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Speciale - La Via Lattea Casa Maternità

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Anno XVIII<br />

Numero speciale - marzo 2011<br />

IL FOGLIO DELLE MAMME, DEI PAPÀ, DEI BIMBI<br />

DELLA<br />

20<br />

LA CASA DI MATERNITÀ COMPIE ANNI<br />

Associazione <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong> <strong>La</strong> <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea<br />

<strong>Via</strong> Morgantini 14 - 20148 - Milano - Tel/fax 02.890.77.589<br />

www.casamaternita.it – E-mail: info@casamaternita.it


S O M M A R I O<br />

3 OFFICINA MATERNITÀ<br />

Nadia Morello, ostetrica<br />

7 PERCHÈ L’UOVO<br />

<strong>La</strong> redazione<br />

LUGLIO 1994 - UOVO 0<br />

7 LE VISPE TERESE<br />

NON CERCATELE QUI<br />

<strong>La</strong>ura V., mamma<br />

NOVEMBRE 2009 - UOVO 24<br />

8 LE MUCCHE E ALTRI ANIMALI<br />

Manuela M., mamma<br />

DICEMBRE 1994 - UOVO 1<br />

8 MUCCA È BELLO!<br />

Nadia Morello, ostetrica<br />

DICEMBRE 1994 - UOVO 1<br />

9 CARO PEDIATRA<br />

NON AVRAI MIO FIGLIO!<br />

Orietta M., mamma<br />

GIUGNO 1995 - UOVO 2<br />

9 CIASCUNO AL SUO POSTO<br />

Massimo Agosti, pediatra<br />

GIUGNO 1995 - UOVO 2<br />

10 LA FUGA<br />

<strong>La</strong>ura V., mamma<br />

DICEMBRE 1995 - UOVO 3<br />

10 LA SAGGEZZA È DEI PICCOLI<br />

Lidia Magistrati, educatrice<br />

DICEMBRE 1995 - UOVO 3<br />

11 LA GIOIA RIEMPIE QUEL CHE<br />

IL DOLORE HA SCAVATO<br />

Anna Mancini, ostetrica<br />

GIOUGNO 1996 - UOVO 4<br />

12 SULLA SOGLIA<br />

Cristina B., mamma<br />

DICEMBRE 1996 - UOVO 5 - DI FRONTE AL PARTO<br />

13 CREDETEMI, È MEGLIO IL PONGO<br />

Maria Paola Q., mamma<br />

GIUGNO 1997 - UOVO 6 - L ’ IDENTITÀ BAMBINA<br />

14 GRANDE PER SEMPRE<br />

Cristina B., mamma<br />

DICEMBRE 1997 - UOVO 7 - IL GIOCO<br />

15 PIÙ BESTIA DI PRIMA<br />

<strong>La</strong>ura V., mamma<br />

SETTEMBRE 1998- UOVO 8 - IL LAVORO<br />

16 ZENOBIA<br />

Anna Mancini, ostetrica<br />

DICEMBRE 1998 - UOVO 9 - MUTAMENTO<br />

17 LUI MI HA LASCIATA!<br />

Gabriella M., mamma<br />

MARZO 1999 - UOVO 10 - IL DISTACCO<br />

18 IN UN’ALTRA DIMENSIONE<br />

Marco B., papà<br />

SETTEMBRE 1999 - UOVO 11 - PADRI IN OPERA<br />

19 AFFINITÀ<br />

Giuliana L., mamma<br />

MARZO 2000 - UOVO 12 - TRA MADRI E FIGLIE<br />

20 LO SBALLO<br />

Silvia P., mamma<br />

SETTEMBRE 2000 - UOVO 13 - IL NUTRIMENTO<br />

21 TENERISSIMI DITTATORI<br />

Monica L., mamma<br />

MARZO 2001 - UOVO 14 - IL SONNO<br />

22 LA CASA È UN TEMPIO<br />

Anna Mancini, ostetrica<br />

GIUGNO 2002 - UOVO 15 - RICOSTRUZIONE<br />

22 UN LUOGO, UN TEMPO<br />

Chiara V., mamma<br />

GIUGNO 2002 - UOVO 15 - RICOSTRUZIONE<br />

23 QUEL LUPO<br />

CHE AMA L’AUDIENCE<br />

Chiara V. mamma<br />

MARZO 2003 - UOVO 16 - IL LUPO CATTIVO<br />

24 L’HABITAT SONO IO<br />

Silvia B., mamma<br />

MARZO 2004 - UOVO 17 - HABITAT<br />

25 INTRECCIARE IL CORDONE<br />

Gabriella M., mamma<br />

NOVEMBRE 2004 - UOVO 18 - CHE PAURA, CHE VOGLIA…<br />

26 ULTIMO SGUARDO ALLA PANCIA<br />

Judith M., mamma<br />

NOVEMBRE 2005 - UOVO 19 - SESSUALITÀ<br />

27 BOMBE SEXY (ALLA CREMA)<br />

Barbara, mamma<br />

NOVEMBRE 2005 - UOVO 19 - SESSUALITÀ<br />

28 VUOI METTERE?<br />

Barbara S., mamma<br />

GIUGNO 2006 - UOVO 20 - GRAVIDANZA: LE SCELTE<br />

29 D’AMORE E D’OMBRA<br />

Marina V., mamma<br />

APRILE 2007 - UOVO 21 - IL LATO OSCURO<br />

30 GENITORI BELLI, MAGRI,<br />

RIPOSATI E DI SUCCESSO<br />

Allen M., papà<br />

APRILE 2008 - UOVO 22 - SUPEREROI<br />

31 LOTUS BIRTH, PERCHÉ<br />

È LA NASCITA SENZA VIOLENZA<br />

Elena, mamma<br />

APRILE 2008 - UOVO 22 - SUPEREROI<br />

32 LA MAMMA È TUTTA MIA<br />

Judith M., mamma<br />

APRILE 2009 - UOVO 23 - LA GELOSIA<br />

33 NON ANCORA ATTESA<br />

<strong>La</strong>ura C., mamma<br />

NOVEMBRE 2009 - UOVO 24 - LE ASPETTATIVE<br />

34 PERAMORE<br />

<strong>La</strong>ura V., mamma<br />

APRILE 2010 - UOVO 25 - QUESTIONI DI COPPIA


L’UOVO<br />

Periodico semestrale<br />

della Associazione<br />

<strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong><br />

“<strong>La</strong> <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea”<br />

Anno XVIII<br />

Numero speciale<br />

per il ventennale della <strong>Casa</strong><br />

marzo 2011<br />

Direttore Responsabile<br />

Giuliana Licini<br />

Redazione<br />

Cristina Balbiano ­ Simona Erotoli<br />

Judith Mangolte ­ Cinzia Paris<br />

<strong>La</strong>ura Valugani ­ Marina Vaccaro<br />

Supervisione<br />

Lidia Magistrati<br />

Nadia Morello<br />

Paola Olivieri<br />

Grafica e impaginazione<br />

<strong>La</strong>ura Valugani<br />

L’Uovo<br />

Autorizzazione del Tribunale<br />

di Milano<br />

N° 314 del 11/05/1996<br />

Editore/Redazione<br />

Associazione <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong><br />

“<strong>La</strong> <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea”<br />

<strong>Via</strong> Morgantini, 14<br />

20148 MILANO<br />

Tel/fax 02.890.77.589<br />

c.c.p. n° 37347200<br />

www.casamaternita.it<br />

E­mail: info@casamaternita.it<br />

Stampato in proprio<br />

Ogni prestazione in merito ad articoli,<br />

foto, disegni e varie, si intende offerta<br />

alla rivista L’Uovo completamente a<br />

titolo gratuito.<br />

Gli autori si assumono la piena<br />

responsabilità<br />

civile e penale per le affermazioni<br />

contenute nei loro testi.<br />

È vietata ogni riproduzione,<br />

anche parziale, di testi, foto e disegni<br />

senza autorizzazione scritta.<br />

3<br />

Officina maternità<br />

Nadia Morello, ostetrica<br />

Era il secolo scorso. Vien da ridere, ma è la realtà.<br />

1990, nasce Giulia ed è la prima bimba della <strong>Casa</strong> del Parto.<br />

Dal dopoguerra, negli ospedali italiani e anche milanesi le donne partoriscono in<br />

un’unica posizione, quella supina. E sono sole. Poggiano le gambe sui gambali di<br />

metallo, dove vengono fissate con cinghie, e coperte con telini sterili, e vengono<br />

incitate a spingere, sia che avvertano premiti oppure no. Quando il bimbo affiora,<br />

spesso molto prima, si pratica l’episiotomia nella quasi totalità dei casi. Il vecchio<br />

cattedratico della Mangiagalli diceva che questo avrebbe protetto i bambini più<br />

piccoli da un’eccessiva pressione sulla testa. I bambini più grossi invece avrebbero<br />

potuto creare lacerazioni importanti alla mamma e quindi… episiotomia per<br />

proteggere lei. Se la cavano solo le donne con bambini così veloci da sgusciare<br />

prima che le ostetriche facciano in tempo ad afferrare le forbici.<br />

<strong>La</strong> natura matrigna ha deciso che nel parto, sempre, qualcuno può far male a<br />

qualcun altro. Noi ostetriche usciamo dalle università con questo implicito<br />

insegnamento.<br />

Ma negli anni ‘80 c’è fermento. Oltre alla Milano da bere, c’è anche una Milano che,<br />

sul fronte nascita, si interroga su come si possa essere arrivati a trasformare il<br />

parto in un’esperienza di totale solitudine, espropriazione del corpo e<br />

dell’esperienza, separazione tra madri e figli, allontanamento dei padri. Perché il<br />

percorso del divenire madri, e il parto in special modo, anziché rendere le donne più<br />

forti, più consapevoli, più orgogliose, le fa sentire più fragili, incompetenti,<br />

colpevoli?<br />

Ci sono gestanti che se lo chiedono e anche operatori.<br />

Da coloro che si interrogano prendono il via alcune iniziative. Modifiche di alcune<br />

procedure nei reparti maternità e nelle nursery, parti a domicilio, convegni a cui<br />

vengono invitati ospiti stranieri che narrano di altri approcci, altre procedure. Si<br />

nominano le Case del parto.<br />

Ai piedi della Montagnetta di San Siro c’è un Istituto per ragazze madri, un ente<br />

all’avanguardia, voluto da un personaggio geniale ed eccentrico, Elda Scarsella: ha<br />

quasi novant’anni e una segretaria danese, Connie, che è anche educatrice alla<br />

nascita. <strong>La</strong> vecchia presidente ha viaggiato molto negli ultimi anni insieme a<br />

Connie. Hanno conosciuto i coniugi Klaus, i loro studi sui neonati e sulle loro<br />

competenze, sull’importanza delle prime ore di vita. Li hanno anche ospitati al<br />

Villaggio, dove esiste dagli anni ‘50 una sala parto per far nascere i bimbi senza<br />

allontanare le ragazze dall’ambiente conosciuto e protetto. Lì si sa che una buona<br />

nascita favorisce una buona relazione fra la madre e il bambino, ma la sala parto da<br />

qualche anno resta vuota. Connie si mette in moto con determinazione e stile<br />

scandinavo. Vuole riattivarla e aprirla anche per le donne esterne. Reperisce fondi e<br />

trasforma la vecchia sala parto in una <strong>Casa</strong> del Parto. Invita ostetriche, ginecologi e<br />

pediatri ad avviare il progetto. Accettiamo in pochi: io, Anna, Francesca e Mercedes<br />

come ostetriche, Massimo come pediatra, Beppe come ginecologo. Del Villaggio<br />

collaborano, oltre a Connie che coordina, Lidia, educatrice, Graziosa, vigilatrice<br />

d’infanzia e Antonietta, che ha accudito la casa per tanti anni e anche noi, con tazze<br />

calde e fumanti.<br />

È febbraio quando nasce Giulia. Non ricordo il giorno, ma Lidia lo sa di sicuro. Per<br />

quanto mi sforzi, le date precise mi restano impresse per un anno, non di più. Poi<br />

rimangono i: ”faceva un gran caldo, era autunno, durante la nevicata di aprile,<br />

quella notte di pioggia torrenziale, c’era lo Smau ed è rimasta bloccata in<br />

autostrada, è nato il giorno del convegno al Mario Negri, era il compleanno di<br />

Ilaria”. Se però si chiede a Lidia, lei il giorno lo sa. E ricorda anche i nomi di tutti i<br />

bambini, sempre. Comunque, tornando a quei giorni di febbraio, posso dire che lì<br />

ho imparato l’attesa. Chi sapeva nulla delle ore e dei giorni che precedono il<br />

travaglio delle altre donne? Nelle sale parto arrivavano solo donne che avevano già<br />

un po’ di dilatazione. Se non ce n’era, venivano rispedite a casa, oppure ricoverate<br />

con assistenza attiva: se c’erano contrazioni spontanee con un centimetro di<br />

dilatazione ogni ora, bene, altrimenti avanti con la rottura del sacco e l’ossitocina: il<br />

tutto non doveva superare le nove ore (era di moda il modello ostetrico<br />

irlandese..). Isa non aveva contrazioni regolari e sono andata avanti e indietro da


4<br />

casa sua per un paio di giorni. Tutti gli indicatori erano di<br />

salute per lei e per la bimba, ma fino a quando si poteva<br />

aspettare? Madre e figlia lo hanno deciso.<br />

Nella foto dei vent’anni della <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong> Giulia è<br />

dietro, non poteva mancare.<br />

I primi tre anni ho passato centinaia di ore in macchina<br />

sotto casa con Anna. Ogni nascita la passavamo al<br />

setaccio, ogni procedura la mettevamo in discussione.<br />

Ogni racconto dei giorni di puerperio era fonte di<br />

riflessione e spunto per cambiare. Meno visite, meno<br />

parole, meno indicazioni. Dovevamo imparare a stare e<br />

togliere tutto il superfluo. Le mani visitavano sempre<br />

meno e massaggiavano di più, sostenevano, porgevano<br />

acqua e asciugavano la fronte. E nei travagli, nei parti,<br />

nei puerperi, i sensi e l’intuito prendevano sempre più<br />

spazio accanto al nostro “sapere”.<br />

Assistere i parti non basta, serve a poco. Dobbiamo<br />

conoscere le donne prima, conduciamo anche noi i corsi<br />

insieme a Connie. Ma ancora non è sufficiente, le donne<br />

arrivano dopo mesi di deleghe ai ginecologi, alle<br />

ecografie, alle tecniche diagnostiche. Ogni passo sembra<br />

allontanarle da quel che avviene dentro di loro e<br />

impaurirle. Come facciamo a modificare, alla fine, cose<br />

che andrebbero impostate all’inizio? Decidiamo di seguire<br />

le gravidanze. Fa parte delle nostre competenze, ma<br />

sono pochissime le ostetriche che lo fanno in Italia. Forti<br />

delle pubblicazioni che dimostrano i migliori esiti delle<br />

gravidanze fisiologiche seguite da ostetriche, diamo il via<br />

anche a questo. <strong>La</strong> trama si compone, il parto si allaccia<br />

alla gravidanza: e poi?<br />

Aumenta e cambia l’attività del dopo parto. Dalla nascita<br />

ai quattro mesi non vedevamo più le donne.<br />

Ricomparivano ai gruppi gioco bimbi con Lidia, ma nel<br />

periodo intenso e faticoso delle prime settimane e degli<br />

allattamenti noi ostetriche non c’eravamo. Decidiamo di<br />

iniziare i gruppi da subito dopo il parto e le donne,<br />

nonostante le difficoltà, vengono! Il rapporto tra<br />

ostetriche ed educatrice cambia. Capiamo che facciamo<br />

lo stesso lavoro, con le donne e con i bambini. Prima, su<br />

binari paralleli, con pochi momenti di incontro; ora<br />

realizziamo un filo continuo, con passaggio di testimone.<br />

Le ostetriche approfondiscono la conoscenza del binomio<br />

madre­figlio e l’evoluzione della crescita dei bimbi,<br />

l’importanza di un’educazione rispettosa della “persona<br />

bambino”. L’educatrice integra la storia della coppia<br />

mamma­bimbo che ha davanti con gli avvenimenti della<br />

gravidanza, della nascita, dell’allattamento e con le<br />

tracce che hanno lasciato.<br />

In questo lavoro di armonizzazione tra le nostre<br />

professioni un grande ruolo lo assume Elettra, la nostra<br />

psicologa, ed è con lei che possiamo affrontare anche<br />

momenti di aspro confronto tra noi, quando le tensioni e<br />

le divergenze d’idee sembrano minare il progetto<br />

comune.<br />

Connie ci lascia, torna in Danimarca. Il Villaggio non<br />

riesce più a sostenere le spese della <strong>Casa</strong> del Parto. <strong>La</strong><br />

scelta è tra chiudere o assumerci anche la parte<br />

gestionale. Ci buttiamo, vogliamo provare, e diventiamo<br />

Associazione.<br />

Nel nostro Statuto inseriamo i genitori tra i Soci.<br />

Ci sembra che una riflessione e una proposta di<br />

cambiamento sociale importante nei confronti di come si<br />

nasce non possa rimanere prerogativa degli operatori.<br />

<strong>La</strong> voce dei genitori è fondamentale.<br />

Il gruppo è cambiato, non ci sono più Francesca, Massimo


e Graziosa. Mercedes riduce la collaborazione per motivi<br />

di salute.<br />

Rimaniamo noi tre: Anna, Lidia e Nadia. Sono anni<br />

impegnativi. Assistenza alla gravidanza, ai parti, agli<br />

allattamenti; gruppi per tutto il primo anno di età;<br />

gestione economica della baracca. E il clima del rapporto<br />

con gli ospedali è di tolleranza, ma c’è disapprovazione di<br />

fondo. <strong>La</strong> presenza di Beppe come ginecologo prima al<br />

Buzzi, poi a Sesto, infine ancora al Buzzi, garantisce quel<br />

collegamento con l’ospedale che dovrebbe esserci per<br />

ogni <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong> e impedisce che ci caccino quando<br />

accompagniamo o<br />

trasferiamo qualcuna,<br />

ma non evita commenti<br />

e battute a noi e alle<br />

donne che scelgono la<br />

nostra assistenza.<br />

Ma non è un fronte<br />

compatto, iniziamo ad<br />

avere anche<br />

manifestazioni di stima e<br />

rispetto, alcune<br />

ostetriche cominciano ad<br />

approfittare della nostra<br />

presenza per assistere in<br />

posizioni alternative e,<br />

se ci siamo noi, evitano<br />

le episiotomie e i tagli<br />

immediati del cordone<br />

ombelicale. Sono<br />

conquiste enormi. Nel<br />

nostro gruppo arriva<br />

Susanna a dare una<br />

ventata di energia e<br />

Sandra si presta a<br />

sostituirci per le vacanze<br />

o a supportarci quando<br />

ci sono molte<br />

reperibilità. Non<br />

troviamo altre ostetriche<br />

disposte a questo lavoro.<br />

Forse hanno ragione,<br />

chissà. Coinvolgimento e<br />

responsabilità sono tanti,<br />

la reperibilità continua.<br />

<strong>La</strong> passione che trapela<br />

dal nostro lavoro<br />

allontana anziché<br />

attirare. Succede lo<br />

stesso a chi partorisce<br />

alla <strong>Casa</strong> del Parto: le<br />

coppie vorrebbero<br />

trasmettere ad altri<br />

entusiasmo e<br />

coinvolgimento, ma la reazione è contraria, la loro<br />

esperienza è vista con sospetto e diffidenza. L’ostetricia<br />

ufficiale naviga verso un aumento della tecnologia e della<br />

delega e noi nuotiamo controcorrente, come i salmoni.<br />

Speravamo in un rapido aumento delle richieste di parto<br />

e speravamo in un riconoscimento da parte della<br />

Regione, con rimborso alle donne per le spese sostenute,<br />

ma su questo fronte troviamo solo porte chiuse. Eravamo<br />

fermamente convinte che le Case del parto si sarebbero<br />

diffuse in tutta Italia, come era avvenuto in Germania.<br />

Non succede nulla di tutto ciò. C’è però una nuova<br />

5<br />

nascita: nel 1994 esce il primo numero dell’Uovo: un<br />

vero giornale, che racconta di storie e raccoglie riflessioni<br />

di chi passa dalla <strong>Casa</strong>. Sentiamo sempre più solido il<br />

legame con le donne.<br />

1995­2000<br />

Siamo un piccolo gruppo, il costo del parto è a carico<br />

delle famiglie e la nostra unica pubblicità è il<br />

passaparola. Non mancano i momenti di rabbia e di<br />

sconforto. Nonostante ciò, il progetto continua e si<br />

modifica costantemente. Il nome <strong>Casa</strong> del Parto non si<br />

addice più a quello che<br />

facciamo, ci vuole una<br />

definizione che spieghi<br />

meglio la specificità di<br />

questo posto.<br />

Diventiamo <strong>Casa</strong> di<br />

<strong>Maternità</strong>. Nasce il<br />

nome:”<strong>La</strong> <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea”.<br />

E continuano a nascere<br />

bambini. Cinzia<br />

partorisce in un’ora il<br />

suo primo figlio,<br />

Manuela ci impiega due<br />

giorni. Nei corsi le<br />

donne ci chiedono<br />

quanto può durare il<br />

travaglio e noi:<br />

”dipende”. Abbiamo<br />

capito da tempo che<br />

nessuna regola è valida<br />

e ogni parto è a sé, ogni<br />

nascita sarà unica.<br />

Siamo invitate a<br />

convegni e la domanda<br />

costante è ”quanti parti<br />

fate?”. I nostri numeri<br />

fanno sorridere,<br />

nessuna riflessione sulle<br />

bassissime percentuali<br />

di tagli cesarei nelle<br />

nostre trasferite e sugli<br />

allattamenti prolungati.<br />

Sembra che buona<br />

assistenza sia solo<br />

quella che fa numero, la<br />

buona qualità degli esiti<br />

e la soddisfazione<br />

dell’utenza sembrano<br />

contare poco.<br />

Al nostro interno<br />

discutiamo, ci<br />

arrabbiamo. <strong>La</strong> fatica si<br />

riflette sulla nostra vita<br />

privata, ma andiamo avanti e arricchiamo la proposta: i<br />

gruppi di psicomotricità, la danza del ventre per le bimbe<br />

che abbiamo visto nascere, i corsi per le ostetriche,<br />

l’acquaticità per le gestanti e per i bimbi.<br />

Susanna se ne va.<br />

Al Villaggio l’aria è cambiata. Non sono più i tempi della<br />

vecchia signora. L’amministrazione ha paura del parto,<br />

non lo vuole più tra le sue mura. Non ci rinnova il<br />

contratto e ci ingiunge d’andarcene. Siamo<br />

un’Associazione Culturale senza fondi, dove andiamo?<br />

Proviamo a resistere, ma alle donne che vengono a


chiedere il parto non possiamo garantire nulla. Molte se ne<br />

vanno. Dall’oggi al domani ci viene impedito di assistere le<br />

ragazze del Villaggio, anche quelle ormai prossime al parto.<br />

L’idea di riuscire anche altrove è lentissima ad affiorare, ci<br />

impieghiamo quasi due anni a metabolizzarla.<br />

Una domenica di primavera del 2001 ci congediamo con<br />

una splendida festa: centinaia di grandi e piccini, torta<br />

gigante, foto per chi è nato sul lettone, canti e balli in<br />

giardino, la signora vestita di viola: addio Villaggio, e<br />

grazie.<br />

2001 ­ 2003<br />

<strong>Via</strong> Solari, un piccolo ufficio. Elisa ed Enrico hanno avuto<br />

con noi i loro bimbi. Ce lo prestano. È il tempo dei progetti.<br />

Che aspetto dare alla nuova <strong>Casa</strong>? Centro di salute per la<br />

donna… abbiamo visto un asilo dismesso in via Uruguay. Ci<br />

starebbero i parti, il nido, l’hammam. Anna guarda lontano,<br />

scrive un progetto. Le banche non ci considerano e gli<br />

amministratori pubblici nemmeno, il parto non è mai stato<br />

politicamente interessante. Io e Chiara, una delle mamme,<br />

andiamo a caccia della nuova sede: appartamenti,<br />

laboratori, villette, magazzini, loft: troppo grandi, troppo<br />

costosi, troppi lavori da fare, troppo lontano dai mezzi.<br />

Lidia continua, tenace, con i gruppi; ma sembra che la<br />

nostra esperienza non abbia futuro. Anna ci lascia, parte<br />

per la sua ricerca personale. Dicembre 2002. A fine anno<br />

chiuderemo l’Associazione. Siamo rimaste in due, io e<br />

Lidia. Non si può dire che non c’abbiamo provato. Un<br />

ultimo tentativo: un appartamento in via Morgantini e lo<br />

andiamo a vedere insieme. A metà corridoio, mentre la<br />

proprietaria cerca di capire a cosa ci servirebbero i locali,<br />

decidiamo di prenderlo in affitto. E per la prima volta<br />

troviamo una persona che non solo non si spaventa, ma si<br />

entusiasma all’idea che nella sua casa nasceranno dei<br />

bambini.<br />

2003 – 2010<br />

I lavori di adeguamento per sistemare i locali non sono<br />

pochi e le banche non ci concedono prestito, ma davvero le<br />

cose accadono. Riusciamo ad avere un microcredito, come<br />

per i progetti delle donne nell’India rurale. In cinque anni<br />

restituiremo il finanziamento dei lavori che ci è stato dato<br />

da otto persone che hanno partorito con noi, una<br />

ginecologa che condivide gli ideali della <strong>Casa</strong> e un’ostetrica<br />

appassionata. Ma ci sono altri a cui siamo grate:<br />

l’architetto lavora gratuitamente, una mamma ci regala la<br />

moquette, un’altra il condizionatore, un’altra ancora viene<br />

con il suo pancione da settimo mese a decorare il vecchio<br />

armadio. Sentiamo, ancora una volta, la solidarietà di chi ci<br />

ha seguito negli anni. Possiamo continuare, diventiamo<br />

piccola cooperativa. Ci sono stati pochi parti a domicilio<br />

negli ultimi due anni e alcuni accompagnamenti in<br />

ospedale. A febbraio 2003 l’ingresso in Morgantini, a<br />

maggio terminano i lavori, a luglio, nel pieno della calura<br />

milanese nasce la piccola Neve ed inaugura la nuova sede.<br />

Ed è l’energia di Paola che, come un ciclone, travolge me e<br />

Lidia e ci spinge a reinventare la <strong>Casa</strong>. Dopo gli anni vissuti<br />

sulla difensiva per proteggere questa nostra <strong>Casa</strong>, unica in<br />

