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Anno XVIII<br />
Numero speciale - marzo 2011<br />
IL FOGLIO DELLE MAMME, DEI PAPÀ, DEI BIMBI<br />
DELLA<br />
20<br />
LA CASA DI MATERNITÀ COMPIE ANNI<br />
Associazione <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong> <strong>La</strong> <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea<br />
<strong>Via</strong> Morgantini 14 - 20148 - Milano - Tel/fax 02.890.77.589<br />
www.casamaternita.it – E-mail: info@casamaternita.it
S O M M A R I O<br />
3 OFFICINA MATERNITÀ<br />
Nadia Morello, ostetrica<br />
7 PERCHÈ L’UOVO<br />
<strong>La</strong> redazione<br />
LUGLIO 1994 - UOVO 0<br />
7 LE VISPE TERESE<br />
NON CERCATELE QUI<br />
<strong>La</strong>ura V., mamma<br />
NOVEMBRE 2009 - UOVO 24<br />
8 LE MUCCHE E ALTRI ANIMALI<br />
Manuela M., mamma<br />
DICEMBRE 1994 - UOVO 1<br />
8 MUCCA È BELLO!<br />
Nadia Morello, ostetrica<br />
DICEMBRE 1994 - UOVO 1<br />
9 CARO PEDIATRA<br />
NON AVRAI MIO FIGLIO!<br />
Orietta M., mamma<br />
GIUGNO 1995 - UOVO 2<br />
9 CIASCUNO AL SUO POSTO<br />
Massimo Agosti, pediatra<br />
GIUGNO 1995 - UOVO 2<br />
10 LA FUGA<br />
<strong>La</strong>ura V., mamma<br />
DICEMBRE 1995 - UOVO 3<br />
10 LA SAGGEZZA È DEI PICCOLI<br />
Lidia Magistrati, educatrice<br />
DICEMBRE 1995 - UOVO 3<br />
11 LA GIOIA RIEMPIE QUEL CHE<br />
IL DOLORE HA SCAVATO<br />
Anna Mancini, ostetrica<br />
GIOUGNO 1996 - UOVO 4<br />
12 SULLA SOGLIA<br />
Cristina B., mamma<br />
DICEMBRE 1996 - UOVO 5 - DI FRONTE AL PARTO<br />
13 CREDETEMI, È MEGLIO IL PONGO<br />
Maria Paola Q., mamma<br />
GIUGNO 1997 - UOVO 6 - L ’ IDENTITÀ BAMBINA<br />
14 GRANDE PER SEMPRE<br />
Cristina B., mamma<br />
DICEMBRE 1997 - UOVO 7 - IL GIOCO<br />
15 PIÙ BESTIA DI PRIMA<br />
<strong>La</strong>ura V., mamma<br />
SETTEMBRE 1998- UOVO 8 - IL LAVORO<br />
16 ZENOBIA<br />
Anna Mancini, ostetrica<br />
DICEMBRE 1998 - UOVO 9 - MUTAMENTO<br />
17 LUI MI HA LASCIATA!<br />
Gabriella M., mamma<br />
MARZO 1999 - UOVO 10 - IL DISTACCO<br />
18 IN UN’ALTRA DIMENSIONE<br />
Marco B., papà<br />
SETTEMBRE 1999 - UOVO 11 - PADRI IN OPERA<br />
19 AFFINITÀ<br />
Giuliana L., mamma<br />
MARZO 2000 - UOVO 12 - TRA MADRI E FIGLIE<br />
20 LO SBALLO<br />
Silvia P., mamma<br />
SETTEMBRE 2000 - UOVO 13 - IL NUTRIMENTO<br />
21 TENERISSIMI DITTATORI<br />
Monica L., mamma<br />
MARZO 2001 - UOVO 14 - IL SONNO<br />
22 LA CASA È UN TEMPIO<br />
Anna Mancini, ostetrica<br />
GIUGNO 2002 - UOVO 15 - RICOSTRUZIONE<br />
22 UN LUOGO, UN TEMPO<br />
Chiara V., mamma<br />
GIUGNO 2002 - UOVO 15 - RICOSTRUZIONE<br />
23 QUEL LUPO<br />
CHE AMA L’AUDIENCE<br />
Chiara V. mamma<br />
MARZO 2003 - UOVO 16 - IL LUPO CATTIVO<br />
24 L’HABITAT SONO IO<br />
Silvia B., mamma<br />
MARZO 2004 - UOVO 17 - HABITAT<br />
25 INTRECCIARE IL CORDONE<br />
Gabriella M., mamma<br />
NOVEMBRE 2004 - UOVO 18 - CHE PAURA, CHE VOGLIA…<br />
26 ULTIMO SGUARDO ALLA PANCIA<br />
Judith M., mamma<br />
NOVEMBRE 2005 - UOVO 19 - SESSUALITÀ<br />
27 BOMBE SEXY (ALLA CREMA)<br />
Barbara, mamma<br />
NOVEMBRE 2005 - UOVO 19 - SESSUALITÀ<br />
28 VUOI METTERE?<br />
Barbara S., mamma<br />
GIUGNO 2006 - UOVO 20 - GRAVIDANZA: LE SCELTE<br />
29 D’AMORE E D’OMBRA<br />
Marina V., mamma<br />
APRILE 2007 - UOVO 21 - IL LATO OSCURO<br />
30 GENITORI BELLI, MAGRI,<br />
RIPOSATI E DI SUCCESSO<br />
Allen M., papà<br />
APRILE 2008 - UOVO 22 - SUPEREROI<br />
31 LOTUS BIRTH, PERCHÉ<br />
È LA NASCITA SENZA VIOLENZA<br />
Elena, mamma<br />
APRILE 2008 - UOVO 22 - SUPEREROI<br />
32 LA MAMMA È TUTTA MIA<br />
Judith M., mamma<br />
APRILE 2009 - UOVO 23 - LA GELOSIA<br />
33 NON ANCORA ATTESA<br />
<strong>La</strong>ura C., mamma<br />
NOVEMBRE 2009 - UOVO 24 - LE ASPETTATIVE<br />
34 PERAMORE<br />
<strong>La</strong>ura V., mamma<br />
APRILE 2010 - UOVO 25 - QUESTIONI DI COPPIA
L’UOVO<br />
Periodico semestrale<br />
della Associazione<br />
<strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong><br />
“<strong>La</strong> <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea”<br />
Anno XVIII<br />
Numero speciale<br />
per il ventennale della <strong>Casa</strong><br />
marzo 2011<br />
Direttore Responsabile<br />
Giuliana Licini<br />
Redazione<br />
Cristina Balbiano Simona Erotoli<br />
Judith Mangolte Cinzia Paris<br />
<strong>La</strong>ura Valugani Marina Vaccaro<br />
Supervisione<br />
Lidia Magistrati<br />
Nadia Morello<br />
Paola Olivieri<br />
Grafica e impaginazione<br />
<strong>La</strong>ura Valugani<br />
L’Uovo<br />
Autorizzazione del Tribunale<br />
di Milano<br />
N° 314 del 11/05/1996<br />
Editore/Redazione<br />
Associazione <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong><br />
“<strong>La</strong> <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea”<br />
<strong>Via</strong> Morgantini, 14<br />
20148 MILANO<br />
Tel/fax 02.890.77.589<br />
c.c.p. n° 37347200<br />
www.casamaternita.it<br />
Email: info@casamaternita.it<br />
Stampato in proprio<br />
Ogni prestazione in merito ad articoli,<br />
foto, disegni e varie, si intende offerta<br />
alla rivista L’Uovo completamente a<br />
titolo gratuito.<br />
Gli autori si assumono la piena<br />
responsabilità<br />
civile e penale per le affermazioni<br />
contenute nei loro testi.<br />
È vietata ogni riproduzione,<br />
anche parziale, di testi, foto e disegni<br />
senza autorizzazione scritta.<br />
3<br />
Officina maternità<br />
Nadia Morello, ostetrica<br />
Era il secolo scorso. Vien da ridere, ma è la realtà.<br />
1990, nasce Giulia ed è la prima bimba della <strong>Casa</strong> del Parto.<br />
Dal dopoguerra, negli ospedali italiani e anche milanesi le donne partoriscono in<br />
un’unica posizione, quella supina. E sono sole. Poggiano le gambe sui gambali di<br />
metallo, dove vengono fissate con cinghie, e coperte con telini sterili, e vengono<br />
incitate a spingere, sia che avvertano premiti oppure no. Quando il bimbo affiora,<br />
spesso molto prima, si pratica l’episiotomia nella quasi totalità dei casi. Il vecchio<br />
cattedratico della Mangiagalli diceva che questo avrebbe protetto i bambini più<br />
piccoli da un’eccessiva pressione sulla testa. I bambini più grossi invece avrebbero<br />
potuto creare lacerazioni importanti alla mamma e quindi… episiotomia per<br />
proteggere lei. Se la cavano solo le donne con bambini così veloci da sgusciare<br />
prima che le ostetriche facciano in tempo ad afferrare le forbici.<br />
<strong>La</strong> natura matrigna ha deciso che nel parto, sempre, qualcuno può far male a<br />
qualcun altro. Noi ostetriche usciamo dalle università con questo implicito<br />
insegnamento.<br />
Ma negli anni ‘80 c’è fermento. Oltre alla Milano da bere, c’è anche una Milano che,<br />
sul fronte nascita, si interroga su come si possa essere arrivati a trasformare il<br />
parto in un’esperienza di totale solitudine, espropriazione del corpo e<br />
dell’esperienza, separazione tra madri e figli, allontanamento dei padri. Perché il<br />
percorso del divenire madri, e il parto in special modo, anziché rendere le donne più<br />
forti, più consapevoli, più orgogliose, le fa sentire più fragili, incompetenti,<br />
colpevoli?<br />
Ci sono gestanti che se lo chiedono e anche operatori.<br />
Da coloro che si interrogano prendono il via alcune iniziative. Modifiche di alcune<br />
procedure nei reparti maternità e nelle nursery, parti a domicilio, convegni a cui<br />
vengono invitati ospiti stranieri che narrano di altri approcci, altre procedure. Si<br />
nominano le Case del parto.<br />
Ai piedi della Montagnetta di San Siro c’è un Istituto per ragazze madri, un ente<br />
all’avanguardia, voluto da un personaggio geniale ed eccentrico, Elda Scarsella: ha<br />
quasi novant’anni e una segretaria danese, Connie, che è anche educatrice alla<br />
nascita. <strong>La</strong> vecchia presidente ha viaggiato molto negli ultimi anni insieme a<br />
Connie. Hanno conosciuto i coniugi Klaus, i loro studi sui neonati e sulle loro<br />
competenze, sull’importanza delle prime ore di vita. Li hanno anche ospitati al<br />
Villaggio, dove esiste dagli anni ‘50 una sala parto per far nascere i bimbi senza<br />
allontanare le ragazze dall’ambiente conosciuto e protetto. Lì si sa che una buona<br />
nascita favorisce una buona relazione fra la madre e il bambino, ma la sala parto da<br />
qualche anno resta vuota. Connie si mette in moto con determinazione e stile<br />
scandinavo. Vuole riattivarla e aprirla anche per le donne esterne. Reperisce fondi e<br />
trasforma la vecchia sala parto in una <strong>Casa</strong> del Parto. Invita ostetriche, ginecologi e<br />
pediatri ad avviare il progetto. Accettiamo in pochi: io, Anna, Francesca e Mercedes<br />
come ostetriche, Massimo come pediatra, Beppe come ginecologo. Del Villaggio<br />
collaborano, oltre a Connie che coordina, Lidia, educatrice, Graziosa, vigilatrice<br />
d’infanzia e Antonietta, che ha accudito la casa per tanti anni e anche noi, con tazze<br />
calde e fumanti.<br />
È febbraio quando nasce Giulia. Non ricordo il giorno, ma Lidia lo sa di sicuro. Per<br />
quanto mi sforzi, le date precise mi restano impresse per un anno, non di più. Poi<br />
rimangono i: ”faceva un gran caldo, era autunno, durante la nevicata di aprile,<br />
quella notte di pioggia torrenziale, c’era lo Smau ed è rimasta bloccata in<br />
autostrada, è nato il giorno del convegno al Mario Negri, era il compleanno di<br />
Ilaria”. Se però si chiede a Lidia, lei il giorno lo sa. E ricorda anche i nomi di tutti i<br />
bambini, sempre. Comunque, tornando a quei giorni di febbraio, posso dire che lì<br />
ho imparato l’attesa. Chi sapeva nulla delle ore e dei giorni che precedono il<br />
travaglio delle altre donne? Nelle sale parto arrivavano solo donne che avevano già<br />
un po’ di dilatazione. Se non ce n’era, venivano rispedite a casa, oppure ricoverate<br />
con assistenza attiva: se c’erano contrazioni spontanee con un centimetro di<br />
dilatazione ogni ora, bene, altrimenti avanti con la rottura del sacco e l’ossitocina: il<br />
tutto non doveva superare le nove ore (era di moda il modello ostetrico<br />
irlandese..). Isa non aveva contrazioni regolari e sono andata avanti e indietro da
4<br />
casa sua per un paio di giorni. Tutti gli indicatori erano di<br />
salute per lei e per la bimba, ma fino a quando si poteva<br />
aspettare? Madre e figlia lo hanno deciso.<br />
Nella foto dei vent’anni della <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong> Giulia è<br />
dietro, non poteva mancare.<br />
I primi tre anni ho passato centinaia di ore in macchina<br />
sotto casa con Anna. Ogni nascita la passavamo al<br />
setaccio, ogni procedura la mettevamo in discussione.<br />
Ogni racconto dei giorni di puerperio era fonte di<br />
riflessione e spunto per cambiare. Meno visite, meno<br />
parole, meno indicazioni. Dovevamo imparare a stare e<br />
togliere tutto il superfluo. Le mani visitavano sempre<br />
meno e massaggiavano di più, sostenevano, porgevano<br />
acqua e asciugavano la fronte. E nei travagli, nei parti,<br />
nei puerperi, i sensi e l’intuito prendevano sempre più<br />
spazio accanto al nostro “sapere”.<br />
Assistere i parti non basta, serve a poco. Dobbiamo<br />
conoscere le donne prima, conduciamo anche noi i corsi<br />
insieme a Connie. Ma ancora non è sufficiente, le donne<br />
arrivano dopo mesi di deleghe ai ginecologi, alle<br />
ecografie, alle tecniche diagnostiche. Ogni passo sembra<br />
allontanarle da quel che avviene dentro di loro e<br />
impaurirle. Come facciamo a modificare, alla fine, cose<br />
che andrebbero impostate all’inizio? Decidiamo di seguire<br />
le gravidanze. Fa parte delle nostre competenze, ma<br />
sono pochissime le ostetriche che lo fanno in Italia. Forti<br />
delle pubblicazioni che dimostrano i migliori esiti delle<br />
gravidanze fisiologiche seguite da ostetriche, diamo il via<br />
anche a questo. <strong>La</strong> trama si compone, il parto si allaccia<br />
alla gravidanza: e poi?<br />
Aumenta e cambia l’attività del dopo parto. Dalla nascita<br />
ai quattro mesi non vedevamo più le donne.<br />
Ricomparivano ai gruppi gioco bimbi con Lidia, ma nel<br />
periodo intenso e faticoso delle prime settimane e degli<br />
allattamenti noi ostetriche non c’eravamo. Decidiamo di<br />
iniziare i gruppi da subito dopo il parto e le donne,<br />
nonostante le difficoltà, vengono! Il rapporto tra<br />
ostetriche ed educatrice cambia. Capiamo che facciamo<br />
lo stesso lavoro, con le donne e con i bambini. Prima, su<br />
binari paralleli, con pochi momenti di incontro; ora<br />
realizziamo un filo continuo, con passaggio di testimone.<br />
Le ostetriche approfondiscono la conoscenza del binomio<br />
madrefiglio e l’evoluzione della crescita dei bimbi,<br />
l’importanza di un’educazione rispettosa della “persona<br />
bambino”. L’educatrice integra la storia della coppia<br />
mammabimbo che ha davanti con gli avvenimenti della<br />
gravidanza, della nascita, dell’allattamento e con le<br />
tracce che hanno lasciato.<br />
In questo lavoro di armonizzazione tra le nostre<br />
professioni un grande ruolo lo assume Elettra, la nostra<br />
psicologa, ed è con lei che possiamo affrontare anche<br />
momenti di aspro confronto tra noi, quando le tensioni e<br />
le divergenze d’idee sembrano minare il progetto<br />
comune.<br />
Connie ci lascia, torna in Danimarca. Il Villaggio non<br />
riesce più a sostenere le spese della <strong>Casa</strong> del Parto. <strong>La</strong><br />
scelta è tra chiudere o assumerci anche la parte<br />
gestionale. Ci buttiamo, vogliamo provare, e diventiamo<br />
Associazione.<br />
Nel nostro Statuto inseriamo i genitori tra i Soci.<br />
Ci sembra che una riflessione e una proposta di<br />
cambiamento sociale importante nei confronti di come si<br />
nasce non possa rimanere prerogativa degli operatori.<br />
<strong>La</strong> voce dei genitori è fondamentale.<br />
Il gruppo è cambiato, non ci sono più Francesca, Massimo
e Graziosa. Mercedes riduce la collaborazione per motivi<br />
di salute.<br />
Rimaniamo noi tre: Anna, Lidia e Nadia. Sono anni<br />
impegnativi. Assistenza alla gravidanza, ai parti, agli<br />
allattamenti; gruppi per tutto il primo anno di età;<br />
gestione economica della baracca. E il clima del rapporto<br />
con gli ospedali è di tolleranza, ma c’è disapprovazione di<br />
fondo. <strong>La</strong> presenza di Beppe come ginecologo prima al<br />
Buzzi, poi a Sesto, infine ancora al Buzzi, garantisce quel<br />
collegamento con l’ospedale che dovrebbe esserci per<br />
ogni <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong> e impedisce che ci caccino quando<br />
accompagniamo o<br />
trasferiamo qualcuna,<br />
ma non evita commenti<br />
e battute a noi e alle<br />
donne che scelgono la<br />
nostra assistenza.<br />
Ma non è un fronte<br />
compatto, iniziamo ad<br />
avere anche<br />
manifestazioni di stima e<br />
rispetto, alcune<br />
ostetriche cominciano ad<br />
approfittare della nostra<br />
presenza per assistere in<br />
posizioni alternative e,<br />
se ci siamo noi, evitano<br />
le episiotomie e i tagli<br />
immediati del cordone<br />
ombelicale. Sono<br />
conquiste enormi. Nel<br />
nostro gruppo arriva<br />
Susanna a dare una<br />
ventata di energia e<br />
Sandra si presta a<br />
sostituirci per le vacanze<br />
o a supportarci quando<br />
ci sono molte<br />
reperibilità. Non<br />
troviamo altre ostetriche<br />
disposte a questo lavoro.<br />
Forse hanno ragione,<br />
chissà. Coinvolgimento e<br />
responsabilità sono tanti,<br />
la reperibilità continua.<br />
<strong>La</strong> passione che trapela<br />
dal nostro lavoro<br />
allontana anziché<br />
attirare. Succede lo<br />
stesso a chi partorisce<br />
alla <strong>Casa</strong> del Parto: le<br />
coppie vorrebbero<br />
trasmettere ad altri<br />
entusiasmo e<br />
coinvolgimento, ma la reazione è contraria, la loro<br />
esperienza è vista con sospetto e diffidenza. L’ostetricia<br />
ufficiale naviga verso un aumento della tecnologia e della<br />
delega e noi nuotiamo controcorrente, come i salmoni.<br />
Speravamo in un rapido aumento delle richieste di parto<br />
e speravamo in un riconoscimento da parte della<br />
Regione, con rimborso alle donne per le spese sostenute,<br />
ma su questo fronte troviamo solo porte chiuse. Eravamo<br />
fermamente convinte che le Case del parto si sarebbero<br />
diffuse in tutta Italia, come era avvenuto in Germania.<br />
Non succede nulla di tutto ciò. C’è però una nuova<br />
5<br />
nascita: nel 1994 esce il primo numero dell’Uovo: un<br />
vero giornale, che racconta di storie e raccoglie riflessioni<br />
di chi passa dalla <strong>Casa</strong>. Sentiamo sempre più solido il<br />
legame con le donne.<br />
19952000<br />
Siamo un piccolo gruppo, il costo del parto è a carico<br />
delle famiglie e la nostra unica pubblicità è il<br />
passaparola. Non mancano i momenti di rabbia e di<br />
sconforto. Nonostante ciò, il progetto continua e si<br />
modifica costantemente. Il nome <strong>Casa</strong> del Parto non si<br />
addice più a quello che<br />
facciamo, ci vuole una<br />
definizione che spieghi<br />
meglio la specificità di<br />
questo posto.<br />
Diventiamo <strong>Casa</strong> di<br />
<strong>Maternità</strong>. Nasce il<br />
nome:”<strong>La</strong> <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea”.<br />
E continuano a nascere<br />
bambini. Cinzia<br />
partorisce in un’ora il<br />
suo primo figlio,<br />
Manuela ci impiega due<br />
giorni. Nei corsi le<br />
donne ci chiedono<br />
quanto può durare il<br />
travaglio e noi:<br />
”dipende”. Abbiamo<br />
capito da tempo che<br />
nessuna regola è valida<br />
e ogni parto è a sé, ogni<br />
nascita sarà unica.<br />
Siamo invitate a<br />
convegni e la domanda<br />
costante è ”quanti parti<br />
fate?”. I nostri numeri<br />
fanno sorridere,<br />
nessuna riflessione sulle<br />
bassissime percentuali<br />
di tagli cesarei nelle<br />
nostre trasferite e sugli<br />
allattamenti prolungati.<br />
Sembra che buona<br />
assistenza sia solo<br />
quella che fa numero, la<br />
buona qualità degli esiti<br />
e la soddisfazione<br />
dell’utenza sembrano<br />
contare poco.<br />
Al nostro interno<br />
discutiamo, ci<br />
arrabbiamo. <strong>La</strong> fatica si<br />
riflette sulla nostra vita<br />
privata, ma andiamo avanti e arricchiamo la proposta: i<br />
gruppi di psicomotricità, la danza del ventre per le bimbe<br />
che abbiamo visto nascere, i corsi per le ostetriche,<br />
l’acquaticità per le gestanti e per i bimbi.<br />
Susanna se ne va.<br />
Al Villaggio l’aria è cambiata. Non sono più i tempi della<br />
vecchia signora. L’amministrazione ha paura del parto,<br />
non lo vuole più tra le sue mura. Non ci rinnova il<br />
contratto e ci ingiunge d’andarcene. Siamo<br />
un’Associazione Culturale senza fondi, dove andiamo?<br />
Proviamo a resistere, ma alle donne che vengono a
chiedere il parto non possiamo garantire nulla. Molte se ne<br />
vanno. Dall’oggi al domani ci viene impedito di assistere le<br />
ragazze del Villaggio, anche quelle ormai prossime al parto.<br />
L’idea di riuscire anche altrove è lentissima ad affiorare, ci<br />
impieghiamo quasi due anni a metabolizzarla.<br />
Una domenica di primavera del 2001 ci congediamo con<br />
una splendida festa: centinaia di grandi e piccini, torta<br />
gigante, foto per chi è nato sul lettone, canti e balli in<br />
giardino, la signora vestita di viola: addio Villaggio, e<br />
grazie.<br />
2001 2003<br />
<strong>Via</strong> Solari, un piccolo ufficio. Elisa ed Enrico hanno avuto<br />
con noi i loro bimbi. Ce lo prestano. È il tempo dei progetti.<br />
Che aspetto dare alla nuova <strong>Casa</strong>? Centro di salute per la<br />
donna… abbiamo visto un asilo dismesso in via Uruguay. Ci<br />
starebbero i parti, il nido, l’hammam. Anna guarda lontano,<br />
scrive un progetto. Le banche non ci considerano e gli<br />
amministratori pubblici nemmeno, il parto non è mai stato<br />
politicamente interessante. Io e Chiara, una delle mamme,<br />
andiamo a caccia della nuova sede: appartamenti,<br />
laboratori, villette, magazzini, loft: troppo grandi, troppo<br />
costosi, troppi lavori da fare, troppo lontano dai mezzi.<br />
Lidia continua, tenace, con i gruppi; ma sembra che la<br />
nostra esperienza non abbia futuro. Anna ci lascia, parte<br />
per la sua ricerca personale. Dicembre 2002. A fine anno<br />
chiuderemo l’Associazione. Siamo rimaste in due, io e<br />
Lidia. Non si può dire che non c’abbiamo provato. Un<br />
ultimo tentativo: un appartamento in via Morgantini e lo<br />
andiamo a vedere insieme. A metà corridoio, mentre la<br />
proprietaria cerca di capire a cosa ci servirebbero i locali,<br />
decidiamo di prenderlo in affitto. E per la prima volta<br />
troviamo una persona che non solo non si spaventa, ma si<br />
entusiasma all’idea che nella sua casa nasceranno dei<br />
bambini.<br />
2003 – 2010<br />
I lavori di adeguamento per sistemare i locali non sono<br />
pochi e le banche non ci concedono prestito, ma davvero le<br />
cose accadono. Riusciamo ad avere un microcredito, come<br />
per i progetti delle donne nell’India rurale. In cinque anni<br />
restituiremo il finanziamento dei lavori che ci è stato dato<br />
da otto persone che hanno partorito con noi, una<br />
ginecologa che condivide gli ideali della <strong>Casa</strong> e un’ostetrica<br />
appassionata. Ma ci sono altri a cui siamo grate:<br />
l’architetto lavora gratuitamente, una mamma ci regala la<br />
moquette, un’altra il condizionatore, un’altra ancora viene<br />
con il suo pancione da settimo mese a decorare il vecchio<br />
armadio. Sentiamo, ancora una volta, la solidarietà di chi ci<br />
ha seguito negli anni. Possiamo continuare, diventiamo<br />
piccola cooperativa. Ci sono stati pochi parti a domicilio<br />
negli ultimi due anni e alcuni accompagnamenti in<br />
ospedale. A febbraio 2003 l’ingresso in Morgantini, a<br />
maggio terminano i lavori, a luglio, nel pieno della calura<br />
milanese nasce la piccola Neve ed inaugura la nuova sede.<br />
Ed è l’energia di Paola che, come un ciclone, travolge me e<br />
Lidia e ci spinge a reinventare la <strong>Casa</strong>. Dopo gli anni vissuti<br />
sulla difensiva per proteggere questa nostra <strong>Casa</strong>, unica in<br />
Italia, è il momento di aprirsi e stabilire nuovi contatti e<br />
Paola è la persona giusta. Iniziamo a collaborare con altre<br />
ostetriche di Milano, Varese, Biella. Sorgono finalmente<br />
altre due Case <strong>Maternità</strong> in Lombardia. Proprio quando<br />
sembra che l’ostilità diminuisca, dobbiamo far fronte ad un<br />
attacco imprevisto: quello dei condomini, che non vogliono<br />
la nostra presenza qui. Temono un via vai di ambulanze a<br />
6<br />
sirene spiegate (troppi telefilm americani), responsabilità<br />
del condominio, infezioni dai nostri rifiuti “contaminati” e<br />
non sappiamo cos’altro. Avversano l’andirivieni delle<br />
mamme e sferrano attacchi ai passeggini fuori posto,<br />
strappano la targa sulla porta, fanno sparire gli zerbini.<br />
Durante i parti notturni usciamo per sentire se i lamenti si<br />
sentono troppo forte.<br />
Ci mandano prima i funzionari della Asl, poi i NAS e infine i<br />
vigili del fuoco. Ma in nessuna ispezione vengono trovate<br />
irregolarità. Un pensiero grato va ad Anna, che nel 2001,<br />
con la sua cocciutaggine e perseveranza, era riuscita a<br />
mettere in piedi una commissione regionale per le linee<br />
guida sui parti extraospedalieri. Mentre le relazioni<br />
condominiali restano tese, i parti aumentano e spunta un<br />
altro fiore all’occhiello della <strong>Casa</strong>: il nido! Tra le eredi di<br />
Elinor Goldschmied, la nostra Lidia ha questo sogno nel<br />
cassetto. Si realizza solo parzialmente. Avremmo voluto un<br />
nido più grande, con più bimbi e più educatrici, ma gli spazi<br />
che troviamo nella scala di fronte sono limitati. Si inaugura<br />
lo stesso e il gioiellino prende il via con Alessandra.<br />
I bambini del nido come le partorienti, come i neonati,<br />
sono persone competenti, che necessitano di attenzione,<br />
rispetto dei bisogni individuali, professionalità e un luogo<br />
protetto per esprimere al meglio le loro capacità.<br />
È Francesca che porta avanti tutto ciò quotidianamente,<br />
con la spalla “solida” di Lidia e il contributo volontario di<br />
Maria Luisa, che da anni ci regala un giorno alla settimana<br />
di riflessione e supporto. Nel 2005 Nadia, la mora,<br />
abbandona le mura sicure dell’ospedale per portare nel<br />
gruppo in espansione il contributo della sua esperienza e<br />
delle sue intuizioni. In contemporanea aumentano le<br />
richieste di parti, sia in <strong>Casa</strong> che a domicilio e con l’arrivo<br />
di Ilaria, l’entusiasta, possiamo assecondarle. Andiamo<br />
nell’Oltrepò, in centro e in periferia, a Bollate e ad Affori,<br />
alla Barona e a Niguarda. Negli uffici anagrafe non è più<br />
così strano vedere il timbro della <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong> sui<br />
certificati del parto. All’interno della <strong>Casa</strong> compare un<br />
fiocco ad ogni nascita e lo guardano incuriosite le mamme<br />
della musica in fasce di Federica, i nonni della<br />
psicomotricità di Marinella e tutti gli altri che partecipano<br />
allo spazio gioco, ai corsi di massaggio di <strong>La</strong>ura, a quelli di<br />
arte terapia di Melania. Claudia, la prima segretaria che ci<br />
siamo potute permettere, ci aiuta a districarci tra i gruppi e<br />
la banca, canta “ciao bambini” e va dal commercialista. Poi<br />
tocca a Maura darci una mano in ufficio mentre la Egi<br />
rinforza il gruppo del settore educativo. Davanti al cesto<br />
dei tesori o tra le zanzare dell’asilo estivo si muove leggera<br />
e competente rifilandoci lezioni di metodo, da anni…<br />
Metodo... “Quale metodo usate per il parto?” chiedono<br />
oggi ad Eleonora le coppie ai colloqui. Lei ricomincia ogni<br />
volta, ultima erede della <strong>Casa</strong>, a spiegare del tempo e delle<br />
posizioni, dell’acqua e del movimento, mentre dalla cucina<br />
arrivano i profumi delle pappe di Edi, e all’immancabile “E<br />
se succede qualcosa?” l’ostetrica si ferma. E accoglie. I<br />
timori se ne andranno, o forse no… dipende.<br />
Dopo vent’anni ho lasciato la <strong>Casa</strong>. Ho vissuto<br />
un’esperienza unica , di ostetricia, di affetti e passioni, di<br />
collaborazione e condivisione sulla scena del parto e nel<br />
lavoro di gruppo.<br />
Ho ascoltato, imparato e imparato e sono cambiata.<br />
Officina maternità prosegue con Lidia e tutte le altre.<br />
Un pezzo del mio cuore sarà sempre con loro.<br />
Giulia ha compiuto i ventuno.
