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Il Treno 8017 Una Tragedia Dimenticata Balvano, 3 ... - Vesuvioweb

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<strong>Il</strong> <strong>Treno</strong> <strong>8017</strong><br />

<strong>Una</strong> <strong>Tragedia</strong> <strong>Dimenticata</strong><br />

<strong>Balvano</strong>, 3 marzo 1944<br />

06 - Anatomia di un mistero.<br />

L'inchiesta continua<br />

Salvatore Argenziano


G. DF. - S. A. per www.vesuvioweb.com<br />

Due articoli di Renzo Pocaterra.<br />

La notte tra il 2 e il 3 marzo 1944, il treno <strong>8017</strong> partì da <strong>Balvano</strong> e,<br />

tragicamente, non arrivò mai alla stazione successiva.<br />

Uno dei più gravi e misteriosi disastri ferroviari della storia,<br />

ma anche un drammatico fascio di luce gettato sulle condizioni di vita<br />

di un paese sconvolto dalla guerra.<br />

<strong>Balvano</strong>: anatomia di un mistero<br />

di Renzo Pocaterra<br />

Pubblicato in "Linea <strong>Treno</strong>", Febbraio 1995, pagina 26-29<br />

La Battipaglia-Potenza ha un triste primato. Cinquanta anni fa, nella notte fra il<br />

2 e il 3 marzo 1944, fra le stazioni di <strong>Balvano</strong> e Bella-Muro, ebbe luogo il più tragico<br />

incidente della storia delle Ferrovie italiane e uno dei più gravi nel mondo. Con<br />

precisione non si è mai saputo cosa sia realmente avvenuto né il numero delle vittime<br />

che certamente furono più di cinquecento.<br />

La vicenda è stata ricordata in alcuni articoli di giornali e riviste e, quest'anno,<br />

in un libro di Mario Restaino che merita una segnalazione soprattutto perché, forse<br />

per la prima volta, mette in luce le vere cause della tragedia.<br />

Cerchiamo ora di rievocare quei fatti con un'attenzione particolare agli aspetti<br />

ferroviari, rimandando i lettori interessati agli aspetti umani della tragedia, alla lettura<br />

del libro.<br />

<strong>Il</strong> 1944 fu il peggiore dei cinque terribili anni della seconda guerra mondiale.<br />

Se al nord la popolazione era nella morsa della guerra e della fame, al sud si<br />

combatteva solo la fame che però era tanta. <strong>Il</strong> valore dei beni era quotato alla borsa<br />

nera secondo la logica della sopravvivenza. A Napoli venivano sbarcati gli<br />

approvvigionamenti delle Forze Armate Alleate: un fiume di ricchezza che passava<br />

sotto gli occhi di una popolazione che non aveva più nulla.<br />

Quello che successe sconfina nella leggenda ed è già stato raccontato. Meno<br />

noto è il traffico che potremmo definire indotto, fra la costa e l'interno dove alcuni<br />

beni erano introvabili a causa delle difficoltà di comunicazione.<br />

Le ferrovie, unico mezzo di trasporto, erano in mano al Servizio Ferroviario<br />

Militare delle Forze Armate Alleate che se ne servivano principalmente per le<br />

necessità belliche. Per i civili vi erano pochissimi treni e per salirvi era necessaria una<br />

speciale autorizzazione.<br />

Fra Bari e Napoli, ad esempio, erano stati concessi due treni la settimana con<br />

un massimo di 600 persone per ogni treno. Tutti i treni venivano presi<br />

sistematicamente d'assalto e ben poco potevano fare i militari di scorta ai convogli o<br />

di guardia nelle stazioni. Ecco perché il treno <strong>8017</strong>, merci Napoli-Battipaglia-<br />

Potenza, partì da <strong>Balvano</strong> alle 0,50 del 3 marzo 1944, trainato da due locomotive e<br />

composto da 12 vagoni carichi e 35 vuoti nei quali si era introdotto un numero<br />

imprecisato di persone, probabilmente attorno alle 600.<br />

Non arrivò mai a Bella-Muro. E qui si affaccia il primo mistero della vicenda.<br />

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L'esercizio della linea era a dirigenza locale. La distanza fra le due stazioni è di<br />

8 chilometri. Soltanto alle 2,40, dopo quasi due ore, i dirigenti movimento delle due<br />

stazioni si misero in contatto telegrafico perché mancava il "giunto", il prescritto<br />

dispaccio da parte di Bella-Muro a <strong>Balvano</strong> che il treno <strong>8017</strong> era arrivato<br />

regolarmente. Alla constatazione che il treno era ancora in linea non seguì nulla.<br />