Italia, è il momento di aprirsi e stabilire nuovi contatti e<br />

Paola è la persona giusta. Iniziamo a collaborare con altre<br />

ostetriche di Milano, Varese, Biella. Sorgono finalmente<br />

altre due Case <strong>Maternità</strong> in Lombardia. Proprio quando<br />

sembra che l’ostilità diminuisca, dobbiamo far fronte ad un<br />

attacco imprevisto: quello dei condomini, che non vogliono<br />

la nostra presenza qui. Temono un via vai di ambulanze a<br />

6<br />

sirene spiegate (troppi telefilm americani), responsabilità<br />

del condominio, infezioni dai nostri rifiuti “contaminati” e<br />

non sappiamo cos’altro. Avversano l’andirivieni delle<br />

mamme e sferrano attacchi ai passeggini fuori posto,<br />

strappano la targa sulla porta, fanno sparire gli zerbini.<br />

Durante i parti notturni usciamo per sentire se i lamenti si<br />

sentono troppo forte.<br />

Ci mandano prima i funzionari della Asl, poi i NAS e infine i<br />

vigili del fuoco. Ma in nessuna ispezione vengono trovate<br />

irregolarità. Un pensiero grato va ad Anna, che nel 2001,<br />

con la sua cocciutaggine e perseveranza, era riuscita a<br />

mettere in piedi una commissione regionale per le linee<br />

guida sui parti extraospedalieri. Mentre le relazioni<br />

condominiali restano tese, i parti aumentano e spunta un<br />

altro fiore all’occhiello della <strong>Casa</strong>: il nido! Tra le eredi di<br />

Elinor Goldschmied, la nostra Lidia ha questo sogno nel<br />

cassetto. Si realizza solo parzialmente. Avremmo voluto un<br />

nido più grande, con più bimbi e più educatrici, ma gli spazi<br />

che troviamo nella scala di fronte sono limitati. Si inaugura<br />

lo stesso e il gioiellino prende il via con Alessandra.<br />

I bambini del nido come le partorienti, come i neonati,<br />

sono persone competenti, che necessitano di attenzione,<br />

rispetto dei bisogni individuali, professionalità e un luogo<br />

protetto per esprimere al meglio le loro capacità.<br />

È Francesca che porta avanti tutto ciò quotidianamente,<br />

con la spalla “solida” di Lidia e il contributo volontario di<br />

Maria Luisa, che da anni ci regala un giorno alla settimana<br />

di riflessione e supporto. Nel 2005 Nadia, la mora,<br />

abbandona le mura sicure dell’ospedale per portare nel<br />

gruppo in espansione il contributo della sua esperienza e<br />

delle sue intuizioni. In contemporanea aumentano le<br />

richieste di parti, sia in <strong>Casa</strong> che a domicilio e con l’arrivo<br />

di Ilaria, l’entusiasta, possiamo assecondarle. Andiamo<br />

nell’Oltrepò, in centro e in periferia, a Bollate e ad Affori,<br />

alla Barona e a Niguarda. Negli uffici anagrafe non è più<br />

così strano vedere il timbro della <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong> sui<br />

certificati del parto. All’interno della <strong>Casa</strong> compare un<br />

fiocco ad ogni nascita e lo guardano incuriosite le mamme<br />

della musica in fasce di Federica, i nonni della<br />

psicomotricità di Marinella e tutti gli altri che partecipano<br />

allo spazio gioco, ai corsi di massaggio di <strong>La</strong>ura, a quelli di<br />

arte terapia di Melania. Claudia, la prima segretaria che ci<br />

siamo potute permettere, ci aiuta a districarci tra i gruppi e<br />

la banca, canta “ciao bambini” e va dal commercialista. Poi<br />

tocca a Maura darci una mano in ufficio mentre la Egi<br />

rinforza il gruppo del settore educativo. Davanti al cesto<br />

dei tesori o tra le zanzare dell’asilo estivo si muove leggera<br />

e competente rifilandoci lezioni di metodo, da anni…<br />

Metodo... “Quale metodo usate per il parto?” ­ chiedono<br />

oggi ad Eleonora le coppie ai colloqui. Lei ricomincia ogni<br />

volta, ultima erede della <strong>Casa</strong>, a spiegare del tempo e delle<br />

posizioni, dell’acqua e del movimento, mentre dalla cucina<br />

arrivano i profumi delle pappe di Edi, e all’immancabile “E<br />

se succede qualcosa?” l’ostetrica si ferma. E accoglie. I<br />

timori se ne andranno, o forse no… dipende.<br />

Dopo vent’anni ho lasciato la <strong>Casa</strong>. Ho vissuto<br />

un’esperienza unica , di ostetricia, di affetti e passioni, di<br />

collaborazione e condivisione sulla scena del parto e nel<br />

lavoro di gruppo.<br />

Ho ascoltato, imparato e imparato e sono cambiata.<br />

Officina maternità prosegue con Lidia e tutte le altre.<br />

Un pezzo del mio cuore sarà sempre con loro.<br />

Giulia ha compiuto i ventuno.


7<br />

PERCHÈ L’UOVO?<br />

<strong>La</strong> redazione<br />

NOVEMBRE 2009 - UOVO 24<br />

Perché è una cellula germinale, piena di potenzialità.<br />

Perché è il simbolo della fertilità.<br />

E qualche volta c’è dentro una sorpresa.<br />

Perché è una buona idea: semplice e geniale come l’uovo<br />

di Colombo.<br />

Perché vuole raccontare storie un po’ diverse dalle solite:<br />

vuole essere l’uovo fuori dal cestino.<br />

Perché vorremmo che fosse pieno, pieno come un uovo:<br />

di voci, di idee, di proposte.<br />

Perché riconosciamo con simpatia nelle sue forme<br />

abbondanti quelle delle nostre pance gravide.<br />

Perché aspiriamo ad ovulare, com’è giustamente nella<br />

nostra natura, con una certa regolarità.<br />

Per annunciarvi, con autoironia:<br />

ABBIAMO FATTO L’UOVO!<br />

Prendetelo com’è, non cercatevi il pelo.<br />

E gustatevelo, allora! È buono e costa poco<br />

Facciamo un giornale?”<br />

“E perché mai?”<br />

“Partoriamo fuori dall’ospedale e la cosa è considerata<br />

con sospetto: raccontiamo com’è!”<br />

“I pregiudizi sulla maternità ammorbano il pensiero<br />

corrente: parliamone in presa diretta!”<br />

Correva l’anno 1993; nel 1994 l’Uovo fu.<br />

In principio era come camminare sulle uova, adesso è<br />

come lanciarsi col parapendio.<br />

In principio eravamo tutte preoccupate di salvaguardare la<br />

sensibilità delle nuove mamme, adesso lasciamo che si<br />

generino risonanze talvolta imprevedibili, senza<br />

mascherare i sentimenti negativi.<br />

In principio ci chiedevamo cos’era opportuno e cosa no,<br />

adesso lasciamo briglie sciolte anche alla trasgressione.<br />

In principio censuravamo, adesso no.<br />

C’ero, ci sono ancora. In principio ero giovane (quasi),<br />

adesso sono vecchia (quasi). L’Uovo è diventato come<br />

l’avevamo pensato: rende testimonianza di parto non<br />

ospedalizzato e dell’esperienza di genitori. A tutto tondo,<br />

lati luminosi e lati oscuri in pari misura.<br />

Poco tempo fa una mamma turbata scriveva alla<br />

redazione: sarebbe bello che tutte le fatiche raccontate<br />

RIPENSANDOCI, DOPO QUINDICI ANNI<br />

Le vispe terese non cercatele qui<br />

<strong>La</strong>ura V., mamma<br />

LUGLIO1994 - UOVO 0<br />

siano messe in una cornice di bellezza.<br />

Ci ho riflettuto, e su questa questione della necessità di<br />

una cornice ancora mi interrogo. Dopo così tanti anni di<br />

redazione io non ho ancora finito di stupirmi di quanto belli<br />

siano i contributi che arrivano.<br />

Intendetemi bene: penso alla bellezza e alla potenza<br />

comunicativa di una madonna in trono, ma anche a quella<br />

di una annunciazione, di una passione e perfino a quella<br />

di una deposizione.<br />

Mica fiori e farfallette: quelli sono corredo per vispe<br />

terese.<br />

Un’immagine bella e potente non ha bisogno di guida né<br />

di contenimento. Perché dovremmo incorniciare?<br />

L’evoluzione dell’Uovo parte da un iniziale e<br />

inconfessabile intento promozionale e arriva a una<br />

riflessione complessa e coraggiosa. <strong>La</strong> sua storia è<br />

metafora della maturazione: dall’insicurezza di gioventù ­<br />

Piacerò? Sarò all’altezza? Come dare la migliore<br />

impressione? E se poi deludo? ­ alla consapevolezza dei<br />

punti di forza e di debolezza propri e altrui, all’esercizio<br />

dell’ironia e alla pratica della tolleranza.<br />

Chissà che le nostre figlie non imparino da noi,<br />

prima di noi.


Le mucche<br />

e altri animali<br />

Manuela M., mamma<br />

Oggi Anna compie sette mesi. Io la guardo mentre<br />

succhia al mio seno e riesco ancora a stupirmi. Ce l’ho<br />

proprio fatta, ma certo! Mi dico.<br />

E mi vengono in mente le parole di Nadia durante il<br />

corso di preparazione al parto: Un giorno che noi<br />

gravide ci chiedevamo se avremmo avuto latte, lei ci<br />

provocò dicendo: “Ma avete mai visto una mucca<br />

senza il latte?”.<br />

E noi zitte.<br />

Poi io ogni tanto mi rispondevo: “Be’, io di mucche non<br />

è che ne ho viste molte in vita mia”.<br />

“Però io non sono mica una mucca”.<br />

“È un dato di fatto che moltissime donne non riescono<br />

ad allattare i loro bambini”.<br />

Senza andare troppo lontano, io Marta l’ho allattata<br />

con fatica per tre mesi, poi ho dovuto cedere<br />

all’aggiunta e, subito dopo, all’allattamento artificiale<br />

completo. Ma perché?<br />

Eppure ero egualmente determinata e la scuola e le<br />

maestre erano le stesse. Forse sono diventate più<br />

brave loro. O forse, continuo a pensare, è una<br />

questione tecnica. Con Anna ho bevuto più tisane al<br />

finocchio, ho cominciato anzi qualche giorno prima di<br />

partorire. Anna stava attaccata tantissimo e succhiava<br />

bene fin dai primi giorni e poi, quando ho avuto i<br />

momenti di calo, mi sono sforzata di credere che era<br />

solo momentaneo, che il latte sarebbe tornato, che<br />

non c’erano motivi perché andasse via (ma il panico,<br />

veramente, l’ho provato lo stesso).<br />

Tutto, ma proprio tutto, razionalizzato, incasellato,<br />

giustificato.<br />

Perché io non sono una mucca e non mi convinco che<br />

è la civilizzazione, nel senso della perdita degli istinti<br />

animali, ad impedire a molte donne di allattare.<br />

Semmai – spiegazione logica – sono i diversi ritmi<br />

di vita che ci impongono modalità di allattamento<br />

incompatibili con una sufficiente produzione di latte.<br />

Ma, insomma, dovrei limitarmi ad essere contenta di<br />

questo risultato e invece continuo a chiedermi il<br />

perché.<br />

Forse perché la mancanza di una spiegazione<br />

convincente mi impedisce ancora, dopo sette mesi,<br />

di essere sicura che potrò allattare anche domani<br />

e dopodomani se lo vorrò.<br />

Mi sento come una che ha vinto un terno al lotto:<br />

felice, ma convinta che si tratta in gran parte di<br />

fortuna e quindi di qualcosa che sfugge a ogni<br />

controllo.<br />

Ma nello stesso tempo sono sicura – e so di<br />

contraddirmi – che non è un caso se la percentuale<br />

di donne che riescono ad allattare i propri figli è<br />

evidentemente (senza bisogno di statistiche) più alta<br />

tra le donne che frequentano la <strong>Casa</strong> del Parto.<br />

Che siano tornate le streghe?<br />

8<br />

DICEMBRE 1994 - UOVO 1<br />

MUCCA È BELLO!<br />

Nadia Morello, ostetrica<br />

Si è appena conclusa la magia della nascita<br />

e ancora la madre non ci crede.<br />

Non crede con la ragione quello che i sensi stanno già<br />

sperimentando: quello che vede è il suo bambino; lo può toccare,<br />

caldo e bagnato, lo sente respirare e piangere, e può aspirare<br />

quel suo unico, irripetibile odore.<br />

Tutto questo tuttavia non basta a convincerla che il parto è finito,<br />

che la nascita è avvenuta… che lei è diventata madre.<br />

Passeranno ore prima che l’eccitazione si plachi e il sonno, tanto<br />

desiderato in travaglio, possa abbracciare i suoi sensi.<br />

Passeranno giorni prima che la sua mano smetta<br />

di andare alla pancia ad accarezzare movimenti ormai lontani.<br />

E quanti mesi ci vorranno per convincerla “dentro” che quel<br />

bambino crescerà e imparerà a dormire, a mangiare, a gattonare,<br />

a guarire dalle febbri, a parlare e…<br />

Nemmeno il latte sfugge alla magia dell’incredulità; è lì che gocciola<br />

e ci si chiede che cos’è (cosa mai potrebbe essere d’altro? Me lo<br />

sono chiesta spesso); bagna gli indumenti e riempie la bocca del<br />

bimbo fino ad uscirne dagli angoli, ma la domanda è spesso:<br />

ce n’è abbastanza?<br />

Ancora una volta i sensi non bastano a tranquillizzare la mamma;<br />

non basta l’espressione beata del pupo, non basta il suo respiro<br />

tranquillo da pappa­nanna, non basta la ciccia<br />

che riempie le tutine e soddisfa le mani di mamma e papà.<br />

Perché è così difficile abbandonare la paura e ammettere:<br />

ok, sono proprio una mamma in gamba?<br />

Che dici, Manuela, è forse questo il nocciolo della questione?<br />

Se è questo, ecco che un secondo o un terzo figlio, arrivando dopo<br />

un’esperienza “dentro” di capacità materna, portano con sé una<br />

maggiore serenità e, decisamente, un minor numero di paure.<br />

Allora anche la crescita “plasmoniana” del proprio figlio non è più<br />

inseguita spasmodicamente e diventa più facile accettare<br />

il suo ritmo individuo, scarso o eccessivo che sia…<br />

È certo che siano tornate le streghe e le magie non sono mai finite.<br />

A te svelarci chi si cela sotto cappello e mantello e qual è la magia!


9<br />

Caro pediatra, non avrai mio figlio<br />

Il pediatra: ci vuole proprio?<br />

È necessario sempre e comunque sottoporre il proprio bimbo<br />

neonato alle attenzioni di un pediatra?<br />

Se il bimbo non ha apparentemente problemi è corretto che<br />

venga visitato dal pediatra, il quale fisserà ritmi e darà<br />

indicazioni più o meno dogmatiche sul suo accudimento?<br />

Vi è in alcune mamme una certa sfiducia e, perché no, anche<br />

risentimento, nei confronti del medico che fissa<br />

Massimo Agosti, pediatra<br />

GIUGNO 1995 - UOVO 2<br />

CIASCUNO<br />

AL SUO POSTO<br />

Premesso che il pediatra deve godere della fiducia da<br />

parte dei genitori, non deve certamente, in virtù della<br />

sua professione, esercitare un suo “potere” personale sui<br />

genitori.<br />

Si devono ricercare nel pediatra quelle caratteristiche di<br />

disponibilità al colloquio e all’ascolto, utili a rafforzare ,<br />

sostenere, rassicurare e responsabilizzare<br />

adeguatamente i genitori nel loro essere conoscitori dei<br />

propri figli, senza imposizioni di sorta.<br />

Anche la vigilatrice d’infanzia è sicuramente una persona<br />

adeguata a questo scopo; deve essere ben preparata ed<br />

avere una sua esperienza in campo pediatrico.<br />

È vero che nella nostra realtà non viene impiegata in<br />

ambito consultoriale, come figura di riferimento per la<br />

mamma, ma bensì come infermiera del pediatra. Il suo<br />

possibile utilizzo con u ruolo a sé stante non è mai stato<br />

preso in considerazione e non è riconosciuto.<br />

D’altro canto, se è vero che il pediatra deve essere colui<br />

che interviene nella patologia, è anche vero che alcune<br />

patologie pediatriche non possono essere trattate come<br />

dovrebbero se il pediatra non conosce il piccolo paziente<br />

e il contesta familiare. Questo perché in pediatria<br />

esistono anche delle patologie­non patologie,<br />

determinate anche da vissuti particolari, da momenti di<br />

difficoltà nel rapporto madre­bambino, padre­bambino o<br />

madre­padre, che rischiano di essere trattate in modo<br />

scorretto se non si hanno dei momenti di incontro oppure<br />

se non si ha conoscenza del piccolo anche nei momenti<br />

fisiologici della crescita. L’intervento dello specialista nel<br />

momento esclusivo della patologia può quindi non essere<br />

sufficiente.<br />

Certamente bisognerebbe riuscire ad acquistare, come<br />

genitori, quella fiducia in se stessi necessaria ad<br />

affrontare piccoli e grandi problemi di tutti i giorni, senza<br />

commettere l’errore di scaricare o scaricare<br />

responsabilità genitoriali sul pediatra. Per questo il ruolo<br />

di una figura “non medica” (vigilatrice d’infanzia,<br />

puericultrice o mamma) può avere una funzione molto<br />

importante di supporto e filtro tra i genitori e il mondo<br />

medico.<br />

Orietta M., mamma<br />

regole rigide, ritiene la mamma responsabile di buona parte<br />

dei problemi del figlio e tende a instillare motivi di allarme.<br />

<strong>La</strong> convinzione che solo il pediatra possa dare le correte<br />

indicazioni sull’accudimento di bimbi, anche quando non ci<br />

sono problemi, in certo qual modo appartiene alla stessa<br />

cultura della ospedalizzazione, che connota normalmente il<br />

parto. A pensarci, sembra effettivamente un po’ strano e<br />

sproporzionato; in fondo il pediatra dovrebbe essere colui che<br />

interviene sulla patologia e non sulla fisiologia del bambino.<br />

L’operatore più adeguato sembrerebbe la vigilatrice d’infanzia,<br />

la puericultrice o addirittura la donna che abbia avuto alcuni<br />

figli. <strong>La</strong> verità è che la nostra realtà, ma soprattutto la nostra<br />

cultura, è quella di un mondo pediatrico dove la vigilatrice è<br />

poco conosciuta e probabilmente più difficilmente reperibile.<br />

Un rapporto difficile<br />

Forse perché la medicina non è una scienza esatta ­ e può<br />

capitare che cinque pediatri diano cinque risposte diverse<br />

rispetto allo stesso problema ­, forse perché in pediatria le<br />

teorie si susseguono rapidamente – talvolta annullandosi tra<br />

loro ­, forse perché siamo piene di paura di sbagliare, forse<br />

perché è difficile trovare un professionista con il quale<br />

instaurare un rapporto fiduciario solido, forse per altre ragioni<br />

ancora, ma certo è che molte mamme manifestano la<br />

difficoltà di rapportarsi col pediatra.<br />

D’altro canto la medicina, soprattutto quando il soggetto<br />

interessato è il proprio figlio, può diventare una rassicurante<br />

sponda alla quale rivolgersi per risolvere le paure e le<br />

insicurezze che attanagliano il genitore, soprattutto se alle<br />

prime armi. In questo senso rivolgersi al pediatra può<br />

rappresentare un comodo metodo di scaricamento delle<br />

responsabilità genitoriali: …l’ho portato dal pediatra, adesso<br />

ho delle regole certe… gli somministrerò queste medicine… ho<br />

adempiuto ai miei obblighi di genitore… sono tranquillo con<br />

me stesso…”. Di sicuro la critica del genitore sulle indicazioni<br />

del pediatra, sempre opportuna entro certi limiti, diminuirà in<br />

maniera tanto più sensibile quanto più elevata la fiducia<br />

riposta nel professionista. Va anche detto che può essere<br />

molto rassicurante ricevere regole precise sull’accudimento e<br />

sulla gestione della crescita del bimbo… per lo meno sino a<br />

quando il piccolo risponde brillantemente alle regole imposte!<br />

Ma il problema è: il pediatra impone regole rigide solo perché<br />

le ritiene essenziali, oppure vi è una maliziosa componente<br />

legata alla necessità di esercitare e consolidare il suo “potere<br />

personale” sui genitori?<br />

Quello di cui abbiamo bisogno<br />

Oggi che la struttura della famiglia patriarcale rassicurante,<br />

dove la mamma difficilmente si sentiva sola con i problemi<br />

legati alla crescita del suo bambino, si è sostanzialmente<br />

dissolta, è sicuramente prezioso e fondamentale il confronto<br />

tra madri ed è forse una delle cose più utili e preziose,<br />

soprattutto allo scopo di tranquillizzarsi in relazione ai piccoli<br />

e grandi problemi di tutti i giorni. Il punto, quindi, è forse<br />

quello di riuscire in primo luogo ad acquistare quella fiducia in<br />

noi stesse che ci consenta di ricondurre la sfera di azione del<br />

pediatra nel suo giusto ambito, non permettendogli intrusioni<br />

in settori nei quali possiamo e dobbiamo essere protagoniste.<br />

In questo senso, forse, il buon pediatra è quello che sa<br />

responsabilizzarci adeguatamente, nella convinzione che i<br />

migliori conoscitori ed interpreti dei nostri figli<br />

siamo proprio noi.


DICEMBRE 1995 - UOVO 3<br />

10<br />

LA FUGA<br />

<strong>La</strong>ura V., mamma<br />

Non sembra, ma è quasi tre mesi che Eva è arrivata nella nostra<br />

famiglia. I fratelli l’hanno accolta con gioia: Camillo, quattro anni,<br />

la protegge; Viola, due e mezzo, dedica a lei tutta la sua<br />

tenerezza. Insomma: apparentemente, tutto bene.<br />

Tre figli sono tanti; ma io ho la fortuna di avere i nonni al piano<br />

di sopra. I bimbi, da quando hanno imparato a camminare, fanno<br />

su e giù liberamente. Intendiamoci: questa è la loro casa e io<br />

sono la loro mamma. Ci tengo a che non facciano confusione.<br />

Qui si scandiscono i ritmi della loro vita – cibo, sonno – qui ci<br />

sono le loro cose e i loro spazi. Ma ogni volta che salgono,<br />

trovano due bambinoni disposti a lasciarsi coinvolgere nei giochi<br />

più assurdi, a lasciar invadere e mettere a soqquadro la loro<br />

casa. È chiaro che loro sono i compagni di gioco prediletti. Non<br />

abbiamo mai osato competere.<br />

Il problema più grosso che mi si è posto nella gestione dei figli<br />

dopo l’ultimo parto è che Viola, la sera, si addormenta troppo<br />

tardi per la mia stremata stanchezza. Colpa del nido, dove fanno<br />

di tutto per far dormire il più possibile i bimbi, mentre lei farebbe<br />

già a meno del sonnellino pomeridiano.<br />

Il risultato è che, mentre alle nove tutti gli altri nella casa si<br />

addormentano, lei resiste fino alle undici, mezzanotte, volendo<br />

solo me a farle compagnia.<br />

Io, distrutta, mi addormento parlandole, continuo a parlarle<br />

farneticando mentre dormo, e mi capita di essere risvegliata nel<br />

pieno della notte dalla piccola che vuole la tetta mentre ancora<br />

sto nel letto di Viola, con accesa la lampada. È chiaro che non<br />

deve essere molto contenta della mia partecipazione a questo<br />

momento di intimità tra noi. Ma cosa accidenti ci posso fare?<br />

Così, l’altra sera mi ha scossa dal sonno e mi ha dichiarato:<br />

“Io vado a dormire di sopra”.<br />

Io, dura, ho risposto: “E vacci!”<br />

È salita, ha suonato, ha fatto saltar fuori i nonni dal letto.<br />

Obbedienti, le hanno allestito il letto di papà piccolo. Dopo un po’<br />

sono salita anch’io a vedere cosa fosse accaduto e l’ho travata<br />

ancora sveglia, ma ben risoluta a restare dov’era.<br />

Ha dormito serena e contenta e al suo risveglio è scesa per avere<br />

il suo biberon.<br />

<strong>La</strong> storia si è ripetuta, da allora, tutti i giorni. I ritmi e le abitudini<br />