7<br />
PERCHÈ L’UOVO?<br />
<strong>La</strong> redazione<br />
NOVEMBRE 2009 - UOVO 24<br />
Perché è una cellula germinale, piena di potenzialità.<br />
Perché è il simbolo della fertilità.<br />
E qualche volta c’è dentro una sorpresa.<br />
Perché è una buona idea: semplice e geniale come l’uovo<br />
di Colombo.<br />
Perché vuole raccontare storie un po’ diverse dalle solite:<br />
vuole essere l’uovo fuori dal cestino.<br />
Perché vorremmo che fosse pieno, pieno come un uovo:<br />
di voci, di idee, di proposte.<br />
Perché riconosciamo con simpatia nelle sue forme<br />
abbondanti quelle delle nostre pance gravide.<br />
Perché aspiriamo ad ovulare, com’è giustamente nella<br />
nostra natura, con una certa regolarità.<br />
Per annunciarvi, con autoironia:<br />
ABBIAMO FATTO L’UOVO!<br />
Prendetelo com’è, non cercatevi il pelo.<br />
E gustatevelo, allora! È buono e costa poco<br />
Facciamo un giornale?”<br />
“E perché mai?”<br />
“Partoriamo fuori dall’ospedale e la cosa è considerata<br />
con sospetto: raccontiamo com’è!”<br />
“I pregiudizi sulla maternità ammorbano il pensiero<br />
corrente: parliamone in presa diretta!”<br />
Correva l’anno 1993; nel 1994 l’Uovo fu.<br />
In principio era come camminare sulle uova, adesso è<br />
come lanciarsi col parapendio.<br />
In principio eravamo tutte preoccupate di salvaguardare la<br />
sensibilità delle nuove mamme, adesso lasciamo che si<br />
generino risonanze talvolta imprevedibili, senza<br />
mascherare i sentimenti negativi.<br />
In principio ci chiedevamo cos’era opportuno e cosa no,<br />
adesso lasciamo briglie sciolte anche alla trasgressione.<br />
In principio censuravamo, adesso no.<br />
C’ero, ci sono ancora. In principio ero giovane (quasi),<br />
adesso sono vecchia (quasi). L’Uovo è diventato come<br />
l’avevamo pensato: rende testimonianza di parto non<br />
ospedalizzato e dell’esperienza di genitori. A tutto tondo,<br />
lati luminosi e lati oscuri in pari misura.<br />
Poco tempo fa una mamma turbata scriveva alla<br />
redazione: sarebbe bello che tutte le fatiche raccontate<br />
RIPENSANDOCI, DOPO QUINDICI ANNI<br />
Le vispe terese non cercatele qui<br />
<strong>La</strong>ura V., mamma<br />
LUGLIO1994 - UOVO 0<br />
siano messe in una cornice di bellezza.<br />
Ci ho riflettuto, e su questa questione della necessità di<br />
una cornice ancora mi interrogo. Dopo così tanti anni di<br />
redazione io non ho ancora finito di stupirmi di quanto belli<br />
siano i contributi che arrivano.<br />
Intendetemi bene: penso alla bellezza e alla potenza<br />
comunicativa di una madonna in trono, ma anche a quella<br />
di una annunciazione, di una passione e perfino a quella<br />
di una deposizione.<br />
Mica fiori e farfallette: quelli sono corredo per vispe<br />
terese.<br />
Un’immagine bella e potente non ha bisogno di guida né<br />
di contenimento. Perché dovremmo incorniciare?<br />
L’evoluzione dell’Uovo parte da un iniziale e<br />
inconfessabile intento promozionale e arriva a una<br />
riflessione complessa e coraggiosa. <strong>La</strong> sua storia è<br />
metafora della maturazione: dall’insicurezza di gioventù <br />
Piacerò? Sarò all’altezza? Come dare la migliore<br />
impressione? E se poi deludo? alla consapevolezza dei<br />
punti di forza e di debolezza propri e altrui, all’esercizio<br />
dell’ironia e alla pratica della tolleranza.<br />
Chissà che le nostre figlie non imparino da noi,<br />
prima di noi.
Le mucche<br />
e altri animali<br />
Manuela M., mamma<br />
Oggi Anna compie sette mesi. Io la guardo mentre<br />
succhia al mio seno e riesco ancora a stupirmi. Ce l’ho<br />
proprio fatta, ma certo! Mi dico.<br />
E mi vengono in mente le parole di Nadia durante il<br />
corso di preparazione al parto: Un giorno che noi<br />
gravide ci chiedevamo se avremmo avuto latte, lei ci<br />
provocò dicendo: “Ma avete mai visto una mucca<br />
senza il latte?”.<br />
E noi zitte.<br />
Poi io ogni tanto mi rispondevo: “Be’, io di mucche non<br />
è che ne ho viste molte in vita mia”.<br />
“Però io non sono mica una mucca”.<br />
“È un dato di fatto che moltissime donne non riescono<br />
ad allattare i loro bambini”.<br />
Senza andare troppo lontano, io Marta l’ho allattata<br />
con fatica per tre mesi, poi ho dovuto cedere<br />
all’aggiunta e, subito dopo, all’allattamento artificiale<br />
completo. Ma perché?<br />
Eppure ero egualmente determinata e la scuola e le<br />
maestre erano le stesse. Forse sono diventate più<br />
brave loro. O forse, continuo a pensare, è una<br />
questione tecnica. Con Anna ho bevuto più tisane al<br />
finocchio, ho cominciato anzi qualche giorno prima di<br />
partorire. Anna stava attaccata tantissimo e succhiava<br />
bene fin dai primi giorni e poi, quando ho avuto i<br />
momenti di calo, mi sono sforzata di credere che era<br />
solo momentaneo, che il latte sarebbe tornato, che<br />
non c’erano motivi perché andasse via (ma il panico,<br />
veramente, l’ho provato lo stesso).<br />
Tutto, ma proprio tutto, razionalizzato, incasellato,<br />
giustificato.<br />
Perché io non sono una mucca e non mi convinco che<br />
è la civilizzazione, nel senso della perdita degli istinti<br />
animali, ad impedire a molte donne di allattare.<br />
Semmai – spiegazione logica – sono i diversi ritmi<br />
di vita che ci impongono modalità di allattamento<br />
incompatibili con una sufficiente produzione di latte.<br />
Ma, insomma, dovrei limitarmi ad essere contenta di<br />
questo risultato e invece continuo a chiedermi il<br />
perché.<br />
Forse perché la mancanza di una spiegazione<br />
convincente mi impedisce ancora, dopo sette mesi,<br />
di essere sicura che potrò allattare anche domani<br />
e dopodomani se lo vorrò.<br />
Mi sento come una che ha vinto un terno al lotto:<br />
felice, ma convinta che si tratta in gran parte di<br />
fortuna e quindi di qualcosa che sfugge a ogni<br />
controllo.<br />
Ma nello stesso tempo sono sicura – e so di<br />
contraddirmi – che non è un caso se la percentuale<br />
di donne che riescono ad allattare i propri figli è<br />
evidentemente (senza bisogno di statistiche) più alta<br />
tra le donne che frequentano la <strong>Casa</strong> del Parto.<br />
Che siano tornate le streghe?<br />
8<br />
DICEMBRE 1994 - UOVO 1<br />
MUCCA È BELLO!<br />
Nadia Morello, ostetrica<br />
Si è appena conclusa la magia della nascita<br />
e ancora la madre non ci crede.<br />
Non crede con la ragione quello che i sensi stanno già<br />
sperimentando: quello che vede è il suo bambino; lo può toccare,<br />
caldo e bagnato, lo sente respirare e piangere, e può aspirare<br />
quel suo unico, irripetibile odore.<br />
Tutto questo tuttavia non basta a convincerla che il parto è finito,<br />
che la nascita è avvenuta… che lei è diventata madre.<br />
Passeranno ore prima che l’eccitazione si plachi e il sonno, tanto<br />
desiderato in travaglio, possa abbracciare i suoi sensi.<br />
Passeranno giorni prima che la sua mano smetta<br />
di andare alla pancia ad accarezzare movimenti ormai lontani.<br />
E quanti mesi ci vorranno per convincerla “dentro” che quel<br />
bambino crescerà e imparerà a dormire, a mangiare, a gattonare,<br />
a guarire dalle febbri, a parlare e…<br />
Nemmeno il latte sfugge alla magia dell’incredulità; è lì che gocciola<br />
e ci si chiede che cos’è (cosa mai potrebbe essere d’altro? Me lo<br />
sono chiesta spesso); bagna gli indumenti e riempie la bocca del<br />
bimbo fino ad uscirne dagli angoli, ma la domanda è spesso:<br />
ce n’è abbastanza?<br />
Ancora una volta i sensi non bastano a tranquillizzare la mamma;<br />
non basta l’espressione beata del pupo, non basta il suo respiro<br />
tranquillo da pappananna, non basta la ciccia<br />
che riempie le tutine e soddisfa le mani di mamma e papà.<br />
Perché è così difficile abbandonare la paura e ammettere:<br />
ok, sono proprio una mamma in gamba?<br />
Che dici, Manuela, è forse questo il nocciolo della questione?<br />
Se è questo, ecco che un secondo o un terzo figlio, arrivando dopo<br />
un’esperienza “dentro” di capacità materna, portano con sé una<br />
maggiore serenità e, decisamente, un minor numero di paure.<br />
Allora anche la crescita “plasmoniana” del proprio figlio non è più<br />
inseguita spasmodicamente e diventa più facile accettare<br />
il suo ritmo individuo, scarso o eccessivo che sia…<br />
È certo che siano tornate le streghe e le magie non sono mai finite.<br />
A te svelarci chi si cela sotto cappello e mantello e qual è la magia!
9<br />
Caro pediatra, non avrai mio figlio<br />
Il pediatra: ci vuole proprio?<br />
È necessario sempre e comunque sottoporre il proprio bimbo<br />
neonato alle attenzioni di un pediatra?<br />
Se il bimbo non ha apparentemente problemi è corretto che<br />
venga visitato dal pediatra, il quale fisserà ritmi e darà<br />
indicazioni più o meno dogmatiche sul suo accudimento?<br />
Vi è in alcune mamme una certa sfiducia e, perché no, anche<br />
risentimento, nei confronti del medico che fissa<br />
Massimo Agosti, pediatra<br />
GIUGNO 1995 - UOVO 2<br />
CIASCUNO<br />
AL SUO POSTO<br />
Premesso che il pediatra deve godere della fiducia da<br />
parte dei genitori, non deve certamente, in virtù della<br />
sua professione, esercitare un suo “potere” personale sui<br />
genitori.<br />
Si devono ricercare nel pediatra quelle caratteristiche di<br />
disponibilità al colloquio e all’ascolto, utili a rafforzare ,<br />
sostenere, rassicurare e responsabilizzare<br />
adeguatamente i genitori nel loro essere conoscitori dei<br />
propri figli, senza imposizioni di sorta.<br />
Anche la vigilatrice d’infanzia è sicuramente una persona<br />
adeguata a questo scopo; deve essere ben preparata ed<br />
avere una sua esperienza in campo pediatrico.<br />
È vero che nella nostra realtà non viene impiegata in<br />
ambito consultoriale, come figura di riferimento per la<br />
mamma, ma bensì come infermiera del pediatra. Il suo<br />
possibile utilizzo con u ruolo a sé stante non è mai stato<br />
preso in considerazione e non è riconosciuto.<br />
D’altro canto, se è vero che il pediatra deve essere colui<br />
che interviene nella patologia, è anche vero che alcune<br />
patologie pediatriche non possono essere trattate come<br />
dovrebbero se il pediatra non conosce il piccolo paziente<br />
e il contesta familiare. Questo perché in pediatria<br />
esistono anche delle patologienon patologie,<br />
determinate anche da vissuti particolari, da momenti di<br />
difficoltà nel rapporto madrebambino, padrebambino o<br />
madrepadre, che rischiano di essere trattate in modo<br />
scorretto se non si hanno dei momenti di incontro oppure<br />
se non si ha conoscenza del piccolo anche nei momenti<br />
fisiologici della crescita. L’intervento dello specialista nel<br />
momento esclusivo della patologia può quindi non essere<br />
sufficiente.<br />
Certamente bisognerebbe riuscire ad acquistare, come<br />
genitori, quella fiducia in se stessi necessaria ad<br />
affrontare piccoli e grandi problemi di tutti i giorni, senza<br />
commettere l’errore di scaricare o scaricare<br />
responsabilità genitoriali sul pediatra. Per questo il ruolo<br />
di una figura “non medica” (vigilatrice d’infanzia,<br />
puericultrice o mamma) può avere una funzione molto<br />
importante di supporto e filtro tra i genitori e il mondo<br />
medico.<br />
Orietta M., mamma<br />
regole rigide, ritiene la mamma responsabile di buona parte<br />
dei problemi del figlio e tende a instillare motivi di allarme.<br />
<strong>La</strong> convinzione che solo il pediatra possa dare le correte<br />
indicazioni sull’accudimento di bimbi, anche quando non ci<br />
sono problemi, in certo qual modo appartiene alla stessa<br />
cultura della ospedalizzazione, che connota normalmente il<br />
parto. A pensarci, sembra effettivamente un po’ strano e<br />
sproporzionato; in fondo il pediatra dovrebbe essere colui che<br />
interviene sulla patologia e non sulla fisiologia del bambino.<br />
L’operatore più adeguato sembrerebbe la vigilatrice d’infanzia,<br />
la puericultrice o addirittura la donna che abbia avuto alcuni<br />
figli. <strong>La</strong> verità è che la nostra realtà, ma soprattutto la nostra<br />
cultura, è quella di un mondo pediatrico dove la vigilatrice è<br />
poco conosciuta e probabilmente più difficilmente reperibile.<br />
Un rapporto difficile<br />
Forse perché la medicina non è una scienza esatta e può<br />
capitare che cinque pediatri diano cinque risposte diverse<br />
rispetto allo stesso problema , forse perché in pediatria le<br />
teorie si susseguono rapidamente – talvolta annullandosi tra<br />
loro , forse perché siamo piene di paura di sbagliare, forse<br />
perché è difficile trovare un professionista con il quale<br />
instaurare un rapporto fiduciario solido, forse per altre ragioni<br />
ancora, ma certo è che molte mamme manifestano la<br />
difficoltà di rapportarsi col pediatra.<br />
D’altro canto la medicina, soprattutto quando il soggetto<br />
interessato è il proprio figlio, può diventare una rassicurante<br />
sponda alla quale rivolgersi per risolvere le paure e le<br />
insicurezze che attanagliano il genitore, soprattutto se alle<br />
prime armi. In questo senso rivolgersi al pediatra può<br />
rappresentare un comodo metodo di scaricamento delle<br />
responsabilità genitoriali: …l’ho portato dal pediatra, adesso<br />
ho delle regole certe… gli somministrerò queste medicine… ho<br />
adempiuto ai miei obblighi di genitore… sono tranquillo con<br />
me stesso…”. Di sicuro la critica del genitore sulle indicazioni<br />
del pediatra, sempre opportuna entro certi limiti, diminuirà in<br />
maniera tanto più sensibile quanto più elevata la fiducia<br />
riposta nel professionista. Va anche detto che può essere<br />
molto rassicurante ricevere regole precise sull’accudimento e<br />
sulla gestione della crescita del bimbo… per lo meno sino a<br />
quando il piccolo risponde brillantemente alle regole imposte!<br />
Ma il problema è: il pediatra impone regole rigide solo perché<br />
le ritiene essenziali, oppure vi è una maliziosa componente<br />
legata alla necessità di esercitare e consolidare il suo “potere<br />
personale” sui genitori?<br />
Quello di cui abbiamo bisogno<br />
Oggi che la struttura della famiglia patriarcale rassicurante,<br />
dove la mamma difficilmente si sentiva sola con i problemi<br />
legati alla crescita del suo bambino, si è sostanzialmente<br />
dissolta, è sicuramente prezioso e fondamentale il confronto<br />
tra madri ed è forse una delle cose più utili e preziose,<br />
soprattutto allo scopo di tranquillizzarsi in relazione ai piccoli<br />
e grandi problemi di tutti i giorni. Il punto, quindi, è forse<br />
quello di riuscire in primo luogo ad acquistare quella fiducia in<br />
noi stesse che ci consenta di ricondurre la sfera di azione del<br />
pediatra nel suo giusto ambito, non permettendogli intrusioni<br />
in settori nei quali possiamo e dobbiamo essere protagoniste.<br />
In questo senso, forse, il buon pediatra è quello che sa<br />
responsabilizzarci adeguatamente, nella convinzione che i<br />
migliori conoscitori ed interpreti dei nostri figli<br />
siamo proprio noi.