Tutte le rievocazioni concordano sull'assoluto disinteresse delle due stazioni ad<br />

accertare i fatti. Nessuno diede l'allarme, nessuno andò a vedere.<br />

Soltanto dopo le 6 venne inviata da <strong>Balvano</strong> una locomotiva di soccorso.<br />

<strong>Il</strong> treno <strong>8017</strong> venne trovato sotto la galleria "delle Armi", lunga 1966 metri.<br />

Soltanto i tre carri di coda erano fuori. Nelle locomotive vi era ancora fuoco, tanto<br />

che la galleria era ancora piena di un fumo molto denso che ne impediva l'accesso. I<br />

soccorritori poterono entrare solo perché muniti di maschere.<br />

<strong>Il</strong> treno venne riportato a <strong>Balvano</strong> con il suo carico di morte. Secondo un<br />

testimone una cinquantina di viaggiatori erano ancora vivi, per quanto svenuti, e la<br />

cosa, dopo sette ore, ha dell'incredibile.<br />

Le vittime identificate furono 429, si ritiene però che fossero più di 500.<br />

Vennero sepolte in quattro fosse comuni e anche per questo non è stato possibile<br />

accertarne il numero preciso.<br />

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L'inchiesta sul disastro non venne resa nota. Di ufficiale è stata ritrovata solo<br />

una relazione, inviata dal Ministero dei Trasporti a quello del Tesoro, nel 1952, a<br />

causa delle richieste di risarcimento (poi accolte) avanzate da alcuni familiari delle<br />

vittime. Secondo questa relazione, che riprendiamo da un articolo di Cenzino Mussa<br />

su Famiglia Cristiana (1979), "il treno si fermò perché il macchinista fu colpito dalle<br />

tossiche esalazioni dei prodotti gassosi delle esalazioni del carbone, particolarmente<br />

ricco di ossido di carbonio". Tentiamo ora di approfondire le caratteristiche tecniche<br />

del convoglio. Composto da 47 carri e lungo circa 500 metri il treno era trainato da<br />

due locomotive, ambedue poste in testa. Le locomotive erano del tipo cosiddetto "da<br />

montagna": la 480.016 e la 476.038, ambedue dotate di cinque assi motori accoppiati.<br />

La 480 era stata creata negli anni '20 per il servizio sulla linea del Brennero,<br />

passata all'Italia dopo il 1918. Era considerata un'arrampicatrice veloce, forse la più<br />

potente locomotiva del parco ferroviario italiano.<br />

La 476 era una locomotiva di costruzione austriaca, passata all'Italia dopo il<br />

1918 in conto riparazione danni di guerra, ottima per i tracciati di montagna anche se<br />

meno potente della 480.<br />

<strong>Il</strong> peso del treno è stato calcolato sulle 500/550 tonnellate, tenuto conto anche<br />

delle persone trasportate.<br />

La galleria "delle Armi" ha una pendenza massima del 13 per mille, tutto<br />

sommato non eccezionale anche rispetto alla tratta rimanente. Non avendo a<br />

disposizione una planimetria della linea andiamo per approssimazione. Nei 19<br />

chilometri successivi, da Baragiano a Tito la pendenza media dovrebbe essere<br />

superiore al 17 per mille con punte certamente oltre il 20.<br />

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Si può quindi, d'accordo con Mario Restaino, ritenere quanto meno strano, per<br />

quanto pessima possa essere stata la qualità del carbone, che il treno si sia arrestato<br />

per insufficiente potenza di trazione, viste anche le prestazioni delle locomotive. Da<br />

rilevare che il treno, provenendo da Napoli aveva affrontato in semplice trazione la<br />

salita che da Nocera Inferiore porta a Cava dei Tirreni: 5 chilometri con pendenza<br />

media del 13 per mille.<br />

A questo punto Mario Restaino trova un testimone che offre alcuni illuminanti<br />

e inediti particolari. Si tratta di Mario Motta, in servizio a <strong>Balvano</strong> in qualità di<br />