della giornata non sono affatto cambiati, ma quando giunge la<br />

sera lei, serena e serafica, ad una cert’ora mi annuncia che deve<br />

andare a dormire di sopra. Io, di giorno in giorno, mi sento<br />

sempre più paralizzata, incapace di reazione. Allibita.<br />

Ho chiesto un colloquio con le maestre. Loro non notano in lei<br />

alcuna tensione; anche a me sembra che abbiano ragione.<br />

Da una settimana avevo davanti questo problema e non avevo<br />

ancora fatto una mossa che fosse una. Come intervenire?<br />

Vietare? Fingere indifferenza? Allettarla con qualche promessa,<br />

che non sapevo quando e come avrei potuto mantenere?<br />

Ieri sera è salita, come al solito.<br />

Io e suo padre ce ne siamo andati a letto, rassegnati e tristissimi.<br />

Ci siamo cercati, nel buio, e abbiamo sentito l’uno nell’altro il<br />

grande senso di abbandono.<br />

”Basta! Facciamo qualcosa!” – ci siamo detti. Riaccesa la luce,<br />

siamo saliti in pigiama a riprendercela. Al nostro invito, è scesa di<br />

buon grado ed ha giocato allegra con noi fino a che, tardissimo,<br />

non le è proprio venuto sonno.<br />

E allora… “Vado di sopra”. Inutile insistere.<br />

L’ho guardata disperata e le ho detto: “Ma sei proprio sicura?”.<br />

E lei, con fare incoraggiante: “Sì, mamma. Ma tu non piangere!”<br />

Ma cosa sta succedendo? È proprio scappata di casa?<br />

<strong>La</strong> saggezza<br />

è dei piccoli<br />

Lidia Magistrati, educatrice<br />

<strong>La</strong> ricerca di altri riferimenti affettivi non<br />

significa necessariamente “fuga” dei figli.<br />

Forse la loro è un’offerta di aiuto, un segno di<br />

condivisione nei nostri momenti difficili.<br />

Da piccola vivevo in cascina.<br />

Nelle famiglie contadine degli anni ’60­’70 che<br />

vivevano in agglomerati rurali c’era, senza<br />

alcun accordo preciso, una forte condivisione<br />

dei momenti di bisogno di ogni famiglia:<br />

l’accudimento dei bambini più piccoli,<br />

il parto, il puerperio, le malattie.<br />

Non erano più le famiglie patriarcali di una<br />

volta; i nonni difficilmente vivevano con loro.<br />

Erano famiglie nucleari, ma ognuna con figli<br />

di diverse età. <strong>La</strong> struttura patriarcale era<br />

data dall’insieme di molte famiglie, non<br />

imparentate tra loro, ma unite dallo stesso<br />

ambiente e dallo stesso lavoro.<br />

In quel contesto avvenivano spesso “fughe”<br />

di bambini. Per esempio, quando mia madre<br />

cucinava il minestrone, era difficile che<br />

qualcuno di noi bambini stesse a casa per<br />

cena. Facilmente si trovava una famiglia che<br />

avesse cucinato qualcosa di più appetitoso.<br />

Questo era chiaro, già stabilito: non creava<br />

nessun difficoltà né alla mia famiglia, che si<br />

trovava con uno o due bambini in meno,<br />

né alle famiglie che ci ospitavano,<br />

perché era uno scambio vicendevole.<br />

I contadini di allora avevano tanti problemi,<br />

ma sicuramente non mancava loro né il cibo,<br />

né lo spazio (le case erano grandi).<br />

Cara <strong>La</strong>ura, tu, pur abitando a Milano e<br />

formando una famiglia nucleare (però con tre<br />

figli), hai una fortuna immensa: i nonni<br />

nell’appartamento di sopra. Nonni con i quali<br />

c’è chiarezza, un buon rapporto, accettazione<br />

e rispetto dei ruoli diversi nei confronti dei<br />

bambini. E allora perché non approfittarne?<br />

Perché non rispolverare l’antico buon senso,<br />

l’intuito, l’istinto, la capacità profonda di<br />

allevare i propri cuccioli?<br />

Proprio tu, <strong>La</strong>ura, giustamente sostieni che<br />

ciò che più ti è piaciuto del corso i<br />

preparazione alla <strong>Casa</strong> del Parto è che


nessuno ti ha insegnato delle tecniche di<br />

travaglio e parto. Perché ogni donna lo<br />

sa: deve essere aiutata a trovare<br />

sicurezza e a fare uscire tutte le sue<br />

capacità. Anche nell’accudimento e<br />

nell’accompagnare lo sviluppo e la<br />

crescita del proprio figlio è così.<br />

L’altro giorno dalla finestra guardavo giù<br />

in giardino una gatta con tre micetti<br />

molto piccoli. Lei era accucciata a terra;<br />

era tranquilla, e solo la posizione eretta<br />

della testa denotava attenzione,<br />

consapevolezza. I tre micetti giocavano<br />

tra loro, saltavano, si rincorrevano,<br />

cadevano l’uno sull’altro in uno spazio<br />

molto vicino alla madre. Dopo poco, due<br />

micetti le si sono avvicinati di più: uno<br />

cercava di ciucciare, l’altro giocava con<br />

la sua coda; il terzo invece se n’è<br />

andato, si è allontanato, fuori dalla<br />

visuale materna. <strong>La</strong> gatta non faceva<br />

una piega. Ma non appena il micetto ha<br />

fatto un miagolio, è scattata nella<br />

direzione giusta del richiamo: è andata a<br />

prendere il suo cucciolo, lo ha portato<br />

vicino e l’ha leccato tutto.<br />

<strong>La</strong> tua saggia bambina, senza chiedersi il<br />

perché, senza dare la colpa al nido, ha<br />

capito che le sue esigenze e le vostre, in<br />

quel periodo delicato che è l’arrivo di un<br />

nuovo bambino in casa, non<br />

coincidono e che gli sforzi sono vani.<br />

E ha trovato una soluzione.<br />

Non vuole punirvi, infatti ti dice:<br />

“Mamma non piangere”; non vuole<br />

fuggire da voi, infatti quando andate a<br />

riprenderla, motivati e disponibili, lei<br />

scende e gioca volentieri con voi.<br />

Ma al momento del sonno voi non<br />

sareste altrettanto disponibili ai suoi<br />

tempi lunghi di addormentamento; e lei<br />

trova un altro modo, in un ambito<br />

comunque conosciuto, affettivo e<br />

disponibile: la sua famiglia “allargata”.<br />

Non è per sempre, ma è quello che<br />

serve ora, a lei e a voi.<br />

11<br />

GIUGNO 1996 - UOVO 4<br />

<strong>La</strong> gioia riempie<br />

quel che il dolore<br />

ha scavato<br />

Anna Mancini, ostetrica<br />

Come poter descrivere e comunicare il dolore a un’altra persona?<br />

Come fai a raccontare la sensazione di un dolore tremendo<br />

che ti opprime, ti lacera, ti fa in mille pezzi? Come puoi fare a comunicarlo?<br />

Come puoi raccontare la paura di perderti, la paura di non essere più te<br />

stessa, la paura di trovarti davanti a te stessa, la paura di non saper<br />

accettare quello che vedi e quello che sei, la paura di non saperti<br />

ricomporre? L’essere lì in balìa del dolore, degli eventi, nel perdere il<br />

controllo della situazione, ti fa sentire piccola piccola, insignificante, quasi<br />

inesistente, e mentre tu diventi sempre più piccola, il dolore cresce, cresce e<br />

cresce e ti sovrasta, sembra un gigante a cui vuoi, ma non puoi<br />

contrapporti. Ti porta nell’ignoto, o meglio nell’inconscio, quel luogo che ti fa<br />

tanta paura perché è il luogo dove ritrovi realmente te stessa. E allora scalci,<br />

scalpiti, tenti di fuggire, di nasconderti; ma il dolore – questo gigante – è<br />

sempre più grande e più forte; ti attanaglia, ti stringe, ti scuote, ti spezza e<br />

la tua resistenza si affievolisce sempre di più, sempre di più, sino a quando ti<br />

abbandoni a questa forza più forte di te e finalmente dici le fatidiche parole:<br />

“Non ce la faccio, non ce la faccio più”.<br />

Ora sei completamente in balìa del dolore e solo adesso ti rendi conto che<br />

puoi mollare, e questa “resa” ti permette di entrare completamente nella<br />

sensazione del dolore e quasi paradossalmente esso diventa più accettabile,<br />

meno ostile; quasi sempre lo riconosci come parte di te.<br />

E poi? Lentamente o all’improvviso esci da questo tunnel,<br />

rivedi la luce del sole, e tutto attorno a te splende di luce riflessa,<br />

perché in realtà sei tu che emani questa luce.<br />

Sei bellissima, sei piena di nuova energia,<br />

sei “ri­nata”, sei pronta per l’incontro con il tuo bambino.<br />

E quale magia in quest’incontro! Tutto sembra irreale: l’atmosfera calda ma<br />

frizzante, la cascata di emozioni e voi due: gli sguardi si incontrano, i corpi si<br />

sfiorano, l’altalena di emozioni vi travolge: fuori, dentro; dentro, fuori; ora<br />

siete due, ma a sprazzi vorreste ancora essere uno; vi guardate, vi<br />

assaporate, vi ascoltate, vi toccate: la comunicazione tra voi è più sottile,<br />

più profonda, e solo tra voi può avvenire a questi livelli. <strong>La</strong> gioia vi travolge,<br />

non riuscite neanche più a trattenerla, tutta la stanza ne è pervasa.<br />

E come è possibile esprimere e comunicare questa gioia?<br />

Il dolore­la gioia: questi due sentimenti che sembrano così contrastanti e<br />

così opposti non sono altro che espressioni della vita.<br />

Nella nostra cultura abbiamo cercato sempre di più di allontanarli, di<br />

separarli, di usufruire dell’uno e dimenticare l’altro; abbiamo cercato con<br />

tutti i mezzi di negare il dolore e di appropriarci della gioia. Ma può esistere<br />

l’una senza l’altro? Non rischiamo in questo modo di vivere ai margini della<br />

vita? Se il dolore è il prezzo per acquistare maggiore consapevolezza,<br />

maggiore sensibilità, maggiore conoscenza,<br />

credo che allora valga la pena di affrontarlo. Certo è una scelta!<br />

<strong>La</strong> scelta che anni fa mi ha portato ad abbandonare l’ospedale per lavorare<br />

alla <strong>Casa</strong> del Parto è intrisa anche di tutto questo. Accompagnare la donna<br />

nel suo travaglio di parto vuol dire accettare il dolore come una componente<br />

di vita e di crescita, vuol dire riuscire a contenere il suo dolore senza farsi<br />

travolgere, vuol dire avere la consapevolezza del suo significato e<br />

permettere alla donna di vivere tutti gli aspetti di questa sua esperienza.<br />

Quindi no all’analgesia? No all’epidurale?<br />

Nessuno più di se stesse può capire e decidere qual è il proprio limite, il<br />

grado di sopportazione, la propria capacità di confrontarsi con il dolore senza<br />

però dimenticare – e questo bisogna saperlo – anche a cosa si rinuncia.<br />

Quindi ben vengano le tecniche di analgesia, se queste ci permettono delle<br />

scelte e delle possibilità diverse, ma cerchiamo sempre di essere<br />

consapevoli della nostra vera essenza e non utilizziamo<br />

l’analgesia per allontanarci da noi stesse.


DICEMBRE 1996 - UOVO 5<br />

26 luglio, ho partorito da dieci giorni. Questa mattina sono<br />

alla <strong>Casa</strong> del Parto per la visita di controllo. Appena<br />

entrata, sento nell’aria un non so che di sospeso; sta<br />

succedendo qualcosa.<br />

E infatti, dopo pochi secondi sento un lamento, crescente,<br />

molto dolce, ma che mi sgomenta, un canto che fa un po’<br />

paura, che si alza nel vuoto e riempie l’aria di una<br />

struggente consapevolezza: un ricordo vivo e bruciante mi<br />

fa accapponare la pelle, ora che sono fresca del mio<br />

secondo parto.<br />

Sta partorendo Caterina.<br />

Accostarsi a questo evento essendone un po’ al margine,<br />

in fondo un po’ come un’intrusa, mi imbarazza e mi<br />

incanta nel contempo. È giorno, c’è il sole, attorno la vita<br />

si muove con i ritmi di sempre. Sento ridere i bambini<br />

sotto i portici del Villaggio, sento il chiacchiericcio degli<br />

uccelli sugli alberi, il quotidiano si muove attorno a<br />

quest’isola che è la <strong>Casa</strong> del Parto come se nulla fosse;<br />

eppure, ad ogni grido di Caterina, che sale lento<br />

giungendo da un luogo misterioso, tutto sembra per un<br />

attimo fermarsi, tacere, aspettare.<br />

Cosa ci faccio io qui? Autorizzata – marginalmente – dalla<br />

mia condizione di puerpera – visita, pesata della piccola<br />

12<br />

SULLA SOGLIA<br />

Cristina B., mamma<br />

Luna, poppata in corso… ­, mi sento terribilmente fuori<br />

luogo, eppure non riesco ad andare via.<br />

Dietro quella porta si ripete una volta ancora l’evento che<br />

trasforma una donna in madre, il mistero del “dare alla<br />

luce”: ed essere presente, anche se nella stanza accanto,<br />

mi turba profondamente.<br />

Nella cucina si danno la mano due realtà: sul fornello<br />

borbottano e fumano vicini la caffettiera preparata per noi<br />

dalla signora Antonella e il bollitore d’acqua con i panni<br />

messi a scaldare in tempo per accogliere il cucciolo in<br />

arrivo. E le ostetriche fungono da tramite, membrana<br />

flessibile, collegamento e nel contempo limite, protezione<br />

di questo mistero; mediatrici tra l’evento nascita,<br />

conchiuso in se stesso, raccolto su di sé, e il mondo<br />

esterno.<br />

Questa volta, forse ancor di più di quando l’ho vissuto in<br />

prima persona, percepisco col cuore la sacralità<br />

dell’evento nascita, e l’importanza della <strong>Casa</strong> del Parto<br />

come luogo in cui questo rito può compiersi e ripetersi<br />

indisturbato, sostenuto nel suo senso profondo proprio da<br />

Anna, Nadia, Susanna.<br />

Sono loro, che non stanno partorendo, che non sono i<br />

compagni delle donne che stanno partorendo, che non<br />

sono neppure puerpere, ma che sono donne come noi,<br />

sono proprio loro ad essere in quel momento madri,<br />

sorelle e sacerdotesse, a possedere la sensibilità, la<br />

dolcezza, la saggezza e la discrezione indispensabili non<br />

solo per accostarsi alla nascita, ma per sostenere le<br />

donne nel loro compito. Si muovono con disinvoltura tra la<br />

stanza del parto e il mistero che vi aleggia, e le<br />

incombenze esterne (il telefono, la mia visita, un caffè<br />

insieme); e in un certo senso (sarà che sono puerpera)<br />

sento di potermi appoggiare anche io a loro, con il mio<br />

imbarazzo e il mio turbamento, in questi momenti di<br />

silenzio in cui sprofondiamo ogni volta che si alza un<br />

grido. Perché non si può fingere, non si può nascondere<br />

l’emozione, quella che adesso mi fa tremare e perdere la<br />

parola, e che loro vivono ogni volta che uno dei nostri<br />

bambini nasce.<br />

Non è facile accostarsi alla nascita, così come non lo è<br />

accostarsi alla morte. Per poter frequentare l’arcano luogo<br />

del parto, bisogna possedere una grande forza, un grande<br />

amore, che possano sostenere ed incoraggiare ogni volta<br />

la donna in travaglio, ma anche se stesse.<br />

Perché ciò che rende preziose le “nostre” ostetriche è il<br />

fatto di saper essere a proprio agio accanto a una donna<br />

che partorisce, incanalando le proprie emozioni, senza<br />

però perderle: essere presenti davvero, con il proprio<br />

cuore e la propria commozione, lasciandosi coinvolgere<br />

nel miracolo, sapendo piangere e ridere assieme a noi.


L ’ IDENTITÀ BAMBINA<br />

COME SI FA A EDUCARE?<br />

IN CHE MISURA CONTRASTARE<br />

O ASSECONDARE<br />

UN ’ IDENTITÀ BAMBINA?<br />

LA NOSTRA SCELTA<br />

COMUNQUE NON IMPEDIRÀ<br />

AL BAMBINO DI REALIZZARE,<br />

PASSO DOPO PASSO,<br />

IL SUO PROGETTO.<br />

GRAZIE A NOI<br />

O NONOSTANTE NOI<br />

13<br />

GIUGNO 1997 - UOVO 6<br />

Credetemi, è meglio<br />

il pongo<br />

Maria Paola Q., mamma<br />

Modellare è un verbo che mal si inserisce in un discorso<br />

sull’educazione. Se proprio vogliamo modellare, meglio occuparci<br />

d’altro che dei nostri figli<br />

In scienze non sono mai stata un granché. Quindi non so bene se<br />

dipendono dai geni, dal DNA o da qualche altra entità. Parlo dei<br />

progressi a tappe forzate che tutti i cuccioli, quello d’uomo<br />

compreso, quotidianamente si inventano. Fatto è che, rimanendo in<br />

ambito umanistico, mi affascina osservare quel cosino che porta il<br />

pomposo nome di Leonardo (un mio debito verso le scienze?) alle<br />

prese con le mille acrobazie che gli fanno conquistare tappe nuove<br />

verso l’autonomia.<br />

Obbligatoriamente stanziale fino a un paio di mesi fa, adesso, alla<br />

considerevole età di otto mesi, si srotola, si arrotola, si rotola<br />

(citazione da Paolo Conte). Striscia sul pavimento a mo’ di marine in<br />

azione, gattona, si aggrappa a Caterina – l’altra mia bimba di due<br />

anni e mezzo – richiama l’attenzione con urla e sorrisi sornioni.<br />

Si alza in piedi trasformando in appiglio ogni gamba, umana o lignea<br />

che sia. Si arrabbia da matti se non riesce in qualche avventura<br />

prefissa.<br />

Insomma sta scoprendo che il mondo non è solo qualcosa da<br />

osservare, da ammirare. Da subire, ma che è anche da dominare.<br />

Ma c’è una cosa che mi meraviglia ancor più delle conquiste fisiche.<br />

Ed è la caratterizzazione, sempre più marcata, della sua indole.<br />

Prima di avere figli, pur non essendomi mai concentrata più di tanto<br />

sull’argomento, vagamente ritenevo che i bambini fossero una<br />

specie di “foglio bianco sul quale la vita avrebbe scritto” (così<br />

recitava un album fotografico della mia infanzia). Una pasta da<br />

manipolare, uno specchio che avrebbe raccontato la capacità<br />

educativa dei genitori o inflessibilmente svelato le loro magagne.<br />

E invece no. Le foto di Caterina a un mese (ma forse addirittura a<br />

una settimana) la ritraggono esattamente com’è adesso:<br />

un’adorabile testarda, una pignola intelligente, un’introversa<br />

riflessiva e diffidente, poco incline al sorriso. Sensibile. Generosa<br />

d’affetto ma avara di moine. Tutto un altro film per Leonardo alla<br />

stessa età: estroverso, simpaticone, sornione, ipervivace. Sorrisi<br />

elargiti gratis. Un trend che con il passar dei mesi va assumendo<br />

contorno sempre più precisi. Strafottente e seducente, è lontano<br />

anni luce dalla spinosità della sorella. Un’aristocratica altera e un<br />

trascinatore di popolo. Un’algida “occhi di ghiaccio” e un irruento<br />

istrione. Già fatti e finiti, nella loro polare diversità, a pochi giorni di<br />

vita. Forse già fatti e finiti quando erano in pancia. Ecco: i geni, i<br />

cromosomi, il DNA. Probabilmente si trovano da quelle parti le<br />

risposte al mio stupore. E in tutto ciò mi sembra di entrarci un po’<br />

poco. Umanisticamente parlando, s’intende. Certo mi illudo che<br />

esista ancora un margine di intervento. O meglio una trasmissione<br />

di valori che, in quotidiane dosi omeopatiche, cementifica il rapporto<br />

genitori­figli. E ancora, la possibilità di creare un humus che stimoli i<br />

nostri cuccioli a venirne fuori al meglio, ad esaltare le parti buone e<br />

a minimizzare le zone d’ombra. Ma quanto alla pasta per modellare,<br />

lasciamo perdere. Senz’altro meglio la pasta di pane o, come<br />

colorata alternativa, il “pongo”.


Una dimensione fantastica, dimenticata da tanto, riaffiora dalla<br />

profondità, richiamata da echi di bambini che giocano.<br />

Riconoscersi in loro, sentendo di non essere grandi da sempre,<br />

significa fare i conti con un senso di perdita.<br />

Si è oramai grandi per sempre?<br />

Hai quattro anni e mezzo. Ti guardo giocare. Da sola, in tutto il<br />

tuo mondo fantastico di principesse, ballerine, signore, lupi e<br />

caprette. Con le tue amiche, ai giardini, in un universo di<br />

nascondigli, casette, fiumi e maree in cui nuotare, cieli da<br />

attraversare stendendo le ali al vento, tane in cui ripararsi dalla<br />

neve dell’inverno quando fuori la bufera infuria e siete scoiattoli<br />

in letargo. E ancora prati su cui rotolare, scivoli da risalire al<br />

rovescio, capriole, salti su un piede solo, alberi su cui<br />

arrampicarsi, draghi e ladri da temere, principi da cui farsi<br />

salvare, in groppa a cavalli rigorosamente bianchi.<br />

Hai quattro anni e mezzo e in me alberga chiara e limpida la<br />

memoria di quando anche io (ma non era ieri?) avevo quattro<br />

anni e mezzo. E come te inventavo casette in cui nascondermi<br />

e ridere dei “grandi” che non mi trovavano; cucinavo<br />

manicaretti con la terra e l’erba e li servivo alle mie ospiti su<br />

piatti di foglie e con posate di bastoncini; giocavo alla<br />

settimana saltando nelle caselle disegnate col gesso<br />

sull’asfalto; salivo a fatica sugli alberi e (ora so come il Barone<br />

Rampante) vivevo in un mondo sopraelevato in cui era<br />

assolutamente vietato toccare terra con un piede, pena<br />

l’espulsione. In campagna, d’estate, come te, stivaletti di<br />

gomma ai piedi e con un lungo bastone a cui legavo un pezzo<br />

di spago, passavo ore nel fossatello dietro casa a pescare<br />

creature acquatiche fantastiche, raccogliendo con attenzione<br />

ciuffi di alghe e fili di paglia che si impigliavano nel mio amo,<br />

nell’acqua alta dieci centimetri, che per me era un fiume<br />

impetuoso in cui mi muovevo con maestria.<br />

E come te saltavo sul marciapiede da una lastra di pietra<br />

all’altra – guai pestare le linee di divisione, si prende la scossa!<br />

– e contavo i salti; e restavo sbalordita vedendo che i grandi<br />

camminavano incuranti del pericolo, come se fosse normale<br />

mettere i piedi in un punto qualsiasi, concentrati solo<br />

sull’arrivare a destinazione (ricordo bene che l’aver appurato<br />

che a loro in effetti non succedeva nulla, fu uno dei primi<br />

elementi su cui fondare la consapevolezza che certamente<br />

vivevano in un altro mondo, non nel mio. E infatti – come tutti<br />

i bambini – non mi sono mai sognata di dire loro “Non pestare<br />

le righe!” – non avrebbero certo capito).<br />

Come te nuotavo sul pavimento di casa, oceano in tempesta,<br />

fino ad approdare sul tappeto della sala, zattera sicura su cui<br />

tutti i miei compagni di gioco fantastici salivano, invisibili e<br />

silenziosi, e ci facevamo beffe ancora una volta dei grandi, che<br />

senza accorgersi di niente (ma non sentono i piedi bagnati?)<br />

camminavano tra le onde, andando incontro a morte sicura per<br />

annegamento o sbranati da un pescecane: e pensare che se ce<br />

l’avessero chiesto, avremmo fatto uno strappo alla regola e<br />

saremmo stati disposti a salvarli, anche se non erano bambini…<br />

Al mare correvo sul bagnasciuga inseguendo le onde quando si<br />

ritiravano e scappavo negli spruzzi della risacca per non farmi<br />

bagnare i piedi, e ricordo la paura vera nel fuggire, perché<br />

proprio non si poteva bagnarsi, quelle erano le regole, dettate<br />

da me stessa, ma imprescindibili. Così come ricordo la paura, il<br />

terrore che mi attanagliava quando dovevo attraversare delle<br />

stanze immerse nell’oscurità, e correvo a perdifiato: come te,<br />

14<br />

Grande per sempre<br />

Cristina B., mamma<br />

DICEMBRE 1997 - UOVO 7<br />

che ora corri gridando piano<br />

“Aiuto aiuto!” e ti butti sul<br />

divano col cuore in gola,<br />

scampata a chissà quali<br />

mostri annidati nel buio<br />

della stanza di là.<br />

IL GIOCO<br />

IL BAMBINO CHE NON GIOCA<br />

NON È UN BAMBINO,<br />

MA L ’ ADULTO CHE NON GIOCA<br />

HA PERSO PER SEMPRE<br />

IL BAMBINO CHE È<br />

DENTRO DI SÈ<br />

Ti guardo mentre ti travesti<br />

con stoffe, veli, gonne e<br />

strascichi, e ti ingioielli con nastri dei regali ricevuti e<br />

conservati con diligenza, e catenelle ed elastici, ogni cosa è<br />

buona per creare bracciali e anelli – meglio però se brilla.<br />

E agghindata come un albero di Natale, danzi davanti allo<br />

specchio, uno scialle in testa a fingere capelli lunghi come<br />

Pocahontas, cantando a mezza voce motivi inventati; e mi<br />

ricordo di quando anch’io (capelli alla maschietto, così si<br />

diceva allora) fabbricavo improbabili parrucche pinzando<br />

insieme fili di nastri da regalo, che fissavo poi in testa con<br />

mollette e forcine, per cullare le mie bambole all’ombra di una<br />

chioma fluente.<br />

Ti osservo, ti ascolto, e ti capisco, oh sì che ti capisco, perché<br />

il ricordo è vivo. Quella complicità silente che c’era tra noi<br />

piccoli, della quale non era necessario parlare, era così e<br />

basta, perché eravamo certi che i grandi non sapevano nulla<br />

dei nostri segreti. Ovviamente, non ci passava neppure per la<br />

testa che anche loro fossero stati bambini, un tempo: erano<br />

grandi, non potevano essere stati altro che grandi da sempre.<br />

E allora sento dentro di me una strana malinconia, un<br />

doloroso senso di nostalgia. Perché vorrei ancora giocare<br />

come facevo allora, ma non solo giocare con te, questo lo<br />

posso fare comunque, bensì giocare come te, che è<br />

profondamente diverso. Vorrei poter fare a meno di tutta<br />

questa pesante consapevolezza, maturità, razionalità che si è<br />

impossessata del mio essere, e non sapere più nulla di regole,<br />

convenzioni, codici di comportamento. Vorrei esserti<br />

complice, nascondermi con te nella tua tana, facendomi<br />

piccola piccola, rannicchiandomi tra le foglie, facendo gli<br />

sberleffi ai grandi che non ci vedono; vorrei farti capire che<br />

anche io so di questo tuo mondo, perché mi ricordo, per dio,<br />

non è passato troppo tempo, credimi, lo so com’è, fammi<br />

entrare, per piacere…<br />

Ma non si può. Non si può perché sono grande. Tu giochi con<br />

me, e so che ti piace, ma so anche che lo farai in un modo<br />

diverso da quello che usi con i bambini: perché tu lo sai che<br />

sono grande, accidenti. E se ho paura del lupo anch’io, o se<br />

nuoto sotto le coperte come un sub, tu pensi che lo faccia per<br />

finta, non ci credi.<br />

E allora, anche se tu mi guardi ridendo assieme alle tue<br />

amiche, e dici: “Ma mamma, ma cosa fai!”, io mi tolgo scarpe<br />

e calze, mi sdraio in cima al pendio e rotolo, rotolo, rotolo su<br />

me stessa fino alla fine della discesa, e tutto il mondo gira, il<br />

cielo si confonde con la terra, le braccia raccolte al petto per<br />

non intralciare il movimento, giù sempre più veloce, sentendo<br />

solo l’odore di erba fresca, giù giù, fino a fermarmi, esaurita<br />

la spinta, a pancia all’aria e a braccia spalancate, a guardare<br />

il cielo e le nuvole che girano e girano sopra di me,<br />

aspettando che si fermino, col cuore in tumulto; perché è<br />

proprio come quand’ero bambina, e se non ci credi pazienza:<br />

mi piace lo stesso.