DICEMBRE 1995 - UOVO 3<br />
10<br />
LA FUGA<br />
<strong>La</strong>ura V., mamma<br />
Non sembra, ma è quasi tre mesi che Eva è arrivata nella nostra<br />
famiglia. I fratelli l’hanno accolta con gioia: Camillo, quattro anni,<br />
la protegge; Viola, due e mezzo, dedica a lei tutta la sua<br />
tenerezza. Insomma: apparentemente, tutto bene.<br />
Tre figli sono tanti; ma io ho la fortuna di avere i nonni al piano<br />
di sopra. I bimbi, da quando hanno imparato a camminare, fanno<br />
su e giù liberamente. Intendiamoci: questa è la loro casa e io<br />
sono la loro mamma. Ci tengo a che non facciano confusione.<br />
Qui si scandiscono i ritmi della loro vita – cibo, sonno – qui ci<br />
sono le loro cose e i loro spazi. Ma ogni volta che salgono,<br />
trovano due bambinoni disposti a lasciarsi coinvolgere nei giochi<br />
più assurdi, a lasciar invadere e mettere a soqquadro la loro<br />
casa. È chiaro che loro sono i compagni di gioco prediletti. Non<br />
abbiamo mai osato competere.<br />
Il problema più grosso che mi si è posto nella gestione dei figli<br />
dopo l’ultimo parto è che Viola, la sera, si addormenta troppo<br />
tardi per la mia stremata stanchezza. Colpa del nido, dove fanno<br />
di tutto per far dormire il più possibile i bimbi, mentre lei farebbe<br />
già a meno del sonnellino pomeridiano.<br />
Il risultato è che, mentre alle nove tutti gli altri nella casa si<br />
addormentano, lei resiste fino alle undici, mezzanotte, volendo<br />
solo me a farle compagnia.<br />
Io, distrutta, mi addormento parlandole, continuo a parlarle<br />
farneticando mentre dormo, e mi capita di essere risvegliata nel<br />
pieno della notte dalla piccola che vuole la tetta mentre ancora<br />
sto nel letto di Viola, con accesa la lampada. È chiaro che non<br />
deve essere molto contenta della mia partecipazione a questo<br />
momento di intimità tra noi. Ma cosa accidenti ci posso fare?<br />
Così, l’altra sera mi ha scossa dal sonno e mi ha dichiarato:<br />
“Io vado a dormire di sopra”.<br />
Io, dura, ho risposto: “E vacci!”<br />
È salita, ha suonato, ha fatto saltar fuori i nonni dal letto.<br />
Obbedienti, le hanno allestito il letto di papà piccolo. Dopo un po’<br />
sono salita anch’io a vedere cosa fosse accaduto e l’ho travata<br />
ancora sveglia, ma ben risoluta a restare dov’era.<br />
Ha dormito serena e contenta e al suo risveglio è scesa per avere<br />
il suo biberon.<br />
<strong>La</strong> storia si è ripetuta, da allora, tutti i giorni. I ritmi e le abitudini<br />
della giornata non sono affatto cambiati, ma quando giunge la<br />
sera lei, serena e serafica, ad una cert’ora mi annuncia che deve<br />
andare a dormire di sopra. Io, di giorno in giorno, mi sento<br />
sempre più paralizzata, incapace di reazione. Allibita.<br />
Ho chiesto un colloquio con le maestre. Loro non notano in lei<br />
alcuna tensione; anche a me sembra che abbiano ragione.<br />
Da una settimana avevo davanti questo problema e non avevo<br />
ancora fatto una mossa che fosse una. Come intervenire?<br />
Vietare? Fingere indifferenza? Allettarla con qualche promessa,<br />
che non sapevo quando e come avrei potuto mantenere?<br />
Ieri sera è salita, come al solito.<br />
Io e suo padre ce ne siamo andati a letto, rassegnati e tristissimi.<br />
Ci siamo cercati, nel buio, e abbiamo sentito l’uno nell’altro il<br />
grande senso di abbandono.<br />
”Basta! Facciamo qualcosa!” – ci siamo detti. Riaccesa la luce,<br />
siamo saliti in pigiama a riprendercela. Al nostro invito, è scesa di<br />
buon grado ed ha giocato allegra con noi fino a che, tardissimo,<br />
non le è proprio venuto sonno.<br />
E allora… “Vado di sopra”. Inutile insistere.<br />
L’ho guardata disperata e le ho detto: “Ma sei proprio sicura?”.<br />
E lei, con fare incoraggiante: “Sì, mamma. Ma tu non piangere!”<br />
Ma cosa sta succedendo? È proprio scappata di casa?<br />
<strong>La</strong> saggezza<br />
è dei piccoli<br />
Lidia Magistrati, educatrice<br />
<strong>La</strong> ricerca di altri riferimenti affettivi non<br />
significa necessariamente “fuga” dei figli.<br />
Forse la loro è un’offerta di aiuto, un segno di<br />
condivisione nei nostri momenti difficili.<br />
Da piccola vivevo in cascina.<br />
Nelle famiglie contadine degli anni ’60’70 che<br />
vivevano in agglomerati rurali c’era, senza<br />
alcun accordo preciso, una forte condivisione<br />
dei momenti di bisogno di ogni famiglia:<br />
l’accudimento dei bambini più piccoli,<br />
il parto, il puerperio, le malattie.<br />
Non erano più le famiglie patriarcali di una<br />
volta; i nonni difficilmente vivevano con loro.<br />
Erano famiglie nucleari, ma ognuna con figli<br />
di diverse età. <strong>La</strong> struttura patriarcale era<br />
data dall’insieme di molte famiglie, non<br />
imparentate tra loro, ma unite dallo stesso<br />
ambiente e dallo stesso lavoro.<br />
In quel contesto avvenivano spesso “fughe”<br />
di bambini. Per esempio, quando mia madre<br />
cucinava il minestrone, era difficile che<br />
qualcuno di noi bambini stesse a casa per<br />
cena. Facilmente si trovava una famiglia che<br />
avesse cucinato qualcosa di più appetitoso.<br />
Questo era chiaro, già stabilito: non creava<br />
nessun difficoltà né alla mia famiglia, che si<br />
trovava con uno o due bambini in meno,<br />
né alle famiglie che ci ospitavano,<br />
perché era uno scambio vicendevole.<br />
I contadini di allora avevano tanti problemi,<br />
ma sicuramente non mancava loro né il cibo,<br />
né lo spazio (le case erano grandi).<br />
Cara <strong>La</strong>ura, tu, pur abitando a Milano e<br />
formando una famiglia nucleare (però con tre<br />
figli), hai una fortuna immensa: i nonni<br />
nell’appartamento di sopra. Nonni con i quali<br />
c’è chiarezza, un buon rapporto, accettazione<br />
e rispetto dei ruoli diversi nei confronti dei<br />
bambini. E allora perché non approfittarne?<br />
Perché non rispolverare l’antico buon senso,<br />
l’intuito, l’istinto, la capacità profonda di<br />
allevare i propri cuccioli?<br />
Proprio tu, <strong>La</strong>ura, giustamente sostieni che<br />
ciò che più ti è piaciuto del corso i<br />
preparazione alla <strong>Casa</strong> del Parto è che
nessuno ti ha insegnato delle tecniche di<br />
travaglio e parto. Perché ogni donna lo<br />
sa: deve essere aiutata a trovare<br />
sicurezza e a fare uscire tutte le sue<br />
capacità. Anche nell’accudimento e<br />
nell’accompagnare lo sviluppo e la<br />
crescita del proprio figlio è così.<br />
L’altro giorno dalla finestra guardavo giù<br />
in giardino una gatta con tre micetti<br />
molto piccoli. Lei era accucciata a terra;<br />
era tranquilla, e solo la posizione eretta<br />
della testa denotava attenzione,<br />
consapevolezza. I tre micetti giocavano<br />
tra loro, saltavano, si rincorrevano,<br />
cadevano l’uno sull’altro in uno spazio<br />
molto vicino alla madre. Dopo poco, due<br />
micetti le si sono avvicinati di più: uno<br />
cercava di ciucciare, l’altro giocava con<br />
la sua coda; il terzo invece se n’è<br />
andato, si è allontanato, fuori dalla<br />
visuale materna. <strong>La</strong> gatta non faceva<br />
una piega. Ma non appena il micetto ha<br />
fatto un miagolio, è scattata nella<br />
direzione giusta del richiamo: è andata a<br />
prendere il suo cucciolo, lo ha portato<br />
vicino e l’ha leccato tutto.<br />
<strong>La</strong> tua saggia bambina, senza chiedersi il<br />
perché, senza dare la colpa al nido, ha<br />
capito che le sue esigenze e le vostre, in<br />
quel periodo delicato che è l’arrivo di un<br />
nuovo bambino in casa, non<br />
coincidono e che gli sforzi sono vani.<br />
E ha trovato una soluzione.<br />
Non vuole punirvi, infatti ti dice:<br />
“Mamma non piangere”; non vuole<br />
fuggire da voi, infatti quando andate a<br />
riprenderla, motivati e disponibili, lei<br />
scende e gioca volentieri con voi.<br />
Ma al momento del sonno voi non<br />
sareste altrettanto disponibili ai suoi<br />
tempi lunghi di addormentamento; e lei<br />
trova un altro modo, in un ambito<br />
comunque conosciuto, affettivo e<br />
disponibile: la sua famiglia “allargata”.<br />
Non è per sempre, ma è quello che<br />
serve ora, a lei e a voi.<br />
11<br />
GIUGNO 1996 - UOVO 4<br />
<strong>La</strong> gioia riempie<br />
quel che il dolore<br />
ha scavato<br />
Anna Mancini, ostetrica<br />
Come poter descrivere e comunicare il dolore a un’altra persona?<br />
Come fai a raccontare la sensazione di un dolore tremendo<br />
che ti opprime, ti lacera, ti fa in mille pezzi? Come puoi fare a comunicarlo?<br />
Come puoi raccontare la paura di perderti, la paura di non essere più te<br />
stessa, la paura di trovarti davanti a te stessa, la paura di non saper<br />
accettare quello che vedi e quello che sei, la paura di non saperti<br />
ricomporre? L’essere lì in balìa del dolore, degli eventi, nel perdere il<br />
controllo della situazione, ti fa sentire piccola piccola, insignificante, quasi<br />
inesistente, e mentre tu diventi sempre più piccola, il dolore cresce, cresce e<br />
cresce e ti sovrasta, sembra un gigante a cui vuoi, ma non puoi<br />
contrapporti. Ti porta nell’ignoto, o meglio nell’inconscio, quel luogo che ti fa<br />
tanta paura perché è il luogo dove ritrovi realmente te stessa. E allora scalci,<br />
scalpiti, tenti di fuggire, di nasconderti; ma il dolore – questo gigante – è<br />
sempre più grande e più forte; ti attanaglia, ti stringe, ti scuote, ti spezza e<br />
la tua resistenza si affievolisce sempre di più, sempre di più, sino a quando ti<br />
abbandoni a questa forza più forte di te e finalmente dici le fatidiche parole:<br />
“Non ce la faccio, non ce la faccio più”.<br />
Ora sei completamente in balìa del dolore e solo adesso ti rendi conto che<br />
puoi mollare, e questa “resa” ti permette di entrare completamente nella<br />
sensazione del dolore e quasi paradossalmente esso diventa più accettabile,<br />
meno ostile; quasi sempre lo riconosci come parte di te.<br />
E poi? Lentamente o all’improvviso esci da questo tunnel,<br />
rivedi la luce del sole, e tutto attorno a te splende di luce riflessa,<br />
perché in realtà sei tu che emani questa luce.<br />
Sei bellissima, sei piena di nuova energia,<br />
sei “rinata”, sei pronta per l’incontro con il tuo bambino.<br />
E quale magia in quest’incontro! Tutto sembra irreale: l’atmosfera calda ma<br />
frizzante, la cascata di emozioni e voi due: gli sguardi si incontrano, i corpi si<br />
sfiorano, l’altalena di emozioni vi travolge: fuori, dentro; dentro, fuori; ora<br />
siete due, ma a sprazzi vorreste ancora essere uno; vi guardate, vi<br />
assaporate, vi ascoltate, vi toccate: la comunicazione tra voi è più sottile,<br />
più profonda, e solo tra voi può avvenire a questi livelli. <strong>La</strong> gioia vi travolge,<br />
non riuscite neanche più a trattenerla, tutta la stanza ne è pervasa.<br />
E come è possibile esprimere e comunicare questa gioia?<br />
Il dolorela gioia: questi due sentimenti che sembrano così contrastanti e<br />
così opposti non sono altro che espressioni della vita.<br />
Nella nostra cultura abbiamo cercato sempre di più di allontanarli, di<br />
separarli, di usufruire dell’uno e dimenticare l’altro; abbiamo cercato con<br />
tutti i mezzi di negare il dolore e di appropriarci della gioia. Ma può esistere<br />
l’una senza l’altro? Non rischiamo in questo modo di vivere ai margini della<br />
vita? Se il dolore è il prezzo per acquistare maggiore consapevolezza,<br />
maggiore sensibilità, maggiore conoscenza,<br />
credo che allora valga la pena di affrontarlo. Certo è una scelta!<br />
<strong>La</strong> scelta che anni fa mi ha portato ad abbandonare l’ospedale per lavorare<br />
alla <strong>Casa</strong> del Parto è intrisa anche di tutto questo. Accompagnare la donna<br />
nel suo travaglio di parto vuol dire accettare il dolore come una componente<br />
di vita e di crescita, vuol dire riuscire a contenere il suo dolore senza farsi<br />
travolgere, vuol dire avere la consapevolezza del suo significato e<br />
permettere alla donna di vivere tutti gli aspetti di questa sua esperienza.<br />
Quindi no all’analgesia? No all’epidurale?<br />
Nessuno più di se stesse può capire e decidere qual è il proprio limite, il<br />
grado di sopportazione, la propria capacità di confrontarsi con il dolore senza<br />
però dimenticare – e questo bisogna saperlo – anche a cosa si rinuncia.<br />
Quindi ben vengano le tecniche di analgesia, se queste ci permettono delle<br />
scelte e delle possibilità diverse, ma cerchiamo sempre di essere<br />
consapevoli della nostra vera essenza e non utilizziamo<br />
l’analgesia per allontanarci da noi stesse.
DICEMBRE 1996 - UOVO 5<br />
26 luglio, ho partorito da dieci giorni. Questa mattina sono<br />
alla <strong>Casa</strong> del Parto per la visita di controllo. Appena<br />
entrata, sento nell’aria un non so che di sospeso; sta<br />
succedendo qualcosa.<br />
E infatti, dopo pochi secondi sento un lamento, crescente,<br />
molto dolce, ma che mi sgomenta, un canto che fa un po’<br />
paura, che si alza nel vuoto e riempie l’aria di una<br />
struggente consapevolezza: un ricordo vivo e bruciante mi<br />
fa accapponare la pelle, ora che sono fresca del mio<br />
secondo parto.<br />
Sta partorendo Caterina.<br />
Accostarsi a questo evento essendone un po’ al margine,<br />
in fondo un po’ come un’intrusa, mi imbarazza e mi<br />
incanta nel contempo. È giorno, c’è il sole, attorno la vita<br />
si muove con i ritmi di sempre. Sento ridere i bambini<br />
sotto i portici del Villaggio, sento il chiacchiericcio degli<br />
uccelli sugli alberi, il quotidiano si muove attorno a<br />
quest’isola che è la <strong>Casa</strong> del Parto come se nulla fosse;<br />
eppure, ad ogni grido di Caterina, che sale lento<br />
giungendo da un luogo misterioso, tutto sembra per un<br />
attimo fermarsi, tacere, aspettare.<br />
Cosa ci faccio io qui? Autorizzata – marginalmente – dalla<br />
mia condizione di puerpera – visita, pesata della piccola<br />
12<br />
SULLA SOGLIA<br />
Cristina B., mamma<br />
Luna, poppata in corso… , mi sento terribilmente fuori<br />
luogo, eppure non riesco ad andare via.<br />
Dietro quella porta si ripete una volta ancora l’evento che<br />
trasforma una donna in madre, il mistero del “dare alla<br />
luce”: ed essere presente, anche se nella stanza accanto,<br />
mi turba profondamente.<br />
Nella cucina si danno la mano due realtà: sul fornello<br />
borbottano e fumano vicini la caffettiera preparata per noi<br />
dalla signora Antonella e il bollitore d’acqua con i panni<br />
messi a scaldare in tempo per accogliere il cucciolo in<br />
arrivo. E le ostetriche fungono da tramite, membrana<br />
flessibile, collegamento e nel contempo limite, protezione<br />
di questo mistero; mediatrici tra l’evento nascita,<br />
conchiuso in se stesso, raccolto su di sé, e il mondo<br />
esterno.<br />
Questa volta, forse ancor di più di quando l’ho vissuto in<br />
prima persona, percepisco col cuore la sacralità<br />
dell’evento nascita, e l’importanza della <strong>Casa</strong> del Parto<br />
come luogo in cui questo rito può compiersi e ripetersi<br />
indisturbato, sostenuto nel suo senso profondo proprio da<br />
Anna, Nadia, Susanna.<br />
Sono loro, che non stanno partorendo, che non sono i<br />
compagni delle donne che stanno partorendo, che non<br />
sono neppure puerpere, ma che sono donne come noi,<br />
sono proprio loro ad essere in quel momento madri,<br />
sorelle e sacerdotesse, a possedere la sensibilità, la<br />
dolcezza, la saggezza e la discrezione indispensabili non<br />
solo per accostarsi alla nascita, ma per sostenere le<br />
donne nel loro compito. Si muovono con disinvoltura tra la<br />
stanza del parto e il mistero che vi aleggia, e le<br />
incombenze esterne (il telefono, la mia visita, un caffè<br />
insieme); e in un certo senso (sarà che sono puerpera)<br />
sento di potermi appoggiare anche io a loro, con il mio<br />
imbarazzo e il mio turbamento, in questi momenti di<br />
silenzio in cui sprofondiamo ogni volta che si alza un<br />
grido. Perché non si può fingere, non si può nascondere<br />
l’emozione, quella che adesso mi fa tremare e perdere la<br />
parola, e che loro vivono ogni volta che uno dei nostri<br />
bambini nasce.<br />
Non è facile accostarsi alla nascita, così come non lo è<br />
accostarsi alla morte. Per poter frequentare l’arcano luogo<br />
del parto, bisogna possedere una grande forza, un grande<br />
amore, che possano sostenere ed incoraggiare ogni volta<br />
la donna in travaglio, ma anche se stesse.<br />
Perché ciò che rende preziose le “nostre” ostetriche è il<br />
fatto di saper essere a proprio agio accanto a una donna<br />
che partorisce, incanalando le proprie emozioni, senza<br />
però perderle: essere presenti davvero, con il proprio<br />
cuore e la propria commozione, lasciandosi coinvolgere<br />
nel miracolo, sapendo piangere e ridere assieme a noi.
L ’ IDENTITÀ BAMBINA<br />
COME SI FA A EDUCARE?<br />
IN CHE MISURA CONTRASTARE<br />
O ASSECONDARE<br />
UN ’ IDENTITÀ BAMBINA?<br />
LA NOSTRA SCELTA<br />
COMUNQUE NON IMPEDIRÀ<br />
AL BAMBINO DI REALIZZARE,<br />
PASSO DOPO PASSO,<br />
IL SUO PROGETTO.<br />
GRAZIE A NOI<br />
O NONOSTANTE NOI<br />
13<br />
GIUGNO 1997 - UOVO 6<br />
Credetemi, è meglio<br />
il pongo<br />
Maria Paola Q., mamma<br />
Modellare è un verbo che mal si inserisce in un discorso<br />
sull’educazione. Se proprio vogliamo modellare, meglio occuparci<br />
d’altro che dei nostri figli<br />
In scienze non sono mai stata un granché. Quindi non so bene se<br />
dipendono dai geni, dal DNA o da qualche altra entità. Parlo dei<br />
progressi a tappe forzate che tutti i cuccioli, quello d’uomo<br />
compreso, quotidianamente si inventano. Fatto è che, rimanendo in<br />
ambito umanistico, mi affascina osservare quel cosino che porta il<br />
pomposo nome di Leonardo (un mio debito verso le scienze?) alle<br />
prese con le mille acrobazie che gli fanno conquistare tappe nuove<br />
verso l’autonomia.<br />
Obbligatoriamente stanziale fino a un paio di mesi fa, adesso, alla<br />
considerevole età di otto mesi, si srotola, si arrotola, si rotola<br />
(citazione da Paolo Conte). Striscia sul pavimento a mo’ di marine in<br />
azione, gattona, si aggrappa a Caterina – l’altra mia bimba di due<br />
anni e mezzo – richiama l’attenzione con urla e sorrisi sornioni.<br />
Si alza in piedi trasformando in appiglio ogni gamba, umana o lignea<br />
che sia. Si arrabbia da matti se non riesce in qualche avventura<br />
prefissa.<br />
Insomma sta scoprendo che il mondo non è solo qualcosa da<br />
osservare, da ammirare. Da subire, ma che è anche da dominare.<br />
Ma c’è una cosa che mi meraviglia ancor più delle conquiste fisiche.<br />
Ed è la caratterizzazione, sempre più marcata, della sua indole.<br />
Prima di avere figli, pur non essendomi mai concentrata più di tanto<br />
sull’argomento, vagamente ritenevo che i bambini fossero una<br />
specie di “foglio bianco sul quale la vita avrebbe scritto” (così<br />
recitava un album fotografico della mia infanzia). Una pasta da<br />
manipolare, uno specchio che avrebbe raccontato la capacità<br />
educativa dei genitori o inflessibilmente svelato le loro magagne.<br />
E invece no. Le foto di Caterina a un mese (ma forse addirittura a<br />
una settimana) la ritraggono esattamente com’è adesso:<br />
un’adorabile testarda, una pignola intelligente, un’introversa<br />
riflessiva e diffidente, poco incline al sorriso. Sensibile. Generosa<br />
d’affetto ma avara di moine. Tutto un altro film per Leonardo alla<br />
stessa età: estroverso, simpaticone, sornione, ipervivace. Sorrisi<br />
elargiti gratis. Un trend che con il passar dei mesi va assumendo<br />
contorno sempre più precisi. Strafottente e seducente, è lontano<br />
anni luce dalla spinosità della sorella. Un’aristocratica altera e un<br />
trascinatore di popolo. Un’algida “occhi di ghiaccio” e un irruento<br />
istrione. Già fatti e finiti, nella loro polare diversità, a pochi giorni di<br />
vita. Forse già fatti e finiti quando erano in pancia. Ecco: i geni, i<br />
cromosomi, il DNA. Probabilmente si trovano da quelle parti le<br />
risposte al mio stupore. E in tutto ciò mi sembra di entrarci un po’<br />
poco. Umanisticamente parlando, s’intende. Certo mi illudo che<br />
esista ancora un margine di intervento. O meglio una trasmissione<br />
di valori che, in quotidiane dosi omeopatiche, cementifica il rapporto<br />
genitorifigli. E ancora, la possibilità di creare un humus che stimoli i<br />
nostri cuccioli a venirne fuori al meglio, ad esaltare le parti buone e<br />
a minimizzare le zone d’ombra. Ma quanto alla pasta per modellare,<br />
lasciamo perdere. Senz’altro meglio la pasta di pane o, come<br />
colorata alternativa, il “pongo”.
Una dimensione fantastica, dimenticata da tanto, riaffiora dalla<br />
profondità, richiamata da echi di bambini che giocano.<br />
Riconoscersi in loro, sentendo di non essere grandi da sempre,<br />
significa fare i conti con un senso di perdita.<br />
Si è oramai grandi per sempre?<br />
Hai quattro anni e mezzo. Ti guardo giocare. Da sola, in tutto il<br />
tuo mondo fantastico di principesse, ballerine, signore, lupi e<br />
caprette. Con le tue amiche, ai giardini, in un universo di<br />
nascondigli, casette, fiumi e maree in cui nuotare, cieli da<br />
attraversare stendendo le ali al vento, tane in cui ripararsi dalla<br />
neve dell’inverno quando fuori la bufera infuria e siete scoiattoli<br />
in letargo. E ancora prati su cui rotolare, scivoli da risalire al<br />
rovescio, capriole, salti su un piede solo, alberi su cui<br />
arrampicarsi, draghi e ladri da temere, principi da cui farsi<br />
salvare, in groppa a cavalli rigorosamente bianchi.<br />
Hai quattro anni e mezzo e in me alberga chiara e limpida la<br />
memoria di quando anche io (ma non era ieri?) avevo quattro<br />
anni e mezzo. E come te inventavo casette in cui nascondermi<br />
e ridere dei “grandi” che non mi trovavano; cucinavo<br />
manicaretti con la terra e l’erba e li servivo alle mie ospiti su<br />
piatti di foglie e con posate di bastoncini; giocavo alla<br />
settimana saltando nelle caselle disegnate col gesso<br />
sull’asfalto; salivo a fatica sugli alberi e (ora so come il Barone<br />
Rampante) vivevo in un mondo sopraelevato in cui era<br />
assolutamente vietato toccare terra con un piede, pena<br />
l’espulsione. In campagna, d’estate, come te, stivaletti di<br />
gomma ai piedi e con un lungo bastone a cui legavo un pezzo<br />
di spago, passavo ore nel fossatello dietro casa a pescare<br />
creature acquatiche fantastiche, raccogliendo con attenzione<br />
ciuffi di alghe e fili di paglia che si impigliavano nel mio amo,<br />
nell’acqua alta dieci centimetri, che per me era un fiume<br />
impetuoso in cui mi muovevo con maestria.<br />
E come te saltavo sul marciapiede da una lastra di pietra<br />
all’altra – guai pestare le linee di divisione, si prende la scossa!<br />
– e contavo i salti; e restavo sbalordita vedendo che i grandi<br />
camminavano incuranti del pericolo, come se fosse normale<br />
mettere i piedi in un punto qualsiasi, concentrati solo<br />
sull’arrivare a destinazione (ricordo bene che l’aver appurato<br />
che a loro in effetti non succedeva nulla, fu uno dei primi<br />
elementi su cui fondare la consapevolezza che certamente<br />
vivevano in un altro mondo, non nel mio. E infatti – come tutti<br />
i bambini – non mi sono mai sognata di dire loro “Non pestare<br />
le righe!” – non avrebbero certo capito).<br />
Come te nuotavo sul pavimento di casa, oceano in tempesta,<br />
fino ad approdare sul tappeto della sala, zattera sicura su cui<br />
tutti i miei compagni di gioco fantastici salivano, invisibili e<br />
silenziosi, e ci facevamo beffe ancora una volta dei grandi, che<br />
senza accorgersi di niente (ma non sentono i piedi bagnati?)<br />
camminavano tra le onde, andando incontro a morte sicura per<br />
annegamento o sbranati da un pescecane: e pensare che se ce<br />
l’avessero chiesto, avremmo fatto uno strappo alla regola e<br />
saremmo stati disposti a salvarli, anche se non erano bambini…<br />
Al mare correvo sul bagnasciuga inseguendo le onde quando si<br />
ritiravano e scappavo negli spruzzi della risacca per non farmi<br />
bagnare i piedi, e ricordo la paura vera nel fuggire, perché<br />
proprio non si poteva bagnarsi, quelle erano le regole, dettate<br />
da me stessa, ma imprescindibili. Così come ricordo la paura, il<br />
terrore che mi attanagliava quando dovevo attraversare delle<br />
stanze immerse nell’oscurità, e correvo a perdifiato: come te,<br />
14<br />
Grande per sempre<br />
Cristina B., mamma<br />
DICEMBRE 1997 - UOVO 7<br />
che ora corri gridando piano<br />
“Aiuto aiuto!” e ti butti sul<br />
divano col cuore in gola,<br />
scampata a chissà quali<br />
mostri annidati nel buio<br />
della stanza di là.<br />
IL GIOCO<br />
IL BAMBINO CHE NON GIOCA<br />
NON È UN BAMBINO,<br />
MA L ’ ADULTO CHE NON GIOCA<br />
HA PERSO PER SEMPRE<br />
IL BAMBINO CHE È<br />
DENTRO DI SÈ<br />
Ti guardo mentre ti travesti<br />
con stoffe, veli, gonne e<br />
strascichi, e ti ingioielli con nastri dei regali ricevuti e<br />
conservati con diligenza, e catenelle ed elastici, ogni cosa è<br />
buona per creare bracciali e anelli – meglio però se brilla.<br />
E agghindata come un albero di Natale, danzi davanti allo<br />
specchio, uno scialle in testa a fingere capelli lunghi come<br />
Pocahontas, cantando a mezza voce motivi inventati; e mi<br />
ricordo di quando anch’io (capelli alla maschietto, così si<br />
diceva allora) fabbricavo improbabili parrucche pinzando<br />
insieme fili di nastri da regalo, che fissavo poi in testa con<br />
mollette e forcine, per cullare le mie bambole all’ombra di una<br />
chioma fluente.<br />
Ti osservo, ti ascolto, e ti capisco, oh sì che ti capisco, perché<br />
il ricordo è vivo. Quella complicità silente che c’era tra noi<br />
piccoli, della quale non era necessario parlare, era così e<br />
basta, perché eravamo certi che i grandi non sapevano nulla<br />
dei nostri segreti. Ovviamente, non ci passava neppure per la<br />
testa che anche loro fossero stati bambini, un tempo: erano<br />
grandi, non potevano essere stati altro che grandi da sempre.<br />
E allora sento dentro di me una strana malinconia, un<br />
doloroso senso di nostalgia. Perché vorrei ancora giocare<br />
come facevo allora, ma non solo giocare con te, questo lo<br />
posso fare comunque, bensì giocare come te, che è<br />
profondamente diverso. Vorrei poter fare a meno di tutta<br />
questa pesante consapevolezza, maturità, razionalità che si è<br />
impossessata del mio essere, e non sapere più nulla di regole,<br />
convenzioni, codici di comportamento. Vorrei esserti<br />
complice, nascondermi con te nella tua tana, facendomi<br />
piccola piccola, rannicchiandomi tra le foglie, facendo gli<br />
sberleffi ai grandi che non ci vedono; vorrei farti capire che<br />
anche io so di questo tuo mondo, perché mi ricordo, per dio,<br />
non è passato troppo tempo, credimi, lo so com’è, fammi<br />
entrare, per piacere…<br />
Ma non si può. Non si può perché sono grande. Tu giochi con<br />
me, e so che ti piace, ma so anche che lo farai in un modo<br />
diverso da quello che usi con i bambini: perché tu lo sai che<br />
sono grande, accidenti. E se ho paura del lupo anch’io, o se<br />
nuoto sotto le coperte come un sub, tu pensi che lo faccia per<br />
finta, non ci credi.<br />
E allora, anche se tu mi guardi ridendo assieme alle tue<br />
amiche, e dici: “Ma mamma, ma cosa fai!”, io mi tolgo scarpe<br />
e calze, mi sdraio in cima al pendio e rotolo, rotolo, rotolo su<br />
me stessa fino alla fine della discesa, e tutto il mondo gira, il<br />
cielo si confonde con la terra, le braccia raccolte al petto per<br />
non intralciare il movimento, giù sempre più veloce, sentendo<br />
solo l’odore di erba fresca, giù giù, fino a fermarmi, esaurita<br />
la spinta, a pancia all’aria e a braccia spalancate, a guardare<br />
il cielo e le nuvole che girano e girano sopra di me,<br />
aspettando che si fermino, col cuore in tumulto; perché è<br />
proprio come quand’ero bambina, e se non ci credi pazienza:<br />
mi piace lo stesso.