Deviatore il mattino del 3 marzo 1944.<br />

Faceva parte del gruppo inviato con la locomotiva di soccorso, Motta ricorda<br />

con precisione che 13 veicoli erano frenati e, per poter far retrocedere il treno, fu<br />

necessario sfrenarli. Non precisa se si trattava di veicoli dotati di freno a mano o di<br />

freno continuo, ma dobbiamo ritenere si trattasse di freni a mano perché il freno<br />

continuo, se non viene mantenuto carico dal compressore della locomotiva, si<br />

esaurisce entro breve tempo.<br />

Motta ricorda anche di avere udito, molto evidente, durante il viaggio di<br />

rientro, quel battito caratteristico che indica una sfaccettatura delle ruote dei carri.<br />

Questo avviene quando le ruote sono state serrate a fondo dai ceppi dei freni<br />

mentre il treno continua la sua corsa. <strong>Il</strong> pattinamento delle ruote sulle rotaie si mangia<br />

letteralmente i cerchioni.<br />

Ecco quindi la più importante, se non l'unica, causa della tragedia: i freni. E qui<br />

ci soccorrono altri due ricordi di Mario Motta.<br />

Egli ricorda che il macchinista del treno di soccorso andò a controllare la<br />

posizione delle leve di comando delle due locomotive. Ambedue erano nella<br />

posizione di retromarcia. Ricorda anche che alcuni superstiti hanno riferito che il<br />

treno, dopo una prima fermata, aveva avuto un breve spostamento in avanti.<br />

Poi era retrocesso "a scossoni" per fermarsi definitivamente dopo pochi metri.<br />

Sembra anche che, in quei momenti, dalle locomotive fossero partiti alcuni fischi e<br />

questo starebbe ad indicare un ordine ai frenatori circa la chiusura o l'apertura, dei<br />

freni.<br />

In base a questa testimonianza, comunque molto importante, le possibilità sono<br />

due e dipendono dal sistema di frenatura di cui il treno era dotato. Molto<br />

probabilmente si trattava di frenatura parzialmente continua. Ciò significa che in<br />

composizione al treno vi erano carri dotati di freno continuo e freno a mano. Al<br />

momento di formare il treno, sulla base del peso complessivo, della percentuale di<br />

peso frenato con freno continuo e delle caratteristiche della linea veniva stabilita la<br />

quantità di frenatori necessaria alla scorta. Nel tratto in questione, tutto in salita da<br />

Battipaglia a Potenza, si doveva assicurare la sola frenatura necessaria in caso di<br />

fermata in linea, o di spezzamento del treno, per evitare la retrocessione. Abbiamo<br />

sottoposto la questione al parere di un esperto. Date le caratteristiche del treno e della<br />

linea era possibile la presenza di una decina di frenatori.<br />

Mario Restaino ritiene che vi sia stato, alla base della tragedia, un equivoco fra<br />

macchinisti e frenatori e che questi ultimi abbiano chiuso i freni ritenendo che il treno<br />

si fosse spezzato o avendo male interpretato gli ordini impartiti col fischio.<br />

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È una ipotesi attendibile. La chiusura dei freni veniva ordinata dai macchinisti<br />

con "tre fischi brevi e vibrati" mentre per il completo allentamento veniva emesso "un<br />

fischio lungo seguito da un altro breve". Più che un equivoco però la causa può essere<br />

stata l'improvviso svenimento dei frenatori, dovuto al fumo, dopo aver chiuso i freni.<br />

Sembra abbastanza chiaro che, quando fu fatto il tentativo di retrocedere, il<br />

treno era frenato. La domanda che ci facciamo, ricordando che le ruote dei carri erano<br />

fortemente sfaccettate, è se, per motivi non accertabili, i freni non fossero bloccati<br />

ben prima della fatale fermata della galleria "delle Armi".<br />

La potenza delle locomotive in doppia trazione può aver reso possibile la<br />

marcia fino all'imbocco della galleria dove la pendenza era più accentuata. È stato<br />

accertato inoltre che in galleria le locomotive a vapore hanno sempre un calo di<br />

rendimento.<br />

Dopo il tentativo di retrocessione, la fine.<br />

<strong>Una</strong> tragedia tenuta nascosta a causa della guerra in corso. Dei ferrovieri di<br />

scorta al treno si salvarono solo tre frenatori di coda e il fuochista della locomotiva di<br />

testa perché caddero dal treno e trovarono a livello della massicciata un minimo di<br />

aria respirabile.<br />

Locomotiva 910<br />

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<strong>Balvano</strong>.<br />

