. Come peraltro indirettamente suggerito dall’aumento del numero<br />

<strong>dei</strong> settori italiani che si collocano in raggruppamenti tecnologici diversi da quelli indicati<br />

dall’OECD, riscontrato passando dagli indicatori basati sulla produzione a quelli sul fatturato.<br />

Come non è possibile escludere che l’impiego di altri indicatori o di indicatori compositi<br />

possa portare a risultati e a conclusioni diverse. Trattandosi di uno <strong>dei</strong> campioni più affidabili<br />

disponibili per l’industria manifatturiera italiana, si ritiene tuttavia che le valutazioni espresse<br />

possano essere considerate come altamente probabili.<br />

Da quanto sopra non consegue, evidentemente, l’impossibilità di utilizzare la <strong>tassonomia</strong><br />

come strumento per l’aggregazione ed il confronto delle performance settoriali di singole aree<br />

(o regioni) con quelle di altre aree, la media nazionale o anche la stessa media <strong>dei</strong> paesi<br />

industrializzati, ma mette in guardia sui <strong>limiti</strong> di validità di tali esercizi. Infatti, non appare<br />

irragionevole confrontare, ad esempio, la percentuale delle esportazioni (o dell’occupazione o<br />

di altre grandezze) imputabili ai singoli settori che la <strong>tassonomia</strong> OECD indica come ad alta<br />

intensità <strong>tecnologica</strong>, per valutare se un contesto territoriale presenta per quei settori<br />

performance superiori o inferiori a quelle di altri. Ma non sarebbe corretto concludere che i<br />

settori ad alta tecnologia di quel contesto territoriale presentano performance superiori o<br />

inferiori a quelle degli analoghi settori degli altri contesti. Ciò per il semplice motivo che, in<br />

ragione <strong>della</strong> varietà delle possibili specializzazioni di prodotto e delle peculiari performance<br />

innovative delle imprese, non vi è nessuna garanzia che, al livello territoriale, i settori<br />

presentino caratteristiche tecnologiche assimilabili a quelle che stanno alla base <strong>della</strong><br />

individuazione <strong>dei</strong> settori high-tech effettuata dalla <strong>tassonomia</strong>. Inoltre, in quanto, in assenza<br />

di adeguati approfondimenti sia settoriali che di prodotto, le valutazioni basate su tali<br />

confronti non soltanto potrebbero indurre a sopravalutare l’effettivo livello tecnologico, delle<br />

14


imprese e <strong>dei</strong> settori, sottostante gli aggregati considerati, ma altresì, suggerire erronei<br />

interventi finalizzati allo stesso avanzamento tecnologico <strong>dei</strong> settori o dell’economia.<br />

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15


ABSTRACT<br />

This paper intends to verify if the OECD taxonomy, based on the division of manufacturing<br />

sectors in four levels of technological intensity and frequently employed to analyze<br />

comparative performances of the most developed countries, can reasonably be applied also to<br />

particular Italian territorial context. The analysis exploits the data of a sample of firms and the<br />

ratio between R&S and sales proceeds to determine technological intensity, either in the main<br />

four Italian macro-areas, or in the Italian country on the whole. The estimates concern the<br />

period from 1995 until 2003. The results and the correspondent rankings are compared with<br />

those which are obtained, for Italy and the mean of twelve developed countries, using OECD<br />

criteria and database. Considering the differences in the absolute values and the diversities in<br />

the rankings of indicators, the paper concludes in the first place signaling the need of using a<br />

lot of prudence in the application of the taxonomy to Italian manufacturing sector in the<br />

whole; in the second place suggesting that this exercise results strongly inadvisable at level of<br />

single area. Particularly in case that taxonomy is used to normative aims and to plan<br />

interventions aimed at the progress of sectors and economy in specific contexts.<br />

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