SETTEMBRE 1998 - UOVO 8<br />
IL LAVORO<br />
SPESSO<br />
15<br />
PIÙ BESTIA DI PRIMA<br />
<strong>La</strong>ura V., mamma<br />
Uno sguardo retrospettivo sulla ripresa del lavoro: accanto agli aspetti negativi, che affiorano in modo vago, un<br />
po’ dimenticati e un po’ rimossi, sorprendentemente affiorano aspetti positivi,<br />
che al vaglio del ricordo fanno apparire anche quel momento di stress come un’occasione importante di<br />
crescita e di rafforzamento della personalità<br />
ASINA<br />
<strong>La</strong> ripresa del lavoro svapora in un ricordo confuso: te ne vai stranita, sul lavoro pensando alle pappe, a casa<br />
pensando a ciò che farai l'indomani al lavoro. Avverti il cumulo di sonno arretrato e la sensazione di perenne<br />
disagio, perché non hai mai il tempo di preparare ciò che deve essere preparato, e che viene preparato sì, ma<br />
con la testa già in quel che farai dopo; cosicché, alla fine, non sai se hai fatto o hai solo pensato di fare.<br />
Ore e ore fuori casa otto se va bene, sedici se va male , lunghi tempi morti in mezzo, buoni a farti gustare a<br />
fondo il sentimento di separazione, il senso di colpa. Mai un momento di intimità: se sei fuori, sei fuori; se sei a<br />
casa, sei presa d'assalto. Non c'è un tempo giusto per lavarti: puoi solo rubando tempo al sonno, alla cena, ai<br />
bimbi che ti reclamano battendo alla porta.<br />
È la prima immagine che mi viene in mente, ripensandoci: la bestia da soma, oberata dal carico, stordita.<br />
LUPA<br />
Difficoltà sul lavoro, tensioni, lotte violente: ritrovi ad aspettarti quello che hai rimosso un anno fa. Allora non te<br />
la sentivi di affrontarle; avevi altri progetti in testa. Adesso sei tornata, forse hai attinto forza, orgoglio, dignità<br />
nuove alla tua recente condizione. Esser lì ti costa, non accetti di esserci inutilmente. Sei stanca sì, ma per<br />
niente disposta a compromessi. Ti mostri volitiva, salda, decisa; infondi nuova forza agli amici, nuovo timore<br />
all'avversario, che ti aspettava di ritorno poco disposta alla<br />
lotta così come quando eri partita. È un colpo a sorpresa,<br />
che rovescia gli equilibri del gioco. È la tromba della<br />
carica, è l'inizio della riscossa, è la ripresa di una lotta<br />
che giungerà al suo scopo.<br />
Questa è la seconda immagine la bestia fiera e<br />
guerriera, la lupa aggressiva , stridente con quelle<br />
convenzionali.<br />
CONIGLIA<br />
Intervalli di pranzo, ore quotidiane di treno: in tempi<br />
normali sono ore di penitenza, di espiazione; ore morte,<br />
ore di vita che se ne va. Non ora; non hai tempo da<br />
sprecare. Ti chiedono, ti vogliono, ti cercano, non ti danno<br />
tregua; tuttavia, in questi momenti, sei costretta ad<br />
attendere: che il treno arrivi, che gli altri mangino. Anziché attendere e basta, tu schivi la nostalgia per la casa e<br />
quel che vi si muove e apprezzi l'occasione che ti si offre, assapori il lusso di un tempo per te. Non potrai<br />
lavarti, ma potrai leggere, scrivere, pensare: fare cose che in altri momenti della giornata ti sentiresti in colpa<br />
nel fare. È incredibile: nuovo tempo si crea là dove ti sfugge; tempi morti diventano tempi di vita, scatenano<br />
impeto creativo, incubano nuovi progetti.<br />
È presuntuoso affermare che anche l'idea dell'Uovo trova lì una sua radice?<br />
Un'altra immagine ancora: quella della coniglia, fertile, produttiva.<br />
NELLA GIORNATA DI UNA DONNA<br />
IL TEMPO DI LAVORO<br />
È RIGIDO, FISSO,<br />
NON NEGOZIABILE<br />
MENTRE IL TEMPO DI CURA<br />
PER IL FIGLIO<br />
VI SI INCASTRA<br />
E VI SI ADATTA A FATICA<br />
GATTA<br />
Fatica e stress, se non altro, ti aiutano a riacquistare la linea. Nella testa sei grave come ha<br />
da essere una madre, ma nel corpo sei di nuovo leggera come una adolescente. Tu non te<br />
ne sei ancora accorta e ti sorprende come a quattordici anni scoprire che susciti<br />
desiderio. Non ci credi, quasi; è una gioia. E non c'è alcun intento sleale nell'essere grata<br />
alla sorte per quegli sguardi accesi, quelle parole gentili, che ti richiamano dal nido nel<br />
quale ti sei isolata nel contesto intricato delle relazioni sociali, delle relazioni con gli uomini:<br />
anche gli uomini altrui.<br />
BESTIARIO<br />
Asina, lupa, coniglia, gatta: questo sei, e altro ancora che non riesco più a ricordare. Le tue<br />
risorse vengono fuori tutte, come sempre. Anzi, più di sempre: più che mai. Tornare al<br />
lavoro dopo un figlio è un'impresa, un impegno, una sfida.<br />
Se va bene, ti puoi ritrovare più asina, più lupa, più coniglia e più gatta di prima.
MUTAMENTO<br />
OGNI VITA,<br />
OGNI ESPRESSIONE DI VITA,<br />
SI SVILUPPA LUNGO IL FILO<br />
DI UN COSTANTE MUTAMENTO.<br />
BRUSCO O GRADUALE CHE SIA,<br />
ESSO È CONDIZIONE<br />
DI CONTINUITÀ DELL ’ ESISTENZA<br />
Ci sono Case che attraverso gli anni e<br />
le mutazioni continuano a dare la loro<br />
forma ai desideri<br />
Carissime, oltre al comunicarvi i<br />
cambiamenti “ufficiali” che sono<br />
avvenuti nell’ultimo periodo, mi è<br />
venuta voglia di ripensare al passato,<br />
a ciò che insieme abbiamo costruito,<br />
elaborato, modificato, a ciò che in<br />
modo meno appariscente, ma più<br />
sottile e profondo abbiamo costruito e<br />
cambiato nel corso di questi anni. Mi è<br />
venuta voglia di ripercorrere le tappe<br />
della <strong>Casa</strong> del Parto e che nella <strong>Casa</strong><br />
del Parto si sono attraversate e che<br />
poi sono strettamente legate al<br />
percorso di ciascuna di noi o di<br />
chiunque sia passato di qua.<br />
E allora ripenso all’inizio quando con<br />
titubanza e timore ci chiedevamo:<br />
“saremo capaci?”, “ce la faremo?”, ma<br />
nonostante i dubbi abbiamo iniziato<br />
questa avventura. Perché proprio di<br />
un’avventura si tratta e come in tutte<br />
le avventure c’è sempre una novità<br />
dietro l’angolo. Non arriviamo mai a<br />
un punto fermo, perché subito dopo si<br />
ricambia, qualcosa di nuovo ci rimette<br />
in discussione; ogni donna, ogni<br />
uomo, ogni bambino è un mondo<br />
nuovo e diverso, e come potremmo<br />
non essere anche noi in continuo<br />
cambiamento?<br />
Credo che nessuna di noi operatrici<br />
avesse chiaro all’inizio dove questa<br />
avventura ci avrebbe portato.<br />
Volevamo creare un luogo più<br />
“umano” dove poter partorire, dove<br />
accogliere un bambino, dove poter<br />
dare spazio alle proprie emozioni,<br />
dove poter vivere la maternità nella<br />
sua interezza.<br />
Ma in questi anni sento che insieme a<br />
tutte voi è stato dato vita ad un<br />
progetto più ampio. Un progetto che<br />
mette le sue radici nei valori più<br />
profondi della vita; sono valori al<br />
“femminile” (come mi piace definirli!),<br />
ma non sono una esclusiva delle<br />
donne, anche se in maniera<br />
preponderante fanno parte della loro<br />
16<br />
Zenobia<br />
Anna, Mancini ostetrica<br />
natura.<br />
In questi anni con voi e grazie a voi<br />
ho percepito sempre di più l’essenza<br />
“femminile” che ha trovato spazio e si<br />
è consolidata in questo luogo. Si è<br />
data possibilità ed autorizzazione ad<br />
esprimere tutto ciò che noi donne,<br />
nei secoli, abbiamo represso,<br />
soffocato e considerato di poco valore<br />
perché non corrispondente ai valori<br />
dominanti della nostra società.<br />
E allora siamo andate alla riscoperta<br />
di ciò che ci appartiene, ma di cui noi<br />
stesse spesso siamo inconsapevoli.<br />
Questo processo non è né facile né<br />
indolore, ma la forza e il potere<br />
creativo che ne derivano lo ripagano<br />
ampiamente.<br />
Attraverso voi ho potuto cogliere la<br />
forza e il coraggio insiti nelle donne e<br />
che esse sono in grado di<br />
manifestare. Non è il coraggio di<br />
“fare la guerra” ma quello di sondare<br />
nei meandri più oscuri di se stesse, di<br />
avventurarsi nell’ignoto, di far<br />
emergere le proprie paure ed<br />
emozioni, è il coraggio di poter<br />
piangere…<br />
Ci hanno fatto credere che tutto ciò<br />
fosse una grande debolezza ed io<br />
invece sento la forza che scaturisce<br />
da tutte noi quando ci permettiamo<br />
di ascoltarci. È una forza morbida,<br />
rotonda come il corpo delle donne,<br />
senza spigoli; è una forza che cerca<br />
di adattarsi ai contorni, alle situazioni<br />
e quindi può essere mal interpretata.<br />
È come l’acqua di un torrente che si<br />
adatta dolcemente a ciò che incontra<br />
nel suo cammino ma non per questo<br />
meno decisa e determinata nel<br />
raggiungere il suo obbiettivo, e che<br />
può tramutarsi in una forza indicibile.<br />
È il coraggio che durante il parto<br />
pervade la donna e le permette di<br />
lasciarsi attraversare da questa<br />
immensa forza creatrice. È la forza,<br />
la determinazione, la bellezza che<br />
leggo nei loro volti quando, già allo<br />
stremo, danno fondo a tutta la loro<br />
energia per far nascere il loro<br />
bambino. È la stessa forza e lo stesso<br />
coraggio che, in uno stato di<br />
completa apertura e quindi di grande<br />
vulnerabilità, permette loro di donare<br />
tutte se stesse in questa impresa. E<br />
ancora, dopo il parto e nei giorni<br />
successivi, quando devono trovare il<br />
DICEMBRE 1998 - UOVO 9<br />
modo e il tempo di ricomporsi, di<br />
richiudersi, è la forza che consente<br />
loro di occuparsi del proprio bambino,<br />
di nutrirlo, di accudirlo e di<br />
proteggerlo.<br />
Di questa forza e di questo coraggio<br />
ha bisogno oggi la nostra società, il<br />
nostro pianeta. Non è l’arrivismo, non<br />
è la competitività, non è l’efficienza<br />
che spingono le donne a diventare<br />
madri e a dare vita e spazio ad altri<br />
valori quali l’accoglienza,<br />
l’accudimento, la ricettività, i<br />
sentimenti, l’immaginazione,<br />
l’intuito...<br />
Nei secoli abbiamo smesso di<br />
ascoltarci, di sentire attraverso il<br />
nostro corpo, la nostra psiche, le<br />
nostre emozioni, la nostra vera<br />
natura. Pensando di avere ascolto e<br />
peso nella vita sociale, ci siamo<br />
adeguate sempre di più a modelli<br />
maschili. Abbiamo creduto che la<br />
logica, la razionalità, la linearità<br />
fossero l’unico modo “corretto” di<br />
interpretare la vita e il senso di<br />
inadeguatezza e il conflitto che ne<br />
sono derivati ci hanno portato spesso<br />
a perdere la nostra centralità. Per<br />
riconquistarla dobbiamo ricreare la<br />
nostra armonia interna tra le opposte<br />
tendenze del maschile e del<br />
femminile ed affrontare l’inevitabile<br />
conflitto che si è creato in noi tra lo<br />
stimolo ad esprimerci attraverso il<br />
lavoro, come l’uomo, e la necessità<br />
interna di vivere la nostra natura<br />
femminile. Questo conflitto, oltre ad<br />
essere affrontato, va poi trasformato<br />
portando questa nostra essenza con i<br />
relativi valori femminili, comprensivi<br />
di modi, tempi, ritmi, all’esterno,<br />
nella vita sociale. L’idea della nostra<br />
<strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea significa anche questo: un<br />
movimento dinamico tra il nostro<br />
personale mondo interno e l'esterno,<br />
tra ciò che insieme si elabora nella<br />
<strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong> e ciò che portiamo<br />
all’esterno, nel nostro mondo sociale,<br />
in un ritmo continuo e ripetitivo di<br />
espansione e contrazione quasi a<br />
simboleggiare la ciclicità e la dualità<br />
di tutto ciò che è vivente;<br />
dall’alternarsi delle stagioni, dei cicli<br />
lunari, del giorno e della notte, ai<br />
nostri ritmi più interni: il respiro e il<br />
battito del cuore.<br />
E infatti, sempre insieme a voi, ho
IL DISTACCO<br />
NON SI È SOLI<br />
SE QUALCUNO CI HA LASCIATO:<br />
SI È SOLI<br />
SE QUALCUNO<br />
NON È MAI VENUTO<br />
riscoperto la bellezza della ciclicità<br />
della natura femminile regolata<br />
attraverso leggi interne (ormoni?)<br />
che sono differenti da quelle che<br />
governano l’uomo.<br />
Permettere a questa alternanza di<br />
essere ascoltata e di manifestarsi<br />
nelle sue diverse componenti<br />
(fisica, emotiva, umorale,<br />
sensitiva) ci porta sempre più in<br />
contatto con i nostri ritmi interni<br />
ma anche con quelli della natura e<br />
dello stesso universo.<br />
Riconnetterci con noi stesse,<br />
assumerci la responsabilità della<br />
nostra vita e non delegarla ad altri<br />
ci permette altresì di riconquistare<br />
il nostro potere interiore che non è<br />
il “potere su”, ma il “potere di”.<br />
Il potere di urlare il nostro disagio,<br />
di farci ascoltare per cambiare il<br />
mondo, ma anche il potere di<br />
essere creative, di dare vita a<br />
nuovi progetti, il potere di amare e<br />
di lasciarsi amare.<br />
E cosa dire, in tutto questo<br />
“femminile”, dei nostri compagni e<br />
degli uomini che assistono le loro<br />
donne al parto e vengono alla <strong>Casa</strong><br />
di <strong>Maternità</strong>? Anche per loro è<br />
un’opportunità unica. Essere con la<br />
propria donna e il proprio bambino<br />
in un momento di grande apertura<br />
e sensibilità consente loro di<br />
indagare nel profondo che altro<br />
non è che il “loro” femminile. Per<br />
gli uomini questo è un processo<br />
ancora più sconosciuto e difficile da<br />
affrontare; spesso le paure, le<br />
difese razionali pongono delle<br />
barriere difficili da scalfire. Ma in<br />
una situazione e in un ambiente in<br />
cui l’apertura emotiva è non solo<br />
autorizzata ma facilitata, alcune<br />
porticine si possono aprire, pur<br />
mantenendo la propria specificità.<br />
Questo è anche un invito per i papà<br />
a riflettere, a parlare, a scrivere<br />
sulla loro esperienza e a<br />
permettere a tutti noi di farne un<br />
bagaglio comune di crescita.<br />
Nuovi progetti sono già in cantiere,<br />
altri cambiamenti sono<br />
all’orizzonte. Per adesso non mi<br />
resta che dire: l’avventura<br />
continua!<br />
Con profondo affetto<br />
17<br />
LUI MI HA LASCIATA!<br />
MARZO 1999 - UOVO 10<br />
Gabriella M., mamma<br />
Tra lacrime e bignè al cioccolato, i conflitti che accompagnano le prime ore di<br />
tata, di asilo, di ritorno al lavoro<br />
Mi piacerebbe poter mettere un filtro, a volte, tra quello che mi accade intorno<br />
e quello che mi scoppia dentro; una pellicina anche sottile, ma sufficiente per<br />
proteggermi da un sentire che disturba.<br />
Ad esempio ogni volta che tu, bambino mio, fai un passo in avanti, aggiungi<br />
un mattoncino alla tua casetta e sali un piolo su per la scala della tua vita, per<br />
me è come ripartire, mi sembra di essere su di una pista a spirale: non si<br />
ricomincia mai dallo stesso punto, ma la traiettoria è sempre quella. I gesti<br />
quotidiani, le parole, perdono la loro scansione armoniosa; io agisco, ti parlo<br />
come ho fatto finora e tu non mi capisci più, qualcosa tra me e te diventa<br />
stridente e incomprensibile, ci rende nervosi tutti e due, tesi in un tira e molla:<br />
tu che mi vuoi parlare, io che non voglio sentire. Questo è il sintomo della<br />
"crisi", ormai lo riconosco, è come uno spintone inferto da mani interiori e un<br />
vociare tra me e me che mi dice: "Cara Gabriella, Andrea cresce e non puoi<br />
cullarti troppo a lungo sulle tue abitudini e sul rassicurante trantran". Provo a<br />
guardarti da una diversa angolatura, mi metto accovacciata per raggiungere<br />
anche fisicamente il tuo punto di vista e qualche volte funziona. Ti vedo,<br />
diverso dall'immagine che avevo di te fino ad un minuto prima. Per un lungo<br />
momento non ti riconosco quasi più. Chi c'è al posto del mio amato bambino?<br />
Ci sei tu, Andrea, sei proprio tu, birbone! <strong>La</strong> sensazione che provo è simile al<br />
bruciore di un taglio, fa male ma è proprio da lì che riparto per crescere con te.<br />
È come cercare giorno dopo giorno di rimettere a fuoco un'immagine, anzi<br />
due: la mia e la tua; e le distanze cambiano, sono sempre maggiori.<br />
Quando avevi solo tre mesi, una pediatra senza figli mi consigliò senza mezze<br />
misure di non allattarti più al seno perché crescevi poco. Non le ho dato retta,<br />
ho continuato tra dubbi, paure e il cuore che bruciava di una consapevolezza<br />
fino ad allora sconosciuta: non ti sarei bastata per sempre. Ahimè!<br />
Ho ripreso a lavorare in modo graduale, il mio lavoro autonomo me lo<br />
permette, è una fortuna, pensavo così di evitare crisi di separazione, ma a<br />
conti fatti il distacco è un fatto interiore ancorché un evento concreto e<br />
l'angoscietta è sempre in agguato. Così le prime volte che ti ho lasciato dalla<br />
baby sitter, avevi dieci mesi, ero reduce da una notte insonne trascorsa in<br />
compagnia dei sensi di colpa; dopotutto non c'era reale bisogno ch'io tornassi<br />
al lavoro. Immaginati come stavo quando, di ritorno, ti ho trovato a giocare con<br />
i figli della tua tata che sembravate fratelli: la mia faccia sorrideva contenta ma<br />
dentro il tamburo cardiaco gridava al tradimento.<br />
E adesso vai alla materna e ci vai volentieri dalle 9 alle 16. Quanto tempo!<br />
Ho desiderato tanto questo momento in cui poter dedicare maggiore energia e<br />
concentrazione al mio lavoro e a me stessa e adesso che ci sono sembra che<br />
non me ne importi quasi più nulla. Mi manchi.<br />
Quando ho tempo mi apposto nei pressi della scuola materna, se è una bella<br />
giornata siete tutti in cortile voi bambini a giocare nella sabbionaia. Ti vedo, ti<br />
diverti con gli amichetti, un branco di cuccioli scatenati e quattro tate tranquille<br />
che chiacchierano del più e del meno senza perdervi di vista. E va bene, mi<br />
rassegno. Vado in pasticceria, mi riempio di bignè al cioccolato, mi tuffo in un<br />
cappuccino, pago esco e piango.<br />
Dunque sei già così grande? So che è tutto giusto e naturale e armonioso ma<br />
io mi sento come un'amante abbandonata e il bruciore come di taglio fresco<br />
torna a farsi sentire. Eppure nel contempo c'è un'intima sensazione di<br />
soddisfazione e di vittoria: stai crescendo bene e io e il tuo papà anche,<br />
speriamo.<br />
A braccetto di questo pensiero mi incammino.
SETTEMBRE 1999 - UOVO 11<br />
<strong>La</strong> nascita: un evento grande e misterioso, che può<br />
svelare dimensioni ignote, in un istante sospeso tra<br />
sogno e realtà.<br />
18<br />
In un’altra dimensione<br />
Un travaglio e un parto occupano una porzione<br />
infinitesimale nella vita di una persona: dalle prime<br />
avvisaglie di dolore della tua compagna al primo vagito di<br />
tuo figlio intercorre qualche ora, niente di più. Ma il tempo<br />
degli orologi non è la dimensione più adatta per<br />
comprendere quello che accade. Sono migliori alleati se<br />
davvero vuoi cercare di capire che cosa si è mosso<br />
dentro di te i risvegli notturni, quegli stati dell'animo così<br />
incerti e strani, di quando non dormi più, ma nemmeno<br />
sei completamente sveglio, quella specie di bagnasciuga<br />
della consapevolezza dove si depositano i ricordi dei<br />
sogni e anche le tue paure più profonde.<br />
Ecco, se ripenso alla mia esperienza di partecipazione al<br />
travaglio della mia compagna per la nascita del<br />
secondogenito, mi sembra di parlare di un qualche cosa<br />
che è successo in una dimensione sospesa fra buio e<br />
luce, fra ragione e emozione. Mentre le cose avvenivano,<br />
pensavo a quelle che erano già successe (la nascita<br />
della prima figlia) e a quelle che avrebbero potuto<br />
accadere (nel bene e nel male). Mi sentivo come una<br />
pallina da pingpong che continuava a rimbalzare tra le<br />
sponde opposte dove risiedevano, da una parte, le mie<br />
convinzioni razionali, dall'altra, le mie angosce profonde.<br />
Insomma, nonostante l'esperienza di un parto<br />
precedente, nonostante la rincuorante e fidatissima<br />
figura dell'inviata sul campo della <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea, nonostante<br />
ci si trovasse in una struttura ospedaliera attrezzata (così<br />
doveva essere dati i precedenti di un cesareo),<br />
nonostante tutto ciò, mi sentivo un guscio di noce nella<br />
tempesta.<br />
Ma parliamo un attimo di questa tempesta. Per me è<br />
stata lunghissima e penosissima: ho visto soffrire la mia<br />
compagna allo stremo delle forze e quando pensavo:<br />
"Adesso abbiamo raggiunto il massimo", puntualmente<br />
venivo smentito dai fatti, il massimo era sempre dopo.<br />
Vedere la sofferenza, anche se si tratta come in questo<br />
caso di una sofferenza finalizzata a qualche cosa di<br />
positivo, è un'esperienza terribile, soprattutto se si vive la<br />
sensazione di essere impotente di fronte ad essa.<br />
Per buona parte del travaglio mi sono sentito "utile",<br />
ma da un certo punto in avanti ho percepito<br />
l'incommensurabile distanza fra ciò che potevo fare con<br />
la mia presenza e ciò che pervadeva il corpo e la mente<br />
della mia compagna. A quel punto nessuna parola<br />
poteva ricongiungerci, nessun gesto poteva rinsaldarci.<br />
Marco B., papà<br />
Avvertivo nitidamente che<br />
era sola e mi sentivo in<br />
colpa per non poterla<br />
raggiungere.<br />
PADRI IN OPERA<br />
ALLA RICERCA<br />
DI NUOVI MODELLI PATERNI:<br />
DALLA RESPONSABILITÀ ESTERNA<br />
ALLA CONDIVISIONE<br />
DELLE EMOZIONI<br />
Mi sentivo quindi anch'io solo e nessun'altra presenza,<br />
sia quella fidata e amica dell'ostetrica della <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea,<br />
sia quelle più estranee dei medici e delle infermiere,<br />
riusciva più a entrare in relazione con il mio mondo...<br />
Era come se io cercassi di inseguire la mia compagna in<br />
una dimensione che non era quella razionale della<br />
comunicazione verbale.<br />
Era come in certi sogni da cui vuoi riemergere e ti manca<br />
qualsiasi appiglio per riagganciarti alla realtà.<br />
Poi non so come e non so perché sono riemerso, poi il<br />
peggio di colpo mi è sembrato passato, anche se non<br />
era vero e l'oxitocina continuava a gocciolare nelle vene<br />
della mia compagna. Mi sono di nuovo messo a<br />
"ragionare", a riprendere la normale dose di paura di cui<br />
ero dotato prima di "precipitare" in quella dimensione<br />
misteriosa e profonda, che per un attimo, forse di più, mi<br />
aveva inghiottito.<br />
Non so che cosa mi abbia fatto riprendere la bussola e le<br />
coordinate della situazione... È come quando ti svegli di<br />
notte, non puoi rimanere a lungo sospeso tra sonno e<br />
veglia: o ti riaddormenti o ti svegli del tutto. Così anch'io<br />
in quella situazione sarei dovuto svenire o riavermi, non<br />
avrei potuto rimanere a lungo in quella dimensione<br />
sospesa.<br />
<strong>La</strong> vita è andata avanti e quella esperienza è ritornata ad<br />
essere una parte infinitesimale del tempo della mia vita.<br />
C'è però qualcosa di misterioso, di grande e di<br />
intrasmissibile nella nascita, qualcosa che appartiene in<br />
prima battuta all'essere che nasce e all'essere che fa<br />
nascere. Ma è probabile che questa forza si irradi a noi<br />
uomini. Così irrimediabilmente esclusi dalla fisicità<br />
dell'evento ma non per questo immuni dalla sua magia.<br />
Durante un travaglio capiterà a tutti di guardare sovente<br />
l'orologio, di contare i minuti che separano una<br />
contrazione dall'altra o, più banalmente, di guardare il<br />
tempo del dolore che non passa mai abbastanza<br />
rapidamente. Ma può anche darsi che sopraggiunga un<br />
attimo imprevisto a tutti lo auguro, anche se non si<br />
tratta di un'esperienza di per sé piacevole nel quale<br />
l'orologio non ha più quadrante né lancette e nel quale<br />
si ha la netta sensazione che l'infinità è in quella stanza,<br />
fra voi, la vostra compagna e il piccolo che sta per venire<br />
al mondo.<br />
Forse bisogna proprio perdersi per ritrovarsi.