L'inchiesta continua<br />

Articolo di Renzo Pocaterra, pubblicato in "Linea <strong>Treno</strong>",<br />

Maggio 1995, pagine 30-31<br />

<strong>Il</strong> libro "Un treno, un'epoca: storia dell'<strong>8017</strong>" di Mario Restaino sull'incidente<br />

di <strong>Balvano</strong> è andato subito esaurito.<br />

E anche l'articolo con cui "Linea treno" rievocava l'oscura tragedia avvenuta<br />

nel marzo 1944 sulla linea Battipaglia-Potenza ha sollevato un grande interesse nei<br />

lettori.<br />

Torniamo quindi sull'argomento arricchendo di particolari e di<br />

approfondimenti l'analisi di una delle più gravi e più misteriose tragedie ferroviarie<br />

della storia.<br />

Ha suscitato l'interesse di numerosi lettori<br />

la rievocazione del tragico incidente di <strong>Balvano</strong>,<br />

pubblicata lo scorso febbraio da questa rivista.<br />

L'oscura tragedia in cui trovarono la morte oltre<br />

500 persone, per asfissia, nel marzo 1944 sulla<br />

linea Battipaglia-Potenza è avvolta in un<br />

mistero che difficilmente potrà essere del tutto<br />

chiarito.<br />

La nostra rievocazione si basava<br />

essenzialmente sul libro recentemente<br />

pubblicato da Mario Restaino (Un treno,<br />

un'epoca: storia dell'<strong>8017</strong>) frutto di un'attenta<br />

inchiesta condotta su documenti e testimonianze<br />

inedite e la consultazione dei pochi resoconti<br />

pubblicati in epoche varie, da giornali e riviste.<br />

L'inchiesta condotta dalle Ferrovie e dalle Forze<br />

Armate Alleate non è mai stata ritrovata.<br />

Speravamo nell'intervento di qualche<br />

nostro lettore con ulteriori notizie. Un<br />

contributo molto interessante ci è venuto da<br />

Nicola Raimo, che ringraziamo, autore di un<br />

articolo sulla vicenda, pubblicato nel novembre<br />

1980 su Strade ferrate, una rivista edita a<br />

Frosinone fino a dieci anni fa a cura di<br />

appassionati di storia delle ferrovie.<br />

Nicola Raimo ha raccolto l'importante testimonianza di Luigi Ronga, allora<br />

fuochista sulla locomotiva di testa dell'<strong>8017</strong>, l'unico sopravvissuto del personale di<br />

macchina perché, colpito da malore, svenne e cadde dalla macchina trovando a livello<br />

del suolo un po' d'aria respirabile.<br />

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Secondo questa testimonianza vi sono alcuni elementi discordanti rispetto alla<br />

versione di Restaino, da noi ripresa: il numero delle vittime, la posizione delle leve<br />

per la marcia avanti o indietro delle due locomotive e il numero dei ferrovieri<br />

sopravvissuti.<br />

Sul numero delle vittime, Raimo sostiene che furono 521 e forse è la verità, ma<br />

non è dimostrabile. C'era una guerra in corso e gli interventi di soccorso furono<br />

affrettati e approssimativi.<br />

Sulla questione della posizione delle leve di comando, la maggior parte delle<br />

versioni pubblicate concorda con la tesi di Raimo, nell'affermare che la prima<br />

locomotiva era disposta per la marcia avanti mentre nella seconda la valvola<br />

d'inversione era disposta per la marcia indietro.<br />

Secondo la testimonianza raccolta recentemente da Mario Restaino, ambedue<br />

le locomotive invece erano disposte per la marcia indietro.<br />

Per la verità vi sono altre discordanze nei pochi racconti di chi ha avuto parte<br />

nella vicenda, ma se consideriamo il tempo trascorso e la forte tensione di quei<br />

momenti, la cosa non può destare meraviglia. Preferiamo soffermarci sui fatti, che<br />

tutte le versioni sembrano accreditare:<br />

- il treno si arrestò in galleria perché le ruote delle locomotive - ambedue a<br />

cinque assi accoppiati - slittavano (inspiegabilmente, dice Ronga) sulle rotaie,<br />

malgrado le sabbiere fossero normalmente in funzione e la pendenza (13 per mille)<br />

non fosse proibitiva, fino a che il treno fu costretto ad arrestarsi;<br />

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- dopo l'arresto il treno fece un tentativo di retrocessione di pochi metri, per poi<br />

arrestarsi definitivamente. Quasi certamente il treno era, in quel momento, frenato;<br />