SETTEMBRE 1998 - UOVO 8<br />

IL LAVORO<br />

SPESSO<br />

15<br />

PIÙ BESTIA DI PRIMA<br />

<strong>La</strong>ura V., mamma<br />

Uno sguardo retrospettivo sulla ripresa del lavoro: accanto agli aspetti negativi, che affiorano in modo vago, un<br />

po’ dimenticati e un po’ rimossi, sorprendentemente affiorano aspetti positivi,<br />

che al vaglio del ricordo fanno apparire anche quel momento di stress come un’occasione importante di<br />

crescita e di rafforzamento della personalità<br />

ASINA<br />

<strong>La</strong> ripresa del lavoro svapora in un ricordo confuso: te ne vai stranita, sul lavoro pensando alle pappe, a casa<br />

pensando a ciò che farai l'indomani al lavoro. Avverti il cumulo di sonno arretrato e la sensazione di perenne<br />

disagio, perché non hai mai il tempo di preparare ciò che deve essere preparato, e che viene preparato sì, ma<br />

con la testa già in quel che farai dopo; cosicché, alla fine, non sai se hai fatto o hai solo pensato di fare.<br />

Ore e ore fuori casa ­ otto se va bene, sedici se va male ­, lunghi tempi morti in mezzo, buoni a farti gustare a<br />

fondo il sentimento di separazione, il senso di colpa. Mai un momento di intimità: se sei fuori, sei fuori; se sei a<br />

casa, sei presa d'assalto. Non c'è un tempo giusto per lavarti: puoi solo rubando tempo al sonno, alla cena, ai<br />

bimbi che ti reclamano battendo alla porta.<br />

È la prima immagine che mi viene in mente, ripensandoci: la bestia da soma, oberata dal carico, stordita.<br />

LUPA<br />

Difficoltà sul lavoro, tensioni, lotte violente: ritrovi ad aspettarti quello che hai rimosso un anno fa. Allora non te<br />

la sentivi di affrontarle; avevi altri progetti in testa. Adesso sei tornata, forse hai attinto forza, orgoglio, dignità<br />

nuove alla tua recente condizione. Esser lì ti costa, non accetti di esserci inutilmente. Sei stanca sì, ma per<br />

niente disposta a compromessi. Ti mostri volitiva, salda, decisa; infondi nuova forza agli amici, nuovo timore<br />

all'avversario, che ti aspettava di ritorno poco disposta alla<br />

lotta così come quando eri partita. È un colpo a sorpresa,<br />

che rovescia gli equilibri del gioco. È la tromba della<br />

carica, è l'inizio della riscossa, è la ripresa di una lotta<br />

che giungerà al suo scopo.<br />

Questa è la seconda immagine ­ la bestia fiera e<br />

guerriera, la lupa aggressiva ­ , stridente con quelle<br />

convenzionali.<br />

CONIGLIA<br />

Intervalli di pranzo, ore quotidiane di treno: in tempi<br />

normali sono ore di penitenza, di espiazione; ore morte,<br />

ore di vita che se ne va. Non ora; non hai tempo da<br />

sprecare. Ti chiedono, ti vogliono, ti cercano, non ti danno<br />

tregua; tuttavia, in questi momenti, sei costretta ad<br />

attendere: che il treno arrivi, che gli altri mangino. Anziché attendere e basta, tu schivi la nostalgia per la casa e<br />

quel che vi si muove e apprezzi l'occasione che ti si offre, assapori il lusso di un tempo per te. Non potrai<br />

lavarti, ma potrai leggere, scrivere, pensare: fare cose che in altri momenti della giornata ti sentiresti in colpa<br />

nel fare. È incredibile: nuovo tempo si crea là dove ti sfugge; tempi morti diventano tempi di vita, scatenano<br />

impeto creativo, incubano nuovi progetti.<br />

È presuntuoso affermare che anche l'idea dell'Uovo trova lì una sua radice?<br />

Un'altra immagine ancora: quella della coniglia, fertile, produttiva.<br />

NELLA GIORNATA DI UNA DONNA<br />

IL TEMPO DI LAVORO<br />

È RIGIDO, FISSO,<br />

NON NEGOZIABILE<br />

MENTRE IL TEMPO DI CURA<br />

PER IL FIGLIO<br />

VI SI INCASTRA<br />

E VI SI ADATTA A FATICA<br />

GATTA<br />

Fatica e stress, se non altro, ti aiutano a riacquistare la linea. Nella testa sei grave come ha<br />

da essere una madre, ma nel corpo sei di nuovo leggera come una adolescente. Tu non te<br />

ne sei ancora accorta e ti sorprende ­ come a quattordici anni ­ scoprire che susciti<br />

desiderio. Non ci credi, quasi; è una gioia. E non c'è alcun intento sleale nell'essere grata<br />

alla sorte per quegli sguardi accesi, quelle parole gentili, che ti richiamano dal nido nel<br />

quale ti sei isolata nel contesto intricato delle relazioni sociali, delle relazioni con gli uomini:<br />

anche gli uomini altrui.<br />

BESTIARIO<br />

Asina, lupa, coniglia, gatta: questo sei, e altro ancora che non riesco più a ricordare. Le tue<br />

risorse vengono fuori tutte, come sempre. Anzi, più di sempre: più che mai. Tornare al<br />

lavoro dopo un figlio è un'impresa, un impegno, una sfida.<br />

Se va bene, ti puoi ritrovare più asina, più lupa, più coniglia e più gatta di prima.


MUTAMENTO<br />

OGNI VITA,<br />

OGNI ESPRESSIONE DI VITA,<br />

SI SVILUPPA LUNGO IL FILO<br />

DI UN COSTANTE MUTAMENTO.<br />

BRUSCO O GRADUALE CHE SIA,<br />

ESSO È CONDIZIONE<br />

DI CONTINUITÀ DELL ’ ESISTENZA<br />

Ci sono Case che attraverso gli anni e<br />

le mutazioni continuano a dare la loro<br />

forma ai desideri<br />

Carissime, oltre al comunicarvi i<br />

cambiamenti “ufficiali” che sono<br />

avvenuti nell’ultimo periodo, mi è<br />

venuta voglia di ripensare al passato,<br />

a ciò che insieme abbiamo costruito,<br />

elaborato, modificato, a ciò che in<br />

modo meno appariscente, ma più<br />

sottile e profondo abbiamo costruito e<br />

cambiato nel corso di questi anni. Mi è<br />

venuta voglia di ripercorrere le tappe<br />

della <strong>Casa</strong> del Parto e che nella <strong>Casa</strong><br />

del Parto si sono attraversate e che<br />

poi sono strettamente legate al<br />

percorso di ciascuna di noi o di<br />

chiunque sia passato di qua.<br />

E allora ripenso all’inizio quando con<br />

titubanza e timore ci chiedevamo:<br />

“saremo capaci?”, “ce la faremo?”, ma<br />

nonostante i dubbi abbiamo iniziato<br />

questa avventura. Perché proprio di<br />

un’avventura si tratta e come in tutte<br />

le avventure c’è sempre una novità<br />

dietro l’angolo. Non arriviamo mai a<br />

un punto fermo, perché subito dopo si<br />

ricambia, qualcosa di nuovo ci rimette<br />

in discussione; ogni donna, ogni<br />

uomo, ogni bambino è un mondo<br />

nuovo e diverso, e come potremmo<br />

non essere anche noi in continuo<br />

cambiamento?<br />

Credo che nessuna di noi operatrici<br />

avesse chiaro all’inizio dove questa<br />

avventura ci avrebbe portato.<br />

Volevamo creare un luogo più<br />

“umano” dove poter partorire, dove<br />

accogliere un bambino, dove poter<br />

dare spazio alle proprie emozioni,<br />

dove poter vivere la maternità nella<br />

sua interezza.<br />

Ma in questi anni sento che insieme a<br />

tutte voi è stato dato vita ad un<br />

progetto più ampio. Un progetto che<br />

mette le sue radici nei valori più<br />

profondi della vita; sono valori al<br />

“femminile” (come mi piace definirli!),<br />

ma non sono una esclusiva delle<br />

donne, anche se in maniera<br />

preponderante fanno parte della loro<br />

16<br />

Zenobia<br />

Anna, Mancini ostetrica<br />

natura.<br />

In questi anni con voi e grazie a voi<br />

ho percepito sempre di più l’essenza<br />

“femminile” che ha trovato spazio e si<br />

è consolidata in questo luogo. Si è<br />

data possibilità ed autorizzazione ad<br />

esprimere tutto ciò che noi donne,<br />

nei secoli, abbiamo represso,<br />

soffocato e considerato di poco valore<br />

perché non corrispondente ai valori<br />

dominanti della nostra società.<br />

E allora siamo andate alla riscoperta<br />

di ciò che ci appartiene, ma di cui noi<br />

stesse spesso siamo inconsapevoli.<br />

Questo processo non è né facile né<br />

indolore, ma la forza e il potere<br />

creativo che ne derivano lo ripagano<br />

ampiamente.<br />

Attraverso voi ho potuto cogliere la<br />

forza e il coraggio insiti nelle donne e<br />

che esse sono in grado di<br />

manifestare. Non è il coraggio di<br />

“fare la guerra” ma quello di sondare<br />

nei meandri più oscuri di se stesse, di<br />

avventurarsi nell’ignoto, di far<br />

emergere le proprie paure ed<br />

emozioni, è il coraggio di poter<br />

piangere…<br />

Ci hanno fatto credere che tutto ciò<br />

fosse una grande debolezza ed io<br />

invece sento la forza che scaturisce<br />

da tutte noi quando ci permettiamo<br />

di ascoltarci. È una forza morbida,<br />

rotonda come il corpo delle donne,<br />

senza spigoli; è una forza che cerca<br />

di adattarsi ai contorni, alle situazioni<br />

e quindi può essere mal interpretata.<br />

È come l’acqua di un torrente che si<br />

adatta dolcemente a ciò che incontra<br />

nel suo cammino ma non per questo<br />

meno decisa e determinata nel<br />

raggiungere il suo obbiettivo, e che<br />

può tramutarsi in una forza indicibile.<br />

È il coraggio che durante il parto<br />

pervade la donna e le permette di<br />

lasciarsi attraversare da questa<br />

immensa forza creatrice. È la forza,<br />

la determinazione, la bellezza che<br />

leggo nei loro volti quando, già allo<br />

stremo, danno fondo a tutta la loro<br />

energia per far nascere il loro<br />

bambino. È la stessa forza e lo stesso<br />

coraggio che, in uno stato di<br />

completa apertura e quindi di grande<br />

vulnerabilità, permette loro di donare<br />

tutte se stesse in questa impresa. E<br />

ancora, dopo il parto e nei giorni<br />

successivi, quando devono trovare il<br />

DICEMBRE 1998 - UOVO 9<br />

modo e il tempo di ricomporsi, di<br />

richiudersi, è la forza che consente<br />

loro di occuparsi del proprio bambino,<br />

di nutrirlo, di accudirlo e di<br />

proteggerlo.<br />

Di questa forza e di questo coraggio<br />

ha bisogno oggi la nostra società, il<br />

nostro pianeta. Non è l’arrivismo, non<br />

è la competitività, non è l’efficienza<br />

che spingono le donne a diventare<br />

madri e a dare vita e spazio ad altri<br />

valori quali l’accoglienza,<br />

l’accudimento, la ricettività, i<br />

sentimenti, l’immaginazione,<br />

l’intuito...<br />

Nei secoli abbiamo smesso di<br />

ascoltarci, di sentire attraverso il<br />

nostro corpo, la nostra psiche, le<br />

nostre emozioni, la nostra vera<br />

natura. Pensando di avere ascolto e<br />

peso nella vita sociale, ci siamo<br />

adeguate sempre di più a modelli<br />

maschili. Abbiamo creduto che la<br />

logica, la razionalità, la linearità<br />

fossero l’unico modo “corretto” di<br />

interpretare la vita e il senso di<br />

inadeguatezza e il conflitto che ne<br />

sono derivati ci hanno portato spesso<br />

a perdere la nostra centralità. Per<br />

riconquistarla dobbiamo ricreare la<br />

nostra armonia interna tra le opposte<br />

tendenze del maschile e del<br />

femminile ed affrontare l’inevitabile<br />

conflitto che si è creato in noi tra lo<br />

stimolo ad esprimerci attraverso il<br />

lavoro, come l’uomo, e la necessità<br />

interna di vivere la nostra natura<br />

femminile. Questo conflitto, oltre ad<br />

essere affrontato, va poi trasformato<br />

portando questa nostra essenza con i<br />

relativi valori femminili, comprensivi<br />

di modi, tempi, ritmi, all’esterno,<br />

nella vita sociale. L’idea della nostra<br />

<strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea significa anche questo: un<br />

movimento dinamico tra il nostro<br />

personale mondo interno e l'esterno,<br />

tra ciò che insieme si elabora nella<br />

<strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong> e ciò che portiamo<br />

all’esterno, nel nostro mondo sociale,<br />

in un ritmo continuo e ripetitivo di<br />

espansione e contrazione quasi a<br />

simboleggiare la ciclicità e la dualità<br />

di tutto ciò che è vivente;<br />

dall’alternarsi delle stagioni, dei cicli<br />

lunari, del giorno e della notte, ai<br />

nostri ritmi più interni: il respiro e il<br />

battito del cuore.<br />

E infatti, sempre insieme a voi, ho


IL DISTACCO<br />

NON SI È SOLI<br />

SE QUALCUNO CI HA LASCIATO:<br />

SI È SOLI<br />

SE QUALCUNO<br />

NON È MAI VENUTO<br />

riscoperto la bellezza della ciclicità<br />

della natura femminile regolata<br />

attraverso leggi interne (ormoni?)<br />

che sono differenti da quelle che<br />

governano l’uomo.<br />

Permettere a questa alternanza di<br />

essere ascoltata e di manifestarsi<br />

nelle sue diverse componenti<br />

(fisica, emotiva, umorale,<br />

sensitiva) ci porta sempre più in<br />

contatto con i nostri ritmi interni<br />

ma anche con quelli della natura e<br />

dello stesso universo.<br />

Riconnetterci con noi stesse,<br />

assumerci la responsabilità della<br />

nostra vita e non delegarla ad altri<br />

ci permette altresì di riconquistare<br />

il nostro potere interiore che non è<br />

il “potere su”, ma il “potere di”.<br />

Il potere di urlare il nostro disagio,<br />

di farci ascoltare per cambiare il<br />

mondo, ma anche il potere di<br />

essere creative, di dare vita a<br />

nuovi progetti, il potere di amare e<br />

di lasciarsi amare.<br />

E cosa dire, in tutto questo<br />

“femminile”, dei nostri compagni e<br />

degli uomini che assistono le loro<br />

donne al parto e vengono alla <strong>Casa</strong><br />

di <strong>Maternità</strong>? Anche per loro è<br />

un’opportunità unica. Essere con la<br />

propria donna e il proprio bambino<br />

in un momento di grande apertura<br />

e sensibilità consente loro di<br />

indagare nel profondo che altro<br />

non è che il “loro” femminile. Per<br />

gli uomini questo è un processo<br />

ancora più sconosciuto e difficile da<br />

affrontare; spesso le paure, le<br />

difese razionali pongono delle<br />

barriere difficili da scalfire. Ma in<br />

una situazione e in un ambiente in<br />

cui l’apertura emotiva è non solo<br />

autorizzata ma facilitata, alcune<br />

porticine si possono aprire, pur<br />

mantenendo la propria specificità.<br />

Questo è anche un invito per i papà<br />

a riflettere, a parlare, a scrivere<br />

sulla loro esperienza e a<br />

permettere a tutti noi di farne un<br />

bagaglio comune di crescita.<br />

Nuovi progetti sono già in cantiere,<br />

altri cambiamenti sono<br />

all’orizzonte. Per adesso non mi<br />

resta che dire: l’avventura<br />

continua!<br />

Con profondo affetto<br />

17<br />

LUI MI HA LASCIATA!<br />

MARZO 1999 - UOVO 10<br />

Gabriella M., mamma<br />

Tra lacrime e bignè al cioccolato, i conflitti che accompagnano le prime ore di<br />

tata, di asilo, di ritorno al lavoro<br />

Mi piacerebbe poter mettere un filtro, a volte, tra quello che mi accade intorno<br />

e quello che mi scoppia dentro; una pellicina anche sottile, ma sufficiente per<br />

proteggermi da un sentire che disturba.<br />

Ad esempio ogni volta che tu, bambino mio, fai un passo in avanti, aggiungi<br />

un mattoncino alla tua casetta e sali un piolo su per la scala della tua vita, per<br />

me è come ripartire, mi sembra di essere su di una pista a spirale: non si<br />

ricomincia mai dallo stesso punto, ma la traiettoria è sempre quella. I gesti<br />

quotidiani, le parole, perdono la loro scansione armoniosa; io agisco, ti parlo<br />

come ho fatto finora e tu non mi capisci più, qualcosa tra me e te diventa<br />

stridente e incomprensibile, ci rende nervosi tutti e due, tesi in un tira e molla:<br />

tu che mi vuoi parlare, io che non voglio sentire. Questo è il sintomo della<br />

"crisi", ormai lo riconosco, è come uno spintone inferto da mani interiori e un<br />

vociare tra me e me che mi dice: "Cara Gabriella, Andrea cresce e non puoi<br />

cullarti troppo a lungo sulle tue abitudini e sul rassicurante tran­tran". Provo a<br />

guardarti da una diversa angolatura, mi metto accovacciata per raggiungere<br />

anche fisicamente il tuo punto di vista e qualche volte funziona. Ti vedo,<br />

diverso dall'immagine che avevo di te fino ad un minuto prima. Per un lungo<br />

momento non ti riconosco quasi più. Chi c'è al posto del mio amato bambino?<br />

Ci sei tu, Andrea, sei proprio tu, birbone! <strong>La</strong> sensazione che provo è simile al<br />

bruciore di un taglio, fa male ma è proprio da lì che riparto per crescere con te.<br />

È come cercare giorno dopo giorno di rimettere a fuoco un'immagine, anzi<br />

due: la mia e la tua; e le distanze cambiano, sono sempre maggiori.<br />

Quando avevi solo tre mesi, una pediatra senza figli mi consigliò senza mezze<br />

misure di non allattarti più al seno perché crescevi poco. Non le ho dato retta,<br />

ho continuato tra dubbi, paure e il cuore che bruciava di una consapevolezza<br />

fino ad allora sconosciuta: non ti sarei bastata per sempre. Ahimè!<br />

Ho ripreso a lavorare in modo graduale, il mio lavoro autonomo me lo<br />

permette, è una fortuna, pensavo così di evitare crisi di separazione, ma a<br />

conti fatti il distacco è un fatto interiore ancorché un evento concreto e<br />

l'angoscietta è sempre in agguato. Così le prime volte che ti ho lasciato dalla<br />

baby sitter, avevi dieci mesi, ero reduce da una notte insonne trascorsa in<br />

compagnia dei sensi di colpa; dopotutto non c'era reale bisogno ch'io tornassi<br />

al lavoro. Immaginati come stavo quando, di ritorno, ti ho trovato a giocare con<br />

i figli della tua tata che sembravate fratelli: la mia faccia sorrideva contenta ma<br />

dentro il tamburo cardiaco gridava al tradimento.<br />

E adesso vai alla materna e ci vai volentieri dalle 9 alle 16. Quanto tempo!<br />

Ho desiderato tanto questo momento in cui poter dedicare maggiore energia e<br />

concentrazione al mio lavoro e a me stessa e adesso che ci sono sembra che<br />

non me ne importi quasi più nulla. Mi manchi.<br />

Quando ho tempo mi apposto nei pressi della scuola materna, se è una bella<br />

giornata siete tutti in cortile voi bambini a giocare nella sabbionaia. Ti vedo, ti<br />

diverti con gli amichetti, un branco di cuccioli scatenati e quattro tate tranquille<br />

che chiacchierano del più e del meno senza perdervi di vista. E va bene, mi<br />

rassegno. Vado in pasticceria, mi riempio di bignè al cioccolato, mi tuffo in un<br />

cappuccino, pago esco e piango.<br />

Dunque sei già così grande? So che è tutto giusto e naturale e armonioso ma<br />

io mi sento come un'amante abbandonata e il bruciore come di taglio fresco<br />

torna a farsi sentire. Eppure nel contempo c'è un'intima sensazione di<br />

soddisfazione e di vittoria: stai crescendo bene e io e il tuo papà anche,<br />

speriamo.<br />

A braccetto di questo pensiero mi incammino.


SETTEMBRE 1999 - UOVO 11<br />

<strong>La</strong> nascita: un evento grande e misterioso, che può<br />

svelare dimensioni ignote, in un istante sospeso tra<br />

sogno e realtà.<br />

18<br />

In un’altra dimensione<br />

Un travaglio e un parto occupano una porzione<br />

infinitesimale nella vita di una persona: dalle prime<br />

avvisaglie di dolore della tua compagna al primo vagito di<br />

tuo figlio intercorre qualche ora, niente di più. Ma il tempo<br />

degli orologi non è la dimensione più adatta per<br />

comprendere quello che accade. Sono migliori alleati ­ se<br />

davvero vuoi cercare di capire che cosa si è mosso<br />

dentro di te ­ i risvegli notturni, quegli stati dell'animo così<br />

incerti e strani, di quando non dormi più, ma nemmeno<br />

sei completamente sveglio, quella specie di bagnasciuga<br />

della consapevolezza dove si depositano i ricordi dei<br />

sogni e anche le tue paure più profonde.<br />

Ecco, se ripenso alla mia esperienza di partecipazione al<br />

travaglio della mia compagna per la nascita del<br />

secondogenito, mi sembra di parlare di un qualche cosa<br />

che è successo in una dimensione sospesa fra buio e<br />

luce, fra ragione e emozione. Mentre le cose avvenivano,<br />

pensavo a quelle che erano già successe (la nascita<br />

della prima figlia) e a quelle che avrebbero potuto<br />

accadere (nel bene e nel male). Mi sentivo come una<br />

pallina da ping­pong che continuava a rimbalzare tra le<br />

sponde opposte dove risiedevano, da una parte, le mie<br />

convinzioni razionali, dall'altra, le mie angosce profonde.<br />

Insomma, nonostante l'esperienza di un parto<br />

precedente, nonostante la rincuorante e fidatissima<br />

figura dell'inviata sul campo della <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea, nonostante<br />

ci si trovasse in una struttura ospedaliera attrezzata (così<br />

doveva essere dati i precedenti di un cesareo),<br />

nonostante tutto ciò, mi sentivo un guscio di noce nella<br />

tempesta.<br />

Ma parliamo un attimo di questa tempesta. Per me è<br />

stata lunghissima e penosissima: ho visto soffrire la mia<br />

compagna allo stremo delle forze e quando pensavo:<br />

"Adesso abbiamo raggiunto il massimo", puntualmente<br />

venivo smentito dai fatti, il massimo era sempre dopo.<br />

Vedere la sofferenza, anche se si tratta ­ come in questo<br />

caso ­ di una sofferenza finalizzata a qualche cosa di<br />

positivo, è un'esperienza terribile, soprattutto se si vive la<br />

sensazione di essere impotente di fronte ad essa.<br />

Per buona parte del travaglio mi sono sentito "utile",<br />

ma da un certo punto in avanti ho percepito<br />

l'incommensurabile distanza fra ciò che potevo fare con<br />

la mia presenza e ciò che pervadeva il corpo e la mente<br />

della mia compagna. A quel punto nessuna parola<br />

poteva ricongiungerci, nessun gesto poteva rinsaldarci.<br />

Marco B., papà<br />

Avvertivo nitidamente che<br />

era sola e mi sentivo in<br />

colpa per non poterla<br />

raggiungere.<br />

PADRI IN OPERA<br />

ALLA RICERCA<br />

DI NUOVI MODELLI PATERNI:<br />

DALLA RESPONSABILITÀ ESTERNA<br />

ALLA CONDIVISIONE<br />

DELLE EMOZIONI<br />

Mi sentivo quindi anch'io solo e nessun'altra presenza,<br />

sia quella fidata e amica dell'ostetrica della <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea,<br />

sia quelle più estranee dei medici e delle infermiere,<br />

riusciva più a entrare in relazione con il mio mondo...<br />

Era come se io cercassi di inseguire la mia compagna in<br />

una dimensione che non era quella razionale della<br />

comunicazione verbale.<br />

Era come in certi sogni da cui vuoi riemergere e ti manca<br />

qualsiasi appiglio per riagganciarti alla realtà.<br />

Poi ­ non so come e non so perché ­ sono riemerso, poi il<br />

peggio ­ di colpo ­ mi è sembrato passato, anche se non<br />

era vero e l'oxitocina continuava a gocciolare nelle vene<br />

della mia compagna. Mi sono di nuovo messo a<br />

"ragionare", a riprendere la normale dose di paura di cui<br />

ero dotato prima di "precipitare" in quella dimensione<br />

misteriosa e profonda, che per un attimo, forse di più, mi<br />

aveva inghiottito.<br />

Non so che cosa mi abbia fatto riprendere la bussola e le<br />

coordinate della situazione... È come quando ti svegli di<br />

notte, non puoi rimanere a lungo sospeso tra sonno e<br />

veglia: o ti riaddormenti o ti svegli del tutto. Così anch'io<br />

in quella situazione sarei dovuto svenire o riavermi, non<br />

avrei potuto rimanere a lungo in quella dimensione<br />

sospesa.<br />

<strong>La</strong> vita è andata avanti e quella esperienza è ritornata ad<br />

essere una parte infinitesimale del tempo della mia vita.<br />

C'è però qualcosa di misterioso, di grande e di<br />

intrasmissibile nella nascita, qualcosa che appartiene in<br />

prima battuta all'essere che nasce e all'essere che fa<br />

nascere. Ma è probabile che questa forza si irradi a noi<br />

uomini. Così irrimediabilmente esclusi dalla fisicità<br />

dell'evento ma non per questo immuni dalla sua magia.<br />

Durante un travaglio capiterà a tutti di guardare sovente<br />

l'orologio, di contare i minuti che separano una<br />

contrazione dall'altra o, più banalmente, di guardare il<br />

tempo del dolore che non passa mai abbastanza<br />

rapidamente. Ma può anche darsi che sopraggiunga un<br />

attimo imprevisto ­ a tutti lo auguro, anche se non si<br />

tratta di un'esperienza di per sé piacevole ­ nel quale<br />

l'orologio non ha più quadrante né lancette e nel quale<br />

si ha la netta sensazione che l'infinità è in quella stanza,<br />

fra voi, la vostra compagna e il piccolo che sta per venire<br />

al mondo.<br />

Forse bisogna proprio perdersi per ritrovarsi.