AFFINITÀ<br />
di Giuliana L., mamma<br />
Una figlia in difficoltà guida la mamma verso una<br />
straordinaria scoperta, che getta luce sul passato<br />
e crea un curioso gioco di specchi<br />
Si fa presto a dire madrefiglia.<br />
Ma quanti fili ci sono in questo legame? E quanti nodi,<br />
e quanti modi di volersi bene...<br />
Mi sorprende ancora l’emozione che mi dà il solo pensare<br />
a Carlotta, al fatto che c’è. Qualche volta le ho detto di<br />
questa mia emozione, ricevendone in risposta uno<br />
sguardo perplesso. Mi si dirà che è piuttosto normale<br />
essere felici pensando ai figli. Infatti anche il mio<br />
tempestoso e allegrissimo secondogenito – parimenti<br />
amato – è indubbiamente una fonte di felicità (oltre che<br />
di innumerevoli disastri domestici).<br />
Ma con una figlia è diverso. C’è sempre un dialogo sottile,<br />
senza parole, per affinità, c’è sempre l’appartenenza allo<br />
stesso genere. Capirsi, ma anche scontrarsi, è più<br />
immediato.<br />
Della primissima infanzia di Carlotta ricordo una quasi<br />
assoluta e apparentemente imperturbabile comunione.<br />
Praticamente inscindibili per i primi dieci mesi. Tutto il<br />
resto non contava. Qualche settimana dopo la sua nascita<br />
mi trasferii in campagna. Con la scusa che l’aria era<br />
migliore, in realtà perché non volevo condividerla con<br />
nessuno. Unico ammesso il mio povero compagno, nonché<br />
babbo di Carlotta, che comunque più di una volta deve<br />
avere avuto l’impressione, in quei mesi, di essere persona<br />
‘non grata’. Con Gregorio, il mio bimbo più piccolo, questa<br />
sensazione di unisono non l’ho mai provata in modo così<br />
vivo e duraturo.<br />
È che in una figlia femmina si finisce per rispecchiarsi.<br />
Si può pensare che ‘’magari anch’io ero così alla sua età,<br />
anch’io mi comportavo così’’. Ti rivedi bambina e sei la<br />
mamma che avresti voluto avere e a trenta e passa anni<br />
di distanza ti permetti l’impareggiabile lusso di essere<br />
madre e figlia al tempo stesso. Fai da madre alla tua<br />
creatura, ma al tempo stesso fai da madre anche a te<br />
stessa. Ogni donna, ha detto qualcuno, ha in sé un po’<br />
della propria madre e un po’ della propria figlia. Spostare<br />
l’ago della bilancia verso la propria figlia può servire a<br />
riequilibrare i conti, se ce ne sono, o semplicemente a<br />
chiarire il nostro puzzle personale.<br />
A me è accaduto di ‘specchiarmi’ in una bimba dall’indole<br />
dolcissima e (ahi la vanesia materna) dalla bellezza fuori<br />
dal comune (il che – va sottolineato – ha sorpreso me<br />
prima degli altri, trovando io assolutamente miracoloso<br />
l’avere ‘prodotto’ tanta perfezione, e doveva sembrare<br />
impossibile a quella suora che, mentre eravamo in<br />
campagna, fermandosi ad ammirare Carlotta, mi chiese<br />
per due volte con tono prima incredulo e poi quasi<br />
sospettoso, se fosse veramente mia figlia). Se ripenso a<br />
quei momenti, a quegli anni non posso allontanare la<br />
sensazione di nostalgia per una magia non più conosciuta.<br />
Ma Carlotta è speciale anche perché è dislessica. <strong>La</strong><br />
conferma è arrivata l’anno scorso, quando frequentava la<br />
seconda elementare, ma lo sospettavo fin dalla prima.<br />
Non vedevo altra spiegazione alle sue grandi difficoltà nel<br />
leggere le prime sillabe, ai suoi dettati pieni di errori, alle<br />
19<br />
MARZO 2000 - UOVO 12<br />
TRA MADRI E FIGLIE<br />
UN VIAGGIO IN CADUTA LIBERA<br />
TRA CORRENTI IMPETUOSE<br />
DI AFFETTI E DI OSTILITÀ<br />
parole quasi incomprensibili che scriveva. E mi<br />
interrogavo sul perché, di pari passo con le sue difficoltà<br />
scolastiche, fosse così cambiata: non più solare e serena,<br />
ma incerta, timorosa, chiusa, nervosa oltre ogni dire,<br />
ribelle, pronta alle lacrime e agli strilli alla prima<br />
avversità, scolastica e non. <strong>La</strong> diagnosi di dislessia fu<br />
quasi un sollievo: c’era un problema preciso e c’era una<br />
cura. Lo comunicai trionfante a Carlotta: sarebbe tornata<br />
come ‘prima’. E invece le ho solo detto che era ‘diversa’,<br />
che non era come i suoi compagni di scuola, che aveva<br />
‘una malattia’. Questo infatti quello che lei ha riferito,<br />
contrita, alla maestra. I primi tempi sono stati molto<br />
difficili. ‘’Fragile e depressa’’ decretò la sua logopedista.<br />
Per me è stata una duplice scoperta. I colloqui con gli<br />
esperti a cui ci siamo rivolti, mi hanno portato alla<br />
conclusione che sono – sono stata – dislessica, anch’io,<br />
anche se probabilmente in modo meno accentuato di<br />
Carlotta. Nulla di sorprendente: è frequente che i genitori<br />
di bimbi dislessici scoprano di esserlo a loro volta, a<br />
posteriori, (la dislessia ha una base genetica), quando<br />
viene fatta la diagnosi al figlio. Del resto trentacinque anni<br />
e più anni fa, immagino che la dislessia fosse sconosciuta<br />
al lessico delle scuole elementari italiane. <strong>La</strong> scoperta è<br />
stata per certi versi illuminante: ho avuto una carriera<br />
scolastica di indubbio successo, ma solo al prezzo di molte<br />
ore di studio e di un grande impegno, tanto che in casa<br />
venivo accreditata di ''tanta buona volontà”, ma di un<br />
intelletto non eccelso.<br />
Diversamente dalla logopedista, comunque, la<br />
neuropsichiatra pensa che Carlotta sia fortunata. ‘’È<br />
fortunata, perché ha una madre che saprà capire le sue<br />
difficoltà, avendole provate lei stessa’’ mi ha detto. Certo<br />
che le capisco, ma anche mi spaventano. So che<br />
apprendere, per noi, è più faticoso. Anche se così diventa<br />
un’ottima palestra per affrontare tutte le difficoltà. Basta<br />
crederci. Ed è quello che cerco di far capire a Carlotta.<br />
Cerco di trasmetterle la fiducia e la determinazione che<br />
sono indispensabili non solo quando si tratta di scrivere un<br />
dettato o studiare le tabelline.<br />
Insomma una sfida in più. I risultati cominciano ad<br />
arrivare. Con l’aiuto di tutti. Le insegnanti, la logopedista,<br />
la famiglia. E Carlotta, beninteso. Che continua a non<br />
amare la scuola (ma forse le piace soprattutto dirlo), a<br />
fare confusione tra la ’a’ e la ‘o’, la ‘d’ e la ‘b’, a non<br />
azzeccare le doppie e a dimenticarsi quanto fa ‘sei per<br />
otto’. Che si intristisce, come l'altra sera, perché non<br />
prende mai 'ottimo', ma al massimo 'discreto'. Al tempo<br />
stesso, però, ha rivelato una grande predisposizione per il<br />
disegno e la musica ed è diventata un’ottima sportiva.<br />
Sopra ogni altra cosa, pur tra alti e bassi, sta ritrovando<br />
serenità e fiducia. E anche se finiamo spesso per<br />
bisticciare quando la seguo nei compiti (la virtù della<br />
pazienza difetta forse nel Dna di entrambe), il nostro filo,<br />
lungi dall’essersi indebolito, ha trovato un nodo che lo<br />
rende più stretto.
UN ’ ORGIA DI LATTE<br />
Lo sballo<br />
Silvia P., mamma<br />
SETTEMBRE 2000 - UOVO 13<br />
20<br />
Ti siedi un attimo per allattare comoda e non ti rialzi più<br />
per mesi<br />
<strong>La</strong> prima cosa che dissi quel 24 dicembre di un anno e<br />
mezzo fa, quando vidi per la prima volta quel corpicino<br />
ancora parzialmente unito a me, non fu: "com'è bello!",<br />
come da manuale, ma: "non è piccolo!".<br />
Fu solo il primo esempio di abbaglio materno e<br />
faciloneria da primipara.<br />
In realtà, come varie ecografie avevano già<br />
prognosticato, mio figlio pesava poco più di due chili<br />
e nonostante stesse benissimo, mi fu sufficiente un<br />
rapido sguardo agli altri pargoli della nursery per<br />
rendermi conto che avevo partorito un bel topino.<br />
Topotopo fu il primo vezzeggiativo che utilizzai per lui<br />
e probabilmente fu in quel momento che decise di<br />
farmela pagare.<br />
Voleva dimostrare che tutta quella graziosa e grinzosa<br />
pellicina in eccesso poteva essere riempita a tempo di<br />
record. E ce la fece.<br />
Non aveva ancora un giorno compiuto quando la<br />
famigerata doppia pesata impostami dalle vigilatrici<br />
dell'ospedale evidenziò che in una poppata si era<br />
trangugiato venti grammi di colostro.<br />
Una volta arrivata la montata lattea, il piccolo, che<br />
tenevo in camera con me, dimostrava sempre di avere<br />
un ottimo appetito. Ed io ero felice.<br />
Ancora non sapevo cosa mi aspettava, altro esempio<br />
di sprovvedutezza da primipara.<br />
Una volta varcata la soglia di casa e ritrovato l'amato<br />
caos, aggravato da cinque giorni di assenza di umani<br />
autocoscienti (in casa erano rimaste solo due gatte e<br />
un neopapà filosofo), tutto mi apparve nella sua reale<br />
gravità. Mi sedetti un attimo per prendere coraggio e<br />
ne approfittai per allattare il pupo affamato. Non mi<br />
alzai per tutto il mese successivo, se non per brevi<br />
capatine in bagno e per andare a letto.<br />
Mio figlio mangiava ogni due ore sia di giorno che di<br />
notte; la poppata aveva una durata media di<br />
quarantacinque minuti. I restanti settantacinque minuti<br />
li passavo a cambiargli il pannolino, a fargli fare il<br />
ruttino, a pulirci dal rigurgito e a farlo addormentare.<br />
Tutto questo a ritmo continuo tipo catena di montaggio,<br />
ventiquattr’ore su ventiquattro. Ogni tanto chiudevo gli<br />
occhi e sognavo, quanto sognavo… per forza, non<br />
IL NUTRIMENTO<br />
DAL SEGRETO DEL VENTRE,<br />
ALL ’ INTIMITÀ DEL SENO,<br />
AL CUCCHIAINO,<br />
ALLA SOCIALITÀ DELLA TAVOLA,<br />
IL CIBO È METAFORA<br />
DELLA CONQUISTA DELL ’ IDENTITÀ<br />
E DELL ’ INTEGRAZIONE SOCIALE.<br />
MA QUANTE VOLTE ANCORA<br />
OCCORRERÀ RIMETTERLA<br />
IN DISCUSSIONE?<br />
riuscivo mai ad abbandonare la fase REM per<br />
addentrarmi in quella ristoratrice del sonno profondo!<br />
Vagavo come un fantasma bevendo ettolitri di tisane al<br />
finocchio che in breve tempo venivano trasformate in<br />
latte e succhiate dal mio draculino.<br />
Fortunatamente Edoardo non piangeva mai, forse non<br />
ne aveva il tempo.<br />
Dopo un mese, alla prima visita pediatrica, la<br />
dottoressa, incredula, verificò che il piccolo era<br />
aumentato di un chilo e settecento grammi. <strong>La</strong> mamma<br />
aveva riacquistato il peso di prima… della pubertà.<br />
Edoardo aveva vinto la sua scommessa e ora poteva<br />
finalmente dedicarsi a qualcosa di diverso dal cibo; le<br />
poppate si diradarono (anche tre ore!) ed io ricominciai<br />
ad assaporare la gioia del sonno profondo anche se<br />
per pochi minuti. Ho continuato ad allattare, con ritmi<br />
meno pressanti e con più piacere fino al compimento<br />
dell'anno ed avrei continuato se il piccolo avesse<br />
voluto; ma con la stessa facilità con la quale fece la<br />
prima poppata, fece anche l'ultima, allontanando la<br />
bocca dal capezzolo e facendo una gran risata.<br />
In fondo lui si è sempre divertito!<br />
Ora che ho maturato esperienza e soprattutto ho<br />
sperimentato le strigliate di Mercedes agli incontri del<br />
dopo parto e ho fatto mio il suo bagaglio di esperienza<br />
(sono gettonatissima come dispensatrice di consigli e<br />
rimedi fra le amiche inesperte), posso ammettere di<br />
aver compiuto qualche errore di valutazione. Forse a<br />
causa di un malinteso concetto di allattamento a<br />
richiesta, ad ogni smorfia di Edoardo ero pronta ad<br />
infilargli in seno in bocca senza altre indagini o<br />
valutazioni. Ora tenterei altre pratiche per calmarlo <br />
per poi probabilmente ritornare all'amata tetta, panacea<br />
di tutti i mali dei neonati. Vi saprò dire se in futuro<br />
dovessi avere altri figli.<br />
Comunque, ora che il mio topino è cresciuto e alterna<br />
periodi di avidità a periodi di inappetenza, ripenso a<br />
quei momenti con grande tenerezza, nella<br />
consapevolezza che una simbiosi così grande e totale<br />
non tornerà, ma è servita e servirà alla sua crescita<br />
non solo fisica ma spirituale e anche alla mia.<br />
<strong>La</strong> fatica di quei primi mesi è stata ripagata e sono<br />
certa che la riaffronterei con un secondo figlio.<br />
Ma non senza lamentarmi.
IL SONNO<br />
CHI HA RUBATO IL SONNO<br />
DAGLI OCCHI DEL BAMBINO?<br />
DEVO SAPERLO.<br />
NON DOVREI DARGLI<br />
UNA LEZIONE<br />
SE SOLO SAPESSI<br />
TROVARLO?<br />
21<br />
GIROTONDO DEGLI INSONNI<br />
TENERISSIMI DITTATORI<br />
È una guerra persa, quella contro il despota delle tue<br />
notti che, al risveglio, ti scioglie con uno sguardo alla<br />
“Bambi”. Un colpo basso che sa però essere anche<br />
premio per tanta stanchezza, e carburante per non<br />
mollare. Tra le scoperte di una mamma insonne,<br />
infatti, c’è il dono di un’energia inaspettata.<br />
Mi allontano leggera e silenziosa come una farfalla dal<br />
lettino di Marco. Mi infilo piano tra le lenzuola. Cerco il<br />
calore del corpo di Massimo per togliermi dalle ossa il<br />
gelo della notte. Mi rimbocco le coperte e aspetto.<br />
Quanto ci vorrà questa volta? Il terribile richiamo della<br />
notte, quel “ueeeeh” che squarcia le tenebre, è in<br />
agguato. Sarà sufficiente il tempo di girarmi su un<br />
fianco oppure mi concederà di iniziare un sogno o<br />
magari, se sono fortunata, di finirlo?<br />
Sono le quattro di notte, o del mattino, e ci sono<br />
voluti solo dieci minuti prima che Marco, otto mesi<br />
circa di energia al titanio, si svegliasse per l’ennesima<br />
volta. Da mezzanotte, quando ero riuscita ad<br />
adagiarlo nel suo lettino, è la settima volta che mi<br />
alzo e lo prendo tra le braccia. Lo attacco al seno, lui<br />
si riaddormenta e ricomincia la manfrina.<br />
A volte penso che se Marco non fosse il mio terzo<br />
figlio, io sarei già finita sulle pagine di cronaca nera.<br />
Solo l’esperienza che mi viene da Ambra (sei anni e<br />
mezzo) e da Matteo (quasi cinque) mi dà forza e<br />
speranza. Ogni bambino ha i suoi tempi e ogni sua<br />
fase di sviluppo segue ritmi differenti. Ogni cosa ha il<br />
suo tempo e io ho imparato a trasformarmi ogni<br />
giorno, soprattutto la notte, in un giunco. Per resistere<br />
alla forza della corrente del fiume (ovvero mio figlio)<br />
devo essere flessibile come quel ramoscello.<br />
Resistergli, anche se a volte la tentazione è molto<br />
forte, sarebbe un errore. Mi spezzerei in un attimo.<br />
Questo anche perché, in verità, più che a un giunco<br />
assomiglio a una corda di violino.<br />
Ogni mattina mi chiedo come farò ad arrivare a sera e<br />
ogni sera mi domando come farò ad affrontare la<br />
notte. E così, in mezzo a questi dubbi, un giorno si<br />
sussegue all’altro facendomi scoprire inaspettate<br />
energie che neppure dopo due figli pensavo di avere.<br />
<strong>La</strong> natura è davvero una grande maestra di alchimie e<br />
sembra sappia riconoscere l’imminenza del punto di<br />
rottura di una madre stremata da mesi e mesi di<br />
veglia. Nel momento in cui manca un soffio al<br />
raggiungimento del limite estremo di sopportazione,<br />
ecco che ti vengono concesse due meravigliose,<br />
Monica L., mamma<br />
MARZO 2001 - UOVO 14<br />
inaspettate, consecutive, ore di sonno. Un dono<br />
prezioso per chi di solito si accontenta di pisolini felini<br />
alla Winston Churchill (si narra che lo statista non<br />
dormisse più di dieci minuti per volta).<br />
Al risveglio, il sorriso incantato di mio figlio che mi<br />
guarda con occhi pieni di incondizionato amore e di<br />
una dolcezza che sembra arrivare da un mondo<br />
lontano, mi ripagano di tutte quelle ore insonni.<br />
Anzi mi sento quasi in colpa perché, nei momenti di<br />
maggior esasperazione notturna, gli avevo detto che<br />
era un bambino cattivo, senza cuore. Un dittatore.<br />
<strong>La</strong> natura deve aver dotato i bambini di un<br />
vademecum per la sopravvivenza che suggerisce<br />
moine, sorrisetti e sguardi alla Bambi in caso di madre<br />
prossima al collasso. Poche, quanto fondamentali,<br />
mosse per mandare in frantumi ogni proponimento<br />
prussiano (lo chiudo in bagno e che pianga tutta la<br />
notte) e far tracimare il cuore di panna di una madre.<br />
E allora, anche quando ti guardi allo specchio e<br />
controlli con orrore l’enormità delle tue occhiaie, la<br />
profondità abissale delle rughe intorno agli occhi, i<br />
capelli a spinacio che si abbattono su un viso pallido e<br />
stanco, trovi il disumano coraggio di dire che è ancora<br />
questione di poco, qualche mese al massimo. Poi tutto<br />
tornerà quasi normale, quella anormale normalità che<br />
può esserci in una famiglia con tre figli, un cane, un<br />
pesce rosso, una coppia prolifica di uccelli Diamanti<br />
Mandarini e, last but not least, un marito.<br />
Per mesi ho tormentato le mie deliziose compagne di<br />
corso “gioco bimbi” con le storie delle mie notti<br />
insonni, cercando di descrivere non solo la stanchezza<br />
ma anche la sensazione di appartenere a un’altra<br />
dimensione, quella della notte, dove i sensi,<br />
esasperati dalla veglia, ti portano a pensare in modo<br />
strano, curioso.<br />
Una volta, vedendomi particolarmente provata<br />
dall’accoppiata allattamentoinsonnia, le mie<br />
compagne mi hanno ricordato una cosa che avevo<br />
detto loro mesi prima quando, pancione, aspettavamo<br />
la nascita dei nostri bebè. A fronte della mia<br />
esperienza di bismamma, avevo detto loro,<br />
soprattutto per rincuorare le future mamme, due<br />
parole semplici, semplici e quasi banali: tutto passa.<br />
Avete fatto bene a ricordarmelo. Marco da qualche<br />
giorno dorme anche quattro ore di fila.<br />
È vero, tutto passa.<br />
Parola di trismamma.
<strong>La</strong> <strong>Casa</strong> è un<br />
tempio<br />
Anna Mancini, ostetrica<br />
GIUGNO 2002 - UOVO 15<br />
“ Là dove si respira la forza, la potenza<br />
e la sacralità del femminile”<br />
Quando ho lasciato l’ospedale non avevo idea<br />
precisa di ciò che mi aspettava, ma sapevo ciò che<br />
lasciavo: la sensazione che la mia energia<br />
si disperdesse nel nulla.<br />
Ogni azione era pesante come trascinare un<br />
carrozzone: tu tiravi, tutti giocavano a frenare.<br />
E per questo mi sono licenziata e sono andata alla<br />
<strong>Casa</strong> di maternità. All’inizio la paura ed il senso di<br />
inadeguatezza erano spesso presenti. Tutto era<br />
diverso rispetto all’ospedale. Sul parto avevo una<br />
buona esperienza ma su tutto il resto (corsi,<br />
gravidanze, puerperi e il neonato… aiuto!) ho<br />
dovuto ricominciare.<br />
Ma finalmente potevo dare libero sfogo alle idee<br />
senza sentire dietro di me una forza resistente,<br />
potevo assecondare le situazioni con molta fluidità,<br />
rispondendone soprattutto a me stessa. Con il<br />
tempo ho acquistato sicurezza: è allora che ho<br />
cominciato a rendermi conto che il mio lavoro mi<br />
stava portando ad esplorare in profondità ‘il<br />
femminile’; la <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong> è stata un pullulare<br />
di emozioni, di dolore, di gioia, di progetti, di vita,<br />
tutti declinati al femminile.<br />
Le scuole che avevo frequentato fino ad allora<br />
mi avevano istruito all’azione; la <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong><br />
è stata per me scuola di ricettività,<br />
di ascolto delle emozioni: aprirsi, rendersi<br />
vulnerabile e sprofondare, per poi emergere più<br />
forte. Ho sperimentato questo assieme a centinaia<br />
di donne che sono passate di lì, ogni volta<br />
sentendo la forza, il coraggio fluire da me e da<br />
ognuna di loro.<br />
Quando ora mi trovo di fronte a una donna,<br />
alla sua gioia e al suo dolore, se riesco ad<br />
essere ‘presente’ a lei e ‘presente’ a me stessa,<br />
sento scorrere la vita in quest’incontro; e ciò mi<br />
permette di superare l’immane stanchezza e fatica<br />
del mio lavoro.<br />
<strong>La</strong> <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong> è un luogo dove la<br />
quotidianità si sposa con l’eccezionalità, il gesto<br />
con l’ascolto, la parola con il silenzio, il sentire con<br />
l’essere; dove si respira la forza, la potenza e la<br />
sacralità del femminile.<br />
22<br />
LA CASA CHE NON C ’ È<br />
RICOSTRUZIONE<br />
DOVE CADONO LE STELLE<br />
SOSPESI I TUOI SEGRETI<br />
DOVE I SOGNI SI DILEGUANO<br />
POTRÒ<br />
SARÒ PRESENTE<br />
A RICOMPORRE IL QUADRO.<br />
PER TE, SEGRETAMENTE<br />
A RISALIR LE STELLE<br />
UN LUOGO,<br />
UN TEMPO<br />
Chiara V., mamma<br />
Se non è un luogo, è un tempo, che si<br />
allunga e si adatta a te. Non è affatto<br />
assurdo. P iuttosto, è indispensabile.<br />
Martedì 19 settembre mi telefona Lidia dalla<br />
<strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong>: “Ciao, Chiara, ti faccio una<br />
proposta indecente: il 22, venerdì, si terrà un<br />
convegno a Firenze organizzato dalle donne<br />
Verdi. Il tema sarà: Sessualità, Procreazione,<br />
Nascita. Abbiamo promesso che ci saremo,<br />
ma purtroppo c’è stato un contrattempo, e<br />
Anna non potrà andare.Hai voglia di andarci tu? Porteresti<br />
l’esperienza di mamma che ha partorito da noi…. Ci<br />
risentiamo nel pomeriggio!”<br />
Sistemare i bambini per dodici ore, e partire.<br />
Forse è possibile.…<br />
Sono arrivata a Firenze in treno. Era da parecchio che non<br />
mi capitava di risalirci, su un treno. È stato bello. Bello<br />
quello scorcio di Italia che collega le risaie lombarde alla<br />
campagna toscana, bello fermarsi, anche se solo per pochi<br />
minuti, sui binari di città a me care: Piacenza, Parma,<br />
Modena, Bologna. Città tranquille, rispetto alla Milano che mi<br />
lasciavo alle spalle, città dove ancora, in certe vie, ti ascolti<br />
addirittura il passo, mentre cammini.<br />
Chissà, forse non è un caso che “<strong>La</strong> <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea” sia proprio a<br />
Milano. Incredibile, per certi aspetti: il luogo dove la calma e<br />
il silenzio sono i presupposti essenziali per ben nascere e<br />
ben partorire, sorge proprio nel più caotico dei grovigli di<br />
case e strade che si conosca in Italia, Milano. <strong>La</strong> città dove il<br />
mito dell’efficienza trasforma la donna incinta in una vera e<br />
propria disabile, perché quando aspetti un bambino<br />
cambiano i ritmi, e con essi le esigenze di ogni giorno, e<br />
quelle imposte da una metropoli non ti calzano più,<br />
ammesso che tu le abbia mai indossate comodamente.<br />
Per questo “<strong>La</strong> <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea” assume, in un contesto di stress e<br />
nevrosi cittadine, un ruolo ancora più importante: la sua<br />
funzione sociale di luogo d’accoglienza e di ascolto<br />
diventa fondamentale.<br />
Un presepe laico, ecco l’immagine che mi è nata in testa<br />
mentre attraversavo in treno gli Appennini e facevo scorrere<br />
le diapositive dei parti in <strong>Casa</strong>. Immagini di uomini e donne<br />
che attendono con fiducia che l’evento si compia, che sanno<br />
fermarsi e “non fare”, se fare non serve.<br />
Mille miglia di distanza dalla frenesia, passata sotto il<br />
termine di efficienza, della gran parte degli ospedali.<br />
Accoglienza, ascolto, libertà. Queste sono, a mio avviso, le<br />
“parole chiave” che possono spiegare il fascino di<br />
un’esperienza di maternità a “<strong>La</strong> <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea”.<br />
Tra le sensazioni che ti accompagnano lungo il percorso,<br />
forse la più bella è sentire il tempo che si allunga, orologio e<br />
calendario che si adattano a te, e non viceversa.<br />
Durante l’attesa, durante le ore del parto, durante il<br />
puerperio, la coscienza che ciò è possibile, e che concedersi<br />
tempo e comprensione non è assurdo,<br />
diventa (ho scoperto) indispensabile.
