Carlo Volvay - Altervista
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Prefazione<br />
Nella casa veneziana dei miei nonni, a S. Lio, di<br />
fianco al Ponte delle paste (nome stupendo, non trovate?),<br />
oltre ad esserci nato, ho trascorso anche gran parte della<br />
mia infanzia e dei primi anni di scuola ed ancora adesso,<br />
quando sono in giro per Venezia e ci passo davanti, è<br />
difficile che non mi fermi a darle una malinconica occhiata,<br />
finendo così per inebriarmi di sensazioni e ricordi facilitati<br />
dal fatto che quasi nulla appare cambiato da allora.<br />
Infatti, mentre le luccicanti targhette d’ottone sulla gran<br />
cancellata che racchiude il giardino rivelano ormai la<br />
presenza d’innumerevoli studi legali e notarili e della<br />
redazione di un quotidiano, la nostra casa all’ultimo piano,<br />
a tanti anni di distanza da quando ce ne siamo andati, è<br />
ancora lì abbandonata, senza più segni di vita, con le<br />
imposte socchiuse e incrostate dagli schìtti dei piccioni e i<br />
due pittèri di terracotta, dove la nonna teneva il basilico e<br />
la salvia, ancora impavidamente in piedi sul davanzale<br />
della cucina. Come se il tempo si fosse fermato quel giorno<br />
di tanti anni fa. Della casa ricordo anche i soffitti tanto<br />
bassi che oggi li toccherei alzando il braccio e la gran<br />
terrazza coperta, con una vista incredibile che spaziava dal<br />
campanile di S. Marco a quello di S. Vio, dalle cupole dei<br />
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SS. Giovanni e Paolo a quelle dei Miracoli. Una parte della<br />
terrazza era adibita a carbonaia e legnaia ed era il covo dei<br />
miei giochi (oltre che delle pulci di vari gatti...). La finestra<br />
dell’ultimo piano, che fa angolo con il canale, era quella<br />
della mia cameretta piena di sole, ma che di pomeriggio<br />
risuonava del ticchettio incessante della scuola di<br />
dattilografia al piano di sotto, dandomi, se non altro, la<br />
scusa buona per non svolgere i compiti. La mia stanza<br />
aveva poi la prerogativa che dietro le imposte semichiuse<br />
della finestra sul canale venivano periodicamente i piccioni<br />
a fare il nido e a me piaceva molto osservare da dietro i<br />
vetri la picciona covare le sue uova e poi guardarne i<br />
pulcini implumi, che battezzavo con i nomi più strani.<br />
Il rito del grano ai piccioni (1959)<br />
3
Questo imprinting di venezianità ha profondamente<br />
condizionato tutta la mia esistenza suggerendomi ritmi di<br />
vita, modi di comunicare e di rapportarsi con gli altri<br />
abbastanza lontani dal mondo contemporaneo. Perchè nel<br />
nascere da queste parti ci viene dato in sorte un gran<br />
privilegio, ma anche una gran sventura, dal momento che<br />
chi trascorre la sua vita a Venezia imbeve inevitabilmente la<br />
sua anima d’armonie di colori e d’architetture, di luci e di<br />
quieta dolcezza del vivere a tal punto che poi, in qualsiasi<br />
parte del mondo si rechi difficilmente potrà affascinarsi di<br />
qualcosa e abituarsi ad altri stili di vita.<br />
Una corte andando verso Ruga Giuffa<br />
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Dio solo sa quanta fatica ho fatto a prendere sonno in altre<br />
città, abituato come sono al silenzio profondo delle notti<br />
veneziane (d’altronde, due amici milanesi cui avevo<br />
imprestato la casa avevano passato le prime notti insonni<br />
proprio perchè quella quiete sconosciuta dava loro<br />
angoscia) e quante volte ho rischiato la vita attraversando<br />
strade trafficate immerso nel fluire dei miei pensieri, come<br />
quando andavo per calli e fondamenta, dove al massimo i<br />
distratti possono finire in canale, ma di certo non sotto un<br />
motorino. Mia moglie, che è della terraferma e guida<br />
benissimo, sostiene che quando faccio manovra per<br />
parcheggiare spengo mentalmente il motore e aspetto che<br />
l’abbrivio della corrente mi accosti a riva.<br />
Forse ha ragione lei. In compenso so girare con la barca<br />
per canali, ghebi e barene con maestria e senza finire in<br />
secca, conosco oltre un centinaio di tipi di barche lagunari<br />
e so pescare le cappe lunghe con i piedi a mollo nel bacàn<br />
davanti a Treporti e cucinare stupendamente le moleche<br />
fritte e i bigoli in salsa. E forse nel cambio ci guadagno io.<br />
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Acqua alta in piazza (1962)<br />
Lavorando in una multinazionale e molto lontano da<br />
casa mi sono accorto ben presto che la mia venezianità<br />
costituiva un prezioso bagaglio di conoscenze e curiosità<br />
per colleghi che spesso mi chiedevano consigli per visitare<br />
la città. Così, per facilitargli la vita, ho scritto una breve<br />
guida di ristoranti e trattorie del centro storico e delle isole<br />
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che con mio grande stupore in breve tempo è diventata un<br />
best-seller che girava di ufficio in ufficio. Da qui l’idea di<br />
sviluppare la cosa fino a farla divenire una guida di tipo<br />
particolare: una passeggiata con un amico veneziano (io)<br />
che ci porti per le calli e callette fuori dai percorsi turistici<br />
tradizionali e ci racconti quella Venezia minore e nascosta,<br />
con le sue botteghe, le storie curiose, i tanti bacari e le<br />
osterie, che è poi la vera anima della città.<br />
Rio dei Tolentini<br />
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Ovviamente, di libri e guide su Venezia ne sono<br />
stati scritti e se ne scriveranno ancora in numero<br />
incalcolabile, ma, a parte pochi volonterosi, da circa un<br />
secolo più nessuno si è curato di descrivere i veneziani<br />
intenti alle piccole cose del vivere quotidiano in una città<br />
sempre più forèsta (straniera) e impoverita nei suoi umori<br />
vitali. Io, di scrivere un libro più o meno paludato su<br />
Venezia, non ci provo neppure.<br />
La Ca’d’oro con il suo imbarcadero<br />
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Questa passeggiata per la città che stiamo per iniziare<br />
assieme vuole essere anche un pensiero affettuoso dedicato<br />
agli abitanti, alle alle varie istituzioni, ai cani, ai gatti, ai<br />
colombi e - perché no - alle pantegane e a tutto ciò che<br />
contribuisce a mantenere viva la venezianità, anche perché,<br />
i foresti pieni di fruscianti banconote che oggi la abitano<br />
non hanno ancora capito che non basta comperare le nostre<br />
case per diventare veneziani. Bisogna imparare a capire i<br />
segreti di questa città, la sua vita e i suoi ritmi e io voglio<br />
provare a farlo per voi, assieme a voi, lungo 10 percorsi nel<br />
cuore della mia città. Quindi, scarpe comode, gambe in<br />
spalla e via….andare!<br />
L’autore.<br />
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Percorso 1<br />
Da Piazzale Roma a Rialto<br />
attraverso San Rocco e i Frari<br />
(tempo: 45 minuti)<br />
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