AFFINITÀ<br />

di Giuliana L., mamma<br />

Una figlia in difficoltà guida la mamma verso una<br />

straordinaria scoperta, che getta luce sul passato<br />

e crea un curioso gioco di specchi<br />

Si fa presto a dire madre­figlia.<br />

Ma quanti fili ci sono in questo legame? E quanti nodi,<br />

e quanti modi di volersi bene...<br />

Mi sorprende ancora l’emozione che mi dà il solo pensare<br />

a Carlotta, al fatto che c’è. Qualche volta le ho detto di<br />

questa mia emozione, ricevendone in risposta uno<br />

sguardo perplesso. Mi si dirà che è piuttosto normale<br />

essere felici pensando ai figli. Infatti anche il mio<br />

tempestoso e allegrissimo secondogenito – parimenti<br />

amato – è indubbiamente una fonte di felicità (oltre che<br />

di innumerevoli disastri domestici).<br />

Ma con una figlia è diverso. C’è sempre un dialogo sottile,<br />

senza parole, per affinità, c’è sempre l’appartenenza allo<br />

stesso genere. Capirsi, ma anche scontrarsi, è più<br />

immediato.<br />

Della primissima infanzia di Carlotta ricordo una quasi<br />

assoluta e apparentemente imperturbabile comunione.<br />

Praticamente inscindibili per i primi dieci mesi. Tutto il<br />

resto non contava. Qualche settimana dopo la sua nascita<br />

mi trasferii in campagna. Con la scusa che l’aria era<br />

migliore, in realtà perché non volevo condividerla con<br />

nessuno. Unico ammesso il mio povero compagno, nonché<br />

babbo di Carlotta, che comunque più di una volta deve<br />

avere avuto l’impressione, in quei mesi, di essere persona<br />

‘non grata’. Con Gregorio, il mio bimbo più piccolo, questa<br />

sensazione di unisono non l’ho mai provata in modo così<br />

vivo e duraturo.<br />

È che in una figlia femmina si finisce per rispecchiarsi.<br />

Si può pensare che ‘’magari anch’io ero così alla sua età,<br />

anch’io mi comportavo così’’. Ti rivedi bambina e sei la<br />

mamma che avresti voluto avere e a trenta e passa anni<br />

di distanza ti permetti l’impareggiabile lusso di essere<br />

madre e figlia al tempo stesso. Fai da madre alla tua<br />

creatura, ma al tempo stesso fai da madre anche a te<br />

stessa. Ogni donna, ha detto qualcuno, ha in sé un po’<br />

della propria madre e un po’ della propria figlia. Spostare<br />

l’ago della bilancia verso la propria figlia può servire a<br />

riequilibrare i conti, se ce ne sono, o semplicemente a<br />

chiarire il nostro puzzle personale.<br />

A me è accaduto di ‘specchiarmi’ in una bimba dall’indole<br />

dolcissima e (ahi la vanesia materna) dalla bellezza fuori<br />

dal comune (il che – va sottolineato – ha sorpreso me<br />

prima degli altri, trovando io assolutamente miracoloso<br />

l’avere ‘prodotto’ tanta perfezione, e doveva sembrare<br />

impossibile a quella suora che, mentre eravamo in<br />

campagna, fermandosi ad ammirare Carlotta, mi chiese<br />

per due volte con tono prima incredulo e poi quasi<br />

sospettoso, se fosse veramente mia figlia). Se ripenso a<br />

quei momenti, a quegli anni non posso allontanare la<br />

sensazione di nostalgia per una magia non più conosciuta.<br />

Ma Carlotta è speciale anche perché è dislessica. <strong>La</strong><br />

conferma è arrivata l’anno scorso, quando frequentava la<br />

seconda elementare, ma lo sospettavo fin dalla prima.<br />

Non vedevo altra spiegazione alle sue grandi difficoltà nel<br />

leggere le prime sillabe, ai suoi dettati pieni di errori, alle<br />

19<br />

MARZO 2000 - UOVO 12<br />

TRA MADRI E FIGLIE<br />

UN VIAGGIO IN CADUTA LIBERA<br />

TRA CORRENTI IMPETUOSE<br />

DI AFFETTI E DI OSTILITÀ<br />

parole quasi incomprensibili che scriveva. E mi<br />

interrogavo sul perché, di pari passo con le sue difficoltà<br />

scolastiche, fosse così cambiata: non più solare e serena,<br />

ma incerta, timorosa, chiusa, nervosa oltre ogni dire,<br />

ribelle, pronta alle lacrime e agli strilli alla prima<br />

avversità, scolastica e non. <strong>La</strong> diagnosi di dislessia fu<br />

quasi un sollievo: c’era un problema preciso e c’era una<br />

cura. Lo comunicai trionfante a Carlotta: sarebbe tornata<br />

come ‘prima’. E invece le ho solo detto che era ‘diversa’,<br />

che non era come i suoi compagni di scuola, che aveva<br />

‘una malattia’. Questo infatti quello che lei ha riferito,<br />

contrita, alla maestra. I primi tempi sono stati molto<br />

difficili. ‘’Fragile e depressa’’ decretò la sua logopedista.<br />

Per me è stata una duplice scoperta. I colloqui con gli<br />

esperti a cui ci siamo rivolti, mi hanno portato alla<br />

conclusione che sono – sono stata – dislessica, anch’io,<br />

anche se probabilmente in modo meno accentuato di<br />

Carlotta. Nulla di sorprendente: è frequente che i genitori<br />

di bimbi dislessici scoprano di esserlo a loro volta, a<br />

posteriori, (la dislessia ha una base genetica), quando<br />

viene fatta la diagnosi al figlio. Del resto trentacinque anni<br />

e più anni fa, immagino che la dislessia fosse sconosciuta<br />

al lessico delle scuole elementari italiane. <strong>La</strong> scoperta è<br />

stata per certi versi illuminante: ho avuto una carriera<br />

scolastica di indubbio successo, ma solo al prezzo di molte<br />

ore di studio e di un grande impegno, tanto che in casa<br />

venivo accreditata di ''tanta buona volontà”, ma di un<br />

intelletto non eccelso.<br />

Diversamente dalla logopedista, comunque, la<br />

neuropsichiatra pensa che Carlotta sia fortunata. ‘’È<br />

fortunata, perché ha una madre che saprà capire le sue<br />

difficoltà, avendole provate lei stessa’’ mi ha detto. Certo<br />

che le capisco, ma anche mi spaventano. So che<br />

apprendere, per noi, è più faticoso. Anche se così diventa<br />

un’ottima palestra per affrontare tutte le difficoltà. Basta<br />

crederci. Ed è quello che cerco di far capire a Carlotta.<br />

Cerco di trasmetterle la fiducia e la determinazione che<br />

sono indispensabili non solo quando si tratta di scrivere un<br />

dettato o studiare le tabelline.<br />

Insomma una sfida in più. I risultati cominciano ad<br />

arrivare. Con l’aiuto di tutti. Le insegnanti, la logopedista,<br />

la famiglia. E Carlotta, beninteso. Che continua a non<br />

amare la scuola (ma forse le piace soprattutto dirlo), a<br />

fare confusione tra la ’a’ e la ‘o’, la ‘d’ e la ‘b’, a non<br />

azzeccare le doppie e a dimenticarsi quanto fa ‘sei per<br />

otto’. Che si intristisce, come l'altra sera, perché non<br />

prende mai 'ottimo', ma al massimo 'discreto'. Al tempo<br />

stesso, però, ha rivelato una grande predisposizione per il<br />

disegno e la musica ed è diventata un’ottima sportiva.<br />

Sopra ogni altra cosa, pur tra alti e bassi, sta ritrovando<br />

serenità e fiducia. E anche se finiamo spesso per<br />

bisticciare quando la seguo nei compiti (la virtù della<br />

pazienza difetta forse nel Dna di entrambe), il nostro filo,<br />

lungi dall’essersi indebolito, ha trovato un nodo che lo<br />

rende più stretto.


UN ’ ORGIA DI LATTE<br />

Lo sballo<br />

Silvia P., mamma<br />

SETTEMBRE 2000 - UOVO 13<br />

20<br />

Ti siedi un attimo per allattare comoda e non ti rialzi più<br />

per mesi<br />

<strong>La</strong> prima cosa che dissi quel 24 dicembre di un anno e<br />

mezzo fa, quando vidi per la prima volta quel corpicino<br />

ancora parzialmente unito a me, non fu: "com'è bello!",<br />

come da manuale, ma: "non è piccolo!".<br />

Fu solo il primo esempio di abbaglio materno e<br />

faciloneria da primipara.<br />

In realtà, come varie ecografie avevano già<br />

prognosticato, mio figlio pesava poco più di due chili<br />

e nonostante stesse benissimo, mi fu sufficiente un<br />

rapido sguardo agli altri pargoli della nursery per<br />

rendermi conto che avevo partorito un bel topino.<br />

Topo­topo fu il primo vezzeggiativo che utilizzai per lui<br />

e probabilmente fu in quel momento che decise di<br />

farmela pagare.<br />

Voleva dimostrare che tutta quella graziosa e grinzosa<br />

pellicina in eccesso poteva essere riempita a tempo di<br />

record. E ce la fece.<br />

Non aveva ancora un giorno compiuto quando la<br />

famigerata doppia pesata impostami dalle vigilatrici<br />

dell'ospedale evidenziò che in una poppata si era<br />

trangugiato venti grammi di colostro.<br />

Una volta arrivata la montata lattea, il piccolo, che<br />

tenevo in camera con me, dimostrava sempre di avere<br />

un ottimo appetito. Ed io ero felice.<br />

Ancora non sapevo cosa mi aspettava, altro esempio<br />

di sprovvedutezza da primipara.<br />

Una volta varcata la soglia di casa e ritrovato l'amato<br />

caos, aggravato da cinque giorni di assenza di umani<br />

autocoscienti (in casa erano rimaste solo due gatte e<br />

un neopapà filosofo), tutto mi apparve nella sua reale<br />

gravità. Mi sedetti un attimo per prendere coraggio e<br />

ne approfittai per allattare il pupo affamato. Non mi<br />

alzai per tutto il mese successivo, se non per brevi<br />

capatine in bagno e per andare a letto.<br />

Mio figlio mangiava ogni due ore sia di giorno che di<br />

notte; la poppata aveva una durata media di<br />

quarantacinque minuti. I restanti settantacinque minuti<br />

li passavo a cambiargli il pannolino, a fargli fare il<br />

ruttino, a pulirci dal rigurgito e a farlo addormentare.<br />

Tutto questo a ritmo continuo tipo catena di montaggio,<br />

ventiquattr’ore su ventiquattro. Ogni tanto chiudevo gli<br />

occhi e sognavo, quanto sognavo… per forza, non<br />

IL NUTRIMENTO<br />

DAL SEGRETO DEL VENTRE,<br />

ALL ’ INTIMITÀ DEL SENO,<br />

AL CUCCHIAINO,<br />

ALLA SOCIALITÀ DELLA TAVOLA,<br />

IL CIBO È METAFORA<br />

DELLA CONQUISTA DELL ’ IDENTITÀ<br />

E DELL ’ INTEGRAZIONE SOCIALE.<br />

MA QUANTE VOLTE ANCORA<br />

OCCORRERÀ RIMETTERLA<br />

IN DISCUSSIONE?<br />

riuscivo mai ad abbandonare la fase REM per<br />

addentrarmi in quella ristoratrice del sonno profondo!<br />

Vagavo come un fantasma bevendo ettolitri di tisane al<br />

finocchio che in breve tempo venivano trasformate in<br />

latte e succhiate dal mio draculino.<br />

Fortunatamente Edoardo non piangeva mai, forse non<br />

ne aveva il tempo.<br />

Dopo un mese, alla prima visita pediatrica, la<br />

dottoressa, incredula, verificò che il piccolo era<br />

aumentato di un chilo e settecento grammi. <strong>La</strong> mamma<br />

aveva riacquistato il peso di prima… della pubertà.<br />

Edoardo aveva vinto la sua scommessa e ora poteva<br />

finalmente dedicarsi a qualcosa di diverso dal cibo; le<br />

poppate si diradarono (anche tre ore!) ed io ricominciai<br />

ad assaporare la gioia del sonno profondo anche se<br />

per pochi minuti. Ho continuato ad allattare, con ritmi<br />

meno pressanti e con più piacere fino al compimento<br />

dell'anno ed avrei continuato se il piccolo avesse<br />

voluto; ma con la stessa facilità con la quale fece la<br />

prima poppata, fece anche l'ultima, allontanando la<br />

bocca dal capezzolo e facendo una gran risata.<br />

In fondo lui si è sempre divertito!<br />

Ora che ho maturato esperienza e soprattutto ho<br />

sperimentato le strigliate di Mercedes agli incontri del<br />

dopo parto e ho fatto mio il suo bagaglio di esperienza<br />

(sono gettonatissima come dispensatrice di consigli e<br />

rimedi fra le amiche inesperte), posso ammettere di<br />

aver compiuto qualche errore di valutazione. Forse a<br />

causa di un malinteso concetto di allattamento a<br />

richiesta, ad ogni smorfia di Edoardo ero pronta ad<br />

infilargli in seno in bocca senza altre indagini o<br />

valutazioni. Ora tenterei altre pratiche per calmarlo ­<br />

per poi probabilmente ritornare all'amata tetta, panacea<br />

di tutti i mali dei neonati. Vi saprò dire se in futuro<br />

dovessi avere altri figli.<br />

Comunque, ora che il mio topino è cresciuto e alterna<br />

periodi di avidità a periodi di inappetenza, ripenso a<br />

quei momenti con grande tenerezza, nella<br />

consapevolezza che una simbiosi così grande e totale<br />

non tornerà, ma è servita e servirà alla sua crescita<br />

non solo fisica ma spirituale ­ e anche alla mia.<br />

<strong>La</strong> fatica di quei primi mesi è stata ripagata e sono<br />

certa che la riaffronterei con un secondo figlio.<br />

Ma non senza lamentarmi.


IL SONNO<br />

CHI HA RUBATO IL SONNO<br />

DAGLI OCCHI DEL BAMBINO?<br />

DEVO SAPERLO.<br />

NON DOVREI DARGLI<br />

UNA LEZIONE<br />

SE SOLO SAPESSI<br />

TROVARLO?<br />

21<br />

GIROTONDO DEGLI INSONNI<br />

TENERISSIMI DITTATORI<br />

È una guerra persa, quella contro il despota delle tue<br />

notti che, al risveglio, ti scioglie con uno sguardo alla<br />

“Bambi”. Un colpo basso che sa però essere anche<br />

premio per tanta stanchezza, e carburante per non<br />

mollare. Tra le scoperte di una mamma insonne,<br />

infatti, c’è il dono di un’energia inaspettata.<br />

Mi allontano leggera e silenziosa come una farfalla dal<br />

lettino di Marco. Mi infilo piano tra le lenzuola. Cerco il<br />

calore del corpo di Massimo per togliermi dalle ossa il<br />

gelo della notte. Mi rimbocco le coperte e aspetto.<br />

Quanto ci vorrà questa volta? Il terribile richiamo della<br />

notte, quel “ueeeeh” che squarcia le tenebre, è in<br />

agguato. Sarà sufficiente il tempo di girarmi su un<br />

fianco oppure mi concederà di iniziare un sogno o<br />

magari, se sono fortunata, di finirlo?<br />

Sono le quattro di notte, o del mattino, e ci sono<br />

voluti solo dieci minuti prima che Marco, otto mesi<br />

circa di energia al titanio, si svegliasse per l’ennesima<br />

volta. Da mezzanotte, quando ero riuscita ad<br />

adagiarlo nel suo lettino, è la settima volta che mi<br />

alzo e lo prendo tra le braccia. Lo attacco al seno, lui<br />

si riaddormenta e ricomincia la manfrina.<br />

A volte penso che se Marco non fosse il mio terzo<br />

figlio, io sarei già finita sulle pagine di cronaca nera.<br />

Solo l’esperienza che mi viene da Ambra (sei anni e<br />

mezzo) e da Matteo (quasi cinque) mi dà forza e<br />

speranza. Ogni bambino ha i suoi tempi e ogni sua<br />

fase di sviluppo segue ritmi differenti. Ogni cosa ha il<br />

suo tempo e io ho imparato a trasformarmi ogni<br />

giorno, soprattutto la notte, in un giunco. Per resistere<br />

alla forza della corrente del fiume (ovvero mio figlio)<br />

devo essere flessibile come quel ramoscello.<br />

Resistergli, anche se a volte la tentazione è molto<br />

forte, sarebbe un errore. Mi spezzerei in un attimo.<br />

Questo anche perché, in verità, più che a un giunco<br />

assomiglio a una corda di violino.<br />

Ogni mattina mi chiedo come farò ad arrivare a sera e<br />

ogni sera mi domando come farò ad affrontare la<br />

notte. E così, in mezzo a questi dubbi, un giorno si<br />

sussegue all’altro facendomi scoprire inaspettate<br />

energie che neppure dopo due figli pensavo di avere.<br />

<strong>La</strong> natura è davvero una grande maestra di alchimie e<br />

sembra sappia riconoscere l’imminenza del punto di<br />

rottura di una madre stremata da mesi e mesi di<br />

veglia. Nel momento in cui manca un soffio al<br />

raggiungimento del limite estremo di sopportazione,<br />

ecco che ti vengono concesse due meravigliose,<br />

Monica L., mamma<br />

MARZO 2001 - UOVO 14<br />

inaspettate, consecutive, ore di sonno. Un dono<br />

prezioso per chi di solito si accontenta di pisolini felini<br />

alla Winston Churchill (si narra che lo statista non<br />

dormisse più di dieci minuti per volta).<br />

Al risveglio, il sorriso incantato di mio figlio che mi<br />

guarda con occhi pieni di incondizionato amore e di<br />

una dolcezza che sembra arrivare da un mondo<br />

lontano, mi ripagano di tutte quelle ore insonni.<br />

Anzi mi sento quasi in colpa perché, nei momenti di<br />

maggior esasperazione notturna, gli avevo detto che<br />

era un bambino cattivo, senza cuore. Un dittatore.<br />

<strong>La</strong> natura deve aver dotato i bambini di un<br />

vademecum per la sopravvivenza che suggerisce<br />

moine, sorrisetti e sguardi alla Bambi in caso di madre<br />

prossima al collasso. Poche, quanto fondamentali,<br />

mosse per mandare in frantumi ogni proponimento<br />

prussiano (lo chiudo in bagno e che pianga tutta la<br />

notte) e far tracimare il cuore di panna di una madre.<br />

E allora, anche quando ti guardi allo specchio e<br />

controlli con orrore l’enormità delle tue occhiaie, la<br />

profondità abissale delle rughe intorno agli occhi, i<br />

capelli a spinacio che si abbattono su un viso pallido e<br />

stanco, trovi il disumano coraggio di dire che è ancora<br />

questione di poco, qualche mese al massimo. Poi tutto<br />

tornerà quasi normale, quella anormale normalità che<br />

può esserci in una famiglia con tre figli, un cane, un<br />

pesce rosso, una coppia prolifica di uccelli Diamanti<br />

Mandarini e, last but not least, un marito.<br />

Per mesi ho tormentato le mie deliziose compagne di<br />

corso “gioco bimbi” con le storie delle mie notti<br />

insonni, cercando di descrivere non solo la stanchezza<br />

ma anche la sensazione di appartenere a un’altra<br />

dimensione, quella della notte, dove i sensi,<br />

esasperati dalla veglia, ti portano a pensare in modo<br />

strano, curioso.<br />

Una volta, vedendomi particolarmente provata<br />

dall’accoppiata allattamento­insonnia, le mie<br />

compagne mi hanno ricordato una cosa che avevo<br />

detto loro mesi prima quando, pancione, aspettavamo<br />

la nascita dei nostri bebè. A fronte della mia<br />

esperienza di bis­mamma, avevo detto loro,<br />

soprattutto per rincuorare le future mamme, due<br />

parole semplici, semplici e quasi banali: tutto passa.<br />

Avete fatto bene a ricordarmelo. Marco da qualche<br />

giorno dorme anche quattro ore di fila.<br />

È vero, tutto passa.<br />

Parola di tris­mamma.


<strong>La</strong> <strong>Casa</strong> è un<br />

tempio<br />

Anna Mancini, ostetrica<br />

GIUGNO 2002 - UOVO 15<br />

“ Là dove si respira la forza, la potenza<br />

e la sacralità del femminile”<br />

Quando ho lasciato l’ospedale non avevo idea<br />

precisa di ciò che mi aspettava, ma sapevo ciò che<br />

lasciavo: la sensazione che la mia energia<br />

si disperdesse nel nulla.<br />

Ogni azione era pesante come trascinare un<br />

carrozzone: tu tiravi, tutti giocavano a frenare.<br />

E per questo mi sono licenziata e sono andata alla<br />

<strong>Casa</strong> di maternità. All’inizio la paura ed il senso di<br />

inadeguatezza erano spesso presenti. Tutto era<br />

diverso rispetto all’ospedale. Sul parto avevo una<br />

buona esperienza ma su tutto il resto (corsi,<br />

gravidanze, puerperi e il neonato… aiuto!) ho<br />

dovuto ricominciare.<br />

Ma finalmente potevo dare libero sfogo alle idee<br />

senza sentire dietro di me una forza resistente,<br />

potevo assecondare le situazioni con molta fluidità,<br />

rispondendone soprattutto a me stessa. Con il<br />

tempo ho acquistato sicurezza: è allora che ho<br />

cominciato a rendermi conto che il mio lavoro mi<br />

stava portando ad esplorare in profondità ‘il<br />

femminile’; la <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong> è stata un pullulare<br />

di emozioni, di dolore, di gioia, di progetti, di vita,<br />

tutti declinati al femminile.<br />

Le scuole che avevo frequentato fino ad allora<br />

mi avevano istruito all’azione; la <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong><br />

è stata per me scuola di ricettività,<br />

di ascolto delle emozioni: aprirsi, rendersi<br />

vulnerabile e sprofondare, per poi emergere più<br />

forte. Ho sperimentato questo assieme a centinaia<br />

di donne che sono passate di lì, ogni volta<br />

sentendo la forza, il coraggio fluire da me e da<br />

ognuna di loro.<br />

Quando ora mi trovo di fronte a una donna,<br />

alla sua gioia e al suo dolore, se riesco ad<br />

essere ‘presente’ a lei e ‘presente’ a me stessa,<br />

sento scorrere la vita in quest’incontro; e ciò mi<br />

permette di superare l’immane stanchezza e fatica<br />

del mio lavoro.<br />

<strong>La</strong> <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong> è un luogo dove la<br />

quotidianità si sposa con l’eccezionalità, il gesto<br />

con l’ascolto, la parola con il silenzio, il sentire con<br />

l’essere; dove si respira la forza, la potenza e la<br />

sacralità del femminile.<br />

22<br />

LA CASA CHE NON C ’ È<br />

RICOSTRUZIONE<br />

DOVE CADONO LE STELLE<br />

SOSPESI I TUOI SEGRETI<br />

DOVE I SOGNI SI DILEGUANO<br />

POTRÒ<br />

SARÒ PRESENTE<br />

A RICOMPORRE IL QUADRO.<br />

PER TE, SEGRETAMENTE<br />

A RISALIR LE STELLE<br />

UN LUOGO,<br />

UN TEMPO<br />

Chiara V., mamma<br />

Se non è un luogo, è un tempo, che si<br />

allunga e si adatta a te. Non è affatto<br />

assurdo. P iuttosto, è indispensabile.<br />

Martedì 19 settembre mi telefona Lidia dalla<br />

<strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong>: “Ciao, Chiara, ti faccio una<br />

proposta indecente: il 22, venerdì, si terrà un<br />

convegno a Firenze organizzato dalle donne<br />

Verdi. Il tema sarà: Sessualità, Procreazione,<br />

Nascita. Abbiamo promesso che ci saremo,<br />

ma purtroppo c’è stato un contrattempo, e<br />

Anna non potrà andare.Hai voglia di andarci tu? Porteresti<br />

l’esperienza di mamma che ha partorito da noi…. Ci<br />

risentiamo nel pomeriggio!”<br />

Sistemare i bambini per dodici ore, e partire.<br />

Forse è possibile.…<br />

Sono arrivata a Firenze in treno. Era da parecchio che non<br />

mi capitava di risalirci, su un treno. È stato bello. Bello<br />

quello scorcio di Italia che collega le risaie lombarde alla<br />

campagna toscana, bello fermarsi, anche se solo per pochi<br />

minuti, sui binari di città a me care: Piacenza, Parma,<br />

Modena, Bologna. Città tranquille, rispetto alla Milano che mi<br />

lasciavo alle spalle, città dove ancora, in certe vie, ti ascolti<br />

addirittura il passo, mentre cammini.<br />

Chissà, forse non è un caso che “<strong>La</strong> <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea” sia proprio a<br />

Milano. Incredibile, per certi aspetti: il luogo dove la calma e<br />

il silenzio sono i presupposti essenziali per ben nascere e<br />

ben partorire, sorge proprio nel più caotico dei grovigli di<br />

case e strade che si conosca in Italia, Milano. <strong>La</strong> città dove il<br />

mito dell’efficienza trasforma la donna incinta in una vera e<br />

propria disabile, perché quando aspetti un bambino<br />

cambiano i ritmi, e con essi le esigenze di ogni giorno, e<br />

quelle imposte da una metropoli non ti calzano più,<br />

ammesso che tu le abbia mai indossate comodamente.<br />

Per questo “<strong>La</strong> <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea” assume, in un contesto di stress e<br />

nevrosi cittadine, un ruolo ancora più importante: la sua<br />

funzione sociale di luogo d’accoglienza e di ascolto<br />

diventa fondamentale.<br />

Un presepe laico, ecco l’immagine che mi è nata in testa<br />

mentre attraversavo in treno gli Appennini e facevo scorrere<br />

le diapositive dei parti in <strong>Casa</strong>. Immagini di uomini e donne<br />

che attendono con fiducia che l’evento si compia, che sanno<br />

fermarsi e “non fare”, se fare non serve.<br />

Mille miglia di distanza dalla frenesia, passata sotto il<br />

termine di efficienza, della gran parte degli ospedali.<br />

Accoglienza, ascolto, libertà. Queste sono, a mio avviso, le<br />

“parole chiave” che possono spiegare il fascino di<br />

un’esperienza di maternità a “<strong>La</strong> <strong>Via</strong> <strong>La</strong>ttea”.<br />

Tra le sensazioni che ti accompagnano lungo il percorso,<br />

forse la più bella è sentire il tempo che si allunga, orologio e<br />

calendario che si adattano a te, e non viceversa.<br />

Durante l’attesa, durante le ore del parto, durante il<br />

puerperio, la coscienza che ciò è possibile, e che concedersi<br />

tempo e comprensione non è assurdo,<br />

diventa (ho scoperto) indispensabile.