CHI HA<br />
PAURA DEL LUPO CATTIVO?<br />
LE DOMANDE DIFFICILI<br />
SULLA VITA E SULLA MORTE.<br />
COME NE PARLIAMO AI NOSTRI FIGLI,<br />
COME NE PARLANO LORO: LE PAURE,<br />
I BLOCCHI, I TABÙ<br />
Le mamme possono uccidere i figli, infliggendosi la<br />
morte cento, mille volte: ad ogni risveglio. Non c’è niente<br />
da commentare, non c’è da scrivere, non c’è da<br />
fotografare, così come invece fanno, bestialmente fanno,<br />
i cronisti d’assalto. Un bambino di quattro anni ha<br />
introdotto una grande novità, per un fatto di cronaca: la<br />
compassione.<br />
Monte Campione, ore 20 e 15 di una serata qualsiasi<br />
della prima settimana di luglio. L’ultima sigla di Tom e<br />
Jerry è già di qualche minuto fa. Sono in cucina e quasi<br />
non faccio caso alla tivù ancora accesa nell’altra stanza,<br />
mentre a suon di squilli di tromba dà fiato alle fanfare pre<br />
tiggì. Partono i titoli dei servizi proprio mentre torno in<br />
soggiorno ad appoggiare non so più cosa, spengo la tivù<br />
e lancio ai bambini l’ultimo richiamo per la cena, di là in<br />
cucina.<br />
“Mamma!... è Tommaso, quattro anni, che mi zampetta<br />
alle spalle lo sai che cosa è successo oggi?… una<br />
mamma ha gettato i suoi due bambini nel lago, ma<br />
proprio sotto al lago… e… e adesso i suoi due bambini<br />
sono morti e lei ha il cuore spezzato dal dolore…”.<br />
“È proprio così Tommy”, dico io senza girarmi. Un<br />
tamburo mi rimbomba nelle orecchie, “…ora avrà<br />
senz’altro il cuore spezzato…”, ripeto meccanicamente,<br />
incapace, per il momento, di pensare a un commento<br />
alternativo. Sono spiazzata, vorrei tornare sull’argomento<br />
per tamponare quello che mi appare come uno squarcio<br />
drammatico, per rimediare al danno, per suggellare il<br />
tutto con un’altra didascalia, adulta e consapevole, ma<br />
per fortuna riesco solo a star zitta e a servire i ravioli in<br />
brodo.<br />
Sono passate tre settimane da quel giorno, e qualche<br />
volta ho ripensato a quella frase di Tommaso,<br />
all’espressione seria e concentrata che aveva in quel<br />
momento. Certo, non avrebbe dovuto ascoltarla, quella<br />
notizia, ma purtroppo è accaduto. E ora penso: che<br />
abisso tra il messaggio del telegiornale e il suo<br />
commento... Da una parte quella cronaca sterile, capace<br />
però di rendere scabrosa anche la disperazione, lontana<br />
anni luce dalla pietà. Dall’altra la mente di un bambino,<br />
che ha tradotto con il suo codice quel messaggio privo di<br />
pietà, lo ha filtrato, mondato di quell’euforia<br />
scandalistica, di quella cieca morbosità.<br />
Eccolo, dunque, il lupo cattivo che entra in casa nostra,<br />
ed ecco la sua tana. Quel lupo, quella brutta bestia che<br />
23<br />
IL LUPO È UNO SGUARDO MORBOSO<br />
Quel lupo che ama l’audience<br />
Chiara V., mamma<br />
MARZO 2003 - UOVO 16<br />
invade di orrore i fatti di cronaca, non si annida nel fatto,<br />
non è da stanare in ciò che capita, in ciò che è, ma in<br />
come si guarda, in come s'interpreta la realtà. Il lupo è il<br />
morbo, è l’intenzione. È lo sguardo spudorato e moralista<br />
che si intrufola nella vita e nella morte, che si permette di<br />
sezionare e giudicare perfino la disperazione.<br />
Questo sguardo è qualcosa di cui i bambini non sono<br />
capaci, ed è proprio in questa loro “pulizia” di giudizio<br />
che si racchiudono poesia e compassione. Lo sa bene<br />
chi ha cercato la poesia anche nel dramma, e ne ha fatto<br />
nascere grandi opere letterarie. “<strong>La</strong> Storia” di Elsa<br />
Morante è forse il più bello tra i libri, e la sua poesia<br />
infinita nasce proprio in questo sentimento di<br />
assoluzione che l’occhio del bambino riesce ad<br />
assegnare ai fatti, fatti che eppure hanno per scenario il<br />
dramma della guerra e della distruzione.<br />
Forse, proprio attraverso Tommaso, ho capito il punto<br />
debole del lupo, il suo tabù. Quel lupo, quello che a me<br />
pare il più cattivo, intriso di falso e paludato moralismo,<br />
volgare e disgustoso, ha paura di qualcosa. Quel lupo,<br />
affamato di ascolti e di consenso, sa che c’è un solo<br />
sentimento che non si può permettere di far passare al<br />
pubblico. Quel sentimento è la tristezza. <strong>La</strong> tristezza<br />
spoglia e quotidiana del “condividere”, del “compatire”.<br />
<strong>La</strong> tristezza mite e rassegnata dell’accettare,<br />
semplicemente, che il dramma è accaduto, che la<br />
disperazione ha vinto lasciando però il posto, in pochi<br />
minuti, alla pace e al silenzio. È proprio contro questo<br />
silenzio, contro questa naturale, tragica e dolce quiete<br />
della morte, che il lupo si batte forsennatamente. Il suo<br />
tamburo di battaglia è il clamore della cronaca, i suoi<br />
denti affilati sono i fasci di luce puntati ovunque, spietati<br />
e accecanti negli angoli della vita, negli interni di<br />
appartamenti e villette. E più sangue c’è, più concitato e<br />
roboante è l’esorcismo. Il silenzio e la tristezza non<br />
eccitano, non stimolano, non incuriosiscono. Non fanno<br />
audience.<br />
Ma i bambini sanno accettare la cosa semplice, anche<br />
se tragica. E meglio di qualunque adulto, saprebbero<br />
tener testa a questo lupo cablato, sfrondando ogni<br />
notizia dalle odiose e inutili fanfare. Ma ignorare il tutto è<br />
ciò che, solitamente, meglio riesce loro.<br />
Con buona pace del lupo, che a sua volta li ignora.<br />
I bambini non fan gola al mercato del tiggì, non<br />
comprano le Audi e i detersivi che ci ammiccano tra una<br />
tragedia e un goal.
L’habitat sono io<br />
Silvia B., mamma<br />
ll mio cucciolo meraviglioso dorme non in braccio alla sua<br />
mamma: rarità preziosa.<br />
Approfitto subito e prendo carta e penna, ma commetto un<br />
errore: la “carta” è un quaderno dove scrivo in brutta copia<br />
lettere e pensieri, e vi ritrovo così i miei racconti<br />
dall’Irlanda… Non resisto, leggicchio qua e là per ciò che<br />
sembra qualche minuto ma finisce per essere mezz’ora:<br />
nuoto nell’oceano, cammino controvento, poi cambio<br />
direzione e dal vento mi faccio accompagnare, vado in<br />
bicicletta a comprare il pesce, bevo a pint of Guinness e<br />
provo a parlare gaelico…<br />
Luca ed io vi abbiamo vissuto due anni e mezzo. In Irlanda,<br />
dove piove quasi sempre, il vento soffia forte ed insistente,<br />
dove manca l’estate e il cibo non è un granché porterei mio<br />
figlio Giosuè e lo crescerei lì per un po’.<br />
Una volpe passeggiava spesso nel nostro giardino, cervi e<br />
scoiattoli abitavano nel parco cittadino e dagli scogli vicino a<br />
casa salutavo le foche. In Irlanda, soprattutto, lontana dalle<br />
presenze della mia storia, ho trovato me stessa, i miei gusti,<br />
il mio modo personale di incontrare, conoscere, educarmi.<br />
Sì, dove sono stata così bene starebbe bene anche il mio<br />
cucciolo.<br />
In Veneto ho la mia famiglia, quella di mio marito, le amiche<br />
d’infanzia, di giovinezza, di maturità, gli ex colleghi di lavoro,<br />
ho il mare e i monti, i luoghi dei ricordi, la città nota, una<br />
24<br />
HABITAT<br />
COS ’ È<br />
QUESTO PRURITO,<br />
QUESTA VOGLIA D ’ ALTRO<br />
E DI ALTROVE<br />
CHE CI CONTAGIA?<br />
MARZO 2004 - UOVO 17<br />
mappa di riferimenti umani e ambientali. Lì sono conosciuta<br />
e riconosciuta (…troppo? Come verrebbe accolto un<br />
cambiamento?); vorrei che tutti vedessero mio figlio Giosuè<br />
e completassero così il mio identikit, perché lui è il mio<br />
traguardo più bello.<br />
Anche in Veneto crescerei mio figlio, inserito in una rete di<br />
affetti sicuri in cui non sarebbe mai solo.<br />
Quando ho saputo d’essere incinta abitavo da due mesi in<br />
Lombardia. Ho trascorso la mia gravidanza guidando attorno<br />
a Milano, ma nella mia bella panciona Giosuè si dimenava<br />
costantemente: il luogo “automobile in tangenziale” non gli<br />
piaceva proprio. Ma io dovevo cercare, trovare la casa<br />
migliore nel posto migliore, per lui ovviamente: un luogo<br />
verde ma non isolato, vicino a qualcuno con cui stare bene<br />
ma comodo per raggiungere l’ufficio a Milano, luminoso,<br />
silenzioso, possibilmente economico.<br />
Praticamente inesistente.<br />
Le capriole di Giosuè mi convinsero a desistere, e al settimo<br />
mese decisi di fermarmi esattamente dov’ero.<br />
Giosuè ora ha quasi quattro mesi e qui nel palazzo ha già<br />
molti fan di ogni età. Scambio opinioni, consigli e, perché no,<br />
chiacchiere con altre mamme e i bimbi più grandicelli già<br />
dicono di aspettarlo per giocare giù in giardino.<br />
Questa città non ha un vero parco, esiste piuttosto un<br />
giardinetto. Per trovare natura più selvaggia bisogna andare<br />
al fiume, ad una decina di chilometri da casa.<br />
Sto attenta ai percorsi delle nostre passeggiate: non voglio<br />
che alla sua altezza da terra – diciamo mezzo metro di<br />
passeggino – invece del vento soffino i fumi di scappamento,<br />
ed ho scoperto così viuzze quasi silenziose e profumate.<br />
Ogni giorno ci aspetta una nuova temperatura, i primi freddi<br />
sulle guanciotte, ci attendono le foglie rosse, su su vicino al<br />
cielo e giù giù vicino ai piedi, la ragazza gentile del panificio,<br />
tutta sorrisi, la coppietta del banchetto di frutta e la signora<br />
del formaggio.<br />
Ogni giorno gli sguardi della gente si abbassano verso il suo<br />
faccino, poi si rialzano verso di me ed è subito sorriso.<br />
Ma il mondo che sta attorno a mio figlio è veramente così o è<br />
la mia felicità che lo rende speciale? Dov’era prima tutto ciò?<br />
Cosa andavo cercando per lui? È lo stesso Giosuè che mi<br />
risponde: è l’amore che genera altro amore e la bellezza<br />
altra bellezza. Il suo habitat, per ora, sono io, ed è lui che mi<br />
rende “bellissima”.
CHE PAURA CHE VOGLIA DI FARE BAMBINI<br />
UN FIGLIO È FRUTTO<br />
DEL CASO,<br />
25<br />
UN VIA VAI DI CICOGNE<br />
INTRECCIARE IL CORDONE<br />
DELLA VOLONTÀ<br />
Quando da bambina<br />
giocavo "a fare le<br />
O DEL DESIDERIO?<br />
signore" con le mie<br />
amichette, mi vedevo<br />
proiettata in un futuro dai contorni non ben definiti, in<br />
una casa che sembrava l'esatta fotocopia di quella dei<br />
miei genitori, con mio marito e due figli maschi, forse<br />
per assecondare un desiderio manifesto di mia mamma<br />
che durante le dolci attese confezionava bavaglini e<br />
tutine rigorosamente azzurri; niente da fare: siamo<br />
arrivate prima io e mia sorella qualche anno dopo.<br />
Quando sono rimasta incinta la prima volta, esattamente<br />
undici anni fa, la certezza di avere in grembo un<br />
fagiolino rosa era l'intima,<br />
profonda consapevolezza<br />
che crea la gravidanza:<br />
certe cose le sai di sicuro<br />
e non ti sbagli, il corpo<br />
non mente, basta<br />
ascoltarlo.<br />
Sofia è nata alla <strong>Casa</strong> del<br />
Parto (allora si chiamava<br />
così), ma la sua vita è<br />
durata solo due mesi e<br />
quando mi è mancata<br />
mi sono sentita persa,<br />
dilaniata da un dolore<br />
che lasciava l'anima a<br />
brandelli e il corpo<br />
esausto, per un po'.<br />
Poi la vita è tornata a<br />
manifestarsi fuori e dentro<br />
di me. Anche Andrea è<br />
nato nell'ambiente caldo e<br />
avvolgente delle fate<br />
care e rassicuranti, la<br />
felicità e la soddisfazione<br />
di quei momenti sono qui<br />
con me, il tempo non è<br />
trascorso.<br />
Sono poi passati degli anni prima che il desiderio di un<br />
altro figlio arrivasse al punto di non ritorno e, a<br />
quarantadue anni, provarci e riprovarci a tutti i costi mi<br />
avrebbe messo in una condizione che mente e corpo<br />
rifiutavano: controlli ed esami serrati e quasi<br />
sicuramente parto in ospedale; questa prospettiva mi<br />
rendeva spossata e triste ancor prima che si avverasse.<br />
<strong>La</strong> voglia di essere ancora madre, di avere un altro figlio,<br />
una famiglia più numerosa, mi si ripresentava sopra ogni<br />
altro e così mi sono lasciata condurre lontano, molto<br />
lontano!<br />
Abbiamo iniziato le pratiche per adottare un bambino più<br />
di due anni fa. È una trafila lunga e complessa, ma non<br />
sentivo né fatica né paura e durante le code in prefettura<br />
Gabriella M., mamma<br />
NOVEMBRE 2004 - UOVO 18<br />
o in tribunale per colloqui e documenti mi ritrovavo<br />
avvolta da quella beata serenità che molte di noi<br />
conoscono: sì, ero già "incinta". Agli incontri di<br />
preparazione ci veniva detto di non sognare troppo<br />
perché la realtà dei bambini abbandonati è cruda. Io<br />
però continuavo a sognare (davvero!) un bambino dal<br />
faccino rotondo e gli occhi d'ebano.<br />
Siamo partiti, io, Willy e Andrea, nel mese di giugno per<br />
il Brasile e là, dopo una "gravidanza elefantesca", ho<br />
finalmente conosciuto Jeferson. Ha quattro anni e<br />
mezzo, la pelle un po' più scura della nostra, il visino<br />
rotondo e gli occhioni scuri.<br />
Andrea, figlio concepito, partorito ed allattato, è il mio<br />
stesso proseguire nella<br />
vita e viverlo altro da me<br />
e permettergli di crescere<br />
è spesso difficile. Con<br />
Jeferson avviene l'esatto<br />
contrario ed essere già<br />
madre spesso non mi è<br />
d'aiuto, anzi! Confronti e<br />
differenze sembrano a<br />
volte limiti insormontabili,<br />
altre volte ricchezza per<br />
tutta la famiglia.<br />
All'inizio JeJe evitava di<br />
incontrare il mio sguardo,<br />
mi studiava "da lontano",<br />
smarrito e diffidente, e se<br />
allungavo una mano la sua<br />
si ritraeva. Isabel e Luana<br />
mi aiutavano a stabilire un<br />
cordone ombelicale tra me<br />
e il piccino così come Anna<br />
e Nadia lo tagliano quando<br />
è il momento. <strong>La</strong> dolce<br />
terra brasiliana ha fatto il<br />
resto: a dodicimila<br />
chilometri dal mio mondo,<br />
tra quella gente così naturalmente cordiale, affettuosa,<br />
empatica, mi sono sentita a casa, un'enorme casa del<br />
parto, e così è stato anche per Willy e Andrea.<br />
Siamo rimasti in Brasile quasi due mesi; ora JeJe mi<br />
chiama "mia amada", ieri si è infilato sotto la mia<br />
maglietta, a contatto con la pelle, è rimasto così per un<br />
po' poi ha tirato fuori la testa e mi ha guardata ridendo<br />
contento.<br />
Quanta strada ho fatto! Mi chiedo come e cosa mi abbia<br />
sostenuta tutto questo tempo e nei momenti più duri;<br />
credo il desiderio nitido e profondo, la sensazione chiara<br />
di non voler accanirmi a tutti i costi in un percorso che<br />
rischiava di impoverirmi invece di arricchirmi e l'essermi<br />
lasciata trasportare in questo cammino che so per certo<br />
essere proprio il mio e che mi ha portata in questa terra<br />
lontana di cui sento il richiamo: la terra di mio figlio.
26<br />
Ultimo sguardo alla pancia<br />
Judith M., mamma<br />
Oggi doveva nascere il mio bambino e invece<br />
eccomi qua a scrivere. Ho preso circa quindici<br />
chili eppure mi trovo proprio bella. Quando mi<br />
guardo nuda allo specchio o quando faccio<br />
l’amore con mio marito mi sento proprio bene<br />
e bella. Questa pancia mi sta bene, non c’è<br />
che dire. Adesso però deve andare via, come<br />
starò? Chissà. Mentre scrivo mi chiedo se<br />
questo pensiero non possa essere un<br />
impedimento alla nascita di mio figlio.<br />
Avevo sempre immaginato la gravidanza<br />
come un’esperienza fisica bellissima, una<br />
specie di realizzazione dell’essere donna.<br />
Nei primi mesi, ero in uno stato di eccitazione<br />
sessuale quasi costante; questo però non ha<br />
determinato un’attività particolarmente<br />
intensa rispetto al solito, perché ero anche<br />
stanchissima e in preda a nausee e vomito<br />
che mi facevano pensare il peggio nei<br />
confronti di quell’esserino che cresceva a<br />
mie spese.<br />
Nell’amore il piacere arrivava con una velocità<br />
e un’intensità mai provate prima. Sentivo che<br />
questa reazione non era soltanto fisiologica,<br />
ormonale, né soltanto psicologica, ma tutte<br />
e due le cose insieme. Sicuramente il nuovo<br />
legame che si stava creando con mio marito,<br />
avendo insieme concepito un bambino mi<br />
rendeva ancora più aperta nei suoi confronti<br />
e nello stesso tempo il mio corpo era<br />
diventato più ricettivo, molto più sensibile e<br />
fuori dal mio controllo.<br />
In seguito c’è stata un’interruzione drastica,<br />
non solo del desiderio, ma di qualsiasi<br />
attività, perché ho avuto perdite di sangue,<br />
proprio in seguito a un rapporto sessuale.<br />
Ho avuto modo di sapere che non era stato<br />
questo a determinare le perdite, ma nel primo<br />
contatto con il corpo medico, all’ospedale del<br />
luogo di vacanza dove mi trovavo, ho<br />
incontrato un atteggiamento molto<br />
sgradevole, dove in risposta ai miei “perché”,<br />
veniva sottointeso che forse “si era fatto<br />
l’amore in modo un po’ forte”, “sa, dipende<br />
dalla posizione” con i dovuti sorrisetti. Per un<br />
mese e mezzo il mio corpo è rimasto soltanto<br />
una cosa che funzionava male, almeno così lo<br />
sentivo, un rischio per il figlio che portavo.<br />
E la paura di perdere il bambino ha sostituito<br />
la rabbia di stare male.<br />
Poi sono arrivata alla <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong>, ho<br />
cominciato il corso, iniziando quindi a<br />
comunicare con persone che pensavano e<br />
parlavano della gravidanza sotto l’aspetto che<br />
a me interessava, cioè la vita, e non la<br />
NOVEMBRE 2005 - UOVO 19<br />
malattia, e mi sono sentita più sicura.<br />
A un certo punto, senza chiedere il UN LINGUAGGIO MISTERIOSO<br />
permesso a nessuno, ci siamo rimessi a<br />
PER DIALOGARE<br />
fare l’amore; è stato bellissimo,<br />
tenerissimo e liberatorio, non chiedere il SCOPRIRE SÉ E GLI ALTRI<br />
permesso ai medici: le perdite erano<br />
finite da dieci giorni, l’immensa<br />
TROVARSI E RITROVARSI<br />
stanchezza scomparsa, la pancia era lì ATTINGERE<br />
visibile e il piccolo si muoveva.<br />
Durante il quinto e il sesto mese è stato NEL PROFONDO<br />
un piacere anche vestirmi; riuscivo<br />
FORZE VITALI<br />
ancora a mettere alcuni dei vestiti che<br />
portavo prima di rimanere incinta. Mi<br />
divertivo moltissimo con questo nuovo<br />
corpo dove finalmente non era più il mio largo<br />
sedere in primo piano, ma il mio bellissimo<br />
bimbo in pancia. Ho ripreso le mie attività e<br />
ogni giorno nella mia seduta di yoga danzavo;<br />
anche ora se sento della musica che mi piace<br />
mi metto a ballare ed è molto divertente<br />
sentire quest’enorme pancia che si muove e si<br />
contrae con la musica. Il movimento per me è<br />
un modo per pacificarmi, per ritrovare<br />
un’integrità che i cambiamenti continui della<br />
gravidanza rimettono sempre in discussione.<br />
Dal settimo mese, siamo entrati nella terza<br />
fase, in cui la pancia è diventata, a mio<br />
avviso, gigantesca, e la scelta del vestiario<br />
molto limitata. Il fastidio nei movimenti e la<br />
stanchezza sono diventati via via più forti,<br />
con salti di peso improvvisi dell’ordine di due<br />
o tre chili per volta. Ogni volta mi servivano<br />
molti giorni per abituarmi alla nuova<br />
condizione, attraversando prima un momento<br />
di crisi e di depressione. Fare l’amore,<br />
ritrovare un contatto intimo e caldo con<br />
mio marito è sempre stato un modo molto<br />
dolce ed efficace per ritrovare un senso di<br />
armonia con questo nuovo corpo.<br />
In quest’ultimo mese, il desiderio è tornato al<br />
livello dei primi mesi, la zona genitale è molto<br />
vitale, in continuo movimento, ma è cambiato<br />
nuovamente il piacere che provo: non così<br />
dirompente come i primi mesi, ma molto più<br />
complesso. <strong>La</strong> pancia è lì, imponente e viva,<br />
siamo veramente in tre; mi lascio andare al<br />
piacere e mi apro perché sento che mio figlio<br />
non può che avere benefici nel ricevere onde<br />
di felicità condivise dai suoi genitori.<br />
L’altra notte ho sognato che compravo dei<br />
vestiti, ero magrissima, come non sono mai<br />
stata, e mi sentivo davvero bella.<br />
È ora che il mio bimbo nasca affinché lui e io<br />
possiamo entrare in un corpo ancora diverso,<br />
in un’altra fase di vita.<br />
In bocca al lupo a me e a lui.<br />
SESSUALITÀ:<br />
COSÌ È SE VI PARE
27<br />
BOMBE SEXY (ALLA CREMA)<br />
Barbara, mamma<br />
Capelli lucidi e voluminosi, due tette<br />
che non le avevo mai avute, sode e<br />
turgide, la pelle del viso luminosa, la<br />
depilazione alle gambe che durava<br />
almeno il doppio, tutte le curve del<br />
mio corpo addolcite e delineate: ero al<br />
quarto mese di gravidanza, mi sentivo<br />
una bomba sexy!<br />
Finalmente la pancia stava<br />
assumendo quella forma invidiabile e<br />
altera che non permette più di<br />
dubitare tra il "qualche chilo di troppo"<br />
e "lo stato di grazia": finalmente si<br />
capiva che non era grasso ma una<br />
nuova vita che si sistemava dentro di<br />
me, e il resto del mio corpo sbocciava<br />
giorno dopo giorno insieme a quella<br />
gravidanza.<br />
Io la prima l'ho vissuta così, mi<br />
sentivo, ed ero, in gran forma, come<br />
donna. Certo non era la bellezza delle<br />
estati portocervine a venticinque anni,<br />
ma riscuotevo comunque un sacco di<br />
complimenti, e... me li meritavo!<br />
A questo turgore e manifestazione di<br />
prosperità, si accompagnava una<br />
carica sensuale e sessuale<br />
inconsueta: non davo tregua al<br />
povero marito, che sì, mi vedeva<br />
sempre carina, ma senz'altro aveva<br />
del mio corpo una percezione molto<br />
diversa. Sì, era contento del seno<br />
procace: da una terza senza pretese,<br />
era diventata una bella quinta. Ma se<br />
provo a cambiare il punto di vista,<br />
i fianchi si erano allargati e il sedere<br />
pure, le gambe erano più tornite,<br />
insomma rotondotte e più cellulitiche<br />
(gli ormoni, si sa), i piedi spesso gonfi,<br />
e nella pancia, una volta piatta, c'era<br />
un ospite, come ignorarlo?<br />
Insomma, cominciava senz'altro a<br />
vedermi molto più mamma che non<br />
donna...<br />
E quindi io lo assaltavo e lui mi<br />
assecondava, ma sembrava che fossi<br />
diventata di vetro. Ogni movimento e<br />
ogni carezza erano delicati come se<br />
stessi per rompermi, e poi ormai gli<br />
approcci partivano sempre da me...<br />
be’, certo, l'assedio era continuo, lui<br />
non ne aveva la possibilità materiale.<br />
Mi sono spesso chiesta quale fosse la<br />
ragione antropologica e naturale di<br />
questa esplosione di voglia di sesso.<br />
Un giorno leggendo un libro in cui la<br />
protagonista, incinta, descriveva<br />
questa stessa trasformazione arrivata<br />
con la gravidanza, ho trovato una<br />
risposta plausibile: lei ipotizzava che<br />
fosse un modo escogitato dalla natura<br />
per cercare di tenersi il più possibile<br />
vicino il proprio uomo in vista<br />
dell'avvento della nuova creatura che,<br />
chi ci è passato lo sa bene, rende<br />
assolutamente necessaria alla<br />
neomamma la vicinanza di una<br />
persona che l'aiuti nel nuovo ménage<br />
allargato.<br />
Nasce finalmente il piccolo mostro e<br />
con la sua espulsione il mio corpo<br />
espelle anche tutti quegli allegri<br />
ormoni del sesso, perché<br />
improvvisamente succede che il mio<br />
seno si trasforma da zona erogena a<br />
centrale del latte, appena lo sfiori<br />
allaga tutto, eppoi è indolenzito ed<br />
esausto; nella mia vagina, giuro, dopo<br />
il parto, dopo che c'è transitato il<br />
piccolo mostro, non ci transiterà più<br />
nulla: non mi posso immaginare in<br />
che stato saranno i tessuti all'interno e<br />
all'esterno ne ho una vaga e terribile<br />
idea.<br />
Insomma, per quanto mi riguarda, io<br />
ci piazzo un bel divieto di accesso<br />
A TEMPO INDETERMINATO!<br />
Ci vorranno più di due mesi di<br />
pazienza e dolcezza da parte del<br />
maritino prima di tornare all'intimità<br />
del sesso, e ci vorrà un intero anno,<br />
quando finalmente, smesso<br />
l'allattamento, ci concediamo un<br />
weekend da piccioncini in Borgogna,<br />
a sentirmi finalmente più donna che<br />
mamma.<br />
Dopo poco sono di nuovo incinta.<br />
Questa volta è diverso, c'è ancora<br />
l'esplosione di sensualità e sessualità,<br />
ma c'è anche e soprattutto una<br />
grande stanchezza a fare da<br />
contrappeso. Oltre alla gravidanza e<br />
al lavoro, c'è il piccolo mostro numero<br />
uno... e poi è diverso perché, sarà la<br />
stanchezza, sarà che arrivo<br />
dall'essere mamma e non mogliettina<br />
novella, ma anziché un fiore che<br />
sboccia, mi sento una mangrovia...<br />
non so... una pianta grassa. Eppoi so<br />
io a cosa vado incontro: parto a parte,<br />
so che dopo mi sentirò più mucca che<br />
donna, che mi passerà la fantasia del<br />
sesso, e che ci vorrà un anno prima di<br />
tornare a sentirmi soprattutto la<br />
compagna del mio uomo....<br />
Ogni gravidanza è diversa e ogni<br />
parto è diverso, e affronto questo<br />
secondo parto come una leonessa, e<br />
quando esco dalla sala parto sto<br />
ancora ruggendo: non mi sento così<br />
provata come la prima volta, e tornati<br />
a casa ho una gran voglia del mio<br />
compagno, se non fosse per i punti...<br />
Ma sono gli ultimi sprazzi generosi<br />
degli allegri ormoni del sesso che via<br />
via si vanno spegnendo, complici le<br />
notti insonni, i frignetti del nuovo<br />
arrivato che sembra dormire<br />
profondamente, ma proprio quando<br />
iniziamo a scambiarci tenerezze<br />
"ngheee, ngheee"… anche qui io e il<br />
marito ci siamo dati una<br />
giustificazione antropologica e<br />
naturale: è il loro istinto di<br />
sopravvivenza che fa in modo che<br />
non si aggiunga nessun newcomer a<br />
usurpargli il posto di rompino<br />
d'eccezione!