- la cattiva qualità del carbone, indubitabile, non influì quindi tanto sulla<br />

capacità di trazione delle macchine, ma sui tempi a disposizione dei macchinisti per<br />

affrontare l'emergenza. La galleria era quasi certamente ancora satura del fumo<br />

lasciato dal treno precedente;<br />

- il treno era dotato di frenatura parzialmente continua. Ciò significa che alcuni<br />

carri erano dotati di freno continuo, il rimanente di frenatura a mano.<br />

Oltre a questi pochi elementi sui quali tutte le versioni sembrano concordare,<br />

vanno tenute presenti alcune disposizioni regolamentari:<br />

- la retrocessione, nel tratto in questione, non avrebbe costituito infrazione al<br />

regolamento. Come "estrema ratio" non era infrequente. Lo vedremo più avanti;<br />

- i frenatori erano tenuti, per regolamento, a chiudere i freni d'iniziativa solo in<br />

caso di spezzamento del treno. Tale ipotesi è assai improbabile;<br />

- il regolamento segnali prevedeva che l'ordine ai frenatori per la chiusura dei<br />

treni veniva dato con "tre o più di tre, fischi brevi e vibrati", l'allentamento con "un<br />

fischio lungo seguito da un altro breve".<br />

È abbastanza inverosimile che tutti i frenatori abbiano potuto confondere questi<br />

messaggi ai quali erano abituati.<br />

Secondo la testimonianza di Mario Motta, il manovratore che provvide ad<br />

allentare i freni, i carri trovati frenati erano ben tredici:<br />

- oltre ai fischi di segnalazione rivolti ai frenatori esisteva anche un codice di<br />

comunicazione, per mezzo del fischio, fra gli equipaggi delle locomotive in doppia<br />

trazione.<br />

Non è da escludere che, nella concitazione del momento, i frenatori abbiano<br />

male interpretato i fischi di segnalazione emessi da una locomotiva per attirare<br />

l'attenzione dell'altro equipaggio.<br />

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L'ultimo dubbio riguarda il numero dei ferrovieri sopravvissuti. Secondo<br />

Restaino e Raimo, oltre al fuochista Luigi Ronga si salvò solo il frenatore di coda<br />

Roberto Masullo, il primo a raggiungere la stazione di <strong>Balvano</strong> e a dare l'allarme.<br />

Secondo la versione di Cenzino Mussa ("E la morte scese sul treno", Famiglia<br />

cristiana 1979) si salvarono anche Giuseppe De Venuto "operaio delle ferrovie che<br />

faceva da frenatore che viaggiava sull'undicesimo carro" e Michele Palo, frenatore<br />

che, secondo Mussa, raggiunse per primo <strong>Balvano</strong> e diede l'allarme. <strong>Il</strong> racconto di<br />

Cenzino Mussa riguardo ai tre frenatori è molto particolareggiato, sembra attendibile<br />

e di prima mano, ma nulla dice in merito ai freni e nessuno, a quanto sembra, ha<br />

raccolto la versione di questi importanti testimoni.<br />

Un'ultima notizia vogliamo proporre ai nostri lettori. Si tratta di una cartolina<br />

scritta dieci anni dopo, nel 1954, ad un collega bolognese, da un macchinista di<br />

Bologna trasferito al Deposito Locomotive di Catanzaro Marina.<br />

A quel tempo i ferrovieri al sud scarseggiavano e le carenze venivano<br />

compensate con trasferimenti obbligati dal nord. <strong>Il</strong> macchinista (si chiamava Ettore<br />

Soverini) così scriveva dando sue notizie: "... come servizio non c'è male ma con<br />

certe macchinacce che a noi ce le serbano, le 625 Caprotti non c'è neanche male, una<br />

macchina leggera e si fa un buon servizio, ma le 476 a 5 assi accoppiati, una leva (del<br />

regolatore, ndr) che vuole in due a girare, e si fanno dei trenacci per Crotone dove<br />

passiamo una galleria lunga un 3 km in salita che trovi il 20 per mille, e con quei<br />

rubiconi si fa la spinta alle volte: spesso capita di retrocedere, come è capitata a tanti,<br />

se si comincia a slittare è già persa".<br />

E fu persa davvero per il disgraziato equipaggio dell'<strong>8017</strong>.<br />

Tentarono di retrocedere ma non ci riuscirono. <strong>Il</strong> treno era frenato, i perché<br />

sono solo congetture.<br />

E fu la morte per oltre 500 persone.<br />

Salvatore Argenziano<br />

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