CHI HA<br />

PAURA DEL LUPO CATTIVO?<br />

LE DOMANDE DIFFICILI<br />

SULLA VITA E SULLA MORTE.<br />

COME NE PARLIAMO AI NOSTRI FIGLI,<br />

COME NE PARLANO LORO: LE PAURE,<br />

I BLOCCHI, I TABÙ<br />

Le mamme possono uccidere i figli, infliggendosi la<br />

morte cento, mille volte: ad ogni risveglio. Non c’è niente<br />

da commentare, non c’è da scrivere, non c’è da<br />

fotografare, così come invece fanno, bestialmente fanno,<br />

i cronisti d’assalto. Un bambino di quattro anni ha<br />

introdotto una grande novità, per un fatto di cronaca: la<br />

compassione.<br />

Monte Campione, ore 20 e 15 di una serata qualsiasi<br />

della prima settimana di luglio. L’ultima sigla di Tom e<br />

Jerry è già di qualche minuto fa. Sono in cucina e quasi<br />

non faccio caso alla tivù ancora accesa nell’altra stanza,<br />

mentre a suon di squilli di tromba dà fiato alle fanfare pre<br />

­tiggì. Partono i titoli dei servizi proprio mentre torno in<br />

soggiorno ad appoggiare non so più cosa, spengo la tivù<br />

e lancio ai bambini l’ultimo richiamo per la cena, di là in<br />

cucina.<br />

“Mamma!... ­ è Tommaso, quattro anni, che mi zampetta<br />

alle spalle ­ lo sai che cosa è successo oggi?… una<br />

mamma ha gettato i suoi due bambini nel lago, ma<br />

proprio sotto al lago… e… e adesso i suoi due bambini<br />

sono morti e lei ha il cuore spezzato dal dolore…”.<br />

“È proprio così Tommy”, dico io senza girarmi. Un<br />

tamburo mi rimbomba nelle orecchie, “…ora avrà<br />

senz’altro il cuore spezzato…”, ripeto meccanicamente,<br />

incapace, per il momento, di pensare a un commento<br />

alternativo. Sono spiazzata, vorrei tornare sull’argomento<br />

per tamponare quello che mi appare come uno squarcio<br />

drammatico, per rimediare al danno, per suggellare il<br />

tutto con un’altra didascalia, adulta e consapevole, ma<br />

per fortuna riesco solo a star zitta e a servire i ravioli in<br />

brodo.<br />

Sono passate tre settimane da quel giorno, e qualche<br />

volta ho ripensato a quella frase di Tommaso,<br />

all’espressione seria e concentrata che aveva in quel<br />

momento. Certo, non avrebbe dovuto ascoltarla, quella<br />

notizia, ma purtroppo è accaduto. E ora penso: che<br />

abisso tra il messaggio del telegiornale e il suo<br />

commento... Da una parte quella cronaca sterile, capace<br />

però di rendere scabrosa anche la disperazione, lontana<br />

anni luce dalla pietà. Dall’altra la mente di un bambino,<br />

che ha tradotto con il suo codice quel messaggio privo di<br />

pietà, lo ha filtrato, mondato di quell’euforia<br />

scandalistica, di quella cieca morbosità.<br />

Eccolo, dunque, il lupo cattivo che entra in casa nostra,<br />

ed ecco la sua tana. Quel lupo, quella brutta bestia che<br />

23<br />

IL LUPO È UNO SGUARDO MORBOSO<br />

Quel lupo che ama l’audience<br />

Chiara V., mamma<br />

MARZO 2003 - UOVO 16<br />

invade di orrore i fatti di cronaca, non si annida nel fatto,<br />

non è da stanare in ciò che capita, in ciò che è, ma in<br />

come si guarda, in come s'interpreta la realtà. Il lupo è il<br />

morbo, è l’intenzione. È lo sguardo spudorato e moralista<br />

che si intrufola nella vita e nella morte, che si permette di<br />

sezionare e giudicare perfino la disperazione.<br />

Questo sguardo è qualcosa di cui i bambini non sono<br />

capaci, ed è proprio in questa loro “pulizia” di giudizio<br />

che si racchiudono poesia e compassione. Lo sa bene<br />

chi ha cercato la poesia anche nel dramma, e ne ha fatto<br />

nascere grandi opere letterarie. “<strong>La</strong> Storia” di Elsa<br />

Morante è forse il più bello tra i libri, e la sua poesia<br />

infinita nasce proprio in questo sentimento di<br />

assoluzione che l’occhio del bambino riesce ad<br />

assegnare ai fatti, fatti che eppure hanno per scenario il<br />

dramma della guerra e della distruzione.<br />

Forse, proprio attraverso Tommaso, ho capito il punto<br />

debole del lupo, il suo tabù. Quel lupo, quello che a me<br />

pare il più cattivo, intriso di falso e paludato moralismo,<br />

volgare e disgustoso, ha paura di qualcosa. Quel lupo,<br />

affamato di ascolti e di consenso, sa che c’è un solo<br />

sentimento che non si può permettere di far passare al<br />

pubblico. Quel sentimento è la tristezza. <strong>La</strong> tristezza<br />

spoglia e quotidiana del “condividere”, del “compatire”.<br />

<strong>La</strong> tristezza mite e rassegnata dell’accettare,<br />

semplicemente, che il dramma è accaduto, che la<br />

disperazione ha vinto lasciando però il posto, in pochi<br />

minuti, alla pace e al silenzio. È proprio contro questo<br />

silenzio, contro questa naturale, tragica e dolce quiete<br />

della morte, che il lupo si batte forsennatamente. Il suo<br />

tamburo di battaglia è il clamore della cronaca, i suoi<br />

denti affilati sono i fasci di luce puntati ovunque, spietati<br />

e accecanti negli angoli della vita, negli interni di<br />

appartamenti e villette. E più sangue c’è, più concitato e<br />

roboante è l’esorcismo. Il silenzio e la tristezza non<br />

eccitano, non stimolano, non incuriosiscono. Non fanno<br />

audience.<br />

Ma i bambini sanno accettare la cosa semplice, anche<br />

se tragica. E meglio di qualunque adulto, saprebbero<br />

tener testa a questo lupo cablato, sfrondando ogni<br />

notizia dalle odiose e inutili fanfare. Ma ignorare il tutto è<br />

ciò che, solitamente, meglio riesce loro.<br />

Con buona pace del lupo, che a sua volta li ignora.<br />

I bambini non fan gola al mercato del tiggì, non<br />

comprano le Audi e i detersivi che ci ammiccano tra una<br />

tragedia e un goal.


L’habitat sono io<br />

Silvia B., mamma<br />

ll mio cucciolo meraviglioso dorme non in braccio alla sua<br />

mamma: rarità preziosa.<br />

Approfitto subito e prendo carta e penna, ma commetto un<br />

errore: la “carta” è un quaderno dove scrivo in brutta copia<br />

lettere e pensieri, e vi ritrovo così i miei racconti<br />

dall’Irlanda… Non resisto, leggicchio qua e là per ciò che<br />

sembra qualche minuto ma finisce per essere mezz’ora:<br />

nuoto nell’oceano, cammino controvento, poi cambio<br />

direzione e dal vento mi faccio accompagnare, vado in<br />

bicicletta a comprare il pesce, bevo a pint of Guinness e<br />

provo a parlare gaelico…<br />

Luca ed io vi abbiamo vissuto due anni e mezzo. In Irlanda,<br />

dove piove quasi sempre, il vento soffia forte ed insistente,<br />

dove manca l’estate e il cibo non è un granché porterei mio<br />

figlio Giosuè e lo crescerei lì per un po’.<br />

Una volpe passeggiava spesso nel nostro giardino, cervi e<br />

scoiattoli abitavano nel parco cittadino e dagli scogli vicino a<br />

casa salutavo le foche. In Irlanda, soprattutto, lontana dalle<br />

presenze della mia storia, ho trovato me stessa, i miei gusti,<br />

il mio modo personale di incontrare, conoscere, educarmi.<br />

Sì, dove sono stata così bene starebbe bene anche il mio<br />

cucciolo.<br />

In Veneto ho la mia famiglia, quella di mio marito, le amiche<br />

d’infanzia, di giovinezza, di maturità, gli ex colleghi di lavoro,<br />

ho il mare e i monti, i luoghi dei ricordi, la città nota, una<br />

24<br />

HABITAT<br />

COS ’ È<br />

QUESTO PRURITO,<br />

QUESTA VOGLIA D ’ ALTRO<br />

E DI ALTROVE<br />

CHE CI CONTAGIA?<br />

MARZO 2004 - UOVO 17<br />

mappa di riferimenti umani e ambientali. Lì sono conosciuta<br />

e riconosciuta (…troppo? Come verrebbe accolto un<br />

cambiamento?); vorrei che tutti vedessero mio figlio Giosuè<br />

e completassero così il mio identikit, perché lui è il mio<br />

traguardo più bello.<br />

Anche in Veneto crescerei mio figlio, inserito in una rete di<br />

affetti sicuri in cui non sarebbe mai solo.<br />

Quando ho saputo d’essere incinta abitavo da due mesi in<br />

Lombardia. Ho trascorso la mia gravidanza guidando attorno<br />

a Milano, ma nella mia bella panciona Giosuè si dimenava<br />

costantemente: il luogo “automobile in tangenziale” non gli<br />

piaceva proprio. Ma io dovevo cercare, trovare la casa<br />

migliore nel posto migliore, per lui ovviamente: un luogo<br />

verde ma non isolato, vicino a qualcuno con cui stare bene<br />

ma comodo per raggiungere l’ufficio a Milano, luminoso,<br />

silenzioso, possibilmente economico.<br />

Praticamente inesistente.<br />

Le capriole di Giosuè mi convinsero a desistere, e al settimo<br />

mese decisi di fermarmi esattamente dov’ero.<br />

Giosuè ora ha quasi quattro mesi e qui nel palazzo ha già<br />

molti fan di ogni età. Scambio opinioni, consigli e, perché no,<br />

chiacchiere con altre mamme e i bimbi più grandicelli già<br />

dicono di aspettarlo per giocare giù in giardino.<br />

Questa città non ha un vero parco, esiste piuttosto un<br />

giardinetto. Per trovare natura più selvaggia bisogna andare<br />

al fiume, ad una decina di chilometri da casa.<br />

Sto attenta ai percorsi delle nostre passeggiate: non voglio<br />

che alla sua altezza da terra – diciamo mezzo metro di<br />

passeggino – invece del vento soffino i fumi di scappamento,<br />

ed ho scoperto così viuzze quasi silenziose e profumate.<br />

Ogni giorno ci aspetta una nuova temperatura, i primi freddi<br />

sulle guanciotte, ci attendono le foglie rosse, su su vicino al<br />

cielo e giù giù vicino ai piedi, la ragazza gentile del panificio,<br />

tutta sorrisi, la coppietta del banchetto di frutta e la signora<br />

del formaggio.<br />

Ogni giorno gli sguardi della gente si abbassano verso il suo<br />

faccino, poi si rialzano verso di me ed è subito sorriso.<br />

Ma il mondo che sta attorno a mio figlio è veramente così o è<br />

la mia felicità che lo rende speciale? Dov’era prima tutto ciò?<br />

Cosa andavo cercando per lui? È lo stesso Giosuè che mi<br />

risponde: è l’amore che genera altro amore e la bellezza<br />

altra bellezza. Il suo habitat, per ora, sono io, ed è lui che mi<br />

rende “bellissima”.


CHE PAURA CHE VOGLIA DI FARE BAMBINI<br />

UN FIGLIO È FRUTTO<br />

DEL CASO,<br />

25<br />

UN VIA VAI DI CICOGNE<br />

INTRECCIARE IL CORDONE<br />

DELLA VOLONTÀ<br />

Quando da bambina<br />

giocavo "a fare le<br />

O DEL DESIDERIO?<br />

signore" con le mie<br />

amichette, mi vedevo<br />

proiettata in un futuro dai contorni non ben definiti, in<br />

una casa che sembrava l'esatta fotocopia di quella dei<br />

miei genitori, con mio marito e due figli maschi, forse<br />

per assecondare un desiderio manifesto di mia mamma<br />

che durante le dolci attese confezionava bavaglini e<br />

tutine rigorosamente azzurri; niente da fare: siamo<br />

arrivate prima io e mia sorella qualche anno dopo.<br />

Quando sono rimasta incinta la prima volta, esattamente<br />

undici anni fa, la certezza di avere in grembo un<br />

fagiolino rosa era l'intima,<br />

profonda consapevolezza<br />

che crea la gravidanza:<br />

certe cose le sai di sicuro<br />

e non ti sbagli, il corpo<br />

non mente, basta<br />

ascoltarlo.<br />

Sofia è nata alla <strong>Casa</strong> del<br />

Parto (allora si chiamava<br />

così), ma la sua vita è<br />

durata solo due mesi e<br />

quando mi è mancata<br />

mi sono sentita persa,<br />

dilaniata da un dolore<br />

che lasciava l'anima a<br />

brandelli e il corpo<br />

esausto, per un po'.<br />

Poi la vita è tornata a<br />

manifestarsi fuori e dentro<br />

di me. Anche Andrea è<br />

nato nell'ambiente caldo e<br />

avvolgente delle fate<br />

care e rassicuranti, la<br />

felicità e la soddisfazione<br />

di quei momenti sono qui<br />

con me, il tempo non è<br />

trascorso.<br />

Sono poi passati degli anni prima che il desiderio di un<br />

altro figlio arrivasse al punto di non ritorno e, a<br />

quarantadue anni, provarci e riprovarci a tutti i costi mi<br />

avrebbe messo in una condizione che mente e corpo<br />

rifiutavano: controlli ed esami serrati e quasi<br />

sicuramente parto in ospedale; questa prospettiva mi<br />

rendeva spossata e triste ancor prima che si avverasse.<br />

<strong>La</strong> voglia di essere ancora madre, di avere un altro figlio,<br />

una famiglia più numerosa, mi si ripresentava sopra ogni<br />

altro e così mi sono lasciata condurre lontano, molto<br />

lontano!<br />

Abbiamo iniziato le pratiche per adottare un bambino più<br />

di due anni fa. È una trafila lunga e complessa, ma non<br />

sentivo né fatica né paura e durante le code in prefettura<br />

Gabriella M., mamma<br />

NOVEMBRE 2004 - UOVO 18<br />

o in tribunale per colloqui e documenti mi ritrovavo<br />

avvolta da quella beata serenità che molte di noi<br />

conoscono: sì, ero già "incinta". Agli incontri di<br />

preparazione ci veniva detto di non sognare troppo<br />

perché la realtà dei bambini abbandonati è cruda. Io<br />

però continuavo a sognare (davvero!) un bambino dal<br />

faccino rotondo e gli occhi d'ebano.<br />

Siamo partiti, io, Willy e Andrea, nel mese di giugno per<br />

il Brasile e là, dopo una "gravidanza elefantesca", ho<br />

finalmente conosciuto Jeferson. Ha quattro anni e<br />

mezzo, la pelle un po' più scura della nostra, il visino<br />

rotondo e gli occhioni scuri.<br />

Andrea, figlio concepito, partorito ed allattato, è il mio<br />

stesso proseguire nella<br />

vita e viverlo altro da me<br />

e permettergli di crescere<br />

è spesso difficile. Con<br />

Jeferson avviene l'esatto<br />

contrario ed essere già<br />

madre spesso non mi è<br />

d'aiuto, anzi! Confronti e<br />

differenze sembrano a<br />

volte limiti insormontabili,<br />

altre volte ricchezza per<br />

tutta la famiglia.<br />

All'inizio Je­Je evitava di<br />

incontrare il mio sguardo,<br />

mi studiava "da lontano",<br />

smarrito e diffidente, e se<br />

allungavo una mano la sua<br />

si ritraeva. Isabel e Luana<br />

mi aiutavano a stabilire un<br />

cordone ombelicale tra me<br />

e il piccino così come Anna<br />

e Nadia lo tagliano quando<br />

è il momento. <strong>La</strong> dolce<br />

terra brasiliana ha fatto il<br />

resto: a dodicimila<br />

chilometri dal mio mondo,<br />

tra quella gente così naturalmente cordiale, affettuosa,<br />

empatica, mi sono sentita a casa, un'enorme casa del<br />

parto, e così è stato anche per Willy e Andrea.<br />

Siamo rimasti in Brasile quasi due mesi; ora Je­Je mi<br />

chiama "mia amada", ieri si è infilato sotto la mia<br />

maglietta, a contatto con la pelle, è rimasto così per un<br />

po' poi ha tirato fuori la testa e mi ha guardata ridendo<br />

contento.<br />

Quanta strada ho fatto! Mi chiedo come e cosa mi abbia<br />

sostenuta tutto questo tempo e nei momenti più duri;<br />

credo il desiderio nitido e profondo, la sensazione chiara<br />

di non voler accanirmi a tutti i costi in un percorso che<br />

rischiava di impoverirmi invece di arricchirmi e l'essermi<br />

lasciata trasportare in questo cammino che so per certo<br />

essere proprio il mio e che mi ha portata in questa terra<br />

lontana di cui sento il richiamo: la terra di mio figlio.


26<br />

Ultimo sguardo alla pancia<br />

Judith M., mamma<br />

Oggi doveva nascere il mio bambino e invece<br />

eccomi qua a scrivere. Ho preso circa quindici<br />

chili eppure mi trovo proprio bella. Quando mi<br />

guardo nuda allo specchio o quando faccio<br />

l’amore con mio marito mi sento proprio bene<br />

e bella. Questa pancia mi sta bene, non c’è<br />

che dire. Adesso però deve andare via, come<br />

starò? Chissà. Mentre scrivo mi chiedo se<br />

questo pensiero non possa essere un<br />

impedimento alla nascita di mio figlio.<br />

Avevo sempre immaginato la gravidanza<br />

come un’esperienza fisica bellissima, una<br />

specie di realizzazione dell’essere donna.<br />

Nei primi mesi, ero in uno stato di eccitazione<br />

sessuale quasi costante; questo però non ha<br />

determinato un’attività particolarmente<br />

intensa rispetto al solito, perché ero anche<br />

stanchissima e in preda a nausee e vomito<br />

che mi facevano pensare il peggio nei<br />

confronti di quell’esserino che cresceva a<br />

mie spese.<br />

Nell’amore il piacere arrivava con una velocità<br />

e un’intensità mai provate prima. Sentivo che<br />

questa reazione non era soltanto fisiologica,<br />

ormonale, né soltanto psicologica, ma tutte<br />

e due le cose insieme. Sicuramente il nuovo<br />

legame che si stava creando con mio marito,<br />

avendo insieme concepito un bambino mi<br />

rendeva ancora più aperta nei suoi confronti<br />

e nello stesso tempo il mio corpo era<br />

diventato più ricettivo, molto più sensibile e<br />

fuori dal mio controllo.<br />

In seguito c’è stata un’interruzione drastica,<br />

non solo del desiderio, ma di qualsiasi<br />

attività, perché ho avuto perdite di sangue,<br />

proprio in seguito a un rapporto sessuale.<br />

Ho avuto modo di sapere che non era stato<br />

questo a determinare le perdite, ma nel primo<br />

contatto con il corpo medico, all’ospedale del<br />

luogo di vacanza dove mi trovavo, ho<br />

incontrato un atteggiamento molto<br />

sgradevole, dove in risposta ai miei “perché”,<br />

veniva sottointeso che forse “si era fatto<br />

l’amore in modo un po’ forte”, “sa, dipende<br />

dalla posizione” con i dovuti sorrisetti. Per un<br />

mese e mezzo il mio corpo è rimasto soltanto<br />

una cosa che funzionava male, almeno così lo<br />

sentivo, un rischio per il figlio che portavo.<br />

E la paura di perdere il bambino ha sostituito<br />

la rabbia di stare male.<br />

Poi sono arrivata alla <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong>, ho<br />

cominciato il corso, iniziando quindi a<br />

comunicare con persone che pensavano e<br />

parlavano della gravidanza sotto l’aspetto che<br />

a me interessava, cioè la vita, e non la<br />

NOVEMBRE 2005 - UOVO 19<br />

malattia, e mi sono sentita più sicura.<br />

A un certo punto, senza chiedere il UN LINGUAGGIO MISTERIOSO<br />

permesso a nessuno, ci siamo rimessi a<br />

PER DIALOGARE<br />

fare l’amore; è stato bellissimo,<br />

tenerissimo e liberatorio, non chiedere il SCOPRIRE SÉ E GLI ALTRI<br />

permesso ai medici: le perdite erano<br />

finite da dieci giorni, l’immensa<br />

TROVARSI E RITROVARSI<br />

stanchezza scomparsa, la pancia era lì ATTINGERE<br />

visibile e il piccolo si muoveva.<br />

Durante il quinto e il sesto mese è stato NEL PROFONDO<br />

un piacere anche vestirmi; riuscivo<br />

FORZE VITALI<br />

ancora a mettere alcuni dei vestiti che<br />

portavo prima di rimanere incinta. Mi<br />

divertivo moltissimo con questo nuovo<br />

corpo dove finalmente non era più il mio largo<br />

sedere in primo piano, ma il mio bellissimo<br />

bimbo in pancia. Ho ripreso le mie attività e<br />

ogni giorno nella mia seduta di yoga danzavo;<br />

anche ora se sento della musica che mi piace<br />

mi metto a ballare ed è molto divertente<br />

sentire quest’enorme pancia che si muove e si<br />

contrae con la musica. Il movimento per me è<br />

un modo per pacificarmi, per ritrovare<br />

un’integrità che i cambiamenti continui della<br />

gravidanza rimettono sempre in discussione.<br />

Dal settimo mese, siamo entrati nella terza<br />

fase, in cui la pancia è diventata, a mio<br />

avviso, gigantesca, e la scelta del vestiario<br />

molto limitata. Il fastidio nei movimenti e la<br />

stanchezza sono diventati via via più forti,<br />

con salti di peso improvvisi dell’ordine di due<br />

o tre chili per volta. Ogni volta mi servivano<br />

molti giorni per abituarmi alla nuova<br />

condizione, attraversando prima un momento<br />

di crisi e di depressione. Fare l’amore,<br />

ritrovare un contatto intimo e caldo con<br />

mio marito è sempre stato un modo molto<br />

dolce ed efficace per ritrovare un senso di<br />

armonia con questo nuovo corpo.<br />

In quest’ultimo mese, il desiderio è tornato al<br />

livello dei primi mesi, la zona genitale è molto<br />

vitale, in continuo movimento, ma è cambiato<br />

nuovamente il piacere che provo: non così<br />

dirompente come i primi mesi, ma molto più<br />

complesso. <strong>La</strong> pancia è lì, imponente e viva,<br />

siamo veramente in tre; mi lascio andare al<br />

piacere e mi apro perché sento che mio figlio<br />

non può che avere benefici nel ricevere onde<br />

di felicità condivise dai suoi genitori.<br />

L’altra notte ho sognato che compravo dei<br />

vestiti, ero magrissima, come non sono mai<br />

stata, e mi sentivo davvero bella.<br />

È ora che il mio bimbo nasca affinché lui e io<br />

possiamo entrare in un corpo ancora diverso,<br />

in un’altra fase di vita.<br />

In bocca al lupo a me e a lui.<br />

SESSUALITÀ:<br />

COSÌ È SE VI PARE


27<br />

BOMBE SEXY (ALLA CREMA)<br />

Barbara, mamma<br />

Capelli lucidi e voluminosi, due tette<br />

che non le avevo mai avute, sode e<br />

turgide, la pelle del viso luminosa, la<br />

depilazione alle gambe che durava<br />

almeno il doppio, tutte le curve del<br />

mio corpo addolcite e delineate: ero al<br />

quarto mese di gravidanza, mi sentivo<br />

una bomba sexy!<br />

Finalmente la pancia stava<br />

assumendo quella forma invidiabile e<br />

altera che non permette più di<br />

dubitare tra il "qualche chilo di troppo"<br />

e "lo stato di grazia": finalmente si<br />

capiva che non era grasso ma una<br />

nuova vita che si sistemava dentro di<br />

me, e il resto del mio corpo sbocciava<br />

giorno dopo giorno insieme a quella<br />

gravidanza.<br />

Io la prima l'ho vissuta così, mi<br />

sentivo, ed ero, in gran forma, come<br />

donna. Certo non era la bellezza delle<br />

estati portocervine a venticinque anni,<br />

ma riscuotevo comunque un sacco di<br />

complimenti, e... me li meritavo!<br />

A questo turgore e manifestazione di<br />

prosperità, si accompagnava una<br />

carica sensuale e sessuale<br />

inconsueta: non davo tregua al<br />

povero marito, che sì, mi vedeva<br />

sempre carina, ma senz'altro aveva<br />

del mio corpo una percezione molto<br />

diversa. Sì, era contento del seno<br />

procace: da una terza senza pretese,<br />

era diventata una bella quinta. Ma se<br />

provo a cambiare il punto di vista,<br />

i fianchi si erano allargati e il sedere<br />

pure, le gambe erano più tornite,<br />

insomma rotondotte e più cellulitiche<br />

(gli ormoni, si sa), i piedi spesso gonfi,<br />

e nella pancia, una volta piatta, c'era<br />

un ospite, come ignorarlo?<br />

Insomma, cominciava senz'altro a<br />

vedermi molto più mamma che non<br />

donna...<br />

E quindi io lo assaltavo e lui mi<br />

assecondava, ma sembrava che fossi<br />

diventata di vetro. Ogni movimento e<br />

ogni carezza erano delicati come se<br />

stessi per rompermi, e poi ormai gli<br />

approcci partivano sempre da me...<br />

be’, certo, l'assedio era continuo, lui<br />

non ne aveva la possibilità materiale.<br />

Mi sono spesso chiesta quale fosse la<br />

ragione antropologica e naturale di<br />

questa esplosione di voglia di sesso.<br />

Un giorno leggendo un libro in cui la<br />

protagonista, incinta, descriveva<br />

questa stessa trasformazione arrivata<br />

con la gravidanza, ho trovato una<br />

risposta plausibile: lei ipotizzava che<br />

fosse un modo escogitato dalla natura<br />

per cercare di tenersi il più possibile<br />

vicino il proprio uomo in vista<br />

dell'avvento della nuova creatura che,<br />

chi ci è passato lo sa bene, rende<br />

assolutamente necessaria alla<br />

neomamma la vicinanza di una<br />

persona che l'aiuti nel nuovo ménage<br />

allargato.<br />

Nasce finalmente il piccolo mostro e<br />

con la sua espulsione il mio corpo<br />

espelle anche tutti quegli allegri<br />

ormoni del sesso, perché<br />

improvvisamente succede che il mio<br />

seno si trasforma da zona erogena a<br />

centrale del latte, appena lo sfiori<br />

allaga tutto, eppoi è indolenzito ed<br />

esausto; nella mia vagina, giuro, dopo<br />

il parto, dopo che c'è transitato il<br />

piccolo mostro, non ci transiterà più<br />

nulla: non mi posso immaginare in<br />

che stato saranno i tessuti all'interno e<br />

all'esterno ne ho una vaga e terribile<br />

idea.<br />

Insomma, per quanto mi riguarda, io<br />

ci piazzo un bel divieto di accesso<br />

A TEMPO INDETERMINATO!<br />

Ci vorranno più di due mesi di<br />

pazienza e dolcezza da parte del<br />

maritino prima di tornare all'intimità<br />

del sesso, e ci vorrà un intero anno,<br />

quando finalmente, smesso<br />

l'allattamento, ci concediamo un<br />

weekend da piccioncini in Borgogna,<br />

a sentirmi finalmente più donna che<br />

mamma.<br />

Dopo poco sono di nuovo incinta.<br />

Questa volta è diverso, c'è ancora<br />

l'esplosione di sensualità e sessualità,<br />

ma c'è anche e soprattutto una<br />

grande stanchezza a fare da<br />

contrappeso. Oltre alla gravidanza e<br />

al lavoro, c'è il piccolo mostro numero<br />

uno... e poi è diverso perché, sarà la<br />

stanchezza, sarà che arrivo<br />

dall'essere mamma e non mogliettina<br />

novella, ma anziché un fiore che<br />

sboccia, mi sento una mangrovia...<br />

non so... una pianta grassa. Eppoi so<br />

io a cosa vado incontro: parto a parte,<br />

so che dopo mi sentirò più mucca che<br />

donna, che mi passerà la fantasia del<br />

sesso, e che ci vorrà un anno prima di<br />

tornare a sentirmi soprattutto la<br />

compagna del mio uomo....<br />

Ogni gravidanza è diversa e ogni<br />

parto è diverso, e affronto questo<br />

secondo parto come una leonessa, e<br />

quando esco dalla sala parto sto<br />

ancora ruggendo: non mi sento così<br />

provata come la prima volta, e tornati<br />

a casa ho una gran voglia del mio<br />

compagno, se non fosse per i punti...<br />

Ma sono gli ultimi sprazzi generosi<br />

degli allegri ormoni del sesso che via<br />

via si vanno spegnendo, complici le<br />

notti insonni, i frignetti del nuovo<br />

arrivato che sembra dormire<br />

profondamente, ma proprio quando<br />

iniziamo a scambiarci tenerezze<br />

"ngheee, ngheee"… anche qui io e il<br />

marito ci siamo dati una<br />

giustificazione antropologica e<br />

naturale: è il loro istinto di<br />

sopravvivenza che fa in modo che<br />

non si aggiunga nessun newcomer a<br />

usurpargli il posto di rompino<br />

d'eccezione!