28<br />
Vuoi mettere?<br />
Barbara S., mamma<br />
GIUGNO 2006 - UOVO 20<br />
Sarebbe bello il parto a domicilio, ma… non mi sento pronta.<br />
Non mi sento pronta ad accogliere mia figlia nel calore della sua<br />
casa, tra le braccia di suo padre, con persone che ho scelto con cura,<br />
che mi hanno raccontato dove affondano le radici della loro<br />
professionalità, che hanno raccontato a me e a mio marito cosa<br />
terranno sotto controllo durante il travaglio e il parto, per capire che<br />
tutto rientra nel fisiologico, che io e la mia piccola stiamo bene.<br />
Non mi sento pronta a maturare la consapevolezza di ciò che avverrà<br />
durante tutta la gravidanza, a costruire un rapporto di fiducia con le<br />
ostetriche che mi assisteranno per tutta la durata del travaglio e del<br />
parto.<br />
Non mi sento pronta a pensare che le mani che stringeranno quella<br />
creaturina appena affacciatasi alla vita saranno le mani delle persone<br />
che l'ameranno di più e nemmeno a passare una notte intera<br />
incantata a guardare il miracolo che ho appena compiuto, mia figlia<br />
che si gode il tepore del letto nel quale è stata concepita e<br />
desiderata. Non mi sento pronta ad accoglierla nell'intimità dei<br />
rumori, degli odori, dei ritmi giorno/notte della sua casa…<br />
Sono pronta a partorire in ospedale – e pazienza se è un posto pieno<br />
di malati e malattie, se è una struttura fatiscente, se devo c<br />
ondividere un bagno, sozzo, con altra gente mai vista prima,<br />
se mi tocca rinunciare alla mia privacy.<br />
Mi sento pronta a rinunciare alla presenza di mio marito affianco<br />
a me e a mia figlia nelle prime ore della sua vita, per mettermi nelle<br />
mani di professionisti, dei quali peraltro non so nulla: se erano degli<br />
emeriti asini a scuola, se sono degli ansiogeni oppure gente<br />
comunissima, che mette al primo posto le proprie esigenze.<br />
Magari il medico pensa che siccome lui è il medico io dovrei affidarmi<br />
a lui e zitta e mosca.<br />
Sono pronta a partorire in un posto dove forse, quando a me<br />
sembrerà di non sopportare più il monitoraggio, o di voler mettermi a<br />
carponi per far uscire mio figlio, mi faranno mettere su un lettino, mi<br />
legheranno i polpacci a dei reggigamba e mi diranno "Signora si<br />
calmi" quando tirerò giù un "porcapu***" perché fa male.<br />
Sono pronta a rischiare che mia figlia sia presa per i piedi come un<br />
cappone, quando viene al mondo, terrorizzata per aver lasciato quel<br />
luogo sacro che era la sua mamma, e a farle somministrare il suo bel<br />
bagnetto, pesata asciugata e centrifugata nelle mani di gente che non<br />
rivedrà mai più che ha con lei l'unico legame della tenerezza che un<br />
neonato ispira.<br />
E se si deve sono pronta a vivere le prime ore di vita dell'essere<br />
più importante della mia vita separata da lui, sono pronta a rendermi<br />
conto ex post che quell'ossitocina che mi hanno messo in vena mi ha<br />
sconquassato e che forse non era così indispensabile, sono pronta a<br />
fare i conti con le possibili conseguenze di un'episiotomia magari non<br />
necessaria e forse mal fatta, sono pronta a prendermi il rischio che<br />
qualcosa vada storto perché qualcuno quel giorno era distratto o fuori<br />
forma…<br />
Sì, sono pronta a partorire in ospedale.<br />
Vuoi mettere? Mi sento più sicura.<br />
GRAVIDANZA: LE SCELTE<br />
TANTI DUBBI,<br />
UN ’ IDEA DI FONDO:<br />
ESSERCI.<br />
CON PROFONDITÀ,<br />
CONSAPEVOLEZZA E<br />
PARTECIPAZIONE
29<br />
D’AMORE E D’OMBRA<br />
Marina V., mamma<br />
Anche ieri è venuta fuori l’ombra<br />
che è in me.<br />
Sì, dentro di me esiste un’ombra:<br />
ha un’altra voce, parole cattive e<br />
rabbia a non finire.<br />
Si cela nell’intricato meandro<br />
del mio cuore e della mia anima,<br />
dentro di me…<br />
Ho capito che esiste e ho accettato<br />
che esista (o forse ci sto ancora solo<br />
provando?).<br />
Esce quando le mie difese si<br />
abbassano. Quando il mio controllo<br />
su di essa scioglie le briglie. Di solito<br />
quando la stanchezza è a dei livelli<br />
indescrivibili e c’è qualcuno dei<br />
bambini che continua a chiedere di<br />
più di più di più, sempre di più.<br />
L’ombra ce l’ha con loro.<br />
Li odia. Sì, li odia proprio.<br />
L’ombra esce quando il limite viene<br />
superato. Loro forse non capiscono<br />
quand’è il limite, o forse vogliono solo<br />
capire qual è il limite.<br />
O forse farti capire qual è il limite.<br />
<strong>La</strong> prima volta che è uscita allo<br />
scoperto ricordo che Riccardo era<br />
piccolissimo. Si svegliava<br />
continuamente di notte e di giorno<br />
era sempre attaccato al mio seno.<br />
Era l’unico modo per farlo dormire un<br />
po’; poi si risvegliava e tutto<br />
ricominciava.<br />
Ero sempre io ad alzarmi.<br />
Ero io ad avere il latte per lui.<br />
Ero l’unica persona ad essere giusta<br />
per lui. Tutti me lo dicevano ed io nel<br />
mio inconscio volevo che fosse così.<br />
Di notte ero io.<br />
Di giorno ero io.<br />
Non c’era nessuno. Nessuno.<br />
L’ombra si nutre anche di questo.<br />
Di aspettative deluse.<br />
Di sogni infranti.<br />
Di solitudine.<br />
Di cibo.<br />
Di rabbie inespresse.<br />
Di dolori incompresi.<br />
Di notti insonni.<br />
Di docce non fatte.<br />
Di capelli sporchi.<br />
Di pubblicità televisive.<br />
<strong>La</strong> mia ombra si stava nutrendo di<br />
APRILE 2007 - UOVO 21<br />
tutto questo. Ce l’avevo dentro.<br />
Una notte, me lo ricordo benissimo,<br />
all’ennesimo risveglio è uscita.<br />
Ha fatto sentire la sua voce.<br />
Nel buio della notte.<br />
A fatica l’ho controllata.<br />
Poi sono rimasta sconvolta.<br />
Sono rimasta sconvolta per giorni.<br />
Non capivo. Credevo di essere un<br />
mostro. Ed in quel momento lo ero<br />
davvero.<br />
Dunque ero un mostro? Eppure<br />
quanto amavo il mio bambino!<br />
Eppure dentro di me c’era un’ombra<br />
che lo odiava. Che non poteva più<br />
sentire il suo pianto e che non voleva<br />
essere più al centro delle sue<br />
attenzioni.<br />
Quell’ombra era uscita e quindi c’era.<br />
Esisteva dentro di me ed io la nutrivo<br />
con la mia rabbia. Si nutriva della<br />
mia stanchezza, delle mie forze<br />
stremate. Delle mie aspettative<br />
deluse nei miei confronti e nei<br />
confronti degli altri. Della mia<br />
solitudine.<br />
Cosa potevo fare per controllarla?<br />
Dovevo lavorare su me stessa?<br />
Sfogare un po’ della rabbia… magari<br />
in un cuscino o rompendo dei piatti?<br />
Trovare un po’ di tempo per me…<br />
difficile. Ma molto più difficile<br />
accettare che Riccardo fosse accudito<br />
a volte da qualcun altro, che<br />
qualcuno magari gli desse un po’ di<br />
frutta e mi lasciasse una o due ore<br />
per riposare, piuttosto che arrivare<br />
allo stremo delle forze e non essere<br />
più in grado di accudirlo.<br />
Per poter dare bisogna a volte<br />
prendere, altrimenti non si ha più<br />
niente da dare.<br />
Dovevo lavorare anche sulle<br />
aspettative sugli altri e su me stessa;<br />
su questo sto ancora lavorando,<br />
chissà che un giorno…<br />
E nonostante questo lavoro, l’ombra<br />
esiste. Ieri di nuovo è uscita.<br />
Margherita (la mia seconda) faceva<br />
dei capricci assurdi e svegliava<br />
Marianna (la più piccola) che era<br />
stata malata. Le mie notti erano state<br />
IL LATO OSCURO<br />
FINIRÀ?<br />
RIAVRÒ LA MIA VITA?<br />
SMETTERÒ DI PIANGERE E<br />
DI SENTIRMI COME UNO ZERBINO?<br />
insonni per circa una settimana.<br />
Marianna si era addormentata<br />
finalmente e Margherita sembrava<br />
davvero la volesse svegliare nel bel<br />
mezzo della notte.<br />
L’ombra ha fatto sentire la sua voce…<br />
ed ovviamente le bambine si sono<br />
svegliate tutte e due.<br />
Oggi piangevo piangevo piangevo<br />
non facevo altro che piangere. Perché<br />
non sono riuscita a controllarla.<br />
Perché dei bambini piccoli non<br />
dovrebbero sentire la mamma<br />
trasformarsi così… (o forse sì?).<br />
Perché quando succede mi sento una<br />
cattiva mamma che non ama i suoi<br />
bambini, mi sento di aver sbagliato<br />
tutto e di essere tutta sbagliata:<br />
cattiva cattiva cattiva.<br />
Di solito provo poi a spiegare loro che<br />
quando la mamma è stanca fa fatica<br />
a fare tutto quello che vogliono loro.<br />
Oggi non so cosa farò. Sembra che le<br />
bambine c’abbiano dormito sopra e<br />
che non si ricordino di nulla.<br />
Ma il loro inconscio ha registrato<br />
tutto, lo so.<br />
L’ombra è in me. L’ombra è una parte<br />
di me. Non so quanto io riesca ancora<br />
ad accettare la sua presenza, ma so<br />
che c’è e che si nutre di tutte quelle<br />
frustrazioni e limiti, che sono<br />
comunque umani, ma che alla fine<br />
spesso si accumulano giorno dopo<br />
giorno dopo giorno dopo giorno,<br />
come un lavandino pieno che alla<br />
fine straborda.<br />
Ora credo che i bambini siano<br />
davvero dei grandi maestri. Che la<br />
maternità porti con sé un lato<br />
assolutamente magico e divino, ma<br />
anche un’ombra sconosciuta da dover<br />
affrontare. I bambini ti insegnano<br />
delle cose su te stessa che senza di<br />
loro non avresti mai e mai imparato.<br />
Ti fanno davvero vedere i tuoi<br />
limiti e le tue debolezze.<br />
Ti insegnano che nella luce<br />
dell’amore ci sono anche<br />
l’ombra e i dolori.<br />
E che tutto ciò fa parte della<br />
vita e dell’essere umani.
È quel “riposati” che rimane incomprensibile.<br />
Magri ci siamo tornati: dopo aver toccato quota<br />
novantacinque chili ci siamo dati una regolata.<br />
Belli: be’, i capelli iniziano a farci difetto, le tempie si<br />
fanno sempre più grigie, ma di contro la pelle del viso<br />
non più liscia e le zampe di gallina ci rendono più<br />
credibili. E poi abbiamo ancora una buona riserva di<br />
anni prima che nostra figlia si renda conto che non<br />
siamo “l’uomo più bello del mondo”.<br />
Per quanto riguarda il successo, ci siamo messi il<br />
cuore in pace, più che altro perché nessuno è riuscito<br />
a darcene una definizione sensata. Soprattutto, il<br />
successo rende felici?<br />
O essere felici è di per sé un successo?<br />
Ma riposati, proprio no.<br />
Come si fa a essere riposati con la velocità a cui la<br />
famiglia, il lavoro, la vita moderna ci fanno viaggiare,<br />
con tutti gli stimoli che ci arrivano da così tante fonti,<br />
soprattutto da quelle piccole “fonti” che abbiamo<br />
in casa?<br />
Analizzando l’immagine di genitori che vorrebbero<br />
dare di noi gli esperti di consumer marketing, quelli<br />
che ci classificano come pubblici di riferimento cui<br />
proporre i prodotti dei loro clienti, è proprio sul<br />
“riposati” che cade tutto il castello di carte.<br />
Vediamo di seguito le casistiche più comuni.<br />
<strong>La</strong> colazione<br />
Nel mondo dei BMRdS (Belli Magri Riposati di<br />
Successo) mamma si sveglia truccata e pettinata,<br />
papà finge uno sbadiglio (ma gli passa tutto alla<br />
prospettiva di una bella rasatura col nuovo rasoio a<br />
sei lame), i bambini si alzano già lavati e pettinati,<br />
allegri e armoniosi (sempre biondi, sempre maschio e<br />
femmina, mai riottosi, mai un litigio) e tutti insieme si<br />
siedono a gustare i loro frollini attorno al desco<br />
familiare che può essere a scelta all’aperto nel<br />
parco da cinquanta ettari di casa, al piano terra di<br />
un luminoso faro convertito, o in un casolare toscano<br />
del ‘700. Nel mondo dei BMRdS gli appartamenti non<br />
esistono.<br />
Nel mondo reale la routine della mattina richiede le<br />
capacità organizzative di un team di meccanici di F1;<br />
non c’è un millisecondo da perdere fra la<br />
preparazione del caffè per mamma e papà e la<br />
preparazione del latte per i bambini, il tutto<br />
inframmezzato dalla vestizione e dalle abluzioni<br />
mattutine, nostre (volontarie) e dei bambini (effettuate<br />
a viva forza e con grande spargimento di acqua); si<br />
esce di casa alle 8:30 e già ci si sente come dopo<br />
una mezza maratona.<br />
30<br />
Genitori belli, magri,<br />
riposati e di successo<br />
Allen M., papà<br />
APRILE 2008 - UOVO 22<br />
SUPEREROI:<br />
ESSERE O NON ESSERE<br />
RINCORRERE<br />
MODELLI INARRIVABILI<br />
O PIUTTOSTO FAR FRONTE<br />
ALLE SCELTE QUOTIDIANE<br />
CON CORAGGIO<br />
ED INVENTIVA?<br />
Il pannolino<br />
Nel mondo dei BMRdS i bambini stanno fermi, sono<br />
sempre puliti e inodori, fanno *solo* pipì e per di più la<br />
fanno blu.<br />
Nel mondo reale i bambini *si muovono* e... tenetevi<br />
forti, signori del marketing: fanno la *cacca*! E in due<br />
anni, un bambino almeno quattromila pannolini li<br />
cambia...<br />
Il viaggio<br />
Nella famiglia BMRdS papà e/o mamma guidano,<br />
immancabilmente e invariabilmente con grande<br />
perizia, una monovolume delle dimensioni esterne di<br />
una cabina del telefono, ma con lo spazio interno<br />
della Basilica di S. Pietro. Sono concessi allegri<br />
diversivi come dimenticare la nonna o tuffarsi in uno<br />
stagno maleodorante per recuperare l’orsacchiotto<br />
prediletto della figlioletta bionda. Mamma ogni tanto,<br />
prima di mettersi al volante fa la danza propiziatoria<br />
dei Maori, quella che fanno i New Zealand All Blacks<br />
prima delle partite di rugby. Per la famiglia reale, la<br />
più breve trasferta è un inno all’imprevisto: per quanto<br />
sia grande l’auto, nel bagagliaio ci sta a malapena<br />
metà degli oggetti che accompagnano i nostri figli, il<br />
resto prende posto per terra, sui sedili o sul tetto, e<br />
c’è sempre qualcosa che finisce per rotolare tra i<br />
pedali. I bambini, a stare legati nei seggiolini proprio<br />
non ci pensano. Dopo i primi trecento metri o ci<br />
accorgiamo di esserci dimenticati qualche<br />
componente fondamentale, oppure da dietro arriva –<br />
puntuale come le tasse – un “mi scappa la pipì/ho<br />
sete/ho fame”. Dopo un chilometro arriva il primo<br />
“quando arriviamo?”, che procederà a ritmi regolari di<br />
quattro minuti finché non giungiamo a quattrocento<br />
metri dalla destinazione: a quel punto i bambini si<br />
addormenteranno. Tutto questo nell’ipotesi che i<br />
bimbi *non* soffrano l’auto. E sfidiamo chiunque a<br />
non arrivare stremato.<br />
<strong>La</strong> cena<br />
<strong>La</strong> famiglia BMRdS cena con un camaleonte che<br />
ripete come un mantra la domanda “tu non hai<br />
fame?”. Nonostante ciò sono tutti felici e nessuno<br />
trova minimamente anomalo il fatto di dividere il<br />
desco con un rettile parlante che cambia colore.<br />
<strong>La</strong> cena della famiglia reale può solo essere<br />
paragonata a un campo di battaglia, dal quale uscire<br />
incolumi è di per sé un’impresa.<br />
Riposati? E chi ha il tempo di essere riposato?<br />
Questo è il mondo reale e il riposo è un lusso.<br />
Però non ceniamo con i camaleonti, e non è un<br />
vantaggio da poco.
Quand’ero incinta della mia secondogenita ho<br />
conosciuto la pratica del Lotus Birth. Un tardo<br />
pomeriggio di fine giugno, in <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong>,<br />
incontrai Shivam Rachana, che pratica il Lotus Birth<br />
da molti anni. Per me è stato come dire amore a<br />
prima vista! Acquistai il libro per saperne di più,<br />
ma la decisione l’avevo già presa. Per la mia<br />
bambina e per me volevo una nascita non violenta,<br />
nessun tipo di intervento e sapere che potevo anche<br />
non tagliare il cordone ombelicale era la ciliegina sulla<br />
torta: era proprio quello che volevo. Mi affascinavano<br />
anche i significati che, in varie culture e filosofie, sono<br />
attribuiti alla placenta (per molte è il “gemello” del<br />
bambino) e gli effetti che si crede che la nascita<br />
integrale abbia sulla vita e sul temperamento dei<br />
bambini nati così (si parla di bambini “completi”,<br />
dotati di buona salute, calma, tranquillità,<br />
determinazione ecc.). Ma ciò che ha determinato la<br />
mia scelta è stata la possibilità di una nascita<br />
completamente senza violenza.<br />
Ho scelto di pancia e di cuore, senza dare peso alle<br />
sensazioni contrastanti che provavo. Avevo infatti<br />
qualche preoccupazione per l’eventuale odore, sentivo<br />
uno strano disagio all’idea di maneggiare la placenta:<br />
era un po’ quello stato d’animo che si prova davanti a<br />
qualcosa di poco conosciuto e che, proprio perché non<br />
lo si conosce, mette un po’ di paura. <strong>La</strong> placenta,<br />
infatti, chi l’ha mai vista? Negli ospedali te la fanno<br />
vedere in ecografia durante la gravidanza, ti spiegano<br />
che nutre il tuo bambino, ma poi quando esce sono<br />
già lì pronti con un sacco per i rifiuti speciali, la<br />
pesano per routine e la buttano: non serve più.<br />
Ma quelle lievi sensazioni di disagio non avevano<br />
alcun peso. Ero determinatissima. Ho spiegato le cose<br />
a mio marito, che è medico: convinto lui me ne sono<br />
infischiata degli altri. Preventivamente ho informato<br />
solo i miei genitori: nei loro occhi ho letto lo<br />
sconcerto, ma non hanno fatto alcun commento.<br />
<strong>La</strong> placenta avrebbe fatto al caso mio anche per il<br />
postpartum: avrebbe tenuto alla larga le visite nei<br />
primi giorni. Volevo intimità, raccoglimento, pace e<br />
tranquillità per la nostra famiglia; desideravo uno<br />
spazio e un tempo di silenzio in cui stare a<br />
contemplare la nascita di mia figlia, la mia maternità,<br />
in cui vedere germogliare l’affetto di suo fratello per<br />
Teresa e gettare i semi del loro legame. Per questo<br />
motivo, anche se la placenta può essere per così dire<br />
“impacchettata” in modo da consentire di spostare<br />
neonato e placenta insieme, ho scelto di lasciare la<br />
bambina al centro del letto matrimoniale, fino a che<br />
non si fosse staccato il cordone ombelicale. Nessuno<br />
spostamento, neanche per il bagnetto: volevo<br />
godermi anche il suo odore di bambina “nuova”.<br />
Bimba e placenta erano al centro del lettone, nella<br />
31<br />
Lotus Birth<br />
perché è la nascita senza violenza<br />
Elena, mamma<br />
penombra di una luce soffusa; per allattarla io mi<br />
sdraiavo alla sua destra e alla sua sinistra.<br />
In quei giorni tutto ruotava attorno a quel letto, anzi<br />
fuori da quella stanza non esisteva nulla.<br />
Quando ci ripenso, sento ancora il silenzio e il<br />
profumo di quei giorni.<br />
Teresa è nata il lunedì pomeriggio e si è staccata il<br />
venerdì successivo verso sera: mentre la stavo<br />
cambiando, ha preso il cordone ombelicale tra due<br />
dita del piede destro, ha teso la gamba e l’ha<br />
strappato via. Poi è scoppiata a piangere, è stato il<br />
suo secondo pianto (il primo era avvenuto subito dopo<br />
la nascita): io l’ho presa tra le braccia, l’ho baciata e<br />
poi le ho dato il latte, divisa tra la sensazione di<br />
smarrimento che provavo e la serenità che volevo<br />
trasmettere alla mia bambina. Solo in quel momento<br />
ho sentito concludersi davvero l’esperienza della<br />
gravidanza e del parto e iniziare la nostra nuova vita.<br />
Oggi Teresa ha poco più di due anni, ha un carattere<br />
forte e determinato (Lidia, che la conosce bene,<br />
spesso mi chiede: “Ti stai già preparando alla sua<br />
adolescenza, vero?”), è serena, indipendente e<br />
autonoma (e prende ancora il seno), molto affettuosa,<br />
con una capacità motoria più sviluppata rispetto alla<br />
sua età e una vivacità intellettuale altrettanto<br />
notevole. Mi piace pensare che in tutto questo ci sia<br />
anche lo zampino della sua placenta.<br />
Ha una sfrenata voglia di vivere, che per un anno, tra<br />
i quattro e i sedici mesi, ha voluto dire notti insonni:<br />
era troppo interessata alla vita, dormiva mezz’ora, poi<br />
si svegliava e, come se avesse riposato una notte<br />
intera, voleva giocare, sperimentare cose e relazioni.<br />
In quegli interminabili mesi in cui, se ci ripenso, non<br />
so come ho fatto e come ha fatto a sopravvivere,<br />
le uniche notti in cui ha dormito, e ci ha lasciato<br />
dormire, sono state quelle in cui siamo stati via da<br />
Milano, in vacanza. <strong>La</strong> spiegazione che mi sono data è<br />
che, in quei contesti nuovi e stimolanti, la sua vitalità<br />
fosse pienamente appagata di giorno e che quindi, di<br />
notte, anche per lei fosse giusto dormire. Tutto questo<br />
per dire che far nascere il proprio figlio con la placenta<br />
non equivale anche a sottoscrivere un’assicurazione<br />
contro certi “inconvenienti” della vita di genitori!<br />
Il significato della tranquillità che la nascita integrale<br />
infonde va al di là della ristretta interpretazione che se<br />
ne può dare.<br />
Tornando al titolo di questo numero dell’Uovo, non ho<br />
mai considerato il Lotus Birth una scelta da supereroi.<br />
È una scelta inusuale, almeno nella società in cui<br />
viviamo, ma per l’esperienza che ne ho avuto non<br />
necessita di alcun superpotere. Come ogni scelta, per<br />
viverla nella pace occorre sentirla davvero nelle<br />
proprie corde. Io l’ho vissuta con grande naturalezza e<br />
senza nessuno dei lievi disagi che avevo immaginato.