28<br />

Vuoi mettere?<br />

Barbara S., mamma<br />

GIUGNO 2006 - UOVO 20<br />

Sarebbe bello il parto a domicilio, ma… non mi sento pronta.<br />

Non mi sento pronta ad accogliere mia figlia nel calore della sua<br />

casa, tra le braccia di suo padre, con persone che ho scelto con cura,<br />

che mi hanno raccontato dove affondano le radici della loro<br />

professionalità, che hanno raccontato a me e a mio marito cosa<br />

terranno sotto controllo durante il travaglio e il parto, per capire che<br />

tutto rientra nel fisiologico, che io e la mia piccola stiamo bene.<br />

Non mi sento pronta a maturare la consapevolezza di ciò che avverrà<br />

durante tutta la gravidanza, a costruire un rapporto di fiducia con le<br />

ostetriche che mi assisteranno per tutta la durata del travaglio e del<br />

parto.<br />

Non mi sento pronta a pensare che le mani che stringeranno quella<br />

creaturina appena affacciatasi alla vita saranno le mani delle persone<br />

che l'ameranno di più e nemmeno a passare una notte intera<br />

incantata a guardare il miracolo che ho appena compiuto, mia figlia<br />

che si gode il tepore del letto nel quale è stata concepita e<br />

desiderata. Non mi sento pronta ad accoglierla nell'intimità dei<br />

rumori, degli odori, dei ritmi giorno/notte della sua casa…<br />

Sono pronta a partorire in ospedale – e pazienza se è un posto pieno<br />

di malati e malattie, se è una struttura fatiscente, se devo c<br />

ondividere un bagno, sozzo, con altra gente mai vista prima,<br />

se mi tocca rinunciare alla mia privacy.<br />

Mi sento pronta a rinunciare alla presenza di mio marito affianco<br />

a me e a mia figlia nelle prime ore della sua vita, per mettermi nelle<br />

mani di professionisti, dei quali peraltro non so nulla: se erano degli<br />

emeriti asini a scuola, se sono degli ansiogeni oppure gente<br />

comunissima, che mette al primo posto le proprie esigenze.<br />

Magari il medico pensa che siccome lui è il medico io dovrei affidarmi<br />

a lui e zitta e mosca.<br />

Sono pronta a partorire in un posto dove forse, quando a me<br />

sembrerà di non sopportare più il monitoraggio, o di voler mettermi a<br />

carponi per far uscire mio figlio, mi faranno mettere su un lettino, mi<br />

legheranno i polpacci a dei reggigamba e mi diranno "Signora si<br />

calmi" quando tirerò giù un "porcapu***" perché fa male.<br />

Sono pronta a rischiare che mia figlia sia presa per i piedi come un<br />

cappone, quando viene al mondo, terrorizzata per aver lasciato quel<br />

luogo sacro che era la sua mamma, e a farle somministrare il suo bel<br />

bagnetto, pesata asciugata e centrifugata nelle mani di gente che non<br />

rivedrà mai più che ha con lei l'unico legame della tenerezza che un<br />

neonato ispira.<br />

E ­ se si deve ­ sono pronta a vivere le prime ore di vita dell'essere<br />

più importante della mia vita separata da lui, sono pronta a rendermi<br />

conto ex post che quell'ossitocina che mi hanno messo in vena mi ha<br />

sconquassato e che forse non era così indispensabile, sono pronta a<br />

fare i conti con le possibili conseguenze di un'episiotomia magari non<br />

necessaria e forse mal fatta, sono pronta a prendermi il rischio che<br />

qualcosa vada storto perché qualcuno quel giorno era distratto o fuori<br />

forma…<br />

Sì, sono pronta a partorire in ospedale.<br />

Vuoi mettere? Mi sento più sicura.<br />

GRAVIDANZA: LE SCELTE<br />

TANTI DUBBI,<br />

UN ’ IDEA DI FONDO:<br />

ESSERCI.<br />

CON PROFONDITÀ,<br />

CONSAPEVOLEZZA E<br />

PARTECIPAZIONE


29<br />

D’AMORE E D’OMBRA<br />

Marina V., mamma<br />

Anche ieri è venuta fuori l’ombra<br />

che è in me.<br />

Sì, dentro di me esiste un’ombra:<br />

ha un’altra voce, parole cattive e<br />

rabbia a non finire.<br />

Si cela nell’intricato meandro<br />

del mio cuore e della mia anima,<br />

dentro di me…<br />

Ho capito che esiste e ho accettato<br />

che esista (o forse ci sto ancora solo<br />

provando?).<br />

Esce quando le mie difese si<br />

abbassano. Quando il mio controllo<br />

su di essa scioglie le briglie. Di solito<br />

quando la stanchezza è a dei livelli<br />

indescrivibili e c’è qualcuno dei<br />

bambini che continua a chiedere di<br />

più di più di più, sempre di più.<br />

L’ombra ce l’ha con loro.<br />

Li odia. Sì, li odia proprio.<br />

L’ombra esce quando il limite viene<br />

superato. Loro forse non capiscono<br />

quand’è il limite, o forse vogliono solo<br />

capire qual è il limite.<br />

O forse farti capire qual è il limite.<br />

<strong>La</strong> prima volta che è uscita allo<br />

scoperto ricordo che Riccardo era<br />

piccolissimo. Si svegliava<br />

continuamente di notte e di giorno<br />

era sempre attaccato al mio seno.<br />

Era l’unico modo per farlo dormire un<br />

po’; poi si risvegliava e tutto<br />

ricominciava.<br />

Ero sempre io ad alzarmi.<br />

Ero io ad avere il latte per lui.<br />

Ero l’unica persona ad essere giusta<br />

per lui. Tutti me lo dicevano ed io nel<br />

mio inconscio volevo che fosse così.<br />

Di notte ero io.<br />

Di giorno ero io.<br />

Non c’era nessuno. Nessuno.<br />

L’ombra si nutre anche di questo.<br />

Di aspettative deluse.<br />

Di sogni infranti.<br />

Di solitudine.<br />

Di cibo.<br />

Di rabbie inespresse.<br />

Di dolori incompresi.<br />

Di notti insonni.<br />

Di docce non fatte.<br />

Di capelli sporchi.<br />

Di pubblicità televisive.<br />

<strong>La</strong> mia ombra si stava nutrendo di<br />

APRILE 2007 - UOVO 21<br />

tutto questo. Ce l’avevo dentro.<br />

Una notte, me lo ricordo benissimo,<br />

all’ennesimo risveglio è uscita.<br />

Ha fatto sentire la sua voce.<br />

Nel buio della notte.<br />

A fatica l’ho controllata.<br />

Poi sono rimasta sconvolta.<br />

Sono rimasta sconvolta per giorni.<br />

Non capivo. Credevo di essere un<br />

mostro. Ed in quel momento lo ero<br />

davvero.<br />

Dunque ero un mostro? Eppure<br />

quanto amavo il mio bambino!<br />

Eppure dentro di me c’era un’ombra<br />

che lo odiava. Che non poteva più<br />

sentire il suo pianto e che non voleva<br />

essere più al centro delle sue<br />

attenzioni.<br />

Quell’ombra era uscita e quindi c’era.<br />

Esisteva dentro di me ed io la nutrivo<br />

con la mia rabbia. Si nutriva della<br />

mia stanchezza, delle mie forze<br />

stremate. Delle mie aspettative<br />

deluse nei miei confronti e nei<br />

confronti degli altri. Della mia<br />

solitudine.<br />

Cosa potevo fare per controllarla?<br />

Dovevo lavorare su me stessa?<br />

Sfogare un po’ della rabbia… magari<br />

in un cuscino o rompendo dei piatti?<br />

Trovare un po’ di tempo per me…<br />

difficile. Ma molto più difficile<br />

accettare che Riccardo fosse accudito<br />

a volte da qualcun altro, che<br />

qualcuno magari gli desse un po’ di<br />

frutta e mi lasciasse una o due ore<br />

per riposare, piuttosto che arrivare<br />

allo stremo delle forze e non essere<br />

più in grado di accudirlo.<br />

Per poter dare bisogna a volte<br />

prendere, altrimenti non si ha più<br />

niente da dare.<br />

Dovevo lavorare anche sulle<br />

aspettative sugli altri e su me stessa;<br />

su questo sto ancora lavorando,<br />

chissà che un giorno…<br />

E nonostante questo lavoro, l’ombra<br />

esiste. Ieri di nuovo è uscita.<br />

Margherita (la mia seconda) faceva<br />

dei capricci assurdi e svegliava<br />

Marianna (la più piccola) che era<br />

stata malata. Le mie notti erano state<br />

IL LATO OSCURO<br />

FINIRÀ?<br />

RIAVRÒ LA MIA VITA?<br />

SMETTERÒ DI PIANGERE E<br />

DI SENTIRMI COME UNO ZERBINO?<br />

insonni per circa una settimana.<br />

Marianna si era addormentata<br />

finalmente e Margherita sembrava<br />

davvero la volesse svegliare nel bel<br />

mezzo della notte.<br />

L’ombra ha fatto sentire la sua voce…<br />

ed ovviamente le bambine si sono<br />

svegliate tutte e due.<br />

Oggi piangevo piangevo piangevo<br />

non facevo altro che piangere. Perché<br />

non sono riuscita a controllarla.<br />

Perché dei bambini piccoli non<br />

dovrebbero sentire la mamma<br />

trasformarsi così… (o forse sì?).<br />

Perché quando succede mi sento una<br />

cattiva mamma che non ama i suoi<br />

bambini, mi sento di aver sbagliato<br />

tutto e di essere tutta sbagliata:<br />

cattiva cattiva cattiva.<br />

Di solito provo poi a spiegare loro che<br />

quando la mamma è stanca fa fatica<br />

a fare tutto quello che vogliono loro.<br />

Oggi non so cosa farò. Sembra che le<br />

bambine c’abbiano dormito sopra e<br />

che non si ricordino di nulla.<br />

Ma il loro inconscio ha registrato<br />

tutto, lo so.<br />

L’ombra è in me. L’ombra è una parte<br />

di me. Non so quanto io riesca ancora<br />

ad accettare la sua presenza, ma so<br />

che c’è e che si nutre di tutte quelle<br />

frustrazioni e limiti, che sono<br />

comunque umani, ma che alla fine<br />

spesso si accumulano giorno dopo<br />

giorno dopo giorno dopo giorno,<br />

come un lavandino pieno che alla<br />

fine straborda.<br />

Ora credo che i bambini siano<br />

davvero dei grandi maestri. Che la<br />

maternità porti con sé un lato<br />

assolutamente magico e divino, ma<br />

anche un’ombra sconosciuta da dover<br />

affrontare. I bambini ti insegnano<br />

delle cose su te stessa che senza di<br />

loro non avresti mai e mai imparato.<br />

Ti fanno davvero vedere i tuoi<br />

limiti e le tue debolezze.<br />

Ti insegnano che nella luce<br />

dell’amore ci sono anche<br />

l’ombra e i dolori.<br />

E che tutto ciò fa parte della<br />

vita e dell’essere umani.


È quel “riposati” che rimane incomprensibile.<br />

Magri ci siamo tornati: dopo aver toccato quota<br />

novantacinque chili ci siamo dati una regolata.<br />

Belli: be’, i capelli iniziano a farci difetto, le tempie si<br />

fanno sempre più grigie, ma di contro la pelle del viso<br />

non più liscia e le zampe di gallina ci rendono più<br />

credibili. E poi abbiamo ancora una buona riserva di<br />

anni prima che nostra figlia si renda conto che non<br />

siamo “l’uomo più bello del mondo”.<br />

Per quanto riguarda il successo, ci siamo messi il<br />

cuore in pace, più che altro perché nessuno è riuscito<br />

a darcene una definizione sensata. Soprattutto, il<br />

successo rende felici?<br />

O essere felici è di per sé un successo?<br />

Ma riposati, proprio no.<br />

Come si fa a essere riposati con la velocità a cui la<br />

famiglia, il lavoro, la vita moderna ci fanno viaggiare,<br />

con tutti gli stimoli che ci arrivano da così tante fonti,<br />

soprattutto da quelle piccole “fonti” che abbiamo<br />

in casa?<br />

Analizzando l’immagine di genitori che vorrebbero<br />

dare di noi gli esperti di consumer marketing, quelli<br />

che ci classificano come pubblici di riferimento cui<br />

proporre i prodotti dei loro clienti, è proprio sul<br />

“riposati” che cade tutto il castello di carte.<br />

Vediamo di seguito le casistiche più comuni.<br />

<strong>La</strong> colazione<br />

Nel mondo dei BMRdS (Belli Magri Riposati di<br />

Successo) mamma si sveglia truccata e pettinata,<br />

papà finge uno sbadiglio (ma gli passa tutto alla<br />

prospettiva di una bella rasatura col nuovo rasoio a<br />

sei lame), i bambini si alzano già lavati e pettinati,<br />

allegri e armoniosi (sempre biondi, sempre maschio e<br />

femmina, mai riottosi, mai un litigio) e tutti insieme si<br />

siedono a gustare i loro frollini attorno al desco<br />

familiare che può essere ­ a scelta ­ all’aperto nel<br />

parco da cinquanta ettari di casa, al piano terra di<br />

un luminoso faro convertito, o in un casolare toscano<br />

del ‘700. Nel mondo dei BMRdS gli appartamenti non<br />

esistono.<br />

Nel mondo reale la routine della mattina richiede le<br />

capacità organizzative di un team di meccanici di F1;<br />

non c’è un millisecondo da perdere fra la<br />

preparazione del caffè per mamma e papà e la<br />

preparazione del latte per i bambini, il tutto<br />

inframmezzato dalla vestizione e dalle abluzioni<br />

mattutine, nostre (volontarie) e dei bambini (effettuate<br />

a viva forza e con grande spargimento di acqua); si<br />

esce di casa alle 8:30 e già ci si sente come dopo<br />

una mezza maratona.<br />

30<br />

Genitori belli, magri,<br />

riposati e di successo<br />

Allen M., papà<br />

APRILE 2008 - UOVO 22<br />

SUPEREROI:<br />

ESSERE O NON ESSERE<br />

RINCORRERE<br />

MODELLI INARRIVABILI<br />

O PIUTTOSTO FAR FRONTE<br />

ALLE SCELTE QUOTIDIANE<br />

CON CORAGGIO<br />

ED INVENTIVA?<br />

Il pannolino<br />

Nel mondo dei BMRdS i bambini stanno fermi, sono<br />

sempre puliti e inodori, fanno *solo* pipì e per di più la<br />

fanno blu.<br />

Nel mondo reale i bambini *si muovono* e... tenetevi<br />

forti, signori del marketing: fanno la *cacca*! E in due<br />

anni, un bambino almeno quattromila pannolini li<br />

cambia...<br />

Il viaggio<br />

Nella famiglia BMRdS papà e/o mamma guidano,<br />

immancabilmente e invariabilmente con grande<br />

perizia, una monovolume delle dimensioni esterne di<br />

una cabina del telefono, ma con lo spazio interno<br />

della Basilica di S. Pietro. Sono concessi allegri<br />

diversivi come dimenticare la nonna o tuffarsi in uno<br />

stagno maleodorante per recuperare l’orsacchiotto<br />

prediletto della figlioletta bionda. Mamma ogni tanto,<br />

prima di mettersi al volante fa la danza propiziatoria<br />

dei Maori, quella che fanno i New Zealand All Blacks<br />

prima delle partite di rugby. Per la famiglia reale, la<br />

più breve trasferta è un inno all’imprevisto: per quanto<br />

sia grande l’auto, nel bagagliaio ci sta a malapena<br />

metà degli oggetti che accompagnano i nostri figli, il<br />

resto prende posto per terra, sui sedili o sul tetto, e<br />

c’è sempre qualcosa che finisce per rotolare tra i<br />

pedali. I bambini, a stare legati nei seggiolini proprio<br />

non ci pensano. Dopo i primi trecento metri o ci<br />

accorgiamo di esserci dimenticati qualche<br />

componente fondamentale, oppure da dietro arriva –<br />

puntuale come le tasse – un “mi scappa la pipì/ho<br />

sete/ho fame”. Dopo un chilometro arriva il primo<br />

“quando arriviamo?”, che procederà a ritmi regolari di<br />

quattro minuti finché non giungiamo a quattrocento<br />

metri dalla destinazione: a quel punto i bambini si<br />

addormenteranno. Tutto questo nell’ipotesi che i<br />

bimbi *non* soffrano l’auto. E sfidiamo chiunque a<br />

non arrivare stremato.<br />

<strong>La</strong> cena<br />

<strong>La</strong> famiglia BMRdS cena con un camaleonte che<br />

ripete ­ come un mantra ­ la domanda “tu non hai<br />

fame?”. Nonostante ciò sono tutti felici e nessuno<br />

trova minimamente anomalo il fatto di dividere il<br />

desco con un rettile parlante che cambia colore.<br />

<strong>La</strong> cena della famiglia reale può solo essere<br />

paragonata a un campo di battaglia, dal quale uscire<br />

incolumi è di per sé un’impresa.<br />

Riposati? E chi ha il tempo di essere riposato?<br />

Questo è il mondo reale e il riposo è un lusso.<br />

Però non ceniamo con i camaleonti, e non è un<br />

vantaggio da poco.


Quand’ero incinta della mia secondogenita ho<br />

conosciuto la pratica del Lotus Birth. Un tardo<br />

pomeriggio di fine giugno, in <strong>Casa</strong> di <strong>Maternità</strong>,<br />

incontrai Shivam Rachana, che pratica il Lotus Birth<br />

da molti anni. Per me è stato ­ come dire ­ amore a<br />

prima vista! Acquistai il libro per saperne di più,<br />

ma la decisione l’avevo già presa. Per la mia<br />

bambina e per me volevo una nascita non violenta,<br />

nessun tipo di intervento e sapere che potevo anche<br />

non tagliare il cordone ombelicale era la ciliegina sulla<br />

torta: era proprio quello che volevo. Mi affascinavano<br />

anche i significati che, in varie culture e filosofie, sono<br />

attribuiti alla placenta (per molte è il “gemello” del<br />

bambino) e gli effetti che si crede che la nascita<br />

integrale abbia sulla vita e sul temperamento dei<br />

bambini nati così (si parla di bambini “completi”,<br />

dotati di buona salute, calma, tranquillità,<br />

determinazione ecc.). Ma ciò che ha determinato la<br />

mia scelta è stata la possibilità di una nascita<br />

completamente senza violenza.<br />

Ho scelto di pancia e di cuore, senza dare peso alle<br />

sensazioni contrastanti che provavo. Avevo infatti<br />

qualche preoccupazione per l’eventuale odore, sentivo<br />

uno strano disagio all’idea di maneggiare la placenta:<br />

era un po’ quello stato d’animo che si prova davanti a<br />

qualcosa di poco conosciuto e che, proprio perché non<br />

lo si conosce, mette un po’ di paura. <strong>La</strong> placenta,<br />

infatti, chi l’ha mai vista? Negli ospedali te la fanno<br />

vedere in ecografia durante la gravidanza, ti spiegano<br />

che nutre il tuo bambino, ma poi quando esce sono<br />

già lì pronti con un sacco per i rifiuti speciali, la<br />

pesano per routine e la buttano: non serve più.<br />

Ma quelle lievi sensazioni di disagio non avevano<br />

alcun peso. Ero determinatissima. Ho spiegato le cose<br />

a mio marito, che è medico: convinto lui me ne sono<br />

infischiata degli altri. Preventivamente ho informato<br />

solo i miei genitori: nei loro occhi ho letto lo<br />

sconcerto, ma non hanno fatto alcun commento.<br />

<strong>La</strong> placenta avrebbe fatto al caso mio anche per il<br />

post­partum: avrebbe tenuto alla larga le visite nei<br />

primi giorni. Volevo intimità, raccoglimento, pace e<br />

tranquillità per la nostra famiglia; desideravo uno<br />

spazio e un tempo di silenzio in cui stare a<br />

contemplare la nascita di mia figlia, la mia maternità,<br />

in cui vedere germogliare l’affetto di suo fratello per<br />

Teresa e gettare i semi del loro legame. Per questo<br />

motivo, anche se la placenta può essere per così dire<br />

“impacchettata” in modo da consentire di spostare<br />

neonato e placenta insieme, ho scelto di lasciare la<br />

bambina al centro del letto matrimoniale, fino a che<br />

non si fosse staccato il cordone ombelicale. Nessuno<br />

spostamento, neanche per il bagnetto: volevo<br />

godermi anche il suo odore di bambina “nuova”.<br />

Bimba e placenta erano al centro del lettone, nella<br />

31<br />

Lotus Birth<br />

perché è la nascita senza violenza<br />

Elena, mamma<br />

penombra di una luce soffusa; per allattarla io mi<br />

sdraiavo alla sua destra e alla sua sinistra.<br />

In quei giorni tutto ruotava attorno a quel letto, anzi<br />

fuori da quella stanza non esisteva nulla.<br />

Quando ci ripenso, sento ancora il silenzio e il<br />

profumo di quei giorni.<br />

Teresa è nata il lunedì pomeriggio e si è staccata il<br />

venerdì successivo verso sera: mentre la stavo<br />

cambiando, ha preso il cordone ombelicale tra due<br />

dita del piede destro, ha teso la gamba e l’ha<br />

strappato via. Poi è scoppiata a piangere, è stato il<br />

suo secondo pianto (il primo era avvenuto subito dopo<br />

la nascita): io l’ho presa tra le braccia, l’ho baciata e<br />

poi le ho dato il latte, divisa tra la sensazione di<br />

smarrimento che provavo e la serenità che volevo<br />

trasmettere alla mia bambina. Solo in quel momento<br />

ho sentito concludersi davvero l’esperienza della<br />

gravidanza e del parto e iniziare la nostra nuova vita.<br />

Oggi Teresa ha poco più di due anni, ha un carattere<br />

forte e determinato (Lidia, che la conosce bene,<br />

spesso mi chiede: “Ti stai già preparando alla sua<br />

adolescenza, vero?”), è serena, indipendente e<br />

autonoma (e prende ancora il seno), molto affettuosa,<br />

con una capacità motoria più sviluppata rispetto alla<br />

sua età e una vivacità intellettuale altrettanto<br />

notevole. Mi piace pensare che in tutto questo ci sia<br />

anche lo zampino della sua placenta.<br />

Ha una sfrenata voglia di vivere, che per un anno, tra<br />

i quattro e i sedici mesi, ha voluto dire notti insonni:<br />

era troppo interessata alla vita, dormiva mezz’ora, poi<br />

si svegliava e, come se avesse riposato una notte<br />

intera, voleva giocare, sperimentare cose e relazioni.<br />

In quegli interminabili mesi in cui, se ci ripenso, non<br />

so come ho fatto ­ e come ha fatto ­ a sopravvivere,<br />

le uniche notti in cui ha dormito, e ci ha lasciato<br />

dormire, sono state quelle in cui siamo stati via da<br />

Milano, in vacanza. <strong>La</strong> spiegazione che mi sono data è<br />

che, in quei contesti nuovi e stimolanti, la sua vitalità<br />

fosse pienamente appagata di giorno e che quindi, di<br />

notte, anche per lei fosse giusto dormire. Tutto questo<br />

per dire che far nascere il proprio figlio con la placenta<br />

non equivale anche a sottoscrivere un’assicurazione<br />

contro certi “inconvenienti” della vita di genitori!<br />

Il significato della tranquillità che la nascita integrale<br />

infonde va al di là della ristretta interpretazione che se<br />

ne può dare.<br />

Tornando al titolo di questo numero dell’Uovo, non ho<br />

mai considerato il Lotus Birth una scelta da supereroi.<br />

È una scelta inusuale, almeno nella società in cui<br />

viviamo, ma per l’esperienza che ne ho avuto non<br />

necessita di alcun superpotere. Come ogni scelta, per<br />

viverla nella pace occorre sentirla davvero nelle<br />

proprie corde. Io l’ho vissuta con grande naturalezza e<br />

senza nessuno dei lievi disagi che avevo immaginato.