32<br />
FRATELLI IN GARA<br />
LA MAMMA È TUTTA MIA<br />
Judith M., mamma<br />
Gabriel aveva quasi due anni e<br />
mezzo, quando abbiamo deciso di<br />
avere un altro figlio. Un giorno,<br />
mentre stavamo passeggiando in una<br />
bellissima villa vicino a casa nostra, a<br />
Roma, gli abbiamo annunciato la<br />
notizia. Ero incinta da qualche<br />
settimana soltanto, ma eravamo<br />
convinti che fosse importante<br />
mettere in parole qualcosa che in<br />
ogni caso lui avrebbe percepito.<br />
Gabriel è stato quindi il primo a<br />
saperlo, come membro della nostra<br />
famiglia in costruzione.<br />
Lui è rimasto un po’ così, poi ha detto<br />
“è piccolo piccolo così” con un<br />
sorriso, facendoci vedere con le dita<br />
la dimensione di una formichina.<br />
Era davvero commovente.<br />
Non sapevamo che stava iniziando un<br />
lungo travaglio: da quel momento<br />
Gabriel non ha più dormito. Mentre<br />
fino ad allora si addormentava il<br />
pomeriggio e la sera tranquillamente<br />
da solo, è diventato quasi impossibile<br />
addormentarlo dopo pranzo, ma se<br />
non faceva il riposino era un inferno<br />
di capricci e scatti di rabbia durante<br />
tutto il pomeriggio con l’unico<br />
vantaggio che in quel caso era più<br />
facile addormentarlo la sera. Se<br />
invece, dopo ore di discussioni,<br />
canzoni, storie, litigi, riuscivamo a<br />
farlo crollare per sfinimento (ma<br />
qualche volta sono crollata prima io,<br />
addormentandomi per terra accanto<br />
al suo letto) allora il pomeriggio<br />
trascorreva più tranquillo, ma<br />
la sera era di nuovo impossibile<br />
addormentarlo fino alle undici o<br />
mezzanotte.“Non voglio dormire!”,<br />
“perché?”, “perché non voglio<br />
dormire”… E in ogni caso si<br />
risvegliava tre o quattro volte<br />
durante la notte chiamando<br />
angosciato “papà, papà, ma mi<br />
ami?”. Questo è durato per qualche<br />
mese; poi si è svegliato meno<br />
durante la notte, sempre almeno una<br />
volta, mentre l’addormentarsi è<br />
continuato a essere lungo e difficile.<br />
Ovviamente avevo le nausee e<br />
vomitavo, mi sentivo uno straccio<br />
tutto il giorno e il mio livello di<br />
sopportazione era molto, molto<br />
scarso. Intanto Gabriel ribadiva ogni<br />
giorno che: la mamma era tutta sua,<br />
il papà era tutto suo, la nonna era<br />
tutta sua, il nonno… e così via con<br />
tutti i membri della famiglia, gli<br />
amici, la baby sitter, etc. A tavola, se<br />
Leonardo rispondeva a una mia<br />
domanda su come era andata la sua<br />
giornata di lavoro, cascava<br />
immancabilmente un bicchiere pieno<br />
d’acqua nel piatto, o una forchetta<br />
per terra, o peggio ancora<br />
cominciava a svolazzare per aria un<br />
coltello derubato furtivamente al<br />
papà...<br />
Molto presto Gabriel ha espresso la<br />
sua gelosia e il suo bisogno di<br />
centralità: ancora prima che<br />
aspettassimo il fratellino, al nido se la<br />
sua educatrice prediletta prestava<br />
attenzione a un altro bambino, lui<br />
spingeva il malcapitato con forza o lo<br />
stringeva fortissimo fino a farlo<br />
piangere. Adesso questa tendenza<br />
stava aumentando, e cominciava a<br />
esprimere anche altre emozioni in<br />
questo modo: nel momento in cui la<br />
nonna doveva andarsene per tornare<br />
a casa sua, lui cambiava<br />
improvvisamente umore e graffiava o<br />
dava un pugno, o peggio ancora un<br />
morso, a chi secondo lui gli<br />
procurava dispiacere.<br />
Se c’era mio marito, o i nonni o la zia<br />
mi ignorava e cercava in tutti i modi<br />
di captare la loro attenzione.<br />
Insomma io ero già un po’ di quel<br />
altro, che era sempre con me nella<br />
mia pancia, e quindi lui cercava a<br />
tutti i costi di tenersi stretti il papà e<br />
le altre persone a lui care che ancora<br />
non erano state ‘occupate’.<br />
Le sue reazioni aggressive e<br />
apparentemente a volte distaccate<br />
nei miei confronti erano ingannevoli:<br />
sembrava non mi volesse. Dapprima<br />
ho rispettato i suoi “no”, poi mi sono<br />
accorta che mentre mi diceva “non ti<br />
voglio, voglio solo papà” era in fondo<br />
ben felice che io lo coinvolgessi in un<br />
gioco, o in una coccola. Con il senno<br />
di poi penso sia stato un errore dargli<br />
la notizia così presto: per un bambino<br />
di tre anni, un’attesa di nove mesi è<br />
lunga, tuttavia non penso che ci<br />
avrebbe risparmiato il lungo lavoro di<br />
elaborazione che è avvenuto, e<br />
tuttora sta avvenendo. Il piccolo<br />
Louis è nato il 9 settembre scorso.<br />
Nel frattempo Gabriel aveva smesso<br />
del tutto di dormire il pomeriggio, ma<br />
senza che ciò influisse più sul suo<br />
umore pomeridiano: probabilmente<br />
ha fatto un passaggio di crescita e<br />
ormai si addormenta abbastanza<br />
tranquillo la sera. Resta il fatto che si<br />
sveglia di notte e viene nel nostro<br />
letto, che adesso sta diventando<br />
troppo piccolo per quattro.<br />
GELOSIA, GELOSIA<br />
SEMBRA<br />
CHE NON CI SIA<br />
APRILE 2009 - UOVO 23<br />
Stranamente la sua<br />
aggressività è diminuita, anche se ha<br />
tentato di addentare il cranio del<br />
fratello la prima volta che lo ha visto<br />
in braccio alla nonna. Io sto attenta a<br />
dargli tempo, per quanto posso, e<br />
parole su ciò che non posso tollerare<br />
da parte sua nei confronti del<br />
piccolino. Continuo a impormi a lui<br />
quando fa finta di non volermi. Cerco<br />
di sostenere e assecondare sia la sua<br />
necessità di regredire che il suo<br />
piacere di crescere. Ma vedo bene<br />
che per lui è molto difficile contenere<br />
ciò che prova nei confronti del<br />
fratello: da una parte lo ha integrato<br />
pienamente nel suo mondo, e lo<br />
elenca spesso tra i membri della sua<br />
famiglia o le persone cui vuole bene<br />
con i differenti legami di parentela,<br />
dall’altra succede spesso che, come<br />
per sbaglio, pesta il fratello che sta lì<br />
disteso a terra a giocare con la<br />
palestrina, oppure salta sul divano<br />
vicinissimo alla testa di Louis mentre<br />
lo sto allattando, e quasi sempre gli<br />
scappa la cacca mentre allatto… E poi<br />
dice delle cose come “non si può<br />
calciare Louis come un pallone,<br />
vero?”, a dimostrazione dell’intensa<br />
emozione che sta riuscendo a<br />
controllare.<br />
A volte penso che non mi perdonerà<br />
mai del tutto; in fondo, in qualche<br />
angolo della sua psiche o del suo<br />
cuore ce l’avrà sempre con me per il<br />
‘paradiso perduto’ dell’essere l’unico<br />
(Gabriel non è soltanto il nostro<br />
primo figlio, ma anche il primo nipote<br />
nella famiglia di mio marito, ed è<br />
stato adorato come un re da tutti).<br />
Quando guardo le foto di mio marito<br />
da bambino, anche lui primo figlio,<br />
dopo la nascita della sorellina, mi<br />
sembra sempre di cogliere nello<br />
sguardo una rabbia sconsolata per<br />
l’affronto subito. È una cosa<br />
irragionevole, che probabilmente non<br />
torna alla coscienza, ma penso che<br />
per il primo figlio l’arrivo di un altro<br />
sia una prova importantissima da<br />
affrontare e anche un gran regalo<br />
perché obbliga a affrontare e<br />
scontrarsi con una realtà ineluttabile:<br />
da un lato il fatto che le persone non<br />
ci appartengono e che esistono<br />
relazioni di cui non facciamo parte e<br />
non siamo al centro del mondo,<br />
dall’altro che possiamo contenere<br />
al nostro interno tante relazioni e<br />
affetti intensi che non si escludono<br />
a vicenda.
ASPETTATIVE RIPRODUTTIVE<br />
Non ancora attesa<br />
<strong>La</strong>ura C, mamma<br />
Benvenuta mio piccolo amore. Sei arrivata tra noi ieri<br />
mattina, domenica 3 febbraio 2008 alle 8.40 di una<br />
giornata piovosa…<br />
Non ti aspettavamo ancora, la data presunta per la tua<br />
nascita era il 10 aprile e invece hai sorpreso tutti, per<br />
primi il tuo papà e me. È iniziato il travaglio alle tre di<br />
notte (o dovrei dire mattina) di domenica ma io, che<br />
continuavo a rigirarmi nel letto in preda a forti dolori, ho<br />
pensato ad una colica intestinale: il mio cervello<br />
semplicemente non voleva accettare l’idea che fosse<br />
partito il travaglio.<br />
Ho comunque iniziato a controllare frequenza e durata di<br />
quelle che, di minuto in minuto, mi apparivano con ogni<br />
evidenza sempre più come contrazioni. Il tempo è<br />
passato in una percezione ormai lontana dai consueti<br />
parametri, la mente suggeriva che la colica intestinale<br />
aveva “eccitato” la vicina muscolatura uterina innescando<br />
un travaglio che presto si sarebbe arrestato, che doveva<br />
arrestarsi. E invece no; verso le sei e mezza ho fatto un<br />
bagno caldo che ha rilassato e disteso un po’ me mentre<br />
tu ti muovevi freneticamente al di sotto della mia pelle<br />
tesa, ma una volta uscita dalle vasca a quel punto erano<br />
le sette e tuo fratello si era svegliato e mi reclamava i<br />
dolori sono ricominciati con maggiore frequenza e<br />
intensità di prima. Tuo padre mi proponeva il pronto<br />
soccorso da più di un’ora, a quel punto ho deciso che non<br />
potevo più aspettare: ho fatto fare colazione a Michele,<br />
l’ho vestito, ho telefonato a Nadia che mi ha confermato<br />
che avrei dovuto andare al più presto al pronto soccorso,<br />
abbiamo portato tuo fratello e il cane dai nonni (è salito<br />
papà mentre io aspettavo in macchina paralizzata dal<br />
dolore) e poi siamo andati al pronto soccorso ostetrico<br />
dell’ospedale Buzzi. Quando sono riuscita a levarmi<br />
pantaloni e mutande l’iniziale rassicurazione della<br />
dottoressa: ”Vedrà che si tratta di dolori intestinali” si è<br />
trasformata nell’evidenza di un parto imminente: c’era già<br />
una dilatazione di otto centimetri…<br />
Il dolore a quel punto era quasi continuo, tanto da<br />
rallentare il seguito: spostarsi in sala travaglio, alzarsi<br />
dalla sedia a rotelle, spogliarsi nuovamente e arrancare<br />
sulla “poltrona” su cui mi hanno fatta sedere, ormai grumo<br />
di paura e sofferenza paralizzato in una incredulità<br />
surreale.<br />
C’erano cinque persone in quella stanza: una di loro mi<br />
ha infilato una cannula di plastica in un braccio e mi ha<br />
infuso un antibiotico mentre un ostetrico cercava,<br />
inizialmente senza troppo successo, di mettermi le<br />
cinghie per monitorare il tuo battito cardiaco; hanno poi<br />
controllato tramite ecografia la tua posizione<br />
(fortunatamente cefalica). A quel punto il dolore si è<br />
33<br />
NOVEMBRE 2009 - UOVO 24<br />
ASPETTATIVE:<br />
ATTESE E SPERANZE<br />
ANDIAMO AVANTI<br />
RICERCANDO CONFERME,<br />
TRA ILLUSIONI<br />
E DELUSIONI<br />
condensato in una spinta che ha fatto esplodere un<br />
vortice d’acqua e un attimo dopo, nella marea di male in<br />
cui stavo per annegare, sei nata tu.<br />
Un istante prima c’era solo senso di irrealtà e di<br />
sofferenza, quello dopo eri appoggiata alle mie gambe e<br />
alla mia pancia, minuscola come un seme non ancora<br />
germogliato, una piccola Pollicina tutta bagnata. Ti hanno<br />
portata via quasi subito, al reparto di patologia neonatale,<br />
appena il tempo che uscisse la placenta, che tagliassero il<br />
cordone ombelicale, che tuo padre accettasse il nome che<br />
avevo scelto per te già da tanto tempo…<br />
Nel giro di poco siamo rimasti nella stanza io, tuo padre e<br />
Nadia. Soli senza di te. Io sola, vuota e incredula per<br />
quanto era appena accaduto, in preda ad un angosciante<br />
senso di colpa per averti dato alla luce troppo presto, per<br />
averti esposto a tanti rischi, per non averti saputo regalare<br />
il giusto tempo della gravidanza e del parto.<br />
Ti abbiamo rivista più tardi, il tuo primo tempo da sola, già<br />
posizionata in una delle incubatrici del reparto di patologia<br />
neonatale, con indosso solo un pannolino minuscolo ma<br />
comunque troppo abbondante rispetto al tuo corpicino. Il<br />
tuo peso alla nascita (già oggi hai iniziato ad affrontare il<br />
calo ponderale) era di 1,535 Kg. Che per la tua età<br />
gestazionale (30+2) ci hanno detto essere un ottimo peso.<br />
Da quando hai lasciato la mia pancia hai sempre respirato<br />
da sola per fortuna, i medici hanno solo aggiunto una<br />
piccola percentuale di ossigeno nell’ ambiente che ora ti<br />
ospita. Oggi ci hanno dato buone notizie: niente infezioni,<br />
ti sei scaricata bene, il tuo cervello si sta adattando bene<br />
alle pressioni esterne ma la cosa meravigliosa è che ci<br />
hanno permesso di toccarti ed è stato un momento unico.<br />
Sei minuscola e perfetta e delicata e remota ed<br />
enigmatica e buffa e indifesa e tenera e bellissima e<br />
terribile. Sei il nostro cucciolo minimo e assomigli tanto al<br />
tuo fratellino quando era appena nato.<br />
Ci hanno detto che dovrai rimanere qui un paio di mesi.<br />
Da domani inizieranno a somministrarti piccole quantità<br />
del colostro che raccolgo per te con l’aiuto di un tiralatte<br />
nell’attesa che arrivi la montata lattea. Domani poi mi farò<br />
dimettere e quindi inizierò a fare la spola tra ospedale e<br />
casa. Non solo non abitiamo più lo stesso corpo già da un<br />
interminabile giornata ma tra qualche ora non passeremo<br />
più le notti sotto lo stesso tetto se pure su piani ed in<br />
ambienti diversi.<br />
Ho bisogno di tenerti fra le braccia, ho bisogno di riaverti<br />
con me per stabilire un nuovo contatto che non proceda<br />
più dall’interno ma dalla superficie delle pelli dritto<br />
ai nostri cuori.<br />
Benvenuta figlia mia.
QUESTIONI DI COPPIA<br />
ARRIVANO I FIGLI:<br />
COPPIA CHE CRESCE,<br />
CHE RESISTE<br />
O CHE SCOPPIA.<br />
RIPROGETTARE OGNI GIORNO,<br />
NIENTE È SCONTATO<br />
Ti colpisce. Lo si sa da sempre:<br />
Eros ha arco e frecce.<br />
Incontri uno e ti colpisce. Chissà poi<br />
perché proprio quello lì. Somiglia a<br />
qualcuna delle tue fantasie; sì,<br />
dev’essere così.<br />
Non l’hai mai visto prima, eppure ti<br />
ricorda qualcosa o qualcuno, è come<br />
se lo riconoscessi. Magari è tutto<br />
diverso da quello che pensavi essere<br />
l’uomo ideale. Ma t’accorgi d’un botto<br />
che fino a lì ti eri sbagliata.<br />
Cercare di capire il perché non ha<br />
senso: non è che puoi procedere<br />
attraverso logica e razionalità, è una<br />
cosa che ti capita, in cui ti muovi<br />
trasognata. Ma ti viene da pensare:<br />
di chi mi sono innamorata? Di quello<br />
lì davanti o di quello sfuggente<br />
riflesso, di quell’immagine che va a<br />
spasso dentro la mia testa?<br />
Innamorarsi è un po’ realtà e un po’<br />
illusione.<br />
Ma in fondo non importa: né di chi,<br />
né perché.<br />
Innamorate ci si sente ricolme di<br />
forza e di vita, capaci di qualunque<br />
sfida, sostenute in qualsiasi fatica,<br />
pronte ad abbassare le difese e a<br />
mettersi in gioco, a cambiare se<br />
stesse e a cambiare il mondo.<br />
Sarebbe bello procedere così<br />
nell’innamoramento, come in surf<br />
sulle onde, spinte in alto e avanti da<br />
forze potenti, da cavalcare così come<br />
vengono, senza porsi nemmeno il<br />
problema di governarle…<br />
No, non dura. Un innamoramento<br />
non dura: a un certo punto l’onda si<br />
sgonfia. Forse è perché si fiuta il<br />
pericolo di perdere contatto con la<br />
realtà. Si sente il bisogno di<br />
accertare, si vuole sapere, si è<br />
costrette a prendere atto che quello<br />
lì e l’altro in testa non sono la stessa<br />
cosa. Che bisogna rifare i conti,<br />
perché se quei due hanno qualcosa<br />
in comune, qualcos’altro invece no,<br />
e la cosa non quadra. Di frequente è<br />
un momento di delusione.<br />
Il desiderio di restare in coppia,<br />
l’avere progetti in comune magari<br />
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APRILE 2010 - UOVO 25<br />
proprio un progetto riproduttivo a<br />
volte è un potente motore, capace di<br />
spingere un amore oltre la zona di<br />
turbolenza, alla ricerca di un altro e<br />
più profondo contatto, che comporta<br />
una corrispondenza più intima, ma<br />
anche il riconoscimento e il rispetto<br />
dell’alterità, quel tanto di mistero che<br />
resta per l’uno il sentire dell’altro.<br />
C’è un requisito irrinunciabile, io lo<br />
chiamo generosità.<br />
Non so definirlo meglio.<br />
Pensare, decidere di fare figli<br />
alimenta un amore? Direi di sì,<br />
perché mette in gioco, mette in moto<br />
la generosità, il desiderio di destinare<br />
risorse ed energie a qualcuno<br />
gratuitamente, senza attendere<br />
contropartita. Due genitori in questo<br />
stato di grazia, sostenuti da questo<br />
slancio di generosità, possono<br />
compiere assieme e spontaneamente<br />
anche quello sforzo di riconoscimento<br />
e di accettazione reciproca, che li<br />
aiuta a rimanere insieme, a maturare<br />
assieme un sentimento amoroso<br />
diverso, più consapevole dei pregi e<br />
dei difetti, dei punti di forza e di<br />
debolezza di ciascuno, più tollerante<br />
e ironico.<br />
Perché allora tante coppie non<br />
reggono, perché l’arrivo dei figli<br />
costituisce un banco di prova così<br />
duro da farne saltare un buon<br />
numero?<br />
L’altro giorno cercavo di spiegare a<br />
un giovane amico, alle prese con<br />
problemi di coppia, la decisiva<br />
importanza della generosità. E lui, di<br />
rimando: guarda, c’è un’altra parola<br />
chiave, altrettanto importante:<br />
reciprocità. Se il concedere dell’uno<br />
viene inteso dall’altro come segno di<br />
debolezza; se il recedere da una<br />
posizione viene avvertito come resa;<br />
se la gratuità viene scambiata con la<br />
sottomissione; se anziché una gara<br />
di generosità si mette in scena una<br />
trattativa; se ogni occasione è buona<br />
per misurarsi in una prova di forza…<br />
Ecco, in queste condizioni viene<br />
meno la reciprocità. Allora la<br />
generosità unilaterale non solo è<br />
PERAMORE<br />
<strong>La</strong>ura V., mamma<br />
inutile, ma controproducente. Dice lui.<br />
Avrà ragione? Allora devo essere<br />
grata al destino di avere sperimentato<br />
la mia storia d’amore in una<br />
condizione di reciprocità. Abbiamo<br />
stretto un patto, il mio uomo ed io, e<br />
risolutamente: essere l’uno per l’altro,<br />
fare della famiglia il perno della nostra<br />
vita affettiva, farne un luogo<br />
accogliente per i figli e anche per tutti<br />
quegli altri che, pur esterni al nucleo,<br />
stanno a cuore a noi e a loro.<br />
Quello che è seguito le esperienze<br />
condivise di gioia e dolore hanno<br />
rafforzato la nostra coesione. Lo stare<br />
assieme attenendoci a quel patto<br />
continua ad alimentare l’amore. Forti<br />
di questo terreno comune, noi due<br />
abbiamo finito col conoscere e<br />
dialogare l’uno con i pensieri dell’altro<br />
senza quasi più bisogno di formulare<br />
parole.<br />
Basta che mi guardi per capire cosa<br />
penso, basta che lo guardi: so che ha<br />
le sue zone d’ombra e le rispetto e<br />
lui le mie. Basta che mi tocchi perché<br />
io capisca quello che prova in quel<br />
momento, basta che lo tocchi e lui<br />
capisce.<br />
Certe volte il desiderio si assopisce,<br />
certe volte di nuovo si risveglia.<br />
È il suo a volte a chiamare il mio,<br />
altre volte è il contrario. Capita pure<br />
che l’uno chiami e l’altro non ascolti,<br />
bisogna avere pazienza. Capita<br />
anche che l’uno avverta che il<br />
desiderio dell’altro si sta volgendo<br />
altrove, e allora<br />
bisogna nuotare<br />
controcorrente:<br />
che fatica!<br />
Ma, almeno fino<br />
ad ora, abbiamo<br />
sempre poi<br />
ritrovato l’intesa<br />
e la gioia primitiva<br />
del sesso e anche<br />
questa è una<br />
bellissima cosa,<br />
che ci aiuta a stare<br />
uniti. Mi piace<br />
pensare che<br />
invecchieremo<br />
assieme.<br />
Vedi<br />
quando ci penso<br />
penso<br />
se te ne andrai<br />
ti troverò…<br />
Vedi<br />
quando ci penso<br />
penso<br />
se me ne andrò<br />
mi troverai…<br />
in te
Prego, avanti: entra pure. In Morgantini<br />
specialità di casa è far bambini:<br />
allestir loro quanto più dolce ingresso;<br />
spianar la strada, per quanto c’è concesso;<br />
aiutarli nel mentre, aiutarli nel poi<br />
a trovare un bel posto qui tra noi.<br />
Tutto questo richiede mamme attente,<br />
tanto più forti quanto più contente…<br />
Giunge ciascuna qui con la sua storia<br />
impressa d’esperienza e di memoria.<br />
Con altre esplora la sua condizione:<br />
sostegno e forza è la condivisione.<br />
Stolti giudizi calan come scure,<br />
tolgono il fiato inutili paure?<br />
Metabolizza il gruppo l’apprensione:<br />
si scioglie l’ansia e cala la tensione.<br />
Con quotidiano impegno e grande lena<br />
le operatrici curano la scena.<br />
Chi pulisce e cucina con destrezza,<br />
ché l’ambiente accogliente ognuno apprezza:<br />
questa è Edi. Chi invece, defilato,<br />
fa un buon lavoro di segretariato:<br />
questa è Maura, s’intende – e qui vi aggiorno:<br />
quando non c’è, è di là a suonare il corno. C’è l’altra Nadia: specchio di pazienza,<br />
Le ostetriche si scelgon per la vita:<br />
c’è Nadia, la decana, ch’è partita<br />
lasciando tutte tristi per l’assenza<br />
senza più il suo consiglio e l’esperienza:<br />
“Lungi da qui giudizi e prescrizioni,<br />
son della mamma scelte e decisioni!”<br />
Ma c’è chi ormai da lungi l’ha affiancata<br />
e chi con lei è cresciuta e s’è affrancata.<br />
QUELLE DI CASA<br />
che può stupire in quanto a intraprendenza.<br />
C’è Paola: lascia ogni altra a mezza via<br />
quando si tratta di tecnologia.<br />
Ce n’è altre due, son giovani e son toste<br />
sanno dar le attenzioni e le risposte:<br />
Ilaria tutta pepe ed Eleonora.<br />
Come aver fatto senza fino ad ora?<br />
Poi delle educatrici è il folto stuolo.<br />
C’è Francesca del nido, colta al volo:<br />
s’è posata un momento, per provare,<br />
tanto è piaciuta e ha scelto di restare.<br />
C’è Paola che declina, col suo stile,<br />
curiosamente un titolo al maschile.<br />
Maria Luisa i bimbi al nido osserva<br />
l’adorano i bebè, senza riserva.<br />
Alta tra tutte è Lidia, caposcuola;<br />
ora che Nadia va, si sente sola.<br />
Presenti dall’inizio, mai arrese<br />
coerenti fino in fondo in queste imprese<br />
le due, solidalmente, fino a qua<br />
han garantito la continuità.<br />
Se sei curiosa e ancora non persuasa<br />
vieni a trovarci nella nostra <strong>Casa</strong>.