32<br />

FRATELLI IN GARA<br />

LA MAMMA È TUTTA MIA<br />

Judith M., mamma<br />

Gabriel aveva quasi due anni e<br />

mezzo, quando abbiamo deciso di<br />

avere un altro figlio. Un giorno,<br />

mentre stavamo passeggiando in una<br />

bellissima villa vicino a casa nostra, a<br />

Roma, gli abbiamo annunciato la<br />

notizia. Ero incinta da qualche<br />

settimana soltanto, ma eravamo<br />

convinti che fosse importante<br />

mettere in parole qualcosa che in<br />

ogni caso lui avrebbe percepito.<br />

Gabriel è stato quindi il primo a<br />

saperlo, come membro della nostra<br />

famiglia in costruzione.<br />

Lui è rimasto un po’ così, poi ha detto<br />

“è piccolo piccolo così” con un<br />

sorriso, facendoci vedere con le dita<br />

la dimensione di una formichina.<br />

Era davvero commovente.<br />

Non sapevamo che stava iniziando un<br />

lungo travaglio: da quel momento<br />

Gabriel non ha più dormito. Mentre<br />

fino ad allora si addormentava il<br />

pomeriggio e la sera tranquillamente<br />

da solo, è diventato quasi impossibile<br />

addormentarlo dopo pranzo, ma se<br />

non faceva il riposino era un inferno<br />

di capricci e scatti di rabbia durante<br />

tutto il pomeriggio con l’unico<br />

vantaggio che in quel caso era più<br />

facile addormentarlo la sera. Se<br />

invece, dopo ore di discussioni,<br />

canzoni, storie, litigi, riuscivamo a<br />

farlo crollare per sfinimento (ma<br />

qualche volta sono crollata prima io,<br />

addormentandomi per terra accanto<br />

al suo letto) allora il pomeriggio<br />

trascorreva più tranquillo, ma<br />

la sera era di nuovo impossibile<br />

addormentarlo fino alle undici o<br />

mezzanotte.“Non voglio dormire!”,<br />

“perché?”, “perché non voglio<br />

dormire”… E in ogni caso si<br />

risvegliava tre o quattro volte<br />

durante la notte chiamando<br />

angosciato “papà, papà, ma mi<br />

ami?”. Questo è durato per qualche<br />

mese; poi si è svegliato meno<br />

durante la notte, sempre almeno una<br />

volta, mentre l’addormentarsi è<br />

continuato a essere lungo e difficile.<br />

Ovviamente avevo le nausee e<br />

vomitavo, mi sentivo uno straccio<br />

tutto il giorno e il mio livello di<br />

sopportazione era molto, molto<br />

scarso. Intanto Gabriel ribadiva ogni<br />

giorno che: la mamma era tutta sua,<br />

il papà era tutto suo, la nonna era<br />

tutta sua, il nonno… e così via con<br />

tutti i membri della famiglia, gli<br />

amici, la baby sitter, etc. A tavola, se<br />

Leonardo rispondeva a una mia<br />

domanda su come era andata la sua<br />

giornata di lavoro, cascava<br />

immancabilmente un bicchiere pieno<br />

d’acqua nel piatto, o una forchetta<br />

per terra, o peggio ancora<br />

cominciava a svolazzare per aria un<br />

coltello derubato furtivamente al<br />

papà...<br />

Molto presto Gabriel ha espresso la<br />

sua gelosia e il suo bisogno di<br />

centralità: ancora prima che<br />

aspettassimo il fratellino, al nido se la<br />

sua educatrice prediletta prestava<br />

attenzione a un altro bambino, lui<br />

spingeva il malcapitato con forza o lo<br />

stringeva fortissimo fino a farlo<br />

piangere. Adesso questa tendenza<br />

stava aumentando, e cominciava a<br />

esprimere anche altre emozioni in<br />

questo modo: nel momento in cui la<br />

nonna doveva andarsene per tornare<br />

a casa sua, lui cambiava<br />

improvvisamente umore e graffiava o<br />

dava un pugno, o peggio ancora un<br />

morso, a chi secondo lui gli<br />

procurava dispiacere.<br />

Se c’era mio marito, o i nonni o la zia<br />

mi ignorava e cercava in tutti i modi<br />

di captare la loro attenzione.<br />

Insomma io ero già un po’ di quel<br />

altro, che era sempre con me nella<br />

mia pancia, e quindi lui cercava a<br />

tutti i costi di tenersi stretti il papà e<br />

le altre persone a lui care che ancora<br />

non erano state ‘occupate’.<br />

Le sue reazioni aggressive e<br />

apparentemente a volte distaccate<br />

nei miei confronti erano ingannevoli:<br />

sembrava non mi volesse. Dapprima<br />

ho rispettato i suoi “no”, poi mi sono<br />

accorta che mentre mi diceva “non ti<br />

voglio, voglio solo papà” era in fondo<br />

ben felice che io lo coinvolgessi in un<br />

gioco, o in una coccola. Con il senno<br />

di poi penso sia stato un errore dargli<br />

la notizia così presto: per un bambino<br />

di tre anni, un’attesa di nove mesi è<br />

lunga, tuttavia non penso che ci<br />

avrebbe risparmiato il lungo lavoro di<br />

elaborazione che è avvenuto, e<br />

tuttora sta avvenendo. Il piccolo<br />

Louis è nato il 9 settembre scorso.<br />

Nel frattempo Gabriel aveva smesso<br />

del tutto di dormire il pomeriggio, ma<br />

senza che ciò influisse più sul suo<br />

umore pomeridiano: probabilmente<br />

ha fatto un passaggio di crescita e<br />

ormai si addormenta abbastanza<br />

tranquillo la sera. Resta il fatto che si<br />

sveglia di notte e viene nel nostro<br />

letto, che adesso sta diventando<br />

troppo piccolo per quattro.<br />

GELOSIA, GELOSIA<br />

SEMBRA<br />

CHE NON CI SIA<br />

APRILE 2009 - UOVO 23<br />

Stranamente la sua<br />

aggressività è diminuita, anche se ha<br />

tentato di addentare il cranio del<br />

fratello la prima volta che lo ha visto<br />

in braccio alla nonna. Io sto attenta a<br />

dargli tempo, per quanto posso, e<br />

parole su ciò che non posso tollerare<br />

da parte sua nei confronti del<br />

piccolino. Continuo a impormi a lui<br />

quando fa finta di non volermi. Cerco<br />

di sostenere e assecondare sia la sua<br />

necessità di regredire che il suo<br />

piacere di crescere. Ma vedo bene<br />

che per lui è molto difficile contenere<br />

ciò che prova nei confronti del<br />

fratello: da una parte lo ha integrato<br />

pienamente nel suo mondo, e lo<br />

elenca spesso tra i membri della sua<br />

famiglia o le persone cui vuole bene<br />

con i differenti legami di parentela,<br />

dall’altra succede spesso che, come<br />

per sbaglio, pesta il fratello che sta lì<br />

disteso a terra a giocare con la<br />

palestrina, oppure salta sul divano<br />

vicinissimo alla testa di Louis mentre<br />

lo sto allattando, e quasi sempre gli<br />

scappa la cacca mentre allatto… E poi<br />

dice delle cose come “non si può<br />

calciare Louis come un pallone,<br />

vero?”, a dimostrazione dell’intensa<br />

emozione che sta riuscendo a<br />

controllare.<br />

A volte penso che non mi perdonerà<br />

mai del tutto; in fondo, in qualche<br />

angolo della sua psiche o del suo<br />

cuore ce l’avrà sempre con me per il<br />

‘paradiso perduto’ dell’essere l’unico<br />

(Gabriel non è soltanto il nostro<br />

primo figlio, ma anche il primo nipote<br />

nella famiglia di mio marito, ed è<br />

stato adorato come un re da tutti).<br />

Quando guardo le foto di mio marito<br />

da bambino, anche lui primo figlio,<br />

dopo la nascita della sorellina, mi<br />

sembra sempre di cogliere nello<br />

sguardo una rabbia sconsolata per<br />

l’affronto subito. È una cosa<br />

irragionevole, che probabilmente non<br />

torna alla coscienza, ma penso che<br />

per il primo figlio l’arrivo di un altro<br />

sia una prova importantissima da<br />

affrontare e anche un gran regalo<br />

perché obbliga a affrontare e<br />

scontrarsi con una realtà ineluttabile:<br />

da un lato il fatto che le persone non<br />

ci appartengono e che esistono<br />

relazioni di cui non facciamo parte e<br />

non siamo al centro del mondo,<br />

dall’altro che possiamo contenere<br />

al nostro interno tante relazioni e<br />

affetti intensi che non si escludono<br />

a vicenda.


ASPETTATIVE RIPRODUTTIVE<br />

Non ancora attesa<br />

<strong>La</strong>ura C, mamma<br />

Benvenuta mio piccolo amore. Sei arrivata tra noi ieri<br />

mattina, domenica 3 febbraio 2008 alle 8.40 di una<br />

giornata piovosa…<br />

Non ti aspettavamo ancora, la data presunta per la tua<br />

nascita era il 10 aprile e invece hai sorpreso tutti, per<br />

primi il tuo papà e me. È iniziato il travaglio alle tre di<br />

notte (o dovrei dire mattina) di domenica ma io, che<br />

continuavo a rigirarmi nel letto in preda a forti dolori, ho<br />

pensato ad una colica intestinale: il mio cervello<br />

semplicemente non voleva accettare l’idea che fosse<br />

partito il travaglio.<br />

Ho comunque iniziato a controllare frequenza e durata di<br />

quelle che, di minuto in minuto, mi apparivano con ogni<br />

evidenza sempre più come contrazioni. Il tempo è<br />

passato in una percezione ormai lontana dai consueti<br />

parametri, la mente suggeriva che la colica intestinale<br />

aveva “eccitato” la vicina muscolatura uterina innescando<br />

un travaglio che presto si sarebbe arrestato, che doveva<br />

arrestarsi. E invece no; verso le sei e mezza ho fatto un<br />

bagno caldo che ha rilassato e disteso un po’ me mentre<br />

tu ti muovevi freneticamente al di sotto della mia pelle<br />

tesa, ma una volta uscita dalle vasca ­ a quel punto erano<br />

le sette e tuo fratello si era svegliato e mi reclamava ­ i<br />

dolori sono ricominciati con maggiore frequenza e<br />

intensità di prima. Tuo padre mi proponeva il pronto<br />

soccorso da più di un’ora, a quel punto ho deciso che non<br />

potevo più aspettare: ho fatto fare colazione a Michele,<br />

l’ho vestito, ho telefonato a Nadia che mi ha confermato<br />

che avrei dovuto andare al più presto al pronto soccorso,<br />

abbiamo portato tuo fratello e il cane dai nonni (è salito<br />

papà mentre io aspettavo in macchina paralizzata dal<br />

dolore) e poi siamo andati al pronto soccorso ostetrico<br />

dell’ospedale Buzzi. Quando sono riuscita a levarmi<br />

pantaloni e mutande l’iniziale rassicurazione della<br />

dottoressa: ­”Vedrà che si tratta di dolori intestinali”­ si è<br />

trasformata nell’evidenza di un parto imminente: c’era già<br />

una dilatazione di otto centimetri…<br />

Il dolore a quel punto era quasi continuo, tanto da<br />

rallentare il seguito: spostarsi in sala travaglio, alzarsi<br />

dalla sedia a rotelle, spogliarsi nuovamente e arrancare<br />

sulla “poltrona” su cui mi hanno fatta sedere, ormai grumo<br />

di paura e sofferenza paralizzato in una incredulità<br />

surreale.<br />

C’erano cinque persone in quella stanza: una di loro mi<br />

ha infilato una cannula di plastica in un braccio e mi ha<br />

infuso un antibiotico mentre un ostetrico cercava,<br />

inizialmente senza troppo successo, di mettermi le<br />

cinghie per monitorare il tuo battito cardiaco; hanno poi<br />

controllato tramite ecografia la tua posizione<br />

(fortunatamente cefalica). A quel punto il dolore si è<br />

33<br />

NOVEMBRE 2009 - UOVO 24<br />

ASPETTATIVE:<br />

ATTESE E SPERANZE<br />

ANDIAMO AVANTI<br />

RICERCANDO CONFERME,<br />

TRA ILLUSIONI<br />

E DELUSIONI<br />

condensato in una spinta che ha fatto esplodere un<br />

vortice d’acqua e un attimo dopo, nella marea di male in<br />

cui stavo per annegare, sei nata tu.<br />

Un istante prima c’era solo senso di irrealtà e di<br />

sofferenza, quello dopo eri appoggiata alle mie gambe e<br />

alla mia pancia, minuscola come un seme non ancora<br />

germogliato, una piccola Pollicina tutta bagnata. Ti hanno<br />

portata via quasi subito, al reparto di patologia neonatale,<br />

appena il tempo che uscisse la placenta, che tagliassero il<br />

cordone ombelicale, che tuo padre accettasse il nome che<br />

avevo scelto per te già da tanto tempo…<br />

Nel giro di poco siamo rimasti nella stanza io, tuo padre e<br />

Nadia. Soli senza di te. Io sola, vuota e incredula per<br />

quanto era appena accaduto, in preda ad un angosciante<br />

senso di colpa per averti dato alla luce troppo presto, per<br />

averti esposto a tanti rischi, per non averti saputo regalare<br />

il giusto tempo della gravidanza e del parto.<br />

Ti abbiamo rivista più tardi, il tuo primo tempo da sola, già<br />

posizionata in una delle incubatrici del reparto di patologia<br />

neonatale, con indosso solo un pannolino minuscolo ma<br />

comunque troppo abbondante rispetto al tuo corpicino. Il<br />

tuo peso alla nascita (già oggi hai iniziato ad affrontare il<br />

calo ponderale) era di 1,535 Kg. Che per la tua età<br />

gestazionale (30+2) ci hanno detto essere un ottimo peso.<br />

Da quando hai lasciato la mia pancia hai sempre respirato<br />

da sola per fortuna, i medici hanno solo aggiunto una<br />

piccola percentuale di ossigeno nell’ ambiente che ora ti<br />

ospita. Oggi ci hanno dato buone notizie: niente infezioni,<br />

ti sei scaricata bene, il tuo cervello si sta adattando bene<br />

alle pressioni esterne ma la cosa meravigliosa è che ci<br />

hanno permesso di toccarti ed è stato un momento unico.<br />

Sei minuscola e perfetta e delicata e remota ed<br />

enigmatica e buffa e indifesa e tenera e bellissima e<br />

terribile. Sei il nostro cucciolo minimo e assomigli tanto al<br />

tuo fratellino quando era appena nato.<br />

Ci hanno detto che dovrai rimanere qui un paio di mesi.<br />

Da domani inizieranno a somministrarti piccole quantità<br />

del colostro che raccolgo per te con l’aiuto di un tiralatte<br />

nell’attesa che arrivi la montata lattea. Domani poi mi farò<br />

dimettere e quindi inizierò a fare la spola tra ospedale e<br />

casa. Non solo non abitiamo più lo stesso corpo già da un<br />

interminabile giornata ma tra qualche ora non passeremo<br />

più le notti sotto lo stesso tetto se pure su piani ed in<br />

ambienti diversi.<br />

Ho bisogno di tenerti fra le braccia, ho bisogno di riaverti<br />

con me per stabilire un nuovo contatto che non proceda<br />

più dall’interno ma dalla superficie delle pelli dritto<br />

ai nostri cuori.<br />

Benvenuta figlia mia.


QUESTIONI DI COPPIA<br />

ARRIVANO I FIGLI:<br />

COPPIA CHE CRESCE,<br />

CHE RESISTE<br />

O CHE SCOPPIA.<br />

RIPROGETTARE OGNI GIORNO,<br />

NIENTE È SCONTATO<br />

Ti colpisce. Lo si sa da sempre:<br />

Eros ha arco e frecce.<br />

Incontri uno e ti colpisce. Chissà poi<br />

perché proprio quello lì. Somiglia a<br />

qualcuna delle tue fantasie; sì,<br />

dev’essere così.<br />

Non l’hai mai visto prima, eppure ti<br />

ricorda qualcosa o qualcuno, è come<br />

se lo riconoscessi. Magari è tutto<br />

diverso da quello che pensavi essere<br />

l’uomo ideale. Ma t’accorgi d’un botto<br />

che fino a lì ti eri sbagliata.<br />

Cercare di capire il perché non ha<br />

senso: non è che puoi procedere<br />

attraverso logica e razionalità, è una<br />

cosa che ti capita, in cui ti muovi<br />

trasognata. Ma ti viene da pensare:<br />

di chi mi sono innamorata? Di quello<br />

lì davanti o di quello sfuggente<br />

riflesso, di quell’immagine che va a<br />

spasso dentro la mia testa?<br />

Innamorarsi è un po’ realtà e un po’<br />

illusione.<br />

Ma in fondo non importa: né di chi,<br />

né perché.<br />

Innamorate ci si sente ricolme di<br />

forza e di vita, capaci di qualunque<br />

sfida, sostenute in qualsiasi fatica,<br />

pronte ad abbassare le difese e a<br />

mettersi in gioco, a cambiare se<br />

stesse e a cambiare il mondo.<br />

Sarebbe bello procedere così<br />

nell’innamoramento, come in surf<br />

sulle onde, spinte in alto e avanti da<br />

forze potenti, da cavalcare così come<br />

vengono, senza porsi nemmeno il<br />

problema di governarle…<br />

No, non dura. Un innamoramento<br />

non dura: a un certo punto l’onda si<br />

sgonfia. Forse è perché si fiuta il<br />

pericolo di perdere contatto con la<br />

realtà. Si sente il bisogno di<br />

accertare, si vuole sapere, si è<br />

costrette a prendere atto che quello<br />

lì e l’altro in testa non sono la stessa<br />

cosa. Che bisogna rifare i conti,<br />

perché se quei due hanno qualcosa<br />

in comune, qualcos’altro invece no,<br />

e la cosa non quadra. Di frequente è<br />

un momento di delusione.<br />

Il desiderio di restare in coppia,<br />

l’avere progetti in comune ­ magari<br />

34<br />

APRILE 2010 - UOVO 25<br />

proprio un progetto riproduttivo ­ a<br />

volte è un potente motore, capace di<br />

spingere un amore oltre la zona di<br />

turbolenza, alla ricerca di un altro e<br />

più profondo contatto, che comporta<br />

una corrispondenza più intima, ma<br />

anche il riconoscimento e il rispetto<br />

dell’alterità, quel tanto di mistero che<br />

resta per l’uno il sentire dell’altro.<br />

C’è un requisito irrinunciabile, io lo<br />

chiamo generosità.<br />

Non so definirlo meglio.<br />

Pensare, decidere di fare figli<br />

alimenta un amore? Direi di sì,<br />

perché mette in gioco, mette in moto<br />

la generosità, il desiderio di destinare<br />

risorse ed energie a qualcuno<br />

gratuitamente, senza attendere<br />

contropartita. Due genitori in questo<br />

stato di grazia, sostenuti da questo<br />

slancio di generosità, possono<br />

compiere assieme e spontaneamente<br />

anche quello sforzo di riconoscimento<br />

e di accettazione reciproca, che li<br />

aiuta a rimanere insieme, a maturare<br />

assieme un sentimento amoroso<br />

diverso, più consapevole dei pregi e<br />

dei difetti, dei punti di forza e di<br />

debolezza di ciascuno, più tollerante<br />

e ironico.<br />

Perché allora tante coppie non<br />

reggono, perché l’arrivo dei figli<br />

costituisce un banco di prova così<br />

duro da farne saltare un buon<br />

numero?<br />

L’altro giorno cercavo di spiegare a<br />

un giovane amico, alle prese con<br />

problemi di coppia, la decisiva<br />

importanza della generosità. E lui, di<br />

rimando: guarda, c’è un’altra parola<br />

chiave, altrettanto importante:<br />

reciprocità. Se il concedere dell’uno<br />

viene inteso dall’altro come segno di<br />

debolezza; se il recedere da una<br />

posizione viene avvertito come resa;<br />

se la gratuità viene scambiata con la<br />

sottomissione; se anziché una gara<br />

di generosità si mette in scena una<br />

trattativa; se ogni occasione è buona<br />

per misurarsi in una prova di forza…<br />

Ecco, in queste condizioni viene<br />

meno la reciprocità. Allora la<br />

generosità unilaterale non solo è<br />

PERAMORE<br />

<strong>La</strong>ura V., mamma<br />

inutile, ma controproducente. Dice lui.<br />

Avrà ragione? Allora devo essere<br />

grata al destino di avere sperimentato<br />

la mia storia d’amore in una<br />

condizione di reciprocità. Abbiamo<br />

stretto un patto, il mio uomo ed io, e<br />

risolutamente: essere l’uno per l’altro,<br />

fare della famiglia il perno della nostra<br />

vita affettiva, farne un luogo<br />

accogliente per i figli e anche per tutti<br />

quegli altri che, pur esterni al nucleo,<br />

stanno a cuore a noi e a loro.<br />

Quello che è seguito ­ le esperienze<br />

condivise di gioia e dolore ­ hanno<br />

rafforzato la nostra coesione. Lo stare<br />

assieme attenendoci a quel patto<br />

continua ad alimentare l’amore. Forti<br />

di questo terreno comune, noi due<br />

abbiamo finito col conoscere e<br />

dialogare l’uno con i pensieri dell’altro<br />

senza quasi più bisogno di formulare<br />

parole.<br />

Basta che mi guardi per capire cosa<br />

penso, basta che lo guardi: so che ha<br />

le sue zone d’ombra e le rispetto ­ e<br />

lui le mie. Basta che mi tocchi perché<br />

io capisca quello che prova in quel<br />

momento, basta che lo tocchi e lui<br />

capisce.<br />

Certe volte il desiderio si assopisce,<br />

certe volte di nuovo si risveglia.<br />

È il suo a volte a chiamare il mio,<br />

altre volte è il contrario. Capita pure<br />

che l’uno chiami e l’altro non ascolti,<br />

bisogna avere pazienza. Capita<br />

anche che l’uno avverta che il<br />

desiderio dell’altro si sta volgendo<br />

altrove, e allora<br />

bisogna nuotare<br />

controcorrente:<br />

che fatica!<br />

Ma, almeno fino<br />

ad ora, abbiamo<br />

sempre poi<br />

ritrovato l’intesa<br />

e la gioia primitiva<br />

del sesso ­ e anche<br />

questa è una<br />

bellissima cosa,<br />

che ci aiuta a stare<br />

uniti. Mi piace<br />

pensare che<br />

invecchieremo<br />

assieme.<br />

Vedi<br />

quando ci penso<br />

penso<br />

se te ne andrai<br />

ti troverò…<br />

Vedi<br />

quando ci penso<br />

penso<br />

se me ne andrò<br />

mi troverai…<br />

in te


Prego, avanti: entra pure. In Morgantini<br />

specialità di casa è far bambini:<br />

allestir loro quanto più dolce ingresso;<br />

spianar la strada, per quanto c’è concesso;<br />

aiutarli nel mentre, aiutarli nel poi<br />

a trovare un bel posto qui tra noi.<br />

Tutto questo richiede mamme attente,<br />

tanto più forti quanto più contente…<br />

Giunge ciascuna qui con la sua storia<br />

impressa d’esperienza e di memoria.<br />

Con altre esplora la sua condizione:<br />

sostegno e forza è la condivisione.<br />

Stolti giudizi calan come scure,<br />

tolgono il fiato inutili paure?<br />

Metabolizza il gruppo l’apprensione:<br />

si scioglie l’ansia e cala la tensione.<br />

Con quotidiano impegno e grande lena<br />

le operatrici curano la scena.<br />

Chi pulisce e cucina con destrezza,<br />

ché l’ambiente accogliente ognuno apprezza:<br />

questa è Edi. Chi invece, defilato,<br />

fa un buon lavoro di segretariato:<br />

questa è Maura, s’intende – e qui vi aggiorno:<br />

quando non c’è, è di là a suonare il corno. C’è l’altra Nadia: specchio di pazienza,<br />

Le ostetriche si scelgon per la vita:<br />

c’è Nadia, la decana, ch’è partita<br />

lasciando tutte tristi per l’assenza<br />

senza più il suo consiglio e l’esperienza:<br />

“Lungi da qui giudizi e prescrizioni,<br />

son della mamma scelte e decisioni!”<br />

Ma c’è chi ormai da lungi l’ha affiancata<br />

e chi con lei è cresciuta e s’è affrancata.<br />

QUELLE DI CASA<br />

che può stupire in quanto a intraprendenza.<br />

C’è Paola: lascia ogni altra a mezza via<br />

quando si tratta di tecnologia.<br />

Ce n’è altre due, son giovani e son toste<br />

sanno dar le attenzioni e le risposte:<br />

Ilaria tutta pepe ed Eleonora.<br />

Come aver fatto senza fino ad ora?<br />

Poi delle educatrici è il folto stuolo.<br />

C’è Francesca del nido, colta al volo:<br />

s’è posata un momento, per provare,<br />

tanto è piaciuta e ha scelto di restare.<br />

C’è Paola che declina, col suo stile,<br />

curiosamente un titolo al maschile.<br />

Maria Luisa i bimbi al nido osserva<br />

l’adorano i bebè, senza riserva.<br />

Alta tra tutte è Lidia, caposcuola;<br />

ora che Nadia va, si sente sola.<br />

Presenti dall’inizio, mai arrese<br />

coerenti fino in fondo in queste imprese<br />

le due, solidalmente, fino a qua<br />

han garantito la continuità.<br />

Se sei curiosa e ancora non persuasa<br />

vieni a trovarci nella nostra <strong>Casa</strong>.

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